Un’anima attraverso il tempo

di Najara
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Mani insanguinate ***
Capitolo 2: *** Nodo di dolore ***
Capitolo 3: *** Senza ancore ***



Capitolo 1
*** Mani insanguinate ***


Un’anima attraverso il tempo

 

Mani insanguinate

 

“Allora com’era Praga?”

“Niente male, di sicuro piove meno che a Londra. Il dottor Havěl è stato davvero gentile e non ti dico la sua faccia quando ha trovato la stanza degli archivi esattamente dove gli avevo detto.” Beth sorrise al fratello mentre si toglieva la giacca zuppa di pioggia.

“Da quanti anni ci lavorava? Cinque?”

“Sì e se non fosse stato per la mia visitina nel 1623 la starebbe ancora cercando, dovrebbe dire grazie a Gertrud Böhm.”

“Beh, grazie Gertrud, allora!”

“Hai trovato quello che mi serve?” Chiese poi Beth, impaziente.

“Sei appena tornata da un volo in aereo e vuoi già ripartire.”

“Ovviamente! Solo che non mi servirà il biglietto questa volta.”

“Ma non abbiamo ancora appurato se hai creato dei danni nella linea temporale o se, più banalmente, l’allucinogeno abbia effetti nefasti sul tuo corpo.”

“Smettila di fare il fifone Danny.”

“Non è questione di fifa!” Rispose lui, offeso, allora Beth gli sorrise.

“Andiamo fratellone, abbiamo tra le mani qualcosa di unico, magnifico ed enorme! Dobbiamo testare i miei limiti, dobbiamo capire fino a dove posso spingermi e per quanto tempo posso rimanere in trance.”

“Sì… ma…”

“Lo so, lo so, sei un medico e...”

“Non è questione di essere un medico e di aver fatto voto di non arrecare mai danno, anche se potrebbe effettivamente essere quello, è per il fatto che sei mia sorella! La mia sorellina! I nostri genitori sono morti e io devo occuparmi di te.” Beth lo raggiunse comprendendo che non era uno dei suoi soliti momenti di preoccupazione, era seriamente in ansia per lei.

“Andrà tutto bene, quei funghi hanno sballato giovani per generazioni, di certo non sono il massimo, ma ne vale la pena.” Posata una mano sulla sua spalla lo guardò con un sorriso dolce. “E ci sei tu accanto a me, cosa posso desiderare di meglio?” Il giovane sospirò, poi sorprendendola la abbracciò. “Andrà bene.” Gli disse ancora lei e allora Danny la lasciò andare.

“Va bene, ma solo una visita veloce, stasera voglio presentarti una persona.” Beth rimase di stucco.

“Una persona?”

“Sì, una ragazza che ho conosciuto al lavoro.”

“Stai scherzando? Hai conosciuto una ragazza e me ne parli solo ora?” La giovane gli diede un pugno giocoso sulla spalla. “Danny ha la ragazza, Danny ha la ragazza.” Iniziò a cantilenare ridendo e ricevendo uno sguardo di rimprovero dal fratello.

“Sei una bambina, altro che farti viaggiare nel tempo!” A quelle parole Beth smise di netto con una finta espressione spaventata sul volto. I due fratelli si guardarono per un istante e poi scoppiarono a ridere.

 

Dieci minuti dopo Beth si stese sul letto.

“Davvero?” Chiese Danny notando la t-shirt che aveva indossato per l’occasione.

“Non ti piace?”

“Hai comprato una maglietta con su scritto: Non sono mica morta. Sei seria?”

“È una citazione di nonnina Weatherwax.”

Il ragazzo scuotendo la testa iniziò a posarle gli elettrodi sulla fronte e sul cuore poi accese i diversi monitor che aveva nella stanza. Poco distante vi era anche un’unità di rianimazione, Beth non la guardò neppure, aveva iniziato la profonda respirazione che era il preludio della trance.

“Ho trovato dei funghi nuovi, dovrebbero essere più forti, visto che volevi andare più indietro.” Ad un suo cenno le posò l’inalatore sulla bocca.

“Comunque la strega di Pratchett aveva un biglietto con quella scritta.” Puntualizzò Danny facendola sorridere. “Due respiri profondi, molto bene, cinque, quattro, tre…” La sua voce si perse nel buio.

 

***

 

Beth aprì gli occhi ispirando l’aria fresca di una bella giornata d’autunno. Come prima cosa si guardò, era un bambino, di circa sette anni. Non era sicura di chi si trattasse, la sua anima si era incarnata centinaia di volte e malgrado lei finisse spesso negli stessi individui non le era mai successo di avere un’età così giovane.

Magister lectio te manet.” Il suo cervello incespicò un istante poi quello del suo ospite la aiutò e lei tradusse le parole latine: il maestro la stava aspettando per una lezione. L’uomo che l’aveva interpellata era un giovane monaco e lei intuì che doveva essere finita molto indietro nel tempo. Medioevo forse. La rivelazione l’elettrizzò, non era mai andata così lontano. Seguì l’uomo per uno stretto sentiero tra gli alberi ritrovandosi ad osservare un imponente edificio di pietra. Un monastero di certo, ma di quale regione? Cercò di memorizzare i dettagli, un edificio del genere forse esisteva ancora nel suo presente, avrebbe potuto cercarlo con Google, con un po’ di fortuna avrebbe trovato il nome nella mente della sua precedente incarnazione. Mentre l’idea la faceva sorridere nella sua testa si fece buio.

 

***

 

“Dovevi lasciarmi più tempo…” Si bloccò. Non era nel suo letto. Davanti a lei si stagliava una scena orribile: suo fratello era a terra, un rivolo di sangue che gli scendeva dalla fronte. “Danny!” Esclamò raggiungendolo e piegandosi su di lui, la mente in subbuglio, il cuore che batteva veloce nel registrare il volto pallido del fratello e la brutta ferita che sembrava non smettere di sanguinare.

“Mani in alto!” L’urlo la colse completamente di sorpresa. “Butta il coltello! Subito!”

Beth si era voltata, davanti a lei c’era un poliziotto che le puntava contro la pistola. Quando l’uomo pronunciò le ultime parole gli occhi le scesero a guardare ciò che stava stringendo: un pugnale dalla foggia antica. Con orrore Beth lo lasciò cadere, l’arma era rossa di sangue così come le sue mani.

“Cosa è successo?” Chiese al poliziotto. Suo fratello gemette accanto a lei e Beth tornò a guardarlo. “Danny, Danny, stai bene?” Il giovane aprì gli occhi, ma lei non ebbe il tempo di vedere altro perché il poliziotto approfittando della sua distrazione le saltò addosso schiacciandola a terra e girandole le braccia dietro la schiena.

“Mio fratello, aiutatelo! Cosa è successo?” Il poliziotto la ignorò parlando alla radio e qualche minuto dopo degli infermieri entrarono nella stanza mentre lei veniva trascinata fuori e messa su una macchina.

 

“Buona sera.”

“Finalmente! Come sta mio fratello?” Erano due ore che aspettava in quella stanzetta anonima e stava impazzendo dalla paura. Aveva già chiesto informazioni ai due tecnici che però dopo averle fatto un prelievo di sangue e raccolto dei campioni di quello che aveva sulle mani, se ne erano andati senza dirle niente.

“Lei è Beth Sanderson?”

“Sì.” Disse esasperata. “Ora ditemi come sta Danny.” L’uomo alzò gli occhi dalla cartellina, fissandola.

“Se la caverà.” Beth sentì la tensione scemare, in quelle due ore era riuscita solo a pensare al volto esangue di suo fratello. “Non posso dire altrettanto della signorina Logan.”

“Non… non conosco nessuna Logan.” Il poliziotto cercò con molta calma nella sua cartellina, estraendo una foto e passandogliela. Era una ragazza giovane, dal sorriso affascinante e dai vivaci occhi verdi. “No, non la conosco. Cosa le è successo?”

“Ne è sicura?”

“Sì, ne sono sicura.” Confermò lei, sempre più perplessa. L’uomo non annuì, ma cercò un’altra immagine che le mise davanti.

“Cosa mi dice di questo?” Beth guardò il pugnale che ricordava pieno di sangue nel suo pugno.

“Ce l’avevo in mano quando l’agente è entrato in casa mia.” Affermò con un brivido.

“Non lo aveva mai visto prima?” Il poliziotto le presentò altre tre immagini che erano ingrandimenti del pugnale e mostravano le particolari rune incise su di esso. Improvvisamente Beth ricordò.

“Oh… era al museo, a Praga. Il dottor Havěl ne andava fiero, diceva che era un oggetto unico, un suo ritrovamento in un sito…” Cercò di ricordare. “Celtico, sicuramente pre-romano.”

“Come spiega di averlo in suo possesso?”

“Non lo so.”

“Ne è stato denunciato il furto questa mattina.” La informò. “Lei era a Praga questa mattina, dico bene?” Stava consultando i suoi dossier e Beth annuì non appena lui la guardò di nuovo. “L’avete rubato voi?”

“No!” Esclamò allora Beth. “Certo che no!”

“E lo avete usato per uccidere la fidanzata di vostro fratello?”

“Cosa?” L’accusa la lasciò senza fiato. Uccidere? L’agente aveva detto uccidere?

L’uomo rimase a fissarla e allora lei scosse la testa.

“No! No, ero nella mia stanza, stavo…” Si bloccò, poi riprese in fretta. “Riposando, il viaggio in aereo mi aveva stancato e mio fratello voleva farmi conoscere una persona, così sono andata di sopra a stendermi. Quando mi sono svegliata sono scesa in cucina e ho trovato Danny svenuto. Infine il poliziotto mi ha arrestata.”

“Fa uso di sostanze stupefacenti?” Beth aprì e chiuse la bocca, era chiaro che l’uomo non aveva creduto ad una parola di quello che aveva detto.

“Sì. Funghi, a volte, mi aiutano a rilassarmi.” Ammise, conscia che avrebbero comunque saputo la verità.

“Possono creare stati di allucinazioni e alterare la memoria.”

“Lo so, ma…” Il poliziotto la ignorò, facendo invece un cenno verso la parete a specchio. Qualche minuto dopo portarono uno schermo con un lettore dvd.

“Sono le riprese di questa sera, della sua camera.” Beth si morse un labbro, sarebbe stato difficile spiegare perché suo fratello la monitorasse e drogasse, probabilmente avrebbe avuto dei guai al lavoro. Allo stesso tempo però quelle riprese avrebbero mostrato che lei non si era mossa dal letto.

Una piccola vocina nella testa di Beth bisbigliò che lei si era svegliata in cucina, eppure non l’ascoltò.

Il video iniziava con lei che posava la valigia a terra. L’uomo lo accelerò e molto velocemente Beth si vide mentre si sdraiava e suo fratello le fissava l’apparecchiatura di monitoraggio.

“Ho dei disturbi del sonno, Danny sta facendo dei test.” Cercò di spiegare, ma l’agente non fermò il video fino a quando lei non si alzò dal letto. Beth sbatté le palpebre. Stava parlando con suo fratello, poi si alzava e usciva dalla visuale della telecamera. Il poliziotto bloccò lo schermo e le indicò l’ora segnata nell’angolo.

“18.36. Ha dormito dieci minuti.”

“Io…” Beth continuava a fissare lo schermo, incapace di comprendere.

L’agente rimise play, avanzò fino alle 20.00 poi riportò il video a velocità normale e lei ricomparve nello schermo, si piegò sulla valigia, la aprì e ne estrasse qualcosa.

Beth sentiva il cuore batterle nel petto mentre un orrendo sospetto si faceva spazio nella sua mente. Quando la donna sullo schermo si voltò nella mano teneva un pugnale. Lo stesso pugnale che ora vedeva in foto davanti a lei.

“Non è possibile.” Affermò, la voce che tremava.

“Si riconosce nello schermo?”

“Sì, ma quella non posso essere io.” L’agente spense il video e segnò le sue risposte.

“Abbiamo finito.” Disse, alzandosi e tendendole il foglio. “Le dispiace firmare la sua deposizione?”

“Aspetti, non capisco, ha parlato di una donna uccisa, come è successo?” Il poliziotto la fissò qualche istante poi scosse la testa sospirando.

“Lei è una brava attrice oppure ha dei gravi disturbi psicotici.”

“La prego!” Lo supplicò allora lei.

“Abbiamo ricevuto una chiamata alle 20.02. Un vicino aveva sentito delle urla provenire da casa sua. Quando la pattuglia è arrivata ha trovato la signorina Patty Logan morta nel soggiorno, il cappotto ancora sulle spalle. Pugnalata. Mentre Danny Sanderson, probabilmente fuggito davanti alla furia dell’omicida, era giunto fino alla cucina prima di essere raggiunto, colpito violentemente alla fronte e reso incosciente. Su di lui, l’agente ha trovato il presunto e probabile artefice del crimine che ha ammanettato e arrestato.” Estraendo l’immagine del pugnale dalla cartellina gliela mostrò ancora una volta. “Arma del delitto.” Poi estrasse una seconda foto, questa volta una di Beth. “Assassino.”

“No…” Mormorò lei che aveva ormai capito la situazione, ma che si rifiutava ancora di accentarla.

“Mi dispiace signorina Sanderson, ma le prove parlano da sole, questo colloquio è stato solo una formalità.” Disse l’uomo prima di andarsene e lasciarla sola.

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Capitolo 2
*** Nodo di dolore ***


Nodo di dolore

 

Le mura della cella sembravano restringersi su di lei. Beth cercò di calmare la respirazione e di liberare la mente da ogni pensiero, ma come poteva?

Era stata condannata in un processo durato pochi giorni, chi poteva dubitare della sua colpevolezza? Il giudice non aveva creduto alla tesi dell’infermità mentale a cui il suo avvocato aveva tentato di appellarsi, ma al contrario aveva accettato la tesi di premeditazione del pubblico ministero.

“Perché avrei dovuta ucciderla?” Aveva chiesto lei, in lacrime, senza riuscire a sopportare lo sguardo di suo fratello che era alla sbarra.

“Si sieda, signorina Sanderson.” Aveva intimato il giudice.

“Non lo so…” Aveva mormorato Danny. Non era felice di essere il testimone chiave dell’accusa, ma non aveva negato l’evidenza, riportando i fatti così come li aveva vissuti: lei era salita in camera un minuto prima che Patty arrivasse e quando era scesa aveva aggredito la giovane, uccidendola con poche precise pugnalate. Lui non aveva potuto fare niente, aveva tentato di correre in cucina per prendere degli stracci e fermare l’emorragia, ma Beth lo aveva raggiunto e colpito con il manico del pugnale.

Ergastolo per omicidio premeditato, eseguito a sangue freddo e di grande brutalità. Quella era stata la sentenza.

Beth stesa sul suo lettino chiuse gli occhi cercando di dimenticare di essere in una cella in cui avrebbe dovuto passare il resto della vita. Aveva riflettuto, a lungo, il tempo non era mancato, ed era giunta ad una sola logica conclusione, il suo corpo era stato usato, esattamente come lei usava il corpo delle sue incarnazioni passate. Era chiaro, il giudice e il pubblico ministero lo avevano  evidenziato, che non si era trattato di una furia omicida, ma era stato un atto studiato e premeditato, quanto meno dal furto del pugnale a Praga.

Ma perché? Questo non lo sapeva e ne era torturata. Lei era stata sempre attenta a non danneggiare la vita dei corpi che occupava, dopotutto non erano altro che delle sue manifestazioni passate. Era lei, la sua anima che avrebbe danneggiato. Allora perché una sua manifestazione le aveva fatto quello? Era stata una vendetta? Ma perché? E poi che senso aveva vendicarsi su se stessi?

Fino a quella fatidica notte aveva creduto di essere la sola a saperlo fare, ma era stato un pensiero sciocco. Aveva scritto a suo fratello, sperando che le credesse e che la aiutasse a capire, ma non aveva ricevuto risposte.

Ora però era decisa a scoprire la verità, non importava quanto tempo ci avrebbe messo, avrebbe trovato delle risposte e avrebbe cominciato dal pugnale, l’unica cosa a cui poteva aggrapparsi. Se l’assassino aveva usato quell’arma antica doveva esserci un motivo, ne era sicura e lei avrebbe scoperto qual era. Sentiva o almeno sperava, che ottenuta quella risposta avrebbe iniziato a capire perché fosse stata uccisa quella donna e perché attraverso le sue mani.

Vi era però un problema, senza i funghi non riusciva a entrare in trance. Prese l’ennesimo profondo respiro cercando di rilassarsi.

“Ehi, Ammazza-fidanzate, cosa fai?” Beth non aprì gli occhi, cercando di ignorare la donna che doveva essersi affacciata alle sue sbarre. “Non parli con me? Devo uscire con tuo fratello stasera e mi serviva qualche consiglio.” La punzecchiò la donna. Il suo caso era apparso su tutti i giornali e tutte nella prigione si erano fatte una propria idea su di lei.

“Hai dei funghi allucinogeni? Per quelli ti do tutti i consigli che vuoi.” Le rispose cercando di mantenere il tono calmo e di non far fuoriuscire la disperazione che provava. Pugnale o no, verità o no, più di tutto desiderava fuggire da quel luogo e la sua capacità di possedere il corpo di una sua passata incarnazione poteva darle la libertà, almeno per qualche preziosa ora.

“Funghi?” Chiese la donna, poi si strinse nelle spalle e se ne andò. Beth scattò in piedi, i muscoli che fremevano dalla voglia di picchiare i muri, la testa che le chiedeva di urlare. Ripensò al pugnale, cercò di visualizzare per l’ennesima volta le rune incise su di esso. Rune sconosciute aveva spiegato entusiasta il dottor Havěl. Controllando il panico si stese di nuovo cercando di calmarsi.

 

“Ehi…”

“Ammazza-fidanzate. Sì, cosa vuoi?” Beth interruppe e anticipò la donna che si era seduta accanto a lei con il vassoio di cibo.

“Oh, siamo di cattivo umore?” La donna ridacchiò. Era dentro per prostituzione ed era abituata al carcere, di certo non si faceva intimorire da una come lei.

Al suo sguardo stanco la donna si strinse nelle spalle.

“Pazienza, avevo trovato quei funghetti, ma…” Nel vedere il suo sguardo farsi attento la donna ridacchiò. “Ti ho rallegrato?” Chiese con aria divertita.

“Mi stai prendendo in giro o…?”

“Mi offendi, sono una professionista io, portare dentro della coca è difficile, ma dei funghetti?” Fece una faccia di superiorità. “Un gioco da ragazzi.”

“Dammeli.” Chiese lei, sentendo sulle labbra il gusto della libertà.

“Non così in fretta, piccola mia.” Beth chiuse gli occhi, poi li riaprì fissandoli in quelli della prostituta.

“Cosa vuoi?” La donna si sfregò l’indice e il pollice in un gesto chiaro. “Quanto?”

“Cinquanta sterline per il primo rifornimento, se ne vorrai ancora posso scendere a trenta la settimana.”

“Fammi vedere quanta è una dose.” Chiese lei, cinquanta era un enormità, ma lei avrebbe dato tutto quello che aveva per un rifornimento di funghi allucinogeni.

Il sacchetto era piccolo, ma sarebbe bastato per un trasferimento e se nessuno la disturbava una volta caduta in trance avrebbe potuto mantenersi così a lungo.

“Va bene.”

 

Era riuscita a farsi sbattere in isolamento e ora aveva tutta la tranquillità di cui aveva bisogno. Si stese e aspettò. Aveva ingerito i funghi un attimo prima di dare uno schiaffo ad una delle guardie, ma non aveva idea di quanto tempo ci volesse perché facessero effetto. Di solito Danny glieli somministrava attraverso l’aerosol facendo molta attenzione ai dosaggi e la prima volta che li aveva presi e si era resa conto di quello che le facevano era stato in un stupido party al liceo e li aveva fumati.

Si stese e riprese la respirazione. Cinque, quattro, tre… la sua mente scivolò nel buio.

 

***

 

“Dove stai andando?” Era nel buio, impossibilitata a vedere, impossibilitata e muoversi. Sentiva la paura accelerarle il battito. “Calmati, non è così tremendo, hai ancora l’udito.” Poteva sentire, era vero, ma chi le parlava? “Sono te. Solo più vecchia.” Nel buio apparve uno specchio e lei poté vedersi. Indossava la tenuta da prigioniera eppure la sua copia nello specchio no. “Lo so, è difficile la prima volta, per questo ho adottato il sistema dello specchio, ti aiuta a razionalizzare.”

“Non capisco.” Le loro voci erano identiche.

“Eppure dovresti.”

“Sei me.” Beth cercava disperatamente di capire.

“Esatto. La te del futuro, un futuro piuttosto lontano, per l’esattezza settecentocinquantasette anni più avanti del tuo presente.”

“Non è possibile.”

“Perché? Tu viaggi nel tempo, perché non dovrei poterlo fare io?” Beth rimase muta davanti a quella logica ovvietà.

“Non ho mai parlato in questo modo alle me stessa passate.”

“Tu sei la prima ad aver scoperto il viaggio, ma capirai che dopo di te abbiamo affinato la tecnica. Non uso più quei terribili allucinogeni, io viaggio rilassando la mente.”

“Sei qui per aiutarmi?” La voce rise e fu strano sentire la propria ilarità e al contempo avere il cuore che sprofondava.

“No. Io ti ho messo lì.”

“Tu? Sei stata tu a uccidere Patty?”

“Sì.”

“Perché?”

“Sono qui per dirtelo, non ti salverò, ma ti devo delle risposte.” La donna prese un profondo respiro poi spiegò. “Lei era l’incarnazione di un’anima legata a noi da un nodo di dolore. In tutte le vite finisce per trovarci e procurarci dolore, infinito dolore, inconsapevolmente ci odia e ci cerca per distruggerci.”

“Perché?”

“Non ha importanza il perché.”

“Sì che ne ha!”

“Non ti agitare, la tua trance non è molto profonda. Ti basti sapere che quest’odio risale molto indietro nel tempo.”

Beth respirò cercando di mantenere sotto controllo la sua frustrazione. Aveva bisogno di quel confronto, aveva bisogno di sentire la verità.

“Hai detto che ciò succede ad ogni vita, cosa cambia se tu l’hai uccisa nella mia? Rinascerà e ricomincerà a cercarci.”

“Esatto, se l’avessi uccisa e basta sarebbe così, ma io ho usato il pugnale di Dis Pater un dio celtico. Un pugnale sacrificale.”

“Il pugnale del dottor Havěl.” Disse allora Beth, poi fu colpita da un pensiero. “Sei stata tu a influenzarmi affinché andassi a Praga?”

“Sì, ovvio. È bastato possederti tanto da farti comprare una rivista archeologica che parlava della ricerca del professore e lasciarla nella busta delle lettere, sapevo che Gertrud Böhm è una delle nostre incarnazioni che raggiungi più facilmente. Il resto l’ho lasciato a te.”

“Hai orchestrato altro della mia vita?” Chiese allora Beth affranta, non si era resa conto di quanto potesse essere brutto sapere che il proprio corpo è posseduto da un’altra volontà, forsanche la propria in un altro momento storico.

“No. Solo il furto e l’omicidio.” Era stato sufficiente, qualche ora di possessione e lei si ritrovava rinchiusa per sempre in prigione. “Andiamo, non essere così abbattuta, dopo tutto nessuno può davvero rinchiuderci, ti basterà viaggiare lontano dal tuo corpo. Grazie a te ho potuto fermare il nostro peggior nemico, ho vendicato migliaia di noi che hanno sofferto a causa di quell’anima e protetto altre centinaia che non dovranno più subire perdite per mano sua.”

“Perché hai scelto me?”

“Perché sei la prima di noi. Dovevo risalire indietro del tempo il più possibile e al contempo poter spiegare il mio atto, tu eri la scelta più logica.”

“Non capisco, perché desideravi così tanto dirmelo?”

“Non è ovvio? Io sono te, tu sei me. Renderti pazza dalla disperazione affetterebbe tutte le tue future vite, me compresa. Devi sapere cosa ho compiuto tramite di te e perché l’ho compiuto.”

“Non mi hai detto esattamente cosa ci ha fatto quest’anima legata a noi.” Ritorse Beth e l’altra se stessa si incupì, i suoi occhi divennero scusi e tesi.

“Sei testarda, come me dopo tutto. Ebbene ha bruciato viva tua madre, ha annegato tuo marito, ha torturato tuo fratello, ha stuprato tua sorella, ha ucciso tuo figlio, ha picchiato tua figlia, messo tutta la tua famiglia in un campo di concentramento, tradito tuo padre, reso pazzo tuo fratello… posso andare avanti se vuoi.” Beth sentì ogni morte sul cuore, come se la consapevolezza di tutte quelle perdite pesasse su di lei improvvisamente.

“Perché?”

“Te l’ho già detto, è legata a noi da un nodo di dolore.” Quelle parole stizzite lasciarono trapelare qualcosa e Beth capì.

“Non lo sai. Non sai cosa è successo.”

“Non lo so.”

“Forse è colpa nostra.”

“Nessuno merita tutta la sofferenza che quell’anima ha causato.” Lo specchio davanti a lei vacillò.

“Aspetta!” Chiamò Beth.

“La tua trance sta svanendo.” Le comunicò il suo essere futuro. “Non tornerò a parlarti. Ma ricorda cosa ti ho detto: nessuno può metterci in catene, vola libera nel nostro passato. Addio.”

“Aspetta!” Gridò di nuovo Beth.

 

***

 

Due mani la stavano scuotendo con forza, aprì gli occhi e si ritrovò a fissare il volto spaventato di una guardia.

“Sanderson! Cosa diavolo hai preso?”

“Io…” La sua bocca era impastata e i suoni le giungevano ovattati, la testa le scoppiava dal dolore.

“Portatela in infermeria, presto.”

 

Il bip bip dei macchinari per un istante le fece credere di essere a casa, stesa sul suo letto, di ritorno da un viaggio nel tempo. Ma nel voltare la testa e nell’incrociare degli occhi così diversi da quelli di Danny ricordò che non era così. La secondina le lanciò uno sguardo, poi chiamò il medico.

“Prima di rimandarla a…” Si bloccò, era stato sul punto di dire a casa. “Sì, dicevo, prima di dimetterla voglio che lei capisca quanto sia dannoso per il suo organismo quello che ha preso. Nell’infermeria della prigione probabilmente sarebbe morta, per questo l’hanno portata qua.”

“Grazie dottore, me ne ricorderò.” Il medico fece una faccia dubbiosa poi controllò la sua cartella e firmò l’uscita.

Due giorni dopo le dissero che aveva una visita. Beth raggiunse il parlatorio con apprensione e quando vide che era Danny ad aspettarla sentì il cuore accelerare.

“Danny…” Disse, gli occhi del giovane la guardavano tesi.

“Senti… io… devo scusarmi, ho riflettuto e… quella non eri tu.” Il sollievo che provò a sentire quelle parole le fecero girare la testa.

“Mio dio Danny, grazie!”

“No, sono stato un fratello orrendo… è solo che è stato così terribile e io…”

“Come l’hai capito?” Sapeva che suo fratello era un tipo scientifico, doveva essere stato un dettaglio a convincerlo.

“Mi sono ricordato dei dati biometrici e mi sono accorto che vi era una discrepanza tra i tuoi dati normali e quelli al tuo risveglio quella sera.”

“Ma ero sempre io, biologicamente parlando.”

“Sì, certo e infatti non saranno prove che posso portare in tribunale, ma il tuo cuore batteva un poco più lento del normale e la mappatura cerebrale assumeva sfumature insolite, come se le tue sinapsi si fossero disposte differentemente.” Beth scosse la testa confusa da quelle spiegazioni, ma Danny si batté il pugno contro il palmo. “Se solo me ne fossi accorto prima… due giorni fa mi hanno detto che eri ricoverata e che volevano le tue cartelle cliniche così mi è venuta l’idea di verificare.”

“Grazie.” Beth sentì una lacrima scivolarle lungo il viso e la raccolse mentre Danny metteva la mano sul vetro in un frustato tentativo di consolarla.

“Se solo non avessi testimoniato contro di te forse…”

“No, avevano prove a bizzeffe, saresti finito dentro per favoreggiamento, avresti perso il lavoro e chissà cos’altro. No, va bene così.” Mentre parlava sul volto di Beth apparve un sorriso, aveva riflettuto su ogni parola detta tra lei e la sua se stessa futura e aveva formulato delle idee, era felice di poterle condividere con suo fratello. Sapendo che il tempo non era molto, riassunse per lui ogni cosa, vedendo il suo stupore crescere assieme alla sua rabbia.

“Ti ha incastrato!”

“Mi sono incastrata in realtà.”

“Come hai potuto farti questo?”

“Non lo so, ma a quanto pare questa anima annodata è una croce per me…”

“Ma, ucciderla?”

“Ci ho riflettuto, credo che la mia io futura sia andata al di là dell’ucciderla.”

“In che senso?” Danny la fissava perplesso, la sua mente scientifica aveva avuto grandi difficoltà ad accettare i viaggi nel tempo e la prova della reincarnazione.

“Credo abbia estinto la sua anima. Altrimenti non avrebbe senso.”

“L’ha… cosa?”

“Non so come dirlo, non sono neanche sicura che sia possibile, ma ha usato il coltello celtico perché era un’arma sacrificale di un dio, forse quella lama è speciale…”

“E l’ha fatto a te perché sei la prima a cui avrebbe potuto spiegare ogni cosa…”

“Esatto.”

“Ma perché non andare alla fonte? Perché non evitare che questo… nodo si formi?” Gli occhi di Beth brillarono, contenta che il fratello avesse avuto la sua stessa intuizione.

“Perché non riesce ad andare così indietro.” Danny scosse la testa sconsolato, ma nel vedere il sorriso sulle labbra della sorella la interrogò con lo sguardo. “Andrò io.”

“Non hai detto che lei è più potente?”

“No, solo più esperta, lei non usa sostanze allucinogene.”

“Come pensi di fare?”

“Mi aiuterai, l’ultima volta mi hai portato nel medioevo, potenzia l’allucinogeno e andrò così indietro da giungere al momento x e cambiare il mio passato.”

“Aspetta, anche ammettendo che tu riesca a giungere così indietro, cosa per niente facile, sei sicura che sia saggio cambiare il passato? Non hai fatto sempre attenzione affinché non succedesse?”

“Già, ma se la mia me stessa futura lo fa perché io non dovrei?”

“Potresti cambiare tutto… non sappiamo a che genere di paradosso andresti incontro.”

“Lo so. Ma nel mio passato ho fatto un terribile sbaglio e ho legato un’anima a me, in un modo così terribile da esigere a ogni reincarnazione un prezzo altissimo. Non sappiamo cosa era destinata a fare Patty, forse ti avrebbe fatto del male facendo così soffrire me. Ma non ha importanza, la colpa sarebbe comunque mia, un torto vecchio di migliaia di anni.” Danny scosse la testa incapace di comprendere, ma Beth aveva sentito la sofferenza di alcune morti che la sua anima aveva subito, sapeva che il suo io futuro aveva dovuto portare tutto quel dolore per anni, ed era stata spinta a quel gesto estremo. In quel futuro lei aveva deciso di eliminare l’anima annodata alla sua, ma Beth aveva riflettuto e la maledizione era doppia, quindi perché non andare alla radice e liberare entrambe?

Dovette aspettare un’intera settimana prima che Danny potesse tornare a farle visita, il giovane però non era rimasto inattivo.

“Ho fatto delle ricerche. Il pugnale è misterioso, ma degli esperti lo definiscono come pugnale sacrificale e il dio di cui mi hai parlato è quello celta della morte e degli inferi. Ma non è su questo che mi sono scervellato, ho fatto delle analisi sul principio attivo dei funghi e posso concentrarlo, ma…”

“È pericoloso, sì, lo so, ma lo farò lo stesso.”

“È più che pericoloso, potrebbe essere mortale e non ti permetterò di prenderlo in prigione senza sorveglianza, se andassi in arresto cardiaco se ne accorgerebbero troppo tardi.” Il suo tono era categorico e Beth sentì le speranze scivolarle tra le dita.

“Danny! Non ho scelta, devo farlo!”

“Sì, ma sarà alle mie condizioni.”

“Non uscirò mai più da qui, lo sai questo vero? Non posso aspettare, devo farlo!” Il suo tono disperato attirò lo sguardo del secondino e lei cercò di contenersi.

Beth, so cosa fare, devi solo avere pazienza.”

“Non sono sicura di farcela…”

“Un mese, forse un po’ di più. Troverò un modo di farti uscire per il tempo necessario a compiere quello che devi fare.”

“Io…”

Beth, promettimi che non tenterai di nuovo con quella porcheria che ti ha dato una detenuta.” La ragazza si morse un labbro, era esattamente quello a cui stava pensando.

Beth, promettimelo.”

“Va bene… trenta giorni, non di più.” Danny annuì.

 

Il mese era passato e Danny non aveva ancora dato sue notizie. Beth aspettava con impazienza il giorno di visita con la tensione che saliva ogni volta che lui non si presentava.

“Sanderson?” Chiamò la guardia e lei scese dal letto in fretta, sperando che fosse finalmente giunto il momento.

“Sì?”

“Visita medica.”

“Cosa? Sto bene.” Replicò, non voleva essere assente nell’ora delle visite.

“Ordini del medico.” Le rispose la donna facendole un cenno perché si muovesse.

“Ma se ho un visitatore…”

“Sanderson, non farmi venire mal di testa con le tue storie, se hai da protestare parlane con la rappresentante delle detenute.” La interruppe di netto la secondina. Beth si arrese, aveva imparato che era inutile opporsi. Seguì la donna fino all’infermeria, poi si sedette sul lettino sperando che l’infermiera facesse in fretta.

La donna invece arrivò con tutta calma, le verificò il polso e i polmoni mentre chiacchierava amabilmente con la secondina.

“Io avrei un po’ di fretta…” Provò a dire Beth facendo scoppiare a ridere la guardia.

“Hai un appuntamento mia cara? E io che pensavo fossi bloccata qui per i prossimi… beh per sempre!” Beth si rimangiò la rispostaccia, conscia che avrebbe solo peggiorato la sua situazione, le guardie non l’amavano da quando ne aveva schiaffeggiata una per farsi mandare in isolamento, meglio non aggiungere altre colpe.

L’infermiera indicò alla secondina il suo armadietto dicendole che aveva portato una torta e di prenderne una fetta. Come se lo facesse apposta a perdere tempo. Con sua somma sorpresa però appena la guardia ebbe voltato la schiena estrasse dal camice una siringa.

“Con i complimenti di tuo fratello.” Mormorò, poi le somministrò il liquido in vena.

Qualche minuto dopo la guardia tornò e la riportò in cella. Beth sentiva l’adrenalina salire, cosa le aveva dato la donna? Era forse il principio attivo dell’allucinogeno? Danny aveva deciso di somministrarglielo senza supervisione?

Quando portarono la cena non mangiò, aveva la nausea, i brividi e un cerchio alla testa, ebbe appena il tempo di sedersi che tutto il corpo fu preda delle convulsioni, pochi istanti e svenne.

 

Quando riaprì gli occhi era all’ospedale e un medico la stava visitando.

“Speravo di non doverla riavere qua così presto…” Commentò il dottore e lei lo riconobbe.

“Scusi del disturbo.” Mormorò lei, si sentiva debole, ma non particolarmente male. Il dottore sorpreso dal commento sorrise.

“Starà bene in un attimo, erano solo convulsioni febbrili, i secondini si sono spaventati per nulla. Questa volta sarebbe bastata l’infermeria della prigione per curarla.”

“Convulsioni febbrili?” Chiese lei la gola un poco secca.

“Sì, può succedere, anche se nessuna delle sue coinquiline mostra sintomi influenzali. L’infermiera della prigione però segnalava…” L’uomo prese la cartella e lesse. “Gonfiore alle tonsille e difficoltà respiratoria.”

“Quindi sto bene?”

“Sì, ma questa notte la terremo sotto osservazione visto che le abbiamo somministrato degli antivirali.”

“Va bene, grazie.” Il dottore annuì.

“Buona notte signorina Sanderson.” Beth gli sorrise e lui se ne andò.

Perché suo fratello le aveva procurato quella crisi? La porta si aprì ed entrò una secondina.

“Stai meglio, Sanderson?” Era una ragazza giovane e tendeva ad essere gentile con tutte le detenute.

“Sì, grazie.”

“Tocca a me stare di guardia, non mi farai problemi vero?” Beth alzò il braccio mostrandole le manette che la legavano al letto.

“Sono, letteralmente, bloccata a letto.” La donna sorrise.

“Buona notte allora, cerca di riposare.” Beth la ringraziò e la guardia si sedette su una poltrona vicino alla porta, tra le mani aveva diverse riviste e un libro, non sembrava intenzionata a permettersi un sonnellino sul posto di lavoro.

Beth chiuse gli occhi pregando che suo fratello non si fosse sbagliato o che non fosse stato preso. Non poteva immaginare che finisse anche lui in prigione.

Una mano si posò sulla sua spalla e lei si svegliò, doveva essersi addormentata senza accorgersene. La secondina la guardava.

“Scusa, ma c’è qui un dottore, dice che deve farti un controllo, ho cercato di dirgli che poteva passare domani mattina, ma ha insistito.” Beth si tirò leggermente a sedere e incrociò gli occhi ammonitori di suo fratello.

“Va bene, nessun problema.” Disse cercando di contenere l’emozione.

“Scusi signorina…” Danny prese la cartella e lesse. “Sanderson. Faremo una visita veloce, le devo somministrare la seconda dose dell’antivirale e…” Si voltò verso la secondina.

“Può aspettare fuori?”

“In realtà…”

“Non ci sono finestre in questa stanza e la sua assistita è ammanettata, non credo possa andare da qualche parte, ma la devo visitare, è una questione di qualche minuto.” Sorrise mostrando quanto potesse essere attraente e la secondina arrossì un poco subendo il suo fascino.

“Va bene, dottore. Aspetto fuori.” Le lanciò uno sguardo ammonitore e uscì.

“Danny!” Il ragazzo si piegò abbracciandola. “Come hai fatto a…”

“Non abbiamo tempo per questo, devi andare e subito, dirò alla guardia che stai dormendo e di non disturbarti, sarà lei a monitorarti, se il tuo cuore cedesse chiamerà aiuto e io mi fionderò nella stanza.” Chiuse gli occhi stringendole la mano. “Spero di non aver sbagliato… spero che tu riesca.”

“Quanto tempo mi darà?”

“Una notte, poi, comunque vada, ti sveglieranno.” Estrasse dalla tasca del camice una siringa. La guardò per un lungo istante infine, annuendo, la infilò nella flebo attaccata al suo braccio.

“Grazie Danny, cambierò tutto e finirà bene.”

“Venti milligrammi. Di più non posso. Buon viaggio sorellina. Cinque, quattro, tre…” I suoi occhi si chiusero e fu avvolta dal buio.

 

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Capitolo 3
*** Senza ancore ***


Senza ancore

 

Beth aveva mentito a suo fratello, non voleva andare nel passato, non subito almeno, quello che doveva fare era raggiungere il futuro. Non era sicura di farcela, non sapeva neppure se poteva farlo, ma in quel gioco non c’erano regole fisse, ormai lo aveva capito.

La droga che Danny le aveva dato era forte, si sentiva completamente distaccata dal suo corpo, ma non si spaventò, dopotutto era esattamente quello che voleva.

Aprì gli occhi ed era ancora nel buio, sorrise, era folle quanto fosse istintivo  quel tipo di apprendimento, la sua se stessa futura l’aveva portata lì, in quel limbo temporale e ora, dopo un mese di piccole dosi di funghi, aveva capito come giungervi anche lei.

Attese, il tempo dopotutto non aveva senso lì.

“Cosa ci fai qui?” La voce era sorpresa, forse preoccupata.

“Cercavo te.” Rispose allora lei, mantenendo la mente libera e leggera. Aveva avuto paura che nel futuro avrebbe conosciuto le sue intenzioni, ma non era così. “Perché non sai cosa voglio?” Chiese incuriosita dal dettaglio.

“Il futuro non cambia bruscamente per noi, ci vuole del tempo perché una variazione del passato sedimenti nella nostra anima. Io sento ancora la perdita di quelli uccisi dalla nostra nemesi, malgrado le morti più recenti siano state evitate. Piango ancora per mio figlio, anche se appena una mezzora fa l’ho portato a scuola.” Le emozioni erano contrastanti e Beth dovette concentrarsi per non farsi sommergere da altri pensieri, altre domande, la sua mente non era ancorata, la droga le rendeva difficile pensare con lucidità.

“Volevi parlarmi di questo?” Chiese la figura nello specchio.

“Dimmi, come conosci il nostro passato con così tanta precisione?”

“La nostra anima sa, conosce, è il nostro corpo che rifiuta il sapere. Io so ascoltare.”

“Come?”

“Imparerai.” Le rispose la donna con un sorriso ironico.

“Dimmelo ora, devo saperlo ora.”

“No, non ne hai bisogno.”

“Voglio cambiare il passato, voglio impedire al nodo di essere formato.” Gli occhi della donna nello specchio, i suoi stessi occhi, si tesero.

È impossibile.”

“Devo provare.”

“Non ce la farai.”

“Dammi la conoscenza e lasciami provare.” Gli occhi della donna brillarono di rabbia.

“Merita di morire! Di essere estinta, di non avere più la possibilità di incarnarsi!” La sua furia era come una frusta sulla pelle di Beth.

“Non mi aiuterai?”

“No, no.” Beth prese un profondo respiro e si lasciò cadere nello specchio.

Aprì gli occhi ed era al buio. Per un istante pensò di aver fallito, ma percepiva il peso del suo corpo, era nella carne di qualcuno. Si alzò e lasciò che il ricordo del corpo trovasse la luce, bastò un pensiero e si accese.

Era in una stanza vuota, con un tappetino per terra. La luce proveniva dalle pareti ricoperte da una sottilissima muffa fluorescente. Si guardò attorno stupita di non trovare una porta, ma di nuovo bastò pensarlo affinché si aprisse un’apertura nella parete. Beth osservò stupita la casa in cui si trovava: era viva, o almeno lo era l’albero nel quale era stata intagliata. Fronde fresche si chiudevano sulla sua testa mentre le pareti erano di sottile carta oppure solida corteccia. Si avvicinò ad un’apertura, troppo colpita da quel futuro per concentrarsi sul suo lavoro, e fu stupita nel vedere una magnifica città fatta di foresta, il verde si alternava al blu dell’acqua sulla quale si muovevano piccole barche a vela. Gli uccelli e le farfalle si rincorrevano nel cielo in cui splendeva il sole. Qualcosa però non andava.

Beth percepì che la sua meraviglia era contrastata dalla realtà del suo corpo che trovava fastidioso l’inganno. L’inganno? Per un istante rimase ad osservare la città poi chiuse gli occhi e quando li riaprì vide la verità. Erano sotto terra, chiusi in cunicoli e celle a bearsi di una natura che avevano distrutto secoli prima. Falso, era tutto falso, i muri attorno a lei mostrarono la loro natura: acciaio e ferro. Beth sentì il peso delle tonnellate di terra sopra la testa e si sentì schiacciata. Ansimando si accasciò. Doveva calmarsi o avrebbe perso l’ancora su quel corpo. Prese un profondo respiro, calmò il suo cuore e si disse che non era differente dalla sua cella. La sua mente si calmò e lei poté tornare a pensare liberamente: aveva bisogno di informazioni.

Tornò nella camera e si chiuse dentro, spense la luce e lasciò che i ricordi contenuti nella mente del cervello che possedeva giungessero a lei. Aveva l’abitudine di farlo, così parlava le lingue dei suoi corpi, così sapeva vicino a chi camminava e cosa doveva fare in epoche altrimenti sconosciute.

Le parve di rimanere immobile per ore mentre con estrema calma cercava ricordi, poi all’improvviso ne fu invasa. Il dolore la sommerse come un’onda schiacciandola, così tanto dolore, infinite vite di dolore e morte. Beth annaspò e si ritrovò nel buio senza tempo a fissare lo specchio.

“Sei contenta ora?” La donna era arrabbiata, ma anche ammirata. Beth boccheggiò cercando di respirare. “Il futuro mi era precluso… ma ora mi hai mostrato la via, ci hai mostrato la via, immagino che altre vite tra me e te sapranno farlo non appena questo passato si cristallizzerà in noi.”

“Come fai a…”

“Contenere tanto dolore? Non è solo la mia vita, è la vita di migliaia di noi. Una vita sempre marcata dalla sofferenza di un’atroce perdita.” Beth ora capiva perché l’omicidio era stato così semplice come scelta, lei stessa avrebbe azzannato alla gola quell’anima dannata. Con uno sforzo immane si distaccò da quella sofferenza e cercò di razionalizzare ciò che ora sapeva, chiuse gli occhi e seguì le morti, una dopo l’altra fino a giungere indietro nel tempo nell’era pre-romana in cui sua sorella veniva bruciata come feticcio dal druido del suo popolo, la sua nemesi. Più indietro non riusciva a ricordare.

“Te l’avevo detto.” Intervenne la donna allo specchio che era lei, ma non era ancora lei. Beth scacciò quell’immagine e rimase da sola nel buio. Non sapeva quanto tempo avesse ancora, era già l’alba? Il suo corpo stava smaltendo la droga di Danny? La secondina stava per venire a svegliarla? Quei pensieri le diedero per un istante l’impressione di tornare nel suo corpo e lei dovette lasciarli andare velocemente. Doveva rimanere concentrata, doveva compiere l’impossibile e andare indietro nel tempo, forse persino fino alla sua prima vita. Il segreto era lasciarsi andare, ormai lo sapeva. Incrociò le gambe e chiuse gli occhi andando alla deriva. Il suo corpo non esisteva più, doveva dimenticarlo.

Quando aprì gli occhi si ritrovò nella foresta. Era un uomo e stava cacciando. Sentiva il cuore battere piano, nella mano teneva la lancia, il suo respiro era leggero, non doveva spaventare la preda. Ed eccola lì, un cerbiatto, bello e ignaro. La sua spalla ruotò, il braccio impresse la forza e la mano rilasciò la lancia che rapida e precisa colpì l’animale facendolo cadere a terra morto. Beth percepiva la semplicità del corpo che possedeva, era questione di bisogni primari. Con estrema facilità si caricò il cerbiatto sulle spalle poi tornò a casa.

Beth aveva difficoltà a controllare quel corpo, la sua anima era pulita dai ricordi, semplice e fresca, lei riusciva a mala pena a trattenere lì la propria coscienza così pesante al confronto.

Camminò nel bosco a lungo, Beth iniziava a temere che fosse troppo lontano quando vide le prime capanne, fatte di semplici rami intrecciati e paglia. Raggiunta una porta lasciò cadere la preda mentre una donna ne usciva, aveva una cicatrice sul viso, i denti gialli e i capelli sporchi, ma Beth sentì il cuore accelerare, era la più bella creatura di questo mondo, era la donna che amava. La prese tra le forti braccia del suo corpo maschile e la strinse facendola ridere. Nello stesso momento seppe che la donna portava in grembo suo figlio.

La sua testa si voltò notando due occhi pieni di rabbia. Doveva essere lei: la nemesi. Beth guardò l’uomo, era alto, sembrava forte e fiero, ma nel suo sguardo vi era un cieco odio verso di lei, perché? Poi gli occhi dell’uomo passarono sulla sua donna e Beth sentì in se stessa la rabbia crescere. Quell’uomo voleva la sua donna. Fece due passi veloci e colpì in pieno volto colui che aveva osato fissarla a quel modo.

“Vai a fotterti una scrofa!” Gli urlò mentre lui, vile, sputava per terra, ma non osava rispondere al colpo.

“Un giorno sarà mia.” Disse e lei, spinta dalla pura rabbia del suo portatore, volle colpirlo ancora, ma la donna gli posò una mano sul braccio calmandola.

È il figlio del bosco, non sfidare troppo la sua collera.”

“Sua madre è una strega ed è solo per questo che vive ancora.” Pronunciò. Beth sentì la sua mente scivolare via e si aggrappò a quel pensiero cercando di capirlo. I ricordi dell’uomo fluirono in lei. La strega viveva nel bosco e aveva avuto un bambino, gli anziani dicevano che era stato concepito con un dio o uno stupido troll, lui propendeva per la seconda opinione.

Era nato lì il loro odio eterno? Per una donna? Quel pensiero le fece voltare lo sguardo verso di lei, era così bella, così piena di vita, così forte e così coraggiosa…

 

***

 

“Libera!” Il suo cuore riprese a battere. Danny la fissava pallido e sudato mentre la secondina spaventata seguiva le sue istruzioni.

Beth, come ti senti?” La secondina lo guardò e Danny ricordò la sua copertura. “Signorina Sanderson?”

Lei vomitò, la testa le esplodeva, non riusciva a pensare lucidamente. Eppure sapeva che non ce l’aveva fatta, era stata ad un soffio dal capire, sentiva che era arrivata vicina alla verità.

“Fammi tornare là…” Riuscì a mormorare, ma Danny scosse la testa.

“Sei andata in arresto cardiaco! Ti ho ripreso per un soffio!”

“Danny!” Gli afferrò il braccio e la secondina si fece avanti.

“Sanderson, lascia andare il dottore!”

“Non fa niente, va tutto bene.” La rassicurò il giovane.

“Non ci saranno altre occasioni, fallo o lo farò io in prigione.”

“Ti uccideresti!”

“Sì e passerò ad un’altra vita.” Quella risposta lasciò Danny senza parole, il giovane la guardò sconvolto dalla sua freddezza, ma Beth sentiva il peso del dolore di migliaia di vite, cos’era una sola esistenza in confronto?

“Io…”

“Fallo.” Ingiunse lei, sentiva che quel terribile peso la stava cambiando, doveva fare in fretta oppure avrebbe creduto che la soluzione della sua io futura era la migliore.

Il giovane medico estrasse dalla tasca la stessa siringa della notte prima.

“Ti voglio bene.” Le disse e poi iniettò il liquido nella flebo.

La testa di Beth si fece leggera e lei chiuse gli occhi.

 

***

 

Quando li riaprì stava correndo, una rabbia profonda che la animava. Era di nuovo da lui, il forte uomo che aveva incarnato la sua prima vita. L’aveva presa: lei, la gioia del suo cuore, la madre di suo figlio. Quel pensiero infuse nuova energia nei suoi muscoli: lo avrebbe trovato e lo avrebbe ucciso.

Arrivò nella radura e il suo cuore esplose di dolore nel vedere lei in un lago di sangue. Urlò di rabbia cadendo in ginocchio. La donna voltò la testa, gli occhi già appannati si rischiararono un poco.

“Non mi ha avuta.” Le disse e lui seppe che era vero, aveva lottato, la sua donna era forte, la vide morire e strinse i pugni furente di rabbia.

Un gemito fece alzare la testa a Beth. Lui era lì, dal petto gli spuntava un pugnale. Con un grido il suo corpo scattò in piedi. Colpì l’uomo una, due, tre volte, il sangue caldo gli bagnava le braccia e schizzava sul suo volto, ma lei non smise.

“Verme schifoso!” Una voce di donna proruppe dalla foresta e lei si fermò. Sentiva una rabbia cieca, ma provò comunque un brivido di timore nel vedere la strega. “Hai ucciso mio figlio!” Proruppe la donna.

“E lo ucciderei ancora, strega.” Rispose lui mentre si alzava.

“Era solo una donna!” Proruppe lei, sputando verso il cadavere.

“Era la mia donna.” Beth sentiva la tensione crescere, avrebbe osato uccidere anche lei? Lo desiderava, ma era una strega.

“E non lo sarà mai più.” La sentenza cadde come un masso. Lui la fissò e Beth sbatté le palpebre confusa, ma la strega non aveva finito. “Io vi maledico! Le vostre anime sono legate, io cambio quel legame, non amore, ma odio!”

“Non puoi farlo!” Fu Beth a parlare, sovrastando il suo ospite per la prima volta.

“Anime gemelle, anime dannate.” Pronunciò la donna. Non ci furono fulmini o tuoni, eppure Beth sentì l’elettricità nell’aria, sentì il peso di quella maledizioni e percepì tutto il dolore che avrebbe causato.

Ecco cos’era: non un nodo di dolore, ma la perversione di due anime gemelle trasformate in nemesi, non destinate a unirsi, ma a distruggersi.

“No!” Disse e con uno sforzo profondo tornò indietro. Ma non nel suo corpo.

La foresta era come la ricordava, ma gli alberi sembravano molto più grandi, forse perché lei era solo un bambino che giocava. Beth cercò con gli occhi la persona che desiderava trovare e lo vide, era un bambino anche lui, solo un bambino innocente. Eppure quel giorno, per uno stupido screzio sarebbe incominciata la loro rivalità.

“Dammelo è mio!” Disse una bambina a cui un ragazzo più grande aveva rubato un tozzo di pane. Il cuore di Beth accelerò, la conosceva, era lei, la sua anima gemella.

Si fece avanti e così fece colui che tra molti anni avrebbe massacrato nel bosco. Però, invece di spingerlo a terra, come ricordava di aver fatto, gli si avvicinò.

“Insieme?” Propose. Per un istante il bambino esitò poi annuì con un sorriso e si gettarono sul ladro.

Beth sentì la propria anima sussultare, ma non era dolore, era liberazione, la sofferenza di tante vite stava scomparendo.

 

***

 

Aprì gli occhi e si guardò attorno, non era all’ospedale. Riconobbe alcuni oggetti nella stanza e vide i suoi abiti sparsi a terra. Insieme a quelli di qualcun altro.

Una mano le si posò sulla schiena accarezzandogliela dolcemente e il suo cuore accelerò di gioia. Lentamente si voltò mentre quello che aveva fatto nel passato si cristallizzava e lei ricordava il suo nuovo presente. Due occhi verdi la fissavano, mentre sul volto appariva un sorriso affascinante.

“Buongiorno…” Le mormorò.

“Patty.” Disse solo lei.

“Bene, ricordi il mio nome.” La donna rise e lei sentì il cuore sciogliersi d’amore, poi la baciò e allora ogni ricordo tornò al suo posto.

Beth ricordò come in ogni vita l’avesse trovata, come in ogni reincarnazione l’avesse amata. Certo, c’era stato del dolore nelle sue vite, c’era stata della sofferenza, ma la sua anima non era carica di quel terribile e doloroso fardello: era libera.

Ce l’aveva fatta.

 

 

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