Our Future di Kaleido_illusion (/viewuser.php?uid=855853)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Mele rosse ***
Capitolo 2: *** I Due Mondi ***
Capitolo 3: *** Evasione ***
Capitolo 4: *** Incontro Scontro ***
Capitolo 5: *** Astio ***
Capitolo 6: *** Decisioni Importanti ***
Capitolo 7: *** Il Primo Passo ***
Capitolo 8: *** Nella tana del lupo ***
Capitolo 9: *** Ho bisogno di una risposta ***
Capitolo 10: *** Accetto. ***
Capitolo 1 *** Mele rosse ***
Capitolo
1
Un’
altra giornata calda ed infernale. Il sole cocente di metà
Giugno picchia attraverso i palazzi sopra la mia testa, facendomi
sudare ancora
di più sotto il cappuccio leggero. Mentre corro per le
strade affollate dei
sobborghi, si alzano ad ogni passo nuvole di polvere e sabbia, che mi
irritano
la gola mentre i polmoni stanno per scoppiare dalla fatica. Purtroppo,
se
voglio arrivare salva e intatta a destinazione, non mi posso fermare a
riprendere fiato, perché se il tizio che mi insegue mi
acciuffasse, con la mole
che si ritrova, non mi lascerebbe andare senza un graffio, o qualche
osso
rotto. Perciò stringo ancora più forte al petto
la preziosa borsa di cuoio e
corro più veloce che posso, facendomi strada a suon di
gomitate e spintoni tra
i passanti. Qualcuno cade a faccia a terra o finisce contro una
bancarella
arrangiata, ma non posso fermarmi a controllare
i danni o come stiano, così urlo solamente
delle frettolose scuse che si perdono nel chiacchiericcio. Intanto alle
mie
spalle l’energumeno, ormai a corto di fiato, continua ad
urlarmi, con parole
molto “fini”, di fermarmi e restituirgli la merce
se non voglio finire in guai
ancora più seri.
“ Ma crede davvero che me la beva?!” penso
trafelata.
Accelero l’andatura e alla prima occasione svolto a destra.
Le vie
si assomigliano un po’ tutte è l’unico
modo per riconoscerle sono i pochi nomi
o insegne di negozi ancora
sopravvissute
che ora pendono con i fili scoperti come resti bionici. Le vecchie case
ormai
crollate si accasciano su loro stesse come animali feriti o ai lati di
quelli
che un tempo erano marciapiedi, mentre macerie, ferro e pezzi edili
giacciono
sparpagliati qui e là per la strada. Alcuni edifici
più fortunati si ritrovano
senza una porzione di muro, con qualche finestra saltata o qualche
portone, ma
sono ancora solidamente in piedi; di altri, invece, non rimane
più nulla se non
qualche piano pericolante, sotto cui sono stati allestiti provvisori
banchetti
di venditori ambulanti che cercano di rivendere cianfrusaglie, oppure
lo spazio
viene utilizzato come riparo momentaneo durante la pioggia. Qui a
Cardia-Y 311,
la città-stato in cui vivo, la pioggia è
micidiale ma, sono più che convinta
che nelle altre parti del pianeta la situazione non sia poi
così diversa. A
causa dell’ inquinamento di centinaia di
anni, l’acqua, se così si può ancora
definire, è diventata talmente acida che
bastano poche gocce per corrodere il cemento e tutto ciò che
tocca; e l’effetto
sulla pelle è altrettanto letale. Inoltre è utile
dire che l’acqua stessa è
inutilizzabile, a meno che, se si riesce ad immagazzinarla come si
deve, non la
si usi come potente corrosivo per lavorare o smaltire piccole
quantità di
rifiuti. Dico piccole, perché lo Stato più di una
volta ha tentato di
sciogliere tonnellate di spazzatura, con l’unico risultato di
creare
avvelenamento da fumi tossici come mai prima nella storia, tanto che
tutt’ora
alcuni distretti, dove si trovavano le centrali di smaltimento, sono
chiusi per
le esalazioni. Non solo, in
alcuni punti
della città l’ingresso è vietato anche
a causa del pericolo di crolli o della
concentrazione di monossido di carbonio, su cui gli scienziati del
Centro
continuano a indagare
per spiegare come
mai ci sia addensamenti solo in alcune zone. Ma non hanno trovato
ancora risposte
soddisfacenti, così si limitano a diffondere delle ipotesi
verosimili, per
calmare la popolazione.
Finalmente sono arrivata alla vecchia cartiera. Ha lo stesso
aspetto di trecento anni fa, almeno così si dice in giro,
con l’unica
differenza che oggi è inattiva e completamente abbandonata,
visto che non
esistono più boschi da cui poter prendere il materiale la
materia prima per
fabbricare la carta. A me è sempre sembrata
un’enorme scheletro di cemento.
Inoltre all’interno vi sono ancora quasi tutti i macchinari e
cianfrusaglie
varie. Tuttavia nessuno, tranne me, ovviamente, osa entrarci siccome
è una
delle zone gialle di livello 5 per il rischio di crollo (quindi una tra
le più
pericolose). Penso che sia stata chiusa anche perché
trattiene monossido di
carbonio o qualche altra sostanza tossica. Una sola volta,
quando ero più
piccola ed ero in giro con mio padre, la curiosità mi ha
spinta ad entrarci. Ho
avuto appena il tempo di fare qualche passo all’interno, che
la testa ha
iniziato a farsi pesante, le braccia e le gambe non mi rispondevano
più, erano
come piombo saldato a terra, pesantissime e rigide, mentre la vista
andava
lentamente annebbiandosi. Per fortuna mio padre mi ha trovato e portato
via in
tempo, altrimenti ci avrei lasciato le penne. Da allora non vado
più in giro
senza la mia fedele mascherina depura-aria, che adesso sistemo
accuratamente
sul naso e sulla bocca prima di procedere oltre. Questa è un
aggeggio simile
alle vecchie mascherine trasparenti per aerosol, usate per curare
bronchiti e
asma tuttavia al centro ha un cilindro spesso tre centimetri, che
contiene
griglie al carbonio trattate con agenti chimici, che scompongono
l’aria
lasciando passare solo ossigeno e, tramite due tubicini ai lati, lunghi
tutta
la larghezza dell’aggeggio di plastica, vengono espulse
anidride carbonica e
altre sostanze.
Cerco la solita crepa nel fianco dell’ edificio e mi ci
addentro,
voltando un attimo la testa per
vedere dov’ è il mio inseguitore; ho appena il
tempo di scorgerlo
a pochi metri da me che subito sparisco oltre il muro.
Caspita non molla, anche con tutta quella ciccia! Lesta, sposto
delle scatole subito dopo l’ingresso della crepa per
rallentarlo. All’interno i
passi rimbombano troppo forti, producendo un’eco cupo e
ritmico. Dovrei
rallentare perché ormai sono al limite delle forze, ma le
urla sguaiate del
tizio mi convincono di nuovo a non farlo. Supero cartacce e sporcizia,
trovandomi
a una ventina di metri dall’uscita quando uno schianto mi fa
voltare di colpo,
arrestando la mia fuga.
Il resto accade in un attimo. Il ciccione inciampato nella pila di
scatoloni, si è schiantato contro una colonna malandata che
sorreggeva una
trave di ferro arrugginita. L’impatto fa sì che la
trave si sganci
completamente dal supporto, precipitando dritto su di me. Mentre il
cervello
cerca di mettere insieme i dati, i riflessi, allenati ormai da anni di
vita
spericolata, hanno già dato istruzioni al mio corpo, che
perciò si butta in
scivolata di fianco ad un enorme macchinario, che credo dovesse
tagliare e
sminuzzare materiali vari. L’impatto della trave con il suolo
è indescrivibile:
le vibrazioni, che si propagano sul suolo, sono come scosse di
terremoto che
percepisco benissimo accucciata come sono e squassano tutto il mio
corpo. Spingo
la faccia in giù e proteggo con una mano la borsa e con
l’ altra la testa, nel
momento in cui il sisma scatena una serie di crolli a catena. Aspetto
minuti
interminabili e decido di riprendere a muovermi solo quando non sento
più
nessun rumore. Si è alzato un gran polverone nel frattempo,
che mi fa lacrimare
gli occhi stanchi. Rotolo sulla schiena e, appena la nube si deposita
nuovamente al suolo, noto con terrore che ho scampato per un pelo di
rimanere
spiaccicata: la trave, colpendo in pieno il macchinario, lo ha
trasformato in
un ammasso compresso di lamiere e miracolosamente è riuscito
a sostenere il
peso, salvandomi la vita! A quanto pare in questa dannata fabbrica,
ogni volta
che ci metto piede, rischio di rimanerci secca. Forse è
meglio restarle alla
larga per un po’.
Impiego qualche minuto a smaltire l’adrenalina e ritrovare il
controllo. Di nuovo in me, con la tracolla sulla schiena, striscio
lontano
dalla trave. Il senso di liberazione è magnifico, sebbene
non ne sia uscita
indenne; la stoffa della gamba destra del pantalone è
completamente strappata
ed insanguinata come il gomito e parte del braccio a causa della
scivolata e
sembrano dei pezzi di carne da macello. Siccome sono ferite agli arti
sono lievi,
ritorno ad esaminare il pantalone; di sicuro mia zia mi
ucciderà! Soltanto
settimana scorsa ne ho rotto un altro e non posso permettermi di
buttare via
ancora un paio, con tutto quello che costano. Sbuffo irritata al
pensiero della
ramanzina che mi aspetta, ma solleva il morale sapere che il contenuto
della
borsa e la mascherina sono intatti. Purtroppo non è il
momento di pensarci, tra
non molto una marea di gente e sorveglianti si precipiterà a
vedere cosa è
successo e non possono beccarmi di nuovo. Non qui, in una zona dove, in
teoria,
è vietato l’ingresso. Mi arresterebbero di sicuro,
visto che sono al secondo
ammonimento, e soprattutto non la farei franca se sul posto dovessero
arrivare
i Funzionari! Sono il dipartimento al vertice dei servizi di sicurezza
e della
polizia, perciò hanno molti poteri, oltre ad un piccato
senso del dovere e
delle regole, per non parlare del loro rigore e
dell’inflessibilità che hanno
suscitato la diffidenza della popolazione. Credo però che
sia anche a causa del
reparto di sorveglianza speciale che si occupa delle persone con
“abilità”
particolari.
Scaccio dalla mente questi pensieri, fascio alla meglio la gamba
ed il braccio con degli stracci, e mi allontano senza guardare indietro.
Sporca
di terreno, sudata come una capra e ridotta a un rottame,
sono finalmente giunta al capolinea, la vecchia drogheria al limite dei
sobborghi
della città. È un vecchissimo edificio crollato e
chiuso da saracinesche, ma è
un posto piuttosto isolato, dove il retro con l’ingresso al
magazzino è
perfetto per un possibile nascondiglio. Apro la botola in cemento con
porte di
ferro nel giardino dietro il fabbricato, divenuto una discarica di
rifiuti
ingombrati e senza più vegetazione, e scendo fino al quarto
gradino, chiudendo
delicatamente i battenti, cercando di non fare il minimo rumore.
Lo scantinato,
illuminato da quattro finestre orizzontali e
rettangolari, è tappezzato da monitor di computer obsoleti,
alcune scrivanie,
viti, cacciaviti, attrezzi elettrici, circuiti, fili di rame,
saldatrici,
chiavi inglesi ed un enorme generatore elettrico in un angolo.
È il paradiso
per uno con la passione per PC e qualsiasi cosa funzioni ad
elettricità e non
solo.
<< Ehi
Kid!>> urlo, mentre mi siedo sul
corrimano in
ferro, lasciando dondolare a penzoloni le gambe. Una figura china sotto
una
delle scrivanie sobbalza e picchia la testa contro una cassetta di
ferro.
<< Auch!
… grazie mille,
April!>> mugugna il ragazzo
che si mette in piedi massaggiandosi un punto della testa coperto dal
suo
cappellino senza visiera preferito. Kid è il mio migliore
amico, ha un anno più
di me, capelli biondo cenere e occhi grigi. È alto e magro
da fare schifo, ma
questo lo penalizza in fatto di muscoli: a nulla serve la canotta
bianca che porta
per mettere in evidenza un filo, appena accennato, di addominali.
Adesso cerca
di fissarmi seriamente, con lo sguardo di rimprovero che,
però, non gli riesce.
Cerco comunque di restare al gioco.
<< Mi
dispiace tanto>> dico nel tono
più dispiaciuto
che riesco a fare.
<< Lo
sai? Non sei brava a mentire>> mi
schernisce.
Mi sa che non ci
è cascato, peccato.
<<
Qualcuno deve avermelo già detto, ma sono
convinta di
poter migliorare>> scherzo.
<< Spero
di no! Altrimenti siamo tutti
fregati>>
risponde lui finalmente divertito. Purtroppo per lui, anche quando era
piccolo,
non riesce a restare arrabbiato per più di cinque minuti di
fila.
<<
Indovina cosa ti ho portato?!>> cambio
volutamente
argomento per non tirarla per le lunghe, perché sono una che
si stufa
facilmente.
<< Hai
rubato ancora?!>> adesso
è seriamente
indignato.
<< Non
direi rubato. Piuttosto ho soddisfatto dei bisogni
primari>> ribatto decisa.
<<
Quale? Quello della cleptomania? >>
<< No,
scemo! E poi non sai neanche che significa
“cleptomania”>>
Ride. <<
E cosa mi avresti portato,
sentiamo…>>
Estraggo dalla borsa
tre mele rosse come il fuoco. Kid ha
un’espressione stupefatta, mentre si avvicina estasiato, cosa
che mi rende orgogliosa
del mio operato, anche se ho rischiato la vita per portagliele.
<< Se
fossi stato in te avrei preso qualcosa di
più
prezioso! Hai idea di quanto costano?>>
<< E dai
Kid, non fare il moralista! È da mesi
che non se ne
vedono in giro. Le ho adocchiate su una bancarella e le ho prese.
Chissà quando
ci ricapiterà ancora>> cerco di avvalorare la
mia tesi, ma mi sa di non
averlo ancora convinto, perché non le ha neanche toccate.
<< Oh!
Se non la vuoi, la mangio io!>>
sbotto stufata.
Faccio per addentarne una, quando lui me la toglie prontamente di mano.
<< No!
No! La mangio>> strilla lui di
rimando.
Non posso fare a meno
di sorridere.
Lo conosco fin troppo
bene per capire che ha una fame allucinante
che solo i ragazzi posso avere, ma non lo mostra mai, perché
sa che altrimenti
ruberei qualcosa di più sostanzioso per sfamarlo.
Così, per assecondarlo,
faccio finta di non essermene accorta. Nei sobborghi il cibo
è scarso e per lo
più mangiamo scatolame o prodotti non deperibili,
cioè quelli che si possono
conservare più a lungo, anche per mesi. Inoltre sono gli
unici che possiamo
permetterci perché a basso costo, oltre alle uova e pochi
formaggi prodotti dai
limitati allevamenti arrangiati. La frutta e verdura
“fresca”, in verità frutto
di manipolazioni genetiche provenienti dal Centro, hanno dei prezzi
assurdamente alti e pochissimi, grazie a risparmi di settimane forse
mesi di
lavoro, riescono a comprarli. Comunque è sempre un piacere
vedere Kid che
mangia con gusto, non importa quanto debba rischiare. Ha
un’espressione
contenta, serena e meno afflitta dai problemi quotidiani, ritornando
quasi un
bambino, come J. J.
A proposito di lui!
<<
Dov’è J. J ?>>
chiedo preoccupata a Kid. Di solito,
quando vengo qui, mi salta sempre in braccio, come il piccolo koala del
libro
illustrato che abbiamo trovato in un vicolo abbandonato, proprio come
lui.
J. J è un
orfano. Tre anni fa, io è Kid lo
abbiamo visto
vagabondare per le strade, tremante di freddo, mentre un gruppo di cani
randagi, con le costole evidenti sotto il pelo, lo seguiva a poca
distanza,
sperando che si accasciasse al suolo per attaccarlo. Ad un certo punto
le sue
esili gambe non hanno più retto per gli stenti e la fame, ed
è caduto in ginocchio.
Mentre passavamo lì accanto, avevo colto un leggero
movimento di quello che
poteva essere il capobranco dei randagi, e non ho saputo trattenermi,
correndo in
suo aiuto. Sapevo che non potevamo aiutarlo, perché a stento
in inverno
riuscivamo a sfamare noi stessi e le nostre famiglie, ma non me lo
sarei mai
perdonata se fosse morto in quel vicolo, davanti ai miei occhi. Con
l’aiuto di
Kid ho scacciato i cani a suon di bastonate, per avvicinarmi al bambino
e
rimetterlo in piedi. Era avvolto solo in una mantella slabbrata e da
sotto gli
stracci si vedevano le ossa. Fu il viso a colpirmi maggiormente. Le
guance erano
scavate dalla fame, i capelli castani erano arruffati e sporchi, gli
occhi di
un grigio spento dalle atrocità viste, ma determinati a non
soccombere. Non
pensavo che un bambino di poco più di sei anni potesse avere
uno sguardo così
intenso.
Cosa dovevo fare
adesso che l’avevo aiuto? Che speranze
potevamo
dargli se nemmeno noi né avevamo? Quegli occhi
così espressivi mi stavano
incastrando lentamente e non sapevo cosa dirli. Allora gli chiesi il
nome, ma
l’unico suono che emise in risposta fu una flebile j e per
questo lo chiamammo
J. J. Quando poi menzionai i suoi genitori e dove fossero, mi strinse
il
braccio con tutta la forza che aveva e, fissandomi intensamente, il suo
sguardo
disse più cose di quante si possano esprimere con le parole,
colpendomi dritto
all’anima. Potevo immaginare solo lontanamente cosa avesse
subito per trovarsi
in quel vicolo, da solo e sperduto e mi chiesi come mai non fosse
scoppiato
ancora a piangere per comunicarmi il suo disagio. Forse si tratteneva
dal farlo
o forse non aveva più lacrime da piangere. Semplicemente
rimase lì, fermo a
trattenermi. Quella stretta, così forte per le sue fragili
dita, mi fece capire
che anche lui era una vittima, ma voleva sopravvivere a tutti i costi.
Mi aveva
conquistata mostrandomi la sua determinazione. Perciò capii
che non sarebbe
stato difficile aiutarlo e che da allora non l’avrei
abbandonato. Lo portammo
subito al rifugio dove, datigli dei vecchi vestiti del mio amico, gli
offrimmo
tutto il cibo che avevamo portato con noi. Vederlo mordicchiare il
pane, con
quegli indumenti troppo larghi, tanto da farlo sembrare più
minuto di quanto
fosse, mi fece provare subito una certa simpatia ed affetto nei suoi
confronti.
Da quel giorno in avanti gli portammo avanzi, rimasugli e tutto quello
che
riuscivamo a trovare e dopo tre mesi, finalmente iniziò a
parlare, a muoversi
con scioltezza, migliorando di giorno in giorno, fino ad essere lo
spiritoso,
esuberante ed energico moccioso che è adesso.
<<
È anfafo
a fafe
una fommiffione… >> mi risponde, con la bocca
piena della mela che sta
gustando.
<<
Ingoia! Non fi capiffe nienfe>> gli
faccio il
verso.
<<
È andato a fare una commissione, se la
gestisce bene gli
abbiamo trovato un lavoro>>
<< Ma
è fantastico!>> esulto.
Sono davvero contenta
per J. J.. Finalmente potrà guadagnare
un
po’ di soldi per conto suo ed iniziare a provvedere da solo a
se stesso, così
da avere dei pasti decenti e non le solite microscopiche porzioni che
gli
portiamo o possiamo offrirgli di tanto in tanto.
Ripongo con cura una
delle due mele rimaste, mentre l’altra
la
addento senza complimenti con la soddisfazione e la contentezza dipinte
sul
viso. Appena Kid ha finito la sua, pulendosi la bocca sulla manica
corta della
maglietta, torna ad armeggiare con il generatore elettrico.
<<
April, hai preso i pezzi che ti ho
chiesto?>>
Rispondo di
sì, saltando giù dalla mia sedia
improvvisata e, dopo
aver finito con calma la mela, gli piazzo in mano una scatolina con dei
fili
che schizzano fuori da tutte le parti. Kid lo osserva per qualche
secondo
sconcertato, poi posa il suo sguardo infuriato su di me. Il suo lato
oscuro
esce solo quando si tratta di aggeggi di questo tipo.
<<
L’hai strappato via a mani
nude?!?>> mi rimprovera.
Questa volta la faccia
seria gli riesce benissimo e non sta
scherzando.
<<
Sì?>>
<<
SÌ?? Ma sei impazzita?! Potevi
danneggiarlo! E come
avremmo fatto a sistemare il generatore per accendere i computer??
È da mesi
che ci lavoro!!>> sbraita in preda all’ira.
<< Che
altro dovevo fare? Non c’erano forbici o
oggetti
utili a portata di mano. E poi ero di fretta>> sbuffo
seccata.
Kid sbuffa a sua volta
scontento e sistema i fili scoperti,
borbottando come una pentola di fagioli messa a bollire. Purtroppo mi
tocca
assisterlo e perciò mi siedo pazientemente accanto a lui a
gambe incrociate,
passandogli gli attrezzi che mi chiede ed aspettando che la rabbia gli
sbollisca un po’, prima di riprendere a chiacchierare.
<< Cosa
speri di trovare nei PC?>> chiedo
dopo un buon
minuto di silenzio.
<< Non
saprei. Spero che essendo del Centro ci siano dei
dati interessanti>> commento ad alta voce.
<< Non
credo che abbiano lasciato file importanti in un
computer da buttare>>
<<
Infatti ho scoperto alcuni metodi per ripristinare
file
cancellati o criptati. Ci sono diversi sistemi e ognuno ha bisogno di
passaggi
ben definiti…>> ma il discorso diventa troppo
specifico e complesso per
me, così mi limito ad annuire e far finta di ascoltare,
perdendomi nei miei
pensieri. Quando Kid attacca a parlare con la passione per queste cose,
non lo
ferma più nessuno. Infatti, non so per quanto va avanti, ma
nel momento in cui
si zittisce ha finito di montare la scatolina. Soddisfatto, attacca gli
ultimo
due fili ad una ciabatta a più prese, collegandovi le spine
necessarie e si
ferma ad ammirare il suo capolavoro.
<< Sei
pronta?!>> esulta posandosi i pugni
sui
fianchi.
<<
Mah!>> bofonchio. Sono ancora scettica a
riguardo.
<< Sbrigati ad accendere quei dannati
affari!>> lo incito ormai
stufa. Felice come una pasqua, Kid spinge verso il basso una leva
laterale,
azionando con un ronzio il vecchio catorcio che dovrebbe fungere da
generatore.
Appena la corrente inizia a passare nei fili, il mio amico preme uno ad
uno i
pulsanti dei PC che lentamente prendono vita e i loro monitor, da
grigi,
assumono un azzurro brillante, mentre una barra verdognola inizia a
caricarsi.
<<
Funzionano>> rimango senza parole,
mentre Kid è
fuori di se dalla gioia. << Funziona
davvero Kid. Ce
l’ hai fatta!!!>> adesso sono
io quella
fuori di sé e gli assesto una gran pacca sulla spalla.
<< Cosa
ha fatto? Vi si sente da fuori …
>> dice
qualcuno alle mie spalle, avvinghiandosi a me.
<< J. J
!! sei tu >> dico, sobbalzando. Il
piccolo
koala si stringe ancora di più, anche con le gambe, mentre
ridacchia divertito
di avermi spaventata.
<< Come
è andata la
commissione?>> gli chiede Kid,
mentre gli faccio il solletico.
Si stacca con il
sorriso stampato in faccia << He he! Mi
hanno assunto!>> saltella dalla gioia.
<<
Bravissimo J>> lo abbraccio fortissimo.
<< dove
andrai a lavorare?>> chiedo rendendomi conto di non aver
indagato prima
sull’argomento.
<<
Sarò l’aiutante del fabbro a due
isolati più giù di dove
lavora Kid >> racconta J. con il petto gonfio di trionfo
e del suo
orgoglio di bambino.
<<
Sembra grandioso! E quando inizi? >>
chiedo
curiosa.
<<
Dopodomani mattina, però
presto>> puntualizza.
<< Mi
raccomando, vedi di scottarti!>> lo
punzecchia
Kid, mentre gli arruffa i capelli ed iniziano ad azzuffarsi per gioco.
Sono proprio due
bambini! Kid, grande e grosso, si diverte ancora
a fare la lotta con chi è più piccolo di lui.
Alzo gli occhi al cielo, ma lascio
lo stesso la borsa in disparte e mi butto nella mischia. Non mi lascio
mai
sfuggire una piccola zuffa contro Kid, soprattutto perché
vinciamo sempre J. J
ed io. Il gioco finisce quando riesco ad atterrare di schiena il mio
amico,
mentre J. J gli tiene ferme le gambe.
<<
Abbiamo vinto!!>> strilla J.
<< Non
vale, avete fatto di nuovo
squadra!>> scoppiamo
tutti a ridere.
All’improvviso
un bip dei computer interrompe il nostro
momento di
svago. Kid ci scrolla subito di dosso, mandandoci a finire con i sederi
per
terra, e si avvicina alla postazione. Prima di raggiungerlo do la mela
al
bimbo, che la divora in un nanosecondo con le guanciotte arrossate per
lo
stupore.
<< Cosa
ti sei fatta?>> mi chiede
d’un tratto indicando
le fasciature.
Cavolo! Mi ero
dimenticata di medicarmi per non fargli vedere le
ferite. Quando c’è J. J nei paraggi, evito sempre
di farmi vedere bendata e sanguinante,
per evitare che si preocupi inutilmente.
<< Di
sicuro ha rischiato ancora di farsi ammazzare. Come
sempre!>> brontola Kid.
Lo sa che non deve
dire certe cose davanti a J. J, accidenti a
lui! Perciò gli assesto un cazzotto dritto sul braccio.
<< Che
ho detto?>> si lamenta.
<< Parli
sempre a sproposito!>> lo guardo
furibonda,
poi mi rivolgo al bambino << Non è niente di
grave, sono solo
scivolata>> sorrido per non farlo intristire di
più.
<< Stai
attenta, non voglio che ti fai
male>> ha una
faccina così addolorata mentre lo dice, che mi si stringe il
cuore e,
maledicendo me stessa per la mia disattenzione, gli arruffo i capelli
corti. <<
Starò più attenta, promesso>>.
Ci avviciniamo ai
monitor, dove Kid si è già
messo all’opera,
battendo freneticamente sui tasti neri delle tastiere.
<<
Allora?>> chiedo impaziente, sporgendomi
da dietro
la spalla del mio amico.
<<
È più complicato del previsto!
Devo studiare bene il
sistema operativo prima di procedere al ripristino dei
file>> dice in
tono serio e concentrato << Perciò oggi non
c’è molto che possa
fare>> deluso, si appoggia sullo schienale della sedia di
legno,
reclinando la testa all’indietro, a due centimetri dal mio
viso.
<<
Quanto ci metterai?>> chiede J. J,
appollaiato su
una scrivania. Sembra un piccolo scoiattolo curioso.
<< Non
so. Una, massimo due settimane>>
<<
Caspita, così poco?>> si
stupisce J.
<< Ti
sei dimenticato? Sono il migliore in questo
campo>> afferma orgoglioso.
In effetti Kid
è il migliore che conosco: riesce a fare veri
e
propri miracoli con macchine, ingranaggi e quant’altro. Non a
caso è diventato
il braccio destro del gestore dell’officina principale dei
Sobborghi ed è molto
probabile che un giorno ne diventi il proprietario. Questa sua innata
capacità,
però, allo stesso tempo è fonte di molte
preoccupazioni, perché se i Funzionari
scoprissero il suo talento, lo trasferirebbero senza perdere tempo al
Centro
alle loro dipendenze per sfruttarlo per i loro interessi.
Perciò tutti quelli
che conoscono Kid cercano di essere discreti e di diffondere meno
notizie
possibili sul conto del mio amico… Ma non riesco a fare a
meno di pensare
all’eventualità che possa succedere una cosa del
genere, se uno solo dei suoi
conoscenti o lui stesso, involontariamente si lasciasse sfuggire anche
una
parola di troppo. Come cambierebbe la sua vita? Si troverebbe meglio o
peggio?
Cosa potrebbero fargli? Lo torturerebbero? Cosa lo costringerebbero a
fare?
<< Ehi
April! Yuhuuuu… mi stai
ascoltando?>> dice Kid,
strappandomi dai miei pensieri.
<<
Cosa?!>> mi affretto a chiedere,
sentendomi una
cretina totale ad aver pensato alla possibilità che Kid ci
possa lasciare, dato
che non lo permetterei mai!
<<
Dicevo che si è fatto tardi. Dovremmo
andare a mangiare
qualcosa e tornare a casa prima che suonino le sirene>>
sbuffa guardando
l’orologio di plastica rovinata allacciato al polso.
<<
Sì, sì hai ragione. Che ore
sono?>> chiedo.
<< Quasi
le sette>> mi risponde lui
pazientemente.
NDA: se volete vedere le illustrazioni della storia e tanto
altro
seguiteci anche su Facebook alla pagina Black signs che condivido con
l’altra
Admin, l’autrice Dusky Doll. Un bacione Kaleido X3
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** I Due Mondi ***
Capitolo
2
Quando
usciamo dal negozio il sole ha quasi raggiunto l'orizzonte ma,
nonostante stia
calando la sera, il caldo afoso è ancora insopportabile,
tanto che i vestiti si
appiccicano addosso come ventose. Così intontiti dalla
calura, vaghiamo per
qualche isolato finché non decidiamo di fermarci in un
locale, abbastanza
lontano dal rifugio, per mangiare un boccone e dopo filare a casa. La
locanda è
appostata in un vicolo buio e non molto pulito, e ci accorgiamo della
sua
presenza solo grazie ad una logora insegna di legno che pende
all’angolo della
strada. Guardo il mio amico perplessa perché non mi sembra
un posto affidabile.
Tutto l’insieme mi da l’idea di un covo di
ubriaconi, o delle vecchie taverne
in cui ci sono solo balordi che strillano par l’alcol e si
azzuffano.
<<
Non ti preoccupare, me l’ha consigliato mio
padre>> mi tranquillizza Kid
intuendo quello che mi passa per la mante. Ho sempre creduto a quello
che mi consigliava
Thomas, suo padre, poiché nutro nei suoi confronti una certa
fiducia, oltre al
fatto che non sia mai successo nulla che mi portasse a pensare il
contrario. Perciò
stando a quello che dice lui, è un posto sicuro. Mah!
Tuttavia nonostante i mie
seri dubbi, seguo i due che mi precedono.
Spingiamo
la pesante porta di legno ed entriamo in un pub semi-desolato. I tavoli
scuri,
sparsi qua e là come una manciata di pepe, sono occupati da
pochissimi
avventori silenziosi radunati sotto al solitario ventilatore al centro
della
sala, che con il lento moto delle sue pale, cerca di dispensare un
po’ di
refrigerio. Di fronte a noi invece si erge massiccio il bancone con la
cassa
automatica, dietro alla quale vi sono posizionate alcune mensole colme
di
bottiglie dai colori sgargianti e mezze vuote. Guardando la clientela,
optiamo
per prendere posto sugli alti sgabelli affiancati al bancone. La
cameriera, avvisata
dal trillo della porta al nostro ingresso, compare tutta trafelata da
una porta
dall’altro lato della sala e si posiziona davanti a noi
porgendoci tre menù.
<<
Non vi ho mai visti da queste parti, siete nuovi?>>
chiede curiosa
appoggiando una mano sul fianco. È una ragazza sulla
trentina, ma le occhiaie
sotto i limpidi occhi turchesi la fanno sembrare più
vecchia, alcuni ricci biondi
e ribelli, sfuggiti all’alta coda di cavallo, le incorniciano
il viso
tempestato di lentiggini mentre la divisa da lavoro che indossa
consiste in una
stretta maglietta bianca e leggermente sudata ed un grembiule nero.
<<
Sì, passeggiavamo da queste parti quando ci è
venuta fame>> risponde amichevolmente
Kid per tutti.
<<
Allora Benvenuti da Shaggy’s,
siete
fratelli?>> chiede per fare un po’ di
conversazione, mentre fa passare lo
sguardo da me a Kid a J. J.
Ma è
cieca?! Capirei se Kid e J venissero scambiati per parenti, in effetti
per il
loro sguardo intenso oltre che per il colore degli occhi, si
assomigliano molto,
anche fisicamente. Ma io che c’entro?! Non ho nulla in comune
con loro per via
dei miei capelli castani scuro e gli occhi color nocciola.
<<
No, siamo amici>> si affretta a precisare il mio amico,
vedendo il mio
sguardo sbigottito ed inceneritore. Trai
i miei altri difetti si conta anche quello di essere asociale e poco
incline ad
afferrare le battute degli estranei.
<<
Però vi assomigliate molto. Comunque cosa posso
portarvi?>> annuncia
estraendo dal taschino del grembiule un blocchetto per le nostre
ordinazioni.
OK! Ha
decisamente bisogno di una bel paio di occhiali sentenzio, commentando
a me
stessa.
Sanza
farcelo ripetere due volte, diamo una rapida occhiata alla lista e
optiamo per
tre panini ed una brocca d’acqua da un litro. Una volta persi
gli ordini e i
menù, la cameriera sparisce nuovamente dalla porticina che
suppongo porti alle cucine.
<<
Tu mia Sorella!!>>
scoppia a
ridere Kid, una volta sicuro che la ragazza non possa sentirci
<< Questa
è bella!>>
<<
Ha bisogno di un buon oculista!>> bofonchio.
<<
Allora posso chiamarti sorellona?>> chiede candidamente
J. sfoggiando un
sorriso angelico a cui manca qualche dentino.
<<
Certo che puoi!!>> rispondo al bimbo che vorrei soffocare
di coccole. È
troppo tenero!
<<
Sì, sì anch’io ti prego>>
si piega in due dalle risate il mio amico.
<<
Te lo puoi scordare! Detto da te non suonerebbe altrettanto
bene>> ribatto
assestandogli una pacca sull’addome che, però, non
riesce ad arrestare il suo
attacco di ridarella.
La
cameriera ritorna a grandi falcate nella sala per porgerci le cena e
Kid cerca
di recupera un minimo di contegno nonostante stia piangendo per il
divertimento.
Senza
troppe cerimonie, accecata dalla fame e con
l’avidità di un lupo a digiuno,
affondo i denti nel pane secco e insipido, fino al prosciutto gommoso
che
rimane incastrato in gola. Perciò ingollo avidamente un bel
bicchiere d’acqua
fresca che rinfranca anche il corpo spossato dalla calura. Tutto
sommato non
posso lamentarmi, è pur sempre cibo e lo sto pagando anche
caro, quindi non si
discute.
<<
Kid?>> chiede tutto d’un tratto J.
interrompendo il silenzio religioso
che accompagna il pasto << posso venire a dormire da te
stasera? … Credo
che ci siano dei topi nel rifugio>> chiede con la vocina
supplichevole,
sgranando gli occhi per enfatizzare la sua recita.
Non
posso fare a meno di soffocare un risolino. Ogni volta che il
marmocchio non
vuole dormire da solo al rifugio tira sempre fuori la scusa di aver
sentito
sgattaiolare nello scantinato dei roditori o qualsiasi bestia strana
gli venga
in mente.
<<
Se vuoi venire a dormire da me basta chiederlo senza inventare scuse,
ok?>> lo ammonisce affettuosamente il mio amico.
<<
Evviva! ma li ho sentiti comunque i topi!>> si difende il
bimbo finendo
il suo panino. Sorridiamo comprensivi. Non è facile per gli
adulti dormire da
soli a quartieri di distanza da amici e persone care, figuriamoci per
un
bambino di otto anni.
<<
Ragazzi, mi dispiace disturbarvi ma stiamo per chiudere>>
ci coglie di
sorpresa la cameriera comparendo dietro al bancone ed indicando
l’orologio
appeso sul muro alle sue spalle << È quasi ora
per l’Erogazione>>.
L’erogazione?!
Cavolo, certo che è volato il tempo!
<<
Sì, ci scusi. Possiamo avere il conto?>>
chiedo bruscamente.
La ragazza
poggia con rapidità la carta sul banco. Kid ed io paghiamo
la cena con la paga
ricevuta oggi a lavoro, poi afferrato frettolosamente il resto e lo
scontrino,
ci fiondiamo fuori dal locale.
L’afa
ci assale nuovamente come una morsa stritolandoci tra le sue dita
aride, ma non
abbiamo il tempo di curarcene, dobbiamo correre se vogliamo arrivare in
tempo a
casa! Perciò sfrecciamo a perdifiato per le vie deserte dove
a farci compagnia
c’è solo l’eco dei nostri passi. Ci
dobbiamo fermare solo un’ attimo perché J.
J non ce la fa più. Purtroppo non possiamo perdere neanche
un altro minuto
prezioso, allora Kid se lo carica in spalla e ripartiamo con maggior
foga.
Dopo
strade e vicoli che sembrano non finire mai raggiungiamo, finalmente,
il nostro
quartiere che ci accoglie con il solito cartello “ zona
H_5”. E già, ogni
quartiere ha una lettera e un numero che lo contraddistingue. Che
fortuna! Si
potrebbe benissimo pensare a Cardia come una gigantesca scacchiera.
Tuttavia,
tranne che per il nome, ogni settore non ha nulla di diverso dagli
altri:
stessi malandati palazzi residenziali almeno protetti dalla vernice
anti acido
(ah! Dimenticavo, da noi gli uffici sono assolutamente proibiti, tranne
piccoli
e controllatissimi esercizi commerciali); tanta polvere da far venire
uno shock
anafilattico ad un allergico; edifici scolastici, alcuni dei quali
quasi
inagibili a causa della maglia di crepe che li decora; fabbriche o una
“stazione ecologica”, qualche negozietto e qualche
spaccio di cianfrusaglie e
cibarie che spuntano a casaccio, come i fughi dopo la pioggia.
Auguro velocemente
ai ragazzi una
buona serata, oltre ad un
implicito buona fortuna per arrivare in orario a destinazione, e le
nostre strade
si dividono con le sirene che urlano il momento più atteso
della giornata.
Dopo
altri dieci minuti abbondanti di maratona tra le ormai note strade,
appare un
edificio bellissimo. Ecco come mi sembra, nel delirio per eccesso di
acido
lattico e mancanza di ossigeno al cervello, il condominio-catapecchia
dove
abito. Senza rallentare la corsa varco il portone, ci manca poco che
non
travolga una signora con il suo cesto di panni, e sfruttando lo slancio
delle
poche energie che mi rimangono salgo in volata le rampe di scale
neanche fossi
il pugile visto in un vecchissimo film.
Finalmente
arrivo alla porta e con il fiato corto picchio sull’uscio.
<<
Sky, apri sono io!!>> riesco a dire tra i rantoli e
aspettando attimi che
sembrano eterni, la mia cuginetta finalmente mi fa entrare.
<<
Sei tornata!>> esulta la bambina saltellandomi intorno e
scuotendo i
folti ricci neri.
Vivo
con loro da quando sia suo padre, mio zio, che il mio e mia madre sono
stati
selezionati per fare da aiutanti alle squadre di ricerca mandate in
esplorazione al di fuori della città. Da allora non abbiamo
più avuto notizie
da nessuno dei tre.
<<
Dov’è la zia?>>
<<
Mamma è in cucina>> infatti trovo Catherine al
lavello, intenta a
riempire più taniche e bottiglie d’acqua
possibili.
La
saluto affettuosamente mentre mi chiede dove sia stata.
<<
Vai a farti il bagno, l’erogazione è appena
iniziata. L’acqua dovrebbe essere
ancora calda>> mi esorta prima di concentrare nuovamente
la sua
attenzione sulle bottiglie. Seguendo il suo consiglio, vado in bagno e
carico
una bacinella con asciugamani, tutto l’occorrente per la
doccia e la biancheria
pulita con i vestiti appena tolti dal bucato ed aggiungo anche un
panetto di
sapone per i panni. Preso
tutto il
necessario dovrei raggiungere l’ingresso, ma non voglio
passare di nuovo
davanti alla cucina, mi è già andata bene che mia
zia non si sia accorta in che
stato sono ridotti i vestiti. Sfortunatamente non ci sono strade
alternative
per poter evadere senza essere vista e facendomi coraggio, oltre ad
affidarmi
ad una buona stella, sfido la mia fortuna.
<<
Allora vado e torno>> annuncio di fretta, cercando di
defilarmi il prima
possibile per quanto le mie gambe stanche me lo permettano.
Proprio
quando penso di avercela fatta << April!
Cos’hai combinato alla gamba?!>>.
Beccata,
accidenti! La sorte non è minimante dalla mia parte oggi.
<<
Non so di cosa parli. Vado, a dopo!>> mi affetto a
ribattere e mi defilo
attraverso il pianerottolo del quinto piano.
Per
tutto il corridoio arrivano gli schiamazzi dei vicini, intenti ad
accalcarsi ai
bagni comuni posti ogni due piani. Sinceramente, e credo chiunque
sarebbe
d’accordo con me, non mi piace neanche un po’
l’idea di condividere il mio
momento privato al bagno con degli sconosciuti. Per fortuna, da qualche
tempo
ho trovato all’ultimo e abbandonato ottavo piano, delle docce
ancora
funzionanti di cui nessun’altro è a conoscenza,
tranne la mia famiglia, che
dopo una bella disinfettata da cima a fondo, sono perfettamente
utilizzabili. Perciò,
guardandomi attorno con circospezione e sperando che nessuno mi veda,
sgattaiolo verso le scale d’emergenza, anch’esse
inutilizzate, che mi portano
dritta dritta alla meta.
L’ampio
spazio e la quiete del posto sono un invito al relax non indifferente,
ma prima
di svuotare la mente e pensare un po’ a me, prendo la
bacinella e, riempitala
con un pezzetto di sapone ed acqua, ci lascio in ammollo i panni che mi
tolgo
di dosso. Invece più ostiche da staccare sono le bende ormai
diventate un
tutt’uno con le ferite che dovevano solamente coprire.
Cercando inutilmente di
tirarle via dopo averle bagnate, son costretta alla fine a strapparle
di forza
con un colpo secco, come si fa con i cerotti, procurandomi un male
atroce e
qualche goccia di sangue. Leggermente seccata, getto in malo modo il
tutto nella
bacinella insieme al resto e finalmente posso lasciarmi andare sotto il
getto
d’acqua calda.
La
piacevolissima sensazione delle gocce che picchiettano sulle spalle, il
vapore
che si insinua nei polmoni fino alla viscere, mi scrollano di dosso la
pesante
giornata insieme a tutti i pensieri negativi ad essa collegati,
facendomi
sentire come rinata. Decisa ad assaporare il più a lungo
possibile quel momento
di pace, che ci viene concesso appena due volte al giorno, mi
accovaccio sulla
ceramica fredda del piato doccia e lì rimango, lasciando che
la mia mente vada
alla deriva verso il nulla.
Non so
di preciso quanto tempo sia rimasta a crogiolarmi, ma le dita
raggrinzite mi
dicono che ci sia rimasta molto, anche troppo, e forse è ora
di uscire.
Mi do
una rapida insaponata completa di shampoo, l’ultimo
risciacquo per eliminare le
bollicine ostinate ed infine mi avvolgo nel morbido abbraccio del telo
da
bagno.
Indosso
abiti puliti e, mentre i capelli si asciugano all’aria,
finisco di lavare i
panni per poi stenderli sul filo metallico teso tra due docce opposte,
che
funge da stendino.
Anche
questa volta, come capita sempre quando mi ritrovo in quel luogo da
sola, la
mia attenzione viene catturata dalla vista che viene offerta dalle
finestre del
bagno e mi ritrovo a guardare
la cupola
del Centro che si staglia dietro ai palazzoni. Quel occhio di cristallo
che si
erge immacolato contro il tramonto, mentre tutto intorno si inginocchia
una distesa
di case ed edifici sottomessi dalle intemperie e dalla miseria. Rancore
e
rabbia sono i sentimenti che rivolgo quotidianamente a quella maledetta
architettura che salvaguarda, come una comoda gabbia di vetro, delle
bestie
preziose, cioè gli altri nostri
“concittadini”. Loro sono relegati a vita in un
bello ed effimero sogno di sicurezza e protezione; la loro esistenza
viene
scandita dalla tecnologia (da quel che ci hanno riferito alcune fonti
certe)
dal lavoro e dagli agi. Paragonata alla nostra loro vivono nel lusso
sfrenato. Tuttavia,
il mio risentimento è dovuto al fatto che i “Centriani” abbiano considerato
chiunque non fosse di alto lignaggio
o avesse un lavoro “importante”, sacrificabile e
per questo, potesse essere
giustamente escluso dal progresso ed abbandonato con il minimo
indispensabile che
gli permettesse di essere produttivo e utile, in qualche maniera, al
sostentamento di Cardia.
È proprio
questo che non capisco! Come, o in base a cosa stabiliscono che un
individuo
sia più importante di un altro e perciò avente
diritto ad un trattamento
diverso? E per quale assurdo motivo si avvalgono della
facoltà di “prelevare individui
promettenti”, per usare il loro gergo, e trasferirli al
Centro dove potranno
essere più utili, separandoli per sempre dalle loro
famiglie?
Eppure
la cosa veramente triste e che noi reietti dall’alta
società, abbiamo perso la capacità
di opporci a certi eventi; sia perché siamo ormai abituati a
vivere in questa
realtà dei fatti, sia perché molti si sono
lasciati abbindolare dalle belle parole
e dalle generose donazioni periodicamente elargite a grandi mani in
onore delle
feste dello Stato, che abbiamo perso la capacità far sentire
la nostra voce e
reclamare i nostri diritti. L’unica cosa che
c’è rimasta è l’odio e la
diffidenza, e se ci va bene qualche piccola rappresaglia.
Ed io
odio il Centro e disprezzo i suoi abitanti, per questi e per mille
altri motivi,
tra i quali l’impossibilità che le cosa cambino.
Per questo ho appoggiato in
parte il piano di Kid di recuperare vecchi computer. Questo
è in parte il mio
modo per sfogare tutte le cose negative che costellano la mia vita e
rappresenta il mio seppur debole tentativo di ribellione.
Stizzita,
arraffo le mie cose e, lasciando che la porta richiudendosi alle mie
spalle, sigilli
i miei pensieri severamente punibili dalla legge, torno a preoccuparmi
del mio
piccolo presente e della ramanzina che di sicuro mi aspetta alla fine
di queste
tre rampe di scale.
Che
bella serata mi aspetta…Uffa.
***
Bibibip
Bibibip Alzati sono le 7:30 | Bibibip
Bibibip Alzati sono le 7:30
Gracchia
la
sveglia strappandomi dal sogno che stavo facendo. Pigramente tiro fuori
dalle
coperte il braccio e lo lascio ricadere sull'aggeggio,
poi torno ad avvolgermi nelle lenzuola,
sprofondando nel
sonno.
Bibibip
Bibibip Alzati sono le 7:40 | Bibibip
Bibibip Alzati sono le 7:40
Prima
o poi lo
rompo quel dannato affare! Perché li hanno costruiti
così assillanti? Per farti
saltare i nervi fin dalle prime ore del mattino?!
Ormai sveglio mi
alzo di malavoglia dal letto. La stanza immersa nella penombra mi
invita a
tuffarmi ancora sul materasso a poltrire e perciò, per non
cedere alla
tentazione, spalanco le tende della finestra lasciando filtrare la
calda luce
del sole. I raggi pizzicano sulla faccia e sul torso nudo, tanto che
sono
costretto a scostarmi per evitare quel contatto, poi lanciando i
pantaloni del
pigiama sul materasso, mi avvio in bagno per ficcarmi sotto la doccia.
Non mi
va di sembrare uno zombie già di prima mattina. Lascio che
l'acqua fredda mi
risvegli completamente e a contato con pelle, mi restituisca le
facoltà di
intendere e volere prima inebetite dal sonno. Mentre mi asciugo i
capelli con
l'accappatoio ancora addosso e non curante di bagnare tutto la
moquette,
essendo a piedi nudi, entro nella cabina armadio.
| Buon
giorno signore, cosa indosserete oggi?|
Annuncia
al mio
ingresso la voce metallica del computer installato nel muro. Stamattina
non
sopporto neanche lui, perciò premo il pulsante di
spegnimento del pannello
centrale e la spia a led rossa sbiadisce fino a diventare nera. Che
sollievo non
sentire più tutte queste voci robotiche.
Finalmente nel
silenzio, rovisto nei cassetti estraendo biancheria e calzini puliti,
poi dalle
grucce ordinatamente posizionate sulle aste di metallo che fungono da
sostegno,
tolgo la divisa universitaria di un indicibile e metallico colore verde
scuro
con rifiniture in oro sulle maniche corte e sui bordi. Ho quasi finito
di
cambiarmi quando Ed, il maggiordomo di famiglia, mi annuncia che la
colazione è
pronta. Un'ultima controllata allo specchio e scendo i gradini fino
all'ampia
sala da pranzo. È una stanza rettangolare, con esattamente
al centro un vasto
tavolo di marmo nero circondato da sedie altrettanto scure, mentre
anonimi
quadri decorano i muri bianchi. C’è un solo posto
apparecchiato a spezzare la desolazione
della sala.
<< Dove
sono tutti Ed?>> chiedo al maggiordomo che mi attende
sulla soglia. Edward
è un uomo dalla corporatura minuta, dal carattere tranquillo
e pacato. È estremamente
saggio e comprensivo, tutte caratteristiche comuni per i suoi
settant'anni, eppure
da quando gli è stato affidato quest'incarico, svolge il suo
lavoro ancora con
impeccabile precisione e serietà e mai una volta si
è preso la libertà di fare
a meno delle formalità e delle etichette. È in
servizio presso la nostra
famiglia da ormai ventisei anni, esattamente un anno prima della mia
nascita.
Per me è come un padre, una figura insostituibile. In
effetti possiamo dire che
sia stato lui a crescermi e per questo motivo è una delle
poche persone di cui
possa fidarmi ciecamente e a cui affiderei i miei segreti
più intimi.
<< Il
signore è uscito presto stamattina, dicendo di avere affari
urgenti in ufficio,
vostra madre invece non si è ancora alzata>>
risponde immediatamente.
C'era da
immaginarselo. Tutte le mattine la stessa storia, ma non ha
più importanza
ormai ci ho fatto l'abitudine, tuttavia la sala vuota fa sempre
impressione.
<< Hai già
fatto colazione Ed?>>
<< No,
signorino>> esita prima di rispondere, sapendo
già cosa ho in mente.
<< In
questo caso, mangeremo insieme!>> annuncio andando in
cucina a prendere
un altro coperto per apparecchiare la tavola, sotto lo sguardo
contrariato del
maggiordomo. Ed non è ben disposto a farsi preparare il
posto da me, poiché è
fermamente convinto che il figlio del padrone di casa,
nonché suo datore di
lavoro, non dovrebbe scomodarsi per simili cose etc etc. ma diversamente dalle
prime volte in cui mi
rimproverava per ciò, adesso si limita solamente a guardarmi
con disappunto,
perché sa che lo farei comunque, a discapito di qualsiasi
cosa possa dire per farmi
desistere. L'unico aspetto su cui non sono riuscito a fargli cambiare
idea è il
fatto, che almeno quando siamo solamente io e lui, mi possa chiamare
per nome
senza tutte le formalità che, secondo lui, la sua posizione
gli impone.
Finalmente seduti
a tavola, non ho neanche il tempo addentare un boccone che un individuo
molesto
entra rumorosamente nella sala.
<< Buon
giorno cugino!!!!>> urla sprizzando energia da tutti i
pori.
Lo ignoro
sperando che il mio malaugurato parente se ne vada, così
com'è venuto.
<< Cuginooooo!
… cuginettooooooooooo!>> cinguetta apposta per
innervosirmi il bastardo.
<< Non
chiamarmi a quel modo Spike>> dico reprimendo il senso di
irritazione e
la voglia di picchiarlo. Ho un trauma legato a quel appellativo. Quando
eravamo
bambini ogni volta che Spike pronunciava quella parola per me
significava
sempre e solo guai!
<< Siamo di
cattivo umore? >> domanda prendendo posto sulla sedia
accanto alla mia.
Tengo a precisare
che Spike non è proprio mio cugino in direttissima, ma
è il figlio della cugina
di nostro padre o qualcosa del genere, non mi sono mai cimentato
nell'approfondimento dell'albero genealogico di famiglia. Tanto meno
vorrei
essere imparentato con un individuo egocentrico, spara-scemenze e
farfallone
come lui. Ma è quanto di meglio offre il convento
perciò mi tocca sopportalo
tutti i giorni. Incomincio a credere che non abbia una casa, visto che
ogni due
per tre è sempre nel mio salotto o in camera mia. A
proposito di questo.
<< Cosa ti
porta oggi da noi? >> chiedo a Spike che rigira tra le
dita una galletta
compressata di riso come se fosse un oggetto astruso e non identificato.
<< Volevo
proporti una cosuccia>> butta lì in modo
innocente.
<< Sarebbe??>>
lo incalzo incuriosito.
<< Una
scommessa! Chi prende il voto più alto nell'esame di rilevazione microscopica
III, si becca la
chiave per gli spogliatoi dell'ala ovest per tutto
l'anno>> dice
sventolando sotto il naso la tessera magnetica che ha ricevuto quando
è
diventato il capo della squadra di kick-box. Non è un
cattivo offerta. Avere
tra le mani la chiave di uno spogliatoio quasi inutilizzato mi
permetterebbe di
saltare le lezioni ed avere un posto tranquillo in cui sonnecchiare,
senza
dovermi preoccupare dell'eventualità di essere scoperto,
cosa che in più di un
occasione non mi ha fatto rilassare quanto avrei voluto.
Dopo averci
riflettuto un po' mentre sgranocchio gallette e marmellata, finalmente
do la
mia risposta.
<< Ci sto!
Ma la posta in palio per chi perde? >> chiedo sapendo che
Spike non da
nulla a gratis.
<< Non
preoccuparti lo saprai a tempo debito>> esordisce
maliziosamente, e non
gli chiedo nulla sul presunto pagamento della posta in gioco, tanto non
me lo
direbbe mai.
Approvata la
scommessa, non ci resta altro che finire la colazione e prepararci ad
uscire.
Prendo con tutta calma la cintura con tutto il materiale necessario per
la
giornata di oggi e mi avvio con Spike in strada. Un’esile
figura fasciata si
verde metallizzato ci sta aspettando oltre il cancello.
<< Buon
giorno Ragazzi!!>> saluta Chanel con un sorriso
smagliante.
Chanel Moores,
oltre ad essere una nostra cara amica, è la mia compagna di
classe. È
estremamente intelligente, caratteristica
che le ha permesso di iscriversi alla nostra sede con un anno di
anticipo,
superando brillantemente tutti i test. Inizialmente sembra posata e
tranquilla,
ma l'apparenza inganna. Ha un caratterino difficile da gestire se le
cose non
vanno come aveva pianificato ed in quei casi è meglio
restarle alla larga
finché non si calma, altrimenti la sua voce, che raggiunge i
toni striduli del
cicaleccio, rischia di perforati i timpani. Tutto sommato è
abbastanza
simpatica, ma cosa più importante, è una delle
poche ragazza che conosco, che
riesce a tenere testa e sopportare Spike o che non gli sbava dietro
come una
lumaca, ed è assicurato che anche mio cugino è
difficile da gestire per certi
versi. Comunque tornando a Chanel, fisicamente non sarà una
top model ma rientra
nel gruppo delle ragazze più carine della scuola con i suoi
capelli color
biondo platino acconciati in un pettinatura corta e voluminosa, viso a
forma di
cuore, occhi uno lilla e l'altro verde giada, snella e con le curve
giuste.
Unica pecca non è altissima, appena un metro e
cinquantacinque.
<< Come
stai Nagìl?>> mi chiede spostandosi al mio
fianco.
<< Come al
solito direi>>
<< Anch'io
sto bene! Grazie per l'interessamento>> esordisce Spike,
mentre ci lasciamo
casa mai alle spalle.
<< Ah! È
vero, ci sei anche tu... >> lo punzecchia, rivolgendogli
uno sguardo di
sufficienza.
Così tra una
chiacchiera e l'altra attraversiamo il Centro costantemente ingombrato
dal via
vai di gente sempre di fretta, mentre le automobili ad energia
elettrica o
solare sfrecciano silenziosamente per le strade. Le alte abitazioni e
gli
uffici, oscurano parzialmente i raggi del sole che attraversano la
cupola e, nonostante
tutto, il caldo si sente abbastanza. Meno male che gli impianti di
ventilazione
sono attivi tutto il giorno, altrimenti saremmo già morti
asfissiati.
Attraverso le
strade, i marciapiedi puliti, le poche aiuole sintetiche senza uno
stelo fuori
posto, mi convinco di quanto sia inquadrata e rigida la nostra
società. Neanche
ai bambini è concesso di schiamazzare ai giardini pubblici o
giocare a palla
per paura che disturbino la quiete pubblica. Eppure sotto la crosta di
indifferenza che provo si agita da diverso tempo anche
qualcos’altro. È
difficile descriverlo a parole perché non ha ancora assunto
una propria forma
definita.
Mentre rimugino e
scambio ancora qualche battuta distratta con Spike e Chanel,
raggiungiamo
l'Istituto di Istruzione, così i professori vogliono che
chiamiamo il
liceo-universitario. Si tratta si un edificio immenso,
poiché deve ospitare
tutti i giovani studenti del Centro, dalla imponente facciata di pietra
bianca
dove è collocata in bella mostra la targa dorata che riporta
il nome, l'anno di
fondazione e lo stemma scolastico riportato anche sulle nostre divise:
una rosa
dei venti all’interno di un quattro dalle
estremità allungate che intersecano
il cerchio in cui è racchiuso.
L'intero
stabile è percorso da lunghe finestre a nastro in
corrispondenza dei diversi
piani, conferendogli un aspetto regolare e accademico. La pianta
è a ferro di
cavallo con un ampio cortile interno e diverse sezioni distaccate,
adibite per
le palestre e le svariate attività, mentre alcune ospitano
le più moderne aule
di simulazione.
Finalmente
raggiungiamo l'ingresso rientrante nell'edificio, mentre le due guardie
poste
ai lati delle porte di vetro scorrevoli, ci osservano impassibili.
Nell'atrio
un'altra guardia seduta dietro la scrivania circolare ci invita ad
avvicinarci.
<< I vostri
badge prego>> ordina autoritario.
Porgiamo all'uomo
i tesserini di plastica che vengono strisciati in un lettore. Un bip di
assenso, seguito da una lucina verde, poi i nostri nomi, codici di
identificazione e sezione di appartenenza, appaiono sullo schermo
piatto alle
spalle della guardia, e solo dopo ci è consentito
l’accesso alla struttura. Dagli
altri schermi a cristalli liquidi nell'atrio, la segreteria annuncia le
aule
assegnate alle classi per gli ultimi esami di fine semestre e veniamo a
sapere
dalla voce sintetica che la classe del sesto anno V-A3, cioè la
mia e di Chanel, si trova al
terzo piano della parte secondaria dell'edificio, mentre la classe
sesta V-B1,
quella di Spike è dall'altra parte.
<< Non
dimenticarti quello che siamo detti!>> dice prima di
allontanarsi per
arrivare in tempo all'esame, visto che la camminata che deve fare
è piuttosto
lunga. Non lo invidio.
<< Di che
si tratta?>> chiede Chanel morendo di
curiosità.
<< Niente
di che, solo una piccola scommessa>> rimango sul vago, se
Spike non ha
detto nulla di preciso vuol dire che la cosa non deve sapersi.
<< Sempre a
sfidarvi vuoi due!>> mormora contrariata.
In effetti io e
Spike, fin da piccoli ci siamo sfidati più o meno su tutto,
dagli stupidi
giochini di abilità, a vere e proprie gare fisiche o
scolastiche. Il perché mi
sfugge tutt'ora, è come una sorta di routine, tanto che
è diventato automatico
proporre sempre nuove sfide. Forse per sfuggire alla
monotonia che accompagna ogni nostro giorno?
Probabile.
Saliamo gli
scalini che portano al piano che ci interessa tra il vociare giulivo
dei nostri
compagni di istituto. Tutti i corridoi, le rampe, le aule asettiche,
sono
maledettamente uguali. Non un colore, né una qualsiasi cosa
che li renda
diversi tra di loro. Un senso di insofferenza si insinua lentamente in
me,
strisciando come un serpente velenoso. Mi è già
passata la voglia di stare in
classe e la tentazione di marinare è forte, purtroppo ho
accattato la scommessa
e non voglio dover fare qualcosa per Spike senza aver provato a
batterlo,
perciò mi impongo di presentarmi all’esame. La
stanza non è nulla di
particolare: circolare, spoglia e con una gradinata di ferro da cinque
file che
corre lungo i muri, interrotta qua e la da piccole scalinate per
accedere ai
vari posti. Io e Chanel ci accomodiamo in terza fila il più
lontano possibile
dall'ingresso, poi mi prendo del tempo per osservare il centro della
sala dove
è posizionata la pedana di simulazione virtuale. La piastra
ottagonale, cha fa
da base alla pedana, è alta almeno cinquanta centimetri e
larga sette metri, ed
esattamente al centro vi è un disco metallico, leggermente
rialzato, da cui
partono otto raggi, che dividono la pedana in altrettanti spicchi.
Questi, a
loro volta, sono formati da un’intricata ragnatela di
dischetti ottagonali
fatti di silicio e altre leghe altamente conducibili. Dalla parte bassa
della
pedana, escono numerosi cavi di colori e misure diverse che terminano
in un’
enorme scatola nera, il motore e processore di dati, dalla cui griglia
posteriore scoperta, è possibile vedere le ventole e le
altre componenti da cui
è costituita. Non male come pedana di simulazione, speriamo
che le immagini
siano di buona qualità, siccome già è
difficile scovare quei minuscoli microorganismi,
figurati se non si vede un accidente! La mia attenzione però
viene attirata da
un carrellino metallico addossato alla gradinata opposta e coperto da
oggetti
neri. Oh, no! Caschi di simulazione! Sono arnesi claustrofobici e non
molto
puliti che vengono usati nei vecchi sistemi di simulazione. E io che
avevo
sparato di capitare in un’aula dove non ce ne fosse bisogno.
Sbam!
Il professore entra nell’aula sbattendosi alle spalle la
porta e facendoci
sobbalzare. Il professor Ferruro, assomiglia ad un ratto con i piccoli
occhietti neri, una vistosa pelata con qualche ciuffo di capelli
superstiti (ma
ancora per poco), viso giallognolo con una bocca dagli incisivi
sporgenti,
magrissimo e con le dita delle mani lunghe e affusolate. Abbiamo certi
soggetti
nel nostro istituto!
Ferruro trascina
una sedia fino al motore d’accensione della pedana, e ci si
siede, poi estrae
dalla sua ventiquattrore consumata il tablet in dotazione ai
professori.
Accende quindi il suo computer piatto, avvia il motore della
piattaforma e
infine collega i due apparecchi con un cavo USB.
<< Tirate
fuori i vostri palmari e metteteli difronte a voi in
modalità ricezione
esterna. Confermate il messaggio di connessione al server.2xf.dek>>
afferma lapidario.
Obbediamo
all’istante, battendo intimiditi i tasti virtuali. I palmari
fornitici sono un
incrocio tra un cellulare allungato e un microscopico computer, in cui
sono raccolti
i dati anagrafici e scolastici del possessore per sostenere gli esami e
varie
cose burocratiche, oltre a numerose applicazioni tra cui mappa
satellitare,
lettore mp3, calcolatrice e molto altro. È dotato inoltre di
un sensore
magnetico, che permette rapidi passaggi di dati in caso di
necessità.
Finite le
operazioni tecniche, il professore inizia a chiamare i candidati in
ordine
alfabetico, così decido di schiacciare un pisolino, mentre
Chanel preferisce
ripassare un altro po’ tramite gli appunti sul palmare.
<< Nagìl!
Andiamo Nagìl svegliati!>>
<< Mmh>>
biascico con la voce impastata di sonno.
<< È già la
terza volta che il professore ti chiama>> insiste
continuando a scuotermi.
<< Ho
capito>> mi alzo sbadigliando vistosamente.
<< Signor
Sunders finalmente ha deciso di unirsi a noi!>> afferma
irritato il
professore, appena lo raggiungo << sappia che anche se
è il figlio del
Governatore, non si fanno sconti di favore.
Deve
sudare per guadagnarsi la promozione
nella mio corso come tutti gli atri studenti chiaro?! Adesso si
prepari>>
aggiunge stizzito picchiettando con le dita ossute sul tablet e facendo
apparire
accanto al mio fascicolo scolastico una serie di cartelle e programmi
di
simulazione.
Ancora con la
solita solfa! Sono il figlio del governatore e allora?! Ho mai chiesto
di
chiudere un occhio o facilitarmi lo studio? Non mi pare. Comunque per
chiarire
la situazione, lo rassicuro sul fatto di non volere aiuti, poi indosso
l’attrezzatura necessaria, i guanti di simulazione e il casco
integrale che ha
un gradevolissimo odore di sudore e polvere. Come ultima cosa, prima di
posizionarmi sul disco metallico al centro della pedana di simulazione,
inserisco il jek del casco al mio palmare appeso alla cintura e attendo
istruzioni. Speriamo che finisca presto,
questo è quello che mi passa per la mente, mentre
dall’altoparlante nel casco
irrompe la voce distorta del sistema: << Inizio
sequenza di rilevazione microscopica III>>
A questo
punto la
pedana si attiva con un ronzio sommesso ed inizia ad illuminarsi,
mentre le
luci dell’aula si abbassano, poi un fascio opaco
all’estremità della pedana mi
separa dal resto.
Svuoto la mente
concentrandomi sul mio obbiettivo.
Che il gioco
abbia inizio Spike!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Evasione ***
Capitolo 3
<<
Allora,
allora! Sei pronto a vedere i risultati?>> urla Spike
entrando nel bagno
maschile, ma la sua voce mi giunge distorta e attutita dallo scrosciare
dell'acqua fredda sulla faccia.
Sollevando lo
sguardo, con ancora le gocce d'acqua che mi scorrono sul viso, osservo
mio
cugino attraverso lo specchio.
<< E tu sei
pronto a pagare la scommessa?>> ribatto fiducioso con un
sorriso sornione.
Per tutta
risposta Spike fa spallucce per poi schioccarmi uno dei suoi sguardi da
seduttore incallito. Devo ancora capire come mai certi atteggiamenti
facciano
sciogliere tutte le ragazze della nostra facoltà, che
malauguratamente
incrociano per i corridoi il mio sbandato parente. Non che Spike sia un
cesso
ambulante, anzi, ma certe volte si comporta da vero cretino; per
esempio come
si relaziona con l'altro sesso. Da l’impressione di non fare
sul serio, si
diverte a circuire una ragazza, ma appena questa si lascia convincere
(di
solito il tempo che trascorre tra una fase e l'altra è assai
breve) in Spike
scatta qualcosa, che lo fa ritornare sui suoi passi, mollare la ragazza
e
trovarne qualcuna più interessante. Infatti avrà
avuto un centinaio di
fidanzate, ma mai nessuna che sia durata più di tre
settimane. Ne ha lasciati
di cuori infranti dietro di se! Eppure molte gli corrono ancora dietro,
sebbene
sappiano a cosa vanno in contro.
Tuttavia per
l'occhiata rivoltami, mi vengono i brividi e non posso fare a meno di
alzare un
sopracciglio come a dire “ Che cavolo fai?!”, ma
lui ignorandomi si avvicina ad
uno specchio ed incomincia a sistemarsi i capelli: li liscia, li
ravviva per
poi lisciarli di nuovo. È peggio di una ragazza! Ha un'
ossessione quasi maniacale
per i suoi capelli sistemati in modo insolito rispetto al classico
taglio corto
che vige dalle nostre parti. Infatti delle lunghe ciocche nere e
fluenti gli
ricadono sul petto, mentre il resto della chioma è
semi-lunga e mossa sulla
nuca.
Spike, con la
coda dell'occhio, nota che lo sto osservando.
<< Un ruba
cuori come il sottoscritto deve prendersi cura del suo aspetto,
specialmente i
capelli>> sentenzia dopo l'ennesimo ritocco alla
capigliatura, poi
continua << se sei invidioso posso insegnarti qualche
trucco del mestiere
per fare strage di ragazze, perché non sei completamente da
buttare!>>
Vorrei veramente
mandarlo a quel paese, ma mi trattengo dal dirglielo direttamente per
non iniziare
una discussione infinita, perciò mi limito ad un innocuo
<< Quando la
smetterai di dire cazzate?>> che regalano mille punti al
mio
autocontrollo.
<< Scusa,
dimenticavo che hai già una fan: la biondina che ci aspetta
fuori>> scherza
mentre accenna con il capo alla porta che separa noi dalla nostra amica
Chanel.
<< Ma che?!>>
dico in modo alterato, intuendo il significato nascosto delle sue
parole.
<< Che …
lei vorrebbe essere più di un'amica?!>> adesso
è completamente girato
verso di me per guardarmi divertito con le braccia conserte.
<< Te lo
dico ora e mai più: tra me è lei non
c'è assolutamente niente. E poi non mi
attira in quel senso>> sibilo. Non mi vanno a genio certi
discorsi, mi
mettono a disagio, per non parlare del fatto che dopo, una volta
insinuato il
dubbio di un possibile coinvolgimento sentimentale, non si riesce
più a vedere
come prima il rapporto con quella persona.
<< Ehi, ehi
non ti scaldare! volevo solo metterti in guardia, prima che ti possa
trovare in
una situazione imbarazzante. Sappiamo com'è fatta
Chanel!>> si schernisce
lui.
Rimaniamo per
qualche istante a scrutarci, io furente e lui impassibile, e prima
qualcuno possa
aggiungere dell'altro, la porta del bagno si apre leggermente e
dall'altro lato
ci giunge la voce della nostra amica.
Giusto in tempo!
<< Sono
stufa di aspettare, muovetevi i risultati sono già
uscitiiiiiiii!>> scalpita.
Senza perdere
tempo la raggiungo nel corridoio, seguito a ruota da Spike, felice di
non dover
riprendere il discorso.
<< Ce
ne avete messo di tempo! Vi siete
raccontati i vostri segreti?!>> dice spostandosi al mio
fianco. In
effetti, ora che ci penso, ho notato che Chanel con me si comporta in
maniera
diversa rispetto agli altri ragazzi.
“ Che cavolo, adesso
che mi ha messo la pulce nell'orecchio e chi se la leva
più?! Maledizione a te Spike!”
rifletto innervosito.
<< Si, non
hai idea di che segreti scabrosi nasconda
Nagìl!>> le risponde mio
cugino, lasciandola interdetta.
<< Non
ascoltarlo, spara solo scemenze ultimamente!>> intervengo
per smentire la
sua balla quotidiana.
Seguiamo il
flusso degli alunni che scende le scale, simili a tanti rivoli di un
fiume in
pendenza per giungere a valle, e guadagniamo l'aula magna. Una
moltitudine di
studenti, come tante formiche attirate dallo zucchero, si accalca
davanti agli
schermi posizionati nella sala. Pertanto ci facciamo faticosamente
largo tra la
calca per poi fermarci difronte ad uno dei televisori piatti che sembra
il meno
affollato e avidamente scorriamo con lo sguardo la lista, ordinata in
modo decrescente,
di tutti i risultati della sezione V dell'esame di rilevamento
microscopico
III. Ed eccoci: Nagìl Sunders classe V-A3 ID
009734557 punteggio 120/120; Spike Granger classe V-B1 ID 009812365
punteggio 120/120 …
“ Cosa?! Stesso
punteggio? Guarda, guarda chi si è impegnato questa
volta!” penso ironico.
<< Pari
merito!>> esulta Spike giulivo, mentre mi cinge le spalle
con un braccio.
Devo dire che sono deluso dal fatto di non aver vinto la scommessa,
forse ci
tenevo più di quanto non pensassi ad avere la chiave
magnetica.
<< Caspita
avete raggiunto la vetta anche questa volta!>> ridacchia
Chanel per nulla
sorpresa.
<< Già … e
a te come è andata?>> chiedo per cortesia.
<< Abbastanza
bene, 118 punti>> dichiara amareggiata. A quanto pare
sperava di prendere
di più, ma i batteri e tutti gli organismi del genere non
hanno mai attirato le
sue simpatie, e ciò l’ha penalizzata nello studio.
<< Magari
la prossima volta sarai più fortunata>> la
prende in giro Spike. Chanel,
per tutta risposta, dopo averlo fulminato con lo sguardo, gli tira un
pizzicotto talmente forte da farlo piegare in due dal dolore.
<< Ma sei
impazzita!>> le urla adirato, massaggiandosi la parte
interessata.
<< La
prossima volta impari!>> ribatte acida la ragazza, mentre
io me la rido
sotto i baffi.
<< Il mio
corpo, ovviamente come tutto il resto, è importantissimo! E
per averlo deturpato
dovrai pagarmi in natura>> ammicca, ma Chanel non
è in vena di scherzi e
sta per assestargli un altro violento pizzico.
<< Queste
te le sei cercate Spike!>> dico non prendendo minimamente
in
considerazione l’idea di
fermarli, è
troppo divertente vederli discutere, soprattutto perché
Chanel la spunta sempre.
<< Ecco i
nostri migliori allievi, complimenti ragazzi sono fiero di
voi!>> veniamo
interrotti dalla voce affannata del responsabile delle sezioni V
dell’istituto:
il signor Walter Evensbee, un ometto grassoccio e di piccola statura,
con una
zazzera di capelli brizzolati, occhietti piccoli e neri che si notano
appena
dietro la vistosa montatura degli occhiali. Il sorriso svanisce dalle
nostre
facce e Spike si allontana da me assumendo un atteggiamento formale. La
nostra
reazione non è dovuta in sé al professore,
poiché sia un uomo dispotico o antipatico,
anzi è abbastanza alla mano se si sa come prenderlo; il
problema è dovuto alle
notizie che deve riportare, perché ormai sappiamo che quando
approccia gli
studenti in questo modo, vuol dire solo una cosa: ci sono delle cose
che la
direzione vuole che tu faccia, ed in particolar modo chi ha diretti
rapporti
con le alte sfere.
<< Signor
Sunders, stavo cercando proprio lei>> inizia impacciato
e, con un misto di
imbarazzo e preoccupazione, estrae
il suo inseparabile fazzoletto di stoffa per il consueto
rituale prima di
parlare, tamponarsi la tempia imperlata di sudore.
<< Il
preside le porge i suoi sinceri auguri per il brillante risultato
ottenuto
nella prova … e vorrebbe che fosse lei, in
qualità di miglior studente, a
pronunciare l’annuale discorso di chiusura del primo semestre
di studi>> termina
quasi balbettando.
Il discorso! Mi
ero completamente scordato di questo stupido evento.
Un’apparizione e
successivo monologo dello studente più meritevole, il tutto
accuratamente
allestito su un palco nell’aula magna difronte a tutto il
corpo docente e
studentesco. E guarda caso a chi è toccato
l’onore?! Sempre la solita storia, non
passa giorno in cui non provino a sfruttare il fatto che sia il figlio
del
governatore per ingraziarsi il favore, ma soprattutto le generose
donazioni, di
mio padre. Ci credo che poi i professori mi rinfacciano che non
esistano
trattamenti eccezionali, come è successo questa mattina con
il professore
Ferruro. Perciò,
come tutte le volte che
capitano questi eventi, indosso una maschera ed interpreto il
personaggio
inflessibile e formale che spesso anche troppo mi accompagna da quando,
ad
undici anni, fui presentato ufficialmente come unico figlio,
nonché erede dei
Sunders, alle maggiori cariche e figure del Centro di Cardia Y-311. Fu proprio nei tre anni
precedenti al mio ingresso
nella cerchia dei potenti, che Alexander, mio padre, mi
insegnò con il suo
metodo severo, ai limiti del militarismo, ad usare
l’espediente di inventare un
carattere fittizio ed intransigente che non lasciasse trasparire nulla
della
mia vera personalità o delle mie qualità; dovevo
essere un perfetto muro
impenetrabile, educato e cordiale, ma mai troppo disponibile o dal
polso debole
come era stato insegnato a lui a suo tempo.
“Ricorda,
non permettere a nessuno, estraneo o parente che sia, di conoscerti per
quello
che sei! Useranno le tue debolezze per il loro tornaconto o contro di
te.
Vorranno attirarti nella loro ragnatela solo per poterti sfruttare ed ottenere il più
possibile, perciò non pensare
che i sorrisi o le parole gentili che ti rivolgeranno saranno
perché gli
interessi qualcosa di te”.
Queste furono le
prime parole che accompagnarono la fine della mia spensieratezza e
dell’illusione che il mondo non fosse tutto nero. Da allora
il personaggio che
ho costruito è diventato come una seconda
personalità che non mi abbandonava
mai, anzi cercava di prendere il sopravvento anche quando giocavo con
gli altri
bambini, nei pochi momenti liberi tra una lezione e l’altra.
Spike fu il primo
ad accorgersi del cambiamento nel mio comportamento, proprio
perché anche lui
doveva subire la stessa situazione. Fu sempre Spike, grazie al suo
carattere
più ribelle e menefreghista del mio, e sospetto anche
più forte, che riuscì a
non farsi sopraffare dalla maschera e mi aiutò a stabilire
un equilibrio tra
chi ero e la finzione che avevo eretto. Anche se mi secca ammetterlo,
mio
cugino non è poi così inutile o stupido come
vuole sembrare.
<< Professore
sono onorato della fiducia che riponete lei ed il preside nelle mie
competenze,
ma sono costretto a declinare. Sicuramente troverete qualcuno che
saprà
adempiere adeguatamente al compito>> dico in tono
disaccato e glaciale,
sperando che ciò lo faccia desistere dal proseguire oltre.
<< Signor
Sunders come figlio del governatore dovrebbe … comprendere
quali responsabilità
il suo ruolo comporta e l’esempio che dovrebbe dare agli
altri
studenti!>> si affretta a dire Evensbee cercando di far
leva sul solito
argomento: è figlio del governatore Sunders e per questo
deve rappresentarlo al
meglio per non farlo sfigurare, perciò deve fare quello che
le diciamo! Mi
viene una rabbia solo al pensiero che con questa scusa vorrebbero farmi
diventare una marionetta alla loro mercé e per questo vorrei
poter sputare il
rospo che per troppo tempo ho ingoiato, vomitando addosso al professore
tutto
quello che penso veramente. Ma purtroppo non posso, proprio a causa del
mio
“titolo”. Bella fregatura! E poi si dice che i
“potenti” abbiano il coltello
dalla parte del manico.
Perciò, pensando
che se si diffondesse la notizia che il figlio dei Sunders si
è rifiutato di
presenziare ad un discorso scolastico ufficiale, potrebbe danneggiare
la reputazione
della mia famiglia, sono costretto a desistere dai miei raptus di
ribellione ed
accettare il compito a malincuore.
<< Responsabile…>> Spike non mi
permette di finire la frase
che stavo per esprimere, che si intromette nel discorso, oltre a
pararmisi
difronte << Capita giusto a proposito! mi è
venuto in mente un fatto
increscioso accaduto poco fa nella mia classe>> annuncia
serissimo.
<< Per
favore signor Granger, discuteremo di questo in un altro momento adesso
mi
lasci finire il discorso con…>> cerca di
divincolarsi Evensbee, sempre
più affannato.
<< Ma
professore ! Ne va dell’equilibrio scolastico e della
tranquillità degli
studenti! Ed in qualità di responsabile delle sezioni V non
può ignorare
l’urgenza della situazione!>> rincara la dose
Spike, per trattenere il
più possibile il professore mentre di nascosto mi fa segno
di andarmene e alla
svelta. Dovrei dare una risposta all’insegnante, non posso
semplicemente
andarmene … però, chi se ne frega! Almeno per una
volta me ne infischio
dell’etichetta.
Non me lo faccio
ripetere due volte, afferro per il polso Chanel, che fino a quel
momento aveva
assistito impassibile alla scena, e ci defiliamo dalla sala gremita di
studenti.
Al mio ritorno devo
ricordarmi di ringraziare Spike come si deve, anche se non ne ho voglia
perché so
fin troppo bene che mi chiederà il conto.
Usciamo dall’edificio
scolastico dalla porta di servizio del personale delle pulizie e
attraversiamo le
strade del Centro senza meta, ma con l’unica certezza di
dovermi allontanare il
più possibile. Le
vie sono deserte,
tutte le persone che le ingombravano questa mattina sono stipate negli
uffici
davanti ai loro monitor con gli impeccabili vestiti formali. Solo i
Funzionari
di pattuglia girano sulle loro volanti ad energia solare. Ci fermiamo
all’ombra
di un muro a pochi isolati dalla base della cupola.
<< Dove
stiamo andando?>> sussurra appena Chanel.
In verità alla
destinazione non avevo minimamente pensato. Sollevo lo sguardo sugli
edifici
neri che appaiono storti al di là della volta di vetro che
ci protegge dalla
pioggia. Un idea in particolare si fa strada tra i pensieri che si
affollano rumorosamente
nella testa come uno sciame d’api. “
Perché no?!” ripeto mentalmente per
convincermi.
<< Andremo
nei Sobborghi!>> dichiaro entusiasta, mentre mille
fantasie sulla nuova destinazione,
che avevo relegato in qualche parte del cervello, si rifacciano alla
memoria.
<< C-cosa?!
Non possiamo Nagìl! Se ci scoprissero?!? Potremmo finire ai
servizi socialmente
utili o peggio ancora in prigione!>> si altera la mia
amica.
<< Certo
che se urli così ci scoprono di sicuro! Facciamo solo un
giro e poi
torniamo>> dichiaro.
<< Non so
se vale la pena rischiare tanto… >> ribatte
titubante osservandomi, in
cerca di qualche segno di dubbio sul mio volto. Sfortunatamente, non
sono mai
stato più sicuro di così in tutta la mia vita.
<< Solo un
po’, giusto per staccare la spina, poi torniamo a casa prima
che si accorgano
della nostra assenza. Però ti capisco se non te la senti, ma
sappi che ci
saranno le guardie dell’accademia a cercarci. Sei pronta ad
affrontarle?>> sentenzio affabilmente, per celare la leva
psicologica che
sto usando contro di lei. A questo punto non voglio tornare indietro
sprecando
quel briciolo di ribellione che mi ha permesso di fregarmene, almeno
per oggi,
delle regole.
<< No, le
guardie no, ti prego!>> afferma, mentre un leggero
pallore le scende sul
viso e non posso fare a meno di gioire in segreto.
<< Allora è
deciso! Andiamo>> sentenzio porgendole la mano per
riprendere il cammino.
Chanel la afferra con più sicurezza, arrossendo e ci
incamminiamo.
Sei un
deficiente!
Molla quella mano!!!! Ti si è azzerata la
memoria su cosa ti ha detto Spike?!
Urla
una parte di me. Purtroppo me ne ricordo solo ora e alla prima
occasione buona
la lascio andare, sperando di non aver fatto qualcosa di irreparabile.
Ci fermiamo poco
dopo nell’unico luogo che mi è venuto in mente:
una ditta farmaceutica
abbastanza lontana dalla scuola e dalle stazioni dei Funzionari.
Stranamente oggi
c’è un insolito via vai di
gente, e dai discorsi degli addetti che corrono indaffarati da una
parte
all’altra, capisco che la ditta sta effettuando lo scarto dei
farmaci non
utilizzabili o scaduti, quindi destinati allo smaltimento negli
appositi centri
dei Sobborghi. Dovranno perciò aprire la pesante porta di
ferro a pochi passi
da loro, per far uscire il camion dei trasporti.
Almeno in questo
la fortuna è dalla nostra parte.
Non ci rimane che
avvicinarci il più possibile e aspettare il momento buono
per uscire. Con
questo piano ben fissato in mente, ci nascondiamo dietro a dei
cassonetti a
ridosso della base della cupola, protetti anche da una porzione di muro
ad
angolo. Chanel non sembra molto entusiasta della soluzione, e cerca
attentamente di non sfiorare neppure per sbaglio i contenitori
dell’immondizia
con una parte della divisa. Appena nascosti, veniamo sorpresi da due
voci
troppo vicine al nostro nascondiglio e l’adrenalina inizia a
scorrermi nelle vene
come un treno impazzito.
<< Ma
quanti stramaledetti scatoloni ci sono ancora da
caricare?!>> dice una
voce maschile molto profonda e irritata.
<< E io
che
ne so! Spero pochi, tra mezz’ora dobbiamo ritirare un altro
carico ed il trabiccolo
è strabordante di schifezze da cestinare>> si
affretta a rispondere un
collega, mentre sbatte violentemente il coperchio della pattumiera
difronte a Chanel
che si paralizza per la paura. I due fattorini si scambiano ancora
qualche
battuta, prima di allontanarsi, rivelandoci ancora qualche dettaglio
utile per
la nostra evasione. Quando sono sicuro che i due addetti se ne siano
andati,
faccio capolino da dietro al muro per studiare la situazione. La
vettura
appostata a pochi passi da noi, è un vecchio modello a
miscela idrocarburica
con la parte posteriore coperta da un telo di spessa plastica nera.
Strano che
facciano circolare ancora certi esemplari, visto che le nostre scorte
di
benzina e affini non sono molto abbondanti; per non parlare del tasso
di
anidride carbonica e agenti inquinanti emessi. Comunque il telone di
plastica
non è fissato bene in una delle estremità,
perciò potremmo intrufolarci nel
furgone senza problemi. Trascorrono diversi minuti prima di sentire le
voci
aspre dei fattorini annunciare l’ultimo scatolone ed il
rumore acuto del trabiccolo
che prende vita, tra gli sbuffi nerastri dello scarico. Leggermente
affumicato,
ma pronto all’azione, scatto in piedi trascinandomi dietro la
ragazza e, senza
essere scorti dagli specchietti laterali del mezzo, approfittiamo del
gentile
passaggio.
Così parte
il
nostro viaggio, con continui sobbalzi della vettura che affonda le
ruote nel suolo
irregolare come la superficie lunare, e con l’odore di
terreno secco e
carburante nelle narici. Non male come inizio! Quando dopo un secolo
sbircio
all’esterno, la cupola è soltanto un piccolo globo
che si intravede tra i
palazzi. È ora di scendere. Alla prima occasione favorevole,
smontiamo dal
furgone, immergendoci completamente nel luogo.
Devo ammettere
che adesso che mi trovo nei Sobborghi non so cosa provo. È
come se ci fossero
troppe sensazioni da digerire. Adrenalina? Paura? Eccitazione? Forse ci
sono
tutte oppure non ce ne è nessuna, poiché il mio
cervello fatica a riconoscere
ogni emozione e a trovarle un posto all’interno del corpo. Mi
sento come
durante una lezione di chimica in cui l’assistente ti chiede
di esaminare una
provetta in cui sono mescolati insieme diverse sostanze dai nomi
complicati, che
hai sentito parecchie volte, di cui conosci il nome esatto, ma che non
riesci a
distinguere, perché ogni componente è mischiata
in modo omogeneo con le altre. Eppure
tutto ciò non mi spaventa affatto, al contrario mi
incuriosisce maggiormente,
in più ho fantasticato mille volte su come dovesse essere
questo posto fuori
dall’ordinario di cui ci hanno sempre parlato malamente in
facoltà e alle
conferenze; ci hanno sempre descritto un luogo lugubre, pieno di
malviventi
attaccabrighe o gente che elemosina per strada, di persone allontanate
dal
Centro perché pericolose per la società e per il
governo e capace dei
comportamenti più marci di questa società.
Era tutto falso? La
gente qui mi sembra piena di vita, si affaccenda nei lavori
più disparati e
invece di lamentarsi o urlare perché qualcosa non funziona,
per ogni crepa nel
muro o per i marciapiedi deformati, se ne vanta quasi, asserendo che
nonostante
tutto resistono ancora sotto l’attacco degli elementi
naturali. Tutto quello
che mi era stato inculcato si sgretola sbattendo contro la
verità e la condotta
pacifica di questa gente. Un pensiero si fa strada tra reclamando la
mia
attenzione: “ e se fosse stato tutto premeditato?”.
Scioccato all’ eventualità
di uno sviluppo simile, accantono in un angolino buio il dubbio
concentrandomi
solo su quello che posso vedere. Sono davvero colpito e voglio
conoscere di più
di questo posto che è l’esatto contrario del mio;
così ci addentriamo per i
vicoli polverosi e tra le strade che hanno dei loro propri odori
(alcuni non
molto gradevoli, ma pazienza) per poi arrivare in una piazza piena di
bancarelle dalle merci di colori sgargianti e alcuni
dall’aria vissuta.
Un banco vende
delle cianfrusaglie che non ho mai visto, un altro ha disposti diversi
bracciali di pietruzze lucide e alcune medaglie militari che da tempo
sono
sparite dalla circolazione (almeno dalle nostre parti), oltre a bende e
bandane
dai colori leggermente sbiaditi, c’è addirittura
qualche kefiah.
<<
Chanel,
hai mai visto tante cose strane tutte insieme? È tutto
così …>> ho troppi
aggettivi che mi frullano per la testa per pronunciarne anche solo uno.
<<
Rozzo!>>
conclude astiosa.
<< Avrei
detto bizzarro e poi non fare la schizzinosa, siamo qui per
divertirci>>
esulto al settimo cielo, perché finalmente un mio sogno
infantile si sta
avverando.
<< Ti
diverti come un bambino con un giocattolo nuovo. Sei entusiasta
è l’ho notato,
adesso possiamo andarcene?!?>> ribatte sulla difensiva
stringendosi nelle
spalle, tesa come una corda di violino. Ammutolisce di colpo per poi
lanciare
occhiate preoccupate tutt’attorno.
<<
C’è
qualcosa che non va?>> chiedo apprensivo; non
è da lei fare così.
<< Ecco
… è
da prima che la gente parlotta e ci fissa in modo
strano>> sussurra
appena.
<< Ma
che
stai dicendo?>> ma appena sollevo lo sguardo per
osservarmi intorno, per
trovare smentita alle sue parole, noto che
le persone a poco a poco si allontanano da noi bisbigliando, mentre le
madri
allontanano i figli incuriositi, guardandoci in modo torvo ed
apprensivo come
se fossimo delle belve feroci.
La situazione non
mi piace per niente. Come mai d’un tratto si comportano in
maniera così
sospettosa? Fino a qualche minuto prima andava tutto alla grande. Una
brutta
sensazione mi attanaglia dell’interno, bloccando lo stomaco e
mettendo in
allerta i sensi. Istintivamente afferro Chanel per una spalla e la
sospingo
lentamente verso il punto meno gremito della piazza, ma senza voltare
le spalle
alla folla, come se un movimento brusco potesse far scatenare la
reazione dei
presenti. Poco dopo aver raggiunto l’estremità
libera, si alza una voce:
<< Vengono dal Centro!!!>> e incomincia il
pandemonio.
Per istinto di
conservazione incomincio a correre tirandomi dietro la ragazza, mentre
la folla
inferocita ci insegue a pochi metri di distanza, sbraitando con
veemenza e pretendendo
la nostra cattura. Come mai ce l’hanno con noi? Possibile che
debba ricredermi
su ciò che ho pensato appena arrivato? Non so più
cosa pensare; fatto
sta che adesso la mia priorità è mettere
più distanza possibile tra me e la gentaglia, altrimenti va
a finire male.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Incontro Scontro ***
Capitolo
4
Accelerando il
passo e, a poco a poco, riusciamo a seminare gli inseguitori.
Finalmente possiamo
fermarci a riposarci all’ombra di una palazzina decadente,
stanchi e madidi i
sudore. Dobbiamo trovarci in un quartiere periferico, perché
non c’è anima viva
ed il silenzio è quasi assoluto.
<< Nagìl! …
dove caspita ci troviamo?!>> strilla Chanel con il poco
fiato che ha nei
polmoni.
<< Per il
momento al sicuro … e abbassa la voce!>> la
rimbrotto, mentre, appoggiato
al muro di cemento, mi lascio scivolare fino a terra.
<< Come
facciamo a tornare a casa?!>> domanda sull’orlo
del pianto.
<< Basterà
cercare la cupola e raggiungerla. Per il momento non mi muoverei
però, ci
saranno ancora quei tizzi a cercarci>> ragiono ad alta
voce.
Questa mia considerazione
sembra tranquillizzare Chanel, e finalmente posso distendere i nervi
per
qualche minuto prima di sentire la sua voce stridula di nuovo.
La calura
strisciante che discende gli edifici come una mano bramosa,
afferrandoci la
gola e lasciandoci
boccheggianti
nonostante le tiepide folate di vento che si insinua tra i palazzi e grazie all’assenza
di sole. Certo che fuori
dalla cupola la temperatura si sente più accentuata, o forse
è solo una mia
impressione perché non vi sono abituato. Ora che
l’adrenalina se ne è andata mi
sento spossato e, socchiudendo gli occhi incoraggiato dalla
tranquillità del
posto, cerco di recuperare un minimo delle forze spese nella fuga.
Purtroppo il
momento di quiete dura assai poco, infatti l’eco di una
lattina che si schianta
sulla parete a poca distanza da noi, si propaga come un colpo di
cannone in
tutto il vicinato, seguita da risa sguaiate. Subito dopo compaiono una
dozzina
di ragazzi vestiti di nero e con catene penzolanti che, accorgendosi
della nostra
presenza, assumono un atteggiamento ancora più minaccioso e
spavaldo. Mi alzo
da terra mettendomi sulla difensiva, pronto per agire in ogni
evenienza, mentre quello
che deve essere il capobanda si fa avanti prendendo la parola.
<< Guarda,
guarda chi abbiamo qui, dei forestieri!>> dice uno in
tono di scherno
<< … di dove sbucate?>> domanda
ancora curioso, ma con una smorfia di
scherno sul volto abbronzato. Ha molti più
muscoli di me nonostante non sia molto più alto, e mi da
l’idea di uno che non si
risparmia con i pugni o con le risse. Devo decidere ed
in fretta cosa fare, altrimenti rischiamo di trovarci in guai seri. Di
certo
non posso raccontargli balle, perché avrà
già capito da sé di dove siamo, come
lo ha capito la gente al mercato.
<< Veniamo
dal Centro>> dico, studiando le loro reazioni.
<< Degli
schifosi figli di papà venuti in visita ai bassi fondi!
>> brontola un
individuo magro, sputando con sdegno nella nostra direzione, mentre i
suoi
compari scoppiano in una fragorosa risata come se avesse detto o fatto
la cosa
più divertente del mondo.
Comincio ad
innervosirmi, ma mantenendo il sangue freddo riesco a chiedere
<< Che
volete?>>
<< Avete
sentito?!>> sentenzia ironico il boss seguito da altre
risate. << Smilzo!
Lo dici tu al nostro amico qui perché ce l’abbiamo
tanto con lui?>>
Chiamato in
causa, un ragazzo dalla mole elefantesca e dagli strabordanti rotoli di
grasso
fa un passo in avanti nello schieramento dei teppisti per obbedire agli
ordini
<< Vi siete presentati senza invito>>
dichiara con voce tanto
profonda da far vibrare la sua massa grassa.
<< Esatto!
Per questo vi abbiamo riservato un benvenuto con i fiocchi, non
è vero
ragazzi?!>> ribadisce il boss scrocchiando le dita.
Immediatamente i
suoi tirapiedi, rompendo le righe, avanzano brandendo in modo teatrale
delle
mazze, delle catene e quanto si sono portati dietro, fino ad
accerchiarci
completamente.
<< Non c’è
modo di risolverla pacificamente? Almeno difronte ad una
ragazza>> cerco
di trattare, mentre faccio un rapido giro su me stesso per vedere fino
a quanto
siamo messi male. “ Siamo nella merda fino al collo,
dannazione!” constato
sconfitto.
<< Non ti
preoccupare, risolviamo subito il problema>> la risposta
arriva secca e
definitiva come un colpo d’ascia calato dal boia. Pocodopo
Chanel inizia ad
urlare e le sue mani vengono staccate con violenza dalla mia maglia.
<<
Bastardi!>> mi volto di scatto per riprendere la mia
amica, ma in quel
preciso momento si scatena il peggio. La teppaglia si scaglia
all’assalto ed
una randellata mi colpisce ad una gamba, da cui risale in tutto il
corpo un
dolore sordo e bruciante come una lingua di fuoco.
Stingo
i denti e meno le mani, sperando di cavarmela con le nozioni di arti
marziali
che ho sporadicamente seguito. Se proprio devo essere massacrato di
botte, darò
la stessa sorte a qualcuno di questi schifosi!
***
Finalmente la
pausa pranzo!! Oggi è stata una giornata particolarmente
movimentata a lavoro,
c’erano una marea di pacchi da consegnare e così
finalmente Chris, il mio capo,
ha lasciato che usassi la bicicletta della ditta ad una condizione, che
non la
distruggessi. Purtroppo la vista della bici non è stata tra
le più piacevoli e
appena immessa nel traffico mattutino ha tentato più di una
volta di attentare
alla mia vita! Il perché è semplice da spiegare:
il mezzo in questione non è
altro che un ammasso informe di ferraglia arrugginita che cigola e si
lamenta
ad ogni pedalata; i freni funzionano a malapena e le marce, quasi
mangiate
dalla ruggine, sono durissime da inserire. Ho chiesto più di
una volta al capo
di farla sistemare perché non l’avrei mai usata in
quelle condizioni, ma lui
per tutta risposta mi ha detto di usarla così o avrebbe
passato l’incarico a
qualcun altro. Piuttosto che saltare mezza giornata di paga, ho
afferrato il
catorcio e mi sono data da fare. Col cavolo che il pomeriggio lo
passerò ancora
su quell’arnese scassato a scansare carretti, galline
razzolanti, muri e quant’altro
mi si pari di fronte all’ improvviso, solo perché
nessuno vuole farla
aggiustare. Appena ci vediamo chiederò a Kid di darle
un’ occhiata, alla faccia
di tutti!
A proposito del
mio amico, dove si è cacciato? È da un quarto
d’ora che lo aspetto. Non è che
si sarà dimenticato come al solito del nostro ritrovo alle
“poste”?!?
Abbiamo scelto
questo posto perché abbastanza vicino alle rispettive sedi
di lavoro eppure non
si vede ancora. Oh, si arrangerà! Ormai non posso
più aspettare, il mio stomaco
ha deciso che se non metto subito qualcosa sotto i denti, mi
dichiarerà guerra
con tanto di effetti sonori. Avanzo cauta tra le scrivanie logore e ne
scelgo
una di mio gusto, rovesciando sul pavimento tutte le cianfrusaglie
abbandonate
su di essa. Mi ci accomodo, togliendo dalla borsa il pranzo che
consiste in una
sottospecie di tortillas con uova e formaggio salato ed una delle
bottigliette
d’acqua, naturale riempite stamattina alle 6:00, che
levataccia! Per di più
l’erogazione mattutina non è annunciata
pubblicamente, quindi se ti svegli
bene, altrimenti l’acqua te la vai a comprare con tutte le
tasse e dopo la
batosta di ieri a cena ho imparato la lezione: mi porto
l’acqua dal rubinetto,
fa niente che a fine giornata sia calda.
Per mia fortuna o
sfortuna, nella palazzina dove viviamo io e la mia famiglia, sappiamo
benissimo
quando è ora di riempire le taniche, perché le
condutture che serpeggiano nei
muri di calcestruzzo vengono scosse da violenti sobbalzi e squittii
tanto che
ti sembra di avere un gruppo di topi che scorrazza su e giù
per i muri. Non è
un granché come sveglia visto che se stai dormento e senti
certi sinistri
rumori, il minimo è saltare giù dal letto per lo
spavento, comunque dopo un
po’, un bel po’, ci si fa l’abitudine.
Senza più remore,
addento l’involtino fatto in fretta e furia prima di uscire,
perché come sempre
sono in ritardo. Niente male come esperimento culinario! Devo farlo
assaggiare
anche alla mia cuginetta la prossima volta; magari quando tocca a me
cucinare,
per esempio domani sera quando Catherine fa il turno di notte. Infatti
mia zia
è la segretaria dello studio medico del nostro distretto,
oltre ad essere un
po’ una tuttofare. A volte si occupa dei pazienti non
particolarmente
gravi, dove le sue
conoscenze mediche,
tramandate da suo padre infermiere, riescono ad arrivare, quando lo
studio del
dottor Rosemberg è sommerso di pazienti, il che non succede
così di rado a
causa dell’alto tasso di incidenti sui luoghi di lavoro e di
avvelenamenti per
le esalazioni tossiche. Sporadicamente ed in casi estremi di
sovraffollamento,
insieme ad altri volontari, dò una mano anch’io
con i bendaggi, fasciature e
steccature per ossa rotte di sui sono espertissima siccome
più di una volta le
ho applicate su me stessa. Sto spazzolando le ultime briciole della
tortillas,
quando il mio amico finalmente si palesa.
<< Peccato,
non ti darò neanche un pezzetto del mio
pranzo!>> affermo leccandomi le
dita. Quella di assaggiare il pasto dell’altro è
diventata un’abitudine da
tempi immemori e serve a criticare affettuosamente gli improbabili
accostamenti
di sapore, oltre a venire a conoscenza di possibili nuove ricette
improvvisate.
<< Ma se
l’hai finito?!>> risponde offeso.
<< Non
arrivavi più e avevo fame>> dico semplicemente
guardandolo con gli occhi
da cerbiatta e allora la sua faccia scura crolla. Lo so, sono tremenda!
<< Uffa,
allora devo mangiare solo io. Però mi fai
compagnia!>>
<< Okeeeeeeeeeeeeeei>>
Da brava amica
salto giù dalla scrivania e lo seguo mentre si siede sul
bordo del pavimento,
dove un tempo c’era un muro delle poste, con i piedi che
penzolano nel vuoto.
Non si sta affatto male quassù, c’è una
leggera brezza che allontana
momentaneamente la calura afosa, e poi si gode di un’ ottima
vista del
vicinato. Mi sono sempre piaciuti i posti in alto, mi fanno sentire un
po’ più
vicina la cielo e meno alla terra a cui sono inchiodata.
<< Cosa hai
preparato stavolta?>> chiede d’un tratto Kid
prima di divorare il panino
malconcio che si è portato dietro.
<< Una
tortillas gigante con formaggio salato e uova>> dico
senza staccare gli
occhi dai palazzi in lontananza, osservandone i profili malconci e
sbilenchi
come castelli di sabbia in preda alla marea.
<< Sembra
buono>> ingoia un’ altro boccone prima di
allungarmi il suo pranzo per un
assaggio.
<< Promesso,
la prossima volta ne preparerò uno soltanto per
te>> sorrido e poi mi
avvicino al panino per staccarne un morsetto. È duro e
schifosamente salato a
causa della carne essiccata che c’è nel mezzo.
Arriccio il naso, facendoglielo
notare e poi ci perdiamo nel parlare del più e del meno
della giornata, ma non
mi dimentico di chiedergli di aggiustare la bici della ditta di
corrieri che ho
lasciato all’ingresso del palazzo. Mentre smangiucchiamo dei
biscotti fatti
dalla madre di Kid, giungono delle voci dalla strada sottostante. Prima
sono
solo due: una ragazza agitata ed un ragazzo seccato, poi arrivano gli
schiamazzi. Ci sporgiamo per vedere meglio. Ciò che si
presenta sono dodici, al
massimo quattordici, ragazzi che accerchiano la coppia di giovani dai
capelli
insolitamente chiari e dai vestiti troppo sgargianti per essere
abitanti di uno
dei quartieri circostanti.
<< Devono
essere del Centro>> dico apatica indicando con la testa
gli “stranieri”,
mentre il disgusto ed un ondata di risentimenti, mi ribollono nelle
viscere.
<< Quelli
non sono i Demon’s Cross?>>
chiede Kid sporgendosi un po’ di più, in allarme.
Un rapido esame
al vestiario dei tizzi che consiste in pantaloni strappati, catene
pendenti,
magliette nere senza maniche che ritraggono sulla schiena un croce
latina
inscritta in un pentacolo, e qualche bandana a scacchi sbiadita; e poi
rispondo
al mio amico << Sì sì, sono
loro>> confermo tornando a mangiare il
dolce.
I Demon’s Cross
è una banda di giovani
violenti e sbandati, noti soprattutto per il loro profondo odio verso
il Centro
che si manifesta spesso e volentieri con atti vandalici, a volte gravi,
volti
anche a sfidare la pazienza dei Funzionari. Sono molto famosi
specialmente tra
i ragazzi, che li vedono come una valvola di sfogo per le dure
condizioni di
vita imposte dalle alte sfere del Centro. Per questi motivi, molti
cercano di
entrarvi, ma si vocifera che la prova d’iniziazione sia
talmente crudele e
difficile, che la maggior parte abbandona il tentativo ancor prima di
cominciare.
<< Dobbiamo
fare qualcosa!>> sbotta Kid.
<< Perché?
abbiamo il dolce più spettacolo>> dico
distrattamente tirando calci
all’aria e fingendo che la cosa non mi riguardi.
<< April,
non ti rendi conto! Li massacreranno>> Kid è
palesemente preoccupato.
<< A me sembra
che il tipo se la stia cavando bene … Auch! Guarda che pugno
gli ha
assestato>> e indico il giovane che ha appena atterrato
un tizio più
robusto di lui.
<< APRIL!>>
alza il tono il mio amico. Adesso è infuriato.
<< Non fai
sul serio vero?!>> dico in un soffio, mentre la rabbia
inizia a montarmi
dentro come il mare in burrasca.
PERCHÉ?! Perché
dovrei aiutare degli abitanti del Centro?? Cosa hanno fatto loro per
noi quando
morivamo di fame? Qualcuno si è degnato di dire che non era
giusto portare via
i nostri cari perché avevano abilità speciali?
Cosa hanno fatto quelli del
Centro per fermare i Funzionari dal mandare i nostri in missioni
impossibili e
suicide?
<< Lo so
cosa provi, ma …>> cerca di riprendere in tono
calmo.
<< No! Tu
non lo sai!!!>> incenerisco Kid con uno sguardo pieno di
rancore. Sono
cose ingiuste da dire alla persona che da anni è al mio
fianco, ma il dolore
che provo è troppo forte e vivido per trattenerlo.
<< April,
avranno la nostra stessa età! Che colpa possono avere di quello che ti
è successo?!
Ragiona!!>>
Non voglio più
ascoltarlo, perciò lo ignoro.
<< Non mi
lasci altra scelta … Ci andrò da
solo!!>> sbraita lanciandomi
l’ultimatum.
Mi volto
lentamente nella sua direzione, arrabbiata più che mai.
L’ha fatto apposta! Lo
sa che non lascerei mai che si lanciasse in mezzo ad una mischia,
perché magro
com’è non è capace di tirare un pugno
come si deve ed è una frana nelle risse,
anche quelle più banali; figuriamoci affrontare i Demon’s Cross?!.
In questo momento
verrei picchiarlo
selvaggiamente per avermi messo con le spalle al muro, è una
sensazione che
detesto! E poi lui sa che sono costretta a cedere! Per questo la cosa
mi fa
incavolare ancora di più.
<< Va
bene!!>> dico di getto, stringendo i pugni
finché le dita non mi fanno
male.
<< Cerca di
capire, è la cosa giusta da fare>> tentare di
indorare la pillola.
Lo capisco
anch’io che ha ragione, ma non ne ho nessuna voglia e
perciò mi fa
imbestialire!
<< Ho
capito, sta’ zitto!>> rispondo brusca. Lascio
che la rabbia sbollisca
leggermente ed una volta schiarite le idee continuo << Tu
resti qui! Mi
devi passare quel bastone appena te lo chiedo … poi fai
quello che vuoi>>
indico una mazza piuttosto pesante appoggiata in un angolo della stanza
e mi
avvio ad un capo dell’apertura nell’edificio dove
c’è una grondaia in buono
stato che posso usare per scendere più velocemente.
<< Sei
cocciuta come un mulo>> dice Kid quando gli passo a
fianco.
<< E tu
troppo buono!>> sentenzio acidamente, lasciandomelo alle
spalle.
Ad un passo dal
tubo di ferro, fascio abbondantemente ed il più stretto
possibile i palmi con
degli stracci che ho trovato in giro, sperando che reggano per tutta la
discesa
e dopo un bel respiro mi lascio cadere aggrappata al cilindro. Pochi
attimi e
attero con un tonfo, mentre le mani bruciano per la frenata finale.
Nonostante
tutto non mi hanno notato, tanto erano concentrati nella rissa, quindi
sto
pensando di urlar loro qualcosa, ma ci pensa la grondaia. Un grosso
pezzo si
stacca dai sostegni e crolla rovinosamente al suolo con uno schianto
micidiale.
Magnifico! Adesso non potrò più scendere da
lì. Sbuffo seccata, per lo meno la
rabbia mi darà la carica o comunque qualcosa su cui
focalizzarmi.
La baraonda
almeno ha fatto sì che la scazzottata si sia fermata e tutti
siano voltati
verso di me.
<< Salve!
Posso unirmi anch’io?>> dico non trovando
niente di più brillante nel mio
repertorio. Passano attimi di silenzio, rotti poi da una voce cavernosa.
<< Oh! Chi
si rivede la piccola Wild! Non dovevi essere morta sotto un
crollo?>>
Piccola?! La
rabbia ora è come una mandria di bisonti impazziti
<< Ciao Marcus! È da
un po’ che non ti fai prendere a pugni. Sei ancora in
convalescenza?>>
dico spavalda, trattenendo a stento un ghigno sadico.
Non è
un’invenzione, io e Marcus, il capo della banda, ci
conosciamo bene. Più di una
volta ci siamo affrontati perché lui sosteneva che avessi
violato non so quale
confine; o forse mi ero intromessa in una lite come ora? Sì,
forse anche
questo. Fatto sta che non poco tempo fa ci siamo cimentati in un nuovo
scontro,
dove non me la sono vista tanto bella. Ho rischiato molto, visto che il
mio
avversario era, ed è il doppio di me in fatto di muscoli,
per non parlare della
forza bruta che si ritrova. Comunque neanche Marcus ne è
uscito indenne (naso
rotto e diversi lividi) e la notizia ha fatto il giro della
città, ecco perché
il boss mi odia tanto.
<< Non dire
stronzate e vattene prima che rompa quel tuo musino>> si
è scaldato, ma
non abbastanza da dare in escandescenza, conoscendo il soggetto, ovvero
una
testa calda come poche. Il mio piano è di farlo incavolare
per bene, così farà
la prima mossa e poi attaccarlo subito dopo, spiazzandolo. Devo giocare
d’astuzia, perché non posso confrontarmi con
ottanta chili di muscoli! Subito
dopo devo mettere k.o. il tizio che tiene in disparte la biondina che
frigna
non troppo lontano da me, così, se tutto va bene, il cerchio
che tiene in pugno
il ragazzo dovrebbe rompersi e se non è un rimbambito,
riuscirà facilmente a
liberarsi.
Allora con un
abbozzo di piano in testa scelgo accuratamente le parole da rivolgere a
Marcus
per farlo andare fuori dai gangheri.
<< Scusa,
se poi mi spacchi il muso, chi porterà con discrezione il
kit sadomaso che ha
ordinato tua madre? Ops!... Ho parlato troppo>> porto
platealmente una
mano davanti alla bocca, come se avessi rivelato un segreto
inconfessabile. Lo
so che è davvero meschino da parte mia dare addito a
presunte dicerie sentite
dalle comari al mercato riguardo alla madre del ragazzo, ma senza una
notizia
sconvolgente non credo che potrebbe mostrare la reazione giusta.
Perciò mi
scusi signora, non ho nulla contro di lei … solo con suo
figlio.
La reazione non
si fa attendere; Marcus è paralizzato dalla rabbia e le vene
sul collo stanno
per esplodere. Ci siamo quasi!
<< Cos’hai
osato dire?>> ringhia in cagnesco.
<< Voi
davvero che lo ripeta?! Ok >> scrollo le spalle
sfacciatamente << Ho
detto s-a-d-o-m-a-s-o!>> scandisco le parole come si
farebbe con un
ritardato e la cosa gli fa perdere le staffe.
<< Brutta
Puttana!>> urla scagliandosi letteralmente contro di me.
In un confronto
diretto tra lui e un rinoceronte non so chi la spunterebbe! Meglio non
scoprirlo sulla mia pelle, perciò ecco che parte la mia
contromossa. Gli corro
incontro, ma un attimo prima che si abbatta su di me un sonoro pugno,
mi butto
in terra. La mossa è talmente inaspettata che
l’energumeno rimane disorientato,
così con tutta la forza che ho in corpo gli tiro un poderoso
calcio nei paesi
bassi, che lo lascia senza fiato ed agonizzante al suolo.
Prontamente
scatto i piedi e urlo a Kid di lanciarmi il bastone, che afferro al
volo. Dopo
di ché mi avvento sul tipo che trattiene la ragazza. Tutto
intorno si scatena
il finimondo. Do Giusto uno sguardo per capire se il cerchio si
è aperto e poi
mi concentro sul prossimo bersaglio. Un colpo al ginocchio sinistro fa
sbilanciare
il ragazzo, mentre il successivo sul petto lo allontana definitivamente
dalla biondina.
<< Stai
bene? Riesci a correre?>> chiedo di mala voglia alla
ragazza spaurita che
ha appena la forza di annuire col capo.
Un solo secondo
di distrazione, uno soltanto, che mi serve per prendere la ragazza per
un
braccio dicendole che va tutto bene e girarmi, quando un lampo argenteo
mi
saetta davanti al viso colpendomi in pieno sopra il sopracciglio. Un
fiotto di
sangue cola sull’occhio destro mentre una serie di puntini
luminosi scoppiano
come fuochi d’artificio nel mio campo visivo. Merda! Il colpo
è stato così
violento che mi sento rintronata e le gambe non mi reggono, mentre la
testa
sembra un alveare in piena attività, inoltre le urla da
sirena della bionda non
aiutano. Ripresa un attimo, mi accorgo troppo tardi del ragazzo che
brandendo
nuovamente la catena di metallo, fa calare il secondo colpo
inesorabilmente
verso di noi. Spingo la ragazza lontano dalla traiettoria e mi preparo
all’impatto proteggendomi con le braccia.
Al contrario
percepisco solamente un lieve bruciore all’avambraccio.
Com’è possibile. Non
dovrei contorcermi dal dolore? Spalanco gli occhi, chiusi
preventivamente, e
vedo il ragazzo del Centro che con una spallata ha sbalzato il teppista
così
che la catena mi colpisse solamente di striscio.
<< April
muoviti, che fai lì impalata?!>> strilla
qualcuno.
È la voce di Kid
che mi sembra lontana chilometri; poi lo vedo, è ai piedi
del palazzo che con
una fionda e con quanto ha a disposizione, ci copre le spalle. Afferro
i due
stranieri e corro a più non posso verso il mio amico, mentre
la ferita mi pulsa
violentemente e il sangue non ne vuole sapere di
fermarsi.
Dannazione,
questa strada non mi è mai sembrata così larga.
<< April!
Santo cielo sei una maschera di sangue! Dobbiamo fermare
l’emorragia! Non
puoi…>> strilla preoccupatissimo Kid, mentre
preme sul taglio con una
pezza.
<< Signor
perspicacia! Non preoccuparti e pensa a portarli via. Camuffali in
qualche modo
sono troppo … appariscenti. Io vi raggiungo al
rifugio>> dico con il
fiato corto, strappandogli di mano la stoffa inzuppata di rosso.
<< Non fare
la stupida …>>
<<
Vai!>> dico decisa, per farlo desistere, sentendo le
grida sguaiate degli
scagnozzi di Marcus che evidentemente si stanno riprendendo dai colpi
di fionda
e che a momenti convergeranno nuovamente verso di noi. Ma Kid
è ancora difronte
a me, perciò arrabbiata più che mai spintono
tutti e tre.
<< April
non posso lasc…>>
<< VAI!!!>>
urlo con tutto il fiato che mi rimane. Vorrei aggiungere che
è più importante
portarli al sicuro, ma le parole per qualche motivo non vogliono
uscire. Non
sono ancora pronta a dirlo.
Questa volta il
mio amico non se lo fa ripetere, e malvolentieri si volta,
incominciando a
correre e tirandosi appresso la bionda, così mi volto verso
gli avversari.
<< Cosa
speri di fare conciata così?>> mi sorprende
qualcuno alle spalle. Si
tratta del ragazzo del Centro perciò, lo trascuro sperando
che se ne vada e mi
appoggio ad un pilastro. Non mi reggo in piedi e mi sento terribilmente
stanca.
Potrei sedermi solo un attimo a riposare…
No! Non posso,
devo resistere per dare a Kid qualche metro di vantaggio. Sollevo il
viso e
pulisco con il braccio la macchia rossa dalla faccia mentre il sapore
metallico
del sangue mi riempie la bocca. Guadagno la posizione
d’attacco stringendo più
che posso il bastone, ma appena sto per fare un passo in avanti, una
mano mi
agguanta per la spalla facendomi voltare di scatto. Il movimento brusco
provoca
un violento capogiro, le gambe cedono e
tuttavia prima di toccare il suolo, vengo rimessa in piedi
a forza.
<< E tu che
vuoi?!>> sibilo stizzita, allontanando bruscamente il
ragazzo con uno
schiaffo sul braccio.
<< Simpatica!>>
mi rinfaccia irritato.
<< Ma chi
ti ha chiesto niente!>>lo fulmino con lo sguardo.
Ci scambiamo una
lunga occhiata in cagnesco. Ormai è troppo tardi per attuare
qualsiasi cosa
avessi in mente di fare. Ho perso tropo tempo a litigare con il riccone
che ho
davanti, perciò gli do le spalle e mi avvio alla bicicletta
con passo spedito,
cercando di non farmi sopraffare dalle vertigini causate dalla botta,
mentre
l’ululato delle sirene delle pattuglie squarciano
l’aria. Monto in sella pronta
a partire ed aspetto comunque un attimo per veder se il tizio mi stia
seguendo.
Se lo lasciassi qui Kid non me lo perdonerebbe mai. Più che
seguirmi, però, il tipo
sta zoppicando e cerca palesemente di nasconderlo. Che cavolo vuole
dimostrare
facendo così?! Sbuffando spazientita, faccio marcia indietro
e freno
lateralmente piazzandomi difronte a lui per farlo salire.
<< Ce la
faccio benissimo!>> esordisce guardandomi in malo modo.
Adesso ne ho
piene le scatole! Gli assesto un calcio, volutamente forte, sulla gamba
che gli
da problemi, tanto che il macho a stento cerca di trattenere un urlo di
dolore
e deve appoggiarsi alla bicicletta per non cascare in terra.
<< Adesso
sali! O preferisci fartela a piedi con i funzionari?>>
sibilo incavolata
nera, mentre il rumore delle volanti si è intensificato.
<< Tu sei
Pazza!>> esordisce prendendo finalmente posto sul
portapacchi e
sfrecciamo via a tutta velocità per i vicoli. Poco dopo
raggiungiamo il
giardino sul retro del rifugio e lascio il due-ruote in mezzo ai
rifiuti per
camuffarla. Sono sfinita ed il dolore alla testa è
aumentato, per questo sento
il bisogno irrefrenabile di sdraiarmi e chiudere gli occhi anche solo
per pochi
secondi. Purtroppo non si può, dobbiamo ancora metterci al
sicuro. Pertanto mi
avvicino alla botola che porta allo scantinato barcollando.
<< Ehi,
stai bene?>> mi chiede il tizio, ma quando mi volto per
rispondergli, la
vista va fuori fuoco e dai bordi del mio campo visivo si propaga una
coltre
nera come succede alle pellicole fotografiche quando bruciano, poi un terribile senso di
pesantezza mi
attira verso il basso. Prima ancora di rendermi conto di cosa stia
succedendo,
sento la dura consistenza del terreno e vengo risucchiata nella
più totale
oscurità.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Astio ***
Capitolo
5
…Il
… pril … April!
È il mio nome? Qualcuno mi sta chiamando … mi
stanno chiamando?!
Spalanco gli occhi di scatto. La luce bianca mi
ferisce la retina come una lama, perciò la prima cosa che
vedo è una faccia
sfocata che mi fissa.
<< Ti sei ripresa!>> perfora i
timpani una familiare voce preoccupata: è di Kid.
Porto istintivamente le mani a coprire le
orecchie.
<< Dove mi trovo?>> chiedo
frastornata dal dolore pulsante che martella nella testa.
<< Quante dita sono?>> dice
un’altra
voce maschile con autorità, perciò osservo
più attentamente i salsicciotti rosa
che ho difronte.
<< Q-quattro?>> rispondo titubante,
mentre mi massaggio gli occhi per allontanare il dolore e possibilmente
dissipare la coltre nebbiosa che non mi permette di vedere bene.
<< Allora stai bene>> dice nuovamente
il ragazzo, alzandosi facendo scricchiolare la brandina su cui sono
distesa.
<< Dove sono?>> chiedo ancora
mettendomi seduta ed il dolore aumenta tanto che devo appoggiare la
testa tra
le mani per paura che salti via. Sul sopracciglio destro sento della
stoffa
grezza attaccata con dello scotch, mentre il sangue è
sparito.
<< Siamo nel rifugio, in camera di J>>
risponde il mio amico, poi parte con il resoconto di quello che mi sono
persa
<< Mi hai fatto venire un colpo! Sono arrivato con Chanel
e tu eri
collassata sul prato, mentre Nagìl cercava di farti
rinvenire, poi ti abbiamo
portata dentro… >>
<< Frena un attimo, Chanel e
Na-chi?!>> lo interrompo, non riconoscendo i nomi.
<< È vero, non vi siete ancora presentati!
Lei è Chanel>> indica una ragazza con il viso
arrossato dal pianto e seduta
in disparte con una borraccia di plastica in mano. Ok ora ricordo, la
biondina
piagnucolona. Poi passa al ragazzo appoggiato a braccia conserte allo
stipite
della porta << E lui è
Nagìl>>.
Lui lo ricordo benissimo purtroppo per me.
Speravo fosse tutto un brutto sogno ed invece era accaduto realmente.
Squadro i
ragazzi da capo a piedi senza dire nulla, perché, adesso che
ho il tempo di
studiarli con calma, i loro sguardi mi lasciano sconcertata come se
avessi
difronte degli alieni. Non tanto la ragazza dagli occhi violaceo e
muschio,
come ha detto che si chiama … ah! Chanel. Sì, il
suo aspetto fisico (bionda e
bassina) è simile ad alcuni nostri concittadini
perciò nulla di nuovo; invece il
ragazzo mi inquieta abbastanza. Ha una folta chioma di capelli bianchi,
mai
visti su nessun essere umano, che fanno risaltare maggiormente la
carnagione
ambrata e lo sguardo d’orato e argenteo. Sembra
così innaturale! È una stramberia
che non può essere di altri posti se non del Centro,
perciò decreto che non ci
si può fidare.
Sto ancora assimilando tutte le informazioni che
il loro aspetto può fornirmi e ipotizzando congetture sulle
loro intenzioni,
che Kid imbarazzato dal silenzio calato nella stanza, mi presenta agli
estranei.
<< Questa invece è April. Scusatela a
volte è un po’ lunatica>> scherza il
mio amico e la battuta mi fa tornare
alla realtà.
<< Già scusate la lunatica, ma adesso dove
sloggiare>> dico decisa, lasciando tutti spiazzati, tanto
che Kid cerca subito
di rimediare in qualche modo alle mie parole rudi, ma sono costretta a
metterlo
a tacere.
<< I funzionari erano in zona e se hanno
acciuffato e interrogato i Demon’s,
di sicuro sanno che sono qui! Mentre noi rischiamo la prigione.
Perciò Kid non
c’è niente da aggiungere, devono
andarsene!!>> dichiaro alzandomi in
piedi per rafforzare maggiormente la mia decisione. E
miracolo, almeno riesco a stare in piedi
nonostante il mal di testa destabilizzante.
<< Ha ragione. Chanel è ora di
andare>> dice l’alieno alla biondina e senza
battere ciglio raccolgono le
loro cose.
<< Aspettate!>> li ferma il mio
amico prima che escano dalla stanza, meritandosi il mio sguardo di
rimprovero <<
è vero che dovete tornare prima che vi trovino,
però non potete andare in giro
così! Vi scopriranno di sicuro, perciò vi
accompagneremo>>
<< Cosa?! Non dici per
davvero…>>
dico indignata.
<< Invece lo faremo! Li abbiamo aiutati ed
andremo fino in fondo, vero April?!>> sentenzia, facendo
sì che ancora
una volta si faccia a modo suo. Oggi Kid sta superando ogni limite!
Tuttavia ha
fatto male i suoi conti, siccome non ho nessuna voglia di fare come
vuole lui,
perciò butto lì un interrogativo che non
può ignorare.
<< E di grazia come facciamo a portarli
sani e salvi al Centro, se non possiamo neanche avvicinarci alla
cupola?>>
dico inviperita, perché l’idea del geniaccio non
mi va giù; ci porterà
soltanto
altri guai. Inoltre di aiutare tipi
come quelli e per giunta del Centro non lo accetto! Per loro mi sono
già presa
una randellata sulla testa, mi ricorda il dolore lancinante al lato
destro ed
il ché è imperdonabile, perciò non ho
la minima intenzione di espormi oltre.
Basta!
So di aver posto la domanda giusta, dal momento
che la sua espressione è seria e pensierosa, così
con un’occhiata lo sfido
silenziosamente a darmi almeno un’opzione sensata. Mentre
mentalmente formulo
la mia di idea e cioè di scaricare i due individui davanti
alla prima pattuglia
di funzionari. Non sono meschina, di sicuro, i protettori della legge
non faranno
nulla ai figli di papino, li riporteranno semplicemente a casa come se
nulla
fosse, e mi dovranno anche ringraziare che non li metta difronte ad un
gruppo
antigovernativo! Oltretutto la cosa che mi fa imbestialire è
che i diretti
interessati non facciano nulla per decidere della loro sorte, lasciando
semplicemente che siano gli altri, per giunta estranei, a risolvere i
loro
stessi casini. Che razza di gente è mai questa?! Sono tutti
un branco di
viziati menefreghisti e non voglio averli difronte ai miei occhi un
secondo di
più.
Ne ho piene le scatole e , per chiudere la
faccenda alla svelta, proprio mentre sto per rinfacciare a Kid di non
avere una
soluzione al problema, lui mi anticipa. << So cosa
fare!>> dichiara
senza la minima intenzione a voler mollare.
Così mezz’ora dopo siamo tutti e
quattro,
compresa l’immancabile bicicletta scassata, difronte alla mia
sede di lavoro:
la “Eolo express, ditta di
consegne”,
un enorme magazzino riadattato incastrato tra i palazzi, che fa
consegne in
tutta la città. Eh già, alla fine mi sono fatta
convincere, ancora.
Come c’è riuscito il mio amico? Semplice non mi
ha dato scelta per l’ennesima volta, ma appena ne ho
l’occasione me le paga
tutte e con lo scotto.
Una figura slanciata si precipita fuori dalla
sede. O-oh! È il mio superiore, Chris Dolan. Ci mancava solo
lui.
<< Wild! Ma dove diavolo eri finita?! Lo
sai quante consegne dobbiamo fare? E tu sparisci così senza
dire nulla, né
avvisare! Mi devi una spiegaz…>> si blocca a
metà fissandomi accigliato.
<< Che cavolo ti è successo?>>
avrà notato la fasciatura che ho
sulla fronte? o il sangue raggrumato dappertutto?
<< E chi sono quelli?>> aggiunge
indicando le due figure imbacuccate che compongono il gruppo.
Non gli do spiegazioni altrimenti si fa notte, mi
limito solamente ad informarlo che devo parlare con Tiberius il padrone
dello
stabile e quindi di passare le mie consegne a qualcun altro. Stupefatto
mi
chiede chiarimenti mentre mi corre dietro per non farsi distanziare.
Faccio
segno agli altri di seguirmi dopo aver posato la bici nella apposita
rastrelliera ed entriamo in un luogo ampio ma soffocato da scatoloni,
fatture,
gente che va e viene, un rumore di macchine e informazioni urlate che
riempie
l’aria. Tanto è il ronzio che sembra di essere
all’ interno di un alveare in piena
attività. Su entrambe le lunghezze maggiori del capanno ci
sono due soppalchi
dove sono disposti in verticale dei cubicoli rettangolari che ospitano
le
richieste di tutta Cardia, inoltre
i
due lati sono messi in comunicazione sia da binari metallici, su cui
corrono i
carrelli, permettendo il passaggio di qualsiasi materiale da una parte
all’altra dell’edificio grazie anche a dei
montacarichi verticali. Per fortuna
l’energia elettrica non manca mai (guarda caso), altrimenti
saremmo in grossi
guai. Chris, ancora attaccato alle costole, continua a rimproverare la
mia
discutibile condotta e bla bla bla…
perciò lo semino tra le pile di imballaggi e per essere
sicura di lasciarmelo definitivamente
alle spalle, passo sotto ad una fila ordinata di pacchi che frecciano
su un
nastro trasportatore che taglia a metà la ditta,
immancabilmente vengo imitata
dagli altri. Come previsto il mio capo è troppo alto e
orgoglioso, per
abbassarsi e passare sotto al nastro e quando mi lancia
l’ultima minaccia: “non
abbiamo finito”, alzo un braccio per salutarlo
“affettuosamente” senza
voltarmi. Chris con la sua etica lavorativa è davvero un
seccatore se ci si
mette, ma basterà dirgli che il grande-capo mi ha fatto una
lavata di testa,
perché si metta l’anima in pace. Saliamo la ripida
scalinata che porta all’
ufficio-casa sopraelevato di Tiberius Carrol da cui è
possibile osservare tutto
il locale. L’ambiente in cui sostiamo è
completamente diverso: confortevole e
accogliente, non sembra
per niente il
cuore della ditta, anche perché pile e pile di libri,
progetti, anche un albero
genealogico dei Dei greci, sono ordinatamente stipati ovunque. Infatti
il
proprietario è un maniaco della sistemazione oltre ad avere
una smodata
attrattiva per la cultura greca, tanto che alcune pagine e
raffigurazioni su
carta sono appese su fili che corrono da una parte all’altra
del soffitto
formando un percorso didattico. Il ragazzo del centro sembra
interessato e per
vedere meglio si toglie il cappuccio della felpa di Kid e gli occhiali
da sole
che gli ho costretto a far indossare. Lo ammetto sono talmente
paranoica da
quando siamo usciti dal rifugio, che li sorveglio con la coda
dell’occhio in
ogni istante.
<< Solo un attimo, arrivo subito>>
annuncia una voce dal cucinino ricavato in un angolo apparentemente
sgombro
della casa. Mi sono sempre chiesta come riesca a non far appiccare un
incendio.
Dopo pochi minuti la persona che stavamo aspettando ci raggiunge al
centro
della stanza dove è posto un ampio tavolo seppellito da
carte macchiate da
impronte di bicchieri e penna. <<
Oh!
April sei tu, non ti aspettavo così presto. Cosa ti porta da
me? spero non
quello che ti è capitato>> sorride bonario.
Tiberius, per le persone più
in confidenza Titt, è un alto e scheletrico signore di
settant’anni suonati, viso
spigoloso, lunga barba e occhi marroni
ingranditi a dismisura da spesse lenti tonde. È dotato di un
spiccato senso di
osservazione, tanto
che basta un unico
sguardo accurato perché possa dirti cosa ti sia capitato
nelle ultime ore,
infatti credo si sia già fatto più di un idea sul
motivo della nostra visita. Eppure
non mette mai fretta ed aspetta pazientemente che sia tu a raccontargli
quel
che vuoi.
<< Ci serve il tuo aiuto>> esordisce
Kid, visto che non mi propongo a riguardo << abbiamo
bisogno di un modo
per arrivare alla Cupola senza essere visti>>.
<< Per i vostri amici?>> chiede
pacato intercettando lo sguardo dei Centriani.
Sorvolo sulla parola amici e vostri,
limitandomi ad assentire. << per questo, immagino tu
voglia chiedermi le
mappe dei tunnel>>
<< Sì, signore>> risponde
prontamente il ragazzo.
<< D’accordo. Sapete che quello che state
facendo è decisamente pericoloso? Anche per voi
>> si rivolge ai
forestieri.
<< Certo>> risponde il giovane dai
capelli diafani.
<< Bene, April potresti venire a darmi una
mano?>>
Rimango leggermente stupita dalla sua
accondiscendenza e come me anche il mio amico che si affretta a
domandare
<< Tiberius, non mi chiedi proprio nulla?>>
L’arzillo vecchietto si limita a sorridere
delicatamente, facendomi segno di seguirlo in fondo alla sala.
<< Mi sorprende che tu abbia deciso di
aiutare quei due giovani. Me lo sarei aspettato da Kirckland, e posso
dedurre
che in parte tu sia qui per proteggerlo sapendo quanto tieni a lui. Ma
spero
anche che tu non sia venuta solo per questo. Hai cambiato idea alla
fine?>>
chiede una volta fuori dalla portata degli altri, osservandomi
intensamente e
soppesando la mia reazione. Tiberius,
oltre ad essere colui che mi ha dato lavoro, è anche la
persona che ha saputo
aiutarmi in un momento difficile dalla mia vita, preoccupandosi di
tirarmi piano
piano fuori dal cunicolo nero in cui ero, ed in parte ancora sono,
intrappolata. Lo considero un amico molto saggio a cui posso affidarmi,
dire
liberamente ciò che penso (pur entro certi limiti) e non
solo per una questione
di riconoscenza.
<< Mi dispiace, ma la mia idea non è
cambiata>>
dico a testa china, sapendo che quelle parole lo feriscono molto, ma su
questo
punto non posso assolutamente cambiare il mio pensiero.
<< Capisco>> sospira << Sappi
però che sei giovane per rimanere ancorata al passato anche
se quello che hai vissuto
ti sembra inaccettabile, perché è proprio grazie
ai ragazzi della tua età, con
la vostra particolare capacità di stupirci, se possiamo
sperare che un giorno
possa iniziare un futuro migliore. Per questo ti chiedo solo una cosa,
un
piccolo favore: non chiudere le porte a tutto ciò che pensi
possa ricollegarsi
al passato, anzi cerca di affrontarlo, perché solo
così potrai liberartene una
volta per tutte>> posa una mano sulla mia spalla,
tuttavia non apro bocca
per replicare. << Non vederlo come un rimprovero o una
forzatura. Pensalo
come un consiglio per essere finalmente libera dal rancore e poter
vivere
serenamente. Adesso, passiamo alla mappa che vi serve, dovrebbe essere
da
queste parti>> parlotta rovistando tra vecchi fascicoli e
cartelle
nascoste dentro a grossi tomi.
So perfettamente che Titt cerca di darmi una
mano a dire finalmente addio al vecchio dolore, ma ho paura, una paura
folle
che una volta superato questo odio, non mi resti più nulla
per cui andare avanti
e alla fine scoprire di essere una
persona vuota e debole. Per questo non riesco a buttarmi semplicemente
tutto
alle spalle e cambiare il mio modo di comportarmi in
determinate situazioni, perché non voglio
sentirmi un’incapace e un’ indifesa. Questo,
però, non ho il coraggio di dirlo
ad alta voce, soprattutto a Tiberius, non sopporterei l’idea
di deluderlo con
il mio modo di agire. La paura è una gran brutta cosa.
Torniamo dagli altri con una ruvida mappa in
scala ripiegata più volte su se stessa e, che una volta
spiegata, ci rivela una
labirinto di passaggi nascosti sotto terra che ci permetteranno di
raggiungere
la parte esterna del Centro in totale sicurezza.
Sono sbalordita nello scoprire come il
sottosuolo assomigli ad una tana per talpe con tutti quei passaggi e
biforcazioni. Titt ricalca velocemente un quadrante ben preciso,
segnandoci i
passaggi cruciali ed eventuali punti di riferimento per non perderci,
oltre ad
evidenziare eventuali tunnel crollati o deviati e la presenza di nidi
di ratti.
Come mai questo signore possiede informazioni
tanto preziose è presto detto: ha lavorato per molti anni
nella divisione per
la manutenzione delle gallerie che prima erano viste come un rifugio
anti
attacco dall’esterno ma, visto che ormai sappiamo di essere
completamente soli
per miglia e miglia, mi chiedo quando la squadra sia stata smembrata.
Adesso invece
viene inviato occasionalmente qualche gruppo di
“volontari” a controllare lo
stato delle murature e fine della storia. Dopo che ci è
stato raccomandato di riportargli
la mappa, riceviamo altre due maschere per i forestieri ed una torcia
elettrica
a mulinello, e dopo aver ringraziato. raggiungiamo il punto di accesso
alla
rete sotterranea.
Non immaginavo quest’odore che ci accoglie una
volta forzata la porta blindata che immette nel primo tratto del
percorso; è un
misto tra formaggio ammuffito, acqua stagnante e non ho il coraggio di
approfondire
cos’altro. Perciò indosso per precauzione la
mascherina, non si sa mai,
potremmo morire stecchiti non per le esalazioni tossiche, ma per il
tanfo.
Decidiamo allora come organizzarci per
l’avanzata: il mio amico in testa con le indicazioni, a
seguire i forestieri e
a chiudere la fila la sottoscritta, così riesco a tenere
sotto controllo tutti a
causa della mia solita paranoia sui complotti (ovviamente questo non
l’ho detto
a Kid).
Il primo tratto, proprio come ci è stato
raccontato, non ci da grossi problemi: una lunga strada dritta da
percorrere
sguazzando nelle pozzanghere putrescenti, aggiungerei anche ultra
infette di
batteri soltanto per il colore, mucchietti di cadaveri di topi
rosicchiati
probabilmente dai loro simili e poi che altro … tutto il
lerciume misto a
fanghiglia che si possa immaginare per una discarica. Mi sembra di
essere
entrata nelle viscere di un enorme mostro mangia carogne e che non ci
fosse
altra alternativa se non quella di finire digeriti dal suo abnorme
stomaco. Siccome
lo scenario non è molto invitante, prendo un buon minuto per
osservare la
biondina schizzinosa, i suoi modi mi divertono. È schifata
da tutto, cammina
con le braccia strette al corpo ed posa ogni passo come se stesse per
calpestare dell’acido che inevitabilmente le
scioglierà il piede con tutta la
gamba. Ha paura che un enorme batterio gigante la attacchi da un
momento
all’altro? Io avrei più paura dei roditori
assassini nell’ombra! Che ridere.
A parte le beffe, siamo arrivati ad uno dei nodi
cruciali della mappa. Ci troviamo ad uno svincolo, una piazzetta
circolare
illuminata da un tombino che getta sulle nostre teste dei motivi da
carcerati,
e tutt’attorno si affacciano numerosi archi scuri: altri
tunnel. Stranamente
questi sono caratterizzati da sagome sbiadite e corrose dal tempo. Non
riesco a
distinguere che forme vi siano incise.
<< Dove si va adesso?>> chiede la
biondina impaziente, mentre schiva l’ennesimo ristagno.
<< Non riesco a capire. Deve essere il
terzo o il secondo partendo da destra>> ci illumina la
nostra giuda,
sovrastando di poco il suono di uno sgocciolio lontano.
<< Fantastico>> borbotto tra me e
me. Per finire questa giornata in bellezza dobbiamo giustamente
rimanere
bloccati nel sottosuolo.
<< Fammi vedere>> parla il
ragazzo
dai capelli chiari avvicinandosi a Kid, poi estrae un oggetto da una
tasca della
cintura, da cui parte un lampo che diviene fisso, come un faro nella
notte, per
illuminare meglio il foglio.
<< Cos’è quello?>>
sbotto allarmata
indicando l’aggeggio in mano al ragazzo, sembra
più grosso di un normale telefono
cellulare.
<< È il mio cellulare?!>>
risponde
sarcastico.
<< Ma davvero?! Devi spegnerlo>>
ribatto perentoria.
<< Perché mai?>>
<< Di un po’, sei stupido per caso? E tu
verresti dal Centro?!>> dico in tono acido.
<< Senti un po’ che problema
hai?!>>
mi rinfaccia, scattando nella mia direzione. A quanto pare non solo io
ho i
nervi a fior di pelle. È una novità inaspettata
vedere un barlume di carattere
in tipi come loro.
<< Vuoi litigare Centriano?>> sibilo
avvicinandomi a mia volta.
<< Mi chiamo Nagìl>> ribatte
indispettito.
<< Vuoi litigare Nagìl?>>
ripeto, facendo
un passo avanti fino a trovarmi a pochi centimetri da lui per fissarlo
dritto
negli occhi. Non chiedo di meglio che di prenderlo a calci nel di
dietro, così
eliminerei all’istante uno dei miei problemi, ma purtroppo
veniamo interrotti.
<< Fatela finita! April piantala, potevi
chiederglielo in altro modo>> Kid sembra davvero stanco.
<< Allora parlaci tu
signor-nobel-per-la-pace!>> sbotto stizzita strappandogli
di mano la
cartina e, dopo averle dato una rapida occhiata, mi dirigo verso il
terzo
tunnel caricando con foga la torcia elettrica.
Perché gli ho tolto la mappa? Forse per tenermi
occupata e non schiaffeggiare una certa persona che oggi mi sta davvero
facendo
incavolare ed il resto del viaggio si svolge in silenzio. Kid ha fatto
spegnere
i telefoni ai
forestieri per non farci
rintracciare con il GPS, d’obbligo ormai su tutti gli
apparecchi elettronici,
perciò non abbiamo altro motivo di interagire (e di questo
sono grata), così mi
limito a sfogare la rabbia e la frustrazione sulla torcia caricandola
troppo e
troppo spesso, cercando di scacciare i pensieri che si avvicinano
pericolosamente nella mia testa come mosche sullo zucchero.
Arrivati al capolinea ci assicuriamo che i tizzi
restituiscano la felpa e gli altri oggetti prestati e sbuchino in
superficie, per
poi tornare sui nostri passi. Decido che il mio amico non è
degno di rivolgermi
la parola. Mi sento tradita ed ingabbiata come un animale da circo, il
che mi
da i nervi, perciò Io e Kid non parliamo per il resto del
tragitto.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Decisioni Importanti ***
Capitolo 6
Senza neanche
togliermi i vestiti mi butto
letteralmente sul letto con il braccio appoggiato alla fronte. Ho
accompagnato
Chanel a casa, sorbendomi un estenuante interrogatorio da parte dei
genitori,
non che non avessero ragione, però è stata
un’esperienza che non vorrei
ripetere. Per fortuna la ragazza mi ha aiutato ad inventare una storia
verosimile a cui hanno creduto, altrimenti non so come sarebbe andata a
finire,
e adesso non ho più energie.
Sospiro esausto, mentre le immagini di questa
allucinante giornata mi scorrono davanti agli occhi, susseguendosi sul
soffitto
come se fosse lo schermo di un videoproiettore: Le case, la gente con
il loro
vociare, la fuga, i teppisti e tutto il resto, poi la ragazza (quella
pazza
furiosa). C’è mancato poco che arrivasse alle
mani, ma che problemi ha?
“Non odia
te in particolare”, mi ha detto il ragazzo biondo
Kid, alla biforcazione
nei tunnel “odia solo il posto da
cui
provieni e quello che quel luogo implica… Senti lo so,
è una situazione strana,
ma April ne ha passate tante perciò non ti chiedo di
capirla, ma almeno di ignorarla
finché puoi”.
Perché covare un odio così profondo? Cosa le
sarà mai capitato?! Mah! Poi che mi importa di
un’estranea? Non la rivedrò più!...
e allora perché ho fatto quella foto alla mappa dei tunnel?
Fisso rapito il display del palmare come se, guardando
quello specchio nero, le risposte che mi servono possano saltar fuori
come
nelle sfere magiche. Non sarà mai così facile,
rifletto amareggiato.
I colpi sulla porta infrangono i miei pensieri e
mi affretto a sedermi composto, acquisendo un atteggiamento formale.
<< Ed, sei tu!>> dico sollevato,
rilassando i muscoli e sciogliendo le spalle <<
… pensavo fosse mio
padre.>>
<< No signorino, i suoi genitori non sono
ancora rientrati. Le hanno lasciato un messaggio: torneranno tardi
poiché sono
fuori a cena. Vuole che gli riferisca della telefonata
dell’istituto?>>
Edward ha capito al volo la situazione, come
sempre.
<< No, grazie. Lo scopriranno comunque,
anche se spero di poter gestire tutta la faccenda prima che
ciò avvenga. Perciò
non preoccuparti mi prenderò io tutta la
responsabilità se dovessero venire a
sapere che non sono stati avvisati >> sospiro.
<< Come vuole. Le ho portato le
medicazioni che mi ha chiesto, le serve
qualcos’altro?>> appoggia la
cassetta bianca con la croce rossa sul letto. È ancora nuova
di zecca con i
colori sgargianti e tutto il resto, si vede proprio che qui non succede
mai
nulla per la quale ci si debba medicare, eppure noi abbiamo gli
ospedali con
tutte le attrezzature, mentre la gente là fuori no, curioso.
<< Bastano queste, grazie. Ah, Ed! ha
chiamato qualcun altro oltre la direzione?>> aggiungo.
<< Sì, ha telefonato il signorino Spike,
ha detto che sarebbe passato stasera e che vuole sapere tutto di
oggi>>
termina lanciandomi un’occhiata curiosa e severa allo stesso
tempo.
Seccato, mi lascio sfuggire grugnito appoggiando
le braccia sulle ginocchia << Immagino di doverglielo,
d’altronde è stato
lui a tirarmi furi dall’impiccio>>
<< Suppongo di sì. Vengo a chiamarla per
la cena?>> mi chiede.
<< No grazie, scendo tra poco. Potresti
farmi preparare qualcosa di leggero per favore? Non ho molta
fame>> dichiaro
apatico, mentre lo stomaco si ripiega su se stesso al solo sentire la
parola “ cibo”.
Non posso non cenare, altrimenti la servitù potrebbe pensare
male ed adesso è
meglio evitare pettegolezzi.
Cosa
ho combinato ancora, rimugino passandomi una mano nei capelli, con un
gesto troppo rude per sembrare casuale agli occhi di Ed. Il maggiordomo
fa un cenno di assenso con la
testa per poi sparire chiudendosi la porta alle spalle. Mi lascio
sfuggire un
altro sospiro, stavolta di rassegnazione.
Dopo una breve doccia, rovisto per un
po’ nella
cassetta del pronto soccorso finché non scelgo una delle
tante poltiglie piene
di tutto, ma che in sostanza non contengono nulla, che spacciano per
pomate applicandola
sui lividi, mentre sulla gamba ancora dolorante applico un cerotto
antinfiammatorio, sperando basti. Devo ringraziare anche la mia
carnagione
leggermente più scura che nasconde abbastanza il colore
violaceo degli ematomi
che vanno formandosi, altrimenti avrei dovuto spiegare qualcosina in
più ai
signori Moores. Alla
fine, quando penso
che lo strato di pomata sia sufficiente, decido di scendere di sotto.
La sala da pranzo è come l’ho lasciata
stamattina: squallidamente deserta. Trascino di malavoglia i piedi fino
al
posto apparecchiato aspettando che la cena venga servita ed intanto il
mio
stomaco si annoda sempre di più per la tensione e le domande
ancora irrisolte
che si stanno accumulata dopo “l’evasione dalla
scuola”(così Chanel l’ha
descritto in un tragico soliloquio una volta al sicuro e sulla strada
de ritorno).
Ormai hanno preparato il pasto e non posso rifiutarla,
perciò sbocconcello un
po’ di pasta e ben presto anche quel poco di fame che ho se
ne va miseramente.
Prendo il piatto e mi trascino fino alla cucina, fortunatamente i
cuochi si
sono già ritirati nelle loro camere e rimane solo il vecchio
Ed a controllare
le ultime faccende, così mi intrufolo buttando gli avanzi
nel tritarifiuti,
guardandoli scendere verso la rete fognaria. Chissà se sbucheranno in una
delle gallerie che ho
attraversato oggi? Quando anche l’ultimo pezzo scompare
inghiottito dalle fauci
metalliche ed il piatto è pulito, mi avvio nello studicciolo
vicino alla porta
sul retro ad aspettare l’arrivo di Spike, come da tempo
immemore siamo soliti
fare.
Sono quasi le undici, il coprifuoco è ormai
passato da un pezzo, quando mio cugino bussa con due pugni brevi e uno
secco
dato con il palmo sull’assito. Apro la serratura magnetica,
lasciando uno
spiraglio. Poco dopo compare la nera e ordinata massa dei capelli di
Spike, il
suo occhio celeste luccica ferino nella fioca luce
dell’ingresso di servizio.
<< ’Sera cugino!>> bisbiglia
abbastanza forte per farsi sentire da me che sono a diversi passi di
distanza
per controllare i corridoi. Alzo
una
mano e lo invito a seguirmi, quando Ed si dirige verso la sua camera
facendomi
l’occhiolino per indicare il via libera: non
c’è più nessuno alzato.
Attraversiamo silenziosamente i corridoi bui fino alla mia stanza, solo
allora
abbandoniamo la cautela e ci rilassiamo.
<< Non la smetteremo mia con le vecchie
abitudini>> scherza Spike malinconico, sedendosi a
cavalcioni sulla sedia
della scrivania.
<< L’infanzia non si dimentica>>
ribatto con lo stesso tono però irritato. Parlare del
passato mi mette sempre
in uno stato di indisposizione, oltre a lasciare un sapore acido di
fiele in
bocca. Eppure non possiamo fare a meno di ritornare a quei tempi, come
si dice:
il passato ci ha fatto diventare ciò che siamo. Mai fu detta
cosa più vera, infatti
questa complicità e tutti i gesti appena eseguiti li abbiamo
messi in pratica
diverse volte da bambini quando c’erano questioni importanti
da discutere
lontano dai grandi o semplicemente per parlare e sfogarci delle
ingiustizie
della giornata. Ciò nonostante a distanza di anni non
abbiamo smesso e, per
quanto mi ostini a dire come non lo sopporti, Spike è il
migliore amico che
abbia mai avuto e credo sia lo stesso anche per lui.
<< Allora fuggitivo! Non si è parlato
d’altro nella scuola. Spero ne sia valsa la pena!
… e i lividi mi urlano: certo
che sì amico! Hai pestato qualche cencioso dei
Sobborghi?>>
<< Qualcosa del genere>> rispondo
vagamente, prima di raccontargli di malavoglia, per filo e per segno
cos’è
accaduto da quando ho lasciato l’aula magna…
<<
Fiuuuu … però te ne sono capitate oggi!
Molte di più che nella tua piccola e breve
vita>> mi schernisce
sarcastico appoggiandosi a braccia incrociate sullo schienale.
<< Ma va all’inferno>> erompo
spazientito tuttavia lui ridacchia divertito << Non eri
lì, non hai visto
quella gente, Spike! È completamente diversa da
…tutti noi.>>
<< Ne sei sicuro? >> la domanda, unita
al suo sguardo serio, mi spiazza. È troppo greve per un tipo
come lui. Mi nasconde
qualcosa, ma continuo incapace di riflettere con calma.
<< Se ne son sicuro?!? Certo, che
domande!>> sbotto stizzito e confuso, lasciando che
queste emozioni
guidino le mie parole.
<< Sei sicuro che sia questo il punto: la
nostra e la loro diversità?>>
<< Ma guardaci Spike! In confronto a loro
sembriamo degli alieni di un altro pianeta>>
però le mie stesse parole
non mi convincono, ho la sensazione che in qualche modo siano sbagliate.
Tuttavia, dopo questa dichiarazione, non posso
evitare di confrontarmi fisicamente con il ragazzo Kid: lui
così magro e
normale; io che non ho mai sopportato la diversità dei miei
occhi o il pallore
dei miei capelli, spettralmente in contrasto con la carnagione. Cosa
buffa la
genetica, anche spaventosamente crudele sotto certi aspetti.
“ Ma non dovremmo
far parte della stessa condizione? Siamo esseri umani alla
fine” mi ritrovo a
pensare amareggiato … poi qualcosa si sblocca, come un
interruttore che viene
premuto portando alla luce un’idea che da tempo mi chiedeva
di essere scoperta.
Finalmente posso dare un senso al perché della fotografia
della mappa dei
tunnel, a quella sensazione che ci fosse qualcosa di errato nel modo in
cui
ragionavo prima.
<< Sì, il punto è questo. Non siamo
poi così
diversi giusto? Siamo sempre persone … però ci
preoccupiamo che questa
differenza tra noi e loro venga marcata!>> espongo con
fervore, Spike mi
sorride complice, insinuandomi il sospetto in una domanda che esprimo
subito
<< Tu ci eri già arrivato vero?>>
<< Da un po’>> fa spallucce con
fare
indifferente, come se fosse normale riflettere in quel modo.
Dannato psicopatico! Ecco cosa celava dietro a
quegli indizi velati.
<< E adesso che pensi di fare?>> mi
chiede oscillando sulla sedia.
Cosa penso di fare, io?! … Ho causato una marea
di guai oggi che mai avrei pensato di combinare e nonostante tutto non
mi pento
di aver visto com’è là fuori, anzi sono
ancora più curioso, poiché ormai so che
quello che accade intorno a me non mi va più bene; sono
consapevole che tutto
quello che ci hanno detto, mostrato nei corsi sul senso civico e tutte
le altre
chiacchiere erano soltanto balle! Nulla è vero di quello che
ci hanno
insegnato, nulla, NULLA! Se non il messaggio sott’inteso che
ci vogliono tenere
separati. Ma perché? Perché comportarsi
così con un intera popolazione.
È questo il primo nodo da sciogliere oltre a
trovare il capo da cui partire per le mie indagini. Una cosa
è certa, non qui:
a casa, dove tutto è strettamente controllato, né
a scuola o dovunque nel
Centro; sarebbe troppo sospetto fare domande in giro, per non parlare
del fatto
che informazioni di questo tipo saranno di sicuro inaccessibili. Mi
rimane solo
un’alternativa, cioè tornare nei Sobborghi.
Tuttavia prima di comunicare la mia
nuova decisione ad uno Spike trepidante d’attesa, gli chiedo
cosa lui abbia
fatto quando è giunto alla stessa conclusione.
<< Lo ammetto, quasi nulla … non potevo
fare molto essendo l’unico ad aver capito che le cose
facevano schifo. Perciò
ho aspettato il momento che anche tu ci arrivassi da solo. Ho
seriamente
pensato di non vedere mai questo giorno! Stavo per spifferarti tutto,
ma alla
fine ne è valsa la pena. In due è molto meglio ed
infatti sei mooooolto bravo
nell’evadere. Oggi ne è la prova! Hai
letteralmente fatto perdere le tue tracce
hahahahahaha>> sembra intrigato dalla cosa.
<< Ci mancherebbe! Ho passato anni a
nascondermi da qualcuno!>> sibilo un po’
soddisfatto dell’abilità
sviluppata che ora potrà tornarmi molto utile.
<< Muhahahahahaha! Era tutto
premeditato>> gongola.
<< Sei un bastardo sociopatico!>> ci
spanciamo tutt’e due dal ridere.
<< Ho deciso cosa farò>>
dichiaro ad
un tratto, attirando la sua attenzione. << Voglio
scoprire il perché di
tutto questo. La cupola, i Funzionari con i reparti segreti e tutto il
resto.
Sono stufo di vivere in una prigione dove ogni mia mossa è
registrata dalle
telecamere ed analizzata da esperti del comportamento per vedere se ho
qualche
mania rivoluzionaria>>
Adesso che so cosa voglio fare, so anche da cosa
o meglio da chi partire: la ragazza sospettosa dei sobborghi. Se ha una
bestia
nera, ovvero l’odio per il Centro che la perseguita a causa
di un passato
burrascoso, dovuto proprio al luogo da cui provengo, allora
è la “complice”
numero una da avere dalla nostra parte. Inoltre il suo lavoro come
corriere
copre tutta la città e sarebbe perfetto come espediente di
raccolta
d’informazioni.
<< Ben detto cugino! Siamo una squadra
adesso!>> mi batte una pacca sulla spalla. Poi il viso
gli si illumina di
un sorriso malizioso << Allora rivedrai la moretta?!
Sembra proprio il
mio tipo! Forte, coraggiosa e contorta! La conoscerai e poi me la
presenterai
vero? Vero?! Dai, dai, dai, dai, dai…>>
<< Spike abbiamo appena deciso di
infrangere una marea di divieti per capire cosa diavolo sta succedendo
e tu
pensi a quella tipa?! Abbiamo cose più importanti a cui
prestare
attenzione>> dico indignato.
<< Ma questa è una cosa
importante?!>> piagnucola.
<< Sei scemo o cosa! Dobbiamo ancora
stabilire i compiti e …>>
<< Frena! I compiti sono già stabiliti: io
farò la talpa nelle file interne, mentre tu sarai la spia
infiltrata tra gli
esterni visto che già “conosci” un paio
di persone; quindi non ci sono altre
cose da concordare, visto! Tornando alla
ragazza…>>
mima con le dita delle virgolette.
Sono esasperato. Crede davvero che
sia tutto così semplice? Basterebbe un
errore o una distrazione per finire i nostri giorni in carcere o peggio
nelle
segrete della quartier generale dei Funzionari?! … anzi,
probabilmente lo sa,
ma non gliene frega niente perché ha la testa marcia e piena
di mosche! Ma
gliela rimetto a posto io alla vecchia maniera, ne ho abbastanza del
suo
straparlare per oggi. E
si inizia con le
prese di lotta libera che mi ha insegnato proprio lui. Lo sorprendo
alle spalle
con una presa per togliergli il fiato, ma non stringo troppo, non
vorrei
sbagliare i tempi e lasciarlo diciamo… un po’
morto.
<< Credi ancora che non ci sia niente da
concordare? È in gioco la nostra vita >> dico
di getto.
<< Va bene, ho capito … lasciami! N-non
respiro>> arranca.
<< Sicuro?>> chiedo scettico e lui scuote
il capo per assentire.
Lo lascio andare perché ha un leggero colorito
rossastro tendente al blu, decisamente poco normale.
<< Però, hai imparato bene!>>
appoggia un ginocchio a terra per riprendere fiato << ma
… mai abbassare
la guardia!>> con un movimento rapido mi tira un calcio
sulla gamba
malandata. Il dolore si ripresenta violentemente come nel pomeriggio,
facendomi
barcollare all’indietro.
<< È un colpo basso!
Schifoso…>>
ringhio, ma la nuova fitta di dolore mi toglie le parole.
<< Lo so, sono un bastardo nato, me lo
dicono spesso>> sorride trionfante.
Mi rimetto in piedi a fatica, imprecando
mentalmente per non urlare e svegliare gli inservienti.
<< Tu ...>> lo guardo in cagnesco,
ma sorrido anch’io un po’ divertito, ma decisamente
incavolato.
Spike stende un braccio e con l’indice fa segno
di farmi sotto. Non me lo faccio ripetere due volte e mi scaglio contro
di lui.
Ci scambiamo colpi e parate, pugni e calci finché non siamo
sfiniti e
collassiamo sul pavimento come due bambini.
<< Bastaaaaaaaaaaaaaa! Pietà, non ce la
faccio più>> si lamenta.
<< Sei una schiappa… per essere… il
capitano del club>> ansimo.
<< ha ha ha ha … allora è
deciso?>> chiede
tra un respiro e l’altro, alludendo all’altra
questione.
<< Sì>> sputo fuori in un soffio
a
corto di fiato.
Ma ho compreso appieno quello in cui mi sto
cacciando? No, ma voglio farlo comunque, ho bisogno di farlo. A questo
punto la
questione ha troppi buchi aperti per lasciarla così ed il
mio stesso senso
pratico nel risolvere i problemi, mi impedisce di lasciare correre.
Devo
riempire quei vuoti di informazioni e trovare una risposta alla
classificazione
della nostra società o non troverò mai pace.
È quasi una questione di
principio.
<< Da adesso le cose di fanno
interessanti>> Spike si sdraia sulla moquette a pancia in
su, guardando
il soffitto, tracciando cerchi invisibili nell’aria.
<< Si fa anche tutto più
incasinato>> ribatto appoggiando la schiena contro il
muro e piegando il
ginocchio della gamba sana contro il petto per appoggiarvi il braccio.
<< Non lo era già?>> bofonchia
infastidito lui.
Su questo non posso dargli torto.
***
Le sirene
dell’erogazione si sono appena spente,
segno che i rubinetti sono stati chiusi e per oggi ho perso la mia
occasione di
lavarmi. Che giornata di merda e giustappunto non è ancora
finita. La sala
d’attesa dello studio del dottore Rosenberg è
vuota al momento, fatta eccezione
per un piccolo orsacchiotto di peluche che ammicca dalla sedia
difronte. È un
po’ troppo sfacciato per essere un orsetto, tuttavia non
resisto alla
tentazione di coccolarlo. Guardandolo da vicino, gli manca un occhio,
ha il
farfallino celeste storto ed un braccio più corto, ma tutto
sommato è meglio di
niente come consolatore. Gli arruffo il pelo sintetico, appoggiando i
gomiti
sulle ginocchia, aspettando che il dottore abbia finito di raccogliere
l’acqua
e possa ricevermi. Per lui non sarà certo una
novità vedermi, ormai posso dire
che la clinica sia la mia seconda casa viste le innumerevoli volte che
gli
faccio visita. Meno male che il posto è così
familiare che quasi riesco a
rilassarmi e far sbollire il nervosismo provocato da Kid e quei due
rampolli
impomatati del centro, bleah! Al solo pensarci vorrei strangolare
qualcuno e
sfortunatamente il malcapitato di turno è il pupazzetto che
affretto a
sistemare. Non voglio ripensarci, non adesso che la tempia ha ripreso a
farmi
un male cane. Appoggio la schiena contro lo schienale di plastica e la
testa
sul freddo e ruvido muro, poi, allungando le gambe, stringo Mr. Boo, (
così ho
ribattezzato l’orso) sperando di riprendermi un po’
per non sembrare un rudere.
<<
Cos’hai combinato stavolta?>> mi
chiede una voce graffiata da anni di sigarette.
<<
Niente dottore!>> rispondo alzandomi dal sedile e
raggiungendo l’uomo.
Ha ancora
l’asciugamano sulle spalle ed i lunghi
capelli scuri sono umidi, deve aver appena finito di lavarsi. Peccato,
credo di
avergli rovinato l’unico momento in cui la clinica
è tranquilla e silenziosa.
<< Certo
e io sono al fatina dei denti.
Entra>> mi dice mantenendo la porta aperta per farmi
passare.
Non posso fare a meno
di immaginarlo in gonnella
azzurra e bacchetta alla mano, scoppiando a ridere per il prodotto
partorito
dalla mia fervida fantasia, ma il karma mi rimette in riga con una
fitta
terribile al sopracciglio.
<< Fammi
indovinare perché hai una garza
attaccata alla fronte… magari una rissa con una banda di
teppisti? E potrei
azzardare si tratti dei Demon’s. Ho
indovinato?>> mi incalza, mentre
indossa il camice e si lega i capelli in un corto codino dietro la nuca.
<< Non
le si può nascondere nulla dottore.
Nonostante abbia superato la quarantina, la memoria le funziona ancora
bene!>>
ribatto sedendomi sul lettino e posizionando Mr. Boo al mio fianco.
Purtroppo ho
constatato che il mio malumore non è svanito e rischio di
prendermela anche con
il dottore.
<<
Sarcasmo intatto, quindi non hai subito
danni al cervello, almeno sembra. Starei attento fossi in te al
possibile
trauma cranico. Problema serio quello>>
<< Che
razza di dottore direbbe mai una
cosa del genere ad un suo paziente?!>> scherzo, per
addolcire la
battutaccia di prima.
<<
Quello che rimprovera una sua aiutante
scavezzacollo che, se vuole essere curata per evitare una ramanzina,
farà
meglio a dirmi il motivo di questa>>
<< Ahi!
>> urlo, quando il dottore
Ian Rosenberg, preme con molta malagrazia nell’esatto punto
della ferita.
<< Per il suo bene è meglio che non lo
sappia>> aggiungo secca.
<< Io
invece credo, per il TUO bene, che
lo debba sapere>> insiste, puntando i suoi
arrabbiati occhi nocciola nei miei. Se non
fosse per gli occhiali da vista che schermano un po’, temerei
un incenerimento con lo sguardo.
<< E va
bene!>> cedo alla fine,
regalando la vittoria a Ian << io e Kid abbiamo tolto dei
forestieri
dalle grinfie di Marcus & co e questa è la mia
ricompensa>>
<<
Centriani?!?! Che diavolo … dove sono
adesso?>>
Davvero non gli si
può nascondere nulla?!
<< Io
sto bene, davvero grazie per l’interessamento!
… Sono tornati a casa>> rispondo concisa,
preferirei lasciare incompiuto
il discorso. Magari la botta in testa avesse cancellato una parte di
memoria!
Il mio interlocutore coglie al volo l’indisposizione nel
parlarne e non torna più
sull’argomento. Inizia a svolgere la fasciatura sulla testa,
sospirando poi
alla vista della taglio.
<<
Cavolo April … è molto profondo ci
vorranno dei punti>>
<<
Punti?! O signore, no! Chi li spiega
poi a Catherine>> pensando alla nuova sfuriata di
mia zia. Adesso sono io quella che sospira,
di frustrazione però.
<<
Già bel problema, ma se non li mettiamo
rischierai di prendere infezione e perdere altro sangue eeeee visto il
tuo
fantastico colorito smorto, direi che ne hai perso abbastanza per il
momento.>>
Non posso oppormi, il
medico è lui. Così gli do
il via libera alla sutura del sopracciglio, mentre i suoi fantastici
zoccoletti
sanitari picchiettano sulle mattonelle dello studio. Sfortunatamente
gli
anestetici sono un bene di lusso e, quei pochi e sacri in possesso del
dottore,
vanno usati per i casi più gravi. Non il mio, ovviamente.
Perciò stringo i
denti e trattengo le lacrime quando Rosenberg fa il primo passaggio con
filo e
ago, sterilizzato su fiamma. Il dolore è bruciante e impreco
mentalmente come
se fossi il camionista della peggiore specie. Devo inoltre stringere a
più non
posso il bordo del lettino, altrimenti rischio di: 1- svenire, 2-
allontanare
con uno spintone il dottore, il che non
mi sembra molto carino. Così digrigno ni denti e penso alla
punizione
che riserverò al mio amico domani.
Quando finalmente il
supplizio finisce, la
fronte che scotta e ho le lacrime agli occhi per averli serrati troppo
forte.
<< Brava
bimba, ti meriti questo>>
mi prende in giro il medico, regalandomi un lecca-lecca scarlatto ed
una
carezza sulla testa.
Una caramella! Erano
secoli che non la mangiavo;
di solito quelle che ci sono alla clinica sono per i bimbi e
perciò devo regalarle ai mocciosi, invidiandoli nel vedere
la loro soddisfazione nel succhiare gli zuccherini.
Un sorriso tirato e
stanco, mi distende le labbra. È
bello ricevere un premio ogni tanto. Scarto l'involucro piena di
aspettative e lascio
che lo sciroppo, un po’ troppo dolce, indori la bile che ho
ingoiato fin'ora.
Solo dopo che ho
finito il globo di zucchero,
scopro il dottore seduto sulla sua sedia girevole, intento ad
osservarmi
concentrata tra una boccata e l’altra della sua sigaretta
preferita.
<<
Qualcosa non va?>>
<<
Niente di che, stavo solo pensando. Ad ogni
modo, il pagamento per le cure è la tua prossima giornata di
riposo, da mettere al
servizio dello studio. E visto che sono immensamente buono ti permetto
di
restare qui a dormire, così potrai rimandare almeno di un
po’ la ramanzina che ti aspetta. Affare
fatto?>>
<<
Affare fatto>> concordo. Mi sento
leggermente sfruttata, ma le condizioni sono troppo allettanti per
essere
rifiutate.
<< Ah!
Inoltre dovrai darmi una mano se
stanotte ci saranno dei pazienti. Eloise è in malattia e non
ho una degna
sostituta>> si lamenta.
<<
Brutto doppiogiochista!>>
inveisco. Adesso si che mi ha fregato ed in segno di scuse il dottore
mi scocca
un ghigno furbesco. << E va bene! Sei peggio di uno
strozzino>>
Rosenberg scoppia a
ridere. Mi affretto a
scegliere una branda libera ad un capo dell’infermeria e tiro
la tenda per
riposarmi prima che arrivi gente, scegliendo Mr. Boo come compagno di
letto. Stesa
sul fianco ascolto il dottore comporre un numero ed annunciare a mia
zia che
resterò lì a dargli una mano, poi scivolo
nell’incoscienza non pronta ad
affrontare una nottata quasi insonne.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** Il Primo Passo ***
Capitolo 7
Sebbene
non sia
ancora consapevole di tutti i rischi che questo piano comporta, alla
fine mi
ritrovo nello stesso tratto di tunnel attraversato quattro giorni fa.
Volevo ritornare
prima nei sobborghi per iniziare a raccogliere informazioni utili, ma
purtroppo
la situazione non me l’ha permesso, visto che, anche se son
riuscito a
sistemare lo scompiglio che ho creato all’Istituto prima che
la notizia
trapelasse in tutto il paese, ho dovuto promettere di annunciare il
discorso per
la chiusura del semestre ed i miei movimenti sono stati tenuti
d’occhio per
qualche giorno. Tuttavia non potevo rischiare che scoprissero le mie
“escursioni”, così ho dovuto aspettare
che le acque si calmassero un po’ e
soprattutto mi lasciassero in pace, prima di rimettere piede fuori
dalla
cupola. Sono fortunato che i miei spostamenti siano stati controllati
solo per
due giorni! Altrimenti non mi sarei liberato prima di due o tre
settimane. Nonostante
tutti gli sforzi, ho dovuto rendere conto ai miei genitori
dell’accaduto e salvandomi
con un patetico “ ero sotto pressione e non ho
retto” (espresso non in questi
termini, soprattutto difronte a mio padre, ma il succo è
stato questo).
Dopo tanto penare
eccomi qui a rammaricarmi di non essere rimasto a casa o per lo meno di
non
aver pensato a salvarmi dal tanfo dei cunicoli che mi sta uccidendo! Se
non è
qualcos’altro. Non si può certo immaginare che
odori così intensi possano
piegare un essere umano sotto la loro morsa, ti s’insinuano
nelle narici fino a
raggiungere il cervello e s’infilzano come tanti spilli, con
un dolore
lancinante. Perciò accelero l’andatura e, tenendo
sempre sott’occhio la mappa
fotografata, mentre mi copro la bocca e il naso con il colletto della
vecchia maglia,
indossata per l’occasione, mi dirigo a passo di marcia verso
l’uscita. Una
volta fuori, tolgo dal marsupio un berretto per nascondere i capelli e
schermo lo
sguardo da alieno con un paio di lenti scure. Sono conciato come il
peggiore
dei rapinatori e, sfoggiando una tuta stinta e dimenticata
nell’armadio, mi aggiro
indisturbato tra la folla.
Adesso dove potrei
trovare la mia, si spera,
collaboratrice? Non se ne parla di cercare il suo indirizzo
perché potrei
trovarmi nella parte sbagliata della città e poi non conosco
il suo cognome,
ammesso che la gente la conosca. Perciò opto per
l’agenzia in cui lavora,
almeno di quella sono assolutamente certo. Girovago un po’
per le strade senza
la minima idea di dove stia andando e quando decido di arrischiarmi nel
chiedere informazioni, m’imbatto nuovamente nelle bancarelle
viste il primo
giorno e che ancora una volta mi sorprendono con i monili e gli oggetti
esposti, tutte cose che non potrei mai trovare al Centro neanche
pagandole a
peso d’oro, eppure qui sono così comuni!
<< Hai
trovato qualcosa che t’interessa ragazzo?>>
sussurra una vocina da dietro
il banchetto che ha attirato la mia curiosità. Dal fresco
dell’ombra, proiettata
dal telo che copre il suo banchetto, è seduta una
piccolissima signora anziana
dai capelli canuti raccolti in una crocchia e, con gli occhi stretti
per
l’intensità della luce, mi fissa ansiosa di sapere
se uno dei suoi manufatti le
potrebbe fruttare qualche moneta.
<<
Veramente
non m’interessa niente, ero solo curioso>>
rispondo.
<<
Peccato>>
le sfugge una smorfia di delusione.
Decido allora che
forse potrei chiedere a lei l’ubicazione
dello stabile che sto cercando. Mi sembra una persona a posto.
<< In
verità avrei bisogno di
un’informazione>> azzardo e sul viso della
vecchietta splende di nuovo un barlume di speranza per un possibile
guadagno
<< sa dove si trova l’agenzia di spedizione Eolo express?>>
<<
Certo, chi
non la conosce?!>> questo semplifica molto le mie
ricerche. << Ma
tutto, anche la più piccola informazione ha un prezzo
giovanotto!>> dice
la vecchia affilando furbescamente lo sguardo.
Sta cercando di
estorcermi del denaro?!? Appena realizzo il tutto, faccio per andarmene
ma la
nonnina, sporgendosi dal suo sgabello sulla bancarella, mi afferra con
sorprendente velocità.
<< Non
credere che qualcun altro possa darti ciò che
cerchi>> sussurra tra i
denti. Non posso evitare di chiederle il perché.
<<
Proprio
perché tutti conoscono la Eolo, non tarderebbero a guardarti
con diffidenza se
lo chiedessi in giro. Però sono disposta a darti le
indicazioni in cambio di un
giusto pagamento>>
Rimango per un
attimo sbigottito dal modo di fare dell’anziana…
troppo arzilla per i miei
gusti.
<< E
sarebbe …>> incalzo, ma la nonna indica
semplicemente la bancarella <<
Vuole che compri le sua merce?>>
<<
Minimo
due pezzi!>> ribatte portandosi i pugni sui fianchi
sfoggiando la sua
aria da donna d’affari.
Intanto valuto la
situazione: rischiare di essere scoperto chiedendo a qualcun altro o
scucire
qualche moneta e finirla qui? Non credo ci sia da discutere.
Do un’altra
occhiata superficiale agli oggetti esposti e proprio quando ho deciso,
la
signora mi affibbia un collanina di pietruzze grezze e un polsino di
cuoio con
un gufo ricamato sopra.
<<
Ottima
scelta! Fanno 37 bire>>
Mi sta prendendo
in giro, o qui tutti hanno questo modo di fare? 37 bire per un paio di
ninnoli
inutili?! Per tagliare corto, anche se la sensazione di essere truffato
è
forte, saldo il conto e attendo le informazioni “ adeguatamente pagate”.
<< Cosa
ti
spinge ad andare in quell’agenzia?>> chiede
d’un tratto la vecchietta una
volta finito di istruirmi sulla strada da prendere.
<<
Signora
ogni informazione ha un prezzo>> ribatto sarcastico, ma
suscito solo una
risata divertita dopo un attimo di stupore.
<<
Ragazzo, mi piaci! Perciò ti do un consiglio>>
questa volta mi
metto sulla difensiva. << Tranquillo è
completamente gratuito. La
prossima volta che passi di qui scegli meglio il tuo guardaroba.
È vero c’è
gente strana in giro, ma non così stramba da conciarsi in
questo modo!>> e
detto ciò si rintana dietro al banchetto, ridendo di gusto.
Rimuginando
sull’affermazione della vecchia, osservo preoccupato il mio
abbigliamento.
Cos’ha che non va? Guardo curioso la gente intorno a me, non
mi pare che abbiano
vestiti dalla foggia o stile molto diverso dal mio.
Seguo attentamente le
indicazioni fornitemi e
dopo parecchie svolte in quel mare caotico di gente e piccoli animali
d’allevamento, sbuco da una stradina laterale nei pressi
dell’agenzia. Sono
indeciso sul da fasi: entro e chiedendo direttamente di April, pregando
che lì
dentro non ci siano altre ragazze con il suo nome, o aspetto fuori che
finisca
il turno? Bel dilemma. Il primo punto mi mette direttamente alla
mercé del
primo a cui chiederò e, dopo l’esperienza di poco
fa, preferisco evitare, non
ho così tanto denaro con me. Così mi appoggio a
un muro tenendo sotto controllo
l’ingresso principale. Dopo mezz’ora di posta si
presenta un’ opportunità che
non posso lasciarmi sfuggire. La persona che sto cercando, si catapulta
fuori
dallo stabile inseguendo una macchia arancione.
<< Felipe!
Vieni qui maledetto!!>> inveisce contro la creatura
<< ridammi
quelle carte!>>. Il felino si gira di scatto in
atteggiamento scherzoso,
con il sedere puntato verso l’alto mentre il resto del corpo
si appiattisce al
suolo, così appena la ragazza si avvicina per afferrare le
pagine che tiene in
bocca, la scarta e riprende a correre verso il vicolo nella mia
direzione. È il
momento di intervenire per avvicinarla, ma per far sì che la
tipa mi ascolti
devo impossessarmi dei fogli che vuole recuperare. Perciò
attiro l’attenzione
del micio con la collanina presa al banchetto (almeno adesso serve a
qualcosa)
e, non appena è a portata di mano, prendo i fogli mentre la
bestiola è intenta a
cercare di afferrare con la zampa le perline. La ragazza, che ha
assistito alla
scena, si avvicina. È il mio momento.
<< Avrei
potuto prenderlo da sola quel disgraziato!>> dichiara
allungando la mano
per farsi consegnare l’oggetto dell’inseguimento.
Per lo meno
è
simpatica come al solito, ma non è l’ora di
procrastinare e decido di farmi
riconoscere. Sfilo gli occhiali scuri, lasciando che siano gli occhi a
parlare
al mio posto << Alla fine ci rivediamo >>
gongolo trionfante,
vedendo la ragazza sbiancare per l’improvvisazione.
Ebbene sì,
poteva
aspettarsi chiunque, ma non il sottoscritto. Sorpresa! La guardo dritto
negli
occhi specchiandomi nelle sue naturali iridi color cioccolato.
<< Che
diavolo ci fai TU qui?!>> sbotta di rabbia superato il
momento di shock,
poi si guarda freneticamente intorno.
<< Devo
parlarti>> dichiaro.
<< Non
credo>> sibila sulla difensiva indietreggiando di qualche
passo. Penso
non voglia farsi vedere con me nel caso sopraggiungesse qualcuno.
<< E
invece
credo proprio di sì, se rivuoi indietro le tue carte. Non
vuoi discutere con il
tuo capo>> le sventolo sotto il naso i fogli ormai
bellamente spiegazzati
e inzuppati i saliva di felino. Non sono bravo a ricattare la gente e
spero che
la minaccia vada a buon fine, altrimenti non so che fare. Pare,
però, che la
cosa funzioni perché la ragazza non replica né
cerca di picchiarmi. Evidentemente
sta valutando le possibilità con tutti i pro e i contro.
<< Spero
per te che sia importante>> si sta sforzando di restare
calma, ma la cosa
le brucia probabilmente; scendere a patti con una persona odiata non
dev’essere
per niente facile. È lo stesso per me quando devo
relazionarmi con Spike,
perciò un minimo posso capirla.
Cerca in un
ultimo disperato tentativo di afferrare le carte, cogliendomi
impreparato, ma
non perdo il bottino.
<< Non
così
in fretta, voglio una prova che manterrai la parola, altrimenti salta
tutto>> dirle una cosa simile è un azzardo, ma
non posso rischiare; soprattutto
adesso. La vedo diventare paonazza ma, in seguito a due bei respiri
profondi,
sembra calmarsi, poi trae dalla tasca dei pantaloni la sua mascherina
depura-aria e me la lancia in malo modo.
<<
Soddisfatto?!>>
ringhia.
<<
Adesso
sì>> ripongo al sicuro il pegno nel marsupio e
le restituisco i fogli;
devono essere importanti, per renderla così collaborativa.
Sto per dirle se
c’è un posto dove poter parlare senza problemi, ma
lei mi anticipa. << Non
qui>> intima, poi mi squadra dalla punta dei capelli ai
piedi, scuotendo
la testa.
Le chiedo quale
sia il problema.
<< Sei
inguardabile! Dove hai preso questi … cosi? >>
dice schifata arricciando
il naso.
La guardo di
traverso. Che problema hanno tutti quanti con i miei vestiti?
È solo una tuta
da ginnastica con motivi militari e una maglia nera! Uno scintillio
metallico
nella mano della ragazza mi mette in allerta.
<< Metti
giù quell’affare>> le ingiungo in
tono serio.
<< Se
vuoi
che l’accordo prosegua, sta’ zitto e lasciami fare.
Non mi va di finire nei
guai per colpa tua>> ribatte con una smorfia di rabbia.
Cerco inutilmente
di rilassarmi, visti i precedenti non mi fido per niente di questa
matta! Comunque
allargo le braccia in segno di resa. La lama si avvicina alla spalla e
… taglia
le maniche?! Che …?
<< Che
stai
facendo?>> chiedo palesemente disorientato.
<< Tu
che
dici? Ti do un aspetto decente!>> passa
all’altra manica e anche questa
dopo un paio di tagli e strappi viene via. In seguito prende una
manciata di
polvere rossastra da terra e la butta sui pantaloni, poi con
brutalità ne
strofina un po’ anche sulla maglia. “ Questa
sarebbe una ragazza? Non ha niente
a che vedere con i modi pacati e
femminili di Chanel” penso, perché il paragone
viene istintivo.
<<
Adesso arrotolati una gamba del
pantalone almeno sotto il ginocchio>>
Eseguo di cattivo
umore, vedendo come questa tizia mi tratta. Eppure non le ho salvato la
vita
qualche giorno fa deviando la catena del malvivente?
<< Il
cappello e gli occhiali vanno bene. Se qualcuno ti chiede qualcosa, sei
uno di
quei fissati con la break-dance e parla solo se necessario …
anzi sta zitto, è
meglio>> mi ammonisce.
<<
C’è
qualcos’altro che devo fare, sergente?>>
bofonchio infastidito. Non mi
piace che qualcuno m’imbecchi su cosa devo fare e dire.
Né ho già abbastanza
dalle mi parti e un’altra persona da aggiungere alla lista
non mi va proprio.
Infilo istintivamente le mani in tasca e la guardo in segno di sfida
attraverso
le lenti.
<<
Cretino,
non capisci proprio eh?!>> mi volta le spalle e si avvia
verso le porte
della Eolo
express
ditta di
spedizioni.
La seguo
spazientito. Ed io dovrei aver a che fare con lei?!?! Sono impazzito di
colpo.
Una volta
all’interno il rumore assordante mi assale. Non lo ricordavo
così caotico! Ma
ecco che dopo pochi passi, veniamo fermati da un omone di colore alto
almeno un metro e novanta.
<<
Piccola
A, hai acciuffato il mostriciattolo?>> dice affabilmente
con la possente
voce baritonale.
<< Quel
sacco di pulci è un flagello! Dovremmo dire a Chris di
prendere un cane per
tenerlo lontano>>
<<
Andiamo,
lo so che un po’ ti piace averlo intorno! Ehi, è
lui chi è?>> si rivolge
a me.
<< beh,
lui
è …>> incomincia la ragazza, ma la
anticipo nei tempi.
<< Sono
Nagìl, il breake-dancer del quartiere, ho recuperato io le
carte alla
signorina>> mi atteggio a spaccone e gli porgo la mano
per una stretta
tra fratelli, come ho visto fare a un certo parente demente.
<<
Signorina?!
Ha ha ha ha ha ha. Ehi, April hai sentito sei una signorina adesso? Mi
sorprende che tu non lo abbia già preso a calci in
culo>> scoppia a
ridere.
La ragaza mi fulmina
con lo sguardo, forse sta rimpiangendo di non averlo fatto. Le sorrido
ammiccando, il che la fa imbestialire. Me la farà pagare, ma
al momento mi
piace prendermi qualche piccola rivincita.
<<
Amico,
io sono Zedd Turner!>> dice giulivo agguantando la mano
con la sua
possente presa.
<< Avete
finito? C’è del lavoro da fare. Zedd, ecco le
carte per quella spedizione da
dare a Chris. L’altra consegna è
pronta?>> chiede acida, ma
professionale. Vedendola al lavoro mi rendo conto che ho fatto bene a
scegliere
lei come prima (e direi unica) “confidente”, anche
se ho ancora qualche dubbio
su una nostra futura collaborazione. È insopportabile!
<<
Sì, è
stata caricata adesso sul carrello>>
<<
Allora
vado a fare la consegna, ci vediamo più tardi per il
rapporto>> si
allontana per impossessarsi della maniglia del carrello su cui
è posizionata
una spessa scatola di cartone e, sollevando una saracinesca nel fianco
della ditta,
aspetta che la raggiunga.
<<
Informo
il capo. Ehi, Nagìl! Fatti vedere in giro così mi
dai qualche dritta>>
<<
Contaci
fratello>> gli rivolgo un amichevole gesto di saluto con
la mano e mi
avvio molleggiando verso l’uscita. Come attore non sono
affatto male!
April mi aspetta
spazientita
all’esterno e, appena la tenda di metallo ci separa dalla
vita dei corrieri, sbotta.
<< Ti ha dato di volta il cervello?!?! “sono il
dancer del quartiere”!!
Hai idea della balla che hai detto?>> scimmiotta.
<<
Quanto la
fai tragica!>>
<< Non
hai
idea di come stanno le cose qui! Pensi che le parole siano solo suono
che si disperde
nell’aria? Non per noi! Qui tutto ciò che dici
può essere usato per te o contro
di te, perché tutti sanno tutto di tutti! E cosa pensi
succederà quando la voce
del ballerino di strada si diffonderà e non
troverà nessuna conferma tra gli
abitanti dei dintorni? A chi pensi che chiederanno del misterioso
mostro di
bravura delle piroette per strada?>>
<< Non
lo
so>> sono costretto ad ammettere di malavoglia.
<< Certo
che non lo sai!!! Non hai nemmeno usato un nome falso! Non posso
passare dei
casini per colpa di uno come te>>
<<
È già la
seconda volta che lo dici … aspetta, con uno come
me?!>> ribatto offeso.
Ma sentite questa! Che diamine, non sa che sto passando dei guai
anch’io per
portare avanti questo progetto?
<< Sono
stufa di averti tra i piedi, facciamola finita. Dimmi cosa hai di
così urgente
e poi sparisci>> cerca di liquidarmi ferocemente.
<< Sta
calma,
è una questione delicata, sei sicura che possiamo parlare
per strada?>> ribatto
accigliato lanciandole un occhiataccia eloquente; così
sentenzia << prenderemo
una strada laterale tra due svolte a sinistra>>
Le racconto
per
filo e per segno le congetture che abbiamo elaborato io e Spike,
aggiungendoci
qualcosa di mio; ad esempio i computer che ho visto al loro rifugio e
dell’aiuto che potrei dargli con i file che dovessero
trovarvi. Le riferisco
anche il fatto che dovrei passare molto tempo nei Sobborghi per
studiare la
situazione e tutte le ipotesi che mi vengono in mente, non tralasciando
nessun
dubbio o ipotesi. Alla fine sembra pensierosa, spero di averla almeno
un po’
incuriosita, ma non parla per tutto il tragitto. Non chiede
spiegazioni, né fa
domande per saperne di più. Dalla postura rigida delle
spalle e dallo sguardo
di sottecchi che mi rivolge, capisco che non sa se credermi. La sua
diffidenza
può essere una caratteristica molto utile da aggiungere al
suo curriculum di
alleata, tuttavia spero comunque di averla convita più di
quanto lo sia io.
Non ho fatto
attenzione a dove mi stava portando, finché un enorme
edificio semidistrutto
non ci blocca la visuale e ci accoglie un enorme porticato coperto
d’edera
essiccata e dall’intonaco scrostato che lascia nudi i rossi
mattoni che ne sono
lo scheletro. Seguo la ragazza tra cumuli di cemento e calcinacci e,
dopo aver
superato una fila di finestre, di cui alcune saltate e rattoppate alla
meglio
con nastro isolate e pannelli di plastica, ci attende un portone
divorato dai
tarli. Dopo aver bussato, da uno spiraglio della porta si intravede un
occhio
sospettoso e la porta si richiude, un frettoloso rumore di catenacci e
poi il
battente viene nuovamente spalancato con uno strattone.
<<
April!
Quanto tempo!!>> una ragazza sui ventisette anni, dai
capelli scuri ed
arruffati, raccolti alla meglio in due lunghe trecce, salta al collo
della
ragazza in questione, tra lo svolazzare della sua ampia gonna grigia
abbinata
ad una severa camicia bianca.
<< Anche
per me è bello rivederti Rose … però
potresti staccarti? Sto
soffocando!>>
<<
Scusami!!>>
si allontana sistemandosi sul naso la tonda e grande montatura degli
occhiali
da vista, poi si accorge della mia presenza << Oh! E il
tuo
accompagnatore chi è? Sono Rosemary
Highfield, piacere di conoscerti!!!>> esordisce
vivacemente scuotendomi a
più non posso la mano. Ha energie da vendere.
<<
Nagìl,
piacere mio>> biascico preso alla sprovvista dalla sua
esuberanza e dalle
sue formose curve che sobbalzano seguendo i suoi movimenti.
<< Rose,
ho
portato una nuova donazione>>
<<
Davvero?!
Oh! Che bello, i bambini saranno contentissimi, aspetta che vado a
chiamarli,
stavano finendo i compiti!>> finalmente molla la presa e
si precipita
dentro urlando a squarciagola.
<< Dove
siamo?>>
dico ancora frastornato, ma non ottengo risposta.
Neanche il tempo
di dirlo che una mandria di circa trenta marmocchi, tra i 3 e i 9 anni,
si
catapulta fuori circondandoci e salutando calorosamente April: alcuni
l’abbracciano,
altri le saltellano intorno cantilenando “ Ben tornata, ben
tornata” e lei
ricambia la loro esultanza. È strano non vederla arrabbiata,
sembra quasi
normale.
Un bimbetto dalla
pelle olivastra e fitti capelli corvini, mi scruta curioso,
finché non
esordisce con il classico: “ lui chi è??
”.
La domanda non mi
coglie alla sprovvista, ma istintivamente guardo irritato April per
vedere se,
anche in quest’occasione, ha intenzione di parlare al posto
mio;
sorprendentemente è a braccia conserte e mi guarda con aria
di sfida. Vuole
vedere se ho il coraggio di mentire anche a questi innocenti bambini?!
Me ne
infischio dei suoi presunti sospetti.
<< Sono
Nagìl! Il break-dance del quartiere!>> dico
spavaldo.
<<
Davveroooooo??
E cos’è?>> chiede il bimbo con una
smorfia inclinando il capo.
<<
E’ un
modo di ballare>> spiego paziente, mentre si solleva un
coro di “Oh!”
<< Che
bello!! Facci vedere>>; << Sì,
sì facci vedere>> urlano i
bimbetti.
Non aspettavo
altro! Lancio uno sguardo beffardo ad April poi, dopo aver chiesto che
si
dispongano in un cerchio abbastanza largo, faccio appello a tutte le
memorie sulle
lezioni di break e mi lancio in una performance.
Mi alzo poco dopo con
il fiato corto tra gli
applausi scroscianti di Rosemary e le bocche spalancate dei bambini. Il
marmocchio
di prima mi strattona la tasca dei pantaloni con gli occhi spalancati e
pieni
d’ammirazione << Fratellone, mi insegni a
ballare cm te?!?!?>> e
subito una manciata di bambini lo imitano.
Cerco con lo
sguardo la ragazza per lanciarle un’occhiata alla “
adesso hai la conferma che
cercavi” ma April intanto si è rivolta a Rosemary,
e insieme stanno scaricando
il carrello. Ferito nell’orgoglio decido che dovrei darle una
mano, ma non
prima di aver risposto a “capelli neri”.
<<
Certo! Intanto esercitatevi con
questi passi>> gli mostro alcuni semplici mosse base, poi
chiedo alle
ragazze cosa fare, non sapendo da dove iniziare.
È April che
con
mala grazia, mi getta tra le braccia un sacco da almeno cinque chili,
intimandomi
di non farlo cadere, e, dopo essersene caricato uno sulle spalle, si
avvia
dietro alla Governante all’interno dell’edificio.
Attraversiamo un
piccolo vestibolo e un soggiorno spartano, fin troppo, sembra quasi che
non
abbia visto abitanti da almeno qualche anno, e giungiamo alle cucine.
Le
ragazze appoggiano quanto trasportato sul ripiano di cottura e
ripetiamo
l’operazione almeno cinque volte, finché non
svuotiamo tutto il contenuto dello
scatolone. In ultimo sistemiamo le vettovaglie nella dispensa e quel
poco che
c’è di deperibile nella sottospecie di
frigorifero, un ammasso di ferraglia
pitturato alla meglio di bianco.
Mentre sistemiamo,
mi arrischio a chiedere a Rosemary di che posto si tratta.
<< Il
tuo
amico è nuovo di queste parti>> scherza la
ragazza rivolta ad April,
mentre questa fa una smorfia di disappunto. Non deve aver ancora
superato lo
scoglio della nostra diversa provenienza.
<<
Questo è
un Orfanotrofio Comunale, viviamo con le donazioni delle compagnie o
dei pochi
spiccioli che ci da il governo>>
<< Come
mai
ci sono così tanti bambini se guerre non ce ne
sono?>> dico senza
pensare. Sul viso della ragazza si delinea un sorriso tra lo stupito e
il
triste.
<< Non
sai
proprio nulla allora?>> chiede sbalordita.
Scuoto la testa
improvvisamente a disagio, uno sguardo fugace alla mia guida, che non
sembra tesa,
ma visibilmente stanca. Non tenta di intervenire a riparare al mio
errore, ma
va avanti a sistemare le provviste sulle mensole.
Distolgo lo
sguardo non appena la ragazza inizia a parlare.
<< Non
ci
sono guerre, è vero, ma la situazione nei sobborghi non
è facile come saprai. La
gente qui vive, anzi sopravvive con quel poco che il Centro
distribuisce, con le
Donazioni e dei miseri prodotti che riesce ancora a coltivare o
allevare.
Perciò molte persone, i più deboli, chi non ha
spazio per coltivare o perché non
ha più nulla, non sopravvivono e i figli vengono spediti
qui. Ma la maggior
parte dei bambini qui ha un’altra storia>> fa
una pausa per osservare April
che, girata di spalle, ha smesso di
sistemare delle lattine nelle dispensa in alto, è tesa ma
non si volta, anzi
decide di cambiare stanza, alludendo a nascondere ai vandali il
montacarichi
che ci siamo portati dietro. Questo da alla ragazza un incitazione per
riprendere
il discorso. << La maggior parte è arrivata
per colpa delle “ Stelle nere”>>
dice d’un fiato come se il solo pronunciare quella parola
portasse enormi
disgrazie << si presentano senza preavviso alla porta
delle persone e
portano via gli interessati imponendo le ragioni più
disparate: abilità uniche
o molto sviluppate, necessarie in un determinato ambito nel Centro;
l’essere
stato scelto per la missione di avanscoperta alla ricerca di altre
città
superstiti come la nostra e molte altre cause. Perciò i
bambini che non hanno
più un posto dove andare o stare, giungono al nostro
orfanatrofio. Purtroppo
molti non vengono accettati e finiscono per morire di fame in
strada>>
Un nodo mi sale
alla bocca dello stomaco, guardo i bambini che saltellano sul patio
visibilmente
contenti e una sensazione subdola e infida mi striscia addosso, mi
sento
colpevole! Colpevole, per tutti gli anni passati
nell’ignoranza, chissà quanti
hanno affollato le strade in cerca di ricovero e quanti non
hanno potuto ottenerlo. Sono colpevole, per
tutti quelli che non hanno cibo da mangiare ed io l’ho
sprecato, buttato nello
scarico, per capriccio e ripenso a quanti sprechi avvengono nel Centro.
La
rabbia per la mia ottusità e anche per un altro motivo di
cui devo parlare al
più presto con Spike, monta inesorabile.
<<
Perché non
dite nulla? Perché non vi ribellate?>>
prorompo spinto dalle emozioni del
momento. Rosemary mi guarda colpita, non si aspettava una domanda del
genere. È
perplessa e forse ha capito la mia vera identità,
perciò mi maledico di essere
così stupido. È già la seconda persona
a cui stupidamente ho rivelato la mia
provenienza.
<< A
cosa
servirebbe? Abbiamo imparato dal passato. Una volta hanno tentato, ma
è finito
con una sconfitta schiacciante seguita da una povertà che ha
dimezzato la popolazione.
Ormai la gente è stanca e disillusa, non spera
più nel futuro perché non vede
via d’uscita. Non si può più
cambiare…>> Rosemary è costernata e
abbattuta, con il capo reclinato verso il petto.
La gente si
è
arresa, ecco la verità che mi brucia. Non credono
più in un cambiamento, pensano
di essere soli e abbandonati. Potrò mai fare qualcosa con il
progetto che
abbiamo in mente?
Cala un silenzio
pesante
come un macigno, non so che dire; di solito cosa si aggiunge in queste
occasioni? Non lo so, non ne ho la più pallida idea.
È la
governante a
riportare tutti al presente.
<< Quasi
dimenticavo. April! Il dottore ti cercava. Oggi non ti sei presentata
per
togliere i punti, dice di andare prima che chiuda. , perciò
sbrigati!>>
April sbuffa
seccata ricomparendo nella cucina, ma non sembra realmente infastidita,
perciò la
informa che ci andrà dopo sotto lo sguardo severo della
ventiseienne.
Salutiamo i
bambini tra un coro di “no” delusi. Alcuni
addirittura si attaccano alle tasche
e al marsupio, tirandomi da tutte le parti. Non sono mai stato bravo
con i
marmocchi, perciò non riesco a scollarmeli di torno. Devo
promettere a un paio
che tornerò a dargli lezioni affinché mi lascino
andare i pantaloni, dove si
sono avvinghiati. Gli altri li rimette in riga l’istitutrice.
Poi imbocchiamo
la strada del ritorno. Nessuno dei due parla, ognuno ha i suoi pensieri
da
riordinare ed impilare. Arriviamo fin troppo presto all’ormai
noto ingresso ai
tunnel, e lì ci fermiamo, eppure anche a questo punto non
viene pronunciata una
parola. Lei allora fa per andarsene, ma non posso lasciarla andare via
così, ho
bisogno di togliermi un peso perciò la chiamo. Si volta
dubbiosa e seccata.
<< Mi
dispiace! Mi dispiace per tutto, in parte comprendo perché
ci odi e farò del
mio meglio per aiutarvi, perciò pensa alla mia proposta. Mi
farò vivo io.>>
affermo deciso portando una mano sul cuore come giuramento e
rilanciandole il
pegno per la nostra conversazione.
Che idiota che
sono, non potevo trovare qualcosa di meglio da dire?! Non mi sono mai
sentito
così impacciato e incapace. Anche sembra irritata dalla
veemenza delle mie
parole, avevo bisogno di dirglielo, avevo bisogno che capisse che ho
compreso,
almeno in parte, le sue ragioni e soprattutto che sono sincero. Le cose
che ho
detto le penso davvero e voglio impegnarmi a fare ciò che ho
detto.
La ragazza mi
guarda senza rispondere rimettendo nella borsa a tracolla la sua
mascherina
depura aria, forse ha capito o forse no, non posso saperlo adesso. Poi
semplicemente
si volta e ritorna sui suoi passi, sparendo per le vie aranciate dal
tramonto
ormai vicino.
Percorrendo i
cunicoli, ormai memorizzati, rifletto sulla giornata: mi sento
sconvolto dalle
poche informazioni scoperte e mi sorprendo a pensare al
perché mi abbia portato
lì con sé, poteva benissimo troncare il discorso
e lasciarmi a macerare nel
dubbio della sua risposta, invece no, ha fatto in modo che vedessi
l’orfanotrofio. Pura coincidenza o voleva che vedessi
l’oppressione del nostro
governo? Quante altre cose non so sul Centro? Quanti orrori si celano
per quel
dedalo di edifici che cadono come tessere di domino?
Oppure voleva
punirmi perché provengo dal luogo che detesta, mettendomi
così difronte alla
verità?! Non lo so, non conosco quella lunatica e
perciò non posso farmi un’idea
delle sue intenzioni. Tuttavia di una cosa sono certo, da
più di una stamattina
sono convinto che quello che abbiamo intrapreso io è Spike
sia necessario. Per
tutti questi anni sono fuggito da quelli che ritenevo essere stupidi
vaneggiamenti, da parte di gruppi di sediziosi, sul nostro amato
governo e ora
mi accorgo che mi sarebbero tornati immensamente utili come base da cui
partire!
Comunque a questo punto non serve a niente rimuginarci sopra, tuttavia
posso
perlomeno avvisare il mio complice delle nuove scoperte,
perciò cerco il
cellulare nel marsupio per controllare la strada.
Sparito! Il
palmare non è da nessuna parte. Maledizione come ho fatto a
perderlo?! Cerco
freneticamente nelle tasche ma nulla. È troppo tardi per
tornare indietro, se
non rientro immediatamente mi scopriranno. Vorrà dire che
invece di chiamarlo
appena lasciata questa rete sotterranea, dovrò andare
direttamente da lui.
Adesso però ho un altro problema immensamente rilevante da
risolvere; devo
riuscire a ricordare il percorso, altrimenti sono fottuto, in ogni
senso.
<<
Alleluya
Spike ce ne hai messo di tempo!!>> sentenzio spazientito.
Mio cugino mi
osserva sbadigliando e con i capelli ancora arruffati da un pisolino
appena
interrotto.
<< Che
vuoi?>> biascica.
Spero mi stia
prendendo
in giro. Lo scanso, puntando verso camera sua. Non è
cambiata di una virgola:
stesso letto a baldacchino nero, le identiche ante con specchio della
sua
“stanza-armadio”, l’angolo studio in
acciaio satinato, il soppalco con libreria
anche esso in acciaio ed i suoi immancabili scatti fotografici in
bianco e
nero. È rimasto un narcisista.
<< Non
è
cambiato nulla. Da quanto non vengo a casa tua?>>
<< Da
quando hai deciso di fare il
ribelle-che-cerca-di-far-incavolare-il-padre
andandotene a zonzo>> mi rinfaccia innervosito con i
capelli in disordine
e una smorfia indispettita.
<< Ti
sei
alzato con il piede sbagliato?>> ribatto guardolo in
cagnesco.
<< No,
mi
hai svegliato! Stavo sognando di passeggiare in riva al mare con una
bella
bionda>> si lagna << e visto che mi hai
interrotto sul più bello
spero sia molto importante!>>
<< Non
trovo più il palmare altrimenti ti avrei chiamato
>>
<< Ho ho
ho
Nagìl che perde qualcosa, finalmente una notizia
interessante. Meglio di quella
del governatore che chiede del figlio scomparso>> cerca
di fare il
sarcastico.
<< Oh
finiscila, sono venuto per il nostro progetto ricordi? Cosa mio padre
ha
chiamato?>> lo canzono prima di rendermi conto di cosa
abbia detto. Mio
padre non chiama mai nessuno, specialmente di persona,
perciò che diavolo stava
succedendo?
<<
Ebbene
sì! Ho dovuto pararti di nuovo il culo. Tanto per
cambiare>> dice con un
sorriso beffardo e canzonatorio che gli solleva un angolo della bocca.
Già sono
infuriato, ci manca solo lui a
peggiorarmi l’umore. È stata una pessima idea
raggiungerlo per aggiornarlo sui
fatti, e non ho voglia di perdere fiato e tempo con un rincoglionito
come lui! “
Ma chi me l’ha fatto fare di allearmi con lui?!”
Penso mentre cerco di porre
fine alle sue scenate da attrice capricciosa e farmi dire cosa
è successo dalla
telefonata del Governatore in poi.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** Nella tana del lupo ***
Capitolo 8
Questa mattina mi
sono alzata di pessimo umore, non che non lo fossi già,
sapendo cosa mi riserva
la giornata: riportare il palmare al suo stupido proprietario. In
verità sono
stati i mocciosi dell’orfanotrofio di Rosemary ad averglielo
sfilato dal
marsupio e poi nascosto, sperando di rivenderlo a qualche banchetto per
ottenere qualche moneta. Perciò ora che ci penso,
è tutta colpa loro e per
questo, mi ricorderò di dargli una bella strigliata.
Comunque tutta la
situazione non mi va molto a genio ma ieri, pur di non sentirgli dire
tutto il
giorno che devo portarlo al tizio eccetera eccetera, l’ho
promesso a Kid. Questa
faccenda l’ha coinvolto molto più di quanto
immaginassi e non è un bene
fraternizzare con il nemico. Purtroppo
il mio rapporto di amicizia con lui mi ha rimbambita al punto di
raccontarli
l’offerta che mi è stata proposta dal Centriano.
Non so nemmeno io perché
gliel’ho detto, forse l’ho fatto per lui; pensando
che se avessimo sfruttato
l’essere dai capelli diafani, che di certo ne sapeva
più di noi sui circuiti
abbandonati che il mio amico aveva rimesso a nuovo, almeno avremmo
capito a
cosa servissero e se potevano esserci utili. Come avevo previsto la
risposta da
parte sua era stata favorevole, se non entusiasta e rasente
all’euforia.
Credeva forse che la compagnia di quel coso invasato, che ne capiva di
più il
blaterare del biondino, fosse un interlocutore più
interessante di me? Quel
maledetto ingrato! Mi sta davvero mettendo a disagio, forzandomi a
essere
gentile con gente che non se lo merita ed è una cosa che non
sopporto, mi
irrita tremendamente, eppure pare che la cosa non gli importi oppure
semplicemente non ci ha fatto caso, tonto com’è!!
Anzi, gliel’ho detto in tutti
i modi come stanno le cose, ma lui ha fatto le orecchie da mercante.
Per questo
lo sto odiando immensamente come mai prima.
Perciò non
avevo
previsto che mi incitasse, o forse avrei dovuto sospettarlo, che mi
spingesse
addirittura a incontrarlo nuovamente quel … coso. Ma come
poteva anche solo
pensarlo! Io incontrare un tizio raccapricciante come quello e che tra
l’altro
odiavo con tutta me stessa?! Di certo la questione aveva mandato a
marcire il
cervello di Kid, rincretinendolo fino a quel punto; aveva addirittura
preso
l’iniziativa, parlando con Titt e chiedendogli addirittura un
giorno di riposo
in mia vece. Mi aveva sentita. Avevo sfuriato dando sfogo a tutta la
rabbia che
avevo represso, facendo buon viso a cattivo gioco e, nonostante mi
fossi
lamentata anche con il mio capo per quella richiesta insensata, lui
aveva
acconsentito di buon grado dicendo che un giretto da quelle parti mi
avrebbe
fatto cambiare prospettiva, ampliando se pur di poco la mia
mentalità chiusa e
sospettosa. L’avevo guardato interdetto, ma come adesso ci si
metteva anche
lui? Perché tutti volevano spingermi a fare cose che non
erano nella mia natura
né nella mia disposizione d’animo? Per loro era
così facile dare fiducia a
degli sconosciuti che avevano incassato malmenate botte e randellate
dai nostri
vicini? Secondo loro se uno veniva pestato e salvato da qualcuno era
degno di
fiducia, ma a mio parere no. Erano solo degli stupidi arroganti
ficcanaso,
annoiati dalle loro vite monotone e sciatte. Non meritavano un briciolo
di
comprensione né aiuto, erano egoisti interessati solo al
loro tornaconto
personale che non sapevano aggiustare le loro faccende. Con il lavoro
perciò
ero a posto, anche se non per mia volontà, e mi era stato
concesso un permesso
speciale firmato da Tiberius, per assentarmi e assicurarmi un ingresso
legale nella
roccaforte del potere di Cardia. Posso solo rallegrarmi del fatto che
così non
aggiungerò un’altra violazione alla lista delle
leggi che ho infranto in questi
ultimi giorni. Eppure non immaginavo che per entrare al Centro, dove in
teoria
dovremmo aver diritto a presentarci liberamente, visto che la maggior
parte dei
servizi primari si trova lì, ci volessero tutte queste
scartoffie da presentare
all’ingresso principale; lo stesso da cui distribuiscono i
doni nelle occasioni
speciali. Cammino di malavoglia come un condannato che si avvia alla
ghigliottina con l’animo però di un rinoceronte
imbestialito. Ho rifiutato
persino la bicicletta gentilmente offerta da Chris affinché
tornassi il prima
possibile a lavoro, per rimandare al più tardi il dover
mettere piede nella
tana delle serpi. Come unico svago per non urlare di rabbia per tutto,
ho i
miei stessi pensieri, che per tutta la giornata di ieri mi avevano
portato a
chiedermi cosa avesse di speciale questo telefonino ultrasottile. La
pulce nell’orecchio
mi era stata messa dalla frase del noioso insetto: “ mi
troverei in grossi guai,
se lo perdessi”. All’una esatta di stamattina ho
scoperto l’oscuro mistero! Quest’aggeggio
ha un sacco di applicazioni impressionanti: fa calcoli, scatta foto, ha
una
memoria quasi infinita, riproduce musica, ti indica tutte le strade
possibili
ed immaginabili per raggiungere il posto che desideri e tanto altro
ancora! Wow,
mi piacerebbe avere un oggetto simile perché mi
faciliterebbe di molto le varie
mansioni che adesso mi tocca fare manualmente. Ma come ho fatto a
scoprire
tutte queste cose? Semplicissimo c’ho smanettato un
po’. In teoria non si dovrebbe fare,
perché è come
mettere le mani in una borsa non tua, violando la privacy di una
persona, tuttavia
non ce l’ho fatta, ero troppo curiosa! Poi quando mi
ricapiterà una cosa del
genere tra le mani?! Ok, senza contare il lavoro.
Nascondo il palmare
in una tasca interna della mia inseparabile borsa che ho
preventivamente
foderato con un camice ospedaliero, preso in prestito da un'altra
consegna, che
assorbe i raggi X nel caso controllassero i miei averi, dopo averlo
ammirato
ancora un pochino perché sono arrivata. Le imponenti porte
d’acciaio, mi danno
il loro freddo e statuario benvenuto, mettendomi sulla difensiva: non
sarà
facile entrare, perciò devo fare molta attenzione. Raggiungo
il gabbiotto, dove
è pigramente seduta una sentinella, che si affretta a
sedersi come si deve non
appena mi vede arrivare.
<<
Signorina
lei non può…>> intima attraverso
l’interfono, ma non lo lascio finire
perché non ho tempo da perdere e voglio sbrigarmela il prima
possibile.
<< Ho il
permesso per una consegna urgente!>> dico acida,
lasciando cadere i
documenti compilati e firmati nella cassetta metallica che ci separa.
La
guardia, tirandolo dalla sua parte, si affretta a sfogliare i
documenti,
manifestando l’intenzione di trovare una scusa qualsiasi per
mandarmi via,
purtroppo per lui, quelle pagine le ho controllato decine di volte e
sono
impeccabili. Nonostante ciò non sembra contento e, digitando
qualcosa sulla
tastiera che ha davanti e spegnendo l’interfono, inizia a
parlare da solo
dietro il vetro antiproiettile (evidenziato dal talloncino verde
fluorescente
con scritte a caratteri cubitali). Devo dire che non mi aspettavo certo
di
entrare in una gabbia di matti fissati con la sicurezza, di certo
questo
rafforza i miei pregiudizi. Dopo pochi minuti, l’uomo mi
lancia un’occhiataccia
chiedendomi il documento identificativo e di mostrargli la commissione
da
consegnare. Con un sorriso smagliante quanto finto, inserisco il mio
braccialetto elettronico identificativo, saldamente ancorato al polso
sinistro,
in una finestrella sotto il vetro antiproiettile da cui parte uno
scanner a
luci rosse che diventano smeralde una volta ricevute le informazioni
contenute
nel cip ed infine il mio nome, gruppo sanguigno, domicilio e lavoro,
vengono annunciati da una voce robotica. Ma
dico, le leggi sulla privacy sono andate a farsi benedire? Poi apro
più inviperita
che mai, la borsa per mostrare il pacchetto che in teoria dovrebbe
contenere il
palmare, ma per ovvi motivi non è questo l’oggetto
dichiarato nelle carte. Glielo
passo per i controlli, sperando che Zedd abbia incartato davvero una
vecchia
scheda madre per computer e non una schifezza raccolta in discarica
all’ultimo
minuto. Prego inoltre che Kid sia riuscito a inserirsi nel database
delle
richieste effettuate dai Centriani verso i Sobborghi, inserendoci la
nostra.
Per fortuna dalla faccia seccata del ragazzo deduco che non ci sono
stati
intoppi e infatti preme un pulsante verde nel riquadro alla sua destra,
aprendo
una porta nella parete di ferro. Ed io che mi aspettavo aprisse
l’intero
portone per lasciarmi passare, che maleducati. Comunque mi lascia
sospettoso un
visto di passaggio, restituendomi il pacco. Senza perdere un
millisecondo
raccolgo il tutto ficcandolo in borsa. Uffa, tanta fatica per compilare
quei
moduli e non me li hanno nemmeno restituiti. Pazienza, penso, saranno
più utili
a loro, io una volta a casa li avrei inceneriti all’istante.
Una volta
attraversata la porta incrocio un altro gabbiotto. No vi prego, altri
controlli
no, è assurdo!!!
Un'altra guardia
impettita
mi fa segno di avvicinarmi e rassegnata gli porgo il visto, ma non
basta vuole
vedere il braccialetto elettronico. Come se potessi diventare
un’altra persona
attraversando una stupida porta! Seccata, inserisco tutta la mano in
un’altra
identica finestrella con identiche luci rosse che diventano verdi ed il
mio
nome e tutto il resto compaiono nuovamente su un display.
Quando finalmente
mi lasciano andare, il mio umore è più nero di un
cielo tempestoso e ogni
traccia di buona intenzione è stata spazzata via nello
stesso istante in cui ho
varcato il confine. Ho una voglia matta di gettare il telefono nel
primo cassonetto
che mi capita a tiro e tornare diritto di filato a casa, ma
è indubbio che le
guardie si insospettirebbero, perciò continuo per la mia
strada stufa marcia
della situazione. Mi inoltro nel dedalo di vie sparendo alla vista,
prima che una delle due “sentinelle” si
offra
gentilmente per accompagnarmi.
Davanti a me si
apre Il Centro ed è davvero … spaventoso! Non so
di preciso cosa mi aspettassi,
sicuramente non quello che ho davanti agli occhi. Gli edifici nuovi ma
senza i
segni del tempo, né una crepa, né un colore
ingrigito per la polvere o lo smog;
i marciapiedi sono immacolati come le aiuole, di un verde stranamente
brillante
e lucido da sembrare finte; non una cartaccia o piccolo frammento di
sporcizia,
neanche la strada è segnata dal passaggio di macchine. Qui
sembra che tutto si
sia fermato al momento dell’inaugurazione. Ipocondrici!
È questa la parola che
mi saetta nella mente, fulminata dal panorama. Ho i brividi di terrore,
ma la
cosa che mi spaventa di più è che
l’aria non ha odore. Non sa di niente, è
innaturale! Di solito quando passeggi per le vie, dovresti sentire i
profumi
più disparati dovuti alle attività, alle piante e
a mille altre cose che
emettono essenze o odori non molto invitanti. Qui invece non si
percepisce la
benché minima fragranza, come se tutta l’aria
fosse risucchiata e purificata. Avanzo
sempre più smarrita, non sentire nessuna caratteristica del
posto non mi era
mai capitato e devo dire che è piuttosto brutto, oltretutto
c’è qualcosa che mi
disturba, come uno sciamare di sottofondo, lieve, persistente che
logora i
nervi. Vago con lo sguardo in cerca della sua fonte ma intorno non vedo
nulla
che ne possa essere l’origine, perciò cammino a
passo svelto mi sento inquieta
e spaesata, come se fossi approdata su un suolo alieno ed una creatura
bitorzoluta potesse saltarmi addosso da un momento all’altro.
Estraggo
nervosamente dalla tasca dei pantaloni il foglietto spiegazzato con
l’indirizzo
dell’istituto ed una mappa approssimativa del percorso che
seguo fedelmente
perché se mi perdessi qua dentro di certo impazzirei prima
di trovare l’uscita.
Credo di essere
vicino al cuore del Centro, perché finalmente incrocio delle
persone che, mi
guardano schifate, come se fossi uno scarafaggio trovato in cucina.
Beh!
Neanche loro mi piacciono con i loro vestiti inamidati e quasi tutti
uguali,
perciò proseguo senza dar peso ai loro sussurri e il loro
scansarmi come la
peste. Stranamente ho ritrovato l’irritazione e il mal umore
e con passo di
marcia raggiungo la destinazione: un enorme edificio bianco nuovo di
zecca come
gli altri, dalle ampie finestre a nastro e l’ingresso
rientrante. Finalmente
posso mollare l’aggeggio a quel tizio e tornare a casa;
questo posto mi ha già
stufato e per di più ha confermato le mie aspettative sulla
gente: sono tutti
arroganti e presuntuosi. Varco la soglia e sto per avvicinarmi al
bancone per
chiedere della persona interessata, quando qualcuno mi afferra
saldamente per
le spalle costringendomi a fare un mezzo giro su me stessa.
<< Dove
crede di andare?!>> esordisce una delle guardie apostate
all’entrata e
che non avevo minimamente notato. Ha una divisa a mezze maniche blu
scura a
doppio petto, con rifiniture di rosso cupo e porta dei guanti
coordinati,
mentre alla cintura sono appesi un manganello ed un teaser; il tutto
mette
soggezione tanto farfuglio solo di avere una consegna da fare e le
mostro il
lasciapassare. Purtroppo la guardia non né vuole sapere e
inizia a trascinarmi
verso le porte con malagrazia. Punto i piedi e con uno strattone libero
il
braccio.
<< Mi
lasci
andare! Le ho detto che ho una consegna, ho il lasciapassare non ci
vede?>> affermo stizzita.
<< Non
mi
interessa>> la guardia cerca di afferrarmi di nuovo, ma
non gliene do
modo. Devo trovare qualcosa che mi tolga d’impiccio.
<< Il
cliente mi ha espressamente chiesto di consegnarglielo di persona e qui
altrimenti avrei perso il posto>> mi giro e cerco
nuovamente di
guadagnare il bancone, altrimenti una volta sbattuta fuori non
avrò modo di
rientrarci perciò mi toccherà aspettare la fine
delle lezioni non sapendo
quanto ci vorrà e allora sì che
perderò il posto. Cerco di ricordarmi il nome
completo del tizio, ovviamente recuperato dal suo palmare e poi parlo.
<< Sto
cercando il signor Sunderset, Nagìl Sunderset! Ho una
consegna urgente, può
chiamarlo?>> dico con velocità impressionante
sapendo che la guardia mi raggiungerà
subito.
La receptionist o
quello che è mi guarda allibita non sapendo che fare, ma
sembra che non abbia
la minima voglia o non possa fare quanto le ho chiesto. La guardia
intanto mi
ha agguantata di nuovo e cerca invano di buttarmi fuori. Chiedo di
nuovo alla
receptionist di chiamare quella persona, ma lei si limita a fissarmi
con gli
occhi sbarrati. Ma cavolo è sorda?!?
Sono ancora
aggrappata al bancone con la guardia che cerca di scollarmi quando vedo
degli studenti,
con un’orribile divisa metallizzata, che si stanno
avvicinando: una ragazza
minuta bionda e un ragazzo alto con capelli corvini tagliati strani.
<<
Poteva
accompagnarmi!>> si lamentava la ragazza.
<<
Accontentati
di me>> dice il ragazzo fingendosi offeso
<< adesso devo tornare
indietro o non mi troverà. Ci vediamo
Chanel!>> e si ferma prima dei
tornelli di vetro guardando l’altra mentre li attraversa.
Non perdo tempo.
<< Ehi, tu biondina!>> grido per attirare
l’attenzione, tentando
nel frattempo di resistere alla guardia, e quando finalmente capisce
che ce
l’ho con lei, si blocca all’istante sgranando gli
occhi.
Ma certo la
conosco! La biondina, quella che era con il demente! Che fortuna, ma
devo
andarci cauta comunque.
<< Ehi!
Ciao, conosci Nagìl Sunderset? Ho una consegna urgente per
lui>> e le
faccio vedere il badge lasciapassare e una bolla per le consegne. Sono
fiduciosa, lei mi ha riconosciuto, lo so che l’ha fatto e
adesso potrà darmi
una mano.
Chanel dopo
essersi ricomposta si avvicina con aria arrogante.
<< Puoi
lasciare a me, glielo consegnerò al posto tuo>>
<<
È una
consegna della massima urgenza, non è
delegabile>> ribatto con il tono di
voce più calmo e formale che conosca. Ma la sua reazione fa
svanire le mie
speranze, infatti si rivolge con aria di superiorità alla
guardia << Non
dovrebbe essere qui! Come ha fatto a entrare?>>
<< Sono
spiacente signorina di averle recato disturbo,
rimedieremo subito>> e, serrando ancora di più
la presa, inizia a
trascinarmi verso l’uscita. Sono scioccata. Come?! le ho
salvato il culo e
nemmeno mi ringrazia? Lo sapevo, di questi tipi non ci si
può fidare, perché
una volta che ti hanno usato per i loro comodi si rivoltano contro di
te! Kid,
quanto ti sbagliavi, sono i peggiori che tu abbia mai incontrato.
Cerco di
liberarmi a colpi di reni e strattoni, per sfuggire alla morsa delle
mani della
guardia che rincarano la dose, affondando le unghie nella carne delle
braccia.
Non so che fare… Perché non mi sono fatta gli
affari miei?! Tra l’altro è
davvero necessario riportarglielo? Tanto ormai mi hanno fermata, il mio
dovere
l’ho fatto, arrivando addirittura varcare un limite per me
invalicabile.
Rinuncio a dibattermi come un’anguilla e come una criminale
aspetto che mi
sbattano fuori a calci nel sedere.
<<
Dovresti
consegnarmi il pacco da recapitare, così lo farò
avere al proprietario>>
cerca di convincermi la “signorina” con voce
altisonante. Mi volto di tre quarti e con il sorriso
più
falso del mondo dipinto sul volto, le faccio il dito medio.
<< Mi
dispiace consegna urgente ed esclusiva>> le sibilo
incavolata nera.
<<
Aspettate!>> urla qualcuno dal corridoio con voce di
comando.
Le guardie si
bloccano e tendono i muscoli, mentre una massa arruffata di capelli
argentei,
simili a un anemone, si precipita nella nostra direzione.
<< Lasciatela
andare!>>
<<
Signore,
non può uscire!>> strepita la segretaria da
dietro il bancone, ma viene
bellamente ignorata.
<<
Nagìl
che stai facendo?>> gli domanda Chanel, ottenendo come
risposta un
occhiataccia fulminante. Questo è decisamente inaspettato e
tutto sommato
piacevole. Quindi si tradiscono anche tra di loro? Ha ha ha ha, peggio
di
quanto immaginassi, anche se non dovrei parlare, visto che tra di noi
ci
pestiamo a sangue e non solo.
<<
Signore
è un Outsider. Non posso permettere che entri
nell’edificio, se la vedessero …
>> risponde seccata la guardia, senza però
mancare di rispetto al
signorino.
<< Ho
detto,
la lasci andare. La consegna è per me e mi assumo tutte le
responsabilità>> ribatte in tono severo
socchiudendo gli occhi
bicromatici.
<<
Signore,
ragioni>> ritenta nuovamente il vigilante.
<< Ha
sentito? O devo fare rapporto al suo superiore?>> lo
minaccia.
<< No,
Signore>> risponde l’interlocutore remissivo.
La presa sul mio
braccio si allenta e ne approfitto per scrollarmi le mani di dosso.
<<
Signorina
Adeline, registri nelle note che il signor Sunderset esce prima
quest’oggi>> sentenzia e senza lasciare che
nessuno lo contraddica, mi si
affianca poggiandomi una mano sulla schiena ed invitandomi a seguirlo.
Per il
momento lo lascio fare, sarebbe da stupidi mettersi a litigare con chi
ti ha
appena tolto dai guai. Comunque questo contatto non mi piace per nulla,
mi
mette a disagio, perciò cerco di tenere la schiena
leggermente scostata, quel
tanto che basta per permettere a un filo d’aria di dividerci.
Lui sembra non
farci caso, o non lo da a vedere. Mi urta la sua aria composta e la
parte del
bravo figlio di papà che sta recitando!
Mi scorta
attraverso le vie del centro come si farebbe con un prigioniero e per
non
sbottare, cerco di concentrarmi sulla strada e le stramberie che
incontriamo.
Finalmente
capisco il rumore di sottofondo che ho sentito quando sono arrivata.
Sulla
volta della cupola ci sono delle ventole che ruotano su loro stesse
senza
sosta. Chi sa a che serviranno e come funzionano. Se ci fosse Kid al
mio posto
ne rimarrebbe meravigliato, magari avrebbe tartassato chiunque con una
marea di
domande, anzi sono più che sicura che tartasserà
la sottoscritta non appena
rientrerò. La cosa però che mi sconvolge
è che qui nelle aiuole ci sono davvero
degli alberi! Dalle nostre parti sono quasi del tutto scomparsi, almeno
le
piante vive, perché di tronchi rinsecchiti e ancora in piedi
li si può trovare
facilmente. Lascio correre lo sguardo sulle piante e sul verde che non
ho mai
visto così rigogliosi, sembra il giardino
dell’Eden racchiuso in una serra.
Perché così mi appare quella gabbia che mi
sovrasta e nasconde il cielo terso
che conosco. Dopo un parco, il mio sguardo viene calamitato da una
fontana
esageratamente grande che gorgoglia riversando
il suo oro bianco in una vasca piena di carpe koi.
Cosa? Non riesco
a credere ai miei occhi, tanto che devo dare una seconda e
più approfondita
occhiata. Resto allibita, osservando l’acqua scorrere
allegramente dalla brocca
di un essere mezzo pesce e mezzo uomo e la rabbia inizia ad artigliarmi
le
viscere. Com’è possibile? Nei sobborghi moriamo
quasi di sete, mentre
aspettiamo dodici ore per appagarla, visto che non possiamo permetterci
neanche
il lusso di comprarla e questi idioti, babbei, e cialtroni la sprecano
per dei
pesci? Ma per chi ci hanno preso, per i beoti di turno?! Come possono
lontanamente pensare lui e i suoi simili di trattarci come bestie,
mentre loro
navigano nell’agio. L’ingiustizia delle nostre
diverse condizioni mi fa disprezzare
ancora di più questa gente, ma che dico? Non hanno il
diritto di chiamarsi
tali, sono mostri aguzzini. Sono accecata dalla rabbia e vorrei saltare
al
collo del Centriano che mi ha in custodia, ma le volanti dei funzionari
che
pattugliano le strade sgombere, mi fanno desistere, mentre
l’essere cerca di
nascondermi alla loro vista. Tsz! Ha una faccia di bronzo allucinante.
Gliela
vorrei spaccare a suon di pugni quando la osservo di profilo, e visto
che non
posso farlo, almeno per il momento, fantastico su come starebbero dei
bei
lividi violacei su quel colorito bronzeo.
Ero talmente
assorta nei miei pensieri da non rendermi conto che nel frattempo, il
mio
secondino, mi ha trascinata davanti ad un’abitazione enorme,
la cui posizione
topografica mi è sconosciuta. Anche se volessi andarmene
adesso, e la voglia è
irresistibile, non so proprio da che parte dovrei andare.
Perciò sono costretta
a restare al mio posto esaminando con disgusto crescente la facciata
immacolata. L’edificio che ho difronte, non ha nulla a che
vedere con i nostri
palazzoni decrepiti, oltre al fatto di essere enorme e nuovissimo. Ha
un
portico lindo e asettico, dipinto di un bianco marmoreo come il resto
delle
pareti. L’ingresso invece è incorniciato da due
colonne ritorte e il numero civico
ammicca dalla frescura ombrosa, invitando ad avvicinarsi alla porta
lucida e
laccata di nero. Senza nemmeno bussare il Centriano spalanca
l’uscio e, dandomi
una pacca tra le scapole, mi spinge oltre l’ingresso
facendomi inciampare nei
mie stessi piedi.
Sto per
disintegrarlo e dirgliene quattro, ma con la coda dell’occhio
vedo una figura
vestita di nero che ci fissa. Mi raddrizzo, inveendo sommessamente per
poi
scoccare un’occhiata di fuoco all’ennesimo essere
estraneo che incontro. È
sulla sessantina abbondante e i suoi occhi dalle iridi diverse mi
osservano
imperturbabili attraverso gli occhiali da vista. Sembra innocuo e dai
vestiti
che porta, stranamente scuri per gli standard di questi abitanti, non
so
attribuirgli un grado sociale, tuttavia non voglio abbassare la guardia
e
continuo a fissarlo di rimando come del resto lui fa con me.
<< Ed,
c’è
qualcuno in casa?>> chiede circospetto il signorotto.
<< No
signorino>> risponde l’uomo pacato.
È troppo sottomesso perché sia un suo
pari, rifletto osservando la postura dell’uomo, e la
questione della sua
posizione nella comunità mi tormenta. Pensavo che
lì si trattassero tutti come
pari e allora perché lui si rivolge al ragazzo,
più giovane di lui, con tono
quasi riverente? Chi è questo ragazzo, per cui tutti
assecondano il suo volere e
addirittura, i nonnetti, che dalle nostre parti sono rispettati come
saggi e
pilastri della collettività, devono rispettare gli ordini?
Incomincio a
odiare questo tizio ogni secondo che passa, e più vedo gli
aspetti della sua
vita e più lo detesto.
<< Bene,
per favore avvisami se rincasa qualcuno. Ho delle questioni urgenti da
sistemare>> gli dice inquieto e in tono sbrigativo,
cercando poi di
accompagnarmi verso le scale.
<< Non
mi
toccare >> sibilo a denti stretti e guardandolo di
sottecchi. Penso che
se solo mi sfiorasse di nuovo, potrebbe insudiciarmi con le sue buone
maniere
del cavolo. Sono solo una facciata, puah!
<< Come
preferisci>>
sentenzia alzando le mani per poi avviarsi lungo l’alta
scalinata di marmo al
centro dell’atrio.
<< Ehi!
Ehi,
non ci salgo lì!>> gli urlo dietro
innervosita, ma lui fa finta di non
sentire e continua ad avanzare macinando un gradino dopo
l’altro. Devo proprio
seguirlo? Non posso semplicemente mollargli la scatola e andarmene?!
Lancio un’occhiata
alle mie spalle, sperando che l’anziano signore se ne sia
andato, così che
possa lasciare il pacco con il cellulare sulle scale e raggiungere
l’uscita,
perché di questa gitarella ne ho fin sopra i capelli;
ahimè, l’uomo è ancora
fermo nella stessa posizione e continua a fissarmi imperterrito, se
tentassi di
scappare, mi fermerebbe o potrebbe chiamare addirittura la sicurezza.
Meglio
evitare e così addio sogni di gloria! Mi giro avvilita verso
l’omuncolo che mi
precede e seguo i suoi stessi passi, deviando a destra sulla scalinata
biforcuta, fino all’uscio di una camera dove lui mi sta
aspettando appoggiato
allo stipite della porta. È troppo tranquillo e la cosa mi
puzza di bruciato.
Che cosa sta
macchinando? Appena lo raggiungo, mi fa un cenno d’invito
prendendomi in giro
con un sorriso sghembo che gli arriccia l’angolo della bocca.
E adesso che
vuole?
Purtroppo non ho
vie di fuga, perciò sono costretta a entrare di malavoglia.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** Ho bisogno di una risposta ***
Capitolo
9
Mi
trovo molto probabilmente in
quella che deve essere camera sua. È troppo ordinata, per
essere la stanza di
un ragazzo, con il letto impeccabilmente rifatto e nessun vestito in
giro. Non
posso fare a meno di compararla a quella di Kid o J.J. che, a
confronto, sembrano
un accampamento di profughi con tutti gli oggetti sparsi a casaccio.
Questa decisamente
non ha oggetti o suppellettili inutili, è una noia da
guardare ma, proprio
perché non vi è nulla di superfluo, devo stare
attenta che il proprietario non
voglia fregarmi come la sua amichetta. Osservo il mobilio con sospetto
e decido
di controllare addirittura sotto il materasso e la scrivania, mentre
con un
occhio tengo sotto controllo quello pseudo-essere umano.
<< Che problemi hai? >>
mi domanda furioso una volta che, finito di ispezionare ogni centimetro
della
stanza, decido di passare al bagno attiguo. << Ma da
piccola non giocavi con le bambole? Oppure
ti divertivi a fare la spia?>> sbotta tirandomi per
un braccio per farmi uscire dal locale e sbattere violentemente la
porta.
<< Non mi sono mai piaciute le bambole, come le
principesse.
Fanno una brutta fine dopo il matrimonio con il principe, sempre se lo
sposano!>> rispondo divincolandomi e guardando la sua
mano come se
volessi morderla al pari di un cane rabbioso. Non gli ho mica detto che
non
doveva toccarmi?!
<< Infatti, guarda come sei
diventata! Che infanzia deviata…>> annuncia
sarcastico.
<< Cosa?! Ah ma bene sentite
chi parla, sua infanzia felice! Immagino che Lei l’abbia
vissuta meglio della
sottoscritta, mi corregga se sbaglio>> lo canzono in
cagnesco.
Proprio un essere come lui osa
giudicarmi?!
<< Non credo siano affari
tuoi>> ribatte secco, mentre s’irrigidisce in
tutto il corpo,
abbandonando la posizione rilassata.
<< Ma davvero?! Ascoltami
bene signorino dei miei stivali, non sono qui per perdere ancora tempo
con uno
come te e con cui, per giunta, non voglio nemmeno avere a che
fare!>>
sbraito, scaraventando sul suo letto, insieme alla finta consegna, il
palmare
che avevo nella borsa. << Ora siamo pari! Non ti devo
più nulla>>
<< Quindi l’avevi
tu?>> mi ferma adirato e stupefatto, adocchiando
l’aggeggio elettronico.
<< No! Ora firma questo
dannato foglio. Mi sono stufata!>> sbraito perdendo le
staffe per essere
passata per la ladra di turno, e sventolandogli la ricevuta sotto il
naso, che
è il mio unico lasciapassare legale per lasciare
quell’inferno.
<< No>> replica
secco.
<< Come prego?!>> riesco
a dire, vincendo la rabbia e lo sconcerto.
<< Ho detto di no>>
ripete calmissimo.
È troppo sicuro di sé; questo mi
fa pensare che aveva già in mente un piano quando ha deciso
di portarmi qui. Sono
stata raggirata, non posso crederci!!
<< Senti tu, chi ti credi
di essere?! >> mi infurio, adesso che sono consapevole
delle sue reali
intenzioni, ovvero tenermi lì; e non esito a prenderlo per
il bavero della
divisa inamidata, costringendolo ad indietreggiare fino allo stipite
dove fino
a poco prima se ne stava tranquillo e spavaldo. Mi sento usata e non ne
sono
per niente contenta! E se anche la sua risposta non dovesse piacermi,
gli
regalo un occhio nero come volevo fare da qualche tempo.
Sfortunatamente non
potrò punire tutti i Centriani, ma almeno questo che non
vuole saperne di
levarsi dai piedi, lo concio per le feste, perché ne ho
viste troppe oggi per
poterlo graziare.
<< Non credo proprio. Sono
uno importante da queste parti. Perciò se vuoi andartene in
sicurezza, dovrai
ascoltarmi di nuovo finché non avrò una tua
risposta; e fino ad allora
rimarremo qui a costo di impiegarci ore, chiaro?!
Altrimenti… prego. Di la c’è
la porta, ma ti assicuro che i Funzionari che incontrerai là
fuori, non ti
daranno un caloroso benvenuto come il sottoscritto. Anzi saranno
più che
contenti di darti un biglietto solo andata per le prigioni, se non ci
sarò io a
confermare la versione dei fatti. Perciò che vuoi fare? A te
la scelta.>>
predica, strattonando il polso che stringeva la stoffa attorno alla sua
gola e liberandosi
della presa.
<< Brutto figlio di
…>> le parole mi muoiono in gola soffocate
dallo sdegno nel sentire il
ricatto celato nel suo discorso, ed il naso mi si torce in una smorfia
di
ribrezzo. Mi ha incastrata, che bastardo!
<< Non puoi farlo!>> sibilo,
tentando di contrattaccare, sentendomi però come un leone in
gabbia. Adesso
davvero non ho nessun’altra scelta se non quella di rimanere
inchiodata lì. Mi
sono fatta infinocchiare da un damerino imbellettato, che imbecille
sono stata
e mi detesto perché in fondo dovevo aspettarmelo.
<< Oh, certo che
posso>> scandisce serio con un luccichio ferino negli
occhi.
Oggi è sicuramente troppo arrogante
rispetto all’incontro di qualche giorno fa. Sono tutti bravi
a fingersi
dispiaciuti e commuoversi davanti a dei bambini orfani ma, quando non
li hai
davanti agli occhi tutti i giorni, è fin troppo facile
cambiare opinione e
ignorare i fatti. Come si dice, lontano dagli occhi lontano dal cuore.
La
collera mi istiga fino all’inverosimile a restituirgli le
botte che non ha
ricevuto quel giorno nei Sobborghi, anche perché
un’altra persona, oltre a Kid,
è riuscita a mettermi con le spalle al muro. Questo non me
lo perdonerò mai,
soprattutto se si tratta di qualcuno della peggior feccia che ci sia e
che odio
di più al mondo. Purtroppo mentre, finalmente sto per
assecondare il mio stato
d’animo ed infatti ho già pronto un bel pugno da
assestargli sul suo bel
faccino, veniamo interrotti da Ed che si ferma appena fuori dalla
porta, e
attende inquieto il momento per parlare.
Dannazione! Faccio scivolare il
braccio piegato lungo il fianco. Davvero non mi farei problemi a
pestarlo
seduta stante, ma gli occhi del signore appena arrivato mi mettono
soggezione e
allo stesso tempo mi sono in qualche modo familiari.
<< Dimmi Ed>> interviene
il tipo, ma vedendo l’espressione corrucciata
dell’uomo che mi osserva, si
affretta a continuare << Non ti preoccupare non
è successo nulla, dimmi
pure>>.
<< Signore è rientrato il
segretario di suo padre. Adesso è nello studio del Padrone e
penso che a
momenti verrà a chiamarla>> spiega
l’uomo soppesandomi con lo sguardo.
“ Padrone?” penso sbigottita
dalle innumerevoli possibilità che ciò
può implicare. Sento appena l’imprecazione
del tipo che ancora mi stringe saldamente il polso, che subito vengo
strattonata e trascinata nella stanza lontano dalla porta. Il ragazzo
arraffa
precipitosamente il palmare e la scatola sulle coperte, e ci dirigiamo
a rotta
di collo attraverso l’ennesima porta di quella camera: si
tratta di un armadio,
almeno credo, ma è talmente largo e capiente che potrebbe
benissimo essere una
stanza a sé. Mi lascia andare solo quando è
sicuro di aver appoggiato le cose
sul tavolo lucido al centro dello spazio.
<< Non ti muovere, non
fiatare nemmeno finché non te lo dico io!>>
irrompe, ammonendomi. Sembra una
scena già vista, solo con le parti invertite e con uno
scenario differente. Tuttavia
non sono propensa a collaborare e sto per ribattere, così
lui mi interrompe
scavalcando le mie parole.
<< Casa mia, regole mie! Se
non vuoi essere scoperta, faresti meglio a seguire il
consiglio>>, poi mi
lascia nell’oscurità, spezzata appena dalle lame
di luce che filtrano dalle
ante a persiana. Mi ha chiusa dentro un armadio, neanche fossi un
amante!
Ancora più incavolata nera di
come sono entrata, mi avvento contro l’uscio cercando di
forzarlo ad aprirsi,
ma il tipo lo tiene sbarrato con forza. Ha fatto appena in tempo a
richiuderle
sotto un mio attacco, che un uomo più giovane e in tenuta
elegante rispetto a
Ed, entrare a forza nella stanza da letto senza nemmeno bussare,
cogliendo il
ragazzo con ancora le mani sui pomelli della porta. Posso ancora vedere
la sua
figura dietro ai battenti della mia prigione improvvisata.
<< Signor Sunderset, il
Governatore la vuole al telefono>> dichiara in tono
formale e
contrariato, come se quello fosse il compito più fastidioso
che gli potesse
capitare.
<< Arrivo subito, devo solo
sistemare una cosa>> risponde.
<< Signore, mi dispiace
contraddirla, ma suo padre ha detto immediatamente e non accetta una
dilazione
sulla tempestività della sua risposta>>.
<< Ed per favore potresti
continuare tu? >> chiede gentilmente rassegnato agli
eventi al nonnetto,
che con un inchino accetta l’incarico, e poi i due scompaiono
dalla vista
chiudendo la porta.
Prima che possa anche solo muovere
un muscolo, il signore di nome Ed spalanca le imposte
all’improvviso, lasciandomi
accecata per un attimo. Quando riprendo a vedere, lui si fa da parte
lasciandomi libero il passaggio, ma non mi sposto nemmeno di un
millimetro
reggendo il suo sguardo indagatore.
<< Salve signorina>>
esordisce allora l’uomo.
<< Salve, Ed>> replico
civilmente e con il rispetto che mi hanno insegnato a portare per le
persone
più vecchie di me, ma allo stesso tempo, chiamandolo per
nome, dichiaro che non
sono stata indifferente ai discorsi che sono avvenuti in mia presenza.
<< Ed è il diminutivo
affettuoso che mi ha dato il signorino, ma il mio nome completo sarebbe
Edward.
Mentre il suo è?>>
<< April>> rispondo
monotona. Inutile mentire e poi, dato che conosco il suo, è
una forma di
rispetto dire la verità.
<< Nome incantevole, tra
l’altro di una stagione altrettanto splendida, non
trova?>> sorride
appena e le rughe ai lati degli occhi, uno giallo e l’altro
marrone, si tendono
assottigliandone il profilo. Sembra pacifico, tipo qui vecchietti che
si
possono incontrare al parco e che danno da mangiare ai piccioni, solo
che da
noi i volatili poi finiscono arrosto di solito accalappiati dalle
stesse persone
che le nutrivano. Comunque non so che rispondergli e mi limito a
fissarlo
annuendo appena, non posso abbassare la guardia. Inoltre non so come
sia fatta
la primavera, purtroppo quando sono nata, le stagioni erano
già
irrimediabilmente cambiate e le mezze stagioni erano scomparse da
tempo, perciò
conosco solo il freddo intenso ed il caldo afoso. Credo che il
vecchietto
intuisca il motivo del mio silenzio, perché indaga
attentamente il mio viso.
Sembra non sappia se dirmi qualcosa o meno, tuttavia alla fine capitola.
<< Come se la passano i
Sobborghi?>> mi chiede a bruciapelo abbandonando
momentaneamente le
formalità.
Lo guardo allibita. Cosa potrebbe
importagliene del mondo la fuori se vive nell’agio? Poi
rimango sbigottita nel
momento in cui capisco finalmente cosa sott’intenda la
domanda.
<< Lei viene da lì?>>
sputo fuori dai denti ancora incredula ed il signore si limita a
sorridere
affabile. << Non tanto bene>> sono
costretta ad ammettere sotto
shock ed incapace di immaginarlo con due occhi dello stesso colore.
<< Non è cambiato molto
allora>> dice malinconico.
<< Perché … perché si
trova
qui?>> non posso fare a meno di chiedere, vinta dalla
curiosità, pensando
che anche lui sia stato vittima delle stelle nere.
Come ha fatto un mio simile ad
approdare nel Centro e addirittura restare alle dipendenze di gente
così …
spietata? Non posso capacitarmi.
<< Un po’ per sfortuna, ma
non tutte le persone sono così spietate come sembrano, e mi
ritengo fortunato
di lavorare tuttora per il signorino Nagìl e
famiglia>>.
<< Mi scusi, non volevo
essere invadente>> dico subito per rimediare alla mia
sfacciataggine.
<< Non c’è problema, ormai
fa parte del passato. Quindi non le dispiacerà se le faccio
qualche domanda,
vero?>>
Ormai ho completamente
abbandonato ogni atteggiamento ostile, anche volendo, non potrei adesso
che so
come stanno davvero le cose. Insomma è un mio “
simile” e non posso non
sentirmi in qualche modo coinvolta nelle sue vicende, perciò
lo seguo fuori
dall’armadio e chiacchieriamo scambiandoci impressioni e
descrizioni, anzi, per
lo più sono io che rispondo alle sue curiosità.
Dopo un po’ che conversiamo, gli
chiedo senza accorgermene che tipi siano i proprietari di casa, non
perché mi
importi davvero di loro, ma perché vorrei capire come mai
una persona così
affabile e intelligente come Ed, si trovi qui e possa sottostare alle
regole di
questi mostri.
<< Vuole sapere di tutti i membri
o uno in particolare?>> mi domanda scherzoso.
“ Conosci il tuo nemico” mi
ripeto, riuscendo così a rispondere che mi interessa tutta
la famiglia in
generale perché, se non sbaglio, sono a casa del Governatore
di Cardia, mica
cavoli lessi, perciò meglio accumulare più
informazioni possibili; potrebbero
rivelarsi utili più avanti.
<< Vediamo, il capofamiglia
è un uomo molto austero e devoto al suo lavoro, ma
è ben consapevole di quanta
gentilezza elargire ai suoi subordinati affinché lo
appoggino. Sa il suo
carattere rigido è dato dettato dalla carica di Governatore
che ricopre. La
signora è una donna molto raffinata, dai tratti esotici ed
è di buon cuore con
chi conquista la sua fiducia, ma sa essere terrificante se viene
contraddetta o
scopre di essere stata raggirata. Infine c’è il
signorino Nagìl. Lui è l’unico
erede e ha delle idee un po’ discordanti dal comune pensiero
ed adora i dolci
alle mele.>>
Non vedo come l’ultima
informazione possa importarmi, comunque non ribatto e cerco di
mantenere un’espressione
impassibile.
<< Perché mi sta dicendo
tutto questo, in fondo sono un’estranea>> mi
sorprendo a dire ad alta
voce, incuriosita dal mio interlocutore. Chiunque, credo, avrebbe detto
la
stessa cosa in una situazione simile, cerco di convincermi.
<< Perché se il signorino l’ha
portata fin qui, in un certo senso si fida di lei ed io non posso
essere da
meno. È un ragazzo giudizioso, nonostante sia un
po’ fuori dagli schemi ed ha
la mia piena fiducia, nonostante alle volte debba essere messo in
riga>>
decreta affettuosamente l’anziano. Sembra sia effettivamente
legato a questa
famiglia, anche se non riesco ancora ad immaginare il perché.
<< Sembra scettica, però mi
permetta di darle un consiglio che è libera di accettare o
meno. Il signorino
si sta impegnando molto per cambiare le cose, e non dubito che un
giorno sarà
un degno Governatore, perciò fossi in lei, cercherei di
aiutarlo, anche se non
le è simpatico perché, che lo voglia o meno lui
rappresenterà il nostro futuro,
o meglio il suo. Anche volendo parlare in termini opportunistici,
è meglio
averlo dalla sua parte che contro, non crede?>>.
Nelle sue parole colgo, però
oltre al consiglio, una sfumatura di avvertimento. È solo
una sensazione e
comunque mi dà da pensare. Adesso, riesco a riconoscere in
quella livera
impeccabile, i tratti smussati ed addomesticati di un vero Outsider.
Ha appena terminato il suo discorso
che il soggetto al centro delle chiacchiere entra stremato,
rischiudendo
nuovamente la porta e lasciandosi poi cadere sulla sedia, senza badare
a noi. È
trano vederlo così… umano, forse devo iniziare a
prendere sul serio le parole
del maggiordomo, tuttavia non posso ancora cedere. Ci sono troppe cose
in ballo
e da chiarire.
<< Jonah se né appena
andato>> sospira, senza rivolgersi a nessuno in
particolare.
<< Vuole del thè signorino?>>
<< Grazie mille Ed.
Porteresti portare per favore una tazza anche per la nostra
ospite?>> chiede
cortese ed il maggiordomo, dopo essersi inchinato, si avvia a compiere
la sua
mansione. Ancora non riesco a digerire il fatto che debba mostrare
tanto
servilismo per questo tipo, anche se mi dato ad intendere che lo fa
molto più
che volentieri.
<< Prego, vedo che ti sei
accomodata>> sentenzia Nagìl con sarcasmo. Mi
affretto ad alzarmi dal suo
letto, scuotendomi i vestiti come se mi fossi appena seduta su un
marciapiedi
polveroso e rischiassi di beccarmi la peste. Nonostante tutto non
riesco ancora
a trattarlo da persona con raziocinio, figuriamoci come figura di
stato. Futuro
governatore? Ma non scherziamo.
<< Scusa, non era con
cattiveria. Puoi sederti se vuoi… lascia stare. Torniamo al
nostro discorso.
Dove eravamo rimasti?>> mi chiede, sospirando.
<< Che volevo tirarti un
pugno.>>
ribatto seria, strappandogli un sorriso stanco. Ehi! Non volevo essere
mica
simpatica. Questo ragazzo è… strano. Ha diverse
sfaccettature e sfumature
nascoste, come una scheggia di vetro colpita dalla luce. Ma che cavolo?
Come
faccio a pensare a cose simili! Le parole di Ed hanno attecchito
più di quanto
dovessero. Toh! Se dovessi raccontarlo a Tiberius, almeno lui sarebbe
contento
di sapere che sto cambiando idea.
<<
Anche, ma se ti ho
portata qui c’è un motivo. Vorrei sentire la tua
risposta alla nostra
proposta>>.
<< Non
mi hai fatto nessuna
domanda, non diretta, perciò non devo rispondere proprio a
nulla. E soprattutto
‘ Nostro’? Chi altro sa di me e
Kid?>> sentenzio allarmata facendo un
passo avanti. Che qualcun altro della famiglia sappia del tunnel e
tutto quanto?
È troppo pericoloso, soprattutto dopo le descrizioni di
Edward. Potrei essere
in un mare di guai e non solo io, perciò ho fatto bene a non
deporre l’ascia di
guerra.
<< No
ehi, tranquilla. Io e
mio cugino Spike abbiamo iniziato a lavorare a questo piano e nessun
altro. Per
il momento non ha ancora una forma, ma ci serve il tuo aiuto per
definirlo. Se
dirai di sì, potremmo aiutare questa città e
soprattutto i Sobborghi.>>
Il maggiordomo
è ritornato,
spingendo un carrellino d’argento con due tazze ed una teiera
fumante. Bloccando
sul nascere il mio rifiuto.
<<
Grazie. Ed, per favore
rimani. Vorrei che sapessi anche tu di questa cosa e poi con te nei
paraggi
April sembra più a suo agio.>> e cede al
signore il suo posto sulla
sedia, per porgermi una tazza calda ed accomodarsi sul comodino con la
sua.
Annuso distratta
l’aroma che sale
in volute sinuose dalla ciotolina di porcellana, di sicuro il miscuglio
di
foglioline è molto più fine e costoso di quello
che abbiamo a casa, decreto cercando
di concentrarmi sulle proprietà olfattive, tuttavia non
riesco ad apprezzarne
la qualità. Ho troppi pensieri per la testa, osservando
queste strane dinamiche
sociali che mi si parano difronte: un “nobile” che
tratta come suo pari un
maggiordomo adottato dai Sobborghi. Il mondo sta andando alla rovescia
o ho la
botta in testa mi ha rincretinita? Che devo fare? Sono certa di odiare
questa
gentaglia, ma dovrei concedergli di spiegarsi o no? Tiberius di sicuro
mi
direbbe di provarci, Kid pure, mia zia non so e di dirglielo non se ne
parla
nemmeno, mi chiuderebbe in casa per i prossimi mille anni, mentre i mie
genitori...
E comunque,
visto che mi offrono una
possibilità per migliorare il mio mondo, non dovrei mettere
da parte il mio
orgoglio e il mio egoismo a favore di un bene collettivo? Se
rifiutassi, potrei
tornare alla vita di sempre e tenere le persone a cui tengo al sicuro (
anche
se credo che Kid non me lo permetterebbe mai), ma se davvero potessimo
fare la
differenza… e poi non ero io quella che si lamentava
dell’arrendevolezza con
cui la mia gente accetta le leggi?
Gli occhi bicromatici
e
artificiali del signor Edward, mi soppesano significativamente.
“ Lui, chi sa che
direbbe se potesse fare una scelta” mi ritrovo a esaminare,
ma infondo la
risposta la conosco già. Non dovrei fare qualcosa anche per
lui e per tutti
quelli nella sua stessa condizione? Mi sento come se le sorti
dell’intera
umanità dipendessero da me, però io non ho grandi
poteri da cui attingere aiuto.
Dannazione!
<< Devo
conoscere prima
questo Spike e accertarmi che sia un tipo affidabile, poi vi
dirò quel che
penso>> cerco di prendere tempo per trovare una
risoluzione al tumulto di
sentimenti che si agita nel petto. Tanto anche volendo rispondere di
no, non mi
lasceranno andare così facilmente con una risposta negativa.
Vedo il rampollo
trasalire e
quasi strozzarsi con il liquido brunastro, alla parola
“affidabile”, ma non
commenta e si limita a dire che è giusto, afferrando una
cornetta e componendo riluttante
un numero.
<<
Spike, sono io. Devi
venire immediatamente, ho bisogno di una mano per il discorso di
chiusura. Lo
so ma è urgente! No. Sta zitto e muovi il
culo>> scandisce guardandomi e poi
riattacca. << Arriverà tra poco. Intanto hai
delle domande o non so
qualcosa che vuoi dirmi?>>.
Mi coglie di sorpresa,
mentre
studio i biscottini posati sul carrello. Ci penso su, alla fine ho
un’unica
domanda.
<<
Perché io?>>
<<
Come?>> sembra
stupito.
<< Tra
tanti perché
io?>> ripeto stizzita.
<< A
dire la verità non c’è
un motivo preciso. Sei sta la prima ad aiutarci e poi credo anche per
quello
che avete costruito nel rifugio>> espone alla fine dopo
averci pensato un
po’ su.
<<
Comunque non è stata una
mia idea aiutarti, dovresti ringraziare Kid. E visto che sei stato
sincero,
volevo esserlo anch’io>> gli dico, pur sapendo
che le mie parole sono
un’arma a doppio taglio: volevo essere sincera, ma gli ho
fatto capire anche
che non mi fido ancora abbastanza di loro da prestagli il mio aiuto.
Vedo con
la coda dell’occhio il maggiordomo sorridere
impercettibilmente dietro i suoi
baffetti ben curati. Se non altro credo di essergli almeno un
po’ simpatica.
<< Ah
… comunque credo di
doverti ringraziare almeno per il fatto di avermi ascoltato. E mi
dispiace
ancora per quelli>> dice indicando con il mento i punti
che ho coperto
alla meglio con la frangetta. Involontariamente le sopracciglia mi
schizzano
verso l’alto, incredule.
Ma a che gioco sta
giocando? Non posso fare a meno di pensare che abbia
qualche problema di comprendonio oppure è scemo. Non gli
rispondo e torno
silenziosamente a studiare il liquido che fluttua nella tazzina. Non
credo che
lo berrò.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** Accetto. ***
Capitolo 10
Minuti
interminabili, trascorrono
nel più totale silenzio da quando Ed ci ha lasciato per
andare ad accogliere
Spike; attimi che ho provato a colmare studiando la mia ospite forzata.
Certo,
l’avevo osservata nei nostri ultimi incontri, ma ho
l’impressione che una
ragazza simile … cocciuta e lunatica, possa nascondere
più lati di sé a cui
essere preparati. Eppure è buffo vederla così
docile e silenziosa nella mia
camera, tanto che potrei trovarlo strabiliante! Come vedere una
tartaruga di
terra che nuota come un delfino. Eppure mi trovo a pensare a come
mutano gli
atteggiamenti non appena cambia il campo di battaglia. Questo non fa
che
rendermi teso ed elettrizzato come mai prima, perché
finalmente la mia
posizione si rivela favorevole per un progetto personale e non
è solamente un
peso o un’etichetta che mi porto dietro. Tuttavia ho appena
sperimentato il
rovescio della medaglia su April, perché non sempre
forzarla, usando guarda
caso il mio status, è un bene. L’ho visto fare al
suo amico e per lui non si è
messo tanto maglio, nemmeno considerando da quanto tempo si conoscevano
(
grazie a quel poco che sono riuscito a scoprire dalla nostra breve
conversazione) , per cui dovevo ponderare bene le mie mosse o, come era
successo nei sobborghi, potrei vedermela brutta. Adesso capisco come
mai la
chiamino Wild, soprannome azzeccato per il carattere, ma non per
l’apparenza.
Di statura è nella media, sono comuni anche il colore
castano scuro dei
capelli, e le iridi di un caldo marrone. Ha la chioma abbastanza liscia
da
arrivarle ad accarezzare il collo, ma spettinata, e che le incornicia
il viso
armonioso che risulterebbe gradevole se non fosse tanto corrucciato e
sospettoso.
Inoltre il suo sguardo vigile mi preoccupa tanto che ho davvero paura
per
l’impressione che avrà di mio cugino, oltre a
quello che lui potrà combinare
poiché, anche se tutto di questa alleanza si basa su
fondamenta precarie e
instabili, il suo aiuto è indispensabilmente necessario.
Pertanto sono
costretto a mettere da parte il mio orgoglio ferito dalle offese e
cercare di
trovare un punto debole nella sua corazza per instaurare un minimo
d’intesa, altrimenti
c’è il rischio di perdere
quest’opportunità. Purtroppo, conoscere Spike
nelle
prime fasi di allacciamento dei rapporti, è decisamente una
mossa azzardata e
non so fino a che punto favorevole alla causa.
Perciò, per cercare di ben
disporla a questo incontro, provo a fare un po’ di
conversazione, ma anche se
ci metto tutto l’impegno, non riesco a fare breccia nei suoi
pensieri né a
distoglierla dall’osservare il tè che fluttua
nella chicchera sul vassoio o dal
sondare con lo sguardo ogni angolo della camera. Credo che
continuerà a
osservare la tazza finché non si sarà raffreddato
il contenuto e penso che
nemmeno in quel caso lo berrebbe. Pensa che l’abbia
avvelenato? Oppure che
l’abbia drogato per poterla rapire o chi sa che altro? Forse
non le importa
nemmeno che l’abbia bevuto anch’io, nonostante
sappia che non è una prova
sufficiente per scagionarmi. Sospiro
rassegnato, pensando a cosa darei per conoscere ciò che
pensa! Almeno saprei
che contromosse preparare per conquistare la sua fiducia, ma sembra che
la sola
persona capace di strapparle qualche parolina, addirittura intere
frasi, sia
Ed. Li ho sentiti dal corridoio mentre chiacchieravano tranquillamente
come se
fossero amici da sempre e ammetto di essermi sentito fuori posto nel
rientrare,
mettendo fine alla loro conversazione. Devo confessare che sono
abbastanza
curioso di cosa si stavano raccontando, visto che ho colto solo alcuni
sprazzi
delle notizie che si confidavano, per lo più riguardanti i
Sobborghi, ma non mi
sembra il caso di chiedere i dettagli, finirei solo per addossarmi
ancora più
antipatie.
Comunque visti insieme davano
l’impressione di avere molte più cose in comune di
quanto avessero potuto
scoprirne l’uno dall’altro in soli dieci minuti e
poco più di discorsi. Davvero
non so spiegarmi il perché e, solo adesso che ci rifletto,
non ho mai chiesto a
Ed di parlarmi di sé, anche se credo che la sua natura
riservata schiverebbe le
mie domande con semplici frasi che potrebbero dire tutto e niente.
Volendo insistere
poi, finirei per farmelo raccontare con la forza, ma non ho il cuore di
fargli
una cosa simile, soprattutto non dopo quello che ha fatto per me.
Così ho lasciato
correre le mie indagini. Sarà più utile se almeno
uno all’interno di queste
mura riesce a garantirsi la sua stima, anche se spero di non dover
coinvolgere
Edward.
Malgrado il disagio nel trovarci
in due sotto lo stesso tetto, provo ancora ad articolare qualche frase
e quando
l’ennesimo tentativo finisce senza risposta, ci rinuncio,
preferendo osservare
assorto il muro difronte, bianco e immacolato. In questo momento mi
viene una
voglia pazzesca di scaraventarvi un barattolo di vernice nera e vedere
l’effetto che farebbe imbrattato pur di non dover sopportare
oltre questo macigno
di silenzio. Lo immagino cosparso di spirali e chiazze nere, che si
intersecano
e si allontanano come pianeti lungo la loro orbita. Certo che lo stress
è
proprio un nemico infido, ti fiacca finché non inizi a dar i
numeri. Non che
sia la prima volta che sperimento l’elettrizzante tensione
negativa, anzi credo
che potrei eleggerla la mia droga personale, visto che i suoi effetti
non mi
abbandonano mai, come una crisi d’astinenza. Nonostante sia
assorto nei mie
sogni ad occhi aperti dettati dalla frustrazione visto che le cose non
vadano
nel verso in cui dovrebbero, sono comunque cosciente di quello che
avviene
nella stanza, percepisco l’insistente sguardo della ragazza
snocciolare ogni
centimetro del sottoscritto per poi dedicarsi a comparare il mobilio
con quello
che avrà concluso dalla sua analisi ed ottenere
un’ipotesi sul mio carattere.
È insopportabile. Odio quando le
persone mi fissano e dalle loro congetture pretendano di conoscermi,
quando
nemmeno mi hanno rivolto mai la parola. Perciò le indirizzo
uno sguardo tanto
glaciale e ostile, da farle alzare un sopracciglio per lo sconcerto.
Sono
caduto di nuovo in vecchi vizzi, ancora la paranoia, e che diamine!
Pensavo di
averla superata ormai. Mi volto nuovamente in direzione del muro e, con
gli
occhi socchiusi stavolta, attendo che la porta si riapra nuovamente. Alla fine esulto
mentalmente alla vista di Ed
rientrare, dissipando in un lampo tutti i miei pensieri.
<< Il tè non era di suo
gradimento?>> chiede alla ragazza osservando la bevanda
intonsa, dopo
aver percepito l’atmosfera pesante nella stanza.
<< Non mi va>>
risponde lei laconica e con vago imbarazzo.
<< Un vero peccato, perché
andrà sprecato allora>> sentenzia il nostro
buon Ed allungandosi per
riprendere possesso del carrello delle vivande, tuttavia prima che
l’oggetto si
muova di un millimetro, la ragazza si è già
riappropriata della tazza per berne
fino all’ultima goccia senza riprendere fiato.
Ma come ci è riuscito?! Non
appena l’avrò riaccompagnata, dovrò
farmi assolutamente dire come sia riuscito
a farsi ascoltare, perché sembra che io non riesca proprio a
rompere la sua barriera
di ostilità e mutismo.
Un’altra cosa che non riesco a
fare e scorgere in tempo e bloccare il nuovo arrivato.
<< Ma che tipetto che
abbiamo qui. Nagìl mi aveva accennato qualcosina, ma vederti
dal vivo è molto
più che una piacevole sorpresa.>> fa il suo
ingresso mio cugino.
Sussulto a quel pessimo tentativo
di approccio, anch’io se fossi stato una ragazza
l’avrei additato come un
maniaco seriale, il che è tutto dire. Forse sono di parte e
non dovrei far
testo; ad ogni modo l’espressione truce dell’ospite
mette in agitazione tutti i
miei campanelli d’allarme. Spike sta entrando in un campo
minato senza
minimamente curarsi dei segnali d’avvertimento che la stessa
ragazza gli stava
lanciando. Come ho avuto modo di costatare non le piacciono i
complimenti,
benché meno fatti con l’intento di attaccare
bottone. Forse è meglio
intervenire.
<< April, ti presento
Spike. Cugino, questa è April. Lei ha chiesto di vederti per
decidere il da
farsi.>> Butto lì, sperando lui colga al volo
le implicazioni connesse
all’ultima frase ed eviti di combinare un disastro prima
ancora di presentarsi
come si deve.
<< Gli hai parlato di
me?!>> dichiarano all’unisono voltandosi
entrambi nella mia direzione.
Solo che uno è stupidamente entusiasta che gli sia venuto in
contro e aver
messo una buona parola in suo favore, l’altra invece mi
inchioda con evidente
fastidio per non essere stata interpellata. Voglio sparire. Odio le
seccature e
nel complesso la faccenda si sta rivelando più complicata
del previsto, ma
ormai la frittata è fatta e non posso lasciare le cose
così. C’è un alto
rischio che se li lasciassi da soli, April faccia fuori il Farfallone e
finisca
in prigione spifferando tutto quello che sa ai Funzionari; a quel punto
mi
ritroverò a dover affrontare problemi ben più
gravi.
<< Ho dovuto.>>
rispondo rassegnato ed in tono piatto a entrambi, anche se la mia
patetica
risposta, simile ad una scusa, sia rivolta più a lei che a
lui.
<< Ehi Nagìl, cos’è
questa
storia! Ti avevo detto che era proprio il mio tipo e di presentarmela
come si
deve. Descrivendo soprattutto quanto sia fantastico e insuperabilmente
il
migliore sulla piazza.>> brontola lui risentito, imitando
i toni
lamentosi di Chanel. È irritante oltre ogni dire quando
ricade sempre nei
soliti stupidi e infausti atteggiamenti.
Gli lancio un’occhiataccia tra
l’irritato e l’esterrefatto per trasmettergli il
mio disappunto, oltre al
chiarissimo messaggio: “ Non mi pare di avertelo mai
promesso”.
Non ho mai capito l’essere che mi
trovo di fronte e sul come lui cerchi di rapportarsi alle persone,
rispetto il
suo lato risoluto e serio, ma lo sopprimerei appena mette in piedi
certi
atteggiamenti da Don Giovanni incallito. Ciò nonostante
vengo snobbato in un
nano secondo e Spike si rivolge nuovamente alla ragazza.
<< Allora dimmi April, ora
che mi hai incontrato di persona ci darai una mano, visto che sono il
meglio
che quel disastro di cugino poteva aspettarsi? Se dici di
sì, sarò più che
felice di concederti un appuntamento speciale. Solo tu ed
io.>> ammicca,
cercando di farla cadere ai suoi piedi con la sua miglior espressione
seducente. Sono in imbarazzo per lui. Si rende conto delle boiate che
spara? È
inutile che me lo chieda, di certo la risposta è no. Allo
stesso tempo sono
curioso di sapere che reazione avrà a riguardo la mia ospite.
<< Spike scherza sempre per
rompere il ghiaccio.>> minimizzo, cercando di arginare il
disgusto che
affiora sul viso di lei per colpa delle sue parole.
La ragazza inizia a starmi
simpatica. Non ha ancora raggiunto i livelli di Chanel, ma ha
guadagnato
abbastanza punti.
<< Ma quale scherzo, dico
sul serio! Che ne dici splendida, usciremo per sancire il nostro
accordo?>> sentenzia gongolante afferrandole una mano con
fare svenevole.
Con questo posso definitivamente
vedere infranti gli sforzi fatti. Addio sogni di gloria! Il treno delle
opportunità è saltato in aria con
l’ultimo brandello di credibilità di Spike,
perciò non mi sorprendo molto quando la stessa ragazza gli
allontana la mano
con un sonoro schiaffo.
Perché quel decerebrato non
ascolta mai quando gli do qualche avvertimento, anche se velato?
<< NON MI PIACI. Né tu, né
tantomeno il lenzuolo lì dietro. Sapete dove potete
infilarvi la vostra
proposta e arrangiatevi tra di voi.>> sbotta furibonda,
mentre imbocca
come una collera la porta sotto lo sguardo severo di Ed rivolto alla
controparte maschile, soprattutto verso di me, che non sono stato
capace di
prevedere e prevenire la situazione.
<< Fossi in te, non
oltrepasserei la soglia con tanta leggerezza. Ammesso che tu sappia a
quali
rischi vai in contro.>> prende la parola Spike facendo
piombare un
silenzio tombale sui presenti, << Ho mille modi per
poterti incastrare,
se servono le maniere forti per convincerti.>>
<< Mi stai minacciando?>>
replica Wild, girandosi lentamente con uno sguardo truce.
Come siamo finiti alle minacce? Devo
essermi perso qualche passaggio.
<< Forse. Oppure ti sto
dimostrando che facciamo sul serio, dipende dai punti di vista. Ad ogni
modo la
scelta è tua: se rischiare stando dalla nostra parte, oppure
correre il rischio
di stare contro di noi. Se scegli di darci una mano ricaviamo tutti un
vantaggio, mentre se prendi la strada opposta, e non ti denunciamo,
possiamo
sempre ridurti al silenzio. Sai, non vogliamo intoppi nel piano e
possiamo trovare
un'altra persona; magari il tuo amico potrebbe essere una valida
alternativa, visto
che sembra molto più collaborativo. Altrimenti si potrebbe
screditarti davanti
ai suoi occhi per non aver accolto un’opportunità
che avrebbe aiutato molti dei
vostri. Cosa penserà a quel punto di te?>>. Continua implacabile
adottando un
atteggiamento troppo calmo e calcolato per i suoi standard. Mi si
ghiaccia il
sangue nelle vene vedendo la ragazza trasalire nel sentirsi sbattere in
faccia
un’eventualità così violenta.
Ho intuito solo la relazione che
c’è tra lei e quel Kid, e credo che anche Spike se
ne sia reso conto dai miei rapporti,
ma usarla in questa circostanza mi sembra assurdo. Come gli
è venuto in mente
di usare un ultimatum! È impazzito e vuole bruciarci ogni
possibilità. Non
riesco nemmeno a immaginare le idee omicide che stanno frullando dietro
a
quelle sopracciglia aggrottate e quegli occhi duri e incendiari come
pietre
focaie della ragazza, rimasta di sasso difronte a me.
Ho il fondato sospetto che voglia
appenderlo al muro, come avrebbe fatto con me, ma prima che la
situazione
precipiti, devo salvare il salvabile o per lo meno far ragionare la
mente
contorta che ci ha fatto arrivare a questo punto.
<< Spike, non erano questi
i piani! Ti ho chiamato perché conoscendoti potesse darci
fiducia, non che la
istigassi a odiarci!>> dico tirandolo per la maglietta
perché rinsavisca.
Eppure per tutta risposta scrolla con nonchalance il mio pugno dalla
sua divisa
e riprende come se nulla fosse successo.
<< Speravo facessi tu un
discorso simile.>> mi rinfaccia, con una voce tagliente.
<< Non l’ho fatto perché
non era questo che volevo. Che senso ha quello che facciamo se poi non
ci
comportiamo diversamente da come abbiamo fatto fin ora, ovvero
imponendo di
farci ascoltare? Nessuno ci darà fiducia se agiamo come i
Funzionari. Non
andremo da nessuna parte!>> sbotto e non mi sfugge il suo
sorrisetto
compiaciuto.
<< Adesso conosce il tuo
vero modo di vedere le cose e così forse sono anche
più chiare le nostre
intenzioni.>> ribatte a fil di voce, per indirizzare
quelle parole solo a
me.
<< Avevi già un piano non è
così?! Anche questa volta.>> sibilo irritato.
Anch’io sono stato messo alle
strette da una persona a me vicina, e non mi piace per niente. Ora
penso di
capire un po’ il punto di vista di April; è la
stessa cosa che le ha fatto Kid
quando siamo apparsi noi. Sebbene non sia la prima volta che capita,
non riesco
ad allontanare quel senso di tradimento e sfruttamento che provo.
<< Allora cosa rispondi a
questo? Non è forse la stessa cosa che speri in fondo anche
tu? Non ti sei mai
arrabbiata vedendo che nessuno batteva ciglio difronte agli eventi che
non
andavano?>>.
Mi giro appena per vedere la sua reazione
e non mi sfugge il velo di rabbia e assenso che guizza per un attimo
nelle sue
iridi scure. << Perciò sai bene che non si
possono cambiare le cose se la
gente non inizia a pensare diversamente. Ora da che parte stai: da
quella di
chi si nasconde dietro un muro di lamentele e rassegnazione o deciderai
di
iniziare a cambiare e coinvolgere quelli che ti sono vicini?
È solo così che si
può sperare in un futuro migliore, il nostro
futuro.>> sentenzia la
persona che ho davanti e che ancora una volta non so chi sia, se un
calcolatore
sadico o il mio stupido parente con la fissa per le donne.
Osservo preoccupato la ragazza
non sapendo bene cosa aspettarmi dalla conversazione, che sembra
più un’accusa
che un discorso di persuasione. Per questo mi aspetto una faccia
trucemente
contenuta o l’odio fatto persona che sarebbe più
adatto ad un tipo come lei.
Ebbene, non trovo nulla di tutto ciò, solo
un’espressione indecifrabile e
statuaria con lo sguardo perso nel vuoto oltre le nostre spalle.
“ Che le prende?” mi trovo a
pensare. È una situazione piuttosto strana e seriamente
vorrei essere nella sua
testa per carpirne i pensieri.
Lei resta trincerata nel suo
mutismo, meditando sulle parole e spero anche a una risposta. Quando
questa non
arriva, cerco di rompere il silenzio con una proposta rischiosa per
entrambe le
parti. << Sta di fatto che non è solo a
vantaggio nostro, ci sarebbero
dei rifornimenti che potremmo passarti sottobanco, tipo medicine,
viveri,
prodotti che non arrivano ai sobborghi e tutto quello che ti servirebbe
per
aiutare e convincere più persone possibili. >>
faccio una pausa per
sondare l’effetto che la mia proposta potrebbe aver suscitato
e vedendo ancora
dei moti di combattimento tra i suoi pensieri arricchisco la proposta.
<<
Siamo disposti a venirti incontro per qualsiasi cosa sia in nostro
potere,
basta che tu lo chieda se accetterai.>>
<< Ehi, non stai
promettendo troppo?>>
<< Taci, mi sembra il
minimo anche come scuse per quello che le hai detto.>> lo
rimbecco
sottovoce, ma per tutta risposta lo vedo ridere sotto i baffi.
<< Degno di te Signor
gentiluomo.>> esordisce tra un riso e l’altro,
tuttavia non stacco lo
sguardo dall’ospite sostenendo il peso dei suoi ardenti e
diffidenti occhi
marroni. Pochi istanti dopo la vedo scambiare un’occhiata
scettica verso Ed che
le sorride come sempre. Ancora una volta la curiosità di
sapere della loro
conversazione mi brucia come un fuoco vivo. Infine sospira rilasciando
la
tensione delle spalle, anche se non completamente.
<< D’accordo, ma a un paio
di condizioni! Uno, nei sobborghi si fa come dico io. Due,
l’intera faccenda
deve rimanere tra i presenti in questa stanza più Kid,
nessuno in più;
specialmente la vostra amichetta ossigenata.>>
<< HAHAHAHA.>> la
risata sonora ci colpisce all’improvviso come
l’esplosione di un tuono.
<< Perdonatemi ma a Chanel non pensavo di dirle nemmeno
il mio nome di
battesimo. Potrebbe spifferare tutto anche al suo gatto, non so se ho
reso
l’idea.>> ribatte Spike.
<< Andata! Hai la mia
parola.>> mi rianimo porgendole la mano e aspettando che
lei ricambi il
gesto.
Solleva un sopracciglio
sconcertata incrociando le braccia al petto. << Mi serve
un po’ più della
tua parola. Non mi fido di voi.>>
Esasperato, penso a cos altro
possa convincerla a darci un briciolo di stima, poi l’idea mi
fulmina. Corro
alla scrivania e arraffo dall’ultimo cassetto un palmare
vecchio modello e dopo
averlo avviato e messo fuori uso tutte le password di accesso e
credenziali,
glielo mostro.
<< Questa è la cosa più
preziosa che abbiamo al centro. I palmari sono un po’ come
quei braccialetti
che avete al polso. Solo che da noi contengono molte più
informazioni.>>
e senza aspettare una replica glielo infilo tra le braccia e il petto.
<< In pratica mi state
dando un altro aggeggio per controllarmi?!>> mi accusa,
scurendo lo
sguardo. Adesso la sua aura minacciosa è tangibile.
<< No, ti assicuro che non
è così.>> provo a persuaderla, ma
sembra che ascolti solo quello che
vuole. Come posso rimediare?
Al che, interviene Ed con mio
enorme sollievo. << Veramente è come ha detto
il Signorino, persino noi
della servitù abbiamo il nostro palmare. E la pena per lo
smarrimento è
piuttosto severa, perciò gli creda quando dice che
è la cosa più importante che
possa darle insieme alla sua parola. Posso garantire per
lui.>> le
confida, mostrando il suo dispositivo e finalmente vedo quasi tutte le
sue
barriere arrendersi all’evidenza. April infila con cattiveria
l’apparecchio
nella tasca dove teneva il mio palmare, poi afferra quasi disgustata la
mia
mano per stritolarla.
Certo che per essere una mezza
nana, ne ha di forza. Ricambio soddisfatto e la trattengo ancora
qualche
istante.
<< Tienilo spento finché
non passi dall’altra parte e poi fallo aggiustare dal tuo
amico. Usate solo il
numero con l’asterisco nel nome, lui capirà
perché e cancellate qualsiasi altro
contato o linea esterna. Se non lo fai, ci beccheranno in meno di due
minuti.>>
la lascio andare.
La vedo assentire
impercettibilmente con il capo e so di aver fatto breccia nella sua
circospezione.
<< Perfetto! Che ne dite di
festeggiare? Abbiamo segnato il primo passo verso una svolta storica!
… O forse
può anche aspettare.>> aggiunge vedendo lo
sguardo glaciale della
ragazza. Probabilmente
è un po’ presto
per essere anche compagni di bevute, anche se posso scommettere che
sembra il
tipo di persona a cui non dispiacciono gli alcolici, ameno che anche
questo
preconcetto non sia un'altra impressione inculcata dalla visione
distorta che
ci hanno rifilato.
<< La accompagno a casa.
Intanto tu prepara qualcosa.>> non lo dico solo per
tenere buono mio
cugino, ma anche perché non mi dispiace l’idea di
rilassarmi con qualche birra
e abbandonare l’ansia fuori dalla porta per qualche ora. In
più, una bella
notizia va sempre festeggiata! Ci sono così poche di
occasioni per farlo e di
certo le feste organizzate a casa non sono proprio il massimo del
divertimento
e del relax, con gli abiti formali e le etichette da rispettare.
<< Alla prossima signorina April.>>
la saluta Edward con simpatia e lei ricambia con quella che mi sembra
più
cordialità di quanta possa immaginare si nasconda dietro a
quell’aria
selvaggia. Ad ogni modo non lascio che la mia soddisfazione venga
intaccata da
certi pensieri. è la prima cosa che va per il verso giusto
da quando abbiamo
iniziato.
<< Aggiungerei un altro
punto all’accordo.>> dichiara schietta quando
imbocchiamo il viale.
<< E quale sarebbe>>
chiedo con un sorriso forzato e ansioso. È da un
po’ che vedo i suoi sguardi
assorti nel circondario, come se stia cercando qualcosa e
più di una volta l’ho
sorpresa a fissare un punto. Non riuscendo a trovare
l’ogge3tto di tante
ricerche, non vi ho dato peso pensando solo a portarla al sicuro oltre
la
cupola, ma è stato un errore di valutazione che mi costa
questa richiesta
aggiuntiva.
<< Informazioni. Mi racconterai
cosa succede qui al Centro e soprattutto come funziona.>>
e per dare
enfasi alle sue parole si pianta nel bel mezzo del marciapiede
aspettando ciò
che le avevo promesso, cioè darle quello che le serve a
patto che lo chieda. Abbiamo
gli occhi dei passanti inchiodati malevolmente su di noi e di certo non
posso
darle qui e subito ciò che reclama. Oltre a ciò
vengo preso alla sprovvista e
resto a fissarla sconvolto, per il tempo in cui un rivolo ghiacciato di
sudore
mi scivola alla base nuca e lungo la spina dorsale. Mi sta mettendo in
difficoltà ma non posso farglielo notare apertamente,
altrimenti attirerei
ancora più sospetti. Nonostante percepisca il mio stato
d’animo, sembra non
voglia desistere.
<< Tranquillo, non sono
così idiota da metterti pressioni qui, visto che tutti
possono sentirci. A
tempo e luogo adatto mi racconterai quello che mi
serve.>> sussurra
riprendendo a camminare.
Quest’ultimo scambio di battute è
il più inquietante e spaventoso di tutta la mia vita. Quello
che mi chiede è
molto, per questo non so se le basteranno le poche cose che
potrò dirle perché,
diciamocela tutta, nemmeno io sono un’idiota che va a
raccontare informazioni pesanti
come questa, senza garanzie. Per il momento non posso fare altro che
scortarla
sana e salva al confine, preoccupandomi di rassicurare i Funzionari che
ci
fermano lungo la strada. Una volta ritornato a casa non ho voglia di
rovinare
l’umore generale, così mi dimentico per qualche
ora dell’accaduto, festeggiando
la nuova conquista con Spike e Ed.
Non appena il parente ci lascia,
addormentandosi sbronzo marcio sul mio letto, approfitto
dell’animo allegro per
rivolgere al maggiordomo qualche domanda, intanto che smistiamo i
rifiuti
rimasti della nostra festicciola.
<< Ed, posso chiederti come
hai fatto ad entrare subito in sintonia con la ragazza?>>
<< La Signorina April è una
personcina dal carattere molto energico e determinato,
perciò non serve a nulla
usare la forza o le prese di posizione. A questo riguardo, mi permette
un
appunto?>>.
Non ha risposto alla mia domanda
ma sono determinato ad ascoltare ciò che ha da dirmi.
Quest’uomo non dice mai
nulla per caso, per questo quando ti rivela ciò che pensa e
bene farne tesoro;
inoltre è una delle poche occasioni in cui mi chiede di
esprimere le sue idee e
non posso rifiutarmi.
<< Le maniere di suo cugino
sono state piuttosto irruenti, c’erano modi diversi per
ottenere la sua
approvazione. Tuttavia devo dire che è stato molto furbo a
usare
quest’approccio per smuovervi. Signorino Nagìl,
anche lei deve essere più
deciso. Mostri apertamente le sue intenzioni senza frenarsi dagli
ipotetici “ se
e ma”, altrimenti, come diceva il Signorino Spike, le persone
che le stanno
intorno non capiranno mai cosa vorrà fare e purtroppo non le
daranno fiducia.
L’essere umano tende a seguire i leader più
convincenti e risoluti,
dimenticandosi di prestare attenzione a ciò che dicono. E
lei non ha nulla di
cui invidiare a un Leader , in quanto a carattere e forza
d’animo; perciò non
tema di sbagliare, anche se non può commettere errori. Spero
comprenderà le mie
parole, perché sono sempre qui a sostenerla e Perdoni la mia
impertinenza.>> mi
rivela, mostrandomi un inchino servile.
Lo faccio alzare subito, non c’è
bisogno che mostri tanta formalità, ho molto a cuore
quest’uomo, tanto da
permettergli di dirmi qualsiasi cosa, anche sgridarmi se fosse
necessario,
perché so che tiene a me nello stesso modo. Comunque,
insieme al fatto che
anche Ed si sia accorto di come mi sia fatto usare da Spike, le sue
parole sono
state un po’ mortificanti e per questo non posso sentirmi
completamente
soddisfatto.
<< Hai qualche consiglio su
come relazionarmi con Wild?>> tento un’altra
via, poiché non mi ha
fornito le risposte che cercavo sulla loro sintonia.
<< La signorina è molto
sola e disillusa. Pensa che non possa fidarsi di nessuno se non di se
stessa ed
è comprensibile conoscendo l’ambiente in cui vive.
Perciò posso solo suggerirle
di provare a comprenderla, di immedesimarsi nella sua situazione per
conoscerla. Soprattutto provi ad ascoltare attentamente ciò
che le dirà, le sue
parole rivelano molto del suo modo di pensare e le saranno di indizio
per
anticiparla e andarle incontro. È una ragazza intelligente,
non sprecherà
quest’occasione per delle motivazioni superficiali come i
pregiudizi.>>
<< Peccato che non voglia
saperne di avere un dialogo.>> sentenzio con rammarico ed
un pizzico di sdegno
che suscita una lieve risata trattenuta, come uno sbuffo di una caldaia
a
vapore, da parte del maggiordomo.
<< La prenda come una sfida
e non si arrenda, le relazioni sociali non sono mai semplici.
Vedrà che alla
fine comincerà a fidarsi.>>
<< Sembra che tu mi stia dando
dei consigli per approcciare un animale selvatico.>>
ironizzo per
scherzare, ispirando altri colpetti di riso di Edward.
<< Il cognome le rende
giustizia.>> sorride con affetto riferendosi alla
ragazza, mentre
raccoglie le ultime bottiglie svuotate dall’ubriacone che
sonnecchia beato. Ha
pensato anche lui alla connessione tra la persona e il suo carattere,
da quanto
sento. Ciò nonostante posso percepire la nota di affezione
che prova nei suoi
confronti e sono sempre più convinto che ci sia qualcosa che
li accomuni.
Pertanto vorrei sapere di che si tratta, non solo per
curiosità, ma anche per
capire meglio l’uomo che mi ha visto crescere.
<< Ed, un girono mi
racconteresti qualcosa di te?>> gli chiedo, ma non appena
lo faccio mi
sento in colpa per avergli fatto una domanda tanto presuntuosa. Infatti
vedo i
suoi occhi bicromatici spalancarsi per la sorpresa della domanda e poi
tornare
quelli miti e saggi che conosco.
<< Un giorno Signorino.>>
e con un ultimo enigmatico e malinconico sorriso, lascia la stanza
sollevando
il sacco dei rifiuti.
Resto ancora un attimo alla
scrivania, rimuginando sui discorsi di oggi, finché non
decido che è ora anche
per me di prendere una pausa da questa giornata e, dopo essermi fatto
una doccia
metto in carica il palmare, che servirà parecchio da ora in
poi e dunque non
posso lasciare con il minimo di batteria. Dopo di che mi riapproprio
del mio letto, sbattendo per terra Spike che ha il sonno più
pesante di un ghiro e, visto
che
sono immensamente gentile, gli concedo anche uno dei miei cuscini. Alla
fine sto per cedere al
sonno quando la vibrazione dell’apparecchio
elettronico si
attiva
e scopro con
sorpresa che è un messaggio di April.
| Sistemato tutto. Kid
ha trovato ed impostato un canale sicuro per le
chiamate ed i messaggi, quindi usa “Solo” questo
numero. Ci aggiorniamo.
P.s:
Se mi beccano negherò tutto e darò la colpa a te.|
Scoppio a
ridere.
Questa ragazza
è sorprendentemente lunatica e precisa, tanto da indagare
subito sulla veridicità
di quanto le ho raccontato. Sono esterrefatto perché
è la prima volta che mi capita di incontrare un non
Centriano che si comporta come tale e so già che per questo sarà uno spasso
lavorare con lei.
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=3213749
|