Uno, Nessuno, Centomila!

di Cioppys
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una Domenica Qualunque ***
Capitolo 2: *** “un” Kogure ***
Capitolo 3: *** “un” Hasegawa ***
Capitolo 4: *** “un” Jin ***
Capitolo 5: *** “un” Sendoh ***
Capitolo 6: *** “Nessuno” ***
Capitolo 7: *** “Centomila!” ***



Capitolo 1
*** Una Domenica Qualunque ***


Disclaimer
Tutti i personaggi appartengono all’immenso Inoue-sensei.

Sproloqui di un’autrice
Altra fan fiction pubblicata alcuni anni fa su altri siti e, come la precedente, nessun cambio sostanziale di trama, ma testo interamente riscritto. Si, il titolo è quello del libro di Luigi Pirandello, ma la storia non c’entra nulla con quello che troverete qui di seguito. In pratica, la trama principale è una sola, ma a seconda della scelta che il protagonista farà, ci sarà un finale diverso. Inventarsene sei diversi non fu affatto facile – agli ultimi due ero veramente alla frutta! – e dubito che ripeterò una (folle) esperienza come questa, ma è proprio nei finali che sta il principale difetto della fan fiction: nella riscrittura ho cercato di migliorali per renderli meno ripetitivi e scontati possibile. Il giudizio finale sul risultato lo lascio a voi!
Buona Lettura!

~ * ~ * ~ * ~

 

Uno, Nessuno, Centomila!
di Cioppys

 

Una Domenica Qualunque

Hisashi Mitsui. 18 anni. Un ragazzo come tanti che frequenta il terzo anno delle superiori all’istituto Shohoku.
Beh, forse non proprio “come tanti”: titolare della squadra di basket, di cui è uno dei pilastri portanti con i suoi micidiali tiri da tre punti, è un ragazzo di bell’aspetto, con corti capelli del colore della notte, profondi occhi scuri e un fisico asciutto e ben definito, senza contare quella cicatrice sulla parte sinistra del mento che gli dona quel fascino in più… fascino che ha attirato diverse persone, con l’interno di farne il proprio compagno.
Da circa due mesi, infatti, Mitsui frequenta ben quattro ragazzi contemporaneamente che, nel giro di due giorni, si erano a lui dichiarati. Non sapendo decidersi, e con l’intento di far chiarezza sui propri sentimenti, chiese a tutti del tempo, non mettendo però a conoscenza ognuno di loro degli altri tre pretendenti.
Ma tenere il piede in più scarpe, crea più problemi di quanto uno si aspetti.

Era un giorno come tanti e allo Shohoku gli allenamenti della squadra di basket erano appena finiti. Mitsui si era attardato in palestra per completare un attività extra, come ormai faceva spesso: da quando aveva ripreso a giocare, si stava impegnando per tornare in perfetta forma. Dopo più di un’ora, infilato l’ennesimo tiro da tre, decise che era giunto il momento di tornare a casa. Stava sistemando i palloni nelle ceste – a modo suo, ovvero lanciandoli come se dovesse centrare un canestro – quando uno finì sul bordo e rotolò verso il muro a lato della porta degli spogliatoi, da dove Kogure lo stava osservando, appoggiato con le mani incrociate dietro la schiena.
«Ehi! Che ci fai ancora qui?» gli chiese Mitsui, avvicinandosi.
Posò una mano sullo stipite proprio sopra la sua testa, rimanendogli di fronte alla distanza del braccio teso.
«Ecco io…» Kogure arrossì, chinando il capo per non guardarlo negli occhi e sistemandosi gli occhiali sul naso che scivolarono in avanti. «E’ uscito quel film che volevi vedere. Ti va domenica di andare al cinema insieme?».
Mitsui sorrise. Adorava la timidezza che mostrava ogni volta che erano soli e molto vicini.
«Certo che vengo» disse, con voce calda, fissandolo intensamente quando l’altro alzò lo sguardo su di lui.
Il rossore sulle gote del compagno di squadra aumentò. «B-bene, allora ci vediamo alle due davanti al Multisala» balbettò, spostandosi di lato e salutandolo, prima di uscire dalla porta.
Mitsui scosse il capo, divertito. Kogure era sempre gentile e premuroso nei suoi confronti, e questo lo faceva sentire speciale. Inoltre, anche se a prima vista non sembrava, era una persona forte, che credeva nei propri sogni e ideali: glielo aveva dimostrato il giorno della rissa in palestra, mettendolo davanti ai suoi errori e alle sue false promesse.
Per un attimo, torno al giorno in cui si era dichiarato, rattristandosi al ricordo della delusione dipinta sul suo volto quando gli aveva chiesto del tempo per pensarci. Forse era più pronto a un rifiuto che a un attesa, considerando che si conoscevano da anni, anche se non si erano frequentati granché dopo che aveva abbandonato il club in prima superiore.
Terminò di sistemare i palloni e raggiunse gli spogliatoi: non vedeva l’ora di una rilassante doccia.
Aperto il rubinetto, appoggiò entrambe le mani contro il muro e mise la testa sotto il getto caldo. I muscoli delle spalle iniziarono a sciogliersi, mentre le gambe divennero più leggere. Lo scroscio dell’acqua coprì ogni rumore, estraniandolo dal mondo, e non sentì né la porta degli spogliatoi aprirsi, né i successivi passi che si fermarono all’ingresso del locale docce.
«Questa sì che è una magnifica visione!».
A quelle parole, si volse, incrociando gli occhi blu dell’intruso.
«Sendoh!» esclamò, chiudendo il rubinetto e avvolgendosi in fretta la vita con l’asciugamano.
Da quando gli aveva detto degli allenamenti extra, arrivava puntualmente quando era sotto la doccia. Possibile che non avesse altro per la testa? Beh, non che gli dispiacesse quell’interesse nei suoi confronti, ma a volte faticava a non farsi travolgere dai continui assalti dell’asso del Ryonan.
«Una di queste sera mi piacerebbe unirmi a te» disse Sendoh, avvicinandosi con quel sorriso irresistibile a sfiorargli la pelle del petto.
Mitsui gli afferrò il polso, bloccandolo. «Quando la smetterai con queste visite nei momenti meno opportuni?» lo riprese, non riuscendo però a nascondere una punta di imbarazzo.
Gli passò di lato ed uscì dal locale docce, sedendosi su una delle panche davanti agli armadietti. Prese dei vestiti puliti dalla borsa appoggiata a fianco ma, prima di procedere, si guardò alle spalle. Deglutì alla vista di quegli occhi blu che lo scrutavano sulla schiena.
«Ti spiace aspettarmi fuori?» chiese, distogliendo lo sguardo.
«Che peccato! Avrei voluto godermi per bene lo spettacolo!» disse Sendoh, accarezzandogli una guancia mentre gli passò accanto per raggiungere l’uscita. «Comunque non posso aspettarti: stasera abbiamo parenti a cena e i miei non accettano ritardi! Ci vediamo domenica? Ti aspetto come al solito alle tre al campetto della spiaggia!».
Mitsui gli fece un cenno affermativo con il capo, prima che sparisse dalla sua vista.
Gli piacevano quelle ore trascorse a giocare a basket con lui, non solo perché era un degno avversario: Sendoh era socievole, sempre allegro e divertente, anche se non perdeva occasione di mettergli le mani addosso o sussurragli frasi dai neanche troppo velati doppi sensi. Quando l’aveva rifiutato chiedendogli tempo, lui aveva sorriso sicuro di sé, assicurandogli che non era un problema uscire un po’ per capire se tra loro potesse funzionare o meno, ben consapevole di come Mitsui stesso a volte se lo mangiasse con gli occhi.
Un quarto d’ora dopo uscì dalla palestra e si avviò verso casa, una graziosa villetta a circa mezz’ora di strada a piedi dalla scuola, dove viveva con i genitori e quella rompicoglioni di sua sorella minore. Stava camminando con le mani in tasca, assaporando la fresca brezza della sera, quando qualcuno pronunciò il suo nome.
«Ehi, Hasegawa!» disse, salutando il suo terzo pretendente, che gli venne incontro correndo.
Quando l’alto giocatore dello Shoyo lo raggiunse, si fermò davanti a lui con le mani sulle ginocchia a riprendere fiato, osservandolo con un lieve sorriso sulle labbra e una strana luce negli occhi. Come d’abitudine, stava ultimando la sua corsa serale.
Hasegawa era stato l’ultimo dei quattro a dichiararsi e, come gli altri, aveva ricevuto la medesima risposta. Da allora cercava di mostrarsi più socievole, per dimostrare di non essere il ragazzo chiuso e riservato che aveva conosciuto all’inizio, e Mitsui era felice di ciò: adorava scoprire di volta in volta qualcosa di nuovo su di lui.
«Stai tornando a casa?» gli chiese Hasegawa, asciugandosi il sudore sulla fronte con il bordo inferiore della maglietta.
«Si» disse Mitsui, dopo essersi schiarito la voce.
Era incredibile come fosse sensuale anche in atteggiamenti così insignificanti.
«Ti accompagno» propose lui. «Così ne approfitto per riposarmi un attimo… e stare un po’ con te».
I due si incamminarono verso casa Mitsui uno di fianco all’altro, parlando del più e del meno.
«Ci vediamo domenica al parco?» gli chiese Hasegawa, una volta giunti a destinazione. «Mi sei mancato in questi giorni» sussurrò, guardandolo dritto negli occhi.
Mitsui non distolse lo sguardo, sorridendo compiaciuto. «Ovviamente!».
«Allora ti aspetto al solito posto alle due e venti!» gli disse, salutandolo con la mano, mentre già si allontanava di corsa.
Ricambiò il saluto, osservando l’alto ragazzo svoltare al primo incrocio, prima di entrare nel vialetto.
Ma domenica non dovevo andare da qualche parte?
Quella domanda gli passò di mente un secondo dopo, troppo stanco com’era per pensare.
Varcò la porta di casa, trovandola stranamente buia e silenziosa. Non ci mise molto a scorgere sul tavolo della cucina il biglietto in cui sua madre lo avvisava che erano fuori con amici e la sua cena era in frigo. Poi si ricordò che la sorella avrebbe dormito da un’amica.
«Fantastico! Stasera ho casa tutta per me!» esclamò, lasciandosi cadere sul divano.
Fu allora che il cellulare squillò.
Pensando che fosse sua madre, Mitsui rispose senza neanche guardare il numero.
«Pronto?» disse, un po’ scazzato, soffocando uno sbadiglio.
Una risata proruppe dall’altro capo. «Devo già augurati buonanotte?».
A quella voce maschile, Mitsui si riscosse. «Ehi, Jin!» lo salutò, mettendosi a sedere con un colpo di reni. «Scusa, pensavo fosse mia madre».
«Figurati» disse, facendo poi una pausa. «Avevo voglia di sentirti e sapere come va».
Lui sorrise. «A parte un po’ di stanchezza, è tutto a posto».
«Quindi li stai facendo quegli allenamenti supplementari!»
Era stato proprio Jin a suggerirgli di dedicare un’ora alla corsa ogni mattina e un’altra alla pratica nei tiri a canestro per migliorare, rispettivamente, la resistenza fisica e la precisione: i due anni di inattività si erano troppo spesso fatti sentire durante le partite, e non poteva più ignorare la cosa.
Jin era stato il primo dei quattro a farsi avanti, sorprendendo lo stesso Mitsui che non pensava di suscitare quel tipo di interesse nel giocatore del Kainan. Durante i campionati nazionali avevano avuto modo di approfondire la conoscenza, per poi continuare a sentirsi e vedersi una volta rientrati a Kanagawa, come buoni amici. Nonostante l’iniziale rifiuto e la sua richiesta di tempo, il loro rapporto non era cambiato: Jin si comportava come sempre, non volendo forzare l’altro a prendere una decisione prima che si sentisse pronto.
«Ce ne dici di vederci domenica al solito bar?» gli chiese il suo kohai.
Mitsui si accigliò, pensando di doversi ricordare qualcosa. Ma cosa?
Il suo silenzio venne male interpretato.
«Guarda che se non vuoi, basta che me lo dici» fece Jin, un po’ triste.
«Ma certo che vengo!» esclamò lui, di getto, contendo di poterlo rivedere.
Tra tutti, era quello che abitava più lontano, per cui si incontravano di rado e solitamente il week-end.
«Scusami: sono così stanco che fatico a ragionare!» cercò di giustificarsi, anche se era davvero a pezzi.
Dall’altro capo sentì una leggera risata. «Allora ti aspetto per le tre meno venti. Riposati, ne hai bisogno!».
Conclusa la telefonata, Mitsui sentì la stanchezza prendere il sopravvento. Si trascinò fino in camera dove sprofondò sul letto. Meno di cinque minuti dopo stava già dormendo, non rendendosi minimamente conto del disastro che quel giorno aveva combinato.
Lo avrebbe scoperto solo quella fatidica domenica.

Mattina di una domenica qualunque.
Qualunque per molti, ma sicuramente non per Hisashi Mitsui.
Il ragazzo in questione era appena uscito dal bagno, dopo una lunga e rilassante doccia. Sentendo sua madre chiamarlo per il pranzo, si vestì velocemente e raggiunse il resto della famiglia in cucina, lasciando sul letto il cellulare sul cui display lampeggiava un’icona di una busta. Quando dopo pranzo lo prese in mano e lesse il primo dei quattro messaggi ricevuti, un urlo lacerò la calma di casa Mitsui.
Kogure gli ricordava il loro appuntamento davanti al cinema per le due, ovvero tra meno di venti minuti.
Si vestì con le prime cose che gli capitarono a tiro, sotto lo sguardo divertito della sorella che lo sfotteva per avere sempre la testa tra le nuvole. Cinque minuti dopo, stava correndo in strada verso il luogo dell’incontro. Incredibile ma vero, arrivò distrutto ma prima del suo compagno di squadra.
Nell’attesa, prese il cellulare e lesse il secondo messaggio, sbiancando all’istante.
Anche Hasegawa gli ricordava il loro appuntamento al parco per le due e venti.
Per essere da lui avrebbe dovuto clonarsi: a quell’ora, il film che doveva vedere con Kogure non sarebbe nemmeno iniziato! Stava per chiamarlo e dirgli che aveva avuto un imprevisto, quando il primo ragazzo gli arrivò alle spalle.
«Scusa il ritardo, Mitsui» lo salutò Kogure.
Mitsui sussultò, rischiando di far cadere il cellulare, che infilò veloce in tasca. Si voltò a guardarlo, mentre questi riprendeva fiato con le mani appoggiate sui fianchi, e fece fatica a riconoscerlo: era vestito con un paio di jeans attillati, che gli fasciavano a meraviglia le gambe toniche, e una camicia bianca, aperta sul collo, sopra cui indossava un giacchino leggero di colore nero; i suoi splendidi occhi marroni non erano nascosti dagli occhiali – a favore delle lenti – e portava i capelli pettinati all’indietro, lasciandogli scoperta la fronte. Tutto questo, aggiunto alle gote un po’ rosse e quel sorriso così dolce che solo lui sapeva fare, gli tolse il respiro: per un attimo ebbe l’impulso di baciarlo lì, davanti a tutti.
Deglutì, cercando di pensare a… qualunque cosa andava bene, purché non fosse il ragazzo di fronte!
«N-non ti preoccupare» balbettò. «Anche io sono appena arrivato».
Kogure gli sorrise e, insieme, entrarono.
Una volta nella sala, Mitsui fece strada al compagno di squadra verso l’ultima fila in alto, vicino all’uscita. Non essendo riuscito ad avvisare Hasegawa, e considerando che mancavano meno di dieci minuti all’appuntamento, non poteva non presentarsi. Rimaneva il problema di cosa dirgli quando sarebbe arrivato.
Perdonami Hasegawa, ma sono al cinema con Kogure, per cui non posso uscire con te.
Si certo, come no: la soluzione perfetta per ferirlo e farlo andare su tutte le furie.
Per la prima volta si chiese perché diamine non avesse fatto parola a nessuno di loro degli altri tre che lo stavano corteggiando. E’ vero, non aveva mai trovato il momento giusto per affrontare l’argomento, e più il tempo passava più peggio era… ma ora? Che sarebbe successo se si fosse fatto beccare? Cosa avrebbero pensato di lui?
Fece un lungo sospiro. Doveva andare.
«Vado a prendere qualcosa da bere» disse a Kogure. «Vuoi qualcosa?».
Lo sentì inspirare lentamente. «Più che qualcosa, voglio qualcuno… e quel qualcuno sei tu».
Mitsui si volse verso di lui, pensando di aver capito male, trovandosi il viso di Kogure a pochi centimetri dal suo. Questi socchiuse gli occhi e, con un ultimo slancio, annullò lo spazio tra le loro labbra. La sorpresa per l’iniziativa del compagno di squadra venne soppiantata dalla passione quando una mano gli affondò nei capelli, per spingerlo ad approfondire quel contatto. Mitsui non se lo fece ripetere due volte: aprì la bocca e intrecciò la lingua di Kogure con la propria. Un lungo brivido gli percorse la schiena mentre si inebriava del profumo della pelle dell’altro e assaggiava il suo sapore. Rimase stupito delle sensazioni che quel semplice bacio potesse provocargli, e per un momento desiderò che quel contatto non si interrompesse mai.
Ad un tratto sentì qualcosa vibrare nei pantaloni, e si ricordò chi lo stava aspettando al parco.
Di malavoglia si allontanò da Kogure, il quale mostrò il suo disappunto tirandogli una ciocca di capelli.
Mitsui si scusò, promettendogli che sarebbe tornato subito. Quindi si alzò e uscì.
Appena fuori dal cinema, prese in mano il cellulare che stava ancora vibrando. Era Hasegawa.
«Sto arrivando!» gli disse concitato, chiudendo subito la telefonata e iniziando a correre.
Quando, cinque minuti dopo, arrivò al parco, l’alto giocatore dello Shoyo lo stava aspettando alla solita panchina.
«Scusa il ritardo!» fece, per poi riprendere fiato.
Mandando in fumo i suoi propositi, Hasegawa non gli diede il tempo di aggiungere altro: si alzò, lo prese per un braccio e lo trascinò verso la collinetta a nord, dove spesso passavano il loro tempo. Ad entrambi piaceva perché c’era uno spiazzo nascosto tra le siepi, poco frequentato, dove potevano oziare e parlare in tranquillità.
Quando lo raggiunsero, Hasegawa estrasse dalla sacca che aveva con sé l’abituale telo verde e, con un colpo, lo aprì e lo stese a terra. Vi si accomodò sopra e guardò Mitsui, immobile in piedi davanti a lui.
«Tutto bene?» gli chiese, vedendolo indeciso.
E adesso?
L’idea iniziale era di accampare una scusa e rimandare l’appuntamento, ma aveva perso l’occasione giusta appena arrivato e ora non sapeva cosa fare. Avrebbe davvero voluto passare un po’ di tempo in sua compagnia: era più che piacevole, si sentiva davvero a proprio agio con lui, senza contare che avevano scoperto di avere diverse cose in comune, oltre al basket. Ad esempio? Entrambi erano appassionati di manga e videogiochi: da allora avevano iniziato a scambiarsi materiale e discutere, a volte anche animatamente, su cosa piaceva o meno all’uno e all’altro.
Era ovvio, però, che non poteva lasciare Kogure ad aspettarlo al cinema come un cretino. Nonostante l’indole mite e pacifica del suo compagno di squadra, era sicuro che quella volta l’avrebbe ammazzato.
Mitsui gli si inginocchiò davanti con lo sguardo basso, alla ricerca di cosa cazzo dirgli, quando l’altro gli afferrò il collo della maglietta e lo tirò verso di sé, chiudendogli la bocca con la propria. Quando sentì la lingua di Hasegawa insinuarsi fra le labbra per toccare la sua, qualsiasi proposito andò a letteralmente a farsi benedire.
«Scusa, ma non ho resistito» gli sussurrò Hasegawa, allontanandosi quel tanto per parlare.
Mitsui lo fissò quegli occhi piccoli dal taglio così particolare e ne rimase stregato. Senza rendersene conto, gli mise le mani dietro il collo e prese ad accarezzarli i capelli, per poi annullare la distanza tra loro. L’unica cosa che desiderava era assaggiare nuovamente quelle labbra.
Sentì qualcosa vibrare, ma non era proprio una sensazione.
Era il cellulare che teneva nella tasca sinistra dei pantaloni.
Si allontanò da Hasegawa sorridendogli.
«Senti, ti va qualcosa da bere?» gli chiese. «Fa davvero caldo oggi!» aggiunse, ma non era solo il clima la causa, e lo sapevano entrambi.
«Va bene» rispose l’altro, mordicchiandogli il collo, prima di lasciarlo andare.
Appena sparì dalla visuale dell’altro, Mitsui estrasse il cellulare: con enorme sorpresa vide che l’ultima chiamata non era di Kogure, ma di Jin. Un senso di déjà-vu gli si arrampicò sulla schiena quando aprì il penultimo messaggio che aveva ricevuto quel giorno e che non era ancora riuscito a leggere.
Jin gli rammentava il loro appuntamento al bar dove si incontravano solitamente. Per le tre meno venti.
Si maledì per un paio di minuti, chiedendosi cosa avesse il suo cervello il giorno che aveva accettato gli inviti di tutti.
Per fortuna i luoghi di incontro non erano distanti l’uno dall’altro.
Per l’ennesima volta, si mise a correre.

Kogure si chiese dove fosse finito il compagno di squadra. Erano passati dieci minuti da quando era uscito e il film stava per iniziare. Stanco di aspettare, si alzò e lo cercò al bar, nei bagni e nell’atrio, ma sembrava essere sparito nel nulla. Quando chiese al personale se qualcuno avesse visto un ragazzo corrispondente alla sua descrizione, la cassiera gli rispose che, circa venti minuti prima, era uscito dal cinema e si era messo a correre in direzione del parco.

Mistui arrivò al bar dove Jin lo stava aspettando e si sedette di fronte a lui.
«Oh, ben arrivato» disse il giocatore del Kainan.
«Scusa, mi sono svegliato tardi!» rispose lui, rendendosi conto solo dopo aver parlato che era quasi metà pomeriggio. «Sai, dopo pranzo mi sono addormentato» aggiunse. 
Jin si mise a ridere. «Devi essere proprio a pezzi in questi giorni!».
Mitsui cercò di unirsi alle risate dell’altro, senza riuscirci.
La situazione in cui era peggiorava di minuto in minuto.
«C’è qualcosa che non va?» gli chiese Jin, notando lo sguardo assente e il sorriso tirato.
«No, no!» esclamò, passandosi una mano fra i capelli. «La corsa di prima mi ha tagliato un po’ le gambe. Ti spiace se vado un attimo in bagno a rinfrescarmi?» chiese, quando già era in piedi.
Nel momento in cui passò a lato di Jin, questi si alzò e lo prese per un braccio, tirandolo verso di sé. Appoggiò la fronte alla sua e, dopo averlo guardato intensamente negli occhi, unì le loro bocche in un tenero bacio. Quando la mano dell’altra guardia gli accarezzò il retro del collo, rilassato dal tocco leggero di quelle dita vellutate, dischiuse le labbra e si sentì travolgere da una scarica di brividi lungo la schiena. Allontanandosi, Mitsui mise fine a quel contatto, ma prima di proseguire verso il bagno fece un sorriso così carico di malizia da far arrossire Jin.
Erano quasi le tre del pomeriggio.

Hasegawa, seduto sul telo in cima alla collina del parco, aspettava impaziente il ritorno di Mitsui. Ormai erano passati quasi venti minuti: ma dove era andato a prendere da bere? A Tokyo? Stanco di attendere, decise di andargli incontro.
Si alzò, raccolse il telo e, sacca in spalla, scese verso i distributori automatici situati vicino all’entrata.

Mitsui entrò in bagno e si appoggiò a uno dei lavelli, cercando di riprendersi dal bacio che si era scambiato poco prima con Jin: era incredibile come gli avesse fatto desiderare a lui di approfondire il contatto. Altro che ragazzo dolce e gentile, era un diavolo tentatore!
Sorrise, guardandosi allo specchio sopra il lavandino, ma la realtà dei fatti glielo cancellò all’istante.
Non aveva la più pallida idea di come uscire da quella situazione.
Kogure lo aspettava al cinema, Hasegawa al parco e Jin in quel bar. Ci mancava solo…
«Cazzo!» urlò. «Oggi è domenica! E come ogni domenica…».
Prese il cellulare e lesse l’ultimo messaggio.
Sendoh gli ricordava il loro appuntamento al campetto sulla spiaggia. Alle tre.
«Sono un coglione!» esclamò, tirando un pugno sul lavandino.
Si, il suo cervello quel giorno doveva essere in sciopero. Non c’era altra spiegazione.
Fece un lungo sospiro, cercando di calmarsi e trovare il modo di uscire dal locale senza farsi vedere da Jin. Raggiunto il giocatore del Ryonan lo avrebbe fatto andare a casa con una scusa, anche se, conoscendo Sendoh, sarebbe stata un’impresa titanica. Ma che scelta aveva?
Socchiuse la porta del bagno. Fortuna volle che Jin fosse seduto di spalle e l’uscita di fronte a lui.
Non attese oltre: raggiunse l’altra porta di soppiatto e, una volta in strada, corse in direzione della spiaggia, passando davanti al parco e al cinema dove gli altri due lo stavano aspettando.
O, almeno, così credeva.

Nel momento in cui Mitsui varcò la porta di uscita del bar, Jin si era girato a guardare se stesse tornando al tavolo, trovandoselo invece schizzare via di corsa. Non capendo il perché di quel comportamento, si alzò e lo seguì.

Non trovando Mitsui ai distributori automatici, Hasegawa si era diretto verso l’uscita del parco: forse non essendoci quello che cercava, era andato al kombini situato dall’altra parte della strada.
Fu allora che lo vide correre a perdifiato oltre la cancellata del parco in direzione della spiaggia.
Preoccupato che fosse successo qualcosa di grave, si gettò al suo inseguimento.

Lasciato il cinema, Kogure stava camminando in direzione del parco, scrutando sia la strada che l’interno di ogni vetrina nella speranza di vedere Mitsui.
Mentre osservava dentro un negozio, vide la figura del compagno riflessa nel vetro che correva come un matto sul marciapiede opposto, in direzione della spiaggia. Il rumore del traffico coprì il suo richiamo, per cui non ebbe scelta: raggiunge il sovrappasso situato più avanti e lo inseguì, ma lo perse di vista poco prima del lungomare.
Si fermò, indeciso su dove andare.
«Tu sei uno dei giocatori dello Shohoku, vero?».
Guardandosi alle spalle, Kogure riconobbe quello dello Shoyo, fermo dietro di lui.
«Si, sono Kogure» rispose. «Tu sei Hasegawa. Come mai da queste parti?» gli chiese, più per cortesia che altro.
Lui non seppe che rispondere. Dubitava che fosse a conoscenza del fatto che frequentasse Mitsui.
«Che coincidenza trovarvi qui» disse una terza persona, alle loro spalle.
«Davvero? Quello che è più fuori zona di tutti sei tu, Jin» gli fece notare Hasegawa, sorpreso di trovarselo lì davanti, considerando che l’istituto Kainan era a quasi un’ora di treno.
«Beh, stavo cercando Mitsui» disse la guardia, dopo aver ripreso fiato. «Eravamo insieme al bar quando è uscito di corsa senza dirmi nulla. Non è che l’avete visto?».
A quella frase sia Kogure che Hasegawa sussultarono. Notando che avevano avuto la stessa reazione, si fissarono un attimo, per poi sbarrare gli occhi. Fu allora che capirono il motivo della presenza dell’altro.
«Io ero al cinema con lui» disse Kogure, mesto.
«Io al parco» fece Hasegawa, cercando di trattenere la rabbia.
Ancora non riuscivano a crederci: Mitsui stava uscendo con tutti e tre contemporaneamente!
«Si può sapere che sta succedendo?» chiese Jin, resosi conto di aver perso un passaggio in quel discorso.
«Te lo spieghiamo strada facendo» gli disse Hasegawa. «Ora troviamo Mitsui».

Quando Mitsui arrivò al campetto di basket, vide l’asso del Ryonan intento a fare qualche tiro. Essendo di spalle pensò non si fosse accorto della sua presenza, ma quando gli fu a un passo Sendoh si girò di scatto e gli afferrò entrambi i polsi, bloccandogli le braccia dietro la schiena e facendo aderire il suo corpo al proprio. 
«Che cazzo stai facendo?» protestò Mitsui, cercando di liberarsi, invano. 
«Ti saluto» rispose lui con il suo solito sorriso sulle labbra, prima di unirle a quelle dell’altro.
Sendoh approfondì subito il bacio, intrecciando con foga la propria lingua e con la sua.
Mitsui lo assecondò, eccitandosi per l’impeto con cui l’altro lo desiderava. Certo che baciava proprio bene.
Quando si staccarono, entrambi aveva il fiato corto. Si fissarono negli occhi, una vera trappola per Mitsui che rimase incatenato a quello sguardo blu profondo carico di malizia.
«Disturbiamo?».
Quella voce ebbe il potere di pietrificarlo.
Sendoh spostò di lato la testa e vide Hasegawa fermo a qualche passo da loro, seguito da Kogure e Jin.
«Ciao ragazzi!» lì salutò, lasciando i polsi del ragazzo che ancora stringeva a sé. «Che ci fate da queste parti?».
Hasegawa indicò Mitsui. «Perché non lo chiedi a lui?».
L’asso del Ryonan fissò perplesso la guardia dello Shohoku, che nel frattempo si era nascosto il volto tra le mani.
«Mitsui sta uscendo con tutti e quattro contemporaneamente» gli spiegò Jin.
«Che cosa?» esclamò Sendoh, stupito, voltandosi a guardare il giocatore del Kainan.  
«Mitsui» lo chiamò Kogure, notando che questi non accennava a voler parlare. «Perché non hai detto a nessuno degli altri?» gli chiese, emettendo un lungo sospiro.
Mitsui si prese il capo tra le mani, pensando a qualcosa da dire, qualsiasi cosa che potesse avere un senso.
Fece due passi avanti, continuando a dare le spalle ai quattro pretendenti, timoroso di guardarli anche solo per un istante negli occhi. Odio e disprezzo, ecco quello che temeva di vedere. Ma se lo meritava, eccome se lo meritava: aveva sbagliato, ed ora doveva affrontare le conseguenze dei tanti errori.
«Ecco, io…» fece un sospiro e, lasciando ricadere le braccia lungo il corpo, si girò verso di loro. «Non volevo prendervi in giro, non era affatto questa la mia intenzione! La verità è che non sapevo come affrontare l’argomento e, con il tempo, la cosa mi è sfuggita di mano».
«Ti rendi conto dell’assurdità che stai dicendo?» sbottò Hasegawa. «Se davvero non era quella la tua intenzione, dovevi dircelo!».
«Pensi che non avremmo capito?» gli chiese Jin, sconfortato dalla poca fiducia.
«La verità è che non volevi farlo» aggiunse Sendoh, incrociando le braccia sul petto.
«Ma io…».
Kogure lo interruppe. «Da quanto tempo va avanti questa storia?».
Mitsui deglutì. «Da circa due mesi».
Nessuno dei quattro riusciva credere alle proprie orecchie: due mesi? Lo fissarono a bocca aperta.
Il primo a riprendersi da quello shock fu Sendoh, che fece un sorriso deciso e colse la palla al balzo.
«Beh, mi sembra che tu abbia avuto tutto il tempo necessario per conoscerci» disse, per poi osservare gli altri tre rivali. «Non è forse vero?».
Kogure, Hasegawa e Jin si scambiarono alcuni sguardi fra di loro, prima di fargli un cenno con la testa.
«E’ ora che tu faccia una scelta» concluse.
Mitsui si irrigidì. «Che? Adesso?!».
Non ottenne una risposta verbale. La loro espressione risoluta fu sufficiente.
Nel panico più totale, Mitsui prese a camminare avanti e indietro, mentre quattro paia d’occhi lo fissavano in attesa.
Scegliere? Come faceva a scegliere lì, su due piedi?
Ognuno di loro, per motivi diversi, era speciale. Scegliere avrebbe significato perdere gli altri tre e, anche se in fondo non lo desiderava, non poteva nemmeno continuare con quell’assurda situazione. Ripensò a quei due mesi, ad ogni singolo momento passato in loro compagnia, alle parole, ai gesti, alle sensazioni che ognuno gli aveva fatto provare.
Doveva capire chi volesse veramente. Di chi fosse innamorato.
Alla fine, dopo interminabili minuti, la decisione giunse.
Mitsui chiuse gli occhi e fece un lungo sospiro. Poi parlò.

Continua

 

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Capitolo 2
*** “un” Kogure ***


 

Uno, Nessuno, Centomila!
di Cioppys

 

Finale: “un” Kogure

«Ho fatto la mia scelta» disse Mitsui.
Con passo deciso, si avvicinò ad uno dei ragazzi.
Costui teneva lo sguardo fisso sul terreno ma, dall’ombra, capì che fosse fermo davanti a lui e non osò alzare gli occhi. Non voleva illudersi, non voleva vedere nella sua espressione di essere uno dei tre rifiutati.
«Kogure» sussurrò il suo compagno di squadra, facendolo trasalire.
Ora gli avrebbe detto che non poteva ricambiare i suoi sentimenti, che non era lui il ragazzo con cui voleva stare.
Si morse la lingua e strinse gli occhi, mentre una mano gli si posò sulla spalla.
«Kogure» lo chiamò ancora l’altro.
Come gli piaceva sentire quella voce pronunciare il suo nome. La trovava calma e rilassante.
Per un momento ripensò a quando quel giorno, in un impeto di coraggio, era riuscito a baciarlo.
Quanto avrebbe voluto ripetere quell’esperienza.
Mitsui lo scosse per la spalla. «Dannazione Kogure! Ma mi stai ascoltando?».
Alzò la testa, ritrovandosi a pochi centimetri il volto dell’altro che, quando capì di avere la sua completa attenzione, sfoderò il suo più bel sorriso. Kogure ebbe un tuffo al cuore quando ne comprese il significato e non riuscì a trattenere le lacrime.
«Ehi!» gli sussurrò Mitsui, stringendolo a sé. «Si può sapere perché ora piangi?».
Lui non rispose e gli affondò il viso nell’incavo tra spalla e collo, aggrappandosi alla sua maglia.
Hasegawa, Jin e Sendoh osservarono la scena con una punta di delusione, avendo sperato fino all’ultimo di essere al posto della piccola ala dello Shohoku. Si scambiarono un’occhiata di intesa, capendo che fosse tempo di lasciarli soli.
Fecero un cenno di saluto a Mitsui, che ancora stringeva Kogure tra le sue braccia, e si allontanarono.
Camminarono in silenzio sul lungomare, osservando le onde infrangersi sulla riva.
«Beh, ecco qui tre cuori infranti in un solo colpo!» disse Jin, affondando le mani nelle tasche dei pantaloni.
«Cosa vuoi farci, capita» fece Hasegawa scrollando le spalle e calciando un sasso con un piede.
«Io propongo di andare a festeggiare!».
Entrambi si voltarono verso Sendoh, che li seguiva sorridendo, lo sguardo che scrutava il mare.
«E cosa dovremmo festeggiare, scusa? Il fatto che siamo stati scaricati?» gli chiese Hasegawa.
«Su ragazzi!» esclamò lui, guardandoli. «E’ vero, abbiamo avuto una delusione d’amore, ma non per questo dobbiamo abbatterci per il resto della vita! Che ne dite di andare da qualche parte insieme?» propose.
Gli altri due si scrutarono per un momento, prima di annuire e seguire l’asso del Ryonan.

Mitsui fissò il punto in cui gli altri erano scomparsi, dispiaciuto di averli delusi.
Strinse con più intensità l’adorabile ragazzo che era ancora aggrappato alla sua maglietta, iniziando a posare piccoli baci sulla sua fronte nel tentativo di fargli abbandonare quel nascondiglio. E quando Kogure alzò il viso verso il suo, si impossessò delle sue labbra. Lentamente, lo sentì rilassarsi e rispondere con veemenza al suo bacio.
«Che facciamo ora?» gli chiese, quando decise di fargli prendere aria.
Kogure uscì dal suo abbraccio e lo prese per mano. «Non dovevamo andare al cinema?» disse e, senza attendere una risposta, lo trascinò verso il centro.
Mitsui al momento fu un poco deluso da quella proposta, pensando che avrebbe passato il resto della domenica seduto da qualche parte a coccolarsi con il suo ragazzo. Quando però, nel buio della sala, si sentì tirare per il collo della maglietta e chiudere le labbra, capì che il film non lo avrebbe proprio visto.  

FINE

 

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Capitolo 3
*** “un” Hasegawa ***


 

Uno, Nessuno, Centomila!
di Cioppys

 

Finale: “un” Hasegawa

«Ho fatto la mia scelta» disse Mitsui.
Con passo deciso, si avvicinò ad uno dei ragazzi e gli prese la mano destra che stringeva con vigore in un pugno.
Hasegawa lo fissò sorpreso.
«Io?» chiese, mentre la tensione svaniva e la sua mano si apriva.
Mitsui intrecciò le loro dita e si sporse a sfiorargli le labbra in una leggera carezza.
Ancora incredulo fissò gli occhi neri dell’altro, senza riuscire a dire una parola o muovere un muscolo.
«Quanto la smetterai di sottovalutarti in questo modo?» disse Mitsui, scuotendo il capo.
Hasegawa sentì il cuore perdere un battito, poi correre senza freni.
Lui, sempre così pacato, non resistette all’impulso: con la mano libera gli afferrò il capo e lo tirò a se, chiudendogli la bocca con la propria. Il contatto si fece subito intenso e Mitsui non si tirò indietro, anzi, rispose con impeto.
«Beh, forse è il caso di togliere il disturbo» disse Sendoh, interrompendoli.
Mitsui lo guardò: il sorriso forzato esprimeva tutta la delusione di non essere stato scelto. Jin invece fissava il terreno, come se desiderasse trovarsi da tutt’altra parte, mentre Kogure li guardava con una punta di invidia e gli occhi che si facevano lucidi.
«Kogure» lo chiamò, facendolo sussultare. «Mi dispiace, davvero».
Vide una lacrima scendere sulla sua guancia, ma lui la tolse subito con la mano.
«Non dire altro» lo ammonì, sospirando. «Ti abbiamo chiesto di scegliere e tu l’hai fatto. Non fartene una colpa».
Jin e Sendoh fecero un cenno di saluto e si avviarono mesti verso l’uscita del campetto.
«Ci vediamo domani agli allenamenti, Mitsui» gli disse il suo compagno di squadra, prima di raggiungerli.
«Che ne dite di andare a bere qualcosa?» propose Sendoh, stirandosi le braccia e incrociandole dietro la testa. «Non ho molta voglia di tornare a casa».
«Direi che è un’ottima idea» fece Jin, infilandosi le mani in tasca. «Kogure?».
Al suo cenno affermativo, il gruppo si incamminò oltre la cancellata, sparendo alla vista degli atri due.
Mitsui avrebbe dovuto sentirsi sollevato dall’essere uscito da quella situazione bizzarra e incresciosa, ma non era così. Anzi, sentiva una profonda amarezza nell’aver ferito tre persone a cui comunque voleva bene.
Due braccia gli circondarono la vita, mentre il calore del petto di Hasegawa si propagava alla sua schiena.
«L’ha detto anche lui: non fartene una colpa» gli sussurrò all’orecchio, rammentandogli le parole di Kogure. «Vedrai, supereranno questo momento prima di quanto immagini».
Mitsui ebbe un brivido. Istintivamente chiuse le sue mani con forza su quelle del suo ragazzo.
«Hai la minima idea di cosa mi provochi il tuo respiro caldo in quel punto?» fece, con voce roca.
Cercò di voltarsi a baciarlo, ma Hasegawa strinse il suo abbraccio, bloccandolo.
«Ehi! Che stai facendo?» si lamentò, allontanando l’orecchio dalla sua bocca per non impazzire.
Hasegawa allungò il collo e gli mordicchiò il lobo.
Ok, lo stava torturando!
«Kazushi!» implorò.
Lui rise, felice di sentire pronunciargli il suo nome.
«Che ne dici di continuare il discorso in cima ad una collina, stesi su un telo verde?».
Mitsui allargò gli occhi. Da quanto era diventato così intraprendente?
«Beh? Che stiamo aspettando?» gli rispose, con evidente impazienza.
Hasegawa sciolse l’abbraccio e insieme si incamminarono in direzione del parco.

FINE

 

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Capitolo 4
*** “un” Jin ***


 

Uno, Nessuno, Centomila!
di Cioppys

 

Finale: “un” Jin

«Ho fatto la mia scelta» disse Mitsui.
Il suo sguardo deciso si posò su uno dei ragazzi di fronte a lui.
«Jin» disse.
Questi sollevò di colpo il capo chino fino ad un attimo prime e, convinto che fosse il primo escluso, sussurrò un flebile “ho capito” per poi allontanarsi in fretta, lasciando un ebete Mitsui – e non solo – osservarlo a bocca aperta sparire oltre la cancellata.
«Ehi, aspetta!» urlò, quando si rese conto di quello che era appena accaduto. «Jin! Dove cazzo stai andando?!» imprecò, mentre già correva dietro all’altra guardia.
Kogure, Hasegawa e Sendoh osservarono Mitsui uscire dalla loro visuale, in un silenzio surreale.
«Beh, direi che qui non abbiamo finito» fece sconsolato Sendoh, recuperando il proprio borsone e la palla che giaceva ferma sotto il canestro.
«Si» concordò Hasegawa, fissando il punto in cui aveva visto per l’ultima volta Mitsui.
Entrambi si incamminarono verso l’uscita quando notarono che Kogure era rimasto fermo dov’era: teneva la testa bassa e i pugni stretti. Si scambiarono uno sguardo, poi Sendoh tornò sui suoi passi e gli posò una mano sulla spalla.
«Non essere triste» disse, cercando di consolarlo.
Era evidente che, frequentando la stessa scuola e club, fosse quello che si era legato a Mitsui più di tutti.
«E’ dalla prima superiore che provo qualcosa per lui» sussurrò, non riuscendo a trattenere un singhiozzo.   
Hasegawa, che nel frattempo li aveva raggiunti, gli mise una mano fra i capelli, scompigliandoli.
«Su, una passeggiata sul lungomare a prendere un po’ di aria fresca farà bene, a tutti e tre».
Kogure si passò una mano sugli occhi e le guance, poi alzò il capo e sorrise per ringraziarli del conforto.
Insieme, si lasciarono il campetto alle spalle.

Mitsui si fermò ad un incrocio per riprendere fiato, guardandosi intorno nella speranza di scorgere Jin.
Lo aveva perso di vista per un attimo e ora non aveva la più pallida idea di dove andare.
«Merda!» imprecò.
Si accovacciò sulle gambe, che gli si piegarono per la stanchezza. Si sentiva uno straccio, ma non era solo per lo sforzo fisico di tutto quel correre durante il giorno, era più uno stato mentale: di colpo avvertì la tensione sciogliersi, lasciandolo come svuotato. Chiuse gli occhi e cercò di ritrovare un minido di lucidità.  
«Nonostante gli allenamenti supplementari, la tua resistenza è ancora pessima».
Mitsui aprì gli occhi di colpo, ritrovandosi di fronte la persona che stava cercando.
Mani nelle tasche, evitava di fissarlo mentre, nervoso, sposta il peso del corpo da un piede all’altro.
«Perché mi stai seguendo?» gli chiese Jin.
«E me lo chiedi anche? Forse perché voglio stare con te?» fece, con finta ironia, rialzandosi.
Lui sgranò gli occhi, confuso. «Cosa?».
«Io non so cosa tu abbia capito» disse, avvicinandosi. «Ma è con te che voglio stare».
Mitsui non attese risposta. Lo abbracciò alla vita e cercò la sua bocca. Superato l’istante di smarrimento iniziale, Jin schiuse le labbra e lasciò che l’altro approfondisse il contatto. Quando lo interruppero, rimasero a fissarsi negli occhi, le fronti congiunte, pelle conto pelle.
«Mi hai fatto venire un colpo quando sei scappato in quel modo» sussurrò Mitsui.
«Davvero?». Jin socchiuse gli occhi. «Dovrei farlo più spesso allora».
«Non ci provare!» disse, prima di chiudergli nuovamente la bocca con la propria in un nuovo bacio.
Uno dei tanti di una lunghissima serie.

FINE

 

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Capitolo 5
*** “un” Sendoh ***


 

Uno, Nessuno, Centomila!
di Cioppys

 

Finale: “un” Sendoh

«Ho fatto la mia scelta» disse Mitsui.
Osservò i quattro ragazzi di fronte a lui, fermando lo sguardo su uno di loro, e sorrise. L’altro non ebbe bisogno di ricambiarlo: le sue labbra era già incurvate verso l’alto, semplicemente quel sorriso divenne più sicuro e luminoso.
«Sendoh» deglutì Mitsui, notando la strana luce nei suoi occhi. «Quello sguardo non mi piace».
«Ne sei davvero sicuro?» gli rispose, avvicinandosi.
Gli chiuse una mano sul suo polso e lo trascinò verso l’uscita del campetto, raccogliendo il borsone con l’altra mano lungo il tragitto. Mitsui tentò di fermarlo, ma era come arrestare una valanga, con il risultato di farsi travolgere.
Gli altri tre ragazzi li osservarono in silenzio sparire dalla loro visuale.
Fu allora che Jin scoppiò a ridere, senza un apparente motivo.
Hasegawa lo osservò con un sopracciglio alzato. «E’ così divertente ricevere un due di picche?».
«Ovvio che no!» disse, cercando di tornare serio, non senza difficoltà. «Comunque Sendoh è proprio un personaggio: non perde un attimo!».
«Ma non sei geloso?» gli chiese Kogure. Lui lo era, e tanto.
«Beh, si» ammise, con rammarico. «Ora come ora, però, non posso che farmene una ragione».
Gli altri due annuirono.
Un giorno anche loro avrebbero trovato la persona che li avrebbe ricambiati.

«Sendoh, ti vuoi fermare un attimo?» gli urlava Mitsui.
L’asso del Ryonan non lo stava ascoltando e, imperterrito, continuava per la sua strada.
«Mi vuoi almeno dire dove cazzo stiamo andando?» sbottò, infine.
Il cambio di tono dovette fargli capire che si stava davvero arrabbiando, perché finalmente fermò la sua folle corsa verso l’ignoto, ma non mollò la presa, più salda che mai.
«A casa mia, no?» disse con disinvoltura, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. «I miei sono usciti».
Mitsui avvampò. Cercò di protestare, di fermare quella pazzia, ma fu tutto inutile.
Quando arrivarono a destinazione, Sendoh lo portò di sopra, nella sua camera. Butto il borsone a terra e lo abbracciò, baciandolo con foga. Passo dopo passo, lo fece indietreggiare verso il letto, dove in pratica fu costretto a distendersi. L’altro si accomodò su di lui a cavalcioni e, chiudendogli di nuovo la bocca, prese audacemente ad armeggiare con la sua maglietta. Sendoh la alzò quanto bastava per infilarci la mano e sfiorargli gli addominali. Un gemito di piacere soffocò nel bacio passionale che si stavano ancora scambiando.
«Akira, sei qui?» chiese una voce, da oltre la porta. «Io e papà siamo…» la frase si affievolì, fino a interrompersi.
Una donna dai lunghi capelli neri e gli occhi blu era ferma sulla soglia e guardava la scena che si stava consumando sul letto con la bocca aperta. Beh, non è roba di tutti i giorni trovare il proprio figlio ad amoreggiare con un altro ragazzo.
Mitsui avrebbe voluto sprofondare nel materasso. Chiuse gli occhi e si coprì il volto con entrambe le mani, lasciando cadere la testa sul cuscino.
«Ah, ciao mamma!» salutò Sendoh, con tanta disinvoltura da mettere i brividi. «Scusa, avrei voluto presentartelo prima. Beh, lui è Hisashi Mitsui» fece, indicandolo con un sorriso, seduto sui talloni.
Sua madre spostò lo sguardo sul ragazzo supino sul letto, ancora bloccato dal peso del figlio. «Ah! P-piacere!» balbettò. «Finalmente posso dare un volto alla persona di cui Akira parla in continuazione, anche se, insomma, pensavo fosse una ragazza».
Per Mitsui quello fu la goccia che fece traboccare il vaso.
«Sendoh, cazzo, spostati!» sibilò con rabbia, puntellandosi coi gomiti nel tentativo di alzarsi.
Questi si decise a mettersi seduto, mormorando sorridente un “ah, scusami”, come se nemmeno si fosse accorto della posizione in cui erano. Mitsui si alzò in piedi e fece un leggero inchino verso la signora.
«Il p-piacere è mio» farfugliò con il volto paonazzo, fissando attentamente il pavimento.
La donna fece una leggera risata, un po’ per spezzare la tensione, un po’ divertita dalla reazione del ragazzo.
«Vi lascio soli» disse, afferrando la maniglia, non volendo infierire. «Mi raccomando, Akira» aggiunse, lanciando un’occhiata al figlio, prima di chiudere la porta.
Mitsui sentì le gambe cedergli: scivolò a terra e si appoggiò con la schiena al bordo del letto.
«Kami sama! Che figura di merda!» esclamò, buttando indietro la testa sul materasso, per poi coprirsi gli occhi con gli avambracci. «Dopo oggi, non avrò mai il coraggio di guardare tua madre in faccia!».
Sendoh esplose in una risata.
«Che cazzo ti ridi?!» urlò Mitsui, tirandosi su di scatto e girandosi verso di lui.
«Io non riesco a essere diverso da quello che sono, e i miei lo sanno bene» gli disse, avvicinando il volto al suo.
Mitsui gli mise una mano in faccia, allontanandolo. «Non ci provare, non con i tuoi in casa, non dopo quello che è successo!» fece nel panico al pensiero della madre – o peggio, del padre – che entravano dalla porta.
Sendoh gli prese la mano e intrecciò le loro dita. «Vorrà dire che pazienterò» sussurrò, sdraiandosi sul letto. «E so che non dovrò aspettare molto!».

FINE

 

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Capitolo 6
*** “Nessuno” ***


 

Uno, Nessuno, Centomila!
di Cioppys

 

Finale: “Nessuno”

«Ho fatto la mia scelta» disse Mitsui.
Riflettendo sulla situazione si era posto una domanda: perché, per oltre due mesi, aveva continuato ad uscire con tutti e quattro senza davvero decidersi? La verità non poteva che essere una sola.
«Nessuno» disse, chinando il capo imbarazzato.
Nel campetto scese un silenzio surreale, interrotto solo dal rumore delle onde che si infrangevano sulla spiaggia vicina e delle macchine che transitavano sulla strada a fianco.
«Scusa, cosa hai detto?» gli chiese un incredulo Sendoh.
«Cos’è, uno scherzo?» fece Hasegawa, con una smorfia, mettendosi di fronte a lui. «Guarda che non è divertente!».
Mitsui alzò la testa, ma non ebbe il coraggio di guardarlo negli occhi. «No, non è affatto uno scherzo» rispose.
«E allora perché?» chiese Jin, allargando le braccia, in un gesto eloquente.
«Non sei innamorato di nessuno di noi, vero?».
Tutti guardarono Kogure, Mitsui compreso, che rispose alla sua domanda con un flebile “esatto”.
La delusione era dipinta sul volto dei quattro pretendenti.
Due mesi di attesa e, oltre al danno di non essere scelti, la beffa, che nessuno lo sarebbe stato.
«Io… maledizione! Non so dire quanto mi dispiace!» esclamò Mitsui, passandosi entrambe le mani sulla faccia e poi tra i capelli, dove afferrò con forza diverse ciocche tirandole. Continuava a camminare avanti e indietro, incapace di stare fermo o gesticolare. «Insomma, quella frase sul fatto che in questi due mesi avrei già dovuto prendere una decisione, mi ha aperto gli occhi! Non fraintendetemi: tengo davvero ad ognuno di voi, perché a modo suo ognuno di voi è speciale. Solo che, dannazione, quello che provo è un profondo affetto, non…» si interruppe, non riuscendo nemmeno a pronunciarla quella parola – amore – tanto si sentiva in colpa nel non nutrire quel sentimento per nessuno di loro.
Di fronte a quell’ammissione, i quattro non seppero che dire, e Mitsui che aggiungere.
Sendoh raccolse la palla ferma sotto il canestro. Sotto lo sguardo degli altri, se la passò da una mano all’altra e iniziò a palleggiare, spostandosi nella zona dei tiri liberi. «Non so voi, ma io ho bisogno di sfogarmi» disse, lanciandola a canestro, dove entrò senza nemmeno toccare il ferro. «E non ho modo migliore per farlo».
Hasegawa recuperò la palla. «Perché no?» poi notò che erano in cinque. «Ma siamo dispari».
Kogure fece un cenno con la mano. «Iniziate pure voi quattro» e si andò a sedere sulla panchina situata a bordo campo, dietro il canestro.
«Io e Sendoh contro voi due?» intervenne Jin, togliendosi la felpa e rimanendo in maglietta e jeans.
Hasegawa fece un cenno affermativo. «D’accordo» e lanciò la palla a Mitsui.
Questi la prese tra le mani e la fissò un attimo, perplesso.
«Non ti va di giocare?» gli chiese Sendoh.
«No, tutt’altro, è che…» si interruppe. Poi, in un soffio, disse: «Grazie».
Ora ad essere perplessi erano gli altri quattro, che lo guardavano come se avesse due teste.
«Oh, insomma!» esclamò Mitsui, imbarazzato. «Io mi sono stato un maledetto bastardo e vi comportate come se nulla fosse accaduto! Non mi merito niente da voi, tantomeno la vostra amicizia» sospirò.
«Dopo quello che hai combinato, non ti meritavi nemmeno di giocare nello Shohoku!» affermò Kogure ridendo, facendolo arrossire dalla vergogna al ricordo della rissa che aveva scatenato in palestra. «Però» continuò serio l’amico «anche allora, hai avuto il coraggio di calpestare il tuo orgoglio, pentirti delle tue azioni e impegnarti più di ogni altro per dimostrare che eri cambiato e che potevamo contare su di te, sempre».
Mitsui si stupì di sentire il viso farsi ancora più caldo. «Il fatto che non sia la prima volta che mi comporto da coglione aumenta molto la mia autostima» fece con ironia.
«Non è da tutti saper ammettere i propri errori» disse Hasegawa, mettendogli una mano sulla spalla. «Quando mi raccontasti di quell’episodio, provai profonda stima per te».
A quelle parole, Sendoh e Jin annuirono, pensandola allo stesso modo.
Mitsui fece scorrere lo sguardo su tutti loro fino a che non dovette strizzarsi gli occhi l’indice e il pollice della mano, nel tentativo estremo di trattenere le lacrime.
«Siete dei maledetti…» sussurrò.
No, non si meritava nulla da loro. Eppure erano lì, ed era a loro grato.
Fece un profondo respiro e lanciò la palla a Jin. «Avanti, che aspettiamo?» disse.
Con un sorriso, lanciò a Kogure la sua giacca, poi si portò di fronte all’altro tiratore, pronto per la sfida.
Nel campetto si udì la palla rimbalzare a terra sul freddo cemento con ritmo sempre più sostenuto, insieme al rumore di passi, scatti e salti, a cui ogni tanto si aggiungeva quello acuto del ferro preso o quello cupo del tabellone colpito, nonché le voci di cinque ragazzi, uniti dalla stessa passione.
E’ vero: Mitsui non amava nessuno di loro ora, ma chissà, magari un giorno

FINE

 

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Capitolo 7
*** “Centomila!” ***


 

Uno, Nessuno, Centomila!
di Cioppys

 

Finale: “Centomila!”

«Ho fatto la mia scelta» disse Mitsui.
Riflettendo sulla situazione si era posto una domanda: perché, per oltre due mesi, aveva continuato ad uscire con tutti e quattro senza davvero decidersi? La verità non poteva che essere una sola.
«Tutti» disse, fissando intensamente negli occhi ognuno dei quattro pretendenti.
Il silenzio che seguì era più significativo di qualsiasi parola.   
«Che razza di scelta sarebbe “tutti”?» gli chiese infine Sendoh, alzando un sopracciglio. «Non è affatto una scelta!» aggiunse, allargando le braccia disorientato.
Hasegawa si massaggiò la fronte, chiudendo gli occhi. «No, davvero, tu pensi di poter frequentare ancora tutti contemporaneamente adesso che lo sappiamo? Ma come ti viene in mente?». Dalla piega della bocca era chiaro che fosse irritato.
Mitsui fece un profondo respiro e li guardò deciso. «Se fino ad oggi non ho scelto nessuno di voi è semplice: siete così diversi, di aspetto e di carattere, di vi relazionante con me – e non solo. Ognuno di voi, a modo suo, è speciale. E io non riesco, non posso, rinunciare a nessuno di voi».
«E’ bello sapere di essere speciale per qualcuno» disse Jin con un’alzata di spalle, in un misto tra il compiaciuto e lo sconsolato. «Ma, cerca di capirci, non puoi pensare di lasciare la situazione così com’è!».
Mitsui fece un passo verso di lui. «Ma…».
«Ora basta» lo interruppe Kogure. Non voleva sentire altro. Era tutto così assurdo e tremendamente doloroso. «Forse ti abbiamo messo fretta. Forse hai solo bisogno di più tempo per pensarci. Forse è il caso che noi ce ne andiamo e tu ragioni bene sul da farsi» si passò una mano sul volto e lo fissò serio negli occhi. «Di certo c’è solo una cosa: nessuno di noi accetterà quello che ci stai chiedendo».
Mitsui rimase fermo sotto il canestro ad osservare gli altri quattro uscire mesti dal campetto. Appena furono fuori dalla sua visuale, si sedette per terra con le gambe incrociate, appoggiandosi all’indietro sulle mani. Quando il sole lambì le colline, era ancora lì a riflettere, sconsolato.

«Mi domando come si possa essere più sfrontati» asserì Hasegawa mentre, mani in tasca, camminava davanti a tutti.
«Mitsui è sfrontato» affermò Kogure, dal fondo della fila. «Dice sempre quello che pensa, né più, né meno».
Jin, un passo più avanti, gli lanciò un’occhiata. «E secondo te, pensava davvero che avremmo accettato quella sua assurda proposta?» chiese.
Kogure meditò per un secondo sulla risposta, che fu assolutamente affermativa.
I tre davanti si fermarono per voltarsi a guardarlo, più sorpresi che mai.
«Stai scherzando vero?» esclamò Hasegawa.
Kogure scosse la testa in segno di diniego. «Nonostante quello che gli ho detto, mi chiedo se, pur di non rinunciare a lui, sarei disposto a scendere a compromessi, andando anche contro i miei stessi principi».
Sendoh proruppe in una risata triste. «Beh, io non posso negarlo: pur di poter passare del tempo con lui, sarei pronto a condividerlo».
Hasegawa si mise una mano in faccia. «Voi siete matti» sussurrò. «E, probabilmente, per nulla gelosi» aggiunse.
«Oh, su questo ti sbagli» gli rispose Kogure con un sorriso malinconico. «Io lo sono eccome».
L’alto giocatore dello Shoyo lo fissò perplesso. «E che succederà quando Mitsui ti dirà che non può vederti perché deve uscire con uno di noi?»
Jin sospirò. «Farà male, e lo sappiamo tutti».
Rimasero sul ciglio della strada ad osservare assorti il mare che, di fronte a loro, si perdeva verso l’orizzonte.
«E se decidessimo noi per lui?» disse ad un tratto Sendoh, con uno strano sorriso sulle labbra.
Hasegawa lo guardò perplesso. «E come?».
Beh, non praticavano tutti lo stesso sport?

FINE

 

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