I am The One

di DredaSM
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap. 1 ***
Capitolo 2: *** Cap. 2 ***



Capitolo 1
*** Cap. 1 ***



I am The One
 
Cap. 1
 
Avevo nove anni e la mente piena di colori e belle canzoni. Non avevo bisogno di altro se non di loro. Il mio mondo erano i miei genitori e la comunità. Mia madre e mio padre erano molto conosciuti e rispettati, contribuivano a mantenere la stabilità e la felicità nella comunità. Essere loro figlia era meraviglioso. Tutti erano amichevoli e capivano quanto impegno e bontà essi riversassero in ciò che facevano.

Non chiedevo niente di più della vita che già conducevo. Ero felice.

Non volevo altro.

Avevo nove anni ed era estate. Sognavo tra l’odore della cannella ed il suono del mare. Erano sogni felici. La freschezza dell’aria marina entrava dalle finestre aperte e passava attraverso le assi di legno sottile della casa per insinuarsi all’interno e regalare una boccata d’aria fresca alla gente. Haku dormiva sulla poltroncina vicino alla porta della mia stanza, decisamente troppo piccola per lui. Il suo lungo manto bianco ondeggiava leggero a ritmo del suo respiro quieto. Calmo ma attento, le orecchie dritte.

Haku aveva 10 anni. Era nato prima di me, come dev’essere.

Avevo sempre la mente piena di colori e canzoni e quelli sognavo. Sognavo colori e canzoni, balli e utopistiche immagini. Miscele di colori sempre in movimento.

Era notte passata oramai. La mattina si era affacciata alla finestra già da qualche ora e iniziava a scaldare il mare. I fiori della nostra vicina iniziavano ad aprirsi e ad emettere un profumo dolciastro che contrastava con il salato del mare.

Fu allora che aprii gli occhi. Non fui svegliata da nulla, era semplicemente il momento di svegliarsi. E per un lungo attimo rimasi a fissare il legno del soffitto con un leggero sorriso sul viso. Per quel lungo momento la sensazione di essere l’unica persona al mondo con gli occhi aperti, presente, tornata dal mondo dell’altra parte. Neppure Haku si era svegliato e questa era una novità. Trattenni il respiro, come a non voler svegliare nessun altro. Volevo rimanere solo io al mondo ancora per qualche secondo. Poi spostai le coperte con delicatezza ed Haku si svegliò.

I suoi grandi occhi rossi, ancora leggermente assonnati, si posarono immediatamente su di me per poi osservare l’esterno dalla finestra aperta. Guardingo, dall’aria severa e razionale. Era attento ad ogni cosa.

Scese dalla poltrona per lui troppo piccola e si diresse alla finestra. Posò le zampe anteriori sulla mensola e fissò il mare in movimento. Le onde che suonavano qualcosa che solamente lui pareva comprendere. E lui ascoltava, comprendeva il messaggio. Non era un comportamento insolito il suo, ciò che d’insolito vi era in quella scena fu il suo debole e sottile ringhio.

Quando Haku ringhia vuol dire che sta per succedere qualcosa di brutto. Molto brutto.

Mi misi a sedere sul letto e rimasi in silenzio. Che giorno era? Non uno molto importante di certo o la sveglia avrebbe suonato già molto prima ma non si trattava neppure di un giorno qualunque a ben vedere. Poteva sentire attraverso il legno della parete che sua madre si stava svegliando. Dovevano essere le sei e mezza circa, minuto più minuto meno.

Scesi dal letto e mi presi qualche secondo per assaporare la sensazione del legno fresco sotto i piedi nudi. Poi mi alzai e raggiunsi Haku alla finestra. Davanti a me il giardino della mamma, molto più modesto di quello della nostra vicina, iniziava a svegliarsi. Sull’albero di limoni un uccellino iniziava a chiacchierare. Haku non badava mai a ciò che gli altri animali dicevano. Lui era interessato solamente al mare e agli umani. Dava l’impressione che il resto fosse per lui inutile. Era molto giovane, come me, doveva ancora crescere ma dava già idea di come sarebbe diventato una volta adulto.

Ricordo che quella mattina la mamma fece il caffè, non il thè. Non le chiesi mai il perché, ma ricordo che quella mattina era la stranezza numero tre nella mia lista. La seconda fu il mare, e non per quello che Haku sentì ma per quello che io vidi. Il mare era mosso, come se un enorme animale marino, molto più grande di una balena, stesse muovendo rapidamente la coda vicino alla spiaggia. Trovavo rassicurante quel continuo avvicinarsi e allontanarsi dell’acqua sulla sabbia. Le onde erano come il ritmatico battito del cuore che puoi sentire quando premi forte i palmi delle mani contro le tue orecchie. Era così anche quella mattina ma, man mano osservavo il ritmo delle onde, queste parevano acquietarsi. Dopo cinque minuti avevo la sensazione di star osservando un lago. Calmo e silenzioso, senza più nulla da dire o da cantare.

Haku era nervoso. Qualcosa non funzionava più come doveva.

Fu allora che bussarono alla porta.

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Fu mio fratello maggiore ad andare ad aprire la porta. Tra tutti quelli che avrebbero potuto lui era l’ultimo che avrebbe dovuto.

- Buongiorno Liam, tua madre è in casa? -

Era la voce di Kim, colei che badava alla comunità in mancanza di mia madre. Quando lei non poteva era Kim ad assicurarsi che tutto andasse bene. Che tutto andasse come dev’essere.

Kim aveva tra le mani un recipiente di terra cotta pieno di biscotti appena sfornati. Erano quelli alla cannella che tanto mi piacevano. Mio fratello odiava la cannella, preferiva la vaniglia. Mio padre e mia madre invece andavano matti per il cioccolato. Io ero l’unica alla quale piaceva la cannella. Col senno di poi capii.

- Buongiorno Kim, è in cucina. Entra pure. -

Mio fratello era poco mattiniero. Probabilmente aveva ancora il sonno addosso. Gil, al suo fianco, la più robusta e maestosa della casa, aveva ancora il pelo color miele arruffato. Il muso puntato in direzione della porta, intenta ad osservare un gatto passare con in bocca un uccellino che pochi attimi prima cantava chissà quale canzone a chissà chi.

Gil, a differenza di Haku, era più irruenta e irascibile. S’indispettiva anche solo davanti alla calma eccessiva di Haku. Erano come il sole e la luna e la cosa faceva impazzire Gil che spesso metteva a soqquadro la stanza di mio fratello. - Meglio che infili i suoi denti nei miei cuscini che nelle costole di Haku, poveretto -, così diceva Liam ma io ero di tutt’altro avviso. Sebbene Haku fosse più piccolo di Gil mi dava l’impressione che, una volta sorpassato un dato limite, l’ira si sarebbe riversata come un veleno nel corpo di Haku e lo avrebbe reso incontrollabile e letale.

L’attenzione di Gil venne rapita da Opale, la metà di Kim. Pochi erano rispettosi e pazienti come lo era Opale, il maestoso quadrupede di Kim. Era adulto e iniziava ad invecchiare, così mostravano i radi peli bianchi che ogni tanto facevano capolino tra il manto nero e grigio. Opale dava l’idea di nascondere un grande segreto, come un vecchio saggio che conosce il segreto del mondo.

Haku mi dava la stessa sensazione. Sembrava custodire il segreto del mare e di quello che vi si trovava oltre. Ognuno nella comunità pensava che la propria metà fosse preziosa, più di tutte le altre, ma ai miei occhi Haku lo era di più. Ma Haku era la mia metà, perciò era naturale lo pensassi.

Di quella mattina ricordo ancora che non volli uscire dalla mia stanza. Con un orecchio ascoltavo quel che succedeva in casa ma la mia attenzione era rapita da ciò che accadeva al mare, ed Haku era con me in questo. Tutto il resto mi fu raccontato solamente più tardi.

- Cate, ti sei svegliata presto? Mi fa piacere. Ho buone notizie. - Kim parlava in fretta. Posò sul grande tavolo della cucina il recipiente di terra cotta contenente i biscotti e si avvicinò a mia madre, tutta eccitata per la notizia. Cate, mia madre, era una donna molto silenziosa. Dava l’idea di pensare mille volte prima di dire anche solo una parola. In molti mi dicevano che le assomigliavo e Haku risentiva di questo. Tra noi non parlavamo molto, preferivamo sorseggiare un buon thè ed osservare il mare o il lento muoversi degli alberi al vento. Capivamo quello che c’era da capire anche senza irrompere nel silenzio, inutilmente.

- Va tutto bene? Ti sei occupata del piccolo di Holly? - Era premura di mia madre conoscere subito la situazione attuale all’interno della comunità. Era suo dovere far andare tutto per il meglio all’interno mentre mio padre si occupava dell’esterno, oltre i nostri confini, assieme agli altri uomini. Mio fratello presto avrebbe dovuto seguire gli adulti e uscire al tramonto. Faceva ancora parte del gruppo dei giovani e quindi era suo dovere uscire solo dalle prime luci dell’alba fino al tramonto. Con Gil, naturalmente.

Mai uscire senza la propria metà.

- Holly e Oda stanno bene, hanno superato la notte -, disse Kim informando mia madre. Quando parlava a mia madre della comunità era solita usare un tono più composto. Cate sentiva il bisogno di conoscere i fatti e voleva che essi fossero detti il più rapidamente e con meno fronzoli possibile. Desiderava pochi giri di parole e più sostanza. - Ma non è questa la notizia! C’è Asura? Ovvio che c’è, è chiaro. Devo assolutamente parlare con lei. Con tutti voi. Dovete sapere prima che ogni altro lo sappia! -

Cate chiuse il gas, interrompendo la fiamma, quando il caffè salì borbottando.

- Hai fatto il caffè? Che cosa inusuale! Molto adatto -, farneticò Kim. Ma Kim non poteva sapere che Cate già sapeva ciò che doveva sapere. L’unica cosa che Kim sapeva in più di mia madre era ciò che poi avrebbe sconvolto sia lei che me.

- Bailey non è in casa? -

- No, sta tornando. Fra qualche minuto sarà qui -, rispose mia madre versando il caffè in quattro tazzine.

Liam aveva chiuso la porta e si era diretto con Gil nel corridoio in fondo al quale vi era la mia stanza. Avevo una bella camera. La finestra dava sul retro e sul retro avevo una vista migliore del mare.  Liam preferiva il terreno al mare. Era solido, ruvido, stabile. Quando le cose iniziavano a sgretolarsi allora Liam si sentiva insicuro e poteva cader preda del panico. Gil, dal canto suo, faceva quel che poteva per tenerlo tutto d’un pezzo. Era quello il suo compito, dopotutto.

Liam bussò alla mia porta e, sebbene lo sentii avvicinarsi, trasalii al tocco ritmato delle sue nocche contro il legno duro della porta.  Haku non si mosse, aveva i nervi più saldi dei miei.

- So che hai sentito tutto. Avanti, esci. Kim ti sta cercando, pare sia successo qualcosa -, disse Liam ad alta voce.

Non avevo paura ma un brutto presentimento. Qualcosa stava per cambiare? No, era già cambiato, e riguardava me e Haku, assieme alla mia intera famiglia.

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Uscii dalla mia stanza lasciandomi Haku alle spalle ad osservare ancora il mare. La maggior parte della nostra comunità ha la propria metà sempre al proprio fianco mentre, io ed Haku, eravamo assieme inseparabili e separabili in caso di necessità, sua o mia.

In questo caso la necessità era di entrambi.

Arrivai in cucina mentre Kim snocciolava varie notizie di più o meno conto a mia madre, da tenerla informata su ciò che era successo durante la notte. Kim, Cate e Liam erano seduti al grande tavolo della cucina.

- Oh! Eccola qua! Ciao tesoro, aspettavamo te per la grande notizia! - A rompere il silenzio era solo lei, Kim, che parlava per tutti noi, come sempre.

Allungai la mano destra e presi un biscotto alla cannella. Kim sapeva che erano i miei preferiti. Capii poi essere il suo modo per dimostrarmi il suo appoggio e la sua vicinanza. Sapeva ne avrei avuto bisogno e, anche se pur con poco, già mi stette vicina.

Mi sedetti a tavola di fronte a Cate e Kim. Mio fratello a capotavola alla mia sinistra. Strano come si riesca a percepire che qualcosa sta per cambiare inesorabilmente tutto attorno a te.

Avevo nove anni e la mente piena di colori e belle canzoni ma già da quella mattina, dal quel breve istante in cui sentivo di essere sola al mondo, ero cambiata. Avevo sempre nove anni ed ero circondata da colori e canzoni ovunque, ma vi era dell’altro.

Cercai con gli occhi quelli di mia madre. Quegli occhi marrone scuro in cui mi perdevo quando cercavo sicurezza e conforto. Bastava guardarli per rassicurarmi. Questo cercavo ma non li trovai, o meglio, non trovai né rassicurazione e neppure conforto. Quegli occhi erano lo specchio dei i miei: pieni di dubbi e d’insicurezza. Durò un attimo perché subito dopo mi guardò con il suo solito sguardo deciso e sicuro, nonostante le pulsasse una vena sul collo. Non l’avevo mai vista in quello stato.

- Kim? E’ successo qualcosa? - domandai, non capendo che stesse succedendo. Perché girarci così attorno? Kim ha sempre avuto questo difetto, a meno che non si trattasse dei suoi resoconti per la mamma, allora sì che arrivava subito al punto.

- Diglielo, Kim. - la voce di mio padre ruppe quel momento di silenzio che si era andato a creare dopo la mia domanda. Probabilmente Kim voleva fare suspance, come al solito.

Bailey, mio padre, aveva i lineamenti del viso contratti. Era sempre stato molto alto e massiccio. Come gli altri uomini era a petto nudo, così da mostrare la loro appartenenza alla comunità con i segni colorati e armoniosi della popolazione del mare. E da li lui arrivava: dal mare. Lo si notava dai capelli e la barba neri adornati dal sale e ancora un poco bagnati. Alla mano destra ancora il suo bastone. Di solito, appena tornato, lo appoggiava vicino alla panchina in veranda per lasciarlo ripulire a Liam dal sangue secco.

“Altra stranezza”, mi dissi.

Kim sembrava stranita dal comportamento di Bailey. L’atteggiamento dell’uomo dimostrava preoccupazione e forse anche rabbia, tutto ciò cozzava con l’euforia che aveva lei nei confronti della notizia.

Bailey, con il fiato un poco ansante, portò lo sguardo a sua moglie. Le si avvicinò e le posò la mano libera sulla spalla sinistra stringendola solidamente. Voleva che Cate capisse che era li, era concretamente li vicino a lei. Solo molti anni dopo compresi il significato che tale gesto, dato dal proprio compagno o compagna, poteva dare.

- Asura, la signora Davida vi ha già insegnato la storia della comunità? - Mi resi conto che Kim la prendeva molto alla larga appositamente per farmi arrivare da sola a quel che avrebbe comportato la notizia che doveva darmi. - Haku non c’è? -

- Sì, è nella mia stanza -, risposi in fretta, scoprendo di avere la gola secca. Misi giù sul tavolo il biscotto alla cannella che avevo preso. Non era il caso ora di mangiare biscotti. Non era il caso di fare la bambina adesso. - Sta guardando il mare -, mi sentii di aggiungere prima di rispondere alla sua prima domanda: - La signora Davida ha detto che abbiamo ancora molto da studiare. -

- Molto bene -, disse Kim sorridendomi. - Molto bene… - fece una pausa prima di congiungere le mani di sistemarsi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Non erano corti come quelli di mia madre ma neppure le arrivavano alle spalle.

- Avete studiato già della caduta della piccola luna nel nostro mare? -

- Dell’ascesa di Agrona? -

- Esattamente -, risposte compiaciuta Kim. Sondava il terreno per sapere da dove iniziare forse. - E sai anche di Belenos? Della scheggia di Agrona perduta durante la battaglia contro Belenos? - Nell’esatto momento in cui fece quest’ultima domanda Kim capì che non conoscevo quella parte di storia. Sbuffò, borbottando che avrebbe presto dovuto parlare con Davida per velocizzare l’istruzione dei giovani.

- Stai parlando di quella vecchia leggenda della scheggia? Sul serio? - Il tono sprezzante di Liam disturbò Kim ma ci pensò Bailey a rimetterlo in riga battendo il suo bastone a terra.

- E’ il nostro passato. Non importa quanto tempo addietro sia successo. Fa parte della nostra cultura e devi portargli rispetto, Liam -

- Sì, padre - mormorò Liam abbassando il volto sul tavolo, nascondendo il rossore in volto dovuto alla vergogna d’esser stato sgridato di fronte ad una persona estranea alla famiglia, seppur si trattava di Kim. Gil, al suo fianco, guaì leggermente mettendosi giù sul pavimento, zampe anteriori incrociate davanti a se.

- Vedi Asura, la scheggia di Agrona, come dice tuo fratello, è una leggenda molto antica, è vero, ma fa parte della storia. Ne abbiamo ereditato il monito, il messaggio che, da lì in avanti, avremmo dovuto sottostare al grande Belenos e non più ad Agrona. Con la scheggia però ci è rimasta la speranza. Possiamo ancora sperare che Agrona possa tornare da noi e sarà proprio la scheggia della sua zanna, incastonata da qualche parte nel nostro mare, a confermare il suo ritorno. - Le parole di Kim, la sua piccola lezione di storia, le sentivo solamente come una bella storia, una favola forse, di cui non si sapeva la fine. Una storia vecchia, lontana, impossibile.

- Come può una scheggia far tornare indietro un Dio? -

- Un Dio dev’essere completo per poter tornare ad essere un Dio. Al momento gli manca una parte di se perciò non può tornare dove esso appartiene -, rispose Kim alzando lo sguardo da me indirizzandolo verso la finestra della cucina aperta. - Gli Dei non sono fatti per restare su questo mondo, per questo devono tornare nell’unico posto che è fatto per loro. -

- Tu vuoi che Agrona torni nel proprio mondo? Lì dove dimora la sua comunità? - mi chiese Kim. Giocò la carta della comunità per indorare la pillola, lo so solo ora, dopo anni e anni.

- Certo! - risposi con un leggero ardore. Avevo nove anni e se si parlava del bene della comunità, della nostra o di quelle altrui, mi prendevo a cuore qualsiasi causa. Allora volevo diventare come mia madre e succederle un giorno. La comunità veniva prima di tutto.

- Bene. Non avevo dubbi -, così dicendo Kim allungo la sua mano destra ad accarezzarmi la guancia. Un gesto che non aveva mai fatto prima. Perché l’aveva fatto? - Ti piacerebbe essere tu la persona che lo ricondurrà nel suo regno? Dalla sua comunità? -

Non capii cosa volesse dire. Mia madre si alzò in piedi con la scusa di dover togliere le tazzine di caffè vuote dal tavolo ed andò al lavandino. Mio padre rimase con la mano a mezzaria, la stessa mano che poco prima stringeva la spalla della moglie. Forse aveva più bisogno lui di quello stretto contatto che lei. Doveva appoggiarsi a qualcuno.

Liam fu il primo a parlare.

- Che significa? Che dovrebbe fare? Setacciare tutto il fondo del mare per trovare una scheggia vecchia anni e anni che può esser sotto strati e strati di sabbia, roccia, e chissà che altro? Può esser stata inghiottita dalla terra per quanto ne sappiamo! Che dovrebbe fare Asura?! - Neppure lo sguardo feroce di nostro padre lo fermò dall’esternare la sua rabbia.

- Esatto, Liam. Tua sorella avrà questo compito. Sarà lei a liberare Agrona da questa sua prigionia e diventerà la nostra leggenda. La nostra storia! - Esultò Kim con ancora il sorriso sulle labbra. Un sorriso che non raggiungeva però gli occhi. Come poteva? Aveva di fronte a se una bambina di nove anni e le stava dicendo che sarebbe morta nel tentativo di trovare una scheggia vecchia di migliaia di anni, grande quanto una mano, nel mezzo del mare. Poteva essere sua figlia.

- Chi ha deciso tutto ciò? E’ stato Cernus, vero? E perché non è suo figlio a cercare quella maledetta scheggia? EH!? Dov’è ora? E’ sul promontorio, vero? - Liam fece per uscire ma Bailey lo fermò sbarrandogli la strada con il suo bastone, il sangue su di esso oramai troppo secco da poter togliere con una pulita veloce.

- Vieni fuori con me, figlio. - Dopo quelle parole nostro padre uscì con Liam e non seppi mai che cosa si dissero e dove andarono. Gil uscì con loro e fuori incrociarono Seth, la metà di mio padre, troppo ingombrante per stare sempre in casa, preferiva passare il tempo all’esterno. Seth era esattamente come mio padre. Dopo anni e anni assieme erano diventati una cosa sola, come dev’essere.

Pensai che un giorno avrei voluto anche io avere un rapporto come quello con Haku. Haku che Kim pensava mi avesse lasciata da sola a ricevere una notizia simile. Si sbagliava. Grazie ad Haku avevo capito già prima. Grazie a lui le mie orecchie erano colpe del suono del mare mentre Kim si prodigava in elogi che spettavano a chi era scelto.

Secondo Cernus il salvatore di Agrona non ero solamente io, ovviamente, ma anche Haku. Non era mai successo, nella storia conosciuta, una cosa simile. Nessuno mai neppure sapeva che qualcuno un giorno avrebbe dovuto intraprendere una simile impresa.

- Perché non indire una gara? Perché non impiegare i nostri migliori membri della comunità per cercare la scheggia? - Domandò razionalmente Cate, riprendendo parte alla discussione.

- Cernus dice che il mare ha parlato. La scheggia di Agrona ha detto che può essere trovata solamente da Asura, non è stato lui a decidere. Agrona stesso ha scelto. -

- Perché? - domandò a quel punto mia madre tradendo la propria compostezza, la voce incrinata per un secondo. - Perché Asura? -

- Perché così è, Cate. -

- E’ perché è figlia mia, vero? Perché… -

Mia madre fu interrotta da Kim, alzatasi per raggiungerla e stringerle le mani nelle proprie. Seppi poi che era diventata gelida, persino grigia in volto, ma non me ne accorsi. Ero persa nel rumore del mio mare.

- No, Cate. Non ha a che fare con quel che pensi tu e neppure con il fatto che è figlia tua e di Bailey. I suoi genitori non hanno coinvolto la scelta di Agrona. E’ stata scelta perché è lei. E’ la sola. Non può essere altrimenti. Così è e così dev’essere. - Le parole di Kim mi svegliarono leggermente dal mio torpore momentaneo.

Non credevo fosse possibile nulla di quel che stava accadendo. La testa bassa. Avevo bisogno di Haku.

Mi alzai e mi diressi in fretta in camera mia richiudendo la porta alle mie spalle. Haku mi aspettava. Mi fissava negli occhi. Sapeva.

- Tu lo sapevi e non mi hai detto niente! - Non volevo essere crudele con lui. Anche mi avesse avvertita prima non poteva cambiare i fatti. Ricordo di essere rimasta più delusa dal silenzio di Haku che da tutto il resto. - Perché non mi parli? Perché!? -

Era così. Tutti parlano con la propria metà già ancor prima di nascere. Sono cullati dalle parole della loro metà che li aspetta. Attende che vengano al mondo per essere completi assieme. Lui no. Haku non ha mai parlato da che avevo memoria. Tutto ciò che faceva era fissarmi, colpevole. Non aveva nessun problema, voleva solamente stare in silenzio, così aveva detto Cernus. Lo stesso Cernus che mi aveva dato quel compito gravoso. Troppo gravoso per una bambina di nove anni.

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Capitolo 2
*** Cap. 2 ***



Cap. 2

Piansi per ore. Nel resto della casa il quotidiano si era reimpossessato di tutti e ognuno della famiglia aveva ripreso a fare ciò che fa ogni giorno. La mamma era uscita per occuparsi della comunità, mio padre e Liam erano assieme per l’addestramento di mio fratello. L’unica nota che sentivo diversa era la presenza di Seth fuori dalla porta della mia stanza. Faceva fatica a stare in un posto così piccolo ma aveva trovato il modo.

Haku ci avrebbe messo molti e molti anni per diventare grande quanto lui.

Uscita, Seth non si scomodò. Aprì uno dei suoi tanti e grandi occhi tondi e lo puntò verso di me. Non aveva alcuna intenzione di spostarsi. Richiusi la porta e mi diressi alla finestra. Lì trovai Gil a sbarrarmi la strada. Era seduta sul prato di fronte alla finestra e mi fissava intensamente con lo sguardo infuocato, determinata a non farmi andare via. Mio padre e mio fratello non avevano mai messo così tanta distanza tra loro e loro. Dovevano stare male. La lontananza dalla propria metà fa male, molto male.

Gil era particolarmente nervosa mentre Seth, essendo adulto, riusciva a rimanere apparentemente tranquillo. Haku, dal canto suo, si era accucciato ai piedi del letto dandomi le spalle. Non dormiva, me ne sarei accorta. Non seppi mai cosa passò per la sua testa in quelle ore che passammo rinchiusi in casa.

Ricordo che mi misi a letto, faccia in su a guardare le travi del soffitto.  Era la prima volta in cui dovetti passare così tanto tempo da sola, senza poter fare nulla. Pensai a come avevo passato il pomeriggio del giorno precedente. Ricordai le corse nella foresta ai margini della comunità assieme agli altri giovani. Le gare a chi trovava lo scoiattolo dalla coda argentata. Solamente Ilyn era riuscita a trovarlo, due anni addietro. Tutti avrebbero potuto dubitare del suo racconto ma era Ilyn, la figlia di Davida, l’insegnante della nostra comunità, e sapevamo di poterle credere.

Se Davida era stata scelta per essere colei che avrebbe istruito la futura generazione del nostro popolo, sua figlia era sicuramente degna di fiducia. Lo stesso motivo per il quale la popolazione era fiduciosa di me e di mio fratello. Io avrei preso le redini della comunità e Liam avrebbe badato alla sua sicurezza finché non mi sarei sposata con qualcuno al di sopra di mio fratello. Per questo l’addestramento di Liam doveva essere perfetto, per potermi garantire un marito ancora più perfetto.

Un sistema che ha sempre funzionato. E’ sempre stato così e sempre lo sarà. Ma cosa sarebbe successo ora? Cernus non ha mai detto nulla in proposito di quella vecchia leggenda, o almeno così aveva detto Liam. Agrona non aveva mai parlato. Perché ora? Perché io?

Passavano le ore e Gil era sempre più insofferente. Iniziava a lamentarsi, chissà che diceva. Solo mio fratello avrebbe potuto saperlo. Liam non sopportava la voce di Gil quando era irritata, diceva che l’alzava di parecchi toni e alla fine gli fischiavano le orecchie per ore. Una volta papà mi disse che la voce di Seth aveva lo stesso suono del tamburo pesante usato per le cerimonie. Il tamburo pesante dava un solo tipo di suono, molto basso e profondo, prolungato e caldo. Spesso mi domandavo che suono avesse la voce di Haku. Ero io a non sentirla forse? Magari parlava troppo basso? Aveva una vocetta lieve, lieve, come un battito di farfalla? Forse comunicava dicendo solamente qualche parola ogni tanto?

- Loro imparano a parlare quando noi ci troviamo ancora nel grembo materno. Spesso accade che le nostre prime parole siano quelle che più abbiamo sentito dire da loro durante la nostra crescita. E’ sempre stato così. – Mi piaceva come raccontava le cose l’insegnante Davida. Tutto sembrava una favola, una storia di fantasia. Forse era questo che mi rendeva difficile tramutare i suoi racconti in realtà. Mi spingeva a dubitarne, a non prendere tutto per forza sul serio. Forse era una mia impressione, d’altronde ero l’unica a pensarla così. Tranne Liam.

Liam non ha mai creduto in nessun Dio, in nessun fato. Ha sempre e solo creduto nella gente, nei suoi bisogni e nella necessità di essere difesa, guidata e, a volte, comandata. A papà questo piaceva e si erano accordati di tacere sulla questione “divinità”, per quieto vivere reciproco.

Ero io quella che doveva occuparsi dell’insegnamento, prosperità e della morale delle persone. Più guardavo mia madre fare questo lavoro ogni giorno e più ne avevo paura. Avrei preferito uccidere, essere al posto di Liam, piuttosto che succedere a mia madre.

Mi alzai, arrivai alla finestra e, in pochi secondi, scavalcai la finestra, saltai oltre il corpo mezzo addormentato di Gil, e corsi a perdifiato verso il bosco.

Alle mie orecchie arrivarono i lamenti e i latrati di Gil, i suoi richiami, seguita da suoni di zampate poderose e pesanti che erano sicuramente di Seth. Non mi fermai.

Continuai a correre in una sola direzione, ignorando chiunque  vidi lungo il passo. I piedi nudi affondavano nel terreno morbido e mi dava più slancio. Ero veloce, piccola ma veloce. Seth mi stava raggiungendo, seguito da Gil.

Arrivata al tratto del bosco più fitto mi diressi nella zona colma di cespugli e dall’erba talmente alta da non vedere più nulla. Conoscevo quel posto  e forse anche Seth ma le sue piccole corna si sarebbero impigliate nei rametti e nelle fronde dei bassi alberi ed arbusti.

Sentivo i denti battere dal freddo. Correvo così veloce, a bocca aperta per cercare respiro, che iniziavo a gelare e a tremare. Nonostante fosse la stagione estiva il bosco era circondato da un clima ben più freddo, sempre. Ma la paura si era oramai espansa nel mio corpo così da renderlo più ghiacciato, gelido, più del normale in quella terra.

Non vedevo altro che erba, arbusti di alberi dal tronco fino e basso, liane e felci. Una vegetazione viva, dominante, senza passi o terreno calpestato. Sentivo meno presente il suono delle zampe di Seth dietro di me. Lo stavo seminando.

D’un tratto alla mia destra riuscii a vedere nettamente il muso di Gil farsi strada tra l’erba alta e mi scappò un gridolino inaspettato. Sobbalzai e quasi persi l’equilibrio. Dovevo continuare a correre e correre più forte. Ero quasi arrivata.

Pochi secondi e la via fu libera dalla vegetazione. Davanti a me vi era solamente una rupe che dava su di un precipizio pieno di vecchi tronchi marci di alberi malati, morti. Li andava a morire la vita.

Gil rallentò, tentando di afferrarmi per il vestito, convinta che mi stessi per fermare anche io.

Non lo feci.

Corsi più veloce e poi saltai.

 ______     ______     ______     ______    

- Ricordati: testa alta e schiena dritta. Non sorridere per forza ma solo se davvero te la senti. La gente lo sa quando menti, anche se è per il loro bene. –

- E non va bene? – Chiesi, con la voce flebile. Avevo cinque anni. Le mani occupate da una quantità esigua di libri rispetto a quelli che sosteneva mia madre.

- No, non a noi. Essere trasparenti, se stessi, è la miglior cosa che tu possa fare, Asura. – Detto ciò mia madre bussò con le nocche sulla porta della famiglia di Perka.

Conoscevo da sempre Perka, così come conoscevo tutti gli altri ragazzi della comunità. Perka era più grande però, aveva l’età di mio fratello. Liam era difficile da comandare, da tenere a bada, ma a quanto pare Perka lo era molto di più. Non tornava a casa già da due settimane ed era arrivato il momento per mia madre di parlare con la sua. Yres era rimasta da sola a crescere Perka e Kuba. Kuba aveva la mia età ma era molto più introverso di me. Stranamente mia madre era convinta potesse diventare un futuro difensore della comunità. Forse persino mio sposo. Io non capivo perché visto che era restio a fare qualsiasi cosa e preferiva rimanere ad osservare piuttosto che agire. Se proprio doveva coprire qualche ruolo quello doveva essere il mio. Ne aveva la stoffa molto più di me.

-Cate! Mi fa bene vederti-, mormorò la signora Yres aiutando mia madre con i libri prima di mettersi a piangere. Sembrava avesse aspettato giorni e giorni prima di potersi liberare di quelle lacrime. Piangeva per la scomparsa di Perka o per ciò che esso aveva comportato?

Le madri andarono in cucina mentre io poggiai i tre libri che avevo ancora in mano sul tavolino della sala grande, assieme agli altri tomi. Mi guardai attorno senza toccare nulla. Fuori era freddo ma nelle case il calore era sempre presente, rassicurante. Il calore di casa che una tenda in mezzo al bosco non può dare. Mi levai la giacca di lana e rimasi con il vestito viola. A quell’età avevo una predilezione per quel vestito. Lo amavo molto, per quanto si possa amare della stoffa. Era floreale, colorato e si, mi piacevano i colori. I capelli lunghi, costretti in una treccia troppo stretta e troppo fastidiosa.

Un orecchio era teso in attesa del richiamo di mia madre, ma questo non arrivò. Mi avvicinai al mobile vicino alla panca della casa. Lì vi erano i ricordi della famiglia di Parka e Kuba. Le divise del padre, del nonno e degli uomini e donne prima ancora. Le loro armi, i loro segni, i loro calchi e i loro gioielli.

Allungai la mano destra verso un ripiano un poco più alto di me e sfiorai il calco della mano del marito di Yres. Era caldo al tatto, come fosse stato appena toccato da qualcun altro tanto a lungo da infondervi il proprio calore.

- Si chiama Sem. Mio padre. –

La voce arrivò alle mie spalle e sobbalzai voltandomi, non aspettandomi ci fosse qualcun altro in casa.

Kuba era li, di fronte a me. Addosso aveva un gilet di pelle marrone troppo grande per essere il suo.

- Lo so. E tuo nonno Mihkel, tua nonna Quim, Keone, Lana… - potevo andare avanti ancora molto non fosse stato per le parole di Kuba.

-Keone è il nome di mio cugino. Ha un anno. Il padre di mia madre è con lui. –

Rimasi in silenzio di fronte a lui. Passai qualche secondo ad osservare i suoi capelli biondi spettinati e sporchi. Il suo odore era forte e mi dava fastidio ma non più dei fiori nuovi della nostra vicina.

- E’ vero? – mi chiese – Mio nonno è con lui e lo sarà per tutta la vita? – Nel frattempo guardava oltre la mia spalla il mobile, gli oggetti della sua famiglia.

- Non lo so. Mio fratello dice che bisognerebbe morire per esserne sicuri. – Ricordai le parole di Liam seguite dal colpo della mano di mio padre sulla sua testa. Litigarono tutta la mattina.

A Kuba parve piacere la mia risposta perché annuì mostrando un poco di colore sulla sua faccia pallida.

- Dov’è Haku? -

- Dov’è Mira? –

Dopo quel piccolo botta e risposta ci zittimmo. A quel tempo ero molto gelosa di Haku e non sopportavo che gli altri pronunciassero il suo nome, lo guardassero troppo o ne parlassero in qualsiasi modo. M’indispettii.

- Mira è di sopra nella stanza di mio fratello. Sta sempre li. – Strano, pensai. Ricordai gli insegnamenti di mia madre in merito alla propria metà e ci riflettei su. Avevo cinque anni ma adoravo parlare di loro con mia madre e Davida. In più ero in missione: volevo a tutti i costi riuscire a parlare con Haku e trovare il modo di comunicare con lui.

- Quello è il gilet di Perka? – Chiesi e lo indicai. Era decisamente troppo grande per lui.

Kuba passò la mano destra sulla pelle marrone dell’indumento e fece cenno di diniego con la testa.

- E’ mio. Lo ha fatto per me l’anno scorso. Ha detto che mi sarebbe servito una volta iniziato l’addestramento con tuo padre e gli altri giovani. “Per diventare adulto”, mi ha detto. – Afferrò con le mani il gilet sistemandoselo addosso con rinnovato vigore. Negli occhi uno sguardo acceso. – Mi serve ora. –

Non capii del tutto cosa volesse dire Kabu e me ne dispiacque tempo dopo. Le nostre strade si divisero e non ci parlammo più come quella volta. L’osservavo da lontano, distrattamente, e senza rendermene conto lo guardavo crescere e cambiare. E mi resi conto che mia madre aveva ragione. Quel bambino pelle e ossa, dai capelli biondi, arruffati e sempre sporchi, sarebbe stato un ottimo successore di mio padre. Ma era ancora troppo giovane, il suo addestramento era appena iniziato e nella nostra comunità vi erano molti altri possibili candidati.

Ogni tanto ripenso alle sue parole, al suo gilet troppo grande ma che non poteva aspettare d’indossare. Era giunto il momento ed era suo dovere indossarlo prima del tempo.

Ero lì, stesa sul terriccio secco delle terre di confine. Il viso ricoperto di polvere e sabbia. Mi parve di sentire l’odore dei capelli sporchi di Kuba e dei fiori della nostra vicina. Non ero a casa però, non vi ero neppure vicina in realtà. Riaprii gli occhi con cautela e sentii una fitta alla spalla destra.

Vedevo solo Gil agitarsi sulla sponda dalla quale avevo saltato. Si lamentava ma sembrava sollevata di vedermi aprire gli occhi. Seth era fermo, immobile e sulle zampe a fissarmi. Ricambiai il suo sguardo e lo sostenni finché non si voltò e tornò indietro lasciando lì Gil.

Doveva avvertire mio padre.

Avrei voluto sentire forte la mancanza di Haku. La morsa di dolore che attanaglia lo stomaco, che fa impazzire dalla paura e che ti lascia senza fiato. Avrei voluto davvero ma non sentii niente. Dov’era Haku? Mi stava abbandonando forse? Era lui a far si che tutto ciò accadesse così da lasciarmi? E se fosse vero? Sarebbe stata una brutta cosa?

Mia madre era rimasta sola, la sua metà, Faira, se n’era andata. Non era morta ma, a detta sua, era ritornata li dove doveva stare.

Iniziavo ad odiare quel modo di fare. Tutti prendevano e se ne andavano lasciando tutto sulle spalle di chi resta. Faira, Perka, Agrona e ora forse anche Haku?

Arrabbiata, mi alzai e mi guardai attorno. Era la prima volta che saltavo il fosso della morte. Mi sporsi ed osservai i corpi, le ossa, la legna, i detriti. Mi spolverai il vestito e i pantaloni pensando al da farsi. Non avevo idea di cosa fare. Io volevo solo correre e non essere presa e riportata a casa. Non volevo vedere altre persone e non volevo stare neppure con Haku. Volevo ma non.

Oltre il mio sguardo vi era il deserto per chissà quanti kilometri.

Calpestavo quel terreno per la prima volta in vita mia. Non sapevo molto di quell’area. Sapevo solo che lì era severamente vietato andare e i bastoni insanguinati degli uomini di mio padre ne spiegavano in parte il motivo.

Non volevo saltare e tornare indietro, probabilmente neppure potevo. Il terreno era diverso, non lo conoscevo, sarei sicuramente scivolata sulla polvere e la sabbia. Non potevo farcela. Potevo però tentare di raggiungere il mare. Lì mi sarei sentita al sicuro.

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Camminai per un’ora e mezza. Alla mia destra il fossato era finito e iniziava ad esserci un fiume. Non c’era nessun fiume dall’altra parte, nelle nostre terre. Non li. Della mia terra però non vedevo più nulla se non arbusti, alberi e fitti cespugli.

Mi fermai alla sponda del fiume, m’inginocchiai avvicinandomi con il viso all’acqua per annusarla. Non vedevo pesci né piante ma l’acqua odorava di buono. Avevo sete ma resistetti. Avrei preferito bere l’acqua del mare piuttosto.

Decisi di attraversare il fiume, convinta di poter tornare così nella mia terra. Ero molto dubbiosa. Il fiume ero sicura non ci fosse ma volli comunque tentare. Sentivo in lontananza Gil. Era lei, ne distinguevo i lamenti, il richiamo. Non sapevo dove fosse ma credevo fosse un motivo in più per raggiungere l’altra sponda. Volevo tornare, avevo paura.

Allungai il piede destro per infilarlo nell’acqua del fiume e con calma lo infilai nell’acqua. Non sentii bagnarsi il piede e neppure avvertii il contatto con le rocce sul fondo del fiume. Sentii solamente il vuoto. Mi sbilancia in avanti e cercai immediatamente di riprendere l’equilibrio.

Un’ombra nera uscì dalla vegetazione, oltre quello che non era un fiume e vidi Seth saltare, raggiungermi e spingermi di nuovo a terra, tra la polvere, candendo poco lontano da me. Mio padre era insieme a lui, vicino a me. Non disse una parola, nella mano destra il bastone stretto a se. Tornò in piedi e mi portò con se.

Non dissi niente mentre mi teneva contro la sua spalla con il braccio libero, pronto a difendermi con Seth al suo fianco. Iniziò a camminare e passò diverso tempo prima che mi decisi a parlare. Ci provai ma all’improvviso sentii il bisogno di piangere assieme alla necessità di scusarmi. Mi aggrappai alla sua spalla e piansi. Sentii di nuovo battere i denti e il tremore del freddo.

Mio padre emanava un calore che solamente io e Liam potevamo sentire. Il calore del nostro sangue. Anche Seth e Gil lo emanavano. Haku era freddo. Freddo quanto i suoi occhi mentre quella mattina guardava il mare. Freddo quanto il mare stesso, quello profondo e oscuro.

- Non andrai via. Rimarrai qui con me. Non ti porteranno mai lontana da me, hai capito? – Disse mio padre forzandomi a guardarlo. E lo guardai, tra le lacrime. La sua voce era decisa, il suo sguardo determinato, ma il suo incarnato, solitamente scuro dal sole, era pallido. Era provato.

Erano parole che dovevamo sentirci dire entrambi in quel momento. Non riuscivo a parlare però e quindi annuii  e tornai a nascondere la faccia sulla sua spalla. Seth, al suo fianco, dovette dire qualcosa perché mio padre gli rispose a voce, irato.

- Fa silenzio! – sbraitò voltato verso di lui, obbligando entrambi a fermarsi. Si guardarono per un lungo momento e poi mio padre riprese a camminare. Seth dietro di lui.

Arrivammo in un luogo in cui la distanza tra il nostro confine e quello desertico era minore e dall’altra parte sentii mormorii, urla e qualche fischio di richiamo.

-Siamo quasi a casa. Stringiti a me-, mi disse e così feci.

Successe una cosa. Vidi qualcosa che non dovevo vedere. Qualcosa che né mio padre e neppure Seth videro.

Alle spalle di mio padre, a distanza di qualche kilometro, qualcuno alto quanto un giovane uomo era in piedi ad osservarci. I suoi occhi rossi facevano breccia attraverso l’alone ondeggiante del calore che saliva dal terreno di roccia e sabbia del deserto. Non riuscii a vedere altro di significativo.

Alzò la mano sinistra, come fosse un cenno di saluto.

Non ebbi il tempo di avvertire mio padre perché stava già saltando. Un secondo dopo non vidi più nulla ma solamente la vegetazione della foresta e gli uomini di mio padre, arrivati ad aiutarlo.

Erano tutti molto rassicurati nel vederlo tornare con me assieme a lui. Eravamo al sicuro, perciò anche loro lo erano di nuovo. Tutti erano concitati ed accerchiarono mio padre non risparmiando le parole e le domande di cui non ricordo nulla.

Io guardavo la vegetazione. Aspettavo, ma nessuno saltava e nessuno arrivava.

Dov’era Seth?

-Seth… - mormorai, avvertendo un nodo alla gola.

Mio padre stava parlando agli altri uomini e donne,  comandando loro di controllare ancora una volta tutto il fianco est del territorio.

- P-padre …- ancora non mi sentiva. La mia voce era troppo debole e non sovrastava la sua né quella degli altri. Afferrai la sua spalla con forza e lo scossi come potei. - Papà! – dissi con voce decisa, riuscendo ad a richiamare la sua attenzione su di me. –Seth! -

Lo vidi impallidire.

Mi mise giù con una certa urgenza.

Seth non arrivava e mio padre volle tornare oltre il confine.

Lo fece.

Rimase via diverse ore e quando tornò era distrutto ed insanguinato.

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