Rimettere insieme i pezzi

di arsea
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


 
Immerso nella vasca da bagno, con gli occhi chiusi e l’acqua a circondarlo interamente, riusciva quasi a rilassarsi.
C’erano gli studenti naturalmente, i loro sussurri e mormorii si concentravano da qualche parte vicino alla sua nuca, volutamente ignorati per lo più, anche se c’era qualche eccezione.
Non poteva ignorare mai del tutto Jean ad esempio, avrebbe potuto aver bisogno di lui, e nemmeno il giovane Scott nel caso aprisse gli occhi nel sonno.
Hank stava progettando una stanza speciale per lui, proprio per ovviare a questo inconveniente, ma non sarebbe stata pronta prima della fine del mese.
Sospirò, fece profondi respiri per cercare di allontanare l’ansia che ormai lo attanagliava perennemente, e si appoggiò al morbido poggiatesta mentre con la mano si massaggiava distrattamente la coscia sinistra percorsa dal dolore ormai familiare.
Non dormiva decentemente da giorni.
Non che se ne stupisse, si sarebbe stupito del contrario piuttosto, ma i ragazzi cominciavano a notare le sue occhiaie e la mancanza di sonno minacciava il suo autocontrollo.
Era una fonte d’ispirazione per tutti loro, erano già abbastanza spaventati senza che si rendessero conto di quanto a pezzi fosse il loro Professore.
Raven cominciava a capire ovviamente, lo conosceva da troppo tempo, ma il loro rapporto si era incrinato troppo in quegli ultimi anni, parlare non era più facile come lo era stato quando erano due ragazzi, mentre Hank era troppo razionale e logico per capire quel che gli stava succedendo.
Vedeva in lui una guida e una colonna prima ancora che un amico e questo Charles non poteva ignorarlo.
Si sollevò a sedere con una piccola flessione del busto, quindi premette il pulsante che lo aiutava ad uscire dalla vasca da bagno allungandosi verso gli asciugamani impilati a portata di mano.
L’aria nella stanza era colma di vapore, gli specchi erano appannati e la sua pelle arrossata dall’acqua calda, ma lui non notò niente di tutto questo, non riconosceva più se stesso nella trappola che era diventato il suo corpo né gli interessava farlo, troppo concentrato nel semplice sforzo di rivestirsi.
La sua telecinesi non era abbastanza forte per sollevarlo, a malapena poteva muovere qualche interruttore o piccolo oggetto, ma visto lo stato in cui si trovava forse avrebbe dovuto allenarsi un po’ con essa, per quanto spossante fosse.
Le sue braccia negli anni si erano fatte muscolose e pratiche, era indispensabile visto quanto poco sopportava l’aiuto altrui, ma nonostante questo indossare il pigiama lo lasciò ansimante e dolorante, con una tempia che pulsava per l’impazienza e l’ira.
Era in momenti come questo che il siero di Hank tornava ad essere incredibilmente allettante, poi però si ricordava chi era e cosa rappresentava, e si malediceva per il proprio egoismo, proprio come adesso.
Con un’imprecazione tirò verso di sé la sedia a rotelle, quindi si issò puntellandosi su uno dei braccioli e fece per prendervi posto, ma proprio nel momento cruciale la sua destra cedette, piegandosi, e lui perse l’equilibrio rovinando a terra e sbattendo con violenza la testa contro la vasca da bagno.
Vide le stelle e il suo intero mondo esplose dietro le palpebre, le voci lo assordarono per un infinitesimo, poi però un paio di mani fredde come marmo gli toccarono la fronte e riconobbe con facilità il profumo di colonia costosa prima ancora di mettere a fuoco la figura << Dovresti farti aiutare >> lo ammonì mentre la sua visuale tornava nitida e restava solo il dolore di un futuro bernoccolo.
Lo sollevò prima che potesse protestare, fu facile per lui a giudicare dalla mancanza di sforzo che provava, ma riuscì a lamentarsi mentre raggiungeva il suo letto e ve lo adagiava delicatamente: << Posso farcela da solo >> azzannò, rimproverandosi subito dopo per la propria rabbia e obbligandosi così ad un respiro profondo.
Sospirò, coprendosi il volto con una mano mentre sentiva i suoi passi tornare al bagno e poco dopo tornare con la sedia a rotelle. *
Lo vide posizionarla di fianco al letto, pronta per il mattino, e non poté fare a meno di lasciar perdere tutto il rammarico a contatto con la sua premura << Erik >> disse, sforzandosi di sorridere come si sentiva di fare << Ogni tanto potresti entrare dal portone invece di intrufolarti dalla finestra come un ladro >> l’uomo non sembrò averlo ascoltato, le maniglie della sedia ancora tra le mani e lo sguardo fisso sull’imbottitura grigia << I miei sistemi d’allarme non ti riconoscono come nemico, lo sai. E ai ragazzi non dispiacerebbe vederti più spesso >> << Se volessi restare l’avrei fatto, Charles >> << E allora perché vieni qui nottetempo? Perché non puoi restare nemmeno lontano? >> si guardarono, gli occhi azzurri dell’inglese appena più chiari del tedesco, ma se un tempo erano stati anche limpidi e luminosi questa volta Erik vi vide un buio opprimente e soffocante << Preferiresti che non tornassi affatto? >> si ritrovò a chiedere, smentito velocemente da una delle sue risatine contenute, mentre distoglieva lo sguardo << Sarei felice di averti qui con noi. Abbiamo un posto vacante a Fisica se sei interessato >> quello diede in uno sbuffo divertito nell’ascoltarlo, raccogliendo una delle sedie imbottite per posizionarla di fianco al letto, sedendosi infine con un gesto disinvolto << Voglio fermarmi per qualche tempo >> disse, e il professore non poté fare a meno di corrugare la fronte perplesso << È successo qualcosa? Ti stanno cercando? >> Erik si strinse nelle spalle << Non più del solito >> fu la sua spiegazione, non aggiunse altro, ma nonostante la propria curiosità Charles non tese le proprie percezioni verso di lui, limitandosi ad assentire lentamente.
Erik se ne accorse, e come altre volte non approvò affatto il suo modo di fare, ma non parlò << Domani farò preparare una stanza per te. Puoi restare il tempo che vuoi >> con un piccolo sforzo il telepate si sollevò a sedere, appoggiandosi quindi alla testata per continuare a guardarlo << Non hai una bella cera >> gli disse, strappandogli un sorriso << I capelli stanno ricrescendo però >> si difese quello passandosi una mano sulla testa e non riuscì a trattenere del tutto un brivido.
Le sue palpebre si serrarono di scatto al ricordo, il suo fiato si mozzò, ma lo lasciò andare dopo un attimo, tornando a sorridere << Come te stai cavando? >> Erik non si lasciava ingannare naturalmente.
Osservò la figura prestante e pacata, il dolcevita nero gli aderiva come una seconda morbida pelle, e cercò di portargli rancore senza riuscirci per quello che gli aveva rubato.
Prima le gambe, Raven, e adesso la pace, eppure ancora non lo odiava << Sto bene >> << Sei un bugiardo penoso >> risero entrambi per questo, anche se Charles usò quel suono per soffocare il groppo che gli si era formato in gola << Posso chiederti di lasciarmi dormire? Sono stanco e... parleremo domani >> << No >> la semplice risposta lo lasciò senza parole, ma Erik si limitò a ricambiarlo, incrociando le caviglie delle gambe allungate sul pavimento e poi le mani sullo stomaco, più rilassato che mai << Cosa? >> << Non fare domande di cui non vuoi sentire la risposta, Professore >> << Sei nella mia stanza, Erik! Almeno rispetta la mia solitudine! >> << Non voglio. Se volessi rispettare la tua solitudine, come dici tu, non mi troverei dove sono >> Charles strinse i pugni con rabbia, mordendosi la lingua per non imprecare, quindi diede in qualche respiro profondo prima di parlare: << È stato Hank a chiamarti? O Raven? Chi dei due? >> << Non ho bisogno che siano loro a chiamarmi per capire che c’è qualcosa che non va >> ribatté l’altro con fermezza, quella fermezza che abbagliava i suoi compagni ed esasperava i nemici.
Si era scontrato troppe volte con quella forza per non saperla riconoscere << Mi basta guardarti in faccia per capirlo >> continuò << Pensavo che saresti stato meglio con il passare del tempo, per questo non mi sono intromesso, ma sono passati tre mesi ormai e tu stai peggio di prima. Adesso non dormi nemmeno? >> indicò la porta del bagno con un dito accusatorio << Cosa credevi di fare poco fa? Sei un dannato paralitico, quindi comportati come tale! >> << Per colpa di chi credi che io sia in questo stato?! >> gridò a quel punto Xavier, gli occhi luccicanti di brucianti lacrime, erano acido nei suoi occhi, e sibilò una maledizione subito dopo mentre se li asciugava.
Il silenzio rese quasi assordante il suo respiro affannoso e quando parlò la sua voce suonò roca e difficoltosa << P-per favore... vai a dormire Erik. N-non sono dell’umore adatto ad una conversazione adesso >> nessuno parlò nemmeno ora, poi l’altro si alzò in piedi e assentì una volta sola.
Charles pensò che si sarebbe allontanato, invece fece semplicemente il giro del letto, calciò le proprie scarpe e si sfilò il dolcevita, infilandosi sotto le coperte subito dopo, con tutta la naturalezza del mondo.
Il professore non riuscì nemmeno a parlare, scioccato, lo fissò e basta mentre si metteva comodo sotto le coperte e incrociava le braccia dietro la nuca per continuare a guardarlo << Sei impazzito? >> ansimò con un filo di voce, ricevendo un sorriso furbo in risposta, malizioso come sapevano esserlo molte delle espressioni di Erik, cupamente divertito probabilmente dal suo buonsenso << Mi hai detto tu di andare a dormire. Ma non avrò una stanza fino a domani, perciò... >> << Questo è il mio letto >> Erik sbadigliò impunemente mentre parlava, si voltò su un fianco e con un cenno distratto della mano dalla giacca che aveva puntellato alla sedia guidò una serie di piccole sfere metalliche che dispose tutte intorno al letto in un cerchio protettivo << Dormi Charles >> disse guardandolo dritto negli occhi.
Quello sguardo pesava come un macigno.
Charles resistette ancora un momento, poi tornò a distendersi ostentando la stessa nonchalance, anche se non era affatto tranquillo all’idea di dormire al suo fianco, e gli diede le spalle dopo l’ennesimo sibilo trattenuto << Non ho bisogno che tu rimanga per me >> si ritrovò a dire, lo sguardo perso sulla biglia di metallo lucido più vicina, sul proprio minuscolo riflesso << Non ho detto che è per te che rimango >> << Puoi aiutare i ragazzi con i loro allenamenti >> lo sentì sospirare << Immagino che in qualche modo dovrò ripagare la mia permanenza. Non temi che io inculchi in loro qualche strana idea? >> Charles a quel punto si voltò mortalmente serio << Non lo farai, vero? >> Erik lo fissò, il volto smagrito e gli occhi incavati, fissò le labbra carnose e quell’azzurro quasi doloroso << Questa è casa tua. Ne rispetterò le leggi, non preoccuparti >> si rimboccò le coperte a quel punto, e chiuse le palpebre.
Il telepate lo guardò ancora per un lungo momento, osservò la sua espressione tranquilla, poi assentì una volta e lo imitò.
Erik ascoltò il suo respiro con attenzione, finse di dormire finché non fu certo che l’altro avesse smesso di farlo, e allora si ritrovò a guardarlo con la preoccupazione che non poteva permettersi di rivolgergli da sveglio, incredibilmente rammaricato per le conseguenze che gli eventi avevano avuto su di lui.
Adesso che sua moglie e sua figlia erano morte, l’unico rimastogli era Charles, quell’uomo così diverso eppure così simile, e una fitta di pura paura lo aggredì al pensiero che anche lui gli fosse strappato via.
Gli sarebbe andato bene averlo come nemico. Poteva sopportare il suo odio e la sua rabbia, poteva vivere dieci vite senza che quegli occhi lo guardassero con l’affetto e l’amicizia incondizionati che avevano avuto, purché però restasse l’uomo che doveva essere, non quel relitto spezzato.
Chiunque lui toccasse raggrinziva e periva come una pianta sottoposta ad un miasma venefico, ed era terrorizzato all’idea che adesso toccasse all’unico amico che avesse mai avuto.
Gli era stato lontano per questo del resto.
Dopo averlo tradito di nuovo, dopo essere stato accolto di nuovo, aveva pensato che l’unica cosa che potesse fare per lui fosse stargli lontano, lui che incarnava tutto ciò che lo faceva star male, e invece non si era ripreso, era circondato solo da incapaci che si lasciavano abbindolare da quel sorriso e quei modi controllati da inglese di buona famiglia, nessuno che si sognasse di grattare sotto la superficie.
Era il loro Professore, nient’altro.
Non aveva la più pallida idea di cosa fosse per lui, ma se stargli lontano non serviva a nulla, in fondo al proprio cuore pregò con tutto se stesso che stargli vicino potesse invece aiutarlo in qualche modo.
 
*
Aveva avuto il buon senso di non uscire dalla sua stanza insieme a lui quella mattina, si era presentato alla porta come una persona normale ed era stato accolto al tavolo della colazione insieme a tutti i ragazzi, ma quello sguardo severo e l’aura d’acciaio che lo circondava aveva appesantito completamente l’atmosfera, trasformando il chiacchiericcio compatto che di solito accompagnava i pasti in uno scambio di sussurri e occhiate più o meno di sottecchi.
Jean e Scott si erano seduti di fianco a lui come al solito, ma il posto che occupava Hank era adesso riempito da Erik invece, seguito da un esagitato Pietro che non faceva che fissarlo mentre divorava un pancake dietro l’altro.
Ovviamente in molti di loro c’era ammirazione, quello era comunque uno dei mutanti più potenti sulla faccia della terra, e l’unica che non sembrava risentire affatto della sua presenza era Raven, che non gli lanciò nemmeno uno sguardo, continuando a sfogliare una rivista di moda mentre mangiava.
Charles si schiarì la gola per attirare l’attenzione dei presenti, il che sembrò essere esattamente ciò che si aspettavano i ragazzi perché quarantasei paia di occhi si posarono su di lui all’istante.
Il quarantasettesimo, accompagnato da un sorrisetto beffardo, fu l’ultimo e il più irritante << Avrete notato che abbiamo un ospite questa mattina. Il professor Lensheer si unirà da oggi ai vostri allenamenti pomeridiani >> << Oh andiamo... non sono un professore >> lo rimproverò, scatenando con il solo suono della sua voce altre occhiate e altri sussurri << È un po’ severo, ma sono sicuro che saprete rendermi orgoglioso di voi >> << Ti stabilisci qui in modo permanente? >> domandò Pietro subito dopo, accaparrandosi una dose abbondante di yogurt e sbriciolandovi dentro altri biscotti al cacao, del tutto disinteressato a chi potesse disapprovare << No >> non lo guardò mentre parlava, gelido << Allora sei qui per nasconderti? >> era la domanda che si ponevano tutti, ma fu solo Scott a farla.
Erik ammirò il suo fegato, gli piaceva quel ragazzo: << No. Cominciate ad essere un po’ troppi e non bisogna essere dei geni per capire che Charles non può occuparsi di tutti voi >> << Allora è vero che sono amici >> disse una ragazzina poco lontano, fissando i due uomini sbigottita << Costringerai Charles a buttarti fuori in meno di una settimana >> interloquì Raven senza alzare gli occhi dalla sua rivista << Non lo caccerei mai! >> esclamò il telepate e lei sollevò un sopracciglio ramato scettica, poi guardò Erik, infine sbuffò << Almeno non ha l’elmetto >> si alzò dopo aver finito la sua tazzina di caffè << Sarà meglio per voi che non ci siano ritardatari da me >> minacciò alla tavolata prima di incamminarsi verso l’uscita.
Charles sospirò portandosi una mano alla tempia, tornando a guardare i fogli che Hank gli aveva lasciato prima di dileguarsi non appena aveva visto il nuovo arrivato, scorrendo con gli occhi la lista di mutanti con un dottorato che si era fatto stilare << Stai contattando degli aiutanti? >> << Non faresti prima con Cerebro? >> aggiunse Pietro adocchiando la macedonia << Ho mandato delle lettere >> disse Charles con un sorriso << Ma non ho ancora ricevuto risposte positive. Stiamo parlando di persone con una vita avviata, sogni, carriera... non possono semplicemente abbandonare tutto per venire qui solo perché io glielo chiedo >> avrebbe potuto obbligarli con un piccolo guizzo di pensiero, ma come al solito quella possibilità non gli sfiorava nemmeno la mente.
A volte Erik si chiedeva se fosse stupido oppure immensamente più intelligente di chiunque altro << Possiamo aiutarla in qualche modo, professore? >> domandò Jean, come sempre con quello sguardo adorante.
Gli aveva salvato la vita, eppure continuava ad essere il suo eroe, il suo modello, la colonna incrollabile che sorreggeva tutto il resto.
E lui lo sapeva da come le sorrise << Troverò una soluzione, cara. Su, andate a lezione adesso. Hank vi sta aspettando. Ci vediamo dopo >> i tre si alzarono contemporaneamente, ma Pietro scomparve per primo, poi tornò indietro a prendere un altro paio di merendine, infine si allontanò del tutto.
Al tavolo rimasero solo i più piccoli, ma ben presto una vecchia Wallwalker si materializzò dalla parete est e i bambini la circondarono entusiasti in un piccolo gruppo chiassoso.
Lei salutò i due uomini con un sorriso indiscriminato, quindi si mosse verso il giardino circondata da quei piccoli mutanti rumorosi, con il passo pesante e paziente che solo i vecchi sanno avere.
Charles mosse la sedia a rotelle subito dopo, dirigendosi verso la biblioteca, fermandosi solo un momento a prendere un libro e i propri appunti nello studio, e Erik lo seguì tranquillamente senza proferire parola, finché non entrarono nell’enorme sala.
I ragazzi si zittirono tutti mentre i due entravano, Erik si fermò sulla scalinata che portava al piccolo ballatoio dei volumi più antichi e sedette su uno dei gradini, mentre invece Charles attraversò il cerchio delle sedie e si pose nel mezzo come in un vecchio simposio greco.
Salutò gli studenti con il suo onnipresente sorriso, volle sapere come avevano trascorso la notte, rispose alle loro domande quando gliele posero e non sgridò il giovane che non aveva portato il compito assegnatoli, ma a giudicare dalle occhiate degli altri sarebbe stata l’ultima volta che accadeva.
Lo adoravano.
Quando cominciò a leggere non volava una mosca, tredici adolescenti pendevano dalle sue labbra come fosse l’attore in uno strano teatro, ogni tanto qualcuno scribacchiava un appunto o sollevava la mano per interromperlo perché non aveva capito un passaggio, ma il professore non sembrava infastidito per questo, anzi, li faceva interagire, incoraggiava lo scambio, anche fra di loro, e quando domandò del pensiero dell’autore non si sbilanciò su quale risposta fosse giusta o sbagliata, lasciò che fossero loro a stabilirlo.
Erik stesso si ritrovò ammaliato dal suo fare, quindi non poté biasimare quei ragazzini.
Dopo di loro fu il turno di un’altra classe, libro diverso ma stesso modo di fare, eterna pazienza e meravigliosa eloquenza, il linguaggio di un telepate che sa come farsi ascoltare, questa volta però pose più domande filosofiche, li spronò al ragionamento, alla discussione, limitandosi spesso a fare da semplice moderatore.
Charles non era un insegnante, era un giardiniere.
Amava quei ragazzi con tutto se stesso, desiderava che si sviluppassero e fiorissero al meglio delle loro possibilità, si limitava semplicemente a curare la loro crescita, a far sì che nessun peso eccessivo li gravasse, che la loro mente crescesse aperta e sicura, che il loro potere non li spaventasse o la solitudine li schiacciasse.
Molti di loro provenivano da famiglie che li rifiutavano, alcuni si nascondevano dalla nascita, altri erano scappati di casa o mentivano ai loro genitori, e Charles si era autoproclamato bersaglio per tutte le loro giovanili pulsioni, che fosse la ribellione di turno o la frustrazione dell’età, un genitore per tutti.
L’ora di pranzo arrivò presto, ma il professore non seguì gli studenti a tavola come quella mattina, li congedò e si ritirò invece nel suo studio << Vuoi continuare a fare l’auditore ancora per molto? >> domandò seccato quando lo vide seguirlo anche lì, si avvicinò ad una brocca d’acqua e si versò un bicchiere dopo essersi schiarito la gola.
Dopo quello però prese una seconda bottiglia, scotch dal profumo corposo che si propagò non appena lo stappò e ne versò per entrambi prima di porgergli un bicchiere.
Erik lo accettò e sedette sulla sedia di fronte alla scrivania mentre l’altro prendeva posto dall’altra parte << Hai sempre voluto fare questo lavoro? >> domandò, più per fare conversazione che per altro, più per occupare i suoi pensieri e impedirgli di ristagnare in altro << Se ti dicessi che non lo so? Non ho mai pensato ad un vero e proprio lavoro... Ho preso il dottorato perché mi interessava, non perché mi serviva >> << Certo, certo... con un castello così immagino che il denaro non sia mai stato un problema >> ascoltò la sua risatina divertita e imbarazzata allo stesso tempo, quella deliziosa umiltà da colletto bianco non era mai riuscita ad essergli fastidiosa.
Bevve un sorso dal proprio bicchiere, appoggiandosi poi allo schienale della sedia con un sospiro << Tu sai che io non sono un insegnante, vero? >> << Sei un leader. E hai guidato altri prima di questi studenti. Non devi fare niente di troppo diverso da quanto fatto con Angel o Azazel >> << Mystica cosa insegna loro? >> << Raven ha la sua classe. Sono un gruppo scelto >> << Oh, certo... i famosi X-Men giusto? Credo che lei sia l’unica ad aver davvero imparato dalle esperienze passate >> Charles sospirò di nuovo, lo guardò, e sembrò mortalmente stanco, così stanco che anche la sua maschera si sgretolò, divenendo la fragile persona che nascondeva << Perché sei qui? >> domandò con voce fievole << Ti supplico, Erik... se vuoi abbandonarmi di nuovo ti prego di farlo adesso. Se vuoi tradirmi, se vuoi scoprire qualcosa... dimmelo e basta. Ti aiuterò se posso. Non posso perdonarti di nuovo. Non ne ho più la forza, lo capisci questo? >> << Ti aspetti da me qualche subdolo piano? >> << Non sto scherzando >> gli fece notare, le iridi zaffirine ridotte adesso a due laghi piatti e morti.
Erik bevve l’ultimo sorso di liquore, poi posò il bicchiere sulla scrivania e tornò a guardarlo << Mi sentirei meglio se mi odiassi >> disse, vedendolo scuotere il capo esasperato con un altro sospiro << Non ti odio, Erik >> disse << Non ti ho mai odiato, nemmeno... nemmeno dopo Cuba. Ti sto solo dicendo che... >> non finì la frase, si massaggiò la fronte esausto e anche lui terminò il suo bicchiere, tenendolo però stretto nella mano << Ti sentiresti meglio se ti permettessi di frugare nella mia mente? >> << Non voglio usare il mio potere su di te >> disse come raccogliendo tutta la sua pazienza << Ti è tanto difficile cercare solo di non tradire la mia fiducia? >> << Lo dici come se fosse inevitabile >> si guardarono, venti anni di vita in uno sguardo, e fu il telepate ad abbassare il suo per primo << Cerca almeno di non ferire gli studenti >> mormorò prima di guidare la sedia a rotelle verso l’uscita.
Erik lo fermò prima che si allontanasse, posandogli una mano sulla spalla e portandolo così a guardarlo di nuovo << Sono mutanti. Non farei mai loro del male >> << Non sono stati solo umani coloro che hai ferito in passato >> fece per andarsene di nuovo, ma l’altro di nuovo lo fermò << Puoi arrabbiarti con me. Non sono uno dei tuoi studenti >> << Lasciami andare >> fu il tono rassegnato, o il tremore nella voce, ma obbedì, limitandosi a guardarlo andar via.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Non si videro di nuovo fino all’ora di cena, Erik entrò nella sala da pranzo seguito da uno stuolo di esausti adolescenti che trascinavano i piedi dopo gli allenamenti estenuanti cui li aveva sottoposti, attese che sedessero sotto il suo sguardo gelido, quindi andò al suo posto rubato come quella mattina << Non c’è bisogno di terrorizzarli >> lo biasimò Charles ridacchiando mentre sondava le loro menti divertito.
Non era stato niente di inaspettato, solo esercizio fisico che aveva prosciugato le loro forze e a cui non erano riusciti a sottrarsi nemmeno per un momento.
Non erano nemmeno particolarmente spaventati, con quell’incoscienza che hanno solo i giovanissimi, quando il pericolo è attraente e il malvagio affascinante << Sono delle mezze calzette >> sentenziò Erik senza mezzi termini, senza preoccuparsi di non farsi sentire e incassando con noncuranza le occhiate di fuoco << Persino questa specie di pulce supersonica. Non riesce a sollevare nemmeno cinquanta chili alla sbarra >> aggiunse rivolto a Pietro, che però non lo ascoltava affatto visto che indossava le cuffie, troppo occupato a servirsi il pollo << Sii magnanimo. Non siamo nell’esercito >> ridacchiò il telepate salutando con un cenno Jean e Scott << Loro due non se la cavano male. Lei è brava con l’arco e lui ha il fisico del fratello. Il resto ha bisogno di un mese di disciplina prima di arrivare alla sufficienza >> << Non ci lascia usare i nostri poteri! >> esclamò uno dei ragazzi infine e Erik rise di lui mentre tagliava la carne << Ho passato metà della mia vita a cavarmela senza i miei poteri. Quando sarai in pericolo loro ti conosceranno, sapranno come neut... >> << Erik! >> esclamò Charles, zittendolo nello stesso momento in cui Raven entrava nella stanza << Sembra che vincerò la scommessa prima del tempo >> disse sarcastica, sedendo proprio di fronte ad Hank, che invece guardava il vecchio nemico con astio palese << È importante imparare a fare a meno delle vostre straordinarie capacità. Fortificare il vostro corpo renderà anche quelle più stabili e facili da usare. Adesso siete stanchi e vi dolgono i muscoli, ma con il tempo troverete l’utilità in tutto questo >> disse il professore con la sua voce pacata, ma il suo pugno tremava ancora.
Jean guardò proprio quello, preoccupata, ma i pensieri dell’uomo le erano impenetrabili come sempre.
Tranne quella volta in Egitto naturalmente, ma non aveva più sfiorato la sua mente.
Pietro si accorse dell’atmosfera tutto d’un tratto, immaginò che la causa fosse il padre anche se non aveva seguito l’accaduto, ma quando lo guardò quello stava fissando il professore al suo fianco << Mi passi la salsa? >> domandò, solo un momento prima che Kurt comparisse dal nulla proprio al suo fianco, facendolo scattare su come una molla << Cristo! >> esclamò Scott riavendosi dal colpo, ma il teleporta non fece caso a nessuno, scusandosi vagamente prima di cominciare a mangiare con voracità.
Pietro lo colpì con una gomitata per lo spavento subito, l’altro lo ricambiò con alcune parole in tedesco, ma Erik gli lanciò un’occhiata che lasciava bene ad intendere che insultare in un’altra lingua non lo avrebbe esentato a quella tavola.
La tensione piano piano si allentò, i ragazzi tornarono a mangiare, ma Charles non terminò il suo piatto, tormentato da un mal di testa pulsante che gli impediva di restare in pace, si sforzò semplicemente di fare il suo dovere, di non spaventare chi lo circondava, soprattutto la perspicace ragazza al suo fianco.
Sapeva che lei seguiva ogni suo movimento e per questo era estremamente controllato, ma in quel momento si sentiva molto fragile e temeva che lei captasse qualcosa del suo malessere.
Si congedò presto da quella compagnia, si mosse per allontanarsi dal tavolo, ma prima ancora che Erik si alzasse per seguirlo una scossa di terremoto scosse tutta la casa, un fremito del suolo che fece tintinnare i piatti e oscillare i lampadari, seguita subito dopo da un grido di Jean.
Charles la circondò subito delle proprie protezioni, Erik reagì al suo allarme serrando ogni porta e finestra, mentre Scott la afferrò al volo prima che cadesse dalla sua sedia << Che succede? >> chiese sconvolto, ma il professore non poteva rispondergli, la sua coscienza tesa nell’intorno per cercare di riconoscere il pericolo << Hank, porta i ragazzi nel bunker. Erik, vai con lui >> non si voltò nemmeno per accertarsi che obbedissero, si limitò ad esigere che così fosse, avvicinandosi alla ragazza svenuta che Scott aveva disteso sul divano vicino al camino << Sta male? >> domandò genuinamente preoccupato, ma Charles non aveva una risposta soddisfacente da dargli.
Avrebbe potuto sondare la mente di Jean, ma temeva di farlo.
Una parte di lui non voleva sfiorarla nemmeno con un dito << Credo che sia un geo-cineta. Forse non ci è nemico, forse ci sta solo cercando per chiedere aiuto. Ho toccato la sua mente per un momento ed è stato sconvolgente. Jean è semplicemente meno abituata. Starà bene >> << Andiamo nel bunker anche noi? >> << Sì. Dì a Kurt di starvi vicino. Se succede qualcosa, qualsiasi cosa, sparite con lui e non tornate finché non vi contatto io. Lui sa dove andare >> << Non può trasportare tutti >> << Solo voi tre >> Scott lo fissò perplesso attraverso gli occhiali, ma dopo un momento la fiducia cieca ebbe la meglio e annuì.
Prese la ragazza e si allontanò verso i passaggi protetti, mentre invece il professore si diresse all’esterno, alla ricerca del mutante che lo aveva sfiorato poco prima.
Poteva raggiungere un centinaio di chilometri sforzandosi, o almeno così era sempre stato, ma dopo... dopo il Cairo sentiva i suoi limiti sempre più impalpabili, i suoi argini sfilacciati e inconsistenti, e quando lambì la capitale a più di cinquecento miglia si ritrasse come una chiocciola cui hanno toccato le antenne, sentendosi perdere in quella sensazione.
Sperimentava qualcosa di simile con Cerebro, ma era un legame artificiale, indiretto, meraviglioso eppure anche controllato: adesso non aveva alcun cuscinetto tra se stesso e il mondo.
En Sabah Nur aveva centuplicato il suo potere, quando si erano uniti la sua capacità di amplificare si era ancorata al suo corpo e si era mischiata con lui, rendendolo ogni giorno più... più spaventoso.
Si concentrò di nuovo, doveva trovare l’autore del terremoto, chiuse gli occhi e questa volta si sforzò di non temere la lontananza sempre più crescente con il suo corpo.
Di occhio in occhio e di pensiero in pensiero si allontanò sempre più, cercò risposta nelle menti altrui, le sue spie erano ovunque del resto, e si sorprese di scoprire un uomo, nel deserto del Virginia che batteva il proprio bastone contro il suolo << Charles! Charles! >> ritornò dentro se stesso con una certa riluttanza, si sentiva molto più libero fuori da esso, e non appena riaprì gli occhi la spossatezza lo colpì con tale violenza che si accasciò su un fianco, privo persino della forza per restare dritto << Che gli succede? >> la voce allarmata era di Erik, ma era Hank quello più vicino a lui.
Lo sollevò con facilità e lo fece stendere nel salone principale << I ragazzi... non lasciate soli... i ragazzi >> << C’è Raven con loro. Stai bene, Charles? Che succede? >> domandò lo scienziato << Sto bene. Solo... un momento >> << Per quanto deve durare questa farsa? >> sibilò Erik con le mani sui fianchi.
Poteva immaginarlo senza nemmeno aprire gli occhi << È chiaro che quel dannato mostro gli ha fatto qualcosa! Cosa volete aspettare per aiutarlo? Che gli scoppi il cervello, forse? Che sia il suo stesso potere ad ucciderlo? >> << Non urlare >> lo ammonì il telepate con voce stanca, abbassando la luce della lampada sulla sua testa con un cenno << In che modo potremmo farlo? Non sappiamo niente di En Sabah Nur. È morto portandosi via i suoi segreti. Quel che è rimasto dentro Charles non ci è nemmeno lontanamente comprensibile >> << Cosa è rimasto? >> Hank si strinse nelle spalle, come se nemmeno lui fosse sicuro << In qualche modo riusciva ad interagire con il nostro DNA. Ha preparato il corpo di Charles ad accoglierlo, quindi è quello su cui ha agito di più. Erano legati: potrebbe avergli trasmesso qualcosa, oppure semplicemente amplificato il suo potere, come ha fatto con te. Non esistono esami che possano aiutarci a far luce sul problema >> << Vuol dire che non sappiamo cos’abbia né possiamo scoprirlo? >> il telepate nel frattempo tornò a sollevare le palpebre, lottò con la stanchezza e dopo qualche respiro profondo guardò i due << Dobbiamo andare in Virginia. Forse ho scoperto chi ha causato il terremoto >> << Ti sembra il momento per pensare a questo? >> lo aggredì Erik irato, ma era troppo stanco anche per fronteggiare la sua rabbia << Partiamo domattina, dopo colazione. Non credo sapesse cosa stava facendo, quindi possiamo prendercela comoda >> << Preparerò l’aereo >> << Potrebbe essere trovato da qualcun altro prima di noi? >> domandò invece Erik e Charles sospirò << Possiamo andare anche adesso, ma lasceremmo i ragazzi da soli e non voglio che accada. Almeno di giorno si sentiranno più al sicuro >> il tedesco assentì una volta sola, non troppo d’accordo ma per niente intenzionato a contraddirlo, quindi richiamò la sedia a rotelle e senza chiedergli il permesso lo sollevò e ve lo fece sedere.
Hank gli fece capire chiaramente cosa pensava di quel comportamento, ma Charles si limitò ad assecondarlo, troppo intontito per fare qualsiasi altra cosa, e ugualmente si fece trasportare in camera e stendere sul letto << Non hai più bisogno di Cerebro a quanto vedo >> chiuse le tende e abbassò anche le serrande d’acciaio di tutte le finestre della casa, notando ancora una volta quanto fosse aumentata la sicurezza << Non dire sciocchezze >> << Allora il Virginia si è avvicinato con quella scossa di prima? Non sapevo che il tuo potere potesse percorrere migliaia di miglia >> fece sarcastico, strappandogli un sorriso, ma era troppo provato per ribattere.
Erik si avvicinò con un sospiro, sedendosi al suo fianco e trattenendosi dal prendere una delle mani abbandonate a pochi centimetri << Se non mi dici niente come faccio ad aiutarti? >> << Non ho bisogno d’aiuto >> << Il tuo è orgoglio o testardaggine? Presunzione forse? Oppure ti sta bene che tutti dipendano da te ma non riesci tu a dipendere da noi? >> Charles sbuffò amaramente divertito, voltandosi a guardarlo languido, con lo sguardo annacquato << In una buona famiglia ciascuno ha il suo ruolo. Il mio è quello di fare da sostegno agli altri, non posso permettermi di dubitare della mia solidità >> << E chi fa da sostegno a te? >> lo sfidò Erik spietato come sempre.
L’altro prese un respiro profondo, doloroso, poi rilasciò tutta l’aria e distolse lo sguardo << Domani ci sveglieremo presto quindi ti consiglio di riposare. Hank ha preparato la tua stanza >> << Non ho alcuna intenzione di andarmene >> dichiarò quello incrociando le braccia al petto e sedendosi sulla stessa sedia della sera prima, solo spostata di fianco alla finestra.
Guidò le solite biglie intorno al letto, ma due rimasero a galleggiare sopra la sua spalla destra << Cosa credi di fare? >> Erik si strinse nelle spalle << Forse è stato il mutante in Virginia, come dici tu, oppure qualcos’altro che ancora non conosciamo. Ad ogni modo è sempre meglio essere un po’ paranoici, soprattutto quando la nostra principale sentinella è stesa pietosamente su un letto >> sospirò greve, fissando il tappeto sul pavimento di legno << En Sabah Nur ha fatto conoscere al mondo intero l’entità del tuo potere. Presto verranno alla tua porta, Charles >> << Lo so >> << Cosa farai a quel punto? >> << Non permetterò loro di avvicinarsi >> << Ci sono i campi elettromagnetici, amico mio. Stryker lo sa. Presto lo sapranno altri. È solo questione di tempo >> << Cosa dovrei fare secondo te? Dovrei nascondermi da qualche altra parte? Trasferire di nuovo tutti quanti, proprio ora che cominciano ad avere di nuovo una casa? Non posso farlo >> Erik assentì anche se non era d’accordo, per un momento provò la smania semplicemente di farlo sparire dalla vista di chiunque.
Una parte di lui desiderava uccidere tutti gli umani solo per farlo dormire di nuovo al sicuro.
Sbuffò, Charles l’avrebbe disprezzato per quei pensieri, quindi ringraziò il cielo che non li percepisse << Ieri ho mentito >> lo sentì mormorare << Forse non voglio che tu stia qui >> Erik ridacchiò, tendendo il proprio potere intorno alla casa ed erigendo un potente campo di forza.
Non voleva spaventare gli inquilini, quindi usò solo la polvere più sottile e leggera, anche se avrebbe potuto sollevare l’intero castello << Questa è la prima cosa sincera che dici da quando sono arrivato >> gli disse << Non è per i motivi che immagini >> << Sai cosa immagino? >> Charles si mosse su un fianco, così da poterlo guardare, anche se fu faticoso anche quel semplice movimento << Non posso appoggiarmi a te, non capisci? >> << Certo che lo capisco. Ciò non toglie che non ci sia qualcuno che possa prendere il mio posto al tuo fianco. Non lo permetti. L’ho visto >> << C’è un motivo se è così >> Erik lo scrutò per un lungo momento, rilassato eppure anche ferito, anche se non aveva alcun diritto di esserlo.
Si rese conto che quello sguardo azzurro non aveva meno effetto su di lui di quanto lo avesse sugli altri: persino in lui faceva nascere il desiderio di renderlo orgoglioso, un sentimento per il quale avrebbe potuto uccidere.
Era carismatico, non era mai stato un mistero questo, ma la malia che lo circondava adesso era completamente nuova << Eppure me lo fai desiderare >> sussurrò il telepate con un filo di fiato, ammirando quel corpo perfetto e sicuro di sé.
Invidiandolo << Cosa ha distrutto quel mostro mentre lottavate? Noi eravamo fuori, abbiamo visto con gli occhi la distruzione che ha provocato, ma nessuno ha visto quel che ha fatto dentro di te >> << Jean lo ha fermato >> << Non è quello che ti ho chiesto >> << Non conosci proprio il significato di domanda inopportuna, vero? >> Erik di nuovo rise, quella risata famelica e splendida che illuminava tutto l’intorno per un istante.
Si ritrovò a ricambiarlo automaticamente, seguendolo poi con lo sguardo mentre si alzava dal suo posto e lo raggiungeva, sedendosi per terra però, sul tappeto, con un ginocchio sollevato e una gamba piegata, vicinissimo << Ti ha fatto a pezzi, Charles. Perché lo nascondi? >> il telepate trasalì, come se lo avesse colpito << Devo essere molto più forte di così >> rispose, e strinse a pugno la mano che tremava << Puoi permettermi di prestarti la mia forza? >> << Non posso fidarmi di te >> dichiarò con altrettanta forza << Lo so. Ma te lo chiedo lo stesso >> per un momento, il tempo di un respiro, i grandi occhi azzurri tornarono limpidi e splendidi, poi però l’ombra li schiacciò di nuovo e il dolore li offuscò << E cosa farò quando mi tradirai di nuovo? Quando la sofferenza e la rabbia ti divoreranno ancora, e tu terrai la mia anima nel palmo della mano un’altra volta, come riuscirò a risollevarmi quando mi abbandonerai? >> << Non lo farò >> << Non è vero. Tu li odi. Odi tutti gli umani, lo so. Non mi permetterai mai di realizzare la pace, vecchio amico >> << Mi credi se dico che posso rinunciare al mio odio? Non credo in ciò che credi tu, non lo farò mai, ma sono pronto a percorrere la tua strada, anche se so che porta al fallimento. Posso fallire insieme a te. Voglio farlo. Almeno potrò proteggerti dai colpi più duri >> << P-proteggermi? >> la sua voce uscì spezzata anche se fu solo un sussurro, un sorriso timido che cercò di nascondere il tormento.
Chiuse gli occhi, ma non riuscì ad impedire ad una lacrima di bagnare il cuscino << Charles... ti ho portato via così tanto... Ti prego, permettimi di ripagare un poco il mio debito >> << Ti ho già detto che non ti porto rancore. Sei libero da qualsiasi debito. Quel che è successo doveva succedere e... >> prima che potesse finire di parlare, o almeno concentrarsi nel farlo, sentì le labbra morbide di Erik toccare le sue, sfiorarle appena, un bacio fugace e timido, eppure colmo di un calore incontrollabile.
Lo lasciò esterrefatto, lo guardò come se non l’avesse mai visto prima << Ti è sufficiente questa come garanzia? >> domandò, affatto imbarazzato o intimidito, Erik non era mai nessuna di queste cose, continuava semplicemente a perforarlo con il suo gelido e duro azzurro, come fosse lui a potergli leggere nell’anima.
Ed era proprio così, lo aveva sempre saputo << C-cosa? >> il tedesco si avvicinò di nuovo, si aprì in un sorriso malizioso nel farlo, ma Charles sollevò una mano contro il suo petto per fermarlo, scioccato.
Ma anche spaventato, il suo cuore batteva tanto velocemente da volergli uscire dal petto << Voglio baciarti >> gli dichiarò senza mezze misure, con quel fare diretto che lo disarmava, con la forza con cui uccideva e devastava << Sei impazzito? >> << Sono stato pazzo per tutta la mia vita. Non lo sarò anche adesso >> fece forza contro la sua mano, sollevandosi per raggiungerlo << Puoi fermarmi se non vuoi. Sei un telepate >> lo prese in giro, arrogante, prepotente, eppure non riuscì a muovere un muscolo per fermarlo, con la stessa paralizzante attrazione che deve provare la mosca intrappolata nella ragnatela che vede il ragno avvicinarsi.
Si stupì a ricambiarlo.
A desiderarlo.
Sollevò le mani e le affondò nei capelli morbidi, stringendolo a sé, ne aveva un disperato bisogno, bisogno di lui, della sua forza, del pezzetto d’anima che gli aveva donato così tanto tempo prima << Non lasciarmi >> singhiozzò contro le sue labbra, si tese a baciarlo ancora, ad assaporare quella bocca piena e generosa << Ti ucciderò se lo farai. Ti ucciderò, Erik. Giuro che lo farò >> era sincero, meravigliosamente sincero, con quell’egoismo possessivo che non poteva mostrare a nessun altro.
Ma Erik non se ne stupì, lo conosceva, lo aveva visto quando Raven lo aveva lasciato, lo aveva assaporato sulla propria pelle quando gli aveva strappato ogni cosa << Così va molto meglio >> approvò baciandolo ancora, baciando le guance rigate di lacrime, giocando con quella lingua febbricitante << Non tradirmi >> gli comandò con quella voce tremante << Ti prego, Erik... non posso più... non... >> << Tu sei la nostra speranza >> gli disse, prendendogli il volto tra le mani mentre erano tanto vicini da vivere l’uno del respiro dell’altro << Lascia che sia io ad odiare e temere. Lascia che sia io a coltivare il dubbio e non credere a nessuno. Tu continua a fidarti. Continua a desiderare il meglio e a non curarti di quanti potrebbero ferirci. Io sarò qui, Charles. Se ti tradiranno tutti io non lo farò. Sbagli, ma amo anche i tuoi errori, quindi continua a farne. Tu fidati di me, lascia che io assorba tutto ciò che non vuoi vedere e ti fa soffrire. Posso sopportarlo. Credo di aver vissuto solo per sopportarlo. Tu pensa solo ad andare avanti >> << Vuoi distruggermi, non è così? Perché mi stai dicendo queste parole? >> << Migliaia di persone hanno bisogno di te, Charles, ma tu solo hai bisogno di me. Per questo te lo dico: guida tutti loro, mostrati più forte di chiunque altro, ma alla fine, quando sarai stanco e non ce la farai più, appoggiati semplicemente a me. Non devi dimostrarmi nulla. Per questo sono qui >> << Vuoi distruggermi, non è così? >> rise al suo tono disperato, lo baciò di nuovo e poi lo lasciò, aggirando il letto per stendersi di nuovo al suo fianco << Se volessi farlo cosa me lo impedirebbe adesso? >> << Puoi farlo >> concesse Charles, sospirò con aria stanca e confusa, le palpebre sempre più pesanti.
Quando Erik gli posò una mano sulla guancia non fuggì il suo tocco, ma forse nemmeno se ne accorse, respirando piano contro il cuscino, palesemente esausto << Dormi adesso. Parleremo domani >> ci fu solo un mormorio in risposta, poi il sonno lo avvolse del tutto e il silenzio tornò nella stanza.
 
*
La primissima cosa di cui Charles si accertò fu il benessere dei ragazzi.
Dormivano tutti tranquillamente, del resto era anche per questo che aveva fatto arredare il bunker, tranne il piccolo Timmy che non dormiva mai, seduto a leggere come suo solito.
Lo salutò quando si accorse che lo aveva toccato con il suo potere, e quel sorriso pieno e fiducioso poteva essere abbastanza come fonte d’energia per tutta la giornata << Buongiorno >> Erik era seduto al suo posto vicino alla finestra, e ad un suo cenno le sfere di metallo intorno al letto lo raggiunsero e tornarono docilmente nella tasca della giacca << ’G-giorno >> fece Charles massaggiandosi la fronte mentre si metteva seduto.
I ricordi della sera prima lo assalirono subito dopo, obbligandolo a distogliere lo sguardo e concentrarsi molto sulle trame sottili della propria coperta << Sai di essere un maledetto bastardo, vero? >> << Mi hanno detto cose peggiori >> fu la risposta beffarda, compresa una risata trattenuta.
Lo ignorò.
Si sollevò le gambe per metterle fuori del letto, poi si issò sulla sedia a rotelle per andare in bagno, sforzando ogni cellula di non ripensare alla sera prima.
Una parte di lui cercava di convincerlo che fosse stato un sogno.
Un incubo?
Lo ignorò anche quando andò all’armadio, prese una camicia stirata e un completo blu scuro di lana pettinata, dandogli poi le spalle per vestirsi, sfidandolo ad avvicinarsi per osare offrirsi di aiutarlo.
Lo avrebbe come minimo colpito con un pugno se lo avesse fatto.
Erik comunque non si mosse, continuò semplicemente a seguire ogni suo movimento, si obbligò a farlo perché non aveva alcun diritto di risparmiarselo: se Charles poteva convivere con quella condizione lui poteva farlo con il pensiero di avercelo costretto.
Lo vide andare allo specchio per assestarsi il colletto di camicia e panciotto, desiderò che non indossasse la giacca visto il modo in cui la sua vita sottile veniva risaltata a quel modo, ma rimase in silenzio, lo guardò e basta, anche mentre si legava la cravatta rossa << Sei fastidioso >> << E tu invece uno spettacolo >> il telepate lo fulminò con lo sguardo, optando per la rabbia per non cedere all’imbarazzo.
Gli occhi blu lo ricambiarono con calma, penetranti e profondi come pozzi, fissandosi nei suoi e non osando poi muoversi di un millimetro << Vuoi davvero andare in Virginia? >> gli chiese << È l’unica traccia che abbiamo >> se voleva conversare normalmente lo avrebbe assecondato, non sarebbe stato certo lui quello a comportarsi diversamente  << Un mutante che batte un bastone a tre stati di distanza >> << Lo trovi più eccezionale del tuo potere? >> Erik scrollò le spalle come a sottolineare che non gli importava, quindi si alzò in piedi, una mano nella tasca del comodo pantalone di flanella, e lo superò per andare alla porta, anche se si fermò per attenderlo << Come vuoi agire? >> chiese poi, mentre raggiungevano la sala da pranzo e la scuola piano piano si animava.
Un paio dei bambini più piccoli erano già svegli, già ansiosi di correre fuori a giocare << Andremo da lui e parleremo, non è qualcosa di difficile da comprendere. Non scateniamo inutili allarmismi: forse non sa semplicemente usare le sue capacità >> << E così ha causato una scossa sismica esattamente sotto casa tua. È stato un caso. Sfortuna >> il suo sarcasmo si guadagnò un’altra occhiataccia, e un sorriso trattenuto, ma quest’ultimo cercò di nascondersi dietro l’espressione controllata << Questo mutante ti preoccupa? >> presero posto al tavolo già misteriosamente imbandito anche a quell’ora, ma Erik non si mostrò particolarmente toccato dal suo tono di sfida: << Qualsiasi sia la minaccia non ti sfiorerà >> fu una risposta così spontanea e allo stesso tempo così aliena che Charles rimase senza parole.
Lo fissò scioccato, palesemente ignorato, e dovette anzi sforzarsi di riacquistare la calma quando Hank entrò nella stanza << L’aereo è già pronto >> li avvertì mentre si infilava la giacca e tratteneva uno sbadiglio, assestandosi gli occhiali solo all’ultimo momento << Buongiorno >> aggiunse poi, scusandosi per non averlo fatto prima << Ti ringrazio, Hank. Hai avvertito Raven della nostra partenza? >> << Sì, sì... rimarrà lei con i ragazzi. E se avremo bisogno, Kurt sa dove andremo >> poi, solo per lui: << Sei sicuro sia una buona idea portare Erik con noi? >> << Lo è più che lasciarlo qui >> non era pronto per condividere quel che era successo fra loro nemmeno con se stesso, figurarsi con altri << È una coincidenza che il giorno dopo che lui è qui il castello debba restare scoperto? >> Charles si immobilizzò a quella possibilità, un brivido gelido gli ghermì il cuore e impallidì << Non può essere qui per questo >> non dopo le parole che gli aveva detto.
Nemmeno lui poteva scendere tanto in basso.
Ebbe paura. Paura come non ne aveva avuta mai.
Paura del proprio odio, di quello che sarebbe stato capace di fargli << Averlo con noi mi rende più tranquillo ad ogni modo. Non lo lascerei mai da solo coi ragazzi >> non aveva l’elmetto.
Forse fu il dubbio insinuatogli da Hank, forse la paura, ma sondò le sue intenzioni anche se avrebbe preferito non farlo, non si soffermò solo sui suoi pensieri, andò più a fondo, fino a sfiorare le sue convinzioni e le sue volontà più recondite.
Si sentì il più vile dei ladri, ma quando Erik lo guardò, e sapeva per certo a giudicare dal suo sguardo, in lui non c’era né accusa né biasimo, semplice curiosità << Tutto bene? >> domandò corrugando quelle sopracciglia folte, e il telepate non riuscì a sostenere il suo sguardo << S-sì, sei pronto ad andare? >> Erik bevve un ultimo sorso di caffè, poi assentì e lo seguì docilmente verso i sotterranei.
Ci fu un teso silenzio nel percorso, perdurò anche dopo, anche mentre sedevano l’uno di fronte all’altro in attesa del decollo, ma quando il jet si sollevò in volo con un leggero scossone Charles era già al limite della sopportazione: << Mi dispiace >> disse in un mormorio imbarazzato, come di chi viene sorpreso nel bel mezzo di una gaffe << Di cosa? >> << Ti diverte sentirmelo dire?> lo accusò contrariato, ma Erik sembrava davvero non capire << È il tuo potere, Charles. Non c’è niente di sbagliato nell’usarlo. Lo sarebbe  chiederti di non farlo, o almeno quantomeno assurdo. Sarebbe tutto più facile se tu smettessi di fidarti della gente e cominciassi semplicemente a controllare le sue intenzioni >> << Mi dispiace lo stesso >>  Erik ridacchiò e con un cenno indicò alla scacchiera disposta poco lontana di posizionarsi sul tavolo in mezzo a loro << Cos’è che ti dispiace esattamente? Non sei tu ad avermi tradito, amico mio... la tua sfiducia è più che giustificata >> << E questo ti va bene? >> Charles mosse un pezzo quasi distrattamente, senza smettere di parlare << Come potrebbe? Ma immagino di raccogliere quel che ho seminato >> << Non accadrà più >> << Non ho detto che voglio che non accada più >> lo ammonì e intercettò la mano che stava per muovere un pedone per fermarla con la propria, portandolo a guardarlo << Dentro di me non c’è niente che tu già non conosca >> disse << Sei l’unica persona che è stata capace di trovare qualcosa di buono in me... non temo che tu veda il resto, temo solo che tu ne sia sopraffatto. Soffri per il dolore altrui troppo spesso, Charles >> << Avrei dovuto proteggerti. Potevo nasconderti. Potevo fare in modo che nessuno vi trovasse >> sussurrò, rivelando solo adesso qualcosa che lo aveva tormentato per mesi.
Erik non riuscì a dir nulla, il dolore era troppo vicino e troppo forte per poter essere in qualche modo domato o chetato.
La lasciò andare però e fece la sua mossa abbassando lo sguardo sulla scacchiera << Le ho seppellite su una collina vicino a casa nostra. Prima di venire qui ho spiegato loro ogni cosa >> mormorò, ancora senza guardarlo << Anche di te, naturalmente. Mia moglie lo sapeva già a dire il vero... >> << Sapeva già cosa? >> Erik sollevò un sopracciglio in maniera eloquente, lanciandogli una breve occhiata mentre sbuffava divertito << Sai cosa mi ha risposto? >> il telepate si schiarì la gola, cercando di essere altrettanto disinvolto << N-no >> << Ha detto che la nostra anima ha bisogno di diverse case in cui vivere >> sussurrò, appoggiandosi poi alla morbida poltrona e sollevando le dita in un’enumerazione: << Ha bisogno di una capanna quando è giovane, non è pronta per il mondo e le piccole mura sono una sicurezza. Ha bisogno di un focolare quando è adulta, un posto cui far ritorno e da cui partire, dove nascondersi e dove crescere. Infine ha bisogno del cielo stellato quando è matura, perché un tetto non è più sufficiente all’anima di un vecchio >> << E tu di che casa hai bisogno? >> << Mi ha detto che la mia è un’anima speciale >> mormorò << Avevo bisogno di un focolare perché ero stanco e sperduto, e lei era felice di concedermelo. Ma ha visto in me anche un’immensità che non poteva né comprendere né controllare. “Hai bisogno di un castello, Erik, la mia casetta non può bastarti per sempre” >> fece una pausa, sorrise, quindi mosse una torre << “Xavier è il tuo castello” >> non lo guardò nel dirlo, sembrava molto concentrato nei propri pensieri, oppure disinteressato alle reazioni altrui.
Charles era esterrefatto << Ovviamente questo non ha niente a che vedere con te >> dichiarò con la disinvoltura che lo caratterizzava, tornando a lanciargli un’occhiata e sorridendo divertito per l’espressione congelata dell’altro.
Sembrò quasi volerlo tranquillizzare << Quello che provo io e quello che provi tu non devono necessariamente coincidere. Come vedi, nemmeno questa volta mi muove qualcosa di diverso dal desiderio personale... >> sospirò, appoggiandosi allo schienale con aria stanca.
Il professore lo guardò ancora per un momento, le sue iridi scolorirono fino ad un grigio quasi pallido reagendo al tumulto dentro di lui, ma si schiarì la gola e si diede un contegno, cambiando posizione sulla poltrona con un piccolo sforzo.
Mosse un alfiere e rimase pensoso per un po’, finché Erik non fece ancora la sua mossa << Hai bisogno di tempo >> disse infine, e lo pensava davvero << Devi ancora elaborare il lutto. Posso esserti amico Erik, e non negherò che abbiamo bisogno l’uno dell’altro, ma... >> << Non ho bisogno che tu mi spieghi altro >> lo interruppe, attirando così il suo sguardo pallido.
Lo ricambiò placido e tranquillo << Come al solito, guardi nella mia mente e credi di vedere il mio cuore. Io non presumo niente di te, quindi non farlo tu con me >> si strinse nelle spalle << Tu sei abituato a dare un senso a tutti i tuoi sentimenti, io li accetto e basta. Non è forse per questo che siamo stati a lungo nemici? >> << Mi dai ragione allora? >> Erik scrollò il capo e rimase in silenzio.
Continuarono a giocare ancora un po’, finché Charles non vinse la partita e il suo cuore smise di martellargli in mezzo al petto.
Erik si alzò e versò del whiskey per entrambi prima di tornare al suo posto, anche se era a malapena mattina << Quando ti ho consegnato a lui non sapevo quello che voleva fare >> disse poi, tornando a disporre i pezzi per una nuova partita.
Charles non parlò, seguì semplicemente i suoi gesti, bevve un sorso, non diede nemmeno cenno di aver ascoltato << Pensavo che volesse sfruttarti per dare un messaggio al mondo, ma... non avevo capito >> << Non parliamone, per favore >> Erik trasalì a quelle parole, più per il loro tono categorico che per il significato, quella cortesia che celava migliaia di sottintesi.
Rivide la sua espressione la sera prima, quella disperazione e terrore che adesso erano ben imbavagliati, e si chiese di che autocontrollo fosse capace per poter continuare a vivere << Possiamo parlare del tuo potere allora? >> << Non c’è niente di cui parlare >> evitava il suo sguardo, forse era conscio di quanto fosse vacuo e fosco adesso, forse c’era rabbia in lui e Erik semplicemente non la sapeva più riconoscere << Hai ancora bisogno di Cerebro, Charles? >> gli strappò uno sbuffo divertito, ma sembrava più che altro ironico << Sei preoccupato che io sia diventato più forte? È per questo che sei qui? >> lo canzonò << Puoi dire quello che vuoi. Io so perché sono qui e te l’ho detto. Credermi o meno è una tua scelta >> << Certo, certo... >> << Credi che farmi cambiare argomento mi farà dimenticare la mia domanda? >> << Hank ti ha riposto ieri. Non sappiamo quali siano gli effetti de... dello scambio. Né se ve ne sono se è per questo >> con noncuranza sollevò la mano per fare la prima mossa, ma l’altro lo fermò afferrandola per la seconda volta per attirare la sua attenzione << Puoi smettere di ostentare la tua dannata sicurezza per cinque minuti mentre parliamo? Oppure vuoi fingere che quello di ieri non fossi tu? Devo essere io a fingerlo? >> si fissarono per un lungo istante, uno troppo orgoglioso per distogliere lo sguardo, l’altro troppo veemente << Lasciami >> disse alla fine Charles, ed Erik obbedì semplicemente perché ogni cellula del suo corpo gli disse che doveva farlo.
Non avrebbe voluto, ma qualcosa nello sguardo del telepate gli aveva fatto scorrere un brivido lungo la schiena << Cosa vuoi che ti dica? >> lo sentì sibilare, un sussurro come quello del giorno prima, eppure suonò incredibilmente diverso, minaccioso, cupo.
Da due giorni lo tormentava perché gli mostrasse il vero se stesso, ma solo adesso Erik si chiese se fosse pronto ad affrontarlo, se fosse deciso a scontrarsi con lui, con quell’uomo contro la cui intelligenza non poteva competere e il cui potere poteva schiacciarlo.
Si rese conto di temerlo, temeva quello Xavier che era cresciuto graffiando mentre era lontano, lo Xavier che nessuno vedeva e che forse solo Hank ricordava, lo Xavier che non sperava, non sperava affatto, e che En Sabah Nur aveva tentato e quasi catturato.
Non stava mentendo adesso, quello Xavier non era meno vero del fragile uomo singhiozzante che lo aveva supplicato di non lasciarlo solo, erano due facce della stessa medaglia << L’hai fatto perché sapevi bene che ti avrei perdonato >> disse, senza alcuna inflessione nella voce, solo dura spietatezza, quasi beffarda, la sua bocca morbida era piegata in un sorriso accennato << Sapevi che non ti avrei odiato. Non l’ho fatto quando hai distrutto ogni cosa, perché questa volta doveva essere diverso? Ma non tutti abbiamo il lusso di odiare e distruggere quando la nostra intera esistenza viene stravolta, Erik. Non tutti possiamo semplicemente scaricare il nostro dolore sugli altri. Abbiamo delle responsabilità, abbiamo un ruolo, un dannatissimo posto nel mondo. È questo che le persone fanno. Viviamo tutti delle ingiustizie. Veniamo traditi e riceviamo colpi così dolorosi che la morte diventa una prospettiva allettante, ma non siamo bestie, giusto? La nostra amata evoluzione deve pur averci insegnato qualcosa >> le sue labbra erano livide nello sforzo di non urlare, una tempia pulsava visibilmente.
E quegli occhi cangianti adesso erano dello stesso colore grigio delle nuvole fuori dall’oblò << Io non sono il tuo fottutissimo castello. Sono la tua valvola di sfogo, l’unica persona sulla faccia della terra che non ti reputa il mostro che sei. Ed è così perché credo in te, continuo a credere in te. Questo non significa però che io sia disposto a sacrificare ancora qualcos’altro per te. Non scambiare il mio perdono per debolezza o necessità. Ti perdono perché tu ne hai bisogno, non io >> adesso le sue mani tremavano intorno al bracciolo della poltrona, tanto strette che le nocche erano bianche e i tendini visibili sotto quella pelle così chiara da essere quasi traslucida << Ogni volta che le nostre strade si incrociano perdo un pezzo di me stesso. Non è colpa tua. Non è colpa di nessuno. Accade e basta, chiamiamola compensazione cosmica. Ma quel che vuoi adesso non posso concedertelo. Nemmeno tu puoi averlo >> << Ti è così difficile aprirmi il tuo cuore? >> << Così che tu possa stracciarlo? Calpestarlo? Travolgerlo come danno collaterale la prossima volta che il tuo odio si scatenerà? Dici che sei venuto qui per proteggermi, ma chi oltre a te è capace di farmi del male? Tu sei l’unica cosa che mi ha sempre, sempre, minacciato >> << Siamo in fase di atterraggio >> la voce di Hank proruppe dagli altoparlanti un po’ fredda e metallica, disinteressata a quanto stava accadendo loro, eppure fu capace di spezzare la conversazione come fosse un pugno incurante su di un fragile vetro.
Charles interruppe il contatto visivo per primo, si scrollò di dosso quel gelo come fosse un velo palpabile, riacquistando con un semplice gesto la sua aria da affabile insegnante.
Solo gli occhi lo smascheravano, gentili all’apparenza eppure del colore della tempesta.
NA: Ciao a tutti! Spero che la FF vi piaccia quanto a me XD Se avete voglia di farmi sapere cosa ne pensate sarò entusiasta di leggere i vostri pensieri, e mi scuso già da adesso se ci metterò un'eternità ad uppare T_T

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


L’uomo che Charles aveva visto la notte prima si chiamava James Flint ed era uno dei numerosi proprietari terrieri che si trovavano nella periferia di Richmond.
Il viaggio dall’aeroporto alla sua fattoria sperduta in mezzo al nulla fu lungo abbastanza da risultare soffocante, Hank trovò incredibilmente spiacevole il silenzio dell’abitacolo una volta che fu costretto a stare coi due mutanti, perciò una volta che arrivarono fu anche il più ansioso di scendere.
Aiutò Charles a fare altrettanto, ma una volta fatto quello il telepate guidò da solo la sedia a rotelle fino alla porta a vetri, percependo con facilità che dentro la piccola casetta coloniale c’era un’unica persona << Non è un geo-cineta >> disse perplesso, fermandosi a pochi passi << Cosa significa? >> << È un mutante, sì, ma ha solo una capacità botanica >> e nel dirlo indicò il florido frutteto a poca distanza, stracolmo di frutti anche in quel periodo dell’anno << Vuol dire che siamo venuti fin qui per nulla? >> domandò Erik incrociando le braccia al petto.
Mentre parlavano un uomo sulla quarantina uscì sulla veranda, corpo massiccio e capelli brizzolati, con occhi scuri e una mascella squadrata << Salve, signori. Posso aiutarvi? >> domandò con un marcato accento, lisciandosi la camicia di cotone da poco << Salve >> ribatté Charles con il suo fare impeccabile, sollevando una mano contro il sole che lo abbagliava, avanzando di un giro di ruota ancora per approfittare dell’ombra della casa << Il mio nome è Charles Xavier, signor Flint, sono un professore di biologia e genetica. Lui è il dottor Hank McCoy e questo è... Henry Suskind. Possiamo approfittare della sua pazienza per alcune domande? >> l’uomo corrugò la fronte senza capire, un po’ sospettoso anche, ma dopo un po’ giudicò un uomo in sedia a rotelle un pericolo trascurabile.
Guardò il trio ancora un momento, poi le scale, infine spostò il peso da un piede all’altro a disagio, ma Charles si affrettò a toglierlo d’impiccio: << Non voglio approfittare della sua cortesia più del dovuto, signor Flint. Possiamo parlare anche qui, se me ne concede il tempo, non abbiamo bisogno di entrare in casa >> l’uomo sembrò ancora più tranquillizzato da quelle parole, scese i pochi gradini con la sicurezza di chi sa come affrontare ogni situazione e bastava notare quella per capire che non aveva la più pallida idea di quel che era.
Si reputava un normalissimo texano di sangue puro, conservatore, protezionista, ospitale e lavoratore, con l’unica eccezione di essere particolarmente fortunato con le piante.
E Charles non aveva alcun diritto di strapparlo alle sue illusioni << Che genere di domande? >> era sicuramente lui l’uomo che aveva visto.
Riconosceva la casa, e anche il punto in cui lo aveva visto battere il terreno con il suo bastone << Siamo interessati al suo frutteto, signor Flint. Mi sono giunte voci che possiede un terreno estremamente fertile. Potremmo prendere dei campioni? A puro scopo didattico, gliel’assicuro >> mentre parlava sondava la sua mente ancora più in profondità, arrivò a toccare i suoi ricordi più nascosti.
Era stato lui a scatenare il terremoto, ne era certo, ne vide le prove nella sua memoria, eppure in qualche modo la mente cosciente non ne era affatto al corrente.
Non ne aveva le capacità, non era la sua mutazione, era sicuro di questo: come aveva fatto a scatenare un terremoto se non ne possedeva il potere?
Charles si appoggiò la testa alle dita puntellate sul bracciolo, pensoso mentre James Flint rimaneva semplicemente immobile, paralizzato dalla sua telepatia.
Condivise le sue scoperte con gli altri << È possibile che il suo potere sia semplicemente sopito? >> domandò Hank << Lo percepirei. Sento la differenza >> << Charles >> il telepate sbiancò a quel richiamo, si sollevò dritto come una lepre sorpresa da uno sparo, tendendo i propri sensi al massimo << Che succede? >> ignorò la domanda di Erik, concentrandosi per cercare di scoprire la fonte della voce, ma per più di cinquecento miglia non c’era un solo mutante oltre a James.
Il suo cuore cominciò a battere così forte da costringerlo a portarsi una mano al petto << Dimentica l’ultima mezz’ora. Torna dentro e accendi la tivù >> ordinò poi all’uomo davanti a lui, prima di guidare la sedia a rotelle di nuovo al punto di partenza, all’auto, seguito dai due uomini un po’ confusi << Puoi spiegarci cosa sta succedendo? >> domandò Hank allarmato << Non lo so >> ammise il professore, cercando di calmare il proprio battito impazzito << In qualche modo ha usato una capacità che non possiede, ma non ne ha il minimo ricordo. Non è stato lui, in tutti i modi in cui possa essere letta questa frase >> << Non capisco quello che stai dicendo. Come può farlo e non farlo? >> ribatté Hank sempre più perplesso << Qualcuno gli ha prestato il proprio potere o quello di qualcun altro >> disse Erik a quel punto, attirando così lo sguardo di entrambi << Conosci chi può averlo fatto? >> il signore dei metalli scosse il capo, stringendosi nelle spalle << È solo l’unica soluzione che abbia un senso >> si scrutarono ancora per un momento, Charles decise di credergli, quindi sospirò e aprì lo sportello della macchina << Ho bisogno di Cerebro. Dobbiamo trovare questo “qualcuno” >> dichiarò solennemente.
Avrebbero potuto fare almeno una sosta per il pranzo, invece tornarono al jet e intrapresero subito il viaggio di ritorno, questa volta molto più silenzioso.
Charles sedeva allo stesso posto dell’andata, lo sguardo perso tra le nuvole dietro l’oblò, ma la sua mente era colma di zavorra, tormentata sia dal rompicapo del nuovo mutante sia dalla voce che aveva sentito e che temeva di conoscere << Tutto bene? >> domandò Erik di fronte a lui, stanco del silenzio e della pesantezza che andava peggiorando intorno al telepate.
Poteva quasi vederla, una cappa oscura e tesa << Sì. Voglio solo tornare dai ragazzi >> << Sei così preoccupato per loro? Sono al sicuro >> Charles non rispose, limitandosi ad annuire con poca convinzione << Che vuoi fare quando lo troverai? >> << Trovare chi? >> << L’autore del terremoto >> << Sonderò la sua mente >> << E se lo giudicherai una minaccia? >> << Lo eliminerò >> parlò senza indecisione né la minima esitazione, come se fosse semplicemente una conseguenza inevitabile.
Gli mise i brividi, quello non era affatto l’uomo che conosceva << Non riesco davvero a credere che tu sia diventato così >> << Non posso permettermi più alcun moralismo. Quei ragazzi non hanno nessun altro che li protegga >> si comportava come un lupo capobranco, disposto a tutto per difendere i suoi compagni.
Forse non aveva rinunciato alla convivenza con gli umani, ma non era più disposto a porgere l’altra guancia.
Sospirò, sbottonandosi il colletto della camicia che indossava e decise che non era il momento più adatto per una conversazione, perciò si rialzò in piedi e andò alla cabina di pilotaggio, lasciandosi cadere sul sedile del copilota dopo aver chiuso la porta alle proprie spalle.
Hank si irrigidì solo nel vederlo entrare, stranito dalla sua presenza almeno quanto lo fu dal secondo sospiro mesto che fece sedendosi.
Inutile dire che non si fidava affatto di lui, inutile dire che vederlo morto lo avrebbe fatto dormire sonni più tranquilli, ma era un uomo di scienza e sapeva che ogni cosa ha il suo perché << Si suppone che tu sia il suo migliore amico, giusto? >> esordì, spiazzandolo un po’ con il suo tono e anche la sua noncuranza visto che Charles poteva ascoltare tutto << Può seguire ogni nostro pensiero comunque. Non lo farà, se lo facesse sempre non riuscirebbe nemmeno più a pensare, quindi fingiamo che sia solo una persona normale e non il telepate più potente sulla faccia della terra >> << Il secondo telepate più potente >> lo corresse automaticamente << Ma certo, esclusa la giovane rossa >> concesse Erik con un gesto noncurante della mano << Come diavolo è diventato quella sottospecie di depresso paranoico? >> Hank strabuzzò tanto gli occhi che quasi temette gli sarebbero rotolati a terra, perché anche se non aveva urlato Charles avrebbe potuto benissimo sentirli, ma proprio come Magneto aveva detto non li raggiunse alcuna intromissione dalla cabina principale.
Sospirò con un respiro tremante, inserendo il pilota automatico e lasciando andare la cloche << Parli dei sistemi di sicurezza? >> domandò in un mormorio << Non solo quelli. Ammetto che mi sono sorpreso per il bunker, ma dopotutto l’esercito è a conoscenza dell’ubicazione della scuola e credo che sia un bene premunirsi contro di loro. Parlo di come si sia messo in assetto da combattimento prima ancora di capire cosa sia successo >> << Dopo l’Egitto è diventato un po’... non è stato facile per lui. Non è riuscito a proteggere nessuno, nemmeno se stesso. È stato un duro colpo. Crede che sia colpa del suo esitare >> << Anche tu lo credi? >> domandò, un po’ sorpreso di notare del biasimo nella voce dell’uomo.
Quello si strinse nelle spalle, gli lanciò un’occhiata eloquente e non aggiunse altro.
Ma certo.
Dopotutto se non avesse esitato con lui, En Sabah Nur non sarebbe mai arrivato a catturarlo.
Si morsicò la lingua per trattenere un’imprecazione, lo sguardo fisso adesso sul cielo limpido di fronte a sé, e per alcuni lunghi minuti non si dissero nulla << È persino meglio di quel che pensassi >> si lasciò sfuggire infine con sarcasmo bruciante << No, è solo un periodo. Ha passato di peggio, davvero. Comincia a preoccuparti quando ha più alcol che sangue nelle vene. Quello sì che tira fuori il peggio di lui >> << Charles non è un alcolista >> la sola idea lo inorridiva, ma in risposta Bestia gli scoppiò a ridere in faccia, scuotendo il capo << È solo un genio dell’autocontrollo. Conosco persone che non toccano più un goccio dopo aver passato quello che ha passato lui. Invece è sobrio da dieci anni, anche se si concede un bicchiere ogni tanto. Questo non mi fa dimenticare che è un telepate >> << E il sonno invece? >> << Non ha mai dormito granché. Gli passerà >> non sapeva se il suo fosse fiducioso ottimismo oppure noncuranza.
Possibile che credesse semplicemente che non avesse bisogno di aiuto?
Ma del resto che genere di aiuto potevano dargli?
Sempre che lo avesse accettato.
Sospirò, si passò la mano sugli occhi e si massaggiò la fronte, chiedendosi come fosse meglio agire.
Era venuto lì per un motivo del resto, e non se ne sarebbe andato senza esser soddisfatto << Ti preoccupa davvero Charles? >> << Non mi aspetto che tu mi creda. Non ne ho nemmeno bisogno >> Hank sospirò << Non è questione di crederti o meno, non è possibile che io lo faccia e basta. Mi chiedo solo se tu sia pronto ad accettarne le conseguenze >> << Non ve ne saranno >> << Come vuoi >> concesse lo scienziato, ma non sembrava molto convinto.
Di nuovo si protrasse un piccolo silenzio, finché Hank non lo interruppe: << Per nessuno è facile digerire il fallimento >> mormorò << Quale fallimento? >> l’altro sbuffò ironico, scuotendo il capo << Charles è una persona, maledetto psicolabile. Per lui i duemila morti causati da te e da En Sabah Nur sono un fallimento. Lo è il non averli protetti, il non aver fatto nulla per prevederlo. Lo è la morte della tua famiglia >> aggiunse in un sussurro << Sono tutte cose che Charles non poteva controllare. Non ha alcun motivo di sobbarcarsi la responsabilità di quanto successo >> << Quando quel mostro si è unito a Cerebro per distruggere le testate è stato Charles a farlo entrare. Si è aggrappato ad un desiderio che Charles aveva nel cuore. Gli ha svelato di che potere è capace. È come scoperchiare il vaso di Pandora, capisci? È un suo fallimento sentirsi attratto da quel potere >> << Lo pensi anche tu? >> << Quel che penso io non importa. Importa che sia lui a pensarlo. Importa che possa far dimenticare all’intero maledetto mondo la nostra esistenza e non l’abbia fatto. Importa che possa convincere tutti ad eleggerlo Presidente degli Stati Uniti e invece non lo faccia. Capisci adesso? Importa. Charles con la sua telepatia potrebbe portare la pace per tutti noi, l’accettazione, ma vorrebbe dire gettare via tutto ciò in cui crede. Questo sì che può togliere il sonno >> Erik imprecò, batté un pugno sul bracciolo e rimarcò la propria imprecazione.
Perché era tutto così complicato quando si trattava di Charles Xevier?
Fissò il cielo così ingiustamente azzurro e terso, così colmo di luce e positività e lo odiò almeno quanto aveva odiato chiunque altro in passato << È tutta colpa mia >> morsicò, e Hank ebbe la gentile decenza di stare in silenzio, preferendo lasciar parlare quello.
Parlò solo dopo qualche momento, quando fu sufficientemente sicuro che il senso di colpa avesse lavorato a dovere << Vorrei che fosse così, perché sarebbe sufficiente eliminare te per eliminare il problema. Invece, a dispetto di quel che vorrei non sei affatto tu l’unica causa. E lui non è così malconcio. Credo che sia semplicemente maturato a dirla tutta >> << Maturato dici? E da quale espressione di autodistruttivo panico e terrore lo deduci? >> << Per quanto vuoi continuare a parlare di me fingendo che io non stia ascoltando, vecchio amico? >> si intromise la voce del telepate, armata di esasperata pazienza << Posso costringere il mio potere ad ignorarvi, ma l’udito è un senso passivo, non si può spegnere >> Erik ridacchiò tra sé e sé mentre Hank invece impallidiva, senza alzarsi ma limitandosi a fare un cenno perché la porta si aprisse e la voce del professore smettesse di giungere ovattata << Stavamo solo scambiandoci le nostre reciproche impressioni >> si difese affatto pentito << Se tu continui ad erigere muri intorno a te che altro dovrei fare? >> << Rispettare i miei muri sarebbe un passo avanti. Pazientare sarebbe educato. Cercare di capire che non ho bisogno del tuo aiuto sarebbe un miracolo, ma nemmeno io posso sperare in tanto >> finalmente Erik si alzò, più per pietà del povero scienziato al suo fianco che per altro, e tornò al suo posto di fronte al telepate.
Era tornato l’affabile professore, gli occhi di nuovo mare su cui il sole si riflette e la bocca generosa piegata in un sorriso.
Quella menzogna faceva male solo a vederla << Io non sono uno dei tuoi studenti, Charles, te l’ho già detto >> << Perché non mi dici invece perché sei venuto qui? A parte tormentare me  >> << Non ti è bastata la mia giustificazione dei giorni scorsi? >> << No >> << Non ne ho altre. Dovrei inventarmene una? >> << Più convincente almeno >> ribatté il professore.
Di nuovo situazione di stallo.
Si fissarono senza che nessuno dei due mollasse, lasciando crescere la tensione senza fare nulla per fermarla.
La mascella del telepate era contratta quando Erik parlò di nuovo << Hanno intenzione di schedarci, lo hai sentito? >> fece con noncuranza << Mi chiedevo quando avresti tirato fuori la questione >> mormorò Charles massaggiandosi la fronte << E quindi? >> << Non siamo in campagna elettorale. La cosa resterà parola morta almeno per altri quattro anni >> << Quindi te ne disinteressi? >> << Mi hanno già convocato per un numero indicibile di consulti e convegni. Mi chiedi se me la sento di sottopormi al pubblico linciaggio? Ho di meglio da fare >> << Sei il nostro leader pubblico >> il sorriso che Erik sfoggiava non meritava nient’altro che l’occhiataccia che si guadagnò, eppure fu utile visto che riuscì a strappargli anche un sorriso.
Sospirò poi, cambiando leggermente posizione sulla poltrona << Quando cominceranno a parlare seriamente di schedarci gli X-Men saranno già abbastanza appoggiati da avere qualcuno che ostacoli la proposta >> << Quindi lavori sul grande piano come al solito. Che farai quando non funzionerà e l’umanità ti deluderà ancora una volta? >> il mal di testa di Charles aumentò sensibilmente con quell’unica semplice domanda, passando da semplice fastidio a vero e proprio dolore << Vuoi trasformare i tuoi ragazzi in vigilanti mascherati? >> << Non voglio fare proprio nulla. Voglio che sappiano difendersi. Voglio che non siano impreparati la prossima volta che deciderai di ucciderci tutti >> sibilò con rabbia del tutto gratuita ma dettata dall’irritazione.
Erik incassò e si morse la lingua per non ribattere, dimostrando a se stesso che poteva sopportare un po’ più di quel che era abituato a fare.
Non aveva vissuto per dieci anni da semplice umano del resto?
Non aveva lavorato in una stupidissima fabbrica e creduto con ogni fibra del suo essere che fosse la cosa più importante del mondo?
L’esasperazione di Charles non era più dura da digerire delle decine di uomini mediocri e infimi che aveva costretto se stesso a frequentare << Scusa. Non... ignora quello che ho detto >> disse il telepate dopo l’ennesimo sospiro << No, va tutto bene. Non scusarti, è perfettamente legittimo quello che hai detto >> << La CIA vuole i dossier dei ragazzi >> se ne uscì il professore, con la sofferenza di chi si strappa un dente.
Erik trattenne il fiato, poi si sporse in avanti con il busto, appoggiandosi al tavolo << Che cosa hai deciso? >> sibilò minaccioso << Che cosa vuoi che abbia deciso? Ho risposto di no, ho detto che non potevano avere nessuna informazione su di loro. Sono sotto la mia responsabilità >> << Non si arrenderanno, Charles >> << Sì invece >> Erik si sentì morire a quelle parole, ebbe paura di quel che sarebbe seguito << Ho promesso loro che potranno avere me. Cerebro. Tutte le informazioni che vorranno, ma niente sui mutanti >> << C-cosa?! >>  << È il compromesso più vantaggioso che potessi strappare >> << Vantaggioso? Lo chiami vantaggioso questo? Ti trasformeranno in un’arma, Charles. Ucciderai delle persone, ti strumentalizzeranno, e per come sei fatto ti faranno uscire di senno! Questa non è una soluzione, è un maledettissimo contratto con il diavolo >> gli occhi grigio-azzurri di Erik divennero duri come il metallo che controllava, terribilmente gelidi nel guardarlo << Non è di certo questa l’unica soluzione, lo sai bene >> << Naturalmente. Non per te, certo. Potrei sempre cancellare tutti i loro ricordi, giusto? Ordinar loro di bruciare i nostri dati, i rapporti, magari anche di impiccarsi tutti insieme in una volta. Erik, io non sono te >> azzannò il telepate furibondo << Credi che questo sia il male minore? Oppure sei davvero così fiducioso nei loro confronti? È la CIA, dannazione! Non sono boy-scout, non sono i buoni contro i cattivi del mondo! Ti stanno solo trasformando in un bersaglio, maledetto ingenuo, e presto o tardi coloro contro cui ti metteranno verranno a massacrare te e tutto ciò a cui tieni! >> << Non lo permetterò. Non sapranno mai della nostra esistenza >> Erik batté un pugno sul tavolo per rimarcare la propria rabbia, ma ovviamente non poteva sorprenderlo in alcun modo << Almeno finché non troverai un altro telepate, giusto? Una volta mi hai detto che potete percepirvi a vicenda, che Emma ti era impenetrabile quanto tu lo eri a lei. Cosa farai se uno dei ricercati della CIA utilizzasse un altro Professor X per rintracciarti? >> << Stai esasperando la cosa. E ho già detto che non saranno implicati i mutanti >> << Di quelli si occuperà il tuo piccolo esercito privato, giusto? Charles Xevier contro tutto il male del mondo. Patetico >> sentenziò infine incrociando le braccia al petto con ostentazione, e persino il telepate ne sembrò sconvolto, abbastanza da fissarlo a bocca aperta.
Poi però lo stupore lasciò spazio alla rabbia, quella rabbia che solo Erik Lehnsherr riusciva a scatenare dentro di lui: << Se avranno paura di noi cosa pensi che li fermerà dal portarli di nuovo verso il futuro che abbiamo scongiurato? >> sibilò << Se non mostreremo che siamo disposti a condividere il potere che possediamo chi li distoglierà da quel futuro, Erik? Credi che En Sabah Nur non li abbia terrorizzati abbastanza? Credi che ci metteranno molto ad organizzare una nuova caccia alle streghe? >> << Abbiamo le armi per poterla vincere! >> gli ringhiò contro l’altro, osteggiando il suo tono pacato e tagliente alzando invece la voce << Non sei cambiato affatto >> sibilò << Speravo che fossi tu ad esserlo abbastanza! Invece continui a lasciarti trascinare! La CIA, maledetto te! È per colpa di quella donna? È stata Moira a convincerti? >> << Oh Dio, non posso credere che tu l’abbia detto davvero >> << Non sono io quello che si è offerto di fare da spia all’organizzazione più pericolosa del mondo. Credevo tu possedessi più buonsenso >> << COSA DOVREI FARE?! >> urlò a quel punto Charles, con tale violenza da lasciarlo stupefatto.
Le sue mani erano strette a pugno e tremavano, il suo intero corpo tremava, costretto in una morsa di furia che lo rendeva spaventoso.
Per un momento Erik fu molto consapevole del fatto che poteva renderlo un vegetale che sbavava sul pavimento con meno sforzo di quello necessario a sbattere le palpebre << Sanno che esistiamo >> continuò, facendo scivolare le parole fra i denti come se faticasse ad esprimerle << Sanno che io esisto. Immagino che offrirmi di collaborare con loro sia più dignitoso di costringerli a venirmi a prendere e rinchiudermi chissà dove finché non obbedisco alle loro richieste. Hanno mille modi per obbligarmi. Hanno un’intera scuola di modi per obbligarmi >> aggiunse fremente << Dovrei seguire il tuo metodo quindi? E cosa mi chiamo a fare “Professore” allora?! Perché insegno a quei ragazzi a non nascondersi, ad essere fieri, a non aver paura? Offro me stesso perché non scoprano Jean magari, oppure Kurt, o Pietro. Offro me stesso perché io posso difendermi per quel poco che mi è concesso, mentre i miei ragazzi no! >> lo indicò con una mano, imprecando coloritamente << Credi che se avessero avuto un modo per controllare te ti avrebbero rinchiuso sotto il Pentagono? Con il tuo potere? L’America ti sfoggerebbe ad ogni dannatissima parata degli armamenti del 4 Luglio. Io mi sono costruito un guinzaglio, quel guinzaglio mi tiene in vita e mi fa svegliare ogni luridissima mattina, quindi sì, sono disposto a vendermi all’organizzazione più pericolosa del pianeta se significa tenere al sicuro coloro che amo! >> si passò una mano sul capo, un gesto che aveva fatto per troppo tempo perché fosse cancellato dalle poche settimane che era stato calvo, e lasciò andare tutta l’aria contenuta nei suoi polmoni per calmarsi.
Il mal di testa si era ormai trasformato in un pulsare costante e doloroso, ma gli fu grato adesso perché gli permise di avere qualcosa su cui focalizzarsi per riacquistare la compostezza.
Guidò da sé la bottiglia di whiskey e tolse il tappo intarsiato prima di portarsela alle labbra e suggere una lunga sorsata << Non tirare più fuori l’argomento >> ammonì senza guardare l’Erik dal volto congelato dallo stupore che lo stava fissando << Non ho intenzione di consultare te sulle questioni che riguardano la mia vita e la mia scuola. Non so cosa ti abbia portato qui, ma almeno una cosa è certa: non resterai per sempre >> fu lui a comandare alla scacchiera di porsi fra loro questa volta, cominciando a disporvi i pezzi mentre cercava disperatamente di essere l’uomo che voleva essere ma che non riusciva ad essere << Ti aspettavi che mi dicessi d’accordo? >> fece Erik allora, come se non avesse parlato affatto anche se era chiaro che aveva prestato attenzione << Che applaudissi all’ennesimo compromesso autodistruttivo di Charles Xavier? >> << Oh ti prego... >> << Non pregarmi >> lo freddò tagliente << Me l’hai detto perché tu stesso pensi che sia una pessima idea. Come al solito costringi me ad affrontare le verità scomode, non è così? Lasci che sia la mia bocca ad essere egoista e meschina, giusto? Oppure volevi solo qualcuno contro cui urlare? >> Charles sollevò solo gli occhi per guardarlo, le pupille diventate due punte di spillo in mezzo all’abisso << Comincio ad essere davvero stanco di te. Forse Raven aveva ragione >> << Tendi ad allontanare chiunque provi anche solo ad essere in disaccordo. Neppure tu sei cambiato, Charles, ma ti concedo un consiglio, in nome della nostra amicizia: non sai tutto >> << Vaffanculo, Erik >> << Almeno adesso vedo in te qualcosa di vagamente riconoscibile >> sentenziò il tedesco incrociando le braccia al petto << Perché non chiedi semplicemente il mio aiuto? >> continuò << Perché non mi dici soltanto che non hai il coraggio di sporcarti le mani e chiedi a me di occuparmene? >> << Non è quello che ti ho chiesto. Anzi, non ti ho chiesto proprio nulla >> << Naturalmente >> sbuffò Erik sarcastico e sprezzante in egual modo, tanto che Charles per la prima volta nella sua vita dovette lottare con tutto se stesso per non fargli del male.
Avrebbe potuto, per Dio, avrebbe potuto rendere quell’insulso uomo stracolmo di ego a strisciare ai suoi piedi, ma si trattenne con un lungo e tremante respiro profondo, chiuse gli occhi e si impose la calma.
Lo sforzo lo lasciò spossato e di malumore, bevve ancora anche se si costrinse a versare il liquido dorato in un bicchiere, e lo svuotò prima di tornare alla scacchiera.
Mosse il cavallo << Hai studiato Fisica, giusto? >> se ne uscì dopo essersi schiarito la gola con noncuranza.
Erik aveva perso il conto di quanti loro litigi erano finiti così, non aveva abbastanza dita per ricordare le volte in cui Charles aveva semplicemente cambiato argomento quando la rabbia diventava troppo da gestire per lui, e per quanto esasperazione e frustrazione montassero in lui per quel comportamento, qualcosa in esso lo tranquillizzò anche perché era decisamente da loro.
Un loro piuttosto lontano comunque, prima di Washington, prima di Cuba, quando le loro giornate erano scandite da ricerche fra i mutanti di tutto il mondo e chiacchiere infinite nello studio di Brian Xavier << Sì. Non so come tu lo sappia comunque >> lo assecondò << Ho fatto delle ricerche su di te. E la testa di Shaw ha fatto il resto >> rispose l’altro con semplicità, guardandolo fare la sua mossa.
Evitava accuratamente il suo sguardo, continuando a fissare il suo fosco sulla scacchiera come se potesse incenerirla solo in quel modo << Dovevo conoscere il mio potere, per questo l’ho fatto >> << È esattamente il motivo per cui dovresti insegnarla >> dichiarò Charles << Abbiamo alcuni ragazzi a cui potrebbe essere d’aiuto. Non tutti hanno il controllo innato di Pietro >> fingeva di non aver detto meno di cinque minuti prima che se ne sarebbe andato.
Ma con lui era così, del resto.
Le illusioni erano tutto per Charles. Senza le illusioni sarebbe stato perduto.



NA: Grazie a tutti per aver letto :) 
Con il prossimo capitolo la trama comincerà un po' a delinearsi e spero tanto che Sua Altezza Stan Lee non decida di mandarmi un accidenti XD XD

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Percorse il corridoio bluastro che si snodava sotto alla villa in silenzio, il suono gommato delle sue ruote che si confondeva con le suole di cuoio dei due uomini che lo accompagnavano, mentre invece lo scalpiccio lievissimo dei piedi di Jean si sentiva a malapena.
Era ancora troppo instabile per Cerebro, probabilmente era così potente che lo sarebbe stata per sempre, ma non le aveva ancora mostrato di cosa era capace la telepatia sfruttata al suo massimo e quella poteva essere un’ottima occasione.
Scott probabilmente l’avrebbe accompagnata anche adesso se lei non gli avesse ricordato con rimprovero che aveva da finire una tesina, perciò era venuta da sola, jeans e camicia legata in vita coi lunghi capelli rossi stretti in una treccia composita.
Giunsero di fronte alla grande porta d’acciaio segnata dalla x e attese con il cuore che batteva nervoso che lo scanner lo riconoscesse.
Non era più tornato lì sotto da quel giorno.
Hank aveva fatto affiggere una targa dove era morto Havok, ma Charles la trovava sgradevole e irritante, nonché senz’altro superflua, anche se non aveva espresso il suo parere a riguardo, limitandosi ad ignorarla.
Percorrere il breve spazio sospeso nel vuoto che lo separava dal casco richiese più sforzo di quel che sarebbe riuscito ad ammettere, e si sorprese di provare paura, paura di non conoscere affatto quel che sapeva essere cambiato di sé e del suo potere, paura di veder ingigantite come sempre le sue malandate percezioni come solo Cerebro sapeva fare, rivelando così a tutti il suo malessere.
Non si tirò indietro comunque, nessuno si accorse del tumulto che provava, si limitò ad attendere che Hank accendesse il macchinario come sempre, si sforzò di svuotare la mente per non provare la sensazione spiacevole di venir annullato dalle richieste altrui, ma prima che potesse rendersi conto di quale sciocchezza fosse stata collegarsi, un’accecante luce dorata lo attraversò con la potenza di un fulmine.
C’erano le menti del mondo, miliardi di voci si accavallavano l’una sull’altra senza alcun apparente senso, c’erano le urla e i pianti, le emozioni contrastanti e indifferenti che si abbatterono su di lui con violenza per l’essere state scorte così intimamente da quell’intrusione indesiderata, ma questo non era niente di nuovo dopotutto, lo aveva già sperimentato, quel che gli era del tutto estraneo era il potere.
Mentre si sforzava trattenendo un gemito di escludere gli umani e concentrarsi solo sui mutanti, ebbe tra le mani le capacità di ciascuno di loro, i loro doni si inchinarono al suo volere come fosse quello dei proprietari, e se nelle miriadi di volte che aveva usato Cerebro nessuno se n’era mai accorto, adesso in molti sollevarono il capo al cielo, come se una voce divina li contattasse, e Charles dovette usare tutto se stesso per imporsi di non governare quelle menti accoglienti.
Erano gli esclusi, gli emarginati, coloro che avevano ascoltato il messaggio di En Sabah Nur e avevano sperato nel mondo che lui aveva profetizzato.
Erano coloro che volevano che li usasse per distruggere coloro che li vessavano e odiavano << Oh mio Dio >> ansimò, aggrappandosi ai braccioli della sedia per cercare di riportarsi al presente, al Professore che era, alla scuola, ad Erik che, di fianco a lui, gli avrebbe rinfacciato quanto avesse ragione.
Lo supplicavano di usarli.
Aveva odiato quel mostro per averlo costretto a farlo.
Finora Cerebro non era mai stato usato con quello scopo, non aveva nemmeno creduto che potesse, ma il suo dono, la sua maledizione, si era ingigantito dopo essere stato toccato da quell’essere e se prima era stato solo un semplice osservatore adesso si era trasformato in un vero e proprio marionettista.
Nessuno doveva saperlo.
Lui avrebbe continuato ad ignorarlo, giurò a se stesso che non avrebbe mai usato un simile potere, non avrebbe mai spezzato così violentemente le menti altrui. Mai più.
Rinsaldò la propria convinzione, strinse le labbra fino a farle impallidire mentre si comandava quanto andasse fatto, pensò alla povera Jean che stava spaventando.
Chiuse gli occhi e allontanò chiunque non stesse pensando a lui o a dove si trovava.
Erano ancora molti, le luci rosse intorno a loro diminuirono ma erano ancora migliaia, molti fra coloro che volevano il suo assurdo governo.
Furono i primi ad essere allontanati, poi coloro che lo conoscevano solo per En Sabah Nur, coloro che avevano bisogno del suo aiuto, un piccolo gemito per questi, infine rimasero solo coloro che lo consideravano un nemico, da uccidere o eliminare.
Nessuno di loro aveva un potere capace di fare quel che aveva fatto la notte scorsa.
Ma forse era semplicemente paranoico, forse non era lui l’obiettivo, quindi ripercorse ogni passaggio per ciascuno dei suoi ragazzi, di coloro che conosceva, ma ancora una volta non ci fu alcun risultato << Non riesci a trovarlo? >> chiese Erik, partecipe del tormento che gli imperlava la fronte e prosciugava il sangue dalle labbra seppur senza sapere quale fosse.
Spiegò la situazione imponendosi di parlare senza far tremare la sua voce, senza tradire la propria stanchezza adesso, ma il fatto che avesse bisogno di più forza per non usare il proprio potere era significativo << E se non volesse affatto ucciderti? >> fece allora Hank con un sussurro, sufficiente però ad attirare così l’attenzione degli altri << E cosa vorrebbe da me un nemico? >> la risposta giunse subito dopo, istintiva come la domanda che l’aveva preceduta, facendolo rabbuiare << Naturalmente >> sibilò a denti stretti.
Cercò di nuovo, chi volesse usarlo questa volta, e poteva far gelare il sangue il numero di luci rosse che rimasero accese.
Avrebbe potuto ucciderli tutti.
Non lo aveva pensato per coloro che avevano voluto il suo male, non temeva né l’odio né la volontà di distruzione, ma la mancanza di controllo che già una volta aveva sperimentato... sì, per quella avrebbe ucciso a sangue freddo.
Fu terribile rendersene conto, proiettò ondate di odio che si espansero da lui come mani fisiche, facendo indietreggiare Hank e Jean e chinare Erik al suo fianco per prendergli una mano << Charles? >> lo chiamò e seppur fosse una debolezza lasciò che le proprie dita si intrecciassero alle sue, e le stringessero, ricordandogli così chi e cosa era.
Aveva bisogno della propria nemesi per ricordarselo.
Le luci si spensero man mano che lui giudicava la loro forza, la loro capacità, e quando lo trovò, un normalissimo uomo seduto nel suo studio di Yale, un docente di Storia, in giacca di tweed marrone e barba curata, la perfetta facciata da insegnante amabile e competente, Charles ebbe l’impressione che i limpidi occhi verdi si posassero con precisione sui suoi << Salve, Professore >> scandì con un sorriso, poco prima che il telepate si ritraesse come una chiocciola cui hanno toccato le antenne, quasi scottato da quella personalità così travolgente.
Si strappò il casco di dosso anche sapendo in che stato questo l’avrebbe lasciato, ma il cuore che batteva all’impazzata era causato dalla pura paura, non dal dolore nella sua testa.
La sua testa nemmeno c’era in quel momento, era il terrore a governare, la consapevolezza viscerale che tutto ciò che desiderava era stare il più lontano possibile da quell’essere.
Sentì la voce di Hank che lo chiamava, quella di Jean, ma gli arrivavano come da lontano, c’era troppo orrore in lui perché li ascoltasse davvero.
Erik guardò gli occhi azzurri diventare quasi di un colore elettrico, acquoso, la pupilla vi galleggiava come se non vi fosse più niente che valesse la pena esser visto o compreso << Charles >> lo chiamò ancora, non voleva lasciarsi prendere dal panico che gli serrava lo stomaco, e di nuovo quando non vi fu alcuna reazione, lo chiamò con supplica, più di quella che avrebbe mai ammesso a voce alta.
Gli prese il volto tra le mani, chiedendosi se respirasse ancora vista la statua che era diventato << Va tutto bene >> sussurrò << Sei al sicuro. Lo giuro, Charles. Alles ist gut >> si posò le dita inerti sulla tempia mentre Hank spariva a prendere qualche medicinale che non conosceva e Jean scoppiava in lacrime.
Non sapeva se percepisse ancora quel che lo circondava, ma si sforzò di pensare a qualcosa di buono, a qualcosa di sano e rassicurante, e fu terrificante scoprire in se stesso che le uniche immagini che possedeva a riguardo contenevano il calore di Charles in esse.
C’era Charles in mezzo all’oceano, che stringeva un estraneo e gli ripeteva che non era solo.
C’era Charles in una notte davanti alla CIA, che gli offriva amicizia e fiducia.
C’era Charles, sempre, che piangeva quando lui non se lo permetteva e lo supplicava di rinunciare al male.
Solo quando sentì il profondo respiro che provenne dal telepate si rese conto di aver trattenuto il proprio, le membra di lui persero la propria rigidità e cadde in avanti, costringendolo a trattenerlo perché non cadesse dalla sedia << Va tutto bene >> ripeté ancora, dovette sforzarsi per non stringerlo a sé << Il Collezionista >> sussurrò il professore, vicinissimo al suo orecchio, e solo per questo probabilmente riuscì a sentirlo << Il suo nome. Il Collezionista >> dopodiché perse conoscenza del tutto.
Hank tornò mentre Erik lo prendeva tra le braccia, ma qualcosa in quello sguardo di tempesta gli impedì di avvicinarsi o fermarlo quando gli passò davanti.
Si mosse verso la stanza di Charles senza dar cenno di vedere nessuno intorno a sé, le sue biglie di metallo che roteavano lentamente intorno a loro erano l’unico segno che lui fosse consapevole del mondo che li circondava, finché non lo adagiò sul suo letto e le lasciò a lui.
Non sapeva ancora chi fosse questo Collezionista, ma che fosse un morto che ancora camminava era già deciso.

 
NA: Scusate tantissimo se il capitolo è breve, ma volevo che fosse un pochino "separato" dal resto. Cercherò di rimediare uppando subito il seguito! XD

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Il giorno dopo la battaglia in Egitto, qualche mese prima
 
Erik era rimasto molto sorpreso da quel che era diventata la scuola.
Non era cambiata molto esteticamente, solo qualche rampa o ascensore in più che non c'erano stati la prima volta che vi aveva messo piede, c'era un campo da basket dove prima era stata solo erba, ma per il resto la villa era esattamente come la ricordava.
Anche la sua stanza era identica.
Era stato sicuro di non avervi lasciato niente di suo, giacché quando l'aveva lasciata, per partire per Cuba quella mattina, era stato già sicuro che non vi avrebbe più fatto ritorno.
E invece eccolo lì, di nuovo, in mezzo a mobili pregiati e tappezzeria antiquata, ospite di Charles Xavier ancora una volta.
In realtà non l'avrebbe nemmeno riconosciuta come propria quella stanza se non fosse stato per quel particolare: sul letto, esattamente dove lo aveva lasciato ormai quasi vent'anni prima, c'era il suo portafogli.
Gli uscì una risatina soffocata mentre lo riconosceva, era stato certo di averlo perso da qualche parte, qualche altra parte, e invece era rimasto lì per tutto il tempo.
Perché era ancora lì?
Una morsa al petto gli ricordò l'importanza che aveva avuto e il modo in cui l'avesse calpestata, ignorandone il valore; a volte era stata insopportabile quella sensazione, soprattutto mentre era rinchiuso in quella cella sotto al Pentagono con nient'altro da fare se non rimpiangere i propri errori, ma aveva sperato di non provarla mai più dopo Washington, dopo aver accettato di vivere come un uomo normale, dopo aver abbandonato la rabbia per la pace.
Non si era pentito di aver scelto una strada diversa da quella di Charles, si era sempre fatto bastare il semplice sapere che quell'uomo tanto simile e diverso fosse soltanto vivo e felice, ma quel portafoglio urlava più che mai che il Professor X non aveva mai smesso di desiderarlo al suo fianco.
E quale grandezza aveva raggiunto!
Quella scuola era la cristallizzazione materiale dei sogni del telepate, quei ragazzi la testimonianza vivente di ciò in cui credeva, gli erano bastati i loro sguardi nel vederlo ancora vivo per esserne certo, erano il vanto del Professore.
E lui la sua più grande delusione invece.
Era stata questa certezza ad impedirgli di restare dopo Washington, e anche adesso, più che mai adesso, lo avrebbe portato a partire di nuovo.
Charles Xavier era una luce troppo accecante per lui, così abituato all'oscurità com'era.
Così forte, così saldo, certo di stare nel giusto come se una verità infusa guidasse i suoi passi. Quell'uomo sembrava composto della fibra più resistente mai creata da Dio, persino dopo aver combattuto contro Apocalisse era stato capace di sorridere e tranquillizzare i suoi ragazzi, anche se era stato lui quello a rischiare la vita più di chiunque altro.
E lui invece… aveva ceduto alla debolezza ancora una volta, si era lasciato inghiottire dal dolore e dalla solitudine, dalla vendetta, aveva seguito quell'essere senza ribellarsi per il semplice desiderio di veder distrutto tutto ciò che nel mondo aveva distrutto lui.
Il potere e l'odio lo avevano prosciugato, non gli era importato né delle vite strappate via né di quanti fra loro avrebbero potuto meritare di vivere, se un tempo aveva ucciso credendosi il giudice e la giuria più adatti adesso era semplicemente morte, solo questo, la morte disinteressata di un uragano o un terremoto.
Come avrebbe potuto restare in quella casa, la casa di Charles Xavier, l'uomo che aveva agito in quel modo?
Improvvisamente non riuscì più nemmeno a respirare in quella stanza.
Prese il portafogli e lo gettò nell'immondizia, quindi uscì con un sospiro trattenuto trai denti, anche se non aveva una vera e propria meta.
Percorse il corridoio del secondo piano imponendosi di calmarsi, presto il rimpianto che gli stringeva la bocca dello stomaco si sarebbe dissolto, l'esperienza glielo assicurava, ma era abbastanza sicuro che qualche bicchiere di scotch avrebbe di molto aiutato il processo e sapeva anche dove poteva trovarne anche in una scuola per giovani dotati.
Lo studio del padre di Charles era immenso, più una biblioteca a dire il vero, con centinaia di volumi a tappezzarne le pareti e un piccolo salotto di divani in pelle a riunirsi confortevoli in mezzo a tappeti dalla foggia orientale, lo ricordava bene e non gli sembrò cambiato mentre superava la prima finestra che dava sul parco, ma prima che potesse raggiungere il mobile dei liquori che era il suo obiettivo si rese conto di non essere affatto solo nella stanza << Erik >> Charles era in un angolo della stanza, per questo non lo aveva visto, di fronte all'ultima vetrata e affianco ad un basso tavolino su cui faceva mostra di sé una bottiglia piena per metà.
Non sembrava sorpreso di vederlo, era impossibile sorprenderlo dopotutto, ma non poteva non trovare strana la sua presenza visto che una sola luce era accesa, lontana da lui per di più, senza scordare che si era congedato per andare a dormire più di un'ora prima.
Aveva mentito per venire lì, oppure il sonno era scomparso, ma ad ogni modo Erik si incamminò con disinvoltura verso di lui << Ce n'è un'altra bottiglia nel frigobar. Puoi portartela in camera se vuoi >> disse il telepate prima che lo raggiungesse, indicando  il bicchiere fra le sue mani, ma questa volta non riuscì a nascondere del tutto la voce roca.
Erik si fermò, chiedendosi se fosse il caso di proseguire, spaventato all'idea di farlo a dire il vero, la morsa sul suo stomaco si fece ancora più feroce, quasi insopportabile << C-Charles? >> la luce era troppo lontana perché potesse scorgere il suo volto, ma quando l'altro sollevò il bicchiere per svuotarlo in un lungo sorso, il baluginio giallognolo della lampada sulla scrivania riuscì ad illuminarlo abbastanza da rivelare le guance bagnate.
Erik si sentì trattenere il fiato, improvvisamente si rese conto che nessun elmetto poteva impedirgli di cadere nelle trappole di quell'uomo, fu dolorosamente ovvio che lui non aveva fatto altro che credere a ciò che chiunque altro credeva, vedere ciò che chiunque altro poteva vedere di Charles, ovvero un bel niente << Oh, non hai nulla di cui preoccuparti, vecchio amico. Vai pure a dormire, sarai stanco. Oppure sei venuto a salutarmi? >> chiunque altro avrebbe cercato di dissimulare, avrebbe finto o se ne sarebbe vergognato, invece lui si limitò a passarsi le dita sottili sul volto, prima sotto un occhio e poi sotto l'altro, asciugandosi le lacrime come fossero solo qualche macchia fastidiosa prima di sorridere come aveva fatto per tutto il giorno << Domani >> fu l'unica cosa che riuscì a dire, sconvolto dalla propria superficialità, i pensieri che aveva fatto poco prima gli parvero incredibilmente meschini adesso << Me ne andrò domani >> << Naturalmente. Lo scotch non ha smesso di conciliarti il sonno, vedo >> aggiunse poi, placido << Nemmeno a te >> commentò Erik indicando la bottiglia con un cenno e il professore ridacchiò scrollando il capo prima di versarsene ancora.
Fece cenno ad uno dei bicchieri ancora puliti sul ripiano poco lontano, quindi lo riempì e lo porse al signore dei metalli << Puoi stare qui finché non farà il suo effetto >> si spostò verso la scrivania, ma si fermò dall'altra parte rispetto alla poltrona nera del padre, così che la sua sedia a rotelle fosse affianco a quella imbottita dove Erik sedette << Stai bene? >> domandò quest'ultimo, anche se sapeva bene che la risposta sarebbe stata una menzogna.
Charles lesse i suoi pensieri probabilmente, perché preferì restare in silenzio.
Almeno lo rispettava ancora abbastanza da concedergli questo privilegio << Non ho mai smesso di rispettarti. Le supposizioni con cui appesantisci il tuo animo sono solo sciocchezze >> e bevve ancora, e se ne versò ancora.
Aveva intenzione di ubriacarsi evidentemente, ma non perdeva la sua compostezza nemmeno adesso << Potevi invitarmi alla tua piccola festa privata >> ironizzò prendendo un sorso, strappandogli un altro sorriso, più timido e contenuto questa volta.
Avrebbe dovuto capire dalla differenza quale fosse quello vero e quale quello falso.
Charles non doveva aver avuto una vita meno difficile della sua, era stato uno sciocco a giudicarlo dalla pacatezza che ostentava; anche lui, proprio come tutti gli altri, si era lasciato ingannare dal Professor X, e senza nemmeno costringerlo ad usare le sue capacità di mutante.
Bevve un altro sorso, si costrinse a mandarlo giù anche se significò lottare con la gola serrata << Non essere così melodrammatico >> lo blandì Charles << Sono io ad esserlo, quindi? >> << Tutti noi dobbiamo imparare a vivere nel mondo, non pensi? Quando mi hai incontrato ero ancora giovane e sprovveduto… ho imparato molto nel frattempo, sono cambiato. A cosa servirebbe mostrare quel che provo ai ragazzi? O a Hank o Raven persino… Ciò che sono e ciò che devo essere sono entità distinte che devo sforzarmi di far combaciare. Non puoi biasimarmi se l'ho fatto anche davanti a te. Non ho mai avuto il benché minimo sentore che sarebbe servito a qualcosa non farlo >> << Ti ucciderebbe mostrarti un briciolo meno saldo di quel che sei? >> << Questa domanda te la rigiro tale e quale, amico mio >> dichiarò l'altro con una risatina << È questo che insegni ai tuoi ragazzi allora? Che effetti ha sul loro adorato Professor X la sua incapacità di reinserirsi in modo proficuo nella società? >> fece, scimmiottando il suo accento, ma di nuovo l'unica reazione fu una breve risata ironica << Direi che hai centrato piuttosto bene il problema >> commentò il telepate, sollevando infine gli occhi su di lui.
Mi hai abbandonato.
Erik fu travolto da quelle vecchie parole con la forza di una cannonata.
Rivide il suo sguardo mentre gliele urlava contro, rivide la sua impotenza, il suo dolore, rivide la supplica che nascondevano.
Era stato lui ad insegnargli a comportarsi a quel modo, lui lo aveva portato a non fidarsi più di nessuno, no, a non affidarsi più a nessuno, a non cercare più in nessuno quel che aveva perso con così tanta sofferenza.
Si era costruito una nuova vita, si era risollevato e aveva imparato a vivere senza Erik, senza Raven, e quel che quello sguardo gli diceva adesso era che non aveva alcun diritto di biasimarlo se il metodo che aveva adottato non gli piaceva << Potevi chiamarmi >> si ritrovò a dire, gli uscì solo un sussurro << Potevi cercarmi >> << A che pro? >> lo sfidò il professore << Io e te siamo diversi, Erik. Inconciliabili. Non hai mai mancato di ricordarmelo >> << Potevo ascoltarti >> << Non avevo niente da dire che tu potessi ascoltare >> cominciava ad innervosirsi, Erik lo capì dall'irrigidirsi dei muscoli del braccio scoperto dalle maniche rimboccate, ma dopo aver svuotato di nuovo il bicchiere tornò a rilassarsi, diede in un respiro profondo e lo sguardo si fece languido e vitreo.
Erik lo imitò quasi meccanicamente, continuando a seguire ogni suo minimo gesto, dalle minuscole rughe d’espressione adesso quasi del tutto distese al movimento degli occhi infossati dalla stanchezza, finanche il lento incedere del suo petto che si alzava e abbassava al ritmo del suo respiro.
Aveva pensato di andare da lui quando erano morte.
Una parte di Erik, quella che aveva urlato per l’ingiustizia mentre le stringeva al suo petto, quella che non aveva trovato pace nemmeno nel seminare morte tra gli sventurati aggressori, lo aveva supplicato di raggiungere Charles.
Lui avrebbe capito, l’avrebbe aiutato, avrebbe sopportato di farlo urlare e sfogare, Charles lo avrebbe guarito.
Era stato certo di questo, vi aveva creduto con tale fervore che solo l’enorme vergogna per essere tornato ad essere un assassino, il timore di non venir accettato lo avevano infine convinto che tutto fosse perduto, sprecato, che nemmeno il telepate sarebbe stato capace di dimenticare che aveva ucciso sei innocenti.
E invece Charles non aveva affatto pensato a lui nei momenti di difficoltà, avrebbe potuto contattarlo facilmente ma non l’aveva fatto in tutti quegli anni, anche se la prova che ne avesse avuto bisogno era proprio di fronte a lui.
Improvvisamente si rese conto che lo aveva evocato spesso nella sua memoria, anche nei racconti con sua moglie, aveva anche accettato il fatto che avesse instaurato con lui un legame che trascendeva la mera amicizia fraterna, ma niente gli assicurava che lui invece non fosse solo uno spiacevole ricordo per Charles << Stai leggendo i miei pensieri adesso? >> << No >> poi: << Dovrei? >> << No >> rispose Erik.
Aveva avuto solo Raven quando lo aveva conosciuto, un ragazzo di vent’anni incapace di instaurare un rapporto più duraturo di una notte, e gliel’aveva strappata via, senza preoccuparsi minimamente dello stato in cui lo avrebbe ridotto la solitudine.
Non c’era più il siero e la rabbia era ben celata, ma il Charles furioso e disperato non era scomparso, era solo stato seppellito sotto la sua nuova facciata << Sai Erik... chiamo “dono” la mia telepatia, ma il numero di ricordi terrificanti che mi ha fatto collezionare ha dello sconcertante >> esordì l’altro, lontano anni luce dai suoi pensieri, oppure molto più vicino di quel che immaginasse.
Un tempo era stato più facile immaginare i suoi pensieri << Leggere la mente degli altri dovrebbe evitarmi le brutte sorprese, non pensi anche tu? Aiutarmi a prevedere i colpi più duri o qualcosa del genere, invece... a dirla tutta credo proprio che sia la mia mutazione la causa di alcuni dei miei dolori più atroci. Eppure insegno ai miei studenti proprio il contrario. A volte mi chiedo se io non sia il peggiore degli ipocriti oppure semplicemente il più ottimista >> << È a questo che stiamo “festeggiando”? >> domandò il tedesco indicando i loro bicchieri e Charles strinse le labbra come faceva sempre quando tratteneva un sorriso, anche se non riuscì a fare niente per quello che si liberò dai suoi occhi.
A volte glielo rendeva così facile.
Il semplice fatto che non si fosse mai accorto dei pensieri che faceva su di lui rivelava quanto poco usasse le sue capacità sulla sua mente << Festeggiamo la vittoria, naturalmente! >> esclamò proponendo il brindisi, ma dopo che il vetro ebbe tintinnato per il contatto che ne scaturì sembrò che questo fosse solo l’ennesima scusa per buttar giù gli ultimi sorsi di scotch rimasti nella bottiglia.
Le labbra morbide e rosse erano leggermente bagnate adesso, socchiuse di soddisfazione e per i respiri brevi per il calore dell’alcol << Devi parlare con qualcuno, Charles. Comprendo che tu non voglia farlo con me, non devi essere impazzito del tutto, ma devi... >> << La tua capacità di accettare i mutanti e i loro poteri è direttamente proporzionale alla tua totale incapacità di sopportare l’umanità che non li possiede. Non comprendere l'unicità e l'enorme potenziale di questo tuo pregio però è  anche la tua più grande mancanza >> lo interruppe con voce assente, lo sguardo perso da qualche parte  oltre la spalla di Erik << Nessuno ti ha mai detto quanto sia irritante il tuo continuo pontificare sulla morale e personalità altrui? >> ribatté l'altro facendolo ridacchiare.
La mano che non teneva il bicchiere era stretta sul bracciolo della sedia a rotelle, ma la risata suonò sincera tanto da far rabbrividire << Distorsione professionale, immagino >> commentò il telepate << Deve essere incredibilmente noiosa la vita di Charles Xavier >> lo punzecchiò il tedesco, ma questa volta non ricevette la reazione sperata.
Invece di rispondere, il professore si perse a fissare il vuoto, l'azzurro corrotto da una cupa nota giallognola intorno alla pupilla come a volte gli accadeva, e per un lungo momento non parlò.
Erik avrebbe dato la sua mano destra per scambiarsi le mutazioni in quell'attimo, ma se la sarebbe anche mangiata prima di esprimere a parole la sua curiosità divorante.
Quell'uomo davvero era sempre stato il gigantesco punto interrogativo che era adesso?
Prima però che potesse davvero prendere in considerazione l'idea di rinunciare alla sua mano dominante pur di far cessare il silenzio Charles sembrò tornare in sé, si portò distrattamente una mano alla testa e borbottò qualcosa sul fatto che fosse l'ora di ritirarsi a letto, Erik non lo trattenne perché sapeva di non possederne il diritto, ma mentre lo seguiva fuori dello studio e si congedava da lui dopo pochi passi, comprese che lo studente più impossibile di Charles Xavier era proprio Charles Xavier.



NA: Questo capitolo è un'altra piccola parentesi che mira ad approfondire il rapporto tra questi due testoni. Ho in programma un bel po' di flashback, in oridne sparso però, visto che non sono affatto ordinata come vorrei essere, ma spero comunque di soddisfare le fantasie delle tante Cherik-addicted come me che si sono riempite la testa di "what if" XD XD
A parte questo, spero di compensare la brevità del capitolo con la celerità con cui pubblicherò il prossimo: siamo già ad una prima stesura e tra qualche giorno vedo di mettere la versione definitiva :)

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


 
*
C'è un istante, prima del risveglio vero e proprio, in cui non ci rendiamo conto di essere davvero svegli, ciò che ci mostrano le nostre palpebre sollevate si fonde e confonde per qualche secondo con ciò che aveva occupato le nostre percezioni quando esse erano chiuse, sogno e realtà coincidono in un trepidante istante, finché gli altri sensi, i ricordi e la consapevolezza ci fanno definitivamente scivolare nella veglia più o meno consolatoria.
Una volta Charles gli aveva descritto quel momento dal suo punto di vista, gli aveva raccontato che non lo sperimentava da quando aveva undici anni, da quando la sua mutazione era entrata nella sua vita.
Al contrario, aveva avuto bisogno di parecchio tempo prima di imparare a dormire in mezzo alle voci invece, tutto il suo sforzo si concentrava nel trasformarle in un mormorio di sottofondo che potesse condire i suoi sogni senza disturbarlo, ma al mattino inevitabilmente, quando era più vulnerabile, lo assalivano senza alcun argine, lo aggredivano, e il suo sonno più che sfumare nel risveglio veniva letteralmente frantumato da quest'ultimo, dandogli anzi il più delle volte la sgradevole sensazione che i propri incubi notturni lo perseguitassero anche da sveglio.
Ebbe modo di assistere esattamente a questo fenomeno mentre Charles tornava in sé la mattina seguente, dopo più di quindici ore d'incoscienza: le labbra rubiconde si strinsero in una linea sottile, a palesare fastidio o persino dolore, dopodiché gli occhi si aprirono, semplicemente, non languidi e non assonnati, pareva che li avesse solo chiusi per un attimo, infine un respiro profondo accompagnò un sussurro che non riuscì ad identificare meglio << Comincia a diventare un'abitudine >> disse poi, a voce più alta, l'accento di cui andava tanto fiero che scivolava sulle lettere quasi in una carezza << Che cosa? >> domandò senza preoccuparsi di mostrare la propria presenza visto che doveva essergli già chiara.
Charles si puntellò con le mani al materasso e sollevò i proprio peso con gesti dettati dall'abitudine per permettersi di sedere contro la testata ricolma di cuscini << Farmi sballottare dal mio potere, naturalmente. Non è semplice abituarsi al nuovo livello >> non aveva niente dello sguardo terrificato del giorno prima.
Ma questa volta non gli avrebbe semplicemente permesso di far finta di nulla: << Cosa è successo mentre eri collegato a Cerebro? >> domandò senza preamboli, tradendo l'impazienza e l'ansia che lo avevano attanagliato per tutta la notte.
Avrebbe voluto avere un bersaglio su cui concentrarsi, invece si era costretto a restare fermo immobile a quel capezzale, la mascella contratta e le braccia incrociate mentre cercava di pensare con lucidità.
Charles si massaggiò la radice del naso e poi la fronte, dando in un sospiro stanco mentre si aggiornava di quanto accaduto intorno a sé. Erano informazioni già in suo possesso naturalmente, il suo potere non si “spegneva” solo per lasciarlo dormire, ma le registrò nel proprio io cosciente dopo essersi accertato che fossero affidabili e non parto della sua fantasia << Ho scoperto chi è questo mutante >> disse infine, tornando a guardarlo << La sua è una capacità a dir poco stupefacente, proprio come hai supposto tu. Può rubare i poteri di un altro mutante, usarli come fossero suoi >> << Con “rubarli” intendi che ne priva il legittimo possessore? >> << Esattamente >> << Come? >> Charles si strinse nelle spalle, scrollando il capo << Questo è tutto ciò che ho scoperto >> avrebbe potuto sapere molto di più, Erik conosceva il suo potere abbastanza da averlo temuto in passato, ma nell'ascoltare quell'ammissione ripensò al suo shock e si rialzò in piedi.
Si avvicinò di qualche passo, sostenendo lo sguardo dell'altro, e quando sedette sul letto ebbe premura di non essere né troppo vicino né troppo lontano, ben conscio di quanto fragile fosse il terreno che voleva calpestare << Ti ha spaventato >> non fu una domanda perché se lo fosse stata non avrebbe ricevuto risposta.
Fu solo un sussurro però, non poteva essere qualcosa di diverso << So che niente può far vacillare la roccia d'uomo che sei, ti ho visto disobbedire allo stesso Apocalisse pur del tutto incapace di combattere o fuggire, eppure ieri sei andato nel panico, Charles. Puoi far credere a tutti gli altri quello che vuoi, puoi cancellare la nostra memoria o ripeterci che è stato l'intensificarsi del tuo potere a causare il tuo collasso, ma io so. Quell'uomo ti spaventa in un modo che non credevo nemmeno possibile per uno come te. Spiegami perché, te ne prego >> << Non ho alcuna necessità di farlo. È un nemico pericoloso, che mi ha sorpreso e sconcertato. Non c'è altro oltre a questo >> a questo punto Erik esaurì la pazienza: << Quindi non è affatto vero che per la prima volta nella tua vita sei stato tu la marionetta di qualcun altro e questo ti ha terrorizzato abbastanza da non farti nemmeno dormire la notte >> Charles divenne una statua di marmo davanti ai suoi occhi, proprio come era accaduto nell'aereo; un momento era il gentile Professor X e il successivo uno spietato involucro di rabbia ribollente << Non è vero che tu, tu che non uccideresti per aver salva la vita, sei disposto a farlo invece per non subire più lo stesso trattamento. Vuoi uccidere questo Collezionista perché potrebbe essere forte abbastanza da usarti, da piegarti, e te in questo momento sei così instabile che probabilmente glielo renderesti persino facile. Vuoi ucciderlo perché piuttosto che far del male con le tue capacità sei disposto a morire, ma non a divenire schiavo. Anzi, pur di mantenere il tuo maledettissimo controllo, perché di questo si parla, preferisci persino consegnarti alla CIA, prima che, parole tue, siano loro a venire a prenderti. Ma per qualche assurdo motivo riesci persino a colpevolizzarti per questo! Riesci a trovare qualcosa di cui biasimarti, non è così? >> << Sono più forte di così >> azzannò il professore << Non puoi usare la manipolazione mentale su te stesso, Charles >> dichiarò il tedesco << Dover essere più forte di così ed esserlo davvero sono due cose ben distinte >> << E adesso che lo hai capito in quale modo fantasioso hai intenzione di affondare nel mio fianco scoperto? >> lo sfidò, con voce tanto tagliente da bruciare sulla pelle, ma Erik non si lasciò abbattere dal proprio rimorso, non adesso che era così vicino << Non riuscirai a farmi deviare il discorso questa volta, nemmeno così. Sei diventato un discreto manipolatore in mia assenza, persino peggiore di quel che eri >> << Non osare darmi del manipolatore. Se lo fossi stato non saremmo a questo adesso. Se lo fossi stato non sarebbe successo niente >> terminò in un sibilò rancoroso, fosco, colmo di qualcosa di profondo e maligno almeno quanto il rammarico di Erik << Charles, ho bisogno di sapere se puoi affrontare il Collezionista >> << Cosa ti fa credere che io non possa? Ho vissuto vent'anni senza di te, Erik, ho affrontato altri ostacoli senza aver bisogno del tuo aiuto, quindi non vedo davvero perché questa volta debba essere diverso >> << Perché naturalmente tu puoi superare qualsiasi cosa. Tu non hai bisogno di nessuno, non c'è montagna che Charles Xavier non possa scalare, anche a costo di gettar via tutto ciò che è. L'hai detto anche tu che perdi un pezzo di te stesso ogni volta >> << Con te >> lo freddò << Certo, se ti fa sentire meglio puoi accusarmi di tutto ciò che vuoi, ma non sono il tuo unico nemico, e questo lo sappiamo entrambi. Posso essere pessimo, sono pessimo, il mostro di Shaw in tutto e per tutto, ma non puoi accusarmi anche per quello che sei adesso! Non sono stato io a infettare il tuo cervello come un dannato virus, non questa volta, non sono io a volerti controllare, non ho mai voluto controllarti! >> << Tu mi hai consegnato a lui! >> ululò l'uomo adesso, con tale veemenza che la sua telecinesi reagì incidendo una profonda crepa nello specchio sopra la cassettiera, anche se nessuno dei due se ne preoccupò << Nonostante questo dannatissimo corpo che non mi risponde mi hai posato ai suoi piedi come l'offerta al dio che credeva di essere! >> gridò, gli occhi colmi di lacrime brucianti << Io ti ho solo cercato per offrirti una mano tesa! >> ansimò straziato << Quando l'intero mondo non voleva altro che convincersi che tu fossi morto, io ti ho offerto aiuto, ti ho aperto le porte della mia casa, e anche adesso, dopo quello che hai fatto, sei di nuovo qui! >> << Il fatto che tu non voglia odiarmi non significa non odiarmi in realtà >> sentenziò Erik con fare greve << Vorrei che fosse così semplice! >> fece Charles, straziato << Tu non me l'hai mai reso semplice >> lo accusò, ancora rancoroso, rabbioso, le lacrime rendevano gli occhi assurdamente azzurri quasi lucenti nella penombra della stanza << Quello che è davvero assurdo è che per quanto alle tue spalle non vi sia che distruzione e morte, quell'angolo di luce dentro di te non si affievolisce mai di nulla! >> C'è del buono in te, Erik, io l'ho visto << Hai rivoltato l'intero pianeta in preda al dolore, alla rabbia, annegato com'eri nella disperazione, ma nemmeno per un momento hai provato sollievo nello sfacelo che recavi! Perché non ti compiaci degli scempi che fai? Perché non strazi le carni dei tuoi avversari e non infierisci sugli indifesi? Dopo tutto questo tempo, la tua luce brilla ancora! >> un pugno impotente si abbatté sul materasso, si strinse sul lenzuolo, palesando il tremore che scuoteva tutto il suo corpo, come se lui stesso non fosse abituato alla tempesta d'emozioni che lo stava attraversando << Ma sopratutto perché di contro vacilla la mia luce, io che dovrei incarnare la speranza che tutti cercano in me, perché ogni giorno la sento spegnersi un po' di più, inevitabilmente, irrimediabilmente, senza che io possa fare alcunché per arrestarne il degrado? Perché sono tormentato da visioni e desideri che non mi appartengono e non mi devono appartenere?! Tu sei il mostro! Tu sei l'assassino! Io non sono te! >> gridò con tutta la forza di chi cova la più cocente delle disperazioni.
Erik lo guardò senza parlare per un lungo momento, stupito per la sua reazione ma finalmente anche consapevole di quello che gli stava succedendo: Charles, per la prima volta da quando lo conosceva, stava riconsiderando le proprie convinzioni.
Lasciò che si calmasse un poco, che si appoggiasse alla testata del letto come svuotato, sfinito da quel se stesso soffocato così in profondità, e non turbò il silenzio nemmeno dopo, quando l'unico suono era quello prodotto dai loro respiri.
Permise a Charles di essere lui a farlo, a riappropriarsi di se stesso prima di parlare ancora, più controllato adesso << Quando è entrato nella mia testa è stato come essere toccati da una stella >> disse << È stato magnifico, bellissimo, ho assorbito nel tempo di un respiro una quantità di informazioni che nemmeno sapevo di essere in grado di immagazzinare. Ho imparato cinque lingue con quel semplice contatto, Erik. Ho avuto ad un palmo di distanza il concetto stesso di conoscenza, la comprensione nella sua forma più pura e genuina, del tipo che ti lascia completamente soddisfatto e senza alcuna domanda irrisolta. En Sabah Nur non mi ha offerto il potere, che già sapevo di possedere, mi ha mostrato cosa avrei potuto ottenere grazie a quel potere, cosa mi stavo negando. Ho visto la pace nella sottomissione dei violenti e dei malvagi. Ho visto criminali di tutto il mondo costituirsi perché io glielo ordinavo, soldati gettare le armi e corrotti rinunciare alle atrocità. È stato così che è riuscito ad accedere ai responsabili degli armamenti. Dentro di me sapevo già chi erano, avevo già solleticato il mio inconscio con quella possibilità, lui l’ha semplicemente trasformata in realtà, facendo quello che io non potevo, quello che io non osavo >> Erik non osò interromperlo, sapeva che per quel fiume in piena non poteva essere una diga ma al massimo uno scoglio: Charles parlava ma sembrava essersi dimenticato della sua presenza, pur restandone perfettamente cosciente, e temeva che anche il più piccolo movimento avrebbe infranto il momento << So benissimo che non è giusto. So che noi siamo le nostre scelte, che il libero arbitrio è qualcosa che nemmeno io dovrei ledere, eppure…! Ho amato quella sensazione. L'ho amata così tanto che ora non riesco a liberarmene, è come una sostanza viscida e vischiosa che mi è penetrata in mezzo al petto, in mezzo al cranio, impedendomi alle volte anche solo di pensare >> gli occhi turchesi si fissarono sui suoi, ma non sembravano vederli davvero, era con se stesso che Charles stava facendo i conti, non con lui << Ho aperto questa scuola perché i mutanti ne hanno bisogno. Posso aiutarli, posso guidarli, è questa la mia missione, il mio compito, proteggerli è la mia priorità. Perché desidero di più Erik? Io… io non credo di poter continuare così ancora per molto... >> confessò infine prendendosi il volto tra le mani << Non ho potuto fare nulla in Egitto e tutto a causa delle mie regole. Se avessi manipolato la tua mente quando ne avevo la possibilità, strappandoti a lui per portarti qui, al sicuro, forse avremmo potuto sconfiggerlo insieme, senza le morti che sono avvenute. Se non avessi chiuso gli occhi e le orecchie ai mutanti di tutto il mondo che cercavano il mio aiuto forse Angel, o quelli come lui, non sarebbero morti. Proteggete chi non ne ha. Così ho detto, lo ricordo, ma mentre il Cairo veniva demolita cosa ho potuto fare io? Chi ho protetto io?! Non merito i loro sguardi, non capisci?! >> sibilò, indicando la porta, i ragazzi, la scuola, il mondo intero probabilmente << Non sono il leader di niente e di nessuno, non sono nulla. Perché quando En Sabah Nur distruggeva le mie protezioni psichiche per prendere il controllo del mio corpo, l'ha fatto usando la mia arroganza, la mia presunzione, i miei desideri! Io volevo dominare il mondo, Erik! Non più intrappolato in questo guscio di carne morta, ma libero, libero davvero, di usare le mie capacità senza curarmi di chi possano ferire, di smettere  di preoccuparmi per ogni dannato respiro! >>  la sua voce si spezzò, e anche il suo respiro, mentre un unico, singolo singhiozzo gli spezzava il fiato.
Lo ingoiò, trattenne con feroce accanimento le lacrime, continuando a guardarlo come se fosse di fronte al proprio doloroso riflesso << Non sono meno malvagio di lui, solo più codardo >> mormorò con un filo di voce e un sorriso sprezzante, mentre stringeva i pugni sul lenzuolo con tale forza da farli sbiancare << Come posso trovare la forza di combattere questo Collezionista adesso se a malapena mi ritengo degno di respirare ancora? È tutto inutile. Lui mi troverà, forse mi ha già trovato, e da quello che ho visto di lui non impiegherà molto a capire come usarmi. Mi strapperà l'unica cosa che mi resta ancora, lo so. Non posso difendermi, è inevitabile >> Erik non aveva mai visto quella cupezza nel suo sguardo, nemmeno prima di Washington.
C'era arrendevolezza in quell'uomo che gli era parso sempre incrollabile, non aveva più la forza per lottare, qualsiasi cosa lo avesse portato fino ad oggi si era completamente estinta.
Si era sbagliato nel giudicarlo la luce di speranza dei suoi mutanti, perché in Charles Xavier ogni speranza era morta insieme al rispetto per se stesso << Proprio così >> lo sentì dire, in risposta ai suoi pensieri << Ti è tanto inaccettabile che tu possieda delle debolezze? >> chiese allora il tedesco, con la rudezza che lo caratterizzava nonostante la fragilità dell'altro.
Vide Charles provare rancore per lui in quel momento, si permise di farlo, di accogliere quella voce oscura che gli ricordava ogni giorno a causa di chi era in quella situazione.
Sarebbe stato facile dare tutta la colpa a lui, in parte era proprio ciò che Erik desiderava, ma la loro non era mai stata la strada delle scelte facili << Non guardarmi in quel modo. Sappiamo entrambi che è questo il vero problema. Oppure hai sempre pensato che la tua cosiddetta “bontà” fosse innata? Non siamo in una favola, Charles: se tu non avessi provato almeno una volta la tentazione di cedere all'onnipotenza che il tuo potere decanta saresti quanto esista di più vicino al divino >> il telepate sbuffò scuotendo il capo, come se considerasse assurde le sue parole << Per quanto vuoi far durare questa tua autocommiserazione? >> << Come osi? >> sibilò, ma Erik non si lasciò intimidire << È così inaccettabile per l'eccelso Charles Xavier che un mutante dai poteri pressoché illimitati sia stato capace di sfruttare le sue ridicole debolezze per quasi piegarlo. Perché mi sembra che continui a dimenticare la parte fondamentale: tu non ti sei affatto arreso a lui, ricordi? Hai lottato, hai continuato a farlo fino alla fine. Stremato, sofferente, senza alcuna speranza di vittoria, eppure hai stretto i denti e hai combattuto >> il professore corrugò la fronte, come se non capisse dove voleva arrivare << Oppure il tuo orgoglio non vuole accettare che tu abbia avuto bisogno d'aiuto? >> << Non dire assurdità >> gli ringhiò contro << Non può essere che questo >> ribatté invece il signore dei metalli scrollando le spalle << Hai paura adesso, ma solo perché sarai costretto a chiedere aiuto. A me, ai tuoi ragazzi, hai paura perché non puoi affrontare da solo questo nemico. Sei forse l'uomo più intelligente in questa casa, amico mio, eppure vuoi mollare solo e soltanto perché hai bisogno di noi. Preferisci lasciarti distruggere piuttosto che dimostrare a te stesso che non puoi farcela da solo. Almeno su una cosa hai ragione: sei un codardo >> lo accusò, lasciandolo senza parole per un lungo momento, ma il successivo Erik sentì una forte stilettata al petto, uno strattone, quindi un pugno lo colpì in pieno viso, con forza tale da spaccargli il labbro.
Sentì il sapore ramato del sangue prima del dolore, che era poco dopotutto, anche se il professore non si era trattenuto << Rimangiatelo >> gli sibilò furibondo, del tutto incurante del fatto che in un corpo a corpo non avrebbe avuto scampo.
Ma del resto Erik non aveva l'elmetto, quindi era comunque in vantaggio << Se anche lo facessi a cosa servirebbe? Puoi togliermelo dalla testa, ma non puoi toglierlo dalla tua >> fece con un sorriso ironico, massaggiandosi la mascella << Continui a piangere la tua condizione come se fossi un umano, come se ti servissero davvero le gambe per essere grande come sei. Da quando la tua arrogante presunzione dura come il diamante si è trasformata in questa patetica sindrome d'inferiorità? Non ti s'addice, per niente, senza contare che è del tutto fuori luogo nell'uomo che può costringere l'intero mondo a strisciare sotto i suoi piedi >> << Non voglio niente di simile! >> esclamò Charles indignato << Quello che vuoi o non vuoi è irrilevante. Parlo di quello che puoi adesso. Per quanto ancora vuoi indossare la maschera del mite professore? Oppure ti sei così abituato ad essa in questi dieci anni che non ricordi più chi sei? Sei un maledetto mutante, Charles! Non sei fatto per arrenderti agli eventi o alle persone. Desideri governare questo mondo perché sei nato per farlo. Noi siamo nati per farlo! >> << Non spetta a te dirmi per cosa sono o non sono nato! >> gridò il telepate rabbioso << Qualcuno deve pur avere questo compito >> fece Erik scrollando le spalle << Questa pantomima del “siamo tutti uguali” deve aver stufato anche te ormai >> << No, affatto >> azzannò l'altro trai denti, ma prima che potesse anticipare la sua mossa Erik lo afferrò per il bavero, arrivandogli vicino abbastanza da poter notare le minuscole screziature di blu nelle sue iridi, e palesò altrettanta rabbia << Allora smetti di comportarti come se fosse così >> minacciò cupo, lasciandolo senza parole, gli occhi spalancati d'incredulità.
Nonostante tutti quegli anni passanti, nessuna sua espressione ricordava il ragazzo di Oxford che era stato quanto quella << Non condivido né condividerò mai le tue idee >> chiarì per prima cosa << Non comprendo il tuo continuo capire e perdonare. Immagino però che richieda sforzo, e non accetto che l'uomo che ho sempre considerato l'unica mia degna nemesi smetta di agire come ha sempre creduto giusto solo perché è stanco. Siamo tutti stanchi, Charles. Di combattere, di non farlo, di vedere i nostri sogni e speranze calpestati dall'altrui incuria. Ma se fossimo destinati a vivere come persone normali, con vite normali e affetti normali, a cosa servirebbero le nostre anormali capacità? È la tua telepatia ad aver modellato questo carattere assurdamente incline alla mediazione o è la tua personalità ad aver sottomesso la telepatia? Sono sopravvissuto ad un campo di concentramento perché sono spietato e malvagio o è la mia malvagità l'unico risultato possibile dopo aver visto quegli orrori? >> << Tu non sei malvagio >> sussurrò Charles, quegli occhi incredibili e meravigliosi che lo fissavano come avevano fatto un tempo, come avevano fatto sempre, come se quel che vedevano fosse anch'esso incredibile e meraviglioso.
Erik sarebbe stato capace di uccidere per il modo in cui lo guardava, anzi, lo avrebbe fatto senz'altro << Non riesci a capire che proprio il fatto che tu ne sia così convinto è la prova inconfutabile che in te non esiste malvagità alcuna? >> vide le lacrime minacciare di versarsi, le labbra fremere, era così vicino che poteva contare le minuscole efelidi sul suo naso e sentire il suo fiato caldo sulla pelle.
Voleva baciarlo. Dio se voleva farlo, ma si trattenne << Solo perché tu non riesci a vederla non significa che non vi sia >> << Sei umano, Charles, il più umano dei mutanti. Devi davvero soffrire così per l'oscurità che inevitabilmente risiede in ciascuno di noi? >> le mani del telepate si sollevarono a prendergli il viso, con delicatezza, immensa delicatezza, come se Erik fosse un fragile oggetto di cristallo invece che l'uomo che lo aveva ferito e quasi ucciso in più di un'occasione.
Le pupille vagarono lungo i contorni del suo volto, come se lo vedessero per la prima volta, e sotto quello sguardo la presa del tedesco sul suo colletto si allentò, indebolita dal suo cuore che accelerava senza possibilità di scampo.
Charles doveva riuscire a sentirlo senz'altro, era assordante, impossibile che non lo sentisse << Perché non sei rimasto? >> gli chiese, un sussurro appena << Sono qui adesso >> << Resterai? >> << Chiedimelo, Charles. Ordinami di restare e io lo farò >> il professore divorò la poca distanza che li separava e premette le proprie labbra sulle sue << Resta >> sussurrò, un ordine imprescindibile anche senza nessuna capacità ad animarlo, se non la morbidezza accecante della sua bocca rossa.
E il suo odore, sì, qualcosa di simile a carta impolverata e sapone, neutro, affatto invadente, dolce come lo era il proprietario << Resta qui >> ripeté, le dita che salivano ad intrecciarsi alle ciocche di Erik mentre la piccola lingua lo accarezzava nel bacio e gentile lo attirava a sé.
Finalmente si permise di cingerlo con le braccia, lo strinse, avvolse quel corpo agognato col proprio quasi temesse potesse sparire da un momento all'altro << Non mi hai mai chiesto di restare >> gli disse senza parlare, avvertendo la sua presenza dentro di sé, e quasi si odiò per questo quando lo vide scostarsi per guardarlo << L'ho fatto invece >> << Hai chiesto se lo volessi io, come se a te non importasse >> il telepate aggrottò le sopracciglia, poi sorrise, infine rise, una delle sue bellissime risate di un tempo, capaci di far brillare il sole anche in mezzo ad una tempesta.
Tornò a baciarlo senza aggiungere altro, lasciò che lo spingesse contro la testata del letto e continuò a sorridere contro i suoi baci, limitandosi a ricambiarlo mentre le sue mani gli cingevano la nuca << Va meglio? >> gli chiese quando lo sentì rilassarsi come creta nella sua stretta, il volto deliziosamente arrossato, gli occhi di nuovo lucenti, le labbra vogliosamente umide.
Doveva essere sicuramente consapevole dell'effetto che provocava, Erik sperò che lo fosse anche se era certo del contrario, perché altrimenti significava che lo stava seducendo spudoratamente e tutto lo sforzo che stava compiendo nel non cedere ai suoi istinti era inutile << Decisamente >> fu la risposta soddisfatta, leggermente languida, seguita da un'altra risata leggera, quindi scosse il capo come se trovasse assurda tutta la situazione.
Chiunque l'avrebbe fatto, niente di cui stupirsi << Dobbiamo andare a Yale >> disse poi, senza incupirsi, tranquillo, solo che adesso era davvero tranquillo, colmo di quella fiducia in se stesso che era sia la sua maggiore forza che la sua più grande debolezza.
Erik la amò come l'aveva sempre amata, niente disegnava una corona sulla fronte di Charles Xavier quanto la certezza di meritarla << Sicuro di volerlo incontrare? >> Erik si rimise dritto con un certo sforzo di autodisciplina, ricacciando indietro la voglia di prolungare quel momento fino all'esasperazione.
Non era ciò che Charles voleva però, era facile immaginarlo, e si accontentò di vincere la battaglia senza aspirare a far capitolare l'intero forte in una volta sola << Non sarò solo, giusto? >> gli disse, una leggera nota amara che gli macchiava il tono, ma Erik si affrettò a dissiparla: << Ti adorano, non capisci? Non leggi le loro menti? Se chiedessi loro la luna, se chiedessi a me la luna, non ci soffermeremmo nemmeno a chiederci il perché di una simile richiesta >> << E in che modo questo dovrebbe tranquillizzarmi? >> Charles si issò con incredibile naturalezza, gettò oltre il bordo del letto le gambe incredibilmente magre sotto ai pantaloni del giorno prima e Erik si alzò per permettergli di raggiungere la sedia a rotelle, anche se non fu meno doloroso del solito sopportare il sospiro di sollievo con cui sedette dopo lo sforzo << Devo incontrarlo >> lo sentì dire subito dopo, e anche se gli dava le spalle immaginò comunque l’ombra sul suo volto << Ne ho bisogno, Erik. Forse è come dici tu, forse sono più orgoglioso e presuntuoso di quanto credessi, ma se non lo incontrassi non riuscirei nemmeno a dormire la notte >> Erik mormorò un assenso senza muoversi, anche se le sue mani prudevano dalla voglia di riempirsi della consistenza dell’altro uomo << Dove possiamo trovarlo? Non conosciamo nemmeno il suo vero nome >> << Sì invece >> disse Charles ruotando la sedia per tornare a guardarlo, i suoi incredibili occhi azzurri di nuovo colmi della determinazione di un tempo << Il suo nome è Saman Devine ed è professore di Storia all’università di Yale>> << E tu come fai a saperlo? >> il telepate indicò la stanza con un gesto della mano, ma intendeva in realtà l’intero edificio: << Perché ho riconosciuto il suo volto. È uno dei mutanti che ho contattato perché venisse a lavorare qui alla scuola >> dichiarò infine con un sospiro.


NA: Spero di essere riuscita a rimettere in riga il Charles depresso che abbiamo visto finora, ma non posso davvero promettere che non spunterà fuori di nuovo in futuro XD XD
Ho DOVUTO però metterci quel bacio... andiamo, anche io ho i miei limiti!
A mio parere, il semplice fatto che Charles riesca a resistere dal saltare addosso ad Erik ogni volta che lo vede tradisce un incredibile self control inglese! XD

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


 
Due mesi dopo l’incidente di Cuba, una vita fa
 
Anche questa volta la riabilitazione non aveva mancato di essere dolorosa e sfiancante come sempre, per poco non aveva urlato quando la giovane terapeuta aveva usato le sue delicate e forti dita per massaggiare la base della sua schiena, ma Charles cercò di non pensarci mentre si appoggiava ai cuscini del letto della clinica ed esalava un lungo respiro profondo.
Il dolore significava che qualcosa funzionava ancora perlomeno, o almeno era quello che il medico continuava a ripetergli, cosa che poteva suonare confortante pressoché per qualunque altro paziente meno che lui, giacché la sua mente rivelava invece tutt’altro.
Non camminerà più. Povero ragazzo, è così giovane... Deve avere più o meno l’età di Etan
Etan era suo figlio, un medico anche lui naturalmente, da qualche parte esisteva una regola non scritta secondo la quale i figli di avvocati e medici diventano necessariamente avvocati o medici, ma Charles ovviamente non lo conosceva, o almeno non avrebbe dovuto, quindi si sforzò di dimenticare anche quello.
Lo faceva sempre più spesso ultimamente. Dimenticare, ignorare, sforzarsi di non pensare.
Imprecò a labbra serrate quando una stilettata più dolorosa delle altre si arrampicò lungo gli ammassi di carne morta che erano state le sue gambe, il modo in cui il suo corpo cercava di capacitarsi di come da un giorno all’altro una sua metà avesse deciso di smettere di funzionare.
All’inizio c’era stata l’incredulità.
Aveva stentato a credere ciò che leggeva nella mente e negli sguardi di chiunque gli fosse vicino, non aveva ben capito cosa significasse davvero vivere senza camminare, non finché non aveva dovuto subire l’umiliazione di aver bisogno d’aiuto per i suoi più semplici bisogni, fisiologici e non, la consapevolezza aveva lavorato impietosa in lui, come in un arcano laboratorio alchemico tutto il suo dolore si era trasformato in rabbia, rabbia devastante, rabbia che aveva costretto i medici a legarlo e Hank a sedarlo prima che il suo potere facesse qualcosa di irreparabile.
Aveva urlato e pianto, aveva odiato e covato vendetta, aveva respinto chiunque gli si avvicinasse, costringendo i medici persino a nutrirlo per endovena, ma alla fine, alla fine, aveva semplicemente ceduto.
Adattamento. Evoluzione.
Persino il suo dottorato si prendeva beffe di lui.
Raven non era venuta da lui nemmeno una volta.
L’aveva cercata. Solo Dio sapeva quanto aveva bisogno di lei.
Ogni mattina si svegliava cercandola nei volti che lo circondavano, sondava le menti per trovare quella di lei, desiderando disperatamente che l’ultima immagine che aveva di sua sorella, della persona che era stata il suo mondo per più di metà della sua vita, non fosse più quella piena di sofferenza e rammarico che lo aveva ricambiato sulla spiaggia di Cuba.
L’aveva sognata. Spesso, troppo spesso, erano semplici ricordi rivissuti in quel mondo onirico dove erano ancora possibili, altre volte erano dolorose fantasie dove lei lo accusava e denigrava, dove si vedeva sbriciolare sotto quello sguardo che aveva pensato di capire e che invece gli era divenuto completamente estraneo.
Era ironico che l’unica persona su cui non avesse mai usato il suo potere fosse anche quella che aveva perso a causa delle incomprensioni.
Eppure doveva andare avanti.
La rabbia non poteva tenerlo in forze ancora a lungo, ne era cosciente, aveva bisogno di uno scopo, di un motivo per continuare a respirare anche adesso che la sua vita sembrava essersi accartocciata su se stessa.
Moira gli aveva portato dei libri, alcuni titoli li riconosceva perché erano gli ultimi che aveva lasciato sulla sua scrivania prima di partire, ma appartenevano ad una vita diversa da quella di adesso, persino troppo pesanti da sfogliare.
Lo fece lo stesso.
Pagina dopo pagina, macigno dopo macigno, si era arreso a continuare a vivere.
Aveva chiesto ad Hank di mostrargli i progetti per Cerebro, aveva ordinato le modifiche alla villa visto che avrebbe accolto un paralitico, e adesso l’inchiostro della carta stampata era tornato a rappresentare un rifugio, proprio come quando era un ragazzino e il suo potere una soffocante maledizione.
Piano, pianissimo, con lentezza quasi esasperante, il suo mondo ricominciava a girare.
Erano passati esattamente sessantaquattro giorni, li aveva contati anche senza volerlo, un’ora faticosa dopo l’altra, e stava prendendo appunti per la creazione della sua Scuola per Giovani Dotati quando la porta si aprì e Moira fece capolino con una busta di carta in mano.
Gli sorrise con quel suo modo semplice e schietto, senza cerimonie, senza cercarlo con lo sguardo, limitandosi a chiudere l'uscio e avanzare verso il letto << Buonasera >> avevano passato da un pezzo la fase dei convenevoli, non dopo essere sopravvissuti a Shaw, non dopo che lo aveva visto dare il peggio di sé, ma dopotutto erano il modo migliore per cominciare una conversazione: << Come stai oggi? >> chiese e Charles usò la penna con cui stava tenendo impegnate le dita come segnalibro prima di mettere da parte il volume che stava leggendo << Meglio. Sembra che potrò tornare a casa per la fine della settimana >> le sorrise, lei lo ricambiò, ma i pensieri che le galleggiavano nella mente rendevano amari entrambi questi gesti.
Per un momento si guardò con i suoi occhi, vide la propria pelle pallida e tirata, prosciugata persino del rossore che aveva così odiato nella sua adolescenza, gli zigomi erano scavati, le orbite infossate, le mani strette a pugno sulle cosce ormai inutili avevano dita smangiate dalla sofferenza e infettate dallo stesso tremore che percorreva tutto il suo corpo, inevitabile dopo il dolore della riabilitazione.
Tutto in lui trasmetteva stanchezza e debolezza, ma quel che più lo tradivano erano gli occhi: le sue iridi, che aveva notato essere sinistramente cangianti, avevano acquisito l'annacquato verdastro di una pozza torbida, ancora più risaltato dagli abiti bianchi della clinica.
Nonostante questo aspetto riprovevole comunque, Moira riusciva a vedere in lui persino della bellezza, percepì la sua tensione alla bocca dello stomaco quando sedette al suo fianco, e anche se non stava leggendo propriamente i suoi pensieri non poteva nemmeno esternarsi del tutto da quello che provava << Hank mi ha detto che alcuni studenti lo hanno contattato >> Charles assentì assente, abbassandosi lo sguardo in grembo << Mi ha chiamato stamattina. Alex e Sean avevano alcuni nomi, altri risalivano a... >> “a quando cercavo mutanti con Erik”
La frase rimase spezzata, nessuno dei due riuscì a completarla e dopotutto era anche superfluo visto che ne conoscevano il contenuto << Va tutto bene? >> no, naturalmente.
Come poteva andare tutto bene?
Ma assentì come le altre volte, sperando in fondo al cuore che ripeterlo abbastanza spesso l'avrebbe reso realtà.
Grossa parte dei suoi sforzi consisteva nel non pensare a lui.
Non a quello sguardo di ghiaccio, non alla sua determinazione, non al suono, al disperato suono delle proprie urla mentre sentiva una moneta d'argento trapassargli il cranio.
Nonostante tutto quello che aveva passato, quel dolore era stato il più devastante, la sensazione fisica della propria morte, della propria impotenza, anche se alla fine erano appartenute entrambe a Shaw.
Si portò una mano alla fronte al pensiero, se la grattò nervosamente nel punto in cui sentiva ancora l'oggetto premere per entrare.
Eppure non lo odiava.
Era questa consapevolezza irragionevole a consumarlo con voracità, lo sapeva, era assurda la propria incapacità di voler ripagare la propria sofferenza infliggendogliene almeno una parte, eppure… dentro di sé, dopo l'istintiva rabbia che lo aveva prosciugato come lo stoppino di una candela nei giorni passati, non restava che qualcosa di simile alla riconoscenza, alla nostalgia, un dolore fantasma come quello che sentiva alle proprie gambe, quasi che insieme a quelle avesse perso anche un altro pezzo di sé, altrettanto importante.
Gli mancava.
Era inutile lottare con una cosa simile, era un bisogno, fisico e psichico, la necessità materiale e imprescindibile di averlo al suo fianco, anche solo per un momento, un momento sarebbe bastato, se lo sarebbe fatto bastare, vederlo per un istante e poi lasciarlo andare, nient'altro.
Sarebbe bastato per farlo rialzare, ne era sicuro, sarebbe bastato per attingere a quel fuoco che aveva visto brillare dentro di lui e che lo aveva reso capace di sognare come mai prima, di credere nei propri sogni almeno.
Si era sentito grande al suo fianco, potente, invincibile persino, utile in un modo che probabilmente non avrebbe più sperimentato << Charles >> si accorse di star piangendo solo quando lei si alzò per cingerlo tra le sue braccia, la ricambiò, ma tutto ciò che riusciva a pensare era che non erano le braccia giuste.
E Moira lo sapeva. Più di chiunque altro << Non sei solo >> cercò di consolarlo, ma non lo credeva, non lo pensava, e non fu più doloroso delle altre volte leggerlo in lei, proprio come non lo era per gli altri.
Poteva essere un mentore e un leader per Alex e gli altri, poteva incoraggiare Hank e parlargli, ma dentro di sé, in fondo a quel cuore insaziabile che sapeva di possedere, nessuno di loro era alla sua altezza.
Proprio come poteva riversare su di loro le premure e l'affetto che non poteva più donare a Raven pur essendo certo che nessuno di loro era lei, ugualmente poteva parlare e confrontarsi con tutti loro pur rimanendo ben conscio che nessuno di loro avrebbe mai potuto leggergli dentro come poteva Erik.
Non serviva la telepatia tra loro due, per parlarsi bastava uno sguardo, un sorriso, un gesto d'intesa << Charles >> sentire quella voce gli rapì il fiato dai polmoni.
Ansimò, Moira se ne accorse da come il suo corpo si irrigidì intorno a lei, ma quando si scostò per cercare di comprendere il motivo di quel comportamento, lui con un tocco la fece addormentare, facendosela ricadere in grembo a peso morto << Charles! >> quel richiamo tanto familiare fu come balsamo per lui, un bicchiere d'acqua dopo mesi di peregrinazioni nel deserto: riconobbe Raven prima ancora che lei riprendesse il suo aspetto, la bellissima ragazza con cui aveva diviso l'esistenza, e mentre il suo cervello ancora cercava di assimilare quelle immagini, quella figura tanto amata, le sue braccia lo cinsero in una stretta cui il suo corpo si adattò con facilità, si incastrarono con quella naturalezza che hanno solo due persone che si conoscono bene e a lungo << Non lo sapevo… non lo sapevo! >> singhiozzò contro la sua spalla, stringendolo con forza mentre piangeva, il suo profumo di pulito e sapone agli agrumi, qualcosa che per lui significava casa e affetto e dolcezza, gli colmò il respiro aiutando a rilasciare un grumo di tensione che nemmeno sapeva di covare << Va tutto bene, Raven… non piangere >> si ritrovò a consolarla, passando le dita trai capelli biondi e lunghi, stringendola a sé mentre le baciava il capo come aveva sempre fatto quando l'aveva vista in lacrime << Sarei venuta da te se avessi saputo. Dio Charles… sai che sarei venuta! >> << Certo. Lo so. Tranquilla adesso >> << Le tue gambe… >> gemette << È stata la pallottola, vero? Avrei dovuto immaginare…! Sono stata così stupida! >> si rimise dritta, gli prese il volto tra le mani e si concesse una lunga occhiata, che terminò scuotendo il capo e soffocando altro pianto << Come l'hai saputo? >> le chiese lui invece, ed era facile esser saldo adesso, come sempre, era facile esserlo davanti a lei che ne aveva bisogno, perché lei era sua sorella e non le avrebbe mai negato nulla << I-il giornale >> << Hanno scritto di me sul giornale? Nessuno si è preso la briga di informarmi >> riuscì persino a ridacchiare, ma lei gli lanciò un buffetto sulla spalla << Mi dispiace >> << Non è colpa tua >> << Lo so. Ma mi dispiace lo stesso. Sarei dovuta essere qui, accanto a te. Mio Dio Charles… hai un aspetto orribile >> quelle parole, così vere eppure così taciute, dette con il tono che era così da Raven, furono tanto meravigliose che lui si sentì rivivere solo ad ascoltarle.
Scoppiò a ridere come non faceva da settimane, rise e strappò un sorriso anche a lei, prendendole le mani poi per ristorarsi di quella presenza così amata << Sto già molto meglio adesso >> rivelò, ed era assurdo quanto fosse vero << Ti hanno già detto quando tornerai a casa? >> le rispose placidamente, senza lasciarla << Che cosa hanno detto i medici? C'è qualche… speranza? >> << Hank dice che il danno potrebbe essere circoscritto. Non so cosa significhi, non mi interessa. Tutto ciò che so è che rimarrò su una sedia a rotelle. Forse non per sempre, ma per certo qualche anno >> la sofferenza che le animò il volto era genuina, senza compassione o pietà, solo il puro dolore che travolge quando una persona cara sta male.
E Charles era ancora una persona a lei cara.
Avere questa rassicurazione, nonostante avesse scelto Erik, fu calore ristoratore nel suo cuore rattrappito e titubante << È stato lui a portarmi qui >> in qualche modo Charles non se ne stupì.
Non fu nemmeno doloroso come prima pensare a lui << Come sta? >> chiese invece, stupendo persino se stesso con la propria tranquillità.
Raven scrutò il suo sguardo, come a cercarvi quanto potesse dire o tacere << È qui anche lui. Sul tetto. Era molto preoccupato per te >> ovviamente non percepiva niente di lui.
Doveva indossare l'elmetto di Shaw, quel maledettissimo oggetto che lo schermava << È assurdo che rimanga lì. Non posso fare niente contro di lui, lo sa. Non potrei nemmeno se volessi, soprattutto non adesso >> Raven lo guardò intensamente, avvicinandosi ancora, e lui sostenne il suo sguardo e il suo esame come aveva fatto molte altre volte in passato << Sai che andrò con lui >> non era una domanda, ma rispose lo stesso << Sì >> << Mi dispiace, Charles >> << Non dire sciocchezze. Non sei più una bambina e io non ho il potere di tenerti con me. O almeno non voglio averlo >> << Non pensare di me che io sia un'ingrata o… >> << Non l'ho mai pensato. Sei mia sorella, Raven, l'unica famiglia che ho. Ti voglio bene e te ne vorrò sempre, qualsiasi cosa tu faccia. Ci sarò sempre per te >> la stretta sulle sue mani si fece più forte << Sempre >> sottolineò ancora, facendola assentire con gli occhi lucidi.
Lei lo abbracciò ancora, si avvicinò e gli si accoccolò accanto come avevano fatto tante altre volte, la sua testa trovò facilmente quel punto sulla sua spalla che sembrava creato appositamente per permetterle quella posizione, e gli cinse il torace mentre lui la stringeva a sé << Mi sei mancato >> << Anche tu >> aveva pensato che una volta rivista avrebbe avuto un torrente di parole da riversarle contro, furia e impotenza mescolate a cocente senso di perdita, invece Charles non provava altro che sollievo, il primo momento di pace da quando quell'inferno era cominciato, e non voleva altro che godersi quel calore familiare e lasciarsi cullare dalle dita sottili che si posavano sul suo fianco.
Rimasero così a lungo, almeno finché lui non cominciò a sentire la stanchezza che il dolore finora non gli aveva permesso di provare, e Raven se ne accorse dall'ammorbidirsi del corpo sotto di sé << Dovresti riposare >> disse rimettendosi dritta, con rammarico in entrambi, ma lui non riuscì a trovare la forza per contraddirla.
Sapeva che se ne sarebbe andata, sapeva che non aveva alcuna certezza di rivederla, eppure stava troppo bene per preoccuparsene adesso << Se hai bisogno di qualcosa, di qualsiasi cosa, sai dove trovarmi. Non mi importa se siamo “nemici”, qualsiasi cosa significhi questa parola adesso >> << Lo so, Charles >> si avvicinò e lo baciò sulla guancia, regalandogli uno dei suoi bei sorrisi.
Subito dopo quelle parole qualcuno bussò, un suono distinto e fermo, e a lui bastò per sentirsi il cuore accelerare.
Non attese alcun permesso, lui non aveva bisogno del permesso di nessuno, si limitava ad annunciare la sua presenza.
Era esattamente come lo ricordava, in pantaloni grigi e camicia blu scuro su quel corpo prestante e temprato, la giacca piegata sullo stesso braccio sotto cui teneva anche l'elmetto, per metà nascosto dalla stoffa.
Era un gesto di fiducia, sfida impavida come era la maggior parte dei suoi atteggiamenti, ma non riuscì a volergliene per questo, c'era una tacita regola tra loro a riguardo e in fondo al suo cuore Charles era certo di non essere pronto per anche solo provare a sfiorare quella mente.
Gli occhi di metallo si posarono su di lui implacabili, taglienti, qualcosa di simile alla sofferenza che aveva visto in Raven li animò per un momento quando si soffermarono sulle gambe, ma poi tornò solo la forza, l'incrollabile forza che c'era sempre stata, quella fiamma di luce viva che aveva sempre visto in lui << Charles >> disse, e nessun altro pronunciava il suo nome con la stessa intensità, rispetto misto ad ammirazione, un suono che esigeva di incarnare almeno la metà della persona degna di rappresentarlo << Salve, amico mio >> non si dissero altro, si guardarono e basta, ma nel tempo che Raven impiegò a salutarlo e raggiungere il tedesco, la fredda tempesta che erano gli occhi di Erik riuscì con facilità a spazzar via qualsiasi impurità dalle pozze d'acqua torbida di Charles, la forza che aveva devastato la sua esistenza gli diede anche il coraggio di contrastarla, di rialzarsi anche solo con il fine di lottarle contro, di dimostrare a lui prima che a se stesso che non si sarebbe fatto abbattere così facilmente.
Non ci fu bisogno di parole. Con loro non ce n'era mai stato bisogno.
Solo uno sguardo, un sorriso appena accennato, un cenno del capo prima di chiudere la porta.
 
 
 
 
 
 
 
 
Da qualche parte nel cielo del Connecticut, nel presente
 
Si poteva dire quasi qualsiasi cosa di Erik, tranne che fosse possibile ignorarlo.
Entrava nelle vite delle persone con la potenza di una guerra, la stessa impetuosità e gran parte delle stesse conseguenze, ma esattamente come per questa niente restava invariato dopo il suo passaggio.
Fino al suo arrivo le sue aspirazioni erano semplici: avrebbe occupato una cattedra fin troppo facile in una delle decine di università che lo avevano contattato già prima del suo dottorato, avrebbe sposato una collega o una ricercatrice come le tante che avevano puntellato il suo periodo come studente, e avrebbe vissuto placidamente patrocinando le varie follie di Raven a giro per il mondo.
Non desiderava nient’altro, a parte studiare i mutanti.
Ma dopo averlo incontrato gli era stato impossibile accontentarsi della propria mediocrità.
Non l’avrebbe mai ammesso, nemmeno in punto di morte, ma quella era la più grande e silenziosa delle vittorie di Erik, l’essere riuscito a piegare anche lui alla propria idea di superiorità in qualche modo.
Charles non si credeva migliore degli umani, non come razza almeno, credeva semplicemente nelle proprie capacità, confidava nel fatto di essere diverso dagli altri e dover agire di conseguenza, valorizzando con responsabilità i propri doni.
Non sarebbe stato degno della propria telepatia vivere come semplice professore, per quanto ammirato e influente, e non l’avrebbe mai capito se non lo avesse incontrato.
Era stato Erik a fargli capire quanto poteva essere d’aiuto a quelli come loro, era stato vedere i risultati su di lui, il suo primo allievo, a convincerlo della propria vocazione.
Erik era sempre stato l’uomo delle grandi rivelazioni del resto.
Che fosse la sua presenza o il suo solo ricordo, era stato capace di tirarlo fuori dalle situazioni più disperate, da ogni fossa in cui aveva gettato se stesso, per combattere al suo fianco, per combattere contro di lui, perché loro due erano come due pianeti collegati e in costante pericolo di collisione, sempre occupati nel tentativo di vincere l’uno la forza d’attrazione dell’altro.
Non era successo solo quella volta alla clinica, in altre occasioni aveva sconfitto le proprie debolezze grazie ad Erik, foss’anche solo per dimostrare a quel maledetto bastardo che non era completamente sconfitto.
Una parte di lui era sicura che anche questa volta non si fosse risollevato per nessun altro motivo << Hai smesso di fissarmi? >> gli chiese, anche se aveva gli occhi chiusi non dormiva affatto, ma ovviamente non cercava certo di ingannare lui.
Aveva reclinato un po’ la poltrona del jet, allungando le gambe e incrociando le mani sullo stomaco, la posa più rilassata di sempre, come se non lo sfiorasse nemmeno una preoccupazione nonostante il motivo di quel loro viaggio << Charles >> lo richiamò ancora, forse un po’ infastidito questa volta, ma il telepate non si diede la pena di ascoltarlo, cercando invece di ricordare la prima volta che aveva pensato che fosse un bell’uomo.
Non appena lo aveva conosciuto, di questo era certo.
A parte imprecazioni furiose e immagini d’odio e d’orrori non ricordava molto altro del loro primo incontro, solo acqua gelida e una rabbia divorante, ma anche dopo, una volta in salvo sulla nave della guardia costiera, tutto ciò che aveva continuato ad occupare il suo sguardo era stata la sua mente, i suoi ricordi, una coscienza tanto immensa che non aveva avuto il tempo per soffermarsi sull’involucro che la conteneva.
Ricordava quanto avesse desiderato aiutarlo però, ricordava esattamente quanto fosse stato disposto a cedere pur di portare sollievo a quell’anima tormentata << Sei fastidioso >> era stato solo una volta al quartier generale della CIA.
La stessa sera in cui aveva letto in lui che se ne sarebbe andato e lo aveva atteso fuori della porta per tentare di fermarlo.
Solo allora aveva notato le spalle salde, il torace ampio, quelle gambe flessuose e troppo abituate a calpestare per accorgersi di quel che lasciavano dietro di loro.
Aveva notato quindi il suo volto, la bocca avara, lineamenti perfetti e taglienti come quelli di una magnifica spada, ed era rimasto letteralmente sconvolto dal colore dei suoi occhi impietosi.
Aveva pregato dentro di sé che non se ne andasse.
Dio, aveva voluto così disperatamente che non se ne andasse.
Era stato come ritrovare un pezzo d’anima che non si era accorto di aver perso.
Avrebbe pensato di lui che fosse un fratello, lo aveva pensato allora almeno, ma già da quel momento avrebbe dovuto sapere che era troppo bello perché potesse restare tale a lungo << Dimmi almeno se sono pensieri piacevoli o meno >> sospirò infine esasperato, rimettendosi dritto per guardarlo con qualcosa di vagamente simile al rimprovero << Cercavo di capire cosa fosse cambiato in te >> Erik sbuffò ironico, scuotendo il capo << Meno di quel che vorresti probabilmente >> << Non ho mai voluto cambiare niente in te >> ed era vero naturalmente.
Per quanto esasperante e dolorosamente diverso, Erik non sarebbe stato Erik se fosse cambiato << È quasi sinistro, sai >> lo sentì commentare, con un sorriso incerto di cui Charles si accorse solo quando era ormai quasi sparito.
Stava fissando le sue labbra, ma non era concentrato sui loro significati << Cosa? >> << Il modo in cui i tuoi occhi guardano >> << Se non vuoi che legga nella tua mente dovrai sforzarti di spiegarti un po' di più, amico mio, perché sopravvaluti la mia capacità di comprensione >> ridacchiarono entrambi, gustandosi quella complicità ritrovata, così facilmente per di più, come se fosse sempre stata lì, solo nascosta da qualche parte << Riesci a focalizzare il tuo sguardo a livelli. Scommetto che non sapresti indicarmi il colore dei capelli nemmeno di metà dei tuoi studenti, eppure riesci a distinguerli anche solo dal suono dei loro passi. Tu di solito non guardi di altri, tu li vedi. Non con il tuo potere, non ha niente a che vedere con la mutazione, è una tua capacità ma non ho la più pallida idea di dove tu abbia imparato a farlo >> << Non capisco se il tuo sia rimprovero o compiacimento >> Erik si alzò da dove era seduto, il divano centrale dell'aereo, e lo raggiunse al tavolo, mettendosi di fronte a lui proprio come era stato per il giorno prima << Intendo dire che sei sempre così impegnato a comprendere gli altri che a malapena ti accorgi di come sono fatti. Ed è esattamente questo che permette a quelli come Kurt o Hank di brillare sotto la tua luce. Quello sguardo ci fa dimenticare che siamo mostri >> Charles lo guardò ancora un momento, poi sorrise debolmente scuotendo il capo << Lui mi ha detto qualcosa di molto simile una volta >> << Chi? >> << Saman. Il Collezionista. Dio… ho sempre odiato questi stupidi appellativi e adesso mi ritrovo ad averne inventato uno io stesso. Devo essere impazzito >> << Hai già parlato con lui? >> Charles sospirò, prendendo un sorso dall’acqua tonica nel suo bicchiere.
Niente di alcolico, non in quel momento << Pensavi che mi sarei fatto bastare qualche telefonata per accettare un insegnante nella mia scuola? >> << Maledizione, Charles! Dovevi dirmelo >> << Non credevo fosse importante. Sapevo che era potente, ma non così potente. Credevo che fosse un idrocineta, o almeno è quello che mi ha permesso di credere >> << Ha ingannato la tua telepatia? >> Charles abbassò il capo, lasciando passare un momento prima di rispondere: << Non ero al mio meglio a quel tempo, diciamo così >> Erik si rabbuiò, ricordando facilmente quando non era “al suo meglio” << Prima o dopo il siero? >> << Prima. Qualche mese prima. Avevamo appena cominciato il semestre >> << Che cosa è successo? >> Charles si strinse nelle spalle, richiamando i ricordi alla mente, poi cominciò a raccontare.
 
 
 
Una settimana dopo l’apertura della Scuola per Giovani Dotati di Charles Xavier, una vita fa
 
Si massaggiò la fronte con irritazione, era sempre irritato o infastidito da qualcosa per la maggior parte del tempo ultimamente, dal suono delle ruote della sua sedia a rotelle al mormorio compatto che aleggiava nel silenzio intorno a loro.
Esalò un lungo respiro profondo, lungo quanto riuscì a concederselo, e con la quieta presenza di Sean al suo fianco percorse la navata da cattedrale del famoso college, ignorando tutto ciò che non fosse il sussurro lento della mente dell’uomo che lo aveva fatto viaggiare sin lì.
Ignorò i due che stavano pomiciando nell’aula alle sue spalle, ignorò il ragazzo che li stava spiando, ignorò la giovane docente che stava letteralmente spogliando nella propria mente uno dei suoi studenti.
Era incredibile come il suo potere riuscisse a catalizzarsi sulle cose più insopportabili quando era irritato.
Ritemprante, davvero, una manna dal cielo.
Non imprecò solo perché Sean era ad un passo da lui, ma quando si fermarono davanti all’ufficio dalla bella porta in legno scuro dovette concedersi un altro respiro profondo prima di proseguire.
Bussò, cercò di non odiare il fatto che fosse costretto a farlo più o meno all’altezza della maniglia, e si spinse persino un sorriso affabile sul volto quando un uomo fin troppo alto per i suoi gusti e con un paio di gelidi occhi verdi si presentò allo stipite << Il dottor Xavier, suppongo >> disse con voce baritonale e sicura, di quelle che non si sarebbe stupito a sentire a teatro, se avesse continuato a frequentare il teatro naturalmente, il tipo di voce che ha una persona dal carisma innato.
Era un uomo decisamente piacente anche se doveva aver raggiunto la quarantina, con il corpo dalle spalle ampie che tradiva il suo passato di campione di lotta greco-romana, grandi mani che accettarono la sua tesa in saluto con decisione e senza incertezza, anche la sua stretta gli piacque, né troppo forte né troppo debole, e quando si fece da parte per farli entrare il piccolo passo che fece conteneva compostezza e fiducia.
Non era intimidatorio, anzi, la bella bocca circondata di barba sottile e ben curata si apriva spesso in un sorriso genuino, il tipo che porta le persone a parlare piacevolmente.
Di questo del resto aveva bisogno: poteva trovare insegnanti mutanti in tutto il mondo, ma non poteva affidare a chiunque i suoi ragazzi, non con le loro insicurezze, le loro debolezze da adolescente ingigantite da poteri più grandi di loro.
Aveva bisogno di persone disponibili all’ascolto, alla comprensione, persone che non fossero solo capaci di insegnare una materia, ma anche a vivere.
Parlarono di piccole cose mentre lo osservava, lo accolse nel suo studio ma non si mise dietro  la scrivania, spostò la sedia di fronte alla sua e gli offrì da bere, scusandosi con Sean del non possedere che acqua tonica per lui, e non lo interruppe mentre cominciava a parlare della scuola e dei suoi progetti.
La sua mente era un solido blocco di cemento.
Charles non avrebbe saputo definirlo meglio. Non c’erano spiragli o crepe da cui penetrare, un chiaro frutto di meditazione e lunga analisi psichica e spirituale, ma anche se avrebbe potuto comunque superare quelle protezioni decise di non farlo, perché per certo non erano state approntate per lui.
Necessitavano di anni quelle mura, non certo delle due settimane che erano trascorse dal loro scambio di lettere.
Riuscì comunque a percepire il suo potere, la magnifica capacità di manovrare l’acqua, e trovò persino che gli si addicesse visto il modo placido e tranquillo con cui parlava.
Era una presenza... confortante in qualche modo, tutto in lui era gentile e compassato, il genere di persona, di professore, che avrebbe voluto essere lui invece che l’irritabile telepate che si ritrovava ad incarnare, e dopo due giornate infernali era bello parlare con qualcuno così << Cosa ne pensa della mia proposta? >> domandò Charles infine, riprendendo fiato e bevendo un sorso di bourbon profumato.
Devine tornò ad appoggiarsi alla propria poltrona imbottita, il bicchiere in mano e lo sguardo assorto.
No, non assorto, attento.
Improvvisamente Charles si rese conto che non era stato sottoposto ad un esame meno approfondito durante la conversazione, quegli occhi verdi passarono su di lui con l’insistenza di una mano tangibile, ma assecondò il suo sguardo e lo sostenne perché dopotutto non aveva fatto niente di troppo diverso nell’ultimo quarto d’ora << Dovrei finire il mio semestre qua. Non posso sparire senza preavviso >> << Naturalmente. Posso aiutarla a trovare un sostituto se lo desidera >> le labbra carnose si mossero in un sorriso divertito << Immagino che con la sua capacità non sarebbe troppo difficile >> << Giusta osservazione >> prese un sorso dal proprio bicchiere, l’ultimo, quindi accavallò le gambe con disinvoltura, lasciando le mani sui braccioli << Ammetto che il suo progetto mi entusiasma non poco, professore >> << Mi chiami pure Charles >> il sorriso si allargò per un istante << Charles allora. La prego di ricambiare. Come dicevo, l’idea di trovarmi in una casa ricolma di giovani mutanti è a dir poco allettante, non vedo perché dovrei rifiutare il suo invito per il prossimo semestre. Sarebbe per me un piacere ed un onore >> il suo tono però era incompleto, e non fu difficile indovinare l’avversativa che ne seguì << Tuttavia voglio essere onesto con lei, Charles, non posso evitarlo vista l’onestà con cui si è espresso finora. Io non condivido le sue idee. Non penso affatto che la razza umana sia pronta per una convivenza pacifica, non credo affatto che possano accettare la nostra esistenza e inglobarci semplicemente nella loro società, non adesso almeno. E non per i prossimi vent’anni. Posso essere un suo insegnante nonostante questo? >> il cuore di Charles accelerò, ascoltò e tornò indietro di quasi due anni ormai, ad una partita a scacchi mai terminata, ad occhi diversi e sguardo diverso << Per favore, mi spieghi meglio >> Devine assentì, prese un respiro profondo e gli rivolse un’altra occhiata penetrante, infine parlò: << Sono fermamente convinto che i mutanti possano inserirsi in questa società solo nascondendosi. Gli umani sono... deboli, non possono comprendere ciò che siamo, ci vedranno sempre come una minaccia. Ma ci superano in numero. Sono un uomo di scienza, Charles, non ho alcun interesse per la guerra, che so sarebbe inevitabile se ci mostrassimo come fronte unito, quindi preferisco pazientare e aver fiducia nel futuro >> non come Erik.
Erik voleva governare, voleva il potere che pensava gli spettasse di diritto.
Devine voleva solo non finire ucciso da qualche fanatico << Alcuni fra noi possiedono mutazioni che non possono nascondere e comprendo che un luogo come la sua scuola potrebbe portar loro sollievo e fiducia, ma il mondo reale non è pronto >> << Possiamo renderlo tale, Saman. È esattamente il mio scopo >> un sopracciglio castano scuro si sollevò mentre sorrideva sorpreso di quella risposta, ma assentì << Non la facevo un’idealista >> Charles ridacchiò, si passò una mano trai capelli e scosse il capo per il suo divertimento << Pensa che io sia uno sciocco >> << No, no, non farei mai un errore simile. È chiaramente l’uomo più intelligente in questa stanza, pensavo solo che fosse più... pragmatico dopo quello che le è successo >> il telepate si oscurò in volto, e non riuscì a nascondere del tutto l’allarme che accelerò il suo battito << Sono stato un frequentatore dell’Hellfire Club a suo tempo >> rivelò Devine, ma lo fece con rammarico, come se non ne andasse fiero << Ero giovane e stupido, mi sono lasciato tentare dall’ideale della “superiorità” evolutiva, il parlare di Shaw mi ha fatto credere in qualcosa che non è reale. Quando ho capito quanto fosse folle però mi sono allontanato da lui e ho inviato i miei dubbi ad un contatto della CIA. Non è stato semplice imparare a nascondersi alla Frost, e a lungo ho temuto che mi avrebbero ritrovato e ucciso per il mio tradimento, ma non posseggo un potere abbastanza potente per giustificare i loro sforzi di ricerca probabilmente >> sospirò, un pugno tradì per la prima volta un po’ di nervosismo, ma Charles non riuscì a volergliene per questo << Ho saputo di quello che è successo dal mio contatto, so che sono informazioni riservate, ma avevo bisogno di tornare a vivere da uomo libero >> << Mi dispiace per la sua esperienza. Deve essere stato terribile >> Devine diede in un cenno noncurante della mano, distolse lo sguardo e sospirò << Sean, ti dispiace lasciarci soli per un momento? >> il ragazzo irlandese assentì una volta sola, rivolse un’occhiata minacciosa a Devine e infine uscì con passo tranquillo << Adesso comprendo le protezioni sulla tua mente >> disse Charles, passando ad un tono più confidenziale << Sono state indispensabili per troppo tempo perché io possa semplicemente abbatterle. Non sono contro di te, te lo posso assicurare >> << Lo capisco, non preoccuparti. Non ho pensato che tu fossi meno degno di fiducia per questo >> << Perché non sei una persona maliziosa. Non so davvero come tu riesca a fidarti così facilmente anche senza usare il tuo potere >> il telepate si strinse nelle spalle << Mi sembra normale concedere il beneficio del dubbio ad una persona che incontro per la prima volta >> Saman lo scrutò per un momento, si sporse in avanti con il busto mentre gli occhi verdi si assottigliavano, ma di nuovo Charles lo lasciò fare.
In realtà il mormorio tranquillo dei suoi pensieri, solo un sottofondo leggero e incomprensibile, era rassicurante.
Aveva conosciuto solo un’altra persona capace altrettanto ordinato silenzio << Hai degli occhi eccezionali, Charles >> fu un commento così fuori luogo e estraneo che il telepate rimase interdetto per un momento << Non parlo del fattore estetico, naturalmente. Parlo della capacità che hai di guardare. Dipende dalla tua telepatia? >> << Temo di non capirti >> Saman scrollò le spalle come se non importasse, o come se quella risposta fosse sufficiente in realtà, e sospirò lisciandosi la barba con una mano << Sarò felice di lavorare con te, Charles. Non vedo l’ora di incontrarti ancora >> disse infine con un gran sorriso.


NA: Ciao a tutti! Prima di tutto mi scuso se ci ho messo così tanto a mettere il nuovo capitolo, ma spero di aver compensato con la lunghezza :D
La trama viene fuori più lentamente del previsto, non credevo che sarebbe diventata una long così "long" ma spero che continuiate ad apprezzare!
Nel frattempo ringrazio tutti voi che leggete, grazie infinite, e un bacio speciale va alle mie specialissime lettrici: franny87, Winchester_D_Fra, Frheya, LittleGinGin che ogni volta mi incoraggiate e mi aiutate a non sprofondare nella depressione del "ma che cavolo ho scritto?!?!?!"
Vi amo bellissime <3 <3

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Nel corso degli anni Charles era diventato piuttosto bravo a mentire.
Quando era bambino anche la più piccola bugia accendeva le sue guance di un rosso ciliegia inconfondibile, facendo arrabbiare Raven perché quel segnale li tradiva inevitabilmente, e la cosa non era migliorata crescendo, da adolescente e poi da giovane studente, anche dopo era sempre stato difficile per lui nascondersi.
Possedere il cuore e i pensieri degli altri nel palmo della mano non era mai stato un fardello semplice da gestire per lui, sapere sempre esattamente cosa vorticava nella menti di chi lo circondava non aveva solo reso la sua fiducia nel prossimo fragile come un cristallo, ma anche sviluppato in lui un'onestà a volte persino dolorosa: come poteva mentire quando il suo interlocutore non aveva alcuna speranza di farlo? Come poteva raggirare o illudere una vittima inerme senza sentirsi un verme?
Il suo corpo reagiva al suo malessere e la sua pelle inglese si arrossava con disarmante frequenza, trasformandolo nel timido bambino in fondo alla classe prima e nel ragazzo carino ma troppo intelligente poi, divenendo infine la sua personale maledizione nonostante la sua stessa esasperazione a riguardo, un pensiero fisso che lo aveva tormentato con la costanza snervante di un'incognita insolvibile in un problema di algebra.
Alla fine la soluzione comunque era giunta quasi per caso, in una delle sue interminabili notti da matricola ad Oxford passate chino sui libri fra una bottiglia di birra e una tazza di caffè.
La porta della sua stanza si era spalancata d'improvviso, facendolo sussultare sulla sedia nel riscuoterlo dal torpore del ripetitivo e incessante studiare, ed era rimasto sconvolto di veder fiondarsi all'interno una ragazza del tutto sconosciuta.
Anche adesso non ricordava molto più che capelli biondi e ampie porzioni di pelle scoperta, ma non se ne stupiva più di tanto dopotutto, visto lo stato in cui versava allora: non dormiva da giorni per prepararsi agli esami, l'ansia gli impediva di ingoiare qualcosa di più di qualche biscotto o cracker insieme al miscuglio di caffè e alcolici che lo teneva sveglio, e aveva serrato così fermamente i propri scudi intorno a sé per isolarsi dalle voci del dormitorio che non provava niente nemmeno della paura che chiaramente proiettava la ragazza.
Non avrebbe saputo descrivere il suo volto, ma il suo trucco era sbafato e le disegnava brutte linee sulle guance mentre le lacrime le percorrevano fino al mento, le labbra tremanti serrate da mani ossute per impedirsi di gemere o singhiozzare << Per...per favore >> disse solo, Charles indicò allora la propria cabina armadio, l'unico nascondiglio che poteva vagamente definirsi tale nelle striminzite camere inglesi, e lei vi era appena scivolata dentro quando la porta si spalancò così violentemente da sbattere contro la parete con uno schiocco sonoro.
Charles non provò paura davanti al giovane ragazzo molto più grande e molto più grosso di lui, si limitò a togliersi gli occhiali vagamente infastidito << So di chiedere troppo nel volere silenzio alle maledettissime due del mattino, ma almeno mi si potrebbe concedere il privilegio di bussare alla dannata porta, non credi? >> sibilò, indossando una sicurezza che nemmeno sapeva di possedere sulle proprie spalle, come fosse la sua giacca preferita, morbida lana pettinata che si adeguava alla forma del suo corpo.
L'altro si sarebbe stupito di meno se gli avesse urlato in faccia << C-cosa? >> balbettò stranito, pupille dilatate e puzzo di alcol, entrambi ricordi fin troppo vividi nella mente di Charles per non fare associazioni << Bussare >> sillabò, come parlasse inglese ad uno straniero, mimando persino il gesto.
Il giovane colosso guardò prima quello, con la lentezza che solo l'ebbrezza sa regalare, quindi digrignò finalmente i denti nel rendersi conto del tono ironico << Ti sbatti la mia ragazza? >> Charles non era sicuro che sarebbe stato capace di seguire i suoi ragionamenti mentali se anche avesse voluto farlo.
La verità era che non voleva. Non gli interessava.
Aveva faticato non poco per costruirsi la bolla di ovattato bisbiglio con lui limitava il proprio potere, l'unico modo che aveva per concentrarsi sullo studio del resto, ed era troppo stanco per provare qualcosa di diverso da fastidio per l'essere stato interrotto, nervosismo, e una viscerale quanto imprudente rabbia per quell'individuo.
L'empatia era decisamente fuori dalla sua portata << No >> rispose stancamente << L'ho vista venire qui! È entrata qui dentro, l'ho vista! >> << No >> si massaggiò la radice del naso mentre rispondeva senza pensare, raccogliendo tutta la sua pazienza << Se non te ne vai immediatamente chiamo la sicurezza >> disse poi, blando comunque, ancora più esasperato che veramente arrabbiato << Se non mi dici immediatamente dov'è Brittany dovrò romperti quel brutto naso che ti ritrovi >> Charles rispose alla minaccia con la noia che provava, non ne nascose nemmeno un briciolo anche se si trattenne dall'alzare gli occhi al cielo << Non so dove sia la tua ragazza. Non mi interessa. Voglio solo che tu esca dalla mia stanza e mi permetta di tornare a studiare >> la menzogna era uscita con una semplicità disarmante, senza alcun rossore improvviso, senza calore che sapeva di vergogna sulle guance, anche se in precedenza il motivo della bugia, per quanto nobile, non era bastato per rendergliela possibile.
Era quello tutto il nocciolo del resto: non gli importava assolutamente niente di quel ragazzo, non significava niente per lui, non si era dato la pena nemmeno di dare un'occhiata alla sua mente. Per questo poteva mentirgli.
Quella notte Charles imparò che impedire alla sua telepatia di sondare tutte le menti che lo circondavano era l'unico modo per vivere una vita vagamente normale, imparò a non sentirsi in colpa per ogni scudo che sollevava, imparò che aveva il diritto di mentire, proprio come chiunque altro.
Mentire ad Erik comunque era tutto un altro paio di maniche, lo sapeva bene, e non solo perché lo conosceva e non poteva che sentirsi in colpa nel farlo, ma anche e soprattutto perché poteva benissimo smascherarlo, nonostante con il passare degli anni fosse diventato capace di seppellire in profondità tutto ciò che non voleva fosse scorto dagli altri.
Altri che non erano Erik, in ogni modo, anche se prima che parlasse già sapeva cosa avrebbe chiesto << Quindi è tutto qui quel che c'è stato fra voi? >> << Esattamente >> confermò con la sua voce più salda, stupendo persino se stesso per la propria sicurezza di fronte a quella che era forse una delle menzogne più palesi che avesse mai pronunciato.
Erik rimase in silenzio per alcuni minuti, Charles controllò la sua mente solo per capire che non solo credeva ad ogni parola, ma si stava anche interrogando sulle reali intenzioni di Saman.
Questo un po’ fece male, un po’ più di quanto si era preparato ad ingoiare, abbastanza almeno per ritirare il proprio potere mortificato dalla sua mente, ma non poteva raccontare tutto ad Erik, semplicemente non poteva.
Atterrarono in un piccolo aeroporto privato, più pratico per lui e la propria disabilità, superarono i controlli con facilità grazie all’illusione che nascondeva il volto di Erik, e attesero in silenzio vicino al jet mentre Hank tornava con il grosso fuoristrada preso a noleggio.
Non si sentiva meno agitato dell’ultima volta che aveva percorso quella strada, se prima era stata ansia e fastidio adesso era paura viscerale, ma in qualche modo la visione del campus quando arrivarono lo fece ritornare indietro di quasi vent’anni, sommando le insicurezze di allora a quelle di adesso.
Chiunque si sarebbe accorto che il Professore aveva qualcosa che non andava, pallido come un cencio com’era, ma Erik riuscì a percepire chiaramente i suoi timori, quasi che fosse il proprio cuore a provare lo stesso, per questo quando scesero dall’auto e lo aiutò a prendere posto sulla sedia a rotelle trattenne una delle sue mani fra le sue, intrecciando le loro dita nel tentativo di trasmettergli la propria presenza e il proprio calore << Charles >> lo richiamò, assaporando la libertà di pronunciare quel nome, la libertà di infondervi il sentimento che per anni si era proibito << Sto bene >> un mormorio affrettato, occhi azzurri che evitavano accuratamente i suoi, stretta tremante sulle sue nocche << Non permetterò che ti faccia nulla. Non ti toccherà nemmeno. Sai che non lo permetteremmo, vero Hank? >> lo scienziato gli lanciò un’occhiata affatto cordiale, quasi personalmente offeso per il fatto che ritenesse necessaria una simile domanda.
Yale non era cambiata molto, erba ben curata e mura di solida pietra che infondevano pari minaccia e sicurezza, e anche nel tendere le proprie percezioni non trovò niente di troppo diverso.
Le vacanze di primavera erano alle porte, probabilmente la prima sessione d’esami appena passata, e nell’aria si respirava quell’atmosfera rilassata che acquisiscono le università in quel periodo, con le aule sempre meno frequentate e chiacchiericci mescolati a risate allegre degli studenti.
Saman non aveva cambiato ufficio, percepiva chiaramente la solidità compatta delle sue protezioni anche se erano del tutto insufficienti contro il suo nuovo livello di potere, quindi la sua sfrontata tranquillità, persino nel sapere che lo stavano raggiungendo lo sfiorava in onde continue e costanti.
Charles cercò ostilità in lui, ma non ne trovò, non era niente di diverso dalla placida pozza d’acqua verdastra che era sempre stato.
Erik lo vide prendere un respiro profondo, istintivamente si infilò una mano in tasca e recuperò due delle sue sfere di metallo mentre il telepate apriva la porta senza bussare, come se non avesse bisogno di un vero e proprio invito.
Dall’altra parte li accolse un uomo piuttosto prestante nella forma, alto poco più di Erik e con le spalle un poco più ampie, un confronto che occhi troppo abituati alla lotta non poterono impedirsi di fare, ma prima che potesse emettere un suono o anche solo compiere un passo le due biglie si posizionarono ai lati della sua testa, pronte a colpire << Erik! >> occhi di un verde sinistro si posarono sul signore dei metalli, per un momento si chiese se non possedesse geni da felino visto quanto erano sottili le sue pupille confrontate con la penombra che si intravedeva dallo studio, ma ovviamente aveva bisogno di ben altro per essere intimidito << Erik Lehnsherr immagino >> disse, voce non meno pericolosa della sua stazza, un lieve sorriso ad increspargli le labbra generose.
Cordiale per Charles, beffardo per Erik.
Ovviamente ignorò la sua mano tesa, costringendo Charles ad un sospiro esasperato, ma non doveva essere molto contento della situazione nemmeno lui a giudicare dal nervosismo nelle dita tese sui braccioli << Possiamo entrare Saman? Non mi conforta parlare in corridoio >> con riluttanza, ed una certa dose di superbia, lo sguardo verdastro si spostò su Charles, si ammorbidì un poco, poi diede in un lieve cenno del capo << Naturalmente. Venite dentro. Dottor McCoy, è un piacere rivedere anche lei >> rivedere?
Erik trattenne le domande, non era quello il momento, e li seguì all’interno della stanza.
L’aveva giudicata buia, ma solo perché le prima due vetrate erano oscurate da spesse tende di velluto, mentre la terza, la più vicina all’ordinata scrivania di legno scuro, era libera e proiettava molto della luminosa giornata sui volumi impolverati alle spalle dello schienale << Vi stavo aspettando >> disse Devine indicando le poltrone del piccolo salottino sulla sinistra, ignorando del tutto le sfere di metallo che ancora lo minacciavano mentre andava a tirare le tende, ma Hank fu l’unico a prendervi posto, visto che Charles non poteva e Erik non lo permise a se stesso << Lo immaginavo >> disse il telepate con la sua voce tranquilla e snervante, quella voce così inglese completamente fuori luogo in quel momento << Sei diventato più potente >> disse Devine con la stessa compostezza, portandosi una mano alla tempia << Credevo non potessi superare le mie barriere a meno che non volessi >> Charles non parlò, si limitò a guardarlo, oppure parlarono usando qualcosa di diverso dalla bocca.
Ad ogni modo lo sguardo che si scambiarono non gli piacque per niente << Mi sono fidato di te, Saman >> l’altro si strinse nelle spalle ed infine sedette, sprofondando nella poltrona alla destra di Hank, così che Charles gli fosse proprio di fronte << Non ho fatto niente di pericoloso. Una scossa di terremoto a dir poco ridicola >> << Potevi chiamare al telefono. Non abbiamo cambiato il nostro numero >> Devine lo scrutò ancora, la bocca divertita appena nascosta dalla barba curata << Saresti venuto se lo avessi fatto? >> la domanda cadde pesante come un macigno in mezzo alla stanza.
Charles rilasciò un respiro più profondo degli altri, invisibile a chi non lo conoscesse come lo conosceva Erik << Cosa vuoi da me? >> << Hai scoperto la mia vera mutazione, non è così? >> << Sì >> Devine sospirò e si appoggiò allo schienale << Le mie intenzioni non sono mai state un mistero per te. La differenza stava tutta nel fatto che non possedevo il potere per metterle in pratica. Ma negli ultimi dieci anni i mutanti sono diventati un fatto conosciuto. È stato più semplice trovarli di quanto non fosse in passato >> << Il Collezionista >> mormorò Charles prima di potersi trattenere, vedendo il sorriso dell’altro allargarsi << In qualche misura, certo >> << Avere una fantasia non significa cedervi, Saman. Sei... sei un uomo buono dopotutto >> << E tu il solito sognatore. Per Dio Charles, guardati. Come ti sei ridotto rincorrendo i tuoi mulini a vento? >> nel parlare guardò Erik molto eloquentemente, persino con una piccola smorfia, ma per rispetto della conversazione il tedesco preferì non ridurre il suo cervello in poltiglia.
In qualche modo quell’uomo lo stava supplicando di ucciderlo, aveva tutti i muscoli irrigiditi nello sforzo di trattenersi << Charles, non comprendi che possiedi il tuo potere per un motivo? Sarebbe tutto più semplice se lo capissi >> << Su questo siamo d’accordo, ma non credo che il motivo sia la sottomissione della razza umana >> << Non c’è altra via! >> esclamò Devine, indicando poi Erik con un cenno della mano << È la guerra ciò che vuoi? La barbarie? È inevitabile ormai: sono terrorizzati da noi. Ora parlano di registrarci, presto cominceranno con il rinchiudere quelli più pericolosi, quelli come te, come... Magneto. Non ti sei chiesto perché non l’abbiano semplicemente ucciso dopo l’assassinio di Kennedy? >> << Troppo potente per essere lasciato libero. Troppo prezioso per eliminarlo >> disse Erik cupo, vedendo l’altro assentire << Hai visto alcuni dei loro progetti? Creano armi contro di noi, Charles: cos’è questa se non una dimostrazione di guerra? >> << Possiamo ancora dimostrar loro che siamo alleati. Che non vogliamo la loro morte >> Devine sospirò esasperato, ma Erik conosceva bene la sensazione di scontrarsi contro il pacato muro che il telepate rappresentava << Puoi fermare tutto questo, Charles >> << Ti ho già detto in passato che il mio controllo mentale non può essere la soluzione. Non... non è giusto >> << Impedire una guerra non è giusto? Risparmiare migliaia di morti non è giusto? Non ti sto dicendo di conquistare il mondo! Solo... renderlo più abitabile per quelli come noi >> << Io non posso. Non... posso >> la sua voce si ruppe sull’ultima parola, impercettibile nota stonata, ma sia Devine che Erik la notarono senz’altro << Non puoi? Sappiamo tutti cosa hai fatto con quei missili, Charles. E anche io ho sentito la tua voce nella mia testa. Se non ti fosse possibile En Sabah Nur non avrebbe voluto il tuo corpo >> Charles non sapeva come aveva fatto ad avere quelle informazioni ma non cercò nemmeno di scoprirlo.
Improvvisamente era solo molto stanco, non voleva altro che tornare a casa, in mezzo ai suoi studenti, lontano da tutto e tutti.
Si portò una mano alla tempia e con un sospiro se la massaggiò prima di fare lo stesso con gli occhi stanchi << Ti prego, Charles... sii ragionevole >> << Non parlarmi di ragionevolezza. Stai cercando di fuorviarci tutti dal problema principale: hai rubato i poteri ad altri mutanti. Dio, Saman... ne hai a decine >> Devine ridacchiò << Trentaquattro in tutto >> << È un potere stupefacente, ma crudele. Non dovresti abusarne >> << Non riesci proprio mai a dismettere le tue vesti di eterno educatore, vero? >> fu la risposta ironica, tradiva fin troppa complicità per il semplice incontro che Charles gli aveva raccontato.
Gli aveva mentito, ormai non c’era altra spiegazione.
Non era stupido, né tanto ingenuo da non accorgersene e il telepate doveva saperlo, quindi non gliene aveva parlato perché non ne era stato in grado.
Un paio di motivi gli ronzarono in testa per giustificare quel comportamento, ma nessuno d’essi gli piacque << Non gli ho davvero rubati, solo presi in prestito... torneranno ai loro legittimi proprietari quando avrò finito >> << Finito cosa? >> chiese infine Hank, palesando la frustrazione che attanagliava anche Erik in quel momento.
Partecipavano a quel dibattito come spettatori disattenti, sentivano dieci parole e altre venti erano trasmesse in sguardi e silenzi.
Se aveva avuto qualche dubbio sull’odio che provava per Devine, adesso erano completamente dissipati << Non voglio aiutarti in questo tuo folle piano >> << Posso avere il tuo sangue in altro modo, Charles >> << Puoi prenderlo se vuoi. La mia telepatia ti ucciderà prima ancora che tu possa imparare ad usarla. Non è un potere a cui è semplice adattarsi >> << Prova ad avvicinarti a lui e ti farò a brandelli >> disse invece Erik pacatamente, vedendo l’altro sollevare un sopracciglio divertito << Ed ecco qui il leader della Confraternita che si schiera dalla parte del suo nemico. Dovete a me quest’alleanza o sei semplicemente sempre stato un’ipocrita? >> << Saman, non... >> << Non mi importa quel che pensi di me. Il motivo per cui sei ancora vivo è che Charles vuole parlare con te. Altrimenti ti avrei ucciso prima di aprire la porta >> << Se io muoio porterò con me i poteri di tutti coloro a cui li ho rubati: finché non li userò resteranno imprigionati dentro di me >> disse quello semplicemente, ben sapendo quanto quella notizia avrebbe fatto piacere ad entrambi << Non possiamo permettere niente del genere >> << Preferisci che abbia la tua telepatia, Charles? >> ribatté Erik irritato << Non possiamo. Se vuole il mio potere che lo prenda: lo ucciderà, non sai cosa si prova. Persino Apocalisse ne è stato sopraffatto, anche se per poco >> << E se lo stessi sottovalutando? Non mi sembra uno stupido. Forse ha trovato un modo >> << Sono ancora dell’idea che il metodo migliore sia il compromesso, Charles. Sono sicuro che sia possibile >> continuò Devine, ignaro del loro colloquio privato << Mi rifiuto di stare seduto qui a decidere come manovrare l’intera popolazione mondiale. Non abbiamo ucciso En Sabah Nur perché tu possa prenderne il posto >> Devine scoppiò a ridere adesso, come se avesse fatto una battuta divertente << Ma io non ho mai detto niente di simile! Voglio che sia tu a prenderne il posto, non io >> disse, rivelando a voce alta qualcosa che il tedesco già temeva.
Charles sbiancò invece << Io ripongo cieca fiducia nel tuo giudizio, caro mio. Puoi manovrare anche me se vuoi, non mi importa. Sono certo che tu non voglia il male di nessuno, e non esiste garanzia più forte. Ma se non vuoi fare ciò che è necessario non posso far altro che costringerti >> << Non puoi costringermi >> per tutta risposta le due biglie di metallo di Erik schizzarono come proiettili, vorticando con tale velocità intorno a Devine che rimasero indistinguibili per un momento, finché non si trasformarono in un cappio d’acciaio intorno alla sua gola << Erik, smettila >> il tedesco lo ignorò, continuando invece a fissare Devine in cagnesco << Non sono disposto ad ascoltare ulteriori minacce >> sibilò, mentre l’altro continuò semplicemente a sostenere il suo sguardo, senza accennare a muoversi << Ammetto che è stata una sorpresa vederti alla mia porta >> disse invece, con tranquillità anche se il cavo di metallo continuava a stringere << Erik adesso basta! >> << Ma del resto Charles ha sempre avuto un debole per gli uomini alti >> << No! >> anche se non avrebbe voluto, Charles fu costretto ad impedirgli di agire con il proprio potere, immobilizzandolo per impedirgli di strangolarlo.
Erik imprecò, ma non gli permise di fare altro, troppo spaventato dalla sua rabbia ustionante << Mossa sleale questa, Saman >> disse poi, trattenendo anche la propria lingua dall’essere troppo violenta.
Hank adesso era in piedi, non ancora trasformato ma con l’intero corpo in tensione << Sei stato tu a costringermi ad usarla. Come riesci a resistere alla tentazione di schiacciare la sua mente tra le tue mani? Dimentichi così facilmente cosa ti ha fatto? >> << Non sono affari tuoi >> disse Charles invece, ogni cordialità, vera o finta che fosse, ormai scomparsa.
Erik ringhiò come una bestia feroce, lottò con le sue imposizioni con forza, nessuno era capace di altrettanto, palesando la forza devastante di una delle volontà più forti e tenaci che il telepate avesse mai incontrato << Perché non dovrei schiacciare la tua di mente invece? >> << Perché sai che non sono malvagio. Non più del nostro Magneto qui presente. Non sono un assassino, sono un professore, proprio come te. Voglio semplicemente vivere in pace. Se i mutanti fossero rimasti nascosti non mi sarei mosso, Charles. Sai come la pensavo. Ma ormai il nostro anonimato è perduto: molti ospedali cominciano già a fare controlli sul DNA come esami di routine, lo sapevi? Pensi che per il governo sia un problema aver accesso alle nostre cartelle cliniche? >> << Smettila di sviare! >> esclamò il professore spazientito, anche dallo sforzo di mantenere fermo Erik << Puoi fermare tutto questo, Charles! Non posso permettere che l’incredibile risorsa che sei vada sprecata a questo modo! Se non vuoi usare il tuo potere vorrà dire che troverò qualcun altro che possa >> << Qualcun altro? >> << Posso trasferire le capacità da un mutante all’altro, dovresti averlo capito ormai. Forse io non posso usare la tua telepatia, ma qualcun altro sì >> << Io non sono una risorsa al servizio di chicchessia. E per certo non sono disposto a cedere alle tue assurde minacce. Non puoi fare niente per costringermi >> e nel dirlo penetrò le sue barriere di cemento per obbligarlo a privarsi dei suoi poteri rubati, ma questa volta trovò mura di diamante a proteggerlo, mura che conosceva e ricordava << Emma >> mormorò sconvolto, vedendo l’uomo restare a fissarlo beffardo << Ho preso il suo sangue prima che Trask la uccidesse. Utile, non trovi? Sapevo che avresti usato la tua telepatia in questo modo, quindi ho protetto la mia mente da un simile ordine. Puoi obbligarmi a ballare il tiptap se vuoi, ma non a privarmi della mia collezione >> << Non possiamo lasciarlo libero >> disse Hank a quel punto, palesando ciò che pensavano tutti loro.
Charles strinse le labbra d’irritazione, soffocò un’imprecazione, poi però la calma tornò a prevalere su di lui, il controllo riacquisito non gli permise di lasciarsi andare.
Assentì brevemente, quindi rilasciò un poco la morsa su Erik per potersi concentrare di più su Saman e obbligarlo a seguirli.
I pensieri del tedesco non erano affatto gentili, ma come altre volte non incolpava il telepate per aver usato le sue capacità, o almeno non lo faceva adesso, troppo concentrato nello sforzo di escogitare migliaia di atrocità da mettere in pratica nei confronti di Saman.
Uscirono in un silenzio ancora più teso di quello con cui erano entrati, raggiunsero il fuoristrada in breve, senza che nessuno li fermasse, ma ben presto Hank pensò bene di non mettere Erik e Saman entrambi dietro, né tantomeno aveva alcuna voglia di guidare con affianco la bomba ringhiante che era il signore dei metalli, quindi alla fine si risolse a lasciare a quest’ultimo le chiavi, montando alle sue spalle insieme al professore di Yale.
Charles gli fu grato per quel piccolo accorgimento, rilasciò alla fine del tutto le costrizioni sul tedesco, ma se questi da una parte smise di cercare di uccidere Saman per certo la tensione della sua mascella e delle sue mani sul volante non suggeriva che avesse smesso di desiderarlo.
Avrebbe potuto tranquillizzarlo, o almeno cercare di farlo, ma sarebbe stato inutile e lo sapevano entrambi, quindi anche il viaggio di ritorno verso l’aeroporto non fu meno silenzioso dell’andata, più teso anzi, e non era meno snervante notare che il più tranquillo del gruppo fosse proprio Saman.
Continuava a mantenere quel sorriso sulle proprie labbra mentre lo sguardo di smeraldo pesante come una mano fisica non lo lasciava un momento, nemmeno dallo specchietto retrovisore, perciò non c’è da stupirsi se non appena furono sul jet Charles decise di farlo addormentare per avere un po’ di tregua da entrambi.
La sua tempia pulsava ferocemente quando poté finalmente rilasciare la morsa del suo potere, tra Saman e Erik non avrebbe saputo scegliere quale mente fosse più difficile da controllare, perciò tutto ciò che voleva era un po’ di tregua da quella mattinata assurda, ma gli bastò vedere il modo in cui Erik prese posto di fronte a lui per essere certo che la sua fosse una speranza vana << Quindi avete scopato >> la sua voce uscì noncurante, nonostante le parole, ma proprio per questo Charles la sentì colpirlo come un’unghiata, tanto violenta che trasalì.
Si guardarono, mare cristallino e tempesta divorante, poi il telepate sospirò, un lungo sospiro, e abbassò le palpebre stanche << Sì >> disse solo, anche se quella dell’altro non era affatto una domanda.
 



NA: Ciao a tutti!!! Grazie mille per essere arrivati a leggere fin qui, vi amo tutti per questo <3 <3 *amore a badilate*
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, e spero anche di non aver fatto troppa confusione coi punti di vista XD XD Ad ogni modo le relazioni vanno via via dipanandosi e nel prossimo capitolo mi sa che dovrò cambiare il rating *sorrisetto compiaciuto* Alla prossima! 

PS: Scrivetemi le vostre impressioni se vi va! Ogni commento è ben accetto (anche negativi, ovvio :D ) e la scusa perfetta per una bella chiacchierata tra fangirl/boy :D :D

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Boston, un anno dopo la chiusura della Scuola per Giovani Dotati
 
Si era sforzato di tener duro mentre le stanze si svuotavano e la disperazione piano piano mangiucchiava ogni suono, ogni colore, consumando prima l’ambiente e poi i suoi stessi, pochi, abitanti, ma adesso guardava quella lettera e tutto ciò che riusciva a pensare era che non aveva alcun senso resistere se l’unico risultato possibile era cadere di nuovo.
In completo nero sotto la pioggia gelida, ascoltava le parole del prete con un orecchio soltanto, troppo accecato dal pianto convulso della donna a pochi metri di distanza, la madre, e cercava con tutte le sue forze di non soccombere al dolore che lo circondava e che andava a sommarsi al proprio.
La bara di Sean era di mogano scuro, legno lucido di un paio di tonalità più fosche dei capelli rossicci che aveva avuto il suo giovane studente, e non riusciva a concentrarsi su molto altro mentre il funerale proseguiva intorno a lui.
Qualcuno si domandava chi fosse, i genitori lo avevano visto solo una volta del resto, ma i più erano troppo preoccupati a piangere o a fingere di farlo per preoccuparsi davvero.
Lui non riusciva più nemmeno a fare quello, stringeva solo la lettera e restava immobile.
Sean era a Westchester quando era giunta la chiamata al fronte e nessuno se ne era stupito poi molto dopo la partenza di Alex qualche settimana prima.
Aveva cercato di impedirlo, di proteggerli, ma le sue conoscenze non erano bastate, nemmeno il suo denaro, ed era stato costretto a vedere anche lui uscire dal portone con il capo chino e spaventato, senza nemmeno la possibilità di seguirlo con la mente nel posto lontano in cui sarebbe andato.
Lo aveva seguito con Cerebro, aveva fatto lo stesso anche con Alex, ma ben presto Hank glielo aveva proibito. Si faceva coinvolgere troppo, la maggior parte delle volte diveniva solo il modo di condire i suoi incubi e rendere insopportabile la sua veglia.
Aveva comunque saputo prima di chiunque altro che era morto.
Prima della lettera che lo annunciava e che adesso stringeva in mano, prima che i genitori lo invitassero alla cerimonia.
Il funerale durò meno di quanto aveva pensato, ben presto si ritrovò a gettare una manciata di terra bagnata su ciò che restava di Banshee, lo stesso ragazzo che era stato con lui a Cuba, coraggioso e impavido abbastanza da lottare contro Shaw, eppure nessuno dei presenti lì ne sapeva nulla.
Attese finché tutti non furono andati, attese finché gli addetti non riempirono la fossa e posizionarono la lapide, attese come un’ombra silenziosa finché non rimase solo e il sole impallidito dall’inverno non rimase a galleggiare che come un disco appannato alla fine del suo percorso.
La pioggia non aveva smesso di scendere nemmeno per un momento, inzuppandogli i vestiti e le scarpe, facendo appiattire i capelli che ormai gli sfioravano le spalle e gocciolando dagli occhiali scuri che gli nascondevano il volto.
Era contento di essere venuto da solo. Avere Hank affianco non gli avrebbe permesso di lasciarsi andare allo sconforto che covava e che ormai lo divorava dall’interno come un cancro.
Hank sapeva troppo di quel sentimento perché riuscisse a nasconderglielo.
Rimase lì finché le sue gambe non cominciarono a farsi pensanti, il siero era vicino a perdere il suo effetto, quindi prese la piccola dose che l’amico gli aveva consegnato prima di andare e se la iniettò, lì fermo davanti alla tomba di Sean, chiedendosi se il giovane sarebbe stato contento di vederlo di nuovo in piedi.
Era solo il primo mese che provava quella cura miracolosa, aveva pensato come Hank che riavere le gambe lo avrebbe aiutato ad uscire dal gorgo nero in cui stava cadendo, ma già dopo la prima settimana la gioia di poter camminare ancora era stata soffocata di nuovo dall’oscurità della solitudine e del silenzio, anzi, quella felicità aveva creato la paura devastante di perderla un’altra volta.
Tornare alla sedia a rotelle adesso sarebbe stato come morire per lui.
Si incamminò verso l’auto a noleggio senza dire nulla a quella tomba fredda, se mai aveva avuto un dio a cui rivolgersi per certo non doveva essere in vena di ascoltarlo visto l’accanimento con cui lo tormentava, quindi donò il suo silenzio a Sean, l’unica cosa che gli era rimasta davvero.
Non avrebbe dovuto faticare per toccare persino la costa con il suo potere, anche a quella distanza, ma il siero soffocava le sue percezioni e le inibiva, lasciandogli quel poco che bastava a leggere le menti più vicine per potersi difendere in caso di pericolo e allo stesso modo camminare senza niente più che un leggero fastidio alla base della schiena.
Un equilibrio fragile e perfetto.
Non che il suo potere gli servisse a poi molto.
Non aveva impedito alla guerra di bussare alla sua porta, non aveva protetto i suoi ragazzi, non aveva fermato Raven o Erik dall’abbandonarlo.
L’unica cosa che la sua telepatia era capace di fare era rendere ogni ferita più profonda e indelebile, ogni dolore più consapevole, lasciandolo ogni singola volta boccheggiante e circondato da persone convintissime che avesse ogni cosa sotto controllo.
Come poteva essere diversamente del resto?
Lui leggeva la mente, era un genio, doveva avere tutto sotto controllo, non aveva certo bisogno d’aiuto!
Chi poteva aiutare Charles Xavier?
Sentiva dolore al petto, come un bruciore asfissiante, la sensazione spiacevole di star soffocando senza alcuna possibilità di scampo.
Eppure aveva lottato. Dio se aveva lottato!
Non meritava forse un po’ di pace? Un rifugio almeno, qualcosa cui aggrapparsi.
Non gli restava più nulla.
Si fermò di fronte al primo negozio di liquori che incontrò.
Non scese. Rimase fermo al suo posto, stringendo il volante e costringendosi a richiamare bene alla mente l’immagine di Sharon, di sua madre, abbandonata sul divano come il relitto di donna che era nonostante gioielli e abiti firmati, e l’inconfondibile aroma dello sherry che impregnava la stanza.
Le sue mani tremavano mentre si ripeteva che non avrebbe mai permesso a se stesso di cadere tanto, non avrebbe bevuto nemmeno un bicchiere in quello stato, non avrebbe ceduto a quel facile sollievo.
Girò di nuovo la chiave, mise in moto e tornò in carreggiata, spingendo profondi respiri fuori dai denti.
Non era caduto nemmeno quando aveva perso le gambe, giusto?
Cos’era il dolore di adesso rispetto a quello che aveva già provato?
Si fermò di nuovo, una stazione di servizio questa volta, e si diresse a passo di marcia fino al bancone del piccolo negozietto, afferrando due pacchetti di sigarette senza filtro e un accendino, ignorando ostentatamente le occhiate della cassiera e di un altro cliente ai suoi vestiti zuppi e alla barba di tre giorni.
Accese la prima appena fuori, una lunga e liberatoria boccata che scese ad infiammargli l’esofago e i polmoni, ma era di gran lunga migliore quello al resto che lo tormentava.
Era un pessimo vizio che aveva iniziato al college, quando aveva pensato fosse l’unico modo per dimenticare ansia appiccicosa come colla e frustrazione carnivora, e fortunatamente lo aveva abbandonato prima che diventasse un problema vero e proprio, ma mentre il sapore acre gli impregnava la lingua provò lo stesso sollievo di un tempo.
Guidò senza meta per un po’, scivolando per le strade come il fantasma che si sentiva di essere, e quando nel primo pacchetto non rimasero che due sigarette si ritrovò di fronte all’albergo dove Hank aveva prenotato la sua stanza per la notte, senza comunque aver deciso davvero di raggiungerlo.
Lasciò l’auto al parcheggiatore e si appoggiò di traverso ad una delle colonne dell’entrata per finire di fumare, continuando così a fissare da una parte la pioggia incessante appena fuori dal suo riparo e dall’altra godendo della luce della hall illuminata.
Il concierge ogni tanto gli lanciava qualche occhiata furtiva, lo credeva il rampollo annoiato di qualche facoltoso ospite, e del resto quel suo aspetto trascurato strideva con il completo di sartoria e l’orologio che portava al polso, perciò mentre si toglieva gli occhiali e si massaggiava stancamente le palpebre quel giudizio superficiale lo fece sorridere nonostante tutto << Charles? >> per un momento quando sentì quel richiamo sperò che fosse Raven.
Di poche cose aveva bisogno più che di sua sorella, ma quando si voltò i pensieri dell’uomo di fronte a lui non appartenevano a lei << Sei proprio tu! Charles Xavier! >> si spinse sul volto il suo sorriso di circostanza, ormai sempre più difficile da ostentare man mano che il tempo passava, sempre più pesante della sua inutilità, ma l’imponente uomo che aveva davanti sembrò apprezzarlo << Il professor Saman Devine se non ricordo male. È un piacere rivederti >> si strinsero la mano e Charles si sforzò di nascondere quanto poco avesse voglia di parlare in quel momento.
Soprattutto dopo aver sperato per l’ennesima volta di trovare Raven in un estraneo.
Doveva smettere di cercarla intorno a sé o ci avrebbe rimesso il senno << Ti ho visto mentre passavo nella hall, ma non ti ho davvero riconosciuto finché non ti sei tolto gli occhiali >> indossava anche lui un completo, più formale di quello che gli aveva visto indosso ormai quasi due anni prima, ma il suo corpo lo vestiva bene, dando ancora più imponenza ad un’altezza e un modo di porsi che già senza alcun aiuto incutevano rispetto << Ti trovo bene >> disse non senza una certa sorpresa, stringendo la mano tesa simulando più sicurezza di quella che provava.
Non c’era da stupirsi che gli attenti occhi verdi lo stessero scandagliando dalla testa ai piedi, ricordava ancora come l’avevano fatto in passato, e ugualmente non si stupì nemmeno di come la sua cordialità si trasformò in preoccupazione << Sei qui da solo? >> domandò cauto, prima di qualsiasi altra cosa.
Avrebbe potuto stupirsi delle sue gambe ad esempio. Tutti si stupivano delle sue gambe.
Tre anni in sedia a rotelle e quelle maledette ruote erano diventate parte della sua personalità, come se vi fosse nato sopra.
Invece Saman non sembrava stupito che fosse in piedi << Sì >> disse solo, lasciando cadere il mozzicone e schiacciandolo con il tacco << Posso offrirti un drink? >> chiese l’altro, sciogliendosi il cravattino con gesti frettolosi e Charles si trattenne a stento dal ridacchiare, racimolando un po’ del vecchio se stesso per rispondere visto che non aveva alcuna intenzione di raccogliere la pietà di un semisconosciuto << Mi dispiace, ma sono stanco e preferirei tornare nella mia stanza. Mi ha fatto piacere vederti >> si incamminò allora, offrendo un sorriso pallido come saluto prima di superarlo, ma aveva fatto a malapena un passo quando la stretta di quelle mani fin troppo grandi lo fermarono prendendolo per un braccio << Che cosa è successo? >> chiese senza mezzi termini, come se avesse qualche diritto di fare una domanda del genere, come se potesse capirlo, come se volesse farlo.
Si liberò con uno strattone, fulminandolo con lo sguardo, ma prima che potesse proseguire Saman gli sbarrò la strada << Lasciami passare >> sibilò il telepate << Non voglio infastidirti. Permettimi solo di accompagnarti. Hai un aspetto terribile >> << Non mi conosci abbastanza per potermi dire una cosa del genere >> lo freddò, quindi sostenne quegli occhi verdi per qualche secondo ancora mentre cercavano di farlo desistere, ma alla fine si limitò a fare un passo di lato per lasciargli libero il passaggio << Buonasera >> azzannò Charles a quel punto, proseguendo per la sua strada senza voltarsi indietro.

*** 
“Non toccarmi!”
“È inutile continuare ad urlare! Nessuno ti può aiutare!”
“Aiuto!”
“Perché a me? Cosa ho fatto? Cosa ho fatto?”
“Stai lontano da me!”
“NO!”
L’urlo si propagò violento dalla sua mente, divorando il suo respiro e prorompendo dalla sua bocca con tale impeto da assordare lui stesso.
Aprì gli occhi sul soffitto buio di quella stanza sconosciuta, in tale stato di shock che per un lungo minuto non riuscì a scindere se stesso dalle migliaia di altre coscienze che lo stavano attraversando, le sue mura erano in frantumi, e anche quando Charles tornò Charles la sensazione di soffocamento non si attenuò di molto, le menti altrui continuavano a schiacciare la sua ad intervalli improvvisi, lasciandolo tremante ed inerme in mezzo al letto bagnato del suo sudore freddo.
Il siero.
Il maledetto siero.
Si aggrappò a quel pensiero per riprendere le fila di se stesso, tutto ciò che era si ridusse allo sforzo di trascinare il suo corpo fino alla siringa ricolma di liquido dorato.
Afferrarla nella stretta convulsa delle sue dita fu un sollievo che aveva l’amaro sapore della disperazione, tremava come una foglia mentre se lo iniettava, e per i successivi due minuti il suo corpo rimase ancora intrappolato nella morsa soffocante del dolore e dell’angoscia, poi il silenzio tornò misericordioso, accolse con consolazione immensa la fastidiosa sensazione del suo potere che si appannava come consumato da un virus, e infine si ritrovò a fissare di nuovo il soffitto di tenebra, il respiro affannato e i capelli che aderivano al suo viso a causa del sudore e delle lacrime di sofferenza propria e aliena.
Si rannicchiò su se stesso quando tornò a sentirsi le gambe, si voltò su un fianco e si ritrovò a singhiozzare come un bambino mentre la paura continuava a ristagnare densa e vischiosa dentro di lui.
Le notti come quella erano sempre più frequenti ultimamente.
Aveva chiesto ad Hank se non gli fosse possibile prendere una dose più sostanziosa prima di andare a letto, ma lo scienziato lo aveva invitato alla cautela perché c’era il rischio che la sua telepatia si spegnesse del tutto.
Quale perdita sarebbe stata!
Imprecò coloritamente alla stanza buia, nauseato da se stesso e dalla propria debolezza, e decise in quel momento che non poteva permettersi di crogiolarsi nello sconforto.
Si tirò su ignorando il proprio tremore e il battito furioso del suo cuore sincronizzato con l’emicrania che gli stava fiorendo sulle tempie, trascinandosi infine nel bagno e poi nella doccia.
Si lavò con l’acqua fredda, per svegliarsi e per dare vigore al corpo rattrappito dallo shock, insistendo con irritazione sotto il getto gelido finché non si ritrovò a battere i denti, quindi usò il rasoio per tornare a riconoscersi allo specchio, e senza nemmeno dare un’occhiata all’orologio cominciò a vestirsi, con meticolosa precisione come un tempo, uscendo infine portandosi dietro solo il portafogli e le tre sigarette che erano rimaste nel pacchetto.
La hall era deserta se si escludeva la luce accesa del guardiano notturno, i tavoli e le poltrone solitamente illuminati e riscaldati dalla presenza di persone e chiacchiericcio conviviale erano sostituiti adesso da un silenzio e un’oscurità quasi spettrali << Charles >> sentirsi chiamare di nuovo da quella voce lo fece trasalire di sorpresa e sconcerto insieme, facendolo voltare sulla difensiva << Cristo santo, Devine... mi stai pedinando? >> il professore di Yale ridacchiò della sua espressione, si avvicinò con le mani infilate nelle tasche dei pantaloni a coste, sicuro di sé come gli era sempre sembrato, solo con un lampo di vago divertimento nello sguardo << Solo un caso, Charles, te lo posso assicurare. Senza contare che non avrebbe alcun senso mentirti >> continuò, indicandosi la testa con un gesto distratto.
Charles lo scrutò << Come può essere un caso ritrovarsi nella hall a quest’ora? >> << Il caso è che la tua stanza si trovi di fianco alla mia >> fu la risposta, gli occhi verdi si abbassarono finalmente in un po’ di sana indecisione, il che permise a Charles di non sentirsi pietoso come era nel proseguire: << Mi hai sentito, certo >> disse asciutto << Mi dispiace averti svegliato >> << Non è per questo che sono qui >> Charles gli rivolse l’occhiata più gelida che riuscì a mettere insieme, quella che Erik catalogava come “inglese viziato di buona famiglia”, ma esattamente come per quest’ultimo anche Saman non si lasciò intimidire, limitandosi a sostenerlo senza dire una parola.
Prese invece la giacca che teneva ripiegata sul braccio e la indossò << Vieni con me >> disse solo, prendendolo per mano con semplicità disarmante, come fosse un gesto del tutto naturale, furono così morbide quelle dita troppo grandi tra le sue che Charles non riuscì a trovare la forza per respingerlo.
Troppa fermezza per lui, troppo vigore che premeva contro le sue mura fragili come carta.
Si ritrovò su una grossa Chevrolet nera, sedili sportivi che non avrebbe attribuito ad un professore di Storia e volante rivestito in pelle di camoscio rossa, un tocco squisitamente esagerato su quell’uomo che sembrava il controllo personificato.
Non parlarono mentre Saman guidava, l’autoradio cullò il loro silenzio con un mormorio di sottofondo che aiutò Charles a calmare il suo animo agitato, per questo quando il motore si spense, riportando per un attimo una quiete assoluta, riuscì quasi ad ingannarsi di stare bene di nuovo.
Guardò fuori dal finestrino e vide il mare.
L’oceano si distendeva calmo e piatto a poca distanza, contornato dalla città e dal porto mastodontico di Boston sullo sfondo. Il cielo cominciava a tingersi di un tenue chiarore all’orizzonte, ma era ancora la notte a predominare << Qui intorno non c’è nessuno per chilometri a quest’ora >> disse Saman, palesando infine il motivo per cui si era spinto fin lì, e Charles era troppo preso a crogiolarsi in quella premura per premurarsi di spiegargli che era del tutto inutile << Grazie >> disse invece, accettando il dono per ciò che era, senza aggiungere altro.
Aprì la portiera e uscì fuori, accogliendo la brezza pungente che lo sferzò in viso, colma di salsedine e di qualcosa di intrinsecamente pulito che non avrebbe saputo definire meglio.
Non vedeva il mare da quel giorno.
Guardò la sottile striscia di costa che si apriva davanti a loro, niente più che una lingua di sabbia granulosa e grigia, ma il paragone fu comunque istintivo, anche se non era una giornata di sole splendente e non c’era alcun mare cristallino e nessun mondo da salvare e nessun Charles pieno di sogni.
Quel Charles era morto allora << Va meglio? >> chiese Saman, affiancandolo con cautela, come fosse un animale selvatico a cui è difficile approcciarsi.
Era sempre stato così?
Dio, avrebbe dato la sua mano destra per tornare a vedere il mondo attraverso gli occhi di quei giorni << Sì >> << Non devi rispondermi per forza. Era una domanda sciocca, perdonami >> << No, affatto. Sei tu che devi perdonarmi. Non sono al mio meglio in questi giorni... >> l’altro attese in silenzio, quel magnifico silenzio che la maggior parte delle persone sottovalutano.
Lo guardò, finalmente lo guardò davvero, permettendo ai suoi occhi di scivolare sulla sua figura pacata e rilassata, come se gli concedesse tutto il tempo del mondo per parlare, come se non desiderasse essere in nessun altro luogo in quel momento, come se non avesse niente altro di meglio da fare che raccogliere un estraneo nella hall di un albergo e fare quaranta minuti di auto per portarlo nel luogo più muto di menti che avesse a disposizione.
Saman non aveva bisogno delle sue parole, non gliele chiedeva, si limitava a trasmettergli che, se avesse voluto condividerle, lui era lì per ascoltarle << Un mio studente è morto >> si ritrovò a dire, la voce bassa e roca perché non gli uscì diversamente.
Non gli rivolse parole di circostanza, nessuna ipocrita frase di cordoglio, solo attenzione e occhi verdi che lo guardavano come se non vi fosse nient’altro di altrettanto interessante nell’intero mondo.
Charles fece qualche passo avanti verso la spiaggia, per fuggire a quello sguardo per lo più, ma averlo piantato nella schiena non migliorò di molto la situazione << Non ho potuto fare niente per impedirlo >> continuò e ben presto si ritrovò a vomitare fuori tutto il suo dolore, tutta la sua disperazione, l’angoscia che aveva covato in quei mesi, la paura, il siero, la scuola, Raven, Erik, e tutto il maledettissimo fottutissimo mondo in cui era costretto a vivere e che lo stava travolgendo.
Pianse ad un certo punto, urlò, imprecò come quando era un ragazzino, raccontò senza un ordine preciso, no, senza un ordine affatto, quel che non poteva essere condiviso con le parole si trasformò in immagini e sensazioni che trasmise direttamente alla mente dell’altro, lì seduto sul quella sabbia che sapeva di vecchio e di nuovo insieme, la sua voce trasformata in un fiume in piena che nemmeno sapeva di star trattenendo.
Arrivare alla fine lo lasciò stremato, ansimante come dopo una giornata di esercizio fisico, con le mani strette a pugno nel suo grembo e la sensazione devastante di avere il petto squarciato e sanguinante.
Si sentiva nudo, vulnerabile come non gli accadeva da molto tempo, esposto come non mai << Charles >> era la prima parola che Saman pronunciava da ore, lì seduto davanti a lui come una statua paziente e benevola << S-sì? >> lo vide sporgersi verso di lui con lentezza, cautela, continuando a tenerlo immobile con quegli occhi di ghiaccio verde, come fossero gli spilli per una farfalla.
Superò il suo spazio personale con la stessa naturalezza con cui aveva preso la sua mano nella hall, gli tolse i capelli dal volto con un dito delicatissimo, portando una ciocca dietro l’orecchio, e la sua pelle era febbricitante contro quella gelida dell’inglese << Io sono qui >> gli disse, con un sorriso che sapeva di conforto e comprensione, e non esistevano parole più appropriate in quel momento << Non sei solo. Io sono qui >> ripeté ancora, e Charles gli credé, aveva bisogno di farlo, lo fece perché non farlo significava cadere senza più ritorno.
Si specchiò nelle iridi di smeraldo e cedette almeno a quello, almeno per quel bisogno poteva scegliere la via facile, una speranza facile, non desiderava nient’altro che la solidità da montagna di Saman cui appoggiarsi.
Solo un poco. Un minuto appena. Il tempo di riprendere fiato.

*** 
Le sue giornate si erano trasformate in un gigantesco esercizio di resistenza.
Ogni giorno si svegliava alle otto in punto, si vestiva come l’uomo che doveva essere e scendeva a preparare il caffè per sé e per Hank, leggendo qualcosa mentre faceva colazione.
Due volte a settimana correva per un paio d’ore nell’immenso parco della villa, riabituando pian piano il suo corpo rattrappito, mentre gli altri giorni si limitava a passeggiare con un libro in mano.
A volte si costringeva a scendere in città con la macchina, si sedeva ad un caffè o andava in biblioteca, ma le persone cominciavano a metterlo a disagio sempre più spesso, come aveva temuto il suo potere non si lasciava ingannare dai suoi sforzi e il suo malessere attirava quello altrui come una calamita, perciò alla fine si era arreso ad appartarsi nel suo studio a fingere di avere qualcosa da fare fino all’ora di cena.
Era Hank ad occuparsi di quest’ultima, per il pranzo risolvevano velocemente con qualche panino, ma Charles si rendeva conto anche da solo che mangiava come un automa, senza affatto assaporare quel che si portava alla bocca.
Dopodiché si congedavano, raramente Hank riusciva a trattenerlo per una chiacchierata serale, e Charles prendeva un paio di pillole per addormentarsi senza pensieri.
Questo schema funzionava per gran parte delle sue giornate, abbastanza stabilmente per lo più, ma ogni tanto alzarsi dal letto era più difficile, il sole alla finestra insopportabile, e tutto ciò che voleva era starsene in camera a soffocare pateticamente il proprio pianto contro il cuscino.
Quella era una di quest’ultime giornate: ventidue novembre 1965, secondo anniversario della morte di J.F. Kennedy.
Non aveva bisogno di leggere il giornale per esser certo di chi sarebbe stata la foto che avrebbe affiancato quella del Presidente nell’edizione del mattino, anche dalla sua stanza riusciva a sentire il notiziario al piano di sotto che rievocava per la centesima volta come due anni prima il terrorista Erik Lehnsherr avesse assassinato l’uomo più amato d’America.
Erik.
Perché aveva fatto una cosa simile? Perché Kennedy? Che cosa ne aveva guadagnato se non disprezzo e fine della propria libertà?
Gli ritornarono alla mente le sue parole, la guerra che lui vedeva inevitabile senza rendersi conto che sarebbe stato l'unico a causarla davvero, pensò a come lo aveva pregato di seguirlo nella sua follia, e come altre volte Charles si chiese cosa sarebbe successo se lo avesse fatto.
Allora aveva pensato che lasciarlo andare fosse la scelta giusta, l'unica scelta possibile, ma se lo avesse seguito, se avesse seguito Raven, se avesse ingoiato un po' dei suoi maledetti ideali e sogni, forse adesso non si sarebbe trovato in quella situazione.
Forse Erik non sarebbe stato dove era, seppellito vivo in un carcere creato apposta per lui, forse ogni cosa sarebbe andata per il meglio.
Provava rabbia per quei pensieri, odio persino, odio verso se stesso e verso Erik che lo costringeva a quell'autocommiserazione distruttiva.
Sarebbe stato tutto più semplice se Erik avesse usato il suo dannato cervello, se Erik si fosse fidato di lui, se avesse avuto fede nelle sue parole.
Forse aveva cercato di controllare anche lui senza rendersene conto? Oppure semplicemente Charles Xavier era insopportabile per chiunque e condannato per questo all'eterna solitudine?
Eppure nessuno lo aveva capito come Erik, di questo era certo, o almeno lo era stato, nessuno era riuscito a vederlo per davvero.
Quella di Erik era stata l’unica mente a cui aveva avuto sempre accesso. Non gli aveva mai impedito di sentire i suoi pensieri, mai aveva avuto paura del suo potere, mai aveva temuto che le sue azioni fossero controllate o guidate, a differenza della stessa Raven.
In realtà aveva capito che sarebbe finito tutto sin da quando aveva indossato l’elmetto di Shaw.
Non è che non mi fidi di te, Charles
Come aveva osato dire una cosa simile?
Imprecò contro il cuscino, sentendosi un vero idiota a soffrire ancora per una cosa simile, ma il tradimento che aveva provato allora, e che aveva pensato di aver superato e dimenticato, adesso bruciava nel suo petto come una ferita aperta.
E poi la morte di Shaw. Oh Dio...
Non aveva avuto alcuno scrupolo quel maledetto. Sapeva perfettamente che si trovava dentro Shaw, lo stava trattenendo del resto, eppure non aveva esitato a conficcare quella moneta nel suo cranio, non si era affatto preoccupato per lui, anche se Charles aveva pensato di impazzire per il dolore.
Eppure ancora non lo aveva odiato, no, nemmeno per quello, aveva anzi capito il suo odio e la sua sete di vendetta, o almeno aveva cercato di farlo, trascinandosi fuori nonostante tutto, ma a lui non era bastato.
Nemmeno uccidere il dannato presidente era bastato.
Ad Erik niente sarebbe bastato.
Era questo a far male sopra ogni altra cosa: l’idea di aver fallito, fallito miseramente, il sapere di averlo perso per sempre, di non essere riuscito a salvarlo da se stesso.
Era insopportabile.
C’era anche solo una cosa che fosse riuscito a non mandare in pezzi?
La sua vita gli scivolava tra le mani senza che potesse fare alcunché per trattenerla << Mio Dio, mio Dio aiutami >> ansimò, la preghiera disperata di un ateo, ma cosa gli era rimasto se non quello?
Quella consapevolezza lo nauseò.
Era disgustato da se stesso ad un livello che rasentava l’umana sopportazione, per la prima volta si chiese seriamente se non fosse meglio piantarsi una pallottola in fronte e lasciar davvero perdere tutto.
Aveva sempre avuto fede nella tenacia della vita umana, nel miglioramento, ma come poteva migliorare se non sopportava nemmeno il suono del suo respiro?
Sarebbe stato semplice.
Non aveva nemmeno bisogno di andare davvero nel suo studio a prendere la pistola, poteva semplicemente allungarsi verso l’astuccio di sonniferi e riempirsi la bocca di pillole prima di mandarle giù in pochi sorsi.
Visualizzò molto bene i propri gesti, si sollevò a sedere con pesantezza e prese il piccolo contenitore, arrivando anche a svitarne il tappo.
Aveva passato da un pezzo il tempo in cui credeva che la sua esistenza avesse una qualche importanza, non era più così stupido da pensare che il mondo potesse cambiare grazie a lui, era insignificante proprio come chiunque altro, potere o non potere, solo non era abbastanza forte per poterlo accettare, questa era la verità.
Mosse il palmo in una piccola conca e vi rovesciò sopra abbastanza pillole da riempirlo, dodici in tutto, quindi si allungò verso la bottiglia vicino al letto, trovandola però vuota.
Valutò se non mandarle giù senza acqua prima che il coraggio gli venisse meno, ma su di lui era sceso un torpore pesante come un manto, il mortifero intontimento che precede solo di un passo la follia, e con la stessa alienazione si alzò prima in piedi e poi si diresse al piano di sotto, in pigiama e con i sonniferi ancora in mano, cieco a qualsiasi cosa lo circondasse.
Doveva solo prendere un bicchier d’acqua. Un bicchier d’acqua e tutto sarebbe finito << Charles? >> la voce di Hank lo fece trasalire così violentemente che tutte le pillole caddero a terra in un tinchettio confuso contro il parquet della cucina.
Fu peggio di uno schiaffo.
Le vide per terra, vide la propria mano e il proprio corpo ad un passo dal superare il punto di non ritorno, e raggelò << Charles, che sta succedendo? >> domandò Hank ancora, sospetto e gelida paura che animavano ugualmente la sua voce.
Quando si fermò di fronte a lui non ci fu bisogno di parole, sapevano entrambi cosa era appena successo, e se anche avesse avuto qualche dubbio bastava guardare il volto sconvolto del telepate per dissiparli tutti << Mi dispiace >> si ritrovò a dire Charles, improvvisamente molto consapevole di quanto assurdo e patetico dovesse sembrare, così debole da scegliere il suicidio perché incapace di rialzarsi da solo.
Si vergognò di se stesso, avvampò come non gli accadeva da tempo sotto lo sguardo incredulo dell’unico amico che gli era rimasto, perciò fece l’unica cosa che giudicò avere un minimo di senso: se ne andò.
Afferrò le chiavi della macchina mentre andava alla porta, facendo appena in tempo a infilarsi i mocassini abbandonati vicino all’uscio da chissà quanto prima di uscire << Charles! >> lo chiamò Hank, lo seguì per fermarlo, ma l’inglese lo distrasse con un trucco psichico, una cosa da nulla visto che con tutto il siero che aveva nel sangue non poteva permettersi di più, e si infilò nella sua Ford prima che potesse fermarlo.
Uscì nella strada principale e scelse una direzione a caso, non importava la meta purché potesse allontanarsi dal folle se stesso che era stato sul punto di uccidersi.
Cosa gli era saltato in mente?!
Si passò nervosamente la mano sul volto, morsicando un’imprecazione, e poi rilasciandola invece nel solitario abitacolo visto che non aveva alcun senso trattenersi. Aveva dismesso da un pezzo le vesti da educatore del resto, se mai lo era stato.
Man mano che si avvicinava alla civiltà, allontanandosi dalla ricca e solitaria campagna di Westchester, i pensieri e le voci si fecero più insistenti, del tutto incuranti dello stato in cui versava, e ben presto lo sforzo di allontanarle combattendo il siero gli causò una fortissima emicrania.
Imprecò ancora, batté il pugno sul volante e inveì di nuovo, allungandosi infine verso la scorta che teneva nel vano del cruscotto.
Accostò per iniettarsi una dose extra, chetando del tutto il suo potere, ma la paura insidiosa che di solito lo pervadeva all’idea, la sensazione terrificante di essere nudo e vulnerabile come se qualcuno gli avesse strappato via la pelle di dosso non lo aggredì, anzi, provò sollievo e nel rimettersi in carreggiata cercò di non incolparsi anche di quello.
Si fermò per mettere il pieno, comprare un pacchetto di sigarette e una bottiglia di birra.
Fu tentato da un bourbon scadente che ammiccava in un angolo, per un momento si lasciò carezzare dall’idea di bere fino a dimenticare persino il suo nome, ma riuscì a resistere.
Odiava la birra.
Berla era un modo per punirsi, per ricordare il lato peggiore dell’alcol, ma si costrinse a farlo lo stesso, proprio come l’americano che Oxford e suo padre avevano cercato fino all’ultimo di evitare che diventasse.
Era solo l’ultima di una lunga lista di persone deluse da lui dopotutto.
Ben presto la villa era un ricordo lontano, lei e il patetico Charles con la mano piena di pillole, anche se continuava a sentire la sua infida presenza alle sue spalle, come un fantasma che lo perseguitava.
Doveva reagire, maledizione!
Come aveva potuto fare una cosa simile? Come aveva osato?!
Un ruggito di furia proruppe dalle sue labbra a quel pensiero, rabbia e vergogna per aver ceduto, lui, la personificazione della speranza e della volontà di vivere! Che avrebbero detto i suoi studenti di lui?
Che avrebbero detto coloro a cui la vita era stata strappata?!
Un altro mutante schiacciato dalla propria diversità, questo sarebbe stato!
Urlò e pianse in quell’abitacolo, batté i pugni con ferocia inaudita e che non gli apparteneva, che non avrebbe dovuto appartenergli almeno, ma in qualche modo covava anche tutto quello dentro di sé.
Quando il sole tramontò non si fermò.
Fece il pieno una seconda volta e quando superò il confine dello stato si rese conto di avere una meta.
Non vi pensava troppo, era appena arrivato alla risoluzione che la sua patetica esistenza avrebbe avuto un senso se solo si fosse dato il tempo di trovarlo, perciò si concentrava solo sulla guida, sul movimento ritmico dei tergicristalli contro la pioggia e il suono indistinto della radio impostata da un pezzo su un canale che trasmetteva solo carice elettrostatiche.
L’alba non lo sfiorò, era troppo nuvoloso per poter distinguere davvero qualcosa del sole di novembre, ma sapere che era un altro giorno in qualche modo lo ristorò, anche se non smise di sentirsi l’assurdo rottame che era.
Spense il motore che era pomeriggio inoltrato, fissando gli alberi d’acero ormai quasi del tutto spogli che ornavano la via, e finalmente si chiese cosa lo avesse portato lì.
Non c’era una risposta, nessuna che potesse accettare da se stesso almeno, quindi si limitò ad accendersi un’altra sigaretta, cieco anche alle mani ormai livide per il freddo visto che non aveva nemmeno acceso il riscaldamento, e uscì fuori.
Camminò senza guardare niente e nessuno, anche se indossava solo un paio di pantaloni del pigiama e una maglietta di cotone contro il clima impietoso di New Heaven, senza fermarsi finché non si ritrovò davanti alla porta in legno scuro.
Prese un’altra boccata amara, bussò due volte e attese di essere ricevuto come la persona che era stato educato ad essere << Charles >> fece Saman Devine, senza sorpresa, come se lo stesse aspettando.
Gli occhi verdi percorsero la sua figura dalla testa ai piedi, analizzarono ogni suo particolare, e niente in lui si scompose o anche solo si mostrò a disagio per quella visita improvvisa, si limitò a prendere il lungo cappotto che teneva appeso vicino alla porta, glielo avvolse sulle spalle e si fece da parte << Vieni dentro >> lo invitò.

*** 
Saman non viveva in uno degli alloggi per i docenti all’interno del campus, anche se ne avrebbe avuto ogni diritto, preferiva invece salire in auto e compiere ogni giorno dieci chilometri per raggiungere una piccola villetta a schiera appena fuori dall’area universitaria.
Si trovava in un quartiere tranquillo, tante casette coloniali una accanto all’altra, con giardini contornati da siepi più o meno alte, un piccolo caffè che faceva anche da tavola calda e un’ampia strada a due corsie con marciapiedi dove la sedia di Charles non avrebbe trovato difficoltà.
Pensava a questo mentre seguiva l’uomo, si concentrava su queste piccole cose per non pensare al fatto che aveva attraversato quasi due stati per venire a bussare alla porta di un uomo che conosceva appena, senza contare che non aveva la più pallida idea del perché l’avesse fatto. E per peggiorare il tutto il suo potere era ancora anestetizzato dal siero e non sapeva cosa pensasse di lui.
Il salotto dove lo fece accomodare non fu niente che non si sarebbe aspettato, ordinato e pulito, un divano di velluto verde e due tavolini da fumo in castagno, con un tappeto dall’aspetto sudamericano, anche se non avrebbe saputo dire quale fosse esattamente la sua terra d’origine.
In un angolo c’era un orologio a torre con un grosso pendolo d’ottone, ma era fermo, e in un altro una scacchiera di marmo bianco e rosso che risvegliò in lui più ricordi di quanti avrebbe voluto << Accomodati. Vado ad alzare subito il termostato e ti porto un maglione. Per l’amor del Cielo, Charles... hai le labbra blu >> Charles sapeva bene che avrebbe dovuto avere freddo, ma non ne aveva.
Il suo corpo era come desensibilizzato, si accorgeva di tremare senza sentirne realmente gli effetti.
Sedette sul divano e si guardò le mani in grembo, chiedendosi se non fosse colpa del siero di Hank, visto che ormai da mesi si aspettava di pagare il conto per aver riavuto la gioia di muoversi, ma realizzò presto che in realtà era semplicemente ancora in stato di shock.
Non dormiva da più di venti ore del resto, una parte di lui era ancora ferma in cucina con le pillole in mano, e ogni volta che ci pensava un brivido gli risaliva lungo la spina dorsale.
Tutta colpa di Erik.
Quanto avrebbe dato per averlo davanti adesso! Quanto per farlo soffrire almeno la metà!
Saman tornò con il maglione promesso, che Charles sostituì meccanicamente con il cappotto che aveva lasciato nel guardaroba vicino alla porta.
Registrò l’odore dell’uomo sulla lana morbida, non il calore che gli procurò << È quasi ora di cena ormai. Va bene se ordiniamo qualcosa? Cinese, se per te va bene? >> << Sì >> il telepate assentì una volta sola, tornando a fissare le proprie mani << Mi farebbe stare molto meglio se ti esprimessi in qualcosa di più articolato di un monosillabo. Mi sto preoccupando >> << Mi dispiace >> << Non c’è niente di cui scusarsi. Posso chiederti però perché sei così? Dio mio, sembri un fantasma >> << Posso non risponderti? Mi sento già abbastanza patetico così come sono >> Saman scosse il capo e sedette al suo fianco << Non voglio sentirti dire niente di simile. E naturalmente non sei tenuto a dirmi alcunché. Hai bisogno di stare lontano da casa per un po’? Puoi stare qui finché vuoi >> aveva ancora solo tre dosi di siero, quindi non avrebbe potuto assentarsi comunque per più di due giorni al massimo, tre se avesse preso un aereo per il ritorno.
Oppure avrebbe potuto andarsene da quella dannata casa piena di polvere e ricordi in egual misura, sarebbe andato da qualche altra parte e avrebbe semplicemente ricostruito tutto da capo.
Il solo pensiero di un simile sforzo soprattutto senza più la fede e la speranza a guidarlo, era troppo da sopportare per lui << Che ne dici di una doccia mentre ordino la cena? Potrebbe farti sentire meglio >> mormorò Saman posandogli una mano sul ginocchio, e Charles assentì, anche se lo fece solo per accontentarlo.
Lo seguì al piano di sopra, oltrepassarono due porte chiuse e si fermarono ad una terza << Gli asciugamani sono nel secondo cassetto. Puoi usare tutto quello che vuoi. C'è anche un rasoio vicino allo specchio. Vado a prenderti un cambio >> anche il bagno rispecchiava il resto della casa, ordinato e pulito, non troppo piccolo anche se chiaramente ospitava un'unica persona da quando era stato costruito.
Non aveva chiesto nulla a Saman.
Sapeva che non era sposato perché aveva visto il suo curriculum nelle ricerche che aveva fatto su di lui, ma non sapeva se avesse una persona con cui divideva quella casa che aveva invaso senza alcun preavviso, né se avesse dei figli, o una madre, o un padre.
Non tutti sono soli al mondo, Charles.
Si spogliò con gli stessi gesti meccanici con cui faceva tutto ormai, la sua testa era altrove e lo sapeva, la sua testa non c'era più e lo sapeva, probabilmente nello stesso posto dove aveva riposto anche il suo cuore, ma almeno uno dei due doveva far funzionare il suo corpo, almeno uno dei due doveva, Cristo doveva, tornare a funzionare e basta.
L'acqua calda fu piacevole, questo non poteva negarlo.
Non rilassante, era difficile che qualcosa lo fosse ultimamente, ma apprezzò comunque il suo calore anche se non smise affatto di tremare. Le sue mani soprattutto.
Dio, cos'aveva fatto?
Si tolse i capelli dal volto, strizzandoli con le mani, e si tese verso l'asciugamano prima di avvolgerselo intorno al corpo e andare allo specchio.
Non si guardava davvero quando lo faceva, evitava gli occhi, non voleva vedere la mancanza in essi, ma era impossibile rasarsi senza uno specchio quindi faceva il suo dovere con la meticolosità e la disciplina con cui faceva tutto il resto.
Erik una volta aveva detto che le sue regole lo avrebbero ucciso.
Il modo in cui seguiva fermamente i propri paletti autoimposti lo faceva sorridere, non comprendeva perché pensasse che cedere agli istinti fosse così sbagliato.
Per questo lui adesso era in una prigione dimenticata da Dio e Charles no.
Charles no.
Oh Dio, non avrebbe pianto di nuovo. Se lo avesse fatto si sarebbe conficcato quel dannato rasoio nella gola, lo giurò a se stesso, non ne poteva più di singhiozzare come un ragazzino, non era un ragazzino, era un adulto per Dio, un uomo!
Si impose di alzare lo sguardo, sfidò con fermezza il proprio azzurro slavato attraverso lo specchio, gli rivolse il proprio odio e la propria rabbia, perché se c'era una cosa che sopportava peggio del fallito che era, era la miserevole pietà che provava per esso.
Si rivestì, tornò a sembrare quasi umano, se le sue mani avessero smesso di tremare avrebbe potuto persino dimenticare che poche ore prima aveva deciso di farla finita una volta per tutte.
Saman era in cucina quando scese dabbasso, lo accolse con un sorriso, ma quando Charles provò a ricambiare glielo vide morire in volto quasi nello stesso momento. Non disse nulla, continuò ad apparecchiare come se nulla fosse, ma sulla sua fronte si era creata una profonda ruga d'espressione che rivelava tutti i suoi trentacinque anni.
Suonarono alla porta << Accomodati pure, deve essere la nostra cena >> Charles obbedì mentre l'altro uomo andava ad aprire, attese davanti al suo piatto di fine porcellana blu scuro e riempì il suo bicchiere con l'acqua della brocca posata al centro del piccolo tavolo quadrato << Ho ordinato riso alla cantonese e pollo alle mandorle, spero che vadano bene >> << Benissimo. Non mangio cinese da un po' >> Raven adorava il cinese.
Ovvio.
Era incredibile come ogni più piccola cosa, ogni spostamento d'aria e granello di tempo riuscisse ad irritare con precisione chirurgica le sue ferite.
Era esasperante << Un bicchiere di vino? Ho un ottimo rosso che ha bisogno solo di una buona compagnia per essere stappato >> Charles rispose automaticamente: << No, grazie, non bevo >> Saman alzò un sopracciglio << Ricordo che ti era piaciuto il mio bourbon >> << Gli alcolici non sono una buona idea in questo periodo >> fu la risposta ridacchiata del telepate mentre si serviva il riso dal contenitore in carta che Saman gli aveva posato davanti, e cercò di suonare leggero, ma l'altro non si lasciò ingannare << Hai dei brutti trascorsi a riguardo? Mi dispiace, non… non lo sapevo >> << Non ne avresti avuto modo. E non curartene troppo. So stabilire quando per me non è il caso di bere, non preoccuparti, sono sempre stato bravo in questo >> Saman sedette di fronte a lui, anche lui si servì, partendo dal pollo però << Sembra che tu sia bravo in molte cose quando si tratta di te stesso >> commentò, senza ironia, solo rimprovero, che colpì Charles sul vivo anche se non ne aveva alcun diritto << Che vuoi dire? >> Saman sospirò, posò la forchetta e lo guardò dai suoi dieci centimetri abbondanti di differenza, anche da seduto, quindi si portò una mano alla tempia << Non ti ho sentito qui dentro nemmeno una volta. Hai dei problemi con i tuoi poteri? >> << Ti ho già parlato del siero >> << Mi hai detto che permette un equilibrio. Meno siero e meno telepatia, ma abbastanza di entrambi. Cosa è cambiato? >> Charles sospirò, massaggiandosi la radice del naso con aria stanca << Non è stata una delle mie giornate migliori e avevo bisogno di staccare un po' la spina >> << Staccare la spina? Comprendi quanto sia pericolosa per un telepate una cosa del genere? Sei del tutto incapace di relazionarti con gli altri senza la telepatia, non comprendi? Sarebbe come privare me della vista o dell'udito! >> << Non uso le mie capacità così spesso quanto pensi >> << Quindi sei in grado di capire se qualcuno ti sta mentendo o meno? Puoi capire se ti vuole aggredire o rapinare o solo prendere in giro? Per l'amor del Cielo, Charles… non puoi semplicemente bendarti gli occhi e attraversare la strada! >> bendarti gli occhi e attraversare la strada.
Quella frase conteneva molta più verità di quanto lo stesso Saman immaginasse probabilmente.
Lo fece sorridere quell'immagine così calzante << E' la scuola? So che è difficile, ma anche questo periodo passerà, ne sono sicuro… anche all'università non è facile per noi, credimi >> << Lo so >> << E allora perché ti ritrovi in questo stato se è così? Sei la metà dell'ultima volta che ti ho visto, e già allora non eri esattamente uno splendore. Hai di nuovo le gambe, giusto? Dovresti stare meglio, perché invece hai questo aspetto terribile? Sembra che qualcuno ti abbia fatto a pezzi nella notte e abbia cercato di rimetterti insieme senza alcune parti >> Charles scoppiò a ridere all'ennesima metafora, persino più azzeccata della precedente, ma gli uscì una risatina isterica che aveva ben poco di allegro.
Non avrebbe pianto.
Non. Una. Fottutissima. Lacrima.
La mano che stringeva la forchetta sbiancò nella stretta feroce cui la costrinse.
Saman attese che il ridere scemasse, continuando a fissarlo con rimprovero e preoccupazione.
Forse era per quello che era venuto sin lì? Aveva bisogno di quello sguardo?
Di qualcuno che gli dicesse quanto fosse caduto in basso?
Sempre che se stesso non fosse sufficiente.
Saman si alzò in piedi, spostò la sedia al suo fianco e sedette di nuovo, dimenticando completamente la cena << Dimmi cosa è successo >> mormorò, gentile, posando la mano sopra quella di Charles stretta a pugno, ed era così grande che avrebbe potuto avvolgerla senza troppo sforzo << Ho sbagliato tutto, amico mio >> gemette, non riuscì a trattenersi, con una paura così intensa che gli gonfiava il petto che solo con uno sforzo non si ritrovava ad urlare come un forsennato per il terrore << Ogni cosa, dall'inizio. Per quanto io mi sforzi di ricordare, di analizzare ogni momento, mi ritrovo sempre a cadere nella solita malsana delusione. Io vorrei non credervi. Vorrei possedere abbastanza cinismo per proteggermi, abbastanza autoconservazione per non cedere alla facile speranza, eppure ogni volta è lo stesso. Ho creduto in quello che facevo, te lo giuro Saman, ogni fibra del mio essere vi credeva. Ho stretto i denti, sono andato avanti, anche quando sarebbe stato molto più facile semplicemente lasciar perdere. Volevo davvero cambiare questo mondo, capisci? Volevo che Raven avesse fiducia in suo fratello, volevo che capisse che quanto stavo facendo era proprio per lei, per dimostrarle quanto meravigliosa fosse e quanto il mondo avesse il diritto di apprezzarlo, almeno quanto facevo io. Volevo che i miei ragazzi avessero un posto dove crescere, dove imparare ad amare e rispettare, dove avere la possibilità per farlo, senza nessuno che li rinchiudesse in una gabbia, senza un padre che li considerasse il suo miglior soggetto di studio, senza vedere sempre il dubbio, il sospetto, albergare nel cuore di chi avevano di fronte. Lo volevo, Saman, lo volevo così tanto. Persino dopo Erik. Soprattutto dopo Erik. E invece si è distrutto tutto. Ogni mia speranza è andata, lasciandomi con questa… voragine aperta nel petto che non ho la più pallida idea di come chiudere. Ho sbagliato. Tutto quanto. E questo è troppo da sopportare per me >> il suo fiato si spezzò, si prese un momento, ma riuscì a ricacciare indietro il pianto ancora una volta, anche se la sua voce uscì tremolante poco quando tornò a parlare << Ci sto provando ad andare avanti. Ogni maledettissimo giorno. Solo che… solo che… è così difficile, capisci? A volte proprio non ce la faccio. A volte voglio solo che tutto finisca. Che io finisca. Mi ritrovo ad odiare, e a provare rabbia, io che non l'ho mai permesso a me stesso, e tutto questo lottare e questo… vuoto… mi sta uccidendo >> si portò una mano alla tempia, premendovi il palmo con un piccolo sibilo nel sentire i tentacoli del proprio potere tendersi contro la costrizione del siero << La telepatia è solo veleno se non c'è equilibrio. Follia, senza la disciplina dell'utilizzatore. Ho impiegato tre anni quando ero bambino prima di capire come isolarmi, come rispondere alle voci e non ai pensieri, come non scoppiare a piangere o a ridere ogni volta che qualcun altro rideva o piangeva. Non posso avere un simile controllo adesso, non quando sono così impegnato a controllare tutto il resto, quindi… >> << Quindi sacrifichi il tuo potere >> Charles assentì una volta, tirandosi indietro i capelli ancora umidi con un lungo respiro profondo.
Prese poi il bicchiere e bevve un sorso d'acqua, chiedendosi se la vera capacità di quell'uomo fosse riuscire ad ascoltare i suoi assurdi sfoghi senza provare il disgusto che invece provava lui.
Ancora una volta il suo cuore diede in una stilettata nel riconoscere la facile associazione, trattenne un'imprecazione e rilasciò invece un altro respiro profondo << Sembri il tipo di persona che non accetta facilmente l'aiuto altrui, Charles, ma mi permetteresti di essere un'eccezione questa volta? >> << Non sono venuto qui per... >> << Non sai nemmeno tu perché sei venuto qui >> lo interruppe, con la sicurezza di chi sa cosa dice.
Beh, non poteva dargli torto e lo vide sorridere leggermente nell'accorgersene << C-cosa… cosa vuoi che faccia? >> domandò il telepate cercando di darsi un contegno e l'altro scosse il capo leggermente, prendendogli entrambe le mani con delicatezza, stringendole tra le sue << Hai bisogno di credere in qualcosa, Charles, perciò credi in me. Posso aiutarti e lo farò, puoi avere fiducia in questo? >> << Non c'è bisogno che tu... >> << Non puoi avere speranza per te stesso, ma sei bravo ad averla negli altri. Concedimela allora. Oppure non ne sono degno? >> si guardarono per un lungo momento, nessuno dei due disse nulla mentre i loro occhi si scontravano, una parte di Charles volle disperatamente scappare da quel posto, da quell'uomo, dalla calda sicurezza che incarnava, ma un'altra, quella più grande, era così assetata che rimase letteralmente impigliata in quelle iridi verdastre << Sì >> sussurrò roco.
*** 
Non sapeva esattamente come fosse finito in quella situazione, non ricordava i diversi passaggi che lo avevano portato sin lì, sapeva solo che non era più molto semplice restare a letto a vegetare.
Era stato Saman a organizzare tutto, a prendergli un appartamento, a ordinare i mobili, a presentarlo al decano perché potesse fare da assistente al professore di Genetica, e anche se lui continuava a ripetergli che era tutto merito suo, che non era certo stato lui a farsi adorare da mezzo campus in un solo mese, Charles non riusciva a fare a meno di pensare che non ce l’avrebbe mai fatta senza di lui.
All’inizio si era limitato a chiamare Hank perché gli inviasse il siero, obbligandolo ad occupare la sua stanza per gli ospiti e occupandosi a tempo pieno a rimpolpare il corpo smagrito del telepate, tessendo nell’ombra tutto il resto, e quando furono trascorse un paio di settimane e Charles era riuscito a fare qualcosa di simile a sorridere a colazione gli aveva messo tra le mani un mazzo di chiavi e la lettera del decano che accettava di incontrarlo per un colloquio non appena fosse guarito dalla sua indisposizione.
Si era ritrovato davanti ad una classe prima che fosse davvero preparato all’idea di farlo, ma entro la fine della prima lezione si era sentito come rivivere, come se fosse stato sul punto di annegare e avesse invece raggiunto il pelo dell’acqua appena in tempo.
Adorava il suo lavoro. Adorava insegnare, adorava parlare coi ragazzi, adorava persino le noiose ore di laboratorio con il signor Jefferson dove fingeva di non sapere cose che aveva insegnato poche ore prima nel sostituirlo e rideva educatamente a battute stantie che ascoltava con un orecchio soltanto.
Lui e Saman si vedevano ogni giorno.
Al campus per il pranzo, prima incontri tutt’altro che casuali dove il professore veniva spudoratamente per controllarlo, ma da questo si erano trasformati semplicemente in un’abitudine, una pausa dove si incontravano con i colleghi per chiacchierare, più volte con gli studenti visto che Charles si avvicinava molto alla loro età, e il più delle volte anche a cena visto che Saman non si fidava affatto delle sue abitudini alimentari.
C’erano ancora delle giornate buie, mattine in cui la sveglia era difficile per motivi che non c’entravano niente con la stanchezza o il sonno, ma Saman era sempre al suo fianco, in qualunque momento, senza contare la precisione quasi inquietante con cui sapeva indovinare il suo stato d’animo.
Riusciva a prevedere una sua crisi sin dal mattino ed era sempre pronto ad accompagnarlo per una passeggiata nel cuore della notte, o a spingerlo ad uscire anche quando pensava che non ce l’avrebbe fatta.
Non sapeva cosa avrebbe fatto senza di lui.
Le vacanze di Natale giunsero fin troppo velocemente per lui, senza quasi rendersene conto era su un aereo diretto a casa per passare il Natale con Hank e Saman, tutti e tre scapoli e senza una famiglia di cui occuparsi a parte loro stessi.
Il Natale era un tasto dolente per Charles, con il suo compleanno solo due giorni prima e la mancanza di Raven al suo fianco, con Westchester tanto piena di ricordi dolorosi da straripare, ma se Saman diceva che poteva farcela lui gli avrebbe creduto. Glielo doveva << Va tutto bene? >> chiese quello dandogli un’occhiata mentre l’aereo atterrava e il telepate si sforzò di assentire, sorridendo nervosamente << Sei sicuro che per te andrà bene? La villa sarà un disastro >> << Non mi importa Charles. E a questo proposito... sai che dovrai fare qualcosa a riguardo prima o poi, vero? >> si alzò per primo quando si tolsero le cinture, approfittando della propria altezza per afferrare i bagagli di entrambi dalla cuccetta sulle loro teste e incamminandosi.
Con le sue spalle larghe fendeva la folla come un bulldozer, e Charles approfittava fin troppo spesso dell’ombra offerta dal suo corpo << Dio, sei sempre così pieno di energia? >> sospirò l’inglese alzando gli occhi al cielo mentre uscivano nella gelida aria esterna << Sei tu che hai la vitalità di un bradipo, Charles. E non te ne uscire con qualche commento sull’evoluzione dei primati perché potrei colpirti con qualcosa >> lo avvisò, facendo scoppiare a ridere entrambi.
Si era rasato la barba prima di partire, lo faceva ogni anno gli aveva detto, ed era chiaro il motivo per cui aspettasse le vacanze per farlo: era letteralmente irriconoscibile, ringiovanito di almeno dieci anni, e adesso al suo fianco sembrava vi fosse un fratello più grande, proprio come...
Sospirò, grattandosi la fronte nervosamente per scacciare quell’associazione molesta, passandosi poi una mano trai capelli che adesso avevano bisogno decisamente di un taglio << Ho detto ad Hank che verremo in taxi, ma non credo che sarà semplice a quest’ora >> commentò Saman una volta fuori dell’aeroporto, guardandosi intorno seccato nel notare la letterale moria di mezzi di trasporto << È il ventitré. Per la Vigilia ce ne saranno ancora meno >> << Oh andiamo, siamo nel ventesimo secolo! Dio è morto almeno cinquant’anni fa ormai! >> << Credo che Nietzsche non sia la prima lettura dei tassisti in questa parte del mondo >> Saman ribatté schioccando la lingua, facendo cenno ad uno sporadico autista fermo poco lontano appoggiato al suo taxi << Sono in pausa >> lo freddò prima che potesse parlare, sollevando il caffè che stava bevendo come se fosse la cura a tutti i mali del mondo, ma in risposta Saman sollevò una banconota da venti dollari << E questa invece è la tua ricompensa per averci salvato da un principio di congelamento. Cristo, fa sempre così freddo in questo posto? >> il tassista prese i soldi e gettò via il caffè, facendo loro cenno di salire.
C’era un grosso pacco regalo sul sedile del passeggero, rosso con un enorme fiocco di stoffa rosa, quindi loro si strinsero nei sedili posteriori << Perdonatemi, ma mia figlia compie gli anni oggi >> spiegò l’uomo con un sorriso imbarazzato << Bambina fortunata, avrà i regali doppi >> commentò Saman affabile come sempre << Almeno finché non comincerà a chiedere qualcosa di più grande di una casa giocattolo >> ridacchiarono entrambi, mentre invece Charles cercava con tutto se stesso di non ricordare quand’era stata l’ultima volta che era salito su un taxi.
Prese un gran respiro profondo, rilasciandolo trai denti mentre guardava fuori dal finestrino << Raven era sempre gelosa per la storia dei regali doppi >> mormorò assente << Anche se solitamente era stata la tata a comprarli per entrambi. Mia madre sapeva che io sapevo, solo non le importava >> << Charles? >> << Non so se è stata granché come idea tornare qui, Saman >> l’uomo gli afferrò una mano, portandolo a sollevare lo sguardo su di lui << È il tuo compleanno, ricordi? Cerca di essere felice almeno oggi >> il telepate assentì, si spinse un sorriso in volto e ingoiò tutto il resto << Potremmo andare a mangiare fuori >> propose << Hank ha già prenotato. Il tempo di arrivare e cambiarti quella camicia. Ci sono davvero dei fiori sui tuoi polsini? >> << Melodrammatico >> << Siete fratelli? >> domandò il tassista << Amici >> corresse Saman velocemente, volgendosi infine per guardare fuori dal finestrino.
Era in momenti come quelli che Charles si rammaricava di non avere più il suo potere.
Avevano deciso insieme che aveva bisogno di un altro po’ di tempo prima di abbassare l’assunzione del siero, ma questo non significava che la sua curiosità accettasse tranquillamente la loro risoluzione.
Imparare a vivere senza telepatia non era stato semplice come aveva pensato, Saman aveva ragione nel dire che non sapeva relazionarsi con gli altri, non sapeva leggere il linguaggio corporeo ad esempio, percepire le emozioni sin da bambino lo aveva reso disattento ai piccoli gesti che tradiscono nervosismo, irritazione o anche solo impazienza, ma se da una parte la sua memoria e il suo cervello avevano sanato le sue lacune abbastanza velocemente, dall’altra continuava a trovare quasi insopportabile l’indecifrabilità delle persone come Saman, di quelle espressioni che davvero non sapeva classificare in alcun modo.
Come la maniera in cui lo guardava a volte, aveva un’intensità che lo avrebbe messo a disagio in un'altra persona, oppure il modo con cui cercava il contatto fisico nonostante non fosse affatto una persona espansiva.
Charles lo era, lo era stato almeno, e doveva ammettere che non si sarebbe lamentato se Saman avesse deciso di abbracciarlo anche più spesso.
Sapeva che quello che provava nasceva principalmente dalla gratitudine, non era riduttivo dire che Saman gli aveva letteralmente salvato la vita, ma ripeterselo non cancellava dalla sua testa il resto.
Aveva provato lo stesso altre volte.
C’era quel ragazzo del club di dibattito quando era al liceo ad esempio, non ricordava il suo nome, e poi quel musicista ad Oxford, Douglas gli pareva, a causa del quale aveva fumato la sua prima canna e preso la sua prima sbronza risvegliandosi in un luogo del tutto sconosciuto.
Poi c’era stato Erik naturalmente.
Per lui non era mai stato granché d’importanza che una persona fosse maschio o femmina, riusciva a trovare bellezza in entrambi in egual misura e quel che cercava nell’altro trascendeva l’aspetto fisico o la sessualità, era qualcosa che aveva a che vedere con la comunione, con la complicità, con il modo di vedere il mondo.
E Saman possedeva tutto questo.
Finora aveva covato in fondo al cuore quel segreto, preferiva che il mondo continuasse a reputarlo strano senza che pensasse anche che era un sodomita, non lo aveva rivelato a voce alta nemmeno a se stesso, ma per la prima volta nella sua vita percepiva qualcosa nell’altro.
Con Erik non ce n’era stato il tempo.
Era rimasto accecato dalla luce in quel mostro con la stessa inconsapevolezza di una falena che si avvicina troppo al fuoco, e con altrettanta repentinità era rimasto scottato, ma se per lui aveva avuto la telepatia a guidarlo per nascondersi, con Saman temeva a volte di tradirsi, di metterlo a disagio, di osare più di quel che doveva.
Il taxi si fermò e Charles aprì la porta di riflesso, uscendo fuori come se volesse fuggire da quei pensieri e chiuderli dentro l’abitacolo per separarli da sé.
Era così assorto che si accorse solo dopo qualche secondo delle luci.
Il suo fiato si mozzò in gola quando vide l’intera facciata addobbata a festa, con minuscole lampadine colorate intorno ad ogni finestra e vetrata, con ghirlande di agrifoglio e biancospino che facevano mostra di sé ad ogni porta, mentre l’intero giardino sembrava ricoperto da una profusione di lucette ammiccanti nascoste tra le siepi e il fogliame dei sempreverdi.
Qualcuno aveva pulito la fontana dei licheni e del muschio, aveva tagliato anche l’erba, e ripulito il vialetto << Charles! >> Hank lo accolse sul portone con un enorme sorriso, gli occhiali appuntati sul naso che gli donavano quell’aria un po’ sempliciotta ma che nascondevano invece un uomo a dir poco geniale << Avete fatto presto! >> lo abbracciò con trasporto anche se si erano appena visti per la festa del Ringraziamento, a casa di Saman questa volta, e sembrò molto compiaciuto dello stupore stampato sul volto dell’inglese << Sapevo che avresti fatto quella faccia >> ridacchiò l’idrocineta dandogli una pacca sulla spalla, quindi accolse la stretta di mano di Hank e si scambiarono alcuni convenevoli veloci mentre entravano.
Anche l’interno era stato ripulito e addobbato, nastri e fiocchi ricoprivano ogni ringhiera e ogni superficie libera, i mobili profumavano di olio e splendevano, la moquette delle scale era stata sostituita con una nuova e l’enorme salone era tornato al suo arredamento originario, con due soli divani invece che le numerose poltrone che avevano accolto i ragazzi << Come...? >> << È stata un’idea di Saman >> spiegò Hank orgogliosamente << Non c’era ragione per cui non meritassimo un Natale coi fiocchi dopotutto. Sembra persino che quest’anno nevicherà >> continuò, raggiungendo infine il divano per raccogliere un piccolo pacco avvolto in carta blu scuro << Buon compleanno, Charles >> gli augurò poi, impacciato come al solito, ricevendo un’altra faccia sorpresa in cambio << Oh, grazie amico mio, grazie infinitamente >> il telepate scartò il regalo con curiosità, raramente l’aveva fatto senza sapere cosa vi era nascosto, e assaporò per questo ancora di più la propria gioia nel riconoscere un’elegante penna stilografica d’argento con le proprie iniziali.
Saman ne approfittò per estrarre anche lui un pacchetto dalla propria tracolla di pelle, più piccolo di quello di Hank, ma Charles lo prese con molta più emozione.
Si diede dello stupido per questo, abbassò il capo per nascondersi e si mostrò estremamente concentrato nello sciogliere il piccolo fiocco della confezione, riuscendo com’è ovvio solo a stringere ancora di più il nodo, facendo scoppiare a ridere gli altri due << Hai bisogno di aiuto, Charles? >> lo canzonò l’altro professore, riuscendo così a infiammargli il volto per l’imbarazzo, e quasi in reazione a quello finalmente riuscì a togliere la carta da regalo e rivelare il pacchetto quadrato.
All’interno c’era una spilla d’oro a forma di X, semplice e senza fronzoli, ma proprio per questo perfettamente adatta a lui. O almeno al se stesso che voleva diventare, non quello con la camicia dai polsini a fiorami << Grazie >> mormorò, ma persino un sordo avrebbe sentito l’intensità impressa in quella semplice parola.
Saman lo guardò e comprese, quel sorriso gentile che gli rivolse trasmetteva come nient’altro che Charles semplicemente meritava quegli sforzi, lui che aveva pensato di non meritare più niente e nessuno.
Non aveva la più pallida idea di cosa aveva fatto per avere Saman, se la sofferenza che aveva passato era servita ad avere lui come premio allora diveniva persino accettabile, ma nello stesso momento in cui comprese questo, Charles capì anche che quel che provava non poteva in alcun modo essere taciuto.
Forse non avrebbe parlato adesso, forse non nei prossimi giorni o mesi, ma non aveva abbastanza spazio dentro di sé per contenere quel che il proprio cuore urlava ad ogni battito.
Quella consapevolezza cancellò qualsiasi altra cosa.
Aveva paura, era impossibile non averne in un simile frangente, sia del rifiuto che del disprezzo o del disgusto, ma oltre a questo c’era anche trepidazione, gioia e, neonata e timida, anche fulgida speranza.
Non pensò né a Raven né ad Erik quel giorno, non pensò a sua madre o a Cain, non ci fu spazio per nessun dolore o rammarico al ristorante, e nemmeno dopo, quando si attardarono al tavolo a chiacchierare di cose che la maggior parte degli altri commensali nemmeno potevano capire.
Tornarono a casa che era passata da un pezzo la mezzanotte, era felice come non si sentiva da tempo, nemmeno lui sapeva da quanto, abbastanza che decise di premiarsi persino con due dita di scotch prima di andare a letto.
Si mosse verso il suo studio, non riuscì a soffocare il sorriso sulle proprie labbra mentre si toglieva la giacca e la abbandonava sul divano del salotto prima di proseguire.
Lo studio di suo padre era esattamente com’era sempre stato, comodo e riservato, con la libreria che profumava la stanza e le lampade da tavolo come unica fonte di luce.
Qualcuno aveva pulito gli sniffer sul piccolo mobiletto dei liquori, probabilmente lo stesso che aveva lucidato il pavimento e tutto il resto, quindi svitò il tappo della bottiglia scura e si servì << La giornata è andata così bene? >> non sussultò nel sentire la sua voce, anche se l’aveva preso di sorpresa, si limitò a sorridere e prendere un secondo bicchiere anche per lui prima di porgerglielo << Prima o poi dimostreranno che l’alcolismo è genetico, ne sono sicuro >> disse il telepate sollevando il calice in un brindisi al nulla << Nel frattempo fingiamo che non lo sia >> ridacchiò, bevendo un sorso.
Il sapore intenso e corposo gli investì la lingua come fuoco, sembravano secoli che non beveva un goccio, e non riuscì a trattenersi dal chiudere gli occhi per assaporarlo, pienamente soddisfatto dell’attesa << Ti piace bere, vedo >> << Sono inglese dopotutto. L’alcol è il modo educato di risolvere ogni cosa >> Saman ridacchiò del suo tono, o del suo sopracciglio sollevato in un cipiglio superiore, quindi bevve anche lui alla sua salute.
Il pendolo batté le due di notte quando i loro sguardi si incrociarono, ma nessuno dei due vi fece caso, anzi, quel suono basso e profondo rese solo più partecipe Charles dell’arrancare assordante nel proprio petto.
Ci fu un istante in cui avrebbe dovuto abbassare gli occhi e voltarsi, un momento preciso che segnava la distinzione tra uno sguardo qualunque e quello sguardo, ma una volta passato quello non ci furono più dubbi che tenessero, ogni incertezza o maschera si sgretolò come una statua di sale.
Non seppe chi dei due si avvicinò all’altro, sapeva solo che improvvisamente le labbra di Saman erano sulle sue e le sue mani lo cingevano a sé come volessero inglobarlo.
Charles si gettò su quella bocca come fosse l’unica fonte d’ossigeno rimasta, non ci fu dolcezza ma urgenza, la necessità di trovar pace al proprio bisogno.
Si allungò verso di lui, maledisse i dieci centimetri che lo dividevano da quel volto desiderato, ma ben presto Saman si accorse del suo impaccio e lo sollevò senza impiccio per farlo sedere sul mobile bar dopo aver gettato a terra quanto lo ingombrasse.
La bottiglia di scotch si infranse sul pavimento, spandendo il suo aroma penetrante intorno a loro in una nube protettiva e inebriante, che accese i loro corpi come fossero fiamma per quell’alcol.
La bocca di Saman scese febbrile sulla sua gola, disegnando una scia di baci su quella pelle troppo bianca per non provare il desiderio di macchiarla, abbassò il colletto che lo impediva per cercare maggiore spazio, e quando non vi riuscì si affrettò a scendere ancora con le mani, afferrandogli la maglia per poi sfilargliela frettolosamente, senza allontanarsi nemmeno il tempo sufficiente per riprendere fiato.
Charles cercò con le dita i bottoni della sua camicia mentre Saman faceva lo stesso con la sua, lo spogliò con la stessa impazienza, allargando le mani su quelle spalle larghe come volesse assaggiarle prima con quelle che con la bocca << Charles... >> ansimò l’uomo quando lo liberò anche della camicia, allontanandosi per un attimo con il busto come se lo avesse scottato.
Il telepate vide la sua espressione incredula e abbassò il capo su se stesso, cercando cosa lo avesse sorpreso tanto proprio in quel momento, ma il motivo era ovvio, solo che lo dimenticava per la maggior parte del tempo << Cosa sono queste? >> gemette Saman, passando le dita sulle cicatrici biancastre sulla spalla destra, seguendo il loro disegno sulla schiena coi polpastrelli bollenti, scendendo fin sotto la scapola.
Charles temette di perdere la ragione per quel tocco impalpabile, ma si costrinse a rispondere in maniera coerente << Un incendio. Da bambino. Dio Saman... possiamo parlarne dopo? >> fece roco, incatenando poi le mani dietro la sua nuca per stringerlo a sé e tornare a riappropriarsi di quelle labbra di miele.
Saman non lo allontanò ancora, lo strinse a sé ancora di più invece, lo sollevò di nuovo come pesasse nulla e questa volta spostò entrambi sul tappeto davanti al divano, adagiandolo sotto di sé prima di cominciare a slacciare la cintura dei suoi pantaloni << Arriverà mai il giorno che saprò tutto di te? >> disse nel suo orecchio, pesando su di lui per mostrargli quanto desiderasse conoscerlo.
Charles si inarcò contro quel tocco, lottò follemente nella presa delle loro mani intrecciate mentre Saman si strusciava su di lui sensualmente, rendendo quella vicinanza quasi insopportabile.
Finalmente i pantaloni scomparvero, la biancheria scomparve, provò un po’ di fastidio per la rudezza del tappeto contro la pelle nuda, ma la passione negli occhi verdi sul suo corpo fu abbastanza per rendere accettabile qualsiasi altra cosa << Sei bellissimo >> gli disse, voce bassa e profonda, con qualcosa di ferino che risvegliò nel telepate cose che dovrebbero stare sopite ma che adesso non lo potevano e basta.
Tornò a vezzeggiare la sua gola con la bocca e con la lingua mentre le sue mani si prendevano cura di ben altre parti, ma se ci fu dolore fu solo benvenuto e sempre calmierato da baci e carezze e sussurri d’amore.
Gli uscì un lungo gemito quando lo sentì far forza dentro di lui, si morse a sangue il polso per trattenere le urla, e quando Saman se ne accorse si fermò per prendergli la mano martoriata dai denti, la baciò e la sostituì con la sua bocca prima di tornare a muoversi.
I loro sospiri riempirono la stanza con la stessa prepotenza che aveva usato l’aroma dello scotch, i loro nomi sussurrati dall’uno all’altro si fusero con il profumo del malto e dei loro corpi sudati, i rumori prodotti dai loro movimenti convulsi e concitati, affamati di cose più profonde e bagnate e soffocate.
Non era il sesso di per sé il fulcro di tutto. Il sesso era solo uno strumento, un modo migliore di altri per parlare senza farlo davvero, per dire ciò che non può essere detto.
Charles non disse a Saman che era la prima volta che si sentiva davvero vivo dopo Cuba.
Non disse che quel corpo caldo che lo sovrastava e lo riempiva e lo circondava riuscì a scaldare parti di lui che aveva creduto di non possedere più.
Ma soprattutto non disse che in fondo al suo cuore, nel momento del culmine e dell’estasi e dell’unione delirante che tutto cancella e tutto ricrea, nel suo cervello balenarono solo occhi grigi di metallo e tempesta, e pregò con tutto se stesso che quel che stava facendo li cancellasse per sempre.
Per una volta, solo per una volta Charles: ama ciò che può farti star bene, non che può solo distruggerti.
 



NA: Chiedo umilmente perdono per averci messo così tanto!!
Mi dispiace davvero, ma un po' sono stata piuttosto occupata e un po' è stato davvero difficile scrivere questo capitolo. Spero di aver ripagato con la lunghezza, ma ci tenevo che il passato di Charles e Saman fosse circoscritto tutto ad un intero capitolo...
Vi ricordo ancora una volta che i commenti, negativi e positivi, sono sempre graditissimi e utilissimi e un grazie extra alle mie lettrici speciali <3 <3

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


 

Charles naturalmente non si limitò semplicemente a raccontare il suo passato distrutto da Erik e ricostruito da un altro, non sarebbe stato abbastanza per lui, doveva invece farglielo provare.
Erik riemerse da quelle memorie con una colorita imprecazione, furiosa e affatto trattenuta, rivolgendo al telepate tutto il gelo che sentiva dentro.
Perché Charles, da bastardo manipolatore quale era, e Erik sapeva che genere di bastardo manipolatore fosse, era troppo codardo per una conversazione, avrebbe dovuto affrontare anche se stesso in essa, spiegare e parlare di cose che probabilmente non affrontava da decenni.
Quindi perché semplicemente non mettergli davanti tutto il dolore, la rabbia, tutta la grande e profonda fossa in cui lo aveva gettato, trasformando quel che restava del suo misero cuore in un ammasso sanguinante di rimpianto, senso di colpa e odio divorante verso se stesso?
Non gli disse nulla.
Prese il suo bicchiere, lo svuotò in una lunga sorsata e si volse verso il finestrino per evitare il suo sguardo << Questo è esattamente il motivo per cui non te ne ho parlato >> lo sentì dire, quella voce gentile smorzata un poco dal sospiro che seguì << Questo non cambia niente >> chiarì invece Erik, anche se ovviamente cambiava tutto, anche se le sue mani fremevano dalla voglia di stringersi sulla gola di Saman e strappargli via la vita.
Sapeva come costringerlo a liberare i poteri rubati, doveva solo trovare il modo di tenere Charles occupato nel frattempo.
Sbuffò, serrò la mascella con rabbia mentre cercava di dare un senso a quello che provava.
Lui geloso. Geloso di quel ridicolo ladro.
Sembrava solo un brutto scherzo << Il fatto che sia successo più di quindici anni fa non ha alcuna importanza? >> << Non ho bisogno delle tue stupide rassicurazioni. So di chiedere molto, ma potresti concedermi cinque minuti di silenzio? >> sibilò sarcastico, strappandogli nell’ordine un sorriso e poi un gesto di resa con le mani.
Non si era certo aspettato che Charles avesse avuto una vita facile, tantomeno nei primi anni dopo Cuba, ma... il suicidio. Sentiva l’amaro sapore della paura ristagnargli in gola al solo pensiero.
Guardò le mani del professore, i piccoli calli sulle dita dovuti alla penna, e poi quelli più spessi, sul palmo, causati dai continui sforzi per ovviare alla mancanza delle gambe.
Come aveva potuto non pensarvi?
Quando lo aveva lasciato su quella spiaggia non aveva realizzato di averlo ferito così tanto, aveva scoperto delle sue gambe solo molto più tardi, prima che Emma fosse catturata e uccisa: un giorno si era svegliata urlando nella stanza dell’albergo in cui risiedevano, in preda al panico più assoluto aveva pianto come non l’aveva vista fare mai, continuando a ripetere ossessivamente che non riusciva a muovere le gambe.
Solo una volta che si fu calmata e il panico allontanato spiegò loro che erano stati i poteri di Charles a interferire con i suoi. Anche a due stati di distanza, la telepatia di lui era riuscita a interagire con quella di lei.
Avrebbe dovuto immaginare già allora le potenzialità della sua mutazione...
Mystica era raggelata nell’ascoltarla, si era portata una mano al volto ed era crollata sul divano a piangere, mentre lui invece era semplicemente scioccato, senza parole, l’unica cosa che continuava a pensare era: devo andare da lui.
Aveva comunque aspettato che fosse Mystica a chiederlo, ma persino dopo averlo visto su quel letto d’ospedale aveva riconosciuto la solita determinazione negli occhi azzurri, la fiamma che da sempre gli ricordava che percorrevano due strade diametralmente opposte.
Da allora aveva giurato a se stesso di non pensare più a lui, aveva sotterrato Charles sotto la causa, la causa era più importante di qualsiasi altra cosa, e quando i primi di loro erano morti, quando Azazel era infine caduto e Mystica era scappata chissà dove per sfuggire agli umani, lui lo aveva odiato troppo intensamente per volere qualcosa di diverso dal suo male.
Charles li aveva abbandonati del resto, si era rifugiato nel suo castello, nella sua scuola, chiudendo occhi e orecchie ai loro fratelli!
Era partito per Dallas con la ferma intenzione di portare Kennedy a Westcherster una volta salvato dall’attentato di cui aveva sentito mormorare.
Se non credeva a lui avrebbe creduto per certo al Presidente degli Stati Uniti!
Mentre salutava Mystica e saliva sull’aereo aveva immaginato la faccia di Charles una volta che Kennedy in persona gli avesse spiegato i complotti con cui il governo proseguiva le sperimentazioni sui mutanti, gli avrebbe mostrato le prove, gli avrebbe detto perché aveva nascosto tutti i dati di Cuba per proteggerli.
E allora Charles non avrebbe potuto far altro che arrendersi all’evidenza, giusto?
Sarebbe tornato al suo fianco, sarebbero stati di nuovo insieme, invincibili, loro due contro il mondo intero!
Più che la morte di Kennedy, più che aver fallito la missione, persino più che venir catturato... era stata la certezza di veder quel sogno infrangersi a fare più male.
Si era risvegliato in quella stanza bianca senza avere la più pallida idea di dove fosse.
Non c’erano stati interrogatori né processi, come lui si era aspettato del resto, non aveva nemmeno perso tempo ad aspettarli, tuttavia era rimasto stupito del completo silenzio che gli fu riservato.
Non era certo la prima volta che si trovava in una prigione, oltretutto era di gran lunga più pulita e confortevole di quella che Shaw gli aveva assegnato a suo tempo, e nessuno lì veniva a trovarlo ogni poche ore per torturarlo, aprirlo o scoprire come scatenare il suo potere.
Gli umani si erano limitati a dimenticarsi di lui, e anche questo poteva andar bene, se non fosse stato per il dolorosissimo rimpianto che lo colpiva al pensiero di aver visto il suo sogno sfumare ad un solo passo dall’avverarsi.
All’inizio aveva pensato che Mystica sarebbe venuta a salvarlo prima o poi, ma se nemmeno lui sapeva dove si trovava come poteva saperlo lei?
Non percepiva metallo intorno a lui, solo plastica amorfa e asettica che risiedeva in tutto ciò che lo circondava, dalle pareti alle cromature del minuscolo bagno, nessun granello che potesse vibrare sotto la sua volontà.
Se solo avesse avuto allora la conoscenza donatagli da Apocalisse!
I primi tempi li aveva passati odiando gli umani.
Un forte, sordo e pulsante odio che permeava ogni ora del giorno e della notte, un odio divorante che lo teneva insonne e rendeva amaro il cibo, ma ribellarsi non aveva alcuno scopo e lo sapeva bene.
Non lo aveva nascondersi alle telecamere che lo facevano sentire il raro animale di uno zoo, non lo aveva saltare i pasti, non lo aveva prendersela coi muri sfracellandosi i pugni con il solo obiettivo di sporcare quel bianco che riempiva ogni cosa.
Una volta appurata l’inutilità del suo odio aveva trovato un nuovo obiettivo, ve n’era sempre uno per il magma ribollente dentro di lui, e chi meglio di Charles, chi meglio di colui che credeva al sicuro, con il suo sorriso e la sua gentilezza inglese illuminati dal sole che a lui era negato?
Quanto lo aveva odiato!
Se lo avesse avuto tra le sue mani sarebbe stato lui stesso a spezzargli le gambe, ancora, solo per vederlo strisciare ai suoi piedi.
Se Charles non lo avesse abbandonato non sarebbe finito in quella prigione, giusto?
Nessun umano lo avrebbe rinchiuso nella sua personale teca di plastica con il solo obiettivo di guardarlo morire nella pazzia che la solitudine necessariamente porta con sé!
Ed era giunta la pazzia, certo.
Quando nessun suono tocca la tua bocca o le tue orecchie da così tanto tempo che tu stesso dimentichi il suono della tua voce e cominci anzi a chiederti se l’hai mai avuta, se una voce risieda ancora in te, quando il silenzio è così opprimente e denso e soffocante che persino i pensieri temono di spezzarlo...
Sì, aveva visto la pazzia dritto negli occhi.
Sollevò lo sguardo per guardare il profilo dell’inglese, la mascella dritta, le labbra così naturalmente e innaturalmente rosse, quegli zigomi che lo rendevano un ragazzino e che forse lo avrebbero reso tale ancora a lungo, quegli occhi... gli occhi che lo avevano dannato sin dal primo istante.
La pazzia aveva posseduto quel volto.
Una mattina aveva aperto gli occhi e Charles era al suo fianco.
Non sapeva quanto tempo fosse passato, un anno, due o venti, non faceva alcuna differenza, sapeva solo che era passato abbastanza tempo perché il suo odio per lui si sgretolasse sotto il suo stesso peso; l’unica cosa che provò fu gioia.
Non aveva pensato nemmeno per un istante che fosse il vero Charles, sapeva di non valere un simile sforzo da parte sua ai suoi occhi, ma il solo averlo davanti, poterlo guardare, toccare, avere la sua voce nelle orecchie... aveva ceduto a quell’illusione perché nessuna parte di lui poteva sfuggirle.
Non si era curato che gli umani lo vedessero parlare da solo, non gli era importato, si limitava a fingere che non vedessero.
Il suo Charles non era diverso dall’originale. Non lo accontentava con risposte condiscendenti e non lo rassicurava sui suoi intenti, era esattamente la copia del ragazzo che aveva conosciuto e frequentato per poche, indimenticabili, settimane, la stessa espressione corrucciata quando lo vedeva fare flessioni o meditare, le stesse risposte sagaci e intelligenti, la stessa sensazione di trovarsi davanti ad uno specchio che riproduceva il suo esatto riflesso.
Una parte di Erik si chiedeva tutt’ora se in realtà non fosse innamorato di quel Charles più di chiunque altro.
Era stato lui a salvarlo dalla pazzia. Il suo ricordo, la sua risata, il semplice fatto che esistesse ancora su quella terra giustificava qualsiasi dolore.
O almeno era quello che si era ripetuto per dieci maledettissimi anni.
E adesso invece scopriva che non solo il ricordo di lui lo aveva quasi ucciso, non solo il solo pensare a lui fosse stata fonte di sofferenza indicibile, ma a differenza sua Charles aveva cercato con tutto se stesso di dimenticarlo.
Di rimpiazzarlo.
Si era detto che meritava qualsiasi cosa Charles avrebbe pensato di lui, soprattutto dopo il Cairo, ma quest’ultima scoperta era difficile da ingoiare in silenzio.
Cercò di ricordare a se stesso il loro bacio, la veemenza che il telepate aveva usato nel pregarlo di restare, quello del resto era il passato, tuttavia non per questo era meno doloroso << Erik >> lo sentì, ma attese di prendere un altro respiro profondo prima di voltarsi a guardarlo.
Gli occhi azzurri lo scrutarono per un momento, poi una delle mani cercò la sua e la strinse brevemente, come per accertarsi che la sua attenzione fosse focalizzata proprio su di lui << Devo scusarmi per qualcosa? >> domandò, e una ruga di preoccupazione si scavava proprio in mezzo alla sua fronte, contornata da tante minuscole compagne che non c’erano state quando lo aveva conosciuto.
Così giovane, così... puro.
Avrebbe dovuto prevedere che il suo tradimento lo avrebbe distrutto << Se potessi tornare indietro lo farei >> si ritrovò a dire, vedendolo sollevare un sopracciglio prima di scoppiare a ridere << E credi che questo cambierebbe qualcosa? Ti conosco fin troppo bene, amico mio! Niente e nessuno ti avrebbe impedito di uccidere Shaw, solo che a quel tempo ero troppo... mmm... ingenuo per capirlo >> << Non ti lascerei dietro di me. Non ti abbandonerei, Charles. E non devierei quella pallottola. Sarei felice di prenderla al posto tuo >> << Queste sono solo sciocchezze di cui non dovresti curarti. Ti ho mostrato il passato perché me lo hai chiesto, non volevo certo che creasse altre inutili... >> << Non voglio incolparti perché hai cercato di essere felice. Non vorrei almeno, ma il mio è un cuore malato e meschino, lo sai >> il professore sospirò, abbozzò un sorriso, poi sollevò lo sguardo su Saman ancora disteso sul divano e diede in un lungo sospiro << La sua è una mente molto forte >> mormorò << Ti ho parlato una volta di quanto reputassi sorprendente la tua mente >> << Hai detto che sembrò un archivio ben ordinato >> Erik si arrese al cambio d’argomento, tornando ad appoggiarsi allo schienale fingendo come l’altro che nulla fosse successo.
Non che potesse fare diversamente del resto << Esatto. Pulito, funzionale e del tutto privo di calore. I tuoi sentimenti sono molto forti, estremamente impetuosi, ma sai controllarti con un’autodisciplina che ha dell’incredibile: nessuno è come te in questo, devo ammetterlo. Saman però ti somiglia molto anche per quanto riguarda l’ordine e la chiarezza, per quanto la sua mente somigli più ad una biblioteca confortevole che ad un freddo schedario. Le sue emozioni sono lievi e poco rumorose, non conosce la tua passione, tuttavia la sua forma mentale gli conferisce un’intelligenza insidiosa >> << Mi somiglia anche, eh? >> gli fece eco, vedendolo sospirare di nuovo << Ti prego Erik... le cose sono già difficili >> << Naturalmente >> lo assecondò ancora, usando la sua decantata autodisciplina per ingoiare il fiotto di bile che gli inondò la lingua << Perché mi stai dicendo tutto questo? >> << Serve a spiegarti che se volesse nasconderci delle informazioni sarebbe capace di farlo grazie alla sua struttura mentale >> << L’ordine non dovrebbe facilitarti? >> << Tu come hai costruito il tuo archivio? >> Erik corrugò la fronte perplesso, senza capire il motivo della domanda, ma rispose comunque << Non è stato voluto. Rafforzare la mia mente è stato l’unico modo per non cedere alla pazzia quando ero ancora tra le mani di Shaw >> << Saman è stato meno autodidatta, più concentrato su meditazione e visualizzazione, pratiche che so anche tu hai approfondito, e il risultato è questo: mura e dedali mentali che solo chi conosce può percorrere o superare. Il mio potere può spazzarli via, ma molte risposte potrebbero perdersi in questo modo, senza contare che i danni potrebbero compromettere le capacità che ha rubato >> << E lui immagino abbia previsto tutto questo >> << Tu non lo avresti fatto? >> Erik trattenne un’imprecazione e strinse a pugno la mano che poco prima Charles aveva tenuto tra le sue << Cosa hai intenzione di fare? >> domandò infine, una volta riacquistata una parvenza di calma << Non lo so >> ammise il telepate, svuotando il suo bicchiere << Dice che può trasferire la mia telepatia a qualcun altro, ma chi potrebbe sopportarla? >> << Sei a conoscenza di altri con il tuo potere o con qualcosa di simile? >> Charles sospirò, scuotendo il capo << Non posso trovare altri telepati con Cerebro. Se sanno come usare la loro mutazione lo fanno per schermarsi. Non avrei trovato nemmeno Jean se lei non avesse trovato me >> si passò le dita sulle palpebre, massaggiandosi gli occhi, quindi appoggiò il capo ad una mano puntellata sul bracciolo della poltrona << Lei ha trovato te? >> fece Erik scettico, vedendolo ridacchiare << È indicibilmente potente, Erik, molto più di quanto appaia. In tutta sincerità nemmeno io so quantificare il suo potere. Solo recentemente ho cominciato a isolarmi efficacemente contro la sua telepatia >> << Forza i tuoi scudi? >> Charles fece un gesto noncurante con la mano << Non sa controllarsi, è normale. È già difficile per lei farlo quando è sveglia... a volte è successo nel sonno riuscisse a penetrare le mie barriere. Fortunatamente non ha trovato niente che potesse ferirla per il momento. Quando i suoi genitori l’hanno portata alla scuola erano terrorizzati da lei, e non è mai bello quando le persone che ti hanno fatto nascere pensano che tu sia un mostro, ma poterlo addirittura vedere nelle loro menti... non è stato semplice per lei >> << Umani >> si lasciò sfuggire il signore dei metalli in un sibilo sprezzante, ricevendo un’occhiata di sbieco, ma nessuno dei due aggiunse altro, finché la voce di Hank non annunciò loro che erano vicini all’atterraggio.
Era ormai sera quando raggiunsero la villa, il sole arrossava il parco e i ragazzi erano già riuniti intorno al tavolo della cena, quindi Hank riuscì a trasportare Saman dentro senza che nessuno di loro lo vedesse, dirigendosi direttamente al piano interrato mentre il Professore invece proseguiva verso la sala da pranzo.
Il tavolo era ricoperto di scatoloni di pizza, da ottima guardiana quale era Mystica aveva comprato la tranquillità dei loro giovani protetti, e Erik si chiese se sotto il duro e impassibile guscio che la ricopriva vi fosse ancora la ragazza sbarazzina e solare che era cresciuta di fianco a Charles.
Non lo avrebbe mai ammesso nemmeno a se stesso, ammirava la forza che lei possedeva e la considerava per quella un’eccellente guerriera, ma non avrebbe biasimato il telepate se lo avesse odiato per il resto dei suoi giorni per aver cancellato il sorriso da sua sorella.
Eppure non lo odiava.
Davvero non riusciva a capirlo a volte << Professore! >> esclamò Pietro per primo, raramente a quel ragazzo sfuggiva qualcosa, e ben presto l’uomo era circondato dai suoi studenti in un cerchio chiassoso e compatto, che non lo abbandonò un istante nemmeno mentre si spostavano verso il salone.
Sembrava che ciascuno di loro non desiderasse altro che il suo sguardo, adoranti e ammirati, ansiosi di raccontare la loro giornata e allo stesso tempo ascoltare la sua << È sempre così >> disse Mystica sollevandosi dalla sedia con quella sua grazia peculiare, come se fosse dotata di muscoli supplementari, un’agilità che la rendeva temibile in battaglia e allo stesso tempo incredibilmente elegante << Sono dei maledetti mostri insopportabili, ma appena arriva mamma chioccia diventano degli agnellini >> lo fece sorridere quella similitudine, ancor più nel vedere il piccolo corteo seguire la sedia a rotelle, e lei lo imitò mentre prendeva un pezzo di pizza solitario da una delle confezioni << Come è andata? >> << Non vuoi sentire il resoconto di Charles? >> lei sbuffò ironica, andando quindi al frigo per prendere una bottiglia di cola.
Ne porse una anche a lui, che la prese di riflesso << Charles ha il brutto vizio di “rivedere e correggere” ogni cosa. Sarà una distorsione professionale... Preferisco la versione peggiore >> la seguì quando uscì dalla stanza e poi anche fuori, fino a sedersi sulle poltrone di vimini della terrazza est, quella che probabilmente era stata creata per prendere il tè del mattino ma che aveva visto sfruttare a quel modo solo da Charles visto che per il resto era più che altro abbandonata << Sapevi che ha avuto un uomo? >> lei accennò un sorriso bevendo un sorso dalla bottiglia << Interessante che questa sia la prima cosa che hai da dirmi >> << Non sei sorpresa >> la donna scoppiò a ridere distintamente adesso, raccogliendo poi le gambe flessuose sotto di sé, come un felino che si accoccola sulla sua poltrona preferita.
Sempre che il felino fosse una pantera blu dagli occhi gialli << Per Charles non fa molta differenza che tu sia maschio o femmina, questo l’ho sempre sospettato, quindi non mi stupisco. E non è mai stato nemmeno questo grande esempio di pudica virtù a dire il vero, quindi non so davvero da dove provenga il tuo stupore >> << Pudica virtù? >> le fece eco scettico, vedendola sollevare un sopracciglio ramato, come se fosse lei quella perplessa << Ti prendi gioco di me? >> chiese ancora, e Mystica sgranò gli occhi davanti alla velata rabbia << Ha avuto una ragazza diversa ogni finesettimana per quasi tutto il college! >> esclamò divertita << Come pensi che sfogasse la frustrazione di quel cervello che si ritrova? Era ad Oxford! Andiamo... non puoi certo essere così ingenuo! >> ridacchiò ancora per un momento, scuotendo il capo, posando poi la cola sul ripiano di marmo del tavolino << Nessuna relazione seria, certo, non è mai stato il tipo, ma Charles Xavier non ha mai avuto problemi con la compagnia del sabato sera. Forse al liceo, sì... era ancora parecchio insicuro coi suoi poteri, lo ricordo. Si sentiva una specie di gigantesco elefante in mezzo ad un negozio di cristalli, ma già verso la fine del primo anno di college ha iniziato a capire come sopravvivere senza dispiacersi per ogni minimo malumore altrui. Da lì a ricercare qualche avventura notturna non deve essere stato un gran salto... >> beh, non che Erik non lo avesse pensato.
Lo stupiva sentirlo con le sue orecchie, ma non poteva biasimare che se stesso se aveva visto nel telepate qualcosa che non c’era << Pensavo che con Moira sarebbe stato diverso >> continuò lei, lo sguardo perso nel vuoto adesso << A dire il vero pensavo che lei sarebbe riuscita a fargli dimenticare... noi. Invece l’ha semplicemente allontanata, come ha fatto con tutti gli altri >> << Quell’umana non poteva aiutarlo in alcun modo e Charles lo sapeva >> << Charles non ha voluto che diventasse un altro bersaglio di Erik Lehnsherr >> lo corresse lei con una punta di biasimo e un’occhiata eloquente cui lui rispose indignato << Non avrei perseguitato quella donna solo perché si è innamorata di lui >> si difese, vedendola alzare gli occhi al cielo << Certo, certo... >> gli diede corda, preferendo cambiare argomento con un sospiro, o almeno deviare un po’ da dove erano giunti << Ma immagino che non sia ciò a cui ti riferivi tu >> continuò, invitandolo così a proseguire.
Erik esitò ancora per un momento, non era del tutto sicuro di essere in vantaggio in quella conversazione, ma raramente si aveva modo di esserlo con lei << Hai mai sentito parlare di Saman Devine? >> << È un professore di Storia. Mutante. Ho visto il suo nome sugli elenchi di Charles >> poi, come realizzando: << Ecco perché non voleva contattarlo! >> esclamò, e lui assentì lentamente << Gli ha già scritto in passato, quando ha aperto la scuola la prima volta, e... beh, sembra che abbia accolto la proposta di Charles con parecchio entusiasmo >> << Un professore, eh? Era Harvard? >> << Yale >> lei assentì pensosa << Sembra proprio il suo tipo. Continua >> lui la accontentò, raccontò quello che riuscì del passato che aveva condiviso con il telepate, vedendola ascoltare in silenzio, lo sguardo sempre più oscuro man mano che le memorie proseguivano, ed era giunto alla fine quando sentirono distintamente l’ovattato e inconfondibile suono delle ruote.
Erik si interruppe, si rese facilmente conto che probabilmente l’inglese si trovava nel salotto alle loro spalle da più tempo di quanto credessero, perciò lasciò che si avvicinasse a loro e posizionasse la sedia vicino a Raven.
Le prese una mano e se la portò alle labbra per un bacio affettuoso visto che non aveva avuto modo di salutarla prima, e quel semplice gesto fu tanto pieno di calore e amore che Erik sentì una stretta al petto all’idea di averne privato entrambi per venti lunghissimi anni.
Mystica non era più Raven forse, non lo sarebbe più stata almeno, ma non sfuggiva a quelle premure, come se sapesse che erano ciò di cui Charles aveva bisogno e fosse anche intimamente a conoscenza di quanto ne avesse bisogno lei stessa, per quanto non volesse dimostrarlo << Cosa è successo dopo? >> chiese lei, la voce più bassa adesso che il sole era tramontato e l’unica luce proveniva dal giardino, lasciando tutti e tre in una morbida penombra.
Il telepate si strinse nelle spalle, diede in un respiro profondo, quindi si appoggiò allo schienale della sua sedia a rotelle << Fu bellissimo per quasi quattro mesi. Davvero. Quella perfezione che sperimentano solo gli stupidi e i folli, oppure coloro che scelgono di essere entrambi. Mi sentivo così bene! È vero Erik: non pensai ai mutanti, non mi preoccupai di niente del nostro mondo, ma... non poteva essere diversamente in quel momento. Avevo bisogno di ricostruire me stesso e Saman me lo permise. Non so... credo che ad un certo punto fossi convinto che mi amasse. Per quanto riguarda me invece, non sono mai stato abbastanza bravo nell’autosuggestione >> << Non lo amavi? >> chiese Mystica nel modo più gentile che ci fosse e Erik la invidiò per come riuscisse a farlo.
Avrebbe strappato a Charles solo una smorfia o una risatina se lo avesse chiesto lui, e invece lei non suscito che una scossa di capo esasperata << No. Nonostante tutti i miei sforzi. Ma andava bene, riesci a comprenderlo? Lui non mi chiedeva mai più di quanto fossi disposto a concedergli, e questo per me... >> la sua voce si spense, lo sguardo si perse tra le sagome degli alberi del parco, come se cercasse qualcosa tra quelle ombre.
Per un po’ non disse niente, e quando tornò a parlare il suo tono era basso e tremante, le mani strette sui braccioli grigi della sedia a rotelle << Un giorno saltai la mia dose di siero >> sussurrò << Non fu voluto. Eravamo stati ad un convegno a Seattle, due giornate molto impegnative che mi avevano assorbito completamente, contavo di iniettarmelo non appena tornato qui, e invece me ne dimenticai >> forse percepì quanto sarebbe seguito, forse reagì soltanto al dolore che sentì in lui, ma Mystica si allungò e gli strinse il braccio, riportandolo con dolcezza al presente.
Le sorrise, rivelando occhi lucidi e sofferenti, ma sembrò rincuorato di quella presenza confortante, come se con lei al suo fianco qualsiasi cosa divenisse improvvisamente più facile.
Dio, come aveva potuto separarli?
Non aveva capito niente, assolutamente niente << Lui voleva usarmi >> rivelò << Non era innamorato di me. Ciò che amava era solo il mio potere. Ne era affascinato, proprio come è stato per mio padre e poi anche per il mio patrigno. Voleva solo... >> si schiarì la gola, raddrizzando le spalle per ostentare una sicurezza che non provava prima di proseguire << Le sue idee di allora non sono molto diverse da quelle di adesso. A quel tempo non capii perché seguitasse con quella recita, non capii che stava prendendo tempo per trovare il potere giusto per controllarmi, ma fu abbastanza perché ogni cosa andasse in fumo. Urlai, gridai la mia frustrazione e lo insultai in ogni modo, ma lui non si scompose mai. Disse quel che mi ha ripetuto anche nel suo studio oggi: sono una risorsa troppo preziosa per non tentare di appropriarsene >> << Dovevi ucciderlo >> disse Erik, e ne era ancora convintissimo, ma Charles ovviamente non rispose che con una risata << Naturalmente >> commentò ironico << Deve essere tutto così semplice ai tuoi occhi, amico mio >> avrebbe facilmente trovato il modo di fargli notare che risparmiarlo aveva creato il problema adesso, ma non era il momento giusto << Non riuscii ad alzare nemmeno un dito. L'unica cosa che volevo era non sentire… più niente. Mi sforzai con tutto me stesso di dimenticarmene, non ho pensato a lui nemmeno una volta in questi anni, come se quei mesi non fossero mai esistiti. Scoprire che lui invece ha perfezionato la sua ricerca… adesso scopro persino che vuole e può derubarmi del mio potere. Non mi sembra di essere migliorato granché in tutto questo tempo >> << Charles... >> mormorò Mystica alzandosi infine per raggiungerlo, e lo cinse tra le braccia quando vide le sue spalle tremare, nascondendolo ad Erik con il suo corpo e allo stesso tempo rivolgendo a quest'ultimo un'occhiata assassina, ricacciando indietro qualsiasi cosa stesse per dire << Sembra che un sacco di persone siano convinte che io non faccia altro che sprecare le mie capacità. Persino io stesso lo penso! Magari hanno ragione. Ma non posso permetterlo, lo capisci vero Raven? >> << Certo. Certo che capisco... >> lo rassicurò << Non sei costretto a perdonare sempre tutti >> mormorò ancora, vedendolo assentire ripetutamente, ad occhi chiusi, come se cercasse prima di tutto di convincere se stesso.
Si prese ancora un momento, un respiro tra le labbra sanguigne, poi un sorriso dei suoi mentre tornava a guardarli.
Mystica attese che assentisse con il capo una volta, quindi tornò a sedersi al suo posto, anche se non lasciò la sua mano << Non possiamo ucciderlo >> chiarì dopo essersi schiarito la gola << Puoi suggestionarlo perché dimentichi i suoi intenti? >> chiese Erik, vedendo il telepate scuotere il capo quasi divertito << Potrei con una mente più debole, non con una che ha passato gli ultimi dieci anni a pianificare >> << Non mi sembra questo grande piano a dire il vero >> ribattè Mystica, rivelando ciò che pensavano tutti e suscitando un altro sospiro nel fratello << Nasconde qualcosa. Non so cosa. Non sappiamo chi sia il mutante in cui vuole trasferire il mio potere, non sappiamo nemmeno esattamente cosa se ne vuole fare. Se ho capito la sua mutazione può appropriarsi delle capacità altrui per un solo, unico, utilizzo >> << E se invece volesse impedire a te di usare il tuo potere? >> domandò la ragazza, apportando un nuovo punto di vista.
I due si guardarono, assentendo poi lentamente << Quale potrebbe essere lo scopo? >> non appena fece questa domanda comunque il telepate raggelò, divenendo rigido come una statua.
Erik non lo perdeva di vista un attimo, nonostante la poca illuminazione comprese che qualcosa non andava << Che succede? >> chiese, e la prima cosa a cui pensò fu schierare le sue sfere metalliche intorno a loro.
Charles lo ignorò, si portò le dita alla tempia con lo sguardo fisso nel vuoto << Charles, dicci cosa dobbiamo fare >> fece Mystica alzandosi in piedi anche lei percependo la tensione, ma prima che potesse risponder loro nella stanza alle loro spalle si catapultò Hank, il fiato affannato e di corsa << Charles! >> il professore non attese ulteriori spiegazioni, si mosse velocemente verso lo scienziato, e poi all'ascensore, fino ad una stanza ben conosciuta.
Dentro, una voce femminile gridava come in preda al tormento << Jean! >> esclamò Scott alle loro spalle, ma Erik lo trattenne prima che il telepate glielo chiedesse << Accertati che Saman sia incosciente >> gli disse soltanto, entrando nella stanza subito dopo.





NA: Ciao a tutti!!!
Chiedo umilmente perdono per il ritardo nella pubblicazione, ma sono stata davvero molto occupata in questo periodo -_-''
Detto questo, dichiaro ufficialmente finite le pippe mentali!!! No, vabbè, ce ne saranno ancora un po' in giro, ma adesso entriamo nel vivo della storia, con tanto di presentazione del cattivone etc... bah, speriamo di divertirci insieme!
Come sempre spero che vorrete lasciarmi i vostri commenti e le vostre impressioni, sempre ben accentti, e soprattutto le vostre critiche! <3 <3

 

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