Nodo di dolore
Le mura della cella sembravano restringersi su
di lei. Beth cercò di calmare la respirazione e di
liberare la mente da ogni pensiero, ma come poteva?
Era stata condannata in un processo durato
pochi giorni, chi poteva dubitare della sua colpevolezza? Il giudice non aveva
creduto alla tesi dell’infermità mentale a cui il suo avvocato aveva tentato di
appellarsi, ma al contrario aveva accettato la tesi di premeditazione del
pubblico ministero.
“Perché avrei dovuta ucciderla?” Aveva chiesto
lei, in lacrime, senza riuscire a sopportare lo sguardo di suo fratello che era
alla sbarra.
“Si sieda, signorina Sanderson.” Aveva
intimato il giudice.
“Non lo so…” Aveva mormorato Danny. Non era
felice di essere il testimone chiave dell’accusa, ma non aveva negato
l’evidenza, riportando i fatti così come li aveva vissuti: lei era salita in
camera un minuto prima che Patty arrivasse e quando era scesa aveva aggredito
la giovane, uccidendola con poche precise pugnalate. Lui non aveva potuto fare
niente, aveva tentato di correre in cucina per prendere degli stracci e fermare
l’emorragia, ma Beth lo aveva raggiunto e colpito con
il manico del pugnale.
Ergastolo per omicidio premeditato, eseguito a
sangue freddo e di grande brutalità. Quella era stata la sentenza.
Beth stesa sul suo lettino chiuse gli occhi cercando di dimenticare di
essere in una cella in cui avrebbe dovuto passare il resto della vita. Aveva
riflettuto, a lungo, il tempo non era mancato, ed era giunta ad una sola logica
conclusione, il suo corpo era stato usato,
esattamente come lei usava il corpo delle sue incarnazioni passate. Era chiaro,
il giudice e il pubblico ministero lo avevano
evidenziato, che non si era trattato di una furia omicida, ma era stato
un atto studiato e premeditato, quanto meno dal furto del pugnale a Praga.
Ma perché? Questo non lo sapeva e ne era torturata.
Lei era stata sempre attenta a non danneggiare la vita dei corpi che occupava,
dopotutto non erano altro che delle sue manifestazioni passate. Era lei, la sua
anima che avrebbe danneggiato. Allora perché una sua manifestazione le aveva
fatto quello? Era stata una vendetta? Ma perché? E poi che senso aveva
vendicarsi su se stessi?
Fino a quella fatidica notte aveva creduto di
essere la sola a saperlo fare, ma era stato un pensiero sciocco. Aveva scritto
a suo fratello, sperando che le credesse e che la aiutasse a capire, ma non
aveva ricevuto risposte.
Ora però era decisa a scoprire la verità, non
importava quanto tempo ci avrebbe messo, avrebbe trovato delle risposte e
avrebbe cominciato dal pugnale, l’unica cosa a cui poteva aggrapparsi. Se
l’assassino aveva usato quell’arma antica doveva esserci un motivo, ne era
sicura e lei avrebbe scoperto qual era. Sentiva o almeno sperava, che ottenuta
quella risposta avrebbe iniziato a capire perché fosse stata uccisa quella
donna e perché attraverso le sue mani.
Vi era però un problema, senza i funghi non
riusciva a entrare in trance. Prese l’ennesimo profondo respiro cercando di
rilassarsi.
“Ehi, Ammazza-fidanzate, cosa fai?” Beth non aprì gli occhi, cercando di ignorare la donna che
doveva essersi affacciata alle sue sbarre. “Non parli con me? Devo uscire con
tuo fratello stasera e mi serviva qualche consiglio.” La punzecchiò la donna.
Il suo caso era apparso su tutti i giornali e tutte nella prigione si erano
fatte una propria idea su di lei.
“Hai dei funghi allucinogeni? Per quelli ti do
tutti i consigli che vuoi.” Le rispose cercando di mantenere il tono calmo e di
non far fuoriuscire la disperazione che provava. Pugnale o no, verità o no, più
di tutto desiderava fuggire da quel luogo e la sua capacità di possedere il
corpo di una sua passata incarnazione poteva darle la libertà, almeno per
qualche preziosa ora.
“Funghi?” Chiese la donna, poi si strinse
nelle spalle e se ne andò. Beth scattò in piedi, i
muscoli che fremevano dalla voglia di picchiare i muri, la testa che le
chiedeva di urlare. Ripensò al pugnale, cercò di visualizzare per l’ennesima
volta le rune incise su di esso. Rune sconosciute aveva spiegato entusiasta il
dottor Havěl. Controllando il panico si stese di
nuovo cercando di calmarsi.
“Ehi…”
“Ammazza-fidanzate. Sì, cosa vuoi?” Beth interruppe e anticipò la donna che si era seduta
accanto a lei con il vassoio di cibo.
“Oh, siamo di cattivo umore?” La donna
ridacchiò. Era dentro per prostituzione ed era abituata al carcere, di certo
non si faceva intimorire da una come lei.
Al suo sguardo stanco la donna si strinse
nelle spalle.
“Pazienza, avevo trovato quei funghetti, ma…”
Nel vedere il suo sguardo farsi attento la donna ridacchiò. “Ti ho rallegrato?”
Chiese con aria divertita.
“Mi stai prendendo in giro o…?”
“Mi offendi, sono una professionista io,
portare dentro della coca è difficile, ma dei funghetti?” Fece una faccia di
superiorità. “Un gioco da ragazzi.”
“Dammeli.” Chiese lei, sentendo sulle labbra
il gusto della libertà.
“Non così in fretta, piccola mia.” Beth chiuse gli occhi, poi li riaprì fissandoli in quelli
della prostituta.
“Cosa vuoi?” La donna si sfregò l’indice e il
pollice in un gesto chiaro. “Quanto?”
“Cinquanta sterline per il primo rifornimento,
se ne vorrai ancora posso scendere a trenta la settimana.”
“Fammi vedere quanta è una dose.” Chiese lei,
cinquanta era un enormità, ma lei avrebbe dato tutto quello che aveva per un
rifornimento di funghi allucinogeni.
Il sacchetto era piccolo, ma sarebbe bastato
per un trasferimento e se nessuno la disturbava una volta caduta in trance
avrebbe potuto mantenersi così a lungo.
“Va bene.”
Era riuscita a farsi sbattere in isolamento e
ora aveva tutta la tranquillità di cui aveva bisogno. Si stese e aspettò. Aveva
ingerito i funghi un attimo prima di dare uno schiaffo ad una delle guardie, ma
non aveva idea di quanto tempo ci volesse perché facessero effetto. Di solito
Danny glieli somministrava attraverso l’aerosol facendo molta attenzione ai
dosaggi e la prima volta che li aveva presi e si era resa conto di quello che
le facevano era stato in un stupido party al liceo e li aveva fumati.
Si stese e riprese la respirazione. Cinque,
quattro, tre… la sua mente scivolò nel buio.
***
“Dove stai andando?” Era nel buio,
impossibilitata a vedere, impossibilitata e muoversi. Sentiva la paura
accelerarle il battito. “Calmati, non è così tremendo, hai ancora l’udito.”
Poteva sentire, era vero, ma chi le parlava? “Sono te. Solo più vecchia.” Nel
buio apparve uno specchio e lei poté vedersi. Indossava la tenuta da
prigioniera eppure la sua copia nello specchio no. “Lo so, è difficile la prima
volta, per questo ho adottato il sistema dello specchio, ti aiuta a
razionalizzare.”
“Non capisco.” Le loro voci erano identiche.
“Eppure dovresti.”
“Sei me.” Beth
cercava disperatamente di capire.
“Esatto. La te del futuro, un futuro piuttosto
lontano, per l’esattezza settecentocinquantasette
anni più avanti del tuo presente.”
“Non è possibile.”
“Perché? Tu viaggi nel tempo, perché non
dovrei poterlo fare io?” Beth rimase muta davanti a
quella logica ovvietà.
“Non ho mai parlato in questo modo alle me
stessa passate.”
“Tu sei la prima ad aver scoperto il viaggio,
ma capirai che dopo di te abbiamo affinato la tecnica. Non uso più quei
terribili allucinogeni, io viaggio rilassando la mente.”
“Sei qui per aiutarmi?” La voce rise e fu
strano sentire la propria ilarità e al contempo avere il cuore che sprofondava.
“No. Io ti ho messo lì.”
“Tu? Sei stata tu a uccidere Patty?”
“Sì.”
“Perché?”
“Sono qui per dirtelo, non ti salverò, ma ti
devo delle risposte.” La donna prese un profondo respiro poi spiegò. “Lei era
l’incarnazione di un’anima legata a noi da un nodo di dolore. In tutte le vite
finisce per trovarci e procurarci dolore, infinito dolore, inconsapevolmente ci
odia e ci cerca per distruggerci.”
“Perché?”
“Non ha importanza il perché.”
“Sì che ne ha!”
“Non ti agitare, la tua trance non è molto
profonda. Ti basti sapere che quest’odio risale molto indietro nel tempo.”
Beth respirò cercando di mantenere sotto controllo la sua frustrazione.
Aveva bisogno di quel confronto, aveva bisogno di sentire la verità.
“Hai detto che ciò succede ad ogni vita, cosa
cambia se tu l’hai uccisa nella mia? Rinascerà e ricomincerà a cercarci.”
“Esatto, se l’avessi uccisa e basta sarebbe
così, ma io ho usato il pugnale di Dis Pater un dio
celtico. Un pugnale sacrificale.”
“Il pugnale del dottor Havěl.”
Disse allora Beth, poi fu colpita da un pensiero.
“Sei stata tu a influenzarmi affinché andassi a Praga?”
“Sì, ovvio. È bastato possederti tanto da
farti comprare una rivista archeologica che parlava della ricerca del
professore e lasciarla nella busta delle lettere, sapevo che Gertrud Böhm è una delle nostre
incarnazioni che raggiungi più facilmente. Il resto l’ho lasciato a te.”
“Hai orchestrato altro della mia vita?” Chiese
allora Beth affranta, non si era resa conto di quanto
potesse essere brutto sapere che il proprio corpo è posseduto da un’altra
volontà, forsanche la propria in un altro momento storico.
“No. Solo il furto e l’omicidio.” Era stato
sufficiente, qualche ora di possessione e lei si ritrovava rinchiusa per sempre
in prigione. “Andiamo, non essere così abbattuta, dopo tutto nessuno può
davvero rinchiuderci, ti basterà viaggiare lontano dal tuo corpo. Grazie a te
ho potuto fermare il nostro peggior nemico, ho vendicato migliaia di noi che
hanno sofferto a causa di quell’anima e protetto altre centinaia che non
dovranno più subire perdite per mano sua.”
“Perché hai scelto me?”
“Perché sei la prima di noi. Dovevo risalire
indietro del tempo il più possibile e al contempo poter spiegare il mio atto,
tu eri la scelta più logica.”
“Non capisco, perché desideravi così tanto
dirmelo?”
“Non è ovvio? Io sono te, tu sei me. Renderti
pazza dalla disperazione affetterebbe tutte le tue future vite, me compresa.
Devi sapere cosa ho compiuto tramite di te e perché l’ho compiuto.”
“Non mi hai detto esattamente cosa ci ha fatto
quest’anima legata a noi.” Ritorse Beth e l’altra se
stessa si incupì, i suoi occhi divennero scusi e tesi.
“Sei testarda, come me dopo tutto. Ebbene ha
bruciato viva tua madre, ha annegato tuo marito, ha torturato tuo fratello, ha
stuprato tua sorella, ha ucciso tuo figlio, ha picchiato tua figlia, messo
tutta la tua famiglia in un campo di concentramento, tradito tuo padre, reso
pazzo tuo fratello… posso andare avanti se vuoi.” Beth
sentì ogni morte sul cuore, come se la consapevolezza di tutte quelle perdite
pesasse su di lei improvvisamente.
“Perché?”
“Te l’ho già detto, è legata a noi da un nodo
di dolore.” Quelle parole stizzite lasciarono trapelare qualcosa e Beth capì.
“Non lo sai. Non sai cosa è successo.”
“Non lo so.”
“Forse è colpa nostra.”
“Nessuno merita tutta la sofferenza che
quell’anima ha causato.” Lo specchio davanti a lei vacillò.
“Aspetta!” Chiamò Beth.
“La tua trance sta svanendo.” Le comunicò il
suo essere futuro. “Non tornerò a parlarti. Ma ricorda cosa ti ho detto:
nessuno può metterci in catene, vola libera nel nostro passato. Addio.”
“Aspetta!” Gridò di nuovo Beth.
***
Due mani la stavano scuotendo con forza, aprì
gli occhi e si ritrovò a fissare il volto spaventato di una guardia.
“Sanderson! Cosa diavolo hai preso?”
“Io…” La sua bocca era impastata e i suoni le
giungevano ovattati, la testa le scoppiava dal dolore.
“Portatela in infermeria, presto.”
Il bip bip dei
macchinari per un istante le fece credere di essere a casa, stesa sul suo
letto, di ritorno da un viaggio nel tempo. Ma nel voltare la testa e
nell’incrociare degli occhi così diversi da quelli di Danny ricordò che non era
così. La secondina le lanciò uno sguardo, poi chiamò il medico.
“Prima di rimandarla a…” Si bloccò, era stato
sul punto di dire a casa. “Sì, dicevo, prima di dimetterla voglio che lei
capisca quanto sia dannoso per il suo organismo quello che ha preso.
Nell’infermeria della prigione probabilmente sarebbe morta, per questo l’hanno
portata qua.”
“Grazie dottore, me ne ricorderò.” Il medico
fece una faccia dubbiosa poi controllò la sua cartella e firmò l’uscita.
Due giorni dopo le dissero che aveva una
visita. Beth raggiunse il parlatorio con apprensione
e quando vide che era Danny ad aspettarla sentì il cuore accelerare.
“Danny…” Disse, gli occhi del giovane la
guardavano tesi.
“Senti… io… devo scusarmi, ho riflettuto e…
quella non eri tu.” Il sollievo che provò a sentire quelle parole le fecero
girare la testa.
“Mio dio Danny, grazie!”
“No, sono stato un fratello orrendo… è solo
che è stato così terribile e io…”
“Come l’hai capito?” Sapeva che suo fratello
era un tipo scientifico, doveva essere stato un dettaglio a convincerlo.
“Mi sono ricordato dei dati biometrici e mi
sono accorto che vi era una discrepanza tra i tuoi dati normali e quelli al tuo
risveglio quella sera.”
“Ma ero sempre io, biologicamente parlando.”
“Sì, certo e infatti non saranno prove che
posso portare in tribunale, ma il tuo cuore batteva un poco più lento del
normale e la mappatura cerebrale assumeva sfumature insolite, come se le tue
sinapsi si fossero disposte differentemente.” Beth
scosse la testa confusa da quelle spiegazioni, ma Danny si batté il pugno
contro il palmo. “Se solo me ne fossi accorto prima… due giorni fa mi hanno
detto che eri ricoverata e che volevano le tue cartelle cliniche così mi è
venuta l’idea di verificare.”
“Grazie.” Beth sentì
una lacrima scivolarle lungo il viso e la raccolse mentre Danny metteva la mano
sul vetro in un frustato tentativo di consolarla.
“Se solo non avessi testimoniato contro di te
forse…”
“No, avevano prove a bizzeffe, saresti finito
dentro per favoreggiamento, avresti perso il lavoro e chissà cos’altro. No, va
bene così.” Mentre parlava sul volto di Beth apparve
un sorriso, aveva riflettuto su ogni parola detta tra lei e la sua se stessa
futura e aveva formulato delle idee, era felice di poterle condividere con suo
fratello. Sapendo che il tempo non era molto, riassunse per lui ogni cosa,
vedendo il suo stupore crescere assieme alla sua rabbia.
“Ti ha incastrato!”
“Mi sono incastrata in realtà.”
“Come hai potuto farti questo?”
“Non lo so, ma a quanto pare questa anima
annodata è una croce per me…”
“Ma, ucciderla?”
“Ci ho riflettuto, credo che la mia io futura
sia andata al di là dell’ucciderla.”
“In che senso?” Danny la fissava perplesso, la
sua mente scientifica aveva avuto grandi difficoltà ad accettare i viaggi nel
tempo e la prova della reincarnazione.
“Credo abbia estinto la sua anima. Altrimenti
non avrebbe senso.”
“L’ha… cosa?”
“Non so come dirlo, non sono neanche sicura
che sia possibile, ma ha usato il coltello celtico perché era un’arma
sacrificale di un dio, forse quella lama è speciale…”
“E l’ha fatto a te perché sei la prima a cui
avrebbe potuto spiegare ogni cosa…”
“Esatto.”
“Ma perché non andare alla fonte? Perché non
evitare che questo… nodo si formi?” Gli occhi di Beth
brillarono, contenta che il fratello avesse avuto la sua stessa intuizione.
“Perché non riesce ad andare così indietro.”
Danny scosse la testa sconsolato, ma nel vedere il sorriso sulle labbra della
sorella la interrogò con lo sguardo. “Andrò io.”
“Non hai detto che lei è più potente?”
“No, solo più esperta, lei non usa sostanze
allucinogene.”
“Come pensi di fare?”
“Mi aiuterai, l’ultima volta mi hai portato
nel medioevo, potenzia l’allucinogeno e andrò così indietro da giungere al
momento x e cambiare il mio passato.”
“Aspetta, anche ammettendo che tu riesca a
giungere così indietro, cosa per niente facile, sei sicura che sia saggio
cambiare il passato? Non hai fatto sempre attenzione affinché non succedesse?”
“Già, ma se la mia me stessa futura lo fa
perché io non dovrei?”
“Potresti cambiare tutto… non sappiamo a che
genere di paradosso andresti incontro.”
“Lo so. Ma nel mio passato ho fatto un
terribile sbaglio e ho legato un’anima a me, in un modo così terribile da
esigere a ogni reincarnazione un prezzo altissimo. Non sappiamo cosa era
destinata a fare Patty, forse ti avrebbe fatto del male facendo così soffrire
me. Ma non ha importanza, la colpa sarebbe comunque mia, un torto vecchio di
migliaia di anni.” Danny scosse la testa incapace di comprendere, ma Beth aveva sentito la sofferenza di alcune morti che la sua
anima aveva subito, sapeva che il suo io futuro aveva dovuto portare tutto quel
dolore per anni, ed era stata spinta a quel gesto estremo. In quel futuro lei
aveva deciso di eliminare l’anima annodata alla sua, ma Beth
aveva riflettuto e la maledizione era doppia, quindi perché non andare alla
radice e liberare entrambe?
Dovette aspettare un’intera settimana prima
che Danny potesse tornare a farle visita, il giovane però non era rimasto inattivo.
“Ho fatto delle ricerche. Il pugnale è
misterioso, ma degli esperti lo definiscono come pugnale sacrificale e il dio
di cui mi hai parlato è quello celta della morte e degli inferi. Ma non è su
questo che mi sono scervellato, ho fatto delle analisi sul principio attivo dei
funghi e posso concentrarlo, ma…”
“È pericoloso, sì, lo so, ma lo farò lo
stesso.”
“È più che pericoloso, potrebbe essere mortale
e non ti permetterò di prenderlo in prigione senza sorveglianza, se andassi in
arresto cardiaco se ne accorgerebbero troppo tardi.” Il suo tono era categorico
e Beth sentì le speranze scivolarle tra le dita.
“Danny! Non ho scelta, devo farlo!”
“Sì, ma sarà alle mie condizioni.”
“Non uscirò mai più da qui, lo sai questo
vero? Non posso aspettare, devo farlo!” Il suo tono disperato attirò lo sguardo
del secondino e lei cercò di contenersi.
“Beth, so cosa fare,
devi solo avere pazienza.”
“Non sono sicura di farcela…”
“Un mese, forse un po’ di più. Troverò un modo
di farti uscire per il tempo necessario a compiere quello che devi fare.”
“Io…”
“Beth, promettimi
che non tenterai di nuovo con quella porcheria che ti ha dato una detenuta.” La
ragazza si morse un labbro, era esattamente quello a cui stava pensando.
“Beth,
promettimelo.”
“Va bene… trenta giorni, non di più.” Danny
annuì.
Il mese era passato e Danny non aveva ancora
dato sue notizie. Beth aspettava con impazienza il
giorno di visita con la tensione che saliva ogni volta che lui non si
presentava.
“Sanderson?” Chiamò la guardia e lei scese dal
letto in fretta, sperando che fosse finalmente giunto il momento.
“Sì?”
“Visita medica.”
“Cosa? Sto bene.” Replicò, non voleva essere
assente nell’ora delle visite.
“Ordini del medico.” Le rispose la donna
facendole un cenno perché si muovesse.
“Ma se ho un visitatore…”
“Sanderson, non farmi venire mal di testa con
le tue storie, se hai da protestare parlane con la rappresentante delle
detenute.” La interruppe di netto la secondina. Beth
si arrese, aveva imparato che era inutile opporsi. Seguì la donna fino
all’infermeria, poi si sedette sul lettino sperando che l’infermiera facesse in
fretta.
La donna invece arrivò con tutta calma, le
verificò il polso e i polmoni mentre chiacchierava amabilmente con la
secondina.
“Io avrei un po’ di fretta…” Provò a dire Beth facendo scoppiare a ridere la guardia.
“Hai un appuntamento mia cara? E io che
pensavo fossi bloccata qui per i prossimi… beh per sempre!” Beth
si rimangiò la rispostaccia, conscia che avrebbe solo peggiorato la sua
situazione, le guardie non l’amavano da quando ne aveva schiaffeggiata una per
farsi mandare in isolamento, meglio non aggiungere altre colpe.
L’infermiera indicò alla secondina il suo
armadietto dicendole che aveva portato una torta e di prenderne una fetta. Come
se lo facesse apposta a perdere tempo. Con sua somma sorpresa però appena la
guardia ebbe voltato la schiena estrasse dal camice una siringa.
“Con i complimenti di tuo fratello.” Mormorò,
poi le somministrò il liquido in vena.
Qualche minuto dopo la guardia tornò e la
riportò in cella. Beth sentiva l’adrenalina salire,
cosa le aveva dato la donna? Era forse il principio attivo dell’allucinogeno?
Danny aveva deciso di somministrarglielo senza supervisione?
Quando portarono la cena non mangiò, aveva la
nausea, i brividi e un cerchio alla testa, ebbe appena il tempo di sedersi che
tutto il corpo fu preda delle convulsioni, pochi istanti e svenne.
Quando riaprì gli occhi era all’ospedale e un
medico la stava visitando.
“Speravo di non doverla riavere qua così
presto…” Commentò il dottore e lei lo riconobbe.
“Scusi del disturbo.” Mormorò lei, si sentiva
debole, ma non particolarmente male. Il dottore sorpreso dal commento sorrise.
“Starà bene in un attimo, erano solo
convulsioni febbrili, i secondini si sono spaventati per nulla. Questa volta
sarebbe bastata l’infermeria della prigione per curarla.”
“Convulsioni febbrili?” Chiese lei la gola un
poco secca.
“Sì, può succedere, anche se nessuna delle sue
coinquiline mostra sintomi influenzali. L’infermiera della prigione però
segnalava…” L’uomo prese la cartella e lesse. “Gonfiore alle tonsille e
difficoltà respiratoria.”
“Quindi sto bene?”
“Sì, ma questa notte la terremo sotto
osservazione visto che le abbiamo somministrato degli antivirali.”
“Va bene, grazie.” Il dottore annuì.
“Buona notte signorina Sanderson.” Beth gli sorrise e lui se ne andò.
Perché suo fratello le aveva procurato quella
crisi? La porta si aprì ed entrò una secondina.
“Stai meglio, Sanderson?” Era una ragazza
giovane e tendeva ad essere gentile con tutte le detenute.
“Sì, grazie.”
“Tocca a me stare di guardia, non mi farai
problemi vero?” Beth alzò il braccio mostrandole le
manette che la legavano al letto.
“Sono, letteralmente, bloccata a letto.” La
donna sorrise.
“Buona notte allora, cerca di riposare.” Beth la ringraziò e la guardia si sedette su una poltrona
vicino alla porta, tra le mani aveva diverse riviste e un libro, non sembrava
intenzionata a permettersi un sonnellino sul posto di lavoro.
Beth chiuse gli occhi pregando che suo fratello non si fosse sbagliato o
che non fosse stato preso. Non poteva immaginare che finisse anche lui in
prigione.
Una mano si posò sulla sua spalla e lei si
svegliò, doveva essersi addormentata senza accorgersene. La secondina la
guardava.
“Scusa, ma c’è qui un dottore, dice che deve
farti un controllo, ho cercato di dirgli che poteva passare domani mattina, ma
ha insistito.” Beth si tirò leggermente a sedere e
incrociò gli occhi ammonitori di suo fratello.
“Va bene, nessun problema.” Disse cercando di
contenere l’emozione.
“Scusi signorina…” Danny prese la cartella e
lesse. “Sanderson. Faremo una visita veloce, le devo somministrare la seconda
dose dell’antivirale e…” Si voltò verso la secondina.
“Può aspettare fuori?”
“In realtà…”
“Non ci sono finestre in questa stanza e la
sua assistita è ammanettata, non credo possa andare da qualche parte, ma la
devo visitare, è una questione di qualche minuto.” Sorrise mostrando quanto
potesse essere attraente e la secondina arrossì un poco subendo il suo fascino.
“Va bene, dottore. Aspetto fuori.” Le lanciò
uno sguardo ammonitore e uscì.
“Danny!” Il ragazzo si piegò abbracciandola.
“Come hai fatto a…”
“Non abbiamo tempo per questo, devi andare e
subito, dirò alla guardia che stai dormendo e di non disturbarti, sarà lei a
monitorarti, se il tuo cuore cedesse chiamerà aiuto e io mi fionderò nella
stanza.” Chiuse gli occhi stringendole la mano. “Spero di non aver sbagliato…
spero che tu riesca.”
“Quanto tempo mi darà?”
“Una notte, poi, comunque vada, ti
sveglieranno.” Estrasse dalla tasca del camice una siringa. La guardò per un
lungo istante infine, annuendo, la infilò nella flebo attaccata al suo braccio.
“Grazie Danny, cambierò tutto e finirà bene.”
“Venti milligrammi. Di più non posso. Buon
viaggio sorellina. Cinque, quattro, tre…” I suoi occhi si chiusero e fu avvolta
dal buio.