Maudits

di Scarcy90
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1
 
Notte buia e tranquilla.
 Notte impregnata di ricordi e rimpianti. Notte cattiva ma allo stesso tempo magnanima, colma di quell’armonia che solo il buio e il silenzio potevano elargire.
 Silenzio che donava pace. Silenzio che permeava le superfici vive di quella strada periferica, quasi di campagna, al di fuori della caotica città, troppo sporca e densa di rumore per essere degna di rispetto.
 Silenzio infranto.
 Il rombo di una moto in lontananza che procedeva tortuosamente lungo la strada. Divorava l’asfalto, liberando il suo possente ruggito. Gli pneumatici, ormai lisci per quanto consunti, non sempre aderivano completamente al catrame solido di quel serpente nero.
 Il pilota aveva notato quella instabilità ma non ci badò. Non ci voleva fare caso perché davvero non gli importava nulla di come la sua KTM aderisse all’asfalto.
 Quando il cuore sanguina, il cervello perde autorità, si scollega per cedere il suo posto al dolore più nero. Il dolore che ti logora dentro e ostacola qualsiasi ragionamento sensato.
 Sul casco del pilota si riflettevano a gran velocità le luci dei rari lampioni che quella strada di periferia vantava.
 Le luci scorrevano e ad ogni bagliore un ricordo, delle parole, tornavano nella mente dell’uomo.
 
 La nostra storia è stata importante.
 
 80.
 
 Non sono più certa di voler andare avanti.
 
 90.
 
 Anzi, sono sicura di non voler continuare.
 
 100. Scalo di marcia, la più alta.
 
 Sarai sempre un grande amico per me, non potrebbe essere altrimenti.
 
 110.
 
 Ma non posso continuare a mentire.
 
 120.
 
 Lo faccio perché ti voglio bene.
 
 130. Limite massimo, superato.
 
 Sono ancora innamorata di lui, e ho bisogno di stare con lui.
 
 L’acceleratore gracchiava, sotto la pressione di una velocità per cui non era stato collaudato. Le gomme cominciavano a diffondere nell’aria un deciso e chiaro odore di petrolio bruciato. Bruciava contro l’asfalto, bruciava come il cuore spezzato dell’uomo.
 
Ti ho tradito con lui, e non posso continuare a farlo. Io lo amo, non posso fare nulla contro ciò che provo, anche se vorrei.
 
 Lo pneumatico anteriore cominciò a cedere a causa della forte pressione. Stava per spaccarsi ma il pilota non sembrò farci caso. La sofferenza era troppa, nulla lo avrebbe distratto da quell’amarezza che pulsava dentro di lui con un’insistenza inimmaginabile.
 Impossibile combatterlo, il dolore.
 Improbabile seppellirlo.
 Mai sarebbe stato dimenticato.
 
 E’ finita.
 
 Un rumore sordo, acuto. Qualcosa si era spezzato. Qualcosa nell’anima dell’uomo e qualcosa al di fuori del suo corpo.
 La gomma aveva ceduto.
 La moto cominciò a sbandare e lui non riusciva a controllarla, o forse non lo desiderava affatto. Era appagante e liberatorio pensare che tutto avrebbe trovato un epilogo dignitoso proprio lì, su quella strada, sulla sua moto, nell’unico modo in cui lui avrebbe ritenuto giusto che finisse.
 Poi, una reazione automatica.
 La voglia di non morire per una stupida puttana! Riaffiorò in lui l’istinto di sopravvivenza che non avrebbe permesso a quella donna di vincere.
 No, lei non avrebbe vinto. Sarebbe stato troppo facile così.
 La mano si mosse da sola e strinse con forza il freno. La stessa forza con lui l’uomo di rese conto di non desiderare che la sua vita si perdesse in quelle circostanze, senza un motivo davvero valido. Il filo della sua vita era importante e nessuna Parca di merda lo avrebbe reciso per colpa di una donna altrettanto di merda!
 Frenò.
 Troppo tardi, solo per un secondo, ma troppo tardi.
 La moto inchiodò.
 Lui venne speronato e catapultato diversi, tanti, metri in avanti, nel bel mezzo della umile boscaglia.
 La visiera del casco si frantumò in decine di pezzi, alcuni si conficcarono nella fronte del pilota. Avvertiva un dolore lancinante alla gamba sinistra, la testa stava per scoppiare.
 La fine era giunta.
 Lo comprese dal buio che lo stava avvolgendo e dagli occhi che si chiusero senza che lui impartisse l’ordine.
 Ci aveva provato a combatterla ma aveva miseramente fallito, di nuovo.
 
 
*********
 
 
 -Chris, bisogna risolvere questa situazione.-
 -A cosa ti riferisci?-
 La ragazza sbuffò sonoramente in direzione dell’amico.
 -Non ho intenzione di passare ancora un altro turno a riempire armadietti e carrelli delle terapie con fisiologia, elettroliti e glucosate. Le infermiere degli altri turni potrebbero degnarsi ogni tanto di farlo loro.-
 Reparto di neurochirurgia dell’ospedale universitario. Due infermieri erano intenti a prendere da grandi scatoloni bottiglie in vetro e plastica con strane etichette sopra. I liquidi per le flebo.
 -Lisa, eddai. Non ci costa nulla farlo-, rispose il ragazzo con un sorriso.
 I due erano coetanei e amici da una vita.
 Stesso liceo, stesso corso di laurea in infermieristica, stesso ospedale in cui lavorare, stesso reparto fin da subito, stesso turno.
 Stesso animo nobile, dedito al loro compito.
 -Non dico che mi costa ma che spetterebbe anche a loro ogni tanto. Ne approfittano perché siamo i più giovani del reparto.-
 Chris sorrise divertito.
 -Se fossi stata un’acida infermiera cinquantenne non mi tratterebbero così.-
 -No, certo. Ti stenderebbero il tappeto rosso e si esibirebbero in sontuosi inchini al tuo passaggio.-
 La ragazza lo fulminò con lo sguardo.
 -Spiritoso.-
 -Ami il mio senso dello umor-, ammiccò lui con i suoi delicati occhi azzurri.
 -Ringrazia che siamo in un ospedale, tra poco potrebbe rivelarsi davvero utile per te.-
 Chris alzò gli occhi al cielo sempre più divertito.
 -Lisa, scopa di più. Non ti farebbe male.-
 -I cazzi tuoi mai, eh?-
 -Non è colpa mia se ti conosco come le mie tasche. Si vede che il dottorino non adempie come si deve al suo compito. Quando fai sesso regolarmente sei docile come un cucciolo di Labrador. Adesso somigli più a una mantide religiosa.-
 -Christopher Wells!-
 -Okay, okay. Rischio la morte, ricevuto.-
 Lisa si voltò, ricominciando a rimpinzare l’armadietto con le bottigliette. Stranamente le sembrava di appoggiarle con più forza e rabbia rispetto a poco prima.
 Forse perché Chris l’aveva punta sul vivo. Aveva individuato il tasto più dolente che potesse trovare. Era vero. Il suo fidanzato da quasi un anno, Theo Dawson, specializzando in neurochirurgia, ormai non la toccava più da un mese. Solo piccoli baci strappati in momenti di pausa durante i loro turni in comune in reparto. Nient’altro. Nulla che riuscisse a soddisfarla veramente.
La tesi per la specialistica mi tiene troppo impegnato, ti prego di perdonarmi se non sarò troppo presente.
 Una motivazione comoda, inattaccabile. Sarebbe stato crudele e insensibile da parte di Lisa obiettare. Perché lei lo aveva sempre detto che la carriera di Theo era importante, che non sarebbe stata la causa della sua distrazione.
 Però…
Va bene non essere molto presente, ma non fare sesso per un mese, sapendo di avere un fidanzato affascinante, dolce e romantico avrebbe reso acida chiunque. Soprattutto una come Lisa, che senza una dose giornaliera di contatto fisico cominciava ad uscire fuori di testa. Si sentiva come se fosse sottoposta ad una sindrome premestruale perenne.
 Il corpo di Theo le mancava, la sua dolcezza nel fare l’amore era insostituibile.
 Sapeva che era evidente e che il suo miglior amico Chris non ci avrebbe impiegato molto a fare due più due. Sentirselo sbattere in faccia così però, faceva sembrare tutta la situazione più deprimente di quanto non fosse.
 L’unica soluzione era sperare in quel ancora lontano venerdì sera. Mancavano solo tre interminabili giorni e poi finalmente Theo sarebbe stato costretto a festeggiare il loro primo anniversario. Non si sarebbe potuto tirare indietro, Lisa aveva un piano ben strutturato. Cena in un ristorantino intimo che conosceva bene, una passeggiata lungo il fiume e poi dritti nel suo appartamento dove gli avrebbe presentato il nuovo completino intimo acquistato il giorno prima in uno dei negozi di lingerie più costosi della città.
 Non sarebbe scappato.
 Non avrebbe potuto.
 Era il loro primo anniversario, accidenti!
 -Lis, smettila di pensare a come violentare Theo. Non sta bene.-
 -Christopher! Dacci un taglio.-
Il ragazzo prese gli scatoloni rivolgendole un sorriso sornione.
 -Vado a buttarli io.-
 Lisa vide il suo amico allontanarsi per portare gli scatoloni nel magazzino del reparto.
 Non poteva che dargli ragione. La sua acidità aveva raggiunto livelli inimmaginabili. Se avesse fatto l’amore con Theo almeno ogni tanto, le battute di Chris le avrebbero provocato solo un piacevole divertimento, una risata, e non la voglia di massacrare il mondo a furia di sprangate sui denti.
 Quando Chris riemerse dal magazzino in cui accantonavano i vuoti in attesa che li venissero a ritirare, i due si diressero in infermeria, il luogo che era degli infermieri e in cui solo, e soltanto, gli infermieri potevano riposare o parlare con i parenti dei pazienti.
 Ovviamente medici e specializzandi non seguivano le regole e molto spesso sostavano anche loro da quelle parti.
 -Layla-, cominciò Lisa sedendosi. I suoi occhi incontrarono quelli di Layla, una dolce infermiera sulla trentina, di colore e con splendidi, dolci, occhi neri. –Ti volevo chiedere… Ma ti deciderai mai ad andare in maternità? Stai per esplodere!-
 -Grazie, tesoro. Anche tu sei bellissima.-
 -Sai cosa vuole dire-, intervenne Chris cominciando a massaggiare con simpatia le spalle di Layla che subito sembrò rilassarti. –Questo lavoro non è adatto a una donna gravida a cui manca meno di un mese al termine.-
Layla si lasciò coccolare per qualche secondo prima di rispondere.
 -Ve lo volevo dire oggi. La caposala mi sta praticamente cacciando, questo è il mio ultimo turno. Da domani sono ufficialmente in maternità.-
 Lisa e Chris sorrisero, contenti che la loro collega, e amica, trovasse finalmente un po’ di quel meritato riposo che per loro era solo un miraggio lontano.
 Dopo la felicità, il sentimento che li avvolse fu un altro.
 Terribile e inesorabile.
 -Sai chi ti sostituirà?-
 Trovare dei colleghi di turno normali tra gli infermieri non era semplice, e Lisa fino a quel momento era stata fortunata. Prima o poi, però, il “demone” di tutti gli infermieri doveva arrivare, non si poteva scappare. La sostituzione di Layla le metteva addosso un brutto presentimento.
 -Ancora non lo so-, rispose la donna con sguardo interrogativo. –Non vi preoccupate. Siete due ragazzi d’oro, vi troverete bene con chiunque mi sostituirà.-
 Chris la fissò scettico.
 -Non credi neanche tu in quello che dici.-
Layla scoppiò a ridere.
 -L’ospedale è una giungla, lo sapete bene. Potrebbe capitarvi l’infermiere più rompicoglioni dell’intero universo.-
 Ecco appunto.
 -Tuttavia, sono fiduciosa. Chi mi sostituirà potrebbe anche essere una persona squisita. Cercate di essere…-
 Lo squillo del telefono interruppe la frase di Layla.
 Gli sguardi dei tre infermieri s’incrociarono. Durante il turno di notte il telefono non squillava mai, salvo che per emergenze.
 -Reparto di Neurochirurgia-, rispose Chris con prontezza.
 Ascoltò l’interlocutore dall’altra parte, rispondendo con cenni e monosillabi.
 Le colleghe sapevano bene ciò che stava accadendo.
 -Bene, siamo pronti. Avvertiremo subito il medico di guardia.-
 Riappese il telefono.
 -Il pronto soccorso ci manda un’emergenza dalla sala operatoria del DEA?- chiese Lisa con l’espressione di chi ne aveva prese tante di telefonate come quella.
 Chris annuì.
 -Un ragazzo di ventisette anni. Incidenti motociclistico, unico coinvolte. E’ stato operato da Gallagher per un ematoma subdurale di moderata entità. E’ stabile ma deve essere tenuto sotto osservazione.-
 -Gallagher? E da quando il prof abbandona il letto in piena notte per un intervento che qualunque neurochirurgo poteva eseguire?- la voce di Lisa era sorpresa.
 -Questo non lo so. Mi hanno solo detto che ha chiesto che non fosse mandato in traumatologia ma qui perché voleva controllare personalmente il suo periodo post-operatorio.-
 La due donne si guardarono spalancando gli occhi. Sapevano che il professorone non apprezzava il reparto di Traumatologia a causa di una disputa con uno dei professori che operava lì, ma addirittura non mandarci un paziente che poteva tranquillamente essere seguito in quel reparto sembrava assurdo.
 -C’è qualcosa sotto-, sentenziò Layla.
 -Qualunque cosa sia dovrà aspettare-, disse Chris. –Il paziente è arrivato.-
 Si precipitarono alla porta d’ingresso del reparto. Aiutarono i portantini a bloccare la grande porta di pesante metallo ed indicarono loro una stanza vuota dove sistemare il paziente.
 Entrarono in camera.
 -Lisa-, un medico entrò subito nella stanza. Alto, biondo, profondi occhi azzurri e occhiali con montatura nera che stavano ubbidienti sul naso, senza scivolare.
 -Theo? Che ci fai qui? Non eri di turno.- Lisa non poté fare a meno di notare il camice da sala operatoria indosso al suo fidanzato.
 -Gallagher mi ha chiamato per assisterlo.-
 Quel dinosauro di Gallagher stava davvero perdendo la brocca, non aveva mai fatto una cosa del genere. Che si trattasse di demenza senile? Probabile.
 -Appena il paziente è nel letto, dovresti rilevare la pressione arteriosa bilaterale, la saturazione, la frequenza cardiaca e la temperatura corporea. Fallo tu, per favore. Pare che Gallagher consideri questo sprovveduto alla stregua del Papa in persona. E’ stato in grado di far alzare il culo a quel tiranno in piena notte.-
 -Certo-, rispose lei mentre i suoi colleghi sistemavano il paziente nel letto che fino a poco prima era immacolato e intonso.
 Corse in infermeria a prendere tutto il necessario.
Sfingomanometro, fonendoscopio, saturimetro, termometro. C’era tutto.
 Tornata in camera vide che tutti stavano uscendo.
 -Registro io il paziente in consegna, tu pensa tranquillamente ai parametri vitali-, disse Layla. –Letto 19, pare che si chiami Julian Blackwood. Probabilmente è vivo per miracolo.-
 Lisa annuì con sguardo pronto.
 -Se ti servo sono in sala medici a compilare la cartella-, disse Theo lasciandole un piccolo bacio tra i capelli. –Appena hai i parametri raggiungimi lì, c’è da compilare una bella cartella. Avrò da scrivere per un po’.-
 Lisa osservò per un secondo il suo fidanzato allontanarsi. Ormai era abituata a quella routine. Le sue doti da infermiera erano le sole cose che ormai sembravano interessare al suo, cosiddetto, fidanzato.
 Entrò in camera e capii subito di essere rimasta sola con il paziente. Persino i portantini erano andati via e Chris, probabilmente, stava preparando la terapia di liquidi post-operatoria.
 Osservò per un attimo il nuovo paziente da lontano e non sembrava un bello spettacolo. La testa fasciata dopo l’intervento chirurgico, la gamba sinistra era completamente ingessata, e un’altra fasciatura gli avvolgeva il torace.
 Ematoma subdurale. Frattura del femore, forse anche tibia. Quattro o cinque costole incrinate. Non aveva bisogno di leggere la cartella, non ancora compilata, per intuire, con quasi assoluta certezza, la diagnosi di quel ragazzo sventurato. E ancora meno le serviva per capire che la moto su cui era alla guida non stava rispettando i limiti di velocità. Doveva aver fatto un volo di diversi metri per ridursi in quello stato, e solo correre come un forsennato poteva aver dato quel preciso risultato.
 -Spero solo che avessi un buon motivo per andare così veloce-, mormorò lei scuotendo la testa mentre si avvicinava al paziente.
 Appoggiò tutti gli strumenti sul letto pronta a rilevare, uno per uno, i parametri richiesti.
 Prese una mano dell’uomo, era gelata. Le sale operatorie possedevano il clima dell’Antartide e in più doveva aver perso molto sangue durante l’intervento in sala. Prima di continuare prese la coperta poggiata ai piedi del paziente e lo coprì come meglio poteva. Almeno gli avrebbe dato un po’ di sollievo.
 Con cura sistemò il saturimetro sull’indice della mano destra, in attesa che il piccolo strumento rilevasse frequenza e saturazione.
 Sistemò il bracciale dello sfingomanometro poco sopra l’incavo del gomito, come da manuale. Ci sistemò sotto il fonendoscopio e pochi istanti dopo rilevò una pressione arteriosa un po’ alterata, era sopra la norma. Piuttosto normale dopo un intervento al cervello di quella portata. Inoltre bisognava considerare la reazione della pressione all’anestesia non ancora smaltita.
 Fece la stessa cosa con l’altro braccio. Identico risultato.
 Il saturimetro annunciò buone notizie. I valori di frequenza e saturazione erano nella norma.
 Mancava solo la temperatura.
 Si chinò sul viso del paziente.
 Nonostante la situazione, gli ematomi e le escoriazioni che presentava, la donna non poté fare a meno di notare che quell’uomo aveva un volto decisamente affascinante. Un viso dai lineamenti decisi e squadrati. Il naso dritto e simmetrico, i capelli neri, forse un po’ mossi, che si intravedevano sotto la fasciatura e una barba, forse leggermente troppo lunga ed incolta, che lo rendeva più maturo degli anni che aveva. Le ciglia lunghe e scure come i capelli, la forma degli occhi allungata e ben delineata.
 Chissà di che colore erano quegli occhi disegnati in modo magistrale dalla genetica umana.
 Posò una mano sulla guancia del ragazzo e con delicatezza inserì il termometro auricolare nell’orecchio. Lo strumento emise subito un bip e Lisa notò che la temperatura era leggermente alta. Anche questo era normale dopo l’intervento subito.
 Non sembrava ci fossero dati preoccupanti. Variazioni comuni dopo il trauma, dati che aveva rilevato in centinaia di altri pazienti in condizioni anche peggiori.
 La sua mano si soffermò un po’ troppo sulla guancia dell’uomo, che forse per il contatto o probabilmente per l’effetto dell’anestesia che cominciava a svanire, aprì lentamente gli occhi.
 Lisa ritrasse la mano, come scottata.
 Marroni. Un marrone intenso e caldo.
 Di quel colore erano quegli occhi così grandi e delineati. La loro forma si avvicinava in modo impressionante a quella di un bel paio di occhi mediorientali.
 -Se… Sei… Sei un angelo?-
 Un sorriso sfuggì alle labbra della ragazza.
 -Sono…-, la sua bocca doveva essere impastata. Non riusciva a scandire bene le parole. –Sono… Morto?-
 Lisa fece cenno di no con la testa.
 -Sei reale, allora?-
 -Sì.-
 Ci fu una pausa di qualche secondo.
 -Vuoi sposarmi?-
 Qui le ci volle un enorme autocontrollo per non scoppiare a ridere, non era la situazione più adatta. Le avevano insegnato la discrezione, prima di ogni cosa la discrezione con i pazienti.
 Non doveva dimenticarlo.
 Posò con delicatezza una mano sul braccio dell’uomo e avvertì chiari sotto il suo palmo i muscoli tesi e anche scolpiti di lui.
 -Julian, riposa. Sei ancora intontito, domani ti sarà tutto più chiaro.-
 Il giovane fece appena un cenno con il capo e chiuse gli occhi. Erano pesanti, non sarebbe stato comunque in grado di tenerli aperti a lungo.
Lisa si lasciò andare ad un ultimo sorriso. Guardare il volto di Julian la faceva sentire stranamente serena. Forse perché le sarebbe piaciuto provare le droghe che avevano dato a lui. Ma anche il fatto che avesse un viso così bello e un corpo che, almeno da ciò che riusciva a vedere, non aveva nulla da invidiare a nessun altro che avesse mai incontrato. Quelle labbra erano perfette e carnose…
 -Lis, non puoi violentare i pazienti sotto anestesia. Neanche se lo stupro rimane circoscritto nella tua mente perversa.-
 Lisa sobbalzò e si allontano di un paio di passi dal letto.
 -Christopher! Ma che dici!?-
 -Sei arrossita, per poco non ti prende un infarto, e hai usato il mio nome per esteso. I tuoi pensieri su quel povero ragazzo dovevano avere un bel bollino rosso stampato sopra.-
 Chris entrò con in mano una grossa sacca colma di liquido trasparente e un piccolo macchinario che sembrava pesare qualche chilo.
 -La sistemo io la pompa d’infusione con i liquidi-,annunciò cominciando a fissare il macchinario sull’asta per le flebo, agganciandolo proprio al centro con un morsetto. –Tu vai a raffreddare i tuoi bollenti spiriti da un’altra parte.-
 -Christop…-, mormorò lei con rabbia pura nella voce.
 -Sì, lo so. Lo so. Sono un uomo morto e bla bla bla. Vai adesso.-
 Lisa uscì da quella stanza senza più dire mezza parola.
 Doveva andare da Theo e chiarire questa storia del sesso, prima di mettersi a violentare mezzo reparto a causa dei suoi bisogni inappagati.
  Julian aprì gli occhi, molto lentamente.
 Un uomo era al suo fianco. Vestito di bianco e con strani ricci biondo rossicci sulla testa.
 -Dov’è l’angelo?- chiese in un sussurro appena udibile.
 -L’angelo?- chiese Chris confuso.
 Julian mosse gli occhi a destra e a sinistra ma non vide da nessuna parte la creatura bellissima di poco prima.
 -Era qui, fino a un attimo fa.-
 Chris lo guardò per un attimo e poi capì. Un sorriso divertito gli si dipinse sulle labbra.
 -Ah, l’angelo… Non ti preoccupare, lo rivedrai molto presto. E’ probabile che ti salti addosso nel sonno, e credo che ti piacerà molto.-
 -Ma cosa…?-
 -Nulla, domani ti sarà tutto più chiaro.-
 Julian non rispose.
 L’anestesia aveva di nuovo preso possesso della sua mente, relegandolo in un sonno profondo in cui riusciva a distinguere solo delle enormi ali bianche spiegarsi davanti ai suoi occhi increduli.
 
 
 Lisa bussò con calma ad una porta in fondo al corridoio del reparto.
 -Avanti- disse la flebile voce aldilà della barriera che li separava.
 La ragazza abbassò con calma la maniglia e fece il suo ingresso nella sala medici. Theo era seduto al grande tavolo ovale delle riunioni, teneva la testa bassa e stava scrivendo qualcosa. Erano i momenti di Theo che a Lisa erano sempre piaciuti di più. Così concentrato ed assorto, bello come un dio, intelligente come nessuno. Era affascinante. Troppo.
 Più Lisa lo osservava e meno riusciva a sopportare l’idea di non potergli strappare tutti i vestiti e prenderlo lì, su quel tavolo. Già una volta in quel posto avevano dato sfogo alla loro passione, e lei si scoprì quasi sorpresa nello sperare che accadesse ancora, lì e in quell’esatto momento.
 -Ecco i parametri che mi hai chiesto.-
 Posò un foglio sulla pila di cartelle cliniche che stava davanti al suo fidanzato e rimase in attesa che lui dicesse qualcosa.
 Continuava a scrivere senza sosta e ci mise diversi secondi prima di sollevare la penna e dedicarsi ai dati che Lisa aveva sottoposto alla sua attenzione.
 -La pressione… Non è esattamente delle migliori, anche se ha subito un intervento. Per evitare rischi somministrategli una piccola dose di antipertensivo, le gocce orali andranno bene. Tra un’ora rilevate nuovamente la pressione e venite subito ad informarmi se è ancora così elevata.-
 Detto ciò mise da parte il foglio e tornò a dedicarsi alla stesura del suo resoconto medico.
 Non aveva alzato lo sguardo neanche per un attimo da quando Lisa aveva messo piede in quella stanza.
 Se Lisa non avesse posseduto l’autocontrollo più sviluppato al mondo, avrebbe spalancato la bocca e sgranato gli occhi per quello che aveva appena sentito. Mai, da quando conosceva Theo, si era rivolto in un modo così professionale e formale nei suoi confronti. Le aveva sempre chiesto con gentilezza i favori e mai aveva usato il plurale, come se fosse stata una qualsiasi infermiera. L’aveva sempre, sempre, chiamata per nome.
 -Tutto bene, Theo?- chiese lei decisa a capire cosa stesse accadendo.
 -Certo, perché me lo chiedi?-
 I suoi occhi non si sollevarono mai da quella maledetta cartella clinica.
 -Ti ricordi la cena per il nostro anniversario, vero?- a quel punto ogni dubbio era lecito.
 -Ovvio, ricordo tutto. Tranquilla.-
 Il massimo del romanticismo, non avrebbe potuto adottare un tono più gelido di quello.
 -Torno a lavoro-, Lisa riuscì a malapena a celare la decisa nota di delusione che chiunque, solo guardandola in volto, avrebbe scorto senza alcun tipo di problema.
 -A dopo.-
 Queste furono le ultime parole di Theo prima che Lisa lasciasse la sala medici, richiudendosi la porta alle spalle.
 La tesi per la specialistica, il lavoro in ospedale, lo studio… Lisa avrebbe potuto giustificare Theo all’infinito per il suo atteggiamento, ma perché neanche un sorriso o uno sguardo? Il loro rapporto si era raffreddato nell’ultimo mese ma lei aveva sempre provato a comportarsi come al solito, visto che lui le aveva chiesto di avere pazienza. Eppure quell’atteggiamento così freddo e distaccato non lo sopportava, poiché lei conosceva perfettamente la dolcezza di cui quello specializzando dagli occhi di ghiaccio era in grado di dimostrare.
Si appoggiò con la schiena al muro.
 Era caldo, come tutto in ospedale.
 Proprio per quello aveva scelto di fare l’infermiera fin da piccola. La gente credeva che gli ospedali fossero gelidi e asettici ma lei aveva sperimentato più sfumature di sentimenti tra quelle mura che in qualunque altro posto.
 Dolore.
 Gioia.
 Gratitudine.
 Perdita.
 E ora confusione.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2
 
 Il sole era già alto e scaldava l’aria di quella mattina inoltrata di fine inverno. Fuori la luce la faceva da padrone ma all’interno della camera tutto era avvolto dal buio, causato dalle finestre completamente serrate ad impedire l’ingresso del più minimo fascio luminoso.
D’un tratto il rumore stridulo e fastidioso di una sveglia iniziò a diffondersi con una certa insistenza. Le quattro mura dipinte di un leggero arancione, caldo e rilassante, apparivano scure e pesanti in assenza di una fonte luminosa. Appese sulle pareti molte foto raccontavano la vita che qualcuno aveva vissuto. Vacanze, scuola, compleanni, parenti, amici. Le fotografie di tutte le persone più importanti per l’inquilino di quella camera.
 Una mano piccola e sottile si sporse da sotto un lenzuolo giallo e arancione. Raggiunse l’origine di quel suono maledetto, con la precisione di chi quel gesto lo aveva fatto migliaia di volte.
 La sveglia sul comodino tacque, dopo che la piccola mano l’aveva zittita a suon di colpi.
 Un mugugno indistinto si sollevò dal groviglio di lenzuola.
 -Il tuoi risvegli mi catapultano direttamente in un film horror, lo sai?-
 -Sta’ zitto, Chris! Voglio dormire!-
 Una risata cristallina e divertita invase il tenebroso ambiente.
 La risata di un ragazzo che se ne stava sulla porta, in mano una tazza ricolma di caffè, le spalle appoggiate allo stipite e uno sguardo ilare che si abbinava perfettamente ai suoi riccioli biondo- rossicci.
 -Lis, la caposala va via dal reparto tra un’ora. E’ la terza volta che rimandi la sveglia.-
 Caposala… Un’ora… Va via.
 Parole sconnesse che nella mente assonnata di Lisa non assumevano un senso compiuto.
 -Cinquantanove minuti e il cambio turno per l’anniversario te lo scordi.-
 Cambio… Anniversario… Turno.
 Le richiamavano qualcosa alla mente.
 Spalancò gli occhi con orrore.
 Il viso di Theo le apparve improvvisamente davanti e insieme ai suoi occhi dolci e attraenti, anche il suo corpo statuario fece capolino nei meandri della sua immaginazione.
 -Devo andare!- esclamò scattando in piedi e cercando di raccattare qualcosa di decente da mettersi rovistando nella montagna di vestiti abbandonati sulla sedia davanti alla sua scrivania.
 -Buongiorno principessa-, mormorò Chris sorseggiando il suo caffè con aria sorniona.
 -Buongiorno un bel paio di cavoli! Coinquilino degenere! Avresti dovuto svegliarmi mezz’ora fa!-
 Lo sguardo di Lisa era a dir poco furibondo.
 -Ma dormivi così beata grazie al sottofondo della dolce melodia che intoni russando. Comunque io mi sono svegliato non più di cinque minuti fa, giusto il tempo di preparare il caffè. Ti vorrei ricordare che non ho intenzione di farti da sveglia, hai visto come tratti quella poverina? Non ho intenzione di prenderle da te.-
 Lisa sfilò i pantaloncini del pigiama pronta a sostituirli con un bel paio di jeans aderenti ma comodi. Ormai non aveva più alcuna vergogna nel restare in intimo davanti al suo amico Chris. Erano coinquilini da così tanti anni che gli unici ormoni che avevano in circolo quando erano insieme di certo non erano di natura sessuale.
 Non erano due amici, ma due fratelli.
 -Non dovevi vederti con Erika stamattina?- chiese lei sorpresa mentre copriva il suo reggiseno bianco in microfibra con una canotta grigia molto semplice.
 -Mi ha dato buca. Ha detto di non aver bisogno del mio aiuto per oggi.-
 -Io ancora devo capire se questa è la tua ragazza o la bambina a cui fai da baby sitter.-
 Chris bevve un altro sorso di caffè con una tranquillità sorprendente.
 -Mi piace aiutarla a studiare e poi finché me la concede per tre sere a settimana a me va più che bene. E’ così selvaggia e disinibita. Aiutarla nello studio è un piccolo prezzo che pago volentieri se poi in cambio ottengo regolare sesso sfrenato.-
 Fece spallucce mentre Lisa si legava i lunghi capelli castani in una coda di cavallo alta.
 -Lo sai che la tua freddezza nei confronti del sesso femminile sarà la tua rovina un giorno? Cosa pensi di fare quando ti innamorerai sul serio di una donna?-
 Questa volta Chris scoppiò in una vera risata.
 -Pensi davvero che io mi possa innamorare, Lis? Sono allergico all’amore, ricordatelo.-
 Lisa gli lanciò uno sguardo irato.
 -E poi a che mi serve innamorarmi? Le ragazze da portarmi a letto non mi mancano e se ho bisogno di parlare vengo da te. Non ho obblighi o impegni seri, e ogni mia ragazza di turno mi ha sempre donato qualcosa.-
 -Immagino cosa…- insinuò Chris mentre cercava di truccarsi decentemente.
 -Lo sai che mi piace sperimentare.-
Lisa vide il suo amico riflesso nello specchio mentre si esibiva in un plateale occhiolino.
 -No, non lo so. E non lo voglio sapere. I particolari della tua scabrosa vita sessuale, tieniteli per te.-
 -Dici sempre così eppure come ascolti quando ti racconto quello che faccio…-
 Lisa afferrò un cuscino dal divanetto e lo lanciò dritto in faccia all’amico.
 -Ho capito l’antifona, tolgo il disturbo-, disse lui con sorriso furbo dipinto sul volto.
 -Sempre il solito-, mormorò Lisa una volta che Chris fu fuori dalla sua stanza.
Si diede un’ultima occhiata allo specchio. Era un mezzo disastro ma non aveva tempo per fare di meglio.
 La Caposala Burton era sempre molto rigida e precisa. Per i cambi turno voleva essere avvisata di persona entro il suo orario di lavoro. Entro le tredici in punto di ogni giorno, sabato e domenica esclusi. E in quel momento a quella precisa scadenza mancavano poco più di trenta minuti, venti dei quali sarebbero serviti a Lisa solo per essere in ospedale.
 -Io vado!- esclamò aprendo la porta che dava sul pianerottolo di quel piccolo appartamento che lei e Chris condividevano da più di cinque anni.
 -Niente caffè e sigaretta?-
 Lisa e Chris non erano dei veri e propri fumatori ma avevano i loro immancabili riti. Caffè insieme ogni mattina, seguito da una sigaretta. Bicchiere di vino prima di andare a dormire, seguito da una sigaretta. Le loro dosi di nicotina finivano lì, a meno che non uscissero a bere o a ballare, lì se ne concedevano qualcuna in più.
 -Hai visto che ore sono?!- urlò lei afferrando la borsa. –Non ho neanche il tempo di respirare, figuriamoci di fare una delle nostre eterne colazioni.-
 -Okay, però non scordare il pranzo con tua madre-, rispose lui dalla cucina con una vocina divertita.
 -Ma che sei? La mia agenda?-
 Lisa alzò gli occhi al cielo.
 Se n’era dimenticata ed esistevano milioni di motivi per cui dimenticarsi di un pranzo con sua madre risultava sempre così tremendamente semplice.
La porta del reparto le si stagliò davanti dopo una corsa per le scale che le aveva mozzato il fiato. Fortuna che non l’aveva fumata quella sigaretta, altrimenti ci avrebbe perso un polmone nel salire quegli innumerevoli gradini.
 Digitò velocemente il codice composto da quattro cifre sulla tastiera numerica della grande porta di metallo ed entrò nel reparto esattamente dieci minuti prima che il turno della Burton arrivasse al capolinea.
 Si precipitò in infermeria e la vide lì, seduta alla sua scrivania con gli occhi fissi e concentrati sullo schermo del computer. Nonostante fosse severa e avesse rimproverato Lisa almeno un milione di volte, spesso per errori non commessi da lei, la ragazza ammirava quella donna con ogni cellula del suo corpo.
 Si faceva rispettare da tutti, primario compreso, e nessuno aveva il coraggio di contraddirla in pubblico. Il reparto funzionava alla perfezione anche grazie al pugno di ferro con cui mandava avanti tutta la baracca.
 Lisa non conosceva la vera età della caposala Margareth Burton ma ad occhio e croce aveva passato da poco i cinquanta. Corti capelli biondi, glaciali occhi scuri e un’espressione perennemente concentrata che incuteva terrore.
 Non aveva figli. Lei e il marito vivevano in un tranquillo paesino molto fuori mano. Fatto che costringeva la caposala ad alzarsi ogni giorno alle quattro del mattino per essere in reparto alle sette in punto.
 Tutta quella diligenza verso il lavoro si avvertiva nell’aria quando lei era nei paraggi, e l’intero personale s’impegnava al massimo per schivare una delle ramanzine della Burton, diventate celebri in tutto l’ospedale.
 -Caposala Burton, buongiorno.-
 -Oh, Lisa Light. Qual buon vento ti conduce tra queste quattro mura dopo un turno di notte? Sono stata anche informata che non è stato carente di emozioni.- Non aveva alzato gli occhi dal computer neanche per un attimo.
 -Sì, siamo stati indaffarati stanotte-, ammise lei. La caposala sapeva sempre tutto. Anche quando tornava dal periodo di ferie era a conoscenza deli eventi capitati ogni singolo giorno. Impossibile non trovare la questione piuttosto inquietante.
 -Ve la siete cavata bene, ne sono molto soddisfatta-, questa volta alzò gli occhi e li fissò in quelli della giovane infermiera. –Allora, immagino che se ti trovi da queste parti, affannata per paura di non vedermi nei paraggi, tu senta il bisogno di chiedermi qualcosa.-
 -In effetti mi servirebbe un cambio turno per sabato mattina-, Lisa lo disse tutto d’un fiato, la caposala aveva la brutta abitudine di interrompere chiunque. Meglio prevenire che curare.
 -Fammi indovinare-, un sorrisetto apparve sulle labbra della caposala. Non era esattamente ciò che poteva essere definito un buon segno. –Venerdì sera è l’anniversario del dottor Dawson e tuo. L’intenzione è quella di fare baldoria per tutta la notte, quindi non saresti in grado di essere abbastanza reattiva per presentarti in reparto alle sette del mattino?-
 Lisa ammutolì spalancando gli occhi.
 -Ci ho preso, cara?-
 La ragazza si limitò a muovere il capo su e giù in segno d’assenso.
 La caposala scoppiò a ridere.
 -Tranquilla, Light-, si asciugò una lacrima sfuggita in quel momento di ilarità. -Non ti sto spiando. Il dottor Dawson ha dato questa spiegazione, non proprio con i termini che ho utilizzato io, per chiedere un cambio al professore. Ero lì quando lo ha chiesto, quindi ti stavo aspettando. Sei troppo corretta per non venirmelo a chiedere di persona, nonostante tu abbia fatto la notte.-
 Lisa sbatté le palpebre dandosi mentalmente della stupida per aver pensato che la caposala si fosse trasformata in una specie di mostro alieno che riusciva a vedere il futuro.
 -Ti concedo il cambio, ho già chiesto a Grace Willis se avesse bisogno di qualche ora di straordinario e ha subito accettato. Presumo che dover mantenere quattro figli sia alquanto dispendioso.-
 -Immagino di sì- rispose Lisa ancora sbalordita.
 -Comunque, Light- ricominciò la caposala dando un’occhiata veloce all’orologio e alzandosi in piedi. –Devo ammettere che assistere alla conversazione tra il dottor Dawson e il primario è stato un evento alquanto rivelatore.-
 Fece qualche passo verso la ragazza.
 Lisa era sempre più confusa.
 -Lasciati dire da una vecchia signora, con alle spalle trent’anni di matrimonio, che il modo accorato con cui il dottore ha chiesto il cambio turno mi fa sospettare che lui abbia in mente qualcosa di speciale per il vostro anniversario. Non mi sorprenderebbe venire a sapere che magari ti porrà una domanda molto importante a cui tu sarai chiamata a rispondere.-
 Gli occhi di Lisa si spalancarono. Si stava riferendo ad una fantomatica proposta di matrimonio?
 -Sarai pronta a rispondere, mia cara Light?-
 “Bella domanda”. Rifletté Lisa. “Davvero una bellissima domanda”.
 Fino a quel momento l’idea di sposarsi non le aveva mai attraversato neanche l’anticamera del cervello. In più amava Theo, ma entrambi erano ancoro così giovani, non se la sentiva ancora di considerarlo suo marito. Theo non aveva per niente l’aspetto di un marito, accidenti!
 -Bene, il mio turno finisce qui- disse la caposala con un sorriso sincero. Si diresse verso la porta ma prima di abbandonare la stanza si fermò sulla soglia. –Rifletti bene su ciò che ti ho appena detto, perché una volta fatto sarà per sempre.-
 Tipico della caposala.
 Sganciava la bomba per poi dileguarsi nel nulla.
 Più Lisa pensava a quello che la Burton aveva appena detto e meno la credeva una cosa possibile. Theo era un uomo romantico, certo, ma anche molto pragmatico. Non avrebbe mai fatto una proposta di matrimonio senza neanche aver finito la laurea specialistica.
 O forse sì?
 Magari i sentimenti che provava per lei erano di una tale intensità da spingerlo a farle una proposta di così grande importanza.
 Lisa scosse la testa cercando di svuotare la mente. Non poteva farsi influenzare da una conversazione mezza origliata dalla caposala, doveva restare con i piedi per terra. Anche se l’idea di Theo inginocchiato ai suoi piedi con un anello di diamanti in mano era la scena più bella che avesse immaginato. Non sapeva cosa gli avrebbe risposto, ma avrebbe dato di tutto perché quella scena prendesse davvero forma davanti ai suoi occhi.
 Cercò di scacciare quei pensieri e si diresse verso l’uscita del reparto quando si bloccò di colpo.
 Ormai si trovava là, tanto valeva andare a controllare ciò che le aveva dato un po’ di pensiero durante tutta la notte.
 Perciò si voltò e si diresse lungo il corridoio del reparto.
 I suoi passi si arrestarono davanti a una porta.
 Letto 19, questo c’era scritto su una targa in plastica.
 -Speriamo stia bene, era conciato male stanotte-, mormorò tra sé e sé. Le altre infermiere erano impegnate con le consegne quindi non avrebbero fatto caso se fosse sgusciata un attimo nella stanza del signor Julian Blackwood per controllare le sue condizioni.
Bussò alla porta.
 Sentì una voce che la invitò ad entrare.
 Una volta nella stanza notò subito con grande piacere che il signor Blackwood era sveglio. Diverse aste con flebo e monitoraggi circondavano il suo letto, nonostante ciò Lisa notò subito dando uno sguardo agli schermi che i parametri vitali erano nella norma.
 Lui la fissò per un lungo istante prima di inarcare le sopracciglia confuso.
 -Ci conosciamo?-
 -Sono la sua futura moglie-, rispose lei con tono serio.
Blackwood spalancò gli occhi sorpreso.
 Lisa si aprì in un grande sorriso. Alla fine era stato lui a farle la proposta, e adesso la guardava sbalordito senza neanche riconoscerla? Forse era un po’ presto per gli scherzi, il paziente si stava appena riprendendo.
 -Non si preoccupi, sono solo una delle infermiere che erano di turno stanotte. La mia era solo una battuta per tirarla su di morale.-
 Il viso dell’uomo si rilassò ma il suo sguardo sembrava colmo di rabbia. Quei bellissimi occhi dal tagli mediorientale stavano per buttare fuori vere fiamme.
 -La prossima volta che vuole giocare, signorina, le consiglio di comprare un biglietto per il Luna Park. Magari evitando accuratamente di passare dalla mia stanza, le assicuro che la sua presenza qui non è gradita.-
 -Come, prego?-
 -Ha capito benissimo. Il suo scherzo non mi è piaciuto. E’ questo il risultato della laurea che ha conseguito e di tre anni di studi? Fare il pagliaccio con i pazienti che hanno appena subito un intervento al cervello? Lei la professionalità non sa nemmeno dov’è di casa!-
 Lisa stava per fulminarlo con gli occhi tanto era arrabbiata.
 -E lei è sempre così stronzo o è la mia particolare presenza a renderla così ispirato?-
 -Sempre più professionale-, mormorò lui irritato.
 -Sempre più stronzo-, disse lei trattenendosi a stento dall’urlare. Va bene l’atteggiamento assertivo e il dovere di mettere ogni paziente a proprio agio, ma gli insulti non li avrebbe accettati nessun infermiere con un po’ di sale in zucca.
 Si fissarono negli occhi per diversi secondi. Fiamme contro fiamme. L’incendio era stato inevitabile e lo spegnerlo risultava impossibile.
 -La invito a lasciare subito la mia stanza. Ho bisogno di riposo, non di un giullare in gonnella.-
 -Non chiedevo altro che essere cacciata!- esclamò lei furiosa. –Non merita le attenzioni di nessuno! Stronzo!-
 -Un po’ monotono come concetto, usa sempre lo stesso epiteto per descrivermi.-
 -E’ quello che le si addice meglio!-
 Lisa si voltò di scatto. Quegli occhi marroni che durante la notte le erano parsi così caldi e avvolgenti, d’improvviso si erano trasformati in due pezzi di ghiaccio ricolmi di rabbia e disgusto.
 Uscì subito dalla stanza, e si diresse di gran carriera fuori dal reparto, andando quasi a sbattere contro un ragazzo mingherlino e occhialuto, con lunghi capelli neri stretti in una coda.
 Si scusò, scappando via velocemente per evitare che il suo pessimo umore le facesse combinare un guaio.
 Come si permetteva uno stronzo del calibro di Julian Blackwood a trattarla in quel modo?! Anche se in maniera minore, lei aveva contribuito a salvargli la vita. Avrebbe potuto dimostrarsi almeno un tantino grato per il tempo che lei gli aveva dedicato.
 Aveva la sensazione che quel paziente sarebbe stata una sfida molto, molto, difficile. Non poteva neanche pensare a quanto si sarebbe rivelato difficile sopportare quell’uomo per interi turni di lavoro.
 Julian Blackwood si era presentato come il prototipo di paziente che tutto il personale del reparto avrebbe cercato di evitare. Lisa ne aveva incontrati tanti come lui e già sentiva nell’aria che gli infermieri, e forse anche i medici, avrebbe contato persino i secondi che mancavano al giorno in cui sarebbe stato dimesso.
 Un giorno piuttosto lontano, date le sue condizioni.
 Il reparto sarebbe diventato invivibile.
Mentre si dirigeva al ristorante dove sua madre, maniaca della precisione, la stava sicuramente aspettando già da dieci minuti abbondanti, decise di fare un piccolo punto della situazione di quella mattinata improbabile.
 Punto primo. Era stata svegliata, in tremendo ritardo, da un coinquilino i cui modi erano alquanto discutibili.
 Punto secondo. La figuraccia che le era toccata con la caposala Burton non se la sarebbe dimenticata per parecchio tempo.
 Punto terzo. Era venuta a scoprire che forse il suo fidanzato, un bellissimo specializzando ultimamente più glaciale di un iceberg, aveva intenzione di chiederla in sposa durante la cena per il loro anniversario.
 Punto quarto. Il paziente del letto diciannove, il signorino Julian Blackwood-non è professionale fare il pagliaccio in gonnella, era il più grande esempio di stronzo snob che avesse mai incontrato.
 L’ultimo punto in particolare la sconcertava.
 Il suo rapporto con i pazienti era sempre stato idilliaco, persino con persone più complicate di Blackwood, ma quel ragazzo… Aveva come la sensazione che non ci sarebbe stato mai modo di avere un rapporto civile con lui.
 Per lei era una vera e proprio sconfitta.
 Se poi a tutti i punti si stava per aggiungere sua madre che la salutava con la mano sventolante in fondo alla sala del ristorante, con il suo solito sguardo divertito ma allo stesso tempo pieno di rimprovero, i punti di quella mattinata salivano a quota cinque e questo si trasformava subito nel peggiore di tutti.
 Lisa avanzò verso il tavolo che ad ogni passo somigliava sempre di più ad un patibolo.
 Si preparò mentalmente alle solite domande che la madre le avrebbe posto, come ad ogni singolo incontro e telefonata.
 -Come stai, tesoro? Mangi abbastanza.-
 -Si, mamma tranquilla.-
 -Con Theo tutto bene, vero?-
 -Sì, certo mamma.-
 -Il matrimonio? Ci state pensando?-
 -Ovviamente, mamma, ma credo sia ancora affrettato parlarne con te.-
 L’aria annoiata di Lisa che si avventava sul suo piatto di lasagne non fece demordere sua madre Catherine, che continuò imperterrita finché non arrivo al nocciolo di ogni discorso che avevano affrontato da lì ai due anni precedenti.
 -Lo sai che non vedo l’ora di avere dei nipotini, vero tesoro?-
 Un sorso di vino rosso bello corposo e Lisa riuscì a mandare giù ancora una volta quell’enorme rospo che le si bloccava proprio sopra l’esofago ogni volta che la sua adorata genitrice se ne usciva bella come il sole con l’argomento bambini.
 -Mamma, ho venticinque anni. Posso aspettare ancora qualche anno prima di avere dei figli, non credi?-
 -Certo, ma che non siano troppi però. Lo sai che sono dell’idea che i figli si debbano avere prima dei trent’anni.-
 Lisa alzò un sopracciglio scettica. Parlava la donna che aveva avuto la sua unica figlia all’età di trentacinque anni. Una bella differenza rispetto ai paletti che le stava imponendo.
 -Sai, il bimbo di tua cugina Tracy ha ormai quattro anni. Non aspettiamo altro che te e saremo tutti più contenti.-
 Certo esempio perfetto la cugina Tracy. Aveva partorito il figlio a trentasette anni suonati e stava con un uomo che aveva l’età di suo padre e con due matrimoni falliti alle spalle. Senza contare i figli avuti da quei due matrimoni: una venticinquenne sfaticata che aveva appena fatto outing solo per far arrabbiare la madre, e un diciassette che non aveva mai avuto niente a che fare con il padre.
 Sì, sua cugina Tracy era davvero l’esempio perfetto di tutto ciò che Catherine odiava eppure trattandosi della sua nipote preferita, la dolce e perfetta Tracy, le si poteva concedere qualunque attenuante del caso.
 -Papà come sta?!- chiese Lisa con voce squillante per la tensione che sentiva dentro. Doveva almeno provarci a cambiare argomento.
 -Lavora come al solito. Ormai lo vedo così di rado che ricordo a malapena il suo volto. L’unica consolazione è che si fa sentire tanto al telefono, almeno questo.-
 Sua madre aveva sempre avuto un rapporto discordante con il lavoro del marito. Era un uomo d’affari, non ricco ma benestante, che doveva lavorare e viaggiare in continuazione perché la sua azienda di componenti elettroniche non andasse fallita.
 Il mercato e la crisi mondiale non gli permetteva di concedersi molte pause. Sua moglie, tuttavia, si era sempre mostrata molto paziente anche se il dispiacere per la mancanza del marito le si leggeva in faccia.
Superata la parte dell’interrogatorio, il resto della conversazione con Catherine Light si concluse con pettegolezzi sulle sue compagne di poker e sulla questione della casa che nonna Mary, la madre di Catherine e delle due sorelle, aveva lasciato in eredità. Una graziosa villetta fuori città che dalla morte della povera nonna Mary, avvenuta quasi un anno prima, era diventata l’oggetto di discordia tra le tre sorelle, peggio del pomo d’oro nel celebre poema omerico.
 La sorella minore, zia Alfreda, aveva messo di mezzo avvocati e tribunali senza una vera e propria ragione. Catherine e zia Sarah, la maggiore, si erano state catapultate nella sgradita situazione di trovare un difensore e quindi anche loro avevano assunto un avvocato.
 Una circostanza spiacevole che Lisa avrebbe tanto voluto risolvere in qualche modo. Come finale ideale si prospettava la vendita della casa, la divisione in tre parti alle sorelle, e il ricovero in un ospedale psichiatrico per quella fuori di testa di zia Alfreda. Era sempre stata pronta a mettere il suo zampino malefico in ogni questione, ma stavolta stava decisamente esagerando.
 Salutò la madre con un sorriso ma qualcosa dentro la stava logorando.
 Sua zia Alfreda.
 Il suo fidanzato Theo.
 Julian Blackwood.
 Persone che non c’entravano nulla l’una con l’altra eppure avevano contribuito tutte a crearle un pesante magone all’altezza dello stomaco.
 Si cominciò a chiedere se quel giorno non avrebbe fatto meglio a non abbandonare il suo morbido letto, magari restare a dormire sarebbe stata la soluzione ideale.
 Purtroppo la pigrizia non faceva parte del suo carattere.
 
*****
 
 -Possiamo definire questo come il peggiore dei tuoi incidenti, Julian?-
 -Peter, non ti ci mettere anche tu per favore. Ne ho avuto abbastanza di sarcasmo per oggi.-
 Julian era fermo nel suo letto con lo sguardo puntato al soffitto. Peter, uno dei suoi migliori amici, era andato a trovarlo in vece di tutto il gruppo.
 -E’ successo qualcosa?-
 -Un’infermiera in borghese che era di turno stanotte era venuta a controllare le mie condizioni armata di battute e sorrisi-, il suo tono era più duro che mai.
 -Oh, ha osato indispettirti, che gli dei ci risparmino questa catastrofe-, l’ironia non sembrava aver abbandonato la voce di Peter che se la rideva sotto i baffi mentre si rimetteva sul naso gli occhiali che sembravano un po’ troppo grandi per il suo viso magro e asciutto. –Almeno era un’infermiera carina?-
 -L’hai mancata per un pelo, è andata via due secondi prima che arrivassi tu. Comunque carina le si addice, ma non è nulla di sconvolgente.-
 Peter sembrò pensarci un attimo prima di rispondere.
 -Se è la moretta che ho incrociato prima potrei azzardarmi ad affermare che stiamo parlando di una gran bella figliola. I suoi occhi sono favolosi.-
 -Li definirei passabili.-
 -Quanto la fai difficile-, disse l’amico fingendo esasperazione.
 -Mica deve piacermi per forza, è solo un’infermiera.-
 -E tu sei solo uno sceneggiatore spiantato. Allarga i tuoi orizzonti ogni tanto.-
 -Sai perfettamente perché mi trovo in questo letto. Con le donne ho chiuso. Le storie serie ed io abbiamo raggiunto il capolinea. Solo sane scopate per Julian da oggi in poi.-
 Peter scoppiò a ridere.
 -Quando Daisy sarà qui demolirà quella sgualdrina della tua ex pezzo per pezzo. E’ furibonda per quello che hai fatto ed è ancora più infuriata con lei.-
 Scese un silenzio quasi spettrale.
 -Non sono fiero di essere stato così debole, ma il mio amore per Veronica era più profondo di quanto mi aspettassi.-
 -Tu lo definisci amore, io e Daisy orgoglio ferito.-
 -Come lo considerate tu e quel generale dell’esercito della tua ragazza non m’importa. So io come ci si sente-, abbassò lo sguardo con aria di sconfitta.
 -Non fare la vittima, non sei l’unico al mondo a cui hanno messo le corna per poi essere abbandonato in malo modo. Reagisci e basta, il mare è pieno di pesci.-
 -Sì, e il cielo di volatili.-
 -Quanto sei retorico-, disse Peter con un grande sorriso.
 -E tu sei solo uno zerbino alla mercé di una donna soldato.-
 -Potrebbe anche sembrare così, eppure mi sta bene. Il carattere di Daisy è solo uno dei suoi tanti pregi.-
 Julian guardò per un attimo l’amico e decise di non infierire oltre. La differenza di comportamenti tra lui e Daisy era talmente evidente che solo Peter non lo aveva ancora accettato come un’aggiunta negativa al loro rapporto. Il carattere di quella donna era un temibile mostro che prima o poi avrebbe divorato l’angelico Peter in un sol boccone.
 -Come procede la sceneggiatura?- decise di cambiare argomento.
 -Quasi terminata, aspettiamo solo te per mettere finalmente la parola fine.-
 -Non lascerò questo postaccio molto presto, a sentire il chirurgo ci vorrà almeno una settimana-, un sospirò abbandonò lento le labbra di Julian. Non gli erano mai piaciuti gli ospedali e l’idea di restare in quel posto asettico e incolore per sette lunghi giorni lo esaltava come una gita intorno alla bocca di un vulcano in piena attività.
 -Vuol dire che porterò il lavoro qui. Ci bastano poche ore per terminarlo.-
 -Mi sembra perfetto- esclamò Julian con un sguizzò di felicità negli occhi.
 -Sapevo che l’idea ti sarebbe piaciuta, anche Luke è d’accordo. Lui è fuori città per un paio di settimane ma domani posso venire io e potremmo lavorare. Luke non ha altro da aggiungere alla storia, gli va bene se la terminiamo solo noi due. Concluderemo questa sceneggiatura e potremo goderci un meritato periodo di riposo.-
 Peter era visibilmente compiaciuto. La loro bambina stava per ottenere il meritato epilogo dopo ben due anni di lavoro. Il loro primo lungometraggio avrebbe visto la luce, quantomeno sulla carta.
 -Per il manoscritto? Avete trovato qualcuno?-
 L’idea di creare un manoscritto dalla loro sceneggiatura era venuta a Luke, il terzo sceneggiatore del loro progetto. Con un libro ci sarebbe stata più pubblicità e più possibilità di attirare l’attenzione delle case cinematografiche.
 Un piano perfetto eppure costantemente sottoposto a variabili inattese.
 -Ancora nulla, ma ci stiamo lavorando. Ci sarà, nascosto in qualche luogo dimenticato, uno scrittore pronto a farsi carico di questo onore. Una storia intera, servita su un piatto d’argento, che deve solo essere sviluppata in modo decente.-
 -Non mi accontento del decente. Voglio che quello scrittore sia il migliore.-
 -Sei il solito. Non abbiamo soldi per pagare qualcuno, non credo che il migliore sia accessibile per le nostre misere finanze. L’importante è che sappia scrivere qualcosa di leggibile nella nostra lingua ma, soprattutto, che ne abbia voglia. Prima finirà il manoscritto prima avremo la speranza che il progetto decolli.-
 L’amico costretto a letto avrebbe voluto ribattere molto volentieri eppure era cosciente di ciò che Peter aveva detto. Non si potevano permettere uno scrittore professionista.
 Risultava necessario fare buon viso a cattivo gioco ed accettare qualche compromesso.
 Passarono il resto del pomeriggio a parlare in tranquillità evitando con accuratezza l’argomento Veronica, ancora troppo scottante per essere affrontato con la dovuta ragionevolezza.
 Julian si sentì più calmo. Le condizioni in cui versava solo la sera prima gli apparivano come un ricordo lontano e intangibile.
 Sperò con tutte le sue forze che quello stato d’animo di inconscia gioia durasse il più possibile.
 L’abisso oscuro in cui l’aveva gettato Veronica non doveva essere contemplato mai più.
 Ci voleva un bel macigno, proprio sopra la testa di quella traditrice. 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3
 
 Al mattino Lisa aveva cancellato tutti gli avvenimenti del giorno prima. L’unica cosa che le invadeva la mente era il suo aspetto. Per la cena di quella sera non sarebbe risultata semplicemente bella: si era reso necessario essere una dea a cui nessun mortale avrebbe mai potuto opporre resistenza.
 Il mortale in questione era Theo.
 Trascorse tutta la mattina a sopprimere ogni pelo superfluo esistente sul suo corpo. Si spalmò su cosce e fianchi degli strani fanghi depuranti, un gentile regalo di sua madre per farle capire velatamente che doveva perdere un paio di chili.
Si stava avvolgendo nella pellicola trasparente mentre l’odore pungente del fango le arrivava al cervello procedendo attraverso il naso. Era a dir poco disgustoso.
 -Mamma, stai cercando di uccidermi?- sussurrò mentre si avvolgeva in un altro strato di pellicola.
 -Che faccio? Ti infilo direttamente così in forno?-
 -Chris!-
 Il suo migliore amico era seduto sul bordo della vasca nel loro piccolo bagno e la stava aiutando nelle operazione di imballaggio.
 -E dai… Non ti si può vedere conciata così. Non puoi nemmeno sederti per mezz’ora, che cosa farai per ammazzare il tempo?-
 -Forse sarà più divertente ammazzare te-, rispose Lisa guardandosi allo specchio e cominciando a stendere una maschera al mango e melograno per depurare la pelle del viso.
 -Ritiro ciò che ho appena detto. Non potrai né sederti né parlare nei prossimi trenta minuti. Quando quella tortura di cemento avrà attecchito non riuscirai a muovere mezzo muscolo del viso.-
 -Non sei contento? Per trenta stupendi minuti non ascolterai la mia voce.-
 -In effetti- disse Chris incrociando le gambe e assumendo un’aria pensierosa. –Per una volta sarai costretta a poter solo ascoltare.-
 -Perché io sono quella che interrompe sempre i discorsi degli altri. Colei che non riesce a tenersi un cecio in bocca, vero?-
 -Quando sei in forma diventi una macchina produci parole. Piuttosto insopportabile, a dir la verità.-
 -Sicuro che siamo amici?-
 L’ultimo spazio libero sul viso di Lisa venne coperto da uno strato di quell’intruglio malefico. Cominciava ad asciugarsi e la ragazza avvertiva la grande difficoltà nel riuscire a muovere i muscoli del volto.
 -Sei nella maschera di ferro?-
 Lisa annuì guardando il suo migliore amico riflesso nello specchio che sorrideva divertito.
 Finalmente Chris aveva la possibilità concreta di esprimere per intero ciò che gli passava per la mente.  
 -Ti stai dando da fare per questo appuntamento.-
 Lei mosse il capo in un cenno di assenso. Aveva la spiacevole sensazione di conoscere già il discorso che il suo amico stava per intraprendere.
- Sei una persona di grande intelligenza, Lisa, lo sai che non servirà a niente. Theo è troppo preso da se stesso in questo periodo, non si accorgerà nemmeno di tutti i tuoi sforzi.-
 Lei abbassò lo sguardo, non per rabbia o delusione, ma solo perché anche lei aveva lo stesso pensiero in testa, che la tormentava in continuazione. Aveva sperato che quella serata le avrebbe restituito il suo Theo, ma in realtà neanche lei ci aveva mai davvero creduto in quella fantomatica speranza.
 -Il fatto che tu abbia quasi violentato il paziente del letto diciannove con lo sguardo l’altra notte, può voler dire solo una cosa: Theo ti trascura, non appaga il tuo bisogno di amore vero e sentito. Finirai per tradirlo se lui non cambierà, ti conosco troppo bene.-
 Chris si aprì in un debole sorriso mentre Lisa alzò lentamente lo sguardo per fissare il suo amico. Era sempre stato il suo confidente, e colui che dava letteralmente voce alla sua coscienza. La conosceva per davvero, con lui era come parlare realmente a quel riflesso nello specchio.
Christopher Wells era il suo specchio. E in quel momento stava rimandando l’immagine di lei che pronunciava le parole di Chris, era il suo io esterno a pronunciarle, ma era lei stessa a riconoscerle come sue.
 -Per come la vedo io, hai due possibilità: aspettare in silenzio e lasciare che tutto continui così com’è finché non raggiungerete il punto di rottura lasciandovi per sempre, oppure puoi darlo tu un taglio netto.-
 Le parole di Chris furono seguite da un silenzio carico di spiegazioni in incognito.
 -Lascialo, e gli darai una bella sveglia. Rifletterà su ciò che ti ha portato a una decisione del genere, magari potresti uscire con altri ragazzi. Lo indurrai ad una gelosia più logorante che mai e tornerà da te strisciando.-
 Gli occhi di Lisa si velarono di untenace strato di indecisione.
 -Noi uomini siamo molto più semplici di quanto tu possa credere. Tutti, chi più chi meno, è tendente al possesso delle proprie cose. Tu per Theo sei un qualcosa di già ottenuto, e lui è abituato a lottare, ama lottare. Non avrebbe scelto la carriera del chirurgo, altrimenti. Se è lui che vuoi davvero al tuo fianco, devi solo ricordargli che è obbligato a lottare per te, che non sei scontata, perché proprio di questo è convinto allo stato attuale della situazione. A quel punto, una volta che si troverà davanti alla circostanza di averti perso in modo definitivo, non te lo scrollerai più di dosso, perché dentro di lui la tremenda sensazione di perderti ancora in futuro non smetterà mai di vivere. Una piccola fiammella di dubbio ci sarà sempre.-
 L’iPhone poggiato sul mobile del bagno vibrò. Era un messaggio.
 Lisa lo lesse con calma e poi passò il cellulare a Chris perché potesse vederlo anche lui.
 Era da parte di Theo.
 L’amico lo lesse e poi si alzò lentamente, trovandosi di fronte all’amica. Chris era poco più alto di Lisa ma in quel momento appariva come un gigante davanti a lei.
 Il gigante della coscienza aveva preso forma.
 -Non essere scontata per lui, Lisa. Sii la donna di cui non può fare a meno.-
 Si guardarono per un momento negli occhi, poi Lisa non resistette più. Si lanciò sul suo migliore amico e si lasciò stringere nell’abbraccio che così tante volte era stato un rifugio caldo e familiare per lei.
 Avrebbe voluto sfogarsi e piangere, ma la rabbia glielo impediva. L’ira che stava nascendo in lei non voleva cedere il posto al perdono. No, quel sentimento non avrebbe trovato il biglietto per il treno del suo cuore. Doveva restarne fuori, almeno per questa volta.
 
“Lisa, perdonami. Ho avuto un imprevisto in ospedale, dovrò restare qui per tutta la notte. Rimandiamo?”
 
Non si era scomodato più di tanto. Nemmeno l’onore di una telefonata; aveva annullato il loro appuntamento con un semplice messaggio in cui non si intravedeva neanche un minimo di tristezza o delusione per la serata insieme mancata. Un dato di fatto, ecco quello che era. Lui aveva un impegno improrogabile e lei avrebbe dovuto farsi da parte, come sarebbe sempre accaduto.
 La rabbia imperversò con rinnovato rigore.
 Ne aveva abbastanza.
 Quel supplizio avrebbe trovato una fine una volta per tutte.
 Chris le aveva mostrato le due opzioni ottimali e lei ormai non avvertiva più dubbi su cosa avrebbe scelto. A quel punto nessuno sano di mente di sarebbe orientato nell’altra direzione. Troppe opportunità buttate al vento. Tanti, troppi, rospi mandati giù, e avevano un sapore così amaro.
 -Aiutami a liberarmi da questi affari- mormorò Chris all’orecchio dell’amico cercando di muovere i muscoli facciali affinché lui comprendesse quello che stava cercando di dire. –Vado in ospedale a farmi ridare il turno di domani.-
-Quando fai la donna cazzuta, mi ricordi perché ti voglio tanto bene.-
 Lisa provò a guardarlo e a sorridere ma il cemento che aveva spalmato in faccia ormai aveva fatto presa. Non riusciva ad esibire il viso neanche nella pallida imitazione di un’espressione degna di essere chiamata tale.
 -Togliamo la pellicola, e ficcati sotto la doccia. Dieci minuti e sarai libera.-
 Lei annuì sorridendo con gli occhi.
 Un amico come lui era letteralmente insostituibile. Neanche la più simpatica e arguta tra le ragazze, avrebbe capito il suo animo meglio di lui. La comprendeva, in ogni sua idea folle e fuori dagli schemi, la rimproverava, per tutti gli atteggiamenti che rientravano negli schemi. Sapeva consolarla, quando era meglio che stesse in silenzio e quando invece doveva parlare solo lui per convincerla a sfogarsi.
 Se non fosse stato il suo migliore amico, Christopher sarebbe potuto essere tranquillamente l’uomo della sua vita. Quello che aveva immaginato da piccola e sognato da adolescente. L’uomo che avrebbe sempre visto al suo fianco e che si sarebbe preso cura di lei, tenendola al primo posto.
 L’amicizia aveva avuto la meglio, e si erano ritrovati come fratelli.
 Troppo simili, anche se diversi. Troppo affini, anche se completamente opposti.
 Chris era la parte migliore della sua anima e questo non sarebbe mai cambiato.
  Quel ragazzo era sempre stato la sua unica e sola certezza.
 -Ti preparo un caffè con panna, ti aiuterà a rasserenarti.C’è bisogno della modalità zen perchè il reparto possa uscire indenne dalla tua visitina- la voce di Chris era ovattata dalla tenda per doccia che li separava.
 -Ricordami perché non ho ancora cercato di portarti a letto?- chiese lei divertita mentre liberava il viso da quella tortura al profumo di mango.
 -Tesoro, perché in pratica ci ha partorito lo stesso fato.-
 Chris non amava definirsi suo fratello. Per lui, le loro strade erano state create dallo stesso fato, erano stati destinati ad incontrarsi perché simili come gemelli.
 Figli del fato. Fratelli tra loro.
 -Dimentico sempre la sua visione filosofica della questione, professor Wells.-
 -E’ la visione migliore per descrivere tutto questo. Allora, lo vuoi il caffè con panna?-
 -Certo che sì.-
 Chris era sulla porta, pronto per chiuderla ma il suo istinto lo costrinse a voltarsi verso quella tenda azzurra, decorata con strani pesciolini multicolore.
 L’aveva scelta lei quell’orribile tenda.
 Le piaceva il colore, aveva detto. Perché lei entrava in doccia per tornare a vivere, non per rilassarsi. Aveva bisogno di vivacità.
 Una caratteristica che era sempre mancata in Chris. Lui era più pragmatico, più serio. Lisa era la sua dose quotidiana di vivacità. Non poteva più rinunciare a lei.
 Eppure, sapeva che un giorno un uomo gliel’avrebbe portata via.
 Il punto era, se lui ci avrebbe davvero rinunciato a quella pazza che cantava “Relax” di Mika a corde vocali spiegate. Sembrava una cornacchia.
Era la sua cornacchia. E sperava con tutto l’animo che sarebbe sempre rimasta tale.
 Chiuse la porta, e insieme a quello relegò i pensieri di poco prima in un angolo sperduto della sua mente. Sapeva che presto sarebbero riusciti a liberarsi, apparendo d’improvviso nella sua testa ma per il momento il loro posto era quell’angolo e lì avrebbe dimorato fino a nuovo ordine.
 
*****
 
 -Non c’è alcun problema, puoi riavere il tuo turno.-
Lisa era ancora una volta davanti alla caposala seduta alla sua scrivania, tutta intenta a fissare lo schermo del computer.
 -La ringrazio, caposala.-
 -E’ successo qualcosa?- chiese la donna abbassandosi gli occhiali sul naso per guardare la ragazza dritta negli occhi. Aveva subito notato dal tono che aveva usato la giovane infermiera, che la decisione di andare a lavorare la mattina dopo non era stata presa principalmente da lei.
 -Sa come funziona in ospedale. Impegni improrogabili e si devono cancellare appuntamenti non altrettanto importanti.-
 -Capisco.-
 -Le auguro una buona giornata, caposala. Arrivederci.-
 Fece per uscire ma il suo superiore la fermò quando era ormai sulla porta.
 -Theo è in sala medici, se vuoi parlargli credo che sia solo.-
 Lisa abbassò la testa e uscì dall’infermeria.
 Sapeva bene come sarebbe andata a finire se avesse parlato con Theo in quel momento e soprattutto mentre si sentiva intrappolata in quel determinato stato d’animo, ma forse era arrivato il tempo di prendere di petto la situazione e di fare la scelta che Chris le aveva così francamente illustrato.
 Perciò si ritrovò pochi minuti dopo a bussare a quella porta. Lì avrebbe avuto una fine, nel bene o nel male, un anno di relazione che tanto l’aveva elettrizzata al suo inizio.
 -Lisa?- disse Theo sgranando gli occhi. Era seduto al grande tavolo con una decina di cartelle cliniche davanti. Non sembrava per niente stanco e di certo la presenza della sua fidanzata lì non era prevista.
 -Dobbiamo parlare- disse lapidaria.
 Si chiuse la porta alle spalle e si sedette su una poltroncina di fronte a quel bel medico che la guardava con aria interrogativa.
 -Se è per l’appuntamento di stasera, mi dispiace tanto. Lo sai che la specialistica…-
 -Sì, so che la specialistica si sta rivelando un buon pretesto per non stare con me. L’ho notato.-
 -Il tuo tono non mi piace per niente, Lis- gli occhi di Theo si colmarono di sospetto. 
 -Siamo pari, allora. Per quanto mi riguarda è il tuo atteggiamento a non piacermi per niente, quindi la finiamo qui.-
 -Finire cosa?-
 -Esatto, non sai nemmeno cosa dovrebbe finire. La nostra relazione non ti interessa più.-
 -Lo pensi perché ho annullato un appuntamento, non fare la solita melodrammatica. Usciremo un’altra sera.-
 -No, non credo- Lisa si fermò un attimo per riuscire a racimolare tutta la determinazione che il suo cuore sarebbe stato in grado di ammortizzare. –Non mi guardi più, non mi ascolti più, e non capisci più un cazzo di me. E lo sai perché? Te lo dico io. Perché non hai più bisogno di avermi accanto. Hai la tua carriera, la tua tanto adorata specialistica, e questo ti basta, Theo. Riempie la tua mente e il tuo cuore, ed è giusto che sia così. Si tratta del tuo sogno che si sta realizzando, e quando avrai la specialistica il tuo sogno sarà completo, ma non sufficiente.-
 Theo la guardava senza proferire parola, quasi come se avesse davanti il referto delle analisi del sangue di un paziente, e stesse vagliando ogni possibile patologia.
-Diventerai un neurochirurgo e questo non ti basterà mai. Vorrai iscriverti a master o ad altre specialistiche. Desidererai diventare il migliore, e praticamente vivrai in ospedale. La mia vita non è così, non ho bisogno di vivere qui, lavoro su turni e nessuno mi chiama mai nel mezzo della notte per un’emergenza. Le mie diagnosi come infermiera trovano un inizio e una fine nelle ore di lavoro, e difficilmente me le porterò mai a casa, nel mio letto. Non sarò mai costretta a trascurare il mio compagno per mesi. Ciò che mi chiedi è qualcosa che non comprendo, e mai capirò perché non l’ho scelto. Non sono fatta per stare accanto ad un giovane e brillante chirurgo, non sono abbastanza forte o paziente. Vedila come meglio credi. Il punto è che la tua vita non potrà mai coincidere con la mia, non è ciò che desideri.-
 -Lisa…-
 -Finiamola qui, Theo. Sarà più semplice per entrambi, e ci renderà felici. Magari non questa settimana, e neanche la prossima, ma saremo felici di non essere intrappolati in una relazione per cui nessuno di noi due è venuto al mondo.-
 Theo si alzò in piedi, fece lentamente il giro del tavolo, ponderando attentamente su quale fosse la strategia che Lisa stesse mettendo in atto. Quando si ritrovò davanti alla sua ragazza, gli apparve la soluzione.
 -Vuoi farmi sentire così tanto in colpa? Vuoi che io trovi il modo per portarti fuori stasera? Occorrevano tutti questi giri di parole?-
 Lisa si aprì in un sorriso. Come si aspettava quell’uomo non era in grado di comprendere sfumature così sottili dei sentimenti. Sarebbe diventato un grande chirurgo, ma un pessimo compagno.
 Quella storia doveva finire. Una piccola parte di Lisa, però, avrebbe sempre sperato che quel discorso facesse un giorno breccia nel cervello dell’uomo per cui ancora provava un sentimento forte. Sperava davvero con tutto il suo cuore che un giorno Theo avrebbe recepito le sue parole e sarebbe tornato da lei. Alla fine lo amava sul serio, ma non poteva andare avanti in quel modo, non sarebbe durato e avrebbe solo causato una grande sofferenza ad entrambi.
-Ciao, Theo.-
 -Ciao?-
 -Sì, ciao. Non ho altro da dirti, quindi ti saluto e basta.-
 Theo fissò i suoi occhi dritti in quelli di Lisa. Non era difficile leggervi tutto il suo disappunto e la sua rabbia per ciò che la sua, ormai, ex fidanzata aveva appena detto.
 -Dopo un anno… Non solo decidi tutto per conto tuo, senza neanche interpellarmi, ma mi liquidi con un solo e semplice ciao del cazzo?!-
 Lisa alzò le spalle.
 -Esattamente. Durante il nostro primo appuntamento ti ho detto e ripetuto che ero matta da legare. Anche questa scelta potrebbe essere frutto della mia follia, eppure non mi sono mai sentita così sicura di una decisione in tutta la mia vita, Theo.-
 La ragazza sorrise e con calma si diresse verso la porta.
 -Se esci da qui, Lisa…- cominciò Theo con voce glaciale. –Ricordati che, se esci da qui, sarà per sempre. Io non mi abbasserò a supplicare una donna che mi ha lasciato in modo così irrispettoso. Fregandosene altamente dei miei sentimenti e dei miei pensieri.-
 -Sono sicura che la tua amata specialistica saprà curare il tuo orgoglio ferito.-
 Sbatté la porta dietro di sé, lasciandosi un anno di vita letteralmente alle spalle.
 La vista cominciò ad appannarsi. Chiuse e riaprì le palpebre cercando di capire cosa le stesse succedendo e si rese conto che qualcosa di umido le stava percorrendo le guance, fino ad arrivarle al mento. Inclinò la testa verso il basso e vide delle goccioline limpide sul pavimento immacolato.
 Lacrime. Il segno che era giunto il momento di tornare a casa il più in fretta possibile e di dare fondo, insieme a Chris, a tutta la loro scorta di alcolici fino a che non si fosse addormentata alla fine di quella giornata senza serenità.
 Prese un profondo respiro e cominciò a camminare veloce e decisa verso la porta d’uscita del reparto. Tirando fuori tutto l’autocontrollo che possedeva ricacciò indietro le lacrime per evitare che qualche collega, o peggio la caposala, la vedessero piangere come una bambina.
 L’orgoglio non le permetteva di mettere il suo dolore in vetrina, davanti agli occhi di tutti.
 Aprì con forza la porta e un tonfo rumoroso, seguito da un’imprecazione, le fece gelare il sangue nelle vene.
 -Oh mio Dio!- esclamò guardando oltre la porta.
 Un ragazzo minuto e non molto alto, stava in piedi davanti a lei tenendosi la fronte, mentre sul pavimento si erano sparsi decine e decine di fogli con sopra stampato un qualche tipo di testo.
 -Sono mortificata!- disse lei con costernazione avvicinandosi al ragazzo.
 -Non si preoccupi- rispose lui facendole un sorriso di comprensione che si estendeva fino agli occhi scuri incorniciati da un paio di occhiali. –Sono cose che capitano.-
 -Mi dispiace davvero tanto. Sono un’infermiera, mi permetta di dare un’occhiata.-
 -Oh, non ce n’è bisogno.- Il ragazzo premette con ancora più forza la mano sul punto in cui era stato colpito.
 Poi Lisa lo vide, un piccolo rivolo di sangue era sfuggito a quel tentativo di mascheramento e stava scendendo lento lungo il viso del ragazzo.
 -Venga subito con me in infermeria.-
 -Ma… Io devo raccogliere…- lanciò un’occhiata ai fogli sul pavimento.
 -Ci penso io.-
 Lisa, con grande velocità, raccolse tutti i fogli sparsi per terra. Ogni tanto le scappava l’occhio su qualche pagina e non riuscì a riconoscere del tutto lo stile di scrittura. Sembrava una specie di copione con delle battute, però c’era anche qualche descrizione minimale dei luoghi e delle azioni.
 -E’ una sceneggiatura- rispose il ragazzo quasi leggendole nella mente.
 Lisa lo fissò per un attimo e sorrise.
 In infermeria, nessuno fece domande. Troppo lavoro per gli infermieri e i medici. Lisa era molto apprezzata in reparto e non importava perché stesse medicando la ferita al sopracciglio di uno sconosciuto.
 -Non serviranno punti- disse levandosi i guanti dopo aver posto il cerotto a preservare la ferita. –Ho disinfettato per bene ma dovrai farlo anche più tardi, e per un paio di volte al giorno finché non ci chiuderà a dovere.-
 -Grazie.- Il ragazzo sorrise e si alzò in piedi un po’ barcollante.
 -Non dovrebbe alzarsi così in fretta.-
 Si lanciò verso di lui e lo aiutò a sorreggersi.
 -Il mio collega è ricoverato qui, e abbiamo molto lavoro da fare. Non posso perdere tempo.-
 -L’accompagno nella stanza del suo collega e finché non vedrò che starà seduto senza muovere un dito non intendo perderla di vista.-
Il giovane annuì, capendo dal tono di lei che non avrebbe mollato la presa tanto facilmente.
 -Lei ha intenzione di farmi questo ogni giorno?- chiese ad un certo punto il ragazzo con tono divertito.
 -Come?-
 -Ieri mi è venuta addosso in corridoio, e oggi mi ha gentilmente sbattuto una porta in faccia. Ho come l’impressione che la fretta la stia inseguendo.-
 Lisa divenne rossa per la vergogna. Era vero, ora ricordava di aver già visto quel ragazzo proprio il giorno prima e che anche in quella occasione per poco non lo ammazzava.
 -Mi dispiace, sono stati un paio di giorni particolari.-
 -Oh, io la capisco. Tutti i miei giorni sono particolari, cara… Non le ho chiesto neanche quale sia il nome della donna che cerca di uccidermi.-
 Scoppiò a ridere e, anche se con qualche esitazione, Lisa si aprì in un sorriso timido.
 -Mi chiamo Lisa Light.-
 -Peter Drew.-
 Quando pronunciò il suo nome, Peter si fermò davanti a una porta. Il sangue si gelò nelle vene di Lisa.
 -Arrivati- disse il ragazzo con un sorriso. 
 Il numero 19 sulla targa quasi brillava beffardo agli occhi della giovane infermiera.
 -Julian Blackwood?- chiese con sguardo di sfida in direzione della targa.
 -Sì, fa questo effetto. I suoi modi non sono sempre dei più eleganti.-
 -O dei più civili- l’astio nel tono di Lisa era palpabile.
 -Entrambi i punti di vista gli appartengono, in effetti.-
 Peter si lasciò andare ad una risata e aprì la porta.
 -Julian? Sei presentabile, amico? Abbiamo ospiti.-
 Entrati nella stanza Lisa avvertì un’aria pesante pesarle su mente e cuore. Julian se ne stava nel suo letto, il colorito era migliorato. Non quanto il suo umore però.
 Posò gli occhi su di lei e un lampo di rabbia li attraversò per un solo istante. La cosa non sfuggì a Lisa che era pronta allo scontro. Se quel dannato di Blakwood voleva la guerra, lei era disposta a dargliela, senza alcun tipo di remora.
 -Ancora tu?!-
 -Disgrazie che capitano, purtroppo. Lavoro qui ed è una condizione che non può essere modificata.-
 Aiutò Peter ad accomodarsi sulla sedia e diede un’occhiata veloce al cerotto per controllare che la ferita non stesse perdendo sangue.
 -Che diavolo ti è successo?- Julian aveva subito notato che la fronte del suo amico aveva qualcosa di diverso.
 -Un incontro ravvicinato con una porta che andava di corsa.-
 Fece l’occhiolino a Lisa che per un attimo si sentì molto più rilassata.
 -Tu c’entri qualcosa?- lo sguardo di Julian era a dir poco indagatore mentre guardava l’infermiera che se ne stava in piedi accanto a Peter.
 -La signorina Light è stata così gentile da medicarmi. Così ligia al dovere da sentirsi costretta ad accompagnarmi fino a qui. Cerca di non essere scorbutico come al tuo solito.-
 Julian aprì la bocca per ribattere ma la richiuse quasi immediatamente quando Peter gli fece notare la montagna di fogli che aveva in mano.
 -Dobbiamo lavorare e la signora ha intenzione di monitorare le mie condizioni per un po’, quindi contieniti o la sceneggiatura la terminerò da solo sul quel divano così comodo che ho a casa.-
 Un sonoro sbuffo partì dal paziente e Lisa cercò con tutte le sue forze di non saltargli alla carotide per liberare il mondo dalla presenza di quel tizio a cui non era mai stata presentata la signora educazione.
 Julian incrociò le braccia e fissò Lisa dritta negli occhi.
 -Non morirà per un taglietto in fronte. Sua Maestà Infermiera può anche ritirarsi nelle sue stanze… o in una grotta piena di pipistrelli, dipende dai punti di vista.
Gli occhi di Lisa divennero due fessure sottili mentre il labro inferiore tremava. Non si trattava di un buon segno.
 -Come si permette di rivolgersi a me in questo modo!-
 Il passaggio dal tu al lei era un altro pessimo segno.
 -Non ho intenzione di tollerare un momento di più il suo comportamento. Sono un’infermiera laureata, una professionista nel mio lavoro, che ha avuto a che fare con i casi più disparati e anche in situazioni di massima emergenza.Non permetto che lei si prenda gioco di me. E’ solo un uomo che non riesce neanche a scrivere in una lingua che abbia almeno una minima percentuale di professionalità.-
 -Ohi… ohi…- mormorò Peter rassegnato.
 La donna si voltò di scatto e afferrò con vemenza i fogli che Peter aveva tra le mani.
 I due uomini la fissavano come ipnotizzati da quello scatto d’ira che non si era mai tradotto in urla. Neanche per un solo attimo. Lisa aveva sempre pronunciato le parole con voce calma, ma così tagliente da mettere a disagio perfino il freddo Julian.
 -Alle elementari s’impara che i puntini di sospensione sono tre e non…- prese un foglio tra quelli che aveva in mano. –e non sette?! Ma siamo impazziti?! Sette puntini di sospensione. Neanche nei peggiori sms mi era mai capitato di vederli.-
 Peter lanciò un’occhiata stranita a Julian. Quella donna era fuori di testa!
 -Ah, e vogliamo parlare dei termini usati nei dialoghi. “La tua faccia è così bella…”. Certo, era troppo complicato impegnarsi un minimo e tirare fuori una frase come “Il tuo viso è luminoso…” o che so io? Senza contare le innumerevoli ripetizioni in dialoghi successivi, bisogna usare dei sinonimi in questi altrimenti il discorso non rende come dovrebbe. Per non parlare dell’approssimazione generale di alcune frasi che ho avuto sott’occhio prima in corridoio.-
 Ora gli occhi di Peter avevano cominciato a perdere la sfumatura dello stupore iniziale per il comportamento di Lisa, e presero la forma di uno sguardo molto più interessato. Solo leggendo di sfuggita stralci della loro sceneggiatura era riuscita ad individuare così tanti errori. Quella donna non gliela contava giusta.
 Julian era ancora sconvolto.
 -Come s’intitola questo mostro di bravura?-
 Lisa cominciò a spargere i fogli sul letto di Julian finché non trovò ciò che stava cercando. Prese il foglio tra le mani e poi incontrò gli occhi del paziente, il quale dal canto suo la osservava a dir poco allibito.
 -Sul serio?- chiese lei con un sorriso di scherno.
 -Cosa?- Julian si ridestò dal momento catartico creato dalla donna uragano.
 -Il titolo?-
 -Che problema ha?-
 Un sorriso divertito si dipinse sul volto di Lisa.
 -Mi state dicendo che il vostro film s’intitola “Il passaggio nella siepe”?Spero che stiate scherzando, signori miei.-
 Peter si alzò piano in piedi e si appoggiò al braccio di Lisa. La testa girava un po’ a causa dell’incidente con la giovane infermiera.
 -Trovi che qualcosa non vada nel titolo, cara?-
 Il sorriso di Peter fece calmare Lisa. Chiuse gli occhi, prese un respiro per trovare le parole più gentili e comprensive possibili.
 La rabbia verso Julian passò in secondo piano alla vista di un Peter così serio.
-Non ha anima.-
 Peter spalancò gli occhi assumendo un’espressione sorpresa. Julian, dal canto suo, scoppiò in una rigorosa risata.
 -Anima? Da quando a un titolo serve anche un’anima?-
 Lisa lo fulminò con lo sguardo.
 -Da quando il cinema è stato promosso ad arte.-
 Julian smise di ridere. Era curioso di capire quale fosse lo scopo di tutto quel discorso. Dove voleva andare a parare quella ragazzina?
 -Se volete l’opinione di una persona che i film li vede e non li produce, per me il titolo non funziona proprio. Voi lo andreste a vedere un film con un titolo del genere? Dubito che sareste i primi che si precipiterebbero al cinema.-
 -Ma il titolo richiama ciò che è una colonna di tutto il film- disse Peter.
 -Il titolo non deve per forza rispecchiare alla lettera ciò che volete raccontare. Dal vostro titolo posso capire due cose: c’entra una siepe e qualcuno che passa attraverso la siepe. Il solo leggere la parolasiepe– pieno disprezzo nel pronunciarla- la noia mi divora. Non mi descrive nessuna emozione, non mi sorprende. Non avverto salire alcun interesse nel saperne di più.-
 Peter pendeva letteralmente dalle labbra della donna, mentre Julian fissava il soffitto pensieroso.
 -Siete scrittori, artisti. Dovreste sapere meglio di me che le parole sono musica: devono creare un’armonia melodiosa e trasmettere la più immensa delle emozioni.
Sì, forse il vostro titolo riassume ciò che accade ma non trapela alcuna melodia da queste parole. Le lettere e i suoni in una frase devono essere come le note su uno spartito: ordinate, con un senso e una musicalità travolgenti.-
-Tu avresti un’idea migliore?- chiese Julian con voce assonnata continuando a fissare il soffitto.
 Non sembrava che le parole di Lisa lo avessero colpito. Forse appena sfiorato.
 -Come il principino desidera- disse lei accennando un inchino.
 Si rivolse a Peter.
 -Storia d’amore?-
 -Eh? … Ah, sì.-
 -L’amore di tutta la vita?-
 -Sì.-
 -Lieto fine?-
 Peter si mise la mano sotto il mento, pensando.
 -Diciamo che è un finale aperto, non ha un lieto fine.-
 Lisa posò gli occhi sul primo foglio della sceneggiatura. Quel titolo insulso la fissava e lei sapeva che doveva esserci di meglio di una siepe e di uno stupido passaggio nascosti in quelle parole. Ci doveva essere decisamente qualcosa di meglio.
 -Non dovrebbe essere per forza siepe- disse pensierosa.
 -Preferisci cespuglio?-
 Ignorò la battuta di Julian e continuò a guardare quell’insipida parolina che rideva di lei.
 -Non per forza una siepe- parlava tra sé. –E’ un passaggio, un mezzo per arrivare dall’altro lato. Una porta. Sì, semplice e pulita. Eppure una parola forte, che non lascia modo di sbagliarsi.-
 Julian abbassò finalmente lo sguardo, lasciando perdere il soffitto. Si voltò a guardare Peter e sperò con tutto il cuore di sbagliarsi, ma gli occhi del suo amico stavano brillando come due lampadine. Osservò per qualche secondo il volto di quella ragazza intenta a pensare. A trovare un’idea. La fronte corrucciata, gli occhi fissi sul foglio. Si mordicchiava il labbro inferiore, come se in quel modo fosse più facile trovare il titolo adatto.
 Quando stava in silenzio il suo volto era rilassato. I tratti delicati le delineavano il volto in una meravigliosa armonia, mentre i lunghi capelli castani le ricadevano con grazia sulle spalle.
 Il tutto risultava più attraente di quanto avesse notato in precedenza. Ricordava una bambina cocciuta che cercava la soluzione di un problema di matematica particolarmente complesso.
 Davvero troppo attraente perché i pensieri di Julian si mantenessero sul lecito.
 Lisa, intanto, continuava con le sue elucubrazioni.
 -La porta. Sì, ma per cosa? Non finisce bene, ma neanche male. C’è solo una risposta che non arriva, si resta in attesa.-
 Poi l’idea giusta attraverso la mente di Lisa alla velocità di un fulmine, e con lo stesso moto improvviso.
 Non era Paradiso, eppure non era Inferno. Era solo la tortura di non avere il finale, di assaporare la dolce agonia del buio e di speranze inattese.
 Paradiso. Inferno. Restava solo…
 -Purgatorio!- esclamò Lisa con un sorriso enorme. –Una metafora! Non deve per forza sembrare realmente ciò che è!-
 Alzò gli occhi e subito trovò quelli scuri e caldi di Julian che non avevano perso la loro venatura scettica. Il sorriso di Lisa si allargò, avrebbe annientato quell’uomo: avrebbe fatto a pezzilui e il suo sprezzante carattere insofferente e borioso. Lo sceneggiatore non avrebbe ottenuto la vittoria di questa battaglia.
 -La porta per il Purgatorio.-
 Julian rimase impassibile. I suoi occhi non lasciavano quelli di Lisa neanche per un momento ma in cambio ricevettero solo uno sguardo colmo di sfida.
 Poi un risolino divertito spezzò la tensione nell’aria e costrinse l’infermiera a voltarsi verso il ragazzo con gli occhiali.
 -E’ perfetto…- mormorò lui con le lampadine negli occhi bene accese e funzionanti. 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4
 
 Lisa era seduta sulla poltrona nella stanza di Julian Blackwood. Ormai erano quasi quindici minuti che assisteva alla discussione tra il paziente e il suo amico Peter. La ragazza li guardava annoiata. Non avrebbe mai pensato di scatenare una guerra tra loro solo per aver espresso un’opinione. A dirla tutta, fino a pochi minuti prima, era convinta che il combattimento si stesse svolgendo tra la sua idea di arte e quella di Blackwood, ma sembrava che il fronte armato si fosse spostato altrove.
 -Il titolo va bene così, Peter!- disse Julian incrociando le braccia.
 -Smettila di essere il solito testone! Non accetti il titolo suggerito da Lisa, solo perché è stata proprio lei a proporlo.-
 -Ti sbagli!-
 -Allora è perché ti brucia la sconfitta. So che avresti voluto pensare tu a un titolo del genere ma prendiamolo e portiamocelo a casa- Peter si voltò subito verso Lisa. –Ovviamente lo useremo solo con il tuo permesso, cara.-
 -Come vi pare- disse Lidia sbadigliando. 
 -Noi non useremo il titolo di un’infermiera da quattro soldi.-
 -Come scusa?- Lisa alzò lo sguardo e di nuovo incrociò gli occhi di quel paziente così dannatamente stronzo.
 Erano tornati sui fronti di guerra originari.
 -Hai sentito.-
 -Ascolta bene, Blackwood- disse lei alzandosi con calma e stiracchiando. –Sono stanca, non ho dormito. Smettila di attaccarti al tuo orgoglio, usa il mio titolo e tornatene a riposare beato. Mi pare che a Peter stia bene, quindi, se non vi dispiace, io vi lascerei da soli così potrete continuare la vostra piccola scaramuccia senza mettere di mezzo anche me.-
 Prese la borsa posata sul tavolo e si diresse verso la porta.
 -Col vostro permesso…- disse poggiando la mano sulla maniglia.
 -Aspetta!- esclamò Peter prendendola per un polso. –Avrei bisogno di chiederti… Come potrei definirlo? Un favore. Avrei davvero bisogno di un favore.-
 -Peter, siamo tutti stanchi. Domani ho il turno di mattina, vieni qui in reparto così mi potrai parlare di tutto quello che vorrai. Adesso, sinceramente, voglio solo andare a casa. Ho avuto una lunga giornata.-
“E una relazione andata a monte da annegare in fiumi di vodka lemon” pensò avvertendo le lacrime pungere dietro le palpebre.
 -Peter, lascia che se ne vada!-
 Lisa sorrise in direzione di Julian. Un sorriso tirato e finto.
 -Non vedo l’ora di far riposare le mie orecchie. La tua voce e i tuoi modi mi hanno completamente sfinita- abbassò gli occhi verso Peter. –Ci vediamo domani.-
 -Immagino che ci vedremo anche noi- mormorò Julian colmo di risentimento ed astio.
 Lisa si voltò a guardarlo.
 -Oh, noi ci vedremo anche all’altare. Mi hai chiesto di sposarti.- La donna fece l’occhiolino e uscì dalla stanza ridendo divertita.
 -Che intendeva? Quando le avresti chiesto di sposarti?- chiese Peter una volta che Lisa si fu allontanata.
 -E lo dovrei sapere io? Lo hai visto che quella è completamente fuori di testa.-
 Peter sorrise e cominciò a raccogliere i fogli sparsi sul letto del suo amico.
 -Ti piace, non è vero?-
 -Quanto un calcio nelle palle- rispose Julian piccato.
 Peter scosse la testa. L’orgoglio del suo amico sarebbe diventata la sua rovina.
 
***
 
Il salone era un vero disastro. Lisa si alzò un po’ traballando afferrando le due bottiglie di vino vuote e ciò che era rimasto delle confezioni del cibo cinese che lei e Chris avevano ordinato poco più di un’ora prima. Considerando che era ancora primo pomeriggio, Lisa cominciò a pensare che forse stavano cominciando ad esagerare con lo sfogo alcolico. In realtà non le importava. Aveva intenzione di annegare i suoi pensieri con quelle bevande magiche, e lo stava facendo con determinato stacanovismo.
 Con calma gettò tutto nel secchio per i rifiuti, prima di tornare a sedersi sul divano, accanto sul migliore amico intento a stappare la terza bottiglia di vino. La loro piccola riserva di vodka lemon era finita già da qualche ora.
 Avevano passato l’intera serata a parlare di come lei avesse rotto con Theo. Erano ubriachi, decisamente ubriachi. Tuttavia non avevano ancora raggiunto la soglia massima di sopportazione alcolica. La stanza vorticava ma non troppo velocemente. Si trattava di un buon segno, un’altra bottiglia di vino l’avrebbero retta senza problemi.
 -Sono passata da Julian Blackwood prima di tornare a casa.-
 Chris versò il vino nei due calici che aveva davanti, poggiati sul tavolino. Parlavano spesso dei loro pazienti ma mai quando erano così sbronzi.
 -Cosa è successo?-
 -Tu lo andresti a vedere un film che si chiama “Il passaggio nella siepe”?- Lisa sembrava pensierosa fissando il bicchiere di vino che aveva in mano.
 -Credo che piuttosto mi farei murare vivo. Mi ispira più o meno nello stesso modo.-
 Un sorriso si affacciò all’angolo della bocca della ragazza.
 -E una storia d’amore con il titolo “La porta per il Purgatorio”?-
 -Uhm, sembra qualcosa di tormentato. Di certo potrebbe risultare interessante.-
 Il sorriso di Lisa si allargò fino a tramutarsi in un risata.
 -Tu lo sai che non sto capendo il perché di queste domande, vero?-
 -Non importa. Non è nulla di rilevante.- “Solo la prova definitiva che Julian Blackwood è uno stronzo narcisista senza eguali nel mondo.”
 -Lisa. Sei sbronza e mi parli di titoli cinematografici. Qualcosa non va?-
 La mano di Chris raggiunse la guancia di Lisa e cominciò a sfiorarla con lentezza. Quel tocco familiare consentì alla ragazza di rilassarsi un po’. Christopher Wells era la sua panacea, l’unico a cui sapeva di poter dire tutto senza il timore di essere giudicata.
 Era suo fratello. Il suo gemello saggio a cui chiedere consiglio anche quando era più ubriaco di lei, dal momento che Chris era un affidabile consigliere persino in quelle situazioni.  
 -Sono andata da Blackwood per accompagnare un suo amico. Ho scoperto che sono sceneggiatori e…-
 Un suono interruppe il racconto. Qualcuno aveva bussato alla porta.
 -Chi sarà?-
 Chris si alzò con calma per non rischiare d’inciampare. Lisa guardò il suo amico raggiungere la porta e poi una voce conosciuta invase la stanza.
 -Buonasera. Cerco Lisa Light.-
 -Peter?- domandò lei alzandosi dal divano e dirigendosi, come meglio poteva, verso l’ingresso. Vide il ragazzo dell’ospedale, con i suoi occhi vispi e il viso appuntito. –Che ci fai qui? Come hai fatto a scoprire dove abito?-
 -Devi perdonarmi. Ho detto a una tua collega di essere tuo cugino in visita. Le ho raccontato che volevo farti una sorpresa e lei mi ha fornito l’indirizzo. Non tutte le infermiere sono sveglie come te.-
 -Su questo non ci sono dubbi- rispose Lisa sorridendo. –Accomodati.-
 Si spostò per far passare il nuovo arrivato.
 -Vuoi un bicchiere di vino? Io sono Chris, collega e coinquilino di Lisa.-
 -E’ un piacere. Sono Peter Drew.-
 -L’amico del simpaticone della stanza 19- precisò Lisa chiudendosi la porta alle spalle in modo che Chris capisse realmente chi fosse quel ragazzo, prima di lasciarsi andare a battute insensate su Julian Blackwood.
 Si sedettero tutti e tre sul divano. Peter prese il suo bicchiere e ne bevve un piccolo sorso mentre fissava il liquido rosso che vorticava nel bicchiere al più piccolo movimento.
 -Mi dispiace di essere piombato qui, in questo modo. Forse sono stato inopportuno è ho interrotto la vostra serata.-
 -Non preoccuparti, Peter. Lisa ha già esaurito del tutto l’argomento principale- si avvicinò a Peter e sussurrò. –Oggi ha mollato il suo ragazzo.-
 -Christopher!- esclamò Lisa risentita.
 -Mi dispiace- disse Peter con aria davvero amareggiata.
 -Me ne farò una ragione- disse lei muovendo la mano come per scacciare una mosca. –L’ho lasciato perché il suo lavoro sembrava contare molto più di me. Comunque di cosa devi parlarmi, Peter? Vediamo se riesci a distrarmi dalla mia patetica situazione.-
 -Ecco. Mi hai detto di aspettare domani ma io ho bisogno di chiederti subito qualcosa riguardo quel favore.- Fece una breve pausa, cercando con calma le parole più adatte. -Oltre ad essere sicuramente un’ottima infermiera, non è che per caso sei anche una scrittrice?-
 Lisa e Chris sussultarono fissandosi per un attimo negli occhi.
 -Ho detto qualcosa di sbagliato?- chiese Peter titubante.
 -Come te ne sei accorto?-
 La domanda di Chris parve piuttosto strana all’uomo minuto che sedeva sul loro divano, ma decise di rispondere.
 -L’ho capito con la sua puntigliosità verso la nostra sceneggiatura. E’ una perfezionista delle lettere, una dote molto ambita nell’ambito letterario. O almeno dovrebbe esserlo, secondo il mio punto di vista.- Lisa lo fissava incredula. –Se devo essere sincero, però, il dubbio mi è sorto per come parli delle parole. Le hai paragonate alla musica, alle note su uno spartito. Tu ami le parole e ami disporle insieme fino a creare qualcosa che somigli in modo spaventoso all’arte.-
 -Mi piacciono i libri, e ho scritto qualche storiella per mio piacere personale. Non sono una scrittrice.-
 -Lisa- intervenne Chris. –Ho letto le tue storielle e, perdonami se lo dico, ma non si tratta solo di un passatempo. Il tuo stile è meraviglioso.-
 -Sei di parte.-
 -E tu sei una stupida che non ha il coraggio di far leggere a qualcun altro ciò che scrive.-
 Lisa lo fulminò con lo sguardo.
 -Non voglio farvi litigare- cominciò Peter mortificato. –Il fatto è… Lisa, ho bisogno del tuo aiuto.-
 La ragazza rivolse lo sguardo verso di lui.
 -Trovare dei produttori per il nostro film non sarà semplice. Le sceneggiature vengono cestinate con grande facilità. Come se non bastasse, noi credevano di aver finito e invece tu mi hai fatto capire che saremo costretti a rivedere sia dialoghi che grammatica.-
 I due padroni lo ascoltavano attenti senza capire dove avrebbe trovato una spiegazione il suo discorso.
 -Lo splendido modo in cui oggi sei arrivata a trovare un titolo perfetto per il nostro film. Un titolo d’impatto, un titolo che invoglia a saperne di più. Grazie a ciò, ho capito che forse sei tu quello che stiamo cercando. Lisa, sei quello di cui abbiamo bisogno per rendere il nostro progetto il migliore prodotto mai creato dalla nostra casa cinematografica. Te lo ripeto, tu sei quello che stiamo cercando da tempo.-
 -E che state cercando esattamente?-
 -Qualcuno che tiri fuori un manoscritto decente dalla nostra sceneggiatura.-
 Lisa alzò le sopracciglia scettica.
 -Dovrei scrivere un libro intero che sia tratto dalla vostra storia?-
 -L’idea è questa. Comunque non sei costretta ad accettare subito. Ecco- le porse qualcosa. Lisa si ritrovò in mano quella una chiavetta USB. –Qui c’è l’intera sceneggiatura. Leggila e poi potrai decidere.-
 Peter si alzò in piedi bevendo un altro sorso di vino.
 -Sarò alla nostra sede in centro per tutta la sera e anche per parte della notte. Se accetterai la mia proposta spero che mi verrai a trovare oggi stesso. L’indirizzo è in un file all’interno della pennetta.-
 Posò il bicchiere sul tavolino.
 -Mi scuso ancora per esservi piombato in casa. Vi auguro una buona serata.-
 Lasciò che Chris lo accompagnasse alla porta.
 Quando il suo coinquilino richiuse, Lisa alzò gli occhi per trovare quelli del suo amico.
 -Avete parlato di questo oggi? Il tuo titolo era “La porta per il Purgatorio”, vero?-
 L’amica annuì.
 -E’ un titolo forte e proprio come te, Lisa- s’inginocchio sul tappeto davanti e lei. Prese le sue mani e la guardò in volto. –Hai sempre amato scrivere ma come ha detto Peter, nessuno ti costringe a farlo. Se vuoi la mia opinione, però, leggere quella sceneggiatura non ti ucciderà; inoltre, nessuno ti impedisce di rinunciare una volta cominciato. Se ti renderai conto di non farcela sono certo che Peter lo capirà, mi sembra una persona molto ragionevole.-
 Lisa abbassò lo sguardo sconfitta.
 -Sarò costretta a lavorare con quel maleducato di Blackwood.-
 -Hai una sceneggiatura su cui lavorare, dovrai solo scrivere. Non credo che avrai troppi contatti ravvicinati con quel tipo. Ora come ora, sarebbe la te infermiera ad avere più a che fare con lui, non la scrittrice.-
 Il silenzio piombò nella stanza per qualche secondo.
 Chris aveva l’impressione di sentire il cervello della sua amica lavorare febbrilmente in cerca di una risposta. Era così bella assorta nei suoi pensieri. Quel commento mentale fu inevitabile per Chris.
 Lisa, però, non aveva mai parlato a nessuno del suo amore per la scrittura. L’unico a conoscenza di tutto era il suo migliore amico. La ragazza aveva la sensazione che lavorare con quei ragazzi l’avrebbe costretta ad aprirsi troppo su un argomento che per lei era un segreto assoluto.
 Per non parlare di ciò che avrebbe detto o fatto il bisbetico che alloggiava nella stanza 19. Sarebbe stata canzonata e derisa. Avrebbe trascorso tutto il tempo costretta a schivare gli attacchi di quel tiranno col la gamba ingessata e il cervello difettoso.
 -Mi fa davvero innervosire quell’uomo- un’affermazione uscita in modo spontaneo ruppe il silenzio.
 -Lo so.-
 -Amo il mio lavoro.-
 -So bene anche questo.-
 Il silenzio tornò tra di loro. Non voleva trascurare quella professione che aveva sempre amato. Aveva come la sensazione che dedicarsi ad un lavoro di scrittura sarebbe risultato una specie di tradimento nei confronti del suo attuale impiego.
-Lisa, tu ami di più scrivere. E’ una parte di te, a cui non potrai mai rinunciare.-
 La ragazza spalancò per un secondo gli occhi. Aveva la risposta già da un po’, forse sin da quando Peter glielo aveva proposto.
 -Chris!-
 -Agli ordini!- rispose lui mettendosi sull’attenti.
 -Riempimi il bicchiere e prendi il portatile. Sono curiosa di leggere questa dannata sceneggiatura. E’ arrivato il momento di demolire le certezze di Blackwood.-
 -Così ti voglio, sorella!- Il ragazzo si alzò di scatto e trotterellò verso la stanza della sua amica, felice di averla aiutata.
 Lisa svuotò il vino che aveva nel bicchiere, e attese che Chris tornasse per riempirglielo di nuovo. Quel giorno aveva perso Theo. O per meglio dire, quel giorno aveva deciso di perdere Theo. Forse, però, aveva appena ottenuto l’occasione di vedere finalmente realizzato quel sogno relegato in cassetto impolverato. Era rimasto imprigionato lì dentro per anni e adesso aveva trovato il modo per saltare fuori, più prepotente che mai.
 
 
 Le luci della città erano splendide di sera. I rumori della vita che abitavano la metropoli l’avevano sempre tranquillizzata ma allo stesso tempo resa più temeraria. In quel momento il coraggio non doveva mancarle. Aveva come la sensazione che la decisione presa avrebbe cambiato per sempre la sua vita.
 Si trovava in una stradina ben illuminata, di fronte a un grande portone verde incassato in un palazzo antico che si elevava per sei piani. 
 Non c’erano insegne o targhette che avrebbero potuto venirle in aiuto per capire a chi rivolgersi. Scorse con gli occhi i cognomi scritti sui diversi campanelli finché non trovò quello che stava cercando. Si strinse nella sua sciarpa. L’inverno era finito già da qualche giorno, ma di sera il vento freddo soffiava ancora con una certa intensità.
Blackwood- Drew- Flick. MAUDITS
 Alla vista del primo cognome, una stretta fastidiosa le attanagliò lo stomaco. Il solo pensare a lui le faceva ribollire il sangue nelle vene.
 Prese un profondo respiro e spinse finalmente il tasto. Pochi secondi dopo qualcuno rispose.
 -Sì?-
 -Sono Lisa Light.-
 -Lisa!- era Peter ad aver risposto. –Entra pure. La prima porta sulla sinistra, piano terra.-
 Il portone fece uno scatto e la ragazza lo spinse verso l’interno. L’ingresso era un grande cortile antico da dove si poteva accedere a tre scale, a seconda dell’edificio da raggiungere. Lisa però non doveva cercare delle scale. Per lei c’era solo una piccola porta nera sulla sinistra.
La porta era socchiusa, e c’era attaccato sopra, con un misero pezzo di nastro adesivo, un foglio. MAUDITS. Lo stesso nome strano che aveva letto poco prima sulla targhetta del citofono.
 Lisa spinse con calma la porta e si ritrovò in un unico grande ambiente. C’erano tre scrivanie con altrettanti computer sopra. Sul lato più lontano una tenda doveva separare un'altra stanza da quella in cui si trovava. Continuò a vagare con lo sguardo e notò subito due grossi divani azzurri in un angolo, e davanti a questi un enorme tavolino ottagonale di legno chiaro, assolutamente orribile.
 Su tutti i muri erano appese locandine di film famosi e fotografie di gente con maschere strane, trucchi che ricoprivano tutto il corpo. Erano delle immagini strane ma molto affascinanti.
 Tutto l’arredamento in quella stanza era spartano ma aveva una nota calda e familiare. Si trattava di un ambiente vissuto e al suo interno si poteva avvertire aria di calma e serenità. Non poté fare a meno di pensare come potesse un ambiente così caldo e confortevole, appartenere ad una persona spigolosa come Blackwood.
 -Lisa- Peter spuntò da dietro la tenda con i mano un vassoio. –Spero che il tè freddo al limone sia di tuo gradimento.-
 Quando Peter fece la sua apparizione, Lisa ricordò che in quel posto non ci lavorava solo il suo peggior nemico ma anche delle persone gradevoli come Peter.
 -Sì, è perfetto.-
 -Benvenuta nella sede dalla Maudits, casa di produzione cinematografica indipendente. O almeno, è quello che abbiamo scritto sui bigliettini da visita. Non abbiamo scelto un ambito semplice in cui avere successo-
 Peter si sedette sul divano.
 Con calma Lisa lo raggiunse e si accomodò sul secondo divano. Voleva guardare il suo interlocutore negli occhi mentre discutevano di ciò per cui le si trovava lì.
 -Questo posto è tuo e di Blackwood?- Non poté evitare un tono duro nel pronunciare quell’ultima parola.
 -Sì, noi due e il nostro terzo socio. Luke Flick. Lui è fuori città per cercare dei contatti.-
 -Come va la ferita?- indicò la fronte di Peter.
 -Oh- lui si portò una mano sul cerotto mentre versava il tè nei bicchieri. –Molto meglio, grazie. L’ho disinfettata spesso, come mi avevi detto tu.-
 -Bene.-
 Peter le porse il bicchiere e lei lo portò subito alle labbra. Era veramente squisito. Il sapore predominante era il limone ma c’era anche un particolare retrogusto speziato che lo rendeva bilanciato e stuzzicante.
 -Tè indiano. La mia fidanzata è un tipo a cui piace provare le cose più strambe. Fortunatamente è dotata di un ottimo gusto. Anche lei fa parte del nostro progetto, è una truccatrice cinematografica ed esperta di effetti speciali.-
 -Da come ne parli, sembra davvero che qui ci lavori una famiglia- disse Lisa con un sorriso guardandosi intorno ancora una volta.
 -Lo siamo- sorseggiò anche lui il suo tè indiano. –Dopo stasera però la nostra famiglia potrebbe essere privata di uno dei suoi membri. Julian mi ucciderà quando saprà che ho proposto a te la stesura del manoscritto.-
 Lisa sorrise divertita all’idea di aver creato un fastidio del genere al suo paziente/nemico.
 -Hai avuto modo di leggere la sceneggiatura?-
 -Sì-
 -E allora?-
 Lisa si passò una mano sulla fronte con fare pensieroso.
 -Non è male ma ho come la sensazione che sia alla trama che ai dialoghi manchi qualcosa. Presenta la stessa carenza del titolo, sembra che l’abbiate scritta pensando alla lista della spesa. Avete messo insieme qualche avvenimento romantico visto un po’ dovunque e ci avete aggiunto un pizzico di drammaticità. Leggendo i dialoghi non sento la passione di chi lo ha scritto.-
 Peter scoppiò a ridere.
 -Una sceneggiatura romantica non è esattamente il sogno di tre sceneggiatori uomini. Abbiamo provato ad essere il più sentimentali possibile ma la verità è che abbiamo scritto quella sceneggiatura in modo che fosse commerciale. Dobbiamo farci conoscere e non possiamo pretendere di diventare tre Quentin Tarantino. Non possiamo permetterci il lusso di scrivere una sceneggiatura come la vorremmo davvero, colma di politica ed intrighi. La nostra fama non è sufficiente dato che quasi non esiste.-
Lisa inclinò il capo e dopo aver ascoltato attentamente le parole di Peter, si decise a rispondere.
 -In realtà è proprio questo il problema: siete stati troppo romantici, troppo commerciali. Anche le ragazzine vogliono qualcosa di più, non basta la solita solfa: si conoscono da bambini, si perdono di vista, si incontrano di nuovo e dopo qualche vicissitudine si ricordano il loro amore. Questa storia non è vera. Un uomo come Ivan, per come lo avete concepito, non direbbe mai quelle cose a una donna, anche se si tratta dell’amore che gli ha imprigionato il cuore da bambino.-
 Peter spalancò gli occhi.
 -E la protagonista, Geni. Troppo ingenua, troppo sognatrice. Lei è legata al ricordo del suo amico d’infanzia e si ritrova un uomo crudele, che non ha più voglia di amare, che ha perso la voglia di mostrare ciò che sente realmente. Voi la fate sembrare una donna senza un minimo di spina dorsale, resta la succube del suo destino senza avere alcuna occasione di combattere per ciò a cui tiene.-
 Bevve un sorso di thè.
 -Non è così che vanno le cose. Se il mio migliore amico cambiasse in quel modo, io vorrei scoprire subito cosa gli è successo. Se poi capissi che non potrà mai essere ancora come un tempo, e tornare quello di prima, cercherei di ragionare e di comprendere quanto in fondo io provi dei sentimenti per lui. Così arriverei, tramite, un attento ragionamento, al finale che avete creato. Credo che il finale sia l’unica cosa che funziona davvero.-
 Il ragazzo con gli occhiali prese un grosso respiro.
 -Perciò tu credi che dovremmo riscrivere tutto?-
 -No, no. Non intendevo questo. La trama di base va bene, è piacevole deve solo essere migliorata. Non originalissima ma si avverte l’impegno e ha bisogno di qualche colpo di scena. Niente di irrimediabile. Quello che proprio non va sono i dialoghi. Non tutti, ma un bel numero devono essere modificati. E’ una donna che parla non tre uomini che devono sforzarsi per essere romantici. L’amore nasce dal cuore non da quanto si lavora duramente per ottenerlo. In questo modo resterà sempre è solo una bella favola. E purtroppo, Peter, le favole non sono reali. Tuttavia, voi avete la splendida capacità di poter rendere la vita reale, dura e crudele, in una stupenda favola. Questo dovrebbe essere il vostro solo obiettivo.-
 -Cosa proponi? Pare che le tue idee siano sempre migliori delle nostre.-
 Lisa lo guardò con comprensione per cercare di rassicurarlo.
 -Fammi scrivere i primi capitoli del manoscritto. Se i miei dialoghi andranno bene, potremo riadattare man mano anche quelli della sceneggiatura.-
 Peter le versò ancora del tè notando che il suo bicchiere era ormai vuoto.
 -Lo sai che per il momento non possiamo pagarti in alcun modo, vero?- La nota amara nella sua voce non sfuggì all’orecchio di Lisa.
 -Lo immaginavo.-
 -Perché lo vuoi fare allora?-
 Lisa sorrise.
 -Amo scrivere ed aiutare gli altri. Se mi unisco a voi, potrò fare entrambe le cose in un colpo solo.-
 -Ti ringrazio.-
 -Aspetta a ringraziarmi. Farò tutto questo ad una sola condizione.-
 Peter la fissò dritto negli occhi.
 -Perché credo di sapere come andrà a finire?-
 -Hai capito benissimo, mio caro Peter. Lo dirai tu a Julian. Io non voglio avere a che fare con lui più del necessario.-
 Il ragazzo chiuse gli occhi, e scosse la testa cercando di scacciare l’immagine di Julian che lo strozzava con le sue stesse mani anche se costretto in letto di ospedale.
 Porse la mano a Lisa.
 -Ci sto.-
 -Bene- rispose lei stringendo la mano e sorridendo soddisfatta.
 
*****
 
Julian era in sella alla sua moto. Sfrecciava per la strada a velocità sostenuta mentre lasciava che il suo volto privo di casco si beasse di quella bellissima nottata illuminata da una brillante luna piena. Amava correre. Lo amava più di qualunque altra cosa. Si sentiva libero e il suo cervello scacciava ogni pensiero lasciando il posto al vuoto più silenzioso. Restavano soli, lui e l’asfalto. Come sottofondo il rombo della sua KTM.
La musica.
 La sua mano spinse sull’acceleratore, senza che lui desse l’ordine. La moto aumentò l’andatura e il cuore di Julian cominciò a battere senza sosta al suono di quelle parole.
Non mi hai mai donato la tua musica.
 Conosceva quella voce. La conosceva più di quanto la sua mente potesse sopportare. Era la voce sicura e fluente della donna che lo aveva quasi portato ad uccidersi.
Se tieni la tua musica per te, l’ascolterai sempre da solo.
 Ma che diavolo stava succedendo? La mano si strinse ancora di più e la velocità della moto aumentò in modo vertiginoso. Stava per perdere il controllo sul motoveicolo, ne era sicuro.
 Nessuno lo avrebbe salvato. Questa volta avrebbe trovato davvero la morte, solo che non era lui a volerlo. Qualcosa lo stava spingendo a farlo, e niente glielo stava impedendo.
Sarò io la musica della tua vita.
 Questa voce non la riconobbe.
Fammi essere la tua musica.
 Una sensazione di calore avvolse la mano che premeva l’acceleratore e d’improvviso la forza che lo aveva costretto a spingere si affievolì. Fino a scomparire del tutto. Alzò lo sguardo ma non vide nulla, solo il buio e la strada che continuava a mutare.
 D’un tratto tutto sparì.
 L’unica cosa chiara erano degli occhi grandi e colmi di sentimento che lo fissavano. Occhi che non aveva mai visto. Di un colore indefinito.
Sono la tua musica.
 Spalancò gli occhi e il soffitto bianco dell’ospedale lo guardò di rimando. Il cuore batteva forte, era sudato, e qualcosa troppo simile ad una lacrima gli solcava il volto.
 Julian guardò fuori dalla finestra e vide che era ormai sera inoltrata. L’ultima volta che aveva guardato fuori ricordava di aver visto il tramonto. La morfina avevano adempito al suo dovere, ed era riuscito a dormire per qualche ora.
 Si guardò intorno spaesato e confuso dal sogno che, suo malgrado, era stato costretto a vivere.
 La prima voce era quella di Veronica. La seconda non l’aveva riconosciuta.
 La domanda importante era un’altra, però. Che cavolo c’entrava la musica in quel sogno?
 Si passò una mano sul viso cercando di darsi una calmata mentre portava via le gocce di sudore al suo passaggio.
 I discorsi che quell’infermiera mocciosa aveva fatto il pomeriggio prima doveva aver causato un’indigestione nel suo subconscio.
 Sciocca ragazzina.
 All’improvviso l’iPhone sul suo comodino cominciò a vibrare in modo insistente. Provò ad ignorarlo ma poi si decise a prenderlo in mano.
 -Pronto, Peter?-
 -Ciao sceneggiatore senza infamia né gloria. Come ti vanno le cose?-
 -Al solito. Ossa rotte, cervello operato. Niente di nuovo.-
 Ci fu un’insolita pausa dall’altra parte.
 -Peter?-
 -Ho trovato la persona adatta per scrivere il manoscritto della nostra sceneggiatura.-
 Julian sorrise. Dopo quel sogno gli serviva proprio una buona notizia.
 -E’ fantastico. Di chi si tratta?-
 -Arriviamo proprio alla parte che ti sarà più sgradita.-
 -Peter, chi è?- ora il suo tono non era più tranquillo. Si avvicinava pericolosamente allo spazientito.
 L’amico pronunciò quel nome e Julian sentì come se il timpano fosse stato perforato da una spada incandescente, mentre avvertiva la bile risalirgli lungo l’esofago.
 -Non lo accetterò mai. Tutto, tutto! Ma non Lisa Light.-
 Chiuse la telefonata e si poggiò una mano sugli occhi. All’improvviso le iridi del sogno tornarono prepotenti nella sua mente, costringendolo ad un forte autocontrollo. Aveva voglia di urlare.
 Tutto stava andando per il verso sbagliato.
 Prima Veronica.
 Poi l’incidente.
 E adesso avrebbe dovuto lavorare con una ragazza che odiava, alla sceneggiatura in cui lui aveva messo tutto se stesso, ma che per la signorina non era abbastanza precisa e attraente.
 -Accidenti a lei!- sussurrò prima di battere il pugno sul letto. –La farò stare al suo posto, non cambierà un bel niente della mia sceneggiatura.-
 Il telefono ricominciò a vibrare.
 Julian alzò gli occhi al cielo. Pensava si trattasse ancora di Peter ma quando i suoi occhi si posarono sullo schermo un leggero sorriso addolcì i suoi lineamenti. I suoi occhi marroni sembrarono inumidirsi.
 -Ora non è il momento, piccola.-
 Tolse la vibrazione e rimise il telefono al suo posto sul comodino. Non vibrava più ma sullo schermo lampeggiò ancora per qualche secondo un nome.
Zoey.
Poi quella persona si arrese, e chiuse la chiamata.
 Julian fissò il telefono con occhi pensierosi. Avrebbe dovuto dirle la verità sull’incidente ma ancora non si sentiva pronto. Se lei avesse saputo si sarebbe precipitata al suo capezzale e in quel momento non aveva voglia di vedere nessuno. L’indomani l’avrebbe chiamata. Forse non le avrebbe rivelato tutto ma almeno aveva il dovere di tranquillizzarla.
 La sua dolce Zoey. 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5
 
 Erano le cinque del mattino. L’orario in cui Lisa si svegliava per cominciare la giornata prima del suo turno di mattina. Mancavano ancora due ore prima di dover passare il badge ma le piaceva alzarsi in tutta calma, preparare il caffè per lei e il suo coinquilino e stare da sola a pensare fino a quando il suo compagno di avventure non avrebbe deciso di destarsi dal suo sonno profondo.
 Quella mattina non andò come al solito.
 Era rimasta sveglia tutta la notte a scrivere. Non le succedeva da tempo. L’università e il lavoro non le avevano più permesso di fare le ore piccole a sfogarsi sulla tastiera del suo computer. Ogni volta che aveva intenzione di mettersi a dormire, nuove frasi, nuove armonie, bussavano alla sua mente e si era trovata costretta a metterle per iscritto. Tutte.
 Aveva completato i primi capitoli del manoscritto. Più leggeva la sceneggiatura e più il personaggio di Ivan la intrigava.
 Un bambino, figlio illegittimo di un uomo dalle origini nobili che non si era mai sposato. Quell’uomo si era innamorato della sua giovane cameriera russa e, pochi mesi dopo, all’età di sessant’anni aveva avuto il suo primo figlio. Il piccolo Ivan. Un bambino che aveva dovuto affrontare, sin dalla tenera età, gli sguardi e i pettegolezzi che riguardavano i suoi genitori. La madre era morta per un grave male quando lui era poco più di un neonato. Alla fine, diventato adulto, la corazza che aveva cominciato a costruire da bambino, a causa di voci e pettegolezzi sulla sua nascita fuori dal matrimonio, si era consolidata, era diventata impenetrabile. Persino per la sua amica d’infanzia, per il suo primo- e forse il suo unico- vero amore.
 Da adulti. Dopo essere stati separati per anni, neanche la dolce Geni poteva fare nulla per scalfire il cuore di Ivan, ormai tramutato in pietra.
 La storia prometteva bene.
 Eppure Lisa non poté fare a meno di notare nei dialoghi tra gli adulti Ivan e Geni, qualcosa di familiare. Le sembrava che quel personaggio somigliasse troppo ad una persona di sua conoscenza.
 Versò il caffè fumante nella tazza e rimase ferma a fissare il vapore che saliva in sinuosi aliti bianchi. La testa le doleva a causa dell’alcol tracannato come acqua fresca la sera prima.
 Julian era in ospedale da giorni, ma a parte Peter, Lisa non aveva mai visto nessuno della sua famiglia. Non erano mai arrivati un padre o una madre a chiedere di lui, almeno stando a ciò che le avevano raccontato le sue colleghe.
 La faccenda la stava incuriosendo più del lecito. Se ne rendeva conto. Quel ragazzo aveva un che di misterioso e tormentato. Il suo modo brusco di parlare e il suo sguardo colmo di disprezzo.
Ivan era Julian.
 Ne era quasi certa.
Una specie di consapevolezza decise di insinuarsi piano in lei, con una calma quasi dolorosa.
 Ivan aveva perso l’amore della sua vita perché aveva perduto se stesso. Il bambino che sarebbe dovuto essere gli era stato strappato brutalmente dalle mani. La vita non era stata clemente con lui. Che fosse capitata la stessa cosa a Julian? Forse c’era una donna che aveva amato davvero. Forse si trattava della causa di quell’incidente assurdo.
 Scosse il capo sorridendo.
 Julian Blackwood era un tipo tutto d’un pezzo, non avrebbe mai permesso ad una donna di portarlo addirittura ad una sorta di tentato suicidio. Non poteva essere.
 -Aaaaaaa… orno- tra uno sbadiglio e uno sfregamento di mani sugli occhi, Chris decise di fare la sua entrata trionfale in cucina con quel “Buongiorno” soffocato. I boxer erano troppo larghi e la maglietta a maniche corte che indossava era bucata e consunta. Il fisico smilzo del suo amico era sotterrato sotto quella specie di ampio pigiama. Lisa sorrise.
 -Dimmi che non ti porti a letto le ragazze vestito in quel modo, dimmi almeno questo. Mi resterebbe qualche speranza di avere anche una ragazza qui intorno ogni tanto.-
 Chris si sedette di fronte a lei sullo sgabello della penisola. Prese la tazza di caffè che Lisa gli aveva versato e ne bevve un lungo sorso.
 -A te non piacciono le ragazze, non le sopporti.-
 Vero. Solo amici uomini  per “Lisa il maschiaccio”. Non che non avesse trovato simpatiche delle ragazze ma per la psiche di Lisa erano sempre troppo contorte e complicate. I maschi non si nascondevano dietro a strani drammi. Risolvevano tutto con una serata passata a sbronzarsi. Una lite non durava più di qualche giorno.
 -E poi parli tu- Chris indicò la sua migliore amica per intero.
 -Questo pigiama era di mia nonna. Ci sono affezionata.-
 -Lo so, tuttavia quelle roselline sbiadite sono sexy quanto un pugno nello stomaco- sorseggiò il caffè. –E io sono un tipo che si eccita facilmente. Ma quel tendone da circo frena persino i miei istinti animali.-
 Lisa alzò gli occhi al cielo.
 -Sì, lo sappiamo. Quei boxer sono troppo piccoli per contenere la maestosità del tuo attrezzo.-
 -L’hai detto, mia cara!-
 Lisa scoppiò a ridere e si diresse verso la sua stanza.
 -Lo sai che stamattina hai una faccia distrutta?-Le occhiaie che le contornavano il volto dalla carnagione chiara non erano di certo sfuggite a quel falco del suo amico.
 Si fermò per un attimo, e il benessere che sentiva pervaderle il corpo poteva solo essere dovuto a ciò che aveva scritto. Era da anni che non si sentiva così soddisfatta.
 -Non ho dormito. Sono rimasta tutta la notte ad analizzare la sceneggiatura e a scrivere.-
 Chris per poco non si strozzò con il caffè bollente che era sceso giù per la gola troppo in fretta.
 -Una cosa del genere non accadeva dai tempi delle superiori- gli occhi di Chris erano spalancati.
 -Lo so- il sorriso di Lisa era luminoso.
 Chris ricambiò.
 -Ti darò una mano io oggi se ti senti stanca. Non cercare di fare tutto da sola e chiamami se cominci a perdere il controllo a causa della mancanza di sonno. Diventi nevrotica quando non dormi.-
 Lisa scoppiò a ridere.
 -Tranquillo, l’unico che potrà farmi perdere il controllo sarà quello sciagurato di Blackwood.-
 Chiuse la porta della sua stanza per vestirsi.
 Chris fissò il pavimento assorto nei suoi pensieri.
 Aveva l’impressione che il nome di Blackwood cominciasse a diventare un po’ troppo ricorrente sulle labbra di Lisa.
 Non si metteva bene, per niente.
 Che si trattasse di odio o di attrazione, quell’uomo era sempre nei pensieri della sua migliore amica.
 
*****
 
L’infermiera Lisa Light era in piedi, immobile davanti alla stanza numero 19. Erano diversi secondi che se ne stava ferma a fissare la targhetta con su scritto Blackwood. Se la caposala Burton l’avesse beccata lì in piedi con le mani in mano avrebbero sentito le sue urla fino all’altro padiglione dell’ospedale.
 Prese un profondo respiro.
 Si trattava solo di servire la colazione ad un paziente. Strinse con forza il manico del carrello.
 Aveva già completato il giro di tutti i pazienti, allestendo un blando tentativo di perdere più tempo possibile a chiacchierare e dare una mano a consumare il pasto per chi ne aveva necessità.
 Ora le scuse erano finite.
 Chris era impegnato nel preparare la terapia farmacologia per i pazienti. Non poteva di certo disturbarlo perché era troppo vigliacca. Avrebbe affrontato quel tizio a testa alta e niente avrebbe potuto sconfiggerla.
Alzò la mano e la vide muoversi a rallentatore. Le nocche toccarono appena la superficie della porta per un paio di volte.
 Odiava che quella porta restasse sempre chiusa. Non avrebbe fatto male a Julian sentire che intorno a lui c’era della vita all’interno di quel reparto.
 Così quando lui invitò chi aveva bussato ad entrare, Lisa spinse il carrello nella stanza e lasciò la porta deliberatamente aperta.
 -Buongiorno- continuava a tenere gli occhi sul pavimento mentre avanzava verso il letto.
 -Ma… Ah, ma sei l’infermiera mocciosa. Quasi non ti riconoscevo in divisa. L’aspetto di un’infermiera ce l’hai, toccherebbe controllare il cervello.-
 Voce sprezzante e piena d’astio. Tutto come al solito.
 -Quello in genere si fa ai pazienti stupidi che rischiano la vita in incidenti stradali- Lisa alzò gli occhi e fulminò quelli di Julian che alzò un sopracciglio scettico.
 -Pensavo vi insegnassero il rispetto per il paziente, le tue parole non sono gradite.-
 -A me non è gradita la tua presenza quindi direi che siamo pari.-
 Scese un silenzio glaciale mentre Lisa controllava la tabella con le diete per i pazienti. In realtà sapeva perfettamente ciò che Julian avrebbe potuto mangiare. Leggere più volte la lista prima di entrare in quella stanza era stato un altro tentativo di perdere tempo. Ormai la sapeva a memoria.
 Solo latte o tè con fette biscottate.
 Dieta leggera dopo un intervento chirurgico di quella portata.
 -Latte o tè?-
 -Tè. Sono intollerante al lattosio, un’infermiera che sa fare il suo mestiere lo saprebbe.-
 La donna alzò gli occhi al cielo spazientita. Mancanza di sonno uguale nevrosi isterica.
 -La mattina dopo l’intervento i tuoi parametri vitali erano stabili. Non hai ricevuto la colazione, era troppo presto dopo l’intervento. A pranzo i medici ti hanno concesso il tè con le fette biscottate, a cena siamo passati al brodo vegetale. Durante la notte ti hanno somministrato una dose di morfina perché riferivi dolori lancinanti in sede di ferita chirurgica. Hai cercato di alzarti per andare in bagno ma l’infermiera di turno ti ha bloccato, obbligandoti ad utilizzare la padella anche se ci ha messo un’ora a convincerti. Ieri mattina sempre tè con fette biscottate. Poi un prelievo di sangue, una TC al cranio, e ti hanno messo il gesso definitivo alla gamba. E’ solo una frattura composta di perone e tibia. Uno stupido fortunato.-
 Julian la guardava dritto negli occhi, senza perdersi una parola.
 -Dai risultati degli esami del sangue i valori risultavano nella norma e la TC non ha dimostrato la presenza di altre emorragie. A pranzo di nuovo brodo vegetale. Nel pomeriggio di ieri ancora questioni con l’infermiera per usare la padella e a cena ti hanno promosso a pesce al vapore e verdure bollite. Un’altra dose di morfina nella notte. Stamattina di nuovo la stessa colazione di ieri e il mio bel fondoschiena è qui per assicurarsi che tu mangi in modo da rimetterti il prima possibile e te ne vada da questo reparto.-
 -Il tuo bel fondoschiena?- chiese Julian divertito.
 -Sì, proprio così- rispose Lisa versando il tè nella ciotola di plastica. –Che dici? Possiamo stabilire che so fare il mio lavoro e che non sapevo della tua intolleranza solo perché tu non l’hai detto a nessuno? Presumo fosse il tuo piano malefico per farmi sentire un’incompetente.-
Il paziente non rispose continuando a lanciare lampi dagli occhi.
 -Lo prenderò per un sì. In effetti dovrei sentirmi quasi lusingata. Hai pianifica il nostro incontro di oggi nei minimi particolari. Mi dispiace di aver mandato a monte il tuo tentativo di denigrarmi- il tono di Lisa era calmo e divertito. Sistemò il servitore- il tavolo da posizionare sul letto per aiutare il paziente allettato a mangiare- e posò la colazione di Julian proprio davanti a lui.
 -Bene, dato che non hai le braccia rotte puoi mangiare da solo. Ci si vede più tardi.-
 Lisa stava per uscire quando i piedi le si bloccarono proprio davanti al carello. Theo era entrato nella stanza con una cartella in mano. Il giro visite dei medici era già cominciato, ci aveva messo davvero troppo tempo per servire la colazione in reparto. Non le era mai capitato. Tutta colpa di Julian.
 La vide subito ma si rivolse al paziente evitando di guardarla.
 -Buongiorno, signor Blackwood. Come si sente stamattina?- la voce di Theo era calma ma Lisa si accorse subito di quella sfumatura infastidita. La sua presenza lo irritava a tal punto? Piuttosto giustificato, lei lo aveva mollato di punto in bianco e in modo anche brutale.
 -Meno da schifo rispetto a ieri, ma comunque un rottame.-
 Lisa cominciò a spingere il carrello verso l’uscita.
 -E’ normale, le servirà ancora qualche giorno per rimettersi del tutto. Dato che non sembra aver riportato deficit cerebrali la sua convalescenza dovrebbe procedere tranquillamente.-
Lisa era quasi alla porta. Aveva tutta l’intenzione di andare via da lì il prima possibile. Ma non voleva dare a nessuno dei due l’impressione di una fuga in atto, anche se di quello si trattava.
 -Infermiera Light?-
 Si bloccò sul posto. Non poteva ignorare Theo, era pur sempre un suo collega in reparto.
 -Mi dica dottor Dawson.-
 -Gli esami del signor Blackwood sono tutti nella norma, ora rimuoverò i drenaggi. Direi che sarà possibile mobilizzarlo. Un giro in sedia a rotelle lo aiuterà, vorrei che se ne occupasse lei di persona. Non più di mezz’ora però.-
 Lisa alzò gli occhi al cielo stando attenta a non farsi vedere.
 Il suo ex ragazzo voleva punirla. Forse non con l’intenzione, mobilizzare il paziente era un compito da infermiere e di certo lui non sapeva l’odio che aleggiava nella stanza quando lei e Blackwood erano da soli. Però quella restava una tortura gratuita. Non avrebbe neanche potuto delegarla a Chris.
 Si voltò, cercando di sorridere, verso i due uomini, che scoprì, la stavano guardando curiosi.
 Senza che se fossero resi conto, si erano alleati per renderle la vita impossibile.
 -Certo, sarà fatto. Subito dopo il giro delle terapie verrò da lei, signor Blackwood.-
 Julian annuì.
 -Quando avrà finito con il paziente, avrei bisogno di parlarle.-
 -Potrei conoscere l’argomento?-
 Non davanti a Blackwood, sperò davvero che Theo non avesse intenzione di fare riferimento al loro rapporto proprio davanti a quell’uomo sadico e vendicativo.
 -L’argomento lo conosce. Credo che la sua reazione ad un determinato evento sia stata esagerata.-
 Lisa evitò di guardare Julian. Cominciò a pregare che Theo non rivelasse altro, era stato ancora criptico.
 -Sarò impegnata tutta la mattina e non ho voglia di parlare.-
 Era arrivato il momento di scappare. Spinse il carrello fuori dalla stanza e si diresse velocemente verso l’infermeria.
 Julian fissava il medico di fronte a lui mentre scuoteva la testa indispettito. Il paziente era incuriosito da ciò che era appena accaduto. La bisbetica infermiera si era rivolta al suo collega con troppa enfasi. Qualcosa non quadrava.
 -Tutto bene, dottore?- meglio indagare di più.
 -Cosa?- Theo si voltò verso il suo paziente. –Ah, sì. Lei è la mia ragazza, abbiamo litigato due giorni fa.-
 Julian ne sapeva qualcosa dei litigi con quella ragazzina. Povero medico, tanto intelligente e pure tanto idiota da mettersi con una malata di mente come quella.
 -Niente di grave, spero?-
 -No, mi è solo capitata un’emergenza la sera del nostro anniversario. Quando si tratta di queste cose, Lisa diventa una bambina capricciosa.-
 -Lo immagino- rispose Julian cercando di sopprimere il sorriso divertito che stava facendo capolino sulle sue labbra.
 
 Il giro terapie era giunto al termine. Lisa era in infermeria con Chris e la nuova infermiera sostituta di Lyala, finalmente entrata in maternità. Era giovane almeno quanto loro ma non parlava tanto. Faceva il suo lavoro a testa bassa e senza chiacchiere. Lisa non ricordava neanche il suo nome ma non aveva tempo per chiederglielo di nuovo.
 Il suo incubo peggiore la stava aspettando e non voleva che il suo lavoro risentisse della presenza di quell’uomo in reparto. Sarebbe stata efficiente come al solito.
 Così si ritrovò ancora una volta nella stanza di Julian. Vi era entrata spingendo la sedia a rotelle e senza dire una parola.
-Come conti di farmi sedere su quell’aggeggio?- chiese Julian con aria di sospetto.
 -Come faccio con tutti i miei pazienti- Lisa si avvicinò al letto pronta a scostare il lenzuolo ma Julian l’afferrò per un polso bloccandola.
 Lisa sobbalzò. La mano di Julian era calda e la sua presa ferrea. Ignorò il piccolo brivido che le percorse la schiena.
 -Qualcosa non va?- si divincolò dalla presa e guardò male il paziente.
 -La domanda non si riferiva al come vero e proprio, ma come conti di fare senza vedere le mie poderose parti intime. Sono nudo qui sotto.-
 -E io sono un’infermiera. Non sei il primo paziente nudo che vedo. Ti metterò i pantaloni che Peter ti ha portato- indicò l’indumento che se ne stava sulla poltrona- E ti farò sedere su quella dannata sedia a rotelle.-
 Lisa sapeva di cosa parlava, ne aveva viste a centinaia di parti intime di pazienti. Però, dovette ammettere che l’idea di Blackwood nudo le creava non poco imbarazzo.
 -Non ho intenzione di farmi vedere nudo, in queste condizioni pietose, da una che dovrà lavorare con me! Inventati qualcosa.-
 La ragazza alzò gli occhi al cielo spazientita.
 Senza aspettare neanche un attimo, tirò via il lenzuolo da sotto i piedi di Julian e lo fece risalire fino a scoprire tutte le gambe ma tenendo celati i gioielli di famiglia.
 -Tieni fermo il lenzuolo mentre ti infilo i pantaloni, quando arriverò su potrai finire di coprirti da solo. Mi volterò se sarà necessario a far finire questo supplizio il prima possibile.-
 Si volse e prese i pantaloni adagiati sulla poltrona. Erano larghi e sportivi, di un nero intenso quanto i capelli di Julian.
 Prese il piede del paziente libero dall’apparecchio gessato, e lo infilò nei pantaloni. Lo stesso fece con il piede gessato e cominciò a risalire lentamente lungo le gambe.
 Fece attenzione su quella con il gesso ma per quella sana il trattamento risultò leggermente diverso. Lisa dovette ammettere che Julian aveva delle belle gambe. Lunghe e toniche, i muscoli della gamba che poteva vedere erano tirati e la sua pelle era stranamente calda e liscia, con pochi peli.
 Arrivò al confine dettato dal lenzuolo e si fermò. Finalmente ebbe il coraggio di guardare il volto di Julian.
 -Lo fai sempre?- chiese lui con occhi strani.
 -Cosa? Vestire i pazienti che ne hanno bisogno?-
 -No, accarezzare le gambe dei pazienti in modo così provocante.-
 A quel punto le guance di Lisa presero fuoco mentre si rendeva conto che non aveva tenuto l’elastico dei pantaloni largo ma aveva permesso che il dorso di una delle due mani restasse in contatto con la pelle di Julian per tutta la risalita verso il bacino.
 Scosse il capo imbarazzata, anche se tentò in tutti i modi di non darlo a vedere.
 -E’ così che si fa- rispose con decisione.
 -Ah, se lo dici tu.-
 -Ce la fai a tirarli su da solo, adesso?- voleva levare la mano da lì il prima possibile. La pelle di Julian cominciava a scottare come lava incandescente.
 -Sì, anche se avrei preferito che continuassi tu- il suo sguardo era strafottente ma nascondeva qualcosa di affascinante. Lisa aveva la netta impressione che si stesse prendendo gioco di lei.
 Si allontanò dal letto e si voltò verso la sedia a rotelle. Aspettò qualche secondo e poi si girò notando che Julian si stava sistemando la maglietta verso il basso. Giusto in tempo per vedere un lembo di pelle del ventre, tra i pantaloni e la maglia. Lisa scosse ancora la testa sperando che lui non si fosse accorto del fatto che si fosse imbambolata a guardare il punto in cui quel lembo di pelle era scomparso.
 Dovette prendere un respiro.
 La mancanza di sesso si stava facendo sentire troppo prepotente. Era davvero disperata se il suo corpo reagiva in quel modo alla vista del corpo di un bifolco come Julian Blackwood.
 -Ora devi fare come ti dico, altrimenti rischi di farti male.-
 Julian annuì mantenendo lo sguardo fermo su di lei.
 Lisa prese la gamba ingessata del paziente e insieme a quella sana le giro verso il bordo del letto.
 -Aiutati con le mani.-
 L’uomo puntò le mani sul letto e roteò l’intero busto mentre Lisa pensava alle gambe. La procedura avvenne lentamente per evitare rischi.
 L’uomo si ritrovò seduto sul bordo del letto.  
 D’un tratto Lisa gli afferrò il volto dalle mani e lo guardò con attenzione.
 -Ti gira la testa?-
 -No- però in realtà un po’ di vertigini le aveva. Non voleva mostrarsi debole davanti a lei e non voleva chiedere a se stesso come mai quelle vertigini avessero avuto inizio proprio quando lei lo aveva toccato sul volto.
 -Bene. Ora metterò le braccia sotto le tue, ti aiuterà ad alzarti. Non possiamo rischiare che tu cada e fai attenzione a non toccare il pavimento con l’arto ingessato. Me aiutarmi, mettimi le mani sulle spalle o intorno al collo, sarai più stabile e non dovrò sopportare tutto il peso da sola.-
 Julian sollevò le braccia e Lisa si chinò verso di lui. Lo afferrò per il busto e lo aiutò ad alzarsi.
 Quando se lo ritrovò in piedi tra le sue braccia, la donna non poté fare a meno di notare quanto fosse alto e quanto i muscoli della sua schiena fossero delineati.
 Deglutì a vuoto mentre Julian si metteva completamente dritto stando attendo alla gamba.
 Il viso di Lisa finì sulla spalla di Julian e il suo profumo la invase. Era in ospedale da giorni eppure la sua pelle profumava di buono e fresco.
 -Voi infermiere avete uno strano modo per provarci con i pazienti…-
 -Pensa che ce lo insegnano all’università spacciandola per una procedura che fa alzare il paziente dal letto in sicurezza.-
 Le mani di Julian si posarono sulle spalle di Lisa che avvertì ancora quel brivido lungo la schiena. Ma quanto potevano essere calde delle mani? Quelle di Julian erano fuoco puro.
 -Ora ci gireremo e ti siederai con calma sulla sedia.-
 -Non sarebbe male restare così- l’occhiolino di Julian fece perdere un battito al cuore di Lisa. Lo odiava, a morte. Doveva però ammettere che era dannatamente attraente e che le sue mani erano quanto di più eccitante ci potesse essere al mondo. Calde, decise, grandi. Erano la causa del formicolio al basso ventre che Lisa non riusciva più ad ignorare.
 -E quanto pensi che potrei reggere il tuo peso?- … “e il tuo profumo.”
 -A te per quanto piacerebbe avermi così vicino?- Julian cominciò a guardare Lisa con occhi indagatori ma talmente seducenti da amplificare il formicolio.
 Lisa costrinse Julian a girarsi e con quel movimento avvertì i loro corpi venire in contatto molto più del dovuto. Lei gli stava praticamente attaccata addosso e questo non era scritto in nessun libro di procedure infermieristiche. Il corpo di Julian era ardente ed appetibile come le sue labbra che se ne stavano lì, a pochi centimetri dal viso della donna, emanando una fragranza quasi afrodisiaca.
 -Meglio che tu ti sieda.-
 Lo costrinse ad accomodarsi sulla sedia a rotelle e finalmente la donna avvertì un senso di leggerezza. La vicinanza di quel corpo l’aveva schiacciata, come se al contatto con lui la sua pelle fosse diventata un potente magnete. Ci aveva messo tutto l’autocontrollo possibile per ricordarsi che quello era Julian Blackwood. L’odiato Julian Blackwood.
 -Ti vuoi liberare di me così facilmente, eh?-
 -Ci sto provando- rispose Lisa con un sorriso di scherno.
 -Non hai risposto alla domanda.-
 -Non ne ho intenzione.-
 -Forse perché l’idea di avermi tutto per te senza vestiti alla fine non ti fa poi tanto ribrezzo.-
 -O forse è perché…- La frase non si completò da sola come al solito, non le veniva in mente nessuna frecciatina come risposta. La verità era che il suo corpo parlava per lei e non aveva alcuna intenzione di mentire a se stessa. Julian era attraente. Troppo attraente. E totalmente inopportuno.
 -Bene, signor Blackwood- una voce che proveniva dalla soglia della porta la salvò da quella risposta che tardava ad arrivare.
 La nota negativa era che quella voce apparteneva a Theo.
 -Vedo che è riuscito ad alzarsi senza troppi problemi.-
 Lisa cominciò a chiedersi da quanto tempo Theo fosse lì. Quanto aveva visto di tutta quella procedura che non era stata esattamente professionale? Quanto aveva ascoltato delle loro frecciatine colme di doppi sensi?
 -L’infermiera Light è stata così gentile da assistermi con le dovute cure, il suo tocco è davvero delicato e preciso. Le sue competenze sono indubbie.-
 Subito Lisa si voltò a incenerire il seccante Julian con gli occhi.
 -Andiamo- disse la donna cominciando a spingere la carrozzina.
 Passarono davanti a Theo che fissava la sua ex fidanzata un po’ confuso.
 -Comunque Lisa.-
 Ecco di nuovo la voce di quel medico che la costrinse a fermarsi.
 -Sì- di voltò verso di lui.
 -Quando rimetterà il signor Blackwood a letto magari non ci metta tutto il tempo ci hai impiegato per farlo alzare. Sono ricoverati altri pazienti in questo reparto che necessitano della sua magistrale assistenza.-
 Quella era proprio la prova che Theo era stato presente durante tutta la scena di poco prima.
 -Sì, dottor Dawson.-
 Non aveva voglia di litigare né tantomeno di parlare con lui.
 Quando furono abbastanza lontani da Theo, Lisa ritrovò la forza di parlare. L’incontro con il suo ex le aveva smosso qualcosa dentro. Si era ripresentato quando ormai l’aveva persa. Chris aveva ragione, adesso avrebbe dovuto lottare di nuovo per la donna che amava. L’interesse era tornato, proprio come quello di un bambino per il giocattolo vecchio che qualcuno voleva sottrargli da sotto il naso.
 Be’, lei non sarebbe stata la ragazza affranta, incompresa dal suo amore che si piange addosso. 
 Basta giochetti. Era arrivato il momento di affidarsi solo alla verità.
 -Vuoi una risposta alla tua domanda di prima?- chiese d’un tratto alla testa di Julian che se ne stava in silenzio sulla sedia a rotelle mentre lei lo spingeva verso la fine del corridoio.
 Non attese che lui parlasse.
 -Ho venticinque anni e un bel corpo fa effetto anche a me, ma questo non significa che la mia antipatia nei tuoi confronti possa diminuire. Sei odioso, e questo è ciò che mi impedirà anche solo di immaginare di venire a letto con te.-
 -Mi sembra una risposta ragionata. Almeno non sei una bugiarda.-
 Lisa alzò le spalle come se potessero impedirle di continuare quella conversazione. Sapeva, tuttavia, che Julian sarebbe rimasto in reparto ancora per diversi giorni e sarebbe entrata in contatto con il suo corpo altre volte. Non voleva sentirsi in imbarazzo per sempre. Dire la verità era l’unica scelta adulta che potesse prendere.
-Ciò non toglie- continuò Julian. –che vedremo cosa accadrà quando non saremo chiusi qui ma da qualche parte, da soli, a scrivere quello stupido libro.-
 Attraversarono la porta d’ingresso del reparto e Lisa si sedette su una delle sedie della sala d’aspetto per guardare Julian negli occhi.
 -Di che diamine stai parlando? Non devo scrivere il libro insieme a te.-
 Era la prima volta in tutta la mattinata che affrontavano finalmente quell’argomento.
 Julian scoppiò a ridere.
 -La sceneggiatura che hai tra le mani è una mia creatura, non lascerò che una romanziera da strapazzo modifichi tutto ciò che per me è importante senza dire la mia.-
 Lisa lo guardava confusa.
 -Peter e Luke hanno parlato ieri sera. Peter lo ha convinto a cedere a te una parte dei diritti del libro e ci sarà il tuo nome sulla copertina. Non sarai solo una ghostwriter. Il libro sarà anche tuo.-
 Gli occhi della donna diventarono increduli.
 -Non posso impedirglielo. Siamo due contro uno. La sceneggiatura, tutto il film, è stato una mia idea e l’unico modo perché io accetti di cedertene una parte è che ci sia io durante la stesura.-
 -Io non voglio i diritti del libro- disse subito Lisa.
 Julian fece un sorriso consapevole.
 -E io non voglio vedere la locandina del mio film in tutti i cinema con il mio nome stampato a caratteri cubitali- una risata divertita invase il corridoio del reparto. -Non mentirmi, Lisa. Se sei davvero una scrittrice, il tuo nome sulla copertina di un libro è quello che hai sempre sognato.-
 Lisa era consapevole di quanto Julian avesse ragione. E in tutto quel discorso riuscì persino ad avvertire i brividi lungo la schiena quando Julian pronunciò il suo nome. Si accorse di quanto stesse bene su quelle labbra.
 -Lisa… Diversamente non se ne esce. Mi spiace.-
 -Va bene. Scriveremo questo cavolo di libro insieme ma cerca di tenere le mani a posto, e smettila di trattarmi come una mocciosa di dieci anni.-
 -Farò del mio meglio- disse Julian porgendole la mano per suggellare il loro accordo.
 -E’ questo che mi preoccupa- Lisa strinse la sua mano.
 -Sempre che non sia tu a dover tenere le mani al loro posto, piccola Lisa.-
 Un altro brivido lungo la schiena. Di nuovo quella pelle bollente a contatto con la sua e quella voce suadente che le inondava il cervello.
 -Allora, cosa c’è tra te e il dottorino biondo?- Julian lo chiese a bruciapelo, stringendo di più la sua mano. –Stando a lui, sei la sua ragazza?-
 -Ex.-
 Lisa tolse la mano, quella pelle bruciava troppo e la sua stretta improvvisa l’aveva destabilizzata.
 -Lo hai lasciato e lui non lo sa?-
 -L’ho lasciato e lui non lo accetta.-
 -Cos’è? Non era abbastanza per te? Un bel dottorino biondo e intelligente… Tutte le donne se lo porterebbero a letto in un attimo.-
 Lisa abbassò lo sguardo sorridendo amareggiata.
 -Ero io a non essere abbastanza per lui. Probabilmente non lo sarò mai.-
 Non riusciva neanche a capire perché non troncasse quella conversazione sul nascere.
 Julian spalancò gli occhi cercando qualcosa di adeguato da dire ma venne bloccato da un saluto gioioso.
 -Buongiorno, miei drammaturghi!-
 La voce di Peter salvò Julian dal guaio in cui si era andato a cacciare. Aveva intravisto Theo, prima, sull’uscio della sua stanza, e voleva mettere alla prova la piccola Light. Per questo l’aveva provocata. Era certo che il loro litigio fosse una stupidaggine ma non ne era più tanto sicuro dopo le parole che Lisa aveva pronunciato.
 L’infermiera si alzò in piedi, tenendo gli occhi bassi.
 -Manderò il mio collega per riportarti in camera.-
 Julian la guardò mentre si dirigeva all’interno del reparto.
 -Che le hai fatto?- chiese subito Peter fissando il suo amico.
 -Questa volta io non c’entro. E’ una cosa che riguarda solo lei e il suo fidanzato, o ex. Non ho capito bene.-
 Peter si sedette accanto al suo amico. 
 -Sei il solito caprone.-
 -Che intendi dire?-
 -Voglio dire che hai il brutto vizio di parlare senza conoscere i fatti.-
 Julian attese che le spiegazioni del suo amico continuassero.
 -Il suo ex la trascurava, da quanto ho potuto capire. Lei lo ama ed è stata costretta a lasciarlo per non doversi sentire sempre la seconda scelta. Quello che le hai detto è stato crudele.-
 -Hai sentito tutto?-
 -Più o meno.-
 Julian abbassò lo sguardo. Forse aveva davvero parlato troppo.
 -Dovremmo lavorare con lei, Julian, per diverso tempo. Non dico che debba per forza andarti a genio tuttavia cerca almeno di non farla fuggire prima che abbia finito il suo lavoro. Abbiamo bisogno di quel libro e ho la sensazione che lei sia davvero la migliore che potesse capitarci.-
 L’amico annuì in modo impercettibile.
 Avevano lavorato come dannati per ultimare quella sceneggiatura, non poteva mandare tutto all’aria solo a causa del suo caratteraccio.
 Avrebbe fatto uno sforzo, e nonostante l’attrazione fisica che provava verso quella ragazza, si sarebbe comportato bene. Era finito il tempo dei giochetti, doveva restare fuori dalla vita di Lisa. Il loro rapporto sarebbe stato solo di natura professionale.
 Sì, tutto si sarebbe risolto in quel modo. Anche se quel dottorino restava uno stupido per ciò a cui aveva rinunciato. Aveva la netta impressione che Lisa potesse dare ad una persona tutta se stessa, e il dottorino non lo aveva minimamente capito. 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6
 
 Il pomeriggio seguente Lisa si trovava nello spogliatoio delle infermiere pronta a cominciare il suo turno per quel giorno. Se ne stava in piedi fissando il pavimento. Aveva indossato i pantaloni della divisa ma la casacca era ancora ferma nelle sue mani, lasciandola solo in reggiseno.
 Per tutta la notte non aveva fatto altro che pensare alla sua conversazione con Julian. Quell’uomo riusciva a tirare fuori il peggio di lei. Le aveva fatto ammettere la sua attrazione ed era persino arrivato a costringerla a confessare il vero motivo per cui si era allontanata da Theo.
Lei non era abbastanza.
Non era ciò che lo rendeva davvero felice.
 Forse lo aveva sempre saputo ma ammettere in quel modo i suoi pensieri ad un mezzo sconosciuto che non le stava neanche simpatico, era una cosa che non si sarebbe mai aspettata.
 La storia con Theo l’aveva toccata molto più del previsto. L’aveva obbligata a fare i conti con l’opinione che aveva di se stessa, ed era arrivata alla conclusione che la forte Lisa Light in realtà era una donnicciola innamorata, condizionata completamente da un uomo.
 Non avrebbe mai creduto possibile che un ragazzo la riducesse in quel modo.
 Lo amava davvero a tal punto?
 La porta dello spogliatoio si aprì e Lisa vide entrare la giovane sostituta di Lyala.
 -Ciao, Lisa- disse lei con un sorriso.
 -Ciao…- non sapeva il suo nome, non lo ricordava.
 -Martha- il sorriso non abbandonò il suo volto.
 -Mi dispiace, io…-
 -Non scusarti, sono arrivata solo ieri. Posso capire se non ti ricordi come mi chiamo, staitranquilla.-
 Lisa cominciò a fissarsi le mani imbarazzata.
 Quella ragazza era semplice. Non indossava niente di vistoso, neanche una catenina. Il trucco era appena accennato e i capelli lunghi, neri, se ne stavano lisci e in ordine senza mostrare nessuna pretesa.
 Una semplice, giovane, ragazza.
 -Vediamo di rompere il ghiaccio- cominciò Martha prendendo la divisa. –Come va con il paziente della stanza diciannove?-
 Lisa spalancò gli occhi e avvertì le guance scaldarsi.
 -Ne parla tutto il reparto- rise l’altra infermiera. –Credo siano anche partite delle scommesse su quando lo ucciderai con un cuscino. O era strozzarlo col tubo della flebo? Non me lo ricordo.-
 Parlavano solo del fatto che non lo sopportasse. Be’ quello era vero.
 -E’ un uomo piuttosto irritante, non so se hai notato.-
 Martha s’infilò i pantaloni bianchi.
 -A dire il vero, con me e con le altre infermiere è un angelo. Un po’ testardo su alcune cosette ma non ci ha mai dato problemi.-
 -Cosa?! Non ci credo!-
 Quindi era solo lei a scatenare in Julian quel comportamento insano.
 -E’ un ragazzo molto educato e piacevole. Molto intelligente, sì.-
 Lisa indossò la casacca e attaccò il cartellino.
 -Si vede che non sopporta solo me, posso farmene una ragione.-
 -Oppure è interessato a te.-
 Le mani di Lisa si bloccarono mentre si stava legando i capelli.
 -E’ attraente- continuò Martha. –Non ci sarebbe nulla di male nel trovarlo un uomo affascinante. Non credi?-
 -Gli uomini con cui non posso fare una conversazione senza perdere le staffe non sono proprio il mio tipo.-
 Martha si aprì in un sorriso colmo di dolcezza.
 -Mi sembra un’ottima considerazione.-
 -Ci vediamo in reparto- disse Lisa aprendo la porta.
 -Certo.-
 La porta si richiuse alle spalle dell’infermiera Light. Per un attimo rimase ferma, con lo sguardo fisso nel vuoto. Per la prima volta le venne un dubbio serio, a cui non aveva mai dato adito ma che si era annidato nel suo cervello da diversi giorni.
 Sarebbe davvero riuscita a lavorare con Julian Blackwood senza combinare un casino epocale?
 
 Era giunto il momento di servire la cena al principino della stanza numero diciannove. Lisa aveva evitato per tutto il pomeriggio di avere contatti con lui e ci era riuscita. Ora però, i suoi colleghi erano occupati e toccava a lei.
 Si diresse verso la sua stanza e notò che la porta era aperta. L’orario di visita non era ancora finito quindi Lisa dedusse che ci fosse Peter con lui.
 Entrando nella stanza notò che non si era sbagliata, tranne che per un piccolo dettaglio. Non c’era solo Peter.
 -Lisa!- esclamò il ragazzo occhialuto salutandola con un sorriso. Sulla sedia accanto a lui c’era seduta una donna sulla trentina. Anche lei portava gli occhiali e il suo viso era caratterizzato da lineamenti piuttosto spigolosi, avevano quasi un sentore di mediorientale. I lunghi capelli erano costretti in treccine etniche.
 -Lei è Lisa?- chiese la donna alzandosi in piedi.
 -Esatto, mia cara.-
 -Presentale, Peter. La piccola Light non ci sta capendo un bel niente.-
 Quella voce costrinse Lisa a voltarsi verso l’unico letto presente nella stanza. Incontrò immediatamente gli occhi scontrosi di Julian mentre la fissava in modo enigmatico. Soffocarlo con un cuscino o strozzarlo, eh? Qualcuno quella scommessa l’avrebbe vinta, ne era certa.
 -Lisa, questa è Daisy- disse Peter allegro. –E’ uno dei fondatori della Maudits, nonché la mia fidanzata.-
 Lisa distolse lo sguardo da Julian mentre posava il vassoio con la sua cena sul tavolo.
 -E’ un piacere conoscerti, Daisy.-
 -Oh, il piacere è tutto mio- rispose la donna porgendole subito la mano. –Ti ringrazio davvero tanto per aver accettato la nostra proposta. Ci hai proprio tolto le castagne dal fuoco. Almeno l’incidente di questo imbecille è servito a qualcosa.-
 -La solita rompi scatole- mormorò Julian incrociando le braccia, cercando di nascondere una smorfia di dolore. Le costole incrinate facevano ancora male.
 Lisa notò subito che il colorito dell’uomo era migliorato rispetto al giorno precedente. Si stava riprendendo in fretta.
 -Non hai il diritto di parlare, Julian Blackwood.-
 Per poco l’infermiera non fece un salto. La voce di Daisy era sicura e colma di rimprovero. Sembrava una madre che stava sgridando il figlio.
 -Hai rischiato di morire per una stupida cotta del cavolo. Quella donna era un demonio e tu l’hai scambiata per una dea. Non le è mai importato un accidenti di te, eri solo il suo passatempo e tu hai lasciato che ti manipolasse a suo piacemento. Fai tanto il duro e poi ti lasci abbindolare come un liceale. Hai ventisette anni, non quindici.-
 Julian alzò gli occhi al cielo spazientito.
 -Ti ho già detto che sono stato un coglione, ma sono tornato in me quasi subito. Perciò smettila di farmi la paternale.-
 -Come, prego? Io non smetto proprio di fare un bel niente! Andare a quella velocità e rischiare di diventare una macchia rossa sull’asfalto è stato un gesto da puro idiota. E tutto solo perché la reginetta dell’Inferno ha deciso di tornare con il suo ex e di lasciarti. Sei un emerito imbecille!-
Lisa spalancò gli occhi incredula. Julian aveva davvero fatto una cosa del genere?
 -Che razza di stupido- mormorò avvicinandogli il tavolino al letto per permettergli di consumare la cena.
 -Che hai detto?-
 La donna lo fissò dritto negli occhi.
 -Ho detto che sei uno stupido.-
 -Ma come ti…?-
 -La tua vita è importante!-
 Fissò i suoi occhi in quelli di Julian. Ne scaturì odio allo stato puro, tanto da far sobbalzare il paziente.
 -Sei in un ospedale, io qui ci vivo. Vedo gente morire ogni giorno, persone che non vogliono morire ma che non hanno altra scelta. Combattono fino alla fine, si aggrappano ad ogni briciolo di energia. Tu eri sano, non avevi nulla. Non hai avuto rispetto per te e per le persone che ti vogliono bene. Sei stato un lurido egoista.-
 Così andò a farsi benedire il dovere di un infermiere nel giudicare le scelte del paziente. Quell’uomo era in grado di scardinare qualunque filtro Lisa avesse costruito per fare il suo lavoro come si doveva.
 Julian la guardò per qualche secondo poi si aprì in un sorriso amaro.
 -Cosa ti fa pensare che qualcuno avrebbe pianto la mia morte?-
 -Il fatto che due persone siano qui. Me lo fa pensare vedere un amico in questa stanza tutti i giorni a sopportati, e assistere ad una amica che ti rimprovera duramente solo perché voleva che tu restassi in vita. Sono già due persone, e nonostante tu sia un imbecille, sospetto che ce ne siano altre.-
 Il silenzio invase la stanza.
 -Ho già ammesso di essere stato un coglione, non posso fare di più.-
 Abbassò la testa con aria sconfitta.
 Lisa non ci vide più e il suono di una schiaffo riecheggiò nella stanza. Il viso di Julian si era girato dall’altra parte e lentamente portò una mano sulla guancia colpita.
 -Perché…?-
 -Perché c’è altro che puoi fare, che devi fare. Ti devi scusare con i tuoi amici.-
 Julian spalancò gli occhi incredulo per ciò che aveva sentito.
 -Sono stati in pena per te, hai fatto prendere un colpo a tutti loro. Il minimo che tu adesso possa fare è scusarti.-
 -Mi piace questa ragazza- mormorò Daisy al fidanzato.
 -Anche a me- rispose Peter.
Julian continuava a massaggiarsi la guancia mentre uno strano sorriso gli appariva sul volto.
 -Sta sorridendo?- chiese Daisy stupita. –Ancora non ha lanciato fiamme dagli occhi?-
 L’uomo continuò a sorridere e puntò lo sguardo sulla sua gamba ingessata. Una delle tante conseguenze che aveva portato quella decisione piuttosto azzardata e stupida.
 -Costretto ad esaudire i desideri di una ragazzina impicciona- mormorò tra sé. –Sto cadendo davvero in basso.-
 -Non mi sembra di aver ancora sentito delle scuse- disse Lisa con voce dura.
 -Okay, va bene- alzò lo sguardo e rimase in silenzio per un istante guardando i suoi amici. Prese un respiro. –Mi dispiace- lo disse tutto d’un fiato. –Avete ragione entrambe e io sono stato un imbecille. Va bene, così?-
-Si può sempre migliorare- disse Lisa aprendosi in un sorriso. –Per il momento credo che questo possa bastare. Ragazzi?-
 -Va bene- risposero i due in coro, ancora troppo stupiti per il comportamento di Julian. Non aveva mai ascoltato nessuno, non aveva mai dato ragione a nessuno, ed erano bastate poche parole di quell’infermiera per farlo cedere in quel modo.
 -Ora che ho svolto anche la parte psicologica del mio lavoro, vi lascio. Altri pazienti attendono la cena.-
-Aspetta!- esclamò Daisy piazzandosi davanti la porta con le mani sui fianchi. Somigliava tremendamente alla caposala Burton.
 Lisa stava per aprire bocca ma la donna la interruppe riprendendo a parlare.
 -Noi dobbiamo parlare! Oggi!-
 -Daisy, smettila di fare la dittatrice. Sei incredibilmente invadente- mormorò Julian scuotendo la testa.
 -Prova a crescere tu con tre fratelli maschi e una madre come la mia e, credimi, l’invadenza diventa alquanto relativa.-
 Incrociò le braccia e fulminò Julian con lo sguardo. Si rivolse poi, ancora una volta, a Lisa.
 -Hai da fare stasera?-
 L’infermiera restò per un attimo in silenzio mentre guardava quella strana ragazza che era perfino più bassa di lei. Eppure nonostante il corpo minuto e la misera statura emanava un’energia che sarebbe stata in grado di radere al suolo una montagna.
 -Non ho nulla da fare, ma presumo che se avessi avuto un impegno mi avresti costretto a rimandare.-
 Daisy sorrise soddisfatta.
 -Sei davvero perspicace, sono sicura che andremo d’accordo.-
 -Tu vai d’accordo con tutti quelli che ti danno corda- ancora una volta Julian s’intromise.
 -Anche, tu. Forse è per questo che non ti sopporto.-
 L’aria era diventata pesante nella stanza. Lisa fissava i due interlocutori velatamente preoccupata. Ora la potente energia partiva anche dal corpo di Julian.
 Lisa guardò Peter che alzava le spalle rassegnato prima di esibirsi in un vistoso sospiro esasperato.
 -Okay, dateci un taglio!- esclamò alzandosi in piedi di scatto. Si voltarono entrambi a guardarlo. –Fate sempre il solito teatrino e ancora non vi siete stancati? Accettate il fatto di avere due caratteri ingestibili e non pestatevi i piedi l’un l’altra. Fate gli adulti!-
 Aveva pronunciato ogni singola parola con compostezza e il sorriso sulle labbra.
 Lisa notò con piacere che non era l’unica a pensare che Julian Blackwood avesse un carattere tremendo.
 -Okay, va bene- disse Julian abbassando lo sguardo. Daisy lo seguì a ruota.
 -Quindi è così che funziona?- chiese Lisa ai tre presenti.
 -In che senso, mia cara?- la gentilezza di Peter mitigava l’aria nella stanza. Era come una finestra che si apriva e faceva entrare una brezza rinfrescante.
 Julian la fissava con un misto di interesse ed ostilità.
 -Loro si accendono e tu li spegni?-
 Più semplice di così non avrebbe potuto dirlo. Loro erano il fuoco, i loro caratteri la legna che continuava ad alimentarli. E Peter. Be’ Peter non era aria, ma acqua. Una bella cisterna piena d’acqua che riusciva a sedare le fiamme. Lisa aveva l’impressione che quei tre funzionassero insieme solo perché era lo stesso Peter a tenerli uniti.
 -Mi consideri un secchio d’acqua?- chiese Peter scoppiando a ridere.
 -Nel mio immaginario sembri più una cisterna, il secchio non sarebbe sufficiente.-
 A quel punto anche Daisy cominciò a ridere.
 -Sempre più perspicace.-
 -Perciò quando lavorerò con quello straccio d’uomo anch’io dovrei essere come l’acqua?-
 -Straccio?!- esclamò Julian risentito.
 Lisa lo ignorò.
 -La conversazione a cui ho appena assistito mi ha aperto un mondo, ancora non so di preciso come comportarmi con questo idiota, ma almeno mi sono fatta una minima idea.-
 -Io sarei qui nella stanza, non dovresti tenere i tuoi insulti per te in mia presenza?-
 La donna alzò le spalle.
 -Non ho filtri. Non mi piace averli. Se penso una cosa la dico, soprattutto se la persona in questione non mi è particolarmente simpatica.-
 Si rivolse a Daisy non facendo caso alle frecciate di disappunto che Julian le lanciava.
 -Daisy, sono pronta ad eseguire i tuoi ordini. Hai bisogno di me stasera?-
Le palpebre di Daisy sbatterono un paio di volte prima che il cervello le si ricollegasse.
 -Oh, sì. Voglio conoscerti meglio. Lo faccio sempre con i miei colleghi e non vedo perché tu debba essere un’eccezione. Bevi qualcosa con me e Peter?-
 -Cosa?!- la voce che proveniva dal letto non sembrava aver toccato le due donne.
 -Su, Julian. Sei intrappolato in un letto d’ospedale. Potrai conoscerla meglio anche tu, quando uscirai da qui- si esibì in un occhiolino. –Nel frattempo a lei ci penso io.-
 -Ho la sensazione che questa frase dovrebbe disturbarmi ma farò finta di nulla.-
 -Amo la tua intelligenza- disse Daisy quasi commossa. –Non ho bisogno di spiegarti nulla.-
 -Il mio lavoro mi obbliga ad essere sempre un passo avanti agli altri.- Lisa sorrise. – E, a proposito di passi, ora devo proprio alzare i tacchi e occuparmi degli altri pazienti .Stacco alle venti e trenta, potete venire a casa mia con me se vi va di aspettare qui.-
 -Potremmo prendere qualcosa da bere nel frattempo- disse subito Peter con la sua solita premura. –Bianco o rosso?-
 -Entrambi- disse Lisa sorridendo. –Domani mattina non ho nulla da fare e i miei adorabili pazienti mettono a dura prova la mia povera mente.-
 Un’occhiata verso Julian fu d’obbligo.
 -Ho voglia di una bella sbronza.-
 -E sbronza sia!- esclamarono Daisy e Peter all’unisono.
 Lisa stava per uscire dalla stanza, poi si fermò.
 -Ah, se trovate dei limoni portateli.-
 -Ci devi fare la limonata? Non sei già abbastanza acida?- la voce piccata arrivò direttamente dal paziente del letto.
 Lisa si voltò con un sorriso furbo.
 -No, bimbo. A casa ho la tequila.-
 Uno sguardo complice con i suoi futuri ospiti e uscì dalla stanza. La risata che sentì mentre si allontanava dalla stanza le fece capire che avevano afferrato il concetto. Oltre al vino, c’era bisogno di tequila, sale e limone. Senza i limoni sarebbe stato complicato.
 
******
 
 Non fu semplice spiegare a Chris perché due amici di un paziente si fossero piazzati sul divano di casa loro. Alla fine però, convenne che non si trattava di un’idea così malvagia. Lisa avrebbe dovuto lavorare con quelle persone e a Chris faceva piacere conoscerle un po’ meglio. Almeno non sarebbe stato in pensiero per Lisa. Attirava da sempre i guai come una calamita.
 I due ospiti, oltre al vino e ai limoni, avevano anche pensato di prendere due pizze. Dopo averle spazzolate via si sentivano tutti molto più soddisfatti.
 Fino a quel momento avevano parlato del più e del meno. Daisy e Peter si erano conosciuti su un set tre anni prima e da allora non si erano più separati. Qualche mese più tardi, su un altro set, avevano conosciuto Julian e Luke. Da quell’incontro, sul set di un film rimasto del tutto anonimo, era arrivata l’idea. Erano stanchi di dover lavorare con sceneggiature di terz’ordine, e sapevano di essere più che competenti per creare loro stessi i propri lavori. Così fondarono la Maudits.
 Quando anche la seconda bottiglia di fino fu vuotata e Chris si cimentava nella preparazione degli short di tequila, Lisa fece una domanda che le ronzava in testa da un po’ di tempo.
 -Come mai Maudits? A quanto ne so io, non a che fare con qualcosa di sinistro questa parola?-
 -Non direi- cominciò Peter sorseggiando il suo vino con calma. Lui era ancora al primo bicchiere, mentre la testa di Lisa vorticava per tutto l’alcol che aveva già ingurgitato. Stessa cosa valeva per gli altri due.
 -Il nome lo ha proposto Julian.-
 Lisa sussultò nel sentire quel nome.
 -Già- intervenne Daisy con la voce più acuta rispetto all’inizio della serata. – Al principio ha imposto l’idea, come al solito. Per lui era perfetto senza dare spiegazioni, ma alla fine ha parlato.-
 -Sì, dopo che tu lo hai torchiato per giorni.-
 -Poteva resistere e invece ha ceduto. Se avesse parlato prima avrei evitato di essere così insistente, dato che la sua idea mi è apparsa valida nel momento in qui si è deciso a spiegare.-
 -E qual è questa spiegazione?- chiese Chris porgendo a tutti un bicchierino di tequila.
 Peter fece un cenno di diniego con la testa.
 -Io passo, domani devo alzarmi presto- il suo sorriso era puro e semplice. –Comunque il motivo è non è contorto. Maudits viene dalla frase “Poetes Maudits”, i poeti maledetti. Un po’ tutti conoscono questa espressione ed essendo noi indipendenti e nuovi avevamo bisogno di un nome significativo che lasciasse l’impronta. Forse non è rassicurante ma una casa di produzione non deve esserlo. Dobbiamo farci conoscere come rivoluzionari e freschi. Il nome è perfetto per questo scopo.-
 -Short?- fece Daisy alzando il bicchierino colmo di tequila.
 Chris e Lisa annuirono subito.
 Presero un pizzico di sale e lo misero in bocca. Poi la tequila e subito dopo la fetta di limone per rinfrescare il palato.
 Appena il liquido chiaro lambì la gola di Lisa, avvertì il calore scivolare lungo l’esofago fino allo stomaco e la testa cominciò a girare più vorticosamente. Eppure era una sensazione così piacevole e liberatoria. Il giorno dopo si sarebbe sentita sicuramente a pezzi ma in quel momento la tequila era la cosa migliore che le fosse capitata quel giorno, o forse era la cosa migliore da settimane.
 -In effetti- cominciò Chris posando il bicchierino sul tavolino. –Come idea mia piace, ha grinta.-
 -Proprio ciò che volevamo dimostrare- rispose Daisy con un sorriso.
 Lisa rimase per un attimo sovrappensiero. Davvero era questo il solo motivo che aveva spinto Blackwood a proporre quel nome con tanta determinazione? Dal titolo della loro sceneggiatura aveva capito che i nomi non erano importanti per lui fino a quel punto. Non aveva dato rilevanza al titolo di quello che doveva essere il suo capolavoro, perché battersi tanto per il nome della loro casa di produzione?
 Forse la tequila stava svolgendo il suo lavoro troppo bene, cominciava ad immaginarsi tutto.
 -Un po’ strano- cominciò con un sorriso. –Ma adatto.-
 -Il grosso difetto di quel babbeo- cominciò Daisy con voce sempre più strana ed acuta, -è la sua malsana convinzione di avere perennemente ragione.-
 -E’ anche un tuo difetto- mormorò Peter divertito.
 -Vero- rispose lei punta sul vivo. –La differenza è che io ascolto gli altri a un certo punto, lui no. Per carità, molto spesso si trova davvero dalla parte della ragione, ma questo non vuol dire che sia giusto non provare ad analizzare anche altre opinioni. E’ un difetto, un enorme difetto.-
 Lisa non poté ribattere neanche nella sua mente su ciò che Daisy aveva detto. Julian era un testone, su quello non vi erano dubbi di sorta.
 -Venendo a te, Lisa- quasi si spaventò nel sentirsi chiamata in causa. –L’intuizione che hai avuto oggi è più che giusta. Quando ti toccherà lavorare con lui, accontentalo nella misura giusta, in modo che resti mansueto. Tuttavia, se pensi che la tua idea sia più valida della sua non lasciarti sopraffare, sii decisa e cerca di fargli capire con le buone ciò che non afferra al volo. Nel caso in cui non funzionasse, chiamami e ci penserà la tua Daisy a rimetterlo al suo posto. Non lascerò che ti manchi di rispetto!-
 In realtà non erano le mancanze di rispetto che Lisa temeva. Fare l’infermiera l’aveva preparata all’irriverenza della gente. Ciò per cui non si sentiva pronta era lei, lui e un’intera stanza dove non c’era nessun altro.
 Avrebbe dovuto tenere a bada la sua attrazione, la quale aumentava all’innalzarsi del livello d’alcol che le circolava nei vasi sanguigni. Doveva tenerlo bene a mente: mai bere con Julian Blackwood, il suo corpo non avrebbe risposto alla mente in quel caso. La voglia che provava del suo corpo cresceva in modo proporzionale ai bicchierini di tequila.
 Tequila.
 Mai in presenza di quello sceneggiatore da quattro soldi.
 -Mi potete, in qualche modo, preparare al dover lavorare con lui?-
 La sua voce era calma. Aveva bisogno di informazioni su Blackwood, e due amici del suo nemico si trovavano seduti sul divano nel suo appartamento. Situazione perfetta.
 -Credo proprio di no- disse Peter deciso.
 -Perché no?- chiese Lisa sorpresa. Non le pareva una richiesta così assurda.
 -Julian… Lui non è un tipo per cui ti possiamo preparare- la voce di Peter era divertita. –Lui è orgoglioso, lunatico, testardo e tante altre cose che non possono essere definite né difetti né tantomeno pregi. Si pone con le persone in base alle persone stesse, non si concede a tutti. Se gli vai a genio può diventare un grande amico ma se ti detesta non cambierà mai idea.-
 -Presumo di trovarmi nella seconda categoria.-
 Daisy e Peter si lanciarono un’occhiata veloce.
 -Tu non hai mai visto il Julian che detesta qualcuno- intervenne Daisy provvedendo a riempire i bicchierini di tequila. –Non ti odia, fidati. Ti sta studiando, gioca con te. Fa parte del suo modo di fare. Quasi con tutti si è comportato così.-
 Lisa si lasciò andare ad un sorriso divertito.
 -Sono onorata del fatto che si prenda gioco di me- la sua voce ironica era smorzata dall’effetto dell’alcol. –La notizia che non mi detesta mi riempie di grande gioia.-
 Daisy scoppiò a ridere, rischiò di versare la tequila sul tavolino.
 -Tu proprio non lo sopporti, eh?-
 La donna incrociò le braccia, fingendo un broncio.
 -E’ così evidente?-
 Ci fu un attimo di silenzio che precedette la risposta di Daisy, la donna si era trovata impegnata per qualche secondo nel distribuire i bicchierini colmi. Rispettarono il rito precedente, e dopo il sale Lisa posò il bicchierino sulle labbra, pronta a bere.
 -E’ evidente che lo odi. Eppure, da come lo guardi, mi è chiaro che te lo porteresti a letto volentieri.-
 La tequila di Lisa finì tutta addosso a Chris, seduto di fronte a lei intorno al tavolino. Nel recepire le parole di Daisy si era sentita talmente scoperta da farsi venire un colpo di tosse. La tequila era esplosa fuori dalla sua bocca, colpendo l’amico in pieno viso.
 -E che cavolo!- esclamò Chris alzandosi in piedi di scatto. –Torno subito- si diresse contrariato verso il bagno.
 Lisa tossì per qualche secondo mentre Daisy non la perdeva d’occhio. Peter se la rideva sotto i baffi, impegnato a cercare qualcosa nella tasca destra dei pantaloni.
 -Di che diavolo parli?- chiese Lisa con un filo di voce, rivolgendosi a Daisy.
 -Di nulla che tu già non sappia. Julian è un bel ragazzo, ha il fascino del tipo misterioso ed è piuttosto scontroso nelle risposte. L’uomo che qualunque romanziera vorrebbe portarsi a letto. Il protagonista maschile impossibile da domare ma che attira a sé la protagonista in un vortice di attrazione.-
 -E che c’entro io con questo vortice? Non sono attratta da Blackwood.-
 -Quello che pensi, Lisa, lo sai tu. Io, però, me la cavo nel leggere le persone e conosco il potere che quell’uomo sa esercitare sul genere femminile. L’ho visto tutti i giorni per quasi tre anni. In un modo o nell’altro lui ottiene sempre la donna che vuole.-
 -Allora sono fortunata, fino ad ora non siamo entrati in empatia. Dubito di essere una donna che possa desiderare. E comunque rimane il fatto che io non ho alcuna intenzione di andare a letto con lui.-
 A quel punto la risata di Peter si diffuse in tutto l’appartamento.
 -Gli hai detto tu che ne sei attratta, piccola Light.-
 Un fulmine attraversò la mente di Lisa. Quell’idiota di Blackwood aveva parlato, aveva raccontato ciò che gli aveva detto in corridoio. Quella confidenza era per lui, non doveva diventare argomento da salotto. Almeno non nel suo salotto!
 -Io direi di chiudere qui l’argomento- disse alla fine Peter posando degli oggetti sul tavolino. –Quello che farete o non farete tu e Julian Blackwood può tranquillamente restare fra voi due.-
 Lisa si limitò a fissare le mani di Peter.
 -Stai facendo quello che credo?- chiese con curiosità.
 -Ci sono problemi?- Peter si bloccò subito e la guardò.
 Gli occhi di Lisa si posarono su quegli oggetti.
 -Stai scherzando, vero? La faccio io! Sono passate settimane dall’ultima volta. In questo momento sei il mio eroe!-
 -A saperlo l’avrei tirata fuori prima- la risata di Peter era contagiosa, persino Lisa, che sapeva di trovarsi in una posizione quasi imbarazzante, si lasciò andare ad un sorriso.
 Pochi minuti dopo, Chris tornò nella stanza. Si era ripulito e aveva cambiato la maglietta.
 -Chris!- esclamò Lisa contenta.
 -Che succede?- chiese lui confuso.
 -Guarda qui! E’ venuta bene, vero?-
 Gli occhi di Chris si illuminarono alla vista di ciò che Lisa aveva in mano. Quella che sembrava una sigaretta più lunga di una normale, se ne stava tra il dito indice e medio di Lisa. Era già accesa ed emanava un profumo particolare, che Chris conosceva.
 -Era da settimane che non decidevi di fumare erba. Finalmente sei tornata in te, senza una canna al giorno diventi insopportabile. Ti fa solo bene.-
 -Il solito galantuomo- rispose lei espirando e passando a lui la speciale sigaretta.
 - Sei tornata, finalmente. Lasciare Theo è di sicuro la cosa migliore che hai fatto.-
 -Comincio a pensarlo anch’io. Ma dove l’hai presa l’erba?- chiese rivolta a Peter. –E’ ottima.-
 -Fa parte della riserva speciale di Julian. Ne ho presa solo un pochino, non ci farà neanche caso.-
 Lisa scoppiò a ridere.
 -Per caso, per arrotondare, fa il trafficante di droga nel weekend?-
 Daisy intervenne.
 -C’è chi ama il vino, chi la birra, chi è un cultore di formaggi. Julian Blackwood è un appassionato di cannabis. Un hobby come un altro.-
 -Era fatto quando ha scritto la sceneggiatura?-
 Daisy e Peter scoppiarono a ridere.
 -Noi scriviamo sempre da fatti, ci apre la mente. O forse ci fa divertire di più. In entrambi i casi le nostre sceneggiature risultano almeno decenti.-
 Lisa sorrise.
 -Sì, alle superiori lo facevo anch’io qualche volta. Scrivevo dopo aver fumato e venivano fuori le frasi più belle e ragionate. Quando le rileggevo il giorno dopo non potevo credere che fossero opera mia.-
 -Bene- disse Peter ripassandole la lunga sigaretta. –Per quando lavorerai con Julian farò in modo che ne abbiate una scorta.-
 La ragazza si ritrovò ad analizzare velocemente la situazione. In precedenza era stato stabilito che lei e Julian non avrebbero potuto trovarsi da soli in una stanza in presenza di alcol in circolo. Con la cannabis sarebbe stato diverso? Magari sotto quell’effetto rilassante avrebbe potuto ignorare i segni dell’attrazione che provava.
 In quel momento era sia ubriaca che fatta di cannabis. Provò a pensare a Julian e si concentrò sui risultati di quei pensieri. Aveva caldo, un brivido le percosse la schiena, mentre nella pancia cominciava ad avvertire un formicolio. La sua mente le presentò un Julian addormentato. I lineamenti rilassati, le labbra semi aperte. La voglia di baciare quelle labbra, la invase.
 No! Niente cannabis da sola in una stanza con Julian Blackwood!
 -Va bene, così lavoreremo meglio.-
 Era troppo fuori di sé per dare la vera risposta. L’alcol e il resto contribuivano a farle ammettere di essere stata sconfitta, almeno lo doveva confessare a se stessa: avrebbe dovuto fare uno sforzo inimmaginabile per non cedere alla tentazione di fare l’amore con Julian Blackwood. Un’attrazione del genere non l’aveva mai provata con nessuno, eppure doveva trovare il modo di contrastarla. Le cose non si potevano complicare, aveva un lavoro da portare a termine e non avrebbe permesso a Julian Blackwood di rovinare tutto.
 -Direi di fare un altro brindisi- disse Chris versando la tequila.
 Gli altri stavano per rispondere quando qualcuno bussò alla porta.
 -Aspetti qualcuno?- chiese Lisa a Chris.
 -Io no.-
 Lisa si alzò con un po’ di fatica dalla poltrona cercando di arrivare alla porta tutta intera. Quando la spalancò il respiro le si mozzò in gola, mentre le sue palpebre battevano incessantemente.
 Aveva aperto la porta senza guardare dallo spioncino e in quel momento, trovandosi davanti quegli occhi, si rese conto che forse avrebbe dovuto usarlo.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7
 
 La vista era annebbiata e la testa girava, ma per Lisa era impossibile non riconoscere quegli occhi azzurri che la fissavano indagatori. Quegli occhi le stavano chiedendo qualcosa, lei però non era del tutto in sé per riuscire ad interpretare il tutto solo da uno sguardo.
 -Che ci fai qui?- chiese lei con voce impastata. Chiedere la motivazione alla persona interessata le parve la mossa migliore.
 -Dobbiamo parlare, lo sai.-
 La voce di Theo si diffuse per tutta la stanza e nel sentirla Chris scattò in piedi, pronto ad intervenire. Lisa se ne accorse e con un gesto veloce della mano fece segno all’amico di non preoccuparsi. Sapeva fin troppo bene come trattare con il dottor Dawson. L’intromissione di un’altra persona avrebbe solo aggravato la situazione.
 -Theo- cominciò Lisa passandosi una mano sugli occhi. –Ho già detto tutto quello che dovevo, non è necessario parlare ancora. Ormai è tardi per parlare, avresti dovuto farlo nell’intero mese in cui per te ero solo un complemento d’arredo e non la tua donna. In quei momenti avrei parlato volentieri, ma ora da dire non è rimasto nulla.-
 -Credevo fossi innamorata di me. Mi hai mentito?-
 Theo appariva risentito, forse perché lo era davvero. 
 -Non ho mentito. Ti ho amato e ti amo, ma non posso stare con te. Non è quello che vuoi tu.-
 Nel frattempo, seduti sul divano, gli altri si lanciavano sguardi consapevoli. La loro presenza lì non era consona alla situazione. Trovarsi su quel divano ad ascoltare una conversazione ad alto contenuto privato era imbarazzante.  Eppure non si mostravano molte opzioni all’orizzonte. Alzarsi e andare via forse sarebbe stato persino peggio che ascoltare. Soprattutto Chris era più che certo del desiderio di Lisa di non ritrovarsi da sola con il suo ex fidanzato. Stava cercando di dimenticare e lui non gliela stava rendendo semplice come avrebbe dovuto essere.
 -Okay- cominciò Theo con gli occhi fissi in quelli ambrati della donna. –Tu hai finito di parlare, ma finché anch’io non avrò finito, ti posso assicurare che non ti libererai mai di me. Vuoi un punto su tutto questo discorso, allora mi devi ascoltare.-
 -Theo, ho degli ospiti, non è il caso. Vai via…-
 -La specialistica è la mia vita. Questo te lo concedo, hai ragione nel dire che ti ho messa al secondo posto ma i miei motivi sono ragionevoli e, soprattutto, temporanei.-
 Fece un pausa per leggere il viso di Lisa, l’espressione che sarebbe apparsa sul suo volto nell’ascoltare quelle parole.
 Non avvenne nulla. Lisa non credeva a ciò che aveva sentito e il suo viso inespressivo ne era la prova più evidente.
-Sarà temporaneo, Lisa. Tra poco otterrò la mia specializzazione e a quel punto anch’io avrò dei turni più regolari, e tu sarai di nuovo al primo posto nel mio intero mondo. Devi solo avere pazienza.-
 Lisa si aprì in un sorriso derisorio.
 -Sai cos’è che mi diverte, Theo? Tu credi sul serio a quello che hai appena detto, senza renderti conto che non sarà mai così. Hai dei traguardi, degli obiettivi.-
 Lui cercò di interromperla ma Lisa non glielo permise.
 -Al nostro primo appuntamento hai esibito il tuo elenco di obiettivi. La specialistica, diventare uno strutturato in neurochirurgia, diventare primario, fare ricerca. Theo, sei solo al primo punto e io non posso aspettare che arrivi all’ultimo, perché non ci sarà mai una fine a quella lista. Il tuo obiettivo principale è la tua carriera, ed è giusto così, ma per me non c’è neanche un posto in ultima fila.-
 -Tu non pensi davvero queste cose. Sai che ti amo, sai che sei importante.-
 -Sono importante ma non fondamentale. Voglio un uomo che non possa vivere senza di me, non che mi metta al primo posto a periodi alterni. Non mi basta e non ti renderebbe felice.-
 -Decido io cosa mi rende felice, accidenti!-
Prese il viso di Lisa tra le mani e lo attirò a sé.
 La donna era rallentata dalla serata che stava trascorrendo con i suoi amici e non poté evitare in alcun modo il bacio di Theo.
 Le loro labbra erano unite. Erano calde e morbide. Avevano un buon sapore, un sapore che Lisa non aveva ancora avuto tempo di dimenticare. Il cuore cominciò ad aumentare le pulsazioni, i brividi che partivano dalle labbra gli avevano ricordato di battere veloce per quell’uomo che ancora viveva dentro di lui.
 Theo approfondì il bacio, tenendo il viso di Lisa ben stretto. Non aveva intenzione di lasciarla scappare via.
 Quando i loro corpi si avvicinarono, la mano di Theo scivolò sulla schiena della donna e la strinse completamente a sé. I loro corpi, ora, si ritrovarono uniti mentre le labbra continuavano a cercarsi senza tregua.
 Poi, Theo, prese una decisione. Divise quei corpi.
 Lisa aprì gli occhi lentamente e incontrò quelli di lui. Azzurri, freddi, decisi.
 -Ora prova a dirmi che puoi lasciarmi così facilmente.-
 Lei non seppe controbattere.
 -Se era solo questo a mancarti, bastava dirlo.-
 Il silenzio che aleggiava nel salone fece sospettare a Lisa che i suoi ospiti e Chris avessero visto ogni cosa.
 -Non mi arrendo così, Lisa. Un giorno, in modo o nell’altro, tornerai da me. E ti posso assicurare che farò tutto il possibile perché ciò avvenga.-
 Sollevò una mano e con delicatezza la posò sulla guancia di lei.
 -Il tuo corpo non può mentire. Tu mi vuoi. Vuoi me più di quanto riesci ad ammettere o concepire.-
 La mano scese verso il collo, calda ed invitante. Un sospiro sfuggì alle labbra di Lisa.
 -Puoi essere testarda quanto vuoi, ma sarò io a vincere alla fine. Il mio premio sarai tu.-
 Theo tolse la mano di scatto, veloce. La stessa velocità con cui si era separato da lei poco prima.
 -Ora ti lascio.-
 Non disse nient’altro. Si voltò e se ne andò.
 Lisa rimase ferma, sull’uscio della porta con il cervello bloccato. Sapeva di dover chiudere la porta e rientrare in casa ma il suo corpo non rispondeva.
 Una mano grande, dalle lunghe dita sottili si posò sulla spalla, tirandola all’interno dell’appartamento. La porta si chiuse senza alcun rumore.
 La ragazza si voltò a guardare il suo miglior amico fino a quando, con il suo aiuto, non riuscì a sedersi sulla poltrona.
 Sbatté piano le palpebre mentre metabolizzava l’evento.
-Chris, cos’è appena successo?-
 Lui si sedette sul divano, accanto a Peter, e si passò una mano sulla faccia in un gesto stanco. 
 -Niente di buono.-
 -Descrivimelo- ribatté lei con voce lenta.
 -Il tuo ex, dottorino egoista, ha deciso che ti potrai bere la balla della sua trasformazione in un aitante principe azzurro al galoppo sul suo destriero con la permanente. Non sei stupida fino a quel punto, vero? Dimmi che non lo sei.-
 -In questo momento non so nulla.-
 Per un attimo scese il silenzio nella stanza, poi un tonfo destò tutti dal momentaneo letargo.
 -No! Mai dai, no!-
 Daisy aveva sbattuto sul tavolino il suo bicchierino di tequila almeno svuotato.
 -Vuoi dire qualcosa, Daisy?- chiese Peter con cautela.
 Lei si alzò in piedi di scatto.
 -Certo che voglio dire qualcosa.-
 Gli occhi di Lisa incontrarono i suoi.
 -Quell’uomo non fa per te, come mia opinione personale naturalmente- prese un respiro per trovare le parole adatte. –Sono certa che vi amate ma ho come la sensazione che qualcosa non combaci. Siete simili, forse è questo il problema. Nessuno di voi due scenderà mai a compromessi e avete entrambi degli obiettivi giusti, che siano la carriera o l’essere fondamentale per l’altro, non conta poi così tanto. Non lo so. Però, quello che so è che mia nonna diceva, sempre mentre le depilavo le sopracciglia: “Ricordati, Daisy. Due pezzi troppo uguali non combaceranno mai. Bisogna essere diversi per poter restare incastrati per sempre.” Lei e mio nonno sono sposati da più di cinquant’anni, quindi la sua teoria ha delle basi solide.-
 -Daisy, sono sicura che tua nonna sia una persona meravigliosa, ma in questo momento la sua teoria appare troppo complessa al mio cervello esausto.-
 -Hai solo bisogno di una dormita- disse Peter alzandosi in piedi.
 -Peter, ha ragione- confermò Daisy con un sorriso. –Ci sentiamo presto per parlare del manoscritto. Nel frattempo puoi accettare un consiglio che non ha niente a che fare con quello che è appena successo?-
 Lisa annuì, ma era talmente stanca che il suo movimento fu appena visibile.
 -Se hai scritto qualche capitolo del manoscritto, cancella tutto.-
 -Cosa? Perché?-
 -Julian demolirà ogni minima frase, ti costringerà comunque a modificarne una buona parte. E’ il tipo che deve fidarsi del proprio collega per poter lavorare bene, e ancora non ti conosce a sufficienza. Cominciate insieme la stesura del manoscritto, e vedrai che dopo i primi capitoli poi ti lascerà carta bianca. Vedilo come un investimento per il futuro.-
 Lisa si ritrovò a pensare se quella serata fosse destinata a peggiore ulteriormente.
 Pochi minuti dopo gli ospiti si erano congedati. Lisa e Chris erano seduti sul tappeto con le schiene poggiate al divano, l’uno accanto all’altra, dividendosi ciò che era nella bottiglia di vino bianco.
 -Che pensi di fare?- chiese ad un tratto Chris poco prima di bere un sorso.
 -Se lo sapessi non sarei qui a tracannare vino per dimenticare.-
 -Giusta osservazione.-
 -Credo che tornerò insieme a Theo- disse afferrando la bottiglia che Chris le stava passando. –Probabilmente non domani, e neanche tra un mese eppure ho la sensazione che tornerò da lui alla fine.-
 -Sei diventata veggente?-
 Lisa si lasciò andare ad una piccola risata.
 -Quel bacio non posso dimenticarlo, come tutto l’anno passato con lui. Mi è entrato nella mente e può controllarla. Sono legata a lui in un modo che non riesco a spiegare.-
 -Tutta questa confusione è dovuta ad un semplice bacio?-
 -Solo lui riesce a farmi un effetto del genere, non mi era mai successo prima e non so se con qualcun altro potrà mai accadere. Quelle labbra sono una droga.-
 Chris riempì i bicchierini e porse una fettina di limone all’amica.
 -Sei troppo intelligente per non averlo capito: un modo per fare luce sulla faccenda esiste.-
 -Cambiare nome e correre via il più lontano possibile da lui? Il Messico non mi è mai dispiaciuto.-
 I due bicchierini s’incontrarono con un tintinnio e ancora una volta il liquido ambrato scivolo lungo la gola di Lisa, riscaldandola.
 -Provare a baciare qualcun altro è la soluzione.-
 -Di che stai parlando?- chiese lei con un tono vicino all’esasperazione. –Perché dovrei baciare un altro uomo?-
 -Perché non hai un termine di paragone. Non fai sesso da una vita e l’intensità del bacio che ti ha dato quel dottorino potrebbe solo essere un effetto dell’astinenza. Senza contare che sei completamente sbronza.-
 -Riduci sempre tutto al sesso.-
 -E’ colpa mia se i baci migliori scaturiscono quando si è eccitati?-
 Lisa rimase in silenzio per qualche secondo poi fissò i suoi occhi in quelli dell’amico.
 -Non è una cattiva idea. Il problema è trovare qualcuno da baciare.-
 -Mi offro volontario, se vuoi- quella frase era uscita fuori più seria di quanto avrebbe dovuto. Era sfuggita a Chris senza che lui avesse alcun controllo. Il suo istinto aveva parlato per lui e non vedevo modo per rimangiarsi quella frase.
 Per diversi secondi i due si guardarono negli occhi, persi nei loro pensieri. Poi, la risata divertita di Lisa esplose come un tuono.
 -Eri così serio che per poco non ci cascavo- Lisa si alzò in piedi barcollando ma continuando a ridere. –Se ti baciassi sfiorerei l’incesto però mi ha aiutato a ridere. Grazie.-
 -Di nulla- rispose Chris con un sorriso.
 -Vado a dormire.-
 Gli occhi di Chris erano come appannati. Riusciva a vedere la sua amica mentre lo salutava e se ne andava nella propria stanza, ma il suo cervello non riusciva ad elaborare con chiarezza l’immagine.
 Si sentiva la testa pesante.
 Forse aveva perso la sua occasione, forse avrebbe dovuto fare come Theo, baciarla e basta.
 Scosse la testa mentre un sorriso amaro gli si dipinse sulle labbra.
 -Va bene così.-
 Posò la testa indietro, sul sedile del divano e si concentrò a fissare il soffitto.
 Poteva sopportare di vedere Lisa con altri uomini, di vederla felice con un altro. Quello che non avrebbe mai potuto reggere sarebbe stato di perderla. No, la sua amicizia era troppo importante per rischiare di rovinarla. E per cosa, poi? Per l’insulsa voglia di baciarla.
 Non ne valeva la pena.
 Così andava tutto bene.
 
*****
 
 Julian Blackwood se ne stava nel suo letto con gli occhi fissi sul soffitto. Una pratica che in quei giorni era diventata ormai un’abitudine. Quella stanza d’ospedale cominciava a stargli stretta, aveva voglia di uscire da quell’edificio che ovunque emanava odore di disinfettante. Gli mancava il sole e il vento tra i capelli.
 Tuttavia dopo un intervento al cervello e fratture multiple poteva immaginare che le prescrizioni mediche non avrebbero consigliato di andarsene in giro a prendere il sole.
 -Bene, signor Blackwood. Il decorso post operatorio procede in modo eccellente. Le aspettative sono state superate con grande sorpresa.-
 Ascoltava a malapena ciò che il medico stava dicendo.
 Il dottor Dawson aveva portato con se il suo capo quella sera. Il professor Alexander Gallagher.
 -E quindi direi che, se mi promette di farsi aiutare, tra un paio di giorni la potremo dimettere e lei completerà il periodo di convalescenza a casa.-
 Furono poche le parole che attirarono l’attenzione di Julian.
 Dimettere. Convalescenza. Casa.
 Scattò qualcosa nel suo cervello che provocò una sensazione di puro piacere.
 -Mi prende in giro?-
 Il professor Gallagher sorrise.
 -Se mi garantisce di seguire alla lettera le mie istruzioni, non vedo perché una ragazzo giovane e forte non possa tornarsene a casa a leccarsi le ferite per proprio conto. Questo ospedale non è il luogo adatto per lei. Ha bisogno di respirare l’aria che preferisce.-
 Julian lanciò un’occhiata strana al medico che continuava a guardarlo sorridendo.
 -Professore? E’ sicuro di…-
 -Dottor Dawson- cominciò lui con tono sicuro. –Sono il primario di questo reparto, e il suo mentore. Dai dati in mio possesso il paziente è più che stabile e non ha bisogno di cure continue. Resterà con noi ancora due giorni, in modo che finisca il ciclo di antibiotici per endovena, e poi potrà tornare alla tranquillità della sua casa. La scienza non è tutto, i fattori psicologici sono fondamentali, soprattutto in un ragazzo di questa età. Credevo che dopo anni di studio fosse in grado giungere per proprio conto a conclusioni del genere, Dawson.-
 -Mi scusi.-
 Il paziente dovette fare una sforzo immane per non scoppiare a ridere. Vedere il dottorino ubbidire al suo padrone come un cucciolo spaventato era a dir poco esilarante.
 -Il mio piano terapeutico è di suo gradimento, Julian?-
 Il ragazzo alzò gli occhi cielo prima di rispondere con un appena accennato gesto di consenso.
 -Mi perdoni, professor Gallagher. Dovrei attaccare al signor Blackwood la flebo con l’antibiotico.-
 Una voce cristallina ma in qualche modo fastidiosa raggiunse le orecchie di Julian. Bastò un’occhiata alla porta e la vide, Lisa Light, con in mano la bottiglietta e il deflussore.
 Il suo turno di notte era appena cominciato e già andava da lui. Julian cominciò a pensare che forse non avrebbe cercato di evitarlo come di solito faceva.
 -Infermiera Light, entri pure. Il dottor Dawson ed io abbiamo quasi terminato.-
 -La ringrazio.-
 Con occhi bassi e passo lento Lisa si avvicinò al letto di Julian e cominciò a montargli la flebo.
 -Se non le dispiace, appena è possibile, vorrei che rilevasse la pressione del signor Blackwood.-
 -Certo, dottore.-
 -Tornando a noi, Julian. Se vuole che io la dimetta tra due giorni deve promettermi un paio di cose. Punto primo, deve seguire diligentemente e con estrema puntualità la terapia farmacologica che le prescriverò. Eviti di guidare anche dopo aver tolto il gesso, direi almeno per un paio di mesi. Non si affatichi, ha avuto un breve arresto cardiaco in sala operatoria e il cuore ha bisogno di riprendersi.-
 Julian annuì cercando di ignorare la mano di Lisa che armeggiava con il suo braccio per montare la flebo. Le sue dita erano così sottili e delicate. Le avvertiva a malapena eppure si sentiva come se la sua pelle venisse attraversata al loro tocco.
 Si concentrò sul dottor Gallagher.
 -Secondo punto, mi deve assicurare che si farà assistere da un professionista un paio d’ore al giorno. Ha delle medicazioni che devono essere cambiate e disinfettate. Se non ha la possibilità economica per un aiuto professionale, sarò felice di istruire un suo familiare o un suo amico sulla procedura da eseguire.-
 -Credo di poter convincere un’infermiera che conosco a darmi una mano.-
 A quel punto le dita di Lisa divennero più decise. L’aveva fatta arrabbiare.
 -Ottimo, allora posso dichiarare conclusa la nostra chiacchierata. Ripasserò da lei domani nel pomeriggio per un altro controllo.-
 Julian guardò Theo di sfuggita, aveva gli occhi puntati su quello che stava facendo Lisa, e non sembrava per niente che avesse una bella cera.
-La ringrazio, dottore.-
 I due medici uscirono dalla stanza, con il dottor Dawson che squadrò di soppiatto Lisa fino a quando fu costretto a voltarsi per seguire il suo mentore.
 -Ti prendo la pressione- disse Lisa tirando fuori dalla tasca uno sfigmomanometro. In un reparto come quello era sempre conveniente portarlo con sé.
 -Buonasera anche a te.-
 Lisa prese il braccio di Julian e lo strinse nel bracciale dello strumento.
 -Non ho voglia di litigare, Blackwood. Non oggi.-
 -Ma…-
 La donna lo fermò con uno sguardo di fuoco.
 -Ho bisogno di silenzio per sentire il polso, quindi stai zitto.-
 Julian la osservò mentre s’infilava il fonendoscopio nelle orecchie. Fissò le sue lunghe ciglia che non si muovevano, i suoi occhi erano chiusi nello sforzo di concentrarsi o per non rischiare di incontrare gli occhi del suo paziente.
 Un flebile sorriso fece capolino sul volto di Julian. Era sempre più convinto che quella donna fosse tremendamente attraente quando teneva la bocca chiusa. Il viso vantava lineamenti delicati quando la pelle non si contraeva per le sue espressioni di disappunto.
 La osservò in ogni sua mossa e dovette ammettere che era sicura nei gesti che compiva e faceva apparire una presa pressione quasi come una danza lenta e sensuale. Si prendeva il suo tempo, per essere certa di portare a termine il suo compito con dedizione e cura di ogni particolare.
 -La tua pressione è perfetta- sentenziò alla fine sfilando il bracciale e liberandosi le orecchie.
 -Saranno state le tue carezze a contribuire.-
 -Julian, non ti ho accarezzato.-
 -Non essere brutale, fammelo credere almeno.-
 Lisa alzò gli occhi al cielo. Quella sera la pazienza non spiccava tra le sue virtù. Era ancora scossa per ciò che era accaduto con Theo la notte precedente e Julian Blackwood poteva solo far precipitare il suo umore in abissi molto profondi.
 -Pensa un po’ quello che ti pare. Tanto qui ho finito e me ne vado.-
 -Cosa è successo con il dottorino?-
Il fonendoscopio scivolò dalla mani dell’infermiera e raggiunse il pavimento con un rumore sordo. Si chinò subito a prenderlo.
 -Siete strani- disse Julian trattenendosi a stento dal ridere. –Andiamo, cosa è successo?-
 Un sospiro di pura depressione invase la stanza. Un sospiro di Lisa.
 -Mi ha baciata.-
 Julian aggrottò le sopracciglia mentre i suoi occhi incontrarono quelli della donna. Sembravano stremati, probabilmente non aveva dormito bene, o forse dimostrava ancora i postumi di quella famosa bottiglia di tequila.
 -E il problema dove sarebbe?-
 -L’ho lasciato. Non può baciarmi quando gli pare solo perché non accetta di aver perso.-
 -No, il problema è che quel bacio ti è piaciuto.-
 Lisa abbassò le spalle sconfitta.
 -Tanto.-
 Prese un respiro profondo. Era incredula di aver deciso di confidare i suoi pensieri proprio a Blackwood. Aveva, tuttavia, l’assoluto bisogno di parlare e anche lui poteva passare per una specie di amico in quel momento.
 -Sono confusa. Quel bacio mi sta mandando al manicomio solo perché io voglio chiudere questa storia ma l’attrazione, o l’amore, che provo per lui non me lo permettono. Chris dice che avrei bisogno di un termine di paragone ma io vorrei solo sprofondare nel buio più nero.-
 -Non ti capisco- disse Julian cercando di sistemarsi il cuscino dietro la testa. –Se dai ascolto al tuo amico potresti risolvere il dilemma. Va’, piccola Light, e bacia quanti più ragazzi ti è possibile.-
 -Aspetta, ti aiuto.-
 Aveva notato che Julian era in difficoltà con quel cuscino.
 -So che dovrei farlo, conoscere altri ragazzi e provare a capire- continuò mentre si chinava sul paziente per assisterlo. –Ma come…-
I suoi occhi erano ad un paio di centimetri da quelli di Julian. I suoi pensieri l’avevano distratta e non aveva notato di essersi avvicinata fino a quel punto.
 Quel marrone era così caldo ed accogliente, così diverso dall’azzurro intenso di Theo, racchiudeva in sé una sfumatura magnetica che la costringeva a fissarlo. Rimase ferma, non aveva la forza per allontanarsi. Fino a quel momento non si era accorta di quanto fosse pericoloso l’ascendente che quegli occhi avevano su di lei.  
 -Non è difficile, Lisa. Basta chiudere gli occhi, e lasciar fare a me.-
 Prima che lei potesse rispondere, le labbra di Julian raggiunsero le sue, facendo scattare la trappola che lui le aveva teso.
 Il respiro le si mozzò in gola mentre sentiva una grande mano bollente insinuarsi tra i suoi capelli sino a raggiungere la nuca e la base del collo. Il calore si trasferì alla sua pelle che divenne incandescente in modo così piacevole da desiderare molto altro ancora.
 Julian schiuse la bocca e in un attimo il bacio divenne più profondo.
 Le sue labbra l’accarezzavano con fame mista ad una delicatezza tale che, fuse insieme, scatenavano delle reazioni incontrollabili. I brividi lungo la schiena, il calore per tutto il corpo, le scosse al basso ventre. Tutte conseguenze del contatto prolungato con le labbra di Julian Blackwood.
 Lui si sporse ancora più verso la donna, impuntandosi col gomito, e il bacio divenne famelico, ricolmo di sensualità, come se entrambi fossero alla ricerca di qualcosa che non si riduceva ad un semplice bacio.
 D’improvviso, Lisa posò le mani sul petto di Julian e lo scostò via con forza.
 I loro occhi s’incontrarono. Gli occhi di Julian contrariati e languidi, quelli di Lisa lucidi e colmi di confusione.
 Avevano entrambi il fiato corto e la mano di Julian si trovava ancora sul collo di Lisa. La pelle in quel punto cominciava a bruciare provocandole vampate di calore per tutto il corpo.
 -Sembri ancora più confusa di prima- disse lui con un filo di voce. –Ma almeno adesso una certezza ce l’hai.-
 -E quale sarebbe?- chiese Lisa brusca scacciando con un colpo la mano che si trovava sul suo collo in modo che lui si decidesse a toglierla.
 -Quel dottorino non è l’unico uomo a farti eccitare.-
Lisa alzò gli occhi al cielo.
 -Non so cosa pensi sia successo ma ciò che hai fatto non vale. Mi hai colta di sorpresa, ho dovuto ricambiare senza aver potuto riflettere prima. Credimi, non mi sono eccitata così tanto quanto dici.-
 Julian sorrise divertito.
 -Se la pensi così non insisterò, però sappi una cosa- i loro occhi, ancora lucidi, s’incontrarono per l’ennesima volta. –Io sono davvero attratto da te, molto attratto da te.-
 Lisa mise lo sfigmomanometro in tasca.
 -Tu sei stata sincera, era giusto che lo fossi anch’io.-
 -Devo tornare a lavoro- il tono era frettoloso.
 -Immagino di sì.-
 Si diresse verso la porta, poi si bloccò dando le spalle al paziente.
 -Questa cosa non è mai accaduta, siamo intesi? Se vuoi che scriva quel dannato libro, tra me e te non è mai accaduto nulla.-
 Non attese la risposta dell’uomo. Uscì di gran carriera dalla stanza lasciandolo preda dei suoi pensieri.
 Julian scosse la testa divertito. Quella ragazzina lo stava costringendo ad esporsi troppo. Si era sempre vantato di essere un grande corteggiatore, lo sceneggiatore dannato e misterioso, ma con lei stava facendo tutto al contrario. Forse perché era difficile avere a che fare con un’attrazione per una donna che non trovava per nulla piacevole. Era determinata, troppo sincera, e istintiva. Le donne così non lo avevano mai interessato. Fino alla comparsa di quell’infermiera fuori di testa.
 Non sarebbe stato facile lavorare con lei.
Si passò la lingua sulle labbra e sentì che il suo sapore era ancora lì. Indelebile proprio come il suo viso. Un gusto dolce, che poteva persino portare alla dipendenza.
 Le cose non si mettevano bene.
 L’iphone sul comodino vibrava.
 Julian lo afferrò leggendo il nome sul desplay.
 Rispose.
 -Peter, credo di aver fatto una grossa cazzata.-


 
 
 ***L’Autrice***
 Il mio silenzio stampa finisce qui. Ahahahah
 Salve a tutti, in questo capitolo ho deciso di cominciare con le note dell’autrice. Vi starete chiedendo (per chi ha la pazienza di leggere anche questa parte) perché cavolo io mi stia svegliando solo adesso. In realtà è stata una scelta presa sin dall’inizio della stesura di questa storia. Diciamo che nelle mie note tendo ad essere un po’ chiacchierona riguardo i capitoli successivi e avevo bisogno di arrivare al bacio tra Lisa e Julian senza rischiare di anticipare troppo.
Maudits”, è una storia nata da un mio bisogno di mettermi alla prova. Sino ad ora ho scritto solo commedie romantiche dove comunque tutto filava in un certo modo, in allegria e semplicità, sempre facendo capire che un lieto fine ci sarebbe stato. Non dico che questa è una storia drammatica nel vero senso della parola, ma si tratta di una storia matura, in cui i personaggi principali se la vedranno prima l’uno con l’altra e poi principalmente con loro stessi.
 Mi spiego meglio.
 Lisa è un’infermiera (che scoperta, eh? :D ), Julian uno sceneggiatore che lavora sui set. Per mia esperienza personale, vi posso garantire che non possono esistere due mondi più diversi di questi. E due personalità più diverse. Il bello di loro due è proprio cercare di capire come i pezzi dei loro puzzle possano mai combaciare (si ringrazia la nonna di Daisy) per poi sfociare in una vera storia d’amore. Il mio scopo è proprio questo: dimostrare che anche due persone così, in una storia che cercherà di rispecchiare la realtà il più possibile, possono anche stare insieme se determinati ideali non sono poi così diversi.
 Come avrete capito, la loro storia parte da un’attrazione fisica di dimensioni epocali. Non so quanti di voi l’abbiano provata, ma vi posso garantire che esiste e che non è proprio gestibile così facilmente come si possa pensare.
 Lisa, credo che si sia capito che tipo è. Irreprensibile, decisa, irrefrenabile ma anche fragile da un certo punto di vista.
 Per quanto riguarda Julian il discorso è più complesso. Per chi ancora non l’avesse inquadrato posso solo dire questo: molti dei suoi comportamenti dipendono dal suo carattere, altri sono dovuti a dei problemi che verranno svelati in seguito. Perciò, posso capire che all’inizio non sia proprio il più piacevole dei protagonisti maschili, ma provate a dargli un po’ di fiducia. Io lo amo alla follia proprio per questa sua complessità.
 Bene, per il momento non ho altro da dire. Vi ringrazio per tutto l’appoggio che sto ricevendo.
 Passo e chiudo, signori.
 Scarcy

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8
 
Lisa era corsa fuori dal reparto senza neanche avvertire uno dei suoi colleghi. Si diresse veloce verso la porta d’uscita che dava sulla scala antincendio. Prese un profondo respiro, avvertendo i muscoli rilassarsi e il cuore rallentare il battito.
 Si sedette su uno dei gradini della scala e nascose la testa tra le mani.
 La situazione stava precipitando e la colpa era di Julian Blackwood. Il pomposo, viziato paziente della stanza numero diciannove.
 Doveva tenere la bocca chiusa, bisognava dimenticare quello che era accaduto.
 Alla fine dei conti si trattava solo di una specie di esperimento: se non ci avessero pensato, il ricordo sarebbe svanito e avrebbero potuto lavorare insieme. Quell’attrazione che provava doveva essere soffocata.
 Eppure quel bacio era stato diverso da altri che aveva ricevuto. Non c’era un vero e proprio sentimento, aveva avvertito distintamente solo la fame nei confronti di quel corpo. Un istinto ingestibile che non le era mai capitato di provare. Non poté fare a meno di ammettere che Blackwood sapeva cosa accarezzare e in quale istante essere più deciso e profondo. Aveva una capacità nel baciare che avrebbe ridestato la voglia sopita in qualsiasi donna.
 Se solo nel baciare era così talentuoso, Lisa non osava immaginare quali altre capacità possedesse nel dare piacere al sesso femminile. Con quelle mani così grandi e quelle spalle larghe, da accarezzare e graffiare…
 Scosse la testa mentre il viso le avvampava per la vergogna.
 Era proprio quello che a Theo mancava. Non che fosse un tipo frigido ma ad un bacio del genere non si era mai neanche avvicinato.
 Nonostante fuori ci fosse un’aria decisamente fresca, Lisa si sentiva del tutto avvolta dalle fiamme e il sapore di Blackwood non si decideva ad andarsene dalle sue labbra.
 La porta da cui era uscita lei, si aprì. La donna alzò lo sguardo e incontrò gli occhi scuri e dolci di Martha.
 -Lisa, ti stavo cercando- vide la sua collega seduta sui gradini delle scale e la sua faccia da funerale la costrinse ad accovacciarsi davanti a lei, preoccupata. –Tutto bene? Non hai una bella cera. Ti senti male?-
 Lisa rimase in silenzio per qualche secondo. Non conosceva quella ragazza, non poteva sfogarsi con lei. Senza contare che Chris l’avrebbe uccisa se si fosse confidata con qualcun altro prima di lui.
 -Ho passato momenti migliori. Una situazione personale mi sta stressando molto.-
-Capisco- mise una mano in tasca e tirò fuori un pacchetto di sigarette. –Fumi?-
 La donna fissò il pacchetto.
 -Ogni tanto, quando sono agitata o con gli amici.-
 -Allora, non fare complimenti. Serviti pure. Così puoi calmarti e provare a tornare dentro senza quella faccia orribile.-
Forse era proprio quello che ci voleva: l’intensità del tabacco sarebbe stata in grado di eliminare il sapore di Julian.
 Prese la sigaretta e l’accese. Martha fece lo stesso.
 -Da quanto lavori qui?- chiese Martha sedendosi vicino a lei.
 Lisa non aveva molta voglia di conversare ma era certa che Martha provasse ad intavolare un discorso per distrarla dai suoi pensieri. Si stava rivelando una persona molto gentile ma soprattutto per niente impicciona riguardo al motivo del suo malumore.
 -Da due anni, Chris ed io siamo stati assunti insieme.-
 -Non è male come reparto, alla fine la caposala Burton fa funzionare tutto a dovere. Anche se i momenti più belli sono quando se ne torna a casa sua. Quando è qui sta sempre a borbottare contrariata, non le va mai bene niente.-
 Le due donne si guardarono e scoppiarono a ridere.
 -La caposala è un personaggio un po’ particolare ma sa fare il suo lavoro. Il suo metodo rende noi infermieri più efficienti anche se ha un carattere molto autoritario.-
 Scese un attimo di silenzio. I pensieri di Lisa erano ancora preda della confusione e cercare un argomento di conversazione risultava davvero un’impresa.
 Fece un altro tiro e la porta si aprì di nuovo.
 Quando vide la persona che si era affacciata fuori per poco non si strozzò col fumo. Era l’ultimo essere umano al mondo che avrebbe voluto vedere.
 -Quindi ti nascondevi qui?-
 -Theo, ti prego. Lasciami in pace.-
 -Lo sai che dobbiamo parlare, è inutile che cerchi di evitarmi.-
 Martha fece per alzarsi, aveva l’intenzione di togliere il disturbo, ma Lisa l’afferrò per un braccio trattenendola accanto a lei. Non aveva voglia di restare da sola con Theo e aveva la sensazione che la presenza della sua collega le avrebbe reso il compito più semplice.
 -Non dobbiamo parlare, Theo. Mi sembrava di essere stata chiara al riguardo.-
 -Mi stai trattando da imbecille, per caso? Lo sai che la resa non mi appartiene quindi adesso esigo sul serio delle risposte.-
 -Ho già detto tutto quello che dovevo. Non ho intenzione di tornare insieme a te e quello che è accaduto l’altra sera non mi ha portato a cambiare idea. Mi dispiace. Metti in pratica ciò che mi hai detto giorni fa: mi hai urlato che non avresti mai supplicato una donna che ti aveva lasciato nel modo in cui ho fatto io. Quindi, fa onore alle tue stesse parole, e lasciami in pace.-
 -Sei veramente una stupida.-
 Lisa avvertiva Martha restare immobile. Si rese conto che per lei non doveva essere una situazione semplice ma la ringraziò mentalmente per aver deciso di non muoversi. Le avrebbe chiesto scusa non appena Theo avesse deciso di andarsene.
 -Non sono una stupida, sono coerente. Ho preso una decisione e la porto avanti.-
 -Quindi dovrei ammirare la tua coerenza a discapito dei miei sentimenti?-
 A quel punto Lisa non ci vide più. Gettò via la sigaretta, si alzò in piedi di scatto e si avvicinò a Theo, affrontandolo in tutta la sua altezza. In confronto al medico lei sembrava una ragazzina ma la sua forza d’animo era così potente da non poter essere schiacciata da niente e da nessuno.
 -Dei miei sentimenti te ne sei sempre sbattuto. Perciò spiegami il motivo per il quale io dovrei avere anche solo il minimo riguardo per i tuoi? Scrivi la tua tesi, diventa neurochirurgo e lasciami andare! Non ho intenzione di tornare con te, mettitelo in testa!-
 La stava portando all’esasperazione con le sue insistenze. Doveva troncare quella storia una volta per tutte altrimenti avrebbe rischiato di ricascarci e di soffrire ancora.
 -Quel bacio non è servito a niente? Mi stai dicendo questo?-
 Lisa si passò con calma la lingua sulle labbra. Il tabacco della sigaretta che aveva appena spento non aveva cancellato nulla: il sapore di Julian era ancora lì, prepotente, a ricordarle che il bacio di Theo non era stato poi così eccitante come avrebbe voluto. Aveva sentimento e forse rimorso ma non le aveva fatto scattare quel qualcosa in più da avere la certezza che le cose con quel ragazzo sarebbero migliorate.
 In quel momento la sua mente stava finalmente facendo chiarezza. Chris aveva ragione: Theo stava solo rivendicando ciò che pensava gli appartenesse ma una volta riottenuto si sarebbero trovati punto e a capo.
 Era sufficiente.
 Non avrebbe più sacrificato se stessa per far contento quel medico da quattro soldi.
 -Quel bacio è stato inutile, Theo.-
 Lui spalancò gli occhi incredulo.
 -Un altro ragazzo mi ha baciato dopo di te e ti assicuro che il confronto mi ha reso tutto più chiaro. Forse provo ancora qualcosa per te ma l’altro bacio mi ha sconvolta almeno quanto il tuo, se non di più. Perciò togliti dalla testa che tornerò da te strisciando. Continua sulla tua strada, io scelgo di andare altrove.-
La sincerità prima di tutto, e più onesta di così risultava difficile esserlo.
 Theo non lasciava i suoi occhi neanche per istante. Respirava con energia mentre, notò Lisa, si stava di certo trattenendo dall’urlarle contro. Nonostante lei lo avesse lasciato da diversi giorni, era sicura che lui lo considerasse una sorta di tradimento. Eppure di tradimento non si trattava. 
 -E’ stato Chris?-
 Questa volta lo stupore apparve sul viso di Lisa.
 -A fare cosa?-
 -A baciarti.-
Negli occhi di Lisa passò un lampo divertito. Dovette dare fondo a tutta la sua forza di volontà per evitare di scoppiare a ridere. Theo sarebbe andato su tutte le furie se fosse accaduto.
 -Stai scherzando, vero? Non bacerei mai Chris!-
 -Di chi stai parlando, allora? Se non me lo dici potrei pensare che stai inventando tutto per farmi ingelosire.-
Un sospiro esasperato spezzò l’aria. Proveniva dall’infermiera Light che non ne poteva più di quel quarto grado.
 Lisa pensò alla sventurata Martha che se ne stava ancora seduta sui gradini. Era una scena penosa a cui assistere, al posto della collega si sarebbe sentita imbarazzata e mortificata. Le avrebbe offerto sicuramente una cena per farsi perdonare.
 Rimaneva il fatto che il nome di Julian Blackwood non sarebbe saltato fuori, piuttosto che rivelarlo sarebbe scappata in un altro paese. Quindi Theo doveva ritenere sufficienti le ragioni che aveva ottenute sino a quel momento.
 -Non lo conosci- cominciò Lisa con voce sicura. –Da quando ho chiuso la nostra storia non deve interessarti chi bacio e perché, non ti appartengo più.-
-Ma…-
 -Basta, Theo. Ti presenti a casa mia mentre sono con degli ospiti e mi baci. Vieni qui mentre sto parlando con la mia collega in un attimo di pausa e pretendi spiegazioni che non sono tenuta a darti. Per essere uno che non avrebbe supplicato mi sembra che tu abbia già raggiunto il ridicolo. Vai a casa, fatti una dormita e domani trovane un’altra da tormentare con le tue scuse inutili.-
 Il tono di Lisa era risultato duro, più di quanto avrebbe voluto. Sapeva, tuttavia, che Theo era in grado di diventare testardo all’inverosimile. Se non avesse agito con quell’atteggiamento deciso non se lo sarebbe mai scrollato di dosso.
 Lui l’aveva ferita tanto, non aveva intenzione di provare pietà per quell’uomo che continuava a trattarla come il giocattolo preferito soffiato da sotto il naso.
 Non aveva proprio recepito nulla di tutti i discorsi che lei si era presa il disturbo di fare.
 -Me ne vado, ma sappi questo: sei solo una stupida ragazzina egoista.-
 Theo si voltò di scatto e chiuse la porta alle sue spalle con un gesto di stizza.
 Lisa rimase per un attimo a fissare la porta prima di guardare Martha con occhi mortificati.
 -Mi… Mi dispiace che tu abbia dovuto assistere, ma se fossi rimasta da sola con lui non so se avrei agito con tanta risolutezza.-
Martha si alzò con calma dal gradino dove si era trovata costretta a sedere per tutta la conversazione e si lasciò andare ad un dolce sorriso. Era incredibile come il piccolo viso di quella ragazza potesse risultare amabile anche con un gesto semplice come un sorriso.
 -Non devi preoccuparti. Il discorso non mi riguardava. Per come la vedo io, ero solo seduta sulle scale antincendio durante la mia pausa sigaretta.-
 -Te lo terrai per te, quindi?-
 I pettegolezzi in reparto erano all’ordine del giorno. Theo e Lisa erano sulla bocca di tutti da quando avevano deciso di uscire insieme fino al momento in cui lei aveva rotto la loro relazione. Aveva saputo che molte colleghe l’aveva ritenuta una scelta crudele e la scena che c’era appena stata avrebbe solo alimentato questa convinzione.
 Se nessuno l’avesse saputo, Lisa si sarebbe sentita molto più tranquilla.
 -Non ho visto nulla, Lisa. Le voci che girano nei reparti non sono un hobby a cui mi dedico. Senza contare che sei la mia collega di turno e non ho intenzione di pestarti i piedi. Sei simpatica e questo mi è sufficiente per lavorare bene con te.-
 -Grazie.-
 Fu una parola pronunciata con il cuore. La sua collega non le aveva chiesto altre spiegazioni, nonostante avesse assistito a quella scena spregevole. Aveva capito le circostanze e la stava appoggiando senza neanche conoscerla.
 Ad un certo punto, tutta la frustrazione di cui Lisa era ormai preda da giorni trovò la sua valvola di sfogo e delle lacrime silenziose cominciarono a rigarle il volto. Quanto odiava le lacrime, soprattutto detestava piangere in presenza di altre persone che non fossero Chris o al massimo suo padre.
 -Ascolta- disse Martha avvicinandosi e tirando fuori un pacchetto di fazzoletti di carta dalla tasca della divisa. Ne porse uno a Lisa e le riservò un sorriso colmo di comprensione. –Lasciare qualcuno non è mai un affare semplice, ci sono tanti fattori che entrano in gioco.-
 Lisa prese il fazzoletto e cercò di asciugare le lacrime, ma quelle continuavano a scendere senza sosta. Non aveva neanche la voce per singhiozzare, uscivano in un religioso silenzio.
 -In una relazione l’affetto c’è sempre. L’amore non è obbligatorio ma il provare un senso di appartenenza sì. Tu hai deciso di perseguire la tua decisione e questo richiede davvero un grande coraggio. Non ascoltare quello che ti dice Theo: è un uomo di carattere che è stato ferito. La sua rabbia è del tutto giustificata ma non dipende da te. Ha fallito in qualcosa, e sono certa che non gli sia capitato spesso.-
-Theo ottiene sempre quello che vuole- disse Lisa mentre asciugava le lacrime. Sentiva gli occhi gonfiarsi e dolere per lo sforzo di versare lacrime di quelle dimensioni.
 -Se hai fatto una scelta e la ritieni corretta non devi cambiare idea, anche se lui ti fa delle pressioni. Non c’è nulla di peggio al mondo che stare con una persona per le ragioni sbagliate.-
 Lisa sapeva bene che Martha ci aveva visto giusto. Doveva ascoltare lei, Chris ed il suo stesso istinto. Theo non sarebbe tornato nella sua vita. Non vi erano altre soluzioni.
 -Facciamo così- disse Martha porgendole un altro fazzoletto. –Adesso io torno dentro a dare una mano a Chris con la preparazione della terapia, tu resti qui finché non ti sentirai meglio. Non preoccuparti per il reparto, a quest’ora i pazienti sono più che tranquilli. Prendi aria e rifletti quanto ti è necessario.-
 -Non dire nulla a Chris- il tono di Lidia era triste, non poteva essere diversamente. Ancora non si sentiva pronta per raccontare ogni cosa al suo amico, doveva essere prima sicura delle proprie reazioni.
 -Va bene, gli dirò che la dottoressa Green ti ha chiesto di andare in radiologia a cercare un referto. Tanto quella è talmente sbadata che se non avesse la testa attaccata al corpo se la perderebbe per strada.-
 Lisa si lasciò andare ad un piccola risata. In due giorni Martha aveva già capito tutto di quel reparto.
-Giuro che puoi venire a cena a casa mia quando vuoi, ti devo ringraziare per tutto quello che stai facendo.-
 -E’ una sciocchezza- disse Martha aprendo la porta. –Ma non rifiuto mai un invito a cena. Ora però vado, altrimenti Chris comincerà a cercarci per mari e monti.-
 Detto questo, subito dopo un occhiolino, Martha rientrò in reparto lasciando modo a Lisa di restare un po’ da sola.
 La donna chiuse gli occhi e prese un respiro profondo, inspirando aria fresca che le arrivava dritta nei polmoni. Una soluzione a tutto quel marasma di avvenimenti l’avrebbe trovata, come sempre era successo. Ora doveva solo smettere di piangere e tornare al suo lavoro.
 Theo prima o poi si sarebbe arreso, con le buone o con le cattive.
 Chris prima o poi avrebbe saputo tutto e sarebbe stato felice di darle dei consigli, restandole accanto.
Blackwood.
Julian Blackwood doveva solo tenere le mani al loro posto e niente di male sarebbe accaduto. Avrebbero scritto il libro senza intoppi e tutto sarebbe finito prima di un battito di ciglia.
 Lisa sperava solo che non avrebbe cestinato subito i primi capitoli che gli aveva consegnato.
 A quel pensiero un’ondata di freddo le attraversò il corpo. Non aveva ancora dato quei maledetti capitoli a Blackwood. Li aveva stampati, aveva ripiegato con un cura i fogli e messi in tasca alla divisa, ma quello stupido le aveva dato quel bacio mozzafiato e per la fretta di scappare dalla stanza non aveva più pensato a ciò che portava in tasca.
 -Accidenti!- mormorò a se stessa.
Voleva infischiarsene e tenere quei capitoli con sé fino a quando non fosse stata costretta a lavorare con Blackwood, ma dopo quello che le aveva detto Daisy non aveva intenzione di sprecare un solo minuto. Se davvero non avrebbe potuto usare quei capitoli, era meglio saperlo il prima possibile.
 Ancora una volta prese un respiro profondo, avvertendo l’aria fredda entrarle nel torace.
 -Solo un ultimo sforzo, Lisa. Puoi farcela.-
 Così si ritrovò a camminare per il lungo corridoio del reparto intenta a dirigersi verso la stanza di Julian. Lisa era sempre stata una persona sprezzante del pericolo, aveva affrontato tutte le difficoltà nella sua vista a testa alta, senza mai attendere. In quell’occasione si stava comportando come suo solito ma dentro di lei qualcosa non andava: l’ansia di rivedere Julian dopo quello che era accaduto la stava divorando. Era cosciente di dover dar fondo a tutta la sua forza di volontà per affrontare un altro incontro con lui.
 Quando l’infermiera entrò silenziosa nella stanza tirò un enorme sospiro di sollievo: Julian stava dormendo. I suoi occhi erano chiusi, e l’unica luce accesa era quella sopra il letto, troppo soffusa per infastidire il paziente mentre riposava.
 Un enorme sorriso prese possesso del volto di Lisa. Non avrebbe dovuto affrontare l’irriverente Blackwood così presto come aveva pensato. Tutta contenta, si mosse silenziosa come un gatto, verso il letto del paziente. Tirò fuori dalla tasca i fogli ripiegati e con molta calma li appoggiò sul comodino. Era pronta a voltarsi e a lasciare la stanza.
 -Passiamo già alle lettere d’amore?-
 Lisa dava le spalle al paziente e poté alzare platealmente gli occhi al cielo per ciò che stava succedendo. Quel Julian Blackwood stava mettendo a dura prova la sua leggendaria pazienza.
 -Neanche ti rispondo.-
 Fece per andarsene quando si sentì afferrare il polso. Si voltò di scatto verso Julian e lo fulminò con gli occhi mentre sentiva la presa bollente della sua mano farsi più salda.
 -Lo sento, sai?-
 -Che cosa?- chiese Lisa confusa.
 Successe tutto in attimo. Julian tirò con forza il braccio di Lisa e l’attirò verso di sé. Lei era troppo sorpresa, e il suo corpo era troppo minuto, per resistere a quella forza esercitata con tanta decisione. La donna si ritrovò con il viso sulla spalla del paziente mentre lui la teneva imprigionata, stringendola con una mano sulla schiena.
 -L’odore di sigaretta- soffiò lui sul collo della ragazza. La sua voce era bassa, roca e tremendamente sensuale. –Non fumo una sigaretta da giorni e questo odore ti rende ancora più attraente per i miei sensi.-
 Le annusò il collo con decisione mentre lei non riusciva a muovere un solo muscolo. Il calore di quel corpo così vicino, il ricordo del bacio che c’era stato solo qualche minuto prima e Julian Blackwood in generale, stavano bloccando qualunque reazione logica che avrebbe dovuto avere.
 Il cuore di Lisa stava per sfondare la cassa toracica mentre vere e proprie vampate di calore prendevano completo possesso del suo corpo.
 Julian passò con delicatezza la punta del naso sul collo della sua prigioniera, poi posò le sue labbra su quel lembo di pelle ormai sensibilizzato dal contatto precedente. Lisa riuscì a trattenere un gemito per puro miracolo mentre Julian aprì la bocca lasciando che la lingua saggiasse con lentezza struggente quel collo morbido e delicato.
 -Il sapore della tua pelle e quasi più dolce di quello delle tue labbra- soffiò quelle parole sulla parte inumidita del collo e Lisa avvertì i brividi percorrerle schiena e testa.
 -Non ti avevo detto di tenere le mani a posto?- sussurrò Lisa in un momento di lucidità, ma ancora non aveva trovato la forza di provare a liberarsi.
 Avvertì la bocca di Julian aprirsi in un sorriso mentre continuava a baciarle il collo con determinata insistenza, ma soprattutto con rinnovata sensualità.
 -Non sto usando le mani, ti ho lasciata andare già da un po’.-
 Lisa spalancò gli occhi incredula. Si rese conto che il polso, intorno al quale aveva sentito il calore della mano di Julian, non era più in trappola. Fino a quel momento aveva solo avvertito la sensazione che quel contatto le aveva lasciato ma in realtà la mano di Julian non c’era. Mentre le sue labbra c’erano eccome, e le stavano coccolando il collo con una maestria che non credeva nemmeno esistesse. La mano che le stringeva la schiena, non la tratteneva più, era solo poggiata con delicatezza senza muoversi, il suo scopo era solo far sentire tutto il calore che poteva emanare.
 Il suo corpo le urlava di non muoversi, di lasciarlo continuare. La sua mente, tuttavia, era conscia del fatto che Julian Blackwood andava fermato prima che il loro rapporto si complicasse ulteriormente. Dovevano lavorare insieme, accidenti!
 Le labbra di Julian raggiunsero il lobo dell’orecchio e gli occhi di Lisa si chiusero senza che lei potesse impedirlo. Il buio aumentò il piacere che quel piccolo gesto dell’uomo le stava provocando sino a quel momento. Doveva fermarlo, ma proprio non riusciva a trovare la forza per farlo.
 Poi un rumore in corridoio la fece sobbalzare. Il suono del carrello della terapia che avanzava le consentì di ridestarsi dal sogno che stava vivendo.
 Spalancò gli occhi e posò le mani sul petto di Julian con la ferma intenzione di separarlo da lei. Il ragazzo le passò ancora la lingua sul lobo dell’orecchio e le sue mani al posto di respingerlo si strinsero sul tessuto della sua maglietta come a chiedere di più. Era il momento di reagire ma Julian fu più veloce: lasciò il collo e raggiunse le labbra di lei chiudendole in un bacio delicato senza dimostrare alcuna fretta nell’approfondirlo. Ancora quel calore, ancora quel sapore irresistibile. Il suo cervello aveva voglia di scollegarsi completamente e di lasciar fare tutto al suo corpo ma non poteva permettere che i suoi colleghi la trovassero in una situazione del genere. Proprio non poteva.
 Le sue mani si aprirono di nuovo e questa volta furono in grado di spingere via il corpo di Julian che si staccò da lei guardandola con un sorriso divertito e consapevole.
 -Adesso basta! Non devi più fare una cosa del genere.-
 Il sorriso di Julian sembrò allargarsi ancora.
 -Prometto di non farlo più- la sua voce era bassa, sensuale come nessuna che Lisa avesse mai ascoltato. –Ma se in futuro sarai tu a cominciare, come la mettiamo?-
 Lisa si allontanò definitivamente mentre si concentrava a far scomparire il rossore dalle sue guance.
 -Non c’è pericolo che io… Non ho intenzione di saltarti addosso, se è questo che intendi.-
 Julian scoppiò a ridere.
 -Sei brava a raccontarti frottole.-
 La rabbia prese di nuovo possesso di Lisa che incenerì Julian con lo sguardo.
 -E’ tu sei troppo sicuro di te stesso per i miei gusti, caro Blackwood.-
 -Non mi sembra che ti tu sia lamentata poi così tanto fino ad ora.-
 -Mi hai solo colta di sorpresa.-
 -E tu mi hai lasciato fare, prima o poi cederai.-
 -Se non la smetti con questo atteggiamento, il libro puoi pure scrivertelo da solo.-
 Julian la guardò per qualche istante e poi abbassò gli occhi cominciando a fissare il pavimento dietro a Lisa.
 -Come vuoi, vedremo chi avrà ragione alla fine.-
 -Non ci sarà niente da vedere.-
 -Se lo dici tu.-
 Lisa neanche rispose, quel battibecco non aveva una via d’uscita se non il silenzio.
 -Leggi quei fogli che ti ho lasciato e dimmi che ne pensi.-
 -Cosa sono?- adesso il tono di Julian era più pacato, più curioso, la nota sensuale si era persa.
 -I primi due capitoli del manoscritto. Daisy mi ha avvisato che demolirli diventerà il tuo scopo nella vita, quindi se sono da modificare preferisco saperlo il prima possibile.-
 Julian prese i fogli e li aprì. Diede un’occhiata veloce al primo.
 -E questo?- disse indicando una scritta a penna.
 -E’ il mio numero di telefono. Altrimenti come conteresti di contattarmi dopo che ti dimetteranno? Quel giorno avrò il turno di mattina, potrei anche non riuscire a passare da te prima della tua uscita.-
 -Sei premurosa- disse Julian divertito.
 -Sono previdente- ribatté lei con decisione, mentre smontava la flebo con l’antibiotico. La bottiglia era ormai vuota.
 -Ti stai creando una scusa per i tuoi colleghi? Non avevi buoni motivi per sta qui, vero?-
 -Blackwood, chiudi quella cavolo di bocca!-
 La risata di Julian si diffuse nella stanza.
 -Farti arrabbiare è uno spasso, piccola Light.-
 -Continua così e mi vedrai arrabbiata sul serio, se ancora sarà uno spasso me lo dirai tu.-
 Lisa non disse altro. Con la bottiglia di antibiotico vuota in mano, si diresse verso la porta.
 -Leggi quei capitoli e dimmi che ne pensi.-
 Non attese la risposta, uscì veloce dalla stanza lasciando Julian ai suoi pensieri.
 Quella ragazzina era troppo invitante perché lui la potesse ignorare come lei aveva chiesto. Era una preda complicata da catturare ma alla fine anche lei avrebbe ceduto al grande maestro Julian Blackwood. Erano poche le donne che alla fine non erano cadute ai suoi piedi, e tutte perché lui non era realmente interessato.
 Invece, la piccola Light lo intrigava molto più di qualunque ragazza avesse incontrato fino a quel momento. Caratterialmente era una disastro ma il suo corpo… Il suo corpo valeva la pena di essere esplorato, in ogni più piccolo dettaglio. Si sentiva come se proprio lo stesso corpo di quell’infermiera lo stesse supplicando per ricevere attenzioni.
 Scosse la testa per provare a scacciare via il ricordo di quella pelle così succulenta e abbassò gli occhi sui fogli che aveva in mano.
 -I primi due capitoli, eh? Vediamo cosa sei in grado di fare, piccola Light.-
 
 
 Essere figlia di due avvocati di successo non era mai stato semplice per me. Trascorrevo l’intero anno scolastico in un collegio femminile, lontano dalla mia casa. Durante le vacanze estive, invece, mi parcheggiavano dalla mia nonna paterna senza fare tanti complimenti. Non accusavo i miei genitori, ma ero arrivata alla conclusione che il loro lavoro fosse più importante della loro unica figlia.
 Tutto sommato non potevo lamentarmi.
 Il collegio non era il posto ideale per fare amicizie. I miei migliori amici erano i libri e il mio passatempo principale consisteva nel prendermi cura dei suddetti libri. Le relazioni con altri umani non erano mai state importanti per me.
 Se avevo bisogno di un’amica, mia nonna era la persona giusta.
 Quell’estate, l’estate dei miei undici anni, quando la macchina di mio padre si fermò nel vialetto di nonna, mi sentivo serena e felice per i mesi che mi aspettavano in compagnia di quella donna solare e gentile che mi aveva sempre trattato come una figlia. Lei era la mia confidente, l’unica persona che sapeva tutto di me. Mi ascoltava senza dare giudizi, dispensava consigli senza imporre la sua opinione. Era un diario segreto in grado di rispondere ad ogni mia domanda.
 La vidi. Mi aspettava come sempre sotto il portico della sua villetta, la casa in cui aveva vissuto da sempre, fin da bambina.
 Scesi dalla macchina e mi catapultai tra le sue braccia.
 -La mia piccola Geni.-
 Il mio nome era Eugenia ma solo i miei professori mi chiamavano in quel modo. Per tutti gli altri ero solo Geni.
 
 Julian completò la prima pagina e la sua mente vorticava all’idea di ciò che stava leggendo. Lo stile di Lisa era pulito, semplice ma allo stesso tempo minuzioso di particolari. Doveva ammettere che Peter aveva fatto centro con lei: con qualche piccola modifica quel capitolo avrebbe rasentato la perfezione.
 
 Ero in giardino con mia nonna.
 Sedute al tavolino in ferro battuto, era lì che facevamo colazione nelle calde mattinate estive. La nonna aveva preparato frittelle e succo d’arancia, la mia colazione preferita.
 -Sai- mi disse a un certo punto bevendo con eleganza innata un sorso di succo. –Da un paio di mesi villa Wellington ha un nuovo ospite.-
 Alzai gli occhi dalle mie frittelle e osservai la nonna con grande sorpresa. Villa Wellington era la grande casa accanto a quella della nonna. I nostri giardini erano confinanti, divisi da un’alta siepe sempreverde che io non avevo mai avuto il coraggio di attraversare, neanche presa dal mio istinto curioso di bambina. Il motivo di tanto timore era semplice: il padrone di casa Wellington. Si trattava di un anziano aristocratico che io avevo sempre visto come cupo e solitario. Non mi sarei mai permessa di ritrovarmelo di fronte, neanche per sbaglio.
 -Di chi stiamo parlando?-
 La nonna mi sorrise dolcemente.
 -Il figlio di Nadiya.-
 -Stai scherzando?!-
 Nadiya era stata la cameriera e governante del signor Wellington per anni. Era sempre stata gentile con me, quando il signor Wellington non era in casa veniva sempre da noi a prendere un caffè o una tisana. Un paio d’anni prima ci aveva raccontato che il suo padrone era sempre stato gentile con lei, cosa alquanto incredibile conoscendo il tipo, e che lei gli aveva dato un figlio anni prima, un bambino che ora doveva avere all’incirca la mia età.
 La donna si era trovata costretta a mandarlo a vivere in Russia con i suoi genitori per evitare che le voci su di lei e il signor Wellington trovassero una conferma. Le uniche ad aver sentito quella storia da Nadiya eravamo solo la nonna ed io, perché doveva essere un segreto. Ora quel segreto era stato svelato a tutti.
 -Dopo la morte di Nadiya, il signor Wellington ha voluto accanto suo figlio. Dopotutto quel bambino è l’unica famiglia che gli rimane- disse la nonna dopo aver addentato un pezzetto di frittella. –Delle voci, a quanto pare, se ne sta infischiando. Amava quella donna, ne sono convinta, e suo figlio Ivan e la persona più vicina a lei. Presumo che lo voglia affianco per avere la conferma che Nadiya sia esistita.-
 -Mi sembra un po’ tardi per ricordarsi di fare il padre.-
 
 Questa battuta non c’era nella sceneggiatura. Lisa stava influenzando Geni con il suo carattere, ma probabilmente, pensò Julian, non era un male. Si era reso conto, più di una volta, che Geni non parlava molto spesso come una ragazza. La battuta andava bene così. Un bel punto per Lisa.
 Ormai era arrivato al primo incontro tra Ivan e Geni: la curiosità lo stava invadendo. Si trattava di uno degli avvenimenti cardine della sceneggiatura, era quel titolo che Lisa aveva modificato con tanto ardore.
 
 La nonna era rientrata in casa mentre io me ne stavo in giardino. Mi piaceva stendermi sull’erba, con un cuscino dietro la testa, e leggere all’ombra del grande salice che la nonna e sua sorella minore avevano piantato lì quando erano solo delle bambine.
 Le foglie che ricadevano, quasi a celarmi del tutto, mi facevano sentire al sicuro. Era il mio posto speciale, in cui potevo starmene ore e ore, senza patire il caldo o la noia.
 Il libro che stavo leggendo mi aveva rapita del tutto, eppure avvertii il bisogno di alzare gli occhi per un istante e in quell’esatto momento mi accorsi di qualcosa: un dettaglio particolare attirò la mia attenzione.
 Quando avevo all’incirca quattro anni, mi ero divertita con le forbici da giardinaggio della nonna. Mi era sembrato molto divertente sfoltire un po’ quella siepe alta e tenebrosa che divideva la nostra casa dall’enorme e splendido giardino della tenuta Wellington. Così, felice e contenta, avevo cominciato a tagliare via foglie e rami. Ci avevo preso talmente gusto che quando la nonna si accorse di ciò che stavo facendo, quella sfoltita era diventata un buco enorme che poteva essere attraversato con tranquillità anche da un ragazzino.
 La nonna era andata dal signor Wellington scusandosi per ciò che avevo combinato, ed era persino disposta a pagare il danno che avevo causato alla sua parte di giardino. Tuttavia, lui non volle niente come risarcimento. Accettò le scuse e quella siepe non venne mai più sistemata. Pensai che avesse ragionato così perché quella parte della siepe era troppo lontana dalla sua immensa casa per poter essere d’intralcio per la privacy del padrone del maniero. Così quella specie di porta era rimasta lì per anni. Ogni tanto avevo contribuito a farla restare in quel modo, tagliando le foglie e i rami che volevano chiuderla. Quella porta mi aveva sempre trasmesso una meravigliosa sensazione di luce nell’ombra, di speranza. Guardarla mi tranquillizzava.  
 Solo che quella mattina c’era qualcosa oltre la mia particolare porta.
 Degli occhi che mi fissavano. Occhi azzurri come l’acqua cristallina, penetranti come un vento gelido.
 Lasciai il mio libro sul prato e mi avvicinai a quegl’occhi.
 -Sei Ivan?- chiesi quando mancavano solo pochi passi alla siepe.
 Il ragazzino dall’altra parte annuì senza mostrare emozioni su quel volto dalla carnagione chiara. Aveva dei capelli neri ribelli, ereditati dal padre, dato che Nadiya era bionda. Vedendo il viso di quel bambino capì perché Wellington lo avesse voluto accanto. Era identico a sua madre. La nonna aveva avuto ragione nel dire che forse il signor Wellington aveva amato davvero la sua cameriera. Ora che aveva addirittura voluto suo figlio con lui, senza curarsi dei pettegolezzi che avrebbe scatenato, ne era la prova conclamante.
 -Vuoi venire a giocare nel mio giardino?- chiesi con un sorriso.
 Il bambino strabuzzò gli occhi spaventato.
 -Il signore della grande casa si arrabbierà- un rumore fece voltare Ivan che tornò a guardarmi con la confusione negli occhi. –Devo andare.-
 Scomparve veloce come era apparso.
 In quel momento non avrei mai creduto che quel bambino sarebbe diventato la persona più importante della mia vita. Il mio primo vero amico.
 
 -Cazzo…- mormorò Julian ripiegando i fogli, dopo che li aveva letti con foga fino all’ultima pagina.
 Le dita andarono in automatico sulle sue labbra mentre con la lingua cercava di sentire ancora il sapore della donna che poco prima aveva baciato.
 -La piccola Light ha talento. Chi lo avrebbe mai detto…-  
 Mentre cercava quel sapore che tanto lo aveva affascinato, avvertì qualcosa di strano. Una specie di nota fuori posto che prima non aveva notato. Era salato. Era il sapore delle lacrime.
 Lisa aveva pianto?
 
 
***L’Autrice***
 Eccomi di nuovo qui con un altro capitolo.
 Ormai Julian e Lisa stanno cominciando a darsi molto da fare. Diciamo che l’attrazione che provano l’uno per l’altra sta diventando insostenibile. Ma non pensate che questo sia un buon motivo per farli quagliare troppo presto ahahahah
 Julian rimane ancora un personaggio un po’ misterioso ma già dal prossimo capitolo lo vedremo molto più spesso e finalmente entreremo di più nel suo personaggio.
 In più, in questo capitolo, si è visto anche l’inizio di questo famoso libro che Lisa deve scrivere. L’incipit della storia è quello che avete appena letto. Tuttavia, anche la storia di Geni e Ivan crescerà insieme a quella dei due protagonisti. Ovviamente non allungherò troppo con il manoscritto di Lisa ma si vedranno spezzoni ogni tanto che serviranno a far capire la storia a grandi linee, e ovviamente si vedranno Lisa e Julian discutere parecchio sulle scelte della trama.
 Finalmente sembra che Theo si farà da parte, anche se non datelo per certo. Potrei anche decidere di farlo rispuntare fuori ad un certo punto. Dipende da che piega prenderà la storia.
 Ringrazio tutti coloro che stanno leggendo e le ragazze che sul gruppo di facebook (Il figlio della prof) stanno mostrando interesse e supporto per questa mia nuova storia.
 Vi ringrazio infinitamente.
Un abbraccio 

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