On a symphony

di Tormenta
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A sky full of stars ***
Capitolo 2: *** Miracles ***
Capitolo 3: *** Up&Up ***
Capitolo 4: *** Hymn ***
Capitolo 5: *** Magic ***
Capitolo 6: *** Ink ***



Capitolo 1
*** A sky full of stars ***


Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico
Contesto: Vago. Tuttavia, 
ho mentalmente collocato il racconto durante gli ultimi momenti dell’undicesima stagione, pertanto sono presenti alcuni minuscoli riferimenti al plot di quest’ultima.
Note: OneSided!Destiel
 

 
Go on and tear me apart
I don’t care if you do
cause in a sky full of stars
I think I see you
 
You’re such a heavenly view
 
 
A sky full of stars
 
 

 
        Dean Winchester brilla. Lui lo ignora; è convinto d’essere sporco e sbagliato e immeritevole, quando invece la sua anima splende come il sole nel deserto. È una luminosità che vedi riflessa ovunque, che ti compiaci d’aver una volta sfiorato, e soprattutto, che ti ha reso dipendente.

        È una luce che inebria, ne hai bisogno – hai bisogno di poterti beare del tepore che trasmette e che hai imparato a conoscere, della vibrazione che t’innesca sottopelle. Non puoi fare a meno di volerla proteggere, perché senti la necessità di saperla al sicuro – ed è così illogico. Illogico e pazzo, perché è proprio quando è in pericolo che Dean splende di più, che t’incanta; quando si dice pronto a sacrificarsi, a scendere sul campo di battaglia schierato in prima fila. In quei frangenti, quasi t’acceca: è bello d’una bellezza indescrivibile, perché è così buono e neanche se ne rende conto. Osservarlo ti regala una sensazione magnifica, che tuttavia punge – perché per quanto quella luminosità sia stupenda, resta associata al suo volersi immolare; a Dean che rischia di morire, che afferma di non aver paura di farlo.
        Tu, Castiel, angelo del Signore, puoi vantare una forte disposizione al sacrificio. Se ti chiedessero di pagare per una giusta causa, non esiteresti a farti avanti. Capisci, dunque, il comportamento di Dean, e la tua mente lo condivide; eppure, anche se non osi ostacolarlo, poiché sai che è giusto, nel profondo non l’accetti. Come potresti, quando minaccia di privarti della luce che tanto adori?
        Per salvarla― per salvare Dean, faresti tutto. Ribellarsi e combattere, ma anche lasciarsi distruggere, cacciare, ferire, possedere da Lucifero in persona; qualunque cosa. Per quanto possa far male, saresti pronto ad accettarlo.
        E a volte fa davvero male; come mille e mille spade che trafiggono tutte insieme. Eppure, non sono mai state le avversità ad infliggerti le sofferenze più grandi: è sempre stato Dean stesso.
 

        Quando ti dedica attenzione, si apre; quando ti ripete che ha bisogno di te; quando t’accoglie nella sua famiglia – in tutti quegli istanti ti sembra di poter credere che il suo chiarore ti sia devoto quanto tu lo sei a lui. Percepisci qualcosa gonfiarsi nel petto ed è una sensazione talmente celestiale che No, ti dici, non è possibile.
        Come si può provare così tanto bene tutt’insieme? Per una persona sola?
        Si può. Si può eccome, perché tu lo provi per lui – ed è una tortura.
        «Voglio che tu rimanga», «Il tuo posto è qui, con noi», «Sei come un fratello».
        Tutte quelle parole sono come aria fresca dopo una lunga apnea, le veneri e le respiri a fondo, estasiato; ma sono anche veleno e, ogni volta, ti uccidono. Perché lo sai – sai che Dean non attribuisce alle frasi il significato che tu vorresti; sai che per lui non è lo stesso.
        Non che il suo affetto non sia sincero. Dean ti ama nel modo migliore che conosce – ti ama come si ama la famiglia. E il suo è un amore che ti nutre, che ti dà un motivo per continuare a lottare, un posto in cui tornare, qualcuno a cui affidarsi, il diritto d’ammirare la sua luce; ma ad una parte di te tutto ciò non basta. Sei ingordo. Vorresti di più, così tanto di più da non esser nemmeno certo di saper concepire quanto di preciso.
        Ed è quello – la consapevolezza che non otterrai mai ciò che desideri, che l’anima sfavillante che ami sarà sempre troppo distante da te, che ti causerà sempre un dolore lacerante― quella è la vera sofferenza. Ed è terribile.
        Eppure non abbandoni il tuo posto: continui a lasciarti scottare dalla luce di Dean, ad illuderti e a patire. Sei disposto a lasciare che il vuoto ti riempia, che ti accarezzi e che ti schiacci; perché anche se fa male, non hai il cuore di troncare l’attaccamento che provi: alla sola idea di perderlo, tremi.
        È un sentimento tanto maestoso ed incombente, il tuo, da non poter essere comparato a nulla, se non, forse, ad un immenso cielo pieno di stelle. Un cielo che, ti dici, vale la pena d’ammirare, finché ci sarà Dean Winchester a brillare per illuminarlo.








 
Angolo di Tormenta
Una piccola storia per sfogarmi, perchè 1) 
per quel che mi riguarda i Coldplay urlano costantemente Destiel e 2) volevo provare a mettere a fuoco quel qualcosa che non riesco a smettere di credere che Castiel provi per Dean anche a livello di canon. Spero possiate aver apprezzato! c:
Un bacio,
T. ♪

[Edit] Ho trasformato la storia in una raccolta, perché sì. 

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Capitolo 2
*** Miracles ***


Genere: Sentimentale
Contesto: Inizio della quarta stagione (missing moment/headcanon)
Note: Pre!Destiel

 
From up above I heard
the angels sing to me these words
 
When I look in your eyes
I forget all about what hurts
 
 
Miracles
 
 
 
        D’improvviso, il caos.
        Insomma, più caos; il caos di per sé è nella norma – si tratta pur sempre dell’Inferno, e all’Inferno tutto brucia e graffia e si contorce, senza freno: affogate in un’aria pesante, densa d’un fumo torbido e costantemente lacerata da grida e da lamenti e dal suono di carne che si strappa, sempre vibrano lame, e rimbombano le eco di colpi su incudini, e strisciano catene, e ombre corrono, inseguono, subiscono e battono – non c’è pace, mai; nemmeno per un singolo istante. Dean Winchester, nero in volto, negli occhi e (teme) ormai anche nel cuore, a forza d’annaspare in quel continuo tormento, da tanto nutre la forte e banale convinzione che non ci sia al mondo nulla di peggiore.
        In ogni caso, come s’è detto― d’improvviso, più caos.

        L’oscurità viene repentinamente fessa da una luce accecante, e mille e mille occhi usi alle tenebre ne risultano orribilmente punti. Prima ancora che qualcuno possa questionare l’accaduto, il rimbombo d’un impatto scuote il terreno e subito s’alzano urla nuove e vecchie insieme. Su quelle, s’impongono poi nitide alcune parole in una lingua antica e incomprensibile e pura; sono solo poche sillabe, ma comunque compiono il miracolo di metter a tacere il disastroso rimestarsi infernale.
        Il tanfo di paura si fa insostenibile, rivelando un comune terrore ben più viscerale di quello che solitamente impesta l’aria.
        Le anime soffiano e gemono sottovoce, in coro, e poi stride un acuto verso risentito: come la frustra sprona il cavallo stanco a riprendere il galoppo, quel latrato inumano fa ripartire la ruota – ricominciano inesorabili le torture interrotte dalla luce, e con esse rimontano i tetri rumori di sofferenza e di lamento.
 
        Dean Winchester fa eccezione nella massa: non torna a far ciò che prima lo teneva occupato – non ci riesce, e la lancia aguzza che brandiva, con la quale è consapevole d’aver compiuto atti osceni, gli scivola di mano.
        Si sente come privato d’ogni energia e percepisce le ossa a pezzi, e allora trema e cade, in preda alla confusione e al timore; ha le palpebre fermamente serrate e, dietro quelle, i suoi occhi lacrimano incontrollati. Piange, dunque, riverso a terra e stordito e schiacciato come un verme, mentre attende. Cosa, non lo sa neanche lui.
        Di certo non s’aspetta quello che è sul punto di succedere.
 
        Qualcosa lo chiama. Non per nome― spiritualmente. Una qualche forza lo vuole, cerca d’attirarlo a sé – chissà come, intuisce d’essere cercato, e inoltre che un’essenza indefinita dentro di lui, bypassando il suo volere, sta rispondendo all’appello.
        Prova angoscia e sussulta vigorosamente, cercando di nascondere il viso dietro un braccio; la luce, infatti, al di là delle palpebre strizzate, s’è fatta ancor più splendente, più vicina, e morde le sue pupille sensibili.
        Passano forse un paio di secondi, scanditi dagli strilli e dagli stridii metallici che lo circondano, ed ecco― ora può sentire incombere la fonte di tanto lume proprio su di sé; sa di essere nel suo mirino. Istintivamente cerca di farsi più piccolo, perché quel chiarore emana un calore tutto diverso da quello a cui è ormai abituato; è un calore che brucia come se non volesse ferire (o almeno, come se non volesse ferire lui) ed è da così tanto che Dean non entra in contatto con qualcosa che non ha intenzione di infliggergli chissà quale pena, che dà per scontato di non potersi fidare.
        Si persuade d’aver motivo di credere che sia giusto dubitare delle intenzioni della… cosa, entità, quel che è, quando si sente agguantare e stringere e sollevare.
        Reagisce gridando con tutta la voce che ha in corpo, e il panico lo spinge a cercare d’aprire gli occhi per difendersi, ma riesce appena a dischiuderli prima di doverli nuovamente strizzare perché maledizione, c’è troppa luce.
        E poi― Poi, tutto cambia.
 
        Sente il mondo correre via, come se stesse scivolando lontano da lui, come se lo stessero strappando dalla realtà, come se― come se l’essere che l’ha afferrato lo stesse trascinando verso l’alto ad una velocità stratosferica.
        Ed è così. Anche senza poterlo confermare visivamente, lo capisce – è quello che sta accadendo; qualcosa lo sta portando fuori dal buco infernale in cui era intrappolato. Non può non rendersene conto: il peso che l’opprimeva, che l’ha oppresso per anni, sta svanendo; i suoni delle torture si son fatti lontani e continuano ad affievolirsi; il dolore che tanto a lungo gli ha costantemente azzannato ogni fibra sta allentando progressivamente la sua morsa.
 
        Scombussolato al punto da sentirsi a malapena in grado di restar cosciente, “Un salvataggio?” pensa.
        “Non― no”.
        È tutto ciò in cui aveva tacitamente sperato. All’inizio. Ma ora― dopo aver ceduto alle tentazioni demoniache, dopo aver iniziato a far del male alle altre anime per non soffrire più così tanto― ora, le sue speranze sono avvizzite.
        “Non lo merito. Non ne vale la pena” recita all’infinito nella propria testa, sull’orlo d’un attacco d’ansia indotto dalla disperazione e dalla vergogna.
        Quasi singhiozzando mutamente, perde contatto con ciò che lo circonda – ma non sviene. Non esattamente, almeno; resta consapevole di sé, ma tutto gli risulta sfocato e flebile ed è come se fosse paralizzato.
 
        Non gli è dato quantificare il tempo che trascorre da quando quello stato catatonico inizia, a quando finisce – tutto ciò che sa è che d’un tratto comincia a star meglio. E anche se è stanco, stanchissimo (d’altronde quella è la prima volta in quarant’anni che fa qualcosa simile al riposarsi, allo star fermo), è sollevato, perché non c’è più alcuna pressione a comprimerlo, si sente leggero e fluttuante e addirittura la gran luce al di là delle ciglia gli pare essersi fatta sopportabile; tant’è che racimola il coraggio di sbirciare e, tastato il terreno, d’aprir a fessura gli occhi.
        C’è tanto bianco ovunque; un bianco candido e surreale che non riesce a mettere a fuoco e che l’abbaglia. Su quello sfondo, si staglia lo sfrigolio indefinito di raggi luminosi che, tiepidi, l’accarezzano blandamente.
        Per poco non ha un’altra crisi di panico, perché Dove cavolo sono?
        Un tocco freddo a livello del petto, elargito senza preavviso, lo fa rabbrividire prima che possa cercare una risposta. Di cosa s’è trattato, Dean lo ignora. Contrae i muscoli, allora, preparandosi al peggio; ma quella sua reazione sembra indispettire il chiarore in cui galleggia: immediatamente, infatti, il bagliore esplode in un picco d’intensità, costringendolo a riserrare le palpebre e a mugugnare dal fastidio.
 
        C’è qualcosa, lì; qualcuno. Deve parlarci.
        «Cosa―» biascica, roco «cosa sei?»
        A lungo, aleggia uno spaventoso silenzio che Dean non ha alcun modo di decifrare; inerme, non può che attendere una replica di qualche tipo.
        E quando la ottiene― oh, quando la ottiene vibra e s’agita, perché non è nulla di ciò che s’aspettava – «Non è questo il momento di fare domande» afferma una voce; una voce che, però, non è affatto una voce: è musica. Stramaledetta musica, davvero; potrebbe giurarlo. E non è il rock che a lui piace tanto, né null’altro che possa veramente riconoscere – ma è certamente musica; musica d’un tipo tutto nuovo, che lo rivolta e gli solletica le orecchie e gli rimbomba dentro trasmettendogli una sensazione di riverenza e sicurezza che quasi lo fa palpitare e boccheggiare. È composta da note basse e riverberanti che provengono da tutte le direzioni e che lo lambiscono come l’acqua fresca lambisce una gola secca, rintronandolo in modo delizioso. «Per ora, ti basti sapere che mi hanno inviato per te» prosegue il canto, e Dean non può che sciogliersi, inebriato.
        «Per me?» soffia, incredulo, «No― uhm». Quell’armonia l’ha definitivamente destabilizzato, ma deve sforzarsi, deve capire, perché se― se… «Sam―» riesce a bisbigliare, e già solo il nome del fratello gli causa una stretta al cuore.
        Che Sammy abbia fatto un patto, per salvarlo? Se sì, con chi? È in pericolo? Cos’ha sacrificato per lui, per un’anima che ormai appartiene all’Inferno?
        Decine di domande gli affollano la mente e, pizzicato da tocchi freddi uguali a quello di poco prima che dal nulla iniziano a susseguirsi veloci, si perde tra i punti interrogativi. Ragionare, ora come ora, per Dean Winchester è davvero molto più complicato di quanto non lo sia mai stato.
        «Cosa―?» mormora, tentando disperatamente di combattere contro la confusione; non può arrendersi, non può― ma una scarica gelida più intensa delle altre pare volerlo mettere a tacere.
        «Non è il momento» ribadisce melodiosa e perentoria la voce, e Dean, arricciandosi in una beatitudine che va oltre ogni comprensione, non può che capitolare.
        Tace, quindi, e per un istante rischia di perdersi nuovamente in uno stato vegetativo; pur d’evitarlo, s’impone di provare a riaprire gli occhi e― oh. Solo: oh.
        Finalmente, vede. Ed è terrificante ed illuminante ed enorme, e tutto quello gli istilla in petto l’assoluta convinzione d’esser debole, ma allo stesso tempo di poter essere forte; è come se solo restando lì, a guardare, potesse dimenticare il dolore provato e― dannazione, non lo sa descrivere; non è mai stato bravo con le parole. Ma in fondo, descriverlo sarebbe un gran peccato: è tanto più bello ammirarlo e basta.
 
        Il chiarore sfarfalla: impercettibilmente, pare tentennare, come se la consapevolezza d’avere addosso il misero sguardo d’un’anima mortale l’intrigasse.
        (Dietro la nube di luce, Castiel sa di non poter essere veramente visto, e che quello che Dean Winchester sta osservando non è che un’ombra della sua reale forma, ma comunque― è la prima volta che tiene un’anima tanto vicina a sé, che ne cura così minuziosamente le ferite. Ed è dunque la prima volta che un umano, sebbene probabilmente per via della massiccia quantità di Grazia che gli sta iniettando sottopelle, risulta essere a tanto così dal guardarlo davvero, che l’ascolta – quindi sì, è intrigato. E per un attimo – un solo attimo – esita.
        Poi, torna diligentemente ad assolvere il proprio compito. Pulisce l’anima, ne riempie le crepe; ed è come soffiare via la polvere dalla copertina d’un vecchio libro: sotto alla fuliggine, allo sporco incrostato dovuto alla permanenza all’Inferno, brilla uno spirito forte e determinato, che a dispetto dei danni riportati resiste con orgoglio e tenacia. È quello spirito che vuole riportare a galla con i propri tocchi sapienti e calibrati – e decisamente non delicati. È un guerriero, non una bàlia; la delicatezza non gli appartiene. Ma Dean Winchester non si lamenta; continua semplicemente a scrutarlo, con le ciglia evidentemente pesanti – sembra essere ad un passo dall’addormentarsi. Castiel non sa dire se desidera che quel sonno arrivi, o meno; sembra tanto patetico, eppure una parte del suo essere vuole quegli occhi addosso.
        Non gli è stato comandato di mantenere l’umano cosciente durante il processo. Ma― non gli è stato nemmeno proibito di farlo.
        Esita ancora – è così strano, per lui – e poi sceglie.
        Cancellando una macchia, è di proposito più brusco del dovuto: conduce una scarica fredda abbastanza intensa da causare all’uomo un piccolo spasmo. Lo punzecchia, insomma, e può subito notare che i suoi occhi tornano ad essere appena più vispi.
        È profondamente soddisfatto del risultato ottenuto.)
 
        «Cosa mi stai facendo?» mugugna Dean, con la lingua impastata.
        «Non serve che te lo dica ora. Comunque non lo ricorderesti».
        Quella risposta, per quanto fornitagli sulle note d’una melodia di cui dubita potrebbe mai stancarsi, non gli piace per niente. «Uh?» Non ha modo d’articolare maggiormente la domanda, perché l’ennesima scossa fredda gli investe nientemeno che il viso, congelandolo momentaneamente.
        «A tempo debito» asserisce la voce, danzante e armonica – sempre splendida, ma segnata quella volta da un’inflessione quasi dispiaciuta che prima era assente.
 
        Dean sta per riuscire a scandire qualche sillaba, quando d’improvviso si sente cadere, sprofondare – subito tenta di gridare, ma inefficacemente.
        La luce, in un flash, torna ad essere insopportabile: lo costringe a strizzare le ciglia; e l’esser privato della vista non fa che nutrire l’affamato terrore che, da poco assopito, sta tornando a crescergli con prepotenza nel petto.
        Sta per essere rigettato nella fossa?
        “No―” pensa in un baleno, dimenandosi, e la sua paura è tanto grande che nemmeno s’accorge che quel No s’è trasformato in un’incomprensibile cantilena che gli sta scivolando come un fiume in piena fuori dalle labbra.
 
        (Al veder una tale angoscia immotivata manifestarsi, Castiel non può che provare una benevola pietà.
        Si chiede come può Dean Winchester credere che proprio lui abbia cattive intenzioni, quando è colui che l’ha appena rimesso in sesto – tra sé e sé, conclude che, probabilmente, si tratta d’istinto umano.
        Non può parlargli per rassicurarlo, non mentre sfreccia in picchiata verso la superficie terrestre – a quella velocità, la sua voce non lo raggiungerebbe. Tutto ciò che può fare è stringerlo, e sperare che tanto basti.)
 
        Il boato che rimbomba al loro impatto col suolo è a dir poco fragoroso, e l’onda d’urto che l’accompagna sferza e ricurva le sterpaglie e la secca flora nel raggio di diversi metri.
 
        Sotto terra, tornano ad unirsi un corpo e la sua scalmanata anima, trattenuta in posizione da una salda presa su una spalla.
 
 
 
 
 
        Quando poco dopo Dean risorge, emergendo dal terreno sporco ed affaticato e parecchio intontito, ignora che lo sguardo d’un angelo è incollato sulla sua persona.
 
        (Castiel l’osserva, invisibile, ponderando la prossima mossa.
        Una strana sensazione lo travolge; non ne sa discernere ogni componente, ma senza dubbio una è la soddisfazione: Dean Winchester cammina di nuovo tra i vivi, e il merito è suo. Ne è felice.)








 
Angolo di Tormenta
Doveva esserci più fluff e meno oddio quanto fa schifo la dannazione eterna, ma sapete, questo è quello che succede quando si decide di dare tre esami in otto giorni – ci si sente in vena di parlare dell’inferno. XD 
Comunque sia, spero che il racconto sia piaciuto. :) Baci,
T. ♪
 

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Capitolo 3
*** Up&Up ***


Genere: Malinconico, Sentimentale
Contesto: Fine della quinta stagione (canon divergent)
Note: Pre!Destiel

 
Sitting with the poison takes away the pain
 
We’re gonna get it together
somehow
 
 
Up&Up
 
 
 
        Fu in una serata calda, mentre era seduto sul marciapiede d’una cittadina anonima davanti ad un bar chiassoso ed affollato, che Dean Winchester inoltrò la chiamata che da tempo desiderava fare.

        Non ottenne risposta.
 

        «Non capisco. Perché― perché vuole che dica il mio nome?» risuonò, in diretta dal passato, la voce di Castiel registrata sulla segreteria.
        In un altro frangente, forse l’assurda perplessità di cui il messaggio era imbevuto avrebbe strappato a Dean un microscopico sorriso. Ma in quel momento, considerata la condizione a dir poco pietosa in cui versava, non poté che indurlo a sospirare lievemente.
        Si sentiva la testa pesante e la bocca impastata, e non appena il bip che segnalava che poteva parlare s’estinse, si rese conto di non saper di preciso cosa dire. Cioè, di non saper quali parole usare – aveva bevuto un po’ troppo per mettere insieme frasi coerenti, e non a sufficienza per sciogliere la lingua.
        Deglutì, e «Cas» si sforzò di soffiare, roco, per poi lasciar trascorrere un istante di silenzio. «Devo― uh― vorrei parlarti. Ho provato a pregare, ma― ».
        Col telefono premuto forte contro un orecchio, mise a fuoco con gran orrore quanto il proprio gesto fosse disperato: se Castiel aveva ignorato le sue preghiere, di certo non avrebbe ascoltato i messaggi in segreteria. Chissà, forse aveva tolto le tende per tornare permanentemente in Paradiso.
        Un pungente brivido d’amarezza lo colse, e per poco non si lasciò sfuggire un lamento, perché: Se n’è andato. Se ne andavano sempre tutti.
        L’unico dettaglio che gli dava speranza – una speranza a cui voleva pazzamente aggrapparsi – era che il suo numero pareva essere ancora attivo.
        S’accorse di non aver ancora terminato la chiamata dopo diversi secondi di vuoto, e dovette passarsi una mano sul volto prima di riuscire a concludere, approssimativo: «Richiamami. Se― se ci sei ancora».
 

        Riposto il cellulare nella tasca della giacca, inspirò una boccata d’aria umida e sollevò lo sguardo, soffermandosi a fissare il cielo scuro abbagliato dalla luce dei lampioni. Non si vedeva neanche una stella.
        Psicologicamente a pezzi, si disse che, decisamente, non era ubriaco abbastanza.
 
 
 
 
 

        (L’offerta per quella birra è ancora valida?
        Porre a Lisa quella semplice domanda era tutto ciò che, a seguito dello scontro con Lucifero e Michele, Dean avrebbe dovuto fare. Quelle poche parole sarebbero state l’ufficiale battuta d’inizio dei suoi giorni di meritato e necessario ricovero, e avrebbero rappresentato una promessa mantenuta – la promessa di provare a condurre un’esistenza normale dopo l’Apocalisse. Con la meccanica intenzione di pronunciarle, quindi, aveva guidato sino a raggiungere l’indirizzo della donna; ma le cose erano andate storte. Accostata l’auto sul ciglio della strada, infatti, col cuore in gola, aveva occhieggiato dal finestrino la casa in cui Lisa e suo figlio abitavano, e tanto era bastato a provocargli uno sconclusionato stato di panico.
        Per tanti, troppi motivi Non posso farlo, aveva pensato, le mani dolorosamente strette al volante; Non posso.
        Si sarebbe dovuto lasciare i demoni, i mostri, i cataclismi― tutto alle spalle? Come se non fosse più affare suo, come se rintanarsi in una bella villetta di periferia non mettesse nessuno in pericolo e bastasse a tener lontane le minacce. E poi – Sam, Sammy s’era gettato in buco cadendo all’inferno col maledetto diavolo― avrebbe dovuto accettare quello? L’aveva promesso, certo, ma― no. Semplicemente, no.
        S’era reso conto che era presto, che non era per nulla pronto a lasciar andare tutto quanto, a lasciar andare suo fratello, e che probabilmente non lo sarebbe stato mai. Trascinare Lisa – e Ben. Un ragazzino – nella spirale d’autodistruzione e depressione che l’aspettava sarebbe stato tanto crudele quanto ingiusto.
        Perciò, con un macigno incastrato in gola e senza alcuna meta precisa in mente, aveva premuto seccamente il piede sull’acceleratore, e se n’era andato.
 

        Per giorni, non aveva fatto altro che frequentare pub e bettole in tre diversi Stati. Il caos e le atmosfere di quei locali e il deleterio bisogno di sentir la gola bruciata dall’alcol l’avevano corroso indicibilmente, ma, d’altronde, la mancanza e il disagio che si portava costantemente appresso e che gli esplodevano dentro quando non c’era nulla a distrarlo erano mali ben peggiori.
 

        Bobby l’aveva chiamato, una volta. «Cosa stai facendo?» gli aveva chiesto, e Dean aveva esitato a rispondere perché, onestamente, non era del tutto certo di saperlo.
        Beveva, dormiva, fuggiva dagli incubi, guidava. E pensava. Gli pareva di non aver mai pensato tanto in vita sua; o perlomeno, di non averlo mai fatto con una tale dedizione.
        Si sarebbe potuto dire che era in lutto. Tranne per il fatto che non lo era completamente.

        Stava soffrendo, sì – da morire. Ma in lui continuava a persistere una flebile aspettativa; un’illusione, magari, un patetico arrampicarsi sugli specchi. La speranza di poter portare indietro Sam. Una speranza che non poteva non nutrire, ma che non aveva ancora tradotto in azioni: non aveva provato ad escogitare un piano di salvataggio; non s’era nemmeno ancora informato, poiché temeva d’incappare nella conferma del fatto che no, dopotutto non c’era proprio nulla che potesse fare.
        A lungo, insomma, era rimasto in stallo in un mare di liquore e di bile, con una barca di malessere ancorata alle ossa.
 

        Poi, ad un certo punto, con gli occhi vuoti e un bicchiere pieno in mano, aveva raggiunto il proprio limite di sopportazione.
        Aveva messo a fuoco che continuare a correre in circolo come un serpente intento a mangiarsi la coda non aveva senso, e s’era detto che se doveva sbattere il naso contro un muro e affrontare la realtà d’aver perso per sempre suo fratello, allora tanto valeva farlo e basta, senza rimandare l’inevitabile.
 

        Aveva rivolto preghiere a Castiel, scongiurandolo di farsi vivo e confessando d’aver bisogno del suo aiuto. Lui, in fondo, era già sceso all’Inferno una volta e, Dean ne era sicuro, avrebbe potuto digli se c’era anche solo una minuscola possibilità di fare lo stesso per Sam.
        Ma l’angelo l’aveva ignorato. O, forse, non aveva sentito la sua voce – possibilità sulla quale, tuttavia, per un milione di motivi, non s’era voluto soffermare.
 

        Quasi ventiquattro ore dopo l’ultima preghiera, sotto i lampioni d’una strada vuota, giocando l’ultima carta che gli restava, Dean Winchester aveva registrato quel messaggio sulla segreteria telefonica.)
 
 
 
 
 

        Cas.
        Devo― uh― vorrei parlarti. Ho provato a pregare, ma― sì.
        
        Richiamami. Se― se ci sei ancora.
 
 
 
 
 

        Dovettero passare due giorni perché il suo cellulare squillasse.
        La suoneria lo sorprese nel cuore della notte, cogliendolo mentre era spalmato sul bancone dell’ennesimo bar. Come un faro nel buio, sul display campeggiava il nome CAS.
 

        Dean fissò lo schermo senza reagire per diversi secondi, abbagliato. Senza accorgersene, trattenne il respiro, e nel frattempo il mondo rallentò per un attimo. Poi, in un lampo, tutto gli crollò addosso come una secchiata d’acqua fredda: si ritrovò a scacciare i fumi dell’alcol e a premere il pulsante verde e a lasciare una banconota stropicciata all’uomo che l’aveva servito, e un battito di ciglia più tardi era già fuori dal locale con la bocca dischiusa.
        Si sentì incapace di scandire anche solo una parola, perciò non fiatò.
 

        Per alcuni istanti, ci fu solo il nulla. Poi―
        «Dean» vibrò una familiare voce all’altro capo della linea, e il sollievo gl’inondò la pancia. «Dove sei?»
        «Cas». Quel nome gli si sciolse sulla lingua, morbido come il burro. «Uh―» cercando di non cedere al capogiro che gli oscurò momentaneamente la vista e allontanandosi a passo spedito dall’entrata del pub, borbottò il nome d’una cittadina e d’uno Stato, per poi precisare: «nel parcheggio dietro l’Indigo motel».
        E sulle note della sua ultima sillaba, tutto occhi blu e giacca beige, come un miraggio, Castiel gli comparve davanti.
        Come d’abitudine, invase i suoi spazi – se intenzionalmente o accidentalmente, Dean non avrebbe saputo dirlo, e non perse tempo a chiederlo. Né tantomeno a lamentarsene. Piuttosto, si lasciò rapire dalla lunga occhiata, da ambo le parti incredula e stremata, che si scambiarono mentre ancora stringevano tra le dita i rispettivi telefoni.
 

        L’angelo riprese parola per primo: Richiamami, se ci sei ancora gli aveva detto Dean nel suo messaggio, e allora «Ci sono ancora» soffiò, pacato, ignaro dei propri livelli di sentimentalismo.
        Quando il cacciatore realizzò a cosa l’altro si stesse riferendo, fu tentato di ribattere con sarcasmo. Non lo fece, però; si limitò ad abbozzare uno sbuffo malinconico ma contento, riponendo il cellulare in tasca.
        Cas lo imitò, aggiungendo: «Non ho potuto mettermi in contatto con te prima di adesso. Gli angeli sono… in rivolta, e ho molto di cui occuparmi». Non fornì alcuna precisazione a riguardo, lanciando piuttosto uno sguardo nel nulla come se fosse distratto. Dopodiché riprese: «Ma ho ascoltato le tue preghiere».
        Dean deglutì, sforzandosi di tenere a bada un tuffo al cuore. «Quindi, sai perché ti ho chiamato».
        «Credo di sì». Per un attimo, il silenzio li avvolse. «Onestamente, non credevo che l’avresti fatto».
        «Chiamarti?»
        «Sì».
        Si passò stancamente una mano sul viso. «Perché? Credevi che― che sarei sparito?» In effetti, come dargli torto? S’accigliò, adombrato. «Sì, beh, lo credevano tutti. Lo credevo anch’io. Ma la verità è che― non ce la faccio». Se avesse avuto meno alcol in corpo, forse, ammetterlo non gli sarebbe risultato tanto semplice.
        «Non era mia intenzione accusarti di nulla» precisò Castiel, notata la reazione indispettita dell’uomo. «Sono felice che tu abbia chiamato. Anche se l’hai fatto perché stai soffrendo».
        Al di là del dolore, Dean provò una vaga gioia. Desiderò d’esprimerla, di dire a Cas che anche lui era felice e soprattutto che gli era grato; grato perché non se n’era andato, perché era tornato per lui e perché l’aveva ascoltato. Ma non riuscì ad emettere alcun suono: nel suo petto, era tutto contenuto in camere blindate. Non poté che sperare che l’angelo capisse, allora. Intanto, deluso da se stesso, chinò e scosse appena la testa; in subbuglio, poi, si mosse istintivamente verso l’Impala, parcheggiata a qualche decina di metri di distanza.
        Castiel, taciturno, gli fu subito dietro.
 

        Raggiunta l’amata auto, il cacciatore trovò un pizzico di conforto nello sfiorarne la carrozzeria; abbastanza da decidere di tornare ad affrontare lo sguardo elettrico dell’altro.
        «Non―» bisbigliò, per poi schiarirsi la voce «non giriamoci tanto attorno».
        Cas piegò lievemente il capo da una parte e assottigliò le palpebre, senza ribattere.
        «Hai detto di sapere perché ti ho chiamato».
        «Ho detto di crederlo».
        «. Quindi― hm». Tentennò, affondando i denti in una guancia; era a tanto così dal porre la domanda, ma all’ultimo deviò e chiese: «Tu― non mi daresti mai false speranze, e non mi mentiresti. Vero, Cas?»
        L’angelo s’irrigidì e un’intricata ombra gli attraverso la faccia; una reazione, la sua, che apparve e scomparve troppo rapidamente per essere interpretata, e che in ogni caso passò in sordina, messa in secondo piano da un ferreo «No, Dean».
        E No, certo, pensò lui; Castiel non avrebbe avuto alcun motivo di mentirgli. Dunque prese un bel respiro, e: «Che tu sappia, c’è un modo per salvare Sam?»
        Ecco. Era giunto il momento della verità. Quasi tremò, attendendo un responso coi pugni stretti e la mascella contratta.
        Senza fare una piega, Cas si prese del tempo per riflettere, gli occhi puntati in un punto indefinito dello spazio. Dean stava più o meno morendo dentro, ma non gli mise fretta; piuttosto, s’addossò all’Impala in cerca di sostegno, sia fisico sia morale.
 

        Quando l’angelo tornò ad aprir bocca, parve quasi spezzarsi un sortilegio, tanto la sua voce s’impose di botto su ogni altro suono.
        «La gabbia di Lucifero deve rimanere sigillata» proferì. «Per Lucifero».
        Il cacciatore credette di captare una nota di tenue speranza e, teso, si umettò le labbra.
        «Sam non è Lucifero» concluse Castiel, serafico e sibillino.
        Il volto di Dean s’illuminò, mentre il vuoto gli attanagliava lo stomaco. «Quindi c’è una possibilità» mormorò, incapace di tenersi a freno; percepì ogni muscolo fremere, e per la prima volta dopo tanti giorni desiderò d’essere quanto più lucido possibile.
        Cas non commentò, serio e ancora intento a ponderare. Da fuori sembrava profondamente concentrato, come se ci fossero degli indicibili elementi nel salvataggio di Sam Winchester capaci di turbarlo oltremisura.
        Dean, esagitato, non si curò del dettaglio e bofonchiò, flebile e precipitoso: «Facciamolo. Qualsiasi cosa sia, facciamolo». Solo dopo un istante, col vento tiepido della notte a soffiargli sul viso, mise a fuoco che, forse, stava dando Castiel per scontato: aveva parlato di angeli in rivolta e di impegni, e ci aveva messo giorni a trovare dieci minuti per lui, perciò― «Uh, sei― sei con me?» domandò, incerto.
        Qualunque dubbio o peso avesse fatto aggrottare la fronte di Cas, e gli avesse sin lì inscurito i tratti, svanì, lasciando il posto ad un’espressione aperta e benevola. «Per fare del bene – sempre, Dean» disse con tono caldo.
        Di nuovo, l’altro non fu capace di dar voce alla propria gratitudine. Quella volta, però, non abbassò lo sguardo, e chissà come riuscì a decifrare quello dell’angelo: Cas aveva capito, lo seppe con certezza. Quasi, arrugginito, gli sorrise.
 

        Da un momento all’altro, l’aria non gli parve più tanto umida.
        Sotto al suo tocco, c’era l’Impala che sapeva di casa; al suo fianco, c’era Castiel pronto ad aiutarlo; e da qualche parte, c’era la reale speranza di rivedere Sammy. Era ancora scombussolato per via di tutto l’alcol ingerito e l’ombra d’un radicato pessimismo continuava a lacerarlo, ma Forse, si concesse di pensare ― forse, dopotutto, sarebbe riuscito a rimettere insieme i pezzi.







 
Angolo di Tormenta
Non mi è mai andato del tutto a genio il raccordo tra la quinta e la sesta stagione. Così, mi sono permessa di rielaborarlo. c: Spero vi abbia convinti almeno un pochino.
A presto! Baci,
T. ♪

P.S.: Di solito aggiorno le mie storie con costanza. Qui non lo sto facendo perché questi racconti sono tutti sfoghi non programmati, per di più autoconclusivi. E boh, sento quasi il bisogno di scusarmi, anche se probabilmente i “ritardi” nella pubblicazione danno più fastidio a me che a voi.

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Capitolo 4
*** Hymn ***


Genere: Romantico, Commedia
Contesto: Vago
Note: Destiel

 
Oh angels sent from up above
you know you make my world light up
when I was down, when I was hurt
you came to lift me up


Life is a drink, your love’s about
to make the stars come out
 
 
Hymn
 
 
 
        È in un lampo di quella che credi sia follia, che spingi per la prima volta la bocca contro la sua.

        E, ecco, è un po’ come baciare un muro di mattoni.
        Non che tu abbia esattamente il tempo di analizzare la sensazione, occupato come sei a scattare già indietro col panico nelle vene – perché oddio hai veramente appena dato una sottospecie di bacio a un angelo del Signore, forse sfiorando la blasfemia, chissà; e non hai la benché minima idea di cosa accadrà adesso, di cosa farà lui, di come gli spiegherai il tuo gesto – davvero, come? Perché sai che la lingua non collaborerà, non mentre hai addosso quello sguardo; senza dubbio uno dei più intensi che Castiel t’abbia mai dedicato, e―
 

        Oh.
        (Ti ha baciato.
        È stato veloce – ti ha imitato alla perfezione, ritraendosi subito, come se non sapesse far di meglio o come se temesse d’infrangere una qualche regola che nessuno s’è preso la briga di spiegargli.
        Forse, nei recessi della tua mente, sotto gli strati di costipazione sentimentale, la trovi una cosa carina. Ma solo forse, sia chiaro.)
        E sì, okay ti dici, piacevolmente disorientato – è decisamente la miglior reazione che potessi sperare d’ottenere.
 

        È parecchio strano ripensare a come siete giunti a questo punto. Insomma, al vostro primo incontro (o almeno, il primo che ricordi) gli hai piantato un coltello nel petto. Scena pittoresca, supponi, ma soprattutto ironica, considerato che su due piedi hai pugnalato il cuore di colui che avrebbe finito per rubare il tuo.
        Perché , quello è ciò che è successo. Non sai di preciso né come, né quando― di sicuro dopo che Castiel era diventato Cas, e mentre Gli angeli sono tutti bastardi si trasformava in Sei “famiglia”― comunque sia, il punto è: è successo.
 

        Una parte di te è convinta che te lo saresti dovuto aspettare. In fondo, escluso Sam, se c’è qualcuno nell’universo che, in un modo o nell’altro, è sempre riuscito a capirti e a farti riflettere, Dean Winchester – qualcuno che è in grado di aver a che fare col tuo stile di vita e con tutti i disastri e i pericoli che ciò comporta, qualcuno per cui vale la pena di non sopprimere l’attaccamento emotivo― ecco, quello è senza dubbio Castiel.
        Lui che ti ha salvato; lui che per l’umanità, per te, è arrivato a ribellarsi al Paradiso e a sacrificarsi; lui che non teme di tenerti testa; lui che ha sbagliato, e che l’ha fatto spettacolarmente su tutti i dannati fronti, per poi pentirsi; lui che t’è cresciuto sottopelle a ritmo di occhiate troppo lunghe; lui che è così leale e così importante e così… bello.
        D’accordo, magari quell’ultimo dettaglio non è nobile o sentimentale quanto gli altri, ma ehi, l’occhio vuole la sua parte, e sarebbe ipocrita dire che il suo bell’aspetto (per quanto decisamente non canonico per te, considerati i tuoi usuali gusti) non abbia influito.
 

        Oh, e perché non si dica che ignori la questione: sai che il suo corpo non è suo nel senso stretto del termine, e che dunque non è suo neanche l’aspetto che a quello s’accompagna. Ma pare che Jimmy abbia levato le tende da un pezzo; forse la prima, o la seconda volta che Cas è esploso – perché , esplodere è ricorrente, per lui.
        ...Preferisci non fare commenti a riguardo.
        L’importante è: credi di poter ormai considerare suoi quel viso e quella voce e quegli occhi; in sostanza, lui, bello.
 

        E lo è – lo è davvero. Ora che gli sei tanto vicino, non puoi non pensarlo; così come non puoi non pensare che il fatto che t’abbia baciato ha del meraviglioso.
        «Fai― fai sul serio?» riesci a bofonchiare con chissà quale forza, attanagliato dall’incredulità.
        Cas ti scruta, assottigliando appena le palpebre con aria concentrata. «E tu, Dean?»
        Non rispondi. Ovviamente – ci sono modi migliori per impiegare il tempo. Tipo premere di nuovo le labbra sulle sue, costatare la sua evidente inesperienza e decidere che d’accordo, puoi insegnargli come fare.
 

        Baciare un angelo può avere effetti collaterali? Probabilmente sì, concludi, considerato che ti senti come ubriaco e non hai bevuto. Non così tanto, almeno.
        La sensazione che ti riempie è enorme, familiare eppure estranea, e così calda nel petto. Per altro, sembra andare a braccetto con la prepotente voglia di sogghignare come una quattordicenne che è appena stata invitata al ballo della scuola; senti i muscoli del viso letteralmente tirare da quanto desiderano esplodere in un gran sorriso compiaciuto. Resisti sinché puoi, orgoglioso, ma poi al diavolo― ti lasci andare.
        Sorridi.
        È più un mezzo ghigno, in realtà, e lo soffochi contro la bocca di Castiel senza cancellarlo, perché se non ti concedi di sfoggiare quella smorfia oggi – oggi che l’hai baciato, oggi che ti ha baciato – allora quando mai lo farai?
        Questo momento merita, cavolo. Merita perché è splendido quanto spaventoso, perché ti fa sentire al contempo piccolo e gigante; merita perché Cas ti stringe forte – qualcuno potrebbe dire persino troppo forte, ma a te va benissimo così, perché la sua è una presa che t’aiuta a restare in piedi. E non l’ammetteresti mai, ma dopotutto, ne hai bisogno. Infine, questo momento merita perché, Dean, mentre lo vivi capisci d’essere letteralmente innamorato d’un angelo – ed è come aver fatto jackpot alla roulette cosmica.






 
Angolo di Tormenta
Contesto? A chi serve un contesto? Pff, non a me! XD
Che dire, avevo un gran bisogno di una dose di romanticismo sfacciato, e cosa poteva esserci di meglio di un Dean stupidamente felice? (Un po’ di guilty pleasure non ha mai fatto male a nessuno. …Giusto?) c': 
Spero possa esservi piaciuto. Alla prossima,
T. ♪

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Capitolo 5
*** Magic ***


Genere: Introspettivo, Drammatico, Sentimentale
Contesto: Prima parte della settima stagione
Note: Implied!Destiel

 
And if you were to ask me
“After all that we've been through
still believe in magic?”
Yes, I do
Of course I do
 
 
Magic
 
 
 
        La rabbia brucia in Dean Winchester come la fiamma sotto la cenere d’un fuoco estinto: si autoalimenta, affamata, e macera nella propria acidità, resa presuntuosa dalla convinzione d’essere inestinguibile. Una convinzione che Dean stesso, di tanto in tanto, condivide – perché Castiel l’ha tradito. Ha tradito tutti.
 

        Inizialmente, forse, a muovere quel maledetto angelo erano state buone intenzioni: in qualche contortissima maniera, magari aveva davvero cercato di fare la cosa che riteneva più giusta. Aveva esercitato il libero arbitrio che proprio Dean gli aveva fatto conoscere; era in parte anche sua, quindi, la responsabilità? Gli aveva insegnato qualcosa di sbagliato? In ogni caso, il problema restava: Castiel aveva mentito. Aveva fatto il doppio gioco e aveva totalmente perso la ragione, e in quel raptus di follia, recitando la parte d’un dio superbo, s’era sporcato le mani di tanto, troppo sangue – sia in cielo, sia in terra.
        Era anche colpa sua, se ora dovevano vedersela coi Leviatani – se dovevano farlo senza di lui; lui che era esploso in uno stramaledetto lago.
        Ed è soprattutto per questo che Dean è arrabbiato; perché Castiel ha combinato la cazzata del secolo, e poi ha avuto la faccia tosta di dissolversi: li ha abbandonati, lasciandosi alle spalle nulla più d’una giacca beige vecchia e sporca.
 

        La sola vista di quel trench, adesso, l’infervora. Ma, incredibilmente, sa anche placarlo – nutre e soffoca al contempo la sua ira; un’ira che, è vero, non ne vuole sapere di sparire, ma che è così… stanca. Stanca, perché è uno scudo; nasconde il dolore, e cerca di prevenirne l’ingigantimento, poiché a Dean piace credere di poter controllare il malessere che gli morde costantemente la carne. Gli piace credere che si tratti d’una manifestazione della collera che gli bolle nelle vene; che sia un qualcosa che può trovare sfogo, in un modo o nell’altro.
        Ma sa che è un’illusione – lo sa per certo ogni volta che guarda il trench. Ogni volta che lo sfiora, immergendo con sicurezza una mano nel baule dell’Impala; ogni volta che si ritrova nel cuore di notti troppo lunghe a recuperarlo dall’auto e a infilarlo sotto al proprio cuscino, stando attento che Sam non s’accorga di nulla. Perché in quei momenti sa d’essere in lutto, e riconosce l’esistenza della ferita aperta che gli fa pizzicare il petto e gli angoli degli occhi e che gli sotterra il morale.
        Il suo lato più freddo, impregnato di spirito d’autoconservazione, non si risparmia mai di borbottare che a mancargli, a farlo soffrire, sia la mera consapevolezza di non aver più un alleato potente come lo era stato Castiel. Ma è una scusa talmente poco credibile, che non riesce mai a crederci nemmeno per un secondo.
        Avere un angelo del Signore nel team aveva parecchi vantaggi, certo, ma se l’erano cavata per anni senza aiuti simili: è sicuro che possano farlo ancora. Se Castiel gli manca, quindi – se percepisce un buco tra le costole, è perché gli aveva permesso d’entrare. E la verità è che quell’angelo gli aveva scavato dentro sino ad una profondità tale ed in così poco tempo, che a stento lo ritiene possibile.
        Eppure è così. Era arrivato fino all’osso, e Dean l’aveva lasciato fare, perché Castiel non era come gli altri, non era un bugiardo. Malgrado tutto, Castiel era un amico. Castiel― era tante cose.
 

        Proprio nelle rare occasioni in cui si concede di indugiare col pensiero su quelle cose, Dean è capace d’andare oltre sia alla rabbia, sia al dolore. Vede appena poco più in là – vede il conforto del ricordo, la redenzione.
        Gli torna alla mente che, alla fine, recuperando il senno Cas s’era pentito. E tutti fanno errori – ne ha fatti anche lui, tanti quanti il suo angelo o addirittura di più; quindi chi è per giudicare? Chi è per continuare a coltivare il risentimento, per negare a oltranza a Cas il perdono?
        Dio lo sa – se fosse ancora vivo, se non fosse esploso in quel lago, se lo starebbe già negando da solo, forzando su di sé chissà quale perpetua penitenza. E il più grande dei Winchester non è un uomo facile da turbare, ma quella sola idea lo punge e gli fa contorcere lo stomaco, e non lo sopporta, perché Castiel ha combinato un fottuto casino, , ed ha sicuramente sfilacciato il loro rapporto, facendolo arrabbiare come mai prima e ferendolo, ma è Cas e―
 

        Alla fine, lui lo perdona.
        Certo che lo perdona, perché Cas è ormai parte della famiglia, ed è così che si fa con la famiglia – ci si perdona, nonostante tutto.
 

        Giunto a quella conclusione, inizia a soffrire un po’ di meno ogni giorno: un peso gli si solleva pian piano dalla cassa toracica, liberandogli il respiro e pulendogli gli occhi dalla fuliggine d’un’amara ira.
        Torna così a mettere a fuoco ciò che ha perso – Cas col suo viso calmo, confuso e a modo suo curioso. Cas che guarda tutti (ma soprattutto lui) troppo a lungo. Cas con le parole giuste in bocca. La sua bocca― (anche quella, ).
        E dovrebbe disperarsi, forse. Dovrebbe piegarsi in due urlando quanto faccia schifo la vita; quanto sia assurdo il modo in cui Castiel ha portato se stesso alla rovina, ma― non lo fa. Perché nel colossale disastro che si dipana nella sua mente quando ci pensa, incredibilmente non manca mai una nota di speranza. È dolceamara e sfarfalla come una luce sul punto di spegnersi, ma si ostina a non sparire, ribadendo senza freno che “Devi solo tenere duro, Dean. Cas tornerà. Torna sempre”.
        Chiamatelo matto, ma lui ci crede. E allora non gli resta che aspettare.




 
Angolo di Tormenta
Ah, la settima stagione! Appesantita da un’insoffribile deficienza di angeli del Signore in trench. Erano tempi oscuri. :/
Comunque – spero che il racconto vi sia piaciuto. :) E un piccolo avviso: penso che il prossimo sarà l’ultimo della raccolta. 
A presto,
T. ♪

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Capitolo 6
*** Ink ***


Genere: Introspettivo, Romantico
Contesto: Settima stagione (Emmanuel!Cas)
Note: Implied!Destiel

 

All I know
is that I love you so
so much that it hurts
 
 
Ink
 
 
 
        La notte è ancora tinta di nero pece, quando Emmanuel Allen, di colpo, si ritrova catapultato nella veglia: spalanca le palpebre nel buio e una scossa d’agitazione lo attraversa da capo a piedi, spingendolo a scattare a sedere sul letto.

        Devono trascorrere alcuni secondi di completo silenzio, prima che riesca a recuperare la calma ed il totale controllo di sé; e anche a quel punto un alone di confusione continua a ronzargli nelle orecchie, perché l’ha rivista – nella nebbia del riposo, ha incontrato nuovamente quella luce; una luce calda ed abbagliante, che non manca mai di comparirgli davanti e che scappa – scappa sempre.
        Ancora una volta, realizza, l’ha rincorsa senza successo.
 

        Riflettendo pacatamente, volta appena il capo: al suo fianco, Daphne giace imperturbata. Con un gesto rapido e gentile, si cura di rimboccarle le coperte, scivolate sino a lasciarle una spalla nuda.
        È lieto di non averla svegliata: il solo pensiero di dover giustificare la propria improvvisa attività lo turba. Non perché non apprezzi l’idea di confidarsi con lei, o non si fidi― tutt’altro. Quella donna, d’altronde, armata di nulla se non d’una cieca fede, sin dal primo momento l’ha aiutato in ogni modo possibile: gli ha offerto vestiti, sorrisi caldi, una casa, un nuovo nome per sostituire quello che non ricorda più. Lui non può che provare gratitudine e nutrire un affetto sincero nei suoi confronti, e non teme di raccontarle tutto ciò che gli passa per la mente – di solito. I sogni che lo portano a saltare sull’attenti sul materasso, beh, sono l’eccezione che conferma la regola.
        In parte, questo potrebbe essere dovuto al fatto che non sa nemmeno se può davvero chiamarli sogni. Per esserlo, dovrebbero prendere corpo mentre dorme – e dormire è una cosa che lui non è del tutto certo di saper fare. Anzi, è quasi convinto d’esserne incapace. Poco importa, infatti, che, giorno dopo giorno, di sera si distenda pazientemente sotto le coperte; resta sempre vigile, immobile nell’assenza di suoni, ad attendere un sonno che non arriva mai per davvero, se non nella forma d’un sospeso stato di meditazione.
        Dunque le immagini che gli sovvengono o, per meglio dire, le esperienze che fa in quelle circostanze, non crede possano essere definite esattamente oniriche. Un lato di lui, in effetti, è convito che nascondano una natura ben diversa, qualcosa di più… profondo, ed è soprattutto per questo che non ne ha ancora confessato a nessuno l’esistenza.
        Ma anche se fossero solo semplici sogni (ed è comunque così che continua a chiamarli, per mancanza di termini migliori), continuerebbero ad apparirgli come la quintessenza di ciò che deve rimanere inespresso. Li vede infatti come sommamente privati, intimi; tanto che, forse irrazionalmente, s’è persuaso che parlarne a qualcuno equivarrebbe ad un gesto estremo quale il mettere a nudo la propria anima. E non è certo di volerlo fare. Neanche con Daphne.
        Avverte l’istinto di custodire la cosa tra sé e sé, in gran segreto – e l’idea di farlo, di celare quel particolare al mondo, lo compiace. Perché ha perso tutto, ha dimenticato una vita intera, e ai suoi occhi non c’è nulla di più splendido del sapere qualcosa che nessun altro conosce.
        È come se avesse ritrovato una parte di sé, un tassello della propria identità; ed è inutile dire che è deciso a tenerselo stretto. Per quanto ogni tanto possa far male.
 

        E fa male in momenti come quello, ad esempio; quando si riscuote di colpo dopo aver braccato un’indefinita luce e si ritrova schiacciato da una pesante e perplessa insoddisfazione, e non sa come reagire.
        Affonda le mani nei capelli scuri e si sforza di ragionare lucidamente, mentre nella sua mente, in maniera automatica, si riavvolgono e si ripetono gli ovattati ricordi del sogno appena vissuto – ed è un sogno talmente simile a quelli fatti nei giorni precedenti, che gli sembra quasi di star rileggendo per la millesima volta uno stesso vecchio copione, scritto su un foglio consunto e con l’inchiostro sbavato.
 

        In principio, c’è solo un lume nel buio: un punto accecante in lontananza, che attira tutta la sua attenzione.
        Sente di doversi avvicinare, di volerlo raggiungere; perché quella luce è così bella, e così morbida: gli accarezza la pelle come fosse tiepida seta, e lui non può trattenersi dal coltivare il desiderio di toccarla.
        Tenta di far un passo avanti, ma un forte senso di turbamento – un misto di paura e di vergogna – lo blocca per un istante; un istante fatale, perché quell’esitazione è sufficiente a condannarlo a restare indietro, mentre il punto luminoso fugge e s’affioca, lasciandolo solo e al freddo.
        No, aspetta pensa, e poi―
        Poi lo insegue. Ed è una corsa folle.
        Tra i rovi d’una foresta di spine, si scava una strada incurante dei graffi e del dolore; girovaga in preda all’agitazione in labirinti di pietra, coi muri che gli si chiudono addosso; procede a tentoni nel fango e nella sabbia, col cuore che batte a mille per lo sforzo; affonda le unghie nella roccia di montagne che salgono, scalando col terrore di crollare; nuota nelle profondità di acque gelide che lo lasciano senza fiato, lottando contro le correnti; e in tutto questo―
        In tutto questo, e in altro ancora, la luce lo precede, brillando sempre dietro al prossimo angolo. Gli infonde chissà come coraggio e speranza, gli dà forza e lo chiama, mentre la distanza tra loro s’assottiglia.
        Alla fine, ormai prosciugato delle energie, riesce a raggiungere l’ultima svolta; ed è vicino, così vicino – il punto s’è rivelato essere un sole, e finalmente a lui basterebbe allungare una mano per sfiorarlo. L’osserva, incantato, e nel petto gli nasce l’inspiegabile istinto di chiedere scusa; scusa per il ritardo, forse. Non dice nulla, però, perché in quel bagliore bianco scorge un riflesso: scorge sé stesso, e si distrae.
        Non ha abbastanza tempo per capire cosa significa. O, meglio, è come se capisse – come se capisse tutto in un battito di ciglia e questo l’elettrizzasse tanto da farlo scattare, tanto da fargli tendere un braccio nel tentativo di aggrapparsi al sole per stringerlo; perché lo vuole, lo vuole da morire – lo adora e ama il suo calore e non può più sopportare l’idea di farne a meno, e improvvisamente il fatto che stesse scappando da lui brucia ed è intollerabile.
        Può perdonarlo, però; se solo si lascerà prendere adesso, se solo gli concederà di colmare l’ultimo soffio che li divide, se― Solo un altro centimetro―
        Si tende all’inverosimile, ma― di colpo non ha più nulla sotto i piedi e cade, cade lontano dalla luce; e il baratro nero l’inghiotte.
 

        È così che, notte dopo notte, viene scaraventato nel proprio letto, che salta a sedere, e― che torna ad essere Emmanuel Allen.
        C’è forse stato un momento in cui è stato qualcun altro? Non lo sa. Sa solo che è scosso, melanconico, e che c’è un qualche importante concetto – un concetto che fino ad un attimo prima era tanto chiaro nella sua mente – che è sfumato senza lasciar traccia.
 

        Qualcuno potrebbe insinuare che i suoi sono incubi, forse generati dallo stress. Ma lui non la vede così.
        Non possono essere incubi, perché il conforto che gli dà quella luce finisce sempre col prevalere sull’angoscia e sull’incertezza. Senza contare che, semplicemente, una cosa tanto meravigliosa, tanto brillante, non può essere etichettata come negativa.
        Deve trattarsi di altro, quindi – quando ci pensa, non può fare a meno di riscoprirsi tentato dalla prospettiva di credere che quella che visita i suoi sogni sia una sorta di guida spirituale. Un faro di cui ancora non gli è dato comprendere i meccanismi, magari legato alla sua natura di guaritore, e in cui malgrado la confusione sente di voler riporre la propria fede.
        Certo è, comunque, che non smetterà d’inseguirlo; ed è con questa convinzione che, ora come ogni altra volta, torna a distendersi e a chiudere gli occhi.
 
 
 
 
 

        (Devono trascorrere ore, giorni, settimane, prima che giunga il momento in cui i suoi dubbi vengono dipanati. In quel lasso tempo, capita di tutto e di più – con un sorriso, Daphne gli fa scivolare un anello al dito; persone gli chiedono aiuto; tenta d’imparare a guidare.
        Capita anche che un uomo si presenti alla sua porta, che pugnali un essere dal volto spaventoso e che il cadavere di questo rotoli giù per le scale dell’ingresso per finire proprio ai suoi piedi. Da lì in poi, è tutt’una slavina.
        Ci sono un fratello malato, un viaggio in auto e un demone donna. Il suo mondo viene messo sottosopra e dapprima non capisce, ma poi―
        Ricorda: torna ad essere Castiel, e una parte di lui va in frantumi.
        Mentre ancora naviga nei propri cocci, l’uomo che adesso sa essere Dean, Dean Winchester, pianta lo sguardo nel suo e gli restituisce una vecchia giacca beige. È sporca e spiegazzata, e si trascina dietro una storia che pesa, eppure è lieto di poterla riavere: si perde ad osservarla, e a pensare stupefatto che Dean, nonostante tutto, non se n’è sbarazzato – malgrado il suo tradimento, i suoi sbagli e la sua follia, ha conservato quel trench in sua memoria.
        Non sa come esprimere ciò che prova. Si sente come lacerato e quasi trema, perché tutto ciò che ha― un’altra possibilità, la vita― lui non crede di meritarlo. Per niente.
        Risolleva gli occhi dalla stoffa, e― ecco, quello è il momento.
 

        Vede Dean – Dean, Dean; il nome gli riecheggia nelle orecchie – e in particolare lo vede con i suoi veri occhi, quelli che ha appena ricordato di possedere; ed eccola. La luce – quell’anima. Per mesi l’ha rincorsa nei panni di Emmanuel ed ora è qui e quasi non vuole crederci, perché è Dean, e―
        Certo, certo che è lui. Chi altri, sennò?
 

        Mille sono le cose che potrebbe dire in questo istante, ma, imbevuto d’afflizione sin dentro le ossa, sceglie di tacere. Semplicemente, fissa il lume che nemmeno un’amnesia divina è riuscita a fargli dimenticare del tutto, e tende i muscoli.
        Nonostante il dolore – nonostante tutto, per lui, giura che proverà a combattere ancora.)




 
Angolo di Tormenta
Non volevo essere troppo ripetitiva in questa raccolta, ma cosa posso farci? Ho un debole per Castiel infatuato della luce dell’anima di Dean. c':
Detto ciò – Ink è una delle canzoni dei Coldplay che più mi piacciono (qui trovate il video in versione interattiva. È dolcissimo). Volevo davvero renderle giustizia e… non so, non sono del tutto sicura d’esserci riuscita. A voi il giudizio.

Come avevo anticipato, questo era il racconto conclusivo. Grazie mille per aver sopportato l’irregolarità degli aggiornamenti, per aver letto, seguito, preferito, ricordato, commentato. :) Mi avete resa davvero felice. ♥
Baci e alla prossima storia,
vostra T. ♪

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