Walking on Sunshine di _Corin (/viewuser.php?uid=549089)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Oh my Doctor ***
Capitolo 2: *** Lost in Lotus ***
Capitolo 3: *** Istant Coffee ***
Capitolo 4: *** Ice and Sugar ***
Capitolo 5: *** Sposerò Gustav Le Bon ***
Capitolo 1 *** Oh my Doctor ***
Oh
My Doctor
NdA:
Missing moment qualsiasi di un qualsiasi
giorno in cui Will e Nico sono semplicemente tanto carini e felici (e
il mondo
non rischia di implodere da un momento all’altro, anche se
Leo ci sta
lavorando).
In
cui Nico è ammalato e Will è il suo dottore (ma
rischia di essere davvero poco professionale, quando si tratta di lui).
Tanto
fluff, tanto amore, tanti germi.
«Etciù!»
«Salute».
Will
sfila il termometro dalla bocca imbronciata
di Nico con un sorriso intenerito.
«Io
non sono affatto ammalato» ribadisce ancora
una volta il ragazzo, cercando di imprimere nelle sue parole quanta
più
convinzione riesce a racimolare. Peccato che esca qualcosa di molto
simile a
“io non sodo – etciù! - affaddo ammalado”.
«Be’,
il termometro dice il contrario.»
Nico
si alza di scatto dal lettino
dell’infermeria, con l’espressione adorabilmente
confusa. «Cosa? Non è vero!»
Riesce
a dire prima che Will lo rispinga a
sdraiarsi. «Voglio vedere! Non può assolutamente
essere vero!»
«Giù,
stai giù Nico; non le vuoi le pastiglie,
dico bene?»
Nico
ha una sensazione di dejà vu, e per un attimo
è Bianca a tenerlo ancorato alle coperte, ferma e
apprensiva. Poi è Maria di
Angelo. Quando torna a essere quello di Will, il volto che lo guarda
preoccupato, chiude gli occhi con un sospiro.
«Stai
bene?» gli domanda il ragazzo, passandogli
una mano sulla fronte e una sul polso, due carezze che hanno
l’intento di
sincerarsi della sua temperatura e del suo battito.
«Benissimo.
Se controlli il termometro…»
«Sono
piuttosto sicuro che tu non abbia una
temperatura corporea di dodici gradi, ghiacciolino
mio» Nico socchiude gli occhi quando Will gli passa
le mani fra i capelli e
lo fissa attraverso le ciglia. «E so anche che non sai di, uhm, tè al limone?»
Nico
sa che dovrebbe essere imbarazzato, forse
anche schifato, perché Will ha appena posato le labbra dove
prima c’erano le
sue, e anche perché Will conosce il suo sapore meglio di
quello del tè al
limone.
Invece
dice solo: «Attento, potresti prenderti i miei
germi».
Will
gli rivolge un sorriso di quelli che fanno
luce. «Ecco, lo sapevo, lo hai ammesso, sei malato. Come tuo
dottore, prescrivo
una settimana in infermeria sotto il mio vigile sguardo».
Nico
sbuffa, il calore corporeo che sale di un
altro po’ – forse è la febbre, forse
l’imbarazzo, forse solo il sorriso di sole
di Will.
«Come
se cambiasse qualcosa dal solito» borbotta,
ma in realtà è felice e basta – quando
ha la testa che pesa il triplo del
normale può ammetterlo, perlomeno a se stesso.
Will
si sdraia accanto a lui con il sorriso ancora
stampato sulle labbra. Will è bollente – la sua
normale temperatura, come se il
sole gli scorresse nelle vene – ma non come Nico –
che fra l’altro si sente
avvampare, ancora di più, e forse prenderà fuoco.
Il
lettino è troppo piccolo per entrambi, ma non
gli dispiace. In realtà, gli piace da impazzire.
Sbuffa
– qualcosa tipo “dovrei riposare, io”, ma
non ci crede nessuno dei due – e poi Will lo bacia.
«Non
dovresti, davvero, ti passerò qualcosa».
Will
sogghigna malandrino – Nico non lo può
vedere, ma sente le labbra che si curvano contro le sue.
«Sono
il tuo dottore. Lasciami fare».
Una
settimana dopo, Nico è stato dimesso e Will si
trova nella casa numero tredici, a fissare il soffitto di ossidiana,
affondato
fra le coltri color sangue di un letto inquietantemente morbido
– è sicuro che
potrebbe sprofondarci e sparire, ma forse sono solo i pensieri
annebbiati.
«Io
non sono assolutamente malato. Assolutamente.
Devo andare in infermeria, Paolo si è slogato una
caviglia».
«In
realtà entrambe».
«Devo
andare in infermeria».
Nico
lo fissa un paio di secondi, prima di fargli
cenno con la mano verso la porta. «Vai».
Will
si mette in piedi con convinzione, ma la
testa gli gira e in due secondi la sua faccia è nuovamente
affondata nel
cuscino di Nico.
«Okay,
forse sto male».
Nico
gli porge il termometro – quello che è
misteriosamente scomparso dall’infermeria due giorni prima.
«Grazie
al cielo ho gli anticorpi».
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Capitolo 2 *** Lost in Lotus ***
Lost in Lotus
What if…? In
cui
Nico e Bianca rimangono all'Hotel Lotus fino alla fine della guerra.
Will è il
fortunato prescelto per recuperarli (con tutto ciò che ne
consegue).
Will
si china ad aiutare il bambino con le sue
carte. Quando gli porge un mazzo sottile, Nico gli rivolge uno stentato
“grazie” che quasi suona stonato, nella sua bocca,
perché l’ultima volta che ha
parlato è stato forse un anno prima,
un’imprecazione in italiano, quando quel
tizio vestito da pirata ha barato a Mitomagia. Per quanto gli piacciano
i
pirati, gli piace di più vincere (e anche imprecare senza
che sua madre lo
minacci di pulirgli la bocca con il sapone).
Alza
gli occhi verso il mazzo che il ragazzo gli
sta porgendo e si ritrova di fronte ad Apollo, miniaturizzato ad una
decina di
centimetri e inglobato nel bordo d’oro lucente della carta. E
poi c’è anche
Apollo, ma a grandezza naturale – e con una maglia arancione
stropicciata dove
la carta lo raffigura mezzo nudo.
«Tu…
tu sei…?» balbetta Nico mentre esamina
attentamente il giovane davanti a lui, con gli occhi sbarrati.
«Nico
di Angelo?» gli chiede il ragazzo. Nico
chiude la bocca – non si era nemmeno accorto di averla
lasciata aperta, e sente
sua madre che lo rimprovera con un “chiudi la bocca che
entrano le mosche”, anche
se sua madre non c’è.
Si
limita ad annuire, dopo un breve dubbio; sì,
lui è Nico.
«Ti
stavo cercando, sai?» chiede il ragazzo, e a
Nico sembra che la carta di Apollo continui a fissarlo, sul palmo del
ragazzo,
in mezzo a loro. Inspiegabilmente, avvampa al pensiero che Apollo possa
cercare
proprio lui.
«Ti
stiamo cercando tutti, da un bel pezzo. Sai
dov’è-»
«Tu
sei Apollo?» chiede Nico, senza riuscire a
trattenersi.
Questa
volta è il turno del ragazzo di rimanere
sorpreso, con tanto di bocca aperta. Lo scruta un attimo, prima di fare
un
cenno di diniego. «No, non sono Apollo».
Nico
contrae le labbra, deluso. «Però… ecco,
lui è
mio padre» si affretta a specificare il ragazzo. Ora che lo
guarda attentamente,
Nico può vedere che è più sottile di
Apollo, più giovane, e persino nel
minuscolo disegno il volto del Dio appare meno dolce. Decide che gli va
bene lo
stesso, anche se non è Apollo e non ha la mossa speciale.
«Tu
lo sai chi è tuo padre?»
Nico
aggrotta le sopracciglia, e per un secondo
può vedere il volto di un uomo, con i capelli scuri e
l’espressione seria, ma
sparisce subito dopo. Non ha una risposta, ma sa che dovrebbe sapere
chi è suo
padre. Il ragazzo lo sa.
«Non
dovrei parlare con gli sconosciuti» decide di
dirgli, e Apollo scompare nella metà del mazzo. Si allontana
di due passi prima
che il ragazzo lo fermi.
«Lasciami
stare, o chiamo la sicurezza»
«No,
Nico, aspetta» inizia Will, ma quando Nico
aspetta davvero, senza fare storie, non sa come finire la frase.
«Devi
venire via da qui».
Nico
inizia a scuotere la testa. Assolutamente no,
ha una partita di Mitomagia in sospeso con un pirata, e sua
sorella…
Il
tocco di Will è caldo, oltre il tessuto leggero
della camiciola in lino, e il suo sguardo sembra spaventato.
«Devi venire via
di qui. Tu e tua sorella, Bianca. Vostro padre vi sta cercando,
Nico».
Will
è consapevole di dire una bugia, sa che
probabilmente al padre di Nico non importerà davvero
granché di lui, e forse
non è nemmeno un lato negativo, ma deve portarlo fuori di
lì. L’importanza di
uscire si riaccende viva, dopo un giorno nel Lotus.
La
stessa scintilla sembra svegliarsi anche negli
occhi neri di Nico, che si ritrova ad annuire senza sapere bene il
perché.
«Comunque
io sono Will Solace. Piacere di
conoscerti, Nico di Angelo».
Non
c’è molto da fare, al Campo Mezzosangue, da
quando Bianca si è unita alle cacciatrici, ma Nico trova
piuttosto piacevole
guardare Will. Will che mangia con i suoi compagni, Will che medica
Clarisse,
Will che ride e che prova a parare un colpo con la spada (e fallisce,
ma Nico
non ci pensa mai davvero).
È
consapevole del fatto che Will non lo guarderà
come fa lui – e tu come lo guardi?
Gli chiede una vocina maligna nella sua testa, ma Nico preferisce non
rispondere – e sa che Will sorride a tutti, aiuta tutti, lui
non è affatto più
speciale di Sherman o di Lou Ellen. Lo stesso, però, non
riesce impedire al suo
cuore di battere un po’ più forte quando lo vede,
quando gli sorride e da
qualche parte sorge il sole – Will è il sole, Will
è luce e calore e tutto ciò
che Nico non è.
Will
lo sta medicando. “Niente più viaggi
nell’ombra,
per te”, borbotta. “Se continui così ti
farai male” e intanto gli passa una
briciola d’ambrosia e un cubetto di cioccolato, quanto gli
serve per rimettersi
in forze.
Nico
sa che è quello che fa, lavorare in
infermeria e occuparsi delle persone, ma si sente un pochino
importante, come
se Will si stesse davvero preoccupando per lui, come se gli importasse.
Will
è troppo grande, è troppo bello, è
troppo
buono. Nico non può guardarlo senza smettere di pensare che
vorrebbe fiondarsi
sulle sue labbra, e non può pensarci senza che si senta un
po’ male e un po’ in
colpa.
Le
parole di Eros lo stuzzicano di continuo,
sempre più fastidiose e vere.
Mentre
l’ambrosia si scioglie sul suo palato con
il sapore delle arance e dell’estate, Nico considera il
pensiero. Quello che
gli fa venire l’amaro in bocca e che lo pungola di notte,
quando cerca di
dormire. Ammissione di colpe, direbbe lui. Una figlia di Afrodite
preferirebbe
dichiarazione, probabilmente.
Dà
un’occhiata a Will che sta risistemando
l’ambrosia in un mobiletto, poi ingoia la cioccolata, per
prendere coraggio.
«Will»
dice, ma sembra più un pigolio.
Il
ragazzo si gira verso di lui, gli occhi azzurri
carichi di preoccupazione.
«Stai
bene?»
Nico
annuisce velocemente. Coraggio, su. Come gli
eroi.
«Non
è questo».
Will
non fa un cenno per dargli fretta, alza gli
occhi e aspetta. Nico ingoia il nulla. Coraggio.
«È
che mi piaci, Will».
Will
ci mette un paio di secondi prima di
metabolizzare le sue parole, e apre la bocca in
un’espressione stupita, come
quando Nico gli ha detto il suo nome per la prima volta, come ha fatto
Nico quando
l’ha visto per la prima volta. Chiudila,
o ci entreranno le mosche. Il pensiero di sua madre quasi lo
fa scoppiare a
ridere, quindi Nico si trattiene e prende un respiro profondo, per
continuare a
parlare.
«Non
è che significhi che tu debba sentirti in
qualche modo in dovere verso di me, lo so anche io che non va bene. Ma
mi
sembrava giusto che tu lo sapessi, ecco».
Nella
mente di Nico si forma l’immagine di Will,
una settimana prima, che si spoglia davanti a lui dopo un intenso
quanto
fallimentare tentativo di imparare a usare la spada. Avvampa.
Will
continua a guardarlo, stupito, e Nico sa che
probabilmente non gli parlerà mai più.
Si
alza dal lettino dell’infermeria e ondeggia
leggermente, prima di riuscire a stare in piedi senza svenire. Ottimo.
«Grazie
dell’aiuto, Will».
Non
riesce a guardarlo negli occhi. Si affretta
verso l’uscita, stringendosi nel tessuto sottile della
maglietta nera come a
cercarci un qualche conforto. Non lo trova.
La
pelle di Will è calda, quando lo afferra, come
una vita prima, e brucia attraverso il tessuto, in modo del tutto
differente.
«No,
Nico, aspetta».
E
Nico si ferma.
«Aspetta.
Non andartene. Va bene, ecco. Certo che
va bene. Benissimo. Ero solo sorpreso».
Allo
sguardo confuso di Nico continua. «Non
pensavo che saresti stato tu a dirlo. Be’, io muoio dalla
voglia di baciarti.
Ora. In realtà tutto il tempo. Perciò ora ti
bacio, e sarebbe meglio che tu non
te ne andassi».
E
lo bacia. Davvero.
L’ultimo
pensiero sensato di Nico è che, d’ora in
poi, la sua ambrosia avrà per sempre il sapore di Will
Solace.
NdA:
probabilmente Nico è OOC, lo so. Facciamo
finta che sia una qualche conseguenza della trama e vi regalo un
biscottino,
ok? Azzurro.
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Capitolo 3 *** Istant Coffee ***
Istant
coffee
Cosa
piccola e sciocca in cui Nico vede demoni
ovunque, Percy parla con le sirene del gabinetto, i loro amici sono
degli
impiccioni e il dirimpettaio ha degli ottimi gusti.
-Credo
che il nostro dirimpettaio sia un demone.
Percy
si volta verso Nico, che è appena entrato e
ha sganciato il collare della signora O’Leary. Il cane gli
corre incontro a
slinguazzargli la faccia. Percy non si scompone. -Come lo era anche il
venditore porta a porta?
Nico
fa un cenno di diniego con la mano. Sono coinquilini
e probabilmente a un coinquilino normale Nico non parlerebbe di demoni,
anche
perché in genere gli danno del pazzo quando lo fa
– anche se poi lo pagano sempre,
perché chieda ad una qualche defunta prozia dove ha nascosto
l’oro. D’altra
parte, Percy sostiene fermamente di avere delle accese discussioni con
una
sirena, ogni tanto, in bagno. Hanno imparato a non mostrare sorpresa,
qualsiasi
cosa l’altro dica – e Nico ha anche imparato a non
usare il suo bagno di
venerdì mattina.
-Oh,
no, lui lo è davvero. Hai visto come sorride?
Percy
corruga le sopracciglia, confuso. -Non credo
che le persone che sorridono molto siano demoni, Nico. Forse dovresti
considerare l’ipotesi che…
-Oh
no, lui sorride decisamente troppo. E mi ha
aperto la porta! C’è qualcosa che non va- gli dice
mentre sparisce in cucina.
Un
sorriso stupido si forma sulla faccia di Percy,
che ringrazia ogni divinità conosciuta perché
Nico non lo può vedere digitare
la notizia sul gruppo di Whatsapp.
-Non
potrebbe essere che…
-Dov’è
il mio caffè, Percy?
-Oh,
nel mobile, quello in alto… sì, beh, non
è
colpa mia se tu sei basso.
La
faccia imbronciata di Nico si affaccia oltre la
porta. -Questo non è caffè, Percy.
-Invece
sì, ne sono sicuro. C’è scritto.
-No.
È solubile- e la parola solubile
suona come un insulto sulle sue labbra.
-È
quello che vendono al supermercato.
-Eppure
te l’ho detto, che quello solubile non va
bene.
Percy
non trova risposta più adatta che lo
stringersi nelle spalle con aria vagamente ebete.
-Allora
credo che in mancanza di altro mangerò uno
di questi biscotti blu, o forse tutti… oh, no che schifo,
sono dolcissimi.
Percy
sospira, fintamente esausto. -Due minuti e
vado a comprarlo.
Non
gli dice che Annabeth lo ha appena raggiunto
sotto casa, e non solo perché il principale argomento di
conversazione sarà il
dirimpettaio-demone. Piuttosto per gli argomenti che esulano la
conversazione
- anche se Nico li
ha sorpresi a
pomiciare sul divano un infinito numero di volte.
Nico
lo sorprende, mentre gli passa davanti e ha
ancora il vecchissimo e consunto giaccone da aviatore addosso.
-Non
ce n’è bisogno. Il dirimpettaio mi ha
invitato a prendere un caffè insieme a lui, se mi andava.
-E
a te va?
Nico
non risponde di sì. Il fatto è che non
risponde nemmeno di no con quella piega che le sue labbra assumono
quando
qualcosa non è di suo gradimento, e quando, dopo un attimo
di confusione, si
affretta a negare, è passato un attimo di troppo. Percy lo
ha notato.
-Piper
ne sarà felicissima, e credo che Connor mi
debba venti dollari, a questo punto…
-Non
dire sciocchezze, Percy. Voglio solo
assicurarmi che non sia un demone.
Quando
Nico rientra, alcune ore dopo, il soggiorno
è molto più luminoso e affollato di come
l’ha lasciato. La sua speranza di
sgusciare via nel buio della sua camera è vanificata da
Hazel, che gli si
aggrappa ad un braccio prima che lui possa accorgersene.
-Allora,
come è andata?
-Lo
hai ucciso?
-Io
l’ho visto, è quello con i ricci biondi, vero?
È davvero carino!
-È
un demone?
La
folla lo attira sul sovraffollato divano, dove
qualcuno ha messo in pausa Troy sulla faccia di Brad Pitt.
-Non
è un demone- dice solo, e nessuno comprende
bene quello che ha detto, tranne Percy, che sorride compiaciuto.
-Cosa?
-Non
è affatto un demone. Siamo passati davanti a
Starbucks e lui no, mi ha portato in un vero caffè, e ho
bevuto del vero caffè.
Non può essere un demone.
-Allora
dobbiamo conoscerlo!
NdA:
C’è troppo poco Will e potrebbe essere OOC,
ma io voglio lo stesso tanto bene a questa cosetta.
|
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Capitolo 4 *** Ice and Sugar ***
Ice
and sugar
Modern!AU
non meglio specificata in cui
sorprendentemente non ci sono morti o feriti o iceberg, solo molto
zucchero.
Con
la partecipazione speciale di Celine Dion.
È
il telefono che squilla a svegliare Nico. Non
sta davvero dormendo, perché quando dorme i pensieri lo
pungolano con più
insistenza e non riesce a scacciare il viso di Bianca. Fissa il
soffitto
dipinto di nero, semplicemente.
Per
un secondo pensa di non rispondere, ma poi si
rimprovera; l’ultima volta che qualcuno ha chiamato e lui non
ha risposto, era
l’ospedale che lo avvisava che sua sorella era stata
ricoverata. Si allunga
verso il cellulare e le ossa gli scricchiolano. Il numero sullo schermo
non è
quello di Hazel o di Percy, come si era aspettato. Sconosciuto.
Risponde.
-Buongiorno-
saluta qualcuno dall’altra parte. È
la voce di un ragazzo, sconosciuto e innaturalmente allegro. -Sono Will
Solace.
Nico
attende qualche secondo che il ragazzo
continui. Non lo fa. -Quindi…
-Oh,
spero di non disturbare. La disturbo?
Nico
non sa cosa rispondere. Dire di sì sarebbe
davvero troppo villano, anche per lui. Sentirebbe i rimproveri di
Bianca a
perforargli le orecchie per tutta la sera.
-No,
non disturba. Perché ha chiamato?
Will
sembra ridere. -Ho trovato il tuo numero
scritto sul bancone di Chirone. Non lo conoscevo, e io conosco tutti
qui al
Campo, sai? E poi mi annoiavo un pochino.
Nico
non sa cosa rispondere. Non si accorge
nemmeno che Will ha abbandonato il lei. Sulle sue palpebre si staglia
nitida
l’immagine di Bianca che scrive il suo numero sul bancone con
un pennarellone
nero, nascondendo il gesto con una mano. Gli appaiono le dita lunghe
che
trafugano un sottobicchiere per coprire la scritta, e il suo sorriso.
-Ecco,-
aveva detto. -Così conoscerai qualcuno, musone.
Qualche
tempo prima dell’incidente. Più di un anno
prima.
Il
silenzio si è fatto davvero troppo lungo,
perché Will Solace si sente in dovere di riempirlo. -Troppo
strano?
Nico
fa un cenno di diniego, quando si accorge che
Will non può vederlo. -No, va bene.
-Un
po’ strano lo è, comunque. Tu chi sei?
-Troppo
personale.
-Ma
non vale, se devo conoscerti. Mi serve il tuo
nome.
-Troppo
personale.
-Okay,
allora. Colore preferito?
Nico
non ci mette neanche un secondo, per
rispondere. -Nero.
Will
ridacchia. -Dei, piuttosto scuro. Preferisco
decisamente l’arancione.
-Sì,
sei il tipo- conviene Nico.
-Probabilmente
hai ragione. Vedi? Questa cosa
funziona alla grande, ormai siamo praticamente amiconi. E tu che tipo
sei?
-Troppo
personale.
-Oh,
è difficile così! Nero, okay. Emo, o forse
Dark? Se usi l’eyeliner devi dirmelo subito, potrei prestarti
a mia sorella
così mi darebbe tregua come cavia dei suoi
esperimenti… okay, no, aspetta,
questo avrei dovuto aspettare almeno il secondo appuntamento per dirlo.
Diciamo… topo d’appartamento? In lutto?
Nico
vorrebbe dire Bingo!, ma
è ancora bloccato a sorella,
e d’altra parte non è il tipo. Non è
neanche il tipo che chiacchiera con gli
strani sconosciuti al telefono, a dirla tutta, quindi
perché…
-Okay,
okay. Sei un tipo silenzioso. E riservato.
Molto riservato. Mi piace, conosco troppi impiccioni. Studi?
Nico
contrae le labbra. -Mi sono preso un anno
sabbatico.
-Tu?-
continua prima che Will possa approfondire.
-Medicina.
Devo iniziare l’università a settembre,
ma penso già che potrei prendere un paio di specializzazioni
diverse, sai, per
variare.
Inizia
a chiacchierare velocemente dei corsi in
comune e esami che ha intenzione di dare. -Non chirurgia, sicuramente,
non è il
mio genere.
Nico
annuisce. No, non è il suo genere,
sicuramente. -Hai fratelli?- domanda, interrompendo la sua
argomentazione sulla
ricerca. Se ne pente un secondo dopo, ma è troppo tardi. Sorella, lo ha già detto, non
c’è bisogno di approfondire.
-Oh,
sì, decisamente troppi. Siamo in dodici, in
famiglia. Mio padre non si ferma mai, e non è un grande fan
delle precauzioni.
Improvvisamente,
Nico ha una vaga idea di chi
possa essere Will Solace. Il ragazzo con i rasta che suona il sassofono
fuori
dai locali, o forse il ragazzo basso con un pessimo carattere? Sono una
famiglia
troppo numerosa perché Nico non li abbia mai visti, e
decisamente troppo
rumorosa. Fanno luce, ovunque vadano.
-In
realtà, siamo in dieci. Mi dimentico sempre.
Lee… e anche Michel. Sono morti. Entrambi.
Nico
comprende con qualche secondo di ritardo – e
forse il motivo è anche la leggerezza con cui Will parla
della morte sei suoi
fratelli, lui non ne sarebbe capace. -Non lo sapevo. Non avrei dovuto
chiedere.
-Non
fa niente, Nico. Non lo sapevi. E poi, erano
andati in guerra. Sono cose che capitano, immagino.
Nico
si sente improvvisamente molto vicino alle
lacrime. -Non mi hai chiesto se io ho fratelli.
-Non
ne ho bisogno, Nico.
-Non
mi hai chiesto neanche come mi chiamo. Come
conosci il mio nome?
Improvvisamente
nella sua testa si forma
l’immagine di Percy, o Piper, che chiedono ad un povero
sventurato di chiamarlo
e spingerlo ad aprirsi. Magari ad uno studente di psicologia. Will ha
detto
qualcosa sulla psicologia, nella sfilza di specializzazioni? Forse Will
non è
nemmeno il suo vero nome. O forse…
-Era
scritto qui. Vicino al numero. Nico.
Sei di Angelo, non è vero?
Sì,
è Di Angelo. Nico Di Angelo. Il fratello pazzo
della ragazza morta, e al Campo lo conoscono proprio tutti. Forse la
sua storia
sarà leggenda, quando diventerà niente
più che un vecchio che spaventerà i
bambini che proveranno ad avventurarsi per il suo giardino.
Digrigna
i denti, ma non ha davvero voglia di
litigare o arrabbiarsi. Le forze gli sono andate via, non è
niente più che un
palloncino sgonfio. Vuole solo tornare a fissare il soffitto.
-Ecco,
ora puoi dire di conoscere proprio tutti,
al Campo. Spero di non averti annoiato.
-No,
aspetta, Nic- ma la conversazione è chiusa
prima che possa finire la frase.
Il
silenzio, dopo, è insostenibile – neanche uno
scricchiolio di ossa a ricordargli che è ancora vivo.
Il
telefono squilla altre volte, nei giorni
seguenti. Nico aspetta sempre il settimo squillo, l’ultimo,
prima di
rispondere, e ogni volta spera di riuscire a ignorarlo. Non ce la fa
mai. Ogni
volta preme il pulsante con il pensiero di Will fisso in testa
– il che
potrebbe essere un lato positivo, perché prima pensava a
Bianca.
Bianca
sa di dolore. Will, invece, sa di tante
cose che Nico non riesce a riconoscere. Una è la speranza,
ma a Nico non va di
pensarci, perché è davvero penoso; quella con
Will è stata la prima
conversazione normale da più di un anno. In
realtà, forse, di tutta la sua
vita.
Non
è mai Will, comunque. L’assistente dello
psicologo di cui ha saltato l’appuntamento, Jason, Hazel,
Reyna.
La
speranza si attenua a poco a poco, annacquata
da tutto quello che è la vita di Nico al momento: il nulla.
Quando
succede, Nico non lo fa di proposito. È
vittima degli eventi – come al solito – ma per una
volta non gli dispiace, non
davvero. Anche se non lo ammetterà mai.
Si
risveglia fra le coperte sudate, aggrovigliato
e mezzo per terra. Finisce completamente sul pavimento nel tempo che ci
impiega
ad aprire le palpebre. Le mattonelle sono piacevolmente fresche sotto
di lui,
perciò non si muove. Rimane lì per un tempo
imprecisato.
Quando
si rialza ha preso una decisione, ma non è
davvero una sua decisione. Il suo cervello non c’entra nulla.
È ogni cellula
del suo corpo. Chiede pietà, un secondo di pausa fra un
sogno e un altro, una
boccata di aria fresca.
Non
pensa, per tutto il tempo che gli ci vuole.
Non pensa mentre si allaccia le scarpe, mentre cerca le chiavi che non
usa da
un bel pezzo e chissà dove sono finite, mentre il cielo del
colore della carta
da zucchero si affaccia oltre la soglia di casa sua e poi sulle strade
che
percorre e passo svelto ma con lo sguardo troppo lontano dal selciato,
che è
tutto ciò che in genere guarda mentre cammina. Respira
più velocemente del
solito, ma l’aria fresca non è abbastanza, non
è quello che davvero cercava. Il
cuore gli batte ovunque, contro le costole e nelle orecchie, ma non
è ancora abbastanza
perché si consideri vivo, non è abbastanza, vuole
di più.
Will.
Se
pensasse, le cose andrebbero in modo diverso.
Si arrenderebbe ai nodi dei lacci e alla ricerca di un paio di
pantaloni, alle
chiavi e agli sguardi insistenti. Non supererebbe le coperte, i
gradini, la
porta. Si chiederebbe, forse, che ore sono, e considererebbe
l’idea che Chirone
possa essere chiuso, o che Will possa non passare lì tutta
la sua vita, o che
forse non abbia voglia di vederlo, e che quella volta possa davvero
essere
stata uno scherzo di cattivo gusto, come ha creduto la prima volta.
Anche se in
realtà non l’ha mai davvero del tutto creduto. Se
pensasse, le cose non
andrebbero.
Non
pensa. Si ritrova davanti alla parete coperta
di rampicanti senza la concezione della strada percorsa. Si avvicina
alla porta
e si rende conto che è aperto solo dopo aver spinto ed
essere entrato. Nessun
trillo ad annunciarlo; Nico è un’ombra, nel locale
solitamente pieno e
rumoroso. Ora, l’unico suono ad animarlo è un
fischiettio rilassato. Nico
vorrebbe pensare di potersene andare in qualsiasi momento, ma la
realtà è che
non può. Ha riconosciuto quella voce, anche senza il tono
graffiante del
telefono, anche se non l’ha mai sentito dal vivo, anche se
non sta dicendo
nulla, fischietta soltanto una canzone di Celine Dion. Nico pensa che
le
canzoni di Celine siano proprio adatte a se stesso, abbastanza depresse
(forse troppo
zuccherate, però).
Canticchiata
da Will, poi, ha quasi un tono allegro.
Nico lo prende come un presagio del fatto che questa storia non
finirà con un
grosso naufragio, ghiaccio e molta morte. Forse solo con troppo
zucchero.
Il
fischiettio si interrompe a mezza nota e Nico
si rende conto che la porta è ancora aperta, alle sue
spalle. Finora non ha
visualizzato il locale, non davvero, si è limitato a
concentrarsi sui suoi
pensieri di zucchero e transatlantici, ma ora riconosce Will, piegato
sul
bancone con le cuffiette e le mani immerse in quello che potrebbe
essere un
lavabo o chissà cosa, non gli importa davvero. Visualizza
rapidamente lo
sguardo azzurro vagamente sgranato del ragazzo, i suoi capelli tirati
indietro
con un’orrida bandana femminile, la maglia arancione sdrucita
del campeggio a
cui partecipano tutti i ragazzi che studiano alla Strawberry tranne
Nico. Nello
stesso istante, lo riconosce come il bambino con cui una volta ha
scambiato una
figurina di Mitomagia, il ragazzino con il naso costantemente bruciato
o
spellato e la pelle graziosamente costellata di lentiggini, il ragazzo
dal
sorriso di un modello da pubblicità di dentifricio.
Si
irrigidisce un po’, ma spera che Will non lo
noti. Si sta già pentendo di essere andato lì, si
rende nuovamente conto di
quanto il Campo non sia il suo posto, del modo in cui lo vedono tutti,
di come
deve vederlo anche Will.
Prima
che possa scappare, Will si lascia sfuggire
un boccale. Fa un gran fracasso, ma non sembra che si sia rotto. Nico
sobbalza,
ma non lascia sfuggire la porta, che tiene ancora saldamente ferma,
aperta, e
uno spiffero gli punge la schiena. La porta rimane aperta comunque,
come se
dovesse fuggire da un momento all’altro.
Il
silenzio si allarga per qualche secondo di
stupore, poi Will si tira via la bandana e le cuffiette, e nella sala
risuonano
ovattate le parole di una canzone totalmente diversa da quella che Will
stava
fischiettando, qualcosa di jazz e sconosciuto. Non si preoccupa di
fermare la
canzone, e Nico nemmeno, occupato a osservare i riccioli che gli
ricadono
disordinati sulla fronte e a coprirgli gli occhi, troppo lunghi.
-Oh,
ciao Nico.
Fa
per passarsi una mano fra i capelli, poi si
ricorda che è bagnata e coperta di schiuma e lascia perdere.
Non fa caso alla
mancata risposta di Nico. Fa caso al suo silenzio, però,
alla rigidità e allo
sguardo da animale selvaggio e spaventato.
-Vuoi
sederti?- gli domanda, mentre supera il
bancone e si avvicina a lui. È una domanda retorica, o
meglio, non aspetta
nemmeno di sentire una risposta. È un bene, comunque,
perché Nico non
gliel’avrebbe data.
-Certo
che vuoi sederti, ti preparo qualcosa, che
fuori si muore di freddo. Io odio il freddo, sai? Non
l’inverno, in inverno ci
sono delle giornate bellissime in cui fa freddo ma il sole è
fortissimo ed è
stupendo, ma oggi è tutto grigio… non che oggi
non sia una bella giornata.
Figurati. È una giornata meravigliosa, davvero.
Proprio…
Meravigliosa
termina
Nico per lui. A mente, chiaramente, ma con qualcosa di piuttosto simile
a un
sorriso stampato in faccia, un lieve inclinarsi di labbra, il pensiero
che
anche per lui quella è una giornata meravigliosa. Anche se
non c’è il sole.
Anche se non userebbe mai l’aggettivo meravigliosa.
Will
risponde con un’accecante dimostrazione della
sua dentatura perfetta e delle rughette che gli si formano agli angoli
degli
occhi quando sorride. Perché sta sorridendo. Anche se Nico
non è pronto a
pensare che possa essere per lui, a lui, con lui. Si asciuga le mani
sui jeans
e lì rimangono le impronte di cinque dita e qualche rivolo
di schiuma al
limone.
Quando
le mani di Will di posano sulla sua – sono
fresche e ancora un po’ bagnate – quella di Nico si
apre senza che lui l’abbai
deciso. La porta si chiude con un tonfo alle sue spalle.
-Cioccolata.
Hai decisamente bisogno di cioccolata
calda.
Nico
perde qualche passaggio intermedio, quello di
cui avrebbe bisogno per dire che detesta la cioccolata calda, che ha
proprio
sbagliato, non dovrebbe trovarsi lì, per rendersi conto che
ha seguito Will al
bancone e si è seduto su uno sgabello.
Si
ritrova con una tazza fumante e piena fino
all’orlo, e di fianco a lui si siede Will. Non ha ancora
smesso di sorridere,
ma al contrario di quanto gli succede di solito, Nico non lo trova
insopportabile.
-Era
chiuso, vero? Voglio dire, qui non c’è
nessuno…- riprende fiato. Cerca di ignorare il tono
gracchiante e stonato con
cui gli sono uscite quelle poche parole. Raccoglie le idee. –
Era chiuso, non è
così?
-Sì,
apriamo fra due ore, anche se non ci sarà
ancora nessuno per almeno due ore e mezza. È un
po’ presto.
Nico
non si azzarda a guardare l’orologio che ha
individuato sul muro alla sua sinistra. Abbassa lo sguardo.
-Mi
dispiace, non avrei dovuto.
-No,
dai Nico, scherzi? Sono secoli che cerco di
chiamarti, devi proprio assaggiare la mia cioccolata, e poi almeno mi
fai
compagnia.
Nico
prende un respiro profondo e una lunga
sorsata dalla sua tazza. È buona. Meglio di quanto si
aspettasse. Lo calma
subito, come se tutti i pensieri che affollavano la sua testa fino a un
secondo
prima non fossero mai esistiti. O forse è il sorriso
luminoso di Will.
Alla
fine, pensa, aveva ragione. Niente morti,
nessun ferito e il suo iceberg si è sciolto almeno un
po’, Celine Dion ha
smesso di cantare e la canzone jazz ovattata dal telefono di Will
è stata
sostituita da un pezzo country (ok, a quanto pare ha anche dei
difetti). Forse,
alla fine, questa storia sarà solo un po’ troppo
zuccherata, e magari gli
piacerà anche.
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Capitolo 5 *** Sposerò Gustav Le Bon ***
Sposerò
Gustav Le Bon
In
cui Will fa una scommessa e vince tutto.
-Oh
mio Dio! Tu sei Gaston La Beouf! Oh, io sono
un tuo grandissimo fan!
Nico
si guarda attorno, chiedendosi se il ragazzo
esagitato ce l’abbia davvero con lui. È biondo,
carino e inquietante. Proprio
il suo tipo. -Oh, devi assolutamente farmi un autografo. Mia sorella
impazzirà!
Sì,
sembra di sì. Avanza con la pelle arrossata
dal freddo e un sorriso inumanamente largo, e sembra dirigersi proprio
verso di
lui. Nico combatte contro la voglia di scappare e vince. -Ho tutti i
tuoi
dischi! Li ascolto ogni sera, sai, adoro la tua voce, e devo dire che
dal vivo
è molto meglio.
Nico
arrossisce, anche se probabilmente il ragazzo
sta mentendo – sicuramente, in realtà, non gli ha
ancora detto mezza parola,
quindi è innegabile. Arrossisce lo stesso, sotto
l’espressione truce, e il
sorriso dell’altro si allarga ancora un po’.
-No,
credo che ci sia un errore, io non sono…
Il
getto ustionante del caffè lo colpisce dritto
al petto. Incredulo, gli ci vuole un secondo per vedere, in ordine, il
bicchierone del caffè (vuoto, ormai), la faccia mortificata
del ragazzo biondo
(in realtà non lo è poi così tanto,
sembra che stia per scoppiare a ridere) e
la macchia gocciolante sul tessuto. Peccato, gli piaceva quella
maglietta.
Molto nera.
-Oh
mio Dio, mi dispiace. Non posso davvero aver
ustionato Gustav Le Bon, credo che potrei morire di
imbarazzo… ti pagherò la
tintoria. Certo, sì che lo farò, ne conosco una
qui vicino. Vieni, Gaston, - posso
chiamarti così, si? - ti accompagno – posso darti
del tu?
Nico
rimane per un secondo stordito dal
chiacchiericcio del ragazzo, prima di accorgersi che dovrebbe
rispondere –
possibilmente prima che l’altro ricominci. -Non ce
n’è bisogno, vado di fretta,
devo andare, ho un appuntamento, addio. E poi io non sono…
-Oh,
allora puoi darmi il tuo numero di telefono.
Ci incontriamo e ti pago la lavanderia.
Quando
Will viene loro incontro con un sorriso
accecante e un bigliettino in mano, Connor incassa i soldi.
-Oh,
non può essere.
-Sgancia,
Trevis.
Il
ragazzo allunga una seconda banconota anche a
Will, accompagnata da un broncio.
-Con
questi gli offrirò un caffè la prossima volta
che lo vedrò.
-Certo,
un altro caffè da lanciargli addosso. Fra
l’altro, è un cliché abominevole-
borbotta Trevis, ancora seccato per la
perdita.
-Zitto,
davero, tu non puoi nemmeno provare, a
parlare. “Katie, mi presti una penna? L’ho
dimenticata, che sbadato!”
-Ma
era vero, avevo davvero dimenticato quella
penna!
-Per
quattro anni consecutivi?
-Lascia
perdere, forse avrei dovuto fingere di
credere che fosse Hillary Duff.
Will
non risponde, fissa il bigliettino di carta
sottile con un sorriso ebete. -Ragazzi, credo che le nostre scommesse
possano
avere fine.
-Perché?
-Ho
trovato il mio Gustav.
-Scommetto
che non durerà nemmeno una settimana.
Una
settimana dopo, Trevis ha perso una scommessa.
Di nuovo. E Will porta fuori Nico. Di nuovo.
NdA:
Non
è il meglio che potessi produrre, già.
È corta,
piuttosto stupida e scritta in appena un’ora, in un periodo
di noia profonda. Sono
stata totalmente ispirata da altro, mi dispiace. Spero che possiate
comunque
apprezzarla, almeno un po’, perché mi dispiaceva
non aggiornare per Natale.
Quindi, auguri! (e per Capodanno scrivo qualcosa di meglio, prometto).
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