troublemaker

di winterlover97
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** nero ***
Capitolo 2: *** Azzurro ***
Capitolo 3: *** Giallo ***
Capitolo 4: *** verde ***



Capitolo 1
*** nero ***


Le parole feriscono più di mille spade, ricordatelo.


 

Il livido di pochi giorni prima era ancora visibile sulla mia pelle al di sopra dell'occhio, aveva assunto un colorito che passava da giallo al viola, colore che fortunatamente un paio di occhiali da sole erano riusciti a coprire. E pensare che mi era andata bene in confronto all'altro, che se l'era cavata 'solo' con una costola incrinata, naso rotto e un piccolo problema alle parti basse. Dopo la rissa, la cosa che mi rallegrò maggiormente e che mi confortò però fu l'annuncio dei miei: sarei dovuta stare dalla mia prozia, Henrietta Hudson per un tempo a me indeterminato. L'insieme degli eventi nel complesso si era risolto in modo favorevole e vantaggioso, nonostante fossero cominciati in modo non proprio ortodosso: non avrei dovuto più vedere quegli idioti dei miei vecchi compagni di classe, sia perché che avrei iniziato l'università, sia perché mi sarei trasferita in una metropoli, dove le probabilità di incontrare qualcuno la cui tendenza a starmi sul culo è pari allo zero percento.

Al suono della sirena, scesi dal treno alla stazione King Cross, la centralissima, e chiamai un taxi. 
Il tipico taxi nero accostò al marciapiede e un uomo di mezza età scese per venirmi ad aiutarmi con i miei bagagli, che, sfortunatamente per lui, erano molto pesanti e voluminosi (tenendo conto che contenevano le cose di una vita). 

"Dove la porto?"

"Al 221B di Baker street" risposi.

"Allora si metta comoda, ci metteremo un po'. Con pioggia e traffico Londra diventa un manicomio."

Sorrisi poi guardai fuori dal finestrino: è incredibile come il clima possa cambiare così in fretta. La pioggia scendeva sulla città come un velo, leggera e fine, oscurando i contorni degli edifici, incitando i passanti a muoversi prima di essere lavati completamente da cima a fondo. Tolsi gli occhiali da sole e li riposi nella borsa, feci per sciogliere i capelli come da abitudine poi mi resi conto che in realtà li avevo tagliati in un bob mosso e corto fino ad al di sopra le spalle. Aprii la giacca di pelle e, dopo essermi messa le cuffie, mi stravaccai sul sedile e tamburellai le dita al tempo della musica.

Passò una mezz'ora che il taxista, divorziato da poco a quanto rilevava il segno sull'anulare dell'anello, mi avvertì che eravamo giunti a destinazione. Nel frattempo aveva persino smesso di piovere e un pallido sole illuminava le strade brulicanti di gente. Scaricai le valigie e la chitarra dall'auto e pagai la corsa lasciandogli il resto, poi mi girai a guardare la porta del 221B. Era verde e i numeri erano smaltati in oro, smaltatura che si stava scrostando a quanto potei notare, ed era rialzata dal livello della strada da un paio di gradini. Suonai il campanello e attesi sperando che mia zia non fosse già uscita, o che il problema alle anche che la opprimeva non le avesse dato altra scelta che una sedia a rotelle. 
"Nipotina mia! Fatti vedere! Dio mio, se cresciuta moltissimo, e, o santi numi, quel livido! Ti sei messa della pomata, del ghiaccio? Entra svelta..."
Atteggiamento tipico di mia prozia, sempre apprensiva e in costante ansia. Le sorrisi, poi la abbracciai.
"Tutto a posto, e per la cronaca, ci siamo visti al mio compleanno un paio di mesi fa. Il livido, tranquilla, è già in via di guarigione. Piuttosto hai sentito mamma e papà?"
Sembrò tranquillizzarsi.
"Si sì, li ho sentiti proprio poco fa, devo ammettere che il tuo talento di metterti nei guai è molto migliorato. Hai altri lividi? Com'è ridotto l'altro?"
"Lividi no, un paio di graffi che però sono parzialmente guariti sulle nocche..."
"O aspetta, chiamo gli altri coinquilini, sono brave persone, ci andrai d'accordissimo. Sherlock! John! Potete venire un attimo qui giù?"
"Comunque l'altro è ridotto peggio di me, se ti interessa così tanto... Un paio di lividi, escoriazioni, setto nasale rotto, una costola incrinata e un problemino alle parti basse."
Il mio discorso fu interrotto dall'arrivo di due ragazzi, l'uno biondo e basso portamento da militare uno sguardo gentile, l'altro invece alto(più di me persino), pallido, sguardo freddo e glaciale, con una maglia dai bottoni troppo tirati, che sembrarono esplodere da un momento all'altro.
"A ragazzi, lei è mia nipote, Edith Willows, starà da noi per un po', occuperà la stanza degli ospiti... Loro invece sono il dottor John Watson e Sherlock Holmes. 
"Piacere di conoscerti." Fece il primo, rendendomi la mano.
"Si, ora, dato che le presentazioni sono fatte, e i convenevoli sono inutili, scusate, sono terribilmente occupato. Dammi del tu e chiamami Sherlock comunque."
Freddo e conciso, con la voce profonda, salì le scale . Decisamente da non sottovalutare anche per come mi ha risposto. 
"Sherlock! Oh, lascialo, è fatto così, non ama la compagnia umana."
Ridacchiai. 
"L'avevo notato, così come ho notato il suo portamento tipico di un militare e il suo vizio del fumo che sta combattendo con poco successo e dimenticavo zia, ricordami di darti il numero di un buon fisioterapista, le anche vanno trattate bene."
"Bene, un'altra come Sherlock." Mormorò.
"Sono solo meno stronza, su una scala da uno a dieci, sono un sette, mentre lui invece è un nove, andando con lusso. Cambiando argomento, dove posso posare i miei bagagli?"
John sospirò rassegnato. 
"Vieni, ti faccio vedere la casa e la camera."
Tra le molteplici impressioni che mi ha dato tutto questo di sicuro una sola cosa mi è certa: non mi annoierò di certo.

Angolo autrice...
Ciao a tutti! Ecco il primo capitolo della mia storia, spero vi piaccia, è la prima su Sherlock! 

 

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Capitolo 2
*** Azzurro ***


Cos'è la polvere se niente altro che i ricordi che si accumulano?

La stanza è molto spaziosa in confronto a quella che usavo a casa mia. Aprii le serande in modo da lasciar entrare della luce e notai che non c'era affatto polvere. Tuttavia l'odore di chiuso era come se fosse stato assorbito dalle pareti, quindi aprii anche la finestra. 
Se c'era qualcosa che odiavo con tutto il cuore è l'odore persistente di chiuso. Lo stesso odore che mi suscita la polvere nei solai. Ricordi su ricordi che ti assalgono e fanno venire il magone. Per quanto ami le librerie e i negozi di antiquariato prima di entrare in una stanza chiusa da troppo tempo e polverosa devo farmi violenza mentale e prepararmi psicologicamente, è più forte di me, non riesco a sopportare il peso che i ricordi abbiano. 
Fortunatamente mia zia ci ha pensato, ha spolverato tutto per bene e ora sembra nuova la stanza, l'azzurro delle pareti non sembra vecchio di un paio di anni, anzi, le lenzuola sono bianche, linde e pulite, mentre i mobili, semplici e di legno chiaro, fanno la loro figura.

Abbandonato i bagagli e la custodia con la chitarra elettrica sul pavimento e sul letto, andai al piano di sotto per vedere la cucina. Essa, a quanto avevo notato, era di piccole dimensioni ma questo non mi avrebbe allontanato da cucinare qualcosa di buono e gustoso come il cibo Italiano. Purtroppo ciò che vidi fu il caos. Provette sparse ovunque (però ben catalogate con nomi, codici di riconoscimento), il microscopio di ultima generazione tenuto con cura, fogli, vetrini, strumenti degni del piccolo chimico o che farebbero invidia al laboratorio della scuola che frequentavo. Curiosai attorno: occhi umani nel microonde, vaschette con dubbio contenuto nel frigo, anche se dubito sia commestibile a meno che non si faccia poi una lavanda gastrica. Ebbi ad ogni modo la cura di non fare domande.

"Sei pregata di non toccare nulla. Nessun contenitore o prova deve essere toccata, sono esperimenti."
A parlare fu Sherlock. Chiusi il frigo e ribattei.
"Non sto toccando nulla, se non la maniglia del frigo."
"Però hai toccato alcune delle vaschette che erano in frigo."
Voltai la testa e lo osservai attentamente: era sdraiato placidamente sul divano, mani giunte al di sotto del mento, maniche della camicia azzurra arrotolate fino ai gomiti. Ancora non riuscivo a realizzare come avesse potuto capire che avevo guardato nel frigo, spostato le vaschette per vederne il contenuto, sebbene fosse rimasto stravaccato in modo composto sul divano a riflettere su chissà quale cosa a distanza di tre-quattro metri da me.

"Edith Willows. 19 anni, di fuori Londra, con un rapporto problematico con la famiglia, i compagni di classe a scuola..."
"Ex compagni di classe idioti, non compagni di classe." Precisai
Sogghignò poi riprese a parlare.
"Comunque, come testimonia il livido sull'occhio e i cerotti sulle nocche. Fammi pensare... L'altro era il doppio di te? Corporatura robusta, ma privo di cervello? Dettagli futili. Ottima media a scuola, ma nonostante questo, hai avuto dei problemi con il corpo docente. Avevi un gatto, che stava fuori casa e che immagino stia per venire a farti compagnia qui, come testimoniano i peli sul colletto della camicia."
Non dissi nulla. Lo ammetto, una persona normale non avrebbe potuto dire queste cose su di me con una semplice occhiata, però non mi scomposi, era semplicemente bravo ad osservare a quanto fa vedere, e a dedurre. 
"Tutto corretto, solo, giusto per precisare, l'altro, quello senza cervello che ha avuto la mancanza di buon senso, è di una decina di chili più di me, anche se la sua corporatura dimostra il doppio perché fa molto sport. Tuttavia, Sherlock, cosa dovremmo dire di te?"
Voltò la testa verso di me e si soffermò ad ascoltarmi. 
Mi sedetti sulla poltrona in centro alla stanza poi proseguii "potremmo dire che non sei figlio unico, che hai un vizio con il fumo, ma che stai cercando di combatterlo, che non mangi da, vediamo... Trentasei ore? Però non vieni intaccato nel fisico o nel ragionamento. Sai di essere superiore agli altri, lo vuoi far pesare in modo più che smisurato. Suoni uno strumento, come si può vedere sia dall'arco di violino sul mobile dietro al divano, sia per il pentagramma sul caminetto."
Fece una smorfia strana, poi bofonchiò "notevole, davvero notevole."

Suonò il campanello, poi, udimmo dei passi affrettati per le scale e mia zia fece capolino dalla porta con una gabbietta in mano.
"Edith, cara, è arrivato il tuo gatto, devo dire che è in anticipo, e che si sta arrabbiando e non poco nel trasportino. Vi porto del tea."
Presi la gabbietta e la aprii, il gatto, del peso di tre chili o più, mi si aggrappò alla camicia e miagolò in modo contrariato. Lo accarezzai sotto il muso, poi lo lasciai a terra, libero di sgranchirsi le zampe. 
John nel frattempo era tornato con la spesa. 
"La signora Hudson mi ha già detto del gatto, la lettiera la possiamo mettere nella stesa in disuso di lá. Siete riusciti a non sbranarvi a quanto vedo..."
Disse contento. Nel frattempo, il gatto (Felix), si era appollaiato sul suo grembo e Sherlock aveva assunto una faccia indescrivibile. 
Fece per ribattere, ma lo precedetti
"Per quanto sia strano, che lui odi gli estranei, con te sembra essere a proprio agio, quindi non essere intimorito da un gatto, il massimo che può fare sono delle fusa."
Boccheggiò poi non disse nulla, lasciando me soddisfatta, e John allibito 





 

Angolo autrice...
Buon giorno!
Eccomi qui con il secondo capitolo, so che è corto e poco entusiasmante, però spero che vi piaccia comunque è che vi induca a lasciare una piccola recensione. 
Alla prossima!

 

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Capitolo 3
*** Giallo ***


talvolta bisogna lasciare andare il passato e accettare il cambiamento, anche se forzato



 

Dopo aver sistemato la mia stanza uscii velocemente da casa dicendo solamente che ci avrei messo al massimo un paio di ore. 

Il cielo adesso era sgombro dalle nuvole e un caldo sole stava asciugando lentamente le chiazze d'acqua che erano per terra. Camminai senza una meta precisa, con solamente il proposito di dare uno sguardo nei dintorni in modo tale da abituarmi al luogo. 

Normalmente i grandi cambiamenti non sono pane per i miei denti, li odiavo con tutto il cuore, dal profondo. Essi portavano solo scompiglio nella mia vita. Scompiglio di cui non avevo bisogno. Tuttavia mi devo ricredere adesso, ne ho più che bisogno, ed è anche per questo che considero la scelta dei miei di mandarmi da mia prozia. 

Guardai le punte dei piedi, ferma di fronte alla vetrina di un negozio lì vicino. Devo ammettere che le mie Converse gialle rappresentano un bel cambiamento: fino a un paio di mesi prima non avrei avuto nemmeno il coraggio di comprare un paio di scarpe gialle, piuttosto colori neutri come nero, grigio o bianco, al massimo blu. Tuttavia, un paio di giorni fa, precisamente il 23 agosto, il giorno dopo il fattaccio, le avevo viste in vetrina e senza pensarci un attimo le avevo comprate. Di primo attito ero rimasta sorpresa da me stessa, per una volta non avevo dato ascolto alla mia parte razionale, mi ero buttata e basta.

Entrai in uno Starbucks e ordinai una tazza di caffè, sentendo che la mia dose di caffeina giornaliera, che normalmente ammonta a un paio di tazze, si stava esaurendo. Non appena arrivò, lo presi, pagai e uscii in strada nuovamente. 

Notai con sommo piacere una vecchia libreria all'angolo della strada. L'insegna, che sembrava consunta dal tempo e dalle intemperie, in realtà era stata dipinta per farla sembrare vintage, come si può notare dal colore di quella che dovrebbe sembrare ruggine. La vetrina invece era pulita a nuovo, così come i libri sistemati in vetrina e i sacchetti contenenti gli acquisti dei clienti, segno della nuova gestione del negozio. Entrai con tutta tranquillità e curiosai tra i titoli sugli scaffali, intanto feci in tempo a osservare la commessa dietro il bancone e il vecchio signore seduto vicino a lei. 

Fisionomia del viso simile.

Stesso sguardo caldo e confortante. Tutto il contrario di quello di Sherlock.

Sono parenti, e a notare dalle loro età, nonno e nipote. 

Mi colpì un particolare dell'uomo: la faccia sembrava scavata e le occhiaie gli contornavano gli occhi, sulle mani invece si possono notare delle piccole cicatrici di buchi di aghi. E' stato in ospedale di recente e non ama stare seduto per troppo tempo, a quanto sembra dal tamburellare nervoso della punta del piede sinistra sul parquet.

Comprai un libro sulle scienze forensi, pagai e uscii. 

Di certo Sherlock, a differenza mia, non avrebbe avuto il tatto e avrebbe ostentato le proprie conoscenze in faccia alle due persone, deducendo anche la sua recente operazione. 

Io, nonostante sia stronza, almeno questo è quello che dicono, non amo farmi notare, preferisco tenere per me le mie deduzioni, se non strettamente necessarie alla vita, alla salute e via dicendo dell'interessato. 

Rientrai in casa dopo essere passata dal super a comprare qualcosa da mangiare. A quanto ho visto Sherlock non mangia molto, è sottopeso, tutto il contrario di John, che secondo me ha messo su qualche chilo, come si può notare dalla pelle sulle guance lievemente tirata.

Misi le buste sul tavolo, poi sistemai il tutto nelle dispense e in frigo. Per mia fortuna nessuna testa tagliata o parte del corpo conservata, anche se credo sia capitato a quanto testimonia una microscopica goccia di sangue sul ripiano più basso del frigo coagulata troppo in fretta per il freddo. 

 

"Sei passata a comprare la spesa vedo."

Sherlock era seduto sul divano con i piedi poggiati sul tavolino antistante a lui. Non è nemmeno uscito. 

"A differenza tua che non la fai mai." ribattè John. 

"Ora scusate ma devo uscire ed andare a lavoro. A dopo."

"Io veramente ho bisogno di te per una scena del crimine. Quindi, come logico che sia, non ci andrai."

John sbuffò.

"Mi duole moltissimo deluderti, Sherlock, ma questa volta no. Dovrai fare a meno di me."

Aprì la bocca ma non emise suono, anche perchè il mio caro gatto, Felix aveva pensato bene di acciambellarsi alle sue ginocchia.

Il mio cervello però era rimasto fermo alle parole scena del crimine, interessante. 

Interessante, pericoloso e terribilmente attirante. 

"Potrei venire io." mi proposi quindi.

Sherlock, di tutta risposta, dopo aver fatto scendere Felix (troppa gentilezza secondo i suoi modi di fare), prese la giacca da vicino allo stipite della porta allungando semplicemente la mano e tirando la camicia sul davanti, che, per la cronaca era tenuta solo dai bottoni in tensione. 

una taglia più piccola della sua mi sa tanto. 

"Coraggio, che aspetti? Un invito? Oppure devo andare da solo su questa scena del crimine?"

Posai la borsa di stoffa sul tavolo, recuperai il telefono, la giacca e lo seguii di corsa. 

Rimasi sorpresa da questa sua accondiscendenza. Mi pare il tipo che "se invadi il mio spazio vitale ti sparo, se tocchi la mia cose ti sparo e poi faccio sparire il corpo". Ancora non mi è chiaro cosa l'abbia spinto, ma poco importa, altrimenti rischio di perdere il taxi su cui Sherlock è entrato e, adios scena del crimine.

 

 

 

 

 

Angolo autrice...

Ed ecco il terzo capitolo... nel prossimo si avrà un pochino di azione. grazie di voti, recensioni e commenti, alla prossima ;)

 

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Capitolo 4
*** verde ***


a volte è seriamente meglio non essere stronzi, ci si guadagna di più, pure in salute

 

L'atmosfera nel taxi era tutt'altro che tesa, complice il fatto che Sherlock non parlava molto e anche che io me ne stavo seduta comoda con le mani affossate nella tasche della giacca a guardare i passanti indaffarati. Mi chiedevo quale fosse la loro storia, se avessero una famiglia, che lavoro facessero e il tipo di musica ascoltassero. 

"Anche se non lo dai a vedere, so che sei curiosa sul caso per cui gli incapaci, per usar un eufemismo, di Scotland Yard ci hanno chiamato. Comunque  sia, parla solo se vieni interpellata, non dare confidenza all'idiota della scientifica, e comunque, in ogni caso, non divulgare alcuna informazione se non a Lestrade." 

Il suo tono era freddo e distaccato, in completa dissonanza con le parole che aveva pronunciato, che, a parer mio, sarebbero potute venir pronunciate con un tono più caloroso. Spostai un ciuffo di capelli dietro l'orecchio lasciando scoperta la serie di orecchini e piercing che percorreva dal lobo tutto il canale insieme all'interno di grandezza decrescente in metallo chiaro. Arricciai le labbra e lo guardai a mia volta per poi non dir nulla, tanto non stava ascoltando e mi aveva portato con se solo per un qualche motivo a me sconosciuto.

Arrivammo pochi minuti dopo nella zona industriale di Londra, le uniche note di colore erano date dalla camicia di Sherlock e dai lampeggianti delle volanti, oltre che dal classico nastro giallo.  Una donna di colore stava facendo la guardia, in modo tale da non lasciar passare i curiosi. 

"Geniaccio, lasciato a casa Watson? Da quando è che vieni con una compagnia femminile, è da segnare sul calendario."

"Donovan, sai benissimo che Watson è andato a lavoro, inoltre, mi duole particolarmente ma devo andare da Lestrade. A proposito,  lei è con me, non fare domande." pronunciò ironico e fintamente dispiaciuto, per poi passare al di sotto della fascia gialla. 

Una macchia verde era tesa a terra, unico colore in contrasto al nero dell'asfalto, rivelandosi il corpo di una donna, sulla quarantina, in forma fisicamente, perfettamente curata e uccisa dal colpo alla testa, sparato a bruciapelo proprio tra gli occhi, che aveva lasciato uscire un rivolo di sangue. 

"Il proiettile è ancora all'interno del corpo." dissi ad alta voce abbassandomi a livello terra.

"Come?" la voce dell'ispettore si fece per un'attimo acuta, mentre Sherlock osservava semplicemente.

"Ho detto e il proiettile è ancora nel cranio della donna, vista l'assenza di sangue intorno al corpo, inoltre, nonostante te Sherlock tu mi abbia chiesto espressamente di non parlare, forse per non rubarti la scena, potrei altresì dire che è stata uccisa a bruciapelo, come testimoniano le bruciature intorno al foro di entrata. Si potrebbe definire quasi come una punizione o giustiziamento, non ha quasi opposto resistenza a quanto mostrano i polsi della donna." 

Mi rialzai e distesi i jeans che avevo addosso, rovistai nella borsa fino a cercare una gomma da masticare, tirai fuori la striscetta verde e la masticai.

"Sherlock, è una tua parente per caso?" mormorò Lastrade. 

Scoppiai a ridere e Sherlock trattenne una risata e sorrise appena. 

"Fidati, se fosse mia parente non mi avrebbe nemmeno seguito qui. Avrebbe preferito Microft."

"Comunque, a quanto ho potuto vedere, la vittima, Kelly Jones, quarantatré anni, Madre divorziata, Gestrice di una serie di profumerie, risponde alle osservazioni fatte da Edith. Inoltre, potrei assicurare che stava frequentando un altro uomo, inoltre, dato che sono le quattro del pomeriggio, sarà meglio che chiamiate l'ex marito e che andiate a prendere il figlio a scuola. Alla Stafford, a quanto vedo. AH, dimenticavo, disponi l'esame Tossicologico per le droghe che non si notano subito e anche quello balistico. Aggiungici pure l'esame delle fibre del cappotto."

"Questo direi che non sarà possibile, sai decido io, la scientifica, gli esami da fare. non di sicuro te" disse un'uomo che si era avvicinato a noi.

"Senti, non dico nemmeno il nome, perchè equivarrebbe ad abbassarmi al tuo medesimo giochino di supremazia, inoltre, direi che dovresti chiudere la bocca ogni tanto, si sente da qui l'odore di Tacos, medesimo Tacos mangiato da Donovan."

Si alzò dal corpo e si sistemò la sciarpa poi ce ne andammo lasciandoli crogiolare nel loro brodo. 

 

 

E' possibile misurare la stronzaggine delle persone?

Quella era la domanda che mi tormentava, sia in positivo che in negativo, da molto, anzi, troppo tempo. Dato che non sono a conoscenza di una scala di valutazione se sì si può definire, si potrebbe inventare e depositare il brevetto senza troppi problemi, a meno che l'addetto alle tediose cose burocratiche non si indispettisca o sia molto permaloso. Alla base forse forse non saprei che mettere, anche se con grande probabilità ci sarebbe una buona parte della popolazione dato che, almeno una volta nella vita, tutti siamo stati, ance se per un millisecondo, degli emeriti stronzi. Dopotutto, chi sono io per poter definire la stronzaggine? Non è altro che qualcosa di puramente soggettivo. 

Tuttavia, se proprio dovessi essere certa di qualcosa, è che Sherlock Holmes fa pare degli stronzi capitali, alle volte, o meglio, quasi sempre. Ceca sempre di ostentare la propria dote di osservatore e deduttore, e sembra esserne compiaciuto. Io, invece, non lo sono così tanto, bensì, in caso di estrema necessità, con persone che lo meritano: non amo dir tutto di una persona, ridurla mentalmente a sentirsi nuda come mamma sua l'ha fatto. Forse è questo che mi distingue da Holmes, e che ho notato in pochissimo tempo, l'umiltà e l'umanità. 

Ciò che mi ha stupito però è che raramente Sherlock si mostra accondiscendente e gentile nei confronti del prossimo, o meglio, come sta facendo tutt'ora con la migliore amica della vittima, Giselle Lasting, fragile come un fuscello che tra poco scoppierà in una crisi isterica e disperata di pianto. 

A quanto vedo Sherlock sta perdendo la pazienza e sta per, letteralmente distruggere nel peggior modo possibile, ovvero a parole, la poveretta. 

"Sherlock..." lo richiamo. Si volta a fissarmi con gli occhi color ghiaccio in modo interrogativo. Lo tiro letteralmente per un braccio sentendo sia la sua muscolatura, sia il suo irrigidirsi. 

"Senta, Giselle. Sappiamo entrambi che lei è distrutta dalla morte della sua cara amica Kelly, però, dato che, sempre entrambe, vogliamo che l'assassino venga sbattuto in carcere, lei deve rispondere al delle piccole questioni."

La donna annuì frettolosamente e in modo quasi sconnesso. Gli occhi rossi dal pianto, stavano per lasciarne sbordare altro e le pupille saettavano da me a Holmes a Lestrade. 

"Bene, prima domanda: di recente Kelly aveva iniziato a frequentare qualcuno? Era cambiata? Aveva un comportamento insolito per il suo carattere?" dissi nel modo più gentile possibile. Paradossalmente so come prendere le persone in crisi isteriche o di pianto o di panico o d'ansia, so come tranquillizzarle ed essere meno stronza e più compassionevole. In modo vero aggiungerei.

"Da un paio di mesi si vedeva con Larry Kovalski, suo collega a lavoro, esperto profumiere e suo rivenditore. Si trovavano bene insieme, persino con Isaac, suo figlio, riuscivano ad essere una famiglia normale. Progettavano persino di andare di andare a vivere assieme e di trasferirsi in un quartiere più vicino alla scuola di Isaac. AH, dimenticavo, volevano provare ad avere un figlio." 

Annuii e abbassai gli occhi. Sherlock stava osservando sia me che Giselle, sembrava quasi che il criceto interno al suo cervello stesse lavorando all'impazzata. 

Ci congedammo e ordinammo di far controllare Kovalski e ogni singola cosa correlata a lui. 

"Fortuna che non avresti dovuto parlare." 

Emisi una piccola risatina. 

"Non sono in grado di restare zitta, sono logorroica quando mi ci metto. Inoltre, se avessi gentilmente interrogato la Lastings non ci avrebbe detto nulla, soprattutto con i tuoi metodi poco gentili."

Non rispose nemmeno, anzi guardò semplicemente avanti a se, con un semplice sorriso, o smorfia, sulle labbra.

 

 

 

 

 

 

 

angolo autrice

ed eco qui il quarto capitolo, come vedere ho deciso di inserire un po' di pepe nella narrazione, così come ho cambiato la cover, inserendo un personaggio in più nel nostro gioco

a presto!




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