L'anello che non tiene

di shamarr79
(/viewuser.php?uid=948718)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Forse andando in un'aria di vetro ... ***
Capitolo 2: *** Il drappo che gira senza pietà ***
Capitolo 3: *** L'odore che non sa staccarsi da terra ***
Capitolo 4: *** Gli atti scancellati pel gioco del futuro ***
Capitolo 5: *** Lo stupore che arresta il cuore ***
Capitolo 6: *** L'amaro aroma del mare ***
Capitolo 7: *** Tra le braccia del divino che t'afferra ***
Capitolo 8: *** La luce si fa avara ... amara l'anima ***
Capitolo 9: *** L'ombra stampata sullo scalcinato muro ***
Capitolo 10: *** L'animo informe squadrato da ogni lato ***
Capitolo 11: *** O grande angelo nero fuligginoso ***
Capitolo 12: *** Felicità raggiunta, per te si cammina su un fil di lama ***
Capitolo 13: *** Non recidere, forbice, quel volto, nella memoria ***
Capitolo 14: *** Stupefacente il volto che ancora s'ostina ***
Capitolo 15: *** Le maschere che portiamo sul volto senza saperlo ***
Capitolo 16: *** Di te, che non sei più forma ma essenza ***
Capitolo 17: *** Silenzio dove porti sorrisi e parole? ***
Capitolo 18: *** Le parole non dette muoiono avvizzite ***
Capitolo 19: *** Cocci aguzzi di bottiglia ***
Capitolo 20: *** Quando per miracolo tace la guerra ***
Capitolo 21: *** Inghiottito dall'eco dell'ultimo silenzio ***



Capitolo 1
*** Forse andando in un'aria di vetro ... ***


1

Forse andando in un'aria di vetro... (Città di ossa, cap. 10)

 

Troppa confusione, non riusciva a riprendere il filo dei suoi pensieri e, ora, come se non bastassero già tutte le idee folli che ronzavano nel cervello, ci mancava solo quella mondana. Erano bastati pochi giorni, ore forse, ed era cambiato tutto. Valentine di nuovo vivo, la coppa scomparsa di nuovo ricercata, cercata da un pazzo furioso per attuare chissà quale folle piano e il Clave con il fiato sul collo.

E Izzy? Lei sembrava quasi contenta, divertita, tra le novità, il brivido del supercattivo all'orizzonte e quel mondano con la faccia da topo e Jace ... Jace, Jace ...

Alec sbuffò, si portò le mani fredde sulla faccia, come per svegliarsi.

La città illuminata rimaneva frenetica anche ora che il buio avanzava, le luci della strada e i fari dei veicoli rimasti a contrastrare le ombre, i rumori della notte di New York erano un sottofondo confuso.

Basta idiozie. Non c'entrava la coppa, né Valentine, né il Clave. Era furioso e terrorizzato.

Stavoltà si, si che si farà ammazzare, lei lo esalta, non ragiona e nessuno gli guarda le spalle. Stavolta non ha speranze, lei non è neanche una di noi, lo farà ammazzare.

La parole uscirono senza che se ne accorgesse, come un sibilo. C'era sempre stato lui a proteggerlo. Lui. Jace e Izzy erano sempre stati la sua unica priorità, non gli interessava neanche eliminare demoni, voleva solo proteggere la sua famiglia. Jace lo ascoltava, forse era l'unico in grado di farlo ragionare e di farlo calmare. Questo fino ad ora era bastato. Da anni lo vedeva scivolare tra mille storie vuote che duravano poche ore, ma lui, solo lui, Alec, rimaneva il grande appiglio, il porto sicuro, il compagno con cui allenarsi, il parabatai che sempre gli avrebbe coperto le spalle. Alec lo sapeva, Jace era più sicuro e felice quando c'era lui. Fino ad ora a lui per essere felice era bastato questo, saperlo al sicuro. Ma adesso, no. Clary aveva cambiato tutto. Jace la guardava come se la conoscesse da sempre, come se l'aspettasse da sempre, come se lei fosse la sua famigila, per lei era pronto a lanciarsi in mezzo alle fiamme, da solo. Era sempre stato impulsivo ma sempre con il suo Alec. Adesso, voleva combattere da solo, voleva farlo per lei. Alec non serviva più, l'amico gay triste che non osava parlare e faceva la guardia di nascosto, la spalla di sempre, il compagno fidato, non serviva più. Stava crollando tutto.

L'aria era più fredda. Da giù venivano rumori familiari a rompere il silenzio.

Izzy era in cucina, pessima cosa, era proprio tremenda ai fornelli. Solitamente si sentiva bene con loro, erano gli unici con cui si sentiva bene, Izzy e Jace, la sua famiglia. Anche Max ovviamente... ma era piccolo e al sicuro. Ora niente, era più solo che mai.

Un vento gelido arrivò dal mare e gli inaridì gli occhi. Meno male, si sarebbe sentito un idiota a piangere. Perchè poi? Era lui quello diverso, fuori fase. E quanto gli pesava quella diversità, come un macigno. Allargò le braccia, irrigidì i muscoli e aprì le mani, come a voler afferrare il vento. Forse un giorno, sarebbe stato diverso, più facile, magari … bello.

Poter essere se stessi, uscire allo scoperto, vivere … bene.

Forse era per questo che non riusciva a disprezzare i Nascoti, non lo era anche lui? A tutti nascondeva i suoi sentimeni, viveva nell'ombra. Almeno vampiri e mannari facevano branco e gli stregoni, beh.. loro facevano branco con chiunque. Lui era solo. Tra i Nephilim era solo, solo tra i suoi simili che lo avrebbero considerato un mostro, se solo avessero saputo, lo avrebbero bandito. Del resto come si poteva essere progenie di angelo e così sbagliati allo stesso tempo? Un tragico errore. Forse era meglio così dopo tutto, Jace felice altrove e lui con l'anima in pace, tutto immerso nel lavoro. In pace. In pace? Era tutto forchè in pace.

Il vento freddo aveva ripreso a soffiare, lo travolse, come per accarezzarlo, portando con sé odore di pioggia. C'era anche un altro odore nell'aria, un misto di pesce bruciato e salsa al formaggio andata a male, sembrava … disgustoso! Izzy aveva finito di … cucinare, meglio scendere e addentare un po' di avanzi o il numero del take away.

Prima di chiudere la finestra guardò il cielo un ultima volta e respirò a pieni polmoni, come per farsi coraggio. Strano, c'era qualcosa in alto nel cielo, si distingueva a stento nel buio, in direzione di … Brooklyn, sembravano luci, ma luci strane come … delle fiammelle blu. Fiammelle blu? Erano eleganti, volteggiavano in cielo, come se danzassero, spingendo su e giù un piccolo drappo rosso, strano, davvero strano, qualche trovata pubblicitaria dei mondani, erano davvero diabolici a volte. Oppure la cucina di Izzy iniziava a dare i suoi tragici effetti. Altro che demoni e nascosti, la vera occulta forza della natura interdimensionale era sua sorella. Chiuse la finestra. La mano gelata tornò a posarsi sugl occhi ancora lucidi. Era il momento di scendere, guardò quel drappo che danzava nell'aria ancora un attimo, come se lo consolasse. Uscì dalla camerà, a passi svelti verso la cucina, erano già tutti li. Prima d'entare sentì le loro voci.

 

“Beh, secondo me è una cosa romantica”. Isabelle, la sua voce inconfondibile, forte calda, ma lei a parlare di romanticismo, i suoi grandi amori duravano circa 20 ore, 18 delle quali a letto. Cosa poteva esserci di romantico poi in quella situazione?

“Tutta quella faccenda della madre di Clary che era sposata con Valentine. Così adesso è tornato dal mondo dei morti ed è venuto a cercarla”. Sua sorella sembrava molto convinta delle sue argomentazioni. “Del resto per il vero amore, quello grande e assoluto, non andresti sino all'Inferno e ritorno?”

Di questo ne era assolutamete certo e non perchè l'aveva letto o studiato da qualche parte, così come era assolutamente certo che un essere spregevole come Valentine non avrebbe mai potuto amare. Solo i cuori puri potevano farlo, gli animi nobili, forse sbagliavano ad innamorasi, perchè sceglievano la persona sbagliata ma solo, solo, le belle anime potevano amare sul serio, anche quando questo li avrebbe feriti.

“Vorse è venuto a cercarla e vuole rimettersi con lei”. Izzy aveva detto queste parole come una sfida, lapidarie con una vena di provocazione. Clary guardava quasi inorridita, Jace era rosso di rabbia e Hodge aveva letteralmente lo sguardo perso nel vuoto, come si sentisse macchiato da una colpa tremenda.

“Ho qualche dubbio che voglia rimettersi con lei dopo aver mandato un Divoratore a casa sua”.

Le parole entrarono prima di lui nella stanza, lo precedettero di qualche istante. Alec entrò, con una leggera smorfia e lo sguardo impassibile, si avvicinò alla pentola e arricciò il naso, prese del pane e una mela e sedette con gli altri. Jace sorrise, in suo compagno era arrivato. Anche Clary. Izzy fece una smorfia allungando il piatto. Alec impassibile addentò la mela.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Il drappo che gira senza pietà ***


2

Un gioco di stoffa (Città di ossa, cap. 10)

“Adesso che stai facendo?”. La sua voce era innervosita.

“Niente. Dopo l'evocazione di ieri, i mannari rimessi a nuovo e due transizioni vampiresche solo nel pomeriggio, ora voglio almeno due giorni di vacanza. Le sirene al porto non sono cosa per me, mi fanno venire l'emicrania. Vuoi occupartene tu?”

“Ma cosa c'entrano le sirene adesso?”

“Non so, sono fuori fase, l'incantesimo di trasfigurazione a casa di Jocelyn Fairchild ha funzionato per miracolo, quella piccola peste rossa stava per vedermi, devo stare più attento e … devo capire, capire cosa sta succedendo, quella famiglia porta guai”.

“Questo l'hai già detto vediamo.. sei volte?”.

L'altro sbuffò. Era appoggiato alla finestra, lo sguardo perso verso il cielo nero, le luci delle caotiche strade di Brooklyn facevano concorrenza alle stelle. Il vento entrava da fuori, gli avrebbe scompigliato i capelli se non fossero stati bloccati dalla lacca, guardava lontano, ma senza attenzione, agitava la mano destra, anche questo senza attenzione, sembrava più un tic involontario del tutto normale se non fosse stato per le fiammelle blu che sollevava ad ogni impercettibile gesto.

Caterina smise di riversare l'impasto negli stampini e aprì il forno già caldo.

“Intendevo cosa fai adesso? Ora. Non vedi?”.

Le ultime parole erano piuttosto determinate, quasi rudi pensò lo stregone, poco adatte alla sua Cat. Seguì il suo sguardo e trasalì. Era così immerso nei suoi pensieri che da diversi minuti stava facendo volteggiare un drappo rosso in cielo.

“Ma da dove l'hai preso?”

“Non lo so, era ... in acqua … penso. Stavo sbirciando sul molo e l'ho visto in acqua. Gettano di tutto in mare, questi mondani e poi si lamentano dell'inquinamento”.

“Pensa cosa diranno domani vedendo un drappo rosso che volteggia in cielo circondato da fiammelle blu. Spero tu abbia pronta una buona scusa”.

“L'ho occultato ai mondani ” disse. In realtà pensava di averlo fatto, sperava più che altro, ma non ne era sicuro, forse si era distratto prima. Schioccò le dita e il drappo gli comparve tra le mani. Era quanto rimaneva di un foulard di seta, con piccoli ricami a forma di rosa. Era ancora umido. Lo stregone lo strinse tra le mani, fiammelle blu volarono da tutte le parti per qualche secondo e quando riaprì al posto del drappo c'era una piccola rosa di stoffa nel suo palmo, con due nastrini lucidi. Si alzò e si avvicinò alla sua amica.

“Posso?”

Caterina sorrise e girò leggermente le spalle, lui prese una ciocca di capelli bianchi e legò la rosa con i nastrini.

“Così mi pensi, sempre”

“Quando potrei mai smettere di pensarti? Ha chiamato 6 volte oggi e ti si materializzato in soggiorno perchè non ho risposto in tempo alla settima chiamata”

Magnus fece una smorfia e si lasciò cadere di nuovo sul divano. Caterina fece comparire due drink e ne porse uno all'amico che lo afferrò e lo bevette avidamente.

“Dovresti uscire”

“E tu farti una vacanza”

“Ok mi arrendo, accetto il regalo e parto qualche giorno, ma tu promettimi che se hai problemi mi chiami subito. Subito, chiaro?”

Finalmente Magnus sorrise. “Se sapevo che bastava farti una rosa di stoffa mi sarei procurato un intero mazzo”

“Non sto scherzando, guardami. Tu hai un grande intuito e se pensi che ci saranno guai in arrivo io so che ci saranno guai in arrivo. Vado, ma giura che mi chiamerai subito”.

“Subito, prometto. Lo farò, tranquilla, non ho nessuna idea di fare l'eroe. Trovo un rifugio e metto tutti al sicuro. Non voglio fare altro, ma se tu sei lontana sono più tranquillo”

“Da quando sei tu a prenderti cura di me?”

“Beh … è raro, in effetti”

“Okay, ora però vuoi uscire da questa casa? Hai bisogno di divertirti un po'. Non dovevi vedere quella fata, una bella donna molto affascinate, l'ho vista al locale”

“Beh, si, l'ho vista ieri, meglio lasciar perdere per un po'. E' molto sexy e non troppo crudele per essere una fata. Meglio non esagerare”

“E il vampiro? Quell'uomo attraente dagli occhi neri? Ti piace?”

“Un po' troppo sicuro di sé e convinto di essere bello e attraente oltre ad avere un accento francese un po' stucchevole”

“Non ti ho chiesto il suo profilo in breve per facebook. E poi mi è parso l'avessi fatto capitolare in 10 minuti al locale l'altra sera. Sembravi interessato”

Magnus, alzò le spalle e fece comparire un altro drink, facendosi scivolare sul divano. Non poteva dare una risposta più chiara, conosceva quello stregone come il palmo della sua mano. Era stata l'ennesima prova di forza: far capitolare il bello dall'aria sdegnosa e lasciarlo con gli occhi lucidi innamorati, trepidante di passione, abbandonato in un letto con lo sguardo assente pensando al suo amante. Tutto in 10 ore. Dietro trucco e acconciatura perfetta c'era un groviglio di ansie messe a guardia di un cuore immenso che a pochi era concesso vedere. Poi in questi giorni era così agitato, Cat aveva sperato che la fata pantera e il vampiro francese l'avessero tenuto impegnato almeno per qualche giorno ma l'illusione era crollata quando si era materializzato nel suo soggiorno. Smaniava Non si era neanche rimesso a nuovo, solo jeans, maglietta e cappotto arrotolato al braccio, niente glitter né eyeliner, solo da lei e da Tessa si faceva vedere così. Eppure anche così lo trovava bellissimo, semplicemente perfetto. Tutti, sempre, lo trovavano bellissimo, sexy, ipnotico, attraente, ma lui era così sospettoso, sapeva di piacere a tutti, donne e uomini, ma ogni volta che cadevano conquistati se ne stupiva segretamente. Pensava che tutti lo amassero per la sua magia, soltanto per quella. Un potere straordinario e una maledizione insieme. Se solo si fosse riuscito a vedere con gli occhi di Cat. Lineamenti decisi e delicati, un'ombra di barba gli incorniciata le labbra sottili, capelli neri come l'oscurità, occhi profondi verde smeraldo leggermente ambrati, agile e muscoloso, elegante in ogni istante ad ogni gesto, si muoveva come se danzasse con l'aria, malinconia e angosce ammassate da secoli dissimulate dietro sorrisi taglienti, ironia sempre pronta, mente lucida e un potere immenso, neanche lui forse sapeva quanto. L'essere più potente di tutta la nostra dimensione e secoli di esperienza magica nel corpo di un paranoico ventenne dai tratti orientali.

“Capito. Anche questi due sono stati segati”. Cat aveva un tono rassegnato “Meno male che sei bisessuale e … profondamente antirazzista, altrimenti dovremmo cambiare città ogni anno”.

“New York è grande, tutto considerato, Ci sarà qualcuno di interessante che ancora non ho incontrato”. Finito anche l'ultimo drink lo stregone si alzò. “Vado”, disse.

Cat stava per aprire un portale, lui lo chiuse. “Preferisco camminare un po', c'è un'aria fresca stasera, pizzica, tra un po' pioverà, ma non durerà molto”. Si avvicinò all'amica la strinse e le baciò i capelli. “Promettimi di partire domani e chiamami appena ti sistemi. L'isola sarà bellissima in questa stagione. Nuota anche per me”.

“Vieni con me”. Il suo tono era triste.

“Per qualche strana e bizzarra ragione so che devo restare qui”.

“Stai attento”.

Con un sorriso sornione un po' provocatorio le mandò un bacio e scivolò oltre la porta con in mano il lungo impermeabile. Un paio di rampe e fu fuori. Era vestito interamente di nero, strano non era da lui, amava sempre mettere una nota di colore.

Si sfiorò le tasche, come se avesse perso o dimenticato qualcosa, ma niente. Erano giorni che provava quella sensazione, un sentirsi a metà, a volte gli mancava l'aria, dopo secoli si stava inaridendo, maledetta eternità, da decenni non provava assolutamente nulla e da qualche tempo c'era quella strana angoscia. Solo da Cat stava un po' meglio e da Tessa. Da settimane cercava anche Ragnor, sapeva che stava bene, sentiva la sua fiera magia, ma non riusciva a trovarlo da nessuna parte. La sua vita, secoli e secoli e solo tre persone con cui stare bene, in realtà due presenti e una per lo più irreperibile. C'erano anche altri, Ki, la fata con cui si frequentava da un po', una meravigliosa pantera nera o Cedrik, un affascinante vampiro dagli occhi scuri, o Raphael, anche a lui era molto affezionato, ma niente, quel buco continuava ad esistere e gli dava l'impressione di allargarsi come una voragine, ogni secondo.

Si mise a piovere, leggermente, l'aria era fredda. Una folata di vento lo circondò, si sentì quasi abbracciato e per un po' consolato. Feste, sesso, persino lavoro, aveva fatto di tutto per non pensare, ma niente riusciva a distrarlo. Solo i biscotti di Cat. Ah.. diamine! Li aveva dimenticati.

Camminò a lungo, vagò un po' poi tornò verso casa. Quasi senza accorgersene si ritrovò nel suo divano. Il loft era illuminato dalle luci rimbalzate da fuori. Una creatura si avvicinò, furtiva e lo trovò nella penombra, saltò su di lui. In un attimo erano entrambi distesi sul divano, il micio sul suo petto godeva delle lente carezze. Con un gesto della mano aprì la finestra, poi, nello stesso modo, fece apparire un doppio bourbon senza ghiaccio sul tavolino. Dalla finestra entrava l'aria fredda che aveva lasciato fuori in strada, ne aveva bisogno, almeno poteva dare a qualcosa la colpa dei brividi che provava. Il loft era in penombra, a stento le luci arrivate sfocate e tremolanti dalla strada svelavano qualcuno degli arredi, lasciado intravedere stoffe pregiate e legni intarsiati. Solo il bancone bar si vedeva chiaramente; doveva essere un segno. Feste, sesso e lavoro non risolvevano il problema, ma era pur sempre un inizio. Sempre meglio che aspettare in silenzio che la voragine che ti lacera le viscere ti esca dallo stomaco e ti inviti a cena. Da domani si ricomincia, persò, tra sè. Con il lavoro, qualche demone in più non sarà poi una catastrofe e … con una festa, una grande festa, fate, vampiri e mannari, gelatine alcoliche e cocktails fatati, buona musica e, se gli ospiti non si mangiano a vicenda, magari esce fuori un nuovo pasatempo. Sorrise a questa idea, in penombra gli occhi verdi sfolgoravano maliziosi, era quasi contento.

Poi un fischio nell'ombra. Una fiammella verde comparve d'improvviso nella stanza, si alzò di scatto, stringendo il micio, in un gesto di protezione. Sul tavolo era comparso un involucro un po' stropicciato. Non ebbe bisogno di alzarsi per controllare, l'odore dei biscotti di Cat si sentiva oltre la carta che li avvolgeva. A chiudere il pacco la piccola rosa di stoffa teneva un biglietto, che in breve svolazzo fino a lui.

“Dopo chissà quanti altri drink domani ti serviranno molti caffè. Tienila tu, in attesa di meglio ...”. Non c'era scritto altro, ma non ce n'era bisogno

“... in attesa di qualcosa capace di scaldarti il cuore davvero e non per una microfrazione di secondo, qualcosa capace di cacciare via il gelo”, avrebbe detto Cat.

Ma ormai non c'era bisogno di parlare.

Lui, il Sommo stregone di Brooklyn in quel momento aveva davvero tanto bisogno di quella rosa, di quel piccolo gioco di stoffa. Si alzò di qualche centimetro, solo per afferrare il suo bourbon e ricadde leggero sul divano.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** L'odore che non sa staccarsi da terra ***


3

L'odore che non sa staccarsi da terra (Città di ossa, tra i capitoli 13 e 14)

 

Camminava a passo svelto nel buio luccicante della notte di Brooklyn, svelto.

Le voci degli ospiti appena usciti dal locale sparivano lentamente nell'aria, ad ogni passo c'era più silenzio, ma sentiva su di sé ancora addosso l'odore dolciastro del Locale (o ...di lui?), un odore soave, caldo, potente, come di sandalo e mirra. Gli piaceva quell'odore su di sé, i vestiti ne erano pieni, le mani anche. Le immagini rullavano in testa, un carosello senza controllo odori suoni, brividi eccitazione angoscia. Assurdo, non aveva mai provato nulla, nulla di simile. Di solito si annoiava a morte, ritagliato nel suo rifugio appartato a guardare da un tavolo nell'angolo le imprese amorose di Jace e Izzy, infastidito e ferito per entrambe. Questa sera il palcoscenico era suo, tutti per qualche istante erano spariti, aveva sentito su di lui quegli occhi lucenti verde smeraldo con venature d'ambra, inesorabili e dolci, lo seguivano, lo assorbivamo, lo incantavano, da togliere il respiro. Ora, solo ora, respirava, ma a fatica.

Aveva preso Isabelle per mano, cercava di concentrarsi su di lei, attorno il mondo era un panorama sfocato, continuava a ripeterle parole consolanti del tipo “non è colpa tua, alla fine lo sai che i mondani si cacciano nei guai, poteva capitare a chiunque” o “le feste dei nascosti sono pericolose, ma per fortuna è ancora vivo, anche se … da topo”.

Isabelle singhiozzava e lui non aveva ancora capito il perché, in verità. Tenesse già cosi' tanto a quel mondano? Si sentiva in colpa? Del resto aveva promesso a Clary di occuparsi del suo amichetto super-speciale. O semplicemente era una situazione ridicola e la grande Izzy dominatrice dei Nascosti e sterminatrice di demoni non poteva farsela fare così sotto il naso? Orgoglio o sentimenti? La questione non gli era chiara, ma non importava poi tanto, conosceva sua sorella. Dovevano al più presto tornare a casa. Lei dopo una doccia calda e magari anche una camomilla si sarebbe resa conto che era tutto assolutamente recuperabile. Erano arrivati alla fermata della metrò, in una mano sua sorella l'altra sulla giacca da Cacciatore, stretta e nascosta, come a tenere qualcosa di prezioso da nascondere al mondo intero.

“E se non riprendesse più la sua forma umana?”

“Hai sentito Magnus, il rattus norvegicus tornerà come nuovo in qualche ora. Di lui c'è da fidarsi, sa quel che dice”.

Da quando lo chiami per nome?”

“Posso chiamarlo topo di fogna, se preferisci; non volevo essere scortese; ti arrabbi se lo chiamo mondano”.

“Non Simon ... Magnus”.

A sentire quel nome Alec sussultò. In realtà era esattamente a lui che pensava, da minuti lunghi come eternità, nella sua mente richiamava a memoria ogni singolo istante passato a quella festa e lui …. odiava le feste!.

“Beh...cioè , cosa …, come dovrei chiamarlo? Magnus è il suo nome ... è scritto sulla targhetta!”.

“Chiedevo così, per dire. Lo conosci da 30 minuti, lo hai visto per 10 e lo chiami per nome. Solitamente ti fanno tutti schifo anche dopo mesi non hai idea di come chiamarli; hai continuato a chiamare Meliorn la fata maschio per settimane”. Silenzio. “Così per dire, magari... ti ... piace?”

“No! Assolutamente. È uno stregone!”.

Le parole uscirono come un'esplosione, il gesto fu così netto che Isabelle sgranò gli occhi, era così stupita dal tono e dalla tensione del fratello che per qualche minuto smise di commiserarsi e il broncio lasciò spazio al solito sorriso malizioso.

“Peccato”.

“Cosa? ...Che c'entra, adesso? Perché ...peccato? Cosa' è il tuo nuovo migliore amico?”

“Amico? Se fossimo intimi sarebbe tutto, tutto, fuorché un amico.. ma l'hai visto? È bello da togliere il fiato, occhi fenomeno, un fisico micidiale da sbatterlo sul divano, metà sala lo guardava con la bava alla bocca e poi … hai visto c'era di tutto li, vampiri, fate, esseri che neanche io avevo mai visto, con un solo gesto li ha mandati via tutti... erano terrorizzati che potesse anche solo alzare la voce. Deve essere molto potente”.

“Non penso che l'epiteto “Sommo Stregone” di qualche posto te lo diano così per caso, devi essere tanto, tanto potente. Dopo il nostro scherzo un vampiro è andato da lui inferocito, l'hai messo completamente k.o. solo agitando l'indice della mano sinistra ... semplicemente grandioso. e poi, quando fa magie potenti gli occhi gli diventano ancora più verdi, si appiattiscono e risplendono, come ad un felino di notte”.

Alec aveva parlato a ruota, totalmente infervorato, gli occhi brillavano e il tono della voce era... come dire... eccitato, pensò Izzy.

“Non ti piace, però, niente, neanche un po'? Bello, figo, supersexy, potente, elegante e niente...ma tu che gusti hai? Si può sapere?”.

Solo biondi e che siano tuo fratello, avrebbe voluto aggiungere Isabelle, ma non lo fece, lo avrebbe ferito senza motivo, ma lo guardò dritto negli occhi. Alec lesse le parole nello sguardo della sorella e abbassò di nuovo gli occhi a terra.

C'era la metro. I ragazzi si voltarono in direzione di Jace e Clary, ma loro erano ancora lontani “Andate avanti” disse Jace. "Dobbiamo parlare. Torniamo a piedi". Alec voleva rifiutarsi, ma Izzy lo trascinò sul vagone, almeno qualcuno aveva preso una decisione per dare un senso a quella serata assurda. Il suo sguardo malizioso vide scomparire Jace dal finestrino, sorrise per un istante, poi se ne pentì. Anche Alec guardava nella stessa direzione. Quando la metro si infilò nel tunnel i suoi occhi non diedero il minimo cenno ma era evidentemente ferito. Si sedettero, in silenzio, vicini. Anche questa volta Alec aveva più diritto di lei di essere triste così smise di pensare a Simon, era con Clary, del resto, lei se ne sarebbe presa cura. Alec guardava verso il nulla, quasi ipnotizzato dalle luci che sfecciavano come stelle filanti nell'oscurità; Isabelle avrebbe voluto parlare, dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma stavolta proprio non aveva nessuna idea.

“Bane non gli si addice, sa di … vecchio. Stregone è troppo formale. Per forza … Magnus, devo chiamarlo ...”. Le parole uscirono dalla bocca di Alec come fossero bisbigli; la sorella ne rimase così stupita che non chiese nessuna spiegazione per paura che smettesse anche di respirare; Alec sembrava immerso nei suoi pensieri...

 “Il cognome Bane sa di … grande; mi aspetterei un uomo sulla cinquantina, in doppio petto, non un ragazzo in jeans e maglietta con le labbra blu scuro, gli occhi colorati di marrone e profumo al sandalo”.

 Suo fratello che indovinava un profumo, follia pura. “Si chiama glitter, serve a questo... c'è di tutti i colori”, disse.

 “Il marrone gli stava bene, si intonava agli occhi verdi” a dire queste parole Alec sorrise all'aria e arrossì; Isabelle fece davvero una gran forza su se stessa per non ridere.

“Allora ... almeno un po' … ti piace?”

“Non è che mi piace e che, oggettivamente, uno così piace, cioè è…. è oggettivamente molto molto bello. Piacerebbe a chiunque, non solo a me, cioè per me ... in prima persona ... intendo”.

“Capito". Mentì, non aveva capito una sillaba. "Allora ... perchè hai detto no, prima?”

“Perchè tu sicuramente intendevi ti piace per te e non ti piace in sé … sono cose completamente diverse”.

“Ovvio. Completamente diverse, profondamente... diversissime”. Izzy non voleva in nessun modo contraddire il fratello. “Magari, però, anche lui ... in sè e per sè ... ti ha notato”

“Uno così nota qualsiasi cosa, nel raggio di chilometri. Mi ha guardato solo per un po', dritto negli occhi, con lo sguardo fisso, senza muoversi”; Alec fece un sospiro, come per richiamare alla memoria quel momento, esattamente com'era stato, istante dopo istante e arrossì di nuovo … “ magari era solo cortese”.

“Non mi sembra uno che ti guarda dritto negli occhi... per pura cortesia e poi, occhiolino, frase ammiccante. C'ero al - chiamami quando vuoi - anche se tu eri su un altro pianeta e pure lui...abbiamo sentito tutti. Vorse avresti dovuto chiedergli il numero?”

“L'ho”. Non fu una risposta ma un sussurro.

La metro arrivò ma Isabelle aveva smesso di respirare, suo fratello con il numero di uno stregone e quando stradiavolo aveva avuto il tempo di farselo dare...era così stupita che era rimasta lì impalata come un sasso. Alec la tirò giù dal treno prima di perdere la fermata. Stava per esplodere, non sapeva se inondarlo con una valanga di dettagli, riportarlo indietro e lasciarlo davanti la camera da letto di Magnus come regalo di Natale anticipato o semplicemente dirgli quanto era fiera di lui, finalmente faceva qualcosa … di normale! Era così indecisa che suo fratello parlò per primo.

“Me lo ha dato, mentre uscivano”. Uscì dalla tasca un piccolo pezzo di carta crespa, color rosso intenso, appena ripiegata, impreziosita da un sottilissimo nastro di seta nera e cosparsa di brillantini argentati, con i margini bruciacchiati che elargivano all'aria un grande odore di incenso alle rose. Alec lo tirò fuori come si fa con una reliquia sacra, avrebbe ucciso per quello, probabilmente chiunque, non solo demoni.

“Posso vederlo?” chiese sua sorella, timidamente in realtà, cosa che stupì Alec, sua sorella era tutto, tutto, fuorchè timida.

“Stai attenta!”.

Izzi non ebbe il coraggio di toccare quel brandello di carta. In una grafia antica, molto elegante e molto simile alle rune c'era scritto “A occhi blù. Chiamami quando ne hai voglia”.

Una grande “M” troneggiava sotto, inequivocabile. “Quando” non “se”, notò Izzy. Uno del genere sa cosa provoca negli altri, deciso ma discreto. Ha classe, senza dubbio, pensò Izzy. “Okay, la cortesia è fuori questione. Carta rossa, profumo di rose, inchiostro nero, grafia meravigliosa e incantesimo per fartelo apparire in tasca. Decisamente non è per cortesia che vuole che lo richiami. Dovresti azzardare, è davvero, davvero bello e … sexy da morire!”

Adesso Isabelle aveva proprio azzardato, si aspettava una valanga di dinieghi e rimproveri, richiami alla decenza frammisti a scuse d'ogni tipo, parole urlate o magari balbuzie, qualsiasi cosa, forse anche un pugno sul naso... ma... niente.

Alec smise di accarezzaze il biglietto e lo conservò nella tasca della giacca, guardò le stelle, l'aria fresca della notte gli scompigliò i capelli, inspirò a pieni polmoni. Sentiva l'odore delle foglie di alloro e dei fiori di Bella di notte, un odore rosso e dolce come di frutta matura, forte e delicato insieme, che pareva voler inondare l'aria ma che, nonostante il vento leggero volesse portarlo via, non sapeva staccarsi da terra. Quell'odore, non sapeva proprio staccarsi da terra, come se stesse lì, ad aspettare lui.

Aprì la porta di casa, salirono velocemente le scale. Stava per scomparire nella porta della sua camera. “Non … non era in tasca”. Disse solo e sparì.

Era buio, ma Izzy sapeva che suo fratello era così rosso da illuminare l'intero corridoio e, per la prima volta, era felice, confuso eccitato angosciato elettrizzato, ma felice. Anche se ancora forse, ancora, neanche sapeva di esserlo.

 


 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Gli atti scancellati pel gioco del futuro ***


4

Gli atti scancellati pel gioco del futuro (Città di ossa, tra i capitoli 13 e 14)

Si alzò, barcollando, a passo incerto verso il soggiorno. Si era mosso di scatto, come un felino verso la preda, aveva per un attimo anche svegliato il gatto che lo aveva guardato infastidito e che, tra le fusa, si era rimesso a dormire sul cuscino, tra le lenzuola. Non sapeva se aveva voglia di vomitare o di bere altro bourbon; avrebbe deciso in cucina. Gli ospiti erano andati via da ore, ma lui, solo, aveva continuato la festa. Di bourbon ne aveva 2 bottiglie, una quantità significativa per lui che in realtà preferiva il rum, le aveva comprate a 250 dollari l'una, invecchiato, botti di rovere, aroma ottimo, fruttato ma non troppo secco. Ora, con il bicchiere quasi vuoto in mano, non si accorgeva più tanto bene dell'aroma o del gusto, ne aveva bevuta un'intera bottiglia da solo, sorso dopo sorso, di seguito, senza pensare.

Non avrebbe voluto vomitarlo, più per questioni di stile e orgoglio che non per soldi, ma il suo stomaco era chiuso come un fortino in tempo d'assedio e minacciava di farsi esplodere come atto dimostrativo.

Beveva da ore, bicchiere dopo bicchiere. I primi per calmarsi, distrarsi, poi non ci aveva pensato ed erano andati giù come l'acqua … senza neanche ghiaccio. Fissava il liquido per interminabili minuti, facendolo ondeggiare lentamente, lo osservava perdendosi nei suoi pensieri, poi, un'immagine lo riportava alla realtà e in un solo sorso mandava giù tutto il bicchiere. Ma immortale non voleva dire invulnerabile e, da mezzo mondano qual'era, anche lui si ubriacava. Con qualche aggravante.

La lampada rossa della camera da letto andata in mille pezzi, non voleva distruggerla solo spegnerla, ma non si controllava benissimo, non dopo tutto quel bourbon. Lo stesso dicasi degli Abat-jour della sala e delle luci colorate del bagno. Quelle però voleva accenderle. Ora, voleva solo … dormire, ma quello stramaledetto Morfeo ero uscito da tempo a fare baldoria, evidentemente.

Era furioso. Aveva una valanga di ragioni per essere infuriato con se stesso, stupido e maldestro stregone, idiota d'un immortale demente che proprio non ha imparato niente dalla sua insensata esistenza.

Primo.

Mai e poi mai aiutare un Nephilim. Il loro essere mezzi angeli e mezzi modani li rende una fonte inesauribile di guai. L'aveva detto e giurato, aveva anche litigato con la sua cara Tessa, ferocemente, per questo, ne aveva uccisi a decine qualche decennio fa, è una razza bizzarra, un giorno giurano di proteggere i nascosti in nome del loro sangue angelico, l'altro, in nome della stessa cosa, vogliono sterminarli, in preda a un folle delirio di purezza. Da secoli andava a soccorrerli quando si ferivano, curarli e aiutarli, ma loro non facevano altro che ammazzare i suoi simili o ammazzarsi a vicenda. Dietro il presunto possesso di sangue angelico avrebbero giustificato qualsiasi idiozia, e il totale rispetto della Legge ritenuta assoluta era ancora più stucchevole dei loro deliri di superiorità. Perfezione ed equilibrio diventavano pura follia nelle bocche di potenti ragazzini crudeli e donne senza scrupoli. Lui detestava i demoni, profondamente, ma gli angeli ... quelli erano peggio! Aveva giurato di non aiutarne mai nessuno e ora, che fa? Lo stramaledetto stregone ne aiuta quattro, in una sola occasione.

Raramente parlava di sé in terza persona, solo quando era davvero irritato.


Secondo.

Mai avere a che fare con questi angioletti perfidi nella vita privata. E lui che fa? Li invita alla sua festa tra fate e vampiri (di questo non ne era affatto sicuro, però, per quanto ubriaco dovesse essere, l'avrebbe ricordato, comunque). Appena varcata la soglia gli racconta tutta la sua vita come se fosse un liceale alla lavagna e si prodiga per recuperare un mondano topo a rischio di inimicarsi mezzo clan di vampiri. Non aveva affatto paura dei vampiri, Raphael era il loro capo e gli doveva più d'un favore ma … Camille, no, lei no... no, no, no, era già di pessimo umore così e non avrebbe retto una rimpatriata con la sua crudele ex in nome dei vecchi tempi, ma mandare una banda di adolescenti Nephilim nel covo dei vampiri cittadini non avrebbe aiutato a mantenere rapporti di sana e reciproca diplomatica diffidenza.

Era un idiota,un vero idiota, una stronzetta maledetta.


Terzo.

E più importante di tutti, l'orgoglio. Perché alla fine poteva sempre piantare i Nephilim sparendo nell'oblio di un rifugio introvabile e ricomparire dalle Maldive quando avevano 80 anni ciascuno, poteva incenerire tutti i vampiri del Nord America, non sarebbe stata poi una grave perdita, come poteva continuare ad evitare la sua adorabile ex fidanzata per altri 140 anni, tutto era recuperabile, ma a quanto aveva fatto dopo, a quello non c'era alcun rimedio possibile. Dopo una sequela di stronzate cosa fa? (Detestava il linguaggio scurrile, ma era proprio fuori di senno). Altro che stregone super potente con secoli di anzianità e poteri magici straordinari, come un perfetto idiota rimane allibito a guardare un ragazzino Nephilim, dritto nei suoi occhi blu per 10 minuti, imbambolato come una ragazzina alla prima cotta e quando l'amichetto stronzo e geloso viene a disturbarlo mentre dorme, qualche ora dopo, al citofono invece di cacciarlo riesce solo a dire “pensavo fossi lui”.


Era la goccia... le parole di Jace erano la goccia.

 

“ Non è pronto per i tuoi giochetti. Stagli alla larga. É un consiglio”

 

Aveva fatto la figura dell'idiota davanti ad un Nephilim belloccio dall'aria slavata che, per altro, visto il suo modo di fare spocchioso, baldanzoso e non troppo accorto non sarebbe sopravvissuto molto in tempi come questi. Da un ragazzino con l'aria da super fico anni '50 ed con evidenti problemi con il proprio padre si era fatto dire che cosa doveva e non doveva fare. E allora? Occhi blu non era un giocattolo di sua proprietà. Li aveva osservati bene, erano bastati pochi istanti, il belloccio aveva occhi solo per la rossa, la piccola Fairchild con l'amico topo e occhi blu triste al seguito, elemosinando attenzione dal belloccio che ovviamente lo dava per scontato come la carta da parati. E appena occhi blu si ritagliava un minimo di felicità subito a marcarlo stretto e a riportarlo nel recinto dell'idiozia angelica. Era insopportabile, insopportabile, insopportabile! Stupidi Nephilim!

 

“ Non è pronto per i tuoi giochetti. Stagli alla larga. É un consiglio”

 

Al pensiero delle parole di Jace, scaglio l'intera bottiglia rimasta di bourbon dritta nel camino acceso già a fiamma viva (era già il terzo bicchiere che lanciava verso le fiamme). Ne scaturì una fiammata improvvisa che arrivò alla tenda. Tutto si infiammo in un istante. Rimase per un attimo in mezzo al fuoco, guardò le fiamme rosse e gialle salire, impossessarsi anche delle altre tende di pesante stoffa pregiata, gli oli profumati vicino al camino facevano da combustibile, anche il tappeto era in fiamme. Cominciava a sudare e la sua gola si infiammava lentamente. Lui guardava impassibile, stava quasi per essere avvolto dalle fiamme quando gli occhi si fecero d'un verde intenso, si assottigliarono, una potente onda di fiamme blu si scontrò con il fuoco, lo vinse in un attimo, lo imprigionò in una bolla di luce rossa e lo soffocò lentamente. L'odore di bruciato era fortissimo, tende e tappeto ormai distrutti. Con un gesto della mano aprì le finestre, si avvicinò e respirò.

Poco male, voleva riarredare.

 

Gli occhi bruciavano per il fumo, i capelli ne erano intrisi, anche la giacca era mezzo bruciacchiata, all'altezza della mano destra con cui aveva lanciato l'incantesimo.

 

Immortale, non invulnerabile, doveva ricordarselo.

 

L'incantesimo gli aveva, se non altro, fatto passare la sbornia, ma del sonno neanche l'ombra. Meglio rimettersi di nuovo a lavorare. Dov'erano finiti i Divoratori evocati? Chi diavolo era stato ad evocarli? Ci voleva un potere discreto ma lui non aveva sentito nulla, se non durante l'evocazione. Aveva localizzato subito la fonte di magia e si era precipitato ma ormai era tardi. Dov'erano i Dimenticati? Era corso a preparare un rifugio per gli stregoni rimasti nella zona, aveva iniziato ad alzare barriere potenti e a trasferire i suoi simili. Prima i bambini ovviamente, gli adulti a turno facevano la guardia. Il loft il locale erano praticamente invulnerabili e controllava quella stramaledetta città palmo a palmo, ma … niente! Era arrivato tardi. La coppa mortale non doveva assolutamente essere un problema suo. Niente gioco delle parti tra Valentine e il Clave, prima giocano alla guerra e poi fanno la pace su un campo di cadaveri. Non avrebbe preso parte alla battaglia e se Valentine avesse fatto il grande errore di andarlo a cercare, stavolta lo avrebbe rimpianto e al diavolo Accordi, Clave e strumenti mortali. Basta giocare.

 

Si concentrò di nuovo sulla mappa, gli occhi erano tornati verdi, le mani erano avvolte da fiamme blu. Era concentratissimo

 

“Maledizione!” Urlò e mandò tutto all'aria per l'ennesima volta. Crollo sul divano. Afferrò il cellulare. Display vuoto. Compose il numero. Squillava. Squillava

 

“Ehi”. Voce assonnata. “Sei vivo?”

“Ciao. Scusa. Non riuscivo a dormire”

“Neanche io”

“Sei una strega pessima, non riesci a dire le bugie neanche al telefono”

“Vieni?”

“Posso?”

“Solitamente lo chiedi quando sei già nella stanza accanto. E poi... tecnicamente ... sono a casa tua”.

 

Lo stregone fece un portale e si ci tuffò dentro. Sbucò nella sua camera da letto, ma molto, molto lontano da Brooklyn. Aveva comprato l'intera isola. Un isolotto minuscolo vicino l' Isla di Guadalupe e ne aveva fatto un posto per stregoni in difficoltà. Il suo personalissimo centro di recupero per esseri magici nei guai. Era tutto a disposizione dei suoi ospiti, in pieno spirito di solidarietà. Strutture eco sostenibili e violenza bandita. Una vera “isola che non c'è”, che in realtà non c'era proprio, per via di uno scudo potentissimo che aveva alzato per occultarla, scudo alimentato da alcuni degli oggetti magici più potenti che aveva mai avuto nel corso dei secoli. Si era tenuto per sé solo un angolo sperduto nella costa Ovest, irraggiungibile sia mare e difficilissima da trovare via terra. Aveva creato una casetta modesta e piccola sugli scogli, all'ombra delle palme, vicino ad una sorgente d'acqua dolce, dietro un immenso frutteto esotico. Da un sentiero si arrivava ad uno scoglio superbo che troneggiava su un golfetto profondo semi nascosto da faraglioni. Un tuffo di 3 metri ed eri dritto tra le braccia di Poseidone o di chi in quel momento il vecchio Dio avesse messo a guardia dell'Oceano Pacifico. Era l'angolo di mondo più bello che avesse mai visto in secoli di vita. E lì aveva mandato Cat (non prima di avergli dato un satellitare, ovviamente).

 

La casa era come se la ricordava, solo più pulita e profumata. Odore di frutta e fiori riempiva l'aria mescolandosi ad un delizioso incenso al gelsomino. Uscito dal portale rimase immobile. Aveva un aspetto tremendo, ma era sano. Vederlo così integro ma malconcio, spelacchiato come un peluche vecchio intenerì l'animo di Cat in un istante. Ma le visite improvvise di Magnus non erano mai un buon presagio.

“Puzzi... di fumo. Che hai fatto?

“Ho dato fuoco alla casa”

“Mag! Che diavolo è successo?”

“Niente. Ero ... furioso”

“E da quando come obiettivo scegli il tuo loft invece dei cattivi? Come sta il gatto?”

“Bene. Dormiva in camera da letto. Io ho dato fuoco solo al soggiorno”

“MAG. Vivi in un loft, il soggiorno è la casa. Cosa è successo?”

“Non mi va di … parlare”

“ Ci credo poco. Sei qui”. Ma dovette ricredersi, lo stregone di era appoggiato sul divano, come se le gambe gli avessero ceduto.

“Ehi, andiamo.” Cat lo accompagnò in camera da letto, gli tolse via i vestiti affumicati e lo mise sotto le lenzuola. Girò di qualche passo e si distese al suo fianco. Lui le rotolò vicino e infilò la testa tra i cuscini. Aspetto che iniziasse a parlare, se e quando ne avesse avuto voglia

“Ti arrabbieresti tu, se io volessi qualcosa di tuo, qualcosa che consideri prezioso e bellissimo?”

“Lo chiedi alla persona sbagliata. Per me tu sei il mio qualcosa di prezioso e bellissimo che il mondo da secoli oltraggia e ferisce”. Silenzio profondo. Lei era sincera, Magnus le era così grato. “Come si chiama?”

Occhi blu, stava per dire. “Alec lo chiamano gli amici, ma è il diminutivo di Alexander. Alexander Gideon Lightwood, il figlio maggiore di Robert e Maryse Lightwood, cacciatori gentilmente mandati dal Clave a scontare l'esilio per crimini di guerra contro i Nascosti e a gestire l'Istituto di Nephilim di New York”.

“Un Nephilim! Un Nephilim Lightwood! Ma almeno è maggiorenne? Ma come diavolo ti è venuto in mente”.

“Non è successo niente, cioè … io avrei voluto, lui anche, lo sentivo ... ma il suo amichetto parabatai mi ha cacciato come un cane rognoso”.

“Okay, parli del giovane Jace Wayland; stanno insieme?”

“No, occhi blu non avrebbe l'aria così triste. Lo tiene solo al guinzaglio ... è protettivo”

“Ti ha minacciato? Ferito?”

“Non sarebbe più un Nephilim di questa dimensione. Mi ha detto di stare alla larga e di astenermi dai miei giochetti da stregone”.

 

Le parole arrivavano confuse, Magnus parlava con la testa schiacciata tra i cuscini, le sillabe si appiccicavano l'una all'altra.

 

“Fammi capire. Un Nephilim ti ha fermato prima che seducessi il figlio maggiore dei Lightwood, nonché suo fratello e suo parabatai, utilizzando delle minacciosissime parole, quando poteva … che so.. sgozzarti? E tu, tu ... ti lamenti???? Il figlio maggiore dei Lightwood, DEI LIGHTWOOD, sai quelli che l'ultima rivolta facevano il tifo per Valentine e gli coprivano le spalle. Ti ricordi, sai? Quelli che volevano tipo... UCCIDERCI TUTTI!!!! Quelli che tu hai quasi dovuto uccidere tutti. Ma che diavolo ti prende, STUPIDO STRAMALEDETTO STREGONE PAZZOIDE. Il figlio maggiore dei Lightwood!!! facevi prima a usare il tavolo del Clave a sacra sessione riunita per provare nudo la tua nuova serie di costumi da bagno o farti un drink nella loro preziosa sacra coppa. Il figlio maggiore dei Lightwood!!!!!!!!!!!!!!!”.

 

Cat urlava con un tono di voce così alto che sarebbe stata capace di abbattere il muro del suono, spruzzava fiammelle verdi da ogni lato tanto che anche lei fece esplodere il lume della sala. Stavolta avrebbe voluto ucciderlo, ucciderlo, tanto diciamolo, non avrebbe avuto alcuna, ALCUNA SPERANZA DI SOPRAVVIVERE. Perché stare giorni in attesa, tra angosce e preoccupazioni poteva semplicemente torcergli il collo? Oppure che so... murarlo vivo da qualche parte, dentro un faraglione, così solo per un secolo o due. Voleva tanto strangolarlo o dargli fuoco.

 

Poi Magnus tirò la testa fuori dai cuscini. I capelli totalmente spettinati, qualche ciuffo appiccicato sulla faccia, puzzava di fumo, le labbra imbronciate e gli occhioni verdi lucidi. La rabbia omicida di Cat svanì in un istante. Stava davvero male.

 

“Sta per succedere di nuovo, Cat, lo sento. Ho provato a cancellare in ogni modo i fantasmi del passato, le ferite, ma sta per succedere di nuovo tutto, tutto sta per ripetersi, vedo la guerra diffondersi, l'odio prevalere e accecare anche le persone migliori, la distruzione che cammina in mezzo alla folla quando nessuno sembra vederla, non voglio vedere le persone che amo e che dovrei proteggere morire nell'ombra, né vedere di nuovo il mio cuore frantumato in mille pezzi da qualcuno che l'aveva preso senza il mio permesso. E, non voglio, anche questa volta rimanere di nuovo vivo e solo, con un futuro da ricomporre pezzo per pezzo. Quest'eternità, così, è una maledizione”. Le parole fluirono lente ma inesorabili, sillaba dopo sillaba. A Cat gelò il sangue.

 

Eccola l'altra metà del demone potente, il ragazzo fragile e ferito, che sapeva di essere incapace di vivere ai margini di una bufera, di tenersi in disparte. Si sarebbe fatto illuminare anche questa volta dal bagliore del fulmine in arrivo e anche questa volta avrebbe sofferto. Ma, ora, aveva paura. Era uno stregone potente ma incontrare quel ragazzo gli aveva fatto provare qualcosa, di segreto, quasi proibito, ma forte. E lui non provava qualcosa da tanto, tanto tempo. Lo avrebbe cercato, inseguito, aspettato e come una bellissima farfalla si sarebbe avvicinato sempre più alle fiamme della battaglia in arrivo, la stessa battaglia a cui aveva giurato di non partecipare. Ma amare un Nephilim con Valentine alle porte voleva dire lanciarsi nel burrone e lui, Cat questo lo sapeva anche fin troppo bene, lui per amore lo avrebbe fatto, senza esitazioni. Ecco. L'essere al mondo che amava di più, l'essere più potente che conosceva, giaceva fragile, ferito e vulnerabile sul letto. Lo abbracciò forte. Da fuori arrivavano i rumori del mondo. Il rombo sordo del mare che lottava con gli scogli, le onde sospinte in una sensuale danza dal vento tese invano verso le nuvole e le stelle che imprimevano il loro giallo lucente sulle macchie dense del blu del cielo. Era con lui, lo tenne stretto finché non si addormentò. E anche dopo, per paura che si svegliasse.

 

Lei non riusciva a dormire. Il futuro stava ricreando, per gioco, tutto il tragico dramma che Magnus per anni aveva cercato di cancellare. Camille e il suo cuore spezzato, la delusione del Clave, la colpa di uccidere e il desiderio di proteggere, tutto di nuovo compariva lentamente, fantasma dopo fantasma. E lui, come sempre, non si sarebbe sottratto e avrebbe preso parte al dramma dall'inizio alla fine, sul palco sino alla chiusura del sipario. Ma da domani. Non stanotte. Lo tenne stretto, tanto stretto.
Stavolta i fantasmi facevano paura anche a lei.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Lo stupore che arresta il cuore ***


5
 

Lo stupore che arresta il cuore (Città di ossa, tra i capitoli 15 e 16)
 

Alex si era infilato in camera velocemente, al buio, come cercando di non fare rumore e subito aveva richiuso la porta dietro di sé. Rimaneva in piedi, in silenzio. Conosceva quella camera in ogni minuscolo dettaglio, era la sua tana, da sempre, l'unico spazio tutto suo in cui gli era lecito essere se stesso, realmente. Adesso era li, in piedi, all'angolo, vicino la porta chiusa, come fosse l'ultimo arrivato tra gli ospiti. In silenzio. Sentiva il respiro di sua sorella rimasta ammutolita e impietrita nel corridoio. Anche lei ferma, immobile. Poi lentamente un rumore di passi risuonò e svanì, il cigolio dell'uscio e il rumore sordo della chiave nella toppa. Via libera.

Si mosse. Il primo problema era ovviamente dove mettere il biglietto con il numero di Magnus.

Al sicuro, ovvio. Da Izzy prima di tutto, che ogni giorno perlustra la sua camera come un cane da tartufo in cerca del premietto e da Jace che manda tutto all'aria ogni 2 giorni così per gioco. Hodge e i suoi non erano un problema, a stento varcavano la soglia. La scelta fu ardua. Il “Manuale avanzato di rune” era grande ma scontato. Blake troppo evocativo, Shakespeare troppo tragico, erano scartati anche Poe e la poesia d'amore, Musil e Melville, per ragioni tipo la dimensione del volume, la robustezza della rilegatura e, non ultimo, il giudizio letterario; rimaneva Steinbeck. Alla fine, però, prevalse un libro di poesie che tempo fa aveva trovato in biblioteca, dimenticato da qualcuno, mai catalogato e mai inventariato. L'aveva prontamente “recuperato” da un faldone di rapporti archiviati e letto; gli era piaciuto, un po' oscuro, non troppo melodico, una poesia stranamente rude e asciutta, niente amore solo angosce esistenziali e rare immagini di natura marina. Ricoprì il biglietto con un foglio bianco e lo incastrò tra la quarta di copertina e la rilegatura. “Movimenti”, così si chiamava. Rendeva bene l'idea dei flutti mentali che gli procuravano al momento qualche vertigine.

Eppure non voleva affatto sedersi, né distendersi anzi … voleva muoversi, era piuttosto agitato.

Nascose il libro in fondo alla pila che teneva tra il letto e il comodino e sgattaiolò fuori dalla stanza. Arrivò il biblioteca a passo svelto, Church lo seguiva in silenzio. Hodge, come suo solito, sedeva solitario. In mano aveva un tazza con del liquido improbabile che emetteva un odore dolciastro simile alla menta, ma avrebbe giurato essere fortemente alcolico, visti i vapori. Sembrava il solito Hodge, eppure era ancora più strano. Guardava il nulla in direzione degli scaffali più alti, aveva un'aria inquieta.

“Forse è preoccupato per Jace” pensò Alec, “chissà dove ha deciso di appartarsi con Clary”.

Stranamente quel pensiero non gli fece così male come pensava. Che decidesse di appartarsi con la mondana riportava tutto nei ranghi; dopo qualche ora di romanticismo sfrenato lui, come, al solito avrebbe ripreso ad essere insofferente. Però Clary era diversa, aveva una strana presa su lui, questo era evidente. Allora? Perché non era afflitto e depresso come sarebbe potuto essere? Come avrebbe dovuto essere ... viste le circostanze? Anche lui era stupito, in effetti.

“Ti serve qualcosa?” Hodge lo aveva notato sbucare dall'ombra, aspettando che parlasse ma vedendolo assorto nei suoi pensieri lo richiamò alla realtà.

“Sono preoccupato. Vorrei saperne di più”. Il tono di Alec era calmo, ma determinato. Riusciva ad essere contemporaneamente il ragazzo confuso e il Cacciatore deciso.

“Di più di cosa? Cosa vuoi sapere?”. Hodge sospirò, sempre più triste.

“Di chi possiamo fidarci? Tutti vogliono la coppa, questo farebbe saltare gli Accordi, rimetterebbe in discussione il potere del Clave. So chi sono i nemici ma, in sintesi, chi sono i nostri alleati?”

“Non ne abbiamo. Tutti i membri del popolo fatato hanno un comune interesse a impossessarsi della coppa, per chiedere accordi migliori o, più semplicemente, rendere vani quelli vecchi”.

“Sempre meglio i Nascosti di Valentine! Almeno non vogliono sterminarci”.

“Non puoi sapere cosa vogliono gli esseri magici finché non lo fanno, Alexander. Non ti fidare di nessuno. Le fate sono subdole e bramano il potere su questa dimensione; i vampiri sono una minaccia per noi e per i mondani, ci sono voluti decenni per confinarli nei loro covi e costringerli a non attaccare nessuno, ma gli esseri umani rimangono le loro prede naturali e lo stesso vale per i mannari. Noi non abbiamo alleati”.

“E gli stregoni?”

“ Loro sono i più potenti di tutti”

“Anche di noi?”

“Alcuni di loro si, anche dei Fratelli Silenti”.

Alec rabbrividì, non pensava che potesse esserci al mondo qualcuno più forte dei Fratelli Silenti; a che serve vivere sottoterra in mezzo ai morti con occhi e bocca cuciti se non sei neanche il più potente del giro?

“Ma gli stregoni non hanno mai apertamente osteggiato il Clave, anzi, più volte hanno aiutato a far rispettare le regole, mantenere l'equilibrio ed evitare la guerra. Ma la guerra, Alexander, non si può sempre evitare”.

Alec non era tanto convinto di questa affermazione. “Allora sono nostri alleati?”

“Non puoi fidarti di tali esseri, sono immortali e immorali, vivono con regole tutte loro e non si curano dei mondani e noi, per quanto potenti, siamo comunque mortali. Più sono potenti e meno si interessano al mondo che abitano, quando la situazione diventa critica i più spariscono e ricompaiono dopo decenni. Più sono potenti meno sono attenti ai nostri affari”.

Questa descrizione sembrava calzare su Magnus come un completo cucito su misura. Il mondo dei nascosti era alla vigilia di una guerra e lui organizzava un party! Probabilmente considerava gli altri esseri magici, loro compresi, alla stregua di insetti non troppo intelligenti.

“E il Sommo stregone di Brooklyn?”. Alec rivolse la domanda con lo stesso tono pacato e impassibile di tutta la conversazione. Hodge non si aspettava una domanda così specifica, il suo sguardo si concentrò su Alec come se lo vedesse adesso per la prima volta, forse aveva già in mente un pensiero sull'argomento che volontariamente aveva omesso di dire, forse aveva capito che Alec in realtà volesse parlare proprio di questo o forse una valanga di ricordi e immagini lo travolsero, senza che riuscisse a prevederne gli esiti. Rimase in silenzio per un po'.

“Magnus Bane! Lui è … particolare. Vive da secoli, è uno degli stregoni più potenti che io abbia mai conosciuto, forse uno dei più potenti mai esistiti, ha sempre aiutato il Clave e contrastato Valentine ma protegge prima di tutto i Nascosti, non ha esitato a uccidere molti dei nostri quando si sono schierati con la rivolta”.

“Non erano dei nostri”. Chiarì Alec, con voce ferma.

In fondo lui protegge solo la sua famiglia, pensò Alec, come facciamo tutti e uccide anche i cacciatori se questi, dopo aver giurato di proteggere i Nascosti per sacro dovere, decidono di sterminarli. Gli erano ritornate in mente le parole di Magnus al loft “ho ucciso molti dei vostri”, anche lui non faceva molta differenza, evidentemente, tra Valentine e seguaci e il Clave. In quei momenti lo stregone l'aveva guardato così intensamente che Alec si era sentito … nudo... toccato nel profondo da quello sguardo; l'altro era deciso e pacato ma il tono tradiva la traccia della profonda delusione che provava nei confronti di tutti i cacciatori, lui compreso.

“Se sostenevano Valentine, se appartenevano alla rivolta, non erano nostri, erano solo dei traditori”. Il tono di Alec rivelò una vibrazione sincera, che ferì Hodge ma l'anziano Shadowhunter aveva già da diversi minuti volto altrove lo sguardo, per celare i suoi pensieri. Se Alec lo avesse guardato negli occhi avrebbe colto un tormento di sensi di colpa e vergogna, misti d'una strana luce di orgoglio, ma la distanza e la luce diffusa fecero da barriera. “In ogni caso se è così potente perché in passato non ci ha attaccato per prendersi la coppa?"

Hodge era grato della nuova domanda, poteva così superare un silenzio imbarazzante. “Non penso gli interessi. Non ama molto la nostra specie, ci soccorre spesso quando ne abbiamo bisogno, è un alleato fidato, ma non ci ama affatto: di potere ne ha molto di più di quanto ne usi, diventare ancora più forte non sembra gli sia mai interessato. É più concentrato sulla sua bella vita, ama gli agii e il lusso, è eccentrico e si concentra solo sui suoi tantissimi amanti. Donne e uomini, non fa differenza, come non ne fa tra le razze: ha amato vampiri, mannari, mondani, fate. Alcuni durano decenni, altri poche ore. Del resto, non sembra curarsi molto. A volte sembra che il suo interesse a mantenere la pace e gli accordi dipenda più dalla sua volontà di vivere la sua esistenza in piena libertà, senza vincoli o fastidi”. Una pausa di silenzio ricadde tra i due. “Perché tutto questo interesse per Magnus Bane?”

“Devo sapere con chi ho a che fare”, disse Alec.

“Dov'è Jace?”

“Non ne ho idea. L'abbiamo lasciato con Clary. Sarà … in giro”

“Comincia a farsi tardi e Clary è un bersaglio, non dovrebbero stare così tanto in giro soli, spero che sia prudente”

“Jace? Si, certo, come no.... Tornerà tra un po'. Non c'è da preoccuparsi. Lo aspetto di sopra”.

Si incamminò nuovamente verso la sua tana, cercando di assumere un andatura tranquilla e disinvolta. Mentiva. Anche lui cominciava a preoccuparsi. Mentre parlava con Hodge aveva avuto delle strane sensazioni: fastidio paura tristezza eccitazione ansia, ma non riusciva bene a capire quale venisse da Jace e quale da lui. Sicuramente le parole di Hodge l'avevano ferito.

Si concentra sui suoi tantissimi amanti. Donne e uomini, non fa differenza, come non ne fa tra le razze: ha amato vampiri, mannari, mondani, fate. Alcuni durano decenni, altri poche ore.

Forse non c'era un gran bisogno di conservare quel biglietto... come aveva fatto a pensare anche per un secondo che uno così, bellissimo e potente, eterno nel corpo perfetto di un giovane dai tratti orientali, magnetico … come aveva fatto a pensar che uno così potesse interessarsi a lui.

Forse voleva solo completare la collezione, magari mancavano giusto i cacciatori e lui con l'aria solitaria e infelice, lo sguardo triste e l'atteggiamento impacciato deve essergli sembrato la preda più facile. Come poteva cadere in una simile trappola?

Tornò in camera, deciso a bruciare il biglietto con la Runa del fuoco. Lo cercò, lo prese e stava per incenerirlo, quando rimase immobile. Lo stupore gli arrestò il cuore. Forse per la carta pregiata bruciata ai margini o per il profumo di sandalo emanato dal brandello che lo aveva travolto fermandolo all'istante, forse per la grafia elegante e decisa impressa come in una danza o per un incantesimo pietrificante. Non sapeva perché, ma lo stupore gli arrestò il cuore. Guardò il biglietto profondamente pentito, come a scusarsi segretamente e lo ripose con cura nel libro. Anche le parole di Izzy tornavano alla memoria come da un'altra dimensione.

Fosse stato anche solo un gioco per quell'uomo bellissimo dagli occhi verde ambra, fosse stato lui, il più idiota degli imbranati, una preda facile, almeno a Magnus piacevano … i ragazzi! Fosse stato anche solo il passatempo di qualche ora, sarebbe stato comunque intenso ed era molto di più di quanto lui, Alexander Gideon Lightwood, avesse mai avuto nell'intera sua vita. E poi quegli occhi l'avevano fatto sentire, per una volta, l'assoluto centro dell'universo. Probabilmente è così che ama, poco importa se per una notte o per un secolo, intensamente e senza limiti, forse si lascia in un istante consumare dall'amore ma lo fa alla luce del sole. Lui aveva solo vissuto nell'ombra, da sempre, fingendo di essere altro da sé e aspettando briciole avare. Tutto, era meglio di quello. E ora, ripensando al suo corpo sinuoso, aveva ancora più voglia di lui.

“Movimenti”.

Il titolo del libro era proprio adatto al moto ondoso che aveva dentro, chissà cosa ne avrebbe pensato quel lontano poeta. Il biglietto rimase lì; stava dove doveva stare, al sicuro.

Alec si stese sul letto, rimanendo per ore come a galleggiare nella sua quotidiana penombra, in uno strano dormiveglia cullato dall'aroma di sandalo. Stranamente era sereno, stranamente non era triste, stranamente non si sentiva più così solo. Poi, voci da giù, ovattate, giunsero fino al suo letto. Dopo un tempo imprecisato quelle voci lo stavano riportando alla realtà.

Jace, doveva essere tornato. Dove era stato? Era passato tantissimo tempo. Strano, si era dimenticato anche di essere preoccupato per il suo parabatai.

Si sentì in colpa, si alzò di scatto e volò giù per le scale, solo per assicurasi che il fratello stesse bene, lasciando lo stupore proibito nella stanza, insieme ai suoi segreti.

 

 

 


 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** L'amaro aroma del mare ***


6

L'amaro aroma del mare (Città di ossa, tra i capitoli 15 e 16)



Magnus dormì come non faceva da giorni.

Aveva sentito Cat alzarsi presto, l'odore del mare all'alba aveva invaso la stanza quando ancora non c'erano che sparuti raggi di sole all'orizzonte, l'odore forte e amaro dell'Oceano indomito e del sale attaccato alla scogliera penetrava nella pelle. Si era svegliato solo per qualche minuto, aveva accennato un movimento, forse nel tentativo di seguire l'amica ma lei scompigliandogli i capelli l'aveva ricacciato tra i cuscini e, lì, Morfeo lo attendeva.

Si svegliò diverse ore dopo, nel pomeriggio. Inizialmente era confuso. I suoi capelli erano ancora impregnati di fumo e si ricordò del piccolo incendio innescato a casa sua ma la stanza era molto diversa da Brooklyn, pareti bianche, nessun arredo ad eccezione del letto su cui dormiva e di una vecchia cassapanca con i suoi vestiti sopra, puliti e piegati. Le tende bianche ondeggiavano spinte dal vento, il fruscio regolare dei rami di palma sospinti portava con sé l'amaro odore del mare. Era sull'Oceano e si crogiolava, beato e nudo, sotto morbide lenzuola di cotone. Dalla cucina arrivavano i rumori familiari dei gesti di Cat che frenetica si aggirava tra pentole e fornelli. Quella donna era stata strappata a un destino da chef senza pari, pensò. Si alzò e si infilò i pantaloni. Come previsto trovò Cat intenta a tagliuzzare con un lungo coltello affilato delle erbe filiformi dal vago odore di terra bagnata. Dalla treccia sulla testa le erano sfuggite tre ciocche bianche che scendevano scomposte lungo il sinuoso collo blu cielo. Un'immagine deliziosa che i mondani si perdono da secoli.

“Che onore! Il sommo stregone si è alzato dal letto...” Cat era di spalle ma l'aveva sentito.

“Volevo farti una sorpresa...” rispose, ma uno sbadiglio gli interruppe la frase.

“Ti sembra saggio arrivare quatto alle spalle di una strega?”

“No, specie se sta brandendo un'ascia... dove hai preso quella cosa... non ricordavo di avere armi in casa”

“E' il coltello adatto a tritare le foglie di Aloe barbadiano senza distruggerne i filamenti, così non perdono le loro proprietà. Piatto e tagliente.”

Magnus ignorava il nome e l'esistenza stessa delle pianta appena nominata. “Stai facendo una torta?”.

“No, stupido, una pozione per contrastare il veleno di un mannaro; al villaggio è arrivata una giovane vampira messa un po' male. Noi poveri stregoni immortali ma non dotati quanto te facciamo anche le pozioni oltre che scagliare fiammelle e onde magiche”

“Beh … andiamo a curarla...”. Era un po' scocciato, il lavoro lo perseguitava, ma non avrebbe fatto morire nessuno.

“Guarda che anche io so usare la magia. Tu, mio caro, sei in vacanza e poi non puoi venire al villaggio, puzzi di topo bruciato. Ah... per inciso, non ti ci abituare...”

Magnus, in piedi appoggiato allo stipite della porta, era ancora un po' confuso e il suo sguardo assonnato cercava di capire a cosa non dovesse abituarsi, ma non osava chiedere, alla fine per quanto le volesse bene, Cat stava ancora brandendo quella specie di katana affilata, meglio non provocarla...

“... ad addormentarti vestito, non sono la tua colf né tanto meno una delle tue amanti che guarda ammirata il tuo corpicino spigoloso, comincio a scocciarmi a doverti spogliare mentre dormi, pesi, non è facile girati”.

“Usa la magia”

“Non sono come te. Tu usi la magia anche per lavarti i denti. Ci tengo alle miei articolazioni e mi piace ancora discretamente usare … le mani

Un ghigno malizioso si stampò sulla faccia assonata. “Detta così sembra un' avances. Sai bene che non resisto alle tue sortite galanti. Bene, saggerei personalmente questa affermazione. Sempre pronto a soddisfare il tuo piacere mia dolce regina”, disse facendo un lieve inchino e avvicinandosi di scatto all'amica. Stava per sfiorare i capelli di Cat con un bacio, quando questa gli scagliò contro un pioggia di fiammelle verdi, agitando in aria il cucchiaio di legno che stava usando per mescolare la pozione “Stai alla larga ragazzino, se non vuoi essere trasformato in un animaletto spregevole”.

L'avevano chiamato in tanti modi in quasi otto secoli, da Sommo Stregone a diabolico maledetto bastardo, ma ragazzino era una prerogativa di Cat, così alzò subito le mani in segno di resa.

“Comunque …i vestiti sono sulla panca. La giacca era ridotta male, la prossima volta che hai un vestito di lino non giocare per casa con le palle di fuoco”.

La giacca... la sua meravigliosa giacca di lino grigia, gli calzava a pennello con una morbidezza sconfinata...Mise subito il broncio all'idea dell'amica perduta.

Cat aveva posato il cucchiaio e l'ascia affilata che aveva in mano e si era tolta il grembiule. “Su, muoviti! Puzzi e, come ho detto, hai la faccia da topo morto”. Ovviamente non era vero. Si, certo, i capelli odoravano di fumo ma anche con l'aria assonnata e il broncio da giacca perduta era meraviglioso ma prenderlo per orgoglio e vanità era il miglior modo per far fare a Magnus qualsiasi cosa, velocemente.

“Su, su... veloce!”. L'aveva afferrato per l'orecchio, lui si era piegato per lasciarla fare, era quasi il doppio d'altezza. Lo spinse fuori dalla porta, sentiva il dito dell'amica ben piantato sulla sua schiena che lo spingeva fuori. “Muoviti, non ho tutto il giorno”. Percorsero un sentiero ombreggiato da palme e piante di Aloe … (ecco cos'era l'erbetta malefica di prima...). Il sentiero finiva bruscamente su uno scoglio appuntito che sontuoso troneggiava sul golfo profondo.

Quanto adorava quel posto...

“Su, su...Giù!”. Era perentoria

“Mi sono appena svegliato...” protestò Magnus ma Cat non voleva sentire storie e, per accelerare, gli lanciò delle fiammelle verdi sulla schiena. Un attimo prima di perdere l'equilibrio lo stregone si lanciò nel vuoto oltre lo scoglio, un volo di 3 metri e giù … un tonfo sordo.

E fu blu, blu, tutto blu, profondo, sterminato e potente blu, in mezzo all'Oceano. L'acqua era gelida, ma le onde l'avevano accolto come le braccia di un'amante e si sentiva a casa. Nuotò a lungo, gli occhi verdi aperti sott'acqua erano pronti a meravigliarsi per ogni creatura marina, ogni scoglio, pietra o conchiglia. Riusciva a trattenere il fiato per molto tempo e nuotava velocemente, era fiero di quella sua abilità tutta umana, una delle poche qualità forse ereditata dalla madre che, a quanto ne sapeva, era stata la migliore nuotatrice del suo villaggio nelle Indie orientali Olandesi. I suoi poteri erano molto ridotti in presenza di acqua ma lui, immerso nel profondo Oceano, si sentiva più potente che mai. Si aggrappò ad uno scoglio, quasi a pelo d'acqua e prima di risalire a riprendere fiato e si fermò a guardare il Sole. Non era più alto nel cielo, saranno state le sei del pomeriggio e i contorni del mitico Apollo erano resi vani e frastagliati dalle onde ondulate, giallo e azzurro si mescolavano in un verde simile a quello dei suoi occhi, l'aveva scoperto da piccolo e gli sembrava un segno, un segreto che Natura avesse rivelato solo a lui. Ne era assolutamente fiero. Nuotò per ore, fin quando vide i contorni di Cat apparire sulla scogliera. Era tornata. Riemerse e risalì, grondava e cercò di asciugarsi camminando.

Appena entrato, trovò l'accappatoio appeso alla sedia e la tavola imbandita.

“Dove sono?”

“Chi?”

“Gli altri 27 ospiti; nel tavolo il cibo ha occupato tutta la superficie. Mangeremo a terra?”.

“Forse … e surgeleremo gli avanzi”

“Si … in Antartide, tanto è poco popolata. Certo i mondani potrebbero chiedersi cosa ci fanno fagiolini glassati, tortino di spinaci e tre diverse insalate di frutta in una stalattite di ghiaccio, ma cosa importa, in fondo, penseranno ad una civiltà extraterrestre macrobiotica. Quella volta che hai fatto volare in cielo gli avanzi del banchetto di Ragnor fino ad una mensa per anziani hanno creduto agli UFO ”.

Era ovvio. Il mestolo di legno gli arrivò dritto in testa, riuscì a scansarlo solo all'ultimo, sedendosi velocemente. Non mangiava da un giorno ed era affamato ma mangiò così tanto e così velocemente che il cibo gli fece lo stesso del bourbon della sera prima, forse anche peggio.

“Sono ad un punto morto. Non riesco proprio a trovarlo, il maledetto avrà alzato uno scudo potente e per quanto mi sforzi non riesco a localizzarlo”. Si riferiva a Valentine, ovviamente. Nonostante il banchetto reale comprendesse decine di portate e 3 bottiglie di vino non aveva smesso un secondo di parlare, evidentemente, aveva dedotto Cat, nuotare gli aveva fatto un gran bene e stava riflettendo a voce alta. “So che non farebbe mai del male a Jocelyn, ma quando sapremo dove la tiene e la riporteremo a casa sarò più tranquillo. E so che fin quando non avrà messo le mani sulla coppa rimarrà nei paraggi, nascosto in bella vista. Solo i demoni infernali sanno quale magia oscura sta utilizzando al momento per occultare le sue mosse e la sua tana, ma io devo trovarlo. Clary non mollerà, come potrebbe poi... e si metterà nei guai, lei e tutto la crew dei suoi amici teppistelli travestiti da angioletti metal, devo assolutamente localizzarlo, prima che si facciano male. Mentre nuotavo ho pensato che dovrei inventarmi qualcosa di nuovo, tipo un vortice magico, come quelli che usiamo per vedere a distanza ma...” era finito anche il pasticcio di funghi ed era passato alla frutta “ … dovrei riuscire a calibrare meglio l'intensità del fuoco magico ...”.

Cat ascoltava attentamente, mentre allo stregone rimaneva da mangiare solamente la terza insalata di frutta con l'ultimo mezzo bicchiere di vino. Ne prese una porzione e si fermò. A guardarla era una meraviglia. C'era ogni frutto tropicale dell'isola tagliuzzato in minuscoli pezzi e su tutto una pioggia di puntine rosse. Era appetitosa. Ne mangiò una cucchiaiata abbondante e un'ondata improvvisa gli esplose in gola, non si strozzò per miracolo.

“Che diamine …. Cat, è … piccantissimo!”

Lei rideva. “Era … un esperimento. Servono a dilatare l'occhio interiore”

“Strega maledetta che diavolo sono queste palline rosso fuoco”. Le parole uscivano a stento tra i fortissimi colpi di tosse.

“”Primule dell'anima o più comunemente bacche, magiche e molto potenti, commestibili ovviamente, ma più comunemente usate nelle pozioni di trasmigrazione e trasfigurazione. Crescono in questa zona, solo che, di solito, le spremiamo nelle pozioni.... volevo provarle...

Magnus comprava tutto in erboristeria da decenni, aveva un ricordo vago di come potessero essere le bacche dell'anima versione originale fuori dal pacchetto di plastica. “Ma le hai assaggiate prima di metterle nella macedonia?”, tossiva furiosamente.

“No ovviamente, perché assaggiarle di persona quando potevo farle assaggiare a te?”

“E chi diavolo ti ha assicurato che sono commestibili?

“Sotar”

“ Sotar? Il vecchio pescatore goblin che vive nella caverna della costa Nord? Ah … perfetto!”

Finalmente aveva smesso di tossire, c'erano volute mezza bottiglia di vino e una d'acqua ma era tornato a respirare. Gli occhi adirati erano due fessure verdi, a chiunque avrebbe fatto una paura tremenda ma Cat rideva come una matta e, alla fine, rise anche lui. Cat aveva ripreso ad armeggiare con l'ascia e il calderone per preparare un'altra dose di pozione, lui sedeva fissando la ciotola dell'insalata di frutta. Quelle bacche, strane, così appetitose e innocue a prima vista eppure micidiali. Ero rosse, piccole e lucide, dure al palato come chicchi di melograno acerbo eppure così potenti. “Come la magia” pensò lo stregone. Dopo aver fissato intento la sua ciotola iniziò a raccogliere tutte le bacche con il cucchiaio, l'azione gli impiegava molto tempo ma Cat improvvisamente gli tolse il piatto.

“Basta, mangia l'ananas... per prendere ad una ad una tutte le bacche dalla ciotola ci vuole una notte, sono ovunque!”.

Magnus alzò la testa di scatto e in un balzo fu su Cat, le prese la testa fra le mani e le diede un veloce bacio sulle labbra. “Sei ... assolutamente … un genio. Come diavolo di un demone infernale ho fatto a non pensarci prima! Ti adoro, ti stra-adoro! Sei … stupenda!”

Con uno schiocco di dita al posto dell'accappatoio umido gli comparvero indosso i vestiti.

“Devo andare ora. Non ti muovere da qui per nessun motivo”.

Adesso era Cat a guardarlo stranita … che cosa aveva fatto?

“Era ovvio! Semplicemente ovvio! Se Valentine si nasconde con uno scudo non devo cercare la magia ma … l'assenza di magia! Gli esseri magici popolano ogni centimetro della città, devo solamente incantare la mappa della grande mela per farmi rivelare le zone dove non c'è alcuna traccia di magia. Lì, manderò dei vortici leggermente trasformati, con il potere di assorbire la magia latente invece che di rivelare quella esistente e in breve scoverò quel malefico essere. Devo solo ...”

“Mag, è stupendo, davvero, solo felice che tu abbia una buona idea ma … non dovevi rimanerne fuori. L'idea non era di creare un rifugio potente, alzare gli scudi e aspettare. I cacciatori si sbrigheranno da soli i loro affari, se ti intrometti, anche per salvarli, non ti perdoneranno”.

“Basta giochetti, Cat, dovevo risolvere questa faccenda almeno quindici anni fa. Il Clave sai meglio di me che non considera Valentine una minaccia reale e quando lo farà, se lo farà, sarà troppo tardi. Farò come concordato, metterò tutti al sicuro ma questa volta non sarò impreparato. Questa storia deve finire, ora. Prima che qualcuno si faccia male...”

“Qualcuno … o uno in particolare? Che fai Mag? Sei sicuro che ne valga la pena? Una cosa è farsi spezzare il cuore, un'altra è perderci la vita. Neanche lo conosci, magari è un ragazzino viziato che vuole fare nuove esperienze con uno stregone sexy, solo per sentirsi vivo”.

Ecco, di nuovo. Scovato, colpito e affondato. Come negare che fosse tutto per lui. Era tutto il pomeriggio che pensava ad Alec, il blu del mare, l'azzurro luminoso e leale del cielo, l'Oceano profondo, il vento profumato, tutto gli ricordava quello sguardo.

“Dai Cat, su, l'ho conosciuto due giorni fa, ci ho parlato 5 minuti mentre sbavava per il suo parabatai, niente bacio, niente sesso, né primo appuntamento... pochino per farsi uccidere, anche per me, no? Sei nevrotica, smetti di preoccuparti e non lasciare l'isola per nessun motivo. Nessuno”. Lei era molto diffidente, lui non la guardava negli occhi e parlando aveva creato un portale. “Ah... tieni in carica il satellitare e guardalo ogni tanto, potrei aver bisogno di te. Okay? Ma, più importante, rimani in ferie e non lasciare l'isola. Prometti?”.

A queste parole si era girato verso di lei, gli occhi verdi fiammeggiavano, il portale aperto alle spalle. Cat fece un segno di approvazione, lui le mandò un bacio, fece un inchino profondo e si lasciò cadere all'indietro. Scomparve inghiottito dalle fiammelle blu. Aveva dormito per 14 ore, nuotato per 3 e parlato per 2. Tutto di seguito, ininterrottamente. E ora la casa senza di lui sembrava immobile.

“Hai dimenticato la giac...” In quello stesso istante la giacca sparì e al suo posto comparve un biglietto.

“Manda tutti gli avanzi da me, il freezer è grande. Grazie … di tutto. Il resto già lo sai. M.”

Frenetico, malizioso, delirante, geniale. Come sempre. Unico. Insomma … Magnus.

Anche l'ultima dose di pozione era pronta, la vampira sarebbe guarita presto. Adesso a Cat non rimaneva che andare a dormire e con un gesto della mano spense le luci.

Il letto vuoto era illuminato dalle fiammelle verdi rimaste a volteggiare in aria. Facevano compagnia alla luce della luna che potente e dolce entrava dalla finestra, accompagnata dall'odore amaro dell'Oceano.

 

 


 


 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Tra le braccia del divino che t'afferra ***


7

Tra le braccia del divino che ti afferma

(Città di ossa tra i capitoli 16 e 17)




Il letto era vuoto.

Le fiammelle, come dita sottili avevano smesso di volteggiare nell'aria e si erano richiuse nel buio. Ora solo gli occhi di Cat facevano compagnia alla luna che, potente, gettava infinite scaglie d'argento sull'Oceano agitato. Anche l'animo della strega era profondo e inquieto, aveva dormito solo per qualche minuto e ci aveva provato per qualche altro, girandosi e rigirandosi tra le lenzuola. Nulla. Si alzò, incerta, guardò fuori. A lungo. Il lento e inesorabile sussurro delle onde le arrivò dritto in faccia con un soffio di vento gelido e salato, chiuse gli occhi come sperando che l'aria densa e frusciante, come un arcano messaggero, le sussurrasse quei segreti che Natura rivela solo a loro, gli stregoni, figli dannati e prediletti. Così fu, in qualche modo, forse in modo diverso da come immaginava. Un lieve gesto della mano lanciò nella penombra un accenno di verde abbagliante e le pozioni scomparvero, con un biglietto attaccato. Sapeva cosa fare. Uno schiocco di dita e una tuta nera prese il posto della lunga camicia da notte. Un altro e la stanza fu di nuovo illuminata dal viola intenso di un portale che la inghiottì in pochi secondi.

Il ponte era illuminato solo da rare luci, fari convulsi come formiche che andavano su e giù sull'asfalto. Anche lì, la luce della luna arrivava avara, troppo contrastata dal giallo metallico dei lampioni. New York era così, sfocata, ma piena di traffico, anche di notte. Le luci di palazzi e magazzini lambivano le onde, ma l'odore di acqua e sale addomesticato dalla mano dell'uomo arrivava a stento e solo lontanamente le ricordava quel profumo potente che aveva lasciato tra l'Oceano e gli scogli. Poco male, non era in vacanza. Doveva lavorare. Inizialmente pensò di non avvertire Magnus, forse per timore di qualche bizzarra ritorsione magica, poi cambiò idea, era tornata per lui, doveva aiutarlo. Ma come? Serviva un piano. Vortici magici capaci di assorbire la magia celata in un sistema complesso di incantesimi di localizzazione, sembrava una buona idea ma ci sarebbero voluti giorni di lavoro e diversi stregoni molto potenti. Ma lui non l'avrebbe detto a nessun altro. La città era sconfinata e la popolazione magica che viveva nell'ombra era immensa. Non esisteva un'anagrafe magica, i popoli erano costantemente impegnati in continui spostamenti, come fare a non confondersi?

Conosceva l'amico da secoli, sapeva bene quanto fosse insolitamente potente.

Normalmente il potere magico aumentava con i secoli ma Magnus tra i “Sommi stregoni” era piuttosto giovane (se questa espressione è passabile per chi ha mezzo millennio) ma lui era un'eccezione. Per via di suo padre pensavano in molti, ma lei intuiva che ci fosse dell'altro, qualcosa più intima, qualcosa che lo rendeva più potente di ogni altro essere magico che avesse mai incontrato, anche di stregoni millenari. Ma era un potere nascosto, che aveva usato rarissime volte e solo per qualche istante. Conosceva Magnus da secoli, se aveva un'idea l'avrebbe realizzata, doveva solo trovare come. Inoltre a lei serviva un po' di tempo di … recupero. I portali la affaticavano anche se non lo avrebbe mai ammesso davanti a uno che li usa per scendere al piano di sotto, tutte le volte che non ha voglia di fare le scale. Conosceva Magnus e per un migliaio di ottime ragioni non conveniva affatto cercare di ingannarlo, per questo si era materializzata a qualche decina di metri dal suo locale e da casa sua. L'avrebbe chiamato. Solo ... tra un po'. Si sedette su una panchina, solitaria nei pressi del ponte di Brooklyn, da lì poteva vedere l'East River.

Era pur sempre un brandello di Oceano ... in fondo ...

Magnus si era materializzato nel suo loft neanche un'ora prima e solo per pochi istanti.

Appena comparso aveva capito che c'erano almeno tre soste che doveva fare prima di tornare a casa. Sparì. Ricomparve sotto un abete imponente dal tronco ruvido che tanti inverni aveva visto, ma non tanti quanto lui. Rimase nell'ombra, fuori dall'orbita rotonda di un antico lampione ricurvo di ferro che illuminava distrattamente un giardino di Bella di notte. L'intenso profumo dei petali rossi impregnava l'aria. La luce metallica era avara, lambiva a stento il ciglio della strada. Le rovine di una chiesa cristiana giacevano davanti a lui; anche se nel nuovo continente il concetto di antico aveva tutta una diversa accezione, quella chiesa aveva preceduto una gran parte della città che frenetica e inconsapevole le era cresciuta intorno. Apparentemente vedeva una facciata corrosa dal tempo in cui rosoni logori e vetri opachi denunciavano l'eredità ormai perduta del lontano splendore. I Nephilim facevano una gran fatica a tener nascosto l'Istituto che si celava dietro la facciata corrosa; lui aveva sempre pensato che solo dei bigotti figli di Angelo potevano occultarsi dietro una grande chiesa bianca in rovina al centro di Manhattan per passare inosservati!

Un centro benessere li avrebbe protetti molto meglio...

Se avesse fatto anche solo un altro passo gli allarmi magici del tana angelica avrebbero svegliato e attirato tutti i Nephilim presenti. Non era quello che voleva. Allargò le braccia, come per afferrare l'aria della notte.

“Cat ha assolutamente ragione e io odio mentirle. Colpa tua, quindi, almeno con te, devo essere assolutamente sincero. Anche se non saprai mai di questa conversazione che io e tu abbiamo avuto in tua assenza, ora devi ascoltarmi attentamente. Tu ... tu, tu, sei gran parte del motivo per cui intraprendo questa nuova guerra”.

Pronunciava le parole come un giuramento e un bicchiere di rum oro comparve nella sua mano destra, con due cubetti di ghiaccio.

“E io odio la guerra. Sono in viaggio da molto, molto tempo ormai, ho toccato terre lontane e scrutato gli animi dei figli del mondo, non so se mai tornerò sulla sponda che mi ha generato pensando al nome di mia madre, ma so che la morte, mia amata e crudele amante in questo duro tragitto, è sempre al mio fianco, nonostante sia così riluttante a portami con sé. Questa volta non permetterò che anime innocenti vengano spazzate via. Devi resistere, mio caro Alexander, sopravvivere a questa bufera e guardare al futuro con animo sicuro. Non posso prometterti altro che questo, ma lo farò. A qualunque costo”.

Gli occhi verdi sottili e scintillanti ferivano l'oscurità, le venature d'ambra li rendevano tremendamente simili al rum che ondeggiava nel bicchiere. Alzò il braccio rivolto alle stelle mute, fece un leggero inchino, chiuse gli occhi, bevve e sparì così com'era apparso, nell'ombra. Così del resto fanno i figli della Notte, silenziosi. Era svanito. Solo i frammenti del calice cosparsi tra i fiori di Bella di notte rivelavano una traccia di quel passaggio.

Era il momento della seconda tappa.

L'assenza quasi totale di luce sembrava il fastidioso motto della serata. Apparve in un buio vicolo che puzzava di pesce fritto e tofu bruciato. Odiava andare in quel posto, non c'era lavaggio capace di scrostare dai suoi vestiti e dai suoi cappelli quell'odore tremendo. Ora i vestiti poteva bruciarli, ma i capelli... In ogni caso aveva appena fatto una promessa alle stelle silenziose e voleva mantenerla. Quello era il posto giusto, l'incantesimo che aveva in mente era potente, ma aveva bisogno di alcuni ingredienti … specifici, che non avrebbe trovato di certo in erboristeria. Pochi passi e fu davanti ad una porta di legno, non era particolarmente felice ma entrò. Una vecchia signora sedeva dietro il bancone con uno scialle giallino sulle spalle, sorseggiando una tazza di te, distratta osservata i clienti presenti: due fate, di cui una molto giovane e una coppia di mannari. Appena Magnus scostò la porta per entrare, prima che il tintinnio della campana di vetro posta vicino alla maniglia annunciasse la presenza di un nuovo convenuto, la vecchia alzò lo sguardo e lo fissò a lungo.

“Buona sera mio caro. Sono diverse vite mortali che non ti vedo. Dovrei riferirti innumerevoli saluti”

“Tienili per te, vecchia”.

Avanzava lento ma con passo sicuro, gli occhi più splendenti che mai, ma nessuna traccia di tenerezza e affetto era rimasta nella voce. “Le uniche notizie che vorrei sentire da te, non potrebbero mai arrivare”.

“Solo uno stupido potrebbe auspicare la distruzione del proprio padre. Che essere bizzarro sei, non ho mai visto nessuno negare così ostinatamente le proprie radici e la propria natura ”.

“Radici, forse. Ma non Natura, quella è altrove. Ma non sono qui per parlare dei vecchi tempi”.

“Peccato avrei molte vite precedenti da narrarti e di molte anime che permangono all'infermo porto messaggi”.

“Non mi interessa nulla di ciò. Voglio solo delle erbe”. Magnus la osservò con attenzione. Per essere un antico e potente demone cinese il travestimento da vecchietta asiatica le calzava a pennello: sottili capelli chiari tendenti al bianco, occhiali a mezzaluna scivolati sul naso ossuto, vene violacee segnavano le mani simili ad artigli. Mancava solamente gatto. Meglio, l'avrebbe mangiato e a lui piacevano i gatti...

“Erbe, dici. Quali?”

“Le uniche che tu sola puoi darmi”.

Cadde il gelo. Gli altri clienti del negozio che avevano seguito la conversazione distrattamente si incuriosirono. Tutti conoscevano Magnus.

“Miei cari … concittadini, posso chiedervi di aspettare nella sala lettura? È un invito ma non vi lascerò scelta, vorrei evitare di essere scortese ma è mia assoluta intenzione impedire perdite superflue e contrattempi fastidiosi”.

Fecero come disse.

“Dammi ciò che ho chiesto”. Magnus si avvicinò, senza altri tra i piedi si sentiva più spavaldo.

“Non è una miscela qualsiasi che chiedi, alcune di queste erbe sono molto antiche e rare, altre centenarie.  La pozione dei 5 Sapori è preziosa e pregiata, inoltre tu hai già troppo potere in questa dimensione, per quanto l'uso che ne fai è assai discutibile. Non intendo dartela”.

"Non immaginavo che mi avresti preparato un bel pacchetto senza discutere, ma non sono venuto fin qui per accettare un rifiuto. Non era una richiesta cordiale ".

La vecchia rimase in silenzio, osservandolo attentamente, era immobile, probabilmente non respirava neanche, del resto in quanto demone tecnicamente era già morta, pensò Magnus.

"Non avrai ciò che cerchi, stregone. Non oggi".

“Come ho già detto, non era una richiesta cordiale. Un vero peccato doverti mandare nel luogo ameno che tanto ricordi”.

“Tu non puoi uccidermi”.

“Questo è tutto da vedere, ci sono aspetti del mio affascinante e carismatico carattere, come tu sai, che devo ancora saggiare fino in fondo, ma, in ogni caso, non intendo farlo. Sai bene vecchia che un'ingestione del tuo prezioso miscuglio potrebbe dissolverti all'istante, tu ne sei solo la custode, ma non sei destinata a berlo. Tuttavia, qualora dovessi accidentalmente ingerirlo, potrebbe provocarti una … come dire … amnesia? Non sarà permanente, ma sarà istantanea e durerà comunque per un certo tempo, forse qualche secolo e durante questo breve periodo, come se fossi un'anima perduta qualunque, vagherai tra le dimensioni tornando ad essere quello che sei in realtà, uno schifoso demone. E' inutile ricordare che, a quel punto, sono in grado di evocarti come di distruggerti".

"Non oseresti! Avresti troppe spiegazioni da dare".

"A chi? Fidati, sarebbe solo uno dei tanti motivi per scansare la cena di festeggiamento del Giorno dell'Apocalisse in famiglia, non me ne farei un cruccio. Inoltre, mentre tu vaghi scappando dai Nephilim di questa dimensione, ignara dei tuoi lunghi e sicuramente atroci ricordi delle vite passate, nessuno controllerà la grande porta scorrevole dell'Infermo che, a quanto so, è di tua assoluta responsabilità. Sono curioso di sapere cosa dirai quando verranno a chiederti la ragione del bizzarro caos provocato da tutte quelle anime agitate che vagano tra i gironi terrorizzate e urlanti, per via dei ricordi che non hanno perso. Sai come sono i demoni infernali superiori, nella loro crudele e infinita superbia, tengono molto all'ordine in casa”.

“Non puoi e non oseresti”.

"Sei ripetitiva".

L'aria divenne blu, i contorni del corpo di Magnus erano scomparsi tra le fiamme, solo gli occhi verdi di distinguevano nettamente, più grandi del solito, delle potenti onde blu avvolsero completamente il corpo della vecchia che grugniva terrorizzata. Una scatola d'argilla rossa comparì nell'aria, si aprì e una polvere d'oro prese la forma d'un filamento e come un serpente cominciò a strisciare verso la vecchia fendendo l'aria. Questa, come paralizzata cercava di opporsi, ma non riusciva a muoversi. Qualche frammento della polvere ricadde nella tazza da cui stava bevendo, infiammandola all'istante. Lei cercava di muovere le mani o la bocca, ma non riusciva in nulla e vide la sua stessa mano del tutto estranea al suo controllo avvicinare la tazza alle sue labbra.

“Uccidimi piuttosto".

"E perdermi così tutto il divertimento?"

Magnus muoveva lentamente le dita, lo sguardo impassibile ad eccezione di una strana luce negli occhi che lo rendeva insolitamente crudele, la tazza aveva quasi sfiorato le labbra della vecchia, ma per un attimo le onde magiche allentarono la presa consentendo alla vecchia di parlare.

"Un ultimo commento, prima del tuo viaggio di sola andata verso il paese dell'oblio?"

"Cessa questa follia!”. La voce era stridula.

“Come vuoi”.

L'aria tornò limpida. Si potevano distinguere gli scaffali di legno ricolmi di vecchi volumi, le vetrine piene d'ogni genere di reperto magico, erba o amuleto che si potesse immaginare e i rettili secchi erano ricomparsi in fondo al bancone, ordinatamente divisi in grandi barattoli tondi.

“Perché chiedi ti venga offerto ciò che puoi strappare”.

“Sono cortese”.

“Prendi ciò che vuoi figlio di...”

“MAGNUS BANE!”

La polvere si era richiusa nel cofanetto e questo volteggiava per aria come una barchetta spinta dalla corrente. Improvvisamente sparì.

“Ti ringrazio”. Sembrava stranamente sincero.

“Vedremo”.

C'era altro. Un secondo dopo la sua apparizione nel negozio di Chinatown, degli esseri erano apparsi sul vicolo e si erano avvicinati all'uscio. Durante l'incantesimo erano rimasti impietriti ma non si era arresi svanendo nell'oscurità.

“Sarebbe stato meglio”, pensò Magnus tra sé.

“Vecchia sarebbe seccante minacciare di distruggerti due volte nella stessa serata, per cui, vado dritto al punto. Ti pregherei di trattenere i tuoi gentili clienti all'interno del locale per qualche minuto”.

“Non puoi farcela”.

“Ancora questa seccante mancanza di fiducia”.

Accompagnò le parole con un gesto della mano, spontaneo, dita leggermente piegate ma indice teso, simile a quello che i maestri fanno per sottolineare ai loro allievi l'importanza di un concetto.

“ A dopo”.

Uscì nel vicolo. Due uomini lo aspettavano a pochi metri dalla porta, altri due leggermente più lontani sbarravano l'accesso del vicolo verso destra. L'angolo sinistro era occupato da due figure scure.

“Quattro Shadowhunters e due demoni Iblis, un agguato in piena regola”, disse, ma sembrava tranquillo, a tratti divertito.

“ Scusate, pensate davvero che tenti di scappare? A piedi?”

“Sei finito demone” disse il cacciatore più vicino.

“Mezzo demone, prego. Non ti ha insegnato niente Valentine. Un tempo sceglieva i migliori ora deve essere a corto di personale e prende chiunque. Anche i vampiri cercavano un bambolotto da spupazzare, potresti informarti; certo a volte il bambolotto viene mangiato in un gioco erotico sfuggito di mano, ma capita assai di rado, ormai”.

Il cacciatore indignato cercò di colpirlo, diretto e frontale, ma Magnus schivò agilmente e con una mano inviò una sfera di luce blu verso sinistra e bloccò i demoni in una specie di cerchio di fuoco.

“A loro penso dopo”. In entrambe le mani comparvero delle piccole sfere di luce viola. “E dimmi, ripugnante traditore, cosa vi ha promesso il saggio Valentine questa volta? Potere? Un campo lager per Nascosti tutto vostro dove seviziare chi volete per puro piacere?”

“Il sangue dei Nascosti scenderà a fiumi. Tutti periranno insieme ai vigliacchi ignobili che li proteggono”. Tuonò l'altro e insieme si gettarono con impeto su Magnus. Uno fu bloccato subito da una specie di corda di luce che lo soffocava lentamente, una sfera colpì in pieno l'altro aggressore che si riversò a terra. “Risposta sbagliata!”. E lo incenerì.

Perché tutti parlano di Alexander, pensò, tra sé.

Gli occhi verdi luccicanti si girarono verso il cacciatore rimasto prigioniero che cercava di divincolarsi bloccato a mezz'aria. “E tu che mi dici?”

“Maledetto, ti distruggeremo”.

“Ma ti sei accorto della situazione? Dovresti provare, non so ... a parlamentare? Ma perché i seguaci del cattivo sono sempre dei perfetti idioti”.

Bastò un gesto della mano sinistra e la corda si strinse improvvisamente, era sul punto di soffocarlo.

“Scusa ma avrei bisogno della tua spada, l'altra l'ho dissolta”. Con un gesto fece volteggiare il pugnale angelico verso di lui, lo osservò, era lucente, brillava, come poteva stare nelle mani di quel demente.

“Non puoi sfiorarla”.

“Ma dove hai studiato arti magiche? Per corrispondenza? Hai saltato il semestre? Sai leggere?”

Questa volta emise un sospiro indignato e afferrò la spada. In quel preciso istante scatenò una furia inaudita, la sfera d'energia fu così potente che se non l'avesse controllata avrebbe raso al suolo l'intero quartiere cinese. La lama nelle sue mani improvvisamente divenne più grande e brillante, persa la luce bianca ora risplendeva d'un rosso intenso, come fosse infuocata, venata di nero e giallo. Con un gesto veloce della mano sinistra frantumò la barriera che tratteneva i demoni. Avrebbero potuto dissolversi ma, come già detto, gli accoliti dei cattivi non brillano mai per intelligenza e si avventarono su di lui che li dissolse con due fendenti.

La testa del cacciatore traditore galleggiava a mezz'aria. “Come puoi, tu demone...”

“In realtà preferisco la magia e odio la violenza, ma cadere in un'imboscata mi rende nervoso. Non serviva sprecare altra energia. Lanciò la spada sotto i piedi del cacciatore e con un impercettibile rotazione della mano destra strinse la corda. Un attimo prima che la testa mozzata rotolasse a terra con una sfera blu dissolse quanto rimaneva del corpo nell'aria.

Era esausto, controllare tutta quella magia e indirizzarla su un solo obiettivo l'aveva sfiancato. Ma non aveva ancora finito.

Entrò nel locale, si assicurò che fate e mannari fossero interi. Tutti dentro lo guardavano stupefatti. Sarebbe stato carino trattenersi per darsi un po' di arie ma si era fatto tardi e rischiava di cadere per la stanchezza. Una nuvoletta blu aleggiò sulle loro teste, lo sguardo divenne vacuo e prima che l'ombra del suo portale di dissolvesse, gli incauti clienti rimasero a guardare il vuoto. Avevano scordato tutto. Ad eccezione della vecchia. Neanche il suo te dell'oblio, se ne avesse avuto ancora, avrebbe potuto farle dimenticare quanto aveva sentito. Una potenza inaudita.

“L'avevo detto che non avevano speranze” e bevve un sorso dalla tazza ancora tiepida.

Ultima tappa: una piccola sala da te nel Queens. Un piccolo locale in legno, più simile alla tana di uno gnomo dentro una vecchia quercia che non ad un locale. La porta era dietro una siepe di margherite, occultata ai mondani. Riprese fiato per qualche minuto, doveva essere molto pallido. Era sfinito. Il locale era pieno, gente di tutti i tipi sedeva su panche di legno davanti a tazze fumanti e una bellissima donna mesceva una tisana al profumo di mirto. Appena lo vide sorrise e lenta gli andò incontro. Lui si fermò all'ingresso, appoggiandosi ad una preziosa colonnina di ebano intarsiata.

“Kira è venuta a cercarti. Le ho detto che non ti avrebbe trovato. Non mi ha creduto”.

Era arrivata così vicina che poteva contare tutte le lentiggini che popolavano quella pelle chiarissima arricchita da due taglienti occhi color azzurro cielo in una mattina gelida d'inverno. Lei lo spinse all'angolo e dolcemente lo trascinò in una piccola sala attigua. Il suo corpo aderì perfettamente a quello dello stregone, ne sentiva il profumo. Le labbra si avvicinarono in un lungo bacio. Le dita della fata si infilarono delicate e sicure alla ricerca della sua pelle e la trovarono sotto i vestiti, morbida e calda come ricordavano. Lui era impassibile, non un gemito, non un sussulto, immobile eppure le sue labbra erano scese lungo il collo bianco e vi tracciavano brevi cerchi a cui la pelle candida rispondeva con impercettibili ma immancabili vibrazioni.

Fosse stata un'altra sera... si sarebbe trattenuto, mani e labbra complici avrebbero svelato i segreti più reconditi di quel corpo bellissimo, si sarebbe divertito a guardarla godere vibrando come una tesa corda di violino, ansimante ad ogni suo assalto, avrebbe goduto anche lui, per qualche istante, inebriato e perso nella folta chioma rossa.

Un'altra sera. O un'altra vita.

Le sue labbra sicure arrivarono fino alla spalla, giocarono a sentire l'incavo sporgente della clavicola sotto i suoi denti, poi, con il tocco leggero della mano ricoprì, come a celarla, quella pelle candida, riportando su il mantello di cotone che l'avvolgeva. Le mani salirono fino al viso, gli occhi leggermente lucidi e le pupille dilatate dal desiderio per nulla celato di lei gli chiedevano di rimanere. Leggermente sollevò il viso della fata, tenendolo come sospeso nell'aria.

“Sarebbe un immenso piacere, mia cara, ma devo lavorare. Scusa se ti ho sottratta a lungo ai tuoi devoti ospiti ma mi occorrono subito delle bacche di sambuco rosa del Pingtung. Mi aspetta una serata impegnativa”.

“Immaginavo che non fosse una visita di cortesia … o di piacere”. Lo baciò all'angolo della bocca e velocemente scomparve dietro il bancone. Ricomparve con un minuscolo sacchetto di iuta, rigonfio.

“Tutte quelle che ho”.

Lo guardava, attenta a quei suoi magnetici occhi verdi mentre la sua mano cercava un sicuro riparo al prezioso dono infilandosi nella tasca destra dei pantaloni. Lasciò cadere l'oggetto e si trattenne, nuovamente avvinghiata, una mano sul fianco aveva ritrovato la pelle sotto la maglietta dello stregone, l'altra esplorava la tasca. Il lino leggero ben aderiva alla pelle da cui nulla lo separava e trovò ciò che stava cercando.

“Dovrai dirmi anche il prezzo. Dovrei andare, ma non prima di aver pagato”. Magnus cominciava ad essere in difficoltà. L'energia magica era tornata, ma qualche altra parte del suo corpo stava per esplodere.

“Avrei mille idee per farti pagare”. Gli occhi erano immobili nei suoi, neanche un istante si erano allontanati, le mani avevano trovato le pieghe della pelle che cercavano e si muovevano lentamente.

“Mia cara” un sorriso malizioso era sbocciato “niente mi renderebbe più felice in questo momento, ma devo andare. Ora”.

“In questo caso offre la casa, almeno per ora. In attesa del tuo ritorno. Se ci sarà. Una fata sa leggere nell'animo di uno stregone e nel suo corpo, non so dove vorresti essere Magnus Bane, ma non è qui, di certo. Sei cambiato. Lo sento”.

Gli occhi di ghiaccio, curiosi e implacabili, gli diedero il primo vero brivido della serata.

“Lavoro. È solo lavoro. Stanchezza arretrata.” La peggiore scusa che avesse mai detto. Tentava di mostrasi impassibile come brillantemente aveva fatto prima mentre le mani della fata vagavano sotto i vestiti alla ricerca della sua eccitazione ma ora ci riusciva molto meno.

“Il trono rimasto a lungo vacante è stato assegnato, lacrime verranno versate, ma l'appartenenza è come un marchio di sangue, nulla vi si può opporre. Mi toccherà consolare Kira appena tornerà, dolcemente e ... a lungo. Va' ora, fai i tuo dovere. Allontana le ombre da tutti noi”.

Magnus le diede un soffice bacio incastonandolo sulla fronte, tra la pelle d'avorio e i capelli rossi. Si trattenne per un istante e si scostò. Lei si allontanò, bella, soave e ammaliante come solo le fate sapevano essere. Aveva tenuto duro sino ad ora, ma anche lui aveva dei limiti.

Brindare come un idiota davanti casa del suo amante immaginario appena maggiorenne senza farsi vedere dai suoi genitori, poteva farlo.

Un antico demone cinese travestito da vecchina inquietante che gli porta i saluti dalla sua demoniaca famiglia paterna, poteva sopportalo.

Un agguato a tradimento di demoni e cacciatori traditori mandati da Valentine a ucciderlo, poteva contrastarlo.

Resistere alle sortite galanti di una fata meravigliosa dalla pelle di luna e dai capelli di fuoco, che giocava a disegnare sinuosi ed eleganti ricami sulla sua pelle, sarebbe stato molto difficile da fare, ma anche in quello poteva riuscire.

Ma pensava a quei due corpi perfetti, due fate, creature divine, strette avvinghiate a formate un'unica perfetta sublime entità, uno solo essere, in cui un corpo finiva dove l'altro iniziava, le mani ad indagare pieghe e curve tenuti ben celati, gocce di sudore che si mescolavano a lacrime, tristezze a paure, odio a passioni, nero su bianco, nero su rosso, la pelle che scivolava sulla pelle, le voci suadenti che diventano echi di piacere prima di sciogliersi, sublimi, l'una nell'altra. … beh quello da reggere era decisamente più impegnativo.

Del resto lui aveva un'incredibile immaginazione e quella suggestione sarebbe rimasta stampata per tanto tempo nel suo cervello.

Adesso era lui a vibrare come una corda di violino. Respirava male, la gola bruciava.

Era sul punto di inseguirla, correre dietro al bancone, spingerla dolcemente nell'ombra e amarla, in attesa che anche l'altra sua amante varcasse la soglia, fiera e triste al tempo stesso, implacabile in attesa di essere vinta. Stava per muoversi quando...il telefono squillò.

Lo guardò per qualche istante, come fosse una eco da un mondo lontano (e aver scelto l'Adagio per primo Bradenburghese come soneria tendeva a favorire questo suo continuo distacco con la realtà... doveva mettere Bruce Springsteen...) .

Poi vide il numero che lo chiavava.

“Cat”, quasi urlò, era ancora eccitato. Poi rimase in silenzio.

Era un vero e autentico idiota. Doveva uscire immediatamente da lì.

In un solo momento era stato realmente eccitato da quando aveva messo piede a New York. Davanti un rosone logorato dal tempo di una bianca chiesa cattolica in rovina. Era stato sopraffatto dall'odore della Bella di notte, la stessa che Alec sentiva prima di dormire. Un brivido lo aveva trapassato quando aveva scorto nel buio una timida luce accendersi nel dormitorio. Magari era lui. Aveva persino abbracciato l'aria. Voleva trasformarsi in aria, invadere la stanza, avvolgerlo, possederlo, amarlo, lentamente e inesorabilmente.

Pensava a questo da quando per ore aveva nuotato nell'Oceano freddo. Da quando si era perso nel blu profondo di quegli occhi. Voleva lui e lui soltanto. Non parlava alle stelle, ma a se stesso, le stelle erano silenziose testimoni delle sue promesse. Era lui che voleva stringere, nel suo corpo che voleva perdersi. Da secoli una e una soltanto era la sua più grande qualità. Non la magia, non il fascino, non l'ironia, ma la sua straordinaria capacità di sentire la bellezza, cercarla, trovarla. E amarla profondamente, perdutamente. Solo questo desiderava, lui.

Perdersi tra le braccia del divino, lasciarsi afferrare, sprofondare. In lui.

Era una autentico idiota.

Cat era rimasta a lungo vagando nei suoi pensieri, cullata dall'East River, in attesa, nella luce sfocata di un lampione. Si poneva ossessivamente le stesse domande da decenni, ma forse non avrebbe mai capito. Ormai era passata quasi un'ora, era inutile temporeggiare e si era perfettamente ripresa; afferrò il cellulare.

Squillava, squillava.


 


 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** La luce si fa avara ... amara l'anima ***


8 La luce si fa avara ... amara l'anima

Città di ossa, tra i capitoli 16 e 17


“Cat!”.

Una voce squillante le rispose, più acuta del solito, quasi frenetica, che lacerò l'ombra quieta della notte, che l'avara luce dei lampioni non riusciva a lambire.

Magari era così preso da non accorgersi, pensò Cat, sentendo un fitto brusio di voci confuse nello sfondo.

“Scusa, sono un po' in... indaffarato, ti … chiamo appena esco dal locale, dammi un secon... CAT!!! Maledetta strega! Perché non stiamo parlando dal satellitare? Perché non penso che tu abbia fatto un potente incantesimo di duplicazione infinita della rete 4G per creare un hotspot sull'Oceano? Dove diavolo sei? Cat!!!!”

“Qui! In città. In Ospedale”.

Poche parole, niente silenzi, evitare congiunzioni e locuzioni verbose, l'avrebbero tradita all'istante.

“Dovevo lavorare, c'era un'emergenza, erano messi male e mi hanno contattata. O dovrei … non so... licenziarmi ... perché tu possa andare tranquillo nei locali?”

“L'idea sarebbe più che plausibile”.

“Quante vite mondane faresti morire pur di salvare la mia magica esistenza?” Le parole erano uscite dirette e spontanee, dritte dal cuore.

“L'intero pianeta, all'istante e qualche satellite”. Anche queste, ma non erano state altrettanto sincere. “Ma non eri in ferie? Dovremmo rivedere il tuo accordo sindacale. Quanto perdi ancora?”

“Maledetto stregone pazzoide ...”.

Non ci starò molto, sarò lì a minuti, stava per dire la strega, ma si fermò all'istante e le parole le morirono in gola.

“Caaaaaaat? Che succede?”

“In ospedale? Di notte? Indovina, genio. Non dovrei perdere molto. Appena finisco ti raggiungo, sei ... a casa?”

“Sono fuori. Non so quanto tempo perdo ancora, ma tu vai, ci vediamo li”. In realtà aveva già finito.

“Allora ti aspetto al locale, se è ancora aperto”.

Il locale era aperto e pieno di gente, lo vedeva benissimo. I Nascosti in tempi oscuri come quelli avevano bisogno di poche cose specifiche: qualcuno che li proteggesse indipendentemente dalla loro specie magica, come una sorta di sacra tutela, ma anche di drink alcolici di qualità, sesso sfrenato senza barriere e rave ininterrotti. Stranamente quella sera in tanti pensarono che il locale di Magnus potesse offrire tutto il pacchetto.

“Se lo trovi chiuso mandami un messaggio, mi divertirò a licenziare all'istante i miei validi aiutanti con un SMS esplosivo. Chiudere in giorni come questi sarebbe un sacrilegio. Cat ... Caaaaat? Tutto bene?”.

Solitamente l'amica aveva la battuta pronta e sagace, almeno quanto lui, ma con un tocco personalissimo di poesia, data dal profondo amore che Catarina nutriva per tutti gli esseri viventi. Quel silenzio che calava prepotente a rompere le parole dette a singhiozzo lo preoccupava. Cat, d'altro canto, era veramente concentrata. Era rimasta in penombra, quasi nascosta. La luce avara dei lampioni della strada non arrivava sino dove lei aveva trovato riparo. Da interi minuti guardava verso l'alto, seguendo un'ombra scura che lesta si muoveva tra tegole e antenne e che si era fermata solo sul tetto del loft di Magnus.

“Caaaaat?”

“Sto lavorando. So che il concetto ti è del tutto, intrinsecamente e profondamente estraneo e capisco che tu riesci a concentrarti solo scegliendo le corrette sfumature di eyeliner ma potresti smettere di urlare? Mi innervosisci. Ci vediamo dopo”.

“Fai presto e … stai attenta strega testarda”. Chiuse.

Magnus in realtà aveva già finito, era uscito dal locale evitando il potente sguardo indagatore dell'antica amante ma non voleva farsi vedere dall'amica con quell'aria stravolta e sfinita. Lei capiva ogni cosa gli passasse per la mente anche quando teneva ben a freno i suoi sentimenti. Ma in quel momento sentiva di essere appena capitolato. Veniva sempre scoperto da Cat, all'istante, non poteva nasconderle quasi niente, avrebbe letto le sue preoccupazioni.

Inoltre era infastidito.

Solitamente la sua barriera di pungente ironia e attraente sensualità riusciva a schivare tutti gli sguardi così da poter celare i suoi pensieri dietro una maschera di finta impassibilità mista a cinismo senza timore di essere scoperto. Ma essere messo a nudo da una fata … questo ancora non gli era successo.

Doveva pensare, concentrarsi.

Lui non lo aveva chiesto, non aveva osato, ma Cat era tornata per aiutarlo. Anche se avrebbe preferito saperla al sicuro sull'isola, l'incantesimo che aveva in mente era molto potente e due mani fatate in più avrebbero fatto comodo. Le antiche erbe cinesi avevano il potere di cancellare ogni traccia di aura presente, se giustamente utilizzate gli avrebbero permesso di identificare nella sua ricerca tutti i mondani, il sangue dei nascosti mescolato al mirto e al sambuco avrebbe conferito alla mappa il potere di evidenziare tutte le creature magiche presenti e tutti i fenomeni demoniaci in atto. A quel punto a lui sarebbe bastato solo trovare una zona totalmente oscura, apparentemente priva di fenomeni magici e aure umane, perché era sicuro che Valentine si stesse celando dietro un potente scudo. Lì avrebbe mandato i vortici, modificati per assorbire la magia oscura celata. La combinazione dei due incantesimi gli avrebbe rivelato l'esatta posizione di Valentine con la sua crew di cacciatori pazzi e orribili Dimenticati e, magari, anche di rivelarne i piani.

Facile ... a dirsi!

Ma di facile non c'era niente.

Intanto lui presumeva fossero vicini ma non poteva esserne sicuro, poi avrebbe trovato milioni di zone d'ombra anche in uno stato come New York e le dosi di te erano limitate. Inoltre mentre lui era impegnato nell'incantesimo di localizzazione, Cat avrebbe dovuto mandare i vortici ma si sarebbe esposta e, se fossero stati scoperti, sarebbero a loro volta stati localizzati facilmente e tutti i cattivi sarebbero piombati su di loro all'istante. Lei lo sapeva, per questo era tornata subito. Avrebbero dovuto combattere, lui e Cat e l'incantesimo avrebbe portato l'intera banda a due passi dal rifugio... Valentine doveva avere dei demoni superiori dalla sua, la magia che usava era troppo potente. Lui avrebbe combattuto, fino all'ultimo ma Cat? Usare la magia per ridare vita è una cosa, per toglierla è ben altra, anche se si tratta di esseri diabolici. E poi, anche loro, gli stregoni, erano esseri in parte diabolici, in fondo.

Era tormentato da mille pensieri. Ed era sfinito.

Camminò per qualche metro fuori dal locale in direzione casa, ma era troppo stanco per aprire un portale, così si avvicinò alla strada e chiamò un taxi. Le pantere gialle! La vera ancora di salvezza in ogni angolo e a qualunque orario per chi è in difficoltà nella grande mela. Il guidatore si fermò, lo fissò con aria prima incerta poi disgustata. Un giovane maschio orientale dal viso di angelo, avvolto in un prezioso abito lino che si aggira di notte per le vie del Queens con l'aria sfinita. I suoi occhi esprimevano una tremenda ostilità e all'incauto tassista erano bastati due secondi per studiarlo, giudicarlo e condannarlo senza appello. Magnus pensò alla vecchina cinese demone custode dell'inferno e le attribuì uno sguardo simile mentre interrogava gli sventurati malcapitati che le passavano sotto le grinfie. E non aveva avuto neanche il tempo di truccarsi quella sera, cosa che accadeva molto di rado ...

“Se avessi la forza ti trasformerei in un piccolo porcellino di India e ti rosolerei per cena”, pensò. “Mi porti al Brooklyn Bridge Park”, disse solamente.

“Nottata lunga?”. Vedeva lo sguardo del tassista dallo specchietto.

“Non più di molte altre”, rispose e reclinò la testa sul sedile, chiudendo gli occhi. Aveva appena socchiuso le palpebre, quando un paio di occhi blu intenso gli vennero alla mente. Lo aveva visto solo una volta, ci aveva solamente parlato e lui ancora non lo aveva neanche richiamato. Forse non avrebbe mai fatto. Ammettere di essere gay in una famiglia di superdotati è già difficile, uscire con uno stregone maledettamente sexy e alla moda era un'altra. Già, forse non avrebbe mai richiamato ... E allora, perché ci pensava continuamente? Ripensava alle parole della fata.

Diamine, lo aveva proprio scritto in faccia!

Era uno stupido irrecuperabile idiota senza speranze, pensò, prima di prendere sonno.

 

A Cat in quel momento due cose proprio non tornavano.

Primo.

Per quale bizzarro motivo uno stregone potente dalla raffinata e vasta cultura, che aveva dedicato anni a imparare tutte le lingue del pianeta, per non sentirsi mai un estraneo da nessuna parte del globo, abile conoscitore di diversi idiomi infernali necessari al lavoro (se per lavoro evochi e maledici demoni, si intende), ebbene, per quale ragione un uomo di tal fatta non riusciva a gestire una conversazione al telefono?

Niente, da almeno un secolo.

Struttura base: squillo, breve conversazione ovvero inconcludente scambio di battute o urla (in base alla circostanza), muto.

Niente, non era mai riuscito a dire, non so, “ciao”, o “a dopo”, “buona serata”. Niente di niente, riagganciava e ti mollava lì ad aspettare che la linea cadesse da sola. Un poliglotta immortale con in mano uno smartphone che sembrava un bambino con l'abbecedario.

Secondo, e molto più importante.

Cosa diavolo ci faceva Alexander Gideon Lightwood, un Nephilim, giovane rampollo della più importante famiglia di Cacciatori della città, seminascosto da una runa dell'invisibilità a correre agile come un gatto sulle tegole scomposte dei tetti di Brooklyn, veloce come un ladro inseguito, furtivo, fulmineo e nero come la notte?

Non aveva il potere per insegnare a Magnus a parlare civilmente al telefono ma avrebbe scoperto di più su quel Nephilim e sui motivi che lo portavano ad arrampicarsi ad una cimasa non troppo resistente. Quella strana circostanza poteva risolversi in una grande risata o in un'immensa tragedia.

Sorrise, un bagliore negli occhi. Forse, dopo secoli di scherzi assurdi e avventure indicibilmente imbarazzanti poteva vendicarsi di quel grande idiota del suo amico …

Alec correva.

Senza prendere fiato, senza fermarsi, più che poteva. Saltava ignorando l'altezza, il buio e il freddo. Il gelo era dentro al suo cuore e non voleva fermarsi per non esserne sopraffatto, non aveva una meta precisa, voleva scappare e non fare mai più ritorno.

Che vile pavido stupido maledetto idiota!

Quando si era avvicinato a Clary pensava di avere tutto sotto controllo, milioni di volte aveva ripassato quella conversazione nella mente, come una parte per la recita della scuola, ripeteva le parole mnemonicamente, lo faceva da giorni. Le parole furenti di un Hodge arrabbiatissimo che li aveva folgorati di ritorno dalla tana dei vampiri avevano sono acceso in Alec la miccia di un odio latente recluso da troppo, erano state il pretesto, l'occasione.

Odiava così tanto ...

Le lacrime scorrevano mescolate al sudore, tremava ma aveva un tale freddo nonostante la corsa, tremava nonostante la fatica e correva... Aveva lasciato le ultime luci appena era saltato giù dal tetto dell'Istituto. I raggi avari dei lampioni ghermivano appena i tetti delle case. Conosceva quella via di fuga per via dei suoi fratelli, Izzy e Jace la usavano spesso per uscire di casa senza permesso, coperti dal favore della notte e diretti a qualche festa proibita, mentre lui rimaneva a leggere un libro in camera sua. Ora, da patetico essere qual era, usava il corridoio segreto per andare a disperarsi tutto solo, in compagnia della lontana luce delle stelle. Era buio, anche la luna sembrava distratta, cosi salì il più in alto possibile, per ghermire i pochi raggi d'argento rimasti.

Era travolto da una rabbia funesta, indomita e indomabile. incontrollabile.

Odiava, odiava e odiava ancora, cosi' forte che avrebbe voluto urlare e squarciare il cielo, così forte da non riuscire a respirare...

Odiava Jace.

A lui era bastato solo saperlo al sicuro, solo questo, da anni. Aveva seguito tutte le regole e rinunciato a tutto. Lo avrebbe amato in silenzio e da lontano, questo aveva deciso. Sarebbe morto dentro senza mai fargli una carezza da innamorato, solo il tocco sicuro nell'incidere le rune sulla pelle perfetta era quanto si concedeva, o sorreggerlo quando era ubriaco, o stringerlo nei combattimenti corpo a corpo o nelle localizzazioni da parabatai. Solo questo, ma almeno sarebbe stato al sicuro. Lui sapeva. Jace non era un eroe senza macchia e senza paura, gli eroi sono disposti a morire per qualcosa di grande e nobile, ma sono disposti a farlo perché amano vivere. Per Jace vivere era il vero sacrificio, lui sapeva che dietro quel coraggio assurdo e quella ostinata volontà di rischiare la vita ad ogni passo, c'erano incubi oscuri, una madre mai vista e un padre visto morire, una tristezza irrefrenabile, un'ansia eterna e implacabile: Jace voleva morire, ci provava ogni giorno, in modo glorioso, utile, forse anche bello a volte, ma la morte era quello che cercava ostinatamente, perché non si era mai perdonato di essere sopravvissuto ai genitori, perché dentro aveva un'infelicità nascosta così profondamente radicata che l'elogio costante e il plauso di tutti quelli che lo conoscevano non riusciva a calmare, come non bastavano le storielle d'amore finte di una notte né l'amore vero della sua famiglia. Tutte queste ancore non riuscivano a tenerlo, non riuscivano ad annientare la sua vocazione all'autodistruzione. Ma lui lo sapeva, da quel giorno intero passato a chiedersi se voleva diventare il suo parabatai e vivere così per sempre all'ombra di quel grande uomo... lui lo sapeva e aveva detto si. Jace sapeva che Alec lo avrebbe sempre protetto, lo avrebbe tenuto attaccato alla vita fino a quando avrebbe avuto fiato, per questo gli aveva rivolto quell'offerta che chiunque avrebbe rifiutato, chiunque tranne lui. E così aveva fatto, anno dopo anno, tra un allenamento e una missione, sempre a pretendere il massimo e a guardargli le spalle, sempre. Era bastato, fino ad ora...

Ora era nulla.

Non poteva stare fermo. Aveva bisogno che il vento in faccia gli asciugasse le lacrime. Iniziò a correre.

Odiava Clary.

Odiava Clary per l'amore potente che vedeva negli occhi di lei e in quelli di Jace, sapeva che avrebbe portavo il suo amato fratello lontano da quel “noi” che non sarebbe comunque mai esistito, perché sarebbe stato un oltraggio indicibile solo il pensarlo. Lei, Clary, che in qualche giorno aveva rovinato tutto, distrutto un equilibrio che con dolore e fatica Alec aveva tirato su, pietra dopo pietra, per anni. Lei era arrivata come un fulmine portandosi dietro Valentine, la coppa, l'occhio del Clave, i suoi genitori in preda all'ansia del giudizio della comunità, ovvero tutto ciò che al mondo avrebbe potuto distruggerlo, tutto quanto popolasse i suoi incubi da sempre, tutto in un istante era apparso. Eppure aveva nutrito una flebile speranza, che il suo parabatai per quell'amore si sarebbe attaccato alla vita, almeno un po', almeno per Clary, perché l'amava, l'aveva scritto in ogni muscolo del suo corpo tutte le volte che la guardava, l'amava e la guardava come se lei sola potesse guarire quella ferita che si portava dentro. Ma non era bastato quell'amore a placare l'animo ostinato di Jace…una missione suicida nel covo dei più spietati vampiri della città, come prede, finite in mezzo nella lotta atavica tra vampiri e mannari, salvi per un soffio e da soli, perché questa volta Jace lo aveva lasciato indietro. Lo aveva lasciato indietro... Lui era disposto a morire, a lasciare Clary da sola nel covo dei vampiri ma lo aveva comunque lasciato indietro.

Correva.

Era a qualche passo dall'infermeria dove Hodge aveva mandato Jace e Simon, queste le ultime cose che ricordava, barcollava, stava per aprire la porta ma appena capì che avrebbe visto Jace e quel mondano era volavo via per le scale e poi dalla finestra al tetto, si era lanciato prima ancora di farsi le rune e stava per cadere, con un precario equilibrio si era arrampicato come se non riuscisse ad evitare di urlare, sperava che il cielo l'avesse placato ma non era bastato e aveva cominciato a correre.

Correva da ore.

Ma non sapeva dove andare. Il suo fisico era potente e allenato, aveva la magia delle rune, ma era ugualmente al limite. Non scappava da Clary o da Jace, da Isabelle o dalla sua famiglia o dal Clave o da Valentine, ma da se stesso.

Era stato ripugnante.

Nella mente risuonava distinto il rumore della testa di Clary che sbatteva violentemente contro il muro, sentiva tra le mani la sua carne, le sue ossa, aveva avuto l'impeto di romperle un braccio, aveva rischiato di ucciderla... E poi sarebbe dovuto andare da Jace? Come avrebbe osato? Non aveva mai ucciso niente, nessun demone, nessun Nascosto, nessuna creatura infernale, perché anche nell'essere più spregevole vedeva una luce che non si sentiva capace di spegnere. Non importa quanto fosse perfido, chi era lui per decidere? Lui, il gay nascosto della famiglia! Il Clave aveva escluso la possibilità che un gay potesse essere un cacciatore o tanto meno che potesse mai innamorasi teneramente del suo parabatai... il Clave e la sua legge avevano escluso tante di quelle cose che lui sapeva essere vere, che sentiva essere giuste. Troppi dubbi nella sua testa gli impedivano di uccidere, riusciva solo a ferire e sempre per proteggere quanto di più caro aveva: Isabelle e Jace. E ora? Ora che la sorte mandava a suo fratello, perché per l'Angelo, Jace era suo fratello, ora che la sorte gli mandava la ragazza dei suoi sogni, lui per poco non l'ammazzava spaccandole la testa contro un muro.

Doveva andare, non poteva più tornare. Jace l'avrebbe saputo e l'avrebbe ucciso. Meglio se l'avesse fatto... ma purtroppo, non l'avrebbe ucciso, l'avrebbe guardato con quel disprezzo di cui solo Jace era capace, facendolo sprofondare in un abisso di solitudine peggiore della morte. Si fermò un attimo. Era arrivato a … Brooklyn! Aveva corso sulle fredde assi metalliche del ponte ed era a Brooklyn. Conosceva quel posto. Il locale dei Nascosti più alla moda della città era a pochi metri sotto di lui. Doveva essere sul tetto dell'edificio vicino. Rimase impietrito. Era sul tetto di casa di Magnus Bane! Che diavolo ci faceva lassù? Perché era arrivato li? Il vento aveva asciugato le lacrime ma doveva avere gli occhi ancora rossi. Immagina che conversazione. “Ciao, scusa il disturbo... No, passavo da qui ... dal tuo tetto ... Non trovavo una scusa per chiamarti e sono venuto qui, sul tetto, a vedere come stava l'unico essere sul pianeta che per 5 minuti mi ha fatto sentire il centro dell'Universo. Ah .. già non hai la minima idea di chi sono... ovvio … perché uno come te dovrebbe pensare a me ...”. Stava parlando da solo, tra sé, mentre scorgendosi aveva cercato un cenno di presenza nel loft. Niente tutto buio. Doveva essere sollevato ma rimase stranamente deluso. Per un attimo il pensiero di quegli occhi verdi avevano cacciato via la malinconia che densa abitava il suo cuore.

Era uno patetico maledetto idiota senza speranze. E ora doveva tornare all'Istituto prima che qual ...

“Aaaahh”

Un urlo agghiacciante aveva squarciato l'aria.

 
Nota dell'autrice. Avevo iniziato per gioco e per rendere merito a un grande personaggio che mi ha appassionato dal primo rigo. Poi la storia ha preso vita propria e la scrittura mi ha travolto. Ho un gran bisogno delle vostre critiche, dei consigli e dei suggerimenti, su tutto, dalla trama ai personaggi, dalla lingua allo stile. Grazie davvero a chi ha letto e scritto fino ad ora e, in particolare, a cristal_93 e LaVampy per i preziosissimi consigli senza cui non sarei andata tanto avanti. Spero vi piaccia.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** L'ombra stampata sullo scalcinato muro ***


9 L'ombra stampata sullo scalcinato muro

Città di ossa, tra i capitoli 16 e 17

 

Una donna, giovane probabilmente, sicuramente terrorizzata, forse ferita ... doveva intervenire!

L'urlo nero aveva squarciato l'aria. Alec sussultò vibrando in attesa, guardava attorno, attento, si muoveva nell'ombra, agile, gesti decisi e sguardo risoluto in un istante avevano preso il posto della triste malinconia. Sarebbe stato infelice dopo, ora doveva agire da cacciatore. In pochi secondi capì cosa fare, si avvicinò al margine, fece leva su una cimasa e scivolò giù attraverso una grondaia, utilizzando la sua cinta di pelle come se fosse una piccola corda legata a guisa di passante. La sua figura si stagliava decisa nel buio, la sua ombra stampata sul muro a contorni netti dai pochi raggi della luna sembrava camminasse sul nero della notte. Scese e fu subito sopra una macchia scura, una figura esile si intravedeva appena. Giaceva piegata. Urlava di dolore, ne sentiva la paura e il tremore.

“Lasciami maledetto!”

D'istinto prese la mira, lanciò il pugnale e … centro! L'ammasso si accasciò di lato, lasciando parzialmente libera la figura femminile. Non era sicuro di farcela, non aveva con sé la sua faretra che lo faceva sentire molto più a suo agio nei combattimenti per via della sua mira micidiale, era uscito d'improvviso, era praticamente fuggito sul tetto e pensava fosse rimasto lì, a compiangersi da solo, non immaginava certo che si sarebbe trovato nel bel mezzo di una caccia.

Poi ... era solo.

Non era mai accaduto, mai. Lui era un arciere, copriva la retroguardia e solitamente era concentratissimo ad osservare i movimenti di Izzy e Jace, controllava gli angoli, il perimetro, le retrovie, ogni impercettibile movimento avvenisse a distanza di metri, solo per proteggerli. Ora era diverso, era solo, completamente solo. Loro erano lontani, al sicuro e lo immaginavano disteso nel suo letto a leggere un libro alla luce fioca della lampada in compagnia del suo sdegno. Ma lui era lì e doveva agire. Doveva avvicinarsi e terminare l'opera o il demone si sarebbe presto ripreso, ma aveva solo un pugnale con sé e d'istinto l'aveva lanciato per proteggere l'esile figura che sapeva in pericolo, ora doveva riprendere velocemente la sua arma e terminare il lavoro o entrambi sarebbero stati in pericolo. Come diavolo altrimenti avrebbe affrontato un demone, completamente disarmato? No, aveva ancora il suo stilo, era affilato e robusto. Il muro scalcinato rivelava a stento l'impercettibile movimento di quell'ombra che vi era stampata sopra dai raggi della luna. Avanzava lentamente alle spalle del demone quando una palla di luce verde esplose contro l'ammasso scuro, prima che lui potesse avvicinarsi tanto da sfilare la lama lucente che vedeva conficcata poco sotto la testa. Un bagliore improvviso e l'ombra evaporò in una nuvola di fiamme. La figura di donna, esile, che era rimasta per tutto il tempo leggermente protesa in avanti, si accasciò al suolo con qualche gemito. Senza pensarci fu su di lei.


Era morta?

Forse non era arrivato in tempo, maledizione...

 

Si avvicinò, la prese dolcemente tra le braccia. Una ragazza minuta, un volto bianco e sottile incorniciato da lisci capelli neri, sottili come seta, carnagione chiara, corporatura esile, qualche livido sul viso e graffi sulle braccia, in più punti la tuta nera era strappata. Era svenuta, ma viva. Alec si sedette vicino a lei, con dolcezza e ogni cura possibile l'appoggiò alle sue gambe e la ricoprì con la sua giacca. Pioveva nell'aria fredda della sera.

“Ehi, mi senti?”

Respirava lentamente. Lei riaprì gli occhi. Osservò i due pezzi di blu profondo che la scrutavano preoccupati da dietro una ciocca di capelli neri che cadeva scomposta sulla fronte sudata. Nonostante la corsa e la fatica, il viso di Alec era d'un bianco angelico, i lineamenti netti, gli occhi grandi, lo sguardo commosso. Sembrava davvero un angelo, Cat cominciava a capire.

“Ehi, mi senti?” Alec ripeté, incerto.

Il tono ansioso della sua voce tradiva una preoccupazione sincera.

“Tu ... chi sei?”

“Mi chiamo Alec. Ciao. Come ti senti? Sei ferita?

“Solo graffi e lividi ma sono intera”.

I profondi occhi castani si erano aperti, due fessure nella notte che avevano catturato lo sguardo del cacciatore.

“Tu … chi sei?”  Ripeté.

“Sono un cacciatore e tu ... una strega, deduco. Passavo per caso e ti ho sentito”.

“Cammini spesso ... sui tetti della città da solo?” Rise lentamente, socchiudendo gli occhi. “Sono Teresa e si, … sono una strega. Anche se non molto potente, come hai potuto vedere”.

La ragazza aveva ripreso i sensi (o almeno così credette Alec) e con una mano si sistemò i capelli sul volto coprendo un piccolo accenno di corno che appariva sulla fronte.

“Un tocco di classe”, disse.

Alec sorrise. “Ne ho visti di peggio e più appariscenti, tranquilla”. Mentì, il corno aveva catturato la sua attenzione ma non voleva farla sentire in imbarazzo.

“Sei una giovane strega, l'ho capito dalle fiamme verdi... o magari non sei neanche tanto giovane, voi non invecchiate, vero? E un po' potente devi esserlo, l'hai dissolto ... Sono un cacciatore, noi proteggiamo i nascosti, tranquilla. Chi ti ha fatto del male?”.

Le parole di Alec avevano il suono dolce della sincera empatia che rivelavano, come il suo sguardo. Teneva tra le braccia una strega a cui aveva appena salvato la vita ed era veramente preoccupato per lei.

“Un demone, non so altro. Ha provato a … non so di preciso.. risucchiarmi i poteri, penso. Cercavo di resistere ma non ci riuscivo, se non l'avessi distratto mi avrebbe assorbita e … uccisa. Tu l'hai colpito, lui stava per assalirti e ha distolto lo sguardo, così ho lanciato l'ultimo attacco che potevo, ero a limite, ma lui era ferito e debole. Ora sono sfinita”.

La ragazza aveva un'aria triste e distolse lo sguardo.

“Se non fossi arrivato tu ...”

“Ora ci sono. Devi riposare. Dove posso portarti? Se non hai un posto dove andare puoi venire con me al nostro Istituto”.

“Cerchi di portarti a casa tutte le streghe che salvi?”

Alec rimase impietrito, occhi sgranati, rossore sul volto

“No, per l'Angelo! Non lo farei mai ...”

“Sono così brutta?”

“No, affatto! Solo … non il mio tipo … volevo solo aiutarti, scusa”. Sorrise, il rosso delle guance anche di notte tradiva il suo imbarazzo.

“Dai, scherzavo … non avete un gran senso dell'umorismo voi cacciatori. Mi hai appena salvato la vita, di che ti scusi? Sono stata fuori luogo, io dovrei scusarmi. Grazie per la gentile offerta, cacciatore, ma sto cercando una persona, solo che mi sono persa”.

“Da dove vieni? Non sei di qui ...”

“No, in effetti. Vengo da lontano. Nord del Canada”.

Catarina l'aveva visitato lo scorso inverno, l'aveva trovato un posto incantevole. Sarebbe dovuta andare con Magnus ma lui l'aveva piantata all'ultimo per una settimana in Tunisia con una ballerina del ventre mezza fata appena conosciuta … vendetta dolce e tremenda vendetta. Dovette trattenere le risate pensando alla faccia di Magnus appena avesse saputo della sua performance. Trovava quella situazione incredibilmente eccitante e divertente. L'idea le era venuta all'improvviso e sperava che il Cacciatore non approfondisse le domande, non aveva avuto molto tempo per pensare ai dettagli. Aveva visto un'ombra agile scorrere veloce sui tetti e fermarsi proprio sul loft di Magnus, visti i tempi, l'aveva guardata con attenzione e l'aveva riconosciuto, aveva elaborato il suo piano, si era trasfigurata e aveva creato un demone ombra finto. Nell'impeto, per proteggerla credendola in pericolo, il Nephilim aveva tirato il pugnale e per fortuna aveva una grande mira o l'avrebbe infilzata. Non si aspettava una reazione così immediata, bei riflessi l'angioletto! Prima che il suo intrepido salvatore potesse accorgersi dell'inganno aveva dissolto il finto demone e iniziato il suo show. Non era un Nephilim qualunque, quello che aveva visto sul tetto del loft, l'aveva riconosciuto subito. In realtà non lo conosceva affatto, l'aveva visto solo quando era un bimbetto di neanche un metro, con guancette alte e occhi dolci, ma dopo la criptodichiarazione del suo pazzoide amico magico aveva fatto qualche ricerca, meglio prepararsi al peggio. Aveva mandato, a grande rischio, un piccolo vortice spia all'Istituto, tenendo ben celato il suo piano. L'aveva studiato con attenzione anche se per poco, non sarebbe stato piacevole se una strega potente fosse stata scoperta a spiare il rampollo di una nota famiglia di cacciatori in camera sua. L'impressione che ne aveva avuto era confermata. Alexander aveva un'aria triste che scompariva solo quando si prendeva cura di qualcuno. I lineamenti era perfetti, netti e dolci al tempo stesso, la voce calda, gli occhi blu, sinceri da metterti in imbarazzo al solo posarsi ed erano incorniciati da una chioma di folti capelli neri ribelli. Era bellissimo e, a giudicare dall'aria schiva e dagli abiti smessi tutti color notte, non aveva la minima idea di esserlo. Magnus non aveva alcuna speranza, si sarebbe innamorato perdutamente di quell'anima candida. Pardon … Magnus si era già innamorato perdutamente. Cat sperava, solamente, che il cacciatore oltre l'ovvia passione per le armi, tipiche della sua specie, non avesse alcuna aspirazione artistica che il pazzoide stregone avrebbe potuto voler condividere. Non sarebbe sopravvissuta ad un'altra esperienza musicale del suo caro diabolico amichetto o a improbabili saggi di danza. Voleva indagare. Che tipo era l'uomo che aveva catturato così intensamente e velocemente il suo sguardo verde ambrato preferito? Mentre si trasfigurava, per una geniale intuizione, aveva deciso di prendere le sembianze di Camille, solo mantenendo la sua statura e assumendo dei tratti più dolci. Non che ci volesse molto, visto che si stava paragonando ad un boa assassino pronto al suo pasto mensile...

“Ho viaggiato molto. Cercavo uno stregone molto potente, si dice che stia per arrivare una tempesta magica e che lui protegge quelli come noi. Io sono sola, non ho nessuno. Mi hanno detto di venire qui, non so bene dove siamo, non conosco la città, né conosco questo stregone di cui tutti parlano. Ero con un amico, ma lui non ce l'ha fatta, ci hanno attaccato due notti fa. Ho cercato di aiutarlo ma … non sono tanto forte. Quel demone deve avermi seguito, sono stata attenta ma non l'ho visto. Se non fossi arrivato tu non avrei avuto molte speranze”.

Aveva detto le ultime parole distogliendo lo sguardo e assottigliando il tono della voce, come a farle uscire flebili e spezzate. Vaghi ricordi del corso di recitazione a cui Magnus l'aveva costretta tanti anni fa, quando si era invaghito di un attore itinerante e voleva creare una compagnia indipendente. Se solo l'avesse vista ... Perfetto, semplicemente. C'era tutto il repertorio. Damigella in pericolo, sola, senza famiglia e amici, terribili presenze che tentavano di distruggerla, salvata all'ultimo istante da un bellissimo eroe senza paura, mentre vagava nell'ombra della notte alla ricerca dell'unica speranza, un grande e potente stregone di cui non sapeva nulla. Si sarebbe data l'oscar, altro Jennifer Lawrence! E in così poco tempo... Anche l'abbigliamento. Una tuta nera, stivali di cuoio e una striscia di seta verde tra i capelli. In realtà mentre si trasfigurava aveva guardato i vestiti di Alec e li aveva riprodotti. Sembrava la sorellina piccola...

“Ehi, come ti senti?”.

Cat si era un attimo persa nei suoi pensieri e aveva perso le ultime parole del suo salvatore.

“Meglio, grazie”.

Ma lui doveva aver preso la distrazione per angoscia e il sussulto provato al richiamo delle sue parole per un'aria smarrita perché l'abbracciò, dolcemente, a lungo, come per farle calore. Diamine, si sentì in colpa... stava truffando un gran bravo ragazzo dal cuore nobile, stava per cedere ma si fece forza, era per una buona causa, una delle migliori che lei avesse in quel mondo bizzarro, in assoluto.

“Hai fatto bene a venire qui. Lo stregone di cui ti hanno parlato è il sommo stregone di questa città, si chiama Magnus Bane”. La voce di Alec tremava impercettibilmente. La allontanò dolcemente da sé, sempre tenendola tra le braccia. “Lui è potentissimo ma usa la sua magia solo per proteggere i suoi simili, i Nascosti e tutti noi, combatte solo gli esseri crudeli e con quelli è implacabile, ma ti aiuterà, stai tranquilla. É potentissimo ma non è vecchio, cioè … forse lo è ma non sembra. Se guardi vedi solo un giovane ragazzo, dai tratti orientali con un dolcissimo sorriso. Ti accorgi che uno stregone perché ha dei meravigliosi occhi verdi e ... ”.

Alec si fermò. Non era il caso di continuare, aveva parlato di Magnus a ruota libera ma sicuramente dare altri dettagli sarebbe stato fuori luogo.

“Scusa magari non ti interessano queste cose”.

“No, anzi. Mi aspettavo un vecchio barboso verdognolo o bluastro, con vestiti noiosi e sguardo austero che gestiva una specie di convento”.

“Sei completamente fuori strada. È giovane, bello, simpatico e gestisce un night, poi é molto generoso, lo capisci subito che ha un'anima buona. Ti porto da lui, sarai al sicuro”.

Sentir parlare del suo amico così, con quelle parole e con la tenerezza infinita che lasciavano trasparire l'aveva colpita oltre ogni aspettativa. Alla fine Alec aveva incontrato Magnus una sola volta, ma ne parlava come se lo conoscesse da tempo. Magnus era ipnotico, lo era sempre stato e lei lo sapeva più di chiunque altro, solitamente colpiva tutti per la sua bellezza, era “assolutamente desiderabile e sessualmente molto attrattivo” come lui stesso amava definirsi, colpiva per il suo abbigliamento, la sua innata eleganza, per i trucchi e il portamento, rimaneva impresso per la sua magia, per il suo potere era amato, desiderato, temuto e odiato, incuriosiva per le mille vite vissute, era, e amava esserlo, costantemente al centro dell'attenzione. Ma nessuno lo aveva mai descritto come “un essere potentissimo che usa la sua magia per proteggere i suoi simili, come un essere generoso che sfida i crudeli”. Solo lei o Tessa lo avrebbero descritto così, lo stesso Ragnor si sarebbe astenuto dall'usare tali parole, ricordando una decina di eventi alquanto problematici che lo riguardavano. Da dove veniva fuori quel ragazzo? Capelli neri, lineamenti perfetti, pelle d'avorio e occhi blu, praticamente aveva i tratti somatici che Magnus amava fra tutti, una dolcezza spontanea pari solo a suo coraggio, una nobiltà innata e una magica capacità di leggere l'animo delle persone, o almeno quello dello stregone, più ogni essere vivente avesse mai incontrato. E pensare che Magnus quell'animo lo teneva ben celato! Questa volta l'universo aveva giocato al suo amico davvero un brutto scherzo. Sembrava che Natura in persona si fosse vendicata per tutte le volte che ne avesse alterato gli equilibri. Strani esseri gli stregoni, figli maledetti e figli prediletti, capaci di vedere oltre, di amare oltre e di soffrire più di tutti.

“Deve essere un tipo molto famoso”.

“Si lo è. Sempre alla moda e organizza mega feste di continuo a cui vanno tutti. Anche se a volte sembra lo faccia più per dovere ma che in realtà non si diverta poi molto”.

“Dovete essere molto intimi, voi due”. Catarina si sentiva un verme immondo ma doveva sapere, adesso, era troppo curiosa.

“No, in realtà l'ho incontrato solo una volta. Sono andato alla festa che aveva organizzato per … il suo gatto. Anche io avevo bisogno di aiuto, ero con i miei amici e ci ha aiutato, senza chiedere nulla, subito. E aveva tutto il diritto di non farlo, i miei simili sanno essere spietati e crudeli e lui lo sa più di tutti. Ma ha aiutato anche se noi cacciatori non gli piacciamo per nulla, però ci aiuta sempre, a quanto pare, da secoli, anche se dice di non volerlo fare. È davvero … una bella persona, per quel poco che so”.

Le ultime parole erano state interrotte da un sospiro e Alec le aveva pronunciate guardando il cielo e un po' di malinconia era tornata a velare gli occhi.

“Ehi, ma tu stai bene? Scusa se te lo chiedo, cioè mi hai appena salvato la vita ma … sembri così triste” e si trattenne in tempo prima di dire “lassù da solo”.

“Avete grandi poteri, è vero quel che si dice e sapete leggere l'animo delle persone. Grazie, sei gentile a chiederlo. Era solo una brutta giornata, ho fatto una cosa orribile e avevo bisogno di una passeggiata. Pensavo a questo quando ho incontrato te. Anzi, grazie Teresa, per avermi salvato da una pessima serata”.

“Grazie a te, Alec. Cercherò di rischiare la vita e farmi salvare ogni volta che avrai bisogno di uno svago”. Risero entrambi.

“E ora? Voglio dire... sei ancora triste?”

“No. Va meglio. Ho pensato a … delle belle cose e ora va meglio”. Di nuovo sopirò.


Belle davvero. Verdi e luccicanti con preziose venature d'ambra, con una magia potente che non c'entrava niente con i poteri degli stregoni, una magia tutta umana che solo i mortali potevano cogliere... pensava Alec.


Catarina intuì. “Anche tu sei una bella persona, si vede la tua anima … Ci credo poco che potresti aver fatto qualcosa di orribile. Dovresti venire anche tu dallo stregone, se è come dici potreste diventare amici. Magari ti aiuterebbe di nuovo”.

“Sembri mia sorella adesso. La magia non c'entra, i miei guai sono … del tutto umani. E vedi di non farti ingannare, tutti possono compiere cose orribili. Su, non è sicuro stare fuori. Ti porto dal tuo grande stregone protettore”. Si alzò e la prese per mano. Camminavano.

“Capita anche a noi... sai, a noi streghe e stregoni, intendo”. La voce era poco più d'un sussulto, sembravano parole confessate all'aria come un segreto, ma Alec capì che erano per lui. Ascoltava in silenzio.

“Siamo diversi. Portiamo sul corpo il marchio della nostra diversità, evidente come la dannazione che ci ha creati”. Cat pensava al colore della sua pelle e a tutte le volte che l'avevano guardata con ribrezzo e paura. “Veniamo concepiti quando qualche creatura diabolica seduce e inganna un mondano dall'animo nobile e ne carpisce la più totale devozione, l'amore più profondo. In noi l'amore più puro e la crudeltà più efferata trovano una sintesi. Almeno uno dei nostri genitori è eterno e quasi sempre ha carpito la vita dell'altro, il mortale, con l'inganno. Da quella atroce sintesi veniamo generati. A volte è il colore della pelle o quello di occhi e capelli, a volte è un corno o due sulla fronte. Siamo diversi e da diversi siamo trattati. E siamo potenti e immortali e questo ci rende ancora più distanti dal mondo e rischiamo di scordare la nostra metà umana. Ma la solitudine e l'odio possono rendere crudele anche il più saggio”.

“Ma non siete tutti cattivi, molti di voi sono buoni, leali, coraggiosi”.

“Molti di noi sono stati cresciuti con amore e amati per la loro natura, ma altri, quelli che non sono morti da soli appena nati perché abbandonati o uccisi dai lori stessi genitori che li odiavano, altri sono diventati dei guerrieri, altri ancora degli assassini. Ma è più facile rimanere umani se qualcuno vede il nostro lato mortale. Sei hai qualcosa dentro, cacciatore, non lasciare che la paura ti avveleni il cuore o ti condannerai. A volte si odia uno stereotipo, un cliché, ma appena quello stereotipo, quel cliché prende il volto di qualcuno, specie se è qualcuno che conosciamo o amiamo, l'odio si briciola dall'interno e lo stereotipo frana lentamente logorato dalla verità. Non so cosa tu abbia fatto ma sembri un animo nobile, non lasciare che la paura decida chi tu possa essere”.

Alec ascoltava ogni parola, anche i silenzi, non aveva fiatato e stringeva la piccola mano di Teresa nella sua. Cat, celata dall'inganno, aveva parlato con una determinazione che forse non avrebbe avuto in versione originale blu e bianca, ma le sue parole erano sincere. Lei era stata fortunata, Magnus molto meno. Pensava a questo.

Mancavano pochi passi durante i quali Cat non poté non pensare.

Ripensava alle parole di Alec.
Il cacciatore aveva incontrato lo stregone una sola volta e sicuramente aveva letto di lui, ma ne parlava come se lo conoscesse da sempre. Uno stregone molto particolare che solitamente colpiva per il suo fascino (capita quando sei incredibilmente attraente) o per la sua magia (e capita quando sei incredibilmente potente), o perché era bizzarro, egocentrico, pazzoide. Ma Alec aveva scoperto in lui la tenerezza oltre la scorza luccicante, non si era neanche accorto della sua magia, era andato oltre l'apparenza da vanesio egoista, oltre il trucco ricercato e i vestiti costosi, oltre il tempo e il potere aveva trovato la sua anima e l'aveva amata, subito, spontaneamente così si fa con un bel tramonto o con l'aria fresca del mattino, con il mare in tempesta o un'opera d'arte di straordinaria bellezza che ti appaga il cuore e i sensi. L'aveva amato perché non si può non farlo se lo si conosce, ma lui fa di tutto, ostinatamente, per non farsi conoscere.

Alec era andato oltre il lato mondano, oltre il lato demoniaco e aveva trovato un frammento di angelo.
E di quello si era innamorato.
Del frammento di angelo.
Forse un angelo caduto, ma pur sempre un angelo.

Aveva i brividi al solo pensiero di un sentimento così grande. La notte era fresca e limpida, le voci e i rumori diventavano più netti, il ronzio giallo e costante dei lampioni metallici aveva divorato poco a poco le loro ombre, riducendole solo a un tiepido accenno. Il muro del locale era un po' scalcinato, aveva un'aria trasandata da leggera decadenza. Tutto ovviamente ben congegnato da Magnus che ne aveva disegnato le crepe per dare un'idea di decadente distrazione e vacua superficialità.

Erano arrivati al locale, ancora tenendosi per mano davanti ad uno scalcinato muro di Brooklyn che vedeva lentamente svanire la traccia impressa della loro ombra.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** L'animo informe squadrato da ogni lato ***


10 L'animo informe squadrato da ogni lato

Città di ossa,
tra i capitoli 16 e 17

 

Cat si era distratta.
Di nuovo.


Alec la teneva per mano, timidamente, ma i suoi gesti tradivano la risolutezza autentica del Cacciatore.

Nonostante il calore fisico ed emotivo emanato dalla figura possente che le camminava a fianco, mentre misuravano a passi lenti la strada che li separava dal locale, Cat si era persa in se stessa, abbandonando per qualche minuto la performance da attrice improvvisata. Si era immersa nelle pieghe ondivaghe dei suoi pensieri, come trascinata nella deriva, vagava, mentre, passo dopo passo, la sua mente cercava di ricomporre i pezzi di una verità tanto ostentata quanto celata.

Chi era quel ragazzo?

Gioia o rovina recava con sé?

Sentiva di essere sul punto di squarciare il velo che teneva ben celata quell'intuizione tanto bramata ed era talmente assente che sussultò appena vide l'ingresso del Pandemonium pararsi davanti ai suoi piedi. Dovette trattenersi dal salutare Xeelien, il suo maestoso custode che sbarrava l'entrata con l'usuale sorriso benevolo, ricordandosi che non aveva il suo aspetto e quindi, non poteva essere riconosciuta. Almeno non da lui.

In quel momento lei era Teresa, una giovane strega smarrita.

Xeelien era un mezzo stregone senza poteri, che Magnus aveva assunto come buttafuori, vantandone straordinarie abilità nella lotta corpo a corpo, abilità che nessuno aveva mai visto, giusto per allontanare eventuali sospetti dall'animo magnanimo del Sommo Stregone; non era un essere magico, ma aveva, di certo, un grande intuito. Quello che ti viene dalla pelle, a naso, al tatto. Quello che hai, se sei cresciuto in strada senza una famiglia, contro tutti. Era alto, robusto ma dal fisico così asciutto che quasi ne distinguevi le articolazioni, pelle, occhi e capelli neri, tanto che solo il bianco delle iridi ne rivelavano l'esatta presenza nel buio. E dei denti, perché sorrideva sempre. Era appoggiato sullo stipite dell'ingresso, dalla porta semichiusa filtravano rumori ovattati, odori pungenti e un incessante brusio che rivelava la folta presenza all'interno.

“Cerchiamo il Sommo Stregone Magnus” disse Alec.

La voce risoluta del Nephilim era tradita da una nota appena percepibile di imbarazzo, esploso nel suo volto nel dire quel nome. La prima parte della frase era uscita netta e imperiosa, il ragazzo che sospirava alle stelle nascosto dai tetti solitari aveva lasciato il posto al Cacciatore in missione, deciso ad assicurare alla damigella strega un porto sicuro. Ma una vibrazione, come un singulto, aveva spezzato la pronuncia del nome.

Ma-gnus.

Ovviamente di Sommo Stregone non poteva che essercene uno solo, ma Alec doveva chiamarlo per nome.

“Mettiti in fila angioletto”.

La voce burbera di Xeelien fece trasparire un nota infastidita. Cosa insolita, a dire il vero. Evidentemente non era il primo che cercava Magnus quella notte, ma dello stregone ancora nessuna traccia. Ovviamente meglio così, Teresa doveva evaporare prima della comparsa dell'amico che avrebbe fiutato l'incantesimo all'istante e non avrebbe necessariamente gradito lo show. Era un tantino suscettibile sulle questioni amorose.

Xeelien scrutava Alec con uno sguardo indecifrabile. Che fosse un cacciatore era ovvio, mancava solo la targhetta con il logo fosforescente di un pugnale angelico a intermittenza. Tutto di lui lo rivelava: le rune, il portamento fiero, il pugnale malcelato sotto la giacca, che Xeelien aveva osservato attentamente. Non capiva solo se portasse consiglio o sventura, se fosse uno dei tanti amanti in cerca di attenzione o uno dei tanti disperati in cerca di magia. In ogni caso non era molto saggio far entrare un cacciatore armato in un locale pieno di Nascosti ubriachi e con i nervi a fior di pelle. Sembrava tanto un prequel di apocalypse now.

Alec cominciava a sentirsi osservato dai tanti sguardi che si posavano su di lui.

“Sono io che lo cerco” disse Cat, ancora nei panni di Teresa, “sono una strega, mi hanno detto che lui avrebbe potuto darmi una mano, non so dove andare. Ero con un amico ma un demone ci ha attaccati e lo ha ucciso, io sono scappata ma se non fosse stato per lui sarei morta”. Disse. Tutto d'un fiato, come a recitare l'ultima parte del copione della recita scolastica che altrimenti sai che andrà dimenticato.

Gli occhi di Xeelien si addolcirono all'istante, come il giudizio che evidentemente stava formulando su Alec. “Seguitemi. Non è ancora arrivato. Non si vede da ieri, ma se torna a casa, passerà da qui. Non è sicuro fuori, per voi”.

Xeelien fece segno a Syt, una fata che prese il suo posto all'ingresso e fece strada. Syt sembrava il suo alter ego. Piuttosto basso per essere una fata, carnagione olivastra, lunghi capelli neri, folte ciglia che incorniciavano affilati occhi verdi e una barba folta. Anche lui era nei guai, come tutti lì dentro; era stato bandito per essersi innamorato di una donna, che non aveva voluta incantare e l'aveva sposata. La regina delle fate non aveva gradito ma Magnus aveva dato ospitalità e nessuno si sarebbe inimicato il Sommo Stregone per una semplice vendetta.

“Gran parte delle donne sono incantate per loro stessa natura”, aveva risposto Magnus alla Regina, “in fondo sarebbe stato solo un spreco di magia”.

Xeelie li accompagnò al bancone dove un uomo molto alto dai lunghi capile castani versava da bere e scambiarono qualche parola. Damon era un mondano ma faceva dei Cocktail divini, aveva dichiarato Magnus, quando l'aveva scelto come barman; gli aveva appositamente creato un piccolo bivani alle spalle del locale, dove viveva con Irene, la sua compagna e grande amore di Damon, nonché altra barista, nonché strega ma senza poteri attivi, esile e minuta dai capelli rosso intenso. Anche qui c'era una romantica storia di beghe secolari tra congreghe che Magnus aveva liquidato assumendo anche lei.

“Ma non hai già un barman?” gli aveva chiesto Cat, all'ennesimo resoconto lacunoso, con un tono molto malizioso.

“Lei rimane”, aveva tagliato corto Magnus, “serve qualcuno che metta gli ombrellini nei bicchieri dei drink; per quanto buona sia ogni creazione di Damon, la sua visione artistica d'insieme rimane alquanto rustica; dobbiamo adeguarci anche ai clienti più esigenti e lei ha un profondo senso artistico nell'abbinare i colori degli ombrellini agli alcolici. È un lavoro delicato, serve una professionista”.

La frase sarebbe risultata anche credibile visto l'eccentrico creativo proprietario se poi Magnus avesse almeno per una volta comprato gli ombrellini da farle mettere sui cocktails.

Formalmente il locale era un investimento ma le entrate del locale, sostanziose in tutte le stagioni, servivano per lo più a pagare i loro stipendi e il resto venia devoluto in bizzarri acquisti o in dotazioni per l'isola. Nient'altro, visto che luce e acqua erano “magicamente” e gentilmente offerte dal Comune di New York e che il locale era di proprietà di Magnus. Beh... tecnicamente per il catasto era una panchina, ma erano dettagli insignificanti.

Cat avrebbe voluto raccontare tutto questo ad Alec, per fargli davvero capire chi era in realtà il Sommo Stregone che lui sentiva di dover chiamare per nome e un giorno lo avrebbe fatto, ma con la sua vera faccia e la sua vera voce, basta finti avatar con Alec, non se lo meritava. Teresa aveva quasi finito di svolgere il suo compito. Rimaneva solo qualche altro frammento di verità da scoprire. Damon con una straordinaria maestria aveva preparato due drink e Irene aveva effettivamente abbinato perfettamente qualcosa ai cocktails ma non erano ombrellini, bensì fette di agrumi.

“Altri amanti affranti? Magnus dovrà fare una sala apposita, altrimenti danneggeranno gli affari”. Irene sembrava effettivamente preoccupata. “Poi ... che spettacolo … occhi lucidi, singulti, singhiozzi e sguardi persi nel vuoto, abbiamo vittime di ogni età, sesso, genere e specie. Penseranno che siamo una pseudo-setta satanica che ruba le anime e i cuori di creature bellissime e li trasforma in zombie. La grande mietitrice a Magnus gli fa un pom..”.

“Ire!”. Tuonò Damon, alzando gli occhi, mentre triturava menta e lime

“Baffo, baffo, volevo dire la grande mietitrice a Magnus gli fa un baffo”.

Lo sguardo truce di Damon era arrivato giusto in tempo a indurla a moderare il vivace linguaggio dell'amata e Cat dovette fare gran forza su se stessa per non ridere, ma vestiva ancora i panni (e non solo quelli) del giovane virgulto innocente e in difficoltà.

“Magnus qualcosa deve averglielo rubato, ma escluderei che si tratti dell'anima, non penso ne abbia una sua, ogni tanto all'occasione al massimo ne prende una in prestito. Non saprebbe che farsene della propria, figuriamoci di quella tormentata degli altri, quanto al cuore... beh, penso che in questo … intimo scambio di vedute ... siano piuttosto altri organi ad essere coinvolti … non esattamente il cuore.... Quanto alla Grande mietitrice, modera i termini e i pensieri, amore mio. Se c'è Magnus di mezzo, per quanto ne sappiamo, l'angelo della morte in persona potrebbe essere la sua zia preferita!”

Cat bevve l'intero drink per non contorcersi a terra dalle risate, in sua presenza solitamente erano tutti così discreti e pacati; spontanei erano fenomenali, ora capiva perché Magnus li adorasse. Ma era l'unica a trattenere le risate. Alec non si stava divertendo affatto.

Aveva disdegnato il suo drink, una Vodka alla menta, guardandolo come se contenesse le viscere di un rettile e con lo sguardo attento e impassibile aveva seguito il gesto di Irene. Appoggiati al bancone, distanti ma simbolicamente molto vicini, sedevano ai lati opposti delle strane creature.

Solitaria c'era una donna bellissima, la pelle nera lucida, colore della notte, lunghe trecce di capelli ricchi scendevano sul corpo affusolato definendo un fisico perfetto, insieme tonico e caldo, lineamenti affilati, un paio di luccicanti occhi azzurro cielo e una forma del viso che non lasciava dubbi, doveva essere una fata. Un gruppo di altre fate, tre e altrettanto belle, ballavano sinuose ed avevano attirato non poche attenzioni tra gli ospiti, ogni tanto si avvicinavano alla donna solitaria, ma lei sembrava di pessimo umore.

Poco distante due ragazzi, uno molto giovane, poco più di un ragazzo, pelle candida, occhi e capelli scurissimi che risaltavano come un dettaglio in un bel quadro sulla malinconia della gioventù. Alec non aveva ben compreso cosa stesse dicendo nonostante la Runa dell'ascolto tracciata di nascosto all'ombra del bancone, ma intuiva un accento spagnolo. Da quel poco che aveva capito stava cercando di consolare l'altro ragazzo, molto bello, molto, capelli biondi e occhi verdi, lineamenti dolci ed eleganti, naso aquilino, labbra sottili, sguardo da essere assoluto che ricordava vagamente Jace ad eccezione dell'aria afflitta che non riusciva a togliersi dalla faccia e che a Jace aveva visto solo quando gli avevano sbagliato l'ordinazione della pizza, consegnandogli una vegetariana soffice al posto della sua super salsiccia ripiena piccante. L'unica frase che aveva capito era “una noche para él es nada, nada “ e non ci voleva un fine ed esperto linguista per interpretarla.

Povero Alec.
L'altra faccia di Magnus sbattuta così in faccia, non era facile da gestire. Faceva tenerezza. Era desolato. In un attimo sembrava che la tristezza lasciata sul tetto fosse tornata a prenderlo. Guardò il suo drink, non ne aveva bevuto un goccio ma forse era una grande soluzione per quella serata bastarda. Lo bevve, tutto d'un fiato. E Alec evidentemente non era un grande bevitore perché strinse gli occhi e, per diversi secondi, contrasse il volto in una smorfia semi disgustata, come se stesse soffocando. Forse, stava soffocando … Lentamente si riprese e ne ordinò un altro.

Ora Cat doveva proprio intervenire. Se Magnus fosse arrivato in quel momento e avesse trovato il suo angioletto dagli occhi blu ubriaco al bancone del suo locale tra Ki, la fata e Cedrik, il vampiro, ovvero i due Nascosti scaricati da poco che ignari l'uno dell'altra ancora neanche sapevano di essere i suoi ex, intenti ad aspettare lo stesso fidanzato e a fianco a questa scena da tragedia epica la sua migliore amica travestita da quindicenne … beh... Magnus sarebbe andato totalmente di matto. Totalmente! Altro che terremoto o catastrofi naturali! Lo tsunami sarebbe stato una leggera increspatura delle onde al confronto! La sbrodolata di un neonato. Cat doveva proprio intervenire. Ma come? Nessuno dei contendenti aveva l'intenzione di volersi schiodare dal suo posto. Fingere una bomba? Evocare tre finti dissennatori? O una leggerissima scossa di terremoto? Allagamento? Incendio? Tutto era praticabile in quel momento

 

“Teresa?”

Silenzio

“Teresa?”

Argh! Lei era Teresa.

“Scusa, ero ...distratta. Dimmi”


Alec guardava ancora il bicchiere vuoto. Damon aveva capito e tardava a portare il bis.

“Posso farti … due domande?”

Nooooo... L'unica cosa che sapeva fare meno di scatenare terremoti, incendi e allagamenti era mentire senza un piano...

“Certo! Dimmi”

Stava per arrivare la domanda sugli ex di Magnus...tragedia!

Che dire? Certo la frase “è un bravo ragazzo ma in media le sue storie durano 30 ore di cui 8 sono impiegate nel corteggiamento, 14 o 16 tra sesso sfrenato e giochetti erotici di dubbia liceità e le restanti in una fuga senza quartiere per evitare le solite frasi banali del tipo “sono un sommo stregone molto dedito al suo lavoro”. Non era un gran modo per invogliare un gay verginello …

Perché c'era una sola cosa più evidente in Alec dell'essere gay ed era la sua totale assenza di esperienza in merito alle questioni amorose!

“Se non vuoi rispondere, tranquilla, lo capisco”.

“No, dimmi”.

Calma, doveva restare calma. In fondo lei non era Cat, lei era Teresa, non era tenuta a sapere assolutamente niente della vita di un Sommo stregone che aveva detto di non conoscere per cui...

“Da dove viene la vostra magia?”

Cat era di sasso. Tra le mille domande a cui mentalmente si stava preparando quella proprio non c'era. Anzi, non c'era mai! Come la usate? Quanto dura? Cosa potete fare? Quelle erano le domande tradizionali, ma una così sincera e diretta proprio non se l'aspettava.

“Se non ti va non devi rispondere”

“No, solo che … beh non è facile … Penso che la risposta giusta sia un po' complessa ma, in sintesi, viene dalla natura e dipende dalle nostreemozioni, più sono intense più è forte e difficile da controllare. Dipende dalla potenza dello stregone”.

“I poteri crescono con l'età?”

“In parte. Quando uno stregone o una strega raggiungono la piena completezza della propria aura allora smettono di invecchiare e iniziano a stabilizzare i propri poteri, questi crescono con gli anni, con l'esercizio della magia e l'esperienza, ma sempre fino ad un certo limite ben preciso. Ogni figlio di Lilith ha il suo limite ed è rappresentato dalla sua aura, i poteri posso crescere sino a quando questa riesce a contenerli. Ci sono aure appena percettibili, aure modeste, aure potenti e aure ...somme”.

Aure somme.
L'ultima parola uscì piano, come a rivelare un segreto celato da troppo tempo.

“Questi sono gli esseri più potenti in assoluto”.

“Tu conosci un'aura somma?”

“Io no. Tu si, sembra. Sono i Sommi Stregoni”.

Alec aveva alzato lo sguardo dal bicchiere vuoto e assorto guardava a strega.

“Okay. Vai con la seconda domanda”.

“È più stupida”.

“La prima non era affatto stupida, ti sottovaluti giovane Nephilim”.

“Io non so se tu hai già smesso di … crescere ... cioè di invecchiare e sei già immortale ma ..è tanto dura esseri immortali, vero?”

Non sembrava una vera domanda, più una costatazione.

“Un po'. Sei sempre uguale a te stessa e, per quanto cerchi di cambiarti, di evolvere e di stupire gli altri, ti senti immobile.” Cat parlava lentamente, un sofferto equilibrio rivelava che aveva lasciato i panni del suo avatar ed era la sua anima che stava rivelando. “Tutto ciò che è bello e puro su questo pianeta nasce, cambia e muore. Noi no. Possiamo essere uccisi, quasi tutti i figli di Lilith muoiono in combattimento proprio come voi, ma la nostra esistenza fino al suo violento epilogo è come il corso di un fiume inesorabile sempre uguale. Sembra strano da dire proprio a te, giovane cacciatore, che rischi la vita ad ogni passo, ma è proprio la morte a rendere preziosa la vita. Sapere che ciò che ami può scomparire o in un istante può esserti portato via per sempre, sapere che i tuoi giorni avranno un epilogo, sapere che oltre la fine del tuo corpo mortale, verrai ricordato solo se ne sarai stato degno, se avrai lasciato una traccia, se avrai dato la tua personalissima nota di colore al mosaico incontrollabile dell'esistente, questo ti spinge a vivere, ad assaporare, a essere speciale. Noi ci inaridiamo. Anche se amiamo, e davvero amiamo più di tutti, rimarremo soli e avremo solo un'eternità di dolore e solitudine per ricordare la felicità estinta. A volte la malinconia è così dura da lasciare ferite indelebili, tanto che per secoli, per quanto giri il mondo e cammini nella storia, non riesci più a trovare nulla di davvero prezioso. Nulla. Tutto è grigio, arido, triste”.

Basta mentire, avrebbe scoperto la verità comunque, tra glitter e lustrini, quel ragazzo sincero e onesto, la meritava, senza bugie e finzioni.


“Grazie”, rispose Alec.


Cat non capiva, non pensava ma ...sorrideva? Cosa poteva mai trovare di divertente in quella desolante verità?


“Cosa … cosa trovi di divertente? Non solo polemica, davvero, solo curiosa ma sembri … sollevato”.

“Guardavo quei due, vedi?”

Lo sguardo indicò il bancone degli amanti afflitti.

“Sai la pantera nera e il biondo meraviglioso”.

I gusti di Alec erano piuttosto chiari. Cat ascoltava con lo sguardo sgranato, come un fratellino piccolo davanti al primo bacio della sorella maggiore, il cacciatore si era avvicinato e parlava come sussurrando sottovoce, i vampiri avevano un grande udito.


“Sai quei due, maschio e femmina, penso siano entrambi ... fidanzati di Magnus!”

“Ah...”.
Perplessità assoluta.

“Ti danno fastidio i bisessuali?”

“A me? No, per niente”.

“Penso che Magnus lo sia e penso che sia il fidanzato di entrambi anche se non sono sicuro che sappiano l'uno dell'altra”.

“Ah...”
Perplessità assoluta doppia.


“ E a te... la bisessualità non ...infastidisce?”

“Metà delle persone che conoscono passano gran parte del tempo a fingere di essere qualcun altro per piacere agli altri e l'altra metà a nascondere quello che sono in realtà per evitare di essere odiati, tutti fingono, qualcuno dissimula, qualche altro inganno, ma quasi tutti soffrono perché non hanno quello che vogliono. Beh … non so come vivano di preciso i bisessuali ma Magnus mi sembra la persona più libera che ho mai conosciuto, può innamorasi quando gli pare e amare chi gli pare. È bello e si avvicina molto alla mia idea di felicità. Sarà super potente ma non mi sembra solo. A volte sarà triste, ma non mi sembra affatto inaridito. Se la cava bene con l'immortalità. Forse è per questo che l'hanno fatto Sommo Stregone”.

“Forse...”

Le parole le si erano mozzate in gola. Aveva passata una serata a fingersi una persona diversa solo per capire se dietro quel volto e quegli occhi si nascondevano gioia o guai, per capire se quel ragazzo dall'aria così ingenua fosse stato in grado di accettare il loro mondo, se l'avesse mai capito o amato. Sapeva cosa Magnus aveva intravisto in quegli occhi blu, ne aveva colto l'assoluta onestà, in uno sguardo dolce e sincero e in un corpo bellissimo. C'era tanto da fargli perdere la testa. Ma proprio non capiva cosa Alec aveva visto in Magnus. Bellezza? Magia? Sicurezza? Potere?

E ora vedeva l'animo del suo Sommo Stregone, un animo complesso e informe, celato a forza, camuffato in ogni modo, abbellito di eyeliner e lustrini, un animo nascosto con disperata e nevrotica ostinazione, un animo tenuto segreto da secoli al mondo intero, quell'animo, in pochi momenti squadrato da ogni lato, compreso con la più pura delle intuizioni e, semplicemente, amato.

Alec un ragazzone impacciato che guardava verso il bancone degli amanti infelici con una segreta malinconia neanche lo sapeva di aver ghermito uno dei più possenti segreti di Natura, l'animo di uno dei suoi figli prediletti.

Damon, che osservava il duetto da ore, si era deciso a portare il secondo giro di drink e aveva intercettato lo sguardo di Alec grondante di sospiri.

“Ire, comunque come amanti questi due non hanno speranze” continuò l'astuto barman, che ormai due o tre cose le aveva capite, “Mag questi non li guarda nemmeno in faccia, ci gioca. C'era uno qualche giorno fa, mi ha detto Xeelien, uno che ha guardato dritto negli occhi per diversi minuti, sembrava che ci fosse solo lui, lo ha accompagnato anche fino alla porta e ha sbirciato dalla fessura della finestra finché non è sparito. E non ha neanche fatto avances dirette, lo ha solo guardato”.

“Magari stava con qualcuno, Mag non è il tipo da mettersi in mezzo...”. Irene sembrava appena essersi destata da un lungo sonno di fette di agrumi e trito di mentuccia.

“Boh … Era con degli amici ma si è allontanato con una ragazza”.

Neanche la più potente magia di Catarina avrebbe potuto scatenare quel sorriso beato che esplose sulla faccia di Alec. Il cacciatore allontanò il secondo drink, sorridendo compiaciuto.

“E poi” Damon si era davvero appassionato, doveva voler anche lui un gran bene al tormentato stregone, pensò Cat, “...ti immagini? Xeelien dice che secondo lui erano cacciatori”.

Alec sgranò gli occhi. Diamine! Lo avevano riconosciuto.

“Qui sei al sicuro” disse, “stai attenta e rimani qui, Magnus arriverà. Non uscire. É stato un vero piacere Teresa” disse, allungando la mano.

“Anche per me, Alec”.

Lui sorrise, sincero, come aveva fatto per tutta la serata e si dissolse tra i rumori della folla, veloce, verso l'uscita. Ci rivedremo mio caro, pensò Cat. Seguì il cacciatore con lo sguardo.

“Sono molto stanca”, disse la strega, con lo sguardo più commovente e tenero che riuscisse a fare rivolto a Irene.

“Certo, scusa. Vieni, vedi la scritta Exit? Accanto c'è una porta viola, beh ... attraversala, è un piccolo portale, tranquilla non ti perderai, ti porta al piano di sopra, c'è un rifugio per esseri magici come te, è sicuro: trovi cibo e vestiti e se ti va di bere, scendi, offre la casa”.

Cat sorrise.

Un bel giro aveva messo su quell'essere diabolico. Andò verso la porta, si smaterializzò prima di entrare nel portale e ricomparì esattamente dove aveva visto Alec ore prima, stavolta però era blu, al suo solito. I lunghi capelli bianchi le scendevano sulle spalle malamente raccolti in un nastro di seta viola. Cercava il cacciatore con lo sguardo, si aspettava di vederlo di nuovo sul tetto ma scoprì, con piacere, che aspettava la metropolitana alla fermata.

 

Evidentemente, per quel poco che restava di quella notte. i suoi demoni avevano smesso d'inseguirlo.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** O grande angelo nero fuligginoso ***


11 O grande angelo nero fuligginoso, riparami sotto le tue ali...

Città di ossa, tra i capitoli 20 e 23

Il freddo suono del telefono ruppe il regolare brusio di voci e suoni proveniente dal locale. Sullo sfondo bagliori intermittenti rivelavano creature dai contorni irregolari impegnate in movimenti convulsi, mentre l'andante in sol maggiore del concerto per violino e orchestra n. 2 di Mozart inondava l'aria. Cat lasciò che la musica della suoneria le fluisse per qualche istante dalle mani rischiarate dalla luce meccanica del display, disperdendosi nell'ombra della notte. Un'involontaria rivolta contro i tecno rave di Magnus.

“Ho finito, dove sei? E non mi dire che sei ancora a lavoro perché proprio non è serata. Ora ti vengo a prendere e materializzo l'intero ospedale in un girone infernale”.

“Con gli attuali tassi delle assicurazioni sanitarie molti non coglierebbero la differenza”.

“Ma avrebbero migliori ragioni per disperarsi”.

“Che animo nobile...”.

“Senti, strega filantropa, non mi importa assolutamente nulla, nulla né dei mondani, né dei Nascosti, né di nessun altro, che muoiano pure tra atroci sofferenze. Io, anzi, noi, dobbiamo lavorare e io ho avuto una pessima serata. Quindi sei stai per dirmi che ...

“Sono al locale, davanti l'ingresso. Entro e bevo da sola?”

“Ah... ok. Dipende...guarda … dentro... Non è che per caso...”

“Si, mio caro, certo. Come ogni sera, il bancone degli amanti afflitti è pieno e i tuoi validi aiutanti sono sul punto di avere una crisi di nervi”.

“Diamine!”

Silenzio.

“Magnus?”

Silenzio.

“Magnus?”

“Si. Sai ... pensavo di ... bere qualcosa in fretta e poi... tornare a lavoro. Ma al locale temo... temo che avrei delle complicazioni”.

“Due, direi, ne avresti almeno due, di complicazioni … belle, grosse, tanto depresse e di pessimo umore. Se vuoi, mi spieghi meglio la tua grandiosa idea e, mentre vai dentro a struggerti con i tuoi innamorati, io inizio a cercare i cattivi”.

Un lampo di luce le comparve alle spalle, una mano le afferrò il braccio, gli occhi verdi luminosi ferivano il buio, un ghigno era comparso all'improvviso nell'aria scura.

“Ti piacerebbe! Serata caotica, direi” disse, sporgendo la testa e allungando lo sguardo dentro il locale con aria perplessa. “Ti va se andiamo da me? Ho un ottimo bourbon”.

Quella voce, quel tocco e l'aria di profumo che si portava dietro, ora di sandalo, ora di incenso, senza un solo attimo di esitazione li avrebbe riconosciuto all'Inferno il giorno della fine del mondo.

“Perché dovremmo bere bourbon sul divano di casa quando hai un locale?”

“Rimanere in casa quando hai il miglior Nightclub della città dimostra veramente di chi sei”.

“Io so perfettamente chi sei, Magnus Bane, ma non mi piace usare le espressioni scurrili che in questo momento mi verrebbero in mente per descriverti. Ti rendi conto? Per la tua ossessione a collezionare storie folli con soggetti improbabili ora ci stiamo nascondendo dietro una siepe”.

Cat cercava di parlare sottovoce ma il suo tono si era diventato piuttosto acuto e stridulo.

“In ogni caso, il bourbon non mi piace tanto, hai rum?”

“Ovviamente, mia regina. E ho di meglio. Hai presente quella orribile birra scura amara che puzza di cicoria rancida che tu adori? Per inciso, oltre te la bevono solo i mannari e solo quando sono molto ubriachi o davvero affaticati da seri problemi digestivi”.

“La mia birra stout artigianale irlandese?”

“No amore, la Guinnes è una birra irlandese, le 107 varietà di birra scura che si bevono in Irlanda sono birre artigianali, questo è un intruglio immondo prodotto da uno sciamano pazzo e distribuito a peso d'oro come veleno per rettili e lumache carnivore, ma, in ogni caso, ho esattamente quella che tu chiami la tua birra artigianale. Ne ho fatto arrivare un intero barile e farai bene a berlo velocemente quel fusto, perché non voglio quella schifezza a fermentare del mio loft”.

“Sai come conquistarmi”.

“Non esattamente purtroppo, ma ho ancora qualche trucco nella manica. Meglio di niente. Andiamo da me, ma in silenzio ed evitiamo di accendere luci forti. Così penseranno che sei da sola e che sei andata a dormire presto”.

“Che bella idea che dai di me”.

“No mia cara, la strega sdegnosa e schiva è un immaginario che hai creato da sola, io mi limito a sfruttarlo a mio vantaggio”.

“Mag, eviti il tuo locale, ti nascondi in mezzo a cespugli poco potati di notte, parli sottovoce e adesso vuoi salire a casa tua come un ladro, senza neanche accendere le luci. Mi farai strisciare per terra?”

“Solo nel lato est della casa”.

“Sei sicuro di avere tutto sotto controllo, con i tuoi ex... voglio dire”.

“Beh ... se la nostra ricerca va male un esercito di cacciatori invasati e sanguinari vorrà sterminare la nostra intera specie, i miei ex avranno altre priorità in ogni caso. E poi non sono ex!”.

“Spero che tu abbia ragione. Se muoio per colpa tua, spera per la tua anima, se ne hai una, di non essere condannato nel mio stesso girone infernale. La mia vendetta sarà terribile, maledetto stregone pazzoide”.

“Dubito che la tua vendetta sia essere peggiore di due cuori afflitti, ignari fidanzati della stessa persona, che ancora non sanno di essere ex di un meraviglioso bisessuale innamorato solo di se stesso, che si compiangono a vicenda”.

“Beh ... no, effettivamente questo non è peggio dell'inferno. E poi, sono o non sono ex? Mi fai confondere!”.

“Esatto! Posso ancora provare a convincerti a tornare nell'isola?” Il sorriso beffardo di Cat fu la risposta che immaginava. “Allora andiamo mia regina, il lavoro ci aspetta ”.

Gli occhi sfavillarono, la prese per mano e svanirono in una nuvola bluastra. Aveva aperto un portale fino al piano di sopra. Evidentemente era una di quelle sere in cui non aveva particolare voglia di fare le scale. Sbucarono nel soggiorno, con altre due fiammelle blu il lungo tavolo di vetro fu sgombro da libri e amuleti. In breve Magnus spiegò il suo piano a Cat e nei minimi dettagli raccontò la sua inquietante serata. Nel frattempo aveva fatto comparire dei drink, rum per lui, birra per l'amica e aveva anche fatto materializzare sul mobile una pizza fumante, formaggio e verdure grigliate, la preferita di Cat. Lei ascoltava attenta, mentre accarezzava Presidente Miao.

“Sei stato imprudente, ma questo già lo sai”.

“Che avrei dovuto fare? Avrei voluto risolvere la questione al bar bevendo un Vodka Lemon da persone civili ma i cacciatori di Valentine non sono dei gran chiacchieroni. Mi sta cercando”.

“Verrà qui?”

“Lo farà quando sarà veramente pronto, ama giocare d'anticipo. Ma, al momento, non sono sicuro delle sue priorità. La prima parte della partita si gioca in casa ed è tutta tra cacciatori”.

“E allora che facciamo qui? Perché diavolo fai il vendicatore solitario, rischiando per Shadowhunters che non ti degnano di uno sguardo?”

Cat conosceva benissimo la risposta e l'aveva messo all'angolo. Dopo l'incontro con il giovane Lightwood aveva le idee molto più chiare, sapeva, era bastato uno sguardo, un solo sguardo e lo stregone centenario aveva radicalmente riscritto la sua lista di priorità esistenziali, tutto preso da un impeto fattivo che solitamente procurava grossi guai. Magnus si sentì scoperto, Cat, come sempre aveva capito da un pezzo, ma evitò il discorso, perché non era sicuro delle sue risposte, come non lo era ancora dei suoi sentimenti. Mille volte era già accaduto, si era innamorato di un volto, di uno sguardo, di un gesto elegante o coraggioso, si innamorava di dettagli, poteva corteggiare qualcuno per giorni solo conquistato dal suo odore. Ma riusciva quasi sempre a spiegare cosa gli piaceva e perché. Donne o uomini, mondani o nascosti, anche angeli, in tanti lo avevano colpito e avevano abitato il suo cuore, solo per un po' o per tanti tanti anni, ma sapeva sempre riconoscere i suoi sentimenti e ciò che aveva acceso la miccia del desiderio. Con il giovane Lightwood era diverso. Gli occhi forse, il viso, quella strana combinazione chimica di blu, nero e bianco, i lineamenti gentili, lo sguardo onesto e puro in un corpo deciso, pieno di rune e cicatrici. Troppi dettagli su cui ragionare, troppi da cui farsi travolgere. Non era il momento.

“Beh, la prossima volta che mi fanno un agguato do il tuo numero e mi defilo elegantemente; in quel caso spera che Valentine abbia paura dei concerti di Mozart, altrimenti la conversazione telefonica non ti piacerebbe affatto”.

“Ovviamente non intendo questo, se ti fanno un agguato è ovvio che devi combattere. Hai fatto benissimo a friggerli. Sei stato imprudente ad andare da solo dal demone custode per rubarle le erbe. Era ovvio che ti avrebbero aspettato li”.

“Tecnicamente non ho rubato niente, lei me le ha date spontaneamente”.

“E cosa diavolo c'entra questo, ora!” Cat lo fulminò con gli occhi.

Era preoccupata, Magnus era sempre stato avventato ma mai imprudente. Aveva rischiato di trovarsi faccia a faccia con qualche infernale parente, non aveva pianificato nulla oltre l'ovvio, era caduto in una trappola senza riflettere, aveva sfidato un antico demone custode minacciandolo di fargli bere una tisana e aveva combattuto in piena vista, senza scudi o barriere, rischiando di coinvolgere altri Nascosti. Non era da lui. Sarebbe andato comunque da solo, figuriamoci, la novità in questo caso era che le stesse raccontando tutto di sua spontanea volontà. Solitamente era più paziente, pianificava nei minimi dettagli, era macchinoso e furbo a sufficienza da avere un piano alternativo. Questa volta si era lanciato nella mischia, senza pensare. Le ombre che pesavano sul suo petto dovevano essere più dense di quanto lasciava vedere.

“Io incanto la mappa. Tu prepara la pozione”. Non disse altro, ma gli occhi celati dietro al ciuffo bianco rivelavano dubbi e ansie inespressi.

“Prendine una gran ...” prima che Magnus finisse di parlare Cat aveva fatto materializzare una mappa di tutto lo stato”.

“Dove l'hai presa?”

“Dal mio ufficio, non vedi le croci e i segni blu? Sono tutti i presidi medici notturni dello stato. Guarda la “P” segna anche quelli veterinari”.

“Buono a sapersi potrebbe servire a Presidente Miao”.

“Se la bruciamo nel ho altre 57”.

“Okay”.

Cat era di nuovo concentratissima, guardava la mappa, gli occhi luccicavano, le fiammelle verdi le ricoprivano interamente le mani. Magnus rimase un po' a mescolare erbe, fissando l'amica di tanto in tanto con uno sguardo ammirato gonfio di tenerezza, poi concentrò le sue fiammelle blu sul calderone e iniziò a riversare un intruglio giallognolo molto denso sul tavolo Presidente Miao si allontanò lentamente e svanì nel buio diretto verso la camera da letto. Le corpose gocce gialle scivolavano lentamente giù dall'ampolla, si infrangevano sullo scudo di energia di Cat polverizzandosi, ricadendo sulla mappa, roteavano e si dividevano in minuscole goccioline di colori diversi, ognuna rappresentava un essere magico presente nello Stato di New York.

“Siamo un'infinità e ... siamo ovunque”.

“Ora capisci perché avrei bisogno di un aiutante?”

“È assurdo, sono ovunque, banche, governo, polizia, esercito, nel Palazzo di Vetro, a Ground Zero, persino nella Statua della Libertà”. Cat guardava i minuscoli puntini che si muovevano caoticamente, alcuni erano solitari ma in alcune zone della mappa si assiepavano tantissime goccioline e pote riconoscere i covi del vampiri nei quartieri più alla moda, i rifugi dei mannari in periferia e nelle campagne, le enclave delle fate nei parchi e nei boschi. “Ora nero per i vampiri è ovvio, come scontato è il marrone per i mannari e il verde per le fate, il viola per gli stregoni semplicemente perché è il tuo colore preferito, i mondani sono bianchi per distinguerli meglio ma, non mi è chiaro ... perché hai scelto il blu per i cacciatori e non per le sirene che invece sono gialle?” La risata mal trattenuta di Cat aveva per un attimo attirato lo sguardo di Magnus, rimasto intento a guardare un puntino viola, più corposo degli altri, che emanava una strana luce venata di nero; lo stregone rispose con una smorfia ma tornò a riversare fiammelle sulla mappa ormai diventata un arcobaleno di colori. La pozione era terminata, l'incantesimo stava per iniziare. Magnus fece un breve cenno a Cat ed entrambi intensificarono la magia.

“Non mi convince. La magia a casa di Dorothea è ricomparsa ma qualcosa non va. Sento una strana aura”.

“Qualcosa di cui preoccuparci?”

“Immagino di no, almeno per il momento. Vedremo domani”.

Fiammelle blu e verdi si mescolarono intense e sulla mappa si formarono diverse zone grigie dalle forme piuttosto regolari di varia grandezza, alcune piccolissime, altre piuttosto grandi. Quelle erano il vero obiettivo dell'incantesimo. Magnus presumeva che Valentine fosse nelle vicinanze e che stesse occultando se stesso e i suoi demoniaci alleati. Aveva cercato di localizzarlo per giorni da quando non aveva più trovato né Jocelyn né Dorothea, non sapeva neanche se avesse già la coppa, immaginava di no, in qualche modo l'avrebbe saputo. Aveva capito però che il cacciatore ribelle si stava nascondendo dietro un potente scudo magico, da qui l'idea di individuare i luoghi dove apparentemente non c'era nessun attività magica. Lo scudo usato da Valentine era sicuramente molto potente, pertanto capace di occultare tutto, anche le aure dei mondani. L'incantesimo messo in atto avrebbe rivelato tutti i luoghi assolutamente privi di aura, magica o umana che fosse. Ma lo stato era grande e i posti disabitati esistevano anche lì in una delle più grandi megalopoli del pianeta e non tutti erano dei covi demoniaci, ma andavano controllati uno per uno. Alcune delle macchie grigie erano fisse, altre erano stranamente troppo dinamiche per essere dei veri posti disabitati. Era meglio iniziare da quelli. In ognuno avrebbero mandato un minuscolo vortice magico. I vortici erano più che altro incantesimi spia che gli stregoni, o almeno quelli potenti, usavano per guardare ovunque volessero, anche in luoghi molto lontani, potevano essere anche molto piccoli e, una volta attivati, creavano uno squarcio, come se fosse uno specchio invisibile su un piccolo pezzo di mondo. Con un vortice Magnus controllava le sirene al porto e con lo stesso incantesimo Cat aveva spiato il giovane Lightwood nella sua stanza. In realtà Magnus lo aveva usato anche prima, mentre erano nascosti tra le siepi, uno piccolissimo, senza che Cat lo notasse, perché non era esattamente sicuro che il barile di birra che aveva materializzato dal locale fosse esattamente quella orrida schifezza che l'amica tanto amava. Aveva anche lasciato un biglietto per Damon per l'inventario. I vortici erano incantesimi facili, ma questi erano stati modificati in modo che assorbissero la magia presente nella zona, così da estinguersi immediatamente in luoghi disabitati, ma se si fossero trovati in presenza di magia, anche occultata, avrebbero iniziato a vibrare come luci intermittenti E ovviamente a trasformarsi in eleganti ghirigori rosa shocking. Ora che tutte le zone d'ombra erano state identificate, doveva mandare i vortici, li avrebbe mandati tutti insieme, perché era sicuro della presenza di qualche barriera magica imprevista che avrebbe complicato i suoi piani. Dovevano assolutamente concentrasi, serviva tanta energia. E cosi fecero.

Lavoravano da un po', ma non era più sicuro del tempo trascorso, non dormivano da più di 30 ore ed erano stanchi, ci sarebbe stato il tempo per un solo tentativo quella notte, poi sarebbero stati troppo esausti per riprovare. Dovevano concentrarsi, fissava la mappa. Per qualche istante prima di immergersi nel suo incantesimo guardò Cat.

Una meraviglia da troppi secoli celata ai mondani. La pelle cerulea veniva fuori dalla tuta nera, la maglia di cotone grezzo cadeva morbida sui fianchi legata dal un nastro di seta viola, i lunghi capelli bianchi incorniciavano i dolci lineamenti del suo viso concentratissimo e sinuosi scendevano lungo le spalle. Era lì. C'era sempre, non importava quanto fossero folli le sue idee o avventate le sue scelte, lei c'era, sempre, lì, solo per lui. Il solo pensiero di fare tutto da solo adesso sembrava una vera idiozia. Era bastato vederla, fuori dal locale e la stanchezza accumulata da ore era svanita, era bastato averla vicina e le sue vicissitudini serali ai suoi stessi occhi erano sembrate quasi divertenti. Era lei la sua straordinaria fonte di magia. Era quella pietra preziosa da nascondere al mondo nel timore che gli sguardi altrui potessero carpirla. Era … ma effettivamente era proprio strana quella sera! Vestita di nero, tuta aderente, felpa larga a coprire un top aderente, leggings che scomparivano dentro stivali borchiati … perché diavolo era vestita da catwoman?

“Mag! Concentrati ”

Giusto, a questo avrebbe pensato dopo, ora l'incantesimo, Guardò la mappa, respirò profondamente e lanciò la sua magia. La sua figura si stagliava netta nella stanza, era altissimo, nonostante mantenesse una posizione leggermente curva, piegata in avanti. La palle ambrata illuminata dalle fiamme magiche rivelava il suo corpo agile, reso brillante dalla magia intermittente, le braccia rigide leggermente piegate, i gomiti nell'aria creavano un angolo retto quasi perfetto e dalle mani aperte il flusso di colori si fece più intenso. Cat sentiva il suo respiro concentrato, gli occhi brillavano, le pupille verdi erano più dilatate e lucide, l'aria della stanza vibrava e si tingeva di striature blu e viola. L'incantesimo diventava sempre più potente.

Sempre sempre più potente.

Sempre sempre più potente.

Un po' troppo potente, cominciò a pensare Cat, che inizialmente non ci fece caso, ma poi l'aria della stanza diventò bollente, la strega distolse lo sguardo dalla mappa incantata, l'aria era scura e densa, le onde viola sprigionate dalle mani di Magnus avevano invaso completamente lo spazio e cominciavano a venarsi di striature nere opache. Chiamò Magnus diverse volte, prima sussurrandone il nome, poi sempre più forte. Lui era solo a pochi metri, dall'altro lato del tavolo ma non riusciva a sentirla, qualcosa si opponeva al tentativo di localizzazione ma il Sommo Stregone evidentemente quella notte non aveva messo in conto un insuccesso. I contorni del suo corpo erano spariti, la pelle ambrata non si distingueva più, neanche il completo di lino. Tutto era viola e diventava sempre più scuro. Le onde magiche avevano creato un piccolo vortice che spingeva all'indietro la giacca di lino, facendola vibrare nella aria densa e scura, la sua aurea magica si era così concentrata da poter essere visibile, si poteva quasi toccare, delineando alle sue spalle spesse linee ondulate. Era potente, difficile dire quanto, una magia così forte che si era condensata come vapore, in dolci spirali.

Sembravano ali.

Ali grandi, possenti fuligginose ali nere, che gli conferivano un profilo bellissimo e terribile allo stesso tempo. Non era più il suo amico, la dolcezza dei lineamenti eleganti del suo corpo era scomparsa e la familiarità dei suoi gesti aveva lasciato posto ad una figura imperiosa e vigorosa quanto evanescente capace di soggiogarla completamente. Sembrava un grande angelo nero fuligginoso, le cui ali gagliarde dominavano la stanza.

Un grande potente gagliardo angelo nero.

Era una strega molto potente, amava quella creatura ma era totalmente avvinghiata all'aria divenuta un muro di oscurità e aveva paura. Solo gli occhi verdi, due fessure lucenti nell'aria densa rivelavano con certezza la posizione dello stregone. Cat provò a muoversi. Non ci riuscì, era bloccata. Provò a lanciargli una sfera di luce, ma non riusciva a muovere le mani. Che diavolo stava accadendo, era come pietrificata. Cominciava a respirare a fatica e faceva sempre più caldo. L'aura ormai era potentissima, le goccioline sulla mappa di muovevano freneticamente come i vortici rosa. Poi improvvisamente una crepa si formò nella capsula sopra la mappa, prima minuscola poi più netta. All'inizio Cat non era riuscita neanche a distinguerla, pensava fosse un riflesso. Non era la forza che dall'inizio ostacolava l'incantesimo, era qualcosa di diverso, sembrava un'aura demoniaca comparsa all'improvviso. Magnus la vide, per un attimo distolse lo sguardo dalle sue mani e si concentrò sulla crepa. Era esattamente dove temeva che fosse, a casa di Dorothea, evidentemente lì non c'era più una figlia di Lilith.

Cat capì che non avrebbe avuto molto tempo e una sola occasione, raccolse tutte le forze e si avvicinò all'amico. Doveva interrompere quel contatto immediatamente. Magnus non poteva accorgersene ma non era una magia normale quella che stava usando in quel momento, Si muoveva a fatica, percorrere quella distanza di pochi metri sembrava impossibile, ogni centimetro del suo corpo sembrava pesante dilaniato dalle fiamme magiche. Riuscì ad avvicinarsi, cercò di indovinare i contorni del corpo dello stregone ma non riusciva a guardare la luce era troppo abbagliante, sperò di indovinarli nell'ombra. Aveva paura. È molto rischioso frapporsi tra uno stregone e il suo incantesimo, soprattutto quando lo stregone è potente, gli esiti sono imprevedibili. Giunse alla sue spalle, con la mano destra gli cinse la vita e con la sinistra gli afferrò l'avambraccio, era completamente tesa verso alto, quasi sulle punte perché era molto più bassa ed esile di Magnus, respirò, raccolse le ultime forze e via. Lo trascinò bruscamente, tirandolo a sé più che pote. Ma Magnus era robusto, non cadde, perse solamente l'equilibrio e con esso il controllo del flusso magico, il contatto si interruppe bruscamente creando un vortice nero di una potenza inaudita che esplose come una bomba d'aria bollente. Magnus venne scagliato contro la parete, il tavolo si frantumò in mille pezzi e le schegge di vetro, come frecce infuocate, si conficcarono ovunque, i mobili vennero spazzati via, completamente distrutti, le lampade del soffitto esplosero all'istante come tutti i vetri della camera.

Non capiva nulla. Magnus si ritrovò dall'altro lato della stanza, aveva la schiena dolorante contro la parete, le gambe cedevano. C'era un disastro. L'aria densa non permetteva di scorgere nulla, caldissima tanto che non riusciva a respirare. Tossiva, stava soffocando. Dalle finestre frantumate entrava una leggera brezza che gli evitò di perdere i sensi.

Cat!

Non c'era.

Cat, Cat, Cat, Cat, Cat, Cat, Cat, Cat, Caaaat ….

La chiamava ma non la sentiva.

Cat, Cat, Cat, Cat, Cat, Cat, Cat, Cat, Caaaat ….

Non sentiva la sua voce e non sentiva la sua magia, l'angoscia lo prese.

Cat....

Nella nebbia densa di fumo non distingueva più niente, era confuso, non sapeva neanche se la voce uscisse realmente dalla sua bocca. Era stanchissimo ma cercò di alzarsi, le gambe cedevano ma riusci a trascinarsi, fece leva con le mani e si sollevò risalendo lentamente la parete, la sua schiena sembrava inchiodata al muro. Altri due passi e riuscì a farsi largo nel vuoto. L'aria della notte entrava lenta nella stanza, dissipandone la nebbia.

Cat!

La vide a stento, iniziò a tremare. La gambe e parte del bacino si intravedevano dietro i rottami del armadio collassato, il grosso quadro di Climt si era frantumato su di lei e la cornice robusta spaccata a metà le copriva la faccia. Magnus si fiondò su di lei. Gettò via tutto ciò che trovava, scavando con le unghie tra i cumuli di macerie, dietro la pesante cornice di quercia il viso di Cat giaceva, immobile. Gli occhi chiusi, i capelli bianchi le coprivano parte del volto macchiati da un rivolo di sangue che copioso scendeva dalla fronte. Il labbro era spaccato, le guance graffiate, una scheggia di vetro era conficcata sulla parte passa del collo e anche da quella usciva sangue.

Cat, Cat, Cat, Cat, Cat, Cat, Cat, Cat, Cat, Cat ...

Non riusciva a smettere di pronunciare il suo nome, che come una litania isterica gli moriva in gola. Riuscì a recuperare un drappo di foulard e lo pressò sulla fronte, estrasse la scheggia da collo, tamponò la ferita con brandello della sua camicia e con un fiammella la rimarginò lentamente.

“Cat, svegliati … svegliati, mia regina, Cat, ti prego....”

Alzò lo sguardo, la stanza riacquistava appena contorni confusi strappati alla nebbia.

Era la devastazione. Appena Magnus aveva improvvisamente interrotto il contatto, il flusso magico avvera prodotto una potente onda d'urto. Una bolla di aria bollente era esplosa e Cat esile e minuta era stata scagliata a velocità contro l'armadio che le era imploso attorno. Tutte le superfici di vetro della stanza erano esplose polverizzandosi all'istante, il pesante quadro era caduto frantumandosi. Cat sarebbe stata infilzata se l'anta dell'armadio non l'avesse protetta. Magnus era stremato ma resisteva. Le sue fiammelle azzurre avevano arrestato il flusso di sangue sul collo ed ora cercavano di curare la ferita sulla fronte.

Magnus tremava, era terrorizzato, lo sguardo lucido. Guardava attentamente l'addome e il petto della strega alla ricerca di qualsiasi impercettibile movimento, con le dita osò sfiorare la base del collo in cerca della giugulare, ma sentiva solo il suo battito rimbombare assordante nella testa. Poi improvvisamente un sibilo fece da eco ad un lento movimento, impercettibile che divenne pian piano regolare. Respirava. Il suo petto si muoveva leggermente. Magnus sentì le lacrime salate rigargli il volto, lacrime ribelli che si ostinavano a solcare le guance fuori da ogni controllo.

“Cat, svegliati … svegliati, Cat, ti prego....”

I minuti passavano interminabili. Il citofono suonava. Sentiva le urla di Xeelien e Damon, li sentiva picchiare alla porta d'ingresso. Dal locale avevano sentito l'esplosione e temevano il peggio. Aveva bisogno di aiuto ma non riusciva ad alzarsi, voleva chiamare ma non usciva un solo sibilo dalla sua gola. Trascinò dolcemente il corpo di Cat sulle sue gambe, accarezzandogli le ciocche dei capelli bianchi e la pelle cerulea macchiata di rosso.

Fu un sussulto. Lei aprì gli occhi, solo una fessura, lenta.

“Ehi, ciao...” disse semplicemente. “Scusa”. Rise.

Okay. Lista mentale di cose da fare immediatamente.

Espirare, a lungo, lentamente e per almeno un minuto, perché evidentemente da quando si era ripreso era in apnea e si era dimenticato di respirare.

Distendere i muscoli, tutti, anche quelli che ignorava di avere, gettando la testa all'indietro, tanto non sarebbe rotolata via, facendola incassare sulle spalle, annichilendo il lungo collo color mogano; ora sembrava una versione di cugino It, solo, con i capelli corti.

Strabuzzare gli occhi, tanto non sarebbero caduti, si spera, ignorando la nebbia che ancora li irritava.

Abbracciare Cat, forte, così forte come non aveva mai fatto, stringerla tanto da sentire tutte le sue ossa, stritolarla.

Respirare.

Queste azioni furono un unico fluire. Ora respirava, naso e bocca immersi nei capelli bianchi. Il tempo si fermò tanto che quando la faccia di Damon comparve dalla finestra, pensò che volasse. In realtà l'amico si era arrampicato in un precario equilibrio su una scala retta saldamente da Xelieen. Ma lui non ebbe la prontezza di dire nulla, anche se Damon lo guardava, terrorizzato. Il corpo di Cat era scomparso tra le sue braccia, il loft distrutto.

Lui sorrise, in trance. Fu la manina di Cat che tamburellava ritmicamente sulla sua spalla a destarlo.

“Non respiro... lasciami... Mag, mi soffochi....”

Le parole emergevano a fatica soffocate dalle ginocchia in un abbraccio mortale che doveva allentare ma non voleva mollare la presa. Poi lo fece, ma solo per rassicurare Damon a cui stava venendo un infarto.

“Ti … serve una mano, capo?”. Il mondano non sapeva se ridere o vomitare.

Magnus scosse la testa e alzò il pollice della mano destra. Cat sgusciò fuori dalle sue ginocchia, la faccia ammaccata, lo sguardo stordito, si guardava intorno.

“Scusa, ti ho … distrutto la stanza... scusa. Non volevo interrompere l'incantesimo, ma qualcosa non andava”.

“Si, l'ho visto. C'era un demone, uno potente demone nel corpo di una strega, deve aver posseduto Dorothea, dobbiamo andare”. Rispose d'impulso, non perfettamente cosciente delle sue parole.

“Non dico quello! La tua magia era strana, non era la tua solita magia, fresca, limpida, blu, le fiamme non erano striate di viola, sono diventate nere, dense, bollenti. Non eri tu!”

“Scusa, non … non dovevo. Qualcosa, una barriera forse, impediva l'invio dei vortici e devo essermi concentrato un po' troppo. Non l'avevo capito, non capivo proprio niente”.

“Non riuscivo a parlare o a muovermi, ti urlavo ma non sentivi. Non eri tu! Ho avuto paura”.

Magnus cominciava a capire. E non gli piaceva affatto.

“Scusa” disse solamente, allontanando lo sguardo. “Non devo usare quel tipo di magia, ma a volte non riesco a bloccarla...”

“Scusa tu. Ho avuto paura, ma non ne avevo motivo. Tu sai usare e controllare tutta la tua magia. Devo solo abituarmi, ma se non è necessario, non voglio che la usi. Riusciremo a localizzare Valentine con le magie tradizionali, faremo un incantesimo e una pozione più potenti, useremo amuleti e scudi. Non occorre quel tipo di magia”.

“Quel tipo di magia non occorre mai. È una maledizione e basta!”

Magnus aveva allontanato Cat e si era alzato di scatto. La sua voce tremava, distoglieva lo sguardo e il suo pugno, serrato, picchiò contro la parete.

“Non fraintendermi Magnus”. Anche Catarina si alzò, gli si avvicinò come aveva fatto prima da dietro, appoggiò la fronte sulla sua schiena, era calda e sudata ma tremava, le braccia lo avvolsero e si intrecciarono poco sotto lo sterno. Stringeva. Per un po' fu silenzio, fino a quando i respiri di entrambi diventarono regolari, simbiotici, sincronici.

“Magnus, io non ho paura di quella magia, se sei tu a usarla”.

“Nessuno dovrebbe usare la magia oscura, per nessun motivo, è una magia che distrugge e corrompe tutto ciò che trova, una magia che annienta, attira solo odio e devastazione”.

“No, se sei tu a controllarla. E fidati, amico mio, ero qui, sai perfettamente come controllarla, se non ti avessi interrotto avresti abbattuto la barriera. Ma una magia così potente lascia una traccia e attira su chi la usa troppe attenzioni; abbiamo già molti problemi di cui occuparci senza che qualche astuto demone ti metta una taglia sulla testa. Troppe presenze ostili ci sono al momento, meglio mantenere un basso profilo. Non ho avuto paura per me, ne ho avuta per me”.

“Cat nessuno può usare quella magia e rimanere se stesso, nessuno. Se porti l'anima all'inferno la perdi, non puoi entrare nell'oscurità più nera e sperare di ritrovare la strada senza dilaniarti. Ogni atto di crudeltà, per quanto oscurato e nascosto, lascia una traccia segreta, una ferita profonda che mai più si sana. Quella magia è puro odio. Chiunque la usa è condannato a perdersi. Io non sono diverso”.

“Si, lo sei. Nelle tue mani non ho percepito un briciolo di malvagità, né in te, né nella tua aura neanche al massimo della potenza. Con te funziona diversamente, anche se ancora non so come”.

Gli occhi di Magnus erano lucidi, lontani e si perdevano tra i bagliori offuscati della notte di Brooklyn.

“Magnus arriverà un momento in cui dovrai usare tutta la tua potenza, forse presto e non dovrai aver paura. Non ti perderai, amico mio, perché quando capiterà, troverai la vera ragione per farlo, per sfidare i tuoi demoni e non sarà l'odio. Tu ignori la tua potenza, la eviti, non farlo, immergiti nella tua magia, come fai nella tua vita, è una parte di te, trova il tuo punto di equilibrio, il tuo centro di gravità, afferralo, tienilo con forza e saldo ti riporterà a casa, qualunque sia la potenza che generi”.

“Sei tu quel centro”.

“No, mio caro, non lo sono. Ora riposa ”.

Cat si girò, le fiammelle verdi inondavano la stanza, prima l'armadio e il quadro, poi il tavolo, le lampade, la poltrona, il divano, il mobile e infine le finestre e le tende, tutto fu a posto, i resti della pizza non erano più spiaccicati sulla parete, né i bicchieri frantumati, né il rum o la birra sul tappeto. Una nuova pizza ricomparve, questa volta una metà piccante con acciughe e metà vegetariana al formaggio, con drink freschi e una nuova grande mappa. Magnus premette con forza le mani sugli occhi tanto da sentire gli anelli pesanti sulle palpebre, allontanò i palmi dal volto, strinse i pugni, più forte che pote, li aprì come ad afferrare l'aria e in un attimo furono nuovamente ricoperti da fiammelle blu.

“Una cosa alla volta, per priorità. Prima la crepa”

“Si, penso di sapere cosa fosse. Sentivo un'aura, sembrava Dorothea ma non lo era, deve esserle accaduto qualcosa”.

“Appunto, siamo rimasti in pochi, non possiamo avere altre perdite. So che sei stremato ma cerca di localizzarla”.

La voce di Cat non era meno determinata del suo sguardo. Magnus annuì, si concentrò e tornò a fissare la mappa. O almeno ci provò, ma nulla, nulla, non sentiva proprio nulla, la mappa scompariva quasi davanti al suo sguardo annebbiato, non riusciva a creare un semplice contatto magico decente, figuriamoci a mantenerlo.

“Dai, un ultimo sforzo”.

La voce di Cat era sempre più decisa, aveva un brutto presentimento e raramente sbagliava. Respirò lentamente, si concentrò a fatica solo su Cat, lenti e lunghi respiri scrivevano un ritmo regolare, riprendeva fiato e potenza. Ora era concentrato, il flusso magico cresceva lentamente e lo assorbiva, per cui non si accorse di nulla. Cat, invece, fu distratta da qualcosa, osservava l'angolo vicino alla finestra aperta, dove un fuoco rosso era comparso, circondava un foglio di carta, pregiata all'apparenza, che rimase a volteggiare in aria per un pò. Un messaggio. Magnus intento guardava la mappa, non vide nulla. Cat si avvicinò. Lo afferrò, lo aprì con cura, lo lesse. Era breve. Poche righe, ma le bloccarono il respiro in gola.

“Magnus, smetti”.

Le parole erano un sibilo trattenuto a stento tra i denti. Lo stregone la sentì appena, ignorò l'eco di un singhiozzo rotto e sollevò distrattamente lo sguardo, con un gesto ignaro sembrava non curarsi dell'accaduto.

“Magnus, smetti, subito!”

“Cat, dopo. Sono stremato, se perdo il contatto adesso ci vorranno ore. Dopo, può aspettare, chiunque sia”. Respirò e tornò a concentrarsi sulla mappa, aveva percepito un'aura demoniaca ma era leggerissima, sembrava potente eppure era appena percepibile, non riusciva a localizzarla tra le strette strade di Brooklyn, sfuggiva, doveva solo..

“Cat, diamine!” La mappa si era improvvisamente dissolta, era stata incenerita dalle fiammelle che uscivano ancora dalla mano destra della strega. “Sei impazzita! Prima mi dici di cercare un demone e poi carbonizzi la carta di localizzazione? Che ti prende?”.

“Magnus, smetti subito”. La voce rotta e il gesto improvviso lo spaventarono, nel palmo stringeva un foglio di carta. “E' Hodge. Era un demone superiore, possedeva il corpo di Dorothea, quello che abbiamo sentito, i cacciatori lo hanno affrontato”.

“Lo sapevo! Ecco perché non sentivo la magia di Dot, maledetti bastardi”. Corse d'intinto alla finestra, furioso, come per cercare la magia di Dorothea nella notte stellata che era caduta su Brooklyn, ma sapeva che non c'era più niente da trovare.

“Mag...” Cat aveva ancora la voce spezzata in gola, non riusciva a parlare, la mano stringeva quel pezzo di carta.

“I cacciatori hanno affrontato il demone, beh? Lo fanno di mestiere”.

Ma strani oscuri pensieri prendevano forma. I cacciatori ... a New York … partiti dall'Istituto... ma i cacciatori a capo dell'Istituto di New York erano … i Lightwood ! Magnus si girò lentamente, senza neanche capire cominciò a tremare, alzò gli occhi e cercò quelli di Cat, li trovò lucidi e la tristezza dipingeva il suo viso. E lei sapeva davvero cos'era la tristezza.

“Magnus, i cacciatori hanno affrontato il demone superiore, lo hanno ferito ma hanno avuto la peggio. Uno di loro è ferito, è grave, neanche i Fratelli Silenti possono fare molto”.

Silenzio.

“Magnus ... il cacciatore ferito è ... Alexander .... Magnus, lui … sta morendo. Magnus, devi andare, ora”.

Alexander

La sua ragione. La sua ragione stava morendo? Il Sommo Stregone che da decenni si sentiva tremendamente solo, che si vedeva perso, impegnato a riempire vuoti incolmabili e a maledire un'eternità di cui non sapeva che farsene, che aveva iniziato a spegnersi inesorabilmente fino a quando non era arrivato Alec, piombato all'improvviso nel suo loft con lo sguardo sincero, l'animo gentile e il sorriso da angelo. Lì era iniziata la sua folle corsa. Giorni a cercare Valentine solo per allontanarlo da lui, brindare all'aria sotto la sua finestra, piangere guardando le stelle per l'odore di Bella di Notte, ubriacarsi da solo e dare fuoco alla casa, ore di incantesimo, lasciarsi annegare nell'Oceano, una folle e ostinata determinazione, un'incoscienza che su di sé non conosceva, farsi prendere in giro da una fata, combattere sul ciglio di una strada, tutto … tutto per lui, solamente, per lui. Niente esisteva più. E lui stava morendo da solo? Gli occhi tornarono verdi, la stanchezza svanì. Tutto svanì, la stanza svanì, i mobili, l'incantesimo, la sua ricerca svanirono. Anche Cat svanì.

Alexander

Aprire un portale e tuffarcisi dentro furono gesti istintivi, azioni naturali come respirare. Più naturali, visto che il suo ultimo respiro era rimasto soffocato in gola dalle ultime parole di Cat, l'aveva bloccato lui, per non vomitare, per non piangere, per non urlare. Non disse una parola. Cat lo vide scomparire, nel silenzio di ghiaccio della notte, i suoi occhi tornati d'un verde intenso furono l'ultima cosa che vide. Non c'era stato bisogno di parlare, ma avrebbe voluto tanto augurargli buona fortuna.

Il portale si richiuse su di lui.

Alexander ...

Questo cambiava tutto. Alexander cambiava tutto.

Non importa a quale prezzo o con quale magia, avrebbe aperto le porte dell'intero Inferno se fosse servito a cercare l'anima di quel ragazzo, avrebbe combattuto Lucifero in persona e lo avrebbe sconfitto, sarebbe sceso nell'oscurità più profonda, nella disperazione più assoluta, in capo al mondo o sotto la più infima roccia del girone più infuocato, non importa dove, non importa come, non importa quando o per quanto tempo, fino al suo ultimo respiro, con il suo ultimo respiro, non avrebbe mai permesso a Morte di portarsi via la sua pura e perfetta goccia di splendore in quella palude di merda.
Non importava nulla, l'avrebbe salvato e restituito al suo mondo.

Lui l'avrebbe salvato, il suo Alexander, a qualunque costo.

 
*Note a margine di un'autrice incerta* Lo so, è lunghissimo, ma si è praticamente ideato e scritto da solo, testa e mani sono stati meri accessori. Io l'ho solo assaporato. Forse anche questo un incantesimo e io sono una semplice correttrice di bozze di un libro che si scrive da solo per magia. E se qualcuno troverà la sua goccia di splendore, una nota di consolazione o un brivido, ne sono lieta.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Felicità raggiunta, per te si cammina su un fil di lama ***


12 Felicità raggiunta, per te si cammina su un fil di lama

Città di ossa, tra i capitoli 20 e 23

 

Aprire un portale e tuffarcisi dentro, rabbioso, a occhi chiusi con il respiro in gola, sentendo lo sguardo di Cat dissolversi alle sue spalle, fu un impulso violento. Le onde viola gelide, le fiamme blu bollenti, quando entrano in contatto il blu squarcia il viola e lo dissolve, polverizzandolo in una nebbia densa, simile ai grumi di colore su una tavolozza dimenticata. Non ci aveva mai pensato, eppure attraversava portali da secoli, non si era mai fermato a riflettere, il passaggio durava solo pochi istanti.

Solitamente. Ora era diverso, sembrava eterno. Come lui.

“Dai, Magnus, un ultimo sforzo”.

La voce di una Cat decisa, un ricordo evanescente, lui che non riusciva a concentrarsi, il flusso magico che cresceva lentamente sprigionato dalla sue dita doloranti intorpidite per la stanchezza accumulata in ore di frenetico lavoro.

“Magnus, smetti, subito”.

Parole sputate nell'aria della stanza, secche come un sibilo mal trattenuto tra i denti con l'eco di un singhiozzo che conosceva fin troppo bene rotto da un brivido che gli aveva contorto le budella, la mappa dissolta, incenerita dal gesto impulsivo di Cat, le sue dita avvolte dalle fiamme, le sue parole confuse, le scuse distorte di un patetico idiota. E quel frammento di lettera, accartocciato tra le fiamme della mano destra della strega, lo sguardo severo, scagliato contro di lui come un macigno, come un'accusa palese, una prova inconfutabile della sua colpa e della condanna che lo aveva raggiunto nel silenzio implacabile delle severe stelle e i suoi oscuri incubi mai del tutto domati che prendevano forma.

Il viaggio in quel portale era come sospeso tra due dimensioni, l'incerto e l'inevitabile lottavano convulsi, ma nessun approdo si mostrava all'orizzonte.

Tutto sembrava eterno. Come lui.

“I cacciatori hanno affrontato il demone, hanno avuto la peggio, uno di loro è ferito, è grave”.

Silenzio.

“Magnus il cacciatore ferito è Alexander”.

Silenzio.

“Magnus, lui sta morendo”.

Silenzio.

Silenzio.

Silenzio.

Alexander …

Fiato spezzato, stomaco in fiamme, viscere contorte, brividi, febbre, nausea che accelerava il respiro, gocce di sudore gelato che rigavano la fronte, un dolore potente che lo piegava in due, il cuore cosi accelerato che assordava le orecchie, sarebbe esploso. Ma niente lacrime, non scendevano dagli occhi aridi. Per un istante aveva pensato che avrebbe pianto così tanto da non riuscire a trattenere quell'impetuoso fiume di disperazione, un gorgo in cui sarebbe voluto annegare e si trattenne, con tutte le sue forze. Non voleva sciogliersi nella sua stessa disperazione, aveva così tanta paura. Non poteva farlo, non poteva mollare, non ora. Non c'era tempo. Poi, con sua stessa sorpresa si era accorto che erano gocce di sudore a solcargli al fronte. Non lacrime. Niente calde sincere lacrime, neppure una. Non ne aveva.

Quelle sono solo per pochi eletti. Per gli animi nobili che risplendono come fiori di straordinaria bellezza in campi polverosi abbandonati dagli sguardi avidi degli stolti, spiriti assoluti mandati come potenti cenni di pastoso colore a macchiare di straordinaria bellezza la tela della vita, volontaria rivolta di Natura contro la banalità dell'uomo e del suo mondo. Non per demoni, non per chi si illude di avere un'anima. Le lacrime sono di chi ama davvero, non di chi inganna, fugge, scappa, ferisce. E non era forse questo lui? Un patetico e appariscente buffone, abile solo in vuoti giochi di prestigio, che, viaggiando clandestino tra i secoli, ammantava se stesso di stoffe preziose e inebrianti profumi per scappare all'orrido cupo fetore dell'esistente?

E fu lì che desiderò così tanto riuscire a piangere, avrebbe voluto sentire sgorgare le sue lacrime e sapere che bagnavano la sua anima. Perché ne doveva avere una. Ma niente. Non c'era nulla da bagnare.

Come aveva potuto...

Perché la colpa era tutta sua, dell'egotismo sfrenato con cui seduceva il mondo. Come aveva potuto pensare, sperare, sognare, anche solo per un istante, illudersi che un'anima così pura fosse destinata a lui? Covava questo desiderio proibito da giorni, lui un orrido mezzo demone, un essere spregevole e maledetto. Gli Angeli indignati per tale blasfema profferta, lesti erano planati solo per strappargli il suo sogno, la sua ragione e dilaniarla, gettandola in pasto ad un immondo essere.

Alexander …

Maledetti bastardi.

No!

Non prima del suo ultimo respiro, l'avrebbe salvato, a qualunque costo. L'aveva promesso alle stelle e loro, ingenue, si erano fidate di lui, contro ogni millenaria saggezza.

Il portale si aprì e con esso un odio implacabile che spazzò via tutto ciò che avrebbe definito un sentimento.

Maledetti bastardi.

Un rumore assordante lo paralizzò un momento nel buio. Si era materializzato dentro l'Istituto ma le difese anti nascosto attive generarono un sibilo stridente e un fascio di luce bianca lo travolse, paralizzandolo. Quell'inutile trappola bruciava istanti preziosi, perché diavolo Hodge non l'aveva rimossa? Non c'era tempo ma gli Angeli continuavano ad ostacolarlo. Doveva concentrasi, visualizzare la fonte della magia, evocarla e disattivare le barriere. Chiuse gli occhi e solo allora si accorse del suo respiro contratto, accorciato, sofferto che feriva i polmoni e infuocava la gola.

“Vincula solvo”.

Le parole dell'incantesimo uscirono dalla gola, a labbra strette, impercettibili e strozzate, mentre le palpebre mal chiuse rivelavano al buio del corridoio un frammento luminoso delle iridi verde ambra. L'aria stessa sembrò fermarsi, come incerta, scossa da un brivido, impaurita, prima che una potente onda, viola venata di nero, la invase ed esplose, potente. La mano sinistra rimase sospesa nel vuoto, le lingue di fuoco che timide erano nate dalle sue dita, diventarono in breve possenti e, impennando come imbizzarrite, avevano divorato il buio del corridoio e invaso l'Istituto come un fiume di lava. Un solo istante e il boato sordo frantumò le finestre del corridoio davanti a suoi piedi, l'onda d'urto fece tremare gli imponenti scaffali ricoperti di polvere e le pareti della Chiesa logorate dal tempo, gli antichi libri che vi trovavano alloggio furono sbalzati in aria, i fogli sparsi ricoprirono il pavimento.

Tornò il buio.

Il rumore stridulo cessò di colpo, le difese erano state abbattute. Aprì gli occhi. L'allarme magico antinascosto non era l'unica cosa ad essere saltata, l'ingresso dell'Istituto era irriconoscibile e mamma Lightwood non ne avrebbe apprezzato la nuova versione post tornado. Ma non c'era tempo per rimediare e poi ogni briciolo di magia era assolutamente prezioso. Si incamminò nel buio, una potente rabbiosa frenesia lo rendeva sordo alla stanchezza che gli velava il volto, ma le occhiaie scure non davano scampo. A passo frenetico attraversò il lungo corridoio, doveva raggiungere Alec al più presto, al più presto.

Ma dove?

L'infermeria era il posto più probabile. Cercava di richiamare alla memoria il percorso più breve (aprire un portale era escluso, sarebbe stato una spreco di forze, se solo ci fosse stata Cat li con lui ...) quando un nuovo rumore lo raggiunse, meno assordante ma altrettanto fastidioso: passi.

Qualche arrogante Shadowhunter lo stava raggiungendo e sicuramente avrebbe portato grane, arroganti pretese e stupide domande a cui non aveva per nulla voglia di rispondere. E poi, non c'era tempo. Si fermò, la mano sinistra tornò a galleggiare in aria, era avvolta da una luce blu.

Che diavolo aveva in testa!

Non era un semplice allarme, ma un cacciatore quello che arrivava a grandi passi, non poteva di certo farlo esplodere! E poi per cosa? Uccidere un cacciatore nel tentativo disperato di salvarne un altro? Ma non aveva tempo, non c'era tempo per domande, né risposte, scuse o pretese, non c'era tempo...Alec non aveva tempo...

E poi....

Ma a chi stava raccontando l'ennesima bugia? Era da solo, non c'era nessuno da impressionare, niente palco, niente pubblico. Non era corso in quell'Istituto stravolto dalla stanchezza, stremato, dopo quasi 40 ore di veglia e lavoro, con lo stesso vestito da due giorni e il fiato in gola solo per mantenere rapporti di buon vicinato. Era lì per una buona ragione.

Le fiamme si fecero più intense, il rumore dei passi si fece più vicino e l'agile figura si fermò di colpo, a pochi metri da lui. I contorni di un corpo agile si intravedevano a stento, poco più di un'ombra ma con un profilo rigido che emanava fermezza. Magnus poteva sentire quei muscoli tesi e il respiro concentrato, mentre una mano brandiva decisa il pugnale dei Serafini. L'ombra rimase immobile poi lentamente si mosse verso di lui.

“Sei tu... Sei venuto...”

Sentì il suo respiro spegnersi, affievolito, sentì i muscoli cedere, vide i contorni netti crollare, linee rette diventare curve e udì parole che proprio non immaginava. Di certo era stato riconosciuto, la luce blu dell'incantesimo quiescente e le iridi verdi erano tratti abbastanza specifici, ma la valanga di vuote recriminazioni che attendeva aveva lasciato il posto a quelle poche sillabe. La figura fece qualche altro passo, avvicinandosi incautamente alla sua mano ancora infuocata. Nella luce avara delle fiamme riconobbe i capelli neri, i lineamenti perfetti del viso, l'eleganza innata, severità e coraggio dell'Angelo come in Alec, la stessa natura, solo più bassa con gli occhi marrone.

“Isabelle Lightwood”

La ragazza gli afferrò l'avambraccio e solo allora l'incantesimo gli morì tra le dita, mentre la penombra come una coltre pesante li ricopriva.

“Ho cercato di contattarti ma non sapevo come fare, non sapevo dove Hodge tenesse il tuo numero, perché tu hai un numero, vero? Ma lui non lo usa, di certo, Ma lui è sparito, pensavo fosse venuto a chiamarti, ma non è più tornato, non sapevo come mandarti un messaggio di fuoco, sapevo che avevi dato il tuo contatto ad Alec, ma lui deve averlo nascosto, perché ho smontato la sua stanza ma non sono riuscita a trovarlo, poi sono arrivati i Fratelli Silenti, con rune e frasi incomprensibili, ma niente, lui peggiora, sta morendo... Tu, tu, devi salvarlo, so che puoi farlo, so che vuoi e devi farlo. Io lo so che tu... diavolo … so che lui ha pensato a te ogni giorno e che avrebbe dovuto chiamarti ma lui è così, non sa, è testardo ma, tu, tu, tu non lasciarlo morire. Ti prego, è la mia famiglia”.

Parlava con tale nervosa enfasi che Magnus non era riuscito a interromperla. La osservava. Le sue parole erano decise, tutto in lei emanava certezza e determinazione, eccetto il volto. Gli occhi rossi, le guance rigate dalle lacrime che avevano dissolto il trucco. Soffriva maledettamente, mentre vomitava un fiume di parole a metà tra la minaccia e la preghiera.

Lo pregava.

Un cacciatore, un Lightwood lì a pregare uno stregone, un Nascosto.

Proprio strana era venuta su quest'ultima cucciolata ai Lightwood!

Stranamente, però, lo stregone era rimasto senza parole. Rimase fermo e la tirò a se, abbracciandola leggermente.

“Portami da tuo fratello”, le sussurrò tra i capelli.

Determinazione e risolutezza tornarono improvvisamente, il suo braccio di nuovo teso afferrò la mano dello stregone e la strascinò violentemente. Attraversarono il lungo corridoio, muovendosi agilmente tra angoli e scaffali, quadri antichi e vetrine ricolme d'armi, lo stregone si lasciava trascinare come spinto dalla corrente di un fiume in piena. Giunsero ad una strozzata rampa di scale che la cacciatrice superò così velocemente che Magnus rischiò di caderle addosso e furono in una saletta abbastanza piccola, su cui si affacciavano una porta. Lei si fermò, la mano ancora stretta nella sua, il braccio teso nell'aria. Nella sala figure inquietanti dai lunghi mantelli e dal volto deturpato si muovevano lentamente, come seguendo invisibili ellissi imperfette: i Fratelli Silenti, almeno quattro, ma non riusciva a distinguerli. Dall'uscio semichiuso ne intravedeva un altro, chino su un letto da cui intravedeva appena brandelli di un corpo.

Rimase impietrito, il suo respiro si fece più lungo e irregolare.

Quale follia poteva volere che degli esseri si deturpassero a tal punto! Come poteva la salvezza dipendere da mani tanto mutilate! La follia degli Angeli sicuri di realizzare il volere di Dio non ha confini. Uno di loro si avvicinò, la veste frusciava nascondendo i passi nella stanza. Il viso scolpito di cicatrici auto inflitte era teso verso di lui.

“Abbiamo fatto il possibile, ma non è servito. La nostra magia non avrebbe più senso, tu sei giunto tardi, il destino del Nephilim è segnato. Sei venuto invano stregone”.

Al suono di quelle agghiaccianti parole, lapidarie come una sentenza di morte, la stretta di Isabelle si fece più intensa, disperata e sentì il respiro della cacciatrice infrangersi in un singhiozzo.

Una rabbia inarrestabile montò nel cuore di Magnus, il suo corpo solido come roccia vibrò come corda tesa, le iridi ingigantite dalla furia rivelavano alla stanza una luce intensa, il respiro si fece lungo e regolare e il suo corpo si illuminò di un'impercettibile aurea bluastra. Questa volta fu lui ad avvicinarsi ad Isabelle, accorciando la distanza che li separava, ruotò leggermente il corpo, le fu davanti e sollevandole leggermente il capo con due dita della mano destra, la guardò negli occhi per alcuni lunghi istanti prima di sfiorarle i capelli con un lieve bacio.

“Tranquilla”, disse.

Il suo sguardo si sollevò sulle maschere rigide o orrende, vago ricordo di uomini distrutti dalla loro stessa follia, con uno sguardo che avrebbe gelato il sangue a Lucifero in persona.

“Andate via”, disse.

Il tono era calmo ma non occorreva nessun gesto per capire che non avrebbe tollerato nessun intralcio.

“Giochi una partita pericolosa, tieni molto a quel Nephilim”, rispose una delle maschere.

“Non intendo ripeterlo”.

“E sia”.

Uno dei fratelli Silenti annui. “Non siamo più graditi” disse a voce alta. L'ultimo, rimasto indietro, uscì dall'infermeria e raggiunse gli altri annullandosi nel buio delle scale. Lo sguardo di Magnus tornò nella stanza, oltrepassando l'uscio mal chiuso, si mosse agilmente, oltrepassò la porta e la chiuse con un gesto della mano.

Quello che rimaneva dei vestiti ridotti a brandelli e intrisi di sangue era sparso sul pavimento, il corpo di Alec giaceva sul lento, quasi vinto, il respiro debolissimo era rivelato solo da un sibilo più che dal movimento dello sterno. Quello che era stato un Adone di indicibile bellezza, giaceva vinto dal dolore e contratto dal veleno del demone, abbattuto, svilito, quasi rattrappito, il volto emaciato, distrutto.

Morte era li, in agguato. La sentiva respirare.

Era tardi, non era arrivato in tempo...

Era come impietrito, gelato da una paura folle. Guardò le sue mani, lunghe, affusolate, guardò lo smalto nero non più lucente e i suoi pesanti anelli.

Che diritto aveva di avvicinarsi e anche solo di toccare un essere così perfetto?

Interminabili istanti furono testimoni della sua angoscia e trascorsero lenti.

Forse era lì che doveva stare, lì, solo, a guardarlo morire, abbattuto da un demone.

Alexander ...

Poi un rantolo, eco di un leggero colpo di tosse scosse quel torace bianchissimo, sollevò impercettibilmente quel che rimaneva di un corpo scolpito e un filo di sangue comparve all'angolo della bocca. Fu un balzo istintivo e fu accanto a letto, con la mano asciugò quel sangue. Chiuse gli occhi, così forte da farsi male, li riaprì e un ghigno impercettibile e terribile prese il posto dello smarrimento.

“Tu, non vai da nessuna parte, occhi blu, dovessi incenerire l'intero Inferno!”

Le lunghe dita ispezionarono il corpo freddo del cacciatore per diversi minuti, poi riuscì a capire.

Il veleno del demone era andato velocemente in circolo, le rune non avevano sortito alcun effetto e non avevano prodotto che una leggera sedazione. Il corpo del ragazzo era gelido ma ne sentiva i muscoli e le vene in fiamme, gli organi interni erano compromessi, doveva agire velocemente. Le sue mani si aprirono e inondarono quel corpo di luce blu, l'onda fu così forte che il corpo di Alec sobbalzò, contraendosi, sussultò e rimase bloccato in aria.

“Il veleno si è diffuso, mio cacciatore, sei ridotto male”.

Il tono era pacato, le parole non rivelavano nessun trasporto emotivo, il ghigno albergava ancora sul volto dello stregone e non rivelavano alcun sentimento.

“Il demone con cui ti sei battuto sapeva cosa fare, il suo veleno si è diffuso velocemente perché si è nutrito della tua magia e della magia delle rune. Quegli idioti incappucciati non hanno capito nulla. Ma non c'è da stupirsi, se si è così brutti non si può essere anche intelligenti”.

Il corpo di Alec galleggiava, fluttuando in aria, la luce che lo avvolgeva si fece più intensa, l'onda sprigionata dalle mani di Magnus, immobili nel vuoto a pochi millimetri dal quel corpo, si fece più fitta e gli occhi brillarono d'un verde che il mondo non aveva ancora mai visto.

“L'Inferno ti vuole morto e il Paradiso ti reclama, mio caro, sei desiderato. Come esserne sorpresi! Ma, vedi, c'è qualcosa che non hanno previsto. Io”.

La voce, calda, suadente, era tornata melodiosa e sensuale.

“Vedi, mio caro, noi, figli di Lilith, siamo le creature predilette di Natura che per ripagarci dell'assurdità della nostra nascita e della follia della nostra esistenza ci ha elargito immensi doni, ben più grandi della stessa eternità. Siamo per metà demoni e da quella oscurità che marchia, come fuoco, la nostra anima traiamo potere. Siamo in parte mondani e la nostra anima terrena è capace di provare enormi emozioni e da questi sentimenti i nostri poteri alimentano la loro forza, prendono vita, come il più delicato germoglio crea la sua linfa dall'acqua e dal sole”.

La magia aveva invaso la stanza, blu e viola ora coesistevano perfettamente, senza distruggersi e non c'era nessuna ombra scura, nessuna traccia di nero, anche se la luce aveva avvolto interamente i loro corpi e invaso la stanza.

“Pochi capiscono, però, che Natura, beffandosi di Angeli e Demoni e della loro eterna inutile lotta, in segreto, ci ha elargito un ulteriore dono, il più grande di tutti: la capacità di ascoltarla. Sentiamo il più piccolo sussulto, vibriamo per la più minuscola delle esistenze, percepiamo ogni forza vitale e da tutte le esistenze traiamo la più pura delle magie, quella magia bianca assoluta e luminosa che gli Angeli credono di possedere da soli nell'Universo”.

La stanza era totalmente invasa dalla luce densa, la magia copiosa fluiva dalle mani dello Stregone, era così potente che usciva da ogni fessura dell'Infermeria, l'aria era bollente. Isabelle vedendo quelle onde, come fumi di luce abbagliante, fuoriuscire da ogni spiraglio, si scagliò sulla porta ma dovette ritrarsi perché era incandescente.

“Così, mio caro, noi possediamo entrambe le forze più potenti di questo mondo: la magia bianca pura e ostinata degli Angeli e la forza distruttrice e travolgente della magia oscura dei demoni infernali. Solitamente basterebbe una sola di queste forze, non controllata, a dissolvere un corpo umano all'istante. Ma, vedi, il demone che ti ha trafitto ignora, suo malgrado, che io, Magnus Bane, Sommo Stregone, sia in grado di controllare entrambe queste forze, piegandole al mio volere”.

Gli altri letti della stanza come tutti gli arredi, i possenti armadi di legno e le antiche scaffalature intarsiate erano scomparse nella luce, come gli stessi contorni dello stregone. Solo il corpo di Alec si distingueva nettamente, bloccato in aria, circondato da un'aurea bianchissima teso e contratto.

“Ora vedi, occhi blu, il veleno ha ormai invaso il tuo corpo, ingrassato dalla magie di quegli inetti idioti. Io per salvarti, devo distruggerlo, trapassando con la mia magia ogni cellula del tuo corpo, ti dissolverò per annientare quanto di immondo ti avvelena. Ma non ti ucciderò, ti proteggerò e ti guarirò, ferita dopo ferita, squarcio dopo squarcio”.

La magia era così densa che si poteva toccare come la nebbia d'autunno o la brina del cielo terso nel gelido inverno, sferzava il volto di Magnus come fa il vento caldo d'estate, inebriava come il profumo della primavera e l'aroma della Bella di Notte. Fino ad ora lo sguardo di Magnus non aveva abbandonato il corpo di Alec per un solo istante. Poi uno dei respiri dello stregone divenne più lungo e per un attimo guardò in alto, come nel tentativo di scorgere il cielo attraverso una breccia del massiccio soffitto di legno, come se la rete di pesanti travi di legno inchiodate potesse lasciare uno squarcio da cui intravedere le stelle.

“Cat, ora vedremo se hai ragione, amica mia ”.

La magia bolliva nell'aria incandescente della stanza, lentamente lo sguardo di Magnus scivolò su Alec e si fermò, indugiando su quel viso che, nonostante la morte incombente, rivelava una bellezza potente e segreta.

“Alexander, sei stata la mia ragione in questi giorni, ora sii il centro del mio equilibrio o di noi rimarrà solo polvere. Tienimi a terra, mio caro. E se così non dovesse essere, dall'alto dei tuoi eburnei cieli angelici, sappi che non rimpiango nulla. É stato un piacere, Alexander”.

Lo stregone chiuse gli occhi, anche per le sue brillanti iridi verdeambra la luce di quella magia era troppo potente e fece un profondo respiro.

Non troppo lontano, a Brooklyn, una strega sedeva su un morbido divano rosa, con entrambe le mani stringeva un boccale di birra scura, la testa esile appoggiata al bordo del bicchiere, respirava profondamente l'aroma acido e intenso esalato dal liquido opaco. Sembrava sopita all'apparenza, ma i muscoli tesi e il lento regolare respiro rivelavano l'assoluta concentrazione del suo corpo e della sua magia. Poi d'improvvisò un brivido l'assalì e una lacrima le solcò le guancia.

Il corpo di Alec avvolto dalla luce fu l'ultima cosa che Magnus vide prima di scagliare l'onda. L'intero edificio vibrò dalle fondamenta, l'intero quartiere fu scosso, l'intera città di New York, il flusso dell'Est River si increspò. Qualsiasi essere magico dello stato di New York per un istante ebbe un fremito, ai figli di Lilith dello Stato si spezzò il respirò.

Magnus aveva mantenuto la promessa.

Tra le nubi dell'immenso cielo azzurro come tra le infuocate rocce infernali fu chiaro che in quella stanza Morte avrebbe preso due vite.

Due insieme. O non ne avrebbe preso nessuna.

Isabelle aveva strappato una delle pesanti tende del corridoio nel tentativo di aprire la porta. L'onda fu così potente che la sbalzò dall'altro lato della sala, facendole urtare violentemente il muro. Si alzò dolorante, totalmente inebetita. Che diavolo era?

Tutto rimase immobile, anche l'aria impaurita si nascose nel buio.

Minuti interminabili passarono.

Poi, la porta si aprì dall'interno, una figura esile comparve. La cacciatrice si avvicinò, lentamente, non si era ancora accorta di quanto lo stregone fosse alto, forse più di suo fratello. Lui rimaneva lì, immobile, lei non osava, poi prese coraggio e si avvicinò.

Il suo volto era distrutto, occhiaie profonde e scure segnavano il volto emaciato, respirava a fatica.

“Scusa”, disse lo stregone, voce rotta dal fiato corto.

Per un attimo un denso e oscuro terrore invase il cuore di Izzy tanto da soffocarla ma qualcosa, al contempo, la tranquillizzava.

Lo fissò … lui sorrideva.

“Scusa, ho distrutto la stanza e fuso la porta. E anche in corridoio penso ci sia qualcosina da sistemare”.

Lo sguardo di lei rimaneva stranamente terrorizzato e confuso

Lui continuava a sorridere. “Ah...no, no, non preoccuparti, tuo fratello è vivo, sta bene, beh... bene forse non proprio ma di certo molto meglio di prima, in un paio d'ore di lavoro sarà okay. Per la stanza, beh, magari torno la settimana prossima?”

Isabelle guardava quell'essere indecifrabile.

Sul volto perfetto, d'una bellezza assoluta, su quei lineamenti meravigliosi da giovane dio che neanche il tempo avrebbe mai osato oltraggiare, pesava una stanchezza di secoli, giovinezza e vecchiaia risiedevano entrambe nei suoi occhi verdi velati, la mano piena di anelli lasciava leggeri gesti nell'aria.

Dall'altro lato della città la risata viva di una strega, una risata profonda sincera liberatrice mista a lacrime, aveva invaso la stanza.

“Ora scusa, devo tornare a lavoro”, disse lo stregone e richiuse la porta.

Passarono ore, la luce incerta del mattino annunciò il nuovo giorno e l'alba trovò ciò che non si aspettava.

Catarina dormiva stringendo Presidente Miao e Izzy si era appisolata acciambellata sulla pesante tenda a terra a pochi passi dalla porta. Dentro la stanza c'era un totale disastro: le suppellettili erano sparse sul pavimento, le finestre e le lampade distrutte, così come le ampolle per gli unguenti interamente sparsi, i mobili squassati, lenzuola ovunque a ricoprire i brandelli dei cuscini.

Solo una brandina era in perfetto ordine. Alec dormiva, la ferita non era ancora perfettamente rimarginata, ma il suo respiro era tornato regolare, il suo bellissimo corpo di Adone aveva ripreso colore e calore ed era avvolto da un morbido lenzuolo di cotone. Poco distante, Magnus, era disteso scomposto tra una comoda poltrona, in perfetto stile vittoriano, intarsiata di piccoli gigli bianchi e un pouf rosa, che non si intonavano molto con l'aria austera dell'Istituto a metà tra la caserma e la cattedrale gotica. Il suo lungo corpo sinuoso penzolava dai bordi del giaciglio improvvisato, solo il braccio sinistro rimaneva appoggiato al letto a pochi millimetri dal corpo del cacciatore. La stanchezza dello stregone era inaudita, come non ne aveva mai provate, ma un ghigno di soddisfatta felicità da ore non abbandonava quel volto esausto.

Sorseggiava un drink, un intruglio scuro e maleodorante simile alla birra artigianale.

“Comincio a capire mia cara, è orrenda, ma resusciterebbe dalla morte un'intera dinastia estinta. Devo ricredermi, ringraziare quello sciamano pazzo e ordinare un altro fusto di questo immondo miscuglio, non si sa mai”.

Parlava all'aria. Parlava ad occhi chiusi e più volte Morfeo in persona aveva cercato di sedurlo.

Così non si accorse che proprio lì vicino, due luminose iridi blu si erano aperte e lo osservavano, mentre i raggi del primo sole filtrati dalla finestra coloravano il suo viso, indugiando sul suo profilo. Qualcosa di caldo lo sfiorò. Inizialmente gli sembrò un'impressione, forse un sogno, poi sentì delle timide dita accarezzarlo dolcemente, prima incerte, poi decise.

“Sei venuto”.

“Voi Lightwood vi preparate le battute?”

Avrebbe voluto aggiungere altro ma non gli uscì un solo sibilo, non respirava. Gli occhi verdi divennero lucidi, le dita si intrecciarono ad altre dita con una dolcezza avida e il corpo dello stregone fu scosso da un fremito. Tremava.

“Riposa”, disse.

Le lacrime che non escono dagli occhi pare si depositino nel cuore e lentamente lo inondano, affogando ogni respiro e ogni sentimento. Il sale delle lacrime amare non versate, accumulandosi pare che incrosti l'anima, fino a tramutarla in pietra. Era un pericolo che correvano spesso gli stregoni potenti.

Ma non Magnus.

Lacrime calde scesero dalle iridi verdeambra, non appena il blu degli occhi di Alec fu celato dalle palpebre, dormendo serenamente sotto le ciglia.

Magnus piangeva ridendo ad occhi aperti.

Che assurdità!

Del resto aveva rischiato tutto per un cacciatore appena conosciuto, aveva lanciato un incantesimo così potente da poter incenerire l'intero quartiere, aveva sfidato Morte in persona e aveva vinto, tutto, rimanendo impassibile.

Era bastate due sole parole di Alec a farlo piangere.

Che assurdità!

Ma, del resto, la vita stessa non è assurda?

C'è qualcosa di più potente di un solo istante di pura e perfetta felicità? E per raggiungere questo solo magico istante non cammineremmo forse sulla lama più affilata? Ogni attimo di felicità non è forse come danzare sul ghiaccio fragile e luminoso di un lago montano all'arrivo della calda primavera? In qualsiasi momento quel ghiaccio può incrinarsi, frangersi e farci sprofondare.

Ma cos'è vivere se non ostinarsi a toccare la fiamma ardente della speranza anche e soprattutto quando il calore può distruggerci?

Vivere cos'è se non provare con ogni respiro, con ogni forza e in ogni istante ad essere assolutamente felici?

E gli stregoni, in fondo, non sono per metà umani?

Meravigliosamente, profondamente, potentemente umani. Come le lacrime.


 

Nb. Note notturne di una scrittrice grata.

Un pensiero rivolto alla luna per chi legge questa storia, sperando che nessuno di voi abbia visto macerie, né mai ne vedrà, macerie che nessuno dovrebbe mai vedere.

Un grazie a Cristal per il costante impulso letterario e la pazienza di leggere le bozze incompiute di una nevrotica, uno per Mad per le sue parole sempre stupende che lei crede incerte ma che scrive senza neanche accorgersene, uno per damin per le emozioni che sente e condivide e uno grande a Vampy che si sarà accorta come da una sua frase “di lacrime forse non ne aveva” è nata l'ispirazione più profonda di queste parole.

L'ultimo pensiero che confesso alla luna è per Lux, sperando che anche lei vinca la sua battaglia.


 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Non recidere, forbice, quel volto, nella memoria ***


13


Non recidere, forbice, quel volto, nella memoria

(tra le ultime pagine di Città di ossa)



Era stanco, esasperatamente e dannatamente stanco.

Le palpebre, pesanti come macigni, scendevano sulle iridi verdeambra, lente e inesorabili, contro la sua volontà, mentre provava a resistere ostinatamente a Morfeo, potente e seducente che lo ghermiva, per la fatica respirava a stento, il sudore si era asciugato freddo sulla sua fronte e tra le sue mani. Il suo respiro si spezzava, assaporando l'aria della stanza impregnata di polvere resa lucente dai primi raggi del sole del mattino che svelti si intrufolavano dalle antiche finestre.  

Ma lui voleva vedere... ancora.

Vedere quel corpo bianco e perfetto respirare lentamente, dolcemente adagiato su un bianco lenzuolo di cotone,  un'isola di quiete in una stanza dove ogni cosa era stata stravolta.
Vedere quel torace che, lento, aveva ripreso il suo ritmo regolare, ascoltare quel battito con cui, naturalmente,  il suo cuore aveva creato una perfetta sincronia.
Avrebbe voluto rimanere sveglio, ma era esausto e il sonno lottava indomito contro la sua volontà.

L'incantesimo lo aveva stremato, era andato avanti per ore, interminabili ore, in cui aveva interrotto il flusso magico solo per i pochi lunghi istanti passati a stringere la mano di Alec nella sua, come a volerlo ostinatamente attaccare alla vita del mondo. Istanti interminabili passati a sussurrare dolci parole ad un ragazzo appena conosciuto a cui aveva confessato frammenti indicibili del suo animo e del suo passato.

Follia, pura follia, vedere una vita così giovane quasi spezzata da un'eterna battaglia tra bene e male di cui nessuno né in Paradiso né all'Inferno ricorda più il motivo.

Follia ammettere quanto sia possibile amare qualcuno senza nessun motivo solo perché il suo sguardo gentile si è impresso prepotente nell'anima e ha scritto il proprio nome a lettere di fuoco nella memoria.

E ora, mentre a fatica lottava con Morfeo, ricomponeva nella mente i frammenti di vita rubati che aveva scorto, indiscreto, mentre la sua magia attraversava quel corpo. L'incantesimo che aveva salvato Alexander Lightwood era potente e per farlo, senza volerlo, Magnus si era connesso intimamente con la sua anima. Non lo aveva capito subito, era concentrato nel tentativo di distruggere il veleno del demone superiore che stava uccidendo il cacciatore, quando era stato travolto da immagini vivide, suoni, odori di cui non capiva la natura.

Aveva visto un bambino biondo semi nascosto dietro la gamba di un uomo imponente, vestito di nero, pieno di armi e aveva sentito subito l'impulso di doversi prendere cura di quello sguardo triste. Si era visto mentre porgeva una frusta ad una bambina dai lunghi capelli neri con gli occhi invasi dalle lacrime trattenute con forza dopo un fallito tiro con l'arco. Aveva sentito un'invidia potente guardando un bambino con un  volto tenero incorniciato da riccioli neri che stringeva un soldatino tra le mani. E non aveva capito, fino a quando non aveva sentito un possente brivido ferirgli la schiena mentre un giovane biondo dai lineamenti decisi si era avvicinava a lui, con sguardo confuso, chiedendogli di diventare il suo parabatai.

Allora capì, solo allora e fu ferito dal potente groviglio alle budella che provò mentre si vedeva tracciare una runa su quella pelle liscia e profumata che tanto avrebbe voluto accarezzare e baciare. Era nella mente di Alec che travolto dal dolore e dal veleno ripassava i momenti più importanti della sua vita, come si fa, inesorabilmente, quando la Signora Oscura viene a prenderci.

E si era sentito terribilmente in colpa a violare quella mente pura e tormentata, non avrebbe dovuto vedere, non avrebbe voluto sapere, ma avido era rimasto a scorgere il più piccolo dei frammenti di memoria che gli arrivavano alla mente attratti, dalla sua magia, come metallo da calamita.

Aveva provato una rabbia immensa guardando Clary, la piccola rossa che aveva visto crescere e che in quel momento avrebbe polverizzato, aveva sentito l'impeto di distruggerla e si era visto mentre la scagliava violentemente contro un muro, serrandole il braccio. Si era visto altrettanto furioso mentre nell'armeria guardava un arco e afferrava la picca, aveva sentito il desiderio che conosceva sin troppo bene di sfidare la sorte in cerca di Morte, aveva sentito un terrore profondo alla vista del demone ma ugualmente gli si era scagliato contro. E, stupidamente, si era sentito felice pur soffocando il proprio sangue in gola, solo per aver visto gli occhi lucidi dei propri compagni chini su di lui, solo per avere visto la propria sorella piangere stringendolo al petto e il suo parabatai sussurrargli con le lacrime trattenute a stento che doveva combattere e resistere perché mai avrebbe dovuto lasciarlo. Mai. Non poteva farcela da solo.

Quando uno stregone viene assunto per guarire un cacciatore agisce senza troppe discussioni, lavora per un compenso, conta le ore, utilizza pozioni per non stancarsi troppo. Ma lui era li per tutt'altro, aveva rischiato di perdere il controllo dando pieno accesso a tutto il suo potere, solo per guarire quel Nephilim. Il denaro, il potere, il prestigio non avevano alcun ruolo in questa sua scelta

Ora doveva continuare il suo incarico, anche davanti a quell'amore segreto e sincero di Alexander per il suo parabatai, anche se aveva provato una gelosia sorda, trattenuta e vinta a stento.

Alexander ora era salvo e lentamente riprendeva le forze. Magnus per qualche minuto doveva essersi addormentato perché si svegliò di soprassalto quando il cacciatore scosso da un fremito strinse la presa. Le mani ancora strette, le dita ancora intrecciate e quella voce che continuava a risuonargli in testa come un disco rotto. "Sei venuto..."

Sentiva il suo telefono vibrare e l'elenco delle chiamate sul display aumentava. Catarina sicuramente, ma anche Tessa e chissà quanti altri, perché per un istante aveva evocato a sé la potenza di ogni figlio di Lilith presente nello stato di New York. Aveva visto lettere di fuoco, vortici, richiami, immaginava la preoccupazione delle amiche streghe, sentiva l'ansia di Catarina, come aveva sentito e aveva avuto i suoi poteri, per tutta la notte, durante l'incantesimo per salvare la vita del suo cacciatore. Doveva richiamarla, per darle pace e perché, come sempre, aveva un incredibile bisogno di lei, per rimettere tutto al suo posto e per tornare a casa.

Doveva, ma riusciva solamente ad ascoltare il respiro lento e regolare di Alexander. Aveva ignorato tutto.

Mentre guardava le immagini della vita segreta del cacciatore scorrergli nella mente senza permesso, con il solo briciolo di volontà rimasta in lui, si era ripromesso di sparire, per sempre, lasciando quel giovane cacciatore alla vita, alla famiglia a cui apparteneva, ai sentimenti che provava per il suo parabatai.

Era fermo, convinto di questo sofferto proposito, triste e arrabbiato con se stesso. Ancora una volta il suo cuore era stato infranto senza nessuna ragione, per gioco, da qualcuno capitato per caso. Perché la sua vita doveva essere così? Lui, il Sommo Stregone di Brooklyn, bello e potente, poteva avere praticamente chiunque, viveva da secoli, ma parole storie sesso sguardi carezze e baci erano solo gocce di un fiume senza fine che non lasciava nella sua anima nessuna traccia. E poi un maledetto ragazzino gli incasinava la vita.
Doveva andare, sarebbe sparito per anni, decenni, che avrebbe passato a rimettere insieme i pezzi di quella sua anima tormentata. Era deciso. Avrebbe fatto così, senza ripensamenti. Subito dopo l'incantesimo avrebbe agito. Prima l'avrebbe salvato e poi sarebbe sparito lasciando i Cacciatori a combattere le loro guerre.

Poi...

Lo stregone era concentratissimo, il corpo di Alec era stato appena colpito dall'onda più potente che avesse mai generato dalle sue mani, il filo che teneva quel ragazzo attaccato alla vita stava per spezzarsi, allora provò un vortice di sentimenti, tristezza, rabbia, malinconia, disperazione, tutti egualmente indescrivibili e avrebbe voluto urlare, spaccare qualcosa, incenerire la stanza, prendere fuoco... voleva perdere il controllo e abbandonarsi all'anima oscura e potente che sopita teneva dentro di sé, quando ... qualcosa di inaudito e impensabile lo trattenne. O meglio...qualcuno. Lui. Si vide, poco più di un riflesso.
Vide il suo corpo agile ed elegante che a suo agio si muoveva come danzando tra i rumori di una festa, vide il suo loft pieno di Nascosti, sentì la sua stessa voce e la trovò dolce e suadente. Rimase così stupito che per un attimo perse il contatto magico, quanto bastò a distruggere la stanza che tanti anni aveva resistito.
Poi capì.
Era dentro Alec, vedeva la sua mente e comprese che l'ultimo pensiero di quel ragazzo davanti alla Signora Oscura era stato lui, un patetico pazzoide Sommo Stregone, l'ultimo pensiero era per i suoi occhi verdi, l'ultima immagine che il cacciatore aveva scelto per aggrapparsi a quella vita, l'ultima cosa che voleva veder in quel vecchio mondo. Si vide, come non si era mai visto e provò una pace immensa come non ne aveva mai provato.

Ma chi era in pace?
Chi era felice lui o Alexander?
Di chi erano quei pensieri?

Pensava e ripensava a quel momento, ossessivamente, senza capire fino in fondo.

Vedeva quel volto, i lineamenti dolci, fieri e tristi e vedeva quegli occhi, i suoi. Quanto li aveva odiati! Gli occhi da gatto verdi, il simbolo più evidente della sua natura demoniaca, del suo destino di distruzione. I suoi occhi, quelli che aveva dovuto nascondere al mondo dei mondani con assoluta ostinazione, per proteggere la sua stessa vita, quegli stessi occhi che aveva considerato il simbolo della sua stessa dannazione, che aveva usato per sedurre e ingannare, loro, quegli occhi, ora li vedeva come per la prima volta e non gli erano mai sembrati così belli. Nella mente di Alexander erano chiari, puri, luminosi come perle preziose, d'un verde inteso a metà tra quello dei boschi di montagna e del mare d'inverno, venati da una leggera nota d'ambra che odorava di terra. E comprese quanto quell'inedita immagine di sé, sincera e vibrante, quello schizzo vivido nato degli occhi del cacciatore e custodito gelosamente nel cuore del giovane fosse importante per lui è si attaccò a quell'immagine con tutta la sua forza, pregando la sua memoria di non recidere quel frammento di volto, di non travolgere con la nebbia dell'oblio quel viso. Lui, il Sommo e potente Stregone, sempre perfetto nei minimi dettagli, ma schivo e sfuggente come l'aria, era stato pietrificato da un solo sguardo.

I raggi del sole ormai potenti avevano rivelato ogni angolo della stanza. I cuscini, per loro natura leggeri, erano stati i primi ad essere risucchiati in quel vortice ed erano letteralmente esplosi ricoprendo il pavimento di lana e piume, la stessa sorte era toccata a lenzuola e coperte, le pesanti strutture dei letti di legno massiccio erano state spostate dall'onda magica, le ampolle di vetro delle pozioni erano andate in frantumi come i vasi degli unguenti e le bende.
Sembrava fosse passato un tornado: tutto era nel caos.

Tutto, tranne la brandina su cui poggiava Alec, l'incantesimo l'aveva protetta, i vestiti insanguinati giacevano ancora sotto il letto, vicino alle armi e al suo stilo.

Che strana la magia...

Il veleno di un demone avrebbe ucciso quel cacciatore se un mezzo demone con tutti i suoi poteri non lo avesse salvato, rischiando quanto rimaneva della propria presunta anima. La magia aveva creato un ordine che aveva permesso ad Alec di sopravvivere mentre generava un caos assoluto.
La magia... potente legame che univa quei due esseri così diversi, due uomini opposti come frammenti di angelo e demone che stranamente, invece di respingersi, si attraevano irresistibilmente.

Pensava, confuso da stanchezza e indecisione, quando da una finestra andata in frantumi gli sembrò di sentire forte e deciso l'odore dell'Oceano.
Come poteva esserci quell'odore aspro e potente di profondo blu nel centro di New York?
Eppure era lì, era troppo saggio per dubitare dei suoi sensi.
Eppure era lì.

E fu allora che capì.
Quella profonda e potente sensazione di pace, quel brivido di felicità a cui Alec si era attaccato in punto di morte, non era unicamente il sentimento del cacciatore, era anche il suo, la sua quiete, la sua speranza, la pace di un vecchio e tormentato stregone che intravede, dopo secoli di inganni, una chimera all'orizzonte.

E così, in quella pace segreta, vinto dalla stanchezza, si addormentò, cullato dall'inesistente odore dell'oceano, con il volto illuminato dall'accenno di un sorriso.


Scarabocchi di un'autrice notturna

Tutto nasce da una domanda:
come fa il Magnus del bacio a sapere che Jace era andato in pezzi per il ferimento di Alec temendo che potesse morire?
Avevo in mente questa immagine da un po' ma causa impegni settembrini non avevo avuto il tempo di scrivere.Beh ... ho scoperto che mi è mancato!
Così, di notte, mentre la pioggia cade fitta sulla città, ho lasciato che le mie dita vagassero sulla tastiera a suon di musica. Spero di non avervi annoiato con questa storiella che fa capolino tra le vostre belle scritture. L'ultimo ringraziamento va a quelle anime dolci e inquiete (cristal, lavampy, mad, danim) che hanno lasciato delle bellissime recensioni, del tutto immeritate, che ho letto e riletto.
Vi ringrazio per i meravigliosi pensieri che avete lasciato tra le righe. 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Stupefacente il volto che ancora s'ostina ***


 

14 Stupefacente il volto che ancora s'ostina

 

Un altro sorso di rum gli pizzicò la gola, ne sentì nei polmoni l'odore intenso, sentiva il sibilo regolare dei suoi respiri che riempiva l'aria, lento.

 

Finalmente pace.

Il locale ormai era quasi vuoto, gli ultimi clienti sparsi conversavano sommessamente, risate e parole si confondevano nel vuoto tra le note malinconiche e vibranti di Ed Sheeran e dei OneRepublic. Il suo corpo era quasi completamente scivolato sul comodo divano di canapa grezza del privè, la testa reclinata, gli occhi socchiusi, solo le lunga dita strette attorno al bicchiere tradivano una veglia segnata dal ticchettare ritmico dell'anello sul vetro. C'erano volute ore prima che riuscisse ad analizzare i fatti lucidamente, ma solo ora, forse, solo ora cominciava a capire.

 

Dopo la guarigione del Nephilim era tornato a casa stremato e solo perché Cat lo aveva riaccompagnato aprendo un portale fino alla sua camera da letto, lui, da solo non si reggeva neanche in piedi. Un attimo prima di gettarsi tra le lenzuola il gigantesco specchio intarsiato gli aveva rivolto un frammento di se stesso dopo quell'interminabile fluire di giorni, si era appena intravisto e aveva un aspetto decisamente orribile, aveva bruciato i vestiti e avrebbe fatto altrettanto anche con i suoi meravigliosi capelli se dopo il terzo shampoo quell'odore intollerabile di sangue, polvere e veleno di demone non fosse sparito. Aveva dormito per quasi due giorni, alzandosi solo per mangiare le prelibatezze che Catarina aveva disseminato per tutta la cucina, c'era cibo per un folto reggimento in marcia forzata nell'inverso russo. Solo dopo 6 docce, 4 pasti abbondanti e 50 ore di sonno era riuscito ad alzarsi reggendosi in piedi sulle sue gambe.

Si aggirava per casa, senza meta, per vincere quel senso di strana e scomposta inquietudine che gli attanagliava lo stomaco si era imposto di uscire, una sontuosa camicia di seta rossa cadeva morbida sui jeans neri aderenti, dai bottoni aperti due ciondoli di pietra nera lasciavano intravedere la pelle ambrata, venature di glitter amaranto donavano ai capelli una cromatura magnetica, richiamata dall'eyeliner nero.

 

Sarà stato un caso, ma era altamente desiderabile.

 

E così fece il suo ingresso nel locale, circondato da una densa aura dei magnetica sensualità che lo metteva in risalto come se avesse un neon sulla testa. Appena entrato venne letteralmente travolto. Il suo locale era molto frequentato negli ultimi mesi, più del solito, ma da quando aveva scagliato uno dei incantesimi più potenti percepiti negli ultimi decenni in tutto lo stato, il Pandemonium era stato letteralmente preso d'assalto da Nascosti di ogni specie, in parte curiosi, in parte angosciati, che lo cercavano desiderosi di spiegazioni, attenzioni o solo della sua presenza. Aveva stretto mani per ore e regalato sguardi rasserenanti a perfetti sconosciuti, era stato abbracciato e baciato un'infinità di volte tanto che cominciava a infastidirsi, stranamente, in realtà, perché di solito amava le luci della ribalta, si sentiva un politico alla vigilia delle elezioni. Che orribile sensazione.

 

E le difficoltà non si limitavano alla gestione della folla. Non era stato facile esporre i suoi timori su Valentine e il Clave, mantenendo un atteggiamento composto e moderato con un gruppo di seri, fidati e preoccupati stregoni mentre Kira seduta vicino a lui, con la mani sotto il tavolo dentro i suoi stretti pantaloni aveva deciso di fargli pagare, a modo suo, ovviamente, i cinque lunghi giorni di assenza dalle scene cittadine. Mai avere una fata come amante se non si ha il tempo e l'attenzione adeguata per gestirla e appagarla, poi si vendica... in pubblico! Kira, che lo aveva accolto con un lungo e appassionato bacio sulla bocca da lasciare ben pochi sospetti sulle sue intenzioni, non lo aveva perso di vista un attimo, si era seduta al suo fianco e mentre, con una mano, teneva in bella vista un Manhattan con l'altra aveva silenziosamente raggiunto il corpo di Magnus, intrufolandosi tra la pelle dell'addome e gli stretti pantaloni che in breve erano diventati sempre più stretti, quando le ditta affusolate erano andate più giù e avevano silenziosamente condotto il suo piano, andando su e giù per un tempo interminabile e solo dopo aver compiuto il suo piccolo gioco di prestigio, all'ombra del serio consesso ingrato di tutto, era andata via con sguardo malizioso leccandosi le dita. Il Sommo Stregone doveva ringraziare i secoli di maturata esperienza in segreti incontri amorosi, per aver saputo mantenere controllati i suoi gesti e pacato il suo tono di voce anche quando il controllo del corpo l'aveva già perso da un pezzo. Non sarebbe stato facile alzarsi dal tavolo per diversi minuti, decine di minuti, forse, le fate sanno essere molto persuasive quanto pretendono attenzioni.

C'era voluto un po' di tempo e tanti respiri profondi, però, prima di lasciare i suoi deferenti ospiti, affermando che era proprio arrivato il momento di un drink, con un tono che non aveva lasciato spazio a obiezioni.

 

Ora voleva solo lasciarsi andare, l'eccitazione aveva spazzato via gli ultimi cenni di autocontrollo, ora voleva divertirsi senza limiti, sentire ogni cosa, senza vincoli, senza regole. Per ore aveva controllato istante dopo istante i suoi poteri, tutti i suoi muscoli, aveva contenuto le sue emozioni e represso i suoi pensieri, lui, che della libertà personale illimitata e assoluta ne aveva fatto un vanto, un tratto identitario al pari della stessa magia.

 

Lui, per ore era stato più controllato di un prigioniero in una galera. E, cosa più assurda, per suo stesso volere.

 

Ora, aveva una gran voglia di immergersi, perdersi tra la folla, ballare tra sconosciuti, essere solo un piccolo segmento all'interno di quel pulsante magma umano che mi muoveva ritmicamente illuminato a scatti da lampi accecanti, annullando spazi di identità, limitando i gesti ai pochi vuoti lasciati dai corpi accalcati, sostenendo il ritmo frenetico dettato dalla console, perdendo completamente senso e misura, spazio e tempo, lasciandosi travolgere dall'eterno presente a luci soffuse scandito da bassi vibranti ben calibrati.

 

E così aveva fatto, ballando per ore, scegliendo partner sempre diversi, raggiungendo con alcuni livelli di intimità piuttosto considerevoli, tenendo presente che si era pur sempre in pubblico e … vestiti. Si era allontanato dalla pista con occhi semi chiusi e la camicia sbottonata intrisa di sudore solo quando aveva sentito la gola troppo secca. Era saltato dietro il bancone, si era preparato un vodkalemon e l'aveva mandato giù come fosse acqua. Ed era rimasto lì, giusto il tempo di chiudere qualche bottone e arrotolare leggermente le maniche. I suoi agili movimenti erano scanditi dal tintinnio dei ciondoli di pietre dure che impreziosivano la pelle olivastra dal petto. Nonostante il sudore e la stanchezza doveva essere piuttosto attraente agli occhi di molti dei clienti del locale, visto le continue avances, che sistematicamente rifiutava a volte in modo un po' provocatorio. In altre occasioni gli incontri amorosi sarebbero stati frequenti quanto le profferte, ma quella sera non aveva voglia di concentrarsi su nessun altro essere umano, nessuno, oltre lui. Aveva ancora le budella contratte, un senso di ansia gli tagliava i respiri.

 

Qualcosa non andava...

Un pensiero fisso si era attaccato al suo cervello e continuava fargli rivedere nella testa quelle immagini scomposte della notte passata a fianco del Nephilim, luce suoni colori e rumori non riuscivano a mandare via quel volto né quel miscuglio impazzito di sensazioni che aveva provato stringendogli la mano.

 

Non era ancora giunta l'alba, quando aveva mandato Damon a dormire, quella sera avrebbe chiuso lui, occupandosi di cocktail, ghiaccio, agrumi ed erbe speziate per arricchire i drink. Ed era rimasto per ore dietro il bancone, fin quanto la stessa Irene, la compagna di Damon, forse non proprio di sua volontà, era arrivata per dargli il cambio, dal momento che quella sera, evidentemente, il Sommo Stregone non aveva proprio alcuna voglia di mandare tutti a casa dichiarando conclusa la serata. Irene, piccola, corpo sinuoso e asciutto, occhi lucenti e sguardo deciso, carattere focoso almeno quanto la sua chioma rossa, non era stata molto accondiscendente e lo aveva mandato su, a dormire nel privè.

 

Era quasi l'alba, lui era lì, cacciato via dal suo stesso bancone, indeciso se salire la stretta scala a chiocciola che dava sul suo palco riservato, un angolo di assoluto paradiso dissoluto in migliaia di serate tutte uguali, un divano ampio e comodo e un tavolino, celati da una preziosa pesante tenda di seta, un rifugio segreto che aveva visto veramente di tutto. Aveva salito solo qualche gradino e dalla sua postazione privilegiata osservava gli ultimi rimasti che ovviamente non avevano alcuna voglia di andare, rimasti a fare baldoria come se avessero chiamato la Notte a testimone delle loro cattive intenzioni e stessero aspettando che andasse via per vincere la scommessa.

 

Questo avviene quelle notti in cui proprio non vuoi dormire, perché non sai mai quale immagine verrebbe a farti compagnia, chiusi gli occhi.

 

Alcuni erano impegnati in serrate conversazioni, altri intenti a rievocare memorie di pericoli andati e gioie passate, altri semplicemente avvinghiati in divanetti troppo stretti presi a vivere storie d'amore d'una notte, lasciando che i gemiti sommessi cacciassero via il vuoto e l'angoscia dei tempi infausti. Tutti erano in qualche modo coinvolti in qualche attività adeguata al suo locale, tutti tranne lei.

 

L'aveva notata subito, non appena aveva messo piede al Pandemonium quella sera e non era stato difficile tenerla d'occhio, perché lei sembrava l'unica ad averlo completamente ignorato, lui la star della serata, il Sommo e potente Stregone. L'aveva guardata di continuo in mezzo alla folla, beveva da sola birra scura, pervasa da una tristezza inquieta, anche se lo sguardo assorto lasciava intravedere una pulsante determinazione, una rabbia mista a speranza che rendeva ancora più incantevoli quei lucenti occhi marroni.

 

Qualcosa di quella ragazza lo attraeva magneticamente.

 

I lunghi capelli lisci erano racchiusi in una coda bassa che li lasciava scivolare morbidi sulla schiena, la pelle bianchissima era lasciata scoperta da una canotta nera di cotone pregiato che forse poco si intonata ai pantaloni verde bosco simil militare su cui ricadeva morbida, né agli anfibi neri borchiati con punta di ferro.

 

Che combinazione affascinante, come se non sapesse fino all'ultimo se essere una guerriera o una principessa.

 

E, ad rendere quella donna ancora più attraente, un dettaglio che aveva solleticato oltremisura l'immaginazione dello stregone: un piccolo blocco, copertina di cartone ruvido e fogli di spessa carta marrone leggermente inscurita dal tempo e un nastro di seta nera come segna pagina. Lei distrattamente guardava gli altri clienti, non sembrava aspettare qualcuno in particolare, beveva lentamente godendo della musica. E scriveva, come per appuntare tutti i suoi pensieri prima che volassero via. Come bagaglio uno zaino da spalla rigonfio di tasche e una felpa nera di almeno 3 misure più grande per quel corpo esile e delicato. Eppure nulla lasciava trasparire fragilità, i suoi sguardi e i suoi gesti erano pacati, lenti e determinati e un sorriso ironico intrappolava alcune immagini sparse, come in un'istantanea.

 

Stava scrivendo nel suo taccuino con una matita scura quando Magnus le si avvicinò con un boccale di birra appena spillato che gli piazzò sotto la faccia, lei alzò lo sguardo perplessa e un po' infastidita.

“Non l'ho ordinato”, disse.

“Lo so, offre la casa”

“Perché?”, pronta aveva risposto, senza malizia e senza esitazione, lo sguardo incuriosito non aveva ancora abbandonato il suo volto.

A pochi centimetri Magnus la osservava, lineamenti dolci e sguardo intenso, occhi profondi e sfuggenti, come a celare segreti che a pochi era dato sapere.

“Perché mi servirebbe un motivo per offrirti da bere? Se vuoi, puoi lasciarla”.

“No, grazie, ero solo curiosa”.

“Posso?” La voce dello stregone era musicale e un eloquente gesto della mano aveva accompagnato la sua domanda.

“Tecnicamente, è il tuo locale”.

“Ma, momentaneamente, è il tuo tavolo”, la guardava, senza abbassare lo sguardo. Questa volta fu lei a fare un cenno, non era infastidita, ma non sorrise.

“Cosa ti porta qui?”

“Speravo di incontrare una persona”.

“Chi? Se è lecito chiedere”.

“Un strega, non la conosco, so solamente il suo nome, Loss. Tu dovresti conoscerla”.

 

Loss? Catarina Loss, la sua Cat. Conoscerla? A volte Magnus aveva l'impressione di conoscere solo lei in tutto il pianeta.

 

“Più o meno” disse, “perché la cerchi?”

“Volevo ringraziarla”

“Ah...”

La curiosità di Magnus aumentava sempre di più, era palpabile.

“Non penso verrà, non ama troppo le uscite mondane. Se vuoi la chiamo o le dico di passare domani”.

“Non serve, potresti … riferire tu?”

Quella ragazzina lo aveva ignorato tutto il tempo, mostrandosi totalmente immune al suo fascino, sbeffeggiandosi dei suoi ospiti, usando il suo locale come biblioteca e bevendo solo quell'intruglio maledetto che aveva preso per la sua Cat e adesso lo usava come postino. Era veramente sfacciata. Avrebbe voluto rifiutarsi, ma annuì, in realtà la trovava assolutamente adorabile.

 

“Dimmi pure, riferirò”.

“Qualche giorno fa ha salvato una vampira ridotta molto male, l'ha aiutata, l'ha fatta portare in una specie di isola per vampiri nei guai e le ha salvato la vita”.

Aveva gli occhi lucidi ma la voce ferma.

“Tipico di lei, occuparsi del prossimo in difficoltà è praticamente il suo imperativo categorico”, disse, inarcando entrambe le ciglia. E finalmente la ragazza gli regalò un sorriso.

“L'ha salvata, si è presa cura di lei, l'ha aiutata, senza chiedere nulla, neanche il nome, non la storia, non un compenso. L'ha solo salvata. È stata gentile, volevo ringraziarla”.

“Le farà piacere, riferirò, stai tranquilla. Ma tu come di chiami?”

“Ha importanza?”

“No, effettivamente”. Ancora quella risposta assolutamente spiazzante.

“Mad, tu sei Magnus Bane vero?”

“Si, sono io”.

“Sai ti immaginavo diverso, più … vecchio e non immaginavo facessi anche il barman”.

Stavolta fu Magnus a ridere.

“Non si può mai sapere in tempi di crisi! Spero di non averti deluso”.

“No”, disse candidamente.

Magnus la guardava sempre più ammirato. “Posso farti una domanda?”

Bevve l'ultimo sorso di rum e con uno schiocco delle dita ne fece comparire un altro, lei non batté ciglio, come se fosse assolutamente abituata alla magia, si limitò ad alzare leggermente il suo boccale, accennando un lieve brindisi.

“Dimmi, ma non garantisco che risponderò”.

“Mi pare giusto. Ma provo lo stesso. Cosa scrivi?”

“Una storia”.

“Potrei leggerla?”

Un'espressione di dubbio comparve sul suo volto

“Perché il Sommo Stregone di Brooklyn vuole leggere il mio taccuino?”

“Non so, ma ho un gran desiderio di farlo”.

“Non è una gran lettura, la trama è bella, ma penso sia scritta male, la leggo e la rileggo e non mi piace per niente, francamente non voglio che tu la legga”.

“L'hai mai fatta leggere ad altri?”

“E' capitato”

“E che hanno detto?”

“A molti è piaciuta, ma penso che lo dicano solo per essere gentili”.

“Sai, penso che potrebbero avere ragione, dovresti fidarti, se non di te stessa, almeno della tua scrittura, perché dubiti di questo?”

“Perché per scrivere bisogna essere bravi, ci vuole stile”.

“Sai le formule magiche? Poche parole che hanno il potere di creare enormi cambiamenti, spostare oggetti, salvare o uccidere, fermare il tempo o contrarre lo spazio, ma cosa sono se non sacchetti di sillabe in lingue morte? Eppure possono trasformare la natura. Forse tu fai lo stesso”.

“Beh ... non mi sembra affatto la stessa cosa”.

“Penso di sì, sai. Penso che la bellezza di una storia stia nella verità che racconta, nei sentimenti che svela, non importa se suona strana, proprio come incantesimo, se trattiene la mente di chi la legge, fa la magia. E tu mi sembri in grado di fare magie”.

Lei lo guardava negli occhi, attenta e per nulla intimorita.

“Non penso ti farò leggere la mia storia”.

“Peccato, mi sarebbe piaciuto”.

“Magari, la prossima volta che ci incontriamo”.

Bevve altre due lunghi sorsi di birra scura, si alzò, si legò la grande felpa nera sulle spalle, prese lo zaino in spalla.

“Devo andare, disse, ora, ho molta strada da fare”

“Puoi rimanere a dormire qui, se vuoi”.

“E' l'alba. Mi piace l'alba, camminare in una città che non conosco all'alba”.

 

Quanto la capiva! Anche lui adorava camminare all'alba, godersi i cigli sparuti delle strade, le vie aggrovigliate dei quartieri, i palazzi della gente quotidiana appena illuminati, le luci rimaste a vegliare il buio nel silenzio assordante, quanto Notte vorrebbe trattenersi ma i primi raggi del sole la bandiscono dalla terra, allora scopriva i segreti delle città che gli stessi abitanti solitamente ignoravano, come se fossero le stesse pietre a parlare.

 

Chissà cosa dirà Brooklyn a questa strana ragazza, pensò.

 

Lei sorrideva guardando l'aria.

“ Ma grazie, Sommo Stregone, è vero quel che si dice, sei gentile. È stato un piacere”.

Parlò e andò via attraversando l'uscita ma poco prima di sparire oltre la porta lasciò il boccale sul bancone.

 

Era giorno da qualche minuto, come se quella strana ragazza avesse aspettato che i primi raggi accarezzassero le cimase più alte, che le nuvole si tingessero di rosa e il cielo di arancione per lasciare il suo tavolo. Era andata via come attirata irresistibilmente dal colore che aveva vinto l'oscurità notturna. Quasi tutti erano andati via, altri dormivano, Irene aveva sistemato quasi tutto e, per ringraziarla, le aveva fatto comparire dal caffè bollente. Lo stava sorseggiando e uscivano appena percettibili spirali di vapore che ne trasportavano l'aroma intenso oltre il bancone.

Decise che era il momento di dormine, ma scoprì che non aveva proprio alcuna voglia di tornare a casa, il suo loft improvvisamente gli sembrava troppo grande e troppo vuoto per lui. Ancora quella sensazione, quell'ansia incomprensibile, quel graffiante senso di vuoto.

Forse era il momento di adottare un'altra gatto, almeno Presidente Miao avrebbe avuto un po' di compagnia.

 

Deciso a raggiunge la sua solita postazione di osservazione, al piano di sopra, sul privè, camminava lento ed elegante ma qualcosa attirò la sua attenzione. Sotto il boccale di birra lasciato da quella magnetica ragazza sul bancone c'era un foglio di carta ripiegato, lo aprì e lo lesse avidamente.

 

“Mi sento stregato, ammaliato, completamente rapito e non trattengo in alcun modo le briglie sciolte della mia mente quando penso che potrei osservarli per sempre, quegli occhi, senza essere soddisfatto. Al contrario, vorrei poter essere più vicino per scorgere ogni dettaglio, conoscere così bene ogni ombra o sfumatura da sapere come è guardare il mondo attraverso essi. Tutto ciò che vedo sono colori che si fondono e brillano più di tutto ciò che di luminoso io abbia mai visto in vita mia e il nero di una pupilla sottile ...”

 

Un sorriso sincero gli illuminò il volto.

Era lui?

Forse, magari in un altra dimensione... eppure quelle parole erano la più bella descrizione che avesse mai letto, avrebbe potuto scriverle lui stesso guardando quel blu intenso, quegli occhi a cui era bastato un attimo per inchiodare la sua anima. Sicuramente lo aveva pensato, aveva pensato che sarebbe stato tutta l'eternità ad osservare quel volto, senza nient'altro, solo sentendosi in pace, stringere quella mano calda che lo aveva fatto tremare, sentire ancora il suono di quelle parole, potente melodia che continuava a commuoverlo.

 

Nonostante i secoli, ancora si stupiva di meravigliarsi dell'esistenza.

 

È strano … passiamo anni a creare barriere robuste per celare le nostre fragilità, a costruire convincenti immagini di noi stessi, che rendiamo attraenti e speriamo siano indistruttibili e poi una sola vibrazione sgretola la torre d'avorio dentro cui siamo nascosti, mandandola giù come il castello di carte del gioco di un bambino.

 

E l'anima rimane lì nuda inchiodata a se stessa e scopre di poter vivere solo nello sguardo di qualcuno. Di uno soltanto.

 

Quel senso di vuoto che sentiva da quella notte, gli mancava quell'odore, viveva in quello smarrimento, come se ogni istante fosse rubato, come se stesse perdendo quell'appuntamento a cui proprio non poteva mancare. Nonostante la folla, non aveva visto che quel volto, che s'ostinava ancora stagliato nella sua mente, quell'assenza che lo faceva gelare. Solo le parole della ragazza, come il bagliore dell'accendino avevano rianimato per un istante la vita senz'ali a cui si sentiva condannato, ora che quel corpo era lontano.

 

Forse era ancora troppo stanco.

I raggi dell'alba entravano nella stanza e brindando alla ragazza misteriosa con un potere tutto umano di creare mondi favolosi, salì le scale e si lasciò scivolare oltre la renda.

 

Magari ora avrebbe dormito.

 

 

Ma gli bastò un attimo per capire quanto la situazione si stesse complicando. Quello proprio non lo aveva previsto ma di dormire non se ne parlava. Ora gli sarebbe servito molto più del suo inenarrabile autocontrollo.
 
angolo dell'autrice Scrivere mi era mancato tanto...e sono lieta di sapere come anche a qualcuno di voi era mancata questa storia. Queste parole portano il profondo debito di riconoscenza verso di voi, per tutte le stupende parole che mi avete dedicato e per quelle bellissime che mi fate leggere nelle vostre storie (Vampy non spettere mai più). Ringrazio Cristal per il meraviglioso dono di compleanno che non dimentico. Scrivo l'ultimo pensiero speciale per Mad a cui va la mia grande riconoscenza, verso cui questo pezzo ha un profondo debito e che ringrazio per avermi dedicato una grande magia.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Le maschere che portiamo sul volto senza saperlo ***


15 Le maschere che portiamo sul volto senza saperlo

 

 

…...................

 

Quello proprio non lo aveva previsto …

 

Kira ...

 

Cazzo!

 

Fu come fulminato.

 

Si era lasciato cadere oltre le pesanti tende, convinto di approdare sicuro sui familiari morbidi cuscini, dove accoccolarsi a smaltire la stanca tristezza raccolta in ore di incontri rubati, lasciandosi rapire dal suo divano ma … era già occupato!

 

All'inizio non aveva capito, poi un'idea si era fatta largo nella sua mente.

 

Conosceva sin troppo bene quel corpo, i lineamenti delle spalle dolci e netti, la pelle della schiena morbida come velluto, l'odore d'incenso dei lunghi capelli di seta, gli occhi neri felini lucidi e lo sguardo lanciatogli ore prima che tradiva una ben meditata vendetta segreta.

 

Era distesa, il volto semi nascosto dalla seta di un cuscino, il corpo adagiato scomposto imprigionato da un vestito d'un tenue viola, troppo piccolo, sotto cui evidentemente non c'era che la pelle nera, calda e lucida come il mare di notte, il ventre piatto poggiato sul grezzo lino, la schiena leggermente ricurva che mostrava solo ciò che la fata desiderava mostrare, le lunghe ciocche che non riuscivano a nascondere il petto turgido mentre i piedi erano impegnati a giocare con l'aria intrecciando la tenda.

 

Su di lui si posò uno sguardo che non lasciava molti dubbi.

 

“Ti fai attendere Stregone. Non ci speravo più, immaginavo volessi intrattenerti con quella mondana, pensavo già ad un consesso più ... affollato, ma sei solo. Peccato, non mi sarebbe dispiaciuto sfilare il ricamo di quella camicetta”.

 

Non era stato l'unico a notare la misteriosa scrittrice.

 

“Kira... che ...piacere! Non pensavo fossi qui, mi pareva di averti visto andare via”. Voce calda e tono pacato servivano a inventarsi un distacco che non aveva.

“Non sei l'unico bravo con i giochi di prestigio. Piccolo trucco da fata”.

“Beh … sono solo, spiacente di deluderti”.

“Sei un bel premio di consolazione”.

Si muoveva lenta ma decisa, ruotando leggermente su se stessa si distese sulla schiena e lentamente si tirò su, il vestito sembrava ancora più ridicolmente piccolo, incapace di contenere le sinuose forme, divaricò leggermente le lunghissime gambe distese.

 

 

Magnus, improvvisamene sveglio, sentì la sua gola straordinariamente secca.

 

“Che dici … ti va un drink?”

Lei lo guardò, si sollevò, avanzò di qualche passo. Lo stregone sentì il respiro di lei scivolare giù leggero sul suo collo fino all'incavo della clavicola leggermente scoperta dalle dita che certe tracciavano linee spezzate sulla sua pelle accaldata.

“Sei fuori forma Stregone. Dopo la sega più epica che quel tavolo abbia mai visto pensavi di cavartela con un drink?”

 

Effettivamente sarebbe stato tremendamente scortese.

 

Quegli occhi giganti lo fissavano e dovette concentrarsi per reggerli, ma il suo corpo non era propriamente sotto controllo e si ritrovò sul divano, le gambe della fata strette attorno ai suoi fianchi, sentì l'impercettibile pressione delle punte dei lunghi capelli pizzicargli il torace. Le mani di Kira conoscevano troppo bene il suo corpo e con i pochi gesti sin troppo noti di una vecchia amante la camicia sparì arrotolata dietro la schiena come una corda, i suoi polsi leggermente costretti, gli occhi lucidi di lei scrutavano la pelle ambrata alla ricerca di un linguaggio segreto, i polpastrelli lasciavano appena percettibili carezze sul suo corpo, segnando un arcano alfabeto esclusivo patrimonio del popolo fatato.

 

“Non riuscirò a prendere da bere senza l'uso delle mani, mia cara”.

 

La frase più che un'osservazione dovette sembrare la più patetica delle scuse, ma gli sarebbe servito molto di più.

 

“Non serve nessuna delle tue magie. Non ora”.

 

Con una mano avvolse il collo dello stregone, il corpo di lei era contratto come corda di violino, mentre l'altra mano estraeva dai cuscini una bottiglia di bourbon. Le gambe della fata vibrarono facendo strofinare i due corpi, lei fece scivolare la bottiglia tra le gambe di Magnus serrandola con il suo ventre, lo stregone sentì il freddo metallo del dosatore conficcarsi tra le scapole e non riuscì a trattenere una smorfia. Ma non seppe se di dolore o di piacere.

 

“Hai anche due calici nascosti tra i cuscini?”

 

Che domanda idiota...

 

Lei per un attimo lo guardò come incuriosita.

“Non è da un bicchiere che voglio bere”, rispose, con voce flebile quasi sussurrata mentre con la punta del naso vagava dietro il suo orecchio.

 

“Immaginavo....”

 

Magnus cercava di domare quel complesso di sentimenti contrastanti, era eccitato, tanto eccitato, dopo quella grande manifestazione di potere gli piaceva essere assolutamente in balia del desiderio di un'altra creatura, ma per qualche strana ragione un senso di smarrimento non lo abbandonava serrandogli lo stomaco, si sentiva colpevole, aveva l'istinto di guardarsi alle spalle come per nascondersi, ma non stava certo scappando, si sentiva stranamente a disagio, quasi come se un'ansia colpevole soggiornasse nella sua mente, ma non stava certo tradendo nessuno, non aveva proprio nessuno da tradire...

 

Ripensò al Nephilim e gli venne in mente solo l'assenza che gli montò in gola come un conato di vomito, erano passati giorni ma niente, non una chiamata, non un biglietto.

Del resto cosa si aspettava? Un cesto di frutta come ringraziamento?

Non si era neanche fatto pagare … che idiota!

 

Poi un brivido lo attraversò, senti il liquido freddo scivolare sulla sua pelle e le labbra di lei cercarlo avidamente in ogni piega del suo corpo. Si lasciò guidare e si ritrovò disteso e provò un sollievo segreto quando la stoffa dei pantaloni diventati troppo stretti scivolò via di diversi centimetri, ma non lo liberò del tutto. L'ultimo accenno del pesante autocontrollo che si era imposto era dissolto. Le gambe della fata erano ben avvinghiate su quanto rimaneva dei pantaloni, le mani di lei serravano i lembi arrotolati della sua bellissima camicia ormai usata come una fune improvvisata. I suoi meravigliosi vestiti evidentemente non avevano tregua quella settimana. Lo stregone lentamente si accorse di essere totalmente imprigionato nei suoi stessi pregiati abiti divenuti una rete nelle abili mani della possente fata, impegnata ad esplorare con la lingua le pieghe più segrete del suo corpo.

 

E l'intenso aroma di bourbon aveva ormai impregnato il divano.

 

Chiuse gli occhi e sentì il suo respiro diventare più lungo e veloce.

 

Non lo aveva previsto, né lo avrebbe cercato, ma forse era un buon modo per contrastare la persistenza nella sua mente di frammenti convulsi privi di senso.

 

In fondo lui era così, era questo, un eccentrico mezzo demone senza tempo che aveva fatto del sesso la sua giostra preferita, senza alcun legame capace di andare oltre lo spazio di un amplesso.

E tra le morbide labbra della fata l'amplesso fu proprio ciò che trovò e che regalò, all'alba di quella fredda mattina d'inverno.

Quei potenti occhi blu sembrarono solo il ricordo del desiderio immotivato di un amore acerbo senza tempo che sentì di dover cancellare dalla sua memoria.

E sarebbe rimasto fedele a questa idea, se qualche giorno dopo, lo squillo metallico del citofono non lo avesse costretto a rivedere radicalmente questo suo proposito, precipitandolo nella più magica delle sue avventure.

 

 
Angolo dell'autrice. Da qui in poi due passi sono ben noti, il primo bacio e il primo appuntamento, ora mi toccherà riempire ben altri vuoti, sperando di esserne in grado e di non avervi annoiat@; ora, col favore della notte, vi lascio con un sincero e devoto ringraziamento.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Di te, che non sei più forma ma essenza ***


16 Di te, che non sei più forma ma essenza

 

(all'inizio di Citta di cenere)

 

 

A volte l'aria è semplicemente magica … a volte ... quando sparse nuvole tinte di rosa volteggiano in cielo colorando con sfumature inaspettate l'azzurro limpido.

 

A volte guardi il cielo, respiri e sei felice, potente, come se avessi sentito tutti i singoli pezzi della tua vita, della tua storia, lunga o breve che sia, ricomporsi; a volte puoi quasi sentire nell'aria fresca la musica del vento suonare nel tramonto, solo per te.

 

Sorrideva, comodamente seduto, il capo leggermente reclinato, in attesa; fino ad ora avrebbe dubitato che una panchina potesse essere così comoda eppure ...

 

Aveva appena lasciato uno dei covi dei licantropi, era stato svegliato all'alba e aveva passato tutta la notte e gran parte del giorno a rimettere insieme i pezzi di due giovani esploratori finiti tra le grinfie di alcun demoni particolarmente aggressivi, lui non lo aveva chiesto ma il branco lo aveva pagato profumatamente, cosi gli aveva preparato anche un paio di amuleti di localizzazione, sarebbe stato utile per loro potersi tenere d'occhio in tempi difficili, a volte il fiuto non basta. Si erano offerti anche di accompagnarlo a casa ma avrebbe volentieri evitato quei vecchi veicoli con i sedili pieni di peli, così si era incamminato deciso a chiamare un taxi, prima o poi.

 

Aveva voglia di camminare lentamente, riprendere fiato e perdersi nei suoi pensieri.

 

E per la prima volta dopo tanti anni scoprì quanto fosse dolce giocare a ricomporre le fugaci immagini impresse nella memoria.

 

Erano stati giorni molto strani.

 

Per la prima volta dopo un'interminabile incontro amoroso da paura, dove aveva fatto e gli avevano fatto letteralmente di tutto, tanto che anche lui, persino lui, il mago delle fantasie erotiche, si era trovato a corto di idee, ebbene, dopo una delle più epiche scopate degli ultimi anni, forse dell'intero secolo, si era sentito un verme.

Anche se lui, il Sommo Stregone, non l'avrebbe mai ammesso, Kira sapeva bene che ormai il suo cuore era altrove e che quello altro non era che un addio e se così doveva essere, perché nulla può opporsi al grande Eros quando decide di colpire, allora sarebbe stato un addio memorabile.

Mentre il corpo godeva, perdendosi nel voluttuoso groviglio dei sensi, la sua mente avrebbe voluto ingannarsi, ma il gelo era calato nel cuore e segretamente ringraziò la fata per aver fatto finta di non accorgersene. Il giorno dopo si immerse nel lavoro come non faceva da anni, iniziò anche a preparare pozioni e stregare amuleti, chiamò un centinaio di volte Catarina (era lei quella esperta di incantesimi) ma evitò accuratamente di incontrarla, ma questo, ovviamente, non bastò ad ingannare l'amica.

 

“ E da quando il voluttuoso Adone ha lasciato il posto alla nevrotica donnina in carriera? Guarda ti preferisco quando sei depresso alla vecchia maniera, tra serate alcoliche e incontri occasionali, almeno di giorno dormi”, gli aveva detto chiudendogli il telefono in faccia, alla diciassettesima chiamata.

 

Così si diede alla lettura, cercando di trovare le risposte che cercava tra polverosi libri di magia e antiche pergamene ruvide e appiccicaticce. E se i suoi sensi di colpa furono presto vinti – in fondo lui non aveva tradito nessuno, proprio nessuno – la malinconia non voleva lasciarlo. Nessuna notizia da Alec in più di una settimana, non una chiamata né un messaggio. Il suo orgoglio latrava offeso. I primi giorni aveva ricevuto aggiornamenti costanti da Cat intenta a spiare l'Istituto, “per accertarsi che l'incantesimo non avesse avuto effetti collaterali", poi più nulla. Ed anche questa volta non gli erano rimasti che i pezzi di qualche sogno proibito da rincollare tra alcol e lavoro. Il Lunedì era andato tutto per il meglio, aveva evocato un demone dietro lauto compenso, ridato le ali a una fata, steccato la gamba ad uno gnomo dei boschi e parlato per ore con un Elfo megalomane dell'esistenza di un amuleto capace di trasferire da un essere all'altro il potere dei muta forma, c'era stato veramente poco tempo per pensare, ma la mattina dopo, un Martedì tragicamente noioso, gli sembrò un'impresa titanica trascorrere intere ore, solo con il suo gatto, a inventariare erbe, animali secchi e oggetti di cui ignorava la natura.

 

Pensava che avrebbe trascorso tutta la giornata, aggirandosi annoiato per casa. E fu così, fino a quella visita, del tutto inaspettata.

 

Ricordi scomposti: il suono metallico del citofono, il silenzio irreale delle scale alla vista di Alexander Gideon Lightwood sull'uscio di casa, da solo e lui inebetito con lo sguardo sconvolto, come davanti al Fantasma dei Natali Passati che viene a farti visita la notte di Ferragosto.

 

Da lì in poi i suoi pensieri diventavano più incerti, come un post sbornia molto difficile da superare.

 

Eventi e gesti si facevano confusi, ma ricordava benissimo le sensazioni.

Era quasi riuscito a mantenere un perfetto autocontrollo, stava quasi per vederlo scendere giù dalle scale dopo una conversazione surreale, quando il suo corpo, offeso da giorni di inedia, aveva agito del tutto in autonomia e … aveva baciato Alec.

 

Si era sentito un dio, poi un idiota, poi di nuovo un dio e poi di nuovo un idiota. Tutto in due minuti.

 

Poi solo lui, le sue labbra, quel corpo stretto tra le sue mani e un'assenza lasciata nel vuoto piena di dubbi.

 

E giorni passati a sentire quel senso di incompletezza farsi sempre più forte, fino a quel primo appuntamento, il più catastrofico mai visto negli annali della storia della stregoneria, una serata che sembrava da dimenticare poi finita assaporando famelici il sapore l'uno dell'altro nelle scale, il suono di quel gemito quando aveva morso il collo del compagno, avvinghiarsi nel pavimento, fare appello a tutto il suo buon senso e a quello di almeno altre cinque persone per fermare quel ragazzo, quando piuttosto avrebbe fermato il tempo e cambiato l'ordine stesso del cosmo. Poi lui era scomparso giù, oltre le scale, oltre la strada, oltre la notte, ma lo stregone era rimasto lì, con la schiena inchiodata sotto la finestra da cui l'aveva visto andare via, come se non volesse lasciare l'ultima immagine di lui che spariva inghiottita dal nero della notte, non si era neanche accorto della pioggia che copiosa entrava dalla finestra aperta, fin quando le gocce non cominciarono a solcargli il viso e solo allora registrò il profondo sguardo di disapprovazione di Presidente Miao.

 

Erano passati secoli, di vita vissuta tra le luci lusso e brillantini, una vita passata a seguire i suoi istinti nell'ostinato tentativo di sedurre ammaliare o farsi detestare, ma in ogni caso di distruggere ogni stereotipo, una vita così luminosa da lontano che troppe volte lasciava in lui solo la traccia indelebile del senso di inappartenenza, amori sbriciolati in paure e tradimenti e la sua stessa esistenza vissuta come una continua ode al desiderio di fuga da ogni legame, ogni verità, celarsi al mondo come imperativo categorico ma solo dopo aver attirato su di sé tutti gli sguardi, volteggiando stanco e annoiato tra gli eventi e i corpi. Così aveva vissuto, da anni, forse da sempre, inebriato dalla sua insostenibile leggerezza, fino a trovarsi inaspettatamente imbrigliato nello sguardo puro e sincero di un altro, a cui bagliori, lustrini, scintille e giochetti non importavano affatto.

 

Ora, nonostante quegli occhi e quel corpo gli mancassero da far male e più volte bastava solo il timido ricordo di quel calore per fargli tremare le ginocchia, in realtà doveva solo aspettare venerdì per rivedere quegli occhi; non era poi tanto, sapeva che Alec ci sarebbe stato, puntuale come la prima neve d'inverno, ma aveva ben poche speranze di vederlo prima.

 

Per questo la telefonata del cacciatore lo aveva stupito.

 

“Ti va se ci vediamo? Se non dai da fare...”

 

Era rimasto un po' sorpreso, desiderando una spiegazione che sapeva non sarebbe arrivata, aveva sentito il respiro del Nephilim accelerare, un misto di rabbia e preoccupazione in attesa di una risposta sospesa.

“Certo”, aveva detto e aveva immaginato quel volto perfetto illuminarsi per un sorriso improvviso.

“Greenwood, il parco, la terza panchina al centro, dietro il tempio circolare, davanti al corso grande, tra un'ora .. riesci ad arrivare?”

In un ora poteva arrivare in capo al mondo e ritorno, per lui, sarebbe arrivato ovunque in un batter d'occhio.

“Okay. Tu, stai bene? Sembri strano...”

“Voglio solo vederti. Spero di non arrivare troppo in ritardo, ma se succede puoi trasformarmi in un rospo, se vuoi, ora devo chiudere, a dopo”.

 

Forse sarebbe stato saggio essere preoccupati di un cacciatore molto timido e tendenzialmente imbranato che per lavoro combatte demoni e ha improvvisamente bisogno di vederti.

 

Ci pensava spesso alla vita e alla morte, da quando c'era Alec. Fino ad ora si era sentito potente rispetto alla Signora Oscura, non solo per via della sua immortalità, ma perché in realtà non c'era niente che lo tenesse attaccato davvero alla vita, era uno spettatore della sua stessa esistenza e all'ombra dello show neanche i suoi magici amici riuscivano a dargli fino in fondo quel senso che non trovava, neanche Caterina, che pure era importante, riempiva quel vuoto. L'essere privo di veri legami mortali lo aveva reso beffardo e irrispettoso verso la morte.

 

Ma ora...

 

Ogni volta che guardandosi intorno non trovava quel Nephilim sentiva un senso di angoscia, una strana ansia lo assaliva, non sapere dove fosse, saperlo impegnato in quella eterna lotta assurda tra bene e male, tra vita e morte, sapere sempre la sua esistenza attaccata ad un sottile filo. Alec era molto più forte di quanto desse a vedere, determinato leale e coraggioso, avrebbe affrontato ogni pericolo per proteggere i suoi compagni, per assolvere ai suoi compiti di Shadowhunter ma un giorno, semplicemente, non sarebbe più tornato. O, semplicemente, lui, il Sommo Stregone, non sarebbe arrivato in tempo.

 

Poteva essere una di quelle volte eppure non c'era traccia di ansia nel suo cuore in quel momento. Quella voce squillante e allegra, nonostante il tono flebile, poco più di un sussurro, lo aveva esaltato ed era incredibilmente curioso.

 

Il cielo era terso, la giornata molto fredda, il parco deserto, o quasi...

 

Un centinaio di metri oltre il canale artificiale c'era una figura quasi immobile accovacciata sulla terra umida, quasi nascosta dietro un cespuglio.

 

Alec non arrivava, avrebbe potuto facilmente trasformarlo in un rospo, al massimo sarebbe bastato un bacio per farlo tornare principe e lui poteva offrirsi volontario. Sarà stata l'aria pungente o l'allegria che sentiva animare ogni singola cellula del suo corpo ma non riuscì a stare seduto, si avvicinò verso la sola altra figura vivente, semi nascosta in un giubetto di pelle scura di qualche misura più grande per la sua corporatura asciutta, era una donna pelle candida, lunghi capelli marroni sciolti che cadevano morbidi sulle spalle, i raggi rimasti a vagare nell'aria ne rivelarono le leggere sfumature bionde, non vedeva i tratti del volto ma intuì fossero gentili.

 

Chissà cosa faceva...

 

La figura, come sentendo i pensieri dello stregone, fermò i suoi brevi movimenti, si alzò, lo guardò immobile. Magnus si avvicinò ancora quel tanto da arrivare a pochi metri da lei che non aveva smesso di scrutarlo.

 

“Scusa, non volevo disturbarti, disse lo stregone, aspetto qualcuno ma ritarda, così ho iniziato a guardarti, non volevo infastidirti”.

La sua voce tradiva un'allegria segreta.

Da vicino vide un paio di occhi, erano marroni ma venati da luminose sfumature verdi, un po' come i suoi, la giacca nascondeva dei jeans chiari, in mano aveva un blocco e dei pastelli neri, vicino un tascapane di cotone grezzo e una bottiglia di Cola. Lei, al suo avvicinarsi, istintivamente aveva ritratto il blocco come a proteggere il suo disegno. C'era un aura di magia in lei ma non era una strega, non percepiva poteri attivi.

 

Magnus non aveva affatto un'aria minacciosa, sembrava un qualunque bellissimo studente universitario, jeans, un maglione di cotone bordeaux e un giubbotto nero, pochi dettagli rivelavano la sua natura, un robusto anello d'argento e ossidiana e una sciarpa di lino bianca, lei rassicurata sorrise e regalò allo sconosciuto qualche scorcio del suo disegno.

 

Subito, osservandola, gli venne in mente un quadro visto tanta anni prima in Europa.

 

Era in piedi ai margini del prato dove l'erba era più alta, respirava come se agognasse l'odore della terra, la sua figura si stagliava in controluce, rispetto agli ultimi raggi del sole, a pochi passi dalla riva del canale, dando la schiena al tramonto, i capelli scompigliati al vento, attorno a lei, quel parco urbano assumeva i tratti di una natura incontaminata, era assorta, contemplava l'aria, il suo sguardo, in modo indefinito osservata il cielo, arrivando a mescolarsi con l'orizzonte fino a perdersi tra le nuvole.

 

Di frequente lo stregone camminava nel Parco e più volte si era imbattuto in mondani intenti a catturare qualche immagine rubata alla Natura con macchine fotografiche o pennelli, ma sempre ne aveva colto gli sguardi distratti, come se fossero parte del immagine mentale che volessero creare, ma quella ragazza, lei era diversa, aveva sensi vigili, riusciva a percepire ogni sussurro, movimento, rumore, eppure sembrava così immersa nel suo disegno, al collo aveva un piccolo ciondolo di cristallo, d'un verde intenso, la cui forma gli ricordò immediatamente un gatto, assomigliava così tanto al suo Presidente! Inoltre non c'erano alberi né tramonti in quello schizzo, ma solo dei contorni, linee curve tracciate con un frammento di carboncino, poco più di una traccia, un volto di donna, un profilo, forte e gentile e con un'aria familiare.

 

“Posso vedere?” disse, indicando il disegno.

“So chi sei, Stregone”.

Magnus si avvicinò al disegno, ancora saldamente trattenuto nelle mani della misteriosa sconosciuta, le linee scure morbide avevano tracciato l'immagine d'un volto quasi evanescente, un profilo nascosto da lunghi capelli lisci, lineamenti gentili e ciocche sospinte dal vento, sembrava più un ricordo voluto trattenere con forza nella mente.

“Bello” ammise.

“Non quanto lei”.

“Non lo sono mai. Ci conosciamo?

“Non ne abbiamo avuto mai occasione e oggi non ne abbiamo il tempo” la ragazza fissò nel vuoto alle sue spalle.

 

Magnus si girò e vide Alec avvicinarsi velocemente lungo il sentiero, rimase a fissarlo dimenticandosi della strana ragazza. La sua figura avanzava velocemente, le mani nascoste nelle tasche della sua tenuta da cacciatore, i capelli ribelli mossi dal vento, le rune del collo mal coperte da una sciarpa blu come i suoi occhi, lo sguardo incerto che lo fissava quasi di nascosto, ogni suo movimento era così familiare, lo seguiva con lo sguardo, sentiva il vento in faccia, l'odore del parco d'inverno, i sussurri dei rami erano una sinfonia. Avrebbe guardato quell'essere per un tempo indefinito. Si era immerso in quell'immagine, dimenticandosi del suo incontro.

 

“Scusa, la persona che aspettavo è arr....”

La ragazza era sparita, non c'era più nulla, cercò di scrutare con lo sguardo fin dove potesse ma non riuscì a scorgere nessuna traccia, al suo posto una pietra tratteneva uno schizzo, lo prese, era lui, disteso sulla panchina, era felice, l'aria stralunata e un sorriso ebete impresso sul volto.

 

Dov'era finita? Come aveva fatto a spostarsi così velocemente senza essere vista? Quando aveva fatto quello schizzo e come aveva potuto perdersi completamente in pochi istanti nel parco? Domande. La leggera traccia magica era sparita con lei e non aveva percepito alcun incantesimo, pensò; stava ripiegando il foglio nella sua tasca, quando sentì la mano di Alec raggiungerlo, una leggera pressione sul braccio, si girò. Quei meravigliosi occhi blu a pochi centimetri da lui.

 

“Chi era?”

“Non so, una vampira, probabilmente, a giudicare dalla velocità con cui è sparita”.

“Alla luce diretta del sole? I diurni non sono creature rare?”

“Penso avesse un anello solare” e istintivamente abbozzò un movimento, come per girarsi a cercarla tra gli alberi ma la mano di Alec trattenne il suo viso.

“Ci interessa?” chiese il cacciatore, lo guardava.

Magnus scosse la testa, un istante e sentì le sue labbra, Alec aveva annullato la distanza tra i due corpi e lo stava baciando, sentiva la sua mano intrecciarsi tra i capelli, si ritrovò stretto in un abbraccio a cui cedette lasciandosi avvolgere completamente, raggiunse il corpo dell'altro, le dita risalirono sotto la maglia, doveva sentire la sua pelle bollente, la lingua di Alec in gola, mentre lo teneva stretto tra le sue braccia, tracciando su quella schiena cerchi imperfetti.

 

E in quel tramonto si sentì morire.

 

Quel bacio sembrò infinito e il mondo, semplicemente, sparì, dissolto.

 

Dopo un tempo incalcolabile abbandonare le labbra di Alec fu come smettere di respirare, ma l'abbraccio si fece più intenso.

 

“Adoro questi incontri pomeridiani, ma vuoi dirmi cosa è successo?”

Le parole erano state sussurrate, quasi disperse in una scia di piccoli baci lasciati tra le labbra e il mento, Alec per un attimo nascose il suo volto tra i capelli di Magnus, stringendolo, poi parlò senza mai allontanarsi da quell'incavo di paradiso trovato alla base del collo, premendo le labbra così tanto da poter sentire il sangue del compagno fluire ai ritmi del battito del suo cuore.

“Caccia, demoni, morte, un volo di tre piani e un atterraggio su melmosa ferraglia. Il solito.”

“Sei ferito?”

“Solo un po' ammaccato”.

“Posso curarti, anche lividi e dolori, sai?”

“Lo stai già facendo”.

 

Le parole erano un sussurro, Alec prese una distanza che non voleva mantenere e Magnus capì la sua voglia sofferta di parlare. Non aveva ancora capito il perché di quell'appuntamento al Parco, ma dolcemente gli prese la mano, camminarono verso la panchina, si sedettero vicini, Alec reclinò la testa appoggiandola alla spalla di Magnus, gli ultimi raggi del sole avevano abbandonato la terra, il gorgoglio del canale regolare sembrava aumentare come spinto dal vento, l'acqua nera si muoveva lenta.

 

Alec capì che Magnus non avrebbe fatto più alcuna domanda, avrebbe aspettato che le parole si componessero nella sua mente. Il cacciatore chiuse gli occhi e con le labbra cercò il collo del suo uomo, era così che voleva parlare, mentre i suoi baci ne spezzavano i respiri.

Magnus lo abbraccio, curvandosi leggermente su di lui, come a proteggerlo e capì tutto l'amore condensato nel gesto della strana vampira alla luce del tramonto, gli venne in mente l'impeto di lei nel proteggere un foglio, poco più di un schizzo, stringendolo a sé, ma ora capiva, sentiva quell'istinto potente di proteggere ciò che ami con il tuo corpo, la tua anima e la tua stessa vita, nasconderlo al mondo, custodirlo, in un silenzio che vale mille promesse.

Anche lui chiuse gli occhi, aspettava la trama di quel racconto che sapeva lo avrebbe ferito, parole sospese tra l'aria e la gola, ma avrebbe atteso, era li, lì solo per lui.

 

“Sembravano solo alcuni demoni di basso livello, così aveva detto Jace...”, la mano di Alec sotto la maglia di cotone alla ricerca della sua pelle ambrata, carezze nascoste mentre le sue labbra lasciavano sillabe e baci sul suo collo... “poi ci siamo ritrovati in un covo di demoni piuttosto potenti, ne avevo abbattuto uno e ferito l'altro mandandolo tra Izzy e Jace, ma non avevo visto il terzo, un demone drago che mi è arrivato alle spalle e mi ha colpito, non sono riuscito ad evitare il colpo …”. Il respiro di Magnus si fermò, le palpebre schiuse, rabbia e paura incise nel volto, ma i denti del cacciatore lasciarono un morso sul lobo destro a cui seguì un lungo e appassionato bacio sul collo e il respiro riprese, avrebbe voluto parlare, fermarlo, guardarlo, ma era pietrificato, gli accarezzava i capelli, stringendolo teneramente “questo non l'ho proprio visto, forse mi sto rammollendo, mi ha scaraventato fuori, ho distrutto la finestra di legno e sono volato giù. Un salto di 10 metri, ho distrutto un pavimento fradicio e sono finito in mezzo ad un ammasso di ferro vecchi a due millimetri da una vecchia sega circolare”. Magnus chiuse gli occhi, forte da farsi male, poi d'istinto si scostò solo per cercare gli occhi del compagno, come per assicurarsi che fosse davvero ancora vivo, quasi temesse, per un attimo, di stringere tra le braccia il fantasma di un passato lontano, giunto da lui solo per dirgli addio. Doveva avere lo sguardo terrorizzavo, perché Alec sorrise intenerito, baciandolo leggermente sulle labbra diverse volte, prima di tornare a baciare quel collo meraviglioso, quell'angolo di paradiso proprio sotto il mento “... era veramente una brutta sega, neanche tu, mio Sommo Stregone, mi avresti rimesso in piedi questa volta”.

 

Nonostante rivivesse momenti terribili, il tono di Alec era inspiegabilmente compiaciuto, aveva intercettato ogni battito del cuore del compagno, ogni brivido, ogni sensazione, ne sentiva la preoccupazione e l'eccitazione e, per l'Angelo, quanto gli era mancato quell'odore, quel sapore...

 

Magnus era totalmente fuori controllo, ma cercava ugualmente di non scordarsi di respirare.

 

“Alexander ...” ci volle più del previsto ma riuscì a trattenere nuovamente quei magici occhi blu nei suoi per qualche istante... le parole erano rimaste sospese nella mente, come se temesse che l'aria le rubasse, ironia e autocontrollo erano rimasti solo un ricordo, vaghe tracce, avrebbe voluto dirgli mille cose, ma non riusciva a parlare, lui abile manipolatore, eccentrico dominatore era totalmente in balia dei sentimenti che provava per quel ragazzo bello come l'alba, ma i suoi occhi lucidi e una lacrima trattenuta a stento, il respiro irregolare, il calore delle carezza che leggerà seguì i lineamenti del cacciatore mentre il resto del suo corpo non riusciva a smettere di tremare, tutto questo, di lui disse più di mille parole.

 

Alec gli era immensamente grato per quell'amore sincero che sapeva offrirgli senza limiti e senza ragione.

 

“Alexander …quando è successo?” Sembrava la domanda più insensata, eppure era quello che doveva sapere.

“Perché? Forse … circa tre ore fa. Puoi tornare indietro nel tempo?”

“Ancora no, ma dovrò attrezzarmi o sarò il primo stregone a morire di infarto”.

Alec sorrise e lui lo imitò anche se avrebbe tanto voluto tanto fare altro ... piangere, urlare e dare fuoco all'intero canale, oltre che sterminare l'intera specie del demoni drago e due o tre demoni superiori che avrebbero potuto ricrearli, tirare il collo con le sue mani al biondino parabatai e a tutta la famiglia e rinchiudere Alec in un centro riabilitativo per uno anno o due, dopo avergli cancellato la memoria, ovviamente.

Ma si limitò a sorridere

“Perché lo vuoi sapere?”

“Per ricordare cosa stessi facendo in quel momento. Se tu fossi morto, qualunque cosa fosse, anche la magia stessa, l'avrei odiata per il resto della vita”.

Vide la tenerezza attraversare quei profondi occhi blu e lo baciò, lentamente, respiravano piano, le dita intrecciate, morsi lasciati sulla pelle come marchi, un amore assurdo sbandierato al mondo che le parole e i gesti proprio non riuscivano a contenere.

 

Quanto aveva detto era vero, ma non era la verità, in cuor suo lo stregone già sapeva. Era ancora nel covo dei mannari quando aveva avuto un brivido, per un attimo si era sentito gelare, tutto era diventato buio e una vertigine lo aveva quasi trascinato a terra. Lavorava ininterrottamente da quasi 10 ore, poteva essere la stanchezza, doveva essere quella, eppure qualcosa dentro di lui sembrava essersi rotto, solo per un secondo. Aveva fugato i suoi timori ma non le sue segrete inquietudini, per questo sentire la voce di Alec l'aveva reso così stupidamente felice, era preoccupato ma non voleva ammetterlo neanche a se stesso.

 

Da quella notte, quando per salvarlo aveva portato al limite i suoi poteri, era successo qualcosa …

 

Forse quando un'onda della sua stessa magia dopo aver colpito Alec gli era rimbalzata addosso o forse quella sua ostinata determinazione a tenerlo in questo mondo, forse stringere la sua mano mentre la vita stava per lasciarlo … forse, qualcosa era avvenuto e una forza indicibile l'aveva unito a quel ragazzo, ne aveva visto i pensieri e le paure più profonde, ne aveva conosciuto i desideri e quel legame segreto in qualche modo era ancora attivo.

 

Era vivo da cinque secoli e aveva ancora così tanto da imparare sulla sua magia!

 

Ma decise che non avrebbe rivelato nulla ad Alec, il ragazzo aveva già abbastanza fantasmi con cui convivere senza che un vecchio stregone complicato si aggiungesse alla lista.

 

“E dimmi, prode cacciatore, visto che stiamo festeggiando la tua perdurante esistenza in vita, perché l'appuntamento al parco e non in un posto più sicuro e discreto come casa mia?”

 

Alec si allontanò di qualche centimetro e si sedette incrociando le gambe.

“Mi chiedevo quando l'avessi chiesto, sei prevedibile stregone. Venivo qui spesso, a camminare e a riflettere, proprio in questo parco ho capito davvero di essere gay, così dopo aver rischiato la pelle, venivo qui a chiedermi come sarebbe potuta essere la mia vita, osservando il lento scorrere dell'acqua”. Il cacciatore per un attimo distolse lo sguardo e gli prese la mano, guardava il canale. Pensava a Jace, era ovvio e altrettanto istintivamente si era allontanato, come se temesse che Magnus potesse leggere i suoi pensieri, lo stregone fece finta di non capire anche se quell'immagine lo ferì molto più di quanto si immaginasse.

 

Quei meravigliosi occhi tornarono sulle sue labbra, sentì il calore di quella mano avanzare sotto il maglione.

“Sarà stato un attimo, forse mentre cadevo o forse non è neanche successo e l'ho solo immaginato, ma ho pensato a questa panchina. E quando mi sono rialzato, per un soffio tutto intero e mi sono accorto di essere vivo, ho pensato a quanto fosse assurda un'esistenza in cui sono abbastanza grande e forte da poter morire combattendo demoni, ma non altrettanto capace di portare il mio ragazzo al parco, per stringergli la mano e baciarlo senza che il mondo per questo crolli. Pensavo a questo parco, a questa panchina, è con te che volevo guardare questo canale, almeno una volta. E così ti ho chiamato”.

 

Magnus ascoltò la frase sussurrata, la voce dolce e decisa, le parole dette senza alcuna pausa e ne rimase basito.

 

Il mio ragazzo?

Il mio ragazzo !

Voleva urlare ...

 

“Tecnicamente sono venuto da solo, ma va bene così, per oggi”, disse e risero insieme, mentre cercava di dissimulare almeno in parte i suoi sentimenti e di gesticolare il meno possibile, nella speranza di non carbonizzare il suo cacciatore preferito per sbaglio, perché in quel momento le sue emozioni erano praticamente fuori controllo e altrettanto lo erano i suoi poteri.

 

Ormai le ultime luci erano andate via, la coltre della sera dolce scendeva sul parco e una magica quiete venava l'aria fresca, l'odore di pioggia veniva dal mare.

 

Alec non rideva più, lo guardava, in silenzio. Magnus avrebbe dovuto dire qualcosa, magari intelligente o anche solo simpatica, o magari in silenzio baciarlo di nuovo, ancora e ancora, tenerlo stretto, affondare le sue mani in quel corpo per tutta la notte, ma era immobile.

 

“E poi … c'è un'altra cosa, importante che devo dirti, qui. Se fossimo da te non avrebbe avuto senso”.

 

Magnus ascoltava rapito. In attesa. Mancava ancora un tassello, una frase, per chiudere il mosaico di quel momento. Sentiva l'animo di Alec oscillare incerto tra dubbio e desiderio.

 

A volte il nostro cuore sa che qualcosa di irreparabile sta per travolgerci, a volte nella mente ripassiamo ogni azione che vorremmo fare, ogni gesto, ogni parola, ogni respiro e poi tutto viene spazzato via, i nostri propositi si sgretolano e noi rimaniamo da soli a misurare l'inadeguatezza delle intenzioni. A volte, ben più raramente, il fato ci concede di guidare le danze e possiamo dare forma ai nostri sogni.

 

In quelle rare occasioni la realtà è infinitamente più magica dei più dolce dei nostri deliri onirici.

 

Provato dal timore della morte, di cui forse per la prima volta aveva avuto paura, reso fiero da quelle carezze ricolme d'amore e dalla notte che complice si aveva avvolti, Alec in un balzo fu di lui, le nocche serrate a pugno stringere la sua giacca, sentì il peso di quel corpo su di lui, respirò i suoi sospiri e si perse in quegli occhi lucidi. Le fronti si unirono, i nasi si sfiorarono, labbra si incontrarono frenetiche, le mani di lui vagavano tra i passanti della sua cintura e in un attimo fu l'oblio.

Sentiva solo Alec, il suo corpo il suo calore, capì che lo desiderava più di quanto avesse mai desiderato qualcuno e la consapevolezza dell'aver rischiato di perderlo per il capriccio della sorte e l'agguato di un demone si tramutò in una frenesia assoluta, doveva farlo suo, l'avrebbe amato lì, in quel parco ignorando qualsiasi buon senso, assaporando ogni centimetro di quella palle eburnea.

 

Raccoglieva frammenti di pensieri travolti dal lungo e profondo bacio, mescolandoli alle sue intenzioni, poi, si trovò per un attimo a respirare, quelle labbra lo abbandonarono e il volto del cacciatore cercò i suoi capelli.

 

Attesa frenetica.

 

“Magnus ...”

 

“Magnus ... portami a casa”.

Parole sussurrate cariche d'attesa che ruppero il silenzio, conficcandosi nell'anima.

La luce del portale improvvisamente ferì il buio della notte e li inghiottì, rimase solo la panchina vuota nella silenziosa pace della Notte, complice custode degli animi rapiti dall'amore, mentre Natura osservava il suo figlio prediletto svanire, poco dopo averlo udito confessare alle stelle un'inebriante felicità.

 

Sia il Paradiso che l'Inferno avrebbero dovuto farsene una ragione, che fossero in uno o in due, che fossero oltre lo spazio, angelo e demone, luce e oscurità, ormai erano una sola cosa. E tutto era cambiato.

 

 

 

Angolo dell'autrice dilettante

 

Un pensiero di ringraziamento a chi segue questa storia, un generoso grazie a Darkswan, Letibrown, Miky e Damin, alla grande e insostituibile Vampy e alla cara Mad, che riesce a trovare un modo per esserci anche quando è altrove. L'ultimo pensiero per te, Cristal, un grazie di cuore per le tue sempre splendide parole e per la tua bellissima Yumi.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Silenzio dove porti sorrisi e parole? ***


17

Silenzio, dove porti sorrisi e parole?

 

Magnus...

portami a casa.

 

Parole, poco più che sussurri, infiammarono l'aria.

 

Quel corpo e quel calore erano il tassello mancante della sua anima, assaporare l'odore di quella pelle era iniziare a respirare dopo secoli di apnea, baciarlo e vivere quei sospiri senza riuscire a riprendere fiato mentre labbra pelle e denti si scontravano indecisi. Ogni cellula raggiunta dal tocco di quel ragazzo vibrava impazzita come sul punto di esplodere, sentiva le mani di Alec che vagavano frenetiche e confuse sotto il maglione, i pugni chiusi si erano sciolti in carezze, le unghia inesperte gli graffiavano la schiena alla ricerca di un immediato possesso.

 

Attimi frenetici lunghi un'eternità.

 

La fronte di Alec sulla sua, gesti confusi in cui riconosceva desideri così precisi che poteva quasi contarli, nei segreti respiri spezzati sentiva l'urgente desiderio di quel ragazzo, vedeva lo sguardo per cui da giorni ormai si svegliava all'alba, lo stesso viso che gli rubava le notti e che scorgeva a tratti nell'aria del mattino. Ma lui, immobile in quell'abbraccio, era perso a chiedersi solo cosa stesse accadendo, perché da anni non si credeva più capace di amare in quel modo.

 

portami a casa.

 

Parole, solo parole lievi prive di dubbi.

 

Così le dita magiche aprirono il portale e un attimo dopo si persero tra quei capelli neri. Magnus strinse Alec nell'abbraccio più sincero che potesse offrire, cingendolo e lo trascinò dentro la luce, le onde magiche li avvolsero, Alec istintivamente si aggrappò non riuscendo a staccarsi da quelle labbra, le gambe ben strette dietro i fianchi delle stregone e, così, si lasciò trasportare, ovunque l'altro volesse. Non si era mai sentito così al sicuro. Magnus lo teneva stretto, con la mano sempre persa tra i suoi capelli, come a proteggerlo, quasi pensasse che urtando le onde potesse farsi male; Alec con gli occhi chiusi cercava di indovinare al tatto il profilo di quel viso, Magnus gli occhi non riusciva neanche a chiuderli davvero, quasi temesse di svegliarsi. Alec, inebriato, si era abbandonato a quell'abbraccio, lui agiva d'istinto.

 

E sentiva ogni cosa.

 

Alec voleva andare a casa. Ma quale?

 

L'Istituto era escluso: non ci pensava proprio a sbucare fuori da un portale all'improvviso tra Maryse Lightwood e il biondino malefico con in braccio un rampollo dei Nephilim in evidente stato confusionale da ormoni in una stanza piena di armi; inoltre Alec da qualche giorno non sembrava più molto a suo agio nella vecchia tana. Per cui la “casa” tanto desiderata doveva essere per forza la sua. E così nel mezzo di un ragionamento convulso che procedeva a singhiozzo, istintivamente visualizzò il suo loft deciso a materializzare entrambi tra morbide lenzuola che conosceva alla perfezione.

 

Tutto sembrava perfetto, poi un blocco. Buio totale.

 

Ricevere un bacio sincero su una panchina, guardare il tramonto tenendosi per mano, respirare all'unisono accarezzandosi dolcemente erano gesti troppo sinceri per lui, una dolce ingenuità a cui non poteva rispondere materializzando il giovane amante dritto in camera da letto. Era troppo persino per un Sommo Stregone, Alec non lo meritava, evidentemente stava ancora esplorandola sua emotività e non sembrava avere molta più più dimestichezza con il suo corpo.

 

Un corpo da urlo, ovviamente, avvinghiato al suo e che non gli rendeva proprio troppo lucidi i ragionamenti.

 

Il viaggio in un portale solitamente dura pochi istanti, da quando li aveva perfezionati ci aveva portato così tanta gente, spostandosi da un luogo all'altro in mezzo alle onde magiche, molti rimanevano basiti, altri chiudevano gli occhi, lui ormai li attraversava con la stessa superficiale dimestichezza con cui a New York si prende un taxi, distrattamente. Questa volta era diverso, con lui era tutto dannatamente diverso e rischiò seriamente di rimanerci bloccato dentro a quel portale, perché all'ultimo, poco prima di riapparire, cambiò idea, evitando il letto e optando per il divano del soggiorno: era una meta decisamente meno esplicita.

 

Ma, tecnicamente, era troppo tardi per cambiare luogo di destinazione e poi aveva visualizzato quel morbido letto con troppa chiarezza, mentre il divano era un tantino sbiadito, così nella confusione … andò a sbattere.

 

Si schiantarono contro il muro del soggiorno, esattamente a metà tra il letto e il divano, la schiena di Alec urtò pesantemente contro lo stipite, temendo di cadere, il cacciatore inchiodò i piedi al suolo, ma avendo leggermente perso l'equilibrio con la testa colpì lo spigolo della porta e avrebbe rischiato di farsi male se la mano di Magnus non fosse ancora li ad attutire il colpo. Anche Magnus rischiò di perdere l'equilibrio, il cambio repentino di destinazione aveva creato un vortice, che lo fece sobbalzare di qualche metro ma Alec non sciolse l'abbraccio e con la salda presa da cacciatore lo ancorò a sé e le tenne stretto.

 

Che strana sensazione... nonostante fosse in balia dei suoi impulsi e delle onde magiche quel Nephilim lo aveva stretto a sé in un gesto istintivo che tradiva ben più del desiderio: lo aveva protetto. Non ricordava di aver provato qualcosa di simile, da anni.

 

Tuttavia lo schianto ci fu e si udì un tonfo.

 

“Scu...sa” disse Magnus, a mezza voce, un po' per l'imbarazzo, un po' perché ancora serrava il labbro inferiore di Alec tra i denti. Il cacciatore lo fissò e per un attimo temette di essere spinto via, poi si accorse che era solo curiosità quella che leggeva nei suoi occhi, sincera curiosità e quando quei pezzi di blu si illuminarono con un sorriso, lo stregone capì quanto fosse stato imbranato. Ma in quel momento era un imbranato davvero fortunato.

 

“Ti schianti sempre sul muro quando torni a casa?”

“Solo quando tengo in braccio un meraviglioso atletico possente cacciatore dai occhi blu... devo essermi confuso... scusa”.

 

Nonostante l'aria sbadata, lo sguardo imbarazzato e il tono incerto (o forse proprio per quel mix che lo rendeva maledettamente sexy), Alec non gli diede molta tregua e con il più luminoso sorriso che la luna della notte appena spuntata avesse mai visto, attirandolo a sé lo travolse in un bacio infinito. Lui, sbriciolati i secoli di dotta perizia nelle arti amatorie, come un ragazzino di quindici anni si sarebbe del tutto dimenticato di respirare se quelle meravigliose labbra non fossero scivolate giù raggiungendo il suo collo. Si lasciò sfilare la maglia di cotone, vacillò. Ma sentire i denti sulla gola, le dita chiuse a pugno tra i suoi capelli, i graffi delle unghia sulla schiena infiammò i suoi istinti.

La pesante giacca di Alec sparì, non servì alcuna magia perché lo spaziò del loft si vaporizzasse e in un attimo si trovarono a sprofondare nel letto. Basta giochetti, sentivano solo il bisogno di condividersi.

 

Ora.

 

Sentiva il corpo di Alec vibrare tra le sue gambe e mentre due occhi blu cielo semichiusi lo guardavano lucidi, le mani scivolarono sotto la maglietta nera e leggere segnarono il torace del cacciatore con una scia di carezze, altri gesti frenetici e non ci furono più drappi di tessuto tra i toraci accaldati, strinse le sue mani, lui rispose serrando le dita in una sensuale danza e le labbra di Magnus si persero a baciare ogni più piccola fibra di quella pelle eburnea.

 

Ogni bacio era lasciato come una carezza appassionata e appena sentiva quel corpo vibrare attraversato da brividi gli si scioglieva il cuore. Le sue mani accorsero tra i passanti della cintura di Alec e si fece più intensa l'urgenza di raggiungere la pelle calda oltre il torace scolpito e gli addominali perfetti, per scivolare lentamente più giù, dove sapeva che nessuno si era mai spinto.

 

E nulla della sua assurdamente lunga esistenza lo aveva preparato all'ebbrezza assoluta del far vibrare di piacere un angelo per la prima volta.

 

Quando lo fece i respiri del giovane cacciatore diventarono più corti, mentre sentiva sensazioni mai provate le sue dita si persero avide tra i capelli glitterati. La lunga scia di baci lasciati da Magnus non sembrava volersi arrestare e quando le sue labbra sfiorarono dolcemente l'eccitazione del cacciatore, sentì il suo corpo fremere, la schiena segnata da cicatrici inarcarsi e avvertì un tremore scandito solo da un gemito.

 

Si fermò ipnotizzato.

 

Bastò un attimo di immobilità e sentendo l'assenza del calore di quelle mani esperte, due potenti occhi blu si aprirono, lo scrutarono in attesa e cercarono nuovamente di trascinarlo giù. Non seppe dove prese la forza, perché il suo solo desiderio era di raggiungere ogni minuscola piega di quel corpo, voleva che i sospiri si mutassero i gemiti e che questi prendessero le sillabe del suo nome, voleva solo questo, renderlo immensamente felice.

 

Eppure si trattenne, immobile.

 

Rimase come di pietra, l'incendio dei sensi scomparve e di nuovo tornò il gelo, di nuovo un groviglio di viscere gli bloccava il respiro. Si sollevò leggermente, raggiunse la fronte di Alec solo per imprimere un leggerissimo bacio e si lasciò cadere su quel corpo bollente, affondando il viso tra i suoi capelli e maledicendosi in tutti gli idiomi parlati sulla terra e una decina di lingue estinte contaminate con un paio di glosse infernali.

 

“Scusa”, sussurrò, di nuovo, a mezza voce. La calda melodia di una sola parola tradiva un'emozione mal celata. “Ho perso il controllo. Siamo piuttosto ... istintivi noi stregoni. E per quanti sensi io abbia, tu li accendi tutti”, disse, nel tentativo di formulare delle scuse che nessuno gli chiedeva e a cui lui non credeva affatto.

 

“Non fermarti”. Di nuovo quelle parole lievi e decise che sembravano rivolte dritte al suo cuore.

“Non sai che dici. Davvero, non lo sai”.

“Si che lo so! Tu … non … ti va? Forse io ...”.

“Cosa ... cosa pensi, di preciso, mio giovane Nephilim. Dimmi, te ne prego”.

Magnus si sollevò di scatto facendo leva sulle mani, galleggiava sul corpo di Alec, lo sguardo nervoso quasi ferito, la voce rauca. “Cosa, sentiamo, di preciso non mi andrebbe? Anzi no, forse proprio non mi piaci... non mi piaci affatto!" Si alzò, portandosi sulle ginocchia "Dico ma sei cieco?” e i suoi occhi verdi magnetici spinsero lo sguardo del giovane cacciatore a seguirli dove il cotone sgualcito dei jeans aderenti non riusciva più a nascondere il desiderio pressante dello stregone. “Quale tuo dubbio ancora non sono riuscito a dissipare?”

 

Alec fissò avidamente il corpo di Magnus, poi a disagio distolse lo sguardo, ascoltando quella che sembrava essere un'accusa più che una spiegazione, Magnus strinse gli occhi e si lasciò nuovamente cadere tra le lenzuola, a pochi millimetri dal corpo del ragazzo. Rimasero immobili, poi lo stregone sentì le mani dell'amante incerte accarezzargli la schiena.

 

“Scusa. Di nuovo”, disse, il viso affondato nel cuscino.

Evidentemente era la giornata mondiale delle scuse idiote e lui aveva appena vinto il primo premio.

“Ehi... Oggi potevo morire! Ogni giorno può accadere combattendo. Ma oggi riuscivo a pensare solo a te. Io voglio te. Lo capisci?”

“E io te, ti desidero da quando ti ho visto” in un gesto istintivo lo stregone si sollevò e la sua mano raggiunse il viso di Alec ma si trattenne dal desiderio di sfiorarlo. “Ti avrei amato già il primo giorno, avrei fermato il tempo e stregato tutti gli ospiti di quella dannata festa, compresi i tuoi amichetti Shadowhunters, i mannari, i vampiri, le fate e ogni stramaledetta creatura magica di questo Stato o ti avrei amato davanti a tutti loro, semplicemente ignorandoli, oggi ti voglio solo di più, ma non così, non oggi, non per questo”.

“Perché?”

“Alexander, diamine! Non per odio, ma per amore, non per paura ma per desiderio. Non ora! Sei tu a non capire”. Magnus, acquistando una distanza che non voleva mantenere, si mise seduto e lo guardava. “Alec non puoi rifugiarti in qualcosa che non conosci solo per esorcizzare la paura della morte. Non posso lasciartelo fare e so di sembrare folle, stupido e ipocrita. E, fidati, lo sono. Perché io sono in assoluto il campione universale del gioco emozione schiaccia emozione, l'ho fatto per secoli e mi è riuscito benissimo e sono l'ultima persona che ti può dire come vivere. Ma non ti lascerò fare l'amore con un mezzo demone appena conosciuto di cui non dovresti neanche fidarti solo perché sei in vena di forti emozioni!”.

 

Ottimo, ora parlava di se stesso in terza persona, i segni dello squilibrio mentale erano conclamati.

 

A quel punto Alec avrebbe potuto strozzarlo, prenderlo a pugni, ucciderlo o cacciarlo via a calci dal suo stesso letto insultandolo. Eppure, lo abbracciò.

 

“Io non vedo traccia di demone, mi sembra di conoscerti da sempre e mi fido di te. Io ho un mondo di gente che sceglie per me, decide e ha sempre stabilito tutto: chi sono, chi o come dovrei amare, perché dovrei vivere, per cosa devo combattere, chi devo odiare e per cosa dovrei morire. Da quando sono nato tutto già è scelto detto e fatto, tutto previsto, come se la mia esistenza fosse l'ombra del gioco di qualcun altro, un destino che non ho scelto. Tutto era così e anche a me sembrava giusto e necessario. Prima di te, prima di adesso. Ora non c'è più niente di deciso e non mi importa. Non capisci, non sei tu, sono io a volerlo”.

 

Alec lasciava che quelle parole si perdessero tra i capelli di Magnus, non c'era rabbia, solo sincera e profonda determinazione.

 

“Sono vivo grazie e te, ma non è per gratitudine, non potrei in ogni caso saldare il mio debito, sono qui perché per la prima volta so esattamente ciò che voglio. Te. Solo questo, poi il mondo può bruciare, Valentine vincere e i Nephilim sparire e io con loro, non mi interessa, poi potrò schiantarmi e morire. Ma almeno una volta voglio decidere io”.

 

Le parole erano volate via, ma il loro calore era ancora trattenuto da ogni cellula del corpo di Magnus che neanche si era accorto di avere chiuso gli occhi e continuava a vedere ogni cosa attraverso l'aria.

 

Il silenzio appannandosi prese il colore del blu, quel volto sincero, come rugiada, come l'eco del sussurro del mare profondo, sanò le ferite di un vecchio cuore che mai, in quattro secoli, neanche per un secondo, neanche soffrendo terribilmente, aveva smesso di sentire amare meravigliarsi. E solo ora lo stregone capiva quante fossero profonde quelle cicatrici. Ma tutte, anche quelle che non sapeva di avere, scomparvero come d'incanto. Sentiva solo il rumore assordante del battito del cuore che raggiunse singhiozzando, sentì quel blu sincero spezzare il suo universo e sentì il bruciante fendente della passione farsi strada tra i pensieri segreti. E adesso, nella notte scura, si sentiva capace di un amore extra umano, libero da quelle catene che l'avevano reso prigioniero del suo stesso dolore.

 

E sentì solo l'armonia segreta della notte.

 

Quello sarebbe stato il momento di scusarsi, inutilmente, per la quarta volta.

 

Ma non ce ne fu alcun bisogno.

 

Bastò il calore di un bacio e l'alchimia di due corpi avvinghiati in un abbraccio che all'istante presero fuoco.

 

 

Angolo dell'autrice

Come sempre un grazie speciale a chi segue questa storia e ha trovato la voglia e il tempo di lasciare parole stupende che mi scaldano il cuore; a voi la mia dedica, la magia che ha ispirato questo pezzo
http://www.pensieriparole.it/poesie/poesie-d-autore/poesia-89096

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Le parole non dette muoiono avvizzite ***


18

Le parole non dette muoiono avvizzite

(Città di cenere, tra i capitoli 4 e 5)

 

Il cuore rombava nel petto all'impazzata, evidentemente sarebbe schizzato fuori schiantandosi sulla parete, batteva così forte da vincere tutti i rumori della stanza, era persino più forte del vocio frenetico che risaliva dal locale, più forte della musica, più forte del vento che picchiava sulle finestre, così forte che sicuramente Magnus lo stava sentendo proprio in quel momento, mentre risaliva fino alla gola per poi tuffarsi di nuovo nello stomaco, le mani pulsavano, la pelle formicolava, era sicuro di avere i brividi, ma in quella stanza faceva così caldo. Eppure prese tutte quelle emozioni e la valanga di sensazioni che stavano attraversando ogni cellula, compresse tutto in una minuscola biglia e la ingoiò, un istante prima di aprire bocca. Così parlò, più chiaramente di quanto avesse mai fatto, con sincerità e una determinazione che non si riconosceva, con tono pacato e senza interruzioni nonostante la bocca arida e la gola serrata, non ebbe ripensamenti né oscillazioni. E fu così che ascoltò la sua stessa voce dire a Magnus ciò che in cuor suo sapeva ma che non aveva avuto il coraggio di ammettere. Non prima di quel momento, almeno.

 

Ed era tutto assolutamente vero.

 

Si fidava di quel ragazzo come se lo conoscesse da sempre, sapeva bene chi fosse, sapeva che una creatura magica potente ultracentenaria si celava dentro quella pelle ambrata dal profumo di sandalo, sapeva che quegli occhi avevano amato, desiderato, respinto, riso e pianto migliaia di volte, ma a lui non importava. Era così forte il desiderio di toccare quel corpo ora, di sentirne in gola il sapore di quelle labbra, ne aveva un bisogno fisico quasi fosse un crampo che lo piegava in due, un desiderio famelico mai provato neanche per Jace e di cui per la prima volta non aveva né paura né vergogna.

 

Non c'è più niente di deciso e non mi importa.

 

Quella frase proprio non era da lui, eppure era dannatamente vera, uscita dai suoi denti naturale come un respiro. Per la prima volta sapeva esattamente cosa volesse e poteva prenderselo perché le leggi del Clave, né quelle della sua famiglia, la vergogna di suo fratello e l'odio di suo padre tra quelle mura non valevano proprio nulla. E sapeva quanto anche lui lo volesse, eppure Magnus era immobile, una statua di gesso con un'espressione indecifrabile. Aspettare una sua reazione sembrò un segmento temporale infinito ma ogni fibra del suo cuore voleva solo assaporare quella pelle e con l'impeto di chi ama per la prima volta lo afferrò e lo baciò.

 

Le parole di Alec erano evaporate nell'aria e lui sarebbe rimasto pietrificato per un secolo o due, prima che un qualsiasi muscolo del suo corpo si fosse deciso a compiere il benché minimo gesto, ma un corpo caldo lo raggiunse, un profumo dolce, l'aroma di labbra carnose. Prima di capire si trovò la lingua di Alec in gola a impedirgli di respirare, sentiva un desiderio famelico, i gesti si facevano frenetici e confusi, mani calde lo afferrarono, lui rispose lasciandosi cadere tra le lenzuola, il corpo di Alec gli si incollò, sentì le sue unghia graffiare la pelle intrufolandosi nei jeans che scivolavano via. I gesti di quel ragazzo urlavano un'urgenza che da secoli lui non provava più, erano istintivi, confusi, diretti, senza controllo tanto che appena quella mano raggiunse ciò che davvero bramava possedere strinse così forte che Magnus non riuscì a nascondere una sillaba di dolore.

 

“Aargh... una certa dose di violenza se consensuale potrebbe anche piacermi, ma sono solo immortale non invulnerabile”.

 

Alec assunse colore e cromature di una prugna matura ma prima che potesse scusarsi fu travolto da un abbraccio deciso che lo fece rotolare tra le lenzuola schiacciato tra il corpo di Magnus e i cuscini. Le lunghe dita dello stregone si serrarono tra i capelli corvini, le sue labbra furono sul suo collo ma la lunga sequela di piccoli baci fu interrotta da un morso deciso, i denti si serrarono sulla giugulare e una smorfia di dolore attraversò il volto di Alec che solo allora capì di non potersi muovere.

“Ahi! Sei anche mezzo vampiro?”

“No, ma trovo questa pratica dei figli della Notte particolarmente gradevole. È perfetto! Giusto perché si sappia... ” disse lo stregone soddisfatto come un bambino, guardando il collo di Alec.

“Cosa?”

“Di chi sei. Certo potrei imprimere nel livido delle minuscole iniziali magari con i brillantini, ma sospetto che i tuoi amici cacciatori lo noterebbero”.

“Sospetti? Ma dai... Allora, ci stai?”

Alec aveva di nuovo tuffato le sue schegge di cielo nei suoi occhi.

“Attento a giocare con la Sorte, giovane Nephilim, potresti vincere una mano”

“Sei sempre così criptico?”

Ma Alec non ottenne una vera risposta, solo un sussurro.

 

A volte non occorrono grandi spiegazioni, a volte le parole, segmenti razionali incollate dai propositi della mente, non riescono a spiegare le intenzioni del cuore e rimangono mute. Magnus era felice, le parole di Alec erano più di un invito, erano una rivelazione e parlavano dritte al suo cuore tormentato da giorni, incerto se credere o no a questo nuovo sogno. Alec era euforico, aveva avuto la sua prima dichiarazione, per una volta qualcuno provava qualcosa per lui e aveva osato dirlo guardandolo negli occhi, quindi era possibile farlo senza sprofondare nelle viscere della terra. E non uno qualunque... Magnus Bane! Uno bello da morirci, sexy da fare paura e desiderato allo spasmo da mezza città, una specie di dio dell'amore che … voleva lui! Alec si attaccò ad ognuna di quelle parole che rimbombavano nella sua testa e quella frase, quel “ti avrei amato il primo giorno” lo mandava in estasi. Dunque... lo amava? Uno così amava lui? E come? Da quando? Perché? Come era potuto accadere? Lui, quel meraviglioso uomo, lo stregone più bello e sexy di tutti i tempi, la creatura più potente della città … amava lui. Luiiiiiiiii! E glielo aveva detto!

Sarebbero bastate queste sole parole perché fosse il giorno più bello della sua vita, pervaso dal profumo di sandalo, Alec senza accorgersene aveva chiuso gli occhi stringendo le mani di Magnus, ma queste presto scivolarono via.

Magnus voleva quel ragazzo, un desiderio sordo, ignorato per giorni, eluso, ma cresciuto a dismisura in qualche recondito anfratto del suo cuore, un desiderio travolgente e assurdo, più d'ogni cosa avrebbe voluto possederlo, dominarlo, farlo urlare sottomesso di piacere, ma era impietrito, non riusciva neanche a stringerlo, figuriamoci ad amarlo; non aveva mai provato sentimenti così contrastati, da quando l'aveva visto lo aveva amato, ma nello stesso istante aveva sentito il bisogno insopprimibile di proteggerlo, di custodirlo, al riparo dalle follie di questo mondo e una voce dentro di lui sapeva di essere parte di quell'orrore da cui voleva a tutti i costi allontanarlo, avrebbe dovuto mandarlo via, sparire per qualche decennio ma non riusciva a resistere un solo giorno senza vederlo o accarezzarlo. Il suo cuore era in tempesta, la sua mente vagava incerta. Non voleva deluderlo, Alec voleva essere amato, ne aveva fame e bisogno e voleva che fosse lui a farlo, ma non ne era capace, aveva rovesciato su quel ragazzo le sue insicurezze, le sue paure, era lui a non essere pronto, era terrorizzato da quel corpo così bello e puro, dall'idea di prendere per la prima volta un'anima così bella e di fargli male, perché la prima volta, diamine, fa sempre male. Ed era ancora più assurdo che fosse lui, un sommo stregone ultracentenario, a farsi tutti questi problemi per un diciottenne alla prima esperienza, lui un bisessuale edonista disinibito che da secoli considerava il sesso la sua giostra preferita nel parco giochi della vita, ora era annichilito e tremante davanti la sola possibilità di amare qualcuno che glielo aveva chiesto.

Da quando aveva conosciuto Alec, per la prima volta in vita sua, avrebbe davvero voluto avere 23 anni, avrebbe cancellato i secoli con un colpo di spugna e sarebbe tornato alla sua sincera inesperienza, si sarebbe strappato la memoria dagli occhi per vivere quelle sensazioni al suo fianco per la prima volta, mai quei secoli gli erano pesati così tanto e solo ora se ne accorgeva veramente. Ma per un microsecondo tutta quell'esperienza sembrò avere un senso, necessaria per portarlo lì dove serviva e dove sentiva di dover essere come mai nella vita. Il sesso è un mondo decisamente vivo e pieno di sfumature, specie per chi come lui ne era non solo un abile accolito ma un attento studioso. Non l'avrebbe amato quella notte, ma l'avrebbe fatto sentire amato per la prima volta in vita sua e poi, un giorno, magari da vecchi si sarebbe scusato di quella assurda viltà. Così quando le sue mani lasciarono le dita intrecciate del cacciatore sentì il senso di smarrimento di Alec. Ma lo avvolse con baci e carezze, baciò ogni minuscola piega di quella pelle, le sue labbra e le sue mani arrivarono dove nasceva potente e incontrollato il desiderio del giovane cacciatore, baciò quel corpo bollente assaporandolo tra i denti e il palato e lasciò che fossero le sue labbra a condurre il suo adorato amante verso il piacere, ne sentì i sospiri, con sicure carezze ne piegò il corpo, sentì le dita del cacciatore avvinghiarsi tra i suoi capelli mentre con la lingua solleticava per gioco quell'intatta intimità, contò uno per uno i suoi spasmi e solo quando dalla sua bocca contratta quel “Ba...ci...ami... ti prego” arrivò come una supplica, risalì lentamente su quel corpo fino alle labbra, continuando a far danzare il piacere del cacciatore tra le calde ed esperte carezze della mano mentre con lunghi baci ne tratteneva l'anima e i respiri. Per la prima volta in tutta la sua vita ignorò del tutto la ricerca del suo piacere e si dedicò completamente al desiderio dell'amante, si concesse un unico privilegio, lasciare quelle labbra un attimo prima che il primo orgasmo attraversasse il corpo di Alec, qualche istante solo per sentire, così come aveva desiderato, il suo nome venir fuori, come singulto rauco e viscerale, due sillabe storte e vibranti sputate fuori dritte dallo stomaco, urlate scomposte all'apice del piacere. E a quel suono, si lasciò cadere tra le lenzuola, trascinandosi addosso un corpo sudato e tremante del tutto in suo potere, solo per poter respirare tra i suoi capelli corvini, mentre riceveva in cambio il più bell'abbraccio della sua vita.

La luna più stupefacente degli ultimi 50 anni, muta, immota e immobile, bucava il buio di una notte senza stelle e placida scivolava lieve sulla coltre di soffici nubi increspate che ma celava il profondo blu, sola e silenziosa amante delle inquiete menti degli uomini, lei corpo eterno chiamata a vegliare da sempre su di un'infinità di caduche esistenze racchiuse in intensi segmenti di un attimo. Era così luminosa.... poteva quasi guardarne le increspature ruvide della superficie. Era molto piccolo la prima volta che l'aveva guardata davvero, terrorizzato, affamato, spezzato da un gelo pungente che gli accartocciava le ossa mentre cercava di ripararsi al meglio dietro un cespuglio di giunchi nell'ansa di un fiume. Si era quasi spaventato appena l'aveva vista, tanto era grande, per un attimo gli sembrò che avesse occhi e bocca e che fosse sul punto di parlargli. In fondo lo fece, a suo modo, perché grazie ai suoi bagliori la campagna era stranamente luminosa, il fiume sembrava color dell'argento e il silenzio non faceva più paura. Sentiva anche meno freddo e in un attimo riuscì ad aprire veramente gli occhi osando guardare qualcosa che non fossero i suoi piedi scalzi e così vide il campanile in lontananza che fece la differenza permettendo alla sorte di compiersi, impedendo che la sua fosse una di quelle tante voci di bambini stregone che si spengono sommesse e lente nella notte. Da che ne aveva memoria aveva confidato alla luna i suoi amori, da Imazu a Camille, un lungo elenco di personalissimi drammi e intense felicità, a volte entusiasta, a volte distrutto, componendo per ore i suoi monologhi.

Questa volta era diverso, con lui era tutto maledettamente diverso.

Era felice e sereno, non c'era traccia di ripensamento e la gioia che provava era così intensa che anche fosse finita in un attimo sarebbe valsa la pena, per la prima volta non pativa la smania di un febbrile possesso, avrebbe amato quel ragazzo anche a distanza di miglia e di secoli, anche spiandolo dal buco della serratura, l'aveva desiderato più d'ogni cosa e ora, sentendolo respirare sereno, tra sonno e veglia, completamente abbandonato nel suo abbraccio, era così felice che si sarebbe scattato da solo una foto ricordo di quel momento e sarebbe volato attraverso il cielo fin sulla luna per attaccarla con uno spillo alla montagna più alta, solo per lasciare una traccia. Sarebbe stata una foto tutta da ridere, lui sprofondato nel letto, lo sguardo ebete, occhi sgranati, ipnotizzato a seguire la luna, mentre in corpo di Alec avvinghiato al suo in un'unica trama di carne e lenzuola si era perfettamente incastrato, il volto appoggiato sul suo torace ondeggiava al ritmo del suo respiro e nonostante fosse sveglio teneva gli occhi chiusi. Accarezzare quei capelli corvini, scrivere segrete sillabe con i polpastrelli nella sua pelle era così naturalmente e semplicemente bello, come se quel corpo gli appartenesse da sempre.

E anche adesso che l'aveva vissuto in carne e ossa, raccontare a se stesso cosa accadde in quel piccolo frammento di mondo sarebbe stato difficile, un bacio, sicuramente, o meglio una lunga e ininterrotta catena di baci, ognuno memorabile e sensuale, un amplesso non suo che lo aveva travolto più di tutte le travolgenti notti (e mattine) di sesso che quel glitterato essere avesse collezionato nello spazio di un secolo. Sapeva di aver preso fuoco ed era rimasto a consumarsi in balia di un amore estraniante come l'eternità.

“Bello! Cos'è?”

“Allora non stai dormendo?”

“No. Cos'è?”

“Beethoven, la sonata 14 in Do diesis minore, più nota tra i mondani come sonata al chiaro di luna. Anche a me piace molto”.

Alec aveva lentamente aperto le palpebre, lo guardava, gli occhi ancora lucidi, assenti, sognati.

“Sei proprio magico”.

“Ti ringrazio mio giovane cacciatore, ma l'unica magia in questo caso è la straordinaria abilità mondana di costruire aggeggi incedibili. È la suoneria del mio smarthphone”.

“Non rispondi?”

“Ho di meglio da fare in questo momento”

“E se fosse importante?”

“Tu lo sei di più. E visto che hai aperto gli occhi mi chiedevo se avessi fame”.

“Un po'...”

“Pancake?”

“Non ho 8 anni!”

“Un bourbon liscio?”

“... e non sono un alcolizzato!”

“Guardalo è in questa casa da una manciata di ore e già emana moralità. Non mi sembravi troppo rigido mentre gemevi”.

E ovviamente per questa frase, Magnus si prese un pugno e schivando una cuscinata non fu facile disarmare un Nephilim; alla fine lo stregone ebbe la meglio e sigillò la vittoria con un bacio.

“Questo ricorso alla violenza è altamente disdicevole, siete perfidi voi angioletti. In ogni caso, non posso affamarti la prima notte che passi qui. Scartati i pan cake cosa rimane?”

“Cosa hai in frigo?”

“Frigo? Ti sembro uno che cucina?”

“In realtà si. Comunque neanche io muoio dalla voglia di vederti alzare dal letto”.

Alec si mise a cavalcioni su Magnus, nel suo volto comparve uno strano ghigno, a metà tra un broncio appena accennato e uno guardo malizioso, un'espressione semplicemente adorabile

“Beh... effettivamente avrei voglia di qualcosa, di grosso e caldo, ma tu sembri proprio non volermi accontentare. Certo se fossi un biondino con gli occhi neri, l'accento francese e il nasino appuntito avrei più speranze, o almeno potrei giocarmela, perché con la dea pantera scolpita proprio non c'è partita, non dispongo di quel tipo di mercanzia”.

Magnus istintivamente lo afferrò e le lenzuola ad un suo cenno si strinsero come corde bloccandogli braccia e gambe, immobilizzandolo.

“Non vale usare la magia!”

Il volto di Magnus era ad una manciata di millimetri da quello di Alec, gli occhi verde ambra più splendenti che mai fissi nei suoi, tanto che ad Alec si accelerò il respiro. Com'era bello!

“Non giocare con me, giovane Nephilim. Già due volte mi hai portato al limite, non ce ne sarà una terza, non farò il bravo ragazzo e avrai ben più dell'assaggio di oggi e non ...” Improvvisamente un'espressione allibita attraversò il volto di Magnus “E tu che diavolo nei sai di Kira e Cedrik!”

“Ah... è così che si chiamano!”

Alec approfittò della distrazione dello stregone, si liberò e lo afferrò facendolo cadere nel letto e gli montò su a cavalcioni, aveva stretto le braccia al petto e lo guardava furioso. Alec era geloso e questo lo rendeva ancora più adorabile, Magnus non poté fare a meno di ridere...

“Diabolico ragazzino come fai a conoscere i miei ex amanti?”

Era bastato quel monosillabo ben pronunciato ad arte perché Alec sfoggiasse un sorriso trionfante.

“Li ho visti al locale”

“E che ci facevi lì, di preciso?”

“Qualche settimana fa ho accompagnato una giovane strega, Teresa, dovresti conoscerla. Ero da queste parti, l'ho incontrata per caso mentre combatteva contro un demone che stava cercando di ucciderla, lei ho ha vaporizzato appena in tempo. Mi ha detto che ti stava cercando, ma non sapeva dove andare; statura piuttosto bassa ma agile e armoniosa, lineamenti dolci e gentili, lunghi capelli scuri, grandi occhi verdi, qualcosa di magnetico nello sguardo”.

“Non so chi sia”.

“Strano, l'ho lasciata nel tuo rifugio. Non ti aveva mai visto, così ha voluto che gli parlassi di te, mi ha detto che veniva dal Canada, era vestita tutta di nero con una fascia viola tra i capelli”.

Lo sguardo di Magnus si fece perplesso.

“E dimmi, mio caro, ti è rimasta impressa qualche domanda in particolare?

Alec ci pensò un attimo, sciolse le braccia e si lasciò scivolare di nuovo di fianco a Magnus, aveva l'aria di chi cerca di ricordare e senza volerlo affondò parte del viso nel cuscino accucciandosi sotto il braccio di Magnus, che riprese ad accarezzargli i capelli, lasciando lievi baci sulla fronte.

“Effettivamente … mi hai chiesto cosa pensassi dei bisessuali!”

“Ma dai! Che domanda originale!”

Una strega simil Camille solo più bassa e mora, vestita da Catwoman, che casualmente si trova in pericolo a Brooklyn proprio mentre Alec passa di lì, si fa salvare, chiede di essere accompagnata al Pandemonium e nel frattempo fa di tutto per ottenere informazioni. Una strega che si lascia scortare in un rifugio per Nascosti da un cacciatore mai visto prima, non si fa trovare dal Sommo Stregone della città, anche se è molto interessata ai suoi orientamenti sessuali e la cui aurea magica non si riesce a percepire. Ovvio! Maledetta maledetta maledetta diabolica strega bastarda …. Caaaat! Questa me la paga, pensò Magnus non riuscendo a trattenere un ghigno.

“Che c'è ti sei ricordato?” chiese Alec

“Forse... controllerò. Ma torniamo alla domanda originaria. Allora cosa vuoi mangiare?”

“Pizza!”

“Un po' generica come richiesta, non credi?”

“Fai tu”

“E sia!”. E una meravigliosa vegetariana soffice con fontina e verdure grigliare comparve fumante sul letto.

“Come diavolo hai fatto?”

“Ehi hai letto la targhetta sulla porta? Dice Sommo Stregone... miscredente!”

Alec scoppiò ridere, appallottolò un cuscino, ci si appoggiò sopra e si avventò famelico sulla pizza.

Un attimo, solo un attimo ... vide il giovane cacciatore impadronirsi prepotente della sua camera da letto e della sua mente, accovacciato nudo sui morbidi cuscini di cotone usati come un trespolo che mangiava di gusto una pizza tra le sue lenzuola di seta. Quel letto solitamente sede prescelta per il più fantasioso erotismo era diventato un prato da pic nic.

“Tu non mangi?”, disse Alec masticando di gusto.

“Si … certo”. Non ebbe il tempo di finire la parola che Alec gli avvicinò una fetta di piazza alla faccia e a lui non rimase che morderla. Lui che mangiava eritreo e tibetano in fini piatti di porcellana o in ciotole di terracotta fatte a mano e che avrebbe ucciso chiunque avesse osato solo pensare di mangiare nella sua camera da letto anche solo una caramella, adesso masticava melanzane grigliate da un cartone unto accovacciato tra le lenzuola. Eppure quello che lo lasciava assolutamente stupefatto non erano le sue nuove abitudini alimentari ma respirare nell'aria la più sincera felicità che ricordasse da decenni, fece di tutto per scolpire quell'immagine in profondità nella sua memoria, perché quando sarebbe svanita gli sarebbe mancata terribilmente. E si sarebbe incantato osservando quella creatura meravigliosa che banchettava comodo, se un rumore stridulo non avesse rotto l'atmosfera. Alec non parve farci caso.

“Alexander... forse dovresti rispondere?”

Alec alzò lo sguardo dalla pizza perplesso.

“Alexander, se fosse il battito del cuore avrebbe un suono decisamente più soave. È il tuo telefono... dovresti rispondere”.

In un istante la serenità aveva lasciato il volto di quel ragazzo che. lasciata a metà l'ennesima fetta di pizza, aveva iniziato a scrutarsi attorno nervoso alla ricerca del cellulare finito sotto il letto. Bastò uno schiocco di dita dello stregone a farlo comparire tra le mani di un Alec sorpreso che quasi lo gettò a terra. Appena vide il display istintivamente si alzò in piedi e rispose leggermente rivolto verso la parete opposta.

“Izzy ... dimmi”

La voce era così acuta che Magnus non ebbe alcuna difficoltà ad ascoltare la conversazione.

“Per l'Angelo Alec ti ho chiamato 30 volte! Senti non voglio sapere dove tu sia anche se spero di saperlo e non vorrei mai disturbarti perché se stai facendo quello che spero tu stia facendo nessuno al mondo è più felice di me... veramente spero che anche tu sia felice in questo momento e se per caso ti ho interrotto prima che potessi essere felice come spero sapp..”

“Izzy! Che c'è?”

“Devi tornare. Jace...”

“Jace cosa?”

“Ha litigato con la mamma e … è sparito! Non risponde al telefono e neanche Clary sa dove sia. Alec dobbiamo trovarlo...”.

Cazzo!

Lo sapeva, lo sapeva benissimo, era solo questione di tempo prima che Jace si mettesse in testa di cercare Valentine da solo, lo conosceva, sapeva come ragionava, come reagiva, avrebbe dovuto essere con lui per controllarlo, per guardargli le spalle come sempre, Jace si sentiva immortale ma che speranze poteva avere contro un cacciatore così esperto, cattivo, potente e capace di controllare i demoni? E ora era sparito... Se fosse stato ferito o peggio se fosse morto lo avrebbe sentito, quindi doveva stare bene, ma doveva trovarlo. Ma come? Dove? Mentre lui era a spassarsela con Magnus, Jace poteva essere ovunque, con chiunque. Un moto di angoscia lo assalì, provò una vergogna infinita, era il solito egoista incapace. Si rese conto che sua sorella lo cercava da ore. Ma quante vite doveva distruggere ogni volta...Jace!

“Arrivo in 20m, tu continua a chiamare”. Chiuse la telefonata bruscamente e quando si girò verso Magnus con l'aria di chi deve comporre una scusa credibile uscirono parole scomposte “Devo andare ... scusa” disse e iniziò a rivestirsi. Era bastata una telefonata perché il suo mondo gli piombasse addosso, nel viso di nuovo c'erano solo note sparse di tristezza e angoscia.

“Problemi?” Chiese vago Magnus, sperando di ricevere risposte a domande che non osava porre.

“Nulla di grave”, mentiva ovviamente, era nel panico “... mio fratello non si trova, devo andare a cercarlo, è il mio parabatai senza di me non possono localizzarlo”.

“Posso aiutarti se vuoi”.

“No”. Ti ringrazio”. Ma il tono era tutt'altro che gentile.

“Davvero, ci sto un attimo mi basta utilizzare...”

“No, ho detto no, grazie. Possiamo farlo noi”.

“Ora che diavolo ti prende?”

“Non mi prende assolutamente niente. Non posso rimanere qui per sempre, ho una famiglia devo andare adesso”.

Ma vederlo così furioso Magnus non poteva sopportarlo.

“Almeno lascia che ti accompagni” lo stregone in due passi lo aveva raggiunto ma Alec si scostò bruscamente.

“DEVO andare!”

“Perché ti ostini, ho gli occhi sai? Lo vedo che sei preoccupato! Usando il legame localizzo il tuo amico in un secondo e posso portati da lui con un portale”.

“Smettila! Possiamo cavarvela da soli, non mi serve il tuo aiuto!”

Alec quasi urlò quelle parole, schizzò via dalla camera da letto correndo verso l'uscita del loft, Magnus lo seguì sempre più confuso.

“Intendi che voi angeli non avete bisogno di un Nascosto come me? Fino a poco fa non mi sembrava un problema per te la mia natura demoniaca”.

Alec arrossì prepotentemente.

“ E questo ora che diamine c'entra! Non ho tempo per litigare, devo andare a cercarlo.

“Chi? Il biondo vero?”

“È il mio Parabatai, è una mia responsabilità! Tu non puoi capire”.

“Capisco benissimo, fidati ed è molto più di questo per te. Quello che proprio non capisco è perché te ne vergogni tanto”.

Ogni parola di Magnus faceva dannatamente centro e la rabbia di Alec montava fuori controllo.

“Tu sei un stregone, non avete neanche idea di cosa sia una famiglia, non puoi capire il nostro legame parabatai”.

Ma anche le parole di Alec andarono a segno, conficcandosi come spilli e l'impassibilità di Magnus fu spezzata da un amaro sospiro.

“Sono così tante le cose che un Nascosto come me non può capire di voi angeli e fidati non intendo certo sforzarmi!”.

“ E ora perché sei così acido?”

“Acido io? Ma ti vedi? Basta nominare quel biondino e dai di matto, sei diventato una furia e hai iniziato a blaterare, magari è solo andato a farsi un giro approfittando che nessuno gli alitasse sul collo”.

Alec raggiunse Magnus, il volto contratto dall'ira, il braccio rigido come a trattenere la mano dal dare un pugno al muro.

“Non ne sai niente di Jace! Non parlarne come se lo conoscessi!”

“E dimmi, Cacciatore, di preciso lui quanto conosce te?” Il tono di Magnus aveva smesso di essere decisamente amichevole e le parole erano state dette come un'accusa.

“E il mio parabatai, conosce ogni cosa”.

“Ed è per questa conoscenza profonda che non vuoi che ti veda arrivare con me, vero? Come immagino che dal momento che siete amici per la pelle gli hai già detto di noi, giusto? Cosa fai? Inventi scuse ogni volta? Una per lui e una diversa per tua madre, immagino!”

“Non c'è proprio niente da dire!

“Si? Allora ti vergogni sempre come un verme in silenzio quando lo guardi?”

Le parole di Magnus erano così vere, come un pugno allo stomaco che ti piega in due, come il tradimento di qualcuno che non ti aspetti, annichilirono l'anima del cacciatore che rimase pietrificato, preda di un'ira incontrollabile che stava evidentemente per esplodere. Nessuno di buon senso si sarebbe avvicinato a lui in quello stato, ma Magnus non era di buon senso, tutta quella conversazione era assurda, un attimo prima scherzavano complici e innamorati nel letto e ora lo guardava come un perfetto estraneo. Alec era ferito e rabbioso e chiaramente sul punto di cedere, ma non avrebbe mai colpito Magnus, così, vinto dall'impeto di fuggire e provò ad aprire la porta ma lo stregone la bloccò con la mano, trattenendolo con forza.

Sapeva quanto amava quel ragazzo, quel cacciatore mandato dal destino solo perché il suo cuore non si inaridisse, sapeva che l'avrebbe protetto ad ogni costo, affrontando ogni nemico e cominciando dai suoi stessi demoni, sapeva cosa aveva fatto per lui e quello che avrebbe osato, ma adesso aveva solo voglia di ferirlo. E sapeva esattamente come farlo.

“E dimmi...” la voce era glaciale “fai tutto da solo e è proprio lui a farti sentire il patetico e meschino scherzo del destino che la tua famiglia pensi ti consideri?”, non c'era traccia di ironia né di affetto, neanche di rabbia, solo disprezzo. Le parole uscirono stridule e si infransero contro la faccia di Alec, quando Magnus ne comprese il suono era ormai troppo tardi, Alec lo spinse via bruscamente

“Non toccarmi!”

“Sembrava ti piacesse prima quando era il tuo lato perverso a prevalere”. Lo lasciò come ci si allontana da un vetro rovente che brucia la pelle, la stessa espressione nel viso, lo sdegno aveva reso opache le perle verde ambra.

“Torna a casa e trova il tuo amico del cuore così puoi continuare a mentirgli su di me, non ti verrà difficile, sarai bravissimo Da anni gli nascondi che sei gay e che lo ami, fingere di non conoscermi sarà la minore delle tue eroiche imprese”. Un ghigno sdegnoso accompagnò ogni sillaba.

Uno come te... non può capire”, disse con disprezzo e sparì oltre la porta.

Lo schianto dello stipite fu fragoroso, ma il vero rumore sordo fu il frangersi di due anime a cui era bastato un attimo per ricomporsi e un istante per distruggersi.

Idiota d'un cacciatore, sei stato l'ennesimo mio stupido errore.

Come aveva potuto perdere il suo tempo con un ragazzino insicuro e paranoico, poteva avere chi diavolo voleva in tutto lo stato, in tutto il paese e corre dietro a un ragazzino che non riesce ad ammettere neanche a se stesso di essere gay, eternamente innamorato di suo fratello adottivo, uno sprezzate biondino eterosessuale che non lo degna di uno sguardo …. perché lo ama, è evidente, da come ha reagito ogni cellula del suo corpo, è evidente, dal panico che ha provato appena saputo che era scomparso, dalla vergogna che lo ha pervaso alla sola idea di farsi vedere con lui ... lo ama! Non aveva neanche negato, non ci aveva neanche provato. Ecco il momento in cui non era più un potente stregone super sexy, ma un demente da scaricare alla prima occasione. Solitamente non ci rimaneva più neanche tanto male, ma questa volta ci aveva creduto nonostante tutto che potesse andare, sul serio, che potesse essere bello. Che patetico idiota che era, un tragico imbarazzante patetico idiota. Un misto di rabbia e vergogna lo ferì, era stato il giochino proibito di un pomeriggio, si era illuso che lo amasse, che volesse davvero condividere con lui il tempo. Si ritrovò in camera da letto, un moto di dolore gli salì in gola, cercò di contenerlo, prese il cartone della pizza con lei mani, doveva toglierlo da li, ma lui non usava le mani per pulire …. che diavolo stava facendo? Scagliò tutto rabbiosamente contro il muro, ma appena vide i resti della pizza sparsi ovunque colare giù dalla tenda, si infuriò ancora di più, si passò le mani tra i capelli, anche quelle odoravano di pizza, doveva cancellare quell'aroma dolciastro, era ancora nudo, si era appena fatto lasciare completamente nudo sulla soglia della porta di casa sua da un ragazzino di 18 anni che l'aveva mollato con la faccia sdegnata. Corse sotto la doccia, aprì il getto bollente al massimo e si lasciò scorrere l'acqua sulla pelle.

Uno come te non può capire.

Era quasi sicuro di avere vissuto con quel ragazzo un attimo di pura felicità e gli rimaneva era solo questa frase.

Uno come lui... un mezzo demone, un esistenza dissipata, un orrido scherzo del destino.

Non poteva essere, era lì, stretto tra le sue braccia, l'acqua non aveva ancora cancellato il suo odore, il suo sapore, si sentiva così bene per la prima volta dopo così tanto tempo.

Strinse forte gli occhi, come a cancellare tutti i ricordi degli ultimi mesi, sentì le ginocchia cedere e si lasciò cadere, piegato, con le ginocchia strette al petto e la testa nascosta tra le gambe. E mentre il fluire dell'acqua nascondeva le lacrime, cercò di regalarsi per qualche minuto l'illusione che il suo cuore non fosse stato spezzato, di nuovo. Non seppe di preciso dopo quanto riuscì a trascinarsi sul divano. Il display del suo cellulare vibrava, lo afferrò e fu inutile negare a se stesso la speranza che dall'altro lato ci fosse Alec. Tutte le chiamate erano dello stesso numero, c'era anche un messaggio.

“Sono Pete, C'è un lupo morto davanti l'Hunter Moon con la gola mozzata. Abbiamo bisogno di te. VIENI SUBITO!”.

Lupi.

Richiamò.

“Magnus! Dov'eri finito?”

“Lavoravo, dimmi tutto. Come state? ”

“Stai bene amico? Hai una voce...”

“Sono solo stanco. Chi è il ragazzo? Ci sono altri feriti?

“Non so, si... cioè no”

“Potresti usare un linguaggio meno allusivo, lo stile misterico non ti si addice”

“Eh???”

“Cer-ca di spie-gar-mi”.

“Ah... allora nel vicolo c'è un giovane lupo con la gola squarciata, non sappiamo bene chi è, stava con noi da poco, un ragazzino venuto da fuori, qualcosa lo ha aggredito nel vicolo e lo ha lasciato agonizzante in una pozza di sangue. Sembrerebbe roba da vampiri”.

Vampiri?

Neanche un barista come Pete sembrava credere a questa ipotesi e Magnus non si immaginava proprio Raphael che dava l'ordine di sgozzare un ragazzino davanti l'Hunter Moon, né qualcuno del cono di New York agire da solo.

“Vedremo”, disse solamente. “Feriti?”

“Bat e altri sono solo un po' ammaccati”.

“Di preciso quanti lupi ha aggredito questa misteriosa creatura?”

“Solo il ragazzo, mentre era fuori nel vicolo, gli altri sono finiti in una rissa”.

“Demoni? Di nuovo?”

“No, quali demoni! È venuto al locale un giovane cacciatore, un biondino malefico con l'aria da grand'uomo e con una voglia matta di attaccare briga, si è messo a provocare tutti senza motivo, sembrava avere una gran voglia di morire, ha creato un gran casino e devastato mezzo bar, così nessuno si è accorto di quello che succedeva fuori”.

“Non mi dire....”.

“Ehi! Io ho cercato di trattenerli, ma non potevano stare fermi a farsi minacciare da un ragazzino cacciatore con la luna storta e ...”

“... e lui vi ha preso a calci! Ora dov'è?”

“Sta con Luke”.

Quell'idiota di Alexander sarà contento...

“Arrivo, non fate niente e rimanete vicini. Ah...se viene qualcuno offritegli da bere, invece di fare a pugni”.

Si asciugò e si vestì lì dov'era con uno schiocco di dita, di entrare in camera non ne aveva proprio voglia; solo ora si accorse che erano da poco passate le 23, non era poi così tardi.

Un altro giovane Nascosto con la gola squarciata, prima lo stregone ora un lupo ammazzato proprio davanti la sua tana. Qualcosa proprio non andava e se lui fosse riuscito a concentrasi lo avrebbe sicuramente sentito.

Ma non poteva lavorare, era troppo impegnato a farsi di nuovo spezzare il cuore da un giovane Nephilim, quindi i Nascosti della città potevano tranquillamente morire sgozzati agli angoli delle strade mentre lui tirava pompini ai ragazzini.

Colpì con tanta forza il muro da farsi male. Afferrò il telefono, sfiorò un numero tra le chiamate rapide.

“Ce ne un altro, prima lo stregone questa volta un giovane lupo, davanti l'Hunter Moon. Due in due giorni. Dobbiamo intervenire. Stai lavorando?”

“Di notte? No! Aspetta....”, sentì alcune parole confuse, appena bisbigliate in sottofondo.

“Ma dove sei?”

“Aspetta.... Okay, ci vediamo lì, arrivo”. E chiuse.

Con chi parlava la sua Cat nel cuore della notte? Aveva sentito … una voce maschile? Era di notte a casa di un uomo che non fosse lui? E chi diavolo era? Ci mancava solo questo … era proprio una giornata pessima, pessima, pessima, davvero pessima giornata. Forse doveva emigrare in qualche atollo disabitato del Pacifico per una trentina d'anni. Ma era pur sempre il Sommo Stregone di Brooklyn. Si ricompose e uscì, bellissimo e vestito del suo stucchevole cinismo.

Non molto lontano, un cacciatore correva nella notte. E piangeva. Le lacrime copiose gli solcavano il viso, così tante che proprio non riusciva a trattenerle; neanche in metrò era riuscito a smettere di piangere, nonostante la vettura fosse deserta, nonostante fosse occultato dalla runa dell'invisibilità, i suoi singhiozzi risuonavano nel vuoto e lui uno per uno li aveva ingoiati temendo che qualcuno li sentisse. Aveva appena distrutto l'unica cosa bella che la vita gli avesse mai donato, aveva offeso l'unica persona che nella vita lo aveva reso felice, un uomo meraviglioso, bellissimo e gentile che lo aveva salvato, coccolato, desiderato, amato. Aveva guardato il suo volto mentre lo feriva con parole assurde ed era rimasto a farsi ferire e distruggere, senza riuscire a muovere un dito. Non aveva capito nulla, non era riuscito a controllare quella furia cieca, come quando aveva scagliato Clary contro il muro e si era lanciato contro un demone superiore con una picca, ma questa volta con tutte le sue forze aveva allontanato l'uomo che amava. Si, si, si, che amava, perché lo amava, amava Magnus. Per quanto fosse stato innamorato di Jace, mai si era sentito così bene, così amato, così giusto, così in pace e in estasi allo stesso tempo, mai si era sentito così felice come con quegli occhi verdi, tra quelle braccia, con quelle labbra. Il dolore era così forte che voleva urlare, se si fosse fermato per un solo istante non si sarebbe più rialzato. Come aveva potuto... paura e vergogna avevano preso il sopravvento, gli aveva detto chiaramente che si vergognava di lui! Un patetico meschino insulso moccioso si vergognava di avere al suo fianco l'uomo più bello mai nato, l'uomo più gentile, semplicemente il più perfetto. Non era riuscito a riprendere il controllo, era bastato vedere una sola nota di cinismo e disprezzo in quegli occhi perché venisse travolto dalle sue paure. E lo aveva perso per sempre senza avere avuto il coraggio neanche una volta di dirgli quello che provava. Le lacrime non si fermavano, il giubbotto era intriso, l'aria fredda gli sferzava la faccia, ora neanche cercare Jace sembrava così importante.

I migliori poeti più d'ogni altro essere del pianeta, al pari solo degli stregoni, conoscono il potere delle parole. Pare che queste a volte si addensino nella gola degli amanti senza riuscire a raggiungere un vero suono nell'aria e pare che dopo un’eterna e sofferta attesa, ormai private della gioia di riuscire ed esistere, rinunzino alla speranza di essere pronunziate, pare si lascino morire con chi le ha possedute, come sigilli inariditi a guardia di sentimenti avvizziti in cuori rimasti soli.

Alec che aveva passato gli ultimi anni della sua vita a sentirsi tradito e ferito, convincendosi che mai sarebbe stato a sua volta meschino e crudele, ma solo ora capiva quanto fosse grande la ferita che lui stesso aveva inferto con parole assurde e un colpevole silenzio. E ora, al pensiero che quel sentimento svanisse per sempre, morire con quei ricordi vividi nella mente gli sembrò l'unica soluzione possibile, ma questa volta non avrebbe più avuto il diritto di aggrapparsi alla speranza di rivedere due occhi verde ambra.

Arrivò davanti l'Istituto, si fermò, cercò di asciugare il volto con la maglia ma era intrisa così usò le mani, sfregandole così vigorosamente da farsi male. Ci vollero interminabili minuti perché riuscisse ad assumere un contegno e a regolarizzare il respiro. Doveva entrare, pronto per recitare l'ennesimo atto di quella patetica farsa che era la sua vita ma questa volta si sentiva vuoto, anche la rabbia era sparita, non c'era traccia di calore nel suo corpo, né di speranza. Era tornato a casa, si, così come doveva fare, per rispettare il suo sacro dovere, ma era solo un involucro vuoto, senz'anima.

Quella l'aveva persa, era rimasta attaccata al suo cuore, lasciata indietro, gettata sulla soglia di loft giù a Brooklyn.

 

 

Avviso ai naviganti.

 

Mettere insieme lo sviluppo cronologico delle Cronache e di Città di cenere è stato difficilissimo, perché i delitti del giovane stregone, del giovane lupo e della fata sembrerebbero coincidere con il primo appuntamento, ma capite bene che è un tantino poco verosimile. Ho fatto del mio meglio e come sempre, spero vi piaccia. Un grazie speciale a chi legge, a chi recensisce e a chi scrive su questo sito, trovo perle di bellezza e anime stupende. L'insicurezza accomuna tutte, sempre combattute tra il desiderio di scrivere e il timore che le parole messe in fila non siano degne di essere lette da alcuno. Eppure penso valga la pena, comunque, non solo perché ho trovato tracce di sincera poesia, ma perché la scrittura è un regalo che facciamo a noi stesse per mettere in fila i nostri desideri facendoli danzare con i sogni proibiti, non scriverli, non dirli è come ucciderli. Lasciamo alla realtà questo ingrato compito mentre noi viviamo di bellezza. P.S. scalda il cuore sapere che riesco a comunicare sensazioni a chi legge, sensazioni che volano oltre la rete sulle parole, per cui un grazie profondo e sincero a chi ha lasciato stupende parole nei commenti. Non è esagerato dire che vi porto dentro.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Cocci aguzzi di bottiglia ***


19

Cocci aguzzi di bottiglia
(Città di cenere, tra i capitoli 4 e 5)

 

L'Istituto non gli era mai sembrato così glaciale e inutilmente arido, quella facciata scrostata e il profilo austero gli sembravano una condanna, un presagio di morte che gli fece gelare il sangue nelle vene. Voleva tornare indietro, correre a Brooklyn, attaccarsi a quel campanello tanto da tirar giù l'intero palazzo, chiamare a squarciagola, urlare se necessario, tutto pur di farsi aprire e, saltando i gradini a grappoli, tornare tra quelle braccia, baciarlo fino a smettere di respirare, mandando al diavolo gli angeli, i demoni, le guerre assurde e i decaloghi dei sacri doveri, perché nel profondo, tra il cuore e il midollo, nelle ossa, già sapeva che di tutto quanto era stato la sua vita prima di adesso, prima lui, non gliene importava davvero più nulla.

Ma davanti alla vetusta chiesa bianca non c'era il vero Alec, ma lo stucchevole burattino Lightwood pronto ad andare in scena ancora una volta. E poi dopo quelle parole assurde, Magnus non lo avrebbe degnato d'uno sguardo. Figurarsi … era stato già un autentico miracolo vivere quelle due settimane, molto più di quanto potesse meritare un essere insignificante come lui. Un solo rimpianto cresceva nel suo cuore, un'idea che covava da tempo e che quel giorno si era fatta così chiara... il sesso! Aveva visto le prime, le seconde e anche le terze innumerevoli volte di Jace e Izzy, macerandosi la vita per gelosia e invidia, forse per un po' contro ogni buon senso aveva anche provato ad immaginarsi la sua prima volta, tra i deliri della febbre, le ferite della battaglie e il freddo delle lenzuola, la sua mente era volata fino a Jace, ma non aveva osato andare oltre, il corpo come inchiodato da un'onta vergognosa che l'aveva tormentato con gli incubi più tetri facendolo svegliare madido di sudore e rabbia.

Oggi era stato diverso, chiamare Magnus, invitarlo per un appuntamento, correre al parco e scoprire che lui era già lì ad aspettarlo, sedersi vicini sulla panchina, stringerlo, rimanere ipnotizzato dal battere frenetico del suo cuore, inebriarsi del suo sudore e respirare l'aroma della sua pelle, spogliarlo, avvinghiarsi a quel corpo tra le lenzuola … per l'angelo anche adesso la sola idea gli faceva tremare le ginocchia, anche adesso … era così felice, così eccitato, aveva pensato al sesso tutto il giorno ma senza vergogna, senza rabbia... quel bellissimo dio si era persino tirato indietro impacciato ma poi erano bastate poche parole per trascinarlo su di lui, di nuovo... sarebbe stato così bello... così bello ... così stupendamente bello fare fino in fondo l'amore con Magnus... sarebbe stata la sua così incredibile prima volta ... così perfetta, tutto era così perfetto...

 

“Alec! Diamine ti ho chiamato 30 volte! Di nuovo! Che diavolo ci fai qui fuori? Stavo venendo a cercarti!”

La voce di Izzy infranse di colpo i suoi deliri.

“Stavo pensando … dove potrebbe essere finito Jace. Magari potremmo iniziare dal covo dei vampiri, dopo l'ultima visita forse hanno deciso di ... ”

“Scusa, ti chiamavo proprio per questo. Ho sentito Clary, Jace sta tornando a casa con lei e Simon, era al covo dei mannari. Ti rendi conto? Quell'idiota! Sono stata così in pensiero per lui, l'ho chiamato cento volte, ero sicura che avremmo trovato la sua testa mozzata da qualche parte, pensavo fosse andato a cercare Valentine da solo e che si sarebbe fatto ammazzare, stavo morendo di paura, capito? E lui che fa? Clary alla fine riesce a passarmelo e lui mi dice che aveva solo bisogno di stare un po' per conto suo, che non c'è motivo di essere così nervosa e nevrotica e che lui sarà anche avventato a volte ma non è un pazzo suicida. Capito? Mi ha anche urlato che non dobbiamo stare sempre lì a fiatargli sul collo, che non è un bambino e neanche un cretino!”.

Alec era pietrificato, le parole di Magnus gli tornarono in mente come un pugno in faccia ...Basta nominare quel biondino e dai di matto, sei diventato una furia e hai iniziato a blaterare, magari è solo andato a farsi un giro approfittando che nessuno gli alitasse sul collo. Aveva ragione anche su questo, aveva ragione su tutta la linea. Di scatto si girò, doveva andarsene da lì subito o sarebbe soffocato, ma Isabelle lo bloccò.

“Senti mi spiace di averti rovinato la serata, sono sicura che Magnus capirà e non provare a negare, so che eri con lui. Comunque... mamma ci vuole parlare, dice che è urgente e molto importante, non so, ma sta succedendo qualcosa, so per certo che Jace ha parlato con lei prima di sparire e so che quel Luke, lo zio di Clary, il capo del lupi sta venendo a parlare con lei di Jace, me lo ha detto Simon, quindi fratellone tu non vai da nessuna parte”.

E come un perfetto idiota senza obiettare, Alec si fece trascinare dentro l'Istituto da sua sorella. In preda al più assoluto terrore era scappato via lasciando Magnus nudo sulla soglia del suo loft, per correre a casa a parlare con sua madre, mentre suo fratello era andato a farsi un drink! Era davvero troppo stupido per essere un cacciatore, era troppo stupido per essere qualsiasi cosa. Per cui non si stupì di aver perso nuovamente il contatto con la realtà fin quando non si trovò nello studio di sua madre.

 

Magnus arrivò nel vicolo con così tanti pensieri ronzanti nella sua testa che quasi non riuscì a capire il senso esatto delle parole di Pete, era immerso nei suoi più profondi ragionamenti eppure solcò la folla a grandi passi, sbirciando meno distrattamente di quanto avesse voluto. Una piccola marea quasi umana di licantropi e affini lo attendeva e al suo passaggio si aprì quasi ritmicamente come se fosse ipnotizzata, lui scivolò tra i corpi, leggero, avvolto in lungo cappotto color fumo Armani che teneva aperto e lasciava ondeggiare quasi fossero ali, pantaloni neri, un morbido dolcevita grigio color perla attillato dello stesso colore dell'eyeliner, i capelli ricadevano morbidi sul volto, le punte impreziosite da sfumature bianco lucide. Qualsiasi newyorkese fosse passato per caso, sarebbe rimasto perplesso, chiedendosi cosa mai ci facesse un elegante uomo dai tratti mediorientale in una strada scarsamente illuminata e non troppo rinomata. Visto l'umore del momento, lo stregone aveva scelto un look casual, ma, stranamente, forse a causa della nuova tonalità di glitter, il suo volto sembrava luccicante nel buio della notte, come se un raggio di luna fosse rimasto intrappolato tra le morbide ciocche scure dal profumo di saldalo. Gli occhi vagano tra la folla, in cuor suo sapeva molto bene che non avrebbe visto chi desiderava così tanto. Avrebbe voluto lasciare l'immagine di Alec nel suo appartamento, intrappolata tra le lenzuola della camera da letto e dimenticarla, almeno per un po', ma non riusciva a staccarla dalla memoria e non smetteva di sentire il suo odore per le strade umide e ventose della città di notte.

Era autunno a New York, pioveva e faceva freddo, le nuvole erano comparse quasi all'improvviso per nascondere quella luna così strepitosa e dal nulla era comparsa la pioggia, in una strana ma perfetta sintonia con il suo umore. Che stesse sviluppando anche il potere di controllare gli elementi naturali? Doveva chiederlo a Tessa... L'Hunter Moon era in periferia, circondato da palazzi bassi e magazzini poco usati, per lo più di proprietà di membri del branco e soci affini; il locale all'apparenza sembrava una taverna come tante, cibo scarso, drink pessimi, segatura a terra, cucina sempre attiva, odori forti e abbinamenti gastronomici improbabili. Ad eccezione dei lupi, non era un posto molto frequentato, raramente si vedevano altri Nascosti spinti solo da affari in sospeso con il branco e sporadicamente mondani passati per caso. Per questo un giovane Nephilim in tuta da caccia con rune ben in vista aveva sicuramente dato spettacolo ben prima di sedersi per ordinare da bere. A questo e ad altro pensava lo stregone, mentre scrutava tra la folla alla ricerca di Cat.

Il vicolo era scarsamente illuminato da radi lampioni e la luna non sembrava più decisa ad aiutarlo, essendosi celata dietro spesse nubi. Il corpo del ragazzo giaceva a qualche centimetro dal muro perimetrale, a pochi metri dall'ingresso posteriore del locale, riverso al suolo, la faccia affondata in una pozza densa e scura del suo stesso sangue, rivoli di pioggia scendevano leggeri sul corpo e le gocce scivolando ripulivano lentamente il corpo insozzato di sangue. Gli sembrò un piccolo omaggio di Madre Natura a quel corpo straziato.

“Salve Magnus, ben arrivato”.

Le parole di Pete rivelavano gratitudine, ma il suo volto tradiva la rabbia del momento.

“Ti accompagno”.

Magnus rispose con un leggero cenno del capo e l'abbozzo di un sorriso.

Freaky Pete, per lui Magnus provava un'ingiustificata simpatia. Era arrivato da semplice mondano, non da licantropo, ma lavorava all'Hunter Moon da così tanti anni che in molti pensavano ne fosse un'emanazione ectoplasmica. Era arrivato avvolto in una coltre spessa di tristezza, la sorella minore era stata morsa e trasformata da un lupo solitario, un omega senza branco di cui era diventata la compagna, lui all'epoca studiava Storia dell'Arte, era una brillante promessa della Columbus State ma aveva lasciato gli studi all'improvviso per partire verso l'ignoto alla ricerca della sorella e di vendetta. In realtà trovò molto più della fragile ragazza che ricordava e finì per ringraziare il lupo che voleva uccidere; furono felici per un po', finché lei non rimase uccisa in uno scontro con dei demoni insieme al suo compagno; Pete era distrutto e pensò di ripartire, ma non lo fece, in fondo anche lui aveva trovato il suo branco così trovò lavoro come barista; qualche tempo dopo si invischiò con una gang locale o meglio contro di loro, per via della brutta abitudine del loro capo di usare orfani per spacciare agli angoli delle strade, fu aggredito, quasi ammazzato a bastonate e lasciato in punto di morte in una pozza di sangue e sputi a pochi metri da casa sua, il vecchio capo branco lo trovò un attimo prima che fosse tardi e lo morse, per salvargli la vita; così anche Pete diventò un licantropo. Della gang non se ne seppe più nulla, la polizia mondana pensò ad un regolamento di conti tra bande, i Cacciatori non furono informati e nel silenzio dei porticcioli dell'East River alcuni malavitosi semplicemente scomparvero, si dice, inseguiti da un lupo feroce annunciato da un lungo ululato. Per il resto, Pete era molto equilibrato, il suo lavoro di barista lo rendeva la persona più socievole e cordiale di tutto l'East River, un uomo adatto con cui parlare, anche per via di quei grandi occhi castani che troneggiavano su zigomi alti e un naso aquilino. Forse era per via della sua storia ma ogni volta che un lupo moriva, foss'anche appena conosciuto, lui soffriva tanto, per lui era sempre una questione personale, un po' come se a morire fosse di nuovo sua sorella. E per la stessa ragione era felice, nonostante le circostanze, di vedere il Sommo Stregone.

Magnus si lasciò guidare sul retro.

“Avete toccato il corpo?”

“No. Dopo che lo abbiamo trovato nessuno si è avvicinato”.

Magnus si chinò leggermente, Pete ne sentì il sospiro e gli fu grato per questa composta sofferenza. I riccioli castani mantenevano ancora la freschezza dei sedici anni, nonostante fossero immersi in una pozza di sangue e pioggia, dal volto di profilo si intravedeva l'occhio ancora aperto, lo sguardo terrorizzato e scomposto di chi muore senza capirne il motivo attanagliato dal terrore, le mani aperte irrigidite con gli artigli sfoderati, il corpo contratto. La Morte distrugge e lascia scomposti, ma poco importa ai corpi, sagome lacerate diventati solo vuoti involucri, ai vivi rimangono rabbia, dolore e insensatezza e in quel vicolo, quel ragazzino spezzato dall'odio non faceva eccezione.

Ma un pensiero tormentò Magnus, impetuoso fitto acido e velenoso: essere grato anche oggi di stare davanti al cadavere di qualcun altro, qualcun altro che non fosse lui.

“Si faceva chiamare Joseph, non aveva una famiglia o l'aveva lasciata in Messico, uno dei tanti senza niente arrivato di nascosto scavalcando la barriera o accovacciato dentro un Tir, da noi era arrivato da poco …... e non si fidava molto, ma ci stava provando. Dicci chi l'ha ammazzato”.

“Non fa più molta differenza. Di certo non a lui. Lasciatemi lavorare”.

Pete si allontanò di qualche passo e bisbigliò qualche parola all'orecchio di una giovane lupa che non riusciva a distogliere lo sguardo dallo stregone, Magnus la intercettò nel vuoto e solo a lei regalò l'accenno di un sorriso prima di immergersi nel suo lavoro. Pochi passi, chiuse gli occhi e sussurrando parole incomprensibili ai più, con le mani avvolte da fiammelle blu, ispezionò il vicolo totalmente concertato. La mano ben aperta rimase immobile nella aria, tutti attendevano come paralizzati, l'intero isolato sembrò trattenere il respiro, la piccola folla assiepata a pochi passi dall'ingresso, un miscuglio composito di varia umanità, sembrava rapita. Poi un flusso colorato squarciò l'aria e il respiro dei presenti, scandito da rauche parole incomprensibili ai più.

Omnia luminis vi obscura revelata sit”, disse, con gli occhi leggermente chiusi e un sottile flusso di luce sinuoso serpeggiando si infranse sui muri scalcinati.

“Quando balla, sembra un tranquillone, un super vip a metà tra George Michael, Prince e Freddie Mercury, ma così metterebbe paura al demonio in persona”.

Pete si avvicinò leggermente, quasi per rassicurare con una fraterna stretta un Bat che sembrava parlare solo con se stesso.

“Già, amico, Magnus è davvero uno tosto. Non vorrei averlo proprio come nemico. Deve avere una potenza assurda”.

“Più di quanto immagini, mio caro, più di quanto immagini”.

“Signorina Loss!”

Pete balzò, portandosi la mano al petto, mimò l'accenno di un inchino con le gote imporporate dalla sorpresa.

“Non l'ho sentita... vista... arrivare”, disse, guardando furtivamente l'ombra del taxi che l'aveva accompagnata andare via, “non pensavo neanche dovesse venire”.

“Avevo altri programmi, in realtà” disse gelida, sentendo lo sguardo furtivo di Magnus posarsi su di le da 4 metri di distanza “ma quando il Sommo Stregone convoca non è saggio rifiutarsi”.

“Lei... lei è venuta per aiutare Bane?”

A Bat tremava la voce, senza una ragione apparente, forse per quello sguardo penetrante lanciato da sotto una ciocca di capelli plumbei che lo aveva colpito in pieno o per via di quella pelle blu su cui tanto indugiavano i suoi occhi da lupo.

“Non penso che il Sig Bane abbia bisogno di un qualsiasi supporto”.

Poi si fermò a pochi centimetri da Bat e iniziò a scrutarlo, per osservarlo meglio si mise in punta di piedi e ci rimase, in perfetto equilibrio e senza alcun sforzo per interminabili secondi, che spinsero all'impazzata il battito del cuore del lupo, rimasto immobile con gli occhi sgranati. Il povero Bat era pietrificato dallo sguardo della strega, talmente in soggezione che non colse nemmeno l'occhiata verde sfolgorante di truce disapprovazione di Magnus, ancora impegnato nell'incantesimo.

Lo sguardo di Catarina aveva letteralmente ipnotizzato Bat che a stento si accorse di quanto avveniva: la mano della strega cautamente l'aveva raggiunto e ferma a pochi millimetri dal suo volto lo stava avvolgendo di calde fiammelle verdi.

“Sono tempi difficili, giovane lupo, tempi incerti in cui conviene trattenere l'ardire e la baldanza per confidare in altre qualità e in più miti consigli; talvolta la prudenza è la migliore armatura di cui possiamo disporre”.

Bat non capì molto delle parole di Caterina ma si trovò ad annuire con convinzione e uno sguardo inebetito per cui Pete, che dal canto suo aveva capito quasi tutto, non riusci a soffocare una risata.

Quando la mano di Cat si allontanò leggera nell'aria dal volto di Bat erano scomparsi tagli e lividi.

“Gra-zie”, balbettò.

“Dovere, giovane Lupo”.

“Lei e il Sig. Bane ci aiuterete a trovare i vampiri che hanno assassinato il ragazzo? La pagheranno, la pagheranno molto cara, era uno dei nostri”.

“Ammesso che i vampiri siano coinvolti. Salve Catarina, ben arrivata e grazie per averci raggiunto”.

Il capo del branco di New York si fece largo accompagnato dalla giovane lupa che rivolse a Cat una timida cordiale smorfia e tornò a fissare Magnus, Cat rivolse a Luke un sorriso sincero.

“ Non penso che i Figli della notte siano coinvolti in qualche modo né che siano stati recentemente in questo vicolo e anche il Sommo Stregone sembra dello stesso avviso, dal momento che ha appena lanciato un incantesimo esplorativo capace di tracciare aure demoniache significative”.

“Demoni?”.

Pete sembrava confuso.

“Avrebbe senso dopo l'omicidio del giovane stregone. Fate ciò che dovete, io devo sbrigare … incombenze angeliche! Tenetemi aggiornato appena potete”, disse Luke trattenendo una morfia e sparì tra la folla così com'era apparso.

Magnus sembrava totalmente immerso nel suo incantesimo ma Cat sapeva che aveva finito da un pezzo e, da incorreggibile esibizionista qual era, si divertiva ad osservare i presenti estasiati, adorava studiare gli altri come fossero cavie, annotando mentalmente tutti i loro comportamenti, era convinto di poter ricavare informazioni utili. Ma non fu affatto sorpreso vedendo l'amica dirigersi verso il corpo del ragazzo con una grazia e una gentilezza che solo sei sapeva avere, la osservò mentre si chinava e ne ricomponeva i resti, facendo sparire la pozza di sangue. Il corpo avvolto da luce verde si sollevò leggermente e ruotò nell'aria, i grumi scomparvero dai capelli e nel volto non ci fu traccia della smorfia di orrore. Adesso era tornato il giovane ragazzo, dai lineamenti dolci e dallo sguardo sospettoso che qualche mese prima Pete aveva visto entrare una notte in cui Dio sembrava volesse annegare di pioggia il mondo.

Cat rimase immobile, osservava quell'ennesima vita spezzata per caso, una luce triste le velò il volto. Sola allora Magnus a grandi falcate la raggiunse, le iridi verdi fissavano immobile il corpo esanime di quel ragazzino, una fitta di rabbia gli attanagliò lo stomaco e si sentì un verme per il segreto sollievo che provò sapendo che erano marroni quegli occhi senza vita, marroni e non blu quelle iridi gelide. Così la sua mano raggiunge il collo dell'amica, avvolgendolo in una calda stretta mentre cogliere nella pozza di sangue e pioggia rimasta sull'asfalto i riflessi lontani delle luci del porto gli sembrò solo una patetica ironia.

Era passata un'ora da quando aveva visto Alec andar via, un'ora di estenuante forzata e deprimente solitudine, un'ora in cui aveva pensato solo a lui cercando il suo volto tra la folla e il suo odore nell'aria, animato dal pressante desiderio di stringerlo così forte da frantumargli le ossa e fondersi in quel corpo sublime. Era immobile, stringeva la sua Cat ancora china sul giovane lupo esanime, ascoltava nei vicoli il travaglio del vento furioso che soffiava via l'odore della morte e per un lungo istante lo stregone fu felice che Alec non fosse lì al suo fianco, chinato a piangere in un silenzio senza lacrime quest'ennesimo cadavere; almeno una volta, al di sotto di una muraglia scalcinata, mentre la pioggia bagnava i cocci aguzzi di bottiglia frantumati sul terreno, il suo amato cacciatore era al riparo altrove e aveva schivato un po' del male di vivere che spettava al suo tempo.

 

 

 

Angolo dell'autrice.

Tra un po' non dubitate si ritroveranno, a modo loro ovviamente, tra battute ciniche e spintoni, ma si ritroveranno. Intanto eccovi un nuovo folle capitolo di questa storia, nato dopo un periodo di delirio tutto mio; voglio ringraziare le mie splendide muse verso cui sono immensamente debitrice, Cristal, Vampy, Miky, Mad, Danim e Darkswan più di tutte, per le parole stupende e le storie bellissime (e sapete quanto adoro leggervi e quanto attendo ALCUNE di voi con ansia...) che lasciano. Voglio ringraziare anche quella piccola adunata silenziosa che segue questa storia, capitolo dopo capitolo da mesi. A tutte voi un caloroso abbraccio.

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Quando per miracolo tace la guerra ***


20

Quando per miracolo tace la guerra
(Città di cenere, tra i capitoli 4 e 6)


 

Milioni di volte Alec era stato nello studio di sua madre. Dalle pesanti tende color crema raramente filtrava luce anche in pieno giorno, i rumori della città giungevano sempre ovattati forse per via degli scaffali imponenti pieni di antichi volumi, codici e pergamene che ricoprivano le pareti, non c'erano dipinti appesi nei pochi spazi vuoti, solo armi e un antico stemma in ferro battuto proprio sopra la sobria e scura scrivania in legno di noce, di lato, vicino la finestra, troneggiava la statua di Raziel a grandezza umana, profilo severo, labbra sottili, elmo lucido e spada sguainata e quando qualche sparuto raggio riusciva ad oltrepassare la soffice barriera di cotone grezzo, riuscendo a lambirne l'armatura, si aveva l'impressione che la grazia di Dio fosse scesa in terra, magari solo per assicurarsi che i figli dell'angelo assolvessero ai propri doveri.

 

O almeno così aveva pensato Alec per anni, ma in quel momento non ne era più tanto sicuro.

 

Il giovane cacciatore aveva trascorso centinaia di ore in piedi davanti la porta o appoggiato sul divano più scomodo mai esistito nella storia dei divani, una struttura di legno robusta coperta da durissimi e ruvidi cuscini color verde melma, ore trascorse per lo più guardando il pavimento di marmo rosso, talvolta ascoltava precisi ordini, talvolta riceveva raccomandazioni senza evidenti tracce di premura materna, più spesso assisteva in prima fila all'elogio del grande Jace impavido combattente senza macchia né paura, più raramente i complimenti erano rivolti alla lucida e furba Izzy, quasi mai a lui: non c'è gran gloria per chi tiene ben sicure le retrovie. Sempre rimaneva immobile, desiderando ardentemente di essere qualcun altro in qualsiasi altra parte del mondo, ma rimaneva lì, perché quello era il suo posto, quello il suo “sacro dovere” e, in fondo, perché non aveva dove altro andare. Eppure quella notte qualcosa in cuor suo lo fece sentire diverso, nonostante la fitta bolla di angoscia addensatasi nel suo stomaco proprio sotto il cuore da quando aveva lasciato Brooklyn.

 

“Entrate pure”, aveva detto Maryse, guardando i figli oltre lo scorcio dello stipite “sedete. Dobbiamo parlare”.

 

Doveva capirlo subito che qualcosa di strano era all'opera. Stranamente sua madre non sembrava così sicura di sé, teneva lo sguardo basso, la voce severa sembrava incrinata, più rauca del solito e c'erano troppe pause e verbose perifrasi nel suo discorso. E per un attimo, quando il silenzio sembrò prendere il sopravvento, fu davvero preoccupato, si scoprì anche in pena per sua madre, glaciale guerriera in evidente imbarazzo davanti ai suoi figli tanto che non riusciva a dare un suono alle parole. Poi la cacciatrice parlò e fu un lento e ininterrotto racconto: Valentine, il circolo, la guerra e l'esilio, l'accordo con il Clave e il tradimento di Hodge. Tutto in brevi ma concise frasi, nessuna emozione sembrava trapelare dalle parole di Maryse ad eccezione dello sguardo che proprio non riusciva a posarsi da nessuna parte. Isabelle gli sedeva a fianco e Alec ne percepiva il calore del corpo, sentiva in lei i muscoli irrigidirsi e la rabbia crescere, stringeva i pugni così forte che le dita si arrossarono e le nocche sbiancarono, era tesa.

 

“Spero capirete come, alla luce di tutto questo, agire con cautela sia di fondamentale importanza, molti potrebbero ora nuovamente dubitare di noi, sospettando che Jace abbia sostenuto segretamente suo padre in tutti questi anni tramando contro di noi e contro il Clave”.

“È assurdo!” – Isabelle si alzò di scatto, era così rossa che gli occhi le sarebbero potuti schizzare via dalle orbite. “No, madre, io non capisco un bel niente! É follia. Da anni rischiamo la nostra vita per difendere il Clave, gli accordi, i mondani, i Nascosti e le leggi. Ogni sera da anni andiamo a pattugliare le strade. Jace più di tutti ha rischiato la via e ha protetto questo Istituto e adesso come se fossimo degli estranei dobbiamo dimostrare la nostra lealtà? Adesso nostro fratello viene visto come un traditore perché un pazzo assassino salta fuori da chissà dove? Ora scopriamo che Valentine era un vostro ex caro amico di infanzia? Ma siete impazziti? E come, di grazia, siete passati dal sacro dovere di rispettare le leggi a quello di voler sterminare tutti i Nascosti ? Ma vi aveva dato di volta il cervello?”

“So che è difficile, ma devi sforzarti di capire”.

“Difficile? Combattere demoni ogni notte senza farsi ammazzare, è difficile. Svegliarsi alle 6 per gli allenamenti dopo una notte di pattuglia, è difficile. Affrontare la giornata sperando che nessuno dei tuoi fratelli ti muoia tra le braccia, è difficile. Questo è orribile”.

Isabelle era una furia, aveva urlato le parole in faccia a sua madre tanto che per un attimo Alec temette per l'incolumità di sua sorella, ma Maryse non solo non reagì ma rivolse alla figlia uno sguardo pieno di comprensione.

“È difficile che voi capiate, ma è necessario.”

“Hodge è stato più di uno di famiglia per noi, si è sempre occupato di noi mentre voi eravate in giro a saldare alleanza e ora scopriamo che ci ha venduti. Per l'angelo, mentre Alec stava agonizzando invece di aiutarci ha quasi ammazzato Clary e Jace per rubargli la coppa! Difficile? Se quella sera non fosse arrivato Magnus che per inciso è un Nascosto che fortunatamente non siete riusciti a uccidere nel vostro periodo di bravate notturne, Alec sarebbe morto, morto mamma, morto. Lo capisci?”

Alec sentendo sua sorella pronunciare quel nome fu scosso da un tremito, per un attimo tornò a quella notte da incubo e si sentì gelare. Maryse manteneva ancora basso lo sguardo.

“Bane si è rivelato sempre molto utile, in tante occasioni e, fidati, non è affatto facile da uccidere!”

 

Uccidere?... Bane non è facile da uccidere... quindi ci avevano provato? Ecco perché questo odio verso i Cacciatori, questo risentimento, non glielo aveva mai detto, eppure quella sera alla festa non era affatto felice di vederli … eppure li aveva aiutali, aveva aiutato Clary, Simon e i suoi amici. E aveva salvato lui.

 

Le parole uscite dalla sua bocca nel loft mentre era attanagliato dal terrore di perdere Jace gli fecero ribrezzo. Si era comportato esattamente come i suoi genitori: senza alcun motivo aveva ferito un uomo gentile e premuroso, lo aveva ferito solo perché aveva paura, solo perché poteva farlo. Eppure se non fosse stato per quel Nascosto di rara bellezza, lui non sarebbe neanche sopravvissuto. Doveva scusarsi per quelle parole, per quell'atteggiamento folle, per i suoi genitori, per il Circolo, per tutto. Si alzò.

 

“Non mi pare di aver detto che potete andare”, lo gelò la madre che con lui era stata sempre più severa.

 

“Non vedo ragione di rimanere. Ho capito perfettamente, per quanto condivida le... perplessità di mia sorella. Trovare Valentine, a quanto dici, è compito del Clave. Jace, della cui lealtà io non dubiterei neanche se ne dipendesse la mia stessa vita, è al sicuro e sta tornando a casa, scortato dal capo dei lupi, un Nascosto scampato alla vostra cieca furia passata e che, fortunatamente, non vi odia a tal punto da prendersela con noi. Io ho una città su cui vegliare per cui intendo riprendere la ronda che ho interrotto per accorre ad ascoltare questo entusiasmante racconto sui vostri furori giovanili. A meno che le regole non siano state riscritte e, in quel caso, ti prego caldamente di avvertirmi prima che affronti un altro demone superiore, il compito di vegliare sui Mondani e sui Nascosti spetta ancora a me e intendo svolgerlo”.

“Capisco”.

Maryse aveva ceduto ma non avrebbe permesso alla sua voce di tradire i suoi sentimenti, per cui continuò impassibile. “Allora è bene che tu ti rechi all'Hunter Moon. È appena arrivato un messaggio di fuoco, è stato ucciso un giovane lupo, potrebbero essere stati i vampiri, ma occorre esserne certi. Recati sul luogo, parla con i Nascosti che incontri, uno stregone dovrebbe essere già lì e aggiornami al più presto, intendo convocare il leader dei vampiri domani. Ma riposa prima, sembri ... stanco”.

Solo le ultime parole tradirono un'emozione, una preoccupazione ben celata.

Alec annuì e usci. Isabelle lo segui, sbattendo la porta. Suo fratello attraversò di corsa il corridoio, volò su per le scale e si rintanò in camera sua. Lei lo seguì di buon passo, rimase per un po' in corridoio vicino la porta, poi bussò.

“Da quando bussi?”

Appena entrò, Isabelle intravide il fratello in piedi vicino alla finestra, guardava fuori, la mano destra chiusa a pugno poggiata sul vetro.

“Non ti ci abituare”.

“Piove ancora”.

“Sei fradicio. Dovresti cambiarti. Alec … mi spiace, davvero”

“E tu che c'entri?”

“Mi spiace di averti chiamato, di averti fatto venire, di averti costretto a restare. Mi spiace per tutta la storia. Hai sentito la mamma... Bane si è rivelato sempre molto utile e fidati non è facile da uccidere... non riesco a smettere di pensarci. Lui dovrebbe odiarci, avrebbe dovuto...” si interruppe.

“... avrebbe dovuto lasciarmi morire, lo so. Nessuno lo aveva assunto, né pagato, nessuno gliene avrebbe fatto una colpa, come nessuno gli darà mai il merito di aver salvato il figlio dei nemici giurati dei Nascosti”

“Non sono più cosi. E noi non siamo loro, non siamo il circolo, né Valentine. Noi non siamo i nostri genitori”.

“Non so se sono meglio di loro”.

“Si che lo sei. Io ti conosco”.

“Tu non c'eri oggi. Dopo che hai chiamato non so cosa mi è preso, ho detto cose folli, sono impazzito e dovevo correre via, lui ha cercato di fermarmi e io l'ho quasi colpito, gli ho detto cose orribili... un attimo prima ero tra le sue braccia e un attimo dopo sembravo un suo nemico. Forse non sono così diverso da tutti loro”.

Izzy si avvicinò al fratello, le mani si intrufolarono attraverso il giubbotto da cacciatore, gli cinsero la schiena e si intrecciarono sul suo sterno, proprio all'altezza del cuore.

“Si che lo sei, lo sento e lui lo sa meglio di tutti. Basta Alec, corri da lui, scusati, inventati qualcosa, parla con lui non con me e …”

Izzy sospirò. Alec si girò, in silenzio, in attesa. Sua sorella sapeva sempre cosa dire per farlo stare meglio, sapeva sempre trovare la parola giusta, a volte non aveva neanche bisogno di parlare, le bastava uno sguardo o un abbraccio stritolante, ma di sicuro, Isabelle Lightwood sapeva sempre cosa dire. E eppure la frase le era appena morta in gola.

“Fratellone, appena sei con lui ... digli quello che provi, almeno … quello che pensi di provare. Provaci. Se lo merita. E anche tu.”

 

Alec chiuse gli occhi e deglutì, fu un attimo di silenzio profondo e assoluto, tutto sembrò così assurdo e folle, senza senso, squallido e feroce. Tutto, tranne lui. Lo rivide, con l'aria sognante e divertita nel parco mentre il vento gli spettinava i capelli, con le ciglia corrugate e lo sguardo imbarazzato mentre si scusava per averlo materializzato a velocità contro il muro del soggiorno, bello da abbagliare gli occhi e perfetto come solo un dio può essere mentre si scusava per aver solo pensato di fare l'amore, rivide quel corpo perfetto a cui si era avvinghiato come se il mondo stesse per finire, sentì il suo odore, il suo sapore e si perse nel ricordo di quei baci che l'avevano portato così vicino al paradiso. Fu un attimo, eterno, si abbandonò, completamente travolto da quei ricordi. E, come per magia, perché Magnus evidentemente era magico, la guerra del mondo e quella del suo animo tacquero di colpo, la nebbia dei suoi pensieri si diradò, le angosce sparirono e con la fronte persa tra i capelli di sua sorella, la schiena contro la finestra gelata e le orecchie assordate dal rumore della pioggia, sorrise così forte da far rumore.

 

Un attimo, piuttosto lungo nella sua testa, solo un attimo. Schizzò fuori dalla stanza alla velocità della luce, si fiondò attraverso il corridoio ed era quasi a metà delle scale quando si fermò, tornò indietro, corse in camera sua, trovò Izzy esattamente dove l'aveva lasciata, l'abbracciò con tutta la forza che aveva, frugò nell'armadio, tirò fuori dei vestiti a caso sperando che fossero se non proprio dello stesso colore almeno simili, si cambiò (tutto in 3 secondi) e corse via.

Di nuovo.

“Alec inizia dall'Hunter Moon, sarà andato lì per il lupo, il messaggio di fuoco diceva che non riuscivano a rintracciarlo ma che erano sicuri che sarebbe andato....”.

Izzy aveva cercato di parlare più velocemente che potesse, ma suo fratello era già sparito ben prima che finisse la frase. Il suo fratellone, l'uomo più incredibile buono e generoso mai esistito. E per la prima volta in vita sua, innamorato per di più di uno stregone pazzoide bellissimo e scandalosamente colorato a cui anche lei già voleva bene. Il mondo andava a rotoli, un pazzo maniaco amico intimo dei loro genitori voleva ucciderli e erano in mezzo ad una guerra. Ma non le importava, per la felicità saltò sul letto di Alec sprofondando tra le lenzuola e respirò l'odore di suo fratello con una gran voglia di cantare.

Il giovane cacciatore già invisibile agli occhi dei mondani correva veloce sotto la pioggia gelata delle notti di Ottobre. Ripensava alla bellissima musica che aveva ascoltato venir fuori dal telefono di Magnus prima che il mondo andasse a rotoli, sicuramente lo cercavano per il lupo morto, era importante ma lui non si era neanche alzato per controllare chi fosse. Tu sei più importante, gli aveva detto. Tu sei più importante. Alec correva, non sapeva di preciso in quale direzione andare ma sapeva esattamente dove voleva arrivare, il più in fretta possibile.

Al diavolo tutto!
Ora avrebbe ascoltato solamente il suo cuore e … sua sorella!

 

 
angolo dell'autrice

Si, lo so mi sto dilungando, ma ho indugiato per un pò dentro la testa di Alec, dal momento che Magnus al momento era impegnato. La pace tra i due a breve, una microstoria d'amore nella storia e la mia versione della chiave.... insomma delirio! Vi voglio bene, voi mie muse preziose e voi lettrici silenziose. Vi ringrazio come sempre del tempo che dedicate a questa storia. Ps. La serie non mi dispiace anche se non osa mai, un peccato visto i caratteri.

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Inghiottito dall'eco dell'ultimo silenzio ***


21

Inghiottito dall'eco dell'ultimo silenzio

 

Ispezionare il vicolo era stato un lavoro piuttosto semplice, aveva finito quasi subito, le tracce demoniache erano così evidenti che le avrebbe percepite dal taxi, ma adorava rimanere in situ a lavoro finito solo per godersi gli sguardi di sconfinata ammirazione. E, solitamente, questo bastava per metterlo di buon umore per diverse ore.

 

Solitamente....

 

Ma, al momento non era affatto di buon umore. Lo sguardo vagava e, senza accorgersene, si ritrovò ipnotizzato, esattamente come Pete, ad osservare Catarina. Tutto in lei era gentile: gesti, movenze, sguardi, persino le verdi onde magiche sprigionate dalle dite della strega sembravano le più gentili del pianeta. L'amica aveva terminato di esaminare il corpo straziato del giovane lupo, ma con una cura evidente e una dolcezza segreta, era rimasta a cullarlo tra le onde smeraldo - lui, così giovane - e solo dopo lunghi minuti lo aveva adagiato su una panca di legno, braccia conserte e occhi chiusi, come se dormisse, con una ciocca di capelli castani lasciata a solcare la fronte fredda. Un silenzio irreale aveva invaso il vicolo, anche respirare sembrava irrispettoso.

 

“Potete occuparvi del ragazzo, qui abbiamo finito. La strega aveva ragione, c'è un'evidente aurea demoniaca, tra l'altro”.

La voce di Magnus solcò l'aria, pacata e tutti la ascoltarono, ma le ultime parole, pronunciate a mezza bocca, sembravano rivolte solo all'amica.

“Demoni! Demoni! Dei demoni hanno aiutato i vampiri?”

Lo stupore aveva per un attimo allontanato il dolore dal volto di Pete, lasciando posto all'ira, ma Catarina gli si avvicinò e, sfiorandogli la mano, rivolse al lupo un sorriso che avrebbe scaldato anche il più austero gelo d'inverno.

“I figli della Notte sono scagionati e farvi credere il contrario, temo, sia una parte del piano diabolico di chi ha compiuto questo atto così efferato. Siate vigili, non cedete, qualcuno vuole una faida oltre al sangue di questo ragazzo. Il nostro lavoro qui è finito, ma non esitate a chiamarci se qualcosa dovesse preoccuparvi”.

“Sarebbe bello se … poteste rimanere. È usanza bere per salutare i defunti e ...mipiacerebbemolto offrirledabere!”.

Pete aveva parlato così velocemente che per poco non soffocava, Catarina sorrise dolcemente, mentre con il calore della mano ancora gli scaldava il braccio.

“Sei gentilissimo, senza alcun dubbio e a lei certamente piacerebbe moltissimo ma, non può, non può assolutamente. Come ho già detto, abbiamo ancora molto lavoro”.

Le parole di Magnus non solo avevano drasticamente rovinato il momento ma, come se non bastasse, lo stregone con tutto il suo imponente corpo si era affiancato all'amica, stringendola con veemenza, tanto da causarle una smorfia oltre che un'occhiataccia che avrebbe gelato l'Oceano. Ma Magnus sembrò non prestarle alcuna attenzione.

“Io e la mia valente insostituibile aiutante saremo costretti a lavorare alacremente tutta la notte, per cui la signorina Loss non può in nessun caso e in alcun modo trattenersi con voi”.

Inutile dire che una valanga di sensazioni contrastanti attraversò la mente di Cat. La tristezza davanti alla morte di quel ragazzo era pressante, quel tra l'altro quasi sfuggito dai denti di Mags non lasciava intendere nulla di buono. Ma, fu attraversata da un impeto di rabbia incontrollato tanto che dalle mani uscirono, quasi d'impulso, fiammelle verdi. Magnus fu più veloce e la manina di Cat sparì avvolta dalle lunghe dita inanellate, lo stregone con uno scatto trascinò l'amica verso di sé, abbracciandola, lasciandosi sfuggire un “Ahi...mi hai bruciato” appena bisbigliato che solo Cat riuscì ad udire.

“Signori ora dobbiamo veramente andare”, disse con fare pomposo rivoto alla folla, ma guardando solo Pete, “non posso dire che sia stato un piacere, ma spero di rivedervi... non prestissimo, non prima di due o tre giorni direi”, afferrò Cat, aprì un portale e ci sparì dentro.

Riapparvero solo qualche istante dopo, Cat sgusciò via dall'abbraccio di Magnus e lo inondò di fiammelle giallognole. Era furiosa.

Aiutante? Aiutante? Sarei la tua … aiutante adesso!

Solitamente Cat non era permalosa ma per quel aiutante avrebbe ucciso quel maledetto glitterato luccicante stregone da strapazzo a cui l'eyeliner aveva evidentemente dato alla testa. E poi, chi diavolo era per decidere se poteva o no bere un drink con il buon Pete che proprio non ci riusciva a tenere segreta la cotta per lei. Prima la svegliava nel cuore della notte, la faceva catapultare giù dal letto mentre stava … beh … mentre stava facendo tutt'altro e poi doveva decidere con chi poteva o non poteva bene un drink.

“Ahi... mi hai bruciato, di nuovo!”, disse Magnus, con un leggero broncio stampato in faccia.

“ Dico ma tu ...TU DEVI SMETTERLA! DICO MA CI SI COMPORTA COSÌ? Mi fai venire nel cuore della notte per 10 m, solo per guardarti mentre fai un incantesimo di ricognizione, poi fai il geloso e non osare negare, maledetto diabolico stregone da strapazzo, non osare negare, perché quella era una scenata di gelosia e mi trascini dentro un portale e per farmi arrivare qui... poi, dove diavolo siamo?” Cat si guardò intorno, la sua furia aumentò. “PER FARMI ARRIVARE SOPRA IL TETTO DI UN PALAZZO A 100M DAL VICOLO DOVE ERAVAMO PRIMA? DICO MA SEI DIVENTATO STUPIDO? GLI ORMONI ANGELICI TI HANNO TOTALMENTE RINCRETINITO?”

“No, dai, urla più forse, quella creatura nascosta qui da qualche parte forse ancora non ha ben compreso tutte le tue parole. O magari c'è qualche altro suo amico nelle vicinanze che fa sempre in tempo ad arrivare per ucciderci più velocemente!”

“Quale creatura? Chi? Dove? Ucciderci? Il demone?”

Cat si paralizzò, scrutando nel buio.

L'Hunter moon era a 150m e 8 piani più sotto, lassù le luci della città arrivavano fioche, la pioggia era cessata ma un vento freddo saliva dall'oceano, le nuvole intrise di pioggia celavano la luna e le stelle e così si accorse che faceva davvero buio, ad accezione del bagliore blu che tenue si sprigionava dalla mano di Magnus.

Nell'oscurità si percepì un fruscio, istintivamente Magnus trascinò Cat dietro di sé, le iridi verdi da gatto si erano allungate cogliendo una sagoma nel buio, il bagliore blu divenne più intenso e la mano tesa era pronta a scagliare un incantesimo.

“Tranquilla, mia regina. Rimani sempre dietro di me”.”, disse abbracciando Cat con il braccio sinistro, mentre il destro era pronto ad attaccare. Quanto era facile dimenticare che anche lei era una strega potente, ma Cat non esitò e si mise in posizione d'attacco al fianco dell'amico.

“Vengo in pace stregoni. Ed è un bene per voi, perché non siete bravi nell'effetto sorpresa”.

Caterina a quelle parole sussurrò, il corpo teso scrutava l'oscurità.

“Ho cercato di avvertirti giù nel vicolo. Almeno un figlio della notte era presente all'assassinio del ragazzo, anche se non so quanto c'entri, ho percepito la sua presenza e non solo quella”.

Magnus bisbigliava, la voce era calma, sembrava quasi divertita ma la postura rivelava la tensione di un corpo pronto a combattere al minimo accenno, odiava battersi ma odiava ancora di più l'idea che Cat fosse in pericolo per causa sua.

“Stregone, sai che ti sento benissimo anche da qui, vero? Tranquillo, non voglio fare del male, né a te né alla Signorina Loss e poi nessuno di buon senso ti attaccherebbe, sei davvero potente, più di quanto dicono”.

Una coltre di densa oscurità ammantava ogni cosa celandola allo sguardo dei mortali e di Cat ma avere occhi felini può essere di notevole aiuto quando si vuole vedere di notte, così a Magnus bastò focalizzare la sagoma che veloce si muoveva nel buio, le iridi si allungarono, il bagliore verde si fece più intenso e la riconobbe. Subito, in realtà, anche se era diversa dall'ultima volta che l'aveva vista. Non era accovacciata immobile sulla terra umida, nascosta dietro un cespuglio, ma si stagliava fiera nella notte e il giubetto di pelle scura di qualche misura più grande aveva lasciato il posto ad una attillata giacca nera che sagomava un corpo perfetto, agile e possente, fasciato da pantaloni di neri e stivali dello stesso colore, borchiati con un accenno di tacco, i lunghi capelli marroni erano sciolti e rimase impressionato dalla grazia di quella figura che con un unico balzo di 3 metri fu a pochi centimetri da loro, lo stregone rilasciò l'incantesimo ma le fiamme blu rimasero a danzare illuminando l'aria. Con un movimento fulmineo l'ombra in un balzo li raggiunse e si fermò a qualche passo figli di Lilith. Aveva intuito bene, i tratti del suo volto erano gentili, la pelle eburnea propria dei vampiri era impreziosita da giganteschi occhi marroni. venati da luminose sfumature verdi, il blocco da disegno era sparito, lasciando il posto ad un pugnale ben agganciato alla vita e di nuovo sentiva una chiara e distinta aura di magia provenire da lei.

“Di nuovo tu? Cat ho incontrato questo diurno questo pome..”.

Non riuscì a finire la frase perché Cat era corsa incontro alla vampira e ...la stava abbracciando!

Magnus osservava l'amica con così tanto stupore e non si accorse di mantenere ancora l'incantesimo di attacco attivo nella mano.

“Mags, smettila di fare l'idiota! Scusalo, solitamente è decisamente più socievole? Ma quando sei arrivata? E perché non mi hai avvertito?”

La voce di Cat si era improvvisamente addolcita e la vampira sconosciuta la stringeva con affetto, forse troppo affetto, la stava stritolando!

“Mags, ti presento la mia amica Sam”.

“Ci conosciamo, quasi” disse la ragazza.

Magnus sorrise e accennò un inchino.

“Piacere mio Sam. Ho tenuto il tuo disegno, immaginavo che ti avrei incontrato di nuovo, l'hai dimenticato nel parco”. Con un gesto e un bagliore comparve un foglio di carta ruvida piegato con cura che rimase a volteggiare nell'aria.

“L'ho lasciato per te, prima di andare, non amo molto la compagnia dei cacciatori, anche se il tuo sembra diverso. Spero stia bene, il tuo cuore batteva all'impazzata laggiù davanti al corpo del ragazzino. A proposito, dove è occhi blu?”

Il foglio svanì, così com'era apparso.

“Altrove, direi. Ma cominciamo con le cose semplici: chi sei? Perché eri nel vicolo?”

“È una storia molto lunga, che intendo raccontarti, ma non ora e non qui. Posso dirti che stavo cercando informazioni su strani eventi avvenuti dalle mie parti e la ricerca mi ha portato in quel bar. Inoltre cercavo te, ho bisogno del tuo aiuto per un affare di estrema importanza, ma scusami, non mi sono presentata. Samantha Thomaz, detta Sam”.

“Thomaz?”

“Da mio padre, un boscaiolo slavo trasferitosi in Canada all'inizio del secolo scorso”.

“Okay, piacere di conoscerti vampira ceca naturalizzata canadese, sono Magnus Bane”

“ So chi sei, Cat parla moltissimo di te ed era esattamente così che ti immaginavo, solo non pensavo fossi così potente, né così … truccato!”.

“Non che le lusinghe mi dispiacciano ma che ne sai tu della potenza degli stregoni?

“Io niente ma questa non mente” disse, afferrando l'amuleto a forma di gatto che tanto lo aveva colpito, sotto la maglia color argento. “Questa è ...”

“Ametista incantata, una specie di rilevatore di magia, complimenti è un incantesimo potente. Come fai ad averlo? Tu non hai poteri attivi”.

“È il regalo di un'amica”.

“Questa amica deve essere una strega potente”.

“Lo era e anche lei avrebbe voluto conoscerti. In ogni caso, non penso che la mia biografia ti interessi”.

“Più di quanto immagini, in realtà. In ogni caso, torniamo al vicolo al momento. Cosa hai visto?

“Sei sicuro di volerlo sapere? Potrebbe non piacerti?”

Magnus si ritrasse, sguardo preoccupato.

“Amici tuoi, a quanto ho visto, un angelo grande sulla cinquantina seguito da un demone, cosa di per sé bizzarra, ma la stranezza aumenta se pensi che è stato proprio l'angelo a dare l'ordine al demone di uccidere il lupo. Ma questo... già lo sapevi, vero?”.

Valentine...

“Lo immaginavo e non ti chiederò cosa facevi in questo vicolo”.

“In realtà cercavo voi. Ho un favore da chiederti, un lavoro che solo tu puoi fare. Posso pagarti molto bene”.

“E di che lavoro si tratta?”

La vampira guardò Cat, come in cerca di approvazione e la ottenne, Magnus era sempre più perplesso.

“Ho bisogno di un incantesimo della memoria e so che sei il migliore. Devi cancellare ogni ricordo di me e di tutto il nostro mondo dalla mente di una mondana”.

“Devi odiarla davvero tanto questa donna!”

“In realtà è l'amore della mia vita”.

“Bizzarra richiesta, allora, non penso di volerti aiutare”.

“Ti pagherò qualsiasi cifra”.

“Non mi servono i tuoi soldi e posso dirti, per esperienza, che questi incantesimi non durano mai per sempre, hanno una scadenza e poi svaniscono lasciando tornare tutti i ricordi nella mente che li custodiva. Non è saggio rubare a qualcuno il proprio passato, non capirebbe nessun presente”.

“Ma sarebbe viva per provarci. Può tornare se vuole, io l'aspetterò o odiarmi se preferisce, ma sarà viva e potrà scegliere. Non mi aspetto che ti capisca. Sei mai stato innamorato?”

“ Molte più volte di quanto avrei voluto”.

“Non parlo di una storia qualunque, che inizia per caso o per sbaglio o di una inventata solo per ammazzare il tempo, ma di amore, se mai esiste. Sei sicuro che uno come te possa capire di che parlo?”

 

Magnus rimase immobile, quei grandi occhi castani avevano aperto un baratro saldato a fatica.

 

Amore... amore, se mai esiste...

Sei sicuro che uno come te possa capire di che parlo?

Follia..... follia che ti inchioda, ti stana e ti paralizza, ti travolge e ti fa a pezzi, fitte allo stomaco, ginocchia che tremano, moti d'angoscia, brividi incontrollati, respiri spezzati in gola, guardare il cielo e sentirsi Dio e un attimo dopo morire, maledire la propria dannata natura e la sorte beffarda nella speranza che il tempo e l'alcol strappino quest'ennesimo ricordo dalla pelle e dalla memoria....provare, subire, sognare, piangere, tutto, tutto, ma di certo non c'era niente da capire...

 

“Dopo decine di anni e di amori, anche i più travolgenti sentimenti diventano bizzarre varianti di se stessi, quindi, in effetti, non penso di capire bene a cosa tu ti riferisca”.

La frase suonò così falsa che Catarina dovette fare una gran forza su di sé per trattenersi, ma non poté fare altrettanto con i suoi muscoli facciali che presero la forma di un ghigno sornione più eloquente di qualsiasi discorso. Sam, purtroppo, non vide nulla e credette all'immagine del vacuo e spietato dongiovanni che Mags amava dare di sé quand'era ferito.

 

“Bene, se lo avessi provato, capiresti. Io devo proteggerla a qualsiasi costo. E questo è l'unico modo”.

Magnus cercò gli occhi di Cat.

“E sia! Ti aiuterò”

“Dimmi il tuo prezzo”

“Il Grimoire della strega che ha per te quest'amuleto. Voglio leggerlo”.

“Sarà tuo. Ti farò sapere dove e quando faremo lo scambio. É stato un onore conoscerti, Sommo Stregone”.

La vampira strinse Cat in un abbraccio e volò giù nel vuoto, scomparendo dalla vista dei figli Lilith.

“Amicizie interessanti aiutante”.

“Sei un cretino e ti prenderei a calci, ma sarebbe fatica sprecata visto che ormai sei del tutto insensibile”.

“Ti adoro. Scusa, qualsiasi sia l'uomo a cui ti ho rubato questa sera, ti chiedo perdono. Ora effettivamente abbiamo finito, per cui...”.

“È un piacere aiutare il Sommo Stregone e sono contenta che hai conosciuto Sam. L'aiuterai?”

“Certo. Penso sia un po' tardi per trovare il vero amore, ma rimango il più grande fan che le storie d'amore avranno mai in tutte le dimensioni”.

“Mags! Fase pessimista? Sei solo da quanto.... cinque minuti? Che fine ha fatto il giovane Nephilim?”

“Mi ha scaricato, ovviamente, per il suo giovane, attraente e valoroso parabatai. Era prevedibile. I cacciatori preferiscono sempre i loro simili, troppi legami angelici con cui competere”.

 

È strano come un volto possa essere, a volte, specchio al contempo di perfetta ironia e profonda malinconia. Mags aveva il cuore spezzato, di nuovo.

 

“Il tempo non ti ha ancora rivelato il suo più grande segreto, mio Sommo Stregone”.

“Esiste un senso?”

“No. Ovviamente, ma non è questo. Niente è per sempre. Neanche la tristezza”.

 

Colpito e affondato, come solo lei sapeva fare.

 

“Si chiama Luis, è francese, ovviamente. Alto, bruno, di origini algerine Uno di cui potrei innamorarmi senza problemi, medico volontario che gira il mondo per curare i mondani che non possono permettersi alcuna cura e che altrimenti morirebbero, generoso, coraggioso, buono. Un vero eroe”.

“Perfetto, direi. I miei sensi di colpa per averti strappato alle sue braccia questa notte aumentano a dismisura”.

“Perfetto. È vero, un uomo perfetto che crede di frequentare una spagnola creola mezza brasiliana, occhi verdi e pelle ambrata. Confesso si essermi ispirata a te per il mio nuovo avatar”.

“Ti amerebbe comunque, anche blu e strega”.

“Scapperebbe e giustamente, direi. A volte si può essere solo spettatori della fecilità di chi si ama, rimanere a distanza e lasciare al tempo il resto del lavoro”.

“Mi spiace”.

“Anche a me, ma non possiamo ignorare ciò che siamo. Notte stregone. ah... non penso che tra te e il cacciatore sia finita non perdere la speranza”.

Cat strinse l'amico, lasciando sulla sua guancia la lieve traccia di un bacio.

“Ora mi rimandi a casa, la mia casa, per favore?”

La strega scomparve in una nuvola blu.

 

La notte serena e silenziosa avvolgeva la città, la pioggia aveva bagnato le strade lasciando l'odore del suo umore sui marciapiedi e le nuvole dissipate dai venti avevano svelato le stelle.

Poteva aprire un nuovo portale fino alla sua camera da letto. O magari fino al locale, dove sarebbe stato facilissimo fare del buon sesso divertente per tutta la notte. Poteva.. ma Cat aveva ragione, a volte si può essere solo spettatori delle proprie vite. A passi lenti raggiunse la porta di sicurezza e da lì gli ascensori, in strada chiamò un taxi e si intrufolò nella vettura. Sedili sporchi e scomodi: siamo a New York, del resto. E sfilando tra le luci delle macchine, ad istanti alterni, ebbe quasi la sensazione di avere cacciato via la tristezza. Ma non quel denso senso di vuoto, rimasto giù proprio in fondo allo stomaco, solo per fargli compagnia.

 

 

************l'angolino_________*********
Scusate la lunga assenza, mi è mancato scrivere e mi siete mancat@ voi.
Ma, in questi mesi, ho avuto e visto un universo di vite che spero di riuscirvi a raccontare, frammenti e segmenti di esistenza mia e altrui, alcuni stupendi, altri tristi.
Come tutt@ ho visto momenti di densa malinconia e altri di pura e perfetta gioia.
Ma cosa sarebbe la vita senza un eterno saliscendi?
E la serie Tv? Vi sta piacendo? Non so, non mi convince fino in fondo.....
In ultimo ringrazio tutti i nuovi contatti che seguono la storia, davvero, ne sono sorpresa e lusingata. Contattatemi, anche in privato, per qualsiasi cosa, sarò lieta di rispondere. 
Vi abbraccio

Giorgia

 

"la scrittura...pittura della voce, dettato dell'anima" (Voltaire)




 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3492430