A uno sparo dalla morte

di Gnarly
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Figlia della paura ***
Capitolo 2: *** Giustizia è fatta ***



Capitolo 1
*** Figlia della paura ***


«A uno sparo dalla morte»



 
1. Figlia della paura

Prima del contagio
 
«Quando non ci sarà più posto all’inferno, i morti cammineranno sulla Terra.»
Peter, “Zombi”
 
Le brute e cruente immagini e registrazioni che i telegiornali non facevano che trasmettere quotidianamente, dalla mattina alla sera, erano impresse nella mente di Kara come se fossero incise su legno.
Centinaia di persone – uomini, donne, bambini e anziani – ogni giorno venivano divorati da esseri che si rifiutava di nominare “umani”. Non ne capiva molto di scienza ma, dalle informazioni che era riuscita ad assimilare dai ripetitivi video che trovava su internet e in televisione, tutto era cominciato da un esperimento in laboratorio finito male. Decisamente male.
Nonostante fosse una poliziotta e nonostante il suo violento passato alle spalle, ancora non riusciva a capacitarsi di tale brutalità e di come quelle creature potessero esistere. Era una fervida credente: come avrebbe potuto? Il Dio in cui riponeva la propria fede non avrebbe mai permesso un simile orrore. Non avrebbe mai permesso così tanta aggressività. Non avrebbe mai permesso un dolore di tale impeto.
C’era stato un periodo buio nella sua vita, quel lasso di tempo che lei aveva rinominato “Medioevo”, una fase talmente tetra che lei avrebbe solamente voluto rifugiarsi sotto le coperte e non uscirne mai più.

Aveva tredici anni quando suo padre decise di portarla nel bosco nei pressi della periferia della città per insegnarle lo sport dell’orienteering. Il bosco era per lei un territorio sconosciuto, quasi nemico, perché fin da quando era piccola aveva ascoltato storie di mostri brutali e creature soprannaturali che, secondo i suoi amici, abitavano in quella selva e, quindi, era terrorizzata dall’idea di doversi inoltrare in quella boscaglia da sola.
Le prime due ore trascorsero tranquille, senza troppe difficoltà che non si potessero superare, e Kara si era quasi rassicurata del fatto che niente e nessuno avrebbe potuto farle male. Poi suo padre le chiese se le andasse di andare a raccogliere un po’ di legna, in modo da dare vita a un falò, «per evitare di morire congelati» - furono queste le sue parole – ma lei, non fidandosi dell’oscurità e degli animali che si nascondevano dietro di essa, lo pregò di andare da solo. Il padre, intenerito dallo scintillio di paura che si celava negli occhi della figlia, disse che sarebbe andato lui e che, nel frattempo, lei avrebbe dovuto iniziare a montare il kit da cucina da campeggio.
Passati almeno una ventina di minuti, la bambina iniziò a preoccuparsi perché suo padre non era ancora tornato alla radura in cui avevano montato la tenda, così decise di inoltrarsi nel bosco alla ricerca dell’uomo che aveva cercato di farle superare la sua più grande paura. Un suono che somigliava a quello di un ramoscello spezzato la destò da suoi pensieri e attirò la sua attenzione. Fece qualche passo verso la direzione del rumore fin quando un’enorme figura, la cui entità era ancora nascosta ai suoi occhi, si stagliò dal terreno. Riusciva a percepire dei lamentii, come se qualcuno stesse soffrendo. Poi vide il padre.
Le sue carni erano dilaniate, il corpo era diventato quasi una massa informe di pelle e sangue. Non sapeva come riuscisse a essere ancora vivo: ferite del genere avrebbero dovuto ucciderlo in poco tempo e, se le ferite non fossero bastate, il dolore provato sarebbe dovuto essere talmente intenso che avrebbe dovuto perdere tutta la propria forza di volontà e abbandonarsi lentamente all’oblio della morte.
L’animale le si avvicinò; cominciò a odorarla come se volesse accertarsi che fosse reale e, se non fosse stato per quello sparo improvviso che squarciò il silenzio che si era andato a creare in quei pochi istanti di puro terrore, sicuramente avrebbe riservato a Kara lo stesso destino del padre.
Proprio nel momento in cui l’animale stava per attaccarla ferocemente, un uomo fece partire un colpo dalla canna del suo fucile che uccise l’animale all’istante.
Da quel giorno Kara non rimise più piede in quell’insieme di oscurità e sofferenza che per lei era diventato il bosco.

Quando i primi zombie comparvero tra le strade della città di Phoenix, le autorità cercarono in tutti i modi di nascondere ciò che in realtà stava succedendo a tutti i cittadini della capitale dell’Arizona. Per pochi giorni riuscirono a contenere la popolazione e le domande che poneva spinta dalla curiosità e dalla paura che la dominava, poi la realtà colpì la città come un fiume in piena: la morte si stava ribellando alla vita e non c’era niente che avrebbe potuto aggiustare le cose.
Erano passati due mesi dal giorno in cui tutte le persone facenti parte delle autorità americane erano fuggite dal triste destino che attendeva Phoenix, così avevano lasciato gli abitanti abbandonati a se stessi.
Kara aveva lasciato la città per trasferirsi nella casa di campagna dopo che la madre era morta. Le aveva detto che era pericoloso uscire di casa, che non sarebbe stato sicuro per lei andare a cercare qualcosa da mangiare, ma non le aveva dato retta… così era tornata a casa con un morso sul braccio. Non urlava, non piangeva. Non sembrava neanche soffrire. Probabilmente era felice del suo destino, aveva già smesso di vivere dalla morte del marito. Quel momento era stato solamente l’ufficializzazione della sua morte.
Nella casa in campagna la vita era abbastanza tranquilla, anche durante l’apocalisse. Poche persone avevano avuto l’idea di allontanarsi dalle strade brulicanti di mostri per nascondersi tra gli alberi e le coltivazioni presenti negli appezzamenti di terreno distanti dal centro.
Era riuscita a trovare quattro persone con cui condividere quella dannazione, con cui esternare i propri pensieri al riguardo senza aspettarsi conseguenze o sentirsi giudicata.
C’era Mark, il ragazzino impaurito che aveva perso entrambi i genitori durante il primo periodo di quell’inferno terreno e che aveva preso sotto le proprie ali; poi era arrivato Aaron, un ventitreenne che non aveva nient’altro che i propri muscoli su cui contare già da prima che scoppiasse il putiferio; Alyssa era, invece, un’adolescente che nel suo tempo libero, prima che i morti viventi occupassero Phoenix, poteva essere considerata per antonomasia una “nerd”: non c’era libro, film o serie tv sugli zombie che non avesse letto o visto; infine, l’ultima persona a essersi aggiunta al gruppo era Pablo, un ex dottore messicano che, a soli trentacinque anni, era stato radiato dall’albo dei medici dopo diverse operazioni chirurgiche eseguite in modo errato e che, quindi, avevano portato il paziente alla morte.
Non potevano essere più diversi, eppure quel destino crudele li aveva uniti tutti come si fossero sempre appartenuti.
Di tanto in tanto Kara usciva dalla casa e si sedeva sulla sedia a dondolo di sua nonna sotto la tettoia e si soffermava a osservare le stelle e l’immensità dell’universo. Le capitava di sentire un brivido lungo la schiena nei momenti in cui tentava di immaginare i pianeti e i satelliti inviati nello spazio sospesi, in equilibrio, come se fossero legati a un filo manovrato da qualcuno superiore a loro e all’universo stesso.
Quella volta la raggiunse sul portico Pablo, con l’intento di fumarsi la sua solita sigaretta notturna. Kara, per l’ennesima volta, gli chiese la sua opinione su tutto quello che stava succedendo: il contagio, gli infetti, la cura; così Pablo iniziò a parlare di batteri patogeni, muffe infiltratesi all’interno del cervello ed elementi chimici che avevano portato all’apocalisse.
Le piaceva, Pablo. Non perché era un bell’uomo, o perché fosse più intelligente di quanto non tendesse a dimostrare, bensì perché in lui riusciva a scorgere ancora quella scintilla di speranza che le serviva per poter andare avanti e sopravvivere alla situazione che si era andata a creare da un paio di mesi a quella parte. Era come se lui fosse immune al completo sconvolgimento del mondo come lo conoscevano prima: sembrava a suo agio in quella guerra tra vivi e morti, come se le sue giornate, prima che si scatenasse l’inferno sulla Terra, fossero tali e quali a quelle che stavano vivendo in quel periodo. Si svegliava, usciva dalla tenuta di campagna per andare a cercare scorte di cibo nei supermercati abbandonati, uccideva definitivamente qualche non-morto, mangiava, dedicava qualche ora della giornata alla lettura e tornava a dormire, per poi ripetere il ciclo la giornata successiva.
«Hilofobia
[1]» disse improvvisamente Pablo, interrompendo quel silenzio sommesso che si era andato a creare tra i due, quasi come un tacito accordo di non parlare per distruggere la complicità che oramai c’era tra loro. «È il nome della paura che hai per i boschi. Hilofobia.»
Lui era l’unico membro del gruppo a essere a conoscenza dell’insolita fobia di Kara; per la poliziotta esternare i propri sentimenti era un concetto innaturale perché, abituata a vivere solamente con la madre che passava la maggior parte delle proprie giornate nei bar a ubriacarsi, teneva per sé tutti i propri pensieri.
Il rumore di foglie calpestate la trattenne dal rispondere al ragazzo, che nel frattempo si era già alzato dalla sedia ed era corso verso la fonte di quel rumore.
Un non-morto uscì dalla fitta boscaglia e si scagliò contro Pablo, che non era riuscito a prendere il coltello per difendersi. Lo afferrò con entrambe le braccia, mantenendolo fermo.
Kara scattò in piedi e in un secondo si ritrovò faccia a faccia con lo zombie, che era intento a trovare un modo per azzannare Pablo. La ragazza si posizionò dietro di esso e, con un movimento veloce della mano, portò la testa del non-morto contro il terreno e fece partire il colpo dalla sua Beretta 92
[2]. Il proiettile che uscì dalla canna della pistola trapassò il cranio dello zombie e gli schizzi di sangue bagnarono il suolo.
«Stai bene? Ti ha morso?» chiese la ragazza visibilmente preoccupata per l’uomo di fronte a lei, iniziando a controllare esasperata ogni zona di pelle visibile. Non avrebbe sopportato un’altra perdita, non sarebbe sopravvissuta anche a quello.
Lui le si avvicinò, il fiato corto e la fronte coperta da un leggero strato di sudore dovuto allo sforzo appena compiuto; i ricci mori sfiorarono il naso di Kara, che ridacchiò per il solletico. «No, grazie a te.»
Lei sorrise, uno di quei sorrisi genuini che scaldano il cuore solo a guardarli, e si avvicinò ancora di più all’uomo. Poi annullò del tutto la distanza tra i loro corpi, posando la propria bocca su quella di lui, ancorandosi a esse come se ne fosse dipendente. Pablo schiuse le labbra, permettendo alla lingua di Kara di avvolgere la propria. In quei pochi istanti di intimità le loro anime erano entrate in contatto, così come succedeva ogniqualvolta le loro labbra si sfioravano.
La sua mente era rivolta verso mondi ignoti, universi felici, creati privi di sofferenza; un’idea poi lo destò dai pensieri che avevano popolato la sua testa in quegli attimi.
La bolla in cui lui e Kara si era rinchiusi, esternando dolore, rabbia e confusione, esplose. Si allontanò da lei volgendo lo sguardo sul bosco, nascondiglio di una moltitudine di esseri privi di sentimenti.
Erano mostri dominati e controllati dalla brama di carne umana, mostri che non esitavano a fare a pezzi una vita se ne avessero trovata una davanti a sé. Non somigliavano per nulla agli zombi di quei pochi film apocalittici che aveva visto: erano intelligenti; riuscivano a percepire le mosse degli umani, se non venivano privati della vista, ancor prima che queste venissero compiute; erano assetati di sangue. Erano lenti, questo sì, ma la loro capacità di prevedere le mosse nemiche era un ostacolo da non sottovalutare.
Pablo si sentiva come se avesse all’interno della propria testa un microchip che inviava le immagini dei propri pensieri direttamente al cervello dei non-morti; si sentiva privato della propria libertà.
«Non si sono mai spinti fin quaggiù… è il primo che troviamo in campagna.»
Una morsa gelida strinse il cuore di Kara, impedendole di respirare. Era il ghiaccio del terrore.
«Dobbiamo perlustrare la zona» suggerì infine l’uomo, dopo un silenzio che sembrava accarezzare l’infinito.
Gli occhi scuri della ragazza si spalancarono e le pupille si dilatarono, mostrando il panico e l’orrore che le stavano angosciando l’anima. Nei momenti in cui si perdeva nei propri ricordi e nei propri pensieri gli occhi si tramutavano in oscurità pura, come fosse stata tenuta prigioniera nel più profondo del suo cuore per tanto tempo e fosse finalmente riuscita a venire a galla.
«Nel bosco?»
Pablo annuì con un’espressione affranta, essendo a conoscenza della paura più totale dei boschi che aveva Kara. Vederla così impaurita lo disorientava. Lei, la ragazza dal cuor di leone, la ragazza che a soli ventidue anni era riuscita a diventare Capitano della polizia, la ragazza che era riuscita a farsi spazio nel suo animo, era spaventata. Lei, che non si era mai tirata indietro quando c’era il bisogno di confortare qualcuno, si sentiva persa. Lei, che combatteva contro gli zombie per i propri amici e per la propria vita, aveva il volto deformato dalla paura.
In momenti come quello le parole non servivano, non avrebbero risolto niente. Kara aveva solamente il bisogno di sentirsi al sicuro, di sentirsi riparata da qualsiasi malignità fosse nascosta nel buio e nell’incognito di quella fitta boscaglia.
Pablo l’abbracciò, cercando di farle dimenticare tutto il male che al mondo esisteva.





[1] Fonte
[2] Pistola semi-automatica

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Capitolo 2
*** Giustizia è fatta ***


«A uno sparo dalla morte»


 
2. Giustizia è fatta

Dopo il contagio
«Noi siamo all’inferno, e la sola scelta che abbiamo è tra essere i dannati che vengono tormentati o i diavoli addetti al loro supplizio»
Albert Caraco

 
Dal giorno in cui gli zombie invasero la tenuta di campagna il gruppo si spostava di settimana in settimana, alla ricerca di luoghi provvisti di cibo e acqua, come le tribù di nomadi che prosciugavano la linfa vitale di ogni territorio in cui si accampavano.
Nessuno parlava di quello che successe quella notte, nessuno voleva ricordare.
Avevano perso Mark, il dolce Mark. Avevano perso l’unica persona innocente il cui animo non era ancora stato invaso dall’immoralità e dalla distruzione. Avevano perso colui che donava alle loro giornate quel poco di purezza e di serenità che bastava per andare avanti ancora un altro giorno.
E avrebbero perso anche Kara.
 
Pablo e Kara corsero all’interno della casa per avvisare gli amici del morto vivente che era giunto ai piedi dell’abitazione all’improvviso e del possibile pericolo che stava per sopraggiungere.
Insieme decisero che Aaron e Pablo si sarebbero inoltrati nella foresta per controllare la reale esistenza del pericolo mentre Kara, Alyssa e Mark sarebbero rimasti nei dintorni della residenza per proteggerla da eventuali attacchi di un numero ristretto di zombie.
Passò un’ora prima che i due ragazzi tornassero dall’esplorazione. Bagnati e impregnati di sangue.
«Stanno arrivando, rinchiudetevi in casa! Sono troppi!» urlò Aaron correndo, il ciuffo biondo di capelli che ricadeva davanti ai suoi grandi occhi verdi ogni passo che faceva.
«L’eco dello sparo deve averli attirati qui» Kara diede voce ai suoi pensieri senza rendersene conto, ottenendo un cenno d’assenso col capo da parte di Alyssa. «Dobbiamo organizzare un piano!» urlò la ragazza, mentre rovistava tra i cassetti della cucina alla ricerca di un qualsiasi oggetto che avrebbe potuto usare come arma, con un tono troppo esaltato per una situazione di un simile pericolo.
«Non dovrebbe essere questa la reazione di una ragazza che viene a conoscenza della sua imminente morte …» commentò Aaron, che si sorprese a sorridere dell’eccitazione dell’amica.
«Quanti sono? Possiamo sconfiggerli tutti?» domandò Mark nell’ingenuità dei suoi otto anni con uno scintillio negli occhi che tradivano il suo spavento tanto quanto il suo entusiasmo di poter finalmente aiutare le persone che lo avevano protetto per mesi, in quell’inferno.
«No» gli rispose Kara dolcemente, carezzandogli i capelli con fare materno, come per rassicurarlo del fatto che niente e nessuno sarebbe mai riuscito a separarli.
Era una ragazza solita ad affezionarsi molto facilmente alla gente con cui si trovava a stretto contatto: cercava di trovare la parte migliore di chiunque, cercando di renderne il punto di forza di una persona. Con Mark, stranamente, non ci era ancora riuscita. Era un bambino fondamentalmente insicuro, che necessitava di rassicurazioni genitoriali e il cui unico vero bisogno era quello di affetto. Era questo il motivo principale per cui lo avrebbe protetto anche a costo di fare un patto col Diavolo.
Il Diavolo, in questo caso, erano gli zombie.
«Possiamo scappare, questo sì» gli rispose mostrando il lato di sé che in quel momento era in preda al panico.
«No, Mark ha ragione» sussurrò Pablo a fior di labbra, come se non volesse far udire a nessuno la pazza idea che gli era appena balenata per la mente. «Potremmo attirarli qui dentro per poi trovare un modo per annientarli tutti contemporaneamente.»
«È rischioso.»
«Davvero, amigo? Meno male che tu e le tue perle esistete…»
«Lasciamo a dopo i commenti sarcastici, okay?» Kara tentò di contenere il dibattito che avrebbe potuto costare la vita a tutti loro. «Pablo, cosa vuoi fare?»
I due ragazzi annuirono col capo chino, come se si vergognassero di mostrare il lato debole e orgoglioso che caratterizzava ogni uomo, poi Aaron volse lo sguardo verso il ragazzo che da lì a pochi secondi avrebbe iniziato a esporre il piano.
«Le ragazze e Mark restano qui dentro cercando di trovare più oggetti capaci di produrre rumore possibili, mentre io e Aaron scendiamo in cantina per prendere la benzina. Kara, tu getterai l’accendino quando te lo dirò io.»
Kara corrugò le sopracciglia. «Abbiamo la benzina?»
Il messicano sorrise per la buffa espressione che aveva coperto il suo viso, le diede un veloce bacio sulle labbra, sussurrò un “da sempre” e oltrepassò la porta d’ingresso, dirigendosi verso la cantina, insieme ad Aaron.
Nel frattempo, Alyssa e Mark avevano iniziato a prendere quante più padelle, pentole, scodelle e strumenti da cucina in acciaio possibili. Il bambino trovò anche una mazza da baseball che avrebbe dovuto strusciare contro la ringhiera che recintava la casa.
Kara suddivise approssimativamente gli oggetti in tre gruppi, in modo che sia lei, che Alyssa che Mark avrebbero potuto avere a disposizione un sufficiente numero di attrezzi con cui produrre un suono adeguatamente alto da poter attirare nei dintorni il maggior numero di zombie possibile.
Uscirono di fretta dalla tenuta di campagna, ognuno con circa cinque utensili in mano, e sostarono nei pressi della botola che portava alla cantina, posizionata sul terreno e di fianco all’ingresso principale della casa, in attesa del ritorno dei ragazzi che uscirono pochi attimi dopo.
Aaron, con una tanica di benzina in mano, girò intorno alla struttura lasciando dietro di sé una striscia del liquido infiammabile; poi salì i gradini che portavano all’ingresso ed entrò nell’abitazione, sempre depositando la benzina lungo la strada che percorreva, e fece un giro rapido della casa.
Finito il lavoro andò a chiamare i propri amici, che entrarono uno alla volta, posizionandosi tutti quanti al centro del salotto. L’unica persona ad essere rimasta al di fuori dell’appartamento era Kara: sarebbe rimasta lì, sparando colpi con la pistola che oramai era diventata la sua migliore amica, finché non avrebbe scorto i primi morti che, attirati dal rumore dei colpi, sarebbero usciti dal bosco.
Nel momento in cui il primo proiettile fuoriuscì dalla canna della semi-automatica le reminiscenze degli ultimi istanti di vita di suo padre le balenarono davanti agli occhi. Riusciva a vedere solo sangue e sentire solo urla; urla di dolore, urla di rassegnazione.
Quei ricordi l’avevano travolta come un tornado, le erano entrate nella testa senza che se ne accorgesse; era talmente convolta che si destò dai suoi pensieri solamente quando il primo zombie, e i suoi versi, le si mostrarono davanti ai suoi occhi.
Alzò la pistola per sparargli, ma la capacità dello zombie di percepire le sue mosse la anticiparono e così, nonostante la sua notevole lentezza nel compiere movimenti, riuscì a schivare il proiettile.
Decise di correre all’interno della struttura, in modo da chiedere aiuto ai propri amici. Non appena varcò la soglia, Alyssa, che era nascosta dietro la porta, colpì con la mazza da baseball la nuca dello zombie, che cadde a terra a peso morto.
Il gruppo iniziò a creare baccano dall’interno della struttura per attirare tutti gli zombie al centro di essa, in modo da poter dar vita al piano di Pablo.
Quando i primi morti della comitiva si avvicinarono alla tenuta tutti si strinsero in un piccolo cerchio, in modo da poter colpire da più fronti i nemici. Quando entrò il primo riuscirono a colpirlo dopo aver sparato solamente due proiettili, mentre di solito ne servivano almeno cinque contemporanei – per confonderlo –.
Il piano stava raggiungendo un esito positivo finché uno zombie apperve all’improvviso da dietro la pianta posizionata dinanzi all’uscita secondaria. Si avvinghiò ad Alyssa cercando un modo per morderla ma Mark, in un momento di coraggio assoluto, saltò sulle spalle del morto e lo colpì dietro la testa con la padella, strumento di cui si era appropriato dall’inizio dell’apocalisse come arma per difendersi.
In meno di un secondo un infinito numero di zombie si riversò dentro la casa, lasciando ai ragazzi poco spazio per muoversi.
Si sparpagliarono, ognuno in una direzione diversa. Era stata la peggior idea che avessero mai preso.
Secondo il piano iniziale, avrebbero dovuto avere il tempo di uscire dalla casa prima di appiccare il fuoco e bruciare l’edificio insieme all’orda di morti.
«Andate fuori!» urlò Kara nel momento in cui uno zombie la colse alla sorpresa, prendendola alle spalle. Si aggrappò a lei con impeto ma la ragazza, con un movimento forte e veloce del braccio, gli colpì la tempia con il gomito e gli spaccò il cranio.
Prese l’accendino che teneva sempre in tasca e, una volta accertatasi che non ci fosse più nessuno in casa, lo accese e lo lanciò in mezzo alla stanza
[3]. Poi corse fuori.
Le fiamme si avvilupparono intorno alla casa, come una barriera che separava la morte dalla vita.
Gli zombie non si accorsero nemmeno si stare andando a fuoco. Per lei restava un mistero la mancanza di dolore di quegli esseri: potevano camminare, mangiare, vedere il futuro ma non provavano dolore. Com’era possibile?
Si avvicinò al gruppo, pronta per salire sul pick-up e partire verso nuove avventure, quando un urlo proveniente dalla casa le gelò il sangue.
Un urlo che pochi secondi dopo si spense.
Mark non era riuscito a raggiungerli.
Iniziò a tremare e una sensazione di freddo le percorse la spina dorsale, come se fosse immersa in una vasca colma di ghiaccio.
Le mancava il fiato, sentiva un macigno all’altezza del petto che le impediva di respirare.
Era bloccata.
«Mark! Mark!» cominciò a urlare e correre verso la casa come se fosse posseduta da un qualcuno di superiore. «Devo andare a salvarlo, io devo andare!» non si accorse neanche di essersi mossa finché Pablo non l’abbracciò da dietro, cercando di farla calmare.
«Non c’è niente che tu possa fare, adesso.»
«Com’è possibile? Avevo… avevo controllato tutte le stanze, non c’era più nessuno!»
Gli occhi le brillavano. Una lacrima solitaria percorse la sua guancia come se avesse un percorso prestabilito da seguire, poi toccò il terreno e diventò parte integrante di esso. Una parte di lei, da quel momento, sarebbe appartenuta a quel luogo.
«Io avevo controllato dappertutto… avevo controllato dappertutto» la voce diventò sempre più flebile, fino divenire un semplice sussurro.
«Gli avevo detto che lo avrei protetto per sempre, che non gli sarebbe successo nulla. Non sono stata in grado di mantenere una promessa a un bambino.»
«Ehy. Adesso calmati» le disse Pablo dolcemente, continuando a stringerla in un abbraccio protettivo. Avrebbe smosso il cielo e il mare per lei; vederla in uno stato di impotenza totale lo devastava.
«Non è colpa tua, va bene? È stato lui a separarsi dal gruppo, è stato lui a nascondersi nella camera. Non potevi fare nulla per salvarlo.»
Il suo sguardò si ancorò a quello di Kara. Voleva infonderle fiducia, protezione, amore.
Poi i suoi occhi divennero di ghiaccio.
Rimase a fissare per un tempo che parve infinito la spalla della ragazza.
Il terrore gli attanagliò l’anima.
«Kara… la tua spalla…»
La ragazza voltò il viso verso la parte del corpo da Pablo indicata.
«Deve avermi morso quando è arrivato alle mie spalle, prima che appiccassi l’incendio.»
Aveva adottato un portamento composto per essere una ragazza che aveva appena scoperto che le rimanevano solo pochi giorni di vita.
Fissò il bosco per minuti interi; nessuno osò proferire parola.
Poi fece una cosa che nessuno s’immaginava avrebbe fatto. Scoppiò a ridere.
«È giusto così, non essere triste.»
 
Non riusciva a capire se quello che le era successo fosse giustizia divina, karma o qualsiasi altra stronzata la religione continuasse a propinare alla popolazione mondiale per tenerla sotto scacco.
Le sembrava ironica la situazione: stava morendo proprio come suo padre, l’uomo che le aveva salvato la vita molto tempo prima, tra atroci sofferenze.
Era vero che la vita passasse davanti agli occhi in un secondo prima di morire: rivide sua madre, i suoi lamentii prima che l’anima lasciasse il suo corpo, i mestoli che le lanciava in testa se le disobbediva, il suo canarino che uccise perché aveva comprato l’acqua della marca sbagliata. Rivide tutte le volte in cui i propri ragazzi l’avevano tradita, i litigi, i baci, le notti di passione, di nuovo i litigi. Rivide l’accademia di polizia, i suoi compagni, il suo capo. Rivide Mark, la sua gentilezza, la sua innocenza, i suoi giochi da bambino, le sue urla impregnate di dolore. Rivide Alyssa, i film che la costringeva a vedere anche a costo di lavare i piatti per un’intera settimana, i suoi allenamenti giornalieri che l’avevano aiutata a sopravvivere sin dalla comparsa del primo zombie, il suo amore incondizionato non ricambiato nei confronti di Aaron. Rivide lui, Aaron, e i suoi muscoli che da sempre l’avevano protetta da attacchi improvvisi, i suoi libri apocalittici, le foto della sua famiglia, il suo fare protettivo con Mark, il suo prorompente ottimismo. Rivide Pablo, il suo sarcasmo, la sua conoscenza, i suoi abbracci con cui riusciva a tranquillizzarla, la sua ancora in quell’inferno.
Doveva finire in quel modo.
Aveva preso due vite; in cambio avrebbe donato la sua.
C’era sempre una via di fuga, suo padre glielo ripeteva in continuazione.
Il mondo non era sempre bianco o nero; importante era riuscire a scorgere tra le sfumature del grigio un modo nuovo di vedere le cose.
Non in quel caso.
Non voleva diventare una di loro, non voleva diventare uno zombie. L’unica scelta che le restava di fare era quella di diventare uno dei diavoli che vivevano in quell’inferno o di morire e diventare parte dell’ignoto.
Scelse la morte.
Con le poche forze che rimanevano prese la pistola che aveva tenuto con sé da quando era entrata nel corpo statale della polizia, la sua unica vera amica sin dall’inizio dell’apocalisse, e se la puntò alle tempie.
Le sembrava giusto morire in quel modo; era come se tutti gli eventi che si erano susseguiti, tutte le morti a cui aveva assistito, l’avessero portata alla sua ineluttabile fine.
I suoi amici si trovavano intorno a lei: aveva chiesto a tutti loro di restare insieme a lei, fino all’epilogo della sua breve e intensa vita.
Quando il colpo partì, non provò nulla.
Il vuoto. L’oscurità. Il gelo.
 






[3] Accendino americano

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