Rose blu

di jamesguitar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I ***
Capitolo 3: *** II ***
Capitolo 4: *** III ***



Capitolo 1
*** Prologo ***




Rose blu
 
Prologo

Quel giorno il cielo era di un azzurro particolare, un po’ smorto, quel colore che non può renderti felice né triste, perché non ispira nulla. Non trasmette gioia e nemmeno tristezza, resta anonimo.
Era così che si sentiva Teresa quella mattina; la ragazza semplice, dai capelli ricci e scuri, preparava le sue valigie senza battere ciglio. Non ascoltava le parole di Marco che giungevano alle sue orecchie ovattate e incomprensibili, le preghiere, le scuse patetiche che uscivano da un ragazzo altrettanto ridicolo. Sembrava che fosse sola nella stanza mentre riponeva gli abiti e gli effetti personali nella valigia verde acido con una calma impressionante e quasi innaturale.
Lanciò un’occhiata al letto sfatto su cui poco priva aveva visto l’ultima cosa che avrebbe voluto, poi si rese conto che sopra c’era ancora il bracciale d’oro chiuso in una scatola e le sfuggì un sorriso amaro: quella ragazza stupida e illusa non si era nemmeno degnata di portarlo via con sé.
Teresa si allontanò, diretta in salotto, e nel percorso recuperò le ultime sciocchezze che le appartenevano: qualche foto e i libri che ancora non aveva raccolto. Marco continuava ad urlare con quella voce che aveva finito per darle a noia, specialmente in quel momento, specialmente dopo ciò che era arrivato a fare.
La ragazza chiuse la valigia e la sacca che aveva preparato. Ricordava bene il giorno in cui si era trasferita con Marco in quella casa nel centro di Roma: gli aveva detto che la sua vita era racchiusa in quei bagagli e nell’amore che provava per lui; quell’amore che era lentamente svanito e aveva lasciato posto alla sofferenza.
Si girò finalmente a guardarlo e lui, qualsiasi cosa stesse dicendo, tacque. Teresa lo osservò e sentì le lacrime pizzicarle gli occhi; non perché fosse triste, non lo era, ma perché quel viso, quei tratti gentili, quegli occhi color nocciola, le ricordavano quello che erano un tempo. I jeans consumati della Levis appena indossati, quel petto su cui si era appoggiata durante pianti interminabili, erano l’unica cosa familiare che le era rimasta.
«Possiamo sistemare tutto» Marco ebbe il coraggio di prenderle il braccio, e in quell’istante Teresa pensò davvero di avere dubbi. Guardò i bagagli ai suoi piedi, rialzò lo sguardo verso di lui e provò ad avere speranza, a cercare quel briciolo di fiducia in lui che poteva essere sopravvissuto; ma dalla porta era appena uscita quella donna, il pacchetto sul letto era il regalo più bello che una persona innamorata potesse ricevere, e Teresa si rese conto che si era già dissolto.
«No, non possiamo» disse, e stranamente la sua voce fu ferma, così tanto che Marco non ebbe più il coraggio di replicare. Lasciò la presa e Teresa ne approfittò per afferrare i bagagli una volta per tutte; camminò verso la porta e si impose di non voltarsi, anche se era difficile, anche se strane sensazioni le stringevano il cuore. Si fermò un secondo sull’uscio, ma dopo aver preso un respiro profondo finalmente uscì da quell’appartamento con un affitto troppo alto per lei, uscì trattenendo le lacrime che la imploravano di essere liberate.
Prese la metro in direzione della casa in cui abitava un tempo senza neanche pensarci, e una volta seduta, con le valigie tra le gambe e la borsa stretta al petto, si concesse il lusso di piangere. Teresa non era affatto triste, o sorpresa: i comportamenti di Marco degli ultimi tempi avevano reso la situazione evidente ad una ragazza sveglia come lei, e il suo amore per lui non era più quello di un tempo. Sapeva che sarebbe finita, era giunta a quella conclusione mesi prima; perciò, sebbene non fosse felice, non era neanche triste.
L’emozione che le stringeva il cuore era un’altra, ma non sapeva identificarla bene. Poteva essere nostalgia per la vecchia Teresa, quella che provava amore vero e puro, che non faceva nulla come lo fanno gli adulti, con monotonia e tristezza, ma con sincerità e curiosità; oppure poteva essere un odio verso se stessa, per quell’apatia che aveva sviluppato piano piano e che era arrivata a divorarla dall’interno, che con una ferocia indistinguibile aveva cambiato Teresa e ogni cosa che le apparteneva. Poteva forse incolpare Marco di questo?
Impose a se stessa di smettere di piangere, e lo fece. Sentiva lo sguardo delle persone addosso e non gliene importava nulla. Si vide dall’esterno, o almeno ci provò: era una situazione vista e rivista, quasi patetica. Anni prima non avrebbe mai pensato di arrivare a quel punto, e se lo avesse pensato non credeva che sarebbe stata proprio quella con Marco la relazione distrutta, quella che all’inizio sembrava essere la più perfetta e che si era rivelata un disastro.
 
«Prossima fermata, Battistini» dopo venti minuti passati a fissare il vuoto arrivò il momento di scendere, e Teresa non aveva la più pallida idea  di cosa sarebbe successo.
Una volta scesa sulla piattaforma, con i bagagli in mano e i capelli scompigliati dal movimento d’aria del treno, non seppe che cosa fare. Si sentì improvvisamente molto sola, persino priva dell’autocommiserazione e della nostalgia di un attimo prima; per una volta si domandò davvero che cosa ne sarebbe stato di lei, una ragazza in mezzo a sei miliardi di individui, senza nessun talento che potesse esserle utile, in una città così grande, senza una casa e con quel caratteraccio che la distingueva dagli altri.
Teresa era convinta del fatto che tutte le storie comincino da un luogo. Che sia un luogo a caso, oppure uno che dall’inizio ci trasmette determinate emozioni, non fa differenza; parte tutto da lì. Sapeva che tutti iniziano a vivere più o meno negli stessi posti, ma ci teneva a distinguere la vita dalla propria vita. Una delle poche certezze che aveva era che sono due cose diverse: tu vivi, vivi e vivi ancora, la tua patetica e insulsa esistenza va avanti; può farti soffrire e renderti felice, ma non importa, perché prima o poi arrivi in quel luogo, figurativo o reale, a caso o speciale che sia, in cui tutto diventa diverso. Può cambiare qualcosa dentro di te, può succedere qualcosa di brutto o bello, fatto sta che in quell’istante comincia la tua Storia. Essa è diversa dalla vita nella sua semplicità, diversa da qualsiasi cosa ti sia successa prima; il tuo cuore inizia a battere ad un ritmo diverso, le tue giornate hanno un sapore mai sentito, cambiano i colori del cielo che ti sovrasta.
Su quella piattaforma della metropolitana di Roma, qualcosa cambiò dentro Teresa. Cominciò la sua Storia.

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Capitolo 2
*** I ***




Rose blu

I

Teresa cercò di pensare bene alla cosa giusta da fare. Dove poteva andare? I genitori vivevano a chilometri di distanza da lei, e anche se fossero stati vicini sarebbero state le ultime persone che avrebbe chiamato; non aveva praticamente niente con sé, nessun amico sincero, nessun risparmio sufficiente a permetterle una sistemazione temporanea. Afferrò il cellulare ed iniziò a scorrere la rubrica, pensando a chi potesse essere disposta a darle una mano. Non trovare nessuno la fece quasi ridere di un’amarezza ormai familiare: si era spinta fino a quel punto?
In quell’attimo, la sua attenzione fu catturata da un nome: Francesca.  Non le parve strano trovare quel nome senza cognome, non aveva mai avuto il coraggio di cambiare in modo in cui la aveva salvata, non dopo il modo brutale in cui la vita le aveva separate, e forse non lo avrebbe mai avuto. In quella situazione, tutto il male che so erano fatte scomparve. Teresa aveva bisogno alla cosa più simile all’amore che conoscesse, e quella cosa era lei, l’ombra del suo passato che tornava a bussare alla sua porta nel momento in cui più aveva bisogno di qualcuno che le ricordasse chi era.
Per questo la ragazza si fece coraggio e la chiamò. Ci furono molti squilli a vuoto, durante ai quali la ragazza cominciò a percepire l’arrivo della tristezza, quel mostro che la sua apatia aveva cercato di allontanare e che non avrebbe mai più voluto incontrare.
«Pronto?» per un secondo Teresa restò in silenzio, assimilando la sensazione che la familiarità di quella voce provocava in lei, e fu allora che una lacrima, lenta e solitaria, scivolò sulla sua guancia. «Hey, io…» cercò di trattenersi dal lasciar andare tutte quelle emozioni, «Scusami, non ti disturberei se non avessi davvero bisogno di un’amica»
Il silenzio dall’altra parte la spaventò; i capelli di Teresa furono scompigliati dall’arrivo di un altro treno, e una seconda lacrima volò distrattamente con lui mentre la ragazza sentiva di nuovo sensazioni assurde, che mai avrebbe pensato di provare ancora, non dopo tutto quel tempo. «Cosa è successo?» chiese infine Francesca, con un tono che sapeva di fastidio, ma anche di stupore e di emozione trattenuta a fatica.
«Non ho più un posto dove andare» Teresa lo ammise con la consapevolezza che quella che un tempo era la sua migliore amica avrebbe potuto riagganciare, sapeva che ne avrebbe avuto tutto il diritto, ma in fondo sperava che il suo carattere gentile e generoso vincesse su tutto.
«Adesso sono a casa. Vieni da me e resta finché non troverai un’altra sistemazione, okay?» Francesca voleva essere fredda, ma le sue parole nascondevano una traccia di amore che turbò l’animo di Teresa. «Grazie» disse quindi lei, senza nient’altro da aggiungere.
 
 
Quando Teresa si trovò davanti al portone di casa della ragazza, fu assalita da una sensazione che credeva di aver perso: ebbe paura. Paura di rivedere Francesca, e trovarsi inevitabilmente faccia a faccia con quello che era successo anni prima. Fino a quel momento era sempre scappata da ciò che aveva fatto e che le era stato fatto in quella circostanza; non aveva mai affrontato Francesca o chiunque altro fosse coinvolto, se ne era semplicemente andata dalle loro vite, acciecata dal dolore, senza volerlo sopportare fino alla fine, anche se forse sarebbe servito a sistemare le cose.
Suonò al citofono di Francesca con timidezza, prendendo un respiro profondo. In fondo, cosa poteva succedere? Lei non era un tipo da scenate, sarebbe bastato evitare di parlare dell’accaduto, spiegarle la sua situazione amorosa e economica… o forse no. Sicuramente no.
Il portone si aprì e Teresa salì lentamente le scale, impiegandoci più tempo possibile. Per una volta desiderò che quel secondo piano fosse un sesto; aveva lo stomaco attorcigliato dal terrore e dal dolore di una volta che cominciava a tormentarla. Ma non poteva permetterlo, doveva mantenere il sangue freddo come aveva fatto per anni, o non sarebbe uscita viva da quella situazione.
 
Francesca la stava aspettando con la porta aperta, cosa che Teresa non si sarebbe mai aspettata. Entrambe restarono per qualche secondo immobili a guardarsi su quel pianerottolo spoglio, senza dire una parola: cosa potevano dirsi? Tante cose, forse, ma nessuna delle due sapeva da dove cominciare, e soprattutto nessuna delle due aveva voglia di provare a ricominciare; non ancora. E allora a che servivano le parole?
«Ciao» disse infine Teresa, con un tono quasi colpevole, spostando il peso da un piede all’altro ed evitando di guardare l’altra negli occhi.
«Sei salita a piedi con quelle valige?» Francesca le fece cenno di entrare in casa; Teresa deglutì e fece un passo dentro quella dimora, pensando a quanto tempo ci aveva passato per anni, a quanto le fosse mancata e a quanto le ci fosse voluto per accettare il fatto che non ci sarebbe più stata.
«Tendo a diffidare degli ascensori» disse la prima cosa che le venne in mente, perché Volevo metterci più tempo possibile non sarebbe suonato poi così bene.
 
«Capisco…» Entrambe evitavano di guardarsi «Vieni, lascia le valige nella camera degli ospiti e poi raccontami tutto quanto»
La ragazza aprì la porta della stanza e accese la luce; mille ricordi si accavallarono nella mente di Teresa, che cercò di restare lucida e di non maledirsi per aver chiamato proprio quell’ombra del suo passato. Lasciò la valigia accanto al letto e si accorse che Francesca era già diretta verso la propria stanza, quindi si affrettò a raggiungerla.
Camminarono in silenzio fino a due porte più in là. Teresa cercò di preparare il suo cuore alle emozioni che quella camera le avrebbe fatto provare, ma non ci riuscì: entrare lì dentro fu l’ennesima percossa alla sua anima, al suo castello di carte che era prossimo a crollare. Era stato difficile accettare che non avrebbe più dormito fra quelle lenzuola, cucinato la pizza una sera a settimana, guardato serie tv sul divano in pelle e giocato a carte sulla moquette della stanza dell’amica. Eppure era tornata, e faceva ancora più male di andare via.
Francesca si sedette sul letto e con calma Teresa la seguì, tenendo lo sguardo basso.
 
«Allora… hai detto che avevi bisogno di me. vuoi spiegarmi cosa cavolo è successo?» entrambe sapevano che se si era spinta a quel punto era per qualcosa di grave.
Teresa allora si fece coraggio e alzò gli occhi, tenendo testa a quello sguardo di ghiaccio che la aveva sempre messa in soggezione. «Beh, diciamo che il mio mondo mi è appena crollato addosso» disse, e fece un sorriso amaro, provando a cercare quella complicità che avevano sempre avuto. Ma, ovviamente, non la trovò.
«In che guai ti sei cacciata?» Teresa si lasciò scappare una risatina, e in quell’istante una terza lacrima la accarezzò; era l’ultima cosa che volesse, piangere davanti a Francesca, ma non riuscì a trattenersi. Si maledisse e abbassò di nuovo i suoi occhi marroni.
 
«Marco mi ha tradita con la sua istruttrice di palestra» disse infine «Ma, sai, non è soltanto questo. Credo che tu possa immaginarlo». Calò un silenzio tombale, che scosse entrambe in un modo che non provavano da anni. Certo che poteva immaginarlo, lo aveva predetto tanto tempo prima, e Teresa la aveva mandata al diavolo per questo.
«Avevo detto che non ti avrei consolata in quel caso…»
«Eppure eccoti» Teresa alzò lo sguardo verso di lei «Eccoci qui, Francesca»
 
 
Quella mattina di Dicembre il vento freddo pizzicava le guance e il collo di Teresa, che camminava veloce tra la folla, ignorando le urla dell’amica dietro di lei. Francesca le urlava di fermarsi, di aspettare e riflettere, ma lei aveva già le valige in mano e non aveva nessuna intenzione di ascoltare nessuno, neanche la sua migliore amica.
Non sapeva cosa le fosse successo: dentro di lei era cambiato tutto in un batter d’occhio, i mesi si erano trasformati in minuti di fronte a quella trasformazione che la aveva presa dall’anima e aveva sconvolto tutti i suoi piani, tutte le sue certezze, tutte le sue paure.
«Cazzo, Teresa, fermati e ascoltami un secondo!» la ragazza riccia si fermò, piena di dolore e di rammarico, e si voltò.
«Cosa vuoi che ti dica, Francesca? È tutto quanto assurdo! Non sono più la benvenuta qui, né per te, né per nessun altro» sentì la propria voce spezzarsi mentre pronunciava le ultime due parole, ma ordinò a se stessa di mantenere quell’indifferenza che negli ultimi tempi le era stata utile.
«Nessuno? Qui sei tu quella a cui sembra non importare niente di tutti, lo sai? Vai avanti così da mesi, non importa quanto cerchiamo di aiutarti, ti sei chiusa in te stessa e non c’è verso di farti tornare quella di prima!» il dolore nella voce dell’amica era evidente, ma Teresa lo ignorò.
«Hai pensato che forse non voglio tornare quella di prima? Che potrei aver cambiato interessi? Che mi stia bene questo improvviso cambiamento avvenuto sia nei miei sentimenti che nei vostri?»
Gli occhi di Francesca espressero tutto il disappunto che provava. «E quindi cosa pensi di fare? Correre dal belloccio che ti aspetta, il cambiamento che ti piace tanto? Sei sicura che questo non sia solo il tuo modo di scappare da te stessa?»
«Che fai, mi psicanalizzi?» Teresa alzò gli occhi al cielo «Lui è l’unico a cui davvero importi di me, e l’unico di cui a me importi in questo momento» non era vero, e nel profondo lo sapeva anche lei, ma in quell’istante disse a se stessa che era la verità. In quell’istante ci credette, e rovinò tutto.
«Se vuoi crederlo davvero, fai pure» Francesca indietreggiò di un passo «Ma non venire a piangere da me quando ti sentirai vuota dentro, perché non ti aiuterò e non ti consolerò»
«Vaffanculo!» Teresa si girò a trascinò la sua valigia giù per la metro, in direzione di quello che credeva essere l’unico che l’amasse.
 
«In ogni caso, cosa ti aspetti che succeda? –Francesca continuò a guardarla negli occhi- vuoi che torni tutto come prima? Perché non è possibile»
Una fitta al cuore scosse Teresa, e neanche sapeva il perché; non era andata da lei per recuperare il loro rapporto, a malapena ricordava di avere il suo numero salvato in rubrica. Eppure si sentì di nuovo nostalgica, come quella mattina; e quella volta non era nostalgia di se stessa, ma delle persone che un tempo la facevano sentire a casa e che era riuscita a mettersi contro.
«Non so neanche io cosa voglio, ma di sicuro non sono venuta qui per ricominciare da dove ho mollato–sentì il cuore che batteva all’impazzata- ho solo bisogno di un posto dove stare, e spero davvero che mi darai una mano»
Calò il silenzio. Francesca rimuginò su quanto quella risposta la soddisfacesse, mentre mille emozioni prendevano il sopravvento nell’animo di Teresa e le impedivano di pensare con chiarezza, di gestire la sua apatia, di distinguere cosa provava da cosa fingeva di provare.
 
«Va bene –Francesca si alzò dal letto- ma ti avverto, frequento le stesse persone di cinque anni fa»
Il sangue si gelò nelle vene di Teresa. Non aveva pensato a questa faccia della medaglia, non le era neanche passato per la testa. Ma che opzioni aveva? Non poteva dormire per strada, né tornare a casa dei suoi genitori e dimostrare loro che avevano ragione sul suo conto.
«Va bene –Teresa accennò un sorriso, che era un po’ vero e un po’ forzato- come stanno tutti?» era davvero una domanda inopportuna, e lo sapeva.
«Bene» il tono freddo della ragazza le fece capire che non era il caso di continuare quella conversazione, perciò si limitò a ringraziarla, sentirsi ripetere le regole di quella casa che ancora ricordava bene, e dirigersi nella stanza degli ospiti con forse troppa fretta.
 
Una volta che ebbe aperto le valige si sedette con calma sul letto. Era come se improvvisamente si fosse ricordata ogni dettaglio di quella casa: dalla morbidezza del materasso all’ampiezza dell’armadio, dall’altezza dei cuscini alla morbidezza un po’ ruvida della moquette sul pavimento. Prese un respiro profondo e realizzò che il deodorante per ambienti era sempre lo stesso, con quel profumo di limone leggero, appena percepibile.
Fu in quel momento che iniziò a piangere. Ed eccole lì, la quarta, la quinta, la sesta lacrima e a seguire, tutte ammassate e senza contorno, tormentate dai singhiozzi che scuotevano il corpo di quella ragazza così giovane e con una vita così complicata. Continuava forse a non essere davvero triste, sì, ma era disperata. Disperata e tormentata da quei ricordi taglienti come rasoi, dalla visione di Marco che la tradiva con quella trentenne matura ed esperta, dall’illusione in cui aveva vissuto per mesi, senza accorgersi che era tutto svanito tra loro, e non solo, che la luce che anni prima brillava dentro di lei era sfumata e aveva lasciato il posto a quell’incapacità di vedere il mondo a colori, quella malinconia velata che la attaccava piano piano, quasi senza farsi sentire, ma lentamente la stava uccidendo.
Tutto nella sua vita era sempre andato bene: era stata una bambina tranquilla, con genitori affettuosi e benestanti alle spalle; al liceo aveva incontrato persone meravigliose, si era innamorata tante volte consciamente e non, aveva provato quella gioia che ti accoglie solo quando sei con le persone giuste. Aveva baciato chi amava, consumato il suo amore senza pentirsi, era uscita il sabato sera e si era divertita sempre, qualsiasi cosa accadesse. Aveva sempre sorriso, senza scoraggiarsi, senza permettere ai complessi che cercavano di prenderla di afferrarla.
Era stato un brutto periodo, uno soltanto, a rovinare quello che era. E non se ne era neanche accorta. L’egoismo l’aveva accecata, la cattiveria che la aveva sempre resa simpatica perché non era reale si era trasformata in cattiveria pura, vera, che aveva riversato contro le uniche persone che amava.
Meritava tutto quel dolore. Meritava di sentirsi così nostalgica, in colpa, e disperata. Meritava quella situazione, e forse era stato tutto pianificato; forse era giusto che tornasse sui suoi passi in un modo o nell’altro, e affrontasse i problemi da cui era scappata.
Era giusto, ma era anche orribile.
Teresa pianse per ore, e Francesca, dall’altro lato della porta, non si perse neanche un singhiozzo.

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Capitolo 3
*** II ***




Rose blu

II

Teresa si svegliò la mattina dopo su un cuscino bagnato dalle sue stesse lacrime. Si strofinò gli occhi gonfi per il pianto della scorsa notte, acciecata dalla luce del mattino proveniente dalle finestre, e si raggomitolò tra le lenzuola. Prima di aprire gli occhi aveva davvero sperato che la giornata precedente fosse stata solo un brutto sogno, che tutto l’ultimo periodo lo fosse stato, ma realizzò che non lo era. Quella era la semplice e cruda vita reale, il sole splendeva fuori dalla finestra per l’inizio di un nuovo giorno, e il suo stomaco brontolava dalla fame.
Con una lentezza esasperante di alzò e si ravviò i capelli; infine, guardando l’orologio, si accorse che erano le undici passate ed era in ritardo per il lavoro. Teresa si lasciò scappare un’imprecazione e inciampò nei vestiti già sparsi disordinatamente per terra; afferrò il cellulare e vide tante chiamate perse dal suo datore di lavoro. Si affrettò a richiamarlo, ma poco prima che schiacciasse il tasto di chiamata lesse un messaggio in cui le veniva comunicato che era licenziata.
Sbuffò e lanciò quell’aggeggio sul letto, maledicendo il proprietario del bar in cui lavorava e la sua suscettibilità, e poi lo mandò al diavolo. Non le era mai andato a genio quel posto. Certo, quell’ennesima batosta non giovava ai suoi finanziamenti e alla ricerca di un appartamento che doveva iniziare, ma avrebbe trovato un altro lavoro. O almeno lo sperava.
 
In ogni caso Teresa si spogliò del pigiama, si infilò al volo del leggins neri e una felpa, e aprì la porta per dirigersi in cucina. Dopo aver fatto qualche passo, si accorse che c’era qualcuno in casa. Qualcuno che non era Francesca. Camminò in punta di piedi, ascoltando che Francesca stava parlando con quella persona. Le ci volle un po’, ma poi capì che era Elena, una sua vecchia amica, e le si gelò il sangue.
«Non posso credere che sa venuta a chiedere aiuto proprio a te» il suo tono sprezzante arrivò diretto alle orecchie di Teresa, che si fece piccola piccola nella sua felpa di tre taglie più grandi.
«Cosa avrei dovuto fare, lasciarla per strada? Non potevo. Lui non lo avrebbe fatto, e tu neanche» ribatté Francesca.
Lui. Teresa sapeva fin troppo bene a chi si riferiva.
«A proposito di Luca –disse Elena- sa che è qui?» ed eccola, la pugnalata. Ascoltare quel nome fu una tortura per Teresa, una tortura che fece sembrare tutto molto più reale e la terrorizzò.
 
«L’ho chiamato stanotte –Francesca sospirò- era abbastanza scosso, ma immagino che abbia finto di non esserlo perché sapeva che avrebbe potuto ferirmi»
Teresa aggrottò le sopracciglia, confusa.
«Sai che dovrai dirle che tu e lui state insieme adesso, vero?»
Questa fu la goccia che fece traboccare il vaso. La riccia si sentì sconvolta, come risvegliata da un coma, e stranita da quella faccenda. Cosa diavolo era successo mentre era via?
Entrò in cucina, cercando di non sembrare aggressiva, e tra le due calò il silenzio. Elena la squadrò da capo a piedi: era la prima volta che la rivedeva dopo cinque anni, e riuscì a pensare solo a commenti negativi su di lei. Francesca, invece, era imbarazzata a non finire. «Hai sentito tutto?» le domandò con un filo di voce.
«Sì» rispose Teresa, che non sapeva come sentirsi, e soprattutto non sapeva che cosa aveva il diritto di provare.
 
«Non volevo che lo scoprissi così» e Francesca era sincera, nonostante pensasse di odiarla.
«Beh» Elena finalmente parlò «Francesca, non credo che tu debba giustificarti –guardò Teresa- o sbaglio?»
In un’altra circostanza Teresa le avrebbe risposto a tono, ma doveva solo abbassare la testa e dare loro ragione, perché ne avevano, per quanto questo la facesse arrabbiare con se stessa e disperare ulteriormente. «Certo che no –disse quindi- non me l’aspettavo, ma sicuramente non sono nessuno per protestare»
Sentì un improvviso bisogno di piangere di nuovo, ma le lacrime non le arrivarono gli occhi, e fu meglio così; in silenzio iniziò a preparare un espresso con la macchinetta sul piano della cucina, mentre le altre due ricominciarono a parlare.
«A proposito, oggi Luca pensava di uscire stasera insieme a Gabriele ed altri –Francesca provò a fingere che Teresa non fosse nella stanza- vuoi venire?»
«Certo –Elena sorrise- dove andiamo?»
Teresa era davvero in imbarazzo, quella era una situazione assurda che non avrebbe mai immaginato potesse succedere. O forse sì?
«In un pub in centro, la sorella di Gabriele lavora lì da qualche mese»
 
Nonostante non ne avesse nessun diritto, Teresa si sentì ferita nell’orgoglio. Non poteva dire nulla sul fatto che Luca e Francesca stessero insieme, lo sapeva bene, ma voleva uscire con loro. Lo voleva da matti, e non esattamente perché le mancavano. Non c’era una ragione, voleva farlo e basta. Un po’ come sempre, negli ultimi anni.
«Posso venire?» e così si girò di scatto, lasciando le due spiazzate. Elena abbassò lo sguardo, ma Francesca lo tenne dritto su di lei, chiedendosi se stesse scherzando.
«Potresti, ma avrei voluto passare una serata piacevole» rispose quindi, con quel tono tagliente che usava solo quando era arrabbiata con lei.
«Io…- Teresa si trovò di nuovo in imbarazzo- Okay, scusami. Avrei voluto uscire un po’ per distrarmi, ma non fa niente» prese la sua tazza con violenza e uscì furiosamente dalla stanza, sentendosi umiliata e arrabbiata con se stessa. In fondo, era giusto così. Come aveva solo potuto pensare di poter uscire con loro come se niente fosse?
«Teresa, aspetta» Elena e Francesca la raggiunsero e la fermarono prima che entrasse nella sua stanza. «Va bene, puoi venire, ma non aspettarti che cambi qualcosa. E soprattutto, evita di parlare direttamente con Luca. Non credo che sarà contento della tua presenza» la freddezza con cui Elena disse quelle parole fece gelare il sangue di Teresa, che a quel punto non ce la fece più. Annuì ed entrò nella stanza chiudendo la porta frettolosamente.
Sapeva che le due avrebbero continuato a parlare, quindi tese l’orecchio sulla porta.
 
Infatti, Francesca disse: «Luca sta venendo, in ogni caso. Mi ha detto che voleva vederla. Ti mentirei se dicessi che la cosa non mi preoccupa per niente»
Teresa si sentì morire sentendo la paura nella sua voce, mista ad una rabbia che le aveva visto addosso solo l’ultima volta che l’aveva vista.
«Francesca, ma che discorsi fai? È logico che voglia vederla, dopo tutti questi anni. Chiedere delle spiegazioni. Tu non vorresti?»
 
Teresa avrebbe voluto che si allontanassero dalla porta, perché quello che Francesca disse dopo la fece tremare. «Certo che vorrei, ma è tutto così assurdo. Avevamo finalmente trovato un equilibrio, io e lui, e adesso lei torna nella nostra vita per portare danni. Lo ha sempre fatto, giusto? E lo farà di nuovo»
La ragazza decise che non voleva più ascoltare. Indietreggiò lentamente, mentre le parole di Francesca risuonavano nella sua testa in un eco, mentre i sensi di colpa che la notte prima erano tornati ad assalirla la torturavano, le strappavano gli organi interni, maceravano il suo cuore.
Come poteva biasimarli? Aveva sempre fatto tutto nel mondo sbagliato. Ogni mossa, ogni piano, era stato fatto con giusti scopi ma metodi del tutto assurdi. Era arrivato un momento in cui era andato tutto storto, e questo non aveva solo rovinato la sua vita, si era riflesso su quella delle persone che amava, le uniche che l’amassero, anche se era quasi riuscita a convincersi che non lo facessero.
 
Francesca era sempre stata materna con lei, anche in momenti in cui Teresa avrebbe solo voluto una complice nei suoi crimini; aveva provato a farla crescere, a farle capire i suoi errori. E se questo prima la affascinava, era diventato noioso, quasi pesante. Teresa si era sentita giudicata da Francesca in ogni momento, senza mai pensare che forse avrebbe avuto tutte le ragioni per farlo, se lo avesse fatto davvero.
E Luca? Luca era Luca. Non sapeva neanche come descriverlo. Pensò a come sarebbe andata quel giorno, e l’idea le contorse lo stomaco. Pensò di fare le valige e arrendersi, andare dai suoi genitori… ma no. Non poteva scappare, stavolta.
 
Il sole batteva sulle teste dei due ragazzi che correvano spensierati sulla spiaggia, quel pomeriggio di un 20 Luglio caldo e afoso. «Non mi prenderai mai!» urlò Teresa, facendo una pernacchia al ragazzo dietro di sé e correndo più veloce. Sentì il vento caldo sulla pelle, l’acqua del mare che le schizzava sui piedi, mente rise e sentì Luca gridarle do fermarsi, che era davvero troppo stanco, che aveva vinto lei. «Se andiamo avanti così arriveremo al paese vicino, sei fuori di testa! Poi chi ci torna indietro dagli altri?»
Teresa rise a sentirsi implorare, e rallentò, per poi fermarsi del tutto. «Sei un mollaccione» gli disse, avvicinandosi.
Luca abbassò lo sguardo sul fisico della ragazza e arrossì, poi tornò a guardarla negli occhi e si avvicinò a sua volta. Sentì il respiro ansimante di Teresa sul petto, quella ragazza era davvero, davvero bassa.
«E tu sei una nana» la prese in giro, beccandosi in tutta risposta un colpo alla spalla. «Ahia!» esclamò.
Teresa ammiccò. «Nel mio corpicino c’è più forza di quanto credi» risero insieme, mentre respiravano il profumo del mare e il suo soave suono li cullava in quel momento perfetto.
«Dovremmo tornare dagli altri» Teresa era un po’ in imbarazzo: trovarsi sola con Luca era più di quanto potesse aspettarsi, lei, una ragazzina di sedici anni con una cotta per un ragazzo della sua classe che la aveva sempre vista come un’amica. Raramente era capitato loro di restare soli, specialmente in situazioni del genere, perciò quando Luca si avvicinò un po’ di più un modo alla gola le mozzò il respiro.
«Perché, stare con me ti mette a disagio?» Luca la provocò di proposito, sapeva bene che non era così, e non le avrebbe permesso di scappare da lui come faceva ogni volta.
«No» Teresa arrossì. La capacità di quel ragazzo di farla cambiare da un minuto all’altro era impressionante: dall’amica scherzosa, era diventata una ragazzina imbarazzata e con mille farfalle che le svolazzavano nello stomaco.
Luca si sedette a terra, sulla sabbia, e quel gesto le fece capire che non aveva nessuna intenzione di muoversi. Infatti «Allora restiamo un po’ qui» disse, invitandola a sedersi acanto a lui. Teresa non esitò neanche un secondo.
Restarono in silenzio per qualche secondo, fissando l’orizzonte e quel mare di un azzurro limpido, raro per le località nei pressi di Roma. Sembrava che tutto fosse più bello per loro due quel giorno, lì, in quel momento, con le loro ginocchia che si toccavano e le mani a neanche due centimetri di distanza.
«Sei davvero speciale» Teresa disse quelle parole quasi senza pensarci, e appena si rese conto di averle pronunciate arrossì.
«Cosa? Io? –Luca fu sorpreso- e perché?»
«Tu… -Teresa lo guardò- non so spiegarlo, sai sempre qual è la cosa giusta da dire, sei gentile, altruista, bello. Sei il contrario di me. Ti ammiro per la capacità che hai di vedere sempre il bicchiere mezzo pieno, di non giudicare mai nessuno, di non sfociare mai nella superficialità o nella banalità»
Luca si sentì fiero di sentire quelle parole, ma non poté non negare. «Non siamo così diversi, io e te» disse, guardandola; nei suoi occhi Teresa vide riflesso i, mare, e in effetti al mare quegli occhi assomigliavano, di un blu intenso che le fece ribaltare lo stomaco.
«Sai, vorrei tanto essere speciale anch’io, ogni tanto –Teresa indirizzò lo sguardo verso l’orizzonte e accennò un sorriso amaro- vorrei essere una di quelle persone che lasciano il segno, che vengono ricordate, e lasciano un’impronta nelle vite di tutti, ma non solo, nella storia. Vorrei essere un volto ricordato per una qualche rivoluzione, per un libro che ha spopolato e ha cambiato molte vite. Vorrei essere più di un semplice individuo fra tanti. Tu sei sulla strada per diventare una persona così, ma io… io no. Affatto.» non sapeva neanche perché gli stava dicendo quelle cose. Per quanto fossero vere, probabilmente non gli interessavano, e lo stava soltanto annoiando.
Invece Luca fu affascinato da quelle parole, così tanto che trovò il coraggio di avvicinarsi, prenderle il volto con le mani e convincerla a girarsi verso di lui. Teresa sentì il cuore battere all’impazzata al contatto delle sue mani con la sua pelle.
«Mi fa piacere che pensi questo di me, ma credimi, quella che potrebbe essere qualcuno qui sei tu» Luca la accarezzò con una mano, e lasciò andare l’altra.
«Non credo, sai?» Teresa si lasciò andare ad una risatina.
«E invece sì. Puoi non essere la persona più fine che conosca, o la più altruista, ma una cosa la so: tu hai qualcosa dentro, qualcosa che brucia costantemente, qualcosa che potrebbe accendere la rivoluzione che ti piace tanto e anche l’idea per il libro che spopola. Hai quella scintilla che ti permetterà di fare qualsiasi cosa. Fidati di me»
Teresa restò in silenzio, si limitò ad avvicinare il volto a quello di Luca, scaldata dalla sua mano, dal sole e dalle parole così belle che le aveva appena detto, quelle parole di cui avrebbe potuto convincersi, che avrebbero potuto azzittire i sensi di colpa che aveva per non essere la figlia che i suoi genitori volevano. Luca la baciò. La baciò con una delicatezza che la cullò insieme al suono del mare.
E quel primo bacio Teresa lo ricordò ogni volta che lo rivide, ogni volta che si tennero per mano, perché fu il più bello di tutti. Il più desiderato, il più dolce, pieno dell’amore che entrambi avevano represso per molto tempo.
 
Quel ricordo le venne alla mente di nuovo, in quell’istante in cui capì di aver perso molto, il giorno in cui se ne andò.
 


Teresa giaceva sul letto a fissare il vuoto di fronte a sé, stesa su un fianco, con una mano a giocare con le ciocche di capelli ricci che sfuggivano allo chignon disordinato che aveva fatto poco prima. Dopo aver sentito le parole di Francesca non aveva avuto più la forza di guardarla, di parlarle, e anche solo accennare ad uscire con loro quella sera. La verità era che sapeva di non merite niente, di essere fortunata a ricevere ancora aiuto da lei dopo tutto quello che aveva fatto. E avere bisogno di lei così tanto anche se non poteva la faceva stare peggio di quanto già stesse.
Quando sentì il campanello, il suo cuore si fermò; sapeva che Luca sarebbe arrivato, e aveva anche imparato, in tanti anni, a distinguere quel suo modo strano di suonarlo: frettoloso, come se avesse sempre paura di disturbare. Teresa si sorprese di ricordarlo ancora, come se non fosse passato neanche un giorno da quando lui suonava il campanello per venirla a prendere, o bersi una tazzina di caffè insieme sul terrazzo. Eppure ne erano passati tanti, di giorni.
Ebbe la certezza che fosse lui quando sentì Francesca ed Elena accoglierlo. «Tesoro, vuoi che restiamo?» riconobbe, ovviamente, la voce di quella che un tempo era la sua migliore amica.
«No, va tutto bene» Teresa trasalì. Il suo timbro non era cambiato di una virgola, e il ricordo della dolcezza con cui lui le parlava un tempo la pervase, facendole perdere la testa; la ragazza pregò che scomparisse prima di doverlo affrontare.
 
Sentì dei passi e la porta chiudersi, e poi ci fu silenzio: Francesca ed Elena se ne erano andate, il che voleva dire che c’erano soltanto lei e Luca, in quella casa. Teresa capì che doveva trovare il coraggio di alzarsi e andare da lui, doveva e basta, nonostante l’idea la raccapricciasse.
Così si alzò e si avviò alla porta, rifiutandosi categoricamente si sistemarsi in qualsiasi modo; non ce n’era motivo. Con il cuore che batteva a mille aprì la porta della stanza e camminò verso il salotto. Non si affrettò, timorosa di quello che lui le avrebbe detto, degli insulti che avrebbe potuto scaraventarle addosso, delle lacrime che forse lei stessa non avrebbe saputo trattenere. Era davvero il caso di farlo? Non era meglio scappare ancora?
Forse sì, per quanto fosse sbagliato, ma comunque non poteva farlo. Non aveva un posto dove andare stavolta, nessuno che la accogliesse a braccia aperte. Doveva affrontare ciò che aveva fatto.
 
Non appena Teresa fece capolino nel salotto lo vide lì, ad aspettarla, con lo sguardo fisso sul muro accanto a lui. Non la notò subito, e la ragazza ebbe due secondi per ammirare il suo profilo, i suoi lineamenti delicati e il blu dei suoi occhi che la aveva incantata molte volte. Guardò i suoi muscoli fasciati da una maglietta nera, quella che lei preferiva; i suoi jeans sgualciti della levis comprati sette anni prima. Luca non era cambiato di una virgola, in apparenza, eppure Teresa sapeva che non era così. Era cambiato molto: glielo lesse negli occhi, in quell’espressione tormentata che raramente gli aveva visto addosso. Rendersene conto ancora prima di parlargli fu un colpo al cuore.
Al terzo secondo da quando la ragazza era entrata nella stanza Luca si girò di scatto verso di lei, e il contatto diretto con quegli occhi la fece ammutolire. Non seppe più cosa dire; quello sguardo che sembrava di un angelo era sempre stato in grado di farle questo effetto, nonostante tutto. Incrociandolo avvenne la fusione che aveva coinvolto entrambi per moltissimi anni: quella dei loro occhi, dei loro ricordi, delle loro emozioni e di tutte le cose che non riuscivano a dire. Guardando quel blu caratteristico Teresa ricordò ogni cosa di nuovo: la volta in cui la avevano catturata prima del loro primo bacio, la volta in cui le avevano fatto passare l’arrabbiatura con un solo sguardo di sfuggita, come la avevano scrutata la prima volta che avevano fatto l’amore; Teresa ricordò le passeggiate in centro, i gelati condivisi da più piccoli e le birre di quando crebbero, gli sguardi durante matematica e dopo il primo tiro di sigaretta (che fecero assieme). Era strano ripensare a quante cose avevano fatto insieme, ma quei ricordi non furono nulla in confronto a quello più doloroso: Teresa ricordò anche l’ultima volta in cui li vide, prima che tutto il suo mondo crollasse.
 
«Luca, aspetta, ti prego!» Teresa, scossa dai singhiozzi e con le lacrime che rigavano le sue guance, rincorse il ragazzo per le scale del palazzo. «Lasciami almeno spiegare!»
Il moro non si voltò; continuò a correre senza fermarsi, con il cuore in gola e il dolore che gli macerava il cuore.
«Vuoi davvero andartene così, cazzo!?» Teresa non voleva che finisse in quel modo, litigando, senza spiegarsi le ragioni del tradimento che gli aveva appena confessato e analizzare nel dettaglio i motivi che la avevano spinta a farlo. Voleva che Luca non mollasse, lo desiderava con tutto il cuore, o sarebbe stato davvero tutto perduto.
Il ragazzo, furioso, si decise a fermarsi. Si girò e la guardò negli occhi, troppo arrabbiato per piangere, troppo confuso. «Mi sembra che tu abbia violato ogni regola, quindi cosa te ne frega di come me ne vado?» era arrabbiato, e Teresa avrebbe dovuto comprendere che anche lui aveva diritto a sfogarsi e dire come si sentiva; ma negli ultimi giorni era così accecata di rabbia che sentiva che quello non era il loro bisogno primario come coppia.
«Davvero non ti passa neanche per la testa di pensare ai motivi per cui avrei dovuto farlo?» le sue parole scossero Luca, che per un attimo rimase a guardarla confuso e ancora più arrabbiato. «I motivi!? –si avvicinò di un passo- beh, dimmeli allora! Sono abbastanza curioso di sapere come cazzo hai potuto farmi questo!»
Teresa raccolse il coraggio che aveva represso per tanti mesi e, suo malgrado, tirò fuori le parole più avvelenate che trovò. «Non te ne frega niente di me, Luca! Non hai altri pensieri che la tua brama di successo, di fama. Non vedi nient’altro a parte i tuoi progetti, non hai neanche pensato di coinvolgermi quando hai deciso di lasciare Economia per inseguire il tuo sogno del cazzo!»
Luca si sentì ferito, umiliato, e anche frastornato: non credeva che la avrebbe mai sentita dire quelle cose così cattive, quelle cose che si sentiva ripetere mille volte dai suoi genitori e che lei sembrava essere l’unica a disapprovare. «Ah, quindi è così che la pensi!? Tu puoi seguire il tuo sogno e io invece no? E per quale ragione questo dovrebbe essere giusto?»
Teresa per un attimo esitò, ma poi si asciugò le lacrime e rispose. «Avevamo dei progetti! Avevamo pianificato tutto, e tu hai deciso di punto in bianco di stravolgerli senza neanche consultarmi! E tra l’altro, non hai fatto altro che trattarmi di merda. Come se improvvisamente fossi io quella che doveva trovarsi un lavoro e fare quella che avrebbe dovuto essere la TUA parte nei nostri progetti. Tu e Francesca non avete fatto altro che farmi sentire uno schifo! Non ti sembra normale che io abbia cercato affetto e complicità in qualcun altro?»
Se prima Luca aveva tanto odio da gettarle addosso, la sua ultima frase lo colpì al cuore. Si sentì mancare l’aria, quando capì che Teresa non gli aveva confessato tutto per chiarire le cose e ricominciare.
«Teresa, che cosa vuoi?» lasciò da parte tutte le risposte cattive che avrebbe voluto usare, tutte le domande che gli laceravano il cuore: che cosa avesse quel tipo di speciale, che cosa avesse di meglio di lui. In quel momento non importava.
«Io… -Teresa si avvicinò, e i due furono davvero più vicini di quanto quella situazione esigesse- ho provato a provare di nuovo quello che provavo un anno fa, dico davvero, ci ho provato con tutta me stessa, ma… non so se posso riuscirci, è tutto così diverso adesso» in quell’istante lei sperò con tutto il cuore che lui negasse, che le dicesse che la amava come una volta, che potevano ricostruire tutto. Nonostante lei stessa non ne fosse affatto sicura, sentì il bisogno di sentire delle parole dolci. Nonostante tutto, continuò per un attimo a sperare.
Luca pensò di baciarla, inaspettatamente, e lasciare le loro lacrime unirsi in un unico pianto cheli avrebbe consolati entrambi: ma non lo fece, senza sapere che farlo avrebbe risolto molte cose.
«Quindi è tutto finito?» Luca si finse fermo, impassibile.
A Teresa mancò il respiro. «Non ce la faccio più, Luca» avrebbe dovuto provare a risolvere tutto per conto suo, affrontare le difficoltà che la vita le aveva messo davanti, ma in quel momento sentì che non poteva. O forse non voleva? Probabilmente era così; non voleva affrontare quel dolore, ricostruire tutto con fatica. Era più facile andarsene.
E così lo fece, si voltò e camminò ignorando il rumore del calcio di Luca su un cassonetto. Se ne andò velocemente, leggendo di sfuggita sul suo cellulare il messaggio di Marco in cui le diceva che a casa sua ci sarebbe sempre stato un posto per lei. Ma se si fosse voltata, avrebbe visto negli occhi di Luca una seconda possibilità.
 
Quel ricordo scosse Teresa al punto che si chiese perché diavolo fosse lì, cosa pensasse di ottenere, perché si fosse rimessa in quel casino scompigliando la propria vita e quella di tutti gli altri. La ragazza sentì la terra mancarle da sotto i piedi, come se le avessero tagliato in due le gambe. Era tutto assurdo, a partire dal tradimento di Marco fino ad arrivare a lei che era lì di fronte a Luca, l’unico che la avesse amata davvero, sinceramente e profondamente. L’unico che aveva ferito così tanto.
«Ciao» non seppe cos’altro dire; cercò l’indifferenza che la aveva salvata negli ultimi cinque anni, e la trovò a stento.
«Ciao» anche Luca si finse impassibile, ma stavolta con scarso successo. Averla lì, davanti ai suoi occhi, gli fece crollare addosso il piccolo mondo che si era costruito in sua assenza.
«Io… -Teresa avrebbe voluto dirgli molte cose, ma a dire il vero non sapeva proprio da cominciare, quindi si tenne sul banale- voglio che tu sappia che non resterò a lungo. Troverò un lavoro, un appartamento e me ne andrò»
«Perché non vivi più con lui?» Teresa si sorprese del fatto che Francesca non gliene avesse parlato, ma del resto era un argomento scomodo e capiva perché avesse lasciato a lei il compito duro di parlarne a Luca.
Teresa fece un sorriso amaro «Mi ha tradita con la sua istruttrice di palestra» Luca capì cosa voleva dire con quel sorrisetto, che l’ironia della sorte aveva colpito anche lei.
«Ti direi che mi dispiace, ma sarei ipocrita a farlo» mentre Luca parlava Teresa fece di tutto per non guardarlo negli occhi, perché le faceva male, ma quando lui le si avvicinò fu impossibile non farlo. Si trovarono a solo un metro di distanza, e Teresa non fece in tempo a chiedersi il perché che lui le chiese: «Sei stata felice con lui, almeno?»
Quella domanda, carica di rancore e risentimento, fece rabbrividire Teresa. «La felicità è sopravvalutata –ancora una volta sorrise amaramente- e tu? Sei stato felice con Francesca?» per quanto lo negasse perfino a se stessa, aveva bisogno di saperlo.
«Sì –la ragazza rabbrividì, e si sentì tremendamente in colpa per questo- ma, comunque, ci tengo a dirti che stiamo insieme solamente da due anni» non avrebbe dovuto importarle, ma lo faceva.
 
«Ascolta, non voglio che Francesca soffra –Luca fu diretto- quindi, per favore, se uscirai in nostra compagnia o saremo costretti a convivere, evitiamo di parlare del passato. Evitiamo qualsiasi cosa che potrebbe farla stare male, perché non voglio assolutamente che pensi che io sia ancora interessato a te»
Teresa capiva, anche se quelle parole la ferivano almeno un po’. «Certo, ci mancherebbe altro»
Luca guardò un attimo la felpa che Teresa aveva addosso, e nello stesso momento entrambi si resero conto che era sua. Teresa ricordava bene la volta in cui gliel’aveva regalata: era un freddo pomeriggio di dicembre, avevano fatto l’amore sul letto di Teresa ad una piazza e mezza e, sorseggiando una cioccolata calda, lui le aveva sussurrato all’orecchio queste parole: «Sei tutta la mia vita», le aveva messo quella felpa sulle spalle, dato un bacio sulla guancia e, dopo averle fatto l’occhiolino, era uscito di fretta per andare in palestra con solo la sua maglietta bianca addosso.
Quel ricordo fece male ad entrambi, ma non lo dissero; non ce n’era bisogno.
 
«Allora, io vado –Luca si allontanò e Teresa riprese a respirare- Francesca mi ha detto che verrai stasera, quindi ci vediamo lì» si avviò verso la porta, ma lei sentì il bisogno di fermarlo. Afferrò il suo braccio, come lui avrebbe dovuto fare anni prima, e lui si voltò come avrebbe dovuto fare lei.
«Luca, so che sarà difficile, ma potremo tornare amici?» non aveva fatto la stessa domanda a Francesca, ma la avrebbe fatta, perché in quell’istante si rese conto che era quello che voleva. Rivoleva indietro i suoi amici ad ogni costo: avrebbe rinunciato alla sua dignità, pianto tutte le sue lacrime, implorato. Voleva quell’affetto che le davano un tempo. Per quanto si convincesse che era lì solo momentaneamente, sapeva che era tornata per un’altra ragione. Aveva solo troppa paura di ammetterlo a se stessa.
Luca fu sorpreso da quelle parole. Non credeva che provasse davvero il desiderio di essere sua amica, o tornare ad essere amica di chiunque altro lo fosse un tempo. «Hai rovinato tutto, Teresa, ma so che se ti metti in testa una cosa niente o nessuno è in grado di fermarti. Lo pensavo dieci anni fa e lo penso ancora, perciò non hai bisogno che io ti risponda» un sorriso amaro piegò le sue labbra, e Teresa rimase a guardarlo mentre se ne andava.
 
Essere giunta alla conclusione di voler recuperare i rapporti con le persone che un tempo l’amavano fu un duro colpo per Teresa, che, fissando la soglia di quella casa, si rese conto di desiderarlo con tutto il cuore e di trovarsi di contro ad una difficoltà ancora maggiore. Sarebbe stato difficile, forse era addirittura impossibile: come poteva tornare amica di persone che aveva abbandonato di punto in bianco per un ragazzo che a malapena conosceva, e in cinque anni la aveva distrutta più di quanto nessun altro avesse fatto in tutta la sua vita?
Eppure lo stesso Luca le aveva dato una possibilità. Le aveva detto che ce l’avrebbe fatta, qualora se lo fosse messo in testa; Teresa non sentiva un suo incoraggiamento da anni, e quell’improvviso slancio di bontà immeritata nei suoi confronti la commosse.
Decise che, per la prima volta dopo tanto tempo, avrebbe ripreso in mano la sua vita. Non avrebbe lasciato che le cose andassero avanti da sole nel loro corso, si sarebbe intromessa in esso con prepotenza, con la determinazione che dieci anni prima la rendevano quella che realmente era.
 
La verità era che tutto aveva cominciato ad andare male quando era diventata stanca di lottare, stanca di sopportare la pressione di Luca, di Francesca e dei suoi genitori messi insieme; di punto in bianco aveva deciso di cambiare vita, senza capire che stava scappando dalle uniche cose per cui valesse la pena combattere. Aveva perso tutto per quella prepotenza che aveva usato nel modo più negativo possibile, per l’apatia con cui si era difesa dal dolore che si infliggeva da sola. Quel giorno, davanti alla porta di quella che era di nuovo casa sua (anche se forse solo per un po’) decise che non sarebbe più stato così. Mai più.

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Capitolo 4
*** III ***




Rose blu

III

Nonostante quella voglia infinita di fare pace con Francesca, quando tornò a casa –da sola- Teresa non ebbe il coraggio neanche di avvicinarsi a lei. Non se la sentiva ancora. per quanto lo volesse, erano successe troppe cose tra loro: avrebbe voluto parlarle, spiegarle i motivi scatenanti della sua rabbia che l’avevano portata a ferire lei e Luca; voleva davvero far valere le sue ragioni, per quanto minime, ma aveva paura che lei le smontasse e che la facesse sentire ancora più in colpa di quanto non si sentisse già.
E così Teresa passò il pomeriggio come uno dei tanti fino a cinque anni prima: con un libro in mano, distesa sul divano in salotto, mentre Francesca guardava la televisione a basso volume per non disturbarla. Vide di soppiatto che stava anche studiando da un libro di fisica, e rimase sorpresa: la sua versatilità la aveva sempre affascinata, ma non era mai stata portata per le materie scientifiche, o almeno non come per quelle umanistiche. Quante cose si era persa?
Era strano, a pensarci, che entrambe senza farci caso si fossero messe nelle stesse posizioni che usavano molto tempo prima: una sul divano e l’altra sulla poltrona, ma che non si stessero consultando per commentare una riga del libro o una parola detta in tv. In apparenza sembrava tutto uguale, eppure c’erano così tante differenze che laceravano il cuore di Teresa piano piano, tra una riga del libro e un’altra, tra un capoverso di Fisica e dieci minuti di un programma stupido. Era il momento di rompere il silenzio.
 
«Sai già chi verrà stasera?» chiese quindi Teresa, con il cuore in gola, per poi girare una pagina di Cime Tempestose.
«Più o meno –Francesca non la guardò- credo ci saranno Luca, Gabriele, Sofia, Luigi e Elena… Di Matteo non so niente»
Sentire quei nomi fece uno strano effetto a Teresa: improvvisamente ricordò molte cose. Le uscite al parco con i suoi amici, quando ancora avevano diciassette anni e tante cose che potevano fare. La cioccolata comprata al supermercato perché costava meno e condivisa su una panchina, le mattinate al mare schiacciati sotto un ombrellone troppo piccolo, gli assorbenti scambiati tra lei e Elena, i compiti fatti con Sofia. Prima di quel giorno sembrava aver perso questi ricordi nell’apatia che aveva iniziato a caratterizzarla, e ripensarci le fece male. Chissà cosa avrebbero pensato di lei… probabilmente la odiavano tutti, adesso; la avrebbero guardata malissimo, la avrebbero insultata alle sue spalle più di quanto non facessero già. Forse non era una buona idea uscire con loro.
Francesca, stranamente, sembrò leggerla nel pensiero. «Comunque sappi che nessuno dei miei amici, oltre a Elena e Gabriele, sa niente. Io e Luca abbiamo deciso di tenerci la cosa per noi» quel miei fece venire a Teresa l’istinto di correggerla, ma dopotutto che diritto aveva di farlo? A che scopo?
In ogni caso, sapere che non avevano idea di quello che aveva fatto la rassicurava. Forse almeno loro avrebbero potuto essere di compagnia, in quella serata pesante e piena di tensione. «Okay»
Per quanto odiasse ammetterlo, c’era anche una parte di lei che odiava sentire quel “Abbiamo deciso di tenerci la cosa per noi”, come se Francesca c’entrasse qualcosa nel tradimento, come se lei fosse stata tra i protagonisti di quella storia finita male, la vittima. Teresa sapeva di avere delle colpe anche contro di lei, ma di certo il tradimento non c’entrava, e il fatto che lei sottolineasse quanto fosse stata vicina a Luca in sua assenza la facevano non solo dubitare del “due anni” che sosteneva Luca, ma anche stare male, più male di quanto non stesse già.
 
Teresa si svegliò di soprassalto da un incubo orribile in cui cadeva dalla finestra di un quinto piano. Si mise a sedere, ansimante, e guardò distrattamente l’orologio sul comodino: erano le tre del mattino. Con la crocchia di capelli ricci mezza sfatta e solo la maglietta di Adventure Time di Luca addosso si voltò, cercando il corpo del ragazzo nel buio per poterlo abbracciare, ma al suo posto vide un cuscino in mezzo alle lenzuola stropicciate. Immaginò che si trovasse in cucina o in salotto, così si alzò, approfittando della situazione per prendere un bicchiere d’acqua.
Camminando nel corridoio, però, udì delle voci, e si fermò spaventata prima di capire da dove provenissero. La porta della camera di Francesca era socchiusa e filtrava una luce leggera all’esterno, quella viola della sua lampada preferita. Riconobbe il suono della voce di Luca e per un attimo si paralizzò. Che diavolo ci faceva lì?
Decise di avvicinarsi e provare ad origliare: non voleva trarre conclusioni affrettate, per quanto fosse strano sapere che il suo ragazzo e la sua migliore amica si trovassero da soli, di notte, in una camera da letto.
«Ho sempre amato la musica –sentì dire a Luca- è più o meno dal primo anno di liceo che desidero cantare, suonare la chitarra, per lavoro. Sarebbe bello se potessi farlo per davvero»
«Me lo ricordo bene –Teresa azzardò a sporgersi un po’, e vide Luca e Francesca seduti sul letto, appoggiati al muro, lui con il braccio intorno alla spalla di lei- Ad essere onesta, mi sono sempre chiesta come mai tu sia finito a studiare economia»
Luca rise amaramente, e Teresa guardò attentamente l’espressione di Francesca, che indossava solo una maglietta e degli slip. Raramente la aveva vista con quella faccia sognante, come se fosse su un altro pianeta. E la cosa non le piacque, così come non le piacque vedere quelle gambe scoperte appoggiate a quelle di Luca e non le piacque riconoscere la maglietta che indossava come una del suo ragazzo. Perché la aveva? Cosa diavolo stava succedendo?
«Spesso me lo chiedo anch’io –ammise Luca- sai, quando sei innamorato fai anche sacrifici. Teresa vuole seguire il suo sogno, pubblicare quel dannatissimo libro, e già parla di sposarci. Se nessuno dei due ha un lavoro stabile, come può essere possibile?» lo stomaco di Teresa si attorcigliò. «Amo Teresa davvero tanto, ma sembriamo non capisci più. Sai, non si è mai interessata di sapere che cosa volessi fare io; ha appoggiato i miei genitori che mi spingevano verso questa facoltà, e non perché pensava che fosse giusta per me, ma perché ha fatto il ragionamento che ti ho appena spiegato. Non ha mai pensato a quale fosse il mio, di sogno. Probabilmente non le è mai interessato»
Le parole di Luca aprirono una voragine nel cuore di Teresa, che desiderò con tutto il cuore entrare in quella stanza, urlare che non era vero, e separare quei due. Quando Francesca gli prese la mano sentì il bisogno di scoppiare, chiedere loro cosa diavolo stesse succedendo, ma si trattenne.
«Beh, Teresa è sempre stata molto egoista, e lo sappiamo entrambi –Francesca si girò verso Luca, e si resse sulle ginocchia stringendo forte la sua mano- ultimamente lo è ancora di più… per quanto io non voglia, sento le vostre litigate al telefono o quando sei qui durante la notte. Ricordati che puoi cambiare le cose, che  puoi decidere tu»
«Non posso davvero» Luca accarezzò la spalla di Francesca e Teresa si sentì come se la stessero accoltellando. Davvero, dopo tanti anni, era questo che pensavano di lei? Davvero la conoscevano così poco, loro due, gli unici che credeva essere dalla sua parte?
«Puoi, invece. Segui il tuo sogno. Affronta Teresa una volta per tutte» Francesca disse quelle parole in un sussurrò e si avvicinò alle labbra di Luca, al che Teresa trattenne il respiro e si portò una mano alla bocca, pregando che non fosse come pensava.
Luca si tirò indietro velocemente. «Grazie, Francesca. Sei davvero una buona amica» per quanto Teresa restasse ferita, quelle parole la rassicurarono leggermente. «Mi raccomando, non far vedere a Teresa quella maglietta, o si infurierà e chissà cosa potrebbe pensare»
Luca stava per uscire, quindi Teresa vide appena l’espressione poco convinta di Francesca e poi si sbrigò a rifugiarsi a letto, ringraziando il cielo per la moquette che coprì i suoi passi. Si infilò nel letto matrimoniale della sua stanza e si raggomitolò nelle lenzuola, cercando di non piangere e di rimettere insieme i pezzi che Francesca e Luca avevano sparso a terra. Ma non sarebbe stato così facile.
Quando Luca tornò a letto e tentò di stringerla a sé, Teresa lo scansò.
 
Per la serata Teresa si preparò in modo moto semplice; indossò un paio di jeans neri, un top di velluto verde e una giacca di pelle nera. Lavò i capelli eli lasciò liberi sulle spalle, poi mise i suoi stivali preferiti –neri al ginocchio con un piccolo tacco- e raggiunse Francesca in salotto, che la stava aspettando. Quando la vide, Teresa rimase sbalordita. Era bellissima nella gonna a balze scozzese che le arrivava giusto un po’ sotto le natiche e la camicia nera messa dentro che, aperti tre bottoncini, metteva in risalto il suo seno. Quando vide anche i suoi stivaletti con un tacco abbastanza alto, si sentì a disagio. «Stai benissimo» le disse, sincera.
«Grazie, anche tu stai bene –vide l’espressione confusa di Teresa e spiegò il suo abbigliamento- non fare caso a me, ho solo voluto esagerare un po’, per una sera» Teresa vide il suo sguardo imbarazzato e il tono scocciato e si sentì improvvisamente davvero di troppo. «Posso non venire, se la cosa in qualche modo influisce sulla tua serata» abbassò lo sguardo.
Francesca era evidentemente in imbarazzo. «Tranquilla, capisco che tu voglia distrarti un po’ dopo quello che è successo con Marco» Teresa non seppe cosa rispondere.
 
Negli istanti di silenzio che seguirono, Teresa guardò Francesca e pensò a quanto fosse bella. Era più alta di lei, con un fisico longilineo, e aveva dei morbidi capelli biondi e lisci che le arrivavano quasi fino ai seni. I suoi occhi di un verde intenso, con sfumature sul nocciola, avevano spesso fatto strage di cuore nella loro scuola quando andavano al liceo. Ma lei non si era mai interessata a nessuno di quelli che cadevano ai suoi piedi; era persa costantemente in Bach, nel pianoforte e nello studio approfondito di tutte le materie. Teresa la aveva sempre invidiata di nascosto, avrebbe voluto essere bella come lei, brava come lei, intelligente come lei. Non era mai riuscita ad esserlo, però.
 
Francesca guardò distrattamente il telefono per leggere un messaggio, poi cominciò a mettersi il cappotto. «Luca è qui sotto, andiamo» disse a Teresa, che rimase per un attimo confusa. Luca era venuto a prenderle?
«Vuoi che prenda la metro?» Davvero era l’unica a sentirsi in imbarazzo?
Francesca aprì la porta e chiuse le luci. «Ma no, tranquilla»
Scesero le scale insieme, in silenzio, e trovarono Luca davanti al portone con la stessa macchina di cinque anni prima. Teresa sentì come un morso allo stomaco alla vista di quella Panda grigia su cui era salita migliaia di volte, con cui avevano fatto le più svariate gite, in cui avevano consumato il loro amore più di una volta sui sedili posteriori. Arrossì a quel pensiero e si strinse nella sua giacca di pelle, sferzata dal vento di novembre, affiancata da Francesca. Quest’ultima salì davanti senza neanche pensarci, ed era giusto così, ma Teresa non poté fare a meno di pensare che avrebbe dovuto esserci lei, lì.
In ogni caso, salì dietro. «Ciao» le disse Luca, senza guardarla, e «Ciao» rispose lei. Sapeva che sarebbero state le uniche parole che si sarebbero scambiati, erano le condizioni per uscire insieme a loro.
 
 
Dopo quello che probabilmente fu il viaggio più imbarazzante della loro vita Luca, Teresa e Francesca arrivarono al locale in cui dovevano incontrarsi con gli altri. Teresa scese dalla macchina senza dire una parola, fingendo di non ascoltare i discorsi di Francesca sulla moquette da cambiare, la porta del bagno da aggiustare e i panni sporchi di Luca che doveva venire a prendere. La fece un po’ ridere pensare che lei si era sempre rifiutata di fargli i bucato, le sembrava una mancanza di rispetto; quante volte avevano fatto quel discorso? Decisamente troppe.
In ogni caso trattenne una risata in un sorriso tirato, e Luca, accorgendosene, stranamente lo ricambiò. A quel punto il cuore di Teresa si fermò per un istante. Quel sorriso, allegoria della luna che sovrastava Roma con la sua lucentezza, era sempre stato il più bello di tutti; l’unico che facesse brillare il suo cuore pieno di antipatia e ansia, permaloso e un po’ malvagio. L’unico che la facesse stare bene nelle notti in cui lo chiamava in preda alla disperazione per qualcosa che le era successo, l’unico che a sedici anni la aveva colpita così tanto da farla innamorare.
Distolse la mente da quei pensieri: non le facevano bene, ed erano inopportuni.
 
Per fortuna Francesca non si accorge di quei sorrisetti quasi complici, e insieme loro tre entrarono nel locale.
Teresa si guardò intorno. Era un posto carino, piccolo e affollato al punto giusto; era rivestito interamente in legno, e la musica proveniva da delle casse agli angoli della stanza. Mettendosi in punta di piedi riuscì a scorgere –poco dopo Francesca e Luca, più alti di lei- alcuni dei suoi vecchi amici: Gabriele, Elena, Sofia e Luigi.
Avvertì un colpo al cuore rivedendo i loro volti così familiari; sembrava averli dimenticati, eppure quando le furono davanti ricordò bene ogni particolare. Sofia, con i suoi capelli mossi e rossi lunghi fino al fondoschiena, illuminava la stanza con i suoi occhi azzurri e le poche lentiggini che le coprivano il volto. Gabriele invece sembrava dominare tutti gli altri con il suo sarcasmo e il suo spirito d’iniziativa: era affascinante, benché non fosse bellissimo, con i suoi capelli ricci e neri e i grandi occhi dello stesso colore che lo caratterizzavano. Luigi, un po’ basso e spesso troppo silenzioso, era sempre stato adorabile con i suoi occhi verdi, i capelli castani un po’ corti e degli occhiali quadrati troppo grandi per il suo volto. Elena, dal canto suo, era bella come quella mattina e come la aveva ricordata: con i capelli a caschetto biondi e gli occhi azzurri, aveva un sorriso contagioso che trasformava ogni serata triste in una piena di gioia e divertimento.
Teresa ebbe timore che lei e Gabriele raccontassero tutto agli altri, o che la prendessero in giro in prima persona. Decise che se così fosse stato se ne sarebbe andata, perché non era davvero in vena di sentire altre prediche.
 
Si avvicinarono al gruppo sorridenti; Francesca aveva finito il suo discorso sui piccoli lavoretti da fare in casa, così Teresa si azzardò a parlare. «Perché Sofia sta tenendo per mano Luigi?» quel gesto la sorprese davvero. Da quando c’era tutta quella confidenza? Sapeva che lui aveva sempre avuto un debole per lei, ma lei sapeva a malapena il suo nome quando Teresa se ne era andata.
«Oh, stanno per sposarsi» Francesca disse questa frase con semplicità, e Teresa la guardò sbalordita. «Cosa?»
«Si sono messi insieme poco dopo che sei andata via –disse Luca- e adesso vogliono sposarsi»
«Aspettate un attimo –Teresa prese le loro braccia, ed entrambi la guardarono- se loro non sanno la vera storia, che cosa sanno?»
Francesca e Luca si guardarono un attimo, poi Francesca disse: «Gli abbiamo detto che ti hanno offerto un lavoro in una casa editrice e per questo sei andata all’estero»
Teresa rimase per un attimo confusa: perché avevano mentito per lei, inventando una bugia così grossa? Era davvero un’opzione che avevano escluso dall’inizio? Si chiese quali strani ragionamenti avessero fatto insieme, senza di lei. Insieme. Come se Francesca c’entrasse qualcosa, ancora una volta.
 
Non ebbero il tempo di continuare la conversazione che Sofia venne loro incontro, e saltò addosso a Teresa, abbracciandola fortissimo. E lei sentì quel calore di qualcuno che avesse davvero sentito la sua mancanza, qualcuno che, a pensarci bene, la ricordava ancora come la Teresa di cinque anni prima. Ancora non aveva analizzato questo punto: con loro, non c’era bisogno di ricominciare. Non avevano cambiato la loro idea di lei, pensavano che fosse la stessa ragazza di un tempo. E anche se sbagliavano, questo a lei piacque.
«Quanto mi sei mancata!» Sofia esclamò quelle parole e Teresa la strinse forte, lasciandosi trasportare dal momento, mentre Luca e Francesca le sorpassavano e andavano a sedersi. Luigi si alzò e raggiunse lei e Sofia. Si aggiunse all’abbraccio, meno timidamente di un tempo, e disse: «Bentornata, Ter» era l’unico a chiamarla così, e lei lo aveva sempre trovato molto dolce.
«Anche voi mi siete mancati, ragazzi –Teresa si staccò e sorrise ad entrambi- andiamo dagli altri, dovete raccontarmi un sacco di cose!»
Con un braccio di Sofia sulla spalla di Teresa raggiunsero gli altri amici; Elena e Gabriele smisero di parlare tra loro quando la videro. Gabriele deglutì, e Teresa non seppe bene come comportarsi con il ragazzo: Elena la odiava espressamente, ma lui?
«Bentornata, ragazzaccia!» Gabriele però la accolse con queste parole, e la strinse a sé in un abbraccio. «Grazie, caro!» a Teresa piaceva chiamarlo in quel modo scherzosamente; ricordò quanto un tempo ne ridessero, ricordò per l’ennesima volta un sacco di cose. Deglutì anche lei.
«Vuoi qualcosa da bere?» l’affascinante ragazzo che dopo tanti anni era rimasto lo stesso scosse i suoi capelli ricci e le sorrise, e la cosa sembrò molto strana a Teresa -perché non la trattava male come gli altri?-che però apprezzò la cosa, sorridendogli a sua volta. «Mi piacerebbe una bella birra ghiacciata, a dire il vero»
Gabriele fece un cenno al cameriere, che aveva sentito, e poi tornò a guardarla. Elena aveva per lei solo sguardi spenti, che non travasavano nessuna emozione; si vedeva che stava facendo di tutto per nascondere il suo odio per lei, e questo la mise in soggezione, ma cercò di non concentrarsi su di lei. Si focalizzò sul tepore del locale, il sorriso di Gabriele e le occhiate gioiose di Sofia e Luigi, forse le uniche persone felici di averla lì con loro.
 
«Certo che sei sparita del tutto, cazzo! –Sofia, che si era appena seduta affianco a lei di fronte a Gabriele, le diede un leggero pugno sul braccio- posso capire che tu abbia voluto scaricarci per la gente figa dell’Inghilterra, ma avresti potuto chiamare, ogni tanto!» il tono con cui le disse quelle parole, guardandola negli occhi, era scherzoso, ma non del tutto. Voleva davvero delle spiegazioni, e Teresa lo capì, entrando subito nel panico. L’espressione di Elena, che la guardava, traduceva quello che pensava: vediamo come se la cava, adesso.
«Non è questo, davvero –rispose- avevo bisogno di staccare da tutto. è arrivato quel momento che arriva nella vita di tutti in cui si ha bisogno di provare a cambiare tutto quanto di sé e della propria vita, e questo includeva anche non avere più voi intorno per un po’»
Mentre tutti alzavano le spalle, Teresa vide con la coda dell’occhio Francesca guardare in basso e, soprattutto, Luca che la fissava intensamente. Quello sguardo diceva molte cose: probabilmente stava pensando a quanto la odiasse, a quanto quella giustificazione fosse odiosa, a quanto lei fosse falsa. Teresa finse che non esistesse, non voleva assolutamente che le rovinasse la serata, che fino a quel punto sembrava andare abbastanza bene.
«Vabbè, tanto sei tornata, perché noi siamo la élite di Roma e proprio non ci si può dimenticare!» disse Gabriele, e Sofia rise a crepapelle, Luigi si sistemò gli occhiali sul naso sorridendo, perfino Elena e coloro che la odiavano sembrarono divertiti da quella battuta; in quel momento il tempo si fermò. Teresa vide al rallentatore i suoi amici che bevevano un sorso di birra, sorridevano con gli occhi e con il cuore, si davano pacche amichevoli sulle spalle. Capì di essersi persa tanto, in quei cinque anni di indifferenza e apatia. Capì che forse non poteva davvero dimenticare loro, gli amici di una vita che tutti cercano e che lei era stata così stupida da lasciarsi alle spalle. Non avrebbe più fatto lo stesso errore.
 
«Quanto hai ragione!» il cameriere le portò la birra che aveva chiesto e ne bevve un sorso.
«In ogni caso, come è andata a Londra? –Luigi si sporse oltre i capelli ingombranti di Sofia e la guardò- sei riuscita a pubblicare un libro, o ti sei limitata a lavorare nell’editoria?»  sapere che almeno lui considerava ancora serio quel suo piccolo sogno le scaldò il cuore, lasciandole però anche un po’ di amarezza.
«Purtroppo no –alzò le spalle- ho anche finito il mio primo libro, tre anni fa, ma nonostante l’abbia mandato a praticamente tutte le case editrici di mia conoscenza nessuna ha considerato di pubblicarlo!» in parte quell’informazione era vera: il suo romanzo, Spirito libero, non era piaciuta a nessuna delle case editrici italiane a cui lo aveva spedito.
«Mi dispiace –replicò Luigi- ma credimi, hai davvero del talento, quindi stai sicura che prima o poi ce la farai! Se non sono indiscreto, posso chiederti di leggere il tuo libro?»
«Ma certo –Teresa arrossì- la prossima volta che usciamo te lo porto. Sappi che sei il secondo a leggerlo, devi esserne fiero!» non pensò alle parole che disse, e un attimo dopo averle pronunciate si sentì tremendamente in colpa. Doveva per forza parlare di Marco, lì, alla sua prima nuova uscita con Luca? Si sarebbe presa a schiaffi da sola.
Gabriele e Sofia pronunciarono un “Uuuuh” imbarazzante, e la ragazza le diede delle piccole gomitate. «E chi è stato il primo? un bell’inglesino?»
 
Teresa abbassò lo sguardo, imbarazzata, senza sapere bene cosa dire. «No, cioè, sì –guardò di nuovo Sofia, poco convinta, e sorrise leggermente- più o meno»
«Voglio sapere tutto!» Sofia appoggiò un gomito sul tavolo in segno di ascolto, ma Teresa cambiò subito argomento. «E dai, basta parlare di me! Voi che mi dite?»
Luigi prese la mano di Sofia, mostrando a Teresa l’anello che portava all’anulare, e la rossa sorrise raggiante. «Non so se te l’hanno detto, ma ci sposeremo a breve –fra due settimane, a dire il vero. E ovviamente sei invitata»
«Sono davvero felicissima per voi! –Teresa vide Luca che la guardava in modo strano- vengo molto volentieri»
Gabriele le chiese di avvicinarsi, e quando fu vicina al suo orecchio le sussurrò: «Non è il caso di urlarlo, quindi te lo dico così. Vuoi fare il regalo con me, che sto messo male e non ho uno straccio di fantasia?» Teresa si allontanò scoppiando a ridere e rispose: «Certo», con la confusione di tutti gli altri.
 
La serata procedette così, tra le risate e gli scherzi che un tempo caratterizzavano il loro gruppo di amici; le sembrava ieri il giorno in cui li aveva conosciuti, uno per uno, con l’apparecchio e i brufoli in faccia, i primi amore nel cuore e l’amicizia che, una volta coltivata, promisero sarebbe durata per sempre. Se solo avessero saputo quante cose sarebbero successe, quanti problemi li avrebbero cambiati nel profondo e di conseguenza avrebbero cambiato il rapporto che avevano!
Quando fu il momento di salutarsi erano le due passate, e Francesca aveva bevuto davvero troppo. Che fosse per sopportare la presenza di Teresa e gli sguardi che Luca le lanciava ogni tanto, non  lo sapeva, ma le cinque birre che aveva preso per sé, unite a quei tre shottini, erano stati fatali. Perciò tutti si salutarono in fretta, sorridendo, e poi Luca la scortò alla macchina insieme a Teresa, tenendola ognuno per un braccio.
La appoggiarono sdraiata sui sedili posteriori, e lei crollò subito in un sonno da cui non sarebbe svegliata fino alla mattina dopo.
In pieno imbarazzo, ormai soli, Teresa e Luca salirono sui posti anteriori. Lei si allacciò la cintura, come faceva sempre per abitudine, e in una frazione di secondo ricordò quanto lui la prendesse in giro per quella sua mania del tutto giusta, ma che lo faceva un po’ ridere: qualsiasi cosa succedesse, qualsiasi catastrofe o evento fantastico avvenisse, lei si allacciava la cintura. Sorrise, ma lui non ci fece caso. Ordinò a sé stesso di guardare la strada, non lanciarle un solo sguardo, perché si sarebbero persi negli occhi dell’altro come ogni volta e non era giusto, non quella sera che lei era appena tornata e le ferite del suo cuore si erano riaperte senza lasciargli scampo.
 
Passarono dieci minuti di silenzio assoluto in cui Teresa fece di tutto per non guardarlo, allo stesso modo; giocò con un lembo della giacca di pelle, si sistemò il top che era scivolato di un paio di centimetri, controllò che il rossetto non fosse sbavato nello specchietto. Arrivò perfino a prendere il cellulare, in pieno imbarazzo, finché le parole di Luca di quella mattina le tornarono alla mente: Hai rovinato tutto, Teresa, ma so che se ti metti in testa una cosa niente o nessuno è in grado di fermarti. Lo pensavo dieci anni fa e lo penso ancora, perciò non hai bisogno che io ti risponda.
Perciò rimise lo smartphone in tasca e si voltò un attimo a guardare Francesca, che giaceva a peso morto con la bocca aperta e la mano che sporgeva in mezzo ai sedili anteriori. Scoppiò a ridere. «Forse non avrebbe dovuto bere così tanto» disse, rivolta verso Luca, avendo finalmente il coraggio di guardare il suo profilo mentre lui, in apparenza tranquillo, guidava verso casa. Il ragazzo vide di sfuggita la mano e rise con lei, lasciandosi andare per un istante. «Sì, forse hai ragione» replicò infatti, e insieme si fecero quella bella risata.
«Luca, posso chiederti perché hai deciso di non dire niente agli altri?» si azzardò a fare quella domanda con il cuore in gola, e a fissarlo in attesa che si voltasse. Lui, in quel momento, mantenne fede alla sua promessa e non la guardò.
Luca rimase in silenzio per qualche secondo, con la bocca mezza aperta, e poi cambiò la marcia improvvisamente, avendo trovato un parcheggio vicino casa. «Non volevo essere compatito –rispose alla fine- e comunque, non era il mio pensiero principale» Teresa deglutì con fatica.
 
«Sì, ma perché inventare tutta quella balla sul lavoro all’estero?» voleva davvero saperlo, sapere il motivo di quella montatura, che le sembrava quasi una copertura. Dopotutto, non le doveva assolutamente niente. Perché fingere che avesse un buon motivo per andarsene, fingere che fosse successo qualcosa di bello, quando in realtà era successa una catastrofe?
«è stata un’idea di Francesca, questa. Ha detto che non voleva che tu lasciassi anche a lor un ricordo così brutto di te» il tono di Luca si fece più duro, e Teresa abbassò lo sguardo, per poi dare un’altra occhiata a Francesca, non ironica, stavolta, ma piena di rammarico e dispiacere. Forse la cattiva di quella storia era davvero completamente lei, doveva accettare di non avere alcuna giustificazione, doveva solo lasciare tutti in pace.
 
In ogni caso, non disse nulla. Parcheggiata la macchina Luca e Teresa si avviarono verso il portone, lei con le braccia conserte, lo sguardo basso e le chiavi in mano, lui con Francesca in braccio. Salirono nell’appartamento nel più completo silenzio, così fitto che si sarebbe potuto tagliare con un coltello; un silenzio che diceva molte cose, ma nessuno dei due le ascoltava. Avevano perso l’abitudine di ascoltarsi a vicenda molto tempo prima che se ne andasse.
Luca, senza ancora guardare negli occhi Teresa, portò Francesca in camera da letto. La adagiò sul letto e la spogliò, attento a non svegliarla, anche se era in un sogno troppo profondo per riuscirci, e le mise addosso una sua maglia. Poi aprì le coperte e gliele rimboccò, chiuse la luce ed uscì chiudendo piano la porta. Per quanto ne avesse una paura immensa, doveva dare la buonanotte a Teresa.
Arrivato in salotto trovò la portafinestra che dava sul terrazzo accostata, e immaginò che fosse lì; infatti la trovò, intenta a fissare l’orizzonte e quelle luci che facevano brillare Roma sotto i loro occhi come tante piccole stelle. Il freddo sferzava i volti dei due ragazzi, ma la luna illuminava la città con il suo pieno candore e il profumo della notte investiva entrambi in ondate piene di nostalgia.
Luca avrebbe voluto davvero salutarla e basta, andare via, ma non ne ebbe la forza. Sentì il bisogno di aspettare, restare accanto a lei, anche solo per un istante.
 
«Francesca è a letto?» Teresa, senza sapere esattamente il perché, aveva gli occhi pieni di lacrime. Forse era stato scoprire che nonostante tutto Francesca aveva cercato di aiutarla, o era stato vedere Luca portarla in braccio e morire di gelosia e sentirsi in colpa per questo. Forse era quella serata così bella e piena di emozioni che non avrebbe mai più vissuto a pieno, schiava di quel segreto che sembrava la sua salvezza, ma era la sua rovina.
«Sì» rispose Luca, con le braccia che fioravano quelle della ragazza accanto a sé.
Teresa si voltò verso di lui, e lo afferrò per un braccio quasi con prepotenza, costringendolo a guardarla. Luca vide delle lacrime in quegli occhi in cui fece di tutto per non perdersi, ma forse nel profondo lo incantarono come una volta.
«Luca, vuoi che me ne vada?» fece quella domanda con una spontaneità che sorprese il ragazzo, ma non lei: era stanca di giocare, stanca di fingere che andasse tutto bene, perché non era così; stava male, maledettamente male, e non era solo per la gelosia che provava nei confronti di Francesca, non era per le emozioni che la avevano travolta in soli due giorni. No, era stanca dell’ipocrisia che non aveva mai dominato i suoi rapporti, mai finché non se ne era andata e aveva stravolto tutta la sua vita. Come poteva fingere ancora? Come poteva scombussolare la propria esistenza e quella di persone che aveva ferito irreparabilmente tornando all’improvviso e facendo soffrire tutti quanti?
Luca, scosso da quelle lacrime, fece una risata amara; ma, quasi per abitudine, si trovò a circondarle le spalle con un braccio. A Teresa mancò il respiro. «Stranamente non lo so, sai?» disse lui.
A quel punto la ragazza si trovò a piangere a pieni singhiozzi, stanca di essere giudicata per quello che aveva fatto; non ne poteva più della verità, non ne poteva più di affrontare quella situazione che pesava sul suo petto come un macigno e riapriva tante ferite che aveva cercato di curare con Marco, ma era solo riuscita a nascondere per un po’.
Nessuno dei due disse una parola; Luca si limitò a stringerla a sé più forte di quanto avesse mai stretto nessun altro, con la sua testa contro il suo petto, i suoi capelli ricci tra le dita e le lacrime che gli bagnavano il maglione blu che indossava quella sera. Come in un patto non scritto, Teresa si lasciò andare. Dimenticò ogni convenevole, ogni parola che avrebbe voluto dirgli, ogni scusa che avrebbe potuto pronunciare o discussione ironica per riconquistare la sua amicizia. In quell’istante, aveva solo bisogno di qualcuno che la consolasse in silenzio.
E Luca lo fece. Stette ai patti, guardando quel corpicino più piccolo del suo che lo stringeva forte, cercando di trattenere le emozioni sbagliate che si impossessavano di lui. Dopotutto quella ragazza aveva spezzato il suo cuore con uno strappo violento, senza pietà, macerando le sue emozioni e distruggendo quello che avevano costruito insieme in cinque anni. Avrebbe dovuto detestarla come faceva Francesca, provare solo rabbia nei suoi confronti, ma si odiò quando scoprì che non era così. Che nonostante tutto, era quasi a posto con il fatto che fosse tornata. Era terrorizzato, non sapeva come affrontare il dolore che il suo ritorno comportava, ma andava bene. Voleva che se ne andasse? Non lo sapeva davvero. Sarebbe stato meglio, forse: ma non sarebbe riuscito, in nessun modo, a dimenticare quei due giorni e tornare nel mondo che si era costruito senza di lei. Quei due giorni c’erano stati, e non poteva fingere il contrario.
Luca la tenne fra le sue braccia per qualche minuto, finché lei stessa, consapevole di star commettendo uno sbaglio a lasciarsi andare a quella nostalgia che non avrebbe portato a nulla di buono, si staccò da lui e si asciugò le lacrime con il dorso della mano. «Grazie della tua sincerità –disse, e ammiccò- hai intenzione di restare per la notte?»
«Sì, penso di sì» rispose quindi Luca, un po’ scosso da quell’improvviso cambio di atteggiamento.
«Allora buonanotte, a domani» Teresa si affrettò ad entrare in casa e a correre nella sua stanza. Chiuse la porta e, gettata sul letto, completò il suo pianto sommessamente, con il dolore che le pervadeva tutto quanto il corpo, la nostalgia che la uccideva e il senso di colpa per le emozioni verso Luca che sembravano fare ancora più male, a distanza di cinque anni.

 

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