Non è mai un errore

di Emily27
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Senza di lei ***
Capitolo 2: *** Sopravvivere ***
Capitolo 3: *** Nel buio ***



Capitolo 1
*** Senza di lei ***


Premessa: tenete conto che l'attacco alla prigione da parte del Governatore avvenga un giorno più tardi rispetto ai tempi della serie.



 
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Non è mai un errore



 
 
1


Senza di lei





 
Carol guidava sulla strada deserta, facendo sollevare le foglie da terra al suo passaggio. Non aveva una meta, né certezze, solo se stessa e il dolore che sentiva dentro. I pensieri si avvicendavano nella sua mente senza tregua.
Karen e David potevano sopravvivere, invece ora sono morti. Non era una decisione che spettava a te.
Aveva ucciso due persone, niente avrebbe mai potuto cancellarlo dal suo cuore, ma aveva agito in quel modo per una ragione precisa, una buona ragione. Era stato per il bene delle persone che amava, per la loro sopravvivenza e quella di tutti coloro che dimoravano alla prigione, per i quali avrebbe fatto qualsiasi cosa.
Quando lo verrà a sapere Tyreese, ti ucciderà.
Era pronta ad accettare le conseguenze del suo gesto, non le importava se Tyreese avrebbe preteso la sua vendetta, se avesse potuto tornare indietro avrebbe preso la stessa decisione.
Non era questo, però, il motivo principale per cui Rick l'aveva allontanata.
Quando lo scopriranno gli altri non ti vorranno più alla prigione.
Se morissero tutti per questa cosa, se restassimo solo noi due, con Judith e Carl, con i miei figli, io non ti vorrei con noi.

La verità era che non la riteneva più degna di stare con loro, lei che aveva dato tutta se stessa per quella gente, la sua famiglia, fino ad arrivare a compiere quel gesto. Lei che adesso vedeva la loro porta chiudersi.
Rick le aveva assicurato che si sarebbe preso cura di Lizzie e Mika, una promessa che lei aveva fatto al padre in punto di morte e che ora non le era più permesso mantenere.
Si ritrovava completamente sola, con il peso di aver ucciso due esseri umani e la consapevolezza di averlo dovuto fare, in una battaglia senza vincitore.
Non sei più la donna che aveva paura di restare sola, non lo sei più. Ricomincerai da zero, troverai altre persone che non conosci e sopravviverai anche fuori di qui, ci riuscirai.
Carol sentì le lacrime salirle agli occhi, ma le ricacciò indietro. Sì, ci sarebbe riuscita, sarebbe sopravvissuta con o senza altre persone, non le faceva paura la solitudine. Era forte, avrebbe ricominciato, senza mai arrendersi. Non sarebbe stato poi così difficile.
Una lacrima, sfuggita al suo controllo, le rotolò sulla guancia. L'asciugò con una mano, mentre altre colmavano già i suoi occhi senza che lei potesse più trattenerle. Fermò l'auto, si accasciò sul volante stringendolo con le mani e pianse.
No, non era vero. Ricominciare sarebbe stato tremendamente difficile.
Uno zombie si avvicinò all'auto battendo sul finestrino.
«Vattene» mormorò Carol tra i singhiozzi.
Il vagante continuò a colpire la macchina emettendo versi.
«Vattene via!» gridò lei sollevando la testa, con tutta la rabbia e la pena che aveva nel cuore.
Rimise in moto e partì, lasciando lo zombie a barcollare sulla strada.
Si asciugò le lacrime e respirò profondamente, cercando di riprendere il controllo di sé. Doveva trovare un posto dove trascorrere la notte, quello al momento era il suo unico proposito, non voleva pensare all'indomani o ai giorni successivi.
Guidò ancora per un tratto di strada costeggiato soltanto da boschi, finché giunse in un piccolo centro abitato dove, su quella che doveva essere l'unica via, si affacciavano basse palazzine e alcuni negozi che sembravano essere stati saccheggiati. Fermò l'auto davanti a una costruzione in mattoni a vista, che recava la scritta “The Whalen law firm LLP”, e la osservò dal finestrino. Forse aveva trovato un rifugio.


 
**


Daryl camminava avanti e indietro sulla passerella delle celle, non riuscendo a stare fermo, non dopo quello che aveva appena saputo da Rick.
Quando era ritornato dalla spedizione, portando le medicine che avevano salvato la vita ai contagiati, non aveva trovato Carol alla prigione. L'ex vice-sceriffo gliene aveva spiegato il motivo: era stata lei a uccidere David e Karen e lui, durante un'uscita alla ricerca di farmaci che potessero servire a Hershel, l'aveva allontanata, non permettendole di tornare alla prigione. Non poteva più stare con loro.
Rick aveva preso quella decisione da solo e a Daryl non andava giù.
«Non potevi aspettare che tornassimo?» gli chiese rabbioso.
«Che tornasse Tyreese?»
«Potevo occuparmene io!»
Rick non dovette gradire i suoi toni. «Ehi, ehi! Ha ucciso due dei nostri, non poteva restare. Se la caverà, ha un'auto, provviste, armi, è una che sa sopravvivere.»
«Smettila di dirlo come non ci credessi!» lo aggredì ancora Daryl. Carol era sola, sola là fuori e a lui non importava un cazzo!
«È stata lei, ha detto che l'ha fatto per noi. Era premeditato e non era pentita.»
«È da lei, ma non è da lei» disse a pochi centimetri dalla faccia di Rick. Stava accusando Carol come un'assassina qualunque, quello che lei non era. Certo che non era pentita, aveva agito per proteggerli, una delle tante cose che aveva fatto per loro dando sempre tutta se stessa. Carol era così, quel gesto estremo doveva esserle costato moltissimo e lui non la giudicava, al contrario, rispettava la sua scelta. Di sicuro non era una che uccideva con facilità e leggerezza, non poteva credere che Rick ritenesse il contrario.
«Che facciamo con quelle due ragazzine?» chiese ritrovando un po' la calma e pensando a Lizzie e Mika, delle quali qualcuno avrebbe dovuto prendersi cura in assenza di Carol.
«Le ho detto che me ne sarei occupato io.»
Daryl si appoggiò con le braccia alla ringhiera, il capo chino su di esse. Non accettava la decisione di Rick, non quella, non per qualcosa che lo toccava così da vicino.
Si rialzò. «Che auto ha preso?»
Rick non gli rispose.
«Che auto ha preso?!» ripeté alzando la voce.
«Immagino che non possa impedirti di andare a cercarla.»
«No, non puoi. E in ogni caso la troverò» disse lui fronteggiandolo.
Rick attese qualche istante prima di rispondere. «Una Ford Taurus.»
Daryl non indugiò un secondo, raggiunse la scala e scese di corsa.
Andò a riempire uno zaino con cibo, acqua e una torcia, prese anche un fucile, per ogni evenienza. Con la balestra in spalla, uscì dal blocco e si diresse verso dove aveva lasciato la moto. Si muoveva velocemente, non voleva perdere tempo.
Rick lo raggiunse a grandi passi. «Che cosa hai intenzione di fare, riportarla qui?»
«Questa è casa sua» rispose lui continuando a camminare.
«Non la voglio con noi» affermò l'ex vice-sceriffo risoluto.
Arrivati vicino alla motocicletta, Daryl si sistemò lo zaino con il fucile sulle spalle e guardò l'altro dritto negli occhi. «Io la voglio con me.»
L'espressione di Rick era indecifrabile. Disapprovazione, sfida o rassegnazione, forse tutte insieme, a Daryl non interessavano i suoi sentimenti, l'unica cosa che aveva importanza per lui in quel momento era trovare Carol. Montò in sella e accese il motore facendolo rombare, poi si avviò lasciando Rick immobile a guardarlo andare via. Carl, senza fare domande, aprì il cancello e lui uscì, partendo con un'accelerata.

Rick gli aveva spiegato dove si trovava con Carol quando si erano separati il giorno prima, e Daryl era intenzionato a incominciare le ricerche proprio da lì, nel caso lei fosse tornata indietro non riuscendo a trovare altro riparo per la notte.
Viaggiava a velocità sostenuta, per accorciare la distanza fra lui e Carol.
Lei sapeva difendersi, usare le armi, poteva sopravvivere, ma per quanto? Là fuori era pieno di pericoli, perfino per lui non sarebbe stato facile da solo. C'era, però, un'altra ragione che l'aveva spinto alla sua ricerca: non voleva stare senza di lei. Questa certezza gli era piombata addosso nel momento in cui aveva saputo da Rick che non l'avrebbero rivista alla prigione.
Il loro rapporto, che era sempre stato unico e speciale, con il passare del tempo si era rafforzato, soprattutto negli ultimi mesi trascorsi alla prigione. Soltanto Carol aveva accesso alla sua parte più profonda, lo capiva senza che pronunciasse una parola e lo imprigionava con un solo sguardo. Con lei aveva voglia di sorridere. Per lei avrebbe dato tutto. Senza Carol, una parte di lui si sarebbe spezzata, facendogli male sempre. Doveva trovarla, a ogni costo.
Giunse al complesso residenziale dov'erano stati lei e Rick. In sella alla moto, percorse la zona, ma non individuò nessuna Ford Taurus, né trovò traccia della presenza di qualcuno. Se anche Carol aveva pernottato lì, doveva essersene poi andata.
Si fermò alcuni minuti per bere e mettere qualcosa sotto i denti, dopo rimontò in sella e ripartì seguendo la strada, mentre il sole calava. Durante il tragitto attraversò soltanto boschi, nessun posto in cui Carol avrebbe potuto trovare rifugio. Superò uno zombie dalla tipica andatura incerta e andò avanti, con l'oscurità che stava ormai inghiottendo il giorno.
Finalmente, il faro della moto illuminò quello che doveva essere un piccolo centro abitato. Daryl rallentò e si guardò intorno, facilitato dalla luce della luna che faceva capolino fra le nuvole.
Poi la vide: una Ford Taurus era parcheggiata lungo la strada. Si fermò dietro di essa e spense il motore, accorgendosi subito che qualcosa non andava.
«Merda...»
Scese dalla moto, con i sensi in allerta. La portiera sul lato del guidatore era spalancata e, a terra davanti all'auto, si trovavano i cadaveri di due zombie dal cranio trafitto, con probabilità dalla lama di un coltello. Un altro era sul marciapiede dall'altra parte della macchina, la testa spaccata. Daryl avvertì una fitta di apprensione. Dov'era Carol?
Udì prima il verso, poi li vide: due zombie stavano avanzando verso di lui sulla strada. Imbracciò la balestra e scoccò due frecce, che trapassarono loro il cranio facendoli cadere a terra. Daryl fece scorrere lo sguardo attorno a lui, senza scorgerne altri. Rimise in spalla la balestra e prese la torcia dallo zaino, con la quale fece chiaro all'interno dell'abitacolo dell'auto: sui sedili posteriori c'era del bagaglio forse appartenente al proprietario del mezzo, non vide nulla in quelli anteriori, mentre lo sportello del vano portaoggetti era aperto, al suo interno un pacchetto di gomme da masticare, una confezione di salviettine e alcuni cd. Seguendo un'idea, girò la chiave che era inserita nel quadro e il motore tentò invano di accendersi: ecco il motivo per cui lei aveva abbandonato l'auto.
Andò ad aprire il baule, che conteneva provviste, acqua e una tanica di benzina, non c'erano armi né lo zaino di Carol, forse li aveva portati con sé, ovunque fosse andata.
La macchina era di fronte a uno studio legale, la cui porta d'entrata era del tutto aperta. Dubitava che lei fosse lì, ma probabilmente doveva esserci stata. Entrò, premurandosi di battere una mano su un mobile per fare rumore, al fine di rilevare la presenza di vaganti, che non si palesarono. Illuminò con la torcia quella che era una sala d'aspetto, da lì passò alla stanza adiacente, divisa dalla prima da una vetrata. Diresse in giro il fascio di luce, finché non individuò qualcosa sul pavimento: i resti di un corpo divorato dagli zombie.
Gli si gelò il sangue nelle vene.

Il suo cuore riprese a battere, quando, notando il genere di scarpe e di abiti lacerati, realizzò che si trattava di un uomo. Sollevato, espirò l'aria in uno sbuffo.
Se Carol aveva incontrato quella persona, forse avevano lottato insieme contro i vaganti e lui non ce l'aveva fatta. Oppure l'aveva ucciso lei stessa per difendersi.
Dopo essere uscito dall'edificio, Daryl dovette usare la balestra per abbattere altri tre zombie in avvicinamento. Quel posto non era per niente sicuro, Carol doveva esserne fuggita continuando la strada, sperando in un riparo non troppo lontano. Avanzò in quella direzione spegnendo la torcia, per non attirare i vaganti. Camminò quasi fino in fondo alla via, dove terminavano gli edifici, con la balestra in mano pronta a essere utilizzata e cercando qualche segno del passaggio di Carol. Quando trovò uno zombie a terra con il cranio rotto e tracce di sangue piuttosto fresco sul muro sopra di esso, vide la sua ipotesi trovare conferma. Carol doveva essere arrivata fin lì a piedi, e a quel punto era molto probabile che avesse proseguito nella stessa maniera, senza provare a prendere una delle auto abbandonate lungo la carreggiata.
Daryl tornò indietro di corsa, recuperò le frecce dai vaganti passando loro accanto e rimontò velocemente sulla moto, rimettendosi poi in strada mentre gli zombie, attratti dal rumore, sbucavano da ogni dove. Una volta uscito dal centro abitato, rallentò per meglio controllare la zona, viaggiando circondato da prati e qualche boschetto. Sperò con tutte le sue forze che Carol stesse bene, mentre fremeva nell'impazienza di ritrovarla. Era trascorso più di un giorno da quando Rick l'aveva lasciata sola, e, anche se a piedi, lei sarebbe potuta arrivare ovunque.
Daryl stava ragionando su quest'ultimo pensiero, quando vide una piccola costruzione sul lato sinistro della strada. Fermò la moto e la osservò. Doveva essere stata utilizzata come stalla e scuderia, dato che davanti a essa c'erano un recinto a rettangolo e uno di forma circolare, dove di solito si fanno correre i cavalli. Daryl, andando a passo d'uomo, si diresse là, mentre il faro della motocicletta illuminava i segni del passaggio di qualcuno sull'erba alta. In lui si accese una speranza.
Una volta giunto vicino alla scuderia, spense il motore e smontò dalla sella. La costruzione, circondata da prati, era in muratura, con una grande finestra basculante aperta per metà, che sormontava un portone di legno dotato di una serratura. Daryl notò che l'erba nei dintorni era stata parecchio calpestata e di recente. Toccò il maniglione: il portone era chiuso. Benché regnasse il silenzio, non era da escludere la presenza di persone all'interno. Cautamente, fece il giro della stalla, senza scoprire ulteriori aperture o altro, se non una panca e un tavolo di legno sul lato destro e una cisterna con dell'acqua su quello sinistro. Si ritrovò sul davanti sperando che là dentro ci fosse lei. Doveva esserci.
«Carol!» chiamò a voce alta.





Le parti in corsivo all'inizio, il dialogo fra Daryl e Rick fino al momento in cui parlano delle bambine e le parole di Carol mentre è in auto sono tratti rispettivamente dagli episodi 4x04, 4x08, 5x06.
Per il titolo, ho rubato quello della canzone di Raf “Non è mai un errore”, ma la storia non è ispirata a essa.
Il banner è una mia creazione.
La storia è una mini long composta da tre capitoletti, giusto per tenervi un po' sulle spine (vero che lo siete???) Non sono abituata a raccontare fatti “avventurosi”, spero che il risultato sia stato di vostro gradimento e che lo sarà anche successivamente.
Credo di aver detto tutto, non mi resta che darvi appuntamento verso la fine della settimana :)











 

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Capitolo 2
*** Sopravvivere ***


2
 
Sopravvivere





 
Carol restò a osservare per alcuni secondi l'entrata dello studio legale davanti cui si era fermata, poi scese dall'auto per andare a controllare all'interno, sperando fosse un luogo sicuro dove fermarsi per la notte. Il portoncino d'ingresso era spalancato e lei, con una mano sull'impugnatura del coltello che portava in vita, oltrepassò la soglia, trovandosi in una saletta d'aspetto. La porta che conduceva nella stanza adiacente era aperta e li vide subito: là, cinque zombie erano chini su un corpo intenti a dilaniarlo.
Carol s'immobilizzò, trattenendo il respiro. Dagli abiti intuì che si trattava di un uomo, il quale, come lei, doveva aver cercato rifugio in quel luogo, andando incontro a una cattiva sorte. Prestando attenzione a non produrre il minimo rumore, indietreggiò, mentre gli zombie continuavano il loro pasto senza accorgersi di lei. Uscendo dallo studio legale, vide altri due vaganti avvicinarsi dalla parte opposta della strada. Doveva andarsene da lì, quello non era esattamente un posto sicuro. La sua lotta per la sopravvivenza stava già incominciando.
Risalì in macchina, ma quando girò la chiave, il motore non diede segni di vita. Ritentò, invano.
«No, non adesso...»
Provò ancora, più volte, tenendo lo sguardo sui due zombie che si facevano sempre più vicini. Alla fine dovette arrendersi: l'auto l'aveva abbandonata.
I vaganti l'avevano ormai raggiunta, ma Carol non ne ebbe timore. Spalancò la portiera e scese dal mezzo, con due coltellate ben assestate trapassò loro la testa, atterrandoli.
Non era finita, altri zombie si stavano riversando in strada, spuntando da dietro gli edifici. Carol stava iniziando a preoccuparsi, ma restò lucida. Si sporse dentro all'abitacolo dell'auto e aprì il vano portaoggetti: tra salviettine, gomme da masticare e cd, trovò quello che sperava. Afferrò la bomboletta spegnifuoco e andò di corsa ad aprire il baule, da cui prese il suo zaino e il fucile e che poi richiuse per tenere al sicuro le provviste.
Si accorse soltanto all'ultimo momento dello zombie dietro di lei. Prontamente, lo colpì in mezzo agli occhi con il calcio del fucile rompendogli il cranio, ma, mentre arretrava, mise male il piede sul bordo del marciapiede e la caviglia si piegò malamente, facendola rovinare a terra. Non ebbe tempo di pensare al dolore, doveva rialzarsi subito perché i vaganti si stavano avvicinando, così fece leva sull'altra gamba e si rialzò, ma non era certo in grado di correre. Zoppicando, si spostò più veloce che poteva con lo zaino e il fucile in spalla fino a un cassonetto, dietro cui si nascose sedendosi a terra. Sentì la caviglia gonfiarsi dentro allo stivale e il male che aumentava, ma per fortuna la caduta non le aveva provocato nient'altro. Guardò lo spegnifuoco che teneva in mano, rassegnandosi a dover cambiare il piano che aveva in mente. Non importava, ce l'avrebbe fatta comunque.
Tolse il tappo alla bomboletta, l'agitò energicamente e, sollevandosi, la lanciò il più lontano possibile da lei. Cadde dall'altra parte della strada e l'impatto provocò la fuoriuscita di una schiuma bianca accompagnata da un sibilo. Gli zombie ne furono attratti e si spostarono verso di essa, lasciando campo libero a Carol. Con la possibilità di muoversi velocemente avrebbe tentato di prendere una delle auto in strada, ma potevano essere fuori uso e nelle sue condizioni non poteva permettersi di perdere tempo provandoci, presto la bomboletta avrebbe smesso di essere un diversivo per i vaganti e lei non sarebbe riuscita ad affrontarli.
Dopo essersi assicurata che non ci fossero zombie nelle vicinanze, uscì dal suo nascondiglio e, per quanto le era consentito dalla caviglia dolorante, camminò in modo spedito nella direzione opposta dalla quale era arrivata.
Stava per uscire dal centro abitato, quando le si parò davanti un vagante, spuntato da dietro un angolo di un edificio. Carol ebbe la prontezza di riflessi di afferrarlo per la testa e sbatterla contro il muro, due volte bastarono ad annientarlo. Si voltò indietro per controllare di non essere seguita dagli zombie e continuò la sua fuga.
Seguendo la strada, si ritrovò attorniata soltanto da prati e qualche gruppo di alberi. Era a piedi, rallentata dalla caviglia distorta e nelle immediate vicinanze non esisteva l'ombra di un possibile riparo, ma se non altro non c'erano vaganti in vista, almeno per il momento. Presto però avrebbe fatto notte e trascorrerla in quelle zone non era l'ideale. Avanzò, con il peso del fucile e dello zaino sulle spalle e la determinazione nel suo cuore ferito.
Credette a un miraggio quando notò una una costruzione di piccole dimensioni sul lato sinistro della strada. Si avvicinò per osservarla. A giudicare dai due recinti sul davanti, uno circolare e l'altro a forma di rettangolo, che di solito vengono utilizzati per far correre i cavalli, ipotizzò si trattasse di una stalla. Si diresse verso di essa camminando sull'erba alta. La struttura, che era in muratura, aveva un portone di legno sormontato da una grande finestra basculante aperta ed era provvisto di una serratura con una chiave inserita, particolare che Carol giudicò una fortuna. Vide un tavolo di legno con una panca sul lato destro della costruzione e su quello sinistro una cisterna contenente dell'acqua, che almeno non le sarebbe mancata. Con una mano estrasse il coltello dalla cintola, pronta a farne uso, e appoggiò l'altra sulla maniglia del portone, spingendolo. Entrò cautamente nella stalla, che era deserta e odorava di umidità e fieno, con un vago sentore di escrementi. La luce del tramonto che filtrava attraverso la finestra bastava a rendere visibile ogni cosa: il pavimento era in terra battuta, sulla sinistra c'erano tre box che erano stati ripuliti, su una parte del muro di destra erano collocati supporti per selle e finimenti e, più in là, addossato alla parete, un grande mucchio di fieno era trattenuto da alcune assi.
Carol decise che quelle quattro mura sarebbero state un ottimo rifugio. Entro breve sarebbe sceso il buio, così chiuse a chiave la porta e, per maggior sicurezza, infilò sotto la maniglia il manico di un forcone che aveva trovato all'interno di uno dei box. Finalmente, posò a terra lo zaino e il fucile e si sedette sul fieno, esausta e con la caviglia pulsante di dolore. Si tolse la pistola dalla cintola e la posò accanto a lei, poi levò lo stivale e la calza e constatò che il gonfiore era notevole, così prese una sciarpina di cotone dallo zaino e iniziò a fasciare la caviglia in maniera esperta. Su internet aveva imparato anche a fare le fasciature, sempre per non dover inventare scuse con l'infermiera del pronto soccorso.
Il suo pensiero corse alla gente della prigione, a Sasha, Glenn, Hershel e Lizzie, che stavano lottando con la malattia, e si domandò se gli altri fossero già tornati con le medicine.
Daryl...
Sarebbe dovuta essere là, per aiutare e dare conforto, invece era lontana da loro e da tutto ciò che le era appartenuto fino a quel momento, quello per cui aveva lottato ogni giorno e per cui si era donata senza riserve.
Ora la caviglia era fasciata stretta e, stando a riposo per un giorno o due, contava che sarebbe migliorata tanto da permetterle di tornare indietro fino al centro abitato dove, essendo poi in grado di difendersi dagli zombie, avrebbe cercato di prendere un'auto e le provviste che aveva lasciato sulla Taurus.
Prese dallo zaino una confezione di gallette di mais e ne mangiò qualcuna, dopo tirò fuori una borraccia e bevve dell'acqua, l'indomani l'avrebbe riempita alla cisterna.
Si era ormai fatto buio, spezzato soltanto dal chiarore che, irradiato dalla luna, filtrava attraverso la finestra consentendole di distinguere i contorni delle cose. Si sdraiò sul fieno, con la pistola a portata di mano, e cercò di rilassarsi.
Era notte e lei era sola, quante altre ne avrebbe trascorse così? E quante altre ne avrebbe trascorse? Doveva dormire, non pensare. Chiuse gli occhi.
Daryl...
Li riaprì.
Si domandò se Rick avesse spiegato agli altri il motivo delle sua assenza e, se sì, come l'avessero presa. Avevano compreso il suo gesto o l'avevano condannata? L'addolorava il pensiero di perdere la loro fiducia. Solo di una persona aveva l'assoluta certezza che fosse dalla sua parte, ed era Daryl. Approvando o meno quello che aveva fatto, avrebbe in ogni caso avuto rispetto della sua decisione. La conosceva meglio di chiunque altro, nel mondo attuale e in quello di prima, e lei conosceva Daryl.
All'idea di non rivederlo più, le si stringeva il cuore. Mai come in quel momento aveva provato così fortemente il desiderio di averlo vicino, quando ciò che la opprimeva più della solitudine era il pensiero di stare senza di lui.
Chiuse di nuovo gli occhi e, con Daryl nella mente, si lasciò vincere dalla stanchezza cadendo in un sonno leggero.

Il mattino seguente si destò al sorgere del sole, realizzando in un attimo dove si trovasse e perché. Sarebbe stato troppo sperare di essersi svegliata alla prigione e che gli avvenimenti del giorno prima fossero stati soltanto un brutto sogno.
Poggiò a terra il piede infortunato, constatando che il dolore era un po' diminuito ma la caviglia era ancora gonfia. Rifece la fasciatura e indossò calza e stivale, voleva uscire da lì.
S'infilò la pistola in vita e aprì il portone mettendo fuori la testa: era tutto tranquillo, il sole si stava alzando nel cielo sereno e l'aria era fresca.
Volle ispezionare i dintorni, dove notò un melo selvatico poco distante dal tavolo con la panca. Staccò un frutto dal colore rosso e lo mangiò, scoprendo che non era del tutto maturo ma ugualmente buono, almeno avrebbe avuto qualcosa di cui cibarsi. La pianta era carica di piccole mele, poteva raccoglierne quante ne voleva.
Si sedette sulla panca, doveva tenere la caviglia a riposo per rimettersi il più presto possibile e andarsene, anche se, a dirla tutta, quel posto circondato da prati e alberi non le dispiaceva affatto. Si augurò di non vedere comparire qualche zombie da un momento all'altro.
Pensò nuovamente alla sua famiglia.
Pensò nuovamente a Daryl. Ricordò quando non era tornato alla prigione per restare con suo fratello. Nel momento in cui Rick glielo aveva comunicato, aveva provato una vertigine, si era sentita persa. Per una frazione di secondo, era stata sfiorata dall'avventata idea di andare a cercarlo. Per dirgli cosa poi, convincerlo a tornare? Era stata una sua scelta quella di abbandonare il gruppo, doveva rispettarla.
Nel suo caso, al contrario, la scelta era stata di qualcun altro. Se lui fosse stato colto dallo stesso suo impulso, sarebbe stato libero di venire a cercarla. Se gli sguardi che si scambiavano, intrisi di parole non dette e sentimenti non espressi, significavano qualcosa, allora forse Daryl era partito alla sua ricerca, sempre che fosse già tornato dalla spedizione. Lei lo avrebbe fatto.
Relegò quella speranza in un angolo del cuore, per non crearsi aspettative che le avrebbero fatto del male.
Trascorse la giornata oziosamente, quello che ci voleva per la sua caviglia. Quando iniziò a farsi buio, fece il pieno d'acqua alla cisterna e si ritirò di nuovo nella stalla, coricandosi sul fieno con il piede ormai meno dolorante libero dallo stivale. Magari l'indomani avrebbe provato a tornare al centro abitato.
Non aveva sonno, ma chiuse gli occhi e tentò comunque di dormire. Aveva raggiunto uno stato di dormiveglia, senza saper dire da quanto tempo, quando fu svegliata da un rumore proveniente dall'esterno. Si tirò su di soprassalto e la sua mano corse a impugnare la pistola, tese l'orecchio e restò in ascolto: era un motore in avvicinamento. Rapidamente, s'infilò lo stivale e andò vicino al portone, mentre il rumore si faceva sempre più forte e distinto. E sembrava il rombo di una moto. Restò immobile con la mano stretta sul calcio della pistola, senza trovare il coraggio di credere.
A un tratto il rumore cessò, come se il mezzo si fosse fermato proprio davanti alla stalla. Seguirono lunghi istanti di silenzio, durante i quali Carol trattenne il fiato.
Poi, una voce chiamò il suo nome.
«Carol!»
Le si strinse lo stomaco e il suo cuore perse un battito.
Era lui.
Era Daryl.





Non ho eseguito un test su una bomboletta spegnifuoco, anche se un po' fantasioso, prendete per buono quello che ho scritto ;)
Daryl ha trovato Carol, adesso siete contente, la prossima settimana posso anche non pubblicare il terzo e ultimo capitolo...
Grazie a chi ha inserito la storia tra le preferite/seguite.
A presto!











 

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Capitolo 3
*** Nel buio ***


3

Nel buio





 
Carol, con gesti impazienti, tolse il forcone da sotto la maniglia e aprì la porta. Daryl era lì, davanti a lei, la realizzazione della sua speranza.
Si guardarono al chiarore della luna, come se si fossero riuniti dopo lungo tempo e non soltanto pochi giorni.
«Stai bene?» domandò lui con apprensione.
Carol annuì. «Sì, a parte la caviglia...» L'ultima parola uscì strozzata dal nodo che le era salito in gola.
Si mossero nello stesso momento, ritrovandosi l'una fra le braccia dell'altro. Carol si rifugiò in quelle forti di Daryl stringendolo a sua volta, incapace di trattenere le lacrime. Qualcosa dentro di lei si era allentato, adesso che erano insieme.
Si sciolsero dall'abbraccio restando ancora per qualche attimo in silenzio con gli occhi negli occhi, poi Carol domandò: «Tu come stai? Com'è andata la spedizione?»
«È tutto a posto. Abbiamo trovato le medicine, guariranno.»
Lei tirò un sospiro di sollievo: sarebbero stati tutti bene, era un peso in meno da portare nel cuore.
Entrarono nella stalla e Daryl la osservò zoppicare. «Ho trovato la tua auto, che cosa è successo?» domandò posando a terra la balestra e lo zaino con il fucile.
«Rick ti ha raccontato tutto?» rispose lei con un'altra domanda, mentre chiudeva il portone.
«Sì» assentì Daryl, senza aggiungere altro.
Si sedettero vicini sul fieno, con le ginocchia piegate e la schiena appoggiata contro il muro. Come la notte precedente, la luce della luna entrava dalla finestra e rendere il buio meno nero, rivelando ciò che stava loro intorno. Carol gli riferì tutto quello che aveva passato, fino al suo arrivo in quel luogo. Daryl ascoltò assorto e, dopo essersi informato sulle condizioni della sua caviglia, spiegò a sua volta di come aveva seguito le sue tracce che lo avevano condotto lì.
«Dovevo trovarti» disse voltandosi verso di lei.
Carol non poteva vedere chiaramente il suo sguardo ma, dal tono profondo con cui aveva parlato, lo immaginava, celeste e intenso, solo suo. In quella breve frase aveva percepito fermezza e una sorta di disperazione. E ciò che non si erano mai detti.
«Sono felice che tu l'abbia fatto.»
Daryl espirò forte. «Rick non aveva il diritto di prendere questa decisione» furono le sue parole velate di rabbia, che le ricordarono il motivo per cui l'ex vice-sceriffo l'aveva presa.
Cercava di non pensarci, di cancellarlo dalla sua mente, pur sapendo che sarebbe rimasto una macchia indelebile sulla sua anima, come la scia di sangue che si era lasciata dietro.
Permise al ricordo di prenderla, perché con Daryl accanto si sentiva protetta dai suoi tormenti.
«Ho ucciso due persone» disse senza quasi rendersene conto, con la voce incrinata.
«Non hai sbagliato. Se per te è la cosa giusta, non è mai un errore.»
Fu confortante sentirselo dire. Carol era convinta che sarebbe sarebbe stata capace di uccidere ancora, se fosse stato per difendere le persone che amava. Se mai si fosse ricongiunta con loro, lo avrebbe fatto per le bambine, per Carl, Judith, Sasha, Glenn, per tutti gli altri. Per Rick.
Guardò il profilo di Daryl che s'indovinava nel buio. Per lui.
Questa consapevolezza la spaventava e pregò di non trovarsi mai più nella condizione di dover uccidere. Nel mondo in cui vivevano, amare significava anche quello. L'amore era anche dolore.
Carol sentì gli occhi bruciare di lacrime, ma non pianse.
«Avevi una buona ragione» aggiunse lui.
Daryl la capiva, la rispettava e la sosteneva, c'era ogni volta che aveva bisogno di lui. Non avrebbe mai smesso di essergli grata. In maniera spontanea, appoggiò la testa sulla sua spalla. «Grazie.»
Daryl girò il capo e lei sentì il suo respiro sfiorarle la fronte. Fu un attimo. Sollevò la testa e cercò le sue labbra, trovandole, stupite e morbide, tanto a lungo desiderate. Dapprima esitanti, ricambiarono poi il suo bacio con una dolcezza che l'annientò, facendole accelerare il battito cardiaco. Doveva essere soltanto un bacio e ora si trovava a volere di più. Dalla pressione della bocca di Daryl sulla sua, capì che anche lui doveva provare le medesime sensazioni.
Poi, inaspettatamente, Daryl si staccò e si allontanò dal suo viso, forse imbarazzato e intimorito dal suo stesso desiderio. «Non so se...» le parole gli morirono sulle labbra in un sussurro. Il suo respiro era pesante.
«Daryl...» Il tono di Carol era quello di una richiesta e di una rassicurazione. Gli accarezzò delicatamente una guancia, poi, mentre lui la guardava nel buio mitigato dalla luna, si levò il giubbino e la camicetta, restando solo con la maglia. Lo baciò di nuovo, mentre gli sfilava il gilet con le ali e la camicia e lui la lasciava fare.
Adesso Carol sentiva la pelle di Daryl sotto le mani e l'emozione crescerle dentro. Accarezzò le sue spalle, il suo petto, e lui fremette. Fu quando scese lungo la sua schiena che lui s'irrigidì, nel momento in cui Carol toccò delle imperfezioni sull'epidermide. Riconobbe al tatto quel genere di segni, erano gli stessi che aveva visto sulla schiena di un ragazzino quando era stata al centro di accoglienza per donne con Sophia, conosceva la loro origine e immaginarla su Daryl le fece male.
«Lo so» disse posandogli un bacio su una guancia, sul collo, su una spalla. Si meritava solo di essere amato. Si meritava il suo amore. «Lo so...»
Daryl, aiutato dal buio che attenuava ogni imbarazzo, si abbandonò infine al desiderio. Le sfilò la maglia e Carol, nel punto in cui lui l'aveva sfiorata, avvertì un brivido, seguito da infiniti altri quando l'accarezzò sulle parti del corpo ora nude, per poi catturarle le labbra senza più remore.
Si baciarono, si strinsero, lasciandosi guidare dalla passione che li animava e da ciò che colmava il suo cuore e, Carol ne era sicura, quello di Daryl.
Un fiore...
È una rosa cherokee... Penso che questo sia sbocciato per tua figlia.

Perché era scritto da tempo.
C'è una cosa che devi sapere... Hai fatto più tu per la mia bambina oggi che suo padre durante tutta la sua vita.
Perché si erano riconosciuti in un mondo distrutto.
Dov'è Daryl?
È tutto a posto, è vivo. Abbiamo incontrato suo fratello, se ne sono andati.
Se n'è andato? È andato via? Quindi non c'è più... Ritornerà?

Perché il filo invisibile che li legava e non permetteva che restassero lontani non si sarebbe mai spezzato.
Non ti ho ancora detto che sono felice che tu sia tornato.
E dove, in questo casino?
È casa nostra.
No, è una tomba.
È così che T-Dog la chiamava. Ho pensato che avesse ragione, ma poi tu mi hai trovata...

Era più forte degli eventi, di ogni tempesta.
«È una cosa giusta» sussurrò sulle labbra di Daryl.
Lui la fece distendere sul fieno, la baciò sul collo scendendo fino ai seni e il suo corpo s'infiammò, dalla sua bocca socchiusa sfuggì un gemito.
«Sì, lo è...» disse piano Daryl con il volto vicino al suo. Si sollevò, le sfilò i pantaloni e compì lo stesso gesto con i suoi, per poi tornare sopra di lei.
Carol fece scorrere i palmi sulla sua schiena e questa volta lui non si ritrasse. Le sue mani la sfiorarono, l'accarezzarono come fosse una cosa preziosa, dove altre mani le avevano causato dolore, mentre le labbra cercavano la sua bocca. Si sentiva viva come aveva creduto di non poter più essere, nel corpo e nel cuore, e il desiderio per Daryl era tanto intenso da farle male. Fece avvicinare di più i loro corpi nudi e lui la assecondò, entrando in lei facilmente.
Daryl si mosse con lentezza e Carol scivolò nel piacere, accordandosi al suo ritmo in un'armonia perfetta. Godette del contatto della loro pelle, e il sentore del fieno si mischiava con l'odore di quella di Daryl, che sapeva di lui. I loro visi si sfioravano, le mani si cercavano, i respiri svelavano il loro appagamento, mentre il buio faceva da cornice a quell'atto d'amore.
Nel momento in cui raggiunse l'apice, Carol si strinse più forte a Daryl sollevando la testa ed emettendo un gemito soffocato. C'era lei, c'era l'uomo che le aveva donato tutto, esistevano soltanto loro.
Un'istante dopo, i muscoli di Daryl si contrassero e lui premette la fronte sulla sua spalla.
«Carol...» mormorò in un sospiro.

Carol avrebbe voluto restare così per sempre, distesa accanto a Daryl con la testa nell'incavo fra il suo collo e la sua spalla, i loro corpi ancora nudi e caldi. Lui le lambiva un fianco con la mano, tenendo l'altra sulla sua, che lei gli aveva posato sul petto. Desiderava che quel momento non avesse mai fine, ogni cosa sembrava lontana e ovattata: l'epidemia alla prigione, quello che aveva fatto, Rick, le sofferenze, perfino il dolore alla caviglia. Carol, però, sapeva che presto il mondo sarebbe tornato inesorabilmente a bussare alla porta.
Fu Daryl a rompere il silenzio. «Ti riporto a casa.»
«Non è più casa mia.»
«Sì che lo è» replicò lui accarezzandole dolcemente il dorso della mano. Quella carezza bastò a farle vibrare il cuore, era il potere che Daryl aveva su di lei. «Parlerò con Tyreese.»
«Non ho paura di Tyreese. Rick non mi vuole, e forse nemmeno gli altri.»
«Non puoi saperlo.»
«È vero, ma so quello che pensa Rick.»
Come avrebbe vissuto alla prigione accompagnata dalla sua costante ombra ostile? Inoltre, non voleva certamente imporre la sua presenza laddove non gradita.
«Cambierà idea.»
«Se non lo farà, non resterò.»
«Allora Rick, e gli altri, dovranno fare a meno anche di me.»
Carol sollevò il viso e trovò le labbra di Daryl a baciare le sue.
L'indomani sarebbero tornati alla prigione, senza sapere se avrebbero continuato a viverci, ma con la certezza di essere indivisibili. Non aveva ribattuto alla volontà di Daryl di non voler restare alla prigione senza di lei, privandosi di una casa sicura, perché non poteva essere nient'altro che così.
Il mattino seguente, la realtà avrebbe ripreso possesso delle loro vite, ma quella notte era ancora tutta per loro.
Non potevano immaginare che di lì a poco non sarebbe più esistito quel luogo che chiamavano casa.







Le parti in corsivo sono tratte dagli episodi 2x04, 2x05, 3x09, 3x11.
Ho terminato così, con un finale parzialmente aperto, che resterà tale o avrà una conclusione, sa mai mi verrà qualche buona idea.
Grazie a chi ha seguito la storia.
Tra alcuni giorni partirò per le vacanze, mentre sarò in spiaggia ad abbronzarmi (a ustionarmi) spero mi verrà l'ispirazione giusta per scrivere altro :)
A presto!














 

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