Lytrusis

di Toms98
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Anachórisi ***
Capitolo 2: *** Odoiporìa ***
Capitolo 3: *** Apórrhton ***



Capitolo 1
*** Anachórisi ***


Capitolo 1 – Anachórisi

Cantami, o Musa, dell’Atenïese
E'l viaggio ch'intraprese per volere

D’alto fato e per una saggia dea.
E narrami della ciurma e del legno
Che mille e mille mari solcò sola
E dell’isola che cela all’indegno.

 
Il sole tramontava rosseggiando il cielo attorno a lui quando Aristocle, capo dei funzionari del porto, siglò l’ultimo permesso d’imbarco del giorno e tornò verso la sua modesta capanna poco fuori il porto, dove iniziava la vera Atene. I capelli neri cominciavano a confondersi con il cielo, e così anche la sua barba, nera anch’essa. Gli occhi verdi però spiccavano e quasi stonavano in quel quadro notturno, ma la loro vuotezza e un velo di antica tristezza li copriva e non li rendeva brillanti come erano sempre stati. La corporatura possente lo faceva apparire quasi come un semidio, ma il naso rotto e qualche livido rendevano una buona idea della sua fama da rissaiolo. Stava, appunto, rientrando sull’imbrunire nella sua modesta casa, quando una figura femminile, una giovane ragazza, gli si avvicinò trafelata. I capelli biondi brillavano nonostante il buio, quasi ad attrarre l’uomo come una falena lo è dalla fiamma di una torcia. Si affiancò all’uomo e lo fissò, poi parlò: << Scusami, sei tu Aristocle di Atene, funzionario del porto. >>
Lui la fissò, e notò gli occhi verdi come i suoi, dopodiché rispose: << Sì, chi lo chiede? >>
<< Siamo attraccati ora con la nostra nave, ma abbiamo bisogno del permesso per tenere una scorta alle nostre provviste. >> disse lei, indicando un punto indefinito del porto.
<< Il sole è tramontato e io non lavoro nel regno di Nyx >> rispose secco Aristotle, poi con un braccio la allontanò e si avvicinò alla porta di legno. Provò ad aprirla ma fu fermato dalla candida mano della giovane che gli tratteneva la tonaca. Sbuffando, l’uomo se ne liberò, ma prima che potesse muoversi la bionda disse: << Sono pronta a pagarti con tutto quello che vuoi. >>
<< Non mi interessi, grazie. >>
<< Parlo di oro, argento o bronzo. >>
Le orecchie di Aristocle scattarono appena sentì il peso della sua paga. << Quanto ne hai? >> chiese lui, senza ancora voltarsi.
<< Più di quanto pensi >> disse lei languida.
<< Io ne immagino veramente tanto. >>
<< Ripeto, più di quanto pensi. >>
Aristocle ridacchiò e si voltò, poi si diresse verso il porto dicendo: << Sei veramente saggia, lo sai? >>. La ragazza lo superò per indicarmi la strada dicendo: << Me lo dicono in molti! >>
Arrivarono al molo, dove isolata dalle altre si trovava un enorme vascello, con due ponti, dici uno più elevato su cui stava il timone, dotato di grandissime e strane vele. “Fenici. Ne inventano sempre una nuova.” pensò l’uomo, poi prese da una sacca che aveva a tracolla un papiro e iniziò a compilare dettagli sulla nave. Poi passò a fare domande, sempre osservando la nave: << Nome? >>
La voce femminile dietro di lui rispose: << Lytrusis >>
L’uomo annotò il nome, poi annotò altri particolari, quindi continuò con le domande. << Cosa trasportate? >>
<< Per la verità, niente! >> disse la donna.
L’uomo si voltò spazientito cercando quell’insolente ragazzina, ma al suo posto vide una donna armata di tutto punto in una corazza di una strana lega che brillava come un sole. La candida pelle riluceva come il metallo se non di più. Aveva imbracciato un enorme scudo dorato che non teneva però alto, quasi a tenerlo nascosto. Una civetta si avvicinò a lei portandole un elmo, ma lei non lo indossò e lo tenne semplicemente sopra la testa. I capelli biondi erano ora diventati ricci dorati e gli occhi erano diventati di un azzurro vividissimo. Aristocle rimase stupito e non preferì parola. << Sono più che certa che conosci chi io sia. >> disse la donna.
<< Atena, mia dea, io… >> disse l’uomo, ma la Pallade lo fermò con un gesto della mano. << Ti osservo da un po’. >> disse la dea << So di tutta la tua storia, di come sei passato da difendere una città a fare lo scaricatore di porto. So dei debiti che hai, sia di soldi che di onore. È per questo che mi servi. >>
<< Tutto quello che desideri, mia padrona! >>
<< Cerca al porto una ciurma, quanti uomini ti servano, e salpa verso Ovest. Attraversa le colonne di Eracle, cosa che ti sarà permessa da una benedizione su questa nave, e procedi di trenta gradi a Nord per tre albe. Al sorgere della terza giungerai all’isola di Moira, un dominio di Persefone, ove tornerai il Tempio del Destino. Qui dovrai entrare tu soltanto, nessuno deve seguirti, e recuperare al centro del naos il leggendario Scudo di Achille. Ma stai attento, l’isola è protetta da Persefone, la regina degli inferi, e avrà messo dei mostri demoniaci a difesa della sua isola. Sei pronto per questa ardua impresa? >>
Aristocle deglutì e fissò sudando freddo la divinità. << Se mi è concesso, posso sapere a cosa serve uno scudo del genere? >> chiese lui titubante.
La dea sorrise fissandolo, poi il sorriso divenne più scuro e riprese il discorso: << Se tu, come penso, conosci Odisseo, il re di Itaca, probabilmente ti sarà stato detto che è morto in mare. In realtà sta è vittima di un viaggio sfortunato, e cercherò di donargli questo scudo per difenderlo dai pericoli. Ora, accetterai? >>
<< Sì! >> disse non senza una nota di paura l’uomo. Soddisfatta, la dea fece per andarsene andarsene, ma prima di svanire nel nulla disse: << Vai ora, troverai che il porto è molto affollato stasera. Inoltre, se nel tuo viaggio dovessi trovare un problema che non sembra avere soluzione, ricorda che il modo migliore per venirne fuori è sempre buttarsi dentro. >>
Lasciato solo davanti alla imponente nave, ad Aristocle non rimase altro che voltarsi ed andare verso il cuore del porto, vicino all’agorà. Stranamente, nonostante la fredda notte d’inverno, la zona brulicava di persone festanti. Stupito, l’uomo si avvicinò ad un fanciullo, il quale disse che era giunta da Tebe un imponente nave e il capitano per festeggiare l’arrivo aveva indetto un banchetto. Chiese quindi a quel fanciullo di spargere la voce che stava cercando una ciurma e diede due dracme per convincerlo. Si diresse quindi verso il banchetto per potervi partecipare. Probabilmente gli avevano mandato un messo mentre Atena lo istruita nel suo compito, quindi era sicuro di essere nella lista degli invitati. D’altronde, a meno di strani cambiamenti, l’unico tebano che aveva il fegato di indire un banchetto nella Polis non poteva che essere il suo caro amico Poliarco.
Arrivò alla casa in cui vi era la festa. Fuori, ad accogliere gli ospiti c’era Poliarco stesso. << Sono già ubriaco o quello è Aristocle. >> disse sorridendo e tendendo le mani per un abbraccio. << Conoscendoti, Poliarco, entrambe le cose. >> disse rispondendo al gesto dell’amico, poi si lasciò introdurre all’interno. << Fatto buon viaggio? >> chiese Aristocle. << Oh, credimi, ora che Troia è caduta i traffici sono molto più semplici. Ti direi che ci sto rimettendo, ma non mi piace mentire agli amici. >> rispose l’uomo, mentre dei servi porgevano dei bicchieri di vino ai due convittori.
<< Ma dimmi, >> disse l’uomo << Come va al vita qui da voi? >>.
Aristocle sorseggiò lentamente il vino mentre pensava a cosa rispondere. Decise di provare un approccio diretto, quindi si asciugò le labbra con il dorso della mano e esulò completamente la domanda, arrivando al nocciolo della sua: << Sto per salpare per un’impresa eroica, vorresti unirti a me? >>
Dapprima la reazione del mercante fu una risata incontrollata, ritenendo tutto ciò uno scherzo, poi mano a mano che i secondi passavano scemò verso una via di mezzo tra il cupo e il dispiaciuto. << Queste non sono cose che si organizzano dalla sera alla mattina. Tu sai che io sarei disponibile a seguirti anche ora, ma purtroppo devo ripartire per affari tra tre giorni. Permettimi di fornirti almeno una nave. >>
<< Grazie per la tua immensa generosità, ma ho già il mio mezzo. Quello che mi manca è una ciurma. >> rispose Aristocle, tentando di mascherare lo sconforto che il “no” aveva provocato in lui. Si sentiva quasi tradito, ma ben capiva le ragioni dell’amico, che si offrì nuovamente di aiutarlo: << Allora permettimi di presentarti i miei più fidati uomini. >> detto ciò gli indicò quattro uomini che stavano parlottando. Si notava subito i loro anni di esperienza come marinai dai calli sulle mani e dalle cicatrici << Prendi uno di questi e fidati che ti basteranno per qualsiasi viaggio. Abbiamo Apollonio, Zenone, Eliodoro e Melazzo,  scegli chi preferisci. >>
Nel frattempo entrarono dei nuovi invitati e Poliacrilico andò a fare gli onori di casa, lasciando Aristocle a parlare con gli uomini della sua ciurma. << Chi di voi sa guidare una nave? >> chiese al gruppetto. Un coretto di grugniti si levò a risposta, che poteva essere interpretato solo come un “per chi ci hai preso, per degli incompetenti?!”. Vedendo che c’era l’imbarazzo della scelta, l’uomo iniziò a raccontare dell’incontro con Atena e della missione che aveva da compiere. Ora, col senno di poi, si può ben capire che la cosa fosse un clamoroso errore da parte dell’ateniese e ben si intuisce che questo racconto scatenò una reazione ilare da parte del gruppetto, che si allontanò prendendolo per pazzo.
Arresosi di provare a convincere quegli uomini, Aristocle scrutò a destra e a manca per capire se ci fosse qualche altro possibile marinaio. Un vecchio gli si avvicinò zoppicante e curvo su un bastone. Grosse pelli di maiale e forse cane ne coprivano la gobba sulla schiena. L’odore di sporco che lo seguiva faceva pensare che fosse un povero mendicante. << Giovane, ti serve un nostromo? >> chiese il vecchio con una nota minima di pazzia << In tal caso, puoi contare su di me, Solone di Melibea! >>
Aristocle lo guardò con un sorriso finto e insicuro e liquidò velocemente il vecchio pazzo, poi se ne andò verso l’uscita. Fu nuovamente fermato da un uomo basso e barbuto. << Salve signore, lei è Aristocle di Atene? >> chiese l’uomo in vesti molto sontuose e mani piene di anelli.
<< Chi lo chiede? >> rispose lui, incuriosito dell’ennesimo personaggio eccentrico incontrato a quella festa.
<< Un uomo che ha incontrato il piccolo Temistocle che vociferava di un’impresa eroica, quello che organizzi tu e cerco io. Il mio nome è Dilosfene, re dell’isola di Cipro. >>
L’ateniese rimase stupito, quindi volle indagare a fondo: << Per quale motivo un re vuole compiere una missione eroica? >>
<< Vede, io sono divenuto re a seguito di una guerra tra vari pretendenti. Io riuscì a sopraffare tutti grazie ad uno stratagemma che in molti hanno ritenuto infimo. Dopo anni, il mio posto al trono è stato sfidato dal principe Pigmaglione e io per varie ragioni non ho potuto rifiutare, ma sono riuscito a strappare una scommessa. Perciò, per tenermi il mio trono, è previsto che io compia un’impresa eroica. Allora, ha ancora dei posti? >>
<< Ma certamente! Anzi, attualmente sei l’unico membro oltre a me. Se vuoi portare i tuoi bagagli alla nave, permettimi di accompagnarti. >>
Giunti alla nave, il re cominciò ad osservare la nave. La fissò attentamente mentre Aristocle slegava la scala per salire, poi disse: << Legno di quercia vecchio almeno mille anni, ma neanche un segno del tempo. Molte vele, ma nessun remo. Un unico timone, molto spazio sottocoperta e vele con ricami che richiamano il sole. Posso sapere con che divinità siamo “in affari”? >>
<< Come.. >> provò a chiedere l’uomo, ma fu completato dal re stesso. <<…ho fatto? Semplice, questa nave sprizza impossibilità e magia da tutte le assi. Questo denota che ti è stata data da qualcuno non umano. Notando i simboli del sole, ho ristretto il campo ad un paio di dei e un titano, ma siccome Helios non sa costruire navi, ho dedotto si trattasse di una divinità. >>
Detto ciò salì, bofonchiò qualcosa su vari e presunti errori di progettazione, chiamando in causa concetti strambi come aerodinamica e resistenza dell’acqua. Stava appunto lodando il buon spirito di Atena, che si era offerta di proteggerli su quella “bettola a vela che qualche figlio di Zeus ha chiamato barca” quando una figura scura si tuffo dalla postazione di vedetta della nave. Di tutta risposta Dilosfene corse a nascondersi dietro Aristocle, che sfilò la sua spada e la puntò al nemico. L’uomo si alzò, mostrandosi in una strana tunica nera, aperta sul davanti e chiusa da una cintura, anch’essa nera. Il viso, con degli stranissimi occhi a mandorla, era pallido, quasi giallognolo. << Tu chi saresti, per Zeus. >> disse sempre nascosto dietro Aristocle il re di Cipro.
<< Di’ a quello davanti di deporre l’arma, sono qui per lui. >> disse il misterioso.
<< E se non lo facessi? >> propose sarcastico l’uomo
In tutta risposta, questi si voltò, facendo ben illuminare alla luna la scura elsa, decorata in uno strano alfabeto dorato, della spada più lunga che qualsiasi ateniese avesse mai visto. << Il mio nome è Muramasa, e vengo da molto, molto lontano. Sappi che ho saputo della tua impresa e vorrei unirmi. Sono abbastanza esperto di vele ed ho una buonissima vista. >>
Aristocle bofonchiò un “bella spada” per poi schiarirsi la voce e dire: << Sai che si rischia la morte? >>
<< Si-si rischia la mo-morte? >> chiese facendosi sempre più piccolo Dilosfene.
<< Meglio morire in battaglia che perdere l’onore. >> rispose secco il giapponese. Stupito dal coraggio del nuovo alleato, Aristocle gli disse di portare i suoi bagagli sottocoperta e di aiutare il cipriota.
Lui scese dalla nave, gli mancava giusto un timoniere per compiere questo viaggio. Si diresse nuovamente verso la polis. Svoltò dopo un paio di case quando si ritrovò contro due energumeni. Nonostante la luna non lo aiutasse, riconobbe subito chi erano. Provò a scappare, ma altri due erano apparsi alle sue spalle. << Ehilà ragazzi, come ve la passate? >> chiese lui, forzando il più falso dei sorrisi. << Non bene, ma tu puoi migliorare la nottata. >> disse il più grosso e stupido di tutti << Sai, a Kratos non piace chi si dimentica i suoi debiti, né se li deve pagare lui né, ovviamente, se deve essere lui a riscuotere. Ora, è un po’ che tu non ci dai le dieci dracme pattuite, ti sei per caso dimenticato, Aristocle? >>
<< Dite a Kratos di darmi una settimana di tempo. >> provò lui con il solito vecchio copione. Qualcosa gli diceva che non sarebbe bastato a salvare la pelle quella volta.
Infatti i quattro tirapiedi si misero a ridere malignamente, poi quello che aveva parlato prima afferrò il collo della tunica e sollevò l’uomo di un paio di decimetri. << Non so se ci siamo capiti, >> disse l’aguzzino << Kratos vuole o i soldi o TE! Per esperienza, so anche che non ti vuole così… come dire… vivo! >>
Stavano per iniziare a picchiando selvaggiamente quando zoppicando arrivò in quella zona Solone di Melibea. << Oh per Apollo, cosa state facendo a quel povero giovane?! >> chiese il vecchio, con una voce squillante e da pazzo. Uno di quelli gli rispose: << Niente, lo stiamo solo picchiando a morte. >>
<> disse lui nella sua strana voce, ma poi cambiò completamente tono, e quella voce che emanava l’addio ai suoi anni migliori divenne una voce possente e cruda nell’aggiungere: << Pensavo di non avere una scusa per uccidervi. >>
Detto ciò, si alzò in piedi, mostrando che il suo fisico ricurvo era in realtà una salda statua di marmo vivente. Il volto, che prima appariva fiacco e debole, assunse un’espressione più altera mentre l’uomo si strappava le pelli che aveva sulla schiena, rivelando due aspetti stupefacenti. Il primo era una tunica avorio con ricami dorati, ricco abito che in pochi potevano permettersi. Il secondo era un arco d’oro, che era sempre stato nascosto sotto le scarse pelli, a cui faceva da compagno una feretro in cerbiatto con delle lunghe frecce, anch’esse d’oro. Impugnò la sua arma e scagliò un dardo che passò attraverso il bulbo dell’occhio destro di quello che gli aveva risposto, per poi passare velocemente a tutti gli altri, che fecero la stessa identica fine del compare. Quando anche l’ultimo di loro cadde morto, l’anziano si diresse verso Aristocle. << Vedo che non hai imparato la lezione di Atena. >> gli disse porgendogli una borraccia.
<< Cos… Come sai di Atena? E cosa significa lezione? >> rispose lui, scivolando lentamente lungo il muro.
<< Beh, sappi che Atena e io abbiamo combattuto a fianco per molto tempo, ma io almeno ho capito che non bisogna mai giudicare una persona del primo sguardo. >> rispose lui, estraendo a mano tutte le frecce. Vedendo il ragazzo ancora confuso, continuò: << Il mio nome è Filottete. Ho combattuto a Troia,  dalla parte degli Achei. Se hai un minimo di cervello, saprai che dalla nostra c’era la Pallade, ed è lei che mi ha detto dove trovarti e che dopo sarei dovuto tornare a salvarti. >>
<< Filottete di Melibea?! Re Filottete di Melibea?! >> disse stupito Aristocle.
<< Non sono più re, ma è una lunga storia. >> disse l’altro, mentre stringeva saldamente la mano dell’uomo e lo aiutava a salire << Non bevi? Fidati, quella è ambrosia, ti rimetterà in sesto. >>
Sorretto dalla divina bevanda e dalle braccia del vecchio soldato, Aristocle tornò alla nave, dove con quelle poche energie che gli erano rimaste avvisò l’arrivo del nuovo membro della ciurma e la partenza fissata per l’alba di domani. Poi scese sottocoperta, seguito dal suo salvatore. << Posso chiederti una cosa? >> disse mentre si coricava sul letto.
<< Cos’è, vuoi una storia della buonanotte? >> rispose ridendo lui.
<< Più o meno, voglio la tua storia. >> disse Aristocle.
Filottete sospirò lentamente, prima di iniziare il racconto: << Vedi, questo arco fu dato a mio padre da Eracle in cambio della promessa ti tenere segreto il posto in cui sarebbe stata posta la sua pira. È arrivato a me con lo stesso patto, ma tutti mi pressavano per avere una risposta. Così salì sul monte in cui avevamo bruciato il cadavere del figlio di Zeus e lo puntai con un piede. Pensavo che se lo avessi fatto capire senza dirlo a voce non avrei rotto il patto. Mi sbagliavo. Quando fu il momento di partire per Troia, una maledizione mi colpì mentre eravamo a riposare su un’isola.  Un serpente mi morse e la ferita si infettò, provocando odori vomitevoli. Io e Odisseo sapevamo bene che non potevo combattere in quelle condizioni, così mi feci abbandonare sull’isola di Lemno. Tornarono anni dopo dicendomi che non potevano vincere la guerra senza di me. Così andai al campo, dove fui operato mentre una divinità mi fece addormentare. Mi asportarono la ferita e tornai alla battaglia. Vinsi e tornai a casa, ma scoprì ben presto che nessuno dei miei compagni era ancora tornato e raccontato la mia storia, quindi un avido principe fece spargere la voce che io ero maledetto e che tutto il mio popolo sarebbe stato colpito. Si ribellarono e mi cacciarono. Da quel giorno vivo sotto la falsa identità di Solone il povero pazzo. Stavo fingendo di vedere pecore nell’agorà, quando Atena mi si è affiancata e mi ha spiegato tutto. Ora però riposa, domani quando ti sveglierai salperemo. >>
Gli occhi di Aristocle si chiusero lentamente, per poi riaprirsi poco prima dell’alba. Era, suo malgrado, ancora abituato ai vecchi orari. Quando uscì vide qualcosa che non avrebbe mai scommesso fosse possibile. Muramasa stava salendo sull’albero maestro per andare sulla coffa, mentre Dilosfene usava delle apparecchiature per determinare la rotta. Nella parte sopraelevata, non visibile per chi esce da sottocoperta, c’era al timone Filottete. << Capitano! >> disse Dilosfene << Ho impostato la rotta, controllato l’anemometro, calcolato le razioni giornaliere e tracciato il percorso più adatto. Possiamo salpare quando vuole. >>
L’uomo ascoltò attentamente quanto disse il re, poi si rivolse al uomo di vedetta. << Pronto per ogni evenienza! >> disse il samurai. Quindi interpellò anche il nostromo. << Salpo quando vuoi! >>
Era pronto a dare l’ordine quando una voce femminile da sotto, sul molo, lo interruppe. << Voi, della nave! >> disse una figura tanto esile quanto misteriosa. Era una giovane ragazza dai lunghi capelli lisci ed avorio. Gli occhi color ambra perforavano l’anima di chiunque li guardasse, ma un lungo velo rosso con due lembi di tessuto che le arrivavano fino ai piedi, chiusi in fondo da due anelli dorati ciascuno, le copriva metà del volto. Alle due estremità c’erano dei cunei d’oro che venivano dati solo alle sacerdotesse dell’oracolo di Delfi. Portava un vestito marrone scuro e finemente ricamato diviso in due parti: una che copriva il petto e la spalla destra, dove non cadeva il velo; e una parte sotto, una specie di gonna molto più lunga da una parte, retta da una cintura di topazi a cui era legata una striscia di seta rosso sangue. Sopra quella cintura, sul fianco destro, aveva un tatuaggio che raffigurava un teschio e due piccoli pugnali, piccolo ma che sembrava per lei avere grande importanza. Portava infine un guanto rosso alla mano destra, con cui impugnavaa anche un bastone con sulla cima una campana, come tutte le sacerdotesse di Apollo. << Posso seguirvi? >> chiese fissando l’intero equipaggio.
<< Una donna! Sai, non sono un tipo scaramantico, ma non si accetta mai una donna su una nave se vuoi almeno provare a tornare a casa. >> disse Dilosfene.
<< Manchi di rispetto ad una ragazza coraggiosa. >> ribattè Muramasa << Se fosse stata mia imperatrice, mi sarei prostrato ben volentieri ai suoi piedi. >>
<< Per favore! >> tuonò Filottete << Mettiamola ai voti. >>
<< Io voto no per la nostra salvezza! Voglio raccontare questa storia ai miei figli. >> disse Dilosfene
<< Io voto sì per il nostro onore! Voglio raccontare questa storia ai miei figli… guardandoli in faccia. >> controbatté Muramasa, sottolineando con un duro tono di voce le ultime parole.
<< Beh, normalmente in questi casi mi inchinerei ad una sacerdotessa, ma dopo Troia fra me e Apollo non scorre buon sangue. Quindi non contate sul mio parere. >> disse Filottete,  per poi tornare al timone tanto silenziosamente quanto altezzosamente.
Dilosfene quindi riassunte il voto fino a quel momento: << Abbiamo un favorevole, un contrario e un astenuto. Quindi, capitano, il tuo voto è quello decisivo. >>
Aristocle stava per pronunciare un secco “no” quando gli venne un nodo alla gola. Vicino a lui era apparso lo spirito di sua moglie Metrodora. Si mise al suo fianco e si appoggiò al parapetto della nave. << N’è passato di tempo, Aristocle >> disse lei, guardandolo dal basso all’alto. Lui provò a dirle qualcosa, ma lei lo fermò. << Sono venuta qui per un semplice motivo. È da quando è successo che ti osservo e sei riuscito ad evitare tutte le possibilità che ti ha dato la vita. Non sei più l’uomo forte e coraggioso che ho sposato, quindi dovevo fare qualcosa. >>
<< Metrodora, io… >> sussurrò lui, ma lei fu più svelta e riprese: << So cosa vuoi dire, che ti dispiace, che vorresti essere morto anche tu, che almeno una delle due doveva sopravvivere, ma pensa a cosa ti succederà, non a quello che è già successo. Tieni i ricordi per le occasioni in cui saranno utili, tipo ora. Su, forza! Prima di decidere se farla salire o meno, chiedile come si chiama. >> detto ciò si allontanò e passò dietro il marito. << Ti amo, Aristocle. >> disse, appoggiando la sua ombra alla sua schiena. Uno strano senso di freddo attraversò il corpo dell’uomo prima di sparire assieme alla sua amata. Quando fu certo che era sparita, prese un bel respiro e pose la domanda: << Tu, qual è il tuo nome? >>
<< Mi chiamo Teofania >> disse lei, provocando in lui un sussulto. Senza pensarci due volte, disse: << Sali su. >> poi si voltò verso Dilosfene e chiese quanto ci avrebbero messo ad arrivare alle Colonne di Eracle. Il cipriota puntò con l’indice destro verso il sole, mentre inumidì il sinistro e lo alzò dritto in cielo. Muramasa lo guardava come se fosse pazzo, ma lui si limitò a dire: << Arriveremo precisamente al tramonto se partiamo… >> poi attese dieci secondi e rinumidì il dito, concludendo: << …ora! >>
<< Bene. >> disse Aristocle mentre la ragazza era ormai salita, aiutata dal giapponese, poi recisa la cima che li teneva amcorati al molo e disse << Uomini, andiamo! >>

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Capitolo 2
*** Odoiporìa ***


Capitolo 2 – Odoiporìa

Il tramonto era ormai giunto quando arrivarono precisamente alle Colonne. Lì Aristocle diede ordini di procedere, anche se al buio, nel mare considerato da tutti il più pericoloso, addirittura proibito. Aveva appena finito di concordare la rotta con Dilosfene quando si avvicinò a lui la giovane sacerdotessa. << Posso farti una domanda? >> chiese lei, mentre lui scendeva dal piano rialzato. << Certamente! >> rispose lui. Lo sguardo di Teofania era veramente difficile da reggere, come se potesse leggerti dritto nell’anima. Come se questo non bastasse a turbare Aristocle, la domanda sembrava confermare i suoi poteri telepatici: << Tu non mi volevi qui, vero? >>
Spiazzato dalla domanda, l’uomo masticò dei ma e dei però, permettendo alla ragazza di continuare l’attacco: << Sai sembrava quasi che stessi parlando con qualcuno. Chi era? >>
<< Cosa ti dovrebbe interessare?! >> disse lui con una nota di irritazione.
<< Dovrebbe, siccome è questo il motivo per cui sono qui! >> rispose lei con lo stesso tono. Lui si lasciò sfuggire una risata isterica e poi si sedette su un barile. << Io sono nato quindici anni prima della guerra di Troia, così ho evitato di partire, ma una volta compiuti diciotto anni ho deciso di far parte della guarnigione a difesa di Atene. Lo stesso giorno in cui divenni ufficialmente soldato, chiesi ad una ragazza che conoscevo sin da quando eravamo entrambi piccoli di sposarmi. Che fossimo innamorati l’uno dell’altro era evidente, ma non avevo mai avuto coraggio di dichiararmi. Si chiamava Metrodora ed era, beh, bellissima. >> fece in bel respiro per evitare di piangere prima di continuare << Non meno di un anno fa lei inizia a stare male, io impazzisco e chiamo un medico. Quello viene da me sorridendo e dicendo che mia moglie soffrirà a lungo, ma che fra sei mesi avremo un bambino. Io svengo, e quando mi riprendo, lei è lì con me. Arriva il giorno del parto, ma lei sembra non essere in forma. Sta per partorirà una femminuccia, io ho già scelto come chiamarla, ma le levatrici mi dicono che ci sono dei problemi. Quando entro, dopo sei ore di travaglio, mia moglie e mia figlia sono morte, c’è sangue dappertutto. Dopo la loro sorte iniziai ad ubriacarmi, ad essere violento, a non fare più nulla. Sono stato cacciato dal mio ruolo e fui messo a fare il funzionario del porto. Puoi arrivò Atena e poi tu. Vuoi sapere perché sei qui? Il nome che scelsi per mia figlia era Teofania. >> Dopo aver detto ciò si alzò e se ne andò dicendo: << Non l’ho fatto per te, ma per me! >>
Dilosfene stava nel frattempo osservando con sospetto ogni cosa intorno a lui. Quando si avvicinò al parapetto, Muramasa scese con un balzo dall’albero maestro poco dietro, facendolo sobbalzare e quasi cadere dalla nave. << Ehi, tranquillo, voglio solo chiederti se possiamo evitare quella tempesta! >> disse il giapponese indicando delle nubi temporalesche poco lontano da loro. << TEMPESTA! >> gridò il re, prima di mettersi a correre da una parte all’altra della nave ripetendo a tutti di non avere panico e che si sarebbero salvati. Filottete lo guardò e con nonchalance spostò la nave di una trentina di gradi verso sinistra, impostando una rotta per evitare le nubi. Quando il cipriota si fu calmato, iniziò a parlare di tutti i problemi possibili che potevano incontrare nel loro viaggio: << Questo è un avvertimento, Poseidone è contro di noi e ci vuole morti. Dobbiamo subito tornare indietro e fuggire a casa nostra. >>
Filottete e Muramasa si scambiatori uno sguardo di intesa, poi Filottete incominciò: << Dilosfene, se pensi veramente così, posso lasciarti su un scialuppa e tornerai a casa con quella. Certo, solo questa nave può solcare i Mari Ignoti, quindi non so se riuscirai a tornare a casa… >>
Dilosfene deglutì a fatica , poi si mise a balbettare: << Fo-forse è meglio se-se io rimango qui, ma do-dovete ammettere che… no-non è si-sicuro. >>
<< Non è che hai paura, Dilosfene? >> chiese sorridendo il reduce. Subito il re gonfiò il petto e assunse una posa maestosa, poi si schiarì la voce e disse in tono potente: << Per chi mi hai preso, per un codardo? Io sono il re di Cipro, ho combattuto una guerra ardua per prendere ciò che mi spetta e non ho avuto paura neanche un secondo di umiliare i miei avversari e uccidere i loro cavalli. >>
Muramasa si avvicinò di soppiatto alle sue spalle, poi avvicinò la bocca all’orecchio del uomo e gridò: << Scappate, è un mostro! >>. Subito il “coraggioso” re si gettò dietro un barile e rimase lì fermo per almeno dieci secondi, mentre i due burloni ridevano del loro scherzo. Compreso quanto era successo, il re di Cipro uscì fuori dal suo nascondiglio. << Lo credete divertente? Solo perché ci tengo alla mia vita? Avere paura non è un male! >> disse, ma neanche lui ci credeva fino in fondo.
<< Mi domando come uno come te abbia potuto uccidere un uomo. >> disse Muramasa, continuando a schernirlo. << Beh… >> disse lui, mettendo le mani dietro la schiena e ondeggiando, appoggiando prima la punta poi il tacco << Per la verità io non ho mai ucciso nessuno, anzi non ho mai combattuto. >>
Quelle parole, dette a bassa voce e con lo sguardo fisso a terra attirarono l’attenzione di tutti, compresa Teofania, che gli chiese: << E la guerra per il trono? >>
<< Gli altri principi si stavano combattendo con tutte le loro forze, mentre io ero chiuso in casa mia pregando gli dei che nessuno mi attaccasse. >> raccontò Dilosfene << Io non avevo neanche il coraggio di tagliare la gola ad una capra, figuriamoci di uccidere un uomo! Però, mi arrivò questa lettera. Il popolo era infuriato per la distruzione che i pretendenti stavano portando, quindi chiedevano a me, il cipriota più intelligente, di trovare una soluzione per fare in modo che la guerra si calmasse. Pagai quindi una decina di guardie e mi incontrai con gli altri principi per valutare l’opzione di un regno con a capo tutti noi contemporaneamente. Rifiutarono, così mi trovai costretto ad attuare il piano di riserva. Dissi che avremmo deciso il destino del trono con un gioco che simulava una battaglia. Veniva dall’India, si chiamava scacchi, e organizzai una specie di torneo. Essendo l’unico a conoscere quel gioco e a saperci giocare, sconfissi tutti e il popolo mise a morte gli altri pretendenti. Pensate, non ebbi neanche il coraggio di portargli io stesso il veleno. Fino a qui tutto bene, più o meno, ma poi accadde l’immaginabile. Un principe, figlio di uno dei pretendenti, mi accusò pubblicamente di essere un codardo e mi sfidò per il trono. Si chiamava Pigmaglione e mi disse che o avrei intrapreso un’impresa eroica o avrei dovuto sfidarlo a duello. Non volevo abbandonare il trono, perché volevo tenere il mio onore. Quindi, seppur controvoglia, sono arrivato ad Atene e da lì qua sopra con voi. Mi spiace, ma sì, sono un codardo! >>
Muramasa si avvicinò e si inchinò ai piedi dell’uomo: << Scusa se ho osato scherzare di te e spero di non aver ferito il tuo onore, ma se l’ho fatto dimmi come devo pagare >>
<< Tirati su, non merito questi servigi, anche perché non ho onore da ferire >> disse lui aiutandolo ad alzarsi, ma il giapponese lo spostò e si alzò da solo, per poi dirgli: << Non c’è nulla di più coraggioso di un uomo che ammette le sue paure e le affronta a viso aperto. >>
Filottete era l’unico che non stava osservando quella situazione, troppo impegnato a guardare il cielo con aria dubbiosa. << Vuoi affrontare le tue paure? Mi sembra il momento adatto! >> disse lui. Aristocle si voltò verso di lui, e trasse subito le sue stesse conclusioni. << Bonaccia. >> disse << Siamo bloccati qui fino a quando vorrà Eolo. >>
Tutto l’equipaggio sprofondò nella tristezza. Sarebbero potuti morire in mare senza fare niente. Neanche il tempo di proporre una soluzione che la loro tranquillità fu rotta da un lancinante grido di aiuto proveniente dal mare. Tutti corsero a prua, dove videro una figura femminile intrappolata sotto il pelo dell’acqua da un tentacolo che svaniva nelle profondità del mare. << Dobbiamo salvarla! >> disse Muramasa, pronto a sfilare la sua spada e a gettarsi in mare. << Vengo anche io! >> disse Aristocle. I due si gettarono in acqua e nuotarono i pochi metri che li separavano dalla bellissima fanciulla. Non appena però furono vicini a lei, furono afferrati dalle braccia della giovane. Non appena uscirono dall’acqua rivelarono un aspetto squamoso, così come il resto del corpo, mano a mano che il mostro usciva dell’acqua. Ora si vedeva bene il suo vero aspetto, ovvero una parte superiore squamosa che ricordava una donna demoniaca, una parte inferiore di pesce. Filottete attaccò subito il mostro con le sue frecce,  mentre Dilosfene fuggì sottocoperta, lasciando la spada sul ponte. Non appena il primo colpo rimbalzò sulla pelle indistruttibile del demone, questi saltò sulla nave, mostrando tutta la sua grandezza, con una coda lunga più di un uomo, e scagliando i due sventurati “salvatori” fino a poppa. << Stupido mortale, pensi veramente di uccidere Sirena, l’essere più letale che questo mare abbia mai visto? >> Disse lei con una voce dolcissima, in estremo contrasto con il suo aspetto.
<< Piacere, Sirena. >> disse Filottete puntando ancora il suo dardo avvelenato.
<< Stupido, punti ancora la tua arma contro di me? >>
<< Sì, finché non mi dirai perché vuoi ucciderci. >>
<< Mi è stato ordinato così dalla mia regina, Persefone. Non vuole che voi arrivate alla sua isola. >>
<< Poteva scomodarsi di persona la tua padrona! >> disse Muramasa, sfilando la lunga arma che lui aveva accennato chiamarsi katana. Aristocle lo seguì dietro, puntando la sua più corta - ma non meno utile - arma contro di lei. Lei stava per attaccarli, quando Teofania impugnò la lama di Dilosfene e si schierò a fianco dei due, stupendo anche il mostro.
<< Vai via, è troppo pericoloso! >> disse Aristocle, senza togliere lo sguardo da Sirena.
<< So combattere anche io, non credere. >> disse lei. Mentre parlava però, il demone si scagliò contro loro, cercando di colpire proprio la ragazza. Questa però di tutta risposta fece un alto salto e le finì alle spalle, poi passò al contrattacco, provando a colpire la schiena del mostro. Purtroppo il colpo, nonostante l’estrema precisione e la velocità di esecuzione, fu nuovamente bloccato dalla coriacea corazza di squame.
Anche Aristocle e Muramasa colpirono un assalto fulmineo, ma entrambi fallirono. Solo la spada del samurai lasciò un leggero sgraffio su una di quelle placche. Continuarono così, aiutati dalle frecce di Filottete, per un’ora intera. << Ahahaha. >> rise Sirena << Quando vi dicevo che nessuna lama può uccidermi, intendevo proprio questo! >>
<< Forse nessuna lama no,… >> disse Dilosfene, uscendo da sottocoperta << …ma questo sì! >>. Detto ciò si lanciò gridando con una bottiglia in mano, poi tenendo gli occhi chiusi lanciò l’oggetto sul fianco del mostro, rompendolo e facendo spargere il liquido rosso su tutto il corpo. Questa si mise a ridere ancora di più dopo qualche secondo di silenzio, poi provò a sbeffeggiare il mortale quando questi disse a Muramasa: << Svelto, passa velocemente il filo della tua lama su tutte le scaglie del mostro. >>
L’uomo obbedì, e attraversò tutta la nave colpendo le squame della coda. << Cosa pensavate di farmi, pietà? >> disse ridendo Sirena.
<< No, mostruosità dei mari. Il liquido che ti ho lanciato è vino dei miei campi, molto buono, estremamente delicato e soprattutto di facile fiamma. Passando con la sua spada sulle tue scaglie, Muramasa ha prodotto delle scintille dovute all’attrito, che a breve, aiutate dalle fiamme di Helios, faranno bruciare la zona bagnata. >> proprio mentre diceva questo, le fiamme iniziarono ad espandersi sulla corazza di Sirena. Ma lui non aveva finito il suo monologo vincente: << Le tue squame saranno anche indistruttibili, ma sono attaccate alla debole pelle sottostante. Bruciandola, farò cadere tutte le squame che ricoprono quella zona, rendendoti vulnerabile! >>
Come neanche il miglior profeta avrebbe potuto fare, tutto quello che Dilosfene disse si rivelò veritiero e tra le grida Sirena diventò debole alle frecce di Filottete. Avrebbe scoccato, se un enorme massa d’acqua non avesse inghiottito Sirena e l’avesse riportata nel profondo mare, accompagnata dalla voce roboante di Poseidone, il quale disse: << Mortali! Per quanto so che non sia più la piccola bambina che allevai, non posso permettervi di ucciderla. Non ancora! >>
Poi la voce sparì, come il burrascoso mare attorno a loro, la mostruosa Sirena e, per fortuna dell’equipaggio, anche la bonaccia.
Compreso quest’ultimo fatto, Filottete rimise la nave sulla rotta prefissata e scese sul ponte principale per aggiungersi al capannello di persone che si stavano complimentando con Dilosfene per l’idea geniale. << Beh, in realtà è stato tutto un caso: mi ero nascosto sotto il mio letto quando ho trovato la riserva di vino che mi ero portato e sentendo i colpi che davate su quelle piastre mi è venuta l’illuminazione.  >>
Tutti esultarono con delle pacche sulle spalle al povero genio. Solo Muramasa era rimasto sulla prua con la spada sguainata.
<< Muramasa, grazie anche a te >> disse Dilosfene, avvicinandosi all’uomo visibilmente rattristato e abbattuto. << Questa spada si chiama Juuchi Fuyu. >> si limitò a rispondere lui.
<< Pensavo avessi detto si chiamasse katana. >> disse Filottete.
<< La katana è il tipo di spada, Juuchi Fuyu è il nome di questa spada in particolare. Ed è la causa della mia rovina. >> disse lui.
Tutti si guardarono stupiti. << In che senso? >> chiese Teofania.
<< Nella mia patria, solo io e un altro fabbro, Masamune, primeggiamo nell’arte della fabbricazione della katana. Un giorno, per sfida, costruimmo quelle che dovevano essere le spade migliori di tutte, in grado di tagliare tutto quello che si può tagliare e scheggiare tutto quello che non si può. Io costruì l’arma più affilata di tutte, infondendo il sangue dei miei nemici in essa. Quello che ottenni fu una spada potentissima. Provammo la spada immergendosi in un fiume. La mia tagliava tutto quello che incontrava, mentre quella di Masamune risparmiava le innocenti foglie e i pesci. Mentre mi vantano per la mia vittoria, un monaco passò di lì e disse che la mia spada era più tagliente, ma aveva un cuore malvagio. >>. Detto ciò cominciò a arrotolare la manica del suo vestito, mostrando un braccio con profonde cicatrici orizzontali.
<< Muramasa, cosa fa quella lama? >> chiese preoccupato Aristocle.
<< Vedi, ha un debito di sangue da quando è stata creata. >> disse lui << Deve essere sempre bagnata del flusso rosso della vita prima di essere riposta. Quando riesco a ferire o uccidere qualcuno, uso il suo sangue, ma in caso non abbia nessuno… sono costretto a questo. >> quindi passò velocemente la lama sul suo braccio, producendo uno sbrago sanguinante. Dalla ferita grondava sangue, che fece scendere lungo il braccio fino al gomito e da lì, goccia a goccia, sulla lama. Quando ci fu una buona porzione di filo color rosso sangue, rimise la spada nel fodero e si avvicinò ai suoi amici, tenendosi il braccio.
Subito corsero a medicarlo Teofania e Aristocle, mentre Dilosfene affermava: << Sei un uomo di grande onore, Muramasa. Te ne devo atto. >>
Mentre i tre uomini greci tornavano alle loro mansioni, Teofania rimase a fasciare la ferita del samurai. << Devi essere veramente forte d’animo se non hai paura di quella lama. >> osservò lei.
<< Ho più paura del mio passato, oramai. >> ribatté lui << Ora però parliamo di te. >>
<< Cosa vuoi sapere da una sacerdotessa? >> disse lei.
<< Come fa a saper maneggiare una spada una del tuo rango. >> rispose lui secco.
Lei deglutì prima di dire: << È una lunga storia. >>
<< Raccontala! >>
<< Neanche sotto tortura! >> disse lei, poi legò la benda e si allontanò da lui.
L’avrebbe inseguita, senonché Filottete cominciò ad urlare la presenza di un gorgo. Dilosfene fece un bel respiro e chiese: << Possiamo evitarlo? >>
<< No, è troppo grande! >> rispose il reduce. Aristocle osservò la situazione con estrema attenzione. Normalmente sarebbe fuggito, ma qualcosa gli diceva che era vicino alla meta. Si avvicinò alle carte di Dilosfene e chiese se erano sulla strada giusta e ricevette la seguente risposta: << Sì, ma quello è un problema. >>
A quelle parole una scintilla scattò nella testa dell’uomo, che comprese al volo quanto doveva fare. << Presto, Filottete, punta dritto al centro. >>
<< Sei impazzito?! >> gridò il vecchio.
<< Atena mi ha detto che se mai avessi trovato dei problemi, il modo migliore per risolverli era buttarsi dentro. Non pensavo fosse così letterale! >>
Filottete obbedì, mentre Dilosfene raccolse le sue mappe, le buttò in un barile e ci si infilò dentro. << Non lo sto facendo per paura, è solo per rimanere asciutto. >> mentì palesemente chiudendo il barile. Aristocle non si interessò e incitò i suoi uomini: << Per Atena! >>
Dettò ciò furono inghiottiti dalle acque e sparirono.

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Capitolo 3
*** Apórrhton ***


Capitolo 3 – Apórrhton

Riaffiorarono sulle sponde di un isola grande poco più di un ettaro. La vegetazione era fittissima, forse perché era comandata dalla dea degli Inferi e quindi resa bella dalla madre Artemide. Gli alberi erano talmente alti da coprire con la loro fronda anche la spiaggia, ed i loro tronchi erano coperti da un fitto intreccio di liane e rampicanti, intervallati anche da muschi enormi dal colore verde smeraldo. Tutto il terreno dell’isola era coperto da un manto di erbe e felci, coronati qua e là da fiori particolari e strani, che attiravano farfalle e falene dalle dimensioni spaventose.
Poco a poco, mentre notavano che la nave era fortunatamente rimasta ferma poco lontano dalla riva, la ciurma della Lytrusis si rialzò dalla riva. Filottete, rialzatosi per primo, diede un calcio ad un barile, che si ruppe liberando anche l’ultimo membro dal suo nascondiglio. Questi si controllò un po’ i vestiti e affermò: << Visto, sono rimasto asciutto. >>
Tutti si misero a ridere, più perché erano finalmente tutti salvi che per quanto aveva detto l’uomo. Si accamparono lì vicino, aspettando la notte, quando Aristocle prese la parola e disse: << Amici, vi ringrazio per quanto avete fatto fino ad ora, ma Atena vuole che entri da solo nel tempio. >>
Tutti scattarono a quelle parole, molti spaventati per il fato dell’uomo. Teofania fu la prima ad alzarsi in piedi, osservandolo come se fosse un pazzo. Voleva dire qualcosa, ma non sapeva come esprimersi. A rubarle le parole di bocca fu Muramasa: << È una follia, Persefone he messo Sirena a difesa della sua isola prima ancora che ci fossimo vicini, come pensi farà ora che siamo approdati qui? >>
<< Ti ucciderà appena ne avrà la possibilità! >> aggiunse Dilosfene.
<< Cosa volete, che disobbedisca agli ordini di una dea?! >> accusò Aristotle.
<< Atena ti ha detto di prendere lo scudo di Achille, se morirai facendolo come riuscirai a farlo? >> chiese Filottete, fissandolo con i suoi anziani ma espertissimi occhi.
<< Affronterò tutto quello che mi si parerà davanti! >> rispose zittendo tutti Aristocle << Sono in missione per una divinità, cosa volete che mi succeda?! >>
Ci furono dieci lunghi secondi prima che Teofania avesse coraggio di dire la scomoda verità: << Morirai! >>
Il sole tramontò su quelle parole e lasciò nel silenzio del fuoco scoppiettante il loro accampamento. Nessuno parlò, finché Aristocle non disse: << Domani mattina partirò per il tempio, se non tornerò entro il tramonto, ripartite. >>
<< Oh, fidatevi, >> disse una voce dietro di loro << non arriverete vivi a domani! >>
Tutti si voltarono e impugnarono le loro armi, comprese delle bottiglie di vino con seta infilata nel collo inventate da Dilosfene, contro colei che ormai conoscevano fin troppo bene. Sirena era già fuori dall’acqua nel suo maestoso aspetto demoniaco, ma ora copriva attentamente la parte del suo copro bruciata. << Qui Poseidone non potrà salvarvi! >> disse lei, ridendo satanicamente.
<< Non vorrei offenderti, ma sei stata tu ad essere salvata da morte certa. >> fece notare Filottete.
La demoniaca risata aumentò di intensità, poi successe qualcosa che nessuno si sarebbe aspettato. Sirena si mise a cantare, e come se controllati dalla sua voce alcuni viticci lì vicino iniziarono a muoversi e velocemente ad accerchiare i piedi di Filottete, per poi sollevarlo e tenerlo a testa in giù, facendogli cadere l’arco d’oro per terra. Prima che potessero ancora fare qualcosa, anche Muramasa, Teofania e Aristocle subirono lo stesso destino. Dilosfene provò comunque ad attaccare Sirena, ma questa gli si parò davanti, facendolo fuggire nel folto della foresta.
Il mostro marino ora aveva un ghigno malvagio dipinto sul volto mentre si avvicinava alle sue prede come un ragno sulla ragnatela. << Ve lo concedo, all’inizio vi avevo sottovalutati. >> disse lei << Ora ditemi, di che morte preferite morire? >>
Passò quindi in rassegna tutte le sue vittime strisciando sull’erba verdina. << Da chi vogliamo iniziare? >> chiese ironicamente lei, avvicinandosi a Filottete. << Vuoi essere tu il primo? >>
<< Vai nel Tartano! >> disse lui, sputando in faccia.
<< Ci sono già stata! >> sussurrò lei << Fidati, è peggio di quanto pensi. >>
<< Peggio della tua faccia? >> disse lui.
Lei lo colpì violentemente con la coda, facendolo oscillare vorticosamente. << Mortale insolente, pensi di potermi uccidere? >>
<< Forse lui no, ma io sì. >> disse Teofania, liberatasi grazie ad un pugnale. Neanche il tempo di capire quello che stava succedendo che dalla parte opposta balzò fuori Dilosfene che passò, con un movimento fulmineo, una delle frecce d’oro cadute a Filottete alla donna, la quale impugnando come una spada si avventò su Sirena.
Come un coltello caldo attraversa il burro, così il dardo velenoso attraversò la nuda e debole pelle, ancora più vulnerabile dalle ustioni. D’istinto, l’essere si rifugiò verso l’acqua, ma il sangue dell’Idra fu più veloce di lei. Si accasciò sulla riva, mentre le squame del suo corpo cadevano come foglie in autunno. Aristotle, appena liberato dalla sua compagna, si gettò verso il mostro per dargli il colpo di grazia. Ma quello che aveva lasciato la caduta della squame era una ragazza bellissima, con un coda di pesce non più terrorizzante, ma raggiante e felice come non mai. << Mortale, alla fine hai vinto! >> disse con la sua solita voce melodica, rotta a tratti da conati di sangue.
<< Chi sei veramente?! >> chiese l’uomo, quasi sentendosi in colpa per quello che aveva fatto.
<< Non ti ho mai mentito riguardo a chi fossi. >> disse ormai a fatica lei << Io sono e sempre sarò Sirena, ma ora ho il mio aspetto prima che fossi maledetta. >> la giovane si alzò a fatica, sorretta dall’uomo, abbastanza per appoggiare una mano sulla guancia di Aristotle e pronunciare un ultimo: << Grazie… >>
In quel momento, il terrore dei mari, la regina dei mostri marini, Sirena, era giunta all’ultimo incontro con le Moire. Tutti i membri dell’equipaggio si avvicinarono alla salma, tutti stupiti dalla bellezza della giovane. << Beh, alla fine anche lei voleva solo essere di nuovo vista come era sempre stata. >> fece notare Dilosfene.
<< Dovremmo darle una degna sepoltura >> propose Teofania.
<< È un tuo nemico. >> disse Muramasa.
<< Già, ma se lo ha fatto Achille, perché non farlo anche noi. >> concordò Filottete.
Il funerale fu preparato nel cuore della notte. Il corpo fu adagiato sulla scialuppa della Lytrusis, avvolto da un telo bianco che le teneva scoperto solo il viso. Tutto attorno, la paglia e quello che rimaneva delle scaglie invincibili furono disposti tutto attorno a colpire i buchi. Quando tutto fu pronto, Aristocle mise due dracme sugli occhi della giovane e spinse, con l’aiuto di Muramasa, la barchetta sul mare. Mentre si allontanava, Teofania recitò un’ultima preghiera affinché le divinità infernali accettassero quell’anima e le permettessero di passare l’eternità nella beatitudine e, quando l’ebbe conclusa, fece cenno a Dilosfene di dare fuoco ad una freccia ricavata da un ramoscello. Dopodiché, Filottete la incoccò e, con estrema precisione, colpì la paglia sulla barca. Mentre la pira bruciava, ad uno ad uno, gli eroi si ritirarono e si coricarono. Gli ultimi furono Teofania e Aristocle.
<< È stata dura, >> disse lei << ma sono contenta che l’abbiamo scampata. >>
<< E domani all’alba ci dirigerlo al tempio. Insieme! >> disse lui coricandosi. Lei sorrise. << Sono contenta >> disse << che tu ti sia convinto. >>
<< Non avevo altra scelta. >> aggiunse l’uomo.
Ma faceva parte del suo piano. Attese che la donna si fosse addormentata, come tutti gli altri, e illuminato dalle ultime luci del fuoco funebre si incamminò verso il centro dell’isola.
Qui, formato dalla corteccia di un albero caduto, sorgeva un verde ponte di legno sorretto da liane. Era stato creato con la forza del canto di Persefone, la quale aveva il potere di controllare tutte le piante della sua isola. Alla fine di quel ponte, circondato da aguzze rocce, sorgeva l’entrata del tempio, sopra cui svettava un enorme teschio di toro coronato di gioielli. Da dentro la grotta, una soffusa luce verde-azzurra si difendeva nell’ambiente. Aristotle si fece coraggio ed entrò nel Tempio del Destino.
Quello che trovò fu un unico lungo naos alla quale fine vi era, appeso al muro, uno scudo finemente decorato. Vi erano raffigurati al centro la Terra e tutti gli astri del firmamento e tutt’attorno scene di vita quotidiana dell’eroe greco che lo possedeva. A coronare tutto ciò c’erano i disegni di ninfe e muse danzanti sul grande mare Oceano. Era lo scudo di Achille.
Passo dopo passo, Aristocle si avvicinò alla reliquia brillante, in oro e bronzo e altri rari metalli, che le conferivano bellezza e potenza uniche nel suo genere.
Era ad un passo dal faticato obiettivo quando un triplice latrato risuonò nel piccolo anfratto. Quando si voltò, fu attaccato da una bestia infernale che provò a sbranato con le sue tre enormi fauci. Si difese a malapena con la sua spada, bloccando i denti affilati come rasoi, ma sentiva la calda bava che cadeva sulla sua faccia. Le teste laterali, senza ostacoli di sorta, attaccarono i fianchi dell’eroe, senza altra possibilità per lui se non perire. E sarebbe successo ciò, la morte per mano del Cerbero, se non fossero intervenute le dorate frecce di Filottete, che colpirono in pieno una delle tre teste. Seguendo i dardi, arrivarono anche Muramasa e Teofania, che spostarono il cane demoniaco e aiutarono l’uomo a sollevarsi. << Sapevo che mi avresti mentito. >> disse la donna, fissando con un occhio di disprezzo, ma anche un pizzico di sollievo, il malandato uomo appena salvato. Dilosfene però rovinò suo malgrado le felicitazioni per la sopravvivenza dell’uomo.
<< Amici… >> disse preoccupato << Credo… che stiano accadendo… cose… >>
Tutti si votarono ad osservare dove puntava il tremante dito dell’uomo. Puntava ad una delle due teste non colpite, che ora stava latrando con forza e attirando uno strano bocciolo. Quando fu vicino al mostro, il bocciolo si aprì e un fiore rosa rilasciò uno stano polline sul cane. Quando il polline ebbe toccato le ferite subite, le lavò via come l’acqua fa con la sabbia. Cerbero si alzò e fissò spavaldo i cinque, per poi proseguire il suo attacco omicida.
<< Non abbiamo tempo per lottare a lungo! >> disse Filottete << Dilosfene, sii il nostro Odisseo! >>
Il re lo guardò con un misto completo di terrore e incomprensione << Cioè?! >>
<< Inventati qualcosa per tirarci fuori di qui. >> disse il reduce, ma prima che l’altro potesse aggiungere alcunché concluse: << E ti prego non un cavallo! >>
Gli altri tre nel frattempo non erano adatti al piano complicato, ma partirono ancor prima di questo discorso. Le tre lame si sforzavano nel tentativo di ferire il mostruoso animale, ma quando questo perdeva anche solo una goccia di sangue, il suo latrato richiamava il fiore salvificante e tornava come nuovo. << Possiamo tagliargli le tre teste contemporaneamente. >> propose Muramasa.
<< Le teste rimangono vive per trenta secondi dopo essere recise, abbastanza per creare un mostro invincibile come l’Idra. >> disse Teofania, rovinando questo piano.
Non del tutto però, perché questo permise a Dilosfene di produrre il più grande colpo di genio della sua vita. << Sarà come giocare a scacchi… >> sussurrò lui, poi passò ad impartire ordini << Voi tre, ognuno si prenda una testa, e puntate a conficcare le vostre spade verticalmente per bloccare le mandibole. Filottete, quando tutte le teste saranno bloccate, tu colpiscilo dritto al cuore. >>
<< Ehi, tu non fai niente?! >> chiese ironica Teofania, schivando l’ennesimo attacco. Dilosfene non la considerò minimamente e si preparò a dare inizio al piano. Con un segnale fece partire i tre. Il primo a riuscire a conficcarsi fu Teofania, sulla testa sinistra. Fu seguita nella seconda ondata anche dagli altri due, ma mentre Filottete mirava, la testa centrale sbalzò indietro Muramasa, facendolo sbattere contro una parete. La lingua era pronta a latrare per il proprio salvataggio.
<< Cosa facciamo?! >> gridò Aristocle.
<< Non lo so! >> rispose spaventato il cipriota.
<< Io non resisterò a lungo! >> disse la giovane.
Il fiore si stava lentamente avvicinando. Mano a mano che si apriva, il terrore saliva.
Fu allora che Muramasa si tuffò sulla demoniaca testa. Aiutandosi con il fodero, recise di netto le corde vocali di Cerbero. Per il dolore, il mastino degli Inferi alzò la testa centrale, lasciando scoperto il petto, che fu attraversato con agilità dalla freccia d’oro.
Cadde dopo poco, permettendo di riprendere le spade conficcate. << Grazie per avermi salvato. >> disse Aristocle, prendendo lo scudo leggendario.
La squadra, scambiandosi complimenti e risate, uscì dal tempio. Ad attenderli c’era una triste Atena, a cui fu consegnato lo scudo. << Mortali, avreste dovuto seguire i miei ordini! >> disse arrendevole mentre osservava lo scudo.
<< Lo so, ma purtroppo Aristocle sarebbe morto senza di noi, quindi… >> si giustificò Filottete.
<< Non è questo il punto! >> disse la divinità << Vedete, ho fatto un patto con Ade per permettere di entrare nell’isola di Persefone, ma lui chiese in cambio che solo uno potesse entrare nel tempio e prendere lo scudo. >>
<< Esatto! >> disse Ade, emergendo dal terreno << Quindi, lo scudo torna a me, come da patti. >>
Atena gli consegnò il scudo, ma lo scambio fu interrotto da Dilosfene: << Aspettate, e se facessimo in altro contratto? >>
<< Non ora mortale… >> disse Atena, ma fu interrotta da Ade che lo fece continuare. << Noi tre abbiamo diversi interessi, quindi propongo qualcosa che accontenti un po’ tutti >> disse il re << Io, portavoce del volere dello scudo, desidero che questo vada ai suoi legittimi proprietari. Atena desidera che Odisseo torni a casa vivo e vegeto e tu, Ade, vuoi che lo scudo resti tuo dominio. Ora, se tu prendessi lo scudo e lo tenessi negli Inferi, facendolo custodire allo spirito di Achille, e promettessi di non accettare la morte del re di Itaca fino al suo ritorno in patria, allora saremmo tutti d’accordo. >>
Il profondo e rosseggiante sguardo di Ade si fissò sul piccolo uomo. << Mortale >> disse la tonante e spaventosa voce << la tua offerta mi piace. >>
Un sospiro di sollievo si diffuse fra i presenti, dei compresi. Dilosfene fu subito accolto dagli applausi del suo gruppo, mentre Ade osservava soddisfatto il gruppo di eroi. << Vista la tua immensa intelligenza, voglio ripagati con un’informazione. >> disse Atena al re cipriota << Sappi che quando partisti, Pigmaglione prese il tuo trono, ma dopo due giorni morì di crepacuore. >>
Dopo che i due dei si scambiarono un abbraccio per sancire la promessa, l’equipaggio risalì sulla nave. Riattraversarono il gorgo e fecero rotta verso Atene. << Scusate, ma quali soste dobbiamo fare? >> chiese Filottete, girando il timone al caldo sole del mezzogiorno.
<< Io mi devo fermare a Delfi. >> disse Teofania. Filottete la guardò e le disse: << Donna, per l’aiuto che mi hai dato, voglio farti un dono. Prendi il mio arco: questi fu dato da Apollo a Eracle, e da Eracle a mio padre, e da mio padre a me. Ora voglio che sia riconsegnata al suo legittimo proprietario. >>
<< Accetto questa offerta, che possa la benedizione di Apollo proteggerti. >> ringraziò lei con la formula cerimoniale.
Muramasa restava silenzioso ad osservare il mare, appoggiato al parapetto. Gli si avvicinò Dilosfene. << Ehi! >> gli disse il re << Ne abbiamo passate tante assieme. >>
<< Sei un uomo molto coraggioso, anche se non sembra. >> si complimentò lui
<< E tu sei di grande onore. >> disse, poi dopo una lunga pausa aggiunse: << Hai qualche programma per il futuro? >>
<< Penso che per ora viaggerò in cerca del mio scopo. >> disse lui continuando a fissare l’orizzonte.
Dilosfene fece un bel respiro e chiese: << Ti andrebbe di diventare la mia guardia del corpo personale? >>
Il samurai lo osservò. << Mi farebbe molto piacere. >> rispose sorridendo lui. I due risero e brindare all’accordo con del vino di Dilosfene. Quando ne ebbe sorteggiato un sorso però, Muramasa ne sputò gran parte. << Per fortuna che doveva essere leggero. >> disse lui asciugandosi la bocca.
Sul ponte sopraelevato stavano invece parlando Teofania e Aristocle. << Sai che sei una donna veramente misteriosa? >> disse l’uomo cambiando discorso.
<< Avrai l’occasione di scoprirlo, forse. >> disse lei.
L’uomo osservò il brillante sole. Gli sembrò, per un istante, di vedere la sua amata che lo spronare ad agire. << Lo spero. Di rivederti, intendo. >> ebbe il coraggio di dire.
La ragazza rimase a fissarlo senza sapere cosa dire.
Filottete interruppe tutti. << Amici… >> disse mentre passava lo stretto passaggio delle colonne di Eracle << …siamo a casa! >>.

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