La Contessa del Lago

di DaisyBuch
(/viewuser.php?uid=696421)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'Undici Novembre ***
Capitolo 2: *** Nina ***
Capitolo 3: *** La Bambina Perduta ***
Capitolo 4: *** "Venite, dolci e leggiadre fanciulle.." ***
Capitolo 5: *** Un Segreto ***
Capitolo 6: *** Cattive Notizie ***
Capitolo 7: *** Coraggio ***



Capitolo 1
*** L'Undici Novembre ***


Quel giorno era particolarmente buio, era l’undici Novembre. Olga aprì bene le tende per far entrare meglio la poca luce. Osservò fuori dalla finestra il lago davanti alla sua casa. Era una casa vecchia, risaliva all’ottocento, e la sua famiglia l’aveva fatta ristrutturare per renderla più moderna; il risultato era un’elegante impalto ottocentesco pitturato di bianco, con rifiniture verdi che richiamavano il colore della flora dentro a cui si nascondeva la villetta. La dimora era circondata da un giardino vasto, contenente un piccolo orto di cui si occupava spesso la donna ed un minuscolo cimitero sotto ad un salice piangente circondato da grate nere in stile gotico, per rendere meglio l’idea. All’interno del quale c’erano i suoi genitori ed il suo defunto marito. Poco avanti al portico di legno chiaro e più giù di qualche metro di erba verde c’erano delle scalette di mattoni che scendevano verso il basso, a sinistra di esse un enorme albero circondato alla base di fiori faceva da base ad una semplice altalena.
Se ci si affacciava dall’altalena si poteva vedere che le scale portavano dritte verso la riva del lago Twerjen. Questo era un lago di modeste dimensioni, e sebbene non fosse il suo, la gente della cittadina soleva chiamare Olga la contessa del lago. Il lago infatti era stato anticamente per la maggior parte “proprietà” dei suoi avi, che erano dei nobili con titoli importanti. Tutti continuavano a chiamarla contessa, ma lei non aveva realmente nessun titolo rimasto, o meglio, non lo aveva accettato.  La cittadina sede di questo enorme lago era a qualche ora da Oslo, e la casa di Olga Haraldsen era l’unica ad affacciarsi su di esso.



Decise che sarebbe andata a salutare il marito prima che si fosse fatto buio.
Come a portare un enorme peso sulle spalle, la donna uscì con un vestito verde e bianco che le arrivava alla caviglia ed un velo pesante sulla testa, che faceva fuoriuscire dal basso i lunghi capelli rosso scuro. Uscì dalla casa con calma e si diresse verso la sua destra, cominciava a fare sera ed un vento gelido le gelava il volto. Portava tra le mani cerulee ed aride un fiore che avrebbe posizionato sulla tomba. Non appena raggiunse il piccolo spazio rettangolare si abbassò per aprire il cancelletto, che si mosse con un cigolio acuto e guardò davanti a sé la lapide.
“Immensamente amato”
Solo questo c’era scritto. Erik non aveva nessuno, come lei si erano trovati perché erano due orfani soli e cupi. Insieme avevano creato il sole e l’arte, ed ora lei era rimasta notte. Non c’era nulla dentro la tomba, le autorità lo avevano dichiarato disperso, ed ora che erano passati più di sette anni dalla sua scomparsa era considerato ufficialmente morto. Ma lei sapeva come erano morto, e questo segreto era insieme confortante per la sua memoria, piuttosto che immedesimarsi nel dolore che la gente le attribuiva: di non sapere dove fosse né se fosse ancora vivo, ed insieme angosciante perché non poteva rivelarlo. Eppure c’era qualcosa di eternamente sublime ad averlo dentro di sé, letteralmente. Diede un ultimo lungo sguardo al lago, e poi si alzò sconfitta rientrando a casa.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Nina ***


Il giorno seguente la donna si alzò intorpidita più del solito, alzandosi notò nell’enorme specchio del bagno un livido color purpureo sulla sua coscia che le faceva male ad ogni passo. Lo toccò delicatamente e le uscì un involontario gemito di dolore. Si abbassò dolorante verso un armadietto del bagno, e scoprì che aveva finito le scorte di alcuni medicinali, tra cui antidolorifici. Decise che dopo pranzo sarebbe andata verso la cittadina di Vambergen per fare rifornimento; aveva con sé una lista, e decise anche di fare la spesa. Solitamente andava in città poco spesso, giusto due volte alla settimana se le serviva qualcosa o per i soliti giri di routine. Lo studio che aveva aperto con Erik era chiuso da molto tempo ormai, e mentre passava con la macchina davanti ad esso si sforzava di non guardare e di non pensarci.
Aveva continuato a dipingere, ma con meno frequenza e con poca passione. Riguardando i vecchi quadri poteva vedere paesaggi ricchi di colore, sempre diversi.. talvolta anche volti e figure. Ora tutto ciò che sapeva riprodurre era il lago. Lo studio che avevano aperto insieme univa le loro passioni più grandi: la pittura e l’artigianato. Erik creava sculture di legno o marmo, sedie a dondolo, tavolini. L’oggetto che vendettero al maggior prezzo fu un vaso, era rifinito delicatamente con scanalature magistrali, e dipinto di rosso e blu intenso. Sotto ad esso c’era la loro firma: Erik&Olga.
Olga aveva anche ottenuto quattro posti in una galleria di Oslo per i suoi dipinti, ed uno di essi era stato votato per un premio, che però non vinse mai.
Sospirò pesantemente ed entrò in farmacia con lo sguardo basso. C’erano due anziani davanti a lei ed una bambina che Olga inizialmente non aveva notato.
-Mi scusi signora.- sussurrò petulantemente la bambina sotto la sua vita.
Olga scosse la testa, come se volesse allontanare la nuvola di nebbia che la tratteneva dai suoni e dalla vista della realtà.
-Scusi signora.- ripetè la bambina, stavolta afferrandola per la gonna.
Olga si stupì prima di tutto per il termine “signora”. Non incontrava molto spesso bambini, forse era la prima volta che non parlava con uno di loro da anni, ma non credeva di meritarsi il termine signora. Questa cosa la turbò immensamente, e la rese ostile nei confronti della piccola.*specchio a casa*
-Dimmi bambina.- le sorrise e posizionò i suoi enormi occhi verdi in quelli azzurri di lei.
La piccola aveva due ciuffetti simpatici ai lati della testa che le raccoglievano i pochi capelli, il pollice che occupava l’interno della guancia destra e delle piccole lentiggini vicino al naso.
-Mi sono persa.- mormorò sull’orlo delle lacrime, trattenendole a stento.
-Oh,- Olga ebbe un moto di commozione e si abbassò alla sua altezza, - non piangere, ti aiuto io.- le sorrise fiduciosa.
La bambina la guardava scrutandola, ma non pianse.
-Il mio papà mi ha detto di non fidarmi degli sconosciuti.- brontolò guardando per terra.
-Il tuo papà ha ragione, ma io sono una sconosciuta buona. Ora dimmi, dove lo hai visto l’ultima volta?- provò a calmarla sempre sorridendole.
Lei si tolse il pollice dalla bocca come per pensarci. –Al parco, vicino ai giochi.- rispose, di nuovo con le lacrime agli occhi.
-Va bene, ora stai tranquilla, lo troveremo.- si alzò e la prese per mano, scordandosi temporaneamente del dolore alla gamba.
Uscirono dalla farmacia senza aver comprato nulla, davanti al marciapiede dall’altra parte della strada c’era una delle entrate del parco giochi, decise di cominciare da lì, perciò attraversarono e si sedettero sulla panchina davanti agli altri bambini che gridavano, aspettando.
Passati dieci minuti in silenzio Olga vide che la bambina si faceva inquieta guardandosi intorno, perciò cominciò a distrarla.
-Come ti chiami?- le chiese.
-Nina.- le rispose levandosi il pollice dalla bocca. –E tu?-
-Olga.- disse.
-Blah.- la bambina fece una faccia schifata.
Olga la guardò sconvolta e si mise a ridacchiare. –Come blah?- le chiese imitando il verso.
La bambina rise a sua volta. –E’ un nome brutto.- spiegò sincera.
Olga ci pensò su, a lei era sempre piaciuto.
-Però mi piacciono i tuoi capelli.- disse Nina, come per rifarsi.  –Posso toccarli?- chiese guardandola.
Olga sospirò. –Ma certo.- acconsentì.
Mentre Nina esaminava i suoi capelli d’un tratto le venne un’idea.
-Posso farti una treccia?- le chiese eccitata.
Olga si guardò intorno, non vedeva ancora l’ombra dei suoi genitori, ma non voleva che lei ci pensasse.
-Fai pure.- 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** La Bambina Perduta ***



Il fenomeno delle notti polari, specificatamente in Norvegia, andava circa dal dodici di Novembre fino alla fine di Gennaio e consisteva, come tutti sapevano, in un buio che durava ventiquattrore tutti i giorni.
Ormai era sera, temporalmente parlando, e tutti i bambini stavano andando a casa.
Olga e Nina avevano chiacchierato e giocato per tutto il pomeriggio, lei aveva provato a tenerla impegnata per tutte quelle ore e pareva esserci riuscita, ma ora si stava facendo troppo tardi, ed era pericoloso rimanere ancora lì senza nessuno e con poca illuminazione.
-Vieni,- disse alzandosi alla bambina, -mi è venuta un’idea per riportarti a casa.-
Nina, che ormai aveva appurato che in Olga non c’era nulla da temere, la seguì fedelmente.
Fecero di nuovo la strada di prima al contrario, ma stavolta proseguirono verso la stazione della polizia.
Olga entrò elegantemente all’interno dell’edificio con la bambina al suo fianco, che per l’imbarazzo e la paura si era rimessa il pollice nella bocca.
-Mi scusi, con chi posso parlare? E’ un’emergenza.- spiegò piegando graziosamente il volto verso la bambina.
L’ufficiale la guardò spaesato, poi posò il suo sguardo sulla bambina.
-Di cosa si tratta?- chiese con gli occhi vacui. Era un giovanotto che aveva tutta l’aria di non voler stare lì per nulla al mondo, del resto era quasi ora di cena.
-La piccola ha perso i genitori, non si ricorda l’indirizzo di casa perché hanno traslocato poco tempo fa, sono stata con lei fino ad ora ma non li abbiamo trovati.- spiegò agitando la mano nervosa, mentre controllava l’orario sull’orologio  dietro la testa del poliziotto.
-Aspetti un secondo.- il ragazzo annuì e scomparve dietro una porta.
Olga si sentì lievemente sollevata.
-Lui mi aiuterà a trovare il mio papà?- chiese a voce bassa e lamentevole la bambina, che era chiaramente provata ed esausta, oltre che impaurita.
-Si tesoro, non ti preoccupare.-  le sorrise incoraggiante.
Il poliziotto riapparve nel piccolo salottino dietro al bancone, si posizionò davanti a loro con un foglio.
-Come ti chiami?- cominciò.
Nina ci pensò un attimo. –Nina Olsen.- mugolò.
-Come si chiama la tua mamma?- le chiese passando allo spazio successivo da riempire sul foglio.
Lei esitò un attimo di nuovo. –La mia mamma è morta.- rispose.
Olga ebbe un tuffo al cuore. Questo non glielo aveva detto.
-Oh mi dispiace tanto, scusami.. cambiamo domanda.- disse a disagio lui.
Olga intanto guardava ancora Nina e si sentiva un po’ tradita.. ma del resto, perché avrebbe dovuto dire ad una sconosciuta che aveva perso la madre? Non era di per sé nemmeno un argomento facile da affrontare in generale. E poi ripensandoci si ricordò che aveva sempre menzionato solo il padre. Forse avrebbe dovuto prestare più attenzione.
-Come si chiama il tuo papà?- riprovò. L’ufficiale.
-Adrian Olsen.- scandì bene e lui si prese del tempo per scrivere, poi guardò interrogativo il foglio.
-Per quanto riguarda la via..- guardò Olga, che lo interruppe subito. –Non la ricorda.- ripetè lei.
-Bene.. immagino sia troppo piccola per ricordare numeri di telefono e quant’altro, perciò posso solo tenerla qui per ora. La terremo sotto sorveglianza.-
Olga sorrise rincuorata. Poi guardò Nina e si accorse che la stava già fissando con gli occhi che le si stavano riempiendo di lacrime di nuovo.
-Tu resti con me?- supplicò.
Olga ebbe un altro salto al cuore. Non poteva. Non poteva proprio.
-Io..- provò a dire, ma stavolta era il ragazzo che interruppe lei.
-Sono sicuro che la bambina si sentirà più a suo agio con un volto familiare.- la incoraggiò.
-Familiare? La ho incontrata cinque ore fa.- rise a disagio Olga.
Il poliziotto mise i gomiti sul bancone e appoggiò la guancia sul pugno destro, fissandola stupito.
-Vuole davvero lasciare la bambina qui da sola?- le chiese.
Olga guardò incredula prima lui e poi Nina, che era veramente sull’orlo delle lacrime stavolta.
-Io..no, è che non posso..non posso proprio, devo tornare a casa.-  scosse la testa nel panico. In che situazione si era cacciata? Guardò di nuovo l’orologio: erano già le nove.
-Non lasciarmi qui! Ti prego Olga!- Nina cominciò a piangere a dirotto e a gridare, afferrandole la mano e abbracciandole la gonna.
Olga chiuse gli occhi disperata. Ecco perché con Erik non avevano mai pensato di fare bambini ancora. Si erano sposati giovani, questo è vero.. ma non avevano mai sentito questo desiderio. Almeno non ancora..
Nina continuò ad urlare e piangere fino a che Olga non cedette.
-Va bene! Va bene!- urlò anche lei. E Nina smise momentaneamente di frignare.
-Però devo davvero tornare a casa.. è necessario. Devo dormire a casa.- insistette.
Il poliziotto allora si ridestò, ed alzò il volto allarmato.
-Ma signora io non..-
-Signorina.- lo corresse.
-Scusi, signorina io non posso lasciarle portare una bambina a casa sua.. è contro la legge.- la guardò stavolta anche lui disperato.
Olga mise il braccio sul bancone, avvicinandosi alla faccia del tizio davanti a lei. Occhi verdi contro occhi verdi.
-Senti.. Peter,- cominciò Olga.
-Ma io non mi chiamo Peter..- obiettò lui, ma lei lo zittì.
-Con me sarai Peter. Dicevo.. Peter, Nina non vuole stare da sola ed io non posso stare qui tutta la notte. Fai il turno di notte mi sembra di capire, no? Se non vuoi che la piccola si metta ad urlare e a piangere per le prossime sette ore ti consiglio di lasciarla venire da me. – lo minacciò con un sorriso bianco perla.
-Nina tesoro, preferisci venire a casa mia o stare qui da sola?-  si rivolse a Nina.
Lei la guardò dal basso con sguardo confuso.
-Voglio stare con te.- mormorò asciugandosi le lacrime.
Olga guardò Peter con un sorriso disteso e trionfante.
-E come lo spiegherò al mio superiore?- chiese lui ancora non convinto.
-Beh, hai due opzioni.- gli spiegò saggiamente mostrando due dita.
 –O fai sparire quel foglio ed io ti riporto Nina domani mattina in centrale dicendo di averla trovata la mattina stessa, oppure tornerò lo stesso domani mattina e dirò cosa è successo esattamente come è successo, solo che farò ampi dettagli sull’uomo con cui ho parlato: un uomo di nome Peter, occhi azzurri ed un graffiante senso dell’umorismo. – concluse , sinceramente interessata sulla sua scelta.
Lui era alquanto confuso. Quella donna gli aveva appena detto che era noioso?
Sbuffò ed alzò gli occhi al cielo, pensando che era entrato ufficialmente nella polizia solo da otto mesi.
-E va bene.- disse sconfitto.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** "Venite, dolci e leggiadre fanciulle.." ***


Olga e Nina uscirono dalla centrale della polizia dopo aver attestato che Olga non avesse nessun genere di disturbi mentali tramite la sua cartella online. Nina era stranamente silenziosa, forse si era pentita di aver fatto quella scelta, era pur sempre una sconosciuta. Olga intanto pensava freneticamente sul da farsi. Non aveva mai accudito una bambina, ma doveva farcela per una notte dato che non aveva altra scelta.
Pensò a cosa potesse piacerle da mangiare, o dove potesse farla dormire mentre lei..
Bip bip
Olga sbloccò il SUV con il telecomando a distanza.
Nina si avvicinò, era poco più alta della ruota della macchina.
Olga fece il giro ed aprì lo sportello, poi vide che dall’altra parte non c’era stata nessuna mossa di rimando, perciò fece il giro lasciando lo sportello aperto ed andò a controllare.
Nina arrancava verso la maniglia della portiera.
Olga sospirò e le aprì lo sportello, la prese in braccio e la fece sedere mettendole a cintura.
Rifece il giro e si mise seduta sul suo posto, chiuse lo sportello e guardò al buio il volto illuminato di Nina. La vide piccolissima rispetto al sedile.
Sospirò di nuovo, riaprì lo sportello e la rifece scendere posizionandola nei posti dietro della macchina, sempre mettendole la cintura. Non poteva rischiare nulla, era già pericoloso così.
Si rimise seduta e si allanciò la cintura, guardò dietro attraverso lo specchietto retrovisore e vide che lei la stava fissando silenziosamente.
Mise in moto.
-Nina, che musica ti piace?- le chiese per farla tranquillizzare un po’ mentre si dirigevano a casa.
Lei rispose poco dopo, pensandoci.
-La canzone dei tre cavallini.- rispose illuminandosi.
Olga la fissò.
-La..la canzone dei tre cavallini. Ma certo. Ehm..- non sapeva cosa rispondere.
-Il mio papà me la mette sempre.- disse, e Olga avvertì un tono nostalgico. Aveva troppa paura che potesse rimettersi a piangere, perciò decise di bloccarla sul nascere.
-Che ne dici se me la canti tu? Ti va?- le sorrise incoraggiante.
Nina aggrottò la fronte.
-Scommetto che sei bravissima, andiamo!- continuò.
La bambina allora cominciò sottovoce, ma minuto dopo minuto la alzò sempre di più.
-I tre cavalliiini, saltavano nella prateria e correvano veloci vivendo in armoniiia..-
Non si fermò per mezz’ora buona.
Ad Olga sanguinavano le orecchie. Si pentì immediatamente della scelta fatta.
Poi dopo aver ripetuto da capo la canzone almeno cinque volte si stancò evidentemente di cantare, forse si annoiava.
-Ora tocca a te!- quasi gridò entusiasta. Almeno cantare la aveva messa di buon umore, pensò la donna.
-A me?- chiese stranita Olga. Effettivamente poteva benissimo cantarla tutta, dato che ormai la sapeva a memoria.
-Si cantami una canzone.- stavolta era lei che incoraggiava Olga.
Olga ci pensò un po’ su. Quant’è che non cantava?
Sbattè gli occhi perplessa e rivide il suo repertorio.
-E va bene.- si arrese. Si schiarì la gola.

< Venite, dolci e leggiadre fanciulle
Fiori in pieno rigoglio
Badate, badate, prendetevi cura del vostro giardino
Non permettete a nessuno di rubare il vostro timo
Non permettete a nessuno di rubare il vostro timo
Che quando il vostro timo sarà colto
Al ladro più nulla importerà di voi
E dove il vostro timo sarà stato gettato
Germoglierà il rimpianto
Germoglierà il rimpianto
 
Il figlio del giardiniere era lì vicino a me
Mi diede tre fiori
Uno rosa, uno blu e uno violetto
E un roseto di boccioli rossi, rossi
E un roseto di boccioli rossi, rossi
 
Ma io rifiutai il cespuglio di rose rosse
E gli diedi un ramo di salice
Così che tutti potessero vedere
L'insulto arrecatomi dall'amore
L'insulto arrecatomi dall'amore>


La cantò a ripetizione, sia perché riacquistò il piacere di sentire la sua voce cantare, sia perché era una ninnananna meravigliosa che le cantava sempre sua madre. Quando smise di cantare del tutto sentì affiorare un sincero sorriso sulle sue labbra.. qualcosa di spontaneo che non le era mai uscito così facilmente.
Scosse la testa per tornare di nuovo alla realtà.
Guardò attraverso il finestrino e vide che Nina si era addormentata.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Un Segreto ***


Arrivarono a casa poco prima di mezzanotte.
Olga sentiva vampate di gelido freddo dietro la schiena. Si tolse la sciarpa e la avvolse intorno a Nina, che ancora dormiva. Aprì lo sportello e provò con calma a non farla svegliare, ma dentro di lei sentiva il panico che saliva sempre di più ed occupava tutta la sua testa, non la faceva pensare.
Con un braccio tenne Nina, con l’altro prese le chiavi dalla borsa ed aprì velocemente la porta. Salì le scale fino al secondo piano, fece tutto il corridoio di corsa sempre badando a non farla svegliare. Aprì la porta della sua stanza e poggiò delicatamente la bambina al centro del letto, le tolse le scarpe e la sciarpa ma improvvisamente cominciò a girarle la testa, vide tutto nero.  Fece appena in tempo a metterle una coperta addosso. Corse fuori dalla stanza e la chiuse dentro a chiave con tre mandate. E poi respirò l’ultima volta prima di perdere coscienza.


Si svegliò nuda ai piedi del lago.
Aprì piano gli occhi.. la luce non le dava fastidio. Non c’era luce. O meglio, c’era un leggero bagliore che le doveva far capire che era mattino.. forse. Rimase sulla riva a guardare l’orizzonte per un po’ come faceva spesso, i sassolini neri sotto di lei non le facevano male e leggere onde le arrivavano fino alla vita e poi scomparivano di nuovo ai suoi piedi velocemente. L’acqua l’accarezzava di continuo con lo stesso ritmo, e tutto era calmo. Quella era l’unica cosa che le era sempre piaciuta.
Era tutto calmo.
Cominciava in quel momento a sentire piano piano sempre più freddo, la sua temperatura cominciava a divenire normale. E all’improvviso, con l’avvento della normalità e quindi della realtà, si ricordò della bambina.
 Sgranò gli occhi e si alzò in fretta dalla sabbia rugosa del lago.
Voltò lo sguardo verso la sua casa in alto, e mentre correva tornando verso di essa notò che una esile figura dalla finestra della sua stanza la stava fissando.
Inizialmente si spaventò semplicemente, ma quando realizzò che doveva essere Nina rimase paralizzata.
Quella notte aveva chiuso Nina proprio nella sua stanza, quella con la vista migliore sul lago.. come aveva potuto essere così stupida?
Fece tutte le scale che risalivano al giardino di casa di corsa, lasciandosi senza fiato. Entrò temerariamente dentro la casa, attenta ad ogni minimo rumore. Silenziosamente si diresse verso il bagno del piano di sotto e si avvolse con un asciugamano.
Salì le scale fino al secondo piano lentamente, con le mani che le tremavano ed i capelli fradici che le facevano sentire freddo dietro la schiena. Senza fare rumore attraversò tutto il corridoio e si avvicinò al pomello della porta, prese la chiave e la girò tre volte in senso orario.. indugiò ancora qualche secondo e poi con molta paura la aprì.
Trovò Nina seduta sul letto con la abat-jour accesa. Davanti a lei c’erano molti libri aperti, messi in disordine sulle coperte, ma in quel momento la bambina la stava fissando intensamente.
Olga non sapeva che dire.
Si guardarono silenziosamente per qualche minuto, immobili.
Poi Olga deglutì.
-Che stavi facendo?- le chiese mettendosi una ciocca di capelli bagnati dietro l’orecchio.
Nina abbassò lo sguardo sui libri.
-Non ci sono figure su questi.- disse aggrottando la fronte.
Olga sospirò lievemente, forse non aveva visto nulla.
-Io.. sono andata a farmi una nuotata al lago.- le sorrise a disagio.
Nina scese dal letto e raggiunse Olga.
-Io ti ho vista. – le sorrise raggiante. –Tu sei u..- provò a dire ma Olga le tappò la bocca con la mano. Poi quando si accorse che forse poteva averla spaventata la tolse subito, e Nina cominciò a piangere.
-Oh no no no, scusami. Non volevo davvero. Scusa mi dispiace.- la supplicò di fermarsi a piangere, mettendosi in ginocchio davanti a lei e sedendosi sui talloni.
-E’ che.. è un segreto.- le spiegò, ottenendo la sua attenzione. – Non devi dirlo a nessuno. Va bene? – le fece promettere. Questa specie di accordo segreto la emozionò, non solo smise di piangere ma la abbracciò contenta.
Olga rimase impietrita.  Nina si staccò dopo tre secondi.
-Sei ancora bagnata!- inorridì.
Olga la guardò sinceramente negli occhi, -Facciamo così: io mi vado a vestire, tu intanto scendi di sotto e vai a fare colazione, d’accordo?- le chiese con un sorriso.
Nina annuì tutta felice.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Cattive Notizie ***


Olga fece il prima possibile, si asciugò i capelli in fretta e furia ed indossò un vestito bluette non stirato.
Non sapeva bene perché ma aveva paura che la bambina avesse cambiato idea.
La trovò arrampicata sullo sgabello della cucina che si guardava intorno rapita.
Ovviamente non aveva idea di dove trovare le cose per fare la colazione.. o come fare una colazione. Olga non ci sapeva davvero fare con i bambini.
-Eccomi tesoro. Cosa.. cosa vuoi mangiare?- le chiese dolcemente accarezzandole il caschetto biondo.
-Che bei quaadri.- disse col naso all’insù, mentre osservava i dipinti di Olga appesi per tutta la cucina.
-Ti piacciono? Li ho fatti io.- disse riscoprendoli anche lei, era una vita che non li notava nemmeno.
C’erano un girasole, un pezzo del loro orto e la vista sul lago, la vista sul lago con la luce del sole, un campanile..
-Lui chi è?- chiese all’improvviso Nina, riferendosi al quadro appeso accanto alla finestra, era di dimensioni medie.
-Oh ehm.. lui era mio marito.- abbassò la testa Olga, senza guardare il suo quadro.
-E dov’è?- chiese innocentemente lei.
Olga si girò ed andò verso il frigorifero per tirare fuori il latte.
-Non c’è più.- rispose dandole le spalle. Il suo volto si era intristito, non voleva che lei lo vedesse.
-Come la mia mamma?- insistette malinconica.
La donna posò il latte sul tavolo e la fissò dispiaciuta. –Come la tua mamma.-
-Sei bravissima, vorrei essere brava come te.- la complimentò disse abbassando lo sguardo.
-Se vuoi ti insegno a dipingere.- disse sorridendo, prima di realizzare veramente cosa aveva appena detto.
Voleva sul serio insegnarle a dipingere?
-Davvero?- quasi cadde dallo sgabello. Era così entusiasta che Olga non ce la fece a ritirare le sue parole.
-Davvero.- le sorrise di rimando.
Prese due bicchieri e li riempì di latte, poi si accorse che non sapeva nulla di cosa mangiavano i bambini.
-Sei allergica a qualcosa?- chiese spaventata.
Nina la guardò spaesata.
-Cosa mangi la mattina per colazione?- riprovò semplicemente.
-Cereali e latte.- ricordò. Per fortuna Olga aveva entrambi, perciò la accontentò facilmente.
Mentre Nina mangiava famelica e finiva la terza tazza di cereali con il latte Olga la fissava intensamente, quasi rapita da quella piccola bambina curiosa e coraggiosa.
-Quanti anni hai?- le chiese. Era l’unica cosa di cui non avevano parlato, ma sapeva più o meno quanti..
-Sei e mezzo.- farfugliò a bocca piena.
Olga rimase di stucco. Non sapeva davvero nulla sui bambini.. pensava che Nina ne avesse otto. Effettivamente non aveva mai realmente avuto a che fare con dei bambini da moltissimi anni.
-E tu?- le chiese come obbligata, e non sinceramente incuriosita come al solito.
-Indovina.- alzò le sopracciglia Olga, così da farla divertire e rendere tutto un gioco.
Nina capì al volo e sorrise guardandola, con aria di sfida.
-Cinquanta!- quasi urlò, sicura di aver indovinato.
Olga impietrì di nuovo.
-Ma..come cinquanta.- balbettò. –Sai quanti sono cinquanta?- sbattè le palpebre incredula.
-Tanti.- rispose approssimativamente.
Olga sospirò delusa, dimostrava tanti anni?
-Non hai indovinato, comunque.- le disse un po’ scocciata.
-Venti!- urlò di nuovo, e lì la donna capì che Nina non aveva la minima idea di cosa stesse dicendo.
Si mise allora a ridere, rise per tanto tempo guardando la strana bambina davanti a lei che la aveva fatta scoppiare in una risata.
Erano le otto del mattino, e Olga stava per finire di lavare i bicchieri sporchi ed andare in città per riportare Nina, mentre lei stava comodamente sul divano a guardare la televisione, quando squillò il telefono di casa.
Solitamente erano le offerte pubblicitarie, ma le sembrò strano a quell’orario.
Si asciugò in fretta le mani sul canovaccio ed andò a rispondere.
-Pronto?-
-Si pronto, lei è Olga Haraldsen? – chiese la voce di un uomo austero.
-Si sono io.- rispose, i suoi occhi andarono automaticamente su Nina, che era seduta davanti a lei di spalle.
Si allontanò, poiché l’uomo aveva una voce troppo seria e Olga aveva un cattivo presentimento.
-Sono l’agente Johansburg, lei è attualmente in compagnia di Nina Olsen?-
-Si, stavo per riportarla in centrale.- confermò lei.
-Volevamo informare Nina che suo padre è al momento in ospedale. Può portare la bambina direttamente qui o se preferisce in ospedale.- Olga ebbe un tuffo al cuore.
Si allontanò velocemente dal salone ed uscì fuori in giardino.
-Come in ospedale? Cosa è successo?- chiese preoccupata.
-Sono informazioni riservate.- rispose secco.
-C-come e con chi starà Nina?-continuò confusa Olga.
 –Stiamo cercando di raggiungere telefonicamente la zia di Nina, sembra essere il parente più prossimo ma è necessario che lei la porti qui il prima possibile per fare ulteriori accertamenti.- spiegò.
-..certo, partiamo subito. La porterò in ospedale.-
-La aspetteremo là.-  chiuse la chiamata.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Coraggio ***


In macchina Olga aveva un’espressione accigliata che non riusciva a togliersi dal volto.
Non poteva crederci, ma era preoccupata. I suoi occhi seri si posavano interrogativi su quelli di Nina attraverso lo specchietto, che sembravano risponderle con lo stesso sguardo confuso.
Non parlarono molto, Olga le disse solo che avevano trovato suo padre e che era in ospedale. Nina la prese meglio di quel che pensava, ma lei aveva avuto un brutto presentimento che il tono dell’uomo al telefono aveva incoraggiato.
La bambina nel frattempo si rendeva conto che la donna seduta davanti a lei era in tensione, la guardava spesso con fare nervoso e stringeva le dita intorno al volante poco prima di tornare a guardarla. Nina provava a distrarsi ammirando la vallata fuori dal finestrino, col pensiero costante che avrebbe rivisto suo padre a breve.
Parcheggiarono in fretta e la donna si apprestò a slacciare la cintura a Nina, facendola scendere con cautela. La prese per mano e la strinse più forte del solito.
Entrarono nell’atrio ed Olga cercò il punto informazioni più vicino per chiedere del paziente Adrian Olsen.
-Un attimo.- le rispose indaffarato il segretario, mentre con una mano teneva il telefono e con l’altra digitava il nome.
Olga continuava a lanciare occhiate a Nina, che dal basso si guardava intorno, osservando la grande sala bianca e celeste colma di gente seduta  e che faceva la fila, con un odore forte di disinfettante e di chiuso.
-Terzo piano, ala Est, camera quarantacinque.- disse sbrigativo, sorridendo appena.
-Grazie.- Olga trascinò Nina verso le scale sempre più ansiosa.
Arrivati al terzo piano ci fu un bivio, ala Ovest o ala Est. Dirette a destra, si fiondarono verso la camera quarantacinque fino a che non riconobbero due poliziotti davanti ad una stanza con la porta aperta, sotto ad una luce al neon.
Nina si bloccò davanti alla ventotto.
-Che c’è?- chiese Olga quando sentì il braccio tirare.
-Ho paura.- mormorò, e si mise il pollice in bocca.
Olga si abbassò per poterla guardare bene negli occhi.
 –Anche io ho paura. – mormorò, e Nina poteva capire che era la verità.
 –Ma dobbiamo essere coraggiose, va bene?-  corrucciò lo sguardo. Aspettò fino a che Nina non si pulisse le lacrime dagli occhi e poi si rialzò. La guardò e le sorrise incoraggiante, poi ricominciarono a camminare verso i poliziotti.
-Eccole.- disse uno dei due, il più anziano.
-Nina Olsen e Olga Haraldsen?- puntò la penna contro loro due.
-E’ esatto.- rispose Olga.
-Bene, Adrian Olsen è in questa stanza, ha avuto un forte trauma in seguito ad un incidente d’auto. Ora è in.. coma.- abbassò la voce a disagio, percependo il poco tatto nel suo tono di fronte alla piccola bambina.
Olga inspirò pesantemente. La cosa la colpiva, non sapeva spiegare perché.. o semplicemente perché percepiva il dolore di Nina. La piccola si strinse sul vestito di Olga, mettendo la faccia tra la stoffa e cominciando a singhiozzare. Ad Olga si strinse il cuore, le toccò con una mano la testa e gliela massaggiò, nel tentativo di poter servire a qualcosa.
Il poliziotto aspettò pochi minuti per far calmare Nina, ma lei sembrava non riuscire a smettere.
-La bambina può entrare, lei però..- provò a dire, ma Nina sbottò a frignare ancora più forte.
-No anche lei! – cominciò ad urlare. Olga doveva avere un’espressione attonita quanto quella dei due uomini davanti a lei, non aveva mai sentito un tono così acuto in tutta la sua vita. Tutti nel corridoio si girarono a guardare.
Gli agenti si guardarono, l’anziano con il pizzetto scoteva la testa in difficoltà, l’altro aspettava la sua decisione.
-E va bene.- sussurrò. –Ma è illegale, perciò appena vedrò qualcuno entrare farò finta di non sapere nulla.- si sbrigò a dire.
Le due entrarono nella stanza silenziosamente.  Questa era poco grande, aveva un letto al centro ed un comodino al lato sinistro, vicino ad esso c’era attrezzatura da ospedale che tavolta emetteva qualche “bip” regolare. Nessun quadro. Nessun fiore. Sul letto era steso un uomo, era giovane ed aveva i capelli nero pece e la mascella forse troppo squadrata, che induriva l’espressione del dormiente. Olga notò subito le chiare ciglia lunghe e la fronte larga, che era la stessa di Nina. Aveva il collare e lo zigomo sinistro tumefatto. Fece impressione anche ad Olga. Nina si buttò disperata sul corpo del padre.
-Papà, papà!- cominciò a scuoterlo.
-Shh! Nina! Gli fai male così.- la fermò per le spalle.
-Ma perché non mi risponde.- singhiozzava senza staccare gli occhi da lui. Si mise seduta sul letto.
Olga capì che Nina non aveva la minima idea di cosa voleva dire “in coma”. E che spettava a lei spiegarglielo.
Odiava che avrebbe appreso quell’orrenda cosa da lei.
-Nina .. tuo padre  è in coma, vuol dire che è come.. addormentato finchè non si sente meglio.- provò a spiegarle.
-E tra quanto si sentirà meglio?- chiese impaziente tirando su col naso e guardandola.
-Questo.. non si sa. Forse il medico può dirtelo.- disse. Non le avrebbe mai detto che c’era l’opportunità che suo padre non si risvegliasse più, non era compito suo e non le avrebbe mai dato un dispiacere del genere, non ce ne era bisogno.

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3500807