La leggenda

di loveless_fairy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** capitolo 5 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Tokyo.

“…un ragazzo nato tra cielo e terra, nelle cui mani vi è il destino del mondo.”

Luna alzò soddisfatta lo sguardo dal vecchio libro, regalo della regina Serenity del futuro. Per la prima volta, da quando aveva cominciato a leggerlo, Usagi non aveva fatto i capricci, né tentato di scappare. Quel libro proveniva dalla vecchia libreria del Regno del passato. Luna era convinta che una buona regina dovesse conoscere le leggende riguardanti il suo regno. Poiché quel libro era scritto nella loro antica lingua, si era offerta di leggerlo lei per Usagi, anche perché così poteva stare sicura che quella discola della principessa portasse davvero a termine quel compito. Capiva pure lei che, per una ragazza ribelle e sempre in movimento come Usagi, stare ferma almeno due ore al giorno per sentirla parlare di un libro molto antico, non dovesse essere un gran piacere, ma, poiché Usagi era destinata a diventare la grande Regina Serenity, un sacrificio avrebbe pure potuto farlo.

Alzò gli occhi dal grande libro e vide ciò che avrebbe dovuto immaginare. Usagi sonnecchiava, sarebbe meglio dire dormiva alla grande, con la testa appoggiata sulle braccia. Probabilmente non aveva sentito nulla di ciò che aveva faticosamente letto, così Luna la svegliò con poca grazia, urlandole a due centimetri dall’orecchio destro. Usagi si svegliò di soprassalto e posò i suoi occhi ancora socchiusi sul volto arrabbiato di Luna e capì di essere nei guai.

<< Ehm… hai già finito Luna? >>

<< Usagi! >> gridò la piccola gatta nera.

<< Uffa Luna! Io sono una ragazza impegnata, ho tante cose da fare, non posso stare due ore chiusa qui dentro a sentirti leggere! >>

Luna frenò il suo istinto omicida, in fondo era pur sempre la futura Regina e così decise di lasciare Usagi ai suoi “impegni”, e poi, continuava a ripetersi, quelle erano solo leggende.

Kanagawa, stesso giorno.

Il signor Anzai richiamò la squadra per un’ultima raccomandazione.

<< Mi raccomando ragazzi. Cercate di stare tranquilli. Come vi ho sempre detto, voi siete una squadra imbattibile. Se giocherete come una vera squadra >> e si voltò verso le due ex-matricole d’oro, Sakuragi e Rukawa << allora il campionato sarà nostro. >>

Ayako, ancora manager della squadra, diede all’allenatore dei fogli.

<< Grazie Ayako. Bene ragazzi. Come sapete Haruko non potrà venire insieme a noi per via dell’influenza, quindi ho chiesto ad un vostro ex compagno di squadra di accompagnarci. I suoi consigli potranno esservi utili, quindi statelo a sentire. >>

Un leggero brusio si sollevò dalla palestra silenziosa. In molti pensavano che quella persona potesse essere l’ex capitano Akagi, ma c’era un ragazzo in particolare che sperava che a venire con loro fosse stato qualcun altro. Quello stesso ragazzo che esultò dentro di sé alle parole di Anzai.

<< Sto parlando di Kogure. Gli ho chiesto di farmi questo favore ed ha accettato volentieri. In quel periodo non avrà esami, al contrario del vostro ex capitano che però, mi ha promesso, verrà a vedere la finale. Quindi ragazzi non vi resta che vincere! >>

<< Fight! >> gridarono in coro i ragazzi e gli allenamenti ripresero.

L’allenatore Anzai osservò la nuova squadra. Certo mancava il carisma di Akagi, ma Ryota non era da meno, riusciva a guidare la squadra senza esitazioni come nelle partite, da bravo playmaker. C’era Mitsui che aveva recuperato a pieno la forma fisica. Indossava la ginocchiera solo per sicurezza, ma ormai il ginocchio non gli dava più fastidi. C’era Rukawa, sempre perfetto in ogni sua azione, con lo sguardo freddo di chi osserva tutto. Su lui si poteva sempre contare. E poi c’era Sakuragi, la testa calda della squadra. Lui era quello che era migliorato più di tutti. Dopo il ritorno dall’infortunio si era dedicato anima e corpo a quello sport. Aveva fatto progressi impensabili per un ragazzo che aveva iniziato a giocare solo l’anno precedente. Certo si pavoneggiava ancora e faceva a pugni con Rukawa, ma ormai, n’era certo, era diventato tutto più un’abitudine che altro. Stava diventando un giocatore completo, anche se i tiri da tre gli davano ancora qualche problema. E infine, per completare la rosa dei magic five, c’era Yasuda. Non era di certo ai livelli degli altri giocatori, no, di ragazzi come quelli non ne nascevano molti, però aveva grinta e non si lasciava abbattere. E poi c’era Ayako, la manager. Era diventata una figura fondamentale per la squadra. Organizzava gli incontri, gli allenamenti, allenava le matricole nei fondamentali… come un secondo allenatore. Purtroppo Haruko non aveva la stessa grinta.

Era proprio una bella squadra. Quell’anno, n’era certo, avrebbero vinto il campionato, sconfiggendo sia il Kainan King che il Ryonan, ammessi al campionato anche loro (lo so che vi accedono solo due squadre, ma ho deciso di cambiare regola. In fondo la storia è mia e posso cambiarla come voglio no? NdA. No! NdTutti. ç___ç NdA.).

In quel momento qualcuno bussò alla porta scorrevole della palestra.

<< Buon pomeriggio a tutti. >> Kogure entrò sorridendo.

<< Senpai Kogure! >> e in breve i vecchi giocatori dell’anno precedente gli furono addosso.

Era molto cambiato, osservò qualcuno nell’ombra. Non portava più gli occhiali, da quanto aveva sentito da una conversazione tra il nuovo capitano e la manager, aveva subito un intervento agli occhi, quello con il laser, e adesso non aveva più bisogno di indossare quegli occhiali. E aveva i capelli più lunghi, quasi fino alla spalla, che lo rendevano… infinitamente sexy. Arrossì al solo pensiero di come potesse essere al buio di una camera e tornò ad esercitarsi ai tiri da tre.

<< Ciao Hisashi. Vedo che ti alleni sempre con molta dedizione. >>

<< Ci… ciao Kiminobu. Come va’ l’università? >>

“Bravo Hisashi! Complimenti! Non lo vedi da mesi e la prima cosa che fai cosa è? Gli chiedi dell’università! E balbettando! Ci manca pure che inizi a parlare del tempo!”

Kiminobu sorrise e gli parlò brevemente del nuovo ambiente, poi gli allenamenti ricominciarono e andò a sedersi vicino all’allenatore. Ryota, per festeggiare il ritorno di Kogure, organizzò una partita fra la “panchina”e i magic five. Naturalmente vinse la squadra di Ryota per un numero quasi infinito di punti in più. Ma i ragazzi della squadra avversaria non sembravano dispiaciuti, anzi, sembravano aver ritrovato più carica. Erano felici di giocare nella famosa squadra dello Shohoku che l’anno prima si era posizionata al secondo posto nella classifica del campionato nazionale. Sapevano che ogni partita d’allenamento, e in particolare quelle contro la squadra ufficiale, era un’ottima esercitazione per diventare sempre più forti, degni di prendere, un giorno, il posto in squadra, fra i magic five.

Al fischio del signor Anzai si diressero tutti agli spogliatoi, tranne Hanamichi e Kaede, ancora intenti a litigare.

<< Cosa hai detto baka kitsune? Ripetilo se hai coraggio! >>

<< Hn. Se non hai sentito te lo ripeto: sei una schiappa! Quel passaggio lo avrebbe preso chiunque! Persino una matricola! >>

<< Se non sono riuscito a prendere quel passaggio è solo perché una stupidissima e fastidiosissima volpe non è riuscita a fare un passaggio decente. >> e cominciò lo show dei pugni.

Ma a differenza dello scorso anno, nessuno provò a separarli. Ormai i loro litigi erano diventati un’abitudine per l’intera squadra, e nessuno si preoccupava più. Sapevano tutti che, dal rientro dalla riabilitazione, Hanamichi aveva cercato di trovare un’intesa con Rukawa e che, a poco a poco, era riuscito ad infrangere le sue barriere di ghiaccio. Adesso non era poi così strano vederli allenarsi insieme. Erano diventati la coppia d’oro della squadra di basket dello Shohoku.

Mitsui si voltò un attimo verso l’allenatore. Kiminobu era ancora lì. Lui lo osservava di nascosto, cercando di non farsi scorgere né da lui né dalla manager che sembrava sempre sin troppo attenta ai fatti di tutti.

<< Allora? Quando hai intenzione di chiederglielo? >>

Come volevasi dimostrare!

<< Non capisco a cosa ti riferisca, Ayako. >>

<< Ah! Non lo sai, eh? Ma se è da quando è entrato che te lo stai mangiando con gli occhi! Mi meraviglio che non se ne sia ancora accorto! Allora? >>

Mitsui sospirò. Le possibilità erano due: o faceva fuori la manager, anche perché altrimenti avrebbe continuato a rompere, ma a quel punto la squadra si sarebbe trovata Haruko e lei non era di certo al suo livello; oppure poteva andare da lui e chiedergli di andare a cenare da qualche parte, come avevano sempre fatto prima che si diplomasse e lasciasse il liceo. Valutò bene i pro e i contro delle due possibilità e poi optò per la prima. Haruko avrebbe imparato presto a fare la manager, certo gli dispiaceva per Ryota, ma si sarebbe consolato, in una maniera o nell’altra. Si voltò verso la manager che continuava speranzosa a voltare lo sguardo da lui all’ex-vice capitano. Guardò ancora una volta Kiminobu che chiacchierava allegramente con Ryota e Hanamichi. Era diventato davvero bello, non che prima non lo fosse, ma adesso sembrava più… maturo. Non indossava nessuna di quelle buffe magliette dai soggetti più assurdi, ma un paio di pantaloni neri molto attillati che mettevano in risalto le gambe tornite e una camicia blu notte che faceva spiccare il colore degli occhi e la carnagione chiara. A quell’esame minuzioso sentì un leggero sfarfallio rimescolarsi nel suo stomaco e decise di prendere la palla al balzo.

<< Ehm… Kiminobu posso parlarti un momento? >>

<< Ma certo! >> disse il ragazzo allontanandosi dai compagni: << Dimmi pure. >>

<< Se… senti… >>

“Ok calma e sangue freddo. In fondo, cosa c’è di male se lo inviti ad andare a mangiare qualcosa? Lo abbiamo fatto milioni di volte, beh magari esagero, però il concetto è lo stesso. E se non accetta? Kami sama! Fai che dica di sì”.

<< Qualcosa non va, Hisashi? Ti vedo pallido. >>

<< No, nulla. Piuttosto, tornando a noi… ti andrebbe di venire a mangiare qualcosa? Sempre che tu non abbia altri impegni… >>

Il quattr’occhi sembrò pensarci un po’ su, ma poi accettò volentieri. Prese il cellulare in una tasca e avvertì i genitori che non avrebbe cenato a casa. Tutto contento, Hisashi s’infilò negli spogliatoi, gustandosi già la cena di quella sera e immaginandosi di guastare anche qualcos’altro. Per poco non si prese una polmonite cercando di calmare, con una doccia fredda, la visione del suo Kiminobu ricoperto di cioccolato e altre cibarie golose.

Appena terminata la doccia, si diresse agli spogliatoi per cambiarsi, ma si fermò davanti all’entrata. Nella stanza c’erano ancora Hanamichi e Kaede che litigavano, questa non era una novità, ma qualcosa c’era di diverso. La scimmia rossa indossava solo un asciugamano stretto alla vita ed era leggermente piegato sulla borsa per cercare il phon, ma neanche questo lo stupì. Si voltò verso Kaede e la rivelazione lo colpì. Adesso, mente osservava lo sguardo del compagno, tutti i mattoncini della loro vita si mettevano in ordine. Le continue risse, le provocazioni di Rukawa, gli incitamenti dello stesso (anche se alla sua maniera, magari con un bel calcio sul fondoschiena), il motivo per cui solo Hanamichi sembrava riuscire a strappare dal silenzio le poche parole della volpe. Certo! Era tutto chiaro! A pensarci era stato proprio stupido a non accorgersene, visto che il modo di fare della volpe di ghiaccio gli ricordava il suo. Kaede era cotto della scimmia rossa. Lo aveva finalmente capito osservando lo sguardo caldo e famelico con cui divorava la pelle del rossino. Altro che di ghiaccio! In quel momento la volpe era molto caliente! Eccome! Com’è che nessuno se n’era accorto subito? Beh di sicuro quell’impicciona di Ayako se ne era accorta. Ecco il motivo per cui non s’intrometteva più nei loro battibecchi e perché aveva ordinato che si allenassero insieme al ritorno del rossino dalla clinica. Aveva detto che Hanamichi aveva bisogno di recuperare il tempo perduto e che con Kaede si sarebbe allenato bene. E la squadra n’avrebbe sicuramente ricavato giovamenti! La squadra! Tsè! Quella ragazza ne sapeva una più del diavolo! Chissà se la scimmia se n’era accorta. Certo è che ormai aveva rinunciato ad Haruko, da quando durante l’estate, si era messa con Yohei. Però lui non era sembrato poi così sconvolto. Che l’infatuazione per la sorella di Akagi fosse passata?

Kaede, dal canto suo, osservava con cura ogni centimetro della pelle bronzea del suo Hanamichi. Beh lui non lo sapeva ancora, ma presto sarebbe diventato suo. Quel che Rukawa voleva, Rukawa otteneva e ora, grazie all’aiuto di Ayako, la meta sembrava sempre meno lontana. Purtroppo l’ex teppista lo aveva brutalmente allontanato dai suoi pensieri, entrando nella stanza. Hanamichi si era alzato e gli aveva fatto posto e aveva cominciato a cambiarsi, nella stanza adiacente dove poteva anche asciugarsi i capelli. Non poteva restare sotto la doccia? Hn. Era vero che aveva un appuntamento con il suo amato quattr’occhi, ma rubargli così la visione del suo cuore, era crudele. Inoltre da quando era entrato aveva cominciato a guardarlo con strani occhi.

<< Qualcosa non va? >> aveva domandato gelido, ma il teppista non si era scomposto minimamente e aveva continuato a ridacchiare, cosa che aveva altamente irritato a volpe.

<< No. Nulla. >> e si abbottonò la camicia. << Come mai ancora qui? Aspetti la scimmia rossa? >>

<< E tu? Non hai appuntamento con Kogure? Vedi di non sbavargli dietro o finirai per inciampare e fare la tua solita magra figura! >>

<< Oh oh! Ben tre frasi! Sei migliorato ghiacciolo! Eh! Cosa non si fa per amore! >>.

Per fortuna le sue parole furono coperte dal rumore dell’asciugacapelli acceso dal rossino nella stanza adiacente.

Kaede, che fino ad allora aveva cercato di dare poca importanza alle parole del senpai, allacciandosi nervosamente le scarpe, aveva alzato di scatto lo sguardo verso il compagno.

<< Non cercare di negare. Ho visto come lo guardi e mi chiedo com’è che non l’abbia notato prima. Non so cosa ci trovi in quella scimmia petulante, ma i gusti sono gusti, no? >>

Fece per uscire, ma la voce bassa di Kaede lo richiamò e decise di fermarsi un attimo.

<< Non hai intenzione di dirglielo, vero? >>

<< E perché dovrei? Spetta a te. Anzi sai che ti dico? In bocca al lupo. E poi non c’è nessuno meglio di me che possa capire quello che provi, Kaede. >>

La serata si prospettava interessante, non doveva far altro che aspettare e lasciare che tutto andasse per il verso giusto.

Tokyo una settimana dopo.

<< Non avete notato nulla di strano, ragazze? >> chiese Luna preoccupata.

Da qualche tempo a quella parte, Usagi erano molto “diversa”. Era persa sempre dietro qualche pensiero e il suo sorriso si era spento. C’era qualcosa che la preoccupava, Luna n’era sicura e lo dimostrava il fatto che la notte non riusciva a dormire, lei che si addormentava anche in classe (mi ricorda qualcuno…. NdA.) e da un paio di giorni evitava gli incontri con le ragazze al loro solito ritrovo. Non poteva che essere così. Doveva essere accaduto qualcosa ad Usagi, perché era cambiata troppo repentinamente.

<< Uhm… effettivamente da qualche tempo a questa parte Usagi è un po’ strana. >> rispose la sacerdotessa dai lunghi capelli neri.

<< E’ vero. Ieri, per fare un esempio, l’ho invitata a prendere il the in quella nuova caffetteria, ma lei ha detto che era costretta a “declinare l’invito”. Vi rendete conto? >>

Minako cercava disperatamente di aprire un pacco di biscotti, con così tanta forza che essi si sparsero sul tatami della casa di Rei. La sacerdotessa però non vi fece caso, troppo intenta a cercare di capire i cambiamenti della loro Usagi. E non era l’unica preoccupata. Usagi aveva evitato gli inviti di un po’ tutto il gruppo. Beh quello di Ami poteva pure capirlo, trascorrere la giornata a studiare matematica, avrebbe fatto venire la voglia a chiunque di loro di scappare. Makoto l’aveva invitata ad andare a vedere il nuovo negozio d’abbigliamento aperto vicino la scuola, ma lei aveva rifiutato. Da un po’ di tempo Usagi era diventata sfuggente. Forse le mancava Chibiusa, eppure c’era qualcosa che non andava, qualcosa di più profondo. E ciò che preoccupava di più le Inner Senshi era il ritorno delle quattro Other Senshi.

Erano giunte una settimana prima, con l’arrivo di una tempesta, tipico di loro pensò Minako, eppure si erano fatte vive solo due giorni prima,chiedendo espressamente di Usagi.

Ami si alzò di scatto dalla sedia, risvegliando dai loro pensieri le guerriere dell’amore.

<< Andiamo a parlare con Mamoru, lui ci saprà spiegare qualcosa. >>

<< Ma ci sarà anche Usagi e non potremo parlare liberamente con lei. >> obiettò Makoto sgranocchiando un biscottino al cioccolato.

<< Usagi doveva uscire con la madre, questo pomeriggio, perciò abbiamo campo libero. >> Ami diede uno sguardo veloce al grande orologio a forma di mezza luna sopra il letto di Rei: << Fra una mezz’oretta massimo, Mamoru dovrebbe lasciare la facoltà. Andiamo. >>

Prima di andarsene, Rei redarguì il nonno dal non aggredire le belle ragazze offrendogli un lavoro al tempio. Per colpa sua le ragazze evitavano il loro tempio come la pestilenza. Quando il nonno di Rei ebbe finito di rispondere “sì” a tutte le sue domande, le ragazze lasciarono il tempio.

Mamoru era appena uscito dall’università. Aveva seguito il corso di fisica con poca concentrazione. Da un po’ di tempo a quella parte il suo coniglietto non faceva che dargli pensieri. Era sempre assente e pareva aspettare qualcosa da un momento all’altro. Aveva diradato i loro incontri adducendo scuse su scuse. Era certo che fossero scuse, la sua Usagi non era proprio capace di mentire. Nonostante volesse a tutti i costi sapere cosa turbasse la sua testolina buffa, aveva preferito lasciarle del tempo e proteggerla da lontano. C’era qualcosa che la turbava e il fatto che non avesse voluto condividerla con lui lo faceva stare molto male. Neanche l’arrivo improvviso di Haruka e delle altre Senshi, era riuscito a renderle il suo meraviglioso sorriso. Quella testona pensava sempre di poter fare tutto da sola.

Al cancello della facoltà trovò ad aspettarlo Ami, Rei, Makoto e Minako. C’erano anche Luna e Artemis. Non si stupì minimamente di trovarle lì. Si avvicinò sorridendo e le invitò a prendere un the a casa sua, dove sarebbero stati liberi di parlare tranquillamente.

Restarono in silenzio per tutto il tragitto. Giunti, infine, a casa di Mamoru, il padrone di casa andò in cucina a preparare del the alla frutta. Le ragazze si sistemarono attorno al basso tavolino del soggiorno.

<< Allora da dove dobbiamo cominciare? >>

Mamoru versò nelle tazze il the fumante, mente Ami esponeva, a nome di tutte, i dubbi sulla situazione venuta a crearsi con Usagi. Mamoru ebbe la sensazione, in quel preciso instante, che qualcosa di molto pericoloso si stesse avvicinando a Tokyo. Ma fu solo un attimo. Le Senshi, che avevano captato la stessa sensazione di pericolo, si risedettero sui cuscini.

<< C’è proprio qualcosa che non va. >> osservò Rei: << Prima il fuoco sacro sfugge al mio controllo, infrangendosi contro il soffitto della stanza delle meditazioni, poi Usagi diventa silenziosa e comincia a evitarci e infine, dulcis in fundo, ritornano le altre ragazze. >>

<< Non ci avevi detto nulla del fuoco sacro. >>

<< Era solo per non darvi altri pensieri, Minako. >>

<< Troppe coincidenze…. Sta per accadere qualcosa, lo sento. >> continuò Rei.

A quelle parole tutti si sentirono invadere da una gran tristezza. Avrebbero di nuovo dovuto combattere, per la salvezza del mondo e dei suoi abitanti, ma ce l’avrebbero fatta a sopravvivere? Troppe volte si erano avvicinate alla morte, così tanto da vederla in volto. E proprio quando stava riabituandosi ad avere una vita normale, ecco che un nuovo nemico faceva la sua comparsa.

Come avesse letto i loro pensieri, una voce conosciuta, accarezzò le loro menti:

<< E questa volta sarà il più pericoloso. >>

<< Chi sei? >> scattò in piedi Mamoru mettendosi sulla difensiva.

Stranamente le cinque ragazze rimasero ferme, non percependo nessun’ostilità da quella voce. Quella voce aveva il profumo del passato. Finalmente Minako capì dove l’aveva sentita.

<< Mostrati a tutti. >> disse allora.

Una sottile figura si fece avanti dall’oscurità. Tutto tacque attorno a loro. Era impossibile che fosse lì, che fosse così…

<< Era da tanto che non ci si vedeva, care Inner Senshi. >>

Non vi erano dubbi. Era proprio lei e se lei era venuta sin là, con quell’aspetto, significava che la battaglia che si preannunciava sarebbe stata la più dura.

Kanagawa, stesso giorno, poche ore più tardi.

Hanamichi tornava finalmente a casa dopo una stancante sessione d’allenamenti. Si avvicinava il campionato e per questo dovevano essere pronti ad ogni sacrificio. Quell’anno avrebbero vinto loro.

Giunto davanti al cancelletto della sua abitazione, si sgranchì un po’ i muscoli. Vide il riflesso della luna nella finestra del salotto e rimase a guardarla. Sin da quando era piccolo la luna aveva avuto il potere di renderlo malinconico. Era come se gli parlasse, specie nelle notti di luna piena e gli raccontasse una storia molto triste, di cui però non riusciva a ricordare le parole.

Infilò la chiave nella serratura ed entrò. La madre era già ritornata da parecchie ore e la casa era invasa da un dolce profumo di buon cibo e dal rumore dello stereo del salotto.

<< Sei tornato a casa Hana-kun? >> gli chiese una voce proveniente dalla cucina.

<< Sì mamma. Vado a cambiarmi e scendo per la cena. >>

<< Ok piccolino. >>

Hanamichi scrollò la testa disperato. Sua madre continuava a chiamarlo piccolino nonostante avesse già diciassette anni e misurasse 1,88 m d’altezza. Era mai possibile?

Salì le scale velocemente, quella sera aveva proprio fame. Ultimamente gli allenamenti si erano fatti molto più pesanti, anche per lui che era famoso per l’energia inesauribile. A dirla tutta, però, non erano gli allenamenti a tenerlo sveglio. Ogni notte si ripeteva lo stesso sogno di cui poi, il giorno dopo, non ricordava nulla. Gli rimaneva solo una grande stanchezza e la sensazione di aver già vissuto quel sogno. Era sciocco, lo sapeva. Come si faceva a vivere un sogno? Senza contare poi quel volpino spelacchiato e le sue continue provocazioni. Lui cercava in tutti i modi di non prenderlo a pugni, imponendosi la calma, ma poi, non sapeva perché, si ritrovava a dover respingere i suoi pugni e a rispondere alla stessa maniera. Quel volpino aveva il potere di fargli perdere la pazienza. Con i suoi silenzi, le sue espressioni vocali inesistenti, le sue provocazioni, la sua bellissima pelle bianca, i suoi profondi occhi blu come la notte… un attimo! E questo pensiero da dove veniva fuori? Non aveva per caso pensato che la volpe… nooooo! Non poteva aver pensato che quello stupido volpino fosse bellissimo e sensuale.

“Ma che diavolo…? Sarà la fame! Anzi è sicuramente la fame! Quello stupido frigorifero con le gambe non può essersi impossessato del mio cuore, perché quello appartiene a… a chi? Ad Haruko? Lei è di Yohei adesso e io ne sono felice.”

In quel momento sua madre bussò alla porta per informarlo che la cena era pronta.

<< Qualcosa non va tesoro? >> chiese la donna, ma Hanamichi le rispose che andava tutto bene, che non avrebbe dovuto preoccuparsi.

La madre richiuse la porta e scese in cucina. Erano trascorsi quasi diciassette anni da quel lontano giorno e il tempo stava scadendo. Non voleva che accadesse, ma non sarebbe riuscita a fermarlo.

Spense lo stereo ed uscì in giardino ad ascoltare i rumori della notte. La luna brillava alta nel cielo, come fosse un piccolo sole pallido. Anche quella notte, lo ricordava perfettamente, la luna brillava nel cielo e sembrava stesse piangendo. Presto sarebbe stata piena e allora… Si riscosse dai suoi pensieri quando sentì il suo “piccolino” chiamarla dalla cucina. Era ancora così piccolo ed indifeso. Come avrebbe potuto lasciarlo al suo destino? Si voltò un’ultima volta a guardare la luna, questa volta con aria si sfida. L’avrebbe fermato. Qualsiasi fosse il destino del suo bambino, lei avrebbe combattuto perché nessuno glielo portasse via, lo portasse via dalla vita.

E mentre entrava in casa, le parve che una voce le sussurrasse qualcosa. Chiuse gli occhi e rimase in ascolto. Quella voce, lontana ma conosciuta, mormorava ripetutamente la stessa frase, quella frase che gli aveva ripetuto diciassette anni prima e che ogni notte si riaffacciava alla soglia dei suoi sogni:

…un ragazzo nato tra cielo e terra nelle cui mani vi è il destino del mondo…

Un’oscura figura uscì dalle tenebre degli alberi e la osservò sorridendo. Era coperta da un lungo mantello nero e la sua pelle era pallida, come la morte. Aiko Sakuragi indietreggiò terrorizzata. Quella donna era venuta a riprenderselo. Perché? Perché proprio adesso? La donna non disse nulla. Una folata di vento le fece scivolare il cappuccio sulle spalle. Stupendi capelli corvini incorniciavano l’incarnato diafano e due occhi neri, come pozzi, la osservavano come fosse una creatura bizzarra.

Improvvisamente fece un passo verso di lei. La madre di Sakuragi rimase impietrita ad aspettare le sue mosse, come un topo incatenato dallo sguardo di un serpente. La donna si fermò dopo aver fatto tre passi, al limitare dell’oscurità del bosco, e allungò la mano pallida verso di lei. Nella mano comparve una coroncina d’oro, simile a rami intrecciati di un albero.

<< Cosa vuoi? >>

<< Sono venuta a riprendermelo. Mi appartiene. >> la sua voce sembrava giungere da un altro mondo.

La donna fece qualche altro passo, avvicinandosi ad Aiko. Allungò una mano verso il suo viso per toccarla, ma in quel momento qualcosa la bloccò.

<< Ferma dove sei! >>

La creatura non si mosse, solo il suo sorriso si allargò.

<< Siete infine giunte pure voi. >> si voltò lentamente, fino a spostare il suo sguardo verso quattro ragazze stagliate contro la luce della luna.

Il buio non permetteva di vedere i loro volti, ma i loro vestiti avevano qualcosa di conosciuto per Aiko Sakuragi e la strana creatura sembrava conoscerle a sua volta.

Una aveva capelli corti e una spada nella mano. La sua lama brillava come lo specchio che teneva la ragazza al suo fianco. Poi c’era una ragazza dai lunghi capelli e uno strano lungo bastone. Ma la più inquietante era l’ultima ragazza. Aveva fra le mani una lunga falce, come quella della morte.

<< Siete arrivate Other Senshi. >>

<< Le Guerriere Sailor? >> domandò incredula la madre di Sakuragi.

<< Va’ via, mostro. Quel ragazzo non verrà con te. >>

Il mostro si voltò un attimo verso la madre di Hanamichi, poi di nuovo verso le quattro ragazze. Una nebbia nera si diffuse tutto intorno al suo corpo avvolgendola. Prima di sparire inglobata dalla notte, sussurrò a bassa voce:

<< Quel ragazzo mi appartiene. Verrò a riprendermelo presto e allora non potrete fare nulla per impedirmelo. A presto Other Senshi. >> detto questo scomparve, così com’era apparsa.

Le quattro ragazze rimasero sulla recinzione della casa. La madre di Hanamichi avrebbe voluto chiedere loro cosa avessero a che fare con il suo bambino, ma la voce di Hanamichi che reclamava affamato un po’ d’attenzione, la fece voltare.

<< Tesoro incomincia a servirti. Entro subito. >>

Quando si rivoltò verso le guerriere, queste non vi erano più.

Aiko entrò velocemente in casa, un po’ più sollevata. Le Senshi erano le paladine della giustizia e se erano venute fino a Kanagawa per suo figlio, avrebbe potuto stare più tranquilla, loro lo avrebbero sicuramente protetto. Eppure qualcosa, nel suo cuore di mamma, la terrorizzava. Entrò in cucina, dove il suo “piccolo” stava divorando ciò che lei aveva cucinato con tanto amore. La visione gli spezzò il cuore. E se lo avesse perso? Come avrebbe fatto a vivere senza di lui?

Si sedette stancamente sulla sedia e guardò il suo ragazzo. Era molto alto, ormai era quasi un uomo. Un giorno avrebbe trovato una brava ragazza e se ne sarebbe andato via. Eppure, nonostante fosse alto più di un metro e novanta, rimaneva sempre un bambino, capace di sporcarsi il viso con il cibo, proprio come faceva quando era ancora piccolo. Prese un tovagliolo e allungò il braccio per ripulirgli la bocca. Hanamichi sorrise arrossendo e bofonchiò un soffocato “grazie” mentre ingurgitava un’altra bruschetta.

Quello era il suo bambino e lei non avrebbe permesso a nessuno di fargli del male.

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Capitolo 2
*** capitolo 2 ***


Kanagawa

 

Era già trascorsa una settimana dal giorno in cui Mitsui aveva invitato Kogure a cena. Quella sera era stata molto piacevole, dopo tanto tempo aveva ritrovato il gusto della compagnia. Lui e il megane avevano chiacchierato e scherzato come non facevano da molto. Beh in verità la maggior parte della conversazione era stata tirata su da Kiminobu, ma non perché Hisashi non si trovasse bene con lui, ma proprio per l’esatto contrario. Era così felice di poter di nuovo stare solo con lui, che non voleva perdersi nulla delle sue parole. La sua risata era cristallina e aveva il potere di contagiare l’ascoltatore.

Alla fine della sera, però, nonostante tutti i suoi propositi, non aveva avuto il coraggio di confessare al Megane cosa in realtà provasse per lui. L’aveva accompagnato fino a casa, nonostante le leggere proteste di quest’ultimo. Giunti davanti al cancello della sua abitazione, aveva dovuto fare uno sforzo enorme per stringergli solo la mano e non baciarlo.

L’aveva seguito con lo sguardo per tutto il piccolo vialetto e l’aveva visto sparire dietro la porta, regalandogli un bellissimo sorriso.

Mitsui era tornato a casa subito dopo, e aveva dato un calcio a tutte le lattine che aveva trovato lungo il cammino.

“Tutto sommato non è andata male. In fondo ho l’intero viaggio a Tokyo per parlargli”

Da quella settimana Kiminobu aveva iniziato a venire a vedere gli allenamenti ogni pomeriggio. Veniva dopo l’università con ancora la borsa dei libri, si toglieva la giacca e parlava un po’ con Anzai e un po’ con Ayako e sorrideva. Che meraviglioso sorriso, pensava Hisashi e i pomeriggi sembravano così brevi e gli allenamenti leggeri, da riuscire a caricarlo.

Quel pomeriggio però sembrava non finire più. Kiminobu era in ritardo. Certo era anche vero che non aveva mai promesso di vedere gli allenamenti ogni pomeriggio. Probabilmente era stato frenato da un impegno improvviso, un compito più difficile…. Era pur sempre all’università, aveva più impegni e responsabilità. Era una persona matura. E questo riportava il problema al punto iniziale. Kiminobu era, senza ombra di dubbio, il classico bravo ragazzo sempre bravo a scuola, razionale, che non provocava liti… insomma il classico fratello maggiore o mamma chioccia, come veniva chiamato all’interno della squadra. Era sempre gentile con tutti e si preoccupava per chiunque. Insomma… il problema stava proprio qui: che poteva vederci un ragazzo simile in lui? Lui che non evitava le risse e anzi a volte le aveva pure provocate; lui che aveva un passato da nascondere; lui che di certo non eccelleva a scuola, lo dimostrava il fatto che era stato persino bocciato l’anno precedente. Kiminobu poteva aspirare a qualcuno di meglio e soprattutto a qualcuno che non fosse un ragazzo.

Quel giorno Mitsui, il mago dei tre punti dello Shohoku, giocava proprio male. Era molto nervoso e guardava la porta chiusa almeno una volta ogni minuto. Nessuno riusciva a spiegarsi il suo comportamento, nessuno esclusi due elementi della squadra, molto svegli: Kaede e Ayako.

“C%$£o Mitsui! Vuoi riprenderti! Non vuoi mica che le matricole pensino di te che sei una schiappa o che, ancora peggio, qualcuno si accorga del motivo che ti spinge a comportarti così?!” queste parole le rivolgeva Mitsui alla sua coscienza, ma il suo stile quel giorno sembrava aver preso una curva discendente senza fine.

Improvvisamente la porta della palestra si aprì e ci mancò poco che Mitsui lasciasse cadere la palla ed andasse a stritolare Kiminobu per aver tardato. L’allenatore Anzai approfittò dell’arrivo del senpai per ordinare una pausa. I ragazzi si sedettero a terra, mentre Ryota e Ayako raggiunsero subito Kogure.

<< Come mai tutto questo ritardo, senpai? Ormai ci siamo abituati alla tua presenza giornaliera e quando non vieni qualcuno gioca molto male. >>

Per poco Mitsui non si strozzò con l’acqua e meditò seriamente di far fuori la manager che, incurante degli sguardi minacciosi di Hisashi e attoniti di Ryota, continuava a fare domande su domande al senpai.

<< Beh hai ragione Ayako. Il fatto è che oggi avevo pure finito prima, ma ho avuto… ehm… diciamo un contrattempo. >>

Hisashi non capiva perché il senpai si passasse la mano fra i capelli nervosamente.

<< Allora è questo che sono per te, Kimi-chan? Una seccatura? >> disse una voce allegra e scarlatta provenire da dietro la porta.

Una mano chiara, quasi diafana, aprì delicatamente la porta di legno e fece il suo ingresso. Salutò i giocatori dello Shohoku, un tempo suoi rivali, con un inchino e si portò accanto a Kiminobu.

<< Ma dai Kenji stavo scherzando. >>

Che diavolo ci faceva Kogure con Fujima? Questo era il pensiero che passava nella mente di tutti.

 

Da quel momento Hisashi giocò peggio di prima. Sbagliava i passaggi, non centrava neppure i “tiri dei poveri”, come li chiamava Sakuragi e litigò con alcuni kohai un paio di volte. Il tutto sotto lo sguardo vigile e meravigliato di Kiminobu, che non riusciva a capire assolutamente perché Hisashi quel giorno fosse così nervoso e arrabbiato. Infatti ogni sua mossa gli richiamava il sentimento della rabbia. E pensare che era venuto di corsa giusto per vederlo giocare…

 

Ma quel giorno Hisashi non era l’unico giocatore ad essere perso nel suo mondo. Hanamichi, infatti, sembrava lontano mille miglia, come fosse sulla Luna. A dirla tutta era da un po’ che il chiassoso e pieno di vita Hanamichi, si era trasformato in un ragazzo serio e riflessivo. La banda non sapeva più che pensare e aveva provato più volte a trascinarlo nelle solite scorribande, ma senza successo. Yohei sembrava il più preoccupato, nonostante non lo desse a vedere. Non si perdeva neanche un allenamento e restava lì, vigile, scrutando ogni espressione del suo amico. Ma non era il solo a preoccuparsi. Dall’ombra la volpe seguiva ogni sua mossa. Non capiva proprio cosa potesse essergli successo. Si dedicava agli allenamenti senza eccedere nelle solite proclamazioni a genio, durante gli esercizi era sempre assorto nei suoi pensieri e alla fine fuggiva con velocità così sorprendente che Kaede spesso non riusciva neppure ad incrociarlo negli spogliatoi. E poi, cosa ancora più strana, non cedeva alle provocazioni. Sembrava assente persino quando Kaede lo chiamava do’hao o stupida schiappa.

Quella sera Kaede non si fece ingannare e aspettò il compagno di squadra vicino al cancello, naturalmente dietro un albero, in modo che nessuno lo potesse vedere. Come immaginato, Hanamichi uscì subito dopo, seguito dall’inseparabile Yohei. Si appiattì contro la superficie dell’albero e acuì i sensi. Riuscì, però, solo a carpire parte della conversazione.

<< La banda inizia a preoccuparsi. Mi hanno chiesto di parlarti. >> questo era Yohei, pensò Kaede.

<< Non è nulla, Yo-chan. >>

<< Ehi Hana mi prendi per deficiente? C’è qualcosa che non va in te e se ne sono accorti tutti. >>

<< Lascia stare Yohei, non capiresti, perché non capisco neppure io. >>

<< Questa non è una novità! >> cercò di riderci sopra Yohei.

<< Già… però… è come se…. Provo una gran tristezza mista a malinconia e non so spiegarmela. So solo che la notte non dormo e quando lo faccio sogno… >>

Ma in quel momento, il rombante rumore di un motorino, non permise all’ex-matricola d’oro dello Shohoku di capire cosa si stessero dicendo.

In previsione del pedinamento, Kaede quel giorno era venuto a scuola senza bicicletta. Si mise all’inseguimento dei due ragazzi restando ad un centinaio di metri dietro di loro. Purtroppo non poteva avvicinarsi di più, poiché avrebbe rischiato di farsi vedere, ma la voglia di sentire cosa si stessero dicendo era così tanta che spesso rischiava di fargli desiderare di essere trasparente, per potersi avvicinare senza essere visto.

Yohei e Hana si diressero immediatamente a casa di quest’ultimo. Yohei rimase una decina di minuti, mentre Kaede rimase fuori, nascosto in un angolo buio aspettando le prossime mosse. Poco dopo Yohei uscì da casa, salutato dal rossino. Kaede rimase ancora fermo in quell’angolo buio. Alla fine prese il coraggio ed andò a suonare il campanello di casa Sakuragi.

Venne ad aprirgli una bella donna dai capelli rosso fuoco. Aveva un aspetto gioviale e giovanile.

<< Sei un amico di mio figlio? >> chiese la donna avvicinandosi.

<< Mamma! Dove hai messo la mia camicia nera? >> arrivò, da dentro la casa, la voce squillante di Hanamichi alle prese con i vestiti.

<< Dai entra! Mio figlio sarà contento di ricevere visite. >>

La casa era molto grande e accogliente. Al contrario della sua si notava subito il calore di una mano femminile. Vi erano candele profumate agli angoli della casa e cuscini colorati sul divano bianco. La madre gli fece segno di aspettare il figlio lì, mentre lei lo andava a chiamare. Kaede diede un’occhiata al grande salotto. Aveva pareti bianche e una porta a vetro incorniciata da candide tende di cotone. C’era una bella foto di una famiglia felice appesa al muro, sopra il caminetto. Non avrebbe mai pensato che potesse essere così ricco. Kaede aveva sempre considerato il rossino uno spiantano, non che questo potesse influenzare l’idea che si era fatta di lui, ma contribuiva a dargli un’immagine di mistero. In fondo chi poteva vantare, nella squadra di basket, di sapere qualcosa del passato del rosso?

<< Volpe? Che ci fai qui? >> chiese un meravigliato Hanamichi.

Kaede indugiò a lungo sull’abbigliamento del rossino. Indossava dei jean scuri molto aderenti e una camicia nera adagiata sulle spalle, senza essere abbottonata. I capelli erano scarmigliati e ricadevano sulla fronte in piccole ciocche. Il tutto accompagnato dalla visione completa di Hanamichi a piedi scalzi. Kaede deglutì più volte e dovette fare uno sforzo per ricordare il motivo che lo aveva spinto a seguire il rosso e il suo migliore amico.

<< Sono venuto per parlare. >>

<< Tu? Ma non farmi ridere. E di cosa? >>

<< Di te e del tuo strano comportamento. >>

Hanamichi gli fece segno di sedersi sulla poltrona di fronte alla sua e rimasero in silenzio, Hanamichi aspettando che fosse Rukawa a fare il primo passo e Kaede aspettando che Sakuragi si decidesse a parlare.

<< Allora? Perché ve ne state in silenzio? Vi ho portato del the con i biscotti. Spero che ti piaccia… scusa ma non so ancora il tuo nome. >> chiese la madre del rosso appoggiando sul tavolino il vassoio di porcellana.

<< Kaede Rukawa. >>

A sentire quel nome la madre di Hanamichi scoppiò a ridere, tanto che dovette sedersi sul divano per non rischiare di cadere a terra. Hanamichi era alquanto imbarazzato e cercava di far riprendere la madre, dandole di nascosto qualche pizzicotto sul braccio. Kaede, invece, osservava la scena incapace di capire cosa stesse accadendo. Per fortuna la madre di Hanamichi si riprese in fretta e cercò di spiegare a Kaede cosa l’avesse spinta a ridere.

<< E così tu sei l’algida kitsune! Mio figlio non fa che parlare di te, sul serio! >>

<< Mamma! Non hai altro da fare? >>

Il telefono squillò in quel momento e la madre si alzò per andare a rispondere. Hanamichi versò il liquido ambrato nelle tazze di fine porcellana e sperò che la volpe possedesse abbastanza buon cuore da non chiedere spiegazioni sufficienti.

<< E così tu non fai che parlare di me… >> disse Kaede sorseggiando il the.

Hanamichi tossì imbarazzato e cercò di cambiare discorso.

<< Dobbiamo parlare di quello che ti sta succedendo, Hanamichi. >>

 

Tokyo stesso giorno.

 

<< Allora? Avete visto Usagi? >>

Le Inner Senshi cercavano ormai Usagi da molto tempo. Quel pomeriggio era uscita da scuola prima dell’inizio delle lezioni pomeridiane e nessuno sembrava averla più vista. Non potendo telefonare alla madre di Usagi, per non rischiare che si preoccupasse inutilmente, Rei aveva telefonato a Mamoru, a casa per prepararsi ad un esame, ma neppure lui sembrava sapere qualcosa. Luna e Artemis, incaricati di sorvegliarla, l’avevano inspiegabilmente persa di vista.

Dalla settimana precedente, molte cose erano cambiate. Usagi era diventata più scostante e nervosa. Evitava di incontrarle ed era accaduto alcune volte che si era rivolta, persino a Mamoru, con modi molto sgarbati. Nascondeva qualcosa, di questo ne erano sempre più certi e questo era stato confermato dal suo arrivo. Era stato strano e scioccante rivederla con la sua forma originale. I suoi occhi neri le avevano scrutate, fissandosi in profondità, lasciando una sensazione di nostalgia.

Eppure non si erano meravigliate. Lei aveva sempre avuto quell’effetto su di loro. Sembrava portare dentro di se il sapore amaro dei giorni lontani, quando ancora vivevano nella loro patria sulla Luna.

Sailor Saturn era questo e molto di più. Era la guerriera che portava la morte. Era la distruzione. Si era presentata con il suo aspetto originario, quello di Hotaru Tomoe prima che si risvegliasse come Mistress 9.

 

Tokyo. Una settimana prima…

 

<< Mostrati a tutti. >> disse Minako alzandosi ed avvicinandosi alla figura nascosta nell’ombra.

La persona misteriosa uscì dalle tenebre che l’avvolgevano come una seconda pelle e le Inner Senshi vennero percorse da un brivido gelato.

<< Era da tanto che non ci si vedeva, care Inner Senshi. >>

<< Sailor Saturn? Cosa ci fai qui? >>

La guerriera più pericolosa delle Senshi, si presentò al loro cospetto con le sembianze di quella che, un tempo molto lontano, era stata Hotaru Tomoe. Indossava un lungo vestito nero che le copriva ogni centimetro di pelle, come quando, nell’immenso laboratorio di ricerche fondato dal dottor Tomoe, nascondeva le cicatrici degli esperimenti del padre. Aveva i capelli un po’ più lunghi. Sembrava una normale ragazzina di quattordici anni, se non fosse stato per i suoi occhi. Due buchi neri capaci di risucchiare il tutto. A guardarla in profondità ci si poteva perdere, risucchiati da un vortice nero senza limiti. La pelle, del viso e delle mani, era così bianca da farla sembrare un’ombra evanescente, un fantasma venuto dal passato, ma il suo sorriso ammaliante sembrava quello delle sirene incontrate dagli argonauti.

<< Cosa sei venuta a fare qui, Saturn? >>

Saturn fece un giro attorno al tavolo e si avvicinò alla finestra che dava sulla strada principale.

<< E’ possibile che non abbiate ancora capito? Non sentite che il mare è di nuovo in tempesta? >> poi si volse verso le altre Senshi: << Lui si sta svegliando. Non ci sono speranze di salvezza. Il suo cuore di tenebra non può essere distrutto. Tutto è finito. >>

<< Che diavolo significa? >> chiese Ami.

<< State lontane. Non giocate a fare le eroine. Non potete farcela contro di lui. Se combatterete morirete. Pensate solo a salvare la futura Regina Serenity, la speranza del mondo. Se lei dovesse morire…il futuro cesserebbe di esistere. >>

Una nube avvolse la guerriera della morte come un pesante sudario. Minako si lanciò verso di lei, ma Saturn scomparve, lasciando il vuoto dietro di sé.

<< Tipico delle Other Senshi. Devono sempre fare le uscite di scena con gli effetti speciali. Non so cosa stia accadendo, ma so che stavolta non ne usciremo. Cosa pensate di fare? Io la mia decisione l’ho già presa, ma non posso decidere pure per voi. >> disse Minako qualche minuto dopo.

<< Noi siamo come sorelle. Neppure la morte ci potrà dividere. >> risposero le altre ragazze.

 

Da quel giorno avevano intensificato i controlli su Usagi. Luna e Artemis vegliavano sui suoi sogni agitati, le ragazze la sorvegliavano a scuola, mentre Mamoru l’andava a prendere alla fine delle lezioni per riaccompagnarla a casa. Questo era durato solo tre giorni. Il quarto giorno Usagi aveva stupito tutti uscendo prima del tempo e così aveva fatto per i giorni a venire. A scuola il suo carattere era diventato freddo e scostante e alle domande pressanti delle ragazze, aveva cominciato a rispondere prima a monosillabi e poi gridando che era capace di badare a se stessa.

Cosa stava accadendo all’allegra ragazzina che tutti era riuscita sempre a conquistare con la dolcezza dei suoi gesti e la leggerezza delle sue parole?

Quel giorno Mamoru andò a prendere Usagi a scuola, ma Minako lo informò dell’uscita solitaria della compagna.

<< Che diavolo sta succedendo? >> domandò preoccupato il ragazzo.

<< Non lo so, ma… >>

<< Ma? Parla Minako. >>

<< E se Usagi volesse affrontare tutto da sola? Fino ad ora siamo stati tutti noi la sua forza, l’amore e i suoi affetti, ma Usagi ha un cuore grande e… se davanti ad un pericolo immenso avesse deciso di combattere da sola, senza farci rischiare la vita? Pensaci: i tasselli tornerebbero al loro posto. >>

<< Quella sconsiderata di Usagi. E che facciamo adesso? >>

I ragazzi si divisero in 4 gruppi: Minako e Makoto provarono a cercarla al parco e nei luoghi che solitamente frequentava; Rei tornò al tempio per interrogare il fuoco sacro; Ami e Mamoru andarono a cercare le Other Senshi e Sailor Saturn in particolare, mentre Luna e Artemis rimasero al quartier generale sotto il “Crown Game Center”.

La macchina sfrecciò veloce in mezzo al traffico crepuscolare. La città sembrava invasa da uno strano fermento. Il tramonto rosso sangue scendeva lento, avvolgendo con i suoi raggi sanguigni la città agitata. Mamoru spinse l’acceleratore e imboccò la strada per il mare. Le Other Senshi, gli aveva detto una volta Usagi, avevano una casa al mare, vicino al vecchio faro, poco distante dal centro di ricerca dove lavorava Setsuna. Prima di dividersi in piccoli gruppi, Rei aveva telefonato a casa di Usagi, ma la madre gli aveva detto che Usagi sarebbe stata fuori per un po’ di giorni e che a prenderla era stata “una bella ragazza dai capelli neri come la notte e due occhi profondi come le stelle”. Era strano, disse ridacchiando, ma quella ragazza le aveva messo i brividi, ma Usagi aveva detto di non preoccuparsi, che sarebbe andato tutto bene.

Per fortuna le strade erano deserte, quindi Mamoru e Ami arrivarono lì prima del previsto. Scesero dalla macchina e fecero per suonare il campanello, quando qualcosa, il sentore di un pericolo molto vicino, li fermò. Si voltarono e scrutarono le ombre che scendevano accompagnate dalla notte. Non c’era nessuno, ma una spiacevole sensazione di pericolo li attanagliava. Inconsciamente Ami si appoggiò alla porta e perse l’equilibrio, cadendo all’interno. La porta d’ingresso era rimasta aperta. Guardò per un attimo Mamoru e insieme si precipitarono all’interno della casa. Quello che videro li bloccò all’istante. Setsuna, Haruka e Michiru erano incoscienti e avvolte da una sottile trama nera. Lievitavano a mezz’aria. Attorno a loro una deformazione spazio temporale le avvolgeva.

<< E’ una nebulosa. Che sta succedendo? >>

<< Una nebulosa? Chi credi che sia stato? >> Mamoru non riusciva a darsi una spiegazione logica.

<< Mercury cristal power make up! >>

Sailor Mercuri usò i ricettori all’interno degli orecchini per mettersi in contatto con Luna e Artemis.

<< Luna. Artemis. Mi sentite? >>

<< Ti sentiamo Ami. E’ successo qualcosa? >>

<< Attivate la ricezione visuale. Siamo a casa di Haruka, ma… >>

Artemis attivò il computer centrale, quello ancora in contatto con il computer sulla Luna. Quando l’immagine si fece più nitida, la gravità della situazione fu palese a tutti. Sailor Mercury non sapeva cosa fare, un passo falso e le sue amiche sarebbero state risucchiate dal vortice.

<< Abbi un po’ di pazienza, Ami. Interroghiamo subito il computer centrale. Vediamo cosa si può fare. Dove sono Hotaru e Usagi? >> domandò Luna.

<< Non lo so. Qui non c’è nessuno oltre a noi. >>

Il vortice spazio temporale alle spalle delle Other Senshi, si dilatò, assorbendo parte del soffitto e le porte a vetro che davano sul giardino. Ami provò ad avvicinarsi alle Other, ma un campo magnetico la respinse con forza contro la parete di fronte. Per fortuna Mamoru la prese al volo, impedendole di sbattere contro la parete.

<< Ci siamo Ami! >>

<< Dimmi Artemis. Cosa possiamo fare? >>

<< Ami questa è una situazione difficile, ma ci sei solo tu lì e solo tu le puoi salvare. >>

<< Dimmi cosa fare e io lo farò, Luna. >>

Sailor Mercury ascoltò attentamente le istruzioni di Luna e Artemis. I due gatti le dissero che l’unico modo per impedire che il vortice risucchiasse le ragazze, poteva essere solo uno: espandere il potere Sailor fino ai limiti estremi della galassia, ma per fare questo avrebbe portato al limite anche le sue energie. Sailor Mercury non rimase a pensarci su. Stare senza fare nulla avrebbe messo in pericolo la vita di tutti gli abitanti del mondo.

Chiese a Mamoru di allontanarsi. Si avvicinò alle altre guerriere sailor e chiuse gli occhi, raccogliendo tutto il suo potere attorno a sé. Le maglie nere della deformazione, le avvinghiarono le caviglie e salirono lungo il suo corpo, cercando di imprigionarla. L’aura di Sailor Mercury si allargò fino ad includere i confini dello spazio.

<< Mercury cosmic explosion! >> ed esplose all’improvviso, inghiottendo e annientando il vortice spazio dimensionale.

Le tre ragazze caddero sul tappeto con un rumore sordo. Sailor Mercury, ormai al limite estremo delle sue forze, si accasciò sul pavimento, sorridendo compiaciuta. Mamoru le fu subito a fianco, cercando di apportare i primi soccorsi. Richiamò il suo potere di pranoterapia e diede, lentamente, energia al corpo stanco e martoriato della guerriera. Molte vene e capillari, nell’esplosione del potere cosmico di Sailor Mercury, erano scoppiate, provando piccole emorragie interne.

<< Come sta? >> domandò con voce roca Setsuna, ancora accasciata sul pavimento, mentre con una mano si massaggiava le tempie.

Haruko si alzò da terra e si avvicinò a Sailor Mercury.

<< Tieni la mia energia, coraggiosa guerriera. >>

<< Anche la mia! >> l’accompagnò Michiru.

<< E la mia. >> le fece eco Setsuna.

Le aure delle tre Other Senshi si unirono in quella della Inner e in breve Ami, tornata ad essere una studentessa delle superiori, riprese forza.

<< Voi ci dovete delle spiegazioni. >> disse per lei Mamoru.

<< Allora aspettiamo pure le altre. Fra poco saranno qui. >>

Utilizzando il potere sailor del teletrasporto, le altre ragazze raggiunsero in breve le compagne, nella villa che Haruko, Michiru e Setsuna avevano comprato per la piccola Hotaru.

<< Vogliamo solo la verità. >> asserì Rei.

<< Prima diteci dov’è Usagi. >> pretese Mamoru.

<< E’ con Hotaru, non preoccupatevi. Finché sarà con lei, sarà al sicuro. >>

Mamoru sentiva dentro di sé un misto di rabbia e frustrazione. Ancora una volta non era riuscito ad essere d’aiuto alla donna che amava da sempre. Avrebbe voluto proteggerla, ma lei non glielo aveva permesso. E poi cosa avrebbe potuto fare? Il suo potere, il Tuxedo Smoking Bomber, era poco più di un effetto speciale da cinema, se paragonato ai poteri delle guerriere Sailor.

 

“Maestà. Imparerete a conoscere e usare in profondità il vostro potere, il potere derivato dal cristallo d’oro. Voi siete il futuro Re del mondo. Potrete proteggere la vostra Regina come il vostro cuore vi sussurra.”.

 

Era questo che gli ripeteva il generale della Kunzite nei loro incontri onirici. Però…. Quanto tempo ancora avrebbe dovuto aspettare? Fino ad allora sarebbe stato solo un peso per Usagi.

<< Ora vi racconteremo tutto dall’inizio…. >> Setsuna fece una breve pausa per recuperare le idee, Mamoru si sistemò accanto a Rei e ascoltò: << Tutto ebbe inizio… >>

 

In un luogo non precisato…

<< Sei sicura Usagi? Vuoi proprio farlo? A quest’ora Haruka e le altre staranno parlando con Mamoru e le Inner Senshi. Adesso sarà tutto più semplice. >>

Il paesaggio montano che si estendeva davanti alla grande baita immersa nel verde, era ciò che di più bello si potesse vedere in natura. La notte aveva ammantato di blu gli alti alberi che circondavano la baita. Il fuoco nel camino scoppiettava al ritmo silenzioso della notte. Ai suoi piedi, Hotaru, non più bambina, teneva in mano un vecchio libro dalla copertina corrosa dal tempo. Usagi stava seduta sul gran divano bianco, di fronte al balcone e osservava le stelle.

<< E’ la cosa migliore. Per tutti. >>

Hotaru richiuse il libro e si sedette al suo fianco. Le passò una mano fra i lunghi capelli biondi. Usagi sentì un pressante bisogno di piangere farsi largo fra la sua coscienza, ma non cedette. Non era il momento di piangere. Presto, molto presto, Lui si sarebbe svegliato e allora…

 

Kanagawa, stesso giorno, stessa ora.

 

Kaede Rukawa, brillante giocatore dello Shohoku, tornava a casa dopo una stressante conversazione con il rossino. Durante quell’ora trascorsa a casa di Hanamichi, aveva cercato in tutti i modi di capire cosa lo preoccupasse, ma la scimmia rossa aveva eluso con capacità innata ogni sua domanda. Alla fine, stava ritornando a casa più confuso di prima.

Per accorciare il tragitto, imboccò una stradina buia che costeggiava il parco. La luna era oscurata e le lampadine dei lampioni stradali erano state distrutte. Poco male. In tutta Kanagawa non c’era nessuno, forse escludendo Sakuragi, che potesse metterlo in pericolo. Nessuno era mai uscito illeso in una rissa contro di lui. Eppure avvertiva una piccola sensazione di paura. Come se qualcuno, nascosto nelle tenebre, lo stesse osservando.

<< Chi c’è? >> domandò più a se stesso.

<< Non puoi farci nulla. Lui è il predestinato. Lascialo andare. >>

<< Chi diavolo sei? >>

In quel momento, una macchina passò lungo strada vicina e la luce dei suoi fari illuminò brevemente la figura immersa nelle tenebre. Era ammantata e le mani, ma forse era solo un effetto della poca visibilità, erano bianche come la morte. Quella figura rimase immobile, ma la sua voce risuonò nella mente e nel cuore di Kaede.

 

…un ragazzo nato tra cielo e terra nelle cui mani vi è il destino del mondo… 

 

E detto questo scomparve, inghiottita dalla notte. Kaede uscì in fretta da quella stradina buia e in quel momento le luci dei lampioni brillarono. Si voltò di scatto ma non vide più nessuno. Era stato uno scherzo? Cosa volevano dire quelle parole? E soprattutto chi era quella donna e cosa voleva da Hanamichi? Perché lui n’era certo: quella donna voleva il suo do’hao.

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Capitolo 3
*** capitolo 3 ***


Tokyo

Erano già trascorsi tre giorni da quella fuga di Usagi. Mamoru aveva perlustrato tutti i luoghi vicino la città, ma non era riuscito a trovare né Usa né Hotaru, inoltre, come sempre accadeva nelle migliori occasioni, le Other Senshi erano scomparse. Il giorno dopo la conversazione con lui, insieme alle Inner era andato a cercare di avere più informazioni, ma aveva trovato la casa completamente deserta. Non c’era nulla che potesse confermare la loro presenza, anche se passata, lì. Mamoru aveva dato un pugno ad un muro, maledicendo se stesso per la sua incapacità. Sarebbe mai riuscito a proteggere la ragazza che amava più della sua stessa vita?

Mamoru richiuse la porta d’ingresso alle sue spalle e sospirò di frustrazione. Si tolse la cravatta e allentò la camicia. Ormai non riusciva più a concentrarsi a lezione. Decise di prepararsi una tazza di the, in attesa di nuove notizie da parte di Luna. Anche quel giorno la spia della segreteria telefonica brillava. Probabilmente era ancora Rei che lo informava delle ultime novità. Sbuffò indeciso se ascoltarla o no, tanto non riportava di certo buone notizie, poi si decise e ascoltò i messaggi in poltrona, sorseggiando ad occhi chiusi una tazza dal liquido ambrato.

“Mamoru? Sono io, Usagi. Volevo solo dirti di non stare in pensiero. Io sto bene, sto solo rilassandomi un po’. Ci vediamo presto. Di’ a tutti che sto bene, Usagi”.

Nonostante sapesse che si trattava di un messaggio registrato, Mamoru si alzò di scatto dalla sedia e alzò la cornetta, ma il lento e ripetitivo segnale di linea libera fu l’unica cosa che sentì. Portò indietro il nastro per ascoltarlo un’altra volta. Niente Mamo-chan, niente indicazioni, le solite sciocche bugie per non farlo preoccupare e, soprattutto, niente “Ti voglio bene” o “Ti amo”. Niente di niente. Prese in mano la scatola in cui teneva le pietre in cui si erano tramutati i suoi sottotenenti. In quel momento aveva un disperato bisogno di un consiglio, di una parola di conforto. Chiuse gli occhi e richiamò Kunzite.
<< Maestà… >> la sua voce cavernosa e profonda pareva venire dagli inferi.
<< Generale, perché mi sento così inefficiente? Serenity ha bisogno di me e io non riesco neppure a starle accanto. Se solo il mio potere non fosse così poco potente. >>
<< Maestà, voi possedete il cuore della Terra, dovete solo imparare a svilupparlo. >>
<< Ma quando? E intanto Serenity rischia la vita nel cercare di proteggermi. >>
Mamoru si portò le mani fra i capelli, intrappolandole fra le ciocche seriche. Una mano diafana si appoggiò alla sua spalla, nel tentativo di donargli un po’ di conforto, ma il suo corpo di non vivente, scivolò lungo i pendii del nulla.
<< Maestà guardatemi! >> Mamoru alzò lo sguardo: << Maestà quello che affronterete metterà in gioco la vita di tutto il mondo e la principessa questo lo sa. Dovete farvi forza, altrimenti rischierete davvero di essere un peso per la principessa. Dovete trovare il ragazzo e strapparlo al suo destino. Dovete riportare la luce nei suoi occhi. Maestà, il destino del mondo è nelle vostre mani. >>
Kunzite scomparve. Mamoru si alzò e andò a fare una doccia. Si stava comportando come un ragazzino sciocco e insicuro. Finché Serenity fosse stata insieme alle Other Senshi la sua sicurezza era assicurata, nel frattempo lui e le Inner avrebbero trovato questo ragazzo leggendario e avrebbero impedito al destino di compiersi, o almeno ci avrebbero provato con tutte le loro forze. E poi, lo sentiva, presto avrebbe rivisto Usagi e allora… l’avrebbe abbracciata. Quel messaggio in segreteria doveva esserle costato molto. Avrebbe voluto tenere lui e le Inner lontani dal nuovo pericolo, per questo era scomparsa, ma allo stesso tempo si era preoccupata e aveva cercato di rimediare…
La piccola Usagi. Come faceva a non amarla?

Kanagawa.

Mitsui ascoltava distrattamente gli schemi di gioco che il coach stava spiegando. Il giorno dopo sarebbero partiti per Tokyo e lui e Kimi erano stati messi nella stessa camera! Quando si dice la fortuna! Ma di fortunato non c’era stato solo lui…
<< Maledizione kitsune! Mi spieghi perché, fra una squadra intera, devo dividere la stanza con te? Non potevo capitare con Yasuda? >>
<< Guarda che non è stata certo una mia scelta, scimmia decerebrata! >>
<< Come osi! Io sono il Tensai! >>
<< Sì, dei poveri! >>
Ed ecco cominciare il solito show: Sakuragi si getta su Rukawa cercando di colpirlo, questi si scosta, Sakuragi tira di destro e il resto sono lividi su tutto il corpo. Mitsui si chiese se per caso Rukawa non provasse un gusto sadico nell’essere preso a pugni dal ragazzo che amava.
<< Certe cose non cambiano mai, eh Hisashi? >>
Hisashi si voltò sorridente, ma quello che vide smorzò il suo slancio. Come tre giorni prima, accanto a lui c’era Fujima, sempre impeccabile e allegro, con quegli occhi svegli e furbi. Hisashi detestava ammetterlo ma, se avesse dovuto vedersela con lui per l’amore di Kimi, sarebbe stata una lotta davvero ardua. Fujima era eccellente a scuola, campione di basket, aveva persino allenato per anni la squadra di basket della sua scuola! Era carino, almeno così dicevano tutte quelle pazze del suo fan club, affabile, sempre gentile… insomma era un tipo perfetto per Kiminobu, ma lui non si sarebbe arreso facilmente. Non dopo aver capito di essere talmente cotto del megane da non pensare ad altri che a lui.
<< Kogure! >> gli si avvicinò sorridendo: << Ah Kenji, pure tu qui? Non si studia all’università? >>
<< Io e Kimi abbiamo finito la settimana scorsa di studiare per gli esami, così potremo venire tutti insieme a vedere le partite del campionato, contento Mitsui? >>
<< Verranno anche Toru e Maki, se riescono a liberarsi. Non vedo l’ora di partire! >> sorrise con il suo fare gentile il megane.
 

Ayako fischiò l’inizio della partita d’allenamento. Da quanto erano iniziati i preparativi per il campionato nazionale, ogni giorno si disputava una partita dall’allenamento. I ragazzi erano molto carichi e si allenavano con grinta, tranne uno di loro, che sembrava molto giù di tono. Da qualche tempo, se n’erano accorti tutti, Hanamichi sembrava vivere in un mondo parallelo. Non usciva più con gli amici, non litigava con nessuno, tranne che con Rukawa. Lui sembrava il suo contatto con il mondo esterno, eppure anche quei litigi sembravano forzati. In campo aveva perso la sua energia e sbagliava passaggi e posture semplicissime. In poche parole sembrava non esserci più. Ogni giorno, poi, terminati gli allenamenti, tornava a casa senza neppure fermarsi a fare una doccia, seguito dall’immancabile Armata Sakuragi.
Tutti erano molto preoccupati, la sua energia era sempre stata un ottimo incentivo per tutta la squadra. Con i suoi attacchi d’egocentrismo acuto e le sue manie di grandezza, aveva sempre trascinato la squadra anche nelle situazioni più precarie. E il più preoccupato, neanche a dirlo, era proprio il volpino che seguiva, con attenzione, ogni sua mossa e, si disse Mitsui, provocava volontariamente Hanamichi, per accertarsi delle sue reazioni. 

Anche quel giorno, terminata la partita dall’allenamento e con il benestare dell’allenatore, il rossino era uscito in fretta e furia, seguito dal volpino, a distanza di sicurezza. Ormai era un copione che si recitava ogni giorno: Hanamichi usciva in fretta dalla palestra, Kaede faceva finta di allenarsi e invece aspettava che fosse abbastanza lontano per vestirsi in fretta e furia e seguirlo, ovunque fosse andato.
Non riusciva ancora a dimenticare quella presenza inquietante incontrata qualche sera prima. Era uscita dal nulla, n’era certo, e gli aveva ordinato di allontanarsi dal suo rossino. Premesso il fatto che Kaede Rukawa non accettava ordini da nessuno, chi era quella donna? Perché aveva quell’aspetto non umano? E perché gli aveva ordinato di stare lontano dal rossino?
Rispondere a questi quesiti era impossibile, quello che si sentiva di fare era seguire Hanamichi fino a casa e assicurarsi che vi giungesse sano e salvo. Probabilmente se si fosse ritrovato quella donna di fronte non sarebbe riuscito a fare nulla, ma almeno doveva tentare di proteggere la persona che amava. Ce n’aveva messo del tempo a capire, ma alla fine ce l’aveva fatta e non aveva intenzione di tirarsi indietro.
Il rossino e i quattro dell’armata girovagarono un po’ per i bassi fondi di Kanagawa, parlarono con tipi dalla faccia poco rassicurante, fecero a pugni con una banda di mammolette e, alla fine, accompagnarono Hanamichi a casa. Rimasero un po’ a ridere del rosso davanti al cancelletto, poi, quando Hanamichi era scoppiato minacciando di dare testate a tutti, erano andati via, tutti tranne Yohei che era entrato in casa. Rukawa era rimasto dietro il muro di recinzione di una villetta non troppo distante da casa del rosso, indeciso sul da farsi. L’ultima, ma anche prima volta, in cui era stato a casa di Sakuragi, aveva perso tutto il tempo a litigare con la scimmia, invece di fargli le domande che gli ronzavano in testa. Quella stessa sera, poi, al ritorno a casa, aveva incontrato quella strana creatura e i suoi pensieri si erano raddoppiati. Lui non aveva mai creduto al paranormale, né a nulla che non potesse essere spiegato con la mente. Era un tipo razionale Kaede Rukawa e non si lasciava influenzare da nulla, però quello che aveva visto quella sera aveva poco del normale. Era senz’altro… cosa? Un fantasma? Un demone? Uno spirito dannato? Questo non riusciva a spiegarselo, ma era certo che non fosse umano e in quel momento, più di capire chi o cosa fosse, doveva capire cosa voleva da Hanamichi e forse lui avrebbe saputo rispondergli.
Si decise ad affrontare la situazione, fece per uscire allo scoperto, ma fu fermato da Yohei, o meglio dalla sua uscita da casa del rossino. Lo vide salutarlo con la mano, dirgli qualcosa che aveva fatto innervosire il rosso e andare via ridendo. Kaede Rukawa si nascose nell’ombra e attese che Yohei si allontanasse un po’ di più.
Una veloce macchina sportiva rossa per poco non lo travolse, sfrecciando troppo veloce in quelle stradine. La volpe si scostò giusto in tempo e questo gli permise di vedere al volante della macchina un ragazzo dagli strani capelli chiari, una faccia conosciuta ma non ricordava dove. Al suo fianco c’era una bella ragazza dai lunghi capelli, anch’essa rievocava un ricordo che però non riusciva ad afferrare. Dietro invece era seduta una ragazza dai lunghissimi capelli biondi. Non riuscì a vedere di più, ma quello che lo colpì fu che si fermarono a casa del rossino. Posteggiarono di fronte alla villa e scesero tutte e tre. La ragazza bionda capeggiava il piccolo gruppo, ma non sembrava sicura delle sue scelte. Il ragazzo accanto a lei le mise un braccio attorno alla spalla, mentre l’altra ragazza suonò il campanello.
Vide il rossino uscire come una furia con un panino in bocca, avvicinarsi al cancello e scambiare qualche parola con il trio, poi entrò in casa e Kaede udì perfettamente il cancello aprirsi e le ragazze entrare. Ospiti del do’hao…
Il volpino si avvicinò alla macchina, facendo attenzione a non essere visto. Guardò la targa e vide che era di Tokyo. Cercò di guardarvi all’interno, ma l’auto era dotata di finestrini neri e non era possibile capire cosa nascondesse all’interno.
Senza neppure pensarci un attimo di più, suonò deciso il campanello. Non era da Kaede Rukawa brancolare nell’indecisione. Suonò un paio di volte e ad aprirgli venne proprio il rosso.
<< Si può sapere chi diavolo… >>
<< Do’hao! Ti sembra questo il modo di aprire la porta? >>
Il rosso si appoggiò allo stipite e, per una volta, ebbe la soddisfazione di rivolgergli lo stesso sguardo che Kaede gli riservava quando sbagliava qualche tiro importante o stava per insultarlo. Alzò un sopracciglio e lo osservò un attimo.
<< E a te sembra questo il modo di auto-invitarti a casa mia? Aspetta che ti apro la porta. >>
Hanamichi fece accomodare Kaede in salotto, dove c’erano già il ragazzo e le ragazze di prima. Haruka, Michiru e Usagi erano i nomi delle tre ragazze che erano venute a trovare il rossino. Haruka, quella che lui aveva erroneamente scambiato per un ragazzo, era una famosa pianista, Michiru, la ragazza al suo fianco, molto bella e curata, era invece una famosa violinista. Erano un duo molto amato ed apprezzato in tutto il mondo. Cosa ci facevano a casa di Sakuragi? E perché la ragazza con loro aveva uno sguardo tanto triste?
Ben presto il rossino gli spiegò che Haruka era un’amica di lunga data. Erano cresciuti insieme, in Irlanda e negli ultimi anni si erano persi di vista, fino a quando, qualche settimana prima, si erano rivisti in un bar di Kanagawa e lì aveva conosciuto pure Michiru e Usagi, la ragazza dai lunghissimi capelli biondi, e insieme erano andate a trovarlo.
<< Tu sei un compagno di squadra di Carl? >>
Kaede strabuzzò gli occhi. Chi era Carl? Intuendo il suo imbarazzo, Haruka scoppiò a ridere.
<< Carl è il mio secondo nome. Era con quello che ero conosciuto nel mio paese. >>
<< Conosci l’Irlanda, Kaede? >> gli chiese Michiru sorseggiando del the caldo: << E’ una terra piena di leggende, di magia e mistero…. Si dice che sia la patria dei folletti e delle piccole creature dei boschi…. Dovresti visitare l’Irlanda… >>

Anche quella sera Kaede uscì da casa di Hanamichi senza riuscire a porgli alcuna domanda. Non capiva cosa stesse accadendo, ma troppe coincidenze si stavano radunando proprio a Kanagawa. L’Irlanda. La ragazza dai capelli del profumo del mare, aveva detto che era una terra di magia… non l’aveva mai guardato, ma sapeva, aveva sentito, che quel discorso era un messaggio proprio per lui. Haruka e Michiru. Perché se pensava a loro non poteva far altro che immaginare il mare in tempesta? Usagi? Lei era la più strana, se pensava a lei lo invadeva una tristezza infinita.
Senza accorgersene Kaede si ritrovò nello stesso vicolo di qualche sera prima. Era illuminato stavolta, eppure non si sentiva tranquillo. Ma che pensava? Lui era Kaede Rukawa, la star dello Shohoku, non poteva avere paura di… di cosa? Neppure lui sapeva bene. Scosse la testa e proseguì, sbadigliando e dandosi dell’idiota mentale. Alla fine del vicolo, però, immersa nelle semioscurità, notò un’auto. Fuori dall’auto, benché non fosse facile distinguere bene, vide una figura esile. Si fermò istintivamente. Poi decise di avanzare. Era stupido rimanere lì, in quel vicolo, senza la possibilità di fare nulla. Se davvero fosse stato un demone non avrebbe di certo avuto possibilità di scappare. Ma i demoni, poi, guidano la macchina?
Ritrovatosi dinnanzi all’auto, la riconobbe come quella di Haruka e infatti, appoggiata alla portiera, c’era Usagi.
<< Ti devo parlare Kaede. >>
<< Hn. >> rispose con il suo solito monosillabo.
<< Ti va di venire un attimo con noi? >>
Usagi si scostò per aprire la portiera. Kaede valutò cosa avrebbe comportato salire e andare via con loro, ma la curiosità di sapere era troppo forte e così accettò.
Haruka guidava velocemente, sorpassando con enorme maestria le macchine ferme ai semafori. Kaede, abituato a addormentarsi ovunque, stranamente non riusciva a prendere sonno. Haruka voltò verso destra e prese la strada che portava al grande parco poco fuori Kanagawa. Durante il tragitto nessuno di loro parlò e il silenzio tranquillizzò non poco l’ala dello Shohoku.
Giunti a destinazione, scesero dalla macchina. Il volpino seguì le tre ragazze che s’inoltravano nel bosco. Le tre ragazze si fermarono davanti ad un grosso albero. Haruka e Michiru uscirono degli strani oggetti, simili a caleidoscopi o forse a penne, ma nel buio non riuscì a vedere bene; Usagi prese dalla tasca dei pantaloni una grossa spilla. Tutte e tre alzarono quegli oggetti in mano e pronunciarono le parole più incredibili per Kaede.
<< Silver Moon Crystal Power Make up! >>
<< Uranus Crystal Power Make Up! >>
<< Neptune Crystal Power Make Up! >>
Kaede arretrò inconsciamente, fino a che le sue spalle toccarono un albero. Cosa volevano le Sailor Senshi da lui? E cosa avevano a che fare con Hanamichi? Strinse i pugni fino a farsi male. Non era da lui arretrare di fronte a qualcuno, ma in una settimana gli era già successo due volte. Eppure tutto quello era troppo grande persino per lui, il terrore dei teppistelli di Kanagawa.
<< Dobbiamo raccontarti una cosa… e abbiamo bisogno di molto tempo… >>sussurrò Usagi.
La sua voce sembrava provenire da un’era molto lontana e sapeva di nostalgia. Ora sapeva il perché di quegli occhi tristi, era come se stesse sopportando nel suo piccolo cuore tutto il dolore del mondo e per un attimo, un breve attimo, Kaede n’ebbe compassione. Usagi gli sorrise dolcemente. Kaede avanzò verso di loro e un varco si aprì alle loro spalle. Annuì deciso e seguì le guerriere Sailor all’interno. Appena varcarono il portale, esso si richiuse.
Il vento soffiò forte. La sua voce, simile alla straziante sofferenza di un’anima in pena, portava con sé una canzone… un’antica leggenda…

…un ragazzo nato tra cielo e terra nelle cui mani vi è il destino del mondo… non riuscirete a portarmelo via. Nelle sue mani giace la falce della morte. Lui è l’inizio e la fine… un ragazzo nato tra cielo e terra…  

Kanagawa, un’ora prima della partenza per Tokyo. 

<< Qualcuno ha visto Rukawa? >> Ayako chiedeva nervosamente a tutti i compagni di squadra.
Nessuno sembrava aver notizie del volpino. La sera prima Hisashi aveva voluto organizzare una piccola festa a casa sua, ma il telefono di Kaede aveva suonato a vuoto.
<< Yasu hai telefonato a casa sua? >>
<< Sì Ayako, ma suona a vuoto. >>
<< Narcolettico com’è si sarà scontrato con qualche bidone della spazzatura. State tranquilli che arriverà presto… e chi lo ammazza quello? >> scoppiò a ridere il rossino, ma la sua risata sembrava falsa persino alle sue orecchie.
<< Do’hao. >>
<< Che vi avevo detto? L’erba cattiva non muore mai! Benarrivato kit! >>
Rukawa sorrise, lasciando i compagni di squadra con gli occhi sbarrati e le bocche spalancate. Prese la borsa che aveva appoggiato a terra e la mise sulle spalle.  Si avvicinò a Sakuragi e gli tirò in testa la sacca.
<< Ma sei scemo, kitsune? Cos’è… il sonno ti ha dato alla testa? >>
<< Così impari! >>
Da fuori il cancello della scuola, si sentì una macchina partire velocemente. Kaede non si voltò, né disse nulla. Strinse di più la presa sulla sacca e si sistemò sul bus, nel posto a lui assegnato, e si addormentò.
Il viaggio fu troppo breve per Kaede che non aveva avuto modo di dormire la notte precedente. Aveva cercato di sonnecchiare sul bus, ma prima il sedile scomodo, poi i continui movimenti del do’hao, la voce dell’idiota che litigava con Ryota e Hisashi, il suono delle sventagliate di Ayako, non riuscirono a farlo dormire.
In verità, n’era ormai perfettamente consapevole, era altro a tenerlo sveglio. Ciò che aveva visto la sera prima, ciò che aveva udito, non era ancora riuscito ad assorbirlo e fluttuava leggero nella sua mente. Le immagini e le parole si mescolavano insieme producendo un gorgo oscuro dal quale veniva irrimediabilmente risucchiato.
Quello che aveva visto…. Sarebbe mai riuscito ad assolvere il compito che gli avevano affidato? Socchiuse gli occhi e vide la sagoma del rossino accanto a lui. Era seduto di traverso, praticamente gli dava le spalle. Le aveva molto larghe e forti. I capelli rossi sembravano fuoco e distruggevano ogni sua remora. La sua voce era ingombrante come la sua presenza e si faceva strada a forza nella sua vita. Era un gran teppista e perdigiorno, ma dubitava fosse in grado, volontariamente, di far del male a qualcuno. Lo aveva sempre considerato un ragazzo semplice, ingenuo, forse troppo petulante, eppure non riusciva a scacciare dalla sua mente le parole di Haruka.
“Se fosse necessario… non avremmo altra scelta, mi dispiace.”
Respirò profondamente e riaprì gli occhi. Cercare di dormire era inutile, troppi ricordi si affollavano alla sua mente appena chiudeva gli occhi.
Si voltò verso il rossino, intento a discutere con Ryota. Più in là Kogure parlava con l’allenatore, mentre Hisashi non lo perdeva mai d’occhio. Le matricole del primo anno erano seduti nei posti vicini al Mister ed erano stranamente silenziosi. Per loro era il primo anno di campionato nazionale e la tensione li irrigidiva. Si accoccolò nel suo sedile. La manica della giacca della tuta, si sollevò leggermente. Sul polso sinistro faceva bella vista uno strano orologio con una mezzaluna sopra il quadrante. Era bianco. Usagi glielo aveva messo al polso, poco prima di riportarlo a casa.
“Usalo nelle emergenze. Noi staremo sempre dietro di voi.”
Si voltò verso il finestrino. Fuori il paesaggio era veloce e monotono. I colori si mischiavano fra loro formando un lungo mantello grigio. I pochi alberi che costellavano la strada, si muovevano veloci come foglie d’erba mosse da un tornado, piegandosi al passaggio del bus. All’orizzonte una coltre nera scendeva dal monte Fuji.
L’autista accese la radio che si diffuse come leggero sottofondo. Kogure lasciò il posto accanto all’allenatore e si sistemò accanto a Hisashi, che prese a chiacchierare felicemente con lui, dimenticando la compagnia rumorosa.
L’armata Sakuragi era salita con loro. Yohei, posto nel sedile dietro quello del rossino, fissava in silenzio il comportamento dell’amico, non perdendolo mai d’occhio. Era preoccupato, lo vedeva, eppure era stranamente tranquillo. Noma e Okuso si divertivano a prendere in giro Takamiya, che ingurgitava tanto di quel cibo da temere che potesse scoppiare da un momento all’altro.
Usagi e le altre, ne aveva il sospetto, non gli avevano rivelato tutta la verità, eppure quel poco era bastato per terrorizzarlo. Se la leggenda si fosse avverata…
<< Ehi kitsune! Sei sveglio? >>
<< A te che sembra, do’hao! >>
<< Che ne so io del comportamento delle volpi artiche! Magari stavi solo entrando in letargo! >>
<< Idiota. >>
Sakuragi scoppiò a ridere, affondando la testa nel sedile. I suoi occhi s’incupirono un attimo, ma poi tornò ad essere quello di sempre, si voltò verso Yohei e cominciò a discutere di un videogioco provato qualche sera prima…. Certe cose non cambiano mai, pensò Kaede, ma non è detto che non finiscano all’improvviso.
Poco più in là, Hisashi ascoltava il megane parlare degli schemi di gioco. Non era proprio così che aveva immaginato il viaggio per Tokyo, ma pur di sentirlo al suo fianco, avrebbe anche sopportato di sentire recitare la Divina Commedia. I suoi discorsi variavano alla velocità della luce, un attimo prima parlava di basket e il secondo dopo cominciava a raccontare le peripezie di uno studente universitario che ha come amici dei giocatori di basket alquanto eccentrici.
<< … e poi Kenji è saltato sulla sedia, mentre Maki cercava di bloccarlo… >>
Kenji… nella mente di Hisashi si stavano moltiplicando le immagini delle possibili torture da applicare a quel damerino da strapazzo. Possibile che in ogni discorso saltasse sempre fuori lui?
<< Mi ascolti Hisashi? >>
<< Certo che ti ascolto, megane! Piuttosto… non sei geloso? >>
Kiminobu lo guardò senza capire.
<< Del fatto che Kenji venga ad assistere al campionato insieme a Toru, invece che con te… sono stati compagni di squadra per molto tempo… >>
<< E ora lo sono in un’altra maniera... più profonda… >>
<< Come? >> Hisashi per poco non gridò quella parola: << Che significa? Compagni… in quel senso? >> domandò abbassando la voce.
<< Hai forse qualche pregiudizio Mitsui? >> chiese nervosamente Kiminobu.
<< No. Affatto. E’ solo che pensavo che Kenji stesse con te… siete sempre insieme e… >>
Kogure scoppiò a ridere, impedendo a Hisashi di finire la frase. Il tiratore da tre punti dello Shohoku lo guardò sbalordito, fino a che Kimi, avendo avuto compassione per lui, decise che era giunto il momento di dirgli tutta la verità.
<< Kenji e Toru stanno insieme dall’ultimo anno del liceo. Io, Takenori, Kenji, Toru e Maki, frequentiamo la stessa facoltà (permettetemi la licenza letteraria. Mi piace pensare che siano tutti amici! NdA.) e siamo diventati molto amici, nulla più. Siccome si avvicinavano i campionati, tutti e quattro, per avere la possibilità di vederli, abbiamo studiato come dei matti e poiché Kenji doveva preparare un esame particolarmente difficile, ha chiesto il mio aiuto e io non ho rifiutato. Per questo negli ultimi tempi ci hai visto sempre insieme. Dato che venivo subito dopo aver terminato di studiare, Kenji era ancora con me e veniva a vedere gli allenamenti. Tutto chiaro adesso, Sashi? >>
Kiminobu diede a quel nomignolo un’intonazione così profonda da quasi procurargli una perdita di sangue dal naso. Rimase intrappolato allo sguardo e al sorriso di Kimi a lungo, fino a che questi si piegò per prendere un libro e iniziò a leggere.
<< Ma allora… tu… sei… >>
<< Libero? >> chiese Kimi alzando lo sguardo dal libro: << E’ una proposta Sashi? >>
Di nuovo quel tono. Mitsui, per la prima volta nella sua vita, arrossì sotto lo sguardo divertito del piccolo ex-vice capitano.
<< Se me lo chiedessi in una diversa maniera… >> continuò Kimi abbassando ancora di più la voce, dandogli una tonalità bassa e, a detta dei sensi di Hisashi, profondamente erotica: << …io potrei pure accettare… >>
“Ecco! Lo sapevo! Ca220! Ho avuto un incidente nel viaggio per Tokyo e sono morto sul colpo e adesso sono… in paradiso? Sì non può che essere il paradiso.”
Hisashi provò a dire qualcosa, ma Kiminobu lo interruppe nuovamente con una risata dolce e meno fragorosa:
<< Sto scherzando Hisashi. Torna pure a respirare… >>
<< No… non è questo… >> cercò di dire, ma i suoi pensieri non riuscirono a liberarsi dalle catene della sua mente, troppo impegnata a registrare ogni singolo cambiamento della tonalità della voce del ragazzo accanto a lui.
L’allenatore Anzai richiamò Kogure. Kiminobu si alzò senza neppure guardare il compagno al suo fianco. Posò il libro distrattamente sul sedile e cercò di uscire, ma Mitsui lo fermò per un braccio:
<< Ma tu sei… >> domandò titubante.
<< Gay? Sì. >> gli rispose sorridendo.
Il sorriso che nacque sul viso di Hisashi lo lasciò interdetto. Avrebbe voluto chiedere spiegazioni. Non voleva che fosse un ghigno di commiserazione o peggio ancora di disgusto. Non lo avrebbe mai accettato, non da lui. Forse era stato troppo diretto con quelle battute, ma gli sembravano la cosa giusta da dire al momento giusto, ma forse si sbagliava. Quel cretino di Akagi e i suoi consigli del cavolo! “Mitsui è un ragazzo diretto, poco incline al romanticismo e poco sveglio, ad essere sinceri. L’ho visto come ti guardava durante gli allenamenti e le partite, ma, se aspetti che sia lui a fare il primo passo, morirai di vecchiaia. Credimi! E’ cotto di te, almeno quanto tu di lui, anche se non capisco cosa tu ci possa trovare in un teppiste simile…”. Ma chi glielo aveva fatto fare ad ascoltarlo? E poi ci si era messo pure Maki….
Sospirò di rassegnazione. L’allenatore lo richiamò nuovamente e dovette lasciare inespresse le sue domande e le sue paure. Se Kiminobu si fosse voltato in quel momento, quello che avrebbe visto, forse, avrebbe dissipato ogni suo dubbio, ma Kimi era troppo preso dai suoi pensieri per tentare anche solo di capire, voltandosi a guardarlo, quindi proseguì dritto senza voltarsi. Si sedette vicino all’allenatore Anzai e lì rimase fino all’arrivo a Tokyo. Poco male, si disse Hisashi osservandolo parlare con l’allenatore, ci sarebbero di certo state altre occasioni e, ne era sicuro, avrebbe catturato per sempre il cuore di quel ragazzo che non faceva che stupirlo. Sashi… quel nome aveva un suono così particolare nella sua bocca… dolce e sensuale. Incrociò le braccia dietro la testa e si appoggiò al sedile. Sorrise e dopo tanto si sentì di nuovo felice.

Una macchina sportiva rossa, correva veloce nella superstrada per Tokyo. Seguiva da lontano un bus che conduceva dei giocatori di basket alla Grande Mela del Giappone.
<< Usagi sei pronta per quello che accadrà? >>
La ragazza, dopo tanto tempo, sorrise.
<< Quel ragazzo, Kaede… lui potrà riportare la luce, me lo sento. >>
Ignare del futuro, le tre ragazze si apprestavano a tornare alla città che in futuro sarebbe entrata nella storia come Crystal Tokyo. Ad attenderle, in un luogo segreto, c’erano le altre Other Senshi. Tutto proseguiva come nei piani. Adesso non c’era altro da fare che aspettare.

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Capitolo 4
*** capitolo 4 ***


Il bus arrivò a Tokyo in perfetto orario sulla tabella di marcia. Fece un giro completo della città e si fermò in uno dei ryokan poco lontani dalla cittadella sportiva. Le matricole scesero dal bus e si guardarono attorno con aria spaesata. Per loro era la prima partita fuori Kanagawa e la prima volta in assoluto che mettevano piede a Tokyo. Fecero un lungo respiro e seguirono i senpai all’interno dell’albergo, lo stesso in cui avrebbe alloggiato il Ryonan. Il Kainan era stato sistemato poco lontano a neppure un centinaio di metri. L’armata Sakuragi, Fujima e Hanagata trovarono posto nello stesso ryokan dello Shohoku, mentre Maki, per ovvie ragioni, preferì trasferirsi in quello del Kainan.

Sakuragi entrò sbuffando in camera. Diede un’occhiata veloce alla stanza e cominciò a lamentarsi.
<< Uffa! I futon li odio! Una delle più grandi invenzioni del mondo occidentale è proprio il meraviglioso letto rialzato e noi che facciamo? Dormiamo ancora sui futon! Così non riuscirò a dare il meglio di me durante il campionato! Mi verrà un mal di schiena da paura! >>
Kaede, che aveva ascoltato attentamente tutto lo show del do’hao, si limitò ad alzare lo sguardo con fare rassegnato, cosa che non sfuggì al rossino che mormorò qualcosa a mezza voce.

Hanamichi decise che, poiché si trattava dell’unico genio del basket esistente, toccasse a lui farsi la doccia per primo. Per fortuna quella camera aveva un pregio, anche se unico, possedeva il bagno incorporato e così non dovevano fare file enormi, com’era accaduto l’anno precedente, con Ryota che rimaneva mezz’ora in bagno per sistemarsi i capelli!
Kaede sentì Hanamichi aprire la doccia e l’acqua scorrere impetuosa. Decise di sistemare i vestiti nell’armadio a muro. Aprì allora la valigia, n’estrasse gli abiti ad uno ad uno e li sistemò ordinatamente nell’armadio, poi prese lo zainetto che aveva tenuto tutto il tempo sul bus, accanto a sé e n’estrasse un libro. Aveva una copertina nera e una scritta argentata.
Appoggiò le spalle su una parete, aprì il libro lentamente e iniziò a leggere. I suoi occhi si muovevano veloci rincorrendo un filo immaginario che attraversava ogni parola e apriva ogni porta, come una dorata chiave universale. Non sentì neppure Hanamichi uscire dal bagno, canticchiando la solita canzoncina demenziale, né lo vide privarsi dell’asciugamano bianco e rivestirsi. Non sentì neppure la porta aprirsi e chiudersi. Non vide la luce del sole diminuire lentamente e, quando rialzò lo sguardo dal libro, era pomeriggio inoltrato.
Guardò un’altra volta il libro chiuso e lo ripose nell’armadio, sotto le tute, poi andò a farsi una doccia veloce. Lui non era mai stato un ragazzo dai facili sorrisi, però adesso gli veniva davvero difficile persino immaginare un volto sorridente.
Entrò nel piccolo bagno e fece scorrere l’acqua facendola intiepidire. Entrò nel box e chiuse gli occhi, mentre l’acqua scivolava lenta fra i suoi capelli, abbracciando ogni lembo di pelle. Usagi aveva affidato a lui, proprio a lui, una missione importante. Ne sarebbe stato all’altezza?

Quando uscì trovò il rossino seduto in mezzo alla stanza, con le gambe e le braccia incrociate e uno sguardo arrabbiato sul volto.
<< Era ora che ti svegliassi, stupida volpe! Ero tentato ad entrare e prenderti a pugni! Ma lo sai da quanto sei lì dentro? >>
Kaede continuò ad asciugarsi i capelli dando le spalle al rossino, cosa che, nei limiti del possibile, fece ancor di più innervosire Hana.
<< Stupida volpe! Mi ascolti? Sto parlando con te! >> disse Hanamichi alzandosi e prendendolo per un braccio, costringendolo a voltarsi.
<< Che diavolo vuoi rosso scimmia! >> rispose Kaede spingendo il rossino: << Lasciami in pace! Non sono affari tuoi quanto tempo sto sotto la doccia, capito do’hao? >>
Gli occhi di Hanamichi si ridussero ad una fessura. Kaede vide la rabbia arrossare il suo volto. Hanamichi s’inginocchiò e diede un pugno sul pavimento, con così tanta forza che Kaede temette si fosse rotto qualche osso. Hanamichi si rialzò ansimando. Alzò il pugno verso Kaede:
<< Immagina che quel pugno l’abbia dato a te. Sai Kitsune? Ormai non c’è più nessun gusto nel prendere la tua stupida faccia a pugni. >> e detto questo uscì sbattendo la porta.
Kaede rimase qualche minuto interdetto. Perché si comportava sempre così con la scimmia? Invece di cercare di avvicinarlo e renderselo amico, cosa faceva? Lo trattava male! Era così difficile ascoltare quella voce sussurrare cosa dovesse fare.
Si rivestì in fretta. Si mise dei pantaloni scuri, una maglia rossa e si sistemò l’orologio sul polso sinistro e fu allora che si accorse del tempo che aveva trascorso sotto l’acqua. Per lui era stata una doccia veloce, eppure era trascorsa quasi un’ora. Logico che Hanamichi si fosse preoccupato.
Sbuffò infastidito. Adesso avrebbe dovuto chiedere scusa alla scimmia, ma lui non c’era abituato. Già immaginava le esaltazioni a genio che ne sarebbero venute, ma sarebbero state di gran lunga più gradite dei borbottii perenni del rossino.

Quando scese giù i compagni di squadra lo attendevano in sala da pranzo. Diede uno sguardo di sfuggita al nutrito gruppo e ritrovò Hanamichi vicino alla sua armata. Questi lo ignorò per tutta la serata, scherzando con Yohei e gli altri.
Kaede si sedette tra Ayako e Yasuda, proprio di fronte a Mitsui e Kogure. Poco distante si sentiva il fracasso prodotto da quei rumorosi dell’armata che, come sempre accadeva, prendevano in giro Hanamichi. Di fronte al loro tavolo c’era il Ryonan al completo, mancava solo Uozumi che non era riuscito a liberarsi degli impegni del ristorante. In compenso Ikegami era riuscito a liberarsi dagli impegni universitari e analizzava con il coach la nuova squadra. C’era Fukuda che scherzava con Aida e Sendo… cosa stava facendo Sendo? Parlava con Koshino, il playmaker, che però non sembrava molto contento. Infatti, mentre Sendo intramezzava ai sorrisi delle risate pure, il play passava dall’imbarazzo alla rabbia, concludendo lo show con un “Akira” gridato a mezza voce e con gli occhi spalancati. Quei due sembravano tutto tranne che semplici amici. Inoltre ogni tanto la mano di Akira scivolava con noncuranza sotto il tavolo, seguita da quella di Koshino con una forchetta in mano. Allora Sendo tornava a mangiare sorridendo ancora di più.
Ad ogni modo, con somma gioia di Kaede, la cena finì e i ragazzi furono lasciati liberi di uscire per il resto della serata. Gli allenatori fissarono il coprifuoco per le 23:30.
Kaede vide Hanamichi prendere accordi con Yohei e il resto dell’armata e poi salire in camera. Lui seguì con lo sguardo ogni piccolo spostamento, cercando il momento opportuno per parlargli, sperando sempre di non arrivare ai pugni. Quando Hanamichi salì le scale per entrare in camera, Kaede lo seguì ed entrò nella stanza subito dopo di lui.
<< Che diavolo vuoi Rukawa? >> quasi ringhiò il rossino.
<< Scusarmi. >>
Hanamichi si voltò incredulo. Se un disegnatore di manga avesse provato a disegnare quella scena, ne sarebbe uscita una super deformed con la mascella di Hanamichi che toccava il pavimento e gli occhi a palla. La realtà non differiva di molto dall’immaginativo generale e Hanamichi guardava Kaede senza riuscire a spiegarsi cosa stesse accadendo.
<< Tu vuoi chiedere scusa a me? >> chiese Hanamichi scandendo ogni parola come stesse parlando con un marziano dalla pelle viola.
<< Senti scimmia, è già difficile di per sé chiedere scusa a un decerebrato come te, se poi ti metti a fare l’idiota diventa ancora più difficoltoso. >>
<< Ehi volpe! Meno male! Per un attimo ho pensato che gli alieni ti avessero rapito e sostituito con una copia, non certo all’altezza dell’unico Genio del mondo, ma comunque…. >> sospirò.
Hanamichi aprì l’armadio e uscì una camicia nera: << Allora? Sto ascoltando. >>
<< Non mi sembri molto attento, ma forse è meglio così. Volevo scusarmi per come ti ho trattato oggi pomeriggio. >> e la camicia di Hanamichi rovinò a terra: << Riconosco che, per qualche strano motivo tu ti sia preoccupato per me e deve essere stato uno sforzo visto che mi odi. Non avrei dovuto reagire in quella maniera. Scusa. >>
Hanamichi, nel frattempo, si era privato della maglia e messo la camicia e Kaede, troppo intento ad osservare le sue scarpe, non se n’era neppure accorto. Quando rialzò lo sguardo Hanamichi stava abbottonando fino in fondo la camicia, mentre Kaede si dava dell’emerito idiota per essersi perso, per la seconda volta, uno spettacolo del genere.
<< Caspita kitsune! Scommetto che hai parlato più oggi che in tutta la tua vita! Comunque, poiché sono il più grande Tensai della clemenza, ti scuso. E un’ultima cosa: io non ti odio. >>
Questa volta toccò a Kaede fare la faccia da deformed con tanto di occhi a palla.
<< Scusa ma tutte le “maledizioni” che mi mandavi quando giocavo? Oppure tutti gli insulti che mi rivolgevi? O le palle che mi lanciavi sperando di farmi ruzzolare a terra? Oppure… >>
<< Kitsune! Ma proprio oggi dovevi ritrovare l’uso delle tue corde vocali? E comunque quello è il passato. Prima mi piaceva Haruko, ma ora lei sta con Yohei e poi… sono cambiate tante cose… e comunque non ti odio! Anzi sai che ti dico? Ti va di uscire con me e i miei amici? >>
Forse non era poi tutto perduto, si disse Kaede. Afferrò una camicia dall’armadio e se la mise sopra la maglia. Uscì con Hanamichi, ben lieto, finalmente, di aver detto le parole giuste.

Stessa ora, lato opposto della città.

Mamoru aveva saputo da Ami che Usagi era tornata a casa quella mattina. Lei l’aveva vista scendere dalla macchina sportiva di Haruka ed entrare in casa di fretta. La macchina poi era partita velocemente, scomparendo fra i vari vicoli. Mamoru era stato impossibilitato ad uscire dall’università, perché impegnato in un seminario.
Appena finito si era catapultato a casa di Usagi, ma lei era già uscita, con le Other probabilmente. Aveva chiesto alla madre di Usagi il permesso di aspettarla lì e la madre aveva cercato di convincerlo ad attenderla dentro, ma lui era rimasto fuori dal cancello, voltandosi precipitosamente verso la direzione di ogni rumore che sentiva o percepiva.
Era già trascorsa un’ora e di Usagi non c’era ancora traccia. Stava per andarsene, quando due fari avevano illuminato la strada semi oscurata.
Haruka aveva posteggiato la macchina di fronte la casa di Usagi ed era uscita insieme a lei.
<< Usagi. Haruka. >> aveva salutato freddamente Mamoru: << Hai bisogno delle guardie del corpo per difenderti da me, Usa? >>
Usagi aveva salutato Haruka, dandole appuntamento per il giorno dopo. Haruka era stata un po’ riottosa, ma alla fine era salita in macchina ed era ripartita. Usagi aveva fatto cenno a Mamoru di aspettarla fuori e lei era rientrata per avvisare la madre del suo rientro. Quando era uscita nuovamente aveva chiesto a Mamoru di accompagnarla a fare una passeggiata.
Passarono di fronte al Crown Game Center e si diressero al parco, deserto a quell’ora della sera.
<< Usa… dove sei stata tutto questo tempo? Kami sama! Mi sembrava di impazzire. >>
<< Mamoru, noi due non dobbiamo vederci più. >> aveva detto Usagi con un tono calmo, come stesse parlando del tempo o di quello che aveva appreso quel giorno a scuola.
<< Usa? >>
Mamoru sentiva la sua voce tremare e la sua coscienza rimproverargli la sua incapacità. Usagi lo stava lasciando perché non era in grado di fare nulla. Lei era la futura Regina Serenity e lui un consorte ombra, incapace di proteggere la sua famiglia, come sarebbe accaduto in futuro, nella battaglia contro il Principe Diamond. Lui era solo un incapace e Usagi meritava di più, questo lo aveva sempre saputo, eppure il suo amore, pensava, sarebbe riuscito ad unirli, come aveva fatto millenni dopo la loro disfatta, nel Regno Lunare.
<< Mamo… io… >>
<< E’ per quella leggenda? Tu pensi che io non possa essere all’altezza della situazione? >>
<< Sì. Né tu e né le Inner Senshi potete aiutarmi. Mi sareste solo d’impiccio. Non voglio vedervi più. Mi dispiace… >>
E tutto questo Usagi lo disse guardando Mamoru, l’uomo per il quale si era privata della vita una volta in un tempo passato e per il quale sarebbe morta ancora un milione di volte, per rinascere ancora insieme. Eppure Usagi disse tutto con una freddezza che neppure lei conosceva, guardando l’unico ragazzo che avrebbe mai amato negli occhi. Perché adesso Usagi era cresciuta e doveva fare affidamento solo su se stessa. Non poteva permettere che qualcuno mettesse in pericolo la propria vita per colpa della sua incapacità a combattere. Si era risvegliata in quell’epoca martoriata come Regina e come Guerriera e con lei si erano risvegliati tutti i suoi nemici. Quante volte aveva visto cadere a terra, sotto i colpi inferti dai nemici, le persone a lei più care? Quante volte aveva temuto di aver sorpassato quel breve confine fra la vita e la morte? Quante volte si era svegliata con il terrore che quel giorno potesse essere davvero l’ultimo? No. Questa volta Usagi avrebbe combattuto la sua battaglia da sola, facendo affidamento sulle sue stesse capacità. Ormai Mamoru e le altre guerriere conoscevano la verità, ma questo non avrebbe rallentato i suoi piani. Avrebbe combattuto da sola la sua battaglia, proteggendo chi amava. E quello era l’unico modo che Usagi conoscesse.
Mamoru non disse nulla. Prese la mano di Usagi fra le sue e baciò l’anello che le aveva regalato, prima di partire per gli Stati Uniti, prima di diventare polvere cosmica. Quante volte aveva assistito impotente e terrorizzato alle battaglie dell’amata? Quella volta Usagi sembrava decisa a voler fare tutto da sola e lui le avrebbe donato quell’illusione. Mai e poi mai, nonostante tutte le parole che potesse trovare quella testolina buffa, avrebbe abbandonato la ragazza che amava, per la quale aveva combattuto ed era morto. La ragazza che aveva rincorso per millenni, nella speranza di ritrovarla, riabbracciarla e vivere per sempre con lei.
Quell’anello, quello che aveva baciato, quello che Usagi non si toglieva mai, quell’anello aveva svelato tutto ciò che Usagi aveva tenuto nascosto. Quel piccolo anello con la perla a forma di cuore. Usagi lo teneva anche mentre gli diceva di non volerlo più accanto a sé…. Quel piccolo anello sarebbe stato sempre con lei, come un piccolo filo rosso che li avrebbe legati sempre.
Mamoru baciò due volte quell’anello, poi uscì dal parco, lasciando Usagi seduta su una panchina rossa…...
Il cellulare cominciò a suonare. La suoneria dolce ripeteva all’infinito un vecchio successo dei Three Lights. Prese il cellulare senza neppure controllare e rispose alla chiamata.

Mamoru tornò al quartiere di Usagi per riprendere la moto. Mise il casco e ripartì, lasciandosi alle spalle la casa di Usagi. Si fermò un attimo al bar Crown, a causa di un semaforo rosso. Il suo sguardo incrociò quello vacuo di un ragazzo alto, dalla pelle bronzea e dagli strani capelli rossi. Il semaforo cambiò in verde e la moto ruggì sfrecciando sull’asfalto. Doveva aveva visto quel ragazzo? Perché era stato investito da una strana sensazione di deja vieu?

<< Ehi kitsune! Non hai proprio mangiato nulla! >>
<< Al contrario di te, la cena del ryokan mi ha saziato. Ma come fai a mangiare così tanto? >>
<< E non hai visto nulla ancora, Rukawa. >> sorrise sibillino Yohei: << Dovresti vedere quando fa a gara con Takamiya a chi mangia più biscotti e torte di cioccolato! Un vero spasso! >>
<< Ehi voi… >> provò a difendersi Hanamichi vedendo la banda ridere alle sue spalle, ma si fermò.
Si sentì osservato da qualcuno che la sua mente aveva riconosciuto. Fece vagare lo sguardo attorno a sé e trovò presto l’oggetto della sua ricerca. Un rombo di moto catturò l’attenzione dell’armata e di Kaede, intenti ancora a sghignazzare alle spalle del rosso. Una moto di grossa cilindrata si era fermata al semaforo rosso e fin qui nulla di strano, se non fosse stato per il comportamento di Hanamichi. Questo sembrava completamente in trance e guardava il motociclista senza neppure comprendere cosa facesse. Tutto durò meno di un attimo, perché scattò nuovamente il semaforo verde e la moto, rombante, se n’andò.
<< Ehi Hanamichi. >> gli si avvicinò Okuso intento a non farsi scappare un’occasione così ghiotta: << Non mi dire che ti piacciono i ragazzi…. >>
<< Beh Hanamichi potresti provarci con loro. >> continuò Noma, per lasciare finire a Takamiya: << Almeno da lì il conto inizierebbe da zero! Sai che ridere! >>
Ma Hanamichi era troppo impegnato a seguire i suoi ricordi per badare alle parole dei compagni, così liquidò tutto con un “idioti” detto a denti stretti e prese a camminare più velocemente. Gli altri lo seguirono senza aver capito quel che fosse accaduto.
Si fermarono poco dopo di fronte ad una sala giochi. Incalzato dai compagni Hanamichi sembrò recuperare un po’ del tuo temperamento. Kaede invece era molto nervoso. Capiva che qualcosa aveva turbato Hanamichi e quel qualcosa aveva a che fare con quel motociclista. Il fatto di non riuscire a capire cosa lo avesse turbato l’aveva innervosito.  
Hanamichi adesso sembrava tornato quello di un tempo.
Kaede si sedette al bar e rimase a guardarlo un po’, mentre fuori Usagi, tornava a casa da sola. Kaede la vide passare come una fata in un bosco. Il volto serio e teso, lo sguardo fisso davanti a sé, le spalle dritte e sicure. Per un attimo gli parve di sognare, poi tornò a bere la cola fresca, mentre il ragazzo biondo dietro al bancone parlava con una ragazza dagli strani orecchini a forma di rosa e dai lunghi capelli castani racchiusi in una coda.
<< Davvero Furuhata? >>
<< Dico sul serio Makoto. La torta che hai cucinato ieri era degna di uno chef! >>
La ragazza lanciò un sospiro estasiato e tornò a sedersi vicino al videogioco di Sailor Moon, dove un’altra ragazza dai capelli corti faceva strage di nemici superando ogni livello con una velocità incredibile. Accanto a lei, un’altra ragazza, dai lunghi capelli biondi e un nastro rosso che li bloccava, guardava estasiata tutta la scena.
<< Ami sei un genio! Sei bravissima! Ma perché non sono brava come te? >>
<< E’ questione di tecnica e amore, Minako. Io amo i computer e loro amano me! >>
<< Uffi. Ami-chan? Mi insegneresti come si supera il terzo livello? >>
<< Va bene! Siediti accanto a me e vedremo di superare i livelli insieme. >>
Rei ascoltava distrattamente le amiche scherzare. Da qualche minuto si sentiva strana, come se non riuscisse a ricordare qualcosa d’importante. Cercava di capire, ma la sua attenzione era tutta concentrata su uno strano ragazzo dai capelli rossi, innaturali per un giapponese. Un ragazzo alto, dall’aspetto possente, quasi quello di un guerriero. Accanto a lui, un altro ragazzo, un po’ più basso e dall’aria furba e attenta. Aveva la sensazione di averli già visti.
In quel momento la porta del Crown si aprì. Rei rabbrividì mentre due ragazzi entravano chiacchierando allegramente. Minako smise di giocare e si voltò a guardare i nuovi arrivati. Sentiva qualcosa di negativo fondersi con quella sala giochi, diventando un tutt’uno con il suo microcosmo. Vide Rei agitarsi sul piccolo sedile, Ami perdere la partita e Makoto smettere di sorseggiare la sua cola fredda. Osservarono in silenzio, e nascoste da un alto videogioco, i due ragazzi raggiungere la piccola comitiva e sedersi accanto a loro. Uno di essi aveva degli occhiali tondi e Ami doveva già averlo visto perché scrutò la sua mente alla ricerca di un ricordo. Il ragazzo accanto a lui aveva una piccola cicatrice sul mento ed erano riuniti attorno ad un fuoco rosso.
Rei chiuse gli occhi e smise di pensare. Cercò nei suoi vecchi ricordi di guerriera speciale al servizio della Principessa Serenity nel vecchio regno lunare. Eppure questo ricordo sembrava sfuggirle ogni volta che si avvicinava, nascondendosi nelle tenebre, di cui faceva parte.

Quella sera attesero la chiusura del locale, prima di andare a casa. Videro la piccola compagnia uscire e dirigersi a nord. Attesero che anche l’ultimo cliente uscisse per tornare a casa e scesero nella sala computer, nascosta dal videogioco di Sailor Moon.
Furuhata le seguì poco dopo. Ormai aveva preso l’abitudine di seguirle nelle ricerche. Era elettrizzante vedere il passaggio aprirsi e il grande computer illuminarsi e collegarsi a quello lunare. Luna e Artemis non c’erano quella sera e a dire il vero non si facevano vedere da molto….
<< Trovati! >> esclamò Ami dopo neppure cinque minuti di ricerca.
Aveva fatto una ricerca veloce negli schedari odierni, andando a scavare fra i quotidiani e le notizie nazionali. Avrebbe voluto fare una ricerca nel computer del regno lunare, ma non vi era riuscita. Il computer sembrava fuori allineamento e non sapeva spiegarsene il motivo.
<< Ma certo! Ecco dove li avevo visti! >> esclamò Furu osservando attentamente le foto.
<< Li conosci? >> chiese Rei.
<< Ma certo! Forse non lo sapete ma sono un esperto di basket e in questi giorni a Tokyo si svolgono i campionati nazionali. Inizieranno fra 4 giorni. Le migliori squadre della regione si scontreranno qui per vincere il torneo. Loro sono i giocatori dello Shohoku, una delle squadre più forti e accreditate alla vittoria. Lo scorso anno fece un campionato da urlo! >>
Furuhata continuò per un po’ analizzando le squadre di quell’anno e gli elementi di cui erano composte. Parlò di schemi e giocatori.
<< … e poi c’è lui: Hanamichi Sakuragi! Secondo me è un fenomeno! Pensate che gioca da un solo anno! Tre mesi dopo aver cominciato a giocare, dava filo da torcere ai migliori giocatori della sua prefettura. Certo è ancora un po’ grezzo, ma diventerà qualcuno sicuramente! >>
<< Hanamichi Sakuragi? >>
<< Sì. Proprio lui! Il pazzo rosso, come viene soprannominato. Sapete, per via dei suoi capelli. >>
<< Sono strani per un giapponese. >> osservò Makoto.
<< O ma lui lo è solo per metà! Sua madre è Irlandese ed è da quel ramo che discendono quei capelli rossi che ormai sono diventati il suo distintivo. >>
<< E questo lo conosci? >> chiese Ami mostrando un altro ragazzo.
<< Ma sì! Hisashi Mitsui! È un campione dei tiri da tre punti. È stato MVP mentre frequentava le medie. Si prospettava un grande futuro per lui, ma al primo anno di liceo è stato costretto a lasciare la squadra di basket a causa di un infortunio. Ha vissuto degli anni da teppista e quando è rientrato in squadra ha faticato a tornare agli antichi splendori, ma adesso è uno dei giocatori più bravi non solo della sua prefettura, ma anche di tutto il Paese. E quello accanto è Kaede Rukawa, detto anche il killer freddo, per il suo modo di giocare. Uhm… qui c’è qualcosa che non va… >>
<< Cosa? >> chiesero le inner senshi.
<< Questa è la squadra di quest’anno e quindi non c’era Kiminobu Kogure, il vice della squadra dello scorso anno. Era il ragazzo con gli occhiali, ricordate? >>
<< E gli altri? >> lo incalzò Rei.
<< Gli altri? Ah! Vi riferite a quei produttori di schiamazzi! >> rise un po’ Furuhata: << Loro sono la famosa Armata Sakuragi. In pratica sono i primi fan del pazzo rosso, nonché a capo della tifoseria dello Shohoku. Non si perdono nessuna partita. Per quel che ne so, i nomi dei ragazzi dovrebbero essere: Yohei Mito, il ragazzo dall’aria furba, che è anche il miglior amico di Sakuragi, poi c’è… >> e così fino a descrivere la tifoseria e le tecniche di squadra, allenatore compreso.

Quella sera le Inner tornarono a casa molto tardi. Furuhata le accompagnò per un lungo tratto di strada, poi le salutò all’incrocio per la metropolitana. Le inner proseguirono un po’ assieme e poi si divisero al solito incrocio, rimandando al giorno dopo ogni spiegazione. Forse la notte, come spesso era accaduto, avrebbe portato loro consiglio, eppure, nessuno si sentiva più tranquilla. Da quando la loro stella le aveva abbandonate, si sentivano perse, prive di ogni sostegno.

Prima di rientrare in casa, ognuna di loro si volse verso la luna che ancora splendeva alta. La guardarono alla ricerca di una risposta ai loro dubbi. Se la Regina Selene fosse stata ancora con loro….
Ami rientrò nella casa vuota, aspettando il ritorno della madre dal turno serale in ospedale. Minako si sorbì i rimproveri dei genitori per essere arrivata troppo tardi a casa. Makoto innaffiò le piccole piante del suo appartamento e si addormentò cullata dal profumo della torta preparata quel pomeriggio, quella al cioccolato, che piaceva tanto ad Usa. Rei salì le scale che portavano al vecchio tempio in compagnia di Phobos e Deimos, mentre la notte chiudeva le sue spirali attorno alla città del destino.

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Capitolo 5
*** capitolo 5 ***


Aveva trascorso tutta la notte a pensare. Quando si era fermato a quel semaforo, qualcosa aveva colpito la sua attenzione e una sensazione strana di dejavu lo aveva colto del tutto impreparato. Era sicuro di aver visto già da qualche altra parte quel ragazzo dai capelli rossi e così aveva fatto subito una ricerca su internet. Hanamichi Sakuragi, ala della squadra di basket del liceo Shohoku di Kanagawa, ammesso per il secondo anno consecutivo alle nazionali. Aveva trovato un vecchio articolo su di lui. Pare che giocasse solo da un anno, eppure in breve era diventato così forte da rivaleggiare a pari merito con i più grandi giocatori del Giappone. Sua madre era Irlandese e suo padre… di lui si sapeva che era morto in circostanze misteriose. Pare che l’auto su cui viaggiava fosse finita in uno strapiombo sul mare, in Irlanda. Il suo corpo non era mai stato ritrovato, probabilmente trascinato dalle acque. Erano trascorsi solo quattro anni. La sua famiglia si trovava in Giappone durante la tragedia ed in Giappone era rimasta. Dopo mesi di ricerche ed indagini il caso era stato chiuso e archiviato come tragedia e l’uomo dato per morto. D'altronde tutto lo lasciava supporre, a cominciare dalle pessime condizioni in cui era stata ritrovata la macchina. Come il Titanic, la macchina si era spezzata in due. La carrozzeria non aveva resistito all’impatto ed si era sfaldata velocemente, a causa, anche, dei movimenti frenetici della marea.
Mamoru aveva analizzato le immagini scaricate da internet e qualcosa non riusciva a convincerlo del tutto. C’era una nota stonata in tutto quello, ma non riusciva a capire che cosa.
Aveva ricercato delle notizie sulla famiglia materna del ragazzo, ma aveva trovato ben poco. Un vecchio giornale irlandese, riportava la notizia di un incendio scoppiato in un paesino a nord dell’Irlanda e che aveva travolto l’intera cittadina, distruggendola. In pochi si erano salvati e fra questi la madre di Hanamichi ed alcuni parenti. Le cause dell’incendio erano ancora ignote. Si congetturava su un cortocircuito in una vecchia fabbrica abbandonata. Pare che la madre di Hanamichi fosse stata ritrovata completamente incolume sotto le macerie della propria casa. A quell’epoca aveva 12 anni. L’articolo non riportava null’altro di interessante. C’era solo una foto sbiadita che immortalava il momento del recupero della ragazzina.
Mamoru aveva guardato quella foto decine di volte con attenzione. Ogni volta gli sembrava di scorgere qualcosa, ma era solo un barlume che sfuggiva subito. Alla fine si era gettato sul divano stanco. Aveva ripensato a quello sguardo veloce che si erano rivolti lui e il ragazzo dalla capigliatura rosso sangue. C’era qualcosa che sentiva di dover ricordare. Sospirò e pensando che ultimamente la vita si era complicata parecchio. Prima la fuga di Usagi, ora l’arrivo di quel ragazzo… che fossero collegati? Che il comportamento strano di Usa avesse a che fare con l’arrivo in città di quel ragazzo? Però lui era arrivato da poco in città, mentre Usa aveva iniziato a comportarsi in maniera strana da parecchio tempo. Usagi… cosa stava nascondendo quella testolina buffa? Da cosa voleva proteggerli?
Si addormentò di lì a poco, ancora sul divano. La porta del balcone era ancora aperta. Una fresca brezza penetrò leggera nella stanza. Giocò allegra con i fogli sul tavolino di vetro, sollevandoli in aria e coinvolgendoli in mille danze. Mamoru si agitò sul divano. Una nebbiolina consistente penetrò nella stanza silenziosa, coperta solo dai respiri regolari del ragazzo. Avanzando con lentezza, scivolò sotto il tavolo e il divano, circondandolo. Mamoru mugugnò qualcosa nel sonno. Una mano bianca squarciò il velo della nebbia. Le dita erano lunghe e pallide, come quelle di un morto. Le sue unghie erano lunghe e nere, come la notte. Accarezzò la guancia del ragazzo ed egli si agitò nel sonno. La figura ammantata dalla nebbia si chinò sul ragazzo. Il suo alito freddo gli sfiorò le labbra leggermente dischiuse, le guance fredde e si posò sul suo orecchio, sussurrandogli qualcosa, poi scomparve nell’oscurità. La nebbia scivolò lentamente sul pavimento, percorrendo a ritroso il percorso già fatto. La leggera brezza fece scivolare sul tavolino le foto ed uscì come era entrata, socchiudendo la porta.
Mamoru si svegliò alle prime luci dell’alba. Guardò l’orologio. Aveva dormito tre ore. Fece una doccia veloce e si risedette accanto al piccolo tavolino. In cucina il bollitore era già sulla piastra. Osservò nuovamente le fotografie. Non era cambiato nulla. Il bollitore strillò stridulo. Mamoru fece per alzarsi, quando qualcosa di scuro catturò la sua attenzione. Era solo una macchia in una delle foto. Con ogni probabilità si trattava di una porta corrosa dal fuoco o solamente di una macchia della fotografia, dovuta al tempo. Eppure aveva qualcosa di strano, d’inquietante. Era la foto che immortalava il ritrovamento della futura madre di Hanamichi Sakuragi. C’era un vigile del fuoco con in braccio una bambina che sembrava addormentata e sullo sfondo… sullo sfondo c’era quella macchia così simile ad una persona. Mamoru si versò l’acqua calda nella tazza con la bustina di the e si sedette sul divano. Si passò una mano sulle tempie. La testa gli doleva notevolmente. Quella giornata l’avrebbe trascorsa piacevolmente a letto, ma doveva trovare una copia del giornale con la foto e forse sapeva pure dove trovarlo. Sorseggiò il the, mise le foto nella tasca interna della giacca, prese la macchina e tornò all’università.

Ryokan.

Quella sera i ragazzi tornarono in perfetto orario. Hanamichi rimase in silenzio per tutto il tragitto. Appena entrato in camera, si era chiuso in bagno e Kaede aveva sentito l’acqua scrosciare. Era uscito poco dopo e si era sdraiato sul futon. Kaede aveva fatto finta di dormire. Hanamichi si era agitato per un po’, poi si era addormentato. A quel punto Kaede si era alzato e aveva preso il libro nell’armadio. Aveva accarezzato la copertina ruvida al tatto e si era addormentato con il libro ancora fra le braccia. Si sentiva stranamente inquieto.

Il mattino dopo Hanamichi fu il primo a svegliarsi. Si stiracchiò ancora immerso nel tepore del futon e rimase ancora un po’ a crogiolarsi nelle quiete del mattino. Si voltò verso la volpe. Dormiva placido e tranquillo, come sempre insomma. Hanamichi rimase ad accarezzarlo con lo sguardo. La pelle era così stranamente chiara per un giapponese, sembrava una perla. I capelli erano scuri, come quelli delle bambole tradizionali. A vederlo bene, poteva sembrare una bambola di porcellana. Vide il libro che Kaede stringeva fra le braccia, come un bambino con il suo orsacchiotto. Si levò a sedere e prese in mano il libro cercando di fare attenzione a non svegliarlo. Che ci faceva la volpe con un libro sulle leggende irlandesi?
<< Dammelo! >> il tono della volpe era perentorio.
Hanamichi gli porse il libro senza dire nulla. Certo che le volpi giapponesi erano proprio intrattabili di mattina! Tsè! E lui che voleva essere gentile quel giorno!
<< Ehi volpe! >> lo richiamò Sakuragi vedendolo alzarsi: << Da quando in qua t’interessi delle leggende irlandesi? Pensavo che volessi andare in America, non in Irlanda. Comunque se vuoi io sono molto ferrato in materia. >> disse battendosi un pugno sul petto, in segno di orgoglio.
<< Cosa sai della Banshee? >> chiese Kaede risedendosi sul futon.
Hanamichi spalancò gli occhi e scoppiò a ridere.
<< Non mi dirai che credi alle Banshee!? >>
<< Cosa sai delle Banshee? >> replicò Kaede.
<< Ok. Ok. sembri molto interessato. Allora vediamo…. Si dicono tante cose sulle Banshee, lo sai? >> Kaede annuì con il capo: << Alcuni dicono che sia una bellissima ragazza dalle vesti bianche e con le ali, altri invece che sia una creatura orrenda. Tutti però sono concordi nel dire che: quando la Banshee piange, l’uomo muore. Pare che in molti l’abbiano sentita piangere in concomitanza di una morte in famiglia. Si dice che pianga per una notte e le tre successive. Si dice che annunci la morte e la si ritrova nei campi di battaglia…. >> e Hanamichi si fermò come a pensare.
<< Tu credi nelle leggende irlandesi? >> chiese Kaede.
<< Intendi robe del tipo Shefroo, Leprechaun o roba del genere? Non credo alle leggende, anche se... penso che dietro i detti popolari vi sia sempre qualcosa di vero. E tu da quando t’interessi delle leggende? >>
Kaede sembrò non sentirlo. Continuava a pensare alle parole di Hanamichi e a ciò che vi era scritto nel libro. Qualcosa di vero…
<< Mia madre… >> continuò il rossino: << Mi raccontava spesso delle leggende della terra d’Irlanda, cose buffe e divertenti, ma anche cose spaventose, come quelle della Banshee. >>
<< E cosa ti diceva? >>
<< Nulla. Mi raccontava quelle che per me erano favole. Comunque volpe stai tranquillo. Anche se le Banshee esistessero, non verrebbero mai in Giappone. Le Banshee sono legate all’Irlanda. >> detto questo si era alzato ed era entrato per primo in bagno.

Quando Hanamichi uscì, Kaede era ancora riverso sul futon, ma stavolta addormentato.
“Ma guarda questa stupida volpe! Come fa a dormire sempre?”
Hanamichi si cambiò in fretta, indossando la tuta della squadra e, prima di scendere a fare colazione, chiamò la volpe. Questo era un problema non irrilevante. Tutti conoscevano il pessimo carattere del ghiacciolo. Una volta aveva persino picchiato un professore ancora mezzo addormentato, reo di averlo svegliato perché russava durante la sua lezione. Hotta e i suoi amici erano stati ridotti allo strenuo, perché lo avevano svegliato mentre dormiva sul terrazzo. Doveva andarci piano, se non voleva che Rukawa lo prendesse a pugni. Lui poi avrebbe risposto e se le sarebbero date di santa ragione già dal primo mattino. Poi, quando sarebbero scesi, Ayako si sarebbe infuriata e avrebbe usato il suo terribile ventaglio. Quella ragazza era la versione al femminile della furia del Gori. Doveva trovare un modo per svegliarlo e rimanere incolume. Ma come fare? Provò a chiamarlo più volte, ma Rukawa sembrava in coma profondo. Provò a privarlo del cuscino, ma Kaede, per tutta risposta, aveva continuato a dormire profondamente. Fosse stato una bella ragazza, avrebbe potuto svegliarla con un bacio, ma c’era solo il baka kitsune e non poteva di certo baciarlo! Provò a chiamarlo ancora, ma possibile che non si svegliasse? Allora ebbe un’idea. Andò a frugare nella sua borsa. La madre di Hanamichi, che conosceva la pigrizia del figlio, gli aveva messo nella valigia una sveglia. Hanamichi la prese con il sorriso sulle labbra. Mentre si avvicinava al volpino addormentato, la caricò e la piazzò vicino, ma non troppo, alle orecchie di Rukawa e attese. Pochi minuti dopo la sveglia cominciò a strillare, ma… possibile che neppure la sveglia riuscisse a destarlo? Era un caso da Guinness! Ma come faceva la madre a svegliarlo la mattina?
Il tempo passava. Aveva due scelte: o lasciarlo lì o rischiare il tutto e per tutto e svegliarlo. Nel primo caso Ryota sarebbe salito a chiamarlo e, piuttosto che vedersela con un Rukawa mezzo addormentato, l’avrebbe lasciato dormire. Possibilmente avrebbe pure saltato gli allenamenti, così lui avrebbe potuto allenarsi in pace e tranquillità, solo che… non c’era gusto ad allenarsi in silenzio, sena litigare con il freezer. Ricordava di quella settimana in cui Rukawa era rimasto a letto con l’influenza. Gli allenamenti erano stati lunghi e noiosi. Però aveva ancora una seconda possibilità: svegliarlo. Decise di tentare il tutto per tutto! Si avvicinò a Rukawa e… gli diede un pugno in faccia! Rukawa, come prevedibile, saltò su furioso e fu rissa sin dal primo mattino.
Dieci minuti dopo scese Hanamichi, con un cerotto sullo zigomo, mentre Kaede lo seguì qualche minuto dopo, con un cerotto sul naso.
<< Possibile che dobbiate litigare sin da primo mattino? >>
Ayako era esasperata! Quei due ragazzi col tempo, invece di diventare amici e andare d’accordo, litigavano sempre di più.
<< Non guardare me, Ayako! È tutta colpa di quello stupido volpino! >>
<< Se tu non mi avessi preso a pugni mentre dormivo… >>
<< Non ti ho preso a pugni! Ti ho solo svegliato, visto che non hai neppure sentito la sveglia a due centimetri dal tuo orecchio! >>
I compagni di squadra sospirarono e tornarono alla loro colazione. Anche Hanamichi si sedette in fretta, il più possibile lontano da Rukawa, per ordine di Ayako stanca delle continue risse.

La palestra degli allenamenti era un po’ più piccola di quella della loro scuola. Aveva alte finestre rettangolari che illuminavano perfettamente ogni angolo del locale. La palestra era stata divisa in due per permettere anche al Ryonan di allenarsi senza dover spostarsi troppo. Era una scelta fatta dai due mister. Era stata costruita per l’occasione una cinta muraria interna che divideva in parte le la palestra in due, ma che permetteva il passaggio da un’ala all’altra. Gli allenamenti si sarebbero tenuti in silenzio, Rukawa e Sakuragi permettendo.

Anzai sensei diede il via e i ragazzi cominciarono gli allenamenti.

 

Università S. di Tokyo.

Mamoru attendeva l’arrivo del professor Murasashi nella saletta della biblioteca. Il professor Murasashi era un esperto di storia irlandese e conservava in un archivio i maggiori quotidiani irlandesi e molti quotidiani locali, dai quali estraeva le storie più ricche ed interessanti, a suo avviso. Aveva partecipato ad un convegno tenutosi l’inverno precedente all’interno dell’università su “La storia d’Irlanda e le sue leggende: fra mito e verità”. Usagi gli aveva tenuto il muso per una settimana, perché aveva rinunciato ad uscire con lei qualche pomeriggio per vedere quelle “noiose lezioni stile Luna”.
Il signor Murasashi entrò portandosi dietro una fila infinita di libri. Mamoru si alzò per aiutarlo, evitando così che cadesse, sommerso com’era da tutto quel peso.
<< Come va professori Murasashi? Io mi chiamo Chiba Mamoru. È un piacere. >> e s’inchinò con rispetto.
L’anziano signore fece segno a Mamoru di sedersi.
<< Mi dispiace di averla disturbata. È che ho un dubbio che solo lei può togliermi. So che non può ricordarsi di me, ma io ho preso parte alla sua conferenza sull’Irlanda dello scorso inverno. >>
<< Mamoru Chiba. Certo che mi ricordo di te! Fosti tu a pormi la domanda sulla fattibilità reale delle leggende. Mi ricordo di te… e poi sei il miglior studente di questa facoltà! Il fiore all’occhiello della nostra università. >>
<< La ringrazio professore. >> disse Mamoru imbarazzato.
<< Torniamo al motivo del nostro incontro. Mi hai parlato di un incendio in un paesino dell’Irlanda. Mi hai subito insospettito sai? Io ricordo bene quell’incendio. Ma dimmi: perché vuoi averne notizie? >> chiese l’anziano signore aggiustandosi gli occhiali.
Mamoru estrasse le foto dalla giacca e porse quella dell’incendio al professore, senza dire nulla. L’anziano signore frugò nelle tasche alla ricerca degli occhiali da lettura.
<< Conosco questa foto. È quella della bambina sotto le macerie. Cosa vuoi sapere? >>
<< Voglio sapere chi è o cosa è quell’ombra. E poi voglio sapere tutto quello che conoscete sull’incendio. >> rispose deciso.
Il professore tornò a guardare la foto. Effettivamente c’era un’ombra che non ricordava. Prese uno dei raccoglitori e iniziò a sfogliare. Le pagine dei quotidiani erano gialle e consunte dal tempo, eppure erano tenute in un ottimo stato. Il professore aveva racchiuso, con cura certosina, i quotidiani, che aveva ricevuto e raccolto, in quei contenitori con diligenza e delicatezza. Li sfogliò lentamente, pagina dopo pagina, fino a che si fermò. Valutò il contenuto dell’articolo e porse il giornale a Mamoru.
<< Quello è l’articolo scritto da un giornalista sulle cause dell’incendio. >>
Mamoru iniziò a leggere. Il professor Murasashi si accese la pipa e si sistemò meglio sulla piccola poltroncina. Osservò attentamente il ragazzo davanti a sé: gli assomiglia in maniera impressionante!
Mamoru lesse tutto l’articolo, poi osservò la foto, la stessa che lui aveva scaricato da internet.
<< Non c’è la figura nera! Che stupido che sono! Forse era davvero solamente una macchia… >> disse più a se stesso che ad altri.
<< Forse, ma chi può saperlo? >> Mamoru non capì e il professore continuò: << Cosa mi sai dire dell’articolo? >>
<< Si parla dell’incendio. Dice che ha avvolto il paesino e lo ha divorato in breve tempo, alimentato da un vento proveniente da nord. Le fiamme erano alte e divoravano con estrema facilità e velocità tutto ciò che incontravano. Ben poco è rimasto del vecchio paese. Fu ricostruito subito dopo, ma non sulle vecchie macerie. Ciò che ne rimase fu raso al suolo e il nuovo paese fu costruito ad un chilometro di distanza. >>
<< E poi? >> lo incalzò il professore.
<< Parla dei pochi superstiti e ne intervista alcuni. Parla di una bambina scampata miracolosamente al fuoco, ritrovata sotto i detriti della sua casa completamente arsa. Fa risalire la causa dell’incendio ad una fabbrica abbandonata, ma non spiega altro. >>
<< Tu cosa avresti fatto, se fossi stato nei panni del giornalista? >>
<< Avrei indagato. Il compito di un giornalista è un po’ quello del detective: deve andare affondo alla notizia. Avrei cercato di capire le cause dell’incendio e come abbia fatto, una bambina, a restare incolume, mentre la casa ardeva. Ma probabilmente vi saranno altri articoli… >>
Il professore Murasashi scosse il capo. Spiegò a Mamoru che il giornalista che si occupava della notizia, era morto in circostanze misteriose. Pare che la sua auto fosse stata ritrovata fra gli scogli, ai piedi di un’alta scogliera, spezzata in due parti. Il corpo del giornalista era stato ritrovato qualche giorno dopo. Il mare lo aveva riportato nello stesso posto in cui era rimasta incastrata la macchina. Aveva gli occhi spalancati, ma non riportava alcuna ferita. Semplicemente il suo cuore non aveva retto. Le indagini giornalistiche sull’incendio furono archiviate con la sua morte. Il piccolo paese fu ricostruito ad un chilometro di distanza e, sul luogo dell’incendio, fu costruita una grande cappella.
Mamoru chiese di rileggere l’articolo.
<< Non ve ne sono altri? >>
<< Nessuno ne ha mai parlato. Come non fosse mai accaduto. >>
Prese la foto che aveva scaricato da internet e la confrontò con quella originale del giornale. La figura scura sullo sfondo non c’era, ma non solo quella.
<< Professor Murasashi! Queste foto sono differenti! >>
<< Cosa? >> il professore si alzò, agitato, dalla poltrona. Prese in mano l’articolo del giornale e la foto di Mamoru e li valutò.
Erano due foto differenti, senza alcun dubbio. Nella foto del giornale la bambina aveva il volto rivolto verso il corpo del vigile e lui la guardava in viso. Le braccia erano appoggiate sul suo ventre. Nella foto di Mamoru la bambina aveva il viso rivolto verso l’alto, gli occhi chiusi, un braccio sul ventre e uno lungo i fianchi. Il vigile, inoltre, guardava in avanti, impegnato ad uscire dalle macerie. Come avevano fatto a non notarlo prima? Eppure i cambiamenti erano significativi!
<< Professore è proprio sicuro che non vi siano altre foto o articoli sull’incendio? >>
<< Non vi è nulla di più! Per anni sono andato alla ricerca di notizie ed immagini su quel famoso giorno, ma non ho trovato nulla. >> il professore si risedette sulla poltrona ed iniziò a sfogliare il quotidiano: << Ho fatto anche numerose ricerche in rete, ma senza risultati…. Questa storia ha dell’assurdo! >> commentò passandosi una mano fra i capelli. << Ma certo! Internet! Signor Chiba, lei ha detto d’averle trovate ieri notte in rete, le sue immagini. Sarebbe capace di ritrovare il sito? Potremmo andare nell’aula computer. A quest’ora dovrebbe essere vuota! >>
Mamoru prese le foto e seguì il professore. Lo aiutò a sistemare tutto il materiale nel suo ufficio, chiusero a chiave la porta ed andarono nella sala computer. Come immaginato, a quell’ora del mattino era deserta. Si sedettero di fronte al pc principale e Mamoru iniziò la ricerca. Ripercorse tutti i passi fatti la sera precedente, tralasciando la storia riguardante Hanamichi Sakuragi. Ricordava perfettamente ogni passaggio.
<< Ma come diavolo è possibile? Il sito non può non esistere! >>
Nonostante ripetesse con attenzione ogni passaggio, le ricerche non portavano a nessun esito. Decise di provare in altri modi, ma i risultati erano gli stessi. Dopo un’ora di ricerche, le uniche informazioni che trovarono le ricavarono dagli archivi del quotidiano, con quella unica fotografia.
<< Le assicuro che c’è! Quel sito esiste! >> gridò Mamoru al culmine dell’esasperazione.
<< Ti credo Mamoru e poi la foto parla per sé! Questa storia diventa sempre più misteriosa! >>
<< Mi dispiace di averle fatto perdere del tempo, professore. >>
<< E’ stato tempo ben speso, signor Chiba. Mi prometta però che, quando avrà scoperto qualcos’altro o avrà ritrovato il sito, me lo farà sapere subito. Io, nel mio piccolo, continuerò le ricerche, tenendolo aggiornato selle novità. >>
Detto questo si separarono. Mamoru ringraziò ancora una volta il professore Murasashi e si congedò. Scese in fretta le scale della facoltà, pensieroso. Che fine aveva fatto quel sito? Possibile che avesse sbagliato il percorso? Doveva tornare a casa e controllare nel suo computer. Aveva sistemato fra i preferiti quella pagina. Non gli restava che controllare.
Mise in moto la macchina e uscì dalla facoltà.
Il professor Murasashi seguì con lo sguardo Mamoru lasciare l’ateneo. Prese la sua pipa e la riaccese. Il tabacco bruciò su se stesso e il fumo si alzò in piccoli svolazzi.
<< Lo stesso sguardo fiero e combattivo. Che si siano infine destati tutti quanti? >>
Una nebbiolina scura si diffuse nella stanza in penombra. Un corpo immerso nelle tenebre uscì dall’oscurità. La pelle bianca come il riflesso della luna, gli occhi neri come la sua parte oscura.
<< Perché hai coinvolto quel ragazzo? >>
<< Non hai notato i suoi occhi? Sono gli stessi… >>
<< Lascia perdere… >>
<< Non riuscirai a fermarmi. Nessuno riuscirà a fermarmi. Lui è già mio. >> una risata si diffuse nella stanza chiusa. Sapeva di morte e distruzione.
La nebbia si colorò di rosso e scomparve improvvisamente. Solo allora il professore si voltò. Si tolse gli occhiali da lettura e li sistemò nella tasca della giacca. Sorrise impercettibilmente, poi uscì dalla piccola biblioteca.

<< Perché diavolo non c’è più! >>
Mamoru aveva ricercato quel sito fra i preferiti ma non vi aveva ritrovato nulla. Aveva cercato nuovamente nei meandri di internet, ma senza esito positivo.
<< Eppure c’era! L’ho visto! Ho letto il suo articolo, scaricato le immagini. Che fine ha fatto? >>
Dopo un’altra ora di ricerca si era gettato esausto sul divano. Provò ad addormentarsi, per placare un po’ quel senso di impotenza che lo affliggeva e per cercare di far riposare la mente, ma il telefono prese a squillare.
<< Moshi moshi? >>
<< Mamoru? Sono Ami! Dove sei stato fino ad ora? Ho provato a chiamarti pure al cellulare. >>
<< Scusa ma ero all’università. Avevo il cell spento. >>
<< Dobbiamo parlare di qualcosa di importante. >>
<< Possiamo incontrarci di pomeriggio? Stanotte non ho dormito…. >>
<< Va bene. Allora ci vediamo di pomeriggio al Crown. >> rispose Ami un po’ preoccupata.
<< Ami? Di cosa dovremo parlare? >> chiesa Mamoru soffocando uno sbadiglio.
<< Hanamichi Sakuragi. >>
Ancora lui! Tutte le loro ricerche convergevano in un solo punto: Hanamichi Sakuragi. Possibile che lui avesse davvero a che fare con il cambiamento di Usagi? Possibile che avesse a che fare con il motivo che costringeva Usa a tenere tutti lontani?
<< Anche io ho qualcosa da dirvi sul ragazzo. Ci vediamo alle quattro al Crown. >>
Chiuse il telefono e andò in camera da letto a riposarsi. Ebbe appena il tempo di chiudere gli occhi, che Morfeo l’aveva già stretto fra le sue braccia.

Palestra d’allenamento.

Il rumore sordo dei palloni si alternava al respiro affannato dei giocatori. Stranamente sia Rukawa che Sakuragi si allenavano tranquilli, sfuggendo ad ogni richiamo di rissa. Si allenavano nel proprio angolo di palestra, silenziosi, con ancora in viso i segni della rissa del mattino.
Il silenzio veniva interrotto solamente dai “fight!” di Ayako e Kogure che tentavano di tenere alto il morale. Le riserve tremavano ad ogni passo, immaginandosi di essere nel palazzetto dove si sarebbero disputati i vari incontri di campionato. Mitsui e Ryota erano nervosi, ognuno vicino ad un traguardo. La squadra si allenava diligentemente, nonostante il silenzio in cui era calata l’intera palestra. Anche il Ryonan giocava in silenzio, ad eccezione delle continue urla di rimprovero di Taoka nei confronti di Sendo.
<< Sendo! La pianti di fare falli su Koshino? Dobbiamo prepararci per il campionato nazionale e non per un incontro di box! >>
<< Ma coach! È colpa di Hiro-kun! Io sono innocente! >>
<< Sendoooooooooooo! >>
Nonostante i continui richiami del coach del Ryonan e la mancanza di stimoli da parte dello Shohoku, gli allenamenti si protrassero, nel bene o nel male, fino a mattino inoltrato.
All’ora di pranzo i ragazzi tornarono compostamente al proprio ryokan. Taoka chiese scusa ad Anzai per il disturbo apportato, ma Anzai sorrise con il solito viso allegro e il discorso cadde nel silenzio. Il coach in realtà era preoccupato. La squadra sembrava assente e incapace di reagire alla pressione psicologica. Se quel giorno avessero disputato un incontro, avrebbero sicuramente perso. Per quando Sakuragi fosse rumoroso, le sue esaltazione a genio avevano il potere di tenere alto il morale di tutta la squadra e trascinarla nei momenti peggiori. Persino Rukawa risentiva di quello strano silenzio. Il suo gioco era freddo e tagliente, privo dell’energia che lo animava e infuocava durante le partite.
Uscì dal ryokan e vide Kogure parlare con Mitsui ed Ayako. Poco distante era ferma una macchina rossa, un’auto sportiva di grossa cilindrata. I vetri erano scuri e non permettevano di vedervi attraverso, ma era sicuro che vi fosse qualcuno al suo interno. Si avvicinò lentamente e l’auto si mise in moto, allontanandosi rapidamente.
C’era qualcosa di strano nell’aria, ma forse era solo la tensione per il campionato.

Crown Game Center

Mamoru era arrivato da poco. Passando per il passaggio secondario, era sceso alla sala dei computer, dove erano ad aspettarlo Rei e Ami. Minako e Makoto erano in giro a raccogliere altre informazioni. Entrò e vide anche Luna e Artemis.
<< Qualche novità? >> domandò palesando la sua presenza.
Le ragazze e i due gatti si voltarono di scatto e sorrisero al suo indirizzo. Fu Luna a rispondere alla sua domanda con un “forse” che prometteva ben poco di buono.
<< Io e Artemis siamo andati nella vecchia sala di comando del Regno Argentato. Abbiamo consultato il computer centrale, dal quale questo riceve tutte le informazioni, perché avevamo dei dubbi. Purtroppo abbiamo trovato ben poco. >> ammise miseramente.
<< Il computer era in un ottimo stato, ma molti file erano stati danneggiati. Siamo riusciti a recuperare ben poco e Ami adesso li sta analizzando. >> continuò Artemis.
<< Cosa sapete dirmi di Hanamichi Sakuragi? >>
<< Lo abbiamo conosciuto ieri. Era qui, al Crown. Abbiamo avuto una strana impressione, ma nulla di più… però… >>
<< C’è qualcosa che non vi convince, giusto? >> termino Mamoru la frase di Rei.
Mamoru uscì le foto scaricate da internet e cominciò a raccontare quel che aveva scoperto sulla storia della famiglia del ragazzo. C’erano troppi incidenti e strane cause. Ami intanto lavorava incessantemente davanti al computer cercando di analizzare i dati che Luna aveva portato.
<< Maledizione! >> esclamò ad un certo punto Ami.
<< Che succede? >> chiesero gli altri.
<< Un virus! Non riesco a fermarlo! Era nei file portati da Luna, ma il computer non aveva rivelato nulla! >> disse cercando di arginare la falda.
<< Non puoi fare nulla per fermarlo? >> chiese Mamoru accorso ad aiutarla.
<< E’ un virus sconosciuto, alieno! Sta cancellando tutto. Proverò a salvare qualcosa. Tu Mamoru vai nell’altro computer e disconnetti tutti gli altri dalla rete comune. >>
Mamoru si mise al lavoro, isolando il pc in cui lavorava Ami. Controllò ogni file, ma, fortunatamente, nessuno risultò infetto. I dati installati erano salvi. Ami non ebbe la stessa fortuna. Il virus alieno distrusse tutti i dati portati dalla base sulla luna, nonostante gli sforzi di Ami, inglobando anche tutti gli altri file salvati precedentemente nel computer centrale.
<< Maledizione! Come ho fatto a non accorgermene? >>
<< Non è colpa tua Ami. Qualcuno si sta divertendo a giocare con noi… >>
In quel momento rientrarono Makoto e Minako.
<< Abbiamo portato qualcosa da mangiare e da bere! >> sorrise Minako appoggiando le buste, che teneva in mano, sul tavolo. << Qualcosa non va? >>
<< I dati che avevano portato Luna e Artemis sono andati perduti! >>
<< Come? >> chiese Makoto avvicinandosi al gruppo.
<< Un virus. >> rispose laconico Mamoru.
<< Pensavo che questo computer fosse schermato… >>
<< Lo pensavo pure io, Minako. La colpa è solo mia e di Artemis. Avremmo dovuto controllare meglio invece di esaltarci. >>
<< E’ andato perso tutto? >> chiese Makoto titubante.
<< Gran parte. Gli altri computer però sono salvi. E voi? Avete novità? >>
<< Forse sì. Giudicate voi. >>
Minako si sedette accanto a Makoto. Prese una lattina di cola dalle buste e la aprì. Lo “shhh” fresco delle bollicine rimase un po’ nell’aria, inebriandola. Makoto divise le altre lattine. Erano chiuse in quello scantinato dalla mattina e qualcosa di fresco avrebbe aiutato tutti a ragionare meglio. Minako buttò giù un sorso e cominciò a raccontare cosa avevano visto.

Davanti al Crown si fermò una macchina nera. Dai suoi finestrini scuri qualcuno osservò l’interno pieno di clienti e ripartì.

Il coach Anzai diede il pomeriggio libero ai suoi giocatori. I ragazzi si dispersero per le vie della città. Rukawa finse di dormire, poi, quando fu sicuro che nessuno potesse seguirlo, uscì dal ryokan e voltò l’angolo. Ad aspettarlo una macchina sportiva rossa. Aprì la portiera ed entrò. Poco dopo la macchina ripartì, allontanandosi da Tokyo.

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