Il Comandante Guerriero

di BambuBaoBab
(/viewuser.php?uid=860178)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Comandante Guerriero ***
Capitolo 2: *** Il Mio Mondo ***
Capitolo 3: *** Lo Prometto ***



Capitolo 1
*** Il Comandante Guerriero ***


Essendo un amante della storia pre-medievale ho voluto catapultare i miei personaggi durante l’invasione della Bretagna da parte dell’Impero Romano. All’incirca il 400 DC, ma non ho pretese di una esatta attinenza storica.

 Il racconto doveva essere una one- shot ma mi sono trovata a doverla spezzettare in tre parti perché troppo lunga !

 

PARTE UNO

Il comandante guerriero

 

  Strattonai  il cavallo per rallentarne l’andatura. Dietro di me sentivo i respiri affannati del mio esercito.

Ribelli, osavano chiamarci. Dopo che avevano distrutto le nostre case e invaso la nostra terra, osavano additarci se ci insorgevamo. Che ci chiamassero come volevano. Dal  mio canto eravamo difensori. Sulla mia schiena il peso delle due asce era sempre più grande. Come se con l’avvicinarsi della battaglia , si appesantissero di importanza e significato. Ricordavo ancora quando il Saggio me le aveva consegnate.

 

Entrai nella sua capanna, irruente come era mio solito. Non ero tipo molto dedito alle riverenze e agli inchini, tanto che restai in piedi ed incrociai le braccia mentre  non mi guardava seduto  da dietro il suo tavolo delle mappe. Nonostante questo lui sapeva che nutrivo un profondo rispetto.

- Mi ha chiamato?

Tenendo il capo chinato e mi fece segno di sedermi.

-  Preferisco stare in piedi signore… ho molto da fare.

Non accennò a guardarmi ma mi rivolse la parola con franchezza:

- E io preferisco che ti sieda figliolo perché ciò che ti devo riferire è della massima importanza. E come ti ripeto , da non so ormai quanto tempo ,non chiamarmi signore.

La sua voce era un vecchio ,caldo, severo e roco sussurro.

- Si....- borbottai sedendomi sul ceppo intagliato - perché mi ha chiamato?

Sospirò e quando mi sedetti mi guardò negli occhi. Potevo vedere la stanchezza nelle sue iridi celesti.

- Miok e Caradek sono tornati dalla ispezione. Quello che dicono le altre tribù è vero. Degli sconosciuti sono approdati sulla nostra terra.

Lo ascoltavo in silenzio, abbagliato dalla sua lucidità e dal suo contegno.

- Dobbiamo difenderci , figliolo. Oramai Paragas è troppo vecchio per guidare e riunire l’esercito.- sospirò come esausto e nella pesantezza di quel semplice movimento si leggevano tutti i suoi anni – Come ben sai, siamo un popolo di comandanti guerrieri e quindi non ho pensato a migliore persona a cui affidare l’esercito…che te.

Deglutii sileziosamente…la gola era diventata secca all’improvviso.

- Perciò, vorresti accettare la doppia ascia e con questa il comando della nostra armata?

Indicò le due asce incrociate e appoggiato al fianco del tavolo.

- Pensavo che quelle fossero di Paragas… -risposi.

Il vecchio rise.

- Nonostante ti sia sempre preoccupato di bagnare nel sangue la tua spada nera per noi, non ti sei mia preoccupato di capire le nostre tradizioni. Con il comando, vengono tramandate, da secoli,  queste asce , con cui i miei antenati hanno conquistato la nostra terra. Queste scuri sono antiche, più antiche di me e ricche di potere. Un singolo uomo non può vantare di possederle.

Senza dire nulla mi alzai e le afferrai. Le feci roteare e una mi passo a un centimetro dall’orecchio, sibilandomi parole nella crudele lingua del ferro.

Il vecchio sorrise e posò la schiena contro la pelliccia della sua sedia, soddisfatto.

- Ho visto molti grandi guerrieri, figli di queste terre portarle ma mai a nessuno sono state bene quanto a te, straniero.

Sorrisi. Capitava raramente che mi chiamasse  così. Il comico era che lo alternava “ figliolo”. Non amava il mio vero nome forse perché credeva mi legasse ancora a quel passato oscuro che avevo dimenticato. In realtà il mio nome era l’unica cosa che mi legava al passato. Quello e una collana che portavo al collo arrivato li, e che avevo regalato a mia moglie il giorno delle nozze. Non avevo più ricordi di ciò che ero se non che ero un guerriero. E che  mi chiamavo Vegeta.

Mi infilai la fodera e me le fissai alla schiena .Il vecchio mi contemplò ancora per un attimo e poi sentenziò:

- Vai figliolo…secondo Miok saranno nel nostro territorio  prima dell’alba. Hai una battaglia da organizzare.

 

 Da quel giorno erano passati circa 6 mesi. Avevo imparato tutto di quel nemico. Della sua vigliaccheria, dei suoi colpi bassi, del suo disprezzo per l’onore. Avevo imparato a odiare il loro comandante. E  tutto il suo esercito. Il rumore degli zoccoli mi rimbombava nella testa ogni volta che pensavo a lui. Ma non erano quelli del mio cavallo. Sentivo il calore del fuoco. Anche se fuori gelava.  Mi girai.

Mio figlio, camminava spedito, ed eretto nonostante il peso della sua spada. Aveva circa 15 anni. Era un leone. La sua chioma violacea era trascinata dal vento. I suoi occhi erano carichi di odio, il suo viso teso come la corda di un arco.

Il rumore degli zoccoli nella mia testa mi rapì e gli occhi avvelenati di mio  figlio accesero il ricordo.

 

Faceva freddo in quei giorni. Ma non aveva ancora nevicato. La mia bambina non aspettava altro. Da parte mia detestavo la neve. Eravamo appena tornati vittoriosi da una schermaglia con il nemico. Mio figlio era felice .Era un ottimo arciere e la sua arma intagliata nelle possenti corna di un alce torreggiava su di lui senza riuscire a scalfirne la fierezza. L’unica cosa che ancora lo legava alla sua infanzia era il meraviglioso sorriso che gli illuminava il volto. Poi in lontananza fumo. E lo stridio dei cavalli.

Dalla collina potemmo vedere meglio. Il villaggio era stato attaccato.

Il mio gruppo di uomini e io ci gettammo nella coltre di fumo. Non vi erano molti di noi per le strade e la maggior parte degli uomini restati a pattugliare erano morti, sventarti ed impalati come quando mettiamo a dissanguare le bestie. Poi notai che le capanne erano state sigillate. Pesanti assi di legno erano state inchiodate alle porte, i carretti erano stati spinti danti agli usci.  

Appena svoltammo per la strada principale spuntarono loro. Demoni , in sella a cavalli bianchi come la neve.  Inneggiavano al loro comandante mentre con delle fiaccole scarlatte incendiavano le nostre case. Molte, quelle più lontane dal portone principale fumavano già di un fuoco esausto. Nelle orecchie solo il rumore degli zoccoli e il loro coro festoso.

Il mio cavallo corse verso di loro, verso la fine del villaggio, verso casa mia. Con la mia ascia tesa, uccidevo chiunque mi si parasse davanti, ma non rallentavo. Alcuni miei uomini si gettarono su di loro, altri accorsero alle loro case. I demoni si scontarono con i miei per poi correre verso il portone principale in sella ai loro cavalli freschi, che avevano corso solo dietro donne e bambini.

Davanti a casa mia, chiusa e incendiata, ebbi un tuffo al cuore. Smontai da cavallo e sfondai la porta con un solo colpo. Mia moglie era davanti a me. Inginocchiata , svenuta, davanti a una delle finestre , forse per sfondarla. Erano stati accorti a chiuderle dentro. La sua pelle era annerita dal fumo il caldo insopportabile.

La sollevai e corsi verso la camera da  letto dei miei figli.

La mia bambina, di soli sette anni giaceva anche lei di fronte alla porta . Con la mia spada nelle fragili manine.  Le raccolsi e dietro di me sentii il richiamo, disperato, di mio figlio;  Mi raggiunse prese la sorella e corremmo fuori.

Le lasciai a lui e risalii a cavallo. Le mie asce roteavano vendicatrici e mietevano vittime, raccogliendo gli ultimi bastardi che si erano ritardati a saccheggiare e godere dei fuochi che bruciavano. Urla indicibili sfregiavano l’aria.

Poi lo vidi. Era su un cavallo e contemplava il lavoro fatto. Lanciai un urlo e gli cavalcai incontro. Lo avevo visto solo di lontano in battaglia poiché da loro i comandanti non sono guerrieri, e si tengono a debita distanza dalla mischia.

Mi vide arrivare e sbarrò gli occhi. Lessi più la sorpresa che la paura. Gli volai incontro come un’aquila e agitavo le asce come se fossero i miei artigli e le mie ali.

Lui mosse il cavallo e si gettò alla fuga. I suoi lo seguirono in un attimo, dividendomi da lui. Mi davano le spalle e non li colpii. Sono un uomo d’onore e d’orgoglio. Fino alla fine.

-Sarò l’ultima cosa che vedrai su questa terra….-urlai mentre scappavano

Il coro dei soldati mi suggerì il suo nome

-  Kakaroth , Kakaroth, Kakaroth!!!

-….Kakaroth!

Poi mi voltai e cavalcai verso casa mia. Mio figlio piangeva stremato. Mia moglie era stesa scomposta sull’erba. La presi e portai il suo viso al mio. Il suo profumo sovrastava anche l’odore del fuoco, del fumo. La strinsi forte come se potesse rispondere al mio abbraccio. La mia casa bruciava mentre il mio cuore sanguinava. Affondai il muso nelle sue spalle magre , mentre la sua testa cadeva all’indietro, e la respirai per l’ultima volta. Non piangevo. Le baciai leggero la bocca e le accarezzai i capelli celesti. Sentivo il mio respiro come ostacolato da un enorme macigno.  Non poteva lasciarmi…non doveva lasciarmi. Le accarezzai il collo tremando…la mia mano si fermò sulla sua collana. In quel momento i ricordi mi assalirono. Le toccai le mani. Erano ricoperte di ferite. Chissà con quale forza aveva combattuto. Era coperta  da croste su tutto il corpo, sulla sua pelle candida, come se fosse piovuto sangue su un cigno. Ma per me era perfetta. Le accarezzai il volto e , che gli astri mi siano testimoni, se in quel momento avessi potuto donarle la mia vita l’avrei fatto. Guardai Trunks inginocchiato sulla sorella. Le sue spalle tremavano per il pianto. La copriva come per proteggerla. I suoi piedini solo non erano coperti. Aveva tentato di forzare una  finestra con la spada. Quindi aveva avuto il tempo di prenderla. Pensai al dolore che doveva aver provato soffocando e per un infinito istante soffocai anche io.

Da dietro una mano mi prese la spalla. La riconobbi affusolata e  secca.

- Vada via Vecchio….- sussurrai.

In quel momento nessuno meritava rispetto se non mia moglie e mia figlia.

- Una volta un mio amico rimase in una caverna sotterranea per tre giorni….- disse, intuendo i miei pensieri.

- STIA ZITTO!! – urlai. La sua presenza era un insulto in quel momento.

Trunks prese a piangere più forte.

- ...e quando lo tirarono fuor i - continuò -  era quasi morto soffocato.

Non sarebbe andato via nemmeno se lo avessi minacciato. E allora stetti in silenzio aspettando.

  - …e gli chiedemmo cosa si provasse. Ci disse che era come un agonia…dove senti ogni cellula del tuo essere spegnersi in delle convulsioni di dolore.

La collera divenne insopportabile. Ogni muscolo del mio corpo si tese nella rabbia e nel dolore. Trunks ormai era l’ombra di se stesso, scioltosi nelle lacrime.

- E QUESTO COME PENSA MI POSSA AIUTARE!?!?- gridai voltandomi verso di lui incapace di alzarmi. Aveva il viso tumefatto e sangue sulle mani e sulla barba bianca.

Sospirò….e mi strinse ancora la mano sulla spalla.

-Non può…figliolo.

Mi curvai ancora di più su la mia amata.  Poi lo vidi. Candido , freddo e bagnato. Il primo fiocco di neve cadde a pochi centimetri dalla sua mano. Alzai lo sguardo. Il cielo ne era pieno… e con loro caddero le mie lacrime

 

  Il rumore dei tamburi mi riportò al presente.  Eravamo vicini. Trunks si accostò al mio cavallo. Ero l’unico in sella tutti gli altri camminavano.

- Il piano rimane quello?

Lo guardai e rividi me stesso. Ma soprattutto rividi Bulma.  Il mio pensiero si indirizzo al  mio matrimonio.

Avevo deciso di sposare Bulma 7 anni dopo la nascita di Trunks. Lui me lo aveva chiesto. Lo stesso saggio aveva celebrato. Aveva anche accompagnato la mia sposa all’altare essendone lo zio. Lei era orfana di padre.

Mi sentivo osservato. Poi quando la vidi, capii che non avrei più avuto l’attenzione di nessuno. Era bellissima. Aveva un vestito corto, celeste. Il suo sorriso avrebbe illuminato qualsiasi cuore quel giorno. Il cielo splendeva e il nostro villaggio e gli altri tre villaggi appartenenti alla tribù sedevano nella radura. Camminava a un metro da terra, almeno così mi raccontò. Io in realtà la percepii determinata e seria, forse contenta perché aveva catturato l’attenzione di tutti. In fondo aveva sempre cercato le attenzioni. E soprattutto sorrideva vedendo che godeva della mia.

Trunks mi stava a fianco e mi teneva stretta la gamba. Era un ometto, e sui suoi capelli corti le sorelle di Bulma avevano posato una corona di foglie rosse.

Bulma si fermò davanti a me, e mi guardò come se mi vedesse per la prima volta.

- Ciao…-mi sussurrò . La sua voce era stridula, ed era una delle cose che meno mi affascinavano di lei. 

 

Il ricordo della sua voce mi fece sussultare. Vicino a me Trunks attendeva una risposta.

- Si…dobbiamo mantenere questa andatura altrimenti arriveremo troppo presto e loro non saranno completamente nella valle.

Annuì silenzioso e serio. Adesso lo era spesso. Aveva smesso di piangere ormai. Sfogava la sua collera nella battaglia. Non sapevo quanto fosse giusto per un ragazzo della sua età… ma non avevo altro da offrirgli.

  -Devi cominciare a richiamare la tua  parte dell’esercito e portarvi in appostamento…voglio la metà delle catapulte e prendi gli arcieri.

Annuì di nuovo e si girò per obbedirmi.

 

Il funerale era stato diverso dal solito. Il vecchio aveva deciso di non bruciare i corpi, così li sotterrammo nel campo dei ciliegi. Erano alberi come altri quell’inverno ma sapevo che in  primavera sarebbe stato speciale. Nessuno parlò…nessuno disse nulla oltre che le sole preghiere. Le decine di tombe erano cariche di angoscia. Su quella di Bulma avevo posato il lenzuolo delle nostre nozze. Si era salvato insieme a poche altre cose. Su quella di Bra vi era una delle sue bambole preferite e la mia spada nera. Nella mia mano stringevo la collana di Bulma. Che era ridiventata mia. Ma che sarebbe stata sempre sua. Come il mio cuore che aveva smesso di appartenermi da quando l’avevo conosciuta.

Di nuovo i miei occhi furono sul mio popolo. Donne, uomini, animali…il mio non era un esercito ma un organo di giustizia e libertà. Lo spirito della mia tribù. Guardai il cielo. Era limpido. E’ un bel giorno per essere liberi…

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Il Mio Mondo ***


Il mio mondo

Uno stridio attirò la mia attenzione. Il falco di Kiok, il cacciatore più  esperto del  villaggio, volava sopra di noi ,come a volerci guidare.

Volava in tondo contro il sole, che brillava tiepido facendo luccicare le punte delle lance e le frecce.

Ormai Trunks era lontano. Sapevo che avrebbe fatto un ottimo lavoro. E sapevo anche che non glielo avrei mai detto. Ero severo con lui, perché sentivo che era quello il modo di comportarmi. Ma lui mi conosceva e mi capiva. Mi capiva sempre anche quando io stesso non mi comprendevo.

Non ricordando nulla della mia storia o della mia educazione dovevo agire d’istinto. Era difficile portarlo in battaglia, e guardarlo ogni volta come se fosse l’ultima senza che potesse sapere cosa pensavo. Ma sentivo che quello era il modo di agire.

Ricordavo con chiarezza quando ancora ragazzino aveva rischiato di morire…e ricordavo la mia angoscia…nell’aver rischiato di perderlo senza che sapesse cosa provavo per lui.

Era inverno, uno dei più rigidi che ricordassi. In tempo di pace, eravamo andati con gli altri a pescare sui laghi ghiacciati. Lo facevamo da quando Trunks aveva 8 anni. Tutti gli altri bambini iniziavano a 10. Ovviamente io avevo insistito perché iniziasse prima.

Aveva 12 anni. Avevamo appena finito di seguire il sentiero e davanti a noi trovammo la grande piattaforma ghiacciata. Era uno spettacolo, ogni anno. Fino all’orizzonte, e per miglia ai tuoi lati, una grande distesa di ghiaccio, correva immobile, bianca, apparentemente  immortale.

Eravamo circa 20. Quel  freddo era sopportabile per pochi. Tutti i ragazzi,  circa 7 ,erano di almeno 4 o 5 anni più  grandi di Trunks.

Noi , adulti,  segammo il ghiaccio e dopo aver tirato via la lastra tondeggiante ci sedemmo intorno per pescare. Quei momenti erano diventati molto importanti per me. In essi si racchiudevano le cose che amavo di più: Il silenzio, il cibo, la tranquillità.

Inoltre mi permetteva di sentirmi inserito nel villaggio. Non che fosse importante per me. Ma sapevo che era importante per Bulma. Spesso non partecipavo attivamente alle discussioni ma mi dimostravo interessato con lo sguardo. Tendevo a essere pungente e gli altri mi trovavano divertente. Non che facessi qualcosa per esserlo. Le mie piccole acutezze bastavano per far scoppiare tutti a ridere. Talvolta le loro risa mi strappavano un sorriso. Ma raramente.

Quel giorno, i ragazzi si erano allontanati per ammirare il ghiacciaio più in là.

Il più grande era Hayren. Aveva 17 anni. Era un ragazzo che perfino io avrei definito bello. Aveva i capelli corvini, e gli occhi di cielo.

Alto ed esperto combattente, era orfano quando arrivai al villaggio. Viveva dal saggio ed era un falco, per intelligenza e agilità…mi colpì. Infatti divenne quasi come un figlio per me e come un fratello per Trunks. Spesso mangiava a casa mia e Bulma gli cuciva i vestiti stracciati e gli puliva  le ferite.

 

 Il vento sibilava insistente nelle mie orecchie e cantava una canzone che suonava in quei luoghi da millenni. Un urlo interruppe il silenzio. Il mio vicino gettò la canna e corse verso il ghiacciaio. Aveva riconosciuto l’urlo del figlio. Tutti lo seguimmo e io mi distanziai dagli altri che rimasero dietro.

Le urla continuavano ma non sentivo quella di Trunks. Mi arrampicai e poco dopo, quando gli altri arrivarono alla base, fui in cima.Tre ragazzi erano in piedi altri due erano chinati verso il precipizio dall’altra parte.

Corsi verso di loro. Uno dei tre si girò:

- Vegeta! Trunks è caduto!

- Cosa?! –urlai gettandomi in ginocchio.

Mi chinai verso il precipizio. Sotto di noi vi era una sporgenza dove scorreva un  ruscello. Oltre il precipizio.

 Nel ruscello scorsi la figura di Trunks impigliato in dei rami sulla base di una roccia.

-TRUNKS!! TIENI DURO, STO ARRIVANDO…

-NO!- rispose  la voce di Hayden . Spuntò da dietro la roccia e cercò di afferrare Trunks.

- Che cosa è successo?-chiesi ai ragazzi

- Hayden era sul bordo, ma il ghiaccio ha ceduto e Trunks tentando di tenerlo è caduto giù insieme a lui. - mi rispose uno.

Mi rivolsi di nuovo al precipizio. Hayden aveva afferrato Trunks e ora stava cercando di strattonarlo dai rami. Faceva perno sulle ginocchia e con uno strattone più forte divincolò mio figlio dagli arbusti.

- Quanto è stato in acqua ?-chiesi senza voltarmi

- Si è fatto almeno 200 metri con la testa sotto, deve averla battuta nella caduta. Hayden lo ha seguito a piedi. La corrente è forte, lo ha sbattuto verso la sponda tante volte.

Mi voltai e in lontananza vidi dove il ghiaccio aveva ceduto.

Deglutii. 200 metri…pensando a quanto tempo aveva passato senza respirare.

Hayden intanto stava strisciando sul tronco di un albero caduto usandolo come ponte. Era stremato. Un osso della gamba era fuori uscito. Sanguinava.  Si caricò Trunks sulle spalle e risalì la parete. Io mi  sporsi  per afferrarli.  La neve era friabile e se mi fossi avvicinato di più gli sarei crollato addosso. Potevo vedere il dolore sul suo volto chiaramente come vedevo il sangue scuro macchiare la neve.

 Dietro di me sentii i gemiti degli altri che risalivano ,pesanti ,la parete.

La chioma viola di mio figlio si fece abbastanza vicina e gli afferrai la spalla. Poi lo tirai su e lo depositai sulla neve.

La viso era pallido e non respirava . Prima che potessi rendermene conto Farnuk, uno dei medicanti del villaggio, che fortunatamente era con noi gli posò le mani guantate sul petto. Mi rivolsi verso il precipizio. Hayden era scivolato più in basso.

-Forza figliolo, ce la puoi fare.- gridai. Stesi il braccio e altra neve scivolò giù per il mio peso. 

Mentre si arrampicava un rigolo di sangue gli uscii dal petto. Aveva una profonda ferita alla spalla.

I rantoli di dolore si fecero più frequenti, i movimenti meno. Avanzò ancora di un passo  e poi riuscì a sfiorarmi le dita. Lo tenni per un secondo. Era freddo, e tremava. Ma non di freddo. Mi guardò per un istante. Il dolore e la paura nei suoi occhi.

Poi la neve sotto la sua gamba  cedette.

-Mi dispiace Vegeta…non c’è la faccio - sussurrò.

Mi scivolò dalle dita precipitò nel vuoto. Finì sulla sponda. Sentii la sua schiena spezzarsi. Il suo viso bellissimo fu inghiottito dalle acque gelide.

Ma non ebbi tempo di compiangere  Hayden. Trunks non respirava. Lo caricai sulle mie spalle ripresi a correre. Solo il vecchio poteva aiutarlo.

Nella mia testa le parole erano accartocciate , tutte unite e impastate.

Non morire…salverò almeno te… lui è morto per salvarti…non puoi morire senza sapere che ti voglio bene….che tu sei il mio mondo.

Non lo avevo mai detto.

Lo dissi solo quando era steso nel suo letto ancora incosciente. Avevo corso senza fermarmi fino alla capanna dell’anziano che mi aveva cacciato fuori e si era chiuso dentro. Me lo aveva riconsegnato dicendomi di posarlo a letto.

Rimase 5 giorni senza svegliarsi. Poi davanti a me spalancò i suoi occhi.

 Non riuscivo a dirglielo, non riuscivo a ripeterlo. Bulma mi capiva. Ma io no.

 

 Tornai nel presente. Sentii la mancanza di Hayden come una scossa nel cuore. Vicino a me si accostò Malakina una ragazza, di circa 18 anni. Era una buona guerriera figlia illegittima di un uomo di qualche altro villaggio. Sua madre e lei fabbricavano le frecce migliori della tribù.

-Perché non sei andata con Trunks?

-Lui ha detto di restare qui. Dice che non potrai avanzare con la copertura delle frecce.

-Loro attaccheranno dai lati, saranno la  mia copertura. – risposi.

-No, dice che gli archi non coprono la metà della valle in gittata. Nemmeno dall’alto. Rimarresti con un buco al centro che ti verrebbe diritto addosso.

Rimasi in silenzio, stupito.

-Trunks è davvero in gamba, Vegeta… nonostante sia freddo come te , in lui brilla la luce di questo popolo.

Sorrisi. Ma solo per una attimo. Era troppo presto per sorridere del ricordo di Bulma. Non era ancora arrivato il momento della tenerezza. Avevo ancora troppa disperazione nel cuore.

- Quanto manca? Ci siamo allontanati molto…

-Se ti sforzi la puoi già vedere in lontananza.- risposi.

Scrutò l’orizzonte…strinse gli occhi. E poi la vide. Le si illuminò il volto pallido. Poi mi guardò raggiante e tornò indietro. Non mi voltai mi limitai a ascoltare. Sentii un mormorio soffuso….poi un urlo!

Mi voltai. Saltavano e  urlavano, inneggiando alla gloria, alla libertà e alla patria.

Lorch salì su una catapulta e iniziò un discorso. Era un grande oratore e poteva realmente spinger le folle a seguirlo ovunque.

-Fratelli - il boato si spense in ascolto sempre proseguendo verso la valle - le nostre terre, la nostra indipendenza, il nostro futuro, sono minacciati da questi nuovi colonizzatori!

Un boato di disapprovazione si alzò e si spense  di nuovo ad un gesto di Lorch.

-La nostra vita è cambiata. Questi che si fanno chiamare romani rivendicano la nostra terra per la loro città! – prese fiato - Vogliono civilizzarci, imporci il loro controllo! Ci vogliono imboccare con lingua pomposa è indecifrabile , di cui snocciolano frasi magniloquenti  ad ogni tiro di vento! Vogliono le nostre case, i nostri boschi!

Un mormorio di disgusto scivolò sulla folla.

- Sapete  che vi dico?! – si accinse a concludere-  Io sono Lorch, bretone da generazioni, parlo solo il bretone e dico che mai onore più grande mi è stato dato che seguire questo straniero, per difendere la mia Bretagna!

La folla si scatenò in un canto della loro tribù, sfegatato . Mi venne in mente la prima volta che lo sentii. Era più melodico, e suonava come un benvenuto.

 Il terreno era umido a causa delle piogge.  Avevo un senso di vuoto interiore. Non ricordavo chi fossi, ne cosa fossi. Nella mia mente erano offuscati i ricordi di quei due giorni a vagare sperduto per la foresta. Sul volto il calore del fuoco….e il profumo di un bel pesce arrostito. Avevo vicino il  saggio. Mi guardava fisso e non si vergognava di fissarmi. Il villaggio era radunato intorno a un grande fuoco e  le vecchie nutrici cantavano il loro inno con ritmiche e melodiche.

I giovani ballavano intono al fuoco. Avevano circa la mia età all’epoca. Le ragazze sembravano affascinate, ma erano tutte troppo timide per invitarmi a unirmi a loro.

Una si fece più vicina a me, ma continuò la danza, oltrepassandomi.  Appena la vidi senza l’abbaglio del fuoco, mi sembrò una dea. Era alta e sinuosa. I capelli castani l’abbracciavano fino alle ginocchia. I suoi occhi erano come degli specchi dove potevo guardare la bellezza del mondo riflessa.

 Poi un’altra uscì dal cerchio per avvicinarsi. Era chiara come la neve. I capelli corti che le abbracciavano il volto. Aveva gli occhi rossi, e mi sembrò una tigre bianca. E anche lei continuò il giro e mi guardò intensamente. Poi una attirò la mia attenzione. Fece una capriola e si fermò di fronte a me. Poi si alzò e mi venne incontro. Era dolce ma aggressiva, discreta ma intrigante. I suoi capelli celesti brillavano alla luce del fuoco e i suoi occhi blu erano grandi come il mare.

 Mi si avvicinò e mi porse la mano.

-Ciao, sono Bulma.

Ero solo. Lei fu il primo mattone con cui ricostruii il mio mondo

 

Il canto si spense. Davanti a noi si aprì la valle. Scorsi fino dall’altra parte. E lo vidi. Mi guardava lo sapevo anche se era troppo lontano  per vederlo.

Tutto scomparì… ogni ricordo svanì.

Davanti a me  solo …..VENDETTA.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Lo Prometto ***


PARTE 3

LO PROMETTO

Il mio cuore era nero. Nero di rabbia, di odio, di disperazione. Mi girai verso il mio esercito che aspettava un mio segnale.

- Compagni! -  urlai. Erano silenziosi e ascoltavano le mie parole – E’ facile dirvi di essere coraggiosi, di non temere la morte, di combattere per la patria.

Cavalcavo lungo la fila di  guerrieri e vidi che il mio avversario non faceva lo stesso. Stava fermo sul ciglio della collina a fissarci, mentre i suoi generali di districavano minacciosi tra le sue fila. Ripresi fiato e continuai.

- Io vi chiedo di guardare il vostro nemico. - molti chinarono il capo - Di guardare chi vi ha tolto la vostra casa e la vostra famiglia, chi ha cambiato la nostra vita. Io vi autorizzo ad odiarli. E ora vi dico che se vinceremo, questo dolore che proviamo, lenirà. E avrete vendetta. E avrete il loro sangue. E i vostri nipoti, i vostri figli, e i vostri  discendenti parleranno di voi…e, lo prometto, verrete ricordati per sempre. Immortali…come il ricordo dei vostri cari.

Il silenzio si fece più  pungente.

- Volete l’immortalità? Volete la libertà? Volete la vendetta?

Respirai profondamente…l’odore dell’erba mi entrò dentro fresca…nella mia mente un immagine candida.

La mia piccola Bra. Niente di più discordante di mia figlia.

Era autunno e la pioggia non accennava a smettere di cadere. Tornavo da una battaglia con un villaggio vicino. Allora ero appena stato promosso capitano di un  piccolo gruppo di guerrieri. Molti più vecchi di me.

Passammo di fianco al fiume e la vidi sul promontorio. Mi stava aspettando. Piccola, appena  4 anni. Guardava dalla parte sbagliata, come al solito. Mi staccai dal gruppo e  salii sul promontorio cercando di non fare rumore. La pioggia mi aiutò. Da dietro era la madre in miniatura. A gambe incrociate , i capelli turchini…da me aveva preso la postura un po’ ricurva. Mi chinai dietro di lei e urlai:

- Chi aspetti?

Lanciò un urlo agghiacciante e poi si girò. Ci ritrovammo naso a naso, i suoi occhioni blu che inghiottivano i miei piccoli neri.

Poi il suo viso si illuminò e le pupille le si dilatarono.

-Papà!- mi saltò al collo  e, dimostrando la sua forza, mi gettò sull’erba bagnata.

Affondo il viso nella mia spalla e sentii delle lacrime calde scendere sulla mia schiena, confondersi con la pioggia freddissima. Mi sollevai e mi misi in piedi tenendola stretta a me. Non accennava ne a staccarsi ne a smettere di piangere. Era sempre incomprensibile per me quando manifestava le sue emozioni. Piangeva spesso e silenziosamente, oppure si arrabbiata furiosamente tanto che  bisognava portarla via dalle risse, anche con maschi più grandi di lei. Presi a scendere dal promontorio per avviarmi verso il villaggio. Ormai il corteo era lontano. Dopo poco smise di lacrimare e si decise a parlare.

-Dove sei stato?-  la solita domanda

- Via-  la solita risposta

- Perché?

- Perché dovevo combattere.

Di solito la discussione si interrompeva qui e lei prendeva a raccontarmi di ciò che era successo mentre ero via. Ma quella volta fu diverso.

- Perché combatti?

-Per vincere le guerre.

Silenzio un attimo, rifletté e poi rispose.

- Cos’e la guerra?

Rimasi sorpreso dalla domanda. Come potevo spiegarlo?

- La guerra è quando delle persone litigano  per qualcosa. Qualcosa di bello o giusto, ma soprattutto qualcosa in cui credono ciecamente. E quindi combattono.

- Tu in cosa credi?

Sorrisi…in effetti era una domanda difficile anche per me.

- Nella libertà…nella giustizia…e in voi.

-Tu credi in me papà? – chiese quasi onorata.

-Certo…credo che sia mia dovere difenderti.

- Tu combatti per me?

Deglutii…la pioggia le aveva inzuppato i capelli…era buffa, e visibilmente stanca.

- Si anche….

- E  uccidi per me?

- Si…ma non è colpa tua!- mi affrettai a dire- E’ il mio dovere.

Silenzio. Si appoggio alla mia spalle, quasi come per dormire.

- Papà?

-Dimmi…

-Potresti smettere di combattere se io te lo chiedessi?

Sorrisi.. spesso anche Bulma sembrava voler abbozzare quella domanda. Ma sapeva che non sarei stato nulla senza . Non sapevo fare altro.

- No. Devo farlo…un giorno capirai.

Non rispose…la sentii sbuffare. Poi riprese a parlare.

- Però allora prometti che tornerai sempre per proteggermi?

Sorrisi, stringendola con una tale forza, che nemmeno il tempo avrebbe potuto strapparmela di dosso.

 -Lo prometto.

Lo sguainare delle spade mi riportò sul campo di battaglia. I miei occhi erano velati di lacrime.  Qualcosa in cui credevo…in quel momento credevo solo in una cosa.

-Volete Vendetta?!

Un boato si alzò dall’esercito.

- Prendetevela!

Urlando incitai il mio cavallo a galoppare contro l’esercito di romani. Dietro di me correvano i guerrieri bretoni come spiriti arrabbiati, volavano sull’erba  più veloci del vento e sopra di noi il falco di Kiok strideva sempre più forte.

Poi partirono. In formazione, compatti, l’esercito di Kakaroth ci venne in contro  come un’unica armatura priva di corpo e di anima. Sguainai le asce e le feci roteare  intorno a me, frustando rumorosamente l’aria. Lo sguardo era fisso su di lui. Fermo ,che troneggiava sulla valle mentre i suoi uomini gli correva intorto gridando ala massacro.

Ne vidi uno davanti a me. Un uomo maturo, a cavallo, con gli occhi neri macchiati di mille battaglie. Alzai l’ascia e fummo ad un passo. La mia lama rimbalzo sul suo scudo mentre lo sorpassavo. Si girò  mentre preparavo ad affondare l’altra nella sua schiena. Lo scudo non lo salvò di nuovo. Gli scappò dalle mani per via dell’impatto e la mia ascia gli si conficco nel fianco. Poi con uno strattono si stacco e il suo corpo cadde per terra finito. Davanti a me orami c’è n’erano decine. Impugnai saldamente le asce e le  feci roteare all’altezza delle mie spalle tagliando la gola a quelli che mi avevano circondato.

Il mio esercito usava un’altra strategia. Non avendo cavalli, delle lunghe lance venivano lanciate verso le prime fila a colpire i destrieri. Poi la fanteria completava il lavoro. Io e il vecchio avevamo ideato quella strategia. Guardai più in alto, e di Trunks nemmeno l’ombra. Ormai tutti e due gli eserciti erano riversati nella valle. Il piano doveva ancora iniziare. Eravamo in anticipo.

Sentivo le urla lontane come se non fossero nelle mie orecchie. Il sangue mi schizzava caldo sulle braccia. Un soldato si aggrappo al mio cavallo e mi fu di fronte. Era giovane, gasato dalla battaglia. Aveva gli occhi blu grandi e profondi. Le nostre nuche si scontrarono. Sentii il suo sangue giovane e le sue ossa ancora fragili spazzarsi e inondarmi il viso. Con una spallata lo gettai giù e proseguii in quel mare.

Un soldato affondo la spada a un centimetro dalla mia pancia. Senza voltarmi con una gomitata in pieno volto lo disarcionai e la sua spada cadde a terra. Mi voltai a sinistra.  Malakina era a cavallo, alle spalle di un soldato e gli stava conficcando un coltello nella schiena. Stava dando le spalle alla battaglia. Si riprese subito girandosi agilmente e saltò addosso ad una altro soldato uccidendolo mentre cadeva da cavallo. Poi non la vidi più. Conficcai la mia arma nel ventre di un soldato di fronte a me e proseguii.

Alzai gli occhi al cielo. Una pioggia di frecce stava colpendo il campo.

 Ma non era Trunks.

Schivai quelle che tentarono di colpirmi e mi feci strada ancora.  Intorno a me c’erano ancora guerrieri del mio esercito.  Davanti a me Lorysh stava spezzando il collo ad un soldato. Le sue mani erano sporche del sangue nero che usciva dal collo del soldato.

Lorysh era mio nipote. Era figlio di una delle sorelle di Bulma. Catama. Era bella quasi quanto lei. Era più alta con i capelli viola, lunghissimi e dei lineamenti sottili. Bulma diceva di guardare lei per immaginarsi suo padre. In effetti a me ricordava anche il vecchio saggio.

Lorysh saltò su un cavallo disarcionò il soldato e tirò fuori la sua spada. Corta e forata, lucente. Era da tempo che non vedevo quella spada.

La nebbia aleggiava quel giorno. I nostri nemici, degli stranieri venuti dall’entroterra erano arrivati alla ritirata.  Camminavo per il campo di battaglia ansioso di tornare a casa. Bulma era in cinta di Bra in quel periodo. Riuscivo a malapena a vedere ad un palmo dal mio naso .Mi chinai tentando di vedere qualcuno di familiare tra i caduti.

Girai un corpo con i capelli corti verde acqua. Mi smorzò il respiro. Takele, padre di due  bambine ancora piccole. La sua casa era dietro la nostra, nel villaggio. Continua accucciato tra le vittime. Facce conosciute, ma nessuno a cui tenessi. Molti nemici. Molti più dei nostri. Poi inciampai e caddi sopra il cadavere un nemico. Mi voltai e sul mio stivale erano impigliati dei lunghi capelli viola. Risalendo la vidi. Bellissima, sembrava addormentata. Catama riposava morta con una spada conficcata nell’addome. Un rigolo di sangue le scendeva dalla bocca. Una grande guerriera. Stringeva ancora la sua spada corta in mano.

Il labbro mi tremò. Le tolsi la spada dall’addome e la sollevai. La sua cadde a terra. Con un fischio richiamai il mio cavallo. Ve la adagiai sopra e vicino a lei posai Takele. Diedi un colpo al cavallo che partì spedito verso il margine. Lontano un pianto scoppiò. Nella nebbia vidi un gigante afflosciarsi. Era Mello. Tra i pochi guerriero che mi superava in potenza. Alto circa 2 metri sembrava un leone affamato quando combatteva. Mi avvicinai e sentii le sue urla più distinte. I suoi capelli rossicci intrecciati e la sua  barba, non splendevano più come la criniera del re della foresta. Era afflosciati e si scuotevano con i suoi urli.

-Figlio mio…Galite!!!

Deglutii e non osai andare oltre. Lo vidi sollevare il corpo del figlio ricoperto di sangue. Lo strinse a se come un pupazzo inanimato e si allontanò nella nebbia,  verso il villaggio forse. Non ci avrebbe aspettati.

Mi sedetti a terra stanco . La nebbia ormai era un mantello fittissimo.

 Quella notte il villaggio ci aspettava alzato. Entrammo in corteo guidando i cavalli e i carri con i feriti i morti e quel che rimaneva di armi e provviste. Con una mano tenevo le redini del mio cavallo mentre con l’alt-ùro tenevo alta la mia spada nera.  Passsai tra le case mentre il corteo si svuotava degli uomini che passavano davanti alla loro. Vidi più lontana la mia. Dietro di me si avvicino il marito di Catama.

- Come lo dirò ai miei figli Vegeta?

Deglutii . Ma il mio rospo rimase.

- Gli dirai che la vita è così…che la morte è di ogni giorno e che ora lo scopo della loro vita e onorare la loro madre. E  che devono essere forti- poi mi voltai verso di lui e gli posai una mano sulla spalla - tu devi essere forte anche per loro.

Il ricordò di quello che seguì è sfocato. Bulma mi abbracciò scoppiando in lacrime quando vide la sorella e cominciò a picchiare dei pugni contro il mio petto.  Darsek abbracciò i suoi due bambini mentre gli diceva qualcosa nel giardino di casa mia. Trunks era seduto vicino alla casa.

- Dovevi stare attento anche a lei Vegeta! Quando nostro figlio sarà di fianco a te saprai prendertene cura?!

Quelle parole mi spezzarono il cuore. Mi rimbombarono in testa fino al giorno dei funerali. Sulla pira di Catama erano posati decine di rametti di lavanda. Di fianco la sua spada. Quando la fiamma si accese l’ombra della spada formò tre lettere. D, L e S….Sorrisi…forse nessun’altro se ne accorse. Lei combatteva per la sua famiglia. Per Drasek, Lorysh e Sam.

Fissavo quelle lettere per terra come incantato

-  Saprò prendermene cura….te  lo prometto.

 

Superai gli ultimi soldati e finalmente fui solo. In mezzo ai nemici. La vera battaglia era più indietro.  Sollevai gli occhi mentre con un colpo uccidevo tre soldati che mi stavano attaccando.

Mi voltai verso la collina. Trunks spuntò in quell’istante . Lessi nei suoi occhi la rabbia...poi un urlò. Una pioggia di frecce si scagliò sui soldati romani.

Ritirai le asce e sfilai dal mio destriero una mazza. La sfregai sul ruvido ferro della sella. All’improvviso l’estremità della mazza si infuoco. Feci piroettare la mazza sulla mia testa. Nel cielo ci  formò per una istante un cerchio di fuoco.

Fu un istante. Sulla parte di esercito non ancora in battaglia si scatenò una pioggia di pece e fuoco. Sfoderai un ‘ascia mentre con l’altro braccio brandivo la mia arma infuocata… Intorno a me era un inferno. Proseguii facendo mi strada nelle fiamme.

Lo fissavo. E sentivo i suoi occhi incrociare i miei.

Era fermo a guardare quell’inferno davanti a se. Come quello che avevo dovuto guardare io.

Vicino a me esplose una palla di pece. Io e il mio cavallo fummo sbalzati via. Un soldato tentò di colpirmi. Ero supino sull’erba bruciata. Bloccai con i piedi la sua spada e lo spinsi via. Raccolsi la mia mazza e la riaccesi dal corpo rantolante di una soldato che lentamente si carbonizzava.

Mi feci strada verso il  fianco della collina. Era solo. Era indifeso. Era mio. Uscii finalmente dalla mischia. Il sudore mi imperlava il viso.

Ero un demone del  fuoco e miravo a lui. Lanciai un urlo. E corsi lungo la fiancata ripida della collina. Lui indietreggiò per un secondo. Poi al mio fianco mi raggiunse il mio cavallo. Vi saltai sopra e finalmente  lo ebbi vicinissimo. Poi dolore. Il cavallo si fermò a un mio tocco. Nella mia spalla era infilzata una freccia. Mi voltai. Un’altra venne scoccata. La fermai ad un centimetro dalla mia pelle. Mi chinai verso le mie gambe. Il mio pugnale divise l’aria e si conficco tra gli occhi dell’arciere. Mi voltai di nuovo e incitai il cavallo a proseguire. Con uno sforzo scalammo l’intero fianco.

Era di fronte a me. Leggevo la paura nei suoi occhi. Impugnava insicuro la spada. Scesi da cavallo.

-Kakaroth….

Non rispose. Un ghigno attraversò il suo viso.

-Tu mi hai prelevato della mia famiglia…della mia casa…della mia felicità…

Sembrò sorpreso.

-La tua famiglia?- sorrise - Quale famiglia?

Mi tremò il labbro.

-Mia moglie, mia figlia.-ringhiai

-  Quella era la tua famiglia?- chiese drizzando la schiena - Da dove vieni tu?- incalzò.

Respiravo affannoso. Strinsi più forte la torcia.

-Non sono affari tuoi!

Gli corsi incontro brandendo la fiaccola. Cozzò contro il suo scudo e cadde dal cavallo. Sfoderai La mia ascia e lo scalciai.

Puntai la punta alla sua gola.

-Aspetta Vegeta!

-Sai il mio nome? –chiesi -Strano visto che non hai mai partecipato alle carneficine della tua gente.

- TU DEVI SAPERE. NOI NON CERCHIAMO LA VOSTRA TERRA!

La sua risposta non mi stupì. Gli uomini sono tutti codardi ad un passo dall’oblio.

- E cosa vuoi? Vuoi questo luogo per farne una provincia del vostro impero! Questa è la mia terra!

-NON E’ VERO! E TU LO SAI!

Quelle parole mi smorzarono.

-  Che vuoi dire? –chiesi pungolando la sua gola.

Respirò piano conscio di avere la mia attenzione.

- La tua battaglia è combattuta sul fronte sbagliato… Vegeta . Tu non sai chi sei.

-  SMETTI! ROMANO! ASSASSINO!

Urlaì fortissimo, volevo solo trafiggere la sua gola ma qualcosa di inconscio frenava la mia mano.

 

-  Guarda il tuo polso  bretone….- disse

-  Conosco il mio polso.

-  Quella bruciatura, quell’ustione…è un marchio Vegeta.

Non risposi. Non guardai lo sfregio che mille volte Bulma aveva accarezzato con le sue candide dita.

Lui mosse veloce il suo braccio e porto il suo polso sulla sua fronte e vidi il mio polso legato alla sua mano. Una freccia mi trafisse il cuore.

-E’ un marchio romano…tu sei romano.

I miei occhi vibrarono. Bulma aveva detto un giorno che quello era uno strano sfregio.

Era una notte. Dopo la cerimonia dei cervi. Il giorno seguente sarei partito per la mia prima stagione di caccia. Ero al villaggio da sei settimane. Eravamo sul lago. Lei correva a piedi nudi nell’acqua e io la fissavo. Un po’ scettico , un po’ incantato. Rideva e ballava con i talloni alzati.

- Vieni coraggio!

- No….non sono tipo da queste frivolezze.

Mi si era avvicinata, saltellando sull’erba. Mi aveva afferrato la mano e mi stava tirando  verso l’acqua.

- Non fare il burbero!!! E’ così fresca!!

-  Bulma non insistere…

- Ma – aveva avvertito qualcosa sotto le sue dita- cos’è questa ustione?

- Non lo so…la avevo già.

Lei aveva portato il mio polso al bagliore della luna e con le mani umide lo toccava interessata.

- Sembra un uccello…magari è impresso col fuoco.

Sollevai il sopracciglio mentre nei suoi occhi potevo scorgere l’affiorare di mille storie avventurose legate a quella bruciatura.

Ho sempre pensato che le piacessi perchè, con un passato così buio, poteva sbizzarrirsi ad immaginarmi protagonista di mille gesta e imprese.

-  No. E’ solo una bruciatura. Forse con l’olio o con l’elsa di una spada.

-   Non essere scettico.. magari sei il capo del clan dei…polli.

-  Polli?

-  Beh sembra un pollo…

-  Cosa?! Non è vero!

Divincolai la mia mano ma ormai lei aveva preso a saltarmi intorno:

 

- Pollo, Pollo!!! Cocococo ! –  poi era scoppiata in una  risata cristallina.

- Ah davvero?!

L’avevo sollevata sulle spalle e l’avevo gettata nell’acqua mentre ancora lei rideva. Quando riemerse rideva ancora più forte.

-  Come è permaloso Pollo – Vegeta!

- Molto simpatica. Ora che me lo fai notare…sembra un’aquila.

Usci fuori dall’acqua e mi saltò addosso. Non potei fare altro che tenerla tra le braccia.

-  Una aquila? Forse un falco…

-  Non fa differenza.

I capelli le scendevano morbidi sul collo e gocciolavano sul mio petto. Un brivido mi attraversò la schiena.

 - Ok vada per l’aquila…ma io sono convinta che sia un falco.

Tornai al presente e digrignai i denti.

-  Vegeta? Capisci ora?

-  Sono passati 17 anni da quando sono qui….

-Lo so…ma…la tua legione si perse e non sapevamo più dove fossi…ora ti abbiamo ritrovato…Fratello.

Mi si fermò il cuore. Come a fare silenzio per lasciarmi udire meglio.

Fratello.

- Cosa?

-Nostra madre si chiama Giulia. E’ romana. Nostro padre Bardack. E’ egiziano.

-  No…

-  Si….eravamo a comando delle  12 legioni del Falco Rosso. E’ la verità. Possibile che non ricordi?

Chiusi gli occhi. Non volevo più ascoltare.

- No.

- Torna con me a Roma. Lasceremo questa gente.

- No. – urlai mentre gli occhi mi si riempivano di lacrime.

-Vegeta ma…- lui aveva tentato di sollevare il collo ma la fermezza della mia ascia lo sorprese

 

Puntai con più forza la mia ascia sulla sua gola.

-  Mi dispiace ma ho rinunciato al mio passato molto tempo fa…-respirai profondamente e lo guardai intensamente negli occhi.  Una parte di me sperava di non vedere nulla, di non vedere il mio passato. Eppure immagini sfocate e un profondo senso di infelicità mi avvolse.

Se una parte della mia anima aveva deciso di dimenticare quella storia significava che era destino che andasse persa. Per sempre

Lo schizzo di sangue arrivo fino al mio viso. Alzai gli occhi al cielo. Dentro di me sentivo riaffiorare i ricordi. Il mio passato stava tornando. Ma a me di quel passato più nulla importava.

Gli unici ricordi a cui mai ho attinto da quel momento sono quelli degli anni al villaggio. Perché erano quelli che importavano. E mai permetterò che i nostri ricordi  vengano persi.

 Te lo prometto, Bulma.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3504015