COLORS

di jas_
(/viewuser.php?uid=121500)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** RED ***
Capitolo 2: *** BLUE ***
Capitolo 3: *** LILAC ***
Capitolo 4: *** PURPLE ***



Capitolo 1
*** RED ***






 
RED


 
You were red
 
 

Il Purple era affollato quella sera.  Ella aveva appena finito di suonare, aveva la gola secca per lo sforzo e il viso imperlato da un lieve strato di sudore a causa del caldo che avvolgeva il piccolo locale gremito di gente. I tavoli erano tutti occupati e le persone arrivate troppo tardi erano state costrette a sorseggiare i loro drink in piedi, tra una chiacchiera e l'altra.
Ella era seduta al bancone, sfiorava il pavimento con le punte dei suoi anfibi scuri e le sue gambe ancora leggermente abbronzate nell'estate finita da alcune settimane, erano messe in mostra dagli shorts in jeans che indossava. Una canottiera bianca dalle spalline fini era invece infilata nella vita alta dei pantaloncini, e i suoi capelli blu le accarezzavano le spalle, scendendo leggermente mossi fino ai gomiti.
«Mi porti una birra piccola?» chiese al barista, quando riuscì ad attirare la sua attenzione. Il ragazzo annuì, e in attesa del suo ordine Ella si guardò in giro. Sebbene suonasse piuttosto spesso in quel locale, non aveva mai stretto un vero legame con nessuno. Si ritrovava a parlare con qualcuno tra un drink e l'altro, ma nessuno che frequentasse quel posto con costanza e che potesse rivedere.
Le luci erano leggermente soffuse e le risultava difficile mettere a fuoco i numerosi clienti del locale, quasi quanto quando era sul piccolo palco ad esibirsi, con alcuni fanali bianchi puntati addosso.
Sorrise al barista quando questo le porse il suo drink e ne bevve subito un lungo sorso dissetante, passandosi la lingua sulle labbra dipinte di un rosa chiaro per pulirsi da eventuali rimasugli di schiuma.
Appoggiò i gomiti sul tavolo e il viso sui palmi delle mani e osservò in silenzio il barista che l'aveva servita al lavoro. Era nuovo, non l'aveva mai visto prima se non un pomeriggio in cui era passata per chiedere conferma della sua esibizione successiva e l'aveva visto fare pratica sotto lo sguardo severo di Ron, il proprietario del locale.
Era giovane, alto e dal viso pulito. Non aveva alcun accenno di barba a coprire la sua pelle bianca, i lineamenti erano ben definiti e i suoi occhi blu erano contornati da delle sopracciglia folte e di un biondo scuro, come i suoi capelli.
Ella bevve nuovamente la birra e alzò il braccio destro per attirare l'attenzione del ragazzo.
«Mi puoi controllare il bicchiere mentre vado in bagno?» domandò gentilmente.
Lui annuì. «Certo» le disse, prima di tornare a dedicarsi ad un altro cliente.
Ella si alzò dallo sgabello e attraversò la sala per raggiungere le scale che portavano ai bagni. Il piano inferiore del Purple era dedicato alla ristorazione, la sala era poco più piccola di quella adibita a pub ed era molto più illuminata. Al contrario del piano superiore, solo pochi tavoli erano occupati da chi non aveva ancora finito di cenare, gli altri erano già ordinatamente apparecchiati per il giorno successivo.
Ella entrò nella prima porta che trovò sulla destra, i servizi maschili e femminili erano situati nella stessa stanza, un ampio spazio era dedicato al lavandino, di fronte al quale una porta viola era socchiusa.
La ragazza la spinse leggermente e inarcò le sopracciglia, sorpresa e allo stesso tempo disgustata dallo stato in cui ritrovò il piccolo abitacolo. Della carta igienica era sparsa sul pavimento umido e sporco e all'interno del water. Ella arricciò il naso, cercando di trattenere il respiro per l'odore che sentiva, ed uscì dalla stanza aprendo la porta posta sullo stesso lato del lavandino sebbene avesse affisso un piccolo cartello con la scritta "privato".
Il bagno dei dipendenti era pulito e profumato, Ella sorrise tra sé e sé, mentre si chiudeva la porta alle spalle. Tecnicamente faceva parte dei dipendenti del bar, pensò, osservando la parete bianca di fronte a lei, con delle spazzolate di fucsia. Osservò il lavandino posto alla sua destra ma decise di lavarsi le mani fuori, onde evitare che qualcuno la cogliesse in flagrante. Nello stesso istante in cui aprì la porta, un uomo entrò nel bagno. Ella temette che fosse qualcuno del personale ma il viso non le era per niente famigliare e anche lui le lanciò uno sguardo disinteressato prima di aprire la pota del bagno.
Ella si avvicinò al lavandino ed aprì l'acqua, sciacquandosi con calma le mani.
«Che schifo» lo sentì mormorare.
«C'è il bagno del personale se vuoi» intervenne Ella.
L'uomo si voltò verso di lei, la ragazza lo guardò attraverso lo specchio che aveva davanti, continuando a dargli le spalle.
Sembrava avere una trentina d'anni, i capelli scuri erano leggermente spettinati come se fosse quello l'effetto desiderato e le sue guance erano tinte di un lieve rosso probabilmente a causa del caldo che c'era. La maglietta a maniche corte che indossava metteva in mostra un tatuaggio complicato e colorato che gli copriva il braccio sinistro. Ella percorse con lo sguardo il suo intero corpo, ammirando il suo fisico asciutto, fino ai jeans chiari e alle scarpe sportive che calzava. Era indubbiamente un bell’uomo, i lineamenti del suo viso erano armoniosi ma ciò che lo rendevano attraente ai suoi occhi, erano il suo sguardo profondo, il suo sorriso perfetto e quelle dannate guance paffute e rosse.
«Lavori qua?» fu la risposta di lui.
La ragazza arricciò le labbra. «Non proprio» rifletté.
«Cosa vuol dire non proprio?»
Ella chiuse il rubinetto e prese un pezzo di carta col quale si asciugò le mani. Era sorpresa dalle domande che le erano state rivolte, lei si era limitata a dargli un consiglio che non le era parso un buon punto di partenza per fare conversazione.
«Ma non dovevi andare in bagno?» lo rimbeccò infatti, ma lui non parve percepire il noto stizzito di Ella, oppure si finse indifferente ad esso.
«Non proprio, volevo soltanto staccare un attimo.»
Ella lo guardò evidentemente incuriosita di quelle parole, ma si trattenne dal domandargli perché avesse avuto la necessità di staccare, o meglio, da che cosa.
Lui la guardò confuso. «Non vuoi sapere la mia storia?»
«Non necessariamente.»
Ella si appoggiò al muro e si mise a braccia conserte. Non si mostrava particolarmente loquace ma era evidentemente interessata alla piega che quella conversazione stava prendendo.
«Intanto però sei ancora qui» osservò lui, con un sorriso vittorioso. «Comunque sono stato obbligato da un mio amico a partecipare ad un'uscita a quattro, con sua moglie ed un'altra donna che  non mi interessa proprio.»
«Cos'ha che non va?» domandò lei.
«Si da troppe arie, e odia i tatuaggi. Insomma, mi hai visto?» spiegò, lasciandosi scappare una risata che Ella non poté fare a meno di continuare.
«Ed è a quel punto che tu ti sei tolto la felpa, scommetto.»
«Esatto! Come hai fatto ad indovinare?»
Ella si strinse nelle spalle, trattenendo un sorriso. «Intuito.»
«E tu perché "non proprio" lavori qui?» domandò lui, non dimenticandosi di come quella conversazione era iniziata.
«A volte suono in questo locale, ma per la miseria che vengo pagata e visto che sono in nero, non so se reputarmi dipendente» spiegò Ella.
«Che cosa suoni?»
«Mi esibisco con la chitarra, ma so suonare anche il pianoforte.»
«Canzoni tue o...?»
«Solo cover» lo interruppe lei. «Non sono un granché come autrice, ho scritto alcuni brani ma non... Non sono niente di che» concluse, abbassando lo sguardo.
«Non ne sarei così certo» ribatté lui.
«Ma se non mi hai mai sentita!» lo riprese Ella, accennando un sorriso.
«Intuito» rispose lui, increspando le labbra.
In quel momento la porta del bagno si aprì, un uomo alto e coi capelli corti osservò prima Ella e poi il suo interlocutore, soffermandosi su quest'ultimo.
«Pierre!» esclamò. «Ci chiedevamo che fine avessi fatto.»
«Sono stato trattenuto» rispose lui, rivolgendo un occhiolino ad Ella.
L'amico osservò la ragazza e poi tornò con lo sguardo su Pierre. Era evidentemente confuso e incuriosito da quella situazione ma non aggiunse altro
«Ti aspettiamo per il dolce» si limitò a dire, prima di andarsene.
«Mi vogliono proprio far soffrire fino all'ultimo» si lamentò Pierre divertito, aprendo la porta. «È stato un piacere chiacchierare con te.»
«Anche per me» rispose Ella, ricambiando il sorriso che lui le rivolse e guardandolo sparire dietro la porta in silenzio.
Anche lei si avvicinò all'uscita del bagno ma prima che potesse sfiorare la maniglia, questa si abbassò e Pierre fece capolino.
«Non mi hai detto come ti chiami.»
«Ella» rispose lei.
«Ella» ripeté lui. «A presto.»



Ciao a tutti!
Mi mancava scrivere sui Simple Plan, questa storia l'ho completata quasi due mesi fa, ma ho deciso di postarla solo ora. Si ispira ad una canzone, le cui parole saranno scritte all'inizio di ogni capitolo (quattro in totale), e che vi consiglio di leggere con attenzione in quanto la trama di tutta la storia è molto legata ad esse. Spero che vi piaccia! 
Jas

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** BLUE ***









BLUE

 

You liked me cause I was blue
 


Era un pallido pomeriggio di ottobre e il Purple era semi deserto. Il pavimento di legno scuro era illuminato dai raggi del sole che filtravano dalle finestre, così come alcune parti del muro rivestito di mattoni di terra cotta.
Ella era seduta ad uno dei tavoli disposti in fondo alla sala, la musica in sottofondo la faceva rilassare e concentrare allo stesso momento, mentre cercava di memorizzare le date delle opere che avrebbe dovuto esporre il giorno successivo all'esame.
Tornando dall'università si era fermata lì. Era stata una decisione impulsiva, dettata dal fatto che quasi sicuramente stando a casa avrebbe finito per distrarsi, ritrovandosi a studiare di sera.
Quell'atmosfera tranquilla, invece, l'aveva aiutata a non perdere la concentrazione, e quando spostò lo sguardo dal libro al telefono, si sorprese che fossero passate già tre ore. Si sentiva tranquilla e preparata per l'esame, sebbene fosse ancora presto per poter accusare la stanchezza di ore passate in aula a prendere appunti o a studiare. Doveva solo fare un ultimo sforzo, pensò, osservando le pagine del libro evidenziate di giallo e le fotografie delle opere che ormai conosceva a menadito.
Ella si stiracchiò sulla sedia, sgranchendo si la schiena rimasta immobile per troppo tempo. Si guardò in giro, notando Alan - il nuovo cameriere - impegnato a pulire il bancone, e si soffermò sull'uomo seduto su uno degli sgabelli oltre esso. Era troppo lontano per riuscire a distinguere i suoi lineamenti, e la posizione in cui era messo non l'aiutava. Aveva la testa appoggiata sul braccio sinistro, che gli nascondeva parzialmente il viso, e lo sguardo basso. Indossava una felpa grigia col cappuccio e dei jeans chiari, l'unica cosa che Ella vedeva bene erano i suoi capelli sparati all'insù. Rimase ad osservarlo per alcuni secondi, fino a quando lui abbassò il braccio e alzò la testa. Ella si irrigidì, piacevolmente sorpresa da quella coincidenza. Chiuse il libro con calma e lo ripose nello zaino mentre pensava su come agire.
Erano passate ormai due settimane da quella sera, ed Ella non poté negare di aver sempre sperato di rivederlo al Purple. Quello poteva non essere il momento migliore, era stanca e siccome quella mattina era uscita di casa in ritardo si era vestita di fretta senza nemmeno truccarsi.
La ragazza si toccò la testa per verificare che lo chignon che si era fatta ore prima fosse ancora a posto, si lisciò con le dita alcune ciocche di capelli che erano sfuggite all'elastico e prese un respiro profondo prima di alzarsi dal tavolo. Avrebbe voluto essere in una situazione migliore, ma non poteva perdere quell'occasione, pensò, mentre si avvicinava al bancone.
«Mi puoi dare una bottiglietta d'acqua?» chiese rivolgendosi ad Alan, e trattenendo un sorriso vittorioso quando sentì lo sguardo di Pierre su di sé. L'aveva sicuramente riconosciuta, pensò, cercando di mantenere un'aria indifferente,
Il cameriere annuì, e nell'attesa Ella si guardò in giro, finendo casualmente per incrociare i suoi occhi.
Inarcò le sopracciglia e gli sorrise, sinceramente felice di rivederlo.
«Ciao» lo salutò, prima di tornare a prestare attenzione ad Alan che le porse l'acqua. Ella mormorò un grazie e si voltò nuovamente verso Pierre.
I suoi occhi color nocciola la osservavano in silenzio, sembrava stranamente divertito e le sue labbra erano contratte in una smorfia che nascondeva un sorriso. Era più bello di come se lo ricordava. I suoi lineamenti erano armoniosi, le sue guance paffute e il suo sorriso caldo e accogliente.
Ella avrebbe voluto chiedergli cosa ci fosse di così divertente, oppure perché non parlasse quando invece in passato si era dimostrato molto loquace.
«Non ti facevo un cliente abituale» disse invece. Aprì la bottiglietta e bevve un lungo sorso d'acqua mentre ascoltava la risposta di Pierre.
«Ma non lo sono.»
Era molto più concentrato ad osservarla che a fare conversazione. Ella si chiese se ci fosse qualcosa che non andava in lei, leggermente infastidita da quel suo atteggiamento così diverso da come se l'aspettava. Proprio quando stava per esaurire la pazienza, fu lui a parlare.
«Stavi studiando?»
Ella annuì. «Ho un esame domani.» Si chiese se lui la stesse osservando, l'aveva sicuramente notata per sapere cosa stesse facendo al suo tavolo. Si pentì di non essersene accorta prima della sua presenza, avrebbe voluto sapere da quanto era seduto lì e con quanta attenzione la guardava. Avrebbe potuto capire molto rimanendo in disparte ad osservare i suoi atteggiamenti, ma quando l'aveva visto non era riuscita a trattenersi dall'avvicinarsi a lui.
«E che cosa studi?» La domanda di Pierre la distrasse dai suoi stessi pensieri.
«Arte moderna, sono all'ultimo anno» spiegò.
Pierre annuì pensieroso. «Quindi hai ventitré anni?» domandò.
«Ventiquatrro» lo corresse Ella. «Sono stata bocciata alle superiori.»
«Neanch'io ero molto bravo a scuola.»
«Ora che fai?»
Era curiosa. Curiosa di sapere cosa facesse nella vita, quanti anni avesse e come fosse finita la faccenda con quella donna con cui era a cena quella sera.
Pierre si grattò la testa. «Sono socio con quel mio amico che hai visto l'altra sera. Abbiamo appena aperto un negozio di strumenti musicali.»
Ella annuì, piacevolmente sorpresa. Non solo Pierre era un uomo indubbiamente bello e attraente, era anche intelligente e sveglio, e probabilmente era appassionato di musica. Sicuramente abbastanza da aprire un negozio che vendeva strumenti musicali.
«Wow, dove?»
«Qui a Montréal» spiegò Pierre. «Rue Saint Jacques. Dovresti passare a trovarci.»
Ella memorizzò l'indirizzo. Era una via centrale è conosciuta in città, probabilmente ci era passata davanti diverse volte senza farci troppo caso. Non sarebbe stato più così.
«Volentieri» acconsentì, continuando a guardarlo, sempre più attratta da lui.
L'uomo annuì e bevve l'ultimo sorso di birra rimasto nel bicchiere. Ella temette che ora che aveva finito il drink se ne sarebbe andato, lasciandola lì a sperare di rivederlo. Lui invece chiamò il cameriere con un cenno della mano.
«Cosa bevi?» le domandò.
«Sono a posto così, grazie.»
Pierre trattenne per alcuni istanti lo sguardo su Ella, poi si rivolse ad Alan. «Due birre per favore.»
 
 
 
Ormai fuori era già buio e la temperatura si era abbassata di alcuni gradi.
Pierre aveva accompagnato Ella a casa parecchi minuti prima, ma anche dopo essere arrivati sotto casa della ragazza, erano rimasti in macchina a parlare. Aveva scoperto molte cose su di lui, aveva trentadue anni e viveva a Montréal. Sapeva cantare, suonare la chitarra, il pianoforte e la batteria, da adolescente aveva fatto parte di due band e sebbene avesse accantonato la carriera da cantante, non aveva mai abbandonato completamente la musica.
«Ora è meglio che vada» disse Ella a malincuore.
Erano quasi le sette di sera e sebbene avesse preferito trascorrere ancora del tempo con Pierre, non poteva più posticipare lo studio.
«Mi farai sentire le tue canzoni.»
Non era una richiesta, Pierre era serio e il tono che aveva usato affermativo. Ella non se la sentiva di contraddirlo ma nemmeno di esporsi così tanto. Annuì soltanto, senza convinzione, e sperando che lui si dimenticasse di quelle parole. Scoprire che non era soltanto una persona a cui piaceva la musica, ma che se ne intendeva anche, l'aveva messa ancora più in soggezione e non voleva essere valutata, nonostante sapesse che non era quella la sua intenzione.
Pierre sorrise. «È inutile che fai quella faccia, voglio ascoltarti e lo farò.» Le sue parole fecero svanire le speranze di Ella. «Sei una ragazza in gamba, mi piaci. Secondo me non hai nulla da temere.»
«Speriamo.»
«E con quei capelli blu attireresti subito l'attenzione.»
Ella si sentì avvampare a quelle parole. Non capì il loro senso. Era un complimento?
«È una tinta momentanea, il colore sparisce dopo alcuni lavaggi» disse sulla difensiva.
«Ma la mia non era critica» osservò lui.
In macchina calò il silenzio, Ella abbassò lo sguardo sulle sue unghie mangiucchiate con ancora qualche traccia dello smalto nero che si era messa la settimana precedente.
«Ora è meglio che ti lasci andare prima che non passi l'esame per colpa mia» irruppe Pierre. Si sporse leggermente verso Ella per salutarla con bacio sulla guancia. «Passa a trovarmi» le ricordò, con ancora il viso vicino a quello della ragazza. Le accarezzò una guancia con la mano e Ella sentì il fuoco sui punti in cui lui l'aveva toccata.
Lei annuì quasi trattenendo il respiro, i suoi occhi grigi che scrutavano seri quelli di Pierre. A quella vicinanza poteva scorgere alcune lentiggini che gli decoravano il naso a punta e alcune rughe di espressione rese più marcate dall'età.
«Va bene, e grazie per il passaggio» disse infine, ponendo fine a quella vicinanza.
Quando Pierre tornò composto Ella espirò rumorosamente, sentendosi immediatamente più a suo agio.
Solitamente non si faceva intimidire dalle persone, era una ragazza piuttosto sicura di sé ma altrettanto consapevole dei propri limiti. Eppure con Pierre tutte le sue certezze svanivano, e si ritrovava a balbettare singole parole mentre sentiva il cuore batterle forte nel petto e lo stomaco stringersi. Era la sua aria così sicura che la faceva sentire meno importante. Non era abituata a uomini che sapessero cosa volevano e agivano per ottenerlo. Era abituata a ragazzi che la guardavano di nascosto, che se si avvicinavano ma non sapevano portare avanti una conversazione, non si sbilanciavano nemmeno quando era palese che l'attrazione fosse reciproca. E lei si era abituata a questa situazione, a fare il primo passo, a non preoccuparsi troppo di pensare "ma gli piaccio?", e questa decisione che mostrava anche nelle relazioni la rendeva più sicura di sé.
Pierre invece era completamente diverso. Non si tratteneva dal farle dei complimenti, dal guardarla intensamente, così tanto che con un solo sguardo Ella sentiva le sue interiora sciogliersi e le sue guance scaldarsi. Questa sua sicurezza sembrava far soccombere quella di Ella, che si sentiva piccola se paragonata a lui, e automaticamente più timida e insicura.
Lui aveva le idee chiare, sapeva in che direzione sarebbe andata la sua vita. Lei invece viveva nel dubbio costante, nell'incertezza del futuro e nel timore del momento in cui avrebbe dovuto prendere una decisione, momento che si faceva sempre più vicino.
Ella lo salutò con un cenno della mano e scese dall'auto, entrando in casa senza voltarsi. Appoggiò la schiena addosso al legno scuro della porta d'entrata e respirò profondamente alcune volte, cercando di tranquillizzarsi e metabolizzare i fatti delle ultime ore.
«Ella sei tu?»
La voce del suo coinquilino, proveniente dalla cucina, la fece sussultare.
«Sì!» disse a voce alta, per farsi sentire, prima di staccarsi dalla porta e salire le scale verso camera sua.
 
 
Un sabato pomeriggio, di ritorno da una passeggiata in centro, Ella era passata per Rue Saint Jacques. Il negozio di Pierre faceva angolo con una traversa, l'ampia vetrina ancora non completamente allestita attirava l'attenzione così come l'insegna sporgente e colorata che si vedeva anche a parecchi metri di distanza. Ella era entrata nel negozio, sentendosi leggermente a disagio ma facendosi coraggio ricordandosi di quanto spesso lui le avesse detto di passare.
Dopo aver fatto un giro tra i diversi modelli di chitarre, bassi e altri strumenti che vendevano, Ella si era avvicinata al bancone ma ad accoglierla aveva trovato Chuck, il socio di Pierre.
«Pierre non c'è oggi, devi passare la prossima settimana» aveva detto lui, con un sorriso che secondo Ella andava oltre la normale cordialità mostrata ai clienti. Si ricordava di lei e l'aveva sicuramente riconosciuta.
Erano passati sei giorni ed Ella non era più tornata in negozio.

 




 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** LILAC ***







LILAC
 
 
 
You touched me and suddenly I was a lilac sky
 
 
 
Il sole che scaldava la città sembrava aver dato una tregua alle temperature che si abbassavano ogni giorno di più. Tornando a casa dall'università Ella era stata costretta a togliere la giacca dal caldo e a tenerla in mano. La via in cui condivideva la casa con il suo coinquilino le sembrava persino più affollata del normale, pensò, superando le numerose case poste ai lati di essa, dietro i vialetti in cemento e i giardini curati.
Ella aprì la cassetta della posta e ritirò le numerose buste che trovò, scorrendole velocemente intanto che camminava verso la porta di casa.
Si arrestò di scatto quando lesse su un'anonima busta bianca il suo nome scritto in una calligrafia piccola e disordinata. Non c'era nessun francobollo, solitamente lei non riceveva nessun tipo di posta oltre alla pubblicità e all'estratto conto mensile della banca, pensò, mentre con curiosità strappava un'estremità della busta ed estraeva un foglio bianco piegato in due.
Prima di leggere ciò che c'era scritto, abbassò lo sguardo sulla firma finale, troppo curiosa di sapere chi fosse il mittente: Pierre.
Ella deglutì cercando di trattenere le proprie emozioni ma senza poter impedire al suo cuore di accelerare il battito.
 
"Chuck mi ha detto che sei passata sabato, e non avendoti più vista questo mi sembrava - per quanto retrò - l'unico modo di contattarti. Passo a prenderti stasera alle sette se ti va bene.
Fammi sapere,
Pierre"
 
Ella ripiegò il foglio ignorando il numero di telefono che le aveva lasciato sotto quelle poche frasi, ed entrò in casa.
Jack, il suo coinquilino inglese, era sdraiato sul divano con un libro appoggiato sul petto ma l'attenzione rivolta verso la tv. La ragazza lo salutò e gli lasciò la sua posta, si diresse poi in cucina e bevve un bicchiere d'acqua mentre pensava a cosa rispondere a Pierre. Avrebbe dovuto chiamarlo? Forse un messaggio sarebbe stato migliore, pensò. Prese il foglio dalla tasca dei jeans e salvò il numero nel telefono. Non sapeva se fosse il caso di inventarsi qualche scusa sul perché non l'aveva cercato. Avrebbe potuto dirgli che era stata impegnata a causa della scuola, ma la verità era che non voleva sembrare appiccicosa sebbene la voglia di rivedere Pierre fosse tanta.
 
"Sarebbe perfetto. A dopo, Ella"
 
La ragazza rilesse il messaggio una sola volta, era piuttosto neutro ma avrebbe avuto tutto il tempo di dire ciò che voleva quella sera, pensò. Prima che le sorgessero altri dubbi a riguardo, premette invio e mise il telefono in tasca. Le sembrava ancora incredibile che quella sera sarebbe uscita con Pierre.
 
Erano le sette in punto quando il campanello di casa suonò. Ella scese di fretta le scale, due gradini alla volta, e si precipitò all'entrata.
«Vado io!» esclamò, mentre indossava la giacca in pelle e teneva la borsa tra le gambe coperte soltanto da dei collant color carne.
«Esci?»
La voce di Jack sovrastava la tv lasciata accesa.
«Sì, ci vediamo dopo» lo salutò Ella, prima di aprire la porta di casa.
Sorrise affannata a Pierre che l'attendeva sul pianerottolo, in preda alla fretta si era completamente dimenticata di lui che l'aspettava ed ebbe una reazione lievemente sorpresa, sebbene fuori luogo.
«Buonasera» la salutò lui, senza preoccuparsi di nascondere il suo sguardo lusingato, e si prese alcuni secondi per ammirare Ella da cima a fondo, che si sentì esaminata e in imbarazzo. Le sfiorò la mano con la sua e le diede un leggero bacio sulla guancia, Ella lo guardò allontanarsi da lei e gli sorrise.
«Ciao anche a te.»
Non avendo idea di dove l'avrebbe portata, aveva indossato una gonna nera a vita alta e un top bianco e aderente con il colletto alto e senza maniche. Si era coperta con un cardigan nero e la giacca in pelle, ai piedi i soliti anfibi neri. Aveva raccolto i capelli in uno chignon disordinato, il colore se ne stava andando lentamente ed era uguale a quello che si poteva vedere alzando gli occhi al cielo, dove il sole stava lasciando spazio alla notte con una sfumatura che andava dal rosa al lilla.
A differenza dell'ultima volta, si era truccata con cura, una sottile linea di eye-liner sulle palpebre, mascara e un gloss rosato sulle labbra.
Pierre le prese la mano e avvicinò il viso all'orecchio della ragazza.
«Sei bellissima» le sussurrò, prima di allontanarsi e farle strada verso l'automobile parcheggiata infondo al vialetto.
"Anche tu" avrebbe voluto dirgli Ella, sebbene non lo trovasse appropriato le sembrava soltanto la pura verità.
Il profumo di Pierre l'aveva inebriata sin da subito, era vestito in modo casual, con dei blue jeans e una maglietta di una band che Ella non conosceva. Riusciva ad essere attraente anche senza dei particolari vestiti addosso. Per un attimo nella testa della ragazza balenò in mente un'immagine di Pierre nudo, vergognandosi di se stessa per il pensiero, si sentì avvampare e voltò la testa verso il finestrino.
«Non dovresti nascondere le tue lentiggini.»
La voce di Pierre la fece sussultare, il fatto che avesse parlato proprio in quell'istante le aveva fatto sembrare per un attimo che lui l'avesse colta in flagrante.
L'uomo si accorse della sua reazione fuori luogo, aggrottò le sopracciglia e la guardò preoccupato. «Tutto bene?» domandò, rallentando in prossimità di un incrocio.
Ella annuì. «Sì tutto bene» rispose. «Dove mi porti?»
 
Il Mangiafoco era un ristorante italiano situato dietro la cattedrale di Montréal, in una di quelle districate vie che si incrociavano fino a raggiungere la riva del fiume, tanto strette quanto meravigliose e piene di interessanti negozi e locali. Ella aveva già sentito parlare della gustosa pizza che si poteva mangiare, degli ingredienti importati direttamente dall'Italia e dei deliziosi vini che si poteva ordinare, tuttavia non ci era mai stata. Pierre aveva prenotato un tavolo per due infondo alla spaziosa, ma intima, sala. Le luci erano soffuse, le pareti rivestite di mattoni in terra cotta, e i tavoli in legno rustico creavano contrasto con il moderno bar posto al centro del locale dove si potevano fare delle degustazioni di vino accompagnate da degli antipasti italiani.
«Questo posto è stupendo» disse Ella, guardandosi intorno meravigliata.
«Sì è molto bello, ci vengo spesso. Il proprietario è...»
«Pierre!»
Prima che lui potesse finire la frase, un uomo completamente calvo e con un piercing al labbro gli cinse il collo da dietro, in una mossa che sembrava a metà strada tra un abbraccio e un tentativo di strozzare qualcuno.
«Jeff!» esclamò Pierre ridendo e stringendo la mano all'uomo che gli sorrideva calorosamente, per poi posare lo sguardo su Ella. «Lei è Ella» disse Pierre. «Lui è Jeff, il proprietario del ristorante.»
La ragazza si alzò leggermente dalla sedia per stringergli la mano. «È un piacere» disse.
«Non mi avevi detto che avevi una nuova ragazza, perlopiù così bella!» esclamò Jeff, dando un colpo sulla spalla a Pierre.
«Non è la mia ragazza» chiarì lui, divertito. «Anche se, insomma...» continuò, lasciando la frase in sospeso e facendo l'occhiolino a Ella che avvampò.
Jeff trattenne un sorriso, facendo rimbalzare continuamente lo sguardo sui due seduti a tavola.
«Allora, cosa vi porto?» chiese, congiungendo le mani.
«Quello che vuoi tu» disse Pierre, rilassandosi sulla sedia.
«Ella? C'è qualcosa in particolare che non ti piace?»
Lei scosse la testa. «Ma non c'è un menù da consultare?»
Jeff fece cadere una mano davanti al viso, dando poca importanza a ciò che Ella aveva detto. «Il menù lo si da ai clienti, voi siete miei ospiti» spiegò, facendole un occhiolino divertito sotto la risata sommossa di Pierre.
«Okay» disse la ragazza, trattenendo un sorriso. «Allora lascio fare tutto a te, mi fido.»
«Non potevi fare scelta migliore» la rassicurò Jeff. «Vino?»
«Direi rosso. Il più buono che hai» osservò Pierre.
«E una bottiglia di acqua naturale» aggiunse Ella.
«Perfetto!» esclamò entusiasta Jeff, e senza aggiungere altro andò in cucina.
 
 
 
«Grazie per la cena.»
Pierre sorrise in risposta ad Ella e le cedette il passo, tenendole la porta aperta all'uscita del ristorante.
«Ti è piaciuto?» le domandò.
«Molto, non ero mai stata in un ristorante italiano così buono» ammise. «E Jeff è troppo simpatico.»
«Jeff è un po' pazzo. È sempre stato così.»
Stavano camminando in una via stretta e in discesa che portava verso il fiume, dove avevano lasciato parcheggiata la macchina. I lampioni illuminavano bene la strada ricoperta di ciottoli scuri, più affollata rispetto ad alcune ore prima.
Ci vollero soli cinque minuti prima che si scorgesse il jeep scuro di Pierre in lontananza. Ella strinse le labbra in silenzio, l'avrebbe portata a casa e quella magica serata si sarebbe conclusa. Fino a quel momento si era divertita molto e il tempo era passato senza che nemmeno se ne accorgesse, tra una risata, un boccone e un sorso di vino.
Pierre prese le chiavi dalla tasca e aprì l'auto ma piuttosto che andare dalla parte dell'autista seguì Ella. Lei pensò che volesse aprirle la portiera ma prima che potesse avvicinarsi a questa Pierre la prese per mano e la trascinò verso di sé. Colta alla sprovvista Ella inciampò, andando a sbattere sul suo petto. Fu in quel momento che fu catturata dalle sue labbra.
Fu un bacio brusco, i loro denti si sfiorarono per un istante prima che Pierre socchiudesse la bocca e cercasse la lingua di Ella con la propria. La ragazza, ancora sorpresa da quel gesto, ricambiò il bacio con altrettanta passione mentre riprendeva l'equilibrio e con le braccia cingeva il collo di Pierre. La sua barba le solleticava la pelle ai lati della bocca e poteva sentire il calore del suo corpo anche attraverso i vestiti. Quando le loro labbra si staccarono Ella si ritrovò con il respiro accelerato e gli occhi che brillavano ancora increduli.
«Scusami ma non riuscivo più a resisterti» ammise Pierre, mordendosi un labbro.
Ella non gli disse nulla, si limitò a baciarlo di nuovo.
 
La casa di Pierre sorgeva nella parte alta della città, quella ricca, vicino al parco. Le strade della zona residenziale erano deserte e il cancello che delimitava la sua proprietà automatico. L'edificio sorgeva al centro di un giardino con molti fiori e alberi, che rendevano difficile distinguere l'abitazione dalla strada.
Appena entrati Pierre le fece fare un breve giro del piano terra, mostrandole la sala grande e spaziosa con un divano in pelle nera e una tv al plasma appesa al muro bianco, la sala da pranzo occupata da un tavolo in legno scuro e la cucina grande e moderna con un isolotto al centro e un frigo grigio a due ante sul lato. I lampadari erano in ferro battuto e il pavimento in terra cotta. Il colore predominante era il marrone in tutte le sue tonalità, che creava contrasto con le pareti e i soprammobili chiari.
«Hai buongusto» ammise Ella, guardandosi intorno meravigliata, mentre Pierre versava del vino rosso in due bicchieri. Ne porse uno ad Ella sorridendo sornione.
«Salute.»
«Salute» ripeté lei.
Si sedette sul divano e ne bevve un sorso, gustando il sapore dolciastro e l'alcol che le scaldò la gola.
«Ti piace?» le chiese Pierre.
Ella fece ruotare il liquido scuro nel bicchiere, osservando il movimento, e poi annuì. «Buono» disse.
«L'ho preso in Francia due anni fa» spiegò Pierre fiero. «Era in cantina che aspettava soltanto di essere bevuto.»
«C'è qualche paese che non hai visitato?» gli chiese Ella, appoggiando il bicchiere di vino sul tavolino di fronte a lei e dedicando tutta la sua attenzione a Pierre.
Lui sorrise. «Ne ho ancora molte di cose da vedere» osservò saggiamente, prima di cominciare a raccontarle della vacanza in Costa Azzurra così come al ristorante le aveva raccontato del viaggio in Italia con Jeff.
«E con chi sei andato?» chiese Ella.
A quella domanda Pierre si zittì, fu evidente il suo disagio e la ragazza fu sorpresa da quella reazione.
«Tasto dolente, scusa» cercò di rimediare. «Non devi dirmelo se non vuoi.»
«No non c'è problema» la rassicurò Pierre schiarendosi la voce. «Sono andato con la mia ex moglie e le mie due bambine» spiegò.
Ella rimase in silenzio, Pierre la guardava attentamente cercando di capire la sua reazione ma lei si limitò ad inarcare le sopracciglia, era sorpresa, com'era normale che fosse.
«Da quanto sei separato?» chiese.
«Poco più di un anno.»
Il suo tono era neutro, freddo. Pierre si chiese se avesse dovuto dirglielo prima, se Ella si fosse offesa per averlo scoperto solo in quel momento.
«Allora quelle sono le tue figlie?»
Ella indicò una foto dove due bambine bionde sorridevano all'obbiettivo.
Pierre annuì.
«E io che pensavo che fossero le tue nipoti» osservò divertita lei, mentre si alzava dal divano e prendeva in mano il quadretto, osservando più attentamente la fotografia.
«Sono bellissime» ammise, cercando con gli occhi lo sguardo di Pierre.
Lui la guardava attentamente, registrando ogni sua mossa in attesa di qualche critica su quella rivelazione non fatta prima. Ma Ella era serena, aveva appena rimesso a posto la foto e si stava avvicinando a Pierre. Senza aggiungere nulla si sedette sopra di lui, gli prese il bicchiere di vino dalla mano e l'appoggio sul tavolino. Non era per nulla arrabbiata, si conoscevano da poco ed era normale che non le avesse detto tutto, subito, sebbene quelle informazioni le avessero fatto vedere Pierre sotto un nuovo punto di vista.
«Sono sicura che sei un padre meraviglioso» osservò Ella, prima di sporgersi verso Pierre e baciarlo.
Sarebbe potuta sembrare una ragazza facile, ma in quel momento l'unica cosa che le interessava era averlo. Non sapeva quando avrebbe avuto nuovamente quell'occasione, e non voleva sprecarla per nulla al mondo.
Si concentrò sul sapore fruttato lasciato dal vino nelle loro bocche e sulle labbra morbide di Pierre.
Lui le appoggiò le mani sulle cosce, facendole risalire lentamente e spostando la gonna verso l'alto mentre le loro bocche si cercavano fameliche in un bacio sempre più appassionato.
Ella sussultò quando sentì Pierre stringerle i glutei. Appoggiò le mani sul suo petto tonico, accarezzandolo fino ad arrivare all'orlo della maglietta che alzò verso l'alto per sfilargliela.
Si prese alcuni secondi per ammirare il tatuaggio sul braccio che finiva con una linea netta sulla spalla sinistra. Si accorse che aveva un altro tatuaggio sul fianco destro e sfiorò con i polpastrelli il suo petto, sorridendo quando notò che gli aveva fatto venire la pelle d'oca. Ella riprese a baciare Pierre con sempre più foga mentre sentiva le sue mani abbassarle la zip della gonna ed alzarle la maglietta fino a sfilargliela dalla testa. Sganciò il reggiseno e le fece scorrere le spalline lungo le braccia. Ella sentiva l'eccitazione di Pierre crescere sotto i suoi jeans e sfiorarle l'inguine, si strusciò su di lui sentendolo più vicino e gli diede un ultimo bacio prima che lui con un gesto deciso la muovesse sul divano.
Le sfilò la gonna, Ella si sforzò di togliersi gli anfibi da sola mentre Pierre faceva scorrere i collant e gli slip lungo le sue gambe.
Strinse le ginocchia quando vide il suo sguardo posarsi su lei, completamente nuda. Si sentì vulnerabile ma lo sguardo compiaciuto di Pierre riuscì a farle riacquistare sicurezza. Si chinò su di lei e s'impossessò nuovamente della sua bocca mentre con le mani le accarezzava i seni. Ella sospirò quando abbassò la testa e le mordicchiò un capezzolo.
«Sei bellissima» mormorò sulla sua pelle.
Ella le rispose con un mugolio sommesso mentre si contorceva in preda al piacere dato dal suo tocco.
Pierre la baciò sulle labbra e riprese la sua lenta discesa verso il basso ventre di Ella. La ragazza inarcò la schiena nel sentire la lingua di Pierre giocare con la sua intimità.
La lista dei suoi ex non era poi così lunga ma era la prima volta che qualcuno le faceva una cosa del genere così bene. Voleva godersi al massimo quel momento concentrandosi soltanto sulle sensazioni che Pierre le stava dando ma allo stesso tempo anche il solo vederlo con la testa tra le sue gambe era una scena erotica a sé.
Ella stava per parlare ma aveva la mente completamente annebbiata e la gola secca. Si morse un labbro mentre il respiro si accelerava, le sue mani tra i capelli di Pierre. Fu costretta a chiudere gli occhi e a sforzarsi di non gridare dalla gioia quando raggiunse l'apice del piacere, ebbe l'istinto di chiudere le ginocchia ma le mani di Pierre glielo impedirono.
L'uomo alzò la testa, sorridendo compiaciuto nel vedere il viso di Ella sconvolto dall’orgasmo e il suo respiro non ancora regolare.
Si avvicinò a lei e riprese a baciarla, Ella fece scorrere le mani sul suo petto fino ad incontrare l'elastico delle mutande messe in mostra dai jeans a vita bassa. Slacciò la cintura e abbassò la zip dei pantaloni.
«Siediti» gli disse, intenzionata a farlo sentire come lui aveva fatto sentire lei.
Pierre scosse la testa ed Ella inarcò le sopracciglia. Era la prima volta che un uomo rifiutava qualcosa del genere.
«Voglio vederti venire» le sussurrò con voce roca. «Ancora.»
Ella non rispose, si lasciò trascinare da lui mentre la faceva sdraiare nuovamente sul divano e si posizionava tra le sue gambe.
«Devo prendere il...»
«Non serve» lo interruppe Ella.
Pierre la guardò per alcuni istanti, cercando una conferma nei suoi occhi. Riprese a baciarla, prima lentamente e poi con sempre più passione, aumentando l'aderenza tra i loro corpi. Dalle loro bocche uscì un sospiro quando lui entrò dentro di lei.
Ella si aggrappò alle sue spalle mentre Pierre aumentava gradualmente il ritmo delle sue spinte, chiuse gli occhi assaporando il suo profumo e inebriandosi delle sensazioni che gli dava. Il divano scricchiolava lievemente sotto il peso dei loro corpi che si muovevano in sintonia. Il rumore udibile nel silenzio disturbato soltanto dai loro respiri che si facevano sempre più vicini e più corti. Pierre le bacava le labbra, il collo, tra un respiro e l'altro, ed Ella si sentiva il cuore scoppiare mentre il ritmo delle spinte accelerava
Ella sentì ogni cellula del suo corpo attivarsi sotto il peso del corpo di Pierre che la possedeva, socchiuse la bocca quando sentì un formicolio partire dal suo basso ventre.
Pierre aumentò ulteriormente ritmo delle spinte mentre lei si aggrappava ancora più forte alle sue spalle.
«Vieni per me» le sussurrò Pierre in un orecchio.
Quelle tre parole furono il colpo di grazia per Ella, che obbedì inarcando la schiena e lasciandosi andare all'orgasmo che le pervase il corpo. Poco dopo sentì il corpo di Pierre irrigidirsi proprio come il suo, e dalla sua bocca uscì un gemito sommosso. Lo guardò con gli occhi chiusi e la fronte aggrottata, in un'espressione di totale piacere, pensare che fosse lei la causa di ciò la lusingò.
Ella ascoltò il suo respiro regolarizzarsi insieme al suo cuore che invece non riusciva a rallentare.
Pierre le diede un bacio sulle labbra prima di uscire lentamente da lei. Le scostò una ciocca di capelli dalla fronte, Ella si morse un labbro ancora incredula per quello che era appena accaduto. Pierre era così bello che le sembrava di aver vissuto un sogno e che non fosse davvero lui ad essere nudo sopra di lei. Lo guardò attentamente, voleva imprimersi nella mente ogni parte del suo corpo, il colore acceso dei suoi tatuaggi e le lentiggini sul naso.
«Sei bellissima» le sussurrò, spostandosi al suo fianco e cingendole la vita con un braccio per attirarla a sé.
Ella non disse nulla, chiuse gli occhi addormentandosi nel calore emanato dal suo corpo e col suo respiro ormai regolare a solleticarle il corpo.



​La canzone COLORS, alla quale mi sono ispirata per questa flash-fic, è uscita! 
Sono super felice. Seguo Halsey da un po', avevo letto le parole sulla sua pagina Tumblr e me ne sono innamorata all'istante, ma non pensavo che avrebbe pubblicato la canzone e invece... YAY!
Spero che il nuovo capitolo vi piaccia, ahimé è anche il penultimo.
Alla prossima!
Jas


 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** PURPLE ***


 




PURPLE
 
 
 
And you decided purple just wasn't for you
 
 
 
Il soffitto della camera di Ella era bianco, con un lampadario viola al centro. Lei era sdraiata sul letto sfatto, le gambe incrociate, un braccio sulla fronte e gli occhi socchiusi. Ormai era sera e lei avrebbe dovuto prepararsi, quella sera si sarebbe esibita al Purple e non poteva essere in ritardo.
Non sentiva Pierre da due settimane, non lo vedeva da tre. Si erano incontrati un'altra volta soltanto, avevano passeggiato insieme per le vie di Montréal ed Ella aveva comprato un rossetto azzurro. Forse non avrebbe dovuto trascinarlo dentro un negozio, aveva pensato quando poi non si era più fatto sentire per una settimana. Ci aveva impiegato soltanto cinque minuti a prendere ciò che voleva e pagare, non era mai stata una ragazza dubbiosa. E lui non le era sembrato annoiato, ma piuttosto divertito, mentre la aspettava sullo stipite della porta e la guardava sorridendo.
Le aveva offerto il té e una cheesecake, ma non aveva parlato molto. Era stata lei a portare avanti la conversazione, raccontandogli degli studi e di cosa avrebbe voluto parlare nella sua tesi di laurea. Poi l'aveva riaccompagnata a casa, e rifiutato il suo invito a entrare.
«Devo andare a lavorare» era stata la sua risposta, sebbene fossero ormai le cinque del pomeriggio.
Ella non aveva insistito, aveva voluto lasciargli il suo spazio sebbene si fosse resa conto dei suoi comportamenti strani e della sua freddezza. L'aveva salutata con un cenno della mano, nemmeno un bacio, a discapito di ciò che avevano condiviso così poco tempo prima.
Ella era scesa dall'auto mostrando indifferenza a quei comportamenti, cercando di capire il motivo di essi. Forse l'aveva deluso, aveva pensato, anche se le era sembrato felice quando si erano svegliati insieme, stretti in quel divano. Oppure si era semplicemente stancato, e la loro era stata una breve avventura, per quanto bella già finita.
Ella aveva atteso una chiamata, un messaggio di scuse che avrebbe accettato senza problemi, ma il suo telefono non aveva mai squillato.
Era stata lei a fare il primo passo, chiedendogli come stesse.
Pochi messaggi, così freddi e formali che avrebbero potuto mandarseli due sconosciuti. Ella non gli aveva più risposto, ingoiando la rabbia piuttosto che scagliargliela contro come invece avrebbe voluto fare. Più nulla.  
Una mattina era passata davanti al suo negozio, dopo aver guardato attentamente ciò che era esposto in vetrina non aveva potuto fare a meno di alzare lo sguardo, e l'aveva visto.
Era appoggiato al bancone, sembrava divertito mentre parlava con una cliente. Sorrideva, annuiva, e di tanto in tanto rispondeva. Ella non sapeva quanto era stata immobile sul marciapiede a guardarlo, tra le persone che passavano e alle quali intralciava il tragitto. Si era spostata solo quando lui aveva alzato casualmente lo sguardo, e l'aveva notata oltre il manico delle chitarre e i piatti di una batteria. L'aveva riconosciuta, la sua reazione sorpresa era stata visibile anche ad Ella, a parecchi metri di distanza. Lei aveva retto per alcuni secondi il suo sguardo, stringendo le labbra e trattenendosi dal reagire in qualunque modo, mentre gli occhi scuri di Pierre la guardavano dispiaciuti. Ella avrebbe voluto tirare un pugno al vetro, urlargli contro, chiedere spiegazioni, perché se n'era andato senza una parola quando poi sembrava così dispiaciuto. Invece se n'era andata, col passo deciso, il più lontano possibile da lui.
 
 
 
Il Purple era particolarmente affollato quella sera.
Ella era seduta sul piccolo palchetto posto nell'angolo della sala principale, il viso illuminato dai faretti bianchi appesi al soffitto e la chitarra posizionata sulle gambe lasciate scoperte dalla gonna bianca che indossava. Stava accordando la chitarra per l'ultima canzone, mentre il leggero brusio delle persone che parlavano le faceva compagnia.
Dopo alcuni secondi alzò lo sguardo e drizzò la schiena, avvicinando il microfono alla sua bocca.
«Quest'ultima canzone, a differenza delle altre, non è una cover» esordì. «L'ho scritta alcuni giorni fa in un momento di sconforto, spero vi piaccia. S'intitola Colors
Ella sorrise lievemente quando da un tavolo sentì un fischio di approvazione, abbassò lo sguardo e cominciò a suonare.
Era la prima volta che si esibiva con una sua canzone, l'ansia da prestazione l'aveva già superata da un po' ma il mettersi in gioco così tanto, mostrando in qualche modo a degli sconosciuti una parte di lei, l'aveva resa nervosa. Cantò cercando di non soffermarsi su qualcuno, mantenne lo sguardo al di sopra dei visi che la stavano ascoltando per paura di vedere una brutta reazione, preferiva rimanere col beneficio del dubbio.
Soltanto quando fece riecheggiare dalle casse l'ultimo accordo di chitarra, guardò il pubblico che l'aveva ascoltata fino a quel momento, e sorrise mormorando un "grazie" mentre dalla sala si alzava un applauso.
Ella fece scorrere lo sguardo sui visi dei suoi spettatori, senza riuscire a trattenere il sorriso sincero e sollevato per la reazione ottenuta. Arrestò i suoi movimenti quando scorse in fondo alla sala una figura famigliare, che la guardava sorridendo mentre applaudiva.
Ella sentì la rabbia ribollirle nelle vene. Sperava almeno che Pierre avesse capito che quella canzone parlava di lui, del loro incontro, e di come dopo aver ottenuto ciò che voleva l'aveva lasciata perdere. Non avrebbe dovuto sembrare così contento e fiero di lei per la sua performance, ma piuttosto imbarazzato e magari pentito.
Ella indurì lo sguardo, sperando che lui capisse che non era il benvenuto lì, e si alzò dallo sgabello. Mise a posto la chitarra e prese le sue cose. Non sapeva se lui fosse ancora lì a guardarla, non aveva più osato volgere lo sguardo in quella direzione. Cercava di convincersi che non le interessasse saperlo, se avesse voluto parlarle avrebbe dovuto farlo lui il primo passo, pensò, lei si era impegnata già troppo.
Lasciò le sue cose nel piccolo sgabuzzino dietro il bancone e ordinò una birra come di consueto.
«Mi passi la mia giacca?» chiese ad Alan, mentre attendeva la sua ordinazione.
Il ragazzo fece come richiesto, Ella setacciò le tasche alla ricerca del suo cellulare, ma insieme a questo trovò un foglietto che non ricordava di avere.
Lo aprì, non era firmato da nessuno ma riconobbe subito la calligrafia disordinata.
 
"Il viola non fa per me."  
 
Nel leggere quelle parole Ella alzò immediatamente lo sguardo allarmata. Strinse il foglietto in mano, come osava ritorcerle contro le sue stesse parole?
Si guardò intorno alla ricerca di Pierre, sentiva il suo sguardo addosso, e dopo alcuni secondi lo individuò tra la folla.
Strinse con rabbia in foglietto e si avvicinò a lui senza perderlo di vista per un secondo, per evitare che scappasse di nuovo.
«Mi vuoi spiegare cosa cavolo…»
Ma lui non la lasciò finire, le prese il viso tra le mani facendo avvicinare i loro visi fino a far incontrare le loro labbra. Fu un bacio deciso e forzato, Ella teneva la bocca serrata, confusa. Pierre la accarezzò i capelli e socchiuse le labbra, Ella non poté fare altro che obbedire alla tacita richiesta di fare lo stesso. Dovette aggrapparsi alle sue spalle quando le loro lingue si incontrarono e il calore della bocca di Pierre la avvolse. Era inebriata dal suo profumo, dal suo tocco, e solo in quel momento si rese conto di quanto le era mancato.
Si allontanò controvoglia rendendosi conto di essere sotto gli occhi di tutti e, soprattutto, del suo datore di lavoro.
Lo prese per mano e, senza dire nulla, si fece strada tra la folla e dopo aver sceso una rampa di scale aprì una porta di acciaio.
«Ella…» mormorò Pierre.
La ragazza gli appoggiò un ditto sulle labra. «Sshh» lo ammutolì.
Erano in uno sgabuzzino nel seminterrato, lì la musica era soltanto un suono lontano, ma dalla piccola finestra socchiusa si potevano vedere le scarpe delle persone che affollavano il marciapiede davanti al locale.
«Se ci scopre qualcuno?» domandò lui, guardandosi intorno con aria circospetta, ma Ella non rispose, avvicinò il viso al suo e lo baciò di nuovo.
Fu un bacio dolce, meno urgente di quello precedente. Pierre fece scorrere le dita tra i capelli di Ella, continuando poi la discesa verso il suo fondoschiena. Quando strinse le mani sui suoi glutei, a Ella sfuggì un gemito sommesso. Approfondì il bacio con sempre più foga, avvicinando ulteriormente il suo corpo a quello di Pierre, sentendo la sua eccitazione che stava crescendo.
Gli slacciò la cintura e abbassò la zip dei jeans, gli tolse la maglietta e spostò le sue labbra sulla mascella di Pierre coperta da un lieve strato di barba, si abbassò sul collo, la spalla e il petto, mentre le sue dita tremanti toccavano il suo torace teso.
Il suo naso sfiorò la peluria che congiungeva l’ombelico all’elastico dei boxer, e quando le sue dita si avvicinarono ai fianchi, per abbassare l’ultimo strato di tessuto che li separava, Pierre prese Ella per le braccia e la sollevò.
Prima che la ragazza potesse ribattere, le sollevò le braccia sopra la testa e si appoggiò completamente al suo corpo, schiacciandola contro il muro, mentre le sue labbra le stuzzicavano la bocca, la mandibola, il collo. Quando scese sui suoi seni, ancora coperti da un top aderente, Ella cercò di liberarsi da quella dolce morsa, ormai sfinita da tutti quei giochetti.
«Ti odio» sussurrò, sulle labbra di Pierre.
Lui si limitò ad annuire e sorridere lascivo. Lasciò la presa e abbassò le mani sui fianchi di Ella, alzandole la gonna. Accarezzò lentamente il bordo dei suoi slip, osservando gli occhi della ragazza spalancarsi leggermente quando i suoi polpastrelli si abbassarono, toccandole un punto più sensibile.
Nonostante il chiacchiericcio in lontananza, erano entrambi catturati dal suono dei loro respiri e dal fruscio della loro pelle che sfregava.
Pierre si abbassò i boxer, sollevò leggermente Ella permettendole di cingere una gamba attorno ai suoi fianchi e le scostò le mutandine da un lato.
Ella si sentì ancora più eccitata da quel gesto, fare sesso da vestiti le sembrava quanto di più erotico e più furtivo avesse fatto. Le facevano male le gambe per la scomoda posizione, le scapole per il muro duro contro il quale le sue spalle continuavano a picchiare, e chiunque avrebbe potuto entrare da un momento all’altro; eppure non riusciva a sentirsi più euforica di così, Pierre tra le sue gambe e la sua erezione che le sfiorava l’intimità.
Le sfuggì un gemito quando lui si spinse dentro di lei e le appoggiò le mani sui glutei nudi per tenerla più stretta.
Cominciò a muoversi lentamente dentro di lei, aumentando poi il ritmo, seguendo i movimenti del bacino di Ella.
Pierre appoggiò la testa sulla sua spalla e le alzò ulteriormente una gamba, sorreggendola col suo braccio. Le spinte diventarono sempre più forti, le spalle di Ella le dolevano sempre di più, ma smise di sentire il fastidio quando l’orgasmo cominciò a farle tremare le gambe.
Si aggrappò alle spalle di Pierre mentre lui affondava sempre di più dentro di lei, e quando sentì che le gambe stavano per cederle, fu travolta dai brividi dell’orgasmo che le pervase il corpo come una scossa.
Chiuse gli occhi e ascoltò i gemiti sommessi di Pierre, poi una familiare sensazione di calore dentro di lei
Rimasero fermi, aggrappati l’uno all’altro per alcuni istanti.
«Non mi sento più una gamba» mormorò Ella, rompendo il silenzio
Pierre si staccò da lei, appoggiando le mani sui suoi fianchi per tenerla in piedi e non farla scappare. I loro visi erano ancora vicini, abbastanza da far fondere i loro respiri non tornati ancora regolari.
Pierre appoggiò la testa sulla spalla di Ella e lei si ritrovò ad accarezzargli dolcemente i capelli mentre con lo sguardo scrutava lo stanzino nel quale si erano nascosti.
«Non doveva succedere…» mormorò lui, sulla sua pelle.
«Shh…» lo zittì lei, senza smettere di muovere le dita sulla sua nuca.
«Non dovevo essere qua stasera.»
«Ti prego non rendere le cose ancora più difficili.»
«Lo sono già.» Pierre alzò la testa e sorrise lievemente mentre con una mano accarezzava la guancia di Ella. «Sei bellissima» sussurrò. «Non sono riuscito a resisterti.»
Ella deglutì, improvvisamente a disagio da quella situazione. Lo sapeva che quella sarebbe stata la loro ultima volta insieme. Lo aveva sempre saputo, eppure aveva cercato di tenere quel pensiero nascosto nel profondo, di cancellarlo con i baci, i sospiri, i gemiti sommessi, ma le parole di Pierre avevano fatto emergere quella vocina fastidiosa che fino a quel momento Ella aveva ignorato. Si sentì sconfitta, e dovette appoggiare la testa al muro e chiudere gli occhi per non mettersi a urlare.
«Ella…» la chiamò Pierre, preoccupato. «Non…»
Ma lei lo zittì, questa volta appoggiando le labbra sulle sue. Rimase immobile per alcuni istanti, assaporando la morbidezza della sua pelle e il punzecchio che la barba le provocava.
«Va bene» sussurrò. «Ho capito.»
Pierre la guardò stupito. Senza aggiungere nulla Ella si sistemò la gonna e il top, raccolse la borsa che aveva buttato per terra e si avvicinò alla porta. Si voltò un’ultima volta in direzione di Pierre, che la guardava tramortito, troppo scioccato per dire o fare qualunque cosa, poi uscì dalla stanza.
Strinse il bigliettino che non aveva ancora tolto dalla giacca: l’aveva capito, erano troppo diversi, senza futuro. Cercando di trattenere le lacrime che le pizzicavano gli occhi, Ella uscì dal Purple.


Dopo mesi ho finalmente pubblicato l'ultimo capitolo!
Il finale è triste, lo so, ma ho già in mente un seguito, che però non so quando pubblicherò.
Grazie per il supporto <3
Jas


 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3105279