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Un piccolo
seme riposa tranquillo avvolto nel terriccio umido. L’humus lo ricopre e lo
abbraccia da ogni lato, esercitando una leggera e affettuosa pressione
rassicurante sulla sua forma leggermente ellittica. Il seme dorme, ed elabora
la propria vita futura, protetto e caldo nella terra smossa.
Quando è
pronto, sospinge fuori dal suo fragile involucro un microscopico peduncolo
bianchiccio, che saggia il terreno con la prudenza tranquilla di chi è troppo
piccolo per essere spavaldo.
Il germoglio
cresce pian piano, con lentezza, assorbendo attraverso un effimero cespuglio di
radichette capillari una miriade di diverse sostanze nutritive dal suo morbido
letto. Si fa strada, con la solita delicata tenacia, verso la superficie. La
buca, così piano che sembra non accorgersene nessuno, e spunta, fa capolino,
mostrando la sua chiarissima punticella vegetale.
La luce del
caldo sole lo investe, e il germoglio sperimenta un nuovo tipo di abbraccio,
tiepido e dolce, luminoso e potente. Cresce il germoglio, e crescono nella
terra le sue radici. Si formano minuscole foglie, e la clorofilla compie il suo
dovere di tramite per la trasformazione dell’energia solare in zuccheri
complessi e anidride carbonica: una piccola centrale energetica opera quasi
magicamente in ogni foglia. La piccola creatura si nutre di sole, e si alza per
arrivarvi più vicino. Diventa un giovane virgulto flessuoso, dallo stelo
resistente e dalle foglie più grandi e più verdi. Il virgulto tende sempre
verso il cielo, e diviene un arbusto dal fusto legnoso, capace di resistere
alla natura che vive al di fuori di lui. Assorbe l’acqua dalla terra madre con
i filamenti celeri delle radici, ed elabora gli zuccherini composti di sole ed
aria crescendo sempre più.
Passano le
stagioni, passano gli anni, ed ecco che l’arbusto è un giovane albero: non più
lieve, ora è solido e si protende con una chioma rigogliosa verso l’azzurro
cielo luminoso. Ogni anno la sua corteccia acquisisce una nuova venatura; ogni
anno il suo tronco si amplia di un nuovo cerchio, e i suoi rami si avvicinano
sempre di più allo smalto blu che lo sovrasta da sempre. Ecco un grande albero
antico, che elargisce l’effetto benefico della sua ombra alla campagna
verdeggiante: una volpe ha fatto la tana tra le sue radici nodose, e vi ha
partorito i cuccioli su un letto di foglie secche; uccelli canori nidificano
tra i suoi rami, e spandono i loro cinguettii nell’aria satura di profumi. Gli
insetti volano a sciami, rubando il nettare ai fiori sbocciati; un ruscello
gorgoglia timidamente, mentre l’albero ascolta e tace.
Il piccolo
seme è divenuto un sottile germoglio; il germoglio delicato è diventato un
nuovo virgulto; il virgulto flessuoso si è tramutato in un solido arbusto; il
giovane arbusto è ora un albero antico. Un piccolo seme che si nutre di acqua e
di sole diventa un microcosmo di vita rigogliosa.
Ma gli uomini
avidi lo abbattono: distruggono la vita creata. Dell’albero antico fanno legna
da ardere, e la terra con i suoi abitanti piange la morte del suo figlio di legno.
Un
fiore era sbocciato sul ramo più alto del pesco.
Era
un fiore minuscolo, candido di un bianco elegante, lievemente animato dalle
sottili strie rosate che si dipartivano dal centro di polline dorato.
Se
ne stava lì, unico come tutti gli istanti di magica bellezza, unico come la
grazia dei suoi petali leggeri, unico a brillare sulla cima del pesco.
Nessun
altro fiore era nato sui rami secchi della pianta, troppo vecchia e stanca
ormai per produrre fiori, foss’anche per ricreare il miracolo della formazione
di un frutto.
Il
pesco era come morto, da anni.
Scheletro
nero nel verde brulicante, confuso, di un giardino incolto.
Il
pesco era come morto, ma un fiore era sbocciato sul suo ramo più alto.
E il fiore urlava
il suo canto di gioia dall’alto dell’albero.
Questo secondo capitoletto è molto diverso rispetto al
primo, innanzitutto per la lunghezza: è una drabble di 130 parole. Una
minuscola scheggia per i fiori che urlano dai rami più alti, e non vengono
quasi mai ascoltati.
Infine, un
grazie particolare e molto sentito a ninfea306,
per le belle parole di commento e il sostegno. Sorrisoni da willHole.^^
Mi sono innamorato
di lei perché, quando l’ho vista per la prima volta, mangiava le ciliegie.
Le prendeva da un
piccolo cestello di vimini intrecciati, a due a due, proprio come se fossero
disegnate a scopo ornamentale: faceva dondolare le due purpuree sferette,
sospese agli esili piccioli, intorno alle dita affusolate, e poi ne staccava
una, con grazia, lentezza e brama.
Le assaporava
dapprima con le dita, bianche sul rosso cremisi, ne seguiva la serica
morbidezza, ne percepiva la consistenza dolce e soffice della polpa.
Poi, con un piccolo
guizzo di quelle sue dita agili, catturava il rosso sole della primavera tra i
denti candidi, e il suo succo di zucchero le umettava le labbra. Socchiudeva
pian piano le palpebre, e pareva che gustasse la più deliziosa ed elaborata
vivanda del mondo.
Ed erano solo
ciliegie.
Io la osservavo
incantato.
Fu per questo, per
come amava le ciliegie, che mi innamorai di lei.
Eccomi giunto con un nuovo capitoletto. Ancora cambio
repentino di genere: questa è quasi una Nonsense, anche perché non saprei
proprio come altrimenti definire una simile accozzaglia di parole…^^ Vediamola
come un piccolo tributo alle ciliegie (anche se non credo che maturino in
primavera. Ma concedetemelo: foneticamente suonava molto meglio di “estate” XD
licenza poetica…^^).
[152 parole]
Insomma, dato che nemmeno io riesco ad esprimere un
giudizio, datemi voi un parere, o esimi lettori e lettrici!
Passiamo dunque ai ringraziamenti: grazie ancora a ninfea306, che nelle sue recensioni è assolutamente
deliziosa. Un sostegno necessario per quest’operetta tormentata.^^
E grazie anche alla nuova recensitrice! Benvenuta olghisch in codesto sparuto club! XD Grazie molte
anchea te per la pazienza di aver
letto. Spero che continuerai a seguire!
Capitolo 4 *** Parata di Fiori ovvero l'Erbolario - Introduzione ***
Parata di Fiori
Parata di Fiori
INTRODUZIONE
NECESSARIA: nasce ora, già al
terzo capitolo della mia bizzarra antologia, una sotto-raccolta che si può
definire Parata di Fiori.
Il mio intento è
infatti quello di creare un vero e proprio florilegio (letterale! ^^) in ordine
alfabetico, che si possa sfogliare come le schede di un’erboristeria ben
fornita.
Saranno,
naturalmente, schede un po’ particolari, dotate di forma di prosa poetica
(almeno la maggior parte, perché in questo periodo mi viene da scrivere così,
anche se lo trovo un po’ pesante io stesso ^^) e quindi in generale prive di
nozioni tecniche. Tuttavia, dato che la mia anima ha rivelato un’inaspettata
passione per la scienza, tra le righe delle mie piccole operette compariranno
spesso delle notazioni, naturalmente rivisitate e rielaborate, di carattere
scientifico o erboristico: ovvero, ad esempio, quali sono gli usi medicamentosi
di una data pianta, oppure sue caratteristiche salienti come il fatto di essere
velenosa o quant’altro. Evidenzierò queste piccole cose in fondo ad ogni
capitolo, a meno che non siano ovvii eventuali riferimenti.
Inoltre,mi sono accorto scrivendo che queste
caratteristiche botaniche mi forniscono spesso lo spunto per una riflessione
divagante del mio genere, che può anche, ahimè, essere piuttosto triste.
(dipende essenzialmente dal mio umore) In generale, però, sono una persona
allegra e inguaribilmente ottimista, quindi, salvo eccezioni, non ci saranno
piagnistei.
Dato che detesto
cordialmente leggerne, cerco di evitare di scriverne.^^
Anche a proposito
di questo, comunque, scriverò qualcosa al termine do ogni scheda (almeno, credo
che lo farò: non stupitevi poi troppo se non trovate nulla, a parte i
ringraziamenti…).
Bon, il me semble d’avoir tout dit! (perdonatemi,
sono reduce da un esame di francese…XD).
Note su “Ciliegie”: sono rimasto piuttosto sconvolto
dai commenti di ninfea306 e zalk909192, perché hanno riscontrato entrambe
espliciti riferimenti erotico-sessuali che io, giovane studentello regredito
alla fase pre-infantile, non avevo neppure immaginato di aver inserito in una
storiellina nata quasi per caso. (maddy, che mi conosce, ha dunque supposto
correttamente che non fossero intenzionali XD).
Quanto a ninfea, sono comunque contento che i miei scritti
siano suscettibili di molteplici interpretazioni, e la ringrazio ancora
infinitamente per la solerzia con la quale recensisce i miei schizzetti di
follia naturalistica, sempre con grande arguzia e dolcezza. Grazie!
Grazie, infine,
anche a kaoru, che, sono contento di sentire (o,
per meglio dire, di leggere), ha apprezzato “Un
fiore”. Ne sono davvero felice.
Bene bene, ho
terminato il mio sproloquio. Dunque arriverà a breve il nuovo aggiornamento,
con la lettera “A” del mio erbolario/parata di fiori.
Amarillide
il cui nome significa “splendere”, brilli nel giardino con i tuoi dolci fiori
variamente colorati, ti illumini della tua grazia sfolgorante.
Ci
illumini, ci imbrogli, ci giochi con la tua sottile arte floreale, o amarillide
belladonna, venefica, terribile, mortalmente splendida creatura del giardino.
Signora
silente del vivace frusciare, del costante ronzio, trattieni e preservi al
sicuro quel tuo potente elisir di rapida morte.
Sempre
pronta a concederla, foss’anche per nulla, la tua immobile bellezza ci guarda
altezzosa, solenne.
Amaryllis, ci
uccide la tua bellezza mortale.
Amaryllis, ci
strega la tua splendida morte.
Amaryllis, ci lega
la tua brillante malìa.
[Drabble di 100 parole esatte]
Eccomi qui subito con il primo aggiornamento. Ho scelto un
fiore pressoché sconosciuto, perché di tutti quelli che cominciano con la “A”
mi è sembrato il più adatto (motivi imperscrutabili XD).
Questa Amarillide che sa di classicità greca e latina, era
in effetti, nella sua variante “Belladonna”, nome con cui è più conosciuta
attualmente, molto usata dagli antichi, in special modo per le sue proprietà
benefiche, se assunta in piccole quantità (le donne usavano il suo estratto,
velenoso, come prodotto di cosmesi, se non ricordo male. Serviva per allargare
le iridi e le pupille, facendo apparire l’occhio come più grande.)
Pensando alla pianta, e a cosa scriverci su, mi è subito
venuto alla memoria questo particolare, e così ho sviluppato il tema della
“bellezza mortale”. Volevo cercare di dare una sensazione quasi di impotenza,
di religiosa ammirazione, pur di fronte alla capacità di dare la morte. Ho
giocato un po’ con i suoni e le concordanze degli aggettivi, per creare un
senso quanto più possibile suggestivo.
Credo (anzi, so) di non esserci riuscito al meglio, ma
ritengo anche che in questa forma possa essere interpretata in altri modi, il
che poi è il mio scopo: lasciare liberi degli spiragli di riflessione, per
comprendere dall’osservazione del mondo così come è stato creato qualcosa della
natura degli uomini.
Insomma, qualcosina.
Un qualcosina piccino picciò. ^^
…
…
Ok, magari neanche quello, però io ci provo, dai. XD
Per ninfea306: come vedi,
il tuo commento non mi ha per nulla infastidito, anzi, è stato utile per
riflettere sul carattere ambiguo che spesso hanno le parole, sui loro
molteplici significati e sulle loro folli semie che si possono tranquillamente
interscambiare, creando effetti talvolta inaspettati. È una delle magie dello
scrivere, e non mi posso di certo risentire per un’interpretazione (del resto
anche logica) che si discostava un po’ dalla mia idea originaria, tanto più che
avevo volutamente lasciato fluire le parole senza soffermarmi davvero su quanto
stavo scrivendo. Quindi, in sintesi: stai assolutamente tranquilla, i tuoi
commenti mi fanno davvero molto, moltissimo piacere, e sono fonte costante di
stimolo alla scrittura.
Per quanto riguarda il capitolo riguardante la ninfea, ti
confesso di averci già pensato: e sono giunto alla conclusione che sì, assai
probabilmente scriverò una scheda floreale dedicata a questo tuo splendido
nick.^^ (attendi con fiducia la lettera “N” XD)
Leggete numerosi, miei prodi amanti della natura!
willHole vi saluta e vi abbraccia calorosamente! XD
Delicato
come il bacio lieve delle ali d’una fata, bianco tenue che singulta argentino
nell’aria dolce di aromi, magico dono di sollievo.
Fine
corolla candida, bacca rossa, vivace, leggero biancospino che calmi le ansie e
le cure continue di noi uomini, nervose creature mai paghe di nulla, lenisci il
dolore, addormenta, placa, seda, acquieta.
Accarezza
aereo, effimero, la nostra mente agitata, rallenta il moto incessante delle sue
onde di pensiero, e consegnaci al trepido sonno che prelude a una nuova vita.
Coprimi,
biancospino, con una coltre impalpabile di petali d’aria, avvolgimi e
abbracciami, baciami e accarezzami in questo placido sonno.
[Drabble di 100 parole]
Elogio del riposo. Il biancospino
ha proprietà ansiolitiche e viene spesso usato in farmacia ed erboristeria
(wikipedia docet) nella trattazione di sintomatologie nervose o di altra causa
come l’angina pectoris e la semplice insonnia.Ecco. Ho voluto descrivere solo
questo. Il sonno.
Zzz…zzz…zzZ..
XD!! Bene, eccomi dunque di ritorno
con un nuovo capitoletto, sperando che lo apprezziate...^^
Per rispondere a ninfea, che è sempre precisa e puntuale nei suoi
commenti e che continuerò sempre a ringraziare per questo: ho scelto di passare
direttamente alla lettera B perché mi interessava mantenere la raccolta sui
numeri dell’alfabeto (20-25 fiori al massimo). Scelta dettata anche dal fatto
che non conosco moltissimi fiori con la H, per esempio, e quindi la mia innata
pignoleria sarebbe disattesa dal non poter scrivere lo stesso numero di schede
per ogni lettera… (sono folle, lo so…^^). Non escludo, comunque, di poter
approfondire in futuro qualche altro interessante vegetale con la stessa
iniziale… si vedrà! XD
La
camelia si alza sulle punte delle radici per ballare una danza di petali. Si
avvolge nel suo abito rosa di serici strati, e danza di continuo nel giardino.
La
camelia, però, è un fiore assai timido, e giammai ballerebbe di fronte a noi,
goffe creature caracollanti.
Perciò
la camelia danzante è un ben raro spettacolo: per vederla occorre alzarsi pian
piano di notte, senza emettere il benché minimo suono, e cogliere un’ombra di
raggio lunare che la illumini nel suo ballo alla tenebra.
È
un istante, ma è unico ed eterno.
Vedrai
il movimento più fine e gioioso del mondo, la libertà sfrenata e l’allegria
della camelia, che danza nel buio luminoso di un raggio di luna, avvolta nel
suo magico velo di petali.
[Drabble di 125 parole]
Niente note scientifiche per questa
assurdità sulla camelia e la sua danza vorticosa. Solo, il pensiero sorridente
che mi sono fatto nell’immaginare una microstoria di completa irrealtà, dove
però, proprio come nel mondo, occorre dare importanza ad ogni singolo istante,
perché in ciascun momento potresti cogliere la danza della camelia. Basta che
guardi bene.^^
Rinnovo come sempre i miei
ringraziamenti a ninfea306 e accolgo con un
filo di rossore (troppi complimenti^^) il nuovo recensore AhiUnPodiLui, semplicemente gentilissimo. Grazie!
Beh, che altro dire: non è molto in
linea con gli altri capitoletti, forse, ma a me piace abbastanza questa drabble… un po’ di
sorrisi non guastano (peraltro lo dico solo io che fa sorridere, ma
comunque…^^).
Bon, adesso devo scrivere la
lettera “D”… sono piuttosto indeciso, per cui si accettano suggerimenti d’ogni
sorta!
Cosa
sono le dita danzanti al ritmo celere del vento, cosa sono quelle sacche
purpuree che ondeggiano lievi tra il dentellato fogliame grigio-verde?
Cos’è
la digitale, che suscita ed esalta, roboante flusso di sangue vitale, fiore del
peccato e della sfrenatezza, audace e senza limiti sinfonia di umanità?
Cosa
sei, digitale purpurea, macchia di rubino e di granati, gioiello dolente che
orna un limpido collo?
Mostrati
e scappa, digitale, fuggi e ritorna: testimone tangibile del lento, faticoso
percorso verso un’ineffabile purezza, monito perenne e perenne tentazione,
sangue copioso, guida imperfetta, o mia purpurea digitale!
[Drabble
di 95 parole]
Le faccio sempre più brevi XD…
In ogni caso: alla fine sono giunto a una scelta, optando
per la digitale, fiore biennale con scopi botanici ed erboristici limitati
(anche se nel passato veniva usata grandemente), con la capacità di
regolarizzare il flusso sanguigno e il battito del polso.
(anche qui, come sempre, è necessaria la citazione
bibliografica wikipediana, perché è proprio da lei, insostituibile, che
provengono le mie informazioni).
In questa micro-drabble ho voluto mescolare questa proprietà
della digitale al celebre poemetto pascoliano (intitolato appunto “Digitale
purpurea”) in cui il poeta racconta, con la propria consueta semplicità e
grazia, un episodio accaduto a una sorella, presso una scuola ecclesiastica.
La digitale, secondo una lettura psicoanalitica
post-freudiana, dovrebbe essere interpretata come una pulsione inconscia,
carnale, della fanciulla, per altri versi assai casta e pura: una tentazione,
per l’appunto. Pascoli, poi, traumatizzato fin da bambino dalla morte del padre
e incapace di concepire una famiglia diversa dal suo “nido” d’origine, demonizza
il naturale desiderio della sorella, generando una poesia quasi ossessiva.
(sempre in chiave psicoanalitica, ovvio…^^).
Per quanto riguarda la mia interpretazione, ho
cercato di rendere un tormento umano tra i più comuni: tentazione e senso del
bene, del giusto, del puro (non necessariamente a tematica sessuale, anche se,
visti i precedenti letterari, lo spunto deriva da quello; il mio intento è
stato però quello di creare una scheda trattante l’argomento più in generale),
in costante contrapposizione reciproca.
Occorre in qualche modo decidere, ma è pressoché impossibile
(“sia lode al dubbio!” XD), e quindi il tutto si mescola e confonde in una
miriade di sfaccettature. Usando la digitale come metafora, ne è venuta fuori
una sintesi che spero apprezzerete.
Lo spero vivamente, perché le vostre recensioni (sto
pensando in particolare all’irriducibile ninfea306
e ad AhiUnPoDiLui, gentilissimi entrambi,
col rischio non da poco di stuzzicare eccessivamente il mio ego ^^) mi
colpiscono sempre per la loro puntualità nel cogliere i punti fondamentali,
salienti, caratteristici… Mi spiacerebbe molto deludervi! XD
Dunque, mi sembra di aver detto praticamente tutto… vi
lascio ora! La prossima lettera (ormai gli indovinelli mi stanno prendendo un
sacco XD) sarà ovviamente la “E”, ma quale sarà il fiore ad essa associato?
Ti
interessi, per caso, della luce brillante del giallo metallo?
Sei
forse un folletto o un nano bizzarro, trasformato in gaudente vegetale a causa
della troppa avidità?
O
forse non giri per nulla? Neppure intorno all’oro malefico, brillante compagno
dei brutali assassini e delle dame eleganti?
Forse
te ne infischi, tu, o Elicriso dal polline dorato, del freddo oro della terra.
Forse
tu, o Elicriso segreto, sconosciuto e onnipresente, forse tu desideri l’oro del
cielo: il caldo, amichevole abbraccio del fuoco lontano del sole, la carezza
liquida della luce dilagante, il sussurro leggero di un bruciante pomeriggio.
Quale
oro desideri tu, o viandante, che nemmeno ti soffermi a osservare l’Elicriso
ardente di desiderio? Quale luce tu brami?
Ne esistono tipi e tipi, bisbiglia la pianta.
Scegli, impera il dorato fulgore dell’oro.
E
a te, distratto viandante, non resta altro che obbedire.
[154
parole]
Orbene, per la lettera “E” ho scelto una pianta davvero
misconosciuta. L’Elicriso è una pianta erbacea dal polline giallo-dorato (nel
caso dalla drabble non si fosse capito ^^) con importanti applicazioni
fitoterapiche, per esempio come tossifugo, espettorante, antinfiammatorio e
antinevralgico. Il suo nome deriva dal greco, composto di helisso (girare
intorno) e chrysos (oro).
Ed è proprio da questa curiosa etimologia che ho preso
spunto per la mia scheda botanica, nonostante sia sfociata un po’ nel Nonsense.
Anche in questo caso, ho voluto giocare con le immagini, con
l’antropomorfizzazione, con le domande senza risposta. Ho anche riflettuto
sulle scelte dell’uomo (tema in questo momento a me molto caro), cercando di
utilizzare l’oro dell’Elicriso come metafora di ciò a cui noi tendiamo, con
molteplicità e polimorfismo lodevoli ed eccentrici.
Sono sempre più folle, perdonatemi. Però scrivere queste
sciocchezzuole mi fa davvero bene. Mi rilasso, insomma.
Ancora una volta, prima di lasciarvi con il consueto
indovinello sul prossimo fiore, i dovuti e sentiti ringraziamenti ai recensori:
ninfea306,
costante e gentilissima; AhiUnPoDiLui, come sempre cortese e sensibile; L_Fy,
deliziosa come sempre.
Bene bene. Detto questo, mi defilo. Vi aspetto al prossimo
capitolo.
Ho
un’immagine nella mente: una splendida, simmetrica, speculare sinfonia d’oro e
d’azzurro.
C’è
un campo, nella mia testa, ondeggiante di grano dorato.
E
c’è un cielo, appeso sopra al campo, smaltato d’azzurro rovente.
In
mezzo al cielo, luce del mondo, brilla il Sole, oro di fiamma.
In
mezzo al campo, frutto della terra, germoglia il Fiordaliso, corolla di cielo.
Il
Sole incendierebbe il campo d’oro, il Fiordaliso sparirebbe nell’azzurro
sterminato: ma quant’è provvida Madre Natura, sapiente orchestratrice di luce e
di colore…
E
ora, sbuffo solingo di pensiero, mi chiedo: e se cogliessi il Fiordaliso,
occhio della terra, che accadrebbe al Sole, occhio del cielo?
[105 parole]
Nessun commento per questo nuovo
capitoletto: tengo moltissimo a sentire le vostre opinioni in merito in modo
del tutto incondizionato, senza mettervi a conoscenza del come e del perché ho
scritto “Fiordaliso”. Personalmente, lo sento molto vicino, più di molti altri.
Poi, il consueto ma nonper questo meno sentito grazie di cuore a
tutti i recensori: KELLINA, adorabile, L_Fy, straordinaria come
sempre, AhiUnPoDiLui,
la cui sensibilità mi stupisce sempre, ninfea306, un capolavoro di
pazienza. Lettori come voi erano il mio sogno. Grazie!
Un
giglio altro non è che l’essenza candida di una giovane fanciulla, che
passeggia eterea in una vasta e cupa foresta. Riluce nascostamente ogni filo
della sua veste variamente intessuta, il suo candore sibillino splende sornione
e balsamico nella tenebra verdeggiante.
La
vergine cammina pian piano, con la dolce quiete della vivace giovinezza: sfiora
ogni stelo con i candidi piedi, accarezza ogni foglia con le candide mani.
Allora,
il miracolo! Appare leggero, ai margini del nero orizzonte, tra i fusti legnosi
ed oscuri, un bianco unicorno.
Attratto
dalla fanciulla, dalla pura e liliale presenza della candida veste rilucente,
si avvicina etereo l’argenteo animale, si mostra e piega il capo, dimesso,
incantato.
Ecco
un giglio, luminoso e profumato, sbocciare tra la vergine e l’unicorno,
brillante malia di eterea bellezza.
[128
parole]
Innanzitutto, mi dispiace moltissimo di non aver aggiornato
“De Naturae Magnificentia” per tutto questo tempo. L’apporto di madama
Ispirazione è stato negli ultimi tempi decisamente esiguo, per usare un cortese
eufemismo, tanto che mi sono trovato ad essere del tutto incapace di buttare
giù più di due righe alla volta su qualsivoglia argomento.
Con l’infausto inizio dell’epopea scolastica, poi, martirio
e supplizio di ogni alunno, i tempi che potevo ragionevolmente dedicare alla
spremuta sistematica delle mie stanche meningi si è ancora assottigliato. In
sostanza, questa domenica è stata il primo momento in cui una fortunata
congiunzione astrale mi ha permesso di dedicarmi –se e quanto proficuamente me
lo direte voi lettori ^^- alla nobile e balsamica arte della scrittura.
In secondo luogo, ho deciso infine, come vi sarete accorti,
di parlare di un giglio: tale magnifico fiore mi fa sempre pensare, in modo
forse un po’ banale, alla purezza virginea, eterea, candida.
Per esprimere tutto questo, ho scelto una tipica immagine da
Bestiario medioevale, in cui compare nell’ambiente profondamente
allegorico della foresta, appunto la purezza di un delicato unicorno.
Sappiatemi dire cosa ne pensate! Attualmente il mio encefalo
non si sente materialmente in grado di produrre nulla di meglio. ^^
Ah! Quasi dimenticavo. La prossima lettera dovrebbe essere
la “H”… per completezza dovrei –e mi piacerebbe- scrivere una scheda botanica
anche su un fiore che inizi per H, ma diciamo che la mia conoscenza in materia
si rivela in questo caso piuttosto lacunosa. XD
Me ne suggerite qualcuno? ^^
WillHole ringrazia anticipatamente per i suggerimenti… e
posticipatamente per tutte le magnifiche recensioni di voi, amati miei lettori,
che spero essere dotati di una titanica pazienza:
ninfea306
AhiUnPoDiLui
IncorreggibileValery
Kellina
E tutti coloro che nel corso del tempo hanno recensito
questa mia folle raccolta.
L’Heliconia
dovrebbe essere utilizzata da qualche architetto ramingo come modello per un
grattacielo.
Immaginate
un alto, altissimo edificio proteso verso il cielo, ingenerato nelle proprie
forme dal fluire disarmonico e dal fondersi progressivo di giganteschi
triangoli rossastri, piumati e adorni di colore puro.
Immaginate
la compenetrazione divergente dei triangoli con lo stelo carnoso: alternati
secondo una magistrale proporzione, gli uni paiono allontanarsi dagli altri in
un potente slancio alla ricerca di una libertà coatta, un tentativo inesausto e
irrealizzato di staccarsi, di protendersi ancora oltre il corpo centrale della
pianta che però, come una madre gelosa, li trattiene a sé.
Quale
sublime metafora della nostra contraddittoria realtà sarebbe la naturale
bellezza dell’Heliconia grattacielo, messaggio al contempo ecologista e
contemplativo, strumento statico e analizzabile di una nuova speculazione
filosofica!
Amene
terrazze, stupendi giardini rievocanti lo splendore perduto dell’antica
Babilonia troverebbero loro naturale compimento in una tale opera
architettonica, gloria dell’uomo moderno!
Eppure,
eppure, la Natura ha già fatto quest’opera, l’ha già compiuta creando
l’Heliconia dai molteplici petali strambi, la pianta dei triangoli variamente
diversi, variamente uniti.
E
forse, la Natura ha anche perfezionato questo insigne lavoro: ha creato l’uomo,
razionale osservatore delle emozioni concretizzate nelle sue creazioni.
La
creazione si è compiuta. L’uomo ha immaginato un’antropomorfizzazione di ciò
che la natura gli ha mostrato, ne ha fatto oggetto di analisi di sé e del
mondo.
O
architetto ramingo, inesausto rivale della natura soave, frena il tuo
entusiasmo: già una formica ha potuto ammirare il grattacielo Heliconia dalla
prospettiva che avrebbe l’uomo se tu compissi la tua opera…
[255 parole circa]
[ovvero, una sorta di nuovo record! XD]
Dunque dunque dunque. Che dire? Questa scheda botanica ha
ingenerato numerosi problemi.
Innanzitutto, la scelta stessa del fiore di cui trattare è
stata a lungo oggetto di disputa interiore: fortunatamente, alla fine è giunta
Zalk_909192 a suggerirmi questa bizzarra, stramba Heliconia.
In secondo luogo, un problema grave è stato lo scrivere poi
effettivamente questo testo, che come avrete notato, sia per la lunghezza, sia
per lo stile, si differenzia piuttosto da quelli precedenti.
Tali scelte sono imputabile essenzialmente al fatto che lo
stile da me usato si sta poeticizzando in un modo un po’ diverso da quello a
cui miravo… E sì, lo ammetto anche con me stesso, questa è la realtà. Con
questo non voglio dire che quello di questo capitolo mi sia più congeniale o
sia più gradevole, perché non credo che sia così.
Però un piccolo bisogno di cambiare registro ce l’avevo, anche
solo per tappare la bocca a Maddy…XD
Dunque, parlando nello specifico del “messaggio”, direi che
in questo caso è abbastanza esplicito, ma ho cercato di farne una sintesi,
perché mano a mano che guardavo l’immagine dell’Heliconia sempre nuove immagini,
significati, messaggi si sovrapponevano; in sostanza, il nucleo centrale è
quello di questa bizzarra, epica visione di un gigantesco grattacielo costruito
copiando fedelmente la morfologia dell’Heliconia, in barba a tutte le leggi
della statica.
Da lì si è ingenerato un meccanismo di significati che alla
fin fine mi hanno portato come spesso mi succede a riflettere sulla natura in
quanto creatrice, e al ruolo dell’uomo in tutto questo. Il finale è volutamente
“sdoppiato”, perché non ho deciso se assegnarci una certa preminenza o se
considerarci alla stregua delle formichine…XD
Sappiatemi dire! Io nel frattempo vi informo altresì che mi
sono divertito un sacco a scrivere questo sproloquio! ^^
Orbene, detto questo, superato lo scoglio che pareva
insormontabile della H, la strada si prospetta in discesa… Il prossimo fiore
inizierà dunque per “I”!
Per l’angolino dei ringraziamenti, ovviamente un grazie a Zalk_909192(il cui nick è scritto così assurdamente per un mero capriccio) e
all’irriducibile ninfea306, fonte costante di vanità per il mio ego e, più
seriamente, di parole gentilissime…
Grazie anche a quelli che hanno letto e basta! Un saluto
complessivo a tuttivoi!
Un
lento e delicato borbottio pervadeva la grande cucina. Il paiolo, antico e come
consunto dal tempo, troneggiava nel focolare investito in pieno dallo schiaffo
luminoso del caldo sole estivo.
Oltre la
grande finestra, Il Cairo rumoreggiava, colta nel fulgore di uno dei giorni più
afosi di quell’anno.
La vita si
spandeva con la violenza di un’ondata: bancarelle, urla e grida di venditori
ambulanti, colori vivaci e tappeti intessuti dichiaravano a chiare lettere la
propria chiassosa esistenza di luce e di rumore, dominata dal bruciore costante
dell’incendio celeste.
La
temperatura nelle ore centrali della giornata era davvero insostenibile: il
caldo era ardente, costante, rabbioso.
Colpiva tutti
indistintamente e non lasciava mai un attimo di requie, se non la sera, sul
tardi, quando un refolo di vento giungeva per portare un po’ di refrigerio.
Intanto
il contenuto del paiolo nella grande casa sobbolliva leggermente, emanando un
afrore appena percettibile nell’aria già satura di aromi.
La gente, pur
temprata da anni di pratica indesiderata, mal tollerava quelle vampate di
inferno. Il fresco era anelato, bramato e desiderato quasi più del denaro,
preoccupazione costante della maggior parte dei cairoti.
Una
vecchia, curva e macilenta, entrò nella cucina. I suoi passi, lenti per
l’artrite ma come animati da una gioia arzilla, si diressero rapidi verso
l’intruglio che ormai da ore era sottoposto a quel lento e incessante bollore.
Sollevò il coperchio, rimestò con un vecchio cucchiaio, lo ripose e ricoprì la
pentola, sempre con quei gesti resi dall’età brevi e lentissimi.
Una folata di
vento dal deserto rese ancora più insopportabile la permanenza in città. Un
sopore che aveva del malsano irruppe sibillino nella maggior parte degli
abitanti, che interruppero le proprie attività sventolandosi con ampi movimenti
e lamentandosi a gran voce dell’afa eccezionale che li stava prostrando.
Fu in quel momento che
dalla vasta cucina emerse come un’ombra la vecchia del pentolone. Come fosse un
miraggio, il suo paiolo aromatico venne appena seguito con la sguardo dai primi
uomini che si videro passare dinnanzi la vecchina.
Cantilenando con voce
fioca e strascicata, quella si trascinava avanti, certa che la sua opera
avrebbe avuto un qualche effetto.
- Karkadè, karkadè
dall’ibisco…- ripeteva tranquilla l’anziana. E
uomini e donne accaldati la seguivano, tergendosi con mano stanca la fronte
grondante sudore.
- Karkadè, karkadè,
karkadèeèeè…- allungando oltre misura l’ultima
sillaba, la vecchia attingeva con dolcezza dal liquido rosso vivo che portava
con sé, distribuendo benevolmente, per poche monete, quel prodigioso nettare di
freschezza.
Ecco il
karkadè! È lui, è lui! Prodotto dai fiori più freschi dell’ibisco, fatto
bollire per ore e ore, rinfresca il corpo e ritempra le forze e la mente! Il
karkadè, il karkadè!
La donna procedeva,
elargendo con generosità il suo karkadè, cura rigenerante, sollievo balsamico
al caldo opprimente, dolce e sublime sacrificio dell’ibisco per la vita rinnovata
degli uomini bruciati.
-Karkadè, karkadè, karkadè dall’ibisco…-
[480 parole circa]
Allora, per la lettera “I” ho scelto una tipologia di testo non ancora
affrontata in questo bizzarro percorso del De Naturae Magnificentia: una
storia. Sì, questa scheda botanica è la prima a possedere una trama che,
sebbene semplicissima, sussista e sia degna di essere chiamata tale.
Beh, per lo meno qualcosa succede…
Ho scelto di parlare dell’ibisco soprattutto in funzione di questa
bevanda dalla straordinarie proprietà astringenti, rinfrescanti e purificanti,
il karkadè. Da quanto ho letto su wiki, essa è molto diffusa in Egitto, ed è
proprio da questo semplice connubio che è nato questo brano.
Non mi ha colpito più di tanto alla prima stesura, devo dire, ma mi è
piaciuto cercare di dare un senso di magico, di “stregonesco” e in qualche modo
di prodigioso all’influsso benefico causato da quella che poi, alla fine, non è
altro che una semplice bevanda dissetante.
Ma insomma, mi pare che detto in una storia, ogni particolare abbia un
altro effetto… Chissà se è così anche per voi! XD
Ah, dimenticavo: l’alternarsi di corsivo e font normale è dovuto a una
scelta di rallentare lo scorrere del testo, sempre in quella chiave
mitico-mistica di cui dicevo, e allo stesso tempo di separare ciò che avviene
in relazione all’ibisco e al karkadè (caratterizzati dalla frescura e dalla
penombra della “vasta cucina”) da quello che invece accade per le strade,
tormentate dall’afa. Ecco tutto. ^^
Vi lascio con il solito ringraziamento alla mitica ninfea e a tutti quelli che hanno letto “Heliconia”, rimandandovi
come sempre alla prossima lettera… che sarà la L, perché con l’alfabeto inglese
non mi ci raccapezzerei…XD
Semplicemente
profumo. Un profumo leggero ed intenso, delicato e possente, rustico e sublime,
accogliente e diffidente. Un profumo, la somma di tutti i profumi.
È
questo il compito incrollabile e la funzione sublime dell’antica, mediterranea
lavanda, fonte inesauribile di delicata, intangibile catarsi: profumare la
vita.
Solo
la piccola, minuta lavanda dalle foglie sottili e dai fiori compositi, solo la
dolce lavanda di sé stessa dipinta, solo lei può rendere un ozioso pomeriggio
una sinfonia di note aromatiche.
Emana
se stessa, la lavanda, si dona senza riserve al proprio ineffabile compito: e
gli uomini, eterni ricercatori di una catarsi irraggiungibile, la accusano
veementi di accogliere serpi nel proprio profumo.
Diffidenza,
sottile e insinuante: anche chi sembra amare nel modo più alto può nascondere
una vipera, giù, tra il fogliame più folto.
Eppure,
anche una vipera gode del diritto all’amore.
No comment. Sono imperdonabile per
il mio ritardo, lo so. Sono anche imperdonabile per aver scritto, dopo tutto
questo tempo, queste poche righe sparute.
Per me hanno un senso; per voi, non
so.
Vi basti sapere, amici miei lettori
(sempre che l’estenuante attesa non vi abbia cancellato la voglia di leggere)
che nel linguaggio dei fiori la lavanda acquisisce il significato di
diffidenza, nato appunto dalla credenza che i serpenti si nascondessero tra le
foglie più basse dell’arbusto.
Questa scheda nasce proprio da
questo fatto, articolato e fuso con quella che per me è davvero l’essenza della
lavanda: il suo profumo, fonte di pulizia, anche dello spirito.
E poi, questo lo credo fortemente,
anche una vipera può godere del profumo catartico di questa mia –nostra-
lavanda. Può, e deve goderne.
Come sempre, un grazie particolare
e sentito ai recensori:
ninfea306, perché sei
intramontabile, e lo sai. J
Incorreggibile Valery, perché
ti voglio bene, e lo sai anche tu. J
AhiUnPoDiLui, perché anche tu sei importante, con le tue
parole e i tuoi consigli (e spero che tu lo sappia J)
Zalk909192, perché mi recensisce
una volta ogni morte di papa, ma solo lei riesce a dirmi che sono
scriceggiante… e poi perché voglio bene anche a te, Maddy, e anche tu lo sai. J
E poi un po’ a tutti quelli che
sono passati di qui: le vostre parole, quelle di ognuno di voi, hanno sempre un
senso per me. Grazie, grazie, grazie! Ma grazie anche a tutti quelli che
leggono, a quelli che aprono per sbaglio, a quelli a cui questa storia fa
proprio angoscia: insomma, oggi sono ecumenico. Voglio bene a tutti voi! ^^
Nel
passato –e con passato si intende qui l’epoca medioevale- le dame erano assai
più spocchiose di adesso. Si concedevano a fatica ai loro prodi cavalieri, i
quali, spesso tornati da una santa crociata o dall’uccisione di un drago, mal
percepivano il liliale bisogno di purezza delle loro amate.
Tutte
ligie a un rigido codice d’onore, le fanciulle, avviluppate in improponibili
vestitoni di broccato e di martora, assistevano ai tornei e concedevano a
malapena un casto bacio al pover’uomo che risultava vincitore di quelle
affascinanti prove di destrezza.
Si
dedicavano alla preghiera, al ricamo e, talvolta, se erano proprio emancipate,
alla lettura di testi edificanti. Insomma, se ne stavano decisamente sulle
loro.
Fatto
sta che, pur essendo così schive, per il darwiniano principio della
conservazione della specie le nostre dame dovevano pur avvicinarsi ai signori
uomini; e, una volta che l’amore veniva autenticato e suggellato, il fortunato
cavaliere apponeva sul proprio scudo due margheritine.
Le
margherite, ci pensate, simbolo dell’amore –casto, puro e onorevole,
naturalmente- tra dama e militante!
Niente
da stupirsi, dunque, se poi i sopra citati cavalieri presero l’abitudine di
mettersi a sfogliare le margherite per scoprire i reali sentimenti della donna
nei loro confronti: probabilmente, il confronto con compagni più latin
lovers, già dotati di margherite sullo scudo,portò presto quelle
giovani menti a concepire un nesso tra la margherita e la corresponsione del
sentimento.
Ecco
dunque l’eredità: ora chiunque può cogliere una piccola, dolce margheritina da
terra, accarezzarla per bene tra le dita sognanti, e mettersi meticolosamente,
munito di pinzette e con la precisione di un orologiaio svizzero, a estirpare i
singoli petali della bianca corolla.
-
M’ama, non m’ama, m’ama…-
Dopo
una trentina di strappi, il cavaliere del Medioevo -o l’adolescente romantico
del Duemila, poco importa- si accorge che mancano due petali, e lui ha appena
pronunciato la locuzione “Non m’ama”.
Un
rapido –si fa per dire- calcolo, e nella mente persa nei meandri dell’amore si
fa strada l’orrenda quanto incontrovertibile verità: la dama non lo ama.
Pianti,
tristezza e stridor di denti colpiscono dunque il malcapitato, che non pensa
manco per un istante alla scarsa valenza del proprio intervento divinatorio.
Ma
perché diavolo, cavaliere uccisore di draghi (o giovane discodipendente dalle
movenze sinuose), devi dipendere da una semplice margherita?
Largo
alla libertà, orsù: non farti piegare dal crudele responso!
E
comunque, se proprio non t’ama… Beh, fattene una ragione. Non è mica colpa
della margherita, no?
Scusatemi, scusatemi e scusatemi
ancora. Questa volta non per il ritardo, ma solo per la stupidità. ^^
Il lavoro del mio neurone ha
raggiunto livelli basici, mi scuserete… Scrivere questo piccolo orrore
semicomico non mi è costato più di dieci minuti. Capirete bene quanto valga, ma
vi prego: non uccidetemi. XD
E fatemi sapere se almeno un sorriso
sono riuscito a strapparvelo. Ne basta uno, ma quelli di pietà non valgono,
naturalmente. XD
Io sono scemo, me ne rendo
perfettamente conto, ma mi sono quasi divertito a scrivere questa scempiaggine.
J
Una
ninfea non è che una pennellata di tersa inquietudine sulla tela di un pittore;
è il sospiro sbocciato di uno stagno, il mormorio dell’acqua calma reso petalo
e pallido languore.
Una
ninfea è il colpo di genio di un artista; è il momento di rapida follia che
precede i rami sornioni del salice; è la nota di distratta perfezione che una
mano sapiente ha posto a specchiarsi nel verde palustre.
Una
ninfea è fanciulla ed è giovinetto, è alabastro flessuoso e marmo fiorito. Una
ninfea è il respiro congelato dell’arte, è musica liquida e luce scolpita.
Una
ninfea è un tocco di bianco sul verde: l’istante racchiuso, la luce rapita, la
bellezza indivisa ed eterna.
[116 parole]
Ancora scuse per il ciclopico ritardo. Ormai è una prassi
comune, e me ne dispaccio: inizialmente non avrei pensato di essere così
lento, accidenti! =)
Due paroline su questa ninfea, dedicata alla mia amatissima ninfea306,
che ora è diventata Ninfea Blu.
Per scrivere questo minuscolo schizzo mi sono rifatto
soprattutto al mondo dell’arte, in particolare al mio adorato e sempiterno
impressionismo e al suo più grande esponente, l’intramontabile Claude Monet.
Il suo ciclo delle ninfee, con quella proprietà innata e
meravigliosa di produrre un senso di ineffabile calma, è per me una delle più
grandi opere d’arte della storia.
Ho voluto in questo pezzo cercare di cristallizzare la mia
emozione di fronte a quelle opere (ed in particolare mi riferisco a “Le Bassin
aux nymphéas – Harmonie verte” del 1899) e attribuirla in egual misura alla
mano sapiente dell’artista e ad una peculiarità intrinseca al fiore.
Questo è quello che ne è venuto fuori. Detto onestamente,
sono quasi soddisfatto, il che è tutto dire. Forse la mia pignoleria si sta rammollendo.
=)
Grazie come sempre a coloro che leggono, e ancor di più a
coloro che recensiscono.
Sì, sono un venduto, che ci devo fare? XD Leggere i vostri
commenti mi fa sempre un gran piacere.
Le
orchidee, damigelle danzanti nella nera foresta, eleganti fanciulle invitate al
gran ballo del re. Le orchidee, bizzarro connubio di grazia e resistenza,
adatte a proliferare in decine di modi diversi, capaci di popolare ogni terra
con la propria superba presenza.
Le
orchidee, élitarie e sublimi: un valletto ronzante le serve in eterno, fedele a
loro più che alla sua stessa vita. Le orchidee, che vivono bizzarramente
protese dalle proprie torri verdeggianti, abbarbicate e slanciate nell’aria
chiara e umida.
Le
orchidee, unica famiglia di amiche e sorelle, fratellanza antica di petali e
stami, l’essenza più densa di una vita incantevole.
Non scrivo da
secoli, e non so come spiegarlo. Capitano, a volte, i periodi in cui
semplicemente non ti va di scrivere; più raramente, forse, capita di scrivere
di tutto senza concludere niente. A volte, infine, capita di concludere tutto
tranne quello che ti sta a cuore e… beh, in questo caso dev’essere andata così.
Spero che il
periodo di distacco da De Naturae magnificentia sia finito. Vorrei concludere
in fretta questa Parata di Fiori, perché ho almeno altri tre scritti da
pubblicare all’interno della raccolta, ma ci vuole ordine. =)
Sostenetemi, vi
imploro. :)
Ora, procedendo con ordine, le piccole, solite, noiose
noticine sulla scheda botanica.
Innanzitutto, udite udite, è una drabble perfetta, di cento
parole esatte!
In secondo luogo, cercando su Wikiwiki non sono stato in
grado di selezionare un’unica specie di orchidea che mi soddisfacesse
pienamente, e che fosse degna, in una parola, di figurare come unica
sostenitrice della famiglia alla lettera O di questa Parata.
Per quest’unica, banalissima ragione, questa drabble ruota
intorno a tutte le orchidee, prese nel loro complesso ed intese quasi
come un’unica entità, in grado di declinarsi in miriadi di forme su tutta la
terra.
Come chiave alla decrittazione del testo, posso dirvi anche
che:
-esistono orchidee in tutti i continenti e a tutte le
latitudini, tranne che nei deserti e sui ghiacciai (e ci mancherebbe altro XD)
-le varie specie di orchidea si riproducono sul serio in
un numero di modi bizzarramente alto
-la storia del valletto fedele è invece da intendersi in questo
senso: molte specie di orchidee si sono evolute in modo tale da istaurare un
rapporto strettissimo con una certa specie di insetti, che, per determinate
loro caratteristiche fisiche, hanno la capacità unica di impollinarle. Ad
esempio, l’orchidea di Darwin (Angraecum sesquipedale), ha un calice così lungo
che solo lo Xanthopan morgani, dotato di una spirotromba altrettanto lunga, è
in grado di impollinarla. Nel mio cervellino stordito, ho inteso questa
curiosità nel modo esposto nel testo. Le orchidee, insomma, si fanno servire in
via esclusiva XD
-infine, “le specie tropicali hanno spessoradici aereecarnose, rivestite di un velo radicale dettovelamen
che consente alla pianta di assorbire l'umidità
atmosferica” (cit. da wiki). Ecco perché scrivo che vivono abbarbicate agli
alberi XD
Oh, beh, come al solito mi sono dilungato un po’ e le note
si sono rivelate necessariamente più lunghe della scheda botanica…wow.
Che altro dire, se non che spero che i miei vecchi lettori
(prima fra tutti l’immancabile NinfeaBlu, che come sempre ringrazio) ci siano
ancora, e che cercherò di aggiornare un po’ più di frequente?
Eccola
lì, la potentilla bianca, cinque piccoli petali che sembrano disegnati da un
bimbo un po’ ingenuo sul foglio verde del prato. Un fiorellino di tenero
aspetto, che pare quasi nascondersi nel manto folto dell’erba rugiadosa.
Che
cos’hai d’interessante, lieve potentilla sorridente, tu così timida, tu così
intimamente connessa con il microcosmo del campo? Nulla, rispondi
sorniona.
E
invece il tuo nome porta in sé una chiara evidenza: sei un portento, un vero
portento di fiore. La sapevano lunga, quei Latini bislacchi che così ti
chiamarono.
Avevano
capito, loro, che il vero potere si nasconde sempre nelle più piccole cose.
[ancora una volta,
bizzarria della sorte, 100 parole esatte]
Questa volta sono
stato rapido, dai! =)
Dunque, che dire su questo capitoletto leggero leggero?
Al suo autore piace abbastanza: e non lo dico quasi mai di
queste schede, perché c’è sempre qualcosa che non mi convince.
Invece, non so perché, questa Potentilla mi sta proprio
simpatica: provo per lei una sintonia elettiva, quella fratellanza bizzarra che
sentono coloro che condividono una caratteristica sostanziale come in questo
caso la piccolezza.
Ciò che mi mette di buonumore, in questa drabble, è proprio
il concetto che i piccoli abbiano un potere: e la Potentilla mi ha dato la
possibilità di accostare quest’idea alla sua immagine semplicissima e al suo
nome un po’ strano.
Proprio il nome, etimologicamente analizzato dall’amica
wiki, mi ha dato l’idea: è l’unione del vocabolo latino potens, che
indica per l’appunto chi è potente in quanto in grado di compiere qualcosa, e
del suffisso diminutivo illa, che sembra racchiudere tutto il potere di
cui sopra in un piccolo spazio aggraziato, scevro di particolare maestosità ma
ricco nell’essenza.
Ditemi voi se non
è questa una consapevolezza che fa sorridere di contentezza! =)
Ok, forse sono
matto. Fatemi sapere le vostre opinioni in merito, se ne avete voglia: sentirvi
mi fa sempre un gran piacere! :)
Mille grazie a KELLINA per la sua gentilissima recensione: sono
strafelice che l’Orchidea ti sia piaciuta e la nota non ti abbia fatto
addormentare! =)
(Four-leaved clover, trèfle à quatre
feuilles, trifoglio a quattro foglie)
Il
campo profuma di verde smeraldo. Sono migliaia e migliaia i bassi trifogli
ancorati al terreno, un folto tappeto di foglie che si estende, odoroso
d’Irlanda, ad ornare la piccola valle. L’intero declivio del colle ne è
sontuosamente ricoperto, come d’una gualdrappa da torneo gettata mollemente a
terra e ripiegata dal vento in dolci volute e ricami di luce.
A
tratti, l’equilibrio del tappeto è spezzato da un masso biancastro che affiora:
una zona d’ombra si estende, una pezza di scuro tessuto nasce improvvisa, e il
damasco e la seta non rilucono più al sole bruciante.
Ma
all’ombra del masso, nel ricamo improvviso di una nuvola vagante nel cielo
infuocato, si cela un tesoro più raro dell’oro, più profondo e segreto della
gemma sepolta, più delicato e prezioso della seta frusciante.
Un
quadrifoglio cuore di campo, l’imprevisto, il fuori percorso, l’oltre
immaginato: un quadrifoglio, trifoglio a quattro foglie, la norma banale ed
ardita addizionata di un elemento di cieca follia.
Una
foglia per la speranza che verdeggia nello spirito,
una
foglia per la fede che risplende nell’animo,
una
foglia per l’amore che arde nel cuore.
Una
foglia, infine, per la fortuna benigna che rivolge il suo sguardo cieco agli
affanni terreni, componendo e ricreando a proprio esclusivo piacere.
Cogli
il quadrifoglio, e ti arride la sorte: ma sappi che là, nel tessuto verde
smeraldo del tappeto, manca un ricamo di elegante armonia.
232
parole per questa storiella.
So
che il quadrifoglio non è un fiore, certo: ma concedetemi questa piccola
licenza nell’ambito generale di una parata un po’ bislacca per sua stessa
natura, e che però non poteva mancare di una lettera così simpatica come la Q.
=)
Piccole
note: innanzitutto, oltre al nome scientifico del trifoglio, di cui il
quadrifoglio non è altro che una mutazione, ho aggiunto i nomi in inglese e
francese di questa simpatica anomalia della natura, più il termine italiano che
lo designerebbe precisamente, senza pericolo di confusione con piante che hanno
effettivamente quattro foglie senza per questo essere incorse in una mutazione
genetica.
In
secondo luogo, mi sono rifatto alla leggenda secondo la quale appunto la prima
foglia di un trifoglio simboleggia la speranza, la seconda la fede e la terza
l’amore, mentre quella in più, appartenente solo al raro quadrifoglio,
rappresenterebbe la fortuna.
In
questo scritto ho voluto appunto vedere la sorte come qualcosa di incalcolato e
incalcolabile, una variazione, un’anomalia nel tessuto banale del mondo
esattamente come il quadrifoglio rappresenta una mutazione nella normalità del
tappeto di trifogli.
Mi
sono divertito abbastanza a giocare per la prima parte della storia sulla descrizione
di questo drappo smeraldino di trifogli che nasconde al suo interno il tesoro
del quadrifoglio: mi è parso che si conciliasse molto bene con la metafora
della fortuna di cui sopra.
Inoltre,
ho voluto come sempre dare un piccolo spunto per riflettere: cerchiamo spesso
di cogliere nell’immediato ciò che ci darà salute, ricchezza, fortuna, ma così
facendo, spesse volte depauperiamo l’ambiente attorno a noi di una risorsa
imprescindibile.
Così,
cogliendo il quadrifoglio dal sua campo intessuto di trifogli, sottraiamo un
elegante ricamo che non tornerà più.
Ecco
fatto, come al solito prolisso e logorroico. XD
Ringraziamenti
come sempre a tutti coloro che leggono, aprono e chiudono, si addormentano
davanti alla pagina o si interessano alle poche vicende di questi pochi
fiorellini. MAXI ringraziamenti a coloro che usano un pezzettino del proprio
tempo per recensire.
Siete
gentilissimi, mi fa sempre un gran piacere sentire le vostre opinioni sui miei
schizzi naturalistici. XD
Se
ne sta lì, zitta zitta e perfettamente immobile. Solo ad un’occhiata molto
ravvicinata si potrebbe distinguere una lieve increspatura dell’acqua intorno
alla sua gola enfiata, e solo avvicinandosi ancora di più l’umano sguardo
distratto sarebbe in grado di definirne completamente la forma, tinta su tinta
di verdi marci e tenui nell’umida penombra della riva del ruscello.
La
rana se ne sta lì, statica e silenziosa, ad attendere una mosca o una libellula
peregrina, pronta, attiva e al contempo sonnacchiosa, come cullata dal ritmico
fluire regolare dell’acqua tintinnante intorno a lei.
Nascosta
leggermente tra le foglie sommerse di un ranuncolo d’acqua, la rana vive la sua
vita quieta, senza mai sollevare lo sguardo a penetrare i misteri del mondo.
Si
limita, il nostro anfibio grassoccio, ad esistere.
Ma
il ranuncolo, il ranuncolo che vive con lei e in un certo qual modo la ospita,
la protegge e la avvolge con le sue piccole foglie delicate, bagnate per sempre
dal ruscello, cosa pensa?
Cresce
e slancia il suo stelo filiforme verso l’alto, si tende in direzione
dell’azzurro screziato di foglie, forse? Pensa a questo solo, l’efebico
ranuncolo luccicante?
Ma
è l’acqua il suo elemento vitale, colei che lo nutre e lo coccola, colei che lo
salva dal nulla là fuori e lo fa rilucere sottilmente, lui solo tra gli altri.
Il
ranuncolo figlio dell’acqua, il ranuncolo amico della rana e del rospo, il
ranuncolo anfibio, il ranuncolo misterioso ed antico: vive nel ruscello, e non pensa
a null’altro che alla propria stessa esistenza.
Un
fiore bianco, uno solo, si staglia nell’aria, richiamo forse neanche tanto
appetibile per le frotte operose degli insetti impollinatori. Anche lui, il
fiore, come la rana, se ne sta lì silenzioso ed immobile, attendendo
sonnacchioso l’arrivo di una svolazzante creatura rumorosa, che lo svegli dal
suo timido torpore e lo innalzi a nuova vita.
La
rana si sveglia, si muove. La sua gola si tende, si leva nell’aria bagnata un
gracidio di gioia; un raggio di sole colpisce il ranuncolo.
In
quel momento, la pianta e l’animale, la rana e la sua casa, il ranuncolo e la
sua inquilina, sono un tutt’uno: un vegetanimale maestoso, un tripudio gaudente
di vita comune, un unico inno gioioso all’ineffabile, inesprimibile e nemmeno
pensata grandezza del cosmo.
[376 parole]
Buongiorno,
amati miei lettori!
Dunque,
per questa scheda sul Ranuncolo ho bisogno di fare alcune precisazioni utili.
Innanzitutto,
che c’entra la rana? =) Leggendo sulla mia amata wiki, ho scoperto che il
termine ranuncolo deriva propria dal latino ranunculus, che viene a sua
volta da rana. L’etimologia risale al termine greco batrachion,
(credo che batra significhi per l’appunto rana, per via di una
reminescenza legata alla pseudomerica Batracomiomachia… correggetemi se
sbaglio!). Tutto questo perché molte specie del genere Ranunculus, e in
particolare il ranuncolo d’acqua che ho utilizzato per questa mia scheda,
vivono per l’appunto in ambienti umidi, ricchi di acque sorgive o lacustri, o
in ruscelli dallo scorrere lento (che non sia tanto forte e rapido da
sradicarlo, per intenderci =)).
Orbene,
detto questo e spiegato dunque lo spunto, cercherò di decrittare lo spirito e
la riflessione che ne è scaturita.
Ho
cominciato a scrivere della rana, ferma e tranquilla nel suo ruscellino,
seminascosta dalla pianta del ranuncolo. Mi è poi saltato in mente di provare a
immaginare cosa potrebbe pensare questa famosa rana di sé e del mondo, e ho
convenuto con me stesso che il suddetto anfibio non pensa a molto altro se non
al fatto che esiste.
Insomma,
non fa delle riflessioni teoretiche come le nostre, ma vive serenamente,
insieme a creature del tutto diverse da lei: una tra queste, per l’appunto il
ranuncolo, è il vero soggetto della scheda.
Perché
non chiedersi, allora, quali siano gli argomenti di riflessione del ranuncolo?
Anche in questo caso, tuttavia, ho voluto mantenere il realismo: non volevo che
il pensiero fosse del ranuncolo, ma sul ranuncolo, per cui ho
deciso che anche il ranuncolo non pensa ad alcunché se non a se stesso.
Ma
allora [e questo è uno dei tipici collegamenti senza capo né coda con cui il
mio cervello tende ad affliggermi =)] il ranuncolo e la rana, oltre che dalla
radice etimologica del nome, sono accomunati anche dal modo di vivere la loro
vita, anche se l’uno è un vegetale, e l’altra un animale.
La
questione è stata ritenuta affascinante dalle mie sinapsi, pare, perché da lì
in poi ci che ho scritto è funzionale alle righe finali: la rana e il ranuncolo
si fondono pressoché completamente, in un inno visivo e non meditato alla
meraviglia dell’esistenza.
Sono
diversissimi, eppure simili ed uniti: sembrano contrapposti, ma in realtà
possono essere visti come un vegetanimale (perdonatemi, sono consapevole che il
termine resterà un hapax legomenon =)).
Il
senso fondamentale che tengo a specificare, però, è che tutto questo esiste di
per sé, e non è frutto di un costrutto razionale o di qualsiasi cosa che renda
in qualche modo artificiale questa unione: né la rana né il ranuncolo pensano di
essere uniti, non fanno questioni metafisiche, ma in qualche modo ne
esemplificano una, la più grande: quella sulla vita.
E
non sono organismi simbiotici, badate, perché lì c’è sempre un utile dietro:
loro sono uniti ebasta, mi piace
immaginarmeli così. =)
Ok,
con questo sproloquio vi ho reso partecipi dei miei processi mentali. Sono così
orribilmente contorti, persino quando a rileggerli sono io che li ho scritti e
prima ancora messi in atto in questa balorda scatola cranica, che temo mi
manderete a casa i servizi sociali per la preoccupazione. =)
Sì,
forse sono matto, ma non troppo grave. Non preoccupatevi. =)
Spero
solo che anche voi, come me, siate rimasti un po’ affascinati da questa piccola
grande situazione della natura: e spero avrete la pazienza e la voglia di
dedicarmi un minutino del vostro tempo per farmi sapere che ne pensate.
Per
questa scheda più che per le altre ho forse bisogno dei vostri pareri, come
occasione di confronto. =)
willHole,
che spera di non avervi annoiati a morte, porge intensi sorrisoni =)
Il
monte si erge nel cielo di cristallo, un gigante accasciato e assopito,
racchiuso nel proprio manto di statico gelo. Nulla si muove, sulla cima, e cala
la notte.
Liquide
tenebre ammantano di oscuro riposo la vetta del monte. Una lama di luna,
sottile ed argentea, trae dalla neve di ghiaccio un riflesso siderale di spazio
infinito.
Il
mondo tace, e quel silenzio di nulla crea paura e stupore: è un istante
fremente di lucente terrore.
Poi,
un incanto più puro e terrestre si apre la strada.
Nel
gelo del buio una stella si leva, tinta di bianco e d’azzurro.
Sbocciano
i suoi petali fragili di leonessa bambina, s’alza uno stelo minuto e sconvolto,
ma vivo e solenne nell’immobile gelo.
Dorme
sereno il declivio del monte, mentre le stelle del cielo compaiono rapide,
tutte affannate per ammirare lo spettacolo vivido e vero della propria sorella
infine sbocciata.
[147 parole]
La
stella alpina, che nasce nel gelo dei monti, porta con sé uno spettacolo ancor
più profondo ed incantevole del gelo lunare. Ciò che mi premeva sottolineare è
il fatto che ciò che abbiamo qui sulla terra, la vita, anche nelle sue
manifestazioni più elementari, è un caso così straordinario e meraviglioso che
supera di gran lunga tutti gli altri spettacoli del cosmo.
La
luna genera un riflesso di spazio siderale, un istante magico e bellissimo: ma
tutto è freddo, gelido e inane, proprio perché manca quel soffio vitale, quel
senso così terrestre, cosìnostro, del
miracolo della vita.
Sento
profondamente il concetto che ho tentato di esprimere nella scheda, e che sto
tentando di decrittare in queste note. Mi provoca un senso di ammirazione
profondo, quasi di orgoglio, il far parte di questo meraviglioso ed intricato
meccanismo che continua a trasformarsi e migliorarsi da migliaia di anni.
Una
roccia o un pianeta o una stella, per quanto grandi, maestosi o splendidi che
siano, non raggiungeranno mai la bellezza sublime di un piccolo fiore soggetto
allo splendore unico della vita.
Voi
che ne dite? =)
Particolare
curioso: nella scheda, chiamo la stella “leonessa”. No, non sono impazzito –per
lo meno, non del tutto. XD Il paragone deriva dal nome scientifico della
pianta, che significa “piedi di leone”.
I
botanici del passato ritenevano che il fiore in questione assomigliasse per
l’appunto agli arti di un leone. Magari i matti sono loro, ma l’espressione mi
piaceva, e così ho deciso di utilizzarla nel mio scritto.
Fatemi
sapere cosa ne pensate di questa Stella alpina, allora! =)
Tulipano
Turco e d’Olanda, tulipano dragone, tulipano bizzarro! Turbante imperiale di
granati e rubini, lucente drappo di seta riavvolto e piegato sul capo; gloria
sublime del sultano, ornamento e decoro vivente dei grandi giardini.
Tulipano
d’Olanda, tulipano europeo dei ricchi banchieri; tulipano del lusso sfrenato,
dell’oro trasmesso, del mercato feroce. Tulipano dai mille segreti e dalle
storie infinite, dagli stami celati e dai riflessi cangianti, salute a te!
Salute
a te, crudele amore impossibile, salute a te, cristallo di sangue scolpito.
Ogni tuo petalo
è
una stilla
dolente
del mio sangue
sprecato.
[92 parole]
Il
tulipano trae il suo nome dall’equivalente turco della parola turbante, forse
per la sua forma che in qualche modo ricorda tale copricapo. La sua storia è
antichissima, e coinvolge prevalentemente la Turchia, sua vera patria, e
l’Olanda, una sorta di premurosa madre adottiva. Premurosa sì, ma per
arricchirsi: è proprio dal lucroso commercio dei tulipani che, così wikiwiki,
si generò la prima bolla speculativa della storia. Insomma, un fiore simbolo
del lusso per gli europei del Seicento, mentre in Turchia cresceva rigoglioso
nei giardini del sultano.
I
Dragoni e i Bizzarri sono due varietà di tulipano, mentre la micropoesiola
finale fa riferimento alla leggenda eziologica dei tulipani: essi sarebbero
nati dal sangue di un giovane uccisosi per amore.
Ecco
perché in questa mia scheda ho fatto riferimento soprattutto ai tulipani di
colore rosso, che meglio rispondevano alla leggenda che ho adottato. =)
Ok,
ho detto tutto. Come sempre non mi stanco di ringraziare coloro che leggono –se
qualcuno legge ancora queste piccole schedine! =)- e, nel mio spirito venduto,
anche di elemosinare qualche parolina di commento…XD beh, non sono
indispensabili, questo lo riconosco: ma fanno sempre un grandissimo piacere! =)
Un
becco d’airone su un lungo collo arcuato, lievemente flesso verso di te in una
curva sottile e invitante.
Suadente
e delicato, eccolo che si tende allo stormire della brezza leggera, eccolo che
avanza sempre più, dondolando dinoccolato nel suo verde carnoso.
Un
becco d’airone ricolmo di fiamme cangianti, che rifulgono, sorridono,
risplendono, ardono nei loro riflessi aranciati e bluastri, rossi e azzurrini.
Un
eterno ciclo di sequenze sempre ripetute, e sempre diverse, fornisce la prima
scintilla per quel paradisiaco incendio, che brilla poi inesausto fino alla
fine, bruciante di desiderio.
Un
becco d’airone che si tende verso di te, lievemente teso ad offrirti le sue
molteplici lingue di fuoco, per scaldarti -o incenerirti?-nel
nulla estatico di un momento di pura bellezza.
[123 parole]
La
metafora sembra in questo caso abbastanza trasparente, per cui comincio subito
a occludermi i flussi della logorrea, lasciando a voi lettori il compito di
dirmi che ne pensate.
Un
grazie, doveroso, a chi mi ha permesso di superare quest’ennesimo piccolo
scoglio della temibile lettera U: grazie a JoMark, alla sua mamma e al loro
librone dei fiori =)!
C’è
un pensiero reciproco che è ricordo comune e riflesso perduto.
Un
pensiero che è brusco rimprovero, tintinnante risata, discreto consiglio.
Un
ricordo di sorrisi sbocciati e pianti traditi.
Una
lacrima persa tra il verde e l’azzurro, un morso alla mela, una parola vergata.
C’è
la memoria nascosta di eventi celati, e il nastro sottile di giallo e di viola
che dorme sepolto tra le carezze e il profumo dei fiori.
E
c’è il piccolo nulla dell’assenza, e il grande tepore della protezione, il muto
dolore dell’ira e il vociante sole dell’amicizia.
Il
ricordo è un riflesso mille volte ridipinto di quotidiana condivisione.
Un
cristallo nascosto tra l’edera e il sambuco è la memoria infinita dell’uomo. Un
pensiero trasfigurato in fiore, vibrante di sfumature vivaci, splendente di
vita e di tristezza, luccicante di morte e di armonia.
[137 parole]
E
con questa scheda, arrivati finalmente alla lettera V, ci apprestiamo alfine
alla conclusione di questa epopea :) In questa scheda, come ultimamente capita,
più attenzione al concetto astratto che al fiore, che sembra – o dovrebbe
sembrare- una sorta di concretizzazione dell’astratto, un simbolo, insomma.
Spero abbiate apprezzato questa penultima circonlocuzione floreale XD
Grazie
come sempre a tutti quelli che leggono e hanno voglia di farmi sentire il loro
parere su queste mie schede dalla gestazione infinita: mi fa sempre piacere
pensare che qualche lettore ci sia :)
Per
la lettera Z ho due alternative: zenzero o zafferano? Se lo zenzero non fa
fiori (cosa che chissà perché mi sento di supporre), fatemelo sapere: mi
faciliterete la scelta! :) Altrimenti, via al televoto.
Un
fiorellino violetto, minuto e snello come un bimbo ridente, tentenna il capo
elegante in cima ad uno stelo sottile. Le foglie che lo circondano sono alti
cortigiani flessuosi, dinoccolati e magri come scheletri dondolanti. Proteggono
con lievi movimenti ondulati il segreto celato in mezzo al sestetto di petali,
lo accarezzano sornioni nella danza delicata del vento.
Al
centro s’illumina di dorato fulgore un minuscolo e solenne gruppo di savi: tre
stimmi lucenti d’arancio e di giallo si abbracciano e baciano sul polveroso
tappeto di polline, intrecciano le teste cariche di pigmento, oscillano e
immaginano colori infiniti e steppe bruciate. Tre soli segreti, tre tesori
celati d’oro nascosto.
Tutta
la pianta esiste per loro, li venera e li protegge, pronta e sollecita ad ogni
loro capriccio. Sono i re del giardino, i signori dell’orto, i monarchi tirannici
che rendono servi anche gli uomini.
Ah,
gli uomini! Sono loro che hanno curato lo zafferano lucente, che l’hanno
elaborato e cambiato e mutato, sfuggendo al volere di madre natura. Sono loro,
gli uomini arditi, che hanno reso la pianta regina di luce, delizia dei palati
e signora delle cucine eleganti.
Ma
qualcosa è accaduto, qualche tassello nel grande mosaico si è spostato: e lo
zafferano signore e padrone di cuochi e gran dame, nulla può fare per
continuare ad esistere.
Ha
perso il potere di perpetuarsi: affidato alle labili e incerte cure dell’uomo,
ecco lo zafferano ridursi, sminuirsi, cancellarsi.
Un
sovrano sbiadito, un affresco scomparso, un fanciullo spaurito.
Tre
soli di pallido nulla accoglie nel cuore, tre soli di puro colore crudele, di
inutile sfarzo, di cieco terrore.
E
lo zafferano,
lentamente,
scompare.
[271 parole]
Ok, piccola spiegazione necessaria
di fine capitolo.
Lo zafferano ha un piccolo fiore
viola intenso, che visto in foto mi ha dato l’impressione di essere piccolo e
fragile, da cui l’immagine del fanciullo smagrito.
Il pigmento che tutti conosciamo
viene ricavato dagli stimmi, che sono in numero di tre e hanno una bella tinta
arancio acceso. Le foglie sono lunghe lunghe e
sottilissime, tanto per spiegare gli scheletri dondolanti :)
L’amica wiki
mi ha poi informato che lo zafferano non può riprodursi, e le coltivazioni
sfruttano, da quanto ho capito, lo clonazione del bulbo. Un dettaglio che mi ha
incuriosito, e spinto a partire per una delle solite elucubrazioni. La
conclusione è quella che leggete: lo zafferano signoreggia per la sua rarità e
il suo ruolo nei gusti umani, ma per ottenere un simile posto, in apparenza
assai privilegiato, ha dovuto rinunciare alla sua connotazione stessa di “individuo”.
Incapace di perpetuare la specie, si trova costretto a vivere dall’uomo e per l’uomo,
fatto che, se mi permettete questa continua prosopopea della povera pianta, le
sottrae il bene più prezioso fra tutti: la libertà.
E ora…
Piccole riflessioni finali sulla parata di fiori! (visto che De NaturaeMagnificentia nella
sua complessità NON è finito XD).
Innanzitutto, sì, lo ammetto. Sono matto a trasporre delle
riflessioni sull’umanità su questi poveri, piccoli fiori indifesi. Me ne sono
reso conto con una certa dose di sicurezza. ;)
Ma pazienza, perché sono contento di aver scritto queste cose, e contento di essere riuscito ad
arrivare –con i miei tempi, s’intende- alla fatidica fine dell’alfabeto. =)
Detto ciò, sono strafelice che qualcuno – come la mitica e mai
ringraziata abbastanza Ninfea- sia giunta a questo punto, costante lettrice,
assidua commentatrice e impareggiabile interprete di questi miei bizzarri
schizzi naturalistici. Grazie, grazie, grazie! :)
E ora (bis), udite, udite, un piccolo prospetto di quanto accadrà
in futuro alla mia raccolta prediletta (in quanto unica, ovvio :D).
Ho tre capitoli da pubblicare, credo in quest’ordine:
-Ballata di
una foresta bambina, poesiola stranetta scritta per il
concorso di Eylis “La Foresta e… la Bambina”
-Quel giorno,
il tramonto, microracconto autoconclusivo nato al
corso di scrittura creativa della scuola sul tema “La svolta”
-Paradeisos, descrizione di un giardino (sempre risalente alla scrittura
creativa scolastica) che sintetizza un po’ il mio senso della natura.
Con l’ultimo scritto, l’idea di un punto fermo alla raccolta c’è,
anche se, naturalmente, l’idea
di proseguire a tempo indefinito c’è pure lei XD
A parte questo sgrammaticato gioco di parole, effettivamente non
so quando e come mi fermerò: se mi verrà l’estro(e temo che una simile evenienza non sia da
escludere :D), potrei scrivere ancora molto altro che canti le lodi della
nostra bellissima natura.
Dolce respiro di rami fruscianti
al ritmo cadenzato del vento.
Sottile ed eterea malinconia,
magica, possente armonia,
leggero soffio di leggera vita
potente abbraccio di difesa
turrita
fatta di rami, di foglie e sangue
città amata, foresta che ormai langue.
Lieve vibrare di candide membra al
soffio vitale del fiato.
Mio piccolo cuore adorato,
fiore dallo stelo sottile, arcuato
ancora tu vivi, ancora tu pensi
o amato, bramato connubio dei
sensi!
Mio piccolo, amato boccio di rosa,
tu vivi, vivi, vivi per me senza
posa!
Dolce vibrare di candidi rami
brucianti al ritmo vitale del vento!
Io sono
una foresta.
E io sono una bambina.
Io
esisto.
Io vivo.
Noi siamo.
Insieme.
Un raggio di luce,
un soffio di sole
mi culla.
O sublime, vitale desiderio di
melanconico nulla!
Io sono una foresta bambina,
io sono una bambina foresta.
Io ho milioni e milioni di anni,
io sono giovane come la pioggia
argentina.
Io sono una bambina foresta,
io sono una foresta bambina.
Io sono forse niente,
ma forse io
sono anche tutto.
La vita non può far altro che
unire.
Questa piccola poesiola -che forse sa un po' di filastrocca, lo riconosco, è stata scritta per il concorso "La Foresta e...la Bambina", indetto da Eylis sul forum di Efp, all'interno del quale si è classificata sesta.
All'epoca avevo prodotto una logorroica introduzione per lei, ma ora, nella mia neonata sintesi (che molto spesso resta comunque piuttosto astratta :)), mi sembra basti così.
Nel caso vi interessino delucidazioni su come è nata, o sul significato che volevo darle -so che è delirante, non temete XD- non esitate a chiedere: sarò ben felice di rispondere. :)
Il giorno che cambiò la mia vita,
salii sulla collina dell’olmo. Era un pomeriggio d’estate come tanti,
soleggiato e afoso, e il confortante e monotono brusio delle cicale permeava
l’aria. Salii sulla collina soprattutto perché non ci andava mai nessuno, e
così potevo sedermi ai piedi dell’alto tronco e pensare in libertà, ma anche
perché l’olmo offriva una gradevole frescura, e sarebbe stato un bel sollievo
goderne per un po’.
Arrivato in cima, sedetti a terra,
con la schiena ben appoggiata alla ruvida corteccia, e chiusi gli occhi.
Incredibile come, non appena escludevi la vista, tutti gli altri sensi
facessero a gara per trasmetterti le più disparate sensazioni: sentii con
precisione i cinguettii dei passeri, da qualche parte sopra la mia testa, e
avvertii distintamente le singole incisioni sul fusto dell’olmo, ciascuna
diversa da tutte le altre. Mi lasciai cullare dal frinire dei grilli e, a poco
a poco, mi addormentai.
Quando mi svegliai seppi, con
assoluta certezza, che stava per succedere qualcosa di straordinario. Aprii gli
occhi con un senso indefinibile di aspettativa, e, per quella che mi parve la
prima volta, vidi il mondo.
Eppure, tutto era esattamente come
in qualsiasi altro giorno: l’olmo svettava dalla cima della collina come
sempre, e il sole si ritirava dietro la lontana collina dell’orizzonte come
faceva da migliaia e migliaia di giorni. Ma qualcosa, quel giorno, rendeva il
tutto meravigliosamente magico, come se un qualche potente stregone avesse
gettato un incantesimo su quell’istante di pura bellezza, e l’avesse
accresciuta, e preservata, perché anch’io potessi ammirarla.
Sotto i miei occhi rapiti, il cielo
oltre le fronde dell’olmo mutò, si tinse di un rosso bruciante che subito
trascolorò in un arancione più tenue, mentre ogni cosa sembrava accendersi e
ardere di una propria, sfolgorante luce ambrata.
Feci spaziare lo sguardo per tutta
la collina, e fu come se fossi partecipe della sua vita ancestrale, del suo
lento e solenne respirare, dei suoi pensieri antichi come le ossa della terra.
Mi parve di comprendere, in un unico istante, l’essenza stessa del mondo, la
grandezza del dono della vita, la bellezza e lo splendore del creato.
Compresi e gioii dentro di me, e
tutto si fuse in quell’unico istante di maestoso e quotidiano fulgore: il
cielo, la terra, l’olmo, la collina, la luce sfavillante del sole morente.
E fu così che laggiù, oltre la
collina, oltre il villaggio, oltre il mare, oltre tutte le terre, il sole
tramontò.
Aspettai ancora un istante, poi
discesi il dolce declivio della collina, e andai a casa.
Storiella
risalente a due anni fa, scritta come accennavo in precedenza, per il corso di
scrittura creativa organizzato dalla mia scuola. Il tema era “La svolta”, da
intendersi in ogni possibile senso: e questa ne è stata la mia personale
interpretazione. Intimamente consapevole, per l’appunto, della magnificenza
della natura.
È, questo mio giardino, un tripudio
arabescato di viridee tonalità diversamente
echeggianti, un trionfo, se così si può dire, di sfumature variamente
indefinite, che spaziano in un conciso universo di verdi distinti.
C’è il verde denso e fresco del muschio
sulle rocce sbreccate che delimitano le aiuole, sul muro di cinta, alto, che lo
esclude dal mondo. C’è il verde
discreto, quasi invisibile, della lieve mentuccia aromatica; il verde solenne,
pregno di clorofilla vitale, delle foglie cuoriformi del tiglio. C’è, poi, quel verde pieno di indefinibile
tepore dell’erba assolata, il verde lieto e fugace di ogni stelo accarezzato
dalla brezza leggera, che accoglie e abbraccia il microcosmo dei celeri insetti
operosi. C’è il verde gioioso delle spesse
foglie dell’ortensia fiorita; il verde dell’alloro, lucido e perfetto; il verde
degli aghi del pino, resinoso e sottile.
Ci
sono, tra i verdi infiniti, macchie delicate di variopinta eccentricità.
È,
questo mio giardino, un affastellarsi continuo di raffinate corolle che
s’aprono al bacio del sole e delle api mellifere, un aperto mostrarsi alle loro
frotte che s’avvicinano alla creativa eleganza dei fiori, e suggono il nettare
con voluttuosa indifferenza.
Sono,
i miei fiori, tratti puntigliosamente definiti dal magico pennello di un
artista celeste, che fa sfoggio della propria abilità ricreandoli ogni giorno
di un nuovo fulgore, ammantati della propria multiforme unicità.
C’è
il piccolo mughetto, bianco e minuto, che sembra quasi scomparire tra l’edera e
le primule vividamente dipinte. C’è l’ortensia, omaggio al puntinismo, densa
infiorescenza sferica dolcemente suddivisa in milioni di petali, vanto di un
caotico cespuglio.
C’è
il glicine, cornucopia viola di doni che impavido getta le sue microscopiche
sacche rugiadose giù dai rami aggrovigliati ai mattoni, quadro lilla stagliato
sul rosso spento del muro. C’è la grande e rara meraviglia del candido fiore
dell’antica magnolia, che appare tra le fronde come un puro miraggio di petali
carnosi, seminascosto dal fitto fogliame.
È,
questo mio giardino, un’incauta miscela di linee profumate, un sollievo
fragrante al tremendo fragore che inesorabile sopravanza, un bouquet di
floreale armonia compositiva, melodia che le note odorose tessono nell’aria
satura.
Dolce
e insistente è il profumo di una rosa appena sbocciata; chiaro e nitidamente
fresco quello della forsizia con il suo giallo
piumaggio florescente; avvolgente e inebriante
l’intenso aroma di una gigantesca peonia in fiore, che aleggia da ogni strato del
suo elegantissimo abito di serici petali.
C’è
l’afrore sibillino di un giglio maculato, ambrato come la linfa del pesco; c’è
la pulita morbidezza della lavanda frusciante; c’è il tangibile aleggiare
dell’afrodisiaco richiamo olfattivo delle orchidee, damigelle danzanti nella
nera foresta.
È,
questo mio giardino, un suadente invito alla contemplazione, una profonda e
intricata prospettiva del mio io più vero, contorto quanto le arboree e
intricate ramificazioni del glicine e della forsizia,
unico quanto il singolo fiore che nasce su un ramo, infinito e vario come il
verde della natura.
Arabesco
antico e vivido di luci e ombre nette e distinte, creato soffuso di arcaiche ed
elementari sfumature, lucente splendore di immensa complessità.
È,
questo mio paradiso, l’arzigogolata proiezione della mia mente nel mondo.
Qui si conclude De Naturae Magnificentia, raccolta che mi ha accompagnato per ben due anni esatti di vita.
La data di oggi non è casuale: è il 22 aprile, giorno che coincide con quello di pubblicazione, ed è soprattutto, come ogni anno, la Giornata della Terra.
Una grandiosa iniziativa globale per salvaguardare il nostro magnifico pianeta, con le sue bellezze e le sue meraviglie che spesso dimentichiamo.
Qui, nel mio piccolo, ho cercato per l'appunto di celebrare alcune di queste meraviglie: e sperando che vi abbiano lasciato un pizzico di me, vi saluto tutti con un grande metaforico abbraccio.
Grazie di aver letto, e grazie di avermi fatto sapere che ne pensate dei miei piccoli scritti. Grazie di tutto :)
Se un'ispirazione naturalistica colpirà ancora, bè, quella sarà l'occasione di iniziare un'altra raccolta: del resto, il mondo è così immensamente vario, così straordinariamente unico e splendido, che è impossibile non ammirarne la magnificenza.
willHole