I just want to see her smile again...

di SofyTrancy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I - Il giorno che mi ha cambiato la vita ***
Capitolo 3: *** II - Il sangue di colui che chiamavano mostro ***
Capitolo 4: *** III - Quella bella, bellissima ragazza ***
Capitolo 5: *** IV - Sogno e realtà ***
Capitolo 6: *** V - Divisi dalla corrente ***
Capitolo 7: *** VI - Chat Noir ***
Capitolo 8: *** VII - Marito e moglie ***
Capitolo 9: *** VIII - Patetico ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

 

Il mio corpo fu spinto a terra.

Ringhiai, cercando di oppormi alle catene che mi tenevano prigioniero.

«Lo avete catturato vedo.»

Alzai lo sguardo: Lila Volpi, capo delle forze dei cacciatori mandati dal re, mi osservava con superiorità.

«Con la trappola ideata da lei è stato fin troppo facile, capo.» rispose uno degli uomini che mi tenevano prigioniero.

«Che bestia orribile.– disse lei, afferrandomi per la catena che avevo al collo e avvicinandomi al suo viso –Quindi non hai nulla di umano eh? Solo questo visino deformato dalle tue zanne e da questi enormi occhi.»

«Che cosa vuoi strega?» risposi, sprezzante.

Un colpo di frusta mi colpì con forza sulla schiena nuda.

Gemetti, inarcandomi leggermente.

«Rivolgiti con maggiore riguardo di fronte al comandante!» mi urlò l'uomo che aveva scoccato il colpo.

«Lo sai benissimo che voglio solo la tua testa, il re mi ha promesso ben un 1.000.000 di jelws in cambio.– mi tirò ancora di più, costringendomi a inarcarmi in avanti –Non vedo l'ora di vedere la tua testa decapitata in piazza.»

Un ghigno si disegnò sul mio volto.

Possibile che fosse così stupida? Pensava davvero che me ne sarei stato a guardare mentre tentavano di uccidermi?

«Stai giocando col fuoco.» risposi, scostando lo sguardo.

Un'altra frustata mi colpì nello stesso punto di prima, ma non ci feci caso.

La trasformazione era già in atto, il dolore non era più un problema per me

Sentii le unghie delle dita farsi sempre più lunghe; la pelle iniziò a diventare nera come la pece...

Alzai lo sguardo verso colei che tutti chiamavano Volpina, convinto di vedere il terrore nei suoi occhi... ma non fu così. Al contrario, il suo sguardo era beffardo, divertito.

«Fossi in te non mi trasformerei sai?» disse, ridendo.

«Hai paura di essere fatta a pezzettini?» la stuzzicai, le zanne più lunghe del solito.

La castana non rispose.

Lasciò andare la catena che mi circondava il collo e fece un gesto con la mano, invitando qualcuno a comparire tra le fronde degli alberi.

Uno dei cacciatori al suo servizio uscì dai cespugli, trascinando con sé una ragazzina dai capelli mori.

Il sangue mi si raggelò nelle vene.

No...”

I miei occhi si posarono sui tagli e i lividi che aveva addosso, per poi passare al coltello che l'uomo le teneva puntato al collo.

Non può essere...”

«A-Adrien...» sussurrò, la sua voce dolce distorta dalla paura.

«Marinette!» urlai, strattonando le catene che mi bloccavano, cercando di raggiungerla.

«Non ti conviene opporre resistenza sai? Ora ferma la trasformazione.» mi ordinò Lila con un ghigno beffardo sul volto.

«S-scappa Adrien...» disse la mora, ricevendo un calcio dall'uomo.

La ragazza soffocò un gemito di dolore.

«FERMATI!» gridai, tornando immediatamente normale.

«Ma dai, la bestia Chat Noir, temuto da ben dieci paesi che si fa sottomettere con così poco...– scoppiò a ridere Volpina, avvicinandosi alla ragazza che tremava dal terrore –Pronta a vedere questo mostro mentre viene decapitato, mia cara?» continuò poi, accarezzandole la guancia.

«N-non è un mostro. S-si chiama Adrien...»

Questa volta fu la castana a colpirla.

«NON TOCCARLA!» urlai, mentre i cacciatori iniziavano a strattonarmi verso la capitale.

Gli occhi pieni di lacrime di Marinette si fissarono nei miei.

«V-va tutto bene Adrien...» disse mentre una lacrima scendeva lungo la sua guancia e le sue labbra mi mostravano il suo splendido sorriso.

Lo stesso sorriso che mesi prima mi aveva salvato la vita.


ANGOLO AUTRICE
Ed eccomi qui!
...Si lo so, lo so ho già altre fanfiction in corso... vi prometto che le finirò tutte ;^;
Beh comunque, se siete arrivati fino a qui vuol dire che magari questo prologo ha qualche possibilità di piacere!
Fatemelo sapere in una recensione :D
~SofyTrancy

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Capitolo 2
*** I - Il giorno che mi ha cambiato la vita ***


Marinette

Il giorno che mi ha cambiato la vita
 

«Mamma io vado a vendere il pane e le uova in città!» urlai, aprendo la porta di casa.

«Non fare tardi! Il bosco è un posto pericoloso!» mi urlò mia madre di rimando.

Ridacchiai. Era quello che diceva sempre.

«A dopo!»

Uscii dalla piccola casa nella quale vivevo, mentre una ventata di vento mi scompigliava i capelli.

Quella era la mia vita.

Svegliarmi presto la mattina, uscire di casa e andare nella capitale del regno, CastleTown a vendere il pane che i miei genitori preparavano ogni notte e le uova che le galline lasciavano nel pollaio, restare là fino al tramonto e poi tornare a casa.

Non potevo certo sedermi sugli allori o avere tutte le comodità che molti avrebbero desiderato, ma la mia vita mi piaceva.

Amavo attraversare il bosco, mentre vedevo il sole sorgere e tramontare attraverso le fronde degli alberi. Ed era proprio quello che stavo facendo in quel momento.

Intorno a me sentivo la natura svegliarsi: gli uccellini iniziavano a cinguettare e gli scoiattoli scendevano giù dai grandi alberi, saltando da uno all'altro.

Conoscevo quella zona di bosco come le mie tasche e molto spesso quando avevo un po' di tempo libero, mi inoltravo in altri parti di esso, cercando nuovi sentieri e scorciatoie e segnando tutto in una mappa che avevo iniziato a disegnare fin da bambina.

Ben presto mi ritrovai alle porte della capitale, e trascinai il grande carro che avevo all'interno delle sue mura.

CastleTown era una città nata intorno al castello del regno, dove viveva il re di tutta Caldisla con la regina e il loro unico figlio e erede al trono.

«Buongiorno Marinette!» mi salutò un'uomo non appena misi piede nella strada principale.

Ricambiai il saluto.

«Marinette, ho dei nuovi libri dopo passa a vederli!» mi urlò il bibliotecario dalla soglia della sua biblioteca.

«Certo che vengo!» risposi io.

«Marinette, dopo vieni ad assaggiare questo nuovo frutto!– mi chiamò il fruttivendolo del paese –Viene da un regno lontano!»

«Allora ci vediamo dopo!»

Era così bella quella città.

Un luogo pieno di sorrisi e di persone amichevoli, che mi conoscevano fin da quando ero bambina.

Mi misi al mio solito posto, in fondo alla strada del mercato, iniziando a disporre le varie pagnotte di pane sul banchino, accanto alle focacce e ai panini dolci che aveva preparato come sempre mio padre e a posizionare le uova nei vari cestini.

Subito i cittadini si avvicinarono a me, richiedendo le loro ordinazioni o anche solo per fare un minimo di conversazione.

 

Tutto stava andando come al solito, già a metà giornata il banchino era quasi del tutto vuoto e il mercato era vivace come al solito.

Aspettando i clienti mi misi a leggere uno dei libri che il bibliotecario mi aveva portato quando era venuto a prendere la sua ordinazione.

«Il principe!»

«Sua Maestà ma cosa ci fa qui?»

Queste parole mi fecero alzare lo sguardo di scatto.

Perché il principe Nathanael si era scomodato di venire al mercato?! Cosa ci faceva qui?

Lo vidi avvicinarsi velocemente a me, mentre il panico iniziava a farsi strada nel mio corpo.

Il principe usciva dal suo castello solo per fare una cosa: riscuotere le tasse di chi non le aveva ancora pagate.

Qualcuno mi guardò con uno sguardo compassionevole, già convinto che il principe fosse lì per punirmi.

Quando il ragazzo fu davanti a me, notai quanto fosse bello come dicevano.

Aveva folti capelli rossicci e due begli occhi verdi. Era alto e slanciato e sul suo volto vi era disegnato un sorriso abbastanza accattivante.

Ma tutto sapevano che era bello quanto spietato.

«Il qui presente principe Nathanael è venuto a riscuotere le tasse che lei non ha ancora pagato signorina Marinette.» disse quello che doveva essere il ministro accanto al principe.

«Non abbiamo abbastanza soldi... vi garantiremo che le pagheremo entro la fine del mese...» cercai di dire, ma fui interrotta dal principe stesso.

«Non voglio soldi.»

Lo guardai spaesata.

E allora cosa voleva da me? Perché era sceso in città?

«Ho deciso di prenderti in sposa Marinette. Sei la ragazza più bella di tutta la capitale.» continuò poi, inginocchiandosi e facendomi il baciamano.

Scostai velocemente la mia mano dalle sue.

«Cosa staresti insinuando?!» chiesi, facendo un passo indietro.

Non volevo sposarmi. Non così.

«Non hai i soldi per pagare le tasse, e quindi mi pagherai in un altro modo, diventando una delle mie spose.– aggiunse, il sorriso che si allargava –Non vedo l'ora di passare con te la mia prima notte di nozze.» disse poi avvicinandosi al mio orecchio.

Deglutii.

Dovevo trovare una soluzione, alla svelta.

Poi, tutto accadde troppo in fretta.

Un urlo arrivò dalla parte opposta della strada:

«Prendetelo! Sta scappando!»

E lo vidi.

Un qualcosa di non umano stava correndo a quattro zampe verso la mia direzione: la pelle era nera come la pece, gli occhi verdi erano grandi e felini, lunghe unghie affilate graffiavano le pietre sulla strada e due grandi orecchie da gatto (anch'esse nere) sbucavano tra i capelli biondi.

«Cosa sta succedendo!?» chiese Nathanael, voltandosi.

Feci un passo indietro, quasi spaventata da ciò che stava accadendo.

Dietro la strana creatura notai le guardie reali che lo inseguivano, tenendo le lance e le spade sguainate.

L'essere saltò agilmente sul cornicione di uno dei palazzi, gettando nel caos l'intero mercato.

Un'arciere scoccò la sua freccia, colpendolo.

Con un grido di dolore, cadde dal cornicione, atterrando sul mio banchino.

Mi si gelò il sangue nelle vene. Lo avevo lì, a meno di due centimetri da me.

Da come lo stavano inseguendo mi aspettavo che mi sbranasse o altro, invece non mi toccò minimamente.

Anzi, si tolse la freccia dalla gamba per poi saltare oltre le mura della città.

Io rimasi pietrificata, osservando il mio banchino completamente distrutto.

«Chiudetevi in casa!» urlò una delle guardie.

«Quello è il temuto mostro Chat Noir! Dopo dieci anni di prigionia è riuscito a scappare!» gridavano le persone intorno a me.

Io ancora non riuscivo ad elaborare cosa fosse successo, a eliminare quella paura che mi stava attanagliando il cuore.

«Come ha fatto a fuggire?!» urlò il principe, voltandosi verso una delle guardie.

«N-non lo sappiamo Sua Maestà... stiamo facendo delle indagini...» rispose questa, balbettando.

Nathanael sbuffò.

«Va a casa Marinette e prepara la tua roba. I miei soldati verranno a prenderti entro il tramonto.» disse infine il rosso, girando i tacchi e andandosene.

In quei pochi, brevi istanti... la mia vita fu stravolta.

 

Quando riattraversai il bosco per tornare a casa, non mi sentii libera e felice come al solito.

Al contrario, mi sentivo oppressa, stressata e costretta a fare qualcosa che non volevo, costretta a rinunciare a ciò che avevo di più caro per accontentare un principe capriccioso.

Le lacrime iniziarono a rigare il mio viso.

Corsi verso casa, ignorando le guardie che erano alla ricerca di quel mostro chiamato Chat Noir.

Quando arrivai nel piccolo spiazzo senza alberi al centro del bosco, trovai mia madre ad aspettarmi.

«Mi è arrivata una lettera dal castello.»

Disse solo questo, nient'altro.

Osservai il borsone che aveva accanto a sé.

Il mio cuore perse un battito.

Voleva consegnarmi così? Senza neanche sentire la mia voce in capitolo? Senza cercare un'altra soluzione?

«N-non voglio andare, mamma...» sussurrai, mentre il mio corpo iniziava ad essere scosso dai singhiozzi.

«E chi ha detto che andrai da lui?»

La voce di mio padre mi arrivò alle orecchie.

Mi voltai verso di lui, notando immediatamente la quantità di panini e focacce che aveva nell'enorme vassoio.

«Ti serviranno. Scappa. Tu non puoi essere trattata così.»

Il mio volto si illuminò. Afferrai le pagnotte e le misi nel borsone che mi aveva preparato mia madre, per poi caricarmelo sulle spalle.

«Vi voglio bene...» dissi, osservando il sole che stava per tramontare.

«Anche noi, ora sbrigati!» mi incitò mio padre.

Partii a corsa.

Pochi secondi dopo sentii le armature di metallo delle guardie reali avvicinarsi e una voce baritonale chiedere dove io fossi.

Ma io oramai ero già nascosta tra le fronde degli alberi e correvo con tutto il fiato che avevo in corpo.



ANGOLO AUTRICE
Ed eccoci qui con un nuovo capitolo! Spero vi sia piaciuto e che non sia risultato troppo noioso...
Alla prossima
~SofyTrancy
 

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Capitolo 3
*** II - Il sangue di colui che chiamavano mostro ***


Marinette

Il sangue di colui che chiamavano mostro

 

Correvo lungo il sentiero, schivando i vari cespugli che mi bloccavano il passaggio.

Il fiato iniziava a mancarmi, ma non potevo fermarmi. Dovevo continuare a correre, ad allontanarmi il più possibile dalla capitale.

Sapevo dove andare, dovevo solo arrivare al piccolo fiume che divideva la foresta...

«Non deve essere andata lontano!»

Sussultai, sentendo la voce di un uomo arrivare dalle fronde alle mie spalle.

«Catturiamola velocemente e portiamola dal principe, prima che Chat Noir trovi noi...» disse una seconda voce.

Mi nascosi velocemente dietro ad una grande quercia, sentendo una goccia gelida come il ghiaccio cadermi sul collo.

Ci mancava solo un temporale...”

Sentii i passi dei due uomini farsi sempre più vicini.

Il mio corpo si irrigidì.

«Speriamo che Volpina abbia già catturato quel mostro.» esclamò la prima delle due voci.

«Non credo, o l'avremo già saputo da un pezzo» rispose l'altro.

Non osavo muovermi.

Ogni minimo movimento, ogni misero respiro potevano costarmi la libertà.

Erano praticamente a due metri da me.

Solo qualche passo e mi avrebbero trovata...

Un terribile e straziante grido di dolore rimbombò tra le fronde degli alberi.

Alzai la testa, colta da una sensazione che mai avevo provato in vita mia.

«Deve essere Chat Noir!» urlò il primo uomo.

«Andiamo! Dobbiamo aiutarli a catturarlo!» gridò il secondo.

Sentendo i loro passi allontanarsi dal mio nascondiglio, ne approfittai per scappare.

Non potevo permettere di essere nuovamente raggiunta.

Una volta catturato quello strano essere, le guardie sarebbero tornate a cercarmi, magari con dei rinforzi... e...

Scossi la testa, facendo schizzare le gocce di pioggia che mi avevano bagnato i capelli.

Ero quasi arrivata al rifugio che avevo scoperto quando ero ancora una bambina.

Mancava davvero poco, dovevo solo superare la piccola radura che stava per aprirsi davanti ai miei occhi e raggiungere il fiume poco più avanti...

Saltai l'ultimo, grande cespuglio irto di spine, ritrovandomi nel piccolo spazio senza alberi.

Solo allora mi accorsi di quanto stesse piovendo.

La radura era quasi invisibile, a causa della grande quantità di pioggia che, non trovando scudo sulle foglie degli alberi, cadeva ferocemente a terra.

Feci qualche passo in avanti, cercando di individuare il fiume.

E poi la vidi.

Una grande striscia di sangue macchiava l'erba scura del bosco, creando quasi un sentiero, delle tracce che neanche la pioggia riusciva a cancellare.

Alzai lo sguardo, portandomi poi una mano alla bocca per la scena agghiacciante che mi trovavo davanti.

Chat Noir era lì, che disperatamente avanzava sotto la pioggia, trascinando la sua caviglia destra, tenuta prigioniera da una grossa tagliola.

Lo osservai meglio, notando che il suo corpo era completamente avviluppato da una rete fitta e tagliente che gli aveva inferto vari graffi e tagli sul viso e sulle braccia.

Ma lui non demordeva.

Continuava a camminare, senza neanche cercare di liberarsi dalle tenaglie che gli stavano lacerando la pelle.

Poi le sue ginocchia cedettero e lui cadde a terra, esausto per la lunga camminata che aveva fatto...

Affondò le unghie nella terra molle come il fango, trascinandosi in avanti e continuando ad avanzare.

Se continuava così... sarebbe presto morto dissanguato...

Feci un passo in avanti e lui subito si fermò, voltandosi col viso e incrociando i suoi grandi occhi verdi con i miei.

Iniziò a ringhiare, mettendosi in una posizione difensiva.

Il mio cuore perse un battito.

Non era un ringhio che mi sarei aspettata da quello che tutti consideravano un mostro.

Non era un ringhio minaccioso o spaventoso.

Non era un ringhio di chi è pronto a sbranarti.

Al contrario, era un qualcosa di impaurito e terrorizzato.

Come un piccolo gattino che, vedendo un enorme cane avvicinarsi, inizia a soffiare e a guardarlo in modo minaccioso, spostandosi contemporaneamente all'indietro per trovare una via di fuga.

«S-sta tranquillo... Non voglio farti del male...» sussurrai, quasi istintivamente e avvicinandomi a quello che tutti chiamavano mostro ma che a me pareva solo un ragazzino spaventato.

Lui cercò di allontanarsi ancora, temendo ciò che io potevo fargli.

«Non sono una delle guardie, calmati.» dissi ancora, notando quanto faticasse a tenere anche solo aperti gli occhi.

Aveva perso troppo sangue.

Cercò di soffiare come ogni felino sapeva fare, ma si ritrovò a produrre solo un verso sommesso e leggero.

Poi i suoi occhi si chiusero e lui cadde a terra, svenuto.

Corsi velocemente verso di lui.

Dovevo aiutarlo, dovevo salvarlo da quello che quegli uomini gli avrebbero fatto...

Avvicinai la mia mano alla rete che lo avvolgeva, sentendola lacerarmi il palmo della mano non appena la toccai.

Non avevo mai visto niente di più tagliente... ma in quel momento non mi importava.

Mentre la pioggia mi bagnava i capelli mori, io cercavo di liberare Chat Noir da quella strana rete che ad ogni tocco mi riempiva le mani di tagli profondi e sanguinanti.

“Come possono essere stati così crudeli?” pensai, riuscendo finalmente ad allontanare il corpo del ragazzo dalla trappola.

Vedendolo così da vicino mi accorsi che aveva molti tratti umani.

La pelle chiara e candida del suo viso era coperta solo da una strana macchia nera che, come una mascherina, gli circondava i grandi occhi. L'intero viso era incorniciato da delle meravigliose ciocche bionde, da cui spuntavano due feline orecchie nere come la macchia che aveva sul volto.

Il resto del corpo era coperto da degli indumenti che parevano quasi degli stracci, strappati e rovinati dalle fronde degli alberi e dalla rete. Anche il resto della pelle era candida, tranne per la metà inferiore delle braccia e delle gambe che erano nuovamente nere come la pece.

Liberai a fatica la sua caviglia ricoperta di sangue dalla tagliola, mentre le mani mi bruciavano per i tagli della rete.

Sentii i passi delle guardie che si avvicinavano e decisi di non perdere altro tempo.

Mi sistemai Chat Noir sulle spalle e corsi (per quanto il suo peso, la pioggia e il pesante borsone che avevo con me me lo concedessero) fino al fiume, nascondendomi infine nella grotta dietro la piccola cascata da cui l'acqua si immetteva nel letto del fiumiciattolo.

Poggiai il ragazzo a terra, aprendo poi il borsone e cercando le medicazioni di cui aveva bisogno senza fare il minimo rumore.

«Ci è scappato!»

Sussultai lievemente, sentendo la voce delle guardie di prima.

«Ci scusi generale Volpina! Non pensavamo fosse capace di liberarsi così facilmente dalla tenaglia e dalla rete!»

Erano sopra di noi...

«Non importa.– rispose loro la voce di una donna –Forse così ha capito con chi ha a che fare... non vedo l'ora di averlo tra le mani... lo torturerò a morte io stessa prima di fargli tagliare la testa!» esclamò poi ridendo.

Mentre delle fredde gocce d'acqua mi colavano giù dai capelli, dentro di me sentivo una sensazione del tutto nuova.

Paura? Terrore?

No, odio.

Odio verso tutti loro, verso il principe e quelle guardie.

Guardai la figura di Chat Noir che, rannicchiata a terra, respirava a fatica a causa di tutte le ferite che quei mostri gli avevano inferto.

Ripensai a come lo avevo trovato poco prima, indifeso e infreddolito sotto la pioggia che rendeva ancora più difficile il suo cercare di liberarsi da quella trappola tremenda.

Ripensai a ciò che era successo al mercato...

Avrebbe potuto uccidermi, ma non lo aveva fatto.

Avrebbe potuto usarmi come ostaggio, ma non lo aveva fatto.

Avrebbe potuto fare del male a qualcuno, ma non lo aveva fatto.

E mentre sentivo i passi di quegli esseri camminare sopra la mia testa, giurai a me stessa che avrei protetto ad ogni costo quel ragazzo.

Per sempre.



ANGOLO AUTRICE
Scusate se non aggiorno molto spesso ma ho sempre tantissimi compiti da fare ;^;
Coooomunque owo spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto!
AVVERTENZA: Essendo la mia beta tester a giro per il Romics tutta felice e contenta (io invece sono rinchiusa qua, senza poterci andare cwc) non ha ancora ricontrollato il capitolo... quindi potrebbero esserci degli errori! Scusate!
Alla prossima
~SofyTrancy

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Capitolo 4
*** III - Quella bella, bellissima ragazza ***


Adrien

Quella bella, bellissima ragazza

 

Calore.

Questo è ciò che sentivo in quel momento, mentre alle mie orecchie giungevano rumori che piano piano iniziai a riconoscere: lo scrosciò della pioggia, il crepitare di un falò, le gocce d'acqua che cadevano su una superficie dura come la pietra.

Ma la cosa che mi mise in allerta fu l'odore che si mischiava a quello del mio sangue.

Un odore dolce, che sapeva leggermente di cannella, ma soprattutto... umano.

Aprii immediatamente gli occhi, notando di trovarmi dentro quella che doveva essere una caverna.

Il mio corpo fu percorso da un brivido.

Mi misi a sedere di scatto, cercando di analizzare velocemente la situazione e rimettendo in ordine i pochi ricordi che avevo.

Ero caduto nella trappola delle guardie della capitale e ora mi ritrovavo dentro una grotta nascosta da una cascata. Il calore che sentivo fino a poco prima era dato dal fuoco acceso al mio fianco e da una morbida coperta che mi era stata messa addosso.

«Ti sei svegliato?» mi chiese una voce femminile.

Voltai velocemente il viso, pronto a difendermi dai possibili attacchi che la persona che mi stava parlando poteva inferirmi.

E poi la vidi.

Una ragazza dai bellissimi capelli neri stava seduta a qualche metro da me, mentre cercava qualcosa nell'enorme borsa che aveva tra le gambe. Il suo corpo era snello e (a dire la verità) non molto sviluppato, ma ai miei occhi sembrava quello di un angelo. E vogliamo parlare del viso? Era così bella, così... perfetta.

Rimasi dieci secondi buoni ad osservarla, mentre lei continuava a rovistare all'interno del borsone con un'espressione quasi sofferente in volto, come se stesse sentendo male alle braccia.

Poi si voltò verso di me e io mi scossi dal mio stato di trance.

Feci un salto indietro, ignorando le fitte di dolore che si propagavano dalla mia caviglia destra.

«Non voglio farti del male!» disse lei, allarmata.

Continuai ad indietreggiare, mentre iniziavo a produrre un ringhio basso e minaccioso digrignando le zanne.

Non potevo fidarmi.

Per quanto il suo viso fosse angelico, lei era come tutti gli altri, come tutti gli umani che mi avevano etichettato come un mostro su cui fare esperimenti e da usare, vessare, torturare.

Lei fece un piccolo passo in avanti.

Dovevo correre, scappare il più lontano possibile...

«T-ti piace il pane?– mi chiese, mostrandomi la pagnotta che teneva tra le mani –O preferisci la frutta? Ho anche un po' di quella se vuoi...»

Il mio ringhio si fece interdetto, mentre lanciavo uno sguardo al cibo che mi offriva, notando solo in quel momento i grossi tagli che le riempivano le mani e le braccia... dei tagli che solo la rete in cui ero imprigionato poteva fargli...

Possibile che lei mi avesse aiutato?

«Riesci a-a capirmi?– domandò poi, con voce tremante, non ottenendo una mia risposta –Capisci l-la mia lingua?»

Annuii, non avendo ancora il coraggio di parlare.

Mancava poco alla cascata, sarei potuto scappare non appena la situazione si fosse fatta pericolosa.

Il suo bellissimo viso si illuminò, evidentemente perché era felice che io riuscissi a capirla.

«A-allora cosa vuoi da mangiare?» chiese nuovamente.

Un piccolo sorriso mi solcò il volto.

«Il pane v-va bene...» risposi, mantenendo la voce bassa.

Lei fece un altro passo in avanti e io mi irrigidii.

«Preferisci che non mi avvicini?» disse allora.

Annuii nuovamente.

«Va bene, però vieni vicino al fuoco e mettiti la coperta sulle spalle... hai perso molto sangue ed eri freddo come il marmo.» aggiunse poi, poggiando un tovagliolo a terra e mettendoci sopra la pagnotta per poi allontanarsi.

Ogni passo che lei indietreggiava, io avanzavo finché non mi ritrovai precisamente di fronte al fuoco e mi sedetti a terra, mettendomi la coperta sulle spalle come richiesto, accorgendomi solo in quel momento della medicazione e della fasciatura che era stata fatta alla mia caviglia e ai vari tagli che mi ricoprivano le braccia e le mani.

Osservai la mora sedersi in un angolo buio e gelido della caverna, tremando per il freddo.

Solo allora notai che i suoi capelli erano bagnati, come quasi tutto il resto del suo corpo. Dai tagli sulle sue braccia usciva ancora un po' di sangue, mentre lei, ignorando il dolore, addentava la pagnotta che aveva tra le mani. Tornai a osservare il suo viso, notando che aveva qualcosa di famigliare...

Presi quella che si trovava davanti a me, iniziando a mangiarla.

«Sei stata tu a liberarmi dalla rete?» chiesi ad un certo punto, rompendo il silenzio che si era creato.

«Sì.» rispose lei con la sua voce gentile.

«E eri tu la ragazza a cui ho distrutto il banchino al mercato?»

«Sì.»

«Mi dispiace...»

«Non importa.»

Silenzio.

Non sembrava una cattiva persona... anzi pareva volermi aiutare...

«Cosa ci fai qui?» le domandai.

«Sto fuggendo dal principe, vuole costringermi a sposarlo.»

Silenzio, di nuovo.

Forse non era un tipo molto socievole, o semplicemente non voleva parlare con qualcuno come me...

Beh, questo poteva giocare solo a mio favore, dovevo essere solo felice se lei non voleva instaurare un rapporto di amicizia come me, così me ne sarei potuto andare non appena avrei finito di mangiare...

Dopotutto io non volevo amici.

E allora perché continuavo a porre domande?

«Perché non ti sei medicata le braccia?»

«Ho finito le bende, e non fa poi così male.»

Guardai il modo in cui tremava e fui preso da un sentimento a me sconosciuto...

«Vieni qui accanto al fuoco o ti congelerai.» dissi, sorprendendomi io stesso di ciò che la mia bocca aveva pronunciato.

«Sicuro? Mi sembrava di spaventarti...» rispose lei, titubante.

«Sicuro.»

Lei si avvicinò velocemente a me, portandosi dietro l'enorme borsa.

Subito le afferrai il braccio più vicino, vedendola sussultare.

«Non voglio farti del male.» risposi, mordendomi il dito per poi far cadere il mio sangue sui suoi tagli.

Subito le sue ferite iniziarono a rigenerarsi, lasciando solo un piccolo graffio.

Lei mi guardò sbalordita.

«E-ecco perché le tue ferite erano meno profonde di quel che pensassi!» esclamò, quasi divertita da ciò che avevo fatto.

Era così tenera...

Sorrisi, strappandomi la manica della mia maglia oramai stracciata e avvolgendogliela intorno al braccio, per poi passare all'altro.

«G-grazie...» sussurrò lei, evidentemente sollevata dal non sentire più quel dolore lancinante sulla pelle.

«Di nulla...»

Silenzio.

Mangiavamo il nostro pasto osservando il crepitare del fuoco, senza osare rivolgere più una parola.

«Come ti chiami?» mi chiese ad un certo punto.

Alzai lo sguardo per quella domanda insolita.

«Non hai mai sentito parlare di me?»

«Ho sentito parlare di un mostro di nome Chat Noir– disse –Ma tu sei tutt'altro che un mostro.»

Sorrisi.

«E tu come ti chiami?»

«Ehi! Non hai risposto alla mia domanda!» ridacchiò lei.

«Chiamami Adrien.»

«Marinette.»

Oh, smettila Chat Noir, non solo vuoi essere chiamato con il nome di quando eri piccolo ma ora hai anche il coraggio di volerti fare un'amica? Ciò non accadrà mai!” pensai, tornando a mangiare la mia pagnotta di pane.

«Adrien...»

«Sì?»

«N-noi ora siamo amici no?» mi chiese lei, la voce tremante.

Sapevo che cosa dovevo rispondere, cosa dovevo fare.

Dovevo negare, andarmene immediatamente da lì...

Eppure, qualcosa mi diceva che dovevo rimanere al suo fianco, che dovevo proteggerla, che dovevo aiutarla... che dovevamo scappare insieme.

Per questo, mentre il verde dei miei occhi si perdeva nel blu dei suoi io dissi con voce decisa:

«Sì.»





ANGOLO AUTRICE
Ed eccomi qua! Ciao a tutti!
Beh che dire, questo è il primo capitolo (oltre al prologo) dal punto di vista del nostro gattino... che ne dite? Vi piace?
Spero che continuerete a seguirmi!
Alla prossima ;)
~SofyTrancy
 

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Capitolo 5
*** IV - Sogno e realtà ***


Adrien

Sogno e realtà
 

«Mamma, cosa fai oggi per cena?» chiesi, avvicinandomi felicemente alla figura slanciata di mia madre che, sorridendomi, si voltò.

«Sorpresa.» disse, ridacchiando.

Ridacchiai a mia volta, correndo poi verso la finestra della piccola casa in cui mi abitavamo e guardando fuori, nel bosco che ci circondava.

«Mamma, ci sono delle persone!» esclamai, indicando coloro che erano appena usciti dal bosco.

La bionda mi guardò, incerta.

«Quella tua amica con cui parli sempre nel bosco sa che abitiamo qui?» chiese, avvicinandosi.

«No, visto che non me l'ha mai chiesto non gliel'ho mai detto!» risposi io, sorridendole nuovamente.

La mamma si affacciò alla finestra.

Il mio sorriso scomparse dal mio volto, vedendo che la donna stava chiudendo velocemente la piccola apertura per poi portarsi una mano al viso.

«Mamma...?»

«Devi andare via Adrien.» disse lei, afferrandomi il braccio e correndo verso il retro dell'abitazione.

La guardai spaventato.

Cosa stava succedendo?

Tre forti colpi arrivarono alla nostra porta di casa e io sussultai.

«Chi è?» chiese gentilmente mia madre, portandomi una mano sulla bocca per fare in modo che non parlassi.

«Siamo le guardie del castello, siamo qui per Chat Noir.– risposero loro –Apriteci immediatamente e consegnateci il mostro.»

«Non è qui!!»

«Mamma... cosa?» sussurrai.

Lei aprì l'armadio, rivelando una porta nascosta che dava verso l'esterno.

«Sappiamo che è lì dentro! Ci apra!»

«Mamma...»
«Adrien, inizia a correre e non fermarti, ok? Cerca quella bambina di cui sei diventato amico. Sono sicura che lei potrà aiutarti.» iniziò a dire mia madre, stando attenta a non farsi sentire dalle persone che stavano bussando con insistenza alla nostra porta.

«Signora, se non apre butteremo giù la porta!»

«Mamma... cosa...?» chiesi, spaesato.

«Corri e non voltarti. Ti raggiungo dopo!» disse infine la donna, spingendomi fuori e chiudendo l'armadio.

Immediatamente sentii un forte tonfo provenire dall'abitazione, come se la porta di casa fosse stata davvero fatta cadere.

«Ci consegni quel mostro!»

«Non so di cosa stiate parlando!»

Iniziai a correre, notando che mi trovavo in un punto nascosto dagli alberi della foresta.

Dovevo solo scappare... poi la mamma mi avrebbe raggiunto.

Ma quando mi voltai, vidi una sola cosa: le fiamme che avvolgevano la mia casa.

 

«Adrien!»

Aprii gli occhi di scatto, mettendomi subito a sedere e portandomi una mano al volto, bagnato da quelle che sembravano lacrime.

«Adrien, stai bene...?»

Mi voltai immediatamente verso la voce che mi stava parlando, tirando fuori le zanne per difendermi.

«Adrien...?» chiese Marinette, guardandomi perplessa.

Mi calmai, ricordando solo in quel momento dove mi trovavo.

«S-scusami.» dissi, portando una mano al volto.

«Stai piangendo...?»

«No, non è niente. Ho solo fatto un brutto sogno.»

Non dovevo coinvolgerla.

Non potevo rischiare di metterla più in pericolo di quanto già non lo fosse.

Lei aprì le labbra come per ribattere quando captai qualcosa che non andava.

Le tappai immediatamente la bocca, facendo il segno di stare in silenzio con la mano libera.

«Generale Volpina, perché siete voluta tornare qui?» chiese una voce di un uomo sopra le nostre teste.

Gli occhi di Marinette si riempirono di paura.

«Non l'avete ancora capito?– la voce risoluta di una donna arrivò alle mie orecchie –Ho fatto controllare quella rete in cui era stato imprigionato e no, non può essersi liberato da solo.»

«E allora chi...?»

«Marinette Dupain-Cheng.»

La ragazza al mio fianco sussultò, sentendo chiamare il suo nome.

«Generale, sta insinuando che Marinette abbia aiutato quel mostro– e qui mi sfuggi un minuscolo ringhio –e poi sia scappata con lui?» disse un altro uomo, incredulo.

«Ne sono sicura.» rispose la donna.

«Dobbiamo scappare.» sussurrai alla mora al mio fianco.

«E come?– rispose lei, osservando la cascata –Ci vedranno se usciamo da lì...»

Mi guardai intorno, osservando le parti rocciose della caverna.

Una ventata d'aria mi arrivò al volto.

Il mio sguardo si posò sul terreno.

Affondai le unghie nella terra, notando che era friabile.

«Posso scavare un passaggio.– dissi, sorridendo alla mora –Sotto di noi ci deve essere una specie di grotta, si sente una corrente d'aria»

«Quanto ci vorrà?» domandò lei.

«Non so, spero il tempo per farci fuggire.» risposi, iniziando a scavare nel terreno.

Quello era uno dei pochi vantaggi ad essere una sottospecie di mostro.

«Cercate più indizi possibile!» urlò la voce di Volpina da sopra di noi.

Iniziai a scavare più velocemente.

«Adrien...»

«Sì?» chiesi, senza voltarmi.

«Stanno per entrare.»

Il sangue mi si gelò nelle vene.

Mi voltai, notando immediatamente delle ombre umane di fronte alla cascata.

Ripresi a scavare, sicuro della mia teoria.

Mancava così poco...

Quando affondai nuovamente la mia mano nel terreno, questa incontrò un sottile strato di terra e poi il vuoto.

«Generale, forse c'è una grotta qui dentro!»

«Ci siamo, monta in spalla Marinette.» dissi, togliendo l'ultimo pezzo di terra.

«No, tu scappa, io prendo tempo.»

«Cosa...?» mi voltai verso la ragazza.

«Se arrivano qui, vedranno anche il buco e ci seguiranno.– mi disse la ragazza, sorridendomi –Scappa Adrien, io ti raggiungerò.»

Quelle parole colpirono il mio cuore come se fosse un macigno.

«Sono qui! Li ho trovati!» urlò uno dei soldati, illuminando la grotta con una fiaccola.

Prima che Marinette prendesse l'iniziativa, la presi tra le braccia, stringendola a me e saltando all'interno del buco.

L'ultima cosa che sentii prima di perdere conoscenza fu il freddo che mi investì quando il mio corpo cadde in un fiume sotterraneo.





ANGOLO AUTRICE:
Eh sì! Sono tornata!
Ora che è finita la scuola aggiornerò molto più spesso sia questa che l'altra fanfiction ("Lui...") :D
Spero che continuerete a seguirmi!
Alla prossima :D
~SofyTrancy

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Capitolo 6
*** V - Divisi dalla corrente ***


Marinette

Divisi dalla corrente
 

«Adrie...!» prima che potessi finire di formulare la mia frase, i nostri corpi colpirono la fredda superficie di un fiume sotterraneo.

La presa del ragazzo si fece sempre più debole.

«Generale si sono gettati nel fiume!»

Tornai in superficie, mentre la corrente mi trascinava via.

«A-Adrien!» urlai, guardandomi intorno, cercando di individuarlo.

La corrente continuava a travolgermi e ben presto mi ritrovai nuovamente sott'acqua, mentre con tutte le mie forze cercavo di rimanere a galla.

«Adrien!»

Poi lo vidi: il biondo era poco lontano da me, la corrente che lo trascinava via.

«ADRIEN!»

Lui non mi rispose.

Fui nuovamente spinta sott'acqua dalla gigantesca forza di quel fiume, perdendo il mio compagno nuovamente di vista.

Perché non stava reagendo? Perché non cercava di nuotare verso di me?

Riuscii a tornare in superficie, potendo così vedere Adrien a pochi metri da me, gli occhi completamente chiusi.

Era svenuto?!

Ripensai a quando i nostri corpi avevano toccato l'acqua che agitata ci stava portando ormai chissà dove.

Il senso di colpa iniziò a farsi strada nel mio cuore.

Per difendermi dalla caduta, Adrien si era messo sotto di me... ricevendo in pieno il colpo contro l'acqua...

«Adrien!!» urlai nuovamente, cercando di raggiungerlo invano.

Poi sentii la corrente cambiare strada, dirigersi verso destra.

Guardai di fronte a me, notando che il fiume si divideva in due.

Cercai con tutte le mie forze di raggiungere il ragazzo che, persi i sensi, rischiava di affogare.

Ma era troppo tardi.

L'unica cosa che ricordo, prima di essere stata completamente sommersa dall'acqua, è il volto del ragazzo che spariva dietro le pareti della grotta sotterranea.

 

Quando ripresi i sensi, mi ritrovai in un piccolo lago, circondato dalle pareti umide della grotta.

Mi alzai di scatto, ignorando la fitta di dolore che la mia

gamba destra mi lanciò.

«Adrien!»

Sentii la gola bruciare quando urlai il suo nome.

Mi guardai intorno, notando che lui non era lì con me, che la corrente lo aveva trascinato via...

Feci un passo in avanti, ma la gambe cedette facendomi cadere nuovamente nell'acqua calma e bassa del lago (completamente il contrario di quella nel fiume).

Portai lo sguardo al punto che mi doleva.

Il sangue mi si gelò nelle vene.

La mia gamba era quasi squarciata in due da un profondo taglio, forse causato dalla botta contro qualche masso.

Mi strappai l'orlo del vestito zuppo, avvolgendolo intorno alla ferita.

Ero nei guai, in guai molto seri.

Non solo avevo perso di vista Adrien e mi ero fatta gravemente male alla gamba, ma avevo perso anche tutte le provviste e le medicazioni che avevo nello zaino, ancora nella grotta dietro la cascata.

Un brivido corse lungo la mia schiena, ricordando cosa era successo poco prima.

Mi alzai nuovamente, stando attenta a non poggiare il peso sulla gamba ferita.

Dovevo immediatamente andarmene da lì o mi avrebbero trovato e catturato.

E se... trovassero Adrien...?”

Sentii le lacrime pungermi gli occhi, ma cercai di ignorarle.

L'unica cosa che potevo fare era batterli sul tempo, accertarmi che non fosse ferito e trovare un rifugio.

Iniziai ad incamminarmi nella grotta sotterranea in cui mi trovavo, notando che la luce filtrava da delle piccole fessure in alto.

Sbuffai.

Almeno non ero molto lontano dalla superficie...

 

Non so per quanto camminai (o meglio, arrancai trascinando la gamba), so solo che più mi addentravo più la luce si faceva più fievole.

La paura iniziò a farsi strada nel mio cuore, mentre il freddo iniziava a entrarmi nelle ossa.

Legai i capelli bagnati in una crocchia, in modo da non avere una costante umidità sul collo e le spalle e cercai di far uscire più acqua possibile dal vestito.

Dovevo sbrigarmi.

La vista iniziava a farsi annebbiata a causa del sangue che continuavo a perdere dalla gamba; più il tempo passava più ero debole e più c'erano possibilità che Adrien venisse catturato.

Inciampai, cadendo a terra per la quarta o quinta volta di fila.

«A-Adrien...» sussurrai, rimettendomi nuovamente in piedi ma ricadendo poco dopo.

Una lacrima mi solcò il viso.

Era inutile che cercassi di nasconderlo, avevo paura.

Paura di quel che sarebbe potuto succedere a me, paura di non ritrovare Adrien, paura di rimanere rinchiusa per sempre in quella grotta.

Feci per alzarmi, portando le mani in avanti per darmi la spinta quando toccai qualcosa di duro e umido.

Alzai lo sguardo, trovandomi davanti alla parete della caverna.

Mi guardai intorno, notando di trovarmi in un vicolo cieco.

«Maledizione!» sussurrai, colpendo la roccia davanti a me.

Come potevo uscire da lì?!

Stavo per alzarmi e tornare indietro quando il soffitto iniziò a tremare, facendo cadere piccole zolle di terra sul fondo della grotta.

Mi rannicchiai a terra, non capendo ciò che stava succedendo.

Sussultai, sentendo dei cani iniziare ad abbaiare.

«E' qui sotto!» urlò una voce maschile.

Mi alzai di scatto, cadendo nuovamente a causa della gamba.

Dovevo correre, scappare da quel posto prima che fosse troppo tardi.

Cercai nuovamente di alzarmi ma fu tutto inutile.

Sentivo i cani scavare sopra la mia testa, aprendo poi un varco nella terra.

«Buongiorno principessina.»

Alzai lo sguardo, impaurita.

Un uomo moro si affacciò dallo scavo, calandosi poi giù nella caverna grazie ad una corda.

«N-non ti avvicinare...» sussurrai, cercando di indietreggiare senza però potermi alzare.

«Su, adesso fa la brava e fatti portare dal principe Nathanael. Ti sta aspettando ed è abbastanza arrabbiato con te.» disse il soldato, afferrandomi per un braccio e costringendomi ad alzarmi nonostante il dolore lancinante alla gamba.

«A-ahia...»

«Oh, sei ferita.– commentò l'uomo, sorridendo beffardo –Meglio, così eviterai di scappare.»

Il cuore iniziò a battermi forte nel petto.

Avevo paura.

Il soldato mi trascinò fino alla corda, facendosi poi issare su dagli altri uomini e portandomi con lui.

«E così sarebbe questa la ragazza che principe vuole tanto?» commentò uno di loro, squadrandomi in modo poco rassicurante.

Iniziai a tremare.

Erano tre uomini e io ero debole, ferita, con i vestiti completamente zuppi e l'orlo del vestito quasi inesistente.

«Inizio a capire perché ha voluto farci fare tutta questa fatica...» continuò l'ultimo, accarezzandomi la guancia.

Mi scostai, impaurita da quel contatto.

«E' anche timida!»

Cercai di trattenere le lacrime, mentre dentro di me la paura era sempre più forte.

«Perché non ci divertiamo un po' bambola?»

«N-non penso che a-al principe faccia piacere...» sussurrai, cercando di tirarmi fuori da quella situazione.

L'uomo di fronte a me scoppiò a ridere.

«Il principe ci ha detto che potevamo fare quel che volevamo, a patto che arrivassi da lui viva.»

Il mondo mi crollò addosso.

Il soldato che mi teneva mi buttò a terra.

Cercai di scappare, ma uno degli altri due mi colpì con forza alla gamba ferita, costringendomi a fermarmi.

«Sarà divertente vedrai.» disse quello che mi aveva accarezzato la guancia, piegandomi su di me e immobilizzandomi a terra.

Iniziai a piangere, incapace di trattenere ancora le lacrime.

«Ora fa la brava e saremo gentili con te...»

Ero spacciata...

«Marinette!» la voce di Adrien mi arrivò alle orecchie.

I miei occhi si spalancarono.

Lui era lì, vicino a noi.

«Mandagli i cani contro! Almeno lo catturiamo!» urlò uno dei due uomini ancora in piedi.

L'altro lasciò andare i quattro cani che teneva legati ad un albero e subito questi iniziarono a correre verso il punto da cui arrivava la voce.

«Adrien! Aiutami!» urlai, cercando di liberarmi dalla presa dell'uomo che mi tappò la bocca con la sua mano.

«Sta zitta e fa quello che ti dico!» urlò, strappandomi il sopra del vestito.

Era troppo tardi...

Poi, i cani smisero di abbaiare.

«Che succede?» chiese uno dei due uomini ancora in piedi.

Uno solo dei quattro animali tornò indietro, cadendo poi a terra... morto.

Un groppo mi si fermò in gola.

L'uomo sopra di me si fermò, togliendomi la mano da sopra la bocca e voltandosi a guardare ciò che era rimasto di quel povero cane.

Il suo corpo era pieno di ferite e tagli da cui il sangue continuava ad uscire a fiotti.

«Cosa state facendo?»

Alzai lo sguardo verso i cespugli alla mia sinistra, notando la figura di Adrien stagliarsi a pochi metri da noi.

«A-Adrie...» le parole mi si fermarono in gola, notando il rivolo di sangue che gli usciva dalla bocca.

«Ripeto. Cosa state facendo a Marinette?» chiese nuovamente lui, le unghie lunghe e affilate ricoperte del sangue dei cani che aveva ucciso, gli occhi dominati da uno spaventoso sguardo omicida, la pelle più nera del solito... e il volto che non aveva più nulla di umano.

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Capitolo 7
*** VI - Chat Noir ***


Marinette

Chat Noir
 

«A-Adrien...» sussurrai, la paura che tornava a farsi sentire.

Il ragazzo (potevo ancora chiamarlo così?) non rispose, mentre anche le poche parti del corpo che erano leggermente rosee iniziavano a colorarsi dello stesso nero che avvolgeva le mani e metà delle gambe...

«S-Scappate!» urlò il soldato sopra di me, alzandosi di scatto e iniziando a correre, seguito a ruota dagli altri due.

Mi misi a sedere, coprendomi il reggiseno ormai ben visibile con le braccia.

E poi tutto accadde in un attimo.

Adrien, che fino a pochi secondi prima era alla mia sinistra, aveva già raggiunto gli uomini che stavano correndo nella direzione opposta.

Assaltò quello che mi aveva aggredita, iniziando a graffiargli e mordergli il corpo con una ferocia che mai mi sarei aspettata da lui.

L'uomo urlò, mentre il biondo (che ormai aveva anche i capelli neri come la pece) gli strappava pezzi di pelle con le unghie e i denti.

«ADRIEN FERMATI!» urlai, alzandomi in piedi e ignorando il dolore che trapassò la mia gamba destra.

Uno schizzo di sangue mi colpì, macchiandomi la guancia.

I miei occhi si spalancarono, mentre analizzavano l'orribile scena che avevo davanti.

Adrien, o meglio Chat Noir, aveva aperto in due il petto dell'uomo ormai morto e aveva iniziato a mordere e a lacerare i suoi organi interni.

Caddi in ginocchio, mentre il mio corpo veniva scosso dai conati di vomito.

Le orecchie di quell'essere vibrarono, sentendomi cadere a terra.

Si voltò verso di me, gli occhi completamente iniettati di sangue.

«A-Adrien...»

Lui iniziò ad avvicinarsi, il corpo ricoperto di quella strana pelle nera che lo faceva sembrare un enorme gatto.

Cercai di indietreggiare, la paura ormai al massimo.

Avrebbe ucciso e mangiato anche me?

L'essere mi saltò addosso, costringendomi nuovamente a sdraiarmi.

Aprì la bocca, mostrandomi le sue zanne insanguinate.

«A-Adrien... s-sono io...» sussurrai, alzando una mano per accarezzargli il volto.

Chat Noir mi colpì violentemente il braccio con le unghie, bloccandolo al suolo e graffiandolo profondamente.

«A-Adrien... t-ti prego...»

Le lacrime ricominciarono a uscire dai miei occhi.

Avevo paura, terribilmente paura.

Chat Noir si fermò, gli occhi che tornavano al suo normale colore verde.

«M-Marinette...» sussurrò, mentre una punta di paura si faceva strada nei suoi occhi.

Il mio cuore ebbe un sussulto.

«M-mi dispiace...» disse poi, cadendo a terra privo di sensi.

 

«Adrien!» urlai, togliendomi il ragazzo da sopra di me.

Lo presi tra le braccia, mentre la sua pelle tornava rosea e liscia al tatto.

Notai che le lunghe zanne si riducevano, tornando quelle di sempre, il volto era più umano, le unghie diventavano meno affilate...

Era lo stesso Adrien che avevo conosciuto, ma con mio gran stupore notai che la trasformazione non si fermava.

I denti rimpicciolirono ancora, eliminando completamente i lunghi canini e diventando sempre di più simili ad un umano.

Le mani perdevano il colore nero con la pece e le unghie continuavano a ridursi ed ad arrotondarsi.

Il volto divenne completamente...umano.

Le mie guance arrossirono.

Quello che adesso stringevo tra le mie braccia era un comunissimo e bellissimo ragazzo, che non aveva più niente di mostruoso sul suo corpo.

Gli passai una mano tra i capelli, notando che anche quelle dolcissime orecchie nere erano completamente scomparse.

Cosa stava succedendo? Perché Adrien era diventato umano?

Mi voltai verso il soldato che era stato completamente squartato, sentendo la voglia di vomitare rigirarmi lo stomaco.

Non era il momento di porsi domande.

I due uomini che erano fuggiti sarebbero presto tornati... e non sarebbero stati soli.

Mi caricai Adrien sulle spalle, notando che era molto più leggero rispetto a quando era mezzo non-umano.

Dovevo trovare un nascondiglio, e in fretta.

Mi guardai intorno, notando che non ero mai stata in quella parte della foresta e che quindi dovevo trovarmi molto lontano rispetto alla capitale.

Iniziai a camminare, trascinando la gamba destra e portando il ragazzo sulle mie spalle, mentre il freddo continuava a colpirmi attraverso il reggiseno ancora bagnato e il vestito ormai completamente rovinato.

Dovevamo raggiungere la fine di quella parte di foresta inesplorata.

 

Camminai nel mezzo della foresta finché non si fece completamente buio.

Le mie gambe non riuscivano più a sorreggere il mio peso e quello di Adrien e caddi a terra, esausta.

Il freddo non era diminuito, anzi, mi era entrato nelle ossa.

Anche se con una fasciatura minima, ero riuscita a limitare i danni alla mia gamba destra che ormai non riusciva più a resistere.

Strinsi i denti, cercando di rialzarmi invano.

Sarei morta lì...?

Beh... non sarebbe poi stato tanto male.

Morta a terra, in mezzo ad una bellissima foresta e sotto ad un meraviglioso ragazzo che pur di salvarmi aveva fatto delle cose orribili...

Sorridi, accorgendomi che nonostante quello che aveva fatto per me lui era solo Adrien, e non il mostro che tutti pensavano che fosse.

Ripensai ai suoi occhi iniettati di sangue, allo sguardo ricco di paura che li aveva poi domati una volta ripresa la ragione...

Non era stata colpa sua.

Aveva solo perso il controllo...

«Marinette...? Dove siamo?»

La voce del ragazzo mi arrivò alle orecchie.

«N-non lo so Adrien...»

«Marinette! Cosa hai?– la sua voce si fece preoccupata, mentre si alzava da sopra di me e mi prendeva tra le braccia –E-e perché sono...?»

I suoi occhi si spalancarono.

«I-io... i-i-io ho...» disse poi, passandosi una mano sul volto.

«Ehy... tranquillo...– sussurrai io, poggiando la mia mano sulla sua, sorridendogli –N-non è colpa tua...»

I suoi occhi si posarono sui miei vestiti strappati, per poi passare al graffio che avevo sul braccio e alla fasciatura insanguinata alla gamba.

«D-dobbiamo cercare aiuto...»

«Sto bene...» dissi io, con un filo di voce.

«N-no.– Adrien si alzò, stringendomi tra le braccia –Dobbiamo cercare aiuto.»

Sorrisi, debolmente.

«Vedo una luce...» sussurrai poi, vedendo un piccolo bagliore in lontananza.

«Ehy! Non fare scherzi!»

«N-no Adrien seriamente... c'è una luce laggiù...»

Il ragazzo alzò il volto, correndo poi in quella direzione.

«P-potrebbero essere i soldati...!»

«Non sento il loro odore.– mi disse lui dolcemente –Fidati di me.»

La testa iniziò a girarmi e tutto intorno a me si fece sfocato.

«A-Adrien...»

La luce si faceva sempre più vicina, fino a essere quasi abbagliante.

Sentii il ragazzo chiedere aiuto, richiamando l'attenzione di qualcuno di fronte a lui.

L'ultima cosa che vidi, fu la figura di una ragazza che, dopo essersi voltata, correva verso di noi.

Poi tutto sprofondò nel buio.

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Capitolo 8
*** VII - Marito e moglie ***


Adrien

Marito e moglie
 

«Aiuto!» urlai con tutto me stesso, correndo verso le figure umane che non riuscivo bene a distinguere, quasi arrancando.

Succedeva sempre così... ogni volta che assumevo la mia forma umana tutte le forze mi venivano meno...

«Aiuto!» ripetei, cadendo in ginocchio e tentando di rialzarmi.

Una delle figure si voltò, iniziando poi a correre verso di noi.

Sentii il cuore liberarsi da un enorme peso.

«Chi sei?– chiese prontamente la ragazza che era accorsa in nostro aiuto, portandosi poi una mano alla bocca vedendo il modo in cui era ridotta Marinette –Cosa le è successo?!»

«T-ti prego,– dissi con quasi un filo di voce –A-aiutami a curarla...»

Non volevo perderla.

Non potevo pensare di vederla morta...

La ragazza si inginocchiò davanti a me e io notai i suoi grandi occhi verdi circondati dai capelli rossicci appena illuminati dalla piccola lanterna che aveva con sé.

Poggiò una mano sulla fronte di Marinette, facendo poi una smorfia.

«Scotta. Dobbiamo curarle immediatamente le ferite e metterla in un letto a riposare.» constatò, cercando di prendere la mora tra le braccia.

A quel contatto strinsi la presa, quasi ringhiando per istinto.

«Ehi ehi, non te la rubo mica!– esclamò lei, sorridendomi –Aspetta solo due secondi, chiamo mio marito e carichiamo la tua ragazza sul carro.» aggiunse poi alzandosi.

«R-ragazza?» domandai, mentre le guance arrossivano leggermente.

La rossa mi guardò come per dire “Stai scherzando vero?”

«Amica. La tua amica.» si corresse allora, correndo verso il punto da cui era arrivata.

«Nino! Nino!» iniziò ad urlare, agitando il braccio verso l'alto come per farsi vedere.

«Alya! Ti ho già detto mille volte di non allontanarti!» la “sgridò” una voce maschile.

Un ragazzo dai corti capelli neri e la carnagione scura di avvicinò alla rossa, sistemandosi il capello che portava sulla testa.

«Ci sono due feriti.– spiegò velocemente la rossa, afferrando il marito per un braccio e trascinandolo verso di noi –Il ragazzo sembra solo stanco, la ragazza invece è messa male.»

Il moro (che doveva chiamarsi Nino) si voltò verso di noi, mentre i suoi occhi si illuminarono, mentre si posavano su Marinette.

Strinsi la presa.

«Marinette Dupain-Cheng...– sussurrò, guardandoci confuso –La promessa sposa del principe...»

Il mondo mi crollò addosso.

«Di cosa stai parlando Nino?» chiese incredula Alya.

«Il principe offre tre milioni di rin per lei.»

Indietreggiai, per quanto riuscivo a muovere le gambe, stringendo di più la ragazza tra le mie braccia.

«N-non osare avvicinarti.» dissi, con fare intimidatorio.

Il moro posò su di me il suo sguardo.

«M-ma nelle informazioni arrivate al villaggio lei era accompagnata da Chat Noir...– balbettò la rossa –n-non da un essere umano.»

«Evidentemente è riuscito a camuffarsi da umano...» commentò il marito.

Ringhiai.

Dovevo scappare, immediatamente...

«Generale Volpina! Devono essere qui vicino!»

La voce dei soldati arrivò alle mie orecchie.

Merda.”

Ero circondato, in trappola e Marinette...

Posai lo sguardo sul dolcissimo viso della mora, mentre le lacrime minacciavano di uscirmi dagli occhi.

Non volevo consegnarla...

«Sono le guardie...» disse Nino, avvicinandosi.

Indietreggiai nuovamente, disperato.

«S-se ti avvicini ti strappo la mano a morsi. C-con o senza zanne.» minacciai, stringendo ancora di più la mora.

Il ragazzo si fermò, voltandosi poi verso la moglie.

«Va a prendere il carro.»

Lo guardai incredulo, mentre Alya correva verso il sentiero più agibile del bosco.

«V-vuoi aiutarci?» domandai, sospettoso.

«Sì.– rispose il moro –Nessuno si merita di condurre una vita che non vuole condurre.»

Mi calmai leggermente, tenendo comunque salda Marinette.

«Non possono essere andati lontano!»

La voce delle guardie si faceva sempre più vicina.

Alya tornò, trascinando con sé un grande carro coperto trainato da due cavalli.

«Entra, veloce.» mi sussurrò, avendo quasi paura che le guardie potessero ancora sentirci.

Mi alzai con fatica in piedi, tenendo la mora tra le mie braccia.

Nino si avvicinò per aiutarmi, ma io ringhiai allontanandolo.

«C-ci penso da solo.» dissi, entrando poi nel carro.

Ciò che ricordo di quel che accadde dopo è molto sfuocato.

Alya e Nino avevano incrociato le guardie e avevano detto di aver visto una coppia simile a quella della descrizione correre dalla parte opposta alla loro.

Io mi ero sdraiato a terra, tenendo Marinette sopra il mio petto per non farla entrare a contatto col legno.

Poi, il buio.

 

Quando i miei occhi si riaprirono, mi ritrovai disteso sopra un soffice letto in una stanza buia.

Mi passai una mano sul volto, sentendo le unghie sulla pelle.

I miei occhi si posarono sul braccio, e notai che il colore nero che avevo perso era finalmente tornato.

Dovevo aver ripreso il mio aspetto originale, l'aspetto che mostrava il limbo tra le mie due nature: umana e...

Le forma che ha mostrato a Marinette quell'orrido spettacolo...”

Marinette...

Mi misi a sedere di scatto, guardandomi intorno.

Dove era Marinette?!

«Ti sei svegliato.»

La voce di Alya mi arrivò alle orecchie e io mi voltai verso di lei.

«Dove è Marinette?» chiesi, quasi ringhiando.

Ci avevano aiutato è vero, ma conoscevano la nostra vera identità.

Se avevano anche solo osato torcerle un capello...

«Dorme nel letto nell'altra stanza, tranquillo.– mi rispose la rossa, sorridendomi –Le ho curato le ferite e presto si sveglierà.»

La guardai con fare sospettoso.

«Non volete consegnarci alle guardie?»

«Se avessimo voluto, lo avremmo già fatto.– disse lei –Non abbiamo intenzione di farvi niente, se non aiutarvi.»

Il mio corpo si rilassò.

«Dove siamo?» chiesi.

«In un piccolo villaggio vicino alla foresta,– rispose la ragazza –qui tutti odiano il principe e il suo modo di governare, quindi potete stare tranquilli.»

Silenzio.

«Quanto tempo ho dormito?»

«Due giorni.»

Quindi erano due giorni che Marinette non si svegliava...

«Non fare quella faccia preoccupata, la febbre le è scesa e respira normalmente.– intervenne Nino, entrando in quel momento nella camera –Vuoi andare da lei?»

Annuii, alzandomi dal letto e notando di indossare dei vestiti puliti e non più i soliti stracci che avevo da quando ero scappato da quella prigione.

«Questi...?»

«Sono miei, puoi tenerli, tranquillo.– mi disse il moro, sorridendo –Marinette indossa un vestito che ad Alya stava ormai stretto, è uno schianto con quello.» aggiunse poi, ricevendo una leggera gomitata dalla moglie e scoppiando a ridere.

«Vi ringrazio...» sussurrai, uscendo dalla stanza e dirigendomi nella camera in cui dormiva Marinette.

Finalmente, dopo tanto tempo, eravamo al sicuro.

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Capitolo 9
*** VIII - Patetico ***


Adrien

Patetico
 

Entrai nella stanza, portando subito lo sguardo sulla figura distesa sul letto.

«Marinette...!»

Mi avvicinai, mentre la preoccupazione iniziava a farsi sempre più strada dentro di me.

La ragazza indossava uno splendido vestito rosso, con ornamenti a forma di rosa dello stesso colore intorno al collo.

Il mio cuore ebbe un sussulto, quando il mio sguardo si posò sul suo volto, pieno di tagli e cerotti.

Continuai a osservarla e, ad ogni movimento dei miei occhi, notavo sempre più fasciature e medicazioni che avvolgevano il suo esile corpo.

Ma quando notai come era ridotta la sua gamba destra, mi sentii quasi morire dentro. Nonostante avesse infatti la fasciatura più grande e spessa di tutte le altre ferite, continuava a macchiare la garza di sangue e si riusciva quasi a vedere il grande taglio che l'aveva squarciata.

Mi inginocchiai accanto al letto, mentre la rabbia e la tristezza iniziavano a prendere il sopravvento.

Non ero stato capace di salvarla, anzi, l'avevo spaventata e ferita a causa della mia completa trasformazione...

«I punti più critici sono stati la gamba e il braccio.– la voce di Alya interruppe i miei pensieri, facendomi voltare verso al porta –Il braccio era pieno di tagli, ma sono riuscita comunque a fermare l'emorragia. La gamba invece...»

«Ci penso io.» sussurrai, iniziando a togliere la fasciatura.

«Come... ci pensi tu?»

«Posso curarlo, non è difficile. Però...– rabbrividii, osservando l'immensità della ferita –Potrebbe farle male...»

Sentii le lacrime pungermi gli occhi.

«Non iniziare a piangere adesso, sii uomo.» mi disse Nino, comparendo dietro alla moglie.

Mi voltai verso di lui, quasi ringhiando.

«Cosa c'è? Mi trovi patetico?»

«Sì.» rispose lui, secco.

Digrignai i denti, mostrando le zanne.

«Lo so. E' patetico il fatto che il grande e potente mostro Chat Noir pianga per una ragazzina umana.» ringhiai, tornando a osservare l'unica persona che mi avesse mai capito da quando mia madre se ne era andata.

«No, trovo patetico che tu da uomo pianga invece di aiutarla.– mi spiegò lui, posandomi una mano sulla testa –Non ti ho mai considerato il mostro che tutti dicono che sei, puoi stare tranquillo.»

Alzai lo sguardo, incredulo.

Il moro mi sorrise.

«Su, adesso fa il tuo dovere.» mi incitò, indicando Marinette.

Sorrisi leggermente a mia volta, mordendomi con forza il braccio e affondandoci le zanne.

«E-ehi! Che fai?!»

Lo ignorai, facendo cadere il sangue che mi usciva dalla ferita sullo squarcio della gamba della mora.

La ragazza digrignò i denti, stringendo le lenzuola del letto tra le dita.

Cercai di ignorare il fatto che le stessi facendo male, continuando a versare il mio sangue, finché dello squarcio rimase solo una quasi invisibile cicatrice.

Mi pulii il braccio insanguinato, mentre anche la mia ferita auto-inferta si rimarginava sotto lo sguardo incredulo di Alya e Nino.

«C-come...?» cercò di dire la rossa, posando lo sguardo prima su Marinette e poi su di me.

«E' tutto merito del mio sangue.– risposi, fasciando alzandomi a passando una mano sulla guancia di Marinette –Spero manterrete il segreto, non vorrei mi utilizzassero per creare medicinali.» aggiunsi poi, ridacchiando leggermente.

I due si scambiarono uno sguardo, scuotendo poi la testa.

«Sta tranquillo, non lo diremo a nessuno.» ridacchiò Nino.

«Adesso vieni a mangiare qualcosa, avrai fame.» mi disse Alya, sorridendo.

Annuii, portando un'ultima volta lo sguardo sulla ragazza distesa sul letto.

Qui siamo davvero al sicuro.” pensai, per poi seguire i due verso la cucina.

 

Altri tre giorni passarono tranquilli, mentre io e Marinette venivamo ospitati da quella gentile coppia.

Più restavo lì e più scoprivo cose interessanti sulla vita dei due: Nino faceva il cacciatore nei boschi dove cercava e raccoglieva anche erbe medicinali, funghi e frutta; Alya invece si occupava del negozio sotto casa, dove vendeva tutto ciò che le portava il marito insieme a dolci e succhi che cucinava sempre con gli ingredienti recuperati da Nino.

Attendendo il risveglio di Marinette, aiutavo Alya pensando alla casa e cucinando con lei quando possibile (senza ovviamente farmi mai vedere dai clienti).

Poi, passavo il resto del mio tempo nella stanza della mora, attendendo che aprisse gli occhi.

Da quel che diceva Alya, era più che normale che la ragazza continuasse a dormire così a lungo, visto tutte le ferite che le avevano inferto e i momenti difficili che aveva attraversato; ma io non riuscivo a capacitarmene, anzi, ogni giorno l'ansia aumentava e la paura di non vedere più i suoi bellissimi occhi azzurri si stava impossessando di me.

Così passavo quelle giornate, tra la noia e la preoccupazione che si faceva sempre più sentire.

Fino al sesto giorno dal nostro arrivo.

Era un fresco pomeriggio come tutti gli altri e io ero in cucina a macinare la carne cacciata di Nino (ovviamente a mani nude, avevo già rischiato troppe volte di farmi male con gli attrezzi che utilizzava Alya), quando la rossa entrò velocemente nella stanza.

«Oggi devi assolutamente restare qui.» mi disse, seria.

La guardai con fare sospettoso, continuando a giocare (perché sì, era alquanto divertente) con la carne.

«Perché?» domandai.

Alya si morse il labbro incerta sul fatto di dirmi o no cosa stesse succedendo.

«Alya.»

«E' arrivata la figlia del sindaco.– rispose lei, guardandomi preoccupata –Vi stanno cercando.»

Mi fermai, le mani ancora all'interno della carne.

«C-cosa?»

«Tu resta qui.– mi rassicurò la rossa –Non ti troveranno.»

«M-ma Marinette...»

«Starà bene. L'ho chiusa in camera.– cercò di calmarmi Alya, posando i suoi occhi su di me –Non fiatare, giuro che non vi succederà nulla.»

E poi uscì dalla stanza, correndo da Nino, lasciandomi completamente solo.

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