Just an Ordinary Dream

di MoonLilith
(/viewuser.php?uid=1924)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


I.

Piove. È buio, ormai credo sia notte fonda. Per strada non si vede un accidente. Cosa diavolo ci faccio qui?

Mi guardo intorno, un po’ persa. Sto piangendo. Le lacrime calde che cadono giù, copiosa, in netto contrasto con le gocce di pioggia ghiacciate. Si confondo sulla mia pelle diafana, che spicca prepotente, bianca, alla luce di un lampione, nell’oscurità di questa notte londinese. Cosa diavolo ci faccio qui?

Per strada non c’è nessuno, o quasi. Passa qualche auto. È uno dei quartieri centrali, dovrebbe essere intasato dal traffico. Invece no, non c’è nessuno. Solo io, una stupida ragazzina che fino a poco tempo fa pensava di poter conquistare il mondo. E ora si trova sola, sotto la pioggia, al freddo. Bloccata dalla paura, paura che tutto quello che è successo nell’ultimo mese sia soltanto frutto della sua fervida immaginazione.

Cosa diavolo ci faccio, qui?


***

Un mese prima

« Jo! Jo, aspettami! » una voce mi chiama, la sento che tenta di sovrastare il ciarlare generale all’interno di uno dei corridoi del Politecnico di Milano. La ignoro. Continuo a camminare, districandomi tra la folla. Sbuffo rumorosamente, pregando di sparire magicamente prima che lei riesca a raggiungermi.
« Jolene! » esclama, e la sento terribilmente vicina. Chiudo gli occhi, mi limito a sospirare per l’ennesima volta. Anche oggi questo strazio, no. Mi volto, la vedo. Dietro di me, questa figura magrolina, minuta, molto molto bassa. Sembra un cagnolino scodinzolante, coi boccoli biondi che ondeggiano ad ogni suo movimento. Mi sorride incoraggiante. Quel sorriso mi mette solo una gran paura.
« Laura. » dico io, guardandola, inespressiva.
Siamo così diverse, io e lei. Lei è bella, bionda, quegli occhioni verdi brillanti e allegri. Io? Credo di essere la ragazza più triste del mondo. Capelli scuri, non castani e non neri, quell’ibrido terribile che non sa di niente. Occhi grigi, inespressivi, quasi senza pigmento, sicuramente senza gioia. Alta quanto basta, formosa quanto basta, carina? Diciamo che non basta. Cioè, non è che non sono felice. Ma non sono neanche iperattiva. Mi piace stare per fatti miei, tutto qui. Mi piace pensare alle mie cose. Al contrario della VIP che mi è accanto. E VIP non sta per Very Important Person. Ma per Violenza Psicologica. Quella che quest’essere infligge ogni giorno alla mia persona.
« Jo, cosa fai oggi? » chiede la ragazza, allegramente, mentre entrambe ci districhiamo per i corridoi del Politecnico. Le lezioni di oggi sono finite, finalmente. Sono le 2 del pomeriggio, orario perfetto per andare con calma a fare shopping, quando c’è meno gente. Shopping di libri, ovviamente. Non sono la tipa che gira per le boutique milanesi alla ricerca dell’ultimo ricercatissimo abito griffato Prada, non so se si era capito. Non avrei neanche i soldi per permettermeli certi lussi. Vivo da sola, lavoro per mantenermi. Non ho più nessuno, e non sono sicura che questo possa essere considerato un male.
« Niente, sono stanca, andrò a casa. » rispondo io, atona. Non la voglio tra i piedi. Non voglio nessuno tra i piedi. Quello è il mio pomeriggio sacro. Vado alla Feltrinelli, e mi perdo lì per ore e ore. Spendo metà dei soldi che guadagno il libri. Sono gli unici amici che non mi hanno mai delusa, mai abbandonata.
« Ma dai! Andiamo a prendere un gelato insieme almeno! » esclama lei, che prepotentemente mi cinge per un braccio. Forse vorrebbe dimostrarsi amichevole.
« Un gelato? » chiedo, guardandola, con una punta di stupore. « Massì! Guarda che siamo ad Aprile, mica a Dicembre! Non prendi mica un’influenza con un gelato! » insiste energicamente. « No, grazie. » rifiuto altrettanto energicamente.

Non so come né perché, mi ritrovo seduta ai tavolini all’esterno di un bar, sotto il sole cocente delle 2 e mezzo del pomeriggio (fa terribilmente caldo, oggi) a prendere un gelato mentre Laura mi racconta la storia del suo primo anno al Politecnico e di come sia stato difficile, e di come si sia dovuta impegnare, e di come poi abbia trovato la strada giusta e bla bla bla.
C’è pochissima gente, e vorrei vedere chi altro stupido come noi si azzarderebbe a fare una passeggiata a quell’ora, coi negozi tutti chiusi. A parte la Feltrinelli, che è poco distante. Mentre Laura continua a fare il suo monologo, io architetto un piano per defilarmi da quest’incontro.
Gioco distrattamente con la cannuccia nel lungo bicchiere colmo di menta fredda. Ormai non l’ascolto più. Attendo un momento di pausa del suo discorso per potermi alzare e andare via. E ci sono quasi, perché per un momento si blocca. Poi mi afferra il braccio, mi avvicina a sé, e mi mormora nell’orecchio (ma ha una voce così acuta che avrebbe sentito chiunque, se ci fosse stato qualcuno seduto accanto a noi).
« Jo! Guarda lì che figo che sta arrivando! » e mi indica la strada alle mie spalle. Quindi mi devo automaticamente girare, per poterlo vedere. Quindi automaticamente ci farò una figura di merda. Ma chi se ne frega.
Adocchio il tipo che mi indica Laura. Alto, vestito con una maglia bianca, sotto ad una giacca nera, e pantaloni dello stesso colore. Ai piedi, scarpe eleganti, di cuoio. Capelli lunghi, appena mossi, castani, con dei riflessi quasi ramati, alla luce del sole. Barbetta incolta, Rayban che gli coprono gli occhi. Cammina tranquillo, le mani in tasca.
Lo osservo, in effetti non posso dire che sia brutto. Ma non è il mio tipo. Ma c’è qualcosa nel suo aspetto… mi è familiare. Inarco le sopraciglia, lo osservo bene. Con quei dannati occhiali da sole, il sole dietro di lui, non riesco a collegarlo. Come quando, la mattina, ci si sveglia e non si ricorda il sogno che si è fatto la notte, a parte qualche immagine sfuggevole.
« Ma non è bellissimo?! » esclama Laura con enfasi, proprio mentre il ragazzo passava vicino al nostro tavolino. La fulmino con lo sguardo. Lui si volta, ci guarda, e le sue labbra si distendono in un sorriso lieve. Resto attonita a osservarlo, le sopraciglia inarcate, la bocca semiaperta. Ma chi è? Ma che vuole?
Laura fa un sospiro, si lascia andare sulla sedia. « Ah, mi sono innamorata! » esclama, con le mani sul cuore e lo sguardo da rincitrullita.
« Bene, fintanto che tu ti innamori io me ne vado, eh? Ci si vede! » esclamo, prendendo al balzo l’occasione. Infilo la borsa in spalla e senza dare neanche il tempo a Laura di fermarmi, mi dileguo.

Arrivo alla Feltrinelli. Entro, e l’odore del negozio mi inebria e mi rilassa. In realtà non si può dire che ci sia un profumo specifico, però mi rilassa lo stesso, insomma.
Mi dirigo subito al reparto novità. È da un po’ che non ci vengo, accidenti. Dopo aver sfogliato e preso sotto mano qualche nuovo libro, pronto all’acquisto, mi dirigo nella sezione dei romanzi, divisi per ordine alfabetico.
Passo in rassegna i titoli, ormai li conosco a memoria. Afferro un Oscar Wilde, inizio a sfogliarlo.
« No! La versione inglese a fronte! Questo non ce l’ho! » esclamo, presa dalla euforia, ad alta voce. Mi rendo conto della brutta figura, mi volto con fatica a vedere se qualcuno ha notato il mio spettacolino. Ho in mano una pila di libri, e a fatica riesco a tenere aperto Il Fantasma di Canterville.
Mi rivolto a leggere la parte in inglese. Assorta. Pian piano sprofondo totalmente nel mio stato comatoso, che mi becca sempre quando mi ritrovo nella Feltrinelli a sfogliare un libro che mi piace particolarmente. Poi, d’un tratto, un urto. In un attimo i miei libri cascano a terra e io, esile come sono, li raggiungo al volo.
« Ma che diav… » inizio a dire, rialzandomi faticosamente.
« Oh… Scusami! » sento dire. Ma non è italiano. È inglese. Mi metto a sedere, e la prima cosa che vedo sono delle scarpe di cuoio. Sollevo lo sguardo, e mi trovo faccia a faccia col ragazzo di prima, Rayban ancora a coprirgli gli occhi.
Apro la bocca per protestare. Lui ci piazza su la sua mano, per non farmi parlare. Intanto con l’indice mi fa segno di star zitta. La sua pelle profuma terribilmente di vaniglia. Ho deciso, esiste un profumo migliore di quello della Feltrinelli. E’ quello di questo ragazzo. Scosto la sua mano dalla bocca, con forza. « Ma chi diavolo sei?! » gli chiedo, a bassa voce.
Lui solleva gli occhiali da sole. Mi trovo faccia a faccia con degli occhi furbi, espressivi, le iridi nerissime e lo stesso luminose. All’inizio, giusto per i primi secondi, non lo riconosco. Poi il mio sguardo mette a fuoco un poster che è appeso sul muro alla fine del corridoio, proprio oltre la spalla del ragazzo, lontano.
La Locandina de “Le Cronache di Narnia – Il Principe Caspian”.
Alterno lo sguardo dal poster a lui, per qualche istante. La bocca si spalanca sempre di più, finchè non ho un vero e proprio sussulto.
« B-Ben Bar… » ma non ho il tempo di finire la frase, che subito mi riporta la mano a coprire la bocca. Sento un vociare alle mie spalle. « Ma siete sicure che è andato da questa parte?! Ma era davvero lui?! Mio Dio quant’è bono! »
Lui sospira, abbassa di nuovo gli occhiali da sole sul viso, e poi mi guarda. Almeno, credo mi stia guardando.
« Vieni, andiamo. »
« Cos…? » chiedo, subito prima che lui mi afferri per il braccio e mi trascini via da lì, velocemente.
Non so quale sia la cosa più grave. Lasciare i miei libri lì, a terra, in attesa di essere acquistati, oppure il fatto che Ben Barnes mi stia trascinando via dalla Feltrinelli? Sono un po’ confusa.
Guardo i libri, guardo lui, di cui attualmente vedo solo la nuca. Mi sento confusa. Sento che c’è qualcosa che non va.
È tutto uno scherzo, vero? Beh, è di pessimo gusto.


//

Spero il primo capitolo vi sia piaciuto... Torno dopo tanto tempo a scrivere una FanFic, devo sgranchirmi un po'. Per ora ditemi cosa ne pensate, se vi piacerà continuerò a postarla. :3

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo II ***


II.

Okay, dove eravamo rimasti? Ah, sì.
C’è Ben Barnes che mi sta trascinando fuori dalla Feltrinelli per sfuggire ad un’orda di ragazzine sue fans.
Tutto regolare.
« Ma ti vuoi fermare?! » esclamo in inglese, mentre lui mi trascina oltre l’ingresso del negozio e svolta subito in una stradina secondaria lì vicino.
Si appiattisce contro la parete, senza temere minimamente la possibilità di rovinare i suoi vestiti. Mi tiene ancora per il braccio, e standogli vicina sento il suo cuore che batte. Non so se per la corsa o per la paura. Le fans sfegatate fanno quest’effetto?
Sentiamo un vociare che man mano si avvicina, in effetti è abbastanza inquietante.
« E’ andato di là, sono sicura! »
«Ma l’hai visto?! »
« Sì sì, vieni! »
D’un tratto, vediamo passare uno stuolo di ragazzine in calore. Ah, cosa fanno gli ormoni adolescenziali. Nella stessa velocità con cui sono arrivate, si dileguano alla ricerca di un fantomatico Ben Barnes.
Ne approfitto per svincolarmi dalla sua presa, mentre lui tende ancora l’orecchio con la paura che possano tornare.
« Okay, ottima parte, complimenti. » dico a quel punto, allontanandomi di un passo da lui e guardandolo. « Cos’è, uno scherzo? Una Candid Camera? » continuo, iniziando a ispezionare i muri, il terreno, i dintorni insomma.
E mentre cerco la telecamera galeotta, lo sento ridere alle mie spalle. Mi volto, e lo trovo a pochi passi da me, le braccia incrociate, gli occhiali da sole sollevati, che mi osserva e ride. Beh io non lo trovo molto divertente.
« Ascolta, amico mio. » inizio a dire, avvicinandomi, e puntandogli contro un dito indice dall’aria molto accusatrice. « Non so chi tu diavolo sia e non so perché ti diverti a fare cose del genere, ma di certo non sei… Non sei… Lui. Ci siamo capiti, no? » dico io, non trovando la forza di dire il nome dell’attore. Perché, poi? « Ma cosa pensate, di prendermi in giro? Pensate che io sia una di quelle ragazzine che sono appesa passate, che abbocca davanti a un bel ragazzo che ricorda… vagamente… un attore? » beh, in effetti, non lo ricorda vagamente. È proprio spiccicato.
« Ma cosa stai dicendo? » dice lui, tra le risate. « Io sono Ben Barnes! »
« Sì, e io sono la Regina d’Inghilterra. » sbotto io, cercando di superarlo per tornare alla Feltrinelli e terminare ciò che avevo iniziato.
Gli passo accanto, e lui mi blocca di nuovo per il braccio. « Ma perché non ci credi? » mi chiede, tra stupore e ironia. « Ti sembra così assurdo? »
Mi giro, lo guardo qualche secondo, con le sopraciglia inarcate.
« Non mi sembra assurdo, ma più che altro assurdamente falso. » sbotto io, cercando di divincolarmi dalla presa. Il cuore, però, non ha smesso di battere. Solo a guardarlo, mi inizia a mancare il fiato. Quindi porto lo sguardo altrove, per non cadere nella sua trappola.
« Ma tu non eri con un’amica, mezz’ora fa circa? » chiede lui, da un momento all’altro, senza apparente motivo.
« Ah-a! Adesso ho capito! » esclamo io, indicandolo di nuovo minacciosamente. « Volevi adescare la mia amica?! Sappi che non ti dirò nulla, anche perché a stento so come si chiama visto che dopotutto mia amica non è. E comunque io non sono un’agenzia matrimoniale! » esclamo, e forse inizio a urlare un po’. Questa situazione mi sta scocciando non poco. « Comunque, ripeto, questi scherzi non mi piacciono, quindi sei pregato di lasciarmi stare! » aggiungo, ancora a voce alta.
Lui stende le labbra in un sorriso, molla la presa, solleva le mani in segno di resa. Rimane fermo a guardarmi mentre mi allontano. Davvero ha mollato così in fretta? Solitamente quei tipi sono capaci di seguirti fino a casa. Lo guardo un attimo, lui mi sta ancora guardando. Di nuovo, i miei occhi grigi si fondono con quelli onice di lui. Per un istante l’ho quasi creduto, in effetti… sembra davvero lui. Una perfetta imitazione. Poteva creare un sogno perfetto per una qualsiasi fan un po’ più credulona.
Ma io ho smesso di credere ai sogni già da un po’ di tempo.
Rientro nella Feltrinelli, le commesse mi guardano un po’ stranite. Mi sento molto in imbarazzo, mentre torno sul luogo del disastro. Raccolgo il più velocemente possibile i libri che mi son caduti, torno alla cassa, li pago e mi dileguo.
In autobus, in piedi per la troppa gente, guardo fisso a terra. Ho il suo viso stampato nella mente. Cerco di scacciarlo, di pensare ad altro, ma quegli occhi, quel sorriso, s’insinuano prepotenti nei miei pensieri.
Che fosse davvero lui?
Non essere sciocca, mi dico. Sbuffo, sollevo lo sguardo, il tragitto oggi sembra più lungo del solito. Non riesco a stare ferma. Mi sento agitata, iperattiva. Muovo i piedi, le gambe, picchetto i polpastrelli contro qualsiasi superficie contro cui mi aggrappo per reggermi in piedi dagli sballamenti provocati dall’autobus.
Entra un ragazzo coi capelli lunghi, non lo vedo bene in viso. Sussulto, mi manca il fiato. Lo guardo, mentre il viso diventa completamente rosso. Poi si volta, e osservandolo bene mi rendo conto che non è lui. Sono visibilmente delusa. Poi, mi stupisco di me stessa. Sto forse impazzendo? Mi sto lasciando abbindolare da un cretino che ha fatto tutta quella scena forse solo per chiedermi il numero di Laura? Poi, che senso ha spacciarsi per un attore? Assurdo.
Scendo alla mia fermata. Velocemente mi avvio verso casa, con la borsa che mi pesa per i troppi libri contenuti dentro. Velocemente entro nel condominio, salgo le scale, apro la porta di casa e me la chiudo dietro. Sono salva. Sono a casa, nel mio piccolo rifugio solitario, l’unico posto dove mi trovo bene. Beh, forse non è molto luminosa, anzi, il sole batte poco in casa mia. È un po’ fredda, e piccola, ma mi piace. Ormai mi ci sono abituata. Nell’ambiente unico che fa da cucina, sala da pranzo e salotto c’è un bel divano, un po’ vecchio, ma molto morbido e accogliente. Di quei divani di cui non riusciresti mai a liberarti. Sopra ci sono sparpagliate tre o quattro copertine di lana. Sono una tipa molto freddolosa, non ho il camino e il riscaldamento centralizzato non funziona sempre, d’inverno. Entro, spio, ho il vizio di controllare che sia tutto in ordine. O per lo meno, tutto come è stato lasciato.
Mi dirigo in camera. Anche questa non è molto illuminata, ma è accogliente. C’è sempre una sorta di luce soffusa calda, sull’arancione, dovuta alle tende di quel colore che ho messo alla finestra. Dei muri non c’è più un triangolo libero, sono tutti tappezzati di poster. Delle mie band preferite, di personaggi famosi, di locandine di film. E c’è anche lui, in un angolo. Un poster di Ben Barnes, accanto alla locandina de “Il Principe Caspian”. Lascio pesantemente la borsa sul letto, mi volto a guardarlo, lo osservo bene. Sembrano veramente identici, cavolo. Sospiro, ormai è fatta.
Porto le mani a coprirmi il volto, sbuffo, mi scosto i capelli e lo sguardo ricade di nuovo sul poster. Non scherziamo. Ma quale attore. Però è stato divertente… E’ stata una cosa diversa. Le mie giornate sono sempre tutte uguali…
Mi ritrovo involontariamente a sorridere. Appena me ne rendo conto, mi stupisco di me stessa. Non ridevo per una persona in carne ed ossa da quando… vabbè, non importa. Non ci voglio pensare, forse sarebbe meglio ripassare la lezione di Fisica di oggi.
Apro la borsa, estraggo i libri comprati alla Feltrinelli, e mi metto a cercare alla ricerca di quello di Fisica. Non c’è. Mi blocco. Sono sicura di averlo portato. Me lo ricordo, ce l’avevo al Politecnico questa mattina. Poi man mano ricordo, e realizzo. Vuoi vedere che…
« No! Mi è caduto nella Feltrinelli! » esclamo ad alta voce, lasciando la borsa sul letto. « Cazzo cazzo cazzo! » inizio a ripetere freneticamente, riprendendo la borsa e svuotandola del tutto sul letto. « Non posso essere così idiota! Quel libro costa un patrimonio, accidenti a me! » continuo a rimproverarmi, mi alzo in piedi, mi guardo intorno agitata, forse sperando che il libro appaia da un momento all’altro, per magia, in un angolo della mia scrivania. Mi metto le mani nei capelli, nella disperazione più totale.
Lì dentro c’era la foto di mamma e papà.
Mi risiedo sul letto, sbuffando. Mi lascio andare e mi stendo di fianco, pensandoci.
« Sono proprio un’idiota. » ormai era tardi, se la Feltrinelli a quell’ora fosse stata ancora aperta, non avrei di certo più ritrovato il libro. Mi metto una mano a coprirmi la faccia, ecco che inizia il mal di testa. Mi viene sempre una forte emicrania quando mi innervosisco.
Continuo a ripetermi insulti, a dirmi quanto sono stupida, ma l’immagine del viso del ragazzo non se ne va mai dalla mia mente. È sempre lì, e questo m’innervosisce ancora di più.

***

« Jolene, ma si può sapere che fine hai fatto l’altro giorno? » eccola, è tornata. La voce più snervante del mondo poò appartenere solo a lei. « Ti sei dileguata e mi hai lasciata sola al bar, ma ti sembra modo?! »
Non basta che l’ho accompagnata, rompe pure di sopra. Che zecca.
« Te l’avevo detto che avevo da fare. » rispondo, senza un particolare timbro della voce.
Sono passati già due giorni. Del libro neanche l’ombra. Dentro c’erano il mio nome e il mio cognome, un’anima buona si sarebbe pure potuta degnare di fare una ricerca e farmelo avere. E invece niente, la mia solita fortuna.
« Veramente mi avevi detto un’altra cosa! Jo, ma perché mi eviti?! Io voglio solo esserti amica, o per lo meno andare d’accordo! » esclama lei, con un’odiosissima cadenza lagnosa nella voce.
« Mi piace stare da sola, Laura. Tutto qui. » le rispondo io, mentre controllo l’orologio. Non risponde più, forse l’ha capita. Guardo fuori dalle finestre, e osservo le minacciose nuvole nel cielo. Ieri sembrava estate, oggi torna il classico tempo di Milano. Grigio, sole malato, ogni tanto un po’ di pioggia. Quasi sembra di stare a Londra.
Automaticamente, pensando a Londra, mi viene in mente la faccia di quel ragazzo che diceva di essere Ben Barnes. È comparso molteplici volte nei miei pensieri, in questi giorni. Sospiro, mi dirigo verso l’aula del corso di Informatica. Laura mi segue, lo fa con me. È silenziosa, e questo mi incuriosisce. Ma poi mi volto e noto che sta solo scrivendo alla velocità della luce un sms.
« Ti si staccherà il pollice se continui a quella velocità, un giorno. » sbotto io, guardandola.
Lei? Lei si volta a guardarmi e mi sorride allegramente. È veramente il mio opposto, questa ragazza.
Seguiamo la lezione di Informatica, poi andiamo a mangiare in mensa (o meglio, io ci vado e lei mi segue docilmente) e seguiamo l’ultima lezione di Inglese della giornata.
All’uscita dal Politecnico, le nuvole si erano scurite, e sembravano dense e cariche di pioggia.
« Bene. » ho commentato, prima di salutare con un gesto della mano Laura e iniziare a correre sotto le prime gocce, cercando di coprirmi il più possibile con la giacca.
Raggiungo la fermata, e ovviamente quando io sono a pochi metri lontana vedo partire l’autobus. Il numero che devo prendere io, è giusto.
« Ma porc… » inizio a dire, mentre rassegnata aspetto l’altro autobus sotto le prime timide gocce di pioggia, che per fortuna non tendono ad infittirsi finchè io non salgo sull’autobus. Mi faccio la mia bella mezz’ora in piedi, con gli abiti umidi e il freddo che mi inizia a penetrare nelle ossa.
All’uscita dall’autobus mi attende un bell’acquazzone, ma per fortuna correndo raggiungo velocemente casa. Giusto il tempo di bagnarmi completamente dalla testa ai piedi, niente di che.
Entro finalmente nel mio rifugio accogliente. Che però è freddissimo, ma vabbè, mi riscalderò in qualche modo. Mi cambio velocemente i vestiti, metto le scarpe fuori ad asciugare sul balcone e indosso una maglia a maniche corte maschile, enorme, che uso come pigiama estivo perché mi va a mo di vestitino. Le babbucce a forma di orsetto ai piedi, e subito inizio a dedicarmi ai capelli, che tendono al crespo in una maniera incredibile.
Mentre, ancora bagnati, li pettino cercando di districare i nodi, vengo interrotta dal suono improvviso del campanello. Mi blocco, mi volto in direzione della porta, inarcando un sopraciglio. Non è un po’ presto per l’affitto?
Vado ad aprire la porta. La spalanco velocemente. E resto di sasso.
Appoggiato allo stipite della porta di casa, c’era Ben Barnes. O comunque quella sorta di sosia che ho conosciuto (o meglio, che mi ha rapita per circa cinque minuti) due giorni fa.
Dire che è bello, è estremamente limitativo. Alto, con i capelli castani, appena mossi, un po’ scompigliati forse a causa della pioggia, che cadono morbidamente a incorniciare quel volto che è da mozzare il fiato. Il sorriso è particolare, dolce, ironico e malizioso nello stesso tempo, gli occhi sono due diamanti nero corvino, e mi osservano con ilarità, brillanti.
Indossa una camicia nera sotto ad una giacca avana, jeans scuri, un po’ scoloriti, rovinati dall’usura, e ai piedi Vans Slip-on nere.
La prima cosa che mi viene da pensare? Non ho mai visto una camicia stare così bene sul corpo di qualcuno.
La prima cosa che faccio? Gli chiudo la porta in faccia.
Dopo un attimo in cui il cuore si è praticamente fermato, ha ricominciato a battere così forte che sembrava il galoppo di un cavallo. Sembrava che volesse squarciarmi il petto. E continua così tutt’ora, mentre passano silenziosi i secondi, e io sono nel pallone. Ho il respiro un po’ affannato. Sto tremando. Dio, Dio, se quello oltre la mia porta non è Ben Barnes, è il suo gemello separato alla nascita.
Tendo di nuovo la mano alla porta, dopo un minuto abbondante di attesa. La riapro, veloce, con uno scatto.
Il cuore si ferma per la seconda volta. Secondo infarto nell’arco di due minuti, un record.
È ancora lì, la stessa espressione, lo stesso sorriso che c’è da mangiarselo, lo stesso sguardo in cui c’è da perdersi. Con la spalla sinistra poggiata contro il muro (la mia porta si trova alla fine di un corridoio pieno di appartamenti), continua a fissarmi, enigmatico.
Apro la bocca, faccio per dire qualcosa. Non esce nulla, nessun suono.
« E’ così che fai con tutti quelli che vengono a trovarti? » mi chiede lui, spezzando il silenzio, a bassa voce. Bassa e terribilmente sensuale.
Io, dal canto mio, continuo a rimanere immobile, con la bocca spalancata, come un pesce lesso.
Poi mi riprendo un attimo. « No, non faccio così, perché non viene a trovarmi mai nessuno. » mormoro un po’ incespicante. Ma c’è qualcosa che non mi torna. « Ma… che diavolo ci fai tu qui? Vuoi ancora importunarmi con questa storia che sei Ben Barnes? »
Gli chiedo, insicura. Lui, dal canto suo, si limita a guardarmi eloquente, sempre con le labbra arricciate in un sorriso.
Forse… Forse è davvero lui.
« Beh, che facciamo, mi fai entrare? » prende l’iniziativa, sollevando poi un oggetto che non avevo notato.
« Il mio libro di Fisica! » esclamo tendendo infantilmente le braccia verso di esso.
Ben me lo cede tranquillamente, e approfitta del momento per farsi gli onori di casa da solo ed oltrepassare la soglia.
« Permesso… » dice ironicamente, ma è già ben oltre l’ingresso, e si dirige verso il salotto-cucina-saladapranzo incurante.
Lo fisso un attimo, con la mano a mezz’aria che regge il libro, finchè lui non si ferma, si volta forse a vedere cosa sto facendo, e mi sorride.
Con quel sorriso, quello sguardo che s’incontra col mio, ora non ho più dubbi.
Perdo per un attimo la presa del libro, sta per cadermi a terra. Sento un calore avvamparmi in viso, espandersi per tutto il corpo. Il cuore ricomincia ad accelerare.
È davvero lui.


//

Finito anche il secondo, attendo commenti! :)

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo III ***


III.

Passo dopo passo, mi avvio lentamente verso il salotto. Le mie babbucce producono un rumore ritmico e ovattato sul pavimento.
Volto l’angolo, mi affaccio.
Ben Barnes è seduto tranquillamente sul divano di casa mia. E ci sta pure comodo, a giudicare dall’espressione.
Gli sguardi s’incrociano un attimo, poi io non riesco a reggerlo, e lo chino.
« Ehm… Ascolta » inizio a dire, malgrado non sappia perfettamente come spiegargli come mi sento in questo momento.
« Perché non parliamo davanti ad una tazza di thè? Casualmente sono anche le 5, e io non rinuncio alle vecchie abitudini inglesi, quando posso. » dice lui, sorridendo. Sta cercando di mettermi a mio agio, ma come diavolo si fa?
Do un’occhiata al lavandino, che ovviamente è stracolmo di tazze sporche. Non c’è n’è neanche una pulita. Con espressione corrucciata mi dirigo velocemente al lavandino, e mi metto a lavare la prima tazza.
Inizio a strofinarla bene. È da un po’ di giorni che non lavo i piatti.
« Allora, Jolene… »
Al sentire la sua voce pronunciare il mio nome, la tazza mi scivola di mano, e io sussulto. Quella voce mi ha raggiunta come una carezza, come un petalo di rosa che mi sfiora la pelle.
Dice il mio nome in una maniera terribilmente dolce. Nello stesso momento, quasi a farlo di proposito, il suo profumo mi raggiunge. È nello stesso momento intenso e delicato. Dolce e deciso. Mi sta facendo morire, e ancora non ha fatto e detto praticamente niente.
Sento il silenzio, e poi un brivido mi percorre la schiena. Mi volto appena, mi sta guardando, e sorride. Mi giro completamente, e sento la necessità di poggiarmi contro il lavandino, perché mi tremano le gambe.
« Sì? » mi limito a dire, senza guardarlo.
« E’ nei tuoi costumi accogliere gli ospiti con quel tipo di abbigliamento? » mi chiede, ironico, indicando con un cenno della testa verso di me.
Porto lo sguardo in basso, e spalanco gli occhi. Mi ero dimenticata di avere addosso solo una maglietta a mo di vestitino e le babbucce ai piedi. La sua è chiaramente una battuta, ma io lo prendo molto sul serio, e scappo in camera a mettermi qualcosa di decente addosso.
« Ma guarda che non volevo che ti vestissi! Mica mi dispiace vederti così! » sento esclamare lui alle mie spalle.
Mi richiudo dietro la porta. Lo sento ridere, e la sua risata è vibrante e allegra. Mi sta sfuggendo di mano la situazione. Il mio sguardo corre dritto verso la locandina del film “Il Principe Caspian”.
« Dio, Dio, non può essere… » mormoro tra me e me, coprendomi il viso con la mano.
Quindi mi vesto, con una semplice gonna di jeans e una maglia grigia. Mentre esco, ricordo al volo di togliere le babbucce, rimanendo in calzini.
Mi dirigo velocemente verso la cucina, mi affaccio e resto piantata, immobile come un salame, davanti alla scena che mi si presenta.
« Ho trovato la teiera per riscaldare l’acqua, ma non trovo le bustine di thè. Ne hai in casa, vero? » dice lui, voltandosi dai fornelli, e sorridendo.
Resto qualche istante a fissarlo, a bocca aperta.
Ben Barnes sta usufruendo tranquillamente dei miei fornelli per prepararsi il suo thè delle cinque.
Tutto normale, no?
« Ehm… sono qui. C’è sempre del thè in casa mia. » mormoro io, accostandomi a lui, e aprendo uno stipo che sta sopra il lavandino. Ho piazzato la scatolina del thè in alto, e devo mettermi in punta di piedi. Tendo il braccio più che posso, ma riesco solo a sfiorare la scatolina, dall’alto della mia bassezza.
Tutto un tratto, lui mi si avvicina, sento il suo corpo sulla parte destra del mio. Senza neanche tendere troppo il braccio, arriva a prendere la scatola. Me la porge, guardandomi.
« Proprio come una piccola inglesina. » mi mormora lui, mentre io, prendendo la scatola del thè, inavvertitamente sfioro la sua mano con le mie dita.
Trattengo il fiato. Sollevo lo sguardo che si scontra con il suo. Uno scontro devastante, e dolce. Onice contro argento. Sento una fiamma dentro di me, che pian piano va espandendosi in zona guance. Sarò rossa come un pomodoro.
Lui prima sorride. Poi sembra inizi a osservarmi, a studiarmi. Assottiglia le palpebre, ci guardiamo per lunghi istanti, e lui schiude appena le labbra. Le mani sono rimaste lì, a mezz’aria a sfiorarsi, con al centro solo la scatola del thè a fare da ostacolo.
Credo che il mio cuore si sia fermato da circa un minuto. Abbondante.
Il fischio della teiera mi riporta improvvisamente alla realtà. Sobbalzo, la scatoletta mi cade dalle mani. Mi chino velocemente a prenderla da terra, mentre lui si passa una mano tra i capelli, portandoli appena indietro per scostarli dal viso.
« Ehm… lascia, faccio io. Vai pure a sederti. » gli dico, facendogli “sciò-sciò” con la mano. Lui, silenzioso, va a sprofondare sul divano.
Tiro fuori due bustine di thè, le piazzo nelle due tazzine che magicamente ho trovato pulite – o forse, non proprio magicamente – e ci verso cautamente l’acqua bollente e fumante.
Agito un po’ le bustine, in modo da far sciogliere il thè e si crei l’infuso, quindi le copro con i loro piattini, in modo da non far evaporare via mezzo thè, e le lascio un po’ così per far prendere più sapore.
Quindi mi sento pronta per affrontare il ragazzo seduto sul mio divano – manco fosse un assassino – e mi volto verso di lui.
Mi sorride. Ti prego, se vuoi avere una conversazione decente con me, smettila di sorridermi in quel modo così attraente.
« Ehm… » dico io, con poca convinzione.
« Ah ecco, volevo chiederti una cosa, Jolene. »
Dio, ma lo fai apposta allora!
« Dimmi. »
« Come mai questo nome? Non è italiano… giusto? » mi chiede lui, chinandosi in avanti a poggiare i gomiti sulle ginocchia. Mi guarda.
« No, infatti. » confermo io. È un argomento che non mi piace.
Mi guarda. Mi sprona ad andare avanti. Stringo le labbra, me le mordo.
« Non è una cosa di cui mi piace parlare. » rispondo seccamente. Alla fine, sono pur sempre acida.
Anche con Ben Barnes.
« Ma dai, ti ho solo chiesto come mai ti chiami così! » esclama lui, sorridendo.
« Non ti riguarda! » sbotto, ancora più acida. Oh, Cristo. Ho risposto male ad uno degli attori più famosi sulla faccia della terra che è un casa mia e sta per prendere un thè con me.
C’è qualcosa di tragicomico in tutto questo.
Lui, dal canto suo, non dice nulla.
Mi schiarisco la voce, giusto per spezzare un attimo il silenzio. Tolgo i piattini e poggio le tazze su un vassoi etto, insieme allo zucchero.
« Latte o limone? » chiedo, voltandomi. Mi sta guardando, accidenti.
« Latte. » dice lui, senza togliermi gli occhi di dosso. Mi sento a disagio.
Verso un po’ di latte per lui e due gocce di limone per me.
Porto il vassoio verso il divano, poggiandolo sul tavolino che c’è di fronte, sul tappeto. Mi siedo accanto a lui, sul divano. Il suo profumo mi investe, e mi fa partire letteralmente per qualche secondo.
« Grazie. » mi dice lui, semplicemente.
L’avrò fatto arrabbiare? Gli attori sono famosi per il loro caratterino, no?
« Ah! » esclama lui, ad un tratto, aprendo la giacca e frugando in una delle tasche interne. « A terra, vicino al libro, c’era questa. È tua? » mi chiede, estraendo una foto.
Ritrae tre persone. Al centro ci sono io, ed è palese, malgrado sia di qualche anno più piccola. Sto ridendo, anzi, ho un vero sorriso a trentadue denti. Ai miei lati ci sono una donna, bionda, bellissima, felice, con gli occhi grigi, e un uomo, con i capelli scompigliati nerissimi, proprio come i miei.
« La foto! » esclamo ad alta voce, strappandogliela di mano. La guardo, la stringo tra le mani, mi mordo il labbro inferiore.
« Sono… I tuoi genitori? » chiede lui, cautamente.
« Dove hai trovato il libro? » chiedo io, come se non avessi neanche sentito la domanda. L’ho sentita bene, ma non mi va proprio di rispondere.
Lui sembra passarmela, anche questa volta.
« Dopo che tu sei scappata via, io sono tornato alla Feltrinelli, per cercarti. Ho dovuto aspettare un po’, erano tornate quelle ragazzine. Quando sono arrivato, dei libri che ti erano caduti non ce n’era più traccia, poi vicino ad una delle poltroncine ho visto un altro libro, e poco distante questa foto. »
« Capisco. È stato così che mi hai rintracciata. » annuisco mentre zucchero il thè.
« Esatto. C’era il tuo nome e cognome, nel libro. E anche la tua università, il corso, tutto quanto. Mancava solo il codice della tua carta di credito. » dice lui, ridendo. « Non mi ci è voluto molto a trovarti. » aggiunge poi, concludendo.
« Oh quello non l’avresti trovato di certo, non ho mai visto una carta di credito in vita mia. » sbotto ironicamente, poggiando il cucchiaino sul vassoio dopo aver girato il thè.
Inizio a sorseggiarlo, è bollente.
« Ahia. » borbotto, iniziando poi a soffiare pian piano.
Silenzio.
Osservo le sue labbra poggiarsi sulla tazzina. Sembrano morbide. Sollevo di poco lo sguardo, verso i suoi occhi. Sono assurdi. Assurdi e bellissimi. Grandi, neri, espressivi. Rimango ammaliata a fissarli per un tempo indeterminato, finchè lui non si accorge del mio sguardo e si volta verso di me.
Il cuore batte, la tentazione di voltarmi è forte. Ma resto così, con la tazza bollente tra le mani, a fissarlo.
Sembra quasi che non ci sia bisogno di parole.
Siamo in silenzio, nessuno sta parlando, ma mi sento bene. Mi sento… rilassata, serena. Avevo quasi dimenticato un piacere simile, che non fosse scaturito dalla lettura di un libro.
In breve tempo, forse anche troppo breve, lui finisce il suo thè.
Si alza in piedi, dopo averlo poggiato un vassoio.
« Devo andare, è tardi. » dice lui a mezza voce, voltandosi verso di me.
« Ehm… Come ti devo chiamare? Signor Barnes? » chiedo io, alzandomi in piedi lentamente.
« Mi chiamo Benjamin. Ben. » dice lui, accennando ad un sorriso.
« Benjamin, allora. »
« Ben. »
« Ben. » ripeto io, annuendo. Solo pronunciare il suo nome mi fa sentire elettrizzata. Sono emozioni che non ricordavo di poter provare. « Allora, Ben… Grazie mille per il libro. E scusa per la casa in cui sei dovuto venire… » dico io, accompagnandolo alla porta.
Non lo sento dietro di me. Mi volto, vedo che armeggia qualcosa sul tavolo, poi mi raggiunge subito.
« Scherzi? Sono stato bene. » dice lui, sorridendomi, mentre apro la porta.
« E’ stato… un piacere. » mormoro io, accennando ad un sorriso.
« Soprattutto mio, credimi. » mi dice lui, oltrepassando la soglia di casa.
« Allora… buona fortuna. » dico io, consapevole che sto per chiudere la porta al sogno più strano, assurdo e meraviglioso che potesse capitarmi in tutta la mia vita. Ma ho paura. La mia fottuta paura. Sono una vigliacca, e non ho il coraggio di fermarlo. Per dirgli cosa, poi? Sarebbe senza senso. È già tutto così fuori dal normale.
Lui mi sorride, un sorriso assolutamente da togliere il fiato, e mi fa un cenno con la testa.
Faccio per chiudere la porta, lentamente, ma quando è quasi chiusa, qualcosa la interrompe.
La riapro. C’è lui appoggiato allo stipite della porta, con una mano poggiata su di essa, a tenerla aperta.
« Voglio rivederti. » mi dice, serio in volto, guardandomi fisso.
Io? Io boccheggio.
« Voglio vederti ancora, presto. » mi ripete lui, forse per paura che io non abbia sentito, vista la mia reazione praticamente nulla.
« Ma… ma… vuoi rivedere me?! Ma come… cosa… perché?! » esclamo io, incredula.
« Ho trovato una ragazza che può farmi da cicerone a Milano, la voglio vedere, e tu puoi mostrarmela. » mi dice lui, distendendo le labbra in un sorriso.
« Ehm… ok, ma quando? » chiedo io, che forse non mi sto ben rendendo conto di quello che sta accadendo.
« Quando vuoi, fatti sentire tu. L’importante è che sia un orario tranquillo. »
« E non c’è il rischio che qualcuno ti riconosca? »
Lui mi sorride, ironico, e malizioso, e bellissimo. Prende una ciocca dei miei capelli, la solleva, ci gioca un attimo. Il mio cuore palpita, galoppa, implode molteplici volte.
« Sono un attore, non dimenticarlo. Il mio lavoro è non farmi riconoscere dalle persone. » mi risponde lui.
Ovvio, Jolene, quanto sei stupida.
Annuisco, lui sorridendomi mi saluta, e s’incammina verso l’uscita del corridoio. Lo guardo un attimo allontanarsi, poi chiudo la porta.
C’è qualcosa di anormale in tutto questo.
Lentamente, col suo profumo tra i capelli, mi avvio verso il divano. Mi ci lascio cadere, proprio dove era seduto lui. Il mio sguardo si posa sulla tazza da cui ha bevuto il thè, posata sul vassoio. La prendo in mano, è ancora calda.
Con il dito – e mi accorgo di tremare non poco – vado a sfiorare il punto in cui lui ha posato le sue labbra. Lo stomaco mi si rivolta, ma non è una brutta sensazione, è bellissima. Il tutto correlato da una scarica elettrica che corre lungo la mia spina dorsale. Mi rendo conto di avere il respiro irregolare.
Dio, non è possibile.
Poi, i miei pensieri vengono interrotti da una realtà che al momento mi sembra alquanto catastrofica.
Io non posso farmi sentire, non so dove trovarlo!
Panico.
« Lo sapevo, lo sapevo! Era troppo bello per essere vero! » esclamo lasciando senza cura la tazza che poco prima avevo accarezzato. « E’ stata una stupida scusa per togliermi elegantemente fuori dai coglioni… c’era da aspettarselo! Stupida, stupida Jo… » mi rimprovero. Ecco cosa succede a sognare, anche un attimo. Cosa succede a credere in qualcosa. Mi ero ripromessa di non farlo più. Appena ci ritento, me la prendo in quel posto, come sempre.
Mi alzo in piedi, diretta verso la mia camera. Passando vicino al tavolo, però, qualcosa di chiaro in contrasto con il legno scuro cattura la mia attenzione. Un foglietto.
Sento il mio cuore sprofondare.
Mi avvicino, lo prendo in mano. Con fatica, a causa del tremore alla mano, leggo.
Oh, Cristo.

328/xxxxxx
Facciamo domenica? ;)
Ben



//

Terzo capitolo appena finito. Sto scrivendo come una pazza! *_*

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


IV.

Domenica pomeriggio.
Precisamente, le 2 del pomeriggio.
Il mio autobus si ferma lentamente alla sosta in Piazza Duomo. Scendo, mi guardo intorno. Oggi c’è il sole, si sta anche bene a maniche corte. Infatti indosso addirittura gli occhiali da sole, malgrado non mi piaccia troppo portarli. Sono grandi, a mosca, si dice? Vabbè, non importa, sono quelli che mi coprono di più la faccia quindi mi piacciono.
Indosso una maglia rosa shocking, pinocchietti di jeans, converse gialle, abbinate alla borsa che da sugli stessi colori luminosi. I capelli sono legati in una coda alta, tranne la frangetta che scende liscia fino a metà fronte.
Non mi sono messa in tiro, nooo.
Gli ho mandato un messaggio, ieri. Gli ho chiesto se gli andava bene la data e l’orario di oggi. Dopo qualche ora, a notte fonda, mi ha risposto. Ho letto il messaggio questa mattina, e mi è venuta un’ansia pazzesca. Ho un appuntamento con Ben Barnes.
Dopo questo piccolo flashback, cerco di aguzzare la vista, cercando con lo sguardo qualcuno che potesse somigliargli almeno lontanamente.
Niente di niente. Sospiro, arricciando le labbra. Estraggo dalla borsa un pacchetto di Lucky Strike. Ne porto una alla bocca, l’accendo.
Faccio un lungo tiro, e ora che la nicotina inizia a circolare nel mio organismo, il cuore sembra decellerare appena il suo battito.
Inizio a passeggiare lentamente per la piazza, guardando in continuazione il cellulare. Niente. L’ansia ritorna, con tutta la forte percentuale di nicotina.
Sono arrivata ormai a metà sigaretta, mentre al centro di Piazza Duomo, leggermente in imbarazzo, continuo a guardarmi intorno.
Il pensiero di mandare tutto a fanculo si insinua malefico nella mia mente.
« Buongiorno, Jolene. » sento d’un tratto mormorare ad un centimetro dal mio orecchio destro.
Quella voce la riconoscerei in mezzo ad un milione di altre diverse. Chiudo gli occhi, sento i brividi lungo il corpo.
« Signor Barnes, siamo in ritardo. » mormoro io, arricciando le labbra in un sorriso. « Proprio come le Star. » aggiungo, ironicamente.
Lui intanto ha poggiato il mento sulla mia spalla, e sento la visiera di un capellino toccarmi una tempia.
« Oggi non sono il signor Barnes. Mi chiamo Lucas e sono francese, e tu sei la mia ragazza Jolene. » dice lui, tranquillamente. Lo sento sorridere, sento la sua pelle tendersi in un sorriso.
« Ti piacerebbe. » rispondo io, ironica. No, forse quella a cui piacerebbe sono io.
« Mi fai fare un tiro? »
Gli avvicino la sigaretta alla bocca.
« Dobbiamo restare tutto il giorno così? » gli chiedo, guardando di fronte a me e sorridendo.
« Ti dispiace? » mormora lui, in un soffio quasi impercettibile, avvicinando il viso al collo, quasi sfiorandolo. Il suo profumo mi inebria. Mi sento mancare.
« Non volevi vedere Milano? » gli chiedo io, a bassa voce. Non sono sicura di reggere per troppo tempo ancora.
« Ho il Duomo davanti agli occhi, non basta questo? » chiede lui ironico, rubandomi un altro tiro dalla sigaretta, che avevo avvicinato per me.
« Ma cosa dici?! » esclamo io, scioccata. « Ma ti pare che Milano sia soltanto il Duomo?! » chiedo ancora, scostandomi da lui e andando a voltarmi, per guardarlo.
Ok, chissà quante volte si è divertito a passarmi davanti nella mezz’ora che l’aspettavo ferma in mezzo alla piazza, e non l’avevo riconosciuto.
Neanche un filo di barba, è completamente liscio. Gli occhi sono coperti dai Rayban, i capelli sono probabilmente raccolti a nascondere la loro lunghezza, aiutati dal cappellino verde militare, che lascia scoperte solo le basette ai lati, e due ciuffi che scendono ai lati del viso.
Indossa una semplice maglia a maniche corte, marrone, un paio di jeans scuri, Vans, quelle dell’altro giorno, ai piedi.
Mi mordo il labbro inferiore. Non l’avrei mai riconosciuto, eppure ora che so che è lui riesco a trovare dei dettagli che mi riconducano a lui.
Le labbra, ben visibili, distese in un sorriso. Dio, come sembrano morbide. Le mani, che lentamente va a mettere in tasca, grandi e affusolate. Il suo profumo. Il suo meraviglioso profumo. È una droga, è dolcemente devastante.
Mi sorride, trionfante.
« Non mi avevi riconosciuto, vero? Ti son passato davanti un paio di volte, e non mi hai visto. »
« Ammetto di non averti riconosciuto. Ma sono famosa per essere una tipa distratta. » gli faccio un dispetto, non gliela voglio dare vinta.
Restiamo qualche istante a sorriderci, come dei beoti. Tutt’un tratto, sento del chiacchiericcio alle mie spalle.
« Ma quello non ti sembra Ben Barnes? »
« Ma chi, l’attore del Principe Caspian? »
« Sì, lui! »
« Ma che dici, non vedi che ha i capelli corti quello? »
« Ma magari li ha tagliati! »
« Ok, andiamo a chiedere! »
Spalanco gli occhi verso di lui. Panico. Che succede se scoprono che è lui? E soprattutto che lui è con me?
Lui si fa un attimo serio in viso, poi senza una particolare espressione, anzi molto tranquillamente, mi prende la mano. Io resto intontita qualche secondo. Avvampo improvvisamente, a sentire il tocco della sua pelle contro la mia.
Mentre cerco di riprendermi, sento lui che me la stringe forte. Credo stia incitandomi a collaborare. Faccio un profondo respiro, ammorbidisco la presa.
Come se fosse naturale, come se fosse un gesto normale, lentamente, dolcemente, le nostre dita si allargando, e le mani vanno ad intrecciarsi. La sua presa è salda, la mia è timorosa, imbarazzata.
« Amore mio, allora è questo il Duomo? » mi chiede lui in francese perfetto, mentre le ragazzine si avvicinano.
Non riesco a pensare. Non riesco a dire nulla. Riesco solo a sentire la stretta della sua mano, senza riuscire a formulare un pensiero compiuto.
Lui me la stringe ancora un po’ più forte. Cerca di svegliarmi dal mio stato comatoso, credo.
« Sì, Lucas! Andiamo a vedere se è aperto, mi hanno detto che dentro è molto affascinante… » rispondo io, acquistando sempre maggior sicurezza, in un francese altrettanto perfetto. Non potrei non saperlo, d’altronde.
Lui sembra stupito della mia risposta con la cadenza perfetta, quindi inizia a camminare verso il Duomo, tenendomi sempre stretta per mano.
« Ma l’hai sentito? Parlano in francese… »
« E poi ha pure la ragazza… »
« Non è lui, ragazze. »
« Che peccato, ci avevo sperato! »
Le sento borbottare alle mie spalle. Missione compiuta.
« Che hanno detto? » mi chiede lui, avvicinandosi, a bassa voce. « Se ne vanno? » continua ancora, mentre ci dirigiamo davvero verso il Duomo.
« Sì sì, non ti preoccupare! » gli rispondo a mezza voce con fare confidenziale. Questo gioco del non essere scoperti è quasi quasi eccitante. O forse, lo è solo perché c’è lui accanto a me.
Entriamo nel Duomo davvero, alla fine. L’atmosfera è cupa e sacrale. Non ci sono entrata molto spesso, da quando sono a Milano.
Fa anche freddo, lì dentro. Rabbrividisco. Ma mi rendo conto di sentire ancora calore ad una zona del mio corpo. Guardo la mia mano sinistra, e la trovo ancora intrecciata con quella di Ben. Trattengo il fiato, sussulto, quindi istintivamente vado a sciogliere l’intreccio.
Lo guardo, anche lui mi guarda, abbassando gli occhiali da sole quel che basta per farmi intravedere i suoi occhi.
Eccoli, nerissimi, intensi, brillanti.
Mi sorride, non dice nulla. Forse nota il rossore sulle mie guance.
« Allora, vuoi che ti parli un po’ del Duomo di Milano? Non aspettarti un granchè di spiegazione, non me la cavo molto con l’inglese artistico. »
« Mi va benissimo. » limita a dire lui, mentre solleva lo sguardo verso il soffitto altissimo del Duomo, azione che tutti i visitatori del luogo sono portati naturalmente a fare.
Facciamo un giro all’interno della Cattedrale, e usciti da lì lo porto alla Pinacoteca di Brera. All’inizio parlo poco, poi man mano riesco a sbloccarmi un po’. Alla fine, è pur sempre un ragazzo. Un ragazzo come tutti gli altri. Assurdamente bello, assurdamente famoso, assurdamente attraente. Ma è come tutti gli altri.
Dopo circa due ore di visita turistica alla città di Milano, in cui ha anche approfittato per fare shopping di vestiti, accessori e quant’altro per la modica cifra di circa 15 mila euro, ci ritroviamo al bar dove l’ho visto passare qualche giorno fa, a prendere un gelato.
« Allora, che ne pensi di Milano? » gli chiedo alla fine, mentre siamo seduti al bar, a mangiare il nostro gelato.
Lui, vaniglia e cioccolato. Io, fragola e melone. La gente non è ancora troppa, malgrado il corso stia iniziando a riempirsi.
Quanto siamo incompatibili.
Lo osservo. Sfila gli occhiali, e così faccio anch’io, proprio non li sopporto. Rivela per la prima volta nella giornata completamente i suoi occhi. Assottiglia le palpebre, mi osserva, sorride appena. Mi trema impercettibilmente la mano con cui reggo il cucchiaino di plastica blu.
« Stupenda. » si limita a dire lui, guardandomi fisso, con una punta di malizia nella voce.
Ok, adesso non connetto più.
« Cos…? » mi limito a dire io, senza riuscire neanche a terminare la parola. Sento il cuore battere irregolarmente, e le mie guance diventare velocemente bollenti.
Reggo comunque lo sguardo. Sto facendo progressi, vero?
« Milano, dico. È splendida. » dice lui, accentuando appena il sorriso.
Poi, d’un tratto, capita una cosa che per me è assurda. Distendo anch’io le labbra in un sorriso, appena accennato. Non lo facevo da non ricordo quanto tempo.
« Oh! » esclama lui, avvicinandosi a me. « Che bello, è la seconda volta che mi sorridi così. »
« La seconda? Quando altro l’ho fatto? » chiedo io, imbarazzata.
« A casa tua, ma era più l’ombra di un sorriso. Dovresti farlo più spesso. » mi dice lui, gentilmente.
Io sento di iniziare a sciogliermi. Vorrei che fosse lui a sorridere sempre. Sempre a me, solo a me.
Ma cosa diavolo vai a pensare, Jo?!, chiedo a me stessa, scuotendo appena il capo.
Sento la suoneria di un cellulare, e non è il mio.
Ben rimette gli occhiali da sole, e la cosa mi dispiace non poco. Poi estrae il suo… oh, pardon, il suo palmare, controllandolo.
« Devo andare. » dice lui, senza una particolare inclinazione della voce.
Quelle parole per me sono come una pugnalata al cuore.
No, ti prego, non ancora.
« Di già? » mi scappa chiedergli. Mi imbarazzo subito.
Mi guarda, quasi sorpreso dalla mia domanda. Poi l’espressione si distende, mi sorride.
« Purtroppo sì. » mi dice lui, sembra rammaricato quanto me. O forse me lo sto solo immaginando, perché vorrei che fosse così.
Si alza lentamente in piedi. Faccio la stessa cosa. Usciamo dal gazebo del bar, ci incamminiamo silenziosamente. Passeggiamo vicini, a volte ci tocchiamo per sbaglio. E ogni volta il cuore accelera il suo battito.
Si ferma vicino ad una fermata del TAXI, aspettando che ne passi uno.
« Mi raccomando, Jolene. Non dire nulla a nessuno. Mi posso fidare di te? » mi chiede, mentre continua a guardare alla ricerca di un TAXI.
« Certo. » rispondo io, voltandomi a guardarlo. « Anche se volessi, non ci sarebbero problema. Non ho amici a cui poter parlare. » sbotto io, atona.
« Adesso uno ce l’hai. » mi dice lui. Mi si riscalda improvvisamente il cuore.
Si volta a guardarmi, e poi scoppia subito a ridere. Inarco un sopracciglio.
Solleva la mano, e la porta sulla mia guancia, e con il pollice mi sfiora le labbra. « Sei sporca di gelato! » esclama lui, sorridendomi, e strofinando. Poi, quel gesto si trasforma più in una carezza, e il sorriso divertito si smorza, cambiando.
D’un tratto, improvvisamente, mi tira a sé. Mi cinge con le sue braccia. Mi sento sprofondare nella sua maglia, riesce ad abbracciarmi completamente.
Credo di essere paonazza.
No, più che altro credo di essere in Paradiso.
Mi tiene così, qualche secondo. Le mie braccia dapprima ciondolano inermi lungo i miei fianchi, poi si sollevano, lentamente, andando a posarsi sulla sua schiena. Quando lui mi sente ricambiare l’abbraccio, stringe ancora di più. Io affondo il viso nel suo torace, inspirando a fondo, drogandomi di lui e del suo profumo.
Oh, sì, è proprio il Paradiso.
« Ti batte forte il cuore. » mormora lui. Lo sente addirittura da corpo a corpo. Sta veramente per esplodere, e al sentire quelle frasi accelera ancora di più.
« E’ normale, sono umana. Sarebbe preoccupante se tu non lo sentissi. » gli dico io, beffarda.
Mi prende la mano destra. La porta sul suo torace. Mi stupisco di sentire il suo cuore galoppare quasi quanto il mio.
Mi sorride.
« Sono umano anch’io. Batte anche a me il cuore quando abbraccio qualcuno che mi piace. »
Cosa? No, come, scusa? Faccio orecchie da mercante. O meglio, sono praticamente svenuta, ma riesco a rimanere in piedi. Mi convinco ad essere ottusa, a non interpretare come vorrei quelle parole.
« Grazie mille. » mormora lui, dopo qualche secondo che mi sembra davvero troppo breve.
Ci allontaniamo, e poi ci guardiamo. Nessuno di noi vede gli occhi dell’altro, ma il mio cuore batte lo stesso. Lui chiama al volo un TAXI.
« Allora… a… presto? » chiedo io, incerta.
« A presto. » conferma lui, sorridendomi.
Estrae un pacchetto dalla tasca. È avvolto da una carta bordeaux, e legato con un nastrino di raso argentato.
« Aprilo quando sarai a casa. » dice lui. Mi sorride, mi dona un ultimo sorriso. Quindi entra nel TAXI.
Io resto immobile, silenziosa, con il pacchetto tra le mani. Lo guardo allontanarsi.
Il mio pessimismo mi dice che non lo rivedrò più. Chino il viso, guardo il pacchetto. Noto l’adesivo di una gioielleria. Stringo forte le labbra, sento delle lacrime moleste pungermi gli occhi.
Mi sento strana, ora che lui non c’è.
Prendo l’autobus, mi dirigo verso casa. Arrivata lì, lancio la borsa sul divano, quindi mi fiondo in camera mia ad aprire il pacco.
Mi siedo sul letto, quindi inizio a scartarlo con cura. Tra le mie mani si presenta una scatolina nera. La apro. Trattengo il fiato. Dentro c’è un braccialetto di oro bianco, sottile, semplice. Per un quarto di esso, vi è incastonata una fila di diamantini.
« E’ pazzo… » mormoro tremante.
C’è un biglietto, lo leggo.
Grazie per avermi regalato questa splendida giornata. Ben.
Tremante, chiudo la scatolina, la poggio sul comodino accanto al mio letto, quindi mi stendo con il biglietto sul cuore, trattenuto da entrambe le mani.
Il mio sguardo corre sulla locandina de “Il Principe Caspian”.
Le mie labbra si arricciano in un sorriso. Sereno, rilassato, come non lo era da tanto tempo.
Mi addormento poco dopo, serenamente, con ancora il biglietto stretto tra le mani.

//

Ringrazio un sacco le ragazze del Forum (sapete che parlo di voi... Ihih ;D) per il sostegno! *_*

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo V ***


V.

Dopo la strana domenica passata con Ben (strana, sì. Non trovo termine migliore per definirla) la mia routine è ricominciata normalmente. A parte qualche sua uscita che mi scombussola un po’, ovviamente.
Che forse cose stranissime non sono, però è normale che spiazzino una ragazza come le altre che ormai aveva fatto l’abitudine a vivere da sola. A prescindere che tu sia un attore o meno.
Oggi ha deciso che vuole venirmi a prendere alla fine della mia giornata al Politecnico.
Questo ragazzo è sprezzante del pericolo, non sembra interessargli tanto che lo vedano nei pressi della mia scuola. Perché per vederlo, con tutti il via vai di gente che c’è, lo vedono.
Oltretutto è stato così geniale da avvisarmi proprio dieci minuti prima che io esca dal Poli.
Come me la tolgo di torno questa cozza di Laura, in dieci minuti?
« Cosa fai oggi, Jo? »
« Ehm… »
Mi vedo con un attore strafamoso che viene a prendermi in TAXI, Laura.
« Niente, credo che guarderò un film a casa. »
« Ah! Allora potrei venire da te, magari lo guardiamo insieme, se ti va! »
Certo, come no. Rinuncio a Ben Barnes per vedere un film con te, mi pare ovvio.
« No guarda, non mi sento neanche troppo bene… »
Laura sbuffa. Mi si piazza davanti con le mani sui fianchi.
« Possibile che tutte le volte che un altro essere umano cerca di socializzare con te, tu stai sempre troppo male per collaborare? » chiede lei, che forse si è un po’ rotta del mio atteggiamento.
Un po’ mi dispiace. Alla fine, ad avercela accanto tutti i giorni, pian piano inizia a non starmi proprio così antipatica.
« Laura… Oggi non posso, okay? Facciamo un altro giorno. » le dico mentre usciamo dall’ingresso del Politecnico.
Lei sembra riprendersi subito, ora che le ho dato un tantino di speranza. Intanto io spazio con lo sguardo, alla ricerca di Ben. Laura deve notare il mio atteggiamento, che io non mi sto preoccupando di nascondere troppo, d’altronde.
« Dì là verità, Jo, cos’hai da fare oggi? » mi chiede Laura, assottigliando le palpebre e studiandomi attentamente.
Un TAXI si ferma a pochi metri da noi. Mi avvicino di qualche passo, mentre cerco una buona giustificazione a questa particolare uscita di scena di oggi.
« Ehm… ti racconto poi. » ovviamente mi sono appena tirata la zappa sui piedi da sola.
Laura mi guarda raggiante. Per lei siamo già amiche del cuore, a questo punto.
Vedo il finestrino del passeggero posteriore del TAXI che si abbassa. Sbuca fuori Ben, con gli occhiali da sole e i capelli sciolti, che mi fa un segno con la mano.
Sento Laura trattenere il fiato.
« Jolene! » sbotta lei, voltandosi verso di me, sbigottita. « Non ci posso credere! » esclama ancora, mentre io accenno qualche passo verso il TAXI. Mi volto verso di lei, sospirando.
« Ti spiegherò tutto al più presto, Laura. Ora devo andare. » mi limito a dire, prima di mettermi a correre verso il TAXI. Lei non dice più niente, credo che sia sotto shock. Non sono sicura che abbia riconosciuto realmente Ben, però credo se lo ricordi come “il figo che ci è passato davanti mentre eravamo al bar qualche giorno fa”.
Ci ripenso un attimo, le ho detto che le spiegherò tutto presto. E cosa dovrei spiegarle? Ben non vuole che dica in giro tutto quanto. E non so quanto possa fidarmi di Laura. Però d’altra parte, questa di Ben per me è una cosa troppo grande. Da quando tra me e lui è nata questa amicizia mi sento un peso sul cuore. Per quanto io possa volermi isolare dalle persone, per quanto possa essere distaccata… sono pur sempre umana, ho bisogno anch’io di confidarmi, di sfogarmi, di avere qualcuno con cui parlare.
Sospiro.
Ben, accanto a me, si volta a guardarmi, sarcastico.
« Dai, dì a zio cos’è successo oggi. » dice lui, sorridendomi.
Mugugno qualcosa, sollevando gli occhi al cielo. Tiro su col naso. Non mi sento benissimo, questi cambiamenti repentini di tempo non mi fanno molto bene. Il mio febbrone annuale ancora non me lo son fatto, quindi ogni volta che sento il naso chiuso, temo in un’influenza imminente.
« Non mi sento molto bene. E Laura ti ha visto, ma non ha capito chi sei. » mormoro io, mentre mi strofino il naso, che mi prude un po’.
Annuisce, torna a guardare avanti. Poi si avvicina all’autista e gli indica l’indirizzo di casa mia.
Sentirlo parlare in italiano è così strano… mi emoziona. Mi piace.
« Mi dici qualcosa in italiano? » gli chiedo io, quando sprofonda di nuovo sul sedile, e si volta a guardarmi.
Il sorriso si allarga, le palpebre si assottigliano, divertite.
« Cosa vuoi che ti dica? »
« Non lo so, qualcosa. Dimmi… ciao. »
« Che poca fantasia che hai, Jo. »
« Allora dimmi qualcosa a tuo piacere, genio! »
Lui mi si avvicina, mi sorride, ammaliante. Ovviamente io vado già in tilt, ma non voglio farglielo notare. Inarco un sopracciglio, cercando di mantenere un’espressione seria e distaccata.
« Sei molto bella, oggi. » mi dice lentamente, scandendo le parole in italiano, ma con un’ovvia cadenza inglese molto evidente. E soprattutto molto molto affascinante.
Trattengo il fiato, spalanco appena gli occhi. Sento le guance già avvampare. Chissà se lui si accorge mai di tutti gli sbalzi cardiaci che è capace di scatenare in me?
« Ma come siamo ruffiani. » gli rispondo io, fingendomi sempre molto indifferente. In realtà sto morendo dalla voglia di saltargli addosso e baciarlo, ma è un dettaglio che mi sento obbligata a trascurare. « Tranquillo, non c’è bisogno di farmi i complimenti, te la offro io la pizza stasera. » continuo, sorridendo sarcasticamente. Sì perché lui poverino i soldi per comprarsi una pizza mica ce li ha, eh.
Lui, impassibile, continua a sorridermi.
« Oh, no, oggi niente pizza. Oggi si mangia qualcosa di speciale. »
Io tiro su col naso. Mi sento la testa pesante.
« E cosa? Mi porti a mangiare l’aragosta? » chiedo, sorniona.
« Meglio, molto meglio! Oggi si mangia giapponese! » esclama lui allegramente. Intanto il mio sorriso sparisce di colpo.
« Cosa?! Tu sei matto! »
« Non ti piace la cucina giapponese?! »
« Non l’ho mai mangiata. »
« E’ ora di rimediare. »
« Preferisco rimandare l’ora della mia morte il più lontano possibile, grazie! »

***

Due ore dopo all’incirca, siamo nella mia cucina, e davanti a me si presenta un vassoio pieno di meravigliose pietanze di cui non ne comprendo la provenienza, e cerco di muovere (con scarsi risultati) le classiche bacchette giapponesi per mangiare.
Lo uccido con lo sguardo. Lui di rimando mi sorride apertamente, divertito.
Mi sento un po’ accaldata, debole. E man mano, mentre mangio, mi sembra che vada sempre peggio. Do automaticamente la colpa a quel cibo strano che Ben mi sta costringendo a mangiare (ok, qualcosa di commestibile c’è, ma non lo ammetterò mai davanti a lui). Lui sembra avere molta dimestichezza con le bacchette, infatti pian piano porta tutte le pietanze alla bocca con abilità.
Io dopo un minuto o due ci rinuncio, vado a prendere una forchetta. Arrivata davanti al cassetto delle posate, ho un giramento di testa.
« Ma cosa ci mettono in quella roba? Droga? » chiedo sarcasticamente, tornando a sedere. Ma non c’è molto da ridere.
« Perché? » mi chiede lui, ingoiando un pezzo di onigiri.
« Non mi sento molto bene. » mormoro con espressione corrucciata, portandomi una mano alla fronte. Sono sudata.
Oh, bene.
Sospiro, sollevo lo sguardo verso Ben.
« Credo mi stia salendo la febbre… »
« Guarda che non serve ricorrere a questi trucchetti di quarta categoria per non mangiare! » esclama lui, agitando le bacchette con fare minaccioso.
Io mi limito a guardarlo eloquentemente. Non so se per la mia espressione grave o per il mio sguardo particolarmente spento, Ben si alza in piedi e mi si avvicina.
« Forse è meglio se ti stendi. »
« Ho detto che ho la febbre, non che sto morendo. »
« Alzati subito, ingrata. » dice lui sarcastico, accompagnandomi poi nella mia stanza.
È la prima volta che la vede. Mi vergogno un po’, ma finalmente per una volta non può notare il mio imbarazzo, perché sono già rossa a causa della temperatura che sale lentamente.
Mi porta al letto, mi scosta le coperte e mi fa stendere, quindi me le rimbocca fin oltre il mento.
« Così soffoco. »
« In realtà ti voglio uccidere, infatti. » mi dice lui, arricciando le labbra in un sorriso bellissimo. Se già solitamente sembro un pesce lesso, non voglio neanche immaginare la mia faccia in questo momento.
Lo sguardo di Ben cade sul mio comodino. Assottiglia le palpebre, sembra abbia notato qualcosa di particolare. Seguo il suo sguardo con il mio, quindi spalanco gli occhi. Ha visto il biglietto che mi ha lasciato nel regalo tutto stropicciato!
Lo prende in mano, lo apre lentamente.
« Perché è tutto stropicciato? » mi chiede, tenendolo tra il pollice e l’indice per un angolino.
Stringo le labbra, abbasso il viso. Mi sento esplodere, sia per la febbre che per l’imbarazzo.
« Io… ci dormo, con quello. » mormoro con voce flebile, appena udibile. Poi nascondo mezzo viso sotto le coperte.
Lui mi guarda, sorridendo appena, stupito. Poi il sorriso si allarga, poggia il bigliettino e si mette in piedi davanti al mio letto.
« Dai, fammi un po’ di spazio. » mi dice lui, incoraggiante.
Ci metto qualche secondo a capirlo. Quindi mi giro pesantemente mettendomi sul fianco sinistro. Lui sale sul letto e si stende di lato anche lui, dietro di me. Mi cinge con il braccio destro.
« Ben… »
« Sì? »
« Hai intenzione di farmi morire davvero, oggi? » mormoro io, che inizio a capirci sempre meno.
« Perché? »
« Ma non capisci che effetto mi fa averti così vicino? »
Attimi di silenzio. Solleva la mano destra, la porta sul mio viso a scostarmi i capelli dall’orecchio.
« Ti da fastidio? » mi chiede poi, a voce bassissima, quasi con aria colpevole, dolce da morire.
« Ma no… » gli dico io, prima di lasciarmi sfuggire un lamento.
« Che hai? » mi chiede con una punta di allarmismo nella voce. Porta la sua mano sulla mia fronte. « Cavolo, ma tu scotti! » esclama mettendosi a sedere e scendendo dal letto. « Cosa ti devo dare? » mi chiede, iniziando ad andare verso la porta.
« Tachipirina… E’ nel secondo cassetto, nel mobile bianco vicino al divano… » dico io, moribonda. Faccio per tirare su col naso, ma è completamente tappato. Ci voleva, eh.
« Che cosa?! » esclama lui, gridando, dall’altra stanza.
« Ta – chi – pi – ri – na! » esclamo scandendo le sillabe, cercando di gridare di più.
Attimi di silenzio.
« Eh?! » sento esclamare ancora.
Sollevo gli occhi al cielo, andando ad alzarmi lentamente. Scosto le coperte e un brivido di freddo mi blocca per quante istante.
Quindi scendo dal letto e raggiungo Ben in cucina. Lo trovo curvo sul cassetto alla disperata ricerca di quella medicina dal nome così difficile.
Mi accosto a lui, sposto un paio di scatoline di medicinali, e prendo quella della tachipirina.
« Ta – chi – pi – ri – na. » gli dico, seguendo le sillabe sulla confezione, indicandole col dito, mentre le scandisco con la voce.
« Ok, per la prossima volta sono preparato. » dice lui, con un sorriso colpevole.
Prendo anche il termometro, e di nuovo un altro brivido di freddo mi blocca. Lui se ne accorge, mi si avvicina e mi cinge i fianchi con un braccio. Mi accompagna fino in camera, di nuovo mi fa stendere e mi copre fino al naso.
Metto il termometro a misurare la febbre.
« Come ti senti? » mormora lui, carezzandomi lentamente la testa.
« So cosa provano le aragoste quando vengono bollite vive. » rispondo io, fiacca.
Lo sento soffocare una risatina. Continua ad accarezzarmi pian piano, mentre sfilo via il termometro.
38,6. Sto per seccare, evvai.
Prendo subito la pastiglia di Tachipirina. C’è il silenzio più totale, sento il suo respiro sulla mia pelle. Mi sfiora appena i capelli. Non ricordo da anni così tanta dolcezza. Perché proprio a me? Tra tutte le ragazze che morirebbero, che venderebbero l’anima pur di stare solo cinque minuti con lui… perché il destino ha scelto di legarlo alla mia vita? Io che ormai tendo a tenere tutti lontani, a non affezionarmi, ad avere paura di qualsiasi tipo di relazione che vada oltre la conoscenza… Da quel giorno non sono più stata in grado di legarmi a qualcuno. Ho sempre una fottuta paura di volere bene alle persone.
Già, da quel giorno…
Un singhiozzo spezza il silenzio. Mi rendo conto, dopo pochi istanti, di essere stata io a produrlo.
« Jo? Cos’hai? » mi sussurra lui all’orecchio, cercando piano di voltarmi per guardarmi meglio.
Io resto salda nella mia posizione. Cerco di soffocare le lacrime. Più ci provo, più m’innervosisco perché non ci riesco, più piango. Sento la gola che mi fa male, come se i lamenti stessero lottando per uscire fuori, violentemente.
Lui continua ad accarezzarmi, e questo mi fa male. Perché tanta dolcezza gratuita? Cosa ho fatto per meritarmela? Non capisco… non lo capisco!
« I miei genitori sono morti. » mormoro tremante, in lacrime. Lui blocca per un attimo le carezze. Non riesco a vedere la sua espressione, ma credo che le mie parole l’abbiano colpito. Dopo poco riprende ad accarezzarmi, come a volermi incitare dolcemente ad andare avanti.
« E’ successo… quattro anni fa. Quasi. » mormoro ancora, tirando poi su col naso. Mi sento la testa pesante. Sento le mie parole così lontane, remote, ovattate. Come se qualcuno le stesse pronunciando al mio posto dall’altra stanza. A stenti mi rendo conto di quello che gli sto dicendo. « I miei nonni, i genitori di mia madre, sono francesi. Sono… ricchi, aristocratici. Per questo, quando mia madre ha sposato mio padre, l’hanno ripudiata. Mio padre era figlio di contadini, e questo a loro non stava bene… ma non avrei mai potuto avere padre migliore… » riesco a dire, prima di venire di nuovo sovrastata dai singhiozzi.
Porto la mano a coprirmi la bocca, a cercare di arrestarli, per soffocarli.
Lui me la scosta lentamente.
« Piangi. » mi mormora in un soffio, intrecciando poi lentamente le dita della sua mano con quelle della mia, tenendola stretta nella sua.
« Stavano litigando, ancora, per la stessa storia. Mia madre voleva andare in Francia, vederli, insomma… riabbracciare i suoi genitori. Mostrargli me, la figlia che aveva avuto con quel “buono a nulla figlio di contadini”. Mio padre si rifiutava sempre drasticamente. Non ne voleva sapere niente di loro. Insomma, litigavano. Papà si è distratto un attimo… non ha visto una macchina, di fronte, che ne stava superando un’altra. L’impatto è stato… brutale. »
Dio, come ricordo quei momenti. Come se fossero stati ieri. Gli risparmio i dettagli. Di come la macchina ha preso fuoco, di come io sono stata estratta in fin di vita, con mezze ossa rotte. Di come dei miei hanno trovato ben poco, in tutto il casino di acciaio e metallo che si era creato nell’impatto tra le due macchine. Di come io abbia dovuto riprendermi da sola, di come i miei nonni francesi, gli unici due rimasti, non si sono mai, mai fatti sentire, in quattro anni.
« E’ stato un miracolo, dicono. Che io sia sopravvissuta. » aggiungo a bassa voce, tra i rantoli provocati dalla febbre e dalle lacrime. « Avrei preferito morire anch’io, quel giorno. »
« No Jolene, no. » mi sovrasta subito la sua voce, appena mi sente dire quelle parole. « Non capisci? Qualcuno, lassù, ha voluto che tu rimanessi perché sei la testimonianza dell’amore dei tuoi genitori, sei la prova che tuo padre era una brava persona e che ha cresciuto una figlia stupenda come te. » mi dice lui, sempre delicatamente, ma con voce ferma.
Io resto zitta. Continuo a piangere per un po’. Lui sospira, poggia appena la sua testa sulla mia, mi tiene ancora stretta la mano. Man mano, lentamente, al tocco delle sue carezze, col suo profumo e la sua voce in testa, riesco a calmarmi, e alla fine, quando la medicina inizia a fare effetto, sprofondo in un pesante sonno senza sogni.

***

Socchiudo gli occhi. Sono tutta sudata, ma sono fresca. Per lo meno, non mi sento in ebollizione. La mia mano va involontariamente a toccare dietro di me, alla ricerca di un’altra presenza nel mio letto. Non c’è nessuno.
Arriccio le labbra, quasi contrariata. Che abbia sognato tutto? Ben, le carezze, tutto quello che gli ho raccontato…
D’improvviso spalanco gli occhi, ricordando appunto ciò che gli ho detto. Inizio a sperare vivamente che sia stato solo un sogno, ma poi il mio sguardo si posa a terra, e noto un paio di scarpe di pelle nera, eleganti, molto familiari, e soggiungono delle voci al mio udito.
« Sì sì Dana, lo so… Rimandalo, rimandalo alla prossima settimana. »
« Lo so che non è un atteggiamento professionale, ma ho bisogno di rimanere a Milano ancora qualche giorno. »
« Oh Dana ti prego! Non sono un ragazzino! Ho delle cose importanti da sbrigare! Se non vogliono più farmi l’intervista affari loro! »
Sento tutto aldilà della porta, in cucina probabilmente.
Poi silenzio, qualche secondo.
« Ok… Fine Maggio. Te lo prometto, non oltre. E no, non ti dirò dove ho dormito stanotte. Ne riparliamo quando torno in albergo. »
Mi sento un po’ rintronata. Non afferro tutte le parole. Sento le palpebre che mi si richiudono pesantemente… E mi riaddormento di nuovo.

***

Quando mi risveglio, la mattina è già inoltrata. Anzi, è quasi mezzogiorno. E mi sento ancora più rincretinita di prima, vabbè. Mi metto a sedere sul letto, trovo un biglietto di Ben, in cui mi ricorda di chiamarlo per qualsiasi cosa. Poi controllo il cellulare, e trovo un messaggio abbastanza minaccioso.
Jo, sono Laura. Sappi che questo pomeriggio vengo a trovarti, oggi non c’eri neanche in facoltà e mi sono preoccupata. E poi mi devi raccontare qualcosa o sbaglio?! A questo pomeriggio!
Mi lascio sfuggire un lamento, e ricado pesantemente sul cuscino. E adesso cosa le racconto?!

//

Grazie mille a vega, in effetti mi dispiace molto non ricevere recensioni qui… >_< Comunque grazie mille, sono contenta che ti sia piaciuto! Se ti va continua a seguirlo e dimmi sempre cosa ne pensi e se hai qualche consiglio da darmi… E’ sempre graditissimo!

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


VI.

Squilla il telefono. Sono in cucina a studiare, mentre lo sento squillare. Di corsa mi fiondo in camera a rispondere.
« Pronto? »
« Jo? Sono Leo. » il mio datore di lavoro.
« Oh, Leo! Ciao, dimmi! » esclamo io, che avevo totalmente dimenticato la possibilità di dover lavorare.
« Abbiamo bisogno di te, questa sera. Abbiamo tre prenotazioni di tavolate abbastanza numerose, ci serve una mano. »
« Uh, okay. A che ora devo essere lì? » chiedo, controllando l’orologio. Sono le quattro del pomeriggio, Laura dovrebbe arrivare a breve.
« Veramente, tra un’oretta. Abbiamo da preparare un sacco di cose. »
« Perfetto! » esclamo io, cogliendo la palla al balzo per avere un’ottima scusa per bidonare Laura.
« A più tardi, allora. »
« A dopo. »
Riaggancio, e subito scrivo un messaggio di scuse a Laura. So che sto solo rimandando a domani mattina il tragico evento, ma sono una fifona e va benissimo così.
Lei mi risponde solo con uno squillo, deduco che si è leggermente alterata.
Sospiro rumorosamente, lancio il cellulare sul letto e mi dirigo a farmi una doccia. Dopo la sudata di ieri provocata dalla febbre, ci vuole. Mi imbarazzo ricordando che Ben mi ha vista in quello stato, grondante di sudore, paranoica, in stato comatoso.
Sfilo via la maglietta, e ho un tuffo al cuore. La tengo stretta qualche istante tra le mani, quindi l’avvicino al mio naso. Sa di lui. Ha il suo profumo impregnato addosso. Mi avvicino i capelli, anche quelli sanno di lui, delle sue carezze. La mia pelle sa di lui. Al pensiero, vengo assalita dalle vertigini per un solo istante, mentre il cuore batte all’impazzata.
Basta, Jo. Un po’ di contegno, suvvia.
Scuoto un attimo la testa, con un sorriso strano, che non ricordavo di poter vedere in viso. Faccio velocemente una doccia, lavo – sì, a malavoglia – i capelli, e quindi dopo tre quarti d’ora sfreccio fuori casa pronta a lavorare.
Per strada non faccio altro che pensare a lui, alla sera prima, a quello che gli ho detto. Mi vergogno tanto, ma mi sento più leggera. È il primo a cui dico tutto. Ma perché proprio a lui? Alla fine, è un semisconosciuto, uno come tanti. Ok, è un attore famoso, è bello da far paura, ma comunque non lo conosco. Sospiro, non capisco, non mi capisco. Mi sento quasi… serena.
Arrivo al Pub Triple X, saluto tutti e mi metto subito al lavoro. Tre compleanni, uno dei quali di 18 anni, tutti la stessa sera. Evvai.
Inizio a preparare i tavoli, i segnaposto, qualche festone qua e là. Sono sulla scaletta ad appenderne uno di un giallo particolarmente brutto, quando sento arrivare Leo.
« Buonasera a tutti signori! » esclama allegramente. Quell’uomo è sempre pieno di energia, non capisco come faccia.
« Ciao Leo! » dico io, con un’enfasi particolare. E lui sembra notarlo.
« Jolene! Cos’è tutta quest’allegria questa sera?! Non ti ho mai sentita salutare qualcuno con un tono di voce che sfiora il normale! » esclama lui, ironicamente.
« Ah ah, simpatico! » mi limito a dire io dandogli le spalle, allungandomi per cercare di fissare il festone a una delle travi del locale, quindi troppo impegnata per formulare una risposta un po’ più intelligente.
« Hai bisogno di una mano? » mi chiede lui, salendo sulla scaletta.
« Lascia perdere Leo, sei sulla soglia dei quaranta ormai, sei diventato vecchio! Non vorrei ti venisse qualche colpo della strega… » dico io, mentre lui mi prende il festone dalla mano.
« Qua l’unica strega sei tu, e se non la smetti con queste battutine il colpo lo do al tuo stipendio! » esclama lui, ironico. « Lascia qui, continuo io. Vai a vedere se in cucina hanno bisogno di una mano. »
Annuisco, scendo la scaletta e mi dirigo in cucina. Ma a metà strada vengo interrotta da una voce.
« Jo! »
Oh, no. No no no. Mi giro, oh, sì. È lui… Marco.
« Ehilà! » esclamo io, sollevando appena una mano. Trafiggo con lo sguardo Leo, che in risposta mi sorride colpevole.
Lo sa che non voglio avere il turno con Marco, a meno che non sia in caso di estrema necessità.
Beh, in effetti, credo che oggi sia esattamente un caso di quelli, che noia.
Marco è un ragazzo un anno più piccolo di me. Alto intorno ad un metro e ottanta, magro, molto magro, ma ha un viso gradevole. Ma è terribilmente attaccato a me, e non ne capisco il motivo, visto che non gli ho mai dato più di tanta confidenza. Le altre del Pub dicono che è innamorato, ma… sinceramente, mi importa poco. So che è spesso troppo appiccicoso, e a volte non mi lascia lavorare in pace.
Il pensiero vola veloce a Ben, e altrettanto veloce va la mano al marsupio, a prendere il cellulare, nella speranza di trovare una chiamata, un messaggio, qualcosa.
Niente.
Sospiro. La voglia di essere io a farmi sentire è irrefrenabile, ma non voglio rischiare di essere per Ben ciò che Marco è per me. Cioè una ventosa.
La serata passa così, tra ritmi pressanti e andirivieni dalla cucina.
Finisco di lavorare verso le 3 di notte, e Leo si propone di accompagnarmi a casa. Il mio salvatore, davvero. Mi lascia sulla strada parallela rispetto a quella di casa mia.
È tardi, sono stanca morta, e sto camminando da sola per le strade di Milano. Sono anche un po’ confusa, perché non mi rendo conto di quello che vado a fare.
Prendo il cellulare, avvio la chiamata a Ben, lo porto all’orecchio.
« … Pronto? » quando sento la sua voce assonnata, dopo parecchi squilli, rinsavisco.
« Ben… » mormoro io, con una voce che non volevo uscisse così dolce. In effetti, più che altro, sono mortificata.
« Ciao, Jo… » mormora lui, e sembra quasi che stia sorridendo, dall’altra parte del telefono.
« Dio Ben, mi devi scusare… Io non volevo… Sono stanca e non ci ho pensato… Scusami, davvero… » inizio a farfugliare io, mentre mi guardo intorno. La strada è completamente deserta.
« Oh, Jo, ma che dici? Smettila di dire stupidaggini… » dice lui, con voce roca, piena di sonno. « Ma che ci fai in giro a quest’ora? » mi chiede poco dopo, confuso.
« Ho appena finito di lavorare… sto tornando a casa… Ti ho chiamato involontariamente, forse perché sto camminando sola per strada e avevo bisogno di qualcuno che mi tenesse compagnia! » esclamo mentre apro il cancello ed entro nel palazzo.
« Come sola?! » sbotta lui, improvvisamente più lucido. « Non ti ha accompagnata nessuno?! » esclama ancora, allarmato.
« Ah, ma sì, Leo mi ha accompagnata fino alla parallela di casa mia. » dico io, salendo le scale, facendo luce col cellulare. Ebbene sì, la luce del mio modernissimo palazzo non funziona. Da circa otto mesi.
« Leo? Chi è? » chiede lui, veloce.
« Il mio datore di lavoro, perché? »
Attimi di silenzio.
« Così, curiosità. »
« Ah, okay. »
Lui soffoca una risatina.
« Sei la ragazza meno maliziosa che io abbia mai conosciuto. »
« Che vuoi dire? »
« Beh sai… da una ragazza ci si aspetterebbe una risposta tipo “Ma non sarai mica geloooso?!” » mi dice lui, imitando la voce cinguettante di una adolescente. Io mi metto a ridere, mentre apro la porta di casa e me la richiudo alle spalle.
« E perché dovrei farlo? Mi hai detto che era per curiosità! Un ragazzo non può essere semplicemente curioso? » chiedo io, malgrado mi stia sorgendo il dubbio. E se fosse gelosia? Sono troppo ottusa per capire queste sottigliezze. A volte non mi rendo conto della realtà dei fatti neanche quando me la sbattono in faccia.
« Certo! » esclama lui, ridendo.
« E ti prego, dimmi che non ho quella voce da oca. » aggiungo, buttando la borsa sul divano e dirigendomi nella mia camera. Sono distrutta.
« Assolutamente no. Mi piace un sacco la tua voce. » mi dice lui, improvvisamente sensuale. Gli consiglierei la carriera dell’attore, se non lo fosse già.
Ovviamente, io ci casco come una pera lessa. Mi lascio cadere sul letto, con sorriso ebete in viso.
« Dovresti chiamarmi più spesso. » aggiunge poco dopo, mentre io guardo le farfalle che volando intorno a me. «Jo? » mi sollecita lui, dopo qualche istante.
« Sì? » miagolo io, sorniona.
« Scusa se oggi non mi sono fatto sentire. Ho avuto un po’ da fare… »
« Non si preoccupi, signor Barnes. So che ha i suoi doveri a cui adempiere. » rispondo io, mentre mi sfilo le scarpe con i piedi.
« Domani ci possiamo vedere? »
« Certo signor Barnes, come desidera. »
« Smettila di chiamarmi signor Barnes! »
« Certo signor Barnes, ora vado a dormire che sto per morire dal sonno! »
« Okay… Buona notte Jo. »
« Buona notte, signor Barnes! »
« Jolene! » esclama lui, rimproverandomi.
Soffoco una risata.
« Okay okay… Buona notte, Ben. » dico, ora a voce più bassa. Forse volevo fare la voce sexy anche io?! Sì, come no.
Chiudo la telefonata, infilo svogliatamente il pigiama, lentamente mi metto sotto le coperte. Con la mente sono già nel mondo dei sogni.
Non mi riconosco più, non sono più io… questo ragazzo mi fa cambiare sempre di più giorno dopo giorno.
***
È sabato. E io sono una dei pochi idioti che di sabato è costretta ad andare al Politecnico. Purtroppo ho delle ore di lezione da recuperare, uno dei miei professori si è assentato una settimana per l’influenza. Cammino lentamente, ho le occhiaie intorno agli occhi per il poco sonno. Faccio così paura da sembrare uno zombie.
Con tutto il rispetto per gli zombie.
Vedo una chioma dorata abbastanza familiare, in mezzo alla poca folla del Politecnico. Cerco di raggiungerla, oggi sono io che voglio parlare. Alla fine non è che sono proprio così insensibile. Quando mi rendo conto che ho toppato, beh… anch’io voglio recuperare.
« Laura! » grido chiamandola, mentre mi accosto a lei.
Si volta a guardarmi, mi sorride.
« Ciao Jo! Come stai? » mi chiede lei, tranquillamente.
« Ma… ma non sei arrabbiata? » le chiedo io, completamente spiazzata. Mi aspettavo di dover affrontare una Laura furiosa come non l’avevo mai vista, invece no. È tranquilla.
Ma come fa?
« Arrabbiata? E perché? » mi chiede lei, sinceramente sorpresa, sgranando appena gli occhi.
« Beh perché ti ho dato buca ieri… » dico io, incerta.
« Ah! Ma figurati, se avevi da fare non mi posso mica arrabbiare! » dice lei, sorridendo poi apertamente.
Devo dire che questo atteggiamento mi mette a disagio, io avrei tenuto il muso per giorni.
Decido di raccontarle tutto quello che mi sta succedendo. È una cosa troppo grande… e anche troppo bella, per tenerla dentro di me. E poi inizio a pensare seriamente che forse Laura un po’ di fiducia la merita davvero.
« Vieni Laura, andiamo in bagno… ti devo parlare. » le dico io, prendendola per il braccio e trascinandola verso i bagni.
Chi chiudiamo nell’anticamera, dove sembra non ci sia nessuno.
« Allora Jo, mi dici come hai fatto a conoscere quel figo là?! » esclama lei, elettrizzata.
Io attendo un attimo, incerta. Poi sospiro.
« Ma hai capito chi è? » le chiedo io, con aria grave.
« Oltre a essere un gran bel figliolo? No, chi è? »
La guardo qualche istante, quindi apro la borsa e tiro fuori una foto stampata della locandina de Le Cronache di Narnia. Sì, me la porto appresso nella borsa. È abbastanza imbarazzante, lo so.
La apro, e gliela mostro.
Lei la guarda un attimo con sguardo corrucciato, poi sgrana gli occhi, e inizia ad alternare tra me e la foto.
« Jolene… stai scherzando?! » mi dice lei, sconvolta.
Io mi limito a negare col capo, mordendomi il labbro inferiore.
« Ma questo… Il Principe Caspian, giusto? Non ho visto il film, sinceramente, perché non è un genere che mi piace tanto… Ma ricordo Milano tappezzata dei poster, quand’è uscito tempo fa! » dice lei, già a mezza voce. Ma io le faccio comunque cenno di star zitta.
« Non nominarlo, non si può mai sapere. E non dire niente a nessuno Laura, assolutamente. È un segreto, se qualcuno lo sapesse e arrivasse alla stampa, sarebbe la fine. » dico io, con aria da complotto, continuando a guardarmi intorno nervosa.
Lei mi guarda, poi mi sorride.
« Ma come hai fatto, Jo? » mi chiede a mezza voce, dolcemente, in un misto tra stupore ed emozione.
« Non lo so Laura… Non lo so. So solo che quasi ogni sera me lo ritrovo in casa, o che mi porta fuori a cena, o che viene a prendermi da scuola. L’hai visto anche tu. È tutto così… assurdo. »
Lei annuisce lentamente, sorridendo.
« Assurdo, sì, ma fantastico. » attende qualche istante, come se avesse paura di chiedermelo. « Sei felice, Jo? » dice poi a mezza voce.
La guardo qualche istante, poi lo sguardo cade sulla foto che ho ancora tra le mani. Accenno un sorriso, annuisco lentamente, imbarazzata. Lei mi si avvicina, e mi abbraccia. Non posso fare a meno di ricambiare.
« Dai, andiamo a toglierci dalle scatole questa lezione! » esclama Lei, prendendomi sotto braccio e trascinandomi fuori dal bagno.
***
Tre del pomeriggio. Sono a casa, seduta sul divano, in canotta e mutande. Fa un caldo assurdo, infatti ho poggiata sulle ginocchia una bella vaschetta di gelato, che mi sta lentamente facendo andare in cancrena per il freddo buona parte delle mie gambe. Ma non importa.
L’emozionante replica di Scrubs su MTV non mi lascia pensare ad altro, neanche ai miei muscoli atrofizzati. Mangio meccanicamente il gelato al melone – sì, al melone – mentre con uno sguardo un po’ stralunato guardo attentamente l’episodio. Accanto a me, un libro di Geometria.
Ci lancio un’occhiata, leggo una frase a cavolo.
« Un endomorfismo è semplice se l'immagine si decompone nella somma diretta degli auto spazi… Seee! » esclamo io, chiudendo il libro e tornando al mio gelato.
Poi, suona il campanello. Borbottando qualcosa di poco carino vado alla porta, con il cucchiaino in bocca, e la apro senza pensarci due volte.
« Ma salve! » esclama Ben sorridente. Ma il suo sorriso viene velocemente sostituito da uno sguardo stupito, anche un po’ imbarazzato, che involontariamente ricade sui miei slip.
Io trasalisco, porto le mani a coprirmi strenuamente le parti basse e mi fiondo correndo in camera mia.
« E che cazzo però! » urlo sbattendomi la porta alle spalle.
Lo so, la mia ospitalità rimarrà alla storia.
Mentre mi infilo una gonna di jeans un po’ vecchiotta, lo sento poggiarsi alla porta.
« Che vuoi? » gli chiedo scorbuticamente.
« Sono carine… erano delle tartarughine, quelle stampate sopra? » mi chiede Lui, aldilà della porta chiusa. La sua voce è dolce, e arriva ovattata alle mie orecchie, a causa della porta che ci separa.
Rimango inerme davanti a tanta dolcezza. Mi sento una cafona, io a trattarlo in quel modo, e lui…
« Sì… » mormoro io, sedendomi sul letto e fissando la porta.
Attimi di silenzio. Quasi avverto la sua insicurezza, fuori dalla camera.
« Mi fai entrare? » mi chiede poi, incerto, a mezza voce. Lentamente mi alzo, e mi avvicino alla porta. Abbasso la maniglia e apro appena la porta. Lui è lì, appoggiato allo stipite, che sorride appena. I nostri sguardi s’incontrano e io sento il mio cuore precipitare diretto nello stomaco. Mi schiarisco appena la voce, chino lo sguardo e apro ancora di più la porta.
Lui entra, e mi si avvicina.
« Buongiorno. » mi dice, a voce bassa, terribilmente sensuale. Io respiro profondamente, cerco di distrarmi con qualcosa di molto stupido. Tra i vari pensieri che cerco di riportare alla mente, quello che mi fa distrarre per qualche secondo è la puntata di Scrubs che sta andando avanti solitaria senza di me, in salotto. Mi volto in quella direzione un attimo, cercando di tendere l’orecchio verso la serie TV.
Ma il tocco improvviso delle mani di Ben sui miei fianchi, mi fa ritornare subito alla realtà. Se realtà si potrebbe definire, quella, ovviamente. Gli sguardi s’incontrano di nuovo, e finalmente mi soffermo ad osservarlo. La barba è un po’ più lunga del solito, i capelli sono sempre lasciati sciolti ad incorniciargli il viso, ribelli. Indossa una camicia bianca, di cotone, che scende morbidamente lungo il suo torace, ed è rimboccata fino ai gomiti. Jeans schiariti, sembrano consumati. Anonime scarpe di ginnastica ai piedi, bianche. Mi mordo il labbro inferiore, le sue mani sono ancora sui miei fianchi.
Nell’imbarazzo e nella confusione più totale, sollevo lo sguardo verso di Lui. Mi guarda, uno sguardo malizioso e furbo. Non sorride, o per lo meno, non con la bocca. Ma sembra estremamente divertito dal mio palese imbarazzo.
« Sono qui. » mi ricorda, mentre io distolgo lo sguardo schiarendomi di nuovo la voce.
« Ti vedo, non sei trasparente. »
« Finalmente mi dici qualcosa! » esclama Lui, accennando ad un sorriso.
« E te ne dico anche qualcun’altra: smettila di piombare a casa mia quando non sono presentabile. »
« Come se fosse colpa mia se ti piace andare in giro in mutande... » mormora lui, mentre lentamente mi avvicina a sé, facendo aderire parzialmente il mio corpo contro il suo. Ok, sto per morire. « … delle carinissime mutande, dopotutto. » aggiunge sussurrando le parole, lentamente, e con altrettanta lentezza si avvicina piano verso di me.
« Tu non hai il permesso di guardarle. » mormoro io, respirando a fatica.
« E’ stato più forte di me, perdonami. » mi risponde Lui, continuando ad avvicinarsi, e ad ammaliarmi con quel suo sguardo penetrante. Troppo, per i miei gusti. Mi sta facendo esplodere il cuore.
« Dovresti tagliare la barba, sai? » gli dico corrucciando appena le sopracciglia, e tirandogliela leggermente. Questo non fa altro che avvicinarlo.
« Ok, ora puoi smettere di parlare. » mi dice lui, ironicamente.
« Ma, Ben… Cosa stai facendo? » gli chiedo io, sgranando gli occhi.
Lui, dal canto suo, li chiude qualche istante, sospirando.
« Beh, Jo… » dice lui, passandosi indice e pollice a massaggiare la fronte e le sopraciglia. « Penso che tu riesca a riconoscere un ragazzo quando ha intenzione di darti un bacio. » dice lui, tranquillamente, riaprendo gli occhi a guardarmi. Io mi pietrifico.
« Ba… ba… ba… » riesco solo a balbettare, con una confusione in testa totale.
Lui sospira di nuovo.
« Non sono un tipo che si butta sulle ragazze, sinceramente. Ma è da giorni che io sento… qualcosa. » dice il ragazzo, che allontana anche l’altra mano dal mio bacino, e mi lascia uno strano freddo sulla zona che ha toccato. Lo guardo, sembra in difficoltà. « Io ti guardo e… non lo so, è una sensazione strana, che non provavo da tanto tempo. » ancora sospira, poggia una mano sul fianco, e l’altra con l’indice e il pollice sulla fronte. Poi la passa tra i capelli. Dopo qualche istante, si volta verso di me: « Insomma Jolene, tu mi-- »
Qualsiasi cosa lui stesse dicendo, viene bruscamente interrotta dalla suoneria del telefonino. Credo di non aver mai lanciato uno sguardo tanto malvagio a qualcosa o qualcuno, e lo indirizzo proprio verso il cellulare, che vibra e suona tranquillamente. Come se niente fosse. Come se non sapesse di aver interrotto il momento probabilmente più importante della sua vita da circa quattro anni a questa parte.
Ben guarda il cellulare qualche istante, poi spazientito solleva gli occhi al cielo, e va a sedersi pesantemente sul letto, guardandomi sottecchi, mentre vado a rispondere.
« Pronto. » sibilo al telefono, mentre con una mano stringo convulsamente lo schienale della sedia vicino alla scrivania.
« Jo! » Laura.
« Non hai la più pallida idea di quanto io ti stia odiando in questo momento. » continuo a mormorare a denti stretti, con tutta la rabbia che riesco ad esprimere in un sussurro.
« Ho interrotto… qualcosa?! » chiede Lei, con fare malizioso.
Lancio uno sguardo alle mie spalle, a Ben che ora si è mezzo steso sul letto, e sfoglia distrattamente uno dei libri estratti dalla pila sul mio comodino. Quindi gli volto di nuovo le spalle, schiarendomi la voce.
« Più o meno. » borbotto io, quasi con paura che Ben possa capire quello che ci stiamo dicendo. Oltretutto in italiano. Mi sto rincretinendo.
« Oh, mi dispiace! Vabbè, ormai è fatta! Cosa ne dici se andiamo insieme a cercare un vestito per il matrimonio di Michela? »
« Oh, il matrimonio. » sbotto io, senza nessuna traccia di enfasi.
Michela era la mia migliore amica. Eravamo proprio come sorelle, prima che lei si fidanzasse. Già quando s’è fidanzata, i rapporti si sono un po’ raffreddati. Il che è anche normale, ma io non l’ho mai accettato. Ho sempre provato un senso di egoismo, nei suoi confronti. Volevo che continuasse a essere la mia migliore amica per sempre, senza dividerla con nessuno. Poi beh, dopo la morte dei miei genitori, io non sono stata in grado di reggere più nessun tipo di rapporto. Sono stata io, in effetti, ad allontanarmi del tutto. Ma lei di certo non mi ha fermata con troppa convinzione. Ora ci sentiamo ogni tanto, come semplici conoscenti. Ma non posso negare che la situazione mi faccia ancora star male.
Michela ha frequentato per un periodo il Politecnico con me e Laura. Un annetto, circa. Poi ha deciso di sposarsi, e s’è ritirata.
« Dai, Jo. Cerca di prenderla tranquillamente. Allora, ci vieni? »
« Ma sì, da sola non ci andrei mai. Solo che c’è… »
« C’è lui? Oh, beh, portalo con te, che problema c’è? »
« Mh… » mugugno io, poco convinta.
Un’oretta dopo, ci ritroviamo tutti e tre davanti ad un negozio d’abbigliamento in centro, molto carino ma non eccessivamente dispendioso.
Ben s’è calato nella parte di turista tamarro. Capelli tenuti legati in una coda, tenuti fermi dal gel, una maglia rosa di quelle che io uso a mò di vestitino per dormire sopra i jeans, un po’ vecchiotta e scolorita, e un meraviglioso cappellino con visiera color arancio evidenziatore che ho usato in una delle mie gite al Liceo. Occhiali da sole a mosca, i miei. Quel ragazzo non ha ritegno.
« Se non sapessi chi c’è dietro questo travestimento, mi faresti alquanto schifo. » commento guardandolo per l’ennesima volta con una lieve nota di disgusto.
« Lo scopo è quello, se faccio schifo anche a chi piaccio, sono riuscito nell’intento. » mi dice Lui, sorridente, non noncuranza, guardandosi intorno e soffermandosi sulle vetrine dei negozi.
Un altro sguardo torvo. Poi rifletto sulle sue parole, e avvampo improvvisamente.
« E-ehi… » inizio a replicare imbarazzata, ma la voce di Laura mi interrompe.
Le presento ufficialmente Ben, che viene accolto da lei con il suo solito entusiasmo, divertita del suo travestimento, al contrario di me che provo disgusto. Entriamo nel negozio, e subito Laura sceglie tre o quattro vestiti da provare. Io intanto mi aggiro per il locale, annoiata, senza che nulla attragga troppo la mia attenzione. Ben è accanto a me, credo osservi la mia espressione poco interessata. Poi, però, il mio sguardo cade su un vestito.
È semplicissimo, azzurro chiarissimo, arriva fin sopra al ginocchio, liscio con la gonna a tubino. Ha un foulard dello stesso colore ma di una tonalità più satura, da avvolgere morbidamente intorno al collo.
Mi fermo solo a guardarlo qualche istante, ma Ben sembra subito notare il mio interesse, e lo prende al volo.
« Ti piace? Dai, provalo! » mi dice lui, e senza attendere repliche mi prende per il braccio e mi trascina ai camerini.
Prima aspettiamo che Laura scelga il suo vestito. Opta per uno rosa shocking. Perché la cosa non mi stupisce?!
Dopo, con un po’ di imbarazzo, entro anch’io a provare quel vestito. Con non poca fatica, e con tanta paura di rovinarlo, riesco alla fine a infilarlo. Esco incespicante dal camerino, lentamente. Mi rifiuto di guardarmi ad uno specchio, mi vergogno troppo e mi sento a disagio con addosso certe cose.
Appena esco, l’urletto di Laura mi fa sobbalzare.
« Jolene, sei… sei… sei stupenda! » esclama lei, al culmine della sua gioiosità, battendo velocemente le manine.
Il mio sguardo vola verso Ben. Lui sembra impassibile. Poi lo vedo sfilarsi via gli occhiali da sole, lentamente, con le labbra strette, e il suo sguardo mi incuriosisce non poco. Sembra… spiazzato. Sembra un bambino, un cucciolo. Non lo so, non lo saprei descrivere. Ma lui continua a fissarmi in silenzio, con quegli occhi scuri che brillano sorprendentemente.
« Allora, Ben! Commenta anche tu! »
« Bellissima… » si limita a mormorare lui, sembrerebbe in uno stato di estasi.
Al sentirglielo dire, sboccia sul mio viso un sorriso spontaneo, di pura felicità, mentre le mie guance si tingono completamente di rosso. Lui spalanca gli occhi, ancora più spiazzato. Mi vede sorridere così poco spesso.
E infatti il sorriso scema subito, quando il mio sguardo cade sul prezzo dell’abito.
« Oh, no… non me lo posso permettere. Costa troppo. » mormoro io, sospirando affranta. « Devo ancora fare il regalo a Michela… » aggiungo, facendo per tornare in camerino a rivestirmi.
Lui si avvicina velocemente, bloccandomi. Ancora con quello sguardo. Solleva il cartellino, legge il prezzo.
« Te lo compro io. » mi dice lui, con voce ferma.
Scuoto il capo.
« Assolutamente no, Ben. » dico io, altrettanto sicura.
« Ti prego. » mi dice lui, con aria supplichevole. « Voglio vederti di nuovo sorridere così. Lascia che te lo compri. »
« Ma Ben, io non… »
« Ti prego. » insiste lui, guardandomi. Un cucciolo. Mio Dio, quant’è bello.
Chino lo sguardo. « E va bene. » mormoro alla fine, e non posso fare a meno di sorridere di nuovo, imbarazzata e felice. Sul suo viso, spunta un sorriso altrettanto meraviglioso. Mi sorride raggiante. Ma come devo fare con questo ragazzo?
« Inizio a sentirmi un po’ di troppo… » sento borbottare Laura, ironicamente.
Ridacchio appena, prima di ritornare in camerino a cambiarmi.
Andiamo alla cassa, e Ben paga il mio vestito. Mi sento terribilmente in colpa, una sfruttatrice. E, mentre usciamo dal negozio, col broncio, provo a dirglielo.
« Sembra che io ti tenga buono e caro per farmi comprare le cose. » borbotto, guardando il terreno. Lui sbuffa rumorosamente.
« Jo, non ti ho comprato il vestito per sentirmi perseguitare dalle tue lagne. Se pensassi minimamente che il tuo intento è quello di sfruttarmi, ora non sarei qui. » mi risponde Ben, sorridendo, ma con un tono che non ammette repliche.
« Sì ma… »
« Jolene ti prego basta! » esclama Laura. Se ho fatto esasperare Lei, devo essere proprio una gran rompicoglioni. « Dai che poi lo ripaghi in natura! » esclama poi, maliziosa, in italiano.
Spalanco gli occhi avvampando improvvisamente. Ben ci guarda, interrogativo.
« Laura giuro che ti ammazzo… » mormoro a denti stretti con fare minaccioso.
« Tanto lo so che mi vuoi bene! » esclama Lei, dispettosa. « Ora vado a casa, s’è fatto tardi… Ciao Ben, è stato un piacere! » aggiunge poi Laura, salutandoci con la mano e dirigendosi velocemente verso la fermata del Bus.
« Credo di dover andare anch’io, ho da fare purtroppo. » dice Lui, mentre chiama un Taxi. « Sali con me? Così poi ti riaccompagna a casa dopo avermi lasciato. »
« No no, grazie, prenderò il mezzo di trasporto di noi comuni mortali… La metro! » esclamo io, sorridendogli.
Prima che possa salutarlo, lui si china su di me, e mi da un bacio sulla guancia, ma pericolosamente vicino alle labbra. Rimango pietrificata, sgranando gli occhi e trattenendo il respiro. Lui si allontana, mi guarda, si mette a ridacchiare.
« Guarda che se rimani così un altro po’, svieni. » si preoccupa di ricordarmi.
E in effetti, mi rimetto a respirare, ma fingendo – male, molto male – indifferenza.
« Ah ah… ah. » risata finta, infastidita, ma che non cancella il suo sorriso dal viso. Arriva il TAXI, si avvicina e intanto sfila via cappellino e occhiali da sole. Appoggia il cappello sulla mia testa.
« A presto, Jo. » mi dice lui, salendo sul TAXI. Mi fa “ciao ciao” con la mano da dietro il finestrino, quindi si allontana a bordo dell’auto bianca.
Anche io torno a casa.
Nella mia camera, tolgo dall’incarto l’abito, e lo appendo sull’anta dell’armadio, di fronte al mio letto. Mi ci stendo su, e ancora da di Lui.
Guardo l’abito, sorrido ancora, come non ho mai fatto da quattro anni a questa parte.
***
È mattina, e sto varcando la soglia del Politecnico, felice che questo sia uno degli ultimi giorni di lezione, ma non altrettanto felice all’idea degli esami che verranno dopo. Mi fermo al distributore a comprare un cappuccino, non sono riuscita a fare colazione a casa, questa mattina.
Appena entro, però, c’è qualcosa di strano. Cammino tranquillamente per i corridoi, ma l’atmosfera è strana. Vedo un sacco di sguardi puntati su di me. Non sono sguardi canzonatori, o intimidatori. Solo tremendamente curiosi, come se fossi un alieno.
E pensare che gironzolo per quei corridoi da tre anni, e sono sempre passata – per fortuna – totalmente inosservata.
Corrugo la fronte, a sentirmi tutti quegli sguardi addosso. Il mio passo si fa progressivamente più veloce, mentre passo accanto ad un gruppo sento sussurrare qualcosa.
« Ma è lei la tizia che sta in Bacheca? » mi blocco, istintivamente, e mi volto di scatto verso il gruppo.
« Brava la pirla, ti ha sentita. » sento dire un ragazzo verso un’altra.
Questa esce dal gruppo, e mi si avvicina, timorosa ma eccitata.
« Ciao, scusami… Ho letto sulla Bacheca che sei amica di Ben Barnes! Senti ma è vero? No perché se è vero io avrei qua una lettera che gli ho scritto tanto tempo fa ma non ho avuto il coraggio di spedirgliela… Gliela puoi dare tu? Se vuoi ti pago anche! » mi dice velocemente la ragazza.
Io mi pietrifico.
« Ma che cazzo…? » mormoro allibita. Mando a fanculo con la mente quella ragazza, e quasi correndo mi dirigo in Bacheca.
C’è un enorme foglio bianco, che occupa quasi un quarto della superficie destinata a fare da Bacheca. Su di esso, c’è stampata una mia foto, scattatami sicuramente di nascosto con un cellulare, vista la bassa qualità. Ma si capisce benissimo che sono io.
Mi avvicino, e leggo.

“ La conoscete? Il suo nome è Jolene Mancini. Frequenta il terzo anno di Design qui al Politecnico. E’ amica del noto attore Ben Barnes, il Principe Caspian ne Le Cronache di Narnia.
E’ una celebrità!!! =)
Se volete mettervi in contatto con lui, o vederlo, rivolgetevi a lei! Dietro pagamento sicuramente accetterà di fare da tramite per l’incontro più bello della vostra vita!!! =) “

Inizio a tremare, così forte che abbondanti gocce di cappuccino fuoriescono dal bicchiere e vanno a finire a terra, anche sulle mie Converse.
Stringo convulsamente le labbra, mentre sento le viscere del mio stomaco intrecciarsi.
Continuo a fissare con gli occhi sbarrati il foglio, incredula.
Sono nella merda.

***

Babe: grazie mille! E’ vero Jo all’inizio è davvero acida, ma pian piano vorrei farla sciogliere! :D
Ramona37: grazie mille anche a te!^^
emmawh: ti ringrazio, sei gentilissima! Cerco di non fare le parti drammatiche troppo struggenti e quelle romantiche troppo teatrali xD Cerco di mantenere la storia su un livello “umano”… con situazioni che potremmo vivere tutti! :D
giu020: grazie!^^
clacly: ti ringrazio moltissimo! Mi impegno per far rimanere sia la storia che Jolene ad un livello che non sfoci nel “surreale” xD Quando devo scrivere una reazione di lei, penso “come reagirei io?”, e credo proprio che Jolene sia acidula perché la baso su come potrebbe reagire la sottoscritta davanti a certi momenti… xD

Naturalmente un grazie speciale va alle mie amiche su http://benbarnesitaly.forumfree.net!

Grazie mille a tutti, spero che anche questo capitolo vi piaccia! :D



Piccolo disegnino che ho fatto di una scena della Fan Fic, spero vi piaccia! :) Purtroppo non son brava a disegnare i maschietti quindi Ben non è uscito bello com'è realmente! ;_;

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


VII.

Tutto questo è assurdo.
Continuo a fissare attonita il foglio appeso, la mascella sembra essersi staccata dal resto delle ossa della mia testa.
Poi serro lentamente le labbra, assottigliando le sopracciglia. C’è solo una persona, oltre me e Ben, che sapeva tutto quanto.
Mi volto verso la spazzatura e ci lancio dentro il bicchiere, ancora pieno di cappuccino per metà.
Passo la mano sulla fronte, cerco disperatamente di calmarmi e ristabilire il battito cardiaco ad una frequenta decente.
Però mi è impossibile, perché una voce familiare giunge alle mie orecchie.
« Ehi, Jo? Ma cos’è successo? Non ti senti bene? »
La vedo avvicinarsi verso di me, preoccupata. Finge di ignorare il foglio con l’annuncio.
« Sei una stronza… » mormoro io, tremante di rabbia, guardandola con le palpebre ridotte a due fessure.
Lei spalanca gli occhi, bloccandosi accanto a me.
« Jolene, ma cos-- »
« VAFFANCULO! » sbraito io lasciando che tutta la rabbia esca fuori dal mio stomaco. Lei sussulta di fronte alla mia aggressività. « Che cosa cazzo ti è saltato in mente, eh?! » aggiungo indicandole il manifesto.
Lei lo guarda un attimo, poi sgrana gli occhi, sbiancando.
« Jolene, non penserai che… »
« Non ti riguarda più quello che penso o che non penso! » le dico ad alta voce, stringendo forte le mani in due pugni, mentre la gente inizia a voltarsi e a guardare.
« Jo, usciamo fuori in cortile per lo meno, ci guardando tutti… » mi dice Lei, che tende la mano verso il mio braccio.
Mi allontano bruscamente, ma la seguo fuori.
« Jolene, ascoltami, sul serio, non sono stata io! » mi dice lei, alzando appena la voce sull’ultima frase.
La guardo, in silenzio, le labbra arricciate in un’espressione disgustata.
Sono amareggiata, sono triste, mi sento delusa e tradita, tradita dalla prima ragazza di cui mi sono fidata dopo tanto tempo.
Fisso il terreno, non dico niente per qualche istante. Inizio a sentire gli occhi pungere a causa di lacrime colme di rabbia e risentimento.
Sollevo lo sguardo lucido verso di lei.
« Hai probabilmente distrutto l’unica cosa bella che mi sia capitata da quattro anni a questa parte… » mormoro io con la voce che trema a causa dello sforzo per reprimere le lacrime. « Mi sono fidata di te, io… mi sentivo così bene e tu… tu mi hai fatto questo… » continuo a dire, scuotendo lentamente il capo, ancora incredula.
« Jo sul serio io non… » inizia a dire lei, avvicinandosi.
Io di nuovo mi ritraggo, stringendo forte le labbra che ormai tremano visibilmente.
« Non ti permettere mai più a rivolgermi la parola… Mai più! » dico io, passandole poi velocemente di fianco e scappando via.
Mando a farsi friggere anche la lezione, passo accanto alla Bacheca e strappo il foglio, accartocciandolo e buttandolo nello stesso cestino che emana profumo del cappuccino che ho buttato dentro dieci minuti prima.
Scappo a casa, non voglio sapere niente, non voglio sentir parlare nessuno.
Butto la borsa in un angolo del salotto, vado in camera mia, mi fiondo sul letto. Le lacrime iniziano a sgorgare appena tocco il cuscino. Ho paura. Paura che questo abbia rovinato tutto. Paura che Ben lo scopra.
Ma le paure non riescono neanche a prendere forma nella mia mente, che dopo solo un’oretta sento suonare alla porta.
Mi alzo lentamente dal letto, e mi dirigo verso l’ingresso, con gli occhi rossi e gonfi a causa delle lacrime. Le possibilità sono due: il proprietario di casa che viene a riscuotere l’affitto, o Ben, da cui non saprei cosa aspettarmi. In entrambi i casi, la cosa è grave, e l’ansia mi sta ammazzando mentre vado ad aprire la porta.
Ok, è la seconda ipotesi, ed è peggio di quel che mi aspettavo.
« Jolene! » tuona lui quando apro la porta. Io sussulto. Entra d’impeto in casa, io mi scanso per non farmi travolgere.
Chiudo lentamente la porta, lo guardo. Completo giacca e pantaloni grigio scuro, camicia bianca sotto, Vans ai piedi. È bellissimo, come sempre. E la mia espressione con gli occhi gonfi mi imbruttisce un casino.
Lui entra in salotto, scosta la giacca e porta entrambe le mani sui fianchi, dandomi le spalle.
« Cosa diavolo ti è saltato in mente? Io mi fidavo di te! » dice lui, sospirando.
« Non sono stata io, Ben. »
« Come non sei stata tu?! » esclama retoricamente, voltandosi e guardandomi furioso. « C’è il tuo nome su quel manifesto! »
« Ma tu come l’hai visto?! Era appeso nel mio Politecnico! » dico, sgranando gli occhi.
« E’ anche su Internet, se ci tieni a saperlo! La mia segretaria fa sempre delle ricerche per vedere cosa si dice di me su Internet, visto che io a senti lo accendo, un PC. » mi spiega lui, sospirando con lo sguardo basso. « Quel manifesto è su un Forum di Fan Italiano. Mi spieghi cosa diavolo sta succedendo, ora?! » mi chiede ad alta voce, nervoso. « Se qualche giornalista va a vedere quel manifesto tutti sapranno che sono ancora a Milano e perché, e sarà la fine, te ne rendi conto?! »
« … Non sono stata io! » esclamo, mentre di nuovo ricominciano a sgorgare le lacrime di rabbia e nervoso.
« C’è il tuo nome, Jo! » esclama di nuovo Lui, sovrastando la mia voce con la sua. « Speravi di guadagnarci qualcosa?! Pensavo che tu fossi diversa! Che a te non interessasse solo il mio portafogli! Speravo che tu avessi visto in me quello che io ho visto dal primo momento nei tuoi occhi! » esclama lui, puntandomi contro l’indice. È sconvolto anche lui, si vede, lo capisco. Ma io lo sono ancora di più.
« Come diavolo puoi pensare una cosa del genere?! » gli urlo contro, con la voce distorta dalle lacrime. « Come potrei mai venderti in questo modo barbaro?! Mi fai tanto idiota?! Per la prima volta dopo tanto tempo che mi piace così tanto un ragazzo, secondo te io sarei disposta a cederlo o a dividerlo con qualcuno in cambio di soldi?! » continuo a urlargli, la gola mi fa male per lo sforzo della voce e del pianto. « Sei uno stronzo anche tu! Siete due grandissimi stronzi, te e Laura! » con la mano afferro la prima cosa che trovo e gliela lancio sopra, in uno scatto di ira. Per fortuna è solo un cuscino. « Vattene! Sparisci! Vattene via prima che qualcuno possa scoprire che te la fai con una morta di fame come me! » dico al limite delle forze, prima di lasciarmi andare su una sedia, poggiare i gomiti sul tavolo e sprofondare il viso nei palmi delle mie mani.
Passano alcuni istanti di silenzio, rotti solo dai miei singhiozzi.
« Jolene… »
« Vattene, cazzo. Ho detto di andartene. Vai a fare la tua bella vita e dimenticati di me. » dico tremante, da dietro le mie mani, e la mia voce risulta ovattata per quello.
Sento muoversi un’altra sedia, poi una delle sue mani prendermi il braccio.
« Jolene. » mi chiama con voce più ferma. Scosto una mano, con l’altra mi mantengo la fronte e la frangetta in su. Lo guardo, e la sua immagine appare confusa e sfocata attraverso le lacrime. « Jo, guardami e dimmi che tu non centri niente. » mi dice Lui a mezza voce, ma perfettamente udibile. Lo guardo qualche istante, in silenzio. Osservo il suo volto, probabilmente è l’ultima volta che lo vedo.
« Non sono stata io. » gli rispondo, con la voce incredibilmente ferma, mentre lo guardo negli occhi, mentre mi perdo in quello sguardo onice, che mi studia e mi osserva, preoccupato, disarmante, bellissimo.
La sua mano si sposta dal suo braccio, e si posa sulla mia guancia. Col pollice mi asciuga le lacrime, poi continua a sfiorarmi con esso la pelle, ad accarezzarmela lentamente.
« Allora io ti credo. » mi dice, lentamente. « Ma non voglio andare via. Non ancora. Quel messaggio deve sparire, e noi dobbiamo sapere chi… »
Ma, per l’ennesima volta, Ben viene interrotto dallo squillo del mio cellulare. Entrambi ci voltiamo di scatto a guardarlo, quindi allungo una mano a prenderlo. Anonimo, sul display.
Tentenno un attimo, poi apro la chiamata.
« Pronto? » chiedo, poco convinta.
« Ciao, Jolene. Come stai? » mi chiede la voce dall’altro capo del telefono. Una voce femminile. Lenta, un po’ strascicata, quasi… compiaciuta, direi. « Allora, hai già fatto qualche soldino col tuo annuncio? »
« Chi diavolo sei?! Che cosa vuoi?! » esclamo io, ad alta voce.
« Chi è, Jo? » mi chiede Ben, poggiandomi entrambe le mani sul braccio.
« Ah, e così c’è anche Bennuccio lì con te? » chiede la ragazza, sorniona. Poi scoppia in una risatina. « Bene, non potevo aspettarmi di meglio! » esclama, ancora più compiaciuta. Sembra in un brodo di giuggiole. E io mi sto incazzando come una bestia.
« Cosa vuoi?! » ripeto, minacciosamente.
« Passami il telefono, Jo. Fammici parlare. » mi dice Ben, tendendo la mano. Io sollevo la mia, dicendo di aspettare.
« Oh, sì, Jolene, passamelo! Il mio sogno più grande è quello di parlare con Ben Barnes, e tu mi sei il tramite perfetto! » esclama giulivamente al telefono. Ma chi cazzo è st’esaltata?!
Passo il telefono a Ben. Quando lui risponde, lei inizia a lanciare dei gridolini di pura felicità, quello lo sento perché sono particolarmente acuti.
« Dimmi chi sei, per favore, e cosa vuoi da me. » risponde Ben, calmissimo.
« Solo un piccolo favore, Bennuccio. Incontrarti, stare un po’ con te, è il mio più grande sogno. In cambio, il mio silenzio. Sono l’Admin del Forum Ufficiale Italiano dedicato a te, quindi immaginerai che il mio sogno è conoscerti! » dice velocemente, come se non stesse aspettando altro che questa occasione.
« Se ci incontriamo, toglierai quell’annuncio da Internet e manterrai il segreto? » chiede lui, al che io spalanco gli occhi. Lo sta ricattando?!
Attimi di silenzio. Lui stringe forte le labbra. Alla fine chiude gli occhi, sospirando.
« Ok, sabato pomeriggio, alle 6. » dice alla fine, quindi solleva lo sguardo verso di me. Io all’inizio sbianco, poi improvvisamente una vampata di nervosismo mi fa diventare paonazza.
Strappo il telefono di mano a Ben, alzandomi in piedi e iniziando a camminare per la stanza come un animale in gabbia.
« Che cazzo gli hai detto? » le sibilo minacciosa, in italiano.
« Ci siamo dati appuntamento, in cambio del mio silenzio. Una serata solo per me. »
« Tu sei una stupida esaltata. » le dico senza apparente motivo, solo perché sento la necessità di sfogarmi un po’.
« E tu sei una maleducata, Jolene. Al contrario di Ben, che è assolutamente per – fe – tto. » dice, scandendo le parole, giulivamente. « E sei anche un po’ tonta. Hai subito dato per scontato che fosse stata Laura ad architettare tutto… Povera ragazza, l’unica anima buona che ti abbia degnata di un po’ di considerazione, che a mio parere non meriti affatto. L’hai pure presa a parole, quando la colpa di tutto questo è solo tua e della tua disattenzione. »
« Che vuoi dire? » e chiedo a denti stretti.
« Che la prossima volta che vuoi rivelare un segreto nel bagno del Politecnico, Jolene cara, ti consiglio di assicurarti meglio che non ci sia davvero nessuno, e non di gettare solo uno sguardo nell’antibagno. » dice lei, compiaciuta all’inverosimile.
Stringo la cornetta convulsamente.
« Beh, Jolene, ci si becca in giro. Riferisci a Ben di non tardare sabato, ahah! E mi raccomando… non t’azzardare a farti vedere, quella sera. Altrimenti, tutti gli sforzi di Bennuccio saranno completamente vani, capito? Baci baci! » mi dice, con la voce distorta dalla soddisfazione.
« Ma va’ a cagare. » le dico io, ma non abbastanza in tempo, perché mi ha già chiuso il telefono in faccia.
Sbatto il telefono sul tavolo, mi risiedo. Io e Ben ci guardiamo.
« Ci andrai? » gli chiedo io.
« Sì, non posso rischiare così grosso. Si chiama Martina, ci incontriamo sabato, alle 6, » mi dice lui, come cercando qualcosa nei miei occhi. Io annuisco. La gelosia mi sta divorando viva. Mi osserva qualche istante, poi dopo un poco scosta lo sguardo. « Il patto dice che può chiedermi qualsiasi cosa, durante l’appuntamento. »
« E quindi? »
« Potrebbe chiedermi anche di baciarla. Che cosa faccio, in quel caso? » mi chiede lui, sollevando lo sguardo verso di me.
« Devi farlo. » rispondo io, su due piedi. Cala il silenzio. Lui inspira, sollevando il mento e assottigliando le palpebre. Si stravacca sulla sedia, poggiandosi sullo schienale e incrociando le braccia.
« Quindi tu mi lasceresti baciare da una sconosciuta? » mi chiede lui, osservandomi.
« Se questo serve a tener nascosta la nostra conoscenza ai mass media… » borbotto io, eloquentemente. Come al solito senza riflettere per niente sulle mie parole.
Riduce le palpebre a due fessure. Pronuncia appena le labbra, con fare pensieroso, e un po’ contrariato.
« …Conoscenza? » mi chiede semplicemente lui. Io sollevo lo sguardo.
« Come altro dovrei chiamarla? » mi scappa di dire, nervosamente. Dopo un solo secondo, mi rendo conto della stupidaggine immane che ho appena detto.
Lui sospira, china un attimo lo sguardo quindi poggia le mani sul tavolo e, facendo peso sugli avambracci, si alza. Molto, molto infastidito, si vede benissimo.
« Ben, non volevo dire… »
« Ci vediamo sabato sera, Jolene, sempre che tu non abbia da fare. » mi dice lui, portando le mani in tasca e andando verso la porta. « Verrò subito dopo l’appuntamento, per farti sapere com’è andata e se potrai ancora crogiolarti nel tuo anonimato. » aggiunge, atono.
Apre la porta, mi saluta, se la richiude alle spalle. Si defila in pochi secondi. Io rimango ferma, come una cretina, maledicendo il mio carattere e la mia lingua che non mi mordo mai.
Passano tre giorni, tre giorni tormentosi, fatti di malessere e sensi di colpa. Incrocio spesso Laura per i corridoi del Politecnico e durante le lezioni, ma sia io che lei ci evitiamo. Lei perché è ovviamente incazzata nera con me, io perché mi vergogno troppo per andare a parlarle.
Sì, oltre a essere un’impulsiva di sto cavolo, sono anche una grandissima vigliacca.
Arriva sabato, velocemente, e io non faccio altro che tormentarmi. Io e Ben non ci sentiamo da tre giorni. Ho provato a chiamarlo, e non mi ha mai risposto. Il primo giorno non ci ho fatto caso, il secondo ho iniziato a preoccuparmi. Ieri avevo un’ansia palpabile addosso, e oggi vado in giro col groppo in gola costante.
Che abbia rovinato tutto, con quelle parole buttate lì per paura, senza pensarci?
Gli ho detto di sì, che l’avrebbe dovuta baciare se lei glielo avesse chiesto. Perché preferisco cederlo a un’altra per un bacio, piuttosto che fare la possessiva del cazzo e poi perderlo per sempre. Non voglio che questa storia si sappia, non voglio poter essere una penalizzazione per lui. Non so come vanno queste cose, io non faccio parte di questo mondo. Ma preferisco non rischiare.
E ho anche paura a fare il primo passo, sono la prima che si autoconvince che la nostra sia solo una conoscenza, perché non posso, non devo aspettarmi troppo da tutto questo. Un giorno finirà. Prima o poi, lui se ne andrà, e tutto tornerà com’era prima. Non devo lasciarmi coinvolgere, non devi farmi trasportare, e il modo più efficace per difendermi dai miei stessi sentimenti, è negare l’evidenza, non vederci nulla in tutto quello che succede.
Al PC, controllo sul Forum di quella pazzoide che veramente abbia tolto il manifesto. Ha promesso di rimetterlo solo in caso qualcosa non vada bene durante l’appuntamento.
Vorrei riempirglielo d’insulti, sto Forum.
Sono nervosa, irascibile. Sono le 8 di sabato sera, e di Ben neanche l’ombra. Né una chiamata, né un messaggio. Neanche un fottuto squillo, cavolo.
Sto un po’ davanti al PC, poi mi alzo, provo a studiare ma non ce la faccio, provo a sedermi sul divano e guardare la TV ma non riesco a fare neanche quello. Finisco un pacchetto da venti di Lucky Strike solo nell’arco del pomeriggio.
Il batticuore è perenne, il mal di stomaco anche. La preoccupazione alle stelle.
Cerco qualche metodo per calmarmi, alla fine mangio una fetta di anguria e poi vado a fare la doccia, cercando di rilassarmi. Dopo essermi lavata, mi stendo sul letto, ascoltando un po’ di musica.
Ed è proprio dopo cinque minuti che son stesa sul letto che sento suonare alla porta. Mi fiondo verso l’ingresso, correndo, rischiando di scivolare a causa della suola liscia delle mie ciabattine molto casalinghe.
Apro la porta.
Subito i miei occhi si scontrano con quelli di Ben. Senza dire nulla, mi perdo in quello sguardo, nella profondità dei suoi occhi. È di una bellezza quasi accecante.
Maglia grigia, coi bottoni, di cui due sbottonati a lasciar intravedere una piccola parte di torace. Sopra, una giacca di pelle nera. Jeans grigi, un po’ consunti, e scarpe da ginnastica nere, un po’ eleganti, ai piedi. I capelli castani, ad incorniciare quel viso dai lineamenti dolci, delicati, perfetti. Gli occhi guizzano d’un bagliore furbo, che mi osserva, malgrado la sua espressione sia serissima in viso.
« Co – co… com’è andata? » balbetto io, incerta, guardandolo sottecchi, con la testa un po’ chinata verso il basso.
Nessuna risposta, lui continua a fissarmi in silenzio.
« Vi siete visti? Tutto risolto? » continuo a chiedere, mentre lui porta le mani in tasca, guardandomi con il capo appena piegato di lato.
« Tutto risolto. » si limita a rispondere lui.
Mi mordo il labbro inferiore, distogliendo un attimo lo sguardo verso il basso. Poi cerco di trovare tutto il coraggio e la faccia tosta possibile per sollevarlo di nuovo verso di lui.
« Vi siete baciati? Te l’ha chiesto? » chiedo io, guardandolo incerta.
Non si scompone un attimo. Neanche per mezzo secondo. Assottiglia appena le palpebre, ma non accenna a nessun altro gesto.
« E’… è un sì? Silenzio assenso? » chiedo io, con un tono della voce che lascia trasparire il mio allarme. Forse anche un po’ della gelosia che mi sta rodendo il fegato da qualche giorno.
Mi fissa, poi inspira lentamente, scostando per un attimo lo sguardo. E lo riporta su di me.
« Come mai ti interessa tanto? Dimmelo. » mi esorta Ben, con voce ferma. « E voglio il vero motivo, non tanti bei giri di parole che alla fine non vogliono dire nulla. »
Si sta riferendo a qualcosa di particolare?
« Tu mi piaci, Ben. » mormoro io con voce flebile, stringendo convulsamente la porta. « Mi piaci… da morire. Ma non perché sei bello, non perché sei famoso. Perché sei… così. Perché sei tu. Perché mi hai fatto ridere e sorridere dopo tanto tempo e… »
« Dimostramelo. »
« … Cosa? » chiedo, sgranando gli occhi verso di lui.
« Dimostrami concretamente che quello che mi dici è vero. »
« Come?! »
« Baciami. »
« EH?! » esclamo io, involontariamente. Il cuore sta per esplodere. Prima è precipitato nello stomaco, e ora me lo sento in gola, che batte freneticamente. La bocca è spalancata, boccheggio. Devo essere completamente rossa in viso.
« Se è vero che ti piaccio, baciami. » ripete lui, guardandomi, ancora serio. Sembra non essere attraversato da nessuna emozione, in questo momento. Mentre io sto per andare in fumo per la confusione, e l’imbarazzo e l’emozione.
Stringo forte le labbra, chino lo sguardo a terra qualche istante. Quindi mi avvicino di un passo e mi metto a punta di piedi.
Avvicino lentamente il mio viso al suo, ma, a metà strada, mi blocco.
« Io non voglio che ci baciamo solo perché devo dimostrarti qualcosa. Voglio che sia un bacio vero, un bacio che valga qualcosa per entrambi. Non solo per dimostrarti quanto ti muoio dietro. Se non è reciproco tutto questo, io non voglio baciarti. »
« Non avere sempre così paura delle conseguenze, Jolene. Devi rischiare qualche volta nella vita. Smettila di scappare. » mi dice lui, a voce bassa, guardandomi dall’alto. Ancora con le mani in tasca.
La sua frase ha stuzzicato il mio orgoglio. Io sono l’unica che ha il diritto di darsi della vigliacca, lui non si deve assolutamente permettere. Riduco gli occhi a due fessure, arriccio le labbra con disappunto.
Quindi, in neanche un secondo. Annullo la distanza che era rimasta tra noi due.
All’inizio è un bacio rabbioso. Io mi avvento sulle sue labbra solo per dimostrargli che non sono la cagasotto che lui crede.
Ma quando, al tocco tra le nostre labbra, sento il suo profumo m’invade la mente, e le sue labbra che sono di una morbidezza così assurda da morirci, inspiro profondamente, sentendomi quasi svenire.
Dio, che sensazione assurda.
Eppure, non succede niente di altrettanto assurdo. Rimaniamo qualche istante così, con le labbra premute le une contro le altre. Da parte sua, non c’è una minima reazione. Io sono troppo imbarazzata per farmi più avanti di così. Mi godo quel momento, all’inizio. Ma poi, notando che lui rimane impalato, mi allontano.
Lo guardo, risentita.
« Ecco, sei contento? » sbotto io, completamente paonazza, con la testa che gira, ma delusa. Arrabbiata. Come una bambina che dopo tanto tempo ottiene il suo lecca-lecca, ma il sapore non è quello che lei si aspettava.
Oh, beh, il sapore delle labbra di Ben, credo sia imparagonabile.
Ma il suo restare così, immobile, mi sta facendo salire una rabbia assurda. Mi vergogno così tanto. Ho fatto la figura della stupida. Sarebbe stato meglio fare quella della vigliacca? Forse mi sarei risparmiata una umiliazione simile.
Lui sorride appena. « Sì. » mi dice semplicemente, arricciando le labbra in un sorriso malizioso. Che mi fa incazzare ancora di più. Lui ora è soddisfatto, io per niente.
« Bene, hai ottenuto quello che vuoi, adesso te ne puoi andare. »
Con un gesto di stizza, gli sbatto la porta in faccia.
Nell’arco di un mese, per la seconda volta, ho sbattuto la porta in faccia a Ben Barnes.
Rimango immobile, qualche istante, a fissarla. Il cuore batte all’impazzata.
Jolene, cosa diavolo hai fatto?
Respiro a fatica, non mi capisco, sono confusa. Perché l’ho fatto? Perché gli ho sbattuto la porta in faccia?
Passa un minuto abbondante, come la prima volta, di puro silenzio. Sento solo i battiti del mio cuore.
Mi passo le mani tra i capelli, tremando visibilmente.
Porto la mano alla porta, la riapro.
E me lo ritrovo di fronte. Non se n’è andato. È ancora lì.
E succede tutto in neanche un secondo. Lo vedo avvicinarsi, mi prende il viso tra le mani, preme le sue labbra contro le mie, impetuoso, lui per primo, questa volta. Spalanco gli occhi, il cuore si ferma per qualche secondo.
Le sue mani mi riscaldano il viso, le sue labbra sono ancora più morbide di prima. Ma questa volta non si ferma lì. Mi spinge dentro, col piede chiude la porta, quindi mi volta e mi fa poggiare la schiena contro di essa. Sono in trappola. Tra lui e il freddo legno della porta d’ingresso. La trappola più bella e più dolce in cui potessi incappare.
Mi accarezza il viso, inizia a massaggiare le mie labbra con le sue. Mi travolge con quel bacio, vuole indurmi ad aprire la bocca e approfondirlo. E io riesco a resistere poco a quella tentazione.
Le mie labbra si schiudono, insieme alle sue. Piega appena la testa di lato, in un gioco di labbra in cui, dopo poco, si affaccia la sua lingua. La passa sul mio labbro inferiore, con abilità ed estrema dolcezza, fino a provare a insinuarla lentamente alla ricerca della mia.
E subito s’intrecciano, mentre mi accarezza le guance con le mani, chino su di me.
Istintivamente, mentre i battiti del mio cuore corrono all’impazzata, sollevo le braccia, veloce, e gli cingo il collo. Poi inizio a passare le mani tra i suoi capelli, morbidissimi. Lui le sposta sulla mia vita, mi stringe a sé, i nostri corpi aderiscono perfettamente, mentre continuiamo a baciarci con foga, sempre di più, come se stessimo esternando tutto quello che, pian piano, è cresciuto e si è ingigantito in questo mese passato assieme.
Ci stacchiamo un attimo, il tempo di riprendere fiato, con le labbra gonfie e rosse, che si sfiorano, gli occhi socchiusi.
« Ben… ti giuro che se hai baciato quella, anche solo un bacio sulla guancia, io ti… »
« Sta zitta, per una volta. » mi mormora lui, riprendendo fiato ancora un attimo con le labbra arricciate in un sorrisetto ironico.
Non mi da il tempo di dire altro, perché di nuovo cerca la mia bocca, la mia lingua, la mia presenza in quel bacio dolcissimo.
Continuiamo a baciarci, alternando momenti di foga con dei piccoli baci a fior di labbra, ma ognuno di essi mi provoca un brivido, una scarica lungo la schiena.
Alla fine, lui poggia la fronte contro la mia, apre gli occhi e mi guarda.
« Credo che il mio cuore stia per avere un collasso. » mormoro mentre i nostri sguardi s’incontrano.
Lui mi prende la mano, come ha già fatto una volta, e la porta sul suo torace, in direzione del cuore. Mi stupisco di sentire il suo cuore in procinto di esplodere, proprio come il mio. Mi sorride, e io sto davvero per svenire.
« L’hai baciata? » gli mormoro, con una dolcezza che non sapevo di avere. Quel pensiero è martellante, un chiodo fisso. Devo saperlo.
« Ma ti pare? » mi risponde lui, accennando una risatina. « Sei l’unica persona che, ora come ora, ho voglia di baciare ogni secondo della mia giornata, Jo. » mi mormora Lui, sempre sorridendo.
Io lo guardo, mi mordo un labbro inferiore. Che imbarazzo, Dio mio.
Lui mi guarda compiere quel gesto, si avvicina e mi bacia. Io gli sorrido, e lui mi bacia ancora, e ancora, e ancora.
Suona il suo cellulare, ma lui non accenna a muoversi da quella posizione. Continuiamo a tenere le nostre fronti unite, e a guardarci, mentre lui mi avvolge nel suo abbraccio.
« Sì? » risponde al telefono.
« Ben, torna subito in Hotel, per favore. Sono riuscita a farti avere l’intervista con quella rivista americana via telefono, ma a causa del fuso orario devi venire subito, l’intervista è a breve. »
« Sì, arrivo. » dice lui, continuando a sorridere a me.
« Ben, cos’è questa voce da rincitrullito? Ti sei drogato? » chiede ironicamente la voce femminile dall’altra parte del telefono.
« Sì, Dana, della droga più dolce che io abbia mai assaggiato. » risponde lui, compiaciuto.
« Oh beh, se lo dici tu. Fra mezz’ora qui, Ben, non tardare! »
Chiude la chiamata, mi bacia di nuovo. Ecco, proprio ora che il mio cuore si stava dando una calmata.
« Devo andare. »
« Lo so, ho sentito. »
« Ci vediamo domani? »
« E’ una domanda retorica, immagino. Se domani non ti vedo arrivare, vengo a fare un blitz nel tuo albergo e a rapirti. » gli rispondo, accennando un sorriso.
« Non potrei chiedere di meglio. » mi dice lui, allontanandosi lentamente. « Allora… a domani. » aggiunge, avvicinandosi alla porta.
« A domani » rispondo io.
Ci guardiamo un attimo, e sembriamo essere attraversati dallo stesso pensiero nello stesso istante. Ci avviciniamo e ci diamo un altro bacio, lungo qualche bellissimo istante.
Quindi, con una faccia probabilmente da stralunata, lo saluto con la manina, sorridendogli, e mentre si allontana chiudo la porta.
Mi dirigo con passo malfermo verso la mia camera, mi lascio cadere sul letto. A pancia in su, fisso il soffitto. Ho gli occhi spalancati, non riesco a prendere sonno. Sono troppo eccitata, sono troppo elettrica. Rimango tutta la notte a pensarci e ripensarci, e ogni volta che penso al momento in cui lui si è avventato su di me, mi si contorce ancora lo stomaco per l’emozione.
Dormo poco, alla fine vengo sopraffatta dal sonno e dalla stanchezza. Cerco di mantenermi sveglia il più possibile per paura di risvegliarmi e scoprire che è stato tutto un sogno assurdo. Assurdamente fantastico.

***

Emmawh: grazie mille, troppo buona! :D Non so dove hai spedito le email, ma non le ho ricevute... forse mi hai contattato psichicamente con la forza del pensiero uhuhuh xD
Kyaelys: ti ringrazio tantissimo! Anche per avermi watchata su deviantART! :D

Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto... una piccola nota, onde evitare fraintendimenti: so che la divisione in sillabe della parola "perfetto" non è quella che ho scritto xD Ma la divisione scritta da me era per far capire il modo in cui la ragazza pronunciava la parola. Spero sia chiaro! Ihihih xD

PS: le ragazze dei Forum di Ben non sono davvero così arriviste ed esaltate, eh!! xD Visto che ne faccio parte anch'io xD

Baci baciii!

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***


VIII.


Turutà turutà turutà.
Traccio una retta con mano ferma e sicura, leggermente, seguendo l’inclinazione delle due squadre. In piedi, china sul tavolo, ho il viso appiccicato al mio ultimo progetto di Design di Interni, quello che precede l’esame e il controllo di tutti gli elaborati del semestre.
Turutà turutà turutà.
Sollevo un attimo gli occhi, arriccio le labbra contrariata. Il tavolo trema leggermente, attendo qualche secondo prima di prendere sicurezza e tracciare un'altra retta.
Turutà turutà turutà.
Inizio a stringere convulsamente la matita, chiudo gli occhi e cerco di rilassarmi, intanto quel rumore sì ritmico ma alquanto fastidioso continua a risuonare nelle mie orecchie.
Sospiro, ci provo davvero a calmarmi, ma poi non ce la faccio più. Sollevo lo sguardo colmo di nervoso.
« Ben, LA VUOI FINIRE?! » sbotto acidamente verso di lui.
Lo guardo, e per un attimo non mi capacito che Ben Barnes è seduto di fronte a me, con una forchetta in una mano e un cucchiaio nell’altra, e tamburella allegramente sul mio tavolo.
Lui, in risposta alla mia acidità, si limita a sorridermi e a chinare appena di lato la testa. Che innocentone, mamma mia.
Però non nego che, a vedere i sorrisi che mi rivolge, ogni volta è un brivido caldo lungo la schiena. Mi accorgo della mia mano tremante nel momento in cui mi accingo a cambiare la posizione delle squadre e a tirare una linea perpendicolare alle altre due di prima.
Sbuffo, poggio la matita, mi rimetto dritta con la schiena e poggio le mani sui fianchi, scuotendo il capo.
« È assolutamente impossibile lavorare con te. » dico infine, esausta.
È tipo un’ora che tamburella sul tavolo in continuazione. E ogni tanto accenna anche a cantare. Il che non giova al mio lavoro di precisione. Perché tipo se lui canta, io tremo. E tipo se io tremo il mio progetto va a puttane!
Con malavoglia mi chino di nuovo sul foglio, mentre sento lui che lascia le posate e si alza. Neanche il tempo di chiedermi dove stia andando, che mi è già vicino. Si mette dietro di me, sento i nostri corpi aderire perfettamente.
Ok, sto iniziando a partire.
Le sue mani si poggiano sulle mie, in una sorta di abbraccio. Avvicina le labbra al mio orecchio, scostando appena i capelli con la punta del naso.
« Se vuoi ti aiuto io. » mi mormora piano, accennando un sorriso. Lui si diverte, sì, ma io muoio ogni volta che mi si avvicina!
« Sei perfettamente consapevole che così non mi aiuti affatto. » rispondo io, voltandomi verso di lui.
I nostri respiri si incontrano per poco, prima che entrambi cediamo alla tentazione e iniziamo a baciarci lentamente. Ed è una tentazione a cui cediamo molto spesso, da qualche giorno a questa parte.
Mi rimetto dritta, e mi volto verso di lui. Il cuore è già scoppiato, partito verso lontane galassie. Gli cingo il collo con le braccia, e anche lui mi abbraccia, accarezzandomi la schiena, dolcemente.
Poi, d’un tratto, sento le mani iniziare a scendere lentamente. Sempre più in basso, verso la fine della schiena, poi il bacino. Uno strano calore inizia a pervadermi, mentre le nostre lingue giocano, si intrecciano, sempre più veloci. Le sue mani arrivano ai miei fianchi, e l’attesa di capire quello che vuole fare mi sta uccidendo. Un’attesa mortalmente gradevole. Le mani scendono ancora, sulle mie natiche, poi appena più in basso, sulle cosce. Il mio respiro è irregolare, affannato, il cuore batte all’impazzata. In un attimo, con uno strattone, mi solleva dalle gambe, aprendole, in modo che si aggrappino al suo bacino. Il mio cuore sussulta, e io mi ritrovo per la prima volta a baciarlo dall’alto, in braccio a lui, mentre gli accarezzo i capelli. I nostri respiri sono carichi di una voglia pazzesca, così come il mio corpo, che brucia e che lo desidera, tutto, adesso.
Mi spinge verso il tavolo, e sta per farmi sedere su di esso quando in un barlume di lucidità mi ricordo del progetto proprio a pochi centimetri dal mio didietro.
« Cazzo, Ben! Il disegno! » esclamo staccandomi improvvisamente e buttando una mano indietro, spostando il disegno subito prima di atterrare sul tavolo col sedere.
Mi volto a guardarlo furente.
« Ma non capisci?! È un progetto importante! Il più importante! » esclamo, marcando sulle ultime parole.
Lui mugugna, sollevando gli occhi al cielo, e si allontana lentamente.
« Ok, ok… » borbotta, guardandomi e sorridendo.
« Dai su, da bravo, mettiti seduto e fammi finire! » gli dico, poggiandogli una mano sul braccio e spingendolo verso il divano.
« Sì sì, vado. » borbotta lui, con le mani nelle tasche dei jeans, mentre raggiunge la sua postazione. Si siede, accavalla le gambe, e mi guarda. « Comunque… devo dirti una cosa importante. » inizia mentre io torno a tracciare le mie linee guida per creare l’ambiente dell’ufficio che mi è stato chiesto.
« Dimmi. » lo sprono, noncurante.
Qualche attimo di silenzio. Io non ci bado più di tanto.
« Tra quattro giorni devo assolutamente tornare a Londra. » mi dice, senza una particolare inclinazione vocale.
Mi fermo di colpo, stringo la matita. Fisso il foglio e sospiro, lentamente.
« Beh, d’altronde non potevi restare per sempre, no? » mormoro io, incerta, col groppo in gola e senza sollevare lo sguardo.
Lo sento sospirare. Passano alcuni minuti di silenzio, mentre io continuo il mio lavoro con gli occhi lucidi.
Mi sento morire.
Lo sapevo che sarebbe andata così. Sapevo che un giorno avrei dovuto dirgli “ciao ciao” e lasciare che ognuno tornasse alla sua vita. Ho inevitabilmente finito per affezionarmi, non avrei dovuto farlo, me l’ero ripromesso.
Mai affezionarsi a nessuno, perché arriva sempre il giorno in cui rimaniamo da soli. E restiamo solo con la nostra tristezza.
« Beh, se non hai niente da dire… io vado. » spezza lui il silenzio, alzandosi in piedi e avvicinandosi lentamente.
Sollevo lo sguardo verso di lui, e i nostri sguardi si incontrano. Riesco a mantenere quel contatto per pochi secondi. Lui mi fissa, mi scruta l’anima, vuole capire, vuole sapere cosa provo.
Io abbasso lo sguardo, cerco di pensare a qualcosa di stupido che mi faccia passare il magone.
Si avvicina, posa le labbra sulla mia testa. Ho la pelle d’oca, è di una dolcezza disarmante.
« Ci vediamo più tardi. » mi mormora lui, con una strana inclinazione di voce.
Sei triste anche tu, Ben? Davvero sei triste quanto me? Davvero hai anche tu il magone in gola?
Sento la porta chiudersi lentamente alle mie spalle. Mi dirigo verso il divano, mi ci tuffo, afferro un cuscino e lo premo contro il viso.
Pian piano il respiro si fa irregolare. La bocca si contorce in un’espressione triste, all’ingiù. E non riesco a farci nulla. Iniziano a scendere le lacrime, sempre più copiose.
So cosa vorrebbe sentirsi dire lui. E so cosa vorrei dirgli io. Casualmente – forse no – è la stessa cosa.
La mia mano si muove freneticamente sul divano, a cercare il cellulare. Quando lo trovo, lo afferro e lo porto all’orecchio, con la mano tremante, dopo aver avviato la chiamata verso l’ultimo numero del registro.
« Jo. » lo sento rispondere. Dio, la sua voce mi mancava già. È come la morfina nelle vene. Appena lo sento, mi tranquillizzo un po’.
Ma dura poco, perché quando riesco a parlare, la tristezza mi travolge di nuovo.
« Non voglio che te ne vai. » gli mormoro tremante, con la voce rotta dal pianto.
« Jolene… io devo andarmene. » mi risponde lui, affranto.
« Non voglio. » gli ripeto, lentamente, piagnucolosa.
« Vuooi che torni ora a farti compagnia? » mi chiede dolcemente.
« No… No. » gli rispondo, sollevando lo sguardo verso l’orologio al muro. « Sono già le sei, devo andare al lavoro. »
« Non andarci. Stai con me. »
« Ben, devo andare… Saltare il giorno di paga è la cosa più stupida che io possa fare. » dico accennando un sorriso, asciugandomi le lacrime.
« Come stai? » mormora lui, dopo qualche secondo.
« Male. »
« Cosa posso fare? »
« Resta qui. »
« Non posso. »
« Amen. » sbotto alla fine, mentre l’angoscia ricade di nuovo su di me come un grande macigno.
Lo liquido velocemente e con gli occhi gonfi mi preparo per andare al lavoro.


***


Al Triple X come al solito l’atmosfera è frenetica. Dopotutto Leo è un uomo d’affari davvero in gamba, e il pub va alla grande, specialmente da una stagione. Cioè vuol dire più soldi per lui. Ciò vuol dire più lavoro per me.
Saluto tutti quanti appena arrivo sul posto, un po’ moscia sì, ma d’altronde non sono abituati a vedermi sprizzante di gioia.
Lego i capelli in una coda alta e metto un fermacapelli bianco a tenere indietro alcuni ciuffetti ribelli, lasciando libera solo la frangetta corta, quindi indosso il grembiule, assicuro il marsupio sui fianchi, e con in mano l’agenda elettronica per le comande mi avvio all’esterno del pub. Oggi mi tocca stare fuori, che culo.
Inizio a prendere velocemente le ordinazioni, ma il pensiero è uno ed è fisso. Tanto che molto spesso confondo le portate. Ad un bambino di dieci anni ho servito un Mojito. Ho sulla coscienza un futuro alcolista anonimo, lo so già.
Mi avvicino ad uno dei tavolini più appartati, dove si sono appena sedute due ragazze. Con gli occhi fissi sull’agenda, do la buonasera ad entrambe.
« Cosa vi porto? » dico atona. E proprio mentre sollevo lo sguardo, anche le due si voltano e sgranano gli occhi.
« Jolene?! » esclama la bionda.
Laura e Michela. Ma che doppio culo!
« Oh… ciao. » borbotto io, che avvampo e sento il cuore iniziare a palpitare. Perché proprio loro, proprio lì, proprio oggi?!
« Ma… tu che ci fai qui? » chiede di nuovo Laura, che ha temporaneamente dimenticato di essere incazzata nera con me.
Per risposta mi limito a guardarmi, arricciare le labbra e sollevare un sopracciglio, guardandola eloquentemente.
« Lau ma che domande le fai? » esclama sorridente Michela. Se lei non sa niente degli ultimi sviluppi, questa sera sono qui proprio perché Laura l’aggiorni.
In un momento di coraggio, decido di cogliere la palla al balzo.
« Laura… ti posso parlare? »
Improvvisamente lei sembra ricordarsi di avercela con me, infatti aggrotta le sopracciglia e mi fissa qualche secondo. Quindi, senza dire niente, si alza e mi segue un po’ in disparte rispetto ai tavolini.
Passano alcuni lunghi secondi di imbarazzo da parte mia. Lei è davanti a me e si limita a fissarmi, in attesa.
« Volevo dirti che… insomma… volevo chiederti scusa. » sbotto io, guardando verso il basso.
« Hai scoperto alla fine chi è stato a stampare quel foglio in facoltà? » mi chiede lei, senza una particolare inclinazione vocale. Non sembra incavolata quanto pensavo, ma non è neanche molto allegra di poter scambiare quattro chiacchiere con me.
« Sì, l’ho scoperto. Ed è successo tutto per una mia mancanza… scusa se ho dubitato di te. »
Sollevo appena lo sguardo verso di lei. Devo sembrarle un cane bastonato, visto che pian piano inizia ad ammorbidirsi.
Sospira, si guarda un attimo la punta dei piedi, arricciando le labbra.
« Io non avrei mai potuto farti nulla del genere, Jo. »
« Lo so, ma io… cerca di capirmi… »
« Sai cosa penso? » mi dice lei, sovrastando le mie parole. « Penso che tu pretenda che tutti ti capiscano e ti compatiscano. So che la tua non è una situazione facile, so che ne hai passate davvero di tutti i colori, ma questo non ti da il diritto di pretendere che tutti ti trattino bene e facciano come vuoi tu. »
« Ma che…? » inizio a dire io, sollevando lo sguardo verso di lei.
« Sì Jo, è così che ti comporti. Forse tu non te ne accorgi. Volevi stare da sola, e ti scocciava vedere gente intorno a te. Pretendi che tutti facciano quello che vuoi tu. Se vuoi uscire, si esce. Se vuoi stare sola, ti devono lasciar stare. Ti senti in diritto di trattare tutti come vuoi tu solo perché tu sei stata male, perché tu soffri e perché ce l’hai col mondo. Non funziona così, mi dispiace. »
Non riesco a capire quello che dice. Le sue parole mi stanno stravolgendo. Non l’avevo mai vista così seria.
« Io… io non sono così. » dico io, incerta.
Mi viene in mente la chiamata con Ben di qualche ora fa. Il non voler rischiare. Le brutte risposte che ho sempre dato a lui e a Laura. Quello che è successo con Michela.
« Sì che sei così. Michela si è fidanzata e tu da brava egoista hai tagliato i ponti. Hai Ben Barnes – dico, BEN BARNES! – che ti viene dietro e sta facendo di tutto per farti capire quanto gli piaci, e tu lo ignori deliberatamente. Sei stata capace di accusarmi a priori trattandomi come una merda appena hai visto quel foglio, e non ti è passato neanche per l’anticamera del cervello che magari potevi essere stata TU a provocare tutto quel casino. » inizia a dire velocemente. Ogni frase è una pugnalata nello stomaco. Inizio a sentirmi piccola piccola di fronte a lei. « Il mondo non gira intorno a te, Jo. Apprezza le persone che ti vogliono bene, non le allontanare, perché altrimenti rimarrai sola come un cane come sei stata fino ad ora. »
Sembra aver terminato il suo discorso. E io non so come ribattere.
Il mio orgoglio per un attimo ha il sopravvento, e sto per cantargliene quattro. Ma è proprio quello di cui mi ha accusato lei. Tengo lo sguardo basso, mi mordo il labbro inferiore.
« Bene, io volevo solo chiederti scusa per quello che ho fatto, ma se tu non ne vuoi sapere ok. »
« Jo, se tu mi conoscessi un minimo sapresti bene che non ce l’ho con te. O meglio, non per il motivo che pensi tu. Vorrei solo che ti lasciassi andare un po’, in tutti i sensi. Vorrei vederti sorridere di più. Vederti sempre col muso fino a terra mi fa stare male. »
« Io sono fatta così. »
« No, tu vuoi essere così per paura di star bene, e poi di nuovo male. Ma la vita è fatta così, ne hai solo una e credimi… la tua sta diventando una favola. Tu ancora non te ne rendi conto. »
Rimango in silenzio, come un bambino che viene rimproverato per aver rubato una caramella.
Lei sospira, poi mi abbraccia.
« Tu puoi sempre contare su di me, e anche su Michela, malgrado tu la pensi diversamente. Verrai al suo matrimonio dopodomani, vero? »
« Sì, certo che ci vengo. »
Lei mi sorride, allontanandosi.
« Bene, credo sia ora che tu ritorni al tuo lavoro e io da lei, che è lì tutta sola. »
Annuisco, quindi insieme ci avviciniamo al tavolo. Prendo le ordinazioni, e la serata passa così, tra pensieri assurdi e un ritmo altrettanto assurdo.
Laura e Michela se ne vanno dopo un’oretta, salutandomi calorosamente e ribadendo l’appuntamento al matrimonio della seconda. Come se, dopo aver fatto spendere soldi a Ben, potrei mai mancare. E poi… non riuscirei mai a non essere presente durante il giorno più importante di Michela.
Sospiro, mi accascio finalmente su una sedia fuori, è rimasto solo un tavolo di alcuni amici molto rumorosi. Di quelli che alle due di notte non si rendono conto che forse è ora di andare a casa a nanna, insomma.
D’un tratto, vedo Leo prendere posto accanto a me.
« Ehi, befana. » mi apostrofa lui, ridacchiando.
« Ehi, Mastro Lindo. » rispondo io, sorniona, dando una pacca alla pelata.
Con la testa rasata a zero, la maglia a maniche corte nera aderente, i jeans e le braccia muscolose conserte… non può che ricordarmi il carissimo tizio dei detersivi.
« Ehi, lascia la mia testa dorata! »
« E’ così lucida che brilla. »
« Che meraviglia, eh? »
Sbotto a ridere, togliendomi il marsupio e poggiandolo sul tavolino. Quando si è stanchi, anche un marsupio mezzo vuoto pesa come un macigno.
« Finalmente ti vedo ridere! » porta un dito in mezzo alle mie sopracciglia. « Ti verranno le rughe di espressione qui a furia di stare corrucciata tutto il tempo. »
« Mi farò il botulino. » dico di rimando, scostando la mano.
« Dai, ti accompagno a casa, potresti far paura a qualche malintenzionato con quella faccia. » dice alzandosi in piedi.
« E quel tavolo? »
« Lascia fare a Marco, almeno avrà qualche distrazione e la smetterà di farsi le pippe su di te. »
« Dai! » esclamo tirandogli un pugno sul braccio, che ovviamente viene attutito dallo spesso strato di muscoli.
Mi cambio velocemente, quindi io e Leo raggiungiamo la sua auto.
« Una BMW?! » esclamo io, di fronte al bolide nero metallizzato. « Se sei riuscito a comprare una di queste, potresti aggiungere almeno cento euro al mio stipendio! »
« Ma anche duecento! » esclama lui, mentre apre la macchina, ridendo.
Entro a sedere, tutto profuma di nuovo, ed è lucido e pulito.
Leo mette in moto, e il motore neanche si sente… che meraviglia.
« Beh, com’è andata a finire poi con Sonia? » gli chiedo io, controllando il cellulare. Ci sono due chiamate di Ben, che non ho sentito. Sospiro, e mi si stringe il cuore. Non può mancarmi così tanto dopo solo qualche ora. Non può assolutamente!
« Oh, beh… sarà da qualche parte in giro per il mondo con l’addestratore del suo cane. »
« Se avesse saputo che ora giri con una BMW, ci avrebbe pensato due volte a seguire la “via del cane”. »
« Te lo dico io, quella ha seguito la via del c… ehm, dai, cambiamo discorso. » dice lui frettolosamente, destreggiandosi per le strade della metropoli. « Tu che mi dici? »
« Riguardo a cosa? »
« A quello. »
« Quello cosa? »
« Dai, Jo… quello. »
« Parla potabile. »
« Il tuo ragazzo. »
« Io non ho un ragazzo! » esclamo voltandomi verso di lui. Come diavolo ha fatto…?
« Jolene, a chi vuoi darla a bere? A meno che tu non abbia le tue cose una volta a settimana, direi che i tuoi sbalzi di umore siano riconducibili solo ad una cosa. »
« A… cosa? » perché mi ostino a fare l’ottusa?
« All’amore, naturalmente! Lo so che c’è un ragazzo che ti piace. Si vede. Chi è? »
« Non lo conosci. »
Lui ridacchia, mentre accosta la macchina vicino al mio palazzo.
« Lo sai che anche a me piace una ragazza? »
« Sì? »
« Sì. »
« Chi è? »
Perché temo la sua risposta?
« Tu. »
Ecco, appunto.
Mi giro verso di lui, lo guardo in silenzio, mentre mi si contorcono le budella.
« Ehm… » mugugno, non so cosa dire di preciso in questo momento. Ben non è mai stato così diretto. Nessuno è mai stato così diretto, con me. A parte Marco, ma quello è un caso a parte.
« Io… è da un po’ che vorrei sapere come mi vedi tu, insomma. » continua lui, con la mano sinistra poggiata sul volante.
« Come un papà? » mi esce fuori spontaneamente, mentre mi stringo nelle braccia.
La sua espressione che va dallo scandalizzato all’amareggiato, mi porta a correggermi immediatamente.
« Ehm, come un fratello maggiore? » ritento. Dalla sua espressione, deduco che ho toppato di nuovo.
« Capisco, beh… cercherò di farti capire che prima di un fratello maggiore, o di un papà… Sono un uomo. Che ha un interesse per te. » mi dice lui, sorridendo appena.
Silenzio.
Non so cosa diavolo dirgli.
« O… ok? » non sono convinta neanch’io.
« So che adesso c’è qualcun altro che ti impegna i pensieri, ma spero che ti accorgerai di me un giorno. »
Ma cosa cazzo vogliono tutti da me, oggi?!
Annuisco, e scendo dalla macchina, buttando lì un “buona notte”.
Mi dirigo in fretta verso casa, col batticuore e la confusione in testa.
Ben mi ha detto che fra quattro giorni se ne va.
Laura mi ha rimproverato e ha evidenziato i lati peggiori del mio carattere.
Leo mi si è dichiarato e mi ha stravolto la figura che avevo di lui in mente.
L’universo brama contro di me.

 

***

Eccomi quiii... finalmente sono riuscita a scrivere un altro capitolo! Anche se, purtroppo è solo un capitolo "di passaggio" diciamo... per dividere un po' un fatto dall'altro :P Il nostro Ben non appare tanto in questo capitolo... eeeh... Ci rifaremo dopo. xD

Ramona37: Grazie mille per il tuo supporto!^^

GiO_HP4e: Ciao, grazie mille!^^ La admin del Forum chiede a Ben di passare una serata con lei e accontentarla in tutto in cambio del suo silenzio riguardo lui e Jolene!

emmawh: Macciao! Grazie mille per i complimenti... Sì, Jolene a volte è un po' una testa di... ehm ehm! xD Infatti Laura a sto giro gliene dice quattro! xD

clacly: Ciao! Grazie mille, sono contenta che ti piaccia anche con il presente! Direi di sì, tutte vorremmo essere al posto di Jo *-* Che culattona <_<

jas_93: Ma grazie mille! :D

DarkSakura: accontentata^^ Grazie mille!

 

A presto gente! E continuate a lasciare commentini che a me fa un sacco piacere!*_*

> LEGGETE, PER FAVORE! *_* <

Vi pongo una domanda... Mi piacerebbe che ognuna di voi proponesse un volto di un'attrice, modella, cantante, nota o no, che possa adattarsi bene a Jo! Così posso sapere anche come la immaginate voi! :) Lasciatemi il nome della ragazza come commento, al prossimo capitolo pubblicherò le foto delle ragazze proposte e andremo ai voti... Vi piace come idea? :) Fatemi sapere! Un bacio a tutte, grazie mille! <3

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo IX ***


IX.

Eccola lì.
La sveglia che suona. La maledetta sveglia che, ogni mattina, mi riporta alla mia attuale realtà.
Quante ragazze vorrebbero essere al mio posto, in questo preciso momento?
Ho una sorta di quasi leggera relazione con Ben Barnes. Sì, quel Ben Barnes che ora, dal poster di fianco al mio letto, appeso al muro, mi fissa con quell’aria da figo e la cotta di maglia in stile Principe delle Favole.
Ma non so se la mia possa considerarsi una favola.
Un po’ per il mio caratteraccio, un po’ per tutto quello che sta succedendo, non riesco a vivere questo momento come si dovrebbe. Cioè coi cuoricini sbrilluccicosi al posto degli occhi.
Lui mi piace, mi piace da morire. Se penso a lui, mi si contorce lo stomaco, ma non come quando si fa indigestione. Come quando ci si sente le fantomatiche “farfalle”, ecco. E siccome questo accade praticamente ogni attimo della mia giornata, ormai, ho uno sciame di farfalle che svolazza allegramente nel mio stomaco, sempre.
Lo conosco da poco, infondo. Un mese, all’incirca. Ma è stato capace di stravolgermi il mondo, di distruggere la gabbia che mi ero creata e in cui mi ero rintanata. Fa male, sì, fa molto male. Il discorso di Laura di ieri sera mi ha segnata profondamente, e fa tanto male.
Ma non posso negare un fatto evidente.
Dopo tanti anni, finalmente, mi sento libera.
Sento che sto vivendo.
Il dolore, l’emozione, le lacrime, i sorrisi… sono una sorta di campanello. Mi dicono “ehi, stai provando dolore, significa che il tuo cuore funziona ancora”.
Non ho più protezione, non ho più barriere. Sono esposta al dolore come qualsiasi altra persona.
Ed ora soffro, tantissimo.
Ben tra due giorni andrà via, domani se ne andrà la mia migliore amica, anche se forse lei in modo più platonico. Ma sto male perché sono stata una stupida, stupida a non godermi i momenti che il destino mi ha regalato. Li ho ignorati, o meglio, li ho allontanati da me. Non volevo viverli. E ora con cosa resto? Sola con la mia tristezza.
Tra due giorni tutto ritornerà alla normalità. Per vedere Ben sarò costretta ad andare su Internet o al Cinema, non sentirò più la sua voce che chiama il mio nome, che mi fa venire i brividi, che mi fa sorridere.
Vedrò solo un fiume di immagini, di foto, di pose ben congeniate, di sorrisi smaglianti ma che non sono miei, solo miei.
Non voglio.
Mi alzo lentamente, come se un macigno volesse ancora sigillarmi a letto.
Mi dirigo verso il computer, vado a cercare qualche immagine di Lui su internet. Sì perché, quando non è con me, vado a cercarmi le sue foto. Giusto per capire quanto sono fuori di testa per lui.
E, girovagando per vari siti, mi trovo davanti ad una notizia che mi fa sgranare gli occhi.
“Ben Barnes è stato visto ancora in giro per Milano… Cosa lo lega a questa città?”
Oddio. Oh no. No no no. Lo sapevo, quella stronza ha parlato. Lui è stato troppo buono con lei, ed ecco cosa ne ha ottenuto. La ammazzo.
Poi però leggo l’articolo, e man mano mi rendo conto che lei non centra nulla. È stato avvistato casualmente, e gli hanno scattato la foto che appare davanti ai miei occhi.
È vestito proprio come ieri.
Improvvisamente mi porto la mano in fronte, guardo bene la strada in foto, è la parallela di casa mia. Afferro il cellulare e lo chiamo immediatamente.
« Sì? » sento rispondere con voce assonnata, dopo qualche squillo. Dio, che dolce.
« Ehm… Ben… ti devo parlare. » incespico io, a bassa voce, come se lui stesse dormendo di fianco a me.
« Ok, tra mezz’ora sono da te. » mi risponde, appena più sveglio.
« No! » esclamo io, ad alta voce. « No no, Ben, non ti muovere. Su Internet ho appena trovato un articolo su di te, che riporta una foto scattata nei pressi di casa mia. Sicuramente ci sarà qualcuno appostato nei dintorni, quindi non venire. »
« E dove possiamo incontrarci? » dice lui, dopo qualche secondo. Lo sento alzarsi, probabilmente starà cercando qualcosa da mettere.
Mi mordo il labbro inferiore, rifletto.
« Incontrarci… ? » mormoro automaticamente in risposta, in difficoltà. « Non possiamo, Ben! Se ti vedono… se ti vedono è finita! » esclamo io, velocemente.
« E’ finita cosa, Jolene?! » sbotta subito lui in risposta, con rabbia. Poi sospira, e cerca di calmarsi. Io incasso il colpo in silenzio. « In quale chiesa si sposerà domani la tua amica? » mi chiede lui dopo qualche secondo.
« Nella Chiesa di Santa Maria delle Grazie, ma… perché?! » gli chiedo, sedendomi sul divano e gettando uno sguardo alla notizia su Internet. Guardando lui, proprio lo stesso ragazzo con cui sto parlando ora al telefono.
« Ok, allora domani ci vediamo lì. » risponde lui, velocemente. Apro la bocca per ribattere, ma non me ne da il tempo, chiudendomi subito la chiamata.
Rimango ad alternare lo sguardo tra il cellulare e lo schermo, affranta.
Non so che fare.


***


29 Maggio 2009.
Il giorno delle nozze della mia (ex) migliore amica.
La mattina è calda, il cielo è al solito grigiasto, e davanti alla Chiesa di Santa Maria delle Grazie sono parcheggiate un sacco di automobili pulitissime e luccicanti, lavate probabilmente a posta per l’occasione.
Io arrivo nel parcheggio con la BMW di Leo, e nell’abitacolo della macchina regna il silenzio assoluto.
Lui si schiarisce la voce.
« Comunque, volevo dirti che… Sei bellissima, oggi. » dice a mezza voce, guardando fisso in avanti, mentre parcheggia.
Mi volto verso di lui, e i boccoli che mi incorniciano il viso si agitano appena. Chino lo sguardo, verso il mio vestito azzurro. Quello che mi ha comprato Ben. Stringo le labbra, qualsiasi cosa mi ricorda lui. Ho indossato anche il suo braccialetto, perché mi piace essere masochista.
« Ti… ti ringrazio. » mormoro io in risposta, mentre le guance mi si colorano lievemente.
« Cerca di… dimenticare il discorso che ti ho fatto l’altra sera, ti va? Almeno per oggi, cerchiamo di divertirci. »
Annuisco silenziosamente, abbozzando un sorriso. Prendo la pochette avorio, dello stesso colore delle scarpe e del fermaglio che ho tra i capelli, lasciati sciolti a cadermi sulle spalle, arricciati morbidamente in larghi boccoli. Scendo dall’auto, e mi guardo intorno.
Riconosco subito alcuni volti familiari, come i genitori di Michela, alcuni nostri compagni di corso.
Vedo Laura accanto all’entrata della Chiesa, con i capelli raccolti in alto, per poi sprizzare fuori in ciocche disordinate, nel suo abitino rosa. Che le sta stramaledettamente bene, pur essendo di un rosa assurdo!
Sollevo imbarazzata la mano a salutarla. Lei ricambia, sorridendomi, e mi fa cenno di avvicinarmi.
« Come stai? » mi chiede, mentre le vado vicino.
« Bene, ho… riflettuto su quello che mi hai detto. » le dico io, affiancandomi a lei.
Laura scuote il capino biondo, sollevando una mano.
« Non ne parliamo oggi, ti prego. Non è il caso, non trovi? »
« Sono d’accordo. »
« Bene! » esclama lei, raggiante. Come se fosse lei la sposa. « Con Ben come va? »
« Domani parte. » rispondo io, atona, guardando altrove.
« Parte?! E tu cos’hai intenzione di fare?! » chiede subito lei, avvicinandosi a me con fare confidenziale.
« … Proprio nulla. » mormoro dopo qualche secondo, con lo sguardo chino a terra.
Lei sospira, scuotendo il capo, affranta.
« Jo, non credi che-- »
« No. » la interrompo, non la faccio finire di parlare. « Non posso, Laura. Non posso costringerlo a stare dietro a me. È una star, lui merita il successo che sta ottenendo, e io gli sarei solo d’intralcio, lo capisci? » le rispondo lasciando chiaramente trasparire tutta la mia sofferenza.
Lei resta in silenzio, poi annuisce e sposta lo sguardo verso la Lamborghini grigia metallizzata che sta entrando nel parcheggio. Laura solleva un sopracciglio.
« Certo che i genitori di Michela non hanno proprio badato a spese, eh? » chiede, mentre la gente rimasta fuori inizia ad entrare in Chiesa, intanto che la sposa scende dalla macchina.
Anche io e Laura ci avviamo dentro, prendendo posto dalla navata riservata agli invitati della sposa.
Qualche minuto di silenzio, in cui si sentono solo le vocine dei bambini che ancora non sono stati zittiti dalle madri.
Quindi l’organista inizia a suonare la marcia nuziale, e nello stesso momento inizio a sentire il groppo in gola. Mi mordo il labbro inferiore, mentre mi volto a vedere Michela, col volto semicoperto dal velo, percorrere lentamente la ormai poca distanza che la separa dal suo futuro marito.
Gli occhi mi si velano di lacrime, e stringo convulsamente la pochette, mentre lei si avvicina.
Passa accanto al banco dove ci siamo io e Laura, e da dietro il velo ci rivolge un sorriso raggiante. Cerco di ricambiare, ma credo di sfoggiare un ibrido tra un sorriso e una smorfia da pianto imminente. Una cosa alquanto inguardabile, insomma, sì.
La cerimonia inizia e va avanti tranquillamente per due ore buone. Non essendo credente, estraneo il mio cervello dalle parole del Parroco e le rivolgo sempre a lui, a Ben. Una morsa mi stringe il cuore. Oggi sarebbe il mio ultimo giorno con lui. Oggi sarebbe l’ultimo giorno per dirgli che provo qualcosa – e non solo qualcosa! – per lui. Ma è tutto così difficile. Ho così tanta paura.
E mentre mi perdo in questi pensieri, la cerimonia finisce e tutti gli invitati si riversano fuori dalla Chiesa, me e Laura comprese. Insieme a Leo ci allontaniamo un attimo per fumare una sigaretta, mentre gli sposi fanno le prime foto.
Mentre sto per accenderla, Laura mi da un colpetto al fianco. Mi volto a guardarla, ed è raggiante. Mi indica col viso un punto indefinito dello spiazzo di fronte alla Chiesa.
Appena lo riconosco, il mio cuore ha un sussulto, e l’accendino sta per cadermi di mano.
In smoking nero, con i Rayban e i capelli sciolti, ribelli a incorniciargli il volto, appoggiato ad un Taxi c’è Ben. Che sorride, e che probabilmente mi sta guardando.
Sgrano gli occhi. Ha una mano in tasca, mentre l’altra regge una rosa rossa.
« Vai! » mi mormora Laura, dandomi una spintarella, aiutandomi a riprendere possesso del mio corpo, perché la mente era già volata via.
Mi avvicino incespicante, dimenticando per un attimo il rischio che sta correndo a trovarsi qui in questo momento. Abbozzo un sorriso malizioso.
« Signor Barnes, a cosa devo la sua presenza qui quest’oggi? » gli chiedo avvicinandomi.
« Sono qui per regalare un fiore alla regina della festa. » risponde lui, accennando un inchino col capo e porgendomi la rosa.
« Oh, ti sei sbagliato. Per fortuna non è il mio matrimonio, oggi. »
« Sì ma… sai com’è » inizia lui, arricciando le labbra in un sorriso malizioso. « Tra tutte, sei tu quella che sembra una principessa. » mi risponde, portando gli occhiali in su, lasciando che i suoi occhi mi inchiodino e mi travolgano, come sempre.
Mi avvicino ancora, sono a meno d’un passo da lui. Sollevo lo sguardo incrociando il suo, imbarazzata.
Lui poggia le mani sui miei fianchi, e il cuore inizia a martellarmi nervosamente.
« In questa storia tu sei il Principe, e io la povera. » mormoro io, sorridendo tristemente.
Lui mi sorride, scuotendo appena il capo. Avvicina le labbra al mio orecchio, scostando alcune ciocche di capelli con la punta del naso.
« Questa sera a che ora ti trovo? » mormora lentamente, sfiorandomi la pelle con le sue labbra, con il suo fiato che me l’accarezza lievemente, con un’espressività tale che, solo con quella domanda, inizio a fantasticare in maniera alquanto spinta su quello che potremmo fare questa notte. Intanto, mentre io dirigo un bel film alla Tinto Brass nella mia mente, lui sfiorandomi la pelle con le labbra arriva alla mia guancia, poi lentamente continua a tracciare una linea invisibile e ardente fino a raggiungere l’angolo della mia bocca.
Io intanto mi impegno per ricordarmi di respirare, mentre boccheggio un attimo prima di rispondere.
« I-io… non so, credo… credo verso le nove… » mormoro in modo non del tutto lineare.
Lui deve aver adocchiato Laura e Leo in lontananza, perché arriccia le labbra in un sorriso, rimanendo sempre in quella posizione.
« C’è il tuo amico che mi sta incenerendo con lo sguardo… » dice lui, visibilmente divertito, a mezza voce.
« Ignoralo. » mi affretto a rispondere io. Pensa a me, Ben. Guarda me, adesso, solo me!
Ma lui si allontana, sorridendomi furbescamente. Io resto con la bocca mezza aperta, in attesa di un bacio, sgranando appena gli occhi.
« Beh?! Non mi dai neanche un bacio?! » dico io, portando le mani sui fianchi.
« Non ho ancora deciso se te lo meriti dopo l’ultima sparata di ieri al telefono. »
Io spalanco la bocca, incredula.
« Ma guarda questo qua… » borbotto in italiano, incrociando le braccia.
Lui chiaramente non capisce, ma ridacchia lo stesso, mentre si avvicina alla portiera del Taxi. La apre, abbassando gli occhiali a coprirgli gli occhi.
« Alle nove sono da te. A più tardi! » dice lui, gioiosamente, mentre entra in macchina.
Non mi da di nuovo il tempo di rispondergli. Resto con la bocca spalancata, in procinto di dirgli qualcosa di molto brutto, mentre l’auto già si allontana.
Sbuffo, quindi torno da Laura e Leo. Lui mi rivolge uno sguardo sospettoso, ma evita di fare commenti a riguardo. Io, fissando il terreno, mi schiarisco appena la voce e inizio ad avvicinarmi all’ingresso della Chiesa, in tempo per l’uscita degli sposi.
Gli invitati iniziano ad accalcarsi per dar loro gli auguri in una lotta di sorrisi che sfiora la violenza. Io resto in disparte, osservo Michela stringendomi nelle braccia, attendo che lei si avvicini a me, seguendo la scia di auguri.
Alla fine, lei arriva di fronte a me. Il suo viso è raggiante, pieno di felicità. Mi guarda, al colmo della gioia. E per quanto io possa aver odiato la sua relazione, il suo allontanamento da me, non posso che ricambiare il sorriso. Mi si getta al collo, e mi abbraccia forte.
« Sono sempre tua sorella… » mi mormora lei, con la voce tremante.
« Lo so… lo so che ci sei. » le rispondo io, stringendo ancora di più l’abbraccio.
Non piangere Jo, suvvia. Altrimenti ti cola il trucco e invece della Principessa, farai la parte della strega.
Terminati i vari auguri, baci e abbracci, dopo circa un quarto d’ora ci avviamo tutti verso il locale del rinfresco. Ma la mia mente viaggia lontana, nell’abitacolo della BMW di Leo. Penso già a questa sera, e al solo pensiero di Ben, le mie guance diventano roventi, come le sue carezze di oggi.
Leo cerca di instaurare un dialogo con me, ma se è già difficile normalmente, figuriamoci ora che ho la testa completamente tra le nuvole.
« Lui… chi è? » mi chiede ad un punto, guardando fisso di fronte a lui. Riesco ad intravedere i suoi occhi oltre le lenti degli occhiali da sole.
« Lui… lui chi? »
« Oh, Jolene, ti prego. Smettila di fare la finta tonta. » mi risponde lasciando trasparire un accenno di nervosismo.
Resto qualche istante in silenzio, poi gli rispondo nell’unico modo che mi viene in mente.
« Non lo so. »
Leo sembra stupito della mia risposta, tanto che attende qualche istante per riflettere.
« Come… come non lo sai? Cosa vuol dire? » mi chiede lui, confuso.
« Che non lo so. Vuoi il nome e il cognome? Non ti servirebbero, è straniero. E domani se ne andrà. Vuoi sapere chi è lui per me? Non lo so, me lo chiedo anch’io. Mi piace, se è questo che vuoi sapere. Mi piace da morire e ogni mio pensiero è per lui. Ma non stiamo insieme, e non siamo neanche solo amici. Non lo so cos’è. » sbotto io velocemente, sperando di averlo convinto. Sperando che non mi faccia altre domande su di lui.
Leo annuisce lentamente.
« Capisco. » poi abbozza un sorriso. « Sai, avrei preferito che mi dicessi “lo amo alla follia, siamo fidanzati ufficialmente, ci sposiamo” o qualcosa di simile. Mi avrebbe tolto un po’ di confusione. Il tuo essere così vaga mi lascia qualche speranza di poter ottenere qualcosa, con te. » dice lui, amaramente.
Mi schiarisco la voce, in difficoltà.
« Credevo… credevo che oggi non ne avremmo parlato. » rispondo titubante.
« Oh, hai ragione. Errore mio, perdonami. » e solleva le mani dal volante in segno di resa, che io mi affretto a riportare alla posizione in cui dovrebbero essere, spaventata. Lui ridacchia, divertito. « Però, permettimi di fare una cosa, oggi. »
« Cosa? » deglutisco.
« Farti divertire fino allo sfinimento! Almeno in quello so di essere bravo! »
Sorrido anch’io, annuendo. « Ok, e sia. »


***


Sono le nove e mezza circa. Sono a casa mia, stesa sul divano, con addosso la mia “maglia da notte” i boccoli ormai scesi hanno lasciato i capelli lievemente ondulati, il trucco è andato quasi del tutto via. Sto guardando video su YouTube, e sto ridendo come una cretina, da sola.
Sono ubriaca marcia.
Una canzone pop riecheggia nella stanza, e mentre guardo il video di questa boy-band che balla allegramente, mi piego in due dal ridere, senza ritegno.
Avevo già visto questo video e sì, mi aveva fatta sorridere. Ma l’alcool si sa, amplifica lievemente la percezione e l’esternazione di certi sentimenti.
Sento suonare il campanello, stoppo il video e mi avvio verso la porta, con ancora la risata che sta scemando.
Apro, e Ben è sulla soglia di casa mia. Appena i nostri sguardi s’incontrano, e mi vede ridacchiare, anche lui arriccia le labbra in un sorriso, inarcando un sopracciglio.
« Cosa mi sono perso? » chiede lui, non accennando ad entrare.
Ci metto un po’ per realizzare di averlo davanti. Maglia bianca, giacca di pelle marrone scuro, jeans sgualciti e mocassini testa di moro. I capelli lasciati sciolti e ribelli, la barbetta appena incolta. Uno schianto, come sempre.
Quando mi rendo conto realmente di lui, lascio fuoriuscire un’esclamazione di puro apprezzamento, e lo invito ad entrare.
Lui mi guarda poco convinto, ed entra lentamente.
Io lo afferro per una mano, e lo trascino verso il divano.
« Ben, ti devo mostrare una cosa divertentissima! » esclamo ricominciando a ridere, come una folle.
Lui mi osserva in silenzio, seguendomi.
« E’ bellissima, veramente, è arte pura! L’ho scoperta giusto qualche giorno fa girovagando su internet mentre guardavo le tue foto… »
« Tu guardi le mie foto? »
« Ma certo! » esclamo io, con la voce di un paio di toni più acuta.
« Sei ubriaca, Jo? » mi chiede lui, sempre sorridente, sempre con quello sguardo divertito, ma anche misterioso. Non riesco mai a capire cosa pensa veramente.
« Mmm… forse poco poco… » borbotto io, ridacchiando, indicandogli la piccola misura con l’indice e il pollice. « Leo mi aveva promesso che mi avrebbe fatto divertire, e ci è riuscito! » aggiungo poco dopo, sempre a voce stridula.
« Farti divertire facendoti ubriacare? » chiede lui, restando immobile.
« Oh, dai, su! Adesso fai silenzio che ti faccio sentire questa bellissima canzoncina… »
Porto la canzone all’inizio, e premo play.
L’intro di “Leading me On” degli Hyrise inizia di nuovo a invadere la camera, e io inizio a muovermi a ritmo di musica.
Ben, riconoscendola, sospira sollevando gli occhi al cielo. « Che persecuzione… » borbotta, portandosi una mano a scostare i capelli, poi rimettendola in tasca come l’altra, continuando a guardarmi.
« Dai, Ben, canta! » esclamo iniziando a cantare la prima strofa.


I ain't so stupid
To be some other jealous guy
I would be crazy
Falling for another lie
No use deceiving
'Cos I know what you're thinking
Baby what you need is
Someone to believe in


Mi avvicino a lui, ballandogli contro.
« Ti sei accorta che hai solo una maglietta addosso? » mi dice lui a bassa voce, immobile.
« E allora? » chiedo io, continuando a cantare.


And if I ever lose myself to you
Like a million others want to do
Somebody wake me
Somebody just help me out
She's gonna take me
Show me what it's all about


Continuo ad agitarmi, ridendo, sorridendo, guardandolo.
Al ritornello mi scateno, gli cingo il collo con le mani e inizio letteralmente a strusciarmi su di lui. Sì, questi sono i catastrofici effetti di Jolene ubriaca.


Why can't I see when you're coming on strong
'Cos you touch me, it's easy
I keep hanging on
How can it be when you're doing me wrong
When you touch me, it's easy
You're leading me on


« Dai, Ben, canta! » lo sprono durante gli attimi che dividono il ritornello dalla seconda strofa. Lo noto guardarmi fisso, con le labbra serrate e i muscoli della mascella in tensione, però continuando a sorridere lievemente, furbescamente.
E nel momento in cui sta per iniziare la seconda strofa, lui posa le mani sui miei fianchi e mi tira a sé, chinandosi e avvicinando la sua bocca al mio orecchio.


You're so delicious
Every time you turn me on
You're so malicious
When you try to bring it on
You're just an addict
Ain't gonna panic me
And while I'm at it
I'll tell you how it's gonna be


Inizia a cantare la seconda strofa, e io inizio ad andare in tilt. La sua voce è pazzesca. Soltanto tramite la tonalità vocale, lui mi sta accarezzando, si sta insinuando nella mia mente, mi sta facendo impazzire, così, dolcemente, lievemente…


And if I ever lose myself to you
Like a million others want to do
Somebody wake me
Somebody just pull me out
She's gonna take me
Show me what it's all about


Lui continua a cantare, io inizio ad avvampare mentre uno strano calore si impossessa del mio ventre. Non solo io ora, ma anche lui si sta strusciando contro di me. E le sue mani si insinuano lentamente sotto la maglietta, tocco caldo contro la mia pelle fredda. Mi fa venire i brividi. Mi accarezza così la schiena, salendo lentamente, continuando a cantare finchè, alla fine della strofa, in un attimo, mi spinge sul divano. Mi raggiunge, guardandomi, mettendosi in ginocchio con le gambe divaricate oltre le mie. Si china verso di me, guardandomi, improvvisamente serio. Mi sta sovrastando.
« S-signor Barnes, ma che cosa le salta in mente?! » chiedo io, cercando di spezzare la tensione del momento.
« Stai zitta una buona volta. » mi mormora lui, prima di chinarsi ancora e di poggiare le sue labbra contro le mie.
In un attimo sento il cuore partirmi in gola, un calore devastante e improvviso mi travolge, mentre poco riesco a resistere e subito apro la bocca ad approfondire il bacio con lui. La sua lingua si affaccia a cercare la mia, trasudando desiderio. E io lo avverto, e lo ricambio. Di nuovo gli cingo il collo, cercando di tirarlo di più verso di me. Le nostre lingue giocano, le labbra s’incontrano e si accarezzano, sempre più voracemente, l’una vogliosa dell’altra.
Poi lui si scosta, lentamente scende verso il mio collo, lasciando una scia ardente con la punta della lingua sulla mia pelle. Inizia a baciarlo, prima, poi a mordicchiarlo, e leccarlo, e io reclino la testa verso dietro, mentre il mio respiro si fa più affannoso. Intanto, sento scivolare le sue mani sulle mie gambe, poi verso i fianchi, e i lembi della maglietta. Inizia a tirarla su, e solo il sentir scorrere il cotone tirato da lui sulla mia pelle mi provoca mille scariche elettriche lungo la spina dorsale. Lo lascio fare, completamente assoggettata a lui. Gli faccio sfilare la maglia, che poi butta con noncuranza a terra. La sua bocca torna a ghermire la mia, e io gli passo una mano tra i capelli, mentre sento la sua mano carezzarmi il collo, poi scendere lentamente verso il basso, sfiorandomi il seno e facendomi morire, quindi di nuovo verso i fianchi.
Lui si china, arrivando all’ombelico. Me lo bacia, e i brividi mi assalgono, al tocco della sua bocca rovente. Inizia a salire, lentamente, lasciando una scia di baci infuocati. Mentre lui fa questo, il mio sguardo cade casualmente sul monitor del PC, che mi segnala l’arrivo di una Mail. Ne leggo l’Oggetto, che improvvisamente mi fa catapultare nel mondo della realtà.
« Ben… Ben! » esclamo io, cercando di tirarlo su.
« Cosa? » sbotta lui, sollevando il volto coi capelli arruffati.
Cerco di scostarmi da lui e raggiungere il PC, andando ad aprire l’email che mi è appena arrivata.
Entrambi sgraniamo gli occhi alla vista di una foto di scarsa qualità, ma purtroppo ben visibile, che ritrae me e Ben, questa mattina, fuori dalla Chiesa.
« Nooooo… » esclamo io, spalancando la bocca e lasciandomi cadere sul divano, che alla fine sono ancora sbronza, eh.
« Pare che ci hanno beccati. » commenta lui inarcando un sopracciglio e avvicinandosi al PC, per leggere la mail.


Il famoso attore Ben Barnes era stato avvistato in giro per Milano nei giorni scorsi, e nessuno riusciva a spiegarne la presenza, poiché non era prevista nessuna intervista nella città italiana.
Ben dovrebbe essere a Londra per ultimare le riprese del suo ultimo film, allora cosa ci fa a Milano?
Oggi un nostro reporter ha portato alla luce la verità: l’affascinante attore inglese è stato immortalato in compagnia di una ragazza italiana, probabilmente non famosa, poiché guardando la foto il suo volto non ci sembra familiare. Ma abbiamo iniziato le ricerche per dare presto un nome alla Principessa che ha catturato il cuore del nostro Principe Caspian!
A presto le ultime novità!


« Che culo! » esclamo rimettendomi a sedere, e afferrando nervosamente la maglia, infilandola.
Lui si volta a guardarmi, e mi sorride. « Beh, c’era da aspettarsi che prima o poi ci avrebbero scoperti, no? » mi dice tranquillamente. Come se aspettasse qualcosa del genere. Come se lo volesse.
Io ricambio lo sguardo, inarco un sopracciglio. « Stai scherzando, vero?! » sbotto, alzandomi in piedi e avvicinandomi alla cucina. Credo di aver bisogno di bere qualcosa per riprendermi, una camomilla per esempio. Inizio ad avere la nausea, non so se per l’alcool o per la notizia appena ricevuta.
In poche parole, mi stanno cercando? Stanno cercando di capire chi sono, come mi chiamo, vogliono sapere tutto della mia vita? Questo mi spaventa. Mi fa paura. Io voglio restare anonima. Voglio continuare a condurre la mia vita, tranquillamente. Non voglio che il mio volto giri per il web o sui tabloid.
Voglio rimanere la “sconosciuta ragazza italiana”, non voglio far entrare nessuno nella mia vita. Ben è stata un’eccezione, ma paradossalmente è lui che ha portato tutto questo.
« Andiamo Jo, non è la fine del mondo! » esclama lui, alzandosi, e aprendo leggermente le braccia, stringendosi nelle spalle. Sta cercando di sdrammatizzare?
« Allora tu non hai capito niente di me! » sbotto a voce più alta, girandomi verso di lui e tenendomi saldamente alla cucina. Alcool e incazzatura messi insieme non fanno un buon effetto, proprio no. « Io non voglio sapere niente di tutta sta merda, ok?! Voglio rimanere qui, in questa casa, prendere il solito autobus la mattina, frequentare le solite lezioni al Politecnico e fare il mio solito lavoro da cameriera! Non voglio apparire sul web, né sui giornali, né da nessuna parte! Non voglio gente che mi segue e mi fa foto di nascosto! Voglio la mia cazzo di privacy, non voglio sputtanarmi al mondo come tu e i tuoi amici che fanno lo stesso mestiere! È una cosa che con me non c’azzecca niente, e voglio rimanerne fuori. » esplodo urlandogli il faccia, trascinata anche dalla sbronza che probabilmente mi fa mangiare mezze parole.
Lui mi guarda. Abbassa le braccia, sospira e mette le mani in tasca. Riflette qualche istante, indirizzando lo sguardo in vari punti non precisi della stanza… quindi, lentamente, lo riporta su di me.
« Sai cosa ti dico, Jo? » mi dice, tranquillamente. Sospira, stringendosi nelle spalle. « Mi sono davvero stufato. » sbotta, guardandomi, arricciando le labbra, infastidito.
« Scusa? » chiedo semplicemente io, aggrottando lo sguardo e avvicinandomi a lui.
« Hai capito benissimo. Mi sono stancato del tuo comportamento. Sei sempre lì a dire “ma se poi, ma se quando, ma se, se, se…” cazzo, BASTA! » esclama lui, visibilmente adirato. Forse come non lo era mai stato.
« Ben, ma tu ti rendi conto di quanto… »
« … sia difficile per te?! » esplode lui, togliendomi le parole di bocca. « E tu pensi a quanto sia difficile per ME?! Credi che per me sia stato facile rimandare riprese e interviste per un mese pur di starti vicino?! Lo capisci che sto rimandando il mio lavoro, che sto rischiando di essere mandato a fanculo da tutti?! Non sono esattamente Brad Pitt, non posso permettermi di fare la star capricciosa. Io non sono ancora nessuno, Jo. E per te sto rischiando tantissimo. » mi sommerge di parole, di accuse.
E io non riesco a ribattere. Lo guardo, stranita, pallida. Ha ragione. Ha fottutamente ragione.
Mi passo una mano tra i capelli, mentre lui mi passa di fianco.
« Ma… ma… dove…? »
« Dove vado? Vado via. Torno alla mia cazzo di vita, così potrò lasciarti vivere nel tuo cazzo di anonimato in questa cazzo di città per sempre. »
« Ben, smettila! Perché non capisci il mio punto di vista?! » esplodo io, mentre sento una strana agitazione. Non l’ho mai visto così, non pensavo che potesse arrivare ad esserlo. Non per colpa mia.
« E tu quando diavolo ti metterai nei panni di quelli che ti stanno intorno e che ti sopportano, Jo?! » mi urla lui, avvicinandosi alla porta.
« Bene, vuoi andartene?! E vattene! » gli grido di rimando io, mentre gli occhi mi si velano di lacrime. Mi sento in colpa. Sento di aver sbagliato, sento di sbagliare anche adesso. Ma ho paura, tanta, troppa paura.
Lui spalanca appena gli occhi, poi li stringe in due fessure, serrando la mascella. Annuisce in silenzio, aprendo la porta.
« Forse un giorno ci rivedremo, quando la smetterai di pensare solo a te stessa. » mi dice lui, a mezza voce, ma carica di rabbia e tristezza. « E io che mi sono pure… ah, al diavolo. » sbotta, scuotendo la testa, chinando lo sguardo. Poi lo riporta su di me. « Scusa il disturbo, Jo. Ti auguro di crescere e imparare anche tu ad amare il prima possibile. » mi dice lui, prima di scomparire dietro la porta d’ingresso.
Il suono della porta che viene chiusa pesantemente, mi fa sobbalzare. Sono rimasta immobile, inerme, gli occhi sgranati, la bocca semiaperta. Mi augura di crescere… e imparare anch’io ad amare? Anch’io? Chi altro c’è? Cosa mi sta scivolando dalle mani?
Senza pensarci, mi butto verso la porta. Lo so che sei lì dietro, Ben. Stai solo aspettando che io ti apra e ti faccia entrare e ti riempia di baci. Mi stai aspettando lì, sullo stipite della porta, con quel tuo sorriso malizioso, lo sguardo enigmatico, come sempre.
Tendo la mano alla maniglia, mentre il cuore galoppa forte. Dio, Dio, costa sto facendo?! Sto rischiando di farmi scappare la cosa più bella che potesse capitarmi nella vita… ma lui è lì. Lo so.
Apro la porta.
Il vuoto che c’è aldilà di essa mi travolge come un’onda d’acqua gelida. Resto qualche istante ferma, a fissare il vuoto, o meglio, il muro di fronte a me, con la carta da parati mezza consunta.
« Ben? » mormoro, quasi con paura di affacciarmi a guardare il corridoio.
Perché adesso è un’altra la sensazione che alberga nel mio cuore. Angoscia. Paura.
Mi chino in avanti, mi volto lentamente verso il corridoio. Vuoto. Triste. Freddo.
Si sente in lontananza una TV col volume troppo alto, proveniente da qualche appartamento attiguo.
Non c’è.
Ben non c’è.
Non lo vedo, non lo sento. La sua voce non mi ha accarezzata come tutte le altre volte, il suo viso non mi ha sorriso, perdonandomi, ancora.
In un attimo, le mie gambe fremono. Perdono forza, istantaneamente. Mi ritrovo a terra, a fissare il pavimento.
La consapevolezza inizia a farsi strada pesantemente, e i miei occhi iniziano a riempirsi di lacrime, che poco dopo copiose iniziano a solcare i miei zigomi.
« Te ne sei andato… » mormoro soltanto, tremante, guardando in basso.
Poi una fievole speranza. Il cellulare.
Corro verso il cellulare, in un attimo riacquisto tutte le forze.
Compongo il suo numero, veloce. Segreteria. È spento. L’ha spento. Non mi vuole più. Non vuole più sentirmi.
Butto a terra il cellulare, mi metto le mani nei capelli, disperata, guardandomi intorno.
« Cosa cazzo faccio, cosa faccio porca puttana… » inizio a girare per casa come un animale in gabbia, piangendo e tirando qualche pugno al primo muro che mi capita a tiro di tanto in tanto, per sfogare i picchi di rabbia che ogni tanto sopraggiungono, mentre penso a tutto quello che è successo in un mese…
Il mese più bello della mia vita. Della mia intera vita. Con lui, grazie a lui.
Cristo, Cristo.
Non so che fare. Torno al computer, riguardo la mail. Riguardo la foto. E l’unica cosa che mi viene in mente è “siamo bellissimi…” non “sono”. Non “è”. “Siamo”.
Io e lui. Insieme.
L’albergo.
Lampo di genio, so dove alloggia. Non posso lasciarlo andare, non posso. Corro nella mia camera, mi vesto con le prime quattro cose, non mi pettino neanche i capelli, esco fuori.
Non piove, ma l’aria è umida, e pare debba iniziare a piovere a momenti. La quiete prima della tempesta.
Aspetto l’autobus, ma data l’ora tarda, ci mette parecchio. Dopo aver atteso invano dieci minuti buoni, decido di chiamare un Taxi.
Arriva dopo circa cinque minuti, salgo su e gli indico il posto, chiedendogli di andare il più in fretta possibile.
Cazzo, mi sento una sorta di Pretty Woman dei poveri. E sfigati.
In circa venti minuti raggiungiamo l’Hotel, che naturalmente deve essere in culo ai lupi da tutt’altra parte di Milano, mi sembra giusto.
Scendo velocemente ed entro nella lussuosa Hall. Mi sento un cane randagio in una cuccia di un barboncino con pedigree. E il segretario della reception conferma le mie impressioni, visto come mi guarda appena mi butto sul bancone.
« Cerco il signor Barnes. »
Il segretario inarca un sopracciglio. Lancio uno sguardo alla donna bionda di fianco a me, che sta firmando un mucchio di roba come un’automa.
« Chi lo desidera? » mi chiede il segretario con riluttanza.
« Sono una sua amica. » dico io, velocemente. Cazzo temporeggi, idiota? Sbrigati e dimmi dov’è Ben!
Lui, cosa fa? Si schiarisce la voce. Adesso lo meno.
« Mi chiamo Jolene Mancini, la prego, è urgente. »
« Jolene?! » sento esclamare alla mia sinistra.
Mi volto. La tizia bionda mi sta guardando in un’espressione palesemente meravigliata.
« E così, tu sei la famosa Jolene?! » esclama ancora, avvicinandosi di un passo. « Beh, credevo che Ben avesse gusti migliori, ahahah! » aggiunge civettuola. Mi limito a digrignare i denti in sua direzione. Sembro un mastino.
« Mi può dire dov’è Ben? » le chiedo lentamente, sussurrandolo a denti stretti. Mi stanno facendo incazzare tutti quanti.
« Oh tesoro mio, sei arrivata un po’ in ritardo! » mi dice, tornando a firmare le carte.
La guardo. Attendo qualche istante, credendo che lei stessa mi stia per spiegare. Ma continua a farsi gli stracomodacci suoi. Mi schiarisco la voce, inarcando un sopracciglio.
« Tesoro, cosa c’è? » mi dice, affranta. Dio, quanto recita male sta tipa. « Sei arrivata tardi, Ben è già andato in aeroporto a prendere il primo aereo per Londra. »
Perdo l’uso della mascella inferiore, che si lascia cadere inerme.
« Co… Co… Cosa?! » balbetto ad alta voce. Il tipo della reception mi guarda in cagnesco. Ricambio volentieri, prima di tornare alla tipa.
« Ma sì, tesoro, ma sì! Pensavi sarebbe rimasto qui in eterno? Te lo saresti dovuto godere, finchè è durata! » esclama, sorridendomi.
Ma vaffanculo.
« Voglio andare in aeroporto a fermarlo. » esclamo, risoluta. Mi sento proprio un’eroina fighissima.
« Mh… » mugugna lei, sollevando lo sguardo verso l’orologio. « Credo tu possa fare ben poco. Linate è lontano da qui un quarto d’ora circa, e l’aereo parte esattamente… alle undici. Fra cinque minuti. Infatti Ben se n’è andato in fretta e furia lasciando a me tutti i bagagli e tutte le altre cose da sbrigare, mon Dieu… »
La lascio parlare. La sua voce si riduce a essere un chiacchiericcio di sottofondo. Volto anch’io lo sguardo verso l’orologio. Le undici meno cinque. Meno quattro ormai, per essere precisi.
Mi volto, lentamente, e senza salutare nessuno mi dirigo verso il Taxi che aspetta fuori.
Non mi vuole più.
Se n’è andato in fretta e furia, ha detto.
Salgo sul Taxi, lentamente. Chiudo la portiera, gli indico l’indirizzo di casa a mezza voce.
È scappato da me.
Mi lascio andare sullo schienale, mi volto a guardare fuori, con sguardo vuoto. Milano… così grigia, tutta così uguale. Finchè c’è stato lui, era diventata diversa… era più bella.
E così, Ben, alla fine è accaduto quello che temevo, hai visto?
Te ne sei andato. Mi hai lasciata da sola.

***

Allooooooora!

Premessa: mi scuso tantissimo per il ritardo di questo capitolo. Purtroppo da due mesi a questa parte mi sono ritrovata a dovermi gestire una casa da sola, e con i vari impegni scolastici mi è stato un po' difficile stare appresso alla storiella.

Pleeeeeeeeease, perdonoH! >_<""

Ora passiamo alle risposte dei vostri commentiniii! :>

» DarkSakura: Grazie mille! Sì, il mondo ce l'ha con Jo, ma lei neanche scherza a tirarsi addosso la sfiga eh! xD

» emmawh: grazie mille per il commentooo! Diciamo che sì, Jolene non è proprio un cessone come si vede lei x°

» clacly: grazieee! :D E' vero, anch'io ho trovato qualche foto caruccia di Megan Fox... ma nelle altre è troppo provocante! Jo non è così x° E' un'ottusangola, di certo non è capace di atteggiarsi a panterona sexy xD

» rokket: purtroppo così è stato! Come ho scritto su, il tempo mi è tiranno, I'm sorry!

» SheWasAnHeroine: ti ringraziooo!^^

» Franceschita: eccolo qui, l'aggiornamento! Non è esattamente "presto"... ma vabbè, ci accontentiamo xD

» romina75: grazie mille! Anche per i complimenti sul disegno!^^

» linkinstefy: eccolo qui! Grazie mille!^^

» Fady: grazie mille per il commento! In effetti anch'io ADORO Audrey Tautou *v* E' stupenda!

» Lady Nionu: no ti prego non picchiarmi!! Eccolo qui!! xDDD Ahah grazie!^^

» Dani_k: essì che la continuooo u_u <3 Grazie mille! :D

E oraaaa... Le tre tipette scelte per la Jo u_u

In ordine: Megan Fox, Alexis Bledel e Audrey Tautou!





Adesso ho bisogno dei vostri votii! Scrivete il nome di una di queste tre donzelle nei vostri commenti... Quella più votata darà il volto a Jolene! :D (Abbiate un po' di fantasia con occhi e capelli, l'ora è tarda e non mi andava di Photoshoppare le foto! xD)

Spero che questo capitolo vi piaccia, non vedo l'ora di scrivere il seguito! *_* Un bacione a tutte, e grazie mille per i commenti e le email!

Elisa aka MoonLilith

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo X ***


X.


“…this is my last call to you, then I’ll give up everything, that we had, that we do, and you’ll never hear me sing all these songs about you, so just take this time and think…”
La suoneria del mio cellulare. Apro stancamente gli occhi gonfi. Lancio uno sguardo alla sveglia, sono le 11.27 del mattino.
Anche la mia suoneria gira il coltello nella piaga.
« Ma vaffanculo. »
Rifiuto la chiamata e volto le spalle al cellulare. Dopo pochi secondi, riprende a suonare. Con un gesto di stizza, rifiuto di nuovo la chiamata.
Al terzo tentativo, rispondo.
« Mh. »
« Jo? Sono Laura. »
E chi altro poteva essere?
« Eh. » biascico imbronciata, chiudendo gli occhi e nascondendoli dietro il palmo della mia mano.
« Dormivi? Ti ho disturbata? »
« Taglia corto, ti prego. » le dico io, ma senza l’acidità che mi contraddistingue. È davvero una supplica. Non mi va di parlare.
Lei sospira.
« Jo, lo sai che giorno è oggi? »
« Ti prego, illuminami. »
« E’ il 5 Giugno, Jo, hai presente? Il giorno dell’esame di Design degli Interni? Quel progetto per cui hai passato mesi di notti insonni? »
« Ok, buona fortuna e salutami il prof. » sbotto io, arricciando le labbra in una smorfia.
Non ho neanche voglia di alzarmi da questo letto, figuriamoci andare al Poli a sostenere un esame.
« Significa che non verrai? » mi chiede lei, preoccupata.
« Perspicace. » mi limito a risponderle.
« Capisco. » mormora lei, sospirando. « Passo da te dopo pranzo, ok? »
« Non ti disturbare. »
« Ci vediamo dopo, stupida. »
E mi chiude la chiamata.
Con un mugugno lascio ricadere pesantemente il braccio sul letto. Resto qualche secondo immobile, a fissare il soffitto. Poi chiudo gli occhi, sospiro, quindi volto lo sguardo verso i poster appesi al muro sulla mia destra.
Serro la mascella mentre riapro lentamente gli occhi, e metto a fuoco il poster enorme di Ben nella penombra della mia camera.
Ecco che sale di nuovo il magone. Per l’ennesima volta, con stizza, mi alzo in piedi sul letto e tendo velocemente la mano per andare a strappare il poster… e, per l’ennesima volta, appena sento il rumore della carta che si lacera, mi blocco. Non ce la faccio. Non riesco a farlo. Poggio la guancia in direzione del viso di Ben, sulla carta lucida e fredda del poster.
Se n’è andato. Circa una settimana fa, dopo aver colorato l’ultimo mese della mia vita, Ben Barnes è andato via da me. O meglio, si può dire che sia fuggito da me. E questo mi ha dato la prova di quanto io sia stupida. Una stupida, stupida pezzente. Forse è meglio così. Forse non meritavo neanche di stargli di fianco.
Ma chi voglio prendere in giro.
Mi manca terribilmente.
Mi manca tutto di lui.
È strano come noi esseri umani, così imperfetti, ci rendiamo conto di quanto follemente amiamo una persona quando la perdiamo.
Sì, perché io sono innamorata di Ben Barnes. Sono pazzamente e irrimediabilmente innamorata di lui dal primo momento in cui l’ho visto. Sì, già da quando pensavo che fosse un impostore. O anche da prima. Lo stavo aspettando, dentro di me aspettavo qualcuno che mi aiutasse a ricominciare a vivere.
E lui è venuto, ci ha provato… e io l’ho fatto fuggire.
Con un gemito mi lascio cadere di nuovo sul letto. Il magone è tornato, alè! È una settimana che non faccio altro che piangere.
Mi rannicchio su me stessa, mi sfogo ancora un po’. Le lacrime sono sempre di meno, credo che i rubinetti mi si stiano svuotando… però la tristezza non accenna a passare.
Mi metto a sedere stancamente, prendo le sigarette dal comodino di fianco a me, ne accendo una.
Piangere, mangiare, fumare, dormire.
Non faccio altro.
Mi faccio schifo.
A metà sigaretta, mi sento un po’ meglio. Ah, nicotina, se non ci fossi tu! Sì, se non ci fossi probabilmente i miei polmoni non sarebbero neri di catrame, al momento.
Mi alzo e mi trascino in salotto. La luce da fastidio ai miei occhi stanchi, ma dopo un po’ mi ci abituo. Mi preparo un pranzo veloce, giusto per non morire di stenti. Anche se le lacrime mi fanno venire un sacco di fame, la voglia di cucinare è ai minimi storici.
Dopo aver mangiato il risotto pronto, mi piazzo sul divano a fumare e a guardare la TV.
O meglio, i miei occhi sono fissi sulla TV, ma i miei pensieri sono altrove.
D’un tratto, suona il campanello. Faccio un balzo di un metro e il mio cuore inizia a galoppare. Quasi come se in me conservassi una fievole speranza di rivederlo.
Vado ad aprire, ritrovando la mia consapevolezza.
Appena schiudo la porta, Laura si fionda in casa.
« Ma porca… Jolene, ma quanto diavolo stai fumando?! Ma almeno le apri le finestre? »
Mi volto a guardarla in cagnesco, ma quando faccio per chiudere la porta, una mano dall’altra parte la blocca.
Mi volto e vedo sbucare Michela.
« Anche te? Vi siete messe d’accordo per farmi fuori? »  sbotto facendola entrare e tirando dalla sigaretta quasi finita.
Intanto Laura corre a spalancare le finestre.
« Jolene, credo che tu abbia un serio problema. » dice Michela, anche lei andandosi a sedere sul divano senza troppi complimenti.
« Esatto, e siete voi due. Che siete venute a fare? » dico io stancamente, poggiandomi sul frigo e guardandole.
« Lo sai benissimo. » sbotta Laura, seria in viso come poche altre volte. « E’ dal matrimonio di Michi che non esci, Jo. »
« E quindi? Non mi va di uscire. »
« E’ anche dal giorno della partenza di Ben. » aggiunge Michela, enigmatica.
« NON… » inizio urlando io. Poi mi fermo, con la mano che tiene la sigaretta a mezz’aria. Faccio un sospiro, cerco di rilassarmi. « Nominatelo il meno possibile, vi spiace? » riprendo dopo qualche istante, cercando di non dare di matto.
« Dio santo, ma guardati! » esclama Laura, indicandomi. « Non te lo si può neanche nominare che impazzisci! Sei un animale in gabbia da una settimana! Cos’hai intenzione di fare, eh?! Rimanere qui a imbottirti di catrame e nicotina e a piangere? E non fare quella faccia, che hai due borse sotto agli occhi che si capisce da un chilometro che hai pianto! »
Faccio per replicare, ma non so davvero cosa dire. Mi limito a sbuffare e a voltare lo sguardo altrove.
« Jo, fai qualcosa. Non rimanere così, stai soffrendo troppo questa volta. » mi dice dolcemente Michela, avvicinandosi a me.
« E che cosa dovrei fare, eh?! » esplodo io, buttando la sigaretta nel posacenere, spegnendola con rabbia. « Ditemelo voi, geniacci. Cosa dovrei fare?! Mettermi su un aereo e andare a Londra? Magari presentarmi a casa sua e dirgli “Oh ciao Ben, ti ricordi di me? Abbiamo passato lo scorso mese a baciarci e a stuzzicarci, alla fine ti sei rotto i coglioni e sei scappato via a gambe levate. Facciamo la pace?” ?! » esclamo, con accentuato sarcasmo. Mi metto a girare per il salotto. « Cristo, voi la fate così tremendamente facile. Ma non è così. Non posso prendere e andare. Chi cavolo c’è mai stato a Londra? »
Laura e Michela si guardando eloquentemente qualche istante. Questo mi fa incazzare ancora di più.
« Ma tu hai il suo indirizzo, Jo? » mi chiede Laura, assottigliando le palpebre.
« Sì, e allora? Sai che me ne faccio? A stenti so come si prende un aereo, figurarsi andare in giro per Londra. Alè, facciamoci una gita! » sto sfogando tutta la tristezza e la rabbia repressa.
E sono incazzata, sì. Con me, solo con me.
Le due si guardano di nuovo.
« Jo… sii sincera adesso. » mi dice Michela, piazzandosi di fronte a me a braccia conserte, ignorando totalmente tutti i miei sproloqui. « Tu sei innamorata di lui? »
La guardo qualche istante. Sgrano gli occhi. Abbasso lo sguardo a terra, ed ecco che di nuovo le lacrime spuntano copiose. Annuisco, portando una mano a coprirmi il viso. « Sì, sì che lo sono. Da morire. » mormoro tremante.
Entrambe mi si avvicinano e mi abbracciano.
Sento che si sussurrano qualcosa, Michela annuisce, ma non riesco a capire, ho il viso soffocato nel palmo della mano.
« Jo, ora noi dobbiamo andare. » dice Laura, indietreggiando di un passo. « Ma tu per qualsiasi cosa, anche per mandarci a fanculo che lo so che ti fa stare bene » ridacchia « … tu chiamaci, ok? Mi raccomando. Noi siamo qui. Forse passeremo più tardi. »
Annuisco, senza sollevare il viso. Le sento prendere le borse e andarsene.
Rimango da sola, scosto la mano dal viso. Sospiro e mi accendo un’altra sigaretta.


***


Sono le 5 del pomeriggio.
Sto disegnando distrattamente. Da tanto non lo facevo… avevo dimenticato cosa significasse disegnare senza seguire una traccia data da un professore che vuole solo la nostra morte.
Suona di nuovo il campanello.
« E che cazzo, oggi. » sbotto andando alla porta.
Di nuovo, appena la apro, Laura e Michela irrompono in casa mia.
« Ma voi non avete proprio niente da fare? » chiedo loro, accennando un sorrisino sarcastico.
Lasciano le borse sul divano, Laura ci fruga dentro, e ne estrae un foglietto che mi sbatte sotto il naso.
Aggrotto le sopracciglia, lo prendo e leggo:


British Airways
Volo Milano > Londra
Classe economy
Data di partenza: 06 Giugno 2010

Guardo il biglietto.
Guardo loro.
Poi di nuovo il biglietto.
E di nuovo loro.
« Eheh… è uno scherzo. È falso, vero? » dico sventolandolo con noncuranza.
Laura assume un’espressione annoiata.
« No, Jo. È vero. Domani vai a Londra. » mi dice, incrociando le braccia.
« No. » sbotto, improvvisamente terrorizzata, poggiando il biglietto sul tavolo.
« Oh, sì. » dice Michela, riprendendolo e piazzandomelo in mano.
« Non… non posso, io… »
« Perché esattamente non puoi, Jolene? No, voglio proprio saperlo. » mi dice Laura, guardandomi in cagnesco. « E’ perché sei troppo orgogliosa per ammettere di aver sbagliato? Perché hai davvero paura di non raccapezzarti per Londra con il tuo inglese perfetto? O perché hai paura di metterti in gioco e rischiare e amare davvero una persona? »
Laura, sei sempre così devastante con le tue frasette buttate lì.
Non so che dirle. Cazzo, io non so mai cosa rispondere a questa ragazza!
« Sai come si dice? Se la montagna non va da Maometto, Maometto va dalla montagna! » esclama Michela, sorridente.
« Tu lo ami? » mi chiede Laura, seria.
« Sì. » rispondo prontamente.
« Lo ami davvero? » mi chiede, alzando di più la voce.
« Sì, sì! » esclamo, iniziando ad elettrizzarmi. Mi sento un soldato Marines e lei è il mio capo.
« E allora cosa stai aspettando, Jo?! Vai a prenderti quel ragazzo, che secondo me sta soltanto aspettando te! » esclama ancora a voce più alta.
Ok, adesso sono davvero su di giri.
Le guardo, annuisco velocemente, e mi butto ad abbracciarle.
« Io io io… vi adoro, grazie, davvero. » borbotto tremante, stringendo più forte che posso.
Cavolo se ci vado, Laura.
Ci vado sì. Cosa sto aspettando? È colpa mia, e devo riparare. Per forza, subito. Ma poi, perché farsi tutti questi problemi?! Cosa ci vuole?! Posso farlo. Non sono stupida, non sono una sprovveduta.
E io lo amo. Mi manca. Lo voglio, lo voglio!
La serata va a finire nel mondo più superficiale di tutti, ma fondamentale per una qualsiasi ragazza che ha appena capito di aver trovato l’uomo della sua vita (e che uomo!) e che è decisa ad andare a farlo suo.
Ovvero… preparazione dei bagagli!
Praticamente le valigie me le hanno fatte loro, ma vabbè, mi fido. Poi, chi se ne frega. Per me l’importante è andare e rivedere Ben, poter vedere di nuovo il suo sorriso, sentire il suo calore.
Rimaniamo a parlare con Laura e Michela fino a mezzanotte circa. Stanche, decidono di andare a casa.


***


Suona la sveglia.
In neanche due secondi e sono giù dal letto. Ho ritrovato l’energia, mi sento bene, mi sento speranzosa. Sento quasi di poter spaccare il mondo, mi sento come non mi sentivo da tempo. Probabilmente, dalla prima volta in cui Ben mi ha baciata.
Velocemente corro in bagno a lavarmi, quindi faccio colazione velocemente, mi vesto e, con le valigie già pronte, corro a Linate.
Il volo parte alle 5 del pomeriggio, ma di stare in casa proprio non mi riesce. Quindi deciso di gironzolare per i dintorni dell’aeroporto, magari comprare qualche libro per il viaggio.
Ho l’argento vivo addosso, non posso crederci!
Verso le 3 e mezza mi dirigo già a fare check in e poi all’imbarco.
E in aereo non riesco a stare ferma. Alla fine è solo un’ora, quindi non provo neanche a dormire. Mi sento nervosa, agitata, emozionata.
E i miei pensieri sono solo per lui, solo per Ben. Dio, è passata solo una settimana e mi manca da morire.
Come ho fatto a lasciarlo andare? Sarà contento di vedermi?
Magari mi prenderà per pazza, magari mi avrà già messa da parte. Non importa, non importa, devo vederlo almeno un’ultima volta.
Mi rigiro il foglietto che mi lasciò una sera con su il suo indirizzo e il suo numero di telefono a Londra tra le mani. Cerco di leggere qualche rivista, ma mi manca proprio la concentrazione.
E un’ora sembra durare un’infinità. Guardo sempre l’orologio, e i minuti sembrano non passare mai.
Quando il comandante dell’aereo annuncia di mettere le cinture di sicurezza per l’atterraggio a Heathrow, il mio cuore sembra sprofondare nei meandri del mio torace.
Oh mio Dio.
Sono una folle.
Per la prima volta a Londra a cercare il ragazzo di cui sono innamorata, che oltretutto è un attore tra i più belli e bravi del momento.
Sì, sono una folle.
E non posso fare a meno di sorridere.
Dopo l’atterraggio corro al check out. Sto tremando per l’emozione. Esco dall’aeroporto e mi ritrovo in mezzo ad una folla di gente. Sollevo lo sguardo verso il cielo coperto da dense nuvole grigio scuro.
Beh dai, non è che Milano offra niente di meglio.
Mi guardo intorno, spaesata. L’aria inglese è più… fredda.
Mi stringo un po’ nella mia giacca evidentemente troppo leggera. E io che non me la sarei neanche portata, la giacca! Laura è di certo più lungimirante di me.
Compio qualche passo, dovrei prendere l’Underground e scendere dopo undici fermate, se i calcoli di Michela (che a Londra c’è già stata, per fortuna!) sono esatti.
E casa di Ben dovrebbe essere lì nei pressi.
Mi guardo ancora intorno, alla ricerca di una qualche indicazione verso la metro. Riesco a trovare la stazione Heathrow Terminal 4, e prendo il Tube in direzione Piccadilly.
Nella metro mi sento strana, spaesata. Malgrado io la prenda praticamente ogni giorno per spostarmi in molti posti della città, stare lì, in un altro paese, in un’altra nazione… mi sento estranea.
Tengo a mente il numero di fermate, e alla undicesima scendo.
Quando ritorno all’aria aperta, il tempo s’è fatto ancora più plumbeo. Arriccio la bocca, e cerco di decifrare la piccola mappa disegnata sul foglietto.
Ma è tutto così diverso. La disposizione urbana della città, i palazzi, le case… è tutto diverso.
E tutto così dannatamente pittoresco.
Mi perdo, infatti, ad ammirare le costruzioni, i classici appartamenti alla “Notting Hill”. Continuo a camminare, a passeggiare, quasi dimenticando di dover trovare una casa in particolare. Il quartiere è tranquillo, credo sia residenziale, malgrado la posizione sia praticamente centrale alla città. Non c’è traffico, il che è davvero strano per essere comunque un quartiere centrale, anche se credo che l’orario di lavoro sia ormai terminato. Solo dopo un po’, quando inizio a sentire la stanchezza alle gambe e ai piedi, mi accorgo che il foglietto è illuminato dalla luce di un lampione.
S’è fatto buio, e la cosa non mi piace. Non mi piace per niente. Arriccio le labbra, contrariata, e alzo lo sguardo verso il cielo. Inizio a sentire delle delicate goccioline di pioggia cadere sul mio viso. Per non far bagnare il foglietto lo metto velocemente in tasca.
« Eh ma che sfiga, però… » borbotto, adocchiando per fortuna una cabina telefonica non troppo lontana.
L’intenso colore rosso, almeno, si fa notare. Ci corro incontro, entrando dentro, e lasciando le valigie dietro di me.  
Opto per la rinuncia dell’effetto sorpresa. Chiamo Ben e mi faccio venire a prendere, che diamine.
Mi son fatta parecchi chilometri, ora lui potrà pure farsene un paio e venire a prelevarmi, no?
Metto le mani in tasca alla ricerca del foglietto. Prima nelle tasche della giacca, poi in quelle dei jeans. Niente. Cerco ancora, nervosamente.
Brutto, brutto dubbio.
Sento dei movimenti dietro di me, ma non ci faccio troppo caso.
Continuo a cercare, ma niente. Sbuffo, mi guardo un attimo intorno, poi mi volto verso le valigie e l’uscita della cabina, magari mi è caduto per strada, o magari l’ho messo nel portafogli in valigia. Ero così distratta che non c’ho fatto caso.
Non riesco neanche a formulare il pensiero, però, perché sgrano gli occhi mentre la tremenda realtà mi fa perdere per un attimo il battito cardiaco.
Le mie valigie.
Non ci sono più.
Esco di corsa dalla cabina, e vedo un tipo allontanarsi trascinandosi dietro la mia valigia.
« Sorta di stronzo! » urlo io mettendomi a correre sotto la pioggia per cercare di raggiungerlo. Gli schizzi delle pozzanghere mi bagnano le Converse, il dolore alle gambe aumenta. Ma io non mollo. Continuo a seguirlo e a chiamarlo nei modi peggiori del mondo.
Cazzo c’ha pure dietro due valigie, come fa a essere tanto più veloce di me?!
Lui volta l’angolo, dopo una decina di secondi lo faccio anch’io.
Ma lui è già sparito in mezzo alla pioggia, districandosi certo meglio di me tra i viottoli londinesi.
E mi ritrovo da sola, sotto la pioggia.
Senza le valigie, senza il foglietto con mappa per raggiungere casa di Ben, senza portafogli.
Bagnata fradicia.
Chino lo sguardo. È finito tutto, stop. Mi vado a sedere vicino alla cabina telefonica, sotto la pioggia. E lì rimango, sempre più bagnata, a fissare le goccioline che cadono tranquille nelle pozzanghere.
Piove fitto, malgrado le gocce di pioggia siano molto piccole. È sempre più buio, ormai credo sia notte fonda. Per strada non si vede un accidente, c’è pure la nebbia. Cosa diavolo ci faccio qui?
Mi guardo intorno, un po’ persa.  Sto piangendo. Sì, di nuovo, ancora. Le lacrime calde che cadono giù, copiose, in netto contrasto con le gocce di pioggia ghiacciate. Si confondono sulla mia pelle diafana, che spicca prepotente, bianca, alla luce di un lampione, nell’oscurità di questa notte londinese. Cosa diavolo ci faccio qui?
Per strada non c’è nessuno, o quasi. Passa qualche auto. È uno dei quartieri centrali, dovrebbe essere intasato dal traffico. Invece no, non c’è nessuno. Solo io, una stupida ragazzina che fino a poco tempo fa pensava di poter conquistare il mondo. E ora si trova sola, sotto la pioggia, al freddo. Bloccata dalla paura, paura che tutto quello che è successo nell’ultimo mese sia soltanto frutto della sua fervida immaginazione.
Ecco la realtà, Jolene.
Non lo vedrai più.
Hai perso tutto, hai perso pure questa opportunità.
Cosa diavolo ci faccio, qui?
Sento una sirena, e improvvisamente i fari di un’auto mi abbagliano.
Porto la mano a coprirmi il viso, e tra le fessure delle dita vedo delle sagome nere scendere dalla macchina, e avvicinarsi a me.
E adesso cosa diavolo succede?

 

***

 

Ommioddio-non-è-possibile-e-invece-sì! xD

Ho aggiornato di nuovo. A distanza di due giorni! Mi sa che è il mio record xD Ma ho ritrovato l'ispirazione e sono impaziente di scrivere il prossimo capitolo. Perchè nel prossimo capitolo succederà qualcosa che voi state aspettando di leggere e io di scrivere sin dal primo, probabilmente xD

Non spoilero altro u_u Vogliatemi bene e continuate a seguirmi! xP E continuare a votare per le tre fanciulle di cui ho postato le foto nel capitolo precedente! *v*

Rispondo ai vostri commentiniii!

» debblovers: sì la Jo è una vera testa di ehm... x°°° E come vedi le complicazioni non sono mica finite qui! xD Grazie per il commentooo!^^

» juliet_: Jolene ha la bocca grande quando quella di una rana e dovrebbe cucirsela é_è Stupiderrima che è quella Jo! >_< Grazie mille comunqueee!^^

» linkinstefy: grazie grazie grazie! *_*

» Ramona37: auuahhauauh promessa mantenuta! xD E sicuramente aggiornerò ancora molto presto uhuhuhuhu <3

» Nona: ihihih adesso che tu m'hai detto così, ho aggiornato subito u_u Comunque ti ringrazio tantissimo! Troppo buona!*v*

» Dani_k: E' PERFETTO SIIII *ççç* Comunque la tipa alla fine del capitolo è la segretaria di Ben, che credo tornerà molto presto xD e purtroppo lui se n'è andato davvero, e in questo capitolo neanche compare! D: Anche a me piace molto scrivere al presente, mi sembra di dare un effetto di individualità al racconto... Cioè vorrei che chiunque legga quello che scrivo si sentisse davvero nei panni di Jo! E penso che presto aggiungerò anche dei P.o.V. di Ben!^^ Far parlare solo la Jo è una palla, è così noiosa quella ragazza xD

Grazie mille a tutte ragazzeeee!! Mi fa davvero un sacco piacere vedere che continuate a seguire la mia storia... Spero continuerete ancora a leggerla!

E visto che Bennuccio bello in questo capitolo non compare per niente, vi appiccico una sua fotina (tra le mie preferite) qui sotto!

Ok, proooooonteeeee... VIA! SBAVATE! xDDD

Photobucket

Baciotti a tutteee! A presto!!

Elisa aka MoonLilith

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo XI ***


XI.

ATTENZIONE! Questo capitolo contiene delle scene dai contenuti spinti. Se non vi piace leggere determinate descizioni, seppur leggere nella forma, non proseguite oltre! :D Grazie!


Ben P.o.V.
Il silenzio in casa è palpabile. È paradossalmente frastornante. È completamente buia, silenziosa, sembra quasi che non ci sia nessuno, o che io stia dormendo. Ma non è così.
Sprofondato nella mia poltrona preferita, quella in cui insomma ci ho scavato la forma del mio sedere, guardo la TV con sguardo imbronciato e i muscoli del viso contratti.
Il senso di insoddisfazione mi perseguita da quando me ne sono andato da Milano. C’è sempre qualcosa che mi segue, una sorta di malinconia, condita da un po’ di nervosismo.
Senza parlare di lei. È un pensiero fisso. È una tremenda e dolcissima ossessione. Non riesco a schiodare più il suo viso dalla mia mente. Non riesco più a concentrarmi, non riesco più a fare niente.
Fisso la TV col viso poggiato sulla mano, stravaccato sul bracciolo. Gli occhi ridotti in due fessure, fisso in realtà un punto indefinito, pensando solo a lei.
A quanto mi fa incazzare. A quanto ci sto male. A quanto dannatamente mi manca.
Che abbia sbagliato? Me ne sono andato in quel modo per smuoverla un po’, per farle aprire gli occhi. E se avessi commesso un errore, se lei invece di reagire mi avesse già mandato a fanculo e stesse continuando con la sua vita?
È tutto così… grigio. Lei aveva colorato la mia vita, la mia vita così terribilmente stressante da tre anni a questa parte, circa. Mi sentivo alienato da tutto, non mi sentivo più un ragazzo, ma solo un automa che continuava a fare il suo lavoro per inerzia.
Lei è stato un ciclone, lei ha cambiato tutto questo.
Forse è colpa mia, io non sono stato in grado di farle capire quanto sia stata in grado di fare per me, senza fare realmente nulla. Solo essendo se stessa.
Paradossale. Un attore che non è in grado di far comprendere alla ragazza di cui è innamorato realmente i propri sentimenti. Assurdo.
Passo una mano sugli occhi, li strofino, sono stanchissimo.
Mi alzo lentamente e mi dirigo in bagno per fare una doccia. Prima di entrare, accendo la radio, e lascio quando sento le note di una canzone dei Muse, Undisclosed Desires. Dev’essere uno dei singoli dell’ultimo CD.


I know you've suffered 
But I don't want you to hide 
It's cold and loveless 
I won't let you be denied 

Soothing 
I'll make you feel pure 
Trust me 
You can be sure 


Entro nella cabina, apro l’acqua calda. Dopo qualche secondo, in cui la temperatura si stabilizza, il getto mi investe gentilmente.
Sento scivolarmi di dosso, temporaneamente, tutta la stanchezza, il malumore.
Mentre m’insapono, mi tocco il viso, constatando che la barba sta già crescendo. L’ho fatta solo ieri mattina, cavolo. E i capelli, dovrei tagliarli. Da bagnati mi arrivano fino alle spalle, ormai.
In un mese non ho pensato ad altro se non a Jo.


I want to reconcile the violence in your heart 
I want to recognize your beauty's not just a mask 
I want to exorcise the demons from your past 
I want to satisfy the undisclosed desires in your heart 


Eccola, di nuovo, prepotente nei miei pensieri. Sempre, sempre lei. Qualsiasi cosa io pensi, alla fine mi compare sempre il suo viso in mente.
Che persecuzione. Non stavo così da una vita.


You trick your lovers 
That you're wicked and divine 
You may be a sinner 
But your innocence is mine 

Please me 
Show me how it's done 
Tease me 
You are the one 


E pensare che Anna mi dava affettuosamente del “timido insensibile”. Il classico tipo che ride sempre, che se t’incontra è allegro, giovale, gentile, un po’ timido.
Ma, dopo cinque minuti, ti ha già dimenticato.
Ed è vero, io sono proprio così. Da quando avevo 22 anni, sono semplicemente diventato un semplice “ricettore di sentimenti”. Non per mia scelta, lo sono diventato inconsapevolmente, di certo non senza una motivazione. E che motivazione… sono diventato un insensibile dal bel sorriso. Percepisco tutti i sentimenti, di tutti, nei miei confronti. E ricambio, sì, un po’. Non troppo. Non ho più un vero amico, per esempio. Tanta gente che mi è simpatica, sì, ma non un amico da considerare un fratello. Ma non con lei, con lei mi è bastato un attimo. Mi è bastato guardarla negli occhi la prima volta.
Già in quel momento sapevo che non sarei mai riuscito a dimenticare quegli occhi, quella bocca, quella voce stupenda.
Che ora mi perseguita. Sì, è un’ossessione, perché non è qui con me.


I want to reconcile the violence in your heart 
I want to recognize your beauty's not just a mask 
I want to exorcise the demons from your past 
I want to satisfy the undisclosed desires in your heart 


Poggio la fronte contro le piastrelle gelide della doccia, con gli occhi chiusi lascio che il getto m’investa la testa e la nuca. Sento le goccioline d’acqua stuzzicarmi la pelle, scendere lungo i ciuffi di capelli bagnati, gli zigomi, il naso, la schiena.
Please me 


Show me how it's done 
Trust me 
You are the one 

I want to reconcile the violence in your heart 
I want to recognize your beauty's not just a mask 
I want to exorcise the demons from your past 
I want to satisfy the undisclosed desires in your heart 

Jolene… chissà cosa stai facendo, adesso.
All’improvviso, lo squillo del telefono mi riporta alla realtà.

Jo P. o V.
Ma che cazzo vogliono questi?!
« Signorina, tutto bene? Cosa fa qui? » mi sento dire.
Li guardo un attimo confusa, poi mi ricordo di essere a Londra, e di dover parlare in una lingua che non è la mia.
Ma prima di ribattere, li metto a fuoco, notando le loro divise. Ah, ma sono i Bobbies. A meno che non mi siano capitati due Bobbies pervertiti e maniaci (il che, con tutto quello che mi sta succedendo, non mi riesce difficile credere), dovrei essere al sicuro adesso.
« La signora che abita nel palazzo di fronte ci ha fatto una segnalazione, ha detto che lei è qui da più di mezz’ora senza muoversi. »
Sollevo lo sguardo, non può capire che ho pianto, le lacrime si confondono alle gocce di pioggia, e la mia voce trema non solo per la disperazione, ma anche per il freddo che mi sta entrando fin dentro le ossa.
« I-Io… sono stata derubata… » mormoro, col groppo in gola.
« Lei non è di qui? »
Scuoto il capo.
« No, sono italiana. Sto cercando una persona. Ma mi hanno rubato tutto quanto. » mormoro ancora tremante. Chino il viso, non riesco a fermare le lacrime. Dio, che situazione di merda.
« Ci segua in commissariato, signorina. Stare sotto la pioggia non è la soluzione migliore. »
Annuisco, mi alzo e li seguo in auto.
Dentro la macchina sento un attimo di torpore in più. Sono completamente fradicia e rabbrividisco ogni secondo, ma i due Bobbies non sembrano farci caso.
Arriviamo in commissariato, che in effetti è vicinissimo.
Tremante, mi accompagnano dentro, e mi fanno sedere ad una scrivania. Per fortuna ci sono i riscaldamenti, anche se quel lieve torpore non fa che creare una sorta di contrasto col freddo che sento dentro, ed è una sensazione bruttissima, veramente sgradevole.
Uno dei due Bobbies se ne va, mentre l’altro rimane e si siede di fronte a me, dall’altra parte della scrivania.
Mi verrà un’influenza, di questo passo.
Lui mi guarda, con un sorrisetto di circostanza. Credo che abbia notato che sono completamente inoffensiva, ma non è abbastanza arguto per notare il mio tremore e il mio malessere. Male, male, caro Bobby.
« Allora, signorina… » inizia il tipo, poggiando i gomiti sulla scrivania e incrociando le mani. Ma fanno un corso di addestramento a tutti i tizi delle forze dell’Ordine per fargli compiere gli stessi movimenti? Inarco un sopracciglio. « Mi vuole dire cosa ci faceva lì sotto la pioggia da così tanto tempo? Ho capito che le hanno rubato tutto, ma poteva recarsi in commissariato da noi e sporgere denuncia. »
No, aspetta vuoi attimo. Vuoi fare concorrenza alla fama dei Carabinieri italiani, vero?
« Se avessi saputo dov’è il Commissariato, ci sarei venuta sicuramente. » sbotto, guardandolo alquanto scazzata.
« E perché allora non rivolgersi a qualche passante, o suonare a qualche casa? »
Non rispondo. Sospiro, voltando lo sguardo. Ma chi c’ha pensato, pensavo solo a lagnarmi sulla mia sfiga.
E sul fatto che non rivedrò mai Ben.
« Chi cercava, signorina? Possiamo darle una mano a mettersi in contatto, se mi fornisce nome e cognome. »
Spalanco gli occhi. Mi volto verso di lui, veloce.
« E’ vero! Sto cercando Ben Barnes. La prego, mi aiuti! » esclamo io, forse un’ottava più alta del normale.
Lui mi guarda.
Io lo guardo.
Lui mi guarda.
Io lo guardo.
Passa qualche istante in silenzio. Mi sta squadrando. Cos’ho detto?
Dopo qualche istante di fuoco china lo sguardo, sospirando.
« Sai, hai recitato così bene che c’ero quasi cascato. » mi dice con un sorrisino affranto.
Prego?
« Ma non vi stancate mai? » continua, usando improvvisamente un tono molto più amichevole, ma sembra che mi stia prendendo per il culo. « Cioè… ma siete un gruppo unico, o prendete iniziativa singolarmente? Addirittura farmi credere di essere straniera, siete intelligenti però, eh! » dice sarcasticamente.
« Ma cosa sta dicendo, mi scusi?! » sbotto io, sconvolta.
« Andiamo, signorina, non se ne può più. Se dovessi scortare ogni ragazza che mi chiede del signor Barnes a casa sua, avrebbe l’appartamento perennemente pieno di donne. » mi dice con aria stanca, sorridendo ancora.
Adesso me lo mangio, lo giuro.
« Io non ho idea di che cosa stia parlando! » esclamo, avvicinandomi. « Io stavo davvero andando a casa di Ben Barnes! Io… io... Avevo il biglietto con la mappa del suo appartamento, poi devo averla persa per strada e… »
« Dai, su, dall’idea della ragazza italiana, mi aspettavo qualcosa di più. » mi dice lui, sornione.
« Non sto mentendo! » esclamo a voce più alta. « La prego, mi deve credere! Sono da sola, non ho più i miei documenti… non so come dimostrarle che ho ragione, ma è così, davvero! » lo supplico, esattamente.
Sospira, mi guarda, scuote un attimo il capo.
« Non so più come comportarmi, con voi. » mormora incrociando le braccia.
« Non le sto mentendo… la prego, lo chiami almeno… chiami Ben, la prego! Io… io sono sua cugina! » esclamo alla fine, sentendomi già gli occhi che mi pizzicano per le lacrime. Sì, lo so, scusa stupidissima, ma è l’unica cosa che mi è venuta in mente. Ricordate che sta per venirmi una broncopolmonite.
Lui inarca un sopracciglio.
« E secondo te potrei disturbare il signor Barnes a quest’ora per una fan girl? »
« CRISTO, NON SONO UNA FAN GIRL! » urlo alzandomi in piedi e sbattendo i palmi delle mani sulla scrivania. Ed ecco le lacrime. Iniziano a scendere. Sbotto a piangere, sedendomi di nuovo. « Lo chiami… la prego… non è tardissimo, provi a chiamarlo, lui le confermerà la mia versione! Posso anche dirle l’inizio del suo numero privato, me lo ricordo, ce l’avevo scritto, ma solo l’inizio… »
Poi non ce la faccio più. Mi accascio sulla scrivania, e mi metto di nuovo a piangere. Singhiozzo e tremo per il freddo. Mi sto lentamente asciugando da sola. Umidità saltami addosso!
Perché tutto questo? È forse una sorta di punizione divina? Gli dei mi stanno punendo per non aver sequestrato prima il ragazzo migliore che possa esserci sulla faccia della terra?
Sono così fottutamente vicina a lui… eppure mi sento così lontana… cosa starà facendo? Mi starà pensando? Lui neanche sa che sono qui…
Sento un movimento dall’altra parte della scrivania. Un suono familiare.
Uno sbuffo, dei tasti che vengono composti.
Sollevo di scatto il volto, con gli occhi lucidi e sgranati.
Il Bobby mi lancia uno sguardo seccato, quindi si volta di lato fissando il muro.
Sento un telefono squillare.
Uno, due, tre squilli. Perché non rispondi?
Andiamo. Vai a rispondere a quel fottuto cellulare.
Quattro, cinque, sei.
Non dirmi che non sei in casa. Questa sarebbe la sfiga delle sfighe.
Il Bobby mi osserva, io serro la mascella.
Cristo santo, rispondi!
« Pronto? »
Sento un balzo al cuore. Ma quale balzo, è un triplo salto mortale. Spalanco gli occhi e la bocca a sentire la sua voce, affannata, come se fosse corso per rispondere.
Mio Dio, è la sua voce. È dall’altra parte di quel telefono, basterebbe allungare la mano per parlarci.
Il cuore galoppa.
« Buonasera signor Barnes, la prego di scusare il disturbo… Sono Jonathan McCain, la chiamo dal commissariato più vicino di polizia… c’è qui una ragazza che-- »
« BEN, BEN SONO JO! SONO A LONDRA! TI PREGO DIGLI CHE MI CONOSCI, DIGLI CHE SONO… CHE SONO TUA CUGINA! » mi metto a urlare avvicinandomi al telefono il più possibile.
Sento silenzio dall’altra parte della cornetta.
« Stai buona, ragazzina! Mi scusi signor Barnes, stanno diventando delle attrici veramente in gamba purtroppo… eh eh eh… » dice con fare confidenziale il poliziotto.
Ma cosa cacchio dici, idiota?!
« La porti qui, immediatamente. È davvero mia cugina. » gli sento dire soltanto dall’audio soffocato della cornetta, risoluto.
Un sorriso mi esplode sul viso. Ma allora qualcuno esiste lassù!
Eccole, sono tornate. Le farfalle nello stomaco!
« Oh, oh signor Barnes, sul serio? La accompagno subito a casa sua allora, mi dovrete scusare, io ho dubitato della ragazza ma per ovvi motivi e… »
« Agente, la prego, si sbrighi. » si limita a rispondere Ben.
Dio, se è figo.
L’agente si fa dare l’indirizzo, quindi chiude la chiamata. Mi guarda, in un misto tra l’imbronciato e l’imbarazzato.
Anch’io lo guardo, con aria trionfante, malgrado non mi riesca benissimo visto il tremore convulso a causa del freddo.
« Andiamo, forza… la accompagno… oh ma lei ha freddo?! La prego, metta questo addosso… » mi dice lui, mettendomi sulle spalle il suo cappottone lungo.
Stronzo, avevo freddo anche cinque minuti fa.
Ma ne approfitto, e in silenzio mi faccio accompagnare verso casa di Ben.
In macchina sono nervosa. Tamburello le dita sulle gambe, mi mangiucchio le unghie, non riesco a stare ferma. Mi mancava già questa sensazione: il respiro irregolare, quello strano e piacevole dolore alla bocca dello stomaco, l’ansia, l’agitazione.
Arriviamo sotto il palazzo in cui vive Ben, che era due incroci più a sud rispetto a dove mi ero seduta a piangere, vicino alla cabina. Pazzesco.
Sono impaziente, ma cerco di contenermi. Alla fine, in teoria, abbiamo detto all’agente di essere cugini.
Il Bobby suona al campanello. Subito risponde la voce di Ben.
« Salite. Quinto piano. »
Sussulto. Oddio, è lassù. Porca paletta, Jo. Rilassati. È tuo cugino, su.
Ha solo la voce più incredibilmente sexy del mondo, ma adesso è tuo cugino.
I secondi passano lentamente, mentre entro in ascensore e premo il tasto per il quinto piano.
Inizia a muoversi. Ma quant’è lento?! Sbrigati tesoro, sbrigati. Non guardo l’agente per non rischiare di fargli capire quanto sono nervosa.
Mi guardo allo specchio. Sono orribile, mio Dio! Ho i capelli mezzi asciutti, tutti arruffati e annodati, il trucco è andato a farsi friggere, ho due occhiaie sotto gli occhi pazzesche.
Sospiro… mai che mi veda decente. Questo è un momento particolare, voglio dire, se fosse un film dovrei essere bellissima, dovrebbe esserci una canzone di sottofondo, tipo quella lì dei Vanilla Sky che mi piaceva tanto, On&On… e poi, ovviamente, tutte le scene un po’ sfocate e la slow motion…
Ed è mentre penso a queste cose che vedo la porta dell’ascensore alle mie spalle aprirsi. Oltre questa, proprio di fronte, una porta aperta. E Ben sulla soglia, in pantaloncini grigi, maglia a maniche corte un po’ aderente, nera, piedi scalzi, capelli bagnati.
Lo vedo dallo specchio. Ok, è finita, sto per svenire. Ma è diventato più bello?! Può un ragazzo essere sempre più bello, ogni volta che lo vedi?
Puoi ogni volta innamorarti nuovamente della stessa persona appena il tuo sguardo incrocia il suo, anche se è attraverso uno specchio?
Mi volto, seguo l’agente fuori dall’ascensore, guardando a terra, rimanendo dietro il tizio, imbarazzata.
Guardalo, Jo. Guardalo. Abbi il coraggio.
Ma non faccio neanche in tempo a trovarlo, il coraggio.
Mentre il Bobby sta per aprire bocca per salutare Ben, lui avanza di un passo, lo supera. Poggia una mano sulla mia nuca, mi tira verso di sé.
E in quel momento non ci capisco più niente.
Le sue labbra ardenti si poggiando dolcemente sulla mia fronte. Lo sento inspirare forte, come se volesse inebriarsi del mio profumo, mentre per qualche secondo rimane così, a sfiorarmi la fronte con le labbra.
Il mio cuore, nel frattempo, ha smesso di battere. Ho le labbra socchiuse, ma non riesco a respirare. Mi sento solo avvampare, e mi sento bene.
Mi sento stramaledettamente bene, appena posa la mano su di me.
Mi mordo il labbro inferiore, e mi sembra davvero che ci sia lo slow motion mentre sollevo il viso e con i miei occhi cerco i suoi. Li ritrovo lì, a guardarmi, a studiarmi, a parlarmi.
Argento contro onice.
Di nuovo, ancora.
E in questi pochi secondi, esistiamo solo noi su quel pianerottolo.
Cerco di trasmettergli il più possibile con il mio sguardo.
Sposta la mano a carezzarmi la guancia, arriccia quelle labbra meravigliose in un lieve sorriso.
Vorrei morire qui, adesso, tra le tue braccia.
Socchiudo gli occhi, mi gongolo un attimo in quella calda carezza.
« Sei fradicia… entra in casa. » mi mormora lui nel modo più tenero e dolce che possa esserci.
Sorrido appena, annuisco.
Tolgo il giaccone dalle spalle e lo riconsegno al Bobby, che è rimasto lì ad assistere a quella scena forse un po’ troppo ambigua tra cugini.
« Grazie mille. Gliel’ho bagnato, mi spiace. » gli dico, tendendolo verso di lui.
« Oh ma non si preoccupi signorina, non c’è problema! Arrivederci, arrivederci! » mi dice lui, cordiale.
Lecchino.
Lo guardo male ed entro in casa.
Ben si ferma a parlare un attimo con l’agente.
Ma che cavolo fai?! Mandalo a quel paese e vieni da me!
Mentre l’agente lo informa di avermi trovata “bagnata come un pulcino” sotto la pioggia vicino la cabina a due isolati da qui, io mi guardo intorno nell’appartamento.
In stile minimal, il pavimento è bianco, lucidissimo. È un’ampia area, sulla destra solo un muro di cartongesso divide l’ingresso dal salotto, mentre sulla sinistra intravedo la cucina, bianca, nera e acciaio.
Proprio di fronte a me, alla fine del corridoio, ci sono altre porte, tutte bianche.
Un tappeto nero spezza tutta quella distesa di puro bianco.
Osservo attentamente la struttura della casa, deformazione professionale.
Quasi non bado alla porta che si chiude alle mie spalle. Ma neanche stavolta mi da il tempo di muovermi.
Mi sento improvvisamente cingere da dietro, dalle sue braccia calde e forti. Il suo profumo mi sta letteralmente drogando. Profuma di pulito, di buono, è sicuramente appena uscito dalla doccia.
Mi lascio stringere forte, chiudo gli occhi e mi abbandono a quell’abbraccio.
« Non ci credo che l’hai fatto. » mi mormora lui, ridendo appena.
« A stenti ci credo io, pensa un po’! » rispondo, sorridendo a mia volta.
Quindi mi volto, senza sciogliere l’abbraccio. I nostri corpi aderiscono perfettamente.
Lui mi osserva, quindi si lascia scappare una risatina.
« Hai tutti i capelli arruffati. » mi dice, portando una mano ad accarezzarmi la testa.
« Sì, grazie, sto bene e tu? » rispondo io, sarcasticamente. È tutto così normale. Tutto così spontaneo, così bello.
« Hai bisogno di qualcosa, Jo? Vuoi fare una doccia? » mi chiede lui, continuando ad accarezzarmi il capo.
Io scuoto la testa.
« Vuoi mangiare? »
Scuoto di nuovo la testa.
« Vuoi che ti prepari qualcosa di caldo? »
Ancora più veloce, scuoto la testa.
« Vuoi farmi un piacere? » gli chiedo, guardandolo.
« Certo, dimmi tutto. »
« Sta zitto. »
Gli sussurro, citando le sue stesse parole. Con le mani afferro la maglietta appena sotto il colletto, e lo tiro verso di me.
Dolcemente, le nostre labbra s’incontrano. Di nuovo, per l’ennesima volta, ma adesso basta avere paura. Basta riflettere.
Gli cingo il collo con le braccia, lui mi stringe per la vita, forte, contro il suo corpo.
Approfondisco subito il bacio, con la mia lingua vado a cercare la sua, che non tarda a corrispondere.
I nostri respiri si confondono, s’intrecciano, le labbra si accarezzano, bramose l’una dell’altra.
Mi mordicchia il labbro inferiore, quindi sposta la bocca sul mio collo, iniziando a mordere la pelle anche lì.
Stringo la sua maglietta, è una sensazione così strana, particolare… bella.
Lui è bello. È perfetto.
Mi spinge lentamente contro il muro, tornando a baciarmi, a divorarmi di baci.
Quando sento la mia schiena a contatto col muro freddo, apro gli occhi, andando a cercare il suo viso.
Lui poggia entrambi gli avambracci contro il muro, chiudendomi nella gabbia del suo corpo. E io non ho certo intenzione di fuggire. Mi guarda, anche lui, con le labbra arrossate e gonfie.
Sollevo le mani, le poggio entrambe sul suo viso.
Lui si avvicina, mi da un bacio a fior di labbra. Quando si allontana, sono io a cercarlo, per baciarlo. Come se non volessi lasciarlo più andare. Ed è davvero così.
« Mi sei mancato terribilmente… » mormoro chinando appena lo sguardo, imbarazzata.
« Guardami, Jo. » mi sussurra lui, e riesco a sentire il suo fiato accarezzare la mia pelle, anche se parla a voce così bassa che a stenti riesco a sentirlo io.
È un tocco sensuale, una carezza leggera, la sua voce.
Sollevo gli occhi, di nuovo, a incontrare i suoi.
È serio. Mi osserva, mi studia. Io sposto le mie mani un po’ più indietro, ad accarezzargli distrattamente i capelli.
« Sono sette giorni che non dormo. Non riesco a lavorare, non riesco a concentrarmi, non riesco a fare nulla. Sono sette giorni che ho l’angoscia nel cuore, sento una morsa che non mi fa respirare, sono distratto e perennemente di malumore. Ed è tutto per colpa tua. »
Mi mormora lui. Mi sento terribilmente in colpa. Mi mordo il labbro inferiore sto di nuovo per abbassare lo sguardo a causa della vergogna. Cosa ho fatto… l’ho distrutto. Lo sto facendo stare male. Sono la causa delle sue sofferenze.
« Sono innamorato di te. »
Quest’altro sussurro mi pietrifica. Sussulto, trattenendo il fiato. Lo guardo, stringendo appena la presa sul suo viso. È serio. Non una mossa, non un tremore nello sguardo tradisce i suoi pensieri, le sue emozioni.
« Ma… hai appena detto che io ti faccio stare male… » mormoro flebilmente.
« Lo so. E questo mi fa arrabbiare. Perché non sei esattamente tu a farmi star male… è la tua mancanza accanto a me. Ma è inevitabile… sono follemente, terribilmente innamorato di te. » sussurra ancora, senza togliermi gli occhi di dosso neanche un secondo.
Non posso crederci. Percorro con lo sguardo il suo volto perfetto, i suoi lineamenti da principe, accarezzo i suoi capelli, le sue guance, percorro le curve delle sue labbra.
Lo desidero, tutto. Voglio che i suoi pensieri siano per me, solo per me. Che ogni suo respiro sia mio, ogni battito cardiaco gli ricordi il mio nome.
« Anch’io. » mormoro verso di lui. Il suo sguardo si fa appena sofferente.
« Dimmelo, ti prego. Voglio sentirtelo dire. » mi supplica lui, teneramente.
Non potrei mai dirgli no. Basta essere pavidi, basta temere. Me lo sta chiedendo, con quel tono e quell’espressione che farebbe sciogliere chiunque. Figuriamoci me, che ormai sono completamente assoggettata a lui.
« Sono innamorata di te, Ben. » mormoro nell’imbarazzo più totale.
Lui sorride apertamente, quando me lo sente dire.
« Però » dico sollevando l’indice contro di lui con fare minaccioso « ora basta foto con le ragazze, eh? » dico crucciata, agitando il ditino.
Lui si mette a ridere, allontanandosi.
« Lo sai che non posso evitarlo! »
« Qui c’è da stilare una lista di regole, sì sì. » dico io, sarcasticamente, poggiando le mani sui fianchi. « Ehi, ma dove vai? »  gli chiedo quando realizzo che si sta allontanando.
« Vado a prenderti qualcosa da metterti addosso, forse non te ne accorgi ma sei gelida. » dice lui, aprendo l’ultima porta infondo al corridoio e sparendo all’interno della camera.
Lo seguo lentamente, affacciandomi poi oltre la porta, alla sua ricerca.
Mi lascio sfuggire un’esclamazione quando mi ritrovo nella sua camera da letto.
Sembra… non saprei. Una sala prove, forse.
Prima di tutto, è letteralmente enorme. Sul muro opposto c’è il letto matrimoniale, con la struttura bassa, semplice, squadrata, in legno wengè. Le lenzuola sono beige e marroni. A terra c’è un bel parquet lucido, le pareti sono di un bel marrone caldo, cosparse di quadri etnici, poster… di tutto. La sua camera ha un’atmosfera totalmente diversa rispetto al resto della sua casa. Malgrado sia grande è calda ed accogliente, il che dipende dalle tonalità di marroni e dalle caratteristiche dell’arredamento.
I mobili non sono sfarzosi o classici, ma il legno ne conferisce un’aria “calda”.
Ok, ho finito con la deformazione professionale, giuro.
In fondo alla stanza, c’è un piano rialzato, e i tre muri che sporgono sono completamente in vetro, ora semicoperti da delle persiane. Al centro di questo piano rialzato, c’è una batteria.
Proprio di fronte a me c’è un armadio enorme, che fa angolo e arriva a toccare quasi il comodino basso posto di fianco al letto. In un altro angolo della stanza, c’è una scrivania con un computer portatile che occupa la metà della superficie. Il resto della scrivania è strapieno di buste di tutte le forme, colori e spessori. Di fianco, a terra, c’è una bustona trasparente piena anche quella di buste.
Accanto al letto, dall’altra parte rispetto all’armadio, c’è una libreria enorme, che contiene di tutto: CD musicali, Vinili, DVD, videocassette, libri… è pazzesco, sembra infinita.
Proprio sopra la testiera del letto, vi è la riproduzione enorme di un quadro che io conosco bene: “Il Cavaliere Rosso” di Carlo Carrà, uno degli esponenti del futurismo italiano del primo ‘900.
Un milione di punti al signor Barnes per questa camera da letto.
Lui è di fronte al cassettone posto di fianco all’armadio. Alla mia esclamazione, mentre apre il primo dei cassetti, si volta a guardarmi.
« Ti piace? » mi chiede, lanciando uno sguardo alla camera.
« L’adoro! » esclamo io, avanzando di due passettini, guardandomi intorno. Con la luce soffusa delle lampade da terra poste agli angoli della stanza, sembra ancora più calda e suggestiva.
« Prendi. » mi dice lanciandomi una felpa e dei pantaloncini. « In bagno ci sono anche delle pantofole, se hai freddo ai piedi ti do un paio di calzini. Ah, e sul mobile bianco a sinistra ci sono degli asciugamani puliti. Vieni. »
Posa la sua mano sulla mia schiena e mi conduce verso il bagno.
« Grazie. » dico un attimo imbarazzata. Mi sorride e richiude la porta, lasciandomi sola in bagno.
Sospiro, avvicinandomi allo specchio. Ho le guance paonazze. Non riesco a non sorridere a me stessa. Sono contenta di essere lì, di aver fatto la pazzia.
Prendo un asciugamano e inizio ad asciugarmi il volto, quindi mi spoglio dei miei vestiti fradici, riponendoli nella cesta dei panni sporchi.
Mi asciugo completamente, sono tutta bagnata anche sotto ai vestiti. L’acqua è arrivata ovunque!
Tolgo anche il reggiseno, tanto la felpa mi va così larga che di certo non si nota se ce l’ho oppure no.
Le mutandine dovrò lasciarle ad asciugare lì, temo.
Quando infilo la felpa, l’odore di Ben mi pervade. Oddio, il suo profumo. Mi poggio con la schiena contro il muro e resto qualche istante immobile, ad occhi chiusi, cercando di soffocare il batticuore.

Ben P.o.V.
Chiudo la porta bel bagno, sorridendole. Ha detto bene il poliziotto: sembra un pulcino bagnato. E io mi sto sforzando terribilmente di non appiccicarmi a lei come una ventosa.
Entro in camera, sospiro. Mi siedo sul bordo del letto, mi passo una mano a ravvivare i ciuffi davanti al volto, riflettendo.
Non posso resistere ancora. Le sono stato affianco un mese, anzi di più. E in questo tempo l’ho desiderata come mai mi era successo prima, per nessun altra.
È venuta qui per me. Non è certo la prima che l’ha fatto, ma… lei è speciale.
Mi volto a guardare il mucchio di lettere nell’angolo della stanza. Mi lascio sfuggire un sorriso. Sono forse un pazzo? Di tutte le ragazze del mondo, dovevo innamorarmi proprio di quella che mi ha filato di meno…
Sento la porta aprirsi, e rivolgo lo sguardo in quella direzione.
E lei è lì, sulla porta. Ed è bellissima.
La felpa le va troppo grande, e le arriva a coprire tutte le mani. Anche i pantaloncini sono troppo larghi, e ha dovuto fare un grosso nodo coi laccetti per non farli cadere giù. Dai bordi larghi dei pantaloncini, spuntano le sue gambe, sottili e dal colorito pallido.
La guardo dalla testa ai piedi.
Lei ricambia lo sguardo, in silenzio. Non ce la faccio più.
Mi alzo in piedi, la raggiungo velocemente. Le poggio una mano sulla parte inferiore della schiena, tirandola verso di me.
Mi chino a cercare avidamente le sue labbra. Lei all’inizio sembra sorpresa, ma poco ci vuole perché ceda alla cascata di baci e carezze.
Entrambe le mie mani ora le carezzano la schiena. Le faccio scivolare lentamente, andando a seguire le forme apparentemente celate dalla mia felpa.
Sfioro i suoi fianchi, arrivo fino alle cosce, chinandomi leggermente.
Con un movimento veloce, improvvisamente, la sollevo, facendole divaricare le gambe, prendendola in braccio.
Lei mi circonda il collo con le braccia, aggrappandosi con le ginocchia al mio corpo. Con le mani ancora sotto le sue gambe, la spingo contro il muro, mentre continuiamo a baciarci, dolcemente, mentre le nostre lingue si cercano e s’incontrano.
Ci stacchiamo un attimo, per riprendere fiato. La guardo, lei ricambia lo sguardo.
Si avvicina, mi bacia lentamente, e io socchiudo gli occhi, assaporando la morbidezza delle sue labbra. Ma lei non si allontana. Con la punta della lingua, lentamente, lecca il mio labbro inferiore.
« Mi stai provocando? » mormoro lentamente, aprendo gli occhi per guardarla.
Lei si limita a sorridermi, chinandosi a leccarmi lievemente il collo.
È inevitabile.
Mi sto eccitando. Inizio a sentire il mio corpo ribollire. Sento il sangue pulsarmi nelle vene.
La desidero troppo.
Con lei in braccio, mi allontano dal muro. Lentamente mi dirigo verso il letto, la poso su di esso, e io mi metto a gattoni su di lei, tra le sue gambe divaricate.
Adesso sei mia, solo mia.


Jo P. o. V.
« Mi stai provocando? » mormora lui, a voce bassa, roca, terribilmente sensuale. Mi chiedo se gli venga naturale essere così attraente, o se riesca a simulare anche questo.
Mi limito a sorridergli. Lo sai benissimo.
Io lo voglio, lui mi vuole. Basta aspettare, non resisto più.
Tra le sue braccia, mi lascio portare verso il letto. Mi posa lì, e mi sovrasta, guardandomi.
Mi mordo il labbro inferiore, agitata. Inizio a sentirmi strana, inizio a sentire uno strano calore nel basso ventre. E so cos’è. Sei tu, Ben.
Si china a baciarmi, dolcemente. Ricambio quel bacio, portando le mani ad accarezzargli lentamente la nuca, insinuando le dita tra i suoi capelli.
Scosta le labbra, le porta lentamente sul mio collo, lasciando una scia ardente sul mio viso. Intanto sento le sue mani percorrere le curve del mio corpo, arrivando ai lembi inferiori della felpa.
Inizia a tirarla su, lentamente, mentre con lo sguardo cerca la mia approvazione. Mi limito a sorridergli, rossa come un pomodoro in zona guance.
Lui mi ricambia il sorriso, lievemente, mentre ricomincia a sollevare la felpa. Mi alzo a sedere, in modo che lui riesca a sfilarmela.
Oddio. Sono senza maglietta davanti a lui. Che vergogna.
Scosto lo sguardo, ma lui porta dolcemente la sua mano sul mio viso, e lo ruota in modo da guardarci, inevitabilmente.
Si china di nuovo, mi bacia dolcemente, poi scende a baciare il collo, e bacio dopo bacio scende sempre di più, lentamente.
Mi mordo il labbro inferiore, e trattengo il fiato per qualche secondo quando sento le sue labbra posarsi sul mio seno. Lentamente inizia a giocare con esso, a mordicchiarlo e leccarlo ovunque.
Stringo appena i ciuffi di suoi capelli tra le mie dita, mentre il mio battito cardiaco aumenta e il mio respiro diventa irregolare.
Con una mano mi accarezza l’altro seno, finchè poi non inizia a scendere anche con essa, sfiorandomi la pelle, gentilmente, percorrendo la vita e i fianchi, fino a giungere ai pantaloncini.
Inizio a sentir esplodere il calore che provoca il suo tocco, lo sento espandersi tra le mie gambe, ed è una sensazione che avevo dimenticato essere in grado di provare.
Stacca la bocca dal mio seno, si solleva di nuovo a guardarmi, mentre slaccia lentamente il nodo ai pantaloncini.
Lo guardo anch’io, tormentandomi il labbro inferiore.
Sento la sua mano ritornare appena più su, e poi scivolare lentamente al di sotto del primo strato di stoffa che nasconde la mia intimità.
Trattengo il fiato, di nuovo.
La sua mano scivola all’interno delle mie gambe, accarezzandomi lentamente. Lui continua a guardarmi, osserva la mia reazione, vuole vedere la mia eccitazione crescere visibilmente.
Chiudo gli occhi, respiro profondamente.
Lui continua a massaggiarmi lentamente, premendo appena, con dolcezza, all’altezza del clitoride, come se avesse paura di farmi del male.
Mi lascio sfuggire un gemito, sento chiaramente i miei slip bagnarsi ulteriormente, e inizio a muovere lentamente i fianchi, automaticamente.
« Gli slip sono tutti bagnati… potresti pendere un raffreddore… dobbiamo toglierli. » mi dice lui, a bassa voce, divertito. Apro gli occhi, e lui caccia appena la lingua, con una smorfia maliziosa.
Con entrambe le mani, in ginocchio davanti a me, afferra i lembi dei pantaloncini e degli slip, sfilandomeli via insieme, tendendo le mie gambe.
Adesso che mi vergogno.
Ma dura pochi istanti. Lui si china, mi sorride, mi bacia. In quel momento io afferro la sua maglietta, e inizio a togliergliela. Lui mi aiuta, e in pochi istanti resta solo in boxer, a carponi su di me.
Le mie mani gli accarezzano i pettorali, poi gli addominali, lentamente, fino ad arrivare ai boxer. L’eccitazione è visibile, la stoffa è tesa, quindi so benissimo dove andare a posare la mano.
Inizio a percorrere la lunghezza del suo membro solo con l’indice, avanti e indietro, lentamente. Adesso sono io che guardo lui, e mi compiaccio del suo sguardo dapprima perso nel vuoto, con la bocca socchiusa, ma che poi va a cercare la mia mano, per seguire i miei movimenti.
Inizio a carezzarlo con tutta la mano, premendo appena.
Lui continua a osservare, in silenzio, malgrado io riesca ad avvertire il suo respiro appena irregolare.
Torna a guardarmi, mi sorride. La sua mano di nuovo inizia a giocare col mio seno, coi capezzoli ormai turgidi per l’eccitazione.
Con la mano gli scosto i boxer quanto basta per iniziare a giocare con più libertà.
La sua mano scende, piano piano, insinuandosi di nuovo in mezzo alle mie gambe. Ora le sue dita sono a diretto contatto con la mia intimità. Inizia a stimolare lentamente il clitoride, per poi andare appena più a fondo e insinuare il medio dentro di me, che ormai mi sto completamente abbandonando.
Mi lascio sfuggire un gemito più forte, e sento la sua eccitazione crescere tra le mie mani, al sentirmi gemere così.
Continuiamo a cercarci l’un l’altro. Lui mi morde ovunque, la mia bocca brama la sua pelle, il calore cresce e si mescola con quello del corpo dell’altro.
D’un tratto, Ben si rimette in ginocchio, sfilando completamente i boxer.
Quindi si china di nuovo su di me, inoltrandosi con il suo bacino tra le mie gambe.
Sento il suo corpo posarsi contro il mio, e mi sento bene, mi sento protetta.
Sollevo le mani a carezzargli il viso.
« Fai piano… io ho quasi dimenticato come si fa… » mormoro, accennando un sorriso.
Lui mi guarda, ricambia il sorriso, e si china a baciarmi.
Con le labbra che ancora sfiorano le mie, lentamente, inizia ad entrare dentro di me.
Sposta le labbra sulla mia guancia, mi bacia lentamente, dolcemente, quasi a volermi tranquillizzare, mentre pian piano continua a spingere sempre di più. Io stringo forte i denti, aggrappata con le mani alla sua schiena.
Mi bacia il lobo dell’orecchio, poi di nuovo la guancia, le labbra, mentre lentamente inizia ad entrare e uscire, facendo abituare il mio corpo alla sua presenza.
Lentamente, il dolore lascia spazio a profondi attimi di piacere.
Inizio a gemere, e quando lui capisce che non mi sta più facendo male, inizia ad aumentare il ritmo dei movimenti.
Anch’io inizio a muovere il bacino, aumentando ancora di più il piacere, mentre i miei sensi si offuscano, lasciando spazio solo a lui, al suo corpo che adesso si fonde col mio, ai nostri respiri che si intrecciano, ai nostri sguardi che si sfiorano dolcemente.
Lo guardo, osservo il suo viso, assorto, in estasi. Le sue labbra sono socchiuse, così come i suoi occhi. I capelli scendono a toccargli lievemente gli zigomi, ora lucidi di sudore.
Lo accarezzo, mentre lui continua a muoversi dentro di me, sempre più veloce. Passo le mani tra i suoi capelli, e quando lui inizia ad andare ancora più affondo, involontariamente cerco la sua pelle, su cui soffocare i miei gemiti. Gli  mordo la spalla, poi il collo, e questo sembra piacergli, sembra invogliarlo a muoversi ancora più forte, più veloce.
Poi lui cerca le mie labbra, bramoso, e mentre le divora i nostri respiri affannosi si uniscono, così come i nostri corpi.
E gli attimi passano così, in quella stanza silenziosa, rotta solo dai miei gemiti, i nostri respiri, la nostra voglia di essere uno parte dell’altra.
Il piacere cresce velocemente, prende possesso del mio corpo, e sento lo stesso per lui. Non mi era mai successo prima. Arrivare a questo punto, mai.
Nessuno era mai stato capace di farmi stare così.
Sento il calore ingigantirsi velocemente, e così i miei gemiti si fanno più forti.
« Ben… » Involontariamente mi scappa il suo nome, un sussurro pronunciato con dolce disperazione. E anche lui si lascia sfuggire un gemito, poco prima che quel calore esploda dentro di noi ed entrambi raggiungiamo l’amplesso.
Ed è una cosa bellissima.
È uno sfogo, è come scaricare finalmente tutto quello che ho tenuto dentro per tanto, troppo tempo.
Ti sto dimostrando che sono tua, Ben. Ti sto dimostrando che per me esisti solo tu e nessun altro.
Dura pochi, infiniti istanti.
Mi lascio cadere sul letto, tremante. Guardo il soffitto. Poco dopo, lui mi raggiunge, abbandonandosi su di me, ed entrambi riprendiamo fiato.
Si avvicina, mi bacia dolcemente la guancia.
Ed ecco che succede l’inevitabile.
Jo, sei una stupida.
Le labbra mi tremano, gli occhi mi si fanno lucidi. Lentamente, scende una lacrima. Lui se ne accorge, perché va a bagnare anche il suo viso.
« Jo, che succede? » mi chiede lui, allarmato, ma con una dolcezza che mi fa solo piangere di più.
Si solleva sulle braccia, per guardarmi meglio in volto.
Apro gli occhi, imbarazzata sposto il viso.
« Io… sono felice. Perché… pensavo di non vederti mai più. Sono stata uno schifo senza di te, e… adesso non ci credo che sono qui. » mormoro io, a mezza voce, senza guardarlo.
Lui soffoca una risatina, si alza a sedere, andando a cercare i suoi boxer.
« Come pensi che mi stia sentendo io in questo momento? » mi chiede, mentre è chinato a terra a cercare la sua biancheria.
« N-non lo so… cioè, non so se per te è stato lo stesso. »
« Invece è proprio così. » mi risponde, rialzandosi con i boxer in mano e iniziando a infilarli. « Non considerarmi come Ben l’attore pieno di ragazze che gli muoiono appresso, considerami come Ben il ragazzo che non riusciva ad affezionarsi a qualcuno da anni. » mi dice ironicamente, mentre inizia a infilare la maglietta nera.
Io gli guardo la schiena, i capelli, i muscoli che si tendono a ogni suo movimento. Mi alzo, mi avvicino a lui, lo abbraccio da dietro. Mi accoccolo come un gattino.
« Io sono la ragazza più felice del mondo. E non perché ho appena fatto l’amore con Ben, l’attore famoso… ma perché l’ho fatto con Ben, il ragazzo migliore che potessi mai incontrare. » gli dico a bassa voce, imbarazzata.
Lui rimane qualche istante in silenzio, poi di colpo si gira veloce, mi spinge sul letto e mi abbraccia.
« Ti posso stringere forte e soffocarti? » mi chiede lui, ridendo.
« A tuo rischio e pericolo. » rispondo io, prima che lui stringa più forte l’abbraccio e mi faccia letteralmente scomparire tra le sue braccia.
« Hai freddo? » mi chiede lui, scostando le coperte.
« Un po’. »
« Ti prendo la felpa e i pantaloncini. »
« E gli slip. »
« Non ce n’è bisogno. » caccia la lingua con una smorfia maliziosa.
Scuoto la testa, e mi rivesto quando lui riesce a trovare i miei/suoi vestiti.
Mi infilo subito sotto le coperte, mi accoccolo a me stessa, e lui mi raggiunge dopo qualche istante.
Mi prende tra le braccia, stringe forte, mi sfiora la fronte con le labbra.
« Cosa farai, adesso? » mi chiede a bassa voce, accarezzandomi i capelli.
« Non lo so… ci penserò domani. » mormoro io, avvicinandomi ancora di più a lui, posando la testa nell’incavo tra il suo collo e la spalla.
Lui sorride, annuisce. Mi bacia di nuovo, sul capo. Poi, senza più una parola, ci addormentiamo. 

***

Alèèè! Finalmente ci hanno dato dentro, ne? xD

Dai dai, che carini. u_u

Vabbè! Passiamo ai commentiniii! <3

Dani_k: ahahah sììì morti continue alla vista di Ben! xD Comunque povera Jo, le aveva lasciate un attimo dietro di sè per chiamare! Non è colpa sua se porta sfiga! xD Purtroppo non ho sfornato il capitolo "domani" (cioè qualche giorno fa x°°) necessitava impegno! Grazie per il commento!^^

linkinstefy: sììì è la sfiga fatta persona xD ma si è riscattata, dai u_u Grazie mille! :D

Lady Nionu: ahahah eccolo qui xD No, per ora non credo le ritroverà! xD Grazie per il commento!^^

debblovers: vedo che la foto che vi ho postato ha fatto il suo bel successo! Ma con un soggetto così, come non potrebbe =ç= Grazie per il commento!^^

GiO_HP4e: grazieeeee!!^^

carlottina: ahaha grazie per il bellissimo commento! Ehi, c'eri quasi però! Non la mettono in prigione ma la portano in commissariato x°°° si è riscattata la fanciulla! grazie milleee!^^

DarkSakura: in effetti non erano esattamente Ben e un amico eheheheh xD Ma porella tutti a dire che è sbadata u_u (la difendo perchè anch'io sarei capace di lasciarmi le valigie alle spalle mentre telefono!! xD) grazie per il commentooo!^^

jas_93: sono d'accordo! il mio spirito di fangirl voleva farmi scrivere che Jolene non se ne frega niente delle foto e si fa il figaccione che ha di fianco xD Ma cerco di immedesimarmi nei panni di una ragazza che sta realmente vivendo una situazione del genere! Poi col caratteraccio che ha Jo... xDD Grazie per il commento!^^

clacly: accontentata! Ecco il capitolino x° grazie per il commento!^^

Lady Gray: grazie per i molteplici commentiniiii!! :D

Grazie mille per i commentini ragazze, siete davvero troppo buone <3 Spero vi piacerà anche questo capitolo! Un bacione!

Elisa aka Moonlilith

 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo XII ***


XII.

« BEEEEEN… » mugugno lamentosamente quando la luce della mattina inizia a diventare troppo forte, e mi fa svegliare. Subito porto il braccio a cercare il corpo del ragazzo al mio fianco, ma atterra pesantemente sul materasso vuoto e freddo.
Appena realizzo di essere sola, mi alzo improvvisamente a sedere. Coi capelli arruffati e gli occhi che non ne vogliono sapere di rimanere aperti, mi guardo intorno, lasciandomi trasportare da uno sbadiglio.
Mi lascio cadere indietro ributtandomi sul letto, pensando a tutto quello che è successo ieri sera.
« Deheheheeeh… » mi lascio sfuggire una risatina un po’ da rincretinita, ma come potrei ragionare in questo momento? Ho dormito con Ben. Ci ho fatto l’amore, porca paletta. E porca paletta alla seconda, quant’è stato bello.
« Ok, Jo, basta. » mi dico passandomi una mano sul viso, quindi mi rimetto a sedere e lentamente scivolo fuori dal letto. Rabbrividisco per essere uscita da sotto le mie calde coperte, adocchio un paio di ciabatte di Ben e me le infilo. Un po’ goffamente mi dirigo verso la cucina – le ciabatte escon fuori dal mio piede per almeno cinque centimetri – che è immensamente illuminata da una luce che, riflettendosi sul bianco, lo fa diventare così luminoso da sembrare avvolto da un’aura divina. Il che, naturalmente, da un fastidio bestia ai  miei occhi, ancora abituati al buio. « Ma che cazz… » borbotto, avvicinandomi al frigo. Non gli darà fastidio se frugo un po’ qua e là, no? Voglio dire, sono sua ospite, devo mangiare. No?
Apro il frigo, e la visione che mi si para davanti è così triste che mi fa quasi venire le lacrime agli occhi.
Neanche nei miei periodi più neri ho avuto il frigo così dannatamente vuoto. Già, perchè ci trovo soltanto un barattolo di maionese e due bottiglie d’acqua, di cui una ormai alla fine della sua grama vita.
« Wow. » commento, piatta, prima che il brontolio del mio stomaco sovrasti la mia stessa voce. Sospiro, richiudo il frigo, mi volto e sulla penisola della cucina c’è un foglietto, che essendo bianco su dannatamente bianco non avevo notato.
Buongiorno!
Non so se l’hai già notato, ma nel frigo non c’è nulla. Perdonami, è difficile che io mangi a casa! Sono a lavoro, spero di riuscire a fare un salto in tarda mattinata, altrimenti ci vediamo stasera. Nel terzo cassetto della scrivania in camera c’è qualche spicciolo e un altro mazzo di chiavi di casa, se hai fame prendili pure ed esplora un po’ la zona, è piena di bar e fast food.
Ben
Rileggo il bigliettino un paio di volte, osservo il minuscolo cuoricino a prova di lente d’ingrandimento che mi ha scarabocchiato sotto al suo nome. Di nuovo, improvvisamente, spunta sul mio viso un sorriso da ebete. Rimango a crogiolarmi così qualche secondo.
« Ma basta, Jo! Sembri una ragazzina innamorata in piena esplosione ormonale! » mi dico, da sola, cercando di riprendermi. Se qualcuno mi sentisse adesso, probabilmente mi prenderebbe per pazza. E appena finisco di parlare, sento chiudersi la porta dell’ingresso con un tonfo secco.
Mi prende un balzo al cuore, e di scatto mi volto subito nella direzione dell’ingresso, la porta è nascosta da un muro di cartongesso.
« Ben? »
« Ben? »
La mia voce e quella di un’altra persona esclamano all’unisono il nome di Ben. Ok, adesso abbiamo capito di non essere Ben, nessuno dei due.
Resto immobile a fissare il muro che mi separa dalla persona sconosciuta. Non so che fare, cacchio. Non è casa mia e sono vestita con gli abiti di Ben. Mi sento leggermente in difficoltà.
Tutt’un tratto, un ragazzo spunta da dietro il muro, guardandosi intorno.
Subito i nostri sguardi s’incontrano.
« E tu chi sei?! » mi chiede, entrando in cucina, mentre uno strano sorrisino gli compare in viso.
È… è bello. Cioè, ma veramente veramente bello.
Alto tipo venti centimetri più di me, ha i capelli castano scurissimo, corti, arruffati, leggermente ordinati con un ciuffo sulla fronte. Gli occhi sono grandi, nerissimi, è magro e longilineo, e ha un sorriso… ok, non proprio rassicurante, ma che sorriso! Che, in effetti, ha un che di familiare. Ma anche lo sguardo. Ma tremendamente familiare.
Si vede che ci tiene alla moda, anche. Almeno, così sembrerebbe. Camicia bianca, sbottonata e tenuta fuori dai pantaloni, sotto ad una giacca di velluto nero. Jeans grigi, non troppo stretti, mocassini neri, lucidi.
Sì, mi ricorda proprio qualcuno.
E mi da un mare fastidio il modo in cui mi sta studiando dalla testa ai piedi, e soprattutto come si sofferma sulle mie gambe. Mi sorride, affabile, e si avvicina.
« Sei una nuova amichetta di Ben, immagino. » mi dice, continuando ad avanzare verso di me.
Io indietreggio di un solo passo e finisco col sedere contro la cucina. Mi sembra giusto.
Ma aspetta. Nuova amichetta di Ben? Nuova? Perché, ce ne sono di vecchie?
« Nuova? » mi vien fuori spontaneamente, ma poi mi pento di aver parlato.
Lui si mette a ridere, portando una mano in tasca e l’altra a coprirsi gli occhi. Poi mi guarda, ancora sorridendo ironicamente.
« Siete tutte uguali! Pensavi di essere l’unica e sola? » mi chiede, arrivando ormai a due passi da me.
Aggrotto le sopracciglia. Con le sue parole, mi viene un atroce dubbio. Ma di certo non gliela do vinta a questo damerino qua.
« E tu, invece, chi saresti? Il maggiordomo di Ben che viene a far le pulizie e a pagare cercando di rimorchiare le ragazze che sbavano per il tuo padrone? » rispondo io, sorridendo sarcasticamente e incrociando le braccia.
Lui assottiglia un attimo le palpebre e in pochi istanti mi è vicino.
« Attenta a quello che dici, ragazzina. » mi dice a bassa voce, sempre col sorrisino un po’ inquietante. « Io non ho bisogno di pagare né di servire nessuno, se voglio una cosa me la prendo, ok? » mi dice, affabilmente. Però mi sto un po’ allarmando. Ma giusto un tantino, eh. Ma chi diavolo è?
Mi prende il mento tra il pollice e l’indice, e mentre lo osservo in silenzio mi preparo per tirargli una ginocchiata in mezzo ai gioielli di famiglia.
« Devo dire che il fratellone questa volta ha scelto proprio bene, almeno sai controbattere. » mi mormora, osservandomi ancora, senza nessun ritegno.
« Potresti rimanere sorpreso di tutti i mille modi che conosco per controbattere. » rispondo io, ma proprio quando sto per tirargli la ginocchiata progettata, la porta di apre di nuovo.
« JACK! » sento tuonare mentre dei passi veloci si avvicinano. Dopo un secondo, Ben entra in cucina velocemente, e Jack, il tizio insomma, mi si allontana con altrettanta velocità, ma non abbastanza per non far vedere a Ben la posizione in cui ci trovavamo. « Lo sapevo, io! Non te le dovevo dare quelle chiavi! » sbraita contro il ragazzo. Io rimango a bocca aperta, con la gamba in procinto di ginocchiata, a guardare i due.
Ben toglie i Rayban e li posa sulla penisola della cucina, mi lancia uno sguardo, poi punta il dito minacciosamente contro Jack.
« Cosa stavi facendo, eh? Non ti azzardare mai più ad avvicinarti a lei e fare il coglione, chiaro? » gli dice Ben, agitando il ditino.
Jack scoppia a ridere.
« Ma dai, fratellone! La stavo solo mettendo alla prova! È una tipa tosta, eh?! » dice lui, sollevando le mani in segno di resa e ridacchiando.
Fratellone? Oh. Stavo per distruggere la virilità del fratello di Ben?
Ben sospira, poi si volta a guardarmi.
« Lascialo perdere, Jo, non prenderlo sul serio. Scommetto che ti ha recitato la parte della “nuova amichetta”, vero? » mi dice disegnando in aria le due virgolette. « Pensa che l’ha fatto anche con Dana, quando ha iniziato a lavorare per me e l’ha vista qui la prima volta. »
« E chi è Dana, scusa? » gli sbotto io, lasciando perdere tutto il discorso su suo fratello, mentre sento già la gelosia affiorare.
« Ma come chi è? È la mia manager, l’hai anche conosciuta in albergo, quando sei venuta a cercarmi, no? » esclama lui, avvicinandosi a me per cingermi con le braccia.
No, aspetta.
« Tesoro. Tu sapevi che io sono venuta a cercarti in albergo? » gli chiedo minacciosa, col corruccio.
« Certo, me l’ha detto Dana. » risponde lui, sorridendomi. Suo fratello osserva in silenzio, sornione.
« Cioè non mi hai chiamata pur sapendo che ti avevo cercato?! » esclamo incredula, senza ricambiare l’abbraccio.
« Volevo farti un po’ cuocere nel tuo brodo! » risponde lui, sgranando gli occhi innocentemente. Che attorone.
« Ben, amore, sei un bel pezzo di merda! » esclama suo fratello, mettendosi a ridere.
« Tuo fratello ha ragione. » gli dico annuendo.
« Mio fratello è un cretino. » mi risponde lui, ora sorridendomi allegramente, senza neanche guardare Jack.
« Anche, sì, ma ha ragione. » rispondo io prontamente.
« Grazie, io sono sempre qui. » s’intromette di nuovo Jack, ricordandoci la sua presenza, incrociando le braccia. « Ma dove l’hai trovata questa tipetta così acida?! » sbotta poi prendendomi in giro.
« Ben, sto per commettere un fratricidio. » dico girandomi verso Jack e cercando un oggetto contundente da tirargli addosso.
« Buonaaaa… » mi dice Ben, cercando di trattenermi.
Jack si allontana prontamente.
« Ehi ma è pericolosa! Mi fa paura! »
« E non hai ancora visto niente, fratellino! » grugnisco io, guardandolo torva.
« Però Ben, stavolta ci hai azzeccato, ti sei scelto una bella panterina sexy! » dice Jack, ignorandomi deliberatamente.
« Se non la smetti il fratricidio lo commetto io… » gli risponde Ben, ma trattenendo a stento una risata. China il capo con l’illusione di potersi in qualche modo nascondere da me.
« Ah bene, bella la coalizione maschile, complimenti! » esclamo andando a pizzicare con le unghie la pelle delle braccia di Ben, che ancora mi cingono la vita.
Con un urlo di dolore lui le sposta velocemente.
« Ma che ti salta in mente?! » sbotta massaggiandosi i punti in cui son rimaste delle belle mezzelune, traccia delle mie unghie.
« Non parlarmi, ce l’ho ancora con te! E adesso esco! » esclamo, girandomi e andando verso la camera da letto.
« Sì, e dove vai?! I tuoi vestiti sono tra i panni da lavare, e ti ricordo che non hai più valigie e documenti… » mi dice lui, girando l’angolo e appoggiandosi al muro, con le mani in tasca.
E che cavolo, c’ha ragione! Mi blocco, sbuffo, sollevando la frangetta, e resto immobile, con il muso, a braccia conserte.
« Però… » inizia a dire lui, cantilenando un po’. Sento un rumore un po’ plasticoso alle mie spalle. « Sono riuscito a comprarti qualcosa… Ma se non cambi quell’espressione lì, non ti do proprio niente! » conclude la frase, avvicinandosi alle mie spalle.
« Tzè, non ho bisogno dei tuoi vestiti! Aria aria! » dico agitando la mano in aria.
Lui si mette a ridere, e mi si sta avvicinando ancora, ma improvvisamente inizia a squillargli il telefono.
« Ecco che lo richiamano all’ordine! Beh fratellone, ci si vede! Io vado! » dice Jack, comparendo dalla cucina. Mi s’inchina, platealmente, con un sorrisino da schiaffi. « Signorina Non-so-come-ti-chiami, è stato un gran piacere conoscerti e battibeccare con te! » esclama poi, rialzandosi in piedi.
« Piacere mio, carissimo. » gli rispondo sarcasticamente, tendendo a stenti un sorriso.
Anche se, infondo, sembra abbastanza divertente come tipo. Ma infondo.
Mi volto verso Ben, mentre Jack lo saluta solo con la mano e esce di casa. Intanto lui è al telefono, e mi da le spalle.
« A-ah… sì… sì, arrivo subito, cioè, il prima possibile. » borbotta, portando una mano a scompigliarsi i capelli. « Ok, subito. » aggiunge dopo un po’, con un leggero tono scocciato. Chiude il cellulare, e si volta verso di me, sorridendo colpevole. « Volevo portarti un po’ in giro, ma… purtroppo devo tornare al lavoro. » si avvicina, mi tende la busta con i vestiti. « Usali per fare un giro, se vuoi? »
« Ma… » inizio io, prendendo la busta. Sospiro, metto di nuovo il muso. « Vabbè, niente. »
Ma perché non posso andare con lui? Non posso seguirlo sul set? Dio, non lo vedevo da ieri e già mi mancava da morire. Dovrei stare fino a stasera lontana da lui?
Vorrei chiederglielo, vorrei chiedergli di portarmi con lui… oh, beh, gli chiederei di portarmi anche in Antartide, pur di stare insieme.
L’angoscia cala improvvisamente su di me ed evidentemente anche sul mio volto, visto che Ben sembra accorgersene. Stringe le labbra, mi guarda qualche secondo crucciato, stringendosi un po’ nelle spalle.
« Mi dispiace Jo, so che è difficile per te spostarti da sola per il quartiere, ma devo davvero scappare. » mi dice lui, supplichevole.
Non ha capito niente.
Sospiro, guardandolo, quindi annuisco abbassando lo sguardo.
« Va bene, dai. » accenno un sorrisino « Verso che ora torni? » chiedo poi, ritornando a guardarlo.
Lui arriccia le labbra, in difficoltà. Solleva la mano a grattarsi il capo, e lo sguardo vaga oltre la mia testa.
« Ehm… Non avrei un orario preciso. Potrebbe essere tra due ore, come potrebbe essere a notte inoltrata. Dipende da come vanno le riprese. » dice vagamente.
Io lo fisso, stringo appena le labbra una contro l’altra, mentre la pericolosa voglia di tirargli in faccia la busta coi vestiti inizia a farsi spazio dentro di me. Cos’è quest’aria vaga? Questo modo di fare? Non mi piace, per niente.
Respiro, a fondo. Rilassati, Jo. È il suo lavoro, è imprevedibile. Su, fai la brava ragazza matura. Socchiudo gli occhi, ancora due profondi respiri, quindi annuisco.
« Va bene, a più tardi allora. » ripeto come poco prima, senza una particolare inclinazione vocale.
Lui mi sorride, in un misto tra l’intenerito e il mortificato, quindi si china appena, giusto per sfiorare le mie labbra con le sue, posando delicatamente la mano destra sulla mia guancia, carezzandola appena col pollice.
Trattengo il fiato, mentre un delizioso profumo di vaniglia mi avvolge. Socchiudo gli occhi per gustarmi quel fugace momento, e quando li riapro lui è già che corre di gran carriera verso la porta d’ingresso. Lo guardo allontanarsi e sparire dietro l’uscio, mentre sospiro, facendo placidamente ondeggiare la busta con i vestiti. Ma guarda te che effetto mi deve fare questo ragazzo, soltanto con un bacio così casto.
Arresa al mio amaro destino, vado a cambiarmi, indossando gli abiti che mi ha comprato Ben. Che dimostra di avere un ottimo occhio nella taglia.
Sfilo via la sua maglia, i suoi boxer, i suoi calzini. Nuda mi guardo allo specchio, osservo il mio corpo dall’incarnato pallido, percorro tutte le sue rotondità.
Poi lo sguardo sale, lentamente, fino ad incontrare il suo riflesso nello specchio. Mi sento così anonima. Così… normale. Insipida, confronto a lui. Ora lui andrà a lavorare, in mezzo alla gente, agli amici, si divertirà e s’impegnerà, non per se stesso, ma per gli altri.
E io?
Io non ho nulla da fare. Sono qui, a guardarmi allo specchio. Il fatto di aver preso e mollato in tronco l’università e gli esami imminenti sta iniziando a turbarmi. Osservo i vestiti che lui mi ha comprato, stesi ordinatamente sul letto. Non voglio fare la mantenuta. Non voglio vivere a sue spese. Sospiro profondamente, e lenta mi dirigo in bagno, per fare una doccia rinfrescante.
Sotto il getto di acqua tiepida, quei pensieri che pensavo sarebbero fluiti via con l’acqua che accarezza i miei capelli e il mio corpo, si fanno anzi più martellanti e confusi.
Non voglio che lui debba badare a me. Io, proprio io, che ho tanto lottato per riuscire a realizzarmi, per riuscire a vivere da sola e senza il sostegno di nessuno, proprio io che dal giorno di quell’incidente mi ero ripromessa che nessuno mai sarebbe stato tanto importante per me da farmi sentire perduta nel caso in cui mi avesse abbandonata… proprio io, ora esco dalla doccia di Ben, mi asciugo con il suo accappatoio, indosso gli slip e il reggiseno che lui mi ha comprato, lascio che il vestito di cotone leggero che lui ha scelto proprio per me scivoli morbidamente a coprire la mia pelle.
Mi asciugo i capelli col suo phon, spruzzo sul mio collo il suo profumo, che mi fa avvampare, perché mi ricorda dannatamente la notte che abbiamo passato insieme, qui, nel suo letto.
E tutto questo mi rende nervosa, affranta, insoddisfatta.
Esco di casa, sperando di trovar distrazione – e quindi conforto – nelle strade di Londra.
Prima di tutto mi dirigo al Commissariato, di nuovo. Sì, perché oltre ad essere mantenuta, al momento senza documenti non sono nessuno.
Che pazza, pazza, pazza che sono stata.
Solo il pensiero di Ben, i suoi abbracci, il sapore delle sue labbra sulle mie, mi fanno star serena per pochi istanti. Ma poi i pensieri riaffiorano, più violenti di prima, incessabili.
Non so cosa fare.

***

Ben P.O.V.

Stancamente, cercando di far il meno rumore possibile, giro la chiave quel che serve per far scattare la serratura dell’ingresso di casa.
Richiudo con la stessa accortezza la porta alle mie spalle. La casa è buia, illuminata solo dalla fioca luce che proviene dalla camera da letto.
Nei miei pensieri le battute del copione si accavallano. Mi fa male la testa. Mi bruciano gli occhi. Ciondolo lentamente verso la mia camera, come ipnotizzato dalla luce tremante.
E quando arrivo sulla soglia della mia camera, lì mi fermo, poggiandomi contro lo stipite. Un angelo è steso sul mio letto. Ancora totalmente vestita, con quell’abito turchese che le avvolge il corpo, le gambe esili che spiccano in netto contrasto con le coperte scure, abbandonate placidamente, leggermente piegate verso il busto. Le mani entrambe portate sotto la guancia, come fossero un cuscino per quel volto addormentato, disteso, le labbra di quel rosa così intenso schiuse a respirare gentilmente, così tanto che il respiro neanche si sente. I capelli scuri scendono morbidi sulle guance, sulle spalle scoperte, sul collo.
Accanto al corpo, un libro aperto alle prime pagine, quasi come se aspettasse da un momento all’altro che quelle mani affusolate lo accarezzino ancora. Beate quelle pagine, che si sono crogiolate sotto quel tocco, in tutto questo tempo.
Resto così, a fissarla, a contemplarla quasi, estasiato, riscaldato da quella visione. Non pensavo che sarebbe stata una sensazione così dolce, ritornare e trovarla stesa sul mio letto.
Un lieve sorriso, appena provato dalla stanchezza, nasce sul mio volto. Mi avvicino lentamente, mi siedo quasi ai piedi del letto, accanto a lei, a guardarla.
Sollevo la mano, e gentilmente vado a sfiorarle la gota calda, carezzandola come fosse fatta di cristallo scostando appena i suoi capelli morbidi.
Cosa ti ho fatto, Jo?
Non dovresti essere qui. Non dovresti stare dietro a me.
Io… Io posso provocarti solo sofferenza.
Sono un bastardo.
Le labbra di lei si chiudono, si arricciano un attimo in modo delizioso, quindi schiude gli occhi assonnati. Sbatte le palpebre un paio di volte, senza mai aprirle del tutto, prima di portare il suo sguardo color ghiaccio a cercar il mio.
Onice contro diamante.
Ogni volta è una fitta al cuore.
Le sue labbra s’increspano in un sorrisino, e io non posso più trattenermi, mi chino verso di lei, e poso le mie labbra sulle sue, quasi come a cercar riparo, ristoro con la loro dolcezza.
« Sei già tornato? » mormora lei, con la voce appena rauca, bassa, quando mi allontano appena.
Accenno una risatina. « Ma sono le quattro del mattino. » mormoro io in risposta, carezzandola ancora, mentre il mio sorriso s’allarga, di fronte all’espressione stupita che subito cerca di camuffare.
« Oh… Io… Sai, leggendo il tempo passa senza accorgersene. » dice in risposta, come a voler negare il fatto che si fosse già addormentata da tempo, a furia di aspettarmi.
Di rimando io annuisco soltanto, divertito, e quando lei va a scostarsi un attimo per farmi spazio, ne approfitto subito e mi stendo di fianco.
Mi lascio sfuggire un sospiro stanco, mentre sento la schiena chiedere pietà, e i muscoli del corpo tutti intorpiditi.
Improvvisamente il suo profumo mi avvolge, quando va a posare il suo viso sulla mia spalla, vicino all’incavo del collo. Piego appena il capo, affondo le narici tra i suoi capelli, inspiro appieno, e quel profumo è quasi come morfina per me. La stringo a me, lascio che i nostri corpi aderiscano, caldi. Per qualche meraviglioso secondo mi sento tranquillo, e rilassato.
« Mi hai lasciata da sola tutto il giorno. Questa me la paghi. » mormora lei, con voce sempre più strascicata, come se stesse già di nuovo sprofondando nel regno di Morfeo.
« Va bene » mormoro io, dolcemente, mentre le carezzo il capo, e allungo l’altra mano a spegnere l’abat-jour.
E, per fortuna, lei non può vedere l’espressione contratta del mio viso.

*-*-*-*

Ciao a tutti! Spero davvero possiate perdonare l'incredibile lasso di tempo che ho fatto passare prima di pubblicare questo capitolo. Purtroppo, quando l'ispirazione non arriva, c'è poco da fare!
Spero comunque vi possa piacere. Ho visto che nel frattempo il sito è cambiato un po', e posso rispondere direttamente alle recensioni, mi ci metto subito.
A presto (spero!)
Se volete seguirmi al di fuori di EFP, vi lascio il link del mio blog: http://multicolorlips.blogspot.com
Un bacione :3

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=350358