Scontro a Sethanon - fra un'eledhel e un moredhel

di Kaiyoko Hyorin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Welcome to Elvandar ***
Capitolo 3: *** Ambush ***
Capitolo 4: *** Impossible escape ***
Capitolo 5: *** The Dark Brother ***



Capitolo 1
*** Prologo ***



Il mondo di Midkemia sta sprofondando nell'ombra di un'oscura ed ai più ignota minaccia. Sono molto poche le persone che nel Regno sono a conoscenza degli accadimenti nefasti che la stanno realmente coinvolgendo: due gruppi del tutto diversi fra loro ma uniti nell'amicizia sono partiti, lasciando le loro case e le loro famiglie per far fronte al pericolo imminente. Arutha e Pug sono i protagonisti indiscussi, un valoroso principe ed un potente mago, che per vie separate tentano di combattere la stessa battaglia ed avere la meglio sugli intrighi e le macchinazioni di un Elfo che risponde al nome di Murmandamus.
La nostra storia si discosta tuttavia dalle loro peripezie, per seguire quelle di altre anime coinvolte in questa vicenda.. ed ha tutto inizio in un territorio dominato da altre razze, ben più antiche e longeve degli uomini.



1. Prologo


– Morandis!
Il moredhel si voltò ad osservare l'amico e compagno di molte avventure andargli incontro, ritrovando sul suo volto la stessa apparente indifferenza sfoggiata da lui stesso. Fermandosi, attese che lo raggiungesse con calma studiata, prima di parlare.
– Cosa c'è, Elwar?
– Dove stai andando?
– Ho una questione importante di cui occuparmi – rispose rimanendo sul vago e restando impassibile, nonostante lo sguardo inquisitore dell'altro.
Elwar non gli rispose ma Morandis seppe da subito di non essere stato convincente e l'avrebbe lasciato lì coi suoi dubbi se non fosse stato per il legame di amicizia che li univa. Il silenzio tuttavia non si protrasse a lungo, perché il moro parve cogliere qualcosa ed i suoi occhi a quel punto si sgranarono.
– No – esclamò quasi fra sé e sé – Non puoi farlo, Morandis!
– Ho fatto la mia scelta – ribatté lui con assoluta calma ed un vago piccolo sorriso – E sai che non sono avventato quanto te.
L'espressione sul volto di Elwar si indurì ed il suo sguardo color dell'ambra più preziosa diventò freddo come il ghiaccio. Quando estrasse la spada dal fodero, l'altro non se ne sorprese né si mosse per contrastarlo in qualche modo.
– Ma io non te lo permetterò.
Morandis annuì ancora di fronte a tanta risolutezza, eppure non vacillò minimamente.
– Lo sai meglio di me che non potresti ostacolarmi. Oramai il Sentiero Oscuro non ha più alcuna influenza su di me, pertanto è inutile che io rimanga.
Elwar strinse la presa sull'impugnatura della sua arma ed un'ombra calò ad incupirgli i lineamente del volto, quindi sollevò la lama, puntandogliela contro.
– Mi spiace, ma le conosci le regole.
Morandis annuì per l'ennesima volta – Sì, le conosco – ribatté, attendendo un solo istante prima di continuare e nelle parole a seguire lasciò trapelare tutta la propria serietà di elfo – Ma se vorrai fermarmi dovrai farlo ora, perché me ne vado. Addio, fratello.
Detto ciò si voltò ed iniziò ad avviarsi con passo deciso nella direzione in cui si stava dirigendo prima di quell'incontro. Ogni passo portato lo affrontò con tutto il suo coraggio, perché ognuno era un passo in più a separarlo da ciò che era stata la sua vita sino a quel momento, ma ancor di più era l'approfondirsi di quel baratro che aveva già iniziato a dividerli l'uno dall'altro.
E la consapevolezza di quell'addio minacciò di farlo fermare più d'una volta.
Intanto Elwar, rimasto fermo immobile nel medesimo punto, osservò la schiena di quello che fino a pochi minuti prima aveva chiamato fratello allontanarsi nel sottobosco, stringendo con sempre maggior vigore la presa sulla spada. Soltanto una volta che l'amico fu scomparso dal suo campo visivo qualcosa scattò in lui e con rabbia, ma anche frustrazione e senso di perdita, scagliò l'arma al suolo, conficcandola nel terreno erboso.
– Dannazione.. – sibilò a denti stretti, dando libero sfogo all'astio che lo assalì al pensiero di non aver avuto la forza di fare il proprio dovere: non avrebbe mai potuto attaccare il suo migliore amico, men che meno alle spalle, e questo doveva saperlo anche Morandis, perché la cosa doveva essere reciproca.
Rimase con lo sguardo perso nel vuoto alcuni minuti ancora, finché non fu sicuro di aver ripreso il controllo delle proprie emozioni ed ebbe riflettuto sul da farsi. Soltanto quando ebbe preso una decisione su come procedere, Elwar Garaniel liberò la propria spada dal terreno e si voltò indietro, per far ritorno all'accampamento dei Lupi Grigi.
– Elwar – il capoclan attirò la sua attenzione appena lo vide di ritorno – Dov'è Morandis?
– È andato a dare il cambio a Gill per un nuovo giro di perlustrazione dei dintorni.
Quello annuì ed Elwar, ignorandone il cipiglio perplesso, gli diede le spalle, diretto alla propria tenda.

***

La foresta era tranquilla, ma la sua quiete era punteggiata dai continui richiami degli uccelli e dai rumori di animali che indicavano come tutto fosse come doveva essere sotto le fronde. Martin e Baru stavano viaggiando da quattro giorni, spingendo i cavalli al limite della resistenza, e avevano attraversato il fiume di Crydee solo alcune ore prima.
Aredhel fu la prima a notarli. Li conosceva, avendo passato l'infanzia a giocare col duca per il breve periodo nel quale egli era vissuto con gli elfi; inoltre aveva avuto modo di incrociare l'Hadati un paio di volte in quell'ultimo anno trascorso.
Ora ella aveva appena compiuto 54 anni, età che la classificava a poco più di una ragazza secondo gli standard degli elfi, e per sua somma gioia l'avevano assegnata a Tarlen ed alla sua guida. Egli aveva il compito di istruirla nel sorvegliare gli accessi di quel tratto di foresta ed altre piccole cose, come eludere degli inseguitori fra gli alberi o seguirne le tracce, ma anche celar le proprie oppure evitare di lasciarle affatto.
Svelta saltò giù dall'albero sopra il quale era seduta, atterrando con grazia e senza il minimo rumore; anche questo le era stato insegnato dall'elfo. Tuttavia non fu abbastanza rapida: Tarlen la precedette di netto, frapponendosi davanti ai due viaggiatori.
– Ben incontrati, Martin Longbow e Baru Uccisore del Serpente.
– Salute a te, Tarlen – rispose Martin – Siamo venuti a chiedere consiglio alla Regina.
– Allora proseguite pure, poiché tu e Baru siete sempre i benvenuti alla sua corte. Io devo restare qui di guardia, perché la situazione si è fatta un po' tesa dall'ultima volta che siete stati nostri ospiti.
Aredhel colse nel tono del parirazza una certa preoccupazione. Come biasimarlo? Il Principe Tomas era recentemente scomparso; in più con gli ultimi avvenimenti accaduti...
– Vi accompagnerò io, se me lo permettete – soltanto in quel momento l'elfa si scostò da dietro un tronco adiacente al trio per affiancarsi a Tarlen, il quale non parve prendere molto bene l'iniziativa, data l'occhiata in tralice che le rivolse.
Martin rimase per un attimo a fissarla, prima che un accenno di sorriso gli comparisse sul volto tirato – Aredhel! Sono felice di rivederti... e ci farebbe molto piacere che ci accompagnassi ad Elvandar.
Lanciando uno sguardo a Tarlen, lei sorrise ampiamente soltanto quando, una manciata di secondi dopo, questi annuì nonostante le palesi riserve, ed esclamò in loro direzione: – Venite allora, vi precedo!
Durante il tragitto Martin chiese ad Aredhel notizie sui recenti problemi ai quali aveva accennato Tarlen, ma ella gli rispose semplicemente che sarebbe stata la Regina stessa ad esporglieli, appena fossero giunti a destinazione.
Più tardi i due cavalieri, anticipati dalla ragazza-elfa a piedi, si inoltrarono nel cuore della foresta di Elvandar, l'antica dimora degli eledhel. La città arborea si presentò pervasa di luce perché il sole era alto nel cielo ed incoronava gli alberi massicci con il proprio chiarore, strappando riflessi verdi e oro, rossi e bianchi, argento e bronzo alla volta di foglie che la ricopriva.
Un elfo li avvicinò non appena i due smontarono di sella.
– Ci occuperemo noi delle vostre cavalcature, Lord Martin – disse rivolgendo uno sguardo anche all'elfa che li aveva accompagnati fin lì, prima di proseguire – Sua Maestà desidera vederti immediatamente.
Martin, Aredhel e Baru si affrettarono a salire le scale intagliate nel tronco di un albero che portavano alla città elfica, attraversando gli alti archi formanti il dorso dei rami e salendo sempre di più, fino a raggiungere un'ampia piattaforma che costituiva il centro di Elvandar, la corte della Regina.
Aglaranna sedeva in silenzio sul trono, affiancata dal suo consigliere anziano, Tathar, e tutto intorno alla corte erano seduti gli Anziani Intessitori di incantesimi che costituivano il consiglio. Il trono accanto a quello della sovrana però era vuoto e sebbene l'espressione d'ella fosse indecifrabile, Aredhel avvertì l'ormai consueta tensione che da un po' aleggiava fra quelle fronde nell'aria. Eppure, nonostante l'atmosfera, la loro Regina appariva sempre splendida e regale, e il saluto con cui accolse i viaggiatori fu pieno di calore.
– Benvenuto, Lord Martin – disse – Benvenuto, Baru degli Hadati – e nel posar lo sguardo su di lei, Aredhel abbozzò un inchino piuttosto rigido – E grazie, Aredhel, per averli condotti sin qui.
Entrambi gli uomini si inchinarono, mentre la ragazza, dopo un momento di ossequioso silenzio, si indietreggiò sino a potersi allontanare nella stessa direzione dalla quale erano venuti, ben consapevole dell'inutilità della propria presenza. Scendendo le scale in tutta fretta ripensò brevemente a ciò che stava accadendo.
Non si poteva di sicuro biasimare la regina: Tomas se n'era andato chissà dove senza lasciar detto nulla a nessuno. Inoltre, dalla costa fino all'est si erano visti i segni di una massiccia migrazione di orchetti verso nord, ed i moredhel si stavano facendo insolitamente audaci nelle loro spedizioni lungo il limitare della foresta di Elvandar. Si era ipotizzato fosse per qualche strano effetto dovuto alla situazione instabile del Regno, ma alcuni di loro stavano iniziando a chiedersi se non ci fosse dell'altro.
Poi si erano avvistate bande di rinnegati umani dirette verso nord, vicino alla Montagna di Pietra, ed i gwali, creature delicate quanto magiche, erano fuggiti verso sud, fin dentro il Cuore Verde, come se temessero l'avvicinarsi di una minaccia incombente. In aggiunta a tutto ciò, da mesi si faceva sentire un vento pervaso di malvagità che portava con sé qualcosa di mistico, come se un grande e oscuro potere stesse venendo concentrato al nord. La situazione era preoccupante per tutti.
Arrivata in fondo si arrestò nell'incrociare il passo di suo fratello, il quale non la segnò di un solo sguardo prima di superarla e scomparire oltre la spirale delle scale, seguito dallo sguardo carico di perplessità d'ella. Soltanto quando, un paio di secondi dopo, tornò a volger l'attenzione dinanzi a sé comprese il motivo di tanta fretta e spalancò ancor di più lo sguardo, sorpresa oltre ogni dire.
Un gruppo di guerrieri eledhel stavano scortando un elfo dai corti capelli scuri e gli abiti grigi, un moredhel; ma in egli v'era qualcosa di strano, di diverso, a contraddistinguerlo: una calma del tutto estranea ai componenti della sua razza.
Aredhel fece due passi avanti, ma si scostò al sopraggiungere della regina, facendosi da parte rispetto a lei ed al suo seguito. Anche il moredhel la notò e si inchinò profondamente davanti a lei, abbassando il capo.
– Signora, sono tornato – mormorò.
Aglaranna rivolse un cenno a Tathar, e subito lui e gli altri Intessitori d'Incantesimi si raccolsero intorno al moredhel. Un momento più tardi Aredhel avvertì una strana quanto familiare sensazione a fior di pelle, come se l'aria fosse pervasa d'elettricità e da una sorta di musica soave e leggera. Non dovette nemmeno guardarli che comprese fosse opera degli Intessitori, i quali stavano operando uno dei loro incantesimi. Come accadeva ogni volta, del resto. I Ritorni erano rari ed era capitato che i moredhel avessero tentato di ingannarli in più occasioni, con lo scopo di introdurre delle spie fra loro. Soltanto grazie alla magia nessuno di loro era riuscito ad ingannare gli eledhel.
Ci volle una manciata di minuti, ma infine quell'attesa terminò.
– È tornato! – esclamò Tathar, infrangendo l'atmosfera creatasi.
– Come ti chiami? – domandò Aglaranna.
– Morandis, Maestà.
– Non più – affermò pacatamente – Ora il tuo nome è Lorren.
Il sollievo che permeò gli astanti, compreso il nuovo eledhel, infuse una nota di positività in quell'aria dapprima tanto pregna di tensione e ansie, e Aredhel abbozzò meccanicamente un mezzo sorriso.
Non vi era mai stata alcuna differenza vera e propria fra moredhel ed eledhel, perché entrambe erano in realtà due branche della stessa razza, quella degli Elfi, separate soltanto dal potere del Sentiero Oscuro. Per questo erano anche chiamati Fratelli Oscuri, vincolati ad una vita pervasa di odio omicida nei confronti di chi non appartenesse alla loro razza. Anche se fra eledhel e moredhel era comunque presente una sottile differenza determinata dai metodi, dal portamento e dall'atteggiamento, esteriormente li si poteva definire quasi identici.
L'ex moredhel si risollevò dal suo inchino e gli elfi lo aiutarono a togliersi la tunica del colore proprio dei clan moredhel della foresta. Appena gli fu data una tunica marrone anche la più piccola differenza cessò di esistere fra il nuovo venuto e gli altri elfi. Dal canto suo, Aredhel non finiva mai di stupirsi per quel piccolo miracolo, a testimonianza che in passato non vi fosse stato nulla a dividerli gli uni dagli altri. Gli occhi ed i capelli avevano la tinta più scura tipica fra i moredhel, ma del resto anche fra gli eledhel ce n'era qualcuno bruno di capelli così come capitava di trovare qualche moredhel biondo con gli occhi azzurri.
– Di tanto in tanto qualcuno dei nostri fratelli si allontana dal Sentiero Oscuro – stava spiegando Tathar a Martin – Se gli altri non si accorgono del suo cambiamento e non lo uccidono prima che possa arrivare fino a noi, accogliamo il suo ritorno a casa, che è motivo di gioia.
E Aredhel annuì fra sé a quella affermazione, mentre rimaneva un attimo ad osservare il nuovo elfo con un vivace sorriso sulle labbra. Era la prima volta che assisteva ad un Ritorno e quella novità la portava istintivamente a provare una sorta di insolita simpatia, mista a naturale curiosità, nei confronti del nuovo venuto, mentre questo già veniva accolto dai suoi parirazza.
– Succede spesso? – domandò allora Baru, continuando la conversazione con Tathar.
– Io sono il più anziano fra quanti vivono ad Elvandar, e prima di questo ho visto soltanto altri sette Ritorni – replicò l'anziano, poi rimase in silenzio per qualche tempo prima di aggiungere – Noi speriamo un giorno di poter redimere in questo modo tutti i nostri fratelli, una volta che il potere del Sentiero Oscuro sarà stato finalmente infranto.
– Venite, dobbiamo festeggiare – disse allora Aglaranna, rivolta a Martin.
– Noi non possiamo, Maestà – rispose questi – perché dobbiamo riprendere il cammino per incontrarci con altri.
Aredhel si fece ancor più attenta, tendendo le orecchie a punta per ascoltare il resto senza tuttavia voltarsi a guardar direttamente il gruppetto, avvertendo una nota di dispiacere sporcare quel momento di serenità nel proprio animo: non si era affatto aspettata la possibilità che non si sarebbero fermati neanche un giorno.
– Posso conoscere le vostre intenzioni? – chiese con discrezione la regina.
– Sono semplici – replicò il Duca di Crydee – Troveremo Murmandamus.
– E lo uccideremo – concluse Baru.





continua...


Ciao a tutti!
Sono emozionata: è tanto che lavoro a questa storia e non vedevo l'ora di pubblicarla e, nonostante mi fossi ripromessa di farlo soltanto una volta che l'avessi conclusa, beh, sono decisamente a buon punto e mi sono detta "perché no? vedere se piace ed eventuali commenti potrebbero aiutare la mia ispirazione!"
Non so se alcuni di voi conoscono le opere di Feist, ma io personalmente leggendo la sua trilogia sulla Saga di Riftwar, me ne sono innamorata a tal punto da volerci scrivere qualcosa su, e così eccomi qui!! Non mi dilungo, questo è solo un prologo e di norma i capitoli veri e propri saranno un po' più lunghetti (anche perché altrimenti qui non finiremo più!) quindi niente paura, nonostante gli aggiornamenti non proprio rapidissimi avrò di che farmi perdonare.
Detto questo, spero che questo primo capitoletto vi sia piaciuto e/o abbia stuzzicato la vostra curiosità. Dovrei averlo ricontrollato un numero di volte sufficiente a liberarmi di tutti gli errori di battitura e le sviste e le riscritture, ma se mi fosse sfuggito qualcosa vi invito a segnalarmelo senza indugio (mi viene l'orticaria a lasciare errori).
Non fatevi problemi e ditemi pure ciò che ne pensate! Intanto, buon inizio agosto!!

Kaiy-chan

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Capitolo 2
*** Welcome to Elvandar ***






2. Welcome to Elvandar


– Buona fortuna.
Martin ricambiò quell'augurio con un cenno del capo ed Aredhel abbozzò un lieve sorriso di commiato. Quindi l'uomo e l'hadati porsero i loro ultimi saluti alla regina e si allontanarono, scortati da un paio di guardie elfiche che li avrebbero accompagnati sino ai confini di Elvandar.
La giovane eledhel fece per muoversi a sua volta in quella direzione, ma un'occhiata di Varsel la anticipò.
– No, Aredhel – le disse suo fratello.
Quella sola negazione da colui che era un suo diretto superiore bastò alla ragazza perché sopprimesse sul nascere qualunque tipo di reazione contrariata e, seppur senza convinzione, voltò le spalle ai pochi rimasti e si diresse nella direzione opposta, senza una parola.
Varsel era il primogenito e l'erede della diretta approvazione paterna, ma questo non aveva impedito all'elfo di instaurare un particolare legame con la sorellina. Era stato lui ad ispirarla, così come era lui quello che da sempre aveva avuto la tendenza a proteggerla e giustificarla di fronte alla disapprovazione del loro genitore, ed era questo il motivo per cui Aredhel non avrebbe mai sognato di ribellarsi alla sua parola.
Per quanto in cuor proprio covasse un'indole che molti eledhel avrebbero definito difficile, la stima che covava per lui era la chiave della sua devozione alla causa elfica ed il motivo scatenante che l'aveva condotta al suo apprendistato presso Tarlen. Non poteva deludere anche lui.
Con un sospiro emulato con discrezione, Aredhel lasciò che ogni sentimento inquieto scivolasse fuori dal proprio corpo e quando tornò a sollevare gli occhi chiari individuò Lorren in compagnia di una delle guardie elfiche al comando di suo fratello. L'afflusso di elfi accorsi a dare il benvenuto al nuovo eledhel sembrava essersi già placato e la ragazza, senza pensarci più d'un secondo, si avvicinò ai due.
– Puoi andare, ci penso io qui – affermò con un ampio sorriso, comparendogli al fianco.
Il soldato non ebbe un sussulto ma dallo sguardo che le rivolse ella comprese di averlo sorpreso, cosa che le causò un piacevole senso di soddisfazione che le fece piegare un poco di più un angolo delle labbra verso l'alto. Dopo un paio di secondi di pacato scetticismo ed uno sguardo ammonitore, l'elfo si allontanò con un saluto, lasciando il nuovo arrivato a lei.
A quel punto la sua attenzione fu completamente per Lorren, così come era stato nel primo momento in cui l'aveva visto. In realtà non v'era nulla di esteriormente insolito in lui, né era particolarmente avvenente, ma ciò che rappresentava era fonte di interesse notevole per una come lei: il suo istinto le diceva che doveva essere un tipo interessante ed era sempre stata un'elfa piuttosto curiosa, in special modo nei confronti di tutto ciò che riguardasse la vita al di fuori della Foresta di Elvandar, caratteristica che in effetti le aveva causato alcuni guai in passato.
Altri popoli vivevano oltre i loro confini, non soltanto uomini, ed in particolar modo la questione dei Fratelli Oscuri era ancora fonte di svariati interrogativi, nonostante le molteplici spiegazioni che le erano state date dagli elfi anziani.
Come poteva esistere un astio tanto profondo e radicato in creature tanto simili a loro? Davvero la loro esistenza era tutta incentrata sull'influenza che aveva il Sentiero Oscuro sulle loro anime? Possibile non ci fosse altro, oltre all'odio, nei loro cuori?
Magari, parlando con quel nuovo eledhel, avrebbe appreso qualcosa di nuovo sulla vita dei moredhel, qualcosa che l'aiutasse, se non a comprendere fino in fondo, a placare la propria irrequieta voglia di sapere.
I loro sguardi si incontrarono, argento vivo contro castano scuro, ed Aredhel distinse un singolare guizzo di curiosità in quell'iridi e provò un'insolita empatia nei confronti del loro proprietario. Gli sorrise, un sorriso incoraggiante e solare, e questi dopo un attimo la ricambiò con un'espressione altrettanto amichevole.
– Benvenuto ad Elvandar, Lorren – esordì, seppure un istante dopo si pentì delle parole usate: era un Ritorno, pertanto le circostanze imponevano che usasse la formula “Bentornato”; per non parlare della banalità di quel saluto: doveva senz'altro essergli stato rivolto sino alla nausea.
Eppure l'altro, seppur non senza inarcare un sopracciglio in un primo momento, non smise di sorriderle con sincerità e subito la ricambiò.
– Grazie... – il moro accennò un inchino del capo e lasciò la frase in sospeso in un modo caratteristico e la ragazza non ebbe dubbi.
– Aredhel... Aredhel Duhlyn. Lieta di fare la tua conoscenza – concluse per lui, presentandosi.
– Il piacere è il mio.
– Penso ti troverai bene qui... – esordì, in un tentativo di conversazione piuttosto blando.
Lorren annuì con un cenno del capo – Sì, lo credo anche io.
– Vieni – gli disse dopo un momento di silenzio, senza lasciarsi vincere dall'insicurezza di quel primo incontro – Ti mostro il tuo alloggio... la tua nuova casa – si affrettò a correggersi, rendendosi conto di avere non poche difficoltà ad interagire in maniera naturale con quell'eledhel.
Strano, si ritrovò a pensare corrucciandosi in volto. Solitamente dava miglior prova di sé.
Gli fece strada, conducendolo su per la scalinata più vicina e poi fra i pontili intagliati e gli spessi rami che conducevano in alto, nella zona adibita a dimora del popolo di Elvandar. Procedettero dapprima in silenzio e man mano che avanzavano, passo dopo passo, Aredhel si rese conto con crescente sollievo che l'impaccio andava sciogliendosi e ben presto si ritrovarono a sostenere una conversazione spigliata e dai toni leggeri. Altri elfi nell'incrociarli li salutarono con sorrisi ed educati cenni del capo, eppure anche in essi la formalità dei loro gesti non venne meno e, seppur fosse un comportamento a cui la ragazza-elfa era abituata sin da bambina, il suo subconscio non mancò di notarlo.
Scacciando quella sensazione da sé, Aredhel si ritrovò a sorridere quando una voce conosciuta li trattenne e quando entrambi si voltarono videro un'elfa dall'aspetto non più giovane e dalla corporatura più robusta della media ferma sul pianerottolo di uno degli accessi ad una delle dimore famigliari. Aveva in mano una ramazza ed il richiamo con cui li indusse ad avvicinarsi non aveva quella velata cortesia distaccata che sino a quel momento era stata loro riservata.
– Tu devi essere quello nuovo – esordì una volta che i due l'ebbero raggiunta, cordiale, rivolgendosi a Lorren – e vedo che hai individuato la nostra gemma più preziosa...
Lo sguardo furbo che l'elfa scoccò ad Aredhel la fece arrossire.
– Per favore signora, non esageri come al suo solito – cercò di ribattere quella, già pentita per la propria scelta. Per quanto trovasse piacevole il temperamento insolitamente schietto ed aperto della signora, se avessero preso un'altra via all'ultimo bivio avrebbero evitato facilmente quell'incontro che si prospettava tutt'altro che innocuo.
– Suvvia non fare quella faccia o finirai per somigliare a un pesce rosso – ribatté l'altra con quei modi amichevoli e gioviali per cui era rinomata. Aredhel la conosceva da molto tempo, sin da quando era bambina, e la considerava una sorta di eccentrica zia acquisita, e come tutte le parentele vantava pregi e difetti tutti suoi.
Restava comunque il fatto che l'aveva vista crescere e diventare la giovane elfa che era, cosa che Aredhel non poteva affatto rinnegare, nonostante il bonario rimprovero che questa amava rivolgerle di frequente. Rimprovero che comunque la diretta interessata non poteva prendere sul serio.
– Se non fosse per il tuo animo spericolato e la tua propensione alla carriera militare, avresti una fila di pretendenti davanti alla tua porta ogni mattina.
Lorren nel mentre, osservatore silenzioso e discreto come la più delicata delle brezze, aveva in volto un'espressione che tradiva dietro una piega seriosa delle labbra un guizzo oltremodo divertito negli occhi scuri e sembrava del tutto intenzionato a non perdersi un solo dettaglio di quella conversazione inaspettata.
– Mia cara signora, un giorno ringrazierà la mia propensione per la vita da soldato – rispose a quel punto Aredhel, cercando di darsi un contegno dinanzi ad occhi estranei, battendosi una mano chiusa a pugno sul petto con fare orgoglioso.
– Ne sono sicura, cara – ribatté con noncuranza l'altra elfa, prima di farsi pensierosa e dopo un istante schiarirsi all'improvviso in volto, come rianimandosi – Quasi dimenticavo! – poggiò la ramazza di fianco alla porta aperta ed entrò in casa, per uscirne meno di un minuto dopo recando con sé un un cesto intrecciato ricolmo di dolcetti elfici.
Aredhel spalancò gli occhi dalla sorpresa.
– Sarai affamato dopo il tuo viaggio fino a noi – si rivolse direttamente a Lorren, porgendogli il cestino – Non fare complimenti ed accettali come dono di Bentornato, caro.
Seppur un poco sorpreso, Lorren accettò con un sorriso – Grazie, signora.
– È un piacere... ma chiamami pure Lihara.
– Come vuole, signora Lihara – fece allora lui, mentre entrambi si congedavano con un breve inchino.
Allontanandosi Aredhel scoccò un'occhiata in tralice all'ex moredhel e non riuscì a frenarsi dallo sfoggiare un sorrisetto sghembo.
– Hai fatto colpo su Lihara, i miei complimenti. Di solito è molto gelosa dei suoi manicaretti: a me ne regala un piattino di tanto in tanto, di ritorno da una spedizione, ma a te ne ha dato addirittura un cestino!
Lorren non parve affatto scomporsi ma ricambiò la sua espressione con un'occhiata d'intesa, rispondendole a tono – Credo sia stata anche la tua compagnia a farmeli guadagnare... o sbaglio? – domandò furbescamente, ridendosela palesemente sotto quell'aria compassata.
Aredhel fece spallucce e tornò a guardare avanti a sé, senza tuttavia smettere di gongolare fra sé e sé nell'aver trovato tanta complicità in un nuovo elfo di Elvandar.
– In effetti non posso darti torto – ammise alla fine, agguantando un biscotto con un movimento improvviso e tornando a rivolgergli un mezzo sorrisetto ironico – Sapeva che non avrei resistito alla tentazione!
Doveva aver fatto un'espressione alquanto buffa perché l'ex moredhel scoppiò a ridere e lei finì per seguirlo a ruota, contagiata da tanto buonumore. Stavano ancora ridacchiando e scambiandosi battute di spirito quando giunsero davanti ad uno degli accessi della dimora elfica che era la loro meta. Questa era stata modellata in parte all'interno del grosso tronco ed in parte costruita all'esterno, con l'ausilio di lisce assi di legno finemente lavorato dalle mani dei fabbricanti di Elvandar. L'atrio e la balconata sospesa antistante sembravano in tutto e per tutto parte della maestosa pianta a cui erano fissati per colore ma anche per foggia, ed era un'arte di cui potevano vantarsi solo loro, anche grazie all'ausilio della magia insita in quel luogo.
Si fermarono entrambi sulla soglia e Lorren ebbe così occasione di guardarsi intorno, ammirando il panorama che da quell'altezza si apriva sulla città elfica e sulla foresta che ne era parte integrante ed anima.
– Elwar ne sarebbe rimasto impressionato... – commentò dopo un po' l'elfo al suo fianco, facendosi sfuggire un sospiro ed un vago sorriso malinconico a incurvargli le labbra.
Aredhel inarcò un sopracciglio, voltandosi a guardarlo.
– Chi è Elwar?
Incrociandone i profondi occhi castani l'elfa venne travolta da un mare di rimpianto e senso di perdita che le mozzarono il fiato, stringendosi in una morsa al centro del petto.
– Era il mio migliore amico.
A quella mesta replica ella serrò le labbra rosee in una piega sottile, non trovando nulla da replicare a quel dato di fatto, così si ritrovò a deviar lo sguardo argenteo in un punto indefinito oltre il parapetto, nelle varie fasce di verde e oro che tinteggiavano lo sfondo.
Pensò a come avrebbe potuto sentirsi lei al suo posto e realizzò, non senza una punta di biasimo per sé stessa e la propria precedente superficialità, che la scelta di Lorren non doveva esser stata così facile come l'aveva inconsciamente considerata. Sicuramente aveva dovuto rinunciare a qualcos'altro insieme all'influenza del Sentiero Oscuro, qualcosa a cui era legato nella sua vita precedente.
– E sono convinto – riprese a parlare Lorren all'improvviso, con un tono più leggero e sereno – che gli saresti piaciuta anche tu!
Tale affermazione ebbe il potere di far tornare quell'atmosfera carica di complicità che li aveva accompagnati da metà viaggio sino a quel momento, e fu facile per entrambi tornar a vestire quei sorrisi divertiti e spontanei.
– Ma dai! – si schernì la ragazza, arrossendo un poco e portando la sua attenzione sulla porta.
Lorren si avvicinò a sua volta, il cestino di dolcetti mezzo vuoto saldo in una mano, mentre l'altra ne pescava l'ennesimo per mangiarselo.
Aredhel lanciò un'occhiata al contenuto e strabuzzò gli occhi nel non vederne più nessuno: vuoto. Lorren teneva fra le mani l'ultimo dolcetto elfico.
Dalle labbra le uscì un gemito sommesso.
– Davvero buoni questi biscotti. La signora Lihara aveva ragione – affermò senza badar a lei il nuovo eledhel. Sembrava del tutto incurante della reazione della giovane elfa ancora ferma a fissarlo con sgomento, mentre questi era in procinto di dargli il primo morso. All'ultimo si fermò, la bocca aperta e la mano alzata, finalmente degnandola di attenzione, cosa che andò a suo vantaggio: invece di ultimare il movimento scoppiò invece a riderle in faccia, divertito un'altra volta dalla vista d'una espressione tanto eloquente.
Le palpebre d'ella a quel punto si socchiusero, riducendo gli occhi a due fessure taglienti, mentre un inquietante sorrisetto le si dipinse sulle labbra.
Intuendone le intenzioni, Lorren portò il suo bottino lontano dalla portata di lei, sollevando il braccio sopra la testa.
– Spiacente: è troppo buono per cedertelo così facilmente.
– Su, andiamo. Fa il cavaliere! – Lo incalzò lei, imbronciandosi, prima di cercare di sottrarglielo.
Fra i due iniziò una sorta di balletto costituito da saltelli e girotondi, che vedeva come premio l'ultimo dolce, fra risate e sotterfugi per ottenerne il possesso. La ragazza tentò perfino di fargli il solletico, ma ben presto quella tattica le fu rivoltata contro ed alla fine fu costretta ad arrendersi.
– Ahah! No! Ahah! Basta! Basta, hai.. ahah! Hai vinto! – riuscì finalmente a dire, fra una risata e l'altra, riuscendo così a far cessare quella tortura. Tenendosi la pancia con ambo le mani e cercando di riprendere fiato, scoccò un'occhiata in tralice all'avversario – Tieniti pure il tuo biscotto!
Lasciandola libera, Lorren le lasciò i suoi spazi per riprendersi e nel mentre divise l'oggetto della contesa a metà, prima di porgergliene una.
– Te la sei guadagnata – affermò ancora sogghignando.
Aredhel accettò, ridacchiando a sua volta, e soddisfatta infine aprì la porta.
Davanti ai loro occhi si palesò un piccolo corridoio, al termine del quale scendeva una scala che conduceva ai piani inferiori. Ai lati di esso si accedeva ad altre due stanze che erano rispettivamente il salotto e la sala da pranzo. Il tutto era finemente arredato con intagli negli stipiti e quadri raffiguranti fiori e gwali ed altri piccoli animali e tutto ciò che un elfo poteva considerare degno d'essere immortalato.
La luce era introdotta grazie a delle caratteristiche finestre a goccia e, al calar della notte, alcune luminarie naturali rischiaravano l'ambiente altrimenti tetro, emettendo una luce verde-azzurrina che contrastava coi colori predominanti, che andavano dal marrone al rosso fuoco del sole al tramonto.
Eppure, mentre Lorren a quella vista venne accolto da una sensazione di familiarità e dal pensiero irrazionale di essere giunto a casa, Aredhel non poté far altro che reprimere il vago senso di inadeguatezza ormai familiare natole nel momento esatto in cui si era ritrovata a dover muovere passo all'interno di quella dimora.
– Vivono almeno cinque famiglie per albero, qui ad Elvandar – affermò per scacciare quell'emozione dalla propria mente, accompagnando l'elfo verso quella che sarebbe stata la sua stanza – Quello da dove siamo passati era uno dei tre accessi disponibili, gli altri due sono situati più in basso e ci si arriva da vie alternative – si fermò un attimo, accorgendosi che il discorso stava diventando un po' complesso da spiegare e gli rivolse un sorriso di scuse, prima di aggiungere – Magari poi te li mostrerò. Questo dal quale siamo entrati è il più accessibile rispetto alla strada che abbiamo percorso. Le altre due invece sono meno dirette e si spostano su più livelli.
Lorren annuì, quindi la ragazza-elfa continuò, riprendendo a camminare.
– La tua stanza è più vicina a questo comunque. La mia è situata un livello sopra di questo, semmai dovessi venire a cercarmi – snocciolò brevemente – Ogni elfo ha una stanza personale, ad eccezione delle aree comuni, come quella che abbiamo attraversato poco fa.
Si fermò davanti ad una porta di legno bianco finemente intarsiato e finalmente tornò a voltarsi a guardare il suo compagno, donandogli un nuovo sorriso amichevole.
– Ecco: questa è la tua stanza.
Lorren annuì, ricambiandola – Grazie Aredhel.
– Se hai bisogno di qualcosa fammi sapere – ribatté lei di rimando, prima di accennare ad allontanarsi – L'addestramento mi aspetta, ma... ci vediamo, d'accordo?
Lorren annuì ancora una volta, poi Aredhel gli voltò le spalle e lo lasciò a quella nuova vita.
Ancora non sapeva che quell'incontro non era altro che il preludio di una serie di eventi che avrebbero stravolto la sua, di vita.




continua...


Ehi eccomi qui!
Finalmente un po' di tempo per aggiornare la storia! Mi spiace averci messo così tanto ma sono stata costretta a posticipare la pubblicazione di questo primo vero capitolo a causa di impegni universitari.. e poi era estate, molto probabilmente è stato meglio così!
Non mi dilungherò oggi, spero solo che questo pezzo valga la pena di qualche piccola recensione o faccia anche solo sorridere qualcuno come ha fatto sorridere me nello scriverlo. Sperando di aver reso giustizia ai personaggi coinvolti, vi lascio! Alla prossima puntata capitolo!

Kaiy-chan

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Capitolo 3
*** Ambush ***






3. Ambush


Tutto ciò non lo convinceva per niente.
Da tre giorni erano partiti alla volta del Nord per unirsi all'esercito di Murmandamus, ma Elwar non riusciva a scacciare la sensazione che ci fosse qualcosa di strano, qualcosa di sbagliato: il suo naturale scetticismo non voleva saperne di star tranquillo.
Fin dall'inizio le incognite erano state molte, lui era sempre stato un tipo particolarmente diffidente per uno della sua stirpe e quella storia di Murmandamus non s'era dimostrata un'eccezione. I punti oscuri erano troppi perché nel suo animo si votasse ad una causa talmente megalomane quanto rischiosa quale era quella del Signore Oscuro. Tuttavia, non era certo lui il capoclan, né poteva far qualcosa riguardo l'opinione dei suoi compagni, pertanto non gli rimaneva altra scelta se non obbedire e fare il suo dovere.
Per non dire che sarebbe stata una follia mettersi contro Murmandamus, soprattutto per un infimo sentimento di miscredenza.
Stavano attraversando il letto di un torrente per mezzo di un tronco quando, con aria terribilmente concitata, un esploratore tornò di corsa da loro, fermandosi a parlare a mezza voce col capoclan.
– Accidenti.. non ci voleva! – borbottò questi digrignando i denti, per poi rivolgersi a tutti gli altri – Nani stanno pattugliando il sentiero a poca distanza dalla nostra posizione: dobbiamo trovare un nuovo passo fra le rocce. E in fretta.
Nessuno fece domande o si sorprese per la novità e subito due esploratori tornarono indietro, lungo il sentiero, per trovare un'altra strada ed aggirare quel nuovo problema seguiti dai compagni a cavallo.
A quella notizia Elwar si incupì in volto.
Nani... phua!
Sputò nell'acqua cristallina per togliersi il sapore amaro che gli era salito in bocca; detestava i nani ed al solo pensiero gli si chiudeva la bocca dello stomaco per ore. Nel bel mezzo di quella piccola considerazione tuttavia, fu assalito da una nuova ed inquietante sensazione, e guardandosi intorno all'improvviso si rese conto di quanto fosse silenziosa la montagna. Era come se la terra stessa stesse trattenendo il respiro.
Due pareti di roccia nuda e segnata dalle intemperie svettavano ai lati del sentiero e gettavano lunghe ombre lungo il percorso, tali da fargli nscere un pensiero nella mente: È il posto ideale per un'imboscata.
Quell'idea ebbe il potere di smorzargli il respiro ed il sospetto nacque e si ingigantì nella sua anima, facendogli tendere ogni muscolo. Rimase in ascolto e notò come nessuno dei suoni della natura raggiungeva più le sue orecchie: né un richiamo lontano o il più piccolo cinguettio sovrastavano il cadenzato scalpitio di zoccoli.
Inoltrandosi dietro ai suoi compagni in quella sorta di basso crepaccio, Elwar avvertì l'inquietudine serrargli in una morsa la bocca dello stomaco, ma si sforzò di mantenere calma e sangue freddo: non era l'unico moredhel presente e nemmeno poteva dirsi il più abile fra i suoi confratelli, sebbene non si contassero ché sulle dita di una mano coloro che avrebbero potuto vantare la loro supremazia in uno scontro. Sicuramente ognuno di loro era in allerta ed il loro capoclan più di tutti doveva esser sicuro della strada intrapresa. Scoccando un'occhiata di sottecchi agli altri, non si sorprese quindi della tensione che scorse sui loro lineamenti.
Tuttavia continuarono ad avanzare senza intoppi né il più piccolo segno di pericolo, uscendo uno ad uno da quella stretta gola in un tratto di sentiero più ampio e meno soffocante, il silenzio interrotto solo dal rumore degli zoccoli dei loro cavalli riecheggiante sulle rocce. Elwar, dopo aver adocchiato la pendenza quasi a picco del versante alla loro destra, era ormai pronto a tirare un sospiro di sollievo quando le sue più nere aspettative vennero esaudite: schiocchi ed un sibilo di ghiaia smossa lo fecero sussultare e sollevar lo sguardo appena in tempo per vedere la frana riversarsi nella gola appena superata.
Il grido di allarme riecheggiò in contemporanea a quello d'attacco dei nani, che balzarono fuori dai loro nascondigli lungo la parete rocciosa, riversandosi giù dal versante con le armi spianate a reclamare il loro sangue.
Elwar, senza più indugiare, si affrettò a sguainare la propria spada, pronto ad affrontare quella minaccia incombente, ma un secco comando del loro capo li indusse a cercare di fuggire. Il moro non fu il primo a tentare di seguirne l'esempio ma chi lo anticipò non fece molta strada.
Grida echeggiarono per il passo tutt'intorno a lui e gli fecero capire che ogni via di fuga, avanti come dietro di loro, era ormai bloccata. Digrignando i denti in una smorfia di furore, Elwar serrò la presa sull'impugnatura della propria lama e lasciò divampare dentro di sé l'odio verso il loro nemico, traendone intimo rinvigorimento ed una muta determinazione. Anche in superiorità numerica, ogni nano di quella stramaledetta montagna avrebbe pagato cara la decisione di mettersi contro di loro.
Con furore abbatté il primo assalitore ed a colpi di spada tentò di aprirsi un varco in quello che ormai era divenuto il caos più completo. Sangue scarlatto andò presto ad impregnare la polvere sotto stivali e zoccoli, e nitriti di dolore si mescolarono alle grida di elfi e nani. Forse fu la situazione disperata a spronarlo, oppure l'ebrezza dello scontro e del sangue versato, ma Elwar per una manciata di istanti riuscì nel suo intento e, cogliendo l'attimo, spronò il proprio cavallo a far un balzo in avanti.
Tuttavia non fu abbastanza rapido: l'animale nitrì di dolore a un passo dalla salvezza e cadde, abbattuto dal filo di un'azza nanica.
Elwar venne sbalzato in avanti finendo a rotolare nella polvere ed evitando per miracolo un fendente nemico diretto al suo collo. Quando l'attimo dopo balzò nuovamente in piedi, si ritrovò di fronte un nuovo nemico e non esitò a scagliarcisi contro. Le armi cozzarono ancora in un clangore metallico che si mescolò alla cacofonia dell'ambiente circostante ed il disprezzo aleggiò a pari merito sui volti di entrambi i nemici. Elwar, dopo una fase di stallo, riuscì ad avere la meglio ed abbatté rapidamente il suo avversario, ma l'attimo seguente, il fiato corto ed i muscoli doloranti per la botta col terreno, sentì ogni speranza di vittoria svanire quando ebbe modo di lanciare uno sguardo alla situazione: i suoi compagni, nonostante l'accanimento, stavano venendo decimati.
Comprese con agghiacciante nitidezza di non avere alcuna possibilità, eppure nel riprendere a combattere non sottrasse potenza ai propri colpi, né la sua fermezza vacillò, e continuò a battersi come una furia, non permettendo a sé stesso nemmeno per un secondo d'arrendersi.
Se così doveva finire, se ne sarebbe andato con l'orgoglio di aver lottato sino al suo ultimo respiro.
Incalzato dal nemico fu costretto ad indietreggiare, finché ad un certo punto il suo tallone poggiò nel vuoto, sbilanciandolo. Totalmente spiazzato, fece appena in tempo a scoccare un'occhiata alle proprie spalle prima che la scarpata sulla sommità della quale era finito lo reclamasse con sottili dita d'acciaio.
Il respiro gli si smorzò in gola ed un attimo dopo il mondo intorno a lui si capovolse: iniziò a rotolare giù, incapace di trovare un appiglio a cui aggrapparsi per frenare la caduta e quando infine raggiunse il fondo le acque fredde e tumultuose di un torrente di montagna si richiusero su di lui. Le rapide lo trascinarono via e gli fecero perdere la presa sulla propria spada, così Elwar venne sballottato dalla corrente per un buon tratto prima di riuscire a risalire in superficie e riempire i polmoni in fiamme. Fu un breve momento di sollievo perché subito dopo i frangenti lo riportarono sotto, costringendolo a lottare con tutte le proprie forze per non farsi dominare dai turbinii della corrente. Con il rombo del fiume a riempirgli le orecchie ed i polmoni a reclamare aria sempre più disperatamente venne trascinato verso valle, riuscendo sporadicamente a prendere una o due boccate d'aria prima di venir di nuovo sommerso.
Il moredhel lottò strenuamente per la propria vita contro le forze della natura e quando l'andamento delle rapide si attenuò, permettendogli di restare finalmente a galla, avvertì il panico che gli aveva torto le viscere sino a quel momento attenuarsi in favore di una punta di sollievo. Nonostante l'acqua lo accecasse ancora e fosse a malapena in grado di tenersi a galla, il peggio sembrava passato.
Non fece nemmeno in tempo a pensarlo che alle orecchie gli giunse, al di sotto del fragore delle onde, un rumore più cupo e diffuso che con il trascorrere del tempo si fece sempre più forte, mutandosi ben presto in un rombo sempre più distinto ed apparentemente proveniente dalle fondamenta della terra stessa.
Non gli ci volle molto per intuirne la natura e nel momento in cui la risposta gli balenò alla mente, la paura tornò a minacciare di soffocarlo e gli immobilizzò ogni muscolo, cosicché finì per tornare con la testa sott'acqua per una manciata di secondi.
Una cascata!
Riemergendo e tossendo, riuscì finalmente a scorgerne il bordo davanti a lui di poche decine di metri ed il terrore puro lo assalì per la prima volta in vita sua, più micidiale di qualsiasi altra emozione di timore provata sino a quel momento e seppe d'istinto di essere spacciato.
Così se ne sarebbe andato: senza la gloria di una morte avvenuta in battaglia.
Quando giunse il momento del salto nel vuoto, il fragore della cascata coprì l'urlo che gli sgorgò dal fondo della gola ed Elwar chiuse strettamente gli occhi di fronte al mondo che gli andava incontro ad velocità vertiginosa.
Poi gelo e buio lo inghiottirono.

***

– Che effetto fa essere un moredhel?
La domanda di Aredhel per Lorren fu talmente inattesa da fargli perdere l'equilibrio e l'eledhel cadde rovinosamente sul terreno fitto di cespugli di quella parte di sottobosco. Lei lo raggiunse un attimo dopo, trafelata.
– Stai bene? – gli chiese, aiutandolo ad alzarsi, mortificata – Mi dispiace molto.
– No... non fa nulla. Non preoccuparti – ribatté lui tirandosi in piedi e rivolgendole un sorriso di rassicurazione – È che... be', non me l'aspettavo – affermò solo, portandosi la mano destra a sfregarsi il collo.
Era trascorso un po' di tempo dal Ritorno di Lorren e lui ed Aredhel avevano finito per fare coppia fissa in molti degli incarichi assegnati. Il tempo trascorso insieme aveva permesso loro di conoscersi meglio ed il legame che ne era nato aveva ben presto preso forma in quella che s'era rivelata una solida e spensierata amicizia.
Quel giorno entrambi erano stati inviati da Varsel in avanscoperta lungo i confini di Elvandar, con il compito di appurare se davvero vi fosse stato un cambiamento della situazione nei territori contesi con i pochi clan di Fratelli Oscuri che popolavano il territorio.
Ormai s'erano avventurati per un buon tratto nel sottobosco comunemente definito “terra di nessuno” e si erano persino imbattuti nei resti di un accampamento apparentemente abbandonato. Lorren non aveva detto molto se non che il clan che l'aveva allestito doveva essersi spostato altrove, presumibilmente verso le montagne, ma Aredhel aveva scacciato la sensazione di incompletezza che le aveva dato il fare del compagno di ronda: se c'erano abitudini abbastanza radicate in lui da metterlo in difficoltà sul divulgare certe informazioni, gli avrebbe dato tutto il tempo che gli serviva per venire a patti con sé stesso e la propria natura.
Avevano pertanto continuato la perlustrazione, procedendo per lo più d'albero in albero finché la foresta lo aveva permesso. Era da poco più di mezz'ora che avevano preso a spostarsi via terra.
– Se non vuoi parlarne non intendo insistere: non era importante – riprese Aredhel, tentando di toglierlo d'imbarazzo.
– No, no – egli scosse la testa in segno di diniego senza apparirle turbato, nonostante la sua reazione iniziale – Non è un male il desiderio di conoscere. Dimmi pure cosa vuoi sapere.
Entrambi gli elfi si fermarono e scelsero di fare una pausa, sedendosi ai piedi d'una grossa quercia secolare. I grandi rami sopra le loro teste proiettavano una vasta ombra sul sottobosco e le foglie stormirono gentilmente, mosse dalla brezza di un'estate che sembrava restia a concludersi; era un vento tiepido che staccò qualche foglia e che tuttavia portò con sé l'odore tipico delle piogge autunnali.
Aredhel rimase inizialmente in silenzio, prendendosi il tempo necessario per formulare correttamente la prima domanda.
– Che.. cosa c'è di diverso fra eledhel e moredhel? – chiese infine, per poi correggersi inevitabilmente ed aggiungere – Cioè.. quali differenze hai notato tu, come esperienza personale?
Lorren si concesse un secondo di riflessione – Per prima cosa, – esordì – l'ordine.
Aredhel sorrise, un po' incredula ma divertita da quell'affermazione.
– Sì, te lo assicuro – ribatté, anch'egli ridacchiando, notando la sua espressione – In un villaggio moredhel la locazione delle capanne è disposta secondo logica ma mai ordinata, non nel vero senso della parola, e per la verità anche il loro comportamento rispecchia perfettamente questo stile di vita – sembrava venirgli incredibilmente facile riferirsi a coloro che un tempo doveva aver chiamato compagni come estranei, ma ella ebbe l'accortezza di tener quel pensiero per sé, ascoltandone le parole a seguire – I moredhel sono un popolo principalmente migratore, non si fermano quasi mai nello stesso luogo per più di una stagione, anche a causa delle rivalità fra clan. Una cosa che mi ha fatto riflettere è la sincronia dei movimenti dei soldati che mi hanno scortato sino ad Elvandar – rivolse alla ragazza con espressione interrogativa – Sono tutti così?
Aredhel, che fino a poco prima lo osservava attenta a ogni sua parola, dovette frenare una risata nell'annuire, seppur faticando a comprenderne la domanda – Sì, credo di sì.
Per lei era una cosa del tutto normale e non aveva avuto altri termini di paragone, perciò non aveva idea di come fossero coordinazione e disciplina militare al di fuori di Elvandar. Eppure, rammentò, c'erano state delle volte in cui una parte di lei aveva pensato, vedendo un drappello di soldati attraversarle la strada, a quanto somigliassero ad una sola entità talmente erano compatti ed in sincronia fra loro e la natura circostante. E sempre quella parte di lei aveva provato una punta di estraneità che solo la sua cocciutaggine aveva soppresso.
Lorren le fece cenno di procedere con un movimento del capo, così Aredhel diede voce alla seconda domanda.
– C'è una cosa che mi sono sempre chiesta – esordì con una certa esitazione che non sfuggì al suo interlocutore – Se davvero il Sentiero Oscuro li porta a disprezzare e rifiutare tutti gli altri, fra di loro come sono i rapporti? Sono in grado di provare altri.. sentimenti? Ad esempio fra maschio e femmina.
Quella domanda lasciò interdetto l'elfo, che rimase a guardarla per alcuni secondi con espressione perplessa.
– Come mai ti interessa?
Aredhel esitò un istante, prima di accennare ad una breve alzata di spalle.
– È che gli Anziani hanno sempre detto che a causa dell'influsso del Sentiero Oscuro, i moredhel non riescono a provare e comprendere cosa siano l'amore ed il rispetto per la vita, ma forse... forse non è così. Insomma, magari sono in grado di provare qualsiasi tipo di sentimento ma hanno un modo diverso di dimostrarlo.
– Be'... la società moredhel è basata sul rispetto reciproco e sul riconoscimento del valore individuale ed i sentimenti benevoli per lo più vengono considerati una debolezza, ma non sono impossibilitati a provarli. Chi non svolge delle mansioni, non aiuta la comunità e si rivela un incapace anche a combattere, alla fine viene allontanato. Non vi sono grosse distinzioni fra maschi o femmine in questo caso e non vi è magnanimità verso i più deboli. Quando i bambini sono abbastanza grandi da poter impugnare una spada corta si inizia ad istruirli all'uso delle armi.
– Anche le femmine? – lo interruppe lei.
Lorren scosse il capo – Non nel clan in cui sono cresciuto. Alle femmine moredhel vengono riservati altri compiti come cacciare, cucinare, badare ai bambini e altre cose di natura più ordinaria. Per lo più restano tutte all'insediamento e il più delle volte non viene loro permesso nemmeno di accompagnare i guerrieri nelle loro spedizioni più lunghe, ma anche se così non sembra hanno un'importanza fondamentale nel loro contributo alla collettività che ogni moredhel non può non riconoscere loro.
A quelle parole seguì un breve periodo di silenzio, prima che Aredhel dopo aver riflettuto su quelle informazioni lo interrompesse un'altra volta.
– Possono scegliersi il proprio compagno?
– Sì. Ognuna ha il diritto di accettare la corte di un uomo o di rifiutarla secondo i suoi desideri, ma credo che alcune si concedano con troppa facilità ed in genere i maschi sono soggetti estremamente possessivi ed orgogliosi per ammettere di non avere l'ultima parola in merito. Quando un moredhel però sceglie la sua compagna è per la vita e se ella si concede ad un altro è legittimo per il compagno tradito lavare l'onta col sangue di entrambi. Non esiste il perdono per nessun tipo di tradimento e perdonare un torto è già di per sé considerato come un segno di debolezza.
Aredhel inarcò un sopracciglio a quelle parole, serrando le labbra in una linea piatta e tesa, mentre le implicazioni di quelle affermazioni le inondarono la mente. Lei stessa non tollerava molto bene azioni quali il tradimento, ma il pensiero d'una tale reazione sanguinaria le fece salire un brivido freddo lungo la spina dorsale.
Fu sul punto di aprire di nuovo bocca ed aggiungere qualcos'altro quando tuttavia si bloccò sul nascere, risvegliata all'ambiente circostante da un fioco rumore giuntole alle orecchie a punta. Si mise meccanicamente in ascolto, le orecchie tese a captare il più piccolo suono, ed al pari di lei anche Lorren si irrigidì, guardandosi attorno con espressione tesa.
Il silenzio calato intorno a loro venne nuovamente infranto da un altro rumore sommesso, simile ad un fruscio, ed entrambi a quel messaggio implicito si alzarono immediatamente in piedi mettendo mano alle armi e ponendosi schiena contro schiena, sondando la selva intorno a loro.
I minuti si susseguirono lenti in quell'immobilità, ogni muscolo rigido per la tensione del momento ed ogni senso volto a cogliere il minimo accenno di cambiamento nella situazione in cui erano piombati. Dopo una decina di minuti, lentamente, la tensione nei loro muscoli prese a calare ed i due si scambiarono uno sguardo interrogativo.
– Sarà stato un leprotto... – ipotizzò Aredhel, ma era palese il fatto che non ne fosse per niente convinta perché nessun animale si sarebbe avvicinato tanto a loro, ed anche Lorren doveva esserne consapevole.
Poi un'ombra si mosse nel sottobosco, seguita da un altro rumore che l'elfa questa volta identificò come lo schiocco di un rametto che si spezza. A quel punto l'evidenza della situazione le fu chiara e, puntando nuovamente gli occhi nel sottobosco di fronte a sé impallidì.
Siamo circondati!
Quel pensiero le attraversò la mente come una scarica elettrica e di scatto girò il capo alla ricerca dello sguardo dell'amico, solo per leggere in esso una conferma ai suoi più tetri timori. S'erano distratti, erano stati incauti, ed ora erano nei guai.
Dal folto si fece avanti il primo dei loro assalitori, un Fratello Oscuro dai lunghi capelli neri raccolti in una treccia e l'espressione tronfia di chi ha messo in trappola una ghiotta preda. Incrociandone gli occhi scuri, Aredhel si sentì alla stregua di un cervo e dovette deglutire per far sparire il nodo che le si era legato in fondo alla gola quando altri moredhel seguirono l'esempio del primo e si disposero tutt'intorno a loro.
– Corvi – mormorò Lorren con una nota di astio nella voce.
Aredhel gli scoccò un'occhiata confusa da sopra la spalla, in tempo per notarne l'espressione tesa e corrucciata, quasi rabbiosa seppur contenuta, prova di un'avversità radicata nel tempo.
– Cosa?
– Un clan in conflitto con quello al quale appartenevo – spiegò allora lui, senza smettere di tenere d'occhio i nemici – ..una cosa positiva è che fanno prigioniere le donne.
– E di te che ne sarà? – lo incalzò allora, allarmata.
In risposta lui le sorrise appena – Non temere... mi batterò fino all'ultimo.
E poi, come a suggellare l'ineluttabilità di quelle parole, lo scontro ebbe inizio.
Aredhel, già in posizione di difesa, affrontò il suo primo avversario in un cozzar di lame e il mondo intorno a lei ridusse drasticamente la sua prospettiva. L'adrenalina in circolo le alterò le percezioni come non le era mai accaduto prima, alimentata dalla paura istintiva dovuta al suo primo scontro con un Fratello Oscuro. Incrociando gli occhi carichi di disprezzo del suo nemico, per ella fu come se improvvisamente tutto il resto perdesse nitidezza in favore dello scontro in atto e fu come se non vi fosse più nient'altro, soltanto loro, eledhel e moredhel, faccia a faccia.
Solo un attimo e la ragazza, grazie al duro allenamento a cui l'avevano sottoposta in quegli anni suo padre e suo fratello, trovò una breccia nella difesa avversaria e vi affondò con la lama, trapassando l'elfo da parte a parte, ma non ebbe che un istante di respiro prima che questi venisse subito rimpiazzato da un compagno.
Il risultato si ripeté immutato ed anche il secondo in poco tempo finì per ricadere a terra, gravemente ferito, ma a quel punto la ragazza-elfa si ritrovò ad affrontare due avversari contemporaneamente. Questi la presero dai due lati ed iniziarono ad incalzarla con attacchi sincroni, costringendola a parare ed indietreggiare, senza riuscire a contrattaccare in alcun modo. Non le concessero alcuna tregua ma, ancor prima che iniziasse ad accusare la stanchezza un terzo avversario si intromise, assalendola alle spalle.
Aredhel venne ferita di striscio al fianco destro e si ritrovò a digrignare i denti in una smorfia di dolore, ma con la forza della disperazione tentò un contrattacco, invano. Le spade cozzarono ed il suo disperato tentativo di avere la meglio fu parato con successo.
– Aredhel! – la voce di Lorren la raggiunse, sopra il clangore del metallo.
– Vattene Lorren! Va' via! – gli gridò lei alla cieca, schivando l'ennesimo assalto.
– Ma non posso lasciarti qui!
La ragazza si spostò leggermente, in modo da poterlo vedere senza abbassare la guardia e riuscì a scorgerlo oltre le spalle dei tre elfi che l'avevano stretta all'angolo, accerchiandola.
– Devi! Lo hai detto tu che non mi uccideranno. Se resterai, morirai per nulla e nessuno potrà avvertire gli altri di ciò che è accaduto!
– Ma... – tentò un'ultima volta lui; i loro occhi si incrociarono e ogni sua obiezione gli morì in gola. Lo vide distogliere lo sguardo dal suo e l'afflizione che gli lesse in volto era quasi tangibile – D'accordo. Ma tornerò per liberarti! – esclamò alla fine questi, respingendo un altro attacco del suo avversario e retrocedendo verso il bosco.
Aredhel non riuscì più a seguirne le movenze, riportata con l'attenzione al proprio scontro da un movimento simultaneo dei tre moredhel. Ne parò i tre colpi incrociati che, fendendo l'aria, sibilarono minacciosi sino a fermarsi ad un palmo dal suo stesso capo. La forza dell'attacco la costrinse in ginocchio e lei si lasciò sfuggire un gemito a causa di una fitta proveniente dal fianco ferito.
Fu a quel punto che uno di quelli scavalcò la sua difesa e le sferrò un pugno dritto nello stomaco. L'eledhel boccheggiò alla ricerca d'aria e si piegò in avanti, annaspando per reagire in qualche modo, ma i moredhel furono più rapidi di lei. Il forte dolore alla nuca che seguì le fece perdere la cognizione di sé stessa e l'oscurità calò su di lei.
Perse i sensi ancor prima di toccare terra.




continua...


Ciao a tutti!
Ok, i primi due capitoli erano un po' un unico prologo, gli eventi iniziano a muoversi solo da questo capitolo in poi, quindi posso capire come mai fin'ora le cose siano risultate un po' piatte.. ma comunque vi assicuro che da qui in avanti si farà tutto più interessante! *-* restate con me!!
Volevo ringraziare chi ha inserito questa storia fra le seguite <3 e vi invito a lasciarmi un parere quando volete.
Nel mentre vi saluto!!

Kaiy-chan

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Capitolo 4
*** Impossible escape ***






4. Impossible escape



Quando l'incoscienza iniziò a ritirarsi, per Elwar fu come risvegliarsi dalla propria tomba.
Non seppe stabilire nemmeno in seguito per quanto tempo era rimasto privo di sensi ma quando ciò avvenne il primo messaggio che gli trasmise il suo corpo dolorante fu un fastidioso indolenzimento alla schiena, così come a gran parte dei suoi muscoli, e la percezione di un letto di ciottoli decisamente scomodi sotto di sé, tanto da rendergli un supplizio ogni respiro dei polmoni in fiamme.
In quell'iniziale ed assoluta immobilità dovuta ad uno stordimento pressoché assoluto gli ci volle una manciata di secondi per rendersi conto d'esser vivo e poi, mentre tentava di lottare contro l'apatia che gli offuscava la mente, iniziò a distinguere qualcuno dei suoni dell'ambiente circostante. Si fece spazio nella sua coscienza un rumore sordo, costante, pari ad uno scroscio fragoroso dapprima lontano e indistinto e poi sempre più forte al suo fine udito. Fu il rumore della cascata a poche decine di metri di distanza a scacciare gran parte del suo stordimento, un attimo prima che una serie di immagini mentali gli invadessero la mente.
L'imboscata!
Elwar aprì di scatto gli occhi, trovandosi a combattere contro la luce che gli ferì le pupille e la pesantezza delle membra mentre, con uno scatto, si sollevava a sedere, pervaso da un'unica potente emozione: l'incredulità dopotutto d'essere ancora vivo. Boccheggiando, fece appena in tempo a raddrizzare la schiena che un'altra acuta fitta di dolore gli trapassò il cranio, facendolo gemere e costringendolo a portarsi una mano alle tempie.
Quando la ritrasse, riconobbe immediatamente il sangue sulle proprie dita.
Senza scomporsi né rimanerne sorpreso, distolse allora lo sguardo e si guardò brevemente attorno per cercare di stimare la propria posizione. Era più a valle di un buon centinaio di metri dal punto in cui era precipitato ed aguzzando la vista, nonostante il mal di testa, distinse senza problemi il punto in cui il dislivello del terreno roccioso dava vita a quel salto terrificante.
Era stato fortunato oltre ogni dire ad uscirne vivo.
Poi i suoi occhi si focalizzarono su un riflesso poco distante presso la riva del fiume e, dopo un paio di minuti impiegati a rimettersi in piedi e ritrovare una certa stabilità sulle gambe, raggiunse quel punto solo per chinarsi a raccogliere quella che si rivelò essere la sua spada.
Che strana fortuna.
Perplesso, Elwar tornò a guardarsi attorno, sentendosi quasi sopraffatto dalla sua stessa incredulità per tutta quella buona sorte. Gli ci volle un'altra manciata di secondi per ritrovare la propria abituale freddezza ed ipotizzare con un distacco autoimposto come fosse stata la stessa corrente a spinger lui e la sua spada sin lì. Non si fece altre domande in merito e, dopo essersi assicurato che non avesse subito danni, la rinfoderò prima di uscire totalmente dall'acqua fredda.
Quando i suoi stivali calcarono nuovamente il terreno solido si diresse con passo incespicante verso est, seguendo il corso del fiume: doveva assolutamente capire dove era finito. Fu dopo un altro paio di centinaia di metri di cammino che colse il rumore di un altro corso d'acqua ed avanzando non dovette far molta strada per scorgere il fiume ben più imponente che attraversava la piana: il Crydee.
Fermandosi sulle rive di quest'ultimo nel punto in cui l'affluente affluiva ad arricchire le acque del fiume principale, facendo mente locale riuscì a stimare di trovarsi non troppo lontano dalle colline dello Yabon ed a nord-ovest delle foreste di Elvandar: a pressapoco quattro di giorni di cammino, nel suo attuale stato.
Ed anche gli ultimi strascichi di stupore per la sua buona sorte sfumarono completamente dal suo animo: Elvandar voleva dire eledhel ed eledhel voleva dire soltanto guai, seppure non fossero così vicini da costituire una seria minaccia.
Giudicando poco prudente attardarsi allo scoperto, entrò al riparo di un piccolo boschetto.
Non voleva correre il rischio di imbattersi in qualche pattuglia di sorveglianza dei confini del territorio Hadati, situato in un punto imprecisato oltre le colline ad est, anche se normalmente non se ne sarebbe curato: al confronto coi nani, i cavalieri delle colline dello Yabon erano contadini con in mano dei bastoni.
Starnutì sommessamente a causa di una folata di vento che gli rammentò d'essere completamente fradicio e si mise meccanicamente alla ricerca dell'occorrente per accendere un fuoco. Dopo che vi fu riuscito, non senza qualche difficoltà dovuta al tremore delle mani ancora intirizzite dal freddo, depositò accanto al focolare ciò che del proprio equipaggiamento poteva togliersi di dosso prima di sedervisi di fronte. Non dovette attendere molto prima che le fiammelle guizzanti lambissero col loro calore la sua figura, ma quel tepore ebbe anche un altro effetto: quello di risvegliare il suo stomaco. Ben presto i languori della fame divennero talmente insistenti da costringerlo a mettersi alla ricerca di un pasto e fortuna volle che di lì a poco riuscì a imbattersi nella tana di una lepre protetta da alcuni cespugli di bacche. Non gli occorse altro.
Si appostò in attesa, con la pazienza dell'esperto cacciatore quale era, finché non giunse l'occasione che aspettava. Con un colpo secco del suo pugnale da caccia abbatté un giovane maschio dal pelo fulvo e dopo averne appeso il corpicino ad un ramo a dissanguare raccolse anche qualche bacca da quel cespuglietto rigoglioso, senza curarsi del sangue e della polvere che gli era finito su braccia e mani.
Fu quando tornò accanto alle braci del suo fuocherello che, avvertendo la sensazione fastidiosa del sangue che gli si stava seccando sulla pelle, sfoggiò una smorfia nel guardarsi. Se avessero potuto vederlo i suoi confratelli lo avrebbero di certo preso in giro per il modo in cui era riuscito a ridursi. Preda di quel pensiero istintivo fece per ripulirsi, ma si bloccò con ancora la casacca umida a mezz'aria.
Che stava facendo?
La sua guida, i suoi compagni, coloro per cui si era sempre battuto ed adeguato ad un determinato stile di vita non c'erano più: nessuno gli avrebbe rimproverato il suo stato.
Le braccia gli ricaddero lungo i fianchi, improvvisamente prive di energia, e con un'ombra a calargli sul volto abbronzato si lasciò scivolare di nuovo seduto dinanzi al focolare ancora acceso. Gli ci volle una manciata di minuti per decidersi a riprendere da dove s'era fermato, spinto più dai morsi della fame che da altro, e quando si mise a pulire il suo pranzo i suoi gesti potevano dirsi quelli di un automa.
Per tutto il tempo, un solo interrogativo ad echeggiargli nella mente.
E adesso?

***

Aredhel riprese lentamente coscienza, stimolata dal buon profumino di selvaggina che permeava l'aria. Lentamente e con una difficoltà mai provata prima aprì gli occhi, riuscendo dopo un paio di battiti di ciglia a focalizzare lo sguardo sul fuoco posto al centro di quello che era in tutto per tutto un accampamento.
Un accampamento moredhel.
I ricordi dell'accaduto le inondarono la mente e lei in risposta si irrigidì, assalita da un'inquietudine talmente intensa da essere sul punto di sfociare in terrore. Eppure l'istante seguente ogni cosa venne stroncata da una fitta di dolore che come una scarica elettrica le invase la mente, rammentandole con estrema brutalità le sue condizioni di prigioniera ferita. Dovette imporsi di tornare a respirare con regolarità e cautela, non riuscendo a non digrignare i denti per lo sforzo, prima di tentare di guardarsi nuovamente intorno.
Accanto al focolare un Fratello Oscuro stava tenendo d'occhio la cottura di un grosso animale; doveva trattarsi di uno dei moredhel che aveva ferito, a giudicare dalla fasciatura al fianco che spiccava sotto le sue vesti scure.
L'istante successivo a quei pensieri si rese effettivamente conto che la sua visione del mondo era ribaltata e comprese di trovarsi riversa sulla nuda terra, la sensibilità degli altri arti quasi nulla e le braccia bloccate dietro la schiena e legate ad altezza dei polsi. E come se non bastasse, un pezzo di stoffa le era stato rudemente legato sulla bocca come un bavaglio, rendendole più difficoltoso respirare.
– Amras – una voce aspra, quasi sgradevole, la distolse dal sommario rapporto delle proprie condizioni fisiche e nel suo campo visivo comparvero un paio di stivali in avvicinamento – Si è ripresa.
Spostando leggermente il capo, l'elfa riuscì ad inquadrare il volto del nuovo elfo nel proprio campo visivo. Aveva un'espressione austera che non faceva altro che renderne più duri i lineamenti naturalmente fini, ma qualcosa al limitare della sua consapevolezza le insinuò la sensazione di non vederlo per la prima volta. Doveva essere il capo.
Gli bastò un cenno e l'istante seguente un paio di mani l'afferrarono senza grazia per le braccia, sollevandola a sedere e tenendola al contempo ferma con presa ferrea. Quel cambiamento repentino e l'indelicatezza usatale le procurarono una nuova scarica di dolore dal fianco e per una manciata di secondi mille scintille le danzarono davanti agli occhi. Serrando le palpebre attese con una smorfia insofferente che quel momento passasse, di modo che la vista le si schiarisse nuovamente, prima di azzardarsi a rivolgere una nuova occhiata ai suoi carcerieri.
La freddezza che colse negli sguardi altrui, mista a scherno e odio per nulla celati, furono per lei come una serie di stilettate dritte al petto che minacciarono di farla vacillare, ma un orgoglio insperato, antico e prepotente, le impedì di abbassare il capo.
Nel silenzio a seguire venne liberata del bavaglio e fatta bere, ma terminati i pochi sorsi che le inumidirono la gola riarsa la lasciarono ricadere distesa nella polvere in malo modo. L'impatto le svuotò i polmoni con un gemito strozzato ed Aredhel rimase immobile nel tentativo di riprendere fiato, cogliendo nel mentre il sibilo di qualche risatina malevola. Poi i Fratelli Oscuri non la degnarono d'altra considerazione e se ne andarono a sedersi accanto al fuoco scoppiettante, dandole le spalle e tradendo quanta poca importanza le dessero persino come prigioniera.
Doveva esser quella considerazione che veniva rivolta agli eledhel come lei: una creatura infima e inutile, tanto inferiore da non dover nemmeno essere sorvegliata.
Di nuovo quell'orgoglio che le aveva impedito di soccombere sotto gli sguardi altrui le si agitò in petto, risvegliando in lei una sensazione ribollente ed amara senza nome, qualcosa che non aveva mai provato in precedenza e che si mescolò ad un'avversione nuova ed istintiva per quei Fratelli Oscuri. Qualcosa che le impedì di lasciarsi andare allo sconforto della sua situazione.
Lasciata sola, raccogliendo come poté le poche forze di cui ancor giovava nonostante l'accaduto, riprese da dov'era stata interrotta con un più accurato esame sulle proprie condizioni fisiche. Mosse piano le dita cercando di riattivare la circolazione, digrignando i denti per il dolore. Quindi, resistendo al meglio alle fitte che ad ogni minimo movimento le attanagliavano le viscere, tentò di ravvicinare le gambe al ventre con lo scopo di rialzarsi, ma stavolta senza successo: quando ci provò il bruciore nel punto in cui era stata ferita tornò a ravvivarsi, divampando all'improvviso e riempiendola di brividi di freddo che le tolsero le poche forze che aveva raccolto sino a quel momento.
Fu a quel punto che si rese conto delle reali condizioni in cui vigeva.
Quel che aveva inizialmente supposto trattarsi di un taglio superficiale doveva essersi aggravato durante la sua incoscienza, infiammandosi a causa della mancanza di cure adeguate. Serrando i denti tentò di rannicchiarsi maggiormente e con uno sforzo dei muscoli riuscì ad esaminare visivamente il proprio fianco, prima di accasciarsi di nuovo sul terreno con un sospiro. Almeno era stata fasciata.
Non sarebbe morta dissanguata, si disse. Molto più probabilmente l'avrebbe presa l'infezione che ne sarebbe venuta di lì a poco; se i suoi aguzzini l'avessero lasciata vivere abbastanza a lungo, beninteso.
Scacciò quelle considerazioni controproducenti e continuò la sua ispezione. Come ovvio constatò che era stata perquisita e disarmata e, cercando con lo sguardo, vide il proprio equipaggiamento dall'altro lato di quell'accampamento. Imprecando mentalmente per la distanza che la separava da qualsivoglia lama, soppresse per mera forza di volontà la sensazione di ineluttabilità che le ispirava la sua situazione disperata, così tornò a guardarsi intorno. Ed a quel punto il cuore le sussultò nel petto.
Questa non è la foresta di Elvandar..
Gli alberi erano più bassi di quelli a cui era abituata e le fronde erano colme di una vegetazione dalle tonalità più scure, che contribuiva a far aleggiare nel sottobosco circostante una penombra che le impedì di determinare a che punto fosse il percorso del sole nel cielo. Puntando un'altra volta l'attenzione sui moredhel che l'avevano catturata, un'altra domanda affiorò inquietante fra i suoi pensieri. Perché l'avevano tenuta in vita?
Quell'ultimo interrogativo non fece che assillarla per tutto il resto del tempo in cui rimase cosciente e le impedì di riposare al meglio delle sue possibilità. Gelida, la morsa dell'ignoto le serrò la bocca dello stomaco, accompagnandola nei momenti di veglia come in quelli di incoscienza e non demordette mai, in quello come nei giorni che seguirono.
Il tempo iniziò a dilatarsi e deformarsi alla sua percezione a causa delle ripetute perdite di coscienza, perdendo regolarità ai suoi occhi ed il susseguirsi dei giorni si confuse, cosicché non riuscì mai a stabilire quanti ne trascorsero durante la sua condizione. Debilitata, tornava bruscamente alla realtà quando veniva sbatacchiata da un campo all'altro o quando la destavano con malagrazia per darle da mangiare o da bere in quantità a malapena sufficienti a tenerla in vita.
Più volte si rese conto, nel corso dei momenti di veglia, di qualche Fratello Oscuro intento a fissarla con espressione indecifrabile, sebbene per la maggior parte del tempo la ignorassero. Soltanto il loro capo, Amras, le rivolgeva regolarmente parola ma solo per rivolgerle qualche commento malevolo con il lampante intento di spaventarla e piegare il suo animo, ma ben presto la ragazza si impose di non dare alcun credito alle sue parole.
Iniziò invece a concentrarsi su altro, come la routine che era la vita di quei guerrieri moredhel, le loro abitudini, tentando di estrapolare da questi uno schema che le avrebbe fornito un'occasione per salvarsi la vita. Certo, attendere che fossero Lorren e gli altri a salvarla sarebbe stato più comodo, ma non sapeva dove si trovava né dov'era la squadra degli eledhel che doveva senz'altro essersi mobilitata alla sua ricerca e farvi cieco affidamento sarebbe stata una pazzia.
In un'occasione le parve persino di distinguere la direzione nella quale si stavano muovendo grazie allo scorcio di alcune catene montuose fra uno spiraglio di vegetazione e l'altro, ma non avrebbe messo la mano sul fuoco sull'affidabilità delle sue deduzioni.
In realtà fu dopo appena tre giorni dalla sua cattura che ebbe il vero, primo, confronto degno di nota con Amras.
L'avevano sistemata in una sorta di tenda, le avevano esaminato la fasciatura e poi l'avevano lasciata lì a riposare per quelli ad ella erano sembrati pochi minuti, prima di tornare da lei.
Aredhel si sentiva stremata a causa del poco riposo e dello sforzo che il suo fisico era stato costretto a sopportare sino a quel momento, pertanto fu di soprassalto che si destò da quello che era un sonno leggero ed inquieto non appena il drappo della tenda venne scostato e la luce del giorno la colpì in pieno viso.
– Bene.. – esordì la voce carica di scherno di Amras delineandosi in controluce – Come sta la nostra ospite?
La ragazza-elfa alzò lo sguardo appena in tempo per notare il sorrisetto affilato che egli stava sfoggiando ed incrociandone gli occhi scuri vi lesse lo stesso disprezzo malcelato che aveva visto sul volto degli altri Fratelli Oscuri, sentimento che risvegliò in lei quell'avversione mista a orgoglio e rabbia che le era nata in petto sin dal primo giorno.
Il ghigno del moredhel si accentuò in risposta al suo sguardo sfrontato e le si avvicinò abbastanza da chinarsi e sollevarle il mento con una mano. Il suo tocco indiretto, filtrato dal guanto che gli copriva le dita, le procurò una smorfia malcelata.
– Sai il perché sei ancora in vita?
Lei non rispose, non batté ciglio, così come non si permise di abbassare lo sguardo, traendo forza e sostegno dal suo solo orgoglio, ma questo non parve impedire al moredhel di trarre le sue conclusioni.
– Come pensavo – ribatté infatti questi in tono risaputo e carico di derisione – Voi eledhel siete troppo stupidi... Ebbene, te lo dirò io – negli occhi dell'elfo passò un riflesso che ne rese quell'esordio tanto inquietante da farle correre un brivido su per la schiena ed il ghigno sul suo volto gli si accentuò di rimando nella luce del crepuscolo incombente – Sei ancora in vita per il semplice motivo che ci servi come tale. Almeno ancora per qualche tempo. Sarebbe un peccato che un bel faccino come il tuo andasse sprecato, non credi? – la mano destra che le aveva tenuto sollevato il mento scese ad accarezzarle il collo e la spalla, provocandole un brivido di repulsione e gelo che la fece tremare.
– Non... non mi toccare! – esclamò scostandosi bruscamente e lottando contro il senso di panico che minacciò di sopraffarla, ma la presa sulla sua spalla si fece più salda, bloccandola.
Amras scoppiò in una risata talmente tagliente da renderle ancora una volta evidente in tutta la sua crudeltà la sua situazione di prigioniera alla totale mercé dei suoi aguzzini e il respiro le rimase impigliato in gola; non aveva alcuna possibilità.. né alcun controllo sul proprio fato.
– Come immaginavo: le eledhel sono di tutt'altra pasta rispetto agli esseri umani. Ti riserverò un trattamento speciale – riprese il moredhel in tono sommesso, avvicinando il suo volto a quello di lei – Dopo che mi sarò divertito con te non avrai più così tanta voglia di fare la difficile – quelle parole risuonarono nella mente della ragazza più fredde di un blocco di ghiaccio – e allora forse lascerò divertire un po' anche i miei ragazzi.
Aredhel si ritrovò a sgranare gli occhi chiari preda di un terrore ed un gelo che le avviluppò i sensi con una repentinità tale da smorzarle il respiro e togliendole anche la più piccola padronanza della propria voce.
Amras parve accorgersene e l'istante dopo era di nuovo riversa a terra, mentre quest'ultimo le volgeva le spalle, allontanandosi con ancora quel ghigno sfrontato a delineargli le labbra sottili.
Fu quello il primo ed unico momento in cui una calda lacrima le sfuggì alle ciglia, rigandole la gota sinistra. La consapevolezza di quale fosse il destino a lei riservato le strinse il petto in una morsa soffocante.
Oh Lorren... ti prego vieni a salvarmi.
E tuttavia, come quel pensiero le si formulò nella mente, al contempo la colse la disarmante consapevolezza che era una speranza vana e flebile al pari di un filo di fumo nella bruma serale. Non avrebbero fatto in tempo.
Avrebbe dovuto trovare il modo di scappare da sola, a qualunque costo.
Era tempo di reagire.

***

Erano passati quasi sette giorni da quando quella ricerca era iniziata e la spedizione partita da Elvandar s'era addentrata da tempo nelle terre dello Yabon, seguendo le tracce lasciate dai Fratelli Oscuri. Da quando avevano iniziato a costeggiare le colline il capitano del drappello di elfi aveva raccomandato a tutti la massima attenzione e cautela: gli uomini di quelle alture non erano rinomati per la loro tolleranza verso chi invadeva il loro territorio. Per non parlare dei moredhel che vi si nascondevano.
Eppure, per quanto la perizia messa in quel compito fosse tale da poter giustificarne la cosa, il fatto di non essersi ancora imbattuti in alcun esploratore stava diventando rapidamente motivo di inquietudine.
Col calare del settimo sole si accamparono per passare le notte in una macchia di vegetazione e fare il punto della situazione.
– Vedrai che la ritroveremo – Lorren si avvicinò al loro condottiero, fermandosi al suo fianco.
Il fratello di Aredhel nel sollevare lo sguardo su di lui serrò le labbra fra loro in una piega tesa. Sotto quello sguardo, l'ex moredhel si sentì per l'ennesima volta attanagliato dai sensi di colpa.
– Mi dispiace, Varsel – mormorò, distogliendo il proprio.
Pensieri ricorrenti si erano affacciati in quei giorni alla sua mente, rimpianti, ipotesi, recriminazioni rivolte a sé stesso ed a come erano andate le cose. Sentirsi responsabile per quanto avvenuto ad Aredhel era il motore e il sostentamento dell'impegno che ci stava mettendo a ritrovarla ed era una sensazione del tutto nuova che non aveva mai provato, non così intensamente, prima di allora. Non sapeva se era dovuto all'aver fatto Ritorno o se era per il legame che stava iniziando ad instaurare con la ragazza-elfa, ma non sarebbe rimasto a guardare. L'inattività non era mai stata da lui.
Avevano già affrontato quel discorso ma, nonostante le rassicurazioni di Varsel, non v'era modo per lui di scacciare il fantasma che gli stava corrodendo l'animo dall'interno.
– Non è stata colpa tua – rispose per l'ennesima volta il capitano in tono stanco, scuotendo il capo nel tentativo di rimanere lucido – Hai fatto il tuo dovere tornando subito ad Elvandar per avvertirci.
Lorren rimase in silenzio mentre, per l'ennesima volta negli ultimi giorni, riviveva l'accaduto.
Era perfettamente consapevole di ciò che sarebbe potuto capitare ad Aredhel sotto prigionia e non era certo una consapevolezza che poteva giovare al suo stato d'animo. I Corvi erano Fratelli Oscuri senza morale e con una soglia dell'onore più bassa di molti altri clan moredhel della zona. L'unico motivo per cui facevano prigionieri era per rivenderli come schiavi ad altri popoli o per giovarne loro stessi finché questi non morivano di stenti. Era questo il motivo per cui, ogni secondo che passavano senza procedere, la situazione minacciava di sfuggirgli di mano.
Inspirò a pieni polmoni, lasciando fuoriuscire in un sospiro parte della tensione che gli irrigidiva le membra.
Quindi pregò per l'ennesima volta la fortuna di assistere la sua amica.

***

Aredhel venne svegliata bruscamente da una guardia che dopo averle assestato un calcio contro una gamba le posò innanzi quello che era il suo pasto: una ciotola di avanzi.
Il moredhel non rimase a fissarla ma si allontanò senza indugi e lei, dopo un istante, si concesse un sospiro di sollievo prima di esaminare ciò che le era stato portato. Non molto in verità: qualche brandello di carne ancora attaccato all'osso immerso in un brodetto apparentemente disgustoso, ma che la fame le fece apparire quanto di più delizioso potesse esserci al mondo. Con mani rese incerte dalla stretta delle corde, grata che nessuno la stesse fissando, si dedicò al sacro compito di riempire quanto più poté il proprio stomaco.
Doveva assolutamente recuperare e conservare quante più energie le era possibile e l'unico modo per farlo era continuare a nutrirsi e riposare ogni volta che poteva.
Il male minore in tutta quella faccenda era il fatto che le avevano cambiato le corde, legandole le braccia dinanzi al busto e non più dietro la schiena, cosicché potesse nutrirsi da sola. Probabilmente doveva ringraziare l'apparenza inoffensiva che era riuscita ad ostentare sino a quel momento per questo e non mancò di approfittarne ogni volta che poté. Era persino riuscita a sistemarsi meglio la fasciatura intorno alla vita, stringendo maggiormente il nodo delle bende e mitigando il dolore che ogni tanto le si risvegliava sottopelle.
Non passò molto tempo da sola tuttavia, una decina di minuti a seguire Amras tornò a farle visita, sfoggiando quel suo ormai consueto quanto malevolo sogghigno derisorio.
– Sono venuto per annunciarti che fra pochi minuti ci rimetteremo in viaggio – le disse con una certa arroganza – Mi auguro che resisterai all'andatura, nonostante le tue condizioni.
Nel suo sguardo ella vi lesse qualcosa che fece augurare la stessa cosa anche a lei, ma riuscì a non battere ciglio di fronte alla strafottenza del capo moredhel, rimanendo impassibile a sostenere quell'ennesimo confronto di volontà. E il ghigno di Amras non mancò di farsi più affilato.
– Bene – disse soltanto. Fece per voltarsi ma venne raggiunto da uno dei suoi subordinati; uno degli esploratori, a giudicare dall'equipaggiamento.
– Amras – il tono, come la sua espressione, tradiva una certa urgenza – Eledhel.
Bastò quella singola parola a far scomparire quel sogghigno dal volto del loro capo e far spuntare, per contro, un flebile e spontaneo sorriso su quello della prigioniera. Il primo dopo chissà quanto tempo.
Il seme della speranza germogliò di nuovo nell'animo di Aredhel.
– Dì agli altri di prepararsi a partire – comandò intanto Amras congedando l'esploratore con un singolo gesto, prima di tornare ad abbassare la sua attenzione su di lei – Pare che la fortuna stia girando dalla tua parte oggi – poi quel ghigno in tralice riaffiorò sul suo volto – ...o forse no.
L'eledhel a quell'inquietante minaccia velata avvertì quel fugace guizzo di positività venirle meno, sostituito da un profondo sconforto che le fece chinar il capo verso il terreno. I pochi minuti a seguire venne sgombrato totalmente il campo, sotto le direttive dell'ormai familiare e sgradevole voce del moredhel al comando. Quando ormai tutto fu pronto un moredhel tornò da lei, costringendola senza alcun riguardo a rimettersi in piedi.
Venne fatta avvicinare ad uno dei pochi cavalli del drappello, già sellato e pronto alla partenza così come era pronto Amras, intento a reggerne le redini.
Per un fugace primo istante ad Aredhel venne in mente di stenderlo con una testata dritta sul naso in un ultimo scatto disperato, quindi montare in groppa all'animale e fuggire al galoppo mentre gli altri moredhel nella più rosea delle aspettative erano ancora intenti a chiedersi che cosa fosse accaduto, ma quello seguente la ragione tornò a dissuaderla. La presa del suo custode era salda intorno al suo braccio e le impediva ogni movimento che non fosse lui stesso ad imporle.
Amras salì in sella, ma poi si volse a guardarla ed a quel punto ella capì che quella volta, anziché procedere a piedi, sarebbe dovuta salire a propria volta. Il pensiero di trovarsi a così stretto contatto con il suo principale aguzzino le fece salire un'ondata di disgusto che minacciò di farle rivoltare quel poco che aveva mangiato a colazione, ma riuscì a dominare i crampi alla bocca dello stomaco seppur non a sopprimere la smorfia che le delineò le labbra screpolate. Venne issata con malagrazia sul dorso del cavallo proprio davanti al Fratello Oscuro, il quale non mancò di cingerla saldamente in vita con il braccio sinistro mentre con la mano destra strinse le briglie.
Sotto il suo comando il piccolo gruppo si mise in marcia, cavalcando al piccolo trotto attraverso la selva, la quale nel diradarsi in alcuni punti permise ancora una volta alla ragazza-elfa di scorgere sprazzi del mondo circostante. Quando contro il cielo plumbeo si stagliarono le cime di una catena montuosa particolarmente imponente, le nozioni che le erano state inculcate in testa dal suo precettore le andarono in aiuto.
I Denti del Mondo!
Lo sconforto tornò a minacciare di afferrarle il cuore.
Si trovava a leghe intere da Elvandar, in un territorio sconosciuto ed inospitale e stavano senza dubbio dirigendosi verso nord-est, proprio in direzione delle montagne. Un'ulteriore complicazione da aggiungersi ad un suo tentativo di fuga.
Per gran parte della giornata proseguirono a cavallo, concedendosi soltanto brevi soste e mandando di continuo esploratori a piedi alle loro spalle col compito di accertarsi della distanza che li separava dagli inseguitori; due di loro non fecero ritorno.
Oramai mancava meno di un'ora al tramonto.
– Sono tenaci i tuoi amichetti – commentò Amras pesantemente ironico, tanto vicino che ella ne percepì il lieve spostamento d'aria accanto all'orecchio sinistro.
Preda della repulsione suscitatale, Aredhel si scostò quel tanto che le era permesso dalla presa del moredhel e cercò di non pensare a quella mano che la teneva saldamente stretta alla vita.
– Presto il tuo patetico orgoglio verrà spazzato via – le sussurrò nuovamente in tono sprezzante, serrando le dita nel punto in cui giaceva la sua fasciatura e strappandole un sussulto.
Aredhel trattenne un gemito, il fiato di nuovo mozzatole in gola, ed avvertì un lieve capogiro minacciare di destabilizzarla.
– Smettila – quella parola sussurrata risuonò quasi come una supplica, troppo vicina al proprio limite per opporsi con la consueta fermezza: era stremata per la cavalcata e le emozioni negative della giornata, la mente offuscata dall'avversione suscitatale dal capo dei Corvi.
Amras tornò a drizzare completamente la schiena sulla sella e un istante dopo diede ordine ai compagni di trovare un luogo adatto per accamparsi. Non dovettero fare molta strada: si fermarono in una zona a ridosso delle prime montagne e ben riparata dagli alberi.
– Ci fermiamo qui – annunciò il Fratello Oscuro prima di smontare di sella.
Finalmente libera dalla sua presenza oppressiva, Aredhel fu di nuovo in grado di pensare e il pensiero che la colse fu improvviso non tanto per natura, ma per l'intensità con cui la investì, tale da farle entrare in circolo una nuova ondata di adrenalina.
Doveva fuggire. Adesso.
Ogni muscolo le si tese meccanicamente. Qualunque cosa avesse deciso di fare, avrebbe dovuto farla subito.
– Tiratela giù.
L'ordine perentorio di Amras fu il segnale che fece crollare ogni suo tentennamento. Preda della disperazione del momento, con profonda determinazione affondò i talloni nei fianchi del cavallo e questi si impennò, riuscendo a strappare di mano al capo dei Corvi le proprie redini con un forte nitrito di protesta. Gli zoccoli fendettero l'aria ed esclamazioni d'allarme si levarono dagli elfi lì presenti, mentre Aredhel si aggrappò con tutte le sue forze al crine dell'animale riuscendo solo per miracolo a non scivolare a terra a propria volta. E l'attimo seguente, spronato ancora una volta dall'urlo dell'eledhel, lo stallone scartò di lato, balzando al galoppo fra uno dei varchi della fitta vegetazione.


Stava scappando.
Il primo e più persistente pensiero che si sovrappose al fragore di quella corsa ed al fischio del vento fu che stava scappando. Con l'adrenalina in circolo ad acuire ogni suo senso, lottando per rimanere in sella, la ragazza avvertì per la prima volta in vita sua un'eccitazione ed una vitalità talmente intense che se non avesse avuto il cuore saldamente piantato in gola avrebbe esultato e gridato.
Era riuscita a fuggire!
Sotto il sibilo del vento delle urla risuonarono alle sue spalle, come echi lontani e rabbiosi, ricordandole che non era ancora in salvo ed inducendola a rimettere sotto controllo le proprie emozioni per restare concentrata su ciò che stava facendo. Ogni sussulto infatti minacciava di sbalzarla a terra ed ogni falcata dell'animale sotto di lei sembrava incrementare la loro velocità lungo il pendio, tant'è che si ritrovò a lottare contro un offuscante strato di lacrime nato dal vento che le sferzava il viso.
All'ennesimo salto del cavallo avvertì l'impatto di qualcosa di più rigido di cuoio e finimenti contro la gamba destra e solo a quel punto si rese conto della presenza di un coltello assicurato ad una fibbia accanto alla sacca da sella. Con cautela e riuscendo miracolosamente a non perdere l'equilibrio, Aredhel riuscì a sfilarlo dal fodero e, con una destrezza che solo un appartenente della sua razza poteva vantare, a tranciare con quella lama le corde che la legavano.
Perse la lama l'istante seguente, ma finalmente libera da qualsivoglia costrizione si sporse nuovamente in avanti nel tentativo di afferrare le briglie della cavalcatura imbizzarrita sotto di lei.
Fortuna e tenacia le andarono in soccorso e le impedirono di fare la fine di quel coltello a discapito di quel galoppo sfrenato, permettendole di arrivare alle cinghie di cuoio ed a tirarle con forza verso di sé. Costretto a rallentare, il cavallo sbuffò e tentò di ribellarsi alla sua nuova cavaliera ma poco dopo iniziò a frenare la propria corsa.
Bastò quel calo di velocità tuttavia a permettere ai suoni della natura circostante di superare il fischio del vento e subito le giunsero alle orecchie a punta i rumori provocati dai suoi inseguitori. Non osò voltarsi indietro, spronò di nuovo il cavallo che aveva rubato ad Amras al galoppo e questi balzò di nuovo in avanti con un nuovo nitrito.
Sfrecciarono fra gli alberi giù per il declivio di quel tratto di bosco come se ne andasse della vita ed Aredhel, per la prima volta, sperimentò l'eccitazione ed il terrore sordo tipici di una preda. Perché tale era, braccata dai cacciatori moredhel a poche decine di metri da lei, perfettamente consapevole che semmai fosse stata ricatturata, sarebbe stata la sua fine.
Spronata da quelle stesse emozioni, ella sfruttò tutta l'abilità di cui era capace e anche di più spingendosi al limite in quella fuga precipitosa, mentre la paura che attanagliava il cuore dell'elfa finì ben presto per contagiare anche il suo cavallo, il quale iniziò a schiumare dalla bocca a causa dello sforzo fisico, incapace di fermarsi.
Attraversarono tratti in cui la vegetazione era più rada e altri in cui ogni passo del cavallo poteva essere l'ultimo, e quando avevano raggiunto il tratto centrale di una delle radure più estese la ragazza trovò il coraggio di scoccare un'occhiata alle proprie spalle, alla ricerca dei suoi inseguitori. Li scorse al limitare del suo campo visivo sotto forma di ombre fra gli alberi e quella vista non fece altro che smorzarle ancora una volta il fiato in gola, inducendola a tornare a chinarsi sulla groppa del suo cavallo ed a spronarlo ancora una volta.
Un secondo dopo gli alberi tornarono a coprirle i fianchi ed a sfrecciarle accanto, mentre il terreno riprese un'andatura più pianeggiante sotto gli zoccoli dell'animale. Poi, senza preavviso, quegli stessi zoccoli sollevarono schizzi limpidi sino al suo viso facendola meccanicamente sussultare. Drizzandosi sulla sella tirò nuovamente le redini e la sua cavalcatura scartò di lato a quel nuovo comando, minacciando di farla sbalzare di sella a causa del cambiamento repentino di traiettoria.
Con l'affanno a bruciarle i polmoni ad ogni boccata d'aria, Aredhel si rese conto di aver incrociato quello che era il corso di un torrente e, dopo un primo istante di stupore e smarrimento, tornò a indirizzare con decisione il cavallo lungo la riva, per una via più sgombra e meno pericolosa per le zampe dello stesso.
Non aveva idea di dove stesse andando. Era a soltanto consapevole di dover continuare a correre per porre quanta più distanza possibile fra lei e i suoi inseguitori e così fece. Per questo motivo, preda d'un potente istinto di sopravvivenza, non pensò al reale pericolo che costituiva per lei quel tratto.
Fu subito prima di una larga curva del torrente che, dopo aver appena iniziato a pensare che forse ce l'avrebbe fatta, una freccia moredhel raggiunse la sua cavalcatura, trapassando pelle e muscoli. L'animale incespicò e cadde rovinosamente con un alto nitrito di dolore ed Aredhel venne sbalzata in avanti con tale slancio che finì per rotolare per diversi metri sul terreno disseminato di cespugli, prima di finire contro un tronco d'albero in un brusco arresto.
L'impatto le svuotò i polmoni e mille stelle iniziarono a danzarle davanti agli occhi, ma il campanello d'allarme che le era risuonato nella testa per tutto il tempo continuò a riempirle lo spazio fra le orecchie a punta, impedendole di cedere all'incoscienza. Di nuovo parzialmente dietro la copertura della vegetazione, digrignando i denti per lo sforzo ed attingendo ad energie di cui ella stessa non sapeva essere in possesso, si rialzò in piedi e si rimise a correre.
Non poteva fermarsi.. non doveva!
Ignorò le molteplici fitte di dolore che le giungevano da più punti del suo corpo e, il respiro ormai tanto affannoso da raschiarle la gola come fuoco rovente, si costrinse a non mollare. Caracollò in avanti tuttavia quando sotto di lei una pietra perse stabilità, ma fu quando si imbatté in una strada battuta e ben definita che finì seriamente di finire a terra. Si aggrappò all'ultimo istante ad un tronco vicino e, in un moto di rinnovata speranza, vi si gettò letteralmente al seguito premendosi nel mentre un braccio contro il fianco fasciato. La sensazione di umido che di lì a poco avvertì fra le dita non fu che la conferma di ciò che già sospettava da tempo: la ferita le si era riaperta, cosa che spiegava per quale motivo ogni falcata era pari ad una vera e propria pugnalata.
Sarebbe morta, se lo sentiva.
Ma dov'è Lorren?! Si chiese disperata, incespicando di nuovo.
La stanchezza ormai le appesantiva le gambe e il petto le bruciava talmente tanto da renderle impossibile respirare. Solo la paura le impedì di fermarsi o anche solo di voltarsi indietro, conscia che se ci avesse provato avrebbe ceduto e non si sarebbe più rialzata.
Era giunta al suo limite; era finita.
Poi un nuovo rumore attirò la sua attenzione: un fischio penetrante proveniente da un punto più avanti, oltre la schermatura del sottobosco. Un richiamo che ella riconobbe.
Lorren!
Un sorriso le tese le labbra screpolate e il cuore le ebbe un nuovo guizzo di insperata energia in petto, rianimato dalla speranza che le impedì di cedere al suo destino. Non ancora.
Continuò a incespicare in avanti cercando disperatamente di raggiungere la salvezza ormai tanto vicina. Era sul punto di gridare con il poco fiato rimastole il nome dell'amico nel tentativo di farsi sentire quando accadde l'inevitabile: una gamba le cedette e l'altro piede si incastrò sotto una radice sporgente in mezzo al sentiero. Finì a terra con un urlo strozzato, attutendo a malapena la caduta con le braccia, schiacciata dal suo stesso peso.
Si ritrovò riversa al suolo, ansimante, con la testa che le girava e gli occhi colmi di lacrime. Tentò di rialzarsi ma il suo corpo si rifiutò con tutto sé stesso di obbedire alla sua volontà, paralizzandola con scariche di dolore e bruciore muscolare.
All'improvviso l'eledhel accusò tutta la stanchezza, tutti gli sforzi sopportati sino a quel momento ed ormai svuotata si sentì perduta.
Era finita.
Chiuse gli occhi, la rabbia e l'angoscia che presero il sopravvento, combinandosi e dilaniandole l'animo tanto intensamente che ella finì per non riuscire ad arrendersi. No, non poteva. Non con la squadra di Elvandar così vicina.
In un ultimo disperato tentativo tentò di muoversi, di spostarsi da quel tratto allo scoperto per cercare riparo fra la vegetazione più vicina che delimitava quel tratto di sentiero. Prese a strisciare nella polvere, dando fondo a quelle poche scintille di energia che le rimanevano riuscendo a malapena a guadagnare il ciglio della via prima di avvertire improvvisamente due mani afferrarla intorno al busto e trascinarla via, lontano dalla sua ultima speranza di salvezza.




continua...


Ed imperterrita nonostante tutto, fra tempi geologici e riscontri deludenti, eccola di nuovo qui!
Sì, non c'è verso che io smetta di scrivere, mi spiace. Non lascio mai un'opera incompleta e inconvenienti permettendo - tempi geologici e impegni vari - finirò anche questa. Come preannunciato le cose iniziano a movimentarsi... speriamo che con il procedere arrivi la svolta che spero!
Non aggiungo altro, non lascerò anticipazioni di sorta quindi... beh se vi piace fin qui continuate a seguirmi!
Alla prossima!!

Kaiy-chan

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Capitolo 5
*** The Dark Brother ***






5. The Dark Brother



Aveva deciso di non rischiare di nuovo la traversata delle montagne dopo quanto accaduto a causa di quei nani, così si era messo in viaggio verso est con l'intento di aggirarle e raggiungere il Passo di Cutter. Avrebbe atteso lì l'esercito di Murmandamus.
Era più d'una settimana che seguiva il sole senza imbattersi in alcun parirazza. Evidentemente non erano rimasti in molti a sud dei Denti del Mondo, ma di questo non si diede pena. Si sentiva in realtà sollevato al pensiero di non doversi trovare in obbligo di unirsi ad un altro clan, così da non dover rendere conto a terzi dei propri comportamenti. In realtà anche fra i suoi compagni spesso si era trovato costretto a conformare il proprio modo di fare ed a sottostare a modi di pensare che gli andavano stretti ed ora che si ritrovava a viaggiare da solo avvertiva per la prima volta una sorta di liberazione ad alleggerirgli l'animo.
Mantenne un'andatura rapida, senza doversi preoccupare di allestire un campo al calar del sole o di procacciare cibo in quantità per tutto il gruppo. Viaggiò persino di notte, perché era ansioso di superare quel tratto di territorio ostile e potersi lasciare l'accaduto definitivamente alle spalle.
Giunse il tramonto dell'ottavo giorno e, all'allungarsi delle ombre sul terreno della selva che stava attraversando, Elwar era in bilico fra il pensiero di passare un'altra notte in cammino oppure di cercare un riparo per riposare un poco, quando si rese conto di non essere il solo ad aggirarsi per il bosco. Improvvisamente in allarme, fece appena in tempo a nascondersi dietro ad un albero quando alcuni esploratori eledhel sbucarono dal fitto, con gli archi pronti e le espressioni tese e guardinghe.
Che ci fanno qui degli eledhel?
Si appiattì contro il tronco dietro il quale aveva trovato riparo e le cui radici nodose fuoriuscivano dal terreno creando piccoli ponti sospesi fra i cespugli ed incorniciando quell'anfratto al pari delle pareti di una culla naturale. In quel tratto la vegetazione era straordinariamente fitta ed offriva un discreto numero di nascondigli, e fu grazie a questo ed ai suoi riflessi che riuscì a sottrarsi alla perlustrazione in atto di quegli elfi.
Messosi ormai in allerta, Elwar stava ancora cercando di pensare ad un modo per uscire da quella situazione incresciosa quando le sue orecchie a punta vibrarono nel captare una nuova serie di suoni anomali alla vita del bosco. Immobile al pari di una statua smise quasi di respirare, quindi si arrischiò a lanciare una nuova occhiata da dietro il proprio riparo appena in tempo per distinguere uno degli esploratori di Elvandar scambiarsi un cenno con il compagno e poi scattare nella direzione dalla quale era venuto, sparendo senza alcun rumore in pochi secondi.
L'altro invece, così come il moredhel, si appostò dietro uno degli alberi vicini e rimase in attesa mentre quei suoni si facevano via via più distinti. Un lontano eco di voci e fruscii si accompagnò ad un più distinto scalpiccio.
Si stava avvicinando qualcosa.. o meglio, qualcuno.
Quando la ragazza comparve nel suo campo visivo, giungendo correndo ed incespicando lungo il sentiero dalla parte opposta a quella da cui aveva visto poc'anzi provenire quegli esploratori, Elwar si ritrovò meccanicamente a trattenere il respiro ancora una volta. Era un'eledhel.
Che diamine sta succedendo?! Si ritrovò a chiedersi allibito, non riuscendo a distogliere lo sguardo dalla fuggitiva. Ne notò gli abiti laceri e sporchi, prova di quante volte avesse avuto un contatto indesiderato con il terreno, ma più di questo il suo volto serbava traccia, come il suo continuo incespicare, delle sue reali condizioni. Incorniciato da una massa scomposta di capelli castano chiaro, aveva un viso di un pallore estremo che non era mitigato affatto dal rossore dovuto sforzo fisico che stava sopportando.
Quell'elfa era al limite delle sue forze.
Ma non era l'unica sagoma in movimento al di sotto della chioma degli alberi: dall'altro lato del sentiero rispetto a lui, la ragazza era inseguita da due ombre, due moredhel che muovendosi rapidi fra la vegetazione la stavano aggirando.
L'esploratore eledhel rimasto nascosto nelle vicinanze, dopo aver assistito alla stessa scena di Elwar, parve allora decidere di intervenire e con un movimento fulmineo lasciò il suo riparo per scoccare in rapida successione due frecce proprio sui due Fratelli Oscuri all'inseguimento. La prima fendette con un sibilo sordo l'aria ed andò a segno, ma non fu così per la seconda, la quale andò a conficcarsi nella corteccia di uno dei tanti alberi di quel tratto di bosco.
E fu a quel punto che si scatenò il caos.
I due elfi ingaggiarono una lotta corpo a corpo, intensificando i rumori e le grida che già riempivano l'ambiente sino a poco prima pervaso di quiete, e la fuggitiva perse del tutto l'equilibrio cadendo nella polvere con un gemito strozzato a meno di un paio di metri proprio dal nascondiglio scelto da Elwar.
Ed a quest'ultimo non occorse più di un secondo per rendersi conto di un'altra presenza in avvicinamento. Dalla stessa direzione dalla quale era sopraggiunta quell'infima elfa, improvvisamente sbucò un altro elfo a cavallo il cui mantello dischiuso gli lasciò distinguere chiaramente la caratteristica foggia della casacca sottostante. Non appena ne riconobbe il clan di appartenenza, ogni muscolo gli si irrigidì di colpo.
Corvi.
Il disprezzo che gli nacque in petto fu tanto repentino e intenso da spingerlo ad agire e, mosso dall'istinto si sfilò l'arco da sopra la testa, incoccò una delle poche frecce che era riuscito a procurarsi con esso, e dopo aver preso un ultimo respiro si sporse da dietro il tronco e scoccò.
Il dardo perforò l'aria con un sibilo appena distinguibile in mezzo a tutto quel caos e l'istante seguente il moredhel, membro di uno dei clan più avversi ai Lupi Grigi, scivolò di sella, riversandosi al suolo privo di vita. L'animale scartò di lato appena in tempo per evitare di travolgere la ragazza-elfa, la quale nel mentre stava tentando invano di rimettersi in piedi. Elwar la vide premersi una mano sul fianco sporco di sangue ed inarcò un sopracciglio all'espressione sofferente che le vide deturparle i lineamenti, ma colse anche qualcos'altro su quel volto, qualcosa che sorprendentemente riconobbe: una profonda determinazione a non arrendersi.
In un lampo si rivide nel fronteggiare quell'imboscata che era valsa la vita di tutti i suoi compagni, con la stessa cieca determinazione di lei a non mollare, a non darsi per vinto, e quell'inattesa empatia nei confronti di colei che invece avrebbe solo dovuto disprezzare lo sconvolse e lo confuse.
Troppo allibito dalle emozioni che gli erano in un istante affiorate in petto, del tutto estranee alla sua natura di Fratello Oscuro, si riebbe soltanto quando si rese conto che quella stessa eledhel era riuscita a strisciare sino al limitare opposto del sentiero e sembrava del tutto intenzionata a cercare rifugio proprio ove in realtà, oltre il suo campo visivo, stava avvenendo lo scontro.
Lasciando cadere l'arco, Elwar con un'imprecazione sommessa uscì dal suo riparo ed afferrò l'elfa per la vita, trascinandola con sé nell'unico posto sicuro che era divenuto quel suo riparo. Una volta di nuovo al coperto se la strinse addosso, premendosi nuovamente contro la dura corteccia, tenendole saldamente una mano sulla bocca per impedirle di emettere il minimo suono.
Non poteva in alcun modo farsi scoprire, da nessuna delle due fazioni.
La sentì tentare d'opporre resistenza ma era fin troppo debole e gli bastò rinsaldare la presa perché quella smettesse di dibattersi e s'abbandonasse infine stremata contro il suo petto. Quel contatto pregno di arrendevolezza gli trasmise un tepore che lo indusse ad abbassare lo sguardo in un moto di sorpresa, distraendolo dall'analisi che stava tentando di fare sugli accadimenti del sottobosco per mezzo del solo udito. Lo scalpitare degli zoccoli di alcuni cavalli faceva vibrare il terreno sotto di loro, grida ed esclamazioni cariche d'astio riempivano l'aria ed il rintocco metallico dell'incrociarsi delle spade spezzava il tutto, segno che la battaglia era ormai entrata nel vivo.
Eppure ogni cosa scomparve nel momento in cui si fece distrarre da lei. Incrociandone lo sguardo sbarrato, Elwar si ritrovò a fissare due pozze velate di lacrime tanto spesse da riflettere come gemme preziose i fiochi raggi del tramonto.
Per la prima volta nella storia, l'argento più vivo incontrò l'oro.
Il moredhel si sentì improvvisamente estraniare da tutto ciò che li circondava, come risucchiato in una dimensione parallela il cui centro erano quegli occhi tanto unici nel colore quanto nell'espressività. Per una prima, fugace frazione di secondo, una scarica elettrica gli attraversò tutto il corpo, risalendogli lungo la spina dorsale e spazzando via ogni sentimento negativo che aveva potuto serbare sino a quel momento nei confronti della proprietaria di quello sguardo.
In quell'unico singolo momento, ogni differenza fra loro scomparve, dissolta nel nulla.
Poi il momento passò e quelle emozioni terminarono tanto bruscamente quanto erano sbocciate e lo scontro ancora in corso tornò prepotente a richiamare l'attenzione del moredhel con i suoi rumori, facendolo sussultare nel ritornare con la coscienza al presente.
Dovevano andarsene da lì.
Prendendo un bel respiro si preparò allo scatto e cambiò presa sul corpo della ragazza. Le fece passare un braccio sotto le ginocchia mentre con l'altro le cingeva la schiena, di modo da reggerla fra le braccia. Un ultimo istante in cui gonfiò nuovamente i polmoni e, senza più guardare la ragazza, scattò nuovamente in piedi, spiccando la corsa nella direzione diametralmente opposta a quella in cui stava avvenendo quel confronto tutt'altro che pacifico.
Non aveva percorso più di pochi metri che una freccia gli sibilò accanto, mancandolo per un soffio, ma Elwar continuò a correre, consapevole che era l'unico modo per salvarsi la pelle. Superò un tronco caduto con un balzo e deviò alla propria sinistra, prendendo a procedere a zig-zag per un breve tratto fra gli alberi, finché i rumori alle sue spalle non si attenuarono abbastanza da essere sovrastati da quelli prodotti da lui stesso in quella folle corsa.
Soltanto quando ogni altro suono che non fosse il suo stesso respiro scomparve alle sue orecchie finalmente decise di rallentare, guardandosi meccanicamente intorno alla ricerca di un altro riparo di fortuna dietro il quale prendersi una pausa per riprendere fiato e schiarirsi le idee.
Scelse un masso ricoperto di muschio ed una volta appoggiata la schiena alla pietra fresca non mancò, col respiro corto, di ringraziare mentalmente gli Dei per essere ancora vivo e, soprattutto, per l'assoluto silenzio in cui era sprofondata l'elfa che teneva fra le braccia. Un silenzio insolito accompagnato da un'immobilità pressoché totale.
Inarcando un sopracciglio a quella considerazione, Elwar abbassò finalmente ancora una volta lo sguardo sul volto della ragazza e soltanto a quel punto si rese effettivamente conto della verità: aveva perso conoscenza.
Ne notò solo a quel punto come il respiro che le sgorgava dalle labbra leggermente dischiuse fosse pesante e sofferto e quanto il rossore superficiale che le aveva scorto inizialmente in volto aveva lasciato il posto ad un pallore diffuso e lucido di sudore. Tutti quei segnali ebbero il potere di fargli nascere in petto una nuova inquietudine che lo spinse, contro ogni pronostico, ad accostare una guancia alla sua fronte, sussultando non appena entrò in contatto con la pelle d'ella: era bollente.
Un nuovo grido in lontananza, a diverse centinaia di metri da loro, lo riportò alla realtà rammentandogli che non era ancora fuori pericolo e senza attendere oltre riprese a muoversi, seppur più lentamente. Superò senza troppe difficoltà l'ennesimo cespuglio comparso sul suo cammino con un agile balzo, ma si rese ben presto conto di star sprecando più energie di quanto intimamente sperato: portare di peso l'elfa abbassava drasticamente la sua abituale resistenza ed era perfettamente consapevole che, anche a causa della nuova pendenza in salita assunta dal terreno sotto di loro, si sarebbe ritrovato a corto di energie molto prima di potersi considerare al sicuro.
Dannazione! Se solo ci fosse un cavallo a portata di mano! Imprecò fra sé e sé, scoccando infine uno sguardo alle proprie spalle. Non vedendo alcun segno di eventuali inseguitori si arrischiò quindi a rallentare ulteriormente l'andatura.
Percorse un altro centinaio di metri prima di sopraggiungere in una piccola radura. Incassata in una discreta formazione rocciosa sovrastata di vegetazione e riparata su tre lati, era il luogo ideale per una sosta. Vi si inoltrò senza indugi e, una volta distesa la ragazza-elfa sull'erba fresca, si permise di tirare un discreto sospiro di sollievo nell'appoggiarsi con la schiena ad uno dei massi chiazzati di licheni presenti.
– Per lo meno non ci stanno più seguendo – mormorò fra sé e sé, abbassando ancora una volta lo sguardo sul volto dell'eledhel che inaspettatamente s'era portato appresso.
Stava male, anche un bambino lo avrebbe capito, tanto era evidente il tremore che a tratti le scuoteva le membra. Non si fece domande, si limitò ad avvolgerla nel proprio mantello prima di iniziare a predisporre il necessario per il fuoco. Era già a metà dell'opera quando si rese effettivamente conto di ciò che stava facendo, fermandosi di botto e voltandosi ancora una volta a fissare incredulo quella ragazza-elfa.
Che diamine stava facendo?
La risposta tardò tanto a lungo ad arrivare che egli si ritrovò a serrare meccanicamente la mascella per la frustrazione e la confusione che gli si agitavano in petto.
Era sbagliato.
Ciò che stava facendo era totalmente sbagliato.
Non c'era alcuna logica nell'aiutarla. Andava contro a tutto ciò che sapeva ed in cui credeva, a tutto ciò che era stata la sua esistenza sino a quel momento.
Andava contro la sua stessa natura di moredhel.
Eppure, quanto più a lungo rimase ad osservarla avvolta nella grigia stoffa del suo mantello, tanto meno forte era la presa di quelli che fino a quel momento aveva considerato i suoi naturali istinti. Alla fine, scuotendo il capo con fare rassegnato, riprese ciò che stava facendo ed una volta approntato il focolare tornò accanto all'eledhel, accostando una mano alla sua fronte.
La febbre doveva essersi aggravata.
La sollevò a sedere, circondandole le spalle con un braccio e facendola poggiare al proprio petto di modo che non si accasciasse su sé stessa, quindi recuperò con la mani libera la propria borraccia accostandogliela alle labbra. Come il liquido fresco le si riversò in bocca, quella iniziò presto a deglutire e ne vide l'espressione del viso mutare, distendendosi appena seppur senza apparire meno sofferente. Quando infine, alcuni sorsi dopo, scostò il proprio recipiente per lasciarla respirare, quella schiuse di pochi millimetri le palpebre, cercandolo.
In quella frazione di secondo egli credette che fosse sul punto di dire qualcosa, ma l'istante seguente ella tornò ad abbandonarsi contro il suo petto, spossata e febbricitante. Allora lui la stese nuovamente sul proprio mantello e dopo essersi assicurato che fosse ben coperta si rimise a trafficare intorno alla legna del fuoco, adoperandosi ad accenderlo.
Quando finalmente le fiamme scoppiettarono allegre, rischiarando con la loro tenue luce rossastra l'oscurità ormai calata sul mondo, egli sollevò lo sguardo oltre il limitare della piccola radura montana, tendendo al contempo le orecchie. Rimase in ascolto, cogliendo lo stormire del vento fra i rami e qualunque altro suono proveniente dal sottobosco circostante, in una veglia che lo avrebbe accompagnato per il resto della notte.

***

Correre. Non faceva altro che correre.
Correva da ore, pervasa da un perenne stato di panico. Ma nonostante cercasse di correre più veloce di quanto non avesse mia fatto in vita sua, la consapevolezza di non poter sfuggire a ciò che la minacciava le attanagliava il petto in una morsa sempre più stretta. Gli alberi sfrecciavano indistinti intorno a lei, altrettanto oscuri e minacciosi della cosa che la braccava tanto insistentemente.
Le gambe iniziarono a farsi pesanti, come se fossero state trattenute da delle catene fissate al suolo e ben presto la ragazza-elfa iniziò a sentirsi sempre più stremata. Quando il fianco a cui era ferita riprese improvvisamente a dolerle, perdendo fiotti di sangue, incespicò e cadde al centro di una piccola radura. Tentò di rialzarsi, ma le gambe non le rispondevano più e lei, presa dal panico, abbassando lo sguardo ne comprese finalmente il motivo: dal polpaccio sinistro spiccava l'asta di una freccia e quella visione la raggelò. Era spacciata.
Immediatamente un terrore sordo ancor più intenso di quello provato in precedenza l'avvolse e la soffocò, accompagnato da un'ondata di lacrime che silenziose e gelide le rigarono il viso.
Due mani artigliate l'afferrarono improvvisamente per le spalle e la costrinsero a guardare verso l'alto e le pupille le si dilatarono tanto da minacciare di far scomparire per sempre l'iridi grigie.
Il moredhel l'aveva ripresa ed ella, ancor prima di vederne il ghigno sfrontato, già sapeva di chi si trattava. I suoi occhi incontrarono quelli scuri di Amras... e gridò.


Gridò con tutto il fiato che aveva, squarciando la quiete del mattino e provocando il sollevarsi in volo di uno stormo di uccellini fino a un momento prima appollaiati fra le fronde degli alberi vicini.
Due mani la afferrarono saldamente per le spalle, riportandola completamente alla realtà ed Aredhel quasi si strozzò nel sussultare violentemente a quel contatto, cosicché mentre la voce tornava a morirle in gola s'alzò di scatto a sedere con gli occhi spalancati dal terrore. A quel movimento brusco la fitta al fianco ferito le smorzò il respiro ed ella gemette per il dolore, ripiegandosi subitaneamente su sé stessa e pesando maggiormente su quelle braccia che, a dispetto di tutto, la sostennero senza incertezze impedendole di ricadere fra le stoffe del suo giaciglio improvvisato.
Col capo ancora chino e gli occhi chiusi tentò di riprendere fiato, ma come la consapevolezza della propria condizione tornò, così fecero i ricordi degli ultimi giorni, che si mescolarono all'incubo appena avuto. Per questo, quando l'attimo seguente riaprì le palpebre, sollevando di scatto il capo, nel posar gli occhi chiari sul volto di colui che ancora la sorreggeva, ogni traccia di calore la abbandonò.
Un elfo dai lunghi capelli neri.
Al suo volto si sovrappose nella mente di lei l'immagine di quello di Amras ed un nuovo terrore si impossessò dell'eledhel, che cedendo al panico distolse lo sguardo e riprese a dibattersi per cercare di liberarsi.
– No!! Lasciami stare! Non toccarmi! – esclamò con voce rotta, ma la ferita al fianco si fece sentire immediatamente e già questa sarebbe bastata a porre fine ai suoi tentativi di ribellione. Senza fiato, senza speranze, avvertì le lacrime salirle prepotentemente agli occhi e un groppo in gola le smorzò del tutto il respiro, facendola boccheggiare.
– Calmati! – la voce dello sconosciuto che ancora la reggeva per le spalle le giunse all'improvviso, d'un timbro profondo e vagamente roco a causa del tono brusco da lui utilizzato – Calmati, dannazione!
Come quelle parole infransero il momento, quel groppo alla gola che stava minacciando di soffocarla scomparve e lei fu libera di respirare di nuovo. Le ci vollero un altro paio di secondi per tornare padrona di sé e lucida abbastanza da rendersi conto con sconcerto di essersi aggrappata con forza alla casacca di quell'elfo, la cui presa sulle sue braccia si fece più morbida.
Completamente scioccata, solo a quel punto Aredhel tornò a sollevar lo sguardo sul volto altrui, sbarrando nuovamente gli occhi argentei nel ritrovarsi ad affondare in due pozze del colore dell'oro più splendente. Completamente spiazzata, annichilita da quello sguardo caldo e freddo insieme, smise del tutto di respirare e una sensazione nuova le nacque in petto, sfiorandole l'animo al pari di una tiepida carezza gentile.
Per un unico primo istante le parve quasi di aver già visto quegli occhi...
Deglutendo, preda di un nuovo impulso deviò lo sguardo da quell'iridi per abbassarlo sui lineamenti di quell'elfo, trovandoli solcati d'apprensione ed una nota contrariata che ne rendeva lo sguardo ancor più penetrante. La carnagione olivastra le rammentò in un angolo della mente, lontano dalla sua consapevolezza, lo stesso colorito di Lorren ed i capelli corvini che gli ricadevano ai lati del volto tradivano una certa insubordinazione nei confronti del suo tentativo di tenerli legati in una coda di cavallo.
Un.. un moredhel?
Si riprese da quella sorta di trance contemplativa soltanto quando venne riportata volutamente alla realtà dallo schiarirsi della voce dell'altro, grazie al quale si rese finalmente conto dell'espressione incredibilmente seccata che questi aveva assunto.
– Bene – esordì quello che doveva essere effettivamente un moredhel, ora che aveva la sua attenzione – Grazie a te fra poco avremo almeno una pattuglia di guerrieri nemici alle calcagna – le annunciò, mentre le sue mani non parevano voler ancora scostarsi da lei, concludendo in tono sprezzante – Spero ne sarai orgogliosa.
– Ma... io... – Aredhel non trovava le parole per esprimersi, ancora sconvolta per l'incubo causato dalla febbre e confusa dall'evidente difficoltà che aveva avvertito nel tentare di determinare la natura dell'elfo che aveva di fronte. La gola le faceva male da quanto era riarsa dalla sete ed il fianco le bruciava in un modo insopportabile, tanto che finì per serrare la mascella in una smorfia di tensione.
Il moredhel non aggiunse altro ma lasciò finalmente la presa e la ragazza, priva di un appiglio, si ridistese cercando di regolare il respiro e riordinare le idee all'interno della sua mente in subbuglio.
Cosa stava succedendo? Era stata ricatturata?
– Hai la febbre – le disse colui che in teoria avrebbe dovuto non interessarsi per nulla alla sua condizione, traendola dalla sua confusione interiore solo per porgerle una borraccia colma d'acqua – Bevi.
Ubbidì meccanicamente a quel tono di comando e prese in consegna ciò che le veniva offerto, traendo alcuni sorsi d'acqua mentre il moredhel si mise a controllarle il fianco ferito. Quando le bende sporche di sangue esposero all'aria fresca dell'alba la lacerazione, sul suo volto abbronzato si delineò una nuova smorfia contrariata.
– ..e questa si è riaperta – annunciò senza alcun entusiasmo.
Aredhel tentò di tirarsi su ma stavolta non vi riuscì e gemette alla fitta di dolore che le attraversò in una scarica elettrica il cervello. Fu quell'elfo ad aiutarla, ancora una volta, invitandola silenziosamente a bere un altro sorso quando fu di nuovo seduta.
Si lasciò accudire docilmente, ancora troppo confusa per fare altrimenti, rimanendo in silenzio per tutto il tempo mentre il moredhel le sistemava nuovamente il bendaggio di fortuna. Eppure, prima che questi potesse aver finito, la miriade di interrogativi che uno dopo l'altro le si erano formati nella mente iniziò ad assumere un ordine che ben presto prese il sopravvento sul timore del momento, inducendola a schiudere nuovamente le labbra.
– Chi sei tu?
– Io? – l'altro parve sinceramente sorpreso della domanda postagli, ma le rispose senza nemmeno guardarla il viso – Mi chiamo Elwar. Elwar Garaniel – quindi si fermò, sollevando finalmente lo sguardo per fissarla dritto in volto, come in attesa di qualcosa.
– Aredhel... – fece allora lei, sentendosi improvvisamente un po' a disagio sotto quello sguardo penetrante – Aredhel Duhlyn.
– Bene, Aredhel... – esordì Elwar – come ho detto poco fa, qui fra poco sarà pieno di moredhel e per allora sarà meglio per noi aver già levato le tende. Quindi, – affermò senza mezzi termini, mortalmente serio – o sarai in grado di camminare da sola, o ti lascerò indietro.
Quel cambiamento di toni fu tanto repentino ed in contrasto con le attenzioni dimostratele un attimo prima da lasciarla nuovamente spiazzata. Quando si riebbe abbastanza, il suo primo pensiero fu un commento che tenne saggiamente per sé seppur ebbe il potere di delinearle le labbra in una smorfia più che eloquente.
Spiccio a parole, il moredhel!
Optò per annuire comunque, riconoscendo seppur soltanto fra sé e sé che quello strano moredhel non aveva tutti i torti sulla necessità di muoversi. Eppure vi erano troppi interrogativi che ancora necessitavano di un chiarimento per lasciar sfumare il momento.
– Ma – tentò – perché mi stai aiutando? Non sei uno di loro.. sei da solo? Dove sono i tuoi compagni?
Quello che seguì fu un teso momento di silenzio, prima che Elwar si decidesse a risponderle.
– Non credo possano essere affari tuoi.
L'improvvisa freddezza di quelle parole e del tono da lui usato le penetrò sino al centro del petto, dandole per un attimo l'impressione di non essere affatto riuscita a sfuggire alla situazione in cui si era ritrovata sino a poche ore prima.
No, c'era dell'altro. Alzandosi in piedi, non senza un aiuto, comprese che il gelo che l'aveva pervasa a causa del comportamento di quel nuovo moredhel era di una natura differente a quello sperimentato presso i Corvi. Ciò che sottile le serpeggiava nella parte più profonda dell'animo non era paura di lui.
Ferma al centro della piccola radura stava ancora cercando di definire quella sensazione quando nel suo campo visivo comparve il braccio di Elwar, il quale gli stava porgendo un ampio indumento grigio scuro.
– Tieni – le si rivolse senza alcuna traccia di emozione nella voce come nello sguardo – Questo almeno ti aiuterà a mimetizzarti nei tratti scoperti.
Aredhel prese il mantello e se lo drappeggiò sulle spalle, scoccando un'altra occhiata di sottecchi al moredhel che nel mentre si era voltato a spegnere le ultime braci del fuoco. Quando tornò da lei il suo tono autoritario la raggiunse senza difficoltà, altrettanto impersonale di quello usato poco prima.
– Per prima cosa dobbiamo trovare un corso d'acqua – le annunciò indicandola con un vago cenno della mano – E dovremo cambiarti quel bendaggio da macellai, altrimenti non farai molta strada.
Aredhel si dette un'occhiata al fianco e alle bende sporche di sangue rappreso. La blusa non era ridotta molto meglio e lo squarcio si era slargato, arrivando a coprire mezza circonferenza. Le labbra della ragazza si piegarono in una smorfia.
– Quanti erano? – il tono di voce distaccato del moredhel la fece distogliere dalle sue riflessioni ed ella lo osservò un attimo in silenzio, prima di capire a cosa si riferisse.
– Tre... – rispose senza troppo entusiasmo, mentre una nuova amarezza le trapelava dalla voce al solo pensiero. L'aveva fatto per permettere a Lorren di tornare ad Elvandar, solo per questo li aveva affrontati.
In quel momento, in un flash, le tornarono alla mente una serie di immagini sconnesse del suo tentativo di fuga del giorno prima, di com'era caduta miseramente, ormai priva di forze; del volo fatto quando il suo cavallo era stato abbattuto; delle voci e dei rumori dei moredhel al suo inseguimento mentre correva per il sottobosco; del suo tentativo di strisciare al riparo in un ultimo atto disperato. Ognuno di quei ricordi era intriso di disperazione e d'un terrore talmente grande da smorzarle il respiro al solo pensiero, tutti tranne uno. Quello di un paio d'occhi del colore dell'oro.
Gli occhi di Elwar.
Per riflesso si ritrovò a cercare di incrociarli un'altra volta, senza successo. Il moredhel in questione era intento ad esaminare la boscaglia ed i suoni che da essa provenivano presso uno dei grossi blocchi di roccia che delimitavano la piccola radura nella quale dovevano aver trascorso la notte. Osservandone la figura volta di schiena, sempre lo stesso interrogativo tornò prepotentemente a riaffiorare.
Chi è? Qual'è il suo scopo?
Quello che i Corvi avevano avuto intenzione di farne di lei l'aveva infine compreso, perché non ci voleva molto a tirar le somme di una simile indole tanto meschina e maligna quale era quella di quei Fratelli Oscuri, ma non era così per quello con cui si trovava ora. Lui l'aveva aiutata e la stava aiutando persino in quel momento. O almeno così sembrava.
Perché era così, no?
L'improvviso dubbio le fece tornare alla mente un altro ricordo del dì precedente, seppur esso si racchiudesse tutto in una sola emozione: la certezza di aver raggiunto Lorren. Quella consapevolezza ebbe su di lei lo stesso effetto che le avrebbe fatto sentir franare il terreno sotto i piedi e per poco non barcollò, sconcertata e improvvisamente boccheggiante.
Era vero, se l'era totalmente dimenticato. Negli ultimi momenti di fuga aveva avuto la certezza che gli eledhel inviati a cercarla fossero stati vicini, che avrebbero potuto salvarla. Perché Elwar l'aveva portata via? Perché non aveva permesso loro di trovarla?
Perché l'ha fatto? Si domandò sconcertata. Erano lì per me, perché non ha lasciato che mi trovassero? Perché ha impedito a Lorren di salvarmi?!
Un groppo in gola tornò a spezzarle il respiro, sconcertata da quell'improvvisa consapevolezza, ed una sensazione di delusione mista ad indignazione la travolse, facendole serrar i pugni lungo i fianchi. Puntò le iridi sull'elfo che intanto stava scendendo dal suo avamposto di guardia e fu con lo stesso effetto che avrebbe avuto uno schiaffo in pieno volto che si rese finalmente conto della realtà dei fatti.
Ma certo.. è naturale! È pur sempre un moredhel! Pensò amaramente.
Elwar in quel momento tornò a cercarla con lo sguardo ed i loro occhi si incrociarono per l'ennesima volta, cosicché ella poté distintamente vederne l'espressione cambiare. Lo sguardo ambrato di lui cambiò, facendosi guardingo e scostante in reazione a ciò che doveva aver letto sul viso di lei. Invece di fermarsi di fronte a lei, come se nemmeno esistesse le passò accanto, superandola senza batter ciglio e la ragazza non riuscì ad impedire al proprio petto di contrarsi.
Voltandosi, lo osservò allontanarsi a quel modo ed un'improvvisa vergogna l'assalì.
Certo, era un moredhel, ma l'aveva tratta in salvo e le aveva persino dato il suo mantello. Fino a poche settimane prima non avrebbe condannato tanto facilmente le intenzioni di un Fratello Oscuro solo per essere tale, nonostante le credenze del suo popolo. Poi scosse il capo, come a voler estirpare quei dubbi. In fondo, fino a poche settimane prima era ancora una ragazzina intenta a cercare di rendere reali i propri sogni, molto più inesperta del mondo che la circondava. Da allora le cose erano cambiate e lo stavano facendo ancora adesso, tanto da renderle incomprensibile il modo in cui si sentiva in quel momento nei confronti di tutta quella vicenda.
– Muoviti!
Elwar la fece tornare in sé e il suo tono duro rinsaldò in ella il proposito di restare in guardia, ma fece ugualmente come le era stato detto. Si incamminò e già al primo passo un ginocchio minacciò di cederle, ma stringendo i denti tese ogni muscolo e lo raggiunse, solo per fermandoglisi accanto, in attesa di spiegazioni sul da farsi.
– Bene – fece questi, dopo aver sparso le ceneri del focolare per tentare di cancellarne la traccia, voltandosi verso di lei – Dammi le mani.
– Cosa? – domandò spiazzata, senza muovere un muscolo.
– Le mani – ripeté impassibile lui, porgendole la sua per farle cenno di sbrigarsi.
Sebbene lievemente imbarazzata, assalita da quell'emozione di disagio che le fece nuovamente dimenticare la natura di chi aveva davanti, fece come le era stato detto e sollevò ambo le palme in un impacciato tentativo di posarle sulla sua. Il moredhel senza indugio le afferrò e, tenendole unite, le legò velocemente i polsi con una corda.
– Ma cosa...? – Aredhel era spiazzata dalla repentinità e dal risultato di quel gesto e si ritrovò a boccheggiare come un pesce, altalenando lo sguardo dal suo volto ai propri polsi.
L'aveva legata!
In tutta risposta Elwar le rivolse un sorrisetto ironico.
– Sei mia prigioniera e come tale verrai trattata – le annunciò senza troppi preamboli – In questo modo non ti verranno strane idee in testa.
Totalmente spiazzata le ci vollero un paio di secondi in più per elaborare il significato di quelle parole e, quando ci riuscì, la rabbia le montò in petto, mista ad un'irritazione di tutto rispetto per l'inganno. Si era illusa e nient'altro, ecco cos'era accaduto sino a quel momento. Quel moredhel, con quei suoi occhi ingannatori, l'aveva indotta a credere di poter riporre in lui la sua fiducia, quando invece avrebbe dovuto guardarsene tanto se non di più dei Fratelli Oscuri dai quali era fuggita.
La striscia di stoffa usata per legarla andò a sfregare negli stessi punti in cui la pelle era già arrossata dalle corte corde usate in precedenza dai Corvi, cosa che la indusse a tentare di allentarne la morsa.
– Sono troppo debole per tentare di sfuggirti – cercò di protestare, al limite della sopportazione.
– Oh, questo lo so benissimo anche io – le rispose lui mentre quel sorrisetto gli si accentuava sul volto – ma non vorrei che ti saltasse in mente di tentare qualche trucchetto con me.
Trucchetto?!
– Tsk – fece soltanto lei in risposta, sempre più amareggiata.
Da una prigionia all'altra.
Come aveva fatto a credere di essere salva?
Si allontanarono, inoltrandosi nel sottobosco, dirigendosi verso est alla ricerca di un corso d'acqua, camminando per quasi un'ora prima di trovare ciò che cercavano. Una volta ripulita la ferita e rimessa la fasciatura, anch'essa accuratamente lavata nelle acque del torrente, svoltarono poi verso nord, percorrendo diverse leghe senza mai rivolgersi la parola se non per lo stretto indispensabile, cosicché durante tutto il tragitto Aredhel ebbe la possibilità di restar sola coi suoi pensieri.
Pensieri amari, che non fecero altro che peggiorare il di lei stato d'animo.
Oh, Lorren...

***

– Lorren!
Varsel lo raggiunse di corsa, afferrandolo per una spalla e costringendolo a voltarsi ad affrontarlo.
– Lorren, che vuoi fare?!
– Era riuscita a fuggire! – esclamò lui in tutta risposta, liberandosi della presa del suo capitano e riprendendo il suo incedere fra il fitto del sottobosco. L'ansia che fin'ora lo aveva tormentato aveva ormai superato il limite e l'eledhel non riusciva più a dominare il nervosismo, soprattutto alla luce di quella nuova scoperta.
Il fratello maggiore della sua amica gli afferrò nuovamente il braccio, facendolo fermare ancora una volta e dandogli una scrollata come a volerlo far rinsavire. Intercettandone di nuovo lo sguardo, Lorren vide nello sguardo altrui i suoi stessi sentimenti malcelati ed una determinazione tanto ferrea da lasciarlo in preda alla confusione.
– È inutile, lo vuoi capire? Ora come ora non le sei di nessun aiuto se insisti a fare di testa tua! Anche io sono preoccupato, cosa credi? Ma questo non è il nostro territorio – gli disse con fermezza, in tono duro – Se ci dividessimo correremmo tutti un rischio troppo grande!
L'eledhel impiegò qualche istante prima di annuire, un poco spaesato per l'irruenza di quelle parole ma, grazie ad essa, nuovamente padrone delle proprie emozioni. Comprendeva le ragioni dell'elfo e si rendeva perfettamente conto che era in pena quanto lui per la sorte di Aredhel, ma le speranze stavano continuando ad assottigliarsi ogni secondo trascorso in quella ricerca e ben presto sarebbe giunto il momento in cui Varsel si sarebbe trovato in bilico fra il continuare o il tornare ad Elvandar. E l'eventualità di abbandonare la ragazza-elfa Lorren non riusciva a immaginarla.
La frustrazione che aveva provato nel venire a conoscenza della reale vicinanza a cui si erano inconsapevolmente trovati da lei aveva rischiato seriamente di farlo precipitare di nuovo in quella marea di emozioni riconducibili a quel periodo della sua vita trascorso come Fratello Oscuro.
Tornando sui suoi passi, studiò ancora una volta le tracce sul terreno in silenzio, seguendo la scia e le orme lasciate da quella che ormai aveva la certezza fosse la sua compagna di ronde. Un sentimento di affetto e gratitudine gli sfiorò il petto al pensiero del tempo che lei gli aveva dedicato, a differenza di molti altri elfi di Elvandar, e cercando di dominare il battito del cuore si concentrò su quanto stava facendo. Fu allora che si rese conto della presenza di altre orme vicino al punto in cui ella doveva essere caduta, orme che si riconducevano al tronco semi-cavo di un grosso albero: un nascondiglio perfetto e ben riparato per quei momenti di totale confusione.
Ed allora strabuzzò gli occhi scuri.
Qualcosa di inaspettato era accaduto. Qualcuno l'aveva afferrata e trascinata con sé in quel punto riparato, allontanandola dal pericolo incombente. Corrucciandosi in volto, cercando di far quadrare le tracce che aveva sott'occhio con una serie consecutiva di eventi, non gli fu difficile individuare poi la direzione nella quale quel nuovo personaggio si era allontanato; una direzione diametralmente opposta alla loro, segno che poteva voler dire soltanto una cosa: non poteva essere né un eledhel, né un moredhel del clan dei Corvi.
Poi con la coda dell'occhio scorse qualcosa fra radici ed arbusti e, scostando una delle fronde del cespuglio più grosso, si ritrovò a districare dalla vegetazione quello che era un arco di foggia Hadati. Alternando allora lo sguardo dall'arma appena rinvenuta e le tracce a terra, inarcò un sopracciglio.
Era ancora intento a cercar di districare quell'enigma nella propria mente, accovacciato sul terreno accanto a quelle orme leggermente più nette delle altre, quando la voce di uno degli esploratori gli fece sollevar di scatto il capo.
– Alcuni Fratelli Oscuri si sono allontanati nel bosco – annunciò questi rivolto al loro capitano, indicando proprio nella direzione in cui le tracce che stava esaminando Lorren scomparivano.
L'eledhel si sentì gelare il sangue nelle vene.
Chiunque fosse il soccorritore di Aredhel, era seguito. Serrò i pugni lungo i fianchi.
Se soltanto avesse avuto la certezza che la sua amica stava bene...

***

Elwar continuava a tormentarsi sin da quel mattino.
Non riusciva a prendere una decisione sul da farsi.
Per tutto il giorno non avevano fatto altro che camminare, nel tentativo di allontanarsi il più possibile dal punto in cui v'era stato lo scontro che aveva vista coinvolta l'elfa che portava con sé, ed al sopraggiungere della sera erano riusciti a percorrere un notevole tratto limitando al minimo le tracce dietro di loro. Il terreno umido non facilitava le cose, ma lui era abituato ad aggirarsi su terreni montani molto simili a quello, peccato non fosse altrettanto per la ragazza al suo seguito. Ogni ora trascorsa ella aveva accusato sempre più la stanchezza, tanto che alla tramonto Elwar si era visto costretto a decidere di fermarsi per la notte.
Avevano scelto una zona particolarmente fitta di vegetazione e s'erano accampati senza alcun fuoco, per evitare di essere individuati.
Posando il proprio sguardo ambrato sulla sua prigioniera ne distinse chiaramente, nell'oscurità rischiarata dalla luna calante, i lineamenti segnati dalla stanchezza del viaggio e ne notò il modo convulso in cui se ne stava rannicchiata ai piedi di un albero, avvolta nel mantello che lui stesso le aveva dato. Tremava.
Elwar avvertì in fondo all'animo una sensazione sgradevole, simile ad una puntura fastidiosa e persistente che si affievolì solo quando si impose di scacciare via qualunque pensiero la riguardasse dalla propria mente. Non poteva rischiare di segnalare la loro posizione ai loro inseguitori. Perché sì, erano seguiti. Era dal primo pomeriggio che se n'era accorto grazie alla morfologia così varia del territorio che stavano attraversando, cosa che lo aveva indotto a cercare di eluderli come meglio potevano, senza successo. Aredhel, con quella febbriciattola costante, non era stata assolutamente in grado di mantenere l'andatura da lui richiesta, rallentandoli inevitabilmente entrambi.
Ed in tutto ciò, la cosa più importante era che non era riuscito a capire, in quel fugace scorger di sagome in lontananza, se si trattasse di eledhel o moredhel. Non che vi sarebbe stata differenza in un caso o nell'altro. Poteva tentare di fare solo una cosa: spingersi oltre la loro portata.
Non aveva fatto un gran mistero della propria inquietudine con la sua prigioniera, ma non gli era importato granché, finché ovviamente non si erano fermati. Soltanto da quel momento aveva celato accuratamente le proprie emozioni negative dietro una facciata di pacata indifferenza, perché non voleva in alcun modo turbarla tanto da indurla a non riposare adeguatamente: avevano entrambi bisogno che recuperasse il maggior numero di energie possibili per l'indomani mattina, quando si fossero rimessi in viaggio.
Così ora se ne stavano in assoluto silenzio, lui con le orecchie tese a sondare i rumori dell'ambiente circostante e la mente che continuava a soffermarsi su un unico pensiero. Evidentemente quell'elfa era più importante di quanto l'apparenza suggerisse. O questo, o semplicemente era benvoluta fra i suoi compagni, per avere un'intera squadra di eledhel sulle sue tracce. In quanto ai moredhel, non era un mistero che i Corvi non prendessero bene uno smacco come la fuga di una prigioniera, quindi non avrebbe considerato strano il loro accanirsi nel riprendersela.
Era stata molto fortunata a sfuggire loro, in effetti.
Se non ci fosse stato lui non ce l'avrebbe mai fatta da sola. Non conciata a quel modo.
Continuò a scrutarla nell'oscurità della notte, senza reale interesse eppure non per questo riuscì ad impedirselo, notando come apparisse scossa in quella sua posizione raggomitolata su sé stessa. Si teneva le ginocchia strette al petto e teneva gli occhi chiusi, ma la tensione tradita dal modo in cui si abbracciava le gambe rendeva evidente il fatto che non stesse dormendo.
Inaspettatamente, dopo una manciata di secondi di muta osservazione qualcosa iniziò a muoversi all'interno del petto del moredhel, una sensazione differente da qualunque altra avesse mai provato e della quale non riuscì ad identificarne la natura; qualcosa che lo lasciò turbato e disorientato.
Con energia scosse il capo, come a voler scacciare quella sensazione che gli provocava solo disagio e, quando rialzò lo sguardo, notò che la ragazza-elfa lo stava osservando con quei suoi occhi luminosi colmi d'una domanda inespressa. La di lei perplessità acuì le emozioni che gli erano nate in quel momento nell'animo e percepì per la prima volta da quando aveva memoria il sangue salirgli bollente al volto. Seccato, la ignorò come meglio poté e distolse lo sguardo per dirigerlo verso le tenebre del sottobosco alla propria sinistra.
Le notti stavano facendosi via via più fredde con il procedere della brutta stagione, rifletté, e specialmente a ridosso di quelle montagne, sotto le fronde degli alberi, stava sollevandosi un vento freddo proveniente da nord; una brezza che sembrava possedere lo stesso tocco della morte e che gli diede l'irrazionale impressione di portarla con sé verso Regno degli uomini.
Inconsciamente anche Elwar si ritrovò a rabbrividire, fatto che non fece altro che aumentare il suo malumore.
Tsk, dannata stagione.



continua...


Sono sempre più emozionata ad ogni capitolo che pubblico... o forse lascio passare talmente tanto di quel tempo che faccio in tempo a dimenticarmi l'emozione che sperimento prima... ç.ç scusateeee non vorrei nemmeno io procedere così tanto a rilento, potrei camparvi mille scuse e il resto, ma la verità è che va a rilento anche la stesura dei capitoli!
Ma eccolo qua! Il capitolo dell'incontro! Sì, come preannunciato le cose si fanno interessanti finalmente (almeno spero..)!
Inoltre, non contenta dell'impostazione delle pagine, ho aggiunto un bannerino ad inizio di ogni capitolo a ricordare a tutti di cosa si sta parlando... vi piace?? Ho faticato un po' a crearlo ma sono abbastanza soddisfatta del risultato.
Beh, che dire, spero che qualcuno di voi intrepidi alla fine decida di dirmi cosa ne pensa di questo mio parto secolare (^^°) nel frattempo vi auguro buona estate!
Alla prossima, gente!!

Kaiy-chan

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