Fire in my veins

di blu panda
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dame de Glace ***
Capitolo 2: *** Fior d'ibisco ***
Capitolo 3: *** Come una leonessa bruna ***
Capitolo 4: *** Più scintillante del Sole ***
Capitolo 5: *** Sweetheart ***



Capitolo 1
*** Dame de Glace ***


DAME DE GLACE


Arrivare in orario è un talento, arrivare in ritardo è una dote.
Lo diceva spesso mia nonna che cantava in miseri bar ma che di apparizioni spettacolari doveva saperne ben più di me. Crescendo, avevo fatto mio quel consiglio nonostante lavorassi anni luce lontano dallo showbiz. Mi si era sempre rivelato utile.
Aspettare che tutti si chiedessero di chi fosse quella motocicletta abbandonata in mezzo a tutte le altre, quasi con distrazione; osservare tutti gli altri concorrenti in disparte, memorizzando dove i loro meccanici infilassero le mani per gli ultimi ritocchi. Ritocchi ai loro punti deboli.
Poi comparire poco prima dello scadere del tempo, tuta indosso e casco in testa. Era divertente osservare le reazioni degli altri concorrenti: c'erano gli infastiditi, i confusi, gli arrabbiati...
Arrivare in ritardo era una dote, si. Spezzare la concentrazione, rimescolare le carte, introdurre una variabile che non avevano potuto analizzare.
Diedi un discreto cinque al mio capo meccanico -nonché unico elemento della squadra-, nascondendo le mani con i nostri corpi, facendolo passare per un gesto casuale. Non amavo che quella gente sapesse a chi mi rivolgessi per le riparazioni: Lindsay era la migliore sulla piazza ed era mia esclusiva. Volevo che rimanesse tale.
Mi feci largo tra la piccola folla che si era accalcata ai bordi del canalone senza dover nemmeno spintonare e poi affrontai la pendenza che mi divideva dalla pista.
La mia creatura mi aspettava lì come una fedele compagna, chiavi nel quadro e un motore pronto a ruggire. Non era la due ruote più performante per una gara ma era ciò che potevo permettermi al momento. E poi, mi faceva vincere: squadra che vince non si cambia.
Montai in sella.
La pista non era altro che il canalone prosciugato che passava sotto il 6
th Street Bridge. La partenza era in sua prossimità, così che gli spettatori potessero guardare anche dal ponte dismesso. L’arrivo era fissato sotto al viadotto di Main Street. Pochi minuti di corsa, abbastanza per attirare persone, e abbastanza pochi per non attirare la polizia.
Una ragazza in abiti succinti e stivaloni da cowboy si diresse con molta calma verso il centro della pista improvvisata.
<< Oggi abbiamo un nuovo concorrente! >>, gridò perché tutti potessero sentirla. << Facciamogli un piccolo applauso di incoraggiamento >>. Ci fu un leggero accenno di battiti di mani, ma niente di così convinto.
Pubblico difficile... La ragazza mi guardò serrando gli occhi, come se valutasse qualcosa. Sembrò essere soddisfatta.

<< Concerrenti! >>, esclamò, alzando le mani verso il cielo, << Che la gara abbia inizio! >>. Le abbassò e tutti partirono in un nugolo di polvere, passandole tanto vicino da sfiorarla.

Ben pochi, in quella gara, erano avversari temibili. La maggior parte del gruppo semplicemente sparì nelle tenebre della notte. Nemmeno a metà della pista improvvisata rimanemmo in cinque. Cinque capre arroganti che non mi ritenevano un avversario abbastanza pericoloso, tanto da lasciare abbastanza buchi per far passare un camion. Ero ultima di quegli ultimi sopravvissuti, era vero. Ma mancava un’infinità di tempo al traguardo. La luce dei lampioni della strada vicina erano ben visibili da li, e scorrevano così veloci da diventare quasi un'illusione.
Era ora di smettere di giocare. Con una forte sgasata passai nel collo di bottiglia formato da “arancio” e “blu”. “Giallo” venne sorpassato poco dopo, sulla destra. Era un guidatore disattento.
Il più difficile si riverlò l'uomo in verde, in testa alla gara fino a quel momento. Era bravo, sapeva destreggiarsi bene sul bolide che portava, dovetti ammettere. Appena riuscivo ad avvicinarmi quel tanto da minacciarlo, lui accelerava, distanziandomi. Sorrisi leggermente. Almeno aveva capito che non ero un novellino da sottovalutare.
In lontananza individuai una curva. Era l'unica occasione per passare in testa. Sfruttando la scia del mio avversario gli tenni dietro. Preciso come un orologio, in prossimità della curva sentii, più che vedere, la moto davanti a me decelerare. Con una mossa azzardata perfino per me diedi gas. La moto rischiò di slittare via sull'asfalto liscio, ma alla fine la creatura resse, confermando di essere la moto affidabile di cui avevo bisogno.
Ero in testa! Pensavo sarebbe stato più facile, e avevo addirittura dubitato di non farcela, cosa non da me.
Potevo solo immaginare le loro espressioni sbigottite. Sorpassati da quella nuova!
Il traguardo si avvicinava sempre di più. Vedevo le mille luci delle auto puntate nel canalone. L'aria vibrava di aspettativa.
La moto ebbe un calo improvviso di potenza. “Ma che diavolo...?”.
 Una vampata di gelo mi investì. Mi guardai frettolosamente indietro, cercando di capire dove fossero tutti gli altri: si avvicinavano. Sperai di non aver parlato troppo presto. Mancava così poco...
Il motore d'un tratto riprese grinta, sobbalzando in avanti di colpo. Non mi accorsi quasi di aver superato il traguardo. Soprattutto per prima.
Avevo vinto... ero quasi incredula della fortuna che avevo avuto.
Se la libertà avesse un odore, sarebbe stato quello che avvertivo nelle narici in quel momento: polvere, benzina e notte.
Gridai, alzando un pugno in segno di vittoria alla folla. Non potevano vedere la mia espressione scomposta in quel momento. Per il mondo io non avevo mai avuto dubbi sulla mia vittoria.
In quel momento così concitato una figura attirò il mio sguardo: era una donna, che spiccava tra la folla. Sembrava un'elegante signora capitata lì per sbaglio. Vestiva con una gonna di un pallido rosa e una camicetta bianca, tutto il contrario dei colori scuri che portava il resto del pubblico. non pareva importargliene nulla della corsa che si era appena conclusa. Guardava tutti e nessuno dall’alto, l’unica figura immobile tra mille in festa
E poi il suo sguardo... freddo e verde come le foglie coperte di brina. Erano occhi indagatori: ci stava giudicando. D’improvviso mi sentii bruciare dentro, uno scoppio devastante nel petto che era tutt’altra cosa rispetto a ciò che provavo in sella.
Quella era fame, fame autentica, quella che ti mangia dal di dentro e ti fa sentire lo stomaco in fiamme.
I suoi occhi incontrarono i miei per una frazione di secondo e non ci furono fulmini e saette di sorta: passò su di me e oltre a me, riservandomi null’altro che quello che aveva mostrato agli altri.
La ragazza che aveva dato il via alla corsa si avvicinò a me, incitando la folla. Il copione doveva essere stato messo in scena molte volte, perché tutti parevano seguire un tacito schema ben preciso.
Mi trascinò fin sotto quelle tribune improvvisate, cercando di mettermi in mostra il meglio possibile: cercava di esibirmi. Gli organizzatori avrebbero fatto una fortuna se avessi vinto ancora e la gente avesse scommesso su di me.
Mi tolsi il casco, liberando finalmente in riccioli biondi compressi nel casco. Ed eccola la sorpresa.
Potevo quasi udire i loro pensieri: “una donna?!”. L'unica a non scomporsi fu Madame de Glace, ma potevo intuire una vaga sorpresa anche nei suoi occhi.
Lo dedicai a lei quell'inchino beffardo da ballerina, con un piede avanti all'altro e un plié accennato.
Fissai la ragazza di sottecchi mentre ancora stavo piegata in quel modo a prendere applausi, ma notai che non mi stava più guardando. Stava invece quasi ruzzolando giù dai fianchi scoscesi del canale.
Veniva da me? Non la facevo così intraprendente... Beh, un bel bacio non si rifiuta a nessuno dopotutto.
E invece mi sorpassò, talmente vicina da poter sentire il profumo di fiori che la circondava. Si dirigeva verso l'uomo in verde, che nel frattempo aveva scagliato il casco lontano e digrignava i denti. Gli si avvicinò, circondandogli le spalle con il braccio esile e gli sussurrò qualcosa all'orecchio.
Parve calmarsi. Improvvisamente bruciai dalla voglia di sapere cosa si erano detti in maniera così intima.
L'uomo in verde, infine, la seguì lontano. Nel caos generale la accompagnai con lo sguardo, osservando come la gonna le danzasse mossa al vento che spirava quel giorno. Forse la fissai con troppa insistenza perché ad un tratto, in lontananza, mi parve vederla voltarsi verso di me. Questa volta sentii io quegli occhi bucarmi la nuca.
<< Eliza? Eliza, prenditi questi applausi, non essere scortese >>, ringhiò tra i denti la ragazza vestita succinta tirandomi per un braccio.
Tornai alla realtà di colpo: era meglio seguire quel consiglio dato a denti stretti e forse avrei tirato su più soldi la prossima volta. A malincuore distolsi lo sguardo, ritrovandomi al centro di una fiumana umana che si congratulava con me con sonore pacche sulle spalle o circondava i suoi idoli decaduti.
Quella donna... dovevo assolutamente trovarla.
 
Lindsay lavorava come meccanico un'officina sperduta tra le stradine malfamate di L.A.
Portare li la moto era sempre un'impresa perché andava tenuta ben nascosta da occhi indiscreti: volevo che la mia arma segreta, il mio meccanico di fiducia, non potesse essere in alcun modo collegabile a me. Non volevo che provassero a soffiarmela da sotto il naso.
Il giorno dopo la gara mi presentai puntuale da lei. Mi aspettava al di là della serranda mezza abbassata, lavorando sotto al cofano di una vecchia Mercedes. Era così concentrata che quando bussai alla serranda sobbalzò tanto da rischiare di battere la testa. Nello stesso istante però afferrò una chiave inglese abbandonata li vicino.
<< Calmati tigre! >>, la sbeffeggiai. << Sono solo io. Fammi entrare, dai >>.
La mia presa in giro non dovette farle così piacere, ma alla fine mollò la presa sull'arnese e si alzò, permettendomi di entrare nell'officina.
Sistemai la moto in angolo e poi le lanciai al volo delle banconote arrotolate. Lindsay le afferrò senza nemmeno guardarmi in faccia, mettendosi a contare.
<< Non è il compenso previsto >>, mi informò, guardandomi con aria di sfida.
Le accennai un sorriso beffardo: << Lo so. Ma il motore si è surriscaldato >>.
<< Già, ho notato >>, si limitò ad ammettere. Lasciò perdere all'istante la Mercedes, spostando tutti gli attrezzi più vicini alla moto.
<< Questa riparazione non è gratis, sappilo >>.
<< Si, lo so che sei uno squalo quando si parla d'affari. Ma se la sistemerai, forse potrei restituirti tutto il pattuito... >>.
Lindsay si mise a testa bassa a lavorare sul motore. Ogni tanto borbottava, grugniva o annuiva. Era inutile parlarle in quel momento. Era totalmente assorbita dal lavoro. La osservai per un tempo che mi parve infinito. Avrei voluto essere da tutt'altra parte, a mangiare un gelato magari, ma quello tra le sue mani era il mio unico mezzo di locomozione. Quindi dovetti starmene buona buona, appollaiata su un bancone a giocare con viti e bulloni.
Quando esclamò un << Ho finito >> soddisfatto io avevo già costruito una famigliola di uomini-vite, tutti schierati al mio fianco.
<< Le fasce elastiche erano troppo usurate. Sei fortunata che le avessi in casa >>. Tutto l'entusiasmo della precedente esclamazione si era smorzato. Avevo come l'impressione di non piacerle. Le sorrisi, porgendole le banconote che rimanevano di ciò che le dovevo. Lindsay cercò di afferrarle con le mani sporche ma io le feci sparire velocemente.
<< Sgancia i soldi Eliza. Non fare scherzi >>.
<< Rispondi alla mia domanda prima: chi era la donna alla corsa? >>
<< A chi ti riferisci? >>, mi chiese, ma sapevo che aveva capito. << Gonna rosa? È la donna di Marcus. Di solito non si fa vedere alle gare >>.
<< Sai dove posso trovarla? >>, chiesti sperando che nella mia voce non ci fosse troppa aspettativa.
<< Non frequento quei posti >>
<< Fallo per me... >>, implorai mettendo su la mia migliore espressione da cane bastonato. Lindsay pareva inamovibile, così tentai la mia ultima carta: << Quindici percento in più sulla prossima vincita >>.
<< Vedrò che posso fare >>, rispose a tempo record Lindsay, afferrando i soldi che le dovevo e infilandoseli in tasca. << Ora fuori di qui Eliza. Ho da lavorare >>.
Sorrisi, più a me stessa che a lei.
<< Lin! Lin! Va che ci conto! >> le urlai una volta, assecondando il movimento della serranda che Lindsay stava lentamente abbassando.
Ero del tutto certa che l'avrebbe trovata. Il mio meccanico era intelligente. Non mi amava particolarmente, ma amava i soldi che le avrei potuto fornire. Sperai solo di aver preso la decisione giusta.
 
Passarono i giorni e persi quasi del tutto la speranza. Forse Lindsay mi odiava davvero così tanto da rinunciare ad un compenso per farmi un dispetto? Cominciavo a pensare di sì. E cominciavo anche a chiedermi perché mi fossi fissata in quel modo con quell'idea di ritrovare la ragazza. Era assurdo. L'avevo vista una sola volta, non ci avevo mai parlato. Ma appena chiudevo gli occhi mi tornavano alla mente quegli occhi ghiacciati e la curiosità mi accendeva un fuoco nello stomaco. Chissà come si chiamava? Chissà dove viveva... chissà se preferiva il giallo al verde, chissà se le piaceva il gelato alla fragola.
Erano pensieri da folle.
Alla fine dopo giorni di attesa, mi sorprese uno squillo di telefono.
<< Lavora al Joe's, nei pressi dell'Echo Park. Se ti sbrighi la trovi ancora la >>. Non un saluto né qualche parola gentile: era Lindsay.
<< Grazie del favore. Sei il mio meccanico preferito! >>, esclamai afferrando al volo il mio giubbotto marrone.
<< Non è un favore. È lavoro. C'è l'accordo >>, ci tenne a precisare lei.
<< Si Doc, ricordo il patto >>. Le attaccai il telefono in faccia, troppo impaziente di poter correre via, verso questo fantomatico Joe's.
 
E Joe's si rivelò un'autentica delusione. Uno squallido bar-tavola calda dipinto di un giallino spento. Gli arredi all'interno erano fermi agli anni '60, con tavolini di formica variopinta e gli sgabelli di finta pelle davanti al bancone. Era nello stile che molti bar moderni cercavano di ricreare: peccato che li fosse tutto vero. Un fottuto vero incubo.
Parcheggiai la moto addossata al muro, sperando che nessun automobilista pazzo la centrasse con dei parcheggi azzardati.
Entrai, cercandola con gli occhi. Dovetti rimanere sulla porta per troppo, perché ad un tratto qualcuno mi richiamò: << Hai intenzione di ordinare o rimarrai impalata li tutta la sera? >>.
Era lei. Mi scrutava con la caffettiera in mano, non lontana dalla porta dalla quale era appena riemersa.
<< Nono... mi siedo >>, mormorai con un filo di voce. Presi posto su uno sgabello dalla copertura sventrata. Mostrava con sfacciataggine tutti i segni degli anni e insieme agli anni anche tutta l'imbottitura.
<< Cosa ti porto? >>.
<< Un caffè, per favore >>.
Mi mise sotto al naso un tazzone blu, di quelli con il naso in rilievo, gli occhi e la bocca disegnata. Mi versò del caffè e io ci immersi subito le labbra. La sentivo scrutarmi e sorrisi sotto i baffi.
<< Ma tu... >>, iniziò. La guardai mentre sgranava gli occhi. << Sei la ragazza della corsa >>.
Le sorrisi.
<< Che ci fai qui? >>. Sembrava infastidita. Possibile che nella città degli angeli fossero sempre tutti così imbronciati?
<< Beh... Hai perso una cosa l'altro giorno >>, le dissi, appoggiando sul bancone quell'arnese che mi ero portata dietro.
La Dame de Glace lo scrutò, ma poi me lo rimise tra le mani. << Non è mio >>.
Le strizzai l'occhio: << Ma ora si >>.
<< Non credo tu sia venuta per riportarmi qualcosa che non è mio. Ne vedo tanti di corridori che vengono qui per sapere segreti di Marcus. Ho sempre tenuto la bocca chiusa e tu non sarai l'eccezione >>.
<< E se invece non fossi venuta per il tuo ragazzo? Se fossi qui per te? >>.
Spalancò gli occhi: un'espressione durata un attimo ma che mi fece capire d'avere davvero tutta la sua attenzione.
<< ALYCIA! Muoviti! Ci sono clienti che aspettano! >>.
Colsi al volo l’occasione. Afferrai una penna lasciata li per caso e un tovagliolo, vi tracciai su qualche parola, e poi lasciai il locale.
Fuori, infilandomi il casco, osservai la ragazza -Alycia- tornare al bancone. Sembrò sorpresa di non trovarmi. Poi vide il biglietto, con l’omino di ferro appoggiato li accanto. Li prese entrambi tra le mani.
“Se davvero non è tuo, trovami e restituiscimelo”.
E sulla musica del suo sorriso appena accennato, avviai il motore e me ne andai.

 

Nella foresta del Panda

Alla fine, dopo non so quanti anni e quanti account cambiati dopo, mi sono decisa a buttare giù ancora qualcosina. 
Forse anche io, anche grazie a questo "universo alternativo" che ho creato, sto cominciando a superare il trauma della 3x07.... chissà!
Un ringraziamento doveroso va alla persona che mi ha mostrato la fanart che ha ispirato la storia e ovviamente alla mia beta, che con le sue chiacchiere mi ha convinto che forse (forse!) questo è un esperimento che vale la pena continuare. Vedremo cosa ne uscirà!
E ovviamente grazie ad ogni lettore giunto fin qui! :)

Blu Panda
 
 

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Capitolo 2
*** Fior d'ibisco ***


FIOR D'IBISCO

 

Correre fuori pista ad L.A. era tutt'altro che facile. Era un vero, losco, business, del tutto assimilabile ad uno show televisivo. C’erano i concorrenti, quelli più in vista, c’erano i boss, che creavano format sempre nuovi per divertire, e c'era il pubblico, i ricchi figli di papà disposti ad aprire borse ricolme d’oro per un po’ di ebbrezza. E naturalmente c’era anche la polizia, decisa a far chiudere i battenti a quel teatrino pericolante.

E così, per sfuggire alla legge e per dare un brivido agli spettatori le gare venivano organizzate all’ultimo minuto, con scenografie e corridori sempre diversi. Un messaggino sul cellulare e bisognava correre, letteralmente, per non farsi soffiare il posto da qualche nuovo venuto, salire in sella e gareggiare.

Capitava che venissero organizzati “eventi”, come venivano definiti, tre sere di fila. Poi un periodo di silenzio che poteva andare da qualche giorno fino a delle settimane.

Non ero abituata a quei ritmi, a quello stress che ti faceva rimanere sveglia per non perderti nemmeno un avviso di comparizione. Perché i soldi in palio erano tanti e mi servivano disperatamente.

Nonostante le notti insonni riuscivo a piazzarmi sempre abbastanza bene. Vivevo di rendita di quello che avevo imparato nella mia precedente vita, arricchendolo di qualche scorrettezza plateale e non, per rimanere a galla. Quando capitava di arrivare dopo il primo o il secondo posto era sempre per colpa dell'uomo in verde, lo stupido ragazzo di Alycia.

Era bravo. Schifosamente bravo.

Alycia... Spesso mi ritornava in mente quel nome, che mi ammorbidiva la bocca come melassa. Forse non era solo l'idea delle gare a tenermi sveglia di notte.

Di nuovo, stavo perdendo la speranza di rivederla. Mi chiedevo se avessi davvero fatto bene a fare quel passo azzardato presentandomi davanti a lei così, d’improvviso. Forse avevo sbagliato a puntare sull'irruenza. Poteva essersi spaventata...

O forse no. Forse aveva solo bisogno di tempo per decidere.

Era appena terminata una corsa. I ragazzi che se ne andavano a finire la serata in qualche locale erano molti e creavano un brulichio di forme attorno a me e Lindsay, che mi stava parlando cercando di essere il più discreta possibile. Ad un tratto mi parve di vedere uno sprazzo di bianco tra tutto quel nero. Il cuore fece un balzo. Affinai lo sguardo, alzandomi in punta di piedi, cercando tra quella gran massa un paio di occhi ben noti.

<< Ma mi stai ascoltando? >>. La voce stizzita di Lindsay mi raggiunse ma non diedi molto peso al tono. Mi chiesi se se la sarebbe presa se l'avessi piantata in asso li, su due piedi.

<< Mi puoi scusare un momento? Possiamo parlarne in officina? >>, le chiesi, già muovendo i primi passi verso una figura alta e ben vestita.

Lo scandalizzato “no!” del mio meccanico mi arrivò alle orecchie che già ero lontana. Ormai avevo solo una cosa in mente.

Mi avvicinai ad Alycia in punta di piedi. Sembrava stesse cercando qualcuno, proprio come me, con il capo proteso che cercava di scrutare attraverso quella fiumana umana.

Le passai dietro, evitando di essere vista e poi, al momento giusto, saltai dentro al suo campo visivo con la faccia più buffa che mi venisse in mente, sperando di vederla per un attimo umana.

Alycia spalancò gli occhi, barcollando indietro, ma poi abbozzò un sorriso. Forse per ora era il massimo cui potessi ambire.

<< Ehi! >>, la salutai. Io non mascherai il sorriso che mi nasceva sulle labbra. Volevo che sapesse che ero contenta di vederla. << Mi stavi cercando? >>, chiesi maliziosa.

<< Ehi >>, fece di rimando lei, evitando accuratamente di rispondermi. Stette in silenzio: probabilmente mi stava dando la battuta. Che donna piena di regole! Tenni la bocca chiusa, curiosa di vedere cosa avrebbe fatto.

Alla fine balbettò qualcosa che sembrava un “Ti-ti ho riportato questo”.

Mi stava porgendo ciò che le avevo lasciato tra le mani l'ultima volta. << Non l'ho pulito perché ho pensato che lo volessi così come l'avevi lasciato. Sembra avere più storia...>>

<< Ma se vuoi posso sistemarlo >>, si affrettò a dire.

<< È perfetto così. Grazie di avermelo riportato >> le dissi con sincerità.

La studiai un po', chiedendomi se un invito da qualche parte l’avrebbe fatta scappare a gambe levate. Avevo paura ad avvicinarmi anche se lo volevo con tutta me stessa, come se lei fosse il coniglietto e io la volpe. Non volevo che si sentisse imbarazzata, minacciata o a disagio. Ma, ci avrei giurato, era tutte quelle cose insieme.

<< Ciao Aly! >>, urlò qualcuno da lontano, con un tono entusiasta. Ci girammo entrambe cercando chi aveva interrotto la nostra conversazione. Il ragazzo si avvicinò a noi e riconobbi uno dei concorrenti contro cui avevo gareggiato poco prima. Sorrideva ad entrambe: pareva aver preso bene la sconfitta.

<< Come mai qui? So che non ti piacciono molto queste cose… >>, disse il ragazzo. Poi, senza nemmeno attendere una risposta, proseguì: << Marcus non corre in questa gara, mi sa che non lo troverai, mi dispiace. Per caso vuoi un passaggio a casa? >>. Probabilmente era ancora sotto l'effetto dell'adrenalina della corsa.

Alycia sembrò d’un tratto tornare a respirare. Potevo intuire che fosse sollevata che quel ragazzo gli avesse trovato una scusa per essere li. Perché, ne ero sicura, non era venuta per il suo fidanzato.

<< Ce l’ha già, un passaggio >>, mi affrettai a dire, beccandomi un’occhiataccia dalla ragazza.

Alycia lo rassicurò che si sarebbe arrangiata da sola con una voce tesa. Sperai che non fosse arrabbiata con me. << Ho la mia macchina, grazie Chris >>.

<< Allora ci becchiamo uno di questi giorni >>, esclamò il ragazzo. Sembrava totalmente fatto: doveva essere ad una delle sue prime gare. Sorrisi, pensando a quando anche a me pareva d'essere in grado di scavalcare un muro a dopo una corsa.

<< Quindi non approvi queste cose, eh? >>, mi affrettai a chiedere per farle dimenticare la mia intromissione di poco prima.

<< Per niente >>, rispose laconica.

<< Posso sapere come mai? Dopo tutto, stai con un corridore >>.

Nei suoi occhi verdi passò un’ombra scura: << Magari un’altra volta… >>

Poi sembrò riscuotersi all’improvviso. << Devo andare >>.

<< Di già? >>.

<< Domani ho il turno di mattina >>. mi rivolse un sorriso veloce. Le afferrai il polso, trattenendola.

<< Quando ci possiamo vedere di nuovo? >>, le chiesi speranzosa. Non era ancora andata via e già ne sentivo la mancanza. Mi sembrava sempre di non aver abbastanza tempo.

<< Sai dove trovarmi >>, e con un occhiolino girò sui tacchi sparendo tra gli ultimi ritardatari.

Me ne stetti lì a fissare l’orlo della sua gonna che spariva inghiottita nella notte.

Mi arrivò alle orecchie la voce di Lindsay: << Tu sei tutta matta, Eliza >>.

 

Mi presentai il giorno dopo, puntuale, all'ora di pranzo, sperando che ciò che mi aveva detto fosse la verità. Ma Alycia non mi pareva una bugiarda.

Non volevo lasciar sfumare quella possibilità: non sapevo perché, ma mi aveva praticamente chiesto d’andare li. Poteva essere la mia occasione di conoscerla, di farle capire che non ero pericolosa.

Parcheggiai nello steso posto, mi sedetti allo stesso sgabello.

Non la vedevo, ma sentivo il suo profumo fresco che permeava l'aria. Si presentò dietro al bancone poco dopo, la solita brocca ricolma di caffè, la divisa leggermente macchiata e l’aria stanca. Doveva essere quasi alla fine del turno. Mi guardò come se si aspettasse di trovarmi.

<< Cosa ti porto? >>.

Il mio cuore accelerò involontariamente.

<< Un toast e del succo >>, le sorrisi, cercando di essere il più affascinante possibile. Ma quella donna era davvero di ghiaccio.

<< Arrivano >>, disse, mentre già spariva in cucina. Non sembrava dare confidenza a nessuno, sul lavoro. Né ai colleghi né tanto meno ai clienti. Si portava sempre in giro quell’aria malinconica ed imbronciata. Mi chiesi il perché.

Tornò poco dopo, portando un grosso bicchiere pieno di succo dal colore corposo e un toast che traboccava formaggio.

La ringraziai, addentando al volo il cibo. Mi guardò masticare e poi mandare giù il boccone.

Ero confusa... perché mi fissava? Probabilmente la guardai con l'aria sbigottita, perché le si imporporarono le gote e si affrettò a chiarire: << Oggi non c'è il nostro cuoco così l'ho preparato io. Mi dispiace se non è molto buono, non sono brava in queste cose >>.

<< È perfetto >>, la rassicurai. Finalmente la vidi sorridere. Colsi la palla al balzo.

<< Si vede che hai cucinato tu >>, le dissi con fare saccente. Mi guardò confusa. << Sei tutta sporca di salsa! >>, le dissi ridendo.

Lei fece una faccia buffa e corse a specchiarsi in una pentola di acciaio abbandonata li in giro. In effetti aveva baffi rossi sulle guance, come se si fosse toccata il viso con le mani sporche. Afferrò uno straccio, passandoselo sul viso.

-Ancora-, mi affrettai a dire.

-Dove?-

Dio, perdonami per tutte le bugie che dico.

-Qui-, le dissi indicando il punto. Lei cercò di pulire la macchia immaginaria con ben poco successo.

-Ancora-, ribadii. -Dammi il panno-.

Mi mise in mano lo straccio. Con delicatezza glielo passai vicino all'angolo della bocca, carezzandole la guancia e fissandola negli occhi.

Rimanemmo così per lunghi minuti, che in realtà furono solo pochi istanti.

Poi lei si ricompose, all'improvviso la magia spezzata. Ma ero sicura di non averlo sentito solo io.

<< D-devo tornare al lavoro ora. Scusami >>. Le sorrisi, nonostante fossi un po' delusa di doverla già lasciare andare.

Finii il mio pranzo dolce e salato insieme e lasciai la mia banconota sul bancone.

Sulla porta mi girai. Alycia, dal tavolo dove stava prendendo le ordinazioni, mi sorrise. Quello squallido bar d'un tratto non sembrò più tanto squallido.

 

Alla fine fare almeno un pasto al Joe's divenne un'abitudine. Mi risolsi a sgraffignare il foglio con gli orari dei dipendenti per potere essere sicura di poterla incontrare. Il cibo non era gran gourmet, il locale non era dei più alla moda: passare le mie giornate lì non era la mia massima aspirazione se lei non era nei paraggi.

Era quasi diventato un rito. E vedevo gli strati di ghiaccio che si scioglievano lentamente.

Spesso la prendevo in giro per il suo strano modo di cucinare, che si riduceva, alla fine, a buttare ingredienti in una padella e accedere il fuoco. Ogni tanto la fissavo negli occhi, giurando, mano sul cuore, che si, questa volta ce l'aveva fatta. Allora lei si convinceva che forse valesse la pensa assaggiare. Afferrava il mio polso e dirigeva il boccone infilato sulla mia forchetta verso la sua bocca. E in quei casi, mi mancava il fiato e il petto si infiammava. Chissà se era consapevole di quello che mi faceva...

Alycia rideva alle mie battute, stava ai miei scherzi... Per mezz'ora ogni giorno il mondo spariva.

 

Un giorno entrai nel bar con un fiore tra le mani, uno di quelli dai colori tropicali che decorano le ville dei ricconi di Los Angeles.

L’avevo visto spuntare dalla siepe di una cinta e avevo pensato subito a lei.

<< Vuoi un vaso? >> mi chiese Alycia appena mi vide. Il locale era semivuoto a quell’ora tarda.

<< Avvicinati >>, le dissi con tono furbo. Stavolta non c'era nessun bancone a dividerci.

Mi venne vicino. Era leggermente più alta di me, che ero già seduta sul mio sgabello sbrindellato.

Le scostai una ciocca dal viso bianco, ponendole nella chioma quel fiore colorato che stava maledettamente bene nei suoi capelli scuri. Mi soffermai più del dovuto a sfiorarle il viso.

No, non era per nulla educato. Infondo, ci conoscevamo a malapena. Eppure era ciò che volevo.

Lei non si fece indietro. Anzi, mi guardava e arrossiva nei punti dove le sfioravo la pelle.

<< Sei bellissima >> le sussurrai in un orecchio. Abbassò lo sguardo, trattenendo un sorriso.

Non sai che effetto mi fai, Alycia.

<< Non so nemmeno come chiamare la persona che dovrei ringraziare >>.

<< Eliza. Mi chiamo Eliza >>.

<< Già, immaginavo che Wanheda non fosse il tuo vero nome. Grazie Eliza >>, mi sussurrò.

Poi si scostò e sorridendomi, questa volta con un sorriso vero, mi chiese cosa volessi da mangiare, nonostante fosse mezzanotte passata, come se nulla fosse.

<< E se invece staccassi prima e andassimo a mangiare fuori? >>, le proposi, colta da un lampo d’audacia.

<< Insieme? >>.

<< Certo che insieme, sciocca! >>, risi io.

Mi guardò con occhi indagatori, ma sapevo che scherzava: << È per caso un invito a cena? >>.

Non feci in tempo ad elaborare una risposta nemmeno vagamente intelligente che la porta dietro di me si aprì con uno scampanio. Io non vidi chi stava entrando, ma Alycia si. Portò frettolosamente le mani nei capelli e tolse quel fiore che le avevo appena appuntato, nascondendolo dietro la schiena.

<< Amore! >>, proruppe una voce dietro di me. Mi girai a vedere chi fosse, scioccata dall’ennesima interruzione -ma non era New York la città che non dorme mai?-, da quel nomignolo orribile in bocca d’altri e soprattutto dal gesto di Alycia.

<< Tesoro >>, miagolò Alycia, con la voce più morbida. Vedevo però che era sorpresa quanto me. Sollevai un sopracciglio, ora più scocciata che scioccata.

Il ragazzo, senza degnare nessuno di una parola, le circondò la vita con fare possessivo, da vero maschio Alpha, e le schioccò un bacio sulle labbra. Avvampai.

<< Che ne dici se usciamo a cena? Voglio festeggiare la vittoria di questa sera >>.

<< Il mio turno non è ancora finito >>, cercò di giustificarsi lei. Parlavano a pochi centimetri da me e quella vicinanza che prima mi era sembrata così intima, ora mi metteva solo a disagio.

<< Parlo io con Aleks. Vai a cambiarti, piccola >>, la rassicurò.

Alycia mi lanciò uno sguardo di scuse, che accolsi con l’espressione più dura che potessi mettere su.

Marcus mi si sedette di fronte, gambe larghe e petto in fuori.

Ehi amico, non c’è bisogno che ti gonfi come un gatto, gli avrei voluto dire. Cercai invece di ignorarlo: non volevo arrabbiarmi e perdere il controllo, rischiando di dire cose che avrebbero danneggiato Alycia. Cercai di ingoiare l'immagine del mio fiore nascosto, di mandarla giù, fin nello stomaco, e dimenticarla.

<< Tu devi essere il famoso corridore che sta spopolando nelle ultime gare, immagino >>, esordì con aria tronfia.

A quanto pare lui non ne voleva sapere di fare il bravo.

<< Sono quella che ti ha fatto il culo alla prima gara, si. Immagini bene >>, gli risposi cerando di mantenere un tono piatto.

Il suo sorriso, comunque, si spense. Doveva essergli bruciata non poco quella sconfitta.

<< Come mai sei qui? >>.

<< Mangio >>. Il tono laconico indicava che non avevo nessun interesse a parlare con lui. Doveva essere tonto per non cogliere. O solo un grande, enorme pallone gonfiato. Propendevo per la seconda.

<< Credo ci sia dell'altro >>, cominciò, come se ci dovesse pensare. << Se sei così brava, perché cerchi di farti amica la mia donna? Pensavo non ti servissi di spionaggio industriale per sistemare i difetti della tua moto. Non si fa Wanheda, no no no >>, disse, sventolandomi un dito davanti al naso. Dietro, un sorriso sarcastico da levare a schiaffi. Te lo dico io dove puoi i… mi morsi la lingua.

<< Sai, Marcus, il mondo non ruota intorno a te. Non cerco nessun segreto qui. Mangio. E basta >>.

La voce di Alycia pose fine definitivamente alla discussione.

<< Sono pronta tesoro. Andiamo? >>. Sembrava nervosa.

<< Andiamo amore. Saluta Eliza. Non credo che tornerà a disturbarti più. Io e lei ci siamo chiariti >>.

Marcus le circondò le spalle con un braccio possente, e lei, piccola com'era, gli si strinse addosso.

<< Ricorda Eliza. La fama come viene, se ne va >>. Non si girò nemmeno a guardarmi mentre mi dispensava di quell’alto consiglio.

Oh, lo so meglio di tutti, pensai.

Uscendo, Alycia mi lanciò un altro sguardo. Niente di confrontabile con tutti gli altri: era mortalmente serio. C’era una specie di avvertimento in quello sguardo.

Rimasi ad osservarli ancora un po', mentre attraversavano il parcheggio diretti al branco di motociclisti che li stava evidentemente aspettando.

Di nuovo, lei stonava del tutto in quell'ambiente. Aveva lo sguardo troppo integro per farne parte.

Vidi Marcus chinarsi a sussurrarle qualcosa all’orecchio. Lei proruppe in una fragorosa risata.

<< Stiamo chiudendo, principessa >>, mi avvertì un’altra cameriera annoiata.

Oh no, io non ero la principessa di quella storia. Io dovevo essere l’eroe che la salva dal cattivo.

Ma se il cattivo riesce a far ridere la bella principessa, allora non cambia tutto irrimediabilmente?

 


Nella foresta del Panda

Va bene, posso dirmi fiera del fatto che ho rispettato la scadenza di pubblicazione di una settimana. Almeno quello!
Eliza ha ricevuto proprio una bella botta in testa vedendo Alycia per la prima volta. Ma i motivi di questa infatuazione fulminante verranno spiegati presto.
Per il resto, spero vi sia piaciuto questo secondo capitolo! Naturalmente, fatemi sapere cosa ne pensate. A presto :)

Blu Panda 
 

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Capitolo 3
*** Come una leonessa bruna ***


COME UNA LEONESSA BRUNA

<< Hai intenzione di tenere il muso tutto il tempo? Perché qui ci vorrà ancora un po' >>.
Eravamo di nuovo in officina, Lindsay piegata sulla moto, io al mio solito posto.
Il clima era particolarmente afoso per una giornata autunnale. In strada sembrava di camminare in calda gelatina solida ma l'officina di Lindsay era un porto sicuro, fresco e buio. Ci si stava bene, una volta abituati alla penombra.
<< Non ho il muso >>, protestai.
Ok, forse solo un pochino.
Era la prima volta che aprivo bocca da quando ero arrivata, circa due ore prima.
<< No, certo. Non hai spiccicato parola da quando sei qui >>. Ecco, appunto. Se n'era resa conto anche lei che non ero chiacchierona come al solito.
Nonostante fosse una taciturna, e di sicuro apprezzasse il mio insolito silenzio, doveva essersi accorta che qualcosa non andava.
Fece una lunga pausa, interrotta solo dal cri-cri di bulloni che venivano avvitati.
<< Per caso vuoi parlarne? >>, mi chiese infine, tenendo gli occhi ben piantati sul motore.
Rimasi sbalordita.
<< Me lo stai davvero chiedendo? >>. Non aveva mai voluto sapere nulla di me, né della mia vita privata. A malapena sapeva il mio nome.
<< Guarda che l'offerta verrà ritirata tra tre... due... >>.
<< Va bene, va bene! Beh... c'entra una donna >>. Forse parlare con qualcuno mi avrebbe fatto bene.
<< Fammi indovinare. Capelli scuri, occhi verdi, smorfia di disgusto perenne? >>, chiese, storcendo il naso.
<< Se la conosci non è così male >>, mi affrettai a difenderla. È vero, forse quell'espressione glaciale non era il miglior biglietto da visita per farsi voler bene... ma io l'avevo vista sorridere. Ed era stato speciale proprio perché succedeva raramente.
<< Non capisco cosa ci trovi in lei, Eliza. Porta solo guai >>.
Schioccai la lingua contro il palato ed assunsi un'espressione pensierosa, cercando le parole giuste.
<< Ha qualcosa di diverso negli occhi, Lin. Non sembra aver dovuto fare quello che abbiamo fatto io e te per essere qui. Ci sembra capitata >>, dissi, guardandola dritta negli occhi, per cogliere una scintilla di comprensione.
<< Non ha negli occhi quello che abbiamo fatto io e te >>, ribadii sottovoce, quasi per non farmi udire. Non aveva capito, ci avrei scommesso: Lindsay era una donna pragmatica, non si lasciava andare alle smancerie. E doveva avere ferite ben profonde cosparse di sale.
<< Non farti prendere dall'istinto di crocerossina >>, disse fissando i grandi occhi scuri nei miei. << È grande abbastanza per scegliere quale strada percorrere e quale abbandonare >>.
<< Si ma... >> provai a protestare. Non feci in tempo a finire la frase che lei mi si parò di fronte, afferrandomi il mento tra due dita e costringendomi ad alzare gli occhi su di lei. Era arrabbiata.
<< Dimmi cosa sai di lei, Eliza >>, ringhiò. Non l'avevo mai vista così.
<< Io... >>
<< “Io” niente. Conosci il suo nome, sai dove lavora e che è fidanzata. Basta. Vedi di fartela passare Eliza: non è tempo per le cotte estive >>. Tutta quella ferocia mi colpì al petto.
Era davvero così sbagliato quello che sentivo? Era meglio fermarsi lì e lasciarla a quel principe che per me aveva sembianze di drago?
Un battito di ciglia e lo sguardo le si addolcì. Spostò le dita dal mento alla guancia con un movimento fluido e asciugò con i pollici qualcosa di bagnato: una lacrima.
Mi si imporporarono le guance. Da quanto non mi succedeva? Che imbarazzo...
<< Facciamo già fatica a pagare una cosa semplice come i pezzi di ricambio, non serve una donna a complicare le cose. Perché lo sappiamo che le donne complicano sempre le cose >>.
Le sorrisi. Era dannatamente vero.
<< La moto è a posto. Pronta a guadagnarti qualche giorno di sopravvivenza in più? >>.

Il messaggio era arrivato a mattina inoltrata, poco prima della mia visita a Lindsay. Era per quello che mi ero precipitata da lei immediatamente.
Dovetti guidare a lungo per arrivare al luogo dell'incontro. Molto più del solito, fino ad arrivare ai confini della città.
Il luogo prescelto era totalmente diverso da quelli che di solito frequentavamo. La cittadina era tranquilla, spaccata a metà da una sottile lingua di terra chiamata Jeffrey Open Space Trail. Era uno di quei posti in cui le mamme portavano i bambini a giocare dopo scuola. Ma di notte, tra i suoi sentieri sterrati, i piccoli ponti rustici e una grossa via sterrata che creava percorsi dalle mille possibilità, poteva diventare il regno di chi, come noi, correva.
C'era già un nutrito gruppo di persone assiepate tra gli alberi e molti concorrenti già pronti alla linea di partenza. Mi stavo per posizionare al mio posto quando mi si affiancò una moto. Non mi girai nemmeno a controllare chi fosse. Era abbastanza chiaro. Ormai lo riconoscevo dal cigolio dei suoi stivali sul selciato.
<< Che vuoi Marcus? >>
<< Solo augurarti buona fortuna, Wanheda >>, rispose lui. Sembrava quasi sincero e per un attimo vacillai, indecisa su cosa rispondergli.
<< Alla fine hai seguito il consiglio, eh? I miei uccellini mi hanno detto che non ti sei più presentata al diner >>. Bene, era il solito idiota di sempre.
Gli scoccai un'occhiataccia.
<< Sei contento Marcus? >>, gli chiesi, pronta per lanciargli una stoccata. Si sarebbe arrabbiato, ne ero certa. Sorrisi al pensiero. << È palese che Alycia non sappia nulla delle tue strategie di gara. Non le interessa. Quindi, mi chiedo: di cosa hai paura? Che una donna possa soffiarti la ragazza? >>, lo provocai
Marcus divenne paonazzo. Il rossore gli salì dal collo fino alle guance. Gli sorrisi, accelerando il passo e posizionandomi in griglia.
La solita ragazza bionda venne al centro della pista. Stessi pantaloncini di jeans scosciati, stessi stivaloni di pelle marrone e stessa camicetta annodata sotto al seno. Si, il copione era davvero sempre uguale.
Girai il viso di lato: al mio fianco c'era Marcus, l'immancabile tuta verde indosso. Anche lui mi fissò a lungo, sgasando e facendo ruggire la sua moto. Doveva essere davvero arrabbiato.
Di nuovo, come la prima volta, incrociai lo sguardo con una figura familiare. Veniva sempre più spesso alle gare e la ruga tra le sue sopracciglia si faceva sempre più marcata. Ma non potei guardarla a lungo: la starter abbassò le braccia, e partimmo.
Fu subito chiaro come la gara non fosse tra me e gli altri concorrenti, ma tra me e Marcus. Non avevamo percorso nemmeno cento metri e già mi si era messo davanti, totalmente incurante di chi ci passava accanto superandoci. Buttarmi a destra o a sinistra non aiutava. Mi tagliava la strada in ogni caso.
Gli alberi ci sfrecciavano a pochi centimetri dalla pelle. Superammo la biforcazione del primo tratto di tracciato, salimmo sul ponte che permetteva di superare la strada urbana, e discendemmo in un corridoio sotterraneo. Ma niente. Rimaneva davanti col preciso obiettivo di non concedermi nemmeno un briciolo di spazio.
Che bastardo

Ormai mancava pochissimo al traguardo. Dovevamo superare solo un altro ostacolo: una grande strada che si avvolgeva su sé stessa come una serpe che si morde la coda, creando un cerchio perfetto. Li, forse, avrei potuto sorpassare Marcus passando all'interno della sua traiettoria.
Entrammo in curva. Mi piegai, dando gas e accelerando. La moto non era stabile, non era nulla in confronto a una da corsa. Sperai reggesse.
E invece uno scossone mi sorprese, ma non era stata lei a tradirmi. Marcus aveva dato un calcio alla fiancata! E piegata con un angolo simile fu maledettamente facile perdere il controllo. Sbandai.
Dio no
, ma l'asfalto si avvicinava.
L'impatto fu devastante.
Sentii il tessuto dei vestiti strapparsi, i sassolini infilarmisi nella carne. La testa sbattere contro il duro cemento.
Rimasi intontita al suolo, la testa annebbiata. Nemmeno il suono delle moto che mi sfrecciavano al fianco riusciva a penetrare il fitto muro d'ovatta. I limiti del campo visivo erano sfocati, quasi neri. Il cuore mi batteva all'impazzata, in un misto di adrenalina e spavento. E mi veniva da vomitare, dio se mi veniva da vomitare.
Il cielo pieno di stelle venne invaso da due enormi punti verdi.
<< Eliza, stai bene? >>.
Accennai un sorrisino al sentire quella voce inconfondibile. Brutta mossa: << Mi viene da vomitare >>, mugugnai.
<< Respira profondamente con la bocca >>, suggerì una voce. Lindsay.
<< Dobbiamo chiamare un'ambulanza >>.
<< Niente ambulanze >>.
<< Ma potrebbe avere qualcosa di rotto! >>.
<< Lasciamola a terra. Vediamo se riesce ad alzarsi da sola. Se no, siete sole. Libere di chiamare chi volete >>.
<< Alycia, se parla e si lamenta sta bene, fidati >>.
<< Continuo a pensare che ci voglia un medico. Possibile che organizziate qualcosa di così pericoloso senza avere nessuno che sappia intervenire?! >>.
Quella discussione stava diventando una cacofonia insopportabile alle mie orecchie. Si sommava al fischio che producevano i timpani e mi stordiva. Ero così confusa da non riconoscere la maggior parte di quelle voci. Alla fine divennero sempre più ovattate: probabilmente stavano discutendo poco più lontano.
Non so quanto rimasi a terra, ma piano piano la mente si schiarì almeno un po'.
<< Ehi, principessa >>. Il viso di Alycia, storto, spuntò nel mio campo visivo. Doveva essere rimasta seduta vicino alla mia testa per tutto quel tempo. << Che dici, te la senti di provare ad alzarti? >>.
Nonostante il braccio fosse tanto pesante da farmi pensare che si fosse fuso con il cemento, tentai di alzarlo per farle capire che si, ci volevo provare.
Alycia mi afferrò la mano e, tenendomi una mano sulla schiena per sorreggermi, mi aiutò a mettermi in piedi. Al suo tocco il mio corpo rabbrividiva spontaneamente.
<< Contenti? Si è alzata da sola. Il vostro business è al sicuro >>, esclamò sprezzante lei, rivolgendosi al capannello che si era formato e che stava evidentemente discutendo sul da farsi.
Da quella massa si staccò Lindsay, che accorse nella nostra direzione. Scivolò sotto al mio braccio, prendendo su di lei tutto il peso di una persona instabile sulle gambe.
<< Così capiranno che ci conosciamo >>, le dissi preoccupata, con la voce ancora attutita dal casco.
<< Ah, ma se il mio capo muore, io non avrò più un lavoro >>. I suoi tratti latini si sciolsero in un sorriso, e mi fece l'occhiolino.
Ma chi era quella ragazza? Io non la conoscevo. Possibile si fosse davvero preoccupata per me, addirittura due volte in un giorno solo?
<< Non ti preoccupare, il tuo... >>, stavo ancora parlando quando uno scoppio di urla attirò l'attenzione di tutti.
<< Ti dovrei dire bravo? Darti un bacio? Sei davvero meschino! >>. Alycia camminava a grandi passi verso l'uscita, già sul prato, poco avanti a noi. Dietro di lei la seguiva tuta-verde, che doveva averla raggiunta poco prima.
<< E dai, piccola, non è successo niente! >>, disse Marcus, con il tono spazientito.
Alycia si girò verso di lui in un vortice di capelli scuri. Sembrava una leonessa bruna dalla furia che le leggevo negli occhi.
Gli puntò il dito al petto.
<< Avrebbe potuto. Ti piace vincere così? È proprio da gran pilota quel che hai fatto! >>.
Mi stava forse difendendo?
<< Ah, sei una vipera! Ora è tua amica eh? Non basta la tua disapprovazione per il mio modo di guadagnarmi da vivere, ora devi pure allearti con i miei avversari? >>.
<< Non c'entra l'alleanza. È questione di vita o di morte: sembra che non te ne renda conto! >>. La discussione prendeva toni sempre più accesi.
Anche Lindsay seguiva quella che si stava rapidamente trasformando in lite: << È davvero incazzata>>, di limitò a sussurrare, sbalordita.
Ero del tutto sicura che anche la maggior parte del pubblico, una volta finita la gara e decretato il vincitore, stesse seguendo con grande attenzione quello spettacolo da soap opera. Guai in paradiso? Non potei fare a meno di sorridere dentro di me.
Ma poi qualcuno urlò: << La polizia! >>.
Ed esplose il caos.

<< È stato... intenso>>.
Eravamo entrambe in macchina, Alycia ed io. Fissavamo davanti a noi, le espressioni ancora allucinate dalla folle fuga attraverso il parco. Lindsay mi aveva caricata di peso su quell'auto ed eravamo partite sgommando. Lei però era sparita. Le avevo mandato un messaggio ma non aveva ancora risposto. Sperai che stesse bene.
<< Già >>, si limitò a dire. Pareva anche lei abbastanza sconvolta.
<< Qui devi girare a sinistra. Siamo quasi arrivate. Ecco, parcheggia pure qui >>. Eravamo arrivati davanti al mio caro e vecchio palazzo: un grosso mostro scrostato e ammuffito. Ma almeno non colava acqua dal soffitto.
Non so se fosse stata la botta a farmi impazzire o se pazza lo ero sempre stata, ma mi avvicinai ad Alycia, sporgendomi sul posto di guida, pronta per schioccarle un bacio sulla guancia come ringraziamento.
<< Che fai? >>.
Mi si congelò il sangue nelle vene
. Possibile che fossi così stupida? Era proprio da masochisti...
<< Beh, io... io volevo solo... >>, balbettai.
<< Io ti accompagno in casa. Dopo la caduta che hai fatto non ti lascio certo da sola >>.
Spalancai gli occhi, presa totalmente in contropiede.
<< Ma non c'è bisogno, davvero >>, tentai. << Sono caduta altre volte e... >>.
Si girò a guardami negli occhi: << Eliza >>, disse seria. << Sono irremovibile. Qualcuno deve stare con te. Non mi perdonerei se stessi male e fossi da sola >>.
Non mi diede nemmeno il tempo di obiettare. Era già alla mia portiera, per sorreggermi mentre facevamo i pochi passi verso il portone. Contro il suo fianco, il mio corpo formicolava. E dividere il minuscolo spazio dell'ascensore scassato non era molto meglio: il suo profumo di fiori saturava l'aria e mi avvolgeva, dandomi alla testa.
<< Sicura che lo fai solo perché sto male? >>, le chiesi, caricando la frase di malizia. Ma sotto sotto ero seria. Volevo sapere la verità: ero sicura di non sentire quel fuoco solo io. Peccavo di arroganza? Probabilmente.
Ignorò la mia domanda: << Dimmi quale pulsante devo schiacciare >>.
Non era né una conferma né una smentita, dopotutto. Sorrisi sorniona.
Salimmo e salimmo, fino quasi all'ultimo piano.
<<4b. È il mio >>, annunciai. Era la prima volta che qualcuno entrava nel mio appartamento da quando ci abitavo.
Tutto lì era imbarazzante: dalla luce al neon del pianerottolo -che ronzava come se al posto del gas avessero messo le api-, alle grosse macchie di muffa lattiginosa negli angoli delle pareti. Ma Alycia non parve nemmeno farci caso. Vederla lì, in casa mia... faceva un effetto così strano. Lei sempre elegante e curata in un ambiente trasandato come quello. Se avessi saputo d'avere ospiti avrei almeno dato una sistemata.
<< Okay, allora... Credo sia il caso che ti cambi e ti stenda. Devi dormire. Domani avrai dolori a non finire >>, disse, per carcare di organizzarci al meglio.
<< Mh... che prospettiva allettante... >>.
<< Ora non ci pensare. Hai qualche medicinale che possa essere utile? >>.
<< Di la, in bagno >>, le indicai ed Alycia vi sparì dentro.
I dolori già si stavano facendo più acuti. I muscoli erano totalmente indolenziti.
Quando tornò, con le braccia cariche di pomate e bende, mi trovò in una posizione a dir poco imbarazzante: avevo tolto, con non poca fatica, stivali e pantaloni, ma con la maglia non c'era proprio verso, le mie braccia si rifiutavano di concludere il movimento.
Così ero rimasta incastrata, la testa piegata nel tessuto e la maglietta mezza su e mezza giù.
Non mi sfuggì il risolino di Alycia.
<< Mi trovi divertente?>>, le chiesi, mettendo su un broncio che lei proprio non poteva vedere.
<< Tu sei sempre divertente >>, soffiò.
La sua voce si era fatta più vicina. Troppo.
Sentii le sue mani gelide contro la pelle ed esplosi in una sinfonia di brividi. Mi afferrò i lembi della maglietta, tirandola su e aiutandomi a liberarmi, accarezzandomi il ventre, i fianchi, le spalle in quel movimento.
Libera, mi trovai davanti quegli occhi profondi come una foresta vergine. Ed ero nuda.
Con grande sorpresa afferrai il suo sguardo che cadeva giù, in basso. Qualcosa che ti piace, Alycia? Arrossì come una bambina.
Io ancora la fissavo e la tensione era così forte che avrebbe potuto creare elettricità.
Era così vicina... le sue labbra tumide parevano aver scritto sopra il mio nome. Ma non potevo prendere la decisione per lei. Mi limitai a fissarla, in attesa di una sua mossa.
Hey Michael, hear what I said, I'm tired of lookin' at the back of your head...

Le note attutite di una suoneria invasero il silenzio intorno a noi, spezzando quella bolla dorata.
Alycia afferrò il cellulare dalla borsa per controllare chi fosse lo scocciatore.
<< Scusa, è Marcus. Devo rispondere >>. E chi altri poteva essere...
<< Certo. Fai con comodo >>.
Alycia sparì dietro l'armadio che fungeva da separé tra zona notte e cucina, aprì una finestra, e si mise a parlare.
<< Si, sto bene... Davvero... No, sono contenta che non ti sia successo nulla... >>.
Rispuntò qualche minuto dopo. Io mi ero già preparata per la notte. Il sapore fresco del dentifricio in bocca e il tocco morbido del tessuto della maglia che indossavo per dormire -e che avevo infilato con trucchi da circo, peggio di un prestigiatore- mi rinfrancavano sempre.
Alycia mi spalmò creme su creme, su ogni singolo livido. Mi mise cerotti a non finire, e mi bendò da capo a piedi. Non tralasciò nulla, agendo con mani esperte. Pareva averlo fatto mille e mille volte.
Evitò sempre di guardarmi.
Una volta finito mi intimò di mettermi sotto le coperte.
La guardai esitante mentre sistemava tutto ciò che aveva utilizzato nella scatola, indecisa se proporle ciò che mi era venuto in mente.
<< Senti Alycia... Se vuoi c'è spazio qui, nel letto >>. Lei spalancò gli occhi, raddrizzandosi di scatto.
<< È una proposta da amica, davvero >>, mi affrettai a spiegare, ed ero sincera. << Mi hai già aiutato tanto. L'unica cosa che posso offrirti è un materasso >>.
Il suo sguardo si addolcì immediatamente. << Non ti preoccupare. Sto in piedi ancora un po', mi va un the. Ne vuoi una tazza? >>
<< Volentieri >>. Avrebbe trovato l'unica scatola di the, quella che tenevo “perché-non-si-sa-mai”, per qualche ospite mai arrivato.
Aspettavo una tazza di the, avevo una donna che mi faceva stringere lo stomaco al solo guardarla in casa, eppure non riuscii a resistere.
Nonostante tutta la buona volontà che ci misi, il sonno mi vinse. Quando Alycia tornò in camera, due tazze fumanti in mano, mi trovò già abbandonata al mondo dei sogni.

Un raggio di sole sfuggito alle tende mi colpì in pieno viso.
No, non mi va di alzarmi...
Le coperte erano così calde e soffici...
Ma anche la sveglia si mise a squillare, proprio in quel momento. Ed era maledettamente lontana dal letto -messa lì apposta, in realtà. Per evitare che la mia pigrizia prevalesse su tutto.
Con uno sbuffo stizzito feci per allungarmi a spegnerla quando una fitta in mezzo alle spalle spezzò la nebbia del sonno. Ricordai di essere caduta, ricordai la retata, e ricordai che una donna dannatamente sensuale era ancora lì, in casa mia.
Mi girai per guardare l'altra parte del letto ma la trovai intatta. La poltrona davanti a me, invece, portava chiari segni di qualcuno che vi aveva dormito sopra. C'era un cuscino tutto stropicciato e la mia coperta rossa gettata su uno dei braccioli. Che testona, mi ritrovai a pensare. Ora i dolori doveva averli pure lei.
Dalla cucina provenne un rumore di acciaio tintinnante. Subito dopo comparve lei, con addosso i vestiti del giorno prima e un paio di occhiaie del tutto nuove.
<< Non ho trovato niente di vagamente somigliante ad un vassoio >>, disse indicando il piatto che aveva tra le mani. << Ma ho pensato di portarti la colazione a letto. Immagino avrai dolori >>
<< Ovunque. Grazie mille Alycia, non avresti dovuto >>.
<< Non ho fatto molto. Ti ho preparato un caffè visto che le due bustine striminzite che ho trovato mi hanno suggerito che non sei una grande estimatrice del the >>.
<< Beccata >>
<< E ho rimediato qualche merendina confezionata. Anche con le mie scarse doti culinarie posso dirti che il tuo frigorifero fa pena >>.
Le feci la linguaccia.
<< Come giustificazione ti dico che venivo sempre a mangiare al diner >>, le dissi affondando i denti in una brioche piena di burro. Poteva occludermi le arterie, farmi schizzare il colesterolo alle stelle, ma era la merendina più buona del mondo, di questo ero certa.
Alycia sparì di nuovo dietro l'armadio, lasciandomi a bere il caffè in solitudine. << In bagno c'è una scatoletta i antidolorifici. Ti conviene prendere una pillola o due >>, mi gridò dalla cucina.
Una pillola o due... sempre se ci arrivo, al bagno.

Quando tornai, trovai Alycia con le mani immerse nella schiuma del lavandino. Probabilmente stava lavando caffettiera e pentolino quando aveva trovato qualcosa di molto interessante da guardare fuori. Sperai non fossero i due pazzi che ci davano dentro giornalmente davanti a tutti.
Mi avvicinai da dietro per spiare da sopra la sua spalla, attraverso la finestra posta proprio sopra il lavabo. Trasalì quando sentii le mie mani appoggiarsi ai suoi fianchi.
La mia scusa? L’equilibrio precario per sporgermi a guardare, ma la verità era che il suo tocco non mi bastava mai.
Nel palazzo di fronte, un piano sotto a noi, una famigliola stava attorno ad un tavolo per la colazione. Il marito in giacca e cravatta che divorava il pasto, la moglie che cercava di far aprire le labbra al neonato solleticandogliele con le dita e un ragazzino assonnato che infilava i cereali in bocca svogliatamente.
<< Penseranno che li spii in casa loro. E che sei inquietante >>.
<< Hai ragione >>, si limitò a dire. Ma il suo tono era freddo come il marmo. C'era qualcosa che non andava?
Calò il silenzio, interrotto solo dalla spugna che passava velocemente sulle stoviglie.
Quel gelo cominciava a farsi pesante, così dissi la prima cosa che mi venisse in mente mentre andavo a prendere una sedia: << Non pensavo ti avrei rivista così presto >>, le confessai.
<< Perché? >>.
Perché quello sguardo... ti vergogni forse di me? Ho pensato di essere solo un gioco, uno di quelli imbarazzanti, che nascondi quando vicino ci sono le persone per te importanti.

Tacqui e censurai: << Sembri felice con il tuo ragazzo >>, mi limitai a dire, ricordando la risata di quel giorno. Quello che ha cercato di uccidermi meno di 10 ore fa.
Ma Alycia non era stupida. Capì al volo. << Per il fiore? >>
<< Si >>. Dopotutto, si poteva riassumere tutto in quel delicato oggetto.
<< È solo che è molto geloso. Non volevo metterti nei guai >>.
<< Tanto geloso da creare problemi per un fiorellino? >>
<< Lo sappiamo bene entrambe che non è solo un fiorellino >>, mi mancò un battito.
Le carte erano state scoperte. Quella era la conferma che aspettavo -lei sapeva, aveva capito-, ma ora, una volta avuta, non sapevo bene cosa farmene.
<< Ha i suoi difetti, ma non è cattivo >>, continuò, << Mi ha aiutato moltissimo quando mio padre... >>. La sua voce si spezzò come legno secco. C'era qualcosa sotto.
<< Tuo padre cosa? >>, indagai.
Alycia piantò i suoi occhi nei miei. Cercai di farle capire che di me si poteva fidare: volevo solo che stesse bene. Alla fine sospirò ed iniziò quel breve racconto.
<< ...quando mio padre è stato arrestato per truffa. Aveva il vizio del gioco, scommetteva sulle corse clandestine. Nessuno in famiglia lo sapeva. Poi è sparito. L'abbiamo cercato a lungo, fino a quando un ufficiale giudiziario non è piombato in casa nostra con un'istanza di pignoramento. A quanto pare mio padre era stato sbattuto dentro per giri di soldi non del tutto legali. Si finanziava le scommesse. Mia madre ha cominciato a smettere di mangiare. Alla fine si è chiusa in camera. Era nata in una famiglia povera, aveva lavorato sodo per ottenere tutto ciò che aveva ed ora le veniva sottratto. E suo marito l’aveva ingannata. L'abbiamo trovata morta in bagno, qualche mese dopo. L'unica cosa che mi rimane di lei è questa collana, ma non è abbastanza >>. Si infilò la mano nella camicetta e ne estrasse una collana: un sottilissimo filo e un cuore a metà. Aveva parlato atona, con il maggior distacco possibile. Ma sotto la superficie di quel lago ghiacciato si agitava un mare in tempesta.
Non servivano parole. Solo, mi avvicinai a lei, intrecciando la mia mano nella sua e portandomela alle labbra. La vidi trattenere le lacrime.
<< Ora però devo andare. Ho un turno che inizia tra pochissimo >>. Sciolsi le nostre mani a malincuore e probabilmente lesse la delusione nei miei occhi perché mi sorrise e disse: << Ti aspetto alla tavola calda. Lunedì ho il turno della mattina, martedì il pomeriggio, mercoledì faccio la notte >>.
Feci una faccia saccente. << Lo so >>.
<< Lo sai? >>.
<< Potrei aver preso in prestito il foglio dei turni >>, confessai.
<< Ah, ecco dove era finito! Non ti hanno proprio insegnato le buone maniere, Eliza! >> disse ridendo.
Poi si asciugò le mani e prese il copri spalle.
<< Vado >> annunciò. Mi si avvicinò, più di quanto fosse lecito a quel punto e mi lasciò un'impronta incandescente sulla guancia. Poi sparì come era solita fare.
Ma ora avevo una traccia ben precisa su dove stanarla, anche solo per esserle amica.
Intanto la pelle tirava e si arrossava dove le sue labbra si erano posate.




Nella foresta del Panda
 

Ecco di nuovo qui. Devo dire che mi sono divertita a scrivere questo capitolo.
Cominciano a delinearsi le dinamiche tra i personaggi: Lindsay inizia ad ammorbidirsi -ma non sarà mai una tenerona!-, Marcus mostra un bel po' di cattiveria -ma non è fatto solo di quella-, e mentre Eliza è disposta a fare un passo indietro, Alycia sembra non essere del tutto indifferente alla nostra biondina e sfodera addirittura le unghie, dimostrando di non essere solo un bel visino.
Negli avvertimenti inserirò "AU", perchè ho iniziato a scrivere questa ff prima che _Ackerman_ mi spiegasse bene tutti gli universi collegati a The100, ed ero ancora un po' confusa. Quindi grazie per aver avuto pazienza Ackie! E ovviamente ringrazio chi ha dato un po' del suo tempo per recensire -ripeto spesso questa frase, ma credo che sia uno "sforzo" e come tale va riconosciuto!

(La canzone della suoneria di Alycia è "Motorcycle Michael", di Jo Ann Campbell, del 1961)  
 
Blu Panda
 

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Capitolo 4
*** Più scintillante del Sole ***


Cap $ Fire in my veins

PIU' SCINTILLANTE DEL SOLE


Alycia. 4.18 AM

No, non mi va di pranzare fuori. Mi dispiace

Eliza 4.20 AM

No? E io che volevo invitarti... Scusa, ma chi sei?

Alycia 4.21 AM

Eliza! Oddio scusa! Ho sbagliato ad inviare il messaggio, ti ho svegliata?

Sono Alycia.

Eliza 4.22 AM

Non hai ancora capito che sono una creatura della notte? (Si, mi hai svegliata)

Ma non preoccuparti, tanto stavo dormendo male.

Non mi pare d'averti mai dato il mio numero...

Alycia 4.23 AM

A quanto pare non sei l'unica che ruba le cose...

Eliza 4.25 AM

E io che pensavo d'essere la sola e inimitabile!

Che pensavo d'essere la regina delle sorprese!

Alycia 4.25 AM

Per essere le regine delle sorprese bisogna impegnarsi!

Ora vai a dormire principessa, che la notte è ancora lunga.


<< No, signore, non serviamo panini all'aglio a quest'ora. Il cuoco non è ancora qui >>.
L'uomo, con un gran pancione a precederlo, sbuffò. << E che diavolo avete in questo postaccio? >>.
<< Ci sono croissant, colazione salata, panini dolci... >>.
<< Vada per quello. Si sbrighi per favore, ho fretta >>.
Mi allontanai dal tavolo trattenendo uno sbuffo. Era stata una nottata dura, una di quelle noiose in cui non si muove una foglia. Ero stanca e il primo cliente era un tronfio uomo di mezza età dall'aria viscida.
<< Il signore a quel tavolo vuole dei panini dolci. Potresti prepararglieli tu? Sono qui da 12 ore e mi sto addormentando in piedi >>.
Paige annuì, afferrando il grembiule che mi stavo sfilando.
<< Grazie >>, le dissi, sinceramente grata.
Paige era sempre estremamente materna con me. Era stata difficile all'inizio: la pelle tirata intorno alla bocca, le rughe di una donna non più giovane, segnavano che non aveva tempo ed energie da dedicare ad altre persone oltre a quelle di cui già si occupava. Alla fine però si era affezionata a me -ed io a lei. E apprezzavo le piccole attenzioni che aveva per me, come mettermi a posto il grembiule. Facevo fatica a non confonderla con qualcosa di più che una collega di lavoro.
<< Vai a casa e riposa. Qui ci penso io >>, disse, lasciandomi un leggero bacio sulla guancia. Le sorrisi e afferrai la giacca.
Fuori l'aria era frizzante, di quella che senti solo alle prime luci dell'alba. I rumori del traffico erano ancora lontani ed ovattati. Il sole però si rifletteva già sul mondo, facendo scintillare le righe bianche del parcheggio. Socchiusi gli occhi, abbagliata, frugando nella borsa per prendere le chiavi.
Quando alzai gli occhi, notai qualcuno appoggiato sul cofano della mia macchina. Giacca di pelle di daino, capelli più luminosi del sole, un sorriso inconfondibile. L'avevo svegliata ad un orario improponibile eppure lei era lì.
La vidi mettere le mani a coppa davanti alla bocca, << Hey, bella morettina!!! >>, gridò.
Risi. Non mi aveva mai chiamato nessuno così. Non urlandolo in mezzo ad un parcheggio, almeno. Eliza agitò una borsa verde nella mia direzione.
<< Che hai li? >>.
<< La mia sorpresa, ovviamente! Ti ho portato la colazione. Ho il cibo, il the, la tovaglia a quadretti rossi... manca solo un parco >>.
Il sue enorme sorriso mi fece dimenticare tutta la stanchezza.
Quando avevo il suo sguardo addosso, era come se fossi io al centro di tutto l'universo. Solo io e nessun altro.
E mi balenò in mente un'idea tanto pericolosa quanto allettante: << Di parchi non ce ne sono. Però casa mia è qui vicino... >>.
Trattenni il fiato, svuotata di tutto il respiro. Quella proposta mi era costata come una maratona.
Gli occhi di Eliza si illuminarono. Quell'entusiasmo non si spegneva mai. Notavo quanto cercasse di contenere la sua vera natura ma quella coperta era un velo sottile: si poteva indovinare il suo temperamento in ogni suo gesto.
<< Con grande piacere Madam. Mi faccia strada >>, disse, scherzando.

Avevamo percorso pochissimi chilometri, ma il volto della città era cambiato radicalmente. Non era più la grigia e cupa Los Angeles che si affollava attorno alle arterie principali, fatta di ristorantini scadenti e officine. No, questa Los Angeles risplendeva al sole fiera, con il viso alzato a sfidare i sobborghi che la minacciavano da ogni lato.
Parcheggiai davanti ad una delle tante ville.
Eliza era ammutolita, gli occhi sbarrati mentre aprivo il cancello in ferro battuto. E spalancò la bocca quando vide la casa che si celava all'interno: grande, bianca, immersa nei fiori. Avevo avuto la stessa reazione anche io quando l'avevo vista per la prima volta.
Sorrisi amaramente, prendendole il mento tra le mani e ruotandole il volto più a sinistra.
<< Sogna meno in grande, principessa >>, le dissi, indicandole una casupola seminascosta dalla vegetazione.
<< MA E' ANCORA PIU' BELLA! >>, e dio, era sincera. Sembrava una bambina davanti allo zucchero filato. << Una minuscola casetta, come quella di marzapane! >>, esclamò entusiasta mimandola con le mani.
Le feci strada verso la dependance: << Prima vivevo nella villa. Ma da quando sono successe tutte quelle cose, e ho dovuto pagare spese processuali e... beh, hai capito... ho dovuto trasferirmi. Era nel contratto di vendita della casa padronale: la villa a loro, la dependance a me >>, le spiegai.
Una volta dentro Eliza mi illustrò il ricco menù mentre prendeva posto al bancone, su uno degli sgabelli. << Abbiamo pancake, salse, fette biscottate, burro, succo di frutta... Un giorno prometto di cucinarti io dei buoni pancake >>, disse con una mano sul petto, giurando solennemente << Ma con quel preavviso... >>.
<< Non preoccuparti, saranno ottimi lo stesso >>.
E invece no, facevano davvero schifo. CI guardammo con una smorfia di disgusto e scoppiammo a ridere. Ma era la sua presenza, la sua essenza inebriante, ad essere davvero importante. I pancake potevano finire direttamente in pattumiera, a mio parere.
Lei non era dello stesso parere: era di fianco a me che divorava la sua colazione con la voracità di un diavolo della Tasmania e mi sorpresi a fissarla, con il boccone a mezz'aria. Conoscevo a memoria il suo profilo: i capelli biondi acconciati come
una dama del Medioevo, gli occhi di un intenso azzurro, il naso sottile... Sapevo cosa faceva per vivere, sapevo che era una donna forte e spigliata e solare...
<< Da dove vieni? >>.
… ma non conoscevo nulla della sua vita precedente. Lei si. Mi ero esposta molto più di lei e questo mi faceva sentire a disagio.
Eliza mise in bocca un'altra forchettata prima di biascicare un soffocato << Australia >>.
Ne rimasi sorpresa. << Addirittura così da lontano? >>.
<< Eh già >>.
<< E com'è l'Australia? Mi piacerebbe visitarla, un giorno >>.
Notai la leggera ruga che le si formava tra le sopracciglia mentre pensava. Stava cercando la risposta adatta da darmi. << E' molto selvaggia. Molto più del sole di Los Angeles. A metà tra la civiltà e il selvaggio>>.
<< Tutto è estremo: deserto, caldo, onde... L'uomo può fare ben poco, ed è questo che amo della mia terra >>. Per un momento gli occhi le si erano persi nel vuoto. Vedeva casa sua?
<< Ti manca? >>.
<< Da morire. Mi manca la mia casa in mezzo al deserto e le onde del mare. Qui non sono le stesse >>.
<< E hai mai visto i canguri in libertà? >>.
Così, con il mento appoggiato alla mano, mi ritrovai ad ascoltare tutte le magnifiche storie che teneva in serbo per me. E quando ne finiva una, ero lì, pronta a chiederne di più. Così sentii dello zio Sal che aveva trovato un pitone acciambellato sulla tavoletta del water, della gita ad Ayers Rock con il padre, di come le stelle scintillassero come diamanti nel cielo nero del deserto. Sembravano racconti di un'altra epoca.
Mi stava parlando di come odiasse i koala quando fece una smorfia, portandosi una mano al fianco. Scattai in piedi, improvvisamente preoccupata. << Va tutto bene? >>.
<< Ogni tanto capita. La caduta si fa sentire >>, cercò di rassicurarmi. Ma la smorfia persisteva.
<< Fa vedere >>, ordinai.
Non potei non notare gli occhi spalancati di Eliza. << Davvero, non è niente. Non c'è bisogno che... >>.
<< Ti imbarazzi per così poco, Wanheda? >>, la provocai scherzosamente. Sapevo cosa potesse sembrare, ma ero seriamente preoccupata. Eliza non mi era parsa particolarmente abile nel prendersi cura di sé stessa.
<< Non vorrei metterti in una posizione scomoda >>.
<< Voglio solo assicurarmi che tu stia bene. Non voglio che ti prenda qualche infezione >>.
La guardai intensamente, aspettando un suo assenso. Alla fine, chinò il capo << Che vuoi che faccia? >>.
Le indicai di sedersi sul piano dove avevamo mangiato fino ad allora per avere una maggiore visibilità. Poi, le afferrai il lembo della maglia, sollevandolo il meno possibile. L'idea di quella pelle nuda sotto le mie dita, che mi faceva girare già la testa vennero spazzati via dalla vista della benda intrisa di sangue.
<< Eliza! >>, la ripresi. Mi allontanai, andando a prendere bende e nastro per rifare la medicazione. << Devi stare più attenta. Se strappi la crosta, non ne verremo più a capo! La ferita è abbastanza profonda da sanguinare ancora tanto. Cerca di stare più attenta >>.

Dal tavolo dove era ancora seduta mi lanciò un sospiro lamentoso << Si, mamma! >>.
<< Dai, leva quella roba. Ti cambio la benda >>. Con mani veloci disinfettai i tagli profondi, controllando che non ci fossero sassolini incastrati nella carne. Le appoggiai la benda sul fianco e sigillai tutto con la garza.
<< Sei molto brava. Sembra che tu lo faccia da sempre >>.
<< Prima che succedesse questo casino studiavo per diventare medico >>, confessai. Mi guardò dall'alto, cercando altre spiegazioni.
<< L'università costa >>, ammisi, con la voce che si spezzava. Era doloroso, e meno ne parlavo, meglio sarebbe stato.
Cercai di spazzare via la tristezza. Il lavoro era concluso e mi alzai. Ma la mia mano era ancora sul suo fianco ed ero talmente vicina da notare le pagliuzze d'oro nei suoi occhi.
<< S-scusa >>, balbettò lei, come se fosse colpa sua. Si stava trattenendo dal suo solito comportamento provocante. E una volta che lei si impegnava a fare la brava, ecco che io perdevo la testa.
<< No, non fa niente... >>, tentai di dire, afferrando la prima cosa che trovai -uno straccio- per tenere le mani occupate. Mi feci indietro per darle modo di scendere dal tavolo e quando lo fece lo spazio tra la cucina e il bancone si fece ancora più piccolo. E di nuovo potei vedere l'oro nei suoi occhi.
Mi sorrise imbarazzata. Si stava per spostare e farmi posto. Dovevo lasciare che si spostasse. Avevo bisogno che si spostasse. Eppure, le afferrai un polso tirandomela addosso. E le mie labbra furono sulle sue in un attimo.
Ed erano così morbide... sapevano di sciroppo d'acero e farina. Così esitanti sulle mie che pareva tremassero. Le misi una mano sulla guancia e l'altra sul fianco malandato. Non ero di porcellana ed ero stata io a cominciare: continuava a proteggermi da sé stessa, ma in quell'attimo, in quello scorcio di mondo dove si poteva fuggire dalla realtà, l'unica cosa che volevo erano le sue labbra sulle mie. Stentavo a riconoscermi, ma il pensiero di Marcus era lontano dalla mia mente.
Sentii Eliza prendere coraggio e le mie labbra si schiusero come per istinto. Era dentro la mia bocca, così calda e morbida e sensuale e passionale. Gemetti nella sua bocca.
Sentii afferrarmi dietro le cosce e assecondai il movimento. In un attimo le posizioni si erano ribaltate: ora ero io seduta sul bancone, ed Eliza era tra le mie gambe. Era come essere una cosa sola: eravamo l'onda e la sua risacca, che si rincorrono con coordinazione divina. Le sue mani sul mio corpo erano il ghiaccio, i baci sul mio collo erano caldo fuoco. E anche io ero infuocata: il mio corpo bruciava a contatto con il suo. Con le mani tra i miei capelli, mi insegnava dove più le piaceva essere baciata.
Le morsi un lobo e lei ridacchiò; mi sciolsi in un sorriso anche io per poi tornare a rabbrividire. Vidi la sua mano, aperta e tesa, accarezzarmi la coscia con il palmo. La fissai con interesse mentre saliva, mi accarezzava il gluteo, e poi più in alto, sfiorarmi con i pollici le anche, il ventre, su e su, lambirmi i seni ancora celati. Liberai l'aria che trattenevo in un ansito. Aspettavo che continuasse: ero intenzionata a prendermi tutto quello che quel giorno avrebbe avuto da offrirmi.
E invece, un trillo ci fece sobbalzare entrambe. Gli occhi di Eliza tornarono un po' più presenti, ma il cellulare dovette squillare altre quattro volte prima che lei si rendesse conto da dove il rumore provenisse. Mentre lei rovistava nella borsa cercando il cellulare, io mi passavo le mani nei capelli, improvvisamente consapevole di quello che avevo fatto. Non mi sentivo in colpa. Ero dispiaciuta che qualcosa ci avesse interrotte -di nuovo. Era questo che più mi turbava.
<< Merda >>, sentii sussurrare Eliza mentre trafficava con il cellulare.
<< Cosa c'è? >>.
<< Era un promemoria. Cazzo, perché uso promemoria che non servono a un cazzo?! Promemoria! Dovrebbero ricordare alla gente di fare qualcosa. Ma se me lo ricordi 5 minuti prima, come fa uno a ricordarselo?! >>, “Due parolacce nella stessa frase. Non è un buon segno”. Intanto tirava su le sue cose alla rinfusa, creando più caos ancora.
<< Senti, scusa. Vorrei davvero trattenermi -davvero, davvero tanto, credimi. Ma questo appuntamento non lo posso proprio perdere... >>, tentò di giustificarsi. Anche io tentai di nascondere la delusione. Avrei voluto avere tempo fino all'alba successiva.
<< Devo chiamare un taxi... >>, si lamentò, infilando le cose in borsa con una mano e cercando di sistemare la tavola con l'altra. Sembrava davvero preoccupata.
<< Dai, monta in macchina. Ti ci porto io >>.

Durante tutto il tragitto, avevo stritolato così forte il volante da fare diventare bianche le nocche. Avevo messo la radio a palla, ma l'imbarazzo non era legato al silenzio che regnava nell'abitacolo. Serpeggiava tra di noi.
Eravamo accostati sul ciglio di una strada secondaria: il palazzo dove abitava l'amica di Eliza era proprio di fronte a noi.
Stava per far scattare la serratura della portiera quando, senza guardarmi, chiese: << Sei già pentita? >>.
Tutti gli organi coinvolti nella reazione “combatti o fuggi” si attivarono. Non volevo affrontare la questione in quel momento, ma L.A. non è la savana.
<< Non sono pentita, Eliza... E' che... non so bene come comportarmi ora >>.
<< Di solito succede quando baci una ragazza e sei fidanzata >>, mormorò, alzando lo sguardo su di me. << Possiamo fare finta di niente. Davvero. Capisco che possa essere la debolezza di una volta: eri stanca, e io... non sono la persona migliore quando c'è da mettere un freno alle cose... >>.
Gli occhi mi divennero improvvisamente lucidi. Avevo paura di come avrebbe potuto continuare. Di nuovo, però, venimmo interrotte dalla suoneria del cellulare. Era la terza volta che si intromettevano: non avevo mai odiato tanto la tecnologia.
<< Scusa, mi chiamano per sapere dove sia finita. Riprendiamo il discorso un'altra volta, va bene? >>.
<< Certo >>, risposi, atona.
<< Grazie mille del passaggio >>, disse. E scese, attraversando la strada ed entrando nell'androne di quel palazzo.
“Dimmi come faccio a far finta che non sia successo niente se mi aspetto un bacio quando scendi dalla mia fottuta macchina, Eliza”.
Decisi che forse era il caso calmarsi un po' prima di affrontare di nuovo il traffico di Los Angeles dell'ora di punta così parcheggiai meglio, all'ombra di un albero. E lì, tra i pioppi che cadevano copiosi, scorsi dei capelli biondi e un giubbotto di pelle di daino che correvano fuori dal grosso palazzo dove era entrata qualche minuto prima.
Socchiusi gli occhi, cercando di vedere meglio: ma chi altri poteva avere quel colore di capelli, quell'abbigliamento ed uscire da quello stesso palazzo, se non Eliza? Perché se ne stava andando?
La curiosità uccise il gatto, eppure lui non si astenne. E così chiusi la macchina e decisi di seguirla. Erano affari suoi, indubbiamente. Ma perché mentirmi? Di sicuro non c'era nessuna amica, né li né nella clinica dove era entrata. “Arkadia, poliambulatorio medico”, recitava la scritta appesa sul cancello.
Cercando di non farmi beccare con le mani nella marmellata, entrai. Il posto era molto più grande di quanto si potesse indovinare dall'esterno e la hall abbastanza affollata perché Eliza non mi vedesse.
Cosa ci faceva in una clinica privata? Quando casa sua si trovava nei sobborghi e gridava a gran voce quanto i suoi conti fossero in rosso...
La seguii tra i corridoi intonacati in tonalità chiare e raffinate fino ad un altro piccolo atrio con belle poltroncine soffici. Eliza però non si fermò in quella sala d'attesa, come avrebbe fatto qualsiasi paziente. Andò diretta alla porta e bussò.
Ne uscì un uomo alto, pelle scura e riccioli neri, vestito con un camice bianco e lo stetoscopio al collo. Eliza gli saltò al collo, abbracciandolo stretto. L'uomo le accarezzò i capelli e poi, con una mano dietro la schiena, le indicò una stanzetta appartata di fianco al box delle infermiere.
<< Signorina, ha bisogno d'aiuto? >>, mi fece sobbalzare una voce dietro di me.
<< N-no >>, balbettai. << Credo di aver sbagliato giorno >>. E me ne andai, intenzionata a non versare nemmeno una lacrima.




Nella foresta del Panda


Salve a tutti! Sono viva.
Mi scuso per il ritardo che si è protratto più di quanto previsto. Ma tornata dalla vacanza mi sono accorta che la storyline era incompleta e ho dovuto aggiustare due o tre cosine. Ora tornerò a rispettare la scadenza settimanale (spero!).
Primo capitolo POV Alycia, alla fine ho seguito il consiglio. Non amo i cambi di narratore, ma mannaggia a me quando ho iniziato a scrivere questa storia in prima persona! Quindi ho dovuto per forza introdurre questo punto di vista.
Non so se vi sareste aspettati questa Alycia. Ma, insomma, un po' di grinta ci vuole no? L'ho immaginata come una  ragazza difficile ad aprirsi, leggermente diffidente. Ma una volta sfondato il muro, rivela tutta la sua carica. Spero non vi dispiaccia questa piega :). Eliza invece cerca di farsi indietro proprio per il suo bene. Perchè il senso di colpa, prima o poi arriverà! E se non il senso di colpa, di sicuro Alycia si darà della stupida visto l'atteggiamento intimo di Eliza e quel tipetto all'ospedale -è Wells, tra l'altro!
Il commento finale sembra sempre una lista della spesa, scusate. Ma per fare l'HTML dei capitoli ci metto le ore -ore davvero, non scherzo. Il programma credo mi odi.
Che dire... ovviamente, se voleste regalarmi un po' del vostro tempo per un commentino, siete sempre i benvenuti! E mi fareste molto, molto, molto felice.
Alla prossima settimana,

Blu Panda

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Capitolo 5
*** Sweetheart ***


SWEETHEART

 

Eravamo sulla porta dello studio di Eli, pronti a separarci. Sembrava un'eternità da quando l'avevo visto l'ultima volta: ora, con quel camice bianco sembrava un uomo, non più il ragazzino pelle e ossa che viveva vicino a me.
<< Mi ha davvero fatto piacere rivederti, Eliza. Dovremmo prenderci una birra insieme, qualche volta >>.
Era stato gentile: nonostante il mio problema non fosse proprio la sua specialità si era offerto di dare un'occhiata in nome dei vecchi tempi. In quel caldo pomeriggio di settembre, quando l'avevo incontrato, non avevamo nessun conto in sospeso, non ci vedevamo da
anni, eppure mi aveva teso una mano.
Così gli sorrisi, assicurandogli che si, mi avrebbe fatto un immenso piacere rivederlo.
Con un ultimo abbraccio affettuoso mi congedai, percorrendo a ritroso la strada verso l'esterno.
Quel giorno pareva davvero autunno, almeno in quella parte di città: la strada per la stazione del bus era costeggiata di alberi dalle foglie ramate e scure, che cominciavano a seccare e cadere sulla testa dei passanti.
Mi piaceva quel periodo dell'anno, così freddo da tentarti di rimanere sotto le coperte, la mattina presto, ma non così tanto da rinchiudersi in casa. Si poteva passeggiare senza che le dita si intirizzissero e scaldare il naso nel fumo del caffè di qualche baracchino.
Ma queste cose le avevo imparate qui. In Australia era raro aver bisogno di un maglione.
Persa nel guardare in alto non avevo più la cognizione del tempo, né ero del tutto certa di dove fossi. Tornai in me quando uno strattone mi riscosse.
In una frazione di secondo, mi ritrovai addossata al muro di un vicolo, un energumeno che mi teneva ferma con un solo braccio schiacciato contro il collo.
Il cuore cominciò a battere come quello di un colibrì, tanto ero spaventata.
In un lampo passai in rassegna tutte le peggiori cose che mi sarebbero potute capitare. Ma nessuna di quelle era più spaventosa di ciò che mi si parò davanti: un incubo sotto forma di uomo, che sbucò dalle tenebre come se ne fosse stato creato.
Avrei riconosciuto quella voce tra mille. Vedere la sua fronte alta, le labbra strette, il torace massiccio, mi confermò solo le mie paure.
<< Quanto tempo, Eliza! >>, esclamò, allargando le mani in segno di saluto. << Quasi quasi ho pensato che mi stessi evitano! >>,.
Lo fissai con gli occhi sgranati colmi di terrore.
<< Ma poi mi sono detto: “Ehi! Siamo così amici, Eliza ed io! Perché mai dovrebbe fare una cosa del genere! D'altronde, non mi deve certo ventimila dollari”, Non è vero? >>, La sua voce era cresciuta ed era diventata un urlo, mentre pronunciava l'ultima frase.
Trattenni il fiato e serrai gli occhi, stringendo quel braccio che mi impediva qualsiasi movimento.
Se avessi avuto qualcuno da pregare, l'avrei già fatto.
Jason si era fatto più vicino. << Zuccherino >>, mi chiamò con la voce vellutata, << Davvero io non ti voglio fare del male. Ma tu mi costringi... I debiti vanno saldati, lo sai anche tu >>.
<< Ti ho dato tutto quello che avevo! >>, cercai di difendermi, con un filo di voce.
<< Ah, lo so bene. Mai io in qualche modo dovrò pur campare! >>.
<< Anche io devo campare! >>.
Mi guardò con il rimpianto con cui si guardano i figli ormai cresciuti. Che viscido figlio di puttana.
<< Non facevi tutte queste storie una volta. Ricordo che sei venuta da me in lacrime, sconvolta. Ti sei seduta sul mio divano e non smettevi più di tremare! Proprio come ora >>.
Non sapevo più cosa dire. Aveva il coltello dalla parte del manico... Sperai che non volesse usarlo.
<< Ti prego, lasciami andare >>, tentai. Trattenevo le lacrime a stento, per puro orgoglio.
Se avesse voluto farmi del male, non avrei fatto la vittima. Non mi avrebbe vista piangere.
Jason però mi sorprese: << Ma certo che ti lascio andare, sciocchina! >>, esclamò, ridendo.
Fu un lampo: in un attimo era tornato serio, affilato come una lama.
<< In ogni caso, hai due giorni. Poi ti scoverò e ti verrò a prendere. E se non potrò riavere quei ventimila dollari, mi prenderò altro, Eliza. E una sola scopata non li vale, tutti quei bigliettoni. Quindi preparati. Buona fortuna zuccherino >>, e mi strizzò l'occhio.
Ad un gesto della sua mano, lo scagnozzo mi lasciò andare.
Senza più il sostegno del suo braccio, le ginocchia mi cedettero e scivolai a terra.
Di colpo fui di nuovo la ragazzina spaventata di pochi anni prima
Non so quanto rimasi li, con la testa tra le mani, premendo forte per trattenere tutto dentro, come se da un momento all'altro potesse esplodere.
Era calata la sera quando mi rialzai da quel vicolo umido.
Si, dovevo andare. Ero talmente spossata da non avere nemmeno la forza di avere paura. Sapevo che era un'illusione, che ero solo sotto shock: avevo visto cosa succedeva a chi non ripagava i debiti con Jason e non volevo che capitasse anche a me.
Gli dovevo ventimila dollari. Ventimila dollari... e avevo a malapena i soldi per pagarmi l'autobus.

 

Non so bene perché presi quel bus visto che avrei dovuto andare in tutt'altra direzione.
Però con i pochi spiccioli che mi erano rimasti dalla spesa di quella mattina non potevo permettermi un'altra corsa.
O forse non volevo.
Scesi dal bus, incamminandomi nell'unica direzione familiare.
<< Si? >> gracchiò il citofono.
<< Alycia, sono Eliza. Ti prego, aprimi >>.
<< Eliza, io non credo che... >>
<< Solo un attimo. Devo dirti delle cose >>.
Forse fu la mia voce spezzata, o forse il rumore della pioggia incessante, ma il cancello ronzò e poi scattò.
Mi precipitai dentro, ansiosa di mettere qualcosa tra me e l'esterno.
Corsi verso la dependance a tentoni, con la visuale completamente offuscata dal vapor d'acqua delle goccioline che si schiantavano sul terreno.
Alycia era sulla porta, protetta dalla veranda e stretta in un maglione che si teneva vicino al corpo. Spalancò la bocca quando mi vide. << Ma sei completamente fradicia! >>, esclamò. << Forza, vieni dentro! >>.
Alycia mi fece sedere su uno degli sgabelli e mi portò un grande asciugamani morbido. << Ti prenderai un raffreddore, Eliza. Cosa avevi nella testa? >>.
<< Non sapevo dove andare >>.
La sua voce passò dal rimprovero al preoccupato: << E' successo qualcosa a casa tua? >>.
Scossi la testa, limitandomi a dire un vago: << Non è più sicuro... >>.
<< Eliza. Parla chiaro >>, ordinò Alycia, la bocca ora contratta in una linea sottile.
Sospirai. Non mi andava di raccontare quella storia. Non mi andava che lei la sentisse. Però se ero li, mettendola forse anche in pericolo, glielo dovevo.
<< Oggi... stavo tornando da casa della mia amica quando... >>.
<< Non sei andata da una tua amica >>, mi interruppe, la voce come uno schiocco di frusta, << Smettila di fingere. Ti ho vista >>
Sgranai gli occhi: << Mi hai seguita? >>
<< Si >>, ammise << So che non sono affari miei, ma non mi piace essere presa in giro. E quando ti ho vista uscire da quel palazzo subito dopo essere entrata, mi è venuto il sospetto. Mi do della stupida per aver anche solo pensato che... Non avrei dovuto >>
<< E sei così arrabbiata perché hai visto Eli >>, constatai.
<< Se è quel gigante col camice da medico, allora si, l'ho visto >>.
<< E hai pensato che tra noi ci fosse qualcosa >>.
<< Eravate molto più intimi che una paziente col suo medico >>.
<< Siamo amici da anni. Ha solo acconsentito a visitarmi nonostante non abbia l'assicurazione medica. Mi dispiace di averti mentito Alycia, ma io mi vergogno di quello che è successo. E non ero pronta a parlarne >>.
<< Spiegati meglio >>, disse, affilando lo sguardo. Stava sondando la verità nella mia voce: la cosa più semplice era dirgliela.
<< Tempo fa non ero così nemmeno io, proprio come te. Non ero perennemente sul lastrico. Correvo in moto, come ora, ma era legale, c'erano i campionati, i medici, i meccanici, delle piste vere. Ero bravina, mi stavo qualificando per la finale nazionale, in Australia.
All'ultimo, un incidente come quello dell'altra volta mi ha distrutto la carriera.
Avevo il ginocchio in pezzi, tanto da non riuscire più a reggermi in piedi e non avevo i soldi per pagare un'operazione così costosa. E allora... >>, feci un grosso respiro. << Allora mi sono rivolta ad uno strozzino, contando di tornare a gareggiare subito dopo l'operazione. Ma la riabilitazione è stata più lunga del previsto. E una volta tornata, non c'era più posto per me >>.
<< E non hai potuto pagare il debito >>, concluse Alycia per me.
<< Già >>, confessai << Sono scappata. Mi sono nascosta il meglio possibile. Ma mi ha trovata, proprio oggi. Ha detto che rivuole i soldi entro due giorni, e avevo paura a tornare a casa >>.
Non riuscii più a trattenermi. La voce mi si incrinò e scoppiai in lacrime.
Alycia mi mise l'asciugamano intorno alle spalle e mi venne vicina, circondandomi con le sue braccia, come se fosse la mia corazza. Le abbracciai la vita e lei mi tenne stretta, carezzandomi la schiena e i capelli fradici.
E fu una crisi di pianto senza precedenti: quell'uomo mi spaventava a morte, le sue minacce mi facevano raggelare d'orrore fino alle ossa.
Rabbrividii.
<< Hai ancora freddo? >>.
Annuii. Le braccia d Alycia mi strinsero più forte. Alzai gli occhi verso di lei, per sorriderle, cercando di farle sapere quanto le fossi grata.
E mi trovai le sue labbra sulle mie, per la seconda volta in quel giorno. Fu un bacio diverso: non era vorace, passionale, infuocato.
Fu dolce, una ventata fresca sul mio viso congestionato dal pianto. Mi stava baciando perché dimenticassi, come un incantesimo d'oblio.
Il bacio si fece sempre più intenso, le sue labbra aperte erano la porta per l'inferno.
Quella ragazza non mi lasciava il tempo d'erigere barriere abbastanza alte che già tornava all'attacco.
Questa volta non sarei riuscita a mantenere il controllo per entrambe. Con l'ultimo briciolo di sanità mentale le misi le mani sulle guance e la allontanai quel tanto che bastava per guardarla negli occhi: << Sei sicura? >>. non c'era bisogno di specificare ulteriormente.
Alycia asserì con il capo, le gote arrossate.
Senza più barriere, con il suo tacito assenso dalla mia, le sfiorai la pelle nuda sotto al maglione, facendola sussultare. Sospirò sulle mie labbra.
Notai il suo tentennamento: doveva essere la prima volta che toccava una donna in quella maniera. Le sorrisi, cercando d'essere rassicurante.
In una camera totalmente dipinta di verde, la feci stendere sotto di me, continuando a carezzarla come un gatto impaurito.
La verità era che i suoi baci mi davano alla testa come fossero vino dolce.
Quando mi sfilò la maglia, capii che non avrei più avuto la forza di fermarmi.
Mi chinai per baciare un seno di Alycia, tesa come una corda di violino. Appena la mia lingua le circondò un capezzolo le sue mani, su di me, si bloccarono. Si lasciò sfuggire un gemito.
Stavo facendo l'amore con lei, e questo non mi sembrava vero. Le sorrisi sulla bocca.
<< Cosa c'è? >>.
La fissai negli occhi, per farle capire che si, ero seria: << Sei bellissima >>.
Alycia rise.
<< Non fare la stupida. Torna a baciarmi >>.
 


Nella foresta del Panda

Buongiorno a tutti!
Lo so, è un capitolo cortissimo... Scusate.
Sto cercando di bilanciare i capitoli iniziali con quelli finali, usando il capitolo POV Alycia come una specie di fulcro, di perno.
Non è per niente funzionale alla storia, ma a mio parere da un po' di ordine e simmetria. No, giuro che non sono pazza. Spero solo di riuscire a produrre qualcosa più lungo di 1900 parole... -.-" Comunque, a buon intenditore poche parole: come avret capito la storia è entrata nella sua parte terminale, è quasi finita. Manca davvero poco e ho le idee chiare su dove andare a parare. *Me che sfoglio una margheritina dicendo "poiana... non poiana... poiana...". Chissà!
A presto!

Blu Panda 
 

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