Wolf

di KohakuZ
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo Secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo Terzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo Quarto ***



Capitolo 1
*** Capitolo Primo ***


1^ capitolo
 
 
Dunque…
Questa storia vuole essere un semplicissimo esperimento. Per cui non so assolutamente quando la aggiorno, non so assolutamente se più tardi nella mia vita mi sentirò una stupida ad averla scritta (probabilmente sì -.-) ERGO vi chiedo immensamente perdono per tutte le cavolate che state per leggere. A questo punto vi chiederete perché pubblico questa storia anziché tenermela per me: la risposta è che mi interessava avere opinioni da altrui parte (non so se questa espressione esiste ma mi piaceva): recensitemi vi prego!! Ho bisogno di sapere dove potrei migliorare, per cui critiche costruttive! Mi raccomando!
 
GRAZIE!
Buona lettura
 
(L’idea non è mia ovviamente: l’idea mi viene da alcune fanfiction inglesi. Io ho cercato di crearne una simile aggiungendoci, spero, un tocco di originalità)
 
 
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(POV vuol dire Point Of View, cioè punto di vista: Kris POV significa dunque che questa parte è scritta dal punto di vista di Kris – per chi non lo sapesse)
 
 
Kris POV
 
11 settembre (proprio in questa data infausta dovevo decidermi a iniziare un diario…)
 
 
I ragazzi hanno deciso qualche mese fa che era ora di trasferirsi. Aria inquinata dicevano. “Mi verrà una bronchite di questo passo” dicevano (in realtà si lamentavano soprattutto Tao e Sehun – tipico da parte dei marmocchi). Però non posso biasimarli. A Seoul c’era veramente da star male. Durante l’estate abbiamo cercato di trovare un posto decente dove andare. Avevamo tutti voglia di cambiare aria (letteralmente) e avevamo optato per un posto completamente diverso da Seoul. Così, dopo ore interminabili passate a strapparsi i capelli di fronte a Google Maps, Tao saltò su dicendo che aveva visto dal gelataio una foto di un’isola italiana e che sarebbe voluto andare nel Paese di Giulio Cesare (parole testuali – non chiedetemi il senso di questo exploit culturale). Certo noi non avevamo problemi di soldi (a volte essere lupi mannari e non aver bisogno di comprare cibo ai supermercati è un vantaggio enorme) e l’Italia è sempre stata un Paese considerato bello, almeno dal punto di vista turistico. Io e Suho organizzammo tutto.
 
Il 15 di agosto eravamo pronti a partire, con occhiali da sole, valigie (in cui c’era letteralmente tutta la nostra casa), passaporti, documenti vari e un biglietto di sola andata per Milano Malpensa in mano, all'aeroporto di Seoul, diretti verso una nuova vita (possibilmente meno ricca di anidride carbonica).
 
Arrivati all'aeroporto ci attendeva un pulmino (che diligentemente avevamo già prenotato in Corea) che ci avrebbe portati direttamente a piazzale Roma di Venezia.
 
Era proprio lì il posto ideale, secondo noi. Nessuno aveva dubbi che una città come Venezia potesse offrirci esattamente ciò che cercavamo. Aria pulita grazie alla zona pedonale che occupa praticamente tutto il suolo veneziano. Una città bellissima da visitare e da godersi in santa pace.
 
L’unico problema poteva essere rappresentato dal fatto che Venezia è una città isolata e solo andando con la macchina ci sarebbe stato possibile raggiungere un posto dove sfogare la nostra… natura selvaggia.
Ma questo si poteva sopportare: la maggior parte di noi aveva comunque già la patente.
 
La lingua non era un problema: tutti noi ce la cavavamo con l’inglese (chi più, chi meno) e comunque Venezia è sempre in cerca – grazie al turismo – di persone in grado di parlare cinese o coreano. In ogni caso passammo la seconda metà di agosto ad ambientarci nel nuovo posto dove trovammo diversi lavori con i quali guadagnare un po’ di soldi. Almeno questo vale solo per alcuni di noi che avevano già finito la loro carriera universitaria. Io per esempio dovevo ancora finire. Avevo iniziato in Corea un corso di lingua e letteratura inglese. Venezia poi offre molte possibilità dal punto di vista universitario ed io mi iscrissi al corso, appunto, di lingua e letteratura inglese avanzato all'università Ca’ Foscari.
 
A questo punto ritengo opportuno spiegare alcune cose sul funzionamento del cosiddetto essere “lupo mannaro”: è una persona normale che può decidere di trasformarsi quando vuole in un lupo. In realtà “quando vuole” è un eufemismo: i più giovani di noi fanno fatica a controllare questa abilità e le emozioni forti possono tirar fuori il lato più istintivo di noi, costringendoci a trasformarci; chiaramente gli esseri umani non sanno nulla di noi e le emozioni possono costituire un grosso problema; problema aumentato dal fatto che una volta al mese il nostro autocontrollo viene meno durante il periodo di luna piena. Il vantaggio di muoverci in branco ci permette di controllarci e aiutarci a vicenda.
 
Altra cosa importante da sapere: noi invecchiamo in maniera diversa rispetto agli umani. Da quando nasciamo a quando compiamo 20 anni, cresciamo esattamente come crescerebbe un giovane umano. Ma dai venti anni in poi il nostro corpo si aggiusta (non chiedetemi esattamente come) in modo da permetterci di rimanere ventenni per sempre.
 
OK scherzavo. Non è esattamente così. In realtà ci permette di rimanere ventenni fino a che non troviamo la nostra “anima gemella”. È una particolare persona il cui carattere si incastra perfettamente con quello di un altro individuo e si può dire con certezza che questi due tizi si ameranno fino alla morte. Si parla della forma più alta e nobile di amore, per cui l’uno è disposto anche a dar la vita per l’altro. Quindi, una volta che due anime gemelle si sono incontrate, il loro organismo si adatta vicendevolmente l’uno all'altro, permettendo così che ai due di invecchiare insieme. Noi siamo caratterizzati, come ho già detto, da un’indole più istintiva e da sensi più sviluppati che ci permettono di trovare il nostro compagno/compagna a prima vista. A volte anche a primo odorato si potrebbe dire. (In realtà anche gli umani avrebbero un’anima gemella ma solo pochi riescono ad accorgersene – poi alcuni umani sono fortunati perché sono destinati a lupi mannari che quindi “compiono il lavoro sporco” di trovarli –).  Insomma quando percepiamo che ci troviamo nei pressi di questa persona è come se il mondo si fermasse, come se non ci fosse nient’altro se non noi e l’anima gemella ecc. ecc. Almeno questo è come il fenomeno viene descritto da chi di noi lo ha già vissuto. Io no. Io devo ancora trovare la mia anima gemella. E sono ben più di tre anni che ho vent'anni (a proposito… che stupidaggine quel Twilight… come se non avessimo niente di meglio da fare che correre dietro a persone che luccicano). Insomma non è così comune aspettare così tanto per trovare la propria anima gemella. In realtà passano normalmente al massimo due anni. Non quasi quattro…
 
Per questo ero abbastanza contento all'idea di un trasferimento. Forse avrei trovato la mia compagna in un posto diverso. Chi lo sa… O forse mi sono appena allontanato da lei inesorabilmente.
 
Per adesso non ha comunque troppa importanza, almeno per me. A Kai (che ha già trovato la sua metà) il mio atteggiamento sembra inconcepibile. Io però non vedo come sbavare continuamente alla sola vista dell’anima gemella possa essere una buona cosa. Tsk. Sono un ragazzo serio, io. Kai non può aspettarsi da me che mi metta un grembiulino alle sei di mattina pur di preparare la colazione da portare a letto per la fantomatica “Lei”… Sempre sperando che sia una Lei. Kai ha trovato un Lui per esempio. Ha trovato Kyungsoo. E sembrano andare molto – forse troppo – d’accordo.
 
Il nostro gruppo, o “branco”, si compone di 12 persone, me compreso: siamo tutti molto giovani, per questo solo quattro di noi hanno già trovato un compagno.
 
Kai – il cui vero nome è Jongin – ha 21 anni e ha trovato Kyungsoo circa un anno fa. Aveva compiuto vent'anni soltanto da una settimana quando lo ha trovato. Compagni di corso all'università. Kai ha avuto appena il tempo di festeggiare il suo compleanno e poi tornare in università dopo la pausa invernale che è caduto nella morsa dell’amore nel corso di economia. Ce lo avrà raccontato almeno cinquanta volte.
 
Luhan invece è inciampato, ventunenne, nel suo amore. Letteralmente. Stava facendo jogging alle sei di una mattina di primavera, quando si scontrò con Xiumin. E così portò a casa un altro “Lui” con un caviglia slogata, insieme ad un occhio nero.
 
Noi altri invece stiamo ancora aspettando. Io e Suho siamo quelli che hanno aspettato di più (infatti Kai non tormenta solo me per la questione “dell’anima gemella mancata”).
 
Manchiamo dunque io, Suho, Chanyeol, Baekhyun, Chen, Lay e infine Sehun e Tao (che sono i due più giovani oltre a Kai – li chiamiamo Maknae).
 
Bene, “caro diario”, adesso, mentre sto scrivendo, siamo al giorno 11 di settembre e da oggi ho intenzione di tenerti regolarmente informato su quello che succede. Soffro di nostalgia cronica (sempre che questa possa essere una malattia) ed ho assolutamente bisogno di scrivere alcuni avvenimenti per non rischiare di dimenticarli.
 
 
 
Alice POV
 
11 settembre
 
 
Bene.
 
Bene bene bene.
 
Ho scoperto (già da due mesi) che le lezioni all'università cominciano a metà di settembre. Dannazione. Neanche il tempo di finire la maturità che subito bisogna fiondarsi a studiare. Non mi sono ancora rassegnata all'idea che fra pochi giorni mi rimetto a studiare.
 
In realtà, se devo essere sincera, la cosa non scoccia troppissimo. Ecco. Insomma.
 
Del resto vado a studiare giapponese e quello mi ha sempre interessato tantissimo. In realtà sembra che sia l’unica cosa che mi interessa veramente studiare. Credo di avere ormai la nausea al solo pensiero di studiare qualsiasi altra materia.
 
In ogni caso oggi, 11 settembre (spero che almeno non porti male), vado a Venezia, in un collegio per universitari, e inizierò fra poco un corso di Giapponese all'università Ca’ Foscari.
 
Se ripenso soltanto all'anno scorso: sembrava solo un sogno studiare giapponese. E invece eccomi qui, pronta con le valigie in mano e la testa sulle spalle (si spera), a partire alla volta di Venezia.
 
Mia madre mi sta chiamando. Oggi mi accompagna lei in macchina. Almeno mi rassicura un po’ e mi aiuta ad orientarmi, in modo da sapere già la strada che dovrò fare per andare a lezione.
 
Per adesso smetto di scrivere. Stasera se avrò voglia ti aggiornerò (ho sempre trovato molto stupido rivolgersi ad un diario in seconda persona però non posso farne a meno).
 
 
***~~~
 
 
Eccomi. Sono qui. A Venezia. Nel collegio. In stanza con una ragazza – Lidia – sconosciuta. Sperando che continui ad essere simpatica così come si è dimostrata oggi.
 
Lei studia alla mia stessa università ma alla facoltà di lettere moderne. Ha sempre sognato di diventare insegnante. Beata lei che già sa cosa le potrebbe piacere. Io invece non riesco proprio a vedermi in nessun lavoro. In effetti mi sto un po’ buttando nel buio. Ma la speranza è l’ultima a morire. Ed io cerco sempre di aggrapparmi a lei. Speriamo che stavolta non mi deluda.
 
Ho deciso che in questi pochi giorni mi faccio dei giri per Venezia in modo da costruirmi una specie di minima mappa mentale. Odio non avere tutto sotto controllo. Poi ho deciso che dedico almeno un’ora e mezzo al giorno a riprendere l’abitudine di studiare. Magari dalle tre alle quattro e mezza mi metto alla scrivania e mi inizio a leggere, sottolineare e schematizzare il libro di storia giapponese. Non può che farmi bene.
 
Per adesso ti saluto diario e se succederà qualcosa degno di nota lo scriverò.
 
 
 
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Introduzione fatta!!!
 
Bene io sono stata a Venezia qualche volta e una mia amica ha passato l’estate scorsa a dirmi che voleva andare a Ca’ Foscari. Mi è sempre sembrato un posto bello dove studiare e allora mi son detta: sarà anche un bel posto dove ambientarci una storia.
 
Spero che il tutto abbia senso. Spero di non aver fatto errori di grammatica, di senso o cose del genere.
 
Se aveste tempo per scrivermi una recensione mi fate un grandissimo favore.
 
Ora vi lascio.
 
Aur revoir~~

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Capitolo 2
*** Capitolo Secondo ***


2^ capitolo

Non ho niente da dirvi quindi vi lascio alla lettura!


Kris POV

21 settembre


Il 15 di questo mese sono iniziate le lezioni della mia facoltà. È circa passata una settimana dall’inizio e ho notato che alcuni schemi – per quanto riguarda la cosiddetta “gerarchia” delle classi – sembrano soliti ripetersi in diverse parti del mondo. Nelle scuole in Corea è abbastanza tipico assistere al fenomeno – fenomeno da baraccone, secondo la mia opinione – delle Queenka e dei Kingka. Sono praticamente piccoli gruppi di steudentesse e studenti, rispettivamente, che decidono di loro sponte di essere le “regine” e “i re” della scuola, bullizzando tutti i malcapitati che gli stanno fra i piedi. Ora… Secondo me dovrebbero rivedere le loro priorità (n.d.a. cough*Hermione*cough). In ogni caso, se devo essere sincero, questo fenomeno è meno visibile in Italia e sicuramente molto meno esasperato… ma anche qui si può notarne un accenno. Soprattutto da parte delle ragazze. Alcune studentesse si vestono firmate e si truccano in modo tale che, a parer mio, spenderebbero estremamente meno se si prendessero delle maschere da carnevale, di cui Venezia trabocca. Sono convinto che il risultato sarebbe lo stesso. Bene queste tizie qua (spero di aver fatto intendere tutto il mio disprezzo) vanno in giro in branco – anche noi lo facciamo, ma non è assolutamente la stessa cosa – col naso in su, nella maestosità della loro altezza (90% della quale data dai tacchi… seriamente chi metterebbe tacchi a spillo per andare a lezione?!) credendosi superiori a tutti.
Nella prima settimana di scuola queste sono già riuscite ad organizzare una festa – “festa di inizio anno” l’hanno chiamata… chissà quante ancora hanno intenzione di farne – alla quale hanno invitato molte persone ma escludendo sempre quelle che sembravano meno “in” e più “out”. Ovviamente il tutto basandosi su giudizi molto superficiali. Non ci si poteva aspettare niente di più del resto.

Il problema è che io, Suho, Baekhyun, Sehun e Tao… siamo tutti stati invitati. Ovviamente. Non posso dire di non avere stile. E neanche gli altri se la cavano male. Però non mi aspettavo di certo un invito da gente completamente sconosciuta. E di certo era un invito che non arrivava ben voluto. Da nessuno di noi.
La festa si terrà il 28 di settembre, fra una settimana. In realtà non so se andrò. Probabile di no. Anche se un ragazzo che ho conosciuto ha deciso di andarci. Si chiama Frank. Sembra simpatico. Ci siamo seduti vicini il primo giorno e mi ha raccontato di avere padre italiano e madre inglese. Mi sta aiutando molto con la lingua italiana. Ovviamente sto seguendo corsi interamente in lingua inglese, però se abbiamo intenzione di rimanere qui qualcosa dovrò pur imparare.

Per adesso le novità sono queste. Mi sto annoiando abbastanza, anche se le lezioni sono interessanti. Magari andrò a fare un giro fuori città. Ci siamo informati e nei pressi di Mestre (una cittadina sulla terraferma a breve distanza da Venezia) c’è un bosco. Potrei andare lì a correre un po’. Mi sento in effetti un po’ rattrappito.

Bene. Ci vediamo prossimamente.
 
Alice POV

Dunque mi è già passata la voglia di scrivere su quel diario. Come al solito. Ne avrò iniziati almeno cinque e mai che abbia scritto più di due facciate.
In ogni caso ho sempre in programma di fare un sacco di cose e poi quelle che riesco attualmente a realizzare sono veramente poche. Questa prima settimana di lezione mi è sembrata “fattibile”… sì, credo sia il termine giusto. Non voglio esprimermi più di così per poi trovare brutte sorprese.

Oggi è sabato e la nonna di Lidia – che abita a Mestre – ci ha invitate a prendere il tè da lei nel pomeriggio. Ha detto che in questo modo mi conosce e poi si è offerta di aiutarci sempre durante l’anno, se mai avessimo bisogno di qualcosa. Sembra una nonna pimpante e simpatica. Credo che potrò abituarmici.

Neutral POV

Alle 5 di quel pomeriggio Lidia e Alice si erano dirette verso piazzale Roma, per prendere un bus diretto verso Mestre. Dopo aver preso i biglietti salirono sul mezzo e, raccontandosi la settimana di lezioni appena passate, arrivarono a destinazione in meno di un’ora.
Scese dal pullmann, trovarono ad aspettarle una signora anziana con un sorriso smagliante, un vestito che arrivava alle ginocchia decorato da una vivace stampa a rose rosse, un cestino di vimini infilato al braccio, colmo di quelle che sembravano bustine di semi di fiori. La nonna di Lidia. Era venuta a prenderle alla fermata perché, come Alice scoprì in seguito, abitava un po’ fuori città. Servì una passeggiata di venti minuti per arrivare in vista di una villetta a due piani, situata a circa due kilometri fuori da Mestre.

Era un posto delizioso, secondo Alice. Aveva vicino una collinetta che bloccava la vista della casetta dalla città e che la isolava anche dal rumore del traffico. Dall’altra parte della collina c’era un bosco fitto di alberi di vario genere. Insomma, Alice amava i posti tranquilli, fuori dal mondo e quel luogo le mise un po’ di pace nel cuore.
Entrate in casa, subito furono offerte del tè da parte della nonna, che aveva insistito con Alice perché le desse del “tu” e la chiamasse con il suo nome, “Simonetta”.
Passarono un po’ di tempo a conoscersi mentre bevevano il tè. Alice raccontò della sua famiglia e anche Lidia e Simonetta parlarono della loro e delle vacanze che avevano appena trascorso.

Dopo, Simonetta chiese aiuto alle due ragazze per piantare intorno alla casa i nuovi semi di fiori che aveva comprato quel giorno. Mostrò alle due l’altezza giusta a cui piantare i vari semi e poi consegnò a entrambe sette bustine, tutte piene di semi. All’inizio era divertente ma dopo mezz’ora la schiena cominciava a cedere alle due ragazze. Simonetta invece sembrava arzilla come non mai, finendo le sue bustine più in fretta di loro e quindi aiutandole nell’impresa. Ad un certo punto Alice pensò di aver avuto un infarto quando suonò, a volume alto come non mai, la canzone “Very nice” dei Seventeen – un gruppo di cantanti sudcoreani che Lidia e Alice avevano scoperto entrambe di apprezzare. Era il cellulare, rimasto appoggiato su un tronco, di Simonetta, che corse (letteralmente) a rispondere. Simonetta si stava rivelando sempre più giovanile di loro due messe insieme. Al telefono era la madre di Lidia. Sia Simonetta che Lidia entrarono in casa (al secondo piano della casa il cellulare riceveva più campo). Ad Alice, a cui mancava una sola bustina, sembrò opportuno finire il lavoro e andò sul retro della casa, dove dovevano essere piantati dei tulipani gialli.

Finì il lavoretto circa un quarto d’ora dopo e andò a sciacquarsi le mani ad un fontanella che si trovava a metà strada fra la villa e il bosco. Mentre stava cercando di togliere del nero da un dito alzò lo sguardo.
Rimase come pietrificata sul posto. Sentiva come se il rumore dell’acqua corrente fosse diventato assordante. Il cuore iniziò a battere velocemente.

Un lupo.
Un lupo.
C’era un lupo.
Davanti a lei.
Alto quasi come lei.
Da quel poco che sapeva i lupi non erano così grossi normalmente.
Cosa fare?
Non riusciva a pensare a niente.
Sperava che, rimanendo ferma, se ne andasse.
Speranza vana.
La stava fissando.
Ma non si muoveva.

Alice non capiva. Non capiva più cosa stesse succedendo. Così, dopo secondi interminabili, alzò piano le spalle, sollevando le mani dall’acqua, che cautamente chiuse. Il rumore cessò. Il silenzio invase la sua mente. Non sapeva se così fosse meglio o peggio. Fece un passo indietro, continuando a fissare il lupo. Non riusciva a togliergli gli occhi di dosso. Fece un altro passo. E un altro ancora. Si fermò. Sentì le voci della sua amica e della nonna. Sembrava che stessero uscendo.

A quel punto era nel panico. Da un lato voleva scappare, andare dentro casa e chiudere tutte le porte e le finestre. Dall’altro lato… quel lupo era bellissimo. Aveva una pelliccia bianca e nera splendida e lucente. Gli occhi di un marrone scuro travolgente. La coda poi… la coda stava muovendosi a destra e sinistra lentamente. Come se… come se si stesse trattenendo dallo scodinzolare…

Scodinzolare?!?

Seriamente aveva pensato che un lupo potesse scodinzolare?!? In un momento del genere?!

Sentiva le voci avvicinarsi. Presto la avrebbero raggiunta e avrebbero visto il lupo. Ma lei non poteva urlare loro di scappare. Sarebbe stato peggio. Non sapeva cosa fare. Il lupo invece sembrava aver capito tutto e se ne andò giusto in tempo per non farsi vedere da nonna e nipote.

“Alice?”
“S-sì?”
“Stai bene? Sembra tu abbia visto un fantasma.” Simonetta le diede una forte pacca sulla spalla facendole quasi perdere l’equilibrio, ancora molto instabile, sulle ginocchia ancora deboli e tremolanti di Alice.
“Sì, sto bene. Sto bene. Solo devo essere un po’ stanca.”
“Certo, mi dispiace di averti fatto lavorare così tanto ma prima della felefonata mi son dimenticata di dirti che l’ultimo sacchetto di semi lo avrei piantato io. Comunque mi hai dato una grandissima mano. Che ne dite di rimanere anche a cena? Ho preparato lasgne di verdure, cotolette e patatine fritte!”
“Non è un po’ troppo, nonna?” Chiese Lidia, con sguardo preoccupato.
“Niente affatto!” Altra pacca sulla spalla di Alice, che fu silenziosamente grata a Simonetta quando la scortò dentro casa con un braccio intorno alle spalle.

Alice POV

Che mi stia immaginando le cose? Ma c’era veramente un lupo? Come poteva esserci un lupo qui? Così vicino alla città. Così vicino ad una casa abitata? Ma poi questo bosco non sarà così grande… Ci saranno altri lupi? Di solito sono in branco… o no? E se fosse stato un cane lupo? Se avesse avuto il collare ed io non me ne sono accorta? Sì deve essere stato così. Però non me ne sarei dovuta accorgere? Forse il pelo così lungo nascondeva il collare. Forse. O forse no. Ma perché mi fissava. Come ha fatto a capire che doveva andarsene proprio nel momento giusto. E poi chi sarebbe il pazzo che lascia libero di gironzolare un cane lupo. Posso capire un chihuahua… ma quello non era un chihuahua… né un barboncino...
Era così bello. Ma proprio tanto. Mai visto un animale così bello. E io amo tutti i cani, di tutte le razze, in particolare amo i cani grandi. I San Bernardi, i Dobermann, i Pastori Tedeschi. Ma quello. Era tutta un’altra storia. Se mi fossi accorta fin da subito che era un cane e non un lupo selvatico avrei provato ad avvicinarmi.
“Alice?”
Altro che paura. Avrebbe probabilmente avuto lui paura di me, a dire il vero. Lo avrei coccolato così tanto…
“Alice?”
“Eh?”
“Vuoi una patatina?”
“Ah no! No grazie. Sono a posto. Ho veramente mangiato troppo, he.”
“Come vuoi. Allora la mangio io.” Disse Simonetta arraffando l’ultima patatina rimasta. In effetti era stata fedele alla sua parola. Avevamo veramente mangiato lasagne, cotolette e patatine. Ero piena come un uovo.

Alle 8 e mezza avevamo finito di sparecchiare e lavare i piatti. La nonna ci diede direttamente due biglietti per l bus, evitandoci così di dover passare in una tabaccheria a prenderli. La salutammo e ringraziammo e, preso il bus, eravamo già dirette a Venezia.
Arrivate nella nostra stanza, appena il tempo di lavarci e metterci in pigiama che subito crollammo, disfatte, sui letti, fatti. Neanche la forza di tirar via il piumone.

Kris POV

21 settembre


L’ho trovata. È qui. In Italia. A Venezia.
È veramente qui. L’ho incontrata. Mai vista una ragazza più bella.
Spero di non averla spaventata. Però almeno non è scappata quando mi ha visto.

Sono andato, come avevo detto, a fare un giro nel bosco di Mestre, quando, ad un certo punto, ho sentito un profumo dolce ma non nauseante, leggero, delicato... Quasi non lo avrei percepito se fossi stato in forma umana – i nostri sensi si acuiscono nel momento in cui ci trasformiamo in lupi –. Senza riuscire a pensare ad altro ho cercato la fonte di quel profumo e sono arrivato all’estremità del bosco di fronte al retro di una villetta.

Lì c’era Lei. Capelli scuri, spettinati dal vento, lunghi poco oltre le spalle. Labbra piccole e piene, soffici all’aspetto. Alta. Magra… Spero… Spero non soffra di anoressia… Solo a pensarci mi vien male! Non voglio che Lei stia male…
Portava dei sandali. Un paio di pantalonci jeans. Una maglietta a mezze maniche con spruzzi di colore. E poi gli occhi… Gli occhi… Quasi sembrava una ragazza orientale… Aveva occhi a mandorla, castani come i miei. Ma i suoi erano molto più chiari. Avevano dei riflessi verdi alla luce del sole.
Dovevo stare più attento comunque. Non me sono neanche accorto ma ero ormai uscito dall'ombra degli alberi. Forse non avrei dovuto farmi vedere così da lei. Ma non potevo trattenermi. Persino il mio lupo voleva scodinzolare. Io cercavo di trattenermi dal farlo, perché forse si sarebbe spaventata se mi fossi mosso troppo.

Sarei stato lì per delle ore, non fosse stato per due persone che la stavano raggiungendo. Me ne sono dovuto andare. Ma ho fatto in tempo a cogliere il suo nome, quando una signora anziana la ha chiamata.

Alice.

Lei si chiama Alice.

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Ecco. Mi devo scusare.
Lo so che è imperdonabile (almeno, per me lo è), ma sono costretta a farlo: un errore di grammatica...
Ebbene sì: devo fare volontariamente un errore di grammatica, a partire da questo capitolo e continuando anche nei prossimi.
Per farvi capire:
prendete ad esempio l'ultima frase: suona meglio "Lei si chiama Alice" oppure "Ella si chiama Alice"?
Insomma Anzichè usare "Egli" ed "Ella" come soggetti delle frasi ho deciso che "Lui" e "Lei" suonavano molto meglio.

Che dite?
Mi perdonate?

Ciau

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Capitolo 3
*** Capitolo Terzo ***


3^ capitolo
 
Kris POV

21 settembre


Ovviamente la seguii. Non ci si poteva aspettar altro da me, del resto. Mi sono trasformato di nuovo in essere umano ed ho aspettato, nascosto dall’ombra generosa di due salici piangenti, tenendo sempre sotto controllo la porta d’uscita della villa. Se avessi dovuto la avrei aspettata immobile fino al giorno seguente. L’attesa, che di per sé sarebbe stata straziante, era allietata dal dolce profumo di Alice. Presto però mi accorsi che neanche quell’aroma poteva veramente calmarmi. Me ne accorsi quando la rividi. Uscì di casa dopo un’ora e mezzo circa. A quel punto ebbi la conferma. Non volevo più separarmene.

Quando l’anziana signora aprì la porta un folata di vento mi portò dritto il suo profumo. Pensai di perdere la testa. Lei e un’altra ragazza di incamminarono sul sentiero che portava in città. Le seguii da lontano. Una volta in città presero un bus. Feci appena in tempo a prendere un biglietto per Venezia e ad infilarmi nello stesso mezzo su cui Lei si trovava. Fui l’ultimo a salire. Il bus partì. Io mi trovavo seduto nella parte posteriore. C’erano pohissime persone e loro erano sedute in seconda fila. Io ho sempre detestato i mezzi pubblici. Portano con loro un odore di sporco nauseante. Quella sera manco me ne accorsi. C’era solo Lei. Ogni tanto si girava di lato per parlare con l’altra ragazza e sorrideva. Sorrideva sempre. A volte rideva. Sembrava una ragazza solare, allegra. Pensai che fosse perfetta per me. Mi dicono molti che sono troppo serio. A volte vorrei lasciarmi andare ma faccio fatica. Lei mi avrebbe aiutato. Lei solamente sorridendo mi avrebbe fatto sorridere di cuore. Una cosa che io non riesco a fare così spesso e che lei invece sembrava fare così naturalmente.

Solo a quel punto me ne accorsi. Non aveva un filo di trucco. Non aveva neanche una pelle perfetta. Aveva anche una mascherina di lentiggini.
Da questo capii che anche il suo carattere mi sarebbe sicuramente piaciuto. Non falsa. Non paurosa del suo aspetto. Anche i vestiti erano semplici. Non portava gioielli. Sembrava che con il suo aspetto volesse dire “se vi piaccio bene, se non vi piaccio arrangiatevi”. Già la adoravo.

Adesso capisco Kai. Anzi. Faccio fatica a capire come possa tenersi anche un solo istante separato da Kyungsoo.

Seriamente.

Ho perso la testa. Di brutto.


Alice POV

Passai un’altra settimana di lezione. Ma non riuscii a togliermi dalla testa quel lupo. O cane. Quell’animale bellissimo insomma. Ogni tanto, quando mi veniva in mente, il cuore iniziava a battermi più forte. Non so perché. Gli occhi di quel lupo rimangono fissi nella mia mente. L’ho anche sognato. Insomma credo di stare per impazzire. Va bene che i cani grandi e pelosi mi piacciono. Ma fissarmi tanto da sognarli non mi era mai successo. Non mi sembrava neanche molto sano.

In ogni caso, pensavo mi sarei distratta con un giro per la città insieme a Lidia e un’altra ragazza. Questa ragazza frequenta la nostra stessa facoltà. Si chiama Eleonora. Sembra molto timida. Beh. Anch’io un po’ lo sono. Ma forse è naturale che sia così. Fra simili ci si capisce e ci si trova. Direi che comunque molte mie amiche sono sempre state persone abbastanza timide o comunque tranquille e riservate. Insomma con questa Eleonora mi trovavo molto d’accordo. Dopo un po’ iniziai anche a pensare che fosse proprio una ragazza degna di stima: è molto bassa e minuta, con la voce sottile, ma ci ha raccontato un po’ della sua vita, dei suoi studi, dei suoi sogni e sembra una persona piena di forza ed energia.

A forza di chiacchiere e risate non mi ero neanche accorta che due ore erano passate ed era ora di cena. Ma nessuna di noi voleva andare a casa. Abbiamo deciso di mangiare insieme da qualche parte. Entrammo in un ristorantino che sembrava avere prezzi abbastanza bassi. Io optai per una pizza. Lidia prese una cotoletta con contorno di insalata e Eleonora si decise a prendere un piatto di cucina creativa tipico di quel ristorante.

Inutile dire che quasi non ci fu un momento di silenzio durante tutto il pasto. Come se ci conoscessimo da una vita, avevamo condiviso in un solo pomeriggio praticamente tutto ciò che c’era dire sulla nostra vita.

Ero contenta. Veramente contenta perché ero riuscita a trovare già due persone (di cui una era addirittura compagna di camera) delle quali sentivo di potermi fidare.

Ma ci fu un'interessante interruzione mentre mangiavamo il dolce – una crostata di marmellata di fragole da leccarsi i baffi (n.d.a. scusate il gioco di parole xD) –. Sapevo che poco tempo prima delle studentesse della mia stessa università avevano organizzato una festa “di inizio anno” e avevano invitato un sacco di gente dall’università. Io ovviamente non ero stata invitata. Diciamo che forse il motivo (a parte per il mio aspetto un po’ trasandato che credo abbia colpito profondamente nel cuore queste donzelle) possa essere stato un piccolo malinteso che c’è stato il quarto giorno alla fine di una lezione di italiano. Niente di che, ma a quanto pare queste ragazze odiano veramente tanto essere spintonate. Anch’io odio chi mi spintona apposta, ma di certo non ho problemi con chi lo fa per sbaglio. In mezzo alla folla che esce dalla porta striminzita di un’aula, come fai ad arrabbiarti per questo? La risposta sembra saperla solo Carlotta. La ragazza bionda con la quale, appunto, mi sono scontrata.

In ogni caso io, l’invito, non l’ho visto nemmeno per sfuggita. Invece Lidia lo ha ricevuto. Eleonora come me ne è stata privata, non si sa per quale motivo.

Un ragazzo, che stava mangiando da solo in un tavolo – non lontano dal nostro – di quelli che si trovano proprio davanti alla vetrina del ristorante, a quanto pare invece aveva proprio ricevuto un invito. E sembrava che le ragazze ci tenessero particolarmente perché lui si presentasse.

Una delle organizzatrici dell’evento infatti, il cui nome se non ricordo male dovrebbe essere Margherita, si vede che doveva aver visto il povero malcapitato proprio dalla vetrina del ristorante ed era entrata a passo di carica dirigendosi verso il suo tavolo. Si è seduta ed ha iniziato a chiedergli se domani sarebbe venuto o no. Probabilmente lui non aveva ancora dato conferme. Poverino. Già mi faceva pena. Da quel poco che mi sembrava di capire non era particolarmente contento di partecipare. Inoltre parlava inglese e non sembrava conoscere l’italiano. Anch’io se fossi stata una studentessa proveniente dall’estero con nessuna conoscenza dell’italiano non sarei voluta venire alla festa. Già di mio odio le feste e la confusione. Ma se poi non posso quasi neanche parlare con le persone mi sentirei veramente in imbarazzo. E quello studente sembrava proprio in imbarazzo in quel momento. Cercava di dire che non si sentiva ma lei imperterrita continuava a cercare di convincerlo, in un inglese un po’ spezzato.

Era molto alto… in effetti lo si notava addirittura anche se era seduto. Me ne accorsi solo dopo che ce lo fece notare Eleonora, aggiungendo che lei era, per ovvi motivi, molto sensibile sull’argomento.

In effetti anche Eleonora e Lidia sembravano aver pietà di quel ragazzo. Avevamo tutte smesso di mangiare la crostata pur di sentire chi dei due l’avrebbe avuta vinta.

La risposta non tardò a venire.

No. Non sarebbe andato. Margherita (o comunque si chiami) se ne andò alla fine, portando sul volto un chiaro segno di scontento, come una bambina a cui per la prima volta i genitori hanno negato un giocattolo, dopo che lui chiaramente, alla fine della discussione, stufo della menata della tizia, le disse: “No, thanks. I do not want to go. Maybe next time.”*

Beh… era anche gentile. Insomma… io non avrei detto “maybe next time” se fossi stata in lui.

Una volta che lei se ne fu andata, delusa, io, come già Lidia ed Eleonora avevano fatto, stavo per rivolgere di nuovo tutta la mia attenzione alla crostata, quando lui si girò.

Occhi color del cioccolato. Belli. Bellissimi. Pensai che se fossi stata cieca avrei riacquistato la vista di fronte a quello spettacolo.

Ebbi un flash. Li avevo già visti quegli occhi. Gli stessi che mi avevano tormentato – devo aggiungere, piacevolmente tormentato – tutta la settimana. Gli occhi del lupo.

Ma il cuore sembrava avesse dimenticato il suo normale funzionamento non solo per quello. Gli occhi a mandorla erano incorniciati da un viso stupendo. Doveva essere di origine orientale nonostante la pronuncia inglese perfetta. I capelli erano biondi, forse tinti, pensai. Ma gli donavano. Altrochè se gli donavano. Erano abbastanza lunghi da decorare il viso perfettamente. La linea della mandibola era pronunciata ed elegante come anche il naso. La bocca poi.

Ahia. Meno male che vidi la bocca. Perché aveva un angolo della bocca sollevato. Stava sorridendo. Alzai lo sguardo. Stava sorridendo a me! A me Alice! A me me!

Staccai improvvisamente gli occhi da quella che sembrava una visione e mi fiondai a capo chino sulla torta. Col capo chino... ma non paurosa e non pentita per ciò che ho fatto.

Certo, dire che ero paonazza era un eufemismo, probabilmente potevo mimetizzarmi con il maglione rosso brillante di Lidia. Però. Però quel ragazzo. Mai mi era successo di fermarmi così tanto ad ammirare un ragazzo. Cioè l’aspetto delle persone normalmente non mi “interessa” così tanto. Non sono una di quelle ragazze che mangiano con gli occhi i poveri malcapitati. Questa volta invece non è stato così. Questa volta il suo aspetto è riuscito a colpirmi così tanto che non avevo dubbi che avrei voluto conoscerlo. Questa volta mi è sembrato che il semplice aspetto esteriore potesse nascondere al suo interno un carattere altrettanto bello e attraente.

Ho finito la torta. O per meglio dire. L’ho trangugiata. Cercavo di tenere il viso basso per non doverlo rialzare. Ma calcolai male i tempi. Come se ogni mio gesto fosse sfuggito al mio controllo. Non potevo continuare a tenere il capo chino come una stupida per cui alzai la testa cercando disperatamente i volti familiari delle mie amiche. Ma anche loro si stavano dando da fare con la torta. Avevano la bocca piena e non parlavano. Sentivo di dover fare qualcosa che non fosse stare lì, ferma, a fissare gente che mangia crostata. Mi proposi di andare a pagare per tutte. Loro cercarono di ribattere qualcosa. Io presi posizione e riuscii e convincerle poco dopo. Sentivo di dovermi spostare da quel luogo. Sentivo ancora il suo sguardo addosso, anche se non ne ero sicura. Mi girai sulla sedia per prendere lo zaino appoggiato dietro e i nostri occhi si incrociarono ancora. Fu solo un attimo ma un brivido mi percorse tutto il corpo.

Presi con mani tremanti il borsellino dallo zaino e mi alzai. Brutta idea, Alice. Pessima idea. Ci mancò poco che cadessi. Le ginocchia erano diventate deboli e mi tremavano le gambe… speravo non si notasse. Andai al bancone cercando di sembrare il più normale possibile. Pagai. Fui grata alla cameriera che stava alla cassa che mi rivolse un grande sorriso al quale contraccambiai, ringraziando per il pasto, e questo mi consolò un po’. Ritornai al mio posto. Ma sentivo ancora che mi stava guardando.
 
“Quel ragazzo ti ha seguito con gli occhi tutto il tempo, sai?”
“EH?!”
“Shhh!”
Veramente? Forse dovrei preoccuparmi…
“Quindi suppongo tu non lo conosca?”
“Certo che no!”
“Mai avuto un ragazzo?”
“Nemmeno. Ma questo che c’entra?”
“Poteva essere il tuo colpo grosso.” Disse Lidia facendomi l’occhiolino.

A quel punto pensai che avrei voluto essere un coniglio per scavare un tana sottoterra e magari nascondermici per il resto della vita. Lui sembrava avesse riso. Poco, per carità. Una risatina. A bassa voce. Neanche un secondo sarà durata, ma mi è bastata. Anche se ormai era girato dall’altra parte, aveva probabilmente sentito e capito anche se parlavamo in italiano. Santo cielo. Lidia invece si stava trattenendo dallo sganasciarsi dalle risate. Eleonora sorrideva divertita anche lei.

Fu però lei la mia salvezza, perché quasi subito trascinò me, paonazza, e Lidia, in preda ad un attacco isterico silenzioso (almeno questo) fuori dal ristorante. Una volta all’aria aperta io e Lidia salutammo Eleonora e tornammo al nostro collegio. Lei non smise di ridere un’istante. A quanto pare anche il mio sangue aveva deciso di giocarmi un brutto scherzo, decidendo di non lasciarmi le guance neanche per un attimo.

Solo ripensare a lui mi faceva andare il cuore a mille. Tra l’altro, man mano che ci allontanavamo dal “luogo del delitto”, pure la mia mente iniziò a farmi strani scherzi, sovrapponendo il viso del ragazzo al muso del lupo. In ogni caso, un volta in camera Lidia sembrava essersi ripresa e anch’io mi distrassi con i preparativi per andare a dormire. Sperai che una bella dormita potesse rimettermi la mente a posto, ma la mia mente doveva essere di parere contrario: i miei sogni furono popolati da occhi scuri, capelli biondi, pellicce bianche e code scodinzolanti, mentre il nome “Chris” risuonava in sottofondo.
 


*tradotto: No grazie. Non voglio venire. Magari la prossima volta.

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Capitolo 4
*** Capitolo Quarto ***


Kris POV

28 settembre


Beh…
Mai Tao avrebbe pensato che sarei caduto così in basso. Io mai avrei pensato che sarei volato così in alto. Buffo come i punti di vista cambino le cose da bianco a nero a volte. Anche se, sotto sotto, anche Tao era contento per me.

Ho passato una settimana a barcamenarmi fra: innazitutto Lei – e con una parola ho detto tutto –, poi le prese in giro dei ragazzi (che a quanto pare non si erano sfogati abbstanza su Kai e Kyungsoo) e le lezioni.

Ho scoperto pure di avere due corsi in comune con lei. Scrittura inglese (che non capisco ancora perché ci sono finito dentro, la prossima volta – se mai ci sarà – dovrò controllare l’elenco dei corsi più attentamente) e Letteratura inglese: questi sono due dei corsi principali della mia specifica facoltà ma sono (per ovvi motivi) seguiti da studenti anche di altre facoltà, ma non sono così tanto frequentati. Direi soprattutto perché sono insegnati in lingua inglese. E gli italiani non sembrano in generale cavarsela così bene con l’inglese.
Lei invece era lì. Lei sapeva parlare inglese. E quando l’ho scoperto un infarto non sembrava una possibilità così lontana. Potevo parlare con lei. Lei poteva capire quello che dicevo. Era come se un enorme macigno fosse stato tolto da sopra il mio cuore. Certo io mi sarei impegnato tantissimo nella lingua italiana, anzi già lo facevo. Avevo chiesto a Frank – che era rimasto molto stupito per il mio improvviso interesse per la lingua italiana – di aiutarmi ogni giorno un’ora e, se poteva, di vederci pure ogni mezzogiorno per mangiare insieme, mentre lui parlava italiano. Però in questo modo ogni difficoltà di comunicazione non consisteva più… per fortuna.

Inoltre l’ho sentita per caso… Sì… Va be’… Non proprio per caso… Insomma, l’ho sentita dire a Lidia (credo sia il nome della amica) che il corso di letteratura inglese le sembrava perfetto per lei. Nonostante fosse un corso pensato per studenti del terzo anno, a quanto pare lei si era trovata un’insegnante di inglese che all’ultimo anno di liceo aveva dedicato del tempo ad approfondimenti sugli autori che proprio in quel corso erano trattati. Ha detto che sperava in questo modo di togliersi un esame in più, adesso che era ancora fresca di studio su quegli autori. Pure coscienziosa la ragazza!

Tutta questa settimana non ho fatto altro che seguirla nei ritagli tra le lezioni (stando sempre attento a non farmi notare da lei o da altri).

Oggi siamo nel weekend e lei e due amiche (se n’è aggiunta un’altra di nome Eleonora, mi pare) hanno deciso di fare un giro per Venezia. Anch’io decisi che un giro per Venezia non poteva farmi male… In realtà avrei potuto essere nel luogo più squallido della terra che non avrei notato la differenza con Venezia: la mia concentrazione era tutta, sempre, focalizzata su di lei, sulla sua voce, sul suo profumo… Anche la puzza di una fogna non avrebbe potuto coprire il suo odore, per quanto fosse comunque sobrio e delicato.

Infine si fermarono in un piccolo ristorante. Decisi di uscire “allo scoperto” andando anch’io a mangiare lì, in un tavolo neanche troppo lontano. Purtroppo lei si era sistemata in modo tale che, ovunque io stessi, non potevo fare in modo di guardarla senza che lei mi vedesse. Decisi quindi di voltarle le spalle e accontentarmi dell’aria profumata dalla sua presenza.

Fato vuole che i momenti più belli come questo vengano spesso interotti, e a volte anche in modo proprio sgradevole.

Una delle organizzatrici della “festa di inizio anno” mi ha visto dalla vetrina del risotrante. Entrò e si sedette al mio tavolo. Senza chiedere se poteva. Io odio le persone così maleducate. Il suo odore poi… Nauseante, dolciastro… Probabilmente si sarà spruzzata addosso almeno mezza boccetta di profumo… Quanto lo odio.

“Kris! How are you, dear?”* Frase chiaramente imparata a memoria da qualche libro. Pronuncia pessima.
“Fine. Thanks” Non le chiesi come stava. Non m’importava. Già doveva baciarsi i gomiti per il mio “thanks”.
“You will come?” La guardai sconcertato. Poi capii che era una domanda e non un ordine – il tono non aiutava neanche perché era abbastanza assertivo –. Non sa nemmeno la grammatica.
“To the party, you mean? I don’t think it’s a good idea. I’m not feeling well these days and I don’t feel like going.” Avrà capito? Spero di sì.
“So you will come?” Testarda pure. Vediamo di mettere in chiaro le cose, magari con costrutti lessicali meno complessi.
“No, thanks. I do not want to go. Maybe next time.”
Mi lanciò un ultimo sguardo, bofonchiò un saluto e se ne andò.

L’unica cosa piacevole di quella situazione (a parte l’esser riuscito a rifiutare l’invito) era – naturalmente – Alice. Non parlavano né lei né le due amiche. Sentivo che mi aveva guardato tutto il tempo. In quel momento capii perché le fangirl strillano quando il loro idolo le guarda. Mi sentivo così in quel momento. La mia Alice mi stava guardando.

Non resistetti.
Era più forte di me.
Mi girai.
Mi vide.
La vidi guardarmi.
Mi fissò per almeno dieci secondi. Anche se forse erano di più. Sembrava avesse visto qualcosa di interessante. Forse aveva già capito che io ero il suo compagno? No, lei non poteva sapere niente. Però l’intuito aiuta sempre. Qualcosa doveva averlo capito.

Improvvisamente sollevò lo sguardo e mi guardò dritto negli occhi. Stavo sorridendo. Era come cercare di trattenermi dallo scodinzolare. Impossibile. Abbassò gli occhi; un colore roseo le tinse le guance. Così bella. Così elegante nella sua essenzialità. Così tenera. Per questo io non potevo fare di affermare: “mai ho volato così in alto”.

Senza rendermene conto stavo continuando a fissarla. A fissarla mentre diceva di voler pagare lei per tutte. A fissarla mentre il suo sguardo di nuovo si incrociava col mio. Mentre cercava di prendere il borsellino. Mentre si alzava per andare a pagare.

Le tremavano le gambe. Mi preoccupai. Ma poi vidi che era ancora rossa in faccia. Capii. Era imbarazzata. Forse sentiva che la stavo guardando. Stava tremando per me. Pochi umani hanno dimostrato un tale intuito nel momento in cui trovavano la loro anima gemella. Lei, senza saperlo, aveva un cosiddetto sesto senso molto forte. Avrebbe sicuramente reso le cose più facili. Magari non mi avrebbe preso a padellate e scodellate come Kyungsoo aveva fatto la prima volta che Kai gli si era avvicinato, imprudentemente, dentro alla cucina del ristorante dove Kyungsoo lavorava. Magari. O magari peggio. L’avrei amata comunque se non di più.

In quel momento la sentii ripetere quello che lei e le amiche avevano mangiato. Lei aveva preso una pizza con prosciutto e funghi e la ha mangiata tutta. Anche la crosta. Tra l’altro in pochissimo tempo. L’altro macigno si sollevò dal mio cuore: non era certamente anoressica. Ha anche aiutato l’altra amica a finire il suo piatto. Adesso sì che mi sentivo bene.

Tornò a sedersi.

“Quel ragazzo ti ha seguito con gli occhi tutto il tempo, sai?” Sentii Lidia mormorare. Accidenti. Forse avevo esagerato. Mi ricomposi cercando di finire il pasto. Da quel che avevo capito (stavano ovviamente parlando in italiano) io ero l’argomento di cui parlavano e dalla parola “occhi” capii che forse si riferiva al fatto che l'avevo fissata tutto il tempo.
“EH?!” La sentii esclamare. Come se già non lo sapesse, la piccola.
“Shhh!” Un attimo… la piccola? Ho veramente scritto “piccola”? Beh… Mi piace. Credo che potrei abituarmi a chimarla così… Piccola…. Sì… Mi sono abituato.
“Quindi suppongo tu non lo conosca?”
“Certo che no!” Insomma… Però non posso biasimarla.
“Mai avuto un ragazzo?”
“Nemmeno. Ma questo che c’entra?” Ooooh sìì… Quindi non abbiamo mai avuto un ragazzo, mh? Credo che meglio di così non potesse andarmi. Mi trattenni dal fare una risatina.
“Poteva essere il tuo colpo grosso.” A questo punto però non potevo più trattenermi: “colpo grosso” lo aveva detto Frank riferendosi a me un giorno che sembrava che una cameriera mi stesse trattando particolarmente bene.
Non mi girai neanche per sapere che il rosso era già tornato svelto a ornare il suo viso.

Poco dopo uscirono lasciandomi a pagare il conto. La seguii di nuovo, appena fui uscito. Anche se era già lontana il suo odore era ben impresso nella mente e non fu difficile ritrovarla dopo cinque minuti. Sapevo già qual’era il suo collegio. Ma la seguivo comunque. Solo per protrarre il tempo che passavo con lei.

Tornai a casa quando lei entrò in collegio.
E lì fui costretto a fare i conti con me stesso. E Luhan dava una mano.

“Dovresti avvicinarti a lei, ormai.” Disse, appena misi piede in casa.
“Non fai altro che seguirla. Studi di notte per recuperare. Ti rendi conto che non puoi continuare così?”
“Certo… Certo, lo so. Ma fosse semplice.”
“Le inciampi addosso.”
“Parli proprio tu.”
“Appunto. Non hai idea di quanto è stato facile.”
“Ma poi cosa le dico? <>?”
“Perché no?” si intrufolò nella conversazione Kai, mentre andava probabilmente a rubacchiare qualcosa dalla cucina.
“Sei serio?”
“Io l’ho fatto.”
“E poi…”
“Beh… le padelle in faccia sono più divertenti di quanto pensi.” Rispose Kai convinto.
“E poi basta togliere padelle dai dintorni, no? Come prevenzione intendo.” Aggiunse Luhan, anche lui convinto.
Perché erano così convinti. Sembravano veramente seri adesso. Non come tutte le volte in cui mi avevano preso in giro i giorni scorsi.
Mi venne un’idea. In realtà era più una speranza. Dovevo fare in modo che lei capisse. Che capisse che io ero il lupo e che non volevo farle del male. A quel punto il resto sarebbe venuto da sé. Insomma la storia dell’anima gemella era una questione “di secondo piano”. Sicuramente sarebbe rimasta scioccata dalla storia dei lupi abbastanza per accorgersi solo dopo dell’altra questione.
Allora da questo lunedì avrei fatto in modo di introdurmi a lei. Magari anche inciampandole addosso. Senza farle male. Anzi, sarebbe stato complicato, ma fare in modo che fosse lei a inciampare su di me sembrava un’idea estremamente più allettante. Già…
“Kris!”
“Sì?”
“Vai a dormire, anziché sognare ad occhi aperti.”
“Va bene, va bene… Ma ci vado solo perché sono stanco, non perché…”
“Non perché te l’ho detto io” Luhan si sovrappose così alla mia voce, sapendo ovviamente già che cosa stavo per dire. È stupido, ma non posso farne a meno. Teoricamente io sono uno dei due leader, insieme a Suho. Ogni tanto ho bisogno di rivendicare la mia posizione.
Andai a letto ancora dubbioso sull’efficacia della mia idea.
Avevo da poco chiuso gli occhi che mi venne in mente…
“Kris! How are you, dear?”
La tizia mi aveva chiamato per nome. Alice stava ascoltando. Forse Alice sapeva il mio nome. Mi addormentai, beato come un fangirl che aveva ricevuto il suo album con dedica dal suo idolo.
Mai mi addormentai così felice. Sognai Alice. Come ogni notte da quando la incontrai. Ma stavolta mi chiamava per nome.
 

*Tradotto:
“Kris! Come stai, caro?”
“Bene. Grazie”
“Verrai?” (Ma lei in inglese lo ha detto in modo tale che sembra un’affermazione e non una domanda.
“Alla festa intendi? Non penso sia una buona idea. In questi giorni non mi sento molto bene e non mi sento di venire.”
“Quindi verrai” (n.d.a. mi piaceva farla anche stupida, scusatemi xD)
“No, grazie. Non voglio venire. Magari la prossima volta.”
 

Angolino dell'autrice:
Allora lettori? Vi piace?
Io non so... non capisco se questa storia può essere bella o no...
Suppongo che lascerò questa decisione ad un altro momento.
Mi raccomando, se avete un briciolo di tempo da dedicarmi una recensione mi fareste un piacere enorme! Anche solo per criticarmi (costruttivamente però!). Mi sarebbe molto utile :D

Alla prossima!

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