Le mirabolanti avventure di Roberta N. Fisher

di osvaldinapeperina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il mio primo giorno di scuola ***
Capitolo 2: *** 2- scotch carta biologico ***



Capitolo 1
*** Il mio primo giorno di scuola ***


Era una giornata calda e uggiosa, insolita, rispetto alle altre giornate di novembre. Mi svegliai confusa poiché avevo appena fatto un sogno strano. Cinque nani muscolosi con delle maschere da principe azzurro mi danzavano attorno, agitando i loro bastoni e spruzzando acqua dai loro fiori all’occhiello del mantello luccicoso.
“Devo smetterla di guardare The Vampire Diaries prima di andare a letto”, mi dissi.
“Dio, quanto mi arrapazza Deamon o come si dice.”
Con un sospiro mi sollevai dal letto, cadendo per errore sulla costruzione del castello di Rapunzel edizione limitata e bestemmiando il calendario di Suor Gesù  Maddalena Ippolito, convincendomi a non ricomprarlo da Amazon Prime con consegna in un 1 giorno lavorativo.
Guardai il cellulare di Winnie Pooh della nonna, schiacciando randomicamente i mega tastoni per far accendere lo schermo e con sguardo costernato mi rensi conto di essere in ritardo bestiale.
Così, scesi dalle scale e mi preparai la colazione mentre mi lavavo le ascelle, dando morsi alle fette biscottate mentre mi lavavo i denti; dopo aver sboccato un grosso pastone giallo-verde dal sapore az, mi sbrigai a vestirmi, dimenticandomi di mettere il fondotinta ai peli delle ascelle per renderli invisibili
Una volta finito fui pronta.
Era il mio primo giorno di scuola, il giorno in cui tutto sarebbe cambiato.
Ma questo ancora non lo sapevo.
Quindi perché pensarlo?


 
 
Il primo gradino fu un miracolo.
Il secondo sbattei, ma questo non era un problema. Erano abituati tutti al tempo scivoloso della gran bretagna, in cui tutti prendevano le peggio spaccate rincorrendo i tram e finendo per simulare Pingu con lo slittino.
Una volta rialzata, una ragazza molto carina mi porse l’incisivo insanguinato che avevo perso nella caduta; era davvero bellissima.

“Oh grazie…è il terzo che perdo in questa settimana”.

Lei mi guardò sorridendo, per poi osservare la sua mano; probabilmente avrebbe dovuto sapere che avevo contratto l’aids l’anno precedente, ma non volevo certo rovinare la nostra precoce amicizia.

“ Comunque piacere, sono Roberta.”
Il mio inglese incerto era rovinato dalla cascata di sangue neanche il Rio delle Amazzoni nella stagione delle piogge, ma lei continuò a sorridere impietrita.
< Piacere mio, Osvaldina..>.

Bene, eravamo amiche.
Adesso avrei potuto dirle i miei segreti più nascosti e la verità sul trenino Thomas di cui ero tanto gelosa.
La campana suonò e fu il momento di avviarsi, mentre infilavo pezzi di cartone tra le gengive per fermare l’emorragia.
Affiancai Osvaldina nel corridoio, anche se per qualche strano motivo lei finiva sempre per avanzare a passo svelto, quasi cercasse di lisciare il corridoio per me, rendendomi più semplice la traversata.
“ Che gesto gentile”, pensai sorridendole mentre aggiustavo un pezzo di cartone ciondolante.
Ovviamente non lasciai più il suo fianco, seguendola persino in bagno ed assicurandomi che avesse sempre la carta igienica accanto al water.
In quei cinque minuti imparai più cose di lei che nessuno nella mia vita, tra cui il suo sorriso imbarazzato e allo stesso tempo disgustato che le invidiai immediatamente, desiderando prenderla a pugni.
Se non avessi perso tutti i miei denti, forse avrei avuto lo stesso sorriso, ma Zio Boris già dai miei cinque anni di vita mi consolava con biberon di alcool e pasticche per vecchi, quindi dopo un rapido check-in dal medico, uscì scontato che le mie gengive non potevano che essere avvizzite e che il Polident ormai non bastava più.
Arrivata all’aula di Biologia, mi percorse un brivido nel sapere che avrei dovuto aprire la porta, difatti la corrente era davvero eccessiva e di sicuro non volevo un malore il primo giorno di scuola.
Una volta entrata e richiusa subito dopo davanti al professore, mi resi conto che davanti a me non c’erano banchi singoli, ma sedute di coppia.
Allorchè lo sguardò saettò immediatamente verso Osvaldina, che in quel momento sembrò tirare a se lo sgabello con mano tremante.
“Che carina, vuole che mi sieda vicino a lei..oh, ha anche messo sopra lo zaino per farmi da cuscino.”
Immersa dai feels, mi sedetti come lei aveva fatto intendere, sperando che le mutande dell’anno precedente non lasciassero impronte di quello strano evento.

“Benvenuti a tutti. Questo corso non risparmierà nessuno. Per adesso vorrei chiamare qui a presentarsi la nuova arrivata” disse il professore, indicandomi.
Mi sollevai alla sedia, raggiungendo la cattedra ed inchinandomi come facevano gli orientali.

“ Sono Roberta.”

Detto questo tornai a posto, facendo la ruota ed inneggiando ai mutandoni da nonna, che di sicuro proteggevano di più di quei stupidi Lines.
Non volevo svelare subito tutto della mia vita, né volevo svelare a tutti che coi pannoloni si potesse dare libero sfogo ad ogni necessità fisiologica; per quello avrei atteso la seconda lezione della giornata. Così accanto ad Osvaldina, la quale aveva tolto lo zaino, con mio sommo dispiacere, poggiai i gomiti sul banco in attesa che il professore smettesse di osservarmi.
La situazione continuò per altri cinque minuti, in cui improvvisai un assolo di chitarra ed iniziai a far roteare i vetrini sulle matite dell’astuccio come un giocoliere, quando improvvisamente la porta si schiuse.
Una ventata di puzzo glaciale entrò nella classe, facendo drizzare i peli delle gambe che spuntarono dai jeans, e con esso anche un ragazzo; era bellissimo, alto, con gli occhi velati da un paio di occhiali a fondo di bottiglia e la gotta al collo pecorino.
Si avvicinò a me, guardandomi con lo sguardo penetrante di chi non vede un cazzo, allungando il collo come una tartaruga per lasciar cadere la Vigorsol, per poi proseguire con un baffo di saliva ancora sulle labbra.
“E’ troppo figo..”, pensai mentre rovistavo nel cestino ancora umidiccio per raccogliere il primo vero regalo della persona che ormai veneravo con tutta me stessa.
Un sospiro parve poco per esprimere il tormento che mi attanagliò la gola. Non seppi se fosse il fetore provocato dallo zaino infetto o il pus che ormai stava infestando i cartoni che avevo in bocca; ma una cosa era certa.
Lui era perfetto per me. 

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Capitolo 2
*** 2- scotch carta biologico ***


2. scotch carta biologico.
                                                        
La prima settimana di scuola volò in un battito di ciglia, tra le riunioni con gli alcolisti anonimi, le ricerche di tartarughe ninja nei tombini e la raccolta di opossum investiti con cui cucivo capi di alta moda che rivendevo al mercatino dell’usato per mille euro al pezzo.
La consapevolezza di aver fatto un buco nell’acqua in quella estenuante ricerca di esseri geneticamente modificati per mangiare pizza[1], mi fece svegliare col piede stranamente incurvato quella mattina, tant’è che zoppicai per tutto il tragitto ed oltre.
Solo quando mi accorsi di essere arrivata all’EuropaEuropa del paese vicino, mi resi conto di aver sbagliato strada a causa dei tanti pensieri, e decisi di tornare a scuola sfruttando l’ultimo turno del camion della spazzatura per strappare un passaggio: i netturbini erano così stanchi che neanche si accorsero del sacchetto che mi portai dietro lanciandomi dal veicolo in corsa.

“Cazzo, c’è un dolce e banana qua dentro!” pensai, osservando con emozione una borsa sporca di bucce gialle e budino alla vaniglia scaduto. Ma ciò non mi fermò dallo strofinare quella morbida e grumosa striscia bianca contro la folta barbetta sovra-labiale.
Il sapore inteso di muffa andò ad incrementarsi quando la mia vista da baco da seta scrutò il mio nuovo principe ranocchio.

“Niall! “, gracchiai, ingoiando il catarro che era sopraggiunto nel pronunciare il suo nome.
Il suo sguardo di disgusto nel vedermi accanto a lui con la mia nuova borsetta fece vibrare il mio ipotalamo– a proposito, sarei dovuta passare alla discarica a prendere il mio Napapiri tarocco pagato 3 euro da un tizio indiano all’angolo con l’ufficio oggetti smarriti.
“ Shcushami. Dishci a me?”

Si fece il segno della croce nel varcare la soglia dell’istituto, mentre io sentivo la testa girare come l’esorcista. Fortunatamente il vomito verdognolo era rimasto nello zainetto quella mattina. Ma sarei comunque andata a recuperarlo perché la puzza avrebbe spianato la via.
“No…”

Risposi alla professoressa che uscì dall’aula a fine lezione, sbarrando gli occhi e tenendosi stretta il naso come se le dovesse cadere.
Non mi ero accorta di averci messo così tanto tempo a rispondere, erano già le nove! E alle nove, avrei sicuramente accompagnato Osvaldina, la mia besti[2] friend special limited edition gold, in bagno e così mi feci trovare direttamente lì, dietro la porta, in modo che potessi accoglierla nel migliore dei modi con una vuvuzela risalente alla guerra fredda di mio nonno.
Lo spavento di contentezza la fece saltare così in alto da sbattere contro il rubinetto, provocandole uno svenimento di cui approfittai per passare il mocho circolarmente, lasciando attorno al suo corpo un alone di pulito tale che quando si alzò barcollando, le dissi:

“Guarda Osvaldina, ti ho fatto l’angelo di sporcizia per terra! E il sangue uscito dal naso ha dato un tocco molto alla Dario Argento, davvero!”

Lei finse di non conoscermi, chiedendo dove fosse, ma io le diedi una pacca sulla spalla tale che cadde nuovamente, ma stavolta contro l’anta della cabina, lasciandole il segno dell’ “occupato” scritto a caratteri cubitali sulla sua fronte.
Presa dalla preoccupazione per questi svenimenti così accidentali, decisi di andare nel bagno dei maschi e riempirmi di carta igienica – loro non la usano mai – e tornare lì per fasciarla a mo’ di mummia Bubba Ho-Tep.
Nel tornare a prendere altra carta igienica dal carrello del bidello, incontrai nuovamente Niall mentre tentavo di farmi i ricci coi rotoli ormai vuoti di cartone.
Dovevo prendere la palla al balzo. Non potevo continuare ad evitarlo per sempre, dovevo agire. Soltanto agendo, avrei conquistato il suo fegato e ciò avrebbe dato il via a tanti reflussi gastroesofagei da farlo innamorare perdutamente di me, una volta per tutte, fino alla morte precoce.
“Lo sai che se bagni un cartone della carta igienica con l’acqua, puoi farlo assomigliare ad una cacca secca e lasciarla sulla sedia affinché tutti pensino che il tuo amico se la sia fatta sotto?”.
La cosa sortì un qualche effetto in lui perché corse via dimenandosi dalla presa avvolgente dei peli delle mie braccia. E dopo una manciata di secondi accorse l’ambulanza per recuperarlo dall’asfalto su cui si era spiaccicato dieci minuti dopo la mia innocente conversazione; chiudendolo in un sacchetto dell’immondizia, i paramedici subirono le mie perplessità riguardo all’essere o meno compostabile. Nel dubbio, mentre gli altri non guardavano, infilai il pezzo di banana lercia, affinché potesse accompagnarlo verso l’aldilà, come gli spicci per i pagani.
Le voci della sua morte accidentale si sparsero in fretta.
I poliziotti accorsero per ascoltare testimonianze e molti raccontarono che nel gettarsi, il povero Niall aveva urlato “ Non mi avrai mai! “, sottolineando come una lacrima di pura gioia avesse solcato il suo viso prima di sfracellarsi in mille pezzetti come una Big Bubble priva di ossa di topo e plastilina sul prato incolto.
Andai a mangiare al McDonald, disgustata dalla situazione e desiderosa di star sola, per poi ricordarmi di Osvaldina.
Dov’era la mia amica quando avevo bisogno di lei? Dov’era stata in quei 55 minuti?
“ Osvaldina, Niall è morto, il mio unico vero amore e tu stai qui che dormi?! BASTA, CON TE HO CHIUSO”, urlai sbattendo la porta che finì per rimanere aperta a causa della sua testa incastrata nel mezzo[3].


La vita era davvero uno schifo.
E come se non bastasse, dovetti anche io contribuire ad aiutare la polizia, raccontando di come il mio fidanzato morto – ora non avrebbe mai potuto negarlo – avesse una paura tale dei piccioni, da sentirsi costantemente tormentato da essi.
Li lasciai dicendo c’era ancora molto da fare per quanto riguardava la procedura penale verso gli stalker, umani o pennuti che fossero.
Tornando a casa, vidi mio padre travestito da donna.
E poi improvvisamente, il bagliore di un camion con impostato un clacson sonoro dei Queen, mi fece lacrimare dato il riflesso di rimando creato da due enormi occhiali a fondo di bottiglia.

“Poldino Provolino!”
Era tornato.
Il secondo giorno di scuola, dopo quell’incontro alla Bella Cigno col suo vampiro, aveva finito per strozzarsi con la Virgorsol e da lì, non ero più riuscita a far sbocciare il nostro amore segreto a tutti – lui compreso.
Mi avvinghiai alla sua gotta, stringendolo e piangendo lacrime che solo la 4kg di cipolla avevano mai sortito in tutta la mia vita.
“Mi dispiace di averti tradito con Niall, ma tu eri sparito e non potevo aspettarti più di 120 ore, l’ho letto su novella 2000! Una donna deve avere i suoi spazi e bere aceto per dimagrire!”
Lui abbassò lo sguardo su di me, lentamente, tanto che la neve iniziò a cadere e mi sembrò fosse il 20 gennaio, ma scoprii che era solo l’aumento di forfora del ragazzo ad avermelo fatto credere.

 
 
[1] Nda: secondo Roberta, le tartarughe ninja si sono evolute al solo scopo di ingozzarsi di pizza; ovviamente non ci sono dati che avvalorano questa tesi.
[2] Nda: è doveroso riportare che Roberta non ha una conoscenza dell’inglese tale da permetterle di pensare una frase grammaticalmente corretta e di senso compiuto, ma questo lei lo ignora e ci prova comunque.
[3] Nda: nonostante il corpo di Osvaldina ostruisse il passaggio verso i bagni, molte altre studentesse ignorarono la sua condizione e, vista la mancanza di cartaigienica, usarono quella in cui Osvaldina era stata avvolta. 

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