Please Stay (extended version)

di BebaTaylor
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo Due ***
Capitolo 3: *** Capitolo Tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo Quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo Cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo Sei ***
Capitolo 7: *** Capitolo Sette ***
Capitolo 8: *** Capitolo Otto ***
Capitolo 9: *** Capitolo Nove ***
Capitolo 10: *** Capitolo Dieci ***
Capitolo 11: *** Capitolo Undici ***
Capitolo 12: *** Capitolo Dodici ***
Capitolo 13: *** Capitolo Tredici ***
Capitolo 14: *** Capitolo Quattordici ***
Capitolo 15: *** Capitolo Quindici ***
Capitolo 16: *** Capitolo Sedici ***
Capitolo 17: *** Capitolo Diciasette ***
Capitolo 18: *** Capitolo Diciotto ***
Capitolo 19: *** Capitolo Diciannove ***
Capitolo 20: *** Capitolo Venti ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 - Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo Uno ***


Please Stay (extended version)


Capitolo Uno

La monovolume nera si fermò davanti alla villetta a due piani. La ristrutturazione era finita qualche settimana prima e l'arredamento era al suo posto.
Richard scese dall'auto e osservò la casa; erano passati più di vent'anni dall'ultima volta che l'aveva vista.
Fortunatamente i suoi genitori avevano pensato alla manutenzione. Solo l'erba del giardino era da tagliare.
Sorrise e si voltò verso sua moglie Rosalie «Ti piace?» domandò speranzoso, a lui quel posto piaceva e desiderava che piacesse anche a lei.
Rosalie annuì e prese in braccio il piccolo Chris. «È molto carino.» rispose, non era la prima volta che glielo chiedeva, e ogni volta lei rispondeva la stessa cosa. Non che quel paesino, in collina, a qualche kilometro dal lago, non le piacesse, anzi lo trovava meraviglioso. Per una vacanza, di due settimane, tre al massimo. Non per passarci il resto della sua vita.
Rosalie fece scendere la piccola Emily e seguì Richard. Il cancelletto si aprì con un cigolio quando Richard lo spinse, e Emily ridacchiò divertita.
Rosalie avanzò lungo il vialetto di sassi bianchi, maledicendo se stessa di non aver ascoltato Richard e di essersi messa le decolté con il tacco alto.
Richard, infilò la chiave nella serratura della porta e la girò, e sorrise; allungò una mano verso Emily e la bambina gli corse incontro, alzò le braccia verso il padre ridacchiando; Richard la prese in braccio e le baciò la guancia.
La famiglia entrò, le loro cose erano già lì. Nel bagagliaio dell'auto li aspettavano solo qualche valigia e poco altro.
Il salone era ampio, un grande camino occupava l'angolo a destra. Un grande divano blu era davanti al camino.
Rosalie avanzò nel salone, e fece sedere Chris sul divano.
Richard si avvicinò a loro, e fece scendere Emily; abbracciò da dietro Rosalie e le baciò la guancia. «Dimmi la verità. Ti piace stare qui?»
Lei si spostò e si voltò verso di lui. Gli sorrise e gli cinse il collo con le braccia. «Sì, mi piace.» rispose. «Mi piacerebbe qualsiasi posto se sono con te e i bimbi.» e mentre lo dice si accorse che era la verità. Sarebbe andato in capo al mondo con lui.
Sorrise ancora e lo baciò sulle labbra.

***

Richard si sedette sul letto e aprì l'album di fotografie, quelle di lui e Rosalie ai tempi del liceo —erano passati diciassette anni— e sfogliò lentamente le pagine, soffermandosi su ogni foto.
La prima ritraeva lui e Rosalie —quindici anni lui, quattordici lei— abbracciati vicino a una delle tante fontane della città. Richard aveva chiesto a un passante di scattare quella foto, come ricordo del loro primo appuntamento.
Sorrise, Richard, nel vedere quella foto; ricordava ancora dettagliatamente la prima volta che aveva visto Rosalie. L'anno scolastico era iniziato da un mese, il secondo anno per lui, il primo per lei. L'aveva vista vicino all'ingresso, sola e impaurita da quella folla di studenti, le si era avvicinato e le aveva chiesto se aveva bisogno d'aiuto. Lei aveva annuito, rispondendo che era nuova e che cercava la segreteria, ma non sapeva da che parte andare.
Lui aveva sorriso e l'aveva accompagnata. Da quel giorno non si erano più lasciati.
Erano sposati da sette anni e avevano due bambini, Emily di cinque anni, Chris di tre.
Richard sorrise, chiuse l'album e fissò l'orologio, erano le sette meno dieci, non sarebbe riuscito ad andare al negozio di ferramenta prima che chiudesse per prendere l'olio per i cardini del cancello.
Sentì la porta del bagno aprirsi, i bambini lanciare urletti di gioia e la voce di Rosalie che gridava di stare attenti e di non correre. Richard sistemò l'album nell'ultimo cassetto del comò.
Si guardò nello specchio sopra il comò e si passò una mano fra i capelli castani; decise di uscire dalla camera e di andare a vedere a che punto era Rosalie con i bambini.
Rosalie fece sedere il bambino sulla piccola sedia di plastica arancione.
«No!» strillò il bambino divincolandosi e cercando di alzarsi mentre Rosalie cercava di infilargli la maglietta; afferrò il bambino e lo fece sedere di nuovo.
«Sì, invece. Non puoi andare in giro senza maglia.» spiegò, poi gli infilò la maglietta ignorando le proteste del bambino.
Richard sorrise e si avvicinò a Emily per aiutarla ad allacciarsi le scarpe. «Voglio la pizza con le patatine!» trillò la bambina battendo le mani.
Lui le prese il viso fra le mani e le baciò la fronte coperta dalla frangetta castana. «Ma è ovvio che la mangerai.» le disse prima di stringerla in un abbraccio.

***

Meredith si avvicinò alla porta, sorrise e fece la linguaccia ad Albert, che si trovava dall'altra parte della vetrina. Controllò che la porta fosse chiusa, e schiacciò il pulsante per far abbassare la saracinesca. Si voltò e accompagnata dal ronzio del motore prese la sua giacca posata sul bancone; la indossò e afferrò la borsa. Prima di uscire dalla porta sul retro spense le luci.
Anche se Albert era dall'altra parte dell'edificio riusciva a sentire i suoi borbottii. Meredith ridacchiò e svoltò l'angolo. Albert era seduto sulle scale, la testa appoggiata alla ringhiera.
«Ce ne hai messo di tempo.» esclamò lui alzandosi.
Meredith alzò gli occhi al cielo e sbuffò. «Due minuti non sono troppi.» fece notare.
«Ho fame.» si lamentò lui e si avvicinò a lei.
Meredith sorrise e scosse la testa. Albert aveva sempre fame, mangiava come un maiale e non ingrassava di un chilo. «Tu hai sempre fame.» disse lei posando la mano nell'incavo del gomito di lui.
Camminarono lentamente fino alla macchina, ferma nel parcheggio distante una cinquantina di metri.
«Andiamo nel solito posto?» domandò Albert aprendo la portiera del passeggero.
Meredith annuì e si sedette, sorrise ad Albert e girò la testa seguendolo con lo sguardo.
Era il suo migliore amico da sedici anni; avevano dieci anni quando si erano conosciuti.
Albert salì in auto e sorrise a Meredith; avviò il motore e uscì dal parcheggio. «Cosa mi dici di Clark?» domandò.
Meredith scrollò le spalle, lo sguardo fisso sul paesaggio che scorreva fuori dai finestrini. «Niente.» rispose. «Non era adatto a me.»; si voltò verso di lui e gli sorrise. Era il suo amico e gli voleva molto bene, c'era sempre stato quando ne aveva avuto bisogno e anche quando voleva essere lasciata sola.
«È solo un cretino, non sa cosa si è perso.» Albert si fermò allo stop e alzò la levetta per azionare la freccia.
Meredith gli sorrise ancora, felice che lui non chiedesse altro, e in fondo, non doveva chiedere nulla. Meredith sapeva che ad Albert bastava guardarla per capirla, sapere cosa le passasse per la testa. Appoggiò il capo sul poggiatesta e si rilassò, godendosi il panorama del lago.
Non disse nulla quando la mano di Albert sfiorò la sua, rimase ancora in silenzio quando la mano di Albert strinse la sua. Non disse nulla perché non c'era nulla da dire.

***

Albert e Meredith entrarono nella pizzeria, la cameriera li accompagnò al loro tavolo, accanto a loro, si trovava una famiglia: madre, padre e due bambini, una femminuccia e un maschietto. Avevano già ordinato, le bibite erano sul loro tavolo.
Meredith aprì il menu, lo guardò appena e lo posò sul tavolo, tanto sapeva già cosa ordinare.
«Sei sempre la solita.» esclamò Albert. «Prendi sempre la stessa cosa.»
Meredith sbuffò e prese la confessione dei grissini. «Però mi vuoi bene lo stesso,» sorrise e piegò la testa di lato, «vero?»
Albert sorrise e spostò il braccio, la sua mano strinse quella di Meredith. «Mi pare ovvio che io ti voglia bene ugualmente.»
Meredith fissò le loro mani, poi alzò lo sguardo su Albert. Sorrise.

La cameriera aveva preso i loro ordini da qualche minuto. Meredith ascoltò con interesse quello che Albert le stava dicendo, le piaceva molto sentir parlare della famiglia del ragazzo, si era sempre trovata bene con loro. La sua famiglia non era così.
Un paio di anni prima erano andati a vivere al mare, stufi della collina. Lei sapeva che era una cosa che desideravano, ma avevano fatto tutto di nascosto. Avevano avvisato lei e Jacob, suo fratello maggiore, solo a cose fatte.
Li vedeva, li sentiva, ma non era la stessa cosa.
«Ciao.»
Meredith guardò il bambino in piedi accanto a lei, dopo qualche secondo gli sorrise. Il bambino alzò le braccia e gli mostrò il pupazzo che stringeva in mano, un coniglio azzurro.
«Che bel coniglio.» esclamò la ragazza.
Il bambino sorrise e strinse ancora di più il coniglio,
«Chris non dare fastidio.» il padre del bambino si alzò e prese il figlio in braccio, mormorò le sue scuse a Meredith e tornò al suo tavolo.
«È innamorato di te.» disse Albert. «Continua a guardarti.»
«Ma se mi ha appena visto! E poi è sposato!» replicò Meredith.
«Il bambino, Meredith. Il bambino.» spiegò Albert cercando di trattenere le risate.
«Oh.» mormorò lei, poi la sua attenzione si rivolse alla birra che la cameriera le posò davanti.

***

Albert baciò la guancia di Meredith, e la fissò scendere dalla macchina, continuò a guardarla mentre attraversava il giardino ed entrava in casa. Fissò la porta a lungo, anche dopo che Meredith la chiuse.
Si posò una mano sulla guancia, nel punto in cui le labbra di Meredith l'avevano baciato. Riusciva ancora a sentire il profumo della ragazza nell'abitacolo.
Un profumo dolce, che gli piaceva molto. Alzò lo sguardo e vide la luce della cucina accendersi, le tendine scostarsi; Meredith era là, che lo salutava e gli mandava i baci con la mano.
La salutò anche lui, aspettò che le luci della cucina si spegnessero e partì, anche se in relatà avrebbe voluto essere lì con lei.

Salve! Nuova storia. "All things Come to those who wait" e "Another World" sono "quasi finite" e così ho deciso di pubblicare questa nuova storia che naviga nel mio portatile da qualche tempo.
La oneshot che ho pubblicato qualche giorno fa "Please Stay" si colloca più o meno a metà della storia.
Spero che questo primo capitolo vi piaccia; sono stati introdotti i quattro protagonisti princiapali.
Al prossimo capitolo!

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Capitolo 2
*** Capitolo Due ***


Please Stay (extended version)


Capitolo Due

Meredith si alzò con la scatola di cartone vuota in mano. «Hai finito?» domandò guardando Albert che giocava con il foglio appeso al vetro. «Finirai per staccarlo.»
Albert alzò le spalle e si spostò dalla vetrina. «È solo nastro adesivo.»
Meredith lasciò la scatola vuota sul bancone. «Mi serve quel foglio.» fece notare. «Se cade per terra come fa la gente a sapere che sto cercando un aiuto?» si voltò verso la scatola e iniziò a riempirla con la plastica in cui erano avvolte le prolunghe che aveva appena sistemato sugli scaffali.
«Scusa.»
Meredith si voltò lentamente, trovandosi davanti Albert con il foglio in mano.
Il ragazzo posò il foglio sul bancone e si passò una mano fra i capelli biondi.
Meredith sospirò, alzò gli occhi al cielo e si sporse sul bancone alla ricerca del nastro adesivo. «Sei un'idiota, Albert.» disse afferrando il rotolo.
«Scusami.» mormorò lui guardandola, le labbra piegate in un timido sorriso.
Lei si voltò verso di lui. «Te l'avevo detto di non toccarlo!» esclamò arrabbiata, spinse da parte Albert e si incamminò verso la vetrina.
«Scusami.» ripeté Albert.
«Sei un'idiota.» esclamò lei, «Ti ho ripetuto un sacco di volte di non toccarlo.» Meredith si avvicinò alla vetrina e staccò un pezzo di nastro adesivo con i denti.
«Sei adorabile quando ti arrabbi.» mormorò Albert posandole le mani sulle spalle.
Meredith sfiorò il foglio che aveva appena attaccato e si voltò trovandosi a pochi centimetri dal suo viso quello di Albert. Lo guardò, fissando gli occhi verdi e le labbra sottili piegate in un sorriso. Continuò a guardarlo in silenzio, fino a quando il campanello che segnalava l'apertura della porta non suonò.
Meredith si scostò e sorrise. «Buongiorno.» esclamò.
«Io sono qui per l'annuncio.» disse il ragazzo appena entrato.
Albert ridacchiò e posò una mano sulla spalla di Meredith. «Le tue erano paranoie inutili.»
Meredith lo guardò appena e rivolse la sua attenzione al nuovo arrivato, «Vieni.» gli disse facendogli segno di seguirla al bancone. Anche Albert li seguì. «Non devi andare al lavoro?» gli domandò Meredith.
Albert annuì. «Vado.» rispose e si sporse sul bancone per baciare la guancia della ragazza. «Ti chiamo più tardi.» aggiunse prima di andarsene.
«Scusami, è un idiota.» disse Meredith rivolgendosi al ragazzo di fronte a lei.
Lui sorrise e Meredith notò le fossette sulle guance. Il ragazzo le porse un foglio e Meredith lo prese, era il curriculum.
«Mmm, Richard.» lesse, «Richard Benson.» rimase in silenzio mentre leggeva.
«Potresti aspirare a qualcosa di un posto come commesso.» alzò lo sguardo verso di lui. «Eri proprietario di un ristorante. So che c'è un bar che sta cercando un nuovo gestore.»
Richard sospirò e appoggiò le mani sul bancone. «Lo so, ma quella...» si fermò e si fissò le mani, «è una storia chiusa.»
Meredith scrollò le spalle e pensò che non ne volesse parlare. Posò il curriculum sul bancone. «Dovrei parlarne con mio fratello, ma per me vai benissimo.»
Richard sorrise. «Grazie.» disse guardandola; socchiuse gli occhi e inclinò il capo verso destra. «Ci siamo già visti?»
Meredith lo guardò sorpresa, «Non credo... non lo so.» rispose.
Richard sorrise ancora. «Ieri sera, in pizzeria.» sfiorò il barattolo di latta dipinto con dentro alcune biro. «Eri lì con il tuo fidanzato.»
Meredith aprì la bocca. «Il mio fidanzato?» domandò sorpresa. «Ma chi?»
«Quello che era qui prima.» spiegò Richard. «Non state insieme? Sembrate molto uniti.» aggiunse confuso.
Meredith scoppiò a ridere. «Ma chi, Albert? È il mio migliore amico.»
«Oh... scusami.» Richard, imbarazzato, si passò una mano sul volto. «Mio figlio Chris voleva regalarti Poppy.»
«Sì, mi ricordo. Il coniglietto di pezza.» sorrise, prese il foglio e lo infilò in un cassetto del bancone. «Hai un bambino bellissimo.»
«Grazie.» disse Richard.
«Ti chiamo io per il lavoro. Domani mattina o al massimo domani sera.» Meredith si appoggiò con i gomiti al bancone e continuò a sorridere, si sfiorò con la mano destra la spalla sinistra lasciata scoperta dalle spalline sottili della canottiera lilla.
«Sì, certo...» Richard la guardò e sorrise. «Grazie.»
Fece un passo indietro e si voltò per dirigersi verso la porta. Quando la sua mano sfiorò il pomolo si voltò. «Me ne stavo dimenticando...» si avvicinò al bancone. «Mi serve qualcosa per i cardini del cancello, cigola.»
Meredith sorrise. «Seguimi.» gli disse.

***

«Lo hai assunto?» strillò Albert e Meredith scostò il cellulare dall'orecchio. «Lo conosci appena!»
«Jacob è d'accordo.» rispose Meredith sdraiandosi sul divano. «E poi mi serve un aiuto e lo sai.»
«Sì, ma non lui.» ribatté Albert, «Non lo conosci! Perché Tim non andava bene?»
Meredith sbuffò e afferrò il telecomando della TV. «Quanto caffè hai bevuto?» domandò e spinse un tasto a caso del telecomando per accendere la TV. «E Tim non l'ho preso perché mi serve qualcuno che sollevi cose pesanti.» disse.
Cambiò canale un paio di volte. «E Tim non è adatto. Fa fatica a sollevare una cassa d'acqua!»
«Sì, ma almeno lo conosci... lo conosciamo.» replicò Albert.
Meredith percepì un tintinnio. «La vuoi smettere di bere caffè? Ti rende nervoso.»
Sorrise nell'immaginare Albert che infilava le monetine nella fessura del distributore.
«Sai che pensava che fossimo fidanzati?» Meredith rise e posò la testa sul bracciolo del divano.
«Cosa?» domandò Albert e tossì.
«Tutto bene? Ti è andato di traverso i caffè?» Meredith rise ancora, «Te l'avevo detto di smetterla.»
«Sto... bene.» borbottò Albert. «Ha detto che sembravamo due fidanzati?»
«Sì, ha detto così... non ti sembra buffo? Io e te, fidanzati...» Meredith si fissò la mano e si rese conto che forse non era così buffo. Si conoscevano da tanti anni, erano sempre insieme, era il suo migliore amico... scosse la testa.
«Ah...» Albert respirò rumorosamente. «Sì, io e te, insieme. Decisamente buffo. Devo andare.»
Meredith scrollò le spalle ormai abituata ad Albert che chiudeva le chiamate senza salutarla.
Era fatto così, e lei ormai ci era abituata, anzi, la cosa non le dava più fastidio. Si voltò verso il televisore, indecisa su quale programma seguire.

***

«E quindi il tuo capo è una ragazza?» domandò Rosalie infilando i piatti nella lavastoviglie. «Devo iniziare ad essere gelosa?» domandò con un sorriso chiudendo lo sportello.
Richard sorrise. «No.» rispose alzandosi dalla sedia.
«Però è una bella ragazza.» esclamò Rosalie avviando la lavastoviglie. Anche lei si ricordava della sera al ristorante, ricordava la ragazza con i lunghi capelli biondi a cui Chris voleva regalare Poppy.
Richard sorrise e si avvicinò alla moglie. «Da quando sei gelosa?» le sussurrò abbracciandola da dietro; le scostò i capelli dal collo e lo sfiorò con le labbra. «Non devi esserlo.» mormorò sfiorando il lobo che le labbra.
Rosalie si voltò sfiorò il naso di Richard con le labbra e gli circondò il collo con le braccia. «Lo so che non devo esserlo.» mormorò. o baciò sulle labbra. «Io mi fido di te.»

***

«E quella cos'è?» domandò Richard indicando una foto appesa nella stanza sul retro del negozio. Era il suo primo giorno di lavoro e Meredith gli stava mostrando il negozio.
«Una giostra di cavalli, un carosello... chiamala come preferisci.» rispose Meredith guardando la foto che ritraeva un giostra con i cavalli, un bosco sullo sfondo. Era sta scattata molti anni prima. «Non è lontana da qui.»
Richard si voltò verso di lei. «Dove? Potrei portarci i bambini.»
Meredith lo guardò e sorrise. «Non puoi portarli. È chiusa da anni.»
«Oh, peccato.» mormorò lui.
Meredith abbozzò un sorriso e tornò a guardare la foto. «Già. Un vero peccato.» disse. «Chiusa e in rovina.»
aggiunse sottovoce continuando a fissare la foto.
«E perché l'hanno chiusa?» domandò Richard.
«Non ne ho idea.» rispose Meredith. «Vieni, ormai è ora di aprire.» aggiunse e posò una mano sulla spalla del ragazzo, lo guardò e sorrise.
Richard la fissò in silenzio e Meredith si scostò, voltandosi imbarazzata. Velocemente si avvicinò alla porta, l'aprì.Premette il pulsante e la saracinesca salì. Meredith si passò una mano sul volto, era stanca perché la sera prima era andata a dormire tardi. Sbadigliò e tornò verso la cassa.

***

Richard sistemò la latta di vernice sul ripiano. «Quante ne mancano?» domandò.
«Quattro, esclusa questa.» rispose Meredith passandogli un'altra latta.
Richard si sporse e la scaletta traballò, posò una mano sul ripiano per mantenersi in equilibrio.
«Stai attento, non voglio che ti ammazzi il primo giorno di lavoro.» esclamò Meredith cercando di non ridere.
«Neppure io.» replicò Richard.
Meredith scosse la testa, e si chinò per prendere un'altra latta. «Mi sembra giusto.» alzò la testa e sorrise; i suoi occhi incrociarono quelli di Richard e abbassò la testa imbarazzata. «Prendi. Abbiamo quasi finito.»

***

Albert entrò nella ferramenta cinque minuti prima che chiudesse per la pausa pranzo.
«Meredith, se vuoi la sala per la festa ti conviene prenotarla ora.» esclamò.
Richard lo guardò «Meredith è di là, torna subito.» lo informò.
Albert aprì la bocca, non aspettandosi di trovare Richard dietro al bancone. «Ah. Io l'aspetto qui.» esclamò posando gli avanbracci sul bancone.
Richard alzò le spalle e continuò a sistemare le pile sull'espositore. «Fai pure.» disse. «La festa per che cosa è?» Albert lo guardò per qualche secondo in silenzio. «Per il compleanno di Meredith, è settimana prossima, il ventisei.» «Ventisei anni, giusto?» chiese ancora Richard.
Albert annuì. «Sì. E tu come lo sai?»
Richard scrollò le spalle. «È stata lei a dirmelo.»
Albert rimase in silenzio fissando Richard.
«Ehi, che ci fai qui? Non dovresti essere dai tuoi vecchietti?» domandò Meredith.
Nessuno di loro due l'aveva sentita arrivare.
«Adesso vado. Volevo solo dirti che devi prenotare la sala.» rispose Albert. «Devo dirti una cosa,» aggiunse «in privato.»
Meredith annuì e lo seguì alla porta. «Dimmi.»
Albert sospirò e guardò brevemente Richard. «Sei sicura di poterti fidare di lui? Di lasciarlo alla cassa, da solo?» mormorò.
Meredith alzò gli occhi al cielo e sbuffò. «Sei paranoico, sai? Certo che mi fido.»
Albert si morsicò le labbra. «Sei sicura?» domandò ancora.
Meredith sbuffò ancora e aprì la porta. «Sì che sono sicura. Ed ora vai, altrimenti i tuoi vecchietti si preoccupano se non ti vedono.» gli sorrise e lo spinse fuori. «Ci sentiamo!» urlò salutandolo con la mano.
«Vecchietti?» domandò Richard.
Meredith si voltò, sorpresa di trovarlo a qualche passo di distanza. Lui le sorrise, lo fece anche lei. «Albert lavora in una casa di riposo.» rispose. «Lo adorano.»
«È un bravo ragazzo.» esclamò Richard. «E molto protettivo verso di te.»
Meredith aprì la bocca e guardò con sorpresa Richard, domandandosi se avesse sentito tutto. «Sì, lo è.» disse; guardò l'orologio «Dobbiamo chiudere.» disse.
Mentre chiudeva il negozio si domandò se dovesse chiedere scusa a Richard per quello che aveva detto Albert, perché era sicura che Richard avesse ascoltato tutto.
Scosse la testa e decise di non dire nulla, era stato Albert a dire tutte quelle cose, era lui che doveva chiedere scusa.

***

Albert si avvicinò al distributore di bibite e infilò le monetine nella fessura. Anche quel giorno si era dimenticato la chiave. Sospirò e prese la bottiglietta d'acqua frizzante, domandandosi cosa stesse facendo Meredith in quel momento. Non gli piaceva Richard; solo il pensiero che fosse sposato e avesse due figli lo consolava.
Avrebbe preferito Tim. Era più piccolo di loro e non era troppo affascinate. Albert aprì la bottiglietta d'acqua e sorrise; non troppo affascinante era quasi un complimento per Tim. Magro, anzi, magrissimo, basso, con gli occhiali spessi come fondi di bottiglia e il viso ricoperto dall'acne.
Albert sapeva che Meredith non sarebbe mai stata attratta da Tim, ma da uno come Richard sì. Scosse la testa. Meredith non ci avrebbe mai provato con uno sposato, ne era sicuro.

***

Richard entrò in casa e i bambini gli corsero incontro, lui si chinò per baciarli e abbracciarli; si alzò in piedi, entrambi i bambini in braccio e andò in cucina.
Rosalie finì di condire l'insalata e dopo aver messo a posto l'olio controllò le bistecche.
«Com'è andata?» domandò voltandosi.
«Benissimo.» rispose Richard, scostò la sedia con il piede e si sedette, sistemando i bambini sulle gambe.
«Lei com'è?» domandò Rosalie.
Richard sorrise e fece scendere i bambini. «Simpatica e brava.» rispose aiutando i bambini a sedersi.
«E?» lo incalzò Rosalie portando in tavola l'insalatiera.
Richard alzò le spalle. «E nulla.» disse. «Sai che una volta qui c'era una vecchia giostra dei cavalli?» chiese, «Solo che è chiusa.»
Rosalie sistemò le bistecche nei piatti e li sistemò sul tavolo. «Che peccato. Sarebbe stato bello. Qui non c'è nulla, il parco giochi più vicino è a sei chilometri.» mentre lo disse fissò Richard negli occhi.
Lui non rispose, si alzò in piedi e aiutò Chris a sedersi sulla sedia.
«Qui non c'è nulla.» sbuffò Rosalie sedendosi.
Richard la guardò in silenzio e si versò un bicchiere d'acqua. «Non è vero.» rispose cercando di sorridere. «Sei chilometri non sono molti.»
Rosalie sbuffò, «Lo so.» mormorò. «Non ci sono ancora abituata.»
Richard sorrise e sfiorò la mano della moglie, la strinse delicatamente. «Ti abituerai, ne sono sicuro.»
Lei sorrise, «Hai ragione.» sussurrò, spostò la mano e accarezzò la nuca della figlia.
«Perché dopo non mi accompagni al lavoro e vai con i bambini al centro commerciale?» propose Richard.
Rosalie lo fissò sorpresa, non aspettandosi una proposta del genere. «Mi sembra una bella idea.» rispose. «Così prendo le tende per le camere dei bimbi, quelle che abbiamo sono troppo piccole.»
Richard annuì e prese un po' d'insalata. «Va bene, però non tornare a casa con un altro paio di scarpe.»
Rosalie abbozzò un sorriso e tagliò a pezzi la bistecca del piccolo Sam. «Neanche un paio? Non ho così tante scarpe!» disse allegramente.
Richard posò la forchetta e la guardò. «Non sto scherzando, Rose. Sono serio.» esclamò. «Le tende per i bimbi vanno bene, ma le scarpe no.»
«Però...» mormorò lei, sentendosi leggermente in colpa. «Neppure uno solo?»
Richard scosse la testa e posò il mento sulle dita intrecciate, «Ho detto di no. Vuoi che ti ricordi il motivo per cui abbiamo dovuto vendere il ristorante, la casa e trasferirci qui?» domandò bruscamente, con un tono di voce così duro cha anche i bambini si immobilizzarono, guardandolo con sorpresa.
Rosalie sospirò e si morse il labbro inferiore. «Non serve.» mormorò in risposta, lo sguardo fisso sul piatto. «Mi ricordo bene cos'è successo.» aggiunse alzando il viso e fissando Richard.
Lui la guardò e poi abbassò il viso, sentendosi colpevole.

***

Richard scese dall'auto e tenne la portiera aperta mentre Rosalie faceva il giro per salire al posto di guida. «Mi dispiace per prima.» mormorò Richard abbracciando Rosalie. «Scusa.» le sussurrò.
Lei si strinse a lui, gli sfiorò la guancia con le labbra e posò il viso sulla sua spalla. «Ti amo.» sussurrò mentre la rabbia e la delusione per il litigio di prima scemavano. Loro non litigavano mai. I loro litigi si potevano contare sulle dita di una mano.
«Ti amo anche io.» esclamò Richard facendo un passo indietro, le mani sui fianchi di Rosalie; sorrise e si avvicinò ai bambini seduti sui loro seggiolini sul sedile posteriore. «Fate i bravi, non fate arrabbiare la mamma.» esclamò aprendo la portiera e posando un bacio sulla nuca dei bambini.
«Perché non prendi un dolce per stasera? Una torta, una confezione di gelato... scegli te.» propose Richard, si avvicinò a lei e la baciò sulle labbra.
Rosalie annuì, prese le chiavi dalla mano di Richard e salì in auto; partì nel momento in cui Richard attraversava la strada.
Richard girò attorno all'edificio, arrivando in un paio di minuti davanti alla porta sul retro. Meredith arrivò in quel momento. Fermò il fuoristrada verde bottiglia e scese.
«Ciao.» esclamò lei allegramente, avvicinandosi alla porta. Frugò nella borsa alla ricerca delle chiavi. «Mi sembra di avere la borsa di Mary Poppins, ho di tutto e di più»
Posò la borsa sul davanzale della finestra e continuò a cercare le chiavi, estraendo, sotto lo sguardo sbigottito e leggermente divertito di Richard, quasi tutto il contenuto della borsa. Il portafogli, un paio di volantini, un pacchetto di fazzoletti, l'edizione tascabile di un libro di ricette, una bustina contenente dei trucchi, il cellulare e il relativo caricabatteria, un piccolo set da cucito, finirono tutti accanto alla borsa.
«Eccole.» disse afferrando le chiavi, erano sul fondo della borsa, sepolte da diversa roba.
«Non capisco come fate ad avere un casino simile in una borsa.» esclamò Richard, mentre Meredith rimetteva tutto dentro la borsa.
La ragazza scrollò le spalle e aprì la porta. «E pensa che questa è la borsa piccola.» scherzò ed entrò, lasciò la borsa su una mensola. «Vado ad aprire.» aggiunse.
Richard la guardò allontanarsi e scosse la testa, ancora divertito. Anche Rosalie aveva la borsa sempre piena di roba, molta della quale inutile. Chiuse la porta, Meredith l'aveva lasciata aperta, e andò nel negozio. Meredith era accanto alla cassa, la saracinesca era già aperta.
«Cosa devo fare?» domandò Richard avvicinandosi al bancone.
Meredith lo guardò e sorrise. «Ci sono altre latte di vernice in magazzino, vanno sistemate vicino a quelle che abbiamo messo sugli scaffali questa mattina.»
Lui annuì e si allontanò, dirigendosi verso il magazzino.
Meredith lo guardò, lo sguardo fisso sulla sua schiena, finché Richard non sparì dietro uno scaffale.
Il telefono squillò e Meredith sobbalzò. «Ferramenta Stock.» esclamò, una mano posata sul petto, all'altezza del cuore. I battiti erano accelerati.
«Tutto bene?» domandò Albert.
Meredith sorrise. «Sì, va tutto bene, non preoccuparti.» rispose. Albert aveva la tendenza a preoccuparsi, e secondo Meredith spesso si preoccupava troppo.
«E lui?» continuò Albert.
Meredith sbuffò e sorrise; il fare protettivo di Albert le piaceva. «Se la cava alla grande.» rispose. «Ora è in magazzino.»
«E lo lasci lì da solo?» strillò Albert.
«Non è il caveau della banca, eh. È solo il magazzino.» rispose lei, pentendosi di quello che aveva pensato poco prima. Ora il comportamento di Albert la stava esasperando.
«Sì, però...» Albert si fermò, e Meredith lo sentì bere qualcosa. Caffè, probabilmente.
«Però nulla.» Meredith si fermò, Richard era rientrato spingendo il carrellino con le latte di vernice, si spostò, fermandosi vicino ad uno scaffale e guardò Richard sistemare le latte.
«Meredith, lo conosci appena!» sbuffò Albert. «Riesci già a fidarti completamente i lui?»
Meredith non rispose, incantata dai movimenti di Richard, dai muscoli che s'intravedevano sotto la maglietta a maniche corte attillata.
«Meredith?» la chiamò Albert.
Lei si riscosse, «Dimmi.» esclamò. Richard si voltò verso di lei, Meredith sorrise.
Anche lui lo fece.
«Niente.» mormorò Albert. «Ci sei domani mattina a colazione?»
«Sì.» rispose la ragazza, il campanello della porta suonò e leu si voltò. «È entrato un cliente.» disse e chiuse la comunicazione., per la prima volta era lei a chiudere la chiamata. Non lo aveva mai fatto. Salutò il cliente e si sistemò dietro al bancone.
Si passò una mano sul volto, cercando di scacciare il pensiero che le era appena venuto in mente. Voleva essere di là con Richard, guardarlo sistemare le latte, fissare il suo sorriso.
Ricordò a se stessa che lui era sposato con prole, era stato lui a dirglielo, la sua età la sapeva dal curriculum, aveva compiuto da poco i trentadue anni.
Il cliente la chiamò, lei si stampò in viso un sorriso e andò ad aiutarlo, relegando in un angolo della sua mente il pensiero di Richard.

Salve! ecco il secondo capitolo. Spero vi piaccia. Grazie a chi ha letto sia il primo capitolo e grazie anche a chi leggerà questo capitolo.
Grazie anche a chi commenterà, perché lo farete, vero?

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Capitolo 3
*** Capitolo Tre ***


Please Stay (extended version)


Capitolo Tre

«Devi finirla con le tue stupide paranoie.» esclamò Meredith, intingendo la punta del cornetto alla Nutella nel cappuccino. «Non puoi chiamarmi per sapere cosa stia facendo.»
Albert alzò le spalle e versò la bustina di zucchero nel caffè macchiato. «Io mi preoccupo.»
Meredith sorrise e morsicò il cornetto. «Lo so e lo apprezzo, ma...»si fermò è posò il cornetto sul piattino, «ma ogni tanto sei troppo... come dire... soffocante.»
Albert fissò Meredith sorpreso. «Soffocante? Io?» scosse la testa, «Sono solo preoccupato per te.» mormorò, la testa bassa e le mani sotto al tavolino per non far vedere che stavano tremando.
Meredith allungò un braccio e gli sfiorò i capelli. «Non devi preoccuparti per me, so cavarmela da sola.»
«Sì, ma lui...» Albert non finì la frase e la guardò.
Lei sorrise, «Lui è un bravo ragazzo.» disse, «E tu devi fidarti, altrimenti potrei iniziare a pensare che tu sia geloso.»
Albert si bloccò, la tazzina vicino alle labbra, «Io? Geloso? Di te?» bevve un sorso di caffè, «Io non sono geloso!» esclamò.
Meredith ridacchiò. «Meglio così.» disse riprendendo in mano il cornetto.
Albert la fissò, guardò la tazzina e la posò. «Meglio così.» mormorò e cercò di sorridere, finì il caffè in un sorso, cercando di non pensare a quello che aveva appena detto Meredith, ma la sua mente continuava a pensare a quelle parole.
"Meglio così." Chissà cosa volesse dire Meredith. Se fosse contenta che non fosse geloso perché lei non amava i ragazzi gelosi, oppure se fosse contenta che non fosse geloso perché lei lo considerava solo un amico. Non sapeva neppure lui cosa pensare.
«Ti darebbe fastidio se fossi geloso?» domandò d'impulso, pentendosi subito dopo.
Meredith posò la tazza e afferrò un tovagliolino di carta. «Sì, cioè no...» si bloccò e guardò Albert. «In che senso?» Albert la fissò non trovando le parole per spiegarsi, anche perché non sapeva cosa dire. «Nel senso che preferisci.» disse infine, dopo pochi secondi, che gli erano sembrate ore, di silenzio.
Meredith si tamponò le labbra e appallottolò il tovagliolino. «Non lo so.» disse guardando negli occhi Albert. «Credo che mi darebbe fastidio.»

***

Richard fissò Meredith, era da quella mattina che aveva l'aria assorta e distratta.
Posò la scatola con le calamite da frigo sul bancone e Meredith sobbalzò spaventata.
«Non volevo spaventarti.» esclamò.
Meredith abbozzò un sorriso. «Non è nulla.» disse e si voltò verso il muro.
Richard appoggiò i gomiti sul bancone e posò le mani una sull'altra. «Che cos'hai? Sei strana.»
Meredith si voltò e lo guardò a lungo, si morsicò il labbro inferiore e sospirò. «Non lo so.» rispose, portò il pollice destro alle labbra e iniziò a mangiucchiare le pelle attorno all'unghia.
Richard sorrise, «Spero non sia nulla di grave.» esclamò, sfiorò un braccio di Meredith e prese il taglierino. Meredith guardò la mano di Richard e poi il suo braccio, nel punto esatto dove lui l'aveva toccata. Riusciva ancora a sentire il calore delle sue dita.
Lo guardò tagliare il nastro adesivo che chiudeva la scatola.
«Meredith?» la chiamò Richard, «Tutto bene?»
Lei annuì, «Sto bene.» mormorò. «Sto bene.» ripeté, girando il viso da un'altra parte per non guardare negli occhi Richard. Respirò a fondo sentendosi sempre più confusa.
Si passò una mano sul viso sentendosi scoppiare la testa. Non sapeva più a cosa pensare. Albert non le aveva più rivolto la parola dopo che lei gli aveva detto "Credo che mi darebbe fastidio." L'aveva salutata e basta, e lei non riusciva a capire la ragione del suo comportamento. Una parte di lei le stava suggerendo la risposta, ma lei non voleva ascoltarla, troppo spaventata da quello che avrebbe potuto capire.
E poi c'era Richard, che la guardava preoccupato, Meredith abbassò il viso e respirò profondamente. «Arrivo subito.» disse e si allontanò, in fretta, verso il bagno.
Chiuse la porta dietro di sé e posò le mano sul lavandino, stringendo con tanta forza da far diventare bianche le nocche. I capelli le coprirono il viso e Meredith si morse le labbra per impedirsi di piangere. Ormai erano quasi le quattro e Albert non era passato da lei prima di andare al lavoro, era la prima volta che lo faceva, solo quando stava male e non andava al lavoro non passava. Non aveva neanche telefonato.
Meredith aprì l'acqua e si sciacquò il viso, respirò profondamente imponendosi di calmarsi.
Si asciugò il viso e le mani e uscì dal bagno.
«Sei sicura di stare bene?» le domandò Richard, che la stava aspettando appena fuori dal bagno, nel piccolo disimpiego che separava il bagno dall'altro locale.
Lei lo guardò e annuì debolmente. «Credo di sì.» rispose, non facendo caso allo sguardo perplesso di Richard. «Credi di sì?» domandò lui avvicinandosi e posandole una mano sulla spalla.
Lei lo fissò, le labbra dischiuse. «Credo di aver litigato con Albert.»
Lui le strinse leggermente la spalla e la condusse al piccolo divano, la fece sedere e s'inginocchiò davanti a lei. «In che senso credi di aver litigato con lui?» domandò perplesso.
Meredith sospirò e si passò una mano sul volto. «Stamattina abbiamo fatto colazione insieme, e io gli ho chiesto di smetterla di rompere con le sue paranoie,» si fermò e posò le mani sul grembo, «altrimenti avrei iniziato a pensare che fosse geloso.»
Si fermò, ancora, e guardò Richard. «Lui mi ha chiesto se mi avrebbe dato fastidio se fosse geloso... e io ho risposto che non lo sapevo.»
Lui sorrise e le scostò i capelli dagli occhi.
«Poi ho aggiunto di sì.» mormorò, abbassò il viso e sospirò.
«Farete pace presto, ne sono sicuro.» la consolò Richard e l'abbracciò. Poi si alzò in piedi.
Meredith lo guardò e cercò di sorridere. Annuì debolmente.
Il campanello della porta suonò, «Vado io.» esclamò Richard, accarezzò la nuca di Meredith e tornò nel negozio. Lei rimase sul divano qualche istante, poi si alzò e seguì Richard.
Decise di non pensare per il momento ad Albert, le parole di Richard l'avevano, in qualche modo, rassicurata.

***

«Andrà tutto bene, vedrai. Domani vi sarete chiariti.»
Meredith si voltò verso Richard e rimase in silenzio, in sottofondo il rumore della saracinesca che si abbassava lentamente; annuì e sorrise. «Lo spero.» mormorò, si spostò e andò verso il bancone, prese il cellulare e guardò lo schermo.
Niente, nessun messaggio da parte di Albert.
Senza voltarsi, sapeva che Richard era dietro di lei, si diresse verso il retro; se quella mattina, dopo la colazione con Albert si era sentita confusa, dopo essere stata consolata da Richard si era sentita ancora più confusa. Prese la borsetta e infilò dentro il cellulare.
«Meredith?»
Lei sobbalzò e si voltò verso Richard, che la guardava sorridendo, pensò che fosse un bel sorriso.
«Rilassati, stai tranquilla.» esclamò Richard.
Lei annuì e aprì la porta. «Cercherò di esserlo.» disse e sorrise. «Ci vediamo domani.» aggiunse uscendo in cortile. «Richard?» chiamò Meredith aprendo la portiera della sua auto.
«Dimmi.» anche Richard aprì la portiera della sua auto.
«Secondo te perché si è comportato così?» domandò Meredith, gettò la borsetta sul sedile del passeggiero e guardò di nuovo Richard.
Lui scrollò le spalle. «Non ne ho idea.» rispose, «È il tuo migliore amico, non il mio!» scherzò.
Meredith sorrise. «Già. Solo che pensavo che, visto che sei un maschio, forse potevi avere un'idea di quello che gli sta passando per la testa.»
Richard scrollò ancora le spalle, «Vorrei aiutarti, ma non so cosa stia pensando Albert.»
Meredith alzò le spalle. «Grazie lo stesso.» esclamò ed entrò in macchina, per partire subito dopo.
Richard guardò la macchina andare via, poi si sedette al volante. Aveva mentito, un idea del perché Albert si fosse comportato così ce l'aveva. Secondo lui, Albert era innamorato di Meredith, o almeno aveva una cotta per lei.
Infilò la chiave e la girò, si allacciò la cintura di sicurezza e posò le mani sul volante.
Si domandò se anche Meredith fosse innamorata di Albert, sorrise nel pensare che non fosse così insolito innamorarsi del proprio migliore amico. Pensò anche che Meredith e Albert sarebbero stati bene insieme.
"No, non è vero." pensò. "Non stanno bene insieme."
Posò le mani sul volante e respirò a fondo, cercando di capire da dove fosse uscito quel pensiero, scosse la testa e avviò il motore pensando a Rosalie e ai bambini che lo aspettavano a casa.

***

Albert fissò la vetrina della ferramenta, era ancora seduto nella sua auto. Erano più di ventiquattr'ore che non sentiva Meredith e la cosa lo faceva soffrire.
Non era mai successa una cosa del genere. Respirò a fondo e uscì dalla macchina, chiuse la portiera e attraversò la strada. Il desiderio e la voglia di vedere Meredith lo attanagliavano, spingendolo a salire i gradini due alla volta. Aprì la porta e sorrise, cercando con lo sguardo la sua amica d'infanzia, la vide alla cassa, e si avvicinò, il sorriso ancora sulle labbra.
«Ciao.» mormorò.
«Ciao Albert.» esclamò Meredith, fece il giro del bancone e si fermò a un passa da lui.
Albert alzò una mano e le sfiorò il viso. «Scusami.» disse prima di abbracciarla. La strinse a sé e le baciò i capelli. «Scusa.» mormorò, continuando a stringerla.
Richard sorrise nel vedere quella scena, si spostò, tornando a sistemare gli attacchi delle canne per l'irrigazione. Respirò a fondo e si disse che aveva avuto ragione, Meredith e Albert avevano già fatto pace. Sbirciò da dietro lo scaffale e li vide vicini, che parlavano a bassa voce , non riuscì a capire cosa si stessero dicendo, vide le loro dita intrecciate. Fece un passo indietro.
Improvvisamente, l'idea che i due avessero fatto pace, gli diede molto fastidio.

***

Meredith sorrise felice. Albert le aveva chiesto scusa e lei era felice.
«Avevi ragione tu.» disse rivolgendosi a Richard che fece un sorriso tirato. Meredith non se ne accorse e continuò a sorridere.
«Sono felice per te.» esclamò lui. Gli faceva piacere vedere Meredith felice.
Lei sorrise, scostò i capelli dal viso e tornò alla cassa. Richard la guardò, mentre lei aiutava una cliente con la scelta dei barattoli per le conserve, sorrise e si appoggiò alla parete. La guardò mentre si portava una ciocca di capelli dietro l'orecchio, continuò a fissarla mentre portava i barattoli e i relativi coperchi alla cassa.
quando la cliente uscì dal negozio Meredith si voltò verso di lui.
«Ti sei incantato?» domandò.
Richard scosse la testa. «No.» rispose. Meredith lo guardò, scrollò le spalle e sistemò le penne nel barattolo.
Richard la guardò ancora per qualche secondo, si voltò e tornò a lavorare.

***

Meredith si sdraiò sul divano e pensò agli ultimi due giorni. Il litigio con Albert, Richard che la consolava... improvvisamente si ritrovò confusa. Da una parte Albert, il suo migliore amico, dall'altra Richard. Sussurrò il suo nome e sospirò.
Si disse che lui era sposato e che non doveva assolutamente pensare a lui.
Ma non ci riuscì.

Salve! Ecco il terzo capitolo, spero che vi sia piaciuto!
E su, una piccola recenione non me la volete proprio lasciare? ç_ç
Io non mordo nessuno, giuro!
Al prossimo capitolo

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Capitolo 4
*** Capitolo Quattro ***


Please Stay (extended version)


Capitolo Tre

«Auguri.»
Meredith alzò lo sguardo e vide Richard davanti a lei, sorrise e si scostò una ciocca di capelli dalla fronte. «Grazie.» disse, fissò Richard e prese in mano la scatoletta con i punti metallici per la cucitrice e la passò da una mano all'altra.
Non sapeva cosa fare. O dove guardare.
Richard era gentile con lei ed era anche molto affettuoso, troppo secondo lei per un uomo sposato. Le sfiorava le braccia, il viso, la schiena...
E lei in quei momenti non sapeva cosa fare.
Richard le sorrise ancora e le sfiorò una mano. «Avrei voluto farti un regalo, ma non sapevo cosa prendere.» disse.
Meredith scrollò le spalle. «Non m'importa del regalo.» disse, abbassò lo sguardo e vide la mano che lui aveva sfiorato, alzò il viso e vide che Richard la stava ancora guardando.
Sentì le guance diventare rosse e abbassò la testa imbarazzata, si voltò di scatto e sospirò di sollievo quando sentì Richard allontanarsi.
Sperò che Albert arrivasse presto, non sopportava più quella situazione ridicola; senza dire nulla a Richard andò nel retro, aprì il piccolo frigo e prese la sua bottiglia d'acqua, l'aprì e ne bevve un paio di sorsi.
Si appoggiò al muro e strinse la bottiglia fra le mani, voleva prendere tempo e non tornare subito di là. Respirò a fondo un paio di volte, rimise la bottiglia nel frigo e decise di tornare in negozio.
Il campanello suonò mentre lei era a pochi passi dal bancone. Sorrise quando vide Albert.
«Ciao!» esclamò lei avvicinandosi a lui sorridendo, poi lo abbracciò. Si sentiva protetta quando era con lui.
Lui le baciò una guancia e fece un passo indietro. «Auguri.» le disse. «Il tuo regalo te lo do domani sera.»
Meredith lo fissò accigliata. «Ma il mio compleanno è oggi!» protestò incrociando le braccia al petto.
«Lo so che è oggi.» disse Albert, «Ma avrai il tuo regalo alla festa.» le sfiorò il viso.
Meredith lo fissò e si scostò.
«Vai a casa e portalo qui.» esclamò Meredith, si voltò e si mise dietro la casa.
«Sembri una bambina.» la prese in giro Albert. Lei lo ignorò e iniziò a giocare con una biro.
«Già, sembri mia figlia.» gli fece eco Richard avvicinandosi, fece il giro del bancone e buttò un pezzo di carta.
Albert lo guardò lo fissò irritato da quell'intromissione. «Lei non è piccola.» disse indicando Meredith, «Può benissimo aspettare.»
Richard alzò le spalle e guardò Meredith.
Lei sentiva lo sguardò su di sé ma continuò a fissare Albert. «E va bene, aspetto domani sera.» disse.
Albert fissò Richard e sorrise. «Un po' curiosità non ha mai ucciso nessuno!» disse guardando Meredith.
Lei non disse nulla, rimanendo in silenzio. «Dobbiamo chiudere.» disse fissando l'ora sulla cassa.
«Andiamo a pranzo?» chiese Albert. «Però offri tu, è il tuo compleanno!»
Meredith scrollò le spalle. «Sì, va bene.» rispose. Si voltò e si trovò davanti Richard. «Ci pensi tu alla cassa?» gli chiese.
Lui annuì e prese il suo posto.
Meredith si spostò e andò verso la porta. Sapeva che sarebbe stato inutile chiedere ad Albert di uscire e di aspettare cinque minuti, così si limitò a chiudere a chiave la porta e ad abbassare la saracinesca.
Albert la seguì in tutti i suoi movimenti. «Meredith…» mormorò guardando brevemente Richard che contava i soldi in cassa.
«Non incominciare adesso.» disse lei. «Io mi fido e tu la devi piantare.» aggiunse sapendo bene cosa le volesse dire l'amico.
«Sì… ma…» balbettò Albert.
Meredith continuò a fissarlo e incrociò le braccia. «Ma un corno. Oggi è il mio compleanno e non voglio sentire una parola su questo argomento.» esclamò, «Sono stata chiara?»
Albert si limitò ad annuire conoscendo bene la testardaggine della sua amica.

***

«Prima non volevo offenderti.» esclamò Richard.
Meredith lo fissò sorpresa. «Per… per cosa?» domandò sentendo la voce mancarle. Richard era troppo vicino, molto vicino, la sua schiena era a pochi centimetri da uno scaffale e lui era davanti a lei. Si sentì in trappola.
«Per prima.» rispose lui, alzò una mano e la posò sullo scaffale. «Quando ti ho detto che sembravi mia figlia.»
Meredith lo guardò, fissò la sua mano a pochi centimetri dal suo viso e tornò a guardare Richard. «Io… non mi sono offesa.» mormorò.
«Meglio così.» disse lui, si scostò e le tolse un pezzo di carta dai capelli.
Meredith trattene il respiro e continuò a guardarlo negli occhi, erano come una calamita per lei.
«Anche a me dispiace per prima.» disse. «Albert ogni tanto si preoccupa troppo.»
Richard scosse la testa. «Non preoccuparti.» le disse, le sfiorò il viso con la punta delle dita e si allontanò,
lasciando Meredith confusa.
Lei lo guardò allontanarsi e pensò che il comportamento di Richard fosse strano. E che l'avrebbe fatta impazzire prima o poi.

***

Mancavo pochi minuti alla chiusura serale. Meredith scartò una caramella al limone e la mise in bocca, si piegò per buttare la carta nel cestino.
Quando rialzò la schiena vide una donna con due bambini davanti ala porta.
Il campanello suonò quando i tre entrarono.
Meredith fissò la donna e si ricordò di lei. L'aveva vista al ristorante, era la moglie di Richard con i loro due bambini.
Ingoiò la caramella e sorrise.
«Posso aiutarla?» domandò.
«Sto aspettando Richard.» rispose l'altra, «Sono sua moglie Rosalie.»
«Sta sistemando alcune cose in magazzino, fra poco chiudiamo.» disse Meredith, si sporse sul bancone e fissò i bambini.
«Ciao.» esclamò rivolgendosi ai bambini. La bambina sorrise e la salutò con la mano, mentre il maschietto si nascose dietro le gambe della madre.
Rosalie lo prese in braccio, «Non fare il timidone, saluta.»
Meredith fissò il bambino. «Hai dei bellissimi occhi, lo sai?» gli disse.
Chris la guardò, sorrise e nascose il viso contro il collo della madre e ridacchiò.
«Papà!» esclamò Emily e corse incontro a Richard. Lui la prese in braccio e le baciò una guancia.
«Ciao tesoro.» le disse, «Ho finito di là.» aggiunse rivolgendosi a Meredith.
Lei annuì e guardò l'ora. «Direi che possiamo andare, devo anche sbrigarmi che vado a cena con mio fratello.»
«Festeggiate il tuo compleanno?» domandò Richard facendo scendere la figlia. Meredith si limitò ad annuire.
«È il tuo compleanno?» chiese Rosalie. «Auguri!»
Meredith ringraziò e sorrise.

***

Richard si guardò allo specchio e sospirò. Più s'imponeva di non essere troppo amichevole con Meredith più lo diventava.
Posò le mani sul lavandino e fissò l'acqua uscire dal rubinetto.
Si era sentito geloso quando Meredith e Albert stavano parlando, per questo li aveva interrotti. Si sentì nuovamente stupido per quello che le aveva detto.
"Non devo essere geloso." pensò. "Loro sono solo amici."
Si bloccò e si fissò. "Non sono geloso di lei. Lei è solo il mio capo."
Eppure l'aveva quasi bloccata contro uno scaffale e se qualcuno li avesse visti avrebbe di certo frainteso.
"Devo chiederle scusa." Si ripromise.
Richard scrollò la testa, cercando di scacciare quei pensieri.
Si lavò le mani e dopo averle asciugate andò nella cameretta. Rosalie stava leggendo una fiaba a Emily.
Quando la donna chiuse il libro Richard si avvicinò alla bambina e le rimboccò le coperte. «Buona notte tesoro.» mormorò mentre le baciava i capelli.

Poco dopo lui e sua moglie erano sul divano, Rosalie era sdraiata, la testa posata sulle ginocchia di lui e Richard le accarezzava i capelli.
Si chiese cosa stesse facendo in quel momento Meredith.
E con chi era. Sperò solo che non fosse Albert.

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Capitolo 5
*** Capitolo Cinque ***


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Capitolo Cinque

Meredith guardò Albert e sorrise. «Ci vediamo domani, allora.» disse e strinse più forte il sacchetto con i regali che aveva ricevuto.
«Perché non rimani qui per questa notte?» mormorò lui posandole le mani sui fianchi.
«Preferisco dormire a casa.» rispose lei, sorrise e baciò la guancia del ragazzo.
«Dai, fallo, è da tanto che non dormiamo insieme…» esclamò lui quasi implorandola, fissandola negli occhi e stringendola più forte.
Meredith scrollò la testa e fece un passo indietro. «Albert…» abbassò lo sguardo e si fissò i piedi. «preferisco di no.»
Albert la guardò deluso e cercò di abbracciare di nuovo Meredith ma lei si scostò. «Rimani, per favore.» mormorò.
Meredith lo guardò e scosse la testa. «No, mi dispiace.» disse. «Portami a casa.»
Albert si limitò ad annuire e si incamminò verso la macchina, lasciando indietro Meredith. Si sentiva deluso, aveva sperato che Meredith gli dicesse di sì.
Avrebbe voluto dormire insieme a lei come facevano prima. Guardare la televisione, fare battute sceme, mangiare poc corn...
Gli mancavano quei tempi.
Gli mancava la "sua" Meredith.

***

Meredith sospirò profondamente e passò un pezzo di scottex sopra il vetro della cornice. Gettò la carta nel cestino e posò la cornice vicino alla cassa.
«È la stessa foto che c'è di là?»
Lei si voltò quasi spaventata, non aveva sentito Richard avvicinarsi. «Sì.» rispose. «È la stessa foto.»
«Ti piace proprio quel posto.» esclamò Richard appoggiandosi sul bancone.
Lei lo guardò e capì che si stava riferendo alla giostra dei cavalli. «Sì…» rispose guardando la foto. «Amo quel posto.» disse voltandosi verso di lui. «Ho tanti bei ricordi lì.»
Richard sorrise e spostò un braccio per accarezzarla ma poi si ricordò cosa quello che aveva deciso: non voleva essere troppo amichevole con lei.
Si fermò a pochi centimetri dalla mano di Meredith e continuò a fissarla.
Anche lei lo guardò, fissò la sua mano e di nuovo il viso di Richard. Sospirò e abbassò lo sguardo.
«Qualcosa non va?» le domandò lui, «Hai litigato con Albert?»
Meredith lo fissò, «Cosa ti fa pensare che abbia litigato con lui?» sbottò.
Richard drizzò la schiena e alzò le spalle. «Nulla…» rispose sentendosi stupido, «Mi sembri triste e ho pensato che potessi aver litigato con lui.» mormorò abbassando il viso.
«Penseresti che sia una cosa stupida voler comprare una giostra dei cavalli?» domandò Meredith con un filo di voce.
Richard la guardò non riuscendo a capire cosa c'entrasse la giostra e Albert, «Penserei solo che sia una cosa strana ma non stupida.»
«Albert pensa che io sia stupida.» mormorò Meredith voltandosi verso di lui. «Pensa che sia stupida perché se fosse possibile vorrei comprare la giostra.»
Richard alzò il braccio e le sfiorò il viso. «Non è un'idea stupida.» le disse. «Avete litigato per questo?» le chiese.
Lei annuì. «Sì, anche se non è tutto.» rispose cercando di sorride, ma sul suo viso apparve una smorfia.
Richard si sentì male pensando a quanto fosse idiota Albert a dire he Meredith fosse stupida. Gli venne voglia di passare dall'altra parte del bancone, di abbracciare Meredith e di dirle che non era lei la stupida ma lo era Albert.
«Si è arrabbiato perché sabato sera non ho dormito da lui come faccio tutti gli anni dopo a mia festa di compleanno.» disse Meredith alzando il viso e fissando Richard.
Lui non disse nulla e si limitò a guardarla.
«È da domenica che non ci parliamo.» mormorò Meredith passandosi una mano sul viso per spostare una ciocca che le era finita sulla guancia.
«Da domenica?» chiese sorpreso Richard. «Oggi è mercoledì!»
Meredith annuì. «Lo che giorno è oggi.» disse.
Il campanello della porta suonò e i due si voltarono. Un uomo aveva appena varcato la soglia.
«Vado io.» disse Richard.

***

Richard sistemò le scatole che contenevano i chiodi sull'espositore. Il signore che era entrato prima ne aveva fatto scorta, mancava poco e avrebbe svuotato lo scaffale.
Meredith era uscita per prendere i caffè, e lui non riusciva a smettere di pensare al suo faccino triste e alla voglia che aveva di prendere a pugni Albert.
Sperò che non arrivasse perché altrimenti gliene avrebbe cantate quattro. Richard si bloccò e capì che non avrebbe potuto fare o dire nulla contro Albert. Era il migliore amico di Meredith ed era sicuro che lei ci tenesse a lui. Richard pensò che lui per Meredith era solo un dipendente, mentre Albert era qualcosa di più.
"Quanto di più?" si domandò. Si domandò anche cosa intendesse dire Meredith quando gli aveva detto che lei e Albert dormivano insieme. Si chiese se dormissero o facessero altro. Scosse la testa imponendosi di non pensarci più, che non erano affari suoi e, soprattutto, lui era sposato con Rosalie e l'amava.
La porta si aprì e lui si spostò per vedere chi fosse, sorrise nel vedere Meredith rientrare con i caffè in mano. Le si avvicinò e l'aiutò prendendo il sacchetto con i bomboloni alla crema.
«Grazie.» esclamò Meredith e sorrise.
Sorrise anche Richard e aprì il sacchetto, afferrò uno dei bomboloni e lo morsicò.
Meredith prese i bicchieri di carta con il caffè e li mise sul bancone. «Siamo stati fortunati, erano gli ultimi due.» disse indicando i bomboloni.
«Strano…» esclamò Richard e afferrò un tovagliolo di carta per pulirsi la bocca. «di solito a quest'ora non ce ne sono già più.»
Meredith alzò le spalle e prese l'altro bombolone. «Meglio per noi.» disse e morsicò il dolce.
Richard sorrise nel vedere Meredith sorridere, non sopportava di vederla trista. Era ancora più bella quando era felice. Posò il bombolone sul piccolo vassoio di cartone e prese il caffè, tolse il coperchio di plastica e iniziò a berlo lentamente, voltandosi verso il muro per non guardare Meredith, gli stava venendo voglia di abbracciarla.
Guardò la foto della giostra e sorrise, le labbra nascoste dal bicchiere. Non gli sembrava stupido voler comprare una vecchia giostra dei cavalli.

***

«Tu vuoi partire dopo domani e me lo dici solo ora?» esclamò Richard guardando Rosalie. Era sera e i bambini dormivano da un paio d'ore.
Rosalie annuì. «Bhe… sì. Mamma me lo ha chiesto oggi e io gli ho detto di sì.»
«Senza avvertirmi? Senza parlarne prima con me?» esclamò Richard alzando la voce.
«Non urlare, i bambini dormono!» lo sgridò Rosalie. «Sì, ho deciso senza di te, perché mia madre mi manca e vuole vedere i bambini.»
Richard rimase in silenzio e la guardò.
«Lo sai quanto ci abbiano aiutato i miei genitori…» lo supplicò lei sedendosi vicino a Richard. Lui rimase ancora in silenzio, anche se le avrebbe voluto dire che non era vero che li avevano aiutati.
«E va bene. Per me potete andare.» disse dopo qualche secondo. «Avrei voluto solo che me lo dicessi prima…»
Rosalie si avvicinò a lui e lo abbracciò per poi baciarlo sulla guancia. «Grazie!» disse felice. «Il treno è venerdì pomeriggio alle quattro, ci devi accompagnare.»
Richard l'abbracciò e le posò un bacio sui capelli. «Va bene. Spero solo che per Meredith non sia un problema se mi assento un paio d'ore.»
Sperò sul serio che Meredith non si arrabbiasse, in fondo l'avrebbe avvertita con un solo giorno di preavviso.
Non voleva vederla né triste né arrabbiata. Non voleva che Meredith soffrisse.

***

«Ancora quella folle idea?» sussurrò Albert, «Credevo che avessi capito che voler comprare quel rudere sia da stupidi. E da pazzi.»
Fissò Meredith e respirò profondamente. Lo pensava sul serio, per lui comprare la giostra dei cavalli era una cosa stupida.
«Non pensavo che fossi così sciocca!» continuò alzando la voce.
Meredith alzò il viso e lo guardò stringendosi il labbro inferiore fra i denti, gli occhi lucidi. «Ma io la voglio.» mormorò.
«Cerca di essere intelligente, per una volta!» sbottò Albert.
«Tutto bene?»
Entrambi si voltarono verso Richard. «Oh, sì, andrebbe tutto bene se lei non si fosse messa in testa questa assurda idea di volere comprare quella stupida giostra!» rispose Albert.
Richard lo guardò e poi fissò Meredith che si stava asciugando gli occhi. «Veramente…» guardò di nuovo Albert. «io non la trovo un'idea stupida.»
Meredith gli sorrise e aprì la porta sul retro.
Albert sbuffò e si allontanò senza dire una parola.
«Non prendertela.» mormorò Richard quando si furono chiusi la porta alle spalle, le si avvicinò e le sorrise. «Probabilmente non capisce quanto conti per te quel posto.»
Meredith si limitò ad annuire e a Richard sentì il cuore stringersi in una morsa dolorosa nel vederla così triste.

***

«Ti va di vederla?» domandò Meredith. Richard era appena arrivato al lavoro dopo aver accompagnato Rosalie e i bambini in stazione.
«Cosa?» domandò lui.
«La giostra!» rispose lei sorridendo e guardandolo speranzosa.
«Certo!» disse lui, «Mi farebbe piacere.» rispose sinceramente.
Il campanello della porta suonò e i due si voltarono.
Albert era sulla soglia con l'espressione triste. «Possiamo parlare?» domandò avanzando verso il bancone. «Per favore, Meredith.»
Lei lo guardò e annuì. «Va bene.» disse e lo seguì fuori dal negozio.
Richard li guardò parlare e si sentì geloso.
Vide Albert posare le mani sulle spalle di Meredith e avvicinarsi a lei, per poi abbracciarla. Vide l'espressione felice di Albert e pensò che Meredith l'avesse perdonato.
Si sentì male quando riconobbe lo sguardo di Albert: era quello di un ragazzo innamorato. Si sentì geloso e gli venne voglia di uscire, di staccare Albert da Meredith e di dargli un pungo.
Richard si guardò le mani, si voltò e andò nel bagno sperando di calmarsi.
Si appoggiò alla porta chiusa e respirò profondamente. Vide il suo volto riflesso nello specchio e chiuse gli occhi, non voleva vedersi mentre moriva di gelosia per un'altra che non fosse sua moglie.

***

Richard tenne lo sguardo incollato al finestrino. Stava andando con Meredith a vedere la giostra, ed erano nella macchina di Meredith.
Fissò i campi di grano che scorrevano fuori dal finestrino.
«Siamo quasi arrivati.» esclamò Meredith svoltando a destra.
Richard la guardò e sorrise. Da quando quel pomeriggio aveva fatto pace con Albert, Meredith gli sembrava più tranquilla e felice.
Pochi minuti dopo si fermarono accanto ad una piccolo bosco.
«È dietro quegli alberi.» disse Meredith scendendo dall'auto. Anche Richard scese e la seguì ungo la stradina di campagna.
Arrivarono davanti ad una recinzione dove si fermarono. Richard si tolse gli occhiali da sole e fissò la giostra quasi nascosta dalla vegetazione. Gli sembrò rovinata e in procinto di cadere su se stessa da un momento all'altro.
«Non è meravigliosa?»
Richard si voltò verso Meredith e la vide aggrappata alla recinzione che guardava la giostra con occhi sognanti. «Sì.» rispose.
Meredith si voltò verso di lui «Vuoi vederla da vicino?» e prima che lui potesse rispondere Meredith gli prese per mano e lo trascinò per qualche metro.
«Dove mi porti?» domandò lui.
Lei si fermò e gli sorrise. «Fidati di me.» disse, scostò i rami di un cespuglio e passò attraverso un buco nella recinzione. «Vieni!» esclamò.
«Mi sa che è infrazione, violazione di domicilio o qualcosa del genere.» obbiettò lui.
Lei alzò le spalle. «Non fare il guastafeste e vieni.» disse, incrociò le braccia e lo guardò.
Anche Richard alzò le spalle e passò dall'altra parte.
«Questo era il mio posto preferito.» mormorò Meredith sedendosi su una carrozza scolorita dal sole.
«Non è che si rompe?» chiese Richard fermandosi vicino alla base dell'attrazione.
«Non ti preoccupare, sarà pure in rovina ma è ancora bella solida.» rispose Meredith e per far vedere che le sue parole erano vere diede qualche pugno alla carrozza.
Richard si convinse e si avvicinò a lei, inginocchiandosi vicino al finestrino della carrozza. «Doveva essere veramente bella quando era in funzione.» commentò appoggiando le mani sul bordo del finestrino della carrozza.
Meredith annuì. «Sì… era veramente meravigliosa.» rispose a bassa voce.
Lui la guardò e sorrise. Gli sembrò veramente felice, molto più di prima.
Pensò che fosse anche merito suo perché aveva deciso di accompagnarla lì.
Allungò un braccio e le sfiorò i capelli. Lei si voltò e gli sorrise.
Improvvisamente l'attrasse e sé e posò le labbra sulle sue.
Meredith rimase meravigliata ma dopo qualche secondo chiuse gli occhi e gli cinse il collo con le braccia.
Lee labbra di Richard erano morbide e la sua mano le stava accarezzando la schiena. Non si era mai sentita così bene come in quel momento.
Improvvisamente Richard si staccò e si alzò in piedi di scatto. Fece un passo indietro e rischiò d'inciampare nella coda di uno dei cavalli. «Io… scusami…» mormorò guardando Meredith e sentendosi colpevole. Aveva appena baciato un'altra donna.
«Richard…» soffiò lei.
«Torniamo indietro per favore.» la supplicò lui.
Meredith lo fissò per qualche secondo e poi annuì, si alzò e lo seguì. In silenzio arrivarono alla macchina e salirono.
«Richard… io non me la sono presa.» disse Meredith accendendo la macchina.
«Non avrei dovuto farlo.» mormorò lui appoggiandosi alla portiera. Non sapeva se pentirsi oppure no del bacio dato a Meredith. «Sono sposato.» mormorò.
Meredith non disse nulla e si limitò a guidare tenendo lo sguardo fisso sulla strada. A lei quel bacio era piaciuto.

***

«Mi dispiace.» esclamò Richard scendendo dall'auto. «Io… non dovevo farlo.» mormorò.
«Richard…» Meredith lo fissò stringendo il volante con forza. «A me non ha dato fastidio.»
Richard non disse nulla e respirò rumorosamente, «Io… devo andare ora.»
Meredith lo fissò allontanarsi, respirò profondamente e lo vide salire in macchina e partire. Quando fu sicura che fosse lontano posò la testa sul volante e scoppiò a piangere.
Avrebbe voluto baciarlo ancora.

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Capitolo 6
*** Capitolo Sei ***


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Capitolo Sei

Meredith sospirò e infilò la chiave nella serratura. Non riusciva a smettere di pensare a Richard e al bacio della sera prima; se chiudeva gli occhi riusciva ancora a sentire il sapore delle labbra di Richard.
Entrò nel locale e si sedette sul divanetto, era in anticipo di cinque minuti, chiuse gli occhi e reclinò la testa, posandola sullo schienale.
Non sapeva cosa pensare. Una parte di lei sapeva che quel bacio era stato un errore perché Richard era sposato, l'altra parte le diceva che era giusto, perché Richard le piaceva.
Sbuffò rumorosamente e aprì gli occhi.
"Mi piace. Richard… mi piace." pensò, voltò la testa e vide la porta aprirsi, si alzò in piedi e si trovò davanti Richard.
«Ciao.» mormorò imbarazzata ed evitò di guardarlo.
«Ciao.» disse Richard.
Meredith alzò lo sguardo, incontrando quello di Richard, lui abbassò la testa e la voltò a destra.
Meredith espirò lentamente e si voltò. «Vado ad aprire.» disse. Lui non l'aveva neppure guardata. La saracinesca si alzò e lei aprì la porta, poi andò al bancone e accese la cassa.
Lui arrivò pochi secondi dopo, «Cosa devo fare?» domandò.
Meredith lo guardò sperando che lui non distogliesse lo sguardo. «Non lo so, scegli tu.» rispose.
Richard annuì e si allontanò, scomparendo dietro uno scaffale.
Meredith fissò il bancone e sperò che entrasse qualcuno al più presto, magari una comitiva di turisti appassionati del fai da te.
Non sopportava quel silenzio, quegli sguardi negati. Prese il telefono e fissò la tastiera. Voleva chiamare Albert, ma poi rinunciò, sapendo che non sarebbe stata una buona idea, lo sapeva che il suo migliore amico non sopportava Richard.
Se fosse stato un altro ragazzo lo avrebbe fatto.
Sospirò e posò il telefono. Si guardò attorno, non sapendo cosa fare. Avrebbe voluto parlare di quella situazione con qualcuno ma non sapeva chi chiamare.
Ripensò alle ragazze della sua compagnia, non avrebbe potuto definirle vere amiche, ma era convinta che fossero meglio di nulla.
Claire. La bella e svampita Clare. Meredith scosse la testa. No, Claire era anche una chiacchierona, le sarebbe sicuramente scappato quel piccolo "segreto."
Alexia no, troppo pettegola, lo avrebbe detto a chiunque.
Marissa nemmeno. Era troppo bigotta, le avrebbe fatto la predica.
Meredith sbuffò e fissò la vetrata. Non aveva nessuno con cui parlare. Nemmeno con suo fratello e sua cognata. Fissò l'orologio: erano passati solo cinque minuti da quando aveva aperto. Pensò che le ore non sarebbero mai passate.

***

Richard fissò lo scaffale davanti a sé. Non sapeva cosa pensare. Aveva dormito pochissimo quella notte, era riuscito solo a pensare a quel bacio.
Era stato lui a prendere l'iniziativa, era stato lui a baciarla. Era stato lui.
Respirò a fondo e posò lo straccio per la polvere sullo scaffale.
Non sapeva cosa fare, era la prima volta che tradiva sua moglie e a quel punto non sapeva se fosse l'ultima.
Scosse la testa cercando di togliersi il pensiero di Meredith dalla testa.
Ricordò a se stesso che lui era sposato e che amava Rosalie.
Rosalie, non l'aveva ancora sentita. Il campanello della porta suonò, prese lo straccio e andò verso il bancone. Si sentì sollevato quando vide che non era Albert. Non era sicuro che volesse vederlo, non era sicuro di volerlo vedere abbracciato a Meredith.
Non era sicuro più di nulla.
Non voleva starle vicino e allo stesso tempo non voleva vedere Albert vicino a lei.

***

Meredith fissò Richard, «Non credi che forse dovremmo parlare del… di quello che è successo ieri?» domandò.
Lui la fissò per un istante poi voltò la testa. «Io… penso di no.» mormorò. «Sono sposato.»
Meredith annuì e fece un passo indietro. «Lo so…» bisbigliò, lo sguardo fisso in quello di lui, «Solo che…» si fermò, non sapendo cosa dire. «Perché?» domandò.
Richard sospirò e si passò una mano sul volto. «Non lo so.» rispose. «Mi dispiace. Scusa.»
«Come non lo sai?» domandò lei fissando, anche su lui aveva abbassato lo sguardo. «Mi hai baciato!» esclamò, «Tu mi hai baciato!»
«Lo so!» urlò Richard stringendo i pugni, «Lo so che sono stato io! È solo che non so il motivo per cui l'ho fatto…» sospirò e si appoggiò alla parete, le spalle curve e lo sguardo fisso sul pavimento.
Meredith lo fissò in silenzio, non sapendo cosa fare.
«Sono sposato, Meredith.» sussurrò Richard alzando la testa e guardandola. «Sono sposato.» ripeté abbassando la voce.
Meredith rimase in silenzio, aspettando che Richard le dicesse qualcosa, perché lei non sapeva cosa dire.
«Mi dispiace…» sussurrò Richard. «Non parliamone più.» disse e si voltò, andando verso il magazzino.
Meredith annuì, non sapendo cos'altro fare. Pensò che forse aveva ragione Richard, forse era meglio non parlarne. Lo guardò negli occhi castani e si pentì di averlo fatto.
Lo voleva disperatamente, non sapeva il perché ma lo voleva.

***

L'orario di chiusura era finalmente arrivato. Meredith spense le luci e chiuse la porta a chiave.
Si voltò e vide Richard aprire la sua auto. «Richard…» lo chiamò.
Il ragazzo si voltò e la guardò.
«Ci vediamo lunedì.» disse Meredith cercando di sorridere.
Richard sorrise, la salutò con la mano e salì in macchina sentendosi meno triste. Lui non le parlava molto, non le parlava di quel bacio. Lei invece avrebbe voluto parlarne e capire perché Richard l'avesse baciata. Non pensava che ci fossero problemi fra lui e Rosalie.
Una volta a casa andò sotto la doccia, quella sera sarebbe uscita con i suoi amici.
Mentre si passava il balsamo fra i capelli sperò che quella serata l'avrebbe distratta dal pensiero di Richard, anche se non ne era molto sicura.
Non poteva fare a meno di pensarci, di ricordare le sue labbra, il suo profumo… scosse la testa e s'impose di non pensare a Richard per quella serata.
Non era sicura che ci sarebbe riuscita.
Decise di andare al lago il giorno seguente, magari nuotare l'avrebbe distratta dal pensare a Richard. Sbuffò e lasciò cadere la spugna, più s'imponeva di non pensarci, più ci pensava.
Poco dopo uscì dalla doccia, pulì il vetro con un asciugamano e si guardò, sperò che nessuno notasse il suo turbamento, in particolare Albert perché non avrebbe saputo cosa dirgli, o meglio cosa inventare, non poteva di cero dirgli la verità. Conosceva troppo bene Albert.
Sospirò ancora e andò in camera a vestirsi.

Salve :) scusate il capitolo corto, è che se aggiungevo altro sarebbe diventato troppo pesante per i miei gusti, ci sono già troppe seghe mentali secondo me.
Comunque... grazie a chi legge!

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Capitolo 7
*** Capitolo Sette ***


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Capitolo Sette

Il telefono incominciò a squillare, Meredith mugugnò qualcosa nel sonno e si rigirò nel letto, aprì gli occhi e allungò un braccio per prendere il telefono sul comodino.
«Chi è?» biascicò, si passò una mano sul viso e chiuse gli occhi.
«Sono io!» rispose Albert.
«Ciao.» mormorò Meredith, aprì gli occhi e guardò la sveglia, erano le dieci del mattino, sentì le campane della chiesa suonare.
«Stai ancora dormendo?» domandò Albert.
Meredith sbadigliò e si mise a sedere sul letto. «Secondo te? Sono andata a dormire…» si fermò e cercò di ricordare quando fosse tornata a casa, «cinque ore fa. Tu invece sei bello pimpante.»
Albert rise, «Io sono sveglio da un'ora!»
Meredith sorrise e posò la testa contro il muro dietro il letto. «Come fai?» chiese, «Io tornerei a dormire.»
«Non ho sonno.» rispose Albert. «Dai, vestiti che andiamo al lago.»
Meredith chiuse gli occhi e sorrise, spostò il cellulare da un orecchio all'altro. «Adesso?» domandò.
Albert sbuffò. «Si adesso. Fra venti minuti sono da te.» disse e riattaccò.
Meredith posò il telefono sul letto e scosse la testa, scostò il lenzuolo e si alzò in piedi.
Camminò per la stanza a piedi nudi, si avvicinò all'armadio e lo aprì, guardò l'interno cercando di ricordarsi dove fossero i costumi da bagno, si alzò sulle punte dei piedi e prese una scatola in plastica bianca dal ripiano più alto, afferrò un vestino giallo e chiuse le ante. Lasciò la roba sul letto e andò in bagno sbadigliando.
Sperò che la giornata al lago le avrebbe fatto bene, sperò di dimenticare Richard e quel bacio… per questo la sera prima aveva esagerato con l'alcol.
Si rese conto che non era servito a nulla, continuava a pensare a Richard. Si domandò cosa stesse facendo in quel momento, se fosse sveglio, se stesse parlando con Rosalie…
Scosse la testa e raccolse i capelli in una coda alta per non bagnarli durante la doccia. Sospirò e si mise sotto il getto caldo.

***

La spiaggia era piena, fortunatamente Albert e Meredith erano riusciti a trovare un posticino su cui stendere gli asciugamani.
Meredith si tolse gli occhiali da sole e si sdraiò sulla pancia, fissò due bambini giocare e chiuse gli occhi. Si stava rilassando e le sembrava incredibile.
Respirò profondamente e sorrise.
Albert la guardò, prese la bottiglietta d'acqua, l'aprì e bevve qualche sorso, si asciugò le labbra con il dorso della mano e versò quello che rimaneva dell'acqua sulla schiena di Meredith.
Lei emise un urletto strozzato e si mise seduta. «Sei scemo? È fredda!» si lamentò, afferrò la bottiglietta vuota e la tirò contro Albert; lui scoppiò a ridere.
«Guarda che ti butto in acqua!» esclamò il ragazzo.
«Non lo farai!» disse Meredith sistemandosi sull'asciugamano.
Albert le sorrise e le si avvicinò. «Sicura?» disse, «Io se fossi al tuo posto non mi fiderei.» sussurrò al suo orecchio.
Meredith si bloccò, lo sguardo verso il lago. Le labbra di Albert le avevano sfiorato la pelle del collo. Non si mosse, quel brivido che aveva provato l'aveva fatta sentire strana.
Albert le baciò la spalla.
«Io mi fido di te.» sussurrò Meredith, voltò la testa e lo guardò, sorrise e abbassò il viso. Il vento si alzò e rabbrividì. «Andiamo a fare merenda? Ho fame.»
Albert annuì, si alzò in piedi e aiutò Meredith ad alzarsi, l'abbracciò e le baciò una guancia. «Ti voglio bene.» Meredith non disse nulla, si limitò a stare abbracciata a lui.

***

Richard entrò in pizzeria con in braccio la piccola Emily, dietro di lui Rosalie e il bambino.
La cameriera li fece accomodare, erano nello stesso locale dove lui aveva visto per la prima volta Meredith.
Finita la pizza si alzò per accompagnare Chris in bagno. Si bloccò quando vide Meredith e Albert, vicino alla cassa. Lui le cingeva la vita con un braccio e lei aveva la testa posata sulla spalla di Albert.
Richard respirò a fondo e s'impose di scacciare la gelosia. In fondo era stato lui a decidere di non parlare più di quel bacio, aveva deciso lui di allontanare Meredith.
«Papà?» chiamò il bambino. Richard gli sorrise e riprese a camminare.
S'impose di non pensare più a Meredith ma l'immagine di lei e Albert non si toglieva dalla sua mente.

Salve :)
Spero che il capitolo, anche se corto,vi sia piaciuto.

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Capitolo 8
*** Capitolo Otto ***


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Capitolo Otto

«Ieri sera ti ho visto.» esclamò Richard, «In pizzeria, eri con Albert.»
Meredith rimase ferma, la mano a immobile a qualche centimetro di distanza dallo strofinaccio per pulire il bancone. «Non ti ho visto.» disse.
«Eri alla cassa, eravate vicini...» Richard la fissò e le sembrò ancora più bella con il naso leggermente arrossato. «Molto vicini.»
Meredith sospirò e alzò il viso per guardarlo. «Siamo andati al lago e abbiamo cenato fuori, non è la prima volta.» afferrò lo strofinaccio e lo passò sui lati della cassa.
Richard non disse nulla e si voltò, non voleva dirle che era geloso,che averla vista la sera precedente insieme a lui l'aveva fatto star male, che se con lui in quel momento non ci fosse stato il bambino sarebbe andato da lei. Tornò a fare quello che aveva interrotto, sistemare i vasi in plastica.
«Tu sei geloso.» esclamò Meredith, Richard sussultò e il vaso che aveva aveva in mano cadde per terra. «Solo che non vuoi ammetterlo.»
Lui si girò lentamente e raccolse il vaso. «Cosa stai dicendo?» disse, «Non sono geloso di te!»
Meredith scrollò le spalle e si voltò, «Se ne sei convinto...»mormorò tornando verso la cassa.
Richard rimase fermo a guardarla, deciso a non dirle che era aveva ragione.
Era geloso ma non lo avrebbe mai ammesso a Meredith. Non voleva farlo, non poteva farlo. Si ripeté che aveva una moglie, due bambini e che non poteva pensare ed essere geloso di un'altra.
Sistemò il vaso che teneva in mano, guardò brevemente Meredith e tornò al lavoro. «Non sono geloso!» ripeté.

***

Meredith sorrise, prese le monetine dal cassetto della cassa, afferrò lo scontrino e consegnò il tutto alla cliente. La donna infilò le cose nel portafoglio, prese il sacchetto e uscì.
La porta tintinnò e Meredith appoggiò i gomiti sul bancone, poco dopo posò anche la fronte.
Sbuffò, era stanca, da quando avevano iniziato era stato un continuo via vai di clienti, che entravano nel negozio attirati dai saldi e dal nuovo reparto sul modellismo.
«Sei stanca?» domandò Richard e posò una lattina di aranciata sul bancone. Meredith alzò la testa, afferrò la lattina e la posò contro la fronte.
«Sono distrutta.» rispose lei, posò la lattina e l'aprì. «Per fortuna mancano solo venti minuti.» aggiunse e sorseggiò la bevanda.
Richard non disse nulla e la guardò. Osservò una goccia di bibita scivolare sul labbro di lei e scendere lungo il mento. Alzò una mano, voleva sfiorarla, ma alla fine posò la mano sul bancone.
Meredith bevve ancora e posò la lattina mezza vuota sul bancone.
Richard guardò un'altra goccia scivolare sul mento di lei, la osservò scendere, si morsicò il labbro inferiore e s'impose di restare fermo.
Mosse le dita nervosamente e abbassò il viso.
«Grazie.» disse Meredith gettando la lattina nel secchio sotto al bancone. «Ne avevo bisogno.»
Richard sorrise e alzò il viso. «Di nulla.»
Meredith lo guardò. «Per prima...» mormorò dopo qualche secondo di silenzio, «quando ho detto che tu sei geloso... io non intendevo...» balbettò.
«Non preoccuparti.» disse. «E comunque non sono geloso.»
Meredith sorrise.
«Ero solo sorpreso di vedervi lì.» aggiunse. «Io... non pensavo che ti avrei visto lì...»
Lei non disse nulla, e si spostò, dirigendosi verso la porta che conduceva al magazzino, Richard la seguì.
«Mi dispiace.» mormorò lui afferrandola per un braccio poco dopo aver oltrepassato la porta.
Lei si voltò e lo fissò. «Per cosa?» sussurrò.
Richard scosse la testa e fece un passo verso di lei. «Non lo so.» rispose lui abbassando lo sguardo. Alzò il viso e la fissò, si avvicinò ancora di più e l'abbracciò, piegò in avanti la testa e la baciò, lei rimase rigide per qualche istante, poi si rilassò e gli circondò il collo con le braccia, alzandosi sulle punte dei piedi.
Lui la spinse contro lo scaffale più vicino, in quel momento i suoi pensieri erano rivolti alla ragazza che stringeva fra le braccia, alle sue labbra morbide e al profumo della sua pelle. Si spostò dalle sue labbra e scese lungo il collo lasciando una scia di baci.
A Meredith sfuggì un gemito quando Richard iniziò a succhiarle la pelle del collo.
Richard le accarezzò la schiena e le sue mani scesero fino al sedere, lo strinse e si avvicinò ancora di più a lei; fece salire una mano lungo la schiena, sotto alla maglietta, arrivando a sfiorarle la chiusura del reggiseno, salì di nuovo con le labbra verso la bocca di lei e le morse il labbro inferiore, Meredith gemette nuovamente.
«Meredith?»
La ragazza aprì gli occhi, aveva sentito la voce di Albert. Fissò Richard, lo spinse e si scostò.
«Rimani qui...» mormorò lui.
Lei lo guardò, scosse la testa e tornò in negozio. Si passò le mani fra i capelli e respirò a fondo, sperando che Albert non si accorgesse di nulla.
«Tutto bene?» domandò Albert, era appoggiato al bancone.
Meredith annuì. «Sì! Tutto bene!» rispose e si accorse di averci messo troppa enfasi.
Albert piegò la testa di lato, «Sei sicura?» chiese, «Hai la faccia tutta rossa...»
Meredith si bloccò, «È che... insomma...» balbettò, «fa caldo!»
Albert scrollò le spalle. «Hai ragione.» disse sorridendo, guardò un punto dietro le spalle di Meredith. «Ciao Richard.»
«Albert.» disse l'altro e fece un cenno con la testa e li superò «Inizio a portare dentro le cose.» disse.
Meredith annuì. «Com'è andato il lavoro?» domandò fissando Albert, anche se il suo sguardo era fisso su Richard.
«Tutto bene.» rispose lui. «Sono passato solo per un saluto.»
Meredith lo guardò e sorrise, rimase in silenzio non sapendo cosa dire. Continuava a pensare a quel bacio, alle mani di Richard sul suo corpo, alle sue labbra...
«Meredith?» la chiamò Albert. «Mi stai ascoltando?»
«Cosa?» domandò lei. «Scusa.»
«Ti stavo chiedendo se mercoledì vieni a cena con me dai miei.» disse lui fissandola.
Lei annuì, «Sì, certo, va benissimo.» esclamò Meredith. Richard passò accanto a lei e la guardò.
«Devo chiudere.» mormorò lei.
Albert annuì, fissò lei e poi Richard. «Sicura di stare bene?» le domandò dopo averle baciato una guancia. «Va tutto bene, tranquillo.» disse Meredith.
Albert annuì e uscì dal negozio.
Meredith respirò a fondò e guardò l'orologio, era ora di chiudere.

***

Meredith gettò il bicchiere di plastica nel cestino.
«Perché mi stai facendo questo?»
Lei si voltò e si trovò davanti Richard.
Lui si avvicinò e la bloccò contro al muro. «Perché mi fai questo?» le sussurrò guardandola negli occhi.
Meredith non disse nulla limitandosi a guardarlo negli occhi, per poi fissargli le labbra dischiuse.
«Non puoi.» continuò Richard avvicinandosi ancora i più a lei, continuando a fissarla negli occhi; avvicinò il viso a quello di Meredith e chiuse gli occhi.
«Non posso.» soffiò e posò la fronte su quella di lei, aprì gli occhi e la fissò. «Tu... sono sposato.» mormorò.
Lei continuò a rimanere in silenzio. «Sei tu che mi hai baciato.» sussurrò.
Richard le accarezzò il viso e fece scorrere la mano fra i capelli. «Mi hai stregato.» sussurrò a pochi centimetri dalle labbra di lei.
«Mi hai stregato.» ripeté, e le baciò la fronte. La guardò e le accarezzò di nuovo il viso. «Non so cosa fare con te.» disse prima di uscire dalla porta sul retro.
Meredith lo guardò allontanarsi e pensò che anche lei non sapeva cosa fare con lui. Afferrò la borsa e uscì anche lei.

Salve! Scusate il ritardo ma ho avuto qualche casino...(in ordine sparso: papà in ospedale, io ho dei problemi ai denti e due volte a settimana sono dal dentista, litigo con i plugin di Wordpress per il mio sito, la macchina è rotta e devo andare a fare la spesa in bus... aggiungiamoci la mancanza d'ispirazione e tutte le cose che mi distraggo dallo scrivere, tipo il #FilanFriday... comunque mio padre sta bene, non era nulla di grave.)
Comunque spero che il capitolo vi sia piaciuto!

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Capitolo 9
*** Capitolo Nove ***


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Capitolo Nove

Meredith guardò la sveglia. Erano le due e mezza del mattino e lei non aveva ancora sonno, continuava a rigirarsi nel letto, ripensando a quel bacio. Sbuffò e si disse che era una stupida. Spostò il lenzuolo e si mise seduta, appoggiò i piedi sul tappeto nero sbuffò nuovamente.
Più decideva di non pensarci più ci pensava.
Ripensò a quel bacio, alle mani di Richard sulla sua pelle, alle sue labbra sul collo...
Gemette frustata e si sdraiò, scalciò via il lenzuolo, chiuse gli occhi e s'impose di dormire.

***

Richard guardò la sua immagine riflessa nello specchio e si diede dello stupido. Aveva tradito Rosalie. Due volte.
Aveva baciato Meredith. Due volte. E in entrambi i casi era stato lui a baciarla per primo.
La sua mente tornò al giorno prima e chiuse gli occhi. Sentiva ancora il corpo di Meredith contro il suo, le sue braccia che lo stringevano, il sapore della sua pelle...
«Richard? Farai tardi!» esclamò Rosalie dall'altra parte della porta.
Lui aprì gli occhi e abbassò il viso. «Ho finito.» disse chiudendo il rubinetto, «Arrivo.»
Asciugò il lavandino e uscì. Non sapeva cosa fare. Solo di una cosa era certo: voleva Meredith.
Uscì dal bagno e si ritrovò Rosalie davanti. «Hai il viso stanco.» disse lei sfiorandogli una guancia. «Non è che ti sta facendo lavorare troppo?»
Richard sorrise e scosse la testa. «No.» rispose, «Ho solo dormito male.»
Rosalie lo abbracciò e gli baciò una guancia. «Ti amo.» sussurrò.
Richard chiuse gli occhi e si sentì male. «Ti amo anch'io.» disse.
Ed era vero, lui l'amava, solo che, in quel momento, voleva Meredith.

***

Richard tenne la porta aperta mentre Meredith entrò.
La guardò e rimase ipnotizzato dal suo collo lasciato scoperto dai capelli biondi raccolti.
«Meredith...» la chiamò piano e chiuse la porta.
Lei si voltò verso di lui e lo guardò rimanendo in silenzio. «Dimmi.» disse dopo qualche secondo di silenzio.
Richard si avvicinò a lei e le posò le mani sulla vita. «Io... tu...» sospirò e chiuse gli occhi per qualche secondo, quando li riaprì Meredith lo stava guardando, respirò profondamente e avvicinò il suo viso a quello di lei, percepì il profumo di lei e spostò le mani dalla vita al viso di lei, le sfiorò le labbra con i pollici e Meredith schiuse le labbra. Richard piegò in avanti la testa e la baciò, stringendola a sé, accarezzandole il collo.
Meredith gi accarezzò i capelli e gemette quando Richard le accarezzò la schiena, con le labbra scese a baciargli la pelle calda del collo. S'irrigidì quando sentì qualcosa di freddo contro la schiena. Ignorò quella sensazione fastidiosa e continuò a baciare il collo di Richard. Fece scivolare le mani sulla schiena di lui e le infilò sotto alla maglietta, sfiorò la pelle calda e, lasciandogli una sci di baci, tornò con le labbra sulla bocca di lui, gli strinse i fianchi, sentì ancora quella strana sensazione di un qualcosa di freddo sulla schiena, capì che era la fede di Richard, quel piccolo cerchietto di oro giallo che lui portava all'anulare sinistro.
Si scostò da lui e aprì gli occhi.
«Cosa c'è?» mormorò lui attirandola di nuovo verso di sé, gli mordicchiò il labbro inferiore.
Meredith non sapeva cosa dirgli, non poteva parlargli della fede. «Dobbiamo aprire.» mormorò infine.
«Giusto.» disse Richard baciandole le labbra un'ultima volta. «Bisogna aprire.» mormorò sfiorando con le labbra la guancia di Meredith.
La ragazza si scostò e sorrise, si voltò e andò nel negozio. Sperò di non essere diventata rossa, sarebbe stato imbarazzante se fosse entrato qualcuno che conosceva e che voleva della spiegazione. Aprì la saracinesca e andò alla cassa; fissò lo schermo accendersi e respirò profondamente.
Richard le passò accanto e lei lo guardò, ammirandone la schiena e il sedere. Sospirò nuovamente. Le piaceva, Richard, l'attirava come non aveva mai fatto nessun ragazzo in precedenza. Lo guardò mentre portava fuori le cucce dei cani, fissò i muscoli guizzare.
Lui tornò indietro e si fermò davanti a lei, alzò un braccio e le sfiorò il viso, accarezzando con il pollice il labbro inferiore.
Meredith lo fissò incantata e schiuse le labbra.
«Non fare così...» mormorò lui avvicinando il viso a quello di lei, «mi fai venire voglia di baciarti.» soffiò sulle labbra di lei, fece un passo indietro e tornò nel magazzino.
Si appoggiò alla parete e respirò profondamente, cercando di calmare i battiti del suo cuore. Voleva Meredith, la desiderava più di qualsiasi altra cosa. Ma era sposato e una parte di lui gli urlava che non doveva più tradire Rosalie. Si passò le mani sul volto e sospirò ancora, indeciso su cosa fare. Si scostò da muro, prese un grosso vaso di plastica e tornò in negozio.
Si bloccò quando vide Albert parlare con Meredith tenendole una mano sul fianco.
Geloso, passò accanto ai due e urtò Albert con il gomito. «Scusa.»esclamò sorridendo, «Non ho fatto apposta.» mentì.
Albert scrollò le spalle. «Tranquillo.» disse, «Non era nulla.»
Richard sorrise e uscì per sistemare il vaso; fuori vide che Albert e Meredith erano ancora vicini e che il ragazzo non aveva spostato la mano dal fianco della ragazza, fissò il vaso che aveva in mano e desiderò romperlo in testa ad Albert ma sapeva che non poteva, lui era il migliore amico di Meredith e doveva sopportarlo.
Rientrò in negozio e di mise al fianco di Meredith, le sfiorò la schiena. «Devo portare fuori qualcos'altro?» domandò continuando a muovere le dita.
Meredith si spostò, allontanandosi da entrambi i ragazzi e guardò fuori. «No... non credo.» rispose. SI domandò come fosse possibile che un semplice tocco la facesse stare così. Avrebbe voluto tornare indietro, gettare le braccia al collo di Richard e baciarlo per ore e ore.

***

Richard la guardò Meredith bere dell'acqua dalla bottiglietta di plastica e osservò una goccia scenderle lungo il mento e cadere sul seno di lei. Si trattene a stento,voleva andare lì e leccare via quella goccia.
«Ci vediamo domani.» disse lei gettando la bottiglietta vuota nel cestino accanto alla porta.
Richard la fermò e l'attrasse a sé, stringendole i fianchi. «Mi mancherai.» mormorò baciandole il collo.
«Ci vediamo domani!» rise Meredith piegando di lato la testa e posò la mano sulla nuca di lui.
«Lo so...» Richard spostò le labbra su quelle di lei. «Mi fai impazzire.» disse. Ed era vero, Meredith gli stava facendo perdere il lume della ragione. Lui la voleva e basta, del resto gli importava poco.

Buon pomeriggio! Spero che questo capitolo vi sia piaciuto anche se non succede preticamente nulla.
Ho iniziato una nuova storia Ocean, blue sky and happiness è nel fandom dei Blue, su Duncan James e non è una SLASH! Cosa strana per me, visto che su di lui ho pubblicato solo slash.
Al prossimo capitolo.

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Capitolo 10
*** Capitolo Dieci ***


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Capitolo Dieci

Meredith fissò il proprio riflesso e sorrise. Richard le piaceva, le piaceva baciarlo e farsi baciare, adorava sentire le sue labbra sul collo e le sue mani accarezzarla, le piaceva infilare le mani sotto la maglietta di Richard e sfiorargli il torace muscoloso, anche se avrebbe voluto di più, avrebbe voluto essere sua completamente, fare l'amore con lui, non le importava dove e come, voleva solo che succedesse ma sapeva che questo non era possibile, almeno per il momento.
Avevano deciso di... no, non avevano deciso nulla, non parlavano di quello che c'era fra di loro. Parlavano di tutto tranne di quello e a lei andava bene così.
Sistemò l'asciugamano giallo sulla sbarra e tornò in negozio canticchiando la canzone che la radio locale stava trasmettendo, si sistemò dietro alla cassa e puntò lo sguardo su Richard, fissando la schiena muscolosa e il sedere messo in risalto dai jeans stretti.
Posò le braccia sul bancone, sporgendosi su di esso per poter guardare meglio.
Alzò gli occhi al cielo quando il campanello della porta suonò, sorrise e salutò l'anziana coppia appena entrata, li riconobbe, erano i signori Brown.
«Buongiorno, posso esservi utile?» domandò facendo il giro del bancone.
«Facciamo da soli.» rispose l'uomo, «Grazie, Meredith.»
La ragazza sorrise e lo vide prendere qualche pacco da sei di vasetti per fare le conserve mentre la moglie si occupava dei tappi.
Meredith tornò dietro il bancone e guardò Richard, lui si voltò, si era accorto di essere osservato, e le sorrise. Meredith lo fissò qualche istante, il cuore con il battito accelerato, poi spostò lo sguardo sui signori Brown, fece loro il conto e infilò i tappi in un sacchetto che porse alla signora, sorridendo amabilmente.
«Serve una mano?» domandò Richard indicando le confezioni dei vasetti che l'anziano teneva in mano.
L'uomo scosse la testa, «No, grazie.» rispose.
Richard annuì e andò ad aprire la porta, aspettò che uscissero e la richiuse, tornò al bancone e guardò Meredith sistemare le calamite da frigo. «Guarda che non succede nulla se rimangono storte.» le disse divertito, osservandola mentre raddrizzava le calamite storte.
«Voglio che siano dritte.» esclamò lei, fece un passo indietro e osservò la lavagna, allungò un braccio e sistemò una calamita a forma di fetta d'anguria. «Perfetto.» mormorò, guardò Richard e sorrise.
«E se ne sposto una?» domandò lui avvicinando l'indice sinistro alla calamita a forma di grappolo d'uva, sfiorò la superficie di plastica viola, alzò lo sguardo su Meredith e sorrise.
«Non farlo.» esclamò Meredith bloccandogli il polso, «Ti mando a pulire la grondaia!»
Richard rise e afferrò la mano di Meredith, «Mi mandi a pulire la grondaia solo perché ho spostato una calamita?» domandò, gli strinse la mano e la guardò, abbassò le mani sul bancone e sorrise, si sporse verso di lei continuando a guardarla.
«Tu non toccare le mie calamite e non pulirai la grondaia.» esclamò lei liberando le mani dalla stretta di Richard, guardò alla sua sinistra e vide un uomo salire i gradini. «Sta arrivando un cliente.»
Richard si voltò e spostò le mani, guardò Meredith, sorrise e tornò a finire di sistemare uno scaffale.
Infilò un sacchetto con i tappi di sughero nella cesta di plastica e si voltò per sbirciare Meredith e la vide parlare con il cliente. Respirò a fondo e cercò di tenere a bada la gelosia. Pensò che non poteva essere geloso di un cliente, che sarebbe stato peggio se fosse stato Albert. Scacciò il pensiero di sua moglie e finì di sistemare i sacchetti.

***

Richard tornò in negozio e si bloccò quando vide Albert entrare. Respirò profondamente e spinse il carrellino con sopra vasetti da conserva, tappi di plastica e di sughero, cassette porta bottiglie in plastica verso uno degli scaffali. Iniziò a sistemare la merce anche se ogni tanto si fermava per guardare Meredith e Albert. La ragazza era appoggiata al bancone e Albert era accanto a lei, troppo vicino secondo Richard, si diede dello stupido, aveva pensato a lui solo dieci minuti prima e lui era arrivato. Si ripromise di non pensare più a lui.
«Che cos'hai?» domandò Albert.
Meredith scrollò le spalle e spostò una ciocca di capelli dal viso. «Niente, perché?» chiese di rimandò, prese una caramelle e la mise in bocca.
«Perché sei felice,» rispose lui, «troppo felice.» prese anche lui una caramella dalla ciotola vicino alla cassa e la scartò lentamente, «Non è che esci con qualcuno e non me lo vuoi dire?»
Richard si bloccò e il sacchetto che aveva in mano scivolò per terra, Meredith e Albert si voltarono verso di lui. «Scusate.» biascicò chinandosi per raccogliere quello che era caduto.
«Allora?» insistette Albert, «Esci con qualcuno?»
Meredith lo fissò sorpresa, «Cosa? Uscire con qualcuno?» esclamò e rise, «Sei matto?»
Richard trattene il respiro e gli bastò uno sguardo per capire che era nervosa, lo intuiva dal modo in cui muoveva le mani.
Albert alzò le spalle, «È solo che sei radiosa...» disse, «come quando uscivi con il tuo ex...»
Richard si bloccò, la confezione di vasetti in mano. Ex? Quale ex? Lui non sapeva nulla e Meredith non gli aveva accennato nulla.
Fissò quello che aveva in mano e lo posò sullo scaffale trattenendo il respiro.
«Sono solo felice!» Meredith rise ancora e a Richard quella risata suonò leggermente isterica, «Non posso essere felice senza un motivo particolare?»
Richard i avvicinò ai due e buttò un pezzo di carta nel cestino sotto alla cassa, si fermò per guardare i due e per cercare di calmare la gelosia.
Albert alzò ancora le spalle e sorrise posandole le mani sui fianchi con una confidenza che a Richard non piacque. «Certo che puoi essere felice senza motivo.» disse e l'abbracciò. Richard strinse le mani a pugno e le guardò, le nocche erano bianche.
Respirò dal sollievo quando vide Meredith fare un passo indietro, allontanandosi da Albert.
«Devo andare, adesso.» esclamò Albert, baciò Meredith sulle guance e le sorrise. «Ci sentiamo dopo.»
Meredith sorrise, «Ciao.» mormorò dolcemente e Richard sentì la gelosia ribollirgli nelle vene.
«Richard.» disse Albert facendo un gesto con la testa e uscì dal negozio.
«Ex ragazzo?» domandò Richard fissando Meredith. «Quale ex?»
Lei alzò le spalle, prese un'altra caramella e la tenne fra il pollice e l'indice. «Il mio ex, Jimmy.» disse e scartò lentamente la caramella, «Nulla d'importante.»
Richard le sfiorò i capelli spostandoli dietro la spalla, sfiorò la pelle e la fissò. «Mhh... okay.» disse, «E quanto siete stati insieme?» domandò allontanandosi un poco. Era geloso, tremendamente geloso e non si era mai sentito così, neppure nei confronti di Rosalie.
«Tre anni.» rispose Meredith infilando la caramella in bocca. Si voltò e andò dietro alla cassa.
«Tre anni? Nulla d'importante?» mormorò sorpreso. «Sono tanti tre anni. Una coppia può decidere di andare a vivere insieme, di sposarsi, di avere un bambino, fare un bambino...»
Meredith alzò ancora le spalle. «Tre anni sono meno di diciassette.» fece notare.
Richard respirò profondamente. «Lo so.» disse, «Però sono comunque tre anni.»
«È una storia chiusa.» esclamò lei. «Non ne voglio più parlare, va bene?» continuò alzando la voce.
Richard sobbalzò, sorpreso dal cambiamento di Meredith, «Va bene, scusa.» mormorò, la raggiunse dietro la cassa e l'abbracciò, l'ultima cosa che voleva era litigare con lei. Le baciò il viso e le sussurrò che gli dispiaceva.
Meredith annuì e fece un passo indietro. «Grazie.» mormorò, «Scusa.» aggiunse.
Richard le scostò i capelli dal viso, «Non devi scusarti.» le disse, «Non hai fatto nulla.» aggiunse posandole le mani sui fianchi, la guardò e sorrise quando la vide abbassare il viso con le guance rosse.
Si avvicinò a lei per baciarla quando la porta si aprì. Meredith si scostò bruscamente.
Richard si allontanò e tornò a sistemare la merce.
Non sapeva il perché, ma si sentiva un pochino deluso.

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Capitolo 11
*** Capitolo Undici ***


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Capitolo Undici

Meredith fissò il menu mentre ascoltava distrattamente Albert parlare. Abbassò il libricino con la copertina blu, lo chiuse e lo posò sul tavolo, sulla tovaglia rosa.
Afferrò una confezione di grissini e l'aprì, sorridendo e inclinando la testa, sperando che Albert non si accorgesse che lei non lo stava ascoltando con attenzione.
Prese un grissino e lo divise in due, posandone una parte sulla tovaglia rosa, ripensò al bacio che lei e Richard si erano scambiati appena la saracinesca era scesa. Lui l'aveva spinta contro la vetrata e l'aveva baciata, infilandole le mani sotto la maglietta e accarezzandole la schiena. Si erano divisi solo perché era suonato l'allarme di un auto.
«Domenica andiamo al lago?»
Lei fissò Albert e finì il grissino, «Certo.» rispose, felice di quella proposta. Le piaceva andare al lago, ed era sicura che si sarebbe divertita come sempre.
Anche lui sorrise e le sfiorò una mano, senza staccare lo sguardo da lei.
Meredith fissò i suoi occhi azzurri, sentì il calore della mano di Albert sulla sua e per un'istante dimenticò Richard. Guardò il suo migliore amico meravigliandosi di quanto belli fossero i suoi occhi e di come fosse luminoso il suo sorriso.
La cameriera arrivò per prendere le ordinazioni e Meredith scostò la mano sentendosi confusa e sollevata allo stesso tempo.
Confusa perché Albert era il suo migliore amico, sollevata perché, se non fosse arrivata la cameriera, non avrebbe saputo cosa fare.
La cameriera se ne andò dopo aver preso le ordinazioni e Meredith sfiorò la carta che conteneva i grissini, lo sguardo fisso sulla tovaglia. Non sapeva più cosa fare. Lentamente alzò la testa, Albert la stava ancora guardando e sorrideva.
Sorrise anche lei. «Dopo il lago veniamo qui a mangiare?» domandò.
Albert annuì. «Certo.» sorrise, «Come sempre.»
Meredith pensò che, forse, sarebbe stato tutto più facile se ci fosse stato Richard al posto di Albert, almeno avrebbe potuto baciarlo anche in pubblico, non solo in negozio, non che la cosa le dispiacesse, anzi, le dava un piacevole brivido. Solo che avrebbe preferito avere una relazione “normale”, con un uomo non sposato e, possibilmente, senza figli.
Solo che... Richard non era Albert. E Albert era il suo migliore amico.
E lei non voleva baciare il suo migliore amico, già pensare una cosa del genere le faceva senso, non sarebbe mai riuscita a baciare Albert come baciava Richard.
Certo, con Albert passava molto tempo, andavano al lago o in montagna, a cena insieme, al cinema, o se ne stavano a casa a guardare un dvd mangiando una pizza d'asporto, alcune volte avevano dormito assieme... ma non era la stessa cosa.
Richard era diverso.
Meredith prese il bicchiere di birra e lo guardò, decisa a non pensare a Richard, voleva godersi quella serata con Albert.

***

Meredith aprì la scatola di cartone con una taglierino giallo, aprì le due alette e tirò fuori due bombolette di vernice spray, le passò a Richard. «Stai attento ai colori.» disse.
Richard annuì e sistemò le bombolette, posandole con delicatezza nella rastrelliera.
«Sai che mio fratello Jacob mi ha detto che da piccoli giocavate insieme, al campetto di calcio dietro la chiesa?» domandò Meredith porgendo altre bombolette. «Ti ha riconosciuto quando ti ha visto al supermercato con tua moglie.» Richard la fissò sorpreso, «Davvero?» chiese e prese le bombolette. «Non ne avevo idea. Mi ricordo che giocavo con alcuni bambini di qui, ma non sapevo che uno di loro fosse tuo fratello.»
Meredith alzò le spalle e si alzò in piedi insieme alla scatola, «Mi ha anche detto di averlo riferito a Rosalie.»
Lui la guardò, una bomboletta dal tappo azzurro nella mano destra. «Rosalie sa che io da piccolo giocavo con Jacob?» chiese.
Meredith annuì. «Sì...» rispose grattandosi una guancia. «Immagino che non ti abbia detto nulla.»
Richard sospirò, sistemò le bombolette e respirò a fondo. «No, non mi ha detto nulla.» mormorò, fissò la parete davanti a sé e si voltò, «Quando è successo?»
Meredith lo guardò in silenzio per qualche istante, «Settimana scorsa.» rispose in un sussurro, «Jacob mi ha detto tutto ieri.»
Richard rimase in silenzio, afferrò la scatola dalle mani di Meredith e, sempre in silenzio, finì di sistemare. Meredith lo fissò e scrollò le spalle – in fondo non era colpa sua se Rosalie non aveva detto nulla a Richard – e andò alla cassa, gettò un pezzo di carta nel cestino e osservò Richard. Era arrabbiato, lo intuiva. Si domandò come mai Rosalie non avesse detto nulla a Richard.
Sospirò e si avvicinò a lui, gli posò le mani sulle spalle e iniziò un lento massaggio.
«Sei teso.» sussurrò.
Lui annuì lentamente e si voltò, le posò le mani sulla vita e sorrise. «Per fortuna che ci sei tu.» le disse avvicinandosi e nel contempo attirando a sé Meredith.
Lei sorrise e gli circondò il collo con le braccia, sicura che nessuno li avrebbe visti dalla vetrata: erano fra due scaffali, sul fondo del negozio; e se qualcuno fosse entrato avrebbero sentito il campanello della porta.
Meredith chiuse gli occhi quando le labbra di Richard si posarono sulle sue, ormai le sembrava così naturale baciarlo.
Richard fece scivolare le mani sotto la maglietta di Meredith e le sfiorò la schiena, arrivando ai fianchi e solleticandoli. Meredith rise sulle sue labbra, «Non farmi il solletico!» disse divertita muovendosi un poco.
Richard sorrise e la baciò sulla bocca. «Mi piace farti il solletico.» sussurrò al suo orecchio, «Hai un buon profumo.» mormorò prima di baciarla sotto l'orecchio.
Meredith sbuffò infastidita quando sentì il campanello suonare, baciò la guancia di Richard e, dopo avergli sorriso, andò verso la cassa.

***

«Perché non mi hai detto nulla?» esclamò Richard entrando nella camera matrimoniale.
Rosalie lo fissò e spostò il piccolo cuscino sulla poltroncina bianca. «Cosa non ti avrei detto?» domandò.
Richard sbuffò e si sedette sul letto. «Di Jacob.» rispose.
Rosalie lo guardò e si sedette accanto a lui. «Chi?» domandò confusa.
Richard espirò lentamente e voltò il viso verso di lei, «Jacob, quello del supermercato, il fratello di Meredith, quello con cui giocavo da piccolo...» si fermò e la guardò qualche secondo in silenzio, voltò il viso verso il muro e respirò lentamente.
«Non mi hai detto nulla sul fatto che lui ti abbia parlato, come non mi hai detto nulla sul fatto che lui ti abbia detto che potevo passare per fare due chiacchiere.» aggiunse sempre fissando il muro.
Rosalie abbassò il viso, sentendosi colpevole. «Scusa.» mormorò.
«Perché?» domandò lui voltando la testa verso di lei.
Lei alzò le spalle. «Perché tu sei al lavoro tutto il giorno e non voglio che tu esca anche alla sera!» esclamò abbracciandolo.
Richard si alzò in piedi e fece alcuni passi con i piedi scalzi. «Non devo uscire con lui tutte le sere.» disse e si voltò verso di lei, «Se esco con lui una sera per bere una birra non casca il mondo.» aggiunse e si voltò verso di lei.
«Ma io voglio che tu rimanga con noi!» piagnucolò lei.
Lui respirò profondamente e posò le mani sul comò. «Lavoro tutto il giorno, sono a casa a pranzo e a cena... se esco una sera con qualche amico non succede nulla.»
Rosalie spinse in fuori e labbra e sbuffò, incrociò le braccia al petto e fissò Richard. «Ma non ti vedo mai!» si lamentò, «Almeno con il ristorante passavamo del tempo insieme!»
«Non è colpa mia se abbiamo perso il ristorante!» urlò lui, «Io ho fatto di tutto per salvarlo! E comunque tu a ristorante ci lavoravi mezza giornata, per questo passavamo quasi tutto il tempo insieme!»
Rosalie non disse nulla ma si spostò sulla sua parte di letto. «Io voglio che tu non esca. Devi andare al lavoro e tornare qui.»
«Dopo domani, dopo cena, esco con Jacob.» la informò Richard. «Che ti piaccia oppure no.» disse prima di uscire dalla camera.
Una volta fuori si appoggiò alla parete e chiuse gli occhi, gli faceva male pensare al ristorante, dove aveva investito i suoi soldi, il suo tempo e tutte le sue energie. E in un certo senso, se l'aveva dovuto vendere, era colpa anche di Rosalie, troppo occupata a bere caffè con le amiche e a fare shopping. Se avesse passato più tempo con la sua famiglia forse si sarebbe accorta dei problemi di suo fratello.
Richard scosse la testa e andò in salotto, avrebbe aspettato che Rosalie si addormentasse prima di tornare a letto.

***

Richard si avvicinò alla vetrina e guardò fuori, il cielo era oscurato da grossi nuvoloni neri, fissò il bar poco distante per vedere uscire Meredith con i caffè e le brioches. Vide la porta aprirsi e Meredith uscire con due sacchetti di carta in mano, Richard si avvicinò alla porta e in quel momento iniziò a piovere. Aprì la porta e sorrise nel vedere Meredith con i capelli bagnati e appiccicati al viso.
«Non ridere!» disse lei posando i sacchetti sul tavolino.
«Scusa.» mormorò lui togliendole una ciocca di capelli dal viso, «È che sei buffa!»
Meredith sbuffò e andò dietro la cassa, afferrò un po' di scottex e si asciugò il viso. «La prossima volta che piove ci vai tu al bar!» scherzò lei gettando la carta nel cestino. «Grazie.» disse afferrando il bicchiere con il caffè che Richard le stava porgendo.
«Andrà avanti tanto?» domandò Richard guardando verso la vetrata.
Meredith sorseggiò il caffè e alzò le spalle. «Non ne ho idea. Forse sì forse no.»
Richard rimase in silenzio mentre la guardava mangiare la brioche, un lampo illuminò il cielo, seguito da un tuono fragoroso. Le luci tremolarono e si spensero per accendersi qualche secondo dopo.
«C'è il temporale.» mormorò.
Meredith non disse nulla e si sedette sul bancone. «Credo che potremmo prendercela comoda, non credo che venga qualcuno sotto questo diluvio.» disse e sorseggiò il caffè.
Richard alzò le spalle e si appoggiò al bancone, sfiorò la schiena di Meredith e attorcigliò una ciocca dei capelli di lei attorno alle dita. «Quindi siamo praticamente... soli?» le chiese.
Lei annuì e finì il caffè. «Se non arriva qualcuno... sì, siamo solo noi due.» rispose.
Richard sorrise e si sporse per baciarle una spalla, le sfiorò il viso e la baciò sulle labbra, sicuro che nessuno li avrebbe disturbati, nessuno sarebbe uscito sotto quel temporale per andare a comprare qualcosa nella ferramenta. Sobbalzarono quando il telefono squillò e Richard drizzò la schiena, facendo un passo indietro.
«Ferramenta Stoks.» esclamò Meredith rispondendo.
«Sono Rosalie, posso parlare con mio marito?» «Cosa? Sì, certo.» rispose Meredith, sorpresa dalla chiamata. «È tua moglie.» disse a Richard.
Lui aprì la bocca dalla sorpresa e afferrò il telefono. Meredith scese dal bancone e si avvicinò alla vetrata per guardare fuori. L'acqua aveva riempito la fontana e la strada cominciava ad allagarsi.
«Vuole parlare con te.»
Meredith si voltò lentamente, preoccupata, afferrò il telefono e lo portò all'orecchio.
«Sì?» mormorò.
«Per favore dì a quel testone che non deve uscire con sto tempo!» esclamò Rosalie. «Ho sentito che il ponte si allaga in questi casi e io ho paura, non voglio che passi di lì ma è l'unica strada.»
«Ho capito ma...»
«Non farlo uscire dal negozio, fallo stare lì!» disse Rosalie interrompendola, «Se vuole mangiare può andare al bar!»
Meredith respirò profondamente, «Va bene, controllerò che non esca. Lo legherò, se necessario.» disse.
Rosalie ridacchiò, «Spero non sia necessario!» disse, «Vado adesso, i bimbi stanno litigando! Grazie.»
Meredith la salutò e chiuse la chiamata.
«Mi legheresti sul serio?» domandò Richard.
Meredith scrollò le spalle. «Se fosse necessario... sì.» rispose avvicinandosi a lui, «Ho diversi tipi di corde e di catene fra cui scegliere.» aggiunse passandogli di fianco, andò verso la cassa e si sedette sul bancone, afferrò una caramella e la scartò.
«Io non mi faccio legare!» protestò Richard.
Meredith scrollò le spalle e prese un'altra caramella. «Ma ho promesso a tua moglie di farti rimanere qui.»
Richard sorrise e si avvicinò a lei. «Non ho detto che voglio tornare a casa.» disse e, senza smettere di guardarla, posò una mano sul ginocchio di lei. Lei lo fissò e sorrise, scartò una caramella e la infilò fra le labbra di Richard.
«Che ne diresti di pulire un po'?» chiese scendendo dal bancone.
«Pulire?» domandò Richard girandosi verso di lei, «Vuoi veramente pulire?»
Meredith annuì, «Sì.» rispose. «Abbiamo poco più di un'oretta prima di chiudere per la pausa, una pulitina possiamo darla.»
Richard non disse nulla, scosse la testa e la seguì. «Cosa intendi per pulitina?» le chiese.
«Una spolverata e pulire il pavimento.» rispose andando verso il magazzino. Richard la seguì e, appena entrati, l'afferrò e l'abbracciò da dietro, circondandole la vita con le braccia. Meredith rise e Richard le baciò la spalla, la fece voltare verso di lui.
«Io non voglio pulire.» le sussurrò all'orecchio.
Meredith rise ancora e lo guardò, «Su, tanto prima o poi ci tocca pulire.» gli disse ridendo. Voltò la testa verso la porta quando sentì il telefono squillare. «Torno subito.» esclamò alzando la voce, l'intensità della pioggia era aumentata e batteva sul tetto del magazzino.
Richard scosse la testa e afferrò l'aspirapolvere, portandolo nel negozio.
«Chi era?» domandò a Meredith.
«Uno che voleva rifilarmi una cassa di olio d'oliva.» rispose lei scrollando le spalle. «Uno scocciatore.»
Richard non disse nulla e infilò la spina dell'aspirapolvere nella presa, avvicinò la mano al tasto dell'accensione quando la corrente saltò e tutte le luci si spensero. Un altro tuono, più forte dei precedenti, rimbombò. Meredith s'irrigidì.
«Mi sa che le pulizie saltano.» esclamò Richard.
Meredith non disse nulla e guardò fuori, anche l'insegna del bar pasticceria e dell'edicola erano spente. «Mi sa che la luce è saltata ovunque.»
Richard le si avvicinò e le posò le mani sui fianchi mentre la corrente tornava. «Hai paura del temporale?» le chiese.
Lei scosse la testa, «No, non ho paura.» rispose lei fissando la strada allagata. «Mi preoccupa di più la pioggia che allaga tutto.» si voltò appena e fece un passo indietro.
«Sistemiamo un po'.» aggiunse e si avvicinò a uno degli scaffali, iniziando a sistemare gli oggetti, raddrizzandoli e mettendoli in fila.
Richard la guardò e gli sembrò nervosa, respirò lentamente e si avvicinò a lei per aiutarla, chiedendosi come mai fosse così nervosa.

***

Richard posò il piatto sul tavolino e si appoggiò allo schienale.
«Vuoi altro?» domandò Meredith, «Credo di avere delle merendine da qualche parte.»
Richard scosse la testa e circondò con un braccio le spalle, «No, grazie.» rispose.
Meredith sobbalzò e si strinse a Richard quando tuonò.
«Hai paura?» chiese lui.
Meredith aprì gli occhi e respirò profondamente. «Io... non ho paura.» rispose accorgendosi di essersi avvinghiata a Richard, di avere la gamba destra sopra quelle di lui. «È che così sono più... comoda.» mormorò imbarazzata.b Richard sorrise e spostò Meredith, facendola sedere sulle sue ginocchia. «Adesso sei più comoda?» le domandò posandole un braccio sulle gambe e sfiorandole il ginocchio con la punta delle dita.
Meredith annuì e gli accarezzò il viso con la mano. «Sì.» sussurrò prima di baciargli le labbra.
Richard la strinse a sé e le sfiorò i fianchi, salendo lentamente, fino a sfiorarle il bordo del reggiseno, scese con le labbra sul collo e le alzò la maglietta. Meredith si scostò e alzò le braccia sopra la testa, Richard le tolse la maglietta e la gettò sul pavimento, tolse anche la sua e fece sdraiare Meredith, si mise accanto a lei e riprese a baciarla, sfiorandole la pelle del collo e scendendo sul seno. Non voleva pensare a nulla, non voleva pensare alla sua famiglia.
Sfiorò il bordo dei jeans di Meredith e la baciò sulle labbra, sdraiandosi sopra di lei.
In quel momento voleva pensare solo a Meredith, al suo buon profumo, all'odore della sua pelle.
Voleva pensare a solo a lei.

Salve1
Grazie a chi legge questa storia. Alla fine mancano nove capitoli e l'epilogo!
Grazie ancora!

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Capitolo 12
*** Capitolo Dodici ***


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Capitolo Dodici

Meredith chiuse il tubetto della crema solare e lo gettò nello zainetto, si pulì le mani sull'asciugamano e si sdraiò sull'asciugamano, rilassandosi sotto il sole.
Sorrise ripensando a quando aveva fatto l'amore con Richard, con il rumore della pioggia come sottofondo e i lampi che illuminavano la stanza.
Si girò, mettendosi prona e posò la testa sul braccio sinistro, spostando i capelli dal viso con la mano libera. Non aveva detto a nessuno quello che era successo fra lei e Richard, e non aveva nessuna intenzione di farlo, era una cosa fra lei e Richard.
Chiuse gli occhi e respirò piano, sorridendo nel sentire la risata di Albert. Lo sentì sedersi accanto a lei e frugare nello zaino.
«È finita l'acqua.» esclamò Albert.
«Lo so.» disse Meredith rimanendo ferma, «L'ho finita io.»
«Vado a prenderne altra.» disse Albert alzandosi in piedi, «Torno subito.» Meredith non disse nulla, aprì gli occhi e lo guardò allontanarsi lungo il vialetto che conduceva al bar della spiaggia.
Fissò la schiena muscolosa e ridacchiò quando si accorse che il costume di Albert si era spostato lasciando vedere una piccola striscia di pelle non abbronzata.
Si grattò il naso e sbadigliò, girandosi sul fianco sinistro e sostenendo la testa con la mano.
Ripensò a pochi minuti prima, quando aveva visto Albert aiutare una coppia di anziani ad aprire l'ombrellone, le piaceva il modo in cui Albert era premuroso con tutti – tranne che con Richard – , il modo in cui sorrideva amabilmente, come si comportava con i bambini. Sarebbe stato un fidanzato perfetto se non fosse stato il suo migliore amico se lei non fosse invaghita di Richard.
Sospirò e si mise seduta, guardando la riva del lago, sentendosi una scema per aver pensato ad Albert come a un possibile fidanzato. Lui era il suo migliore amico!
Scosse la testa e fissò un aquilone colorato che volava nel cielo limpido.
Però, se non forse stato il suo migliore amico... Meredith scosse la testa e si voltò per vedere dove fosse finito Albert, lo vide al bancone del bar che parlava con il barista. Sorrise nuovamente e strizzò gli occhi per vedere meglio, Albert si era sistemato il costume, arrossì quando si accorse di stare guardando il sedere dell'amico, scosse la testa e tornò a guardare il lago, sobbalzò quando sentì il cellulare suonare, lo cercò nello zainetto e rispose senza neanche guardare chi la stesse chiamando.
«Pronto?» esclamò.
«Ciao, Meredith.»
Lei si bloccò sentendo la voce di Richard, era raro che la chiamasse al telefono e, se lo faceva era per avvertirla di un ritardo. «Ciao, Richard.» mormorò sorridendo.
«Dove sei? Cosa fai di bello?» domandò lui.
Meredith aprì a bocca, sorpresa da quelle specie di terzo grado. «Sono al lago,» rispose e si toccò un piede, «e sto prendendo il sole.»
«Sei lì da sola?» chiese Richard.
Meredith si morsicò il labbro inferiore, indecisa su cosa rispondere, sapendo bene che Richard sopportava poco Albert.
«Meredith?» la chiamò lui.
«Da sola.» rispose mentendogli, «Sono venuta da sola.» ripeté sentendosi leggermente in colpa.
«Vorrei essere lì con te.» disse Richard, la voce bassa e roca. Meredith sorrise cercando di rilassarsi, pensò che Richard non avrebbe mai scoperto che era al lago con Albert. E lei non glielo avrebbe detto. «Anche io vorrei essere con te.» disse lei. «Tu dove sei?» «In gelateria.» rispose Richard, «Con Rosalie e i bimbi.» La ragazza si tolse i capelli dal viso e non disse nulla. «Come mai sei andata da sola?» le domandò lui. «Sono venuta da sola... perché...» farfugliò lei cercando una scusa qualsiasi, «Perché mi andava.» disse, sentì Richard sospirare e sperò che non capisse che stava mentendo.
«Di solito vai con Albert.» puntualizzò lui.
Meredith si bloccò sentendo Albert avvicinarsi. «Oggi sono da sola, lui non c'è.» mormorò, si voltò e vide il suo amico a pochi metri di distanza.
«Scusami...» mormorò a Richard, «devo andare.»
«Perché?» chiese lui alzando la voce, «Non sei da sola! C'è anche Albert, vero?»
Meredith si bloccò, non sapendo cosa dire. «Devo andare. Ci vediamo domani.» disse e chiuse la comunicazione, tolse la suoneria e infilò il cellulare nella tasca dello zainetto. Si sdraiò e chiuse gli occhi, cercando di dimenticare la voce arrabbiata e gelosa di Richard.

***

Richard strinse il telefono come se volesse disintegrarlo e si trattenne dal lanciarlo contro il muro della gelateria. Era fuori con la sua famiglia e si era allontanato da Rosalie e dai bambini con una scusa solo per sentire Meredith. Per un momento aveva creduto che fosse veramente sola, ma aveva capito subito che era una bugia.
Non riuscì a capire perché lei gli avesse mentito; lui non se la sarebbe presa se lei gli avesse detto la verità, ma gli aveva mentito e aveva negato di essere lì con Albert.
Respirò a fondo chiedendosi come mai Meredith era stata così evasiva. Si domandò cosa stava facendo quando l'aveva chiamata e perché avesse riattaccato così in fretta; infilò il telefono in tasca e respirò a fondo, imponendosi di calmarsi e di placare a gelosia.
Guardò la strada, sospirò e tornò dalla sua famiglia.

***

Meredith ascoltò distrattamente sua madre e si appoggiò alla colonna del porticato della pizzeria. Alzò lo sguardo e vide Richard e la sua famiglia, sorrise e continuò a guardarli mentre salivano le scale. Li salutò con la mano e solo Rosalie rispose al saluto, Richard la ignorò.
Meredith respirò piano e girò su se stessa per guardare la famiglia entrare nella pizzeria, domandandosi come mai Richard l'avesse ignorata, l'aveva guardata appena e aveva subito distolto lo sguardo.
Si chiese se il motivo fosse la telefonata di quel pomeriggio e si rispose da sola: sì, il motivo era la telefonata del pomeriggio. Salutò sua madre e rientrò nel locale, sentendosi enormemente stupida per avergli mentito.

Meredith finì la pizza e mise le posate nel piatto. Da dove era seduta poteva vedere Richard e lui poteva vedere lei, solo che Richard non la guardava mai.
«Vado in bagno.» disse e si alzò prima che Albert potesse dire qualcosa.
Passò accanto a Richard e non lo degnò di uno sguardo. Entrò nell'atrio del bagno e si fermò davanti alla porta che conduceva ai bagni delle donne.
«Perché mi hai mentito?»
Meredith si voltò lentamente e fissò Richard. «Non ti ho mentito.» disse.
«Sei qui con lui!» ribatté Richard.
Meredith continuò a guardarlo, decisa a mentirgli. «L'ho incontrato dopo.» disse.
Richard la oltrepassò e le diede le spalle. «Lo so che menti.» mormorò, respirò a fondo e si voltò. «Perché? Non mi sarei arrabbiato.»
«Ah, no?» esclamò ironicamente lei, «A me sembra che tu sia geloso.»
«Non sono geloso!» esclamò lui, «Sono solo incazzato perché mi hai detto una balla questa mattina e anche adesso!» aggiunse e si avvicinò Meredith, «Ho mentito a Rosalie soltanto perché volevo sentirti.» mormorò e abbassò il viso, «Me ne sto quasi pentendo.» sussurrò, si voltò ed entrò nel bagno degli uomini.
Meredith lo guardò e per un'istante le sembrò che la stanza girasse attorno a lei, si a poggiò alla parete e respirò a fondo, cercando di calmarsi, entrò nel bagno sperando di non scoppiare in lacrime.

***

Albert guardò per un istante Meredith e tornò a guardare la strada, era sicuro che la colpa della tristezza della sua amica fosse Richard. Lo aveva visto alzarsi subito dopo Meredith e seguirla verso i bagni.
Strinse il volante e rallentò entrando in galleria. Pensò che avrebbe voluto prendere a sberle Richard, scuoterlo fino a che non gli avesse detto cosa aveva fatto a Meredith. Voleva che lui la lasciasse in pace, che non a guardasse e che non la pensasse nemmeno per sbaglio, ma sapeva che era impossibile. Richard lavorava con Meredith e passavano otto ore al giorno insieme. Dal lunedì al sabato. Tanto tempo, troppo, secondo lui.
«Sei stanca?» domandò.
Meredith voltò il viso verso di lui e sorrise, «Sì... sono stanca.» rispose e si voltò, ritornando a guardare la strada, la testa appoggiata al finestrino.
Albert la guardò per un'istante e si sentì stringere il cuore in una morsa. Gli faceva male vedere Meredith così triste.
Strinse le labbra e pensò a cosa fare, cosa dirle. Quello che voleva fare a Richard lo sapeva.
«Cosa ti ha detto Richard?» chiese. La curiosità era tanta.
Meredith lo guardò sorpresa. «Cosa?» domandò, «In che senso?»
Albert alzò le spalle e cambiò marcia. «Tu sei andata in bagno, e subito dopo anche lui...» rispose, «Vi sarete sicuramente incrociati.»
Meredith guardò fuori dal finestrino e rimase in silenzio per qualche istante. «Ci siamo solo salutati e lui mi ha chiesto cosa avesi fatto nel pomeriggio.» disse senza voltarsi. «Tutto qua.»
Albert annuì, anche se non era del tutto convinto. C'era qualcosa che non gli tornava, era come se Meredith stesse minimizzando l'evento.
Espirò lentamente mentre il pensiero che Meredith potesse avergli mentito si stava facendo strada nella sua mente. S'impose di scacciare quel pensiero dalla sua mente, non era possibile che Meredith gli avesse detto una bugia.
Ma qualcosa dentro di lui gli stava urlando il contrario, Meredith gli aveva mentito.

Salve!
Scusate il ritardo ma l'ispirazione era fuggita! Grazie a chi legge!

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Capitolo 13
*** Capitolo Tredici ***


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Capitolo Tredici

Meredith fissò Richard e sospirò. Lui, escludendo un breve e freddo “Ciao” e altre poche parole non le aveva detto nulla.
Lasciò perdere le calamite e andò da lui, camminando lentamente, mordicchiandosi il pollice sinistro.
«Richard....» mormorò, alzando un braccio per toccarlo ma si fermò a metà strada.
Lui non disse nulla, si limitò a sistemare la roba sugli scaffali.
«Richard, ascolta...» disse, «Ascoltami, per favore.»
Richard sospirò e si voltò. «Cosa vuoi?» domandò.
Meredith chiuse gli occhi e respirò profondamente. «Perché non mi parli?» mormorò guardandolo.
Richard si spostò e guardò da un'altra parte. «Lo sai.» disse dopo qualche istante.
«Ti ho già chiesto scusa!» esclamò lei.
Richard non rispose e riprese a sistemare la merce sugli scaffali. «Lo so.» mormorò.
«E allora perché non mi parli?» mormorò lei avvicinandosi e posando una mano sulla spalla di Richard.
Lui sospirò incerto se restare lì o spostarsi; dopo qualche secondo si scostò. «Sono ancora arrabbiato.» disse.
Meredith abbassò la testa e si morse le labbra. «Mi dispiace averti mentito.» mormorò, ripetendo la stessa frase che aveva detto negli ultimi tre giorni.
«Lo so che ti dispiace ma...» Richard si appoggiò allo scaffale e infilò le mani in tasca, «non riesco a dimenticare.»
«Era solo una piccola bugia, non volevo che pensassi male.» soffiò Meredith, lo sguardo ancora basso.
«Non posso farci nulla.» Richard scrollò le spalle, «Per chiamarti ho mentito a Rosalie.»
«E sarebbe colpa mia?» domandò lei alzando la testa e guardandolo.
Richard si limitò ad annuire.
«Tu menti a tua moglie e sarebbe colpa mia.» disse lei, incominciando ad arrabbiarsi, «Bene, perfetto.» esclamò nella voce una sfumatura di sarcasmo.
«Io volevo sentirti, parlare con te e invece...» Richard l'afferrò posandole le mani sulle spalle, «E invece tu mi hai liquidato e mi hai mentito, anche quando avevo scoperto tutto!» ringhiò.
«Scusa.» sussurrò lei, «Lasciami, mi fai male.»
Richard la lasciò andare, «Scusa.» disse, «Sono solo arrabbiato.»
«Perdonami.» pigolò lei, «Per favore.»
Lui scosse la testa e sospirò chiudendo gli occhi. «Non ci riesco.» rispose, «Mi dispiace.»
«Perché?» chiese lei la voce incrinata dalle lacrime.
«Non posso.» sussurrò lui.
«Non ho ucciso nessuno.» mormorò lei nascondendo il viso fra le mani. «Perché non puoi perdonarmi?»
Richard fece un passo indietro e infilò le mani in tasca, «Ieri sera ho litigato con Rosalie.»
Meredith lo guardò, «Cosa c'entro io con questo?» domandò.
«Se tu mi avessi detto la verità non avrei questo umore del cazzo da domenica.» rispose, «Ieri sera mi ha chiesto che cosa avessi e naturalmente non ci ha creduto quando le ho detto che non avevo nulla.» esclamò.
«Non è colpa mia se sei geloso!» gridò lei, «Sei tu quello sposato, non io! Sei tu quello che mi ha baciato! Sei tu quello che ha fatto la prima mossa quando abbiamo fatto sesso sul divanetto!»
Si fermò e prese fiato, si asciugò le guance bagnate dalle lacrime e un singhiozzo le sfuggì dalle labbra.
«Così ero solo una scopata, vero?» domandò lui, «Se vuoi il mio perdono puoi scordartelo dopo quello che hai detto.»
Meredith lo guardò per qualche istante e sospirò. «Vado in bagno.» mormorò.
Richard la guardò allontanarsi  sentendosi stupido. Voleva seguirla, dirle che la perdonava e baciarla ma non fece nulla, rimase lì, fermo, a guardare il vuoto.

***

Richard guardò con sorpresa Jacob. «Meredith?» domandò preoccupato.
Jacob gli porse le chiavi del negozio, «Non si sente bene. Mal di pancia, mal di testa... cose da donne.» rispose.
Richard annuì e afferrò le chiavi. «Quindi sono solo.» mormorò.
Jacob alzò le spalle e si spostò dal muro. «Bhe, sì.» disse.
«Spero che non venga Albert, altrimenti gli verrà un infarto.» scherzò Richard. 
Jacob rise, «Non preoccuparti, Albert abbaia ma non morde.» scherzò, «Se hai problemi chiamami.»  aggiunse e si allontanò.
Richard lo guardò salire in macchina e partire sentendosi in colpa. Era sicuro che fosse colpa sua se Meredith non era lì con lui. 
L'aveva ignorata per tre giorni, imprecò sottovoce ed entrò nel negozio.
Una volta aperto si guardò attorno, indeciso su cosa fare. Si avvicinò alla cassa e sospirò. Guardò il pannello con le calamite e ne vide una – a forma di damigiana – storta e, agendo d'istinto, la raddrizzò.
Sorrise ripensando a tutte le volte che aveva preso in giro Meredith per la sua mania di raddrizzare le calamite.
Sospirò rumorosamente e nascose il viso con le mani.
«Stupido idiota.» sussurrò, «Idiota, idiota e ancora idiota.»
Spostò le mani e fissò l'orologio. Era arrivato da dieci minuti e non ne poteva più, gli mancava Meredith.
Afferrò il telefono e compose il numero di casa di Meredith, imprecò quando gli rispose la segreteria.
«Ehi, sono io, Richard.» disse dopo il segnale acustico, «Voglio solo... volevo solo sapere come stai.» farfugliò e riattaccò sentendosi ancora più stupido.
Alzò il viso  e fissò la vetrina. «Merda.» borbottò quando vide Albert.
«Ciao.» esclamò Albert chiudendo la parto.
«Ciao.» disse Richard evitando di guardarlo.
«Meredith?» chiese l'altro appoggiandosi al bancone.
Richard lo fissò e s'impose di sorridere, Meredith non lo aveva avvertito. «Non c'è, non si sente bene.» rispose.
Albert lo guardò e incrociò le braccia. «E tu sei qui da solo?» 
Richard annuì. «Bhe... sì.» rispose. «Problemi?»
Albert sbuffò. «Sì. Non mi piace che tu stia qui da solo in negozio.» esclamò piegando il busto in avanti.
«Il tuo parere non conta.» replicò Richard. «Meredith si fida, quindi non vedo perché tu debba impicciarti.»
«Lei è la mia migliore amica!» ringhiò l'altro e batté un pugno sul bancone, «Se lei fai del male ti spezzo le gambe.»
«È una minaccia?» domandò Richard sperando che Meredith non raccontasse nulla ad Albert.
«Se la fai soffrire... sì.» disse Albert. «Lei mi dice tutto.»
Richard sorrise, «Non ti ha detto che sta male, però.» disse incrociano le braccia al petto.
Albert sbuffò, «Non cambiare argomento.» esclamò.
«Io non ho cambiamo argomento.» replicò Richard, «Se tu che hai detto che ti dice sempre tutto...»
Albert rimase in silenzio, i pugni stretti dalla rabbia. «Non mi piace vederti qui,» grugnì, «da solo.»
«Pensala come vuoi.» disse Richard, «Comunque sta arrivando un cliente.»
Albert si voltò e vide un uomo sulla cinquantina entrare nel negozio. «Io rimango qui.» sibilò.
Richard sospirò e alzò gli occhi al cielo. “Sarà un lungo pomeriggio.” pensò. 

***

Richard sospirò e posò la testa contro il muro. Erano quai le sei e Albert era appena andato via, e solo perché aveva ricevuto una chiamata dalla madre. Era rimasto per quasi tre ore nel negozio e Richard era arrivato al limite.
Sorseggiò l'acqua e chiuse gli occhi, respirò profondamente e si passò una mano fra i capelli. L'unica cosa che voleva era uscire e correre da Meredith, abbracciarla, baciarla e chiederle scusa per come si era comportato e per quello che le aveva detto.
«Stupido.» sussurrò a se stesso, non riuscendo a fare quello che desiderava e non riusciva a capirne il perché.
Non si era mai comportato così con Rosalie, non era mai stato così geloso.
Ridacchiò pensando che era geloso di un'altra donna e non di sua moglie.
Tutta quella situazione cominciò a sembrargli ridicola: non aveva pensato a Rosalie da quando era uscito di casa dopo pranzo e non riusciva a chiedere scusa a Meredith.
«Stupido.» ripeté, posò la bottiglia sul bancone e guardò la strada. 

***

Il giorno dopo Richard era ancora solo, Meredith era ancora a casa ammalata e in più Rosalie gli aveva detto che quel pomeriggio sarebbe andata con i bambini da sua madre.
Richard sospirò e afferrò il telefono, compose il numero di Meredith e sperò che rispondesse.
«Pronto?» biascicò Meredith ancora assonata.
«Ciao, sono Richard.» disse lui e sperò che lei non riattaccasse. «Dopo devo accompagnare Rosalie in stazione.» 
«Attacca un cartello alla vetrina con su scritta l'ora di quando riaprirai il negozio e aggiungi un “ci scusiamo per il disturbo”» disse lei.
Richard respirò piano. «Va bene.» mormorò, «Come ti senti?» le chiese, «Domani ci sei?»
«Non lo so.» rispose lei. «Ti farò sapere.» aggiunse e riattaccò.
Richard sbuffò e sistemò il telefono, chiuse gli occhi e si passò una mano sul viso sentendosi esausto. Meredith gli mancava terribilmente.
Aprì gli occhi e si avvicinò alla vetrina. Il cielo si stava coprendo di grossi nuvoloni neri.

***

Richard si fermò davanti alla casa di Meredith. Erano le sette passate, Rosalie e i bambini erano già arrivati dai nonni e Albert non si era presentato. L'unica cosa buona della giornata.
Suonò il campanello e rimase in attesa. Non c'era nessun segno che indicasse che Meredith fosse a casa. 
Suonò ancora e questa volta premette per qualche secondo il pulsante. Poteva sentire il trillo del campanello.
Si spostò e guardò il garage, la porta era aperta e poteva vedere che l'auto era ancora lì.
Richard imprecò sotto voce e prese il cellulare. Gli rispose la segreteria di Meredith. «Ehi, rispondimi, mi stai facendo preoccupare!» esclamò. Infilò il cellulare nella tasca quando una vecchietta lo chiamò.
«Meredith non c'è, è andata via in bicicletta una mezz'ora fa.» lo informò. Richard la ringraziò e salì in macchina.
«Dove sei?» mormorò mentre avviava il motore e mentre faceva manovra gli venne in mente dove poteva essere Meredith.

***

Richard fermò l'auto, scese e aprì il baule per prendere una vecchia coperta. Camminò lungo il sentiero non  preoccupandosi della pioggia che aveva iniziato a scendere una decina di minuti prima. Si chinò per passare nel buco della rete e proseguì verso la giostra.
Meredith era lì, accucciata nella vecchia carrozza. Richard mise la coperta su di lei e si inginocchiò.
Meredith alzò la testa. «Perché sei qui?» chiese.
«Mi mancavi.» rispose Richard accarezzandole i capelli. «Sono un coglione.» sussurrò baciandole la fronte.
Meredith non disse nulla e chiuse gli occhi.
«Perdonami per averti ignorato.» continuò Richard prima di tirarla fuori dalla carrozza e abbracciarla, lei si raggomitolò fra le sue braccia e si lasciò sfuggire un singhiozzio.
Richard le accarezzò dolcemente i capelli e le sussurrò nuovamente le sue scuse.
Meredith strillò quando un tuono rimbombò e si strinse di più a Richard.
«Credo che dovremmo rimanere qui un po', almeno fino a quando non smette di piovere.» esclamò Richard guardando la pioggia scrosciante. Si alzò in piedi e fece alzare anche Meredith, le sistemò la coperta sulle spalle e fecero il giro della carrozza, si sedettero fra il perno centrale e un cavallo. 
L'abbracciò e sistemò la coperta sulle loro spalle. «Mi dispiace.» si scusò nuovamente. «Sono geloso.» sussurrò e le baciò la nuca.
«Come facevi a sapere che ero qui?» chiese Meredith posando la testa sulla spalla di Richard e chiuse gli occhi quando vide un lampo.
«Perché ti conosco.» rispose lui, «Era l'unico posto dove potevi essere.»
Meredith sorrise e si spostò fra le gambe di Richard inginocchindosi di fronte a lui, si sedette sui talloni e gli posò le mani sui fianchi. «Mi sei mancato.» sussurrò posando la fronte contro quella di lui«Mi sei mancata anche tu.» mormorò lui accarezzandole il viso e sorrise prima di baciarla dolcemente sulle labbra.
Meredith si strinse a lui e posò la fronte sulla spalla del ragazzo, «Mi dispiace di averti mentito e di essermi comportata come un'isterica.» mormorò.
Richard le baciò i capelli, «Non m'importa più.» disse, le mise una mano sulla guancia e le fece alzare il viso, «Non m'importa.» ripeté prima di baciarla nuovamente sulle labbra prima di lasciare una serie di baci lungo il collo, le alzò la maglietta e le sfiorò la schiena prima levarle l'indumento.
Meredith sorrise e gli baciò il collo, ridacchiò quando Richard le solleticò i fianchi.
«Mi piace il tuo profumo...» sussurrò lui prima di baciarle nuovamente la bocca. La fece sdraiare sul pavimento e contiuò a baciarla mentre con l'altra mano le accarezzava la pancia e i fianchi. «Sempre con la pioggia.» soffiò e baciò la pelle del seno.
«Cosa?» domandò lei aprendo gli occhi.
Richard sorrise e la guardò, «La prima volta l'abbiamo fatto con la pioggia,  anche adesso piove.» disse e le slacciò il bottone dei jeans.
Meredith sospirò e chiuse di nuovo gli occhi. «Hai ragione.» mormorò e sorrise, mise una mano sulla nuca di Richard e lo attirò a sé.

***

«Credo che forse dovremmo andarcene.» mormorò Meredith sfiorando con le unghie il torace di Richard.
«Non vuoi stare qui, con me?» domandò lui con una lieve delusione nella voce.
«È ovvio che voglio stare con te.» disse lei e fermò la mano sullo sterno di Richard, «È solo che incomincio a stare scomoda.» spiegò, alzò il viso e sorrise. 
«Un vecchio pavimento di legno non è l'ideale per dormire.» aggiunse. 
Richard annuì e la fece mettere seduta, Meredith avvolse la coperta attorno al seno.
«I nostri vestiti?» domandò Richard tastando il pavimento con le mani. «Merda, non si vede nulla.»
«Meredith si allungò verso la carrozza, afferrò la sua borsa e l'aprì, afferrò una mini torcia e l'accese.
«Vai in giro con una torcia?» domandò divertito Richard, prese la mini torcia dalle mani di Meredith e iniziò a cercare i loro abiti.
«Sono previdente.» disse lei, infilò il reggiseno e lo allacciò. «Ho anche un piccolo set da cucito.»
«Anche mia madre ne ha uno in borsa.» disse Richard e le passò la maglietta.
Meredith rise e finì di vestirsi, indossò le scarpe e allacciò le stringhe. «Perché tieni una coperta in macchina?» 
«Sono previdente.» la scimmiottò lui e le scompigliò i capelli, «È per le emergenze.»
«Quali?» chiese lei e si alzò in piedi, chiuse la borsa e guardò Richard che piegava la coperta.
«Emergenze tipo questa.» rispose lui e l'abbracciò. «La tua bicicletta?»
«Come lo sai che sono venuta in bici?» chiese lei.
Richard alzò le spalle, «Me lo ha detto la tua vicina.»
Meredith annuì e seguì Richard. «La bici è...» si fermò e si guardò attorno, «da qualche parte, nascosta sotto a un cespuglio.»
Richard passò attraverso il buco della recinzione e aiutò Meredith. «La recupereremo domani.»
Meredith sorrise e salì in macchina, entrò anche Richard e si sporse verso di lei, «Non voglio più litigare.» disse e la baciò velocemente, accese l'auto e fece manovra.
«Neppure io voglio litigare.» mormorò lei. «Ieri Albert ti ha dato fastidio?»
Richard sorrise. «Un po'.» rispose. «È rimasto quasi tutto il pomeriggio a guardare qualsiasi cosa che facevo.»
Meredith annuì. «Quando ci si mette sa essere un vero rompi coglioni.»
Richard rise, «Per fortuna che a un certo punto è andato via.» disse omettendo che aveva pensato di buttarlo fuori con un calcio.
Rimasero in silenzio fino a quando Richard si fermò davanti a casa di Meredith.
«Allora...» iniziò Richard voltandosi verso Meredith, «Ci sei domani, vero?» domandò.
«Sì, ci sarò.» rispose lei e lo abbracciò, lo baciò sul collo e sulla labbra. «Ci sarò.» ripeté con un sussurro.
Richard sorrise e la strinse, «Non vedo l'ora.» mormorò, le baciò più volte la guancia destra. «Buona notte.» 
«Buona notte.» disse lei, scese dall'auto ed entrò in casa.

Salve! ringrazio chi ha letto questo capitolo e i precedenti!

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Capitolo 14
*** Capitolo Quattordici ***


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Capitolo Quattodici

Erano passati quasi due mesi da quella sera alla vecchia giostra dei cavalli, Meredith e Richard avevano passato insieme tutto il tempo possibile, ritardando l'apertura del negozio di qualche minuto, solo per potersi baciare, e Richard aveva raccontato qualche bugia a Rosalie per poter stare più tempo con la sua datrice di lavoro.
Meredith sorrise a Richard e gli baciò un ultima volta le labbra prima di scivolare fuori dalle sue braccia e tornare nel negozio. Sorrise al cliente che era appena entrato e lo servì,  per poi tornare a guardare Richard che sistemava gli scaffali, sorrise, fissando i muscoli della schiena che s'intravedevano sotto la maglietta.
Guardò fuori e il sorriso si spense quando vide Albert salire i gradini, «Ciao,.» lo salutò. 
«Ciao, Meredith.» le disse lui baciandole il viso, la fissò per un istante, sorpreso.
«Cosa c'è?» chiese lei.
«Da quando usi un profumo da uomo?» domandò Albert e Richard s'irrigidì al pensiero che scoprisse tutto quanto.
«Ehm...» Meredith fece un risolino nervoso, «Dev'essere il bagno schiuma... sai, ho preso quello sbagliato.» trillò e sperò che lui gli credesse.
Albert sorrise e le toccò i capelli biondi raccolti in una treccia morbida, «Potevi darlo a me!» scherzò.«Ehm... già.» commentò lei e guardò Richard chinarsi e si chiese a cosa stesse pensando. «Ma dimmi...» fece lei tornando a guardare il suo amico, «Come mai sei qua? Non dovresti essere dai tuoi vecchietti?» chiese con la speranza che lui cambiasse argomento.
Albert alzò le spalle, «Ho cambiato turno.» rispose e si appoggiò al bancone mentre Meredith andò dietro di esso.
«Come mai?»
Albert alzò nuovamente le spalle e prese una caramella, «Ho fatto un favore a un collega.»
Richard si unì a loro, prese anche lui una caramella e, mentre gettava la carta nel cestino, sfiorò con il braccio il sedere di Meredith, rialzandosi sorrise nel sentirla rabbrividire.
«Andiamo a pranzo?» chiese Albert e non notò l'irrigidimento degli altri due.
«Ehm... veramente...» bofonchiò Meredith, «veramente noi dobbiamo... sistemare il magazzino, ecco.» borbottò, in realtà lei e Richard avevano in programma di passare del tempo a fare l'amore sul divanetto.
«E non puoi rimandare?» chiese Albert e guardò Meredith richiamando a se il suo miglior sguardo da cucciolo.
«E va bene!» sbuffò dopo qualche secondo lei, «Ma offri tu.» disse.
Richard li fissò, in silenzio e si allontanò senza dire una parola.
«Certo, Meredith.» esclamò Albert annuendo, «Ci vediamo dopo!» disse e si avviò alla porta, «Vado a fare la spesa!» esclamò prima di uscire.
«Dovevi dirgli di sì?» soffiò Richard quando si avvicinò nuovamente a Meredith.
«Dovevo dirgli di no e spiegare che non andavo con lui a pranzo perché dovevo fare l'amore con te?»  domandò lei e gli posò una mano sul braccio e lo strinse leggermente mentre un sorriso malizioso si dipingeva un sorriso malizioso.
Richard sorrise e le baciò la fronte, «Hai ragione.» disse, «Ma lo sai che sono terribilmente geloso!» disse e scostò i capelli dalla fronte di Meredith.
«Lo so!» rise lei e si allontanò, pronta a servire un altro cliente.

***

«Domani sera andiamo alla sagra?» domandò Albert appena la cameriera si fu allontanata con i loro ordini.
«Sì.» rispose Meredith e aprì la confezioni di grissini ai semi di sesamo, ne spezzò uno e posò una delle due parti sulla tovaglia. «È l'ultima sera, non posso perdermela.»
Albert sorrise, «Passo a prenderti alla chiusura?» chiese.
Meredith rimase un attimo in silenzio, si era dimenticata che quella sera lei e Richard avrebbero “rubato” dieci minuti, per passarli insieme. «Facciamo alle otto e un quarto?» propose, «Così ho il tempo di andare a casa a lavarmi.»
«Certo.» rispose Albert annuendo. «Allora, come se la cava Richard?»
«Bene.» rispose lei masticando un pezzo del grissino. «Hai ancora paura che scappi con il magro incasso?»  domandò sorridendo.
«No.» disse Albert e Meredith sorrise, «Ma questo non significa che mi fidi di lui, eh!»
Meredith fece una smorfia e alzò gli occhi al cielo. «Sei sempre il solito.» borbottò, Albert sorrise, allungò una mano sul tavolo e strinse quella di Meredith.
«Lo so  e mi vuoi bene anche per questo, vero?» rise lui.
Meredith sbuffò, «Certo.» disse con un sorriso. «Ma dovresti incominciare a fidarti un po' di lui.»
«È più forte di me.» esclamò Albert, «In fondo lo conosciamo appena...»
Meredith rimase in silenzio e fece un sorriso tirato, «Se ci parlassi, forse, incominceresti a conoscerlo.» disse. 
Albert non disse nulla per qualche secondo, «Lo so che hai ragione, ma...» respirò a fondo e tolse le mani dal tavolo quando la cameriera tornò con le loro bibite, «non ne posso fare a meno.»
Meredith tacque, sapendo che era inutile insistere e cambiò argomento.

***

Meredith slacciò la cintura di Richard con così tanta foga che quasi si spezzò un'unghia. Si avventò su di lui, premendo con forza le labbra contro quelle di Richard e gemette quando lui le le alzò la maglia, sfiorandole la parte bassa della schiena. Sospirò dal piacere e si dimenticò di Albert, che avrebbe dovuto incontrare da lì a mezz'ora. In quel momento, in quella piccola stanza, c'erano solo loro due e nessun altro, si sentivano solo i loro sospiri, gemiti e fruscii di abiti che venivano sfilati e gettati sul pavimento.Meredith rise quando Richard le solleticò il collo con le labbra per poi farla sdraiare di schiena sul piccolo divano. Lei gli cinse la vita con le mani e lo attirò su di sé, senza smettere di sorridere.

***

«Sei in ritardo!» esclamò Albert mentre Meredith saliva in macchina.
«Scusami.» si giustificò lei e gli diede un veloce bacio sulla guancia, prima di allacciarsi la cintura. «Ho... messo la maschera sui capelli e non mi sono accorta che il tempo passava.» disse e sorrise all'amico e sperò che lui ci credesse, non poteva dirgli che era in ritardo perché aveva fatto del sesso —  del buon sesso —  con Richard nel retro del negozio, sorrise ancora di più quando le labbra di Albert si piegarono in un sorriso luminoso.
«Sei la solita.» commentò lui e partì.
«Bhe, sono solo dieci minuti di ritardo.» esclamò lei sentendosi sollevata, notò la confezione di caramelle alla menta sul cruscotto e ne prese una, la scartò e la infilò in bocca, rimanendo ferma per qualche secondo, gli era sembrato di sentire il profumo di Richard sulla sua mano. Succhiò la caramella e guardò la strada, pensando che le era solo sembrato di sentire il profumo di Richard su di sé, era stata solo un'impressione dovuta a quello che avevano appena fatto.
In una manciata di minuti arrivarono al luogo dove si svolgeva la sagra, un grande spiazzo all'inizio del bosco. Trovarono con fatica un posteggio libero e si avviarono all'ingresso, un ponte di legno non troppo grande che sorgeva su un piccolo ruscello. 
«Andiamo a mangiare?» gridò Albert stringendo la mano di Meredith.
Lei rispose annuendo e si strinse a lui, c'era un sacco di gente e lei aveva paura di perdere di vista Albert.
Venticinque minuti dopo, con i vassoi in mano, Albert e Meredith andarono alla ricerca di due posti liberi ai tavoli, impresa ancora più ardua del trovare parcheggio. Finalmente videro due posti liberi accanto a un famigliola e si precipitarono, soffiando il posto a un'altra coppia.
«Ciao Meredith.»
La ragazza si bloccò e voltò piano la testa. «Ciao Richard.» disse dopo un attimo di silenzio. «Non pensavo di trovarti qui.»
Richard alzò le spalle, «Sorpresa!» esclamò e Meredith si bloccò, quando sentì la mano di Richard sfiorarle la gamba lasciata nuda dalla minigonna.
Aprì piano la confezione di posate usa e getta, prese la punta dello spiedino di carne e tirò via un pezzo di peperone alla griglia; lo mangiò lentamente, mentre sentiva l'odore di Richard.
E il profumo di Rosalie.

***

Albert strinse i fianchi di Meredith e rise mentre ballava. «Guarda quei due.» le sussurrò all'orecchio per farsi sentire sopra la musica —  erano vicini agli auto parlanti —   e le indicò con la testa una coppia alla loro sinistra.
Meredith voltò il capo e aprì la bocca, sorpresa, la richiuse e la riaprì, scoppiando a ridere rumorosamente. «Ma come sono conciati?» esclamò fra una risata e l'altra; osservò la coppia  —  lei indossava un abito giallo canarino con grossi pallini viola e blu, lui camicia viola e pantaloni verde muschio —  e Albert ne approfittò per stringerla a sé.
Meredith posò la testa sulla sua spalla e, poco a poco, le risate cessarono. Chiuse gli occhi e inspirò il profumo dell'amico, così diverso d quello di Richard ma più familiare; come se fosse, in un certo senso, calmante e protettivo. Riaprì gli occhi mentre le ultime note del sax sfumavano e si accorse che qualcuno la stava osservando: al di là delle transenne che delimitavo la pista da ballo —  una delle tre —  c'era Richard che la osservava mentre teneva in braccio il figlio che dormiva con la testa posata sulla sua spalla. Inspirò a lungo e rialzò la testa, guardò Albert e sorrise. «Andiamo a prenderci un paio di frittelle?» domandò staccandosi da lui.
Il ragazzo annuì e i due si spostarono, Meredith si girò per un attimo e vide Richard che la guardava, alzò la mano destra e lo salutò, sorridendo. E le bastò una semplice occhiata per capire che Richard era geloso; sorrise a quel pensiero —  le piaceva pensare che Richard fosse geloso —  e ordinò la sua frittella che le pagò Albert.
Era sabato sera e non avrebbe rivisto Richard fino a lunedì e quelle trentaquattro ore, all'improvviso le sembrarono giorni, lei sarebbe tornata a casa, avrebbe salutato Albert con il solito bacio sulla guancia e sarebbe andata a dormire da sola, mentre Richard... bhe, lui aveva Rosalie. Meredith addentò con forza un pezzo di frittella e un po' di zucchero si sparse sulle sue mani. Già, lei sarebbe andata a dormire da sola, mentre Richard avrebbe, forse, fatto l'amore con Rosalie, quel pensiero le fece pensare per un attimo di girarsi verso Albert e proporgli di dormire da lei, e una volta a casa, sedurlo in qualche modo; sospirò e continuò a magiare, pensando che non era giusto usare Albert per “vendicarsi” di Richard. 
Seguì Albert verso un altro stand e gli tenne la frittella mentre lui prendeva due frullati, alla fragola per lui e al cioccolato per lei, si sedettero su una panchina poco lontana e Meredith sorseggiò lentamente il suo frullato.
«Che cos'hai?» 
Meredith si leccò le labbra e guardò Albert, «Sono solo stanca.» rispose, dicendo una mezza verità. Era sul serio stanca, ma non era una stanchezza fisica, ma era psicologica: quei trenta minuti in compagnia di Richard e della sua famiglia l'avevano privata delle sue energie.
Albert sorrise e le fece una carezza sulla guancia, «Finiamo qui e andiamo a casa.»
Meredith annuì e mangiò in silenzio. Era gelosa anche lei, avrebbe voluto avere Richard tutto per sé, baciarlo senza avere la paura che qualcuno —  Albert in particolare —  li scoprisse, invece... invece lui era sposato e lei non poteva farci nulla, anche se avrebbe voluto gridargli di lasciare la moglie per stare con lei. Ma c'erano i bambini e lei non era così cattiva da privare i figli del proprio padre, anche se alla fine lui sarebbe rimasto il loro papà ugualmente, anche se lui avesse lasciato Rosalie.
E si chiese se Richard l'avrebbe mai lasciata, Rosalie, per lei. Se l'amasse o la considerasse solo un passatempo. Inspirò lentamente e finì la frittella, si pulì la bocca con il tovagliolino e si accorse che, invece di togliersi lo zucchero dalla faccia, lo aveva sparso ancora di più.
Seguì Albert fuori dalla sagra e sorseggiò rumorosamente il frullato, chiedendosi se Richard fosse ancora lì; con un sospiro gettò il bicchiere vuoto in uno dei cestini e cercò nella borsa delle salviette umide, le trovò e si pulì, decidendo di non pensare più a Richard. Almeno fino a lunedì.

***

«Non voglio che balli con lui.»
Meredith chiuse la porta e si girò a guardare Richard. «Cosa?» domandò anche se aveva capito benissimo.
«Lo sai che mi riferisco ad Albert.» rispose lui. «E lo sai che sono geloso.»
«Potrei dirti anche io che sono gelosa, ma non posso impedirti di vedere tua moglie.» replicò lei e posò le mani sui fianchi. «Quindi direi che siamo pari.»
Richard la fissò e fece due passi, le prese il viso fra le mani e la baciò con prepotenza, e la fece indietreggiare, facendola finire contro il muro, le strinse i fianchi e si spinse contro di lei.
«Sono geloso.» soffiò sulle labbra di lei quando si staccò per riprendere fiato, «Siamo entrambi gelosi.»
Meredith sorrise e posò le mani sul torace di Richard, «Direi di sì.» disse e spinse il ragazzo, «Dobbiamo aprire.» gli ricordò.
Anche lui sorrise e la seguì, per baciarla nuovamente un attimo prima che Meredith spingesse il bottone per alzare la saracinesca.

***

Richard salutò il cliente, aspettò che uscisse e si chinò, alla ricerca di un nuovo rotolo per gli scontrini. Sapeva che era nel mobiletto sotto alla cassa, così aprì l'antina, frugò fra  vari oggetti e sbuffò, quando non trovò quello che cercava, sapeva che era lì, da qualche parte. S'inginocchiò e  afferrò una scatola di cartone, la tirò fuori e sorrise quando vide che conteneva quello che cercava. Afferrò un nuovo rotolo e fece per rimettere a posto la scatola quando vide, nascosta tra alcuni fogli, una cornice d'argento, la prese e la guardò: ritratte c'erano due bambine di circa dieci anni, una delle quali era la versione più giovane di Meredith e, sullo sfondo, la giostra dei cavalli quando era ancora in funzione.
«Che cosa stai facendo?»
Richard si voltò e alzò il viso ritrovandosi davanti una Meredith furiosa. «Stavo cercano il rotolo per lo scontrino...» si giustificò, non capendo perché lei fosse così furiosa, «Sei tu?» chiese e si alzò in piedi e le mostrò la cornice.
Meredith gliela strappò dalle mani e la strinse al petto. «Nessuno ti ha dato il permesso di toccarla!» strillò.
«L'ho trovata qua dentro...» mormorò Richard posando la scatola sul bancone, «Non lo sapevo, scusa.» disse ma Meredith si voltò e corse via. Lui la guardò e sospirò, rimise la scatola al suo posto, sostituì il rotolo dello scontrino e guardò fuori dalla vetrata per vedere se ci fosse qualche cliente in arrivo ma, a parte un gatto che attraversava pigramente la strada, non si vedeva nessuno.
Andò nel retro del negozio e trovò Meredith sdraiata sul divanetto che singhiozzava rumorosamente, la cornice stretta fra le mani. «Mi dispiace.» disse, «Non sapevo che non la dovevo toccare.»
Si sedette accanto a lei e le sfiorò i capelli, guardandola preoccupato, chiedendosi perché piangesse e chi fosse l'altra bambina. Si alzò e prese una bottiglietta d'acqua dal piccolo frigorifero e la posò per terra accanto al divanetto, fece per sedersi di nuovo quando il campanello della porta trillò. «Vado io, tu rimani qui.» le disse e si chinò, le baciò la fronte e tornò in negozio. 

Venti minuti più tardi, Meredith apparì in negozio. «Scusami.» sussurrò.
Richard le sorrise, «Non preoccuparti.» disse.
«Si chiamava Siobhan, avevamo dieci anni ed era la mia migliore amica.» raccontò Meredith «La foto è stata scattata poco prima che chiudessero la giostra.»
«Lei dov'è?» chiese Richard.
Meredith si lasciò sfuggire un piccolo singhiozzo. «Ha scoperto di essere allergica alle api.» rispose.
Richard aprì la bocca per chiederle cosa c'entrassero le api, poi capì. «Oh.» mormorò e si avvicinò a lei, «Mi dispiace.» esclamò abbracciandola e baciandole la testa. «Mi dispiace.» ripeté.

***


Meredith sospirò. Solo poche persone sapevano tutta la storia di lei, Siobahn e la giostra. Quando aveva raccontato tutto quanto a Richard lui le aveva accarezzato il viso e le aveva detto che adesso capiva ancora di più perché lei volesse acquistare la giostra.
Lui l'aveva capita sul serio, non come Albert che prima le aveva detto “Capisco” e poi le aveva dato della stupida ogni singola volta che aveva accennato alla giostra.
Richard la capiva, Albert no. Richard era sposato, Albert no. Lei era l'amante di Richard e Albert era il suo migliore amico. Appena formulò questo pensiero —  sono l'amante di Richard —  sospirò rumorosamente e si appoggiò al bancone. 
“Sono l'amante di Richard.” pensò nuovamente, “Sono solamente l'amante di Richard.” posò le braccia incrociate sul bancone e piegò la testa sopra di esse, appoggiando la fronte sulle braccia.
«Dormi?»
Meredith alzò il capo e sorrise, afferrò la lattina di aranciata e sorrise a Richard. «Stavo solo pensando.» disse e aprì la lattina.
«A cosa?» chiese Richard.
Lei scrollò le spalle, «A tutto e a niente.» rispose e sorrise. 
Richard si sporse verso di lei e le baciò la fronte. «Rosalie va via di nuovo, il prossimo fine week end.» disse, «Pensavo che potremmo...»
«Potremmo cosa?» domandò Meredith, felice che Rosalie se ne andasse, anche solo per tre giorni. 
«Andare in un motel.» sussurrò Richard e sorrise mentre le sue guance arrossivano appena. «Così possiamo stare un po' più comodi.»
Meredith sorrise, «Mi piacerebbe.» disse a bassa voce, sporgendosi verso di lui e fissandolo; quell'idea le piaceva sul serio, un bel letto comodo — anche se di un motel —  era sempre meglio del piccolo divanetto o del pavimento.
«Ne conosci qualcuno?» chiese Richard senza smettere di sorridere e piegando la testa di lato.
Meredith rimase in silenzio per qualche istante, «Uhm... sì.» rispose, «Ce ne è uno sulla statale, a una trentina di chilometri da qui, dicono che sia bello.»
«Venerdì o Sabato?» chiese Richard.
Meredith rise, e aprì la bocca per rispondere “Entrambi.”, poi pensò che sarebbe stata una risposta precipitosa, «Venerdì.» disse.
Richard inspirò, «Va benissimo.» disse e Meredith sorrise, anche se avrebbe voluto che fosse lui a proporre di andare sia Venerdì che Sabato, «Anche se potremmo...» Shane respirò a fondo, «andare entrambe le sere.»
Meredith sorrise ancora di più, «Sarebbe perfetto.» esclamò.

***

Albert si sentì in colpa, quando fermò l'auto poco lontano dalla casa di Meredith, ma era strano che il sabato sera dicesse di no ad un'uscita con gli amici, tenendo conto che neppure la sera prima era uscita. Il pensiero che lei potesse vedersi con qualcuno gli stringeva il cuore in una morsa ogni secondo che passava.
Da dove si trovava riusciva a vedere perfettamente la casa di Meredith e si bloccò quando la vide uscire, vestita in minigonna, una maglietta scollata e un copri spalle; in mano, oltre alla borsetta, la ragazza stringeva un paio di sandali con il tacco. Meredith salì in macchina e dopo qualche secondo partì, Albert fece un respiro profondo e la seguì, mantenendosi a una distanza tale da non farsi scoprire ma allo stesso tempo per non perderla di vista. Uscirono dal piccolo paesino e s'immisero nella statale. Lo speaker della radio che Albert stava ascoltando distrattamente annunciò che mancavano quindici minuti alle ventuno, che c'erano ventiquattro gradi e che la luna era all'ultimo quarto.
Albert abbassò il volume e proseguì sulla statale, chiedendosi dove andasse Meredith. Rallentò quando Meredith mise la freccia a destra e la inserì anche lui, la vide entrare in un parcheggio e la seguì, sistemandosi a qualche posto di distanza, alzò il viso e sbiancò quando vide l'insegna del motel.
Meredith scese e lo fece anche Albert e notò che si era cambiata le scarpe, indossando i sandali. Meredith entrò nel motel e Albert si appoggiò alla macchina, e respirò a bocca aperta, sentendosi mancare l'aria.
Dopo qualche minuto rientrò in macchina e ritornò sulla strada per fermarsi, dopo un paio di chilometri, in una piazzola. Aprì la portiera e vomitò.
Meredith era andata al motel per incontrare qualcuno. Per fare sesso con qualcuno che non era lui.
Piangendo, Albert tornò a casa.

***

«Ieri sera dov'eri?» chiese Albert a Meredith mentre facevano colazione al bar.
«A casa, ti avevo detto che ero un po' stanca.» rispose lei e fece un sorriso che ad Albert sembrò falso.
«Sicura? Mi è sembrato di vederti entrare nel motel che c'è sulla statale...» buttò lì Albert e fissò il viso di Meredith per cercare di capire cosa pensasse.
«Ma cosa dici!» squittì lei e rise, «Sarà stata una che mi somigliava...» disse e portò la tazza del cappuccino alle labbra.
Albert si limitò ad annuire, «Forse hai ragione.» esclamò, «Forse era una identica a te.»
Meredith posò la tazza sul piattino e prese un pezzo del cornetto al cioccolato. «Ma sì, ti assicuro che ero a casa, sul divano a guardare programmi scemi alla tele.»
Albert annuì ancora, ormai era sicuro che Meredith gli stesse nascondendo qualcosa, doveva solo scoprire con chi si stava vedendo.

Torno con un nuovo capitolo dopo un po' di tempo. Chiedo perdono ma sono stata presa da altre cose. Avrei postato questo capitolo il 3 Giugno, se la connessione non fosse stata una stronza. Ringraziate la Vodafone che dove abito a una copertura che dire che fa schifo è poco. Ho concluso una delle storie in corso, sono presa dalla mia “Show me the road back to your heart” (leggetela! È un ordine!), “Trentasei Giorni” è quasi alla fine... Anche questa è quasi finita, mancano solo sei capitoli —  epilogo compreso —  alla fine.

Come vedete c'è stato un salto temporale di due mesi, ce ne sarà un altro nel prossimo capitolo, altrimenti sta storia sarebbe durata una cinquantina di capitoli, con questo ritmo =.= 

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Capitolo 15
*** Capitolo Quindici ***


Please Stay (extended version)


Capitolo Quindici

Meredith fissò le luci che scintillavano fuori dalla finestra.
«A cosa pensi?» le chiese Richard circondandole la vita con un braccio.
Lei rimase qualche secondo in silenzio. «Hanno già addobbato e siamo ancora a Novembre.» rispose riferendosi alle luci natalizie.
Richard sorrise e le baciò la spalla. «Bhe... è il ventotto Novembre, manca meno di un mese.»
Meredith sospirò, «Lo so.» mormorò.
«Che cosa hai?» chiese Richard.
Lei si girò sull'altro fianco. «Passeremo il Natale separati.» rispose e si rese conto che dirlo era ancora più difficile che pensarlo. 
Richard le toccò i capelli, «Lo so.» sospirò «E non sai quanto mi dispiaccia.» disse, «Vorrei tanto stare con te ma non posso.»
Meredith abbassò il viso e fissò il torace del ragazzo, pensando che se non avesse avuto moglie e figli le cose sarebbero state diverse; lei e Richard avrebbero potuto stare tutto il giorno sotto l'albero decorato, davanti al camino, avvolti in una calda trapunta a sorseggiare cioccolata calda.
«Per fortuna che il negozio rimane chiuso pochi giorni, così non passeremo troppo tempo lontani.» esclamò Richard, si sdraiò sulla schiena e Meredith posò la testa sul suo torace. «Speriamo che non venga troppa gente, così avremo del tempo per noi.»
Meredith sorrise, «Lo spero.» disse.
«Purtroppo il nostro tempo è quasi finito.» sospirò Richard dopo qualche minuto. «Dobbiamo andare. Purtroppo.»
Meredith annuì e si mise seduta, sorrise al ragazzo e lo baciò. «Andiamo a farci la doccia.» ridacchiò.

***

Meredith sorrise e augurò buona giornata al cliente, afferrò una caramella e la infilò in bocca e fissò Richard che stava sistemando alcuni abeti di plastica. Guardò i muscoli delle braccia guizzare sotto la stoffa della maglietta e sorrise ancora di più; rimase incantata a guardarlo e fu il suono della porta del campanello che la riscosse.
«Ciao Albert.» disse e vide Richard che si voltava e sorrise al pensiero che fosse geloso — anche se non doveva preoccuparsi perché Albert era il suo migliore amico ed era quasi un fratello per lei — «Come va?»
Albert si avvicinò al bancone e si appoggiò contro di esso. «Bene.» rispose, «Dopo addobbiamo e i vecchietti sono felicissimi.»
«Di stare in clinica durante il periodo natalizio?» fece Richard raggiungendoli, andò dietro il bancone e gettò un pezzo di carta nel cestino.
«Bhe, no.» rispose Albert, «Sono felici perché decoriamo e perché così si sentono a casa.»
Richard annuì lentamente e prese una caramella, nel farlo sfiorò il braccio di Meredith.
«Andiamo al falò?» chiese Albert, «Tu ci vieni con tua moglie e i bambini?»
Richard guardò Albert e poi Meredith, «Non lo so.» rispose, «È a mezzanotte, giusto? Bisogna vedere se i bimbi reggono.»
«Giusto, sono piccoli.» commentò l'altro e fissò Meredith e lei temette che sapesse tutto, poi si disse che non era possibile. «Noi ci andiamo, vero?» chiese.
Meredith annuì, «Sì, certo.» disse e Albert sorrise.
«Domani sera andiamo a cena insieme?» chiese il ragazzo.
Meredith lo fissò e percepì che Richard la stava guardando, in attesa di una risposta. «Ehm... sì.» rispose.
«Perfetto.» esclamò Albert, si sporse sul bancone e baciò la guancia della ragazza, «Ci mettiamo d'accordo più tardi, adesso devo proprio scappare!» esclamò. «Ciao!» salutò e se ne andò.
«Non dire nulla, gelosone.» disse Meredith e si voltò verso Richard, trovandolo a pochi centimetri da lei. Sentì il respiro di lui sulla pelle ed ebbe voglia di baciarlo.
Richard ridacchiò,  «Va bene.» disse e le sfiorò un fianco, infilando la mano sotto alla felpa celeste, «Come vuoi.» sussurrò all'orecchio di lei. «Devo venire un quarto d'ora prima, vero?» chiese e sorrise piegando la testa di lato. 
Meredith sorrise, «Certo.» rispose.
Richard annuì. «Perfetto.» disse e le baciò la fronte. «Torno ai miei alberelli.» esclamò e tornò al lavoro. Meredith sorrise e si appoggiò al bancone, pensando che sarebbe andato tutto bene — nonostante la moglie e i figli di Richard.
L'unica cosa che le mancava, in quel momento, era l'idea di cosa regalare a Richard per Natale, per Albert aveva già preso un paio di giochi per la Wii, per il suo amico non aveva avuto dubbi su cosa prendere, sapeva cosa gli piaceva e che quei giochi li desiderava — Albert le aveva fatto capire più volte che li avrebbe voluti in regalo da lei — invece, per Richard aveva il vuoto assoluto. Inspirò a fondo e afferrò il volantino che aveva trovato poco prima nella cassetta della posta e lo sfogliò lentamente, saltando le pagine dedicati agli alimentari e alle lavatrici, lavastoviglie, aspirapolveri e elettrodomestici di quel genere. 
«Stai cercando il tuo regalo?»
Meredith alzò il viso e sorrise a Richard, «No, il tuo.» rispose.
«Non devi.» disse lui.
«Ma io voglio.» replicò lei sporgendosi verso di lui. «Solo che non so cosa fare.»
«Incomincia con il promettermi che dopo mi darai un bacio da film.» disse Richard abbassando la voce.
Meredith ridacchiò e sorrise, «Quello mi sembra ovvio.» disse. 
Richard le prese la mano destra e la strinse mentre guardava la ragazza davanti a lui, le sfiorò il palmo con il pollice e continuò a sorridere. «Io non voglio un regalo da parte tua, mi basta stare con te.» 
Meredith lo fissò e dischiuse le labbra in un sorriso, era la cosa più bella che qualcuno le avesse mai detto, «Sei un vero.... amore.» mormorò, si sporse verso di lui e gli baciò la guancia.
Richard sorrise, «Anche tu le sei.» disse e guardò fuori dalla finestra, «Nevica.» 
Meredith guardò fuori, «Se nevica tanto non verrà nessuno e magari tua moglie non vorrà che torni a casa con le strade innevate...» mormorò piegando la testa di lato.
«Sarebbe fantastico.» commentò Richard. «Davvero superlativo.»

***

Meredith baciò le labbra di Richard e si sdraiò fra lui e il divano, posò la testa  sul torace di lui e chiuse gli occhi. Lui alzò la coperta e la sistemò su entrambi. «Dovremmo mangiare.» disse.
Meredith inspirò a fondo, «Tu dici?»
Richard rise, «Bhe, se vuoi rifarlo prima di aprire...» ammiccò.
Meredith ridacchiò, «Mmh... forse hai ragione.» disse, prese la maglia dal pavimento e la indossò, si alzò e andò verso il piccolo frigorifero, lo aprì e prese una confezione di lasagne surgelate.
«Niente mutandine?» esclamò Richard mettendosi seduto, Meredith sorrise e tolse la pellicola dalla confezione, la infilò nel microonde e lo avviò, recuperò le mutandine e le indossò.
«Era meglio prima.» commentò Richard mentre si rivestiva.
«Albert sospetta qualcosa.» esclamò lei dopo qualche secondo di silenzio.
«Cosa?» 
Lei inspirò a fondo e si guardò le mani. «L'altro giorno mi ha detto che ha visto una che mi assomigliava al motel... e non è la prima volta.» confessò. «Cioè... pensa che abbia un ragazzo, non che io e te....»
Richard guardò davanti a sé, «Dovremo cambiare posto.» disse e guardò la ragazza, «Così staremo tranquilli.»
Meredith annuì lentamente. «Sì, forse hai ragione.» mormorò.
Richard la strinse e le baciò la fronte, «Stai tranquilla, amore.» sussurrò, «Andrà tutto bene.»
Lei sorrise nel sentirsi chiamare in quel modo e si sentì bene fra le braccia di Richard, come ogni singola volta che era insieme a lui e avrebbe voluto stare lì per sempre, fra le sue braccia.
«Lui è solo preoccupato per te.» continuò lui, «Siete amici da tanto tempo... anche io lo farei.» continuò e le sfiorò le braccia, «Ma cosa ci faceva al motel?»
«Dice che era fermo al benzinaio.» rispose lei.
«E ti ha visto da quella distanza, con tutte quelle luci?» commentò Richard inarcando un sopracciglio, «Io ero al parcheggio e non ti avevo riconosciuto con quella luce forte che c'è all'ingresso del motel.»
Meredith rimase in silenzio e guardò il microonde, «Quindi, secondo te, cosa è successo?»
«Ti ha seguito.» rispose Richard. «Magari la prima volta, la seconda magari è andato direttamente lì quando gli hai detto che non uscivi con lui... per questo è meglio cambiare posto.»
Meredith annuì, «Va bene.» disse, «C' è un altro motel ma è un po' più lontano.» disse.
«Non importa.» mormorò lui e baciò Meredith che sorrise, felice.

***

Richard sorrise ai suoi genitori che continuavano a chiedergli come andassero le cose, sfiorò il cellulare e desiderò che Meredith lo chiamasse perché la sua voce gli mancava.
«Magari verremo un paio di giorni a trovarvi.» esclamò la madre di lui.
«Sarebbe fantastico.» commentò Richard appiccandosi un sorriso finto sul volto. «Scusatemi, devo andare in bagno.» disse e si alzò, si chiuse nel bagno della casa dei suoi genitori, aprì l'acqua del lavandino e chiamò Meredith.
«Mi manchi.» disse quando lei rispose.
«Anche tu.» fece lei, «Cosa stai facendo?»
«A parte pensare a te?» disse lui, «Stiamo pranzando con i miei.» rispose, «Non vedo l'ora che sia lunedì.» 
«Anche io.» disse lei, «Dai, oggi è sabato... mancano poche ore.»
Richard sorrise, «Sono sempre troppe.» mormorò, «Devo andare.» sospirò, «Ti voglio tanto bene, non dimenticarlo.» aggiunse e riattaccò, spense l'acqua e si sorrise allo specchio.

Meredith fissò il cellulare e sorrise; Richard le aveva detto che le voleva bene e lei sentì un brivido correrle lungo la schiena, si appoggiò al muro del ristorante e chiuse gli occhi, li riaprì ed entrò nel locale sentendosi felice.
«Chi ti ha chiamato?» domandò Albert.
«Un'amica.» rispose lei sedendosi al suo posto.
«Un'amica, eh?» fece lui con il sopracciglio destro inarcato, «Non mi sembra un sorriso dopo aver parlato con un'amica.»
Meredith lo fissò e temette — ancora una volta — che lui sapesse il suo segreto. «Sono solo felice di averla sentita, tutto qui.» disse.
Albert la fissò, «Non è che mi nascondi qualcosa... o qualcuno?»
Meredith sorseggiò l'acqua, «Non ti nascondo nulla.» mentì, «Ordiniamo il dolce?»

***

Meredith baciò Richard e si strinse a lui, gli circondò il collo con le braccia e sorrise. «Mi sei mancato.»
«Anche tu.» disse Richard, «E c'è una novità.»
«Cosa?» domandò lei e gli sfiorò il collo con le braccia.
«I bambini hanno l'influenza.»
«Oh, mi dispiace.» fece Meredith. «Come stanno?»
«Tutto sommato bene.» disse lui, «Loro e Rosalie sono dai genitori di lei...»
Meredith annuì e sorrise quando capì, «Oh.» mormorò, «Quindi sei a casa da solo?» domandò e Richard annuì, «Perfetto.»
Richard le baciò la fronte, «Esatto.» disse, «Potremmo passare un sacco di tempo insieme.»
Meredith rise e lo baciò ancora, «Magari potremmo andare a mangiare fuori...» propose, «Come due colleghi di lavoro.»
«Come colleghi?» domandò lui.
Meredith sorrise e alzò le spalle, «Solo la cena è da colleghi, quello che succede dopo...» mormorò e gli baciò le labbra, «No.»
Anche Richard sorrise, «Direi che si può fare.» disse, «Andiamo ad aprire.» aggiunse.
Meredith annuì, «Bene.» disse, «Prima iniziamo, prima finiamo.» esclamò, poi si girò verso di lui e lo guardò. «Dicevi sul serio?» domandò, «Intendo dire quando mi hai chiamato e mi hai detto che mi vuoi tanto bene.»
Lui annuì, «Sì, dicevo sul serio.» rispose.
Meredith sorrise, sentendo il cuore gonfio di felicità, «Anche io ti voglio tanto bene.» 
Richard le posò le mani sui fianchi e le baciò la fronte e Meredith chiuse gli occhi a quel contatto, sentendo che quello che provava per Richard andava più in là del semplice “volere bene”, aprì gli occhi azzurri e sorrise di nuovo.

***

«Sai che ho sentito che Claire è stata vista in giro con tizio che è sposato?»
Meredith alzò gli occhi dal menu e fissò Albert, «Ah, sì?» disse, «Ma... vista in che senso?»
L'altro scrollò le spalle, «Stavano parlando.» rispose, «Sembravano molto in confidenza.»
Meredith chiuse il menu e lo posò sul tavolo, «Magari stavano solo parlando come due persone normali e non stavano tramando la conquista dell'universo.»
«Però sembrava che ci fosse qualcosa in più, fra loro due.» esclamò Albert e fissò Meredith.
Lei inspirò lentamente, domandandosi dove volesse arrivare l'amico. «Magari sono amici da anni....» disse e fece un piccolo sorriso, «Da quando sei così pettegolo?»
«Non sono pettegolo.» disse lui, «È solo che....» sospirò, «Non so, mi è sembrata strana, come situazione.»
Meredith lo guardò, poi sorrise, anche se sospettò che Albert sospettasse qualcosa, anche se sparava vivamente di no — sarebbe stata una vera tragedia — , «Ma dai... anche io parlo con gente sposata!» squittì, «Tutti i giorni faccio i complimenti a Tony per le sue brioches e i suoi cappuccini ma non vuol dire che vorrei sposarmelo o farci altro!»
«Tony ha quasi sessant'anni.» fece notare lui e sorrise, «Va bene, cambiamo argomento...» disse, «Cosa facciamo all'ultimo?»
«Non ne ho idea.» rispose Meredith mentendo, lei avrebbe voluto passarlo con Richard — sarebbe rimasto a casa —, a fare l'amore.
«Possiamo vedere se riusciamo a prenotare da qualche parte.»
Meredith annuì e sorrise, sperando che Albert avesse un qualche contrattempo — e si sentì male quando finì quel pensiero, perché Albert era il suo migliore amico e lei gli voleva bene e non voleva perderlo —, «Certo.» disse, «Ordiniamo?» domandò quando notò la cameriera che si avvicinava al loro tavolo.

***

Meredith sorrise e si avvicinò a Richard e fissò i fuochi d'artificio. Albert aveva dovuto sostituire un collega che si era rotto la gamba, così non era presente e lei era felice anche se un po le dispiaceva che il suo amico dovesse lavorare anche quella notte. Sentì la mano di Richard sfiorare la sua e sorrise ancora di più.
«Hai freddo?» le sussurrò lui.
«No.» rispose lei e lo guardò per un breve istante, il volto di lui illuminato dal rosso del fuoco d'artificio. «Sto bene.» disse e sorrise.
I fuochi finirono dopo alcuni minuti e Richard condusse Meredith in un vicolo isolato, non tropo lontano da dove avevano lasciato la loro auto. Le sfiorò il viso con i pollici e sorrise prima di baciarla con dolcezza sulle labbra. «Credo di amarti.» sussurrò, «Ne sono sicuro.»
Meredith sorrise e lo abbracciò, gli baciò la guancia destra e sorrise mentre si stringeva a lui. «Anche io credo di amarti.» mormorò.
Richard sorrise e le prese le mani. «Andiamo a casa?» mormorò e la baciò, «A concludere la serata?»
Meredith si limitò ad annuire, troppo felice per dire qualsiasi cosa. Richard l'amava, lei amava lui e di tutto il resto non le importava.

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Capitolo 16
*** Capitolo Sedici ***


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Capitolo Quindici

Richard si svegliò e fissò Meredith che dormiva, sorrise e le scostò i capelli dalla fronte. Sapeva che era ancora presto per alzarsi, la sveglia non era ancora suonata. Chiuse gli occhi e inspirò il profumo della ragazza, pensando che era così che averebbe voluto svegliarsi ogni mattina, con lei accanto.
In quei giorni in cui Rosalie era rimasta a casa dei suoi genitori, Richard non l'aveva pensata neppure una volta e l'aveva chiamata solo per sapere come stavano i bambini. Sapeva che presto sarebbero tornati a casa e allora non avrebbe più potuto vedere Meredith quando voleva — escludendo il lavoro, ovviamente, ed era felice di essere entrato lì, quasi «Ciao.» mormorò lei socchiudendo gli occhi.
«Ciao.» sussurrò Richard e le baciò con dolcezza le labbra, «È ancora presto.» mormorò.
Meredith sorrise e si avvicinò a lui, lo abbracciò e posò la testa sul torace di lui e Richard le sfiorò la schiena, «Quando tornano?» domandò.
«Dopo domani.» rispose Richard. «I bimbi stanno meglio.» disse, «E comunque fra qualche giorno devono riiniziare l'asilo.»
Meredith non disse nulla e sfiorò la pelle del ragazzo, tracciando cerchi e spirali, «Almeno ci vediamo al lavoro.» sospirò. In quei pochi giorni dove avevano quasi trascorso quasi ventiquattr'ore su ventiquattro insieme erano stati come il paradiso, per lei. Ma presto sarebbe finito tutto e lei non lo voleva; desiderava stare con Richard sempre, ogni giorno, ogni minuto.
La ragazza chiuse gli occhi e si rilassò sotto alle carezze del ragazzo. Non si era mai sentita così bene con un ragazzo come si sentiva con Richard. Lui la faceva ridere, sentire protetta, amata, desiderata.
La sveglia suonò mentre Richard stava baciando Meredith. «Non andare.» pigolò lei. «Resta qui, per favore.» disse sdraiandosi su di lui.
Richard le baciò la fronte. «Devo andare.» mormorò e chiuse gli occhi prima di baciarla — un bacio lento e dolce — sulle labbra.
«No.» sussurrò lei baciandogli il collo, «Rimani qui con me.» mormorò, sfiorò con le labbra la pelle del collo, «Saltiamo il lavoro, sono sicura che il capo non dirà nulla.» disse e fece scendere le mani sul corpo di Richard, fermandosi sui fianchi.
Richard rise, «Uh, il capo forse no, ma i clienti forse sì.»
«Al diavolo i clienti.» borbottò lei alzando la testa e baciando il torace del ragazzo.
«Meredith... devo andare, sul serio.» disse lui, «Se non rispondo alla chiamata di Rosalie si preoccuperà.» mormorò.
«Rimaniamo qui.» pigolò lei stringendosi a lui, desiderando restare lì, nel suo letto, per tutto il giorno.
«Tesoro...» sospirò Richard accarezzandole la fronte, «Senti... adesso io vado a casa e ci vediamo alle sette e mezza al bar per fare colazione, okay?»
Meredith annuì, anche se non era quello che aveva sperato di sentirsi dire era sempre meglio di niente. «Va bene.» disse e si spostò da lui dopo averlo baciato, si avvolse nella coperta verde e blu e fissò Richard che si rivestiva. Lo guardò indossare gli abiti che la sera prima lei gli aveva tolto e sorrise, «Però paghi tu.» mormorò.
Richard sorrise e si girò verso di lei, si mise in ginocchio sul letto si chinò su Meredith, «Okay.» sussurrò prima di baciarla, «Offro io.» mormorò e si rialzò in piedi, «Adesso vado, ci vediamo fra un'ora.»
Lei annuì e si mise seduta, la coperta avvolta attorno al suo corpo, e si sporse verso Richard, fremendo nell'attesa di sentire le labbra di lui sulle proprie, e Richard la baciò, prendendole il viso fra le mani.
«Ricordati di chiudere la porta.» disse lui e Meredith si alzò in piedi, indossò il lungo cardigan della sera precedente e andò al comò, aprì il primo cassetto e prese una mazzo di chiavi.
«Tieni.» disse e le porse a Richard e lo guardò sorridendo mentre lui fissava le chiavi e il portachiavi a forma di cagnolino.
«Chiavi?» domandò Richard fissando Meredith.
«Chiavi di scorta.» sorrise lei. «Così io...» mormorò, stringendosi il cardigan attorno alla vita, «Bhe...» alzò lo sguardo e fissò Richard, «Così io rimango qui al calduccio mentre tu esci, al freddo e al gelo.»
Richard sorrise e strinse le chiavi, «Le chiavi di casa tua.» mormorò e con la mano libera strinse Meredith in un abbraccio, «Sono molto felice.» soffiò sulle labbra di lei. «Devo andare, scusa.» disse fissando l'orologio che segnava le sei e quarantacinque e le baciò la tempia.
Meredith annuì e lo guardò uscire dalla stanza da letto, sentì i suoi passi lungo la casa, la porta d'ingresso che si apriva e si chiudeva; allacciò il cardigan e recuperò le mutandine dal pavimento, le indossò e afferrò un elastico per capelli dal comodino, si fece una coda e si sedette sul letto, indecisa su cosa fare, fissò i suoi piedi che strusciavano sul morbido tappeto ed espirò lentamente. Aveva poco più di mezz'ora per lavarsi, asciugarsi i capelli, vestirsi e truccarsi per essere in orario per fare colazione con Richard.
Sorrise pensando a lui e si sdraiò sul letto, poteva ancora sentire il suo profumo fra le lenzuola. “Lo amo.” pensò, “Da impazzire.”
Si mise seduta sul letto, con ancora il sorriso sulle labbra e si alzò in piedi, raccolse il resto dei vestiti dal pavimento, indossò le pantofole e andò in bagno. Gettò gli abiti nel cesto della biancheria da lavare, girò la manopola dell'acqua calda e attese che arrivasse alla giusta temperatura; finì di spogliarsi ed entrò nella doccia, strinse la spugna e la bagnò sotto il getto, mentre le pareti di vetro della doccia incominciavano ad appannarsi, versò il doccia schiuma sulla spugna e iniziò a sfiorarsi il corpo, pensando — desiderando — che fossero le mani di Richard ad accarezzarla.

***

Alle sette e mezza precise Meredith entrò nel bar davanti alla ferramenta, si sedette a uno dei tavolini liberi, sorrise guardando la porta che si apriva e Richard che entrava, bellissimo nel suo cappotto nero. Lui le sorrise e si avvicinò a lei, slacciò i bottoni del cappotto e lo sistemò sulla sedia.
«Sei qui da molto?» le domandò.
«No, sono appena arrivata.» sorrise lei e lo guardò sedersi, inspirò il suo profumo e sorrise ancora mentre la cameriera si avvicinava; ordinarono le loro colazioni e rimasero in silenzio.
«Allora...» a rompere il silenzio fu Richard, «Cosa dobbiamo fare oggi?»
Meredith alzò le spalle. «Quello che facciamo sempre.» rispose.
Richard sorrise, mise una mano sotto al tavolo e le sfiorò il ginocchio sinistro, senza staccare gli occhi dai suoi, fissandola così intensamente che, dopo una manciata di secondi, Meredith abbassò il viso, fissando la tovaglia rosa, le sue guance si colorarono di rosso, lui le sorrise e sposò la mano, posandola sulla panca dove era seduto.
Mentre arrivava la cameriera con le loro ordinazioni, arrivò anche Albert, che si sedette accanto a loro, senza dire nulla. «Grace, mi porti un cappuccino, per favore?» domandò alla cameriera.
«Ehi, Albert.» squittì Meredith e per un momento si sentì infastidita dal suo migliore amico. «Come mai sei... sei qui?» balbettò, «Non dovresti essere ancora al lavoro?»
Albert fissò gli altri due e Meredith temette che sapesse ogni cosa, poi lui sorrise, «Cambio turno.» disse, «Faccio il pomeriggio.» sorrise, «Invece voi... cosa ci fate qua, insieme?» domandò senza smettere di sorridere.
«Ci siamo incontrati e abbiamo deciso di fare colazione insieme prima di iniziare a lavorare.» spiegò Richard, «Tu, invece, avresti potuto dormire ancora un po'.» si rivolse ad Albert.
«Non avevo più sonno, mi sembrava inutile restare a letto.» spiegò Albert, «Meredith... sei sicura di stare bene?» domandò guardando la ragazza che mangiava lentamente la sua brioche di sfoglia ripiena di crema alla gianduia, «Sei pallida.»
«Sto bene.» rispose lei dopo messo in bocca un po' di schiuma di latte, «Sono solo stanca.» borbottò alzando al tazza e sorseggiando lentamente la bevanda calda.
Albert annuì lentamente, «Dovresti riposarti.» esclamò, «Vai a casa, rimango io con Richard in negozio.»
Richard smise di mangiare e diede alcuni colpi di tosse, inorridito all'idea di passare tutta la mattinata con lui. «Non è necessario.» borbottò mentre si asciugava le labbra con il tovagliolino di carta.
«Infatti, non è necessario.» disse Meredith, «Sto bene, Albert, mi serve solo del caffè per carburare.» sorrise e posò la tazza sul piattino, prese un altro pezzo di brioche e lo infilò in bocca, si leccò il dito sporco di cioccolato e fissò l'amico.
Albert la guardò poi sorrise, «Okay.» disse, «Se è come dici tu... ti credo.»
Finirono di fare colazione e Albert rimase in silenzio quando Richard pagò per tutti quanti, offrendo la colazione anche a lui, uscirono dal bar e andarono al lavoro.
«Albert... cosa fai?» domandò lei quando, dopo aver aperto la porta sul retro, Albert entrò insieme a lei e Richard.
Il ragazzo alzò le spalle e si passò una mano fra i capelli biondi, «Rimango qui con voi.» rispose, «A casa da solo mi annoio.» disse.
Meredith rimase in silenzio, si tolse la giacca e l'appese, infilò il cellulare in borsa per poi metterla dentro al mobiletto. «Come vuoi.» mormorò.
Richard si tolse il cappotto, «Vado ad aprire.» disse, la voce atona, priva di qualsiasi sfumatura.
Meredith annuì e aprì il coperchio del pannello delle luci, schiacciò i tasti e il negozio s'illuminò, entrò anche lei in negozio, sentendo dietro di sé la presenza costante di Albert; pensò che non doveva andare così, che avrebbe voluto restare da sola — esclusi i clienti — con Richard, a guardarlo, a parlare con lui, a baciarlo, stringerlo...
«Albert... puoi levarti?» disse quando raggiunse la cassa, «Se entra la finanza e ti trova qui, quella che va nei guai sono io.»
Albert sorrise e le scompigliò i capelli, poi andò dall'altra parta del bancone e si appoggiò, «Non fare così.» le disse.
Meredith lo ignorò e spinse il tasto di accensione della cassa, il display s'illumino con un piccolo “bip”, «Albert... ti annoierai.» mormorò mentre apriva il cassetto dei soldi, «Non è un centro commerciale.» disse controllando di avere abbastanza moneta per i resti.
«Vado a togliere la neve dalla scala.» esclamò Richard e si allontanò senza guardare gli altri e Meredith seppe che era geloso, guardò Albert che le sorrise innocentemente. Inspirò lentamente e afferrò uno straccio, prese lo sgrassatore e iniziò a pulire il bancone.
«Che cos'hai?» le chiese Albert.
«Niente.» mugugnò lei mentendo, «Non mi aspettavo che decidessi di... rimanere qui tutto il tempo.»
«Non rimango qui tutto il tempo!» rise Albert, «Alle due inizio, quindi starò qui fino almeno alla...» fissò l'orologio della cassa, «chiusura.»
Meredith fece un sorriso, «Okay.» borbottò, «Basta che non ci intralci.» disse e guardò negli occhi il suo amico, come se quel gesto potesse rivelarle la verità, sapeva che Albert sospettava che lei avesse un ragazzo — e la cosa le andava abbastanza bene — quello che non sapeva era se Albert sapesse — o intuisse — che la persona in questione fosse Richard. Sapeva che Albert non avrebbe gradito la cosa, che avrebbe montato su un casino, che lo sarebbe andato a dire a suo fratello, ai loro genitori e, naturalmente, a Rosalie. Sospirò e sorrise quando vide tre clienti salire le scale.

***

«Se fosse rimasto qui altri due minuti giuro che l'avrei spedito al lavoro con un pugno.» borbottò Richard.
Meredith gli sorrise e gli posò le mani sulle spalle, «Ti avrei dato una mano.» disse, «Quando si mette in testa qualcosa non c'è verso di fargli cambiare idea.» gli baciò il retro del collo e inspirò il suo profumo. «Dai, andiamo a pranzo.» disse, «Ci prendiamo una pizza?»
«Non posso.» esclamò lui, «Rosalie mi chiama.» disse.
Meredith annuì, «Okay, è lo stesso.» esclamò mentre lui si voltava verso di lei, «Sarà per la prossima volta.» disse cercando di celare la delusione.
Lui le baciò la fronte, «Possiamo mangiarci insieme il dolce.» disse, «Sceglilo tu.»
Meredith annuì e sorrise mentre si stringeva a lui, «Va bene.» disse, «Vuol dire che la pizza me la mangerò da sola.» sorrise e prese il viso del ragazzo fra le mani, chiuse gli occhi e lo baciò con dolcezza, premendo le sue labbra contro quelle di Richard, inspirando il suo profumo, sentendo sotto le dita l'accenno di barba. Gli circondò il collo con le braccia senza smettere di baciarlo.
Richard la guardò con gli occhi socchiusi quando il baciò finì, sorrise e le sfiorò la fronte con le labbra, «Ti amo.» mormorò guardando gli occhi di Meredith.
Lei sorrise, felice, «Ti amo.» mormorò, «È meglio se andiamo.» sussurrò, «Altrimenti rischio di mangiarti.»
Richard rise, «Ci vediamo fra un paio d'ore.» disse e la baciò.

***

Meredith sfogliò il quaderno ad anelli contenente le fatture degli ultimi sei mesi, morsicò la punta della fetta di pizza stando attenta a non sporcare le cartellette trasparenti. Guardò fuori dalla finestra, la neve che scendeva lenta da quando era rientrata nel negozio, insieme alla pizza gigante e a una crostata al cioccolato. Sospirò e girò un'altra pagina, controllando che le fatture fossero in ordine cronologico, fissò brevemente la piccola tv portatile e mangiò ancora.
Stava fissando una fattura, cercando di capire se quello era un “9” o un “8” scritto male quando sentì il rumore, come di un piccolo oggetto che cadeva. Si guardò attorno, poi, visto che era tutto a posto, scrollò le spalle, dicendosi che non era nulla di grave.
Venti minuti e tre fette di pizza più tardi, Meredith sentì ancora quel rumore, quindi si alzò in piedi, pulì le mani in un tovagliolo e uscì dalla stanzetta, guardò il negozio dove le sembrò tutto normale; aprì la porta del magazzino e urlò, quando vide quasi tre centimetri d'acqua ricoprire il pavimento, chiuse la porta e andò nella stanzina, uscì e corse al tombino dove si trovava il contatore dell'acqua; imprecò mentre sollevava il pesante coperchio di cemento. «Girati.» esclamò mentre cercava di muovere la manopola per la chiusura centrale dell'acqua. Sospirò quando la manopola si girò, sistemò il coperchio e tornò nel negozio, in magazzino.
Osservò l'acqua e sperò che non avesse fatto troppi danni; guardò uno dei sotto vasi galleggiare e sospirò, andò al telefono e compose il numero di casa di Richard.
«Devi venire qui, è scoppiato un tubo in magazzino... ho chiuso l'acqua ma ho bisogno che tu venga qui ad aiutarmi a sistemare.»
«Cosa? È uno scherzo?» fece lui.
«No!» squittì lei, «Non è uno scherzo.» disse, «Ci sono almeno cinque centimetri d'acqua...»
«Vengo subito.» esclamò Richard e riattaccò.
Meredith sospirò e guardò la vetrata oscurata dalla saracinesca e si domandò se dovesse tenere il negozio chiuso per il pomeriggio, poi si disse di sì, che era necessario farlo; prese un foglio bianco e iniziò a scrivere che il negozio sarebbe rimasto chiuso il pomeriggio e lo lasciò sul bancone, decidendo di appenderlo quando sarebbe arrivato Richard.
Lui arrivò dieci minuti dopo, con un sacchetto in mano.
«Cosa hai portato?» domandò Meredith.
«Calzini di ricambio.» rispose lui, «E del latte.» posò il sacchetto sul divanetto, «Mi metto gli stivali e vengo a guardare.» disse sedendosi.
«Okay.» esclamò lei annuendo, «Intanto vado fuori a mettere l'avviso che rimaniamo chiusi.»
Cinque minuti dopo rientrò e andò nel magazzino — aveva indossato gli stivali di plastica un attimo prima che arrivasse Richard —, scavalcò i sacchetti di sabbia che aveva sistemato davanti alla porta e raggiunse Richard, che stava spostando le cose dagli scaffali più bassi.
«Quelle tre scatole di legna sono bagnate.» disse lui indicando un tavolo su cui aveva posato tre grossi scatoloni mezzi bagnati.
Meredith annuì e sospirò, «Li userò io.» disse, «O tu, se ne hai bisogno.» si rivolse a Richard e sorrise, «Anche se è legna e si asciuga la scatola è rovinata e non posso venderla.»
Richard annuì e spostò alcuni vasi di plastica. «Il bidone aspiratore?» domandò, «È al solito posto, vero?»
Meredith annuì ancora, «Sì.» rispose, «Per fortuna è su un ripiano alto, così non si è bagnato.»
«Raccogliamo tutto e poi iniziamo a pulire.» disse lui, «Hai chiamato l'idraulico?»
«Idraulico?» fece lei.
«Bhe... sì.» disse lui, «Quel tubo,» indicò una tubatura poco lontana, che scorreva lungo la parete nord del magazzino, a una ventina di centimetri dal pavimento, «ha uno bello squarcio.» disse, «Se riapri l'acqua in poco saremo nelle stesse condizioni, o peggio.»
Meredith annuì lentamente, «Sì, hai ragione.» esclamò, «Dopo lo chiamo, spero che arrivi in fretta.»
Richard alzò gli occhi al cielo, «Oggi magari no, forse domani.»
«Domani?» squittì lei, «E io dovrei tenere chiuse per due giorni?»
Lui alzò le spalle e si avvicinò a lei e le posò le mani sulle guance, «Così avremo più tempo per noi.» mormorò prima di baciarla.
Meredith ridacchiò, «Oh, sì, giusto.» disse, «Spero solo che non dovremo pulire!»
Richard sorrise e le toccò il naso e Meredith indietreggiò, lamentandosi delle sue mani fredde.
Un'ora dopo avevano tolto tutti gli oggetti dagli scaffali più bassi, avevano sistemato il bidone aspira-tutto nella stanzina e si stavano godendo una pausa, mangiando la pizza scaldata al microonde e scaldandosi con la stufetta elettrica.
«Sta suonando il telefono.» esclamò Richard mentre si puliva la bocca.
Meredith sbuffò e si alzò in piedi, «Ferramenta Stocks.» rispose.
«Meredith!» strillò Albert, «Perché non mi hai risposto?» domandò, «Mamma mi ha detto che il negozio è chiuso... perché? Stai male? Vuoi che venga lì? Posso inventare una balla e staccare prima!»
Meredith sospirò, «Si è rotto un tubo in magazzino» rispose, «Ho chiuso perché io e Richard stiamo sistemando il danno.»
«Oh.» fece lui, «Se vuoi vengo io domani a darti una mano.»
«Non serve!» squittì lei, «Domani arriva l'idraulico... il più è già fatto, dobbiamo solo asciugare il pavimento.»
«Ti aiuto io!»
Lei strinse la cornetta del telefono, quasi irritata dall'irruenza dell'amico. «No, Albert... non serve il tuo aiuto, ce la caviamo lo stesso.» disse.
«Ma il magazzino è grande... non finirete oggi.» notò lui, «Dai, mi prendo un giorno di permesso e vengo domani ad aiutarti!»
«No!» gridò lei, e la sua voce rimbalzò sulle pareti.
«Stai bene?» domandò lui e Meredith notò la preoccupazione nella sua voce.
«Sto bene.» mormorò lei, «Solo che se vieni qui... se vieni qui... c'intralci e basta.» sospirò, «Davvero, Albert, non serve che vieni... qui.» spiegò.
«Ah.» fece lui, «Come vuoi.» mormorò deluso. «È che ultimamente non passiamo più tanto tempo insieme...»
Meredith ingoiò il groppo che aveva in gola. Era vero, ultimamente non aveva passato troppo tempo con Albert, troppo presa da Richard, ma era lui quello che voleva... «Lo so, però ti prometto che lunedì usciamo a cena insieme, solo io e te, okay?»
«Perfetto.» disse lui.
«Adesso devo andare.» esclamò lei, «Ciao.» disse e riattaccò.
«Quindi.. lunedì vai a cena con lui, eh?» borbottò Richard quando Meredith tornò da lui, «Devo essere geloso?»
Lei sorrise e gli diede un breve abbraccio, «No.» rispose e gli baciò il viso, «L sai, lui è solo il mio migliore amico per me.»
«Lo spero.» borbottò lui e imboccò Meredith.

Lei ridacchiò e spinse il pezzo di pizza in bocca. «Non fare il gelosone.» borbottò.
«Non sono geloso.» disse lui, «Mi da solo fastidio.»
Meredith sorrise, sentendosi felice che lui fosse geloso. «Dai, finiamo la pizza, tiriamo su l'acqua e ci prendiamo un'altra pausa, così ci mangiamo la torta.»
«Okay.» rise lui, «Quante pause vuoi prendere?» chiese posandole una mano sulla schiena e l'altra sulle gambe.
«Quelle che servono.» sorrise lei, «Ah, il bidone con l'acqua lo svuoti tu.»
«Io?»
«Esatto.» disse lei, «Sei tu quello forte, con i muscoli.» continuò stringendogli il bicipite destro, «Non io.»
Richard alzò gli occhi al cielo e sbuffò, poi sorrise e baciò le labbra di Meredith.
Due ore e mezza dopo avevano svuotato tuta l'acqua presente nel magazzino, dovevano solo asciugare il pavimento.
Richard scaldò due tazze di latte nel microonde mentre Meredith si levava gli stivali e indossava uno dei due paia di calzini che Richard aveva portato.
«Ehi, quelli sono miei!» brontolò lui indicando i calzini di spugna bianca che ormai avvolgevano i piedi di Meredith.
Lei sorrise e si sistemò i pantaloni, «Adesso li ho io.» disse, «Tanto ne hai portate due paia, quindi so che pensavi a me.» aggiunse fissando Richard.
Lui annuì, «Sì, lo ammetto, ho pensato a te.» disse, «Quindi... adesso facciamo merenda e poi?»
«E poi io ho bisogno di un bel bagno caldo e di qualcuno che mi lavi la schiena.» rispose lanciando un'occhiata languida a Richard, «Dovrò guardare la mia agenda e chiedere se qualcuno è disponibile.» disse e morsicò la torta.
Richard fece un'espressione offesa, «Ah, passi tutti i tuoi contatti e non lo chiedi a me, che sono disponibile e più che disposto a lavarti la schiena?» borbottò incrociando le braccia al petto e facendo il broncio come un bambino.
Meredith rise, «Il primo nome della mia lista è il tuo!» disse e mangiò ancora.
Richard l'abbracciò, felice, per un istante aveva temuto che Meredith dicesse sul serio e il pensiero che un altro ragazzo la potesse vedere nuda lo faceva ribollire.

***

Albert sospirò e guardò il bicchierino con il caffè. Ancora due ore e avrebbe finito di lavorare. Meredith gli era sembrata strana, quella mattina, quasi come se non lo volesse lì, in negozio. Si domandò cosa gli prendesse ma, in realtà, lo sapeva benissimo: la sua migliore amica aveva un ragazzo.
Un ragazzo che non era lui.
E lui voleva scoprire chi fosse e screditarlo agli occhi di Meredith, facendo qualsiasi cosa, anche raccontando una bugia. Lo sapeva che sarebbe accaduto, che Meredith si sarebbe innamorata di nuovo, e non di lui. Sapeva anche che la colpa era solo sua, perché non aveva detto nulla a Meredith, non le aveva detto che l'amava.
Sorseggiò il caffè, doveva assolutamente scoprire chi fosse la persona che aveva rubato il cuore di Meredith. Inspirò a fondo e finì la bevanda, gettò il bicchierino nel cestino e sospirò. Doveva sapere assolutamente chi fosse quel ragazzo ma temeva che da solo non ce l'avrebbe fatta, doveva chiedere aiuto e sapeva anche a chi domandare. Ci avrebbe pensato il giorno dopo. Con un altro sospirò tornò a lavorare.

Okay, pensavo che questa storia sarebbe durata 20 capitoli, ma siamo al sedicesimo e siamo appena a un po' più della metà.
Okay xD
Comunque spero che vi piaccia. Lo so che vi piace, lo vedo che la ficcate in qualche lista! *sparge amore*

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Capitolo 17
*** Capitolo Diciasette ***


Please Stay (extended version)


Capitolo Diciasette

Meredith fissò il prato dell'aiuola davanti al negozio e sorrise nel vedere il prato verde. Era la prima settimana di Febbraio, la neve era sparita e nel cielo azzurro brillava un timido sole.
«Non vedo l'ora che arrivi il caldo per andare al lago e prendere il sole.» disse.
«E io non vedo l'ora di vederti in bikini.»
Lei si girò e sorrise a Richard, «Mi hai già visto in bikini.» ricordò, «Anche sabato scorso, nella vasca idromassaggio della stanza del motel.» disse e gli posò la mano sul braccio, stringendolo delicatamente.
«Ma non è la stessa cosa.» replicò lui, «Io voglio vederti in spiaggia, mentre il sole bacia la tua pelle.»
«Io preferirei che fossi tu a baciare la mia pelle.» mormorò Meredith fissando negli occhi Richard, «Anche adesso.»
«Stiamo lavorando.» ridacchiò lui e le toccò il collo, «Magari più tardi.»
Meredith sorrise e si scostò dalla vetrina, aveva visto una persona dirigersi verso di loro. «Ti prendo in parola.» disse e sorrise a Richard.
La porta si entrò e un uomo cinquantenne entrò e salutò Meredith e Richard, la ragazza lo servì e lei e il ragazzo rimasero soli.
«Posso chiederti una cosa?»
«Certo.» rispose Richard.
«Ecco...» Meredith infilò la mano nella ciotola delle caramelle, «Secondo te Albert ha qualcosa che non va?» domandò, lo sguardo basso, prese una caramella e la scartò. «Insomma, è diventato più... strano e paranoico del solito.»
Richard la guardò, non trovando il coraggio di dirle i suoi sospetti, ossia che, secondo lui, Albert era innamorato o infatuato di lei, e che era geloso perché aveva capito che Meredith aveva qualcuno che non era, ovviamente, lui. «Forse si preoccupa e basta.» disse e sorrise, «Non dargli troppo peso, non hai smesso di vederlo, no?» continuò, «Siete amici da tanti anni, è normale che si preoccupi.» sorrise ancora e le si avvicinò, lasciando perdere il vaso che aveva in mano, «Stai tranquilla, andrà tutto bene.»
Meredith sorrise, «Okay.» mormorò, «Hai ragione, non devo preoccuparmi.» esclamò, «Spero che...» si fermò e infilò in bocca un'altra caramella, «Spero che non abbia nessun problema.»
Richard le baciò la spalla, «Non ha nessun problema, stai tranquilla.»
Meredith annuì lentamente e sorrise, «Sì, devo stare tranquilla.» disse, anche se non si sentiva tranquilla, non del tutto, almeno. Si sentiva inquieta, come se dovesse succedere qualcosa, come se fosse la calma prima della tempesta.

***

Albert fissò i fogli davanti a lui incredulo, non voleva credere che Meredith potesse fare una cosa simile ma... l'aveva fatta. “Non è possibile.” pensò, “Lei non lo farebbe mai!” si disse fissando le foto di Meredith davanti al motel sulla statale, stava baciando un ragazzo con il cappuccio della felpa calato sulla testa e il bavero della giacca alzato, Albert imprecò perché non riusciva a riconoscere chi fosse quello che gli aveva portato via Meredith.
Con un sospiro sistemò i fogli all'interno della cartellina gialla e la mise in una scatola di cartone che spinse sotto al suo letto, non voleva pensare a una cosa del genere.
Uscì dalla sua stanza, infilò la giacca di jeans, salutò sua madre e uscì da casa.
«Ehi, Meredith!» esclamò dieci minuti dopo, quando entrò nella ferramenta.
«Ciao Albert.» sorrise la ragazza, «Cosa ti porta da queste parti?»
«Non posso andare a trovare la mia migliore amica?» domandò lui e sobbalzò quando Richard lo salutò.
«Uh, sembra che tu abbia visto un fantasma.»
Albert fissò Richard, «Mi hai spaventato.» borbottò, «Non mi aspettavo di trovarti qui.»
«Io lavoro qui.» esclamò Richard, «Da nove mesi... dovresti, ormai, esserti abituato.»
Albert aprì e richiuse la bocca un paio di volte, «Ehm... intendevo dire che... che...» balbettò, «Che non mi aspettavo di trovarti dietro di me, ecco:» borbottò.
Richard sorrise, «Okay.» disse, «Meredith... io vado a prendere il caffè.» esclamò, «Lo vuoi anche tu?» domandò ad Albert.
L'altro scosse la testa. «No.» bofonchiò. Richard sorrise e annuì prima di uscire.
«Allora...» fece Albert, «Come va?» domandò a Meredith, «Non vuoi dirmi con chi esci?»
Meredith lo guardò e sulle sue labbra si dipinse un sorriso tirato. «Va tutto bene.» disse, «E no, non esco con nessuno.»
Albert la guardò, sapendo che mentiva. «Davvero?» disse e prese una caramella, «A me sembrava di sì... insomma, sei felice, radiosa, sorridi sempre...»
«Sono solo contenta.» disse lei, «Non posso esserlo?»
Albert annuì lentamente mentre infilava in bocca la caramella. «Cero che puoi essere felice.» disse, «È solo che sei più felice del solito...» aggiunse, «E per me hai qualcuno e non vuoi dirmelo.»
«Non ho nessuno.» squittì Meredith, «Giuro.»
Albert piegò la testa di lato, «Okay.» disse, «Ti credo.» mentì. «Quindi non eri tu, sabato scorso, al parcheggio del motel sulla statale, sai, quello che è di fronte al benzinaio?»
Meredith scosse la testa. «Non ero io.» disse, «Ero a casa.» aggiunse, «E comunque... cosa ci facevi tu al motel?»
Albert sentì il sangue defluire dalle guance, «Io... io ero a far benzina.»
Meredith ridacchiò, «E tu mi avresti visto dall'altra parte della strada, al buio con tutte quelle luci del parcheggio che non ti fanno vedere nulla?»
«Io... io ho visto una ragazza bionda che ti assomiglia.» borbottò Albert.
«Era un'altra bionda.» disse Meredith, «Non esisto solo io con i capelli biondi.»
Albert annuì e guardò Richard entrare nel negozio. «Sì, giusto.» disse e osservò Richard passare il caffè macchiato a Meredith e sorriderle e si sentì geloso, avrebbe tanto voluto versare quel caffè bollente in testa a Richard e magari da un'altra parte, invece si limitò a sorridere.
«Oggi non lavori?» domandò Richard.
Albert smise di sorridere e lo guardò, «No, oggi no.» rispose e sorrise di nuovo, «Oggi sono libero e ho intenzione di rimanere qui con la mia migliore amica!»
«Cosa?» strillò Meredith, «Perché?»
Albert alzò le spalle, «Perché mi va.» rispose, “Toh, beccati questa, stupido Richard.” pensò.
«Albert... lo sai che ti voglio bene...» sospirò Meredith, «Ma quando rimani qui sei solo d'intralcio e basta.» disse.
«Intralcio?» domandò lui, «Giuro che me ne starò zitto e buono in un angolo.»
«Tu? Zitto e buono?» rise Richard, «Ma se quando Meredith è stata male sei rimasto con me e non hai fatto altro che parlare, parlare, parlare... come fai ogni volta che sei qui.» disse, «Tu non riesci a stare zitto.»
«Oh, stai zitto tu, che nessuno ti ha interpellato!» ringhiò Albert.
«Ehi! Albert.» esclamò Meredith, «Richard ha ragione.» disse, «Tu non riesci a stare zitto.» esclamò, «E anche se rimanessi in silenzio saresti ugualmente irritante.»
«Non è vero!» protestò l'interessato, deluso dal fatto che l'amica non avesse preso le sue difese.
Il sopracciglio di Meredith si alzò, «Sì che è vero.» replicò, «Saresti come... come un manichino che respira e ci segue con gli occhi.» disse, «Saresti inquietante. Anzi, lo sei.»
Albert si morse il labbro inferiore. «Okay.» borbottò irritato, «Ho capito, non mi vuoi.»
Meredith sospirò, «Non è che non ti voglio.» disse, «Non voglio che rimani qui a fare la bella statuina.» esclamò e guardò brevemente Richard, «Dai, vai a casa, ora.» aggiunse, «Andiamo fuori a pranzo.»
Albert sorrise e le baciò le guance, «Okay.» disse «Vengo quando chiudi.» esclamò, «Adesso vado.» aggiunse, «Ciao, Meredith.» salutò e se ne andò.
Meredith respirò a fondo e guardò Richard che la fissava con un sorrisetto sulle labbra, «Cosa c'è?» gli chiese.
Lui scosse la testa, «Niente.» rispose, «Lui è contento perché andrete a pranzo insieme, tu sei felice perché non si è arrabbiato... e siamo tutti felici.» disse.
Meredith piegò la testa di lato, «Quindi non sei più geloso?» domandò con il sorriso sulle labbra.
«Non ho mai detto questo.» replicò lui e afferrò una caramella, «Io continuo a essere geloso.» disse e scartò il dolciume, sorrise infilando in bocca la caramella, «Molto geloso.» le soffiò nell'orecchio e le baciò una guancia prima di allontanarsi e continuare a lavorare.
Meredith rimase ferma, con un sorriso ebete sul viso, le piaceva sapere che Richard fosse geloso — dopotutto lo era anche lei — e che gli bastava vedere Albert o sapere che sarebbe uscita con lui per accendergli quella luce negli occhi, quella che diceva chiaramente: “Sei mia!”; l'unico problema era che lui non era completamente suo. Meredith sospirò e fissò il display della cassa, fissando l'orologio digitale, i secondi che cambiavano lentamente mentre pensava a Rosalie, ai bambini, al fatto che Richard, una volta finito di lavorare, andava a casa da loro, baciava le teste dei figli e avrebbe stretto la moglie in un abbraccio prima di baciarla. Quello sì che la mandava in bestia, il pensiero che una volta chiusa la porta di casa Richard si “scordasse” di lei ed era una cosa che non voleva che accadesse anche se aveva paura che un giorno o l'altro succedesse — perché ne era certa: sarebbe accaduto, prima o poi.
Inspirò a fondo dicendosi che non era il momento di pensare a una cosa del genere. I suoi occhi vagarono nella grande stanza, senza soffermarsi per più di pochi secondi su qualcosa, fino a quando non incrociò gli occhi e il sorriso di Richard, sorrise anche lei, felice, dimenticandosi di tutti quei cattivi pensieri.

***

«Allora...» disse Albert, «Sei sicura di non nascondermi nulla?»
Meredith gli sorrise, «Sicura.» rispose e infilò in bocca un pezzo di grissino. «Non ti sto nascondendo nulla.» disse e Albert la fissò in silenzio.
Il ragazzo annuì, «Sì, okay.» disse. «È solo che sei così... felice.» esclamò, «È da un bel po' di mesi che sei così... radiosa.» aggiunse «E vorrei sapere il perché, tutto qui.» sorrise.
Meredith ebbe un attimo di panico poi si disse che Albert non sapeva, non poteva sapere nulla di lei e Richard — erano stati attenti a non lasciare traccie — così sorrise, «Sono felice e basta.» disse e sperò di convincere Albert perché non sopportava più tutte quelle domande. «Non c'è una ragione precisa.» aggiunse e sorrise, quasi sollevata, quando arrivò il cameriere con le loro ordinazioni.
Albert sorrise, «Okay.» disse, «Allora... ci sei sabato sera?» chiese.
Meredith fece un sorriso mentre pensava a cosa dire, quel sabato sarebbe stato il secondo del mese, quello in cui Rosalie e i bambini andavano dai genitori di lei, «No so, Albert.» disse, «Forse vado dai miei.» aggiunse.
Albert fece una smorfia, «Per favore, Meredith.» mormorò piegando gli angoli della bocca verso il basso, imitando un broncio, «Dai tuoi puoi andare domenica!»
Meredith sospirò, «Non saprei.» mormorò, fissando lo sguardo sul piatto con le lasagne, «Ti faccio sapere nel pomeriggio.» aggiunse sorrise.
«Va bene.» disse Albert, «È da tanto che non passiamo una serata divertente.»
Meredith sorrise, «È vero.» disse, «Vedrò di fare il possibile.» mentì.

Richard spinse Meredith contro il muro appena la porta del retro fu chiusa, la baciò con forza, stringendola a sé, le morse il labbro inferiore e le infilò le mani sotto alla maglia.
Meredith respirò a fondo quando lui le baciò il collo, «Richard...» mormorò, sorpresa da quell'impeto.
Richard non le diede il tempo di dire altro e le slacciò la giacca per poi farla scivolare a terra, fece lo stesso con la sua, avvolse le braccia attorno alla vita di Meredith e la sollevò, per poi posarla sul mobiletto e infilarle con foga le mani sotto al maglione, arrivando a toccarle il reggiseno.
Meredith chiuse gli occhi, abbandonandosi ai baci e alle carezze, senza domandarsi del perché di tutta quella foga di Richard; non pensò neppure una volta di chiedere il perché di tutto quello mentre Richard le toglieva il maglione, la maglietta e il reggiseno, o il perché sembrasse guidato da chissà cosa mentre le abbassava la cerniera degli stivali e le abbassava i jeans e le mutandine con una sola e fluida mossa. Non si chiese nulla mentre lui la baciava e le toccava i seni, per poi scendere sui fianchi e ancora più giù, si limitò a stringere gli occhi e lasciarsi andare a sospiri di puro piacere.
«Ti amo.» ringhiò Richard all'orecchio di Meredith prima di farla sua. L'orgasmo arrivò in fretta per entrambi e fu veloce e intenso per tutte e due.
«Wow.» commentò Meredith mentre riprendeva fiato, «È stato... intenso.» sorrise mentre Richard le passava i vestiti.
Lui sorrise e la baciò velocemente prima di finire di vestirsi, «Sì.» mormorò, «Credo sia meglio che andiamo ad aprire.»
Meredith lo osservò mentre lo seguiva in negozio, domandandosi il perché di tutto quello, poi scrollò le spalle e si disse che, in fondo, non le importava poi molto.

«Allora... Rosalie va via con i bambini?» domandò Meredith un paio d'ore dopo.
Richard non le rispose e continuò a sistemare le confezione di vernice spray — era incredibile e quasi sconfortante come la gente non fosse capace di rimettere al posto giusto una bomboletta e il risultato era quello: i colori erano tutti mischiati.
«Richard?» chiamò lei.
«Sabato è il nostro anniversario.» mormorò lui senza voltarsi, «Io e Rosalie festeggiamo otto anni di matrimonio.»
«Ah.» fece lei, «Quando pensavi di dirmelo?» domandò.
Richard alzò le spalle e sistemò la bomboletta di colore giallo al suo posto, fra il bianco e l'arancione, «Mi servirebbe il sabato libero perché vorremmo andare dai nostri genitori, così ci terrebbero i bambini mentre io e mia moglie usciamo a festeggiare.»
Meredith strinse le labbra, «Quando lo hai saputo?» domandò.
Richard sospirò e si girò verso di lei, «Prima.» disse, «A pranzo.»
«Ah.» esclamò Meredith, «Adesso capisco.»
«Capisci cosa?» domandò lui avvicinandosi, si accorse di avere in mano una delle bombolette e la posò sul ripiano più vicino.
«Capisco il perché della scopata di prima.» rispose lei, sorprendo se stessa per il tono sprezzante con cui aveva pronunciato quelle parole, «Volevi darmi il contentino.»
«Non è vero!» ribatté Richard avvicinandosi a lei, «Meredith... io ti amo, lo sai.» mormorò, «Non era un contentino, assolutamente no.»
«E allora perché non me lo hai detto subito?» domandò Meredith, «Perché?»
Richard sospirò e curvò le spalle, «Scusa.» disse, «Non volevo...» mormorò, «Io pensavo che...»
«Pensavi che non te l'avrei data.»
«No!» fu quasi un grido quello di Richard, «Non pensavo a quello!»
«A me pare di sì.» replicò Meredith sentendosi male per quello che lei reputava un tradimento, «Prima avresti dovuto dirmi che sabato non ci saresti stato e dopo io avrei deciso se farlo oppure no.» disse, «Ma così... mi hai... mi hai...» si fermò e sospirò, «Mi hai tradito, hai tradito la mia fiducia.»
Richard le prese le mani, «Non volevo, giuro!» esclamò e sussultò quando Meredith, con uno strattone, si liberò. «Credimi, per favore.» pigolò.
«E settimana prossima è San Valentino... oltre a uscire a cena Giovedì uscirete anche Sabato?» domandò Meredith e le bastò guardare Richard per capire che aveva ragione, «Ecco e poi dici che non è stato un contentino.»
«Non posso dire di no a Rosalie...» sussurrò lui, «È mia moglie...»
«E io cosa sono?» chiese Meredith, «Eh, cosa sono? Solo una che ti scopi perché è troppo stupida e innamorata per dirti di no?»
Richard la guardò e sospirò, «Non dire così.» sussurrò, «Tu non sei stupida.» disse a bassa voce, «Io ti amo.» mormorò, «Sul serio.»
Meredith rimase in silenzio per qualche istante, poi sospirò. «Non ti credo.»
«Non mi credi?» fece Richard, «Perché?»
«Perché mi hai usato.» rispose lei.
«Non era mia intenzione.» mormorò Richard prendendole di nuovo le mani. «Meredith... io ti amo, giuro.» disse guardando gli occhi azzurri di Meredith, «E mi dispiace averti fatto soffrire...» aggiunse, «Ero arrabbiato con Rosalie perché non mi aveva detto nulla, con me perché non ho saputo dirle nulle, con te perché anche se non hai fatto nulla io sono pazzamente e perdutamente innamorato di te...» sorrise, «Ti prego, ti supplico,» aggiunse stringendole le mani, «Perdonami.»
Meredith lo guardò, «Non riesco a crederti.» disse, «Avresti dovuto dirmelo prima o dirle di no.»
«Dire di no a mia moglie che vuole festeggiare il nostro anniversario?» fece Richard, «E con quale scusa?» chiese.
«Quando pensi di dirglielo?»
«Dirle cosa?»
«Di me, di noi.» rispose Meredith. Richard sospirò e guardò verso il basso, «Non vuoi dirle nulla.» fece un sorriso sarcastico, «Vuoi che rimanga il tuo piccolo segreto, vero?»
«Non posso dirglielo, ora che ci stiamo rimettendo in piedi.» sospirò lui, «E poi i bambini sono piccoli...»
«E io dovrei aspettare almeno quindici anni, fino a quando anche Chris non andrà al college?» domandò lei, «O peggio, diciotto anni?»
«No.» rispose lui e la sua voce era flebile e poco convincete, «Meredith, quelli sono i miei bambini.»
«Potresti fare il padre anche se ti separi.»
«Tu non conosci Rosalie e come la pensano lei e la sua famiglia... non bisogna dare scandalo.»
«E io sono quella che ci rimette, perché guai se si rovina la perfetta immagine della perfetta coppia, della perfetta famiglia.» esclamò Meredith, «Peccato che tu l'abbia già rovinata, quell'immagine, il giorno in cui mi hai baciato.»
«Meredith...» sospirò Richard e fissò le mani di lei che si spostavano dalle sue, «Cerca di capirmi, non posso fare questo.»
«E quindi quella era una scopata d'addio, vero?»
«No!» esclamò lui, «Io ti amo, ma non posso....»
Meredith si voltò, «Bene, perfetto.» disse, «Allora vorrà dire che uscirò con Albert tutte le volte che me lo chiederà.» aggiunse e sorrise quando vide l'espressione di Richard.
«Non puoi!» squittì lui.
«Oh, sì che posso!»
«Io non voglio!» replicò Richard, «Ti proibisco...»
«Mi proibisci cosa?» domandò lei, «Di uscire con il mio migliore amico?» chiese e Richard annuì, «Bhe, Richard, ti do una bella notizia: io e te non siamo nulla.»
«Non è vero.» disse lui e Meredith capì che stava soffrendo, ma al momento non le importava poi molto, «Noi siamo... noi ci amiamo.» sussurrò, «Io ti amo.»
«Però non lasceresti mai la tua moglie perfetta.»
«Non...»
«Allora io esco con chi voglio.» disse lei. «E hai il sabato libero.» disse.
«Oh, Meredith... mi dispiace.» sussurrò lui, «Non fare così...» disse, «Glielo dirò, giuro.» aggiunse e le posò le mani sulle spalle, «Dammi un paio di mesi... poi le dirò tutto, promesso!»
Meredith lo guardò, «Non ci credo.» disse, «Facciamo così, tu prima glielo dici, poi io ti perdono.»
«Sei solo arrabbiata perché non ti ho detto subito di sabato.» disse Richard e fece un sorriso triste, «E hai ragione, lo so.» mormorò, «E mi dispiace.» sospirò, «Ti lascio stare, torno a lavorare.» mormorò e fece un altro sorriso triste, si voltò e tornò alle bombolette.
Meredith lo guardò, infuriata per quello che aveva detto, per quello che aveva fatto, per quello che non voleva dire. Andò nel retro e prese il cellulare dalla borsa.
“Sabato sera ci sono. Andiamo a ballare dopo cena?” scrisse e inviò il messaggio ad Albert.

***

Meredith trangugiò un gran sorso della sua Caipiroska alla mela verde e sorrise ad Albert, non sapeva perché ma le sembrava molto più bello del solito.
«Meredith... che ti prende?» domandò il ragazzo alzando la voce per farsi sentire sopra la musica e gli schiamazzi.
«Niente.» sorrise lei — un sorriso un po' storto, causato dall'alcol ingerito — «Voglio solo divertirmi!» disse e bevve ancora, fissò il bicchiere, i cubetti di ghiaccio e i pezzetti di mela, aiutandosi con il bastoncino ne prese uno e lo mangiò. «Dopo balliamo?» domandò.
Albert la fissò, chiedendosi se ci fosse qualcosa che non andasse nella sua amica, poi si disse che probabilmente aveva litigato con la persona con cui si frequentava — ed esultò a questo pensiero anche se una piccola parte di lui si rese conto che non era giusto ma non poté farne a meno — così sorrise, «Certo.» rispose, «Finisci di bere. Piano, però, altrimenti svieni.»
Meredith annuì vigorosamente, «Okay, Albert.» disse anche se risuonò più come un farfuglio che due parole ben distinte.
Dieci minuti dopo erano sulla pista e Meredith si muoveva al ritmo della musica, cercando di dimenticarsi perché si stesse comportando così, “È colpa dell'alcol.” si disse, cercando di scacciare quel pensiero che da due giorni occupava la sua mente: “Ho perso Richard.”; “Non è colpa mia.” si disse, “È solo colpa sua!” pensò, poi intravide Albert che la guardava e gli sorrise mentre gli cingeva il collo con le braccia, sapeva che in quel momento Richard era con Rosalie, magari stavano passeggiando mano nella mano oppure si stavano baciando oppure... chiuse gli occhi a quel pensiero.
Dopo tre canzoni e mezzo Meredith si scusò con Albert e andò in bagno, mentre si lavava le mani udì come un ronzio provenire dalla sua borsetta e capì che era il suo cellulare che vibrava, si domandò come mai non sentisse la suoneria, scrollò le spalle, in fondo non le importava e sentiva come se la sua testa fosse piena di ovatta e dava la colpa a quello se non sentiva la suoneria.
Si asciugò le mani e prese il cellulare e aprì l'SMS senza guardare chi lo mandasse e sussultò quando lesse quelle parole: “Ti prego perdonami.”
Inspirò a fondo mentre si domandava il significato di quelle tre parole, se si riferivano alla loro litigata o al fatto che il giorno prima non avevano scambiato che poche parole o ad altro. Meredith spalancò gli occhi truccati di verde al pensiero che, magari, Rosalie fosse incinta e quel pensiero fu come una sequenza di pugni nel suo stomaco, perché avrebbe significato che Richard non sarebbe mai stato suo, che sarebbe rimasta, probabilmente per sempre, l'altra. Deglutì un paio di volte, mentre un mare di pensieri le vorticava in testa. Dopo un paio di minuti si riscosse, infilò il cellulare nella borsetta e uscì dal bagno.
«Ho ancora sete.» disse ad Albert e senza aggiungere altro si voltò e andò verso il bar dove ordinò un'altra Caipiroska alla mela verde.
Non le importava di ubriacarsi, che il giorno dopo avrebbe avuto un mal di testa atroce, che probabilmente avrebbe vomitata anche l'anima... soffriva e voleva smettere di soffrire.

Albert fermò l'auto davanti alla casa di Meredith. «Stai bene?» domandò.
Lei annuì e sorrise, «Sto benissimo.» rispose, «Ti va di entrare?» domandò.
Albert la fissò, sorpreso, «Sei sicura?»
«Mai stata così sicura.» mormorò lei stringendogli la mano. Voleva vendicarsi di Richard e sapeva come fare.
I due entrarono in casa e Meredith si avvinghiò ad Albert appena chiuse la porta. Immaginò che quelle labbra e quelle mani fossero quelle di Richard ma lo sapeva — la sua parte cosciente lo sapeva — che era Albert quello che la stava baciando, lo poteva sentire dal profumo, dal modo in cui lui la toccava, i gesti di Richard erano più decisi e sapeva come muoversi per farle provare piacere mentre Albert la toccava e la sfiorava come se fosse la cosa più delicata e preziosa del mondo.
«Oh, ti amo, Meredith.»
Lei aprì gli occhi quando sentì quel sospiro di Albert, poi li richiuse, dicendosi che non era vero, che era solo una frase buttata lì, tanto per dire.
Per un attimo le balenò in mente che fosse sbagliato ma quando le tornò in mente il messaggio di Richard scacciò quel pensiero e si abbandonò ai baci e alle carezze di Albert.

Salve! Nuovo capitolo... ormai siamo quasi alla fine... (forse!)
In ogni caso il capitolo 18 è già pronto, mentre ho iniziato il 19... credo che manchino circa 6/7 capitoli e poi anche quest storia sarà conclusa.
Grazie a che legge, a chi mette la storia in una delle liste e a chi commenterà!

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Capitolo 18
*** Capitolo Diciotto ***


Please Stay (extended version)


Capitolo Diciotto

Meredith si svegliò con la sensazione di aver sbagliato qualcosa, oltre a ritrovarsi con un mal di testa lancinante. Aprì piano gli occhi e si accorse di essere quasi sul bordo del letto, così si girò e per poco non urlò quando vide una sagoma accanto a lei.
Inspirò un paio di volte, chiedendosi cosa fosse successo la sera prima, ricordò di aver bevuto una birra al ristorante, un'altra birra in un locale dove lei e Albert erano stati in attesa che aprisse la discoteca, ricordava di aver ballato, di essere andata in bagno, di aver ricevuto quel SMS da parte di Richard e di essersi diretta subito al bar, dove aveva ordinato la seconda — o era la terza? — Caipiroska della serata e poi...
... e poi cosa?
“Cosa diavolo ho combinato?” si chiese mentre la paura di aver portato a casa uno sconosciuto, magari pure mezzo matto, si faceva strada in lei.
Fissò la figura accanto a lei, la vide girarsi e si portò una mano alla bocca quando si accorse che quello che dormiva accanto a lei non era uno sconosciuto ma Albert.
«Merda.» imprecò sottovoce, «Merda.» ripeté mentre osservava i vestiti sparsi sul pavimento e si accorgeva che era completamente nuda, «Merda.» disse e si alzò, raccattò i suoi vestiti e corse in bagno, gettò il fagotto verso la cesta della biancheria senza badare se fossero caduti dentro o sul pavimento, entrò nella doccia e girò la manopola, rabbrividendo sotto l'acqua leggermente tiepida.
«Cosa ho fatto?» mormorò e si passò le mani sul viso, scostando i capelli dalla fronte, mentre sentiva di aver commesso l'errore più grande della sua vita andando a letto con Albert. Non doveva succedere, non sarebbe mai dovuto accadere... invece era successo e tutto perché voleva vendicarsi.
«Stupida!» mormorò mentre afferrava il doccia schiuma.
Dieci minuti più tardi era in cucina che sorseggiava una tazza di caffè, dandosi ancora della stupida per quello che aveva fatto.
«Ehi, Meredith.»
Lei sobbalzò quando sentì il suo nome e si girò lentamente. «Albert.» borbottò mentre portava la tazza alle labbra e osservò con orrore Albert avvicinarsi verso di lei, il viso proteso in avanti e le labbra spinte in fuori, come se volesse baciarla. “Oh, mio Dio!” pensò, “Vuole baciarmi sul serio!”
In fretta si alzò in piedi stringendo la tazza, pensando per un attimo di usarla come arma o di rovesciare il liquido caldo in testa al ragazzo. «Cosa fai?» squittì mentre si spostava verso sinistra.
Albert la guardò confuso, «Volevo solo baciarti.» disse.
«Baciarmi?» fece lei, «Perché?»
«Come perché?» disse Albert, «Perché stiamo insieme!»
Meredith percepì la sua bocca spalancarsi, “Ma siamo alle medie?” pensò, «Stiamo insieme?» squittì spostandosi ancora.
«Certo.» sorrise lui, «Dopo la notte che abbiamo passato insieme...» disse con dolcezza, «Una splendida notte.»
Meredith inspirò a fondo e non seppe cosa dire così rimase in silenzio per alcuni istanti, «Vuoi del caffè?» chiese con la voce leggermente stridula, «Dovrebbe essere ancora caldo.»
Albert sorrise e le si avvicinò, le sfiorò il viso e le baciò una guancia, «Grazie, amore.»
Meredith si scostò ancora, andando verso la biscottiera, “Cosa diavolo ho combinato?” pensò mentre sgranocchiava un biscotto e fissava Albert che le sorrideva felice. “Sei una deficiente, Meredith, una grandissima deficiente.”

***

Meredith sospirò dal sollievo quando aprì la porta del retro del negozio, Albert aveva iniziato a lavorare alle sette e avrebbe finito come minimo alle tre del pomeriggio, dandole qualche ora di tranquillità. Vide Richard posteggiare e la paura le attanagliò lo stomaco, mentre si rendeva conto che quel pomeriggio avrebbe scoperto tutto. “Pavimento apriti, inghiottimi e sputami in un altro continente!” pregò mentre si stampava in faccia un sorriso, poi si ricordò quello che le aveva fatto Richard e smise di sorridere.
«Hai letto il mio messaggio?» le domandò Richard quando aprirono il negozio.
«Sì.» rispose lei, «L'ho letto mentre ero in discoteca con Albert.»
Le labbra di Richard si unirono, diventando una linea dritta, «Ah, sì?» fece, «Siete andati in discoteca?» domandò cercando di celare la sua gelosia, odiava il pensiero che Meredith fosse andata a ballare e, sopratutto, odiava il fatto che fosse andata con Albert.
Meredith annuì, «Sì, ci siamo andati.» confermò e scartò una caramella, la infilò in bocca e guardò il bancone. «E poi siamo andati a letto insieme.» «Cosa?» gridò Richard, «Tu e lui avete fatto cosa?»
«Già.» mormorò lei, «E ora stiamo insieme.»
Richard sentì il sangue defluire dal viso e sparire dal suo corpo, «State insieme?» gracchiò, «Dovevo aspettarmelo, dopotutto.» sospirò e incurvò le spalle, «Non posso pretendere che tu rimanga libera...»
«Ero sbronza.» confessò lei, «Ieri mattina mi è venuto quasi un infarto quando l'ho visto...» disse e prese un respiro profondo, «E poi lui continuava a dire che stiamo insieme.»
Richard non se ne accorse ma sospirò dal sollievo, se Meredith era ubriaca allora non era in sé, quindi, in un certo senso, non era quello che voleva sul serio. «Ah.» si limitò a commentare. «Se è un errore dovrai dirglielo.»
«Già.» mormorò lei. «Ma la colpa è tua.»
«Mia?» disse lui, «Perché?»
«Perché se non mi avessi fatto incazzare io non avrei proposto ad Albert la discoteca,» piegò e scartò un'altra caramella, «non mi sarei ubriaca e non mi sarei trovata in questa situazione.»
Richard respirò a fondo e prese anche lui una caramella, «Hai ragione.» disse, sorprendendo Meredith e anche se stesso — l'ultima cosa a cui voleva pensare era che fosse lui la causa di quella storia fra Meredith e Albert — «Se non mi fossi comportato da... stronzo, tu non avresti commesso questo... errore.»
Meredith annuì, «Sì, esatto.» disse, «È colpa tua.»
«Immagino che dirti che mi dispiace tantissimo, che mi sento in colpa per quello che è successo e che non mi perdonerò mai per averti fatto soffrire non serva a molto, vero?» domandò Richard con un sorriso triste.
Lei annuì, «Per ora è così.» mormorò.
Richard le toccò il viso e le spostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio destro, «Ricorda che ti amo.» disse.

Meredith ingoiò la saliva mentre leggeva per la seconda volta il messaggio che le aveva inviato Albert: “Queste ore passate lontano da te mi stanno facendo impazzire! Alle quattro sono da te e recupereremo il tempo perduto! Ti amo tanto!” Guardò l'orologio, erano le tre, ancora un'ora e poi... e poi non sapeva neppure lei cosa avrebbe fatto. «Stai bene?» Lei si girò verso Richard, «Sì.» rispose, «No...» si corresse, «Alle quattro arriva Albert.» «Oh.» fece Richard, «Merda.» disse, se Albert era convinto di stare con lei e fosse venuto lì in negozio... non avrebbe più potuto passare un momento da solo con lei e non lo voleva. «Cercherò di mandarlo via con una scusa.» sospirò lei, «E poi stasera gli parlerò.» disse e guardò il viso di Richard, i suoi occhi, le sue labbra... non ci pensò due volte e si buttò fra le sue braccia, stringendosi a lui e premendo le sue labbra su quelle di Richard che rimase per un attimo sorpreso, poi la strinse anche lui e ricambiò il bacio. Meredith sbatté un paio di volte le palpebre come se fosse sorpresa — e in effetti lo era — e aprì la bocca, poi la richiuse e fece un piccolo sorriso. Anche Richard sorrise, «Quindi... mi perdoni?» domandò passando la mano fra i capelli biondi della ragazza. Lei sospirò e abbassò la tasta, «Per ora...» si fermò e alzò il viso, «Sono ancora arrabbiata con te.» Richard annuì e le toccò il viso con due dita, sfiorò la tempia sinistra, percorse la guancia e le toccò le labbra, «Okay.» disse, «Io aspetterò.» mormorò, «E ti prometto che sistemerò la questione, dammi alcuni mesi di tempo.» Meredith annuì e fece un passò indietro quando sentì la porta aprirsi, «Okay.» disse, «È arrivato qualcuno.» aggiunse e si allontanò.

Alle quattro precise entrò Albert, pronto a gettarsi su Meredith e a baciarla ma lei era impegnata con un cliente — stava battendo lo scontrino — così si limitò a stare lì, in piedi, a guardarla e a sorridere.
«Meredith!» disse quando il cliente uscì e si avvicinò a lei, «Sono così felice...»
Lei lo guardò e sentì il panico scorrere in ogni fibra del suo corpo. «Ciao.» squittì. «Andiamo a prenderci un caffè?» gli propose, «Richard...tu lo vuoi?»
«Ehm... sì, grazie.» rispose l'interpellato.
Meredith sorrise ad entrambi, «Vado a prendere la giacca e la borsa.» disse ad Albert e corse nel retro del negozio.
Richard diede le spalle ad Albert e iniziò a fischiettare mentre spolverava alcuni scaffali, sperando che Albert non gli dicesse nulla, altrimenti — ne era sicuro — gli avrebbe dato un pugno in testa.
«Andiamo?» disse Meredith, «Non stiamo via molto.» si rivolse a Richard, spinse l'amico verso la porta e respirò una boccata d'aria fresca quando uscì.
Un paio di minuti dopo erano nel bar, seduti a un tavolino, e Meredith strinse il menu, anche se sapeva cosa scegliere.
«Non mi dai un bacio?» le domandò Albert avvicinandosi a lei.
«Non mi piacciono le effusioni in pubblico.» replicò lei.
«Da quando?» domandò Albert e le toccò i capelli, rimanendoci male quando lei si scostò.
«Da adesso.» rispose lei. «Un ginseng con il latte e una brioche al cioccolato.» ordinò alla cameriera e sperò che rimanesse lì, invece la ragazza prese le ordinazioni, sorrise e se ne andò.
«Meredith... cosa c'è?» chiese Albert quando vide Meredith congiungere le mani e intrecciare le dita per evitare la sua mano. «Perché fai così?»
Lei inspirò a fondo, «Non mi piacciono le effusioni in pubblico.» ripeté, «Lasciami stare.» aggiunse e sciolse le mani e le infilò sotto alle cosce, lontano dalla presa del ragazzo.
«Meredith...» sospirò Albert, «Che cosa hai?» domandò e le toccò i capelli.
«Sono stanca.» rispose lei, «E se mi stai addosso peggiori le cose.»
«Peggioro le cose?» domandò Albert e Meredith notò la delusione nella sua voce, «Amore... io ti amo.» le bisbigliò.
Meredith lo guardò sapendo che era il momento di dire la verità ma la cameriera arrivò con le ordinazioni.
«Meredith... mi ami?» le chiese con un sussurro il ragazzo.
«Ehm... ecco... io credo che...» borbottò lei mentre prendeva la schiuma di latte con il cucchiaino, «Stai andando troppo in fretta.» disse e si diede dell'idiota per non aver detto la verità.
«In fretta?» la fronte di Albert si corrugò mentre prendeva in mano una bustina di zucchero, «Dopo tutti questi anni!»
Meredith tacque e mangiò la sua brioche mentre sorseggiava il caffè al ginseng. «Stai andando in fretta.» ripeté. «Mi metti ansia.» disse con la bocca piena.
Albert annuì e fece un sorriso triste. «Come vuoi.» mormorò e toccò la mano di Meredith, «Andrò più piano.»
Lei annuì e sospirò, non era così che doveva andare ma non trovava il coraggio di dire nulla al ragazzo.

«Che cosa...» esclamò Meredith quando entrò in negozio, seguita da Albert.
«Sono arrivate le robe che hai ordinato.» rispose Richard e la ringraziò quando lei gli diede il bicchiere di carta con il caffè macchiato.
«Arrivavano oggi?» fece lei, «Me ne sono dimenticata.» sospirò.
«Ti aiuto io!» esclamò Albert.
«No.» disse lei, «Saresti d'intralcio.»
«Ma se mi dici dice mettere le cose farai più in fretta!» replicò lui.
Richard sorrise e sorseggiò il caffè. «Sono cose nuove, non sappiamo neppure noi dove metterle.» disse.
Albert gli lanciò un'occhiataccia, «Stai zitto, non stavo parlando con te.» ringhiò, «Io rimango qui e aiuto Meredith.»
«Albert... hai visto il pavimento?» domandò lei, «È pieno di roba, facciamo fatica a camminare, come pensi di aiutarmi se non so nemmeno io da dove cominciare?»
«Ma se mi dici cosa fare... io ti aiuto.» pigolò Albert, «Io voglio aiutarti.» aggiunse e scavalcò una scatola, avvicinandosi a Meredith, «Voglio starti vicino, mi sei mancata in queste ore...» disse e sorrise prendendo le mani della ragazza.
«Vai a casa.» replicò lei, «Qui non servi, ci fai solo perdere tempo e saresti d'intralcio.» disse e fissò gli occhi azzurri di Albert che cominciavano a inumidirsi, «Ci vediamo dopo il lavoro, per un aperitivo.» aggiunse con tono dolce.
«Okay, come vuoi.» mormorò lui e si avvicinò per baciarla ma Meredith spostò il viso all'ultimo momento e Albert le baciò la guancia prima di fissarla con delusione. «Niente bacio?» pigolò.
«Non mi piacciono le effusioni in pubblico.» disse Meredith e gli baciò una guancia, Albert sospirò e uscì dal negozio. «Ma che carini.» commentò Richard fissando Albert che scendeva le scale, «Una bella coppietta.»
«Oh, taci, per favore.» borbottò Meredith, «Dai, diamoci una mossa.»
Un'ora e mezza dopo avevano sistemato tutto quanto, «Credi che qualcuno le comprerà?» domandò Richard.
Meredith alzò le spalle, «Bhe... un paio di persone me li hanno chiesti.» disse indicando l'espositore con il materiale da decoupage e pasta da modellare, «Quindi credo di sì.» rispose, «E poi su internet è pieno di tutorial e di gente che vende oggettini fatti con la pasta da modellare... quindi sono fiduciosa.»
Richard si appoggiò accanto al bancone e incrociò le braccia al petto. «Okay.» disse, «Il capo sei tu.» aggiunse e sorrise.
I due rimasero in silenzio, poi Richard si schiarì la voce, «Stasera parli con Albert?» chiese.
«Sì.» sospirò lei, «Devo farlo.» disse, «Quando stamattina sono finalmente riuscita a buttarlo fuori di casa era come se avessi baciato... mio fratello.» borbottò, «Bleah.» fece una smorfia di disgusto.
«Come se avessi baciato tuo fratello, eh?» disse Richard cercando si trattenere una risata, quello che aveva detto Meredith lo confortava, il sapere che era disgustata dal baciare Albert lo riempiva di gioia.
«Oh, non provare a ridere!» lo sgridò lei, «Questa situazione è... totalmente assurda!» disse e si coprì il viso con le mani, «È un gran casino!»
Richard la guardò incerto su cosa fare, dopo qualche secondo alzò il braccio e lo posò sulle spalle della ragazza, «Andrà tutto bene, lo prometto.» sussurrò.
Meredith annuì, «Okay.» mormorò, «Adesso dobbiamo lavorare.» disse e si allontanò.
Richard la guardò e sospirò, voleva che lei lo perdonasse, che tornasse a guardarlo con occhi innamorati ma sapeva che ci voleva un po' di tempo, sperò soltanto che mollasse in fretta Albert.

***

Meredith sospirò quando vide i suoi amici seduti ai tavolini esterni del bar. «Albert... se cerchi di prendermi per mano un'altra volta giuro che te la taglio e te la ficco in quel posto.» disse e incrociò le braccia.
«Meredith... non capisco.» fece lui, «Non sei felice?» chiese, «Perché non vuoi che gli altri sappiano che stiamo insieme?»
“Forse perché noi non stiamo insieme!” pensò lei, «Perché sono affari nostri.» disse e camminò velocemente, attraversò la strada e raggiunse le ragazze, «Marissa...» mormorò, «Perché piangi?» domandò sedendosi sull'unica sedia libera.
«Toby è morto stamattina.» singhiozzò l'altra mentre Claire e Alexia le accarezzavano la schiena.
«Oh.» fece Meredith, «Mi dispiace tantissimo.» mormorò stringendo la mano di Marissa. Toby era il cane di Marissa da ormai quindici anni, era un grazioso meticcio bianco e nero e la ragazza gli era molto affezionata.
«Piangi per un cane?» borbottò Albert, «Che stupidata.»
Marissa singhiozzò più forte, «Albert! Sei veramente un'idiota!» sbottò Meredith.
Albert la fissò e sospirò, chiedendosi cosa le prendesse e perché non sembrasse felice anche lei, perché lui lo era. Se avevano fatto l'amore voleva dire che lei aveva mollato il tizio con cui si frequentava e che lo amava anche lei.
Durante la durata dell'aperitivo — un'ora circa — Meredith rimase sempre con Marissa, Alexia e Claire, pregando che Albert tenesse la bocca chiusa con gli altri; poi si salutarono e ognuno andò verso la sua strada.
«Dove vai?» domandò Albert seguendo Meredith.
«A prendermi una pizza.» rispose lei fermandosi sul ciglio della strada, in attesa che la macchina che arrivava da sinistra passasse,
«Pizza?» fece Albert, «Sarebbe la seconda volta in una settimana... pensavo che stasera avremmo fatto una cena leggera.»
«Cosa?» esclamò lei attraversando la strada, «Vuoi cenare insieme a me?» squittì e Albert annuì con un grosso sorriso stampato in faccia, «Tre sere di seguito? No, Albert, stasera mangio la pizza e la mangio da sola.» disse.
«Non vuoi stare con me questa sera?» pigolò Albert, «Perché?»
Meredith sospirò e spinse la porta della pizzeria d'asporto, «Perché ho bisogno dei miei spazi.» disse, «Una pizza gigante, per favore.» sorrise al ragazzo alla cassa, «Metà ai quattro formaggi, metà al salmone e gamberetti.»
«Meredith...» mormorò Albert stringendole con dolcezza il gomito, «Ho fatto qualcosa che ti ha offeso?» pigolò.
«No.» rispose lei e andò a sedersi su uno degli sgabelli in attesa che la pizza fosse pronta.
«E allora perché?»
Meredith sbuffò, «Perché mi stai troppo addosso, ecco perché.» disse, «Oggi mi hai mandato otto messaggi.» aggiunse, «Otto, ti rendi conto?»
«Volevo solo farti capire che...» mormorò Albert.
«Sono troppi.» ribatté lei senza dargli il tempo di finire, «Senti, Albert... sono solo stanca, voglio solo andare a casa, cenare, farmi un bel bagno caldo e rilassante e dormire come un sasso per almeno sette ore di seguito.»
Lui annuì, l'ultima cosa che voleva era farla arrabbiare, così sorrise e le toccò il braccio, «Va bene.» disse, «Anche io ho bisogno di dormire, domani inizio alle sette.» aggiunse, «Vengo al negozio nel pomeriggio, okay?»
Meredith strinse il bordo dello sgabello, «Ah.» fece, «Come vuoi.» disse, «Però saresti una distrazione...» borbottò e sussultò quando il pizzaiolo l'avverti che era pronta la pizza, così saltò giù dallo sgabello, afferrò una bottiglia di Coca-Cola dal frigo e andò a pagare.
«Ti aiuto a portarle in macchina.» disse Albert prendendo la bottiglia e la pizza gigante.
«Grazie.» sorrise lei mentre infilava il portafogli in borsa.
Quando Albert chiuse la portiera del passeggero fece il giro dell'auto, andando di fronte a Meredith, «Ci vediamo domani.» disse dolcemente, e si chinò versò di lei, Meredith strizzò gli occhi e rimase rigida quando sentì le labbra di Albert sulle sue.
«Ciao.» disse lei stringendo forte le chiavi dell'auto, «A domani.» sospirò ed entrò in auto, con la mano che tremava infilò la chiave nel blocco dell'accensione e partì, sentendosi male per quel bacio.
Male perché sapeva che stava facendo soffrire Albert facendogli credere una cosa che non era assolutamente vera, perché quel bacio, dato con tanta dolcezza, era peggio di quello che aveva ricevuto quello mattina, ingoiò la saliva e sentì la nausea stringerle lo stomaco.

Meredith entrò nella sua camera e guardò il letto disfatto e si sentì male, per aver fatto sesso con Albert nel suo letto, in quel letto dove lei e Richard avevano fatto l'amore; si avvicinò a piccoli passi al materasso, con la paura che Albert potesse spuntare dall'imbottitura da un momento all'altro, tolse il copri materasso e il lenzuolo con angoli, afferrò le maniglie del materasso e lo tirò giù dalla rete, con qualche spinta e grugnito riuscì a metterlo in piedi e lo spinse fuori dalla stanza, lo appoggiò contro il muro e fece un grande respiro mentre si passava la mano sulla fronte sudata, andò nella stanza degli ospiti, disfò il letto e spinse il materasso in camera sua.
Una volta sistemato sulle doghe di legno si gettò su di esso, sentendosi esausta. Rimase qualche minuto così, con gli occhi chiusi e il respiro affannoso, poi si alzò e andò in cucina, prese dal forno spento due fette della pizza che aveva avanzato e le mise nel microonde a scaldare — tutto quel movimento le aveva fatto venire fame — e le mangiò guardando la televisione, pensando che avrebbe bruciato quel materasso o al limite lo avrebbe portato in discarica, in ogni caso non lo voleva più in casa sua.

***

«Albert!» strillò Meredith, «Piantala!» gridò in mezzo alla piazza — stavano andando a prendersi un aperitivo al solito bar, «Non starmi così vicino, mi fai venire l'ansia!»
Alle quattro Albert era arrivato in negozio ed era rimasto lì, incurante delle sue proteste, dei suoi strilli e delle sue urla. Il ragazzo aveva quasi dato un pugno a Richard quando quest'ultimo gli aveva detto di levarsi dalle scatole perché era proprio appoggiato allo scaffale su cui doveva sistemare le scatole porta-attrezzi.
Meredith non ne poteva più, era sicura che se la sarebbe presa con chiunque, anche se non c'entrava nulla.
«Ma Meredith...» pigolò lui, non capendo cosa stesse succedendo, quel sabato era stata la giornata — e la nottata — più bella della sua vita, «Perché fai così?» domandò seguendola — e Meredith stava camminando velocemente — attraverso la piazza, «Non sei felice che stiamo insieme?» chiese una volta che la raggiunse al bar.
«State insieme?» commentò Greg, un loro amico, «Wow, è così... bizzarro, voi due, insieme.»
«Noi non stiamo insieme!» esplose Meredith guardando Albert e ignorando gli amici che commentavano quella novità, «Sei stato tu a dirlo, non io!» gridò.
«Ma noi abbiamo fatto l'amore...» mormorò Albert sentendo il cuore sbriciolarsi e dei coltelli che attraversavano il suo corpo, colpendolo ripetutamente, «Tu hai preso l'iniziativa...»
«Ero ubriaca!» gridò lei, «Santo Dio, Albert, ma ti senti?» esclamò, «Parli come una quindicenne alla prima cotta: “oh, mi ha baciato quindi adesso stiamo insieme!”... svegliati! Noi non stiamo insieme! Ero sbronza, incazzata e mi sarei scopata anche il primo che mi passava davanti!» gridò.
«Ma io...» mormorò Albert, il volto pallido e gli occhi lucidi dalle lacrime, «Io ti amo... ti sto dimostrando il mio amore!» disse alzando la voce.
«Tu mi asfissi, per la puttana!» esclamò lei agitando le braccia, si scostò la frangia dagli occhi e inspirò a fondo, «Sei sempre appiccicato al mio culo, nemmeno fossi un cagnolino scodinzolante! Ringrazia il cielo se non ti ho preso a sberle in questi ultimi tre giorni perché ne avresti bisogno! Mi hai mandato quindici messaggi e mi hai chiamato otto volte in otto ore!» continuò, «Smettila di assillarmi, altrimenti provo la nuova sparachiodi su di te! Io non ti amo, cacchio, sei il mio migliore amico!» urlò, «E se continui così non sarai neppure quello!» finì e respirò rumorosamente, accorgendosi che era davanti al bar che frequentava di solito, che tutti la stavano guardando e che, dall'altra parte della strada, c'erano Richard, sua moglie e i loro due bambini.
«Non mi ami?» pigolò Albert appoggiandosi alla colonna dietro di lui, «Perché?» domandò in un sussurro e fece un passo avanti, domandandosi cosa fosse successo a Meredith, perché si comportasse così.
«Io non ti amo!» esclamò lei, si voltò ed entrò nel bar. «Dammi una doppio malto qualsiasi e non dire una sola parola.» disse a Jacob, il barista e proprietario del bar, afferrò il boccale e andò a sedersi nel tavolino più lontano, afferrò il quotidiano locale e iniziò a sfogliarlo lentamente, leggiucchiando qualche articolo.
«Albert è in preda a una crisi isterica.»
Meredith alzò gli occhi e guardò Greg, «Se non capisce le cose non è colpa mia.» disse.
«È sconvolto.» disse il ragazzo, «Povero.»
Meredith prese un grande sorso di birra, «È lui che ha fatto tutto; è lui quello convinto di stare con me, che lo amassi...» borbottò, «Io ero ubriaca.» disse, «Se non lo ha capito non è colpa mia.» disse e si accorse di avere la voce rauca e la gola secca, bevve ancora due lunghi sorsi e alzò gli occhi, fissando Albert che la guardava, sospirò e abbassò la testa, girò la pagina del quotidiano.
«I necrologi sono interessanti?» le domandò Greg.
«Una signora è morta a novantanove anni.» commentò lei, «Neanche la soddisfazione di essere arrivata a cento.»
«Povero Albert.» sospirò Greg.
«Se ti sta così simpatico perché non ti metti con lui?» sbottò lei chiudendo il quotidiano.
«Dai, povero Albert, ci è rimasto male.» disse l'altro, «Potresti essere un po' più gentile con lui.»
Meredith lo ignorò e infilò in bocca un paio di patatine. «Se non mi fosse rimasto attaccato al culo forse sarei stata più gentile con lui.» borbottò e bevve ancora, «Santo Cielo, nemmeno un quindicenne è così asfissiante.»
Greg sorrise e alzò le spalle mentre Albert entrava nel locale, così Meredith finì la birra, pagò ed uscì, oltrepassando Albert senza guardarlo, e sospirò quando fu all'aria aperta. Camminò lentamente mentre si dirigeva verso casa sua — era venuta lì con Albert — e sperò che il ragazzo non la seguisse.
«Meredith!» la chiamò lui dopo una decina di minuti.
Lei sospirò e strinse la borsetta al corpo, l'ultima cosa che voleva era girarsi e vedere Albert piangere. «Cosa c'è?» domandò senza voltarsi.
«Perché?» fece lui, «Che cosa ha il tizio con cui stai più di me?»
«Io non sto con nessuno!» esclamò lei fermandosi di colpo, si girò e guardò l'amico, «Senti, Albert.» sospirò, «Tu sei sempre stato il mio migliore amico.» disse, «E voglio che continui ad esserlo.»
«Potrei continuare ad esserlo.» pigolò lui facendo un passo avanti, «Potrei essere il tuo ragazzo e il tuo migliore amico.»
«Ma io non voglio essere la tua ragazza.» replicò lei, «Albert...» fece un respiro profondo, «Io non ti amo.» disse, «Dovresti trovarti una ragazza che ti ama sul serio, come meriti.» aggiunse e sorrise — era una cosa che aveva sempre pensanto — , «E non sono io quella persona.»
«Potresti esserlo.» replicò lui.
Lei scosse la testa, «No.» disse, «Sarebbe una sofferenza per entrambi.» replicò, «Per me perché starei con una persona che non amo, per te perché saresti con una persona che non ti ama.» disse, «Ascoltami... fai passare qualche giorno, poi ci facciamo una bella chiacchierata.» sorrise e baciò la guancia del ragazzo.
«Meredith...» sussurrò lui.
«Adesso tu stai qui mentre io vado a casa.» disse lei. «Buona serata.»
Albert la guardò andarsene, sapendo che se non voleva stare con lui era colpa di quell'altro e lui avrebbe voluto tanto sapere chi fosse per dargli un bel pugno in faccia. Così si limitò ad annuire e a fare un piccolo sorriso, poi si girò e tornò indietro.

Meredith afferrò il piatto con il vitello tonnato e lo posò sul tavolo della cucina, era una fortuna che suo fratello e sua cognata gestissero il supermercato locale: bastava che lei compilasse la lista della spesa e Jacob glie prendeva tutto e gliela portava direttamente a casa.
Sbuffò quando il suo cellulare squillò, abbassò il volume della tv e guardò il cellulare sorridendo alla vista del numero di Richard.
«Ehi, Meredith.» disse lui, «Disturbo?»
«No.» disse lei, «Stavo per mangiare.» sorrise.
«Okay.» ridacchiò lui, «Volevo solo sapere se stai bene.» disse, «La tua scenata è stata... bhe, epica.»
«Oh.» fece lei, «Guarda, non mi ero neppure accorta che stessi gridando.» disse, «Anzi, non mi ero accorta di essere in mezzo alla gente!»
«Stai bene sul serio?» chiese lui e Meredith si accorse della sua preoccupazione nella sua voce.
«Sto bene.» rispose lei, «Sei molto dolce.» disse.
«Sei hai problemi... bhe, lo sai.» esclamò lui.
Meredith sorrise, sapendo che c'era di più dietro quelle parole. «Lo so, grazie.» disse, «Però adesso vorrei proprio mangiare!» esclamò.
Richard rise, «Sì, okay.» disse, «Anche qui è ora di cena.» aggiunse, «Ah, prima che mi dimentichi e anche perché Emily mi sta dando i calci... non si dicono brutte parole, Meredith! Non si fa.»
Lei rimase un attimo spiazzata, «Oh.» fece, «Okay, scusa.» ridacchiò. «Ci vediamo domani.»
«A domani.» disse lui e riattaccò.
Meredith sospirò e posò il cellulare. Aveva detto così tante “brutte parole” da far impressionare una bimba di quasi sei anni?
“Per fortuna che non era il momento in cui le vecchiette uscivano da messa.” pensò mentre tagliava la carne. Leccò la salsa dal coltello, decidendo che sarebbe andata a letto presto quella sera, decise anche che da quel momento non avrebbe pensato a Richard o ad Albert, almeno fino al mattino dopo.

Buon Natale!
COme regalino vi lascio questo capitolo, spero lo apprezerete!
E ringraziate quel sant'uomo di Ben Montague che mi ha stellinato di nuovo *o*
*sparge amore*

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Capitolo 19
*** Capitolo Diciannove ***


Please Stay (extended version)


Capitolo Diciannove

Meredith sospirò e guardò la porta del retro del negozio, aveva le chiavi in mano ed era lì da almeno cinque minuti, indecisa su cosa fare. Se fosse stato per lei, sarebbe fuggita ma non poteva.
«Guarda che non si apre da sola.»
Meredith sorrise e si girò verso Richard. «Volevo vedere se bastava la forza forza del pensiero.» esclamò, cercando di simulare un'allegria che non provava, l'ultima settimana era stata... sfiancante. Fece un altro sorriso e infilò la chiave nella serratura, sentì Richard dietro di sé e aprì la porta, entrò e sospirò.
«Tutto bene?» le chiese lui mentre appendeva il cappotto.
«Insomma.» fece lei e scrollò le spalle, «Albert è... asfissiante.» sospirò, «Continua a chiedermi perché, se c'è un altro...»
«E tu cosa gli rispondi?» domandò Richard e afferrò il piumino della ragazza, sentendosi geloso.
Meredith sospirò e accese le luci del negozio, «Che non ho un altro, gelosone che non sei altro.» commentò con un sorriso. «E che quello che abbiamo fatto è stato un errore, anche se lui continua a dire che non è vero.»
Richard sorrise e spinse il pulsante per alzare la saracinesca, e si girò verso Meredith, «Era quello che sperava.» disse, «Hai distrutto i suoi sogni.»
Meredith sospirò, «Non me ne ero accorta.» ammise, «Che l'abbia fatto solo per gelosia?»
Richard alzò le spalle, «Non so.» rispose non volendo dirle quello che pensava fin da quando l'aveva conosciuta: Albert era innamorato di lei da anni. «Non preoccuparti troppo.» disse e le posò un braccio sulle spalle. «Andrà tutto bene.» la rassicurò, anche se non ne era sicuro neppure lui.
Meredith gli sorrise e gli baciò una guancia, «Grazie.» mormorò.

Meredith sospirò quando, quel pomeriggio, la porta si aprì ed entrò Albert, gli occhi bassi e l'espressione da cucciolo abbandonato.
«Possiamo parlare?» mormorò avvicinandosi al bancone della cassa. «Per favore?» aggiunse fissando Meredith.
Richard era qualche metro più in là e anche se era impegnato a pulire uno scaffale — una latta di vernice si era rovesciata e aperta, sporcando la scaffalatura di alluminio — non si perdeva una parola.
Meredith inspirò lentamente e guardò Albert, dicendosi che avevano già parlato e che, secondo lei, non c'era altro da aggiungere. «Albert...»
«Per favore!» supplicò lui afferrandole le mani.
Richard si voltò e li fissò, pronto a scattare nel caso Albert avesse fatto del male a Meredith.
«E va bene.» sospirò lei, «Cinque minuti.» disse e Albert annuì, felice. La ragazza si allontanò da lui e passò accanto a Richard, che la guardò, preoccupato per lei. «Andiamo solo a prendere un caffè.» mormorò lei e Richard annuì, anche se avrebbe voluto dirle che non le andava bene. La guardò andare nel retro e si girò verso Albert, lo straccio sporco di vernice e trielina in mano. L'altro lo fissò di rimando e incrociò le braccia al petto.
Richard temette, per un singolo e lungo istante, che Albert sapesse tutto e che quella fosse solo una sceneggiata.
Inspirò a fondo e avanzò verso la cassa, afferrò un po' di carta assorbente e guardò Albert, «Come va?» domandò.
«Come vuoi che vada?» ringhiò l'altro in risposta, «La donna che amo non mi vuole.» sospirò, «Se scopro chi è il tizio con cui sta insieme... perché sono sicuro che sta con uno... giuro che gli faccio passare la voglia di pucciare il biscotto nei cappuccini altrui.»
Richard represse un sorrisetto, «Oh, bhe...» scrollò le spalle, «Torno a pulire.» disse e si allontanò.
Meredith tornò in negozio, lanciò una breve occhiata a Richard, «Andiamo, Albert.» esclamò, «Richard... vuoi qualcosa?» domandò.
«Un cappuccino e un muffin al cioccolato.» rispose l'interessato e Meredith si limitò ad annuire.
«Allora... di cosa vuoi parlare?» domandò Meredith dopo che ebbero ordinato.
«Io... io...» sospirò Albert, «Voglio sapere perché.» disse, «Perché prima ti comporti in un modo e poi in un altro e perché non vuoi dirmi con chi stai.»
«Io non sto con nessuno.» sospirò Meredith. «E del resto ne abbiamo già parlato a sufficienza.»
«Ma io voglio sapere!» squittì Albert e Meredith temette che potesse scoppiare in lacrime da un momento all'altro.
«Te l'ho già spiegato.» disse lei abbassando la voce — l'ultima cosa che voleva era fare un'altra scenata — «Tu sei il mio migliore amico... e basta.» sospirò, «Non mi sembra difficile da capire.» aggiunse e sorrise alla cameriera che portò le loro ordinazioni. «Senti... mi dispiace per quello che è successo ma non deve accadere mai più.» fece un piccolo sorriso e accarezzò il viso di Albert, una carezza consolatoria.
Richard, intanto, era davanti alla vetrata del negozio, lo sguardo fisso sul bar. Meredith aveva detto “cinque minuti” ma ne erano passati quasi quindici e lui era in ansia. Sospirò e si voltò, sapendo che se fosse rimasto lì a guardare il tempo sarebbe scorso più lentamente e Meredith non sarebbe mai arrivata. Passò davanti all'espositore delle paste da modellare e si fermò. Ormai era San Valentino e lui aveva già preso un regalino per Meredith, anche se avrebbe voluto passare quella serata con lei. Così, d'impulso, afferrò una scatoletta di cartone a forma di cuore, la pasta modellante rossa e quella bianca, un set di attrezzi per modellare la pasta e della vernice trasparente.
Batté tutti i prezzi alla cassa, infilò gli acquisti in un sacchetto che appese sotto alla sua giacca e pagò. Sospirò, guardando la vetrata, dicendosi che se Meredith non fosse tornata entro due minuti, sarebbe andato a cercarla. Non si fidava di Albert. Stava per aprire la porta per andare al bar, quando vide uscire Meredith dal bar, così rientrò e andò dietro la cassa.
«Tutto bene?» le domandò quando lei entrò in negozio.
Meredith annuì e sospirò, «Sì.» rispose, «Insomma... non capisce.» disse e posò il cappuccino e il muffin per Richard sul bancone, «Continua a chiedermi se ho un altro, chi è e perché non glielo voglio dire.»
Richard prese il muffin e lo divise in due, «E tu cosa gli hai risposto?» domandò prima di infilare in bocca un pezzo del dolce.
«Che non sto con nessuno.» rispose lei, abbassò la testa e si fissò le mani, «Cos'altro avrei dovuto dirgli?»
Richard non disse nulla, tolse il coperchio dal bicchiere di carta, verso lo zucchero nel cappuccino e guardò la ragazza, fece per alzare la mano sinistra per farle una carezza quando si bloccò, si girò verso la vetrata e fissò Albert che li fissava, «Abbiamo uno spettatore.»
Meredith si girò di scatto e sbuffò, «Cosa vuoi?» domandò aprendo la porta e slacciandosi i bottoni del cappotto.
«Voglio stare un po' con te.» pigolò lui, «Per favore.»
Meredith fissò gli occhi azzurri del suo migliore amico e inspirò a fondo. «No.» rispose, «Albert... non puoi stare qui.» aggiunse, «Ne abbiamo parlato a sufficienza, di quest'argomento... basta, per favore.» disse, poi vide alcuni vecchietti avanzare verso il negozio — li conosceva, preparavo piccoli oggetti per le varie vendite di beneficenza della parrocchia e della scuola — «Stanno arrivando dei clienti.» esclamò, «Ci sentiamo.» disse e chiuse la porta.
Sospirò e passò davanti a Richard, «Vado a togliermi la giacca.» mormorò e lui annuì, ancora preoccupato per lei. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per farla stare meglio, anche lasciare sua moglie.

deve dedicarsi al fai-da-te?» borbottò.
Meredith sorrise, «Bhe... meglio per noi, no?» disse, «Più clienti uguale più soldi.» sorrise e posò una mano sulla spalla di Richard e gli baciò una guancia.
Lui ridacchiò. «Oh, sì, giusto.» commentò. «Però in tre hanno comprato il liquido per sgorgare il lavandino... li hanno otturati nello stesso momento?» rise e si bloccò.
«Magari alcuni volevano solo averlo di scorta...» disse Meredith, «Richard... cos'hai?» domandò.
«Mi sono ricordato che Rosalie mi aveva chiesto di prendere il liquido per sgorgare il lavandino... lo scarico del lavabo della lavanderia fa fatica a mandar giù l'acqua.»
Meredith ridacchiò, «Okay... prendilo.»
Richard annuì e le sorrise, prese la bottiglia dallo scaffale e attese che Meredith battesse lo scontrino, andò a prendere i soldi e pagò. «Mi dai il sacchetto, per favore?» domandò alla ragazza che gli passò un sacchetto di plastica, lui ci infilò la bottiglia arancione e sorrise, «Vado a metterlo in macchina, prima che lo dimentichi in giro.»
Meredith si limitò ad annuire e Richard uscì dal negozio, prese il sacchettino con la pasta modellabile e le chiavi e andò in auto, nascondendo il secondo sacchetto sotto al sedile e mettendo la bottiglia sul sedile del passeggero.
Tornò dentro e trovò Meredith che lo aspettava, appoggiata allo stipite della porta che divideva il negozio dal retro. Le si avvicinò e infilò le chiavi nella tasca del cappotto e sorrise mentre le metteva le mani sui fianchi.
«Mi sei mancata.» disse, chinò la testa e la baciò.
Meredith gli circondò il collo con le braccia si strinse a lui, passandogli le dita fra i capelli e sul viso, mentre Richard le infilava le mani sotto al maglioncino, sfiorandole i fianchi e la schiena, poi spostò la mano, infilandola fra i loro corpi, arrivando a sfiorarle il reggiseno.
Meredith gemette per poi sbuffare quando il campanello suonò, per un attimo temette che fosse Albert, ma era solo un cliente come un altro, così si stampò in faccia un bel sorriso e aiutò l'uomo che era entrato nel suo negozio.

***

Erano passate tre settimane da quel giorno e, finalmente, Rosalie aveva preso i bambini ed era andata dai suoi genitori.
Quel venerdì sera Richard era a casa da solo perché Meredith era andata a cena con i suoi genitore e suo fratello. Davanti all'armadio in cui aveva nascosto la scatola a forma di cuore e la pasta da modellare Richard si disse che era il momento esatto per creare quel regalo che voleva dare a Meredith, sorrise mentre spostava la grossa trapunta e prendeva il sacchetto. Non era abile con i lavoretti di quel genere, sperò che quello che aveva in mente gli uscisse quanto meno decente e che Meredith avrebbe apprezzato.
Fischiettando tornò in cucina, posò il tutto sul tavolo sgombro di cose, cambiò canale alla tv, girando su una emittente che trasmetteva video musicali e si mise all'opera.

***

«Dove vai?»
Meredith emise uno strillò e fece un salto indietro, finendo contro la sua auto. Si portò una mano al petto e fece un paio di respiri profondi, «Albert... cazzo, mi hai fatto venire un infarto!» esclamò, «Ma ti pare il modo? Gesù, sei davvero inquietante alcune volte!»
Lui alzò le spalle e affondò le mani nelle tasche, «Io voglio sapere dove stai andando.» esclamò.
Meredith strinse le chiavi dell'auto nella mano destra, «Io sto andando... via.» disse.
«Dove?» domandò lui.
Lei lo fissò e sbuffò. «Non sono affari tuoi.» disse, «Tanto è gente che non conosci.» aggiunse. In realtà aveva un appuntamento con Richard al motel ma, ovviamente, non poteva dirglielo.
«Vengo anche io.» esclamò lui e fece il giro dell'auto e Meredith spinse velocemente il pulsante per bloccare le portiere.
«Tu... tu non puoi venire.» squittì, stringendo più forte le chiavi.
«Perché?» fece lui appoggiandosi alla macchina. «Io voglio venire.
«Perché..» sospirò lei, alla ricerca di una scusa plausibile, «Perché siamo solo donne, ecco il perché. È un gruppo di Facebook... sai il concerto a cui sono andata due anni fa? Ecco, sono ragazze che ho conosciuto lì e... e basta.» disse e sorrise, «Tu non sei stato invitato, abbiamo già prenotato e anzi, io sono pure in ritardo... per cui...» sbloccò le portiere e salì in auto per poi schiacciare il pulsante per bloccarle di nuovo. Gettò la borsetta sul sedile del passeggerò e avviò l'auto.
«Perché non posso venire? E dove andate? Perché non mi hai detto nulla?» domandò Albert.
Meredith abbassò di un poco il finestrino. «Senti, non sono affari tuoi dove vado.» replicò, «Non devo dirti tutto.» esclamò, «Stai diventando pesante, Albert. Sul serio.» disse, «Senti... ora fammi andare.» aggiunse, prese il cellulare dalla tasca del cappotto e lo sistemò sul sostegno del cruscotto.
«Ma io voglio venire!» protestò lui.
«Ci vediamo domani, giuro.» promise lei. «Aperitivo e pizza, okay?» propose, «Basta che smetti di rompere.» gli sorrise con dolcezza, «Devo andare, ora.» aggiunse e partì. Quando arrivò allo stop si accorse che Albert la stava seguendo, così chiamò Richard.
«Dobbiamo cambiare programma.» esclamò quando lui le rispose.
«Perché?» fece Richard, «È successo qualcosa?»
Meredith svoltò a destra e vide che il semaforo stava diventando rosso. «Perché quell'idiota del mio amico mi sta seguendo, ecco perché.» rispose lei e sospirò, «Mmh... ascolta, vai a piedi in fondo alla strada dove abiti, quella dove ci sono i panettoni...» guardò il semaforo cambiare colore e diventare verde, premette con forza l'acceleratore e sterzò bruscamente a destra, «Fra cinque minuti sono da te.»
«Okay.» disse Richard, «Stai attenta.»
«Va bene.» fece lei e chiuse la chiamata, guardò nello specchietto retrovisore e vide che la macchina di Albert era ancora dietro di lei, così svoltò a destra e ancora a destra, ritornando sulla strada di prima, accelerò e superò il semaforo nell'attimo esatto in cui il verde diventava arancione. Andò avanti per una ventina di metri e poi girò a sinistra, controllò che Albert non fosse dietro di lei e svoltò a desta, intravide la sagoma di Richard che l'attendeva e si fermò.
«Cosa vuol dire che ti segue?» fece lui quando salì, baciò la guancia della ragazza e si allacciò la cintura di sicurezza.
«Che quell'idiota si è messo in testa di vedere dove vado.» sbottò lei e ripartì, «Gli ho detto che andavo a cena con alcune amiche che ho conosciuto qualche anno fa a un concerto.» spiegò, «E vuole venire anche lui, anche se gli ho detto che non è stato invitato e che non c'è posto per lui al ristorante.» sospirò per poi ridacchiare quando sentì la mano di Richard sulla coscia.
«Speriamo che si stufi presto.» esclamò lui muovendo la mano, «Ma... dove andiamo?» chiese corrugando la fronte, vedendo che non stavano prendendo la strada per il motel.
«In un centro commerciale.» disse lei, «È a una quarantina di chilometri da qui... e Albert sa solo che c'è una strada per arrivarci, ma io ne conosco un'altra che lui non sa.»
Richard sorrise, «Okay.» disse, «Basta che stiamo insieme.» sorrise.
«Che c'è nel sacchetto?» domandò lei dopo aver superato l'ennesimo incrocio ed essersi accertata che Albert non la seguisse.
«Una sorpresa per te.» rispose Richard.
Meredith sorrise, «Uh, grazie.» esclamò, «Sei molto dolce.» disse e si voltò per sorridere al ragazzo. «Che cos'hai?» domandò dopo qualche minuto di silenzio.
«Niente.» rispose lui, «È che... nulla.» sospirò, «Penso ad Albert.» disse, «Sai, non vorrei che ti facesse del male.»
«Non me lo farà.» assicurò lei. «Gli parlo domani e gli dico che se mi segue ancora lo prendo a calci.»
Richard annuì piano, anche se non era del tutto sicuro che Albert non facesse altro, era innamorato, aveva seguito più volte Meredith e si era convinto di stare con lei... nulla gli faceva cambiare idea sul fatto che potesse fare qualche stronzata.

«Fammi vedere.» esclamò Meredith quando parcheggiò nel posteggio sotteraneo del centro commerciale; Richard sorrise e le passò il sacchettino.
Meredith staccò con attenzione la piccola coccarda e aprì il sacchettino, prese la scatola a forma di cuore e sorrise, «Mi pare di riconoscerla.» commentò e notò le guance di Richard tingersi di rosso, sciolse il nastro e lo infilò nel sacchettino, inseme alla coccarda, tolse il coperchio e fissò il grande cuore rosse, con il bordo bianco, e le lettere bianche in rilievo: “R+M Per sempre”; sfiorò il bordo con l'indice destro e sorrise, «Io... grazie.» mormorò, felice e abbracciò Richard, baciandogli più volte le guance.
Lui rise e la baciò sulle labbra. «Ti piace?»
Lei annuì, felice. «Moltissimo.» rispose, «È il regalo più bello che io abbia mai ricevuto.»
Richard sorrise e la baciò ancora. «Sono felice che ti piaccia.» mormorò.
Meredith chiuse la scatola e la rimise nel sacchettino. «Andiamo?» fece, «Ho fame.» sorrise, «Ti amo.»
«Ti amo.» esclamò lui prima di baciarla di nuovo.

***

Meredith sorrise mentre apriva gli occhi, si rigirò nel letto e sbadigliò. Lei e Richard avevano passato la sera al centro commerciale, avevano visto un film al cinema e poi, lungo la strada di ritorno, si erano fermati in un piccolo motel.
Anche se lui ora era a casa — Rosalie sarebbe tornata quel pomeriggio — per mettere in ordine e stendere, lei si sentiva felice, rilassata. Il cuore che le aveva regalato Richard era nel cassetto del suo comodino.
Meredith si sedette sul letto e alzò le braccia sopra la testa, stiracchiandosi i muscoli della schiena. Infilò le pantofole e ciabattò fino in cucina, accese la luce e urlò.
Albert era lì, seduto al tavolo, le braccia incrociate posate sopra il ripiano.
«Che cazzo ci fai qui?» squittì con voce stridula.
«Dove sei andata?» domandò lui, «Ho controllato Facebook, non c'è nessuna cena con le ragazze del concerto.»
«Tu hai spiato il mio profilo?» strillò e guardò il portatile sul tavolo, «Come cazzo ti sei permesso di farlo, brutto idiota?» gridò, «Esci da casa mia!» urlò, «Adesso!»
Albert si alzò lentamente, «Perché mi hai mentito?» domandò, «Perché non mi dici dove sei stata ieri sera?» chiese, «Con chi sei stata?»
Meredith inspirò a fondo un paio di volte, «Non ti interessa dove sono andata.» rispose, «Tu non avevi nessun diritto di entrare in casa mia, curiosare il mio profilo e farti gli affari miei...» sospirò, «Ed ora vattene. Subito.» aggiunse indicando la porta.
Albert fissò Meredith, «Perché non vuoi dirmi con chi sei stata ieri?» domandò.
«Sono stata da sola!» esplose lei, «Sono andata la centro commerciale!» gridò, «E poi al cinema!» disse, «Ed ora vattene, prima che m'incazzi del tutto.»
Albert annuì lentamente, «Okay.» sospirò, «Scoprirò con chi esci, giuro.» disse, «Passo a prenderti alle undici.»
Meredith annuì, troppo stanca per ribattere e aspettò che Albert uscisse da casa sua.
Inspirò un paio di volte, poi infilò le sue chiavi nella serratura, andò nel garage e prese il martello, tornò alla porta e colpì forte la chiave, rompendola a metà. SI vestì, montò in macchina e andò in negozio, afferrò due serrature nuove — una per la porta d'ingresso e una per quella della cucina e tornò a casa.
Un'ora dopo aveva cambiato entrambe le serrature, cambiò le chiavi dal suo portachiavi e infilò i doppioni in borsa, dicendosi che li avrebbe dati a suo fratello. Meredith non lo avrebbe mai ammesso — sopratutto con Richard — ma quella visita di Albert l'aveva spaventata parecchio. Si fece un caffè bello forte e si sedette al tavolo, accese il portatile e si collegò a internet, cambiò password a Facebook e alla casella di posta. Mise la password anche al computer, per sicurezza.
Mentre beveva il caffè si disse che avrebbe dovuto fare qualcosa, dire ad Albert di smetterla di comportarsi come uno stolker.
Sospirò, dicendosi che avrebbe dovuto stare più attenta.

***

«Lui ha fatto cosa?» esclamò Richard tre giorni dopo, quando Meredith gli confessò della visita mattutina di Albert, «Meredith! Lui sta... sta...» il ragazzo sospirò, preoccupato per lei.
«Lui sta andando fuori di testa?» pigolò lei, «Credo di sì.» mormorò e infilò il pollice in bocca, iniziando a mangiarsi l'unghia. «Ma non preoccuparti, so cavarmela.» disse. «Venerdì pomeriggio m'installano il sistema d'allarme, ho cambiato le serratura... tranquillo.»
Richard abbozzò un sorriso, «Stai attenta.» le disse e le baciò la fronte.
Lei annuì, piano. «Te lo prometto.» esclamò.
I due tornarono a lavorare, con Richard che si sentiva sempre più inquieto ogni minuto che passava. Aveva paura che Albert potesse fare del male a Meredith, e lui non lo voleva. Avrebbe fatto di tutto per proteggerla, anche pestare Albert, se necessario.

***

Cinque lunghe settimane. Albert aveva atteso tre lunghe settimane. Dopo quella mattina in cui Meredith l'aveva cacciato da casa, lui era andato da un altro investigatore privato e ora aveva in mano la busta contenente le prove.
Strappò la linguetta, pensando che in quelle settimane Meredith era stata ancora più distante, che era sì uscita con lui, ma si capiva benissimo che avrebbe voluto stare da un'altra parte. Che avrebbe voluto essere con qualcun altro.
E lui non poteva sopportarlo, l'amava da troppo tempo ormai e non avrebbe rinunciato così facilmente a lei.
Estrasse le foto dalla busta e le girò, sfogliandole velocemente, guardando Meredith che baciava e abbracciava un altro, che entrava in un motel, che ne usciva, che...
Albert inspirò un paio di volte, poi infilò le foto nella busta.
Adesso sapeva chi era. Adesso sapeva cosa fare.
Prese il cd con la copia delle foto e andò al computer, ne avrebbe stampate un paio, poi avrebbe cercato una busta e le avrebbe spedite a Rosalie. Dopotutto Meredith andava a letto con suo marito.

Nuovo capitolo! Ormai ne mancano 5-6 alla fine!
grazie a chi legge!

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Capitolo 20
*** Capitolo Venti ***


Please Stay (extended version)


Capitolo Venti

Prima settimana di Maggio
Richard fissò le foto davanti a sé e deglutì il groppo che aveva in gola. Scostò le foto e una manciata di pensieri si affacciarono nella sua mente: “Perché?”, “Chi è stato?”, “E adesso?”.
Sospirò e alzò il viso, fissando i suoi familiari. Rosalie aveva fatto le cose al gran completo: davanti a lui poteva vedere, oltre sua moglie, anche i suoi suoceri, i suoi cognati, Josh e Sam, con la moglie di quest'ultimo, Kat.
Richard abbassò di nuovo la testa e guardò le foto, reprimendo l'impulso di scombinare tutto e andarsene. Guardò i suoi genitori, seduti alla sua destra.
«Dovete andarvene.»
Richard osservò sua suocera, “Strega.” pensò fissandola.
«Verrete da noi e dimenticherete tutta questa storia. Abbiamo già contattato un consulente di coppia, andrete in terapia.» continuò la suocera, «Ah, ovviamente non sentirai più quella sgualdrina.»
Sgualdrina. Meredith.
Ma lei non era una sgualdrina e lui lo sapeva bene. Fissò ancora le foto e si morse il labbro inferiore, con forza, sperando di svegliarsi e scoprire che fosse tutto un incubo.
«Hai capito, Richard?»
Lui annuì, piano. «Ho capito.» rispose posando per un istante lo sguardo su sua suocera, poi tornò a guardare le foto, domandandosi chi le avesse scattate. Fissò il viso sorridente di Meredith, ignara che qualcuno la stesse fotografando con un teleobiettivo. Era bella come sempre. Rosalie si accorse che Richard guardava un po' troppo quelle foto e si piegò sul tavolino, raccogliendole e girandole al contrario, lasciando visibile solo il bianco del retro delle foto.
«Vado in bagno.» mormorò lui e si alzò, andando quasi correndo verso il bagno, chiuse a chiave la porta alle su spalle e aprì l'acqua del lavandino, girando la manopola fino a quando fu possibile.
Come poteva dire a Meredith che era tutto finito? Che doveva lasciarla? Che non si sarebbero più rivisti?
Singhiozzò, stringendo forte il bordo del lavandino, afferrò un asciugamani e lo spinse contro il viso, soffocando i singhiozzi e il pianto.
Lui non voleva andarsene, non voleva smettere di stare con lei, di baciarla, di fare l'amore con lei o semplicemente non voleva smettere di parlare con lei.
Vomitò, mentre pensava che tutto ciò non era giusto.
E come poteva dire una cosa del genere a Meredith, dopo quello che le aveva promesso?

***

Otto Settimane prima, più o meno verso i primi di Marzo.
Meredith canticchiò una filastrocca che aveva imparato all'asilo e aprì il negozio.
«Sei di buon umore.» le disse Richard entrando dietro di lei.
«Sono quattro giorni che c'è un bel sole.» replicò lei togliendosi la giacca, guardò l'interno alla ricerca del passante per appenderla. «Hai visto che il prato dove c'è la fontana è pieno di margherite? Non è bellissimo?» sorrise e appese la giacca.
«Sì, è bellissimo.» confermò lui e le baciò la testa. Risero mentre entravano nel negozio e si baciarono prima di aprire la saracinesca.
«Albert ti dà ancora fastidio?» domandò Richard dopo una decina di minuti.
Meredith scosse la testa, «No.» rispose, «Ha smesso.» sospirò dal sollievo, «Non mi fa più domande...» aggiunse, «Meno male.»
Richard annuì, sollevato. «Sì.» disse, «Meno male.»
Meredith gli regalò un sorriso, «Sai, in quest'ultima settimana si è fatto sentire poco... credo si sia trovata una.» confessò. «Tu che ne dici?»
Richard ridacchiò, «Bhe, da quando lo conosco non è mai uscito con nessuna... tranne te.» scrollò le spalle, «Se ha trovato una mi fa piacere.»
«Perché così non verrà più qui a rompere?» ridacchiò Meredith.
Richard fece una smorfia, afferrò il taglierino e aprì una scatola di cartone, «Non intendevo questo.» borbottò e Meredith rise ancora.
«Non pensiamoci.» disse lei, «Anche perché dobbiamo lavorare!»
Richard la guardò mentre sistemava le calamite, raddrizzandole, e pensò che fosse bellissima, con i capelli legati in una coda alta, l'espressione seria e le unghie smaltate di arancio.

Meredith fissò l'uomo che era appena entrato. Era di media altezza, abbastanza robusto, con i capelli che incominciavano a diradarsi e a ingrigirsi.
Era vestito in maniera strana per essere uno che voleva “solo guardare”: indossava un completo grigio che a Meredith sembrò essere appena uscito da una sartoria rinomata, e la valigetta che teneva in mano era in pelle, forse di vitello, con gli angoli rinforzati in ottone.
Meredith lanciò uno sguardo fuori dalla vetrina, verso il bar, in attesa che Richard tornasse con i caffè, tornò a guardare l'uomo ma era scomparso dietro uno scaffale, così la ragazza si mosse e lo trovò davanti allo scaffale dei trapani.
«Quello è in offerta.» disse indicando una scatola, «È l'ultimo modello.» spiegò, «È un ottimo modello.»
L'uomo la fissò appena, «Uhm, ho capito.» disse e si voltò, proseguendo il suo giro. Meredith scrollò le spalle e guardò gli scaffali, dicendosi che era improbabile che avesse nascosto qualcosa nelle tasche o nella valigetta.
Il telefono squillò e lei andò a rispondere.
«Ferramenta Stocks.» disse.
«Salve, sono Miranda e la chiamo per un offerta. Lei lo usa l'olio?»
«Sì.» rispose Meredith e sbuffò, odiava quel genere di chiamate, le facevano solo perdere tempo. Strinse il telefono e si mosse per tornare dove era prima.
«Uh, bene, perfetto, perché ho un'offerta per lei.» continuò Miranda con il tono allegro e pimpante, «Abbiamo dell'ottimo olio proveniente dall'Italia, sono sei bottiglie e se le compra le regaliamo una bellissima oliera.»
«No, guardi, non m'interessa.» la bloccò Meredith. «Mio fratello ha un negozio e posso avere tutto l'olio che voglio.» aggiunse.
«Ma scommetto che non è italiano!» trillò Miranda.
Meredith sbuffò, «E invece sì.» mentì. «Senta, lei sta lavorando, ma anche io.» disse, «Ho dei clienti in negozio, mi dispiace.» esclamò e guardò l'uomo che guardava delle latte di vernice.
«Ma è un'offerta irripetibile!»
«Non la sento.» disse Meredith, «C'è un'interferenza!» aggiunse e riattaccò. «Se ha bisogno d'aiuto...»
L'uomo la guardò appena. «Stavo guardando.» disse e Meredith notò che stringeva la valigetta con la mano sinistra e non con la destra, come succedeva fino a qualche minuto prima. «Sono indeciso fra due colori.»
Meredith sorrise, si chinò e recuperò una scatola da sotto lo scaffale, «Qui ci sono tutti i colori della linea.» disse porgendo il libretto con le pagine plastificate, con su i vari colori e i relativi codici, «Lo prenda, così sceglie con calma.»
Lui prese il libretto, «Uh, sì.» fece, «Grazie. Adesso devo andare.»
Meredith lo guardò uscire chiedendosi da dove fosse spuntato fuori quel tipo dall'aria strana.
Richard arrivò e le consegnò il cappuccino che Meredith prese regalandogli un sorriso. «Ma il tipo in giacca e cravatta è uscito da qui?» domandò lui dopo qualche secondo.
Meredith annuì e bevve un sorso di cappuccino, «Mi è sembrato un po'... strano.»
«Strano nel senso di matto?» sorrise Richard.
Lei rise, «Oh, sì.» esclamò, «Secondo me non sa neppure da che parte si prende in mano un cacciavite!»
Richard, divertito, scosse la testa. «C'è gente strana.» disse.
Meredith sorrise, «Oh, bhe, se torna e compra qualcosa anche se non da che parte cominciare... per me va bene.»
Richard rise, «Questo è giusto.» mormorò e le baciò la guancia.
«Mi sporchi di caffè!» squittì lei e Richard rise ancora.
«Mi diverto!» disse lui, sporcò la punta dell'indice destro con il caffè e tracciò una linea sul naso mentre lei si lamentava.
«Smettila!» pigolò lei agitando le braccia per spostare la mano di Richard, «Ogni tanto sei davvero terribile.» borbottò. «E se entrasse un cliente?» fece e bevve ancora.
«Penserà che non sai bere il caffè.» disse Richard e alzò le spalle per poi sorridere, «Sei bellissima anche con il naso sporco di caffè.»
Meredith spinse in fuori le labbra, «Io sono sempre bellissima.» protestò e Richard rise ancora, «Oh, lo so.» disse e poi la baciò sulla guancia, vicino alle labbra. «Ti amo.» soffiò al suo orecchio.

Meredith rimase sorpresa quando, dopo quattro giorni di silenzio, ricevette una telefonata da parte di Albert.
«Allora sei vivo.» commentò lei rispondendo al telefono.
«Sono stato impegnato.» replicò lui, «Scusa se non ho risposto hai tuoi messaggi.» aggiunse, «Ci sei stasera? Ci facciamo una birra o magari andiamo al bowling.»
Meredith fissò il muro davanti a sé, la lavagnetta un po' storta e la raddrizzò, «Va benissimo.» disse, «Io sto riscaldando la cena, devo ancora farmi la doccia... facciamo fra un'ora e mezza?»
«Sì.» disse Albert, «E non mangiare sempre roba riscaldata.» aggiunse.
Meredith alzò gli occhi al cielo, «Mio fratello ha preparato i cannelloni e ne ha fatti una teglia anche per me... non riesco a mangiarli in una volta.» spiegò, «E comunque tu vuoi andare al bowling perché io sono una schiappa.»
«Ti lascerò vincere.» replicò lui e rimase un attimo in silenzio, prima di chiedere: «E Richard come sta?»
«Bene.» rispose lei e guardò il forno, «Tu come stai? Che fine hai fatto?»
Albert sospirò, «Sto bene.» disse, «Ero molto impegnato.» aggiunse, «Ci vediamo per le dieci, allora. Passo a prenderti io?»
«Sì.» fece Meredith e aprì lo sportello del forno e chiuse un attimo gli occhi a causa del calore, «La mia cena è pronta.» aggiunse e afferrò un guanto da forno, «A dopo.» disse e riattaccò.
Tirò fuori la teglia e la posò sul tagliere, levò il guanto e lo gettò sul mobile, dicendosi che anche se Albert nelle ultime settimane era stato insopportabile, era sempre il suo migliore amico e lei gli voleva bene.

***

Albert arrivò puntuale.
«Ehi.» fece Meredith salendo in auto.
«Ciao.» mormorò lui e baciò velocemente la guancia, «Hai cambiato portachiavi?» domandò osservando il mazzo di chiavi che Meredith aveva in mano.
«Ehm... sì.» sorrise lei e lo infilò in borsa. Non trovò il coraggio di dirgli che aveva cambiato anche le chiavi. Suo fratello non le aveva fatto domande in proposito — lei gli aveva raccontato della storia di quando era andata a letto con Albert e lui si era messo le mani sulle orecchie, dicendo che non voleva sapere la vita sessuale di sua sorella —, «Mi andava di cambiarlo.» disse. «Su, dimmi che hai combinato in questi giorni.» esclamò, «Cos'è, hai buttato giù il piano per conquistare l'universo?»
«Più o meno.» fece lui partendo.
Meredith sorrise, «Oh, bene.» commentò, «Fammi sapere quando hai intenzione di cominciare che mi metto al sicuro.» scherzò.
«Oh, no...» fece Albert, «Sarà una sorpresa.» disse e guardò brevemente Meredith, «Altrimenti non non sarei un buon imperatore.» scherzò.
Meredith annuì brevemente, «Uh, sì, forse hai ragione.»
Rimasero in silenzio mentre raggiungevano il pub poco lontano.
«Scusami se mi sono comportato come un cretino.» esordì Albert dopo che si furono seduti a un tavolino, «È che tu non... insomma...» sospirò, alla ricerca delle parole da usare, «Ero solo dannatamente curioso.» disse. «Mi dispiace tanto.»
Meredith annuì, piano. «Mi hai spaventato quando sei entrato in casa mia.» disse.
Albert arrossì, «Bhe... scusa.» mormorò. «Non volevo.» disse. «Ero solo preoccupato.» esclamò, «Ma adesso ho capito che sono stato un cretino e ti giuro che non lo farò più.» promise.
Meredith sorrise, «Va bene.» disse, «Basta che non lo fai più sul serio.» esclamò, «Altrimenti non ti parlo più.»
Albert la fissò e vide la sua espressione seria, capì che non stava scherzando. «Scusa.» disse, «Mi dispiace sul serio di averti spaventato.» ripeté. «Perdonami.»
Meredith annuì, «Okay.» fece e poi ringraziò la cameriera che aveva portato loro le birre. «È carina.» commentò.
«Chi?» chiese lui.
Meredith alzò gli occhi al cielo, «La cameriera.» rispose, «Dovresti provarci, sai?» disse, «Ti ha fatto un sorriso così grande che ancora un po' e le sarebbe caduta la faccia.»
Albert prese un sorso di birra. «Bhe, sì è carina...» concordò. «Però... magari è impegnata.» disse, non volendo dire quello che veramente pensava: “Io voglio solo te.”
Meredith si rilassò, «Magari no.» fece. «Oh, dai, Albert!» fece, «Hai quasi trent'anni! Su, divertiti e vai di fiore in fiore.»
Lui la guardò, «Trent'anni?» borbottò, «Non ne ho trenta!» protestò e bevve ancora, «E poi... di fiore in fiore?» disse e inarcò le sopracciglia con aria dubbiosa, «Meredith... hai ripreso a guardare quel canale che trasmette documentari di tutti i tipi?»
Meredith ridacchiò, «Un po'.» rispose, «Sono interessanti, sai.»
Rimasero in silenzio per qualche minuto, sorseggiando le loro birre, «Come sta Richard?» chiese Albert.
Meredith posò il bicchiere, «Me lo hai chiesto prima.» gli ricordò, «Se non sono cambiate le cose in queste ultime ore... sta ancora bene.» disse. In realtà sapeva benissimo come stava Richard, si erano scambiati un paio di messaggi prima che lei uscisse da casa.
«Ah, sì, giusto.» fece lui. «Allora... raccontami qualcosa.»
«L'altro giorno è venuto un tizio strano in negozio.» disse lei, «Sembrava appena uscito da un ufficio...» ridacchiò, «Secondo me non sa neppure da che parte si comincia ad aprire la scatola dei cacciaviti...»
Albert infilò in bocca una manciata di patatine, «Ah, sì?» fece. «Ci sono un sacco di tipi strani in giro...» commentò.
Meredith scosse la testa, «Oh, sì.» confermò, «Pure tu sei strano.»
Albert infilò in bocca altre patatine e non ribatté perché sapeva che il suo comportamento era strano, agli occhi di Meredith, solo che non poteva dirle il motivo del suo comportamento degli ultimi giorni.
Non lo avrebbe mai fatto.

Meredith afferrò la palla rosa e infilò le dita nei fori. «Adesso li butto tutti giù.» disse rivolgendosi ad Albert.
«Lo hai detto anche prima.» disse lui.
«Bhe... prima ne ho buttati giù sette.» replicò lei tornando a guardare la pista, fece un respiro profondo e lanciò la palla, si voltò immediatamente verso Albert.
«Hai fatto strike!» esclamò lui.
«Cosa?» squittì la giovane e si girò di nuovo. «Oh! È vero!» sorrise, «Adesso ti batto!»
«Sono quattordici punti davanti a te.» le fece notare lui e sorrise.
Meredith scrollò le spalle e andò a sedersi. «Non credo.» fece, «Penso che sia la serata buona per vincere.» esclamò, sentendosi rilassata. Albert quella sera le sembrò normale, come prima che quella storia iniziasse.

Richard sospirò davanti al televisore. Meredith era fuori con Albert e lui era preoccupato. La ragazza gli aveva promesso che gli avrebbe inviato un messaggio quando sarebbe tornato a casa.
Nessuno poteva togliergli dalla mente che Albert era pericoloso: aveva seguito Meredith, era entrato in casa sua, le aveva controllato il profilo di Facebook... secondo lui era un comportamento ai limiti dell'ossessione ma, quando aveva provato a dirlo a Meredith, lei gli aveva abbaiato contro che era solo un periodo e che sarebbe tornato tutto a posto, solo che lui non ci credeva. Sperava che fosse solo un periodo ma, in fondo alla sua mente, una voce continuava a dirgli di tenere d'occhio il migliore amico di Meredith.

Albert fermò l'auto davanti a casa di Meredith, «Domani cosa fai?» chiese.
«Dormo.» rispose lei. «Devo fare il bucato, pulire casa...»
«Ah.» commentò lui, «Pensavo che saremmo potuti uscire...»
«No, domani ho un sacco di cose da fare... penso che farò un sonnellino anche nel pomeriggio.» disse Meredith. «Magari ci vediamo per l'aperitivo.» aggiunse e sbadigliò, «Buona notte.» baciò la guancia di Albert.
«Okay.» fece lui, contrariato. Quella serata gli aveva dato qualche speranza... «Buona notte.» disse e guardò Meredith uscire dall'auto ed entrare in casa.
Fissò le luci al piano terra che si accendevano e poi spegnersi quando il primo piano s'illuminò. Albert ripartì e andò a casa.
Un paio d'ore dopo uscì di nuovo, a piedi e tornò da Meredith. Aprì piano il cancello e si diresse alla porta sul retro, quella della cucina. Infilò la chiave e rimase sorpreso quando non entrò. Sollevò il mazzo e lo controllò alla luce fioca della lampadina, pensando di aver sbagliato chiave ma era quella giusta: provò a rinfilarla e imprecò sottovoce quando quella non entrò. Sbuffò, chiedendosi come mai Meredith avesse cambiato la serratura della cucina. Così fece il giro della casa e infilò la grossa chiave nella porta d'ingresso: anche quella non entrò. Riprovò, con più forza, poi vide la luce della casa davanti accendersi e si chinò bruscamente dietro un cespuglio rinsecchito. Mentre era accucciato si domandò come mai Meredith avesse cambiato le serrature e come mai non glielo avesse detto. Quando la luce si spense uscì dal suo nascondiglio e se ne tornò a casa, maledicendo Meredith e chiunque le avesse dato quella stupida idea di cambiare le serrature. Perché era un'idea stupida, quella. E se le fosse successo qualcosa? Non era sicuro che avrebbe buttato giù la porta a spallate anche se per lei ci avrebbe provato fino allo sfinimento.
Mentre entrava in casa sua si chiese come potesse avere il nuovo mazzo di chiavi, e gli venne in mente Jacob. Poteva chiederlo a lui, inventando una scusa. Pensò che poteva dirgli che la chiave della cucina si era stortata e se potesse dargli la sua, per poter farne un doppione.
Con quel pensiero si infilò a letto.

***

«Ehi... Jacob.» esclamò Albert, «Ascolta... la chiave della cucina di Meredith si è... stortata.» disse, iniziando quel discorso che aveva ripetuto decine di volte davanti allo specchio, «Non è che potresti darmi la tua così ne faccio una copia?» domandò, «Te la riporto subito o al massimo domani mattina.»
Jacob sistemò alcune scatole di pasta, «Non le ho qui.» disse, «E comunque... non potresti chiederle a Meredith?»
Albert aprì la bocca... «Eh... sì...» fece, «In effetti potrei chiederglielo.» disse, «È che poi... si arrabbierà se sa che ho... rovinato la sua chiave.»
Jacob alzò le spalle, «Nah, non credo.» disse.
Albert sospirò, «Okay, lo chiederò a lei.» esclamò, «Ciao.» aggiunse e si allontanò con un sospiro. Così andò in negozio, da Meredith e fissò lei e Richard vicini, in ginocchio sul pavimento, che ridevano e parlottavano.
«Meredith!» esclamò, geloso.
Lei si girò piano, «Oh... Albert.» disse, «Pensavo fossi al lavoro.» aggiunse alzandosi in piedi e Albert osservò i chiodi sparsi sul pavimento.
«E quelli?» chiese.
«Si è rotta la scatola.» rispose Richard.
Albert lo fissò, «Non l'ho chiesto a te.» mugugnò. «Meredith... posso avere la chiave di casa tua per farne una copia?» domandò, «Il mio doppione della cucina si è rotta.» mentì.
Meredith inspirò a fondo e tornò da Richard con una calamita, «No.» rispose.
«Sai, vorrei evitare di ritrovarti in casa mia e spararti perché ti ho scambiato per un ladro.» disse, «O per evitare di morire di paura.»
Albert inspirò a fondo. «La userò in caso di bisogno, lo giuro.» promise e guardò Meredith infilare i chiodi che Richard raccoglieva con la calamita nella scatoletta rossa.
«No.» ripeté lei, «Albert, l'altra volta mi è venuto un mezzo infarto... e vorrei evitare di ripetere l'esperienza.»
Lui sbuffò, «Ma Meredith...» mormorò e guardò Richard alzarsi, «Per favore! Ti ho già detto che non lo farò più!»
Lei sbuffò e si infilò sotto allo scaffale per recuperare gli ultimi chiodi. «No.»
Albert avrebbe voluto sbattere i piedi per terra, gridare e fare i capricci come un bambino di cinque anni ma riuscì a trattenersi. «E va bene.» sospirò.
«Andiamo a prendere un caffè?» domandò.
Lei sospirò e si sfregò le mani sui jeans, «L'ho appena preso.» disse, «Se ne prendo un altro dopo così poco tempo divento isterica.» aggiunse e fece un sorriso. «Scusa.» sorrise.
Albert inspirò a fondo, sentendosi deluso, «Va bene.» sospirò, «Sarà per la prossima volta.» disse, «Rimango qui a farti compagnia.» aggiunse e si appoggiò al bancone, osservando Richard che rompeva una scatola di cartone.
Meredith sospirò, prese del nastro adesivo e sigillò la scatoletta. «Albert... lo sai che non sopporto quando rimani qui.»
«Fino a un anno fa non ti dava fastidio, però.» fece lui.
Meredith sbuffò, «Mi ha sempre dato fastidio.» esclamò, «Sta arrivando un cliente.» disse e fece un cenno con la testa verso la porta, «Levati da lì.» ordinò, notando una nota d'irritazione nella sua voce.
Albert sbuffò, «E va bene.» disse e si scostò, andando dall'altra parte del negozio.

***

Meredith indossò gli orecchini — dei semplici cerchietti d'argento — e guardò fuori dalla finestra del bagno, vedendo che la berlina nera era ancora lì. Era da quasi due settimane che vedeva quella macchina vicino a casa sua e stava incominciando a preoccuparsi sul serio. Aprì il cassetto del comò e prese una piccola torcia, andò nel corridoio e aprì la botola della soffitta, tirò giù la scala e salì, accese la torcia e andò lentamente verso la finestra dell'abbaino. L'auto era ancora lì. Strizzò gli occhi e intravide una sagoma all'interno del veicolo.
Il pensiero che qualcuno la spiasse si fece strada in lei, così afferrò il vecchio telescopio che suo padre aveva lasciato lì e lo sistemò davanti all'abbaino e lo puntò sull'auto, mise a fuoco e guardò: la sagoma di un uomo apparve davanti ai suoi occhi, insieme a quella di una macchina fotografica con un grosso teleobiettivo. La giovane inspirò un paio di volte, dicendosi che non era possibile, che non era lì per lei.
Così tornò di sotto, sistemò la scaletta e cambiò la minigonna con un paio di jeans neri. Infilò gli stivali al posto dei sandali, infilò una felpa di pile, recuperò il giubbotto e la borsetta. Una volta al piano terra aprì l'armadio all'ingresso, scostò alcune giacche e prese i due caschi.
Spiò dalla finestra della cucina e fissò di nuovo l'auto.
“Spero che chiunque gli abbia chiesto di spiarmi non sappia che ho la moto.” pensò mentre usciva dalla porta della cucina dopo aver recuperato la borsa, aver inserito l'allarme e aver spento tutte le luci.
Quando fu in giardino respirò un paio di volte, poi aprì la porta del garage, osservò la moto e strinse le labbra. Infilò il casco più grande nel bauletto, insieme alla borsetta, e indossò l'altro, spinse la moto fuori dal garage, chiuse la porta basculante e si avviò piano al cancello. Una volta che si chiuse alle sue spalle infilò le chiavi di casa nella tasca del giubbotto, salì in sella e avviò la moto, sorridendo quando il motore rombò sotto di lei. Partì, girando verso destra, passò davanti all'auto e accelerò, dirigendosi verso casa di Richard. Poco più avanti, mentre si fermava allo stop, notò che la berlina non c'era. “Non era per me, allora.” pensò osservando le macchine che le scorrevano davanti, “Potrei tornare indietro e prendere l'auto.”
Alla fine non lo fece.

«Una moto?» squittì Richard mentre Meredith gli porgeva il casco.
«Avevo voglia di cambiare.» disse lei. «Allaccialo, sali e tienti forte.» ordinò.
Lui sorrise e fece come gli era stato detto, «Non è che adesso vai a tavoletta, vero?» chiese stringendo la vita della ragazza.
«Non voglio che mi fermino e ritirino la patente.» fece lei, abbassò la visiera del casco e partì, ridacchiando quando le braccia di Richard si strinsero ancora di più attorno a lei.
Mentre viaggiavano verso il centro commerciale dove erano stati qualche settimana prima, Meredith ogni tanto controllava che la berlina nera non ci fosse.
E non c'era.

«Ti amo, Meredith.» esclamò Richard sdraiandosi sul fianco sinistro e guardando la ragazza. «Fra qualche settimana è il compleanno di Chris... dopo voglio chiedere il divorzio.»
Meredith sorrise e gli buttò le braccia al collo, strillando di gioia. «Oh, Richard.» squittì, «Sono così felice...»
«Oh, Meredith... vuoi sposarmi?» chiese lui.
Meredith lo guardò e i suoi occhi si spalancarono, «Co... cosa?» balbettò.
«Meredith?» chiamò Richard, «Meredith?»
Lei spalancò gli occhi — quand'è che li aveva chiusi?-, «Sì!» esclamò.
«Sì... cosa?» domandò Richard e sulle sue labbra si dipinse un sorriso divertito.
Lei si guardò attorno, «Dormivo?» domandò mettendosi seduta sul letto.
«Ah, ah.» fece lui finendo di allacciarsi la camicia, «Cosa sognavi?»
«Non ricordo.» mentì Meredith, in realtà ricordava ogni dettaglio di quel sogno. «Dobbiamo andare?»
«Sì.» mormorò lui baciandole la fronte.
Lei sbuffò, «Okay.» borbottò e si trascinò sul bordo del letto. «Vado in bagno.» annunciò. Mentre si lavava le mani pensò che sarebbe stato veramente bello se il suo sogno si fosse realizzato sul serio. O anche se non si fossero sposati sarebbe stato bello poter stare con lui, per sempre.
Uscì dal bagno e sorrise a Richard, si avvicinò a lui e lo baciò.
«Cosa stavi sognando?» chiese lui.
Lei sorrise, «Non ricordo.» mentì e lo baciò ancora per poi sorridergli. «Quanto ci resta?»
«Cinque minuti.» rispose lui, «Il tempo di un altro bacio.»

Meredith si fermò davanti al cancello di casa sua e smontò dalla moto, si tolse il casco, aprì il cancello e spinse dentro la moto, rimettendola nel garage, sentendosi più rilassata. Non aveva più visto la berlina nera, “Quindi non era qui per me.” pensò entrando in casa, disinserì l'allarme e lo rimise subito dopo aver richiuso la porta. Si sentiva più sicura con quello, anche perché, nelle ultime due settimane, dei ladri avevano svaligiato un paio di case.
Posò il casco sul tavolo della cucina e andò in camera, dove si infilò sotto alle coperte dopo essersi tolta i vestiti.

***

Fine Marzo.
“Non ci sono.”
“Mi dispiace, ma ho preso altri impegni.”
“Sono solo cose che ho da fare.”
“Tu non puoi venire.”
“Perché no.”
“Albert... non ricominciare, per favore.”
“HO DETTO NO!”
Albert fissò i messaggi che Meredith gli aveva inviato in risposta ai suoi e sospirò. Avrebbe voluto seguirla ma sapeva che lei se ne sarebbe accorta, a meno di non chiedere in prestito un'auto a uno sconosciuto... lui non era bravo nei pedinamento.
Così si limitò ad uscire, dirigendosi verso il solito bar. Greg lo saluto e Albert si limitò a un laconico “Ciao.” prima di sedersi e ordinare una birra.
«Le altre?» chiese.
«Sono uscite tutte insieme, Marissa, Claire, Alexia e Meredith.» rispose Greg, «Non so dove si siano cacciate... Roba da donne, l'hanno definita.»
Albert sospirò dal sollievo, Meredith non era uscita con il suo ragazzo. O con Richard, gli suggerì una voce dentro di lui. «Ah, bene.»
Greg lo osservò e inarcò un sopracciglio, «Bene?» commentò, «Credo che tu fossi...» scrollò le spalle, come se la cosa non gli importasse più di tanto.
«Sono solo contento che non sia uscito con uno.» replicò Albert.
«Oh, Meredith non deve mica restare single perché tu sei innamorato di lei e lei no, eh.» ribatté l'altro.
Albert sospirò, una parte di lui sapeva che Greg aveva ragione, l'altra... l'altra gridava e urlava che no, Meredith doveva essere solo sua. O single a vita, senza nessun'altra opzione contemplabile.

***

Meredith fissò lo spruzzino arancione e desiderò romperlo in testa ad Albert. Erano le quattro e mezza ed era lì in negozio dall'apertura del mattino. Fissò Richard, intento a spolverare uno scaffale e desiderò baciarlo con così tanta forza da fargli male.
E invece... invece Albert era dietro di lei, che parlava e parlava e parlava ancora di un qualcosa che lei non stava ascoltando.
Poi, il telefono squillò e la ragazza si precipitò a rispondere. «Ferramenta Stocks.»
«Meredith? Sono Ashley.»
«Oh, Ashley... ciao.» fece lei, riconoscendo la voce della madre di Albert, «Come stai?»
«Bene, grazie.» rispose l'altra, «Mio figlio è li, vero?»
«Sì.»
«Non dirmi che ti sta dando fastidio da questa mattina!»
Meredith fissò Albert, «Sì.» rispose, «È qui da quando ho aperto.»
Ashley sbuffò, «Credi che sia troppo grande per essere trascinato per un orecchio?»
Meredith ridacchiò, «Non credo.» commentò, «Vuoi parlare con lui?»
«Sì.»
Meredith allungò il cordless al ragazzo, che ne frattempo si era avvicinato al bancone. «È tua madre.»
Albert sbuffò e portò il telefono all'orecchio. «Che c'è?»
«Non devi stare lì a dare fastidio a Meredith!»
Anche se era lontana quasi un metro dal telefono, Meredith riuscì a sentire la voce squillante di Ashley e s'impose di non ridere.
«Ma io non le do fastidio!» squittì lui.
«Torna a casa!» strillò Ashley, «Non ti ho sempre detto di non importunare chi lavora? Muoviti!»
Albert sospirò, «Okay.» fece, «Arrivo subito.» disse e posò il cordless sul bancone, «Devo andare.» disse e si sporse per dare un bacio sulla guancia di Meredith.
«Uh, okay.» fece lei, «Ci vediamo.»
«Ciao, Albert.» disse Richard mentre buttava un pezzo di carta assorbente.
L'altro lo ignorò e salutò solo Meredith, poi se ne andò.
«Non dirmi che lo ha sgridato come se avesse cinque anni?» domandò Richard.
«Sì.» sorrise lei, «Credo che su Albert avesse risposto di no lei sarebbe venuta qui e lo avrebbe portato a casa tirandolo per un orecchio.» ridacchiò.
Anche Richard rise, «Avrei voluto vederlo.» disse e baciò la guancia della ragazza, «Mi sei mancata.» sospirò contro la sua pelle.
«Anche tu.» soffiò lei, «Anche tu.»

«Meredith.» chiamò Richard mentre indossavano le giacche, «Ad tre Aprile è il compleanno di Chris.» disse.
«Ah, sì, lo so.» disse lei.
«Stavo pensando di aspettare un paio di settimane dopo la sua festicciola per poi... per poi...» fece Richard.
«Poi cosa?» chiese lei con un sussurro, sentendo il cuore che batteva sempre più veloce.
«Per poi dire a Rosalie che non l'amo più.» disse Richard e abbracciò la ragazza, «Non voglio dirle subito che amo te... è che credo sia peggio sapere tutto insieme.»
Meredith chiuse gli occhi, felice. «Va benissimo.» disse, «Va benissimo anche così.» esclamò e lo baciò sulle labbra. «Sono felice.»
«Anche io.» disse lui, «Anche io.»

***

Prima settimana di Maggio
Richard fissò la lettera di licenziamento che suo cognato aveva scritto. Lo guardò, odiandolo, odiandolo perché aveva spaventato Meredith, perché lo aveva costretto a vendere il ristorante.
«E se io non volessi?» pigolò.
«Tu devi farlo.» esclamò la madre di Rosalie. «Come hai potuto fare una cosa del genere, Richard?» chiese, «Tradire la mia bambina! E con una puttanella del genere...»
Richard strinse le mani, trattenendosi dal picchiare sua suocera. Come si permetteva di apostrofare Meredith in quel modo orribile? Sospirò e chiuse gli occhi, poi li riaprì. «Okay.» disse, «Lo farò.» aggiunse con voce piatta, sentendo il suo cuore rompersi in mille pezzi.
“Non smetterò mai di amare Meredith.” pensò mentre ricopiava la lettera scritta da Josh, “Amo anche Rosalie, ma solo perché è la mamma dei miei bambini.”
Finì di ricopiare la lettera e la firmò con mano tremante. “Io amerò Meredith per sempre, lo giuro.”

La storia è quasi conclusa.
Ancora due capitoli e l'epilogo e poi metterò la parola fine anche queste storia *o* Il tutto perché questo capitolo è lunghissimo e ho deciso di dividerlo in due, altrimenti ne mancherebbero solo due... poi anche questa sarà conclusa! *stappa la bottiglia di coca perché non ha spumante/champagne in casa*
Questo capitolo è strutturato in modo diverso e mi piace molto, così. Bon, comunque spero che qualcuno legga ancora sta storia — i numeri delle visite li guardo appena, mi accerto solo che da “0” passi a “1” e poi buona notte al secchio — e che qualcuno mi faccia sapere qualcosa, se la storia piace o non piace.

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


Please Stay (extended version)


Capitolo Ventuno

Prima settimana di Maggio
Richard fissò il soffitto, guardando le ombre che si muovevano e sospirò, pregando di risvegliarsi e di scoprire che fosse tutto un incubo. Sospirò, stringendo la coperta nei pugni, sapendo bene che quella era la realtà: il giorno dopo avrebbe dovuto andare al negozio e consegnare la lettera di dimissioni a Meredith, dicendole che le dispiaceva tantissimo, che l'amava con tutto il cuore, che non era quello che voleva, quello che desiderava ma che doveva farlo.
“Se non lo fai non vedrai mai più i bambini.” gli avevano fatto capire i suoi suoceri e lui amava troppo i suoi bambini per poterli perdere.
Quello che però lo faceva arrabbiare e che lo deludeva era che i suoi genitori non avevano aperto la bocca. Non avevano detto nulla e la cosa lo faceva soffrire ancora di più.
Chiuse gli occhi e respirò profondamente, dicendosi che doveva dormire, che il giorno dopo sarebbe stato una lunga giornata.
La più triste della sua vita.

***

Seconda settimana di Aprile.
Meredith continuò a canticchiare il motivetto di quella nuova trasmissione tv che era iniziata la sera prima mentre scopava il pavimento del negozio. Sentiva su di sé lo sguardo di Richard e si sentì felice, anche perché erano un paio di giorni che Albert non le dava fastidio.
«Sei felice.» le disse Richard alle sue spalle e le posò le mani sui fianchi per poi baciarle la nuca.
«Sì.» esclamò lei sorridendo e per un'istante chiuse gli occhi, «Sono felice.»
Fece un passo avanti, stando attenta a non calpestare lo sporco che aveva raccolto e si girò verso Richard. «Mi prendi la paletta?» domandò, «Per favore?»
Richard le sorrise e andò a prendere la paletta azzurra poco lontana. «Pensi che oggi sia una giornata tranquilla?» domandò tenendo la paletta ferma per il manico.
«Sì.» rispose Meredith mentre spostava la sporco sulla paletta. «Almeno lo spero.» aggiunse capendo a cosa si riferisse Richard: non ai clienti ma ad Albert. Il ragazzo andava spesso al negozio e non se ne voleva andare per nessuna ragione; un paio di volte Meredith aveva avvertito la madre del suo amico, che o lo aveva chiamato, dicendogli di tornare subito a casa o era andata direttamente in negozio, costringendolo a tornare a casa. Ma in quei giorni ad Albert avevano cambiato gli orari alla clinica, facendolo lavorare dalle nove e mezza alle diciotto e trenta, con un'ora di pausa nel mezzo, impedendogli di passare al negozio anche per soli cinque minuti.
Meredith afferrò la paletta con la mano sinistra - nella destra stringeva la scopa - e andò nel magazzino, dove si trovava il grosso cestino della spazzatura. Svuotò la paletta dentro di esso e la batté piano contro le pareti di allumino del cestino per poi sistemarla insieme alla scopa nello spazio dietro la porta.
Tornò in negozio e sorrise nel vedere Richard che sistemava alcuni articoli sugli scaffali e pensò che non vedeva l'ora che lasciasse Rosalie, perché lo voleva avere tutto per sé, perché non voleva più essere l'altra. Quasi non le importò che Rosalie potesse soffrire, anzi, non le importava affatto, si disse che, se Rosalie non si era ancora accorta che Richard la tradiva era solo una stupida che meritava di essere tradita.
Scacciò quei pensieri e andò verso il ragazzo, sorridendo, dicendosi che ormai mancava così poco, così poco e poi... e poi nulla le avrebbe impedito di poter frequentare Richard alla luce del sole. Di essere felice, di poter girare con lui senza preoccuparsi se qualcuno potesse vederli, di passeggiare mano nella mano e di baciarlo quando ne aveva voglia, di risvegliarsi accanto a lui, di andare a dormire con lui.
Voleva vivere con lui.
Sorrise ancora, mentre sfiorava la schiena del ragazzo e pensava a quanto lo amasse, a quanto lo desiderasse e a quanto non potesse fare a meno di lui.
Richard si girò e le sorrise prima di accarezzarle il viso. «Ti amo.» mormorò e stava per baciarla quando il campanello della porta suonò. Richard sbuffò, contrariato e Meredith ridacchiò.
«Anche io.» disse mentre si avvicinava alla cassa, pronta ad aiutare il cliente appena entrato. Si sentiva felice in quel momento: il sole splendeva, era una bella giornata, Richard l'amava, Albert sembrava una persona quasi normale i suoi genitori avrebbero presto festeggiato il trentacinquesimo anno di matrimonio e lei era felice.
Tutto era perfetto.

***

Albert sospirò mentre apriva la bottiglietta d'acqua. Non avrebbe mai voluto fare quegli orari al lavoro ma l'unica alternativa era trovarsene un altro e lui non poteva, gli servivano i soldi per pagare l'investigatore privato. Bevve un lungo sorso e si appoggiò contro la parete e osservò il vaso con le viole ai suoi piedi. Perché doveva essere tutto così estremamente complicato? Perché Meredith non lo amava? Perché amava un altro?
Sospirò ancora, sentendosi sull'orlo delle lacrime. Lui amava Meredith e la voleva per sé, ma lei non lo voleva...
Si passò una mano sugli occhi e fece un respiro profondo, dicendosi che nella pausa pranzo avrebbe chiesto a Meredith se quella sera volesse uscire. Gli sarebbe bastato anche solo vederla per mezz'ora per sentirsi un po' meglio perché in quel momento si sentiva come se lo avessero appena investito.
Sospirò, bevve un altro sorso d'acqua, chiuse la bottiglietta e tornò al lavoro.

Meredith rispose al sesto squillo. «Ehi, Meredith...» mormorò lui.
«Ciao, Albert.» lo salutò lei, allegra. «Come stai?»
«Bene.» rispose lui, «A parte che odio questi orari ma vabbè...» sospirò, «Spero che li rimettano come prima.»
«Uh, dai, non credo che siano così male, sai?» fece lei, «Sono orari da ufficio e da negozio.»
“Appunto.” pensò lui, “Così non posso vederti!” pensò ancora. «Eh, lo so.» disse, «Ma non ci sono abituato, tutto qui.» esclamò dicendo una mezza verità. «Comunque... stasera ci sei per un birra?» domandò e incrociò le dita, sperando che lei gli rispondesse di sì.
Meredith rimase in silenzio per una manciata di secondi, «Uhm, okay, basta che non facciamo troppo tardi.»
Albert sorrise, «Va benissimo.» rispose e avrebbe saltato dalla gioia se fosse stato solo nella sala mensa della clinica, ma c'erano alcuni suoi colleghi e si trattenne, «Passo a prenderti alle nove e mezza?» domandò e rigirò il purè con una forchetta.
«Certo.» acconsentì lei, «Uh, devo andare.» aggiunse, «Il pranzo è pronto.»
Albert annuì, «Okay.» disse, «Ho sentito il bip del microonde,» esclamò, «a più tardi, allora.»
«Oh, sì.» fece Meredith, «A dopo! Ciao!» lo salutò e chiuse la chiamata. Albert sorrise, mise il cellulare sul tavolino, pensò che quelle otto ore che lo separavano da Meredith sarebbero state lunghissime.

***

Richard fissò Meredith e incrociò le braccia. La preoccupazione dovuta ad Albert non si era placata del tutto ma non lo avrebbe mai ammesso con Meredith. «Devi proprio andarci?» borbottò.
«È solo una birra.» replicò lei, «Una roba da un oretta...» sorrise, «Ma tu sei il solito gelosone...» mormorò e gli sfiorò il viso con la punta delle dita.
«Sì, sono geloso, lo sai.» sussurrò lui, «Cercherò di non esplodere.» sospirò e sciolse le braccia per poi posare le mani sui fianchi della ragazza. «Ti penserò così tanto che ti fischieranno le orecchie per tutta la sera...» le sussurrò all'orecchio.
Meredith rise e si lasciò baciare il viso, «Adoro quando fai il gelosone...» mormorò. «Ti amo.» sussurrò.
«Ti amo anche io.» mormorò lui e le baciò la pelle dietro l'orecchiò, sospirò infastidito quando suonò il campanello che annunciava l'apertura della porta; le sfiorò il viso e sorrise.
Meredith si allontanò da lui e si diresse verso il cliente con un sorriso. Le piaceva che Richard fosse geloso di lei, e le piaceva ancora di più il fatto che presto lui avrebbe lasciato la moglie e che avrebbero potuto stare insieme senza problemi. I figli di Richard le piacevano, erano dei bravi bambini ed era sicura che alla fine sarebbe andato tutto bene.
Servì il cliente con un sorriso e, quando quello uscì, guardò Richard, «Quand'è che Rosalie va dai suoi genitori?» domandò.
«Non questo week-end ma quello dopo.» rispose lui e sospirò.
Meredith si limitò a sistemare una penna nel barattolo, girandola in modo che il tappo forse rivolto verso l'alto, «Uffa.» sbuffò, «È troppo tempo.» si lamentò.
Richard si avvicinò a lei e si sporse oltre il bancone, «Lo so.» disse, «Però almeno passiamo tutto il tempo insieme...» sussurrò e sfiorò i capelli biondi di Meredith, «Non tutti hanno questa fortuna...»
Meredith sorrise e si trattenne dal baciare Richard, «Lo so...» mormorò, «E solo che...» alzò le spalle e fece un sospiro, «Non so... è che bho, non è la stessa cosa, ecco.»
Richard le sorrise con dolcezza, «Lo so.» disse, «Ma prendiamo il lato positivo della situazione,» esclamò «abbiamo un divanetto abbastanza comodo.»
Meredith ridacchiò, «Abbastanza comodo?» gracchiò, «Secondo me è scomodo.»
«Eh, vabbè...» fece lui agitando la mano destra, «Sempre meglio del pavimento, no?»
Meredith rise, «Bhe, su questo hai ragione.» disse e baciò la guancia del ragazzo.
«E comunque...» esclamò Richard, «Domani devi dirmi tutto.»
«Tutto cosa?»
Richard inarcò le sopracciglia, «Potrei darti un paio di opzioni, ma credo che te ne basti una.» esclamò.
Meredith sorrise, «Uh, già.» disse, «Okay, ti racconterò nei minimi dettagli la mia uscita con Albert, va bene?»
Richard annuì, «Va benissimo.»

***

Albert si fermò davanti alla casa di Meredith e suonò il clacson. Vide le tendine delle finestra del salotto scostarsi e la luce spegnersi. Due minuti dopo, Meredith salì in auto.
Lui le baciò le guance chiudendo gli occhi a quel contatto e respirando il suo profumo che gli era mancato. «Tutto bene?»
Meredith annuì, «Sì, tutto okay.» rispose, «Tu?»
Albert sorrise e partì, «Tutto bene.» rispose. «Insomma, a parte gli orari di lavoro... ma te l'ho già detto.»
Meredith sorrise, «Non è così grave, Albert.» disse, «Ti hanno cambiato solo gli orari! Pensa a me che faccio 'sti orari da anni, ormai.»
Albert rimase in silenzio per qualche istante, dicendosi che Meredith aveva ragione ma che non poteva capirlo. «Lo so è che...» sospirò, «Mi devo abituare.» disse, «Anche se spero che mi ridiano i miei turni.»
Meredith gli sorrise e Albert sentì il cuore gonfiarsi d'amore, «Magari lo faranno.» disse e tornò a guardare in avanti.
In breve arrivarono al pub e Albert trovò un parcheggio libero poco distante dall'entrata e, cinque minuti dopo, erano già seduti a un piccolo tavolo quadrato.
Albert fissò Meredith mentre sfogliava il menu e pensò che non avrebbe mai amato nessun'altra persona come amava lei. Continuò ad osservarla, incantato dal modo in cui sfogliava le pagine, fissando gli occhi e le ciglia lunghe colorate da un velo di mascara nero, le guance rosate e le labbra colorate di rosa chiaro.
«Hai scelto?» 
«Eh?» fece lui e arrossì. 
Meredith ridacchiò, «Hai scelto cosa prendere?»
Albert chiuse il suo menu e lo posò sopra quello di lei, «Prendo il solito.» rispose, «Tu?»
«Il solito e le patatine fritte.» disse lei.
«Patatine?» Albert aggrottò la fronte, «Ma non hai cenato?»
«Sì che ho cenato, ma ho ancora un pochino di fame...» sorrise Meredith.
Albert le sorrise e le sfiorò i capelli, facendoli scivolare fra le dita e pensando che avrebbe voluto farlo ogni giorno, ogni momento... ma era impossibile finché lei sarebbe rimasta con quello là. Quella persona che lui non aveva idea di chi fosse e del perché lei non volesse dirgli il suo nome o confessargli che usciva con qualcuno.
«Meredith...» la chiamò lui, «Mi dispiace di essere stato...»
«Un deficiente di prima categoria?» disse lei e Albert annuì, «Puoi dirlo forte.»
«È che tu non mi dici più nulla...» si giustificò lui e si fermò quando arrivò il cameriere. «E io non so più che fai.» continuò una volta dettate le ordinazioni.
Meredith lo fissò e sospirò mentre sfiorava la tovaglietta sotto al vasetto centro tavola, «È che tu fai troppe domande.» rispose toccando il legno del vasetto e passando il dito sopra il numero del tavolo marchiato a fuoco. «Mi stressi.» continuò e guardò l'amico, «E comunque non c'è nulla da dire.»
Albert la fissò, con la certezza che stesse mentendo. «Okay.» sospirò. «Scusami.»
Meredith sorrise, «Diciamo che va bene,» disse «per ora.»
«Per ora?» pigolò lui, «Per ora?» ripeté.
«Per ora.» confermò Meredith. «Devi smetterla di fare l'isterico mestruato.» disse, «Smettila di seguirmi, di assillarmi, di sparire per giorni, di fare il coglione insomma.»
Albert annuì, «Okay.» disse, «Lo prometto.» sorrise. «Io ti voglio nella mia vita.» aggiunse. “A qualunque costo.” pensò, "A qualunque costo." «E comunque non sono un isterico mestruato!» si difese.
Meredith inarcò un sopracciglio, «Ah no?» rise, «Sei a un passo dell'isterismo...» disse e Albert sentì le guance andare a fuoco mentre la osservava ridere e pensò che fosse bellissima. «Dovresti prendere della valeriana o qualsiasi cosa date a quei vecchietti quando sbarellano.»
«Sbarellano?» fece lui.
«Sbarellano.» confermò lei, «Sai, quando escono di testa e pensano di essere in guerra o robe simili...» continuò, «Altrimenti ti verrà un'ulcera o un esaurimento nervoso...»
«Non mi verrà nulla!» fece lui e si bloccò quando arrivò il cameriere, «Io sono... tranquillo.» disse e prese una patatina dal piatto, ignorando l'occhiataccia di Meredith, «Comunque cercherò di non stressarmi troppo.»
«Lo spero.» disse Meredith e sorseggiò la birra per poi leccare via la schiuma dalle labbra con la lingua, ignara delle emozioni che poteva scatenare in Albert «Comunque... novità?» domandò, «Qualche pettegolezzo che non devo assolutamente perdermi?» chiese e Albert sorrise, felice.

***

«Che cosa avete fatto ieri sera?»
Meredith ridacchiò e guardò Richard che la fissava con le braccia incrociate e l'aria gelosa. «Abbiamo bevuto una birra, ho mangiato le patatine fritte, abbiamo parlato un po'... poi mi ha riaccompagnato a casa.» rispose, «Contento?»
Richard sciolse le braccia e sorrise, «Sì.» rispose, «Molto.» disse e le posò le mani sui fianchi, muovendole piano su e giù, poi la baciò dolcemente sulle labbra e Meredith sorrise mentre ricambiava il bacio.
Era felice ed era sicura che nessuno le avrebbe mai tolto quel sensazione di completezza, di amore e felicità che provava ogni volta che era fra le braccia di Richard

***

Era una mattina di fine Aprile e Meredith stava spolverando il bancone della cassa, in attesa che Richard arrivasse con i caffè per la pausa mattutina quando il campanello della porta si aprì. Meredith alzò lo sguardo e vide i due ragazzi che entravano nel suo negozio. «Buongiorno.» li salutò.
«Ciao.» rispose il più alto, «Io sono Josh e lui è Sam.» si presentò, «Siamo i fratelli di Rosalie»
Meredith gettò il pezzo di carta assorbente nel cestino, «Sta bene?» chiese, «Richard è nel bar qui di fronte, sta prendendo i caffè...»
«Nostra sorella sta bene.» rispose Josh e si guardò attorno, «Bel negozio.» commentò guardandosi attorno.
«Grazie.» fece lei, stupita da quella visita.
«È tuo?»
«Sì.» rispose lei incominciando a sentire un leggero fastidio a quelle domande. Cosa volevano quei due da lei? Se volevano parlare con Richard potevano uscire e andare al bar, oppure attenderlo in silenzio.
«Sai che Rosalie e Richard stanno insieme dalle superiori?» chiese Josh e Meredith annuì, «Sono la coppia perfetta, lo sai?» continuò camminando verso la cassa, «Una di quelle coppie che tutti invidiano, il primo amore che dura per sempre...» le sorrise e Meredith ebbe l'istinto d'indietreggiare ma non lo fece, rimanendo ferma al suo posto, lo sguardo fisso su quei due.
«Ah sì?» commentò,  «Sono felice per loro.» mentì e sperò di essere risultata convincente, sospirò quando la porta si aprì ed entrò Richard.
«Ho preso anche due ciambelline.» disse lui e si bloccò quando vide i cognati. «Che ci fate qui?» chiese.
«Volevamo vedere dove lavoravi.» rispose Sam. «È un bel posto.» aggiunse, «Adesso andiamo.» esclamò.
«Ci vediamo a pranzo.» esclamò Josh. 
«Okay.» disse Richard e li guardò uscire dal negozio. «Tutto okay?» domandò avvicinandosi al bancone, «Cosa volevano?» chiese quando i due sparirono dalla sua vista.
Meredith scrollò le spalle, «Solo dirmi che tu e Rosalie siete la coppia perfetta.» rispose e prese il bicchiere con il cappuccino e ci aggiunse lo zucchero. «Non preoccuparti.» sorrise prendendo la ciambellina.
Richard annuì e sospirò, «Okay.» fece, «Sicura di star bene?»
Lei sorrise, «Sicura.» rispose, «Sul serio, non preoccuparti.» disse e prese un pezzetto di ciambellina, «L'unica cosa che mi dà fastidio è che tu debba andare a pranzo con loro e che non puoi rimanere qui cinque minuti in più...» esclamò, «Avresti potuto avvertirmi che avevi visite.»
Richard smise di sorseggiare il suo caffè, «Non lo sapevo che sarebbero venuti.» disse, «Se ci sono anche loro ci sarà anche mia cognata e i miei suoceri.»
«Sembra che la cosa ti dia fastidio.» commentò lei e bevve il cappuccino.
«Non è che mi danno fastidio, è che...» Richard scosse le spalle, «Sanno essere pesanti quando vogliono.»
Meredith annuì e gli sfiorò la mano, «Non pensarci.» disse, «Almeno fino all'ora di pranzo.» sorrise.
Anche lui lo fece. «Cercherò di farlo.» disse, «Comunque... se tu, prima di chiudere mi dassi un bel bacio... potrei reggere il pranzo più facilmente...»
Meredith rise e posò il bicchiere sul bancone, prese un pezzo di ciambella e lo mangiò, «Okay.» fece, «Vedrò di fare il mio meglio...» sorrise.

«Perché hai venduto il ristorante?» domandò Meredith la mattina dopo. «Non me l'hai mai detto.»
Richard sospirò e si pulì le mani con della carta assorbente. «Io e Josh, il fratello di Rosalie, avevamo comprato un vecchio ristorante, riuscendo a conquistarci una bella clientela.» spiegò, «Dopo un paio d'anni Josh era sempre più assente e io chiedevo a lui, chiedevo a Rosalie, ai miei suoceri, ma mi rispondevano che non c'era da preoccuparsi... e io li ascoltai.» disse e sospirò, «Poi arrivarono le tasse e una comunicazione della banca: sul ristorante era stata aperta una nuova ipoteca. Era stato Josh a farlo, falsificando la mia firma.»
«Che cosa?» strillò Meredith.
Richard sospirò, «Già.» disse, «Lo chiamai e gli chiesi perché ma non rispose, lo chiesi a Rosalie ma lei non sapeva un cazzo, chiesi a Sam ma lui era via per lavoro praticamente tutta la settimana... poi ho chiesto ai suoceri che mi dissero che i problemi di Josh erano colpa mia.»
«Colpa tua?» chiese Meredith e gli sfiorò la mano, «Che problemi aveva?»
«Si è giocato tutto al casino e ai tornei di poker online.» rispose Richard, «Si è giocato il ristorante, ho scoperto che aveva rubato i soldi destinati agli stipendi dei dipendenti e quelli per pagare i fornitori... per pagare tutto quanto ho dovuto vendere il ristorante e la mia casa...»
Meredith inspirò lentamente, dicendosi che se suo fratello avesse fatto una cosa del genere come minimo lo avrebbe preso a calci. «Hai pagato tutto tu?» domandò a bassa voce.
«Sì.» rispose lui.
«Perché?»
«Perché i miei suoceri non vogliono scandali.» sospirò Richard. «Loro e Sam e Rosalie sapevano dei problemi di Josh e si sono arrabbiati perché io non mi sono accorto di nulla...» pigolò, «Ma io lavoravo quattordici ore al giorno,  dormivo sei ore per notte e il resto del tempo lo dedicavo ai miei bambini...»
Meredith gli strinse la mano e pensò che lei avrebbe trascinato suo fratello a un qualche incontro per giocatori anonimi, anche usando la forza, se necessario. «Tu non hai nessuna colpa.» disse stringendogli la mano, «Non pensarlo neppure.»
«Lo so.» sospirò Richard, «È che...» scrollò le spalle, «Sai, loro sono così.» mormorò, «I miei suoceri non vogliono scandali e avere un figlio ludopatico, ladro e truffatore è una di quelle cose che va nascosta sotto al tappeto.»
«E far ricadere la colpa su un'innocente.» disse Meredith.
Richard deglutì e chiuse gli occhi, le baciò la fronte. «Ti amo.» soffiò.
Meredith lo fissò e sorrise stringendogli le mani. «Ti amo.» mormorò e lo guardò, pensando che Josh non le era piaciuto per nulla quando era venuto in negozio — ma neppure Sam, se era per quello — le era sembrato... viscido, con l'aria di chi nasconde qualcosa.

«Che aria mogia mogia.» esclamò Meredith fissando Richard.
«Non è che sia felicissimo di vedere i miei suoceri e i miei cognati.» replicò lui sistemando la giacca sull'attaccapanni.
«Lo immagino.» sorrise Meredith e gli massaggiò la schiena per poi baciargli il retro del collo. «Non pensarci, non ora.» soffiò al suo orecchio mentre lo abbracciava da dietro.
Richard intrecciò le dita con quelle di lei, «Hai ragione.» disse, «Non pensiamo più a loro.» mormorò e si girò, fissando gli occhi azzurri di lei, sorrise e le toccò la punta del naso con l'indice destro, attirò a sé e la baciò.
«Dobbiamo aprire.» mormorò lei dopo un paio di minuti in cui i due erano rimasti stretti in un abbraccio.
«Di già?» fece lui.
«Eh, sì.» mormorò lei e fece un passo indietro senza smettere di sorridere, «Sai com'è, questo è un negozio e c'è gente a cui serve la roba che vendo.»
Richard rise e la seguì nel negozio, la osservò azionare la saracinesca e pensò che l'amava, l'amava da impazzire e sarebbe morto se qualcuno gli avesse impedito di vederla e di sentirla. Era deciso, aveva ormai rimandato da troppo tempo: ancora un paio di giorni e avrebbe detto a Rosalie che non l'amava più, poi era sicuro che Rosalie se ne sarebbe tornata dai suoi genitori. Questo significava che avrebbe visto i bambini solo il fine settimana ma avrebbe viaggiato anche di notte pur di vederli.
Lui amava Meredith così disperatamente che il solo pensiero di non vederla più gli mozzava il respiro.
«Ti amo.» esclamò mentre Meredith girava la chiave della porta d'ingresso. «Da impazzire e tu non sai neppure quanto ti ami.»
Lei lo fissò e le sue labbra si piegarono in un sorriso che le illuminò il viso, «Ti amo tanto anche io.» disse  e Richard sorrise, felice.

***

Prima settimana di Maggio.
Richard deglutì un paio di volte prima di scendere dall'auto, la lettera di dimissioni nella tasca posteriore dei jeans e un macigno sul cuore. Chiuse la portiera e avanzò piano, desiderando cadere, picchiare la testa e svegliarsi in ospedale e scoprire che era tutto frutto di un sogno orribile indotto da qualche farmaco. Lo desiderava così tanto che per un attimo gli balenò in mente l'idea di cadere di proposito. Entrò nel retro del negozio subito dopo Meredith.
«Ehi, Richard...» mormorò Meredith togliendosi la giacca, «Che cos'hai?» chiese sfiorandogli il viso con due dita.
Lui chiuse gli occhi e respirò il suo profumo prima di stringerla forte, affondando la testa nei suoi capelli, «Mi dispiace.» mormorò.
«Ti dispiace?» pigolò lei, non capendo, «Per cosa?» per un attimo le balenò in mente l'idea che Rosalie fosse incinta. «Rosalie è... incinta?» indagò.
Lui fece un passo indietro e la fissò, «Peggio.» rispose.
«Peggio?» fece Meredith, «Sta male? I bambini?» chiese iniziando a preoccuparsi sul serio. «Richard...»
Lui le baciò la fronte e portò una mano dietro la schiena e le porse la lettera.
«Mi licenzio.» sussurrò.
Meredith afferrò la busta con le mani che tremavano e sperò di aver capito male. «Perché?» chiese e prese il foglio, lo spiegò e lo lesse fino a quando i suoi occhi non si riempirono di lacrime. «Perché?»
«Perché devo.» rispose Richard. «Qualche lurido figlio di puttana ha mandato delle foto...» aggiunse, «Delle foto di noi due, mentre ci baciavamo... davanti al motel.»
Meredith sbiancò e strinse la lettera nel pugno destro, «Perché?» chiese, «Perché?»
Richard sospirò, «Perché sono costretto.» rispose.
«Ma potevi dire di no!» strillò lei iniziando a singhiozzare, «Potevi mandarla al diavolo!»
«C'erano i suoi genitori, i suoi fratelli e anche i miei genitori.» pigolò Richard mentre Meredith faceva un passo indietro, «Sono stato costretto.» disse, «Non mi faranno più vedere i bambini!»
Meredith tirò su con il naso, «E noi?»
Richard chiuse gli occhi a quella domanda, chiedendosi come avrebbe dovuto rispondere. «È finita.» soffiò. «Io ti amo, Meredith.» mormorò e non disse nulla quando lei lo schiaffeggiò. «Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace.» ripeté.
«Stronzo.» sibilò lei, «Prima mi prometti che la lascerai e poi...» inspirò un paio di volte, «E poi basta che ci siano i tuoi suoceri e tu... e tu... e tu dici di sì!» strillò, «Come puoi farlo?»
«Tu non conosci i miei suoceri!» gridò lui, «Loro... loro hanno sempre organizzato la nostra vita!» continuò a voce alta, «Sempre! Sempre! Mio suocero mi ha già trovato un lavoro e mia suocera un posto da un consulente matrimoniale!»
Meredith scosse la testa, gettò la lettera sul tavolino e andò ad aprire.
«Tesoro...» la seguì Richard, «Perdonami.»
Lei si girò verso di lui mentre la saracinesca si alzava, «Non posso.» disse, «Prima fai l'isterico perché esco con Albert e poi mi pugnali così alle spalle?»
Richard chinò la testa, «Mi spiace.» pigolò, «Mi dispiace tanto.»
«Lo spero bene.» sibilò Meredith aprendo la porta, «Perché al momento hai vinto il primo premio in stupidità, meschinità, idiozia e cretinaggine.»
Richard sospirò di nuovo, «Lo so.» pigolò, «È solo colpa mia.»
«Chi ha mandato le foto?» chiese lei mentre accendeva la cassa.
«Non ne ho idea.» rispose lui, «Rosalie mi ha detto che sono arrivate per posta...»
Meredith inspirò a fondo, dicendosi che doveva calmarsi, che sicuramente era un incubo orribile, che doveva solo chiudere gli occhi, fare un paio di respiri profondi e che, una volta aperti gli occhi sarebbe andato tutto bene. Così si chinò, chiuse gli occhi, respirò a fondo e si alzò in piedi, scoprendo che, purtroppo, era tutto vero: Richard si era licenziato e la loro storia era finita.
Il campanello della porta suonò mentre Richard annunciava che andava a sistemare un paio di cose.
«Ehi, Meredith!»
Lei guardò Albert, «Che c'è?» sbottò, «Che ci fai qui?»
«Ho preso un giorno di ferie per stare qui con te.» rispose lui.
«Oggi non è giornata.» ringhiò lei, «Sul serio, se rimani qui per più di cinque minuti ti do un cazzotto.»
«Che succede?» chiese lui avvicinandosi.
Meredith lo fissò e si trattene dal colpirlo, «Niente che ti riguardi.» rispose, atona, «Solo una brutta giornata.»
«Bhe, posso farti ritrovare il buonumore.» sorrise Albert e Meredith si chiese se fosse scemo a non capirla.
«No.» rispose lei, «Non credo proprio.» aggiunse e sospirò, pronta a dirgli di andarsene ma un cliente entrò, «Scusami, devo lavorare.» disse ad Albert.
Lui la osservò e, quando lei gli voltò le spalle, sorrise divertito.
Il suo piano aveva funzionato alla perfezione.

***

Era venerdì, l'ultimo giorno di lavoro di Richard prima che andasse in ferie e poi il suo licenziamento sarebbe stato effettivo. In quei giorni aveva provato diverse volte a parlare con Rosalie ma semplicemente non ci riusciva, appena iniziava il discorso, dicendo che lui non era più sicuro dei sentimenti che provava per lei, automaticamente Rosalie mugugnava: “Pensa ai bambini.” poi si voltava, andava da sua madre a piagnucolare che Richard le parlava di “quella là”. E sua suocera accorreva e gli ripeteva che non doveva pensare a “quella sgualdrina” ma a sua moglie e ai bambini, calcando per bene sull'ultima parola. E in più veniva accompagnato al lavoro, come se fosse stato un ragazzino da accompagnare a scuola dopo una sospensione di tre giorni. Arrivava un minuto prima di iniziare il turno e usciva appena scoccava l'ora di fine turno.
«Meredith!» esclamò uscendo dal magazzino, «Per favore...»
«Resta.» disse lei, «Per favore, ti prego... resta.» pregò, prendendolo per mano, «Rimani, Richard.» aggiunse e lo guardò, gli occhi umidi e le ciglia bagnate di lacrime, «Posso pagarti un avvocato per la custodia dei bimbi.» mormorò, «Posso vendere la casa, rinunciare a comprare la giostra, venderei anche il negozio...» dalle sue labbra uscì un piccolo singhiozzo e si morse il labbro inferiore mentre tirava su con il naso, «Ti prego, resta.»
Lui la fissò, sentendosi male. Le sfiorò le guance, cancellando le lacrime, passò un dito sulle labbra e posò la fronte contro quella di lei, respirando il suo profumo. «Non posso chiederti questo.» soffiò.
«Infatti non devi chiederlo.» pigolò lei ad occhi chiusi. «Mi offro io.»
«Non è possibile, tesoro.» disse Richard, «Farebbero di tutto per togliermi i bambini.»
Meredith singhiozzò e alzò le braccia, stringendosi a Richard, che l'abbracciò, le baciò il viso e poi le labbra, attirandola contro di sé fino a quasi farle mancare il respiro.
Lei lo lasciò fare e cercò le sue labbra, trovandole e quasi le morse con disperazione, sapendo che quello era il loro ultimo bacio. Poi la giornata di lavoro sarebbe finita, Richard sarebbe uscito da quella porta e se ne sarebbe andato, per sempre.
Meredith non disse nulla quando Richard la fece sdraiare sul pavimento, sopra a un vecchio telo di plastica, buttato a terra per essere sistemato più tardi. Meredith non disse nulla quando lui la spogliò velocemente, gemette quando le baciò il seno e le sfiorò l'intimità, chiuse gli occhi quando Richard entrò in lei, gli graffiò la schiena, baciandogli il collo mentre le lacrime rotolavano sulle sue guance.

Richard indossò la giacca di jeans e guardò Meredith. «Ti amo.» disse. «Ti amo, Meredith.»
Lei lo guardò, abbassò lo sguardo mentre sospirava e alzò il viso. «Ti amo anche io.» esclamò, afferrò la borsa, spense la luce e uscì dalla porta tenuta aperta da Richard. Lo guardò salire nell'auto del cognato e allontanarsi.
Quando arrivò a casa si lasciò cadere sul divano dove scoppiò di nuovo in lacrime, stringendo il cuscino e affondando il viso contro di esso mentre singhiozzava e sentiva il cuore rompersi in milioni di piccoli pezzi; si raggomitolò su se stessa,  stringendo il cuscino, sentendo le unghie che graffiavano la stoffa.Dopo un quarto d'ora abbondante smise di piangere ma rimase abbracciata al cuscino. Lentamente si alzò in piedi, levò la giacca e le scarpe, si passò le mani sul viso, si alzò in piedi e andò in cucina, tolse l'insalata di riso e il vitello tonnato che suo fratello le aveva preparato dal frigo e li mise sul ripiano. Non era sicura che sarebbe riuscita a mangiare ma tentare non le costava nulla.
Andò in bagno dove si lavò il viso evitando di guardarsi allo specchio, tornò in cucina, riempì un piatto con l'insalata di riso e si sedette al tavolo, accese la tv e selezionò il canale che in quel momento trasmetteva il telegiornale. Senza accorgersene mangiò tutto quello che era nel piatto ma aveva ancora fame, così prese il vassoio con il vitello tonnato e ne mangiò metà prima di rimettere gli avanzi nel frigo. Davanti ad esso rimase per qualche secondo ferma, aprì il freezer e prese la vaschetta di gelato, andò in salotto, accese la tv dopo aver spento quella della cucina e decise di guardare qualche puntata di "Law & Order".
Durante la pubblicità il telefono suonò, «Pronto?» pigolò Meredith sperando che fosse Richard che le diceva che aveva mandato a quel paese la sua famiglia.
«Ehi, Meredith»
«Albert.» sospirò lei, «Che vuoi?» chiese.
«Che cos'hai?» chiese lui.
Lei sospirò di nuovo. «Nulla.» rispose, «Sono solo stanca.»
«Ah, okay.» disse Albert «Domani sera usciamo?»
Meredith per un attimo pensò di rispondere di sì, poi cambiò idea perché non sarebbe servito a riportare  Richard nella sua vita. «No.» rispose, «A dire la verità non mi sento molto bene, credo di essermi presa qualcosa.»
«Ma siamo a Maggio!» protestò lui.
«Il mio fisico evidentemente non lo sa.» replicò lei, «Senti sono stanca e voglio dormire.» esclamò più acida di quanto avesse voluto.
«Ah.» fece Albert, «Vuoi che venga lì?» chiese.
Meredith guardò il televisore, vedendo che il telefilm era reiniziato. «Non è necessario.» disse, «Anzi, adesso vado a dormire.» disse, «Ciao, buona notte.» aggiunse e riattaccò senza aspettare che Albert dicesse qualcosa.
Quando le due puntate finirono Meredith si rese conto che aveva finito il gelato, così gettò il contenitore nel lavello, controllò di aver chiuso la porta e che l'allarme fosse inserito e andò  a dormire, dicendosi che il giorno dopo sarebbe uscita di casa solo per andare ad appendere un cartello che diceva che il negozio avrebbe riaperto il lunedì.
Richard se ne era andato e lei non sapeva vivere — o non voleva farlo — senza di lui.

Salve popolo di EFP!
Nuovo capitolo, ormai siamo quasi alla fine, ancora un paio di capitoli e archivio anche questa storia. Purtroppo non ho più l'ispirazione che avevo all'inizio e ogni capitolo non è solo un parto, ma un'intera gravidanza xD (che paragone scemo -.-)
In ogni caso è quasi finita.
Ringrazio chi legge, chi mette la storia in una delle liste e tutte le personcine carine carine che mi hanno messo fra gli autori preferiti.

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


Please Stay (extended version)


Capitolo Ventidue

 Meredith sospirò e passò lo strofinaccio sullo stesso punto per l'ennesima volta.
«Ma mi stai ascoltando? Meredith!»
Lei alzò lo sguardo e fissò Albert. «Uh?» fece, «Scusa, pensavo ad altro...» sospirò.
«Ultimamente pensi sempre ad altro.» ribatté lui e si domandò come facesse a pensare ancora a Richard, dopotutto erano passati quasi sei settimane da quando lui se ne era andato.
«Mi dispiace.» esclamò lei.
«Potresti smetterla di pensare a Richard e trovarti un nuovo commesso... c'è sempre Tim, eh.»
Meredith strinse le labbra, «Io non penso a Richard.» mentì - non aveva ancora confessato all'amico della sua storia con Richard - «E no, non voglio Tim.» disse, «È un tontolone, come minimo dovrei restare attaccata al suo culo per aggiustare i suoi danni.»
«Non è così... tonto.» replicò Albert.
«Io non lo voglio.» disse lei.
«Usciamo questa sera?» chiese e lui e sperò che Meredith gli rispondesse di sì.
Meredith sospirò. «No.» rispose, «Devo controllare la contabilità.»
«Puoi farlo domani.» sospirò Albert, «Dai, Meredith, per favore...» la supplicò.
Lei lo fissò e strinse lo strofinaccio. «Ho detto no.» ringhiò, «Oh, vuoi lasciarmi in pace?» sbottò, «È inutile che insisti!»
Albert la fissò, sentendosi a metà strada fra l'essere deluso e il sentirsi arrabbiato. «Sono due settimane che non usciamo!» disse.
«E allora?» ribatté lei, «Se dico no è no!» esclamò e gettò lo strofinaccio nel ripiano sotto al bancone, «Cos'è, sei diventato sordo all'improvviso?» chiese e sospirò dal sollievo quando entrò un cliente. «E ora vai a casa, al lavoro, dove ti pare... basta che non rompi più le scatole, okay?»
Albert la fissò e sospirò, «Okay.» mugugnò, «Ci vediamo.» disse e se ne andò, pensando che non era così che dovevano andare le cose.
Meredith lo osservò poi si stampò un sorriso sul volto e si concentrò su cliente, dicendosi che doveva dimenticare Richard ma non riusciva a toglierselo dalla mente.

***

«Ho avuto una relazione con Richard.» esordì Meredith, «È durata quasi nove mesi,» continuò «poi qualcuno a mandato delle foto di noi due a sua moglie e lui è stato costretto dai suoceri a licenziarsi e ad andarsene.»
Jacob fissò la sorella e rimase per un attimo in silenzio, «Oh.» esclamò, «Ah... e lo senti ancora?»
Meredith lo fissò, sorpresa di non essere stata chiamata “una rovina famiglie”. «No.» rispose, «Non lo sento più da quando è partito.» sospirò. «Non mi giudichi?» pigolò.
«Dovrei?» replicò Jacob, «Sei la mia sorellina.» disse e l'abbracciò. «Mi dispiace che tu stia male.» le sussurrò.
Meredith si fece coccolare, felice che qualcuno l'avesse ascoltata senza giudicarla negativamente. «Io lo amo...» pigolò affondando il viso contro la spalla del fratello, «Lo amo tanto...» singhiozzò.
Jacob le accarezzò i capelli biondi e sospirò. «Dovrei dirti di non pensare a lui ma so che è impossibile, quindi mi limiterò a chiederti se ti va di dirti cosa è successo fra voi due.»
Meredith annuì e si scostò da lui, «Okay.» mormorò, «Ho sete.» disse, Jacob annuì e le andò a prendere da bere mentre lei pensava che forse, se ne avesse parlato prima con lui, tutto ciò non sarebbe accaduto.
E che, forse, Richard non avrebbe ascoltato i suoi suoceri e sarebbe rimasto lì con lei.

***

Richard sospirò per l'ennesima volta e guardò lo schermo del computer, per poi spostare lo sguardo sul portapenne, come se potesse vedere l'elastico azzurro che giaceva sul fondo.
Quell'elastico era l'unica cosa che gli rimaneva di Meredith. Non aveva nessuna foto - Rosalie le aveva gettate tutte quante - non poteva più sentirla perché sua moglie gli controllava tutte le chiamate che faceva e riceveva grazie al sito della compagnia telefonica. Aveva solo quell'elastico che lui le aveva preso una delle ultime volte che erano stati insieme, quando era ancora convinto che avrebbe lasciato Rosalie per stare, finalmente, con Meredith.
Invece... invece era andato tutto a rotoli.
Sospirò, pensando che non doveva pensare a quanto gli mancasse Meredith, il suo profumo, la sua risata, il modo in cui lo guardava e lo baciava e lo accarezzava.
Richard si riscosse quando un suo collega gli chiese se volesse fare la pausa caffè. Si alzò dalla sedia, sentendosi come se fosse vecchio, come se portasse sulle sue spalle un peso enorme. 
L'unica cosa che voleva era stare con la persona che amava sul serio.

***

Meredith fissò il calendario. Quindici di Luglio.
Due lunghissimi mesi e mezzo senza avere notizie di Richard. 
Sospirò e si appoggiò al bancone con le braccia, posando la testa sopra di esse, sentendo che sarebbe scoppiata a piangere da un momento all'altro, chiedendosi quanto ancora sarebbe durato quel dolore, se c'era un modo per farlo passare.
«Ehi Meredith.»
Lei alzò il viso e guardò quello sorridente di Albert. «Che vuoi?» gracchiò, «Lasciami in pace.» disse.
«Volevo invitarti ad uscire, così ti levi quel faccino triste.» rispose lui senza smettere di sorridere.
«Io voglio essere triste.» replicò lei mettendosi dritta.
«Nessuno vuole essere triste.»
«Io sì.» sospirò lei. «Albert, tu non puoi capire quello che sto passando, quindi levati quel sorriso scemo e piantala di rompere.» esclamò, acida.
«Eddai, non fare così.» mormorò Albert, «Voglio solo vederti sorridere.»
Meredith lo osservò, chiedendosi se dovesse dirgli tutto, «Sai riportare indietro il tempo? Mi pare di no.» esclamò, «Quindi non puoi fare nulla.»
«Posso provarci lo stesso.» Albert scrollò le spalle, «Che ne dici di un aperitivo?»
Meredith sospirò, «Okay.» acconsentì, «Ma solo quello che ho una montagna di vestiti da mettere a posto.»
Albert sorrise e annuì, «Perfetto!» disse, «Adesso vado che se non torno a casa mamma mi picchia!» aggiunse, baciò la guancia dell'amica e se ne andò.
Meredith lo osservò e poi sospirò.
Voleva solo una cosa e non poteva averla. Rivoleva Richard lì con lei, voleva guardarlo lavorare, parlare con lui e stare fra le sue braccia.
Si coprì il viso con le mani e fece un respiro profondo, imponendosi di non piangere, prese la bottiglietta d'acqua e bevve un lungo sorso, poi andò in bagno e bagnò il viso con l'acqua fredda, ignorano le occhiaie attorno agli occhi. Sospirò di nuovo e tornò nel negozio.

***

Richard frenò bruscamente quando vide la cabina telefonica, s'infilò in un posteggio e scese, frugò nelle tasche alla ricerca di qualche moneta mentre camminava velocemente verso la cabina. Sorrise quando, dopo aver alzato la cornetta, scoprì che il telefono funzionava. Infilò un paio di monete nella fessura e compose quel numero che conosceva a memoria.
«Pronto? Pronto, chi è?»
Richard si morse il labbro quando sentì la voce di Meredith.
«Pronto? Non sento niente.»
«Meredith.» mormorò lui.
«Richard!» singhiozzò lei, «Richard.»
«Come stai?» chiese lui.
«Mi manchi.» piagnucolò Meredith, «Mi manchi tantissimo, non riesco a vivere senza di te, torna qui, ti prego!»
Richard chiuse gli occhi e strinse la cornetta con forza, «Anche tu mi manchi.» disse e infilò altre monete nella fessura, «Ti amo.»
Meredith singhiozzò e quel suono fece male a Richard perché sapeva che era a causa sua se stava male, «Ti amo.»
Richard sorrise, «Lo so.» mormorò, «Non piangere, amore.» pigolò posando la fronte contro la parete di vetro della cabina, «Non posso sentirti piangere, mi si spezza il cuore.»
«E allora torna qui!» gridò lei, «Torna qui.» singhiozzò.
Richard sospirò, «Non posso.» disse, «Lo vorrei tanto ma non posso.» sospirò, «Ricorda che ti amo.»
«Richard...» piagnucolò lei, «Ti prego, torna.»
Richard chiuse gli occhi, sentendo che sarebbe scoppiato in singhiozzi da un momento all'altro. «Non posso.» ripeté, «Ma lo farò.» esclamò, anche se non aveva idea di quando sarebbe successo - e se sarebbe successo.
«Quando?» mormorò lei, «Quando?»
«Non lo so.» rispose lui, anche se avrebbe voluto dirle che sarebbe partito subito, «Spero presto.» sorrise, «Devo andare, amore.» disse, «Ti richiamo domani.» promise.
«Va bene.» pigolò lei, «Ti amo.» soffiò.
«Ti amo.» disse Richard e deglutì il groppo che aveva in gola. «Ti amo.» ripeté e agganciò la cornetta.
Fece un respiro profondo, si passò le mani sul viso e tornò all'auto, sentendosi sollevato perché Meredith lo amava ancora. Ma era anche triste perché avrebbe voluto essere con lei.
«Dove sei stato?» abbaiò Rosalie quando Richard entrò in casa, «Sei in ritardo di dieci minuti!»
«Mi sono fermato perché volevo prendere un caffè.» rispose Richard e mostrò il bicchiere di carta vuoto, «Sono solo dieci minuti, non dieci ore.» aggiunse e andò a buttare i bicchiere.
«Lo sai che devi tornare a casa subito dopo il lavoro!» esclamò Rosalie.
Richard chiuse lo sportello del mobiletto, «Piantala.» sibilò, «Vado dai bambini.» disse. La terapia di coppia non stava funzionando molto bene, ad ogni seduta lui capiva che si sentiva sempre meno legato a sua moglie e che amava sempre di più Meredith.
Fissò i bambini che giocavano nella loro stanza. Emily stava pettinando una delle sue bambole mentre Chris spingeva un'automobile rossa.
«Papà!» trillò la bambina, lasciò perdere la bambola e corse dal padre, che l'abbracciò e le baciò la testa. La prese in braccio e si avvicinò al figlio minore, gli baciò la testa e sorrise. 
«Cosa fai?» chiese.
«Gioco.» rispose il bambino.
«La cena è pronta!» strillò Rosalie.
Richard condusse i bambini in bagno e li aiutò a lavarsi le mani, poi andarono nella minuscola cucina e cenarono.
«Che cos'hai?» chiese Rosalie quando furono a letto, un paio d'ore più tardi.
Richard sospirò, «Niente.» rispose, «Sono solo stanco.» mormorò girandosi sul fianco e dando le spalle alla moglie.
«Non ti va...» mormorò lei abbracciandolo.
«Sono stanco.» ripeté lui.
«Ma sono giorni che non facciamo nulla!» protestò Rosalie.
«Sono stanco.» sospirò lui.
«Tu pensi ancora a lei.» piagnucolò Rosalie stringendo le coperte.
Richard sospirò, «Non puoi impedirmelo.» disse, «Non puoi cambiare le cose.» esclamò senza voltarsi.
«Devi parlarne con il consulente di coppia.» piagnucolò
 Rosalie, «Lui ti aiuterà a dimenticarla.»
Richard girò appena la testa, fissando il viso della moglie, «E chi ti dice che voglio dimenticarla?» sospirò.
Rosalie deglutì la saliva, «Pensa ai bambini.» sbottò, si sdraiò e tirò le coperte fino al naso, «Buona notte.»
Richard sospirò. Lui non avrebbe mai dimenticato Meredith, qualunque cosa gli dicessero, al limite avrebbe potuto fingere di averlo fatto. L'ultima cosa che voleva era perdere i suoi figli.

***

Meredith sbadigliò e aprì gli occhi, fissando il soffitto bianco; anche se Richard l'aveva chiamata e le aveva detto che l'amava lei era ancora più triste delle settimane precedenti. Aver sentito la sua voce era stato devastante.
Con un sospiro si alzò in piedi e si preparò per il lavoro. Prima di uscire aprì il cassetto dove aveva nascosto il cuore che Richard le aveva preparato per San Valentino e lo strinse al petto per qualche istante prima di sistemarlo nella scatolina e nasconderla sotto a delle magliette che non usava mai.
Un'ora più tardi sbuffò quando vide Albert entrare nel negozio.
«Ciao!» esclamò lui con allegria.
«Ciao.» mugugnò lei.
«Domani sera usciamo.» disse il ragazzo, «Non accetto rifiuti.» esclamò appoggiandosi al bancone.
Meredith inspirò lentamente, «Albert, io...» mormorò, «Non mi va di uscire.»
«E invece esci.» disse Albert. «È il novantesimo compleanno della prozia Rose e mamma vuole che tu venga.» sorrise. «Più tardi mamma ti chiamerà per invitarti.»
Meredith lo fissò. Conosceva la prozia Rose e sapeva che la madre dell'amico l'avrebbe sicuramente chiamata per invitarla come aveva fatto l'anno prima. «E va bene.» acconsentì.
Albert sorrise, «Perfetto.» esclamò, «Adesso scappo, altrimenti arrivo tardi.» si sporse oltre il bancone e baciò la guancia dell'amica, «Ci sentiamo dopo!» disse e uscì dal locale.
Meredith sospirò e fissò la porta. Lei non avrebbe voluto andarci ma sapeva che se non lo avesse fatte avrebbe dovuto dare troppe spiegazione e lei non voleva darle.

***

Richard aprì la portiera e fissò le due monetine che luccicavano sull'asfalto. Le guardò e le raccolse, dicendosi che, anche se era un dollaro, era sempre meglio di nulla, pensò che avrebbe potuto usarle per prendersi un paio di caffè al distributore automatico dell'ufficio.
Uscì dall'auto infilando i due mezzi dollari nella tasca dei pantaloni, chiuse la portiera e osservò il bar dall'altra parte della strada, proprio di fronte al suo ufficio. D'istinto entrò e osservò i tagliandi del gratta e vinci appesi vicino alla cassa.
«Un gratta e vinci da un dollaro e un caffè, per favore.» disse alla cassiera, pagò e si spostò al bancone e, mentre attendeva che il caffè fosse pronto, grattò il tagliando. «Grazie.» sorrise alla cameriera quando ella gli porse il caffè, e guardò di nuovo il gratta e vinci e si disse che non era possibile. Zuccherò il caffè e lo sorseggiò, chiedendosi cosa potesse farci con quei soldi.
Gli venne in mente Meredith, quanto gli mancasse la sua voce — la chiamava sempre quando usciva dal lavoro, anche solo per parlarle per pochi secondi, e sapeva che prima o poi avrebbero tolto la cabina telefonica.
Finì il caffè, si fece cambiare il tagliando e infilò le tre banconote da cento nel portafoglio. Uscì dal bar sentendosi leggero: avrebbe comprato un cellulare e una nuova sim, magari ricaricabile, così avrebbe potuto sentire Meredith più spesso, senza temere il giorno in cui avrebbero eliminato la cabina.
Sapeva che poco più avanti c'era un negozio di telefonia, pensò che ci sarebbe potuto andare dopo il lavoro. Con un sorriso entrò nello stabile dove risiedeva il suo ufficio.

***

Richard non poteva crederci: Rosalie lo aveva appena chiamato per chiedergli di passare in rosticceria a comprare del pollo arrosto per cena. La rosticceria era proprio di fronte al negozio di telefonia.
Comprò il pollo e pochi minuti dopo era nell'altro negozio. Scelse in fretta un cellulare, prese una SIM ricaricabile, attivò un paio di offerte e tornò a casa pensando a dove poter nascondere il cellulare. Al momento era acceso ma senza suoneria o vibrazione.
«Ecco il pollo.» esclamò entrando in casa, baciò distrattamente le labbra di Rosalie e disse che doveva andare subito in bagno. Una volta chiusa la porta dietro di sé inspirò a fondo, pensando a cosa scrivere e, dopo una manciata di secondi gli venne in mente qualcosa.
"Amore mio, sono Richard. Domani ti chiamo e ti spiego tutto. Ti amo." digitò e inviò il messaggio, sorridendo quando apparve l'avviso che era stato inviato, spense il cellulare; si piegò e spostò lo zoccoletto del mobiletto, nascose il cellulare in quel piccolo spazio — il carica batterie lo aveva lasciato in auto — e rimise a posto tutto quanto.
Tirò lo sciacquone del gabinetto, si lavò le mani e tornò in cucina, trovando la moglie e i bambini seduti a tavola.
«Perché sorridi?» domandò Rosalie mentre gli posava un piatto con una coscia di pollo.
«Non posso sorridere?» replicò lui, «Sono con la mia famiglia.» disse e le prese la mano, stringendola leggermente.
Il viso di lei si illuminò e sorrise, lo face anche lui, pensando che sarebbe andato tutto bene, che Rosalie non avrebbe mai scoperto che continuava a sentire Meredith.
E, in fondo, sorrideva perché sapeva che una parte di lui amava ancora la moglie.

***

Meredith lesse quel messaggio per l'ennesima volta e sorrise. Non sapeva come mai Richard avesse un altro numero ma non le importava molto. Quello che contava era sentirlo, potergli scrivere.
E rivederlo.
Avrebbe voluto tanto rivederlo ma sapeva che era praticamente impossibile.
Infilò il cellulare in borsa con un sospiro e salì in auto per dirigersi alla ferramenta. Era appena entrata e si era tolta la giacca leggera di jeans quando il suo cellulare squillò. Spalancò la borsa e lo afferrò, sorridendo quando vide il nome "Lennon" lampeggiare sullo schermo. Era Richard Aveva scelto quel nome perché lui le aveva raccontato di aver avuto un cane, tanti anni prima, con quel nome.
«Pronto?» mormorò.
«Meredith.»
La ragazza si morsicò il labbro inferiore per impedirsi di piangere. «Richard.» sospirò, «Come...»
«Ho vinto dei soldi al gratta e vinci e ho deciso di prendere un cellulare solo per te.» rispose lui, «Ti amo.»
Meredith si appoggiò alla parete, «Ti amo anche io.» pigolò, «Torna, per favore.» disse, «Torna e resta con me.» lo supplicò, scivolando contro la parete e sedendosi sul pavimento.
Richard sospirò, «Non posso, amore.» mormorò, «Non posso.»
«Ma perché?» pigolò lei, sentendosi sul punto di piangere, «Torna da me.»
«Non posso.» fece lui, «È troppo complicato.» disse, «Adesso non posso posso.»
Meredith spalancò gli occhi, «Adesso no... ma dopo?» mormorò speranzosa.
«Dopo vedremo.» disse lui, «Devo andare.» continuò, «Ci sentiamo più tardi.» disse, «Ti amo.»
«Ti amo.» mormorò lei e sentì il click che indicava la chiusura della chiamata. Strinse il cellulare al petto e alzò il viso, fissando il soffitto. Si disse che doveva avere solo un po' di tempo, che doveva solo aspettare, che doveva avere un po' di pazienza e che, alla fine, Richard sarebbe tornato da lei.

Scusate il ritardo, ma ho avuto un bel blocco su questa storia -.-
Mi dispiace per il capitolo un po' corto, ma questo era quello che diceva la scaletta e questo è quello che dovevo scrivere. Ormai non manca molto alla fine.
Grazie a chi legge/mette la storia in una delle liste/commenta.

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


Please Stay (extended version)

Capitolo Ventitré

Fine Agosto.

Meredith sospirò e passò lo strofinaccio sullo stesso punto per l'ennesima volta, fissando la porta, desiderando veder spuntare Richard che le diceva di amarla e volerla sposare.
Si chinò per riporre lo sgrassatore e lo straccio e irrigidì la schiena quando il campanello trillò e alzò il viso, sperando che il suo desiderio si avverasse. «Albert.» mormorò vedendo l'amico. Lo sapeva che il suo desiderio era difficile da realizzare ma rimase lo stesso delusa.
«Che faccia.» commentò lui, «Cos'è, speravi che entrasse Brad Pitt nudo?» scherzò.
Meredith sorrise, «Bhe, non sarebbe male.» disse, «Pensavo il fornitore.» rispose, dicendo una mezza verità — il fornitore doveva venire sul serio, solo che sarebbe arrivato nel pomeriggio.
Albert si avvicinò al bancone della cassa, «Ti va di andare a mangiare una pizza, domani sera?» domandò, «È da tanto che non ci andiamo.»
Meredith pensò che era da tanto che non usciva a cena, «Va bene.» acconsentì.
Albert sorrise, felice. «Lo vuoi un cappuccino?» domandò, dicendosi che doveva continuare così, che presto Meredith avrebbe dimenticato Richard.
«Se lo vai a prendere te, allora sì.» disse lei e Albert annuì, disse che sarebbe tornato subito e uscì dal negozio. Meredith sospirò e si girò, appoggiandosi con la schiena al bancone e fissò la foto con la giostra con i cavalli. Con tutta quella storia si era dimenticata della giostra e del desiderio di comprarla.
Inspirò a fondo e sentì il desiderio di piangere. Voleva Richard, lo voleva con tutta se stessa, lo voleva accanto a sé, voleva che tutto tornasse come prima.
Ma non era possibile.

***

Rosalie sospirò dopo aver raccontato tutto a Marie, una sua vecchia amica. «Se la vedo l'ammazzo.» disse.
«Bhe... lei che c'entra?» chiese Marie, «È lui che ti ha tradito, non lei.» disse.
«Ma lei me lo ha portato via!» strillò Rosalie, facendo girare alcune delle persone sedute accanto a loro. «È solo una puttana.» sputò.
Marie la fissò e sospirò, «Se Richard ti ha tradito la colpa non è solo dell'altra, ma anche di lui.» disse e sorseggiò il caffè. «E anche tua.»
«Mia?» esclamò Rosalie. «No!» disse, «E perché sarebbe mia?»
Marie sospirò ancora, conosceva benissimo Rosalie, sapeva come la pensava e che non avrebbe mai ammesso di avere torto, anche solo in minima parte. «Diciamo che non vi sareste trasferiti se tuo fratello non si fosse giocato tutti i soldi e il ristorante,» ricordò «quindi in parte è anche colpa tua, visto che sapevi dei problemi di tuo fratello ma hai preferito nascondere la testa sotto la sabbia.» continuò.
«Non c'entra nulla.» replicò Rosalie.
«Da quando è nato il piccolo quante volte l'avete fatto?» chiese Marie.
Rosalie la fissò come se fosse pazza. Cosa c'entrava il sesso fra lei e Richard? «Bha, forse una o due volte al mese e neanche tutti i mesi.» rispose. «E solo quando insisteva tanto.»
«Gli davi il contentino, quindi.» borbottò Marie, «Mi sembra quasi normale che cerchi in un'altra quello che tu non gli dai.»
«Ma io mi occupo dei bambini e della casa!» protestò Rosalie, «E poi due bambini li abbiamo già, cosa pretende?» disse, «Non abbiamo più vent'anni!» esclamò incrociando le braccia.
Marie si trattenne dal darle uno schiaffo, quando si comportava così, come una bambina, non la sopportava. «I bambini vanno a scuola, quindi per otto ore non sei tu a occuparti di loro.» esclamò, «E la casa... prima di trasferirvi là avevi la domestica che veniva due ore al giorno per cinque giorni a settimana.» continuò, «Tu occupavi il tuo tempo libero andando in palestra o per centri commerciali.» sputò, «Per quello non eri mai stanca, però.» disse, «Ma per occuparti di Richard sì.» esclamò, «Per dargli un bacio o fare l'amore con lui sì.»
Rosalie fece una smorfia offesa, «Quella è una sgualdrina!» strillò, «Meredith Stocks è una troia rovina famiglie!» gridò.
Marie scosse la testa, recuperò la borsa e si alzò in piedi. «Tu capisci benissimo quello che voglio dire, solo che sei troppo stupida.» disse, «Me ne vado.» aggiunse voltandosi.
«E chi paga?» esclamò Rosalie ma la sua amica si era già allontanata.
Lei odiava Meredith, la detestava per averle portato via Richard. Avrebbe voluto che sparisse per sempre, che Richard la dimenticasse.

***

Richard chiuse gli occhi e portò il cellulare all'orecchio. «Meredith.» soffiò quando lei gli rispose, «Ti amo.»
«Ti amo.» disse lei, «Mi manchi. Come stai?»
Lui deglutì e premette una mano sul viso, «Male perché siamo lontani.» rispose, «Bene perché ti sto parlando.» mormorò, «Mi manchi tantissimo.»
«Non puoi saltare un giorno di lavoro?» domandò lei, «Io posso chiudere per un giorno e ci incontriamo a metà strada.» pigolò e sperò che dicesse di sì.
«Non posso.» mormorò lui, «Mi dispiace ma mio cognato lavora due piani sotto al mio e durante la pausa sale, se non ci sono lo scopre subito.»
Meredith si trattenne dal piangere, «Ma io voglio vederti...» pigolò.
«Anche io.»
«E allora perché...» soffiò lei, «Non puoi farti condizionare così!» strillò, «Ti verrà un esaurimento.» disse.
«Mi toglierà io bambini!» gridò lui, «Me li toglie se ti vedo ancora, vuoi capirlo?»
Meredith sospirò, «Mi manchi tanto, Richard, ho bisogno di vederti.» sussurrò.
«Anche io.» disse lui, «Ma adesso non posso, amore mio.» esclamò, «Ma ti prometto, ti giuro, che riusciremo a incontrarci.» disse, «Devo andare, ti amo.»
«Ti amo anche io.» disse lei.
Richard riattaccò e si sentì male, come ogni volta che sentiva Meredith. Aveva un bisogno disperato di vederla, di sentirla, di stringerla fra le braccia e baciarla fino a farsi male alle labbra.
Voleva stare con lei e le aveva fatto una promessa. Giurò a se stesso che l'avrebbe mantenuta, a qualsiasi costo.

***

Metà Ottobre.
Meredith si alzò dal pavimento, il viso bagnato dalle troppe lacrime. Richard era andato via. Era venuto solo per una notte ed era ripartito, ignorando le sue suppliche, le sue richieste...
Erano passati quasi sei mesi da quando lui aveva lasciato il lavoro e lei, a parte sentirlo al cellulare, non l'aveva più visto. Era stata felice quando lui le aveva detto che tornava ed era convinta che sarebbe stato per sempre... invece lui era ritornato dalla moglie e dai figli. Tutti volevano che rimanesse con Rosalie e lui — invece di seguire il cuore — li aveva assecondati.
Meredith aveva sentito un paio di avvocati e tutti le avevano detto che, in caso di separazione e divorzio, se Rosalie non avesse fatto vedere i bambini a Richard, avrebbe passato dei guai. Meredith glielo aveva detto, ripetuto fino allo sfinimento, ma Richard non aveva preso in considerazione quello che gli diceva.
E adesso se ne era andato. Richard era uscito dalla sua casa e forse dalla sua vita. Come avrebbe fatto?
Si trascinò in bagno e vomitò.

***

«Come va?» domandò Albert, «Mi sembri pallida.»
«Sto bene.» mugugnò lei, «È solo un po' di mal di pancia.» mentì.
Albert le si avvicinò e le prese la mano. «Sai che puoi parlarmi, se vuoi.» disse. «Siamo amici.» sorrise.
Meredith abbozzò un sorriso, «Giusto.» disse, «Hai tempo?» domandò, «Vorrei prendermi un caffè.» disse, «È quasi ora di merenda.»
Albert, annuì, felice. «Sì, oggi faccio la notte.» esclamò. Era contento che Meredith gli avesse fatto quella proposta, passare del tempo con lei era la cosa che voleva dio più e sperava che Meredith dimenticasse del tutto Richard e si innamorasse di lui, perché era quello che desiderava più di tutto.
Meredith prese la borsa, girò il cartello con scritto “Torno Subito” e chiuse a chiave la porta, per poi seguire Albert verso il bar poco distante, pensando che una distrazione era quello che ci voleva, che forse avrebbe smesso di pensare a Richard.
«Fra qualche giorno è il compleanno di Greg.» esclamò Albert dopo essersi seduti, «Stava pensando di andare a mangiare la pizza: lui offre da bere, noi gli paghiamo da mangiare, oltre al nostro.» spiegò, «Vieni, vero?»
Meredith annuì, «Sì, vengo.» disse, dicendosi che sarebbe stato divertente uscire e dimenticarsi ogni cosa. «Dove vorrebbe andare?» chiese.
«Al Paradise.» rispose lui dopo aver ordinato, «Deve farmi sapere gli orari, così poi ti dico a che ora passo a prenderti.» sorrise, di nuovo, pensando che, nell'intimità della sua auto, sarebbe potuto succedere qualcosa. Pensò che avrebbe fermato l'auto davanti a casa di Meredith, che l'avrebbe guardata, pronto per darle la buona notte, avrebbe sorriso e Meredith l'avrebbe baciato, con uno slancio che non aveva mai usato con nessun altro...
«Albert? Albert?»
Lui fissò Meredith, che lo osservava, «Sì?» domandò sbattendo le palpebre.
«Ti eri incantato.»
«Ah,» commentò «Scusa.» fece, «Stavo... stavo pensando... stavo pensando al lavoro.» sorrise.
Meredith versò lo zucchero nel caffè macchiato, «Io invece ti stavo chiedendo se c'è in programma un regalo per Greg.» ripeté, visto che Albert non l'aveva ascoltata.
«Non abbiamo deciso nulla, credo che il regalo sia il cibo.» scherzò lui, «Magari gli compriamo una torta...»
Meredith annuì, «Bhe, un compleanno senza torta non è un compleanno!» esclamò.
«Giusto.» commentò ridendo Albert, felice che Meredith sorridesse e sembrasse serena. Forse era tutto passato, forse aveva veramente dimenticato Richard.
Forse si stava innamorando di lui.

Meredith andò nel bagno del negozio e aprì il rubinetto, si lavò le mani e si fissò allo specchio: era tutto inutile, tutto quanto. Richard era sempre nei suoi pensieri, ovunque si voltasse c'era un qualcosa che glielo ricordava, che le faceva venire in mente i momenti passati insieme.
Non riusciva a toglierselo dalla mente, nonostante tutti i suoi tentativi. Ci provava, ci prova al mattino, appena aperti gli occhi: “oggi non penserò a Richard” ma, puntualmente, due minuti dopo il pensiero correva al ragazzo.
Sospirò, asciugò le mani e tornò in negozio, senza smettere di pensare a Richard. Avrebbe voluto chiamarlo, saltare in macchina e correre da lui... ma non poteva.
Afferrò il telefono, compose il numero di Richard e chiamò. Squillò un paio di volte, poi entrò in funzione la segreteria. «Richard... ti amo. Torna da me, ti prego.» soffiò e riattaccò, infilando il cellulare in un cassetto, imponendosi di non pensarci.
Non ci riuscì.

***

Metà Gennaio.

Erano passati quasi tre mesi da quando Richard era venuto a trovarla, anche se per una notte e Meredith pensava di andare un sabato nella città dove viveva lui, anche solo per vederlo da lontano, perché ne sentiva un disperato bisogno.
Inspirò a fondo e fissò Albert entrare in negozio. Sorrise, perché era suo amico e uno dei pochi che la faceva sorridere in quel brutto periodo. «Ciao.» lo salutò, «Come va?»
«Un casino.» sbuffò lui avvicinandosi al bancone, «I miei partono per una settimana e mi hanno ordinato di imbiancare la mia stanza, il corridoio, il bagno con la lavatrice e la cantina.» spiegò, «La cantina, ti rendi conto!?» sbottò, «Chi imbianca la cantina?» domandò.
Meredith rise, «Dai, posso aiutarti.» disse, «Ti passo solo i pennelli, però.»
Albert sbuffò, «Veramente mi serviva qualcuno che mi aiutasse a spostare le cose.» disse e alzò gli occhi al cielo, «Mi aiuti, vero?» chiese sorridendo.
«Bha, sì.» fece lei, «Dimmi quando.»
«Dopo domani.»
«Dopo domani... Domenica?» strillò Meredith, «E va bene,» sospirò «ci sarò.»
«Grazie!» esclamò Albert e le baciò una guancia, «Adesso scappo al lavoro.» disse.
Meredith scosse la testa e lo fissò uscire dal negozio, aprì il cassetto e prese il cellulare. Richard non le aveva risposto. Sospirò, triste, e fissò lo schermo, indecisa su cosa fare. Alla fine inviò un SMS: “Mi manchi. Ti amo.”

***

«Ho già fatto il bagno.» esclamò Albert aprendo la porta di casa sua, «Manca la mia stanza e la cantina.» disse.
«Io faccio la tua stanza.» disse Meredith, «La cantina la lascio a te.» sorrise.
«Mi lasci il lavoro pesante, eh?» scherzò.
«Ovviamente.» annuì lei, «Dove metto le tue robe?» chiese, «Quali devo spostare?»
«Sposta le scatole sotto al letto, le robe sopra la scrivania e il comò e mettile qua in salotto.» disse, «Ci sono delle scatole per le cose piccole.» esclamò indicandole — erano posate accanto al divano —, «Poi sposteremo i mobili.»
«Sì, sì certo.» borbottò lei, «Chiama Greg per spostare l'armadio!» rise, lascio la borsa sul divano, prese una scatola e se ne andò in camera di Albert, rimanendo sulla soglia, indecisa da dove iniziare.
Alla fine si avvicinò al comò, posò la scatola su di esso e iniziò a riempirla con i vari oggetti: cappellini da baseball, bandierine delle squadre di football, modellini di automobili.
Dopo una mezz'ora aveva tolto tutti i soprammobili e il PC, le mancavano solo le scatole sotto al letto. Meredith tolse il tappeto, lo arrotolò e lo portò in salotto, tornò in camera, si inginocchiò accanto al letto, afferrò una scatola di cartone azzurra con un razzo rosso e blu stampato sul coperchio e la trascinò da sotto il letto. La sollevò prendendola per i manici neri di plastica, perse la presa su uno di essi e la scatola rovinò a terra, il coperchio saltò via, spargendo il contenuto sul pavimento.
«Cazzo.» imprecò lei e si inginocchiò di nuovo, rimanendo per un attimo sorpresa nel vedere una delle foto in cima. L'afferrò e la osservò, fissando se stessa, abbracciata a Richard.
Meredith deglutì e prese altre foto, guardando i momenti che aveva diviso con Richard passarle davanti. “Perché?” si chiese e prese un foglio, lo girò e rimase sconvolta nel vedere la ricevuta di un investigatore privato.
La ricevuta era intesta ad Albert e nel riepilogo poteva leggere che era stato concordato di seguirla per un paio di settimane, giorno e notte, il tutto per duemilacinquecento dollari.
Immediatamente, tutto andò al suo posto: Albert aveva chiesto a un investigatore di seguirla. E l'investigatore lo aveva fatto. E poi aveva dato tutto ad Albert e lui — il suo migliore amico! — aveva fatto una copia delle foto e le aveva mandate a Rosalie.
Meredith chiuse gli occhi e sentì un'ondata d'odio crescere in lei. Era stato Albert, era stato lui a rovinarle la vita. Aprì gli occhi e lo sguardo le cadde su una foto, la prese e la fissò, sentendo le lacrime bagnarle le guance: erano lei e Richard. Il ragazzo aveva una mano sul fianco di lei, l'altra posata sulla guancia, mentre Meredith lo guardava, le mani artigliate alla giacca di lui, l'aria felice e il sorriso sulle labbra. Prese un'altra foto, scattata dopo pochi secondi da quella che aveva in mano: Richard e Meredith si stavano baciando.
La ragazza strinse le foto al petto, poi la sua attenzione fu catturata da un piccolo rettangolo di cartoncino, lo afferrò, riconoscendo il biglietto da visita dell'investigatore. Si alzò in piedi, le foto e la ricevuta in una mano, il biglietto nell'altra e uscì piano dalla camera, sentì dei rumori provenire dalla cantina e capì che Albert era ancora impegnato, così afferrò la sua borsa e uscì, sbattendosi la porta alle spalle.
Albert sentì il rumore e salì le scale, «Meredith?» chiamò, «Tutto bene?» fece e andò nella sua stanza e spalancò la bocca nel vedere le foto sul pavimento, «No, no, no.» mormorò capendo. «Meredith!» gridò e uscì di casa, sbiancando quando si accorse che l'auto dell'amica non c'era più. Tornò in casa e afferrò le chiavi dell'auto, si precipitò in giardino, continuando a ripetersi che non doveva succedere, che non era possibile.
Guidò fino a casa dell'amica, posteggiando davanti al cancello e scese, premette il campanello e rimase in attesa.
Meredith non rispondeva, così afferrò il cellulare e la chiamò, ottenendo lo stesso risultato, sia sul cellulare che sul fisso. «Meredith!» gridò, «Meredith!» chiamò, le lacrime che minacciavano di uscire, sgorgare dai suoi occhi come fiumi in piena.
Inspirò a fondo, dicendosi che forse non era lì, che forse era da un'altra parte e che doveva cercarla e spiegarle tutto quanto.

«Lo odio.» singhiozzò Meredith fra le braccia di Marissa, «Lo odio, mi ha rovinato la vita.» pianse mentre l'amica le accarezzava i capelli.
Nella sua fuga dalla casa di Albert aveva visto le sue amiche sedute all'esterno di un bar, così si era fermata e appena Claire aveva chiesto “Come stai?”, lei era scoppiata a piangere a dirotto, raccontando ogni cosa: della sua storia con Richard, di quando lui se n'era andato, del ritrovamento delle foto... tutto quanto.
E loro — Marissa, Claire e Alexia — non l'avevano giudicata ma consolata, dicendosi dispiaciute per lei.
Greg era seduto lì accanto e le guardava, intercettò lo sguardo di Alexia e si alzò in piedi, entrò nel bar e ordinò cinque cappuccini alla nocciola e una bottiglia di acqua frizzante con cinque bicchieri.
La cameriera portò le bevande poco dopo, lanciando un'occhiata perplessa a Meredith, ma si limitò a posare quanto ordinato sui tavolini e se ne andò facendo dondolare il vassoio.
«Che stronzo. Lo prenderei a schiaffi.»
Le ragazze si voltarono verso Greg. «Cosa?» fece Claire.
Greg annuì, «Bhe... è una cosa da stronzi.» disse, «Intendo l'investigatore. Capirei se fossero sposati, ma non è così...» scrollò le spalle, «Mi dispiace, Meredith.»
La ragazza annuì, si mise seduta, si asciugò gli occhi e il naso e si accorse dei cappuccini. «Grazie.» mormorò, sentendosi un pochino meglio dopo aver potuto sfogarsi.

Albert inchiodò quando riconobbe Meredith seduta ai tavolini esterni del bar posto sotto i portici. Posteggiò, quasi strappò la cintura di sicurezza e si precipitò fuori dall'auto, attraversò la strada e si fermò a un paio di metri da lei. «Meredith.» chiamò piano.
Lei si voltò, lo fissò e bevve un sorso d'acqua. «Vai via.» disse.
«Meredith.» ripeté lui avvicinandosi.
«Ha detto di andare via.» esclamò Greg alzandosi, «L'hai fatta grossa,» disse «lasciala stare.»
«Stava con uno sposato!» esclamò Albert imponendosi di trattenere le lacrime.
«E allora?» commentò Marissa allungando una mano verso quella di Meredith, «Non è mica l'unica.» disse, «E comunque era lui a doverlo tenere nelle mutande.»
Albert spalancò la bocca e si avvicinò ancora di più. Voleva chiederle scusa, spiegarle perché lo avesse fatto, dirle che l'amava...
«Grazie per tutto.» esclamò Meredith alzandosi in piedi, baciò le guance delle amiche e di Greg e afferrò la sua borsa, «Se ho bisogno vi chiamo.» disse e si allontanò, «E tu...» ringhiò contro Albert «sparisci.» sibilò.
Albert la fissò andarsene, «Aspetta!» esclamò girandosi su se stesso, «Meredith! Dobbiamo parlare!»
«Ha detto di sparire.» disse Greg posandogli una mano sulle spalle, «Lasciala in pace.»
«Ma io l'amo.» pigolò Albert girandosi verso l'amico, «Tu non capisci.» disse.
«Io capisco che l'hai fatta pedinare.» replicò l'altro, «Hai tradito la sua fiducia, vuoi mettertelo in testa?» disse, «Pagare un investigatore...» scosse la testa, incredulo. «Ma ti sembra una cosa da fare?» gracchiò.
Albert si scostò, «Me ne vado, visto che non mi capite.» esclamò.
Sospirò e morsicò le labbra mentre tornava all'auto, non voleva perdere Meredith e si diede dello stupido per non averci pensato lui a quella scatola. Sarebbe bastato così poco, un piccolo gesto e tutto ciò non sarebbe mai accaduto.
Andò a casa di Meredith e vide l'auto posteggiata in malo modo nel vialetto, scese dalla macchina e si avventò contro il cancello, premette il citofono, «Rispondi, rispondi, rispondi.» mormorò.
«Vattene!» strillò Meredith.
«No, dobbiamo parlare.» fece lui, la faccia attaccata al citofono, «Ti prego.» supplicò, «Meredith.» soffiò.
«Aspetta.»
Albert si staccò dal citofono, aggrappandosi alle sbarre del cancello, fissò la porta aprirsi e Meredith uscire, il viso bagnato dalle lacrime. «Meredith.» ripeté.
Lei aprì il cancello, «Ho detto vattene.» ringhiò, «Mi hai rovinato la vita, brutto stronzo.» continuò.
«Scusami, l'ho fatto per te.» mormorò lui facendo un passo avanti.
«Cosa non ti è chiaro nella parola vattene?» sibilò lei, «Non voglio più vederti.» disse e alzò un braccio e Albert indietreggiò quando vide il coltello, «Vattene e non farti più sentire, altrimenti giuro su Dio che ti apro dalla gola alle palle e ti sfiletto come se fossi una cazzo di trota.» ringhiò, «Sono stata chiara?»
«Meredith.» mormorò Albert, «Ti prego...» supplicò, sbatté le palpebre e si accorse che stava piangendo.
«Sono stata chiara?» ripeté Meredith, chiuse il cancello facendolo sbattere e tornò in casa, lasciando Albert immobile, con la bocca aperta.
Riprovò a spingere il campanello, fino a tenere il dito premuto sul pulsante per mezzo minuto ma non successe nulla, anzi, si accorse che Meredith lo aveva staccato — dalla strada, di solito, si sentiva una leggera melodia, un suono soffocato.
Imprecò, la chiamò ancora, fino a perdere la voce, fino a quando la vicina non uscì e gli sbraitò di smetterla di frignare.
Albert sospirò e tornò in auto, strinse con forza il volante, fissò la casa di Meredith e desiderò scendere, scavalcare il cancello e buttarsi contro la porta, prenderla a spallate fino a distruggerla.
Invece avviò l'auto, inserì la marcia e partì, decidendo che sarebbe andato da lei il giorno dopo.

***

Meredith si trascinò a lavoro di mala voglia: aveva pianto tutta la notte, perché non riusciva a credere che Albert avesse fatto una cosa del genere. Aveva pianto così tanto che si era svegliata con un mal di testa lancinante, gli occhi rossi e gonfi. Si era dovuta truccare per coprire le occhiaie e il pallore quasi cadaverico del viso.
Un paio d'ore dopo che aveva aperto la ferramenta suonò il cellulare e lei sorrise quando vide che era Richard. «Amore.» soffiò, «Mi manchi.»
«Mi manchi anche tu.» disse lui, «Tesoro... cos'hai?» chiese,« Ti sento strana.»
Meredith inspirò a fondo, poi gli raccontò ogni cosa.
«Dio mio...» mormorò lui, «Che gran bastardo...» disse, «Mi dispiace, tesoro.» disse, «Mi dispiace tanto...»
«Grazie.» pigolò lei appoggiandosi al bancone, «Come stai?»
«Tiro avanti.» rispose Richard, «Ho una cosa da dirti,» fece «spero che mi perdonerai per il modo in cui me ne sono andato l'altra volta e perché mi sono fatto sentire poco.»
Il cuore di Meredith fece una capriola e pensò che Richard avesse chiesto il divorzio. «Cosa?» pigolò.
«Rosalie, i bambini, Sam e i miei suoceri vanno al mare per dieci giorni. Invece Josh va in trasferta per tre settimane...»
«Oh,» commentò lei «cosa?» chiese. «Io... cosa vuoi dire?»
«Che potremmo vederci.» disse lui e Meredith si trattenne dall'urlare e saltare dalla gioia, «Posso prendermi una giornata di permesso.»
«Sì, sì, sì!» trillò lei, felice, «Oh, sì.» disse, «Dimmi dove e quando, e ci sarò!»
«Ti faccio sapere appena so quando se ne vanno.» esclamò Richard, «La mia pausa è finita.» sospirò, «Devo andare. Ti amo.» soffiò.
«Ti amo anche io.» disse lei e riattaccò, sentendosi meglio. Avrebbe rivisto Richard ed era la cosa che desiderava di più.
Sfogliò le applicazioni e arrivò all'agenda, sfiorò la casella di quel giorno, “Oggi Richard mi ha chiamato!” scrisse. Andò indietro per controllare quando fosse stata l'ultima volta che si erano sentiti e quasi sobbalzò quando vide che erano trascorse poco più di quattro settimane. Trentatré giorni.
Meredith aprì la bocca, era passato davvero così tanto tempo? Fissò il cellulare, la bocca sempre aperta mentre si domandava come fosse possibile, non sentiva Richard da un mese e non se ne era praticamente accorta.
Sospirò, dicendosi che forse si stava abituando ai silenzi di Richard, che forse si stava iniziando a rassegnare.

Albert arrivò poco prima dell'ora di chiusura per la pausa pranzo e spalancò la porta con così tanta forza che quasi si scardinò. «Meredith.» soffiò.
«Vattene.» disse lei senza guardarlo, concentrata su un trapano, indecisa su come sistemarlo sullo scaffale. «Sei ancora qui?» domandò girando il viso, «Sparisci!» urlò.
«Dobbiamo parlare, Meredith.» disse Albert, «Ti prego, fammi spiegare.» esclamò avvicinandosi a lei, allungando un braccio come per toccarla. Voleva disperatamente stringerla e sentirsi dire che era perdonato. «Meredith...»
Lei si girò, il trapano ancora in mano, «Cosa vuoi? Cosa vuoi?» gridò, «Mi hai rovinato la vita!» strillò, «Sei uno stronzo.» esclamò.
«Per favore...» pigolò Albert, le lacrime che scorrevano lente sulle guance, «Ti prego.»
«Ti prego cosa?» replicò lei, «Ti prego un cazzo.» sputò, «Non ti perdonerò mai, hai tradito la mia fiducia, razza di idiota cretino.» ringhiò, «Adesso sparisci o provo il trapano su di te, okay?»
«Meredith...» sospirò lui e fece un passo indietro, «Non fare così... ti prego.» supplicò, «L'ho fatto per te,» disse «per farti capire che non era giusto, che Richard non è l'uomo per te.» esclamò, «Ho fatto la cosa giusta!» gridò per poi sobbalzare quando fu colpito dallo schiaffo di Meredith.
«Vattene, Albert.» disse lei posando il trapano, «Vattene da questo negozio, dalla mia vista e dalla mia vita.» esclamò, «Sparisci e non farti più vedere.» disse indicando la porta, «Ora!» gridò.
Albert la fissò, la bocca aperta e gli occhi sgranati, inspirò a fondo, «Mi dispiace.» singhiozzò, fissò Meredith e capì che non c'era più nulla da fare, che non sarebbe mai stato perdonato, così uscì dal negozio, si rifugiò in auto e scoppiò a piangere, dando sfogo a tutto il dolore che provava.

«Cosa cazzo hai fatto?» urlò Ashley quella sera a cena, «Albert, sei diventato cretino all'improvviso?»
Albert fissò la madre, «Io amo Meredith.» disse, «L'ho fatto per lei.» esclamò, «Quello lì non è la persona giusta per lui.»
«E saresti tu, che l'hai fatta inseguire da un investigatore privato?» esclamò George, il padre. «Meredith ha ragione a odiarti e non volerti più vedere, ti sei comportato come uno stupido stalker.»
Albert abbassò la testa, «Io credevo di fare la cosa giusta.» pigolò, «Richard è sposato, non la merita.» disse, «Io sì.» esclamò guardando i genitori.
«Ti sei mai chiesto cosa sarebbe accaduto se tu non avessi fatto la minchiata del secolo?» domandò Ashley, «Magari lui avrebbe lasciato la moglie per Meredith.»
«Meredith merita di meglio!» esclamò Albert, offeso e deluso dai suoi genitori che non lo capivano. Nessuno lo capiva, nessuno riusciva a comprendere il perché di quel gesto — e di tutti gli altri —, quello che lui provava per lei. «Io l'amo.» disse. «L'ho fatto per lei.»
«Mi chiedo quando tu sia diventato così scemo.» disse Ashley scuotendo la testa, «Domani vado a scusarmi per avere un figlio così cretino.»
Albert non replicò, finì di cenare e andò a chiudersi nella sua stanza. Chiamò Meredith sul telefono di casa, «Meredith, scusami.» disse quando la segreteria entrò in funzione. «Io ti amo, Meredith.» soffiò.
«Vai al diavolo, stronzo.» esclamò lei, «Ti ho detto di sparire.» disse, «Non chiamarmi più altrimenti non ci metto nulla a denunciarti.» aggiunse e riattaccò.
Albert fissò il telefono e sospirò, così provò a chiamarla sul cellulare, una, due, tre, cinque volte, ma ogni volta scattava la segreteria dopo tre squilli. Sospirò e richiamò di nuovo il fisso. «Meredith!» gridò quando sentì il bip della segreteria, «Ti amo.» disse, «Rispondimi, ti prego.»
«Smettila!» esclamò lei, «Smettila.» ripeté, «Non chiamarmi più.» disse, «Ho già messo in black list i tuoi numeri sul cellulare.» esclamò e Albert sbarrò gli occhi.
«Meredith... no, ti prego.»
«Ti prego un cazzo.» sputò lei, «Se mi chiami un'altra volta, che sia qui, o al lavoro o ti azzardi a mandarmi una mail giuro che ti denuncio.» disse, «Addio.» aggiunse e riattaccò.
Albert strinse il telefono al petto, singhiozzando. Meredith non lo voleva più.
L'aveva persa.
Meredith, la persona che amava di più, la sua migliore amica, la donna che amava.
Si raggomitolò sul letto piangendo, sussurrando il nome di Meredith.

***

Meredith rimase sorpresa quando salutò Richard con un breve abbraccio. Ma era passato troppo tempo, era stanca dei suoi silenzi — lui la chiamava ogni tre o quattro giorni —, stanca di dover sperare che lui la chiamasse più spesso.
«Ti trovo bene.» esclamò lui.
«Grazie.» fece lei, «Anche tu.» mentì. Dall'ultima volta che l'aveva visto aveva preso qualche chilo e delle rughe si erano formate attorno agli occhi.
Erano in un ristornate poco fuori la città dove viveva Richard — aveva insistito lui per andare e Meredith era convinta che fosse per non far scoprire nulla a Rosalie —, si sedettero uno di fronte l'altra.
«Come stai?» domandò Richard, «Albert?» chiese, «Lo hai più rivisto?» domandò e Meredith notò un po' di gelosia nella sua voce e si chiese perché fosse geloso, visto che non si sentivano così spesso.
«Bene.» rispose, «Albert...» scrollò le spalle «non so, non lo vedo più.» disse, «I bambini?» domandò, chiedendosi come avessero preso quel trasferimento così brusco, se avessero capito che c'erano dei problemi fra i genitori.
Richard sorrise, «Benissimo.» disse, «Crescono così in fretta...» disse, «Emily fa la prima elementare...» sorrise orgoglioso, «E Chris è un vero ometto.»
Meredith annuì, «Sono contenta.» commentò, «E Rosalie?»
Richard rimase qualche secondo in silenzio, prima di rispondere: «Sta bene.», fissò Meredith chiedendosi il perché di quelle domande, del perché sembrasse così scontrosa e distante. «Stai bene?» domandò, preoccupato, «Ti vedo strana.»
Meredith lo fissò e deglutì, «Secondo te?» disse e pensò che una volta avrebbe capito subito che non stava bene e cosa non la facesse stare bene. “Una volta...” pensò e si disse che fosse tutta colpa della distanza, del non vedersi, del non sentirsi quotidianamente...
«Mi dispiace.» mormorò lui, «Ma sai com'è la situazione..:» scrollò le spalle, «Ci tengo ai miei figli, lo sai.» sorrise. «I miei suoceri mi tengono d'occhio.»
Meredith sorrise alla cameriera e ordinò, prendendosi tempo per rispondere, per decidere cosa dire, perché avrebbe voluto chiedergli, urlargli a che punto fosse della classifica, se prima o dopo i suoi suoceri, visto che li tirava in ballo spesso e volentieri. «Lo so.» disse, «Solo che non puoi farti condizionare così.» sospirò.
Richard fece una smorfia, «Devi darmi solo un po' di tempo.» sorrise stringendole la mano. «Ti amo.»
Lei tacque e fissò la cameriera muoversi per il locale, «Mi dici le stesse cose.» soffiò riportando lo sguardo su Richard. «Sono mesi che aspetto, lo sai?»
Richard abbassò la testa, «Lo so, scusa.»
Meredith scostò la mano — anche perché la cameriera aveva portato loro le birre — e pensò che non era lo stesso Richard che aveva conosciuto e di cui si era innamorata. “Sono ancora innamorata?” si chiese e Richard le strinse di nuovo la mano, sfiorando il dorso con il pollice. E la risposta arrivò insieme alla cameriera, venuta per portare due piccole bruschette. «Le scuse non bastano.» disse, fissando la mano che un attimo prima era stretta in quella di Richard. Lui l'aveva scostata appena la cameriera era arrivata. «Voglio i fatti, Richard.» esclamò, «Le promesse, le scuse... sono inutili.»
Richard la fissò, quasi sconvolto, «Meredith...» soffiò, «Lo farò, presto... giuro.» sorrise, «Ma devi darmi tempo.»
Meredith non replicò e sorseggiò la birra, dicendosi che non doveva andare così, che era troppo tempo che lui le faceva promesse. «Un mese.» disse posando il boccale sulla tovaglia bianca, «Un mese e lasci Rosalie, altrimenti non mi vedi più.»
Richard spalancò la bocca, «Un mese?» squittì, «È troppo poco.» disse scuotendo la testa, «Mi serve più tempo.»
«Un mese.» ripeté Meredith afferrando la bruschetta, «Altrimenti non mi vedi più.» disse e mangiò la bruschetta.
Richard inspirò a fondo, «Rosalie mi porterà via i bambini.»
«Trovati un cazzo di avvocato.» sputò lei, «Trovatelo e lo pago io.» disse, «Rosalie non può impedirti di lasciarla se non l'ami più.» esclamò, «E non può impedirti di vedere i tuoi figli.»
Lui scosse la testa, «Non posso, non ora.» disse. «Mi serve più tempo...»
Meredith ringraziò la cameriera che aveva posato davanti a lei il petto di pollo ai ferri e le patate al forno. «Ormai è quasi un anno e mezzo che ci frequentiamo ed è quasi un anno che te ne sei andato.» ricordò, «Mi pare che di tempo tu ne abbia avuto a sufficienza.» disse, «Se mi ami la lasci.»
«Mi stai dando un ultimatum?» chiese, «Devo scegliere fra te e i miei figli?»
«No.» rispose Meredith afferrando le posate, «Ti chiedo di scegliere fra me e tua moglie.» disse, «Anche se divorzi hai il diritto di vedere i tuoi figli.» esclamò, «Cerca di capirlo.»
Richard sospirò e fissò la sua bistecca, «Farò il possibile.» disse, «Giuro.» sorrise.
Meredith fissò il pezzo di pollo che aveva tagliato, la fogliolina di rucola lì accanto, «Lo spero.» disse fissando Richard. E si accorse di non credere a quella promessa.

Meredith entrò nella casa di Richard. Era sorpresa che lui l'avesse portata lì, invece di scegliere un motel qualunque. La casa era piccola, un bilocale; la cucina era vista, dotata di poche cose: lavandino con un mobiletto a due ante, un mobiletto con cinque cassetti, un fornello con forno, il frigo e un paio di pensili. Il salotto era piccolo, con un divano a due posti, tavolino e un mobile con la tv. Il tavolo da quattro era lì accanto, rendendo il tutto quasi soffocante.
Richard la baciò nel piccolo disimpiego che divideva il soggiorno dalla camera da letto e il bagno, la spinse contro la parete, infilando le mani sotto la maglia. Le era mancata, le era mancata così tanto che temette di esplodere da un momento all'altro. Le morsicò il labbro inferiore mentre le sue mani sfioravano il reggiseno e sorrise nel sentire Meredith gemere. Le afferrò la vita, diede un calcio alla porta e spinse Meredith in camera, senza smettere di baciarle il collo. La condusse verso il letto e la fece sdraiare.
Meredith lasciò che Richard la spogliasse. Farlo nella camera che lui divideva con Rosalie, nel letto dove, forse, facevano sesso, rendeva tutta la cosa più eccitante. Mentre Richard la baciava e le accarezzava il seno pensò che fosse tutto un po' triste. Non era felice come avrebbe dovuto essere.
«Ti amo.» soffiò Richard baciandole la pancia, «Ti amo...» ripeté infilando una mano fra le cosce di Meredith.
Lei chiuse gli occhi e reclinò la testa, abbandonandosi al piacere. Graffiò la schiena di Richard quando lui entrò dentro di lei, fregandosene se sarebbero rimasti i segni, lo baciò sul collo, succhiando la pelle e mordendola. Era quasi sicura che Richard non avrebbe mai lasciato la moglie e che quella dei bambini fosse solo una scusa, e lasciare dei segni sul suo corpo era come un messaggio per Rosalie: “Anche se non ci sono, lui mi penserà sempre.”
Meredith aprì gli occhi e ribaltò la situazione: da sotto si ritrovò sopra a Richard. Lui la fissò e le toccò i seni mentre lei gli graffiava il petto.
«Ti amo.» mormorò lui aggrappandosi a lei e baciandole la gola, «Ti amo.» ripeté.
Meredith non disse nulla, non disse né “Anche io.” né “Ti amo.” e continuò a muoversi finché l'orgasmo non la travolse, accasciandosi su Richard. Rotolò di lato, ansimando. Fissò il soffitto bianco e sentì Richard toccarle la pancia, si girò verso di lui, «Ho sete.» esclamò.
Richard sorrise, «Ho della birra.» disse e Meredith annuì, «Vado a prenderla.» aggiunse e si alzò, lasciando sola Meredith che si sedette sul letto, recuperò i vestiti e l'indossò, fissando la foto nella cornice d'argento che ritraeva Richard e Rosalie il giorno delle nozze. Accanto al comò — la cornice era lì sopra — era incastrato un lettino singolo, con una trapunta verde. Sul cuscino c'erano due peluche: un orsacchiotto e un cagnolino. Meredith si chiese se i bambini dormissero lì, insieme, in un lettino che sarebbe diventato troppo piccolo per loro nel giro di un paio d'anni.
«Ecco.» esclamò Richard allungando una bottiglia di birra a Meredith
«Grazie.» fece lei e prese un lungo sorso, «I bambini dormono lì?» chiese indicando il lettino con la mano che stringeva la bottiglia.
«Sì.» rispose Richard sedendosi accanto a lei. «Ti sei rivestita.» commentò — lui indossava solo i boxer.
Meredith scrollò le spalle, «Non potevate lasciargli il matrimoniale, comprare un divano letto e dormirci voi?» chiese, «Poverini, staranno stretti.» commentò.
Richard la fissò, dicendosi che era strana, «Rosalie non vuole dormire nel divano letto, dice che non è da coppia.» sospirò. «Quindi i bambini dormono lì.» scrollò le spalle.
Meredith non replicò, limitandosi a sorseggiare la birra fresca, dicendosi che una volta si sarebbe accoccolata contro Richard, avrebbe chiuso gli occhi e si sarebbe fatta coccolare da lui. Invece... «Come vuoi.» commentò e si fissò i piedi nudi.
Richard le afferrò la mano e la guardò sorridendo, «Tutto bene?» chiese, «Ti vedo strana.»
Lei sorseggiò la birra e annuì, «Sì.» rispose guardandolo, «Tutto bene.» disse, «Sono solo stanca.» scrollò le spalle e bevve ancora, «Mi sono alzata alle cinque.»
Richard sorrise e le afferrò la mano libera, stringendola, «Capisco.» disse e si sporse su di lei per baciarla sulle labbra, la fissò, sorridendo. «Mi era mancato fare l'amore con te.» soffiò toccandole il collo, «Mi sei mancata tanto.» disse.
Meredith sorrise, «Anche tu.» disse socchiudendo gli occhi, “Non mi ha chiamato per un mese.” pensò.
«Oh, no.» sospirò Richard, «Fra venti minuti devo essere al lavoro.» borbottò.
Meredith annuì e in un paio di sorsi finì la birra, «Ho tempo per andare due minuti in bagno?» chiese e Richard annuì, la baciò e lei si alzò, posò la birra sul comodino, fregandosene se fosse rimasto l'alone, recuperò i calzini e le scarpe e si fiondò in bagno.
Mentre si lavava le mani si accorse delle tendine appese alla finestra — si riflettevano entrambi nello specchio —, erano rosse, un rosso vivace, con grandi pois viola e gialli. Meredith scrollò la testa, pensando che fossero oscene. Non sarebbero state bene da nessuna parte — se non in una stanza con gli stessi colori —, sopratutto in un bagno con le piastrelle del pavimento blu scuro e quelle delle pareti azzurrini. Anche i vari tappetini erano blu. Meredith posò lo sguardo sulla lavatrice e sull'asciugatrice e rimase sorpresa: erano gli ultimi modelli usciti sul mercato — li aveva presi anche lei un paio di settimane prima — e, insieme, venivano a costare attorno ai tremila dollari.
La ragazza scosse la testa, dicendosi che non erano affari suoi e pensò che Rosalie tenesse più all'apparenza: con quei soldi avrebbe potuto comprare un bel divano letto o un letto a castello per bambini e sarebbero avanzati i soldi per riparare il parquet rotto della camera da letto.
Si tastò le tasche e trovò il burro cacao, così lo prese, lo passò sulle labbra e sorrise. Si abbassò, aprì le antine sotto al lavandino e vide una confezione di cartone di assorbenti aperta, ne scostò alcuni e infilò il tubetto del burro cacao lì dentro, lo coprì e rimise tutto a posto, chiuse le ante, si guardò un'ultima volta allo specchio e uscì dal bagno, trovando Richard che buttava le bottiglie vuote in un cestino sotto al lavello.
Meredith tacque, non sapendo cosa dire. «Io vado, allora.» esclamò recuperando il cappotto e la giacca gettate sul divano.
«Aspettami.» sorrise Richard, «Mi vesto e arrivo.»
Meredith annuì e lo fissò sparire prima in camera e poi in bagno. Spostò lo sguardo sul frigorifero, fissando i disegni attaccati con calamite tonde colorate. Su uno c'era l'impronta destra della mano di un bambino, di colore blu, sotto c'era scritto in stampatello — sempre blu — “Christopher”. Fissò gli altri disegni fatti dai bambini e sospirò, chiedendosi se Richard avrebbe mantenuto la promessa e lasciato Rosalie nel giro di un mese. Si diede la stessa risposta di prima: no.
Non pensava che Richard l'avrebbe fatto a breve. Era quasi convinta che non lo avrebbe mai fatto. Sbuffò, infastidita e si spostò, andando a sedersi sul divano. Richard apparve cinque minuti dopo, vestito.
«Andiamo?» fece lui e lei annuì alzandosi. Lo seguì fuori dall'appartamento, giù per le scale e in strada, nel parcheggio poco lontano.
«Potrei rimanere qui, questa notte.» esclamò Meredith, «Vado nel centro commerciale e ci resto finché non esci dal lavoro.» disse e sperò che lui le dicesse di sì.
Richard, invece, scosse la testa e agitò le mani, «No, no, no.» rispose, «La mia vicina torna alle cinque ed è impicciona da morire... se ti vede lo va dire a Rosalie.»
«Bhe, sarebbe un inizio per dirle che vuoi il divorzio.» replicò Meredith.
Richard sospirò e le prese la mano, «Ho detto che lo farò, dammi solo un po' di tempo.»
«Un mese.» ricordò lei, «Richard, ho aspettato troppo.» sbuffò e sobbalzò quando lui le strinse le mani con forza.
«Lo farò.» soffiò lui, «Ti amo, Meredith, lo farò.»
Lei annuì, «Ci conto.» disse e rimase per un'istante con gli occhi aperti quando lui la baciò, poi li chiuse e si strinse a lui, «Adesso vado.» disse quando il baciò finì.
Richard annuì, «Mandami un messaggio quando arrivi a casa.» disse prima di baciarla di nuovo.
Lei annuì e si allontanò da lui, con il sentore che quella era l'ultima volta che lo vedeva.

***

Meredith sfogliò pigramente le applicazioni del cellulare, fermandosi su quella del ciclo, curiosa di vedere quando le sarebbe arrivato.
«No, no, no.» mormorò, «Non può essere.» disse fissando il coniglio che teneva fra le zampette un cartello con scritto “Ciclo in ritardo di 35 giorni”.
Deglutì, posò il cellulare sul bancone, accanto alla cassa, afferrò la bottiglietta d'acqua, l'aprì e ne bevve quasi metà in un sorso. Riprese in mano il cellulare fissando i giorni colorati in bianco del calendario, quelli che segnalavano l'ovulazione. Il due, tre,quattro e cinque febbraio.
«Merda no.» disse, «No, no e ancora no.» soffiò alzando gli occhi sul calendario appeso accanto alla cassa.
Lei era andata da Richard il tre febbraio.
«No.» disse, «Non posso essere incinta.» mormorò. «No.»

Per prima cosa mi scuso per il ritardo immenso.Mi dipiace tanto.
In ogni caso, l'ultimo capitolo è quasi tutto scritto, e anche un pezzo dell'epilogo lo è. Giuro che non vi faccio aspettare tanto.
Passando al capito, lo so che sembra accadere tutto in fretta, ma se avessi scritto altro avrei dovuto allungare la storia di altri quattro capitoli...

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


Please Stay (extended version)

Capitolo Ventiquattro

Fine marzo.
Meredith strinse il test di gravidanza e chiuse gli occhi, «Ti prego, ti prego, ti prego.» continuò a ripetere mentre era seduta sul gabinetto. Inspirò a fondo, spalancò gli occhi blu e aprì il pugno, fissando quello che stringeva fino a un attimo prima. Deglutì ed ebbe voglia di urlare quando vide le due sottili linee rosa.
Positivo.
«Sono incinta.» soffiò prima di scaraventare il test contro la parete di fronte a lei. Si alzò in piedi, si rivestì e si lavò le mani, evitando di guardare il test che era caduto nella vasca da bagno. «Sono incinta.» ripeté fissandosi allo specchio. «Devo dirlo a Richard.» disse. Era giusto dirglielo, visto che c'era anche lui quando il bambino era stato concepito, solo che lui non la chiamava da quasi due settimane e quando ci provava lei trovava sempre la segreteria. 
Si asciugò le mani e uscì dal bagno, controllò l'ora e decise che forse era il caso di andare a fare l'esame delle beta HCG, sperò solo che non ci fosse troppa gente.
Mentre entrava in auto, pensò che forse era il caso di andare in negozio e scrivere un biglietto nel quale avvertiva che avrebbe aperto più tardi — come orario scrisse le dieci — così avrebbe avuto anche il tempo per fare colazione.
Sperò che il test fosse sbagliato, che non fosse vero.
“Richard lascerà Rosalie.” pensò, “La lascerà.” si disse. E si domandò se avesse voluto Richard accanto a lei nel crescere un bambino.
“Non la lascerà.” si disse mentre entrava nel parcheggio della clinica.

***

Meredith fissò Richard uscire dall'edificio e avviarsi verso l'auto — lei aveva posteggiato lì accanto —, così abbassò il finestrino. «Ciao.» disse.
Richard sobbalzò, non aspettandosi di trovarsela lì, «Meredith.» gracchiò, «Cosa... non dovresti essere qui!»
«È un paese libero.» replicò lei scrollando le spalle e sollevando gli occhiali da sole, «Sono incinta.» disse, «Di otto settimane e quattro giorni.» disse, «Ho le analisi.»
«Meredith... non è il momento.» replicò Richard guardandosi attorno e sperando che nessuno lo vedesse parlare con lei. «E poi...»
«E poi un cazzo.» replicò lei, «Un mese è passato e tu non l'hai ancora lasciata, anche se me lo avevi promesso.» disse, «Sono incinta di due mesi.» ripeté. «Di tuo figlio.»
Richard deglutì, «Meredith...» mormorò, «Non fare così.» disse, «Non puoi inventare una cosa del genere.» disse, «Non è giusto.»
Meredith lo fissò e desiderò che un treno sbucasse dal nulla e che lo investisse, «Non sto inventando nulla, sono incinta.» disse. «E tu sei stronzo se pensi una cosa del genere.» sputò, afferrò dei fogli e li lanciò verso Richard, «Sono solo le fotocopie, se vuoi vedere gli originali chiamami.» disse e partì, senza guardare cosa facesse Richard.
Lui la fissò andarsene, poi si chinò, afferrò i fogli e li guardò, capendoci poco: intuì che l'ultima mestruazione di Meredith risaliva al venti gennaio, e che era incinta di otto settimane e quattro giorni e che in quel momento era nella nona settimana di gestazione. Fissò i fogli, chiedendosi come potesse fare una cosa del genere. Li fissò ancora, poi li strappò e li gettò in un cestino lì accanto, non riuscendo a credere che Meredith potesse mentirgli. Lui voleva lasciare Rosalie, ma Meredith gli stava mettendo fretta. Il suo cellulare squillò e lui seppe che era Rosalie ancora prima di prenderlo dalla tasca, così entrò in auto e partì.

***

Maggio.

Meredith si accarezzò la pancia e pensò a quanto fosse tutto così difficile. I suoi genitori e suo fratello e sua cognata avevano preso bene la notizia, ignorando il fatto che lei sarebbe stata una madre single. Le sue amiche — Claire, Marissa e Alexia — si era auto-elette a “zie”, e continuavano a trascinarla da un negozio all'altro, alla ricerca di vestitini, scarpine e giocattoli per il bambino. Meredith aveva scoperto una settimana prima che avrebbe partorito un maschio.
Richard non si era fatto più sentire, così lei aveva deciso di andare da lui, entrare nell'ufficio e sbattergli sulla scrivania le ecografie e la morfologica. Non voleva niente da lui, tranne che informalo.
Si bloccò quando l'ascensore si aprì, prese un respiro profondo e vide che l'uomo che parlava con Richard si stava alzando, così trasse le ecografie dalla busta e si avvicinò.
«Questo è tuo figlio.» esclamò mettendole sulle scrivania, «Fai quello che vuoi, io ti ho informato.» disse, ignorando che tutto l'ufficio si era girato per osservare la scena.
«Io...» deglutì Richard, «Io... si sbaglia.» gracchiò, «Non la conosco.»
Meredith si trattenne dal dargli un ceffone, «Quanto sei senza palle, Richard.» disse, «Neghi l'evidenza?» chiese, «Neghi di essere venuto a letto con me, tradendo Rosalie?» disse alzando la voce. «Sei senza spina dorsale, stronzo.» sputò, recuperò i fogli, quasi strappandoli dalle mani di Richard.
«Non è vero.» disse lui, «Meredith,» sospirò «non puoi inventarti una cosa del genere e usare l'ecografia di un'altra persona.» disse, «Meredith!» esclamò quando lei lo schiaffeggiò, «Meredith.» chiamò fissandola andarsene.
Lei non lo ascoltò e una volta fuori dall'edificio pensò a quanto fosse stronzo Richard. L'aveva accusata di mentire. E la pancia non l'aveva vista?
Entrò in un bar lì vicino, iniziando a sentire lo stomaco brontolare — e si accorse che mancavano dieci minuti a mezzogiorno —, si accomodò al tavolo e ordinò un petto di pollo con patatine fritte e una coca cola.
Stava mangiando un pezzo di pane quando Richard entrò nel bar. «Come ti sei permessa?» sibilò, «Come?»
Lei lo guardò appena, «È tuo diritto saperlo.» rispose, «Visto che non ti fai mai trovare dovevo pur dirtelo.»
«Questo è un colpo basso.» replicò lui posando le mani sul tavolo, «Inventarti una cosa del genere per costringermi a lasciare Rosalie...» scosse la testa, «È meschino.»
Lei si alzò e posò le mani sulla pancia, «Non ho inventato nulla.» disse, «Qui dentro c'è il figlio che abbiamo concepito.»
«Non è vero.» disse Richard, scuotendo la testa e chiedendosi come potesse farle una cosa del genere, «Menti.»
Lei lo guardò e si sedette di nuovo. «Vattene.» disse, «Sparisci dalla mia vita.» sibilò e fissò Richard uscire dal locale. Pensò che fosse stupido e che la colpa fosse anche di Albert. Se lui non avesse fatto quella stronzata, forse lei e Richard sarebbero stati insieme.
Odiò Albert e odiò anche Richard.
E odiò anche se stessa.

«Meredith.» chiamò Richard, «Meredith.»
«Che c'è?» mormorò lei voltandosi e chiedendosi se fosse ingrassato dall'ultima volta che lo aveva visto, a febbraio. «Vuoi dirmi che non mi credi?» sbottò, «Guarda che possiamo andare nel primo studio ginecologico che troviamo, eh.» disse, «Io non ho nessun problema a dimostrare che sono incinta.» esclamò «E neppure a fare un test del DNA.»
«Meredith...» sospirò Richard, infilando le mani nelle tasche e pensando che fosse bellissima, certo aveva qualche chilo in più ma era sempre bella. «Perché fai così?» domandò, «Non puoi inventarti una cosa del genere!» sbottò, «Per costringermi a lasciarmi mia moglie!»
«Non sto mentendo!» gridò lei, «Mi hai messo incinta, idiota!» esclamò, «Io vengo qui, con le analisi, le ecografie e tu...» disse, «E tu pensi che ti stia prendendo per il culo?» soffiò, troppo stanca per combattere, «Bhe, non ti meriti nulla.» disse, «E comunque lo so, lo so che non lascerai mai tua moglie  per me, perché tu sei la sua foca ammaestrata, il suo cagnolino, sei il suo burattino e lei ti rigira come vuole.» continuò, fissando Richard che la guardava, «E tu fai tutto quello che dice! Se ti dicesse di buttarti sotto un treno di farlo perché altrimenti non vedresti più i bambini, tu che fai? Ti butteresti? Sì!» esclamò
«Meredith...» sospirò Richard, «Non fare così.» disse come se stesse parlando con una bambina piccola, «Lei...»
«Io me ne vado.» sputò Meredith, «Sai dove trovarmi.» disse, si voltò e si allontanò, lasciando Richard in preda alle domande.
“Perché fa così?” si domandò lui, “Perché non capisce?” pensò, poi si allontanò, pensando che non poteva essere vero che Meredith avesse inventato una cosa del genere.

***

Meredith sospirò, si coprì il viso con le braccia e scoppiò a piangere. Sapeva che era colpa degli ormoni, ma era Richard che la faceva infuriare: aveva disattivato il numero con il quale la chiamava.
«Tutto bene?»
Meredith spostò le mani dal viso, «Cosa?» pigolò trovandosi davanti un ragazzo della sua eta, con i capelli castani e gli occhi verdi.
«Stai piangendo.» commentò lui, «Tutto bene?» ripeté, «Stai male?»
«Certo che sto male.» squittì lei. «Stavo con uno sposato, poi il mio migliore amico mi ha fatto seguire da un investigatore privato e ha mandato le foto alla moglie di lui e quello stronzo di Richard se ne è andato. Ci siamo visti un paio di volte, io sono incinta di suo figlio e quello stronzo non ci crede, pensa che mi sia inventata tutto.» confessò.
Il ragazzo la guardò per un'istante, «Mi dispiace.» disse, «Hai bisogno di qualcosa?» chiese.
Lei si soffiò il naso, «Dovrei essere io a chiedertelo.» mormorò, la voce che tremava.
Il ragazzo sorrise, «Già trovato, grazie.» esclamò posando sul bancone un paio di candele alla citronella.
Meredith fece il conto senza smettere di singhiozzare, infilò le candele nel sacchetto e lo porse all'altro insieme al resto, «Buona giornata.» pigolò.
«Sicura di non volere nulla?» chiese lui infilando le monete in tasca, «Nemmeno un latta caldo? Un dolcetto?» domandò, «Un po' d'acqua, almeno.»
Meredith annuì, «Un dolcetto andrebbe bene.» mormorò passandosi le dita sulle guance, «Grazie.»
«Vuoi venire al bar qua di fronte?» domandò lui, «Mi chiamo Caleb.» si presentò e Meredith strinse la sua mano, presentandosi a sua volta.
Lei abbozzò un sorriso, «Aspettami, torno subito.» disse e andò in bagno per sciacquarsi il viso e prendere la borsa. Una distrazione era quello che ci voleva. Era solo un cliente gentile, che si preoccupava per lei.

***

Quindici mesi dopo.
Richard fissò Meredith e il bambino che teneva fra le braccia. Non la vedeva da quasi un anno e mezzo, guardò il bambino, i capelli biondi e si chiese chi fosse. Che Meredith facesse la baby sitter? Che quello fosse suo nipote? Le si avvicinò, «Meredith.» mormorò.
Lei si voltò e spalancò gli occhi, «Richard.» soffiò, «Cosa ci fai qui?» domandò.
«Controllare la casa.» rispose lui e allungò una mano verso il bambino che lo fissò e nascose il viso contro il collo di Meredith, «Bel bambino.» commentò con un sorriso, «Come si chiama tuo nipote?»
Meredith sospirò, «Non è mio nipote.» disse, «È mio figlio.» esclamò, «Si chiama Jackson.»
Richard sbiancò e sentì la terra tremargli sotto i piedi, «Tuo figlio?» squittì, «E come? Cosa?» balbettò, «Quanti tempo ha?» chiese, «E chi è il padre?» domandò, sentendosi male all'idea che Meredith fosse andata a letto con un altro.
«Ha quasi quindici mesi,» rispose Meredith «fai un po' i conti e poi dimmi tu chi è il padre.»
Richard spalancò la bocca, «Io?» soffiò portandosi le mani al petto, «È mio figlio...» mormorò non riuscendo a crederci, «Perché non me l'hai detto?» domandò, «Avevo il diritto di saperlo!»
Lei lo fissò, «Io ti avevo detto di essere incinta.» replicò,  «Ti avevo portato anche le ecografie...» gli ricordò, «Ma tu non mi hai creduto.» sospirò, «Cos'è, oltre a essere senza palle hai anche la memoria corta?» domandò, «Scusami, ma dobbiamo andare.» disse e si allontanò, Richard la fissò avvicinarsi a un ragazzo dai capelli castani e grandi occhi verdi, che abbracciò Meredith e la baciò sulle labbra, per poi fare una carezza al bambino.
Richard si sentì male: aveva un altro figlio e lo aveva scoperto per caso. Aveva un figlio con Meredith. Non sapeva il giorno della sua nascita, non sapeva cose gli piacesse, non lo conosceva. Lei glielo aveva detto ma lui non aveva creduto a una sola parola e si pentì di averlo fatto.
Mentre tornava alla macchina si disse che sarebbe rimasto lì un altro paio di giorni, invece di tornare subito a casa. Voleva conoscere suo figlio. Voleva conoscerlo, dargli il suo cognome e crescerlo.
Il suo cellulare squillò e lo prese, fissando il nome di sua moglie che lampeggiava sullo schermo. «Pronto?» rispose.
«La casa?» domandò Rosalie.
«È ancora in piedi.» rispose.
«Ti sento strano, non è che hai visto quella sgualdrina, eh?»
Richard sospirò, «Ci siamo incrociati, ma ci siamo solo salutati.» disse, evitando di menzionare il bambino.
«Torna subito a casa!» strillò Rosalie, «Non voglio che tu la veda!» continuò, «Torna a casa!»
«Tesoro mio, devo pranzare.» mormorò Richard.
«Torna a casa.» ripeté la moglie. «Non voglio che stai dove c'è quella rovina famiglie.»
Richard trattenne un'imprecazione: lui voleva stare con Meredith! «Tesoro, sono in piedi dalle quattro, ho fame e vorrei riposarmi un paio d'ore prima di spararmi quattro ore di viaggio.» 
«Vieni a casa.» ripeté Rosalie. «Pensa ai bambini, Richard. I bambini.»
Lui inspirò a fondo e chiuse gli occhi, «Tesoro, sono stanco, devo riposarmi.»
«I bambini!»
Richard sospirò, erano passati più di due anni  da quando se ne era andato, lasciando Meredith e la ferramenta ma quella minaccia — quella di portargli via i bambini — c'era sempre, come una spada di Damocle che gli sfiorava la testa, «Lo capisco, Rosalie, ma se mi viene un colpo di sonno faccio un'incidente.»
«Hai ragione.» disse Rosalie, «Fai così: mangi, ti fermi in un motel, mi chiami, mi dici qual è e in che stanza sei e poi mi porti la ricevuta, okay?»
«Va bene.» acconsentì lui, «Vado a cercare un ristorante.» disse.
«Portami lo scontrino.» disse Rosalie, «Pensa ai bambini.» ricordò, «A dopo.» esclamò e riattaccò.
Richard sospirò, mise via il cellulare ed entrò in auto, dimenticandosi di Meredith, del bambino — aveva già scordato il nome — e del ragazzo sconosciuto che aveva baciato la ragazza.

***

Fu solo un paio di settimane dopo che Richard rivede Meredith e il bambino: era a una città a un paio d'ore di distanza da casa sua, insieme a dei colleghi. Stava per entrare nel ristorante quando li vide, disse ai colleghi che sarebbe arrivato subito e raggiunse Meredith.
«Richard.» esclamò lei passando il bambino da un fianco all'altro.
«Meredith.» disse lui, «Dobbiamo parlare.» esclamò, «Di noi, di nostro figlio...»
Meredith sospirò, un sospiro triste e carico di nostalgia, fissò il figlio, alzò lo sguardo fissando gli occhi scuri di Richard, «Non c'è un noi, Richard.» disse, «E non c'è un nostro figlio.» aggiunse. «Lui è solo mio.» esclamò, «Se volevi potevi parlare con me due settimane fa ma non l'hai fatto.» disse, «Scommetto che ti ha chiamato tua moglie e ti ha strillato di pensare ai bambini.» esclamò e sorrise quando lui abbassò lo sguardo, «Ho ragione.» sospirò, «Non te ne frega nulla di noi, non te ne è mai fregato nulla di me.» disse. «E ora scusami, ma ho un impegno.»
«Meredith.» soffiò Richard posandole una mano sulla spalla,  «Per favore... scusami.» disse, «Mi dispiace.»
«Devo andare.» disse lei, «Ciao.» esclamò e si voltò, lasciando Richard con la mano ferma a mezz'aria. Inspirò a fondo, dicendosi che doveva parlarne con qualcuno, sospirò ed entrò il ristorante.

***

«Devo dirti una cosa.» mormorò Richard tormentandosi le mani e gli occhi bassi.
«Cosa?» domandò Rosalie sedendosi accanto a lui sul divano con la tappezzeria con grossi fiori.
«Oggi ho visto Meredith.» mormorò, «Stavo entrando al ristornate con Mike e gli altri e l'ho vista.» confessò e fissò la moglie. «Aveva un bambino.» disse, «Mio figlio.» mormorò, «È mio figlio.» disse, deglutì e alzò il viso.
Rosalie lo fissava, gli occhi sbarrati. «Sei sicuro?» domandò.
Richard annuì, «È mio.» disse, «Mi assomiglia.»
Rosalie si alzò in piedi, «Devo parlare con mia madre.» disse e andò in camera e Richard la osservò, chiedendosi se avesse fatto la cosa giusta. Sua moglie tornò dopo una decina di minuti, «Mi madre ha una soluzione.» disse sedendosi di nuovo, «E io ti perdono solo se fai quello che dice lei.» esclamò, «Pensa ai bambini, tesoro.» soffiò prendendogli le mani, «Pensa a loro.»
Richard annuì, avrebbe fatto qualsiasi cosa per non perdere i suoi figli.

***

Meredith sollevò il telefono, «Ferramenta Stocks, come posso aiutarla?» esclamò.
«Meredith... sono Richard.»
Meredith inspirò a fondo, «Cosa vuoi?» sbottò, «Mi pare di essere stata chiara, l'altro giorno.» esclamò.
«Voglio vedere mio figlio.» disse Richard, «Per favore.» supplicò, «Ti prego.»
Meredith strinse a pugno la mano libera, «Mi sembra un po' tardi, ora.» disse, «Ricordi cosa è successo quando ti ho detto di essere incinta?» domandò e rimase in attesa.
«Io... scusa.»
«È tardi.» disse Meredith. «Ti ho dimenticato.» aggiunse, «Ho smesso di amarti il giorno in cui sei uscito da casa mia, lasciandomi in lacrime sul pavimento.»
Richard annaspò, «Ma... Meredith...» soffiò sconvolto, «E quando sei venuta a casa mia?» chiese.
«Era solo la classica scopata d'addio.» rispose lei. Non pensava più a lui da quando aveva sentito quelle parole, quando Richard non aveva voluto credere né al test di gravidanza, né alle beta e neppure all'ecografia. Lui non le aveva creduto e lei aveva smesso di amarlo, di colpo, come se qualcuno avesse premuto un interruttore.
«Co... cosa? Meredith, no!» strillò lui, quasi terrorizzato da quello che aveva appena sentito, «Non puoi.» disse, «Non puoi impedirmi di vederlo e  riconoscerlo.» aggiunse.
«Richard, ascoltami: è quasi un anno e mezzo che non ti fai sentire.» disse lei, esausta, «Sapevi che ero incinta, sapevi dove trovarmi ma non hai mai mosso il culo perché la tua adorabile mogliettina ti tiene per le palle.» continuò, «Ho un cliente.» disse e riattaccò.

Richard fissò sconvolto il telefono. Meredith aveva riattaccato e aveva fatto capire che non gli avrebbe fatto vedere il bambino. La richiamò, sul cellulare e la chiamata fu deviata alla segreteria, «Meredith, ti prego... ascoltami.» disse, «È anche mio figlio e ho il diritto di vederlo!» gridò, «Non puoi impedirmelo, non puoi.» singhiozzò, «Mi sei mancata tanto... ti amo, Meredith.» soffiò, «Chiamami, ti prego, dobbiamo parlare.» disse e chiuse la chiamata con un sospiro. Quello che gli aveva detto Rosalie non gli piaceva, ma se non lo avesse fatto lei gli avrebbe portato via i bambini e lui non voleva. Ripensò a quello che Meredith gli aveva detto poco prima: “Rosalie ti tiene per le palle.”
Sospirò, pensando che forse aveva ragione, ma lui non voleva perdere i suoi figli e in più Meredith non conosceva il rapporto che c'era fra lui e Rosalie.

***

«Non puoi farlo!» gridò Richard, stringendo i pugni e pensando che Meredith non poteva fargli tutto ciò «Non puoi impedirmi di vederlo!» urlò, «È anche mio figlio!»  gridò. Era andato di nuovo da Meredith, chiedendole un'altra volta di vedere il bambino — era da quando lo aveva visto per la prima volta, un mese e mezzo prima, che ci pensava quasi tutti i giorni.
«Adesso è tuo figlio?» ribatté lei, sarcastica, «E prima?» fece, «Quando ti ho detto che ero incinta e tu mi hai risposto che non dovevo usare certi giochetti? Che non potevi lasciare Rosalie perché altrimenti non ti avrebbe più fatto vedere i bambini?» sbottò, «Prima non lo era, non ci credevi nemmeno. Scommetto che lo fai solo perché te lo ha detto Rosalie, vero?» domando e lo fissò, deglutì sentendosi improvvisamente stanca, svuotata di tutte le energie. Sospirò, «Ho ragione, vero?» chiese passandosi una mano sul viso, come se potesse togliersi tutta la stanchezza di dosso con quel semplice gesto. «Ho ragione.» sospirò, «Tu lo fai solo perché te lo dice tua moglie.»
«Pensavo... io...» balbettò lui, «Io non voglio perdere i miei bambini.» disse.
«Bhe, dovevi pensarci prima.» replicò lei, si girò e si allontanò a grandi passi.
«Dove vai?» gridò lui, «Aspetta!» esclamò e la raggiunse di corsa, «Meredith.»
«Vado dove cazzo voglio.» ringhiò lei, «A pranzo, per la precisione.» disse, «Addio.» aggiunse e si voltò di nuovo, attraversò il parcheggio dietro la ferramenta e salì in auto, lasciando lì Richard che continuava a chiedersi perché Meredith facesse così, perché gli impedisse di vedere di vedere il bambino. Sospirò, dicendosi che, visto che le richieste non avevano funzionato, sarebbe passato alle maniere forti.

***

«Meredith?» chiamò Caleb inginocchiato accanto alla giostrina a molla a forma di cane.
Lei lo guardò e sorrise, «Sì?» fece. Il ragazzo fece un semplice gesto con la testa, Meredith si voltò e il sorriso si spense. «Cosa volete?» domandò quando fu raggiunta da Richard e Rosalie.
«Siamo qui per proporti un accordo.» esclamò lei e Meredith pensò che la sua voce somigliasse allo starnazzare di un'anatra.
«Che accordo?» mormorò Meredith e indietreggiò, lanciando di tanto in tanto un'occhiata al bambino. Ma c'era Caleb, era al sicuro con lui. E comunque era in un parco frequentato da mamme, nonni e bambini: non erano completamente soli. Un qualcosa le suggeriva che i due non avessero buone intenzioni.
«Per i turni di visita al bambino.» rispose Richard e Meredith lo detestò. Sapeva bene come si chiamasse, eppure non pronunciava il suo nome. Pensò che se lo fosse dimenticato.
«Quindi?» sospirò. «Vorrei ricordati che sapevi della sua esistenza da un pezzo.» ricordò. 
«A week end alternati.» disse lui, «Naturalmente saresti nostra ospite.» sorrise.
Meredith spalancò gli occhi, «Vostra ospite?» sbottò, «Non se ne parla nemmeno!» disse. «Se vuoi venire a vedere Jackson, muovi il culo e vieni tu qui, frega cazzo se Miss Acidità non vuole.» esclamò, «O vieni o niente.»
«Meredith, non hai capito.» sospirò Richard e scosse la testa. «Vogliamo l'affidamento del bambino e tu verrai a vederlo due volte al mese, a casa nostra.»
Meredith reagì ancora prima di pensare di farlo: fu un attimo e la sua mano chiusa a pugno si scontrò contro la guancia di Richard, «Vuoi l'affidamento di mio figlio?» strillò, «Dopo che non hai creduto che fossi incinta, dopo che sono venuta da te, con gli esami e l'ecografia in borsa e tu mi hai cacciato? Dopo avermi promesso mari e monti dopo aver scopato con me?» gridò, «Tu non c'eri, non ci sei e non ci sarai!» continuò, «E impedirò che tu veda il bambino.»
«Tu lavori tutto il giorno, io invece sto a casa e posso occuparmi di lui.»
Meredith fissò Rosalie, «Taci, nessuno ti ha interpellato.»
«Posso essere una madre migliore di te, io.» disse Rosalie, «Abbiamo già parlato con un avvocato.»
Meredith si avvicinò a Rosalie, sentendosi una tigre: nessuno poteva portarle via il bambino. 
«Meredith,» esclamò Richard «noi possiamo offrirgli una vita più bella, una vera famiglia.»
Meredith scoppiò a ridere. «Una vera famiglia.» esclamò, «Una vera famiglia, già. Con te che tradisci tua moglie sotto il suo naso.» disse, «Che bella famiglia.»
«Non fare così.» esclamò Richard e lei odiò il suo tono accondiscendente, sembrava che stesse parlando con un bambino di due anni.
«Non parlarmi come se fossi cerebrolesa.» sputò Meredith fissando l'uomo che aveva amato così tanto da stare male, «Avete interpellato un avvocato? E con quali solidi?» chiese, «Se non sbaglio vivete ancora in un bilocale, i bambini dormono nella vostra stanza... come fareste con tre bambini?» disse, «Io ho una casa di proprietà con tre camere da letto, ho una mia attività...» continuò, «E ho più soldi di voi, visto che mio fratello non si gioca pure le mutande al casinò, cavalli o su qualunque cosa scommettesse.» disse e sorrise, sapendo di avere ragione.
Richard strinse le labbra e si toccò il viso: la guancia, lo zigomo e le labbra gli facevano male, non credeva che Meredith avesse così tanta forza — non credeva nemmeno che fosse capace di dare un pugno. «Meredith... è mio figlio.» sospirò.
«No.» replicò lei, «Non lo è.» disse, «Se lo fosse stato ti saresti occupato di lui fin dall'inizio e non mi avresti trattato come una demente.» continuò, «Ti ho dato tante occasioni ma tu le hai sprecate tutte.» disse e si accorse che Rosalie non c'era, sentì suo figlio gridare, Caleb esclamare “Lascialo!” e si girò, «Cosa fai, stronza?» gridò, avvicinandosi a Rosalie che aveva preso in braccio il bambino.
«Lo cresciamo noi il bambino.» replicò lei.
Meredith deglutì, chiuse gli occhi e quando li riaprì iniziò a gridare. Gridò: «Aiuto, mi stanno portando via mio figlio! Vogliono rapirlo! Aiuto! Aiutatemi, per favore!»
Immediatamente alcuni anziani, che giocavano a bocce nel campo lì accanto accorsero, circondando i quattro e il bambino.
«Meredith!» strillò Richard, spaventato. «Io sono il padre.» si giustificò.
«No.» replicò lei, «Il padre non c'è.» disse e riprese in braccio Jackson, cullandolo e sussurrandogli all'orecchio di stare tranquillo, che andava tutto bene, che quelle persone cattive andavano via.
«Meredith, andiamo via.» esclamò Caleb posandole una mano sulla schiena. Odiava Richard da quando Meredith gli aveva raccontato di lui e lo odiava ancora di più in quel momento, dove voleva portare via Jackson a sua madre, e solo per un capriccio. Era sicuro che fosse solo un capriccio, quello di Richard, e che non volesse veramente occuparsi di Jackson.
Lui, Meredith e il bambino si allontanarono da Richard e Rosalie, che erano stati lasciati in pace dei vecchietti ed erano rimasti lì, fermi, immobili, a guardarli.
Richard sapeva che Meredith aveva ragione: vivevano in un bilocale — camera da letto, bagno e soggiorno con angolo cottura, neanche trentacinque metri quadri — avevano ancora un sacco di debiti e non potevano permettersi uno di quegli avvocati che venivano definiti “squali”, avevano scelto uno di quelli che costava meno.
«Rosalie?» chiamò Meredith voltandosi verso di loro, «Il parquet della camera è ancora rotto?» chiese, «E comunque... le tendine rosse, viola e gialle del bagno fanno a pugni con il pavimento blu...» aggiunse e si voltò di nuovo, allontanandosi insieme a Caleb
«Ma... cosa!?» strillò Rosalie, «L'hai portata in casa nostra? Quella sgualdrina?» gridò e colpì Richard con uno schiaffo, «Stronzo.» piagnucolò, «L'hai portata a casa nostra!» disse, «Casa nostra! Come ti sei permesso!» lo colpì ancora.
«Scusa.» mormorò lui, «Basta.» disse ricevendo l'ennesimo schiaffo. Fissò Meredith che si stava allontanando con quel ragazzo di cui ignorava il nome, fissò le loro mani, le dita intrecciate e la testolina del bambino — aveva già scordato il nome — posata sulla testa del bambino posata sulla spalla di Meredith e si pentì di tutto quanto. Di non aver lasciato Rosalie, di essersi fatto condizionare da lei e dai suoi genitori, di non aver creduto a Meredith. Pensò che quel bambino sarebbe cresciuto senza di lui, senza un padre. Che sarebbe cresciuto con quel ragazzo che stringeva la mano di Meredith.
«Richard!»
Lui deglutì e si voltò verso Rosalie, «Sì?» fece.
Rosalie fece una smorfia, «Non guardarla.» ordinò, «Andiamo dall'avvocato.» disse, «Ne scegliamo uno bravo, così avremo quel bambino.»
Lui la fissò e sospirò, «E con quali soldi?» chiese.
Lei incrociò le braccia al petto, «Chiederemo un prestito.» disse.
Richard sospirò — di nuovo —, «Sarebbe il terzo.» le ricordò, «Rosalie, tesoro... lascia stare.» disse, anche se non avrebbe voluto lasciar perdere la questione, quel bambino era suo figlio e lui aveva il diritto di vederlo.
«Dobbiamo farlo.» replicò lei strattonandolo, «Pensa ai bambini, Richard, pensa a loro.» disse e lui la guardò, sospirò e annuì.

***

L'avvocato che avevano trovato era molto bravo, a quanto avevano sentito. Non perdeva mai una causa ed era specializzato nell'affido dei bambini.
«Vuole l'affido esclusivo del bambino della sua amante, ho capito bene?» domandò il signor Winchester, fissando Rosalie e Richard, seduti di fronte a lui, dall'altra parte della grande scrivania in mogano.
«Sì.» Richard annuì.
«E come si chiama la madre del bambino?» domandò l'avvocato.
«Meredith Stocks.» rispose Richard, aggiungendo dove abitasse e che lavoro facesse.
«Sta tutto il giorno in ferramenta, sicuramente il bambino starà al nido...» disse Rosalie, sprezzante, «Io sono a casa, invece,» annuì «posso occuparmi di lui meglio di lei.» disse, scordandosi di dire che anche lei aveva mandato i figli al nido, anche se non lavorava e poteva tenerli a casa con sé.
L'avvocato annuì, «Ho capito.» disse, «Potete scusarmi un momento?» disse e si alzò, disse alla segretaria di offrire qualcosa ai due e sparì dalla vista della coppia.
«Rosalie,» mormorò Richard «costa cinquecentocinquanta dollari l'ora.» sussurrò, «È troppo!» disse, «Fra l'affitto, le bollette, i debiti, i tuoi vestiti, la scuola e l'asilo non ci rimarrà nulla per mangiare.» le ricordò per l'ennesima volta.
«I bambini.» squittì Rosalie, «Pensa ai nostri figli.»
«Piantala con 'sta storia.» ringhiò Richard, ringraziò la segretaria che aveva portato loro dell'acqua, «Rosalie, basta ricatti.» disse e sospirò, «Io voglio vedere mio figlio, non voglio che viva con me perché tu mi minacci.»
Rosalie fece una smorfia offesa, «Richard, noi avremo la custodia di quel bambino.» replicò, «Altrimenti tu te ne vai e non vedrai più Emily e Chris.»
Richard sospirò e annuì, anche se non avrebbe voluto farlo, anche se “Tua moglie ti tiene per le palle.”, anche se non aveva tutti quei soldi e l'idea di accollarsi un altro finanziamento non lo entusiasmava.
L'avvocato tornò e si sedette. Prese un lungo respiro, «Mi dispiace ma sono costretto a rifiutare.» disse.
«Cosa? Perché?» strillò Rosalie, «I solidi li abbiamo.» disse.
Winchester li fissò e scosse la testa, «Non è per i soldi.» spiegò, «Il problema è il conflitto d'interessi.» disse, «Meredith Stocks è la fidanzata  e futura moglie di mio figlio Caleb.»
Richard spalancò gli occhi, «Cosa?» gracchiò.
«E quindi non ci aiuta?» strillò Rosalie, «La paghiamo, eh!» disse, «I soldi non sono un problema. Vogliamo quel bambino perché quella lavora tutto il giorno e non è una buona madre.»
«Signora,» disse l'avvocato «so tutta la storia.» disse, «E voi volete l'affidamento di mio nipote solo per un capriccio. Non sapete neppure il suo nome.»
«Sì chiama Joshua.» replicò Richard e deglutì quando vide l'occhiataccia di Winchester.
«No.» replicò l'altro, «Ha sbagliato.» disse, «Potete rivolgervi ad un altro avvocato, ma non so quanto vi converrà: Meredith ha le prove che lei, Richard, sapesse della gravidanza, gravidanza che ha ignorato, e si capisce benissimo che il vostro è un capriccio.»
«Non ci aiuta?» squittì Rosalie, «Che razza di avvocato è?»
«Tesoro,» Richard le strinse la mano «andiamo.»
Uscirono dallo studio, dopo aver pagato centocinquanta dollari.
«Andiamo da un altro avvocato.» esclamò Rosalie.
«No.» disse Richard, «Rosalie, ascoltami: se insistiamo rischiamo che ci portino via i bambini perché andremo a vivere sotto un ponte per via dei debiti.» sospirò, «Lo vuoi? Vuoi questo? Perché succederà, Rosalie. Tolte tutte le spese ci rimangono trecento dollari scarsi, se facciamo un altro finanziamento non ci rimane più nulla.»
«I bambini.» disse Rosalie, «Pensa a loro.» ripeté, ignorando le parole del marito.
Richard sospirò, «Vuoi continuare?» domandò, «E allora trovati un lavoro!» gridò, «O rinuncia alla donna delle pulizie, visto che sei sempre a casa. Rinuncia ai vestiti, visto che non c'è più spazio.» disse, «Io mi fermo qui.» esclamò.
«Pensa ai bambini.» ripeté Rosalie, «Dirò ai miei di aiutarci.»
Richard si ritrovò ad annuire, come sempre.

***

Era la fine di Settembre e Meredith non sentiva o vedeva Richard da un paio di mesi e  si era sentita sollevata: sapeva che nessuno le avrebbe portato via il bambino per darlo a due persone che lo volevano solo per uno stupido capriccio.
Fissò Jackson che gattonava sul pavimento e lo sollevò, ridendo quando il bambino lanciò un urletto di protesta, «È ora di fare la colazione, giovanotto.» disse sistemandolo sul seggiolone. Il bambino sbatté i pugni sul ripiano del seggiolone strillando. «Su. Fai il bravo...» disse Meredith e gli baciò la testolina, sfiorando i capelli biondi.
«Pronti?» esclamò Caleb entrando in cucina, le braccia tese sopra la testa.
«Dobbiamo fare colazione.» esclamò Meredith assicurandosi che le cinghie che tenevano il bambino fossero assicurate.
«Pensavo di farla fuori.» sorrise Caleb e si chinò per baciare la testa del bambino, che lo guardò ridendo.
Meredith fece una smorfia, «Ho già fatto il caffè.» sospirò, «E Jackson ha fame.» disse.
Caleb scrollò le spalle, «Nessuna legge vieta di farne due.» disse e si versò una tazza di caffè, mentre Meredith infilava dei biscotti granulari nel biberon del bambino, «Lo vuoi?» domandò indicando il caffè e Meredith annuì prima di dare il biberon al bambino che lo afferrò e iniziò a ciucciare.
Fecero colazione, poi salirono sull'auto di Meredith, diretti alla concessionaria. Caleb non era originario della città della ragazza, ma aveva sempre vissuto a tre ore circa da lì e si era trasferito per lavoro dove viveva Meredith una settimana prima che si conoscessero.
Caleb era stato paziente e aveva subito fatto amicizia con Greg, Alexia, Marissa e Claire e, piano piano, era riuscito a fare breccia nel cuore di Meredith, diventando prima suo amico e poi il suo compagno.
In un paio d'ore arrivarono alla concessionaria — il proprietario era amico del padre di Caleb — e Meredith strinse la mano di Jackson, che era intenzionato a toccare tutte le auto presenti in salone.
L'auto di Caleb era distrutta — era in un parcheggio quando un'altra auto, guidata da una vecchietta, gli era andata addosso, distruggendone il cofano e parte della fiancata destra, e rendendola inutilizzabile.
«Prendiamo questa!»
Meredith si bloccò e voltò piano il viso, fissando Rosalie dall'altra parte dell'enorme salone, accanto a una Maserati blu notte.
«Costa troppo, Rosalie!» ribatté Richard.
Rosalie fece una smorfia e si aggrappò alla camicia di Richard, «Tesoro, per favore... papà ha detto che metà la paga lui.» cinguettò, «Mi piace.»
Meredith scosse la testa. Prima sembrava che Richard dovesse spendere soldi per un avvocato per poter vedere Jackson, adesso, invece, voleva prendere un'altra auto. E una che costava come una casa, per giunta. Meredith si sentì offesa: l'avvocato per la custodia dei figli no, ma migliaia di dollari per un auto  sì. 
«Ha l'aria di una che si schianterebbe contro il primo palo disponibile.» ridacchiò Caleb.
Meredith alzò le spalle, «Non prendere una roba del genere, altrimenti non ci sta il seggiolino.» disse. 
«Eravamo d'accordo per il SUV, mi pare.» replicò Caleb con un sorriso.
Meredith sorrise, «Lo so.» disse, «Dai, scegliamolo.» esclamò allegra, ignorando Richard che cercava di far cambiare idea a Rosalie. Era cambiato dall'ultima volta che l'aveva visto: i capelli cominciavano a stempiarsi, le rughe sul viso erano aumentate e aveva preso almeno una decina di chili.
Si avvicinarono a un SUV nero e Caleb aprì la portiera e rise quando il bambino cercò di sfuggire dalle braccia di Meredith per toccare i sedili.
Mentre Meredith cercava di impedire a Jackson di strusciare il ciuccio pieno di saliva sul poggia testa, Richard alzò il viso e si bloccò alla loro vista.
Scosse la testa e pensò che Meredith l'aveva sostituito in fretta, dopo che aveva giurato di amarlo per sempre.  «Rosalie...» sospirò, «No.» disse, stanco e fissò i bambini che correvano nel parcheggio e li richiamò, sgridandoli, dicendolo loro che non potevano correre nel parcheggio, perché era pericoloso. «Non possiamo permetterci una Maserati.» sbottò, «Scegline un'altra, tesoro.» sospirò.
Rosalie fece una smorfia e si accorse anche lei della presenza di Meredith, la vide avvicinarsi a un grosso SUV blu, «Voglio quello.» disse indicandolo. «Proprio quello.»
Richard si passò le mani sul viso, «Tesoro, anche quello costa troppo.» disse, «Qui è tutto troppo caro, per noi.»
Rosalie fece una smorfia, «Ma io lo voglio!» protestò, «Rinuncio alla donna delle pulizie...» cinguettò, «Per favore... verrà solo due volte al mese.» disse, «Tesoro... pensa a come saranno contenti i bambini.» disse, «Pensa a loro.»
“Rosalie ti tiene per le palle.” pensò Richard, «Va bene.» acconsentì, “Sei il suo cagnolino.” «La prendiamo.» disse e sorrise, abbracciando Rosalie che si era buttata fra le sue braccia.
Il capitolo “chiediamo la custodia di Joshua” — o era Jackson?, Richard non se lo ricordava — era durato meno di una settimana: Rosalie si era stufata di girare fra avvocati e aveva preferito spendere quei soldi per altro, prima per un nuovo forno autopulente, anche se quello vecchio — un semplicissimo forno — funzionava ancora, adesso voleva un'auto nuova. E Richard aveva accantonato il pensiero di quel bambino in un angolo remoto della sua mente.
Anche in quel momento si dimenticò di lui, mentre Rosalie gli sussurrava all'orecchio: «Piace tanto ai bambini, Richard. Pensa a loro, Richard. I bambini, Richard.»

***

«Jackson!» esclamò Meredith, «Lascialo stare.» disse, «Non si gioca con questo.» aggiunse e spostò il segna tavolo fuori dalla portata del figlio, «Tieni.» gli baciò la testa porgendogli una macchinina rossa.
Il bambino l'afferrò e la strinse trillando e sorridendo, «Mia!» esclamò, «Mia.» ripeté, «Pappa?» domandò.
«Arriva subito.» rise Caleb scompigliandogli i capelli, spostò lo sguardo e fissò Richard entrare, seguito dalla moglie e dai bambini.
«Caleb?» lo chiamò Meredith, «Che c'è?» chiese e si accorse anche lei di Richard. Sorrise e tornò a guardare Caleb. Non le importava più di Richard, non più, ormai. Le uniche persone importanti erano la sua famiglia, suo figlio e Caleb
Mentre mangiavano sentiva su di sé lo sguardo di Rosalie e si trattenne dal girarsi e chiederle se fosse ancora gelosa, se la temesse ancora ma tacque. «Speriamo che l'auto arrivi presto.»  sospirò.
«Lo spero anche io.» disse Caleb allungando un pezzo di pane al bambino. Caleb usava l'auto di Meredith per andare al lavoro, mentre lei accompagnava, verso le nove e mezza, Jackson dai genitori di sua cognata, poi andava al lavoro. A mezzo giorno andava a riprenderlo e restava con lui verso le cinque, poi andava al lavoro e lo portava con sé. Nel resto del tempo alla ferramenta c'era Tim, che aveva messo su una quindicina di chili di muscoli. Di solito il bambino se ne stava seduto sul divano a guardare Peppa Pig in tv, poi dormiva per una mezz'oretta, lasciando a Meredith e Tim tutto il tempo per chiudere il negozio con tranquillità.
«Meno male che arriva fra due settimane come ci hanno detto.» sospirò Meredith, «Sono stufa di girare a piedi.» borbottò e inspirò a fondo, sorseggiando un sorso di birra, mentre posava il bicchiere si accorse che Rosalie la stava guardando stringendo il suo bicchiere d'acqua. Meredith la fissò, fece un sorrisetto e posò il gomito sinistro sul tavolo per poi appoggiare il mento sulla mano, le dita che sfioravano il viso e si domandò se Rosalie avesse visto l'anello e il grosso diamante che lo sormontava, lei avrebbe voluto prendere un qualcosa di piccolo, ma quell'anello le era piaciuto fin dal primo istante così aveva detto di sì a Caleb che voleva regalarglielo.
«Devo andare in bagno.» annunciò, «Ordini tu il dolce?» sorrise a Caleb mentre si alzava, gli baciò la guancia e andò ai bagni.
Mentre si avvicinava ai lavandini, un paio di minuti più tardi, la porta dell'antibagno si aprì e Richard entrò.
«Smettila.» esclamò lui.
«D fare cosa?» chiese lei insaponandosi le mani.
«Di...» Richard agitò le mani, «Tutto!» sbottò, «Avete preso il SUV che volevamo noi!»
«Che volevate voi o che voleva lei?» domandò Meredith fissandosi le mani, «E non colpa nostra se quello era l'ultimo modello e ve lo devono ordinare.» disse alzando il viso e guardando Richard.
Lui si accorse dell'anello e sobbalzò, «Quindi ti sposi?» gracchiò.
Lei sorrise e annuì, «Sì.» disse, asciugò le mani e gettò la carta nel cestino, «Addio.» disse e posò la mano sulla porta, «Ah,» si girò «Comunque mi fa piacere notare quanto tu ti stia battendo per vedere tuo figlio.» aggiunse e se ne andò, lasciando Richard nel bagno, con la bocca aperta.
Richard tornò da sua moglie che stava fissando Meredith che imboccava il bambino, facendogli mangiare il tiramisù. «Quella stronza.» sputò mentre lui si sedeva, «Lo ha fatto apposta, ci scommetto. Sapeva che lo volevamo noi il SUV e lo ha fatto per dispetto.»
“Veramente è stata lei ha vederlo per prima.” pensò, “Lo hanno scelto prima loro.” si disse, «Hai ragione, tesoro.» esclamò.
«Ai bambini piaceva tanto.» sospirò Rosalie, «Vero?» domandò, «Dobbiamo pensare a loro.»
Richard annuì, «Hai ragione, tesoro.» ripeté, «Dobbiamo pensare a loro.»
Meredith lo sentì e strinse il manico della forchettina e pensò di mettersi ad urlare, gridare che c'era anche Jackson, che c'erano entrambi quando era stato concepito, ma durò solo un attimo: era Richard che perdeva qualcosa d'importante come un figlio. Jackson un padre ce l'aveva, Caleb era perfetto in quel ruolo.
Infilò un pezzo di tiramisù in bocca e si chiese quanto dovesse essere triste e vuota la vita di Rosalie per continuare con quella storia di: “pensa ai bambini!”, l'aveva sentita prima, almeno una dozzina di volte, in concessionaria. Si disse che doveva essere egoista, più che triste e vuota: se ne era fregata di suo fratello affetto da ludopatia, aveva lasciato che tutte le responsabilità cadessero sulle spalle di Richard, era stata zitta quando lui era stato praticamente obbligato a pagare i debiti di gioco. Meredith lo sapeva che avevano almeno un paio di finanziamenti aperti ma, nonostante ciò, Rosalie continuava a spendere e spandare, incurante della mancanza di soldi. Altro che far vedere Jackson a Richard in presenza di Rosalie, a lei non avrebbe affidato neppure un orsacchiotto di pezza. “Sì, è una stronza egoista.” pensò, “Dio, non faceva neppure più sesso con Richard perché tanto due figli li avevano fatti!”
«Meredith?»
«Mmh?» domandò lei fissando Caleb, «Scusa, stavo pensando.» disse, «Dicevi?»
Lui rise, «Oh, solo che hai un po' di crema sul mento.»
Meredith ridacchiò, passò due dita sul mento, leccò la crema da esse e sorrise prendendo il tovagliolo, «Che facciamo dopo?» domandò bevendo un sorso di birra.
Caleb scrollò le spalle, «C'è quel grande negozio per bambini, il Kids World.» disse, «Potremmo andare a vedere se c'è qualcosa che ci piace.» disse.
Meredith annuì, allungò una mano e strinse quella di lui, mentre Jackson rideva e sbatteva il suo bicchiere di plastica sul ripiano del seggiolone. «Ti amo.» soffiò.
«Anche io.» mormorò Caleb.

Richard pagò — e spese più di quanto preventivato — e uscì dal ristorante, raggiungendo sua moglie e i bambini.
«I bambini vogliono delle scarpe nuove.» disse lei.
«Le abbiamo prese settimana scorsa.» sospirò Richard.
«Tesoro, ma al Kids World ci sono gli sconti!» disse lei e Richard si chiese se non lo facesse apposta, ad andare dove andava Meredith. «Non abbiamo dei bei stivaletti per Emily.» sorrise e sfiorò il viso del marito, «Pensa a loro, Richard.» disse, «Pensa ai bambini.» soffiò, «Pensa a loro.»
E lui lo fece. Pensò ai suoi bambini, ai suoi figli, Emily e Chris, e annuì, «Va bene.» disse, «Andiamo.» aggiunse. Mentre salivano in auto si dimenticò di Meredith, del bambino di cui continuava a scordare il nome e del ragazzo che lei avrebbe sposato. Pensò solo ai suoi due figli e al dolore che avrebbe provato se non li avrebbe più visti. Dimenticò tutto: le promesse che aveva fatto a Meredith, suo figlio, quello che gli avevano detto i suoi genitori: “Rosalie sta con te solo perché tu sei così cretino da dire di sì a tutto quello che dice! Se divorzi e non ti fa vedere i bambini, andiamo dall'avvocato!” Pensò che non aveva detto di avere un altro figlio, anche perché Rosalie gli aveva detto che non gli assomigliava per niente, che forse non era neppure suo. E lui ci aveva creduto, si era detto: “Sì, non mi assomiglia.”
“Pensa ai bambini, Richard.” si disse mentre girava la chiave di accensione, “Pensa a loro.” pensò, “Dimenticati il resto, tanto non conta più.”
E lo fece.

Ecco qui l'ultimo capitolo! Manca solo l'epilogo, arriverà a breve (spero xD).
Premessa: la storia non doveva andare così, doveva andare in modo diverso e il piccolo Jackson non ci doveva essere. Avevo immaginato un finale diverso ma mi è venuta in mente questa cosa e credo che sia meglio del finale sdolcinato che aveve previsto all'inizio.
Grazie a chi legge/mette la storia in una delle liste/commenta/mi mette fra gli autori preferiti.

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 - Epilogo ***


Please Stay (extended version)

Capitolo Venticinque
Epilogo

Due anni e mezzo dopo.
Meredith strinse la mano di Jackson, «Adesso fai il bravo, vero?» domandò dopo essersi inginocchiata.
«Sì, mamma.» mormorò il bambino.
Lei sorrise e gli scostò i capelli dal viso, «Bravo, tesoro.» disse, «La mamma ha portato il tablet, così puoi guardare i cartoni mentre aspettiamo che arrivi da mangiare, okay?»
Il bambino annuì ancora e Meredith gli baciò la fronte per poi alzarsi in piedi. Caleb, che era andato a posteggiare l'auto, li raggiunse all'ingresso del ristorante. I tre entrarono e un cameriere li condusse a un tavolo quadrato. Il bambino si sedette sul rialzo che Caleb aveva portato con sé.
«I cartoni, mamma.» esclamò il bambino dopo aver ordinato, «Lo hai promesso.» disse.
Meredith sorrise, afferrò il tablet e lo accese, selezionò uno dei video salvati e lo fece partire, per poi passare il tablet al bambino, che lo afferrò con un gridolino. «Shh, abbassa la voce.» mormorò e alzò il viso e si bloccò nel vedere Albert: non lo vedeva da più di tre anni. Sapeva che si era trasferito e che era in contatto con Greg ma ritrovarselo lì davanti, così all'improvviso, la fece quasi vacillare. Ricordò i bei momenti passati insieme, le serate fatte di chiacchiere, dvd, pizza e poc corn. Poi ricordò cosa le aveva fatto e distolse lo sguardo. Non l'avrebbe mai perdonato, neppure in mille anni.
«Meredith?» la chiamò Caleb, «Tutto bene?»
Lei si riscosse, «Sì, scusa.» sorrise, «Stavo pensando.» disse.
Caleb sorrise, «Eri così assorta...» commentò.
Meredith guardò suo figlio, «Davvero?» rise e lanciò una breve occhiata ad Albert, accorgendosi della ragazza al suo fianco. Era bionda, con grandi occhi azzurri e Meredith pensò che le assomigliasse.
«È lui?» mormorò Caleb, guardando nella stessa direzione di Meredith, «Albert.»
«Già.» sospirò lei.
«La bionda ti assomiglia.»
Meredith fissò Caleb, «Dici?» domandò e guardò Jackson.
«Sì.» disse Caleb, «Ti assomiglia.» esclamò, «Stessi capelli, colore degli occhi uguale, naso praticamente identico, lineamenti simili...» scrollò le spalle.
Meredith annuì poi vide il cameriere avvicinarsi con gli antipasti, «Jackson, basta cartoni.» disse e afferrò il tablet, mise in pausa il video e bloccò lo schermo, per poi infilarlo in borsa.
Il bambino protestò, per poi smettere quando Caleb posò nel suo piatto un po' di gamberetti e salsa rosa.
Il pranzo trascorse tranquillo e, quando ordinarono il dolce, Meredith prese Jackson per condurlo al bagno — aveva iniziato a ripetere come un mantra: “Devo fare pipì, mamma. Mi scappa la pipì, mamma.”
Cinque minuti dopo, mentre spiegava per l'ennesima volta che bisognava lavarsi le mani altrimenti non avrebbe mangiato il dolce, la porta dell'anti bagno si aprì. Meredith girò la testa e rimase un attimo bloccata nel vedere Albert.
Anche lui la fissò, sorpreso, «Meredith...» soffiò.
«Ciao.» esclamò lei e tornò a guardare il bambino, impedendogli di bagnare il ripiano di marmo che circondava il lavandino, «Come va, Albert?» domandò.
«Bene.» disse lui, «Tu?» chiese, «È tuo figlio?» domandò e Meredith annuì, «Ti somiglia.» disse.
Meredith rimase un attimo ferma, si riscosse, afferrò alcune salviette di carta e asciugò le mani di Jackson, che continuava a chiedere “Chi è? Chi è?”
«Un amico.» rispose. «Un vecchio amico.» si corresse. «Ciao, Albert.» disse spingendo il bambino verso la porta, «Sono contenta che stai bene.» aggiunse e uscì, ripetendo a Jackson di non correre.
Ritornò al tavolo, trovando i dolci su di esso. «Li hanno appena portati.» le sorrise Caleb, trattenendo le domande che voleva farle: “Hai visto Albert? Ci hai parlato? Cosa ti ha detto? Cosa ti ha fatto?”, invece si limitò ad aiutare Jackson a salire sulla sedia, «Mangia piano.» gli ricordò.
Il bambino annuì, afferrò la forchetta e la infilzò nel tiramisù, facendo grattare i rebbi contro la ceramica del piatto.
«È una forchetta, non una zappa.» rise Meredith, «Fai piano, tesoro.» disse e si bloccò, sentendosi osservata. Spostò lo sguardo e vide che la ragazza in compagnia di Albert la stava fissando.
La guardò anche lei e l'altra distolse lo sguardo.
«Tutto bene?» le domandò Caleb
Lei annuì e prese un ciuffo di panna, «Sì.» disse, «Non sopporto che qualcuno mi fissi, lo sai.»
Caleb rise, «Lo so.» disse, «Sei stanca?» domandò.
Meredith scosse la testa, «No.» sbuffò, «E non continuate a chiedermelo, che ho già partorito una volta.»
Caleb le strinse la mano, «L0 so, ma non riesco a fare a meno di preoccuparmi.»
«Ho partorito una volta più di te.» rise Meredith e divise a metà una delle palline del profiterole. «Dai, tanto al negozio ci bada Tim.» esclamò, «Io vado lì solo per controllare.»
Caleb annuì, «Lo so ma non posso fare a meno di preoccuparmi.» sorrise.
Lo fece anche Meredith, felice che qualcuno si preoccupasse per lei. Dopo aver incontrato uomini stupidi — Albert che aveva tradito la sua fiducia e Richard che non aveva le palle per lasciare la moglie — era felice di aver trovato Caleb, che l'amava e glielo aveva dimostrato in tutti i modi possibili — e continuava a farlo. Ma la cosa più importante era che Caleb amava Jackson come se fosse suo figlio. E lo era, in effetti, pensò Meredith mentre mangiava il dolce. Era Caleb il padre di Jackson, fine della questione.


«Jackson...» sospirò Meredith, «Stai buono.» disse, «Papà arriva subito.» esclamò afferrando la mano del figlio mentre con l'altra si toccava piano la pancia — era incinta di appena quattro mesi —, non sapeva di che sesso fosse ma desiderava che fosse una bambina: le sarebbe piaciuto tanto avere una bambina a cui pettinare i capelli, fare le trecce e vestire con abiti carini. Voleva qualche vestitino rosa in mezzo all'azzurro, verde e blu degli abiti di Jackson. Voleva qualche bambola fra le palle, le macchinine radio comandate e i camion di suo figlio.
«Meredith.»
Lei si girò e fissò Albert. «Ciao.» disse.
«Lei è Marylin.» esclamò lui, indicando la ragazza al suo fianco.
Meredith la osservò per qualche secondo, «Meredith.» si presentò, «Lui è Jackson.» indicò il bambino, che si avvinghiò alle sue gambe.
«È la mia fidanzata.» disse Albert.
Meredith annuì piano, «Mi fa piacere.» commentò e si disse che quella ragazza le assomigliava parecchio, anche se non era bionda naturale: la donna osservò quel centimetro scarso di ricrescita scura, «Da quanto vi conoscete?» domandò.
Albert scrollò le spalle, «Quasi tre anni.» rispose. «L'ho incontrata appena mi sono trasferito.» disse.
Meredith annuì ancora e vide Caleb dietro Albert, che li fissava, «Papà.» trillò il bambino staccandosi da Meredith. Caleb lo prese in braccio.
«Lui è Caleb.» esclamò Meredith, «Mio marito.» disse e guardò Albert che fissava Caleb.
I due uomini si squadrarono per qualche secondo, poi Albert allungò una mano e strinse quella dell'altro.
«Meredith, andiamo?» chiese Caleb. Lei annuì, salutò Albert e si allontanò. Per un momento, un singolo istante, aveva temuto che Albert insultasse Caleb o che lui prendesse a pugni il suo ex migliore amico; invece non era successo nulla di tutto ciò.
«Stai bene?» domandò Meredith mentre si avvicinavano all'auto.
«Certo.» rispose lui, «Tutto okay.» disse, «Perché?»
Meredith scrollò le spalle e aprì la portiera posteriore. «Niente, mi era sembrato che volessi prendere a pugni Albert.» disse.
Lui rise, «Lo avrei fatto prima, quando ci siamo conosciuti.» disse. «Ma adesso... adesso no.» sorrise sistemando Jackson sul seggiolino auto e allacciandogli le cinture di sicurezza. «Anche se avrei voluto chiedergli se si è scelto quella tizia solamente perché non può avere te.» disse e chiuse la portiera, per poi aprire quella del lato passeggero.
«Grazie.» fece Meredith, «Non pensiamoci più, okay.» disse e abbracciò Caleb, per poi baciargli le labbra, «Andiamo?» soffiò.
«Sì.» rispose lui e salì in auto, dicendosi che doveva dimenticare quell'incontro. E che doveva trattenersi dall'andare da Albert, stringergli la mano e ringraziarlo per la stronzata che aveva fatto, perché ciò gli aveva permesso di frequentare Meredith. O forse sarebbe successo ugualmente, non lo sapeva.
Quello di cui era certo era che l'amava, amava Jackson e il bambino che Meredith portava in grembo.

***

«Jackson!» esclamò Meredith, «Lascia quella palla, non è tua.» disse fissando il bambino, che guardò la palla verde che stringeva fra le mani, la lasciò andare e trotterellò fino alla madre, seduta su una panchina. Si arrampicò accanto a lei.
«Gelato?» pigolò il bambino.
«Solo se fai il bravo.» sorrise lei baciandogli la testa, mentre con l'altra mano si toccava il ventre prominente.
«Io sono bravo.» replicò Jackson, «Per favore» disse toccando il viso della madre «mammina.» mormorò spingendo in fuori le labbra.
Meredith sorrise e lo strinse a sé, gli scompigliò i capelli biondi e gli baciò la fronte, «E va bene.» sospirò, «Vai a chiamare papà.» disse.
Il bambino — che ormai aveva tre anni e mezzo — emise un urletto di gioia, schizzò giù dalla panchina e corse verso Caleb, poco distante, che stava parlando con un ex compagno di università; gli afferrò i jeans e tirò, «La mamma dice che devi darmi il gelato.» disse quando Caleb abbassò lo sguardo. Meredith ridacchiò e si alzò con un gemito, la mani sul ventre prominente e raggiunse i due.
Erano passati due anni da quando aveva incontrato Richard per l'ultima volta, poco lontano da quel parco. Ogni tanto il suo ex le tornava in mente, sopratutto per il modo in cui aveva trattato Jackson, prima non credendo che esistesse, poi ignorandolo e poi cercando di portarglielo via per cambiare idea subito dopo.
«Mamma!» strillò Jackson, «Mamma, muoviti!» gridò, «Voglio il gelato!»
«Arrivo.» sorrise lei, scacciando il pensiero di Richard dalla mente, «Non urlare.» disse.
Il bambino le afferrò la mano, mentre con l'altra continuava a stringere due dita del padre.
«Sei stanca?» domandò Caleb.
«No.» rispose Meredith, «Va tutto bene, rilassati,» disse, «Sono solo di ventotto settimane.» sospirò, «Non devo mica partorire domani.» gli ricordò.
«Mammina.» esclamò il bambino, «Posso avere la panna?» domandò, fissando la madre con gli occhioni blu sgranati, «Mammina.»
Meredith gli sorrise, «Certo, tesoro.» rispose.
Caleb rise, «Anche la mamma vuole la panna.» disse, «Non può negartela.»
Meredith sbuffò e si guardò attorno, «Non è vero.» disse, «Io sono incinta, ho le voglie.» si giustificò.
«L'altro giorno hai montato mezzo litro di panna e lo hai fatto al mattino. Alla sera era già finita.» rise lui.
Il bambino li osservò con curiosità, «Mammina, ci sediamo fuori?» chiese indicando i tavolini all'esterno della gelateria, sotto dei grandi gazebi con la struttura di legno. I tre si sedettero a uno dei tavolini e Meredith si sfiorò di nuovo la pancia. Era una bambina quella che sentiva muoversi e scalciare ed era felicissima.
Ordinarono tre coppe di gelato — con la panna montata — e Jackson andò a guardare la vasca con i pesci rossi nell'attesa, sotto lo sguardo vigile dei genitori.
«Emily! Chris!»
Meredith si raggelò nel sentire la voce e girò piano la testa, strinse i braccioli della sedia alla vista di Rosalie che spingeva un passeggino gemellare con dentro due bambini di un anno scarso. Dietro di lei c'era Richard, gli occhi segnati dalle rughe, la stempiatura che avanzava sempre di più e almeno una ventina di kg di troppo. «Jackson, vieni qui, tesoro.» esclamò quando si accorse che Richard l'aveva vista.
Il bambino corse da lei e l'abbracciò, per poi scoccarle un bacio sulla pancia; Meredith rise e gli scompigliò i capelli, «Siediti, fra poco arriva il gelato.» disse.
Il bambino si arrampicò sulla sedia, «Arriva?» domandò battendo le mani sul ripiano del tavolo, «Arriva? Arriva? Quando arriva?»
«Smettila.» disse Caleb, «Non fare così.» gli fermò le mani, «Aspetta un attimo.» esclamò. Jackson sbuffò ma smise di fare rumore.
Meredith girò la testa e vide che Richard e la sua famiglia si erano seduti accanto a loro, si disse che la bambina doveva avere sui nove anni, mentre il bambino circa sette. Richard sembrava avere cinquant'anni invece di trentacinque. Era invecchiato moltissimo da quando l'aveva visto l'ultima volta, quasi tre anni prima. Rosalie, invece... bhe, lei sembrava più giovane. “Forse è merito del botox.” pensò Meredith.
«Tesoro?»
Meredith fissò Caleb, «Sì?» fece e guardò Jackson che cercava di scendere dalla sedia, «Fermo.» disse, «Guarda, la cameriera ci porta i nostri gelati.» esclamò. Il bambino emise un urletto di gioia e si rimise seduto, la schiena dritta e le manine che sfioravano il tavolo.
La cameriera portò i gelati e il bambino la ringraziò per poi afferrare la cialda e mangiarla, «Mangia piano.» mormorò Meredith, «Jackson...» soffiò e sentì gli occhi di Richard sulla schiena. Si domandò perché la stesse guardando, si chiese se l'avesse riconosciuta. Alla fine si disse che non gliene fregava più niente. Era lui ad aver perso qualcosa, non lei. Richard l'aveva persa e aveva perso la possibilità di fare da padre a Jackson.
Si voltò e lo fissò a sua volta; Richard distolse lo sguardo, puntandolo sul tavolo.
«Richard!» esclamò Rosalie, che si era accorta della ragazza che stava guardando suo marito — e pensò di averla già vista, ma non ricordava dove — «Controlla i bambini.» ordinò, «Io vado in bagno.» disse, «Ordinami la coppa Choco Deluxe.» esclamò alzandosi in piedi, facendo stridere le gambe della sedia di metallo contro la pavimentazione del dehor della gelateria.
Mentre la moglie era via e i figli più grandi litigavano a causa di chi dovesse usare il tablet e i gemelli se ne stavano tranquilli nel passeggino, Richard osservò Meredith. Una parte di lui non l'aveva dimenticata, una parte di lui continuava ad amarla e a pentirsi di non aver divorziato da Rosalie quando era ancora in tempo. Fissò la sua ex amante imboccare il bambino e ridere per poi toccarsi la pancia, mentre l'uomo di fronte a loro gli scattava una foto.
“Avrei potuto esserci io, lì con loro.” pensò, si accorse che Emily stava per colpire il fratello con uno schiaffo e si riscosse, «Bambini!» esclamò, «Smettetela, subito!» ordinò. I bambini si calmarono e lui riuscì a farsi dire quali gelati volessero. Quando ritornò Rosalie, si era già scordato di Meredith.

***

La vecchia giostra — quella in cui aveva baciato Meredith per la prima volta e dove avevano fatto l'amore — era come la ricordava, anche se era stata restaurata.
Adesso era in funzione, con la musica e le luci accese, con i cavalli, carrozze e vecchie auto riportate all'antico splendore da un accurato restauro.
«Guarda quella stronza.» sputò Rosalie, «Passa avanti.» disse, «Ehi, tu, figlia di puttana!» gridò, «Fai la fila.»
La ragazza si girò e lo fece anche l'uomo accanto a lei, «Veramente il carosello è della mia famiglia.» esclamò lui.
Richard rimase rigido nel vedere Meredith. “Alla fine è riuscita ad avere la giostra.” pensò. “Ha una bella famiglia, ciò che voleva.” si disse. Sospirò e spinse i bambini a salire, ora che la giostra si era fermata. Sistemò i gemelli in un auto e rimase lì inginocchiato accanto alla vecchia auto rossa. Lo sapeva che i gemelli non erano suoi. Sapeva che Rosalie l'aveva tradito, e che era tornata da lui solo perché Richard aveva comprato un biglietto fortunato della lotteria — aveva vinto il secondo premio.
Rosalie era tornata da lui, scusandosi e sorridendo e facendo promesse. Quello che Rosalie non sapeva era che sarebbe stato il padre di Richard ad amministrare la vincita e che avrebbe dato a loro duemila dollari al mese.
Rosalie l'aveva presa malissimo, un'offesa alla sua persona, però era rimasta perché era sempre meglio di niente. Anche se avere tutti quei soldi in mano sarebbe stato stupendo, dopo tutto quello che Richard le aveva fatto passare.


Richard spinse il passeggino verso l'unica panchina libera, mentre Emily e Chris facevano cinque giri consecutivi sul carosello e Rosalie si era allontanata per parlare al cellulare. Sospirò e guardò quei bambini che non gli assomigliavano per nulla ma che amava con tutto il cuore.
Rivedere Meredith era stata una sorpresa ma sapeva che non poteva tornare indietro. E comunque Meredith era sposata — aveva notato l'anello all'anulare sinistro — e sembrava felice con quel tipo, che in quel momento sosteneva il bambino, in groppa a uno dei cavalli della giostra.
Richard percepì qualcuno sedersi accanto a lui e voltò il capo, «Meredith.» soffiò.
«Richard.» disse lei massaggiandosi la pancia.
«A quando il lieto evento?» domandò, distogliendo lo sguardo dalla pancia di Meredith.
«Due mesi.» rispose lei. «Vedo che hai allargato la famiglia.» commentò.
Richard sospirò, «Sì.» disse, «Loro sono Adam,» indicò il bambino a sinistra «e Dylan.» indicò l'altro.
Meredith annuì, «Come va?» chiese, più per educazione che per vero interesse.
«Bene.» rispose lui, «Potrebbe andare meglio.» sospirò.
Meredith non disse nulla e guardò Jackson che si divertiva, che batteva le manine e che si teneva saldamente alle redini di finto cuoio. «Problemi con tua moglie?» domandò.
Richard scrollò le spalle, «Anche.» rispose, «In generale.» disse e si chinò per recuperare un pupazzo che Adam aveva fatto cadere.
«Immagino che abbiate cambiato casa, ora che siete in sei.» buttò lì Meredith, lo sguardo su suo figlio, le mani sulla pancia.
Richard, invece, continuava a fissarla, «Bhe sì.» disse, «Stavamo stretti.» esclamò, «Viviamo in una villa con cinque camere da letto.» continuò a parlare dopo un attimo di silenzio, «A Rosalie piaceva tanto.»
Meredith tacque, «Capisco.» disse e si alzò in piedi. «Arrivederci.» esclamò e fece un paio di passi in avanti, si voltò e fissò Richard, «I gemelli non ti somigliano per niente.» esclamò, girò la testa e camminò fino a suo marito e suo figlio, lasciandosi il suo passato alle spalle.
Sorrise abbracciò Jackson, sussurrandogli che lo amava, baciò le labbra di Caleb, sorridendogli con dolcezza per poi dirgli che la bambina voleva, assolutamente e categoricamente, pizza per cena.
Caleb rise e prese il bambino fra le braccia. I tre si allontanarono, sotto lo sguardo di Richard, che si pentiva sempre di più, per tutto quello che aveva fatto e per quello che non aveva avuto il coraggio di fare.

***

«Che ne dici di Charlene?»
«Cosa?» domandò Caleb uscendo dal parcheggio della pizzeria d'asporto.
«Il nome per la bimba.» sbuffò Meredith stringendo la presa sul cartone della pizza gigante.
Caleb scrollò le spalle, «È un bel nome.» disse, «Possiamo pensarci.»
Meredith sorrise e voltò la testa, fissando Jackson, «Ehi, amore.» soffiò, «Che ne dici se la sorellina la chiamiamo Charlene?» chiese, «Ti piace?»
«La sorellina mi porta la macchina che posso guidare?» domandò Jackson
Caleb rise, «Sì, ometto, la porterà.» rispose.
«Allora mi piace.» esclamò il bambino.
Meredith sorrise e guardò davanti a sé, fissando la strada. Sì sentì più leggera dopo aver rivisto Richard: aveva capito di non aver perso nulla. Anzi, aveva guadagnato un marito meraviglio, un bambino stupendo e un'altra creatura in arrivo.
Aveva dei genitori che non vedevano l'ora di diventare di nuovo nonni per la terza volta — anche suo fratello era diventato padre tre mesi prima, aveva degli amici meravigliosi.
Aveva tutto quello che poteva desiderare.
Non avrebbe più gridato un “Ti prego, resta.” a nessuno.
Sapeva che Caleb sarebbe rimasto accanto a lei.
Ed era questo quello che voleva. Essere felice.
E lo era.

Eccoci qui! E anche questa storia, dopo tre anni e sette mesi, si è conclusa.
Grazie a chi ha letto la storia e a chi la leggerà, a chi mette la storia in una delle liste, a chi ha commentato.
Grazie mille! Passate nel mio progilo, magari ci sono altre storie che potrebbero interessarvi!

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