Orbit. The universe in your eyes

di Elayne_1812
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2. Un filo sottile ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3. Solo, a un passo dall'ignoto ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4. Di fiori di pesco, porte chiuse ed erba del diavolo per il principe ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5. Key ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6. Spirited away (parte 1) ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7. Spirited away (parte 2) ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8. Ciò che non potevo vedere ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9. L'universo nei tuoi occhi ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10. Symptoms. It might be a sickness ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11. Symptoms. I can't control it... ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12. Selene in sleepless nights ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13. Someday, i'll end my solitude ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14. Spoiler ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15. Winter should be warm ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16. The nightmare's sound beyond the prism ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17. Rescue (parte 1) ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18. Rescue (parte 2) ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19. Orbit ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20. Aurora ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21. One minute back ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22. I take you to the moon in winter wonderland ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23. Devil ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24. Dynamite ***
Capitolo 26: *** Capitolo 25. Tell me what to do (parte I) ***
Capitolo 27: *** Capitolo 26. Tell me what to do (parte II) ***
Capitolo 28: *** Capitolo 27. Opera ***
Capitolo 29: *** Capitolo 28. Don't let me go ***
Capitolo 30: *** Capitolo 29. Our lonely season faded ***
Capitolo 31: *** Capitolo 30. An Encore ***
Capitolo 32: *** Capitol 31. My Love left for a faraway journey ***
Capitolo 33: *** Capitolo 32. If you love him in a beautiful life ***
Capitolo 34: *** Capitolo 33. Dangerous ***
Capitolo 35: *** Capitolo 34. Sweet love your aroma is deep in my heart but You know I’m not joking ***
Capitolo 36: *** Capitolo 35. Sweet love your aroma is deep in my heart but You know I’m not joking (parte II) ***
Capitolo 37: *** Capitolo 36. Let me out ***
Capitolo 38: *** Capitolo 37. Before it's too late ***
Capitolo 39: *** Capitolo 38. Get the treasure (parte I) ***
Capitolo 40: *** Capitolo 39. Get the treasure (parte II) ***
Capitolo 41: *** Capitolo 40. Alarm clock ***
Capitolo 42: *** Capitolo 41. One by one, even today ***
Capitolo 43: *** Epilogo. Now we live in the same time ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Ciao a tutti! Allora…premetto che questa è la prima fanfiction che scrivo sugli shinee e ho buttato giù questa “cosa” in un pomeriggio noioso, anzi, noiosissimo. Detto ciò abbiate pietà e chiudete la pagina finché siete in tempo XD mi scuso in anticipo per possibili errori e buona lettura!
 
PROLOGO
 

Il giovane lord picchiettò le punte delle dita affusolate sul calice cristallino che si dilettava a reggere elegantemente. Seduto comodamente su un divano foderato di velluto rosso, osservava di sottecchi la figura robusta e severa dell’imperatore di Chosun. L’imperatore l’osservava a sua volta ed il lord lesse in quegli occhietti freddi la stessa smaniosa aspettativa che pervadeva lui stesso. Entrambi agognavano qualcosa l’uno dall’altro ed il lord non poté a fare a meno di chiedersi chi dei due fosse più ansioso.
Il giovane portò il calice alle labbra gustandone l’ottimo contenuto. Sorrise tra sé, per quanto quei pochi minuti di convenevoli e sguardi fossero estenuati, lui era pronto a sopportarli altre cento volte se ciò significava raggiungere i propri obiettivi. Un leggero sorriso languido gli sfuggi dalle labbra carnose al pensiero dal giovane principe Kim Kibum. Se le sue intuizioni erano giuste, nemmeno il difficile caratterino del principe avrebbe più potuto tenerlo lontano da ciò che desiderava.
-Heechul, spero che il vostro viaggio non sia stato troppo faticoso-  disse re, fissando il lord senza mutare espressione.
Heechul scosse il capo. – E’ sempre un onore giungere in visita a palazzo. Soul è splendida, come sempre.-
L’imperatore annuì. – Sono lieto che non abbiate avuto problemi, le strade stanno diventando pericolose.-
-Mi è giunta voce di banditi – disse Heechul, quasi con noncuranza. Banditi, pensò, questo è quello che vuoi far credere, ma la gente sveglia sa che si tratta dei Ribelli.
L’imperatore Kim non era certo un sovrano amato dal popolo, per quindici anni, dalla morte della moglie, la legittima erede al trono di Chosun; aveva fatto il bello e il cattivo tempo del regno, inaugurando un regime dispotico a favore della più alta nobiltà.
-Mi è stato detto che siete diventato ancora più forte. –
Heechul sorrise, ecco che la conversazione prendeva una svolta interessante. Agitò la mano libera e una fiamma scarlatta danzò aggressiva sul suo palmo.
Nel regno di Chosun esistevano persone dotate di abilità speciali che nei secoli, grazie ad un fitto e talvolta complesso reticolo di alleanza, erano andate a formare la casta nobiliare. Per questo la gente comune era quasi del tutto priva di tali abilità, i pochi che ne erano provvisti non poteva comunque competere con il grande potere dei nobili che avevano attentamente selezionato le loro unioni, sia matrimoniali che di fratellanza[1].
L’imperatore rise. – Avete sempre preferito i fatti alle parole, non è vero?-
-E’ vero. –
-E’ una delle tante cose che ammiro di voi. Siete deciso, coraggioso, forte e talvolta privo di scrupoli, tutte doti importanti quando si deve occupare una posizione di potere. – Il volto dell’imperatore era tornato serio e ora scrutava Heechul come fosse una preziosa lama a doppio taglio.
-Il principe è sempre stato molto forte, sin da piccolo, ha avuto i migliori maestri, ma il suo carattere mi preoccupa. Temo sia troppo tenero. –
-E’ giovane- disse Heechul, - probabilmente avrà solo bisogno di tempo e della guida giusta al suo fianco. -
L’imperatore annuì, scrutandolo. – Qualcuno come voi sarebbe perfetto, non trovate? –
Heechul sbarrò gli occhi fingendosi sorpreso. Ci siamo!, pensò.
-Io?-
L’imperatore si alzò dalla preziosa poltrona, spostandosi a grandi passi verso la grande vetrata dall’intelaiatura dorata che dava sulla corte centrale del palazzo dei Kim. I raggi rosati del tramonto delinearono la sagoma dell’uomo, un monte roccioso posto a sbarrare l’orizzonte.
Osservandolo, il lord si ritrovò a pensare quanto fosse difficile associare la figura robusta e piazzata dall’imperatore con quella del principe, così esile ed aggraziata. Ma, dopotutto, il principe Kim Kibum era il ritratto sputato di sua madre, bastava imbattersi in un ritratto dell’imperatrice defunta per rendersene conto.
L’imperatore fece segno al lord di avvicinarsi ed Heechul non se lo fece ripetere una seconda volta. Con il passo guardingo ed astuto di una volpe, i passi leggeri sul pavimento marmoreo dagli intarsi fantasiosi, raggiunse la vetrata.
-Le nostre famiglie sono alleate da secoli, oltre a vantare una lontana parentela ed una purezza[2] pressoché intatta. Ritengo che un vincolo di fratellanza per rinsaldare questi antichi legami possa rivelarsi un grande vantaggio. Che cosa ne pensate? – chiese senza troppi preamboli.
L’imperatore era sempre stato un uomo pratico, ma Heechul lesse anche urgenza in quella richiesta. È preoccupato dei Ribelli sino a questo punto? O non ritiene il figlio capace di succedergli? Heechul decise di mettere da parte la propria curiosità, almeno per ora, non poteva distrarsi in un momento simile.
-Mio signore, voi mi lusingate oltre ogni dire. –
-Nessuna lusinga. Datemi una risposta. –
L’imperatore non avrebbe mai accettato una risposta negativa, tanto meno il lord era intenzionato a dargliene una.
Heechul si profuse in un semplice, ma deferente inchino. – Sarà un onore, mio signore. –
 
 
 
Heechul percorse i corridoi del palazzo apparentemente deserto, i suoi alti stivali riecheggiarono all’intorno in quella solitudine di marmo e oro. Quella poteva definirsi la giornata migliore della sua vita, se solo si fosse conclusa in quel preciso momento, dato che l’imperatore gli aveva conferito l’onore e l’onere, di comunicare al principe il loro fidanzamento che da lì a poco sarebbe stato ufficializzato. Sospirò infastidito. Un semplice dialogo con il principe in quel senso sarebbe stato sufficiente a guastare la giornata. Kim Kibum non aveva mai avuto una grande simpatica nei suoi confronti e d’altra parte lo stesso carattere del principe non aveva contribuito a migliorare la situazione.
Cuore tenero, pensò, di certo non l’ha mai riservato a me, pensò Heechul arricciando il naso. Ma il lord capiva perfettamente ciò che l’imperatore intendeva con “cuore tenero”.
Kibum gli avrebbe riservato dei commenti sprezzanti sputandogli addosso tutto il disgusto che provava nei suoi confronti. Forse Heechul era masochista, ma non gli importava, desiderava quell’unione con il principe da quando erano bambini. Non solo Kim Kibum era in grado di destreggiarsi con l’energia pura, un’abilità innata estremamente rara, ma era anche la chiave d’accesso al trono di Chosun. Cose che un ambizioso e scaltro come Heechul non poteva ignorare. Anni addietro, il lord avrebbe accettato la proposta anche per il solo desiderio di potere, ma negli ultimi due anni le cose erano cambiate. Il principe era diventato sempre più bello, al punto da convincere Heechul del fatto che, se anche Kibum fosse stato uno sguattero avrebbe desiderato prenderlo come amante. L’unica nota negativa era il principe stesso, domarlo non sarebbe stata un’impresa semplice. Heechul ne era tristemente consapevole, ma riteneva una sfida di tale portata divertente e, al contempo, era certo di poterne uscire vincitore.
Preziose stanze marmoree e dagli arredi altrettanto invidiabili scivolarono dietro di lui mentre la corrente dei suoi pensieri lo conducevano al giardino privato dell’erede al trono, luogo in cui era certo di trovare Kibum.  Non appena uscì all’aria aperta i caldi raggi del tramonto estivo lo investirono, costringendolo a schermarsi gli occhi con la mano. Il giardino era un labirinto di aiuole fiorite e roseti blu e bianchi, al centro sorgeva un laghetto abitato da grasse carpe dalle macchie rosse e nere, attraversato da un ponticello di legno laccato di blu. Un grosso salice sorgeva ai margini dello specchio d’acqua facendo oscillare i rami sottili sui flutti, sospinti dalla leggera brezza estiva. Heechul si diresse sicuro di sé verso il salice.
-Quando pensi di tornartene all’aria salmastra di Busan?- fece una voce tra i rami.
Hecchul sbuffò. Iniziava bene.
-Non molto presto, anzi…- rispose con una punta di soddisfazione. Heechul guardò sopra di sé, ma non riuscì a vedere nessuno. –Dove diavolo…? –
-Qui – fece una voce squillante dietro di lui.
Il lord sobbalzò, trovandosi di fronte il principe. Il cuore di Heechul perse un battito. Bello non era la definizione giusta per descrivere Kibum. Forse lo era lo scorso anno, ora pareva un angelo vestito d’abiti mortali. La sua figura aggraziata era fasciata da aderenti pantaloni neri infilati in comodi stivali che scivolavano morbidi lungo i polpacci, mentre la parte superiore del corpo era drappeggiata da una camicia di lino la cui unica nota d’eleganza era relegata al merletto sui polsi. Il collo lungo era in bella mostra, quasi con aria provocatoria, mentre il volto pallido incorniciato da morbidi capelli corvini ospitava invitanti labbra a cuore atteggiate in un sorriso irriverente e sottili occhi felini. Il lord lasciò scorrere gli occhi sulla figura dell’altro, estasiato. Lo desiderava terribilmente, mai come in quel momento ne aveva avuto una tale consapevolezza. Kibum si morse il labbro inferiore, alzò un sopracciglio e spostò il peso sulla gamba destra.  Heechul conosceva quella posa, era come vedere un gatto irritato perché messo alle strette. Era sempre così tra di loro, eppure Kibum sapeva essere il più tagliante.
-Da dove sei spuntato?– chiese Heechul ritrovando le parole.
Kibum indicò i rami dell’albero. –Sei lento – sentenziò.
Insulto numero due, fece il conto l’altro.
-Ebbene? Il gatto ti ha forse mangiato la lingua?–
-Ebbene – proseguì indispettito, - c’è una questione molto importante che ho l’onore di riferirti. –
-E io che iniziavo a sperare che ti fossi perso. –
Heechul sogghignò. – Ridi pure, ma presto le cose cambieranno non appena il nostro fidanzamento verrà annunciato pubblicamente. –
Kibum si irrigidì diventando, se possibile, ancora più pallido. Heechul fu certo di avere appena segnato un punto a suo vantaggio. Ora chi è che mangia la lingua a chi?, pensò soddisfatto.
- Sei sorpreso, non è vero? – disse notando l’assenza di reazione da parte dell’altro. – Eppure una testolina intelligente come la tua avrebbe dovuto comprendere da tempo la logica possibilità di una nostra unione, no?-  Aggiunse picchiettando un pugno sulla testa del più piccolo.
- Non mi toccare – fece Kibum premurandosi di scandire bene ogni singola parola.
Heechul si chinò leggermente avvicinandosi all’orecchio dell’altro. – Mio dolce micetto, temo di avere tutto il diritto di farlo.–
-No se ci sono io nei paraggi.-
Heechul alzò gli occhi trovando puntati su di sé una lama e lo sguardo di ghiaccio della guardia del corpo del principe. Maledizione, imprecò tra sé.
-Siwon, abbassa l’arma, se lo ferisci il sangue velenoso di quel serpente potrebbe corroderti la lama – disse Kibum, ostentando una calma glaciale.
La guardia del corpo eseguì rinfoderando la spada, ma senza staccare gli occhi dal lord.
-Bhe, dubito che potrai essere presente alla nostra prima notte – disse Heechul senza nascondere la propria malizia o distogliere gli occhi dal principe.
La mano di Siwon scattò per istinto all’elsa della spada. A Kibum bastò un’occhiata sottile per fermarlo e la guardia abbassò il capo.
-Perdonatemi, signorino. Se non mi è concesso tagliarlo a metà, ho l’ardire di chiedervi il permesso di insultarlo a dovere e, in tal caso, avrei l’altrettanto ardire di suggerirvi di tapparvi le nobili orecchie. -
Kibum rivolse un sorriso, quasi intenerito, verso la guardia del corpo.
Ecco ciò di cui l’imperatore parlava, tenerezza verso la plebe, pensò Heechul con disgusto.
-Fossi in te non sprecherei parole per lui. –
-Come desiderate – disse l’altro, rassegnato.
Ma dal suo sguardo, Heechul comprese che, se Siwon l’avesse incontrato solo per i corridoi del palazzo l’avrebbe appeso a testa in giù e colpito come un sacco di paglia.  
Kibum tornò a rivolgere il proprio sguardo a quello che, ormai, era il suo promesso. – Vattene – disse quasi soffiando.
Heechul simulò un inchino, troppo profondo per non essere un chiaro gesto di sfida. – Come desideri. –
Kibum guardò l’altro allontanarsi e sparire oltre le aiuole in fiore del giardino. Quando fu scomparso dalla sua vista tornò a rilassare i muscoli.
-Siwon – disse.
-Mio signore? –
-Dobbiamo rivedere i nostri piani. –
-Mi date il permesso di ucciderlo? Dopo una tale irriverenza…–
-Temo di no. –
Kibum si voltò verso la guardia del corpo. – Partiamo sta notte. –
 
[1] Contratto vincolante stipulato tra due membri di famiglie nobili allo scopo di accrescere la propria capacità innata ed usufruire di quella del compagno o compagna. A differenza del matrimonio vero e proprio può avvenire anche tra membri dello stesso sesso.
[2] Famiglie che nei secoli si sono unite solo con altri soggetti dotati di abilità innate. Purosangue. 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1. ***


Ciao a tutti, eccomi con il primo capitolo. Dato che nel testo troverete nomi di città coreane vorrei premettere che la storia non si svolge in una Corea reale, ma si ispira solo per i nomi di alcune città, parte della geografia e, come vedremo in seguito, alcuni aspetti della cultura. Si tratta di un universo alternativo senza una precisa collocazione spazio temporale.
Chiedo scusa per possibili errori e buona lettura!
 
Capitolo 1
 
 
Kibum si lasciò cadere sul materasso, sbuffando e picchiando ripetutamente la testa sui cuscini. Sentiva la testa scoppiare come se lo avessero preso a martellate. Volse il viso all’ampia vetrata istoriata che cappeggiava la parete destra della sua stanza. Fuori, una luna estiva e limpide stelle illuminavano la notte di Soul, riversando luci diamantine sul principe.
La serata era stata un totale disastro. Suo padre non aveva perso tempo nell’annunciare il fidanzamento dell’erede al trono, in più Kibum aveva dovuto sopportare Heechul per tutta la serata. Non aveva avuto appetito con il risultato che ora la sua pancia era un unico brontolio. Le luci, gli applausi e le continuo occhiate del lord gli avevano provocato un senso di nausea. Se avesse avuto cibo in corpo avrebbe potuto vomitare.
Uccidetemi, fu il suo unico pensiero prima di mettersi seduto.
Non riusciva a capire il perché di tutta quell’urgenza. L’imperatore era forse malato? Kibum fece spallucce. Non aveva mai avuto un rapporto idilliaco con il padre, anzi, non aveva proprio mai avuto alcun rapporto e basta. Il principe sapeva ben poco della politica del padre, mai era stato interpellato per faccende di stato, nemmeno quando pochi anni prima aveva raggiunto la maggiore età. Una cosa gli era chiara: non uno dei collaboratori dell’imperatore e dei nobili di cui si era circondato gli andavano a genio, dal primo all’ultimo. Arroganti, ambiziosi e senza scrupoli, lui li avrebbe cambiati tutti, si sarebbe circondato di intellettuali, filosofi, artisti, persone illuminate che sicuramente avrebbero fatto bene al popolo. Kibum non aveva idea di quanto la tirannia di suo padre stesse portando Chosun allo stremo, il regno era ricco, certo, le città maestose, i commerci ed il sistema viario eccellenti, ma i più deboli erano lasciati a loro stessi e, spesso, la fame chiedeva loro il conto. Il divario tra le classi era tale che presto o tardi quella fune troppo tesa si sarebbe spezzata. Anche i rapporti con la nobiltà inferiore ed i piccoli proprietari terrieri andavano deteriorandosi, chiunque ottenesse successi che potevano anche solo minimamente intaccare il potere assoluto dell’imperatore veniva spazzato via.
Kibum aveva passato la sua vita chiuso in quel palazzo, o nelle tenute di famiglia sparse per il regno, tutto ciò che conosceva realmente erano quelle stanze marmoree e le vie principali delle grandi città che aveva sempre percorso in carrozza o a cavallo, rigorosamente seguito dalla sua guardia del corpo e dai gendarmi del padre. Il resto lo aveva appresso dalla moltitudine di libri che riempiva la sua enorme biblioteca personale. Storia, filosofia, arte, medicina, linguistica, aveva toccato quasi ogni argomenti possibile. Solo la fisica e la matematica avevano il potere di fargli arricciare il naso per il disappunto.
Kibum si alzò e aprì il cassettone in mogano ai piedi del letto a baldacchino. Prese una sacca anonima che aveva accuratamente riposto al suo interno ed iniziò ad esplorarne il contenuto. Aveva progettato la sua fuga da palazzo da mesi, attendeva solo il momento buono per agire, ma sfortunatamente l’arrivo di Heechul lo costringeva a rivedere il programma.
Essere insopportabile e viscido! Imprecò tra sé.
Se solo avesse avuto un paio di giorni in più avrebbe potuto prepararsi con maggiore calma. Ora era costretto a lasciarsi indietro ogni singolo libro, dei ricambi decenti e portare solo l’essenziale. Infilò con fare stizzito qualche abito nella sacca, un libro, un po' di denaro, un mantello di ricambio, e qualche provvista sottratta alla cucina.
Incrociò le braccia e arricciò il naso. La fuga che aveva in mente in principio aveva indubbiamente più stile. Aveva calcolato almeno un baule di abiti, uno di libri e provviste per almeno una settimana, dopotutto non poteva rinunciare alla sua cioccolata mattutina. L’idea originale era quella di viaggiare una settimana in direzione di Busan ed imbarcarsi per il regno di Nihon. Ora Busan era una meta da evitare. Una volta dato l’allarme della sua scomparsa si sarebbero messi sulle sue tracce e la città natale del viscido scemo, dove Heechul aveva i suoi principali possedimenti, non era più una buona scelta.
Kibum picchiettò il piede sul tappeto. Odiava quando i suoi progetti venivano fatti incurantemente a pezzi da seconde persone. Gli piaceva essere ben organizzato per ogni evenienza e il bagaglio che già riteneva essenziale, ora doveva essere ulteriormente dimezzato.
Forse potrei ritardare di una settimana, pensò guardando in direzione dei bauli per il vestiario e pensando al sapore paradisiaco della sua adorata cioccolata.
Scosse il capo, disperdendo le luci notturne che avevano trovato rifugio tra i suoi capelli corvini.
Non essere ridicolo, si disse, puoi rinunciare ad abiti e cioccolata se è per evitare Heechul. Un’espressione decisa si delineò sul suo volto. Sarebbe fuggito da palazzo quella notte, doveva solo attendere il segnale di Siwon e svignarsela. Poi, finalmente, avrebbe abbandonato i panni soffocanti del principe Kim Kibum per esplorare il mondo.
Era nervoso, così iniziò a camminare in tondo per la stanza quando s’imbatté nella sua immagine riflessa allo specchio, accorgendosi di indossare ancora gli abiti di corte.
Non posso andarmene così o non passerò inosservato.
Una volta cambiato riesaminò la sua figura. Ora andava decisamente meglio. Dei semplici pantaloni marroni infilati in altrettanti stivali da viaggio, una blusa blu slavata che aveva conservato per l’occasione e un mantello da viaggio. Infilò un paio di pugnali negli stivali, si allacciò la cintura con tanto di fodera e la spada a mezza mano più semplice che aveva al seguito.
Si sdraiò sul letto e tornò a guardare l’astro notturno che lo scrutava da oltre la vetrata. La luna non era ancora sufficientemente alta perché Siwon si facesse vivo. Ancora un’ora o due, pensò, ne approfitterò per dormire.
Aveva chiuso gli occhi solo da pochi minuti quando udì dei passi leggeri sul pavimento di marmo che andarono ad affievolirsi appena aggiunsero il tappeto, segno che il nuovo venuto si trovava a meno di dieci passi da lui.
-Siwon? – chiese a mezza voce, rimanendo con gli occhi chiusi.
Non ottenendo risposta aprì gli occhi, interrogativo. Ebbe un tuffo al cuore quando incontrò il volto di Heechul a soli pochi centimetri da lui.
Il lord teneva i capelli castani, lunghi sino alle spalle, sciolti, le labbra carnose erano atteggiata in un sorriso che non prometteva niente di buono ed i suoi occhi dai riflessi quasi ambrati erano puntati su Kibum. Indossava una semplice camicia bianca appesantita dal merletto sul collo e sui polsi, dei pantaloni scarlatti e alti stivali neri bordati d’oro.
Kibum scattò in piedi, aggirando la figura slanciata dell’altro. Non aveva nessuna intenzione di avere un materasso alle spalle ed Heechul nella medesima stanza.
-Che cosa fai qui? –
Si maledisse mentalmente per la chiara urgenza che era appena trasparita dalla sua voce e si morse il labbro inferiore.
Avrei dovuto permettere a Siwon di tagliarlo a metà!, pensò osservando il sorriso divertito dell’altro.
-Non posso entrare nelle stanze del mio fidanzato? –
-No, non puoi. Ho sonno, vattene. –
-E io che volevo farti compagnia – disse Heechul avanzato con passi calcolati.
-Ne faccio a meno – disse simulando acidità. Sobbalzò quando si ritrovò con le spalle al muro.
Quando sono indietreggiato?
Heechul poggiò entrambe le mani alla parete, prevaricando a Kibum ogni possibile via d’uscita.
-Un gatto nel sacco – sorrise beffardo, godendo della crescente agitazione del principe.
Una mano del più grande andò ad accarezzare la guancia di Kibum che cercò di divincolarsi, prima che la mano libera di Heechul lo bloccasse afferrandogli un braccio.
-Non hai idea di quanto io ti desideri, ora che sei mio…-
-Io non sono tuo – gli soffiò in viso.
L’altro rise. –La tua ingenuità a volte è disarmante. Lasciati baciare – gli sussurrò all’orecchio.
Il fiato caldo di Heechul provocò a Kibum un brivido lungo la spina dorsale. Sospirò, ricercando la calma perduta. Non farti prendere dal panico, si disse, sei più forte di lui.
-Non costringermi ad usare la mia abilità su di te – disse tra i denti.
-E’ una minaccia? – sorrise mellifluo, accarezzandogli le labbra a cuore con il pollice. –Sono molto forte. –
Kibum cercò di dare un tono beffardo alla sua risata, ma parve più uno squittio isterico. – Io sono più forte. –
-Dolcezza, non ci credi nemmeno tu. –
L’affermazione fece scattare l’orgoglio del più piccolo. Quella situazione di stallo era durata anche troppo per i suoi gusti.
-Voi vedere? – disse tra i denti.
Un’espressione stupita si delineò sul volto di Heechul prima di essere sbalzato contro il baule ai piedi del letto, facendo rovinare a terra la famigerata sacca da viaggio che tanto aveva suscitato il disappunto del principe per la sua inconsistenza. Heechul emise un lamento e stava per rivolgere una frase sprezzante a Kibum, quando ciò che si trovò di fronte gli fece sbarrare gli occhi. Intorno al principe aleggiava un’aura blu elettrizzata da venature nere sfrigolanti nell’aria satura di tensione.
-Cosa diavolo…- fece Heechul prima di rovinare nuovamente a terra inciampando nel contenuto fuoriuscito dalla sacca.
Dopo essersi rimesso in piedi la sua attenzione fu catturata dagli oggetti sparsi a terra.
-Cosa stai combinando? –
Kibum s’irrigidì e solo allora Heechul si accorse dello strano abbigliamento del principe, considerando che era notte fonda e aveva una spada legata in vita.
Qualcuno bussò alla porta e fece capolino la guardia del corpo. – Signorino, siamo pronti a partire, i cavalli…-
Siwon si bloccò sulla porta.
-Siwon! –
La guardia del corpo estrasse la spada, fulmineo, puntandola contro il lord. –Ti avevo avvertito. –
Heechul incrociò le braccia. – Pensi di farmi paura, cane fedele? Lo sai che potrei incenerirti con un dito. –
Spostò poi la sua attenzione su Kibum. –Stai fuggendo, è così? Andiamo, sei ridicolo, pensi davvero di sopravvivere là fuori? –
-Signorino, prendete le vostre cose e andate, mi occuperò io di questo verme. –
Heechul sbuffò, ma non fece in tempo a ribattere perché rovinò nuovamente a terra finendo contro gli scaffali della libreria.
-Muoviamoci – disse Kibum raccogliendo la sacca alla bell’è meglio e precipitandosi fuori dalla stanza, seguito a ruota dalla guardia del corpo.
 
Fuori dalle mura del palazzo l’aria era fresca e odorava di un imminente temporale estivo. Kibum respirò a pieni polmoni, guardando le lontane luci di Soul. Mentre una brezza frizzante gli scompigliava i capelli corvini. L’erba alta frusciò unendosi alle note basse e stridenti dei grilli. Kibum si strinse nel mantello. Mai si era sentito più libero, il mondo intorno a lui pareva non avere più limiti, più confini.
-Busan, mio signore? –
Kibum scosse il capo. – No. Taegu –, disse spronando il cavallo e lanciandosi nel mare d’erba puntellato dalle luci delle stelle.
 
 
 
Heechul sedeva scompostamente su un’ampia poltrona foderata in velluto rosso e dai piedi leonini in legno dorato. Una gamba distesa e l’altra semi piegata, lasciava oscillare il braccio sinistro oltre il bracciolo, mentre l’altra mano reggeva un calice dorato colmo di vino fruttato. Per quanto la giornata fosse un ripudio di luci dorate che filtravano dalle vetrate e si rifrangevano sul mobilio prezioso delle sue stanze, la sua giornata non poteva essere più nera. Come se lo smacco della sera procedente non fosse stato sufficiente, colpendolo duramente nell’orgoglio, aveva dovuto affrontare l’ira dell’imperatore.
-Mio signore, temo che ci siano i Ribelli dietro alla scomparsa del principe. –
Aveva cercato d’inventare una la bugia verosimile, non poteva di certo dire che il principe ereditario, Kim Kibum, era fuggito da palazzo sotto i suoi occhi. Avrebbe fatto la figura dello stupido! Tuttavia l’imperatore non aveva gradito l’utilizzo del termine “Ribelli” e Heechul era stato costretto a mordersi la lingua, appuntandosi di non utilizzare quella parola in futuro. Fortunatamente, l’imperatore aveva preso per buona la spiegazione, dopotutto era quella più logica.
-Vogliono sfidarmi, introdursi nel mio palazzo in questo modo è un chiaro gesto di sfida! – aveva urlato il sovrano in preda alla rabbia. –Il principe è affare vostro, Heechul, siete promessi, è una tua responsabilità. Riportalo a palazzo. –
L’imperatore aveva fatto intendere in modo perentorio che se non fosse riuscito nell’impresa, il giovane lord avrebbe dovuto dire addio ai suoi sogni di successione sul trono di Chosun.
Heechul si alzò stizzito, gettando il calice nel camino spento. Chiazze cremisi puntellarono il pavimento come schizzi di sangue.
-Maledizione! – gridò ringhiando, frustrato. strinse un pugno fumante di rabbia e di fuoco scarlatto. Quanto avrebbe desiderato incenerire qualcosa in quello stesso momento.
-Vi state sfogando, mio signore? – fece una voce di vertita alle spalle.
Heechul era livido. – Risparmi il sarcasmo, Kyuhyun, per quanto lo apprezzi non osare con me. –
L’altro annuì. – Chiedo scusa. –
-Razza di bugiardo, non ti dispiace per niente. Novità? –
-Purtroppo no, mio signore, abbiamo setacciato tutta la città. Il principe deve aver lasciato Soul la scorsa notte. –
Heechul picchiò un pugno sulla mensola marmorea del camino.
-Setacciate le strade per il sud del paese, Kibum non andrebbe mai a nord. –
-Pensate che voglia prendere una nave, signore? –
-Lasciare Chosun sarebbe la cosa più logica – disse incrociando le braccia con fare pensoso.
-Busan? –
-No no, il mio dolce Kibummie è troppo astuto per andare ad infilarsi nella tana del lupo. Sceglierà una strada più lunga ma più sicura. Taegu, per esempio. Fai controllare le strade a sud, invia alcuni dei miei soldati a Taegu e fai aumentare la sorveglianza a Busan, per precauzione. –
-Si, mio signore. –
-In quanto a te, prendi alcuni dei miei soldati e dirigiti a sud. Lo rivoglio, Kyuhyun. –
L’altro sorrise divertito. – Oh, lo so. –
Heechul lo guardò di sbieco e Kyuhyun si ricompose.
-Via. E cerca di riportarmelo intero, chiaro? Con tutte le dita attaccate, niente giochetti. –
-E Siwon? –
-Riportalo vivo. Sospetto che possa tornarci utile, in futuro. –
-E riguardo a quella faccenda…-
-Non ora, può attendere. – 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2. Un filo sottile ***


Ciao a tutti! Allora, secondo capitolo…tanto per cominciare mi scuso se troverete qualche errore. Sono consapevole di non essere un buon editor per me stessa. Buona lettura!
 
Capitolo 2
Un filo sottile
 
Un caldo sole estivo splendeva su un villaggio non lontano da Soul. Quel giorno poteva definirsi perfetto se si escludeva l'umidità appiccicosa, la totale assenza di un filo d'aria e le zanzare. Senza contare gli odori poco invitanti della fogna a cielo aperto a pochi metri dal centro dell'abitato. Kim Jonghyun si deterse il sudore dalla fronte con la manica della camicia già sciupata, poi diede un morso vigoroso alla mela succosa che teneva in mano. Il giovane, fisico atletico e occhi grandi, guardò i bambini vestiti di stracci che correvano tra il fango e la sporcizia della strada. Jonghyun scosse il capo e piegò le labbra carnose in una smorfia di rabbia, volgendo lo sguardo alle cupole dorate di Soul che luccicavano prepotenti e irriverenti all'orizzonte.
Maledetti Kim!, imprecò tra sé agitando un pugno in direzione dalla capitale. Diede un altro morso alla mela, con fogna, riversando la propria frustrazione sul frutto.
Kim Jonghyun non aveva avuto una vita facile nei suoi venticinque anni di vita. Tanto per cominciare odiava tutti i nobili, spocchiosi e arroganti che vivevano sulle spalle della gente comune, sfruttandola e riducendola fame. Tutti i nobili a partire da suo padre. Già, perché lui era il figlio bastardo di un qualche nobile di Busan. Sua madre non gli aveva mai parlato di lui, ma Jonghyun sapeva che si trattava di un aristocratico. Come? Semplicissimo! L'unica cosa che quel bastardo gli aveva lasciato in eredità, e di cui lui gli era immensamente grato, era un'abilità potente, fatto impossibile per un semplice popolano. Jonghyun aveva il fuoco che gli scorreva nelle vene.
Lui e sua madre avevano tirato avanti in tutti i modi possibili finché lei non era morta in un freddo inverno di dieci anni prima. Così era rimasto solo vivendo per strada e sopravvivendo di piccoli lavori e furtarelli, finché non si era unito ad un gruppo di ladri che si erano rivelati tagliagole e assassini. Lui voleva semplicemente sopravvivere e avere qualcosa da mettere sotto i denti la sera, non sfruttare la povera gente già costretta a vivere di stenti. Per fortuna era rimasto poco con quella gentaglia. Era stato Lee Jinki, il leader dei Ribelli, a salvarlo dalla strada e da sé stesso e Jonghyun gli era eternamente grato.
- Non voglio vedere i bambini morire per strada, la gente comune calpestata come spazzatura mentre l’aristocrazia si crogiola nei propri palazzi. Non posso prometterti che cambieremo il mondo, ma forse riusciremo a portare un po' di luce in questo regno che divora sé stesso. –
Queste parole del leader erano bastate a convincere Jonghyun ad unirsi alla causa. In esse aveva visto tutto ciò in cui credeva e desiderava per Chosun. Più luce, molta più luce! E farsi portatore di quella luce al fianco di qualcuno come Jinki era diventata la sua massima aspirazione.
Lee Jinki aveva solo un anno in più di lui eppure nel giro di poco era riuscito a mettere insieme un gruppo che poi si era trasformato in un piccolo esercito, suscitando le stesse preoccupazioni dell'imperatore.
-Ehi- fece una voce dietro di lui, risvegliandolo dai propri pensieri.
-Eh? -
Si voltò per incontrare l'espressione contrariata di Minho, un ragazzo alto e dal portamento fiero che poteva essere scambiato per un giovane cavaliere. Anche lui faceva parte dei Ribelli ed era stata la prima persona con cui Jonghyun aveva stretto amicizia diventando il suo migliore amico.
-Dov'è Taemin? - chiese con una nota di rimprovero.
Jonghyun fece spallucce. -Da qualche parte al mercato, voleva fare un giro. -
Minho sgranò gli occhi. -Non ti avevo detto di tenerlo d'occhio mentre io sbrigavo gli ordini di Jinki? -
-Yaaahh sono un tuo hyung, non dovresti parlarmi così! -
-Hyung o no dimostri sempre di avere il cervello grande quanto una nocciolina senza guscio - disse Minho picchiettando lo stivale sulla strada infangata.
Senza guscio? Che diamine vuol dire?!, pensò Jonghyun scuotendo il capo. Che Minho avesse bevuto? Mah, si disse, figuriamoci, mentre sta eseguendo degli ordini poi!
-Non vedo perché ti scaldi tanto, è solo andato a fare un giro al mercato. -
-Se gli succedesse qualcosa...-
Jonghyun roteò gli occhi -Dhe dhe, suo fratello Jinki vorrà le nostre teste, ho già sentito questa storia. -
-Vuoi dire la tua! Quanto la smetterai di comportarti come una zia permissiva sarà troppo tardi! Prima o poi qualcuno ti strapperà quella pellaccia di dosso. -
Noccioline senza guscio, zia permissiva, sì, Minho ha bevuto, convenne il più grande. L'unica domanda sensata a questo punto è: perché non puzza di alcol?
-Hyung, mi stai ascoltando? -
-Yaaahh ho capito, andiamo a riprenderlo prima che gli venga in mente di usare la sua abilità e farsi arrestare.-
Ecco l’unica nota negativa di Jinki: lui e suo fratello Taemin erano nobili.
Bhe, aveva pensato Jonghyun, farò un'unica eccezione per loro.
I Lee discendevano da un'antica casata che aveva per secoli detenuto possedimenti poco distinta da Soul. La loro famiglia era stata spazzata via in una calda notte d'estate, resa ancora più in incandescente dalle fiamme che avevano divorato il magione dei Lee. L'accaduto era stato fatto passare come un 'l'incidente, ma era, ovviamente, opera dei reali Kim. Il padre dei due fratelli era sempre stato contrario al forte divario sociale che divideva l’aristocrazia dal popolo e, a detta di Jinki, aveva fatto l’errore di esprimere le proprie preoccupazioni con troppa foga e una volta di troppo davanti al consiglio reale.
Minho dovette apprezzare la sua affermazione perché si diresse a grandi falcate verso la piazza del mercato.
 
 
Affermare che Lee Taemin non si rendesse conto delle conseguenze delle proprie azioni non era esatto, la verità era che si riteneva troppo astuto per curarsene. Era proprio con tale convinzione che il giovane sorrideva tranquillo facendo scorrere gli occhi sulle bancarelle del mercato. I suoi capelli chiari brillavano al sole mentre zigzagava tra la folla schivando i passanti, con l'aria soddisfatta di chi si sente pienamente padrone di sé stesso e della situazione.  Fece scricchiolare le lunghe dita affusolate e puntò gli occhi su un banco di frutta.
Ecco il mio obiettivo, pensò.
Taemin non aveva certo bisogno di rubare per avere un po' di frutta, ma gli piaceva considerare quell'attività una sorta di allenamento per la propria abilità. Far levitare gli oggetti era solo una delle cose che la telecinesi gli permetteva di fare. Non che fosse una grande soddisfazione rubare frutta al mercato, ma era sempre meglio di niente.
Sulla bancarella splendevano mele rosse, verdi, gialle, pesche dall’aria invitante, e ciliegie. Oh, lui adorava le ciliegie!
Il proprietario era intento a sistemare la propria merce quando notò Taemin ed il suo volto assunse una colorazione purpurea.
-Tu, ladruncolo! Sei di nuovo qui per rubare la mia frutta? – sbraitò.
Taemin sobbalzò, sbarrando gli occhi. Come? Ancora non ho fatto nulla!
L’uomo caricò verso di lui come un toro nell’arena, quasi travolgendo il suo stesso banco.
-Oh ommaaa! – gridò Taemin dandosi alla fuga. Ma la sua corsa durò poco perché andò a sbatterò contro qualcosa, o meglio qualcuno.
-Yah- fece lo sventurato rovinando a terra.
Taemin lo seguì a ruota, rotolando come una pera cotta prima di essere sollevato per il colletto della camicia. -Ti ho perso, ladro! Non è la prima volta che ti vedo gironzolare intorno al mio banco e ogni volta sparisce qualcosa! Razza d'ingordo! - gridò l'uomo corpulento, scuotendolo.  -Oh ma questa volta, giuro che ti consegno alla prima guardia...- poi cambiò tono, - oh signorino, vi siete fatto male? –
Fu allora che Taemin rammento di aver travolto qualcuno. Si trattava di un ragazzo che doveva avere circa la sua età, forse qualche anno in più, era alto come lui ed aveva un fisico snello ed elegante, i capelli corvini gli ricadevano sulla fronte nascondendogli il volto mentre si ripuliva gli abiti dalla polvere. Il suo vestiario non era appariscente, ma si vedeva che era di buona fattura e il cavallo che teneva per le briglie era indubbiamente un purosangue. Un uomo, che aveva tutto l’aspetto di un cavaliere, lo stava aiutando a ripulirsi con evidente apprensione. Un nobile, o qualcosa di molto simile, concluse Taemin. La mia testa è andata!, pensò deglutendo e avvertendo un brivido lungo la schiena.
-Va tutto bene – rispose il ragazzo con voce delicata.
L’uomo si inchinò. –Non temete, porterò questo ladro…-
-Che cos’è successo?-
L’uomo si schiarì la voce, come se si preparasse a tenere un discorso alla corte di Soul. Taemin arricciò il naso.
-Questo ragazzo, ogni volta che si aggira intorno alla mia merce scompare qualcosa. E’ chiaramente un ladro!-
-Non mi pare che abbia preso nulla, ora- disse il ragazzo con tranquillità.
-Bhe no, ma…ogni volta…-
Il ragazzo non gli diede modo di concludere la frase condita da un assiduo gesticolare, mentre il volto dell’uomo diventava sempre più rosso. Taemin si chiese se fosse per la rabbia o per effetto degli occhi sottili del ragazzo puntati su di lui.
-Si tratta solo di un po' di frutta, dico bene? –  Lanciò una monetina che l'uomo afferrò al volo. -Questo dovrebbe bastare, o sbaglio? -
Taemin intravide un luccichio dorato tra le dita grassocce dell’uomo  che dopo essersi profuso in un profondo inchino si dileguò.
-Stai bene?- chiese in giovane.
Taemin era sconcertato. Si aspettava di vedere la propria testa su una picca dopo aver travolto un nobile, invece questi sembrava preoccuparsi per lui. Scosse il capo. Che avesse battuto la testa troppo forte?  Almeno ad uno dei due doveva essere accaduto. Forse il ragazzo aveva perso la memoria nel giro di pochi secondi, oppure lo stava insultato e lui capiva tutt’altro. Il ragazzo lo guardò con insistenza e Taemin si rese conto che stava fissando l’altro come un ebete.
-Si, ti ringrazio, mi dispiace esserti finito addosso...-
Il ragazzo gli porse un fazzoletto, sorridendogli. C’era una strana dolcezza in quegli occhi, genuina, ma che nascondeva sotto le ciglia scure una mente affilata quando la spada che portava al fianco. Sia il ragazzo che il cavaliere sembravano fuori posto nella cornice di quel povero mercato di villaggio.
-Hai le mani scheggiate- disse il ragazzo accennando ai palmi arrossati di Taemin. -Non metterti nei guai. – Taemin annuì, quasi d’istinto. Abbassò lo sguardo sul fazzoletto, era liscio e leggero. Seta? pensò. E questo?, fece notando lo stemma blu ricamato al centro. Quando rialzò il capo il ragazzo ed il cavaliere erano spariti. Degli spiriti? Si chiese scuotendo il capo.
-Taemin! – gridò una voce dietro lui.
Veloce come una lepre inseguita da un braco di cani, Taemin infilò in tasca il fazzoletto e sfoderò il miglior sorriso innocente che aveva nel repertorio per i suoi hyung.
-Non ti sei messo nei guai, vero? – chiese Minho.
-Nooo-
-Vedi – disse Jonghyun alzando le spalle. – Ti preoccupi sempre per niente. –
 
 
Kibum alzò gli occhi al cielo, ammirando i colori acquarellati del tramonto che si fondevano con le prime stelle della sera e l’ombra perlacea della luna. Siwon era riuscito a trovare alloggio in una locanda dotata di una piccola sorgente termale e un rilassante giardino sul retro. Una rarità per un villaggio, ma la vicinanza alla capitale doveva aver premesso ai proprietari di mantenere un tale lusso grazie ai viaggiatori nobili che si recavano costantemente a Soul. Kibum ne aveva subito approfittato per farsi un bagno rilassante e togliersi la polvere della strada dal corpo. Non si era mai sentito così sporco! C’erano un mucchio di cose strane, lì in giro. Sembrava tutto così diverso rispetto a Soul e ai palazzi di famiglia, non solo per le strutture in legno, ma per lo stesso stile con cui gli edifici ed i mobili erano realizzati. Kibum sapeva che la gente comune viveva in modo differente, ma ciò che aveva visto gli faceva credere di essere stato catapultato in un altro mondo[1]. Niente porte normali, tanto per cominciare, solo porte scorrevoli dall’intelaiatura lignea, niente letto, certo non pretendeva un baldacchino, ma quello che si era ritrovato era più simili ad un piumone rettangolare. Tavoli bassi, niente sedie e solo cuscini. Possibile che fosse così diverso? Vi aveva riflettuto per tutta la durata del bagno e anche quello era stato strano. Pensava che qualcuno portasse direttamente secchi di acqua termale nelle stanze degli ospiti per versarle nelle vasche, invece era stato indirizzato ad una polla d’acqua nel giardino sul retro. Doveva fare il bagno in uno stagno, dunque? Era stato molto titubante all’inizio, ma alla fine si era immerso, era così stanco…Siwon aveva fatto la guardia tutto il tempo all’ingresso del giardino. Dopo il bagno ristoratore aveva deciso di concedersi una passeggiata nel giardino altrettanto pieno di sorprese. Non c’erano aiuole perfettamente geometriche ad organizzare in modo quasi ossessivo ogni centimetro del giardino, bensì era la natura a prevalere. Qua e là splendevano polle d’acqua termale e l’unico segno della presenza umana era un padiglione ligneo dai colori sgargianti che sovrastava un piccolo stagno di loti. Il padiglione era apparentemente irraggiungibile, se non si notavano le pietre sconnesse che andavano a creare un passaggio tra la riva e la struttura.
Kibum alzò le braccia, unì le mani e si stiracchio la schiena come un gatto al sole. Aveva proprio bisogno di un po' di tranquillità. Certo, sapeva di non potersela prendere comoda, la sua fuga da palazzo era stata scoperta ancor prima di iniziare. Arricciò il naso con disappunto. Maledetto Heechul, imprecò tra sé. Kibum non rammentava di aver mai ricoperto qualcuno di tanti insulti come il giovane lord di Busan. Bhe, pensò, se li merita tutti. Ad ogni modo poteva giusto concedersi quella breve pausa, consapevole del fatto che le guardie avrebbero setaccio Soul sino alle fondamenta prima di essere spedite fuori dalla città. Tuttavia non voleva rischiare, lo svantaggio d’essere furbo era che Heechul lo sapeva e, non essendo da meno, avrebbe agito di conseguenza. Con ogni probabilità era proprio a lui che l’imperatore aveva affidato l’incarico di recuperarlo.
Chissà quale assurdità si sarà inventato quello scemo davanti a mio padre, si chiese Kibum. Di una cosa era certo: davanti alla corte avrebbero fatto passare la sua assenza come un momentaneo ritiro in qualche residenza di famiglia in vista della cerimonia di fratellanza.
Kibum si avvicinò allo stagno di loti. Le squame traslucide delle carpe luccicavano sotto la superficie trasparente dell’acqua. Una leggera brezza scompigliò le chiome dei ciliegi che crescevano ai margini dello stagno, posando petali rosati tra i capelli corvini del principe. Un dolce profumo invase le sue narici invitandolo a respirare a pieni polmoni. Quel giardino era un angolo di paradiso in confronto al villaggio che sorgeva all’intorno. Si sfilò gli svitali saggiando la sensazione dell’erba tenera sotto i piedi, poi saltò sulla prima pietra, deciso a raggiungere il padiglione.
 
 
Jonghyun era seduto tra i rami di un ciliegio che sorgeva ai piedi di uno stagno, nel giardino della locanda in cui lui e gli altri avevano deciso di alloggiare quella notte. Immerso nei propri pensieri fissava a vuoto l’intricato labirinto di rami. Probabilmente avrebbe passato lì l’intera nottata senza rendersene conto se non fosse stato per dei leggeri fruscii ai piedi dello stagno, sufficienti a destarlo dal proprio torpore. Cercando di mantenere l’equilibrio sul ramo, si sporse ad osservare il giardino sottostante. Allungando il collo oltre i fiori di ciliegio vide un ragazzo impegnato a saltare da una pietra all’altra per raggiungere il padiglione al centro dello specchio d’acqua. Jonghyun rise tra sé e lentamente scese dall’albero. Era davvero una scena divertente il modo in cui quella figura elegante saltellava, ogni suo movimento pareva una danza sulla superficie dell’acqua; una danza perfetta tranne che per un piede messo in fallo su una pietra troppo scivolosa. Senza perdere tempo a riflettere, Jonghyun si ritrovò a trattenere il polso del ragazzo mentre questi rischiava di finire in acqua. Con un gesto repentino fece ruotare il corpo dell’altro mettendo una mano dietro la sua schiena per sorreggerlo. Fu allora che i loro occhi si incontrarono. Jonghyun si sentì risucchiare e le sue labbra si aprirono leggermente in un suono di muto stupore. I suoni intorno a loro svanirono rimpiazzati dai battiti del suo cuore che andarono a scandire un tempo che si era fermato, sospeso come il loro equilibrio instabile dopo una danza vorticosa. E in quel tempo che non c’era, Jonghyun si ritrovò a fissare degli occhi sottili stupiti e attoniti quanto i suoi. Si sentiva strano, come se uno strano filo l’avesse irrimediabilmente legato ad un destino ignoto e in cambio gli promettesse quella bocca a cuore, ricettacolo di miriadi di segreti appena sussurrati. Fu come se sino ad allora fosse stato un pianeta solitario intento a ruotare unicamente su sé stesso e, improvvisamente, iniziasse a girare anche intorno al sole. La sua mano sciolse il polso del ragazzo andando a posarsi sulla guancia pallida dell’altro. Un tocco leggero, appena sfiorato. Fu allora che l’incantesimo s’infranse come cristallo sul pavimento. A Jonghyun parve quasi d’udirne il tintinnio. I suoni tornarono, il tempo riprese a scorrere. Quanto era passato? Un’ora, un giorno, minuti? Forse meno di un secondo.
Il ragazzo si ritrasse e, prima che Jonghyun avesse il tempo di trattenerlo, svanì tra i cespugli lasciando dietro di sé il profumo dolce di una promessa sospesa tra i flutti del tempo.
 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Scrivere l’ultima parte è stata una sofferenza, ho cambiato idea un milione di volte >.< Alla fine ho optato per Jonghyun “faccia da pesce lesso” che perde gli ultimi neuroni che ha in testa.
 
A presto!
 
[1] Per rendere le cose più chiare: ho scelto uno stile europeo per il mondo dell’aristocrazia, mentre tradizionale coreano-giapponese per la gente comune, l’ho fatto sia per gusti personali che per aggiungere un ulteriore divario tra le classi sociali. 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3. Solo, a un passo dall'ignoto ***


Ciao! Siamo a un punto di svolta, da qui in poi entreremo nel vivo della storia, mi dispiace, sono una dalle premesse lunghe! Come sempre chiedo scusa per possibili errori. Buona lettura!
Capitolo 3
Solo, a un passo dall’ignoto.
 
Kibum sbuffò, scalciò, si rotolò nel piumone e infine si mise a sedere su quello strano giaciglio posto su un liscio pavimento ligneo.
-Aish! –
Dormire, voleva solo dormire, chiedeva tanto? A quanto pare sì! Si era ripromesso di dormire non più di cinque ore e ripartire immediatamente, anche nel pieno della notte se necessario. Non si sentiva tranquillo, c’era troppa poca distanza tra lui e Soul, tra lui ed Heechul. Al solo pensiero del più grande rabbrividì. Ma non era quello a non farlo dormire, oh no, se si fosse trattato di una paura conosciuta, chiara, avrebbe certamente dormito, magari tormentato dagli incubi, sì, ma avrebbe dormito.
Domani avrò delle occhiaie spaventose, pensò prendendosi il volto tra le mani e scuotendo il capo.
No, a impedirgli di chiudere occhio era lui, quel ragazzo dagli occhi grandi e il fisico atletico che l’aveva fatto volteggiare quasi come fosse stato una bambola di pezza. Non appena si convinceva di essere riuscito a prendere sonno, quegli occhi venivano a fargli visita, lo scrutavano. Quella presa forte, quella carezza più simile ad un soffio, le percepiva ancora come se parte di lui fosse rimasto ancorato a quell’attimo fuori dallo spazio e dal tempo. Che cos’era quella strana sensazione che si era impadronita di lui non appena i loro occhi si erano incontrati? Qualcosa si era risvegliato dentro di lui, come un fuoco latente appena assopito, contorcendogli le viscere e strattonandolo sull’orlo di un precipizio di cui non vedeva il fondo. Eppure il salto aveva un che d’invitante.
No, no, no, si disse prendendosi a pugni in testa. Usa il cervello, Kim Kibum!
Non gli piaceva non avere la situazione sotto controllo e quello che era accaduto solo poche ore prima era decisamente fuori dai suoi schemi. E poi avrebbe tanto desiderato sapere: come si era permesso di toccarlo?! Lui era il principe, Kim Kibum, erede al trono di Chosun, bhe più o meno…insomma, quel ragazzo non lo poteva sapere, e poi lui era fuggito da palazzo per svignarsela a Nihon.
-Yah- disse alzandosi di scatto. Perché la sua esistenza era stata sconvolta nel giro di meno di due giorni?
Va bene, già avevo deciso di sconvolgerla da solo lasciando Soul, ma era necessario il fidanzamento con Heechul e l’idiota dello stagno? Aniyo!! Kibum calmati, si disse.
Aprì la porta scorrevole che dava sul giardino, respirando a pieni polmoni. La luna era alta nel cielo, fasci metallici tagliavano l’aria come lame d’acciaio. Forse poteva concedersi ancora un’ora di sonno, ma a cosa sarebbe servita? L’avrebbe passata a rigirarsi nel letto e a maledire quelle strane sensazioni.
Si preparò e rimise insieme il suo misero bagaglio. Siwon non avrebbe avuto nulla da ridire, probabilmente non aveva chiuso occhio nemmeno lui e stava facendo la guardia davanti alla sua porta. Infatti, non appena uscì dalla stanza lo trovò lì vestito di tutto punto, spada al fianco e sguardo vigile, come se si preparasse a condurre un esercito in battaglia.  Kibum sorrise. Trovava sempre impressionante la devozione che il cavaliere aveva nei suoi confronti, ma d’altra parte era comprensibile. Nonostante la differenza di età il principe gli aveva salvato la vita molti anni prima, quando Siwon era solo un ragazzo di strada che rischiava la gogna per furto. Era stato allora che Kibum l’aveva preso sotto la sua protezione. In breve, Siwon era diventato uno dei migliori spadaccini del regno, non senza attirarsi l’invidia di molti promettenti cavalieri. Primo tra tutti Kyuhyun, la guardia di Heechul; la loro rivalità era già leggenda tra i cadetti dell’accademia militare. Da allora Siwon aveva consacrato la propria vita al suo principe. Kibum sapeva che avrebbe fatto qualunque cosa per lui, anche sacrificarsi in prima persona, ma sperava non arrivasse mai a tanto. Non glielo permetterei mai, pensò.
-Signorino, volete andare? – chiese Siwon come se avesse letto l’urgenza nel volto del principe.
Kibum annuì, cercando di nascondere la propria agitazione. –Sì, questo posto non mi mette a mio agio, Siwon, voglio mettere più strada possibile tra me e Soul. –
-Certo, signorino. -
 
 
Kyuhyun fece arrestare il cavallo che sbuffò, i muscoli frementi per la corsa spossante. I cavalieri dietro di loro si arrestarono di botto, sollevando polvere dal sentiero sterrato, anche i cani al seguito si fermarono annusando l’aria. La volta celeste splendeva sul drappello di uomini, rendendo più facile e sicura la corsa notturna. Il sentiero si snodava tra le colline simile ad una cicatrice biancheggiante sotto i raggi lunari, grappoli di stelle brillavano come miriadi di lanterne, mentre non un filo di nuvole solcava l’orizzonte. La notte adatta per una caccia, eppure, Kyuhyun era nervoso. Cercare il dannato principe si stava rivelando una vera seccatura. Avevano raggiunto a notte tarda un villaggio a circa due giorni dalla capitale, un luogo anonimo di cui non rammentava nemmeno il nome. Lì aveva mandato i suoi a chiedere informazioni e a quanto pare sì, un ragazzo che corrispondeva alla descrizione del principe Kibum era passato da quelle parti; a quel punto era stato facile scoprire dove alloggiava. Sembrava cosa fatta: avrebbe messo fuori combattimento quell’insopportabile perfetto cavaliere di Siwon, preso il principe e riportatolo a Soul dal suo padrone! Invece no, quei due avevano deciso di giocarlo. Una volta giunto alla locanda aveva scoperto che se ne erano già andati.
-Poco meno di un’ora fa-, aveva detto il proprietario.
Kyuhyun grugnì per la frustrazione. Che Heechul se lo riprenda da sola! Ormai ha il potere a portata di mano, cosa gli importa di quel moccioso di Kibum? Ah già, vuole portarselo a letto, sbuffò.
Poco male, quei due non potevano essere lontani. Fece spaziare lo sguardo dall’alto della collina. Nulla, la strada sembrava deserta e l’erba ai margini del sentiero oscillava leggermente pettinata dalla brezza notturna. Era inutile rimanere sulla strada principale, chiunque temesse di essere seguito l’avrebbe evitata ed i due fuggitivi erano ancora troppo vicini a Soul perché si sentissero al sicuro.
Siwon avrà organizzato tutto nei dettagli, avranno preso una strada secondaria più protetta, rifletté il cavaliere
Kyuhyun fece voltare il cavallo, abbandonando il sentiero per lanciarsi al galoppo tra colline che modellavano il paesaggio in morbide onde, rese bianche e azzurre dalle luci della notte. Dei sentieri meno conosciuti tagliavano tra l’erba portando i viaggiatori lungo una serie di boschetti che conducevano sino al fiume Han. Quella era una buona strada per qualcuno in fuga. Spronò il cavallo seguito a ruota dal resto del drappello.
 
 
Kibum schivò l’ennesimo ramo che si metteva sulla sua strada. Non appena si erano addentrati nel boschetto erano scesi da cavallo e, mentre lui e Siwon si muovevano come ombre tra i tronchi, i quadrupedi spezzavano il silenzio notturno in uno scricchiolare di rametti e continui sbuffi. Kibum non aveva la più pallida idea di che strada avessero preso ma si fidava ciecamente di Siwon, anche se aveva l’impressione che nell’ultima mezz’ora stessero girando a vuoto. La consapevolezza di essersi smarriti aumentò nel principe quando notò che la guardia del corpo girava continuamente il capo da una parte e dall’altra, tastando nervosamente l’impugnatura della spada. Kibum sospirò, se conosceva bene l’altro era più teso al pensiero di dovergli comunicare di essersi perso piuttosto che per l’accaduto in sé. Kibum si schiarì la gola.
-Siwon, non importa se ci siamo persi, possiamo accamparci qui e attendere il giorno. Non passa luce tra questo fogliame. –
Nonostante le ombre della notte, Kibum fu certo d’intravedere del rossore sulle guance del cavaliere che abbassò il capo.
-Signorino, mi dispiace, non so come sia potuto accadere. –
Kibum gli mise una mano sulla spalla. – Non abbiamo un branco di lupi ad alitarci sul collo. Partire di notte è stato un mio capriccio…-
Kibum non fece in tempo a terminare la frase che trasalì, da non molto lontano giunse un ululato. C’erano davvero dei lupi dietro di loro?
No, pensò Kibum, questi sono cani da caccia!
Non che la cosa lo rallegrasse, cani da caccia volevano dire cavalieri in vista, e solo qualcuno che era sulle tracce di fuggitivi si sarebbe messo in strada a notte fonda. A meno che non stessero inseguendo banditi o assassini, quei cavalieri erano lì per loro. Kibum rabbrividì. Lo sentiva, lo sguardo di Heechul, bruciante come fuoco, fisso su di lui che lo seguiva silenziosamente da quando aveva lasciato il palazzo. Stava per entrare in paranoia, lo sentiva, sudava freddo.
-Signorino, vado a vedere…- disse Siwon, la spada già alla mano.
-No! – gridò Kibum, quasi isterico, afferrando il mantello dell’altro. Il principe deglutì. –Non lasciarmi da solo – disse ritrovando il contegno.
Siwon scosse il capo. – Non vi lascerò, ho giurato di proteggervi, non potrei mai abbandonarvi –, disse prendendolo per le spalle. –Rimanete fra i cespugli, mi allontanerò solo per qualche minuto, ma se nel frattempo dovessero avvicinarsi e non mi vedrete più…-
-Aniyo! –
Ecco, ora era davvero in panico. Si scostò i capelli dalla fronte, sudata. Heechul aveva ragione: lì fuori, da solo, non aveva alcuna speranza, non senza Siwon. Se lo perdeva per lui era finita, tanto valeva che si recidesse la gola con un pugnale. Scosse il capo con vigore. Che sciocco pensare di lasciare casa! Che cosa pensava di fare una volta sulla strada, che cosa pensava di fare a Nihon? Non aveva alcuna esperienza del mondo, alcuna prospettiva, era come essersi condannato a morte con le proprie mani! Le sue labbra si aprirono a vuoto, boccheggiando. Siwon lo scosse.
-Mi state ascoltando? –
No, pensò Kibum, non ho udito una parola, sono in una bolla di sapone. Forse dovrei…No, non posso tornare, morirei comunque di noia o mi ucciderei prima che quel verme riesca a mettermi le mani addosso! Ripensò alle pareti soffocanti in marmo e oro, all’indifferenza di suo padre, alla sera prima della fuga e gli mancò il fiato. Era come essere seppellito vivo, mentre urli e ti dimeni tra le viscere della terra dove nessuno ti può udire e solo una fredda lapide a rammentare un nome destinato a sbriciolarsi come foglie secche al vento. Non voleva quello!
Alzò gli occhi verso il cavaliere e annuì. –Vai, ma torna da me. E’ un ordine. –
Forse fu la paura, oppure Siwon fu davvero veloce, perché prima che se ne rendesse conto Kibum lo rivide spuntare tra gli alberi.
-Sono vicini, dobbiamo andarcene – disse con urgenza la guardia del corpo.
-Cavalieri di Soul? –
-Kyuhyun – disse Siwon tra i denti, - e cavalieri di Busan.-
Ecco, lo immaginava.
 Devi essere freddo, si disse, smettila di tremare come un coniglio, sei un principe!
-Liberiamo i cavalli. Ci sono di impiccio, correremo più agilmente senza di loro –
I cani erano sempre più vicini, anche il suono degli zoccoli dei cavalli che calpestavano il fogliame era divenuto più insistente insieme al tintinnare delle spade.
-Correre? – fece Siwon, stupito.
-Sì, correre. –
-Correre? Non mi pare una grande idea, mio principe, potreste farmi male e il mio padrone mi ha premurato di portarvi a casa tutto intero – disse una voce a soli pochi metri da loro.
Maledetto Kyuhyun! imprecò Kibum tra sé.
Il cavaliere stava in piedi con aria strafottente e la spada sfoderata, ansiosa di guizzare in direzione di Siwon.
-Spero che vi sia piaciuta la gita, ma è tempo di tornare a Soul. Il mio padrone è molto in ansia per voi – disse fingendosi costernato.
-Tsk, immagino -, fece Kibum. – Riferisci al tuo padrone di tornarsene nel buco dal quale è uscito. –
Kyunhyun si massaggiò le tempie, avanzando a passi misurati. Siwon aveva i nervi tesi e la mano sull’elsa della spada.
-Temo che, per quanto riferisca solo un vostro messaggio, il mio lord non gradirebbe e ci rimetterei la testa -, sogghignò. – Dovreste venire con me e riferirglielo di persona. –
-Va all’inferno –
-Aish, quanto siete capriccioso – disse Kyuhyun alzando le mani al cielo.
-Lo stai insultando, Kyuhyun? – chiese Siwon.
L’altro alzò un sopracciglio e poi balzò indietro. Una sorta di bolla blu e nera stava crescendo tra lui e i due fuggitivi, sfrigolante e pronta ad esplodere. Il cavaliere di Busan fece un passo indietro e l’esplosione arrivò scaraventando il drappello di uomini all’indietro.
Kibum corse come non aveva mai fatto nella sua vita, seguito a ruota da Siwon, pronto a coprirgli le spalle. Investì cespugli, saltò radici, tronchi, un ramo lo centrò in pieno volto graffiandolo all’altezza del sopracciglio sinistro. Siwon si fermò.
-Siwon? –
-Andate! – disse estraendo la spada, mentre Kyuhyun ed i suoi spuntavano tra i tronchi.
-Ma…-
-Andate! – gridò spingendolo.
Kibum raccolse il proprio coraggio e proseguì nella propria corsa, per un soffio evitò una freccia che sibilò a pochi centimetri dal suo zigomo.
-Che cosa fai, idiota!? È il principe, vuoi ucciderlo? Se gli fai solo un graffio porterò personalmente la tua testa a lord Heechul! -, sentì gridare Kyuhyun dietro di lui.
Kibum non se ne curò, continuò a correre. Il bosco stava diventando un labirinto senza fine, dietro di lui udiva solo lievemente la presenza dei cavalieri e di Siwon non c’era traccia. Che cosa doveva fare? Non poteva abbandonarlo, ma lui gli aveva detto di andare…si fermò prendendo fiato ed appoggiando le mani sulle ginocchia, ansimante. Il cuore gli batteva all’impazzata. Le mani gli bruciavano per i graffi e il sudore, i suoi vestiti erano un disastro di strappi e ragnatele. Sembrava che la tranquillità fosse tornata tra gli alberi all’intorno, quando udì il ringhiare dei cani e vide degli occhi luccicare nel buio della selva. Il fiato pestilenziale degli animali giunse sino alle narici del principe costringendolo a reprimere un conato di vomito. Uno ringhiò più forte e Kibum sobbalzò, allora l’adrenalina tornò a scorrergli nelle membra costringendo a correre. Seguì degli sprazzi luminosi che iniziavano ad intravedersi tra i rami, finché non fu costretto ad arrestare la propria corsa. I suoi piedi si fermarono ai piedi di un precipizio, sugli alti e vertiginosi argini del fiume Han. Kibum deglutì. I cani l’avevano circondato, i cavalieri si stavano avvicinando e sotto di lui si apriva il vuoto. Dei sassi franarono sotto i suoi stivali tuffandosi come bianche perle sotto i raggi lunari per poi sparire, inghiottiti dai neri flutti dell’oblio. Kibum si sentì perso ed i suoi pensieri corsero a Siwon, mentre i cani continuavano ad avanzare. Guardò verso il fiume per poi essere colto da un capogiro. Possibile che la sua corsa fosse destinata a fermarsi lì? Era solo, sospeso sul vuoto e a un salto dal nulla, dall’ignoto freddo e scuro pronto ad avvolgerlo in soffocanti tentacoli.
Il cane più grosso ringhiò con la bava luccicante nell’oscurità, poi balzo verso di lui. Kibum fece un passo indietro e l’argine crollo trascinandolo con sé. Avvertì il vuoto sotto i piedi, i tentacoli freddi dell’Han lo avvilupparono, scivolarono sotto i suoi abiti invadendo la pelle nuda, gelandola, e penetrarono prepotenti nella sua bocca togliendogli il respiro. L’oscurità, il nulla, erano intorno a lui.
 
 
 
-Voi non capite- disse Jonghyun con enfasi, gesticolando con ampi gesti delle braccia. – Non l’avete visto! –
Minho sospirò. Era da quando avevano lasciato la locanda quella mattina, anzi no, dalla sera precedente, per quanto fosse stato troppo stanco per udire le farneticazioni da ubriaco di Jonghyun; che il suo amico non parlava d’altro.
-Se vuoi il mio parere la notte scorsa hai bevuto troppo. –
-Ti dico di no! Sembrava un sogno…-
-Appunto! Falla finita, hyung. –
-Quel ragazzo era reale! –
-Uhm era reale, ma sembrava un sogno, uhm, si direbbe che tu abbia le idee un po' confuse, hyung – rise Taemin, incrociando le braccia dietro la testa e procedendo in testa al gruppo. Si girò verso il più grande facendogli una linguaccia.
-Brutto, piccolo…- disse Jonghyun agitando un pugno in direzione dell’altro.
Stavano tornando a casa, o meglio al Rifugio dei Ribelli, se così si poteva definire. Era un luogo protetto, non molto distante dal fiume Han. Era stato Taemin a trovare l’imboccatura di una grotta da cui si diramavano una serie di cunicoli. La genialità di Jinki aveva fatto il resto, insieme all’aiuto di tutti quelli che avevano aderito alla causa. Ovviamente, le abilità dei fratelli Lee erano state essenziali per la riuscita del progetto o non sarebbero mai stati in grado di creare un piccolo villaggio nelle fondamenta stesse della terra. Un nascondiglio perfetto.
–Voi non capite! È stato come, come…- proseguì Jonghyun.
-Un sogno? – chiese Minho scettico, alzando un sopracciglio.
-Come danzare tutta la notte e sentire la testa che ruota, ruota e ruota e le gambe così molli da non reggersi in piedi.-
-Ubriaco – disse Taemin annuendo, - decisamente i sintomi di una sbornia. –
-Che ne sai tu di una sbornia? – chiese Minho, guardandolo di sottecchi.
-Io? – fece l’altro sbarrando gli occhi, - come potrei mai sapere qualcosa di una sbornia? –
-I suoi occhi… – disse Jonghyun.
Minho sospirò.  - Se lo descrive un’altra volta lo strozzo, giuro che lo strozzo – disse a Taemin lasciando indietro l’amico in preda ai propri deliri.
-E quella labbra! – Jonghyun alzò le braccia al cielo. –Yah, non lo vedrò mai più! -
Taemin scosse il capo, ridendo.
-Dubito seriamente che degli occhi e delle labbra possano fare un tale effetto, forse una botta in testa – disse Minho. I suoi occhi andarono d’istinto ad incontrare quelli di Taemin che, arrossendo, abbassò il capo. Minho tossicò.
Usciti dalla boscaglia poterono godere dei raggi caldi del sole. Lo scorrere del fiume Han rimbombava sotto di loro. Imboccarono un sentiero che scendeva lungo la scarpata per raggiungere una strada stretta che costeggiava il fiume. Procedettero in fila indiana, Taemin in testa. Il più piccolo fu il primo ad entrare nell’anfratto, anticipando gli altri con lunghi balzi. La sua testa sparì nella penombra della grotta. Jonghyun fischiettò.
-Muoviti innamorato! – lo canzonò Minho.
Jonghyun tirò sul col naso, risentito. – Non mettermi fretta, Minho, sto ammirando le bellezze della natura. -
Minho scosse il capo con l’aria di chi ha perso ogni speranza.
-Ehi, c’è qualcosa qui! – gridò Taemin sbucando dalla grotta e agitando le braccia con urgenza.
-Aish, avrà visto qualche cucciolo da raccogliere per strada. – commentò Minho.
Jonghyun sbadigliò stirandosi la schiena. -A me piacciono i cuccioli –, disse con non curanza.
Entrati nella grotta avvertirono un brivido quando il calore del sole li abbandonò, sostituito da un freddo umido capace di far rizzare i peli sulle braccia. I riverberi del sole baluginavano tra i rigagnoli d’acqua simili a vene traslucide animate da pesci dorati, riflettendosi poi sulla volta della grotta.
Taemin era accucciato vicino all’oggetto della propria attenzione. –Non è un cucciolo, è un ragazzo. –
A quelle parole gli altri due si affrettarono. Infatti, tra le rocce e l’acqua basse vi era riverso un ragazzo dagli abiti stropicciati e zuppi quanto i capelli che gli ricadevano scompostamente sul volto. Un rivolo di sangue gli colava lungo la tempia sinistra. Il collo e le mani che spuntavano dalla camicia quasi lacera erano pallidi come marmo appena levigato.
-E’ vivo? – chiese Minho. Taemin annuì alzandosi, mentre Jonghyun prendeva il suo posto ai piedi del giovane.
Jonghyun trattenne il respiro, quella labbra esangui le aveva già viste quando ancora conservavano la colorazione dei fiori di ciliegio.
-Non è possibile – sussurrò a fior di labbra.
La sua dita corsero d’istinto al volto del giovane scostandogli la chioma corvina e rivelando un volto delicato. Era lui, avrebbe riconosciuto quel taglio di occhi ovunque. Allora accadde di nuovo, quella sensazione, quel filo che lo tirava dal centro del petto. Le punte delle sue dita riconobbero la sensazione di quel lieve contatto, esplorarono quel volto ignaro ricercando un tempo perduto esistito solo per una frazione di secondo, in un mondo lontano anni luce. I suoi polpastrelli sfiorarono la tempia insanguinata tingendosi di cremisi.
-Ma è lui! – esclamò Taemin. - Il tizio che mi ha salvato la testa al mercato! -, disse portandosi le mani al collo.
-Come? Quale tizio, quale testa? – proruppe Minho. –Avevi detto che non era successo niente -, disse incrociando le braccia e squadrando il più piccolo.
Taemin allungò braccia tra lui ed il più grande, agitando le mani. – Ora questo non è importante, lui sta male! –
-Devi raccontarci un po' di cosette tu…Jonghyun, stai bene? – domandò notando il volto pallido e assorto dell’amico ancora chino.
-E’ lui – rispose.
Taemin sbuffò. – E’ quello che ho detto poco fa, aspetta un momento, ma tu come…-
Jonghyun scosse il capo. – No, lui, quello della notte scorsa. –
La bocca del più piccolo si aprì a vuoto e Minho sbatté le palpebre, perplesso.
Jonghyun sollevò il ragazzo prendendolo tra le braccia, mentre questi rimaneva privo di sensi.
-Che cosa pensi di fare? – chiese Minho, allarmato.
-Non possiamo lasciarlo qui.-
-Che?  Non penserai di portarlo al Rifugio? Non si può! –
-Quindi, dobbiamo lasciarlo qui a morire, perché è questo che succederà…- disse alzando il tono della voce.
-Jong, calmati. Cerca di essere ragionevole. –
-Sono ragionevole.-
-No, non lo sei. Noi non…-
-Mi assumo io la responsabilità – intervenne Taemin, serio, guardando entrambi. –Questa persona mi ha quasi salvato la vita ieri, non posso lasciarlo qui. –
-Ma Jinki…- fece Minho.
-Parlerò io con mio fratello. –
Jonghyun strinse più forte a sé il ragazzo e fissò con dolcezza quel volto pallido. Non avere paura, ci sono io con te, pensò.  

Ciao! Spero sia stata una lettura piacevole! Ringrazio chi recensisce costantemente, chi ha inserito la storia tra le seguite, le preferite o quelle da ricordare e tutti i lettori! Alla prossima!

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Capitolo 5
*** Capitolo 4. Di fiori di pesco, porte chiuse ed erba del diavolo per il principe ***


Capitolo 4
Di fiori di pesco, porte chiuse ed erba del diavolo per il principe
 
Il tintinnare del cucchiaio sulla tazzina era l’unico rumore che alterava il silenzio assoluto nella stanza, così come l’unico profumo era quello del ginseng. Jinki portò la tazza alle labbra con una lentezza che Taemin giudicò quasi maniacale, solo quando suo fratello la posò sul tavolino basso  il più piccolo tornò a respirare. Bhe, più o meno, lo sguardo che Jinki gli rivolse era serio e quasi inespressivo, costringendolo nuovamente a trattenere il fiato. Non solo suo fratello affrontava apparentemente ogni problema con calma serafica, ma aveva anche una mente calcolatrice, elementi sufficienti a mettere in guardia chiunque dotato di un briciolo di cervello. A volte era impossibile comprendere cosa passasse nella sua mente, se fosse totalmente immerso in un mondo parallelo o se stesse lavorando a qualche piano complesso.
-Dunque – iniziò Jinki, sfiorando con i polpastrelli la tazza incandescente. – lo hai portato qui. –
Taemin annuì. Sapeva che quel che aveva fatto, portare il ragazzo all’interno del Rifugio, andava contro le regole, ma sapeva anche che se fosse morto a causa sua non se lo sarebbe mai perdonato. Ma non era questo a preoccuparlo, il vero problema era che non aveva salvato un semplice contadino.
E questo Jinki non lo sa’, pensò.
Dubitava che suo fratello avrebbe preteso la sua testa per quello, ma pronosticava un quarto d’ora duro, molto duro. Le sue gambe ripiegate sul cuscino formicolarono.
-Mi dispiace, hyung. -
Jinki annuì, calmo, piegando leggermente il capo. – Mi sarei stupito se tu l’avessi lasciato là a morire. E non avrei approvato. –
Taemin sospirò e posò sul tavolo il fazzoletto che il giovane gli aveva dato. Ora arriva la parte difficile, si disse.
Jinki guardò il fratello, perplesso. Afferrò il fazzoletto facendolo scorrere tra le dita affusolate e saggiandone il ricamo con il pollice. Il tutto avvenne in un tempo troppo lungo perché Taemin riuscisse a gestirlo oltre.
-Non è un nobile qualunque, hyung – disse per rompere il silenzio.
-No, non lo è –rispose senza distogliere lo sguardo dall’oggetto incriminato.
Taemin sospirò. – Quindi avevo ragione? Un membro della famiglia reale…-
-No, Minnie, non un membro della famiglia reale. L’erede al trono di Chosun. –
La voce di Jinki era tranquilla, simile al mare piatto senza un filo di vento a smuovere la sua superficie. Taemin impiegò qualche secondo a mettere insieme le parole del fratello, la natura dell’affermazione stonava terribilmente con la calma piatta con cui era stata espressa.
-Erede al trono di Chosun – ripeté Taemin a mezza voce, sbiancando.
Jinki si alzò passeggiando nella stanza, le mani unite dietro alla schiena. – Lo stemma è della famiglia reale, ma solo l’imperatore o il principe lo portano in quel modo -, disse come se stesse recitando una lezione da manuale.
-E di certo il nostro ospite è troppo giovane per essere l’imperatore. – Jinki rivolse un sorriso raggiante al fratello, come se avesse appena fatto una divertentissima battuta. Taemin non vi trovava niente da ridere, e quella risata con sorriso dolce in allegato era decisamente inquietante.
- Che cosa facciamo?- chiese in un singulto.
Jinki sospirò. – Hai detto che te ne saresti assunto la responsabilità, ebbene è ciò che farai. Ti occuperai di lui finché non si sarà ripreso, quando si sveglierà voglio essere avvisato, subito. Allora decideremo sul da farsi. –
Taemin annuì e fece per andarsene. A quanto pare ho un paziente da accudire, pensò, bhe in realtà non sono di certo un medico.
-Ah Minnie, un’altra cosa: fa in modo che nessuno si avvicini troppo a lui, privo di sensi o no è meglio evitare complicazioni. –
-Certo, hyung – rispose annuendo con vigore.
Taemin uscì sospirando. Non sarà facile tenere lontano Jonghyun, pensò. Sarà come frenare la corsa di un toro impazzito.
-Aish! –
Stava attraversando un corridoio illuminato da lanterne appese alle pareti, quando l’oggetto principale delle sue preoccupazioni apparve davanti a lui. No, non il dannato erede del maledetto regno di Chosun, no, la sua principale preoccupazione ora era come gestire Kim Jonghyun, ed ecco che il più grande spuntava all’orizzonte.
Quando si parla del diavolo, pensò.
-Allora – chiese Jonghyun, -lo teniamo? –
Che?, pensò Taemin.
-Tenerlo? – scattò Minho, – non è un cucciolo! –
-Stai un po' zitto tu –, lo mise a tacere l’amico.
Taemin decise di passare oltre dirigendosi verso le sue stanze dove dormiva il ragazzo. Gli altri due gli corsero dietro, o meglio, Jonghyun lo fece, Minho si limito a seguirlo di conseguenza. Il più grande del gruppo continuò a blaterare per tutto il tragitto, Taemin lo ignorò, solo quando giunse a destinazione si voltò per affrontarlo. Qualcuno doveva dare un sedativo a quel bufalo inferocito.
Possibilmente prima che decida di sfondare la porta della mia stanza, pensò.
-Stammi bene a sentire, Kim Jonghyun – disse picchiettando l’indice sul petto dell’altro, - sempre che il tuo unico muscolo sotto allenato riesca a recepire le mie parole: c’è una persona malata qui e tu non la disturberai! Entrerai in questa stanza quando, come e nei tempi che ti dirò io, e se ti vedo saltellare qui davanti come un scimpanzé, bhe, ti assicuro che non supererai mai questa soglia, chiaro? –
Jonghyun sbatté le palpebre grattandosi il capo mentre il più piccolo gli chiudeva la porta in faccia.
 
 
Quando Taemin entrò nella stanza raggiunse subito il giovane. Con l’aiuto degli altri l’aveva fatto stendere sul suo letto coprendolo con un piumone caldo, per tutto il tempo l’altro non aveva ripreso conoscenza e dalle sue labbra erano fuoriusciti solo dei mugugni senza senso. Taemin non ne era stupito, aveva un febbrone da cavallo, era stato Jonghyun ad accorgersene non appena gli aveva toccato la fronte.
-Va a fuoco -, aveva detto allarmato.
Taemin si avvicinò circospetto, timoroso di svegliarlo, ma non aveva scelta, doveva quanto meno sperare in una minima reazione se intendeva ripulirlo e fargli indossare abiti puliti. Non fu un’impresa facile, per quanto il ragazzo fosse leggero era alto quanto lui e attualmente era come sollevare un peso morto. Non appena ebbe portato a termine il compito lo rimise a letto avvolgendolo in coperte calde e posizionando sotto il suo capo diversi cuscini. Gli mise una pezza d’acqua fredda sulla fronte e rimase ad osservarlo per qualche minuto. Il ragazzo respirava a fatica a causa della febbre alta, il suo petto si alzava ed abbassava con irregolarità.
Come avrà fatto a ridursi così?, si chiese Taemin.
I due giorni successivi li passò in completo isolamento, concedendosi delle pause solo per consumare dei pasti frugali e riposare. Non c’era molto da fare in realtà, ma Taemin non se la sentiva di lasciare il ragazzo da solo con la febbre alta ed il terrore che potesse svegliarsi all’improvviso, magari mentre altri erano in quella stanza. Per altri s’intendeva Kim Jonghyun. Dopo tanto insistere e agitarsi come una scimmia che cerca di afferrare un casco di banane, Jonghyun era riuscito a farsi concedere il permesso di far visita al malato. Nonostante il più piccolo fosse molto sulle spine, la presenza di Jonghyun si rivelò più che positiva. Ora Taemin poteva prendersi delle pause e tornare, anche se brevemente, a far parte della vita attiva del Rifugio insieme agli altri Ribelli. Inoltre, Jonghyun si prendeva cura del ragazzo con dedizione, ogni suo gesto, come il semplice detergergli il volto accaldato, racchiudeva una profonda tenerezza.
Taemin faticava a credere che il giovane fosse davvero il principe di Chosun. Aveva passato la vita ad odiare i Kim per quello che avevano fatto alla sua famiglia, eppure non riusciva ad associare il volto delicato del principe all’idea che si era fatto dei suoi nemici. Certo, sapeva che non era colpa del ragazzo quello che era accaduto, era troppo giovane, ma apparteneva allo stesso sangue dell’imperatore. Mille domande lo tormentavano e questa era solo una delle tante. C’erano così tanti misteri in quella vicenda: perché il principe si trovava lontano del palazzo reale, come e perché era finito nel fiume Han salvandosi quasi miracolosamente?
Taemin fece scorrere lo sguardo stanco dal ragazzo a Jonghyun. Cosa aveva unito indissolubilmente i fili del destino di quei due perfetti sconosciuti?
-Senti, sei abbastanza spossato, sei chiuso qui da troppo tempo. Perché non vai nella sala degli addestramenti ad allenarti con la tua abilità? Così la prossima volta eviterai di rubare frutta. – disse Jonghyun.
Il più piccolo l’aveva guardato di sottecchi.
-Ti giuro che starò buono, se si sveglia ti avviserò immediatamente e sarò muto come un pesce. –
Taemin ci pensò su, alla fine cedette. Aveva davvero bisogno di un po' di moto.
 
 
A Kibum sembrava di nuotare nel vuoto, in un’oscurità densa simile all’inchiostro. Il caldo soffocante era intervallato da correnti d’aria fresca e dalla sensazione di gocce di riguarda sulla fronte. Forse avrebbe dovuto essere terrorizzato, ma in quell’oscurità quieta nulla turbava la sua mente. Nulla. Tutti i pensieri che sino ad allora lo aveva tormentato, che la notte precedente gli avevano impedito di dormire, sembravano svaniti, inghiottiti in quello stesso vuoto che man mano risucchiava anche lui. Kibum si accoccolò in quello strano tepore come un gatto fa in una coperta di lana in inverno. Forse faceva troppo caldo, ma non importava perché la sua mente era libera. Poteva sopportare tutto quel calore se quello era il prezzo. Mugugnò, qualcosa stava tentando di disturbare la sua tranquillità. Fame. No, pensò, non voglio mangiare, voglio dormire. Lasciatemi dormire.
La luce fece capolino aprendosi varchi sottili tra le palpebre e superando la protezione delle ciglia scure. Allora il buio lo abbandonò, il vuoto fu sostituito da morbidi cuscini e calde coperte. Non c’era più il nulla davanti a lui, ma le pareti confortevoli di una stanza arredata con mobili tradizionali, solo il letto dall’alto materasso su cui era disteso stonava con il resto, insieme a delle pesanti poltrone foderate di velluto.
Dove sono? si chiese, questa non è Soul.
Certo, rammentava di avere lasciato il palazzo, ma potevano averlo riportato indietro. Forse nella notte erano stati attaccati…
No, rifletté.
La testa gli martellava, varie immagini si susseguirono confuse per poi farsi più chiare e nitide. la foresta, i cani, i cavalieri di Busan, il fiume e poi la terra che franava sotto di lui. Con gli occhi ancora semi chiusi allungò un braccio incontrando una mano calda e rassicurante.
-Siwon? – chiese in un sussurro, sfiorandola.
Ma quando alzò gli occhi non fu Siwon che vide. Tra tutte le persone sulla faccia della terra perché lui, perché l’idiota dello stagno? Il suo peggiore incubo! Bhe, forse la definizione era un po' azzardata, ma la fortuna non stava di certo girando dalla sua parte negli ultimi tempi.
Gli occhi grandi del ragazzo lo fissavano con apprensione e allo stesso tempo erano raggianti, mentre stringeva a sua volta la mano del principe. Kibum sobbalzò tra i cuscini accorgendosi di avere ancora le dita intrecciate con quelle dell’altro.
-Non preoccuparti, sei al sicuro. –
La voce del ragazzo era bassa e calda, simile ad una brezza estiva che porta con sé il profumo dei fiori di pesco. Conservava lo stesso tepore confortante in cui Kibum avrebbe voluto avvolgersi per non risvegliarsi mai più, lontano da tutto e da tutti. Scosse il capo.
Che razza di pensieri sono?!, si disse.
Abbassò gli occhi, non riusciva a guardarlo, non voleva guardarlo. Aveva troppa paura, paura che tutte quelle strane sensazioni tornassero a travolgerlo come un fiume in piena.
Il ragazzo rise. – Aspetta, ti aiuto. –
Senza attendere risposta, l’altro gli mise la mano sulla fronte togliendogli una pezza bagnata e ravvivandogli i capelli. In quei brevi secondi, Kibum si rese conto di essere rimasto imbambolato a tormentarsi su come evitare lo sguardo dell’altro, continuando inconsapevolmente a tenergli la mano che ora ritrasse.
L’espressione del ragazzo s’incupì e Kibum si vergognò subito di quel gesto repentino e poco cortese. Dopotutto, l’altro non poteva sapere cosa lo tormentava e desiderava solo essere gentile con lui.
-Scusa, io…- Kibum si bloccò, arrossendo e abbassando il capo, era davvero la sua voce quel gracchiare che era uscito dalle sue labbra?
Il ragazzo gli porse un bicchiere d’acqua e lui bevve avidamente. Non si era accorto di essere così assetato. Quando stava per appoggiare la schiena sui cuscini e rilassarsi, ecco che la mano dell’altro cercava di dargli delle tenere pacche sul capo. Kibum si ritrasse tra le lenzuola e questa volta il ragazzo rise.
-Non ti piace il contatto fisico, eh? Io sono Jonghyun –
-Jonghyun – sussurrò Kibum.
Il sorriso di Jonghyun parve allargarsi a dismisura, quando apparve un giovane esile e dalla chioma chiara.
-Che cosa stai facendo? – chiese il nuovo arrivato in tono allarmato.
-Cercavo solo di instaurare un rapporto…- iniziò Jonghyun.
-Balle! Ti avevo detto di avvisarmi se si fosse svegliato e di non parlargli! -
Perché parlano come se non fossi presente? Si chiese Kibum. Non era abituato a quel tipo di trattamento.
-Yah, da quando si parla con così ad uno hyung? –
Il nuovo arrivato spinse Jonghyun fuori dalla stanza senza troppe cerimonie. Quando ebbe portato a termine quel compito che sembrava ritenere vitale, sorrise soddisfatto.
Aspetta un attimo, pensò Kibum, anche questo tizio lo conosco. Il ragazzo del mercato!
-Noi ci siamo già visti – disse.
-Ti ricordi di me! Lee Taemin, piacere! –
Che parlantina, pensò Kibum.
-Come…-
-Come sei finito qui? Io e quel tizio irritante di prima, Jonghyun, e Minho, un nostro amico, ti abbiamo trovato vicino al fiume. Non eri messo molto bene, devi aver fatto un bel tuffo dalla scarpata, come tu sia sopravvissuto è un mistero, le possibilità di affogare o schiantarsi contro i massi sono decisamente alte.-
Kibum scosse il capo. – Non lo so, ricordo solo di essere caduto. –
L’altro annuì, pensoso. – Sei stato fortunato. -
-Uhm. - Fortunato, pensò Kibum, quanto meno sono vivo.
Kibum si sentì a disagio. Nella stanza era calato un silenzio imbarazzante, cosa doveva dire a questa persona, cosa doveva fare? Come minimo la buona etichetta imponeva che si presentasse come aveva fatto Taemin, ma per quanto sembrasse una brava persona non poteva sapere sino a che punto fidarsi. Poteva rivelare con leggerezza il suo nome? Ne dubitava. Non sapeva nemmeno dove si trovava.
-Dove siamo? – chiese alla fine.
Taemin si mordicchiò il labbro inferiore. – Dove siamo? Eh, scusami, non posso dirtelo. –
Il più giovane era chiaramente agitato, si mordicchiava il labbro e torturava le mani
Kibum iniziò a sentirsi inquieto. Era vivo, certo, Taemin e i suoi amici lo avevano salvato, ma cosa ne sarebbe stato di lui, dove si trovava, chi erano quelle persone?
-Devo andare – disse Taemin all’improvviso. – Devo, ehm, avvisare mio fratello che stai bene. –
Kibum lo afferrò per il polso. –Aspetta. –
L’altro si bloccò.  
-Avete trovato qualcun’altro? –
Taemin scosse la chioma in segno di diniego. – No, eri solo. –
Solo, pensò Kibum con amarezza. Sono sempre stato solo.  Siwon…
-Torno presto – disse Taemin.
Quando se ne fu andato, Kibum si raggomitolò tra i cuscini e delle lacrime iniziarono a rigargli il viso. Da quanto tempo non piangeva? Gli sembrava una vita, l’ultima volta era stato alla morte di sua madre e credeva di aver versato tutte le lacrime che possedeva. Scacciò quel pensiero, ricordi confusi e frammezzati che voleva tenere seppelliti nella propria testa, sigillati dietro una porta di cui la sua mente aveva deciso di smarrire la chiave. Certe porte devono rimanere chiuse per continuare a vivere.
Siwon, dove sei?
 
 
 
***
L’odore di carne bruciata pervadeva la stanza, il cavaliere si contorceva sul pavimento marmoreo tra singhiozzi e singulti. Heechul ritirò la mano ancora fumate di rabbia e di puro fuoco, osservando il moncherino carbonizzato dell’uomo ai suoi piedi.
Verme, pensò, continua pure a strisciare.
Con un gesto annoiato della mano ordinò alle guardie di portarlo via. Heechul rimase solo con il suo braccio destro, Kyuhyun.
Gli alti stivali del lord riecheggiarono sul pavimento marmoreo bianco e rosso. La luce entrava dalla grande vetrata dall’intelaiatura dorata, una leggera brezza soffiava nella stanza disperdendo l’odore di bruciato e facendo oscillare leggermente le tende in seta scarlatta.
-Dimmi, cosa del compito che ti avevo affidato era così complicato? – chiese accasciandosi sul divano foderato di rosso, allungando leggermente le gambe e massaggiandosi le tempie.
-Mio signore…-
-La tua scorribanda sulla strada sud è stata un totale fallimento –, disse pacato. -Non solo non riesci a gestire i tuoi uomini, ma ti chiedo un principe e mi porti un cane da guardia! – Urlò scattando in piedi.
Kyuhyun sobbalzò.
-Dov’è Kim Kibum? –
-Io – iniziò, deglutendo, - non lo so…-
-Non lo sai – ripeté l’altro rivolgendogli uno sguardo bruciante. Sul tavolo di fronte a lui si trovava un cofanetto ligneo da cui prelevò un’ampolla colma di un liquido verdastro.
Heechul si alzò. –Non serve un esercito per recuperare un ragazzino. –
-Ma la sua abilità…- azzardò l’altro.
-Usa questa. Lo sai cos’è, vero? –disse porgendogli l’ampolla.
Kyuhyun annuì. Estratto di stramonio[1], l’erba del diavolo capace di annichilire qualunque abilità.
-Con questo, per quanto il principe sia un buono spadaccino, dovrebbe essere come avere a che fare con un bambino per qualcuno che ha battuto il grande Siwon. –
-Farò del mio meglio, mio signore. –
-E’ ciò che mi aspetto. Vai. –
Il cavaliere s’inchinò ed uscì.
Heechul si spostò verso la vetrata, le mani unite dietro la schiena. I tetti dei palazzi aristocratici di Soul luccicavano sotto il sole dell’estate, allontanandosi dal ricco e palpitante centro della città le dimore lussuose erano sostituite da abitazioni tradizionali in legno laccato dai colori sgargianti, degradando poi in baracche e catapecchie che si affollavano in prossimità delle mura. Oltre le porte di Soul s’apriva la campagna verdeggiante attraversata dal fiume Han. Presto, tutto sarebbe stato suo, solo quel piccolo inconveniente si frapponeva tra lui e il trono. Heechul era sulle spine. L’imperatore non era contento di come stavano andando le cose, aveva fatto intendere chiaramente al giovane lord che avrebbe dovuto rinunciare alla posizione appena ottenuta se non avesse ritrovato il principe. Heechul picchiò un pugno sul vetro. Sapeva che il caratterino di Kibum gli avrebbe causato non pochi problemi.
Non importa, si disse, dovrò solo anticipare i miei piani e poi provvederò a domare quel micio selvatico.
 
***
 
Il capo dei Ribelli aveva arredato le sue stanze prediligendo uno stile tradizionale[2], senza fronzoli ma al contempo lussuoso, mobili in legno pregiato con intentarsi in madreperla e sete provenienti dai regni vicini. Seduto davanti al tavolino basso al centro dell’ambiente, si versò una tazza di tè, diffondendo all’intorno un aroma appena speziato.
E così si è svegliato, rifletté Jinki, intrecciando le mani sotto il mento. Aveva ricevuto la notizia pochi minuti prima e doveva ammettere che era preoccupato ed eccitato al tempo stesso. Il figlio del suo peggiore nemico era sotto il suo tetto, un’occasione d’oro che poteva segnare una svolta. Ma cosa sapeva del principe? Nulla. Le sue stesse spie a Soul non aveva saputo fornirgli informazioni esaustive. Sembrava che il principe non prendesse parte alla vita politica del regno, che cosa significa? Era forse un frivolo che si crogiolava unicamente nei piaceri della corte, uno sciocco o forse le sue idee erano in contrasto con quelle del padre? O forse agiva nell’ombra per conto dell’imperatore? Sapeva solo questo: chiunque fosse Kim Kibum aveva salvato la vita al suo adorato fratellino e ora, volente o nolente, Lee Jinki era in debito con l’erede dei Kim. C’era un unico modo per dispiegare quella matassa e prendere delle decisioni a riguardo. Doveva incontrarlo e guardarlo negli occhi. Di una cosa era certo, le pedine sulla scacchiera stavano cambiando, ora aveva un asso nella manica. Jinki sorrise tra sé.
 

[1] Lo stramonio comune (Datura stramonium), conosciuto anche come erba del diavolo, è una pianta appartenente alla famiglia delle Solanaceae. Si tratta di una pianta molto velenosa a causa dell'elevata concentrazione di alcaloidi presente soprattutto nei semi. Ha proprietà allucinogene. Se ingerita può provocare grave nausea, crampi, dolori addominali e portare alla morte.
[2] Ricordo che con tradizionale mi riferisco ad uno stile coreano-giapponese. 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5. Key ***


Ciao a tutti! Come sempre chiedo scusa per possibili errori e…Buona lettura!
 
Capitolo 5
Key
 
-Mi dispiace, hyung – disse Taemin togliendogli la benda dagli occhi.
Ci volle qualche secondo prima che Kibum si abituasse nuovamente alla luce, sbatté le palpebre e poi si voltò verso il più piccolo.
-Non preoccuparti – disse sorridendo.
Taemin si morse il labbro, poco convinto, poi bussò alla porta in legno massiccio di fronte a loro. Il suono riecheggiò lungo il corridoio deserto. Kibum era rimasto bendato lungo tutto il tragitto, dalle stanze di Taemin sino a quell’anonima porta lignea. Non aveva udito alcun suono di presenza umana durante il percorso, come se quel luogo fosse popolato unicamente da fantasmi. Tuttavia, aveva percepito la presenza di altre persone dietro le porte sbarrate e lungo i corridoi, immobili come statue.
Dove sono finito? si chiese per l’ennesima volta da quando aveva ripreso conoscenza.
Iniziava a sentirsi poco sicuro. Si fidava di Taemin, anche di quello strano tipo, Jonghyun, ma non poteva dire di sentirsi rassicurato dall’aura di mistero che pervadeva quei corridoi silenziosi.
-Avanti. – Una voce composta giunse da oltre la porta.
Kibum deglutì, per quanto il timbro di quella voce risultasse calmo e rilassato.
Bhe, io non lo sono per niente!
-Stai tranquillo, mio fratello non morde – disse Taemin, rivolgendogli un sorriso ostentando convinzione.
Ora sì che sono più tranquillo, pensò Kibum.
Dopo il suo risvegliò, Kibum aveva passato il giorno successivo nelle stanze di Taemin, riposandosi e rifocillandosi. Aveva rivisto Jonghyun in un'unica occasione, quando quest’ultimo gli aveva portato degli abiti di ricambio, in compagnia di un altro ragazzo, Minho. Kibum non l’aveva mai visto, ma sapeva che anche lui l’aveva salvato al fiume, tuttavia per quanto fosse grato nei suoi confronto non riusciva a sentirsi a proprio agio con lui. La visita era stata breve, eppure il principe aveva avuto la sensazione di non piacergli per niente, aveva uno sguardo severo e sembrava diffidente.
Quelle persone nascondevano qualcosa, era evidente, e questo spiegava perché fossero così circospette e non gli avessero posto troppe domande, probabilmente timorose di riceverne altrettante. Ma con il fratello di Taemin sarebbe stato diverso. Da quanto aveva capito era lui a comandare e quella visita aveva il sentore di un interrogatorio.
Kibum fece un bel respiro ed entro. L’ambiente aveva tutta l’aria di uno studio, simile alla stanza in cui aveva vissuto negli ultimi giorni, apparentemente più sobrio ma più raffinato, il pavimento era ricoperto da un tappeto dai motivi floreali. Si guardò intorno, chiunque occupasse quell’ambiente doveva amare molto i libri, perché gli scaffali lungo le pareti ne erano colmi.
-Puoi sederti. –
Kibum sobbalzò, rendendosi conto di essere rimasto a fissare l’ambiente all’intorno del tutto dimentico del soggetto che occupava la stanza. Abbassò lo sguardo e incontrò la figura di un ragazzo, seduto a gambe incrociate davanti ad un tavolino. Prese posto davanti a lui sedendosi sul cuscino, le gambe ripiegate. Il suo disagio aumentò, era abituato alle grandi poltrone dei palazzi, ai divani…cercò di mettersi comodo, la situazione era già abbastanza scomoda senza rischiare formicolii alle gambe, posò le mani sulle cosce e tornò a guardare il suo interlocutore. Era giovane, il fratello di Taemin, doveva avere solo qualche anno più di lui, i capelli erano pettinati in modo ordinato, indossava una camicia e dei pantaloni tradizionali, ma in seta pregiata, e lo studiava. Sì, fu proprio questa la sensazione che ebbe Kibum, che lo stesse studiando, ogni singolo movimento, anche quelli più impercettibili. Trovò la cosa irritante, nessuno aveva mai osato tanto, nemmeno suo padre che si limitava a lanciargli sguardi sfuggenti e noncuranti.
Kibum strinse i pugni, bhe, non mi farò intimidire. Mi vuole studiare? Faccia pure, io farò lo stesso con lui.
Jinki ticchettò le punte delle dita sul tavolo, continuando a fissare Kibum. L’osservò a lungo, il principe, e per la prima volta in vita sua sentì di non essere in grado capire qualcuno da un’unica occhiata, abilità della quale si era sempre vantato. Trovò la cosa frustrante. Jinki aveva visto l’imperatore una sola volta, molto tempo fa, ma il ragazzo che aveva difronte non sembrava suo figlio; un nobile, un principe, sì, ma non il figlio dell’imperatore Kim. Aveva un volto fine, delle rosee labbra a cuore e morbidi capelli corvini, il corpo risultava esile sotto la camicia di cotone bianca, ma non per questo debole. Jinki pensò ad una canna di bambù, sottile ma allo stesso tempo abbastanza forte e flessibile da resistere alle intemperie. Continuò a sondare quegli occhi sotti simili a quelli di un gatto, intelligenti e arguti, che conservavano un’innocenza genuina priva di malizia.
Se pensava di schiarirsi le idee con quell’incontro, bhe, si era sbagliato di grosso. I dubbi aumentavano. Non era un frivolo, non uno stupido, né il braccio destro del famigerato imperatore, non poteva esserlo, non con quell’innocenza negli occhi e Jinki sapeva che quegli occhi non mentivano. Si portò una mano sotto il mento, segno che stava già elaborato qualche strategia.
Intanto, Kibum sosteneva il suo sguardo, ponendosi domande non dissimili sulla natura dell’altro.
-Sono Lee Jinki, Taemin mi ha parlato di te. So che lo hai aiutato, ti ringrazio molto– disse infine il suo ospite.
Kibum chinò il capo in segno di saluto. Normalmente non l’avrebbe mai fatto, erano gli altri a doverlo fare con lui, ma non era a Soul e il tono stesso del ragazzo imponeva rispetto. Chiunque l’avrebbe fatto senza pensarci due volte.
-E tu – disse intrecciando le mani sul tavolo, - tu chi sei? – chiese sorridendo, gentile.
Kibum sbatté le palpebre. Era davvero la stessa persona seria e autoritaria che lo studiava sino a pochi secondi prima? Si morse il labbro, le mani iniziarono a sudargli e le strinse sino a sbiancare le nocche. E ora, cosa doveva dire?
Ma certo!, pensò, sono Kim Kibum, principe di Chosun, cosa faccio qui? Semplicissimo! Sono scappato di casa perché la vita di palazzo è un inferno, in più quell’uomo di ghiaccio di mio padre ha deciso di fidanzarmi con uno psicopatico che mi ha fatto inseguire dai cavalieri altrettanto psicopatici e cani assetati di sangue. Certo, Kibum, ottimo inizio se vuoi essere preso per un pazzo o traumatizzare qualcuno!
-I-io…– Le mani continuavano a sudargli.
Jinki lo guardò di sottecchi, continuando a sorridere quasi in modo incoraggiante. - Sì? –
Kibum fece un bel respiro. – Kibum, sono Kibum. –
-Cosa facevi da queste parti? –
-ehm, io…-
Fantastico Kibum, fai la figura del ritardato! Pensò. Non posso dire la verità, devo inventarmi qualcosa di sensato!
-Stavo andando a Taegu e, bhe credo di essermi perso, con il buio sono finito lungo la scarpata. –
Semplice e non troppo lontano dal vero, rifletté Kibum.
-Semplice e non toppo lontano dal vero, immagino – disse Jinki come se gli avesse letto nella mente. –Ma non la verità. –
Kibum si agitò. Come sa che mento?
-Allora, Kibum, vuoi che ti ripeta la domanda o pensi di parlare da solo? – Il tono era tranquillo, ma sembrava nascondere una muta minaccia. Jinki posò un fazzoletto sul tavolo e Kibum lo riconobbe subito. Era il suo, quello che aveva dato a Taemin!
Lo sa, pensò, maledizione! Bhe, mentire non ha senso a questo punto.
Kibum respirò a fondo recuperando la calma, ma continuando a stropicciarsi le mani. Raddrizzò le spalle e parlò con il tono più sicuro che possedeva. Fissò negli occhi il suo interlocutore, se prima era agitato ora era arrabbiato per essere stato preso in giro.
-Che cos’è, un gioco? – chiese alzando un sopracciglio. - Conosci il mio nome eppure me lo chiedi. Devi avere molto da nascondere se usi questi giochetti, bhe a me non piacciono. Ho mille motivi per tenere i miei affari per me. –
E’ orgoglioso, pensò Jinki, trovando la cosa interessante. Sino a poco fa sembrava spaventato, ma ora tira fuori le unghie.
-Come ne ho io. –
-Con la differenza che io non ti chiesto nulla! – scattò Kibum.
-Vedi, questo è il mio regno, se così si può dire, principe Kim Kibum. Io faccio le domande, tu rispondi. –
-Tsk. Allora falle, ma ponile chiaramente, se vuoi giocare trovati un cagnolino-
-Siediti –
-No –
L’ilarità dell’altro aumentò. Kibum trovò la cosa oltremodo irritante, ma aveva capito che nonostante la risata repressa la calma Jinki era come la quiete prima della tempesta.
-No? –
-Mi farai le tue domande, ma non mi darai ordini –, disse incrociando la braccia e puntando i piedi per terra.
-Molto bene – fece l’altro, calmo. – Perché gironzolavi qui intorno? –
-Non gironzolavo, ero di passaggio. Se questo ti preoccupa tanto devi avere affari importanti da nascondere. -
Jinki lo fulminò.
-Era solo una constatazione, non una domanda. - 
-Dunque? –
-Quale è il tuo piano, chiedere un riscatto? -
-Non avevamo stabilito che ero io a porre le domande?  –
-Riflettevo ad alta voce, non era una domanda. –
I due si squadrarono.
-Legittima preoccupazione per qualcuno che probabilmente sta scappando, dico bene? – disse Jinki, cogliendolo totalmente alla sprovvista.
Kibum sciolse le braccia, lasciandole ricadere lungo il corpo. Avvertì di nuovo le pareti soffocanti intorno a lui e gli sguardi languidi di Heechul. Tremò. La testa gli girò e si portò una mano alla tempia, incontrando una piccola cicatrice che la sua caduta nel fiume gli aveva lasciato in ricordo. Per un attimo, ebbe l’impressione di udire delle voci, delle grida, gli sprazzi di una stanza buia appena illuminata da una luna fredda.
-Come…come lo sai? –
-La tua reazione. -
Kibum soffiò, frustrato. Lo aveva fregato, di nuovo.
-Siediti. –
Questa volta Kibum acconsentì, la testa continuava a girargli. Era meglio mettere le cose in chiaro.
-Senti, non so chi tu sia, né cosa tu faccia, anche se posso ben immaginare, ma non mi interessa. –
Jinki alzò un sopracciglio. –Non ti interessa? –
-No, quello che fate voi banditi, Ribelli, o come diavolo vi facciate chiamare, mi è indifferente. –
-Ribelli? Uhm, e come sei arrivato a questa conclusione? – Sembrava molto interessato.
-Che quello che facciate non sia legale è evidente, altrimenti non si spiegherebbe tutto questo mistero, ma non siete dei normali banditi. – Disse alludendo al mobilio all’intorno. – Inoltre non siete pochi, dico bene? Ci molte altre persone, ho avvertito la loro presenza. –
Jinki lo fissò. Era davvero un ragazzo intelligente, quell’incontro si stava rivelando pieno di sorprese. Come faceva ad avvertire la presenza degli altri Ribelli? Glielo chiese, la sua curiosità era alle stelle. Kibum lo soppesò per qualche secondo prima di rispondere, valutando se rivelare i suoi segreti o meno. Alla fine parlò.
-La mia abilità è pura energia, le persone ne sono piene, a meno che non siano morte, per questo le sento. Sento l’energia che scorre nei loro corpi. A proposito, qualcuno ci sta ascoltando da dietro la porta. –
Jinki alzò gli occhi al cielo. – Taemin – disse con noncuranza. –Tanto non può sentire, le pareti sono troppo spesse. In ogni caso lui sa chi sei. -
Kibum sorrise piegando leggermente un angolo della bocca, rivelando una piccola fossetta. Aveva imparato a conoscere la presenza di Taemin e quella che avvertiva non era la sua, ma decise di ignorarlo e non rivelare nulla a Jinki. Ad ognuno i suoi segreti, pensò.
-Dimmi, Kibum, non hai paura, sapendo chi siamo? I Ribelli, si racconteranno cose spaventose su di noi a corte. –
Kibum fece spallucce. –Tanto per cominciare so per certo che non mi ucciderai, ho salvato la vita a tuo fratello, una persona d’onore lo terrebbe in considerazione. –
-Cosa ti fa pensare che io sia una persona d’onore? –
-Se tu avessi voluto uccidermi lo avresti già fatto. La verità, credo, sia che stai ancora cercando di capire come usare la mia presenza qui a tuo favore. Ma non chiederai nessun riscatto, vero? Non scenderesti mai a patti con i tuoi nemici. E mi spiace deludere il tuo orgoglio, ma ho sentito solo voci su di voi. –
-Eppure so che presso l’alto consiglio reale siamo un argomento ricorrente. –
-Porte che a me sono precluse, spiacente. Se pensi di ottenere informazioni sono la persona sbagliata, ma lo saprai già, no? Se hai spie a Soul saprai che non partecipo alla vita politica del regno. –
Jinki tamburellò le dita sul tavolo. –E’ vero, ne sono a conoscenza, ma sono curioso di sapere perché. Sei un ragazzo intelligente, non molti sarebbero riusciti a sostenere questa lunga conversazione con me. –
-Dovresti chiederlo all’imperatore, perché. Immagino sappia che cambierai ogni membro del consiglio reale. –
Jinki parve interessato, come se avesse visto uno spiraglio di luce in fondo ad un tunnel che solo poco prima pareva infinito. Portò una mano sotto il mento, mentre l’altra continuava a tamburellare sul tavolo. La persona che aveva davanti era furba, intelligente, come aveva fatto notare allo stesso interessato, e forse aveva anche la sensibilità necessaria per vedere il marcio che si nascondeva dietro ai palazzi di Soul. Il suo atteggiamento nei confronti di Taemin era una prova sufficiente, e poi c’era quella luce innocente nei suoi occhi. Ma anche un’altra cosa era evidente, non sapeva nulla di quello che gli accadeva intorno.
-Perché stai scappando? -, chiese a bruciapelo.
-Perché…perché – disse mentre il senso di vertigini tornava ad impadronirsi di lui, - perché le pareti del palazzo mi soffocano, le persone che vedo intorno a me mi disgustano e perché mi hanno fidanzato con un pazzo e mai gli permetterò di sfiorarmi. –
C’era disprezzo nella voce del principe, paura e ansia.
- Pareti così alte che non ti permettono di vedere cosa c’è oltre – disse Jinki, quasi tra sé.
Kibum ne aveva abbastanza. –Senti, io voglio solo lasciare il paese. E’ questo che stavo facendo, volevo andare a Taegu…-
-Taegu…ti stanno seguendo, altrimenti non mi spiego perché non andare direttamente a Busan. –
-La persona che mi hanno appioppato è il lord di quella città. Ascolta, io non ti servo, non ho informazioni utili, e non chiederai un riscatto. Voglio solo andarmene il più lontano possibile. –
Le sue parole erano sincere, Jinki lo capì subito, ed erano anche colme di disperazione e urgenza. Scosse il capo.
-Mi dispiace, ma non so ancora se ti lascerò andare, ma posso assicurarti che per il tempo che passerai qui sarai trattato con rispetto. Come hai detto anche tu, hai salvato mio fratello, sono in debito, e indipendentemente da questo ritengo che tu sia una brava persona. –
-Ma allora…-
-Ho delle responsabilità, sono un Leader, altre persone dipendono da me, capisci? Non posso prendere una decisione così importante su due piedi. –
Kibum abbassò il capo. Capiva, eppure la cosa non lo faceva sentire meglio.
-Finché starai qui alloggerai nelle stanze di Taemin, ti muoverai scortato, mai da solo. E preferirei che tu interagissi il meno possibile con le persone che non conosci, in poche parole tutti tranne me, ovviamente, Taemin, Jonghyun e Minho. Inoltre, ci serve una storia credibile. –
-Semplice e non troppo lontana dal vero? – chiese.
-Esatto. La tua famiglia ha dei possedimenti fuori Soul e tu sei scappato di casa perché non se in buoni rapporti con loro, praticamente la verità, ma non sarai più Kim Kibum, ti chiamerai Key. –
-Key? – fece Kibum, perplesso. Che assurdità!, pensò.
Jinki annuì e l’altro sospirò, rassegnato. Non aveva scelta e, tutto sommato, stava andando meglio del previsto considerato le premesse. Kibum sentiva di potersi fidare di Jinki.
-Come vuoi. Ma ti prego, qualunque cosa deciderai, per favore, non riportarmi a casa. – Gli pizzicavano gli occhi e si accorse che la sua voce era rotta da un pianto imminente. Si vergognò immensamente.
Jinki gli prese le mani, stringendo quelle dita sottili e leggendo la paura negli occhi dell’altro e, inevitabilmente, provò tenerezza.
-Piuttosto uccidimi –, disse con le lacrime agli occhi.
Jinki sorrise dolce, un sorriso sincero. Non riusciva a vedere in quel ragazzo il volto del suo nemico, la convinzione che lo fosse era crollata come un castello di carte non appena il principe era entrato in quella stanza. Era la realtà sconcertante di ciò che aveva di fronte a farlo vacillare. Lui, Lee Jinki, si era sbagliato. Aveva cercato arroganza, ambizione ed egoismo negli occhi dell’altro ma non ne aveva trovato traccia. Davanti a lui vedeva unicamente un bambino solo e spaventato.
-Nessuno ti riporterà a casa, né ti ucciderà. Qualunque sarà la mia decisione, credimi, sei al sicuro qui. –
Kibum annuì. –So che ci sono poche speranze, ma c’era un’altra persona in viaggio con me…siamo stati attaccati dai miei inseguitori e non so cosa ne sia stato di lui. Puoi…-
-Faremo il possibile. –
-Grazie – disse Kibum, inchinandosi.
Qualcuno bussò.
-Taemin, vieni…-
Jinki si bloccò, non era il fratello quello che stava sulla porta. –Jonghyun…-
-Ho il rapporto di tu sai cosa – disse, guardando però Kibum.
Jinki inarcò le sopracciglia e prese la cartella che l’altro gli porgeva. – Bene. Già che sei qui, scorta Key nelle stanze di Taemin. –
-Oh - fece Jonghyun senza staccare gli occhi dal principe. Sorrise e allungò una mano verso di lui.
-Vieni, Key –
Kibum deglutì. Non poteva farci nulla, era più forte di lui, la presenza di Jonghyun lo metteva in agitazione. Sapeva che gli sarebbe bastato guardarlo per sentire ancora quelle strane sensazioni. Avrebbe voluto prenderlo a pugni, ma non era colpa del ragazzo, il poveretto era del tutto ignaro delle sue preoccupazioni.
Se devo rimanere qui dovrò farci i conti, non posso evitarlo o essere scortese. Devo ignorare quello che sento, qualunque cosa sia…
Prese la mano dell’altro e, non appena le loro dita si sfiorarono, avvertì uno strano formicolio. Che cos’è? Si chiese.
Jonghyun sbatté le palpebre.
Che l’abbia sentito anche lui? spensò Kibum, no, impossibile. Si decise ad alzare lo sguardo e ad incontrare gli occhi dell’altro, erano gradi come li ricordava. Respinse ciò che provava, il buon senso gli diceva di starne alla larga.
-Grazie – disse lasciando che lo aiutasse ad alzarsi.
Jonghyun sorrise. – Gaja[1] -
Jinki guardò i due uscire, c’era qualcosa di strano nell’aria. Tirò su col naso. Stava impazzendo o aveva davvero avvertito una strana tensione, come una scossa d’energia che attraversava la stanza? Scosse il capo e si alzò, stiracchiandosi gambe e braccia. Aveva bisogno di una tazza di tè e di dormire, quella conversazione lo aveva spossato. E ancora non sapeva come agire.
 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Vi avviso che d’ora in poi potrei metterci più tempo ad aggiornare, sia perché devo ancora definire alcuni punti della storia, sia perché avrò altri impegni, ma non vi farò aspettare più di una o due settimane ^^
Ringrazio chi sta continuando a seguire la storia e a recensire ogni capitolo, commenti e suggerimenti sono sempre graditi!
A presto!


[1] Andiamo in coreano, preso impunemente da google, quindi potrebbe tranquillamente essere sbagliato XD se qualcuno conosce bene il coreano non se la prenda troppo XD

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Capitolo 7
*** Capitolo 6. Spirited away (parte 1) ***


Ciao a tutti! Durante la stesura di questo capitolo mi sono accorta che stava diventando parecchio lunghetto, quindi ho deciso di dividerlo in due parti per non correre il rischio di annoiarvi ^^, probabilmente la seconda sarà più breve, ma mi sembrava giusto staccare. Come sempre chiedo scusa per possibili errori. Buona lettura!

Capitolo 6
Spirited away
 

Kibum fece scorrere lo sguardo sulla moltitudine di libri custoditi nella biblioteca del Rifugio. Era impressionato, non tanto dalla quantità dei volumi, anche lui aveva una biblioteca più che invidiabile; ma dall’ambiente stesso. Poteva uscire raramente dalle stanze di Taemin, e alcune aree gli erano precluse, ma ogni volta che aveva l’opportunità di esplorare luoghi nuovi ne rimaneva meravigliato. Sembrava impossibile che i Ribelli avessero creato da soli tutto ciò, non riusciva a credere ai suoi occhi, finché Taemin non si lasciò scappare qualche informazione.
-Era una fortezza, almeno così pensiamo. Deve essere stata scavata nella roccia lungo il fiume per controllare il traffico navale, poi questo tratto non è più stato navigabile e…-
Si era bloccato, arrossendo. Kibum aveva riso. – Non ho sentito nulla. –
Tra lui e il più piccolo si era creata una complicità speciale, forse perché vivevano a stretto contatto, però Kibum sentiva di stare davvero bene con lui. Taemin aveva fatto di tutto per farlo sentire a proprio agio. Nei primi giorni aveva inventato mille modi possibili per riempire il tempo, e per non farlo sentire solo aveva coinvolto anche Jonghyun e Minho. All’inizio Kibum si era sentito a disagio, avere Jonghyun intorno non era facile, mentre Minho continuava a fissarlo con sospetto. Per fortuna l’atmosfera si era fatta man mano più rilassata. Continuava a provare quelle strane sensazioni nei confronti del più grande, ma riusciva a controllare, nonostante l’altro gli ronzasse costantemente intorno e lo fissasse. Sembrava che cercasse in tutti i modi di stargli vicino ed avere un contatto con lui. Per quanto la cosa fosse stata inizialmente irritante, Kibum si era abituato e doveva riconoscere che la cosa non gli dispiaceva, al contrario, senza volerlo si era accorto di cercare l’altro a sua volta. Spesso si domandava se anche Jonghyun avesse provato la sua stessa confusione quando si erano incontrarti, ma l’altro non ne faceva parola, sembrava molto più rilassato di lui, motivo sufficiente a ritenere il contrario.
Anche Minho si era sciolto, e il principe sorrideva ogni volta che lo vedeva litigare con il suo amico.
E’ questo che significa avere degli amici? Si chiedeva. Gli piaceva la loro compagnia e nei momenti in cui era costretto a rimanere solo ne avvertiva la mancanza. Kibum moriva dalla curiosità di sapere qualcosa di più su di loro, ma non osava chiedere, temendo di generare domande nei suoi confronti. L’unico a sapere la verità su di lui era Taemin, ma non ne parlavano, nessuno dei due osava farlo, sia per paura d’incappare in orecchie indiscrete, sia per non rompere l’incantesimo che si era creato tra loro. Aveva scoperto qualcosa sugli altri nelle ore che avevano passato insieme, particolari che si erano lasciati sfuggire in quei momenti di svago. Sia i fratelli Lee che Jonghyun erano in possesso di un’abilità, ciò aveva portato Kibum porre loro una domanda ovvia, una delle poche che si era concesso, erano forse nobili? La telecinesi di Taemin e Jinki, così come il fuoco di Jonghyun erano troppo potenti perché fossero dei semplici popolani che non avevano passato secoli a selezionare le proprie unioni.
-La famiglia Lee aveva dei possedimenti a Gwangmyeong - aveva spiegato Taemin, senza approfondire oltre.
Jonghyun aveva risposto con una faccia disgustata alla parola nobili, guadagnandosi una gomitata da parte di Minho.
-Yah, che ti prende? –
-Usa il cervello, idiota -, aveva risposto accennando a Key.
-Oh – Jonghyun aveva sbarrato gli occhi e grattandosi il capo con imbarazzo. –Ovviamente questo non riguarda te, Key. –
Ma il principe stava già ridendo dell’imbarazzo dell’altro.
-Jonghyun ha le idee confuse – aveva commentato Taemin. – Dice di odiare gli aristocratici, ma fa eccezioni per me e Jinki, per te e per metà di sé stesso. –
Jonghyun aveva sbuffato. –Me ne infischio di quel dannato uomo di Busan. –
-Busan? – chiese Key avvertendo un tremore salirgli lungo la spina dorsale.
– Mio padre era un nobile di quelle parti, è da lui che ho ereditato la mia abilità. Ma se ne è sempre infischiato, il suo figlio legittimo probabilmente fa la bella vita in qualche lussuoso, mentre io sono vissuto nei sobborghi di quella schifosa città. Sento ancora la puzza di pesce che impregna i vicoli di quel posto. –
Minho rimaneva taciturno sul suo passato, ma Taemin gli aveva spiegato che la sua vita prima di arrivare al Rifugio era stata tutt’altro che idillica, per questo manteneva un forte riserbo. Non aveva nessuna abilità, ma a detta del più piccolo era il guerriero migliore di Chosun. Questa affermazione aveva inevitabilmente portato Kibum a pensare a Siwon, l’unica cosa simile ad un amico che avesse mai avuto. Jinki era stato di parola, aveva organizzato delle spedizioni di volontari per cercare la guardia del corpo, benché non molti fossero stati entusiasti di assumersi quell’incarico. Uscivano sempre Jonghyun, Minho e pochi altri. Kibum aveva avuto raramente occasione di incontrare altri Ribelli, ma quando accadeva evitavano il suo sguardo o lo squadravano come se avesse la peste. Era chiaro che non erano felici di avere un nobile sotto il loro tetto, figurarsi aiutarlo!
Se sapessero chi sono mi lincerebbero, si era ritrovato a pensare il principe.
Ad ogni spedizione Kibum attendeva trepidante, ma con il passare dei giorni il suo morale era sceso a dismisura. Era passata una settimana e ancora nessuna notizia di Siwon. Che cosa gli era successo, era morto, prigioniero, o si nascondeva nei villaggi vicini, cercandolo? Non sapeva cosa pensare. Immaginarlo sconfitto era impossibile. Jonghyun cercava di tirarlo su di morale, ma anche lui iniziò a tornare depresso. Il rapporto tra di loro diventava sempre più naturale nonostante i momenti di imbarazzo, Kibum ormai gestiva bene la sua presenza, al punto che più di una volta si era ritrovato ad apostrofarlo con termini poco gentili a causa dei suoi atteggiamenti spesso invadenti. Quell’idiota non faceva altro che mettergli le mani tra i capelli e cercare di abbracciarlo, una volta aveva pure tentato di fargli il solletico. Il solletico, a lui, Kim Kibum, erede al trono di Chosun! Stava per dirgliene quattro quando aveva dovuto bloccarsi.
-Smettila, non puoi fare così io…-
-Tu cosa? – aveva chiesto l’altro, fissandolo con un sorriso sghembo.
Kibum era arrossito sino alla punta delle orecchie, quando Jonghyun faceva così diventava impossibile gestire la vasta gamma di emozioni che puntualmente lo tormentavano.
Un principe, io sono un principe! pensò, le orecchie fumanti.
-Sei proprio un bimbo spocchioso – aveva commentato Jonghyun, dandogli un pizzicotto sulla guancia.
-Stupido – aveva commentato Key a bassa voce, mentre un sorriso gli passava sulle labbra.
Ma non era sempre così. Jonghyun usava una gentilezza con lui che Kibum aveva sperimentato in modo simile solo con Siwon. Non appena il più grande aveva scoperto che adorava leggere l’aveva portato in biblioteca ad ogni occasione ed era lì che il principe passava la maggior parte del tempo.
Kibum incontrava Jinki ogni sera, spesso davanti ad una tazza di tè, bevanda che il più grande sembrava adorare e di cui aveva riserve infinite, di ottima qualità per giunta. All’inizio erano stati incontri molto formali, Jinki voleva tenerlo d’occhio e accertarsi di potersi fidare di lui, preoccupazioni che Kibum comprendeva molto bene; ma con il passare dei giorni l’aria tra loro era cambiata e si vedevano puramente per piacere personale. Parlavano di ogni cosa, tra di loro non c’era più tensione e sospetto. Tuttavia il principe non si faceva illusioni, il Leader dei Ribelli gli aveva offerto rifugio, ma non avrebbe rinunciato all’idea di approfittare della sua presenza lì per le proprie battaglie, indipendentemente dall’affetto che provava nei suoi confronti. Kibum non aveva idea di come considerare quella situazione, non gli piaceva l’idea di essere usato, ma sapeva che l’affetto di Jinki era sincero e ricambiava. 
La sua vita era cambiata nel giro di poco. Non aveva risolto i suoi problemi, ma il mondo aveva iniziato lentamente a cambiare intorno a lui.
Quel giorno, Kibum era in biblioteca con Jinki, mentre gli altri erano fuori in cerca di Siwon, incluso Taemin che aveva insistito per unirsi alla spedizione. Jinki era immerso nella lettura, mentre lui gironzolava tra gli scaffali facendo scorrere le punte delle dita affusolate sui dorsi dei libri. Totalmente sovrappensiero, sobbalzò quando una mano gli scompigliò i capelli, cogliendolo di sorpresa.
-Sembri un gatto a cui è appena stata tirata la coda – fece una voce divertita dietro di lui.
-Aish, Kim Jonghyun! – disse mettendo il broncio.
L’altro si fece serio. –Key – disse portando una mano al volto del più piccolo e sfiorandogli la guancia.
Ecco, il brivido, pensò Kibum. Per qualche strano motivi avvertiva quei flebili contatti più intimi di qualunque tentativo di torturarlo di Jonghyun. Avrebbe voluto afferrare il tomo più pesante che trovava per darglielo in testa, ma non era il momento, l’altro sembrava stanco. Kibum non voleva ammetterlo, ma negli ultimi giorni gli sembrava di attendere più con impazienza il ritorno di quel rompiscatole che notizie positive. Si vergognava per questo, ma da qualche parte dentro di lui sapeva che le uniche notizie che avrebbe ricevuto sarebbero state negative. Eppure osservava sempre gli altri uscire e ritornare, non poteva farne a meno, finché ciò avveniva poteva conservare quanto meno l’illusione.
Il volto di Jonghyun era triste e preoccupato, i suoi occhi grandi erano lucidi.
-Ancora nulla, vero? – chiese Key. 
Jonghyun scosse il capo. – Mi dispiace – disse abbracciandolo.
Questa volta Kibum accettò di buon grado, ne aveva bisogno. Mentre lasciava che Jonghyun lo stringesse apparve Jinki. Il Leader mise una mano sulla spalla di Key.
-Temo non ci sia più molto da fare. Abbiamo cercato per più di una settimana. –
Key avvertì la mano calda di Jonghyun sulla guancia asciugargli una lacrima solitaria. Per anni non aveva versato lacrime ed ora arrivavano tutte insieme, come un fiume in piena. Jonghyun lo strinse, sembrava volersi fondere con lui nel medesimo dolore.
Jinki osservava, attento. Che cosa passasse nella sua mente era impossibile stabilirlo.
-So di averti chiesto già molto, Jinki, ma potremmo fare un ultimo tentativo? Vorrei andare anche io. – Disse Key.
Jinki lo soppesò attentamente, immobile come una statua, infine sospirò.
-Va bene, ma voglio che sia una cosa breve e non devi allontanarti dagli altri. –
Key capì dallo sguardo dell’altro che era il Leader a parlare in quel momento. Non allontanati dagli altri, pensò, c’erano molti sottointesi in quella frase, troppi.
-Kamsahamnida – disse inchinandosi.
-Stai tranquillo, hyung, penserò io a lui -, disse Jonghyun.
Jinki sorrise.
***
 
Jonghyun si buttò sul letto. Era sfinito, le ultime settimane non erano state particolarmente movimentate, ma le sue notti erano spesso agitate e insonni. Era sempre in fibrillazione, come se si stesse preparando ad espugnare il palazzo reale di Soul.
Quella sì che sarebbe un’impresa!
Ultimamente l’attività dei Ribelli era ridotta all’osso, avevano destato troppo l’attenzione dell’imperatore per rischiare di essere scoperti. Avevano dovuto abbassare il tiro, niente incursioni per liberare innocenti sfruttati nelle miniere di carbone, niente imboscate a soldati e nobili dell’alto consiglio reale. Nulla. Sbuffò.
Che noia, quanto vorrei prendere a calci nel fondoschiena qualche guardia reale!
Oh, ma il suo più grande sogno era un altro. Nel suo fantasticare avrebbe lasciato volentieri ai Lee la possibilità di occuparsi dell’imperatore, ma lui voleva il principe. Sogghignò. Appendere a testa in giù quell’arrogante e viziato perdigiorno. Irresistibile, pensò annuendo tra sé.
Ad ogni modo sapeva bene cosa lo teneva sveglio la notte. Key. Perché quel ragazzo gli faceva quel dannato effetto? Socchiuse gli occhi fissando il soffitto, come a mettere a fuoco un particolare che gli sfuggiva. Non poteva fare a meno di girargli attorno, era più forte di lui, sentiva il bisogno di stargli accanto, era come una calamita. Tutto sommato riteneva di star gestendo bene quella situazione, rifletteva, ma quando doveva allontanarsi da lui si sentiva come un pianeta impazzito che ha perso la propria orbita.
Aish! Perché?
Quando riusciva ad addormentarsi finiva sempre per ritrovarselo davanti, con quegli occhi, quelle labbra…
Scosse il capo.
Jonghyun, stai impazzendo!
Era curioso. Che cosa c’era in quegli occhi? Quando li aveva incontrati era stato come se fosse scattata una serratura. Tlack…poteva giurare di averne sentito il suono, l’unico in quell’attimo infinito sospeso in una bolla di sapone.
La cosa peggiore era che stava sviluppando pensieri poco innocenti nei confronti di Key. Si vergognava a morte, come poteva avere certe fantasie davanti ad un volto così delicato? Gli sembrava di violarlo solo con la forza del pensiero. Doveva reprimere i suoi istinti. Se Key l’avesse scoperto probabilmente sarebbe fuggito a gambe levate, premurandosi prima di ricoprirlo d’insulti con quella sua lingua tagliente.
Già, sembrava che dietro quel volto fresco si nascondesse molto di più. Jonghyun non l’avrebbe mai immaginato, ma doveva ammettere che la cosa gli piaceva. Per quanto Key mostrasse chiari segni d’imbarazzo quando erano insieme, non si faceva problemi a rispondergli tra le righe. Decisamente una bella sfida per Jonghyun. Di norma quando puntava qualcuno era il mal capitato a cadere letteralmente ai suoi piedi, lui non doveva nemmeno sforzarsi, era inevitabile. Con Key era diverso, era più una caccia ad armi pari, forse…Jonghyun aveva l’impressione che l’altro fosse sempre un passo avanti, anche quando credeva di averlo raggiunto. Si umettò le labbra, mordendosi poi il labbro inferiore mentre gli occhi continuavano a fissare il soffitto, sognanti. Quanto avrebbe voluto baciare quelle labbra a cuore, si sarebbe accontentato di sfiorarle…forse…
-Yah – fece saltando in piedi e mettendosi le mani tra i capelli.
Non devo pensare queste cose! Si disse scuotendo il capo. Sospirò. Capire cosa passasse per la testa di Key era impossibile, passava dall’imbarazzo all’irritazione, dagli sguardi bassi ed il volto arrossato alle occhiate taglienti e l’espressione fiera.
Primavera, pensò Jonghyun, è come la primavera.
Un tempo capriccioso indeciso se ritirarsi nel freddo dell’inverno o sbocciare radioso in un’estate soleggiata. Il sole con la pioggia, la pioggia con il sole. Avrebbe mai visto l’arcobaleno?
Jonghyun si domandava spesso cosa l’altro provasse, se avvertisse le sue stesse emozioni. Ma, soprattutto, aveva sentito anche lui quella forza sconosciuta quando i loro occhi si erano incontrati per la prima volta? Poteva uno solo essere travolto da tali emozioni senza che l’altro ne fosse minimamente sfiorato? Gli sembrava impossibile, ma Key non dava segni in proposito. Non avevano nemmeno parlato del loro incontro. Che per l’altro non avesse significato niente?
Jonghyun sbuffò. Doveva trovare il modo di parlargli o sarebbe davvero impazzito.
 
 
Delle rondini svolazzavano ignare della propria leggiadria tracciando arabeschi nel cielo turchese. Il tepore estivo diffondeva un calore piacevole sul volto di Jonghyun, arrossandogli le guance, mentre il profumo dell’erba annaffiata dalla rugiada mattutina gli pervadeva le narici. La tentazione di accompagnare la passeggiata tra i boschi fischiettando era forte, ma quella non era una semplice passeggiata e l’atmosfera era tutt’altro che allegra. Aleggiava una tristezza latente, come un’altalena sospesa in un eterno dondolio. Jonghyun aveva l’impressione che da un momento all’altro un fulmine avrebbe squarciato l’aria, il cielo si sarebbe oscurato, un vento malevolo e gravido di una tempesta imminente avrebbe scosso le chiome degli alberi sino a sradicarne i tronchi. Tutto sarebbe stato inghiottito dal caos risucchiando il mondo in un buco nero. Davanti a lui, Key camminava in bilico su un filo invisibile, oscillava a braccia aperte sul quell’altalena di mesta nostalgia. Un chiaro sorriso si era dipinto sul volto del più piccolo non appena era stato riscaldato dal calore estivo, si era stiracchiato come un gatto al sole prima di seguire gli altri su per la scarpata ed addentrarsi nel bosco. A Jonghyun sembrava che camminasse in punta di piedi, volteggiando tra i coni di luce che sfondavano il soffitto erboso sopra i loro capi. Minho e Taemin erano più avanti, le loro voci giungevano simili al cinguettio degli uccelli tra gli alberi, mentre Jonghyun chiudeva la fila, tenendo d’occhio Key pochi metri avanti a lui. Jonghyun sospirò amareggiato. Quell’ultima e disperata spedizione non prospettava nulla di buono. Non conosceva la persona che il più piccolo stava disperatamente cercando, ma era come camminare in un incubo: sai che il mostro di turno apparirà all’improvviso ma non quando. Concentrò il suo sguardo su Key, il ragazzo non era lì, la sua mente vagava altrove. Perché voleva infliggersi quella tortura? Doveva affondare la lama e squarciare il velo per togliersi qualunque illusione? Era disposto a tanto?
Si umettò le labbra. Forse quello era il momento di parlare, di porgli le domande che tanto gli premevano.
-Key – lo chiamò.
L’altro si riscosse tornando nel mondo reale. Key si voltò verso di lui, il volto pallido e le labbra dischiuse.
-Uhm – fece inclinando il capo con fare interrogativo.
Jonghyun deglutì. Dei rami si spezzarono sotto i suoi piedi mentre di avvicinava all’altro. Più Key era vicino, più si sentiva impotente di fronte a quegli occhi felini, eppure avanzava come attratto da uno strano magnetismo che serpeggiava nell’aria. Jonghyun aprì la bocca, ma le parole gli morirono in gola. Cosa doveva dirgli? Come poteva fare? Non voleva di certo fare la figura del pazzo in preda ad un delirio.
Una folata di vento soffiò tra i rami, le foglie frusciarono emettendo sussurri, alcune caddero posandosi all’intorno. Jonghyun intercettò una foglia tra i capelli corvini dell’altro e d’istinto le sue dita corsero ad afferrarla, accarezzando il capo del più piccolo. La foglia cadde ai loro piedi ma Jonghyun non ritrasse la mano, i suoi polpastrelli sfiorarono il viso dell’altro tracciando una linea invisibile, soffermando l’attenzione sulla cicatrice in corrispondenza del sopracciglio. L’ultima volta che l’aveva fatto le sue dita si erano tinte di rosso. Rimase lì, mentre i suoi occhi s’abbassavano su quella bocca a cuore.
Che cosa sto facendo? si chiese. Aprì nuovamente le labbra per parlare ma era pietrificato. Non riusciva a staccare la mano dal volto dell’altro, né ad allontanare lo sguardo. L’unico desiderio che provava era baciare quelle labbra e, per quanto il raziocinio gli suggerisse di allontanarsi il più possibile da quella tentazione, rimaneva fermo lì, immobile.
Kibum aveva lo sguardo fisso su Jonghyun.  Un tremore lo percorse quando i polpastrelli dell’altro lo sfiorarono. No, pensò, non di nuovo! Avrebbero voluto mettere più metri possibili tra loro, ma non riusciva a muovere un passo ed aveva la certezza che se ci avesse provato le sue gambe si sarebbero sciolte come neve al sole. S’irrigidì quando notò gli occhi dell’altro deviare verso la sua bocca. Cosa cercava di fare lo stupido? Sbatté le palpebre e si riscosse.
-Jonghyun – lo chiamò in un sussurrò.
L’altro rimase fermo, sembrava che la sua mente fosse altrove.
-Jonghyun, Kim Jonghyun! –
Jonghyun alzò il capo, come risvegliandosi. I loro occhi s’incontrarono e di nuovo Kibum percepì uno strano formicolio pervadergli le membra. Ci mise qualche secondo a rendersi conto che stava accumulando energia, intorno al suo corpo aleggiava un’aura bluastra. Com’era possibile? Era sempre riuscito a controllare la sua abilità, perché improvvisamente decideva di agire per conto suo?
-Key? – chiese l’altro, allarmato. – Cosa…-
-Yah – fece Key dandogli una spinta. L’aura intorno a lui svanì, l’energia si dissolse nell’aria sfrigolando.
-Cosa devi dirmi? Perché stai imbambolato come…-
-Come un idiota? – chiese Jonghyun, sorridendo.
-Allora? –
-Uhm mi stavo domandando, sai…-
La voce di Taemin li raggiunse. – Venite qui, c’è qualcosa! –
Key si voltò e scattò tra gli alberi.
Minho e Taemin erano chini tra il fogliame, spostavano rami e frugavano tra i cespugli.
-Che cos’avete trovato? – chiese Key con apprensione.
Minho s’avvicinò tenendo qualcosa tra le mani. Non appena fu più vicino, Kibum fu in grado di riconoscere l’oggetto. Era una spada. La spada si Siwon. L’avrebbe riconosciuta ovunque, era stato lui a donargliela quando era diventato cavaliere. La sua spada…Siwon non l’avrebbe mai abbandonata, era parte di lui.
Kibum allungò le mani tremanti per afferrarla. La lama era incrostata di sangue. Il principe arricciò il naso, gli sembra di avvertire nell’aria l’odore ferroso del liquido cremisi.
-E’ sua – disse.
Minho piegò il capo. – Mi dispiace. –
-Key, sei sicuro? – chiese Jonghyun.
Kibum annuì. –E’ sua – ripeté, - non l’avrebbe mai lasciata a meno che…-
Kibum strinse con forza la spada, delle piccole ferite s’aprirono sui suoi palmi a contatto con il ferro. Rivoli di sangue andarono a fondersi con quelli raggrumati sulla lama.
Siwon, alla fine sei davvero morto per me?
Si sentì vuoto, l’illusione era finita. Era davvero solo, ora?
 
***
 
Key strizzò gli occhi. I palmi gli bruciavano, delle sottili linee rosse solcavano la sua pelle bianca.
-Poi io sarei stupido – commentò Jonghyun nel tentativo di smuovere l’altro dall’apatia in cui era piombato. Dopo quanto accaduto nel bosco, Key non aveva detto una parola e più di una volta Jonghyun aveva dovuto guidarlo per impedirgli d’inciampare, a fatica Minho gli aveva sottratto la spada dalle mani. Il più grande si era offerto di accompagnarlo nelle stanze di Taemin mentre gli altri andavano a fare rapporto a Jinki. Taemin era stato molto restio nell’abbandonare quello che ormai era il suo amico, ma Jonghyun l’aveva rassicurato.
Jonghyun si aggirò per la stanza aprendo cassetti ed esplorando il contenuto dell’armadio, doveva esserci qualcosa per disinfettare da qualche parte.  Intanto, Key era seduto su una poltrona, lo sguardo fisso sui palmi delle mani. Jonghyun gli lanciò un’occhiata da oltre la spalla, sembrava minuscolo su quella grossa poltrona ed il suo volto era se possibile più pallido del solito.
-Trovato – fece il più grande, raggiungendo Key con una boccetta di disinfettante. Si inginocchiò ai suoi piedi prendendogli le mani. L’altro non ebbe alcuna reazione, solo quando Jonghyun iniziò a disinfettarlo emise un verso di fastidio e si morse il labbro inferiore.
-Dovrai sopportare un po' di male. Posso cicatrizzarti le ferite con il fuoco, vuoi? Brucerà un po'. –
Key annuì. Jonghyun posò delicatamente i palmi su quelli dell’altro e una luce dorate avvolse le loro mani diffondendo calore, quando li tolse quelli di Key erano tornati bianchi e morbidi.
Kibum strinse leggermente le mani, come a saggiarne il risultato. Jonghyun sorrise, seppure minima era pur sempre una reazione.
-Dovresti riposare – disse conducendolo docilmente verso il letto. L’altro si stese, affondando il capo nei cuscini.
Jonghyun sospirò e fece per lasciare la stanza quando la voce di Key lo costrinse a fermarsi.
-L’unica persona alla quale sia mai importato di me è morta. –
Era stata poco più di un sussurro eppure quella frase pesava con un macigno. Jonghyun sentì come se quel peso fosse anche suo. Anche lui era stato solo a lungo. Tornò indietro, sedendosi al suo fianco e posando una mano sul capo di Key.
-Tutte le persone che amo spariscono, mia madre, Siwon. Perché sono sempre solo? –
Jonghyun sapeva per esperienza che le parole erano inutili, sarebbero suonate false, di circostanza…non voleva che Key pensasse questo di lui. Eppure non poté fare a meno d’impedire che i suoi pensieri fluissero dal suo cuore alle sue labbra.
-Io sono con te, non sei solo. E c’è Taemin, Minho…-
Key si mise a sedere. – Sparirete anche voi e sarò di nuovo solo. Giurerete di rimanere e poi morirete. –
-Yah – fece Jonghyun, - non devi essere così lugubre. -
Kibum singhiozzò. Non voleva piangere. Basta! si disse, per quanto tempo vorrai tenere questa condotta vergognosa?
-Puoi piangere se vuoi – disse Jonghyun.
Kibum scosse il capo. – Aniyo, sono stufo di piangere, è disonorevole. –
Si stropicciò gli occhi. –Non guardarmi. –
-Se non vuoi che ti veda puoi piangere sulla mia spalla. –
Kibum tirò su col naso mentre l’altro gli faceva poggiare la testa sulla spalla e lo circondava con un braccio.
-Lì non ti vede nessuno. Puoi piangere finché voi, io starò qui –, gli sussurrò tra i capelli.
Kibum arpionò la maglia dell’altro sprofondando nel petto del più grande e bagnandolo di lacrime calde.
-Vorrei scomparire, dissolvermi come la neve a primavera. Andare lontano dove le mie ombre non possono seguirmi –
Jonghyun lo strinse più forte a sé, come se Key potesse davvero dissolversi tra le sue braccia. Volare via sospinto da un vento leggero per sparire all’orizzonte, lasciando dietro di sé un ricordo di una promessa non mantenuta, le immagini indistinte di qualcosa che poteva essere, ma non sarebbe mai stato. Per Jonghyun, ormai, la vita senza lui sarebbe stata come il fuoco senza calore, il cielo senza stelle e arida come il deserto più inclemente.
 
Spero sia stata una lettura piacevole! Ringrazio chi sta continuando a seguire la storia e chi mi lascia sempre un commento!
Alla prossima!

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Capitolo 8
*** Capitolo 7. Spirited away (parte 2) ***


Ciao! Eccomi con la seconda parte del capitolo, vi avevo detto che sarebbe stata più breve…bugia…è più lunga! XD sperando di non aver lasciato troppi errori nel testo vi auguro una buona lettura!
 
Capitolo 7
Spirited away
 
 
Taemin uscì dalle proprie stanze sbattendo la porta. Se avesse passato lì dentro un secondo di più sarebbe impazzito, poco ma sicuro! Si appoggiò al muro, sbuffando. Nelle ultime settimane la convivenza con Key si era fatta frustrante. Aveva fatto di tutto per tirarlo su di morale, ma il ragazzo passava dall’apatico allo scostante, Taemin non riusciva a credere che si trattasse della stessa persona con la quale aveva legato nelle settimane precedenti. Sospirò. Non gliene faceva una colpa, sapeva che attraversava un brutto momento, nessuno meglio di lui poteva capire quanto fosse difficile la sua situazione. Non aveva dove andare, non poteva tornare a casa, si sentiva solo; chiunque avrebbe dato di matto, in più sapeva che il più grande era costantemente tormentato da incubi. Più di una volta si era svegliato nel cuore della notte per vederlo agitarsi. Tuttavia, quali che fossero i suoi tormenti, Taemin si sentiva tradito. Erano amici, no? Per Key la sua amicizia non era abbastanza?
-Aish – fece dando un calcio alla parete, pendendosi subito dopo per il dolore.
Ammetteva di essere stato insistente con lui, ma l’aveva fatto per il suo bene, l’altro doveva proprio rispondergli stizzito?
-Taemin – fece una voce a pochi metri da lui.
-Minho? –
-Qualcosa non va? – chiese il più grande.
-Uhm -, fece Taemin, tirando su col naso. –Abbiamo litigato, credo. –
Minho inarcò le sopracciglia. Tra tutti era quello che aveva legato meno con il nuovo arrivato, ma non poteva credere che Key e Taemin avessero litigato, erano molto uniti, si erano salvati la vita a vicende, dopotutto. Minho faticava a credere alle parole dell’altro, eppure Taemin sembrava parecchio giù di morale.
-Litigato? Mi sembra impossibile. –
-Beh non è stato proprio un litigio vero, però...-
Minho gli diede una pacca sulla spalla. – Vedrai che si risolverà, devi dargli tempo. Ti ricordi com’ero io quando arrivai qui? –
Taemin sorrise. – Purtroppo sì. Dubitavo tu avessi il dono della parola. –
-Vieni ad allenarti, ti rilasserà. Potresti sfogare la tua frustrazione su di me a colpi di spada. –
Il più piccolo scosse il capo. –Più tardi, devo vedere mio fratello. –
Taemin percorse i corridoi del Rifugio dirigendosi verso le stanze del fratello, stava per salire la scala che conduceva ai suoi appartamenti quando vide Jinki in cima con una grossa pila di libri in mano.
Si consumerà gli occhi a furia di continuare a leggere, pensò Taemin con un sorriso.
-Hyung- lo chiamò.
Jinki alzò gli occhi, abbandonando l’espressione seria e concentrata regalò al più piccolo un largo sorriso.
-Minnie aaahhhh – urlò mentre metteva un piede in fallo e scivolava misurando l’intera scalinata.
-Hyung! – lo raggiunse Taemin, preoccupato.
Jinki si massaggiò il capo, intorno a lui erano sparsi libri e pergamene.
-Ti sei fatto male? Perché inciampi sempre nei tuoi stessi piedi? Stai bene? –, lo bombardò di domande il più piccolo.
Jinki emise una risata con una punta d’imbarazzo. Taemin sorrise. Era bello quando suo fratello abbandonava i panni del Leader per essere semplicemente sé stesso, con tutto ciò che questo implicava.
-Un giorno ti farai male sul serio – disse chinandosi per aiutarlo ad alzarsi e raccoglie le sue cose.
-Sto bene – lo rassicurò l’altro.
-Non farmi preoccupare, hyung. –
Gli occhi di Taemin caddero sulle carte dell’altro. Strinse gli occhi, erano delle piantine quelle? Ne prese una facendovi scorrere lo sguardo.
-Il palazzo reale di Soul? Che cosa stai architettando? –
-E’ ancora presto per parlarne – rispose l’altro tornando serio.
-Uhm. Se pensi di parlarne con Kib…cioè con Key, non è un buon momento. –
Jinki lo guardò di sottecchi. – Cosa ti preoccupa? –
Taemin sospirò. –Abbiamo litigato, almeno credo. –
Jinki s’irrigidì.
-E’ colpa mia, sono stato pressante. Ma non sta bene, hyung. –
L’altro annuì. – Capisco. Devi dargli tempo. –
-E’ quello che ha detto Minho, ma sono preoccupato. –  Disse con crescente apprensione. –Temo proprio che non stia bene. -
-Racconta – lo incoraggio il fratello, mentre si avviavano verso la biblioteca.
Taemin affiancò il più grande reggendo parte dei libri.
-E’ frustrato, isterico. Io…non so cosa fare. Credo abbai degli incubi la notte, non fa altro che agitarsi, è solo che non credo sia solo per gli ultimi avvenimenti. Qualcosa lo tormenta. –
-Capisco. Parlerò con lui. –
-Grazie, hyung. –
Jinki corrugò la fronte. Sapeva che sarebbero sorte delle complicazioni e lui aveva temporeggiato anche troppo. Era giunto il momento di prendere una decisione, non poteva più rimandare, né come Leader, né come amico.
***
 
Era buoi e freddo. Delle folate di vento gelido scuotevano l’intelaiatura metallica delle finestre e la luce della luna non osava penetrare nella stanza a causa dei pesanti tendaggi, come se anche l’occhio perlaceo dell’astro notturno desiderasse tenersi alla larga da quella notte infausta. Eppure, nonostante la luce fosse inesistente, Kibum vedeva ombre intorno a lui, ombre che vivevano e scivolavano nell’oscurità stessa.  Udì dei passi.
No, pensò, andatevene!
I passi si fecero sempre più vicini e lui si coprì le orecchie. Un bicchiere in frantumi, le finestre che si aprono improvvisamente incapaci di contenere la furia del vento invernale, le tende che lo avvolgono in un abbraccio soffocante. Perché non riusciva a tenere quei suoni lontani? La consapevolezza di una paura in agguanto, del frammento di un ricordo che poteva ridurre la sua mente in pezzi?
Kibum si mise a sedere di scatto, ansimante. Si portò una mano alla cicatrice, pulsava, poi si passò la mano tra i capelli. Era sudato. Si guardò intorno e quando i suoi occhi addormentati misero a fuoco l’ambiente nella penombra si rese conto di essere nella stanza di Taemin. Di fianco a lui il più piccolo dormiva beatamente avvolto nelle coperte, il volto affondato nel cuscino. Kibum si guardò le mani, tremavano. Si rannicchiò tra le coperte stringendosi le gambe al petto, aveva l’impressione d’impazzire. Da giorni la testa gli pulsava; che avesse preso una botta troppo forte durante caduta nel fiume? Bhe, era più che probabile. Si portò d’istinto la mano alla cicatrice. Da giorni era tormentato da incubi, in realtà erano iniziati molto prima, da quando si era risvegliato tra le mura del Rifugio per l’esattezza, ma negli ultimi giorni si erano fatti più insistenti, più vividi. Avvertiva sempre quel vento gelido sulla pelle, lo sbattere delle finestre, il buio denso e palpabile. E quei passi… ne era terrorizzato. Voleva tenere lontane da lui tutte quelle sensazioni, ricacciarle indietro, rinchiuderle di nuovo oltre quella porta sigillata. Ma aveva gettato la chiave molto tempo prima e, ora che la porta si era riaperta, non poteva richiuderla.
Prima che se ne rendesse conto stava percorrendo i corridoi avvolti nel sonno. Non avrebbe mai potuto farlo, era notte fonda e non era scortato, ma non gli importava. Doveva vedere Jinki, non aveva intenzione di attendere il giungere del giorno.
Quando bussò agli appartamenti dell’altro gli ci volle un po' per avere risposta, quando giunse fu seguita da una serie di tonfi prima che il più grande aprisse la porta. Jinki aveva gli occhi appannati dal sonno e i capelli scomposti, a Kibum fece uno strano effetto vederlo così; di solito il Leader era sempre impeccabile.
-Key – fece l’altro sbattendo le palpebre, – cosa fai qui, è notte…-
-Devo parlarti – fu la risposta repentina di Key. - Adesso. -
 
Key prese la tazza di tè ambrato che Jinki gli offriva, l’annusò senza portarla alle labbra, non aveva nessuno voglia di mettere qualcosa nello stomaco, probabilmente l’avrebbe rigettata nel giro di poco.
Jinki si era dato una sistemata ai capelli e indossava una veste da camera, bevve subito un lungo sorso di tè prima di fissare l’attenzione sull’altro. Il suo sguardo era tornato vigile a attento.
Key prese un bel respiro. Non voleva perdersi in tanti giri di parole, orami sapeva che Jinki non li apprezzava, non se era lui l’interlocutore.
-Me ne voglio andare – disse senza troppi preamboli. Ecco, l’ho detto, pensò. Da giorni aveva sviluppato quell’idea, ma il pensiero di parlarne con Jinki lo metteva sulle spine.
-Uhm – fece Jinki guardando i riflessi del tè.
Key rimase spiazzato. Solo uhm? Insomma lo stava prendendo in giro? Passò qualche secondo senza che Jinki aggiungesse altro. Key stava per aprire bocca e fornirgli delle spiegazioni, quando Jinki intervenne.
-Lo immaginavo – disse alzando gli occhi sul principe.
-E? Mi lascerai andare? –
Jinki sorrise dolcemente. – Non sei un prigioniero, Kibum. –
-Beh, non esattamente. –
-Hai ragione. Ti avevo detto che avrei pensato sul da farsi e nel frattempo è passato quasi un mese. –
Kibum sospirò. Non voleva che l’altro fraintendesse, era stato molto bene lì, erano stati gentili con lui e in quelle settimane aveva assaggiato un po' di felicità, ma le cose erano cambiate. Quello non era il suo posto, non poteva esserlo. Le ombre lo aveva raggiunto anche lì, doveva andare più lontano, molto più lontano. Glielo disse.
-Ti sono grato per tempo che ho passato qui. Ma sento che me ne devo andare. Non è il mio posto questo. –
-Non vuoi che lo sia? – chiese Jinki, squadrandolo.
-Quello che voglio non ha importanza. Non lo è. Non posso stare qui solo perché non ho dove andare. – Si strinse nelle spalle.
Jinki era pensieroso. Non desiderava che il principe se ne andasse, non solo per i vantaggi che lui poteva trarne. Jinki era certo che se Kibum avesse conosciuto davvero Chosun, non avrebbe esitato ad unirsi a loro. Ma non poteva trattenerlo contro la sua volontà, doveva aderire alla causa dei Ribelli per sua scelta. Jinki era categorico su questo, lo era con chiunque decideva di unirsi a lui: dovevano credere in ciò che facevano. E, in quel momento, Kibum non credeva in niente. Glielo poteva leggere sul volto spossato e segnato dalle occhiaie. Quel ragazzo stava scappando, non solo dalla sua famiglia, dal suo fidanzato, no, scappava dalle ombre assopite nel suo cuore. Poteva attraversare tutti i mari del mondo ma le avrebbe sempre portate con sé.
-Lo sia anche tu che non ti servo. Non ho niente da offrirti. –
Era vero, in quello stato Kibum non gli serviva, era come mettersi in spalla un peso morto sperando che tornasse in vita. No, così non poteva andare. Ma come amico, Jinki temeva per il suo futuro. Come sarebbe vissuto, cosa pensava di fare, quali prospettive aveva? Lasciarlo andare equivale a condannarlo a morte. Per restare, il principe doveva vedere la verità; per quanto dolorosa avrebbe dovuto toccarla, respirarla, doveva entrargli nell’anima. Allora il Leader dei Ribelli avrebbe avuto la chiave per vincere quella battaglia e Jinki avrebbe salvato un amico; ormai non poteva abbandonarlo al proprio destino senza che un peso gravasse sul suo cuore.
-Se questo è il tuo desiderio non ti tratterò. Ma dimmi, cosa pensi di fare? –
Kibum si morse il labbro e stropicciò le mani. Già, cosa pensava di fare? In realtà non ci aveva mai pensato, voleva solo andarsene, quando Siwon era con lui non si era mai posto il problema.
-Prenderò una nave per il regno di Nihon- rispose semplicemente. Era tutto ciò che sapeva.
Jinki sospirò, squadrandolo, e Kibum si sentì a disagio. Sotto quello sguardo si sentiva impotente, Jinki sapeva che non aveva nessuna idea in merito al proprio futuro. Cos’era quel sospiro, rassegnazione, forse?
-Molto bene. Ti accompagneremo a prendere una nave, avevi detto che volevi evitare Busan, dico bene? Useremo delle strade alternative. –
-Mi accompagnerete? – chiese Key, sorpreso.
-Io, Taemin, Minho e Jonghyun, sì. Ci siamo presi cura di te fino ad ora, non penserai che ti lasceremo abbandonare il Rifugio da solo? E poi ho la sensazione che tu non sappia che strada prendere. –
Key arrossì. – In effetti non ne ho idea. –
-Voglio essere sicuro che salirai sulla nave che desideri e vederti salpare sano e salvo. –
Key non riuscì a trattenere un sorriso di ringraziamento. – Grazie, hyung, hai fatto molto per me. –
-Partiremo tra un paio di giorni – sentenziò Jinki.
Key s’inchinò e fece per andarsene.
-Kibum – lo chiamò Jinki.
-Sì? – chiese voltandosi.
 Ovunque andrai le ombre ti seguiranno sempre perché sono dentro di te, pensò Jinki. Ma non ebbe il cuore di pronunciare quelle parole ad alta voce.
-Riposati – disse semplicemente, sorridendo.
Key annuì ricambiando il sorriso.
 
 
***
Jonghyun fece un bel respiro e chiuse gli occhi. Doveva concentrarsi. Lasciò che la sala degli allenamenti svanisse intorno a lui, il clangore delle spade che cozzavano l’una contro l’altra e il suono degli archi incoccati, così come le voci degli altri Ribelli. Accumulò calore. Non poteva vederlo, ma sapeva che intorno a lui andava a formarsi un cerchio di fuoco. Aveva passato anni a cercare di padroneggiare la propria abilità. Non era facile senza una guida e il suo carattere impulsivo non aveva di certo aiutato. Grazie a Jinki era stato in grado di gestirla, di raggiungere livelli di concentrazione e sublimazione che mai avrebbe immaginato. Di solito erano le emozioni a guidarlo, sempre. Eppure, quel giorno sentiva che qualcosa non andava, il suo fuoco era distorto, la sua mente lo era. Quella mattina aveva appreso la notizia che Key se ne sarebbe andato. Il suo cuore aveva perso un battito.
-Te ne vai? – gli aveva chiesto.
L’altro si era limitato ad annuire con lo sguardo basso, prima di sparire nelle stanze di Taemin.
Jonghyun non sapeva per quanto tempo fosse rimasto impalato davanti a quelle porte che non avevano alcuna intenzione di riaprirsi. Solo l’arrivo di Minho l’aveva riscosso.
Dunque, se ne andava davvero. L’immagine di Key su una nave che sbiadiva all’orizzonte tremolava davanti ai suoi occhi come un miraggio. No, un incubo. Perché nella sua mente quella nave veniva avvolta dalla nebbia, tentacoli bianchi e appiccicosi la strascinavano sul fondo dell’oceano e, benché lui fosse solo uno spettatore solitario, poteva avvertire l’acqua gelida invadergli la gola e soffocarlo.
Alla fine Key sarebbe svanito, si sarebbe disciolto nel suo abbraccio portandosi via ogni promessa. E lui non era riuscito a parlargli, a dirgli ciò che aveva provato e provava.
Vigliacco, disse una vocina nella sua testa.
-Jonghyun! –
La voce di Minho lo costrinse a sbarrare gli occhi. Intorno a lui il fuoco imperversava astioso attorcigliandosi in lingue e spirali. Stava perdendo il controllo?
Maledizione, pensò.
Il fuoco svanì.
-Vuoi ridurci tutti in cenere? – chiese Minho.
-Scusami – rispose scocciato. La sua concentrazione era pari a quella di un lombrico, ma non gli sarebbe dispiaciuto scavarsi un buco nel terreno e sparire.
Si sedette sulle gradinate scavate nella roccia che circondavano l’ambiente. Affondò le mani tra i capelli e appoggiò i gomiti sulle ginocchia, lo sguardo scuro rivolto alla terra che ricopriva il campo da allenamento.
Cosa doveva fare? L’idea di accompagnare Key lo turbava. Come poteva caricarlo semplicemente su una nave e lasciarlo andare?
Come? si chiese.
-Jong – lo chiamò Minho.
Jonghyun alzò leggermente lo sguardo.  -Io glielo devo dire. –
Minho sbarrò gli occhi. Non aveva bisogno di fare domande, sapeva bene a cosa l’altro si riferisse. Jonghyun aveva un unico pensiero fisso nella testa, ormai. Era il suo migliore amico, lo conosceva meglio di chiunque altro, ma quella reazione non era forse eccessiva?
Che diamine gli ha fatto quel ragazzo per ridurlo così?, si domandò Minho.
-Credo che tu la stia prendendo troppo male. – disse Minho.
-Tu non capisci! – esclamò Jonghyun, raddrizzandosi.
-Io capisco solo che ti sei perso per strada quei pochi neuroni che avevi. – Fece l’altro, scettico.
-Non sto scherzando, Minho. –
-Lo so, i tuoi scherzi di norma non raggiungono tali livelli di assurdità. –
Jonghyun si rialzò, frustrato, camminando avanti e indietro nello spazio di due metri.
-Se ne sta andando –
-Sai come si dice: lontano dagli occhi, lontano dal cuore. –
-E’ proprio questo il problema, per quanto lontano possa andare non sarà mai abbastanza lontano dal mio cuore per poterlo dimenticare.  –
-Aigoo, Jong, stai delirando. –
Jonghyun scosse il capo, tornando a sedersi e abbassando lo sguardo. –Minhossi, sei mai stato innamorato? – chiese, serio.
-Yah, che? – Minho si agitò. – Innamorato, io, ahaha, ma dai. – Fece grattandosi il capo con imbarazzo. I suoi occhi s’abbassarono lanciando uno sguardo a Taemin che si allenava poco lontano. Sospirò.
-Tu lo ami? –
-Io –, Jonghyun deglutì - credo di amarlo, sì. –
-Credo non è una risposta definitiva. Potrebbe essere una delle tue solite cotte assurde: vedi un viso carino, perdi la testa e ti porti a letto il mal capitato per una notte, e poi sei punto a capo. –
Jonghyun lo guardò di sottecchi, risentito. – Così mi fai sembrare un maniaco. –
Calò il silenzio.
-Senti-, riprese Jonghyun – lo so di avere le cotte facili, ma questa volta è diverso. –
-Perché non te lo sei ancora portato a letto e, ammettilo, lui è una bella sfida per te.–
-Vuoi tacere e farmi parlare? Non è questo che voglio, certo ne sono molto attratto da quel punto di vista e lo ammetto, è una sfida interessante, ma con lui è diverso. –
Minho scosse il capo. – E’ un nobile, hyung. –
-Non è solo un nobile, Minho, Key è speciale. Lo so che mi avete preso in giro per quella storia dello stagno e so che può sembrare assurdo, ma è vero quello che ho provato e non ero ubriaco. –
Jonghyun parlò delle emozioni che aveva provato quando i suoi occhi e quelli di Key si erano incontrati per la prima volta. Spiegò tutto per filo e per segno, senza tralasciare nulla, e Minho lo ascoltò in silenzio e con crescente apprensione.
-Non è una cotta, ne sono certo, al cento per cento – disse sicuro di sé.
-Ma lo ami, puoi dire di amarlo davvero, al cento per cento?-
Jonghyun sbuffò, era frustrante. Era amore quello che provava? Come poteva saperlo, aveva mai amato? No. Eppure quando era con Key il suo mondo cambiava, lui diventava il suo universo e sapeva nel profondo del suo cuore che se l’avesse perso qualcosa si sarebbe irrimediabilmente rotto. Con Key tutto era perfetto, ogni cosa era al suo posto.
-Io non so se è amore, ma so questo: se lo lasciassi andare così, se lo perdessi, se solo provo ad immaginare che possa accadergli qualcosa, che qualcuno lo sfiori, io…so che non potrei più vivere come ora. Io -, deglutì, -  quando sono con lui sono migliore, il mondo è migliore. C’è luce. –
Minho sospirò, ma il suo sguardo era lontano e guardava verso Taemin, ancora impegnato nei suoi allenamenti. Conosceva quelle sensazioni. Il suo amico era davvero innamorato? Probabilmente sì. Gli posò le mani sulle spalle.
-Ascoltami, Jong, credo di capirti, va bene? Ma da qualunque prospettiva guarderai questa faccenda sarà sempre immensamente complicata, sia che lo ami davvero, sia che si tratti di una cotta. –
Jonghyun fece per aprire la bocca e ribattere.
-Ti ho lasciato parlare, ora fa parlare me. Sta andando via, lui ha scelto di farlo. –
-Jinki lo costringe a farlo. –
-Te la prendi con Jinki, adesso? Lo sai che non ha molta scelta, in ogni caso Key ha espresso il desiderio di andarsene. Più lontano possibile, se devo citare le sue stesse parole. Ora, non voglio infrangere il tuo cuore, ma quante probabilità ci sono che provi lo stesso? Vuole andar…-
-Yah, puoi evitare di rimarcare il concetto?! –
-D’accordo. Il punto è questo: ammesso che provi qualcosa per te, lui non può e non vuole restare, se invece non prova nulla e ti esporrai ne soffrirai. Comunque vedi la cosa ti sarai inferto del dolore inutilmente, Jonghyun, perché lo perderai in ogni caso. –
Jonghyun sospirò.
-Ora puoi decidere di soffrire, oppure di lasciarlo andare e conservare l’illusione. –
-Quindi dovrei lasciarlo andare senza il rimpianto di non avergli detto ciò che provo? –
-Dovresti – rispose Minho dando una pacca sulla spalla, mentre un’ombra scura passava sul suo viso.
 
***
– Non sono stato gentile con te l’altro giorno, mi dispiace. –
-Non devi continuare a scusarti, hyung – disse Taemin.
L’idea di essere stato scontroso con il più piccolo tormentava Kibum da giorni, ma non aveva trovato modo di parlargli apertamente. Una volta ottenuto il permesso di partire era stato assorbito da altri mille pensieri, ma ora non poteva lasciare il Rifugio senza dire nulla. Certo, Taemin lo avrebbe accompagnato, ma desiderava riappacificarsi con lui subito. Aveva fatto così tanto per lui e anche ora. Era prossimo alla partenza, pochi minuti ed avrebbe abbandonato il Rifugio, doveva solo sistemare le ultime cose nel bagaglio. In realtà non aveva nulla di suo, il poco che aveva l’aveva perduto nell’Han. Taemin aveva insistito perché prendesse dei suoi abiti.
-Abbiamo quasi la stessa taglia, non puoi andartene senza cambi –, aveva detto iniziando a rovistare nell’armadio.
La sua sacca da viaggio si era gonfiata in poco tempo.
-Non dimenticherò tutto quello che hai fatto per me – gli disse. –Mi mancherai molto. –
Prese le mani del più piccolo. –Prima che me ne vada, voglio che tu sappia che sei stata la cosa mi simile ad un amico che abbia mai avuto. –
-Più simile? Così mi offendi, hyung – disse Taemin fingendosi risentito.
Key rise. – Ok, un vero amico. Grazie. –
Gli occhi di Taemin luccicarono. – Yah, smettila di ringraziarmi. Non voglio sentire queste cose, non adesso. Abbiamo ancora dei giorni da passare insieme, non voglio dirti addio ora. –
Key sorrise poi guardò il proprio riflesso nello specchio, mentre l’altro tornava ad imbottire la sua sacca. Ormai non ci provava più a dirgli che non aveva bisogno di tutta quella roba. Sorrise tra sé, rendendosi conto che un mese prima l’avrebbe pensata diversamente. Kibum guardò confuso il suo riflesso, portandosi una mano alle ciocche bionde. Avrebbe dovuto farci l’abitudine. Era stata un’idea di Jinki.
-Se ti stanno ancora cercando, e credo proprio di sì, meglio camuffarti in qualche modo. –
Kibum non era stato molto convinto.
-Durerà solo poche settimane, poi andrà via. Giusto il tempo di raggiungere la costa. –
Non aveva avuto altra scelta che accettare. Tutto sommato non gli dispiaceva.
Il biondo mi dona, pensò annuendo a sé stesso.
Qualcuno bussò alla porta ed entrò Jonghyun.
-Siamo pronti per…- iniziò, bloccandosi e fissando gli occhi su Key.
-Oh – fece sfiorandogli il capo.
Kibum arrossì. –Jinki pensa sia più sicuro. –
Jonghyun sorrise. – Ti sta bene. –
Rimasero l’uno di fronte all’altro. Kibum non sapeva cosa dire e Jonghyun non accennava a spostarsi. Avere il suo sguardo su di lui era doloroso, non riusciva a guardarlo, non perché non riuscisse a controllare le proprie emozioni. No, non poteva guardare il viso di Jonghyun sapendo che non l’avrebbe rivisto mai più. Era come una pugnalata al cuore. Non sapeva cosa fosse accaduto tra loro, probabilmente non l’avrebbe mai scoperto, ma aveva la terribile sensazione che se avesse fissato troppo quegli occhi, essi sarebbe riusciti ad inchiodarlo lì. Non avrebbe potuto muovere un passo lontano da lui. Ma era follia, pura follia. Doveva andarsene.
-Ti prendo la sacca – disse infine Jonghyun.
Quale che fosse la verità, quante probabilità c’erano che Jonghyun provasse le stesse cose? Nessuna, si disse, o ne avrebbe parlato, no?
 
***
 
-Guardati, Siwon, guarda come sei ridotto –disse Heechul passeggiando avanti e indietro nella prigione, scuotendo il capo. –Sai, potrei mettere fine a tutto questo. –
-Sei un’infida serpe – sputò l’altro per terra. C’era sangue nella sua saliva. Tossicò.
Da settimane languiva nelle celle del palazzo reale di Soul, i polsi legati a pesanti catene attaccate alle pareti e rivoli di sangue misti a sudore che gli scorrevano lungo il corpo. Aveva fallito, miseramente. Battuto da quel leccapiedi del lord, Kyuhyun. Si era sempre vantato di essere una perfetta guardia del corpo, aveva prestato giuramenti che considerava sacri, nel cuore e nella mente, e non era stato in grado di mantenerli. Se avesse potuto si sarebbe tolto la vita con le sue stesse mai. Quante volte aveva pregato per una spada, un pugnale? O che l’ennesima tortura degli uomini di Heechul lo finisse? Non ci erano andati leggeri, ma lo immaginava, il lord lo odiava, troppe volte Siwon lo aveva minacciato sicuro della protezione del principe. Non poteva aspettarsi niente di meno.
Si sentiva un essere miserabile come quando era stato raccolto dalla strada.
-Dov’è? Lui dov’è? – chiese Heechul, gli occhi ridotti a fessure che luccicavano come bracieri ardenti.
Una risata che si concluse in un colpo di tosse uscì dalle labbra di Siwon.
-Come posso saperlo, mi hai rinchiuso qui. –
Heechul ringhiò, frustrato.
-Dove eravate diretti? –
-Mai. –
Heechul sogghignò. –Ti conviene parlare. Sai che fine farà il tuo amato principe, sulla strada, da solo? Ha le ore contate, Siwon, come un pesce fuor d’acqua. –
Sospirò. –Credimi, è molto meglio che torni a casa. –
Siwon scosse il capo. Era vero, Kibum doveva essere terrorizzato, ma ripotarlo indietro equivaleva a consegnarlo direttamente nelle mani Heechul, sempre che riuscisse a trovarlo…
Il lord continuava a fissarlo, sorridendo come chi sa di aver già vinto. Con il principe di nuovo a Soul nulla gli avrebbe impedito di imperversare nel regno, era la sua chiave di accesso al trono, al potere che tanto desiderava. Questo non era mai importato a Siwon, gli bastava disprezzarlo, ma il modo in cui guardava il principe…quello non lo tollerava! Cosa doveva fare? Non poteva proteggerlo se era lontano, ma se anche fosse stato lì? La preoccupazione lo dilaniava. Era vero, a palazzo sarebbe stato al sicuro, al sicuro dal mondo, ma non da Heechul. Si trattava di valutare cosa temere di più.
-E quando sarà qui, non temere, mi occuperò io di lui – disse Heechul, sorridendo.
Siwon scattò in avanti quanto che le catene gli consentivano, i muscoli tesi per lo sforzo e desiderosi di sfogare la propria rabbia.
-Sei uno schifosissimo…-
Heechul proruppe in una risata. – Guardati, sei davvero ciò che sei, un miserabile…Kibum può averti addestrato ad essere un cane fedele, ma dietro le sbarre torni il bastardo selvatico che sei. –
Si avvicinò, chinandosi sul prigioniero per sussurrargli all’orecchio. – Che cosa direbbe se ti vedesse, uhm? Oh, io penso che avrebbe paura di te, proverebbe disgusto, forse…credi che vorrà di nuovo la protezione di un cane con la rabbia? Io non credo. Sai cosa penso, invece? Quando si renderà conto di essere miseramente solo, lì fuori, correrà a casa e cadrà tra le mie braccia. –
Senza aggiungere altro si raddrizzò e lasciò il prigioniero alle sue meste meditazioni, mentre la sua figura sbiadiva nella penombra ed i suoi passi si tramutavano in un eco lontano.
 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8. Ciò che non potevo vedere ***


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Buona lettura!
Capitolo 8
Ciò che non potevo vedere
 
Kibum represse un conato di vomito e allontanò dalle narici gli odori della strada. Se c’era qualcosa che aveva imparato da quei primi giorni di viaggio era che odiava il fango sui vestiti, l’odore pungente degli escrementi dei cavalli, benché temesse di essersi imbattuto anche in feci umane; l’impossibilità di farsi un bagno decente e, soprattutto, passare l’intera giornata a cavallo. Ogni volta che smontava dal quadrupede si sentiva le gambe molli, completamente incapaci di reggerlo, figurarsi camminare decentemente!
Un ubriaco farebbe una figura migliore, pensò.
Ma c’era qualcosa che lo infastidiva ancora di più. La vista dei bambini drappeggiati da stracci sucidi di sporcizia di cui non osava immaginare la provenienza. I volti segnati dalla fame, le mosche che ronzavano intorno a loro come fossero anch’essi spazzatura, tetre bambole di pezza ad adornare i margini delle strade. Più di una volta aveva dovuto allontanare lo sguardo e si vergognava. Non voleva essere indifferente, ma non riusciva guardare perché ogni volta una crepa s’apriva nel suo cuore. E faceva male. Molto male.
Come possono morire di fame quando Soul si sveglia con il profumo della cioccolata e tonnellate di cibo vengono gettate? Più volte si era posto questa domanda, ma non riusciva a darsi una risposta sensata.
Kibum non credeva possibile che qualcosa potesse sconvolgerlo ulteriormente, eppure era accaduto quando aveva visto delle guardie maltrattare quei bambini. Malmenati e strattonati come fossero solo ammassi di stracci privi di vita. Eppure, per quanto i loro occhi fossero vitrei e distanti, erano vivi.
Vivi, pensò, quella è vita? Si chiese.
Più volte le sue mani avevano tremato, bagliori azzurrognoli aveva fluttuato intorno a lui, soffiando e stridendo come una pantera pronta alla carica.  Solo le parole di Jinki ed il suo sguardo perentorio avevano avuto il potere di bloccarlo.
-Controlla le tue emozioni e soprattutto la tua abilità – gli aveva detto.
-Ma –
-Non possiamo fare niente. Tu non devi fare niente, o si metterà molto male. –
Così non aveva potuto fare altro che passare oltre.
Era quasi il tramonto e stavano entrando in un villaggio per passare la notte. Le strade erano infangate a cause del temporale estivo della notte precedente, cani randagi gironzolavano qua e là in cerca di cibo. La cosa più impressionante era che alcuni di loro erano più in carne dei bambini che s’aggiravano con il medesimo intento.
Jinki, in testa al gruppo, scese da cavallo imitato dagli altri quattro. Kibum barcollò, gli ci volle tutto l’equilibrio che possedeva per non cadere. Camminarono sino ad un edificio traballante con un’insegna sbiadita ad indicarlo come locanda. Kibum non vedeva l’ora di sdraiarsi su qualcosa di anche solo simile ad un letto. Represse uno sbadiglio quando delle grida attirarono la sua attenzione. Subito si raddrizzò. Dall’altra parte della strada una guardia strattonava un bambino che stringeva tra le mani un sacchetto di riso.
-L’hai rubato, non è vero, canaglia? –
Il bambino piagnucolò. –No, non sono un ladro! –
Il sacchetto si aprì e parte del contenuto rovinò a terra. Dei cani s’avventarono subito, leccando con le lingue rosate chicchi e fango.
Kibum strinse con forza le redini del cavallo, imponendosi di rimanere immobile. La guardia continuava a strattonare il bambino incurante delle sue proteste e del livido che si stava formando sul braccio dell’indifeso. Kibum ne aveva abbastanza. Al diavolo Jinki, non sarebbe rimasto a guardare un secondo di più!
-Va bene, adesso basta – disse mollando le briglie con astio, procedendo a lunghe falcate determinate verso l’uomo.
-Yah, testa a forma di rapa, lascialo subito! – disse avventandosi contro la guardia.
L’uomo alzò gli occhi, stordito, mollando la presa sul bambino che ne approfittò per fuggire. Puntò gli occhi piccoli e porcini su Kibum. Era corpulento, alto e quadrato, la testa piccola e priva di collo tra le spalle larghe. La sua divisa era sudicia, i capelli incollati al capo. Kibum arricciò il naso, un odore di sudore rancido aleggiava intorno all’uomo.
Non è una rapa, è un armadio, un armadio con la testa da rapa! pensò Kibum.
-Spostati, ragazzino, o darò una bella lezione anche a te – fece intimidatorio.
Kibum gli rivolse uno sguardo tagliente, uno di quelli che a corte facevano tagliare la corda anche ai primi ministri. Solo Heechul non aveva mai capito che in quelle situazioni era meglio girare alla larga, ma dopotutto lui era ottuso. Il principe Kim Kibum non aveva intenzione di muovere un passo.
L’uomo aggrottò la fronte e le vene lungo il collo iniziarono a pulsargli.
-Indietro straccione! – disse spingendolo.
Kibum barcollò all’indietro, ma non cadde. Il gesto dell’uomo era stato annoiato come quello di chi desidera disfarsi di una mosca molesta.
Straccione?! pensò indignato.
-Ho degli abiti di seta a Soul per cui anche uno zotico come te sarebbe disposto a vendere pure sua madre!! –
La guardia alzò la mano per colpirlo, questa volta seriamente. La furia si leggeva chiaramente nei suoi occhi. Chi era quel misero popolano per rivolgersi a quel modo ad una guardia reale? Gli avrebbe dato una bella lezione!
Kibum strizzò gli occhi, ma non si mosse. Tuttavia il colpo non arrivò. Sbirciò tra le ciglia e poi sbatté le palpebre. Jonghyun stava ritto davanti a lui e teneva ben stretto il braccio dell’uomo, impedendogli di portare a termine la corsa.
-Come osate? Io rappresento l’autorità reale qui! –
-Tsk – fece Kibum sbirciando da oltre la spalla di Jonghyun.
-Prova solo a toccarlo – ringhiò tra i denti.
-La prego, ci perdoni. –
Kibum si voltò di scattò. Era la voce di Jinki quella? Perché sembrava così gentile e contrita?
Jinki sorrise timido dando delle leggere pacche sul capo di Kibum.
-Lo deve scusare, il mio fratellino, lui…sa è un po' ritardato. –
Cheee??? pensò Kibum.
La guardia inarcò le sopracciglia cespugliose e profonde rughe si delinearono sulla sua fronte sudata.
Jinki emise una risata stridula. – Vede – disse dando altre pacche sul capo di Kibum. – Pensa di essere il principe.  –
-Yah, io sono il principe! – scattò Kibum, sbiancando un secondo dopo.
Che diavolo mi prende, sono impazzito?!
Jinki lo strinse con fare protettivo.  – E’ molto malato –, disse singhiozzando e accarezzando il capo dell’altro.
La guardia li squadrò. –Non voglio rivedervi in giro, se vi ripesco ve ne pentirete. -
 
 
 
Jinki passeggiava avanti e indietro, foglie e rametti si spezzano sotto i suoi stivali ad ogni passo. Kibum deglutì, ogni volta aveva la sensazione che da lì a breve quello sarebbe stato il suono delle sue ossa. Non aveva mai visto il maggiore così furioso. Per quanto non sbraitasse le sue occhiate gelide e le parole apparentemente calme risultavano molto più intimidatorie.
Il sole ancora caldo era prossimo al tramonto, gli alberi intorno a loro svettavano immoti e rigidi, eppure Kibum aveva la sensazione che all’intorno aleggiasse un’aria fredda, perché avvertiva chiaramente dei brividi percorrergli la spina dorsale.
Avevano dovuto lasciare il villaggio per evitare complicazioni. Niente locanda, niente letto, niente cena decente e, soprattutto, niente bagno. Sicuramente quelle sarebbero state le sue maggiori preoccupazioni se non fosse stato per lo sguardo gelido di Jinki puntato su di lui. Gli altri osservavano in disparte, muti. A quanto pare nessuno era tanto desideroso di gettarsi in una tempesta imminente.
-Cosa ti è saltato in testa? – La frase uscì come un sibilo astioso dalla bocca del Leader.
Voleva che il principe si indignasse per come viveva il popolo di Chosun, ma non pensava sarebbe arrivato a tanto. Certo, forse il suo piano stava procedendo meglio e più in fretta del previsto, ma non aveva alcuna intenzione di rimetterci la testa perché sua altezza reale pensava di essere a corte vestito d’abiti di seta. Sospirò. Forse era stato troppo avventato. Aveva conosciuto l’orgoglio dell’altro, dopotutto, e avrebbe dovuto mettere in conto che ci sarebbero state delle complicazioni in quel senso.
Aish, gestire questo caratterino non sarà facile.
Stava inciampando nei suoi stessi piedi! Da un lato avrebbe voluto ridere, ma era anche furioso. Il principe aveva messo tutti in pericolo con quella scenata da diva.
Kibum deglutì, lo sguardo irato di Jinki su di lui non era una sensazione piacevole. Se gli occhi dell’altro avessero avuto il potere d’incenerirlo, bhe, lui a quel punto sarebbe stato un misero cumulo di cenere.
-Io…-  tentò di dire.
Jinki incrociò le braccia al petto e inarcò un sopracciglio, in attesa che l’altro proseguisse. Kibum si sentiva la gola secca.
-Il tuo gesto irresponsabile poteva metterci in guai seri.–
-Ma…-
Lo schiaffo arrivò prima che Kibum avesse il tempo di rendersi conto che l’altro aveva annullato la distanza tra loro. Si portò una mano alla guancia. Bruciava, ma era difficile determinare se per il dolore o per la vergogna. Nessuno aveva mai osato colpirlo!
Taemin emise uno squittio di sorpresa mentre Minho lo tratteneva impedendogli di mettersi in mezzo.
-Hyung! – scattò Jonghyun.
Jinki si voltò verso il moro. – Stanne fuori Jonghyun, hai fatto troppo anche tu. -
Jonghyun aprì la bocca per poi richiuderla.
-Mi dispiace, hyung. Ma non sono riuscito a trattenermi – disse Key, lo sguardo basso.
Jinki sospirò massaggiandosi le tempie. –Lo so. –
-Sono bambini, non si può…–
-Certo che no. –
-Non si può non far nulla! –
-Sì, Key, ma non così. Quello che hai fatto tu non è utile a nessuno. –
-Allora come? – chiese disperato.
Jinki sorrise. Ecco ciò che voleva. Ma non rispose, il principe aveva la risposta a portata di mano, ma doveva pronunciarla da solo. Gli diede una pacca sulla spalla e sorrise.
–Hai agito senza pensare, ma avevi buone intenzioni. Rammenta questa conversazione in futuro. –
 
 
 
Il profumo di fagiano che si alzava dal falò era invitante, eppure Kibum non era riuscito a mangiarne nemmeno un boccone. Il solo odore del cibo lo disgustava. In quel momento avrebbe potuto rigettare anche senza nulla in corpo. Era stato costretto ad abbandonare gli altri alla loro cena, mentre lui raggiungeva la riva del lago vicino alla radura in cui erano accampati. Le gambe strette al petto e il mento posato sulle ginocchia, osservava la superficie immota del lago simile ad una lastra perfettamente levigata. Intorno, gli alberi erano immobili simili alle colonne monolitiche di un tempio dimenticato. All’orizzonte le luci lontane di Soul gettavano bagliori dorati nel cielo, per esser e poi inghiottite dal blu profondo di una notte puntellata di stelle ammiccanti. La luna, bianca e perfetta, si specchiava nel lago. Un occhio vigile nella notte.
Kibum sospirò. I volti scavati dei bambini fluttuavano davanti a lui. Affondò il volto tra le ginocchia. Si sentiva uno sciocco, un ingenuo, un bambino viziato che aveva passato la propria vita a credere che tutti si svegliassero al mattino con il profumo della cioccolata. Ma non era così. Quanto erano state alte le mura del palazzo per impedirgli di vedere, per renderlo così cieco?
Dunque, pensò, era questo ciò che non potevo vedere? Si chiese.
Dei passi sull’erba annunciarono l’arrivo di qualcuno che si sedette al suo fianco.
-Prendi – fece la voce calda e dolce di Jonghyun.
Kibum sbirciò l’altro da sotto la frangia scompigliata.
-Mangia – disse l’altro con un sorriso, sventolandogli sotto il naso parte della cena.
Kibum scosse il capo. – Non lo voglio. –
-Quei bambini non mangeranno di più se tu digiuni – disse sorridendogli. –Sarà dura fino a domani se non metti qualcosa nello stomaco. –
Kibum afferrò il cibo, titubante, e il suo stomaco brontolò. Forse non avrebbe rigettato.
Jonghyun rimase silenzioso al suo fianco finché non ebbe finito, poi gli mise una mano calda sulla guancia.
-Fa male? – chiese.
-Fa più male dentro. – Sorrise. –Sono stato sciocco. –
-Jinki è stato duro. –
-Ha fatto bene. –
-Non devi essere così severo con te stesso. –
-Forse non lo sono mai stato abbastanza. –
Kibum osservò le luci di Soul in lontananza, sembrava un grande falò. Si tolse gli stivali e arrotolò i pantaloni sino alle ginocchia, si alzò per raggiungere il lago.
Jonghyun lo osservò attentamente, mentre le dita eleganti dell’altro scivolavano sulla stoffa rivelando polpacci morbidi e ancora più bianchi alla luce della luna. Il più grande sorrise beato. Quella scena aveva un che di famigliare, l’aveva già vista, un mese addietro, e quello che era accaduto dopo aveva inevitabilmente segnato un solco profondo tra ciò che era e ciò che sarebbe stato. Tuttavia, il ragazzo si chiedeva cosa fosse quello strano presente sospeso e fluttuante a mezz’aria. Quel tempo esisteva davvero o era solo una bolla di sapone destinata ad esplodere?
Kibum immerse i piedi nell’acqua e la superficie del lago tremolò, disturbando le luci notturne posate su di essa.
 Jonghyun tornò indietro nel tempo, in quell’attimo che non era mai esistito, eppure impresso a fuoco nella sua anima. La figura dell’altro gli dava le spalle, i capelli biondi argentati sotto le luci delle stelle. Jonghyun poteva sentire il profumo dei fiori di ciliegio come quella notte, la brezza calda dell’estate carica di profumi dolci, ma che sapevano anche di passione. Petali rosati che volteggiavano in una danza infinita. Si alzò, raggiungendo l’altro.
Kibum teneva lo sguardo fisso all’orizzonte, come rapito dalle luci della capitale. Sembrava pronto a spiccare il volo, simile ad un folletto capriccioso in una notte di mezza estate.
Cosa passava davvero nella sua mente? Per Jonghyun era un mistero, un mistero affascinate che desiderava fare suo. Sorrise, poi la tristezza l’invase, scivolò sulla sua pelle come un velo sottile. Si era imposto di seguire il consiglio di Minho, ma ogni volta che posava lo sguardo su Key rimanervi fedele diventava sempre più difficile.
Jonghyun si chinò sull’acqua e schizzò il più piccolo. Key sbatté le palpebre, perplesso.
-Yah, che…-
Ma il maggiore non gli diede il tempo di protestare perché tornò alla carica. Key protese le braccia in avanti per proteggersi, senza riuscirsi. Si asciugò il volto con la manica.
-Stupido Kim Jonghyun – sussurrò trattenendo un sorriso.
Jonghyun rise, prima che uno spruzzo lo colpisse a sua volta infradiciandolo dalla testa ai piedi.
-Sono uno straccio ora! – disse.
Sul volto di Key si delineò un sorriso malizioso. – Non hai l’abilità del fuoco? Asciugati. –
Jonghyun deglutì. Quel sorriso…quanti segreti nascondevano quegli occhi sottili e magnetici? Perché quel sorriso suonava tanto come una sfida, una provocazione?
-Mi stai sfidando? – chiese divertito.
-Uhm se vuoi perdere – rispose Key senza abbandonare l’espressione di poco prima.
Il più grande non se lo fece ripetere due volte. Nel giro di pochi secondi la quiete placida del lago fu spezzata da schizzi e risate, colmando una notte vuota e silenziosa. Jonghyun prese l’altro da dietro, sollevandolo e facendolo volteggiare sulla superficie del lago. Key rise e atterò leggero di fronte all’altro.
Jonghyun gli toccò la punta del naso. – Ti è tornato il sorriso. –
-Vuoi un premio, ora? –  disse incrociando le braccia.
Di nuovo quell’aria di sfida.
Se ti dicessi che premio vorrei scapperesti, pensò Jonghyun.
Come guidata dall’istinto la sua mano sfiorò l’angolo della bocca dell’altro. Un brivido percorse il corpo di Key. Il più piccolo si voltò per tornare a riva, quando la mano di Jonghyun si chiuse intorno al suo polso, trattenendolo.
-Resta. –
Kibum lo fissò. –Ho freddo – disse. Anche la sua voce era fredda.
-Non puoi avere freddo, la notte è calda. -
Key deglutì, un leggero rossore gli tinse le guance, ma poi arricciò il naso con fare spocchioso. – Io ho freddo. –
-Non intendo qui, ora -, disse Jonghyun continuando a trattenerlo. –Resta. Non prendere quella nave. –
-Devo. –
-Perché? – C’erano una nota di disperazione in quella domanda.
-Perché devo. –
-Nessuno te lo impone. –
-Ho scelto io di farlo. Me ne voglio andare – disse risoluto.
-Non ti credo. Tu non vuoi andartene davvero. –
Kibum sbatté le palpebre. – Mi stai dando del bugiardo? – chiese, rigido.
-Ani, dico solo che non vuoi andartene davvero. –
Kibum incrociò le braccia al petto e corrugò la fronte. – Pensi di sapere meglio di me cosa desidero? –
Il più piccolo si stava alterando e il sorriso era ormai svanito dal suo volto, ma Jonghyun non si arrese.
-Io penso che tu non voglia scappare solo dalla tua famiglia –
Il principe inarcò le sopracciglia. – Davvero? E da cosa starei scappando, allora? Uhm sentiamo. –
Come si permetteva di fargli quelle osservazioni, cosa ne sapeva?
-Da te – rispose Jonghyun, serio.
Kibum sbiancò. Qualcosa si spezzò dentro di lui, come una corda di violino tesa troppo a lungo.
-Tu hai paura, hai paura di qualcosa. –
Il principe fremette. Era furioso.
-Non puoi andartene. Non puoi andare da nessuna parte da solo, morirai se lo farai, lo so. Pensi di sentirti al sicuro con la tua abilità? Non ti salverà in eterno, troverai persone malvagie che vorranno solo sfruttarti per quella. Il tuo è un dono raro! –
-Tu non sai niente! – sbottò Kibum. – Come osi pensare di dirmi quello che devo e quello che non devo fare?! Chi pensi di essere? –
Jonghyun lo afferrò per le spalle. - Che cosa farai a Nihon? Non hai alcuna idea di quello che ti aspetta! Il mondo è un posto terribile, credimi, lo so bene. Ti rovinerà e ti farà a pezzi. –
Perché, perché tutti pensava questo? Anche Siwon lo pensava così, benché non ne avesse mai fatto parola. Il principe lo sapeva. Perché qualcuno voleva sempre chiuderlo in una campana di vetro? Sembrava così sciocco, così ingenuo, incapace di stare al mondo? Tutti, seppur per motivi diversi, desideravano farlo. Era stufo. Era la sua vita quella e non aveva mai scelto nulla, se non gli abiti da indossare.
-Non mi toccare! – soffio in viso al più grande.
-Key, ascoltami! –
-No! – disse divincolandosi e correndo via tra gli alberi.
-Key! – lo chiamò Jonghyun, disperato. Perché aveva la terrificante sensazione che gli fosse già scivolato via tra le dita? Fece per seguirlo quando la voce di Jinki lo fermò, si voltò per trovarsi faccia a faccia con il Leader. Da dove era spuntato, quanto aveva visto e sentito?
Che persona inquietante, pensò Jonghyun.
-Lascialo andare – disse Jinki, calmo.
-Ma…-
-Lascialo andare. -
Jonghyun si morse il labbro e strinse i pugni. – Non puoi lasciarlo partire, hyung. Morirà! –
Jinki annuì, tetro.
Jonghyun si mise le mani tra i capelli. – Allora perché? Sai cosa gli succederà una volta sbarcato a Nihon? Lui è…bellissimo e forte, non resisterà a lungo da solo, esistono tanti modi per rendere un’abilità innocua, allora lo rapiranno e…-
Non riuscì a portare a termine la frase. Il solo pensiero lo distruggeva.
-Jonghyun, calmati. –
-Come posso stare calmo? Perché, perché lo lasci andare? –
-Non posso imporgli di restare – rispose triste.
-Che cos’hai in mente, hyung? –
Jinki non rispose, si limitò a tenere gli occhi fissi sull’altro. Dal primo momento che aveva visto Kibum e Jonghyun insieme aveva avvertito una strana tensione, non aveva mai capito di cosa si trattasse, ma che ci fosse era indiscutibile. La cosa lo incuriosiva. Non aveva mai visto Jonghyun così.
-Tu lo ami? – chiese a bruciapelo.
Giorni addietro Minho gli aveva posto la medesima domanda e Jonghyun gli aveva dato una risposta titubante, insicura. Ma quella notte non vi fu ombra di dubbio o esitazione nelle sue parole.
-Sì, lo amo. –
 
 
 
 Ciao a tutti, spero che il capitolo vi sia piaciuto ^^ lasciate un commento per farmi sapere cosa ne pensate, anche le critiche vanne bene XD
Alla prossima!
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 10
*** Capitolo 9. L'universo nei tuoi occhi ***


Ciao a tutti! Questo capitolo è abbastanza lungo, probabilmente la prima parte sarà un po' noiosa, la seconda è un punto cruciale per il seguito della storia. Ciò non significa che potete ignorare la prima parte e balzare direttamente a quella dopo >.<
Come sempre chiedo scusa se troverete ancora qualche errore in giro.
Ricordo che commenti e opinioni sono sempre graditi. Potete anche dirmi che fa schifo, tanto il problema di come nascondere i vostri cadaveri sarà mio, non vostro u.u
Buona lettura!
 

Capitolo 9
L’universo nei tuoi occhi
 
 

“There’s a universe
There’s a universe in your eyes
The moment our eyes electrically meet
The tip of my ears felt a zap, the stars have twinkled (…)

There are too many stars revolving around you (…)”
Jonghyun, Orbit
 
 
 
Il villaggio di Chemulpo[1]  era un centro fiorente, un’importante crocevia commerciale sorto sull’estuario del fiume Han. Negli ultimi anni aveva assistito ad un rapido sviluppo, trasformandosi da modesto villaggio di pescatori a porto fluviale ben organizzato, che grazie al prodigarsi dei suoi amministratori era riuscito a convogliare su di sé i traffici dei piccoli commerciati del regno di Ming[2]  e quelli di Chosun che risalivano la strada Sud.
 In breve, i suoi abitanti avevano abbandonato ami e reti per gettarsi a capofitto nei commerci, arricchendo le loro casse in modo non indifferente. Le botteghe lungo la strada principale, perfettamente lastricata da un acciottolato di pietre fluviali dai toni bianchi e grigi, offrivano le merci più svariate: dalle sete d’importazione Ming, alle ceramiche e ai mobili d’ebano provenienti dalla capitale, destinati ai commercianti esteri e ai più raffinati e facoltosi del luogo.
Di giorno, la via principale ed il porto erano in continuo fermento, offrendo agli abitanti e alla gente di passaggio la visione di merci e profumi esotici e locali. Qualcuno meno ardito aveva deciso di continuare l’attività di pesca, ma facendo dei piccoli banchi di pescato dei veri empori. Nessuno, dal primo all’ultimo, desiderava perdere l’opportunità di cavalcare l’onda di quel prodigioso sviluppo.
Quando i cinque raggiunsero Chemulpo non videro nulla di tutto ciò. Il tramonto rosseggiante era già stato inghiottito da cupe nubi temporalesche gravide di pioggia e grandine. Un vento sferzante giungeva da ovest facendo sbattere gli scafi delle navi contro la banchina. Le strade erano deserte, le luci delle botteghe spente e silenti. La pioggia cadeva incessante formando grandi pozzanghere sull’acciottolato, scivolava lungo i tetti spioventi dalle tegole in ardesia e gocciolava dalle grondaie lignee laccate con colori sgargianti.
 L’unico luogo da cui provenivano luce e schiamazzi era la locanda principale di Chemulpo, L’Orchidea Blu. Delle lanterne ondeggiavano sotto lo stretto portico che precedeva l’ingresso a porte scorrevoli del locale, al cui interno sembrava vi si fosse riversata buona parte della popolazione locale e non. Era possibile incontrare i volti di uomini e donne di Ming, gente di Chosun e qualche raro commerciante di Nihon[3]. Il fatto che si trattasse di un locale rinomato e non di una bettola di porto non precludeva il fatto che buona parte dei suoi avventori fosse ubriaca di soju e saké. Tavolini bassi erano regolarmente collocati nella grande sala rettangolare, in parte isolati l’uno dall’altro grazie a paraventi dipinti a mano. La luce era soffusa e proveniva dalle lanterne appese al soffitto. Il suono dei kayagum[4] si mescolava alle voci dei presenti.
Taemin roteò gli occhi. Che mortorio, pensò facendo scorrere gli occhi sugli altri.
 Il più piccolo aveva l’impressione che il loro tavolo fosse isolato da una bolla di sapone rispetto al resto de L’Orchidea Blu. Appoggiò i gomiti sulle gambe incrociate e sbuffò.
Dopo un’intera giornata di viaggio erano finalmente riusciti a trovare una locanda decente in cui passare la notte, ma l’atmosfera era tutt’altro che idilliaca.
Suo fratello si era ritirato in stanza non appena aveva messo qualcosa di caldo nello stomaco. Quello passerebbe l’intera esistenza dormire se potesse! Si disse.
In quanto agli altri tre…bhe degli zombie avrebbero avuto più gioia di vivere.
Che noia! Che cos’hanno tutti oggi?  Si chiese.
In realtà aveva una mezza idea. Bhe, Minho era vigile come un lupo a caccia e taciturno, nulla di nuovo, insomma. Ma come spiegare il nervosismo degli altri due? Jonghyun aveva la fronte aggrottata e teneva lo sguardo fisso sulla sua tazza soju, nonostante il nervosismo era fin troppo tranquillo per i suoi standard. In quanto a Key sembrava un gatto irritato pronto a soffiare e rizzare la schiena, teneva la mano posata sul mento leggermente alzato, gli occhi assottigliati rivolti chissà dove, le dita che tamburellavano sul tavolino. Taemin dubitava che fosse realmente interessato agli schiamazzi della locanda e agli uomini semi ubriachi affollati intorno ai tavoli. Non era normale, quei due stavano sempre a fissarsi o a battibeccare, perché sembravano così su di giri?
Hanno sicuramente litigato, pensò, poco ma sicuro! E’ sicuramente colpa di quello scemo di Jonghyun. Annuì tra sé.
Taemin emise un sonoro sbadiglio.
-Dovresti andare a dormire se hai sonno – disse Key con il suo consueto tono premuroso che usava nei suoi confronti.
-Certo, umma – rispose sorridendo.
Finalmente un po' di normalità.
-Ehi no, aspetta un attimo – fece Minho, -tu stai facendo quello che qualcuno ti dice? –
-Bhe, non ci vedo niente di strano. Cosa vorresti insinuare? – chiese il più piccolo, le mani ai fianchi.
-Perché noi altri non ci ascolti mai e appena lui apre bocca schizzi sull’attenti? –
-Perché – iniziò Taemin picchiettando un dito sul capo dell’altro, - tu sei una balia pedante. – Gli diede un pugno in testa lasciando l’altro a bocca aperta.
-Mentre tu – disse facendo la stessa cosa sul capo di Jonghyun, – mi fai fare quello che mi pare, sempre. –
Jonghyun non ebbe alcuna reazione, se non quella di ingollare un sorso di soju a velocità sorprendente, rischiando di strozzarsi. Tossicò.  
Che visione patetica, pensò Taemin. La situazione era decisamente grave se quello scemo non reagiva.
-Key, invece, è una bravissima umma. –
Il maggiore gli sorrise, tornando però poi a tamburellare le dita sul tavolo.
-Me ne andrò a letto – annunciò Taemin come se stessi dichiarando guerra a qualcuno. – Tu accompagnami sino in stanza – disse costringendo Minho ad alzarsi.
-Perché mai? –
Taemin alzò gli occhi al cielo. – Non vorrai lasciarmi andare da solo con tutti questi ubriachi in giro? Sai cosa farà Jinki se mi succedesse qualcosa? –
Il più piccolo si passò il dito indice sulla gola. Minho deglutì.
-Va bene, va bene, ti accompagno. –
Taemin lanciò un’occhiata agli altri due. Chissà se si sarebbero decisi a spiccicare parola. Sospirò. Poteva solo contare sulla materia grigia di Key, ma considerando l’irritazione del principe nutriva parecchi dubbi.


 
Jonghyun sbuffò. Key non l’aveva degnato di uno sguardo, anzi, sembrava persistere nell’ignorarlo. Era certo che se il più piccolo avesse avuto una coda l’avrebbe vista arricciarsi e volteggiare irritata. Che diavolo era quell’espressione di sdegno, non poteva avercela ancora con lui, no?
Si schiarì la gola. Se l’altro intendeva persistere con quell’atteggiamento non aveva altra scelta che iniziare lui ad intavolare una conversazione.
-Sei ancora arrabbiato? – chiese a bruciapelo, sorpreso che la sua voce risultasse titubante.
Finalmente l’altro si voltò, lo sguardo serio e distaccato. –No – rispose semplicemente.
-Senti, non volevo…dirti cose devi fare.–
-Ma lo hai fatto. –
La voce di Key era simile ad una lastra di ghiaccio prossima alla rottura.
-Non volevo traumatizzarti – proseguì.
Doveva impedire che quel ghiaccio si spezzasse o lui sarebbe sprofondato in acque gelide e vi sarebbe di sicuro affogato.
-Pensi davvero di avermi traumatizzato? – chiese Kibum, alzando un sopracciglio.
Perché aveva quel dannato caratterino? Come poteva essere imbarazzato sino a pochi secondi prima e poi diventare così intrattabile, soffriva forse di doppia personalità? Era in quei momenti che Jonghyun avvertiva la grande differenza che c’era tra loro. Key era un nobile e lui non era niente. In quel momento le parole di Minho gli riecheggiarono nella testa. Eppure Jonghyun sapeva che il più piccolo era diverso, tuttavia quel muro tra loro lo spaventava e, in quel momento, Key aveva deciso di renderlo invalicabile.
Jonghyun sospirò, poi prese la mano dell’altro. – Voglio solo farti capire che può essere pericoloso per te andartene in giro da solo. –
-Ti ringrazio per il consiglio, ma so badare a me stesso. –
-Non essere ridicolo– sbottò alla fine Jonghyun, - tu sei…-
-Cosa? – chiese Kibum, irrigidendosi ulteriormente. –Sciocco? – chiese provocatorio, gli occhi magnetici puntati sull’altro.
Jonghyun si ritrovò a pregare per l’indifferenza di poco prima. Voleva fare pace ma stava solo peggiorando la situazione e la cosa lo spaventava, non erano mai arrivati a dei veri litigi, non aveva idea di come comportarsi.
-Ingenuo?  Incapace di stare al mondo, forse? – Disse incalzandolo.
Jonghyun deglutì. Per la miseria, non aveva detto nulla di tutto ciò!
-Non l’ho detto! –
-Lo pensi o non diresti queste cose. –
-Sono solo preoccupato per te. –
Key si alzò, stizzito. –Nessuno ti ha chiesto di preoccuparti per me! – sbottò.
Jonghyun avrebbe voluto mettersi le mani tra i capelli, che diavolo aveva quel ragazzo?
Key si voltò e zigzagando tra gli avventori si diresse fuori dalla locanda, al maggiore non restò altra scelta che seguirlo a ruota.
Fuori era scoppiato l’ennesimo temporale estivo. La pioggia scrosciava sul selciato producendo un rumore simile a tanti sassolini gettati in acqua. La strada era deserta e le poche botteghe che vi si affacciavano avevano i battenti chiusi, le grondaie gocciolanti di pioggia. Un tuono riecheggiò lontano.
Seguendo il porticato, Key raggiunse le stalle. Non aveva una motivazione precisa per recarsi lì, solo erano più calde ed asciutte e per quanto detestasse gli odori pungenti aveva bisogno di uscire dal caos della locanda. Il principe incrociò le braccia al petto, sospirando. Una lanterna appesa al soffitto di legno oscillava leggermente, disperdendo petali dorati all’intorno. Si strinse nelle spalle, aveva freddo; poi udì i passi dell’altro dietro di lui. Non si voltò, non aveva nessuna voglia di proseguire quella conversazione.
-Si può sapere che cosa ti prende? Aish, voglio solo proteggerti! –
Kibum s’impose calma. Perché quello sciocco insisteva? Che cosa aveva fatto di male per subire quel tormento? Non erano sufficienti le assurde emozioni che provava, il caos che regnava nella sua testa, no, Jonghyun doveva insistere come il cane che afferra l’osso e non ha alcuna intenzione di mollarlo. Piuttosto si sarebbe strappato le zanne da solo! Guardò l’altro.
-Non ho bisogno della tua protezione e soprattutto non te l’ho chiesta. –
- Allora è questo il punto. Senti così tanto il bisogno di dimostrare di sapertela cavare da solo da mettere a rischio la tua vita, è così? –
Era così? Certo che no! Allora perché Kibum avvertiva una strana pressione al petto?
-Tu non sai niente di me, della mia vita. –
Kibum era esasperato. Si sentiva soffocare, la testa in subbuglio. Si voltò dall’altra parte affondando le dita nei capelli, ormai prossimi a tornare del loro colore naturale.
-Tu non sai cosa significa sentirsi dire ogni singolo giorno cosa devi fare, dire, come comportarti, sottostare a miriadi di stupide regole. Essere ignorato e allo stesso tempo vedersi progettare ogni singolo momento della propria vita, imponendoti anche un fidanzato. –
-F-fidanzato? T-tu lo ami? – fece Jonghyun sbarrando gli occhi.
-Kim Jonghyun sei forse idiota? Sto scappando da casa, ricordi?! – urlò.
Ansimò. Non si era reso conto di aver urlato così tanto.
-Mi dispiace –, fece la voce contrita del più grande.
Kibum sospirò e abbassò gli occhi. Non era colpa di Jonghyun, in fondo era solo preoccupato, ma non riusciva a starlo a sentire. Tutto ciò che diceva lo portava inevitabilmente indietro e rivedeva lo sguardo divertito e derisorio di Heechul; anche lui gli aveva fatto intendere chiaramente che scappando si sarebbe reciso la gola con le sue stesse mani. Non poteva e non voleva che la sua mente associasse il sorriso derisorio di quella serpe alla preoccupazione genuina di Jonghyun.
-Lo so. Non voglio discutere con te. –
Jonghyun lo guardò negli occhi. – Potrei venire con te. –
Key sbatté le palpebre, sorpreso. Aveva capito bene? Era assurdo! Non poteva di certo permetterglielo. L’ultima immagine che aveva di Siwon gli balenò nella mente. Scosse il capo, no, non lui!
-Una persona è già morta per proteggermi. Non ti permetterò di venire con me. –
-Ma –
Alzò una mano per zittirlo. –Tu hai la tua vita, la tua strada e non è la mia. –
-Pensi di trovarla andando a Nihon? –
Jonghyun avvertiva un groppo in gola. Lo stava perdendo, alla fine? Forse davvero l’altro non sentiva nulla, dopotutto l’aveva detto chiaramente. La tua strada, la tua vita non sono le mie. Quindi non era niente? Come poteva? Per lui era diverso. Era lui, ormai, la sua vita. Per qualche strano scherzo del destino sentiva che le loro strade erano indissolubilmente intrecciate insieme.
-Non lo so. –
Jonghuyn chinò il capo. Non c’era nulla che potesse fare. Devo lasciarlo andare, pensò.
 Il volto dell’altro era teso, stanco, delle profonde occhiaie segnavano ombre scure sotto i suoi occhi.
-Dovresti seguire l’esempio di Taemin ed andare a dormire -, disse Jonghyun.
Key annuì, l’altro gli diede un leggero bacio sullo zigomo e se ne andò. Si appoggiò alla parete di legno. Si sentiva in mezzo alla strada, bhe, lo era letteralmente; davanti a lui c’era il vuoto, dietro pareti soffocanti e un destino segnato.
-Non avrei mai pensato di incontrarvi qui, vostra altezza. –
Kibum sobbalzò, abbandonando il filo dei propri pensieri. Kyuhyun? La seconda testa della serpe, pensò, come diavolo mi ha trovato?
Il principe lo squadrò. Il cavaliere aveva il volto leggermente arrossato, doveva aver bevuto, probabilmente era stato nella locanda tutto quel tempo in attesa che si allontanasse da solo.
 Strinse i pugni e la rabbia lo invase. Aveva davanti quello che probabilmente era l’assassino si Siwon! Iniziò ad accumulare energia, l’avrebbe fatto saltare in aria come un petardo del regno di Ming! L’aria sfrigolò intorno a lui, tentacoli blu e neri volteggiarono all’intorno. Mai come in quel momento, aveva provato un desiderio di vendetta e ne era quasi spaventato. Nella sua vita non aveva mai desiderato fare del male a nessuno, figurarsi uccidere! Ebbe paura di sé stesso, il mondo lo stava forse trasformando? Se sì, in meglio o in peggio?
Kyuhyun non parve curarsi di quanto accadeva, al contrario osservò il principe con uno strano sorrisino sulle labbra.
-Non mi sembra una scelta molto saggia –
Kibum soffiò irritato. Aveva ragione, rischiava di attirare troppo l’attenzione. Rilasciò l’energia, doveva stare calmo. Sarà un’impresa dato che voglio ucciderlo!
Kyuhyun avanzò. –Mi offendete, non penserete che sia mia intenzione farvi del male? –
-Che cos’hai fatto a Siwon? –
L’altro fece spallucce. –Gli ho solo dato una lezione. Vi ha rapito, dopotutto. –
-E’ questo che raccontate in giro? Vattene o giuro che ti ucciderò! –
Kibum portò una mano all’elsa della spada, ma non la trovò, l’aveva lasciata in stanza. Si morse il labbro.
-Aish – fece Kyuhyun massaggiandosi le tempie.
Era da settimane che vagava per le strade del sud in cerca del principe, un lavoro decisamente gramo per il miglior cavaliere del regno! Non ne poteva più. Dare la caccia ad un ragazzino non era un lavoro serio. Proprio non riusciva a capire perché Heechul non si limitasse a disfarsi del principe. Insomma, ormai aveva il potere a portata di mano, la storia che Kibum rappresentava una garanzia al suo accesso al trono era ridicola! Il suo padrone era abbastanza scaltro da trovare soluzioni alternative, non aveva già un piano in mente, forse? Perché non liberarsi del principe e dargli il ben servito, fuggendo non gli aveva semplificato il lavoro? Davvero con capiva l’ossessione di Heechul per quel moccioso viziato. Certo, aveva il suo fascino e forse il suo padrone era masochista se pensava di mettere un freno a quella lingua tagliente, ma per Kyuhyun il gioco non valeva la candela. Tanto meno se era lui a dover sbrigare l’intera faccenda.
Il cavaliere infilò la mano sotto il mantello e tastò la fiala che gli aveva dato Heechul, probabilmente gli sarebbe servita molto presto.
-Vi prego, voglio solo riportarvi a palazzo, al vostro posto. Non voglio di certo mancarvi di rispetto ma vi state comportando come un bambino viziato. Il mio padrone è seriamente preoccupato per voi. –
-Certo, scommetto che non mangia e non dorme da più di un mese. Mi hai già rifilato questa storia, risparmia fiato. –
Kyuhyun si avvicinò. Avrebbe dovuto passare alle maniere forti. Afferrò il braccio dell’altro che iniziò a dimenarsi e a scalciare. Il cavaliere estrasse la fialetta cercando di far ingurgitare il contenuto al principe.
Kibum gli pestò un piede, gli diede una gomitata e gli morse la mano. Se pensava di avere vita facile con lui si sbagliava di grosso.
Kyuhyun emise un verso di dolore. Fosse stato per lui avrebbe affogato il principe nell’Han seduta stante!
Kibum avvertì tutto il peso dell’altro su di lui, perché aveva l’impressione che improvvisamente Kyuhyun si stesse afflosciando a terra come un peso morto? La presa del cavaliere diminuì, riuscì a scansarsi di lato prima di essere investito del peso morto di Kyuhyun. Barcollò all’indietro, mentre l’altro rovinava a terra tra la paglia.
-Minho – disse Kibum  con un filo di voce.
Il ragazzo era come sempre apparentemente imperturbabile, la spada in mano. Kibum ebbe un sussulto. Che avesse sentito qualcosa?
-Tutto bene? – chiese Minho.
Key annuì, poi guardò il corpo esanime del cavaliere. Non c’era sangue intorno a lui.
-L’ho colpito con l’elsa della spada, dormirà per un po' –, spiegò Minho rispondendo alle sue domande inespresse. –E’ uno degli uomini che ti seguivano? –
-Sì. Fortuna che sei arrivato in tempo. –
-Volevo controllare i cavalli. -
Minho si chinò ad esaminare l’altro, annusando l’aria intorno. –Considerando che era ubriaco e il colpo che gli ho rifilato dormirà parecchio. –
-Lo lasciamo così? –
-Tranquillo, lo faccio sparire io. –

***

Dopo quanto era accaduto la notte precedente, Jinki aveva optato per prendere una strada poco frequentata che costeggiava il fiume. Kibum ne era stato ben felice, l’idea di rivedere Kyuhyun lo preoccupava, anche perché significava rischiare di rivelare la sua identità. Tuttavia, il sollievo l’aveva abbandonato quando, dopo aver percorso un tratto di strada accuratamente acciottolato, avevano deviato lungo un sentiero fangoso e infestato da sterpaglie. Il temporale della notte precedente era stato inclemente, in alcuni punti il pantano era tale che i suoi stivali affondavano sino alle caviglie. A coronare il tutto un cielo uggioso creava una cappa umida e irrespirabile, nuvoloni grigi nascondevano il sole, che con timidi raggi cercava di aprirsi un varco. Non c’era aria all’intorno, i fili d’erba pendevano flosci, animati solo dalla corrente dell’Han. Procedevano a piedi tenendo le briglie dei cavalli.
Uno spuzzo di fango sollevato dallo zoccolo del cavallo centrò in pieno il volto di Kibum. Si avvicinò al fiume per ripulirsi quando qualcuno lo tirò indietro.
-Stai indietro – disse la voce ferma di Minho.
Kibum si voltò a guardarlo, perché c’era una nota d’urgenza nella voce dell’altro? Lo guardò interrogativo e Minho gli indicò qualcosa che galleggiava sulla superficie del fiume, trasportato dalla corrente. Kibum assottigliò gli occhi guardando nella direzione indicata. Che cos’era? Barcollò all’indietro e si portò una mano alla bocca costringendosi a non vomitare quando capì. Era un cadavere, verde e gonfio e non era il solo, ne notò altri, alcuni erano troppo piccoli per essere quelli di persone adulte. Bambini, altrettanto gonfi e verdi.
-Perché ci sono dei morti nel fiume? –  
Lo sguardo di Minho si fece duro e Kibum fu certo di percepire rabbia sotto quello strato di ghiaccio.
-Perché vi siete fermati? – chiese la voce squillante di Taemin.
Il più piccolo si bloccò di colpo quando notò cosa aveva attirato l’attenzione dei due. Soffocò un singulto, poi si avvicinò a Minho.
-Minho? –
L’altro aveva lo sguardo perso, se vedesse realmente o no i cadaveri che galleggiavano non si poteva dire. Poi tornò al cavallo e riprese la marcia. Taemin sospirò seguendo il suo stesso esempio.
Anche Kibum avrebbe voluto farlo ma qualcosa lo bloccava, temeva che se avesse mosso un solo passo le sue gambe si sarebbero sciolte come cera. La mano calda di Jonghyun s’intreccio alla sua.
-Kaja, non è un posto per te questo – gli sussurrò dolcemente.
Kibum lasciò che l’altro lo guidasse nuovamente sul sentiero, senza staccare la mano dalla sua.
-Che cos’è? – chiese con un filo di voce.
-Vengono dalla miniera. –
Jonghyun indicò un punto indistinto tra le alture che s’ergevano a strapiombo sul fiume, appena dietro di loro.
-Prigionieri che lavoravano alle miniere. –
Kibum aggrottò la fronte. – Prigionieri? Ma…-
-I bambini sono più adatti a lavorare in miniera – rispose l’altro, il tono indurito. –Li rapiscono e li portano lì. –
Kibum sgranò gli occhi. Non stava dicendo sul serio, vero? Perché mai qualcuno avrebbe dovuto fare una cosa del genere? Era orribile anche solo pensarlo!
-Maledetti Kim – sussurrò Jonghyun con astio, stringendo più forte la mano dell’altro. –Un re dovrebbe proteggere il suo popolo. –
L’odio trasparì chiaramente dalle parole di Jonghyun.
Kibum era certo di non averlo mai visto così arrabbiato, così spaventoso. Sì, perché gli occhi del più grande si erano accessi come bracieri ardenti. Kibum ebbe paura e fremette.
Jonghyun alzò lo sguardo su di lui. -Non devi avere paura, a te non accadrà nulla di simile. – Disse soffiandogli sul collo.
Kibum annuì trattenendo un brivido. Ma non era quello a spaventarlo, era l’odio dell’altro a mettergli paura, più di qualunque altra cosa al mondo. Se avesse conosciuto la sua identità, Jonghyun l’avrebbe odiato, quei sorrisi sarebbero spariti sostituiti da quello sguardo ardente. Il solo pensiero gli faceva accartocciare il cuore in petto. Non l’avrebbe mai sopportato.
Era scoppiato un tramonto rosso e triste quando raggiunsero il territorio di Gwangmyeong[5]. Avevano dovuto attraversare il fiume percorrendo un ponte dissestato, sembrava che quella zona fosse disabitata da tempo. Una volta sull’altra sponda, Kibum aveva contemplato dei ruderi che s’ergevano come minacciosi cenotafi tra l’erba appena sferzata da un’aria che sapeva di cenere. Le pietre, un tempo biancheggianti, erano annerite dalle tracce di un grosso incendio, simili a profonde cicatrici. Sembravano i resti di un’antica dimora abbandonata posta a controllo del territorio circostante, sorgeva su un dolce declivio e a un passo dal guado del fiume. A giudicare dai resti, benché irrisori rispetto allo splendore di un tempo, doveva trattarsi un grosso palazzo a base quadrata articolato su più piani evidenziati da tetti e grondaie spioventi finemente decorati.
-Ci accampiamo qui – annunciò Jinki.
-Perché? – sbottò Taemin.
-E’ tardi per proseguire. –
-Ma perché qui? –
Il più piccolo sembrava sull’orlo di una crisi di pianto, ma il maggiore lo ignorò. Kibum osservò perplesso. Cosa turbava il più piccolo e perché Jinki era stato così freddo? Adorava suo fratello, dopotutto.
-Minnie, stai bene? - Gli chiese seguendolo tra le rovine.
Taemin annuì, lo sguardo basso.
-E’ solo aria negli occhi. Lasciami solo per favore, hyung. – Disse evitando lo sguardo del maggiore.
Taemin si allontanò si allontano tra le rovine e Kibum lo guardò sparire.
-Lascialo stare. –
Jinki spuntò alle sue spalle e Kibum gli rivolse uno sguardo interrogativo.
-Che posto è questo? –
-Era casa nostra. –
Casa loro. Ecco il perché della reazione di Taemin.  
-Cos’è successo? – Chiese con un filo di voce. Purtroppo temeva già di conoscere la risposta.
Gli occhi di Jinki erano persi tra i ruderi di quello che un tempo era stato un lussuoso palazzo, casa sua. Rammentava molto bene il fuoco che aveva consumato l’intero ricordo di una delle famiglie più antiche del regno. Lingue rosse e gialle che avevano lambito ogni centimetro del suo mondo, urla disperate tra le fiamme.
-E’ stato un ordine imperiale, vero? –
Jinki si riscosse e annuì. Lui e Taemin erano stati gli unici a salvarsi da quell’inferno.
-Che cos’ha fatto la tua famiglia per meritarsi questo? –
Il più grande lo fisso, serio, poi rivolse di nuovo lo sguardo a ciò che restava del palazzo, seguendo il capo biondiccio del fratello che si aggirava tra le pareti crollate.
-Mio padre vedeva troppo e ciò che vedeva non gli piaceva. –
Vedeva, si ripeté nella mente Kibum. Settimane addietro non avrebbe mai compreso le implicazioni di quella semplice parola.
Jinki sorrise, fissando il terreno. – Sfortunatamente mio padre non era abbastanza accorto da capire che stava parlando troppo e in modo sbagliato. –
Sospirò. –Poco più di dieci anni ed è come se non fossimo mai esistiti. –
Kibum strinse i pungi. Anche sua madre era morta, la legittima imperatrice di Chosun, lui aveva solo otto anni all’epoca eppure la ricordava bene, il suo sorriso dolce, i modi delicati, eppure sembrava che nessun’altro al mondo si rammentasse di lei. Solo i ritratti nei palazzi ricordavano che il principe, dopotutto, aveva avuto una madre. Non era giusto. Nulla di ciò che aveva visto negli ultimi giorni era giusto. L’immagine di quella stanza buia tornò a bussare alla sua porta, la scacciò, tornando al presente.
Il principe non sapeva se provare imbarazzo, consapevole che era stato suo padre ad ordinare quel massacro, o rabbia nei confronti del Leader dei Ribelli. Non aveva mai viaggiato molto e quando l’aveva fatto non era stato un suo problema decidere che strada prendere, ma non era un’idiota. Conosceva bene sulla carta la geografia del regno. Stavano facendo un giro dell’oca assurdo, e non intendeva bersi la scusa che Jinki stava cerando strade alternativa per tenerlo al sicuro. Lo conosceva da poco più di un mese, ma Kibum sapeva bene che tutto ciò che Lee Jinki faceva non era mai lasciato al caso. C’era sempre la fregatura, il secondo fine. Il principe sapeva che era lui la causa di quelle scelte, sino ad ora era stato un sospetto latente, ma ormai ne aveva la certezza. Aveva una mezza idea di quelle che erano le intenzioni del Leader e, in tutta sincerità, ancora non sapeva come considerare l’intera faccenda. Era solo confuso. Molto confuso. Ma questo era troppo.
-Quello che stai facendo, Jinki, fallo pure: distruggimi, fammi a pezzi, non m’importa, ma quello che hai fatto ora a tuo fratello è terribile. Io non valgo le sue lacrime. –
Lo lasciò solo. Non aveva altro da dirgli per quel giorno.
 

***

Era notte fonda ormai, gli altri dormivano beatamente, apparentemente tranquilli nonostante il loro sonno fosse accolto da ruderi simili ad ossa annerite che spuntavano bieche dal terreno. Ma Kibum non riusciva a chiudere occhio, nonostante delle profonde occhiaie oscurassero il candore della sua pelle. Sapeva che il viaggio non sarebbe stato facile, ma mai avrebbe immaginato lo provasse sino a quel punto. Gli bastava abbassare le palpebre per vedere i volti scavati dalla fame, la povertà dei villaggi periferici che strideva tristemente con il profilo lussureggiante delle grandi città che fluttuavano all’orizzonte come miraggi. Il principe desiderava allontanare l’immagine opulenta di Soul, era come perdersi a contemplare un sorriso beffardo, impietosamente incombente su tutto ciò che strisciava ai suoi piedi. E i cadaveri gonfi e verdi che galleggiavo sul fiume, sospinti da una placida corrente. Lì, i resti di vite gloriose bruciate dal fuoco e dal tempo, dimenticate come se non fossero mai esistite.
Avvertiva un groppo allo stomaco, un masso pesante che non accennava a spostarsi. La sua fronte era madida di sudore. Non voleva guardare, non voleva sapere, solo lasciare tutto dietro di sé come fosse un terribile incubo.
Codardo, codardo, gli sussurrò una vocina fin troppo simile alla sua.  Kibum si prese il capo tra le mani, la cicatrice sulla tempia pulsava.
Sprazzi di ombre avevano messo in scena un macabro teatrino nella sua mente, simili ad un dramma kabuki. Cercò di ricacciarle indietro con tutte le forze, ma quelle stesse ombre lo risucchiavano. La sua mente era allo stremo.
Quella porta sigillata era stata chiusa troppo a lungo e ora, inevitabilmente, si era aperta fagocitando tutti i mostri che custodiva.
Perché non vuoi vedere? Domandò la vocina.
Era sveglio eppure udiva quei passi, quel bicchiere che s’infrangeva.
No! Vattene!
Non puoi tenere quella porta chiusa in eterno.
Si alzò di scatto e corse verso il fiume in cerca di un’aria che non c’era. Anche l’Han era immobile, silente come il cupo sentiero per l’Ade.
Udì un urlo come quello che anni prima aveva infranto la quiete del palazzo reale di Soul. L’urlo di una donna.
Umma! Singhiozzò.
Come allora avrebbe voluto stringersi in un angolo, le orecchie tappate, gli occhi strizzati.  Ma quei passi che rimbombava all’intorno l’avevano raggiunto e si erano fermati lì, innanzi a lui, portatori di un’ombra imponente e squadrata, simile ad una montagna che nemmeno le correnti più impetuose potevano scalfire. Occhi d’acciaio fissi su di lui. Quella era l’ultima volta in cui aveva incontrato gli occhi dell’imperatore.
Kibum ansimò e s’accasciò a terra, l’erba era umida e fredda sotto di lui. Si strinse nelle spalle mentre un brivido gli percorreva la spina dorsale.
 Una leggera brezza s’alzò all’intorno, le canne di bambù lungo la riva frinirono nella notte.
 Quanto aveva desiderato che quella porta rimanesse chiusa per sempre?
Stava per rigettare, sentiva chiaramente le viscere contorcersi. Gattonò sino alla riva del fiume reggendosi a stento. Vomitò tutto ciò che aveva in corpo, finché non restarono che i succhi gastrici. Forse avrebbe rigettato anche la sua stessa anima.
Se lo faccio non proverò più dolore, poi?
L’immagine di quella stanza avvolta nell’ombra sparì, spazzata via come cenere al vento, ma ormai impressa a fuoco dentro di lui. Il velo che l’aveva celata aveva iniziato a strapparsi da quando i flutti dell’Han l’avevano stretto in un freddo abbraccio.
Puoi davvero andartene? Riecheggiò la vocina. Non esiste nave capace di veleggiare così rapida da strapparti i ricordi.
Kibum aveva lo sguardo fisso nel vuoto. Poteva vedere la fame, la morte, il corpo esanime di sua madre sul pavimento di marmo. E quegli occhi d’acciaio, gelidi, che erano la causa di tutto.
Che senso ha fuggire?
Non è mia responsabilità, pensò.
Davvero? Rise la vocina, bieca.
Singhiozzò.
Sei il principe.
Kibum scosse il capo. No se significa essere figlio di quell’uomo. Non voglio esserlo.
Resta!
Sbarrò gli occhi.
Perché improvvisamente la voce sembrava quella di Jognhyun? Calda, morbida, avvolgente. L’odore dell’erba e del fiume si tramutò in quello dolce e sensuale dei fiori di pesco. I palpiti del suo cuore aumentarono il ritmo, simili al riecheggiare di un tamburo lontano.
Se resto, cosa posso fare?
Lo sai. Porta luce.
-Key, Key!-
Kibum si riscosse, quella era davvero la voce di Jonghyun, arrivava forte a chiara scuotendo i meandri più cupi della sua mente. Sbatté le palpebre. Il ragazzo era chino su di lui e lo teneva per le spalle, una presa calda e ferma.
Da quanto tempo era lì? 
-Da quanto sei qui? – La sua voce uscì gracchiante dalle labbra a cuore.
-Abbastanza da sapere che non stai bene. Mi sono svegliato e non c’eri. –
Il volto del più grande era preoccupato, i suoi occhi lo scrutavano come in cerca di qualcosa.
-Key! – Jonghyun lo chiamò di nuovo, notando che l’altro stava ripiombando nel baratro di prima.
Key alzò gli occhi, intrecciando lo sguardo con quello di Jonghyun. Un sospirò uscì dalle labbra del più piccolo, come un ansito dopo una lunga corsa. Gli occhi dell’altro, grandi, conservavano il tepore del fuoco in inverno e i colori delle foglie in autunno. Key ne fu risucchiato e si perse nei riflessi dorati delle iridi di Jonghyun; erano come luci infuocate che ruotavano intorno a lui, stordendolo. Si sentiva scoperto, tutti i suoi segreti inevitabilmente a nudo. Distolse lo sguardo da quegli occhi che gli bruciavano anima e corpo. Aveva paura, no, anzi, il terrore che quel fuoco rassicurante si tramutasse in un incendio astioso consumato dall’odio.
Si strinse al più grande abbassando il capo sul suo petto. Non voleva guardare ma non poteva fare a meno di lui. L’unico appiglio in un pozzo senza fondo.
-Che cos’hai? – sussurrò Jonghyun tra i suoi capelli corvini.
- Io…mi sento vuoto. – disse semplicemente.
Kibum si sentiva proprio così: vuoto. Nient’altro che un ricettacolo di carne e sangue.
Jonghyun gli prese il volto tra le mani, costringendolo a sollevarlo. Lo guardò sconcertato. Vuoto? Non c’era niente di vuoto in quello sguardo ammaliante, in quelle labbra del colore dei fiori di ciliegio, in quegli sguardi decisi e al contempo imbarazzati. Come poteva essere vuoto, Key, quando era tutto il suo mondo?
-Perché dici questo? –
-Io non vedevo niente. Come ho potuto vivere senza vedere nulla? –
Jonghyun sospirò. Non c’era bisogno che facesse domande, sapeva a cosa si riferiva, l’aveva visto sul volto dell’altro in quei giorni. Chiuso nei giardini immacolati che dovevano circondare la sua lussuosa dimora, cosa poteva aver visto quel fiore innocente? Nulla. Ma ciò non lo rendeva vuoto. Per Jonghyun quel volto, ora provato, era colmo di bellezza, di sogni, di luce. Avrebbe dato qualunque cosa per fondersi in quella bellezza, in quell’innocenza che voleva fare sue.
Sopra di loro le nubi si stavano aprendo, rivelando sprazzi di un cielo puntellato di stelle. Jonghyun fissò gli occhi neri e profondi di Key, insondabili e affascinanti quanto la notte più misteriosa. Così belli che anche le stelle avevano decisi di specchiarvisi.
-Tu non sei vuoto, Key – disse Jonghyun, - io vedo l’universo nei tuoi occhi. –
-Come puoi vedere questo? –
-Ci sono mille luci intorno a te, sono quelle che ti accecano. La loro luce e la tua.–
Key sorrise, mentre l’altro gli asciugava una lacrima solitaria che gli solcava la guancia candida. Lo aiutò a rialzarsi, conducendolo di nuovo tra le rovine. Si sedettero uno di fianco all’altro, le schiene appoggiate alle pareti incrostate di cenere.
-Posso stare con te? – chiese Key, posando il capo sulla spalla dell’altro.
Stai con me per sempre, pensò Jonghyun. Gli cinse le spalle con un braccio.
-Sì – rispose, la voce leggermente roca.
Key si accoccolò tra le sue braccia e il maggiore respirò il profumo dolce che aleggiava intorno a lui.
-Resto. –
-Certo. –
Key sorrise, alzando lo sguardo. –Non qui, ora. Resto. Non prenderò quella nave. –
Tornò ad affondare il volto sotto il collo dell’altro e abbassò le palpebre. Per quanto poche ore restassero prima dell’alba, lui avrebbe dormito. Non potevano esserci incubi a turbare il suo sonno.
Jonghyun avrebbe voluto piangere o ridere. Quel filo che lo tirava, quello strano magnetismo, lo percepiva nell’aria che respirava e tra la chioma corvina di Key. Lo strinse più forte. Non sarebbe volato via. Non quella notte.

***

Sorse un’alba rosata che infranse il grigiore del giorno e della notte precedenti. La rugiada bagnava l’erba verdeggiante adornandola di luci. Kibum si liberò dell’abbraccio di un Jonghyun ancora dormiente. Anche gli altri dormivano, accarezzati dalla leggera brezza mattutina. Raggiunse Jinki, addormentato sulla sua sacca da viaggio e seppellito sotto il mantello; gli picchietto il dito su quella che doveva essere la sua spalla. Il volto assonato del Leader fece capolino emettendo un sonoro sbadiglio. Si mise a sedere, stropicciandosi gli occhi incrostati dal sonno.
-Riportami indietro – disse Key.
Lo sguardo di Jinki si fece vigile e abbandonando ogni traccia di stanchezza s’alzò, fronteggiando l’altro, scrutandolo palmo a palmo.
-Riportami al Rifugio – insistette l’altro.
-Perché? – chiese Jinki, trattenendo un leggero sorriso compiaciuto.
-Lo sai perché. Era il tuo piano fin dall’inizio, vero? –
Era vero. Il Leader dei Ribelli voleva quello, era il suo piano. Semplice e lacerante.
-Non hai mai voluto lasciarmi andare, volevi che cedessi, che sentissi il bisogno di restare. Hai vinto Jinki, ma non lo sto facendo per te, per il Leader dei Ribelli. Io voglio combattere per Chosun, non essere usato da te. -
Key fece spaziare lo sguardo all’intorno. Le colline silenti, le pietre accatastate dal profilo sconnesso appena delineato dalla luce rosa e oro del mattino. In lontananza il villaggio abbandonato di Gwangmyeong, dimora di fantasmi dimenticati. E poi a nord, dove Jonghyun aveva indicato la miniera un giorno addietro, giù verso il fiume dove scorrevano cadaveri senza nome e senza voce. Le cupole dorate di Soul erano lontane, ormai, ma lui aveva l’impressione d’intravedere il loro riverbero al sole.
–Mi chiedi perché? Perché non voglio tutto questo, non voglio ciò che mi hai costretto a guardare.  E perché ha ucciso mia madre. –
Jinki corrugò la fronte. Questo non se lo aspettava e la cosa lo turbava non poco. Il Leader dei Ribelli voleva un principe consapevole del mondo, non un ragazzino in cerca di vendetta. Incrociò le braccia.
-E’ vendetta? – chiese.
Key rise, sprezzante. – Non ho odio o vendetta da sprecare per quell’uomo. Lascia che sia solo Key, che diventi un Ribelle. –
Jinki sorrise. Qualunque nome avesse usato sarebbe rimasto l’erede al trono di Chosun e lui non voleva cambiarlo, era per quello che il Leader lo desiderava con tutto sé stesso. Che scegliesse il nome che preferiva, lui, Lee Jinki, avrebbe avuto la chiave per vincere la sua battaglia.
-E’ quello che vuoi? –
Jinki doveva saperlo. Poteva leggerlo negli occhi sottili dell’altro: Kibum non era più il peso morto di soli pochi giorni prima, il bambino spaventato che aveva accolto al di là di ogni buon senso. Delle ombre che sino ad allora avevano aleggiato cupe intorno a lui non c’era più traccia. Si erano dissolte, fuggite come la notte al sorgere del giorno. Ma doveva saperlo, dove udire quelle parole con le sue stesse orecchie.
-E’ quello che desidero. –
Parole ferme, sicure, di chi ormai sa cosa vuole. Di chi si è lasciato le ombre alle spalle, le ha combattute ed ha vinto. Solo una incombeva ancora ambigua sul suo capo, ma sarebbe giunto il momento opportuno per affrontarla.
Key si voltò verso le colline verdeggianti baciate dall’alba. Il fiume, che il giorno prima gli era parso così tetro, ora luccicava al sole, simile ad un drago dorato evocato da antichi canti accompagnati da note acute.
 – Voglio più luce. –
Jinki sorrise, l’alba era davvero luminosa quel giorno. Finalmente aveva la regina per fare scacco matto al re.


 
 
Spero che il capitolo sia piaciuto e soprattutto che sia stato comprensibile nella parte più introspettiva. Se avete bisogno di chiarimenti sono disponibile!
Preannuncio che i prossimi capitoli saranno interamente incentrati sulla JongKey <3
Alla prossima!
 
 
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[1] Antico nome di Incheon all’epoca della sua fondazione, 1888. Per fare chiarezza ricordo che ci troviamo in una Corea alternativa: nomi e caratteristiche delle città nominate sono ripresi dalla realtà, altri modificati per necessità di trama.
[2] Corrisponde alla Cina.
[3] Corrisponde al Giappone.
[4] Strumento tradizionale coreano a più corde simile ad un’arpa.
[5] Territorio governato dalla famiglia Lee. Dopo la distruzione ad opera dell’imperatore il palazzo è stato abbandonato. A sud di Soul. 

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Capitolo 11
*** Capitolo 10. Symptoms. It might be a sickness ***


Ciao a tutti! Allora, piccola premessa, ho dovuto dividere il capitolo in due perché sul mio file word era diventato una cosa di trenta pagine. Un po' mi dispiace XD...il perchè lo scoprirete nel prossimo capitolo XD 
Ho cercato di dividere in modo sensato, spero di esserci riuscita.
Nonostante abbia già pronta la seconda parte la posterò comunque la prossima settimana, in modo da portarmi avanti e riuscire ad aggiornare sempre tra mercoledì e giovedì.
Ringrazio chi continua a leggere, recensire, chi ha inserito la storia tra preferite, seguite o da ricordare.
Buona lettura!
 

Capitolo 10
Symptoms.
It might be a sickness…
 
 

“It’s a mysterious, no, it’s a strange thing, it might be a sickness
I have no strength in my body, I can’t control it
These bad symptoms appeared after I met you
I’m left alone on this black night (in my room that’s filled with thoughts of you)”


Shinee, Symptoms.
 
 
Nel primo mese che Kibum aveva passato al Rifugio, come una sorta di ostaggio, si era mosso quasi in punta di piedi in quella nuova vita e aveva percorso i corridoi rocciosi temendo di emettere anche solo il minino rumore, ma le cose era cambiate. Key voleva vivere quella vita appieno e respirare l’aria di liberta che avvertiva intorno a lui. Sondare con occhi curiosi ogni centimetro della sua nuova casa, studiarne i dettagli, farli suoi. Ogni corridoio, ogni ambiente non era più un luogo da ammirare a sguardo basso e sfuggente per paura di vedere troppo. Il Rifugio era la sua casa, completamente. Mai si era sentito così a suo agito. Non c’erano formalità, regole assurde, giornate scandite da una routine noiosa e sempre uguale e, soprattutto, nessuno gli imponeva come vivere la propria vita. C’era solo determinazione in lui, e tanta speranza.
Certo, non si poteva dire che i primi tempi fossero stati facili. Se quando era solo di passaggio i pochi Ribelli che aveva incrociato l’avevano guardato con diffidenza o non l’avevano guardato affatto, ora tutti gli occhi erano puntati su di lui. Molti erano perplessi, altri adirati. In realtà sembrava che nessuno fosse davvero contento della sua presenza lì, a parte Jinki, Taemin, Jonghyun e Minho.
Più di una volta aveva sentito dei Ribelli sussurrare alle sue spalle dandogli della spia, del bambino viziato. A Key non importava, certo, gli dava fastidio, ma comprendeva molto bene l’astio che nutrivano nei suoi confronti e le loro paure. Aveva quindi messo a tacere il suo orgoglio ed aveva tirato dritto lungo la propria strada. Dopotutto, non era mai stato così felice in tutta la sua vita, non voleva guastare nulla e il modo migliore per farlo era ignorare le male lingue e procedere dritto, sempre avanti, lungo un sentiero ormai lastricato di sogni e luce.
Non divideva più la stanza con Taemin, ora ne aveva una tutta sua che aveva provveduto ad arredare lui stesso. Jinki gli aveva dato il permesso di accedere al “tesoro dei ribelli” e lo aveva accompagnato personalmente. C’era di tutto, dai mobili agli abiti raffinati. Kibum era rimasto meravigliato, da dove veniva tutta quella roba? Aveva deciso di non esprimere a voce la propria curiosità, era già rimasto sufficientemente sconvolto negli ultimi mesi, non aveva alcuna intenzione di procurarsi ulteriori traumi venendo a conoscenza della provenienza indubbiamente illecita di tutta quella merce.
Jinki l’aveva guidato in quella stanza delle meraviglie con il sorriso sulle labbra, il più ingenuo e cordiale che Kibum avesse mai visto. Come poteva essere così tranquillo e di buon umore quando l’erede al trono di Chosun aveva sotto gli occhi i frutti di buona parte dei suoi crimini? Più passava il tempo e più Key rimaneva sconvolto da quel ragazzo. Ma, d’altra parte, non era stato forse lui ad esprimere il desiderio di unirsi alla sua causa, quindi Jinki cos’aveva da temere? Nonostante l’iniziale perplessità Kibum era felice. Il più grande si fidava e lui voleva dimostrargli tutte le sue buone intenzioni.
Key aveva scelto un arredamento tradizionale per la sua stanza, non solo gli piaceva, ma lo considerava anche un modo per tagliare i ponti con la vita precedente, un punto d’inizio. Così, grazie all’aiuto degli altri, si era circondato di cassettoni di legno finemente intagliati, tavolini bassi, cuscini al posto di sedie e poltrone ed aveva optato per un letto basso. Certo, da un lato era un po' spoglia, per quanto i mobili semplici fossero comunque di fattura pregiata, tuttavia dopo lo sfarzo soffocante in cui aveva vissuto gli sembrava finalmente di respirare. Era da lì che voleva ripartire.
La tranquillità era durata poco però, Jinki gli aveva concesso giusto il tempo di ambientarsi e sistemare le proprie cose, poi gli aveva dato subito delle incombenze. Key non stava nella pelle: finalmente aveva qualcosa di sensato da fare! Vedeva spesso gli altri uscire per qualche missione, non sapeva cosa facessero esattamente, ma sospettava si limitassero a controllare la zona ed andare in esplorazione perché Jonghyun si era lamentato più volte di “non avere preso abbastanza a calci nel sedere guardie e nobili negli ultimi tempi”.
-Uscirò con gli altri? –
-Preferirei di no, almeno per ora – gli aveva risposto Jinki.
-Oh, perché? –
Key era rimasto deluso. Era stato chiaro con il Leader: rimaneva per combattere, non in attesa di essere estratto come la carta vincente al momento opportuno. Jinki lo aveva rassicurato spiegandogli le sue ragioni.
-Non posso mandarti fuori con gli altri quando ancora non si fidano di te. Lascia loro un po' di tempo. E poi ci sono molte guardie in giro negli ultimi tempi, non voglio correre rischi ed esporti troppo. Ma non preoccuparti, non sarà sempre così. –
Le parole di Jinki lo aveva rincuorato, ma allo stesso tempo era stato curioso di sapere cos’avrebbe fatto.
-Sei un ragazzo intelligente e molto istruito e io sono sommerso da carte e bhe, faccende amministrative -, aveva tagliato corto il Leader. –Potresti aiutarmi. –
Non era esattamente quello che Key si aspettava, ma non era male come inizio. Inoltre, lavorare a stretto contatto con il Leader dei Ribelli poteva essere un modo per far capire a tutti che Jinki riponeva fiducia in lui ed invogliarli a fare altrettanto.
-Devo farti da segretario in pratica? –
-Più o meno. –
-Cioè? –
-Non voglio vederti sommerso dalle carte e basta, mi interessa sapere cosa pensi. Diciamo più un primo ministro –, gli aveva detto sorridendo.
Key aveva riflettuto. Non era male, certo rimaneva attirato dall’idea di uscire con gli con gli altri ma, oltre ad essere certo che la decisione di Jinki nascondesse qualche secondo fine, riconosceva di non essere mai stato un tipo d’azione. Partecipare ad una missione poteva essere potenzialmente interessante per lui, ma anche potenzialmente disastroso.
Un passo alla volta, si era detto.
Così aveva iniziato a passare le sue giornate negli appartamenti di Jinki. Quando aveva visto la mole di carte che affliggevano il più grande era quasi stato sul punto di ricredersi, forse Jinki non aveva un secondo fine, era semplicemente disperato.
Tutto era scritto rigorosamente in codice, ma Key non c’era voluto molto per capirlo, caratteri di Chosun e del regno di Nihon erano stati accuratamente mischiati. L’aveva subito fatto notare a Jinki il quale, dopo l’iniziale sorpresa, ne era stato estasiato.
-Sapevo che l’avresti capito prima o poi, ma non credevo così in fretta, ho impiegato parecchio ad elaborarlo. –
-Parlo e scrivo correttamente la lingua di Nihon- aveva spiegato Kibum. – Anche quella di Ming. –
-Avrai avuto degli ottimi insegnanti -, aveva osservato Jinki.
-Sì, ma ho sempre studiato molto anche da solo tutto quello che mi interessava. –
Key aveva sciorinato un lungo elenco di tutte le materie che avevano attirato il suo interesse. – Ho letto anche dei libri di medicina, ma non chiedermi di fare qualcosa di pratico -, aveva detto mettendo le mani avanti. – Solo teoria. –
Jinki aveva battuto le mani, entusiasta.
Insomma, tutto procedeva nel migliore dei modi, c’era solo una cosa a turbare la mente e le notti di Key. E quella cosa, o meglio, quella persona aveva un nome: Kim Jonghyun.
Le cose con Jonghyun era peggiorate, decisamente peggiorate. Se sino ad allora era riuscito a tenere a bada quell’intreccio di sensazioni, che col passare del tempo erano diventate quasi compagne fedeli, potenzialmente pericolose ma in un certo senso domante; ora gestirle stava diventando un’impresa titanica. Se ne rendeva conto ogni giorno di più e non trovava soluzione. Gli sembrava di essere afflitto da qualche strana ed incurabile malattia. Quel dannato ragazzo infestava le sue giornate che fosse presente o meno. Si svegliava ed andava a dormire con il pensiero dell’altro, era come una persecuzione. Anche quando era solo, nella sua stanza, il pensiero di Jonghyun lo tormentava. Come era arrivato a quel punto? Ogni mattina attendeva con trepidazione la colazione in sala comune, per poi accompagnare il più grande all’uscita del Rifugio e più volte, senza che se ne rendesse conto, i suoi passi l’aveva condotto nel medesimo punto ad attendere il suo rientro. Anche quel semplice gesto era diventato parte della sua routine, come una sorta di rituale.
Che cosa stava succedendo? Era sempre stato calmo, controllato. Aveva paura. Per quanto fosse sentimentalmente inesperto non era stupido, sapeva che non era semplice amicizia quella che lo legava a Jonghyun. Non aveva la più pallida idea di come comportarsi e l’idea di dare un nome a quel sentimento lo terrorizzava a morte, non riusciva nemmeno a concepirlo in modo definito, figurarsi nominarlo.
E non era tutto. Non era più solo quella sorta di attrazione magnetica a tormentarlo, quella strana elettricità che attraversava l’aria ogni volta che i loro occhi o qualunque altra parte del loro corpo s’incontrava. Key si era reso conto, rimanendo ulteriormente traumatizzato, di essere fisicamente attratto da Jonghyun. Il solo pensiero lo metteva in imbarazzo. Non gli era mai successo nulla di simile e non aveva la più pallida idea di come reagire, di come gestire quella specie di malattia che era giunta sino a spossarlo non solo mentalmente, ma anche fisicamente.
Key si era accorto di essersi fermato più del dovuto ad osservare l’altro mentre si allenava. Jonghyun aveva un fisico perfetto, muscoloso, ma non eccessivo, muscoli allungati, scattanti, che guizzavano ad ogni movimento. E le sue labbra carnose sembravano così morbide, calde…a volte era rimasto a fissarle mentre l’altro parlava, ascoltando a mala pena quello che Jonghyun diceva.  
-Non sei d’accordo, Key? –gli aveva chiesto una volta Jonghyun.
D’accordo di cosa? Si era chiesto Kibum in panico. Non aveva sentito una parola del discorso del più grande!
Si era limitato a sorridere ed annuire in risposta, che altro poteva fare?
Come se non bastasse la situazione di per sé imbarazzante era intimorito all’idea che Jonghyun si accorgesse di qualcosa. Che cos’avrebbe fatto il maggiore? Secondo Key si sarebbe messo a ridere, poco ma sicuro.
Key aveva anche pensato di evitarlo. Forse quei sintomi fastidiosi sarebbero svaniti, ma aveva dovuto ricredersi. Vedere Jonghyun lo agitava, ma la sua assenza era anche peggio. Era la sua malattia e contemporaneamente la sua unica cura. Sembrava un circolo vizioso destinato a non avere fine. O ad ucciderlo.
Quel pomeriggio era nello studio di Jinki, sommerso da carte, e la sua concentrazione era pari a zero. Tanto per cambiare stava pensato a lui, al dannato Kim Jonghyun. Picchiettava nervosamente l’indice sul tavolo, mentre faceva scorrere gli occhi sugli astrusi codici di Jinki senza capirne il senso. Quel pomeriggio gli sembravano solo degli assurdi scarabocchi. Lo studio era silenzioso se non per il rumore nevrotico prodotto da lui ed il ticchettare delle lancette dell’orologio ad acqua appeso alla parete. Key alzò gli occhi. L’ora del tè era passata da parecchio e la sua tazzina ancora mezza piena doveva essere gelida, ormai. Non provò nemmeno ad accostarla alle labbra.
Probabilmente Jonghyun stava rientrando al Rifugio e lui era lì sommerso di lavoro. Non sarebbe mai riuscito a vederlo prima di cena! Purtroppo l’aveva mancato anche a colazione e la cosa lo rendeva molto nervoso, ed era certo non fosse a causa di una dose eccessiva di teina.
Si passò una mano tra i capelli. Così non andava, non andava per niente!
-Kibum, va tutto bene? –
Jinki era seduto davanti a lui a svolgere il suo medesimo ingrato compito. La sua voce era preoccupata.
-Mi sembri agitato. Qualcosa non va? –
Kibum si morse il labbro continuando a picchiettare le dita sul tavolo. Poi scosse la testa con vigore, tornando a chinare il capo sui fogli.
-Vuoi altro tè? -
-Aniyo, aniyo. –
Kibum mise le mani avanti, agitandole. Per quanto il tè di Jinki fosse buonissimo, se ne avesse bevuto altro si sarebbe trasformato in una teiera deambulante!
-Va tutto bene – mentì spudoratamente.
Jinki inarcò un sopracciglio. Perché il principe continuava a pretendere di rifilargli assurdità?  – Non mi sembra proprio. –
Gli afferrò il polso, mettendo fine al movimento nevrotico che si era impossessato della mano di Key.
-Mi stai facendo venire il mal di testa. –
-Scusa, hyung – disse dispiaciuto.
Jinki sospirò ed intreccio le mani, fissandolo. – Vuoi dirmi cosa ti succede? –
-Io…- iniziò deglutendo e stropicciandosi le mani.
Ecco, pensò, ora mi sale il panico! E’ tutta colpa di Kim Jonghyun!!! Quanto avrebbe voluto prenderlo a botte in testa! S’infilò le mani tra i capelli, disperato! Solo il suo amor proprio gli impedì di strapparseli tutti.
Fece un bel respiro. Se qualcuno poteva aiutarlo o fornirgli un antidoto contro quella maledizione era proprio Jinki. 
-Si tratta di Jonghyun. Io -, disse abbassando gli occhi, -mi sento strano, ecco. –
L’altro sorrise.
Secondo Kibum non c’era proprio niente da ridere, niente!
-Hyung! – protestò.
-Scusami Kibum, ma ammetterai che la tua frase sia al quanto strana. –
Kibum abbassò lo sguardo, consapevole di essere diventato rosso come un pomodoro maturo.
Jinki sospirò. A quanto pareva Jonghyun non era l’unico ad aver perso la testa. Se Kibum non fosse stato così agitato probabilmente si sarebbe messo a ridere. Che situazione divertente, pensò.
-Fin da quando vi ho visti insieme la prima volta ho avuto l’impressione che ci fosse qualcosa di…-
-Magnetico – concluse Kibum d’istinto.
Jinki annuì. – Sì, esatto. C’era un’aria strana intorno a voi. –
Kibum emise un sospiro sconsolato. Quindi anche Jinki lo aveva notato? E Jonghyun aveva provato lo stesso? Non ci capiva più niente, ma una cosa era evidente: non si era immaginato tutto!
-E’ stato così sin dal nostro primo incontro. –
-Ho visto – disse JInki, sorridendo.
-No. – Kibum scosse il capo. – L’avevo visto prima di arrivare qui, lo stesso giorno in cui ho aiutato Taemin. –
-Oh, non lo sapevo – disse con un misto di risentimento nella voce.
Kibum arricciò il naso. Non pretendeva davvero di sapere sempre tutto, vero?
Decise di raccontargli per filo e per segno come aveva incontrato Jonghyun al villaggio, di quello che era accaduto allo stagno, di cosa aveva provato. E di cosa provava ora. Quando ebbe finito gli parve di essersi liberato di un peso. Non ne aveva mai parlato con nessuno, nemmeno con Taemin. Per tutto il tempo, Jinki lo aveva ascoltato, serio, sorridendo ogni tanto quando le sue parole diventavano impacciate per l’imbarazzo.
Alla fine, Kibum ebbe il coraggio di rialzare lo sguardo e guardare il più grande. Aveva la fastidiosa sensazione che sulle labbra di Jinki aleggiasse un sorrisetto soddisfatto.
-Che cosa devo fare, hyung? Che cosa significa tutto questo? Sono malato? –
Jinki scoppiò a ridere. Key arricciò il naso con disappunto. Davvero non capiva cosa ci fosse di tanto divertente.
-Hyung!!! –
-Scusami – disse l’altro asciugandosi gli occhi.
Un corno!, pensò Kibum, sono qui disperato, probabilmente con dei sintomi preinfarto e tu ridi! Ridi?!
Corrugò la fronte e sbuffò in attesa di una risposta sensata da parte dell’altro. Jinki tossicò, schiarendosi la voce.
-Posso darti una risposta logica, per quanto sinceramente la ritenga tutta da verificare. –
Kibum si raddrizzò sul cuscino, come un bravo studente pronto a prendere appunti.
-Saprai molto bene come funzionano i matrimoni e le unioni di fratellanza tra le persone dotate di abilità, tra i nobili. –
Kibum annuì. Purtroppo lo sapeva molto bene.
-Una volta non era così, non erano combinate, studiate a tavolino per giochi di potere. –
-Come? – chiese Kibum, sempre più interessato. Non aveva mai letto di nulla di simile!
Jinki corrugò la fronte ed inclinò il capo guardando verso l’alto, come in cerca delle parole esatte da usare. – Non è facile da spiegare. Vedi le persone lo “sentivano”, se così si può dire, non era una cosa comune, ma poteva succedere. –
-Cosa significa che lo sentivano? – Kibum era perplesso.
-Probabilmente a causa delle abilità, ad ogni modo, scattava qualcosa come se…-
-Come se trovassero l’altra metà? – concluse Kibum, titubante.
-Mi sembra un’ottima definizione, sì. Ma ti avviso, da quanto ne so queste cose non accadono da secoli, potrebbero essere solo delle dicerie, delle leggende…capisci?-
Key annuì. Lui capiva solo molto bene di essere nei guai.
-Se non vuoi una risposta logica…-
-Questa era logica? – chiese Key, scettico.
Jinki ignorò il suo sarcasmo, era molto pensieroso. – La tua malattia potrebbe chiamarsi amore. –
Key sbatté le palpebre. Amore? Che cos’era? Non lo aveva mia provato prima! Forse preferiva la risposta logica…
Amore…lui amava Jonghyun?
Jinki sorrise, come se avesse appena fatto un’osservazione sul tempo, poi guardò l’orologio.
-E tardi, temo di averti trattenuto più del dovuto oggi. Vai, hai una faccia sconvolta. –
E’ per colpa tua che ho la faccia sconvolta!, pensò Key.
-Grazie, hyung – disse uscendo.
-Oh, a proposito – aggiunse Jinki.
Key si fermò, la mano sulla porta.
-In tutta sincerità, non penso ci sia una grande differenza tra le due spiegazioni. –
 
 
Key era seduto a gambe incrociate, letteralmente affondato nella grande poltrona di Taemin, e l’unica cosa a cui riusciva a pensare erano le parole di Jinki. Amore…quella parola echeggiava prepotentemente nella sua testa. D’istinto si portò le mani alle orecchie, ma non ci fu nulla da fare. Non se ne voleva andare! Amava Jonghyun? Era possibile? Deglutì.
Non lo voglio sapere! Pensò scuotendo il capo.
Intanto, Taemin correva da una parte all’altra della stanza aprendo armadi, cassettoni e parlando a vanvera. Sembrava molto agitato e su di giri, ma Key non stava ascoltando. Teneva lo sguardo fisso nel vuoto e le mani tra i capelli, i gomiti appoggiati alle ginocchia.
Sono innamorato di Jonghyun?
Il flusso dei suoi pensieri s’interruppe quando Taemin puntò i piedi davanti a lui, lo sguardo imbronciato e la braccia incrociate, prima di dargli un pugno in testa.
-Yah, umma! –
-Yah – si lamentò Kibum massaggiandosi il capo. – Che cosa c’è? –
Il più piccolo sbuffò sonoramente. – Non hai sentito una parola, vero? –
-Oh, io…-
Kibum tentò di giustificarsi ma non gli venne in mente nulla, in ogni caso Taemin non ci sarebbe cascato. Il fatto che avesse la testa altrove era palese.
-Stavo parlando della festa del raccolto. Hai presente? Chuseok, grande festa, tanto cibo, abito da scegliere? –
Taemin sembrava parecchio agitato. Era solo la dannate festa del raccolto e da che aveva memoria Kibum l’aveva sempre odiata.
-Mancano ancora quasi due settimana e non mi piace il Chuseok – rispose imbronciato.
– Ti ricrederai, qui è fantastico, vedrai! –
Key non poté fare a meno di sorridere al più piccolo, mentre questo saltellava per la stanza posando diversi completi sul letto.
-Allora, quale metto? – chiese Taemin, trepidante.
Taemin aveva tappezzato il materasso di completi tradizionali dai colori più disparati. Rossi, verdi, blu, bianchi, gialli, azzurri…Key vi fece scorrere distrattamente lo sguardo, afferrò il cuscino più vicino a lui lo abbracciò.
Se anche Jinki aveva percepito quella strana elettricità, forse anche Jonghyun aveva sentito qualcosa…
 Kibum affondò il mento nel cuscino e si mordicchiò nervosamente le labbra a cuore.
Forse gli devo parlare, pensò.
Aniyo, aniyooo, si disse scuotendo il capo. Farei la figura dello stupido! Certo lui è gentile, premuroso con me, ma non significa che mi ami…
Strinse con più forza il cuscino, come in cerca di conforto. Se aveva quel genere di pensieri poteva significare solo una cosa…
Sono innamorato di lui?
Fu percorso da un brivido. La situazione era peggiore del previsto, che cosa avrebbe dovuto fare? Magari Jonghyun gli avrebbe riso in faccia, oppure si sarebbe arrabbiato e non gli avrebbe più rivolto la parola!
O magari, fece una voce sibillina nella sua testa, scoprirà chi sei e ti odierà!
Il solo pensiero degli occhi carichi d’odio del più grande lo terrorizzò. Solo poche settimane addietro la prospettiva lo intimoriva, figurarsi ora che era quasi certo di amarlo! Si sentiva morire al solo pensiero. Poteva esserci un incubo peggiore? In quel momento ne dubitava fortemente.
Alzò gli occhi incontrando l’espressione di disappunto dipinta solo volto di i Taemin. Il più piccolo lo squadrava.
-Oh, Minnie, scusa io…-
Incredibile, pensò Taemin, finalmente arriva qualcuno con un briciolo di senso estetico e quando serve decide di mandare il cervello in vacanza!
-Senti -, iniziò picchiettando un piede sul tappeto, - capisco che sia difficile, ma ti spiacerebbe smettere di pensare a Jonghyun almeno per due minuti? Se proprio non ci riesci la sua stanza è qui vicina, vai e buttati a pesce su lui, così la fai finita! –
-Yah! –
Key drizzò la schiena, come scottato, sbiancando, poi si afflosciò di nuovo nella poltrona affondando il viso nel cuscino.
Taemin sorrise, soddisfatto, guardando le guance dell’altro imporporarsi.
-Non stavo pensando a quell’idiota – mugugnò Key, la voce soffocata dal cuscino.
Taemin roteò gli occhi. – Certo, come no, dovresti provare a ripeterlo un po' di volte, forse riuscirai a convincere quanto meno te stesso. -
Kibum sospirò. – E’ così evidente? –
L’altro si sedette sul bordo del letto facendo dondolare le gambe. – Davvero me lo stai chiedendo? Insomma stai sempre a fissarlo, sta sera a cena non gli hai tolto gli occhi di dosso. –
A Key si rizzarono i capelli. – Cosa?! Ho fatto questo? –
-Non vedo cosa ci sia da agitarsi tanto – fece Taemin, quasi annoiato, facendo scorrere lo sguardo sui suoi preziosi completi per il Chuseok.
Key lo ignorò alzandosi ed iniziando a passeggiare nevroticamente per la stanza. –Pensi che si sia accorto? –
Non andava affatto bene!
-Forse – rispose Taemin, distratto. 
Taemin aveva visto spesso Jonghyun impuntarsi per qualcuno, ma era evidente che quello che provava per il nuovo arrivato andava ben al di là della semplice cotta. Tuttavia, dubitava che si fosse accorto degli sguardi di Kibum, dato che lui era altrettanto impegnato a fissarlo con sguardo perso. 
Key tornò a sedersi a gambe incrociate sulla poltrona, abbracciando il cuscino. Avrebbe voluto seppellirsi vivo o nascondersi sotto il letto di Taemin, per quanto non osasse immaginare cosa ci fosse lì sotto, considerando il disordine nella stanza del più piccolo.
Perché non ho preso quella nave? Si chiese, disperato.
-Ho fatto sicuramente la figura dello stupido. –
Era tutta colpa di Kim Jonghyun! Kibum odiava sentirsi stupido e quando c’era di mezzo il più grande finiva sempre per sentirsi tale.
Sospirò. – Minnie –
Taemin alzò gli occhi dal vestiario.
-Pensi che io lo ami? –
Il più piccolo sbarrò gli occhi. – Ma certo! – disse come se fosse la cosa più naturale del mondo.
-Davvero? – chiese Key con un moto d’apprensione.
-Ma mi pare evidente! Insomma, non dovrò spiegarti tutto, umma? -
-Io non ci capisco niente! - Proruppe Kibum. – Non mi sono mai innamorato prima, certo ho amato mia madre e il mio gatto, ne avevo uno una volta, bianco e con le macchie grigie e…-
Taemin si grattò il capo, sconcertato. – Sai hyung, a volte mi lasci perplesso. –
Key arrossì stringendo il cuscino al petto. Taemin allungò le gambe e sospirò.
-Dal primo momento che vi ho visti insieme era inevitabile intuire che ci fosse qualcosa. –
Key sobbalzò e sbarrò gli occhi. Dal primo momento? Quindi era sempre stato innamorato Jonghyun?
Scosse il capo.
-Cosa devo fare? –
-Parlargli potrebbe essere un punto d’inizio. - sorrise Taemin.
-Uhm. –
-Ora – disse il più piccolo scattando in piedi. – Quale completo scelgo? – chiese speranzoso.
 
 
***
 
Jonghyun si appiattì tra i cespugli. La foresta all’intorno era silenziosa, animata solo dal cinguettare degli uccelli e dal leggero fruscio delle foglie. Tra i rami filtravano lame di luce dorata che delineavano coni di polvere danzante. Era una splendida giornata estiva, calda, ma del tutto priva di umidità, resa piacevole da una brezza leggera proveniente da nord che preannunciava l’imminente arrivo dell’autunno.
La giornata ideale per tendere un’imboscata, pensò Jonghyun con un ghigno soddisfatto.
Lui, Minho e altri due ribelli, Jaehwa e Dongsun, erano appostati tra i cespugli ai margini del sentiero che tagliava la foresta. Intorno a loro i tronchi degli alberi svettano verso l’alto fondendo le chiome in una cupola verdeggiante, riparandoli dal sole.
Era dall’inizio della stagione che non mettevano piede fuori dal Rifugio per una missione come si deve. Jinki era stato molto restio negli ultimi tempi, troppe guardie reali si aggiravano nella zona ed i controlli erano aumentati. Sembrava proprio che l’autorità reale non fosse più disposta a tollerare le loro scorribande.
Jonghyun avrebbe voluto ridere, finalmente davano loro la giusta attenzione!
Quel giorno la missione era relativamente semplice, quasi da routine. Alcuni informatori li avevano avvisati del passaggio di una carrozza nobiliare proveniente da Soul. Qualche aristocratico che si stava recando nella propria dimora di campagna, lontano dal caos della capitale. Succedeva spesso in quel periodo dell’anno; Soul tendeva a diventare troppo calda e afosa, per non parlare delle torrenziali piogge estive, in quei casi, nonostante le strade perfettamente lastricate, uscire in canoa offriva più comodità.
Il loro compito quel giorno era ripulire il nobile dei suoi averi.
Un sorriso sghembo si delineò sul volto di Jonghyun. L’avrebbe fatto andare via in mutande.
Queste attività facevano sembrare gli intenti dei Ribelli meno nobili di quanto in realtà fossero, ma erano necessarie. Tutto ciò che riuscivano a rubare veniva rivenduto per provvedere al loro sostentamento. A loro discolpa, Jonghyun poteva solo dire che tutto il ricavato in eccesso veniva utilizzato da Jinki in favore dei più bisognosi. Purtroppo le bocche che non riuscivano a sfamare erano sempre troppe. Il ragazzo era contento che ad occuparsene fosse il Leader, lui non sarebbe mai riuscito a fare scelte simili, aveva visto troppa fame e troppo fango nella sua vita. 
Una vespa ronzò intorno a lui, arricciò il naso e la respinse con un gesto annoiato della mano. Jaehwa starnutì e Jonghyun gli fece segno di fare silenzio, portandosi un dito alle labbra. L’altro lo guardò scocciato, roteando gli occhi. Jonghyun alzò un pugno in segno d’intimidazione, quando Minho lo fulminò. Gli altri due repressero una risata guadagnandosi l’ennesima occhiataccia dal più grande.
Il suono di ruote sul selciato del sentiero interruppe il silenzioso battibecco. Ancora non si vedeva nulla, ma era in arrivo una carrozza.
-State pronti – disse Jonghyun sottovoce.
I quattro s’abbassarono tra i cespugli.
-E tenete pronte le armi imbevute di stramonio – aggiunse Minho, portando una mano all’elsa della sua spada.
Jaehaw incoccò una freccia del suo arco, mentre Dongsun estraeva una coppia di pugnali.
Jonghyun non aveva bisogno di armi, lui stesso era un’arma. Il suo fuoco era stato l’arma segreta in molte occasioni. Nessuno si aspettava che un popolano avesse un’abilità, tantomeno forte come la sua. Il ragazzo adorava vedere il terrore delinearsi sul volto dei suoi nemici, gli dava sempre molta soddisfazione.
Il suono degli zoccoli dei cavalli e i delle ruote si fece più vicino. Jonghyun si sporse notando il riverbero al sole sulle ruote laccate d’oro della carrozza.
Che spreco, pensò. Tutto quell’oro avrebbe potuto sfamare intere famiglie!
Il ragazzo non osava immaginare quali tesori fossero custoditi nel palazzo di Soul, il solo pensiero lo faceva infuriare.
Diede il segnale e sbucarono dai cespugli, circondando il veicolo. I quadrupedi nitrirono, scalpitarono all’indietro costringendo il cocchiere a stringere saldamente le redini. La carrozza oscillò.
-Che cosa fai? Perché ti sei fermato? –
La voce di un uomo di mezza età giunse da dentro la carrozza.
-B-banditi – balbettò il cocchiere, agitato.
Era un uomo mingherlino, quasi nodoso, il naso lungo e ricurvo lo faceva sembrare un topo. Il poveretto sobbalzò emettendo un grido stridulo quando una freccia si conficcò a pochi centimetri da lui.
Jaehwa, i capelli rossicci scomposti, sorrise divertito prima di guadagnarsi un’occhiataccia da Minho.
-Non mi piace essere definito bandito – disse a mo’ di scusa.
Una mano inanellata scostò la tendina di velluto del veicolo, rivelandone il proprietario. Il nobile era un uomo grassoccio, anzi, per Jonghyun definirlo obeso sarebbe stato più corretto. Come riuscisse a stare infilato in quella scatole di legno che era la carrozza per lui era un mistero. I cinque menti di cui era provvisto erano stretti in un colletto abbondantemente merlettato, il capo calvo grondava di sudore e gli occhietti porcini dardeggiavano sdegnati verso i Ribelli. Il corpo, enorme, era fasciato da seta lucida e preziosa, apparentemente sul punto di scucirsi da un momento all’altro. La mano luccicante di metallo e pietre preziose reggeva un ventaglio piumato.
Jonghyun si appoggiò con fare baldanzoso in fianco alla finestrella. L’uomo lo guardò irritato, sembrava davvero sul punto di scoppiare.
-Temo che ci debba pagare un pedaggio – disse sfoderando un sorriso accattivante.
-Un pedaggio? Miserabile plebaglia, liberate la strada! –
Il sudore sul volto del nobile parve moltiplicarsi.
Jonghyun lo soppesò attentamente, ponendo la propria attenzione sulla spilla che aveva appuntata al merletto. Il simbolo era quello della famiglia Jung. Il ragazzo ghignò. Se non ricordava male l’abilità di quella famiglia era la lettura della mente, nulla di pericoloso per lui. Al massimo quel grassone avrebbe potuto leggere nella sua mente che intendeva farlo tornare di corsa a Soul in mutande. Jonghyun focalizzò nella propria mente quell’immagine, faticando a non ridere. L’uomo recepì subito il messaggio perché il suo volto divenne paonazzo, le orecchie, piccole e incastrate nel grasso, fumanti.
-Come, come osi?! Sparite, pendagli da forca! Questa è una strada imperiale! –
-L’imperatore più infilarsi la sua dannata strada su per il fondoschiena. – Disse Jonghyun tra i denti, non riusciva nemmeno a sentirlo nominare.
-Dongsun, Jaehwa, fatelo uscire. –
L’uomo fu scaraventato fuori dalla carrozza, dimenandosi come un maiale pronto al macello. Le sue ginocchia si afflosciarono sul terreno sporcando la seta verde smeraldo.
Jonghyun fece segno agli altri due di scaricare i baiuli dalla carrozza, c’era sicuramente merce interessante. Minho puntò la spada alla gola del nobile.
-Bene, bene – cantilenò Jonghyun. –Come possiamo divertirci mentre i miei amici sono così gentili da provvedere ai tuoi bagagli? –
-Canaglie! -sbraitò l’uomo.
Jonghyun incrociò le braccia e spostò il peso da una gamba all’altra, riservando al nobile uno sguardo poco rassicurante. L’uomo tremò visibilmente sotto lo spesso strato di grasso.
-Minho, non hai un certo languorino? –
-Uhm – fece l’altro, - in effetti. –
Jonghyun fece volteggiare delle lingue di fuoco sul palmo della mano.
-Que-quell’albilità – balbettò il nobile Jung spalcando gli occhi.
Il ragazzo sogghignò.
-Allora Minho-ah, cosa ti va di mangiare…braciole di maiale, maiale arrosto. In realtà abbiamo abbastanza carne a disposizione per sbizzarrirci con ogni possibile varietà di questo nobile esemplare. –
Minho sorrise, continuando a tenere la spada puntata alla gola dell’uomo. – Personalmente inizierei con spiedini di maiale, hyung. –
-Ho già l’acquolina in bocca. –
Jonghyun fece sfrigolare il fuoco con fare minaccioso, quando le risate degli altri due attirarono la sua attenzione.
-Che succede là dietro? –
-Guarda hyung, cosa pensi che siano? –
Dongsun sventolò divertito dei grossi mutandoni di seta, mentre Jaehwa affondava le proprie risate nei bauli colmi d’abiti dai colori sgargianti.
-Miserabili bifolchi! - Gridò l’uomo con voce quasi stridula.
-Mi sa proprio che quella sarà l’unica cosa che riporterai a Soul. – Disse Jonghyun.
Minho rise di gusto. Era raro vederlo così divertito ma quanto capitava era impossibile trattenerlo. Il nobile impallidì.
Jonghyun s’abbassò sul viso porcino dell’uomo ed astrasse un pugnale che teneva infilato nello stivale. Fece scorrere la lama sul panciotto dai bottoni dorati del nobile. Il tintinnare della lama sul metallo prezioso produsse un brivido lungo la schiena del malcapitato che squittì dal terrore.
Il volto di Jonghyun si deformò in un sorriso sghembo e minaccioso. – Vediamo come stanno a sua grazia i mutandoni della nonna. –
Minho scoppiò in un’altra incontenibile risata.
 
 

Era stata una fortuna che i due cavalli aggiogati alla carrozza fossero sani e forti, altrimenti trascinare i bauli per tutta la foresta non sarebbe stata un’impresa semplice. Inoltre, il villaggio dove erano diretti per vendere la merce si trovava a ben cinque chilometri di distanza. Jaehaw e Dongsun tenevano i cavali per le briglie procedendo davanti agli altri che chiudevano la fila.
Jonghyun aveva un sorriso stampato in volto. Ancora si stava beando della scena di poco prima. Era fiero di sé stesso, quel nobile grassone sarebbe davvero corso sino a Soul in mutande!
Non ha che da ringraziarmi, pensò, con questo caldo minimo lascerà lungo la strada dieci chili.
Tutti quegli abiti di seta dovevano valere una fortuna, di certo ne avrebbero ricavato un bel gruzzoletto. Aveva sempre trovato ridicoli quei vestiti raffinati, i merletti e tutti quei gioielli, dai bottoni in metallo prezioso alle spille luccicanti. E quei mutandoni di seta! Represse una risata.
La sua espressione cambiò all’improvviso. L’immagine del nobile di poco prima svanì, sostituita da quella che per il ragazzo era una visione paradisiaca. Il corpo elegante di Key fasciato d’abiti di seta del colore della notte, il merletto appena accennato, i bottoni in perla, piccoli anelli luccicanti su quelle dita sottili…la sua pelle candida avvolta nell’intimo di seta. Jonghyun gongolò. Perché l’aria si stava diventando calda intorno a lui?
-Yah, yah Jong sei impazzito!? – gridò la foce di Minho.
Jonghyun sbatté le palpebre mentre quell’immagine idilliaca si dissolveva al vento.
No!, pensò disperato, prima che ben altro destasse le sue preoccupazioni. Intorno a lui volteggiavano lingue di fuoco, danzavano minacciose sin troppo vicine al fogliame.
Che cosa mi prende?
-Vuoi arrostirci tutti? – chiese Dongsun, indispettito.
I cavalli scalpitarono atterriti e dovettero trattenerli prima che scappassero con tutto il bottino di quella proficua giornata.
-Che cos’hai, hyung? E’ la seconda volta che succede, c’è qualcosa che ti turba? – chiese Minho, apprensivo.
Jonghyun sospirò rassegnato. Qualcosa lo turbava? I suoi pensieri poco casti lo turbavano parecchio, non che non ne avesse mai avuti, ma questa volta era molto diverso!
-Starà pensando a qualche viso carino in intimo di seta – sogghignò Jaehwa.
Jonghyun divenne paonazzo. –Pensa a condurre quel dannato cavallo! –
L’altro fischiettò procedendo lungo il sentiero.
Camminarono per un po' in silenzio, accompagnati unicamente dai loro passi sulla ghiaia. Minho si affiancò a Jonghyun guardando l’amico di sottecchi. Il maggiore teneva lo sguardo basso, fissando le punte degli stivali e mordendosi il labbro, nervoso.
-Jong, sei distratto. –
La voce di Minho era calma e conservava una nota di preoccupazione. Aveva visto più volte l’amico andare fuori di testa per qualcosa, o qualcuno. Ma negli ultimi tempi sembrava diventata una vera malattia. Peccato che Minho non avesse una cura per lui.
Jonghyun annuì.
-E’ a lui che pensi, vero? –
-Key. –
Il nome del più piccolo, appena sussurrato, uscì come una nota dolce e calda dalle labbra di Jonghyun. Minho sorrise, era certo d’aver visto dell’imbarazzo sul volto dell’altro.
-Non è una cotta -, disse Jonghyun alzando lo sguardo, gli occhi fiammeggianti. –Io lo amo. –
-Lo so. Avevo molti dubbi all’inizio, ma le tue parole di un mese fa già mi avevano convinto. –
Jonghyun sospirò e alzò lo sguardo sulla cupola verdeggiante.
Uno scoiattolo saltellava da un ramo all’altro reggendo una ghianda tra i denti, ingaggiando un gioco mortale a dispetto della forza di gravità, come un temerario funambolo. Si sentiva come quello scoiattolo. Dopotutto, non era forse un continuo sali e scendi con Key, un saltare disperato da un ramo all’altro con il terrore di cadere?
-Spiegami solo una cosa, hyung, se lo ami, perché non gli hai detto niente? –
Jonghyun guardò Minho. – Sei stato tu a consigliarmi di non dire niente, rammenti? –
Minho scosse il capo. Certo, ora dava la colpa a lui!
-Sì, ma quel consiglio è stato prima che decidesse di rimanere. Insomma, non c’è motivo di starsene zitti a questo punto. Se lo ami, s’intende. –
-Certo che lo amo! – sbottò Jonghyun, risentito.
-Me ne sono accorto Jong, insomma è da quando l’hai incontrato che non hai messo gli occhi su nessun’altro e non vai a trovare Yeouki. –
Il ragazzo si bloccò. – Yeouki! – disse dandosi una pacca sulla fronte. - Mi ero dimenticato di lei. –
Jonghyun deglutì. Come era potuto accadere?
Yeouki era una kisaeng[1] e, benché avesse un grande numero di amanti, aveva sempre avuto una predilezione per lui, forse perché aveva ben sei anni in meno di lei. Lavorava in una locanda nel villaggio di Hanamsi[2], non molto lontano da lì. Sin dal loro primo incontro Jonghyun aveva iniziato a frequentarla abitualmente e, per quanto di concedesse diverse avventure, tornava sempre da lei. Ora l’aveva quasi cancellata dalla sua mente.
Assurdo, pensò.
Non l’aveva sempre reputata una delle donne più belle che avesse mai visto? Yeouki aveva un fisico flessuoso, non troppo alta, le labbra carnose, gli occhi a mandorla dall’espressione volpina e lisci capelli neri.
-Ti sei dimenticato della tua amante abituale? Questo è davvero grave. Immagina la sua faccia quando ti rivedrà. Oh hyung, non vorrei essere al tuo posto. – Disse Minho.
-Rivedermi, perché mai? Insomma, non voglio rivedere qualcuno che probabilmente desidera uccidermi. –
Voleva ucciderlo di sicuro, Jonghyun ne era certo! Yeouki diventava parecchio gelosa quando si trattava di lui. Non aveva mai permesso ad altre kisaeng di avvicinarsi a lui, quelle che ci avevano provato erano state intimidite con occhiate minacciose. Sembrava che la ragazza lo considerasse quasi una sua proprietà.
-Perché è da lei che stiamo andando. Hai presente? Le merci da vendere, la locanda di Haneul? –
Haneul era la proprietaria della locanda in cui lavorava Yeouki. Era una donna di mezza età ma che conservava indubbiamente ancora un grande fascino. Aveva un gran fiuto per gli affari, abilità che le aveva permesso di darsi al contrabbando di merci preziose. Jinki ne aveva subito approfittato, facendo di lei uno dei loro intermediari principali.
-Oh, dannazione! –
Calò il silenzio. Jonghyun torno a fissarsi le punte degli stivali e a mordersi il labbro. Come aveva potuto dimenticarsi di Yeouki? La noona non avrebbe lasciato correre facilmente. Doveva trovare un modo per ammansirla o avrebbe appeso il suo scalpo all’ingresso della locanda. Purtroppo raccontarle frottole non sarebbe servito, Jonghyun sapeva di non essere un buon bugiardo e Yeouki fiutava le menzogne come un perfetto segugio. Forse gli conveniva dire la verità, dopotutto la ragazza era sensibile alla bellezza e se gli avesse detto di Key…
-Ci sono -, disse estasiato. – Se le spiegherò quanto è bello Key, sicuramente capirà! –
-Stai dicendo che vuoi ammansire una donna che è stata ferita ed abbandonata raccontandole quanto è bello il tuo nuovo amore? Sul serio hyung, hai passato gli ultimi minuti ad elaborare questo piano geniale? -
Minho scosse il capo e decise che era meglio sorvolare sull’intera faccenda. Forse avrebbe dovuto difendere la pelle del suo amico da quella donna, ma tutto sommato erano ben altre le preoccupazioni di Jonghyun in quel momento.
  -Ad ogni modo, perché te ne stai qui a temporeggiare? Hai paura? –
-Paura, io, Kim Jonghyun? –
Jonghyun emise una risatina forzata, poi sospirò.
-Lo ammetto. L’idea di essere respinto mi spaventa a morte. Non penso che riuscirei più a guardarlo in faccia. -
Minho rise. – Guarda, guarda, il temerario Jonghyun messo al tappeto da un paio di occhi felini. Penso che conserverò questa storia come barzelletta da raccontare al Chuseok! –
Jonghyun lo guardò imbronciato. – Non è divertente, Minho. –
 
[1] Cortigiane coreane simili alle geisha giapponesi.
[2] Luogo realmente esistente. 

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Capitolo 12
*** Capitolo 11. Symptoms. I can't control it... ***


Ciao! Non ho molto da dire se non augurarvi una buona lettura! Ringrazio chi commenta sempre, chi continua a leggere e chi ha inserito la storia tra preferite, seguite o da ricordare. Chiedo scusa per possibili errori. Buona letttura!
 

Capitolo 11

Symptoms.
I can’t control it…
 


 
 
“When I hear your name, it feels like there are thorns on it
My heart feels electrified and numb as if I swallowed rose thorns
My deeply pierced heart, my pierced heart, my bruised heart”

Shinee, Symptoms.
 


 

Arrivarono al villaggio di Hanamsi che era quasi il tramonto e si diressero subito alla locanda. Il locale di Haneul era un basso edificio ligneo dal tetto spiovente laccato di rosso e verde, le tegole in ardesia luccicavano sotto i raggi rossastri del tramonto. Si trovava in una via secondaria, non lontana dalla piazza principale. Le strade erano quasi deserte, l’ingresso della locanda sembrava il luogo più animato, benché non ci fossero ancora avventori. Le cameriere stavano terminando di ripulire i tavolini bassi, spolverare i paraventi e accendere le lanterne che adornavano la tettoia all’ingresso.
I Ribelli furono subito accolti da un gruppo di kisaeng festanti, prima di essere allontanate dalla proprietaria e intimate di tornare al lavoro.
Haneul era davvero una donna di classe, probabilmente con gli abiti adeguati non sarebbe sfigurata alla stessa corte di Soul. Delle rughe sottili le segnavano il volto, soprattutto intorno agli occhi accuratamente illuminati da una polverina dorata, le labbra straordinariamente sottili per un abitante di Soul avevano una tinta color geranio. Indossava un abito tradizionale in cotone, la gonna rossa e la parte superiore verde petrolio. Il collo era adornato da lunghe e sottile collane di perline luccicanti. Una mano reggeva una lunga pipa fumante da cui proveniva un odore dolciastro.
Jonghyun aveva sempre pensato sembrasse una regina, e quella locanda era il suo regno.
La donna soppesò i presenti incrociando le braccia ed esibendo un sorriso soddisfatto non appena mise gli occhi sui bauli, già di per sé di ottima fattura.
-Vedo che avete qualcosa per me – disse affetta. –Portate dentro. –
Jonghyun deglutì ed entrò, tenendo lo sguardo basso. Yeouki doveva già essere stata avvisata del suo arrivo, le kisaeng sapevano essere delle vere pettegole e considerando lo svolazzare di gonne colorate che avevano accolto il loro arrivo, bhe, la morte doveva essere a pochi passi da lui…
All’interno regnava una luce soffusa, l’ambiente era quasi deserto se non per le cameriere indaffarate a sistemare le ultime cose prima dell’apertura.
-Kim Jonghyun, iniziavo a pensare che qualcuno fosse finalmente riuscito a strapparti la pelle di dosso. –
Il ragazzo sobbalzò. Era lei, senza ombra di dubbio. Guardò Minho in cerca d’aiuto ma il suo amico si era già defilato sogghignando sotto i baffi di cui era totalmente sprovvisto. Minho aveva raggiunto Haneul per contrattare sul prezzo della merce, mentre gli altri due ribelli aprivano i bauli mostrando il contenuto.
Jonghyun si voltò con un sorriso tirato verso la donna. Yeouki era bellissima come sempre, indossava un abito tradizionale bianco e rosso, i capelli raccolti in un morbido chignon fissato da un fermaglio metallico a forma di giglio, gli occhi volpini dalle ciglia allungate e le labbra seducenti colorate di rosso.
-Yeouki noona – disse sorridendo.
L’altra lo fissò attentamente, incrociando le braccia e arricciando il naso piccolo e leggermente a punta.
Jonghyun iniziò a sudare freddo, mentre gli occhi della donna lo fissavano intensamente.
-Che fine avevi fatto? –
La bocca carnosa e rossa di Yeouki s’imbronciò.
-Sono stato impegnato – rispose prontamente.
Yeouki si fece pericolosamente più vicina e Jonghyun deglutì.
-Mi risulta che gli ultimi tempi per voi siano stati abbastanza piatti. –
Inarcò un sopracciglio. – Hai qualcosa di strano – sentenziò.
Jonghyun si passò una mano tra i capelli castani. Come faceva quella dannata donna ad accorgersi sempre di tutto?
-Cosa mai potrei nascondere? – chiese portandosi una mano dietro al capo ed emettendo l’ennesima risata forzata di troppo.
-Oh quindi nascondi qualcosa – disse lei con un misto di soddisfazione.
-N-no io…-
Yeouki sorrise. – Non sei mai stato bravo a dire le bugie. Dovresti smetterla di sforzarti. –
La donna gli mise le mani tra i capelli, spettinandoglieli teneramente. Si picchiettò un dito sulle labbra, studiandolo, poi sorrise commossa.
-Oh sei innamorato! – Disse tutta zucchero e cinguettii.
Jonghyun sbarrò gli occhi. Come diavolo aveva fatto a capirlo, era forse uno spirito, un demone? Di una sola cosa era certo, quella donna era inquietante e lui voleva scappare. Anche se, doveva ammetterlo, l’aveva presa meno male del previsto.
Bhe, pensò, non le ho mai detto di essere innamorato di lei e non penso se ne curi.
-Come fai a saperlo? –
-Hai lo sguardo innamorato. Sì, totalmente perso. –
Yeouki batté le mani, eccitata. –Dobbiamo festeggiare, sei davvero pieno di sorprese! –
Detto ciò, con un gesto della mano, chiamò una delle cameriere che servì subito delle tazzine di soju, mentre loro prendevano posto ad un tavolo.
Jonghyun si sedette rigidamente sul cuscino ripiegando le gambe. Si sentiva un filo di nervi. Da un lato voleva emettere un sospirò di sollievo, dopotutto la sua vita era salva, da un altro era troppo inquietato e sottosopra per rilassarsi.
Yeouki sorseggiò il suo soju con gusto. –Allora -, disse posando la tazzina. – Racconta. –
Il ragazzo sbatté le palpebre. Stava dicendo sul serio? Divenne paonazzo. L’altra gli prese il volto stringendogli le guance.
-Da quando questo cucciolotto è diventato timido? Un micio ti ha mangiato la lingua? –
No, il cuore, per colazione e in un sol boccone, pensò. Jonghyun avrebbe voluto sotterrarsi, tutt’al più aveva intercettato lo sguardo divertito di Minho dall’altra parte della sala. Quello spilungone si godeva la scena a distanza ridendo silenziosamente delle sue disgrazie!
In realtà non aveva nessuna voglia di parlare. Voleva bene a Yeouki, ma tra loro era solo una cosa fisica, l’idea di parlare dei sentimenti che provava per Key non gli piaceva.
-Un’altra volta noona, oggi no. –
-uhm- fece l’altra. –Situazione complicata? –
Jonghyun rigirò la tazza di soju tra le mani. – Lui è timido e anche un po' spocchioso a dire il vero, e non sai dei miei…sentimenti. –
–Lui, è un ragazzo quindi, bhe deve essere molto carino se hai questa faccia stralunata. –
Carino, pensò Jonghyun, decisamente riduttivo.
-Non voglio parlane, ora – ribadì.
Yeouki sospirò. – E va bene, ma un giorno devi presentarmelo. Voglio assolutamente conoscere chi è riuscito a rubarti il cuore. –
C’era una nota di amarezza nella voce della donna, come se avesse sempre sperato di essere lei quel qualcuno o gli avessero rubato il giocattolo preferito.
Quando lasciarono la locanda le prime stelle si stavano accendendo in cielo. La strada da Hanamsi al Rifugio non era lunga, sarebbero arrivati in tempo per consumare una cena nella sala comune. La vendita della merce era stata più che soddisfacente, era da parecchio tempo che non tornavano al Rifugio così soddisfatti.
Mentre discendevano la scarpata e prendevano il sentiero che conduceva all’ingresso segreto, Jonghyun ripensò alle parole di Yeouki. Era vero, Key gli aveva rubato anima e cuore, stregandoli e facendoli suoi. Sorrise al pensiero del più piccolo che avrebbe rivisto a breve. Minho aveva ragione. Non aveva senso temporeggiare, avrebbe atteso il momento giusto e rivelato i suoi sentimenti a Key. Quell’agonia era insensata. Jonghyun si sentiva già suo e desiderava che anche l’altro gli appartenesse.

***
 
 
Era notte tarda, ormai, gli schiamazzi che sino a poco prima avevano animato la sala comune del Rifugio erano svaniti, sostituiti da un flebile parlottare e dai suoni nelle tazzine e degli ultimi piatti ancora sui lunghi tavoli di quercia. Grossi lampadari a braccia in ferro battuto pendevano come grossi ragni dal soffitto roccioso, illuminando l’ambiente rettangolare e dipingendo ombre articolate sulle pareti.
Key sentiva le palpebre pesanti e Taemin in fianco a lui non sembrava da meno. Il giovane biondiccio si reggeva il capo con una mano, ma stava chiaramente per scivolare sul tavolo mentre emetteva un sonoro sbadiglio. Key sbadigliò di rimando, premurandosi però di mettersi una mano davanti alla bocca. Aveva anche tagliato i ponti con la sua vecchia vita, ma le buone maniere erano le buone maniere. Vicino a loro, Minho aveva il volto leggermente arrossato, non sembrava ubriaco ma aveva bevuto parecchio soju. Key guardò la sua tazza ancora piena sino all’orlo, il solo odore gli pizzicava il naso. Non aveva nemmeno provato a berlo, sapeva di reggere poco l’alcool, l’unica volta che aveva tentato di bere un sorso di vino, Siwon lo aveva riportato nelle sue stanze in braccio.
L’unico sano, se così si poteva definire, era Jonghyun. Il ragazzo sprizzava vitalità da tutti i pori. Per tutta la serata non aveva fatto altro che vantarsi delle imprese di quella giornata. Aveva raccontato ogni cosa per filo e per segno un milione di volte, destreggiandosi anche in imitazioni alquanto improbabili.
Decisamente non è un bravo attore, pensò Key, al massimo potrebbe darsi alla commedia, giusto quella da strada. In ogni caso le uova marce sono garantite.
Key non aveva trovato la spacconeria del più grande particolarmente esilarante. Quello che avevano fatto poteva anche essere giusto, ma l’umiliazione a cui avevano sottoposto il malcapitato gli lasciava l’amaro in bocca e lo metteva a disagio. Dopotutto lui era un nobile e non un nobile qualunque, il principe. Prima o poi avrebbe dovuto fare i conti con questo.
Jonghyun sbuffò, spazientito. – Non ridete più? –
-Ahahah – fece Taemin, annoiato.
-E’ un po' difficile ridere per la millesima volta di qualcosa– disse Minho, la voce leggermente impastata.
Taemin guardò Key che era rimasto in silenzio, lo sguardo estremamente pensieroso. Arricciò il naso e sposto gli occhi dal principe a Jonghyun.
Quello scemo, pensò.
Key non si stava divertendo per niente, il suo disagio era palese e Taemin non poteva di certo dargli torto. Avrebbe tanto voluto infilare una scarpa in bocca a Jonghyun!
-Key, vuoi che ti rifaccia l’imitazione del grassone che corre via in mutande?– chiese Jonghyun sfoderando un sorriso smagliante.
Key roteò gli occhi.
Non bene, pensò Taemin, si sta irritando. Ora si mangerà quell’idiota come spuntino di mezzanotte!
-Io non lo trovo divertente. Non penso ci sia bisogno di umiliare così qualcuno. –
-Quello non è qualcuno, è un maledetto nobile, una motivazione più che sufficiente. –
Taemin picchiò la testa sul tavolo. Qualcuno lo fermi! Implorò tra sé.
-Se ci fossi stato io in quella carrozza avresti fatto lo stesso? –
Lo sguardo felino e assottigliato di Key era fermo e glaciale, sedeva rigido come un gatto di marmo.
-Certo che no! Tu sei diverso! –
-E come avresti fatto a saperlo? –
-Io…bhe…tu sei bellissimo. Non ti avrei mai fatto una cosa simile. –
Taemin si diede una pacca sulla fronte, rassegnato. Kim Jonghyun era davvero un’idiota e più passava il tempo più la sua idiozia peggiorava. Quando poi era Key a metterlo alle strette, i pochi neuroni che galleggiavano solitari nella testa del più grande andavano letteralmente in vacanza.
Key si alzò, rigido, e se ne andò. Il maggiore rimase a bocca asciutta, rivolgendo a Minho uno sguardo interrogativo.
-Che avrò mai detto? –
-E’ tutta sera che parli troppo – disse Minho, lapidario.  –Fossi in te gli andrei dietro. –
Jonghyun non se lo fece ripetere due volte.
-Key, aspetta. Cosa ti prende? Insomma ti ho fatto un complimento, potresti almeno ringraziarmi. –
Key alzò un sopracciglio e incrociò le braccia, senza che se ne rendesse conto il suo piede destro iniziò tamburellare, seccato. Questa poi! Avrebbe dovuto scusarsi, non pretendere ringraziamenti per un complimento banale.
-Sinceramente, Kim Jonghyun, mi dicono che sono bellissimo da quando sono nato. Dovresti provare con qualcos’altro. –
Jonghyun fece spallucce e aprì i palmi delle mani, poi si grattò il capo. – Che altro? –
Key sospirò, rassegnato. Che cosa doveva fare con lui, perché era così ottuso? 
In realtà lui stesso riconosceva di non avere le idee chiare. Lo aveva amato sin dal primo momento, orami ne era certo, ma era troppo inesperto per capire subito la portata delle sensazioni che provava. Almeno fino a quando non aveva iniziato a provare anche una forte attrazione fisica. Il solo pensiero lo fece arrossire.
Ad ogni modo non sapeva come comportarsi. Voleva Jonghyun con tutto sé stesso, ogni giorno aveva sempre più la consapevolezza di non poter stare senza di lui, ed era proprio questo a spaventarlo. Poteva l’amore rendere così dipendenti da qualcuno?
L’idea di perderlo lo uccideva. E la terribile sensazione che sarebbe potuta finire male lo metteva in guardia. Come poteva rivelare i suoi sentimenti conoscendo l’odio che l’altro provava per i nobili, per i Kim? Per quanto tempo sarebbe riuscito a mantenere il segreto, per quanto avrebbe potuto? Mentirgli così, come amici, poteva essere facile, non privo di complicazioni ma indubbiamente più facile. In una relazione, Kibum non era certo di riuscirci. La stessa idea di mentirgli gli faceva ribrezzo. Jonghyun sarebbe riuscito ad accettare la verità? Non lo sapeva. Voleva fidarsi di lui, ma il pensiero dell’odio che l’altro covava per i Kim di Soul lo bloccava.
E cosa provava Jonghyun per lui? Avrebbe ritenuto i suoi sentimenti la cotta passeggera di un ragazzino inesperto? Avrebbe riso? Oppure tutto ciò che Jonghyun vedeva era solo il suo essere bellissimo? Di tutti gli scenari immaginabili questo lo spaventava di più.
L’immagine di Heechul balenò nella sua mente. Il lord di Busan lo voleva come mezzo per raggiungere il potere, come qualcosa di bello da possedere. Kibum non voleva che fosse così. Lui era molto di più. Soprattutto, non voleva essere solo bellissimo agli occhi di Jonghyun. Voleva essere tutto per lui. Tutto.
Voglio essere il suo universo. O non voglio essere niente.
Tutto o niente. Non era mai stato una persona dalle mezze misure.
-Che altro? – chiese ancora Jonghyun, sull’orlo della disperazione.
-Non importa. Ho sonno, me ne vado a letto. –
Key se ne andò, lasciando l’altro a bocca aperta. L’espressione del maggiore era simile a quella di un grosso salmone in attesa dell’amo.
-Che altro? – sussurrò Jonghyun mentre osservava l’altro sparire lungo il corridoio.

 
***
 
-Guarda dove vai – disse il ragazzo corpulento con astio.
Kibum si massaggiò la spalla contro cui l’altro era andato volontariamente a sbattere e lo ignorò.
Non era la prima volta che gli capitava quando andava nella sala degli allenamenti, per questo sceglieva sempre degli orari tardi. Meno gente, meno rogne.  
-Yah, mi stai ignorando, forse? – Fece il ragazzo spingendolo.
Kibum barcollò, deciso però a non rispondergli. Sarebbe stato come allungare un braccio al cane che morde. Lo scansò.
-Yah, che cosa c’è? Siamo troppo volgari, forse, per un signorino come te? –  
Kibum s’impose calma, ma la voglia di dargli un assaggio della sua abilità era forte. Non gli erano mai piaciuti i prepotenti. Poteva giustificare la diffidenza, ma questo era davvero troppo. Stava per rivolgere all’altro uno sguardo glaciale quando una voce dietro di lui lo fermò.
-Che cosa succede?-
La voce calda e vellutata di Jonghyun in quel momento sembrava un vulcano prossimo all’eruzione. Mise una mano sulla spalla di Kibum.
-Niente – fu la risposta annoiata del ragazzo corpulento.
Kibum non si ricordava il suo nome, ma non era la prima volta che quel tipo lo infastidiva, anche se non era mai arrivato al di là di una spallata. Se non avesse avuto un’abilità dalla sua ne sarebbe stato spaventato, l’altro era praticamente un armadio!
-Gira al largo – disse Jonghyun.
Il ragazzo si voltò per andarsene. – Rammollito – sussurrò.
Jonghyun strinse i pugni e Key fu certo di vedere una vena pulsare sulla tempia dell’altro. Probabilmente solo il buon senso lo tratteneva dal saltare al collo del ragazzo.
-Che cos’hai detto? – chiese Jonghyun tra i denti.                               
L’altro si voltò di scatto, furente. – Ho detto che sei un rammollito, Kim Jonghyun, tempo fa avresti preso a calci nel fondoschiena qualunque nobile ti fosse capitato a tiro. –
Jonghyun scattò in avanti, i nervi a fior di pelle e gli occhi simili a braci incandescenti, il pugno teso. Kibum lo afferrò per un poso, trattenendolo. Anche la pelle dell’altro era bollente, scottava, segno che stava incamerando forza per usare la sua abilità.
-Jong, lascia stare – disse Key, calmo.
Jonghyun si voltò verso di lui, non l’aveva ancora guardato, i suoi occhi simili a bracieri erano rimasti puntati tutto il tempo sul ragazzo corpulento. La sua espressione si addolcì, poi tornò a guardare l’altro, serio.
-Key sta con noi, Kangsun, e Jinki si fida di lui. Faresti bene a ricordartelo. –
O ti farò alla brace, pensò Jonghyun.
Il solo nominare Jinki ebbe l’effetto di far sbiancare Kangsun che subito si dileguò, lanciando un’ultima occhiata diffidente in direzione del nuovo arrivato.
-Stai bene? –
Key annuì. – Non mi piacciono i prepotenti. –
Jonghyun sorrise, abbassando poi lo sguardo e mettendosi una mano dietro la testa. – Già, tipo me. –
-Oh – fece Kibum, -non intendevo quello. –
L’aveva detto senza pensarci, ma considerando l’ultimo dialogo che avevano avuto il giorno precedente la frase poteva risultare ambigua. Kibum si pentì subito di quella leggerezza. Quel genere di cose non gli capitavano mai, ma guarda caso c’era di mezzo Jonghyun. Non che si fosse dimenticato dell’accaduto, ma non aveva nessuna voglia di discutere con l’altro, la sua psiche era già sufficientemente in subbuglio negli ultimi tempi.
-Hai ragione – disse Jonghyun. – Per l’altro giorno, intendo. –
Key aveva quasi l’impressione che l’altro fosse in imbarazzo.
-Non voglio parlare di ieri – disse semplicemente.
Jonghyun non sapeva cosa dire. Era arrabbiato? Non sembrava, forse voleva solo metterci una pietra sopra. Si guardò intorno, ormai non c’era più nessuno ad allenarsi e l’ora di cena era passata da un pezzo. Sapeva che Key andava lì tardi, oppure in compagnia di Taemin. Il suo intento era stato proprio quello di trovarlo solo. Per prima cosa voleva scusarsi, sapeva di essere stato uno stupido. Aveva passato la serata a vantarsi della sua impresa “eroica” del tutto dimentico della classe sociale di provenienza dell’altro e poi aveva parlato a vanvera senza connettere il cervello. Certo, a detta di Minho era una cosa che faceva abitualmente, ma quando c’era Key la situazione peggiorava. Decisamente non un buon modo per perorare la sua causa. Già, perché Jonghyun aveva tutta l’intenzione di dichiararsi quella sera, come non ne aveva idea, ma era stufo di giocare al gatto col topo e quella situazione in bilico durava da troppo per i suoi gusti. Era certo, o quanto meno sperava non fosse una sua illusione, che il più piccolo gli avesse mandato dei segnali.
-Sei ancora arrabbiato? – chiese a bruciapelo. Saperlo gli avrebbe quanto meno permesso di stabilire una linea d’azione.
-No – disse l’altro, ridendo. – Lo so che sei un po' stupido, Jonghyun. –
Jonghyun sbarrò gli occhi. Oh, era così quindi? Nonostante Key gli avesse appena dato dello stupido la situazione lo fece sorridere. Sul volto del più piccolo si era delineato un sorriso timido e provocatorio allo stesso tempo. Jonghyun adorava quei sorrisi ed era convinto che li riservasse unicamente a lui.
Megalomane, pensò rivolto a sé stesso.
-Ci alleniamo insieme? – chiese indicando la rastrelliera con le armi poco distante.
Key si guardò intorno, non c’era nessuno a parte loro. Si mordicchiò il labbro. L’idea di rimanere lì solo con Jonghyun lo metteva a disagio. Se l’altro si fosse accorto di qualcosa che cosa avrebbe fatto? Lo amava, ma non aveva ancora le idee chiare su come affrontare quella situazione, era un bene rivelare i suoi sentimenti e, soprattutto, ne aveva il coraggio? L’unica cosa di cui era quasi certo era che non voleva compromettersi senza prima sapere di voler rischiare. C’era troppi ma e se nella sua testa.
Jonghyun avvicinò il suo volto a quello Key guardandolo di sottecchi e sorridendo.
-Guarda che non intendo lasciarti in mutande. –
Key divenne paonazzo. – Yah – fece spingendolo via.
Jonghyun rise e avvicinandosi alla rastrelliera prese due spade, porgendone una al più piccolo.
-Tieni-
Key sorrise, furbo. –Oh quindi, hai paura? –
-Che? – fece l’altro, perplesso.
Key incrociò le braccia spostando il peso da una gamba all’altra e continuando a sorridere. –Vuoi usare delle armi, deduco che tu sia intimorito dalla mia abilità. –
Jonghyun sbarrò gli occhi. A Key piaceva giocare con lui, quando era di buon umore era una delle sue attività preferite e Jonghyun si domandava se l’altro fosse consapevole di essere particolarmente provocante in quelle situazioni.
Probabilmente no, pensò.
Ad ogni modo, Jonghyun voleva evitare di usare la sua abilità, ultimamente era distratto e considerando che la causa della sua distrazione stava proprio di fronte a lui non se la sentiva di rischiare.
-Tranquillo, non ti lascerei in mutande, sarei disposto a concederti un po' di vantaggio –, aggiunse Key inarcando la bocca a cuore.
-Tu concedere a me del vantaggio? Forse sono io che non voglio rischiare di farti troppo male. –
Se voleva giocare sarebbe stato al gioco.
-Chi ti dice che abbia paura di farmi male? –
Key prese la spada, era una lama tradizionale, una scimitarra con pomo ad anello. Alzò lo sguardo notando che Jonghyun si era spostato verso gli scalini rocciosi che circondavano l’arena centrale. Quell’idiota si era appena tolto la camicia e se ne stava a petto nudo come se nulla fosse. Kibum deglutì.
-Ti alleni così? –
Jonghyun si voltò verso di lui facendo spallucce e gettando la camicia sui gradini. –Certo, perché? Lo sai no, vieni spesso qui. –
Certo, pensò Kibum, ma non eravamo soli con te a petto nudo!
-Pronto? – chiese Jonghyun.
Key annuì ed entrambi si misero in posizione. A dispetto delle aspettative di Jonghyun, Key fu il primo ad attaccare. Pur colto alla sprovvista, Jonghyun parò subito il colpo. In breve, il loro duello si trasformò in una danza dove i movimenti flessuosi ed eleganti di Key si fondevano con l’impeto e l’istinto di Jonghyun.
Il più grande era ammirato, ogni movimento di Key sembrava una danza in punta di piedi, precisa, leggera…probabilmente aveva avuto ottimi maestri a disposizione, peccato che lo scherma che insegnavano ai nobili fosse molto diverso da quello che in realtà era sulla strada. Per l’alta società era uno svago, un segno di prestigio, per la gente comune saper impugnare una spada poteva essere una questione di vita o di morte.
Tutto fluiva alla perfezione come una coreografia già definita, tra incroci di gambe, parate, stoccate, il flettersi dei muscoli e gli scatti. Finché Jonghyun non decise d’invertire all’improvviso il movimento della lama, cogliendo l’altro in fallo. Kibum scartò di lato, ruotando su sé stesso. Poi, fu come il crollare di un castello di carta, le loro gambe s’incrociarono, i piedi persero il ritmo ed entrambi si ritrovarono a terra.
Jonghyun sentì il corpo del più piccolo sotto di sé, così delicato, fragile. Rimase immobile, pietrificato dalla meraviglia che aveva di fronte e dal timore di spezzare quel giunco flessuoso se solo avesse mosso un dito. Key aveva gli occhi sbarrati dallo stupore, i capelli scomposti sul terreno punteggiati da granelli di sabbia dorata, le gote arrosate e la bocca a cuore dischiusa in un respiro affannato. Jonghyun avvertì il petto dell’altro che si alzava e si abbassava sotto di lui. Sembrava un angelo, un angelo appena caduto dal cielo solo per lui, le ali perse chissà dove e condannato a vivere in quel mondo terreno fatto di buoi e sofferenza. Etereo angelo marmoreo dalle labbra lucide, ricettacoli di salvezza e perdizione. Desiderava coglierle, ora, subito, e strappargli finalmente ogni segreto, quella promessa appena sussurrata nel vortice del tempo, sospesa in quell’universo alternativo che i loro occhi, incontrandosi, avevano creato solo per loro. Un mondo perfetto.
Key fissò Jonghyun sopra di sé. Era pesante e lui non riusciva a respirare, eppure sarebbe rimasto così in eterno. Il respiro caldo dell’altro gli arrivava dritto in viso, le labbra carnose del più grande erano come una calamita per lui, morbide, invitanti. Come poteva resistere ora che le aveva così vicine? Come poteva ignorare il fatto che desiderava che si posassero sulle sue? Anche un contatto leggero sarebbe bastato, ma doveva provare la sensazione di sentirle calde e umide sulla sua bocca, sul suo collo, sul suo volto. Ovunque l’altro desiderasse posarle, non importava. Era la prova del nove che cercava, forse, la conferma di quell’attrazione magnetica, di quella malattia che si era insinuata in ogni fibra del suo corpo, spossandolo, rendendolo esausto.
Le sue guance s’imporporarono, consapevole sia dei suoi sentimenti che della forte attrazione fisica che provava per Jonghyun. Come era potuto accadere? Come era arrivato a quel punto? Tutto era partito da quello sguardo, da quel momento in cui i loro occhi si erano incontrati e l’aria intorno a loro era diventata elettrica, frizzante.
Nonostante il profondo imbarazzo, Key desiderava con tutto sé stesso che quelle labbra si posassero sulle sue. Potevano essere la sua salvezza o la sua condanna, l’unica medicina per quel male incurabile che lo lacerava da dentro. Forse non aveva davvero bisogno di quel bacio per avere conferme. Lo sapeva, lo amava, lo amava, lo amava…
Perché tu, pensò, perché noi?
Il suo respiro si fece più affannato, Jonghyun era davvero pesante. Da quanto erano lì, stesi a terra, a fissarsi? Potevano essere secondi, minuti, ore…che importanza aveva? Lui sarebbe rimasto così in eterno. Statue marmoree generate dallo stesso blocco bianco, scaturite dalla mente luminosa di un’artista che le aveva trovate così, che giacevano scompostamente perfette in un sogno lontano e inviolabile.
-J-Jong – disse flebilmente Key, - non respiro. –
Jonghyun sbatté le palpebre, risvegliandosi da un sogno. Si alzò aiutando l’altro a fare altrettanto, mentre Key si aggrappava alla sua spalla per tirarsi su. Per tutto il tempo tennero gli occhi incollati l’uno su quelli dell’altro, solo all’ultimo il più piccolo abbassò le ciglia scure e lasciò che la frangia scomposta gli nascondesse il volto.
 Jonghyun continuò a guardarlo, affascinato. Key era davanti a lui, le gambe snelle fasciate in pantaloni neri infilati in comodissimi stivaletti afflosciati lungo le caviglie sottili, avvolto in una morbida camicia di cotone che, cadendo, era scivolata rivelando l’incavo curvilineo e diafano dell’attaccatura tra collo e spalla. Jonghyun si passò la lingua sulle labbra carnose.
Key intercettò lo sguardo dell’altro in quel punto vulnerabile, come se Jonghyun fosse stato un vampiro e lui la vittima prescelta. Le dita sottili del più piccolo corsero alla spalla aggiustandosi la camicia, nascondendo agli occhi dell’altro quell’invitante scorcio di carne; abbassò lo sguardo, rosso in viso.
Jonghyun sorrise di quel gesto timido e impacciato che ai suoi occhi rendeva l’altro ancora più dolce. Ma non voleva interrompere quel contatto visivo, era come staccare una spina, interrompere quel vitale flusso di sangue che gli faceva battere il cuore.  Aveva bisogno di affogare in quegli occhi neri, sottili, simili a quelli di un gatto diffidente, orgoglioso e perdutamente desiderabile. La sua mano risalì il collo di Key, sfiorandolo con i polpastrelli caldi come se fosse una scultura di cristallo, fragile e purissima; affondò le dita tra le ciocche corvine di del più piccolo, costringendolo docilmente ad alzare il volto.
 - Ti sei fatto male? – chiese, - stai bene? –
-  Sto bene - rispose annuendo.
Ma erano troppo vicini. Troppo vicini perché i loro nasi non si sfiorassero, il loro respiri caldi non si fondessero in un ansito che chiedeva un’unica cosa. Le labbra dell’altro.
Key voleva abbassare lo sguardo, fuggire da quegli occhi caldi color cioccolato, eppure aveva bisogno di guadarlo, nuotare in essi sino a coglierne ogni sfumatura. Sentiva il petto scolpito del ragazzo contro il suo e un brivido lo percorse, un brivido caldo. Allora i suoi occhi si abbassarono ma non per l’imbarazzo, no, corsero su quei muscoli guizzanti che sino a poco prima aveva ammirato da lontano. Jonghyun era perfetto, un fisico atletico e scolpito, ma non eccessivo. Key si sentì debole tra quelle braccia, debole ma protetto, al sicuro.
Un tenue sorriso soddisfatto si delineò sul volto di Jonghyun, ormai consapevole dell’attrazione dell’altro, dell’eccitazione che pervadeva il corpo di Key. Si disse che doveva osare, cogliere quel fiore proibito fintanto che gli si presentava l’occasione. Ma poteva davvero osare? Come avrebbe reagito il più piccolo? Si sarebbe spaventato, sarebbe fuggito, avrebbe ancora incontrato il suo sguardo? Lo avrebbe amato o odiato?
Joghyun fece presa sulle ciocche di Key facendogli alzare ancora il capo. Sondò il mistero che erano i suoi occhi scuri, in quel momento lucidi di un languore carico di aspettativa, ma non per questo privi di paura.
Allora agì.  Forse fu la cosa più stupida che potesse fare, oppure l’unica, dopotutto c’era forse via di scampo? La morte, forse, ma aveva la sensazione che anche davanti alla morte i fili del loro destino sarebbero rimasti indissolubilmente intrecciati.
Avvicinò le sue labbra a quelle dell’altro, guidando il capo di Key verso di lui. Il più piccolo era immobile, come in attesa, le labbra leggermente dischiuse pronte ad accoglierlo. Era un invito, forse, una richiesta disperata?
Jonghyun inclinò il capo sfiorando il naso dell’altro, quasi accarezzandolo, infine, le sue labbra carnose si posarono su quelle di Key. Un bacio lieve, appena sfiorato, studiato appositamente per non spaventare il più piccolo, per saggiarne una possibile reazione.
Key assaporò quel primo contatto. Era il suo primo bacio, nessuno aveva mai osato, o lui aveva permesso che accadesse. Decise di rimanere fermo lasciando che l’altro, indubbiamente più esperto, lo guidasse. Non voleva deluderlo risultando impacciato e trasformare la perfezione con cui le labbra di Jonghyun si muovevano sulle sue in una danza confusa e insensata. Si limitò a farsi più vicino, posando le mani sulle spalle dell’altro, mentre il più grande gli cingeva un fianco facendo aderire i loro corpi.
Jonghyun giocò con quelle labbra a cuore che tanto desiderava, ogni movimento gli procurava una scarica elettrica lungo il corpo, e sapeva che anche l’altro provava lo stesso perché lo avvertiva fremere tra le sue braccia. Iniziò a chiedersi se non fosse un sogno crudelmente reale, generato la sua dalla sua mente ormai piena solo dell’immagine e del pensiero di lui.
Quando Key mise le mani sulle sue spalle decise di essere più audace. Se anche fosse stato solo un sogno ne avrebbe goduto ogni momento, ogni attimo, avrebbe esplorato quella bocca perfetta che conservava il profumo dei fiori di ciliegio. Morse leggermente le labbra del più piccolo, confondendolo, vi passò la punta della lingua e le succhio piano, saggiandone il sapore dolce. Sentiva che man mano intorno a lui il mondo cambiava forma, più danzava tra gli ansiti appena percettibili di Key, più avvertiva quel filo tirare, l’aria sfrigolare carica d’energia. Ogni tocco si trasformava in un brivido caldo che li univa.
Key dischiuse di più le labbra non appena avvertì la lingua umida di Jonghyun sfiorarlo. Anche lui voleva assaggiare quella bocca morbida e calda, scoprire se oltre al profumo aveva anche il sapore del pesco. Mai nella sua vita si era lasciato così guidare dall’istinto, da quel vortice di sensazioni che lo coglieva ogni volta che era con il più grande. Mai aveva provato qualcosa di così intenso capace di fargli perdere tutto l’autocontrollo. Ma in quel momento non gl’importava, voleva solo Jonghyun e la sua bocca intrecciata con la sua. Si mosse senza pensarci e affondò le dita sottili tra i capelli dell’altro.
Jonghyun gli prese il volto con entrambe le mani, approfondendo quel bacio nato come lo sfiorarsi di seta su seta, per poi coglierli in un impeto di passione. Esplorò ogni angolo di quella bocca inviolata che si era dischiusa come un fiore solitario in pieno inverno, solo per lui. Le loro lingue s’intrecciarono nella spasmodica ricerca l’una dell’altra, come se per tutta la vita non avessero atteso altro.
Key ebbe come la sensazione che un cerchio si stesse chiudendo, un cerchio che si era aperto nel momento in cui i loro occhi si erano incontrati. Risentì i profumi di quella notte d’inizio estate, il battito dei loro cuori che sembravano nati per risuonare all’unisono, la sensazione di fluttuare a mezz’aria, isolato dal resto del mondo. Gli sembrava di soffocare in quel bacio prima delicato, poi umido e intenso, ma non gli importava, che soffocasse pure. Poteva esserci morte più bella?
Jonghyun si staccò lentamente per far riprendere fiato ad entrambi. Le sue mani scivolarono lungo i fianchi di Key trattenendolo a sé. Erano ancora vicinissimi, le punte dei nasi che si sfioravano. Jonghyun non voleva davvero mettere fine a quel momento, solo il tempo di riprendere fiato…
Sollevò delicatamente il mento di Key per sfiorare ancora una volta quella bocca a cuore.
-Lasciati baciare ancora – sussurrò Jonghyun a fior di labbra, la voce calda e leggermente roca per la mancanza di ossigeno.
Tre semplici parole, appena sussurrate, capaci di far gelare il sangue nelle vene a Kibum. S’irrigidì, improvvisamente quell’abbraccio rassicurante si trasformò in una presa scomoda, sbagliata. Qualcosa da cui desiderava solo fuggire. Era di nuovo a palazzo, nella sua stanza, il fiato caldo di Heechul su lui, il pollice del più grande che gli sfiorava le labbra…
Lasciati baciare…la frase rimbombò nella sua testa all’infinito, tramutandosi in un eco martellante.
No, pensò, divincolandosi dalle braccia dell’altro.
Jonghyun lo fissò stupito, sbattendo le palpebre. Kibum sudava freddo, gli mancava il respiro ma non era più per il bacio. Stava entrando in panico, lo sentiva nelle ossa e nel sangue e sulle mani sudaticce. Kibum arretrò senza staccare gli occhi da Jonghyun che lo guardava sconcertato.
-Key…-
C’era una nota di paura nella voce di Jonghyun. Aveva davvero osato troppo? Eppure Key aveva fatto le fusa tra le sue braccia sino a pochi secondi prima, rispondendo al suo bacio e ai suoi tocchi…come poteva, improvvisamente, avere quello sguardo terrorizzato?
Cercò di trattenerlo, afferrandolo per il polso. Perché improvvisamente lo respingeva così? Voleva almeno sapere che cosa aveva sbagliato. Ma Kibum si liberò della sua presa e rivolgendogli un’ultima occhiata intimorita corse via.
Jonghyun rimase di sasso, pietrificato. Era stato dunque un sogno?
 
  

Spero che il capitolo sia piaciuto! Ricordo che impegni permettendo aggiornerò sempre tra mercoledì e giovedì. Alla prossima! <3  Image and video hosting by TinyPic Image and video hosting by TinyPic Image and video hosting by TinyPic

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Capitolo 13
*** Capitolo 12. Selene in sleepless nights ***


Ciao a tutti! Allora ho un pò di premesse da fare, di cui una sta quasi diventando una routine…questo capitolo è lungo come noterete, è il più lungo che abbiamo mai pubblicato (sono 24 pagine di word per intenderci), ma non l’ho volutamente diviso perché secondo me avrebbe perso di senso, mi piaceva così, fatevene una ragione…quindi beccatevi queste 24 pagine di Jongkey!
Altra cosa…AVVISO IMPORTANTE!!! Da questo capitolo in poi potreste trovare scene più spinte, non andrò mai troppo nel dettaglio, né sarò troppo esplicita perché non rientra nel mio stile di scrittura, dovessi cambiare idea vi avviserò a inizio capitolo!
Ringrazio chi continua a leggere e chi commenta sempre. Ricordo che suggerimenti, opinioni, commenti, pomodori e ortaggi di vario genere (le carote no, le detesto XD) sono sempre graditi.
Come sempre chiedo scusa per possibili errori. Buona lettura!
 
 

Capitolo 12
Selene in sleepless nights
 
 
 

“Though I extend my hand, though I extend it with all my strength, I can’t reach you”
Shinee, Selene.
 
“I hate myself for trying to erase you without regrets
I really hate my heart that’s holding onto you again
When I think of you, my day filled with sighs is so long
When I sometimes see the river, the words “I love you” won’t float away”

Shinee, Sleepless Night.
 


 
Jonghyun fissò la porta della stanza di Key, titubante. In vita sua non era mai stato così indeciso sul da farsi, di norma agiva e basta, ma con il più piccolo era come una caccia alla volpe. I risultati che il suo pugno su quella porta avrebbero portato potevano essere due: o Key si sarebbe rifiutato di rispondergli, oppure avrebbe aperto la porta e, sul seguito, Jonghyun non era in grado di fare pronostici.
O mi bacia o mi prende a schiaffi, pensò.
Per quanto preferisse indubbiamente la prima alternativa, doveva riconoscere che la seconda era senza ombra di dubbio la più probabile. Passeggiò nervosamente davanti alla porta portandosi le mani alla testa.
Maledizione!, pensò.
Che cosa aveva sbagliato la sera precedente? Insomma, era un ottimo baciatore! Scosse il capo.
Concentrati, questo non c’entra niente!, si disse.
I dubbi l’aveva tormentato per tutta la notte. Forse si era sbagliato e il fatto che l’altro lo avesse ricambiato era solo nella sua immaginazione.
Finalmente si decise a bussare. I colpi rimbombarono all’interno ma non provenne alcuna risposta, nessun rumore. Jonghyun si morse il labbro, nervoso. Bussò di nuovo.
-Key? Voglio solo parlarti, non voglio baciarti, ciò si ma...Aish! Potresti aprire?-
-Key? –
Ancora niente. Che fosse fuggito fino a Nihon in un'unica notte? Gli scenari più improponibili si delinearono nella mente di Jonghyun.
Calmati, pensò, magari è già a fare colazione e tu ti stai agitando per niente.
Jonghyun era sempre più convinto che non ci fosse nessuno in quella stanza, c’era troppo silenzio oltre quella porta, se ci fosse stato qualcuno avrebbe avvertito un minimo di rumore. Decise di incamminarsi verso la sala comune, urtando lungo il percorso diverse persone che tuttavia ignorò. Aveva cose più importanti da fare!
La sala era in fermento, c’era un gran via vai di gente impegnata a fare colazione. Il tintinnare delle ciotole di riso e delle bacchette risuonava all’intorno mischiandosi con le voci dei presenti. Jonghyun portò le mani ai fianchi osservando la scena con disappunto. C’era troppo casino per i suoi gusti e lui, quel giorno, aveva bisogno della massima concentrazione. Annuì tra sé corrugando la fronte. Non vedeva Key da nessuno parte, ma in compenso individuò Minho, impegnato a consumare la propria ciotola di riso. Lo raggiunse a grandi falcate.
-L‘hai visto in giro? –  chiese puntandosi di fronte all’altro.
Minho alzò il volto dalla colazione, rivolgendogli un’occhiata tutt’altro che conciliante.
-Oh, buongiorno anche a te – disse trapelando sarcasmo. 
-Allora? –
Minho si portò le bacchette alle labbra mandando giù un grosso boccone di riso che masticò con gusto.
 - Minhossi! –
Jonghyun era impaziente. Minho bevve dell’acqua e si ripulì la bocca prima d’inforcare nuovamente le bacchette.
-Non sprecherò fiato a chiederti di chi stai parlando, tanto lo so, per quanto inserire un soggetto nelle proprie frasi sia abbastanza fondamentale. –
-Allora non sprecare fiato a farmi l’analisi grammaticale. L’hai visto o no? –
-No – rispose masticando altro riso.
Jonghyun prese posto davanti a lui guardandosi intorno con aria nervosa. Ogni volta che qualcuno entrava nella sala comune lo squadrava da capo a piedi. Minho corrugò la fronte, se conosceva abbastanza bene il suo amico c’erano buone possibilità che avesse combinato qualche guaio.
-Che cosa gli hai fatto? – chiese a bruciapelo, squadrandolo come se l’altro avesse appena ammesso di dover seppellire un cadavere.
-Che? Perché avrei dovuto fargli qualcosa? – scattò Jonghyun.
Neanche avessi ucciso qualcuno!, pensò. 
Minho si schiarì la voce e ripose le bacchette.
-Perché hai l’aria del postulante che va a chiedere redenzione per i propri peccati. –
Jonghyun sbuffò e si passò una mano tra i capelli.
-L’ho baciato – ammise senza troppi giri di parole.
Minho sogghignò. -Visto. Aria da postulante. –
Questa volta fu l’altro a sorridere, lasciandosi scappare un’espressione strafottente.
-Anche lui mi ha baciato. –
-E’ andata bene allora. Insomma, sei vivo. Però quell’aria da postulante in cerca di redenzione…non me la racconti giusta. –
Jonghyun picchiò un pugno sul tavolo.
-Aish, finiscila con questa storia del postulante. E’ andata bene, ma non benissimo. E’ fuggito. -
-Fuggito? – chiese Minho sbarrando gli occhi.
L’altro annuì. - Esattamente. Come una lepre in piena stagione di caccia. –
-Ahahah e tu saresti il famigerato cacciatore. – Minho rise di gusto, rischiando di strozzarsi con il riso.
Ora chi lo ferma più, pensò Jonghyun. Era il suo migliore amico, ma negli ultimi tempi non faceva altro che ridere delle sue disgrazie.
-Dannazione, Minho, non ridere! –
Jonghyun si alzò. Era chiaro da quello spilungone non avrebbe ricavato nulla, come minimo sarebbe andato avanti a ridere per il resto della mattinata.
-Dove vai? – chiese Minho riprendendosi momentaneamente.  
-A cercarlo! – gridò Jonghyun di rimando abbandonando la sala comune.
Dove poteva essere andato Key? O forse si era davvero chiuso in stanza e non voleva saperne di niente e di nessuno? O era scappato dal Rifugio ed era affogato nell’Han….
Yah, frena la tua fantasia, si disse.
Per quanto ne sapeva poteva essere o in biblioteca o nello studio di Jinki, il più piccolo vi passava praticamente intere giornate prendendosi delle pause solo negli orari dei pasti.
-Oh – fece sbattendo le palpebre ed individuando Taemin camminare tranquillamente nel corridoio. Se c’era qualcuno che poteva dargli delle risposte era proprio lui.
-Non provare ad evitarmi, Lee Taemin! Tu devi saperne per forza qualcosa! – urlò.
Taemin si bloccò di colpo e lo guardò perplesso. Roteò gli occhi domandandosi cosa avesse il più grande per fare tutto quel baccano, dopotutto era mattina e la gente stava ancora cercando di svegliarsi senza che quello scimpanzé urlasse per i corridoi come se gli avessero rubato interi caschi di banane. 
-Che problemi hai Kim Jonghyun? –
-Sto cercando Key. Dov’è?–
Taemin sogghignò. Chi l’avrebbe mai detto! Quei due erano come calamite. Ovviamente, lui sapeva tutto della notte precedente. Key era corso dritto filato nella sua camera, il volto pallido come quello di un cadavere, chiedendogli ospitalità per la notte. In realtà il racconto del principe era stato abbastanza sconclusionato all’inizio. Quella mattina, quando Taemin si era alzato, l’aveva trovato già pronto per la giornata, bhe per modo di dire. Sul volto di Key erano dipinte due profonde occhiaie, segno che la sua notte era stata insonne.
-Non sono sicuro di volertelo dire, hyung. Sei un po' troppo agitato per i miei gusti e quando sei così tendi a fare cose più stupide del solito. –
-Voglio solo parlare con Key – disse Jonghyun sulla difensiva.
-Parlare, tsk, io credo che tu voglia fare ben altro alla mia umma. Non penso che te lo permetterò. –
-Taemin, per favore. Devo parlargli, ieri sera…-
-So tutto di ieri sera e a mio parere siete due idioti. –
Taemin incrociò le braccia squadrando l’altro come se fosse affetto da qualche terribile malattia contagiosa. Era indeciso sul da farsi, da un lato moriva dalla voglia di rinchiudere quei due in una stanza e costringerli a risolvere i loro problemi, da un altro non era sicuro di voler dare in pasto Kibum a un Jonghyun che in quel momento sembrava avere la connessione celebrare pari a quella di una scimmia cappuccina. Sospirò, bhe a quei due serviva una spinta e Kibum non poteva scappare per sempre.
-Comunque potrebbe essere nell’ufficio di Jinki. –
-Oh. –
-Da solo. Mio fratello è fuori lungo il fiume con dei perlustratori e…Yah Jonghyun! –
Jonghyun non attese di udire il seguito. Qualunque cosa Jinki stesse combinando fuori dal Rifugio non erano affari suoi, l’importante era trovare Key da solo. I suoi occhi s’illuminarono. Se tutto fosse andato per il verso giusto avrebbe di nuovo stretto l’altro tra le braccia, affondato il naso in quella chioma corvina, respirato il suo profumo dolce, sfiorato quelle labbra…la sola idea era come rituffarsi in un sogno che era stato bruscamente interrotto, essere di nuovo avvolto in quell’intensa dolcezza che la notte precedente lo aveva cullato in un piacevole tepore.
Taemin guardò l’altro corre lungo il corridoio urtando diversi passanti. Corrugò la fronte, sperava davvero d’aver agito per il meglio.
 O dovremmo raccoglierlo raccoglierlo con delle bacchette buone, pensò.
 
 
***
 
L’orologio ticchettava scandendo un tempo nervoso e infinto. Per quanto Kibum rivolgesse spesso lo sguardo alle lancette, quelle sembravano sempre segnare la stessa ora, benché non cessassero di produrre quei suoni fastidiosi che gli martellavano in testa. Si portò le mani al capo sbuffando irritato. Quella notte non aveva chiuso occhio e, come se non bastasse, ora aveva un mucchio di lavoro da fare e Jinki aveva deciso che quella era la giornata ideale per incontrare degli esploratori lungo il fiume.
Sbuffò di nuovo. Chissà che cos’aveva il più grande di così urgente da fare per lasciarlo da solo ad affogare in tutte quelle carte. Gli occhi di Kibum correvano spesso alla porta e le sue orecchie erano tese a percepire qualunque rumore. Dalla sera precedente cercava di evitare Jonghyun, ma anche se non l’aveva visto da quando l’aveva abbandonato nella sala degli allenamenti, la figura dell’altro era una costante nella sua mente. Per tutta la notte non aveva chiuso occhio rigirandosi nel letto di Taemin, al punto che era convinto di non aver permesso neanche all’altro di dormire.
Kibum abbandonò lo stilo sul tavolo e si passo le punte delle dita sulle labbra. Il pensiero di Jonghyun lo faceva impazzire. Era come uno splendido e irrisolvibile rompicapo. Il sapore di quel bacio, il tocco leggero dell’altro, li sentiva ancora su di sé insieme a quel profumo di pesco, di estate. Per un attimo il suo cuore era stato leggero, pieno di una felicità che mai aveva sperato di provare, perché probabilmente Jonghyun lo amava. Ma un’ombra turbava la perfezione di quelle momento, la stessa che lo aveva fatto fuggire. L’ombra di Heechul.
Perché Jonghyun aveva dovuto pronunciare quelle parole, tra tutte quelle che avrebbe potuto dire, perché quelle? Le stesse che gli aveva rivolto Heechul la notte della sua fuga, quando era entrato furtivamente nella sua stanza con intenzioni tutt’altro che innocenti.
Kibum si stropicciò la camicia all’altezza del petto. Paura, amore, in quel momento s’intrecciavano in lui senza soluzione di causa. Non poteva più nascondersi, aveva paura di Heechul e quella paura lo inseguiva anche lì. Sospirò, credeva di essersi lasciato ogni ombra del suo passato alle spalle, ma quella del lord di Busan volteggiava ancora funesta su di lui.
Da tempo aveva intuito chi fosse la famiglia nobile con un Jonghyun condivideva metà del suo sangue, ma mai come in quel momento aveva dato peso alla cosa. Busan, l’abilità del fuoco…ma non gli era mai importato, sapere che la persona che amava era il fratellastro della persona che più odiava e lo terrorizzava non l’aveva mai toccato. Certo, l’aveva considerato un ironico scherzo del destino, ma nulla di più. Tuttavia, dopo la sera precedente, dopo quelle parole…non era più solo la paura che Jonghyun scoprisse la verità sulla sua identità a tormentalo, ma la possibilità che oltre all’odio quegli occhi grandi s’illuminassero anche delle stesse luci oscure che lampeggiava tetre in quelli Heechul. Pensieri assurdi, ma che alimentavano le sue paure. Eppure sapeva che non erano la stessa persona, non condividevano nulla se non metà del proprio sangue e l’abilità che contrassegnava la loro discendenza nobile.
La porta dello studio si spalancò all’improvviso facendolo sobbalzare e costringendolo a drizzare la schiena. Sgranò gli occhi. Jonghyun era entrato senza troppi preamboli ed ora stava seduto di fronte a lui, fissandolo.
E ora, cosa doveva fare?
La notte precedente, per un attimo, Kibum era riuscito a lasciare dietro di sé tutti i dubbi, tutte le paure. Che importanza poteva avere la sua famiglia, il suo nome, il suo titolo, quando tutto ciò che desiderava era essere avvolto nell’intensa e calda dolcezza dell’altro? Nulla. Ma poi erano bastate quelle parole e tutto era andato in fumo.
-Jinki non c’è, è fuori – disse con una voce metallica che non riuscì a riconoscere come sua.
Come potevano le sue parole essere così fredde quando il suo cuore era così caldo?
Jonghyun inarcò le sopracciglia.
-Cosa ti fa pensare che sia qui per Jinki? – chiese con un mezzo sorriso.
Kibum riprese in mano lo stilo e lo intinse in una boccetta d’inchiostro, spostando gli occhi sulle carte davanti a lui.
-E’ il suo studio – disse semplicemente.
Ancora quella voce fredda, distaccata.
Jonghyun si morse il labbro. Forse era stato troppo positivo, nella stanza aleggiava un’aria strana ed aveva la pessima impressione che la sua presenza non fosse gradita.
Kibum rivolse un’occhiata all’altro da sopra i fogli. Cosa ci faceva lì, non capiva che non era pronto per affrontarlo? Se lo fosse stato non sarebbe scappato, né l’avrebbe evitato quella stessa mattina.
-Voglio parlare di ieri – disse Jonghyun senza troppi preamboli.
Key era chiaramente sulla difensiva, non sarebbero mai venuti a capo di nulla se lui non avesse preso in mano le redini della situazione.
Kibum fece cadere lo stilo che rotolò sui fogli macchiandoli d’inchiostro. E adesso? Non era pronto per parlare con lui, non voleva farlo. Come poteva essere sincero e mettere a nudo ciò che provava quando non sapeva cosa voleva fare? Sapere di amarlo era una cosa, ma parlare di loro, prendere delle decisioni in merito era diverso. Non voleva farlo, non ora.
Perché è venuto qui? Si chiese.
In realtà Kibum sapeva bene che era una domanda sciocca. Tuttavia, Kibum era irritato.
Jonghyun l’osservò. Intuire cosa passasse nella testa dell’altro era impossibile. Il volto di Key era una maschera di fredda porcellana.
-E’ stato bellissimo –  disse Jonghyun. Le parole uscirono dalle sue labbra prima che avesse il tempo di connettere il cervello.
Kibum s’irrigidì e subito Jonghyun si morse il labbro.
Che sto facendo? Sono qui per parlargli dei miei sentimenti, non di quanto mi sia piaciuto baciarlo! Così scapperà a gambe levate.
Kibum si stropicciò le mani sotto il tavolo. Era colmo d’imbarazzo, d’irritazione e di paura, decisamente un trio fantastico per affrontare quella conversazione lucidamente.
Era stato bello, sì, dolce, perfetto. Per Kibum non era stato solo lo sfiorarsi delle loro labbra, l’intrecciarsi della loro lingue, era come se le loro anime si fossero fuse in ansiti appena sussurrati. Ma tutto, ora gli sembrava adombrato da quelle parole che rimbombavano ancora nella sua testa. Come se sotto la seta strisciasse una serpe velenosa o vi fosse celata una spada affilata. Un veleno dolce.
-E’ stato un errore – rispose, freddo.
-Come puoi dirlo? – chiese Jonghyun sgranando gli occhi.
Si squadrarono.
-Quel bacio -, proseguì Jonghyun – e’ stata la cosa più bella che mi sia mai capitata. –
Kibum sospirò massaggiandosi le tempie. – Sono lusingato che tu la pensi così, ma come ho detto prima è stato un errore. –
Jonghyun scattò in piedi. – Tu non capisci, tu sei meraviglioso, io…tu…- si mise le mani tra i capelli.
Stava sbagliando tutto e se ne rendeva conto ogni secondo di più. Perché non riusciva ad esprimere la sincerità e la profondità dei suoi sentimenti quando nel suo cuore erano così luminosi?
Kibum lo fissò marmoreo, apparentemente privo di emozioni. La sola presenza lì di Jonghyun lo metteva a disagio e quella che stava indossando davanti al più grande non era altro che una fredda maschera. Gli sarebbe bastato tendere leggermente la mano per sfiorare Jonghyun, per far sì che lui e l’altro diventassero loro. Ma per quanto Jonghyun stesse tendendo la propria con tutte le forze, lui rimase fermo a guardala.
-Tu non mi sei indifferente, penso che l’avrai capito, ormai – disse il più grande.
Il cuore di Kibum palpitò. Sì, lo sapeva. Dopo la scorsa notte era impossibile non accorgersi del fatto che l’altro provava i suoi stessi sentimenti, ma allora perché non gli diceva semplicemente che lo amava? La prospettiva lo faceva tremare, non sapeva dire se di eccitazione o timore, ma sentiva che se il “lasciati baciare” della notte prima fosse mutato in un “ti amo”, tutto ciò che lo tormentava sarebbe svanito come i fantasmi che fuggono alle prime luci rosate dell’aurora.
Dimmelo, pensò, dimmi che mi ami e farò il possibile per essere tuo.
-L’avevo intuito – disse Kibum.
-Tu cosa provi? –
Kibum si strinse nelle spalle.
-Tu cosa provi? – chiese a suo volta Kibum.
-L’ho appena detto – fece Jonghyun.
Che cosa stava succedendo? C’era qualcosa di terribilmente sbagliato in quella conversazione era come se un’ombra cupa pesasse sui loro capi.
Kibum inarcò un sopracciglio. –Hai detto che ti è piaciuto il bacio. –
-E’ così – rispose Jonghyun alzando le spalle.
Kibum sospirò. Non lo amava, forse? Per quanto il suo cuore fosse in trepidante attesa, i suoi occhi rimanevano freddi. Lo fissò. Sarebbero bastate due parole e le sue paure si sarebbero sciolte come neve al sole. Ma Jonghyun lo fissava stordito, aprendo e chiudendo la bocca come se volesse dire qualcosa ma non trovasse le parole, o forse non ne aveva e cercava solo un espediente per rompere quel silenzio gelido.
-Forse dovremmo dimenticare quanto è accaduto – disse Kibum.
-P-perché? –
-Mi pare evidente. –
-Evidente? – chiese Jonghyun con una punta d’astio nella voce. – Perdonami ma non vedo nulla di evidente. –
-E’ stato solo un bacio. –
Kibum era freddo. Non era stato solo un bacio, non per lui, ma non riusciva a capire davvero quali fossero i sentimenti di Jonghyun. Lo amava o era stato solo un piacere momentaneo per l’altro? Non riusciva a crederci, non voleva, ma nemmeno aveva intenzione di esporre il proprio cuore senza certezze. Jonghyun doveva dargli di più.
Jonghyun strinse i pugni. Che cosa doveva pare per sapere cosa passava nella testa di Key? Perché era così gelido? Perché aveva la vaga impressione che ogni parola dell’altro fosse una menzogna costruita ad arte solo per proteggere il proprio cuore? Key aveva forse paura di lui?
-Non è mia intenzione ferire il tuo orgoglio -, proseguì Kibum, - ma è meglio dimenticare l’accaduto, metterci una pietra sopra e proseguire come se nulla fosse. –
Kibum sentì il suo cuore accartocciarsi. Le sue stesse parole lo ferivano. Era come rinunciare all’aria stessa che respirava, alla luce del sole, allo splendore delle stelle. Intanto continuava a fissare l’altro freddamente.
Jonghyun era ferito, ferito e furioso. Chi era la persona che aveva davanti? Non poteva essere Key, il suo Key, lo stesso che aveva baciato la sera prima e che in tutti quei mesi gli aveva fatto battere il cuore. I suoi occhi si fecero ardenti.
-Va bene. Mettiamoci una pietra sopra, dici? Come desideri. Ma fammi un favore, mettine anche una tra di noi, anzi no, mettici un muro, meglio ancora una muraglia. –
Kibum rabbrividì. Cosa stava succedendo? Cosa stavano facendo?
-Io…-
-Tu cosa? – disse Jonghyun con astio, gli occhi che parevano due fornaci. –Forse per te è stato un errore, ma non per me. Non mi vuoi? Molto bene. Ma se ti aspetti di proseguire come se nulla fosse – disse scimmiottando le tue stesse parole, - bhe non ti aspettare questo da me. –
-Ma…-
Jonghyun rise, una risata amara. – Non voglio ferire il tuo orgoglio, ma non ti sembra egoista da parte tua chiedermi questo? –
Si fissarono. Kibum non sapeva cosa dire, si sentiva la gola secca e arida come il deserto. Lo stava perdendo completamente?
Jonghyun incrociò le braccia. – Non hai niente da dire? –
-Mi dispiace – fu tutto ciò che uscì dalle labbra dell’altro, quasi in un sussurro.
-Anche a me. –
Il più grande uscì lasciandolo solo. Kibum non seppe dire per quanto tempo rimase a fissare il vuoto. Si strinse nelle spalle, aveva freddo.
 

 
Tutto ciò che Kibum desiderava fare quella sera era chiudersi nella sua stanza e passare in solitudine quella che probabilmente sarebbe stata un’altra notte insonne. Ma per qualche strano scherzo del destino, una volta che aveva tale desiderio realizzarlo era impossibile. Sembrava che Taemin lo considerasse una sorta di caso clinico da salvare o qualcosa di molto simile. Da quando aveva respinto Jonghyun, lui ed il più grande non si erano più parlati, anzi per la maggior parte del tempo si evitavano e le rare occasioni in cui i loro occhi s’incontravano, subito distoglievano lo sguardo. I giorni erano passati e nulla era cambiato, o meglio, tutto lo era, ma non come avrebbe dovuto.
Kibum sospirò malinconico appoggiando la guancia alle braccia incrociate sul tavolo. Taemin lo aveva trascinato nelle cucine, cosa intendesse fare il più piccolo Key ne era all’oscuro, ma sicuramente qualcosa che normalmente non era consentito, a meno che non ti chiamassi Lee Taemin.
Un lampadario pendeva del soffitto illuminando un ambiente relativamente piccolo connesso alla cucina principale. Kibum era seduto al tavolo alto e rettangolare al centro, all’intorno, addossati o infissi alle pareti c’erano armadietti e scaffali. Taemin era in piedi su uno sgabello e rovistava in un armadietto spostando barattoli, bottiglie e stoviglie.
-Dimmi che non stai cercando altro tè. Tuo fratello mi costringe a bere almeno quattro tazze al giorno ogni volta che pensa che io sia depresso. – disse Kibum, tetro.
Il capo biondiccio di Taemin fece capolino dall’armadietto. – Mio fratello è convinto che abbia un qualche potere terapeutico o qualcosa di simile – disse scuotendo una mano a vuoto. – Comunque, tu sei depresso – aggiunse scandendo bene le ultime parole.
Kibum roteò gli occhi.
-Insomma ti sei visto in faccia recentemente? Un condannato a morte sprizzerebbe più allegria. –
-Le tue parole non sono molto confortanti, lo sai? –
-Oh, non devi preoccuparti – disse Taemin infilando di nuovo la testa nell’armadietto, - ho qui qualcosa che ti darà parecchio di conforto –
Taemin saltò giù dallo sgabello con due tazzine in mano e una bottiglia nell’altra. Posò il bottino sul tavolo con aria soddisfatta e versò il contenuto biancastro della bottiglia nelle tazze.
-Non so nulla delle proprietà terapeutiche del tè, ma questo fa sicuramente al caso tuo. –
Subito l’odore alcolico del makgolli[1] arrivò alle narici di Kibum che in risposta arricciò il naso.
-Al caso mio? Allora perché ci sono due tazze? – chiese sorridendo.
-Oh, bhe, io ti faccio compagnia. Non è bello bere da soli. –
-Io non bevo da solo Taemin, anzi non bevo proprio, divento un pericolo pubblico quando lo faccio. Sembro un’idiota. –
Taemin fece spallucce. – E con ciò? Non c’è niente di male a fare gli idioti ogni tanto – disse allungandogli la tazzina di makgolli.
-Bevi. –
Kibum scosse il capo. – Non reggo nemmeno due gocce – disse allontanandola.
Taemin si sedette di fronte a lui, allungandogli di nuovo la tazza. – In questi casi fa proprio bene, fidati. –
Kibum rise. – Vuoi dire che soffri spesso di cuore? –
Taemin si portò una mano dietro la testa e ridacchiò imbarazzato.  – Cosa, io? Ahaha certo che no! In ogni caso – fece con un gesto annoiato della mano, - qui stiamo parlando te e, detto sinceramente, non penso che tu stia soffrendo di cuore, ma della tua stessa stupidità. –
-Sei sempre più confortante – rispose Kibum guardandolo di sottecchi.
Per tutta risposta l’altro gli mise la tazza sotto il naso. – Bevi – insistette. –Tanto non potrai mai avere una faccia più pietosa di così. –
Kibum la prese, titubante, annusandone il contenuto.
-Sai, non è veleno – gli fece notare Taemin con aria esperta. – Guardami, io sono ancora vivo. –
Kibum inarcò le sopracciglia tornando poi a studiare la tazzina. Fece oscillare il contenuto dal colore del latte e poi vi bagnò le labbra. Subito si ritrasse.
Disgustoso, pensò.
-Bhe, è un inizio. –
Taemin lo squadrava con aria saccente, come se avesse appena visto un allievo incompetente raggiungere finalmente un risultato.
Kibum rifletté sulle parole dell’altro. Stava davvero soffrendo a causa della sua stessa stupidità? Pensava che dando una risposta negativa a Jonghyun avrebbe risparmiato inutili sofferenze ad entrambi, ma era vero? O era solo un dannato coniglio? Di una cosa era certo, soffriva della sua decisione e stava facendo soffrire anche l’altro ed era tutta colpa sua. Ma era stupidità? Kibum riteneva che le sue argomentazioni fossero più che sensate…allora perché gli sembrava di avere appena perso una parte di sé stesso? Evitare Jonghyun gli faceva male, era difficile, ma doveva rispettare la volontà del più grande come l’altro aveva rispettato il suo rifiuto. Sospirò. Se era giusto così perché soffriva come se mille spine gli si fossero conficcate nel petto?
Taemin sbadigliò e allungò le gambe sul tavolo, incrociando le braccia. Kibum lo guardò con disapprovazione.
-Giù i piedi dal tavolo – disse, serio.
Insomma non erano in una stalla!
-Va bene umma, ma tu bevi. –
Kibum sospirò roteando gli occhi al cielo e bevve un sorso. Taemin sorrise e tolse i piedi dal tavolo, poi rivolse lo sguardo al soffitto diventando pensieroso.
-Io proprio non vi capisco. L’amore dovrebbe essere una cosa bella, il volo leggero di una farfalla. Tu lo ami, lui ti ama, insomma…perché tutti questi problemi, queste paranoie. –
-Perché parli al plurale? Voi altri chi? –
Taemin si bloccò. – Oh io, ehm, yah bevi! –
Kibum sbuffò e si rigirò la tazza tra le mani.
-Non sono inutili paranoie. Non voglio mentirgli. –
-Gli hai mentito comunque, visto che gli hai praticamente detto che non provi nulla per lui quando anche i muri sanno che non è vero! –
Taemin non riusciva a capire. Kibum poteva anche essere spaventato all’idea che Jonghyun scoprisse la sua vera identità, ma se anche fosse stato? Quei due idioti si erano amati sin da subito per quello che avevano visto l’uno negli occhi dell’altro, che differenza poteva fare un nome? Certo, Taemin conosceva abbastanza bene Jonghyun da sapere che se mai fosse venuto a conoscenza dell’identità di Key avrebbe dato di matto, ma sarebbe stato solo un temporale passeggero. Giusto il tempo di un acquazzone estivo, perché amava ciò che Key, o Kibum, era. Dopotutto non aveva sempre disprezzato i nobili? Eppure aveva ignorato totalmente la cosa con Kibum, sin dall’inizio. Che differenza avrebbero fatto un cognome e un titolo altisonante come quello di erede al trono?
-Non voglio farlo soffrire, se lo scoprisse…-
Taemin si mise le mani tra i capelli. –Sciocchezze! Non vuoi farlo soffrire, dici? Adesso che stai facendo? Non state forse soffrendo entrambi? –
-Potrebbe odiarmi. –
-Non ti odierebbe mai, nemmeno se tu gli chiedessi di compiere un’impresa impossibile per te. Se gli chiedessi la luna. –
Kibum si strinse nelle spalle. – Non mi ha detto che mi ama. –
-Bhe, hai delle belle pretese, vi baciate e scappi via, se ti avesse detto che ti ama probabilmente avresti infilato la testa sotto terra come uno struzzo! Fammi un favore, hyung, smettila di accampare scuse. La tua si chiama fifa e a causa della tua fifa hai quella faccia pietosa da giorni. Vorrei solo capire di cosa hai paura. –
-Che possa soffrire, odiarmi – biascicò Kibum portando ancora la tazza alle labbra. –Temo che non possa accettare la verità perché anche per me è difficile accettare la sua. –
Taemin si grattò il capo. – Cosa vuoi dire? -
Kibum sospirò. L’aveva intuito da quando Jonghyun aveva detto di venire da Busan, da quando aveva visto la sua abilità. Come poteva pretendere che l’altro non lo respingesse una volta scoperta la sua identità, quando lui stesso faticava ad accettare quella di Jonghyun? Sapeva che lui era diverso e lo amava terribilmente, ma non per questo era facile. Se aveva ignorato la cosa sino ad ora, dopo le parole del più grande dell’altro giorno, dopo quel lasciati baciare…aveva paura, non paura di Jonghyun, paura che l’ombra di Heechul potesse aleggiare tra loro non dandogli pace.
-Io conosco la sua famiglia, quella di Busan. – disse.
Taemin inarcò le sopracciglia. - Non ci vedo niente di strano, sei il principe, è normale che tu conosca i nobili del regno. –
Kibum scosse il capo. –Il suo fratellastro è l’attuale lord che governa quella città e...- prese un bel respiro, la sola parola lo disgustava. – E’ il mio fidanzato, uno dei motivi principali per cui sono fuggito. –
Taemin granò gli occhi e le sue labbra si aprirono in un “oh” muto di sorpresa.
Kibum avvertì gli occhi pizzicargli e sperò fosse per l’alcol. Perché ogni volta che pensava a qualcosa che riguardava la sua vecchia vita finiva sempre in quel modo? Perché l’ombra funesta di Heechul doveva seguirlo anche lì e il suo ricordo contaminare l’amore che provava per Jonghyun? Forse quella serpe aveva ragione, era suo, la paura che nutriva nei suoi confronti lo rendeva suo.
-Non hai mai parlato molto di lui – azzardò Taemin.
Kibum decise che era arrivato il momento di farlo, forse l’avrebbe aiutato a scrollarsi di dosso quel malessere. Raccontò della notte prima della sua fuga, degli ultimi anni in cui era stato costretto a sopportare la presenza e gli sguardi languidi di Heechul.
-So che Jonghyun non è lui, forse avrebbe potuto esserlo se fosse cresciuto come lui, ma non lo è. Io lo amo, ma non so se sono pronto. –
Taemin guardò il suo amico. Era preoccupato, forse aveva sottovalutato la situazione e si rendeva conto di poter fare ben poco per Kibum, il più grande doveva superare le sue paure. Forse non era pronto per vincerle, ma di certo lo era per affrontarle e i sentimenti che provava per Jonghyun dovevano essere uno sprone sufficiente. Se non ci arrivava da solo glielo avrebbe fatto capire lui.
-Dopo il bacio che vi siete scambiati pensi davvero di non essere pronto? Tu lo ami, lo sai che non puoi più fare a meno di lui e, credimi, lui non può fare a meno di te. –
La testa di Kibum pulsava con insistenza e una vocina nella sua testa gli disse che non avrebbe mai dovuto bere. Guardò sconsolato il fondo della tazza e ingollò ciò che restava in un unico sorso. Improvvisamente la sua testa divenne più leggera.
 

***
 
Jonghyun era seduto sul futon a gambe incrociate, gli occhi rivolti alla penombra della piccola stanza, appena illuminata da qualche candela, delineando il suo profilo sulla parete lignea. Il profumo dell’incenso pervadeva l’ambiente aleggiando in fili sottili che disegnavano flessuosi draghi contorti sul suo capo. L’aria sapeva di cannella e fiori d’arancio, una dolcezza speziata che nascondeva una nota impertinente. Jonghyun aveva sempre apprezzato quel profumo, che fosse un gelido inverno, una calda estate, l’approssimarsi dello sbocciare dei fiori di ciliegio o, come ora, il cadere delle prime foglie dai toni dorati. Eppure, quella notte, gli faceva arricciare il naso, la testa gli pulsava, c’era qualcosa di sbagliato in quel profumo. Jonghyun si umettò le labbra, i suoi occhi si spostarono sulle ombre che si muovevano oltre il paravento finemente decorato da fiori e uccelli dal piumaggio sgargiante, le sue orecchie si tesero ad ascoltare il fruscio della stoffa sulla pelle. Alzò gli occhi incontrando la figura elegante di Yeouki che sbucava da oltre il paravento. I capelli della donna ricadevano neri e lisci lungo le spalle bianche che spuntavano dalla veste da camera, rossa e arancione, le sue labbra, prive di tinta, risultavano comunque rosse ed invitanti, mentre gli occhi volpini appena delineati da polvere dorata erano fissi su Jonghyun.
Il ragazzo non sapeva cosa lo avesse portato lì, istinto, forse, abitudine. Ma per quanto certe abitudini fossero dure a morire, Jonghyun quella notte si sentiva fuori posto, una nota stonata nella perfetta e quieta melodia notturna scandita da un motivo lento e ricorrente. Lo stesso sguardo della donna lo metteva a disagio. Sembrava calcolatore e appena animato da un sorrisetto soddisfatto, gli occhi illuminati da una brama sottile e strisciante.
Yeouki si sedette dietro di lui accompagnata da un frusciare di stoffa. Lo strinse da dietro in un abbraccio, facendo scorrere le mani dalle unghie lunghe e luminose sulla camicia sottile di Jonghyun. Il ragazzo rimase immobile, lo sguardo perso nel fluttuare del fumo dell’incenso. La donna percorse i bicipiti dell’altro risalendo sino alle sue spalle e massaggiandogliele.
-Sei teso -, disse sussurrandogli all’orecchio.
Strusciò il naso sul collo del ragazzo e soffiò piano. – Rilassati. –
Jonghyun sospirò, abbassando leggermente le palpebre. Rilassarsi…era una cosa che cercava di fare da giorni. Ignorare Key, anche solo provarci, era difficile. Ma guardarlo, avvertire anche solo la sua presenza…era come avere il cuore perforato dalle spine di una rosa bellissima e impietosa.
Il ragazzo mugugnò quando la donna iniziò a baciargli il collo, scendendo poi lungo la spalla. Le mani di Yeouki scivolarono leggere sul suo petto sfilandogli gli abiti per poi sedersi a cavalcioni sulle gambe di lui. Gli lecco la mascella per poi mordicchiargliela.
-Rilassati – sussurrò di nuovo.
-Non ci riesco – fu la risposta di Jonghyun, mentre emetteva un lamento per un morso troppo profondo. Yeouki gli prese il mento tra le mani.
-Povero cucciolo ferito. –
La lingua della donna scese lungo il collo del ragazzo per soffermarsi tra le clavicole e ridiscendere sino all’altezza del cuore. Le labbra carnose di Yeouki insistettero in quel punto, come a lenire con la saliva calda e umida una ferita.
Jonghyun mugugnò di piacere e posò il volto sul capo dell’altra. I capelli della donna erano impregnati del profumo dei fiori d’arancio misto a cannella. Una dolcezza forte, prepotente e leggermente speziata.
-Dimenticalo – disse Yeouki, alzando leggermente il volto e scrutando il ragazzo da sotto le lunghe ciglia nere.
Ma gli occhi di Jonghyun era lontani, persi trea i sottili fili dell’incenso che aleggiava nella stanza, quasi stordendolo. Non poteva dimenticarsi lui, non poteva dimenticarsi di loro, perché Jonghyun era convinto che, benché non fossero mai stati insieme, lì e ora, in un altro tempo, in un altro mondo, loro non erano altro che le due ali della medesima farfalla.
La donna corrugò la fronte, gli occhi volpini si assottigliarono, mentre le sue mani prima dai tocchi premurosi andavano ad artigliare la schiena di Jonghyun.
-Io lo amo – sussurrò Jonghyun, guardandola finalmente negli occhi.
Yeouki inarcò un sopracciglio, accarezzandogli la guancia col dorso della mano.
-Ma mio dolce cucciolo, lui non ti vuole. Ti ha respinto. –
Tornò a baciarlo, questa volta con più insistenza. I muscoli di Jonghyun si tesero ancora di più, mentre reclinava il capo mordendosi il labbro inferiore. Key lo aveva respinto, dopo quel bacio perfetto svanito come un sogno. Non poteva costringerlo ad amarlo, ma il suo cuore non si dava pace. Il ricordo del loro primo incontro era troppo vivido nella sua mente, così come i profumi di quella notte. Quel magnetismo inspiegabile e il desiderio di lui erano sempre lì, cuciti a doppio filo alla sua anima. Come poteva aver provato tutto ciò e l’altro non aver sentito nulla? Come poteva crederci o anche solo rassegnarsi dopo il bacio che si erano scambiati? Key non aveva percepito il mondo mutare intorno a lui, una massa contorta simile ad un dipinto astratto assumere le forme perfette e neoclassiche di un bacio ed un abbraccio destinati a diventare eterni nel tempo e nello spazio?
Da giorni non si parlavano, dai giorni evitavano i loro occhi, il solo intravedere la sua figura da dietro era per Jonghyun una sofferenza. Il mondo sembrava distorto intorno a lui, la sua stessa presenza lì aveva un che di grottesco, di marcio. Il suo cuore si sentiva vuoto e sciocco.
Yeouki raddrizzò la schiena iniziando a dondolarsi sulle gambe dell’altro, richiamando la sua attenzione. Nonostante la mente del ragazzo fosse palesemente rivolta altrove, il suo fisico reagì subito perché la donna avvertì il piacere aumentare nel corpo di Jonghyun.
Jonghyun emise un sopirò di piacere mentre le sue mani andavano a circondare la vita della kisaeng. Yeouki affondò le mani tra i capelli del ragazzo, baciandolo con trasporto.
-Lo vuoi? – chiese a fior di labbra. –Vuoi che lui sia tuo? – disse aumentando il ritmico, questa volta accompagnata dalle mani del ragazzo sui suoi fianchi, la presa più forte, più desiderosa.
-Sì – sussurrò Jonghyun con voce roca, reclinando in capo all’indietro mentre l’altra gli baciava il collo, provocandogli dei brividi caldi lungo il corpo.
Yeouki si staccò guardando il ragazzo, poi gli passo le punte delle dita sugli occhi. –Chiudi gli occhi- disse.
Lo fece sdraiare sul futon, continuando a dondolarsi sul suo bacino. Lasciò che il ragazzo la stringesse in vita e che le sue mani esplorassero la nudità sotto la sua veste di seta dai toni caldi della passione peccaminosa che stavano per consumare. Sfiorò leggermente le labbra dell’altro sussurrando piano.
-Io sarò lui, per te, questa notte.–
Giocò con le labbra dell’altro, mentre Jonghyun continuava a tenere gli occhi chiusi.
-Vuoi? – chiese Yeouki.
Jonghyun la strinse più forte a sé, assecondando i movimenti della donna.
–Lo voglio – disse ormai colmo di piacere.
Qualunque cosa pur di lenire quel bruciare caldo che lo tormentava nell’intimità, qualunque cosa pur di avere anche solo l’illusione di Key tra le sue braccia, pieno di quel desiderio che rischiava di condurlo alla follia. Dopotutto, non era follia ciò che stava per fare?
Non sarebbe resistito a lungo. Da mesi teneva a freno i suoi istinti più bassi e, ora che aveva il corpo caldo di Yeouki tra le braccia non poteva trattenersi, benché fosse un’altra anima ed un altro corpo che desiderava.
-Allora prendimi, mio dolce cucciolo ferito, prendimi come se stessi prendendo lui. –
Le parole della donna erano calde, sensuali, un invito ma anche un ordine.
Questa volta fu Jonghyun a baciarla, sfogando tutta la sua passione in quel bacio. Afferrò saldamente i fianchi della donna ribaltando la situazione e fu subito su di lei. Se solo avesse avuto gli occhi aperti avrebbe potuto vedere il sorriso bramoso della kisaeng che sembrava non attendere altro. Yeouki aprì le gambe accogliendo il bacino del ragazzo sopra di sé ed assecondandone i movimenti sempre più insistenti e bisognosi. Con gli occhi chiusi, la mente sconnessa, Jonghyun affondò in quel corpo caldo, dondolandosi e aumentando sempre di più il ritmo. Bacio il collo e le spalle della donna, ma nella sua mente c’era solo Key, i suoi occhi, il suo corpo delicato, le sue labbra…labbra che in quel momento voleva evitare perché, seppur non del tutto consapevole delle proprie azioni, la poca lucidità rimasta gli suggeriva che, se solo avesse posato le sue su quelle del corpo sotto di lui, si sarebbe svegliato da un sogno per piombare in un incubo folle e insensato.
Ma non c’era niente in quel momento dei tocchi, delle emozioni e della dolcezza intensa che avevano suggellato il suo incontro con le labbra a cuore di Key. Solo una brama carnale che chiedeva di essere messa a tacere in un modo o nell’altro e, ora, la sua mente era disposta ad accettare qualunque soluzione. Il silenzio della stanza fu colmato dai loro ansiti ed il nome del più piccolo uscì dalle labbra di Jonghyun in un gemito convulso. Alla fine si staccò, esausto, sdraiandosi a pancia in su per riprendere fiato, il petto imperlato di sudore ed il corpo percorso dagli ultimi fremiti. Yeouki si ricompose e lo osservò, soddisfatta, come se le avessero appena restituito il pupazzo preferito.
Jonghyun si mise a sedere e si passò una mano tra i capelli sudati, il gomito appoggiato al ginocchio piegato. La kisaeng gli prese il mento per baciarlo, ma lui la scansò. Una ruga di delineò sul volto di Yeouki.
-Che cos’hai? – chiese allarmata.
Jonghyun si alzò recuperando gli abiti e rivestendosi. Gli sembrava di soffocare in quella piccola stanza impregnata dall’odore dei loro corpo e dal profumo dell’incenso. Si ritrovò a pregare per una boccata d’aria fresca, pulita, pura…
Si passò le mani tra i capelli sudati. Le luci delle candele danzavano sul suo volto rendendo impossibile decifrare la sua espressione. Sapeva che una volta aperti gli occhi sarebbe piombato in un incubo. Che cos’era quel piacere momentaneo, insensato, a confronto dei sentimenti che provava per Key? Nulla. Sapeva che avrebbe provato disgusto, ma solo ora si rendeva veramente conto delle implicazioni di quel gesto disperato che la donna l’aveva portato a compiere. Aveva appena macchiato la purezza dei suoi sentimenti, li aveva ridotti ad un bisogno disperato e fisiologico. Nella sua mente gli sembrava di aver spogliato senza ritegno la persona che amava distruggendone l’innocenza. Ciò che desiderava davvero era provare di nuovo quell’inteso attimo di dolcezza e perfezione che aveva vissuto con Key. Quello che era accaduto lì, in quella stanza, non era altro che un grottesco intrecciarsi di corpi. Lui voleva amare, amava, un’anima che in quel momento sentiva d’aver appena macchiato.
Jonghyun si voltò verso Yeouki. La donna gli rivolse uno sguardo interrogativo misto a disapprovazione, mentre lo raggiungeva per abbracciarlo.
-Non ti è piaciuto abbastanza? – gli sussurrò sul collo, - ne vuoi ancora? –
Gli prese il volto tra le mani per baciarlo. Jonghyun volse il capo.
-No – fu la sua risposta dura.
Yeouki s’irrigidì.
-Quello che ho fatto, quello che abbiamo fatto, è orribile. –
La donna incrociò le braccia inarcando le sopracciglia. –Non capisco – sibilò tra i denti.
-Io lo amo – disse Jonghyun, fermo. – Non sporcherò mai più i sentimenti che provo per lui in questo modo, mai più. –
-Allora dimenticalo – fu la risposta perentoria di Yeouki.
Jonghyun non rispose limitandosi a fissarla, serio. –Non ho più intenzione di vederti, Yeouki. –
La donna sbarrò gli occhi e poi rise. – Stai scherzando? –
-Addio –
Jonghyun uscì senza voltarsi. Attraversò la sala della locanda che a notte tarda era nel pieno dell’animazione. Aveva bisogno di silenzio e aria. Una volta all’esterno poté finalmente respirare, un’aria frizzante gli scompose i capelli. Alzò gli occhi al cielo. Sopra di lui lampeggiavano milioni di stelle e una luna perlacea ammiccava di una luce fredda. La notte era luminosa sotto i raggi della luna, eppure il suo mondo era buoi e freddo.
Come poteva vivere in pace sapendo di averlo perso?
Perso, pensò, non posso perdere qualcosa che non è mai stato mio.
Allora perché sentiva ancora di appartenere a quegli occhi magnetici in cui si specchiavano le stelle, fredde luci simili a puri diamanti?
Perché tu sei suo, ma lui non è tuo, gli disse una vocina ironica nella sua mente.
 
 
I corridoi del Rifugio erano immersi nel silenzio, animati solo dalle luci delle lanterne infisse alle pareti. Jonghyun era stanco, non sapeva dire se solo fisicamente o anche nell’animo, ma di una cosa era certo: aveva bisogno di una bella dormita.
E di un bagno gelido, pensò.
Era davvero tardi, infatti, nemmeno gli ultimi ritardatari che s’intrattenevano nella sala comune a bere soju e sake erano in vista. Si passò una mano sul volto, aveva le palpebre pesanti, ma aveva assolutamente bisogno di farsi un bagno prima di coricarsi. Doveva togliersi di dosso l’odore del corpo di Yeouki e dell’incenso, o non sarebbe comunque riuscito a chiudere occhio. Emise un sonoro sbadiglio, quando dei passi dietro di lui lo costrinsero a voltarsi. A quanto pare non era il solo a fare le ore piccole. Ciò che vide però lo lasciò spiazzato, chiunque si aspettava di vedere tranne Key. La sua sola visione in quel momento lo mise in imbarazzo e probabilmente lui, Kim Jonghyun, sarebbe arrossito per la vergogna se non fosse stato per l’assurdità della situazione. Sì, perché Key stava camminando, anzi, saltellando verso di lui con un sorriso beato stampato in volto.
Jonghyun scosse il capo, cos’era successo nelle ore in cui era stato via? Di norma avrebbe trovato quel sorriso sgargiante magnifico, ma ora lo trovava solo terribilmente strano e non solo perché i loro occhi si evitavano da giorni.
Key era sempre più vicino e continuava a sorridere, finché non gli saltò letteralmente al collo.
-Jong! – disse ilare.
Jonghyun sbatté le palpebre e rimase immobile mentre l’altro s’avvinghiava a lui. Dopo aver affondato il volto nel petto del più grande, Key alzò gli occhi adombrati dalla frangia e dalle ciglia corvine.
- Annyeong! – disse in una risatina.
Solo allora Jonghyun si accorse che l’altro aveva gli occhi lucidi e le gote leggermente arrossate. Era ubriaco? Possibile? Non l’aveva mai visto il più piccolo toccare nemmeno un goccio di soju, le sue tazze rimanevano puntualmente piene sino all’orlo. Era molto curioso di sapere cosa fosse accaduto nelle ultime ore. Forse non era stato l’unico a fare pazzie quella notte.
-Key -, chiese, - sei ubriaco? –
-Aniyo, aniyooo – si lamentò l’altro in tono offeso e cantilenante, scuotendo il capo sul petto del più grande.
-Yah – fece Jonghyun cercando di liberarsi della stretta di Key. –Non mentire, sei ubriaco! –
Key si staccò, incrociò le braccia e abbassò il capo tirando su col naso. – Un po'- disse dispiaciuto e risentito al tempo stesso.
Jonghyun si portò una mano alla fronte e sospirò. Di tutte le cose che sia spettava di vedere da lì alla fine dei suoi giorni, quella non gli era nemmeno passata per l’anticamera del cervello.
-Come, come hai fatto a ridurti così e soprattutto perché? Non puoi aggirarti da solo nei corridoi a notte fonda conciato così!–  Il suo tono si era fatto duro.
Key si stropicciò gli occhi e singhiozzo, singhiozzi che divennero sempre più acuti. Jonghyun si ritrovò a sperare che nessuna delle porte lungo il corridoio si aprisse per lanciar loro delle secchiate d’acqua.
-Oh cielo! – fece Jonghyun. Ora l’aveva fatto piangere? Gli mise le mani sulle spalle, scuotendolo.
-Yah, non piangere, ti ho solo fatto una domanda! –
Key si asciugò occhi e guance con i dorsi delle mani, tirando su col naso.
-Io avevo detto ch-che n-nem-meno du-due gocci…-
-Detto, detto a chi? –
Key ridacchiò prima di emettere un altro verso acuto. – Minnieeeee –
Jonghyun fu costretto a tapparsi le orecchie, iniziava a temere per i suoi timpani. Si stupì del fatto che nessuno si fosse ancora svegliato.
Maledizione, avrei dovuto immaginarlo!, pensò, Lee Taemin, piccola  e dannata bestiaccia!
Sospirò. C’era d’aspettarselo, Key non si sarebbe mai ridotto così di sua spontanea volontà, quel piccolo combina guai lo aveva indotto in qualche modo e Jonghyun non era certo di voler sapere come e perché.
-Ti accompagno in stanza – disse.
Non poteva di certo lasciarlo gironzolare da solo in quello stato.
Key sorrise. Jonghyun l’osservò per qualche secondo, quel sorriso era bellissimo, eppure gli faceva male. Era come osservare una rosa bellissima e intoccabile. Ma nonostante ciò continuava a desiderare di allungare la mano e sfiorarne i petali di seta.
Key gli prese la mano saltellando al suo fianco. Jonghyun si lasciò scappare un sorriso. Si era ripromesso di non posare più lo sguardo su di lui, di non incontrare mai più quegli occhi, ma era impossibile non esserne calamitato e, ora, tutto ciò che gli trasmettevano era un senso di pace. Jonghyun aveva come la sensazione che la luce che baluginava in quegli occhi sottili potesse purificarlo dai peccati di quella notte.
Key girò dietro di lui, sempre tenendogli la mano, e gli saltò in groppa stringendogli le braccia intorno al collo.
-Jongieee – disse strofinando il naso sul collo del più grande.  Jonghyun barcollò, mentre l’altro si arpionava alla sua vita con le gambe. Il ragazzo iniziò a sudare freddo, quella situazione era assurda. Probabilmente gestire Key da ubriaco era peggio che doverlo affrontare da sobrio quando era di cattivo umore!
-Key, mi stai strozzando, allenta la presa –
Il più piccolo allentò la presa, appoggiando poi il mento sulla spalla di Jonghyun, sempre sorridendo. Jonghyun gli rivolse un’occhiata.
Taemin, giuro che ti ucciderò! Pensò.
-Ti porto in camera. –
Key annuì sorridente prima di emettere un sonoro sbadiglio. Fortunatamente la sua stanza non era lontana, perché Key ci mise poco ad addormentarsi e per Jonghyun fu come trasportare un peso morto. Ora i corridoi erano totalmente silenziosi, le loro ombre sfilavano lungo le pareti di roccia simili ad una massa informe o ad un grosso rospo. Jonghyun sospirò rassegnato, anche lui avrebbe voluto schiacciare un pisolino. Corrugò la fronte, quella situazione era tutt’altro che facile. Come poteva dimenticarsi di Key quando se lo trovava sempre di fronte e quello decideva di dormire letteralmente sulla sua schiena?
Raggiunta la stanza del più piccolo, Jonghyun cercò di svegliarlo.
-Yah, siamo arrivati, scendi da lì – disse, quasi scocciato.
Perché aveva come la sensazione, sin dalla loro discussione di pochi giorni prima, che Key non gli avesse detto la verità? Forse era solo il suo egocentrismo, eppure non riusciva a convincersi della dell’indifferenza dell’altro nei suoi confronti. C’era stata troppa dolcezza, troppo sentimento nel bacio che si erano scambiati per convincerlo del fatto che l’altro non provava niente. Eppure Key gliel’aveva detto chiaro e tondo che non provava nulla per lui, che era stato uno sbaglio, perché avrebbe dovuto mentire? Scosse il capo.
Devo rassegnarmi all’idea, pesò, o non mi darò pace.
Finalmente, Key rimise i piedi a terra ma non si staccò da lui, circondò la sua vita con le braccia e rimase appoggiato alla sua schiena, ridendo.
-Va bene, ora basta, è ora che tu ti faccia una bella dormita. Io devo andare ad uccidere Taemin. –
Key ridacchio saltellando in camera, ma non aveva alcuna intenzione di mollarlo. Lo prese per mano e lo strascinò all’interno.
-Viene Jongieee –
-Che?! Sei impazzito? Non ho nessuna intenzione di rimanere da solo con te ubriaco nella tua stanza. –
Key si bloccò e sul suo volto si delineò un’espressione sconsolata. Il labbro inferiore iniziò a tremargli mentre iniziava a singhiozzare.
-Jongieee – squittì risentito pestando un piede a terra.
-Ok, va bene, ti accompagno dentro! – disse Jonghyun alzando le braccia al cielo con fare rassegnato.
Qualunque cosa pur di non sentire ancora quelle urla simili a sirene. La sola idea di udire ancora i piagnucolii acuti del più piccolo gli faceva venir voglia di scappare.
Meglio assecondarlo, tanto appena metterà la testa sul cuscino sarà bello che morto! Pensò Jonghyun.
Key lo trascinò all’interno della stanza saltellando. Jonghyun accese subito delle candele, considerando lo stato dell’altro avrebbe potuto inciampare su ogni mobile lungo la strada dall’ingresso al futon.
Jonghyun si guardò intorno, non era la prima volta che entrava nella stanza del più piccolo, lui stesso lo aveva aiutato a portare alcuni mobili, tuttavia ogni volta si stupida di quanto fosse semplice. Sorrise tra sé, non si sarebbe mai aspettato tanta sobrietà da una nobile, eppure Key aveva scelto mobili sì pregiati, ma semplici ed essenziali. Non c’erano nemmeno dipinti, lo stesso Jonghyun aveva scelto stampe con vedute paesaggistiche per adornare la sua stanza.
Le risatine dell’altro lo riportarono alla realtà. Key si stava rotolando sul futon tentando disperatamente di togliersi i calzari e una volta che ci fu riuscito tentò di togliersi la camicia morbida.
-Yah! – fece Jonghyun, fermandolo. –Non provare a togliertela!-
Ci mancava solo quello! Il fatto di essere nella stanza del più piccolo in quello stato era già abbastanza imbarazzante e di difficile gestione per lui.
Key fece spallucce sedendosi in ginocchio sulla coperta e guardandolo interrogativo. Jonghyun si passò una mano tra i capelli, sospirando.
-Ora dormi. –
Key gattonò verso di lui e cingendolo alla vita lo fece crollare sul futon.
-Jongieee –
Jonghyun si ritrovò disteso scompostamente e si sostenne sui gomiti, le gambe una distesa e una ripiegata, mentre Key faceva le fusa sul suo petto senza dare segno di volerlo lasciare andare.
-Jongieee_
Jonghyun lo fissò sbarrando gli occhi e sbattendo le palpebre.
-Aish! Senti, io voglio andare a dormire. –
-Dormi qui. –
Key alzò il volto fissandolo con l’espressione più ingenua che Jonghyun avesse mai visto. Il più piccolo rotolò su un fianco sdraiandosi a pancia in giù, il volto sorridente appoggiato alle mani intrecciate sotto il mento, le gambe che dondolavano su e giù. Canticchiò.
Jonghyun lo fissò sconcertato e anche con un certo imbarazzo. Si mise a sedere appoggiando i gomiti alle ginocchia ed infilandosi le mani tra i capelli.
-Aish, che avrò mai fatto di male? Qualche spirito o demone deve averti mandato da me come punizione. -
Tornò a guardare l’altro che continuava a canticchiare con fare innocente.
-Che cosa devo fare con te? – chiese più a sé stesso.
Key gli sorrise, poi si mise in ginocchio avvicinandosi a lui sino a quasi sfiorargli il naso. Jonghyun arretrò.
-Che-che stai facendo? Key? – chiese con una nota dall’allarme nella voce.
Stava forse pensando di baciarlo? Jonghyun non l’avrebbe mai sopportato, come poteva sfiorare ancora quella rosa sapendo che non sarebbe mai riuscito a coglierla, nemmeno se avesse allungato la mano con tutte le sue forze? E dopo quello che era accaduto quella notte…
Deglutì quando l’altro gli prese il volto tra le mani guardandolo sognante.
-Che cosa pensi di fare? –
Il sorriso di Key si fece più ampio prima di schioccare sulle labbra del più grande un sonoro bacio a stampo. Quel bacio, seppur ingenuo, aveva un sapore dolce amaro per Jonghyun ed il suo cuore fu invaso dalla tristezza.
Nel frattempo, Key si era messo a cavalcioni su di lui e avvinghiandosi al suo collo aveva iniziato a tempestarlo di piccoli baci innocenti su tutto il volto.
-Yah, staccati subito!!! – disse Jonghyun in malo modo.
Cercò di divincolarsi, la situazione stava degenerando oltre i limiti della sua sopportazione!
Key si arrestò di colpo guardandolo imbronciato, poi sbuffò scocciato.
-Dovrei essere io ad avercela con te, sai? – Jonghyun lo guardò, serio. Era come parlare a un bambino.
-Che cosa vuoi? – chiese a bruciapelo.
Stava usando un tono duro, era davvero irritato! Prima lo respingeva e poi danzava davanti a lui come la falena che brama la fiamma della lanterna. Jonghyun temeva di questo passo avrebbe finito per bruciarla.
-Coccole - rispose l’altro sorridente.
Questa volta Jonghyun inarcò l’angolo della bocca in un sorriso sghembo e amaro. –Credimi, se sapessi che coccole vorrei farti scapperesti a gambe levate. –
Key piegò il capo di lato. – Vedere – disse semplicemente sprizzando curiosità dagli occhi dal taglio sottile.
Jonghyun si alzò di scatto spingendolo via. –Sei impazzito? Maledizione! Giurami che non toccherai mai più un goccio d’alcol in vita tua! –
Key riprese a singhiozzare. Chiaramente essere spinto via in quel modo non gli era piaciuto per niente.
Aish, imprecò tra sé Jonghyun, è proprio come avere a che fare con un bambino.
Jonghyun tornò a sedersi cautamente vicino a lui. – Senti, sei ubriaco e non sai quello che dici, quindi ti perdono, ma credimi, mi stai facendo molto male. –
Ormai il più grande stava più parlando a sé stesso. Jonghyun sospirò fissando un punto indefinito della stanza.
-Ti ho detto quello che provavo e tu mi hai respinto. Insomma, non dico che tu sia costretto a ricambiare, non lo vorrei mai, ma…tu sei importante per me, a volte mi sembra che tu sia tutto il mio mondo, il mio universo. –
Rise tra sé. –Sai, da quella volta che ci siamo incontrati sullo stagno. Buffo, no? È bastato uno sguardo e hai stravolto la mia vita, mentre tu, bhe…tu sei tu. -
Il volto di Key era basso e triste, finalmente era tornato a sedersi normalmente vicino a lui sul bordo del futon. Sembrava quasi sobrio.
-Sai quale è la cosa più assurda? E’ che non riesco a rassegnarmi, forse sono solo egocentrico. Per cui, anche se non sei in te, preferirei che tu non ti comportassi così. –
Jonghyun guardò Key teneramente e i suoi occhi grandi s’illuminarono di una luce triste.
-Io vorrei baciarti, stringerti, fare l’amore con te, addormentarmi con il calore e il profumo del tuo corpo vicino al mio e risvegliarmi così ogni giorno. Proteggerti, essere i tuoi occhi, la tua spalla, la mano che quando cadrai sarà lì a rialzarti. Io vorrei essere tutto per te, come tu sei tutto per me. Quindi ti prego, anche se non sei in te, smettila. Accettare che tu non possa essere mio è difficile, ma credimi, in questo momento imporre al mio corpo, alla mia anima di non essere tuoi è ancora più doloroso. Sto cercando di erodere il tuo nome dal mio cuore, di lasciare che i sentimenti appena sussurrati dell’amore che provo per te fluiscano via lungo un fiume di ricordi, per perdersi nell’oblio del tempo. Solo provarci, pensare di farlo, è una tortura che mi tiene sveglio la notte perché per quanto io ci prova la tua immagine calda e luminosa continua a danzare davanti a me, e quando cala l’oscurità desidero solo tornare indietro a quegli sguardi, a quel bacio, e fermare il tempo, racchiuderlo in un’ampolla di vetro come un dolce alito di vento primaverile. -
Jonghyun emise l’ennesimo sospiro, gli occhi ora fissi nel vuoto. -Io ti amo, Key. –
Perché giorni addietro non era stato in grado di pronunciare parole così semplici e profonde, che scorressero leggere dal suo cuore alle sue labbra per fluttuare leggere dritte all’anima dell’altro? Avrebbe dato qualunque cosa per riavvolgere il nastro e cancellare le cose assurde che aveva detto nello studio di Jinki.
In quel momento desiderò che l’altro fosse lucido o che quanto meno una parvenza di lucidità s’affacciasse sul volto di Key, in modo che quelle parole lasciassero una traccia sulla sua anima. Forse non il ricordo chiaro, vivido, ma almeno la parvenza di un sogno sospeso nello scorrere inesorabile del tempo. Qualcosa di bello e puro che entrambi quella notte avevano gettato via.
-Anche io ti amo. –
Parole semplici pronunciate con altrettanta semplicità. Jonghyun alzò il capo ricercando negli occhi del più piccolo tracce di sobrietà. Gli occhi di Key erano ancora lucidi e le gote sempre arrossate, anche se la stanchezza stava ormai prendendo il posto dell’ilarità di poco prima.
-Che cos’hai detto? – chiese quasi in un sussurro intimorito mentre il suo cuore perdeva un battito.
-Ti amo. –
Per Jonghyun fu come ricevere una doccia gelata e poi essere percorso da una serie infinita di brividi caldi. Allungò una mano verso il volto dell’altro sfiorandogli appena la guancia bianca, mentre Key era immobile e sbatteva leggermente le ciglia scure.
Jonghyun ritrasse la mano e scosse il capo, sconsolato. – Sei ubriaco, non sai quello che dici. –
Gli occhi da gatto del più piccolo si fecero tristi.
-L’altro giorno ti ho chiesto cosa provavi per me e mi hai detto che era stato un errore. –
-Ho mentito – fece la voce leggermente acuta di Key.
Jonghyun sgranò gli occhi. – Cosa? –
-Ho mentito – ripeté l’altro con naturalezza.
-P-perché? –
Key divenne ancora più triste e mettendosi in ginocchio sulla coperta gli prese delicatamente il volto tra le mani. Jonghyun deglutì, cosa pensava di fare, ora? Gli occhi acquosi di Key erano già da soli una tortura. Il più grande rimase fermo, in attesa, mentre un brivido gli percorreva l’intero corpo. Desiderava baciarlo, baciarlo e crogiolarsi nel suo profumo, in quegli ansiti dolci e intensi mentre le loro labbra s’incontravano, ancora…
Eppure rimase fermo mentre le labbra del più piccolo si posavano sulle sue, sfiorandole. Per Jonghyun fu come il soffio leggero della brezza primaverile, il volteggiare di dei petali di fiore di ciliegio, il lento frusciare della seta.
Key si accoccolò sulla spalla dell’altro, avvinghiandolo nell’ennesimo abbraccio di quell’assurda serata. Jonghyun lo guardò addormentarsi, poi lo adagiò sul letto.
Che cosa doveva fare? A cosa doveva credere, cosa doveva pensare? Erano stati solo i deliri di un ubriaco quelli di Key, o nascondevano la verità che le parole fredde e distaccate di giorni prima avevano celato. Se prima era stato dubbioso, ora i suoi dubbi si erano moltiplicati. Forse non era solo il suo egocentrismo a non permettergli di rassegnarsi. Ma se davvero Key lo amava, perché lo aveva respinto?
Scostò delle ciocche corvine dalla fronte dell’altro che ormai dormiva beatamente.
Doveva parlargli di nuovo e questa volta avrebbe fatto le cose per bene. Se c’era solo la remota possibilità che le parole pronunciate dal più piccolo quella sera corrispondevano alla verità lo doveva sapere. Avrebbe lasciato parlare la sua anima, non la sua boccaccia, forse così anche l’anima di Key sarebbe riuscita a parlargli.
 
 
 
Spero che il capitolo sia piaciuto! Alla prossima! Siate gentili, lasciate un commentino!
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
[1] Vino di riso. 

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Capitolo 14
*** Capitolo 13. Someday, i'll end my solitude ***


Ciao a tutti! Chiedo scusa, sono leggermente in ritardo rispetto alla mia consueta tabella di marcia…purtroppo sono stata abbastanza incasinata questa settimana e dalle prossime dubito di riuscire ad aggiornare con le solite tempistiche. Farò il possibile per pubblicare un capitolo a settimana, ma non garantisco nulla…forse spezzerò i capitoli e ne farò tanti più corti, non lo so, vedrò se varrà la pena dividerli, ma essendo una persona sprovvista del dono della sintesi ne dubito…
Come al solito ringrazio chi è sempre così gentile da lasciarmi commenti e farmi sapere cosa ne pensa, chi continua a leggere e ha messo la storia tra preferite, seguite e da ricordare!
Ricordo che le opinioni altrui sono sempre ben accette, così come tutti gli ortaggi disponibili sul mercato (eccetto carote!).
Spero di non aver lasciato in giro troppi errori, ma sicuramente qualcosa mi sarà sfuggito.
Buona lettura!
 
 

Capitolo 13
Someday, I’ll end my solitude…
 
 
 
 
 
 
“We were born to complete ourselves through that love
Just lighten up the future
And burn my past, foolish self to ashes
Dear fire of love, fire
Melt this heart away
So it doesn't look back anymore”
Shinee, Fire
 
 
Kibum si prese il capo tra le mani e strizzò gli occhi. Avrebbe dato qualunque cosa perché qualcuno gli mozzasse la testa, gli rompesse l’osso del collo o fosse disposto a dargli una botta in testa capace di farlo dormire per le prossime ventiquattrore.
-Aish – biascicò scuotendo il capo.
I suoni che animavano la sala comune erano una vera maledizione per la sua testa quella mattina. A che ore era andato a dormire, quanto aveva dormito? Non ne aveva idea. L’unica certezza era che ogni singolo rumore, dal vociare dei Ribelli, al ticchettare delle bacchette e delle ciotole, il suono delle tazze e delle bottiglie nella sua testa rimbombavano echeggiando all’infinito. I lunghi tavoloni rettangolari era particolarmente movimentati quella mattina, o almeno così sembrava a Kibum, e le ombre che i lampadari in ferro battuto gettavano all’intorno contribuivano solo ad aumentare il suo stordimento.
Seduti di fronte a lui, Minho e Jonghyun consumavano silenziosi il loro pasto mattutino. Minho era concentrato sul suo riso, mentre l’idiota non faceva altro che lanciare occhiate furtive al suo indirizzo.
Kibum affondò metà volto tra le braccia incrociate sul tavolo.
Tsk, pensò, non aveva detto di mettere una muraglia tra di noi? Allora perché continua dannatamente a sbirciare dal mio lato del muro?
-Ecco, mangia, vedrai ti sentirai molto meglio – disse Taemin mettendogli davanti una ciotola di riso e del latte caldo.
Kibum alzò lo sguardo e roteò gli occhi per la nausea. Che cos’aveva la testa del più piccolo che non andava?
-Riso? Dopo quello che mi hai fatto bere ieri sera pensi che possa mandar già del riso o bere del latte?-
A quelle parole lo sguardo di Minho si fece sospettoso. Inarcò le sopracciglia. –Che cosa gli hai dato, Minnie? -
Taemin fece spallucce con fare innocente.
-Solo una tazza di makgolli – disse tranquillamente.
Il boccone di riso tra le bacchette di Minho ricadde nella ciotola. – Stai scherzando? –
Anche Jonghyun si bloccò, distogliendo lo sguardo dalla propria colazione e lanciando a Taemin uno sguardo tra l’arrabbiato e il divertito.
Taemin mise le mani ai fianchi mentre Kibum continuava a guardare la colazione con disgusto.
-Volevo solo dare alla mia umma una botta di vita. –
Minho scosse il capo. –A me sembra più uno con un piede nella fossa. –
-Tsk- fece Kibum, - se questo è il vostro modo di confortarmi tanto vale che metta anche l’altro piede nella fossa. –
Jonghyun rise tra sé. Nonostante le condizioni fisicamente pietose del più piccolo il suo sarcasmo non sembrava esserne stato minimamente scalfito.
-Confortarti? C’è forse qualcosa che ti tormenta? – domandò Jonghyun in tutta tranquillità.
Kibum si raddrizzò lanciandolo all’altro un’occhiata tagliente e, con estrema lentezza, prese la tazza di latte portandosela alle labbra.
-Da questa parte del muro non sento – disse arricciando il naso.
Bevve un sorso di latte e il suo stomaco si contrasse. In quel momento avrebbe potuto vomitare l’anima. Oltre al mal di testa e allo stomaco sottosopra c’era un’altra cosa che lo tormentava quella mattina: come era arrivato nella sua stanza? Si mise una mano sulla fronte, non si ricordava niente, o meglio, aveva degli sprazzi d’immagini ma assolutamente nulla di nitido. Sicuramente doveva essersi sognato di Jonghyun, perché la faccia di quello scemo dall’altra parte del muro era un’immagine ricorrente, ma d’altra parte lo era spesso negli ultimi tempi. Anche se aveva la strana sensazione di aver sostenuto una conversazione con lui, cosa che il suo buon senso lo portava a ritenere del tutto impossibile.
-Quanto chiasso – si lamentò Taemin. – Ti sei divertito un mondo ieri sera, giuro che non avevo mai visto nessuno ridere tanto, a parte Minho. –
Minho rise. – Almeno sappiamo che hai la sbornia allegra –
Kibum roteò gli occhi. Era sempre più commosso, davvero. Lui stava lì, prossimo alla morte, e quelli ridevano di lui.
Io sono il principe! Fece una vocetta indispettita nella sua mente.
-Ti crederò sulla parola, sinceramente non so nemmeno come sia arrivato nella mia stanza. –
-bhe – disse Taemin prendendo posto ed iniziando a consumare la sua colazione, - indubbiamente sano e salvo visto che sei qui tutto intero. –
Kibum roteò gli occhi. Dall’altra parte del tavolo Jonghyun deglutì e arrossì, nascondendo il viso nella ciotola di riso e spargendone parecchio all’intorno a causa dei movimenti frenetici delle bacchette. Minho lo guardò di sottecchi, il suo amico era strano, nel senso che era più strano del solito. Solo pochi giorni prima aveva giurato di non rivolgere più la parola a Key, né di guardalo, eppure quella mattina non solo gli aveva posto direttamente una domanda, ma non gli aveva nemmeno tolto gli occhi di dosso da quando era arrivato. E il modo in cui cercava ora di nascondere il proprio volto nella sua stessa colazione…Jonghyun stava nascondendo qualcosa. Gli diede una leggera gomitata e l’altro finse d’ignorarlo.
-Buongiorno a tutti- fece la voce allegra di Jinki.
Il Leader aveva un sorriso a mille denti stampato in volto. Preso dai suoi pensieri, Minho non ci aveva fatto caso, ma da qualche secondo le voci nella sala comune si erano abbassate. Sembrava sempre che l’atmosfera si gelasse ogni volta che il Leader faceva la sua apparizione negli spazi comuni.
-Buongiorno, hyung – lo salutò Taemin.
Il sorriso di Jinki s’allargò ancora di più mentre prendeva posto fra Kibum e Taemin.
-Key, Minho, vi voglio all’uscita tra quindici minuti. –
Kibum avrebbe voluto sotterrarsi. Da settimane aspettava che Jinki gli permettesse di uscire. Da quanto tempo che non vedeva un raggio di sole? Ma perché proprio quella mattina? Dove pensava di andare? Glielo chiese.
-Al villaggio di Hanamsi – rispose Jinki.
Jonghyun sobbalzò rischiando di strozzarsi con il suo stesso riso e Minho gli rifilò un’altra gomitata.
Gli occhi di Jinki luccicarono per l’emozione. – C’è un compito che voglio affidarti per il futuro, oggi ti mostrerò cosa devi fare. Poi andrai solo con Minho, ti guarderà le spalle – disse rivolgendosi all’altro ragazzo che annuì.
Kibum sbatté le palpebre. Aveva capito bene, Jinki gli stava affidando un compito tutto suo! Gli sarebbe saltato al collo per la gioia se non fosse stato per il mal di stomaco.
-Bene, all’uscita tra quindici minuti. E, Key, bevi un tè hai la faccia verde di uno che sta per dare di stomaco. –
Non appena Jinki se ne fu andato, Kibum si mise le mani sulla bocca reprimendo un forte conato di vomito. Tè…il solo pensiero aumentava il suo malessere. Corse fuori dalla sala seguito a ruota da Taemin. Aveva assolutamente bisogno di rimettere ciò che aveva in corpo o non sarebbe mai sopravvissuto ad un viaggio a cavallo.
Rimasti soli, Minho rivolse uno sguardo indagatore a Jonghyun.
-Allora? – chiese.
-Allora cosa? –
-Lo sai benissimo. Gli hai parlato e lo hai fissato per tutto il tempo. Hai risposto le armi?  E cos’era quello? – chiese imitando la scena con la ciotola di poco prima.
-Yah, non ho fatto così! –
-Oh, hai fatto così eccome. –
Jonghyun mise il broncio.
-Ebbene? – insistette Minho.
Jonghyun ripose le bacchette sul tavolo e prese un bel respiro. – Ebbene, l’ho riaccompagnato io in stanza, ieri. –
-Tu?– fece Minho sgranando gli occhi.
-Proprio così – disse Jonghyun soddisfatto, sfoggiando un sorriso smagliante.
Minho iniziò a sentirsi sulle spine. Qualunque muro Jonghyun avesse deciso di erigere tra lui e Key, rimaneva comunque innamorato del più piccolo e Minho temeva di scoprire cosa avesse fatto quello sciocco in stanza di Key, mentre questo si trovava in chiaro stato d’ebrezza.
-Uhm, hyung, non te lo sarai portato a letto? – domandò, titubante.
-Yaaaahh!!! – scattò Jonghyun sgranando gli occhi, risentito. – Perché mi fai sempre sembrare un maniaco? Per essere il mio migliore amico hai davvero una pessima idea di me! –
-Non è che io abbia una pessima idea è che, bhe…-
-Non provare nemmeno ad arrampicarti sugli specchi, Minhossi. –
Jonghyun incrociò le braccia e corrugò la fronte.
-Va bene, ho esagerato. Ma mi sei sembrato un po' in imbarazzo questa mattina. Cos’è successo? Non l’avrai baciato di nuovo? –
Jonghyun si tranquillizzò e scosse il capo con un sorrisetto sornione sulle labbra. –Lui mi ha baciato. –
Minho sbarrò gli occhi ed aprì la bocca in un muto “oh”, mentre l’altro annuiva soddisfatto.
-In realtà-, proseguì Jonghyun sentendosi il padrone del mondo, - è stato un bacio molto innocente. Ma non è finita qui! Ha detto che mi ama. –
Jonghyun gonfiò il petto, orgoglioso, mentre Minho continuava a fissarlo a bocca aperta.
-Già, proprio così. Ha detto che ama me, Kim Jonghyun! –
Minho tossicò. – Ehm, hyung, non vorrei rovinare il tuo idillio, ma bhe, ti ricordo che era ubriaco.-
-Lo so, lo so – disse Jonghyun tornando serio, - ma ha detto anche di avermi mentito l’altro giorno. –
Minho non era convinto e guardava l’amico con preoccupazione. Sapeva bene quanto Jonghyun era innamorato di Key, essere stato respinto era stato un duro colpo per lui e quando aveva deciso di erigere quel muro tra lui ed il più piccolo aveva sofferto molto. Minho aveva osservato attentamente anche Key e, se comprendere i pensieri di Jonghyun era semplice, con l’altro la questione era molto diversa. Forse era perché conosceva Jonghyun da anni e Key solo da pochi mesi, ma decifrare quello che passava nella mente di Key gli era quasi impossibile. Sospettava che le uniche persone a conoscenza dei pensieri del più piccolo fossero Taemin e Jinki. Certo, secondo Minho era impossibile non notare quanto anche Key si fosse affezionato a Jonghyun e, effettivamente, negli ultimi tempi Minho era stato pronto a scommettere che ricambiasse i sentimenti del più grande. Ma poi lo aveva respinto. Forse si era sbagliato ed era solo un forte affetto e, dopotutto, come dare torto a Key? Erano stati mesi duri per lui e Jonghyun era sempre stato presente al suo fianco. Eppure Minho non era convinto, era stato sinceramente sorpreso quando Jonghyun gli aveva raccontato della loro discussione. Doveva ammettere di aver dato in parte credito al sospetto dell’amico che l’altro gli avesse mentito, ma era rimasto zitto, dare anche solo il barlume di una possibilità a Jonghyun poteva rivelarsi disastroso. Rifletté. Le condizioni di Key la sera prima potevano averlo spinto a rivelare i suoi veri sentimenti o erano state solo farneticazioni? Non era facile comprendere Key, in più di un’occasione dava l’impressione di qualcuno costantemente sulla difensiva. Se c’era qualcuno in grado di fornire delle risposte, senza ricorrere al diretto interessato, quello era Taemin, ma se anche Key si fosse aperto con lui, Taemin si sarebbe tagliato la lingua da solo piuttosto che tradire la fiducia della sua umma. Sospirò.
-Jong, ascolta…- iniziò preoccupato.
Jonghyun mise una mano davanti. – Lo so, non devo illudermi. –
Il suo tono era serio e triste. – Ma devo sapere la verità, se mi dirà di no, di nuovo, tenterò di levarmelo dalla testa, devo farlo o impazzirò. –
Abbassò il capo. – L’altra volta ho commesso un mucchio di errori, avrei voluto dirgli molte cose, ma non sono riuscito a dirgli nulla. Questa volta farò le cose per bene.-
Minho sorrise. Sperava davvero che Jonghyun non si stesse ulteriormente illudendo, perché dubitava che sarebbe uscito illeso da un secondo rifiuto.
 
 
***
 
Kibum scese da cavallo ed atterrò elegantemente sull’acciottolato. Si stirò la schiena. Ora che il suo stomaco aveva ripreso le forze poteva dire che era davvero una bellissima giornata. Il sole era ancora caldo benché fossero ormai a metà settembre, mentre un’aria frizzante che portava i primi freddi scuoteva le chiome rosse e dorate degli alberi.
Il villaggio di Hanamsi era molto vivace, nonostante le dimensioni ridotte che lo classificavano come centro periferico non troppo distante da Soul. La piazza principale era un via vai di gente, un volteggiare di abiti colorati che si spostavano da una parte all’altra apparentemente senza alcuna logica. Dei bambini correvano ridendo tra i passanti, zigzagando tra le bancarelle del mercato e i carretti dei contadini che portavano i prodotti che coltivavano appena fuori dall’abitato.
Kibum sorrise guardando quella scena. La spensieratezza di Hanamsi aveva ben poco in comune con le sue ultime esperienze fuori dal Rifugio. Essendo un piccolo centro agricolo, il clima degli ultimi anni doveva averne garantito la prosperità salvandolo dal cancro della fame. Il principe non poté fare a meno di pensare alla sua prima esperienza in un luogo simile, era accaduto solo pochi mesi prima ma gli sembrava una vita fa, aveva appena lasciato Soul ed era in compagni di Siwon. Pensare alla sua guardia del corpo gli procurava sempre una profonda tristezza. Inevitabilmente, si ritrovò a pensare alla prima notte che aveva passato fuori casa, in quel villaggio sperduto tra le colline lungo la strada per la capitale. La stessa notte che aveva incontrato Jonghyun e che aveva passato insonne a causa sua. Le cose non erano cambiate molto, quello che provava era sempre lo stesso, il turbamento che l’altro gli procurava era tale e quale. Sospirò. Gli sguardi e le parole dell’altro gli mancavano, anche quel semplice sfiorarsi che gli procurava brividi lungo tutto il corpo, la sensazione di essere precorso da scariche elettriche. E quel bacio, ancora dopo giorni, il solo ripensarci gli scatenava le medesime emozioni. Lo voleva, voleva essere suo, ma la sua testa gli diceva che non era possibile ed imponeva al suo cuore di gelarsi.
Si portò una mano al capo. Aveva ancora un leggero mal di testa, ma nulla di serio, tuttavia la sensazione di aver parlato con l’altro la sera precedente era sempre più vivida. Scosse la testa. Non era possibile, le immagini che scorrevano nella sua mente parlavano d’amore, di baci, di tenerezza. Tra lui e Jonghyun c’era una muraglia che loro stessi, lui per primo con le sue parole, avevano costruito. E come può esserci amore, come possono esserci baci, quando c’è un muro a dividere? Uno di loro si era forse arrampicato lungo quel muro, sfidando spinosi roseti per sfiorare l’altro?
-Andiamo – disse Jinki, scendendo a sua volta da cavallo e conducendo il quadrupede per le briglie.
Le vie animate e colorate di Hanamsi sfilarono introno a loro mentre si facevano spazio tra la calca. Kibum respirò a pieni polmoni quel sentore di libertà. L’aveva percepito spesso negli ultimi tempi ma essere fuori, all’aria aperta, aveva tutto un altro sapore. Gli ultimi profumi dell’estate stavano facendo spazio a quelli dell’autunno, un autunno che già preannunciava un inverno freddo sferzato da venti provenienti da nord.
-Bene – annunciò Jinki, - siamo arrivati. -
Kibum alzò gli occhi. Davanti a lui s’alzava un edificio ligneo dai colori rossi e verdi ele tegole di ardesia rilucevano sotto l’ultimo sole estivo. Dei gradini in legno precedevano l’ingresso di quella che aveva tutta l’aria di essere una locanda, la cui insegna pendeva sul porticato affiancata da una lunga fila di lanterne, ora spente. Le porte scorrevoli dell’edificio era chiuse tranne che per un piccolo spiraglio, che lasciava intravedere l’interno ordinato e immerso nella penombra.
Vicino a lui, Minho parve reprimere una risata ironica e Kibum non poté fare a meno di domandarsi cosa ci fosse di tanto divertente. Glielo chiese, ma Minho si limito a fare spallucce.
-Entriamo- disse Jinki.
Il Leader dei ribelli sorrideva, sembrava particolarmente di buon umore quel giorno. Strizzò gli occhi, allegro, prima di mettere un piede sul primo gradino e scivolare all’indietro.
-Yah! –
Jinki si ritrovò lungo disteso a fissare un cielo azzurro appena sporcato da sottili nuvole candide.
-Jinki!- fece Kibum, allarmato. Per un attimo temette che l’altro si fosse rotto l’osso del collo.
-Sto bene, sto bene – disse il più grande, mentre Minho lo aiutava a rialzarsi scuotendo il capo.
In quel momento, le porte scorrevoli della locanda si aprirono ed apparve una donna sulla mezza età, il volto imperioso e solcato da sottili rughe che le conferivano un tono severo. La donna incrociò le braccia squadrandoli e acendo tintinnare la moltitudine di braccia e collane che le adornavano posi e collo.
-Uhm siete voi – disse quasi con accondiscendenza, assottigliando le labbra.
Jinki si mise una mano dietro al capo, massaggiandolo. – Buongiorno Haneul. –
Gli occhi della donna si puntarono si Kibum, soppesandolo dall’alto in basso. Il principe ricambiò l’occhiata e la donna di nome Haneul distolse lo sguardo spostandolo nuovamente su Jinki.
Kibum sorrise tra sé. Le sue occhiate taglienti da principe ereditario sortivano ancora il loro effetto, che fosse in un palazzo o no. Che cos’aveva quella donna da fissare?
-Vedo che non hai nulla per me – disse Haneul con tono di disapprovazione.
Jinki ridacchiò. – Visita di cortesia. –
La donna inarcò le sopracciglia e questa volta fu lei a ridere. – Le tue non sono mai visite di cortesia. Entrate. –
All’interno il locale era poco illuminato e sembrava chiuso, nonostante fossero in pieno giorno. I tavoli vuoti erano stati appena ripuliti, i cuscini erano in ordine, i paraventi chiusi e il bancone perfettamente lucidato. Le lanterne ad olio appese al soffitto erano per la maggior parte spente, solo alcune brillavano di una luce arancio consentendo un minimo di visibilità. Non c’era nessun in vista, ma Kibum percepì comunque l’energia di più persone in ambienti attigui.
Haneul li invitò con un gesto della mano a prendere posto sui cuscini intorno ad un tavolino. Intrecciò le dita sul ripiano e gli anelli che adornavano ogni singolo dito luccicarono.
-Allora, cosa ti porta qui, Lee Jinki? –
-Affari – rispose in un ampio sorrise.
Haneul si portò una mano sotto il mento, piegò il capo di lato ed inarcò un angolo della bocca. – Naturalmente. Hai una merce insolita oggi, devo dire che mi stupisci. –
-Oh – fece Jinki, sbattendo gli occhi.
Kibum aveva come l’impressione che il Leader dei ribelli fosse appena stato colto alla sprovvista, cosa che non avrebbe mai creduto possibile. Intanto, gli occhi penetranti e quasi metallici della donna erano di nuovo puntati su di lui come pugnali affilati. Era davvero irritante! Che cosa voleva? Non era proprio dell’umore adatto per avere a che fare con una persona tanto insopportabile.
Haneul lo soppesava dall’alto in basso come se stesse acquistando della seta pregiata di Ming, valutandone ogni singolo ricamo. Improvvisamente gli prese una mano saggiandone la morbidezza, Kibum la ritirò di scatto lanciando all’altra uno sguardo gelido e sottile ma, questa volta, la donna sorrise con un misto di soddisfazione e interesse.
-Quale sarebbe il prezzo? – chiese Haneul a bruciapelo.
-Prezzo? – chiese Jinki, perplesso.
Minho si grattò il capo, qualcosa di quella conversazione gli sfuggiva. Guardò Kibum ed entrambi scossero il capo, evidentemente nessuno di loro tre ci stava capendo molto o forse Jinki sì, ma sul volto de Leader vi era dipinta un’espressione di disagio e imbarazzo.
-Per il ragazzo – rispose Haneul, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. – Se volevi colpirmi ci sei riuscito, anche se non avrei mai creduto che fossi disposto a darti a questo…genere di affari. Le mie kisaeng sono tutte ragazze, ma- disse lanciando un’occhiata bramosa a Kibum, - penso di poter fare un’eccezione. –
Haneul allungò una mano inanellata al volto di Kibum, seguendone le linee delicate. Il principe era immobile, paralizzato dall’imbarazzo e al contempo furente. Aveva capito bene? Quella dannata donna pensava che lui fosse merce in vendita? Assurdo, lui, Kim Kibum, principe ereditario di Chosun! Si morse le labbra imponendosi calma o nulla l’avrebbe trattenuto dal far saltare in aria quel posto con una scarica d’energia. Delle vene blu e nere stavano già danzando intorno alle sue mani sottili. Rosso in viso, alla fine, si volse verso il Leader.
-Jinki – disse tra i denti.
Jinki rise con in imbarazzo, portandosi una mano dietro il capo. –Temo ci sia un terribile errore, Haneul -, tossicò.
Un fruscio di stoffa annunciò l’arrivo di una quinta persona. Da un pannello ligneo abilmente nascosto nella parete, apparve una donna avvolta in un lungo abito dai toni caldi e i capelli neri e lisci lasciati sciolti lungo le spalle.
-Oh Yeouki, sì gentile, portaci delle tazze di soju. –
La donna annuì annoiata, tornando pochi secondi dopo con quanto richiesto. Per una manciata di secondi, il rumore delle tazze di ceramica fu l’unico suono.
-Come dicevo – tossicò di nuovo Jinki. – C’è un errore. –
-Un terribile errore – disse Kibum tra i denti.
Minho rise, risata che in breve si tramuto in una tosse nervosa quando Kibum gli diede una gomitata.
-Lui è Key, è nuovo, e d’ora in poi sarà lui a contrattare con te per la merce. –
Haneul incrociò le braccia. – Contrattare con me, questo ragazzino? – chiese con una nota di stizza.
Bevve il suo soju, poi tornò a rivolgersi alla ragazza che era rimasta dietro di lei e le allungò la tazza.
-Portamene altro, Yeouki, e non stare lì impalata a fissare il vuoto. –
La ragazza sobbalzò e scattò verso il bancone. Solo allora Kibum rivolse all’altra la propria attenzione accorgendosi che gli occhi della ragazza non erano mai stati persi nel vuoto, bensì fissi su di lui, ed aveva l’impressione che stillassero odio da ogni baluginio dell’iride. Fece spallucce, forse era solo il suo cattivo umore a farlo pensare così. Che motivo poteva avere quella sconosciuta per avercela con lui?  Ovviamente nessuno. Arricciò il naso e tornò a rivolgere il proprio interesse ad Haneul. Prima voleva comprarlo come ragazzo di piacere per i clienti della sua locanda, poi gli dava del ragazzino, bhe, qualunque compito Jinki avesse in serbo per lui lì, Kibum avrebbe fatto penare quella donna.
-Fossi in te non lo sottovaluterei – disse il Leader dei ribelli sfoderando uno dei suoi sorrisi inquietanti.
-I mediatori che mi hai mandato sin ora mi vanno benissimo – rispose sorseggiando il suo soju.
-Naturale – disse Jinki intrecciando le mani sotto il mento – riuscivi sempre ad abbindolarli. –
Haneul sorrise compiaciuta. – E perché non dovrei riuscirci con lui? –
-Perché è perfettamente in grado di valutare il valore della merce che ti porterà. –
-Va bene – fece l’altra, rassegnata. - Ma se tu volessi considerare un altro tipo di affare…-
 
 
Quando uscirono dalla locanda l’ora di pranzo era passata da un pezzo e lo stomaco di Kibum brontolava. Dopo la mancata colazione e le sue condizioni quella mattina, ora aveva bisogno di mettere qualcosa sotto i denti. Non era di certo stata una delle mattinate migliori della sua vita, ma era felice, finalmente Jinki gli aveva affidato un incarico, una missione fuori dalle mura del Rifugio. Kibum montò a cavallo seguendo l’esempio degli altri due.
-Grazie, hyung – disse rivolto al Leader.
Jinki sorrise. – Ero certo che ti sarebbe piaciuta l’idea. Tu sei molto intelligente, Key, sono sicuro che farai un ottimo lavoro. –
Kibum annuì. Non avrebbe fallito. Conosceva bene la merce pregiata, sia quella prodotta direttamente a Chosun, sia quella d’importazione. Se quella donna era riuscita a fare la furba sino ad ora, bhe, le cose sarebbero cambiate. Il “ragazzino” le avrebbe dato del filo da torcere.
Spronò il quadrupede, rivolgendo un ultimo sguardo alla locanda. Sotto il portico sostava la ragazza che aveva servito il soju e ora lo squadrava. Kibum aggrottò la fronte, forse era solo la sua immaginazione ma aveva davvero l’impressione che l’altra nutrisse odio nei suoi confronti e, se solo avesse avuto un pugnale a portata di mano, glielo avrebbe conficcato dritto in petto.
 
 
***
 
Kibum, arrampicato in equilibrio precario sulla scala di legno, stava cercando di raggiungere dei pesanti tomi posti sugli scaffali più alti della biblioteca. Jinki gli aveva chiesto di svolgere una piccola ricerca e lui non voleva deluderlo. Normalmente l’odore di muffa e la polvere che gli bruciava gli occhi e lo faceva starnutire l’avrebbe irritato ma negli ultimi giorni, da quando Jinki gli aveva affidato un incarico così importante, sembrava che nulla potesse scalfire il suo buon umore. Una volta tornati al Rifugio, il Leader dei ribelli gli aveva spiegato nel dettaglio le implicazioni dell’importante compito che gli aveva affidato.
-Il ricavato di tutto quella merce servirà sia a noi che a provvedere ai bisogni dei villaggi più poveri, quindi è molto importante che tu non ti faccia fregare da quella donna – gli aveva detto.
Kibum aveva annuito, convinto. Non sarebbe sceso su un campo di battaglia, ma i suoi compiti non sarebbero stati da meno. Sorrise tra sé, Jinki non avrebbe potuto scegliere una missione migliore per lui, oltre al fatto che era subito diventata una questione personale. Arricciò il naso. Come si era permessa quella donna di scambiarlo per merce da vendere? Se pensava di ricavare dei soldi da lui, bhe, ne avrebbe persi parecchi perché era intenzionato a spillarle ogni centesimo per la merce che le avrebbe portato.
Tutto sembrava procedere al meglio, solo il pensiero di quell’idiota di Kim Jonghyun turbava il suo buon umore e lo faceva piombare in un buco nero. Scosse il capo, infondo doveva biasimare solo sé stesso se la situazione tra loro era crollata sino a quel punto. Si morse il labbro inferiore per trattenere una lacrima solitaria. Era stato duro e freddo con l’altro, se ne rendeva conto, e non solo, aveva respinto ogni nuovo tentativo d’approccio di Jonghyun negli ultimi giorni che, improvvisamente, sembrava desideroso di far crollare quel muro che lui stesso aveva imposto ad entrambi. Kibum sospirò. Era ancora convinto delle motivazioni che lo avevano spinto a rifiutarlo, ma ogni volta che pensava all’altro era una sofferenza, e sentiva che se anche avesse cercato di restaurare il rapporto d’amicizia che c’era prima non gli sarebbe più bastato.
Allontanò quei pensieri tristi riemergendosi nella sua ricerca.
-Stai dando la caccia a qualcosa in mezzo a quella polvere?- fece una voce allegra sotto di lui.
Kibum sobbalzò aggrappandosi alla scala per non cadere. Maledizione, Kim Jonghyun! Roteò gli occhi senza degnarsi di guardare in basso. Come poteva guarire da quella malattia se lui spuntava sempre nei momenti più impensabili?
-Il mio muro è troppo alto, sei troppo in basso perché io possa udire le tue parole – disse facendo scorrere le dita sottili sui dorsi in pelle dei libri.
Seguirono dei secondi di silenzio, ma Kibum era certo che sul volto dell’altro fosse stampato un sorriso divertito. Decisamente irritate! Come si permetteva di interrompere quel momento idilliaco?
-Sono disposto a scalarlo per raggiungerti – rispose Jonghyun.
-Tsk – rivolse all’altro un’occhiata sprezzante dall’alto in basso.
Jonghyun si schiarì la voce. – Pensi che non sia in grado? Posso assediare la tua fortezza in eterno se lo desidero, ti prenderò per fame. –
Kibum inarcò le sopracciglia. – Non mi fa paura. –
-Allora sfonderò le tue mura. –
-A tuo rischio e pericolo. –
Jonghyun sospirò. Non si aspettava che parlare con Key fosse un’impresa semplice, da giorni tentava di far sì che l’altro gli rivolgesse la parola, ma ogni frecciata finiva nel fossato della fortezza dell’altro, senza raggiungere il suo obiettivo. Mancava un giorno al Chuseok e Jonghyun non aveva più tempo per tergiversare. Avrebbe sfondato quel portone e nemmeno tutta l’artiglieria di cui Key era provvisto sarebbe riuscita a tenerlo fuori.
-Per favore, potresti solo per un attimo abbassare il ponte levatoio? –
Finalmente, Key si degnò di guardarlo.
-Oh spocchioso principino, saresti così cortese da scendere dalla tua torre d’avorio?- cantilenò Jonghyun.
Kibum si bloccò di colpo e raggelò.  Che cos’aveva detto quello scemo? Abbassò lo sguardo su Jonghyun, titubante. Per tutta risposta l’altro lo fissò perplesso.
-Che cos’hai detto?– chiese Kibum in un sussurrò.
Jonghyun sbuffò. – Di scendere per favore dalla tua torre d’avorio, devo parlarti. –
Oh era una battuta, quindi, riflette Kibum. Tirò un sospiro di sollievo. Devo stare calmo! S’impose.
-Stai bene? – chiese Jonghyun, - sembra che tu abbia visto un fantasma. – Sogghignò.
-Paura di abbandonare le confortanti mura della tua torre d’avorio? Non mordo. –
Kibum si decise a scendere dalla scala e squadrò l’altro. Che cosa voleva? Perché improvvisamente lo cercava ancora? Era dalla mattina di qualche giorno addietro, quando si era svegliato dai postumi della sbornia causata da Taemin. Si morse il labbro continuando a studiare Jonghyun. I ricordi improbabili di quella notte erano sempre più vividi nella sua mente, non ancora chiarissimi, ma sembravano molto più di un sogno. E Jonghyun era sempre lì. Improvvisamente la possibilità che avessero sostenuto un qualche tipo di conversazione divenne nella sua mente sempre più probabile. O era una coincidenza che l’altro avesse deciso di riprendere a parlargli di suo spontanea volontà la mattina successiva?
Jonghyun guardò Key. Era indeciso su come affrontare l’argomento, in realtà si trattava di un semplice invito ad una festa, ma prevedere come l’altro avrebbe reagito sembra impossibile. Key aveva portato le mani ai fianchi e spostato il peso da una gamba all’altra, segno che era sulla difensiva ma pronto a contrattaccare in ogni momento. Jonghyun sorrise al pensiero di come era stato dolce e tenero solo poche sere prima, una visione quasi inconciliabile con quella che aveva di fronte.
-Che cosa mi devi dire, Kim Jonghyun? – domandò Key con una punta di stizza nella voce.
-Domani sera ci sarà il Chuseok – rispose l’altro, calmo.
-Lo so, conosco il calendario. –
-Andiamo insieme. –
Il principe incrociò le braccia e inarcò le sopracciglia. Aveva capito bene?
-Perché? – chiese titubante.
Jonghyun si passò una mano tra i capelli e Kibum lo conosceva abbastanza bene da capire che era stressato e agitato.
-Sono stato molto duro ultimamente. Non voglio buttare via il mio rapporto con te per quanto è accaduto, andiamo insieme alla festa, sarà un modo per riprendere come se nulla fosse, se lo desideri. –
Riprendere come se nulla fosse…quelle parole erano state difficili per Kibum da pronunciare, ma dette da Jonghyun gli facevano ancora più male perché custodivano un senso di ineluttabilità, la certezza che non sarebbero mai potuti tornare indietro. Kibum si stropicciò le mani. Avrebbe voluto piangere, gridare…quella situazione era opera sua, della sua testa…se solo si fosse fidato dei suoi sentimenti, ora non sarebbero stati lì a parlare di una stupida festa che lui odiava, ma l’uno tra le braccia dell’altro e quegli scaffali non sarebbero stati il ridicolo teatrino del suo cuore in frantumi, ma un luogo segreto dove scambiarsi baci e respiri caldi. Poteva dire di no e lasciare che il pensiero di lui continuasse a tormentarlo, oppure poteva dirgli di sì, distruggere ciò che restava del suo cuore sanguinante e mettere la parola fine, riprendendo come se nulla fosse…
Jonghyun lo fissava speranzoso. Kibum avrebbe voluto saltargli al collo e baciare quelle labbra carnose e morbide, essere di nuovo stretto tra quelle braccia e vivere del respiro dell’altro. Qualunque cosa per tornare al quell’attimo perfetto che le sue paure avevano gettato al vento. Ora rimaneva solo un ricordo dolce amaro, destinato o a sbiadire nel tempo o a rimanere impresso a fuoco dentro di lui, con l’amara consapevolezza che mai si sarebbe ripetuto. Alla fine annuì. Doveva affrontare le conseguenze delle sue scelte, era inevitabile.
-Va bene –
Kibum si ritrovò a fissare le labbra dell’altro. Perché aveva la sensazione che ci fosse stato più di un solo bacio tra loro? Si portò la mano alla fronte come a ricercare un’immagine perduta.
-Jong – lo chiamò prima che se ne andasse. Doveva sapere cos’era successo poche sere prima, la figura di Jonghyun era troppo reale nella sua mente.
-L’altra sera quando ero, bhe, lo sai…ci siamo visti? –
La bocca di Jonghyun s’aprì a vuoto. Il più grande fremette. Forse Key si ricordava qualcosa?
-Sì. –
Key deglutì.
-Non eri in te e ti ho riaccompagnato in camera. –
-Capisco. Grazie –
Jonghyun sorrise dolce e il cuore di Kibum si fece più leggero. Da quanto non vedeva un sorriso simile rivolto a lui?
-Nient’altro? –
Jonghyun parve pensoso, ma poi scosse il capo. – Nient’altro. –
 
 
***
 
La mattina del Chuseok l’intero Rifugio era in agitazione, nonostante la festa sarebbe iniziata solo con il calare della sera sembrava che nessuno quel
giorno fosse interessato ai propri compiti abituali. I corridoi erano stati decorati con ghirlande di foglie autunnali e lanterne di carta multicolori, rendendoli meno spogli e tetri. Petali colorati di luce rilucevano all’intorno delineando le ombre spensierate dei passanti.
Quando Kibum si era accorto di essere l’unico a prendere seriamente quella giornata, svolgendo i suoi soliti compiti, si era sentito un perfetto idiota. Non appena si era presentato nell’ufficio di Jinki questo l’aveva accolto ridendo rimandandolo via due secondi dopo. Era stato decisamente imbarazzante. Ormai era quasi il tramonto e lui non era ancora pronto per i festeggiamenti veri e propri. Era stato così agitato nelle ultime ventiquattrore da essersi reso conto solo ora di non avere un abito tradizionale per l’occasione. Era subito andato a cercare Taemin.
-Insomma – iniziò Taemin che camminava al suo fianco, le mani dietro la testa, - andrai alla festa con Jonghyun. –
Kibum aveva la sensazione che ci fosse una repressa nota di divertimento nella frase dell’altro. Arricciò il naso con disappunto.
-Già-, fece.
-Che cosa pensi di fare?-
-Non ne ho idea, in questo momento se mi aiuterai a trovare un vestito decente te ne sarò eternamente grato. –
-Oh quindi, umma, vuoi farti bello per quello scemo – ridacchiò Taemin.
-Non eri tu che due settimane fa mi hai mostrato il tuo intero guardaroba? – disse Kibum guardandolo di sottecchi.
Taemin fece un gesto annoiato con la mano. – Dettagli, dettagli.-
-Non mi sembri molto felice oggi, non vedevi l’ora che arrivasse la festa. –
Quel giorno Taemin sembrava giù di tono, battute all’indirizzo di Key a parte.
Taemin corrugò la fronte. – Dovevo andarci con Minho, ma quello è scemo – disse facendo spallucce.
-Bhe è amico di Jonghyun, cosa pretendi? –
Taemin sbuffò. In effetti Key aveva ragione: dal il migliore amico di uno scemo non si poteva pretendere un tripudio di neuroni. Ad ogni modo, la situazione tra Key e Jonghyun l’aveva fatto parecchio riflettere, cosa che negli ultimi anni aveva volutamente evitato di fare. Era sempre andato al Chuseok in compagnia di Minho, il più grande glielo chiedeva ogni anno, e ogni anno sperava si decidesse a trattarlo come qualcosa di più di un bambino o di un amico…ma niente. Insomma, gli era così indifferente da andare con lui per pietà o per fargli da balia? Sapeva che Jonghyun aveva invitato di Key per dichiarargli i suoi profondi sentimenti, di certo nessuno era andato a dirglielo, ma solo un ingenuo dal punto di vista sentimentale non ci sarebbe arrivato.
Qualcuno come Kibum, per esempio, si disse tra sé.
In ogni caso, Taemin si era accorto di provare una certa invidia per quei due. Stavano facendo un grande baccano, ma in un modo o nell’altro stavano cercando di affrontare i loro sentimenti. Improvvisamente non si era più sentito in vena di partecipare alla festa, quando poi Minho si era presentato da lui quella mattina il suo nervosismo era aumentato. Non si era nemmeno preso la briga d’invitarlo, semplicemente lo aveva dato per scontato, e poi aveva iniziato a parlare degli altri due.
-Non so quali strani segreti vi confidiate tu e Key, ma il tuo amico è strano, comunque Jonghyun lo ha invitato al Chuseok e penso tu abbia capito quali siano le sue intenzioni. –
-Ovviamente – aveva risposto scostato.
-Spero che Key non intenda illuderlo. –
Taemin aveva sbuffato sonoramente. – Se stai cercando di carpire informazioni da me sui sentimenti di Key, scordatelo. –
-Immaginavo avresti reagito così, ma volevo fare almeno un tentativo – aveva detto Minho. – Allora ci vediamo sta sera. –
-No, grazie – aveva risposto Taemin.
-Come, no grazie? –
-Quest’anno ci vado da solo –, gli aveva risposto stizzito con una linguaccia, prima di lasciarlo a bocca asciutta.
Taemin arricciò il naso, deciso a scacciare quella conversazione dalla sua testa e conducendo l’amico nella sua stanza.
La camera di Taemin era un disastro, come sempre. Kibum fece scorrere lo sguardo all’intorno con disappunto, un uragano avrebbe fatto meno danni. C’erano armadi e cassetti aperti, vestiti e oggetti di vario genere sparsi sul letto, per non parlare del vassoio di un pasto consumato solo a metà sul comodino. Kibum incrociò le braccia.
-Dovresti dare una ripulita – osservò.
-Oh lo farò – disse l’altro, distratto, mentre infilava la testa in un armadio.
Kibum aveva seri dubbi a riguardo ed era una fortuna che non fosse a conoscenza di quello che il più piccolo doveva aver nascosto sotto il letto.
 Due secondi dopo, Taemin lanciò al più grande un completo. Una volta cambiato, Kibum osservò la propria immagine riflessa nello specchio ovale fissato alla parete. La giacca di cotone blu dai ricami in argento gli cadeva liscia e morbida sino a metà coscia, mentre dei pantaloni bianchi gli fasciavano le gambe. Si mosse la chioma corvina, ravvivandola. Non stava per niente male, certo sentiva più il bisogno di indossare un’armatura scintillante per affrontare Jonghyun, ma quello poteva andare. Solo una cosa non gli era chiara: perché si sentiva come se fosse stato invitato ad un appuntamento galante?
 
 
Kibum si strinse nelle spalle, l’aria iniziava ad essere fredda e le calde notti estive erano ormai state sostituite da quelle autunnali. Voltò il capo osservando le luci del villaggio di Hanamsi, dove si stava svolgendo la festa del Chuseok.
Dopo la cena nella sala comune, tutti i ribelli si erano riversati nel villaggio vicino per partecipare ai festeggiamenti veri e propri. La piazza e la via principale dei Hanamsi erano state adornate da filari di lanterne colorate che brillavano nella notte animata da canti, danze e musica. La gente camminava e danzava per strada, consumando dolcetti di riso che diffondevano all’intorno profumi invitati. Sino a pochi minuti prima anche Kibum si stava godendo la vivacità della festa, finché Jonghyun non aveva deciso di trascinarlo lontano da tutti quei suoni festanti.
-Dove stiamo andando? – chiese.
Iniziava a sentirsi un po' a disagio, lì nell’aperta campagna lungo il fiume, di notte e in sola compagnia del più grande. Tuttavia, la domanda che uscì dalle sue labbra aveva una nota di stizza. Si pentì quasi subito di quel tono involontario, dopotutto la serata era stata fino a quel momento piacevole. Era stato come tornare indietro nel tempo, ai giorni in cui era solo inconsciamente consapevole dei suoi sentimenti e stava ancora imparando a conoscere Jonghyun. Gli sguardi, gli occhi che s’abbassavano per l’imbarazzo, lo sfiorarsi timido, ma capace di provocare scariche elettriche lungo il corpo di Kibum.
-Abbi pazienza – disse Jonghyun, ignorando del tutto il tono stizzito dell’altro.
Kibum si massaggiò le braccia, riscaldandosele. Aveva freddo e in tutta risposta il suo corpo rabbrividì. Seguì l’altro lungo uno stretto sentiero infestato da una vegetazione sempre più alta e fitta, che nascondeva la linea sottile e flessuosa dell’Han, nonostante il suono armonico dello scorrere del fiume ne rivelasse la presenza.
-Jong, dove stiamo andando, fa freddo? Non c’è niente qui – disse Kibum in tono lamentoso.
Jonghyun, pochi passi avanti a lui, si voltò sorridendo. –Non fare i capricci. –
Kibum picchiò un piede per terrà e incrociò le braccia, sbuffando e Jonghyun rise allungandogli una mano.
-Yah e questi cosa sono? Vieni. –
Kibum squadrò con diffidenza la mano dell’altro, sempre tesa nella sua direzione, alla fine l’afferrò e subito un piacevole calore si diffuse nel suo corpo. Gli occhi di Jonghyun rilucevano di ambra liquida ed erano caldi come la mano che gli aveva teso. Kibum capì che stava usando la sua abilità.
-Va meglio? Senti ancora freddo? –
Kibum scosse il capo.
-Kaja – fece l’altro guidandolo lungo il sentiero.
Arrivati vicino ad un piccolo boschetto che discendeva verso il fiume, ancora nascosto alla loro vista, Jonghyun si fermò.
-Chiudi gli occhi – gli disse.
Kibum lo guardò interrogativo. - Perché? –
-Yah, è una sorpresa, non posso dirtelo. –
Il principe roteò gli occhi, poi li chiuse. Non voleva ammetterlo ma si sentiva sempre più a disagio e sulle spine. Dove lo stava portando? Più di una volta dovette stringere più saldamente la mano di Jonghyun per non inciampare tra la sterpaglia bagnata, che gli aveva chiazzato i pantaloni di umidità sino alle ginocchia. Intanto, i suoni del fiume di facevano sempre più vicini.
Alla fine Jonghyun si fermò. -Ci siamo. –
Kibum sorrise leggermente prima di riaprire gli occhi, le parole dell’altro trapelavano entusiasmo e aspettativa quanto quelle di un bambino il giorno del suo compleanno.
-Kim Jonghyun dove…-, iniziò a dire aprendo gli occhi. – Oh – fece osservando il panorama che aveva di fronte.
L’Han serpeggiava flessuoso, simile ad un drago dalle scaglie d’argento rivestito dalle stelle diamantine che vi si specchiavano. Ad est, il villaggio sembrava un grande falò sfavillante di mille colori, mentre sopra i loro capi la via lattea attraversava la notte; celeste gemella del fiume che scorreva davanti a loro. Non una nuvola disturbava la visione di quel cielo blu intenso, animato da pennellate violette, dove pianeti ammiccavano lontani. L’universo galleggiava sopra di loro, splendido ed infinito, mentre l’occhio perlaceo della prima luna d’autunno osservava curioso il mondo mortale.
-Ti piace? – chiese Jonghyun, titubante.
Kibum annuì continuando a guadare sopra di sé, poi si voltò e sorrise.
Un sospirò uscì dalle labbra di Jonghyun quando incontrò gli occhi felini dell’altro. Anche quella notte, le stelle avevano deciso di fare delle iridi di Key la loro segreta e ammaliante dimora.
Key abbassò il capo non appena si accorse che gli occhi del più grande avevano sostato troppo a lungo nei suoi, ma quando incontrò la sua mano intrecciata a quella calda di Jonghyun la ritrasse, mentre un leggero rossore gli tingeva le guance. Per Jonghyun fu come se le ali setose una farfalla gli fossero appena sfuggite dalle dita. Kibum si strinse nelle spalle continuando a fissare il fiume e il cielo.
-Hai ancora freddo? – chiese Jonghyun.
-Sì. –
-Siediti. –
Kibum guardò l’erba e inarcò le sopracciglia. – E’ bagnata. –
Jonghyun sorrise. Delle venature rosse e oro attraversarono il terreno e l’aria intorno a loro creando una bolla d’aria calda. Si sedettero.
-Cosa facciamo qui? – chiese Kibum.
Jonghyun si umettò le labbra. –Devi aspettare ancora qualche secondo, poi vedrai. -
Infilò le mani nelle tasche voluminose della sua giacca tradizionale rossa e bianca e ne estrasse due piccoli involucri.
– Tieni – disse porgendone uno al più piccolo.
Non appena Kibum lo scartò, il profumo del dolcetto di pasta di riso gli arrivò dritto alle narici, stuzzicandolo di una fame e di una gola che non pensava di avere.
-Grazie – disse mentre entrambi lo addentavano.
Kibum si leccò le labbra ripulendole dalla marmellata fuoriuscito dal dolce, poi sbatté le palpebre, ammirato.
-Oh –
-Bello, vero? –, disse Jonghyun con una punta di soddisfazione nella voce.
La superficie argentea del fiume si era tinta di petali di luci dorate e, sui flutti, galleggiavano flotte di lanterne simili a soli e pianeti multicolori, sospinte da una brezza leggera. A Soul non aveva mai visto niente di simile. Una folata di vento più forte fece dondolare le lanterne come grappoli di campanule, trasportando le note dolci e acute della musica proveniente dal villaggio.
Kibum avvertì le dita calde di Jonghyun tra i suoi capelli scossi dal vento, un gesto semplice che bastò a riportarlo alla realtà. La musica della festa si perse tra gli aliti di vento, sostituita dai battiti del suo cuore. Guardò l’altro da sotto le ciglia, umettandosi le labbra, mentre un leggero rossore gli tingeva le gote.
Jonghyun deglutì davanti a quel gesto innocente e involontario, che bastò a rievocargli sensazioni e immagini intense. Osservò con occhi caldi e acquosi le labbra rosate dei Key, affondando i polpastrelli nella sua chioma corvina per poi sfiorargli delicatamente la guancia e lasciare scie incandescenti sulla pelle del più piccolo, sino a sfiorargli l’angolo della bocca.
-Jong…-
-Marmellata – disse l’altro, sorridendo e ripulendolo con la punta del pollice.
Kibum abbassò gli occhi. Erano troppo vicini, il respiro di Jonghyun troppo caldo. Si stropicciò le mani, poteva sentirlo, il suono tetro del suo cuore che si sgretolava. Voleva baciare ed essere baciato da quelle labbra, stretto tra quelle braccia. Ma una vocina nella sua testa continuava a sussurrargli che non poteva essere suo, né lui dell’altro. Doveva andarsene da lì, doveva mettere fine a quella tortura. Si alzò di scatto, lasciando l’altro di stucco.
-Riportami indietro – disse freddo.
Il cuore di Jonghyun perse un battito. Che cos’aveva sbagliato ancora, davvero Key non lo voleva? Le parole dell’altra notte erano state solo il delirio delle loro menti?
-Perché? –
Si mise di fronte a lui, guardandolo. Doveva esserci da qualche parte un segno, anche minimo, di quello che passava per mente di Key oltre quella fredda maschera di porcellana.
Kibum si voltò incamminandosi verso il villaggio, ma Jonghyun lo raggiunse afferrandolo per il polso.
-Aspetta – disse.
-Riportami indietro – disse Kibum freddamente, rimanendo voltato dall’altra parte. Non poteva e non voleva guardare il più grande. Se l’avesse fatto ogni sua logica convinzione sarebbe crollata definitivamente e non avrebbe potuto nascondere le lacrime, ormai sul punto di sgorgare.
Jonghyun abbassò il capo con un sospiro rassegnato e lasciò andare la mano di Key. Forse non aveva sbagliato niente, semplicemente il più piccolo non lo voleva e, probabilmente, non l’aveva mai voluto. Per quanto gli sembrasse ancora più impossibile dopo quanto era accaduto solo poche sere addietro, doveva avere il coraggio di estirpare definitivamente quei folli sentimenti dal suo cuore. Era l’unico modo se voleva andare avanti, perché da quando aveva incontrato gli occhi di Key il tempo si era fermato, ma doveva ripartire, doveva tornare a scorrere anche se ciò significava ripiombare in un mondo amaro e oscuro.
-Riportami indietro – disse ancora Kibum, la voce incrinata. Il principe avrebbe voluto gridare, piangere senza il minimo contegno e prendere a pugni il petto dell’altro, ma il buon senso continuava a suggerirgli di fuggire. Se solo Kibum si fosse fermato a riflettere, si sarebbe reso conto che non c’era alcun buon senso in quella sofferenza che, inconsapevolmente, stava infliggendo ad entrambi.
All’udire quella voce quasi rotta dal pianto, Jonghyun si raddrizzò e per un attimo il suo cuore gioì. Eccola la sottile crepa, abilmente nascosta tra le pieghe di una melodia fredda, ma che celava note malinconiche. Prese Key per le spalle costringendolo a voltarsi. Sembrava fragile sotto il suo tocco, ma una cosa era inequivocabile, il volto del più piccolo era bagnato di lacrime. Jonghyun lo fissò, poteva vederne a mille di quelle crepe su quel volto pallido, una maschera prossima a sgretolarsi solcata da una lacrima calda.
Kibum abbassò il capo, nascondendolo dietro una manica blu e argento dell’abito, ma Jonghyun lo liberò e gli prese il mento per guardarlo dritto negli occhi. Doveva leggere la verità, una volta per tutte. Sapere se poteva completare il suo amore o se era solo un fuoco fatuo che bruciava lontano, destinato a spegnersi.
-Perché? – chiese.
-Ti prego – disse Kibum in un sussurro. Singhiozzò mettendosi le mani tra i capelli, non riusciva e non poteva più fingere di non amarlo.
 –Io non ce la faccio…non voglio sostituire un muro di mattoni con una parete di vetro luccicante quanto le stelle di questa notte, ma fredda e inscalfibile quanto un diamante. Non voglio sfiorare le tue mani attraverso una parete trasparente, voglio sentirne il calore sulla mia pelle, voglio affogare nella luce dorata dei tuoi occhi e non percepirne solo un riflesso opaco. Non voglio leggere le parole sulle tue labbra, ma udire il calore e la dolcezza della tua voce. Voglio addormentarmi e risvegliarmi tra le tue braccia ed il tuo profumo. Voglio le tue labbra sulle mie, le mie sulle tue.–
Ed era così. Da quando aveva incontrato Jonghyun per la prima volta, Kibum si era sentito rinato. Era bastato che i loro occhi s’incontrassero per solcare un confine netto tra prima e dopo.
Jonghyun boccheggio. Stava sognando, forse? Nemmeno nella sua più fervida immaginazione avrebbe mai immaginato di udire tali parole dalle labbra di Key. Cos’era successo? Quando si era tramutato in un roseto senza spine? L’aveva portato sin lì per dirgli quello che provava, per fare un ultimo e disperato tentativo ma, a dispetto di ogni sua aspettativa, era stato l’altro a crollare. Poteva vederla, di nuovo, oltre quella maschera fredda e distaccata, l’immagine luminosa dell’altro.
-Pensi che io non voglia tutto questo? Tu sei il mio mondo, il mio spazio infinito, il mio universo. Io vorrei essere tutto per te, come tu sei tutto per me. Io ti amo.- Disse Jonghyun.
Gli occhi sottili di Kibum lampeggiarono come se si risvegliasse da un sogno o vi ripiombasse. Aveva già udito quelle parole in un mondo lontano e annebbiato…ora ricordava, quei sussurri erano stati reali. Jonghyun lo amava quanto lui.
-Non è stato un sogno…- mormorò.
-Forse – sorrise Jonghyun, - ma potrebbe diventare reale. L’altra sera…-
-Ti ho baciato, vero? –
Jonghyun annuì e Kibum arrossì, costringendo il più grande a reprimere un sorriso divertito.
-Ma non è quello che m’importa. Hai detto che mi ami. –
-Ho fatto questo? – chiese Kibum.
Jonghyun gli prese il volto tra le mani facendo aderire le loro fronti e sfiorandogli il naso.
-Ti prego, se è vero che mi ami, se le parole di questa sera non sono solo il sussurro derisorio del vento tra gli alberi, dimmelo. Se non è così, ti giuro, eroderò per sempre il tuo nome dal mio cuore…-
Jonghyun doveva sapere e mettere fine a quella caccia alla volpe. Allontanò il viso per guardarlo. Le guance e gli occhi di Key luccicavano di lacrime.
Il più piccolo pose delicatamente una mano sulla sua guancia. Non poteva più nascondere la parte più intima del suo cuore perché, ormai, l’aveva già messa a nudo. E non poteva tornare indietro, come non poteva più immaginare una vita senza l’altro.
-Dal primo momento che ti ho visto, in quella notte di mezza estate quando i nostri occhi si sono incontrati, il mondo, il mio mondo, è stato come attraversato da una forza che ancora non riesco a comprendere. E’stato come se un fuoco mi avesse rigenerato. Io…-
Jonghyun gli baciò la fronte. – E’ stato così anche per me. Tutto quello che c’era prima è diventato cenere. –
Kibum annuì. Non era stato un folle, quindi, anche Jonghyun aveva provato il suo stesso stordimento. 
-Il tempo ha smesso di scorrere – disse Kibum. – Prima non lo potevo capire, ma ora lo so. Tutto ciò che ho vissuto prima di te è stato più simile ad un affannoso tentativo di sopravvivere in un mondo, in una vita, che detestavo. Mi sentivo rotto, spezzato, come una bambola dimenticata in un freddo palazzo dorato…–
Fece una pausa, come per riprendere fiato dopo una lunga corsa. Jonghyun non aveva occhi che per lui, orecchie che per la sua voce. Perché Key piangeva se le sue parole trasudavano amore? Che cosa turbava ancora il più piccolo?
- Di cos’hai paura? –
Kibum si appoggiò la fronte al mento dell’altro, affondando il volto nel suo collo.
-Un giorno ti spezzerò il cuore – disse a fior di labbra.
Jonghyun sorrise e pose le labbra tra i capelli di Key.
-Fallo – sussurrò, -spezzalo, frantumalo, è tuo dal momento in cui i nostri occhi si sono incontrati. –
- Sciocco – disse Key, alzando il volto in un mezzo sorriso amaro.
Jonghyun gli prese la mano portandosela al petto.
-Lo senti? È per te che batte. Prima era fermo, morto, batteva solo per inerzia come un orologio chiamato a svolgere unicamente il suo lavoro meccanico. Ma non c’era vita, non era altro che un mucchio di carne e sangue. –
Gli asciugò le lacrime dal viso perdendosi per qualche secondo in quei sottili occhi magnetici.
-Tu gli hai ridato vita, una vita che forse non ha mai avuto. –
-Jong…- disse Kibum accarezzandogli il volto con tocco leggero.
Non era più il pensiero di Heechul a spaventarlo, quell’ombra era scivolata via dal momento in cui Jonghyun gli aveva detto ciò che provava, anche se sino a poco prima ne aveva solo un nebuloso ricordo. Ma tra di loro ci sarebbe stata sempre una bugia, una goccia di veleno nelle loro felicità.
Le mani di Kibum giocarono con le ciocche castane sulla fronte dell’altro e percorsero il suo volto. Se era vero che era rinato che cos’era il principe Kim Kibum se non il nome di un morto, la cui esistenza era stata spazzata via dalla corrente, bruciata dal fuoco purificatore che lampeggiava negli occhi dell’altro?
-Tu mi hai stregato anima e corpo e io ti amo. -
- Allora lascia che io sia tuo e che tu sia mio, che il tempo riprenda a scorrere – rispose Jonghyun.
Key accostò la sua guancia a quella di Jonghyun e sfiorò il suo naso con il proprio. Infine lo baciò, delicatamente, un bacio innocente che non aveva paura di donare perché l’aveva già fatto.
-Non posso più stare senza il tuo amore, sarebbe come osservare il vento da una finestra senza poterne percepire il soffio, senza sentirne il profumo -, disse Kibum in un sussurro caldo sulle labbra carnose di Jonghyun.
Questa volta fu Jonghyun a baciarlo, un bacio umido, intenso ed altrettanto dolce che esplorò, caldo, ogni angolo della bocca di Key. Gli succhiò la lingua e le labbra, stuzzicandolo. Key rispose con la stessa intensità, più impacciato ma non per questo meno desideroso. Leccò le labbra carnose di Jonghyun, giocò con la sua lingua, mentre le mani di entrambi affondavano tra i capelli dell’altro.
Quando si staccarono, Key prese il palmo di Jonghyun e lo posò sul proprio cuore.
-Lo senti? – chiese. – E’ il tempo che riprende a scorrere. -
 

 
 



Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento. Se sarete così gentili da lasciarmi un commentino mi farete molto felice ^^.
Vi preannuncio che nel prossimo capitolo rivedremo Heechul. Non avrete pensato che quella serpe se ne sia stata con le mani in mano tutto questo tempo, vero?
Alla prossima! <3
 

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Capitolo 15
*** Capitolo 14. Spoiler ***


Ciao!
Vorrei ringraziare le persone che sono state così gentili da commentare lo scorso capitolo e chi continua a leggere! Ricordo che le opinioni altrui sono sempre ben accette!
Chiedo scusa per possibili errori e buona lettura!
 
 
Capitolo 14
Spoiler
 
 

“Nightmare (My side is for you)
The nights without me (I’ll hitchhike you, who was lost)
Danger to you, who forgot about my existence
Like dynamite, blast it all up”
Shinee, Spoiler


 
 
Lord Kim Heechul s’accostò alla finestra drappeggiata da pregiate tende di seta rossa e oro. Lì, da quella posizione privilegiata del suo palazzo di Busan, poteva osservare la città che si dispiegava ai suoi piedi sino al grande porto commerciale, il principale dell’intero regno di Chosun.
Un terso cielo turchese faceva da sfondo alla moltitudine di navi che entrava ed usciva dall’imboccatura del porto. Le vele, gravide dei primi venti autunnali, biancheggiavano sotto i raggi di un sole luminoso ma freddo.
Il giovane lord incrociò le braccia e fece scorrere lo sguardo sui tetti dei palazzi nobiliari e sulle più modesta abitazioni in legno dipinto con le tegole d’ardesia.
Assottigliò le labbra carnose in un’espressione pensosa. Si preannunciava un inverno rigido che, probabilmente, non avrebbe risparmiato neanche la costa con qualche nevicata. Si portò una mano inanellata alle labbra. I commerci avrebbero avuto dei rallentamenti nei prossimi mesi, prospettiva non ottimale per una città come Busan.
Una folata di vento scosse le vele delle navi e sferzò la superficie del Mar di Chosun, arricciandola in bianca spuma simile ai polsini spumosi che adornavano la camicia del lord.
Kibum ha sempre detestato il freddo, pensò Heechul, quando scenderà la prima neve cercherà in luogo caldo in cui stare.
Sorrise tra sé rendendosi conto dei suoi stessi pensieri. L’immagine del principe era sempre chiara nella sua mente, al punto che più passava il tempo, più rammentava dettagli sciocchi e infantili.
Sto forse diventando sentimentale? Si chiese.
Giocherellò con uno degli anelli d’oro e rubini che portava alle dita, ritornando con la propria mente agli avvenimenti di poche settimane prima, quando pensava che il caldo estivo sarebbe durato ancora a lungo. Rammentava i profumi del roseto del palazzo reale di Soul in modo così vivido che, se solo avesse chiuso gli occhi, avrebbe potuto vederlo, sfiorarne i petali se avesse allungato la mano. Così come avvertire la presenza dell’imperatore, pochi passi davanti a lui, camminare lungo il sentiero di ghiaia del roseto.
Heechul corrugò la fronte. Non appena gli era stato comunicato che l’imperatore desiderava vederlo già presagiva cosa sarebbe accaduto, dopotutto era inevitabile. Tra il profumo delle rose, il sole estivo ed il cinguettio degli uccelli, l’imperatore gli aveva dato momentaneamente il benservito.
-Una cosa dovevate fare, riportare il principe a palazzo e, lasciatevelo dire, mi avete deluso profondamente. –
L’imperatore aveva fatto una pausa, poi si era fermato, mettendo fine allo scricchiolare della ghiaia sotto i suoi piedi.
-Perché non ho ancora notizie? –
-Mio signore – aveva iniziato Heechul utilizzando il tono più contrito che aveva nel repertorio, - vi assicuro che i miei uomini stanno facendo il possibile per ritrovarlo. –
-Forse non stanno facendo abbastanza. Cosa mi dite del prigioniero?-
-La guardia del corpo del principe, Siwon, è sicuramente coinvolto in quanto è accaduto, ma non parla. –
L’imperatore aveva unito le mani dietro la schiena e scosso il capo. – Quella feccia -, aveva detto con disgusto. – Mio figlio è sempre stato troppo indulgente con la plebe e ora l’ha pagato sulla sua stessa pelle. Ha accolto quel parassita ed ecco come è stato ripagato! L’ha venduto a quei…quei banditi. –
L’espressione dipinta sul volto dell’imperatore era astiosa, la fronte corrugata ed il volto arrossato per la rabbia.
Heechul trattenne un sospiro di sollievo. Fortunatamente, l’imperatore credeva ancora che fossero stati i Ribelli a rapire il principe, così come si era bevuto la storia del tradimento di Siwon che ancora languiva nelle prigioni. Heechul aveva riflettuto più volte su cosa farne dell’ex guardia del corpo, ucciderlo gli avrebbe fatto risparmiare molteplici preoccupazioni, ma anche tenerlo in vita poteva avere i suoi vantaggi.
-Li scoveremo, vostra grazia, ve lo garantisco. Non potrei mai lasciare il principe nelle loro mani, sapete quanto sia forte il mio attaccamento a vostro figlio. -
-Sono sempre convinto, lord Heechul, che voi siate la scelta migliore per il principe. –
Heechul aveva chinato il capo in segno di rispetto e sorriso.
-Ma non intendo rinunciare al sangue dei Kim di Soul sul trono di Chosun. Senza il principe, voi non avete alcuna possibilità di regnare, quindi trovatelo. – Aveva detto l’imperatore in tono perentorio.
Heechul aveva trovato al quanto esilarante quell’affermazione. Lo stesso imperatore non aveva una goccia del sangue della famiglia reale dei Kim, si era guadagnato il diritto a regnare sposando la defunta imperatrice che era stata la vera guida del regno sino alla sua morte. In realtà, l’imperatore desiderava che il sangue del suo sangue venisse perpetrato sul trono. Heechul sapeva che l’interesse del regnate per il principe era unicamente legato a questo.
-Vi consiglio di tonare a Busan, la vostra presenza a Soul in mancanza del principe è del tutto superflua. –
-Come desiderate, mio signore – aveva risposto Heechul in un inchino.
- E trovatelo. –
Una folata di vento che scosse il telaio dorato della finestra ad arco lo riportò al tempo presente. Fece scorrere lo sguardo sui lord e sulle lady riuniti nella sfarzosa sala del suo palazzo e seduti lungo il tavolo rettangolare sopra il quale pendeva un grande lampadario di cristalli colorati. 
Heechul si accarezzò il labbro inferiore osservando i presenti uno ad uno. Eccoli, alcuni dei rappresentanti delle più importanti famiglie aristocratiche del regno. Ambiziosi, insoddisfatti, sciocchi, astuti ma non abbastanza ingegnosi o spregiudicati da tentare il colpo che lui, Kim Heechul, intendeva mettere a segno per impadronirsi del regno. Sì, perché Lord Kim Heechul voleva regnare, volente o nolente non avrebbe permesso che nulla, né l’imperatore, né Kibum, si mettessero tra lui e il torno. Desiderava ardentemente Chosun e, sia che l’imperatore decidesse di privarlo del diritto della mano del principe, sia che Kibum tornasse per unirsi a lui, non intendeva aspettare in eterno il momento in cui sarebbe asceso al potere. L’attuale imperatore doveva uscire di scena e Heechul sarebbe stata la lunga mano che avrebbe fatto calare il sipario su di lui.
Le persone lì riunite non erano che pedine, burattini di cui lui intendeva muovere astutamente e sapientemente i fili. Era bastato poco per portarli dalla sua parte. Mezza frasi lasciate in sospeso, osservazioni nei momenti opportuni, frasi dai molteplici sottointesi e promesse appena sussurrate.
-Voi potete garantirci ciò che avete promesso, lord Heechul? – chiese uno dei lord.
Heechul lo soppesò dall’alto in basso. - Certamente, lord Jin. Non è mia abitudine fare promesse che non posso mantenere. Vi assicuro che tutti i vostri sforzi per garantire l’utilizzo e l’efficienza delle miniere di carbone nell’est del regno saranno da me ripagati, a dispetto di quanto invece ha fatto l’imperatore. –
Era una vera fortuna che l’imperatore si fosse sempre considerato al di sopra anche delle promesse che faceva ai nobili, altrimenti sarebbe stato difficile trovarne di disposti a tradirne la fiducia.  Un errore che Heechul non intendeva fare.
-Vorrei ribadirvi, lord Kim, che quello che ci proponiamo di fare è oltremodo rischioso e volgiamo essere sicuri di aver riposto fiducia nella persona giusta. Il fatto che siate il fidanzato del principe non vi conferisce alcun credito attualmente, quanto meno da parte mia. Voglio i fatti, o per meglio dire, i possedimenti che mi avete promesso una volta tolto di mezzo il vecchio imperatore. –
Era stata lady Park a parlare. Heechul aveva un gran rispetto nei suoi confronti e, a dirla tutta, nutriva anche un certo timore perché era l’unica in quella sala sufficientemente astuta da potergli mettere i bastoni fra le ruote.
Lady Park aveva ragione, il fatto di essere il promesso del principe non era un elemento sufficiente a supportarlo, soprattutto se Kibum non era presente, elemento in ogni caso non ovvio visto che aveva sempre palesato un certo disappunto nei confronti dei membri della corte e del consiglio reale, dispensando occhiate gelide e taglienti.
Heechul poteva contare unicamente sul prestigio della propria famiglia, sul suo ingegno, sulla sua astuzia e, soprattutto, sulle promesse che era pronto a fare. Doveva porsi come un’alternativa più favorevole rispetto all’attuale regnante, battendo chiodo su tutto ciò che l’imperatore aveva promesso ma non aveva dato.
-Avrete i vostri possedimenti, lady Park. –
La donna annuì soddisfatta ed i grossi orecchini che le adornavano i lobi tintinnarono.
-Cosa ci dite del principe? – chiese lord Jung sulle spine.
Il grasso lord sembrava titubante, poteva sembrare l’anello debole, ma era sufficientemente ambizioso da non lasciarsi scappare la possibilità di ottenere ulteriori privilegi e comodità. Il suo continuo sudare poteva essere interpretato come paura, in realtà era solo una diretta conseguenza del suo sovrappeso. Inoltre l’attacco che il lord aveva subito, lungo la strada per la sua residenza in campagna, doveva aver costituito motivo di non poco imbarazzo per lui. Nel mondo dell’alta società l’apparenza era tutto, ed un lord trovato a girovagare unicamente in mutande poteva essere un intrattenimento per i salotti ma, certamente, uno scivolone lungo la piramide sociale per il diretto interessato. La domanda di Jung dava voce al timore di altri lì riuniti. Per quanto l’atteggiamento di Kibum nei confronti della corte fosse sempre stato quello che era, era pur sempre l’erede al trono, e nessuno dei presenti voleva correre il rischio d’inimicarselo una volta ucciso l’attuale imperatore, per quanto Heechul si proponesse di essere lui l’unico a detenere le redini del potere per il prossimo futuro. 
Il principe, pensò Heechul con amarezza. Kibum sapeva essere una spina nel fianco anche se non era presente.
- Come vi ho già riferito in precedenza ho il suo benestare per qualunque decisione prenda. –
-Perché non lo si vede da mesi? –chiese lord Jin. – Non che si senta la mancanza della sua lingua tagliente a corte o delle sue occhiate stizzose…-
Il lord tossicò, rendendosi conto che, forse, aveva parlato troppo. Dopotutto si stava sempre riferendo al principe ereditario ed il suo interlocutore era il suo promesso.
-Non vuole essere visibilmente coinvolto, inoltre ha deciso di ritirarsi per un periodo da Soul in attesa della nostra unione. –
I lord e le lady parvero accettare questa semplice risposta e annuirono soddisfatti.
-Quando agiremo? – chiese uno.
-Temo che i tempi non siano ancora sufficientemente maturi. –
Devo avere Kibum tra le mani per agire, o una volta messo in moto il piano non potrò più portare avanti la commedia del suo momentaneo ritiro! Pensò Heechul.
-Attenderemo con ansia delle vostre comunicazioni, lord Heechul. -
 
 
 
 
Un sospiro rilassato e di pura soddisfazione fuoriuscì dalle labbra di Heechul, mentre i sedeva comodamente sul divanetto foderato di velluto rosso. Era stata una mattinata impegnativa quella con i nobili e, ora, aveva tutta l’intenzione di rilassarsi.
Una cameriera entrò silenziosamente posando un vassoio sul tavolino intarsiato da madreperla. Sistemò meticolosamente teiera e tazzine in porcellana e svanì velocemente ad un gesto annoiato della mano merlettata del lord.
Heechul si portò la tazza di tè fumante alle labbra. Se non fosse stato per la scomparsa di Kibum il suo buon umore sarebbe salito alle stelle. Arricciò le labbra per il sapore troppo forte del tè nero e vi aggiunse un goccio di latte, mischiandolo con un cucchiaino dorato. Sorseggiò il tè.
-Lord Kim, chiedo perdono…-
Heechul alzò il capo incontrando il volto porcino di lord Jung fare capolino da oltre la porta.
Perché è ancora qui? Si chiese. Heechul lo invitò ad accomodarsi.
-Cosa posso fare per voi, lord Jung? – disse trattenendo una risata al pensiero di quel maiale in mutande in aperta campagna.
L’uomo s’impasto le mani gonfie e sudaticce. –Avrete saputo del mio incidente, immagino…- disse cercando di trattenere l’imbarazzo.
Heechul annuì.
-C’è una cosa importante che mi sento in dovere di riferirvi. –
-Dite – lo invitò l’altro sorseggiando il tè.
-Quante famiglie ci sono con la vostra abilità, lord Kim? –
Heechul inarcò le sopracciglia. Era una domanda retorica, vero? I Kim di Busan detenevano da secoli l’abilità del fuoco, una delle più potenti del regno. In passato si erano guadagnati grandi onori presso la corte per aver sbaragliato, grazie alle loro capacità, un’invasione proveniente da Nihon.
–La mia, lord Jung, solo la mia. –
-Allora è molto importante che sappiate questo. Lungo la strada, a capo di quei banditi, c’era un giovane che aveva la vostra stessa abilità e, credetemi, sembrava parecchio forte. –
Heechul si rizzò a sedere. Aveva sentito bene?
Maledizione!, pensò. Credevo di averlo ucciso molto tempo fa!
Sul letto di morte, suo padre gli aveva rivelato di avere un fratellastro. Sembrava che il suo vecchio avesse provato del senso di colpa per aver abbandonato per le strade di Busan quel figlio nato fuori dal matrimonio e concepito con una popolana. Senso di colpa che Heechul non condivideva assolutamente. Suo padre si era rimbambito con la malattia, un morbo che aveva contratto in un viaggio in nave nelle isole del sud; perché gli aveva chiesto di trovarlo e prendersi cura del fratello più piccolo.
Ovviamente, Heechul si era messo subito sulle sue tracce, ma con ben altre intenzioni. Non avrebbe mai permesso che un bastardo con una misera goccia del sangue dei Kim di Busan mettesse piede a palazzo come un degno erede della famiglia. Mai! Un mezzosangue cresciuto per la strada, del tutto privo di civiltà e buon gusto! Né poteva permettere che gironzolasse indisturbato. Aveva fatto ribaltare l’intera città pur di trovarlo ed eliminarlo. La sua semplice esistenza rappresentava per Heechul una spina nel fianco ed una possibile minaccia per il suo ruolo di governante di Busan.
-Ne siete certo? – chiese tra i denti.
Già fremeva dalla rabbia e dalla frustrazione.
Lord Jung annuì. – Non potrei mai dimenticarlo, posso fornirvi una sua descrizione dettagliata se lo desiderate. –
-Parlate – lo esortò Heechul.
Quando l’uomo ebbe finito, Heechul non ebbe più dubbi. Era lui!
-Siete stato molto gentile a riferirmelo, lord Jung. Confido che non ne facciate parola con nessuno. – Disse squadrandolo di sottecchi.
Se la notizia fosse venuta fuori, Heechul non osava immaginare le conseguenze. Un tale scandalo era sufficientemente imbarazzante per un qualunque nobile, figurarsi per lui! Lord governante di Busan, promesso compagno dell’erede al trono e, molto presto, imperatore di Chosun. No, non poteva permettersi che le voci circolassero, tanto meno visti i suoi progetti per il futuro. Qualunque nobile accorto sapeva che scalare i vertici dell’aristocrazia era duro, mentre scivolarne alla base era facile e doloroso. Attualmente, con i suoi piani, i suoi complotti, non poteva permettere che un bastardo con una misera goccia del suo sangue interferisse macchiando il buon nome della sua famiglia.  
-Naturalmente. –
Gli occhietti porcini di lord Jung erano ridotti a fessure luccicanti ed Heechul contenne un verso di disprezzo, così come cercò di schermare i propri pensieri. Non era stato di certo il buon cuore di Jung a rivelargli quell’informazione, era ovvio che si aspettava qualcosa in cambio. Uno come Jung, ormai scivolato dai vertici dell’aristocrazia dopo la sua passeggiata in mutande, avrebbe fatto di tutto pur di recuperare un po' di prestigio ed Heechul, in quel momento, rappresentava per lui l’appiglio per riprendere la scalata.
 Heechul sorrise. - Vi posso assicurare che la vostra fedeltà non sarà dimenticata. –
Quando lord Jung se ne fu andato, Heechul si verso altro tè. Si sentiva la gola riarsa e la testa gli martellava.
Le ultime notizie che aveva del suo fratellastro risalivano a più di cinque anni prima, quando uno dei suoi cavalieri l’aveva inseguito nella zona del porto in una notte di tempesta e, qui, il mezzosangue si era gettato in mare per fuggire. Heechul ricordava molto bene quella notte, dalle finestre del palazzo aveva assistito ad una burrasca tale che sarebbe sopravvissuta negli annali. Le onde erano state così alte che avevano affondato navi e distrutto pontili. Come aveva fatto a sopravvivere quel bastardo? E a quanto pareva si era unito ai Ribelli. Sia lui che Jung sapevano chi erano quei banditi, attaccavano sempre lungo quelle strade.
Gli occhi di Heechul divennero braciere incandescenti. Del fumo s’alzò dalla tazza di tè e l’aria si fece calda. Un miagolio soddisfatto stemperò la sua rabbia e il giovane lord volse il capo in direzione del suono, incontrando la figura elegante di un gatto grigio blu.
-Heebum – disse sorridendo.
Il felino emise un altro miagolio saltando sulle ginocchia del proprio padrone e facendo tintinnare il campanellino dorato che portava al collo, appeso ad un nastro scarlatto. Heebum alzò gli occhi giallognoli in cerca d’approvazione, prima di accoccolarsi sulle gambe di Heechul e fare le fusa.
-Dove sei stato tutta mattina? A caccia? –, chiese Heechul passando le mani inanellate sul manto grigio e lucido del felino.
Sospirò, rilassando la schiena sulla testata imbottita del divano.
-Anche io ho una caccia intensa da condurre – sussurrò con un mezzo sorriso. –Devo eliminare una volta per tutte quel mezzosangue, non sei d’accordo? – domandò al felino senza ottenere risposta.
Che l’altro fosse consapevole o meno di essere figlio del defunto lord regnante di Busan gli era del tutto indifferente, aveva il suo sangue e questo a suoi occhi era una minaccia sufficiente alla sua persona.
-E poi devo riprendermi il dolce Kibum. – Istintivamente, Heechul si passò la punta della lingua sulle labbra carnose.
Heebum gli mordicchiò un dito per poi leccarlo con la linguetta rosa e ruvida.
-Ti ricordi di lui, non è vero, Heebummie? E’ stato un micio cattivo e quando tornerà a casa dovremmo insegnarli a comportarsi come un bravo gatto domestico, proprio come te. -
Heebum miagolò in tono d’approvazione. Che fosse per le carezze o per le parole del padrone non si poteva dire, ma ad Heechul piaceva pensare che fosse per la seconda opzione.
 
 
 
Sull’opulenta città portuale di Busan era calata la notte, limpida e fredda quanto le stelle che ne rischiaravano il cielo. Il profumo della salsedine, trasportato dal vento, penetrava attraverso la finestra semi aperta della camera da letto di Heechul. La stanza era immersa nelle ombre notturne, nascondendo alla vista il marmo e l’oro che l’adornavano, solo il letto a baldacchino dal tendaggio scarlatto, che sembrava fluttuare nell’oscurità, primeggiava al centro dell’ambiente appena delineato dalla luce metallica della luna. Le tende rosseggiarono nell’oscurità e, appena sospinte da quell’aria fredda che sapeva di sale, rivelarono i movimenti contorti di corpi che si univano in ansiti appena soffocati.
Heechul si staccò dal corpo flessuoso sotto di lui in un fruscio di seta e, prima di mettersi a sedere, portò il volto del ragazzo al suo affondando la lingua vogliosa nella bocca dell’altro. Il giovane mugugnò, strappando ad Heechul un sorriso soddisfatto. Il lord passò le dita tra i capelli neri del ragazzo, accarezzandogli poi il volto sino al mento e mordicchiandogli il labbro inferiore.
Il giovane emise una risatina, gli occhi ancora lucidi per il piacere. Lo stesso sguardo di Heechul era languido e corse avido sul corpo del giovane, mentre questi si rotolava tra le lenzuola mettendosi a pancia in giù ed abbracciando uno dei cuscini imbottiti di piume d’oca. I raggi freddi della luna autunnale penetravano nella finestra, illuminando quella figura flessuosa che giaceva tra le coperte di bianca seta che la coprivano sino ai fianchi, lasciando tuttavia ben poca immaginazione a ciò tentavano di nascondere. Il ragazzo affondò il volto nel cuscino e abbassò le palpebre.
Heechul passò la punta dell’indice lungo la spina dorsale dell’altro e sorrise inarcando leggermente l’angolo della bocca. Per quanto cambiare costantemente amante rientrasse nelle sue abitudini, doveva riconoscere a sé stesso che negli ultimi tempi erano tutti stereotipati. Pelle nivea, capelli scuri, occhi sottili…che fosse a Soul o a Busan li cercava nelle case di piacere più altolocate. Ma, per quando leggiadri e costosi, non erano che pallide imitazioni di ciò che realmente desiderava. Baciò la schiena del ragazzo.
Quella pelle non conservava sufficientemente il candore e la perfezione del marmo, quei capelli neri non avevano la stessa luminosità e, quelle labbra, a confronto di quelle che agognava, non erano che mediocri petali di rosa.
Heechul si alzò e s’infilò una veste da camera rossa dalla bordatura oro, poi raggiunse l’anticamera dove prese posto su un’ampia poltrona. Si passò le dita sulle labbra ripensando all’attimo in cui era arrivato molto vicino a conquistare le labbra a cuore di Kibum. Poteva ancora avvertire la loro morbidezza sulla punta del pollice. Che le sue palpebre fossero alzate o abbassate, rivedeva con un misto di orgoglio ed eccitazione gli occhi magnetici del principe spaventati dal suo approccio.
Lo voleva. Sin da quando erano bambini lo aveva corteggiato con ogni genere di lusinga per ottenere la possibilità del dono della sua mano, poi erano cresciuti e così la bellezza di Kibum era sbocciata come un delicato fiore di ciliegio in aprile. Da anni lo desiderava, desiderava quella bellezza, quel corpo innocente e perfetto. A lungo avevo sostato all’ombra di bianche colonne di marmo per osservarlo, seguendolo con sguardo bramoso. Voleva possedere quel corpo e quella purezza, farlo suo, sentirlo sotto di sé mentre i loro corpi si univano in puri ansiti di piacere tra il fruscio della seta. Agognava quelle labbra dolci ed invitanti. Voleva toccare quella pelle inviolata, afferrare quei fianchi morbidi per condurre un gioco che sapeva di passione e peccato. E ci era arrivato molto vicino. La mano del principe gli era stata offerta su un piatto d’argento. Rammentava chiaramente la figura di Kibum stesa sulla seta bianca e blu che drappeggiava il letto del principe, simile ad una bambola addormentata che poteva essere risvegliata solo da un bacio. Tutto ciò che desiderava era stato innanzi a lui, un fiore pronto ad essere colto, eppure era scivolato via.
Oh Bummie, dovevi solo cadere tra le mie braccia e non avresti avuto alcun pensiero al mondo…,sospirò tra sé.
Chiedeva tanto, dopotutto? Gli avrebbe concesso ogni ricchezza, ogni privilegio e comodità consoni al suo rango, tutto ciò che l’altro doveva fare era lasciargli le redini del comando e scaldargli letto come un bravo micio ubbidiente.
Ma Kibum era, ed era sempre stato, selvaggio e capriccioso. Una rosa splendida e spinosa che tutti desideravano cogliere ma che a nessuno era concesso di farlo. Questo era uno dei motivi per cui il principe si era inimicato la corte ed il consiglio reale. Tutti, dal primo all’ultimo, avevano cercato di ottenere il suo favore, ma il principe li aveva sempre respinti con freddezza e disappunto.
Oh, anche Heechul aveva subito lo stesso destino in molteplici occasioni, ma aveva perseverato. Perché Kibum era potere e bellezza, due cose che Heechul desiderava fare sue ad ogni costo.
Sino a quel momento la sfida era stata avvincete e appagante, ma come ogni sfida che si rispetti doveva esserci un vincitore ed Heechul odiava perdere. Era stato divertente, certo, le frecciate di Kibum erano sempre state per lui motivo di ilarità e frustrazione al contempo, ma quella caccia doveva avere fine e poteva avvenire in un unico modo, ovvero con l’altro tra le sue braccia.
Qualcuno bussò alla porta ed Heechul alzò gli occhi domandandosi chi osasse disturbalo nel cuore della notte. Non appena ebbe concesso il permesso d’entrare, Kyuhyun apparve sulla soglia.
Il cavaliere s’inchinò con rispetto e gli occhi di Heechul s’illuminarono.
-Lo hai trovato? E’ qui? –
Kyuhyun deglutì e si rialzò, tenendo però lo sguardo basso. –Mio signore, vi assicuro…-
Heechul scattò in piedi, furioso. –Che cosa fai qui, dunque? Giungi nel cuore della notte per portami, cosa? Niente?! –
Kyuhyun era un filo di nervi, sapeva che sarebbe iniziata così. Ne aveva decisamente abbastanza di dare la caccia ad un ragazzino viziato perché il suo padrone potesse divertirsi tra le lenzuola. Che si prendesse il torno e la facesse finita! Fosse stato per il cavaliere avrebbe preso il principe per rinchiuderlo in un sacco e gettarlo nell’Han, ma teneva troppo alla sua testa per gettarsi in un’impresa simile. Heechul sarebbe stato capace di spiccargliela con le sue stesse mani.
Heechul aveva iniziato a passeggiare freneticamente per la stanza.
-Prima mi porti un cane da guardia e poi torni a mani vuote. La prossima volta cosa mi porterai? Te lo dico io, la tua stessa testa su un piatto d’argento che io stesso mi sarò premurato di reciderti!  -
Ecco, pensò Kyuhyun che già presagiva una minaccia di morte.
-Non sarei mai tornato a mani vuote se non avessi avuto delle informazioni di grande importanza da riferirvi, mio signore. –
L’altro lo fulminò.
-Allora parla. –
Kyuhyun si schiarì la voce. – Ho incontrato il principe lungo la strada sud, l’avevo quasi preso ma…-
-Ti è sfuggito da sotto il naso – concluse Heechul, gli occhi che gettavano lampi.
-Non era solo, mio signore. Qualcuno lo ha aiutato e posso dirvi con certezza che viaggiava con almeno altre tre persone. –
Interessante, pensò Heechul.
-Ma non è tutto, ed è per questo che sono tornato da voi. Sono riuscito a seguire le loro tracce lungo la strada sud fino al territorio di Gwangmyeong, dove però s’interrompono bruscamente per tornare a nord. –
Nord, pensò Heechul, perché mai Kibum dovrebbe tornare a nord dopo essersi spinto verso sud per lasciare il regno?
-Le tracce passano volto vicino a Soul e procedono lungo il fiume sino a perdersi non molto lontano dal villaggio di Hanamsi. –
Heechul si massaggiò le tempie. Che cosa stava combinando il principe?
-Hai detto che non era solo? –
-Sicuramente tre persone, ma posso azzardare su una quarta. Quando l’ho visto al villaggio di Chemulpo era con loro, non so da quanto tempo si spostasse in loro compagnia, ma posso affermare con certezza che da quel punto in poi hanno proseguito la strada insieme, prima a sud e poi sono tornati a nord. –
Quella zona lungo il fiume, le strade ad essa connesse, il villaggio Hanamsi…Heechul con poté fare a meno di collegare le cose.
-I Ribelli – sussurrò.
Kyuhyun annuì. – Per questo sono tornato, ovunque si nascondano quei banditi è da quelle parti e mi è parsa una coincidenza troppo…-
Heechul lo bloccò con un gesto della mano. – Hai fatto bene a riferirmelo di persona, affidare una simile informazione a della carta poteva essere pericoloso. –
Kyuhyun tirò un sospiro di sollievo, anche per quella volta aveva salva la pelle.
Heechul rifletté. Possibile che Kibum fosse stato davvero rapito dai Ribelli? Forse era a sua insaputa entrato in contatto con loro che scoperta la sua identità avevano pensato bene di farlo prigioniero. Per quei fuorilegge avere il principe ereditario tra le mani doveva rappresentare un bel colpo di fortuna, capace di aprire loro la strada per la capitale ed il palazzo reale di Soul.
-Si è più mosso da quella zona? –
-Non ho individuato altre tracce, deve essere ancora nei dintorni di Hanamsi. –
-Torna là, voglio che tu tenga sotto controllo il villaggio e le zone limitrofe. -
Heechul non riuscì a non trattenere una risata. Quale ironia della sorte!
Non era solo la possibilità che le sue menzogne si fossero trasformate in realtà a renderlo così ilare, ma anche quella di poter prendere due salmoni con la stessa esca.
Il suo fratellastro militavi tra quella plebaglia e il principe sembrava proprio essere caduto nelle loro mani. Davanti a lui s’apriva una prospettiva interessante, capace di rendere tutti i suoi problemi risolvibili in un colpo solo. Gli bastava scovare una delle sue prede per ottenere tutto ciò che voleva e anche di più! Se lui, lord Kim Heechul, si fosse macchiato del vanto di aver sconfitto i Ribelli, nulla avrebbe potuto arrestare la sua ascesa al trono. E, forse, Kibum sarebbe finalmente caduto ai suoi piedi.
Povero, dolce Bummie, pensò, tutto solo nel freddo inverno nelle mani di quegli zotici. Presto mi rimpiangerai e tutto ciò che desidererai sarà tornare da me.
Rise di gusto.
 
 
***
 
 
Key aprì gli occhi ancora assonnati, riconoscendo intorno a sé la stanza di Jonghyun. A differenza di quella di Taemin, il disordine che vi regnava aveva tutto sommato un certo ordine prestabilito. Sin da quando aveva messo piede lì per la prima volta, dopo la festa del Chuseok, aveva ammirato i dipinti appesi alle pareti, in particolare quello di un paesaggio innevato dove però campeggiava un ciliegio in boccio dai tenui colori rosati.
Il ragazzo sbadigliò rotolandosi sull’alto materasso e andando a posare il viso sul petto nudo di un Jonghyun ancora profondamente addormentato. Key sorrise osservando le palpebre abbassate dell’altro sul cui volto, anche nel sonno, aleggiava un sorriso rilassato.
Dalla sera del Chuseok passavano tutte le notti nella stanza del più grande e all’inizio era stato molto imbarazzante. Benché fosse stato l’istinto quella sera a condurli lì, le mani intrecciate mentre attraversavano i corridoi, Key non aveva avuto idea di cosa aspettarsi una volta varcata quella soglia. Che cosa si aspettava Jonghyun da lui? Mille pensieri imbarazzanti avevano attraversato la mente di Kibum.
-Non voglio fare niente di strano, Jong – aveva detto titubante.
In tutta risposta, l’altro era scoppiato a ridere moltiplicando l’imbarazzo e il rossore sul viso del più piccolo.
-Che cosa intendi per strano? –, aveva chiesto Jonghyun con sorriso sornione.
Kibum aveva incrociato le braccia e pestato un piede per terra, volgendo lo sguardo altrove. –Hai capito. –
Jonghyun lo aveva preso teneramente per le spalle rivolgendogli un sorriso rassicurante. – Voglio solo dormire tra le tue braccia e con te tra le mie. E baciarti, se vorrai –
Kibum lo aveva abbracciato affondando il viso nel suo collo. – Voglio. Dammi tutti i baci che vuoi. –
Da quel momento avevano passato ogni singola notte l’uno tra le braccia dell’altro. Certo, la situazione sarebbe stata meno imbarazzante per Kibum se l’altro non avesse dormito sempre mezzo nudo, con solo l’intimo a coprirlo, causandogli costantemente del rossore sulle guance. Inutile dire che il più grande ne era perfettamente consapevole e sembrava bearsene, non facendo nulla per alleviare l’imbarazzo di Kibum, anzi…
-Bhe, certo che invece tu potresti spogliarti un po' -, gli aveva fatto notare Jonghyun.
In tutta risposta Kibum gli aveva lanciato un cuscino in faccia. Il suo abbigliamento era più che consono! Oltre all’intimo aveva quanto meno la decenza di coprirsi anche con una camicia morbida lunga sino a metà coscia.
Key osservò il volto dormiente dell’altro passando delicatamente le punte delle dita sui suoi lineamenti, mentre il petto di Jonghyun si alzava ed abbassava regolarmente sotto le lenzuola che lo coprivano sino alle clavicole. Key si strinse di più al corpo caldo di Jonghyun, intrecciando le loro gambe sotto le lenzuola.
Era bello dormire con l’altro, si sentiva al sicuro e al caldo come se l’inverno, lì, non potesse mai raggiungerlo.
Provò il forte desiderio di baciarlo e lo fece. Posò le labbra sullo zigomo di Jonghyun, sulla guancia, sul mento, discendendo poi lungo il collo con scie umide e calde, sino a raggiungere un piccolo neo tra le clavicole ed insistendo con la lingua in quel punto.
Jonghyun mugugnò nel sonno, ma sembravano più lamenti infastiditi che di piacere. Key alzò lo sguardo tenendo il mento posato sul petto dell’altro. Jonghyun mugugnò ancora corrugando la fronte, gli occhi sempre chiusi.
-Jong? – lo chiamò.
Key risalì sino al volto del più grande per andare a succhiargli il labbro inferiore. Jonghyun aprì gli occhi sbattendo le palpebre, confuso.
-Key? –
Kibum lo fissò. –Hai avuto un incubo? – chiese.
Jonghyun sorrise. – Ora non più – disse con voce calda e leggermente impastata dal sonno. Si mise a sedere, sollevando il cuscino che aveva sotto il capo per posarvi la schiena, poi fece passare le braccia intorno alla vita del più piccolo.
-E’ da molto che sei sveglio? –
Key scosse il capo. – Solo qualche minuto. –
Strano mondo quello dei sogni, pensò Jonghyun scuotendo il capo.
Il suo inconscio l’aveva riportato a Busan. Da quanto tempo non pensava alla sua città natale? Aveva avvertito l’odore salmastro del mare penetrargli prepotentemente nelle narici, udito l’ululato del vento e percepito le sferzate di una pioggia torrenziale che gli frustava la schiena, mentre correva lungo un molo più simile ad un trampolino sull’ignoto. Sopra di lui incombeva una notte senza luci, onde immense pronte ad inghiottirlo.  Gli sembrava di aver corso lungo quel molo per tutta la notte, invece era stato solo per una manciata di secondi. Nei sogni, lo scorrere del tempo era davvero ingannevole.
Perché aveva come l’impressione che un’onda funesta fosse pronta a sommergerlo?
Guardò Key che lo fissava interrogativo e gli accarezzò il volto prima di baciarlo, desideroso di assaporare sin dal primo mattino il sapore dolce della bocca del più piccolo. Jonghyun aveva scoperto che le labbra di Key potevano essere una vera ossessione, una volta provate resistervi era quasi impossibile, solo guardarle poteva essere una tortura. Si staccò, accarezzandole con il polpastrello del pollice.
Era difficile dormire con Key, difficile e al contempo bellissimo. Ogni volta che guardava la sua figura riposare tra i cuscini desiderava fare l’amore con lui, eppure non osava spingersi oltre i baci e gli abbracci. Portare Key a confessare i suoi veri sentimenti era stato già abbastanza complicato e non voleva mandare tutto all’aria tentando mosse azzardate. Lo voleva completamente, ma era disposto ad aspettare quanto l’altro desiderava.
Non voglio vederlo fuggire di nuovo come una lepre all’ora del tè, pensò.
Tutto sommato era un bene che l’altro si ostinasse ad indossare quella stupida camicia o, davvero, per Jonghyun resistere alla tentazione sarebbe stato davvero un problema. Il solo intravedere una spalla o il profilo delle gambe snelle di Key bastava ad eccitarlo.
-Sei sicuro che vada tutto bene? – domandò ancora Kibum.
Jonghyun annuì e scostò delle ciocche corvine dalla fronte dell’altro.
-Ho come la sensazione che il tuo volto sia ogni giorno più luminoso – disse.
Kibum inclinò il capo. –Cosa vuoi dire? –
-Per quanto i tuoi occhi fossero luminosi c’erano sempre delle ombre, poi hanno iniziato a diradarsi, ed ora anche l’ultima che vedevo è svanita. –
-E’ vero –, disse Kibum accarezzando la guancia dell’altro con la propria.
Jonghyun gli prese il mento per guardarlo dritto negli occhi e sorrise sghembo. –Non posso fare a meno di domandarmi se non sia a causa mia. –
Kibum roteò gli occhi. – Se davvero pieno di te, Kim Jonghyun, e già di prima mattina. –
Il sorriso soddisfatto di Jonghyun s’allargò. – Oh, quindi ho ragione. –
-Non l’ho detto. –
-Il tuo futile tentativo di sviare l’argomento parla da sé. –
Kibum sbuffò. –Non l’ho detto -, ribadì.
-Dillo. –
-Mai. –
-Ti convincerò ad ammetterlo e poi mi dirai che sei pazzo di me -, disse schioccandogli un bacio sulle labbra e tenendogli il mento.
Kibum voltò il capo dall’altra parte con fare stizzoso. 
-Se hai intenzione di convincermi con dei baci, sappi che non ho nessuna intenzione di cedere. –
Prese il volto di Jonghyun tra le mani sfregando il suo naso su quello dell’altro.
- Me li prenderò tutti -, sussurrò, - dal primo all’ultimo e non dirò nulla, solo per averne ancora, ancora e ancora…-
Le parole volutamente provocatorie del principe si posarono in un soffio caldo sulle labbra carnose di Jonghyun che sorrise beato.
-Oh, che bambino egoista e viziato –, disse con finta amarezza nella voce.
-Tanto lo so che questo lato di me ti piace. –
-Ogni tuo lato mi piace. –
Kibum arrossì intuendo il sottointeso. - Idiota…-
- Ma chi ti dice che io voglia convincerti con dei baci? Conosco metodi molto più persuasivi, mio piccolo spocchioso, e so per certo che sei molto sensibile…-
Kibum cercò di sgusciare via dall’abbraccio del più grande con occhi allarmati, ma Jonghyun fu più veloce e con uno scatto lo imprigionò sotto di sé tenendolo per i polsi. Kibum deglutì avvertendo una strana eccitazione pervadergli le membra, mentre il corpo di Jonghyun pesava su di lui.
 -J-Jong…- disse flebilmente.
-…al solletico – concluse Jonghyun.
Kibum sbarrò gli occhi, agitandosi ancora di più. –Non farlo – miagolò.
Jonghyun sorrise minaccioso e, prima che l’altro avesse il tempo di reagire, mise in atto le sue stesse parole. Kibum scalciò e si dimenò pur di fuggire a quella tortura, mentre entrambi si rotolavano tra cuscini e lenzuola in un groviglio di corpi e risate.
-Jong, ti prego, smettila! – disse ridendo, ormai con le lacrime agli occhi.
-Prima dovrai soddisfare la mia richiesta. –
Kibum scosse il capo, il volto affondato tra i cuscini.
-No? Allora dovrai soffrire – gli sussurrò mellifluo.
Jonghyun riprese a fargli il solletico e, in quella lotta disperata, cuscini colorati volarono letteralmente sul pavimento ricoperto da un tappeto decorato da complessi arabeschi. Alla fine, entrambi avevano il fiatone come se avessero sostenuto una lunga corsa.
Jonghyun guardò il volto di Key sotto di lui. Per lui, la vera tortura era resistere alla tentazione di farlo suo lì, ora. Per quanto l’eccitazione fosse chiara sul viso di entrambi, Jonghyun non osava addentrarsi in quel territorio inesplorato che era l’intimità di Key. Qualunque mossa, qualunque gesto affrettato poteva rivelarsi fatale.
Key affondò le dita tra i capelli castani dell’altro, avvicinando ancora di più i loro volti.
-Sono pazzo di te – gli soffio sulle labbra.
Jonghyun sorrise dolcemente rotolando di fianco al più piccolo, stringendolo sempre in un abbraccio protettivo e posandogli un bacio sulla fronte.
Kibum era felice come non lo era mia stato in vita sua. Tutto era semplicemente perfetto e, nella sua mente, niente e nessuno poteva mettere fine a quell’idillio. Era libero, amava ed era amato, non c’era nient’altro che il principe potesse desiderare. Le ombre ed il gelo che avevano avvolto il suo cuore, oscurato ed impietrito i suoi occhi, erano svaniti. L’inverno, per quanto gelido, non poteva sfiorarlo perché lui era al caldo e al sicuro tra le braccia di Jonghyun. Kibum viveva in un sogno meraviglioso perché quel sogno era la sua stessa realtà. Luminosa, limpida e perfetta.
 
 
 

Spero che il capitolo sia piaciuto! Come già preannunciato probabilmente non riuscirò più ad aggiornare con la solita regolarità, ma farò il possibile! In ogni caso cercherò di non farvi aspettare troppo!
Se vorrete lasciarmi un commentino mi farete molto felice ^^
A presto!
 
 
 

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Capitolo 16
*** Capitolo 15. Winter should be warm ***


Ciao a tutti! Questo capitolo è relativamente tranquillo e spero sia una lettura piacevole! Ringrazio chi commenta sempre, chi continua a leggere e chi ha inserito la storia tra seguite, preferite e da ricordare.
Buona lettura!
 
 
Capitolo 15
Winter should be warm
 
 
 
Jonghyun camminava per i corridoi del Rifugio, lo sguardo alto e un sorriso sognante e soddisfatto sul volto. Si sentiva il padrone del mondo e onnipotente, come se nulla potesse mettersi sulla sua strada ed arrestare il suo cammino.
-Guarda dove dannatamente metti i piedi! – disse il rosso Jaehaw scivolando di lato per non essere investito dal passo deciso dell’altro.
-Yah Kim Jonghyun! – lo richiamò.
Ma Jonghyun passò oltre non dando segno di averlo notato o sentito. Il ragazzo più giovane lo guardò grattandosi il capo e inarcando le sopracciglia. Nelle ultime settimane, Jonghyun sembrava diventato più pazzo del solito. Jaehaw scosse il capo e proseguì anche lui per la propria strada.
Non vi era nulla in quel momento che potesse turbare la mente di Jonghyun. Probabilmente se avesse fatto una passeggiata lungo il fiume vi sarebbe finito dentro, tale era il suo livello di distrazione. D’altra parte, come poteva guardare dove metteva i piedi quando tutto scorreva liscio davanti a lui? Negli ultimi anni aveva assaporato molti momenti di felicità, ma quello che stava vivendo ora li superava tutti. Ogni mattina si svegliava con il corpo caldo di Key al suo fianco, così come ogni giorno iniziava a finiva con un bacio che conservava sempre quel sapore dolce e perfetto. Lo stesso profumo del più piccolo aleggiava intorno a lui anche quando l’altro non era presente, come se facesse parte di lui.
Jonghyun aveva passato l’intera mattinata ad allenarsi e non aveva grandi impegni per il resto della giornata, quindi, quale prospettiva era migliore del fare un’imboscata a Key e rapirlo per l’ora di pranzo?
Dopotutto, pensò, Jinki deve concedergli delle pause.
A volte si sentiva quasi in colpa. Key era nuovo eppure era sommerso di lavoro, sembrava che Jinki non intendesse dargli un attimo di tregua. Il tempo che non passava nello studio del Leader lo impiegava in biblioteca a svolgere assurde ricerche su mobili, tappeti, ceramiche, per poi passare a questioni d’irrigazione, strade, organizzazione delle miniere e studi geologici…da dove fossero saltati fuori quei volumi Jonghyun non ne aveva idea, ma tutto ciò che riguardava Jinki ed i suoi piani non aveva mia avuto molto senso per lui, se non quando ne vedeva i risultati finali. A quel punto era molto più facile rimettere insieme le tessere del mosaico.
Assurdo! Pensò.
Tutto sembrava perfetto come non lo era mai stato, l’unica cosa contava per lui in quel momento era stringere Key tra le sue braccia. Poteva esserci qualcosa di più bello al mondo? Ne dubitava. Da quando stava con il più piccolo si sentiva appagato, come avvolto in una coperta calda e dal profumo dolce. Nella sua vita parole come fiducia, amicizia non erano mai esistite; vivere in strada significava non avere nessuno su cui contare. Era stato Minho a fargli capire cosa fosse l’amicizia e poi grazie a Jinki e a Taemin aveva scoperto il significato di lealtà. Ma mai aveva provato amore, tanto meno era stato amato e le su tante avventure non erano state altro che il disperato tentativo di trovare momentaneamente rifugio tra braccia umane, appagando in realtà bisogno più del corpo che dell’anima. Ora tutto era cambiato, Key aveva stravolto la sua vita donandogli un calore che riposava delicatamente sul suo cuore, simile allo sbattere leggero delle ali di una farfalla. Jonghyun si sentiva vivo come non lo era mai stato.
L’atmosfera in biblioteca era fin troppo tranquilla, come se un fantasma dovesse spuntare da un momento all’altro. Se non fosse stato che Jonghyun sapeva di trovare lì Key, probabilmente avrebbe interpretato i suoni che provenivano da quel labirinto di carta e legno come la presenza di topi. Key era impegnato a spostare tomi su tomi dagli scaffali ad un tavolo appena sotto di lui, facendo su e giù da una scala scricchiolante che dava l’impressione di sfracellarsi a terra da un momento all’altro.
L’ultima volta che Jonghyun l’aveva visto così era stato settimane addietro quando, titubante e con i nervi a fior di pelle, gli aveva chiesto di andare con lui alla festa. Nemmeno nei suoi sogni più fervidi poteva immaginare che il finale di quel continuo rincorrersi fosse la grazia di quelle labbra a cuore sulle sue ogni volta che desiderava.
Key non l’aveva sentito arrivare e solo quando scese dalla scala traballante con due grossi tomi in mano si accorse della presenza del più grande.
-Oh – fece sbattendo le palpebre, - da quanto sei qui? –
-Non abbastanza – sogghignò Jonghyun accarezzandogli il volto.
Le guance di Key si tinsero subito di toni rosati, moltiplicando la soddisfazione dell’altro. Per Jonghyun era bello sapere che, per quanto fosse attratto da Key, anche l’altro provava una forte attrazione nei suoi confronti.
Key si schiarì la voce distogliendo lo sguardo e posando i volumi sul tavolo.
-Guarda – disse indicando con un gesto della mano le pile di libri intorno a lui, -la maggior parte mi è caduta in testa. –
Il più piccolo arricciò il naso ed incrociò le braccia, lanciando un’occhiata indispettita ai libri. Jonghyun rise, poi intrappolò l’altro contro il tavolo.
-Che cattivi, vuoi essere consolato? – disse prendendogli il mento.
-Uhm – fece Key alzando gli occhi al cielo. – Forse. –
Jonghyun non se lo fece ripetere due volte portando il volto del più piccolo al proprio, mentre con un braccio gli circondava la vita.
Kibum mugugnò mentre Jonghyun lo baciava. Ogni volta che i loro corpi si sfioravano, le loro bocche s’incontravano, Kibum avvertiva sempre quello strano magnetismo, l’aria elettrica…aveva sempre pensato che con il tempo quel senso di stordimento sarebbe svanito, ma no, non era che peggiorato. L’unica differenza era che ora riusciva a godere di quelle strane sensazioni senza esserne spaventato. Era perché si amavano o perché le loro abilità creavano una sorta di connessione tra di loro? O entrambe le cose? In realtà non aveva più molta importanza. Lo amava e basta. Kibum si strinse di più al corpo dell’altro lasciando che Jonghyun esplorasse ogni angolo della sua bocca. Non provò nemmeno a reagire in qualche modo, sapeva che quando il più grande lo baciava con tale impeto stargli dietro era impossibile, così preferiva crogiolarsi tra le sue braccia.
Alla fine Jonghyun si staccò e Kibum poté finalmente essere lui a torturarlo, succhiandogli le labbra e tirandole con dei piccoli morsi, finché non si sciolse da quell’abbraccio per tornare ad arrampicarsi sulla scala.
-Ho un mucchio di lavoro da fare – disse.
Jonghyun afferrò le gambe della scala, aveva davvero l’impressione che potesse cadere da un momento all’altro e Key con essa.
-E’ per quell’incarico al villaggio, ricordi? – proseguì Key, l’entusiasmo che gli si leggeva nel tono della voce.
Jonghyun sorrise. Key gliene aveva parlato una miriade di volte, sapeva quanto era felice per il compito che gli aveva affidato Jinki ad Hanamsi. Il più piccolo si buttava anima e corpo in tutto ciò che faceva, non importava quanto fosse difficile. Si perse a fissarlo, mentre nuvolette di polvere volteggiavano intorno a Key depositandosi sul suo capo corvino. Jonghyun sogghignò quando i suoi occhi deviarono sui glutei del più piccolo.
-Jonghyun? –, fece la voce interrogativa di Key non ottenendo risposta.
Jonghyun si riscosse diventando paonazzo quando incontrò lo sguardo indispettito del più piccolo.
-Kim Jonghyun, non mi starai fissando il fondoschiena? – domandò tra i denti.
Kibum non sapeva se sentirsi adirato, imbarazzato o lusingato. Probabilmente tutti e tre gli stati d’animo dovettero passargli sul volto perché anche l’espressione di Jonghyun era indecifrabile. Passò dal puro terrore, per quanto a volte fosse sciocco non lo era sino al punto d’incappare nelle ire del più piccolo; al divertito e al soddisfatto.
Jonghyun fece un sorriso sghembo. – Mi sembrava di averti già detto che ogni lato di te mi piace – disse con voce calda e provocante.
Il principe scese di gran carriera dalla scala e gli diede un libro in testa.
-Yah! – si lamentò l’altro massaggiandosi il capo.
-Scemo con la testa vuota. E’ per questo che sei venuto qui?- domandò incrociando le braccia.
-Per quanto sia letteralmente una prospettiva invitante…-
Kibum lo fulminò.
-Sono venuto a salvarti da polvere e muffa, è quasi ora di pranzo e ho fame. –
Jonghyun lo abbracciò da dietro. – Andiamo in camera mia e mangiamo qualcosa – gli sussurrò sul collo.
Tuttavia, il sussurrò si tramutò in un posarsi di labbra carnose sul collo candido di Key, uno sfiorare leggero che si fece man mano più insistente ed umido. Kibum si ritrovò di nuovo a mugugnare con piacere e disappunto al contempo, ben immaginando il ghigno di compiaciuto che doveva animare il volto di Jonghyun.
-N-non volevi pranzare? - chiese Key, il fiato corto per l’eccitazione.
Perché l’altro gli faceva sempre quell’effetto? Aveva sempre l’impressione che la sua bussola emotiva impazzisse e la sensibilità del suo corpo si moltiplicasse.
-Lo sto già facendo – disse la voce calda di Jonghyun.
Le labbra del più grande risalirono il collo di Key leccandogli il lobo dell’orecchio e provocandogli un brivido lungo la schiena premuta contro il petto dell’altro. Kibum ripiegò un braccio sopra di sé cercando il capo di Jonghyun e affondando le dita tra i suoi capelli, mentre l’altra mano correva al polso del più grande che, ora, lo avvinghia in un abbraccio possessivo stringendogli i fianchi.
Jonghyun stava per staccarsi quando una voce squillante lo fece sobbalzare.
-Cosa stai facendo alla mia umma, Kim Jonghyun?! –
Il ragazzo sbatté le palpebre, confuso, quando un tomo voluminoso gli venne letteralmente scaraventato in testa.
-Yah, Taemin! –
Sembrava che tutti quel giorno avessero deciso di prenderlo a libri in testa. Si massaggiò il capo rivolgendo uno sguardo astioso a Taemin.
-Hai idea di quanto tu mi abbia fatto male? –
Taemin fece spallucce. –Quel tuo testone è già abbastanza compromesso, fidati, non potrai mai stare peggio di così. –
Key ridacchiò portandosi una mano alla bocca e Jonghyun parve tranquillizzarsi. Solo allora Jonghyun notò la presenza di Minho e corrugò la fronte. La bocca di quello spilungone era atteggiata in un mezzo sorriso che la diceva lunga su quelli che dovevano essere i suoi pensieri.
-Jinki vuole vederci – disse Minho.
-Ora? – chiese Jonghyun.
-No, domani mattina. Certo che vuole vederci ora. –
-Io avrei fame…- disse rammentandosi di essere stato afflitto dai crampi allo stomaco sino a poco prima.
-Tsk – fece Taemin, - lo so io di cos’hai fame. –
Jonghyun gli lanciò un’occhiataccia, mentre Key abbassavo lo sguardo, imbarazzato.
Lungo la strada per lo studio di Jinki, Kibum non poté fare a meno di domandarsi cosa volesse il Leader per chiamarli tutti così all’improvviso. Sembrava quasi che Jinki avesse fretta o non stesse più nella pelle all’idea di comunicare una qualche importante notizia. Kibum era curioso e allo stesso tempo sulle spine.
-Cosa pensi che voglia? – domandò a Jonghyun.
-Non ne ho idea, ma conoscendo Jinki deve trattarsi di qualcosa di grosso. –
Kibum si morse il labbro. Benché l’idea di partecipare attivamente a qualcosa di grosso, come aveva detto Jonghyun, lo facesse sentire fiero di sé e totalmente parte integrante dei Ribelli, in lui covava sempre il timore che Jinki desiderasse usarlo come la carta migliore da gettare sul tavolo al momento del bisogno e questo lo innervosiva. Da sempre la gente, a partire dai nobili della corte, era stata interessata a lui unicamente per la posizione che ricopriva, per ciò che rappresentava, ma mai per la persona che realmente era. Lì era diverso, ma con Jinki si trovava sempre in bilico. Dove finiva il principe Kbum e dove iniziava Key per Lee Jinki? Dove iniziava il Leader e dove cominciava l’amico?
 
 
***
 
 
Seduto comodamente sul cuscino, le gambe ripiegate, Lee Jinki intrecciò le mani sotto il mento, i gomiti appoggiati sul lungo tavolo basso colmo di ogni leccornia immaginabile e anche di più. Di norma, il Leader non concedeva né a sé stesso, né ai suoi sottoposti pasti così ricchi, tranne che nei giorni di festa ma, dopotutto, quello equivaleva quasi ad un giorno di festa.
Jinki sorrise tra sé. I progetti che aveva in serbo da tempo erano, ormai, prossimi alla loro realizzazione o, quanto meno, alla loro precisa pianificazione. Doveva solo definire i dettagli e preparare gli altri al meglio in vista dell’impresa, ma i tempi erano maturi. Era un progetto che sognava da anni, se non da sempre, ma non aveva abbastanza forza a disposizione, la chiave giusta…ma ora l’aveva ed era legata a doppio filo ai Ribelli. Lo sapeva dal momento in cui il principe Kim Kibum aveva messo piede al Rifugio, grazie a lui, alla sua abilità, nulla avrebbe potuto impedirgli di portare avanti quel progetto ambizioso. Tuttavia, non aveva alcuna intenzione di rivelare sin da subito quella che sarebbe stata la loro impresa, prima intendeva spronare gli altri a dare il meglio in vista di qualcosa di grandioso.
Jinki volse il capo alla porta quando udì bussare.
-Siamo noi, hyung – fece Taemin spuntando con la testa biondiccia da oltre la soglia.
-Venite – disse invitandoli ad entrare con un largo sorriso stampata in volto. 
Gli altri sfilarono davanti a lui e presero posto sui cuscini disposti lungo il tavolo.
Jonghyun fissò ad occhi sgranati il pranzo luculliano che avevano di fronte. C’era carne, verdura, riso, dolci…. Anche gli altri sembravano avere occhi solo per tutte quelle prelibatezza il cui profumo invitante impregnava l’aria dello studio. Solo Kibum sembrava sedere rigido sul cuscino, in attesa, del tutto indifferente al cibo e con aria preoccupata, quasi sulla difensiva. Jonghyun capì subito che qualcosa turbava il più piccolo e, in tutta risposta, posò una mano su quella dell’altro.
In effetti, c’era ben poco da stare tranquilli. L’atteggiamento di Jinki era sospetto e Jonghyun sapeva che il Leader non offriva mai nulla per nulla. Tutti quei profumi non erano che un espediente per mascherare l’odore di marcio. Tuttavia, lo stomaco di Jonghyun brontolò e Kibum gli rivolse un’occhiataccia.
Jonghyun si schiarì la voce. – A cosa dobbiamo tutto questo? – Chiese, - abbiamo forse conquistato il palazzo reale di Soul? Perché altrimenti non me lo spiego. –
Kibum lanciò da sotto le ciglia uno sguardo magnetico a Jinki, le labbra rigide e tese. Tra loro intercorse una serie di squadri glaciali che tuttavia durarono solo pochi secondi, perché subito Jinki sorrise allegro.
-Oh no – rise.
-Ma hai qualche piano, vero? – chiese Minho.
Jinki inarcò le sopracciglia e sorrise leggermente. – Io ho sempre un piano, Minho. Ma ora mangiamo. –
Gli altri non se lo fecero ripetere due volte, un pranzo simile non poteva di certo essere rifiutato alla leggera. Solo Kibum continuava a sedere rigido, spiluccando ogni tanto del riso e della carne. Jonghyun lo guardò di sottecchi dopo aver preso una coscia di pollo; perché sembrava che l’altro si stesse preparando ad una doccia fredda?
-Non hai fame? – gli chiese.
-Solo un po'. –
Jonghyun guardò il piatto di Key dove giaceva abbandonata un’invitate fetta di carne.
-Quella la mangi? –
Kibum scosse il capo e Jonghyun vi si avventò. La fetta di carne sparì nella sua bocca nel giro di pochi secondi e Kibum lo guardò scandalizzato. Jonghyun si ripulì la bocca.
-Scusa – fece abbassando il capo imbarazzato.
Devo connettere il cervello, pensò Jonghyun, Key è pur sempre un nobile! Mi scaraventerà addosso l’intera biblioteca se non mi comporto decentemente!
Il più piccolo era molto pignolo su certe cose. Persino Taemin era stato costretto a raddrizzare alcuni suoi comportami che Key definiva “da stalla”.
Key allungò una mano verso i dolcetti di riso e marmellata e Jonghyun non poté fare a meno di guardarlo divertito. Ai dolci non rinunciava mai.
-Allora, hyung, di cosa si tratta? – azzardò Minho.
Jinki si schiarì la voce ed intrecciò le mani sul tavolo riponendo le bacchette.
-Ci prepariamo ad un’impresa che se andrà a buon fine entrerà negli annali di Chosun. –
Taemin batté le mani, eccitato.
-Lo sapevo! – scattò Jonghyun alzando le mani al cielo. –Attacchiamo il palazzo! Era ora, hyung, lasciatelo dire! Finalmente, finalmente potrò prendere a calci nel sedere quel mentecatto del principe ereditario e poi appenderlo a testa in giù! –
Kibum si portò le mani alla gola mentre rischiava di strozzarsi con un dolcetto. Il suo volto si fece paonazzo e Jonghyun gli diede delle pacche sulla schiena con espressione allarmata in volto.
-Yah, Key, fai attenzione! Vacci piano con quei dolcetti, ecco tieni – disse Jonghyun riponendogli nel piatto della verdura, - questa è molto più salutare. –
Kibum prese un bicchiere e bevve.
-No, Jonghyun, il palazzo non c’entra nulla – disse Jinki, calmo.
-Allora di cosa si tratta? –chiese Minho.
-Ho in mente una grande impresa, ma non intendo entrare nei particolari, non ora…-
-Ma hyung! – si lamentò Taemin saltellando sul cuscino.
-Vi ho riuniti qui perché devo chiedervi dei grossi sforzi per i prossimi mesi. Non posso anticiparvi quella che sarà la nostra impresa, ma serviranno le capacità di tutti e cinque per riuscire e dobbiamo essere preparati al massimo. –
-Cinque? Anche tu? – chiese Taemin.
-Esattamente – fece Jinki portandosi una tazza di tè alle labbra.
-Cosa vuoi che facciamo? – domandò Kibum la cui curiosità stava decisamente prendendo il sopravvento.
-Allenatevi, allenatevi il doppio. Bhe, alleniamoci in realtà. –
Gli altri si scambiarono delle occhiate perplesse.
-Jonghyun, Key voglio che lavoriate insieme con le vostre abilità, sarà fondamentale. Minho tu devi aiutare Key, devi dargli lezioni di scherma in modo che sappia difendersi in ogni occasioni. –
Kibum aprì e richiuse la bocca. Lezioni di scherma a lui? Era un bravissimo spadaccino, era stato Siwon a insegnargli e lui era stato il migliore!
-Hyung! – protesto risentito.
Jinki mise una mano avanti. – Lo so che sei molto bravo, ma non hai mai affrontato un vero combattimento. Là fuori non ci sono regole, si tira di spada per sopravvivere, non per qualche torneo tra aristocratici. –
Kibum abbassò il capo e annuì, dopotutto Jinki aveva ragione.
-In quanto a noi -, disse il leader rivolgendosi al fratello, - è il momento di rispolverare i nostri trucchetti con la telecinesi. –
Taemin batté di nuovo le mani, sembrava il più eccitato di tutti.
 
 
***
 
Quando Kibum era stato trascinato nella cucina da Taemin già presagiva il peggio ricordando molto bene cosa era accaduto la volta precedente. Anche questa volta, Taemin stava rovistando nella credenza e Kibum aveva la netta impressione che, come al solito, l’altro stesse facendo qualcosa che gli era concesso fare solo perché il suo nome era Lee Taemin.
-Taemin, non berrò niente. L’ultima volta…-
-L’ultima volta è stato un gran bel colpo di fortuna per te, dopotutto. –
Kibum sospirò appoggiando la guancia sul palmo della mano. Come era riuscito l’altro a convincerlo? Non se lo ricordava…prima che avesse avuto il tempo di reagire si era ritrovato lì con Taemin. Non che non volesse passare il tempo con il più piccolo, ma se avesse potuto scegliere sarebbe stato in compagnia di Jonghyun. Era ancora sulle spine per la strana riunione che avevano avuto con Jinki, ma sapere che non sarebbero andati a Soul l’aveva confortato. Un profumo sfizioso gli giunse alle narici riportandolo alla realtà. Che cos’era, cioccolata?
Seduto dietro al piccolo tavolo quadrato, Kibum raddrizzò la schiena e annusò l’aria, mentre Taemin gli posava di fronte una tazza fumante. Prima che se ne rendesse conto, Kibum si stava già leccando le labbra. Da quanto tempo non ne beveva? Gli sembrava una vita! Ecco una cosa che gli mancava di Soul!
Prese la tazza a annusò il fumo caldo che s’alzava dal cioccolato. Taemin lo guardò divertito.
-Diffidente – disse.
-Ho i miei buoni motivi. –
Taemin fece spallucce, bevve un sorso di cioccolata e gli rivolse un sorriso furbo.
-Allora – iniziò con l’aria di qualcuno che non sta più nella pelle, - che cosa fate tu e Jonghyun? –
Kibum sbatté le palpebre. – Bhe noi passiamo molto tempo insieme, mi pare evidente. –
Taemin gli diede una pacca sulla fronte. – Non fare il finto tonto, vi ho visti oggi. –
-Oh – fece Kibum abbassando il capo e arrossendo. – In quel senso – sussurrò.
-Allora? – fece l’altro in fibrillazione.
-Niente! – scattò Kibum cercando di concentrarsi sulla sua cioccolata.
Taemin scosse il capo. - Stai dicendo sul serio? –
-Bhe noi dormiamo insieme e ci baciamo – disse Kibum totalmente imbarazzato, prima di affondare il volto nella tazza.
Il più piccolo sbuffò ed appoggiò la guancia sul palmo della mano. – Che disdetta, e io che speravo di conoscere i dettagli della vostra relazione. -
-Yah! – saltò in piedi Kibum, il volto paonazzo.
-Devo ammettere che mi aspettavo qualcosa di più da un principe che doveva avere la fila fuori dalla camera, ma trattandosi di te dovevo immaginarlo. –
Taemin scosse il capo con aria affranta.
- Allora perché mi hai fatto tutte queste domande? – chiese Kibum tra i denti. Insomma, dove voleva andare a parare Taemin?
-L’idea di godermi la tua faccia scandalizzata era al quanto allettante –, rispose l’altro sorridendo innocentemente.
-Hai la sensibilità di un bufalo in carica, te lo hanno mai detto? -
Kibum tornò a sedersi mentre l’altro sorseggiava indisturbato la sua cioccolata.
Taemin si picchietto un dito sulle labbra con fare pensoso. – Quindi anche il bacio che vi siete scambiati tempo fa era il primo per te -, rifletté. - Ne ero certo, sei totalmente vergine, umma – disse calmo.
Kibum soppresse l’impulso di strozzare l’altro. –Ti sarei grato se la smettessi di fare osservazioni sulla mia vita sentimentale. –
-Veramente io facevo osservazioni sulla tua vita intima, ma se la cosa vi infastidisce, vostra grazia, eviterò di farlo in futuro.-
-Bugiardo – disse Kibum lapidario. - Ti darei la tazza in testa se non fosse piena di cioccolata. –
Il più piccolo sorrise furbo. – Ecco perché ho optato per quella, non ne sprecheresti mai nemmeno una goccia. - 
Taemin tamburellò le dita sul tavolo. –Quindi cosa pensi di fare? Insomma, Jonghyun ha un mucchio di avventure alle spalle, non penserai che si accontenterà di scambiare baci e abbracci con te in eterno? –
Lo sapevo, pensò Kibum, non avrei mai dovuto seguirlo, ogni volta che parlo con lui rimango inquietato!
-Jonghyun non mi ferirebbe mai – disse risentito.
-Non lo metto in dubbio, ti ama, ma non puoi temporeggiare. –
-Temporeggiare? Scusa tanto stiamo insieme a mala pena da un mese e questo non si chiama temporeggiare, ma prendere le cose seriamente.  –
-Un mese, tsk – fece Taemin roteando gli occhi. - Un’eternità in pratica, considerando che vi mangiavate con gli occhi anche prima. –
Taemin sospirò come se avesse a che fare con un caso pietoso e Kibum sbuffò.
-Ho tutta la vita davanti per stare con lui – sussurrò Kibum più a sé stesso che all’altro.
L’aveva, voleva averla e l’avrebbe avuta! Cosa poteva mai impedirgli di stare con Jonghyun? Lì era al sicuro e a casa. Le ombre del suo passato non erano che innocui mostri fittizi incapaci di raggiungerlo o turbarlo, ormai.
-Oh che romantico, umma. Andiamo, già questa mattina era praticamente all’antipasto. –
-C-cosa? – sbatté le palpebre.
-Vedi -, iniziò Taemin con l’aria di chi la sa lunga, - tu sei come il pranzo che Jinki ci ha offerto oggi. Antipasto, primo, secondo, stuzzichini, frutta e dolce. Lui vuole assaporarlo, o meglio assaporarti, a partire dall’antipasto, sino a raggiungere il dolce e in particolare l’invitante ripieno di marmellata. Già, tu sei come un mochi[1] ripieno di marmellata al lampone, un tortino di cioccolato con una splendida ciliegina in cima. –
Kibum sbarrò gli occhi. Stava parlando seriamente? A giudicare dall’espressione di Taemin sembrava proprio di sì. Non sapeva se scoppiare a ridergli in faccia o scappare a gambe levate
-Lee Taemin, sei una persona inquietante. -
-Sto solo cercando di darti una spinta nella giusta direzione. -
-Le tue spinte nella giusta direzione spesso equivalgono a gettarmi in un burrone, totalmente privo di qualunque protezione. –
Taemin incrociò le braccia al petto e tirò su col naso. -Ti offrivo solo i miei consigli. –
Kibum lo squadrò mentre l’altro allungava le gambe sul tavolo. – Giù i piedi dal tavolo – disse glaciale.
Taemin ubbidì. –Sì, vostra grazia. –
 
 
***
 
-Stai scherzando, vero? Quel tappeto non vale tutti quei won! –
Haneul squadrò il ragazzo davanti a lui. Corpo aggraziato, capelli corvini e occhi sottili che in quel momento mandavano lampi nella sua direzione. Nonostante gli abiti semplici sembrava posare come se fosse nel bel mezzo della sala del trono a Soul, pronto a dichiarare una condanna a morte. La donna aveva sempre apprezzato quel genere di caratterini, lei stessa da giovane si era contraddistinta per quello, riuscendo a mettere insieme un giro d’affari che faceva invidia agli astuti mercanti di Ming. Ma non immaginava che quel ragazzino potesse causarle problemi, certo, il fatto che ci fosse Lee Jinki dietro quella storia l’aveva messa in guardia, tuttavia quella situazione era davvero assurda.
-Oh certo che no, ma il servizio d’argento di settimane addietro ne valeva molti di più rispetto a quello che ci hai dato. –
Haneul inarcò le sopracciglia. –Cosa vorresti insinuare? –
Key portò le mani ai fianchi fissando la donna con insistenza. –E’ molto semplice. Sto insinuando, anzi, affermando che ci hai fregati. –
Questa volta fu il turno della donna per sorridere. –Lee Jinki avrebbe dovuto scegliere meglio chi mandare. –
Key annuì. –Certamente, i miei predecessori sono stati dei veri incompetenti. Ma io non lo sono. –
-Vedo che sei anche molto modesto. –
-E’ la realtà dei fatti e ora stai contrattando con me. –
Haneul sbuffò. Quel ragazzo era davvero insopportabile, aveva forse intenzione di spennarla come una gallina al mercato? Bhe, non poteva farlo!
-Non hai alcun diritto di chiedermi dei pagamenti supplementari…-
-Non sono pagamenti supplementari, sono quelli dovuti. –
-Non hai alcun diritto…-
Key mise una mano avanti, zittendola. – Ho il diritto eccome. Stando alle leggi sul libero commercio di fronte ad un chiaro reato di fronde è possibile pretendere il rimborso. –
La donna rise. – Leggi sul libero commercio? Questo è contrabbando, ragazzo. –
-Più libero commercio di così – osservò Minho che si stava godendo la scena, la mano sul pomo della spada.
Haneul lo fulminò, poi tornò a guardare Key e sorrise inarcando leggermente l’angolo della bocca sottile.
-Voi altri non siete nella posizione per avanzare simili pretese. –
-Nemmeno tu – disse Key sorridendo a sua volta.  –Vediamo – fece tamburellando le dita sul bancone della locanda. –Se noi venissimo scoperti, bhe, immagino ci attenda la forca, dico bene?  Ma se tu dovessi spifferare tutto a delle guardie reali non solo saresti accusata di contrabbando, la cui pena corrisponde alla totale confisca dei tuoi beni e ad un viaggetto di sola andata per i lavori forzati, ma saresti anche accusata di tradimento e lesa maestà per aver fatto affari con noi e, se non vado errato, lasciami pensare…-
Key volse lo sguardo verso Minho che sembrava sempre più divertito.
-A cosa corrisponde la pena, Minhossi? Ho un terribile vuoto di memoria – disse portandosi la mano alla fronte.
-Morte – rispose con leggerezza.
-Grazie – fece Key sfoderando un sorriso innocente, come se si fossero appena scambiati un’informazione sul tempo.
-Ho stilato una lista dettagliata degli scambi effettuati nell’ultimo anno, la somma che ci dovresti è, bhe, non mi spreco nemmeno dirtela, diciamo che saresti costretta a chiudere i battenti e ancora non ci avresti ripagati. Quindi, fossi in te sborserei i won che ti ho chiesto per il tappeto. –
La donna emise un verso di disperazione. – E va bene, avrai i tuoi won! –
Key sorrise, magnanimo. – Come vedi siamo stati anche fin troppo gentili. Considerarlo una sorta atto di fiducia nei confronti nel nostro principale alleato commerciale. –
Haneul inarcò le sopracciglia, prese una lunga pipa dalla tasca larga del vestito e l’accese diffondendo all’intorno un profumo dolciastro.
-Queste parole sono tue o di Lee Jinki? –
-Mie – rispose sbattendo le palpebre.
-Tsk –, Haneul si voltò verso Minho. – Dove l’avete preso questo qui? –
-Più che altro ci è caduto tra capo e collo – disse Minho facendo spallucce.
Più che soddisfatti, Key e Minho uscirono dalla locanda per recuperare i cavalli e fare ritorno al Rifugio. Key si strinse nel mantello e affondò il volto nella sciarpa, era quasi fine ottobre ed il freddo iniziava a farsi sentire seriamente.
-Key, aspettami qui, vado a prendere del foraggio per i cavalli e ripartiamo – disse Minho. 
-Va bene – rispose.
Kibum affondò ancora di più il volto nella sciarpa quando una folata di vento gelido gli scompigliò i capelli.
Odio il freddo, pensò.
Lo odiava, gli ricordava l’inverno in cui era morta sua madre e conservava lo stesso gelo della solitudine che per tutta la vita l’aveva perseguitato. Ma ora non più. Kibum sorrise accarezzando il muso del cavallo che nitrì diffondendo all’intorno nuvolette di condensa. Quell’inverno l’avrebbe passato al caldo tra le braccia di Jonghyun, non poteva desiderare altro. Era contento, sarebbe tornato al Rifugio saltellando se avesse potuto. Aveva appena portato a termine la sua prima missione con successo, una missione che non comportava intere giornate tra carte e libri. Bhe, naturalmente si era documentato per stilare una lista dei prezzi della merce. Annuì tra sé. Jinki sarebbe stato fiero di lui e anche Jonghyun, ne era certo. Non vedeva l’ora di tornare al Rifugio e raccontare tutto ad entrambi. Non vi era nulla in quel momento che potesse turbarlo se non le parole di Taemin di qualche sera prima. Kibum corrugò la fronte e si morse il labbro. Doveva levarsi i discorsi del più piccolo dalla testa, lo mettevano a disagio e lo facevano sentire irrimediabilmente inadeguato. Non si poteva dar credito a tutto ciò che diceva Taemin, persino la persona più saggia e paziente del mondo ne sarebbe uscita esaurita.
Io lo amo, lui mi ama, va bene così. Va tutto bene, pensò tra sé.
Si strinse nelle spalle, faceva davvero freddo e subito si ritrovò a pensare agli abbracci caldi di Jonghyun. Un sorriso appena accennato si delineò sul suo volto.
Dei passi leggeri annunciarono l’arrivo di qualcuno alle sue spalle e Kibum volse il capo incontrando la figura di una ragazza avvolta in un ampio hanbok bianco e rosso. I lisci capelli neri le ricadevano oltre le spalle, le labbra erano tinte di rosso e gli occhi leggermente truccati da una polverina dorata.
-Tu sei Key, vero? – chiese.
Kibum annuì.
-Io sono Yeouki – disse sorridendo.  
Kibum inclinò leggermente il capo in segno di saluto. Si ricordava di lei, l’aveva vista nel corso della sua prima visita ed aveva avuto l’impressione che volesse ucciderlo. Strinse gli occhi, perché sembrava che il volto della donna non fosse altro che una maschera pronta a sgretolarsi?
Sono troppo paranoico, pensò.
-Cosa posso fare per te? – chiese, il tono involontariamente freddo.
–Sei amico di Jonghyun, vero? –
Al solo udire il nome del più grande Kibum avvertì un tepore avvolgergli il corpo, come se l’altro fosse lì ad abbracciarlo.
-Non proprio, noi stiamo insieme – disse non riuscendo a nascondere un sorriso luminoso.
Il volto di Yeouki fu per un attimo attraversato da una ruga sottile che ne distorse il volto liscio, ma subito sorrise.
-Non lo vedo da un po', saresti così cortese da salutarmelo? –
Kibum si morse il labbro. C’era ancora qualcosa in quella ragazza che non lo convinceva, eppure l’altra non aveva né detto né fatto nulla di strano…anche se, a onore del vero, il principe era certo d’aver intravisto un’ombra sottile deformarle il volto.
-Certo – disse calmo.
La donna fece per rientrare nella locanda ma all’improvviso si bloccò, fermandosi a metà dei gradini d’accesso. Si avvicinò a Key quasi titubante e il ragazzo la guardò incuriosito.
-Non voglio turbati -, iniziò Yeouki – ma conosco Jonghyun da molto tempo e credimi ha avuto molte avventure. Te lo dico perché mi sembri un ragazzo molto a modo…-
Kibum s’irrigidì. Prima Taemin con le sue assurdità e ora quella kisaeng! Perché nessuno lo lasciava in pace, chi erano per interferire con il suo idillio? Sapeva benissimo che Jonghyun aveva avuto una vita prima di lui, come lui ne aveva avuta una a Soul.
E allora? Sono io quello che nasconde segreti, non lui, pesò con una punta di amarezza.
-Non mi turbi assolutamente. Io e Jonghyun ci amiamo, quello che ha fatto prima non mi interessa e so per certo che non mi ferirebbe mai -, rispose ostentando una calma ed una tranquillità che non aveva.
Non erano tanto le parole della kisaeng a turbarlo, piuttosto l’impressione che a dispetto dei modi cordiali l’altra desiderasse volutamente ferirlo.
Yeouki si congedò con un sorriso tirato e sparì all’interno della locanda.
Kibum strinse i finimenti del cavallo. Ecco, il suo buon umore era appena evaporato come rugiada sotto i primi raggi caldi del mattino.
 
 
***
 
Il materasso morbido sotto la schiena indolenzita fu una vera benedizione per Kibum. Allargò le braccia tra i cuscini dai colori caldi che contraddistinguevano la stanza di Jonghyun ed emise un sospiro di puro piacere. Una volta tornato dal villaggio era stato nuovamente seppellito tra carte e libri, mentre gli altri si allenavano.
Come faccio ad allenarmi se devo passare ore e ore in biblioteca o nello studio di Jinki? Mi servirebbe una giornata lunga il doppio.
Si stirò sul materasso facendo cadere dei cuscini che però ignorò, lanciando loro un’occhiata distratta, troppo stanco per aver voglia di raccoglierli.
Si rizzò a sedere con stizza, appoggiando la schiena a dei cuscini. Le parole di Taemin e di quella kisaeng, Yeouki, continuavano a martellargli nella testa. Sbuffò sonoramente picchiando i pugni sul materasso. Non aveva dubbi sui sentimenti di Jonghyun, l’idea non l’aveva nemmeno sfiorato perché sapeva che l’altro lo amava. No, il problema era lui e il suo senso di inadeguatezza. Voleva lasciarsi avvolgere dalle braccia di Jonghyun, dai suoi baci, dalle sue carezze ma non era pronto per rendere quella relazione più profonda dal lato intimo. Lo desiderava, certo, da sempre, e voleva che il momento in cui avrebbero reso il loro amore completo fosse bellissimo e perfetto ma per lui, per Kibum, era presto…Forse era un incontentabile coniglio egoista che voleva privare l’altro di ciò che per lui era normale, ma era anche vero che Jonghyun non gli aveva messo alcun tipo di pressione. Erano gli altri, era Taemin a tormentarlo, e quella Yeouki cosa voleva insinuare? Kibum si rigirò sul letto. Ma se Jonghyun stesse soffrendo senza dire nulla, se volesse di più dalla loro relazione ma non avesse il coraggio di dirglielo?
 Paranoico, paranoico, paranoico, recitò mentalmente come un mantra prendendo un cuscino a testate.
Si mise le mani tra i capelli.
Ecco cosa succede ad ascoltare Taemin, pensò maledicendolo mentalmente.
Chiuse gli occhi e posò la mano sul petto respirando piano. Amava Jonghyun con tutto sé stesso, ma c’erano dei momenti in cui si sentiva a disagio perché l’altro era totalmente un’esperienza nuova per lui.
-Dormi? – fece la voce allegra di Jonghyun entrando nella stanza.
Kibum spalancò gli occhi.
-Sembra che tu abbia visto un fantasma – rise Jonghyun lanciando le scarpe in un angolo e gettandosi sul letto. Il più grande si stirò, anche lui aveva avuto una giornata pesante.
-Jinki mi ha distrutto – si lamentò fissando il soffitto.
Jonghyun si voltò verso il più piccolo che si era messo a sedere sul materasso e si stava stropicciando le mani con aria nervosa.
-Che cos’hai? –
-Nulla – rispose subito Kibum.
Jonghyun si appoggiò sui gomiti e gli prese le mani. –Sei sempre nervoso quando fai così. –
Kibum abbassò il capo e arrossì leggermente. Lo conosceva così bene.
Jonghyun allungò una mano accarezzandogli il volto. Era calda la mano di Jonghyun, più calda del normale, ed un piacevole tepore si diffuse lungo il corpo di Key. L’abilità di Jonghyun era un vero toccasana per lui, gli riscaldava il corpo ed il cuore. Era così ironico, aveva sempre temuto il fuoco eppure ora lo cercava, ne cercava il calore, la luce, non era più qualcosa di malvagio pronto a distruggerlo ma fiamme calde che potevano solo risanarlo e proteggerlo, farlo rinascere come una fenice dalle sue stesse ceneri.
 Jonghyun gli sorrise. –Mi sei mancato –
Al diavolo Taemin e al diavolo tutti! Erano solo lui e Jonghyun che contavano, loro ed il loro amore, il resto non erano che pensieri sciocchi e assurdi. Perché bastava uno sguardo dell’altro per sapere che era tutto perfetto, esattamente come doveva essere.
Key tornò a sdraiarsi, rotolò su un fianco e si mise a pancia in giù allungando le mani al volto dell’altro. Sfregò il naso contro quello di Jonghyun.
-Anche tu- sussurrò posandogli un bacio leggero sull’angolo della bocca.
-Minho mi ha detto della tua amabile conversazione con Haneul – disse Jonghyun con sorriso divertito.
Key picchiò un pugno sul cuscino. – Yah -, protestò – volevo essere io a dirtelo. –
Mise il broncio e l’altro rise. – Avrei volto esserci –, disse passandogli le mani tra i capelli.
-Bhe – sospirò Key, - ora sai che non ti conviene farmi arrabbiare. -
-Fidati, l’ho sempre saputo. –
Kibum posò il mento sul petto di Jonghyun e picchiettò l’indice sulla guancia dell’altro.
-Bene, perché mi dispiacerebbe punirti. –
Jonghyun inarcò le sopracciglia. – Mi stai minacciando? –
-Io non minaccio, Kim Jonghyun, faccio promesse – gli sussurrò Key a fior di labbra.
Un sorriso divertito e sghembo apparve sul volto di Jonghyun mentre affondava le mani tra la chioma corvina dell’altro e lo baciava con passione.
-Essere punito da te potrebbe avere dei risvolti interessanti – disse accarezzandogli le labbra con le proprie.
Kibum lo baciò dolcemente. Si guardarono con occhi luminosi pieni d’amore e desiderio, ma anche della consapevolezza che avrebbero percorso la propria strada insieme, passo dopo passo e mano nella mano. Key si accoccolò sul petto dell’altro stringendolo, mentre Jonghyun lo avviluppava in un abbraccio caldo quanto la sua voce, disegnandogli leggere spirali sulla schiena.
-Hai freddo? – chiese il più grande.
Key scosse il capo, il volto affondato nel petto di Jonghyun. – No, non ho freddo. Voglio solo che mi stringi. - 
Questo inverno non avrò freddo perché sarò tra le tue braccia, pensò Kibum.
-Non lasciarmi andare. -
-Mai – sussurrò Jonghyun baciandogli il capo.
 
 
***
 
Kyuhyun guardò con crescente appetito la ciotola di riso e pollo che aveva di fronte. Si slacciò la spada dal fianco e la ripose vicino al cuscino su cui era seduto, poi inforcò le bacchette mentre il suo stomaco protestava con insistenza.
Il viaggio da Busan era stato tutt’altro che piacevole, i venti erano sempre più freddi e la situazione non era migliorata procedendo verso Soul. Si portò il cibo alle labbra e lo gustò con crescente appetito. Forse tornare a Busan per riferire le ultime notizie non era stata una delle sue idee migliori in termini di tempistiche e viaggio a cavallo, ma la prospettiva che un suo messaggio finisse nelle mani sbagliate mettendo così a repentaglio la sua pelle gli piaceva ancora meno.
Ora che era arrivato al villaggio di Hanamsi sperava davvero che quella caccia finisse. Non era stato facile rintracciare il principe, anzi, non era nemmeno certo di essere nel posto giusto a dirla tutta, ma aveva dovuto dare al suo padrone un contentino altrimenti la sua testa sarebbe saltata.
Quando al villaggio di Chemulpo si era risvegliato in un vicolo dopo che il principe gli era sfuggito non era stato facile proseguire la caccia. Aveva dovuto fare continuamente domande alleggerendo la sua sacca di won e fornire la descrizione del principe e delle persone che aveva visto con lui a Chemulpo. Non sempre le risposte erano state veritiere e ad un certo punto si era ritrovato in un vicolo cieco, ma poi aveva avuto un vero colpo di fortuna. Era bastato fare le domande giuste alle persone giuste, o per meglio dire ingenue, per ottenere ciò che voleva ed andarsene senza sborsare un won. Così era giunto nel territorio lungo il fiume vicino al villaggio di Hanamsi.
Kyuhyun sperava davvero di non aver preso una cantonata o avrebbe passato un gelido inverno in quello stupido villaggio.
Se il principe era passato di lì o lì si nascondeva l’avrebbe trovato, doveva trovarlo, solo così si sarebbe liberato di quel fastidioso moccioso per tornare a svolgere compiti più consoni ad un cavaliere.
Era giunto ad Hanamsi sul calare della sera quando le lanterne già lampeggiavano lungo le strade come fiori di fuoco e illuminavano l’acciottolato bianco. Aveva subito trovato rifugio in una locanda dove intendeva consumare un pasto caldo e passare la notte.
Si portò una tazza di soju alle labbra e bevve.
Sospirò. Le sue erano più supposizioni che ipotesi concrete, speranze più che certezze. Ma quella era l’unica pista che aveva e sperava davvero fosse quella giusta. Doveva trovarlo e portarlo a Busan, così il suo lord avrebbe potuto sfregiarsi dell’onore di condurre il principe a Soul sano e salvo dall’imperatore.
Affondò le bacchette nella ciotola ma queste ticchettarono sul fondo. In quel momento una kisaeng si avvicinò e, senza essere invitata, si sedette al suo fianco sorridendogli.
Kyuhyun alzò lo sguardo. La donna indossava un ampio abito dai colori caldi e sgargianti e intorno a lei aleggiava un profumo di fiori d’arancio e cannella. Gli occhi volpini della donna luccicarono da sotto le lunghe ciglia nere.
-Desideri un po' di compagnia, cavaliere? – domandò posando una mano dalle unghie curate sull’avambraccio di Kyuhyun.
-No – rispose l’altro lapidario.
La donna sbuffò e s’alzò con aria scocciata.
-Aspetta – disse Kyuhyun afferrandola per il polso. –Sto cercando un ragazzo. –
 
 



Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento e di non aver lasciato troppi errori nel testo! Siate gentili lasciatemi un commentino, altrimenti mi deprimo T.T e poi devo chiamare il mio psicologo XD
 
Alla prossima!!!
 
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[1] Dolce tradizionale giapponese.

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Capitolo 17
*** Capitolo 16. The nightmare's sound beyond the prism ***


Ciao a tutti! Ci tengo molto a ringraziare chi ha espresso il proprio apprezzamento per il mio lavoro sia tramite commento che mp, mi rendente molto felice! Ringrazio anche chi legge assiduamente, chi ha inserito la storia tra preferite, seguite e da ricordare!
Come al solito chiedo scusa per possibili errori rimasti nel testo, le mie riletture sono infinite ma so bene che ci saranno sempre errori di battitura…
Altra cosa (meno male che non avevo grandi premesse da fare…) ho superato le 200 pagine, stappate una bottiglia di champagne!!! XD
Buona lettura!
 

Capitolo 16
The nightmare's sound beyond the prism
 
 
 

“Who’s that knocking on my door? (…) The darkness comes and whispers.”
Shinee, Nightmare.
 
“Undo my empty heart
Fill it up with unknown emotions and
With your transparent eyes
Shine on my heart.
Show me the things I couldn’t see
Tell me the things that don’t exist in the world
Your bright red lips
Dye my heart like watercolor.”
Shinee, Prism.
 
 
 
 
Gli schiamazzi nella locanda erano quasi assordanti e i colori sgargianti degli abiti delle cameriere creavano un vero vorticare di colori tra le luci gialle e arancioni delle lanterne, solo il volto di Yeouki risultava bianco e pallido come la morte e freddo come il ghiaccio. La kisaeng guardò il cavaliere che ancora la tratteneva per il braccio e dovette usare tutto il suo buon senso ed un sorriso finto che aveva fatto suo da anni, perché il suo volto non si sgretolasse rivelando un’espressione di puro astio.
-Non ci sono ragazzi qui –, disse sorridendo e girandosi in un volteggiare di stoffe colorate.
Il cavaliere non accennò a lasciarla e la kisaeng non riuscì a trattenersi dal rivolgergli uno sguardo glaciale.
-Non in quel senso – rispose il cavaliere con altrettanta freddezza.
Se non fosse stato che Kyuhyun desiderava fare ritorno a Busan il primo possibile sarebbe scoppiato a ridere. Il principe non era proprio il tipo di persona che si sarebbe portato a letto, rientrava più nella categoria alla quale avrebbe volentieri piantato un pugnale tra le scapole.
Il viso della donna parve distendersi e riprendere colore, il suo braccio si fece meno teso sotto la presa di Kyuhyun che le fece segno di sedersi.
-Sto cercando un ragazzo che potrebbe essere passato di qua. –
-Bhe, qui passano molte persone, come pensi che possa ricordarmi il viso di tutti? – domandò in un mezzo sorriso.
Kyuhyun sbuffò ed estrasse dalla sua sacca dei won allungandoli alla donna.
-Uhm – fece Yeouki increspando le labbra.
-Te ne darò altri dopo – disse Kyuhyun in tono perentorio. Se ne varrà la pena, aggiunse mentalmente.
La donna annuì. – Sai, ho una buona memoria dopotutto. Allora, come posso aiutarti? –
-Si tratta di un nobile, è fuggito da casa e devo riportarlo dal mio padrone. –
Yeouki s’avvinghiò al braccio del cavaliere massaggiandogli l’avambraccio.
-Parlami di lui – disse in tono suadente.
Kyuhyun non se lo fece ripetere due volte. Fornì una descrizione dettagliata del principe, l’aveva ripetuta tante di quelle volte nelle ultime settimane che ormai poteva recitarla a memoria.
Alle parole del cavaliere gli occhi di Yeouki s’illuminarono di crescente interesse, finché non iniziarono a lampeggiare di una brama sottile ed infida quanto i suoi stessi pensieri. Sarebbe scoppiata a ridere se avesse potuto, invece si limitò a piegare l’angolo rosso e sensuale della bocca. Poteva essere una piacevole coincidenza o solo la sua mente che le giocava brutti scherzi, ma la figura che il cavaliere stava dipingendo nell’aria fumosa della locanda era identica a quella di Key. Era un nobile? Non lo sapeva, ma aveva visto le sue mani morbide ed erano un chiaro segno che non veniva dalla strada.
-Forse è passato di qui – , sussurrò quasi più a sé stessa.
Il volto di Kyuhyun s’illuminò e con uno scatto di nervi afferrò saldamente il polso della kisaeng. Forse? Che cosa significava forse?
-I forse non m’interessano, è da mesi che affogo nei forse, voglio delle certezze. Devo trovare quel moccioso e portarlo dal suo fidanzato a Busan o i forse faranno saltare la mia testa! –
La tempia di Kyuhyun pulsò. Da quanto desiderava sfogarsi, dare voce a tutta la sua frustrazione? Dei mesi che gli erano parsi anni. Ogni giorno sentiva il fiato caldo di Heechul sul suo capo come una mannaia pronta a calare impietosa sul suo collo. Poteva quasi sentirlo il filo sottile della lama recidergli carne e nervi, il sangue caldo e ferruginoso bruciargli la pelle e pizzicargli il naso. D’istinto si portò una mano alla gola e si passò una mano tra i capelli. Sudava freddo.
-Mi sembri un po' agitato –, disse Yeouki con un sorriso divertito stampato in volto. Forse era impietoso da parte sua, ma già si pregustava il finale di quell’incontro fortuito. Era quasi certa che Key e quel nobile fossero la stessa persona, dopotutto la descrizione calzava a pennello. Il risvolto che stava prendendo la situazione le prometteva vendetta e la certezza che, presto, si sarebbe ripresa ciò che le apparteneva di diritto. Non solo, era appena entrata in possesso d’informazioni interessanti e molto utili.
-Ho visto un ragazzo che corrisponde alla tua descrizione, è stato qui proprio questa mattina. –
Kyuhyun sbarrò gli occhi. Dunque era sulla strada giusta e lo aveva mancato solo di poche ore!
-Dov’è adesso? –
-Oh questo non lo so. –
Kyuhyun picchiò un pugno sul tavolo facendo rovesciare la tazza di soju e ticchettare le bacchette riposte nella ciotola vuota.
-Maledizione! Devo recuperare quel dannato moccioso! – disse mettendosi le mani tra i capelli.
Yeouki rise. – Rilassati, cavaliere, tornerà puoi starne certo. –
Tornerà, pensò Kyuhyun, perché mai il principe dovrebbe rimettere piede qui? No, non mi deve interessare, anzi non mi interessa proprio devo solo portarlo a Busan!
Aveva già abbastanza domande e problemi senza che ulteriori riflessioni gli complicassero la vita già appesa ad un filo.
-Quando? – domandò con i nervi a fior di pelle.
La donna fece spallucce. – Domani, tra qualche giorno, settimane forse, ma di certo non più di un mese. Ti consiglio di rimanere nei paraggi, ti terrò aggiornato. –
Yeouki si alzò facendo per andarsene.
-Aspetta, sei sicura che sia lui? –
Yeouki annuì. Quello di Key non era un volto facile da dimenticare, era lui, doveva essere lui.
-Quando arriverà lo vedrai. –
-Ti ho pagata…-
-Lo so per cosa mi hai pagata e se non è lui riavrai i tuoi won, cavaliere. Io so stare ai patti. –
Yeouki sorrise tra sé mentre tornava ad immergersi tra la folla della locanda e gli schiamazzi degli avventori.
Kim Jonghyun, pensò, presto tornerai da me strisciando.
 
 
***
 
-Yah! –
Kibum cadde a terra per la centesima volta, o forse era la millesima? Non se lo ricordava…a un certo punto aveva perso il conto o per meglio dire il suo orgoglio si era rifiutato di contare tutte le volte che Minho l’aveva messo al tappeto. Inutile dire che gliele stava dando di santa ragione e se non l’avesse conosciuto bene sarebbe stato propenso a credere che Minho ce l’avesse con lui. Ad ogni modo una lezione Kibum la stava imparando: tirare di spada per sopravvivere era davvero tutt’altra cosa rispetto a ciò a cui era abituato.
Minho gli picchiettò la canna di bambù con la quale si stavano allenando sulla gamba.
-Forza, rialzati – disse.
Kibum recuperò la canna e si alzò dolorante riprendendo posizione: le gambe tese, un braccio allungato in avanti e l’altro ripiegato sopra il capo.
-Sono pron…-
Non fece in tempo a terminare la frase che una serie di sferzate lo colpirono sotto le ginocchia e sul braccio alzato.
-Aish! Cosa ti ho detto? Non è questa la posizione che devi prendere – disse percuotendolo ancora nei medesimi punti.
-Ma…- azzardò.
-Niente ma! – scattò Minho dandogli la canna in testa.
Kibum si massaggiò il capo e sbuffò. Siwon non si era mai azzardato a dargli un bastone in testa.
-Non stai impugnando un fioretto quindi dimentica quelle pose da signorino, sono troppo rigide per un combattimento reale ed abbassa quel braccio o ti basterà distrarti un secondo per trovartelo amputato. –
Kibum si rimise in posizione seguendo le istruzioni di Minho.
-Piega di più quelle gambe – disse dandogli un’altra sferzata, - e abbassa di più quel braccio! -
Kibum ubbidì. L’idea che Minho potesse rivelarsi un’insegnate così duro non l’aveva mai sfiorato, una vera ingenuità da parte sua. Strinse la mano intorno all’arma improvvisata e con occhi vigili attese che l’altro attaccasse.
Si squadrarono per alcuni secondi spostando il peso da un piede all’altro e molleggiandosi sulle gambe. Minho incrociò una gamba avanti spostandosi di lato con fare guardingo ben consapevole del fatto che Key, per quanto impreparato per quel genere di scontro, poteva contare sulla velocità. Infatti non appena attaccò l’altro scartò subito di lato. Minho sorrise tra sé e riprese posizione preparandosi ad un altro attacco. Doveva ammettere che Key aveva davvero delle ottime potenzialità e il fatto di potere contare su un’agilità felina non indifferente era assolutamente positivo, doveva solo lasciarsi andare, seguire l’istinto e dimenticare le stupide regole che gli erano state insegnate. Questa volta fu Key ad attaccare cogliendo Minho di sorpresa.
Non male, pensò Minho.
Tuttavia, per Minho fu abbastanza facile sfuggire al colpo e subito tornò padrone della situazione. Per un po' il duello non fu altro che un alternarsi di mordi e fuggi, finché a Minho non venne un’idea per testare più la mente che il corpo del proprio allievo. Si piegò di lato, fletté le gambe e mulinò la canna assumendo una posa classica da combattimento, una di quella che si utilizzavano nei tornei dei nobili. Come immaginava, Key rispose subito con la mossa opposta, ma all’ultimo momento Minho ruotò su sé stesso e una volta alle spalle dell’avversario gli assestò un colpo che fece rotolare Key a terra.
Kibum si ritrovò a carponi, i capelli corvini cosparsi della sabbia che ricopriva l’arena. Si portò una mano alla schiena per assicurarsi che le vertebre fosse ancora tutte al proprio posto, ma subito la canna di bambù di Minho calò impietose sul suo capo. Il colpo che ricevette fu talmente forte che il suono parve riecheggiare per l’intera sala da allenamenti. Kibum avrebbe voluto piangere, aveva quasi le lacrime agli occhi dal dolore.
-Sei impazzito? – domandò a Minho.
-Se fosse stato un vero combattimento a quest’ora la tua testa non sarebbe altro che un cocomero sfracellato a terra. –
-Minho – disse fra i denti, – la mia testa è già un cocomero sfracellato a terra! –
Del tutto indifferente, Minho calò di nuovo la canna. Kibum rotolò di lato, recuperò la canna e con uno scatto di reni fece per rialzarsi in piedi quando fu colpito alle caviglie. Una fitta di dolore si propagò per tutto il suo corpo e cadde di nuovo a terra a faccia in giù, picchiando il naso. Con la vista annebbiata cercò di fare mente locale e rialzarsi in piedi prima che l’ennesimo colpo decretasse la fine della sua breve vita, quando delle braccia forti e rassicuranti lo rimisero in piedi.
-Key stai bene? –
Kibum sbatté le palpebre impiegando qualche secondo per riprendere coscienza di sé. La testa gli martellava e si sentiva tutte le ossa rotte o quanto meno prossime alla frattura, alla fine la figura di Jonghyun si fece più nitida davanti a lui mentre il più grande lo sorreggeva per le spalle.
-Key!? – fece Jonghyun sgranando gli occhi. – Sangue!!! –
Kibum si portò una mano al capo. Perché doveva gridargli in faccia?
La mano di Jonghyun corse al suo viso e quando la ritirò sui suoi polpastrelli vi erano delle tracce di sangue. Prima che Kibum avesse il tempo di reagire l’altro lo trascinò a sedersi sui gradini intagliati nella roccia che circondavano l’arena e gli tamponò il naso con un fazzoletto, mentre gli accarezzava delicatamente la schiena.
-Bene – fece ad un certo punto la voce tranquilla di Minho, - se avete finito la pausa possiamo riprendere. –
-Pausa?! – tuonò Jonghyun alzandosi di scatto. – Vuoi forse ucciderlo? –
Kibum terminò di tamponarsi il naso, poi lo tasto delicatamente per assicurarsi che fosse ancora tutto interno; sembrava non ci fosse nulla di rotto.
-Jong…- disse alzandosi leggermente zoppicante.
Ma l’altro non sembrava propenso ad ascoltarlo, gesticolava e inveiva contro Minho il quale sembrava del tutto indifferente, per non dire annoiato.
-Hai finito il monologo, Kim Jonghyun? – chiese incrociando le braccia.
-Monologo? Stammi bene a sentire spilungone! –
-Jong! Va tutto bene – intervenne Key mettendogli una mano sulla spalla.
-Tutto bene? – fece l’altro sgranando gli occhi. –Non va tutto bene, ti sta massacrando! –
Ok, pensò Kibum, mantieni la calma, sarà anche un’idiota, ma è un’idiota preoccupato.
Respirò piano portandosi una mano al petto, ma prima che se ne rendesse conto il suo piede stava picchiettando nervoso sul terreno.
-Massacrato dici? Oh, grazie per rimarcare la cosa – disse Key, pacato.
Jonghyun si strinse nelle spalle e osservò il suo compagno. Piede che continuava a tamburellare, braccia conserte, occhi assottigliati come quelli di un felino a caccia tra l’erba alta e voce apparentemente tranquilla. Deglutì, nessuna persona dotata di buon senso si sarebbe messa a discutere con un Key irritato perché sì, era irritato. Se oltre allo sguardo felino avesse avuto una coda Jonghyun l’avrebbe vista volteggiare stizzosa oltre le spalle dell’altro.
Jonghyun tossicò. Devo pensare a cosa dire o sarà come far scattare una bomba ad orologeria. Tuttavia, prima che avesse il tempo di aprir bocca l’altro gli diede un bacio leggero sulla guancia lasciandolo di stucco. Jonghyun aprì e richiuse la bocca.
-Grazie, ma non devi preoccuparti. Minho sta solo cercando di fare in modo che nessuno possa farmi a fette là fuori. –
-Se non ti fa a fette prima lui. –
Minho roteò gli occhi.
 
 
 
Kibum arrivò a sera distrutto e fu così anche per le sere successive. Quando Jinki aveva detto che avrebbero dovuto sottoporsi a duri allenamenti non scherzava e, stando al Leader, quello non era altro che il riscaldamento.
Non oso immaginare quando faremo sul serio, aveva pensato.
Per le due settimana successive la routine fu sempre la stessa: colazione, allenamento, pranzo frugale, allenamento sino a sera tarda e infine una cena che il più delle volte passavano discutendo dei progetti per il giorno successivo e, nel suo caso, lezioni teoriche con Minho.
-Devi dimenticare le pose classiche della scherma, quelle si usano solo nei tornei –, gli diceva tra un boccone di riso e l’altro. - Dimentica le regole e tutte quelle sciocchezze, devi usare l’istinto, sii più sciolto. –
Kibum annuiva e sospirava rassegnato. Insomma, tutto quello che gli avevano insegnato sino ad allora non valeva nulla?
Intanto, Jonghyun continuava ad impicciarsi rivolgendo occhiate astiose a Minho ogni volta che ne aveva l’occasione. Le stesse proteste di Key non sembravano tranquillizzarlo.
-Ti farà male sul serio –, ripeteva continuamente il più grande ogni volta che vedeva i lividi aumentare sul corpo di Key.
Quello che più spaventava Key era il fatto che per ora non avevano ancora iniziato gli allenamenti con le abilità. Se da un lato lo preoccupavano di meno, ben consapevole della sua forza e preparazione, le intenzioni di Jinki lo mettevano in allarme, infatti il principe dubitava che il Leader volesse semplicemente vederlo spostare oggetti, creare forme di pura energia e sfere esplosive. In più avrebbe dovuto lavorare con Jonghyun e Kibum sapeva bene quanto la combinazione di fuoco ed energia potesse essere letale. Era curioso oltre ogni dire, ma aveva anche la certezza che presto sarebbe tornato in stanza strisciando.
Gli stessi Jinki e Taemin non si stavano risparmiando ed alternavano sedute di combattimento con allenamenti totalmente incentrati sulla loro abilità. Kibum li aveva osservati più volte destreggiarsi con la telecinesi ed era impressionato, a confronto quello che aveva visto fare a Taemin nei mesi precedenti non erano che giochetti. I due sollevano oggetti pesantissimi con il pensiero, le loro menti creavano immagini così vivide da sembrare reali e solo la loro inconsistenza materiale ne tradiva la vera natura. La curiosità di Kibum aumentava ogni giorno di più.  Che cosa aveva in mente Lee Jinki?
Quella sera, mentre si crogiolava in un bagno caldo, Kibum stava passando al vaglio le varie possibilità, purtroppo una meno probabile dell’altra. Stanco per la lunga seduta di allenamento aveva momentaneamente usurpato la stanza da bagno di Jonghyun appropriandosi della sua vasca, mentre l’altro, affamato come non mai, era ancora nella sala comune a dare fondo a tutto ciò che vi era di commestibile.
Kibum sospirò affondando nell’acqua calda e nella schiuma bianca che s’alzava in spumosi monticelli intorno a lui. Alzò gli occhi al soffitto per poi abbassarli ad osservare la stanza. Intorno a lui ruotava un piccolo, ma non per questo modesto, ambiente rettangolare il cui pavimento era decorato da un mosaico che riproduceva un paesaggio fluviale, mentre le pareti erano affrescate con motivi stilizzati simili a sottili e contorti candelabri dorati che si stagliavo su uno sfondo bianco e azzurro. In tempi migliori, quando la fortezza lungo il fiume Han era ancora attiva, la stanza di Jonghyun doveva essere appartenuta ad un alto grado dell’esercito imperiale. Vicino alla vasca di rame dai piedi leonini in cui languiva vi era un mobile in legno con pregiate rifiniture in madreperla ed argento, sicuramente importato dal Regno di Nihon, e sopra vi erano riposte delle salviette. I suoi indumenti per la notte pendevano da un paravento decorato con la figura elegante di un pavone appena illuminava da un candelabro a più braccia a pochi metri da Kibum. Ovviamente, tutto proveniva dalle razzie lungo la strada vicino al fiume.
Il principe fece pendere mollemente la mano dal bordo della vasca e rivolse uno sguardo di sottile disapprovazione al livido che aveva sul braccio. Piegando il capo di lato, rivelando così una porzione di collo candido, distolse lo sguardo per ammirare da sotto le ciglia corvine i riflessi caldi delle fiamme che danzavano sulla superficie dell’acqua, facendo sembrare la schiuma neve in fiamme. Annoiato e del tutto propenso a rilassarsi immerse nuovamente la mano per poi sollevarla.  Osservò i rivoli d’acqua che gli scorrevano lungo le falangi sottili ed aggraziate sino a raggiungere i polpastrelli per poi rituffarsi in acqua producendo suoni limpidi e cadenzati, simili al pizzicare leggero delle corde di un’arpa. Finalmente, Kibum avvertì i muscoli distendersi e riprendere vigore. La sua pace interiore era tale che avrebbe potuto addormentarsi, ma qualcosa di umido e morbido gli stuzzicò il collo costringendolo a riprendere contato con la realtà. Il principe sbatté le palpebre disperdendo i riflessi dorati del fuoco che si erano posati sul suo volto e incontrando gli occhi ambrati di Jonghyun. Il volto del più grande spuntava da oltre la sua spalla, le labbra ancora semi posate sul suo collo.
-Jonghyun…- mugugnò.
-Scusa, ma il tuo collo era troppo invitante per essere ignorato –, disse con voce calda che conservava una punta di divertimento. -E poi – aggiunse Jonghyun, – era finito il dolce. -
Kibum sorrise leggermente mentre l’alto gli prendeva il mento tra indice e pollice per baciarlo.
-Probabilmente – osservò Key, - Taemin deve aver nascosto quanto rimaneva sotto il suo letto. –
-Questione che non ho alcuna intenzione di appurare. Invece-, disse cingendogli le spalle da dietro, - appurare cosa si nasconde sotto tutta questa schiuma m’interessa parecchio. –
Kibum s’irrigidì.
-Ah è un vero peccato che ci siano ancora tutte le bollicine – sussurrò Jonghyun nell’orecchio dell’altro.
Kibum affondò il viso, ormai paonazzo, nella schiuma e Jonghyun rise.
-Ti aspetto a letto – disse schioccandogli un bacio sulla guancia prima di sparire.
Kibum sbuffò sollevando della schiuma, poi allungò il collo fuori dall’acqua facendo una linguaccia in direzione del più grande.
Stupido Jonghyun, pensò.
Prima di uscire dalla vasca si guardò intorno sull’attenti, poi si avvolse nell’asciugamano che fece fluttuare su fili sottili di energia verso di lui. Gli avevano insegnato a non sprecare la propria abilità per cose così futili, ma negli ultimi tempi la utilizzava per ogni occasione. Secondo Jinki anche quello poteva essere un buon esercizio. A palazzo l’avrebbero guardato con orrore per una cosa simile, per i nobili le abilità erano un segno distintivo del proprio rango, qualcosa di pregiato da preservare e saper usare al massimo ma senza indugiare in simili sprechi.
Una volta asciutto e vestito raggiunse Jonghyun che trovò disteso sul letto e già pronto per la notte, ovvero unicamente in intimo. Kibum sospirò rassegnato imponendosi di distogliere subito lo sguardo dagli addominali dell’altro. Jonghyun roteò gli occhi e sbuffò, squadrandolo. Il più piccolo si ostinava ancora ad indossare quella stupida camicia e, non soddisfatto, quella sera portava anche dei pantaloni lunghi sin sotto il ginocchio
-Quando sarà pieno inverno dormirai avvolto nella lana? – chiese Jonghyun scuotendo il capo allibito.
-Tu invece continuerai a dormire mezzo nudo? – domandò di rimando Key incrociando le braccia.
Jonghyun inarcò un sopracciglio e sorrise, pronto a cogliere la palla al balzo. – Se vuoi posso spogliarmi di più. –
-Yah! – fece Key afferrando un cuscino al bordo del letto e lanciandoglielo.
-Mancato – sogghignò Jonghyun soddisfatto.
Kibum lo raggiunse con aria stizzosa e gli stampò un cuscino direttamente in viso. -Scemo. –
 
 
***
 
Il vento ululava carico di pioggia e le nubi rombavano sopra il cielo di Busan presagendo una violenta tempesta. Il mare non era che un’oscura massa informe che si contorceva nella notte, mentre creste di bianca spuma s’arrotolavano su sé stesse appena illuminate dai lampi metallici che scuotevano il cielo.
Jonghyun svoltò in un vicolo tra alte stamberghe traballanti dai muri incrostati d’intonaco sbriciolato ed i tetti scossi dalla tempesta. Lanciò un’occhiata oltre la spalla all’udire le grida dei suoi inseguitori e s’appiattì contro il muro, ansimante. Sopra di lui l’insegna di una locanda sbatté e cigolò ed un lampo illuminò il cielo a giorno rendendo futile qualunque suo tentativo di nascondersi. Subito dopo arrivò il tuono, un rombo tetro che fece tremare la terra sotto i suoi piedi.
-Eccolo! – urlò un soldato.
Jonghyun riprese la corsa. Sopra di lui il cielo ruggiva ed il vento gravido di pioggia lo sferzava come mille fruste. I suoi inseguitori non sembravano dare segno di d’arrendersi così aumentò l’andatura. Zigzagò tra i vicoli che circondavo il porto di Busan, strade putride che sapeva di marcio, di alghe e di salmastro, abilmente nascoste dietro le facciate dei grandi palazzi incrostati d’oro e marmo. Ecco che cos’era quella città: una ridente maschera sgargiante. Le ombre strisciano intorno a lui e le lanterne che illuminavano timidamente quella notte infausta oscillarono bieche sparpagliando luci giallognole.
Jonghyun voltò un angolo e trovò riparo sotto una tettoia dalle tegole d’ardesia, il rumore della pioggia era assordante e l’acqua scendeva in piccole cascate davanti a lui. Jonghyun si strinse nelle spalle, la camicia semi aperta era fradicia e gli aderiva al petto insieme ai pantaloni zuppi; si passò una mano tra i capelli bagnati. Un colpo di tosse lo fece piegare in due e s’accasciò in ginocchio sotto la pergola.
 Che cosa volevano quei soldati da lui? Erano settimane che non gli davano tregua, ogni volta che trovava un nuovo nascondiglio riuscivano a scovarlo. In più di un’occasione era riuscito a sfuggire alle loro lame, ma aveva l’impressione che quella volta fosse giunto a capolinea. Non aveva più un posto in cui andare. Un sorriso amaro s’affacciò sul volto del ragazzo. Che pensieri strani erano i suoi…un posto dove andare, ma ne aveva mai avuto uno?
No, fece una vocina nella sua testa.
All’udire il suono di stivali sulla strada bagnata costellata di buche e pozzanghere si rialzò e riprese la corsa. Ormai, le sue gambe si muovevano per pura inerzia, perché dentro di lui Jonghyun non aveva più voglia di combattere contro quel mondo marcio in cui si era sentito rifiutato dal momento stesso in cui aveva iniziato a respirare.
Lanciò un’altra occhiata dietro di sé constatando che dei suoi inseguitori sembrava non esserci più traccia. Stava per fermarsi quando inciampò nei suoi stessi stivali consunti rovinando tra le pozzanghere. Si rialzò zoppicante e cingendosi lo stomaco con un braccio, mentre l’altro procedeva a tentoni lungo il muro scrostato cercando appoggio su una pila di casse di legno. Ma era una posizione precaria, bastò una leggera pressione per farlo crollare tra le casse che rivelarono il loro nauseabondo contenuto. Jonghyun si ritrovò di nuovo a terra sommerso da ogni genere di scarto di pesce. Strisciò tra la sporcizia ed il fango sino ad appoggiare la schiena al muro, continuando a stringersi lo stomaco e sempre scosso da violenti colpi di tosse. Seduto scomposto, ormai più simile ad un burattino di stracci, Jonghyun osservò con occhi annebbiati dalla pioggia e dalla febbre l’alto muro che s’alzava davanti a lui sino a scontrarsi con il cielo cupo.
E così è qui che morirò, pensò.
Ironia del fato, era nato su una strada e su una strada sarebbe morto.
No, in un vicolo, morirò in vicolo coperto di pesce e fango.
Avrebbe riso se solo ne avesse avuto la forza. Ma non l’aveva. Forse non aveva più senso correre, tanto valeva rimanere lì ed aspettare che una lama lucida quanto i lampi in cielo gli recidesse la gola.
Il rosso del sangue darà un tocco di colore, pensò con sorriso amaro.
Già poteva immaginare la scena, vederla chiaramente come uno spettatore lontano. Un corpo scompostamente riverso contro un muro scrostato che denunciava un antico colore azzurro, ma che ora era solo grigio e sporco, abiti consunti a drappeggiare un cadavere senza nome, uno dei tanti destinati ad essere dimenticati quanto le vite che non avevano vissuto. E poi il rosso scarlatto del sangue; davvero una sgargiante macchia di colore in quel tetro quadretto.
Un capolavoro, sogghignò Jonghyun tra sé.
Il suo corpo fu percorso da un fremito che si trasformò in un singhiozzo. Stava piangendo, forse?
Oh, pensò, davvero potrei ridere se ne avessi la forza.
Quando era stata l’ultima volta che aveva pianto? Jonghyun era certo di non aver mai pianto in vita sua, nemmeno da bambino quando sopravviveva a stento per i crampi della fame. Alzò gli occhi al cielo grato della pioggia che cadeva sul suo volto confondendosi con le lacrime, così poteva avere almeno l’illusione di conservare un minimo di dignità davanti alla morte. Perché Jonghyun sarebbe morto, lo sapeva, se non per una lama simile ad una sfavillante mezza luna che quella notte non brillava, sarebbe stata la febbre a stroncarlo.
Il ragazzo strinse una mano a vuoto rivelando vene sottili sul polso. Se solo avesse potuto usare la sua abilità…ma quei farabutti gli aveva riempito il calice di birra già schifosamente annacquata di stramonio[1]. Ma, dopotutto, cos’avrebbe potuto fare il fuoco contro tutta quella pioggia?
Si spegnerebbe, pensò, come me…
Dunque sarebbe morto quella notte, in quel vicolo, tra quel fango e tra quello sporco. Non avrebbe mai conosciuto il piacere di un tetto solido sulla testa, un pasto caldo nello stomaco, non avrebbe mai potuto imparare a leggere. I mille libri che vedeva esposti nelle librerie di Busan sarebbero rimasti sogni irraggiungibili, tratti incompresi su pagine bianche ed egoisti detentori di segreti che non sarebbero mai stati suoi. Non avrebbe mai conosciuto l’amicizia, l’amore.
L’amore, pensò con amarezza.
Quanto poteva essere stupendo l’amore? Non avrebbe mai saputo cosa fosse davvero, sarebbe rimasto solo una parola stupenda e terribile allo stesso tempo. Un rimpianto ed una speranza. Quanto gli sarebbe piaciuto conoscere l’amore. Ma stava per morire, doveva solo attendere…
Le voci dei soldati lo riportarono alla realtà e Jonghyun scosse il capo.
No, pensò, non posso, non così!
Si alzò a fatica puntellandosi sul muro che lasciò sui suoi polpastrelli resti d’intonaco. Prese un bel respiro e con uno scatto improvviso riprese la corsa. Forse era solo il mero tentativo di una gazzella morente di fuggire al leone, ma almeno non sarebbe morto come semplice carne da macello. I corvi avrebbero avuto tutto il tempo per banchettare con le sue carni una volta spirato.
Raggiunse il porto. Il mare era come un nido d’immense e viscide serpi nere che si contorcevano l’una sull’altra. Tentacoli freddi che ghermivano navi simili a tronchi sballottati dai flutti. Le onde s’alzavano immense come non le aveva mai viste. Poi accadde qualcosa, fu come uno strano vorticare e sollevarsi, l’unica cosa certa fu che ad un tratto si ritrovò ad osservare tutto dall’alto. I palazzi, le case, le strade, le navi, divennero piccoli sotto si lui e le onde non sembrarono più così alte. Stava fluttuando nel vuoto sferzato da un vento ed una pioggia che non lo toccavano, come se galleggiasse in una bolla di sapone. Guardò in basso. Qualcuno correva lungo la banchina del porto inseguito dai soldati.
Dovrei essere io, pensò, eppure sono qui.
Per quanto Busan risultasse piccola e lontana sotto di lui, gli sembrava di osservare il ragazzo in corsa come se fosse a soli pochi metri da lui. Scosse il capo. Non aveva alcuno senso. Chi era? Era sicuro di non essere lui, anche se avrebbe dovuto esserlo…
Alla fine il ragazzo si voltò rivelando un volto delicato e dagli occhi sottili. Chi era? Perché aveva l’impressione di averlo già visto? Jonghyun boccheggiò. Quel volto proveniva dal passato, dal futuro o forse apparteneva al presente?
Il ragazzo dai tratti delicati guardò allarmato nella sua direzione ma senza vederlo, come se i suoi occhi magnetici lo attraversassero catturati da qualcosa che stava oltre. Jonghyun avvertì come uno strappo tirarlo tra le scapole ed anche il ragazzo divenne una macchia piccola e lontana prossima ad essere sommersa da onde minacciose. La bocca di Jonghyun s’apri a vuoto nel disperato tentativo di gridare, di mettere in guardia il ragazzo sotto di lui, ma per quanto si sforzasse nessun suono accennava ad uscire dalle sue labbra. La pioggia lo soffocava, lo annegava nelle sue stesse grida silenti che urlavano solo nella sua testa un nome che, per tutto il tempo, era rimasto posato leggero sul suo cuore. L’anelito di un amore promesso dal fato che doveva essere, sarebbe stato ed era.
 
 
Jonghyun si svegliò di soprassalto nel cuore della notte e subito si mise a sedere appoggiando la schiena ai cuscini. Era sudato, il suo petto ansimante era percorso da rivoli di sudore freddo come se fosse appena stato investito da una secchiata gelata. Si portò una mano all’altezza del cuore e respirò piano alla ricerca della calma perduta, poi si passò una mano tra i capelli ravvivando le ciocche castane che si erano incollate alla fronte.
Che cosa gli stava succedendo? Perché improvvisamente era tormentato da quegli incubi, da quei ricordi che credeva di aver seppellito per sempre? Perché ora quando tutto era meravigliosamente perfetto? Che strani giochi gli stava facendo la sua mente? Voleva forse insinuargli dubbi, insicurezze, piantare un tarlo sino a corroderlo? Come poteva vedere nero quando intorno a lui era un caleidoscopio di colori?
Sospirò cercando di rilassarsi tra i cuscini. La sua vita era così diversa, ora. Guardò la stanza intorno a lui, i mobili, le stoffe, gli scaffali pieni di libri che ora poteva leggere senza il timore di sentirsi deriso da quelle pagine un tempo incomprensibili.
Aveva un posto in cui stare, cibo, un’istruzione, un ideale, la fedeltà ad una causa, amici per i quali avrebbe dato la vita. Combatteva per ciò in cui credeva e riteneva giusto, non per sopravvivere al freddo e alla fame. Viveva.
La coperta frusciò vicino a lui e Jonghyun fece scivolare gli occhi al suo fianco. Subito il suo voltò s’illuminò di un sorriso dolce.
Adesso aveva l’amore ed era lì, accanto a lui, seppellito sotto la coperta calda che ne rivelava solo la punta del naso ed il capo corvino scivolato tra i cuscini colorati.
Jonghyun tornò a sdraiarsi puntellandosi sui gomiti ed osservando rapito Key che riposava quieto vicino a lui. Tuttavia, l’incubo era ancora troppo nitido perché il suo sorriso non si tramutasse in un’espressione preoccupata, apprensiva e perché il suo corpo non fosse percorso da un brivido che sapeva di paura ed ansia. Allungò una mano al volto semi nascosto di Key scostandogli delle ciocche dalla fronte e gli si fece più vicino, abbracciandolo. Key profumava di pulito, di fresco e conservava sempre quella nota dolce e pura.
Key mugugnò nel sonno prima di aprire lentamente gli occhi assonnati. Jonghyun lo guardò teneramente arricciare il naso, umettarsi le labbra a cuore e sgusciare dalla coperta per appoggiare il capo sui cuscini. Key sbadigliò.
-Perché sei sveglio nel cuore della notte? – chiese in tono lamentoso e assonnato.
-Non volevo svegliarti – disse Jonghyun dispiaciuto.
E non voleva davvero. Guardarlo riposare candidamente, al caldo, era quanto di più bello avesse mai potuto immaginare nella sua vita. Spesso si chiedeva come quella sorta di angelo capriccioso fosse atterrato tra le sue braccia, depositandosi accanto a lui come un petalo sospinto dal vento. Sarebbe rimasto ore ad ammirare quei tratti delicati, quel sorriso furbo e dolce, quegli occhi magnetici che avevano il potere di uccidere e donare amore al contempo. Com’era possibile che un tale capolavoro, che poteva essere stato scaturito solo da mani immortali, avesse scelto di donare il suo amore a lui? Lui che non era mia stato niente e che, infondo, non sarebbe mai stato nessuno.
Key si strinse al suo petto cingendolo in un abbraccio quasi possessivo. –Ho freddo – disse.
Jonghyun non riuscì a trattenere una risata. –Come puoi avere freddo sotto tutte quelle coperte? –
Key lo guardò di sbieco e sbadigliò. – La mia preferita è scappata. –
Poi Kibum alzò gli occhi. – Hai avuto un altro incubo? –
Jonghyun lo guardò stupito, se ne era accorto?
Kibum si mise a sedere stropicciandosi gli occhi. –Li hai spesso, vero? L’ho notato, sei sempre agitato e mi lasci al freddo –, disse con una punta di rimprovero.
Jonghyun sorrise perdendosi negli occhi calamitici dell’altro. Key aveva riempito il suo cuore di emozioni a lui sconosciute, illuminando e tinto il suo mondo con le punte delle dita dando vita ad una tavolozza arcobaleno. Forse i suoi incubi scaturivano dal terrore di perderlo, di tornare al buio e di abituarsi di nuovo all’oscurità. Non poteva esserci perdita o sconfitta più grande.
Key gli baciò una guancia e Jonghyun tornò alla realtà.
-Perché sei così turbato?- chiese il più piccolo accarezzandogli una guancia.
Jonghyun prese la mano dell’altro e ne baciò le punte delle dita.
-Ho il terrore di svegliarmi da questo sogno. –
Jonghyun sospirò. - A volte ti guardo e mi domando se tu non sia altro che un irrequieto spiritello di mezza estate destinato a scomparire con i primi aliti di vento invernale. –
Kibum sorrise leggermente inarcando le labbra rosate e lucide. – E’ questo che hai pensato di me la prima volta? –
-Nhe. –
Il sorriso di Key s’allargò ancora di più prima di tramutarsi in un’espressione furba ed intrigante che mise Jonghyun sull’attenti, sapendo che la testolina dell’altro stava macchinando qualcosa a sue spese.
-Ti rivelerò un segreto – gli sussurrò Key sul collo, prima di prendergli il volto tra le mani ed assaggiargli le labbra. –Sono davvero uno spiritello, ma ho intenzione di rimane qui tutto l’inverno a farmi scaldare da te. –
Poi Key lo guardò con tenera preoccupazione. –Senti? – domandò intrecciando le loro mani e giocando con i polpastrelli caldi del più grande. –Io sono reale, Jonghyun. -
Jonghyun sorrise con triste amarezza. - Alcuni sogni sono ingannevolmente reali. –
Gli occhi di Kibum si fecero lucidi. Perché non riusciva a rassicurarlo, a fargli sentire che era vicino? Com’era possibile che gli occhi luminosi di Jonghyun fossero immersi nell’ombra quando gli avevano mostrato mondi e fatto provare emozioni che non avrebbe mai potuto immaginare, quando avevano scaldato la sua anima e tinto il suo cuore di mille colori?
Kibum strusciò la sua guancia contro quella dell’altro e s’avvinghiò al suo collo.
-Allora baciami, accarezzami, stringimi, posso provarti di essere vero. –  
Le parole di Kibum fluttuarono tra loro simili ad una preghiera e Jonghyun rimase incantato ad osservare le labbra a cuore che le avevano pronunciate. Boccheggiò. La prospettiva di baciare Key in quel momento lo spaventava e ogni fibra del suo corpo era attraversata da scariche elettriche che lo stordivano. Con l’indice, Jonghyun alzò il mento del più piccolo incontrando i suoi occhi. Gli occhi felini di Key scintillavano nella penombra della stanza, capaci con un solo sguardo di distruggere convinzioni, buon senso, spezzare e lacerare cuori. Erano come lo spettro di colori ed emozioni cangianti. E Jonghyun non resistette, non era stata forse una preghiera, un ordine quello di Key? Baciami, accarezzami, stringimi…le parole del più piccolo risuonavano all’intorno come una dolce melodia appena pizzicata da dita sottili sulle corde di una cetra. Jonghyun lo strinse a sé e gli accarezzo le labbra con i polpastrelli e si umetto le proprie.
Kibum fissò il più grande e si lasciò avvolgere dalle sue braccia dischiudendo leggermente la bocca sotto il tocco leggero dell’altro. Jonghyun gli prese il mento ed iniziò a passare la lingua sulle labbra cuore di Key, mentre il più piccolo cercava di riconcorrerlo invano. Kibum soffiò indispettito, il più grande giocava con lui e con la sua bocca leccandola, mordendola e massaggiandola con labbra umide. Continuò a stuzzicarlo finché non l’avvolse in un bacio intenso.
Key miagolò tra le braccia e i baci di Jonghyun, mentre l’aria diventava ogni secondo più magnetica e calda. Stavano di nuovo fluttuando nel vuoto circondati da un caleidoscopio di luci incandescenti, tanto luminose quanto impalpabili. Nuotavano in quel mondo perfetto che, ora, era il loro tempo ed il loro spazio.
Kibum raddrizzò la schiena rispondendo al bacio ed aggrappandosi alle spalle del più grande. Jonghyun s’impose di mantenere il controllo e di non valicare quella linea sottile che il più piccolo aveva tracciato tra loro nell’intimità. Anche un semplice bacio con Key era come una danza in punta di piedi su una fune sospesa nel vuoto, un gioco tanto eccitante quanto pericoloso. Prima che avesse il tempo di riflettere, Jonghyun si sedette in ginocchio trascinando il più piccolo con sé facendolo sedere sulle sue cosce. Le sue mani corsero sulla schiena dell’altro accarezzandogli la pelle liscia sotto la camicia e Kibum inarcò leggermente la schiena mugugnando. Allora Jonghyun si fece più audace, la sua mano scivolò delicatamente sul fianco del più piccolo sino a raggiungere la coscia e sollevarla per far aderire di più i loro corpi. Kibum emise un ansito prima d’irrigidirsi quando le loro intimità si sfiorarono, allora sussultò e fu percorso da un brivido.
-J-Jong – mugugnò Kibum con un moto d’ansia nella voce.
Jonghyun si staccò. -Scusa, mi sono lasciato trasportare. –
Kibum si stropicciò le mani nervose sulle spalle di Jonghyun ed abbassò il viso arrossato e imbarazzato. Si mordicchiò il labbro inferiore incapace di sollevare lo sguardo.
-Lo so – fece Jonghyun abbracciandolo teneramente. – Non è ancora il momento. –
Kibum parve rilassarsi e appoggiò il capo sulla spalla dell’altro.
-Promettimi che domani starai attento ad Hanamsi. –
-E’ solo Hanamsi, Jong, cosa vuoi che succeda? – domandò Kibum sollevando gli occhi e sorridendo.
-Si alza il vento…- sussurrò Jonghyun, - potrebbe strapparti via da me. –
Jonghyun prese il viso di Key tra le mani. - Promettimelo, promettimi che tornerai da me. –
-Io tornerò sempre da te. –
 
 
***
 
I gradini di legno scricchiolarono sotto gli stivali di Kibum e una folata di vento gelido fece dondolare le lanterne spente che pendevano dalla pergola della locanda. La porta scorrevole, chiusa, oscillò. Il principe si strinse nelle spalle e sfregò le mani per riscaldarle, il suo respiro caldo volteggio davanti lui in nuvolette di condensa.
-Minho, vai pure a fare quella commissione per Jinki, posso sbrigarmela con Haneul da solo –, disse rivolto al ragazzo che stava sistemato i cavalli.
Minho lo guardò perplesso. –Uhm, sei sicuro? – chiese non del tutto convinto guardandosi intorno. Dopotutto, Jinki gli aveva affidato l’incolumità di Key e non poteva di certo andarsene in giro mentre l’altro svolgeva la missione, per quanto anche la sua commissione fosse di vitale importanza per il Leader.
Kibum fece scorrere gli occhi all’intorno e poi li alzò verso il cielo grigio e metallico di quella giornata gelida d’inizio novembre. Un brivido gli percorse il corpo e si morse il labbro. C’era qualcosa di strano nell’aria, tutto sembrava fermo, immobile e congelato in un tetro silenzio.
-Certo, ci rivediamo qui tra poco. –
Kibum entrò nella locanda e richiuse la porta scorrevole dietro di sé sperando di lasciare fuori gli aliti di vento freddo, ma anche all’interno il clima era il medesimo. Il principe arricciò il naso con disappunto. La sala era avvolta dall’oscurità, rischiarata solo da poche lanterne accese qua e là che pendevano immote dal soffitto. Il silenzio era totale, solo i suoi passi sulle assi di legno rivendicavano la presenza di un essere vivente.
-Hanuel? – chiamò.
Dov’era sparita? Che si fosse data alla macchia dopo l’esperienza della volta precedente? Kibum incrociò le braccia e tamburellò un piede per terra; si gelava e lui non aveva tempo da perdere, aveva un mucchio d’incombenze ad allenamenti al Rifugio.
-Haneul? – chiamò di nuovo.
Nessuna risposta. Kibum passeggiò nervoso tra i tavoli quando lo strisciare di una porta scorrevole lo costrinse a voltarsi.
-Buongiorno Key – lo accolse Yeouki con un sorriso sgargiante in volto.
Kibum s’irrigidì. Nonostante il tono cordiale della ragazza ancora non riusciva a piacergli, tuttavia ricambiò il saluto.
-Stai cercando Haneul, vero? Ha detto che saresti passato. –
-Dov’è? –domandò repentino. Non aveva alcuna voglia d’intrattenersi a fare conversazione con quella kisaeng.
-Fuori, ma tornerà presto. –
Un sorriso, che Kibum era certo fosse di finta simpatia, si dipinse sul volto della ragazza.
-L’aspetterò – disse glaciale.
-Mi ha detto che ti avrebbe raggiunto in magazzino, ci sono delle merci che desiderava mostrarti – disse subito Yeouki.
Kibum inarcò le sopracciglia.
-Vieni. –
Il principe sbuffò e seguì la ragazza malvolentieri. Non era proprio giornata, prima quel clima odioso, poi Haneul che lo faceva attendere e ora doveva sorbirsi la compagnia di Yeouki. La ragazza gli fece strada conducendolo lungo uno stretto corridoio sino ad una porticina e prese una lanterna appesa alla parete. Una volta acceso il lume glielo porse ed aprì la porta.
-Ecco – disse soddisfatta, - puoi scendere nel magazzino. –
Yeouki indicò delle scale di legno che scendevano sotto di loro perdendosi nel buio. I nervi di Kibum si tesero, una sensazione spiacevole appena assopita gli scorreva nelle vene. Probabilmente stava fantasticando troppo.
-Tu non vieni? – chiese mettendo il piede sul primo gradino e guardando Yeouki.
La kisaeng scosse il capo facendo tintinnare i lunghi orecchini di cristalli colorati che le adornavano i lobi.
-Oh no – disse quasi scandalizzata, - a noi non è concesso scendere in magazzino. Tu fai pure con calma, Haneul ti ha lasciato della merce da valutare nell’attesa. –
-Bene. –
Qualunque cosa pur di liberarmi di lei, pensò.
Kibum tenne alta la lanterna e scese cautamente le scale che scricchiolarono producendo suoni sinistri. Rabbrividì, lì sotto faceva ancora più freddo. La luce giallognola e opaca della lanterna si allargò intorno a lui permettendogli di vedere quanto meno dove metteva i piedi, finché non raggiunse la fine della scala. Si portò una mano al fianco con fare stizzoso e mosse dei passi nervosi all’intorno. Dov’era la merce? C’erano solo grosse casse di legno sulle quali fece passare la luce della lanterna.
Aish, non penserà che mi metta ad aprire queste casse, vero?
Fece un giro su sé stesso per essere certo di non essersi lasciato sfuggire nulla.
 
 

Kyuhyun, acquattato tra le casse del magazzino, osservò l’alone luminose di una lanterna rischiarare l’oscurità in cui era stato relegato. Intanto, dei passi risuonavano lungo la scala accompagnati da una luce giallognola che dapprima rivelò le punte di stivali, gambe snelle ed aggraziate fasciate da stretti pantaloni e, infine, un volto. Il volto che sperava d’incontrare.
Kyuhyun sorrise. Il principe non era cambiato di una virgola, solo i capelli erano leggermente più lunghi e pettinati lasciando libero il centro della fronte, il suo viso fine fluttuava nell’alone di luce risultando ancora più pallido. L’osservò scendere le scale e guardarsi intorno con aria impettita.
Sì, pensò Kyuhyun, è proprio lui.
Se avesse potuto si sarebbe messo ad esultare, ma non era finita. Benché la sua preda fosse solo a pochi passi da lui non era ancora nelle sue mani. Ci sarebbe stato tempo per esultare a lavoro concluso. Doveva essere veloce, coglierlo di sorpresa ed imbottirlo di stramonio prima che avesse il tempo di reagire, o il principe sarebbe stato in grado di far saltare in aria l’intera locanda se solo avesse voluto. Estrasse il fazzoletto imbevuto della sostanza tossica dalla tasca e lo tastò speranzoso.
Il principe picchiò il piede sulle assi di legno e fece per risalire le scale. Kyuhyun sgranò gli occhi, no, non poteva lasciarselo scappare. Con uno scatto repentino uscì dal suo nascondiglio e afferrò il ragazzo per il polso, poi lo bloccò e premette il fazzoletto sulla bocca del principe.
 
 

Kibum ne aveva abbastanza di stare in quello scantinato ammuffito e freddo. Arricciò il naso e si guardò nuovamente attorno tenendo alta la lanterna. Udì dei rumori da dietro le casse e tese le orecchie.
Non ci saranno pure i topi? Pensò, io odio i topi!
Rabbrividì. Da quando quella mattina aveva messo piede ad Hanamsi avvertiva una strana sensazione, una sorta di cattivo presentimento che la sua mente logica riteneva del tutto ingiustificato. Eppure non lo aveva abbandonato, al contrario una volta varcata la soglia della locanda era solo peggiorato. Sbuffò. La vista di Yeouki non aveva di certo migliorato il suo umore. Quella ragazza aveva suscitato il suo disappunto sin dal loro primo incontro, ed un campanello dall’arme gli suggeriva di non farsi ingannare da quei sorrisi mielati. Kibum era certo che il vero volto della kisaeng fosse quello omicida che aveva visto la prima volta, ora abilmente nascosto sotto una maschera di falsa cordialità.
Kibum si strinse nelle spalle mentre veniva percorso da un brivido. Considerato il suo stato d’animo un magazzino buoi ed infestato da topi e ragnatele non era esattamente il luogo adatto in cui stare. Udì un altro rumore e s’irrigidì investito da un moto di terrore. Si portò la mano al petto, il cuore palpitava di una paura strisciante e appena sussurrata, come se un incubo bussasse alla sua porta. Scosse il capo maledicendo mentalmente Jonghyun e le sue ansie.
Basta, pensò picchiando un piede per terra.
Non aveva alcuna intenzione di rimanere lì ad aspettare Haneul. Stava per poggiare il piede sul primo gradino della scala quando una presa ferrea gli avvinghiò il polso. Il resto accadde tutto troppo velocemente perché se ne rendesse conto. Seppe solo che scalciò e si divincolò invano, mentre un panno dall’odore e dal sapore amaro gli veniva premuto sulle labbra. A quel punto, tutto rallentò ed il mondo divenne opaco intorno a lui, la stessa oscurità che sino a pochi secondi prima aveva avvolto il magazzino sembrava quasi luccicante a confronto. L’odore amaro era tale che a stento represse un conato di vomito. Cercò di accumulare energia, ma il consueto formicolio che gli pervadeva le membra in quelle occasioni rimase silente quanto le sue grida. Non aveva fiato, gli sembrava di soffocare e le sue gambe divennero molli come cera. La vista s’offusco e l’oscurità fu sostituita dal nulla totale. Il suo ultimo pensiero coerente prima di piombare nell’oblio fu rivolto a Jonghyun. Poi, il buio ed il gelo lo avvolsero.
 
 
 
Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento, tempistiche permettendo ci vediamo la prossima settimana!
 
<3 If you love this story...tell me what you think <3
 
[1] Ricordo che è il veleno utilizzato per bloccare temporaneamente le abilità. Lo stramonio comune (Datura stramonium), conosciuto anche come erba del diavolo, è una pianta appartenente alla famiglia delle Solanaceae. Si tratta di una pianta molto velenosa a causa dell'elevata concentrazione di alcaloidi presente soprattutto nei semi. Ha proprietà allucinogene. Se ingerita può provocare grave nausea, crampi, dolori addominali e portare alla morte.

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Capitolo 18
*** Capitolo 17. Rescue (parte 1) ***


Ciao! Sono perfettamente consapevole di essere in ritardo, ma ho delle motivazioni:
1 Negli ultimi giorni ho avuto le scatole girate e dato che pubblicare un nuovo capitolo mi rende sempre nervosa ed ansiosa ho evitato di farlo, altrimenti i miei nervi avrebbero fatto crack.
2 Non ho avuto molto tempo
3 Il capitolo è lungo e sono stata indecisa fino all’ultimo se spezzarlo o no, cosa che alla fine ho fatto altrimenti vi sareste trovati con qualcosa come 40 pagine e non m i pareva il caso.
Detto ciò buona lettura.
 
 

Capitolo 17
Rescue
 
 
 
“Only you can take me out
Only you can make my blood circulate
Only you are the way to being rescued
You’re my rescue, you’re my rescue”
Shine, Rescue
 
 
 
Il ticchettare dell’orologio nello studio di Jinki produceva un rumore snervante. Più Jonghyun udiva quel suono, più i suoi muscoli si tendevano, i nervi si assottigliavano e le vene sul suo collo pulsavano. Nel momento stesso in cui era stato convocato nello studio del Leader aveva capito che qualcosa non andava ed il suo malumore si era amplificato. Non riusciva a trovare un senso logico in quell’ansia e in quel terrore strisciante senza nome, ma si sentiva come sull’orlo di un precipizio prossimo a franare. Era come correre di nuovo lungo il molo di Busan con la sola consapevolezza che, prima o poi, le onde lo avrebbero sommerso.
Minho stava ritto come un fuso ed evitava il suo sguardo, mentre Jinki era teso quanto una corda di violino pronta a spezzarsi e, con le braccia conserte, tamburellava le dita sugli avambracci scandendo il tempo in perfetta sincronia con l’orologio.
Gli occhi di Jonghyun corsero da Jinki a Minho e da Minho a Jinki, zigzagarono dall’uno all’altro per un tempo infinito, eppure la lancetta lunga dell’orologio non ruotò più di mezzo giro. In tutto ciò il suo unico pensiero fisso e chiaro fu: dov’è Key?
In quel momento la porta dello studio si spalancò facendo entrare Taemin il cui sorriso fu smorzato sul posto da uno sguardo gelido di Jinki. Per quanto Taemin fosse abituato a fare ciò che voleva, in virtù del fatto che lui era Lee Taemin, sapeva bene che quando suo fratello lo guardava in quel modo era meglio abbassare il capo e farsi da parte. Tuttavia, quella volta, Taemin non poté fare a meno di proferire una domanda che da minuti era sulla punta della lingua di Jonghyun.
-Umma? –, domandò Taemin guardandosi intorno.
Il volto di Jinki si fece ancora più teso e Minho alzò lo sguardo incontrando quello bruciante di Jonghyun fisso su di lui.
-Dov’è Key? –, chiese Jonghyun con voce metallica e quasi incolore.
Benché la domanda fosse stata rivolta a Jinki, i suoi occhi rimasero fissi su Minho che abbassò il capo. Jonghyun si sentì soffocare e il sangue gli si gelò nelle vene. Poteva vederla l’onda imminente sul suo capo schiantarsi sulla banchina del molo e trascinarlo sul fondo del mare. Da gelido il suo sangue stava diventando bollente.
-Jonghyun…- iniziò Jinki.
-Dov’è il mio Key? – ripeté Jonghyun.
Jinki lo fissò senza battere ciglio. – Key è sparito. –
Taemin si portò le mani alla bocca reprimendo un verso di sorpresa. Jonghyun rimase freddo, ma dentro di sé era una miccia pronta ad esplodere. Key. Sparito. Sommerso da quell’onda impietosa che da notti infestava i sogni di Jonghyun. Il ragazzo avrebbe voluto gridare, ridurre in cenere l’intero Rifugio per dare sfogo a quel vuoto che avvertiva man mano impadronirsi del suo cuore, tuttavia rise. Una risata metallica e incontrollata.
-Sparito? Ma certo, è normale, non è vero? Le persone spariscono per magia, nel nulla– , disse con ironica amarezza.
Taemin allungò una mano verso di lui per posargliela sulla spalla, ma Jonghyun si era già avventato su Minho stringendolo per il colletto. L’aria all’intorno era calda.
-Tu! Tu dovevi badare a lui! Dov’eri?! –
Minho continuava a tenere lo sguardo basso. –Mi dispiace – disse in un sussurrò.
Jonghyun emise un verso di frustrazione, stava cadendo nel vuoto e aveva la nausea.
È un incubo, pensò, è solo uno dei miei incubi ingannevolmente reali, mi sveglierò e lui sarà accanto a me.
Il ragazzo respirò piano. Ora riaprirò gli occhi e vedrò il suo volto sorridente, si disse. Ma fu la voce di Jinki a riportarlo alla realtà.
-Jonghyun, lascialo. –
Dalle mani di Jonghyun, ancora strette al colletto di Minho, s’alzarono dei fili di fumo. Jonghyun si staccò.
-Voglio sapere che cos’è successo, ora – disse in un sibilo aprendo e chiudendo le mani ancora incandescenti.
Jinki lo squadrò. La preoccupazione si leggeva chiaramente anche sul volto del Leader, le sue labbra erano sottili e gli occhi brillavano di una lucentezza metallica.
-Minho l’ha lasciato alla locanda e quando è tornato non c’era più. –
Minho si passò una mano tra i capelli. – Sono stato via solo un quarto d’ora, il tempo di svolgere quella commissione – disse guardando Jinki.
Jinki annuì, le braccia conserte.
-Magari è ancora là – azzardò Taemin, - non ti ha visto arrivare ed è venuto a cercati, così vi siete persi. –
Gli occhi del più piccolo dei fratelli Lee corsero sui volti degli altri in cerca di conferme e rassicurazioni, ma tutto ciò che incontro fu la preoccupazione ed i nervi a fior di pelle del maggiore, l’espressione colpevole e costernata di Minho e quella furente di rabbia di Jonghyun. Taemin deglutì.
Jinki invitò Minho a parlare. Taemin era certo di non aver mai visto il suo amico così teso, ma d’altra parte non poteva dargli torto: Jonghyun era come un vulcano prossimo all’eruzione, gli occhi fiammeggianti di una calma apparente.
-Quando sono tornato indietro l’ho aspettato, ma non vedendolo arrivare sono entrato nella locanda e mi hanno detto di non averlo mai visto lì –, sospirò nervoso passandosi di nuovo la mano tra i capelli. – Eppure io l’avevo visto entrare! –
Minho guardò Jinki e poi Jonghyun, quasi in cerca di compressione, ma i volti di entrambi rimasero impassibili, solo la vena sulla tempia di Jonghyun pulsò minacciosa.
-L’hai cercato? – chiese Jonghyun.
-Ovunque! – proruppe Minho. – Nessuno l’ha visto, non solo, Hanuel è arrivata poco dopo, ma veniva dalla piazza del villaggio. Non era presenta quando Key è entrato, non l’ha mai visto questa mattina. –
-Dunque sarebbe sparito nel nulla? – sibilò Jonghyun.
Minho si portò le mani alla testa. – I-io non lo so! –
Jonghyun rivolse al suo migliore amico un’occhiata sprezzante, poi si voltò verso Jinki.
-Quella donna, deve essere stata lei, avrà voluto vendicarsi…-
Jinki mise una mano avanti per bloccarlo. – No – disse lapidario, - per quanto disonesta ha un suo codice d’onore, non avrebbe mai fatto nulla a Key. Nulla. –
-E allora dov’è? – urlò Jonghyun. Ne aveva abbastanza, non riusciva nemmeno a capire come facesse a rimanere lì quando la persona che amava era dispersa chissà dove.
Ripensò alle parole di Key. Era solo Hanamsi, aveva detto, tornerò da te…eppure quel maledetto villaggio l’aveva risucchiato in un buco nero dove tutto entra e nulla esce…e non era tornato. Il bacio appassionato che si erano scambiati la notte precedente, quando avevano quasi fatto l’amore, era stato l’ultimo? No, Jonghyun non poteva crederlo, non poteva accettarlo. Gli pizzicavano gli occhi.
-E’ quello che intendiamo scoprire – disse Jinki. –Andiamo ad Hanamsi, ora. Voglio parlare con Haneul e chiarire questa situazione. –
Il Leader si avvicinò a Jonghyun mettendogli le mani sulle spalle e stringendole nel tentativo di rassicurarlo.
-Ti giuro che lo ritroveremo – disse con fermezza.
 
***
 
L’ufficio di Haneul era illuminato da un’unica lanterna di vetri colorati che, pendendo dal soffitto, gettava una luce calda sull’intero ambiente colmo di scaffali pieni di carte ed oggetti di varia provenienza. Un grande tappeto ricopriva le assi di legno della stanza dove al centro, davanti ad un basso tavolino, sedeva la donna a gambe incrociate su un cuscino. Una mano tamburellava le unghie sul legno, mentre l’altra reggeva una lunga pipa che diffondeva all’intorno un odore dolciastro. Davanti a lei, Jinki sedeva marmoreo con le mani appoggiate sulle cosce e le gambe ripiegate sul cuscino, fissando la donna senza battere ciglio, mentre dietro di lui Taemin, Minho e Jonghyun erano in piedi, in attesa. Haneul prese una boccata dalla pipa, poi sbuffò facendo uscire dalle labbra delle nuvolette di fumo. Jonghyun arricciò il naso e strinse i pugni, il silenzio che era calato nella stanza stava durando anche troppo per i suoi gusti. Sembrava che Jinki ed Haneul stessero conducendo una battaglia di sguardi all’ultimo sangue.
Stiamo perdendo tempo, pensò Jonghyun.
Fece per aprir bocca quando Haneul roteò gli occhi nella sua direzione con aria scocciata, allora Jonghyun perse il controllo.
-Allora?! Parla! Se sei stata tu a farlo sparire io ti giuro che…– sbraitò.
Haneul lo fulminò e Jinki alzò una mano facendo segno al ragazzo di tacere. Jonghyun aprì e richiuse la bocca a vuoto. La donna spostò l’attenzione sul Leader dei ribelli.
-Vedo che tutto sommato sia tenere a bada il tuo branco di pazzi –, osservò con un sorriso tirato.
Jinki la guardò di sottecchi. – Non te lo chiederemo un’altra volta, dov’è Key? –
–Forse ti ho sopravvalutato, dopotutto, davvero credi che abbia fatto sparire uno dei tuoi? Sono una donna d’affari…-
-Una donna d’affari che sembrava molto interessata a lui, dico bene? – fece Jinki senza battere ciglio.
Haneul proruppe in una risata. –Davvero mi credi capace di una tale bassezza? Credi che non abbia un briciolo d’onore, Lee Jinki? –
Jinki si sporse verso la donna. – Sto cercando di non credere ad una tale eventualità, ma vogliamo delle risposte. –
Haneul si massaggiò una tempia. Quei ribelli, quanto potevano essere frustranti?
-Se l’avessi visto vi assicuro che me ne ricorderei, perché la mia cassaforte sarebbe stata inevitabilmente alleggerita dalla linguaccia tagliente di quell’irritante ragazzo. –
-Non può essere sparito nel nulla, tu…- iniziò Jonghyun gesticolando agitato.
Qualcuno bussò alla porta e la figura esile di una ragazzina fece il suo ingresso proferendosi subito in un inchino. Teneva gli occhi bassi, una lunga frangia scura le adombrava il volto e le mani erano strette intorno all’ampia gonna azzurra e bianca che stropicciava nervosa.
Haneul sospirò infastidita e portò una mano alla fronte. –Ragazzina, cosa vuoi? –
-I-io…- iniziò l’altra balbettando, chiaramente intimidita sia dai modi scocciati di Haneul e dalla presenza degli altri.
-Vuoi parlare o no? – chiese la donna, incalzandola.
La ragazzina sobbalzò. – Ho sentito che parlavate di quel ragazzo…-
Haneul sbuffò. Kisaeng, sempre a origliare e curiose come non mai, pensò indispettita.
-Ebbene? – fece inarcando un sopracciglio.
-Io l’ho visto, questa mattina…-
Prima che terminasse la frase, Jonghyun le fu addosso scuotendola per le spalle.
-L’hai visto? Dove?! –
Dunque, Key era davvero stato lì. Ma dov’era, ora? Non poteva essere svanito nel nulla, doveva aver lasciato qualche traccia, qualcuno oltre a quella ragazzina dallo sguardo spaurito doveva averlo visto. Un strano formicolio attraversò le membra di Jonghyun, si sentiva quasi febbricitante, il calore aveva invaso il suo corpo e la stessa aria intorno a lui era bollente. Dei fili dorati vorticarono intorno alle sue mani ancora strette intorno alle spalle della giovane che osservava terrorizzata. Jonghyun le ritrasse subito. Stava perdendo il controllo. L’assenza di Key lo confondeva, era come se la linea dell’orizzonte gli fosse stata sottratta da sotto gli occhi. La sua abilità, così imprevedibile e difficile da controllare, era come impazzita, impazziva per Key che lui fosse presente o no. Jonghyun scosse il capo, era assurdo, sembrava che il suo stesso fuoco soprannaturale fosse attratto dall’altro. Di nuovo, le parole di Key gli tornarono alla mente, sussurrarono alle sue orecchie quasi malevole e sibilline. Sono davvero uno spiritello. Uno spiritello…e come tale era svanito, dopotutto. Eppure, aveva detto che avrebbe passato l’inverno al caldo, con lui…
Gli spiritelli mentono, fece una vocetta dentro di lui, ti prendono tutto e non ti lasciano niente.
Key gli aveva strappato il cuore dal petto, dolcemente, e l’aveva fatto svanire con sé.
-Jonghyun, calmati – disse Jinki.
Jonghyun sbatté le palpebre giusto in tempo per vedere delle lingue di fuoco ruotare intorno a lui. Ad un gesto della sua mano svanirono. Il ragazzo si portò una mano alla fronte e si accorse di essere sudato e bollente tanto quanto l’aria all’intorno.
-Non può essere scomparso nel nulla –, sussurrò.
La ragazzina alzò timidamente lo sguardo, poi rivolse un’occhiata ad Haneul in cerca del permesso per parlare e la donna annuì.
-Stava andando nel magazzino…-
Haneul sgranò gli occhi. –Nel magazzino? – fece allibita.
-E’ come ho detto…- proseguì la giovane, sempre tenendo lo sguardo basso.
Haneul sospirò di nuovo, si sorresse il capo con una mano e agitò l’altra. -Ho capito, ho capito. Come ha fatto ad andare in magazzino? – chiese più a sé stessa.
-L’ha portato Yeouki – rispose prontamente la ragazzina.
Haneul alzò la testa di scatto e i suoi occhi divennero gelidi. – Chiamami Yeouki. Subito. –
La ragazzina s’inchinò e uscì di corsa, pochi secondi dopo apparve Yeouki.
La kisaeng fece il suo ingresso con un ampio sorriso sulle labbra e un’aria soddisfatta impossibile da non notare, solo quando incontrò le labbra tirate di Haneul e lo sguardo marmoreo di Jinki s’arresto e, inevitabilmente, si accorse anche della presenza degli altri. Improvvisamente la ragazza parve farsi più piccola, ma continuò a sorridere.
-Cosa posso fare per voi, signora? – chiese con un perfetto inchino.
La bocca di Haneul divenne ancora più sottile e delle rughe si delinearono ai lati dei suoi occhi.
-Sei stata nel magazzino. –
-Cosa? Certo che no, signora, conosco bene le regole –, rispose subito Yeouki.
-Non era una domanda. Sei stata in magazzino con quel ragazzo irritante, non vero?-
A quel punto Jinki si alzò piazzandosi di fronte a lei e squadrandola. Yeouki deglutì, il Leader dei ribelli l’aveva sempre messa a disagio e, in quel momento, aveva come l’impressione che potesse uccidere. Lo sguardo bruciante di Jonghyun fisso su di lei non era niente a confronto.
-Chi lo cercava? – chiese Jinki.
Yeouki non rispose, si sentiva la gola secca in presenza di quel ragazzo.
Haneul sospirò. –Non rendere le cose difficili mettendo in piedi stupide recite. –
-Chi lo cercava? – ripeté Jinki scandendo bene ogni singola parola che pesò nella stanza come freddi macigni.
Nonostante la calma apparente, Jinki era come una lastra di ghiaccio pronta a sgretolarsi sotto piedi incauti. Aveva lavorato troppo perché il principe gli fosse sottratto da sotto gli occhi e troppo aveva messo a rischio nel momento in cui l’aveva accolto. Quello che era accaduto non sarebbe mai dovuto succedere e gettava un’ombra cupa sul futuro del Rifugio. Al contempo si odiava per i suoi pensieri venali, perché Kibum faceva ormai parte della sua famiglia e non era solo la mera chiave dei suoi piani. Ma era il Leader dei ribelli e non poteva lasciarsi coinvolgere dai suoi sentimenti personali o sarebbe andato in frantumi, allora gli altri su chi avrebbero contato? Su chi avrebbe fatto affidamento Taemin che aveva appena perso il suo migliore amico, Minho con i sensi di colpa che ancora gli impedivano di alzare lo sguardo e chi sarebbe stato capace di frenare il carattere impulsivo di Jonghyun in quel momento così delicato, impedendogli di compiere sciocchezze?
No, pensò Jinki, almeno io devo mantenere il controllo delle emozioni.
-Un cavaliere –, disse infine Yeouki distogliendo subito gli occhi da Jinki per voltarsi verso Jonghyun.
-Quel ragazzo è un nobile ed è scappato di casa, il cavaliere doveva portarlo a Busan dal suo promesso –, disse tenendo gli occhi fissi su Jonghyun che non batté ciglio.
Yeouki si morse il labbro, il suo affondo non era andato a buon fine. –Ho fatto solo il mio dovere – disse alzando il mento.
Hanuel rise. –Il tuo dovere? Quanto ti hanno pagata, ragazza? –
Gli occhi di Yeouki luccicarono mentre quelli di Jonghyun lampeggiarono di un fuoco funesto.
– Vattene – disse alla fine Haneul, - non voglio mai più rivedere la tua faccia ad Hanamsi, hai capito? –
Yeouki si morse le labbra e strinse i pugni. –Ho fatto solo il mio dovere – disse di nuovo.
Ma non credeva nemmeno lei alle sue parole, tutta la sua capacità di recitazione era sfumata nel giro di pochi minuti. La sua perfetta maschera sorridente era crollata, così come il suo piccolo mondo. Era bastato l’arrivo di quel moccioso dagli occhi felini per mandare tutto in fumo.
-Esci da qui, adesso – disse di nuovo Haneul.
La kisaeng non se lo fece ripetere un’altra volta. Non aveva più nulla da spartire con quelle persone, con quel posto. Il suo piano era miseramente fallito e gli occhi dei presenti, inesorabilmente puntati su di lei, esprimevano una chiara dichiarazione di guerra dalla quale lei non poteva che uscire sconfitta.
Jinki guardò la kisaeng sparire e finalmente riprese a respirare.
 
 
 
Gli stretti corridoio della locanda erano quasi soffocanti. Jonghyun appoggiò le mani ai due lati della parete e procedette lentamente mettendo un piede davanti all’altro. Gli sembrava di camminare sull’orlo di un precipizio prossimo a franare, una sensazione che aveva spesso nelle ultime ore. Giunto alla fine del corridoio s’appoggiò allo stipite della porta della stanza di Yeouki dove regnava il caos, c’erano abiti e cosmetici posati ovunque e la ragazza si spostava nevroticamente da un angolo all’altro infilando capi di vestiario all’interno di una sacca, già straripante di stoffa sgargiante. Frustrata, la donna prese una boccetta di profumo dalla specchiera e la gettò a terra, affondando poi le mani tra i capelli lunghi e lisci. Una fragranza di fiori d’arancio aleggiò nella stanza. Jonghyun arricciò il naso e fece del suo meglio per tenere quell’odore lontano dalle narici. Per quanto negli anni addietro lo avesse apprezzato ora lo nauseava. Era un altro il profumo che desiderava respirare…dolce e leggero come il danzare dei petali rosati nella brezza primaverile. Jonghyun mosse dei passi all’interno della stanza e si guardò attorno. Gli ultimi ricordi della notte che avevano passato lì lo assalirono con prepotenza, così come il disgusto che aveva provato. Poteva ancora avvertire il profumo speziato e pungente dell’incenso che gli aveva pizzicato gli occhi e stordito la mente. Se allora aveva provato ribrezzo, ora il rimorso che gli attanagliava il cuore gli contorceva le viscere sino a provocargli un senso di nausea. Non c’era nulla in quella stanza capace d’evocare Key, erano due mondi separati che mai avrebbero potuto incontrarsi.
L’odore del profumo gli fece girare il capo e si portò una mano alla fronte.
La sparizione di Key era forse una punizione per il peccato che aveva consumato tra quelle pareti?
-Perché l’hai fatto? – sussurrò.
Yeouki si voltò. La sua bocca rossa era deformata in ghigno sprezzante e gli occhi privi di trucco arrossati. La sua maschera di seduzione era crollata mostrandola per ciò che realmente era e, ora, il viso della donna non aveva più alcuna attrattiva per Jonghyun. Non c’era grazia, né finezza ed i suoi occhi non erano che fredde pietre opache.
Dov’era il volto delicato di Key, i suoi occhi luminosi e ammalianti in cui danzavano mille luci? Non poteva essere stato solo un sogno svanito con le luci rosate del mattino.
-Perché tu sei mio-, sibilò lei.
-Tra di noi non c’è mai stato niente, credevo fosse chiaro –, disse incolore.
Se in passato aveva provato rimorso per quella relazione superficiale, per quello che in fondo sapeva non essere altro che uno sfogo momentaneo, ora non provò nulla.
Yeouki rise ed il disgustò di Jonghyun aumentò. La risata che desiderava udire era un’altra ed era limpida e cristallina, simile al tintinnare di piccoli cristalli scossi da una brezza leggera.
-Mio povero cucciolo sensibile, non penserai che io provi qualcosa per te, vero? Il nostro è stato un gioco piacevole, ma hai dimenticato una regola fondamentale: decido io quando finisce. -
Le vene sul collo di Jonghyun pulsarono ed il ragazzo aprì e chiuse le mani a vuoto. L’aria era di nuovo calda intorno a lui. Così era colpa sua, di una sua leggerezza se l’altro era sparito? Key era stato venduto da quella donna per un suo capriccio personale. Se prima non aveva provato niente per Yeouki, ora fu animato da un odio intenso. Al contempo faceva a pugni con la sua stessa coscienza per quell’insensato intrecciarsi di corpi che si era consumato in quella stanza, colpendolo in tutto il suo orrore.
-Quindi l’hai sacrificato per il tuo orgoglio, è così? Perché? Sapevi che io lo amavo. –
E lo amava, amava Key al punto tale che il solo pensiero della sua assenza era come la mancanza d’ossigeno. Non poteva tornare ad essere nient’altro che un ricettacolo di carne e sangue capace solo di sopravvivere per inerzia. Gli occhi ammalianti di Key e il suo sorriso erano le uniche cose in grado di salvarlo da sé stesso, dal mondo e da una vita che non era vita. Un semplice tocco del più piccolo era come una scarica elettrica.
-Oh andiamo, Jonghyun, ho fatto un favore ad entrambi. È un nobile ed è fidanzato -, disse l’altra con noncuranza incrociando le braccia.
Jonghyun sorrise sprezzante. Questo avrebbe dovuto fermarlo, permettergli di dimenticarsi di Key? E come quando la donna gli aveva detto quanto già sapeva? Non c’erano segreti tra lui ed il più piccolo, non potevano essercene perché bastava specchiarsi l’uno negli occhi dell’altro per sapere tutto ciò davvero contava.
-Pensavi di ferirmi? So tutto ciò che c’è da sapere su di lui, non c’è segreto tra noi. -
-Allora a maggior ragione mi devi un favore -, commentò Yeouki inarcando un sopracciglio e inclinando la bocca in un sorriso vittorioso.
-Un favore? Io lo amo, lui mi ama e tu l’hai portato via da me!- urlò Jonghyun.
Quella conversazione era un’assurda farsa e si ritrovò a chiedersi cosa l’avesse condotto lì. Si portò una mano al petto stringendo il vestiario ormai pesante, improvvisamente il vuoto nel suo cuore era diventato più acuto, propagandosi all’intorno e avvolgendolo in una bolla cupa e fredda. La vita stava lentamente sfiorendo intorno a lui.
-Oh, io non metto in dubbio che voi crediate di amarvi, ma guarda in faccia la realtà. Lui è vissuto tra marmo, oro, sete e gioielli, servito e riverito per ogni capriccio, cosa potrai mai offrirgli tu? –
Gli occhi volpini di Yeouki erano fissi su di lui, sembravano sondare Jonghyun da sotto le lunghe ciglia per carpirne ogni pensiero alla ricerca di quel punto debole, di quel nervo scoperto capace di farlo crollare.
-Venite da due mondi diversi e prima o poi lui avvertirà la mancanza del suo e delle cose belle da cui era circondato. Col tempo, tutta questa storia apparirà ai suoi occhi come il frutto di una ribellione giovanile, il fascino del diverso e del proibito, e tu non sarai altro che una macchia sul suo onore e sulla sua innocenza. –
Le parole di Yeouki frusciarono tra loro simili ad un velo sottile dai riflessi acquosi ed affondarono come un pungente stiletto intriso di veleno nel cuore di Jonghyun. Un veleno dolce che celava una logica freddezza trasfigurata in una verità capace di gelare un cuore caldo di un amore appena sbocciato.
-Ti sbagli -, disse risoluto, benché il suo cuore palpitasse in vermigli rivoli di sangue.
-Oh che egoista. Mi è sempre piaciuto questo lato di te: sciuro, spavaldo, pronto a prenderti tutto ciò che desideri. -
La figura seducente della kisaeng ancheggiò verso di lui in un incedere calcolato quanto apparentemente disinvolto. Era come ammirare l’ondeggiare ipnotico di un cobra sulle note di un flauto, tanto ammaliante quanto mortale. Ma Jonghyun, per quanto in passato ne fosse stato rapito ed eccitato, ora rimase impassibile perché tutto ciò che vedeva era l’immagine luminosa di Key che danzava davanti a lui in punta di piedi. L’antidoto perfetto.
-Il tuo amore gli porterà via tutto, vuoi davvero privarlo della sua vita splendida per un tuo capriccio?-
 -Per un mio capriccio?- fece Jonghyun sconcertato. Certo aveva lottato per lui, ma non aveva mai chiesto nulla a Key, alcun sacrificio se non la verità sul suo amore. Non era stato lui a strapparlo dal suo palazzo marmoreo e perfetto, ma lui stesso aveva deciso di lasciarlo dietro di sé ancora prima che i loro occhi si sfiorassero.
La donna era, ormai, ad un passo da lui e con un sorriso caldo gli accarezzo il viso con il dorso della mano per poi accostargli le labbra all’orecchio, facendovi scivolare un veleno dolce e letale.
-Conosco la tua mente molto bene, Kim Jonghyun, e lo so, ne sono certa, è la sua innocenza che vuoi, la sua purezza incontaminata dal mondo marcio che ci circonda e che tu disprezzi, per te è la promessa di una redenzione che non avrai mai. Non ti sei sempre sentito sporco, sbagliato? –
Gli occhi di Yeouki scintillarono da sotto le lunghe ciglia arcuate incontrando quelli grandi di Jonghyun. Il ragazzo boccheggiò e strinse i pugni riconoscendo nelle parole dell’altra un fondo di verità, tuttavia deformata dall’arte ingannatrice di Yeouki. Voleva la sua innocenza, sì, la sua purezza, anche, ma non era una brama dettata unicamente dal suo piacere personale. Aveva amato l’anima immacolata dell’altro dal momento cui l’aveva vista brillare. Key era intelligente, astuto e talvolta anche scaltro, ma nei confronti del mondo era come un bambino non macchiato dai suoi orrori. Ancora di più, Jonghyun aveva amato la consapevolezza che era nata in Key, lasciando comunque incontaminate le luci che palpitavano nei suoi occhi felini. Non provava invidia, solo ammirazione ed amore. Era una promessa di redenzione? Forse, ma era l’amore che provava per Key che lo avrebbe salvato perché sì, Jonghyun si sentiva sporco, sbagliato. Macchiato dagli orrori che aveva visto, dal disprezzo della gente per la sua condizione di mezzosangue, ma più di qualunque altra cosa era spaventato dal lato più oscuro di sé, da quel fuoco che poteva mutare in fiamme malvagie capaci solo di distruggere.
-L’amore, mio dolce cucciolo, non è che un’illusione destinata a svanire, sbiadirà come l’inchiostro sulla carta e lascerà dietro di sé solo lacrime e rimpianti. Lascialo andare, Jong, se lo ami dovresti lasciarlo tornare alla sua vita di marmo ed oro tra le braccia confortanti del suo fidanzato. -
Jonghyun alzò gli occhi risvegliato dalle minacce sottili della donna e la fissò, duro. -Le tue parole sono puro veleno –, sibilò tra i denti mentre le sue iridi bruciavano di un fuoco cupo.
Il volto di Yeouki fu attraversato da una ruga, ma subito sorrise. -Allora spero che il mio veleno scivoli lentamente tra le tue labbra sino a scorrerti nelle vene e raggiungere il tuo cuore. -
-Vattene – disse tra i denti. Il suo sangue era ormai lava incandescente.
La donna non si mosse, limitandosi a fissarlo con pigliò soddisfatto.
-Ho detto vattene! –
Una lingua di fuoco vorticò tra loro facendo sgranare gli occhi a Yeouki e costringendola a balzare indietro, quando colpì la specchiera. Il vetro andò in frantumi e boccette di profumo e polveri colorate s’infransero sul pavimento in un tripudio di colori e odori speziati.
Yeouki guardò Jonghyun terrorizzata, raccolse gli ultimi abiti ed uscì di corsa, lasciando dietro di sé la promessa di una maledizione che avrebbe tormentato il ragazzo.
Con un urlo di frustrazione, Jonghyun s’avventò sul paravento colorato che crollò a terra lacerando la stoffa e incrinando il legno, picchiò un pugno sulla parete e si morse il labbro. Ecco, aveva perso il controllo. Il fuoco eruttato dalle sue mani non aveva nulla dei riflessi dorati e del tepore ristoratore che Key tanto amava, ma era animato da tetri riflessi di un’oscurità luccicante e latente. Si guardò le mani tremanti dalle quali s’alzavano ancora sottili fili di fumo disperdendo all’intorno il puzzo di bruciato.
Jonghyun s’accasciò a terra infilandosi le mani tra i capelli, i suoi occhi caddero sulle schegge di specchio che tappezzavano il pavimento mostrandogli un volto stravolto e segnato da cupe occhiaie.
Key, solo tu puoi salvarmi, pensò tremante.
 
***
 
Kibum seguì con lo sguardo il volteggiare delle ultime foglie di un autunno dorato posarsi sul sentiero di bianca ghiaia che si snodava tra gli alberi resi scheletrici dell’avanzare dell’inverno. Una folata di vento gelido lo costrinse ad affondare il naso nella spessa sciarpa di lana e a sbattere gli occhi ricacciando indietro le lacrime che da giorni cercavano una via d’uscita, ma che l’orgoglio del principe non intendeva concedere loro. Rimanevano così incatenate negli occhi felini di Kibum rendendoli acquosi. Il principe si morse le labbra cuore trattenendo un singhiozzo ed un moto di fastidio quando il cavaliere gli mise sotto il naso la boccetta di stramonio.
-Bevete –, disse Kyuhyun porgendogli la boccetta.
Stavano procedendo lungo la strada che portava a sud, verso Busan, quando il cavaliere aveva osservato il moto del sole e deciso di concedere loro una breve pausa per assolvere quell’incombenza, necessaria a mantenere l’abilità di Kibum sotto controllo. Erano in viaggio solo da pochi giorni e la distanza che avevano messo tra loro ed Hanamsi era minima, eppure Kibum si sentiva ad un passo dai portoni vermigli e dorati del Palazzo dei Kim di Busan.
Kibum guardò la fiala arricciando il naso.
-No – disse alzando il mento e con una punta d’arroganza nella voce.
Le labbra del cavaliere s’assottigliarono prima che imprecasse nervosamente tra sé.
 –Aish, bevete senza fare storie. –
Il principe tenne il mento alto rivolgendo all’altro uno sguardo tagliente.
-No –, disse di nuovo senza battere ciglio.
-Non costringetemi a mandarvelo giù con la forza –
Kibum non si mosse, rimase ritto come un fuso limitandosi a fissarlo con aria di sfida. Quando due giorni addietro si era risvegliato a cavallo e con le mani legate al pomo della sella, mentre il suo corpo spossato e dolorante stava riverso in avanti, aveva pensato di trovarsi in un sogno assurdo. Solo quando la vista si era fatta più chiara ed aveva messo a fuoco la figura del cavaliere si era accorto di essere in realtà piombato in un incubo. Kyuhyun non aveva tardato dal scoprirlo sveglio e si era subito premurato di dare conferma al suo terrore.
-Vi sto portando a Busan –, aveva detto con un sorrisetto divertito.
Forse la caduta nell’Han l’aveva stordito al punto che nella sua mente erano passati mesi, quando in realtà non erano state che poche ore. Si era sognato tutto: i Ribelli, il Rifugio, Jinki, Taemin, Minho e soprattutto Jonghyun. Non erano stati altro che il frutto della sua fantasia, del suo inconscio che aveva messo insieme volti, emozioni che aveva solo di sfuggita percepito ed incontrato. Ma no, quelle immagini, quelle emozioni erano state troppo reali, forse le ansie di Jonghyun l’aveva scosso a tal punto che la sua mente aveva generato quell’incubo assurdo.
Non era mai stato ad Hanamsi e non aveva mai lasciato il Rifugio, stava solo dormendo e nel giro di poco si sarebbe svegliato con il corpo caldo di Jonghyun al suo fianco. Ma l’aria fredda l’aveva colpito in viso rendendo fin troppo palese la natura della sua situazione. A nulla erano valse le sue proteste, il suo scalciare e divincolarsi ogni volta che Kyuhyun gli faceva ingurgitare quell’amaro intruglio. Amaro quando il futuro che si prospettata davanti a lui. Sino alla prima sera aveva sperato con tutte le sue forze di essersi sbagliato, di essere solo in un incubo troppo reale perché la sua mente spaventata potesse smentirlo, ma la verità era che era davvero stato strappato dalle braccia calde di Jonghyun. Un calore che ora temeva di non percepire mai più. Aveva scosso il capo, stretto i pugni e si era morso le labbra sino a saggiare il proprio sangue, ma continuava a rimanere relegato in quella realtà terribile. Più volte aveva guardato dietro di sé scrutando l’orizzonte alla ricerca di un segno, uno qualunque, che preannunciasse l’arrivo dei suoi amici. Ma nulla. Eppure Kibum aveva la ferma certezza che lo stessero cercando, Jinki aveva i suoi metodi per venire a capo della sua scomparsa e Jonghyun non avrebbe mai permesso che quel vento gelido, che s’alzava minaccioso da nord, lo trasportasse lontano da lui.
Per quanto procedessero lentamente a causa del clima e delle giornate corte, Kibum aveva fatto il possibile per rallentare ulteriormente il viaggio. Aveva tormentato il cavaliere con ogni possibile pretesa assurda e lamentala, ma benché l’irritazione di Kyuhyun crescesse ogni volta, il cavaliere gli aveva sempre risposto seccato per poi ignorarlo.
L’odore fastidioso della boccetta torno a stuzzicargli le narici e Kibum volse il capo di lato.
-Ho detto no! – disse pestando un piede a terra.
Kyuhyun sbuffò, chiaramente frustrato.
-Mi comporterò bene – aggiunse poi Kibum addolcendo lo sguardo.
Kyuhyun incrociò le braccia ed inarcò un sopracciglio. – Voi comportarvi bene? Ho serissimi dubbi in proposito. Siete una peste a piede libero. –
Kibum corrugò la fronte e pestò un piede per terra. Non che ci sperasse, ma ne aveva abbastanza degli insulti del cavaliere. Era pur sempre l’erede al trono.
-Ho fame – disse.
-Avete giù mangiato. –
-E con ciò? Ho fame ho detto. -
-Bevete quella dannata fiala! –
-Non prima di aver mangiato.-
Kyuhyun sogghignò. - So cosa state cercando di fare ed è del tutto inutile. Siete già insopportabile di natura senza dovervi impegnare. Vi porterò a Busan, dovessi infilarvi in un sacco e caricarvi in spalla. Quindi risparmiate le forze per il mio padrone. –
-Come osi? Sono sempre il tuo principe -, gli soffiò in faccia.
Al principe non era sfuggito il sottinteso che si celava nelle ultime parole dell’altro ed il suo volto si era imporporato per la vergogna, mentre il suo orgoglio scalpitava. L’umiliazione e la minaccia di essere messo in un sacco non era stata nulla a confronto. Il solo pensiero di ciò che lo attendeva a Busan gli provocava dei brividi gelandogli il sangue. Non voleva. Aveva giurato a sé stesso che sarebbe morto piuttosto che unirsi a quella serpe di Heechul, prima che potesse anche solo sfiorarlo e guardarlo ancora come fosse un trofeo che solo a lui era stato concesso. Il principe si sentiva come la punta di diamante di una collezione di ambizioni, un pacco luccicante pronto ad essere scartato. Era orribile.
-Potrei farti fustigare per la tua insolenza, lo sai?- disse sdegnato.
Kyuhyun lo ignorò, poi lo guardò di sottecchi scattando verso di lui con il chiaro intendo di fargli ingurgitare il contenuto della fiala. Kibum sbarrò gli occhi e scivolò dietro al cavallo che scalpito facendo scricchiolare la ghiaia del sentiero sotto gli zoccoli. Da oltre il dorso del quadrupede i due si squadrarono ed il cavaliere tento varie finte che fecero sussultare il principe.
-Non fate il bambino. –
Kibum scosse il capo. Non intendeva permettergli di somministrargli ancora quel veleno, ma sapeva che Kyuhyun non si sarebbe arreso, era troppo preoccupato dalla sua abilità per permettergli di recuperare la facoltà di usarla. Kibum rimase fermo, in attesa, studiando ogni mossa dell’altro; forse quella poteva essere l’occasione che aspettava per svignarsela. Valutò attentamente la situazione, la cosa migliore da fare era sfruttare la propria agilità per montare a cavallo, ma il quadrupede era stato legato all’albero vicino mentre erano in sosta. Non avrebbe mai avuto il tempo di slegarlo. Tutto ciò che poteva fare era approfittare di quella situazione di stallo per correre il più veloce possibile e lasciarsi il cavaliere alle spalle. Kibum soffiò indispettito, mentre l’altro gli rivolgeva un sogghigno divertito.
Che impertinente, pensò il principe, sono pur sempre l’erede al trono non dovrebbe nemmeno azzardarsi ad essere così insolente.
D’altro canto riconosceva la bizzarria della situazione.
Le possibilità che il suo misero piano andasse a buon fine erano ben poche, lo riconosceva, ma in assenza della sua abilità era tutto ciò che poteva fare. Ripensò alle parole di Minho durante gli allenamenti, doveva sfruttare la sua agilità e velocità.
Kibum tentò una finta di lato costringendo il cavaliere a spostarsi verso sinistra, ma all’ultimo scattò a destra e mettendosi le ali ai piedi corse più veloce che poté zigzagando tra gli alberi spogli. Evitò rami, buche, massi, tronchi crollati al suolo e riversi tra le ultime foglie autunnali che facevano da tappeto rosso e giallo alla foresta all’intorno. Gli parve di tornare indietro di mesi, quando la sua corsa l’aveva condotto ad un precipizio che aveva stravolto totalmente la sua vita, perché ciò che aveva visto al risveglio erano stati gli occhi ambrati e caldi di Jonghyun che, già allora, lo guardava con dolcezza e apprensione. Kibum corse più veloce allontanando il pensiero dell’altro che inevitabilmente l’avrebbe costretto a ricacciare indietro le lacrime. Doveva concentrarsi su quella corsa disperata e sfruttare tutta l’adrenalina che aveva in corpo, doveva solo correre, correre, correre. Le imprecazioni di Kyuhyun dietro di lui lo fecero sobbalzare e la paura lo costrinse a guardarsi in dietro. Il cavaliere era più vicino di quanto pensasse. Kibum deviò un masso e saltò un tronco, ma il suo piede atterrò malamente incontrando un lieve declivio ed un dolore lancinante gli attraversò la caviglia. Cadde a terra rotolando tra il fogliame e spezzando ramoscelli. Tentò di rialzarsi ma un’altra fitta alla caviglia lo costrinse a terrà così si ritrovò a strisciare sul fogliame, quando vide Kyuhyun incombere su di lui. Kibum strinse le mani tra le foglie morte richiamando a sé la sua energia, ma tutto ciò che ottenne fu un leggero formicolio ai polpastrelli e dei sottilissimi, per non dire quasi inconsistenti, filamenti bluastri che subito si spensero sfrigolando nell’aria fredda. Il volto del cavaliere passò dal preoccupato al soddisfatto e si portò le mani ai fianchi.
Kibum si morse il labbro, era davvero frustrante avere un’abilità come la sua a disposizione e non poterla usare, non si era mai sentito così inutile ed in trappola in vita sua. Nemmeno la notte in cui era fuggito da palazzo, malgrado il terrore, si era sentito impotente davanti ad Heechul.
Strisciò all’indietro incontrando un grosso ramo che brandì agitandolo contro l’altro.
Kyuhyun rise. –Cosa pensate di fare? –
Kibum si puntellò ad un albero e cercò di alzarsi tenendo leggermente sollevato il piede infortunato, sul quale gli occhi del cavaliere caddero inevitabilmente.
-Che cosa avete fatto? – domandò con un moto di orrore mettendosi le mani tra i capelli. –Aish! Siete una lince selvatica! –
-Che cosa c’è? – urlò Kibum fuori di sé, - il tuo padrone ti farà frustare se gli porterai una bambola rotta?! –
Basta, ne aveva abbastanza di essere trattato a quel mondo! In quei mesi era quasi riuscito a scordare cosa significasse essere l’erede al torno di Chosun, cosa volesse dire essere considerato null’altro che una bambola di porcellana. Per quanto umiliante in presenza del cavaliere, non riuscì più a trattenere le lacrime. Ormai la realtà della sua situazione l’aveva colpito come uno schiaffo dritto in viso e, se nei giorni passati era stato in parte incosciente perché troppo scosso dalla rapidità degli eventi, ora ne era fin troppo conscio. Dopo mesi di libertà sarebbe tornato ad essere uno stupido soprammobile da esibire alle cerimonie di corte, una merce di scambio tra la famiglia reale ed i Kim di Busan, un divertimento ed un vanto per il suo “premuroso” promesso. Qualcuno da ingraziarsi solo per in titolo che portava e non per la persona che era, chiuso in una perfetta gabbia d’oro senza alcuna via d’uscita. Kibum avrebbe preferito recidersi la gola con la sua stesse mani piuttosto che tornare a quella vita insensata che non era vita. Se prima sopportarla era stato faticoso, ora la consapevolezza del mondo, degli orrori dell’imperatore, della morte di sua madre glielo avrebbe reso impossibile. Come poteva tornare a quel freddo mondo di marmo ora che aveva conosciuto l’amore?
Jong, pensò reprimendo un singhiozzo che sarebbe fuoriuscito sin troppo acuto dalle sue labbra.
-Siete un capriccioso bambino viziato – gli sputò in faccia Kyuhyun. –Avete sempre avuto tutto e molto di più, e lo avete considerato con indifferenza e normalità. Avete disprezzato ricchezze e vantaggi che per altri non erano che sogni irraggiungibili e scrutato con disappunto chiunque facesse della propria condizione nobile un vanto. –
Kibum impallidì e fu scosso da un brivido, non potendo fare a meno di percepire un fondo di verità nelle parole dell’altro. Era stato ingenuo, sciocco, ma come poteva non provare disgusto per tutti quei nobili che si vantavano delle proprie ricchezze, calpestando chiunque non avesse un titolo e pretendendo sempre di più?
-Voi e quel vostro irreprensibile cane da guardia non avete mai fatto altro che pavoneggiarvi per il palazzo come se foste un esempio di perfezione, intoccati dai vizi del mondo, indifferenti all’oro che vi circondava. Siete solo un’ipocrita ingrato a cui è stato chiesto un unico sacrificio ed ora scalciate e vi lamentate. –
-Non nominare Siwon! Tu non sia niente! –
Era facile giudicare la sua vita perfetta per chi vedeva e desiderava solo ciò che luccicava, ma la realtà era ben diversa. Non c’era nulla di perfetto se non un teatrino costruito ad arte e accettare di essere un burattino pronto a danzare al muoversi di fili dorati. Kibum aveva spezzato quei fili e mai avrebbe permesso che gli venissero ricuciti addosso.
Kyuhyun lo fissò duramente e Kibum ebbe la certezza che se non fosse stato per gli ordini di Heechul, il cavaliere l’avrebbe colpito molto volentieri. Il principe fremette. Perché lo odiava tanto, che cosa aveva mai fatto per meritarsi tutto quell’astio da parte di Kyuhyun? I loro rapporti erano sempre stati fugaci per non dire nulli.
Kyuhyun non vedeva l’ora di liberarsi del principe e lavarsi le mani da tutta quella faccenda che era riuscita solo a risvegliare vecchi rancori e trasformarlo in una balia. Non riusciva a sopportarlo. Kyuhyun veniva da una famiglia cadetta di nobiltà minore, piccoli proprietari terrieri sommersi dai debiti. Tutto ciò che aveva ottenuto aveva dovuto sudarlo, strapparlo con le unghie e con i denti prima che altri lo arraffassero. La sua unica prospettiva era stata quella di entrare all’accademia reale e sperare di servire una famiglia d’alto rango. Kyuhyun era sempre stato ambizioso e diventare la guardia del corpo dell’erede al trono era stata la sua massima aspirazione. Si era impegnato anima e corpo nel suo addestramento con quell’unico obiettivo fisso nella mente, aveva dato tutto sé stesso, pregato giorno e notte affinché i suoi sacrifici fossero ripagati.
Kyuhyun rivolse uno sguardo sprezzante a Kibum ancora riverso a terra tra le foglie rosseggianti, i capelli corvini scossi dal vento freddo.
Siwon era entrato in accademia per un colpo di fortuna, quando in realtà avrebbe dovuto stare appeso ad una forca. Era stata la benevolenza, o l’ingenuità, del principe a far sì che ricevesse un addestramento rivelandosi uno dei migliori. Kyuhyun l’aveva sempre visto come un potenziale rivale, ma allo stesso tempo era stato sicuro della sua posizione. Quando era giunto il momento per il principe di scegliere una guardia del corpo consona al suo rango, Kyuhyun aveva atteso pazientemente, si era messo in fila con gli altri cadetti, il viso alto e la mano sul pomo della spada pronta a servire il sangue reale. Ma Kim Kibum non aveva l’aveva degnato di uno sguardo, era semplicemente passato oltre ed aveva scelto Siwon. Una decisione che doveva aver preso ancora prima di mettere piede in accademia. Tutti gli sforzi di Kyuhyun erano stati vanificati da quel nessuno venuto dalla strada e dai capricci del principe. Kyuhyun si era sentito deriso, umiliato. Anni a sudare, ad allenarsi e dannarsi anima e corpo per raggiungere il suo obiettivo ed era stato ignorato. Il cavaliere non aveva mai dimenticato quel giorno, né intendeva farlo.
-Ti prego – disse il principe flebilmente, - non portarmi a Busan. Ti darò quello che vuoi, lo giuro, ma non farlo. –
Kyuhyun rimase fermo a guardare l’altro in preda ai singhiozzi, lo sguardo di pietra. Kibum alzò gli occhi arrossati su di lui asciugandosi le guance bagnate.
-Tutto ciò che desideravo da voi l’avete concesso ad altri molto tempo fa. Mi è stato ordinato di portavi a Busan e a Busan vi porterò perché è lì il vostro posto, lì e a Soul – rispose freddo.
Kyuhyun si chinò sul principe porgendogli nuovamente la boccetta. –Bevete.-
Kibum si morse le labbra e scosse il capo.
-Bevete -, ripeté l’altro incolore.
Kibum guardò la fiala di vetro luccicante dei riflessi di un sole incapace di scaldare. Allungò la mano bianca e tremante e lanciò un ultimo sguardo supplicante al cavaliere, ma Kyuhyun rimase impassibile. Non aveva altra scelta che acconsentire. Si portò la fiala alle labbra e bevve, subito il sapore amaro del contenuto lo stomacò contorcendogli le viscere e smorzandogli per qualche secondo il respiro. Una folata di vento fece oscillare i rami spogli degli alberi, colmando il silenzio insieme al lontano cinguettio di un uccello. Intorno a lui la foresta divenne opaca, un’accozzaglia di colori sbiaditi e privi di luce.
 
 
 
-Yah, mi stai facendo male –, si lamentò Kibum arricciando il naso e allontanando la caviglia dai tocchi poco gentili del cavaliere.
Kyuhyun sbuffò. -Smettetela di lamentarvi, non avete che da biasimare voi stesso ed il vostro ridicolo colpo di testa. –
Kibum avvertì una fitta e balzò indietro. -Vuoi staccarmi il piede? –
-E’ slogata – rispose l’altro con tranquillità.
Kibum roteò gli occhi. – E io che pensavo avesse il raffreddore. -
Verso sera avevano raggiunto il villaggio di Seungil[1] , giusto in tempo prima che le luci si smorzassero in cielo non permettendo loro di vedere ad un palmo del proprio naso. Avevano subito trovato alloggio in una locanda dall’aria traballante e sudicia, alla quale il principe aveva riservato tutta la propria avversione.
-Non potevi trovare di meglio? Non vorrai farmi mangiare e dormire là dentro? Potrebbero esserci i topi! –
-Oh i topi ci saranno di sicuro, vostra grazia -, aveva risposto Kyuhyun con malcelato divertimento. – Pregate solo che non vi entrino nel letto. -
Ignorando le lamentale ed i miagolii di disappunto del principe, Kyuhyun continuò a tastargli la caviglia gonfia ed arrossata per poi avvolgerla in una benda. Intanto, seduto su un futon dalle coperte troppo leggere per l’imminente stagione invernale, Kibum fece scorrere lo sguardo felino sulla stanza della locanda e si ritrovò nuovamente ad arricciare il naso. Era davvero una stamberga! Le pareti di legno denunciavano l’esistenza di una precedente vernice colorata, ora totalmente scrostata o sbiadita, non c’erano mobili se non una cassapanca in pessime condizioni ed il futon su cui era seduto, più simile ad un groviglio di coperte sudicie che ad un vero giaciglio. Kibum guardò le macchie sulle lenzuola e subito ritrasse le mani strofinandosele sui pantaloni con evidente repulsione. Kyuhyun l’osservò attentamente, mentre muoveva su e giù la gamba dell’altro per saggiarne lo stato.
-Sono proprio curioso di sapere come ve la siete cavata in questi mesi, considerando il vostro atteggiamento. –
Kibum inarcò un sopracciglio. – Non penserai davvero che venga a raccontarti gli affari miei? –
-State pur tranquillo che non mi interessano, ma qualcosa mi dice a lord Heechul interesseranno molto. –
Kibum s’irrigidì. Purtroppo l’altro aveva ragione, Heechul gli avrebbe fatto il terzo grado e per allora doveva avere una storia convincente. Ovviamente la sua speranza era quella di svignarsela quanto prima, certo con una caviglia slogata le possibilità si erano ulteriormente assottigliate. Guardò la caviglia fasciata e sospirò. Quell’imprevisto non ci voleva proprio, non poteva fare affidamento né sulla sua abilità, né sulle sue gambe.
-Ho fame –  piagnucolò.
-L’avevate anche oggi.-
-Non mi pare che tu mi abbia dato da mangiare – disse incrociando le braccia.
Kyuhyun lo guardò di sottecchi poco convinto, facendo poi spaziare lo sguardo all’intorno. C’era un’unica finestrella dal vetro spesso e incrostato di sporco e una porta che conduceva alla stanza attigua destinata a lui, porta che il cavaliere intendeva chiudere a chiave non appena avesse lasciato solo il principe.
-Vi porto una ciotola di riso –, acconsentì infine.
-Tutto qui? –
-Dove pensate di essere? –
Kibum sbuffò e roteò gli occhi. – Vuoi forse portarmi a Busan ridotto ad uno scheletro? Ah a proposito, voglio fare un bagno. –
-Sappiate che vi terrò d’occhio. –
Il volto di Kibum divenne paonazzo. Aveva capito bene?
-Te lo puoi scordare – soffiò.
-Non intendo perdervi di vista nemmeno per un secondo, finché non avrete gli occhi chiusi ed avrò la certezza che non possiate fare danni. –
L’angolo della bocca cuore di Kibum si piegò leggermente in un sorriso scaltro. Aveva tutta l’intenzione di rendere la sua presenza all’altro insostenibile, se prima tormentarlo era stato un modo per rallentarlo, ora ad animarlo era più un sentimento di vendetta per quanto accaduto nella foresta.
-Lo sia che nessuno mi ha mai visto nudo? Immagina la faccia del tuo lord quando saprà che tu sei stato il primo. Tu e non lui. Se solo provi a guardarmi ti posso assicurare che la tua testa rimarrà davvero attaccata al tuo collo ancora per poco –, sibilò.
Kyuhyun emise una risata divertita. - Potete rifiutare lord Heechul quanto volete ma, fidatevi, potreste essere il suo degno compagno. –
Kibum strinse i pugni fumante di rabbia. Non era esattamente la reazione che sperava.
-O accettate le mie condizioni o potete scordarvi bagno. –
-Non intendo arrivare Busan ridotto come uno straccione! –
-State certo che una volta a palazzo il mio lord si premurerà di farvi fare un bagno caldo e profumato. -
Kibum incrociò le braccia e sbuffò. –Voglio il mio riso, adesso. –
 
 
Rannicchiato sullo stretto davanzale della finestra, Kibum si strinse le ginocchia al petto in cerca di calore. Benché il vetro fosse gelido, stare lì era preferibile che cercare conforto nel giaciglio sudicio al centro di quella stanza cupa e triste. Il legno infestato dalle tarme scricchiolava e solo la luce tremula di una lanterna gettava una luce opaca e inconsistente all’intorno. Kibum tirò su col naso e si strinse nelle spalle, osservando le luci che palpitavano nella notte. Mai come in quel momento aveva avvertito così forte la nostalgia e l’assenza di Jonghyun, dei suoi abbracci caldi, della sua tenerezza e dei suoi baci. Si sentiva perso, un pianeta solitario nel mezzo dell’oscuro nulla, senza un’orbita a dare senso al suo fluttuare in un universo vuoto dove ogni luce è spenta. Rimpianse con amarezza quell’ultima notte che avevano passato insieme, quel bacio e quelle carezze appassionate che avrebbero potuto trasformarsi in molto di più, ma che le sue paure aveva raffreddato sul nascere. Ora, non c’era più paura in lui se non quella di averlo perso, di aver legato la sua anima a quella dell’altro, ma senza poter mai essere completamente e definitivamente suo. Avrebbe fatto qualunque cosa pur di tornare indietro e lasciarsi avvolgere da quell’abbraccio, per godere appieno di quelle carezze, di quei baci, per donare a Jonghyun tutto sé stesso. Che poi il destino lo strappasse pure da lui se così aveva decretato, ma prima doveva sentirsi suo sino all’ultima fibra del suo corpo, sino all’ultima sfumatura cangiante della sua anima. Come poteva tornare alla vita insensata di prima, essere gettato a forza tra le braccia prive di amore di un altro e costretto ad unire anima e corpo a quella serpe, quando il filo rosso del destino lo tirava inevitabilmente verso Jonghyun? Che senso aveva lo scorrere del sangue nelle vene se il suo cuore giaceva freddo e morto nel suo petto?
Kibum posò i polpastrelli sul vetro gelato ed un brivido gli scosse le membra.
Jong…solo il tuo amore può salvarmi.
***

Jonghyun ripose le bacchette sul tavolo e fissò con indifferenza la ciotola di riso intoccata. Nonostante il suo stomaco brontolasse l’odore del cibo la nauseava. Minho, seduto al suo fianco, lo guardò con preoccupazione ma non disse nulla, limitandosi a sospirare.
Avevano lasciato Hanamsi pochi giorni addietro spronando i cavalli al limite della sopportazione lungo la strada sud. Quando Jonghyun aveva messo piede fuori della locanda era finalmente riuscito a respirare aria pulita e la testa aveva smesso di martellargli. Minho si era subito avvicinato a lui porgendogli le briglie del quadrupede.
-Mi dispiace, hyung – aveva detto con lo sguardo basso.
Jonghyun lo aveva rassicurato sorridendogli e mettendogli una mano sulla spalla. – La colpa è più mia che tua. Abbiamo entrambi commesso una leggerezza. –
-Quel cavaliere deve essere lo stesso che ho visto a Chemulpo –, aveva aggiunto. –Me lo ricordo bene, lo troveremo. -
Subito dopo erano montati a cavallo, solo Taemin era rimasto indietro per fare ritorno al Rifugio. Il più piccolo non era stato felice della decisione, ma Jinki era stato irremovibile.
-Qualcuno deve occuparsi del resto di noi-, aveva sentenziato lasciando Taemin di stucco. Orgoglioso ma anche preoccupato aveva accettato la decisione del fratello.
Quella sera avevano raggiunto un piccolo villaggio, non distante dalla cittadina di Seungil dove contavano di arrivare il giorno successivo. Fortunatamente la strada per il sud era molto frequentata in quel periodo, soprattutto dai mercanti di Nihon che intendevano abbandonare via nave prima del sopraggiungere del clima rigido, così era stato facile raccogliere informazioni. Inoltre la strada per Busan prevedeva delle tappe obbligate, cittadine e villaggi che era impossibile evitare. Con le giornate corte ed il clima poco favorevole Key non poteva essere lontano.
Jonghyun si alzò dal tavolo. –Penso che me ne andrò a dormire – disse.
Jinki annuì e lo guardò allontanarsi nella sala semi vuota della locanda in cui aveva trovato rifugio per quella notte. Jonghyun salì le scale che conducevano al piano superiore e raggiunse subito la sua stanza, un’ambiente semplice ma pulito e arredato in stile tradizionale. Si buttò subito sul futon sospirando e massaggiandosi le tempie. Quando riaprì gli occhi fissò la lanterna che pendeva dal soffitto, intorno alla quale volteggiava solitaria una falena. Era stanco, spossato e spaesato. Gli sembrava di procedeva a tentoni in una fitta nebbia senza mai avere la certezza di avanzare. Come aveva fatto sino ad ora a vivere senza l’altro? La sua esistenza era stata così vuota ed insensata? Quando Key aveva detto di essere stato stregato anima e corpo da lui la sua anima sussultato, riconoscendo in quelle parole una verità ineluttabile. In un tempo che era durato meno di un battito di ciglia il fato aveva gettato su di loro un incantesimo intrecciando le loro anime.
O forse è una maledizione e noi non siamo altro che le pedine di un destino malvagio che ci ha uniti per strapparci l’uno dalle braccia dell’altro, pensò.
Eppure, nonostante questa consapevolezza negli ultimi giorni era tormentato dalle parole delle kisaeng. Non lo facevano dormire quanto l’angoscia per l’altro.
La porta scorrevole della stanza s’aprì e dei passi leggeri annunciarono l’arrivo di qualcuno. Il profumo di tè verde invase le narici di Jonghyun che sorrise leggermente.
-Jinki – disse, - cosa vuoi? – chiese mettendosi a sedere.
Trovò il più grande seduto a gambe incrociate, tra le mani una tazza di tè che subito gli porse. Jonghyun l’accettò di buon grado, non riusciva a mangiare, ma bere qualcosa di caldo non poteva che fargli bene.
-Devo per forza volere qualcosa? – chiese Jinki con un mezzo sorriso.
-No – fece Jonghyun bevendo un sorso di tè.
-Sei molto turbato- osservò Jinki.
-Non dovrei? -
Jonghyun corrugò la fronte e poi si massaggiò le tempie. Se stesse sbagliando tutto? Se il suo fosse davvero un cieco egoismo capace solo di privare Key di una vita perfetta, di metterlo in pericolo? Certo, era stato Key a decidere di restare, molto prima che si dichiarassero il proprio amore, ma Jonghyun era consapevole di poter diventare una catena per lui. Non vi aveva mai riflettuto, non gli aveva mai posto domande. Se Key avesse iniziato a provare la mancanza della sua vita precedente, delle comodità? Chi era lui per condannarlo a rimanere al suo fianco, a vivere con il rischio di un cappio intorno al collo? Solo il pensiero lo fece rabbrividire. In quanto Ribelli una volta scoperti e arrestati ad attenderli ci sarebbe stata una condanna a morte. Jonghyun non poteva sopportare l’idea della vita di Key appesa ad un filo a patire una fine tanto misera. Forse doveva davvero lasciarlo andare, sarebbe stato meno felice ma vivo e al sicuro. E poi qualcuno lo aspettava a casa, forse non c’era amore tra Key ed il suo promesso, ma quella persona doveva pur provare dell’affetto per Key se si stava dando tanto da fare per riportarlo indietro. Dopotutto si sarebbe preso cura di lui. A quelle condizioni, Jonghyun sarebbe stato disposto a fare marcia indietro, a rinunciare a quegli occhi magnetici, a quei sorrisi e quelle labbra.
Qualunque cosa, pensò, pur di saperlo al sicuro.
-Secondo te stiamo facendo la cosa giusta? – domandò a JInki.
Il più grande inarcò un sopracciglio. – Cosa vuoi dire? –
Jinki era perplesso, perché proprio Jonghyun gli poneva quella domanda?
-Il nostro mondo non è il suo, hyung. Forse un giorno proverà nostalgia di casa, se…-
Jinki gli mise una mano sulla spalla, stringendogliela con dolcezza.  –Non devi nemmeno pensarlo. Ascolta, quando è arrivato da noi ho parlato a lungo con Key e gli chiesi perché stesse scappando, sai cosa mi rispose? –
Jonghyun scosse il capo.
- Perché le pareti del palazzo mi soffocano, le persone che vedo intorno a me mi disgustano e perché mi hanno fidanzato con un pazzo e mai gli permetterò di sfiorarmi. Questo mi disse. –
Jnghyun sgranò gli occhi. Dunque non sarebbe stato al sicuro, né ci sarebbe stato affetto ad attenderlo.
-Temeva volessi chiedere un riscatto e mi pregò di non farlo – proseguì Jinki, - mi disse che piuttosto avrei dovuto ucciderlo. –
Jonghyun boccheggiò. Quali misteriosi orrori doveva celare lo sfavillante palazzo di Key, il suo futuro, perché formulasse pensieri così tetri? Non gli aveva mai chiesto nulla se non il minimo indispensabile, d’altra parte non gli importava e come poteva se non interessava a Key?  
Jinki sondò gli occhi grandi dell’altro. Conosceva i lati più oscuri dell’animo di Jonghyun, la sua rabbia, la sua impulsività e quel fuoco malvagio appena assopito, così come aveva conosciuto il gelo e la paura nel cuore di Key. Jinki sapeva che quello strano legame che univa Kibum e Jonghyun, quel filo rosso, era l’unica via di salvezza per entrambi.
-Jonghyun, tu meglio di chiunque altro conosci i suoi pensieri, sai di cosa ha davvero bisogno e non è quello che si è lasciato alle spalle. Sei tu. –
 
 
 
 
Spero sia stata una lettura piacevole, chiedo scusa se sono rimasti errori nel testo. Ringrazio chi continua a leggere, commentare, chi ha inserito la storia tra preferite, seguite e da ricordare. 
Siate gentili lasciatemi un commentino, le opinioni altrui sono sempre gradite!
Alla prossima!
 
[1] Nome inventato. 

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Capitolo 19
*** Capitolo 18. Rescue (parte 2) ***


Ciao a tutti! Sì lo so anche questa settimana sono in leggero ritardo, scusate >.< i motivi sono quelli della volta precedente.
Prima di augurarvi buona lettura ci teneva a ringraziare nominalmente tutte le persone che sino ad ora mi hanno lasciato i loro commenti: DreamCatcher, Ghira, KimJonghyun23, MagicaAli, Panda_murderess, Saranghae_JongKey e vanefreya, grazie mille!
Ovviamente ringrazio anche tutti i lettori, chi ha inserito la storia tra preferite, seguite e da ricordare.
Sperando di non aver lasciato in giro troppi errori, buona lettura!
 

Capitolo 18
Rescue
 
 
“Only you can take me out
Only you can make my blood circulate
Only you are the way to being rescued
You’re my rescue, you’re my rescue”
Shinee, Rescue
 
 
Kibum tastò con i polpastrelli il vetro della finestrella che, in quella stanza squallida, gli regalava un triste stralcio del mondo che scorreva lungo le vie di Seungil, o per meglio dire del vicolo che costeggiava la stamberga nella quale era stato relegato. Lo scrosciare della pioggia era l’unico suono che udiva e, benché fosse stata una goccia d’acqua caduta direttamente dal soffitto a svegliarlo, la sua situazione faceva sperare in un risvolto positivo. Quel giorno non si sarebbero mossi da Seungil, il che voleva dire un giorno per rimettere in sesto la caviglia, la possibilità di occupare quelle ore vuote ad elaborare un piano di fuga e la speranza che Jinki e gli altri lo raggiungessero. Ecco perché teneva il naso ormai gelato incollato alla finestra. Certo, era solo uno stretto vicolo quello che si dispiegava sotto di lui, ma era abbastanza disperato nel confidare che i suoi amici sarebbero passati di lì.
Emise un sospiro ed il suo viso si rabbuiò.  
E se non avessero la più pallida idea di dove sia?, si domandò con un moto di disperazione.
No, si disse poi scuotendo il capo.
Jinki non era di certo uno stupido e Kibum era pronto a scommettere che si fosse messo subito sulle sue tracce una volta appresa la notizia della sua scomparsa. In quanto a Jonghyun, non aveva dubbi sulla sua apprensione e, a dirla tutta, la cosa lo metteva parecchio in agitazione. Conoscendo il più grande stava per fare qualche sciocchezza.
In realtà aveva un motivo molto più pratico per giustificare il suo attaccamento verso quella sudicia finestra. Si era reso conto che l’effetto dello stramonio stava terminando e che sarebbe passato ancora un po' di tempo prima che Kyuhyun ritenesse necessario somministrargli un’altra dose. Tempo che intendeva usare per mettere in pratica l’unico misero piano che era riuscito ad elaborare.
Kibum guardò la porta chiusa che comunicava con la stanza, se così si poteva definire, del cavaliere. Le pareti dell’ambiente all’intorno trasudavano umidità ed il futon sudicio era bagnato a causa delle filtrazioni della pioggia. Il principe aprì e richiuse le mani saggiandone il piacevole formicolio che era tornato ad animarle. Non era di certo al massimo delle sue forze, nemmeno lontanamente, ma se la sua idea fosse andata a buon fine, l’energia che aveva a disposizione poteva essere sufficiente a far esplodere la finestra e permettergli di ritagliarsi così una via di fuga.
Kibum corrugò la fronte valutando ulteriormente la situazione. La finestra era piccola, ma sufficientemente grande da permettergli di uscire, dopo si sarebbe trovato sulla tettoia che divideva il primo ed il secondo piano dell’edificio e per finire lo attendeva un salto di circa cinque metri. Bhe, le possibilità di rompersi l’osso del collo non mancavano. Le tegole della tettoia erano scivolose, bagnate e tutt’altro che regolari e come superare quel salto di cinque metri era ancora un mistero. Sbuffò. Non aveva molta scelta. Premette di nuovo i polpastrelli sul vetro e richiamò a sé la propria energia. Il formicolio era lì, sempre più frizzante ma insufficiente. Chiuse gli occhi e corrugò la fronte in cerca di maggior concentrazione. Non doveva permettere ai suoi pensieri di distrarlo, benché l’idea di ritrovarsi in equilibrio precario su una tettoia sgangherata non lo tranquillizzasse.
O quello o Busan, si disse.
Per quanto inconsapevole di ciò che il viaggio ancora lungo gli avrebbe riservato non intendeva sprecare un’occasione.
Respirò piano in cerca di tranquillità e il formicolio s’intensificò, al punto che dei sottili fili d’energia bluastra scaturirono dalle sue dita. Kibum non aprì gli occhi per controllare, ma un sorrisetto soddisfatto animò il suo volto concentrato. Poteva percepirla, per quanto ancora debole, l’energia fluire in lui ed il suo cuore esultò. Quanto gli era mancata! Nonostante avesse sempre utilizzato la sua abilità solo in rare occasioni che la sua istruzione e l’etichetta gli imponevano, l’uso intenso che ne aveva fatto nelle ultime settimane aveva cambiato molte cose. Non era più solo un segno del suo rango, qualcosa di potente e prestigioso, ma un’arma che poteva sfruttare a suo vantaggio. Un moto di nostalgia lo invase mentre rammentava una conversazione avuta con Jonghyun.
-Quando vivevo per la strada la mia abilità era tutto ciò su cui potevo contare -, aveva detto il più grande. –Tu sei potente, Key, sfruttala non trattenerla, non è un solo un diamante da ammirare. –
E così aveva fatto in tutti gli allenamenti che erano seguiti. L’aveva usata per qualunque cosa e ora farne a meno era impossibile.
Forse fu il pensiero dell’altro, oppure aveva semplicemente raggiunto un livello di concentrazione tale per cui nulla poteva distrarlo, fatto sta che l’energia zampillò dalle sue dita con più forza, dipanandosi in una ragnatela bluastra sul vetro. Kibum si concesse il lusso di aprire gli occhi ed ammirare la sua opera. Filamenti blu e neri scivolavano luccicanti sulla finestra sfrigolando ed elettrizzando l’aria all’intorno che divenne magnetica, mentre sul vetro iniziavano ad intravedersi delle crepe. Il principe esultò tra sé mentre la solidità del vetro perdeva consistenza accompagnato da scricchiolii che si unirono al suono della pioggia. Alla fine la finestra cedette e le schegge di vetro si dispersero, in uno scroscio tintinnante, sul pavimento incrostato di sporco e polvere. Kibum fu abbastanza veloce da creare uno scudo intorno a sé per evitare di esserne travolto così, quando ritrasse le mani, le uniche tracce della sua impresa erano dei piccoli tagli vermigli sulle punte delle dita. Subito l’aria fredda dell’esterno investì la stanza portando con sé gli spruzzi della pioggia torrenziale che bagnava la città di Seungil.
Kibum valutò la situazione del pergolato e avvertì dei brividi percorrergli la schiena, alla fine allungò una gamba all’esterno e si fletté in avanti per farsi strada nello spazio ristretto. Intanto, dei passi giunsero dalla stanza a fianco seguiti dal rumore tetro della serratura. Il principe sussultò e, proprio in quel momento, la porta s’aprì per far entrare Kyuhyun.
-Cosa state combinando? Cos’era quel rumore? – domandò il cavaliere, irritato.
 Kibum sgranò gli occhi e Kyuhyun sbatté le palpebre più volte prima di rendersi conto della gravità della situazione e, non appena lo fece, impallidì.
-Cosa state facendo? – domandò con un misto di terrore ed astio nella voce.
Kibum deglutì e scivolò più veloce che poté fuori dalla finestra, mentre l’altro procedeva a grandi falcate verso di lui. La pioggia sul viso e le folate di vento lo investirono di una sensazione di libertà che tuttavia durò poco, perché si sentì afferrare per la caviglia.
-Yah! – urlò dimenandosi.
-Aish tornate qui! – fece l’altro fuori di sé.
-Lasciami! Lasciami! –
Kibum si divincolò con tutte le forza ritrovandosi scomposto sulle tegole sgangherate e scivolose, finché non riuscì a liberarsi della stretta dell’altro.
-Dove pensate di andare? –
-Lontano da qui! – gli urlò di rimando.
Kyuhyun sbatté i palmi delle mani sulla parete interna della stanza e dei calcinacci caddero dal soffitto e il tetto sgangherato oscillò. Quella catapecchia era ridotta al punto tale che era un miracolo che fosse ancora in piedi. Il principe deglutì e si spostò strisciando, mentre delle tegole franavano a terra per essere inghiottite delle pozzanghere fangose che chiazzavano il vicolo.
-Vi romperete l’osso del collo! Tornate dentro, subito! Aish siete un gatto selvatico, non vorrei essere nei panni di Lord Heechul quando dovrà domarvi! –
Kibum avvertì la rabbia montargli in petto, digrignò i denti e soffiò.
-Allora torna a Busan e digli di togliersi il disturbo –, gridò tra una folata di vento e l’altra.
Ormai Kibum era fradicio, gli abiti gli aderivano al copro così come i capelli alla fronte. Procedette a quattro zampe e a tentoni sul tetto traballante, totalmente indeciso su dove muoversi perché a quel punto, doveva ammetterlo, che non ne aveva la più pallida idea. Allungò il collo oltre la grondai in cerca di una via d’uscita.
Potrei saltare, pensò mordendosi il labbro.
Era folle, si sarebbe schiantato al suolo e rotto in mille pezzi. Il suo piano, dopotutto non era così fantastico e quei cinque metri che lo separavano dal suolo non uno scherzo. Certo, se l’altro non l’avesse interrotto nel bel mezzo della fuga avrebbe potuto prendersi qualche minuto per ponderare più attentamente la situazione.
-Per quanto sembriate un gatto non lo siete, non cadrete sui vostri piedi e ci sono cinque metri sotto di voi! –, disse Kyuhyun con un moto di soddisfazione nella voce.
Kibum lo ignorò, stizzito, pensava fosse stupido? Mosse un altro passo e con sgomento percepì la sua base d’appoggio sparire sotto di lui. Perse così l’equilibrio e rotolò sul tetto finché non incontrò il vuoto.
Morirò, pensò, ora mi schianterò a terra!
Ma ciò non avvenne. Prima che se ne rendesse conto atterò su un morbido quanto sudicio ammasso di coperte. Kibum sbatté le palpebre cercando di fare mente locale. Cos’era successo? Si guardò intorno, non si era sbagliato quelle erano davvero coperte sudicie abbandonate lungo il vicolo, coperte che realizzò essere identiche a quella che aveva in stanza. Era un inspiegabile colpo di fortuna, per non dire un miracolo, tuttavia osservò disgustato quelle putride coperte gli avevano appena salvato il collo.
Kibum scivolò giù dall’ammasso di stoffa e posò a terra, il più delicatamente possibile, il piede infortunato. Purtroppo una fitta gli attraversò subito la caviglia, ma doveva imporsi d’ignorare il dolore. Infatti, Kyuhyun non aveva perso tempo e dopo aver percorso disperatamente le scale interne dell’edificio, probabilmente al semplice pensiero del suo lord adirato, apparve davanti a lui sorridendo vittorioso, convinto che per il principe non vi fosse più via di fuga.
Del tutto incoscientemente dimentico del dolore, Kibum corse lungo il vicolo senza avere la più pallida idea di dove fosse diretto. L’importante era lasciarsi l’altro alle spalle. Corse zigzagando tra i vicoli simili ad un immenso, quanto sudicio, stretto labirinto delimitato da pareti sbiadite e traballanti catapecchie di legno. La pioggia tamburellava sui tetti, scrosciava sull’acciottolato e cadeva su di lui e la città apparentemente deserta. Era come essere in un incubo, una corsa disperata che poteva portare solo ad un precipizio o ad un’alta parete senza via d’uscita. Era fradicio, infreddolito e la caviglia stava per cedere. Ansimate, appoggiò la schiena ad un muro portandosi la mano al petto ed alzando gli occhi al cielo. Non ce la faceva più. Forse era stato davvero troppo ottimista e fu solo il pensiero di Jonghyun che gli permise di riprendere quella che, ormai, era una corsa lenta e claudicante. Tuttavia non fece molto strada perché, nonostante le strade fossero deserte a causa del tempo, Kibum andò a sbattere contrò qualcuno. Chi poteva mai essere così sciocco, a parte lui, d’aggirarsi con un acquazzone simile?
Il principe sussultò e tremò stringendosi nelle spalle, ma quando alzò gli per incontrare il volto della persona che aveva urtato sgranò gli occhi ed il suo cuore perse un battito. No, non era possibile, doveva essere per forza un sogno oppure la sua caduta dal tetto doveva essere stata più rovinosa del previsto ed era semplicemente morto. Probabilmente il suo corpo reale giaceva scomposto ed esanime tra la pioggia, il fango ed il suo stesso sangue che s’allargava in una pozza vermiglia intorno a lui. Fosse stato così avrebbe potuto ridere di gusto al solo pensiero di un Kyuhyun disperato e con le mani tra i capelli. Che cos’avrebbe mai potuto portare al suo lord se non un’inutile bambola di stracci?
-Jinki – disse infine, il cuore che aveva ripreso a battere all’impazzata.
Sono vivo, dunque, pensò.
Non poteva davvero crederci, e dietro il più grande c’era anche Minho. Entrambi lo guardavano sconvolti, quasi avessero di fronte un fantasma. Improvvisamente, l’attenzione di Jinki corrugò la fronte indurendo il volto e, con un movimento repentino, afferrò il polso del principe facendolo ruotare su sé stesso per bloccarlo da dietro. Kibum emise un singulto di sorpresa vedendo un bagliore metallico lampeggiargli davanti e posarsi freddo e tagliente sulla sua gola.
-Non dire nulla e assecondami – gli sussurrò Jinki all’orecchio, mentre Minho sguainava la spada.
Kibum annuì. Qualunque cosa avesse in mente Jinki sarebbe stato al gioco.
-Di nuovo quel tizio – osservò Minho.
Kibum guardò innanzi a sé e notò che Kyuhyun l’aveva ormai raggiunto.
-Riconsegnatemelo subito! – disse Kyuhyun.
Minho strinse con forza l’elsa della spada.
-Mi ricordo di te – aggiunse il cavaliere accennando a Minho. – Fate parte di quei banditi, non è così?-
Minho digrignò i denti. Banditi, che odiosa parola, lui come tutti gli altri Ribelli non la sopportava e la stessa l’espressione rabbiosa del Leader faceva ben intendere cosa pensava di quel termine. Repulsione, pura repulsione.
-Personalmente preferisco definirci Ribelli –, disse il Leader in un sogghignò ed enfatizzando le proprie parole premendo con più forza lama del pugnale sul collo del principe.
Kibum tentò di divincolarsi, se doveva stare al gioco tanto valeva farlo bene.
Kyuhyun proruppe in una risata. – Quanta arroganza in un manipolo di plebei senza speranze. –
Jinki gli rivolse un sguardo glaciale.
Il cavaliere si avvicinò cautamente facendo scorrere lo sguardo sui tre, per poi focalizzare la propria attenzione su Kibum.
-Vedete in che situazione vi siete messo, vostra maestà? -, scosse il capo. – Avreste dovuto rimanere a palazzo, a Soul, le strade non sono un luogo adatto all’erede al trono. –
Alle parole del cavaliere Kibum ebbe un tuffo al cuore e sentì Jinki irrigidirsi stringendolo con più forza. Allo stesso tempo ringraziò mentalmente l’assenza di Jonghyun altrimenti il mondo, che aveva appena iniziato a riprendere consistenza e colore intorno a lui, gli sarebbe crollato addosso. Non ebbe modo di constatare la reazione di Minho che, tutto sommato, era il minore dei problemi in quel momento. Jinki fissò Kyuhyun con pure astio.
Kyuhyun sogghignò, troppo sciocco per essere consapevole di ciò che aveva risvegliato.
-Avanti, riconsegnatemi il principe Kim Kibum, questo gioco è troppo pericoloso per voi. Dopotutto cosa siete? Ladri, banditi…una volta arrestati vi aspetterebbero i lavori forzati, forse per qualcuno di voi la forca, ma se torcete un capello a sua grazia vi assicuro che potreste ritrovarvi ad invocare la morte. Il mio padrone è molto potente, potrebbe inviare il suo esercito e stanarvi tutti come topi. –
Una risata quasi sadica sovrastò lo scrosciare della pioggia e Kibum rabbrividì, ma non per il freddo. Jinki gli faceva improvvisamente molta paura e non dovette fingere di tentare di divincolarsi, perché scattò come una molla innescata dall’istinto di sopravvivenza.  
-E perché dovrei? – domandò Jinki. – Non capita tutti i giorni di avere una tale fortuna. È da mesi che gli diamo la caccia e ci è già sfuggito una volta, non penserai che intenda riconsegnatelo ora che mi è praticamente caduto tra le braccia? –
Kyuhyun non desistette. – State puntando troppo in alto, fossi in voi mi limiterei ad assalire le carrozze dei nobili stando bene attenti a quali scegliere. -
Jinki sogghignò. – Non credo, da tempo desideriamo mandare un messaggio forte è chiaro a Soul e questa è certamente una fortuita occasione. –
Kyuhyun inarcò un sopracciglio trattenendo una risata. – E’ impressionante quanto vi sopravvalutiate. –
-Davvero? – fece Jinki sorridendo astuto. – Siete certi di non essere voi a sottovalutarci? – domandò sibillino.
Kyuhyun ebbe appena il tempo di sgranare gli occhi perché si ritrovò a scalciare e fluttuare nel vuoto.
-C-cosa? –
Kibum aprì la bocca sorpreso. Jinki stava usando la sua telecinesi ed il principe era molto curioso di sapere cos’avrebbe fatto, ora.
-Allora? – domandò Jinki, - i tuoi padroni sono davvero certi di sapere con chi hanno a che fare? –
-Chi siete? – domandò l’altro in preda al panico.
Il sorriso sadico che si dipinse sul volto di Jinki non promise nulla di buono. Il Leader dei Ribelli si chinò nuovamente per sussurrare all’orecchio del principe.
-Vostra altezza, permettete? –, domandò prima di stringerlo saldamente per le spalle e spingerlo.
Kibum barcollò rischiando d’inciampare sui suo stessi piedi quando sentì le braccia di Minho sorreggerlo.  
-Minhossi tienilo, non voglio correre il rischio che ci sfugga di nuovo. –
Jinki incrociò le braccia, fletté leggermente l’indice ed il cavaliere si ritrovò a penzolare a testa in giù, il volto all’altezza di quello del Leader dei Ribelli.
-Vuoi sapere chi siamo? – sussurrò Jinki.
Kyuhyun scalciò a mezz’aria, i piedi fluttuanti sul suo capo ed il volto arrossato per la pressione del sangue.
-Siamo gli ultimi eredi di una famiglia bruciate nelle fiamme e consegnata all’oblio. Dillo ai tuoi padroni, riferisci pure loro che i Lee sono risorti dalla ceneri di Gwangmyeong[1] e che questa è la nostra vendetta, per noi e per Chosun, che può essere ripagata solo con il sangue dell’imperatore. –
La voce di Jinki uscì tetra e minacciosa dalla sua labbra ed il ragazzo strinse i pugni. Forse stava davvero tentando un colpo di testa più grande di lui, mettendo a repentaglio anni di segretezza, ma Lee Jinki sapeva che, ormai, era giunto il momento di mostrare il vero volto dei Ribelli. Voleva che l’imperatore sapesse, che il terrore lo tenesse sveglio la notte e gli incubi lo assalissero, proprio come le fiamme funeste che avevano avvolto la grande dimora dei Lee tormentavano ancora Jinki ogni notte, insieme alle grida della sua famiglia bruciata viva dall’ambizione di quell’uomo abietto.
Ad un gesto della sua mano, il cavaliere oscillò nell’aria in un grido di terrore prima di essere catapultato a terra.
Kyuhyun si rialzò a fatica, ansimante e spaventato da un nemico contro il quale non poteva competere. Guardò i presenti insistendo su Kibum, indeciso se fuggire a gambe levate o riprendersi il principe. Tuttavia non ebbe il tempo di giungere ad una decisione, perché fu Jinki a farlo per lui sollevando con il pensiero un’asse si legno abbandonata lungo la strada e colpendolo in testa. Kyuhyun crollò a terra roteando gli occhi ed afflosciandosi come una bambola.
-E’-è vivo? – domandò Kibum titubante.
Jinki si avvicinò al corpo esanime del cavaliere e gli tasto il polso. – Sì, dormirà per un po'. –
-Prima o poi questo tizio si stancherà di risvegliarsi in un vicolo con una botta in testa -, osservò Minho.
-Io non ci conterei troppo – fece Kibum.
-Kibum – disse Jinki avvicinandosi a lui.
Kibum sorrise e l’altro lo abbracciò. – E’ bello rivederti. –
Il principe avrebbe voluto piangere. Era davvero salvo con Jinki, Minho e presto tra le braccia di Jonghyun.
-Anche per me, hyung. Avevo molta paura -, disse guardandolo negli occhi. 
Jinki annuì dolcemente. – Lo so. –
Jinki rammentava troppo bene il terrore che Kibum aveva dimostrato alla prospettiva di tornare a Soul. Lo abbracciò di nuovo. Finalmente era libero, si sentiva stanco, spossato dall’adrenalina e dall’apprensione che aveva dovuto celare sotto uno spesso strato di ghiaccio. Ma ora era finita. E per la prima volta dopo giorni riuscì unicamente a pensare che il suo amico era sano e salvo. Gli accarezzò il capo con affetto e, dal modo in cui l’altro lo strinse, capì che Kibum era animato dai suoi stessi sentimenti.
-Come stai? La caviglia? –, domandò osservando che non appoggiava un piede a terra.
-Slogata – rispose semplicemente Kibum.
-Minho, prendilo. –
-Hyung posso camminare – protestò.
-Anche correre da quanto ho visto, ma ti sei sforzato troppo. –
Kibum annuì titubante spostando poi la propria attenzione su Minho. Il ragazzo era serio e perplesso al contempo e, per qualche secondo, si squadrano con un misto d’imbarazzo e curiosità, alla fine Minho si chinò per farlo salire in groppa.
-Come avete fatto a trovarmi e dove sono gli altri? Jonghyun sta bene? –
-Calma, calma – disse Jinki ridendo. – C’è tutto il tempo per parlare, ma non qui sotto la pioggia. –
-Ma Jonghyun sta bene? – insistette Kibum.
- Starà bene quando ti rivedrà. –
La gioia esplose nel petto di Kibum. Era davvero tutto finito e presto avrebbe rispettato la sua promessa. Sorrise appoggiando il mento sulla spalla di Minho.
 
 
***
 
L’Orchidea Blu era una locanda lussuosa, una pagoda che si sviluppava su tre piani inframmezzati da tetti spioventi dalle tegole in ardesia laccate di un blu intenso, mentre ai cornicioni erano state riservate vivaci decorazioni verdi e rosse. Sorgeva in uno dei quartieri più rinomati di Seungil, cittadina famosa per il transito dei ricchi mercanti che percorrevano la via sud in direzioni di Busan. I gradini d’ingresso erano sempre perfettamente lucidati e delle lanterne pendevano dal pergolato illuminando la porta scorrevole il cui tessuto, intelaiato in sottili listelli di legno scuro, ospitava ricami d’orchidee e gigli. Tutti conoscevano L’Orchidea Blu ma a nessuno era concesso entrarvi e, benché fosse costantemente vuota, la donna che la gestiva sosteneva fosse sempre al completo. Per quanto la cosa destasse curiosità e perplessità, nessuno s’arrischiava a fare domande, d’altra parte il lusso che s’intravedeva all’interno era tale per cui l’intera faccenda poteva essere giustificata solo dal capriccio di qualche nobile annoiato.
Kim Jonghyun era seduto su un cuscino e, corrucciato, emetteva a scadenza irregolare sospiri frustrati. Lo scrosciare della pioggia faceva da sottofondo al senso di solitudine che lo attanagliava, mentre il silenzio che fluttuava nell’edificio non faceva che acuirlo. La locanda era silenziosa e vuota se non fosse stato per i mobili pregiati che ne adornavano ogni angolo. Jonghyun lanciò un’occhiata pensosa al vassoio di legno abbandonato vicino a lui, sul quale erano riposti dei piccoli dolcetti di riso ed una tazza di tè un tempo fumante. Gli occhi gli pizzicarono e fu subito costretto ad allontanare lo sguardo stringendo le mani sul tessuto dei pantaloni.
Key li avrebbe mangiati subito, pensò tra sé guardando i dolcetti.
Si prese il capo tra le mani. Ogni cosa, anche la più sciocca, gli rammentava il piccolo e l’ennesimo sospirò fuoriuscì dalle sue labbra.
Quando quella mattina avevano raggiunto Seungil e Jinki aveva comunicato che si sarebbero fermati lì per l’intera giornata, Jonghyun non era riuscito a credere alle proprie orecchie.
-Cosa? – aveva domandato con orrore. Come potevano perdere l’intera giornata quando il suo Key era solo, spaventato e probabilmente alla disperata ricerca di un calore che solo lui poteva donargli? No, non poteva accettarlo, la rabbia e la frustrazione l’avevano subito assalito.
-Non possiamo perdere una giornata! – aveva urlato.
Jinki l’aveva guardato duramente. – E’ inutile proseguire-, aveva sentenziato. – Il tempo…-
-E’ solo un po' di pioggia! –
-Hyung, è un acquazzone -, aveva cercato di farlo rinsavire Minho.
-Se ci fermiamo…-
-Non andrà lontano, Jonghyun, può essere al massimo un giorno avanti a noi, giorno che passerà sicuramente al chiuso. Viaggiare con questo tempo non è possibile. –
-Hyung!! – aveva insistito Jonghyun, le mani strette a pugno.
-E’ la mia ultima parola, Jonghyun. Io e MInho faremo un giro per la città in cerca d’informazioni. –
-Vengo con voi.-
-No -, l’aveva rimbeccato il Leader mettendo una mano avanti. – Sei troppo agitato. Riposati, noi torneremo in serata e speriamo con buone notizie. –
Così, nonostante le resistenze, Jonghyun era stato costretto a rimanere all’ Orchidea Blu. Quel posto era inquietante, assurdamente silenzioso, vuoto e colmo di oggetti preziosi, ma d’altra parte era stato Jinki a condurli lì, chiaro segno che doveva esserci qualcosa di losco sotto. Anche perché il Leader si era premurato di rassicurarlo sul fatto che era totalmente sicuro.
-Nessuno ci troverà mai qui –, aveva detto.
Come Jonghyun non ne aveva idea, dato che l’edifico era ben visibile e posto lungo una delle arterie principali di Seungil.
Jonghyun allungò una mano verso la tazza di tè trovandola gelata come sospettava, ma gli bastò appellarsi alla sua abilità perché un caldo tempore s’alzasse dal suo contenuto verde oro. Stava per portarsela alle labbra quando dei rumori all’ingresso lo distrassero. Non potevano che essere Jinki e Minho, dopotutto chi altri metteva piede lì dentro?
Il ragazzo era combattuto se rimanere lì in attesa o andare loro incontro, timoroso però di ricevere cattive notizio o, peggio, di non riceverne nessuna. Alla fine rimase lì, la tazza tra le mani e gli occhi cerchiati da profonde occhiaie fisse sul suo riflesso acquoso sulla superficie del tè. Solo quando i passi degli altri due si fecero più vicini alzò il capo, pronto a porre la fatidica domanda, in attesa di una risposta capace di fargli palpitare il cuore o di trascinarlo nella più completa disperazione.
Non posso vivere un altro giorno senza te, pensò.
Tuttavia, quando i suoi occhi grandi s’alzarono ciò che vide gli seccò la lingua, la tazza rovinò a terra riversando il suo contenuto sul legno lucido. Fu un attimo ed i colori tornarono a baluginare intorno a lui vividi come non mai, il sangue ritrovò calore scorrendo impetuoso nelle sue vene sino ad animare un cuore che per giorni era rimasto inerte. Era un sogno? Il frutto della sua mente turbata che gli giocava scherzi tanto reali quanto meschini?
-Jong – fece la voce flebile di Key.  
Bastò quella semplice parola per infrangere la maledizione, il suo nome pronunciato dalla persona che amava, e Jonghyun boccheggiò. Non seppe come e quando colmò la distanza che ancora li separava, solo che un attimo prima si sentiva vuoto e quello dopo stringeva il più piccolo tra le braccia.
-Key- disse prendendogli il volto tra le mani. Finalmente rivedeva quegli occhi felini, quel naso tenero, le labbra a cuore, gli zigomi alti e i tratti delicati. Era reale ed era lui, fradicio, infreddolito ma sorridente.
-Perdonami – singhiozzò Kibum. –Ti avevo promesso che sarei tornato. –
-L’hai fatto – disse Jonghyun, non credendo ancora di poterlo stringere di nuovo a sé.
-Ti ho fatto aspettare. –
Prima che se ne rendesse conto la bocca di Key era sulla sua e lo baciava con una passione inaspettata. Jonghyun sbarrò gli occhi e fu certo di stare arrossendo, lui Kim Jonghyun! Ma come non poteva di fronte al quel bacio appassionato che l’altro gli stava donando totalmente dimentico della presenza degli altri? Il ragazzo chiuse gli occhi. Jonghyun aveva bisogno di avere una prova tangibile che fosse reale e non un sogno. Il suo sangue doveva tornare a scorrere, il cuore a battere, aveva bisogno di vita, una vita che solo le labbra di Key sulle sue gli potevano dare. Lo lasciò fare, che fosse l’altro a baciarlo mentre lui godeva di quelle labbra a cuore che giocavano con le sue, di quelle mani sottili che affondavano tra i suoi capelli e gli accarezzavano il volto. Poteva sentire in quel bacio quanto fosse mancato all’altro, quanto fosse urgente il bisogno di ritrovarsi. Quando si staccarono Kibum era rosso in viso, gli occhi luccicanti. Jonghyun gli prese il volto tra le mani baciandolo tra la chioma corvina.
-Perdonami tu – disse, - il vento si è alzato e io non sono riuscito a tenerti abbastanza stretto. –
Jonghyun accarezzò le mani gelide di Key e ne baciò i polpastrelli sporchi di sangue. Scosso da singhiozzio, Kibum affondò il viso nel petto dell’altro e Jonghyun lo strinse più forte, scaldandolo. Invaso da un piacevole tepore, il principe sorrise sentendosi finalmente a casa.
 
 
Fosse stato per Jonghyun sarebbe rimasto abbracciato all’altro all’infinito, cristallizzati in un tempo intoccato dallo scorrere delle stagioni, degli anni; che scivolassero via anche i secoli, non gl’importava. Lui e Key erano sempre vissuti in un tempo diverso, in quell’universo alternativo che apparteneva unicamente a loro, eternamente indecisi se essere pianeti o satelliti l’uno per l’altro. Ciò che era certo era che entrambi brillavano di luce propria, ma avevano bisogno di quella dell’altro per sopravvivere.
Tuttavia, Jonghyun era stato costretto a piegarsi al fato e vedersi strappare Key nuovamente dalle braccia. La proprietaria della locanda, una signora paffuta, aveva trascinato via Key non appena l’aveva visto sgocciolare sul pavimento lindo.
-Oh povero caro! - aveva detto abbracciando il ragazzo con aria materna e stropicciandogli il viso, -tutto fradicio e tremante! Ora ci penserà questa halmeoni a farti fare un bagno caldo e a darti abiti puliti. Povero caro! E dopo metteremo un po' di ciccia su quelle ossa, puoi starne certo! –
Così, Key era sparito lasciando dietro di sé solo il profumo della pioggia e macchie bagnate sul pavimento.
Tutto sommato, benché innervosito, Jonghyun era consapevole che in quelle condizione Key si sarebbe sicuramente preso un malanno.
Ma poi penserò io a lui, si era detto tra sé.
Ora, davanti ad un lungo tavolo basso colmo di leccornie pronte a soddisfare il suo stomaco in subbuglio da giorni, attendeva insieme a Jinki e a Minho l’arrivo di Key per fiondarsi sul buffet. Seduto sul suo cuscino foderato di seta rossa, tamburellò impaziente le dita sul tavolo, umettandosi le labbra osservando i piatti, in pregiata ceramica luccicante, straripanti di cibo. Aveva l’acquolina in bocca.
Un profumo dolce stuzzicò improvvisamente le sue narici rivelando la presenza del più piccolo che, sorridente, si sedette al suo fianco. Key indossava un abito tradizionale bianco e azzurro dai sottili ricami dorati ed il suo volto aveva ripreso colore grazie agli effetti del bagno caldo, donando alle sue gote una tenue tonalità rosata. Gli occhi di Jonghyun luccicarono, ormai totalmente dimentico del cibo che sino a poco prima l’aveva tanto allettato.
-Mangiamo – disse Jinki sfregandosi le mani.
-Hai fame? – chiese Jonghyun a Key dopo avergli schioccato un bacio sulla guancia.
Kibum sorrise e annuì facendo oscillare le ciocche corvine sulla sua fronte nivea. – Penso di non aver mai avuto così fame in vita mia. –
Alle parole del più piccolo il sorriso di Jonghyun s’allargò e riempì subito un piatto per l’altro, poi l’osservò mangiare con gusto, concedendosi il piacere di accarezzargli teneramente il capo e la schiena. Soffocò una risata quando Key alzò il capo dal piatto ormai vuoto, non capacitandosi della velocità con la quale l’aveva svuotato.
-Hai ancora fame? – chiese divertito.
Kibum arrossì. Era vergognoso ingozzarsi in quel modo, ma cosa poteva farci? Stava morendo di fame! Quel pazzo di Kyuhyun gli aveva fatto fare la fame negli ultimi giorni. Scosse il capo, fosse stato rapito da briganti probabilmente l’avrebbero trattato meglio. In tutti quei giorni orribili passanti in compagnia del cavaliere, solo un pensiero l’aveva reso ilare all’idea di giungere a Busan: spiattellare tutto ad Heechul. Certo, forse era un po' sadico da parte sua, ma era stato l’unico pensiero positivo che la sua mente era riuscita ad elaborare.
Jonghyun gli mise subito altro cibo nel piatto.
-Come va, cari? – domandò la proprietaria paffuta, posando sul tavolo nuove portate.
Jinki annuì con un grosso boccone di riso in bocca.
-E’ tutto buonissimo, halmeoni. –
-E tu, caro? – domandò la donna direttamente a Kibum, - stai mettendo un po' di ciccia su quelle ossa? Vuoi dei dolcetti? –
-Kamsahamnida, halmeoni, kamsahamnida! – fece Kibum con la bocca piena.
Jonghyun non poté fare a meno di osservare che tutti si erano avventati famelicamente sui piatti. L’ansia che avevano accumulato negli ultimi giorni stava lentamente scivolando via e tutti i loro sforzi, ora, sembravano concentrati sul riempirsi gli stomaci. Per contro, quella sera lui era il più composto, ma dall’altra parte era troppo occupato a godersi la scena di Key che mangiava con gusto.
Il resto della cena fu consumato in un clima piacevole e rilassato, alla fine avevano tutti la pancia piena sino a scoppiare. Kibum era certo di non aver mai mangiato così tanto e quando fu servito del caldo tè verde lo bevve con piacere. Era assonato e a stento represse uno sbadiglio, ma prima di dormire c’erano delle domande che desiderava porre a Jinki o, nonostante la stanchezza, sarebbe stato impossibile per lui chiudere gli occhi in tutta tranquillità.
-Hyung, siamo al sicuro qui, vero? –
-Non devi preoccuparti, questo posto è più che sicuro. –
-Ne sei certo, hyung? – domandò Jonghyun sospettoso. –Siamo in pieno centro e questo posto non passa inosservato. –
-Potete stare tranquilli, vedete – fece Jinki allargando le braccia ad indicare la sala lussuoso, - questo posto è mio.–
-Tuo? – chiese Minho sbarrando gli occhi.
Jinki annuì soddisfatto. – Una sorta di quartier generale fuori sede, possiamo chiamarlo così. –
-E quella signora, allora? – s’incuriosì Minho grattandosi il capo.
-Era la nutrice mia e di Minnie – rispose l’altro con un moto d’affetto nella voce.
Minho era abbastanza confuso o meglio, si sentiva letteralmente sottosopra. Certo, conoscendo Jinki c’era poco da stupirsi per le sue rivelazioni estemporanee, ma doveva ancora riprendersi da quanto aveva scoperto ore addietro. I suoi occhi si spostarono d’istinto su Key, anzi no, su Kim Kibum principe ereditario di Chosun. Il principe era concentrato sul suo tè, mentre Jonghyun continuava ad accarezzargli il capo con dolcezza come se fosse un cucciolo ferito. Non poté fare a meno di domandarsi se il suo amico fosse a conoscenza della reale identità del suo ragazzo. Minho ne dubitava, giacché non aveva avuto notizie di terremoti, uragani o tsunami negli ultimi tempi. L’unico cataclisma che avevano rischiato era stato un vulcano in eruzione, ma ne conosceva le cause. Ancora non riusciva a capacitarsi di quella stramba situazione e, soprattutto, non riusciva a far collimare l’idea che aveva del principe con Key. C’erano un mucchio di domande che desiderava porre a Jinki e aveva tutta l’intenzione di farlo nel futuro più prossimo. Sospirò, si sentiva leggermente a disagio.
 
 
***
 
Kibum gattonò sul futon, lisciò la coperta morbida e ravvivò i cuscini, poi guardò in direzione della porta della stanza e soffiò indispettito. Che fine aveva fatto quella testa vuota di Kim Jonghyun? Era stanco e non vedeva loro d’infilarsi sotto le coperte tra le braccia calde dell’altro. Nell’attesa, il principe si guardò intorno. Quella sì che sia chiamava stanza, non quello sgabuzzino mansardato in cui l’aveva scaraventato Kyuhyun! Pareti e pavimento lignei erano tirati a lustro e non un filo di polvere era posato all’intorno. I mobili erano pochi ma raffinati e un’ampia porta scorrevole s’affacciava sul giardino sul retro. Poco distante da lui, su un tavolino basso, una grande lanterna disperdeva una luce ambrata. Kibum volse il capo di scattò quando la porta s’aprì. Jonghyun entrò reggendo un vassoio con dei mochi e una tazza di latte.
-Nel caso ti venga fame durante la notte. Il latte bevilo subito o si raffredderà. -
Kibum si leccò le labbra e prese subito la tazza e un dolcetto.  –Gomawo. –
Jonghyun si sedette al suo fianco e sospirò abbracciandosi le ginocchia con fare pensoso.
-Non posso fare a meno di sentirmi in colpa -, iniziò Jonghyun.
-Per cosa? – domandò Kibum perplesso. Ripose la tazza e fece sparire quanto rimaneva del mochi, riconoscendo nel tono dell’altro un chiaro turbamento. Gattonò più vicino a Jonghyun.
-Non ti ho mai chiesto se tu provassi nostalgia di casa, del tuo palazzo, della tua famiglia, della tua vita. –
Il viso di Kibum si rattristò. – Davvero non sai quello che provo? –
-Qualunque cosa io possa pensare o sapere, o desiderare, voglio sentirlo dalle tue labbra –, disse sfiorandogli il volto con il dorso della mano.
Perché le parole sibilline di Yeouki erano scivolate il lui come veleno e, in esse, vi era stata una verità inequivocabile: sapeva di non fra parte del mondo reale di Key, ma di uno sogno, così come l’altro lo era per lui. Il suo stesso silenzio nascondeva una paura a cui non aveva mai voluto dar voce.
Jonghyun sorrise amaro, guardandolo. –Forse per sentirmi meno egoista. –
Kibum ricambiò il sorriso con altrettanta amarezza. – Se tu sei egoista, io devo essere un mostro e uno sciocco ai tuoi occhi. –
Le parole che Kyuhyun gli aveva rivolto pochi giorni addietro erano ancora vivide nella sua memoria e più ci pensava, più percepiva un fondo di verità. Forse la sua era stata pura ignoranza, ma ciò non significava che non avesse scatenato rancori. Sapeva di avere dato ciò che possedeva per scontato, di aver desiderato che tutti avessero il meglio senza però rendersi davvero conto né di ciò che aveva, né di ciò che agli altri realmente mancava. Aveva desiderato che tutti si svegliassero con il profumo della cioccolata a stuzzicare il palato, senza sapere a molti era negata anche una ciotola di riso.
Jonghyun si rabbuiò. – Perché dici questo, come puoi essere un mostro o uno sciocco? –
Come poteva essere un mostro quando per lui era un angelo ritagliato tra le luci della notte? Per Jonghyun non c’era luce più intensa di quella che brillava negli occhi sottili di Key.
-Non ho mai visto la verità finché un velo non si è squarciato e non l’ho provata sulla mia pelle. Non apprezzare ciò che si ha è forse più meschino che ostentarlo con orgoglio.–
Jonghyun sospirò. Che cosa significavano quelle parole? Key aveva davvero nostalgia di tutte le cose belle dalle quali era stato circondato sin dalla nascita? La sua mano tremò, se era così che senso aveva averlo rivisto se doveva dirgli addio? Perché se tornare tra il marmo, l’oro, la seta avesse reso l’altro felice, lui l’avrebbe lasciato volare via assicurandosi che portasse con sé il suo cuore che gli aveva donato, rendendo così il dolore della perdita meno acuto.
-Se hai nostalgia della tua vita, del tuo palazzo…io non voglio essere una catena per te, Key. Tutto ciò che desidero è il sorriso sul tuo volto e se per donartelo devo rinunciare ad ammirarlo…-
Kibum gli mise delicatamente un dito sulle labbra. – Non dirlo – sussurrò, baciandolo sulla guancia.
-Guardami-, disse poi prendendogli il volto.
Jonghyun ubbidì incontrando gli occhi magnetici dell’altro. Nonostante la dolcezza c’era sempre qualcosa s’imperioso in essi, come nelle sue parole. Donavano amore tanto quanto potevano incutere timore ed imporre rispetto.
- Non è la seta che voglio indossare, ma il calore delle tue mani sulla mia pelle e non è tra il marmo che voglio vivere, ma tra le tue braccia. L’oro luccica, ma è freddo quanto lo era il mio cuore che solo il tuo amore ha saputo sciogliere. Come io abbia potuto vivere senza te per me è un mistero, perché solo tu fai scorrere il sangue nelle mie vene, solo i tuoi baci sono i responsabili del mio respiro. Il tuo amore mi ha salvato da me stesso. –
Kibum fece una pausa per posare delicatamente le labbra su quelle dell’altro. Jonghyun percepì quella dolcezza che fluttuava sempre tra loro ad ogni sguardo, gesto o parola.
-Questi giorni senza te, senza noi-, proseguì Kibum, -sono stati come un galleggiare nel vuoto assoluto mentre tutte le luci si spegnevano, stelle e pianeti scomparivano uno ad uno, come inghiottiti da un buco nero. Non potrei mai vivere così perché tu sei il mio universo, senza te il mio essere perde significato e tutto intorno a me diverrebbe freddo ed estraneo. Non avrei più nulla da spartire con il mondo mortale e preferire la quiete dalla morte al pensiero dell’assenza di te. –
Jonghyun lo strinse a sé baciandogli la fronte. – Non dire così, se la morte ti rapisse io morirei a mia volta. –
-Ecco perché non potrei mai essere il responsabile dello scorrere del mio sangue, benché l’idea di un futuro incatenato al volere di un altro mi terrorizza. Preferirei sopravviverti in una vita infelice, piuttosto che condannarti ad altrettanta infelicità. –
Gli occhi di Jonghyun brillarono e la pura gioia gli esplose in petto. Quelle parole valevano di più delle dichiarazioni che si erano scambiati la notte del Chuseok, perché erano una conferma ed una promessa. Scostò dei capelli dalla fronte dell’altro.
-Ho sognato che un’onda immensa t’inghiottiva, urlavo il tuo nome, allungavo la mia mano ma nulla sembrava poterti trattenere a me. Ho temuto di non vederti mai più. E sai cosa mi spaventava più di qualsiasi altra cosa? –
Kibum scosse il capo. – Cosa? –
-L’idea di accettare impassibile lo sbiadire dei colori sotto la pioggia, lo spegnersi delle luci e tornare ad abituare i miei occhi all’oscurità. Ti avrei dimenticato, come un sogno che perde consistenza al giungere del giorno. Meglio soffrire la tua perdita che accettare una simile sconfitta. - 
-Non avrei mai permesso che accadesse. Ogni notte avrei lasciato fluttuare la mia anima da te per sussurrare i miei sospiri al tuo cuore così, per quanto i nostri corpi desiderassero sfiorarsi senza riuscirci, le nostre anime sarebbero rimaste intrecciate l’una all’altra. –
Kibum sorrise e abbassò lo sguardo. – Lo so, forse sarebbe stato solo il meschino tentativo di illudermi di aver mantenuto una promessa negata dal fato. –
Quando rialzò gli occhi, Kibum sfiorò il naso dell’altro con il proprio e si strinse al suo collo, affondando le dita sottili tra suoi capelli e giocando con essi. Jonghyun deglutì. Gli sembrava di tornare indietro nel tempo, al primo bacio che si erano rubati, perché l’emozione che provava in quel momento era la medesima. Gli occhi felini di Key lo scrutavano intensamente e il suo fiato dolce e caldo gli arrivò dritto in viso.
-Baciami – gli ordinò Kibum in un sussurro.
Jonghyun non attendeva altro e lo baciò con una foga che non si era mai concesso, unendo i loro fiati in un unico respiro e succhiando la lingua del più piccolo come fosse linfa vitale. Le sue mani si posarono sui fianchi dell’altro, stringendolo, e scivolarono sotto gli abiti di Key per incontrale la consistenza sottile di una maglia di seta e, sotto di essa, esplorò la pelle candida sino a risalire all’altezza del petto. Ma c’era troppa passione in quel bacio, in quei tocchi, un desiderio umido che non poteva lasciarli illesi. E Jonghyun capì che quella notte non era lì il suo posto, perché non sarebbe mia riuscito a mettere a tacere la brama intensa che provava d’unirsi all’altro. Lo voleva troppo e con tale consapevolezza s’alzo.
Abbandonato in ginocchio sul futon, il volto arrossato, Kibum osservò l’altro, perplesso.
-Dove vai? – chiese titubante.
-Sei stanco e ancora turbato. Risposati, io sarò nella stanza affianco. –
Kibum gli afferrò il polso. –Aspetta, resta. –
-Non posso. –
Kibum sbatté le palpebre non capacitandosi delle parole dell’altro e mordicchiandosi l’angolo della bocca. Abbassò gli occhi, abbandonando la mano sul futon.
-Perché non mi vuoi con te ora che siamo di nuovo insieme?-
Jonghyun soppesò Key dall’alto in basso interrogandosi su come esprimere ciò che provava in totale sincerità, ma senza che una crepa s’aprisse tra loro. Sospirò.
-Perché ti voglio troppo. Non potrei mai dormire al tuo fianco fingendo di non volerti fare mio. –
-Allora resta, resta e rendimi tuo per sempre. -
 
 
 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto!
Siate gentili lasciatemi un commentino, mi rendereste molto felice!
Alla prossima!
 
 
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[1] Antichi possedimenti della famiglia Lee. 

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Capitolo 20
*** Capitolo 19. Orbit ***


Ciao! Prima d’iniziare volevo fare qualche piccola premessa. Il capitolo è un po' più corto rispetto ai miei soliti perché ho voluto dedicarlo interamente a quelle due teste vuote XD
Altra cosa IMPORTANTE non troverete scene troppo esplicite perché:
1 non rientra nel mio stile di scrittura
2 a mio parere stonerebbe con la mia jongkey
3 ricordo che il raiting è arancione
Ringrazio in modo particolare chi mi ha lasciato i suoi commenti Chocolat95, DreamsCatcher, Ghira, KimJonghyun23, MagicaAli, Panda_murderess, Saranghae_JongKey e vanefreya, grazie mille per il vostro sostegno!
Ovviamente ringrazio anche tutti i lettori, chi ha inserito la storia tra seguite, preferite e da ricordare.
Sperando di aver eliminato tutti gli errori di battitura (ne dubito) vi auguro buona lettura!
 
 
Capitolo 19
Orbit
 
 

“There’s a universe
There’s a universe in your eyes
The moment our eyes electrically meet
The tip of my ears felt a zap, the stars have twinkled
Sometimes, my eyes rolled back
Please look back at me often
Check to see if I’m revolving around you
To see if this orbit is right”
Jonghyun, Orbit
 
 
 
La pioggia era ormai cessata, s’udiva solo l’ululato gelido del vento e l’eco leggero delle ultime parole pronunciate dalle labbra a cuore di Kibum che riecheggiavano dolci e provocanti nella penombra della stanza.
Resta e rendimi tuo per sempre.
Una preghiera, un ordine appena sussurrati tra la luce ambrata della stanza che, ora, sembrava staccata dal resto del mondo e fluttuante in uno spazio solo suo.
Jonghyun aprì la bocca a vuoto, i battiti del suo cuore accelerarono e un brivido lo percorse. Abbassò gli occhi sul più piccolo. Key sembrava una bambola perfetta abbandonato sul futon, il profilo appena accennato dai toni caldi della luce dalla lanterna. I suoi capelli corvini rilucevano nell’ombra, il volto pallido e delicato era animato solo dalle labbra tinte di rosa. Una figura tanto sensuale quanto innocente che poteva essere stata tracciata solo dalle mani esperte di un artista di ukiyo-e[1]. Un capolavoro fatale. Jonghyun si domandò come quella richiesta esplicita potesse profumare di pura innocenza.
Per Jonghyun fu come essere scaraventato su una giostra condannata ad un eterno movimento concentrico. Lo voleva, lo voleva anche troppo al punto da chiedersi se fosse normale quello stato di stordimento che provava. Tuttavia, Jonghyun corrugò la fronte alla ricerca di una crepa sul volto di Key, perché se ne avesse vista anche solo l’ombra sarebbe uscito da quella stanza all’istante. Non avrebbe buttato via tutto per un momento di follia, rischiando di perderlo dopo averlo fatto suo.
Gli occhi felini del più piccolo lampeggiavano nella semi oscurità e c’era paura in essi, aspettativa e desidero, ma il suo volto rimaneva liscio e prefetto come bianca porcellana.
Kibum teneva lo sguardo fisso sull’altro in attesa di una risposta, di un gesto, capace di dar seguito alle sue parole, ma Jonghyun sembrava pietrificato, un’immobile e gelida statua di marmo incapace di muovere un passo. Stava in piedi soppesandolo dall’alto in basso, gli occhi grandi palpitanti di un fuoco appena assopito e le labbra carnose socchiuse. Il principe si domandò cosa avesse sbagliato. Non lo voleva, forse? Era una vendetta quella di Jonghyun, studiata appositamente per punirlo per non aver quasi tenuto fede alla sua promessa? La vergogna lo invase. Sotto lo sguardo del più grande, Kibum abbassò il suo, ma non riuscì a lasciarlo andare e fece scivolare la sua mano in quella dell’altro intrecciando le loro dita per tirarlo dolcemente verso di sé.
Jonghyun l’assecondò inginocchiandosi sul futon alla ricerca di un nuovo contatto visivo.
-Guardami – disse sollevandogli il mento con l’indice.
Kibum ubbidì e fremette sotto quel tocco semplice, una scarica leggera capace di fargli palpitare il cuore. Jonghyun era splendido, una pietra grezza che non aveva bisogno di essere lavorata per splendere. Kibum provò turbamento e soggezione.
-Non hai paura? – domandò il più grande con un moto d’apprensione nella voce.
-Sì – sussurrò.
Jonghyun sospirò. Era così accecato dal desiderio da non aver visto nessuna ombra negli occhi di Key? Fece per alzarsi, ma l’altro lo trattenne lasciandolo di stucco quando gli accarezzò il viso e premettere le loro fronti l’una sull’altra.
-Ho paura-, ripeté Kibum, - ma ho più paura di perderti. –
Si staccò per guardalo e sfiorargli lo zigomo pronunciato.
- Jong-, disse sorridendo appena, - non devi temere le mie paure. –
Questa volta fu Jonghyun a sorridere. – Sì che devo. –
Kibum sospirò e sbatté leggermente le palpebre come a disperdere delle ombre che si erano posate sui suoi occhi. Aveva lasciato dietro di sé molte cose ma ciò non significava che fosse libero. Era stato ingenuo a credere che Heechul avesse rinunciato a lui, l’altro aveva troppo da perdere per lasciare che lui svanisse ed era troppo orgoglioso per darsi per vinto.
- Sono stato sciocco e ingenuo a pensare di essere totalmente al sicuro e non voglio più sprecare un secondo di noi. Lo so che il mio passato può sembrare splendido a chi osserva da lontano, ma credimi, è solo triste, mentre questo presente è meraviglioso e se potessi fermare il tempo e qui che starei, ma il futuro è inevitabile e misterioso. Potrà essere terribile oppure ancora più meraviglioso del presente, non lo so…-
Gli occhi di Kibum iniziarono a pizzicare e abbassò gli occhi. Il pensiero di ciò che lo avrebbe atteso a Busan o a Soul era ancora troppo vivido nella sua mente e lo faceva fremere di paura. Aveva bisogno degli abbracci di Jonghyun e dei suoi baci per scordare anche solo l’idea delle mani di Heechul su di lui. Aveva bisogno di sentirsi completamente parte del più grande, voleva fare l’amore con lui e donargli tutto sé stesso così, se mai il destino avesse deciso di separarli definitivamente, niente e nessuno avrebbe potuto togliergli ciò che aveva già donato alla persona che amava.
- In questi giorni la nostalgia dei tuoi abbracci, dei tuoi baci, è stata una vera sofferenza e ho odiato le mie paure, ho odiato il pensiero di aver gettato al vento le ultime carezze che ci siamo scambiati. Se fossi potuto tornare indietro avrei fatto l’amore con te quella notte e ovunque mi avesse condotto il destino sarei stato tuo e tu mio. -
Jonghyun non poteva credere alle parole del più piccolo, forse era incatenato in un sogno. D’altra parte l’atmosfera era così surreale all’intorno. La luce ambrata della lanterna che palpitava nella penombra, il soffio freddo del vento che animava la notte e Key che chiedeva solo di unirsi a lui. Lo guardò con più insistenza alla ricerca di quella crepa che poteva mandare entrambi in frantumi. Ma non la vide, non c’erano dubbi in Key e non era nervoso, perché le sue mani riposavano tranquille sulla coperta.
Jonghyun si umettò le labbra innanzi, ormai, alla consapevolezza che l’altro desiderava essere suo, tanto quanto lui desiderava appartenergli anima e corpo.
-Che cosa pensi? – sussurrò Kibum inclinando leggermente il capo.
 –Penso che questo sia un sogno. –
Kibum sorrise inarcando leggermente l’angolo della bocca e gli sfiorò dolcemente una guancia prima di posarvi delicatamente le labbra.
-Ti sembra un sogno? –
Per quanto il tocco dell’altro fosse stato leggero quanto il soffio della brezza primaverile ed il suo bacio simile allo sfiorare di un petalo, Jonghyun riconosceva che, infondo, non poteva essere un sogno. Se lo fosse stato quella carezza sarebbe stata unicamente il contatto freddo e indifferente di pelle contro pelle e quel bacio, solo un bacio. Ma Jonghyun sapeva che la mano di Key non si era mossa casualmente, nulla di ciò che faceva era casuale, ma studiato e ponderato come l’elegante avanzare di un felino tra l’erba alta. Quel bacio, che era anche un tacito permesso, non avrebbe lasciato dietro di sé un profumo dolce, né avrebbe provocato una scossa nel suo corpo.
-No – disse Jonghyun.
Inconsapevolmente, Kibum si umettò le labbra tenendo lo sguardo fisso sull’altro. Jonghyun si chiese come potesse sembrare così apparentemente tranquillo. Solo un recondito luccichio negli occhi profondi appena adombrato dalle ciglia scure, simile al brillio della luna piena tra le fronde degli alberi, tradiva il crescente desiderio di Key.
Fosse stato per Jonghyun non avrebbe atteso oltre, si sarebbe fiondato su quelle labbra a cuore ed esplorato ogni centimetro di quella pelle candida. Ma ciò che stava per accadere in quella stanza non poteva consumarsi semplicemente come la mera danza appassionata di due corpi, doveva essere l’intrecciarsi di due anime che da troppo tempo erano strattonate l’una verso l’altra e, ora, chiedevano una prova materiale della loro eterna unione.
Jonghyun accarezzò delicatamente il viso di Key che chiuse gli occhi godendo di quel contatto lieve, ma sufficiente ad eccitarlo. Quanto gli erano mancate le carezze dell’altro? Non sapeva se fosse per l’aspettativa, il timore o il crescente desiderio, ma le sue labbra semi dischiuse trasfigurarono il piacere di quel semplice contatto in un flebile sospiro. Quando sollevò le palpebre trovò il volto di Jonghyun davanti al suo, il fiato caldo che profumava di pesco a scaldargli le guance rosate. Gli occhi di Jonghyun nascondevano a stento il desiderio che lo animava, ma Kibum non ne fu intimorito, al contrario vide in quegli occhi caldi ed acquosi la certezza che, per quanto desiderasse farlo suo, ogni suo tocco, ogni ansito di piacere sarebbe stato guidato dall’amore che provava per lui.
Jonghyun accarezzò le labbra di Key umettandosi le proprie. Quelle del più piccolo erano così rosa, tenere e invitanti che gli sembrava di vederle per la prima volta. Eppure erano passati solo pochi minuti dall’ultima volta che le aveva sfiorate. Com’era possibile con continuassero a sembrargli così pure e inviolate?
Perché solo a me è concessa una tale benedizione, fece una vocetta dentro di lui con una punta d’orgoglio.
Lo baciò piano, scostandogli poi dalla fronte una ciocca corvina.
Kibum boccheggiò percependo dolcezza e passione in quei semplici gesti. Si avvinghiò al collo del più grande baciandogli l’angolo della bocca e il mento. Jonghyun lo strinse, mugugnò e gettò il capo indietro quando Key lo solleticò sul collo con la punta del naso.
Mosso da un crescente desiderio, Jonghyun passò la punta della lingua sulla bocca del più piccolo per poi insinuarsi con foga, strappando a Key un singulto di sorpresa. Un sorriso divertito comparve sul volto di Jonghyun. Era una strana danza quella che stavano conducendo e guardando Key, Jonghyun non poté fare a meno di pensare ad un gattino voglioso di afferrare il filo che gli penzolava di fronte, tanto eccitato all’idea quanto timoroso. Così decise di giocare tentandolo con le sue labbra, porgendogliele senza permettergli di sfiorarle, scivolava via sogghignando ogni volta che Key cercava d’impossessarsene, invano.
Kibum soffiò indispettito inseguendolo con occhi attenti. Jonghyun rise, prese il mento dell’altro tra l'indice e il pollice e lo baciò, ancora, togliendogli il fiato. Kibum mugugnò indispettito e soffiò di nuovo quando Jonghyun si staccò per rivolgerli un sorriso sghembo e soddisfatto.
-Stenditi – sussurrò il più grande con voce calda e leggermente roca.
Kibum scivolò sulla coperta accompagnato dalle braccia premurose del più grande e si stese delicatamente, incontrando sopra di sé gli occhi grandi ed acquosi dell’altro. Arrossì per l’imbarazzo. Si sentiva totalmente in balia di Jonghyun e, benché eccitato, era anche curioso ed intimorito di fronte alla consapevolezza di non avere idea di cosa aspettarsi. Voleva essere lì, ora, ma la parte più logica e razionale di lui si rendeva conto di essere totalmente ignorante. Non voleva deludere le aspettative di Jonghyun, né recitare la parte della bambola inerte capace solo di ricevere baci e carezze, ma incapace di donarne. D’istinto girò il viso tentando di nasconderlo e stropicciò la coperta con le mani, nervose.
Il volto di Jonghyun s’adombrò, percependo un moto di turbamento aleggiare tra loro. Accarezzando il viso di Key lo costrinse a guardarlo. Non voleva interrompere il contatto tra i loro occhi, dopotutto non era stato un semplice sfiorarsi di sguardi ad unirli? Aveva bisogno di lasciarsi ipnotizzare dagli occhi magnetici di Key per leggerne ogni sfaccettatura e comprendere i suoi desideri ed i suoi timori.
-Che cos’hai? Vuoi smettere? – chiese.
L’idea di rinunciare a quel momento lo rattristava e frustrava, ma non voleva farlo se Key si sentiva a disagio. Che senso avrebbe avuto? Per quanto bramasse da tempo il corpo del più piccolo non era altro che un tramite per unire completamente le loro anime, per dare un senso a quel continuo strattonare iniziato dal momento in cui i loro occhi erano rimasti incatenati gli uni agli altri. Era con l’anima di Key, con i suoi occhi che ospitavano le luci dell’universo, del suo universo, che voleva fare l’amore.
-Jong, io non ho mai…-
-Lo so-, sorrise Jonghyun con dolcezza. Portò il viso a pochi centimetri da quello dell’altro. – E devo dire che la cosa mi eccita molto. Sei tutto per me –, disse in tono più provocante.
Kibum avvampò. – Yah! Arrogante! – Poi soffiò, frustrato, stropicciando le mani. – Non so cosa devo fare. –
Dunque è questo che lo preoccupa, pensò Jonghyun.
I pensieri di Key gli provocarono tenerezza e sorpresa. La sua mente non aveva nemmeno sfiorato l’idea che quel particolare potesse preoccupare l’altro, non perché lo considerasse una bambola inerte incatenata al suo volere, ma perché tutto ciò che gli importava era renderlo felice al punto da non soffermarsi a riflettere che Key desiderasse fare altrettanto. Dopotutto, chiedendogli di diventare completamente suo e lui dell’altro non gli aveva già donato tutta la felicità a cui poteva aspirare? Tuttavia, l’idea di essere l’oggetto delle carezze di Key lo inorgoglì e incuriosì consapevole dell’inesperienza del più piccolo. Ma Key era ancora rosso per l’imbarazzo e Jonghyun sorrise divertito; gli sembrava di vederla quell’immaginaria coda felina arricciarsi stizzosa.
Decise che doveva trovare un modo per farlo sentire a suo agio.
-Oh povero micetto spocchioso, in questo caso dovrò punirti. –
Kibum sbarrò gli occhi e inclinò il capo con fare interrogativo. –Cos…-
Le parole gli morirono in gola per essere sostituite da una risata, mentre le dita di Jonghyun scorrevano sul suo corpo facendogli il solletico. Kibum si dimenò e scalciò, ridendo, ed entrambi rotolarono sul futon. Quando finalmente Jonghyun si fermò, mettendo fine a quella tortura, ammirò estasiato il volto dell’altro sotto di sé, beandosi dell’ultima risata cristallina emessa dalle labbra a cuore di Key.
-Sei splendido -, sussurrò Jonghyun.
Kibum era ansimante, il viso arrossato, le ciocche corvine sparse sul cuscino candido e gli occhi luminosi adombrati solo dal sorriso ancora più radioso che seguì le parole di Jonghyun. Il principe percorse con i polpastrelli il contorno degli occhi grandi dell’altro e sfiorò la sua bocca carnosa.
 - Voglio la luce del fuoco nei tuoi occhi e il calore delle tue labbra sulla pelle. –
-Avrai tutto di me – disse Jonghyun, - ma prima devi promettermi che se non riuscirò a farti stare bene mi fermerai. –
Kibum non aveva dubbi sui sentimenti di Jonghyun, ma udì in quelle parole semplici e preoccupate quanto fossero veri. Il più grande l’amava non perché era il principe, né unicamente per la sua bellezza o per la rarità della sua abilità che aveva sempre fatto gola a tanti. Amava lui, Key, quello spaurito e tremante, orgoglioso e spocchioso, dolce quanto tagliente. Lo stesso che solo poche ore prima era riapparso fradicio come uno straccio.
-Ti amo – disse Kibum. I loro nasi si sfiorarono seguiti poi da uno strusciare di guance.
Jonghyun si stese sul fianco e accarezzò il volto del più piccolo baciandogli la fronte. – Rilassati. Non pensare a nulla e lascia che sia solo il tuo corpo a dirti cosa fare. –
Kibum annuì e chiuse gli occhi respirando piano, in attesa, le mani posate delicatamente sulla coperta.
Il più grande lo studiò per qualche secondo indeciso se adagiarsi sul più piccolo o procedere un passo alla volta. Voleva che ogni suo tocco lo facesse sentire bene, lo abituasse ad un’intimità che poi sarebbe diventata sempre più profonda e passionale. Ma, soprattutto, desiderava farlo sentire amato e rispettato perché più di qualunque altra cosa temeva che un suo gesto potesse turbarlo. Rimase steso al suo fianco accarezzandogli il capo e sfiorandogli con i polpastrelli i tratti delicati, per poi posargli delicatamente le labbra sul collo.
Kibum emise un leggero sospiro.
Jonghyun continuò a baciarlo con delicatezza sul collo, concedendosi solo ogni tanto di leccare con la punta della lingua quella pelle candida. Le sue mani scivolarono sui bottoni della camicia blu del più piccolo iniziando a slacciarli e l’aprì, senza però sfilargliela totalmente. Si soffermò ad osservare il ventre perlaceo di Key e i capezzoli rosati su cui danzavano riflessi dorati. Mai, nonostante tutte le notti che avevano passato insieme, gli era stato concesso di ammirare il corpo del più piccolo e lo trovò bellissimo quanto lo immaginava, benché non fosse che un misero scorcio di ciò che gli abiti ancora celavano. Sembrava fragile, sottile e questo lo convinse ancora di più a fare le cose con calma, a plasmarlo con le sue carezze prima di farlo suo. Si chinò per baciare il suo petto, il ventre piatto che si alzava piano e accarezzò con le punte delle dita il suo profilo solleticandolo.
Kibum rispose ad ogni tocco con dei leggeri ansiti, inarcando appena la schiena quando i baci diventarono più umidi ed i tocchi più decisi. Stirò il suo corpo e fece le fusa sotto le attenzioni premurose e al contempo vogliose di Jonghyun. Cercò di fare quanto gli aveva detto il più grande, rilassarsi, allontanare ogni pensiero ed affidarsi il suo corpo che, ora, non desiderava altro che le carezze dell’altro.
L’eccitazione di Jonghyun aumentò quando udì gli ansiti di Key, alternati da flebili miagolii di piacere, e vide il suo corpo tendersi alla ricerca delle sue attenzioni. Infilò la lingua nel suo ombelico mentre con una mano gli stuzzicava un capezzolo che subito s’inturgidì, prima d’avvilupparlo tra le sue labbra, leccandolo e mordendolo.
Un miagolio più acuto sfuggì dalle labbra di Key ma il più piccolo non parve curarsene, era totalmente immerso nel calore e nei fremiti che Jonghyun gli procurava. Inarcò la schiena affondando le dita di una mano tra i capelli dell’altro la cui bocca si era spostata sul suo collo baciandolo con crescente passione. Kibum si sentiva totalmente perso, avviluppato in un mondo fatto di brividi caldi che partivano dal suo basso ventre per poi propagarsi in ogni fibra del suo corpo, sino alle punte delle dita. Non si sentiva più in imbarazzo e voleva tutto questo, soprattutto voleva che fosse Jonghyun a far vibrare le corde del suo corpo e del suo cuore. Si sentiva come i fili tesi di un’arpa sotto i tocchi di un abile artista. Tuttavia sbarrò gli occhi, sorpreso, quando la mano di Jonghyun s’insinuò tra le sue gambe accarezzandogli le parti più intime. A quel punto, fosse stato per la sua testa avrebbe fatto scattare la propria mano sul polso dell’altro per bloccarlo, ma non lo fece, al contrario richiuse gli occhi emettendo un verso di piacere che a mente lucida l’avrebbe fatto vergognare e la sua mano artigliò la coperta.
Quella nota risultò infinitamente dolce e sensuale alle orecchie di Jonghyun che staccò le labbra dal collo del più piccolo, curioso d’osservare l’espressione eccitata che doveva essersi dipinta sul suo viso. E quando lo vide boccheggiò. Key si stirava come un micio voglioso tra le coperte emettendo sonori miagolii dalle labbra lucide semi dischiuse, infine aprì gli occhi non appena le labbra dell’altro si allontanarono. Furono proprio quegli occhi a fare perdere un battito a Jonghyun perché lo fissavano sottili e magnetici da sotto le ciglia scure con languore felino. Jonghyun lo voleva e lo voleva ora, non aveva più senso temporeggiare ora che il desidero fiammeggiava irruento anche negli occhi dell’altro. Tuttavia, dovette abbandonare i propri propositi perché la mano di Key, ancora affondata tra i suoi capelli, l’attirò a sé per baciarlo. Un bacio fatto di labbra calde e umide che però conservava sempre quella nota dolce, perfetta e quella scintilla d’innocenza.
Kibum si staccò ansimante allontanando l’altro da sé e Jonghyun lo guardò incuriosito. Cosa pensava di fare?
Si ritrovarono entrambi seduti in ginocchio, uno di fronte all’altro, gli occhi incatenati gli uni agli altri come a ricreare quel magnetismo perfetto e quel tempo che non c’era, illuminati dall’alone ambrato della lanterna che s’apriva a ventaglio su di loro, lasciando in ombra il resto del mondo. Erano come due pianeti che fluttuavano nel vuoto e l’uno il satellite dell’altro. Mettere fine a quel contatto era come perdere la propria orbita e finire sperduti negli angoli più remoti ed oscuri dello spazio.
Jonghyun osservò Key continuando a domandarsi quali fossero le sue intenzioni e trovandolo ancora più bello. La camicia del più piccolo aperta davanti era scivolata lungo una spalla, i capelli corvini spettinati rilucevano nella notte e gli occhi brillavano di pura energia, mentre le gote imporporate gli donavano un’innocenza erotica.
Kibum l’osservò a sua volta, desideroso di essere lui, ora, a dare un po' di piacere al più grande. Gli occhi di Jonghyun erano caldi e simili ad ambra liquidi, a lava ardente capace di plasmare e fondere l’oro. Nonostante avesse visto il corpo dell’altro in più di un’occasione, ora Kibum voleva conoscerlo sino all’ultima piega della pelle e sino all’ultima vena incandescente. Si fece più vicino iniziando a baciargli il collo e cercando di ricreare i suoi gesti. La sua mente aveva memorizzato tutte le mosse di Jonghyun, così come il suo corpo ne aveva percepito il piacere che ora voleva donare al più grande. Aprì la camicia di Jonghyun ammirando quel petto scolpito che tante volte lo aveva fatto arrossire e che, ora, voleva esplorare in tutte le sue curve rese ancora più seducenti dalla luce che modellava la penombra della stanza. Tastò curioso i pettorali e gli addominali del più grande sentendosi improvvisamente piccolo e fragile di fronte a quel corpo mascolino, al cui confronto Kibum si sentiva un bambino.
Jonghyun rimase fermo, altrettanto curioso e divertito dai movimenti di Key.
Kibum posò un bacio casto sul petto di Jonghyun e sfiorò con la punta della lingua il neo sensualmente dipinto tra le sue clavicole, una macchia perfetta su un corpo altrettanto tale. Le sue labbra condussero sul petto del più grande una danza delicata in punta di piedi, tanto metodica quanto appassionatamente dolce. Si sedette sul suo grembo dondolandosi piano e gli prese il volto tra le mani depositandovi tanti piccoli baci.
Jonghyun chiuse gli occhi e sorrise, memore di aver già vissuto una simile esperienza, quando ancora non potevano definirsi loro. Quanto aveva amato ed era stato terrorizzato dalla prima volta che Key aveva fatto le fusa sul suo petto? Erano passati a mala pena due mesi, eppure gli sembrava una vita addietro perché il loro rapporto era cambiato molto da allora per quanto in un certo senso fosse rimasto immutato.
I baci di Kibum si fecero più audaci. Morse e leccò il collo del più grande mentre le sue mani gli percorrevano, delicate e impacciate, la schiena e l’addome. Scese succhiando con insistenza il capezzolo di Jonghyun cercando, di nuovo, d’imitare i gesti del più grande, finché non decise di usare unicamente il suo istinto. Spinse l’altro sulla coperta rimanendo a cavalcioni su di lui e continuando a tormentarlo con le proprie labbra.
Jonghyun mugugnò, beato e orgoglioso di essere l’oggetto delle effusioni dell’altro che, ora, faceva le fusa con più insistenza. Key lo stupiva in continuazione, l’aveva sempre fatto, studiare le sue mosse era impossibile anche per lui e, quella sera, sembrava che il più piccolo si stesse davvero impegnando per lasciarlo di stucco. Per quanto timido, impacciato e a volte maldestro, Key gli stava dimostrando tutta la sua passione e mai Jonghyun avrebbe immaginato che sarebbe stato così fare l’amore con lui. Key voleva essere oggetto di carezze e adorazione, ma amava anche dettare legge e, riflettendo su questo punto, Jonghyun capì perché il pensiero di non avere idea di cosa fare l’avesse tanto turbato. Sospirando di piacere, Jonghyun si lasciò sfuggire un sorriso divertito.
Piccolo spocchioso, pensò con tenerezza.
Mesi addietro non avrebbe mai pensato di poterlo stringere così forte a sé, di condividere quel momento. Era stata solo una flebile speranza, un sogno. Tanto meno negli ultimi giorni in cui l’aveva sentito così lontano, strappato brutalmente dalle sue braccia senza potergli dire addio. Solo poche ore prima si struggeva al pensiero di sopportare un altro giorno senza di lui ed erano lì insieme, in un’intimità che nemmeno tutte le notti in cui avevano dormito l’uno tra le braccia dell’altro si erano concessi. Chiuse gli occhi, godendo pienamente delle emozioni e delle sensazioni che tutto questo gli provocava.
Le sue mani si posarono sui fianchi del piccolo accarezzandolo poi sulle cosce e sui glutei. Alla fine, con uno scatto di reni, Jonghyun ribaltò la situazione pensandosi interamente sul corpo di Key che sussultò per la sorpresa. Avvinghiati, le loro bocche si cercarono mosse da una passione crescente e quasi incontenibile, le loro mani corsero sul corpo dell’altro, le gambe s’intrecciarono e sfregarono le intimità pulsanti di desiderio. Quel contatto che tanto aveva intimorito il più piccolo, ora aveva solo il potere di procurargli vampate di calore e sospiri estasiati che si fondevano con quelli leggermente rochi e cadenzati del più grande.
-Ti voglio -, mugugnò Jonghyun in un bacio.
Ormai il bisogno dell’altro era evidente nei loro occhi e premeva tra loro con insistenza.
Kibum gli prese il volto tra le mani. –Allora prendimi adesso – disse con il fiato corto. 
Ancora quel tono simile ad un ordine che il più grande non poté rifiutare. Jonghyun lo baciò con trasporto assaggiando ogni angolo della sua bocca e, con foga, spogliò entrambi degli indumenti che ancora li proteggevano. Si guardarono, ansimanti.
Kibum rabbrividì avvertendo l’aria sulla pelle nuda e, d’istinto, cercò di girarsi di lato e stringere le gambe rendendo evidenti le ultime tracce d’imbarazzo. Arrossì e deglutì di fronte agli occhi grandi del più grande, desiderando immergersi nel loro calore, sentirsene avvolto sino a bruciare, ma fu percorso da un brivido riconoscendo, con la poca lucidità rimasta, che non aveva idea di cosa aspettarsi. Il corpo di Jonghyun sopra di lui gli procurava emozioni contrastanti. Era splendido, ma gli metteva anche soggezione.
Jonghyun si umettò le labbra di fronte agli occhi languidi del più piccolo che tradivano solo un lieve accenno di paura e lucidità. Lo soppesò per un tempo che gli parve infinito ma che dovette durare solo pochi secondi, perché nulla cambiò sul volto di Key, né la sua espressione, né le luci che lo illuminavano. Rimase tutto fermo, immutato, figura eternamente fissata ad inchiostro su una tela sottile quanto la consistenza di un sogno.
La preoccupazione assalì Jonghyun ed ebbe l’impressione di sudare freddo. Il corpo dell’altro sembrava così fragile, delicato e reso ancora più etereo dalle luci dorate che lo modellavano. Sapeva che all’inizio l’altro avrebbe sofferto e il pensiero di udire i sospiri di Key mutare in singhiozzi di dolore gli faceva accartocciare il cuore in petto, ma era inevitabile. Poteva solo sperare che il dolore si tramutasse presto in godimento. Si domandò se valesse la pena metterlo in guardia, ma alla fine decise di rimanere in silenzio, non aveva alcun senso agitarlo. L’avrebbe cullato tra le sue braccia, accarezzato e baciato dolcemente per farlo sentire amato, perché i sentimenti che provava erano superiori a qualunque piacere fisico potesse procurargli la loro unione.
Lo baciò sulla fronte e Kibum socchiuse gli occhi emettendo un piccolo sospiro, come a ricercare una calma che aveva perduto. Jonghyun posò appena la bocca su quella dell’altro per poi sostituirla con le sue dita. Key lo guardò spaesato, dando adito ai peggiori sospetti di Jonghyun ed il suo terrore di ferirlo aumentò, imponendo così a sé stesso di fare il più piano possibile. Premette con più insistenza le dita sulla bocca di Key che, per quanto perplesso, strinse la mano del più grande tra le sue iniziando a leccarla.
Kibum fece passare la lingua e le labbra rosate sulle falangi di Jonghyun e, nonostante la tensione, il più grande provò un moto di tenerezza e rise. Key sembrava un micetto intento a giocare con la propria preda che lecca e mordicchia soddisfatto. Jonghyun sarebbe rimasto lì a guardarlo per ore domandandosi come Key riuscisse a provocargli tenerezza e eccitazione al contempo. Alla fine liberò la mano dalla presa dell’altro che l’osservò indispettito come se gli avesse appena sottratto il gomitolo preferito.
-Rilassati e apri le gambe – sussurrò Jonghyun accarezzandogli il viso.
Kibum scostò appena le gambe, si morse le labbra e tremò leggermente. Oltre a sentirsi totalmente esposto percepiva un’ombra di preoccupazione sul volto di Jonghyun. Perché, doveva considerarlo un campanello d’allarme? Osservò attento le mosse del più grande che gli aprì dolcemente le gambe e lo lasciò fare, docile, affidandoglisi completamente. Qualunque cosa fosse accaduta l’unica cosa importante era che sarebbe stato tra le braccia di Jonghyun, le uniche al mondo tra le quali desiderava stare, le uniche capaci di scaldarlo e farlo sentire a casa.
Jonghyun gli accarezzò l’interno coscia e vi depositò dei piccoli baci. Kibum rabbrividì e sentì il suo corpo rilassarsi, se non che un dolore improvviso lo colpì tra le natiche, agitandolo.
-J-Jong – boccheggiò.
Jonghyun gli accarezzò il capo. – Stai tranquillo, va tutto bene. –
Le sue dita si mossero nel corpo del più piccolo cercando di farsi spazio in un passaggio troppo stretto e rigido, continuò in quel modo finché divenne più elastico e malleabile. Tuttavia, ogni tocco provocava una fitta di dolore a Key che si agitava scomposto singhiozzando e artigliando le spalle di Jonghyun.
Un sospirò di sollievo uscì dalle labbra di Kibum quando le dita di Jonghyun lo abbandonarono, ma la calma fu breve perché l’altro gli aprì di più le gambe posizionandosi in mezzo. Jonghyun affondò lentamente nello spazio inviolato di Key lasciandosi avvolgere dal suo tepore. Un sospiro caldo fuoriuscì dalle sue labbra semi dischiuse e sotto di lui il più piccolo gemette, spezzando la quiete silente della notte. Intimorito da quella nota stonata, Jonghyun si morse il labbro e fece per allontanarsi, ma Key gli artigliò le spalle. -Resta -, miagolò con il fiato corto. Jonghyun annuì e gli accarezzò subito il capo, sussurrandogli parole dolci e rassicuranti.
-Rilassati, va tutto bene. Sono qui con te, amore mio. -
Key sorrise, gli occhi assottigliati e lucidi, poi Jonghyun iniziò a muoversi. Kibum non aveva mai immaginato che potesse fare così male. Il suo corpo sembrava sul punto spezzarsi e lacerarsi ad ogni spinta del più grande che lo teneva per i fianchi, guidandolo in una serie di movimenti di cui non comprendeva il senso. Benché piangesse, s’aggrappasse alla schiena di Jonghyun e mordesse il suo collo, desiderò versare lacrime gioia e non di dolore, perché nonostante tutta quella sofferenza aveva la completa certezza di non voler dividere quel momento con nessun’altro. Era agli occhi incandescenti di Jonghyun che voleva appartenere e se per essere suo doveva infrangersi in mille pezzi, allora l’avrebbe rifatto altre mille volte.
Kibum poteva percepire, oltre tutto quel dolore, l’amore dell’altro come qualcosa di materiale e palpabile. Era nell’aria che respira, nella carezza premurose di Jonghyun, nei baci che detergevano le sue guance imperlate di lacrime e nei sussurri rassicuranti frammezzati da ansiti di piacere.
Man mano, i movimenti che le mani forti Jonghyun gli facevano compiere acquisirono un senso, non erano più una danza sconclusionata, ma sensuale e capace di trasformare i suoi lamenti in miagolii estasiati. Kibum fu in grado di stare al ritmo ed assecondarlo, finché il dolore svanì completamente sostituito da un calore intenso che lo fece fremere, stirare e inarcare la schiena.
Non appena il corpo di Key si rilassò sotto di lui, Jonghyun si calmò a sua volta e rimase sconvolto perché mai aveva provato un piacere simile. Percepiva una forza strana intorno a loro, come se la stanza vibrasse e ruotasse. Calore ed energia sfrigolavano nell’aria resa satura del profumo dei loro corpi fusi insieme. Tutti quei colori, quel caleidoscopio di emozioni che provava ogni volta che era con l’altro sembravano moltiplicati all’infinito.
Le mani di Kibum, ormai, non artigliavano più il corpo del più grande, ma ne percorrevano la schiena, così come le sue gambe non erano più rigidamente spalancate, ma scivolavano tra quelle di Jonghyun e s’allacciavano al suo bacino. Era come essere stato distrutto per poi rinascere modellato dalle attenzioni appassionate dell’altro. Quel cerchio che pensava essersi chiuso quando si erano dichiarati il loro amore ora appariva, finalmente, per quello che era realmente: solo il primo giro di una spirale, di un vortice, che non sembrava avere via d’uscita. Il filo che li strattonava l’uno verso l’altro era trasfigurato in un nodo magnificamente contorto quanto i loro corpi in amore.
Jonghyun sollevò Key per farlo sedere sul suo grembo ed il più piccolo lo assecondò aggrappandosi alle sue spalle. Ora che la sua presenza nello spazio intimo dell’altro non era più un fastidio, ma fonte di passione era così che voleva fare l’amore con lui: uno di fronte all’altro, abbracciati come due germogli che piantati troppo vicini nello stesso terreno umido crescono intrecciandosi condividendo radici, tronchi, rami e fiori che profumano di pesco e ciliegio.
Non ci fu centimetro del volto e della bocca di Jonghyun che Kibum non baciò ed esplorò, mentre le mani ed il bacino del più grande lo guidavano in una danza dondolante fatta di un ruotare lento e sensuale dei fianchi. Solo una scarica di calore più intensa che scosse ogni fibra del suo corpo lo costrinse a staccare le labbra dall’altro per emettere una nota di pura estasi. Stringendosi a Jonghyun, inarcò la schiena dando sfogo ad una passione ormai travolgente che zampillò calda tra i loro stomaci.
Per Jonghyun il grido di godimento del più piccolo fu il colpo di grazia, l’ultima nota acuta e vibrante della melodia straziante ed appassionata prodotta delle corde tese di un kayagun[2]. Anche lui era allo stremo e accompagnò il corpo molle di Key sul futon, gli sollevò una gamba per farla aderire ai suoi fianchi ed assestò le ultime spinte, liberandosi tra sospiri spezzati e appagati.
Entrambi furono scossi da brividi caldi e giacquero spossati tra le coperte.
Kibum aveva il fiato corto ed il corpo tremante, le mani abbandonate ai lati del capo sul cuscino. Si sentiva appagato, ma anche stordito da tutte le sensazioni e le emozioni che aveva provato.
Jonghyun si concesse di rimanere ancora pochi secondi nel corpo del più piccolo, restio ad abbandonare quel luogo caldo e confortevole. Lo baciò, un bacio lento e umido che fece subito dischiudere la bocca a cuore di Key.
-Sono tuo – gli sussurrò a fior di labbra non appena si staccò.
Kibum sorrise appena, stanco ma felice, allungando la mano aggraziata verso il capo dell'altro accarezzandogli i capelli morbidi.
-Ed io tuo. –
Ora, se anche tutte le luci in cielo si fossero spente e l’oscurità latente che lo circondava l’avesse inghiottito, lui sarebbe appartenuto a Jonghyun per sempre così come l’altro era suo. Il ricordo del loro amore sarebbe stato troppo vivido perché potessero strapparglielo, troppo luminoso per non rischiare le notti più buie.
-Grazie-, disse Kibum sfiorandolo con un bacio, - per avermi mostrato il tuo amore ogni singolo istante. –
 
 
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Spero sia stata una lettura piacevole! Se vorrete lasciarmi un commento mi farete molto felice, se invece preferite uccidermi ho già preparato la fossa, quindi nessun problema u.u
Alla prossima!
P.s. E’ possibile che vada a rilento con i prossimi capitoli, ho la bozza preliminare di un saggio sul Giappone da consegnare in università il mese prossimo e sono abbastanza indietro >.<’
 
 
[1] Ukiyo, che significa "mondo fluttuante”, è un genere di stampa artistica giapponese su carta, impressa con matrici di legno e fiorita nel periodo Edo tra il XVII e il XX secolo.
[2] Strumento tradizionale. 

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Capitolo 21
*** Capitolo 20. Aurora ***


Ciao! Premetto che non è esattamente periodo, spero di tirarmi su pubblicando questo capitolo e non essere preda delle mie solite ansie assurde >.< (ahahahaha).
Un grazie speciale a chi commenta: Chocolat95, Ghira_, KimJonghyun23, MagicaAli, Panda_murderess, Saranghae_JongKey, vanefreya e in particolare a chi ha commentato lo scorso capitolo: Blugioiel e DreamsCatcher (alcune parole della tua recensione mi hanno dato l’ispirazione per l’inizio di questo capitolo quindi, visto che si avvicina Natale e dobbiamo essere più buoni, la prima parte è per te XD). Grazie per il vostro sostegno! (spero di non aver dimenticato nessuno).
Grazie anche a chi legge, che ha inserito la storia tra preferite, seguite e da ricordare.
Sperando di non aver lasciato troppi errori di battitura vi auguro buona lettura!
 
 
Capitolo 20
Aurora
 
 
 
“You used to only dream but now you’ll see
All the things you only guessed and imagined
They’ll be so close you can touch them
Then pinch my cheek to check if it’s a dream”
Jonghyun, Aurora
 
 
 
Le luci rosate e violette dell’aurora fluttuavano nella stanza simili a tende sottili, avvolgendo ogni cosa in un piacevole tepore e in una realtà che conservava, ancora, la consistenza di un sogno.
Ferito dai primi raggi rosati che si posarono sulle sue ciglia, Jonghyun sbatté le palpebre disperdendoli come petali. Si rigirò tra le coperte e, puntellandosi sui gomiti, osservò Key rannicchiato accanto a lui. Sorrise. Gli sembrava ancora di galleggiare in un mondo onirico, ma se anche era stato un sogno aveva la certezza d’averlo toccato con mano, di averne respirato il profumo e condiviso i suoi stessi sospiri.
La spalla bianca di Key spuntava tra le coperte, appena modellata dalle luci tenui dell’aurora che riposavano anche sui suoi capelli corvini. Jonghyun allungò una mano per scostargli delle ciocche e ammirare il viso dell’altro. Il più piccolo riposava tranquillo, le labbra lucide appena dischiuse ed il volto unicamente adombrato dalle ciglia scure abbassate. Un sogno che era stato strappato dalla sua dimensione ultraterrena per essere delicatamente posato nel mondo mortale, tuttavia intoccato ed inaccessibile.
Jonghyun non resistette, lo bacio sulla guancia liscia e gli occhi felini del più piccolo si aprirono, lentamente, per poi fissarsi su di lui.
-Non volevo svegliarti – sussurrò il più grande.
-Non mi dispiace essere svegliato da te – sorrise Kibum.
Jonghyun sorrise a sua volta e gli sfiorò il viso. – Come stai? – domandò nascondendo a stento un moto d’apprensione.
-Sono felice. –
Il volto di Jonghyun s’illuminò disperdendo i suoi ultimi timori. Lo sguardo felice di Key era tutto ciò che desiderava. Kibum lo baciò piano, poi si stirò tra le coperte allungando le braccia verso l’alto, i palmi aperti.
Jonghyun lo guardò incuriosito. – Cosa fai? – chiese ridendo.
-Rubo il calore ai primi raggi del sole. –
Kibum aprì e chiuse i palmi delle mani come ad afferrare le luci rosate che dipingevano la stanza, simili a tenui pennellate d’acquarello.
Jonghyun l’attirò a sé, stringendolo. – Vieni qui –disse, - non fidarti del sole, è come una folle che va a spasso per il mondo, e non c’è luogo in cui non risplenda. –
Rimasero in silenzio per qualche secondo e Jonghyun si chiese come l’altro potesse ricercare calore quando il suo corpo ardeva ancora della passione della notte precedente.
-Pensi che sia possibile rimanere incatenati qui per sempre? - chiese Kibum guardandolo da sotto le ciglia scure.
-Se fossimo fatti dell’essenza dei sogni potremmo racchiudere il nostro essere nello spazio e nel tempo di un sogno. Sarebbe infinito, ma più breve della nostra vita. -
-Ma tu non sei un sogno – disse Kibum prendendogli il viso tra le mani, - sei un miraggio trasmutato in realtà. Vedi- fece baciandolo, - posso assaggiare il sapore delle tue labbra e avvertire il calore della tua pelle sulla mia. Se tu fossi dell’essenza di un sogno allungherei la mano per afferrarti ma scivoleresti via dalle mie dita, come quelle luci ingannevoli che rischiarano le prime ore del mattino. –
Intrecciarono le gambe sotto le coperte e si baciarono.
-Forse potremmo fermare il tempo – suggerì il più piccolo.
-O riavvolgerlo. –
Jonghyun sorrise sghembo ripensando alla notte precedente e guadagnandosi un cuscino in faccia.
Kibum arricciò il naso e scosse il capo. -Lasciamo stare il tempo, è un vecchio malvagio che gode nell’incidere rughe sottili sui volti. –
Kibum fissò Jonghyun affogando in quegli occhi grandi ed ambrati a cui ormai apparteneva definitivamente. Si sentiva strano, dolorante, ma perfetto come la tessera di un puzzle accuratamente inserita in uno spazio vuoto. Era lì il suo posto, tra le braccia piene d’amore del più grande, non tra l’oro ed il freddo marmo. Accarezzò il volto di Jonghyun.
- Che scorra pure il tempo, comunque vada io sono tuo e tu sei mio. E’ da qui che voglio ripartire, dalle luci rosate di questa aurora, con te. -
Jonghyun lo fissò a sua volta, faticando ancora a credere che quel sogno fosse la loro realtà. Pochi anni prima credeva sarebbe morto in un vicolo, zuppo di pioggia e fango, finito da una lama argentata pronta a bere il suo sangue. Credeva non avrebbe mai conosciuto l’amore, invece l’aveva stregato rubandogli anima e corpo. Sorrise. Quel micetto spocchioso, che ora lo guardava adorante, aveva davvero fatto l’amore tra le sue braccia e miagolato sotto le sue carezze.
-Manca ancora qualche ora prima che il tempo c’imponga di abbandonare questo mondo –, disse Kibum soffiandogli caldo in viso.
Jonghyun sorrise e si umettò le labbra. – Allora inganniamolo e rubiamogli ogni secondo. –
Scivolò sul più piccolo e lo baciò, intrecciando le loro mani sul cuscino.
Sembrava che nulla potesse varcare il labile confine di quello spazio di cui, solo loro, ne erano consapevoli prigionieri appagati.
 
 
***
 
 
Minho si sentiva rigido come una statua e, probabilmente, si stava davvero trasformando in una sorta di simulacro di pietra. Sedeva a gambe incrociate sul suo futon completamente intoccato, le braccia conserte e lo sguardo basso. La sua stanza era totalmente avvolta nel buio, ma aveva fissato il vuoto talmente a lungo quella notte che ormai i suoi occhi si erano abituati, rendendogli possibile distinguere tutti i mobili. Aveva chiuso occhio forse giusto un paio d’ore, ma la sua mente non aveva mai smesso d’assalirlo. Sbuffò. La cosa assurda era che, infondo, non aveva nemmeno sonno. Era rimasto in una sorta di catarsi e, ora che il giorno stava per sorgere, i pensieri più fastidiosi tornavano prepotentemente a bussare alla sua porta.
Ancora non riusciva a capacitarsi degli ultimi avvenimenti. Non era solo il fatto di aver scoperto che Key era in realtà Kim Kibum, il principe ereditario di Chosun, benché a qualunque mente minimamente lucida quella doveva essere la maggiore preoccupazione. Ma no, a non fa dormire davvero Minho era la presa di coscienza del fatto che nessuno l’aveva messo a parte di quel segreto, né l’avrebbe fatto se quel cavaliere non avesse parlato. Dire che si sentiva tradito non era esattamente la definizione giusta, più che altro percepiva, suo malgrado, di aver ottenuto la terribile conferma di ciò che già sospettava o semplicemente percepiva per istinto.
Aveva incontrato per la prima volta Jinki e Taemin quando erano ancora adolescenti, lui un ragazzo fuggito da un mondo crudele e ora sulla strada, loro figli di nobili decaduti che in un passato, non troppo distante, aveva vissuto in un sontuoso palazzo, per ritrovarsi poi ad elemosinare per la strada in abiti cenciosi la cui seta, sotto strati di sporco, denunciava tempi migliori. Due mondi diversi che si erano ritrovati a condividere la stessa realtà, le stesse speranza ed i medesimi ideali. Tuttavia, Minho non era mai riuscito a sentirsi uguale a loro. Aveva sempre percepito una sottile linea di confine a separarli, perché nella sua mente loro, per quanto sporchi ed affamati, erano sempre gli altri, quelli che sin da piccolo aveva conosciuto con l’appellativo di nobili. Quelli che, a differenza sua, vestivano abiti stupendi, avevano abilità straordinarie che solo a loro erano concesse e, soprattutto, potevano mangiare tutto ciò che desideravano. Lui, Minho, era l’altro, quello che poteva solo osservare da lontano, quello che di abiti sfavillanti non ne aveva mai indossati e che a stento racimolava una ciotola di riso a fine giornata.
Eppure in tutti quegli anni avevano condiviso ogni cosa, tranne quel segreto. Né Jinki, né Taemin si erano degnati di rivelargli di Key e Minho vedeva un’unica spiegazione in tutto ciò: non si fidavano abbastanza. Perché lui era lui e loro erano “gli altri”.
Questo lo portava inevitabilmente a riflettere sulla sua vita sentimentale, o meglio, sulla sua non vita sentimentale. Sospirò, afflitto. Da tempo quell’affetto protettivo che provava nei confronti di Taemin era mutato in qualcos’altro, ma dal momento in cui se ne era accorto aveva deciso d’ignorare la cosa. Dopotutto, Taemin rimaneva qualcosa di “diverso” rispetto a lui, non solo, era anche il fratello di Jinki e il solo pensiero dello sguardo carico di disapprovazione del Leader dei Ribelli lo faceva rabbrividire. Si sarebbe ritrovato all’addiaccio nel giro di poco e a vagare per strada. Doveva ammetterlo, gli avvenimenti degli ultimi mesi che riguardavano Jonghyun e Key o Kibum, chiunque diavolo fosse, l’avevano fatto riflettere oltre a procurargli varie fitte di gelosia. Quello scemo del suo amico aveva del tutto ignorato il fatto che Key fosse un nobile, nonostante gridasse costantemente ai quattro venti di odiarli.
Bhe, Jonghyun è Jonghyun, lui non pensa mai.
Comunque, era stato sincero con Jonghyun quando all’inizio gli aveva consigliato di lasciar perdere, i nobili erano nobili, loro erano loro. Poco importava se vivevano sotto lo stesso tetto e fossero amici. Nella mente di Minho erano sempre “gli altri”. Quando Jonghyun gli aveva confessato di voler rivelare i suoi sentimenti a Key durante il Chuseok si era detto che, forse, anche lui doveva smetterla d’ignorare il suo interesse per Taemin e forse, ma solo forse, si sarebbe davvero dichiarato se quel piccolo rompiscatole non avesse deciso di punto in bianco d’ignorare il suo consueto invito alla festa. Ma, dopotutto, alla luce delle ultime novità era meglio così. Ammesso e non concesso che Taemin provasse il suo stesso interesse, Jinki non gli avrebbe mai permesso di frequentare il suo adorato fratellino così impunemente. Ne era certo.
Si sentiva preso in giro. Valeva così poco la sua parola, la sua fedeltà a loro e ai Ribelli per non essere incluso in un tale segreto? Questo lo portò inevitabilmente a domandarsi, di nuovo, se Jonghyun conoscesse della vera identità del suo adorato ragazzo. Ne dubitava, il suo amico aveva insultato miriadi di volte l’erede al torno e anche in presenza del diretto interessato. Jonghyun non l’avrebbe mai fatto, nemmeno se fosse servito a nascondere un segreto, se fosse stato a conoscenza della verità.
Minho non aveva mai avuto nulla contro Key, certo era stato diffidente all’inizio, ma aveva imparato a conoscerlo e gli piaceva, erano amici, dopotutto. Tuttavia, ora si ritrovava combattere tra l’imbarazzo e la disapprovazione.
Imbarazzo perché non aveva idea di come comportarsi.
Dannazione è l’erede al trono, pensò mettendosi le mani tra i capelli.
Ora che lo sapeva poteva comportarsi come prima o fargli una riverenza e cose simili? Non ne aveva idea. Certo, dato che era un segreto, probabilmente sarebbe stato meglio procedere come se nulla fosse…
La disapprovazione era dovuta al fatto che il più piccolo stava, quasi sicuramente, mentendo al suo migliore amico. Non che Minho dubitasse dei sentimenti che quei due nutrivano l’uno per l’altro, quelli erano palesi, ma conoscendo Jonghyun se fosse giunto a conoscenza della verità non l’avrebbe presa bene.
Si massaggiò le tempie. Stava rischiando la follia e senza riflettere troppo si alzò dirigendosi fuori dalla stanza. L’alba era passata da un pezzo, ormai, e lui aveva bisogno di parlare con Jinki, doveva sapere perché non gli aveva detto nulla. Non si fidava, non lo riteneva sufficientemente responsabile? Doveva saperlo, era l’unico modo per accertarsi di avere anche solo la minima possibilità di prendere in seria considerazione l’idea di venire a capo dei suoi sentimenti con Taemin. Perché, in fondo, si sentiva un codardo e ammetteva a malincuore di provare una fitta d’invidia quando posava gli occhi su Jonghyun e Key. Jonghyun poteva essere uno sprovveduto, ma aveva avuto il coraggio che lui non aveva. Key non era certamente un semplice nobile, ma poco gli importava da dove venisse Jonghyun.
Mentre rifletteva su questi ultimi punti, dirigendosi verso la stanza di Jinki, fu proprio contro Jonghyun che rischiò di andare a sbattere.
-Yah! – fece il più grande. – Così mi farai cadere la colazione! –
-Colazione? – Minho sbatté le palpebre mentre recuperava l’equilibrio.
Il suo amico reggeva un vassoio con due tazze di tè fumante, delle ciotole di riso e dei mochi.
-Noi facciamo colazione in camera –, disse Jonghyun sfoderando un grande sorriso.
Quel “noi” fu come una stilettata nel cuore di Minho. Ci sarebbe mai stato un “noi” per lui? Ogni volta che osava pensarci la figura tetra e ingigantita all’inverosimile del Leader gli si parava davanti, gli occhi fiammeggianti pronti ad incenerirlo. Avvertì un brivido. Fece per passare oltre, non era proprio dell’umore per intavolare una conversazione con quello scimpanzé gongolante per il suo casco di banane, ma qualcosa sul volto di Jonghyun ebbe inevitabilmente il potere di attirare la sua attenzione. Minho lo soppesò attentamente.
-Sei strano. –
Jonghyun inarcò un sopracciglio.
-Non fraintendermi - aggiunse Minho, – normalmente non è che tu sia normale. Solo hai una strana luce negli occhi, sembri quasi uno che ha passato l’intera nottata a…-
Minho si bloccò di colpo, mentre Jonghyun sorrideva beato e gonfiava il petto con orgoglio.
Proprio uno scimpanzé orgoglioso del suo casco di banane nuovo di zecca, pensò Minho prima di essere invaso da ben altri pensieri.
-Esattamente – confermò Jonghyun. – E’ stato...-
-Yah! Non voglio sapere cos’avete fatto tu e Ki…Key. –
Jonghyun corrugò la fronte. – Perché balbetti il suo nome? –
-Non penso sarebbe contento di sapere che vai in giro a spifferare cosa fate nell’intimità. –
Minho tirò un sospirò di sollievo, si era salvato a tempo record. Dannazione, collega il cervello, è un segreto, ricordi? Pensò.
Jonghyun si bloccò di colpo facendo oscillare il vassoio. Delle gocce di tè caddero sul pavimento lucido. Si guardò intorno, timoroso di veder spuntare il più piccolo da un momento all’altro.
Una parte di Minho avrebbe voluto ridere, la situazione aveva un che di comico ed ironico, per non dire d’inquietante. Il suo migliore amico era stato a letto con il principe, la persona che dichiarava di odiare di più al mondo. Peccato che non sapesse che Kim Kibum era il suo Key. A Minho stava davvero venendo il mal di testa. Guardò Jonghyun sparire nel suo idilliaco nido d’amore.
Qualcuno si farà molto male, rifletté.
Pochi secondi dopo stava bussando alla stanza di Jinki e, indeciso su come intavolare il suo discorso, attese una risposta dall’altra parte che non tardò ad arrivare. La voce del Leader risuonò ancora assonata invitandolo ad entrare.
All’interno regnava quel tipico profumo di tè verde che Jinki stava già consumando di prima mattina, tutto era pulito e ordinato, un grosso tappeto donava colore al pavimento ligneo, i mobili presentavano intarsi e decorazioni raffinate in materiali preziosi, un’ampia porta scorrevole doveva dare sul giardino retrostante della locanda e oltre uno sgargiante paravento dai motivi floreali s’intravedeva un futon sfatto che, insieme al volto assonnato e ai capelli ancora in disordine del Leader, confermarono a Minho che l’altro non doveva essersi svegliato da molto. Ciononostante, Jinki sedeva impeccabile su un cuscino davanti ad un piccolo tavolino sul quale era riposta una grossa teiera e una serie di piccole tazzine.
Jinki si sistemò la frangia scomposta e si raddrizzò sul cuscino, una tazza di tè tra le mani.
-Minho – disse sorridendo. – Mi aspettavo saresti venuto, prima o poi. –
Lo invitò a sedersi e Minho recuperò un cuscino dove prese posto, le gambe ripiegate e le mani posate rigide sulle cosce.
Jinki l’osservò attentamente tra una sorsata di tè e l’altra, facendogli poi cenno di servirsi dalla teiera bollente posta tra loro.
Minho scosse il capo. Non voleva elementi di distrazione, era già abbastanza inquietante il fatto che l’altro avesse intuito il motivo della sua presenza lì.
Bhe, in un certo senso era prevedibile, si disse.
Prese un bel respiro e decise, infine, di versarsi una tazza di tè. Magari gli avrebbe sciolto la lingua. Dopo una sorsata e si decise a parlare.
-Sono qui per Key, Kibum – iniziò.
Si morse la lingua due secondi dopo. Quello lo sapevano entrambi!
Jinki annuì continuando a sorridere e Minho provò una fitta di rabbia. Si sentiva preso in giro e quello sorrideva. Come doveva interpretare quel comportamento?
-Lo so. –
Minho sospirò. – Hyung, perché non mi hai detto nulla? Non ti fidi di me?–
Ecco, l’aveva detto e anche senza mezzi termini. Abbassò il capo, pronto a ricevere il colpo di grazia.
Jinki sbarrò gli occhi e rise, rise! Minho avrebbe voluto strozzarlo.
Persona inquietante proprietaria di luoghi altrettanto inquietanti, fece Minho tra sé.
-Minhossi, perché non dovrei fidarmi di te? Lo sai, ti affiderei la mia vita, come ho già fatto in passato, ricordi? –
Minho ricordava molto bene, benché pensasse di rado al suo passato che più di una volta aveva desiderato dimenticare. Il ricordo della sua infanzia passata a scavare come una talpa cieca nelle miniere era ancora così vivido in lui che, a volte, di notte sognava ancora di rimanere intrappolato in quelle gallerie, di essere seppellito vivo. Quante volte aveva guardato con un misto di compassione ed invidia i corpi morti dei suoi compagni lasciati scivolare lungo la corrente del fiume? Bambole di stracci e carne inerte, ma quanto meno liberi. Lontani da quell’orrore di cui non percepiva alcun senso. Era così che aveva conosciuto i Lee, stava fuggendo da quel luogo di morte e li aveva salvati dal medesimo destino. Ora, il solo pensiero di un Taemin costretto a spezzarsi la schiena in luogo simile lo lacerava, e ringrazia ogni giorno di averli incontrati sulla sua strada. Così come non riusciva a pensare ad un mondo senza Jinki, senza i Ribelli. Forse se non li avesse salvati quel giorno tutto sarebbe stato diverso. Perché per quanto ognuno di loro si sforzasse di dare un senso alla propria esistenza, d’impegnarsi al meglio, molti di loro non sarebbero stati niente senza Jinki. Foglie al vento senza dimora che solo la passione e la dedizione del più grande aveva unito. Che cosa sarebbe stato lui, che cosa sarebbe stato Jonghyun, Key e tutti quelli che avevano trovato nei Ribelli un rifugio sicuro in cui condividere speranze ed ideali? Niente.
Minho annuì, ma ancora non aveva una risposta. – Allora perché, hyung? –
Jinki sospirò, posò la tazza di tè e lo guardò, serio. – Perché i segreti pericolosi diventano ancora più pericolosi se nelle mani di tanti. Sia per il segreto che per chi ne è custode. Chiunque fosse stato messo a parte del segreto sarebbe stato in pericolo e avrebbe ulteriormente messo in pericolo Kibum. Questa era una cosa che non poteva e non deve accadere. –
Jinki tornò a sorridere. –Immagino che tu voglia delle risposte più chiare, non è così? -
-Sì, insomma, io…-
-Ti sei sentito tradito, dico bene?-
Minho annuì mal celando un rossore d’imbarazzo. Improvvisamente si sentì un terribile sciocco.
-Mi dispiace. Non è di certo per mancanza di fiducia che abbiamo taciuto. –
-Chi altri lo sa? –
-Taemin, naturalmente, lui è stato il primo a scoprirlo e poi ho chiesto sia lui che a Kibum di mantenere il segreto. –
Minho si grattò il capo, pensoso, c’erano ancora delle cose che non gli erano del tutto chiare.
-Io non capisco – disse non trovando le parole per esprimere il proprio stato d’animo. Jinki rise.
-Bhe non c’è molto da capire, in realtà. Kibum è fuggito da palazzo e per un caso fortuito e ci è piombato tra capo e collo. Mentire e trovare un modo per farlo restare è stata una mia idea. –
Minho percepì una punta d’orgoglio nelle ultime parole del Leader. Per quanto Jinki fosse premuroso con tutti loro, la sua natura era calcolatrice e non lasciava nulla al caso. Nonostante le sue buone intenzioni nel proteggere Kibum e nell’offrigli un riparo, era chiaro come il sole a Minho che mirava a qualcosa e, considerando i natali di Kibum, non aveva proprio dubbi in proposito. Minho percepì più spessa quella linea che li divideva. La cosa strana era che, a pensarci bene, era qualcosa che sentiva solo in presenza del Leader dei Ribelli, con Kibum aveva al massimo nutrito la diffidenza che si ha nei confronti di un bambino capriccioso. Ma non lo era, qualunque cosa muovesse Kibum non erano certo capricci, ormsi lo conosceva bene, così come sapeva quanto nutrisse affetto per tutti loro. Quando l’aveva perso si era sentito in colpa, non solo perché gli era stato affidato un compito che non era riuscito a portare a termine, ma anche perché sentiva di non aver aiutato un amico. Si era ripromesso di non permettere che accadesse in futuro.
Fu percorso da un brivido, mentre una domanda scomoda s’affacciava nella sua mente.  Doveva proteggerlo anche da Jinki?
-Vuoi usarlo? – chiese a bruciapelo.
Non aveva mai osato così tanto con Jinki e si chiese quale sarebbe stata la reazione dell’altro.
Il viso di Jinki s’indurì e incrociò le braccia. –Tu cosa faresti al mio posto, con l’erede al trono tra le mani quando ti proponi di sovvertire l’ordine del regno? –
I brividi di Minho moltiplicarono. Sapeva che Jinki considerava Kibum al pari di un fratello più piccolo, ma meglio di chiunque altro, forse più di Taemin, riconosceva nel più grande una sorta di doppia personalità. Il Jinki che Minho conosceva non avrebbe mai esitato a difendere Kibum, ma il Leader dei Ribelli non si sarebbe mai lasciato sfuggire la possibilità di sfruttarlo. Perché Lee Jinki riusciva ad essere così inquietante?
-Che cos’hai in mente? –
La domanda uscì dalle labbra di Minho prima che se ne rendesse conto. C’era troppo in gioco perché si potesse concedere il lusso d’ignorare la cosa. Il suo primo pensiero andò al suo migliore amico, Jonghyun, da qualunque prospettiva analizzasse la situazione era lampante che quell’idiota avrebbe sofferto. Meglio di chiunque altro conosceva quelle che erano state le preoccupazioni che avevano attanagliato Jonghyun nei mesi addietro e pensando al volto radioso dell’altro quella mattina provò una fitta al cuore. A quel punto provare anche un moto di rabbia verso Key fu inevitabile.
Jinki osservò attentamente Minho, incuriosito e divertito dalla domanda dell’altro, tamburellò le dita sul tavolo e si umettò le labbra.
Oh lui aveva parecchie cose in mente, a cominciare dal piano per cui aveva imposto allenamenti durissimi a tutti. Tuttavia, nelle ultime ore le convinzioni di Jinki aveva vacillato. Avere Kibum era una gran fortuna, ma aveva davvero il coraggio di sfruttarlo completamente e renderlo la chiave d’accesso al suo successo?
Alla tua vendetta, gli disse una vocetta nella sua mente.
Il suo piano l’avrebbe irrimediabilmente esposto a chi già dava la caccia al principe e non era certo sua intenzione perderlo, correre dei rischi forse…ma il più piccolo non aveva sofferto a sufficienza negli ultimi giorni? Una parte di lui gli diceva che sì, doveva farlo, ma un’altra, quella che non riusciva a cancellare l’immagine di Kibum spaventato e fradicio di pioggia, non riusciva e non voleva.
Jinki scosse il capo e si portò una mano alla fronte maledicendo la sua posizione che, da quando era arrivato Kibum, sentiva ogni giorno più scomoda. Aprì la bocca a vuoto rendendosi conto, per la prima volta nella sua vita, di non essere in grado di dare una risposta. Doveva rispondere come amico o come Leader? O forse non doveva rispondere affatto?
-Hyung, posso entrare? -
Jinki alzò gli occhi abbandonando i propri pensieri per incontrare sulla soglia il capo del principe che sbucava da oltre lo stipite della porta.
-Oh – fece Kibum accorgendosi della presenza di Minho.
I due si squadrarono con un certo imbarazzo facendo sorridere Jinki.
-Entra, non preoccuparti, dopotutto non abbiamo più nulla da nascondere a Minho, dico bene? – chiese rivolto al diretto interessato.
Minho annuì, benché trovasse decisamente fuori luogo il sorriso rilassato di Jinki.
Kibum entrò leggermente zoppicante e si sedette cautamente su un cuscino. Il principe si mordicchio il labbro. Gli faceva male ovunque e maledisse tra sé Jonghyun, persino sedersi decentemente gli sembra un’impresa in quel momento.
-Ti fa male la caviglia? – chiese Jinki.
Kibum avvampò. – Ehm sì. –
Certo, pensò Kibum, la caviglia mi fa di certo male…ma attualmente è il male minore.
Abbassò il volto, imbarazzato, nascondendo contemporaneamente un sorriso un po' troppo vistoso per uno dolorante. Quando intercettò l’espressione divertita di Minho avvampò ulteriormente e l’altro si grattò il capo voltandosi dall’altra parte, altrettanto imbarazzato.
-Ma non preoccuparti, hyung, sono sicuro che tra un paio di giorni sarò in perfetta forma per tornare a casa. –
Jinki annuì sorridente, saggiando con la punta della lingua il suono che la parola “casa” aveva prodotto emesso dalla voce del principe. Per casa ormai Kibum intendeva il Rifugio, Jinki lo sapeva bene ed era altrettanto consapevole del fatto che il più piccolo non l’aveva mia chiamato così prima d’ora.
-Bene -, disse. -Taemin sarà felice di rivederti. –
-Dhe, ma sono preoccupato – fece Kibum alzando gli occhi sottili sul Leader.
Il principe si stropicciò le mani in grembo. Non che avesse avuto molto tempo per rifletterci nelle ultime ore, ma nei rari sprazzi di lucidità si era ritrovato a pensare a quanto Jinki aveva detto a Kyuhyun. Non aveva davvero osato troppo?
-Quello che hai detto al cavaliere, hyung, ci metterà in pericolo. –
Altrettanto euforico, Jinki non si lasciò sfuggire quel “ci metterà in pericolo”. Il Leader dei Ribelli sapeva, ormai, che il principe era legato anima e corpo ai Ribelli. Aveva tra le mani tutti le armi che gli servivano per raggiungere i suoi scopi.
-Lo siamo sempre stati in ogni caso. –
-Si ma -, Kibum sospirò. –Ora sanno, pensano, che sia vostro prigioniero, se la situazione era già precaria prima, ora non è che peggiorata. Senza contare che già sospettavano dove si trovasse il nostro nascondiglio. –
-Quello lo sanno da tempo, Kibum, d’altra parte il nostro raggio d’azione è evidente, ma ciò non significa che troveranno il Rifugio. Quello posso assicurarti che non lo troveranno mai. –
Kibum non riusciva a capire, Jinki sembrava molto tranquillo. Per come la vedeva lui avrebbe dovuto essere molto preoccupato! Kyuhyun avrebbe spifferato tutto ad Heechul e quel pazzo sarebbe stato capace di muovere il suo intero esercito personale per fargli setacciare l’intero territorio nei pressi Hanamsi. Inoltre, qualcosa suggeriva a Kibum che già sospettavano qualcosa se Kyuhyun era riuscito ad intercettarlo da quelle parti. Il cavaliere aveva detto di aver faticato a trovarlo, ma Kibum aveva tutt’altra impressione, o forse era stato il suo sentirsi eccessivamente al sicuro ad averlo davvero colto alla sprovvista.
-Ma hyung-, insistette – ora terranno più sotto controllo la zona. Sarà rischioso. –
-Motivo in più per fornirti una protezione più adeguata. –
Nonostante le sue parole tranquille, Jinki doveva riconoscere che il principe non aveva tutti i torti e questo lo portava inevitabilmente a riflettere sul suo fantastico piano segreto che, ora, sembrava un po' meno fantastico. Attuarlo diventava sempre più pericoloso, tuttavia, il Leader dei Ribelli non era ancora certo di volervi rinunciare. Poteva essere un’opportunità unica.
Ma potrebbe anche distruggerti…, gli disse una vocetta nella sua testa.
Sospirò. Kibum sembrava davvero scosso e Jinki non poté biasimarlo ben conoscendo le paure del più piccolo.
-Minho ti affido la sua protezione, è tua responsabilità. –
Minho inarcò un sopracciglio. – Credevo me l’avessi già affidata. –
-Sì bhe, ti avevo affidato Key, ora ti affido Kibum. Credo che tu ti renda ben conto della responsabilità di cui sei stato investito. –
Ma certo, pensò Minho, ora sono solo consapevole di essere responsabile della protezione dell’erede al trono!
Minho si domandò come Jinki riuscisse a parlare come se nulla fosse, quasi avesse semplicemente fatto un’osservazione sullo scorrere monotono delle stagioni. Senza contare la conversazione incompiuta di poco fa dalla quale ancora non aveva ottenuto risposta e, probabilmente, mai ne avrebbe ottenuta una. Per non parlare dei suoi problemi personali! Se sperava di schiarirsi le idee, bhe, era solo molto confuso.
Guardò Kibum in cerca di conforto, ma l’altro si limitò a fare spallucce. Anche lui era rimasto senza parole.
Jinki prese la tazza di tè e bevvè un sorso, poi alzò gli occhi soppesando attentamente gli altri due.
-Ah, un’altra cosa, Minhossi. Se dovesse chiederti di nuovo di lasciarlo solo nel corso di una missione, hai il permesso d’ignorarlo. –
Di nuovo, Minho vagò in cerca degli occhi di Kibum.
-Hai il permesso d’ignorarmi – gli confermò Kibum con l’aria di chi, tanto, non avrebbe potuto dire altrimenti.
-Molto bene-, fece Jinki soddisfatto.
Kibum si alzò, leggermente barcollante, del tutto intenzionato a tornare nella sua stanza in compagnia di Jonghyun. Non riuscì a trattenere un sorriso. Il ricordo delle ultime ore passate insieme lo faceva ancora arrossire e battere il cuore, inoltre sapere che avrebbero passato lì ancora un po' di tempo non poteva che procurargli un piacevole tepore.  
Più che piacevole, pensò.
-Grazie, Jinki – disse.
In realtà non aveva idea per cosa lo stesse ringraziando esattamente, quella conversazione si era rivelata inquietante come la maggior parte di quelle avute con il Leader, ma dopotutto Kibum riconosceva di essergli grato. Se non l’avesse incontrato sulla propria strada il giorno prima ora non sarebbe stato lì, ma solo un passo più vicino a Busan. Anche se Kibum aveva quasi l’impressione che presto sarebbe stata Busan a venire da lui. Nonostante fosse al sicuro avvertiva il fiato caldo di Heechul sul collo, un incubo pronto a fare capolino dietro l’angolo e ad assalirlo. Avrebbe dovuto fare molta attenzione.
Quando uscì dalla stanza del Leader, Minho lo seguì a ruota.
-Devo parlarti – disse.
Kibum annuì e Minho lo condusse in una saletta appartata all’interno della locanda. Si ritrovarono in un piccolo ambiente sfarzosamente arredato da tappeti, paraventi di sete pregiate, mobili intagliati con intarsi in madreperla e grossi vasi di ceramica dai colori tenui e raffinati.
Kibum attese che l’altro parlasse, dopotutto era stato Minho a portarlo lì facendo trapelare una certa urgenza nelle proprie parole, tuttavia ora sembra restio parlare. Il principe attese a braccia conserte rifiutando l’invito dell’altro di sedersi, stava certamente meglio in piedi. Si chiese cosa l’altro volesse, sicuramente doveva essere preoccupato per quanto aveva detto Jinki. Kibum sorrise tra sé. C’erano molte cose di Minho che gli ricordavano Siwon, motivo per cui non gli dispiaceva affidarsi alla sua protezione, tuttavia temeva anche che gli sarebbe rimasto attaccato come una balia. Quello sarebbe stato decisamente irritante.
Vedendo che Minho non si decideva a proferire parola fu lui ad iniziare a parlare.
-Ti prometto che non ti creerò problemi, solo non fare troppo la balia – disse.
Minho annuì, pensoso, tenendo lo sguardo basso. Kibum corrugò la fronte, era la sua impressione o erano altre le preoccupazioni di Minho?
Si chiarì la voce. –Minho? –
Kibum iniziò a sentirsi a disagio e temette che i suoi maggiori timori si stessero trasformando in realtà. Conoscere la sua identità aveva cambiato qualcosa tra lui e Minho? Iniziò a stropicciarsi le mani. Doveva mettere le cose in chiaro fin da subito, non voleva che il loro rapporto cambiasse, riuscire ad interagire con Minho, sempre così diffidente e sull’attenti, era stato già abbastanza difficile nei primi tempi.
-Noi siamo ancora amici, vero? Per me che tu lo sappia o no non cambia niente e vorrei che…-
-Jonghyun non lo sa – disse infine Minho, interrompendolo.
Kibum si bloccò di colpo. No, Jonghyun non lo sapeva e questa consapevolezza gli produsse una fitta al cuore, riportandolo inevitabilmente, e completamente, al mondo reale. Jonghyun l’avrebbe mai saputo, glielo avrebbe mai detto? Non ne aveva idea, non sapeva nemmeno se poteva.
Kibum sospirò. –No – fece abbassando il capo.
Si sentì terribilmente meschino e tutti i dubbi che l’aveva tormentato prima d’iniziare quella relazione tornarono striscianti a serpeggiare nel suo cuore. Una vocetta dentro di lui gli disse che, prima o poi, quel momento sarebbe arrivato, era inevitabile. Dopo quello che era accaduto la notte prima poteva ancora mentirgli? Se l’idea gli aveva fatto ribrezzo al solo pensiero, ora lo disgustava totalmente, ma gli mancava ancora il coraggio, non perché non si fidasse del più grande, lo amava e l’aveva dimostrato in un milione di modi, la verità era che non si fidava ancora abbastanza di sé stesso. Essere Key era molto più facile che essere Kim Kibum, perché poteva sentirsi libero di essere amato ed amare incondizionatamente.
-E’ per questo che l’hai rifiutato all’inizio? – domandò Minho.
Minho doveva saperlo. La conversazione con Jinki non aveva di certo dissipato i suoi dubbi sentimentali e la parte più razionale di lui continuava a suggerirgli che se il Leader fosse venuto a conoscenza dei suoi sentimenti per Taemin gli avrebbe fatto pentire di essere nato. Rabbrividì. Solo Kibum poteva dargli una risposta, perché lui era “l’altro”.
Kibum sospirò. Quella conversazione stava prendendo una piega molto diversa da ciò che si aspettava ed era sulla buona strada per rivelarsi più inquietante di quella avuta con Jinki. Che cosa doveva rispondergli? Non aveva né la voglia, né la forza attualmente di sciorinare tutte motivazioni e le preoccupazioni che lo avevano reso restio all’inizio nell’accettare i sentimenti di Jonghyun. Solo pensare razionalmente in quel momento era un’impresa, le carezze ed i baci dell’altro erano ancora troppo vivi sulla sua pelle e sulle sue labbra per renderlo totalmente mentalmente sobrio. Il solo nominare il più grande gli procurava sensazioni piacevoli quanto imbarazzanti. Arricciò il naso.
Maledetta testa vuota di Kim Jonghyun, hai svuotato la testa anche a me, pensò.
Tra tutte le motivazioni che all’inizio l’avevano frenato solo una appariva ancora razionale e viva nella sua mente, simile ad un serpente appena assopito e dormiente sotto un cespuglio di fiori apparentemente innocui.
-Io non volevo, non voglio-, si corresse – farlo soffrire. – Sussurrò abbassando lo sguardo.
Minho aprì la bocca a vuoto e sbarrò gli occhi. Il silenzio di Kibum era stato in quei pochi secondi una conferma dei suoi timori, ma alla fine le parole del principe l’aveva sorpreso.
Kibum si stropicciò le mani e passeggiò nervoso per la stanza, provando un certo fastidio per la conversazione che Minho lo stava costringendo a sostenere.
-Farlo soffrire? – ripeté Minho.
Perché l’espressione di Minho suggeriva a Kibum che stavano conducendo quella conversazione su piani diversi?
-Lui mi odia, insomma odia il principe, non me esattamente…-
Scacciò con un movimento fugace della mano l’immagine dello sguardo carico d’odio che Jonghyun riservava sempre al solo nominare la famiglia reale. Kibum scosse il capo e si portò una mano alla fronte rendendosi conto di quanto, ora, quella prospettiva gli facesse più male e paura di prima. Poteva davvero essere felice o era solo un’illusione destinata a sgretolarsi?
-Ho visto il suo sguardo quando parla dei Kim e…- deglutì, - mi fa paura. Io non sopporterei di essere guardato così da lui e so che anche lui ne soffrirebbe. Se lo sapesse gli spezzerei il cuore e il mio morirebbe con il suo. – Si portò una mano al petto stropicciandosi l’abito.
-Senti – disse deciso guardando Minho, - lo so che lui è il tuo migliore amico e capisco le tue preoccupazioni, ma non mi sto prendendo gioco di lui se è questo che pensi. –
Minho fissò l’altro, perplesso sia per l’affermazione del principe che per i suoi modi di fare. Si domandò se il mondo che credeva di conoscere fosse più strano o forse molto più semplice di quel che pensasse. Una cosa poteva affermare con certezza: Kibum era sempre Key, come Key era sempre Kibum. Minho sorrise e posò le mani sulle spalle del più piccolo.
-Lo so che non ti stai prendendo gioco di lui, si vede quanto vi amate, credimi. Ma è vero, Jonghyun ne soffrirà se lo saprà, non so se per il fatto che tu gli abbia mentito o per la verità in sé, ma soffrirà. Ma ti ama, vedrai che capirà. Certo farà fuoco e fiamme, letteralmente, ma non preoccuparti. –
Kibum sospirò mentre l’altro gli dava un leggera pacca sulla spalla.
Minho si massaggiò la fronte. Aish, pensò, diventerò più pazzo di Jinki. Voleva dare una scossa alla sua “non vita sentimentale” e invece si era ritrovato a fare spalla a quella coppia di teste vuote!
-In ogni caso, non metterti troppo nei guai per il prossimo futuro. –
Kibum annuì. – Giuro. –
-Sai-, fece Minho – sei una persona strana. –
Kibum inclinò il capo con fare interrogativo. – In che senso?-
-Bhe -, disse l’altro facendo spallucce, - sei diverso da come immaginavo. –
Kibum rise. – Vuoi dire che pensavi fossi più spocchioso, capriccioso o un mentecatto come di Jonghyun? –
-Jonghyun parla senza sapere quello che dice. –
-Me ne sono accorto – rispose mal celando il proprio divertimento. 
Minho tossicò. - Quello che intendo è che non pensavo che uno come te potesse amare qualcuno come noi. -
Kibum non capiva, anche se poteva intuire cosa stesse passando nella mente dell’altro. – Perché?-
-Sei un principe. –
-E’ solo un titolo, Minho. Sono sempre stato circondato da persone con titoli altisonanti, ma nessuno di loro valeva quanto Jonghyun o te. –
-I-io? – domandò perplesso.
-Certo – fece Kibum come se stesse dicendo la cosa più ovvia del mondo.
Minho arrossì. Per tutti gli dei aveva mai arrossito in vita sua? Se l’aveva fatto non se lo ricordava! Quella conversazione si era rivelata molto diversa da ciò che si aspettava, ma doveva ammettere che gli aveva instillato un minimo di speranza. Improvvisamente, l’espressione che nella sua mente animava il volto Jinki gli parve un po' meno minacciosa.
 
 
 
***
 
La stanza riluceva di riflessi ambrati fusi con quelli argentati della luna. La seta blu intelaiata nella porta scorrevole che dava sul giardino, animata da rondini e fiori primaverili, faceva da sfondo a quell’angolo di perfetto idillio che Kibum e Jonghyun si erano ritagliati in quell’inverno rigido. La stanza era un tripudio d’abiti sparsi ovunque, cuscini e futon costantemente sfatto. In condizioni normali, Kibum avrebbe riservato a quel caos un sottile sguardo di disapprovazione, ma per ora aveva deciso di lasciar correre. Dopotutto, finché non c’erano resti di pasti consumati a metà, degne tracce che solo uno come Taemin poteva lasciare in giro, poteva ancora andare.
Quegli ultimi due giorni a L’Orchidea Blu erano stati quanto più perfetti e irreali. Kibum aveva la sensazione di galleggiare in un universo ovattato con solo una porta a legarlo al mondo reale, un angusto spiraglio di cui desiderava ignorare l’esistenza. Lì ogni cosa riluceva di colori accesi e innaturalmente brillanti, ogni emozione, percezione era moltiplicata, una carezza era come una scarica d’energia, un bacio come la disperata ricerca d’ossigeno. Il suo sangue, il loro, scorreva caldo e rapido pompando i loro cuori che battevano all’unisono facendo da sottofondo ad ansiti appagati e risate cristalline.
Jonghyun, steso sul futon, accarezzò le cosce rivestite di bianco cotone del più piccolo seduto a cavalcioni su di lui. Guardò l’abbigliamento di Key con un misto di disapprovazione e divertimento non capacitandosi come il più piccolo potesse ancora ostinarsi a rimanere vestito, finché non era costretto a fare altrimenti. Kibum indossava un completo tradizionale e solo la giacca era stata abbandonata in un angolo, in quanto a Jonghyun lui portava solo i pantaloni. Quella che per il più grande era sempre stata un’abitudine, ora era fonte di ilarità ed orgoglio di fronte all’imbarazzo e al rossore che procurava ancora a Key nonostante quei giorni d’intimità. Ripensò a come il più piccolo aveva percorso il suo petto tra baci e carezze e come, ora, soleva farlo costantemente rapito dal suo corpo così come Jonghyun lo era da quello dell’altro
Continuando ad accarezzare le cosce del più piccolo e risalendo sino ai fianchi, Jonghyun emise un sospiro e si umettò le labbra di fronte agli occhi dell’altro rilucenti di malizia.
-Oh non penserai di farlo davvero -, chiese.
Per quanto la prospettiva di ciò che Key si proponeva di fare lo incuriosisse aveva ancora qualche riserva a riguardo.
-Certo, perché no? –
Kibum piegò il collo di lato e passò la lingua sulle labbra, eccitato.
-Mi sembra un po' troppo – osservò Jonghyun senza staccare gli occhi di dosso al più piccolo.
Kibum scosse il capo, deciso. - Sciocchezze, certe cose non sono mai troppo. Sono sicuro che sarà fantastico. –
-Su quello non ho dubbi – sogghignò Jonghyun.
Kibum emise una risata estasiata prima di puntare gli occhi sottili e magnetici su di lui. Jonghyun deglutì. Key poteva sembrare una preda eccitante e sfuggevole, ma in realtà era cacciatore inconsapevole. Anche in quel momento sembrava un gatto al davanzale che osserva con l’acquolina in bocca il volteggiare di una rondine a primavera. Jonghyun, invece, si era sempre sentito un predatore, ma sotto lo sguardo felino dell’altro si sentiva irrimediabilmente in trappola.
Sono come quella rondine, pensò, troppo consapevole delle mie ali.
-Se ti comporti bene -, fece Key provocante picchiettando l’indice sottile sul naso di Jonghyun, - potrai provarlo anche tu. -
Jonghyun sorrise.
Kibum corrugò la fronte e divenne serio. -Ora stai fermo-, ammonì il più grande, - devo concentrarmi. –
-Concentrarti? – fece Jonghyun inarcando un sopracciglio. Serviva forse concentrazione?
Kibum allungò una mano sottile verso il vassoio risposto vicino al futon, prese un piccolo mochi tra le dita e, leccandosi il labbro superiore, lo intinse nella tazza di cioccolata al suo fianco. Il dolce sparì subito tra le labbra a cuore del principe che chiuse gli occhi assaporando, letteralmente, quel momento. Un sorriso si delineava sul suo volto dalle guance piene.
Jonghyun rise divertito prima d’osservare con una certa brama le tracce di cioccolato rimaste sulle labbra di Key.
-Allora -, chiese – com’è? –
Kibum aprì gli occhi. – Meraviglioso –, disse battendo le mani.
-Fammi provare. –
Kibum ripeté l’operazione facendo poi ondeggiare il mochi davanti al volto del più grande che aprì la bocca.
-Sai - fece Kibum con voce suadente, –forse non ti sei comportato così bene. –
Il dolce sparì inevitabilmente tra le labbra provocatorie di Key.
Jonghyun sgranò gli occhi e scattò raddrizzando la schiena facendo oscillare l’altro che quasi perse l’equilibrio.
-Yah, Jongieee! – si lamentò il più piccolo. Le proteste morirono in gola a Kibum perché il sapore del cioccolato fu ben presto sostituito da quello della bocca di Jonghyun. Dopo l’iniziale sorpresa lasciò che l’altro lo baciasse con passione.
-Piccolo ingordo -, sussurrò Jonghyun staccandosi, - non mi hai lasciato nemmeno una briciola. –
Key sorrise furbo, il bacio era stato decisamente meglio del dolce. Prese un altro mochi dal vassoio e imboccò il più grande.
Jonghyun gli prese il mento tra indice e pollice, sogghignando. – Il sapore della tua bocca è molto meglio. –
-Sono contento che la pensiamo allo stesso modo – fece Kibum baciandogli il collo.
Jonghyun gli accarezzò il capo e percorse la sua spina dorsale procurandogli dei brividi.
-Stai diventando birichino – gli sussurrò tra la chioma corvina.
-Ti dispiace? – domandò Kibum alzando il volto.
-Assolutamente no. –
Kibum sorrise dolcemente accarezzando il volto dell’altro mentre un’ombra si posava simile ad un velo sui suoi occhi. Non riusciva a smettere di pensare alla conversazione avuta con Minho che aveva risvegliato in lui vecchi timori. Lo sguardo adornate di Jonghyun era un piacere ed una stilettata al cuore al tempo stesso.
Gli sto mentendo, si disse, ma il mio amore non è una bugia.
-Stai bene?- chiese Jonghyun alzandogli il volto che nel frattempo aveva abbassato.
-Dhe. –
Ti amo, pensò, ti amo troppo e amo troppo la mia felicità per dirti il mio nome.
-Sei sicuro, mi sembri un po' turbato. Non sarà a causa mia, vero? – chiese stringendolo forte.
-Aniyo. Tu ma fai stare bene, sempre. –
Io invece ti spezzerò il cuore, te l’avevo detto che l’avrei fatto, ma non preoccuparti, si disse baciandolo a fior di labbra, se mi odierai il tuo odio frantumerà il mio.
-Sono solo triste di lasciare questo posto, si sta bene qui. –
Fuori, oltre la porta di quella stanza il mondo li aspettava, un mondo molto diverso da quell’universo perfetto. Uscire sarebbe stato come essere sballottati da venti funesti che preannunciano l’arrivo di una tempesta dopo una quiete apparente.
- E’ vero, ma anche al Rifugio abbiamo tutto il tempo per stare insieme. -
-Sì ma sarà diverso, ci saranno gli allenamenti, i miei lavori per Jinki…- disse stropicciandosi le mani.
Un’altra verità detta a metà. Affogherò tra le mie stesse parole, pensò.
-Le notti sono lunghe, sai? –
Jonghyun lo baciò e si stesero sulla coperta.
-Tu sei felice? - chiese Kibum intrecciando le loro mani.
-Come non potrei, tutto ciò che voglio sei tu e sei qui, con me.-
- Perché pensi di turbarmi?- chiese curioso e un po' titubante.
- Sono sempre preoccupato di spingermi troppo in là con te. –
Kibum arrossì e dischiuse leggermente le labbra intuendo a cosa l’altro si riferisse. Di certo le sue preoccupazioni segrete non erano le medesime di Jonghyun, dopotutto il più grande non aveva segreti con lui. Non era lui il bugiardo. Tuttavia il principe sorrise, Jonghyun riusciva sempre a fargli tornare il buon umore anche quando diceva assurdità, cosa che a dire il vero faceva spesso.
-Troppo in là? Si può andare più in là di così? – domandò ripensando a quei giorni d’intimità.
-Bhe, ci sono diversi giochi che potremmo fare –, fece Jonghyun sorridendo sghembo.
Kibum arricciò il naso, più incuriosito che imbarazzato. – Giochi? Che tipo di giochi? –
Jonghyun accostò le labbra all’orecchio dell’altro per sussurrargli qualcosa e, nel mentre, Kibum arrossì e sbarrò gli occhi.
-Oh, bhe forse, forse questo mi turberebbe…un pochino. –
L’altro rise.
Kibum chiuse gli occhi e respirò piano. Nonostante quel momento d’ilarità si sentiva il ghiaccio nelle vene, raffreddava lentamente irrigidendolo in uno spazio stretto e gelido. Rivoleva il calore che solo l’altro gli poteva dare. Non dubitava dei loro sentimenti, mai, ma la paura era e sarebbe sempre stata una compagna fedele pronta a seguirlo. Scoperto il suo nome Jonghyun l’avrebbe voluto come prima o avrebbe scordato tutti quei colori, quelle emozioni, come il viandante che troppo a lungo ha osservato i volti mutevoli della luna cedendo alla follia?
-Jong – iniziò Kibum prendendogli il viso e fissandolo negli occhi, - voglio che tu sappia che qualunque cosa io abbia fatto, faccia o farò in futuro è perché ti amo, per nulla al mondo vorrei farti soffrire. Tu chiamami Amore e io sarò solo Amore per te. Giuramelo. –
I polpastrelli di Jonghyun sfiorarono come un pennello morbido i tratti fini dell’altro; socchiuse gli occhi affinché fossero i movimenti della sua mano ad imprimere a fuoco quel volto nella sua mente. Non l’avesse avuto di fronte sarebbe stato in grado di riprodurlo con maestria, facendone il suo più alto capolavoro. Quegli occhi magnetici lampeggiavano di una luce strana che sapeva di speranza, promesse, ma che cercava anche un appiglio. L’orbita ideale e perfetta su cui ruotare. Lo baciò intensamente per poi tornare ad ammirare quel volto delicato e innocente.
– Non posso fare a meno di te – sussurrò, - in questo mondo marcio, terribile, dove la gente muore di fame, i bambini vengono rapiti e sfruttati come schiavi, tu sei come un raggio di luce, un anelito di speranza. C’è un’aura intorno a te, come se tu potessi camminare indisturbato in tutta questa desolazione senza esserne contaminato. Per me è diverso, ogni giorno della mia vita ho temuto d’esserne infettato e ci sono arrivato molto vicino in passato. Ma con te sento di avere speranza, che qualunque cosa di marcio e sbagliato possa esserci in me un tuo sguardo lo spazzerà via e, per qualche motivo, riesco a vedere speranza anche per questo regno. –
Kibum sbatté le palpebre e ritrovò il sorriso. C’era qualcosa di ironico ma al contempo rincuorante nelle ultime parole del più grande, come se una parte dell’altro conoscesse la verità pur essendone inconsapevole.
-Giuramelo – ripeté in un sussurrò, mentre un desiderio latente brillava negli occhi d’entrambi.
- Ti chiamerò, Amore, con qualunque nome tu desideri perché tu sei la parte migliore di me stesso, il limpido specchio dei miei occhi, il profondo del cuore, l’oggetto di ogni mia speranza, il solo cielo della mia terra, il paradiso cui aspiro. –
 
 
 
Spero sia stata una lettura piacevole!
Se vorrete lasciarmi un commentino sarò molto felice, il 18 era anche il mio compleanno u.u con tutto il lavoro che faccio mi merito un regalo XD
Ne approfitto per fare a tutti gli auguri di Buone Feste perché dubito di riuscire a pubblicare prima di Natale!
Alla prossima <3
 

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Capitolo 22
*** Capitolo 21. One minute back ***


Ciao a tutti! Spero abbiate passato un buon Natale e che vi siate abbuffati per bene u.u
Piccola premessa prima: sono stata sinceramente indecisa fino all’ultimo se postare o no questo capitolo perché in teoria non è finito, il problema è che ad un certo punto mi sono resa conto che avevo già scritto molto ed ero giusto più o meno a metà di dove volevo arrivare. So che a molti di voi non dispiacciono i capitoli lunghi, ma quando è troppo è troppo XD e poi volevo lasciarvi il solito capitolo settimanale anche se un pochino in ritardo, un piccolo regalo per l’imminente anno nuovo XD
Ringrazio sempre i lettori assidui, chi ha inserito la storia tra preferite, seguite e da ricordare.
Un grazie speciale a chi mi ha lasciato i suoi commenti: Blugioiel, Chocolat95, Ghira_, KimJonghyun23, MagicaAli, Panda_murderess, Saranghae_JongKey, vanefreya e in particolare a chi ha commentato lo scorso capitolo: DreamsCatcher e Gonzy_10. Grazie per il vostro sostegno!
Spero di non aver lasciato tropi errori di battitura perché ho riletto post camomilla serale, quindi non esattamente nel pieno delle mie facoltà mentali.
Buona lettura!
 
 
Capitolo 21
One minute back
 
 
 

One minute, just one minute (time)
turn time back
Just one more minute (time, time)
turn the clock back
Just pretend I didn’t see that,
I’ll spend tomorrow like I did yesterday
One minute, just one minute (time, time) yeah”

Shinee, One minute back
 
 
Kibum arricciò il naso infastidito dall’odore dei cavalli appena stemperato dall’aria fredda che gli pungeva il viso. Sopra di loro un cielo plumbeo preannunciava l’arrivo della prima neve. Il principe scese i gradini dell’ingresso de L’Orchidea Blu e raggiunse gli altri pronti a partire. Sopirò affondando il naso nella pesante sciarpa di lana e alzò occhi rivolgendo un ultimo sguardo all’edificio che li aveva ospitati negli ultimi giorni. La locanda svettava in tutta la sua magnificenza in un tripudio di tegole laccate di blu e decorazioni verdi e rosse. Kibum si strinse nelle spalle e una folata di vento tagliente fece oscillare l’insegna della locanda.
Ancora non aveva abbandonato quel luogo di tranquillità e già ne percepiva la mancanza. Se la sua vita avesse potuto risolversi unicamente tra quelle mura confortevoli sarebbe stato davvero meraviglioso, sotto ogni punto di vista. Ma non c’era più tempo per abbandonarsi ai sogni.
-Key –, lo chiamò Jonghyun che già era montato a cavallo.
Kibum non poté fare a meno di sorridere e di fronte allo sguardo caldo ed ambrato del più grande il suo corpo smise di tremare. Gli occhi ambrati di Jonghyun era quanto di più caldo vi fosse all’intorno.
-Caro -, fece una voce dietro di lui.
Kibum si voltò per incontrare il volto paffuto e sorridente della halmeoni.
-Tieni -, fece la donna consegnandogli un piccolo involucro, - dolcetti per il viaggio, non fare indigestione ma metti qualcosa su quelle ossa. Povero caro!-
Gli occhi del principe lampeggiarono, ringraziò e s’accosto al cavallo di Jonghyun.
-Viene – disse il più grande tendendogli una mano per aiutarlo a salire.
Kibum si mordicchiò il labbro, l’idea di viaggiare a cavallo non lo allettava per niente, ma quanto meno sarebbe rimasto seduto dietro al più grande.
-Bene – fece Jinki sorridente passando in rassegna, - possiamo andare. –
Qualcosa di molto freddo si depositò sul naso di Kibum e rabbrividì. Allungò una mano incontrando il primo fiocco di neve bianco, piccolo e gelato. Arricciando il naso si strinse più forte a Jonghyun che sogghignò lanciandogli un’occhiata da oltre la spalla.
-Tranquillo, ti terrò al caldo per tutto il viaggio. –
 
 
 
***
 
Dire che Taemin era esasperato era un eufemismo, nevrotico forse, irritabile quanto un serpente a sonagli. Percorse a grandi falcate lo studio del fratello spostando l’ennesima pila di carte, libri e domandandosi come Jinki non fosse ancora impazzito.
Bhe, si disse poi tra sé, qualche rotella fuori posto ce l’ha di sicuro.
Quando Jinki gli aveva detto di tornare al Rifugio la cosa non gli era andata molto a genio. Dopotutto anche lui voleva salvare la sua umma! Ma era stato anche orgoglioso perché suo fratello gli aveva praticamente lasciato momentaneamente le redini del comando. Preoccupato ma baldanzoso aveva fatto ritorno al Rifugio, proto a lavorare sodo e a dare il massimo, ma l’impresa si era rivelata più disperata del previsto. Gestire i Ribelli era davvero difficile e sino ad allora non si era mai reso conto di quante preoccupazioni e decisioni gravassero sulle spalle di Jinki. Come facesse ad essere ancora sano di mente per Taemin era un mistero, per quanto Jinki avesse dei tratti, bhe, da Jinki. Nulla da stupirsi tuttavia se la sua testa era spesso altrove portandolo in più di un’occasione ad inciampare nei suoi stessi piedi. E tutti qui tè…anche lui ne aveva bevuti parecchi in quei giorni, distendevano i nervi. Oltre ai problemi d’ordinaria amministrazione era costantemente in ansia per gli altri quattro.
Taemin recuperò un altro mucchio di carta iniziando a riordinarlo. Sospirò.
Kibum doveva essere terrorizzato all’idea di ritrovarsi faccia a faccia con il suo orribile promesso, senza contare che la sua identità in quella situazione precaria rischiava di venire a galla, magari nel momento meno opportuno.
Per esempio con Jonghyun nei dintorni! Taemin rabbrividì al solo pensiero, nonostante davanti ad una simile prospettiva l’aria sarebbe stata oltremodo bollente.
Povera umma!, pensò.
Jonghyun era stato fuori di sé prima di partire e Taemin non dubitava fosse un filo di nervi pronto ad esplodere, sempre che non avesse già fatto terra bruciata intorno a lui. Il fatto di non dover sopportare quella testa vuota in pieno delirio aveva i suoi lati positivi, ma questo non gl’impediva di essere ansioso di ricevere notizie. Se Jonghyun non aveva ancora ucciso qualcuno era un miracolo e Minho doveva sperare ritrovassero Kibum il prima possibile o, Taemin ne era certo, sarebbe stato lui la vittima designata.
In quanto al suo hyung, Taemin sperava davvero riuscisse a gestire tutto questo, o avrebbe fatto fuori gli altri due nel sonno dopo aver loro augurato la buona notte con un apparente sorriso rilassato.
Taemin si sedette dietro ad un tavolino basso al centro dello studio e recuperò dal caos all’intorno uno stilo che intinse in una boccetta d’inchiostro ormai semi vuota. Le poche gocce d’inchiostro schizzarono sui fogli e gli macchiarono le punte delle dita. Sbuffando prese la teiera al suo fianco per versarsi del tè.
Ecco a cosa servono questi intrugli, a sopprimere l’istinto di uccidere qualcosa o suicidarsi!, pensò.
Quando si portò la tazza di tè alle labbra scoprì essere vuota e sbuffò sonoramente. Anche il tè era finito!
Sto impazzendo!
Sperava davvero che gli altri fossero prossimi a tornare con buone notizie, infatti dubitava che Jonghyun sarebbe tornato indietro senza Kibum, piuttosto si sarebbe messo sulle sue tracce da solo. Bhe, in realtà Taemin era certo che nemmeno Jinki sarebbe stato disposto a tornare indietro a mani vuote.
Qualcuno bussò alla porta e Taemin scattò in piedi pronto a cacciare il mal capitato; ne aveva abbastanza di lamentale assurde. Non fece in tempo a dare voce a tutta la sua frustrazione che la porta s’aprì lasciandolo a bocca aperta.
-Lee Taemin – disse una voce irritata e leggermente acuta, - sono stato in camera tua ed era una fogna! –
-U-umma? – fece Taemin ancora incredulo.
-Riordinala subito! –
-Ummaaa!!! – esultò saltando al collo del più grande.
O la sua follia era giunta alla fase delle visioni e dei sogni ad occhi aperti o la sua umma era davvero tornata!
Taemin rammentava a stento un momento in cui poteva asserire con certezza di essere stato più felice. Riabbracciare gli altri e lasciarsi alle spalle tutte le preoccupazioni che lo avevano tormentato negli ultimi tempi si rivelò un vero toccasana, così come potersi spogliare di tutte le responsabilità che l’assenza del fratello l’avevano costretto a rivestire fu davvero rigenerante.
Altro che i tè di Jinki, pensò.
A dispetto dei suoi maggiori timori tutto si era risolto per il meglio. Erano di nuovo tutti insieme, Kibum era salvo e Jonghyun era ancora ignaro di cosa il più piccolo nascondeva.
Quella sera a cena fu una delle migliori per Taemin, tutti sembravano allegri e rilassati, come se non avessero alcun pensiero al mondo, benché la realtà fosse ben diversa. Illudersi di non avere alcun problema era pura utopia, Taemin lo sapeva bene perché anche nei momenti di maggiore felicità sentiva sempre dentro di sé quel qualcosa che mancava, quell’assenza e quelle preoccupazioni che era solito ignorare.
Per tutto il tempo tempestò gli altri di domande, desideroso di conoscere i dettagli degli ultimi avvenimenti. Già immaginava quello sciocco di Jonghyun gettarsi in qualche impresa eroica e rimase deluso quando venne a conoscenza di come si erano svolti realmente i fatti. Dunque, in un certo senso Kibum aveva dovuto cavarsela da solo e fare appello alla fortuna.
Sbuffò. Jonghyun inferocito pronto a salvare il suo dolce principe sarebbe stata proprio una gran bella visione nella sua testa.
-Jonghyun sei inutile -, sentenziò Taemin suscitando subito l’ira del più grande.
-Se avessi avuto la possibilità…- iniziò subito Jonghyun per riscattarsi.
-Sono certo che mi avresti salvato a qualunque costo -, intervenne con Kibum con un tono un po' troppo dolce per le orecchie di Taemin.
Gli occhi del più grande brillarono e circondò la vita del principe con un braccio, attirandolo a sé per scioccargli un bacio sulla guancia. Kibum arrossì.
Taemin inarcò un sopracciglio di fronte a quella scena, per quanto Kibum fosse affetto da imbarazzo cronico quando c’era di mezzo quella scimmia dal pollice opponibile di Jonghyun, al più piccolo parve una reazione eccessiva per delle effusioni così innocenti. Certo, in pubblico Kibum era sempre stato molto riservato attirandosi le prese in giro sue e di Jonghyun, ma…qualcosa a Taemin non tornava.
Tempo addietro il principe avrebbe pronunciato la medesima frase con una punta di sarcasmo. Ora, di sarcasmo Taemin non ne vedeva l’ombra. Appoggiò il mento su una mano e li osservò per bene. Per quanto avessero sempre manifestato gioia alla presenza dell’altro, Jonghyun non si era mai risparmiato di tormentare il più piccolo, né Kibum aveva rinunciato alla sua lingua tagliane. Certo gli ultimi giorni dovevano averli messi a dura prova, ma adesso a Taemin sembravano dei piccioncini intenti a tubare in piena stagione degli amori.
Fu dopo averli osservati per un bel po' che gli venne un’illuminazione e sgranò gli occhi.
Non saranno arrivati a dolce?!, pensò tra sé.
Eccitato picchiò i piedi sotto il tavolo, tornando poi ad osservarli con crescente curiosità. Non si staccavano gli occhi di dosso e fin qui tutto normale, ma la umma era fin troppo dolce ad accondiscendente verso quello scemo, sembrava una tigre tramutata in un micio senza unghiette, in quanto a Jonghyun gongolava più del solito, come una scimmia che ha appena scoperto un’isola deserta infestata da un rigoglioso bananeto.
Sì, annuì e sorrise Taemin tra sé, sono arrivati al dolce!
Non vedeva l’ora di sottoporre Kibum ad un serrato quanto imbarazzante interrogatorio che l’avrebbe fatto diventare rosso quanto un pomodoro maturo sino alle punte delle orecchie. Certo non sarebbe stato facile sottrarlo dalle grinfie di Jonghyun. Tuttavia, Taemin riuscì a spuntarla, come sempre del resto, e non appena conclusero la cena trascinò Kibum con sé tra le proteste di Jonghyun.
-Cosa pensi di fare, Taemin? -
-Smettila di agitarti sull’albero, avrete tutto il tempo per coccolarvi più tardi –, fece con sorriso furbo e voce sibillina.
Taemin lanciò un’occhiata a Kibum che stava già arrossendo ed esultò tra sé, sempre più sicuro di averci visto giusto.
-Ora deve aiutarmi a riordinare la mia stanza. –
Quando Kibum varcò la soglia della camera di Taemin si bloccò di colpo, nonostante l’avesse vista quella stessa mattina era certo di non ricordarsela così devastata.
Il mio subconscio deve averla rimossa dalla mia mente per pietà, pensò mettendosi una mano sulla fronte e scuotendo il capo.
Il principe entrò in punta di piedi cercando di non pestare la miriade di oggetti ed indumenti sparsi sui tappeti multicolori che riscaldavano e donavano colore all’ambiente. Taemin si spostava da un angolo all’altro aprendo armadi, cassetti e gettandovi alla rinfusa tutto ciò che incontrava sul suo cammino. Kibum scosse il capo più sconcertato di prima.
-Non è così che si riordina! –
Taemin sbuffò. – Ma così è più facile. –
-Così è barare. –
Taemin fece spallucce. Kibum iniziò a guardarsi intorno cercando di capire dove iniziare a governare quel caos senza soluzione di causa. L’idea di passare la serata ad aiutare Taemin non era esattamente tra suoi programmi, ma doveva ammettere che rivedere finalmente il più piccolo lo rallegrava, così come tutto sommato quel disordine riusciva a farlo sorridere.
Kibum si fece coraggio e sbirciò sotto il letto timoroso di ciò che avrebbe potuto trovarvi. Recuperò un calzino e quando lo alzò, Kibum lo fisso con disgusto arricciando il naso. Non si poteva di certo dire che mandasse effluvi di rose e per di più era bucato in più punti. Reggendolo schifato con le punte delle dita lo tenne il più possibile lontano dal suo naso e dalla sua vista.
-Che cosa diamine è questo? – fece stridulo.
La testa biondiccia di Taemin sbucò da oltre una pigna di vestiti, mentre in una mano sosteneva una ciotola vuota che, per quanto ne sapeva Kibum, poteva essere stata abbandonata lì da mesi.
-Un calzino – disse Taemin in tutta tranquillità.
-Un calzino? -, ripeté Kibum, piatto.
-Sì umma, un cal-zi-nooo. –
Kibum sospirò rassegnato. - Lo so Minnie, la mia era una domanda retorica. Cosa ci fa un calzino sotto il letto…No, non dirmelo, probabilmente è la cosa più normale che nascondi lì sotto. –
Lo gettò disgustato in un angolo, per quanto fosse un amante dell’ordine rimaneva un principe, non uno spazzino. Si sfregò le mani sui pantaloni per poi tornare a chinarsi individuando un vassoio con i resti di un pasto consumato a metà sgranò gli occhi.
-E questo cos’è???-
Taemin lo raggiunse per chinarsi a sua volta.
-Ehm -, iniziò l’altro tentando di giustificarsi di fronte allo sguardo del più grande, -  il pasto di…-
-No, non dirmi di quanti giorni fa! – Kibum gli mise una mano sulla bocca per zittirlo.
- È una fogna!-
Taemin s’imbronciò. - Non sei molto carino, umma. -
Kibum lo fulminò.
-Andiamo, non mi dirai che la stanza di Jonghyun è ordinata – fece con sorriso sornione.
Nominare quella testa vuota poteva essere il modo migliore per introdurre l’argomento che tanto premeva al più piccolo. Non aveva di certo trascinato l’altro in camera sua per mettere ordine! Taemin rifletté, Kibum non avrebbe mai risposto a domande specifiche, il modo migliore per fargli vuotare il sacco e coglierlo in fallo. Infatti, come volevasi dimostrare, un sorriso caloroso passo sul volto di Kibum al nome di Jonghyun, mentre un leggero rossore gli imporporava le gote. Taemin sogghignò.
-Non è esattamente un tripudio di ordine e perfezione ma di certo non scende a questi livelli. –
Taemin arricciò il naso a quella reazione che considerò decisamente scarsa. Kibum sembrava avere le difese totalmente alzante, non sarebbe stato facile scucirgli qualcosa.
Kibum sospirò. - Jonghyun fa del suo meglio.-
Oh certo, pensò Taemin guardandolo di sbieco, fa del suo meglio. Qualcosa gli diceva che Kibum non stava pensando all’ordine della stanza di Jonghyun.
-Sei diventato protettivo come il proprietario di un serraglio con le sue scimmie cappuccine. -
Kibum continuò a sorridere, ignorandolo, mentre recuperava vari oggetti da terra. Taemin sbuffò, il principe non gli stava di certo fornendo lo spettacolo che tanto agognava, ma doveva ammettere che quelle “non reazioni” la dicevano lunga. Era giunto il momento di stuzzicarlo. 
-Ma senti-, azzardò, - ora che voi, bhe, siete arrivati al dolce, devo chiamarlo appa?-
Kibum sbiancò prima di avvampare quanto il sole al tramonto, sgranò gli occhi per poi balbettare.
-D-dolce? – fece abbassando lo sguardo.
Taemin annuì soddisfatto. – Sai, quello di cui ti ho parlato tempo fa. La ciliegina sul tortino di cioccolato…-
Kibum scattò in piedi. – Yah, ho capito! Non sono affari tuoi! – disse isterico.
-Oh quindi è verooo -, fece Taemin gongolante.
L’altro fulminò, roteò gli occhi e sospirò, sconfitto. Com’era possibile che Taemin riuscisse sempre ad abbindolarlo?
Maledizione a me e al mio imbarazzo, finisco per spifferargli tutto senza rendermene conto. Kibum sbuffò
-Allora?-, insistette Taemin. – Voglio i dettagli! –
-Cos…yah! Ti sembrano richieste da fare? – domandò mettendo le mani ai fianchi.
Taemin tirò su col naso. – Credo proprio di meritarmeli, umma. Non fosse stato per tutto l’alcol che ti fatto bere quella sera staresti ancora a piangerti addosso e niente dolce, né antipasto, né…-
Kibum si portò una mano alla fronte sedendosi sul bordo del letto. Incrociò le braccia guardando Taemin che lo fissava carico d’aspettativa.
Guarda che presuntuoso, pensò sorridendo appena.
-Ho detto che non sono affari tuoi –, disse cercando di rimanere serio.
-Andiamo umma!, - si lamentò Taemin sedendosi al suo fianco. -Dimmi solo se ti è piaciuto, me lo merito! –
Se lo merita? rifletté Kibum, assurdo! Solo perché gli aveva dato una piccola spinta non poteva avanzare certe pretese e poi cos’avrebbe dovuto dirgli? Si mordicchiò il labbro e arrossì mentre la sua mente veniva invasa da ricordi molto più che piacevoli. Alla fine scosse il capo con decisione.
-Aniyo aniyooo -
-Oh, non ti è piaciuto? –, fece Taemin deluso.
-Non essere ridicolo è stato splend…-
Kibum si bloccò di colpo chiudendo ad aprendo la bocca a vuoto come un salmone. Ecco, si era tradito con le sue stesse parole! Il principe non riusciva proprio a capacitarsi di come il più piccolo riuscisse sempre a metterlo alle strette, senza sforzarsi troppo per giunta! E dire che nella sua vita aveva avuto a che fare con gente parecchio subdola, com’era possibile che uno come Taemin riuscisse sempre a spuntarla? Ogni dialogo con Taemin riusciva sempre a metterlo in imbarazzo e ad inquietarlo.  
-Sei uno spasso umma – rise Taemin.
Ridere di me deve essere uno dei suoi passatempi preferiti, osservò Kibum squadrandolo di sottecchi. Si alzò, che sistemasse la stanza da solo, lui aveva di meglio da fare!
Si diresse impettito verso la porta.
-Dove vai? – chiese il più piccolo, sbigottito.
-Sai, penso proprio che sistemerai la tua stanza da solo. –
-Oh certo, certo, immagino che tu abbia di meglio in programma –
Kibum si bloccò sulla soglia. Ecco, mi ha fregato di nuovo!
Si chinò a raccogliere un cuscino e glielo lanciò. -Peste!-
 
 
***
 
Kibum sapeva avrebbe rimpianto quei giorni perfetti passati alla locanda, ma mai avrebbe creduto sino a quel punto. Nonostante Jinki gli avesse severamente proibito di rimettere piede ad Hanamsi, sottraendogli parte delle sue incombenze, era oberato di lavoro.
-Non andrai più ad Hanamsi-, aveva detto Jinki, - non mi sento sicuro a rimandarti là, nemmeno con la dovuta protezione. -
All’inizio aveva protestato, quell’incarico gli aveva dato molteplici soddisfazioni e motivi di vanto.
-Ma posso andare con Minho! –
Nonostante le sue proteste Jinki era stata irremovibile. La frustrazione aveva inseguito Kibum lungo i corridoi del Rifugio mentre si dirigeva a cena seguito a ruota da Minho e la sua miriade di frasi intelligenti quanto inutili ad alleviare il suo amor proprio ferito così duramente.
-Insomma, ho fatto un ottimo lavoro là! – aveva detto alzando le braccia al cielo.
Minho aveva storto il naso. L’idea non gli piaceva per niente, dopo quello che avevano patito nelle ultime settimane non voleva rischiare di ripetere l’esperienza.
-Nessuno ha messo in dubbio il tuo ottimo lavoro.-
-Tsk, allora qualcuno dovrebbe spiegarmi perché improvvisamente sono stato…degradato! – aveva detto fuori di sé.
La situazione per Minho aveva del paradossale. Dopo quello che aveva passato voleva ancora andare al villaggio? Non gli era bastata forse l’ultima esperienza? A lui sicuramente sì! Si era perso Kibum una volta, l’avesse fatto una seconda Jinki e Jonghyun avrebbero messo fine alla sua vita. D’istinto si portò una mano al collo come se qualcuno stesse per reciderglielo.
-Cerca di ragionare, è troppo pericoloso. –
Kibum si era bloccato di colpo incrociando le braccia e squadrando Minho. – Credevo avessimo stabilito che non avresti fatto troppo la balia. –
-Credevo avessi anche detto che non avresti creato problemi. – Minho l’aveva squadrato a sua volta.
-Non voglio creare problemi! – aveva squittito Kibum.
La discussione era proseguita a cena e solo Jonghyun era stato capace di mettere un freno alle proteste del più piccolo.
-Vuoi farmi diventare matto? Spero davvero che tu stia scherzando o ti legherò in camera!– aveva detto Jonghyun allibito per poi abbracciare il più piccolo.
Kibum aveva messo il broncio. –Ma era un mio incarico, non è giusto…-
-Yah quindi vuoi davvero farmi impazzire? –, Jonghyun aveva sgranato gli occhi prendendo il più piccolo per le spalle.
-Certo che no! –
Taemin aveva sogghignato divertito. – Se sparisse potrebbe essere la tua occasione per salvarlo come si deve e renderti utile. –
Jonghyun l’aveva fulminato per poi tornare a rivolgersi a Key, gli occhi grandi e apprensivi. - Come pensi che starei se sparissi di nuovo? –
Kibum aveva abbassato il capo. – Scusa. -
Minho non aveva potuto fare a meno di chiedersi come Jonghyun riuscisse a tenere a freno quella furia, dopotutto Kibum sapeva essere irremovibile quando si metteva in testa qualcosa.
Alla fine Kibum era stato costretto a cedere, Jinki aveva preso la sua decisioni e lamentarsi era del tutto inutile. Per quanto la cosa lo rattristasse a mente lucida si rendeva perfettamente conto che tornare al villaggio era da folli e, tutto sommato, non ci teneva a fare altri spiacevoli incontri.
-E poi -, aveva detto Jonghyun, - ha già iniziato a nevicare, ciò significa che dovrai andare avanti e indietro da Hanamsi arrancando con il cavallo nella neve. –
Kibum aveva corrugato la fronte, pensoso. A quello non aveva pensato e riflettendoci per bene non ci teneva proprio trasformarsi in un cubetto di ghiaccio. D’istinto un brivido gli aveva percorso il corpo.
A conti fatti era davvero meglio così, per quanto il suo orgoglio ne risentisse. Contribuire in modo attivo alla vita del Rifugio era stato importante per lui, ma come gli era stato fatto notare le sue nuove incombenze richiedevano maggiore responsabilità, nonostante fosse relegato ad un tavolo. Infatti, Jinki gli aveva affidato tutta la corrispondenza con gli informatori di Soul e Busan.
-Così avrai sotto controllo la situazione-, aveva detto il Leader.
Kibum ne era stato entusiasta e ancora di più quando lo aveva riferito a gli altri.
-Dici sul serio? – aveva chiesto Jonghyun sgranando gli occhi.
Il principe aveva annuito sorridente.
-Jinki non fa vedere quella corrispondenza a nessuno-, aveva osservato Taemin, - è una grossa responsabilità. –
Oltre al fatto che Kibum era curioso di natura ed avere informazioni così importanti tra le mani non poteva che eccitarlo, in quel modo avrebbe avuto sotto controllo le principali città del regno ed i movimenti dei suoi nemici. In realtà, l’imperatore non lo preoccupava molto, ma Busan era un altro paio di maniche. Era lì che si nascondeva ed imperversava quella serpe di Heechul e sapere tutto ciò che accadeva in quella città poteva rivelarsi fondamentale, dopotutto nessuno lo conosceva meglio di lui. Tutto questo lo aveva reso più che determinato. In breve aveva trasformato la sua vecchi stanza in uno studio, dopotutto era inutilizzata da tempo visto che ormai viveva in quella di Jonghyun. Ora, tutta la corrispondenza degli informatori di Soul e Busan arrivava lì, sul quel tavolino basso e colmo di carte che era andato a sostituire il futon al centro. Gli armadi ed i cassettoni erano stati svuotati degli abiti e dei suoi oggetti personali per essere riempiti da libri, carte e boccette d’inchiostro. Insomma, la sua vita al Rifugio aveva subito un’ulteriore svolta e la routine era ripresa a ritmo anche troppo serrato insieme agli allenamenti. Più di una volta il principe aveva sbuffato osservando quelle miriadi di carte sul tavolo e il suo correre avanti e indietro dall’arena degli allenamenti. Se da un lato continuava ad esercitarsi con Minho, non aveva ancora iniziato a lavorare sulla sua abilità con Jonghyun. Tutto sommato era una vera fortuna o sarebbe impazzito! Nonostante il Leader avesse detto che sarebbe stato fondamentale nel suo segretissimo piano non faceva altro che rimandare, cosa che da un lato aveva impensierito Kibum e Jonghyun e dall’altro aveva fatto tirare un ad entrambi un sospiro di sollievo. Per quanto ad entrambi sembrasse strano aveva archiviato l’intera faccenda con un’alzata di spalle, d’altra parte avevano già sufficiente lavoro.
-Jinki avrà sicuramente i suoi buoni motivi -, aveva asserito Jonghyun.
Kibum si era limitato ad annuire per quanto se non avesse conosciuto Jinki sarebbe stato propenso ad affermare che il Leader non doveva avere le idee molto chiare negli ultimi tempi. Ma era impossibile!
 
 
 
Quella sera, Kibum era impegnato nei suoi allenamenti con Minho e già presagiva sarebbe finita come al solito: con la sua schiena distrutta. Se da un lato apprezzava il fatto che Minho non avesse alleggerito la mano in seguito alla scoperta del suo segreto, doveva ammettere che un po' più di gentilezza da parte dell’altro non sarebbe stata male.
Kibum scartò di lato proprio mentre la canna di bambù di Minho calava minacciosa su di lui, evitandola per un soffio. Sorrise tra sé, per quanto Minho fosse duro si rendeva conto ogni giorno di più di essere migliorato.
Kibum sorrise astuto e intercettò la mossa successiva dell’altro parando il colpo.
Minho sorrise. – Non male –, fece prima di attaccare di nuovo.
Il loro rapporto era cambiato nelle ultime settimane e in meglio. Kibum non se lo sarebbe mai aspettato, ma a dispetto delle aspettative condividere il suo segreto li aveva uniti.
Sarebbe bello, pensò, se fosse così anche con Jonghyun. Il cuore gli si strinse in petto e parò in malo modo l’ultimo assalto.
Era anche vero che immaginare un rapporto migliore di quello che già avevano con Jonghyun era impossibile.
-Stai attento -, lo ammonì Minho. Il ragazzo strinse gli occhi. – E abbassa quel braccio. –
La canna di Minho lo colpì in pieno sull’avambraccio.
Kibum si morse il labbro e riprese posizione corrugando la fronte. Pensare a quell’idiota lo stava distraendo! Osservò attentamente i movimenti di Minho incrociando le gambe l’una davanti all’altra e flettendosi leggermente sulle ginocchia, pronto a scattare alla minima avvisaglia di pericolo.
 Minho fece lo stesso, serio ed impaccabile come sempre.
Ultimamente Kibum aveva notato nell’altro degli strani comportamenti, o meglio strani alla luce del fatto che Minho sembrava uno dei più normali lì. Passava infatti molto tempo nel suo studio o a fare la ronda davanti ad esso senza un apparente motivo, a meno che non fosse stato improvvisamente colpito da quella che il principe chiamava “sindrome della balia”. In realtà, Kibum aveva quasi l’impressione che l’altro desiderasse metterlo al corrente di qualcosa, cosa di preciso non ne aveva idea, ma ogni volta che lo interrogava Minho s’inventava qualche scusa e spariva.
Bhe, aveva pensato Kibum, se non vuole parlarmi dei fatti suoi non sarò di certo io a porgli domande inopportune. Non mi chiamo Lee Taemin!
Kibum volteggiò su sé stesso ad attaccò, colpendo l’altro di striscio e sorrise trionfante, ma la sua esaltazione fu breve perché Minho lo incalzò con una serie di colpi facendolo rovinare a terra. Il principe strinse gli occhi quando il suo fondoschiena colpì il suolo.
-Bene -, fece Minho, - per sta sera basta. –
Kibum sbuffò mentre l’altro lo aiutava a rialzarsi. Aveva davvero pensato di essere migliorato ma dopo quella caduta imbarazzante…
Come un pollo, sono caduto come un pollo, pensò con amarezza.
Kibum abbassò gli occhi a strinse le mani intorno alla canna.
-Pensi che abbia la possibilità di fare qualche progresso? – chiese mentre lasciavano l’arena.
-Sei molto migliorato – rise Minho.
-Sono caduto – fece con il broncio.
-Bhe, ma io sono il migliore – rispose tranquillamente Minho.
Kibum sorrise guardando l’altro di sottecchi. Non metteva in dubbio la bravura di Minho, ma per quanto godesse di alta fama tra i Ribelli nella sua mente niente e nessuno avrebbe mai potuto sostituire Siwon.
-Ti vedo molto determinato –, osservò Minho vedendo che l’altro rimaneva rintanato nel suo mondo di dubbi.
Kibum annuì. –Dopo quello che è accaduto…è stato orribile non potere usare la mia abilità e sentirmi totalmente inerme. –
Rammentava fin troppo bene quella sensazione d’impotenza che aveva provato, soprattutto là nel bosco. Era stato orribile come orribili erano stati quei giorni. Si era sentito perduto ed inaridito come una foglia secca che, strappata dal suo ramo, vaga sballottata dai flutti del vento inconsapevole della propria destinazione, ma fin tropo conscia di aver abbandonato quei rami che soleva chiamare casa. Per Kibum quei rami erano state le braccia calde di Jonghyun e più il vento soffiava, più lui le aveva viste svanire lontane, così come la sua stesse anima, la sua essenza, si assottigliava arida. Dopotutto, come può una foglia sopravvivere senza la linfa vitale dell’albero da cui proviene? Aveva bisogno di quei rami per vivere, per sperare di vedere, ancora, il tripudio della primavera in fiore e fiorire con essa.
 
 
Kibum rientrò in stanza relativamente presto quella sera, anzi, dire che corse per raggiungerla era ancora poco. I suoi allenamenti erano terminati prima del solito e sperava di poter passare del tempo con Jonghyun, infatti, i pronostici del più grande sul tempo che avrebbero passato insieme si erano rivelati anche fin troppo positivi. I diversi incarichi li vedevano separati per buona parte della giornata e anche quando condividevano gli stessi orari di allenamento finiva sempre che Kibum avesse del lavoro in sospeso per Jinki o fosse semplicemente troppo distrutto perché riuscissero a ricavare del tempo solo per loro. Alla fine, per quanto le notti fossero lunghe al più piccolo sembravano durare meno della frazione di un secondo, gli bastava appoggiare il capo su qualunque cosa avesse la consistenza di un cuscino per crollare sfinito e risvegliarsi il giorno successivo. Le notti erano anche fin troppo corte per dormire.
Il principe varcò sorridente la soglia della stanza trovandola vuota. La sua espressione cambiò in un istante.
Dov’è quella testa vuota?  Si chiese mettendo le mani ai fianchi e picchiettando un piede sul tappeto che attutì appena il suono del nervoso del suo disappunto.
La stanza era silenziosa, tutto era al suo posto, i cassettoni, i tappeti, il letto, i cuscini e ogni genere di suppellettile, ma di Jonghyun non c’era traccia. Kibum sbuffò, aveva anche saltato la cena racimolando solo qualcosa dalle cucine.
Kim Jonghyun, pensò entrando in stanza e guardandosi attorno con circospezione, me la pagherai.
Beh, prima o poi sarebbe tornato e lui aveva tutta l’intenzione di approfittarne per farsi un bagno caldo e così fece. Ormai lavato e pronto per la notte gattonò sulle coperte morbide del letto per poi sedersi a gambe incrociante. Lasciò spaziare lo sguardo all’intorno lanciando un’occhiata poco convinta ai cuscini colorati dietro di lui. Erano una tentazione fin troppo invitante considerando la sua schiena a pezzi, ma raddrizzandosi decise che non avrebbe ceduto.
Devo rimanere svegliò per quando tornerà, pensò sorridendo.
Sopprimendo uno sbadiglio alzò le braccia e unì le mani stirandosi la schiena. Sbatté le palpebre e i suoi occhi si fissarono sul cassettone dove riponeva i suoi abiti. C’era un’altra cosa lì dentro, seppellita sotto cumuli di vestiti. Scese dal letto, aprì il cassettone e recuperò una spada accuratamente risposta in un fodero.
Siwon, pensò sorridendo triste.
Pensava spesso a lui negli ultimi tempi, ogni volta che si allenava con Minho. Kibum rivedeva molto tratti della sua guardia del corpo nell’amico e la cosa non poteva che farlo sorridere, ma anche procurargli una fitta di tristezza. Siwon gli aveva insegnato l’eleganza e la perfezione dell’arte della spada rendendolo un perfetto spadaccino capace di sfoggiare la propria abilità nei tornei di corte, Minho riportava quella perfezione allo stato grezzo per insegnarli a sopravvivere. Le due facce della stessa medaglia.
Kibum fece scorrere le dita sottili sulle decorazioni dell’elsa. Erano passati mesi dall’ultima volta che aveva posato gli occhi su quella spada e non sapeva cosa l’avesse portato a tirarla fuori, solo aveva sentito, inconsciamente, di averne bisogno. Un modo meschino e triste che la sua mente gli aveva suggerito per ingannare l’attesa. Sorrise amaro saggiando con le dita sottili il freddo del metallo. La verità era che gli procurava sempre delle sensazioni contrastanti, sanciva un legame profondo con una vita che si era lasciato alle spalle, con Siwon, e allo stesso tempo gli rammentava entrambi. Provava rabbia e tristezza. Era come ammirare il simulacro silente di un morto, percepire nel freddo del metallo quello stesso stiletto che pian piano si faceva largo nel suo cuore, il ricordo di una vita che, per quanto desiderasse rifuggire, lo inseguiva come un’ombra che prima o poi sarebbe calata su di lui. Allora, Kibum lo sapeva, avrebbe avuto bisogno della forza di quella spada per squarciare quel velo di ombre.
Quando sarò pronto ti impugnerò, si disse.
La rimise via e gattonò di nuovo sul letto, questa volta deciso a stendersi. Fu una vera fortuna che Jonghyun giungesse poco meno di un minuto dopo o sarebbe crollato.
-Jongie- fece raddrizzandosi e sorridendo al più grande.
L’altro gli sorrise di rimando donandogli una delle sue espressioni più calorose e il buon umore si riaccese in Kibum. Accedeva sempre, ma il principe ne rimaneva sempre stupito. Come la presenza dell’altro riuscisse a cancellare ogni suo malessere non lo sapeva, ma averlo accanto tanto gli bastava.
Seduto in ginocchio sul letto, Kibum accolse ad occhi socchiusi le labbra dell’altro che sfiorarono appena le sue quando lo raggiunse. Guardò Jonghyun, gli occhi luminosi e ambrati, la bocca carnosa appena atteggiata in un sorriso sornione.
-Minho mi ha detto che avete finito prima – disse Jonghyun palesando la causa di quel sorriso.
Si guardarono complici ed un brillio di malizia passò negli occhi d’entrambi. Forse quella sera avrebbero davvero potuto cogliere l’occasione di ritagliare anche solo quel minuto di perfezione, strapparlo dallo scorrere inesorabile dei giorni che li trascinava sempre di più in una routine che scorreva a ritmo quasi nevrotico. Kibum sfiorò le labbra del più grande per poi fissarlo attentamente. Era stanco, Jonghyun, nonostante le iridi luminose e desiderose di passare del tempo con lui, il suo viso era provato da un’ombra di occhiaie, gli zigomi pronunciati sembravano particolarmente spigolosi, come se mangiasse male e di fretta da giorni. Gli accarezzò i capelli scomposti e sorrise intenerito.
-Cosa c’è? – domandò Jonghyun con voce leggermente roca.
Kibum ebbe l’impressione che l’altro avesse corso per raggiungere la stanza.
-Sembri stanco – disse.
Jonghyun inarcò un sopracciglio e sorrise sghembo. – Non abbastanza. –
Kibum arrossì. –Idiota. –
Jonghyun gli accarezzò le guance appena imporporate. Anche Key sembrava stanco, pallido e magro nei suoi indumenti sottili e chiari. Eppure, si accorse Jonghyun accarezzando i capelli corvini dell’altro, apparentemente era fresco come un rosa. Jonghyun affondò il viso tra i capelli dell’altro saggiandone la morbidezza e respirandone il profumo.
-Uhm –, fece – sai di fresco. -
Kibum annuì. – Ho fatto un bagno. –
-Questo profumo, hai usato quegli olii del regno di Nihon? –
-Esatto -, disse il più piccolo attirandolo a sé artigliandogli la camicia con le dita sottili. - Quelli che hai così abilmente sottratto a lord Jung mesi fa. –
-Sapevo che erano destinati ad uso migliori, erano decisamente sprecati per quel porcello foderato di seta. –
Kibum rise.
-Ora -, fece picchiettando l’indice sul naso del più piccolo, - andrò a farmi un bagno e poi tornerò da te per farti tutte le coccole che un micetto laborioso e profumato come te si merita. –
Jonghyun fece per voltarsi e sparire nel bagno, ma il più piccolo lo trattenne. Trovava sempre molto divertenti quegli slanci audaci di Key che quasi stonavano con i suoi costanti rossori. Jonghyun sorrise adorante davanti allo sguardo furbo dell’altro, intervallato da un mordersi di labbra imbarazzato. Per lui Key era sempre imprevedibile e anche quando credeva di averne esplorato ogni sfaccettatura rimaneva sorpreso. Poteva dire di conoscerlo perfettamente, ma allo stesso tempo sentiva di non conoscerlo affatto. Era un labirinto, un labirinto di colori meravigliosi e cangianti. Era la pioggia a primavera con il sole, le tempesta estiva che coglie il viandante sin troppo fiducioso in un pomeriggio assolato. Il volto mutevole della luna a cui gli amanti giurano il loro eterno amore per poi esserne sbeffeggiati.
-Aspetta – fece Key tirandolo verso di sé.
Jonghyun l’assecondo scivolando sul letto e sedendosi in ginocchio di fronte all’altro. Lo guardò incuriosito e divertito, come sempre accadeva in quelle situazioni. Kibum gli prese il viso tra le mani ed iniziò a baciarlo e Jonghyun sorrise, mentre l’altro massaggiava le sue labbra con le proprie. Il più grande adorava quando era l’altro ad iniziare e ogni volta si concedeva il lusso di rimanere immobile ad assaporare quel momento prima di prendere il controllo della situazione, cosa che fece. Ma, ancora, Key lo stupì tirandolo sopra di sé ed entrambi scivolarono sulle coperte continuando a far danzare le loro labbra.
Era assurdo e meraviglioso allo stesso tempo eppure ogni volta che accadeva era impossibile non sentirsi avvolgere dai profumi di quella notte estiva, da quelle sensazioni strane e travolgenti che ormai avevano trovato senso e soluzione nella loro perfetta unione. Ogni bacio era come il primo e smuoveva qualcosa nell’aria, in ogni fibra del loro corpo e loro abilità imperversavano in formicolii impazziti moltiplicando ogni percezione. C’era sempre quel magnetismo, quello strattonare un tempo insensato e ora perfetto quanto le loro lingue che s’intrecciavano l’una con l’altra. In quei giorni per quanto quell’aria calda e magnetica aleggiasse sempre intorno a loro come una compagna fedele, quella perfezione, quell’attimo sospeso era stato difficile da ricreare e, più volte, Kibum si era domandato se non dovesse fermare il tempo per riuscirci, per mettere un freno allo scorrere incessante della vita reale che li travolgeva e sballottava come le rapide di un fiume in piena. Solo un minuto per udire il suono dei battiti dei loro cuori.
Anche Jonghyun rivoleva quell’attimo e avrebbe dato qualunque cosa per riavvolgere il filo del tempo, o fermarlo, per riportarli in quello spazio inviolato di perfezione che si era rotto. Sapeva che anche Key provava lo stesso, lo percepiva nei suoi baci, nelle sue carezze dolci che nascondevano l’urgenza d’inseguire un tempo a ritroso. Solo un minuto per ricreare la magia del battito dei loro cuori. Nonostante la foga di raggiungerlo che si stava consumando in quel bacio, Jonghyun si staccò.
-Piccolo tentatore -, sussurrò con fiato caldo ed affannato sulle labbra dell’altro. –Devo proprio andare a farmi un bagno. –
-Lo so. –
-E allora questo cos’era? – domandò il più grande corrugando la fronte.
Key sorrise furbo. – Un monito affinché tu sappia cosa ti perderai se mi farai aspettare troppo. –
-Oh è così, una minaccia, dunque? –
-Kim Jonghyun, credevo di averti già detto che io non minaccio, faccio promesse. –
Si sporse poi verso l’orecchio dell’altro, sussurrando. –E anche questo bacio è una promessa. –
-Oh anche il mio lo era -, fece Jonghyun alzandosi.
Lanciò un’ultima occhiata al più piccolo prima di sparire nel bagno. Credeva davvero di avere il controllo della situazione, ma la verità era che Key l’aveva fregato un’altra volta. Per quanto s’illudesse alla fine era sempre l’altro a reggere le redini del gioco.
-Fai in fretta o mi addormenterò! –, sentì gridare il più piccolo con una punta di stizza nella voce.
Passarono pochi minuti, Jonghyun ne era certo, nonostante avesse accolto con piacere il tepore dell’acqua calda ed i profumi del bagno che insieme avevano avuto un vero potere rigeneratore su di lui, eppure trovò Key addormentato. Il più piccolo era rannicchiato tra coperte e cuscini, il suo respiro usciva flebile e regolare dalle sue labbra a cuore che avevano sancito una promessa ed una condanna insieme. Jonghyun si sedette al suo fianco accarezzando i capelli morbidi del più piccolo e sorrise dolce. Key dormiva davvero profondamente, sprofondato in un mondo di sogni a lui conosciuto. Rimase a fissarlo per un po', svegliarlo era davvero un peccato mortale per quanto desiderasse anche solo specchiarsi in quegli occhi magnetici attraversati da mille lune. Quanto doveva essere stanco?
Si sdraiò al suo fianco, abbracciandolo, e Key s’accoccolò sul suo petto inconsapevolmente attratto dal calore del suo corpo.
– Se potessi ti porterei la luna e nasconderei il sole così che non possa più sorgere. L’oscurità non mi spaventa se un fiume di stelle solca il mio cielo, se vedo l’universo dei nei tuoi occhi. –
Jonghyun lo baciò piano su una guancia. –Buonanotte. –
 
 
***
 
 
Minho dischiuse leggermente le labbra e il suo respiro si condensò nell’aria di quella mattina dicembrina. Strinse l’elsa della spada saggiandone il metallo gelido con le dita scoperte e intirizzite. Si muoveva silenzioso e guardingo come un lupo tra i tronchi degli alberi incrostati di brina, i rami biancheggianti di cumuli di neve e ghiaccio che rilucevano sotto i raggi tenui di un sole che, a stento, si faceva largo tra il grigiore metallico delle nubi portatrici dell’ennesima nevicata. I suoi stivali scricchiolarono sulla neve e le sue orecchie si tesero, pronte a cogliere il minimo suono di presenza umana. Camminava solo tra quel biancore in quel paesaggio surreale fatto di alberi congelati, il fiume simile ad una lastra liscia che si era scavato prepotente un letto tra le rocce cristallizzate da un sottile strato di ghiaccio. Annusò l’aria percependo odore di bruciato. Erano vicini. Avanzò piano tra gli alberi.
Giorni fa, Jinki l’aveva convocato per metterlo al corrente di novità tutt’altro che confortanti giunte dagli esploratori.
-Dei soldati sono stati individuati battere la zona –, gli aveva detto il Leader.
Si erano scambiati uno sguardo inequivocabile.
-Da Soul? – aveva chiesto Minho.
Jinki aveva scosso il capo con crescente preoccupazione, benché il suo volto fosse rimasto liscio e gelido quanto la superfice dell’Han.
-No portano insegne, ma è possibile. –
Gli occhi di Minho si erano assottigliati sino a ridursi a fessure. Se era così le minacce di Jinki avevano colto nel segno e il ragazzo non aveva idea di come interpretare quella situazione.
-Posso mandare solo te, Minho–  aveva detto Jinki mettendo fine al suo continuo misurare a passi cadenzati e nervosi lo studio.
 Minho era molto curioso di sapere se poteva mandare solo lui o se voleva mandare solo lui. Una piccola differenza che per lui rappresentava molto, molto di più.
-Potrebbero essere qui per lui. -
Non c’era bisogno di specificare chi, era chiaro che si stesse riferendo a Kibum. Minho non aveva detto nulla, parlare con il Leader del principe lo metteva molto a disagio, era come se una parte di lui fosse combattuta e non capisse chi e da cosa dovesse realmente proteggere.
-Voglio sapere cosa fanno qui –, aveva detto Jinki, glaciale.
Minho aveva annuito ed era uscito, pronto alla caccia.
Minho sopirò ed i suoi passi guardinghi furono preceduti dal suo respiro condensato in nuvolette bianche. Avere a che fare con Jinki era sempre stato difficile, ma negli ultimi tempi Minho lo trovava impossibile. Ogni cosa che il Leader diceva e faceva suscitava sospetto e preoccupazione in lui, non solo per i suoi dilemmi personali ma anche per quella risposta mai avuta.
Ancora pochi metri e raggiunse l’improvvisato accampamento dei soldati. Era due, seduti intorno ad un piccolo fuoco intenti a scaldarsi e consumare un pasto frugale. Indossavano abiti semplici ma puliti, nessuna insegna, ma l’atteggiamento marziale che li denunciava come soldati era evidente in ogni loro singolo gesto. Minho ne aveva tati di soldati, c’era qualcosa nei loro movimenti, nei loro sguardi, nel mondo in cui le loro mani accarezzavano costantemente l’elsa della spada che aveva il potere di marchiarli come tali. Non importava quale fosse la loro insegna, se la dichiarassero o meno. Un soldato era un soldato sino al midollo.
-Chiedo scusa – fece avvicinandosi.
Subito i due alzarono i capi e lo sondarono attentamente.
-Posso condividere il vostro fuoco? – domandò.
I soldati si scambiarono delle occhiate, infine uno di loro annuì. Aveva la mascella squadrata e rigido e squadrato risultava ogni suoi movimento, il suo stesso annuire era quasi innaturale. Minho prese posto accanto al fuoco.
-Decisamente un pessimo periodo per viaggiare –, osservò Minho cordiale.
-Già –, disse l’altro senza degnarlo di uno sguardo.
Il silenzio calò per secondi che a Minho parvero minuti interminabili, durante i quali si squadrarono di sottecchi. Fu uno studiarsi a vicenda, una valutazione distaccata volta a valutare le armi ed i potenziali gli uni degli altri.
-Strano viaggiare senza bagaglio –, osservò uno dei soldati lanciandogli un’occhiata.
I muscoli di Minho si tesero, pronti a scattare mentre la mano scivolava sotto il mantello per incontrare l’elsa della spada. Poi accadde tutto velocemente, i mantelli volteggiarono e le spade furono estratte. Minho si mise in posizione affondando gli stivali nella neve, mosse la punta del piede per valutare la consistenza del terreno e fissò i soldati nelle loro pose rigide e pronte all’assalto.
-Ribelli – spuntò uno di loro tra la neve.
Minho sogghignò. – Finalmente qualcuno che si degna di chiamarci come si deve. –
Il ragazzo passò la spada da una mano all’altra molleggiandosi sulle gambe ansiose di scattare.
-Farei poco lo spiritoso, ragazzo, nel caso tu on te nen sia accorto sei solo. –
Minho alzò le spalle. Solo? E dov’era il problema, ne aveva battuti di soldati, solo.
-Quando volete -, disse fingendo un inchino.
Le spade iniziarono a mulinare sollevando turbinii di neve che seguirono i loro movimenti. Minho si muoveva veloce e fluente come in una danza, un lupo a caccia nel freddo inverno. I suoi muscoli scattavano e si flettevano per poi rilassarsi in attesa del prossimo colpo, la sua spada riluceva fredda e metallica sotto i raggi chiari del sole, colpiva e saettava simile a fauci affilate. In breve, la sicurezza dei soldati lascio il posto ad un crescente preoccupazioni e divennero nervosi. Minho non chiedeva di meglio. Gli avversari nervosi erano imprevedibili quanto stupidi. Sorrise tra sé, il momento opportuno per coglierli in fallo. Minho non aveva mai avuto paura di affrontare più di un avversario alla volta, era bravo e lo sapeva, e non aveva mai incontrato qualcuno capace di sopraffarlo, metterlo alle strette forse, ma nulla di più. I suoi attacchi, le sue parate sapevano essere perfetti e scaltri insieme, confondevano ed innervosivano i suoi nemici sino a spossarli.
Minho ruotò su sé stesso evitando l’attaccò irruento di un soldato, mentre l’altro avanzava da dietro per coglierlo alle spalle, ma lui fu più veloce, scartò di lato e respinse la lama avversaria. Il soldato dalla mascella squadrata urlò scagliandosi su di lui e il Minho rotolò tra la neve per poi rialzarsi fulmineo e disarmarlo con una serie di colpi violenti e precisi. Il soldato indietreggiò. Anche l’altro attaccò tagliando l’aria satura di tensione con un fendente e Minho abbassò il capo evitandolo per un soffio. Mentre scartava di lato percepì un movimento improvviso da parte del soldato disarmato così, danzando con eleganze, sollevo della neve con la punta dello stivale colpendo il soldato che aveva di fronte, distraendolo, poi volteggiò e si chinò per estrarre un pugnale da sotto il mantello e scagliarlo contro l’altro avversario. Fu un attimo ed il metallo vibrò attraversando l’aria gelida per conficcarsi preciso e letale nel collo del nemico che stramazzò a terra, soffocato dal suo stesso sangue che tinse il biancore della neve di rigagnoli cremisi.
Si voltò, un paio di stoccate, un assalto andato a buon fine e disarmo l’ultimo soldato che cadde a terra in ginocchio, stupefatto. Minho gli puntò la punta della spada alla gola ed il soldato deglutì.
-Fermo – disse.
-Non uccidermi, ti prego! – fece il soldato affondando il volto tra la neve.
Ansimante, Minho lo squadrò da capo a piedi. Ucciderlo? No, non rientrava nei suoi interessi, anche la morte dell’altro non gli faceva piacere.
-Non ho alcun interesse ad ucciderti. –
Tuttavia premette con più insistenza la punta della spada sul collo dell’altro generando in filo rosso e umido.
-Posso dirti tutto quello che vuoi!- piagnucolò subito il soldato.
Minho sorrise sprezzante. Odiava i soldati, tanto baldanzosi e sicuri di sé con una lama in mano, ma inermi quanto bambini senza.
-Bene, ma sarà a me che lo dirai. –
 
 
Jinki unì le mani dietro la schiena, ritto come un fuso e lo sguardo fisso sull’uomo ai suoi piedi. Quel piccolo ambiente roccioso, un tempo una delle tante celle che servivano quell’antica fortezza imperiale dimenticata e in disuso, trasudava un’umidita gelida gocciolante di condensa che formava dei sottili rigagnoli lungo le pareti. Nonostante quell’umido freddo e fastidioso, il Leader dei Ribelli rimaneva imperturbabile, cosa che non si poteva di certo dire per il suo prigioniero tremante. Appena dietro al Leader, la mano sull’elsa della spada, Minho osservava la scena con una certa inquietudine nell’animo facendo scorrere lo sguardo da Jinki al soldato. Minho provò quasi un moto di pietà nei confronti di quell’uomo che stava per passare tra le mani di un Lee Jinki tanto pacato quanto potenzialmente pericoloso.
-Chi sei?- domandò il soldato.
Jinki inarcò un sopracciglio, l’unico movimento umano su quel volto pietrificato.
-Io sono Lee Jinki, il Leader dei Ribelli. –
Il soldato sbarrò gli occhi e dopo aver aperto e chiuso la bocca a vuoto diverse volte, rise.
Minho sospirò. Non era stata di certo una mossa saggia quella dell’uomo la cui vita era già appesa ad un filo. Il Leader detestava non essere preso sul serio e considerando il suo umore negli ultimi tempi la situazione poteva prendere una piega poco piacevole.
Il volto del Leader divenne ancora più duro.
-Chi ti manda?-
Il soldato sogghignò anche se poco convinto. – Non risponderò alle domande di un ragazzino. – Disse sputando per terra.
-Oh lo farai-, fece Jinki.- Rispondi -, ripeté glaciale.
-Il mio lord. –
-Ma davvero? – sorrise Jinki.
Minho assottigliò e labbra. Se conosceva bene Jinki quel sorriso non prometteva nulla di buono. Anche il soldato dovette intuirlo perché si rivelò sorprendentemente celere nel rispondere.
-Lord Kim Heechul di Busan. –
-E, di grazia, cosa possiamo fare il per il tuo lord? –
L’uomo deglutì. – Dice che gli avete rubato qualcosa di prezioso e lo rivuole. –
Jinki strinse gli occhi. Kibum, pensò. Che quel lord fosse l’uomo da cui era tanto terrorizzato? Strinse i pugni, non poteva permetterlo!
-Minho-, fece Jinki senza voltarsi. – Ti sono grato per il tuo lavoro, vai e non fare parola con nessuno di tutto questo. –
Minho annuì ed uscì poco convinto. Non gli piaceva, non gli piaceva per niente, né lo sguardo di Jinki né la piega che stava prendendo la situazione.
-Bene- disse Jinki non appena l’altro se ne fu andato, - e cosa gli abbiamo sottratto di così prezioso? –
-Non l’ha detto. –
-Non l’ha detto? – sussurrò Jinki con finta sorpresa. - Dunque vi ha mandati a curiosare in giro, dico bene? –
L’uomo non rispose.
-Sai -, fece il Leader chinandosi sul malcapitato, - sono quasi tentato di rimandarti dal tuo lord e fargli sapere che quello ho preso è molto prezioso anche per me, troppo per lasciarlo andare. -
E Jinki era tentato, oh quanto lo era. Ma poteva davvero tentare quest’altro colpo di testa? I suoi lineamenti s’indurirono. Rischiava di essere troppo anche per lui e, dopotutto, poteva davvero mettere a rischio tutto ciò che aveva faticosamente costruito, tutte le persone che aveva promesso di proteggere, per orgoglio, rivalsa?
Per vendetta..., sussurrò una vocetta nella sua voce.
Stava rischiando troppo, mettendo a rischio troppo e per cosa? Strinse i pugni. Quante volte si era ripromesso di non cedere alla rabbia, di non lasciare che la sua sete di vendetta lo sopraffacesse? Mai e poi mai si sarebbe lasciato sfuggire quell’arma preziosa che gli era caduta tra capo e collo, ma vantarsene così sfacciatamente…era una lama a doppio taglio capace di ascenderlo vittorioso sul pinnacolo più alto del palazzo reale di Soul o sprofondarlo negli abissi più cupi.
Non è un’arma…è mio amico…
-Quindi mi lascerai andare?-
-Ho detto che sono tentato, non che lo farò. –
Il collo del soldato iniziò ad incrinarsi in modo grottescamente innaturale, scricchiolando tra singulti e raschiare di denti finché..crack, si spezzò come un bastoncino, un ramo sotto un cumulo di neve.
-Desolato, non posso proprio lasciarti andare. -
Il corpo, ormai primo di vita, s’accasciò al suolo umido e roccioso, simile ad un’inutile bambola spezzata.
 
 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che sarete così gentili da ritagliarvi due minuti del vostro tempo per farmi sapere cosa ne pensate, le opinioni altrui sono sempre gradite!
 
Grazie e alla prossima! Vi faccio in anticipo gli auguri di buon anno!
 
P.s. lo so che lo ripeto spesso negli ultimi tempi, ma da gennaio potrei avere seriamente dei problemi ad aggiornare settimanalmente perché riprenderò pienamente i miei impegni in università. Invito comunque i lettori assidui a controllare la pagina, nonostante gli impegni può darsi in preda ad un attacco di Jongkey acuta sforni pagine su pagine di notte ed aggiorni prima del previsto. Dovessi sparire per un po' se vorrete mandarmi un mp per sincerarvi che sia ancora viva sentitevi liberi XD
 
 
 
 

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Capitolo 23
*** Capitolo 22. I take you to the moon in winter wonderland ***


Ciao a tutti! Anche questa volta sembra che ce l’abbia fatta, un pò in ritardo ma ci sono! Spero abbiate passato bene la fine e l’inizio dell’anno!
Mi dispiace, non so perché ma questo capitolo nonostante le continue sistemazioni non riesce a convincermi, ma prima o poi dovevo pubblicarlo, quindi eccomi qui. Spero possa piacere più a voi che a me! Avviso i fan dei capitoli lunghi che questo lo è parecchio, quindi è un bene che l’abbia diviso da quello precedente, visto che doveva essere la sua seconda metà XD
Ringrazio i lettori, chi ha inserito la storia tra preferite, seguite e da ricordare.
Un grazie speciale a chi mi ha lasciato i suoi commenti: Blugioiel, Ghira_, Gonzy_10, KimJonghyun23, MagicaAli, Panda_murderess e vanefreya, in particolare a chi ha commentato lo scorso capitolo: Chocolat95, DreamsCatcher e Saranghae_JongKey. Grazie per il vostro sostegno!
Spero di essere riuscita ad eliminare tutti gli errori di battitura o quasi.
Buona lettura!
 
 
Capitolo 22
I take you to the moon in winter wonderland
 
 

“I take you to the moon
I take you to the moon
Tell me your secret”
Jonghyun, Moon
 
 
 
“Winter Wonderland
Now with you
The night sky I wished for
I thought that winter was warm
Winter Wonderland
In a street dyed white, let's engrave footprints that can't disappear
Together with you ...”
Shinee, Winter wonderland.
 
 
 
Con l’avanzare dell’inverno il clima divenne ogni giorno più rigido e, come già quell’autunno ventoso aveva lasciato presagire, si rivelò uno dei più freddi degli ultimi anni. Il villaggio di Hanamsi, avvolto da continue nevicate, sembrava congelato e isolato nel tempo e nello spazio, l’eterno prigioniero di una sfera di vetro. Il sentiero che passava nel bosco era quasi impraticabile rendendo difficoltoso il passaggio per carri e carrozze. Gli alberi svettavano appena scossi dal vento che rotolava da nord e scivolava tra i rami in un tintinnio di grappoli di cristalli di ghiaccio che risuonavano dando anima ad un paesaggio cristallizzato.  Nelle giornate migliori, colonne di luce dorata squarciavano un cielo di piombo perennemente gravido di neve. La scarpata lungo l’Han, ormai quietato da uno spesso strato di ghiaccio, riluceva in cordoni di brina trasfigurando ogni cosa in un brillante diamante grezzo. Sul Rifugio era calata una calma apatica, fluttuava in una sorta di dormiveglia in attesa della primavera, avvolto in un incantesimo del sonno. Tuttavia, non tutti sembravano esserne stati toccati, al contrario.
Jonghyun si mise le mani tra i capelli procedendo a lunghe falcate nei corridoi per stare al passo di Minho. Quello spilungone non aveva proprio alcuna intenzione di rallentare! Il ragazzo sbuffò, come se non fosse sufficientemente su di giri doveva pure corrergli dietro, neanche avesse dei soldati reali alle calcagna.
-Insomma -, fece, - ti rendi conto? Mi ha praticamente buttato fuori dalla mia stanza! –
Minho si mordicchio il labbro inferiore e procedette senza rallentare, tenendo lo sguardo fisso davanti a sé. Jonghyun corrugò la fronte, sembrava proprio che il suo amico non lo stesse ascoltando, il cervello di quello spilungone sembrava macinare alla stessa velocità con la quale muoveva le gambe lunghe.
-Negli ultimi tempi mi sembra proprio isterico! –, insistette Jonghyun sperando di suscitare l’interesse dell’altro.
Anche Minho percepiva qualcosa di strano nell’aria, lui per primo riconosceva di non essere totalmente in sé. Lanciò un’occhiata sfuggevole all’amico e poi tornò a guardare fisso davanti a sé. Era colpa di quei due, di Jonghyun e Kibum, se i sentimenti che aveva cercato di reprimere e nascondere negli ultimi anni gli stavano dando il tormento. Non aveva idea di come comportarsi e ogni volta che si trovava Taemin nei paraggi passava dal suo solito comportamento cordiale alla totale freddezza. La cosa non gli piaceva, non solo si rendeva conto di aver perso il controllo delle sue emozioni, ma riconosceva anche l’assurdità del suo stesso agire. Se solo avesse continuato per la propria strada, affidandosi alla sua logica ed ignorando quei due, sarebbe stato molto meglio. D’altra parte non si poteva di certo dire che lo stesso Taemin fosse nel pieno possesso delle sue facoltà mentali, passava dalla totale normalità al nevrotico, oppure si divertiva ad ignorarlo.
-Più si avvicina il Seollal[1] più la situazione peggiora –, sussurrò Minho tra sé.
Jonghyun sgranò gli occhi e gli si parò davanti alzando le braccia.
-Esatto! Secondo te perché mi ha buttato fuori dalla stanza? – chiese Jonghyun, addolcendo gli occhi grandi.
Minho si bloccò di colpo riscuotendosi dai suoi stessi pensieri. –Chi ti ha buttato fuori? –
Jonghyun saltellò nervoso. –Ma Key naturalmente! –
-Beh -, fece Minho sogghignando tra sé, – hai sicuramente fatto qualcosa che non dovevi. –
Dopotutto, Kibum sapeva essere gentile quanto irritabile ed irritante nella sua eccessiva puntigliosità, per non parlare della nobile spocchia latente, e Jonghyun aveva la proverbiale capacità di riuscire ad irritare anche un santo! Minho guardò l’amico di sottecchi, sicuramente aveva detto una parola o lasciato per terra un calzino di troppo. Senza contare che ultimamente il più piccolo s’aggirava agitando stizzoso l’immaginaria coda felina, sempre sul punto di soffiare e tirare fuori le unghie.
Jonghyun incrociò le braccia. – Ho solo nominato il Seollal -, fece pensoso grattandosi il capo. -Da che parte stai? –
-Da nessuna -, rispose tranquillo. –E quindi hai dormito all’addiaccio? – Minho trattenne a stento una risata.
Jonghyun scosse il capo. – Ha riaperto due secondi dopo, solo per dirmi che quella era la mia stanza, dopotutto, ed è sparito nel suo studio. –
Il ragazzo pronunciò l’ultima parola con una punta di rabbia. Quel dannato studio era come un buco nero! Ogni volta che vedeva Key sparire là dentro temeva di non vederlo uscire mai più. Jonghyun era seriamente preoccupato, vedere il più piccolo ridotto ad un filo di nervi lo preoccupava. Qualcosa doveva aver pur fatto, ma cosa? Non riusciva a capire Key negli ultimi tempi, né i suoi tentativi di confortarlo sembravano avere effetto. Duravano giusto il tempo per farlo addormentare in tutta tranquillità senza che schizzasse come una corda di violino.
Minho aveva giusto un’idea su cosa rendesse Kibum così nervoso, ma non era di certo qualcosa di cui poteva far parola con Jonghyun. Era davvero tutto molto strano, se il resto dei Ribelli si stava godendo i mesi invernali in totale tranquillità, beh, loro sembravano delle trottole impazzite. E cosa dire di Jinki? Di certo gli atteggiamenti sempre più enigmatici del Leader non miglioravano la situazione, tanto meno gli offrivano un qualche appiglio per valutare seriamente di apportare degli sviluppi alla sua non vita sentimentale. Il suo unico sporne erano quei due pazzi che, attualmente, scoppiettavano come piccoli fuochi d’artificio, decisamente un’accoppiata assurdamente perfetta a suoi occhi. Di certo Jonghyun non aveva da rendere conto a nessuno se non a Kibum stesso, beh, in teoria.
-Dove stai andando? – chiese ad un tratto Jonghyun.
-Da Key – rispose Minho con un certo nervosismo.
Jonghyun lo guardò di sbieco, se non si fosse trattato di lui, Minho era pronto a giurare che fosse geloso.
-Vieni anche tu? – In realtà, Minho aveva cercato di seminare Jonghyun per tutto il tragitto, doveva essere una conversazione privata.
L’altro si mordicchiò il labbro, memore dell’assurda sfuriata del più piccolo la sera precedente.
-Meglio di no. Sai -, disse con una punta d’imbarazzo, - mi ha ordinato di stare alla larga per un po'.-
Jonghyun si portò una mano dietro il capo ed abbassò lo sguardo. Ordinato era esattamente la parola giusta. Key non faceva richieste, ordinava, che poi riuscisse a farlo in tono gentile e quasi suadente era tutto un altro paio di maniche. E lui ci cascava sempre.
-Penso che questa volta ascolterò gli ordini di qualcuno. -
Jonghyun girò i tacchi e sparì lungo il corridoio. Minho sogghignò guardandolo allontanarsi, quella testa calda era davvero stata messa al tappeto.
Quando Minho entrò nello studio di Key trovò l’altro sommerso dalle carte. Era così concentrato da non essersi nemmeno accorto che qualcuno aveva bussato insistentemente, finché Minho non aveva deciso di fare irruzione di sua iniziativa. Anche così ci volle qualche secondo perché Kibum realizzasse la sua presenza.
-Oh Minho –, fece Kibum alzando il viso solcato da profonde occhiaie.
All’intorno aleggiava il profumo rassicurante di carta e inchiostro, sembrava il rifugio perfetto per calmare i nervi se non fosse stato per la pila consistente di carte che invadeva il basso tavolino dietro il quale sedeva Key. L’ambiente non era cambiato molto, nonostante fosse passato dall’essere una camera da letto a uno studio; pochi mobili tradizionali e pregiati sistemati a regola d’arte come tessere di un puzzle. Non c’era niente d’eccessivo e al contempo nulla di scontato, brillava di una luce fievole e rosata emesse da un grosso lampadario in ferro battuto appeso al soffitto, un tripudio di motivi ritorti e braccia attorcigliate e nodose, simili ai rami di un albero. La madreperla che decorava il mobilio tratteggiava scene leggere, un dispiegarsi di bambini in corsa dietro ad un aquilone, stagni, montagne e colline che fungevano sia da contorno sia da protagonisti, inglobando ogni dettaglio. Gli scaffali della libreria erano pieni di libri accuratamente ordinati per dimensioni, denunciando una cura meticolosa e quasi ossessiva. Il dettaglio più colorato era un paravento con fiori di pesco e piccoli pennuti in volto, magistralmente dipinti a mano su pregiata seta blu notte. Diversi tappeti puntellavano il pavimento che s’intravedeva appena, riscaldando l’ambiente. Ai piedi del tavolino vi era una tazza fumante di tè dalle quale proveniva un profumo leggero e appena speziato.
Minho annusò l’aria all’intorno. Limone e zenzero?, pensò.
Tutto sembrava rilassato e avvolto in un’atmosfera altrettanto tale, tutto tranne l’espressione dipinta sul viso delicato del principe.  Minho era pronto a scommettere che avesse passato l’intera nottata e quella mattina stessa chino sui fogli. Le dita sottili di Kibum erano piene di macchie d’inchiostro, così come le maniche della camicia. Probabilmente non se ne era nemmeno accorto. Non c’era da stupirsi che fosse isterico, di per sé Jonghyun era capace di far innervosire anche una persona calma e rilassata.
-Devo parlarti – disse Minho senza mezzi termini.
Kibum strinse gli occhi e si passò una mano tra i capelli, sfiorandosi accidentalmente il volto con le dita macchiate d’inchiostro.
Minho tossicò indicandogli il viso e Kibum arrossì, ripulendosi subito con la manica della camicia. Sì, pensò Minho, decisamente non è in sé.
-Di che si tratta? – chiese Key.
 Ultimamente Minho voleva parlargli spesso, oppure tentava di farlo, il principe non l’aveva ancora capito. Si chiese se quella fosse la volta buona in cui il girovagare per il suo studio da parte dell’altro trovasse finalmente una soluzione sensata.
Minho prese posto su un cuscino davanti a lui e Kibum ripose il pennello, accorgendosi con orrore di avere le dita e la manica della camicia macchiate.
-In realtà -, iniziò Minho tossicando, - non dovrei dirtelo. –
Kibum lo fissò incuriosito.
-Jinki non vorrebbe, ma lo devi sapere. –
Decisamente interessante, pensò Key assottigliando gli occhi con crescente interesse, ecco perché vagava sempre a vuoto.
-Parla – lo esortò.
Minho riconobbe subito quel tono di comando che tanto faceva rizzare i capelli a Jonghyun. Era vero, per quanto gentile quel “parla” era stato un imperativo.
-Settimane fa ho avuto a che fare con dei soldati che pattugliavano la zona. Venivano da Busan. –
Un brivido percorse la spina dorsale di Kibum. Non c’era proprio modo che Heechul desistesse, ma d’altra parte era prevedibile, era troppo ambizioso ed accecato per rinunciare. Nelle ultime settimane era tutt’altro che tranquillo, più l’inverno procedeva, più si sentiva prossimo a scoppiare.
-Capisco. –
Fece una breve pausa. – Ne sono arrivati altri? –
-No, ma non è da escludere che si rifacciano vivi. –
– Considerando il cattivo tempo dubito sarà prima di queste primavera. –
Quindi era condannato a starsene rintanato lì per tutto l’inverno e oltre.
Fantastico, pensò Key stizzito. Mordicchiò l’estremità lignea del pennello che teneva in mano.
-Perché Jinki non voleva che lo sapessi? –
La domanda era stata posta ad alta voce, ma Minho ebbe l’impressione che Kibum stesse parlando a sé stesso. In ogni caso non avrebbe saputo dargli una risposta chiara, non sapeva nemmeno che fine avesse fatto il prigioniero e, in tutta sincerità, aveva quasi paura di scoprirlo. Gli venivano in mente mille motivi per cui Jinki desiderasse segretezza e ognuno di questi era in realtà più una sorta di sensazione indefinita suggerita dal suo sesto senso. Una sensazione che non gli piaceva per niente. Era come se in Jinki si fosse incrinato qualcosa e questo inquietava Minho. Aveva sempre un grande rispetto nei confronti del Leader, ma doveva ammettere a malincuore che la sua totale fiducia era calata. Jinki era placido, ma poteva rivelarsi implacabile come una tempesta che scoppia dopo la quiete della bonaccia. Minho aveva la sensazione di udire in lontananza i primi tuoni.
-Non pensi che sia strano? Jinki intendo – disse Kibum. – Nel corso degli ultimi allenamenti ho avuto l’impressione che non avesse le idee chiare su cosa volesse. Non fa altro che rimandare i miei e quelli di Jonghyun. –
Minho si ritrovò ad annuire d’istinto.
Kibum si grattò il capo con l’estremità del pennello, poi incrociò le braccia fissando Minho. – Visto che sei oggetto delle sue confidenze non è che ti ha fatto qualche indiscrezione sui suoi piani? –
Minho sorrise leggermente sia per la frase, sia per l’espressione attenta e curiosa del principe. Lui, oggetto delle indiscrezioni del Leader? Aveva qualche dubbio. Sospirò. Ormai non sapeva nemmeno più come considerarsi ai suoi occhi. In ogni caso, Kibum aveva ragione.
 -Non penso abbia tutta questa confidenza da rivelarmi i suoi piani –, disse corrucciato.
Minho detestava avere quei pensieri su Jinki, ma d’altra parte lo conosceva abbastanza bene da sapere con assoluta certezza che stava tramando qualcosa di poco chiaro. Inoltre, non aveva mai risposto alla sua domanda. Voleva usare Kibum? Se non fosse stato in presenza del principe, Minho sarebbe scoppiato a ridere. Che domanda sciocca! Anche senza una parola da parte di Jinki sapeva con certezza che la risposta era sì. Si trattava solo di capire come e quando. Minho era intenzionato a tenere gli occhi bene aperti, aveva sempre preso sul serio i suoi incarichi e se preoccuparsi dell’incolumità di Kibum significava guardargli le spalle anche dal Leader, bhe, l’avrebbe fatto. Non solo il fatto di condividere un segreto l’aveva legato all’altro molto più di quanto avessero fatto i mesi precedenti, ma guai per Kibum significavano guai ed infinite preoccupazioni anche per Jonghyun e Minho non aveva mai visto il più grande così felice. Jonghyun aveva sempre avuto un’anima tormentata, non si era mai riuscito a scrollarsi di dosso quel fuoco malvagio che diceva di sentire dentro di sé, ma con l’arrivo di Kibum e l’inizio della loro relazione le cose erano cambiate. Per come la vedeva lui, alla luce delle ultime novità, la felicità di quei due era già sufficientemente precaria senza che Jinki intervenisse con le sue idee strampalate.
Si passò una mano tra i capelli, si sentiva frustrato sotto ogni punto di vista.
Non aveva né risposte esaustive, né rassicuranti da dare a Kibum, né a sé stesso. Probabilmente solo lo sciogliersi e della neve, l’arrivo dei primi tepori primaverili e lo sbocciare dei ciliegi avrebbe concesso loro qualche certezza.
-Vedrai che ha i suoi buoni motivi. –
La sua stessa voce gli risultò distante. Chi dei due desiderava in realtà rassicurare, sé stesso o Key?
Kibum emise una risata. – Credo che in realtà trovi più divertente tenerci all’oscuro, ma deve sapere quello che fa. –
Kibum annuì tra sé. Aveva sempre avuto un rapporto strano e controverso con Jinki, non aveva mai saputo se fidarsi del tutto e sino a che punto, questo nonostante l’affetto e la gratitudine che provava nei suoi confronti. Tuttavia, per quanto gli atteggiamenti del Leader fossero indefiniti negli ultimi tempi, alla luce di quanto era accaduto dopo il suo rapimento era certo di potersi affidare a lui totalmente. Aveva percepito chiaro e limpido nell’abbraccio di Jinki, non appena si erano riuniti, tutto l’affetto che provava per lui. Era stato come tornare tra le braccia rassicuranti di un fratello più grande, pronto a prendersi cura di lui. Kibum aveva ricambiato quella stretta mosso dai medesimi sentimenti.
-Devi dirmi altro? – domandò vendendo che Minho non si era mosso di un passo.
Minho si mordicchiò il labbro. In realtà era da settimane che ci rifletteva, ma ogni volta trovava tutto toppo assurdo e lasciava perdere. Poteva parlare a Kibum dei suoi sentimenti per Taemin? Avrebbe ricavato qualcosa di sensato o si sarebbe rivelato uno sforzo inutile? Più ci pensava, più era certo che il principe fosse l’unico a poterlo aiutare o quanto meno consigliarlo. Dopotutto non era il migliore amico di quella peste, non era “l’altro”? Cercare di cavare qualcosa da Jinki era sempre stata un’impresa, figurarsi ora che sembrava una bussola impazzita.
Tuttavia, Minho si ritrovò a scuotere il capo come un ebete e a dirigersi fuori dallo studio prima che se ne rendesse conto. Solo quando si ritrovò la porta chiusa alle spalle sbatté le palpebre, domandandosi come i suoi piedi avessero potuto prendere il sopravvento su di lui. Appoggiò la schiena alla porta ed incrociò le braccia. Com’era possibile che mettere a nudo i suoi sentimenti lo rendesse più nervoso del dover affrontare in solitaria un manipolo di soldati?
Aish, imprecò tra sé.
Più guardava razionalmente quella situazione, più si convinceva del fatto che Kibum fosse l’unico capace di poterlo aiutare e, in tutta sincerità, non ne poteva più di quella situazione di stallo che durava da anni.
Di nuovo, prima che se ne accorgesse i suoi piedi si mossero da soli riconducendolo all’interno dello studio di fronte ad un Kibum perplesso. Minho tornò a sedersi sul cuscino mordicchiandosi il labbro e tamburellando dita sul tavolo. Dei fogli caddero sul tappeto.
-In realtà c’è altro. –
Seguì un silenzio durante il quale aprì e richiuse più volte la bocca.
-Minho -, disse infine Kibum, - non voglio essere scortese, ma come vedi ho un mucchio di lavoro da fare. Se vuoi dirmi qualcosa parla, a meno che tu non abbia da dichiarare un omicidio non c’è motivo di essere così agitati.  -
Minho sbarrò gli occhi. Era agitato, si vedeva così tanto? Si schiarì la voce e impose alle sue dita di smettere di tamburellare.
-Se tu, insomma, - fece portandosi una mano dietro al capo. – Se ti piacesse qualcuno…-
-Yah – proruppe Kibum, - non mi starai per fare delle confidenze sentimentali? Se è così non sono la persona giusta. –
Kibum represse a stento una risata. Com’era arrivata a tanto la loro confidenza? Trovò impressionante come un segreto potesse dividere tanto quanto unire. Sorrise, lusingato della fiducia che l’altro gli stava accordando. Sospirò e ripose il pennello.
-Dico sul serio, Minho, non penso di poterti essere utile. Se io e Jonghyun stiamo insieme è grazie ad una serie di avvenimenti fortuiti, più o meno, che ci hanno permesso di chiarire i nostri sentimenti. Dovresti rivolgerti a Taemin, per quanto sappia fare danni, beh, spesso hanno risvolti sorprendenti. –
Già, quel piccolo impiastro aveva la capacità di trasformare i suoi danni in miracoli, ma Minho non poteva proprio prendere in considerazione quel suggerimento.
-Non posso rivolgermi a Taemin. –
-Perché? – domandò Kibum, perplesso.
Ecco, pensò Minho, ora arriva la parte difficile. Aveva davvero sperato di ricavare qualche consiglio senza esporsi troppo, ma era impossibile. Beh, lui conosceva il suo segreto, tanto valeva che l’altro conoscesse il suo.
-Si tratta di Taemin – disse con lo sguardo basso.
Kibum lo fissò interdetto per qualche secondo prima di aprire e richiudere la bocca diverse volte, infine il suo sguardo s’illuminò e le sue labbra s’aprirono in un largo sorriso seguito da un grido acuto d’esultanza e sorpresa. Minho fu abbastanza veloce da tappargli bocca.
-D’accordo, ora toglierò la mano e non griderai, va bene? – chiese fissando gli occhi sgranati dell’altro.
Tolse la mano rivelando il sorriso gongolante del principe. Forse si era appena cacciato in un grosso guaio.
-Ebbene? – domandò Kibum con sguardo furbo ed una punta di divertimento nella voce.
-Ebbene cosa?-
Kibum sospirò. – Vuoi che interceda per te? –
Intercedere? Minho a questo non aveva pensato, insomma, c’erano altri problemi d’affrontare prima, Jinki per esempio…però sondare la situazione non era una cattiva idea.
-Lui ti ha, beh, mai parlato di me? –
-Uhm -, fece Kibum picchiettandosi l’indice sull’angolo della bocca. – Taemin è molto bravo nello scucire informazioni sulle vite sentimentali altrui -, disse roteando gli occhi con disappunto, - ma è anche molto abile nello sfuggire alle domande. Nasconde tutte le sue tracce. Comunque, se anche mi avesse rivelato qualcosa in confidenza…-
-Non me lo diresti. –
-No, ma non l’ha fatto. Se posso darti un consiglio ti suggerisco di dirgli sinceramente ciò che provi.-
Minho si ritrovò a scuotere il capo con vigore. – Non posso -, disse. – Jinki…-
-Che c’entra Jinki? Non avrai paura di lui? –
-Tu non l’avresti? – chiese guardandolo di sbieco.
Kibum si umettò le labbra, pensoso. –Ammetto che solo una persona molto sciocca non ne avrebbe, ma non vedo comunque il motivo per cui tu debba averne. –
Minho sospirò. O si stava davvero ponendo dei problemi assurdi o comunque qualcosa gli sfuggiva. Si grattò il capo.
-E’ una situazione complicata. –
-Complicata? Cosa c’è di complicato?-
-La fai facile, tu non devi dare conto a nessuno, ma Jinki…-
Kibum trattenne a stento una risata disperata. –Certamente, nulla di complicato per me, tralasciando un fidanzamento ufficiale e che sto mentendo sulla mia identità alla persona che amo. –
Il principe si massaggiò le tempie. Era davvero difficile entrare nulla testa di Minho, che diavolo di problemi e domande sbagliate si stava ponendo?
-Lascia perdere Jinki! Al massimo sono altri i problemi che dovresti porti. –
-Ovvero? –
Kibum guardò l’altro di sottecchi. In tutto il suo blaterale, Minho non aveva fatto altro che preoccuparsi di Jinki, e Taemin? Era dei suoi sentimenti che doveva preoccuparsi, a Jinki avrebbe pensato dopo! Sicuramente il Leader era molto protettivo con il suo fratellino, ma Minho era Minho, non il primo ribelle che passava!
-Credo che tu ti stia ponendo le domande sbagliate. Dovresti prenderti un po' di tempo per riflettere. –
Non dubitava che i sentimenti di Minho fossero sinceri, ma per come la vedeva lui finché continuava a preoccuparsi di Jinki mettendo in secondo piano quelli che potevano essere i sentimenti di Taemin, beh, forse era meglio che si prendesse del tempo per riflettere attentamente.
-E’ da anni che rifletto! – fece Minho alzando le braccia.
-Temo che tu lo stia facendo dalla prospettiva sbagliata. –
-E fammi indovinare, non mi dirai perché. –
-Non sarebbe costruttivo. –
Minho sospirò. In ogni caso era stato meglio di niente e ora anche lui condivideva un segreto con Kibum.
-Non lo dirai a nessuno, vero? – domandò titubante.
Kibum sorrise furbo, sondandolo con occhi astuti e l’angolo della sua bocca a cuore si piegò in un sorriso che fece rabbrividire Minho. Perché non c’era nessuno di normale lì?
-Ma certo -, fece Kibum in tono suadente, - tu custodisci un segreto per me, io uno per te. –
Minho deglutì. Aveva come la netta impressione che sotto quelle parole si celasse una sottile minaccia.
 
 
***
 
 
Taemin non aveva mai capito come qualcuno sano di mente potesse considerare la biblioteca un luogo adatto a rilassarsi, sempre che quello che stava facendo Key potesse davvero considerarsi rilassante, dato che faceva su e già dalle scale saltellando da uno scaffale all’altro. A Taemin sembravano mura alte e traballanti, rifugi perfetti per tarme, acari e qualunque creatura orrenda bramasse di rifugiarsi tra polvere, umidita e pagine consunte.
Seduto su uno dei tavoli della biblioteca, Taemin fece dondolare le gambe e fischiettò allegro osservando i movimenti della sua umma, cercando d’ignorare l’odore di muffa. Kibum sembrava in preda ad un attacco d’isteria nevrotica, mentre riordinava diversi libri tra gli scaffali.
-Non eri in pausa? E’ ora di pranzo – chiese Taemin.
-Sono in pausa – rispose l’altro senza degnarlo di uno sguardo.
Taemin si grattò il capo. Se era in pausa perché stava lavorando?
-Mi rilassa –, disse Kibum dando una risposta ai suoi dubbi inespressi.
Taemin corrugò la fronte. Riordinare era rilassante? A lui non sembrava proprio, in quel caso la sua stanza sarebbe stata molto più in ordine! La verità era che la sua umma era parecchio nervosa da diverse settimane, ma riuscire a capire cosa lo tormentasse era impossibile.
-Non mi dirai che il tuo odio per le feste si estende anche al Seollal -, azzardò distratto.
Mancava ancora qualche settimana al capodanno lunare, ma il più piccolo non era di certo scemo!
-In particolare. –
-Uhm-, fece il più piccolo.
Key diventava ogni giorno meno collaborativo alle sue domande. Forse desiderava davvero tenersi i suoi problemi per sé. Decise d’ignorarlo, era inutile parlare in quelle situazioni, il massimo che poteva ricavare era una lavata di capo con i fiocchi e non ci teneva per niente. Lui, invece, era molto felice alla prospettiva dell’arrivo del nuovo anno e considerando com’era andato il suo Chuseok aveva tutta l’intenzione di recuperare.
-Chissà se Minho mi chiederà di andare con lui – disse quasi tra sé.
Forse non doveva sperarci molto, dopotutto non gli aveva forse risposto in malo modo quando l’aveva invitato alla festa del raccolto? Quante potevano essere le probabilità che lo invitasse? Taemin si mordicchiò il labbro.
In non m’inviterei, pensò sconsolato.
Sbuffò incrociando le braccia. Il Chuseok era stato davvero penoso per lui e tutto sommato sarebbe stato meglio accettare l’invito infantile di Minho. Tamburellò le dita sugli avambracci. Era così difficile per quello spilungone trattarlo come una persona adulta? Capire che non poteva più invitarlo alle feste come se stesse invitando un bambino?
-Forse dovresti invitarlo tu. –
La voce addolcita di Key gli giunse flebile alle orecchie, riscuotendolo dalle sue elucubrazioni mentali.
-Cosa? -, fece. Non si era accorto di aver parlato ad alta voce.
-Alla festa, forse dovresti essere tu ad invitarlo. –
Taemin fissò l’altro sbattendo gli occhi. Nonostante il nervosismo e l’incipiente isteria di poco prima, ora il viso di Kibum sembrava più rilassato e intenerito, illuminato da un sorriso rassicurante.
Invitarlo io?, pensò Taemin, a questo non aveva mai pensato. Forse se non voleva fare la figura del bambino o essere trattato come tale doveva essere proprio lui ad invitarlo.
Il più piccolo sorrise estasiato e scattò in piedi. -Umma, sei geniale! Ma dimmi, tu insisti nel volerne stare alla larga? Dalla festa intendo. –
-Non è un buon periodo per me, Minnie. Dico sul serio, preferisco starmene per conto mio. –
Perché il principe si ostinasse a chiudersi in sé stesso in quelle occasioni Taemin non l’aveva mai capito e, probabilmente, non l’avrebbe mai fatto. Tuttavia decise di lasciar stare, se Kibum non intendeva condividere le proprie preoccupazioni nemmeno di fronte al suo insistente punzecchiare era una partita persa in partenza.
Dei passi risuonarono appena sul pavimento polveroso della biblioteca e Taemin si sporse per osservare il nuovo arrivato. La chioma castana e leggermente spettinata di Jonghyun fece capolino da oltre gli scaffali. Il più grande sembrava quasi in imbarazzo e lanciò al Key uno sguardo basso, come se aspettasse una sua parola per avvicinarsi ulteriormente.
Taemin sogghignò. Quello scemo doveva aver combinato qualcosa.
-Oh guarda umma, c’è appa testa vuota. –
Kibum roteò gli occhi all’indirizzo del più piccolo.
-Beh, vi lascio soli -, disse Taemin prima di sparire.
Jonghyun s’avvicinò con passi studiati e titubanti e Kibum lo guardò di sbieco arrampicandosi sulla scala traballante per raggiungere dei volumi. La verità era che stava fuggendo, sapeva di essere stato nel torto la sera precedente, si era innervosito solo perché l’altro aveva nominato il  Seollal. E lui l’odiava! Non solo perché odiava le festività in generale, che per lui avevano sempre rappresentato interminabili cerimoniali di corte e l’essere costretto a dispensare sorrisi falsi a chiunque, ma perché era “la festa”, quella che più odiava in assoluto in cui cadeva l’anniversario della morte di sua madre. Ogni anno aveva fatto visita a quella fredda tomba di marmo, sontuosa quanto solitaria e abbandonata nel biancore dell’inverno. Siwon era sempre stato al suo fianco, rigido e vigile quanto un lupo nella bufera, ed ora anche lui se n’era andato, ma per lui non c’erano tombe, solo una spada la cui lama conservava ancora l’odore pungente del sangue.
Il più grande tossicò.
-Pensi che ti sia stato sufficientemente lontano per un po'? –, chiese Jonghyun in tono quasi timoroso.
L’espressione di Kibum s’addolcì e scendendo dalla scala gli s’avvicinò per accarezzargli dolcemente il viso.
Povero Jongie, pensò, non sono mai stato davvero arrabbiato con te.
Troppe volte, in quelle settimane, i suoi occhi avevano deviato verso il luogo in cui custodiva la spada di Siwon accompagnati da pensieri funesti. Di notte, quando dormiva profondamente tra le braccia di Jonghyun, avvertiva ancora il gelo pungente di quella notte, lo sbattere delle finestre, l’ondeggiare di tende bianche come un sudario nell’aria fredda. Fuori, il giardino del palazzo era ghiacciato e illuminato dai bagliori metallici della luna e delle stelle lontane, indifferenti al dolore dei mortali. Ma c’era qualcosa di diverso, ora, non era più rannicchiato e tremante in un angolo, no, era ritto in piedi davanti a quell’uomo orrendo e impugnava la spada di Siwon. I suoi occhi erano freddi quanto quelli di quel mostro e con la stessa freddezza la lama che impugnava fendeva la notte tingendo il pavimento di marmo di chiazze vermiglie, bagnando anche le sue mani immacolate. Il suo sguardo scivolava sulla superficie di uno specchio dalla pesante cornice dorate per incontrare il riflesso di un volto pallido identico al suo, ma nel quale erano stati incastonati carboni ardenti. Non era i suoi occhi. Erano quelli pieni di odio di Jonghyun e di Heechul. Non poteva esserci nulla di più diverso e simile allo stesso tempo, perché se animati da fiamme funeste quelli del suo Amore diventavano lo specchio del suo Odio. Per quanto la differenza fosse sottile Kibum riusciva a percepirla, la vedeva alternarsi in quegli occhi che invadevano il suo volto. Più volte si era svegliato nel cuore palpitante della notte e stretto al petto di Jonghyun in cerca di conforto e l’aveva trovato, ma aveva trovato anche un senso di colpa che diventava ogni giorno più acuto, insieme al desiderio di confidare all’altro tutto ciò che provava. Sarebbe stato tutto più semplice se avesse potuto parlare con Jonghyun, sapeva che la paura sarebbe passata, la tristezza e anche il rancore si sarebbe stemperati perché avrebbe trovato solo amore e comprensione nell’altro. Ma parlare significava generare possibili domande a cui non poteva e non sapeva se voleva rispondere.
Poteva dire di essere pronto?
Quanto desiderava dirgli tutto ciò che provava, manifestare apertamente le sue preoccupazioni e aprirsi totalmente senza il timore di tradirsi! Invece in quei giorni lo aveva allontanato, era stato nervoso ed isterico, quando invece tutto ciò che desiderava era il calore dell’altro. Jonghyun poteva rimettere insieme i suoi pezzi con uno sguardo, un abbraccio, eppure lui era fuggito nel timore di trovarsi costretto a dire troppo. Davvero la prospettiva di passare per la prima volta un inverno meraviglioso era stata solo un miraggio?
Baciò Jonghyun con passione senza perdere tempo a riflettere. Stava riflettendo anche troppo negli ultimi tempi e desiderava solo crogiolarsi nelle carezze dell’altro e in quelle che lui gli poteva donare.
Quando si staccò, Jonghyun sogghignò. –Se stare alla larga da te per un po' ti fa questo effetto, forse dovremmo litigare più spesso. –
Kibum lo guardò di sottecchi.
-Mi hai perdonato? – domandò speranzoso.
-Tu che dici? – fece Key, gli occhi astuti che fissavano l’altro da sotto le ciglia.
-Bhe -, iniziò Jonghyun, – se tu fossi una persona comune mi limiterei a rispondere di sì visto il bacio, ma trattandosi di te potrebbe anche essere una forma di tortura prima di darmi il colpo di grazia. –
Kibum rise.
Jonghyun si mordicchiò l’angolo della bocca e si scostò appena, come se l’altro stesse per sfoderare uno stiletto e piantarglielo dritto nel petto. Kibum lo trattenne allacciando le braccia intorno al suo collo.
-Povero Jongie, avere a che fare con un sadico come me…- 
Il tono suadente di Key fece perdere un battito a Jonghyun, oltre a procurargli un brivido lungo la schiena. Quelle labbra rosa ed invitanti erano atteggiate in un sorriso troppo furbo per i suoi gusti, un gatto pronto a divorare la rondine incauta; e quegli occhi brillavano seducenti e magnetici.
Key gli soffiò sul collo prima di posarvi un bacio umido.
-Ecco, ora mi fai ancora più paura. –
Key alzò il viso per sorridergli teneramente. –Non ti ho perdonato, perché non avevi nulla da farti perdonare. Sono io che sono, beh…-
Jonghyun sorrise sghembo. – Spocchioso e irritabile. Mi domando quanto orgoglio debba esserti costata quest’affermazione. –
Key incrociò le braccia e sbuffò, voltando il capo di lato.
-Senti -, fece Jonghyun, - ho capito che detesti questo periodo dell’anno. –
Kibum aprì la bocca e l’altro vi posò sopra un dito.
-No, non serve parlare. – Lo prese per le spalle. - Non m’interessa perché, ma solo come posso renderlo speciale per te. Voglio solo questo. –
Sorrise scompigliandogli i capelli. – E non essere preso a porte in faccia, magari. –
-Ho riaperto la porta –, disse Kibum abbassando lo sguardo e sentendosi in colpa.
-Per andartene. –
-Mi dispiace, non volevo. –
-Lo so. –
Jonghyun gli prese il mento tra indice e pollice sollevandogli il viso. –Non posso scaldarti durante l’inverno se non me lo permetti. –
Kibum l’abbraccio e Jonghyun lo strinse a sé accarezzandogli il capo.
-Qualunque cosa ti turbi, io sono qui, per scaldarti, abbracciarti, baciarti e prendermi tutte le porte in faccia che vorrai darmi, anche se preferirei che tu non optassi per questa opzione. –
Jonghyun lo baciò tra la chioma corvina. –Lascia che possa tenerti stretto e farti stare meglio. –
Sapeva che tutto ciò di cui Key aveva bisogno in quei momenti era sentire il suo amore ed il suo calore, nient’altro. Jonghyun poteva dargli tutto questo e, infondo, era tutto ciò che aveva.
Kibum appoggiò il capo al petto del più grande e respirò piano, socchiudendo gli occhi. Quanto gli erano mancate quelle braccia calde e rassicuranti nelle ultime ore! Stare separati era impossibile, Kibum percepiva sempre quel filo invisibile tirarlo verso Jonghyun. Si strinse più forte, come a recuperare quelle ore di sonno che non aveva passato al suo fianco e Jonghyun lo cullò per qualche secondo tra le sue braccia accarezzandogli il capo. Alla fine, Kibum sollevò il viso per incontrare gli occhi grandi ed ambrati dell’altro.
-Dovrò farmi perdonare –, disse Key.
-Ho qualche idea – sogghignò il più grande.
Key roteò gli occhi. –Scemo. –
Poi abbassò il viso leggermente arrosato. – Comunque, io devo ancora pranzare…potremmo farlo in stanza e prenderci un po' di tempo per noi. -
-Oh quindi vuoi farti rapire per il resto della giornata. –
-Magari sono io che voglio rapire te. –
-Prospettiva allettante -, fece Jonghyun fingendosi pensoso. – Come mai tutta questa insubordinazione? –
-Considerando che ho passato la nottata a lavorare…-
Jonghyun sbuffò. – Immaginavo tu l’avessi fatto. Non voglio interferire con il tuo lavoro, ma dovresti rilassarti. –
-Allora dovresti trovare un modo per farmi rilassare. – Gli sussurrò Key a fior di labbra.
 
 
***
 
Con i pugni stretti e l’espressione decisa Taemin misurò a grandi falcate i corridoi diretto all’armeria, dove era certo di trovare Minho. Mancavano meno di tre giorni al capodanno lunare e Taemin era stufo di aspettare, quello stupido spilungone non si era ancora degnato d’invitarlo! Così aveva deciso di seguire il consiglio della sua umma e prendere l’iniziativa.
 Sbuffò.
Non gli piaceva per niente, dopotutto ciò che Taemin desiderava era ricevere un invito sensato, non come quello che gli era stato rifilato al Chuseok! Dunque aveva aspettato nella speranza che l’altro iniziasse ad usare il cervello, ma niente! Nonostante fosse molto irritato riconosceva che il suo comportamento negli ultimi tempi, come la reazione che aveva avuto al Chuseok, non giocavano a suo favore, ma questo non dava a Minho il diritto di non invitarlo o dimenticarsi di lui!  Non solo, ad aggravare il suo malumore avevano contribuito anche la sua umma e quella testa vuota di Jonghyun! L’umore di Key era decisamente migliorato da quando, settimane addietro, l’aveva lasciato solo in biblioteca con Jonghyun. Quei due erano spariti per il resto della giornata guadagnandosi delle occhiatacce da parte di Jinki il giorno successivo, ma nonostante questo quegli scemi avevano deciso d’ignorarlo e, d’allora, spesso sparivano di punto in bianco. Qualunque cosa combinassero, e per Taemin non era molto difficile capire cosa, Key era meno nervoso e più rilassato contagiando di riflesso anche la sua dolce e stupida metà. Anche quella mattina era fuggito dalla sala comune per evitare di assistere alle effusioni di quei due. Se da un lato era molto contento per loro, dall’altro provava anche una fitta d’invidia. Era decisamente stufo di vederli tubare in continuazione, quando lui si disperava per un invito che sembrava non arrivare mai.
Infatti mi tocca fare tutto da solo! Si lamentò tra sé raggiungendo l’armeria.
Come immaginava trovò lì Minho. Il ragazzo più grande si muoveva nella penombra tra rastrelliere ed armi appese alle pareti, saggiando con mano e polso esperto delle lame.
Nonostante l’irritazione, Taemin si ritrovò a sorridere. Il più grande era totalmente concentrato e faceva passare ogni lama assicurandosi che il loro peso ed il loro filo fosse perfetto. Taemin sapeva che Minho adorava svolgere quell’incombenza. Per lui, Minho ero lo spadaccino più abile di Chosun e, con crescente stupore, l’aveva visto migliorarsi e perfezionarsi negli anni. Ogni volta che l’altro mulinava la spada destreggiandosi in movimenti complessi ed eleganti, s’accorgeva che sarebbe rimasto incantato ad osservare quella danza per ore. Minho era sempre stato per lui oggetto di ammirazione ed un punto di riferimento.
Però è scemo! Si disse annunciando la sua presenza tossicando irritato.
Minho alzò gli occhi da una spada che ripose su un ripiano ligneo vicino a lui. Il metallo tintinnò.
-Taemin. –
-Già-, fece il più piccolo, - sembra proprio che questo sia il mio nome -, disse con una punta di stizza.
Minho lo guardò di sbieco. Quella frase insensato non gli faceva presagire nulla di buono.
-Noi andremo alla festa insieme –, disse Taemin senza mezzi termini.
Minho represse l’istinto di grattarsi il capo. Era tremendamente confuso. –Se vuoi – si limitò a rispondere.
Taemin arricciò il naso, che razza di risposta era!?
E’ proprio scemo!
-Certo, perché non dovrei? –
-Beh -, fece Minho, - non mi sembravi molto entusiasta al Chuseok quando ti ho invitato. -
Ah e così è colpa mia, eh? Pensò Taemin. Non era per niente d’accordo! Se non era stato entusiasta era per la totale incompetenza del più grande nel fare inviti.
-E tu quello lo chiami invito? – chiese incrociando le braccia.
Questa volta Minho non si trattenne e si portò una mano al capo ravvivandosi i capelli. Era sempre più sconcertato.
-Andremo insieme –, ribadì Teamin prima di girare i tacchi ed andarsene.
Minho rimase per qualche secondo a fissare il vuoto nel punto in cui il più piccolo era sparito, prima di veder riapparire la sua chioma biondiccia.
-E vestiti bene! – disse Taemin.
Minho annuì di riflesso, poi sospirò. Davvero sembrava non esserci tregua all’anormalità.
 
 
***
 
-Credevo volessi rendere il mio inverno speciale, non ridurmi ad un cubetto di ghiaccio!- Si lamentò Key con voce leggermente acuta.
Alla fine, la notte del Seollal era arrivata portando con sé una gelata che probabilmente sarebbe passata alla storia negli annali del regno di Chosun. Nelle ultime settimane Jonghyun non gli aveva dato tregua, giurando che avrebbe reso quella giornata speciale e gettando Kibum nel panico. Se da un lato apprezzava lo sforzo e la dedizione di Jonghyun, motivo sufficiente a renderlo felice, dall’altro lato fatica a scrollarsi di dosso quel malessere che sembrava esserglisi appiccicato alla pelle. La verità era che al principe sarebbe bastato passere del tempo in compagnia del più grande senza pensare ad altro che a loro. Tuttavia, volente o nolente, fuggire dalla festa si era rivelato impossibile, il fervore che sin dal primo mattino aveva circolato per i corridoi del Rifugio era stato quasi palpabile ed ogni angolo addobbato per l’occasione. Il capodanno lunare era una festività molto sentita, dopotutto, e Kibum lo sapeva molto bene. A Soul i cerimoniali di corte erano infiniti quanto i banchetti che si susseguivano per tutta la giornata, culminando con i fuochi d’artificio allo scoccare della mezzanotte che illuminavano a giorno il cielo della capitale, facendo risplendere le cupole ed i pinnacoli dei palazzi dell’alta nobiltà. Anche al Rifugio la giornata era stata un continuo banchettare nella sala comune, i lunghi tavoli erano stati imbanditi con ogni genere di leccornia che il Leader teneva gelosamente nei magazzini per essere rivenduta o per le occasioni speciale e, dopotutto, il Seollal era a tutti gli affetti un’occasione speciale. Sale e corridoio erano stati adornati da filari di lanterne colorate che gettavano sulle pareti, abitualmente spoglie, ventagli di luci colorate.
Se all’inizio Kibum era stato scettico e sulle spine, alla fine la giornata si era rivelata perfetta a partire dalla colazione. Il profumo della cioccolata servita direttamente in camera da Jonghyun gli aveva dato il buongiorno, mentre ancora riposava al caldo accoccolato tra le coperte. Era stato tutto perfetto, peccato che a meno di due ore a mezzanotte Jonghyun si fosse fissato di uscire all’aperto e fargli cambiare idea era stato impossibile. Così, Kibum era stato costretto a cambiarsi, indossare l’hanbok corto più pesante che aveva, avvolgersi in mantello e sciarpa di lana ed uscire all’esterno. Ecco perché ora si ritrovava ad arrancare tra la neve alta costantemente percorso da brividi. Le spalle gli dolevano tanto erano impegnate nel tenere sollevata la sciarpa sino alla punta del naso, dato che non voleva saperne di rimanere su da sola, ed ossa e legamenti erano belli che andati per il gelo. Il principe si era ritrovato a maledire mentalmente Jonghyun che procedeva davanti a lui reggendo una lanterna spenta. Spentaaa!!!
L’ennesimo brivido percorse il corpo di Kibum facendogli rizzare i capelli. Lui, Kim Kibum ad arrancare nella neve di fine gennaio, una cosa folle! Se qualcuno glielo avesse predetto anni prima sarebbe di sicuro scoppiato a ridere.
-Aish! – , fece finendo in un cumolo di neve troppo alto e ritrovandosi immerso sino alla vita.
-Tutto bene? –, domandò tranquillamente Jonghyun lanciandogli un’occhiata oltre la spalla.
Certo, perché non gli bastava trascinarlo al freddo tra la neve alta, no, doveva pure procedere davanti a passo spedito!
-Tu che dici? – fece Key stizzito, le mani ai fianchi.
Jonghyun rise avvicinandosi per aiutarlo ad uscire dal cumulo di neve.
Kibum inarcò un sopracciglio. Adesso che cos’aveva da ridere?
Se fossi un principe normale, pensò, a questo punto ti aspetterebbe la forca, mio caro Kim Jonghyun!
-Devi seguire dove metto i piedi io, vedi? – fece Jonghyun indicando le sue impronte, - in quei punti la neve è più bassa e ghiacciata. –
Key arricciò il naso e soffio incrociando le braccia. Jonghyun gli tese la mano e, più infreddolito che mai, il più piccolo uscì dal suo cumulo di neve personale.
-Non fare i capricci –, lo rimbeccò il più grande.
-Io non faccio i capricci, sei tu che ad ogni festa decidi di portarmi nei posti più assurdi. Al Chuseok mi è toccato erba alta ed umidità, ora neve e gelo, mi domando cosa tu abbia in serbo per il solstizio d’estate! –
Jonghyun picchiettò l’indice sulla guancia gelata del principe. – Non mi sembra che il Chuseok ti sia dispiaciuto. -
Kibum sbuffò ed una nuvoletta bianca si condensò nell’aria gelida.
-Manca tanto? –, domandò fingendo d’ignorare la punzecchiata dell’altro.
Jonghyun scosse il capo sorridendo ed indicò un punto oltre agli alberi rilucenti di brina. – Lassù! –
Kibum sbirciò oltre i rami scheletrici e incrostati di brina, intravedendo una piccola collina, solo allora si accorse che non vi era solo gelo e neve all’intorno. La notte era limpida, rese ancora più luminosa dall’aria fredda. La volta celeste incombeva su di loro in un tripudio di grappoli di stelle diamantine, non un filo di nubi sbavava sulla tela perfetta che era quella notte invernale. La luna sorrideva lontana, una curva sottile e argentate, simile ad un veliero solitario nell’infinito blu del cielo. Da dove si trovavano l’Han era invisibile ma, chiudendo appena gli occhi, Kibum poteva immaginarlo nel suo eterno serpeggiare gelato da uno spesso strato di ghiaccio, luminoso e immoto. Con gli occhi ancora chiusi, sorrise appena rievocando la notte del Chuseok e tutto ciò che aveva portato. Era come tornare lì in una stagione diversa, in un tempo diverso, ma sempre lì dove “loro” erano iniziati. Il cielo blu e viola di quella notte lontana, che ancora conservava le ultime tracce di un sole tramontato oltre le colline, era stato sostituito da quello spazio infinito trapunto di stelle, le risate e la musica lontane che animavano il villaggio di Hanamsi ora lasciava spazio ad una notte silente e quieta che sapeva di confessione al chiaro di luna. Solo lo scivolare del vento tra i rami faceva tintinnare il ghiaccio come gocce di cristallo.
Il principe allungò il collo oltre il riparo della sciarpa, dimentico del freddo che sino allora l’aveva attanagliato. La collina biancheggiava all’orizzonte simile alla luna accidentalmente depositatasi sulla terra.
-Ohh. –
Jonghyun gli prese il mento costringendolo a guardarlo. – Questo “ohh” mi sembra d’averlo già sentito -, disse canzonatorio. – Quanto vorrei sentire meno lamentele e più “ohh”. -
-Yah – fece Key scostandosi.
Jonghyun sogghignò riprendendo a camminare e portandosi le mani dietro al capo.
-Povero micetto, me lo aspettavo, stai diventando prevedibile, scontato, ormai non c’è mistero che…-
Il più grande non fece in tempo a terminare la frase perché qualcosa di molto freddo lo colpì dritto in testa. Del ghiaccio gli scivolò tra gli indumenti costringendolo ad appellarsi alla propria abilità per evitare di rabbrividire.
-Yah! – proruppe voltandosi di scatto verso Key.
Jonghyun sbarrò gli occhi, massaggiandosi poi la testa. Di Key non c’era traccia, dov’era finito il più piccolo? Non poteva di certo essersi sciolto come un pupazzo di neve, per quanto avvolto in tutta quella lana ne avesse l’aspetto.
-Key? – disse con una nota d’allarme nella voce.
Non posso voltarmi un secondo che qualche pazzo me lo porta via!
-Key? –
Tra gli alberi soffiava un vento flebile ma gelato, lasciando presagire una nuova nevicata, rotolava trasportando tagliante nevischio ghiacciato. I rami cristallizzati tintinnarono all’intorno.
Non fece in tempo a pronunciare nuovamente il nome del più piccolo, perché una palla di neve spuntata dal nulla lo colpì in viso.
Una risata risuonò tra i tronchi degli alberi per poi smorzarsi all’improvviso, come soffocata.
Kibum s’appiattì dietro un tronco premendosi le mani sulla bocca e sbirciando Jonghyun impegnato a ripulirsi.
Jonghyun incrociò le braccia passeggiando all’intorno. – Vieni fuori micetto, potrei avere dei dolcetti in tasca, lo sai?  –
-Bugiardo! - miagolò Kibum.
Jonghyun sogghignò e guidato dalla voce di Key e dalle impronte che aveva lasciato tra la neve raggiunse il suo nascondiglio.
-Guarda un po', un micio gelato -
Key scivolò di lato prima che l’altro lo imprigionasse tra le sue braccia contro il tronco, lasciando Jonghyun di stuccò. Correndo tra la neve, il principe richiamò a sé la sua abilità e dei fili blu e neri iniziarono a vorticare sollevando fiocchi di neve che andarono a formare nuove armi da riversare contro il più grande. Diverse palle di neve saettarono in direzione di Jonghyun che le evitò per un soffio.
-Quindi vuoi la guerra, è così? –, domandò divertito Jonghyun, armandosi.
Per il più grande non fu una sfida semplice, perché Key poteva contare sulla propria energia e disporre di più colpi in una volta, mentre lui doveva fare tutto a mano. Tuttavia, anche Key fu costretto più volte a correre ai ripari.
I due corsero tra gli alberi destreggiandosi in quella battaglia di palle di neve improvvisata, intanto, più correvano più risalivano la collina.
Kibum raccolse a mano della neve e mordicchiandosi il labbro si preparò a prendere la mira, ma quando lanciò scivolò all’indietro ritrovandosi lungo disteso.
-Ahi!- si lamentò quando il suo fondoschiena toccò il suolo gelato.
Jonghyun lo raggiunse subito. –Stai bene? – chiese apprensivo.
Kibum si mise a sedere guardando l’altro di sottecchi ed un sorriso furbo balenò sulle sue labbra, afferrò la mano che Jonghyun gli porgeva e lo trascinò con sé tra la neve. Il più grande cadde su di lui smorzandogli il fiato per un secondo. Jonghyun si perse per un attimo negli occhi di Key animati dalle stelle che punteggiavano il cielo, le gote del più piccolo erano leggermente arrosate ed ansimava. Come attratto da una forza magnetica, Jonghyun posò le labbra carnose su quelle a cuore dell’altro.
-Dunque sono prevedibile, scontato…- cantilenò Key.
Jonghyun tornò ad impadronirsi delle labbra dell’altro baciandolo questa volta con passione.
-Ricordami di non provare mia più a sfidarti in futuro. –
-Perché? E’ così bello vincere. –
-Spocchioso. –
Si alzarono e ripulirono. Kibum si accorse di avere il fiatone e di sentirsi accaldato. La collina bianca sotto la neve e le luci notturne era splendida, emergeva dal nulla desiderosa di spiccare il volo e riappropriarsi dell’angolo di cielo dalla quale era stata rubata.
– Mi hai portato la luna –, disse guardando la cima della piccola collina, prima di voltarsi sorridete verso Jonghyun.
Jonghyun sorrise a sua volta, indeciso se per le parole o per il volto radioso di Key. Poteva solo dire con certezza che era meraviglioso quanto il paesaggio che li circondava in cui si fondeva completamente come un sogno.
-No-, fece prendendogli la mano, - io ti porto sulla luna. Vieni. –
Una volta in cima, Key guardò il paesaggio che si dispiegava a perdita d’occhio sotto di loro, era bianco, splendente e perfetto, un immenso mare biancheggiante modellato dal sorriso felino di una luna sottile. Le luci dei villaggi baluginavano all’orizzonte e quella lontana di Soul primeggiava su tutte, un falò rosso e arancione nel blu della notte. Le labbra del principe s’assottigliarono e guardò il cielo che li sovrastava in tutta la sua magnificenza. Alzò le braccia come a toccare le stelle.
-Cosa fai? – chiese Jonghyun divertito.
-Ora che sono sulla luna voglio prendere le stelle. –
Si sedettero e una bolla di calore fatta di riflessi dorati li avvolse. Kibum arricciò il naso.
-Perché non l’hai fatto prima?  Stavo gelando. –
-Perché volevo essere io a scaldarti. –
Jonghyun gli accarezzò il capo bagnato dalla neve. – Ma ora rischi di ammalarti. –
Dei bagliori dorati fluttuarono intorno al capo del principe e la sua chioma corvina si ravvivò all’istante.
-Detesti ancora l’inverno? –
Kibum scosse il capo, sorridendo. –No. –
Quella stagione, per quanto amara, ora aveva una nota dolce e calda che poteva percepire negli occhi ambrati di Jonghyun. Gli bastava guardarli per sentirsi avvolto dal loro calore rassicurante. Qualunque preoccupazione fosse stata sul punto si scorrere lungo le sue guance bianche, ora si era ghiacciata come il paesaggio all’intorno. Il suo cuore era un’alchimia di memorie ora dolci amare che risuonavano dentro di lui come un racconto d’inverno cantato nella notte.
-E’ splendido. Ora che sono con te sento che il freddo non può toccarmi. Aspetterò il prossimo inverno per passarlo ancora così e per guadare le nostre impronte impresse nella neve, le une di fianco alle altre, così saprò che siamo ancora insieme. –
Jonghyun gli accarezzò una guancia. – Sono contento che il mio regalo ti sia piaciuto. –
Kibum sorrise. - Tutto ciò che mi dai è un sempre un dono per me. Ogni carezza, ogni bacio – disse baciandolo. –Ti amo e mi sarebbe bastato passare questa notte al caldo tra le tue braccia. -
-Lo so, ma desideravo portarti qui. –
Jonghyun lo prese per spalle stringendolo a sé.
-In queste ultime settimane ti ho visto lottare in silenzio. Key-, fece prendendogli il viso tra le mani. – So che qualcosa ti turba. –
Kibum abbassò lo sguardo.
-Guardami -, disse Jonghyun sollevandogli il mento. – Non voglio, né ho mai voluto costringerti a parlare, ti conosco e ti rispetto al punto da considerare sacro il tuo silenzio. Tu non hai bisogno di frasi assillanti, di domande sciocche e vuote. L’ho capito subito, nel momento in cui ti ho raccolto morente sulla riva del fiume, il tuo volto gridava un bisogno disperato di amore e solo l’amore risana ogni giorno le cicatrici che nascondi. Desideroso solo avere la certezza di aver alleviato le tue preoccupazioni. –
-L’hai fatto. Per me sei come un faro la cui luce fende l’oscurità liquida e appiccicosa intorno a me. Io sono tuo e tu sei mio e questa consapevolezza mi regala ogni istante la certezza che ovunque io possa andare, ovunque il vento possa trasportarmi, quella luce palpitante riscalderà e rischiarirà sempre ogni cosa. -
Kibum gli sfiorò appena le labbra. –Jong, io… – fece titubante.
Lui voleva parlare, lo voleva più di qualunque altra cosa. Voleva solo la verità tra di loro, che fosse limpida e splendente come il cielo quella sera. Le parole di Jonghyun riuscivano sempre a riscaldare la sua anima, ma quella goccia di veleno tra loro era sempre lì, pronta a scorrere nelle loro vene sino a raggiungere i loro cuori e Kibum desiderava estirparla, lì, ora. Lo doveva a lui, a loro. Glielo doveva dire, doveva trovare il coraggio di donargli l’unica cosa che ancora custodiva gelosamente. Il suo nome.
-Non devi parlare se non vuoi –
-No, io voglio – devo, pensò, - parlare. –
Jonghyun lo baciò sulla fronte.
Kibum abbassò lo sguardo e si stropicciò le mani. Forse non poteva farlo, Jinki l’avrebbe scuoiato vivo, ma non gl’importava. Era stufo di mentire. Non credere nel perdono dell’altro era come dubitare del loro stesso amore e Kibum credeva nel loro amore, così come lo vedeva riflesso negli occhi ambrati di Jonghyun. Impose alle sue mani di rimanere calme, di muoversi solo per accarezzare il viso e asciugare le lacrime dell’altro se fosse servito. Lo guardò negli occhi e si umettò le labbra.
- C’è una cosa che voglio dirti da tempo…-
Continuare a tacere era come dare importanza a qualcosa che, in realtà, per Kibum non ne aveva. Non gl’importava da dove veniva, come non gl’importava da dove veniva Jonghyun, e il silenzio era ogni giorno più opprimente.
E’ un nome, si disse, è solo un nome. Un nome non cambia il profumo di un ciliegio, né il suo mi rende stucchevole quello del pesco.
-Per me non è facile parlarne, io ho cercato d’ignorarlo e fingere che non fosse abbastanza importante, ma se taccio è come mentire a me stesso e a te. Non voglio dare importanza a qualcosa che rappresenta un passato che mi sono lasciato alle spalle…-
Kibum sobbalzò, un boato sordo risuonò lontano e un lampo di luce squarciò la notte. Entrambi si volsero di scatto per guardare oltre quel paesaggio lunare dove, in lontananza, delle luci colorate animavano il cielo sopra Soul. Per quanto la capitale del regno fosse distante la notte era troppo limpida, l’orizzonte troppo libero ed il silenzio troppo innaturale perché lì, sulla loro luna solitaria, non giungessero i bagliori lontani ed i boati dei fuochi d’artificio che accoglievano festanti il nuovo anno.
La mente di Kibum fu inghiottita dai ricordi che risalivano ad un anno prima. La sala da ballo del palazzo reale smodatamente dorata nel suo sfarzo, i nobili in abiti lussuosi che volteggiavano sul marmo liscio e lustro. Lo scoccare della mezzanotte, le ampie vetrate che s’aprivano riversando vuote bambole di seta, merletti, perle e gioielli sulla terrazza del palazzo per ammirare quei fiori di fuoco nel cielo. Fuggire su quella terrazza era stato come tornare a respirare, evitare l’ennesima conversazione vuota, una liberazione se Heechul non l’avesse seguito tramutando quell’apparente momento di libertà e in un crescente disagio.
Gli erano sempre piaciuti i fuochi ed era felice, ora, di guardarli da lontano con Jonghyun. Il principe sorrise e la sua mano cercò d’istinto quella calda di Jonghyun per intrecciarle, ma la trovò fredda. Alzò lo sguardo e freddo gli risultò anche il viso dell’altro, solo gli occhi del più grande lampeggiavano irosi verso Soul.
-Li odio – disse Jonghyun.
Kibum fu percorso da un brivido e il tentativo d’intrecciare le loro dita si trasformò in sfiorare timido che si perse. Sapeva che non si riferiva ai fuochi, ma ai Kim, le fornaci ardenti sul viso di Jonghyun dicevano tutto.
-Forse alcune cose sono diverse da come le immaginiamo – disse Key con voce flebile.
-Sono i responsabili delle sofferenze di Chosun, non c’è molto da immaginare – disse Jonghyun, lo sguardo sempre fisso sull’orizzonte.
-Ma…-
Jonghyun lo guardò e s’addolci, anche il fuoco funesto che l’aveva animato sino a poco prima si stemperò in un tepore caldo e rasserenante.
-Sei solo tu ad essere diverso e speciale. – Avvolse il più piccolo in un abbraccio.
Kibum sorrise triste. Davvero non sapeva come reagire a quelle parole, erano una speranza e una condanna insieme.
Jonghyun lanciò un’ultima occhiata fugace all’orizzonte.
-Cosa volevi dirmi? –
Kibum deglutì, accorgendosi con orrore che non rimaneva più una goccia del coraggio che poco prima l’aveva indotto a parlare. Si strinse al più grande affondando il viso nel suo petto e percependo chiaro nel suo cuore il senso di colpa, perché sapeva d’aver perso l’attimo perfetto. Ma poteva esserci un tempo giusto? La verità, dopotutto, è una lama a doppio taglio, in qualunque momento venga estratta è sempre troppo presto e troppo tardi. Non era pronto e, amaramente, riconobbe che nemmeno Jonghyun lo era. Kibum ebbe il sentore che solo lo scorrere inesorabile degli eventi l’avrebbe costretto a percorrere quel sentiero impervio.
-Io ho odiato e provato rabbia in questi giorni –, si ritrovò a dire.
-A causa mia? –
Kibum scosse il capo, il viso sempre affondato nel petto dell’altro. –Odio la persona che sono stato costretto a chiamare padre perché ha ucciso mia madre. Il Seollal era la festa preferita di lei ed è anche il giorno in cui è morta. Desideravo dirtelo, ma mi vergognava di quello che provavo e…non mi piace parlare della mia famiglia. Vorrei solo lasciarmi tutto alle spalle senza essere mai costretto a guardarmi indietro. –
Una mezza verità che ora lo poteva salvare. Non stava mentendo, ma si rendeva conto che la sua parziale confessione celava altre verità che, anche quella notte, avrebbe custodito gelosamente.
Sentì Jonghyun stringerlo più forte, baciargli e accarezzargli il capo.
-Tutto quell’odio, quella rabbia, non credevo di poterli mai provare. Ho sognato e desiderato di ucciderlo e non so se mi spaventa di più la consapevolezza della rabbia per non aver dato seguito al mio intento o il solo fatto di pensarlo. Io non sono così innocente come credi. –
Jonghyun lo baciò tra la chioma corvina e lasciò che il suo fuoco si diffondesse nel corpo dell’altro perché, nonostante la bolla di calore intorno a loro, Key stava tremando. Anche lui provava quei sentimenti, li avevi provati tante di quelle volte che erano diventati compagni fedeli, meglio di chiunque altro comprendeva il turbamento di Key che andava al di là del semplice dolore per la perdita una persona cara. Non era facile accorgersi di saper odiare, perché i sentimenti forti fanno sempre paura. Key aveva davvero vissuto fuori dal mondo e Jonghyun lo immaginava relegato in un giardino dai cancelli dorati intrecciati in roseti profumati che lo nascondevano alla realtà. Un universo tanto perfetto quanto illusorio. Jonghyun era sempre più curioso di sapere da quale luogo assurdo l’altro provenisse, ma non osò chiedere perché sapeva che le sue domande avrebbero portato tristezza ed oscurato il viso di Key.
- Conosco ogni tuo più profondo sogno e desiderio, posso leggerlo sul tuo viso prima che tu apra bocca, ma più dei tuoi sogni vorrei conoscere i tuoi incubi e proteggerti. Non devi vergognarti di quello che provi, è umano, Key. Nel bene e nel male i sentimenti forti fanno sempre paura, ma sono parte di noi. Fidati di qualcuno ha provato tanto odio e tanta rabbia nella sua vita. –
-E tu li provi ancora? –
La voce di Key uscì come un sussurrò, simile ad un lamento lontano. Jonghyun annuì.
-Temo sia qualcosa di cui gli esseri umani non si libereranno mai. Ma io ho te. L’amore che provo per te è più intenso di qualunque odio abbia mai provato. Se io sono il tuo faro, promettimi che tu sarai sempre per me la lanterna che fluttua nella notte per indicarmi il giusto sentiero. –
Kibum accarezzò il viso dell’altro. –Jong, solo il tuo cuore può indicarti la strada giusta. E io penso che il tuo cuore sappia già ciò che conta. –
-Ma ho dato a te il mio cuore. –
Kibum si crogiolò nell’abbraccio dell’altro. Si sentiva perfetto tra quelle braccia calde e per nulla al mondo desiderava lasciarle. Sarebbe stato disposto a mutare anche in una statua di ghiaccio se ciò significava rimanere eternamente abbracciato a Jonghyun. Non faceva dell’odio del più grande una colpa, odiava guardando la desolazione e le ingiustizie che li circondavano ed odiava senza conoscere davvero. Tuttavia, non per questo gli faceva meno paura o male.
Jonghyun gli sollevò il mento con l’indice. –Il mio dolce fiore guerriero[2] –, disse teneramente prima di baciarlo sulla punta del naso.
Jonghyun prese la lanterna abbandonata a terra che si era trascinato per tutto il tragitto.
-La mezzanotte è passata, vuoi farla volare? –
Key annuì sorridente. Normalità, voleva solo normalità.
Una fiammella avvampò nel cuore della lanterna, poi il più grande la soppesò poco convinto guardando il cielo.
-Temo non ci sia abbastanza vento – disse sconsolato.
-Aspetta. –
Sorretta da luminosi filamenti blu e neri la lanterna s’alzo sino ad incontrare le correnti ascensionali e prendere il volo da sola. Un punto luminoso e fluttuante nel blu intenso della notte.
Key si voltò verso Jonghyun e lo baciò intensamente. Sarebbe rimasto Key ancora per un po'.
Solo un poco, pensò.
Forse il giungere della primavera avrebbe fatto sbocciare insieme ai fiori di ciliegio anche il suo coraggio.
Allungò di nuovo la mano verso quella di Jonghyun intrecciando le loro dita e scoprendola, ora, calda e confortante.
-Torniamo a casa? – gli chiese Jonghyun.
-Sì, torniamo a casa. -
 
 
Spero sia stata una lettura piacevole! Se riuscirete a trovare due minuti del vostro tempo per lasciarmi un commento mi farà molto piacere! Grazie e alla prossima!
 
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[1] Il Capodanno coreano, comunemente conosciuto come Seollal o Sŏllal, è la più importante tra le festività nazionali coreane, ed è celebrato il primo giorno del calendario lunare.
[2] Indica il fiore di ciliegio. 

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Capitolo 24
*** Capitolo 23. Devil ***


Ciao a tutti! Chiedo scusa per il ritardo, ma come vi avevo preannunciato i prossimi mesi saranno abbastanza impegnativi per me!
Come al solito inizio con una premessa. Questo capitolo è interamente dedicato a Siwon, Heechul e compagnia. Avendo ricevuto pochi commenti per l’altro capitolo che avevo trattato in questo modo (salvo la scena finale) non posso sapere se la cosa sia stata gradita o meno, spero quindi che la cosa non vi infastidisca. Ho deciso d’inserire questo capitolo sia perché scrivere le parti di Heechul mi diverte parecchio, sia perché mi sembrava doveroso a questo punto della storia in modo mettere le basi per i capitoli successivi.
Ringrazio chi ha inserito la storia tra preferite, seguite e da ricordare.
Un grazie speciale a chi mi ha lasciato i suoi commenti: Blugioiel, Chocolat95, DreamsCatcher, Ghira_, Gonzy_10, KimJonghyun23, MagicaAli, Panda_murderess, e vanefreya. Grazie per il vostro sostegno!
Un grazie ancora più speciale a MagicaAli che mi ha lasciato una recensione a tutti i capitoli che aveva in arretrato <3 Hai una pazienza infinita!
Negli ultimi tempi i commenti che mi lasciate mi danno l’ispirazione per costruire scene all’inizio non avevo programmato, quindi dedico la prima parte del capitolo a Saranghae_JongKey, capirai perché XD
Spero di aver eliminato buona parte degli errori di battitura.
Buona lettura a tutti!
 
 
Capitolo 23
Devil
 
 
“The stars show my fate
And now I desperately want you
All day, I’m in desire and despair,
Everything is just so amazing.”
Super Junior, Devil
 
 
Flashback, metà estate
 
Il caldo e l’umidità erano appiccicosi quanto le ragnatele che si erano incollate ai suoi abiti, ai suoi capelli e al suo viso. Era fradicio di sudore e riconosceva con orrore di avvertire un’ansia crescente prossima ad inghiottirlo, la percepiva nell’aria che respirava, nel fiato caldo dei cani che correvano ringhiando e stridendo i denti, era nel clangore metallico delle armi dei cavalieri alle sue spalle, nella corsa agile del principe davanti a lui. Incombeva su di lui come le fauci fameliche di un lupo, scintillanti in quel fogliame impervio e senza via d’uscita.
Siwon non si era mai sentito così impotente, inutile, perso, perché sì, erano persi in quella boscaglia labirintica fatta di rami pungenti e ragnatele che luccicavano fosforescenti, uniche luci malevole in quella notte tetra. Affrontare un esercito nemico, ritto su un campo di battaglia e con la spada in mano, gli avrebbe dato più conforto. Quello invece era un incubo, un incespicare insensato che sembrava non portarli da nessuno parte. Solo avanti e avanti, ma avanti dove? Aveva fine quel fogliame e se sì, dove conduceva?
I rami gli graffiavano il viso, tiravano e strattonavano come mani scheletriche ed artigliate. Guardò il principe davanti a lui correre, saltare tronchi ed evitare agilmente dei rami, ma i loro inseguitori erano ogni secondo più vicini. Non sarebbero mai riusciti a fuggire, erano persi in labirinto di rami pungenti che, insieme ai loro abiti, facevano a brandelli anche le sue speranze.
Che cosa ho sbagliato? Si domandò Siwon bloccandosi di colpo.
Come aveva potuto condurre il suo principe per quel sentiero impervio e senza via d’uscita? Si passò una mano tra i capelli sudati. Stava davvero fallendo e infrangendo un giuramento sacro al quale aveva consacrato la propria vita?
-Siwon? – la voce del principe giunse flebile, ansimante e stanca.
Siwon lo guardò voltarsi verso di lui, il viso arrossato e sudato per la corsa, i capelli appiccicati alla fronte ed il mantello ridotto ad uno straccio. La guardia del corpo ebbe un tuffo al cuore.
Con quale coraggio, no, con quale senso di irresponsabilità l’ho condotto sin qui?, si chiese.
Era stata una follia, l’aveva sempre saputo.  Tuttavia, alla fine aveva acconsentito, la voce accorata dell’altro, gli occhi lucidi quasi supplicanti, il vederlo ogni giorno sempre più stretto in un angolo solitario che man mano lo soffocava…non poteva più permetterlo. Era il suo protettore, dopotutto, non il suo carceriere.
Da tempo Siwon non sapeva più cosa fare per proteggerlo. Si sarebbe frapposto ad un esercito per lui ma cosa poteva fare contro le ombre, contro il senso d’oppressione e vuoto che divorava il suo lord da dentro? E cosa poteva fare contro il lord di Busan al quale il principe era stato promesso? Non aveva alcun potere contro di lui, né il diritto di difendere l’altro. Condurlo lontano poteva davvero essere l’unica soluzione. Tuttavia, innanzi all’ignoto che si dispiegava davanti e intorno a loro, con solo la certezza di ciò che avevano alle spalle, un brivido lo agitò come una foglia al vento. Si chiese se, alla fine, non avesse acconsentito per provare a sé stesso di mantenere fede al giuramento.
La sua mano cercò l’elsa della spada che teneva al fianco.
Ora, non vi era più nulla che potesse fare se non guardargli le spalle e sperare che il principe raggiungesse la fine di quel dedalo impervio, che seguisse il filo rosso del suo destino.
-Andate! – disse estraendo la spada, mentre Kyuhyun ed i suoi spuntavano tra i tronchi.
-Ma…-
Il principe lo fissò interdetto, gli occhi sgranati e prossimi al panico. Siwon lo vide mordicchiarsi il labbro e stropicciarsi le mani.
-Andate! – gridò spingendolo.
Il principe gli lanciò un’ultima occhiata prima di sobbalzare e sparire nella boscaglia.
Siwon divaricò leggermente le gambe in cerca di stabilità, si umettò le labbra e assottigliò gli occhi per fendere l’oscurità dilagante. La cosa più luminosa che incontrò fu il sorriso irritante di Kyuhyun che avanzava rilassato, quasi scivolando tra le ombre. Siwon fece per flettersi sulle ginocchia e alzare la spada quando una freccia sibilò nell’aria, volteggiò con orrore inseguendo ad occhi sgranati la traiettoria del dardo che correva in direzione del principe. Solo quando lo vide conficcarsi in un tronco il suo cuore riprese a battere ed il sangue a fluire nelle sue vene.
-Sei impazzito? – sentì urlare Kyuhyun isterico ad un cavaliere, -è il principe, vuoi forse ucciderlo? –
Kyuhyun tornò poi a rivolgergli la propria attenzione, i tratti isterici mutati in una maschera di compiacimento. Sollevò la lama puntandola verso di lui e Siwon strinse con più forza l’elsa della propria.
-Mandate avanti i cani e inseguitelo, forza! – ordinò Kyuhyun ai cavalieri, senza staccare gli occhi da Siwon.
Le iridi della guardia del lord di Busan lampeggiavano come quelli di un lupo, le labbra di ripiegate in un ghigno soddisfatto.
-Dovresti arrenderti – disse in tutta tranquillità. – Andiamo, non sarai così stupido da credere che questa fuga insensata possa portarvi da qualche parte, vero? –
Siwon non rispose, cosa avrebbe potuto dire? Erano in trappola o persi, oppure entrambi.
Con movimento agile e preciso si scagliò contro il suo eterno rivale. Delle foglie caddero dai rami all’intorno e dei rametti si spezzarono.
Quale modo migliore di dar seguito alle proprie intenzioni se non facendo danzare la spada? Siwon non aveva mai amato perdersi in chiacchere futili e preferiva di gran lunga i fatti.
Kyuhyun saltò all’indietro digrignando i denti, ruoto su sé stesso e, come Siwon si aspettava, non perse tempo nel mostrare la propria maestria.
Le loro lame mulinarono e fendettero l’aria alternando stoccate e parate. I loro piedi si muovevano sulla sterpaglia in movimenti prima lenti e studiati, poi complessi e simili ai passi di una danza frenetica sulle note del metallo cozzante.
Siwon scordò il ringhiare dei cani e le urla dei cavalieri. La sua mente era unicamente concentrata su Kyuhyun, le sue gambe rapite da quel balletto assurdo e gli occhi fissi sul brillio delle spade.
Poi bastò un urlo terrorizzato che s’alzò sulle chiome aggrovigliate degli alberi per infrangere la trance in cui era stato inghiottito. Sobbalzò, riconoscendo in quel suono la voce del principe e poi fu un attimo, un piede incapace di seguire quella danza mortale, la perdita del ritmo, le note metalliche che iniziano a stonare e perdersi nella notte. Un attimo e il sipario cala, la musica si fa ovattata e il silenzio riempie l’aria. Niente applausi, niente grida esultanti…dopotutto, chi esulterebbe mai per un ballerino che inciampa nei suoi stessi piedi, che scivola e cade gettando in ridicolo l’intera performance? Nessuno. Tutto ciò che sentì fu il freddo del metallo sul suo fianco, sostituito poi dal calore umidiccio e dell’odore pungente del sangue.
La voce dal timbro serpentino di Kyuhyun gli giunse alle orecchie insieme al suo fiato caldo ma, nonostante questo, un brivido lo percorse come se una lingua biforcuta gli sfiorasse il lobo.
-Un ballerino che non si regge sulle sue gambe è inutile. -
 
Fine flashback…
 
 
Il sobbalzare del veicolo a quattro ruote lo strappò dalle braccia di Morfeo e fu una condanna ed una consolazione al contempo. Il suo corpo riprese sensibilità, così spossatezza e testa martellante gli diedero il benvenuto nel mondo reale. Lentamente, Siwon aprì gli occhi e la luce che filtrava dalle tendine di velluto rosso della carrozza lo ferì quanto una stilettata. Qualcuno picchiò iroso sul tetto del veicolo. Era come essere rinchiuso sotto una campana di bronzo ed avere la sensazione che ogni colpo rintocchi nella propria testa.
-Fai attenzione -, gridò una voce che il cavaliere riconobbe essere quella di Kyuhyun.
Aish…, pensò Siwon mugugnando e massaggiandosi il capo.
Che cos’era accaduto? Ricordava la foresta, i cani e i cavalieri…e poi…
No no, pensò, questo è stato prima, molto prima.
Pian piano, la sua mente rimise insieme i ricordi come tante tessere di un puzzle e si domandò come un sogno, o meglio un incubo, per quanto reale potesse risultare così fuorviante al risveglio. Come poteva dimenticare i mesi passati nelle prigioni del palazzo reale di Soul, il caldo umido e soffocante dell’estate, l’aria sottile e fredda dell’autunno che aveva portato dalla feritoia della sua lugubre dimora i resti di foglie morte, mesi che aveva passato in catene, il torso scoperto percorso da sangue e sudore che, pian piano, era gelato in brividi? E poi era giunto quell’inverno gelido, il ferro arrugginito e graffiante delle catene si era assottigliato, il suo corpo sempre più magro era scivolato a terra per accartocciarsi in un angolo come un foglio di carta. La sua unica consolazione era stata una coperta pungente che lo riscaldava appena.
Infine, delle mani a lui sconosciute e rudi l’avevo tratto da quel buco fetido ripulendolo e vestendolo per poi gettarlo su quella carrozza.
Non aveva avuto né la forza, né la voglia di chiedere dove fossero diretti e per quanto ne sapeva poteva essere il patibolo la sua destinazione. Aveva contato i minuti, uno ad uno, per capire quanta strada avessero percorso, ma l’oblio l’aveva avvolto, lentamente ed inesorabilmente.
Ora, Siwon non aveva idea di quanto tempo fosse passato, tanto sospettava. Troppo perché fosse il patibolo la sua destinazione. Non sapeva se sentirsi sollevato o intimorito. La morte poteva essere una liberazione da quell’incessante martellare del capo, dalle membra spossate e dalle articolazioni doloranti. Inoltre, gli veniva in mente un’unica altra destinazione possibile...la prigione più temuta del regno, quella a cui erano destinati i peggiori assassini e traditori. L’inferno di Pyongyan[1] lo stava forse aspettando? E quale nauseabondo buco gli sarebbe stato riservato, un pozzo forse? Pareti alte e strette che lasciavano intravedere oltre una grata derisoria lo splendere di una luna ormai impossibile d’ammirare se non attraverso le sbarre?
-Vedo che ti sei svegliato – risuonò divertita la voce di Kyuhyun.
Siwon alzò lo sguardo e si mise a sedere composto. Kyuhyun l’osservava da sotto la frangia lunga, una mano che tamburellava sul ginocchio e l’altra rilassatamente posata sul davanzale della finestrina della carrozza.
-Non temere -, proseguì, - ti stiamo portando in un posto speciale. Il mio padrone si è premurato che tutto fosse preparato con cura in attesa del tuo arrivo. –
-Dove? –
Siwon stentò a riconoscere la propria voce, perché ciò che era appena fuoriuscito dalle sue labbra screpolate e sanguinanti sembrava più lo scricchiolare di foglie secche.
Un sorriso balenò sul volto dell’altro.
-Busan –
Busan, pensò Siwon. Quale assurdo piano avevano in mente per strascinarlo a Busan?
-Guarda – fece Kyuhyun scostando la tendina.
Siwon si sporse leggermente, la schiena dolorante.
Tornerò mai lo spadaccino di un tempo, si chiese?
Il profumo della salsedine l’investì in pieno. Sbirciò fuori schermandosi gli occhi con una mano. Un sole freddo e color platino osservava vigile il porto della città in pieno fermento. Il mare era placido, appena pettinato dal vento gelido che soffiava da nord, l’azzurro spennellato dalla spuma che scorreva sulla superficie, simile a sottili ricami di pizzo. Le navi erano rare in quella stagione e le poche attraccate impressionavano per dimensioni e magnificenza, le grandi vele bianche gonfie del profumo della salsedine e di una pungente brezza invernale.
La carrozza procedette sulla strada lastricata al ritmo degli zoccoli dei cavalli, risalendo la via principale. Siwon intravide, oltre le pagode lignee e colorate, svettare il sontuoso palazzo dei Kim di Busan, un tripudio di marmo e oro, pinnacoli e cupole lucenti che spezzavano l’azzurro terso del cielo.
Giunti davanti al portone si chiese se, davvero, Pyongyan non sarebbe stata una meta preferibile. Essere seppellito vivo in un buco a morire di stenti o essere usato per piani contorti di lord Heechul? Davvero era una scelta ardua ma, dopotutto, lui aveva ben poco da scegliere.
 
 
***
 
 
Un sospiro leggero fuoriuscì dalle labbra carnose del lord. Con gli occhi chiusi, i tratti distesi ed il corpo rilassato elegantemente adagiato su un’ampia poltrona foderata di velluto rosso, sembrava apparentemente addormentato e solo i movimenti molli della mano affusolata che scorreva sul pelo grigio lucido del felino, che faceva le fuse sulle sue gambe, tradivano il fatto che era sveglio. La mente di Heechul aveva, per poco, deciso di abbandonare il flusso contorto dei complotti che stava abilmente intrecciando in un nodo complesso ed affasciante. Voleva solo rilassarsi, lasciarsi trasportare dalle note suadenti emesse dalle dita piccole e sottili del giovane che suonava seduto a gambe incrociate su un cuscino di seta. Una musica dolce e sensuale capace di traghettarlo in un mondo onirico, dove tutti i suoi desideri erano appagati. Se teneva gli occhi chiusi poteva immaginare ciò voleva e, per incanto, le pareti della sua dimora mutavano in quelle del palazzo reale, le tende rosse e oro che drappeggiavano le ampie vetrate si tingevano di blu e argento, così come i tappetti e il mobilio. Le mani del giovane ai suoi piedi divenivano più eleganti, più abili, gli occhi più sottili e magnetici, le labbra più rosa, la chioma più corvina e la pelle più candida. Le labbra di Heechul s’inclinarono appena in un sorriso, mentre quelle mani aggraziate scivolavano sulle corde del kayagun[2].
-Mio lord –
La voce di Kyuhyun lo riportò in sè. Aprì lentamente gli occhi per godere di quegli ultimi istanti di piacere sublime, per scoprire, infine, che ogni drappo all’intorno, mobile e tappeto era rosso e oro, così come il cuscino di seta su cui il giovane ai suoi piedi era adagiato. In quello stesso istante la musica cessò, smorzandosi in un singulto strozzato e stonando con la perfezione di poco prima. Le iridi ambrate di Heechul incontrarono la figura elegante ai suoi piedi avvolta in un corto hanbok di seta blu appena sprezzato da ricami argento e oro. Quando il giovane alzò lo sguardo il sorriso di Heechul mutò in un lampo di disappunto, appena addolcito dal sorriso accondiscendente che lo seguì.
-Vai – gli ordinò con gesto annoiato della mano che, subito dopo, tornò ad accarezzare il gatto.
Heebum fece le fusa socchiudendo gli occhietti giallognoli.
Il giovane si alzò e sorrise con un misto di irriverenza e dolcezza appena simulata, s’inchinò e sparì oltre le porte dell’ampio salone.
Heechul arricciò il naso. Per quanto si fosse sforzato di addestrarlo, un gatto randagio non avrebbe mai potuto eguagliarne uno di razza. Quei sorrisi irriverenti non avevano alcuna eleganza e non accendevano in lui alcuna eccitazione, a meno che non fossero già impegnati in ben altre effusioni, e quei sorrisi dolci erano finti quanto l’apparente innocenza del giovane. Era come ammirare un campo fiorito da lontano, per poi avvicinarsi ed accorgersi che è solo erbaccia.
Non si può ricreare la perfezione, pensò.
Finalmente, il lord decise di concentrarsi unicamente suoi nuovi arrivati ed un sorriso divertito gli sfuggì a fior di labbra.
Kyuhyun era ritto in piedi nel suo completo rosso e oro che denunciava la sua fedeltà ai Kim di Busan, la mano orgogliosamente posata solo pomo della spada che pendeva al suo fianco. Non aveva un’espressione rilassata, ma Heechul riconobbe che i suoi tratti risultavano molto più distesi rispetto al solito. Dopotutto, il cavaliere aveva avuto ben poco di cui vantarsi negli ultimi tempi. Tutto ciò che aveva ottenuto dall’ultima missione degna di nota era stato portargli la conferma che il principe era prigioniero dei ribelli.
Heechul represse un verso di stizza. Una conferma importante, ma tutto sommato abbastanza inutile da rifilare all’imperatore, dato che già aveva utilizzato quella scusa per giustificare la scomparsa del principe. Il lord assottigliò gli occhi. La sua situazione a Soul diveniva sempre più precaria.
Spostò lo sguardo su Siwon e questa volta dovette utilizzare tutto il suo autocontrollo per non ridere. L’impeccabile guardia del corpo era ridotta ad uno straccio, gli abiti consunti e macchiati, la barba incolta ed i capelli scarmigliati. Sembrava un cane randagio. A vederlo così nessuno avrebbe mai detto che era, o forse era stato, la guardia del corpo dell’erede al trono. Tuttavia, oltre quella barba incolta, quel viso smagrito e le occhiaie profonde, ciò che stonava di più era l’assenza della sua fedele spada al fianco. I suoi occhi, invece, rimanevano inalterati brillando di una luce metallica e belligerante.
-Siete disgustoso – fece Siwon con voce alterata da mesi di mutismo.
Le labbra carnose di Heechul si deformarono in una smorfia, tuttavia si lasciò scappare una risata di fronte al puro ribrezzo trasparito dalle parole Siwon. Naturalmente, al cavaliere non era sfuggita la lieve somiglianza tra il giovane ed il suo principe, così come al lord non era sfuggita la momentanea esitazione e sorpresa dell’altro.
Heechul non poté fare a meno di trovare tutto molto esilarante.
-Sono un uomo innamorato – si ritrovò a dire in un sospiro.
-No, siete solo un uomo perverso. -
Il sogghigno di Heechul si tramutò in una smorfia. Sapeva essere immune agli insulti, ma questo era davvero troppo, soprattutto se era quel cane ad abbaiare! Quanto lo odiava! Ma gli serviva, ecco perché l’aveva fatto condurre lì.
Il lord strinse il bracciolo della poltrona, poi emise un sospiro e distendendo i nervi si alzò. Heebum saltò sul pavimento di marmo, accompagnato dal tintinnare della campanellina dorata appesa al collo, si strusciò sulle gambe del padrone e, leccandosi la zampetta grigia, iniziò a dedicarsi alla toilette mattutina.
Heechul incrociò le braccia e si umettò le labbra. – Dovresti essere più cortese con il tuo benefattore -, disse sospirando con finto rammarico.
Solo il leggero inarcarsi di un sopracciglio tradì il viso marmoreo di Siwon.
-Benefattore? – domandò poi, - mi avete fatto torturare a lasciato mesi a marcire in una cella. –
Heechul mise le mani avanti. – Perdono, perdono…vedi -, disse massaggiandosi le tempie, - sono una persona molto impegnata. –
Si picchiettò l’indice sulle labbra. – Temo di essermi scordato di te ad un certo punto. –
Siwon rimase impassibile. Rispondere alle pagliacciate del lord non aveva alcun senso, tanto meno gli interessava. L’aveva fatto condurre lì per una ragione precisa, contorta con ogni probabilità, ma certamente non per buon cuore dato che non ne aveva uno. Dimenticato di lui non era la definizione appropriata, divertito all’idea di saperlo rinchiuso, forse, o indeciso su cosa fare di lui, ma non dimenticato. Lord Heechul non dimenticava mai nulla, tanto meno se si trattava di una pedina che poteva usare a suo vantaggio.
Heechul allargò le braccia. – Ti offro la mia ospitalità. Decisamente meglio di una cella, dico bene? – disse accennando al lusso del palazzo.
Il cavaliere squadrò il lord, senza degnarsi d’ammirare il vasto salone che li circondava.
Il pavimento di marmo riluceva in un alternarsi di piastrelle bianche e rosse, le pareti erano intonacate di porpora ed impreziosite da sottili motivi dorati. Un grande camino di marmo bianco dalle spesse volute laterali riscaldava l’ambiente arredato con mobili ricercati verniciati d’oro, poltrone e divani foderati di velluto rosso, tavolini dai piedi leonini ed i piani impreziositi da intarsi in madreperla. Dei poderosi vasi di ceramica troneggiava ai quattro lati della sala rischiarata dalle vetrate ad arco che incorniciavano il porto, simili a grandi quadri prospettici drappeggiati da tendaggi porpora. Tutto sfavillava dei colori dei Kim di Busan e dello sforza che contraddistingueva la più alta nobiltà di Chosun.
 -E a cosa devo tutta questa…generosità? –
Per un attimo, quando aveva visto quel giovane, aveva creduto di aver ritrovato il suo principe. Per quanto saperlo a Busan gli avesse fatto stringere il cuore in petto, saperlo vivo gli aveva dato conforto. Tuttavia, aveva dovuto ricredersi e se da un lato ne era stato sollevato, dall’altro percepiva una profonda preoccupazione.
Heechul tornò ad incrociare le braccia passeggiando all’intorno con fare pensoso. Il suono dei suoi passi, per quanto leggeri, riecheggiò nella sala.
-Devo ammettere che ero molto adirato con te, ma riconosco che ogni tua azione è stata dettata dalla fedeltà che porti al tuo padrone. Decisamente ammirevole -, disse guardandolo negli occhi con approvazione.
Di nuovo, Siwon non tradì alcuna emozione.
-Tuttavia, ti sarai reso conto di quanto questa tua fedeltà abbia portato unicamente al disastro. –
Il cavaliere fremette invaso da un’ansia sottile, riconoscendo della verità nelle parole odiose dell’altro. Siwon era stato consapevole sin dall’inizio di quanto il piano di fuga del principe fosse pericoloso, ma malgrado i tentativi di persuaderlo l’eccessiva fiducia in sé stesso l’avevano portato a cedere. Poi tutto era precipitato. Da mesi sopravviveva nella completa ignoranza, una tortura ben peggiore di quelle che gli erano state fisicamente inflitte. 
Heechul scosse il capo e sospirò. – Oh povero Bummie -, fece affranto.
Questa volta Siwon non riuscì a trattenersi. Cos’era successo, perché lui era lì e del principe non vi era traccia, se non uno scadente surrogato per il diletto di quel pazzo?
-Dov’è, cosa gli è successo? – domandò serrando i pugni.
Heechul emise l’ennesimo sospiro afflitto e questa volta la furia di Siwon si rivelò incontenibile. Scattò verso il nobile afferrandolo per il colletto merlettato e sollevandolo di pochi centimetri da terrà.
-Parla! – gli urlò in viso prima di ritrovarsi la lama di Kyuhyun puntata alla gola.
Heebum soffiò artigliandogli le caviglie.
Siwon deglutì, la tempia pulsante e prossima da esplodere. Che cosa gli era preso? Era sempre stato calmo e controllato imponendosi di tenere sotto controllo il proprio istinto che, in quel momento, gli suggeriva di ridurre il volto ghignante di lord Heechul in una poltiglia di sangue ed ematomi.
Calmati, s’impose.
Lentamente lo lasciò andare. Heechul si spolverò la giacca di velluto rosso e ravvivò lo spumoso merletto del colletto, poi, come se nulla fosse, tornò a sorridere, benché il suo più grande desiderio fosse quello di vedere la testa si Siwon su un piatto d’argento. Ma l’aveva condotto sin lì per ammansirlo, renderlo collaborativo e fargli abbassare la guardia una volta ripreso Kibum e, come si dice, chi ben inizia è a metà dell’opera. Tuttavia non poté fare a meno di lasciarsi sfuggire una frase spezzante, seppur pronunciata in tono accondiscendente.
-Tutti quei mesi in quel “canile” e senza padrone ti hanno inselvatichito -, osservò, -ma non temere, ora che sarai mio ospite avrai modo di riprendere dimestichezza con le buone maniere. –
-Dov’è? – ripeté Siwon, - ditemi che è vivo. –
-Sua grazia è stato rapito dai Ribelli. –
Gli occhi di Heechul lampeggiarono di fronte al boccheggiare del cavaliere il quale si passò una mano tra i capelli scarmigliati.
-Ma è vivo, non temere -, disse sedendosi comodamente su un divanetto. –Quella plebaglia è molto più astuta di quanto molti non abbiano il coraggio di ammettere. –
Heechul accavallò le gambe e rilassò la schiena sui cuscini. Heebum saltò sulla testata del divano facendo le fusa contro il suo capo.
-Conoscono il valore dell’erede al trono, non si azzarderanno a fargli del male. -
-Hanno chiesto un riscatto? – domandò Siwon, serio.
Heechul represse un sorriso vittorioso, conscio di avere attirato l’interesse del cavaliere. Dopotutto, ora, non erano entrambi dalla stessa parte, non volevano la stessa cosa: Kibum vivo e tra le pareti sicure di un palazzo?
-No, ma non si lasceranno di certo scappare la possibilità di usarlo per i loro scopi abietti –, rispose.
L’ultima parola gli fece guadagnare un’occhiataccia da parte dell’altro.
-Come vedi sei stato sciocco ad assecondare il principe. –
Heechul allungò una mano verso il tavolino di fronte a lui e si versò del tè. Il liquido scivolò fumante da una teiera d’argento ad una tazzina altrettanto preziosa e raffinata.
-Oh, che sbadato – fece, - non mi sono nemmeno premurato di offriti del tè ed invitarti a sedere. –
-Potete tenervi il vostro tè e le vostre premure, desidero solo salvare sua grazia e assicurami che sia al sicuro -, disse Siwon tra i denti.
Il lord roteò gli occhi e si portò la tazza fumante alle labbra.
-Credevo di essere stato chiaro sulle buone maniere. Comunque -, proseguì aggiungendo una zolletta di zucchero al tè, - per una volta mi torvi d’accordo.  Nulla è più importante dell’incolumità di sua grazia. Il mio povero e dolce Kibummie deve essere terrorizzato, ma di questo non hai che da biasimare te stesso. –
Heechul gli rivolse un’occhiata obliqua per testare l’effetto delle sue parole sul cavaliere ed esultò silenziosamente tra sé. Siwon aveva un’espressione affranta e fissava il pavimento, perso nel suo triste riflesso sul marmo.
-Kibummie è come un bambino, capriccioso, infantile e tu hai assecondato i suoi desideri folli spuntati da tutti quei libri che leggeva. –
La guardia del corpo fremette dalla tentazione di frantumare il volto di quell’insopportabile damerino pieno di sé. Ma, soprattutto, il rendersi conto che quelle parole rispecchiavano un fondo di verità lo faceva infuriare ancora di più. Il principe era sempre stato immerso in un mondo diverso, tagliato fuori dal mondo reale e assorbito in uno fatto di libri, storie… Siwon allontanò un sorriso triste. Quei libri erano stati per l’altro la sua l’unica forma di evasione, gli unici compagni di giornate infinitamente solitarie. Lo vedeva chino sull’ennesimo volume, assorbito in carta e inchiostro come se potessero trasportarlo in un altro universo.
Siwon sapeva quanto il mondo fosse diverso da come il principe sperava, ma aveva sperato di essere al suo fianco quando l’avesse scoperto. Invece l’aveva perso.
Siwon alzò il capo, deciso. Non gl’importava se lord Heechul era una serpe dalla quale bisognava guardarsi costantemente, il principe era in pericolo e non aveva alcuna intenzione di starsene con le mani in mano.
-Se me lo permettete andrò a cercare i ribelli e lo riporterò a Soul. –
Heechul lo soppesò attentamente. Sapeva che il cavaliere avrebbe avanzato quella richiesta, ma non aveva alcuna intenzione di fargli una tale concessione. Per quanto far leva sui sentimenti di Siwon fosse da sempre rientrato nei suoi piani non poteva arrischiarsi sino a quel punto. Certo, mandarlo nei dintorno di Hanamsi poteva fargli risparmiare tempo, puntare sull’abilità dell’altro e sulla fiducia che il principe riponeva nella sua guardia, ma poteva anche rivelarsi un totale disastro. Cosa gli assicurava che una volta in salvo, Kibum non si rivelasse così testardo e sprovveduto dal non riconoscere l’assurdità della propria fuga e convincere Siwon a lasciare il regno?
Heechul si mordicchiò le unghie. No, non era disposto a correre un simile rischio. Siwon era utile, ma non così. Era una lama a doppio taglio che doveva essere maneggiata con estrema cura.
-No, non farai nulla di tutto ciò. Sarò io a preoccuparmi della mia dolce e capricciosa metà, tu starai qui come mio ospite in attesa del suo ritorno. –
Siwon lo fissò interdetto. La sua presenza lì continuava a risultargli assurda e questo non faceva che aumentare la sua preoccupazione e diffidenza.
-Perché mi avete condotto qui? – chiese alla fine.
Heechul si alzò e incrociando le braccia passeggiò per la sala.
-Per quanto ti ritenga irritante, sei pur sempre il cavaliere del principe e per Kibum sarà positivo riaverti al suo fianco. –
Heechul avrebbe desiderato mordersi la lingua, ma se voleva ottenere dei risultati doveva quanto meno fingere di sopportare quel cane.
Heechul non aveva ancora definito i suoi piani nel dettaglio, ma aveva da tempo raggiunto la conclusione che tenere in prigione Siwon era poco produttivo. Kibum non glielo avrebbe mai perdonato, tanto meno se il cavaliere fosse perito in una cella, e rivederlo lo avrebbe forse reso più malleabile e meno diffidente nei suoi confronti. Al fine di ottenere il favore di Kibum era uno sforzo che poteva compiere.
Dopotutto, pensò umettandosi le labbra, il piacere che potrei ricavarne sarà di gran lunga maggiore.
D’altra parte Siwon si sarebbe presto reso conto che aver tentato di condurre il principe fuori dal regno era stato un totale disastro. Inoltre, considerati i recenti sviluppi, sarebbero stati davvero degli sciocchi a riprovarci.
Heechul sperava che i mesi di prigionia rendessero entrambi più collaborativi e docili. Avrebbe offerto la sua spalla a Kibum per riprendersi da quell’esperienza traumatica e si sarebbe dimostrato accondiscendente con Siwon al fine di fargli abbassare la guardia. Un piano semplice e logico che avrebbe, lentamente, piegato entrambi al suo volere.
-Kyuhyun, conduci il nostro ospite nelle sue stanze. –
Ne aveva abbastanza di quella conversazione.
Tra i due cavalieri intercorse una silenziosa battaglia di sguardi, sembravano lupi pronti a saltare l’uno al collo dell’altro.
-Mi aspetto che andiate d’accordo – disse Heechul con una punta di divertimento.
Heechul si spostò verso l’ampia vetrata, unì le mani dietro la schiena e volse lo sguardo alla sua città. Finalmente, aveva di nuovo un po' di tranquillità. Il cielo era azzurro e splendente, il sole simile ad un disco platinato e gelido quanto l’aria che soffiava gonfiando le vele bianche accecanti delle navi ed i vessilli colorati sugli alberi maestri, piccole figure s’aggiravano per le strade, simili a formiche strette nei mantelli alla ricerca di un briciolo di tepore. I raggi quasi metallici del sole invernale s’infrangevano sul marmo dei palazzi della nobiltà e sulle tegole d’ardesia delle pagode laccata con colori sgargianti. Dall’alto del suo palazzo, Heechul poteva vedere tutto questo sino a perdersi nell’orizzonte blu e azzurro dove mare e cielo si fondevano. Una visione pacifica, calma, rilassante e capace di stendere i nervi più tesi, sarebbero bastate solo quelle note melodiose vibrate da mani eleganti per avvolgerlo, ancora, in un sogno ad occhi socchiusi. Tuttavia, non era quel panorama freddo e luminoso che voleva ammirare, né il suo sguardo vedeva davvero l’orizzonte appena sfumato da nubi bianche e sottili. In realtà era perso in visioni immaginarie che, poco a poco, lo calamitavano verso un desiderio sempre più irrefrenabile fatto di occhi calamitici che voleva possedere e domare, avvolgendoli in spire apparentemente benevoli e rassicuranti. Heechul non chiedeva di meglio, la sola idea di avere Kibum ai suoi piedi lo allettava parecchio e sperava davvero di non dover usare le maniere forti, sarebbe stato un vero peccato rinunciare alle fusa spontanee di quel micetto che agognava, ormai, in modo quasi ossessivo. Kibum gli apparteneva di diritto e intendeva riprenderselo per farlo finalmente suo. Non poteva più aspettare, ogni giorno era una tortura e la brama di possederlo sempre più forte al punto che lo sognava la notte, udiva la sua voce in un alternarsi di acido sarcasmo e miagolii ansimanti che solo lui doveva provocargli.
Un’ombra passò sul viso del lord. Non vedeva l’ora che l’inverno giungesse al termine per recarsi a nord e prendere in mano la situazione, se solo le strade lo avessero premesso si sarebbe già trovato da settimane su una carrozza in quella direzione. Dei solati che aveva mandato in ricognizione vicino ad Hanamsi non aveva più avuto notizie e ciò gli faceva presagire il peggio. Quei Ribelli erano astuti e molto più organizzati del previsto a differenza di ciò che molti nobili si ostinavano a sostenere. Heechul intendeva muoversi a nord con diversi soldati e prendere residenza ad Haehwan[3], il palazzo estivo riservato all’erede al torno, dove ufficialmente si trovava Kibum. La sua posizione strategica lungo l’Han, nei pressi di Hanamsi, lo rendeva un ottimo quartier generale dal quale agire, inoltre in qualità di promesso poteva facilmente giustificare la sua presenza lì.
 Ma doveva pazientare, sperava solo che la primavera giungesse presto. Intanto, aveva altri piani che richiedevano la sua attenzione a Busan e a Soul.
 
 
***
 
I giardini del palazzo di Busan erano forse i più curati del regno, se si escludeva quelli del palazzo reale. Nulla era lasciato al caso e anche dove la natura sembrava primeggiare o i sentieri si perdevano in curve complesse, quasi labirintiche, tutto era perfettamente studiato per conferire ordine logico. Ora, tutto pareva gelato, morto, ma poche settimana e finalmente i giardini si sarebbero tinti delle sfumature delle più di mille specie di rose che ospitavano. Anche Heechul non voleva lasciare nulla al caso, le sue trame erano come i sentieri di ghiaia gelata che si dispiegavano tra i roseti dormienti che, proprio come lui, attendevano la primavera per sbocciare in un prevalere di rosso scarlatto e profumi soavi. Heechul amava passeggiare per quei sentieri, seguirli era come rincorrere i fili intricati dei suoi pensieri che, spesso, sembravano correre davanti a lui senza dargli tregua. Così, in quelle situazioni si rifugiava lì per dare un senso logico ai mille fili che aveva teso ed uscire da quel labirinto che era la sua stessa mente.
Tuttavia, quel giorno non era solo e al suo fianco passeggiava un’altra persona i cui passi militareschi facevano scricchiolare la ghiaia ad un ritmo cadenzato e snervante.
Heechul alzò gli occhi al cielo che riluceva di riflessi perlati, mentre il sole giocava a nascondino tra nubi grigie dalla consistenza di veli sottili. L’aria odorava di neve, un fatto strano per una città costiera come Busan e relativamente calda anche nei mesi invernali. Heechul fu percorso da un brivido sia di freddo che di eccitante aspettativa. L’idea di vedere la neve scendere di Busan lo incuriosiva, ma per qualche strano motivo lo metteva anche in ansia, come se quel fatto strano presagisse qualcosa di funesto.
Il lord sorrise tra sé. Stava diventando paranoico.
Volse lo sguardo al colonnello dell’esercito imperiale di Chosun che camminava al suo fianco. Benché l’uomo non indossasse l’uniforme la sua ascendenza militare traspariva limpida come un ruscello di montagna. Posava rigido e ritto come un palo, lo sguardo duro e la mascella serrata, solo gli occhi tradivano un crescente lampeggiare.
-Dunque – fece il colonnello schiarendosi la voce, - se appoggerò la vostra posizione avrò quell’avanzamento e quei possedimenti, è così? -
Heechul era davvero indeciso: ridere o riservare a quell’uomo uno sguardo sprezzante? Probabilmente nessuna delle due opzione avrebbe giocato a suo vantaggio, così gli rivolse un sorriso rassicurante per poi rispondergli serio e pacato, l’unico vero linguaggio che i soldati comprendevano.
-E’ solito per me mantenere le promesse che faccio, colonnello Kang, soprattutto se coloro che ne devono beneficiare si dimostrano degni di fiducia. Voi siete sotto ogni punto di vista un uomo valoroso e degno di fiducia -, aggiunse.
Una buona dose di lusinghe era spesso l’arma migliore, infatti Kang gonfiò il petto con orgoglio.
Heechul provava un certo disprezzo. Tutti erano pronti ad accaparrarsi la propria fetta di torta a qualunque costo, ma nessuno dotato del fegato necessario per afferrarla da solo. Lui era diverso, sapeva ciò che voleva e intendeva prenderselo con ogni mezzo, facendo affidamento unicamente sulla propria astuzia e spregiudicatezza. Ma, dopotutto, quelli come lui avevano bisogni di gentaglia ambiziosa e sciocca per tessere le proprie trame, erano pedine necessarie ed Heechul non aveva alcun remore ad usarle come tali.
In segno di ringraziamento, l’uomo si profuse in un rigido inchino.
Heechul lo guardò di sottecchi unendo le mani dietro la schiena.
Il colonnello Kang ricopriva una delle cariche più alte dell’esercito imperiale e da anni attendeva una promozione e dei possedimenti dei quali non vedeva ancora l’ombra. Decisamente un uomo frustrato e sul piede di guerra. Heechul intendeva dargli tutto questo in cambio del suo appoggio. Avere un alto grado dell’esercito dalla propria parte non era di certo un vantaggio da sottovalutare.
-Il generale Yoon gode dei massimi favori di sua maestà, ma non si può dire lo stesso all’interno dell’esercito. I suoi metodi severi e le sue idee belligeranti verso il regno di Nihon l’hanno portato ad inimicarsi sia molti degli alti ufficiali, sia molti soldati semplici. Confido di trovare facilmente sostegno quando sarà il momento opportuno -, disse Kang.
Heechul annuì tra sé continuando a passeggiare. Una volta spirato l’imperatore intendeva ottenere l’immediato controllo della capitale e del palazzo di Soul, non poteva rischiare che il generale o qualche nobile troppo ardito che non aveva incluso nei suoi complotti approfittasse della situazione. Sarebbe stato un momento cruciale, soprattutto data l’assenza di una figura di riferimento a Soul. Il principe era lontano e lui intendeva trovarsi ad Haehwan nel momento stesso in cui l’imperatore fosse passato a miglior vita. L’unico modo per avere sotto controllo la situazione era ottenere la fedeltà dell’esercito e portare parte dei suoi soldati di Busan a Soul.
Il colonnello Kang era l’uomo che faceva al caso suo.
-Quando il nostro amato imperatore ci lascerà mi aspetto che voi ed i vostri sostenitori prendiate il controllo della città e del palazzo, vi invierò dei soldati da Busan a supportarvi. Non voglio correre il rischio che qualcuno approfitti della situazione per derubare sua grazia il principe e me della nostra posizione gettando il regno nel caos. Il regno di Nihon ci sta già sufficientemente con il fiato sul collo. –
Kang annuì.
Heechul lo fissò dritto negli occhi, della brama appena assopita che aveva brillato nelle iridi scure del colonnello Kang non vi era più traccia, solo un ghiaccio freddo ed inespressivo. Davvero l’uomo che faceva per lui, una macchina, una pedina fredda ed ubbidiente pronta ad eseguire i suoi ordini alla lettera.
-Quando la capitale sarà sotto il vostro controllo voglio che facciate sventolare lo stendardo dei Kim di Busan e quello del daegun[4] sulle mura di Soul. Voglio un messaggio forte e chiaro affinché tutta Chosun sappia a chi deve la propria lealtà. –
Il colonnello Kang s’inchinò, rigido, ma quando alzò il viso uno strano brillio tornò ad illuminare i suoi occhi freddi. Una lastra di ghiaccio colpita dai riverberi del sole al tramonto.
-Sarà fatto, mio lord. -
 
 
***
 
 
Il disagio non era tra la gamma di emozioni che Heechul era solito provare, odiava solo l’idea di potersi sentire in quel modo. Tuttavia, quella sera era proprio disagio ciò che provava, se lo sentiva addosso come un abito indossato all’occasione sbagliata, troppo grande o troppo corto o, peggio ancora, maldestramente abbinato agli altri capi. Heechul poteva contare sulle dita di una mano le volte in cui si era sentito impantanato in una situazione simile e la maggior parte di esse portavano la firma di due occhi felini.
Si trovava in uno dei locali più rinomati di Busan e, come spesso accadeva, si era fatto riservare una saletta privata che era stata adibita unicamente per il suo diletto, benché fossero stati gli affari a condurlo lì. Certo, affari che intendeva condurre nel modo più rilassato e piacevole possibile e con una buona dose di discrezione e, d’altra parte, la discrezione era una delle parole chiave per il successo delle case di piacere riservate all’alta nobiltà. Tuttavia, il disagio non lo abbandonava, rimaneva appiccicato alla sua pelle come stoffa bagnata. Non era lo sfarzoso stile tradizionale che si ammirava in ogni angolo della sala a farlo sentire fuori posto, no, dopotutto per uno come lui il lusso non poteva che metterlo a suo agio. Non era nemmeno il lungo hanbok che indossava, infondo la seta è sempre seta e quella del suo abito riluceva per la preziosità del filato, i motivi in filigrana d’oro ed il colore rosso al quale non rinunciava mai. No, a mettergli agitazione era il motivo dei suoi affari. Non l’avrebbe mai creduto possibile, ma l’avvicinarsi del momento fatidico in ci avrebbe raccolto i frutti della sua ambizione lo metteva sulle spine. Che fosse in realtà l’emozione della trepida attesa ad agitarlo davvero?
Comodamente adagiato su dei cuscini foderati di seta dai colori più svariati, Heechul decise d’ignorare quell’accartocciarsi di viscere che avvertiva nello stomaco. Tentò di concentrarsi sul gruppo di kisaeng che volteggiavano davanti a lui eseguendo il geom-mu[5], muovendosi leggere in uno svolazzare di lunghi abiti e mulinare di spade.
Chiuse lentamente gli occhi e sospirò. Rilassati, si disse.
Prese una tazzina di ceramica fumante di tè al ginseng e la portò alle labbra sorseggiando lentamente. Il suo giovane amante sdraiato vicino a lui si stirò tra i cuscini e si mise a pancia in giù, le mani sotto il mento, e rivolse uno sguardo annoiato alle danzatrici. Heechul affondò le dita affusolate tra la chioma scura dell’altro, accarezzandolo piano. Il giovane fece le fusa sotto il suo tocco e gli rivolse un sorriso tenero. Ogni cosa in lui era falsamente costruita ad arte, tuttavia Heechul sorrise a sua volta. Era sufficientemente magnanimo d’apprezzare lo sforzo, dopotutto per il momento doveva accontentarsi. Continuò ad accarezzarlo distrattamente, finché il sopraggiungere della persona che attendeva catturò tutta la sua attenzione. Le danzatrici furono congedate ed il giovane si mise a sedere iniziando a destreggiarsi con l’haegum[6]  diffondendo una piacevole musica di sottofondo.
Il nuovo arrivato s’inchinò e prese posto davanti ad Heechul, non prima che il lord gli concedesse il permesso.
Heechul si umettò le labbra e squadrò l’uomo. Piccolo, leggermente ricurvo ed il volto segnato da una cicatrice sottile che gli attraversava la guancia destra confondendosi tra le rughe. Heechul non aveva mai saputo dargli un’età, probabilmente meno del previsto e, a dirla tutta, il lord non era nemmeno certo che quello fosse il vero volto dell’uomo. Esistevamo molto modi per camuffarsi, soprattutto se si svolgevano delle attività redditizie e pericolose come quelle di quel tale, Choi Chi-su. Nonostante l’apparenza bastava fissarlo attentamente per accorgersi dello sguardo astuto e spregiudicato incorniciato da occhiaie da palpebre pesanti e rughe sottili simili a rami di un albero. Benché l’uomo fosse ufficialmente il padrone di un negozio di tè, quello era lo sguardo di un assassino. Ed era proprio per esserlo a sua volta che Heechul l’aveva convocato. Oh, naturalmente Heechul non aveva alcuna intenzione di sporcarsi le mani direttamente. Dopotutto il sangue non si lava facilmente. Ecco perché Choi Chi-su faceva al caso suo. Oltre al tè, l’uomo vendeva nel suo retro bottega veleni e sicari, armi che il giovane lord non poteva che apprezzare. La prima, se si sceglieva quella giusta, era inodore, insapore e, soprattutto, niente sangue, solo un corpo morto e freddo tanto inutile per sé stesso quanto infinitamente proficuo per i vivi. Almeno per lui. La seconda gli faceva arricciare il naso, nonostante l’odore pungente del sangue non sarebbe giunto direttamente a solleticare le sue narici. Ma d’altra parte c’erano mali che andavo estirpati come il cancro.
L’uomo puntò gli occhietti scuri sul lord, carichi di aspettativa tanto quanto quelli di Heechul.
-Avete portato quanto vi ho chiesto? – domandò Heechul.
L’uomo sogghignò prima di chinare il capo in modo ossequioso.
Viscido, pensò Heechul. Non amava mischiarsi a gentaglia tanto bassa, ma per ottenere ciò che desiderava era necessario.
-Ho trovato qualcosa, mio lord, che fa sicuramente al caso vostro. –
L’uomo infilò una mano nell’ampia manica dell’hanbok e ne estrasse un’ampolla di vetro colma di un liquido bluastro. Heechul assottigliò gli occhi e la fissò intensamente, perdendosi nei riflessi scuri del liquido. La sua agitazione aumentò.
Dunque, pensò, è con questo che farò esalare l’ultimo respiro all’imperatore.
Gli parve di udire dei tamburi rimbombare lontano, ma solo quando si portò una mano al petto s’accorso che era il suo cuore. Sfiorò con i polpastrelli il vetro dell’ampolla trovandolo gelido. Per qualche strano motivo di era aspettato di trovarlo caldo e pulsante quanto l’eccitazione che pompava nelle sue vene. Infine, la prese tra le mani rigirandola. Più fissava le venature blu e nere del liquido più l’immagine di lui sul trono di Chosun acquisiva limpidezza nella sua mente, come se assistesse personalmente ad una scena che ancora doveva compiersi. La sala del trono in un tripudio di luce e oro ghermita di nobili in lussuosi abiti cerimoniali e lui, finalmente, seduto sul trono di Chosun con Kim Kibum al suo fianco, le loro mani inanellate intrecciate sul bracciolo d’oro e madreperla. Una visione sublime che condensava in un unico immaginario colpo d’occhio ciò che più bramava.
A stento represse una risata, ma un sorriso soddisfatto balenò comunque sulle sue labbra carnose come un lampo. Tornò a fissare l’uomo.
-Parlatemene -, gli ordinò.
Choi Chi-su annuì ripiegando il capo da un lato e schiarì la gola.
-Bastano poche gocce. I sintomi del veleno si manifestano circa ventiquattro ore dopo la somministrazione, i sintomi sono quelli di un’influenza. –
Heechul inarcò un sopracciglio. Influenza? Stava di certo scherzando…gli serviva un veleno mortale.
L’uomo dovette intuire le sue perplessità perché sogghignò, come se si fosse aspettato di dover rispondere a delle domande.
-Non temete, il veleno è assolutamente mortale. Non c’è rimedio, apparirà come una semplice influenza, ma la vittima designata perirà nel giro di pochi giorni. –
Heechul si accarezzò il labbro inferiore con l’indice. Quindi un veleno impossibile da individuare. Choi Chi-su aveva fatto un ottimo lavoro portandogli esattamente ciò che gli serviva. Inoltre, considerando le tempistiche del veleno avrebbe avuto tutto il tempo di somministrarlo all’imperatore e lasciare Soul prima che facesse effetto. La notizia della morte del sovrano l’avrebbe raggiunto ad Haehwan nei giorni successivi. Non c’era il rischio che qualcuno potesse far cadere i sospetti su di lui, se non i suoi segreti sostenitori che avevano tutto l’interesse nel tenere la bocca chiusa.
-Ho un’altra cosa per voi -, aggiunse Chi-su estraendo un’altra fiala.
Questa volta un’ampolla verdognola scintillò tra le mani dell’uomo. –Mi avevate chiesto altro stramonio[7], questa è una nuova varietà e viene direttamente da Nihon. Inodore, insapore e soprattutto -, aggiunse con una punta di soddisfazione, - chi lo assume non si accorge di nulla. Niente senso di stordimento, né abbassarsi dei riflessi, percezione dell’udito o dei colori. Nulla. –
Heechul si umettò le labbra e questa volta afferrò l’ampolla titubante, quasi indeciso sul da farsi, poi si morse il labbro. Rimase stupito della sua insicurezza, da quando si era posto dei limiti? Mai. Sensi di colpa, nemmeno. Eppure ora avvertiva quel senso di disagio farsi più acuto. Era indubbiamente un’arma notevole che poteva tornargli utile, anche se sperava non si rivelasse necessario.
Spero davvero di non essere costretto ad utilizzarla su di te, Kibummie.
Sorrise tra sé, davvero stava diventando troppo sentimentale.
Tornò di nuovo a fissare l’uomo ed i suoi occhi si fecero duri, brillando appena di un fuoco latente.
-Sei ancora in contatto con quei sicari di Ming? –
Choi Chi-su sorrise viscido e annuì. – Certamente. –
-Ho un lavoro per loro – disse Heechul quasi in un sibilo, senza staccare gli occhi dall’altro.
Era un problema che andava risolto e più si avvicinava il momento della sua ascesa la trono, più agire diventava necessario. Doveva estirpare quel cancro sul nome della sua famiglia una volta per tutte, reciderlo con lame calde e taglienti.
- Saranno onorati di ricevere un incarico da sua grazia. –
Heechul ignorò la vuota lusinga dell’uomo e rivolse un’ultima occhiata alla fiala di stramonio che teneva in mano, facendola poi sparire negli abiti in un verde palpitare.
-C’è un giovane con l’abilità del fuoco che si aggira nei pressi del villaggio di Hanamsi, opera con quelli che si fanno chiamare Ribelli. –
Quali che fossero i pensieri dell’uomo ad udire quelle parole nessuna emozione trasparì dal suo viso rugoso. Choi Chi-su si limitò ad arricciare il labbro superiore e ad aggrottare la fronte solcata da dune alte e scoscese, un deserto riarso quanto la sua anima.
–Potete fornirmi una descrizione? –
Heechul non conosceva i tratti del suo fratellastro, né ci teneva a conoscerli. Purtroppo non aveva risposte da dare, anche riferire quel semplice dettaglio dell’abilità gli era costato molto, benché non avesse dubbi sull’indiscrezione dell’uomo. L’aveva pagato troppo profumatamente perché si azzardasse a fare un passo falso con lui, senza contare che aprire la bocca sarebbe stato dannoso per i suoi stessi affari.
-Non è molto su cui lavorare…certo l’abilità è un tratto fondamentale, ma dubito che il ragazzo vada in giro a mostrarla tanto facilmente. –
-Abbastanza da potere essere rintracciato –, insistette. Heechul digrignò i denti.
Choi Chi-su scosse il capo. – Avete un nome? –
Un nome?, pensò Heechul cercando di fare mente locale.
-Vedete, i nomi sono fondamentali. Volente o nolente si appiccicano come parassiti alle persone che li portano, non c’è modi di sfuggirvi. –
Heechul sospirò e chiuse gli occhi, lasciando che la sua mente venisse trasportata dalle note melodiose che scivolavano eleganti tra le dita del suo giovane amante.
Un nome, un nome spesso poteva essere una condanna per chi lo portava, una macchia indelebile. Tornò indietro nel tempo e si ritrovò in quella stanza buia e dall’aria pesante. Rivide suo padre morente adagiato sul letto alto, una figura esile che si perdeva tra cuscini e lenzuola, lo scheletro dell’uomo che era stato. Le tende scarlatte del baldacchino ormai tinte del nero funereo della morte che, da giorni, strisciava indisturbata impregnando con il suo miasma tutto ciò che incontrava. Heechul aveva odiato far visita a quella stanza, era una tomba dove solo i singulti e gli spasmi, che fuoriuscivano dalle labbra secche e tagliate di quello spauracchio di stracci che l‘abitava, rammentavano che vi era ancora un alito di vita. Erano state proprio quelle labbra a pronunciare quel nome, parole flebili e stiracchiate come il suono del vento tra i rami disadorni.
-Kim Jonghyun – sussurrò Heechul a fior di labbra, lo sguardo perso sul danzare delle dita del giovane.
Alla fine alzò gli occhi e tornò a fissare l’uomo. – Kim Jonghyun –, disse con voce chiara.
Gli occhi di Heechul iniziarono a bruciare come carboni ardenti.
-Voglio Kim Jonghyun morto, che il suo nome ed il suo ricordo si perda nei venti del tempo come se non fosse mai nato. –
Come se la sua esistenza non avesse mai macchiato di vergogna il nome dei Kim di Busan, aggiunse mentalmente.
L’uomo annuì e le sue labbra di deformarono in una crepa contorta su un tronco nodoso. Un sorriso, forse?
-Consideratelo già fatto. –
I bracieri ardenti di Heechul s’indurirono. – Nulla è fatto finché non si vedono i risultati e questa storia sarà conclusa solo quando avrò la testa di Kim Jonghyun tra le mani. -
 
 
 
 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, se vorrete lasciami un commento vi ruberà solo due minuti di e migliorerete la mia giornata! Per me è importante sapere cosa pensate!
Grazie e alla prossima!
 
 
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[1] Prigione di massima sicurezza all’estremo nord del regno di Chosun.
[2] Strumento tradizionale simile ad un’arpa.
[3] Luce del Sole.
[4] Il principe reale, traducibile col titolo di "gran principe del sangue".
[5] Danza tradizionale con le spade.
[6] Strumento tradizionale costruito con il legno di bambù, produce una melodia simile a quella di un violino.
[7] Sostanza che annulla temporaneamente le abilità. 

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Capitolo 25
*** Capitolo 24. Dynamite ***


Ciao! Chiedo scusa, sono un po' in ritardo. Purtroppo sono molto impegnata in questo periodo e considerando che i capitoli che scrivo negli ultimi tempi superano sempre le venti pagine la cosa non aiuta T.T
Ringrazio chi ha inserito la storia tra preferite, seguite e da ricordare.
Un grazie speciale a chi mi ha lasciato i suoi commenti: Blugioiel, Chocolat95, DreamsCatcher, Ghira_, Gonzy_10, KimJonghyun23, MagicaAli, Panda_murderess, Saraghae_JongKey e vanefreya. Grazie per il vostro sostegno!
Chiedo scusa in anticipo per possibili errori di battitura che, nonostante le continue riletture, non sono riuscita ad eliminare.
Buona lettura!
 
Capitolo 24
Dynamite
 
 

“Dynamite mite, I am all over the place
I can’t hide my burning heart anymore
I have sufficiently, hey (You!) fallen for you
I melt you with my light
The countdown is on my side in the end
I put my everything into it and send it to you
I will run to you (you!) and hug you
And go above to the sky, feel it”
Shinee, Dynamite
 
 
Seduto a gambe accavallate sulle gradinate rocciose intorno all’arena degli allenamenti, Jinki osservò pensieroso gli altri quattro. Minho e Key si stavano allenando con la spada, mentre Taemin e Jonghyun si esercitavano con la loro abilità. Il Leader incrociò le braccia e corrugò la fronte.
Negli ultimi tempi si sentiva come una bomba ad orologeria pronta ad esplodere. Un ticchettare snervante lo inseguiva imperterrito…tic, tac, tic, tac…Non gli dava tregua e Jinki sapeva che doveva assolutamente prendere una decisione. Tormentato da quell’insistente ticchettare, il Leader si era ritrovato a rimpiangere quei giorni di tranquillità che avevano scandito la vita del Rifugio poco meno di un anno prima. Una volta era stato tutto più semplice, non aveva mai esitato, ora era diverso. I suoi pensieri altalenanti erano costantemente scanditi da quell’orologio invisibile. Jinki non aveva idea di quando sarebbe esploso, ma non intendeva rimanere passivo.
Riscosso dai colpi delle canne di bambù che Minho e Kibum utilizzavano per allenarsi, Jinki smise di fissare il vuoto che per qualche secondo sembrava averlo inghiottito. Con un movimento stizzito della mano allontanò il ticchettare che gli rimbombava nelle orecchie. Doveva prendere una decisione e doveva farlo ora, il tempo incalzava se desiderava agire con il sopraggiungere della primavera, fosse stato anche solo per mettere fine a quella sensazione snervante che lo faceva sentiva un bomba prossima all’esplosione.
Si alzò di scatto raggiungendo l’arena e, non appena posò un piede sul pavimento sabbioso, gli occhi degli altri furono calamitati nella sua direzione. Jinki li soppesò uno ad uno, infine parlò con voce autoritaria e chiara.
-Taemin, Minho per oggi basta così. –
I due si guardarono perplessi, era solo primo pomeriggio e di solito lasciavano l’arena solo per cena.
-Jonghyun, Key, voi inizierete i vostri allenamenti. –
Jonghyun sgranò gli occhi reprimendo a stento un verso di protesta, mentre Taemin faceva una linguaccia nella sua direzione. Solo l’avvicinarsi di Key impedì al più grande di dire a quella peste ciò che pensava di lui. Jonghyun guardò il suo compagno riporre la canna di bambù e mettersi al suo fianco fissando Jinki, curioso e titubante insieme. Jonghyun corrugò la fronte, Key aveva la fronte imperlata di sudore ed era già molto stanco, inoltre sapeva che si era svegliato nel cuore della notte per sparire nel suo studio. Scosse il capo, non andava bene. Jinki aveva sicuramente in mente qualcosa di assurdo e tutt’altro che rilassante.
-Cosa dobbiamo fare, hyung? – chiese subito Jonghyun, diffidente.
Se doveva lasciarci le penne tanto valeva sapere di che morte morire. Lanciò un’occhiata di sbieco a Key che, per quanto stanco, aveva lo sguardo vigile e attento. Represse un sorriso e spostò nuovamente l’attenzione sul Leader.
-Quello che voglio da voi -, disse Jinki, - è che uniate le vostre abilità. –
Jonghyun si grattò il capo e guardò Key con aria sconcertata, subito ricambiata dal più piccolo.  
-Credevo fosse fattibile solo con un legame di fratellanza[1] e non è detto che vi si riesca -, osservò Key incrociando le braccia e spostando il peso da un piede all’altro.
Kibum sapeva che Jinki progettava qualcosa di grosso, ma l’affermazione del Leader lo fece fremere. Cosa aveva davvero in mente Lee Jinki? Iniziò a sentirsi sulle spine. Non era cosa da poco quella che stava chiedendo loro e, se davvero il Leader voleva agire con il giungere della bella stagione, il tempo era loro nemico in partenza. Li aspettavano settimana di dure…sempre che riuscissero a ricavarne qualcosa.
Jinki lo soppesò per qualche secondo, poi sorrise rassicurante, o almeno credette di farlo perché Kibum avvertì un brivido percorrergli la schiena. Che avesse abbassato totalmente la guardia troppo presto? Non voleva nemmeno pensare ad un’eventualità simile. Si fidava di Jinki, aveva da tempo deposto ogni forma di diffidenza nei suoi confronti, tuttavia non riuscì a sentirsi rassicurato.
– E’ vero, ma voi condividete un legame speciale – disse Jinki passeggiando avanti e indietro.  –Ce la farete, dovete farcela-, aggiunse fermandosi e stringendo i pugni.
Jinki puntò gli occhi duri e lampeggianti di determinazione sui due. Era fondamentale per la riuscita della missione in cui intendeva trascinarli.
-Voi condividete un legame molto più forte -, sussurrò, di nuovo, quasi più a sé stesso.
Jonghyun incrociò le braccia e annuì con orgoglio, prima di grattarsi il capo con fare poco convinto.
-Esattamente che cos’è un legame di fratellanza? –
Kibum roteò gli occhi. Prima giocava allo scimpanzé con il casco di banane e un secondo dopo poneva domande tanto stupide.
Aish, imprecò il principe tra sé.
Come poteva quella testa vuota di Jonghyun non sapere cosa fosse un legame di fratellanza?
-E’ una sorta di patto che viene sancito tra membri di famiglie nobili –, iniziò a spiegare incrociando le braccia.
Jonghyun s’irrigidì percependo una nota di stizza nelle parole del più piccolo. Non era mai un buon segno.
-Tipo un matrimonio? – chiese, cauto.
-E’ diverso -, disse Key lasciando trasparire un certo fastidio.
 Il legame di fratellanza era qualcosa di molto forte e speciale e parlarne lo metteva a disagio. Nel mondo dell’alta nobiltà le unioni venivano decise a tavolino per soddisfare le ambizioni delle famiglie, Kibum aveva sempre ritenuto che obbligare qualcuno a stabilire un vincolo così intimo era terribile, eppure nessuno sembrava preoccuparsene.
- Un legame di fratellanza comporta uno scambio continuo di emozioni tra i due soggetti coinvolti, anche a notevoli distanze, ciò significa che se ad esempio uno dei due viene ferito o prova piacere, anche l'altro prova la stessa sensazione, anche se in maniera più attenuata. –
Jinki aveva annuito di fronte alla spiegazione esaustiva di Kibum.
-Non capisco il nesso con le abilità – insistette Jonghyun.
Key roteò di nuovo gli occhi. Com’era possibile che non sapesse nulla? Certo non era un nobile, ma aveva un’abilità!
Irresponsabile, pensò arricciando il naso.
-Solo chi possiede un’abilità ha la facoltà di stringere un legame di fratellanza. Sono le abilità a legarli e una volta stabilito il legame il loro potere aumenta. Più è forte l’abilità di un compagno, più quella dell’altro viene amplificata. –
Kibum si era poi rivolto a Jinki. – Non capisco come potremmo riuscire ad unire le nostre abilità senza un legame di fratellanza a supportarci. –
-Non so cosa ci sia tra voi, ma le vostre abilità si cercano, sanno quello che vogliono. Non possono fare a meno l’una dell’altra è come…-
-Come un vortice – concluse Jonghyun.
Kibum si portò un dito alle labbra, pensoso. Era vero. Sin dal loro primo incontro qualcosa era scattato, le loro abilità li avevano strattonati l’uno verso l’altro. Il termine vortice era decisamente appropriato perché era così che si sentivano. Inoltre, più la loro relazione progrediva, più quelle sensazioni si amplificavano. Negli ultimi tempi fare l’amore era come essere in balia delle rapide di un fiume impazzito. Kibum poteva sentire l’abilità di Jonghyun sfiorarlo, accarezzarlo, sino ad invadere le sue vene e scorrere impetuosa dentro di lui, così come l’altro doveva percepire la sua energia attraversarlo in scariche elettriche. Da tempo Kibum aveva accantonato l’idea di trovare una spiegazione logica ma, in quel momento, gli tornò in mente una conversazione avuta con Jinki tempo prima.
-Una volta i legami di fratellanza non erano combinati, studiati a tavolino per giochi di potere. Vedi le persone lo “sentivano”, se così si può dire, non era una cosa comune, ma poteva succedere. Scattava qualcosa a causa delle abilità. –
Erano state quelle le parole di Jinki. Una risposta che all’epoca a Kibum aveva giudicato priva di logica, ma che ora gli suonava molto più sensata. C’erano ancora molti punti oscuri, sui quali probabilmente non sarebbero mai riusciti a far luce, ma era innegabile che quella fosse la risposta più chiara a disposizione.
-Cosa dobbiamo fare esattamente? – chiese Jonghyun.
-L‘unione delle vostre abilità permetterà di creare qualcosa di estremamente esplosivo. –
Jinki aveva un’espressione estasiata, come se la semplice parola “esplosivo” evocasse in lui immagini di fiamme a gloria.
Gli altri due si guardarono poco convinti.
Da quel momento gli allenamenti si erano susseguiti senza sosta.
Kibum aveva iniziato a contare i giorni di allenamento, ma ben presto si rese conto che passavano troppo lentamente. Gli sembrava di essere imprigionato in una bolla dove tutto risultava ovattato, il tempo passava ad una lentezza nauseante.  Nonostante la positività di Jinki il fallimento era all’ordine del giorno e, mentre il Leader continuava a spronarli, o a tentare di ucciderli come soleva sottolineare Jonghyun, il loro senso di frustrazione era alle stelle. Erano finalmente riusciti a ritrovare un po' di equilibrio tra gli innumerevoli impegni, gli allenamenti e ora erano di nuovo ridotti a stracci deambulanti.
Jonghyun era sul piede di guerra e più volte aveva dato voce al proprio nervosismo in modo anche troppo plateale.
 -Se continua così di esplosivo ci sarà solo il suo studio, perché sarà quello che farò saltare in aria! – aveva urlato un giorno Jonghyun, dopo l’ennesimo tentativo andato in fumo.
In realtà, quello che preoccupava davvero Jonghyun era vedere il più piccolo sempre più stanco. Quegli allenamenti richiedevano grandi sforzi sia fisici che mentali, perché necessitavano di una concentrazione e sublimazione superiore al semplice utilizzo delle abilità. Nonostante le rassicurazioni di Key, a Jonghyun il più piccolo sembrava sempre più pallido e smagrito.
-Mangia -, gli aveva detto una sera a cena. –Mangia o collasserai e dovrò versare litri di tè bollente in testa a Jinki! –
-Non puoi versargli litri di tè in testa -, aveva cercato di calmarlo Key.
-Lo vedremo! Ora mangia o dovrò imboccarti. –
Da quanto tempo andavano avanti in quel mondo? Ad entrambi sembrava un’eternità.  
Intanto i fallimenti si accumulavano. Unire fuoco ed energia non era per niente un’impresa semplice. In alcuni momenti avevano creduto di farcela, ma quando i filamenti oro e bluastri delle loro abilità avevano iniziato ad intrecciarsi una scossa violenta aveva fatto traballare l’intera tessitura esplodendo e scaraventandoli a terra. Le settimane passavano senza che la situazione progredisse e la positività di Jinki era mutata in un’irritazione sempre più acuta. Se prima accompagnava i loro sforzi con sorrisi rassicuranti, ora osservava marmoreo serrando i pugni e tutto ciò che usciva dalla sua bocca erano sospiri nervosi e frasi spezzate di stizza, insieme a freddi imperativi.
 
 
Come accadeva ogni giorno, ormai, anche quella sera l’ora di cena era passata da un pezzo e solo loro tre erano ancora nell’arena degli allenamenti. Le gradinate erano deserte, quattro grandi crateri di bronzo riscaldavano e rischiaravano l’ambiente e sul terreno vi erano tracce di bruciato un po' ovunque.
Jinki passeggiava nervoso sul terreno sabbioso, sedendosi ogni tanto sulle gradinate. Detestava ammetterlo, ma sentiva di aver perso quella battaglia e, nonostante tutta la sua determinazione, riconosceva di star sfruttando quei due oltre l’umana sopportazione.
Devi metterti un limite, si disse.
Un tempo aveva creduto d’averne uno, ma negli ultimi tempi non ne era più così sicuro. Aveva fatto cose di cui non credeva sarebbe mai stato capace ed altrettante si proponeva di portare a compimento. Iniziava a domandarsi se avesse intrapreso la strada giusta.
Jinki sospirò. Solo un ultimo tentativo, pensò, poi giuro che mi dichiarerò sconfitto.
-Forza, riprovate – li intimò.
Jinki si passò una mano tra i capelli e massaggiò le tempie. Iniziava davvero a pensare che fosse una sorta di punizione per quello che, intimamente sapeva, essere totalmente sbagliato. Per settimane, se non mesi, si era lambiccato il cervello domandandosi cosa fare. Tirare le file di quello che era un dilemma personale non era semplice perché Jinki sapeva cosa doveva fare, anzi non fare, ma il Leader non riusciva ad accettare l’idea di avere armi così potenti a disposizione e non poterle usarle.
Kibum trattenne a stento un verso di pura disperazione, mentre Jonghyun si mordeva la lingua resistendo alla tentazione d’imprecare ad alta voce. Il più grande guardò il viso sudato e stremato del più piccolo scuotendo leggermente i capo e mordendosi il labbro.
Jonghyun sospettava che nemmeno lui fosse messo così bene, si sentiva sudato e appiccicato su ogni centimetro di pelle ed i suoi capelli grondavano. Si passò l’avambraccio sulla fronte e si mise in posizione.
-Un ultimo sforzo – sussurrò a Key tentando di sorridere.
Key annuì rivolgendo poi un’occhiata di sbieco al Leader. Dubitava che quello fosse il loro ultimo sforzo, ma seguì comunque l’esempio del più grande. Allungò le braccia per far combaciare i palmi delle loro mani, chiuse gli occhi e, subito, una scossa attraversò i loro corpi. Kibum si mordicchiò il labbro reprimendo l’istinto che gli suggeriva di mettere fine a quel contatto. Erano come magneti polarizzati la cui carica era troppo forte per essere gestita. Premeva prepotentemente tra i loro palmi cercando di respingerli, eppure allo stesso tempo le loro abilità tentavano disperatamente di unirsi l’una all’altra. Prendevano forma in fili luminosi oro e bluastri simili a serpenti impegnati in una danza sibilante.
Sempre tenendo gli occhi chiusi, Kibum arricciò un angolo della bocca maledicendo mentalmente il Leader, quando una scarica d’energia più forte gli attraversò il corpo. Era al limite, sentiva che da lì a poco sarebbe crollato. Solo le mani di Jonghyun che s’intrecciarono alle sue gli infusero il coraggio per continuare. Il più grande sembrava molto determinato quella sera e questo lo fece sorridere, probabilmente aveva solo fretta di andare a cena o trovare un modo per mettere fine a quella tortura degna di Lee Jinki.
Un’altra scossa fece traballare Kibum, ma tenne i piedi saldamente incollati al terreno sabbioso, deciso a dimostrare la stessa determinazione del compagno. Al diavolo Jinki e le sue idee assurde, ma non avrebbe deluso Jonghyun. Fu attraversato da brividi caldi e freddi, formicolii impazziti e il sangue gli ribollì in corpo. Tutto questo per unire le loro abilità e creare qualcosa di “altamente esplosivo”, come adorava sottolineare Jinki. Ovviamente, per cosa servisse ancora non si era degnato di dirlo!
Aprì leggermente gli occhi per sbirciare la situazione. Jonghyun aveva il volto corrucciato, gli occhi strizzati e le mani che stringevano forti le sue sino a farsi sbiancare le nocche.
I filamenti traballarono e Kibum richiuse gli occhi riconoscendo che si stava deconcentrando. Ad un certo punto un formicolio più energico attraversò ogni parte del corpo e fluì da lui a Jonghyun. Poi più nulla. Tutto divenne ovattato e fu come fluttuare nel vuoto. Kibum sospirò rilassato, sublimato nel tempo e nello spazio, perse la percezione della sabbia dell’arena sotto gli stivali, del calore che impregnava l’aria, delle gradinate e degli occhi di Jinki fissi su di loro. Intorno a lui prese forma il nulla e nel nulla si ritrovò a galleggiare, quieto e leggero come un petalo trasportato dalla brezza primaverile. Fu così rilassante che senza accorgersene iniziò a sorridere.
Jinki interruppe di colpo il suo passeggiare nevrotico e la sua bocca si aprì a vuoto. Intorno agli altri due stava letteralmente crescendo una bolla traslucida oro e blu avvolgendoli ed isolandoli dal resto dell’arena. L’aria era satura d’energia ed il caldo era quasi soffocante. Jinki si accorse di stare sudando. Ormai aveva perso la speranza eppure sembrava che ce l’avessero fatta!
Jinki salì le gradinate rocciose e si sedette incrociando le gambe, ammirando le luci sfavillanti che scoppiettavano come stelle al centro dell’arena. Dopo settimane di insuccessi, ecco che otteneva ciò che aveva sperato. Energia e fuoco erano perfettamente fusi insieme, un intreccio elaborato di fili oro e blu a creare una sfera della consistenza del vetro che ne nascondeva la complessa tessitura.
Il Leader si lasciò sfuggire un sorriso soddisfatto. Eccola la perfezione a cui ambiva, l’arma perfetta! Ora doveva solo essere ulteriormente raffinata, convogliata in un flusso di abilità capace di fare terra bruciata di ciò che aveva attorno. In un lampo, tutti i dubbi che l’aveva tormentato negli ultimi mesi svanirono come le rughe che sino a pochi secondi prima avevano solcato la sua fronte. Non si poteva rinunciare ad un simile potere, solo un pazzo avrebbe accantonato l’idea di sferrare l’attacco iniziale capace di portare, finalmente, quella guerra silente ad un piano superiore. Basta nascondersi, era tempo di mostrare le vere pedine che campeggiavano sul suo lato della scacchiera. Presto, Soul avrebbe finalmente tremato.
Dalle labbra del Leader scaturì una risata che, se solo non fosse stato preda dell’euforia del momento, a stento l’avrebbe riconosciuta come sua.
 
 
***
 
L’alto candelabro a più braccia s’articolava in volute complesse e decorazioni raffinate, un affasciante intreccio di rami metallici che ospitavano le uniche luci che illuminavano la stanza da bagno. L’alone dorato delle candele ed il profumo dolce degli olii creavano un’atmosfera avvolgente e rilassante, perfetta per coronare quelle che erano state settimane intense e stressanti.
Immerso nell’acqua calda, la superficie coperta di schiuma bianca, Jonghyun si lasciò sfuggire un sospiro compiaciuto ad occhi socchiusi. Quando riaprì le iridi grandi ed ambrate fissò la propria attenzione sui pochi dettagli visibili nella penombra. Le pareti affrescate bianche e azzurre, decorate da sottili motivi dorati, sembravano sparire in alcuni punti dove la luce non poteva raggiungerle e del paravento colorato davanti a lui non riusciva ad intravedere che le pagliuzze rosseggianti del grande pavone. Jonghyun spostò lo sguardo sul mobiletto ligneo su cui brillavano le ampolle vitree contenti olii profumati e dove bruciava un incenso alla vaniglia. Un altro sospiro appagato uscì dalle sue labbra carnose.
Dei passi leggeri sul pavimento mosaicato lo riscossero. Alzò lo sguardo per incontrare le forme aggraziate di un corpo candido avvolto dalla luce dorata della candela che ne modellavano i muscoli allungati, i glutei sodi e seducenti. Jonghyun si umettò le labbra e seguì, rapito, i movimenti eleganti di Key mentre scivolava nella vasca. Il suono cristallino dell’acqua ruppe il silenzio e la schiuma traballò sulla superficie.
I loro corpi si sfiorarono appena e Jonghyun avvampò quando Key si fece più vicino. Il fiato caldo e dolce del più piccolo gli soffiò sul viso e un sorriso malizioso lampeggiò su quel volto felino e delicato. La penombra non era, infatti, riuscita a celare totalmente il rossore di Jonghyun.
Jonghyun si passò una mano tra i capelli ancora asciutti e si morse il labbro, consapevole di essere stato colto in fallo. Non credeva avrebbe mai incontrato qualcuno capace di farlo arrossire, dopotutto lui era Kim Jonghyun! Al massimo erano gli altri ad arrossire a causa sua. Ma con Key era tutto al contrario, assurdo e perfetto insieme. Un misto d’innocenza appena stemperata da sorrisi maliziosi, frasi lasciate fluttuare tra loro in tutta la loro soave provocazione. Jonghyun dubitava che l’altro fosse totalmente consapevole dell’effetto che aveva su di lui, nonostante fosse diventato molto più sciolto nella loro vita intima.
Key sorrise di nuovo, questa volta dolcemente, e lo baciò piano. Jonghyun lasciò che l’altro giocasse con le sue labbra, come un gatto che afferrata la propria preda e si diverte a vezzeggiarla prima d’inghiottirla in un sol boccone. Tuttavia, quel bacio si rivelò più tenero del previsto, fu un massaggiare lento, il danzare della punta della lingua di Key sulle labbra carnose dell’altro. Jonghyun si godette quel momento, le braccia appoggiate mollemente sul bordo della vasca. Adorava essere l’oggetto delle fusa del più piccolo e ne era orgoglioso.
Quando si staccarono, Jonghyun incontrò due occhi magnetici intenti a fissarlo, animati dalla luce tremolante delle candele.
Sono in trappola, fu tutto ciò che Jonghyun riuscì a pensare.
-Ho la schiena a pezzi – fece Key, tranquillo, dandogli la schiena.
Jonghyun inarcò un sopracciglio a sorrise tra il divertito ed il rassegnato. Quella del più piccolo era stata un’affermazione estemporanea che chiedeva solo una cosa. In tutta risposta, Jonghyun posò le mani sulle spalle bianche dell’altro che spuntavano dalla schiuma e, non appena iniziò ad esercitavi un po' di pressione, Key miagolò inarcando leggermente la schiena e piegando il capo di lato. Di fronte a quel collo bianco ed indifeso, Jonghyun non resistette e lo baciò con dolcezza. Avevano tutta la notte per rendere quelle coccole più intense.
La schiena di Key era davvero rigida, un fascio di nervi che aspettava solo di essere sciolto. Era evidente che doveva aver accumulata parecchia tensione nelle ultime settimane e lui stesso non era da meno.
-Sei rigido -, disse con voce calda, - rilassati – gli sussurrò baciandolo di nuovo sul collo.
In tutta risposta gli giunse un altro miagolio. Jonghyun sorrise, capendo di aver toccato i nervi giusti. Key sospirò gettando indietro il capo corvino animato dai bagliori dorati posandolo poi sulla spalla del più grande.
Jonghyun gli baciò la fronte bianca e guardò i tratti rilassata dell’altro che si beava di quel massaggio nell’acqua calda, le palpebre abbassata ed il viso appena adombrato dalle ciglia scure.
Alla fine, Key si raddrizzò, fece aderire la sua schiena al petto del più grande e gli rivolse uno sguardo fugace da oltre la spalla.
-Secondo te quale è il suo piano? –
Non c’era bisogno di specificare chi, Jonghyun sapeva che stava parlando di Jinki. Anche se non aveva mai espresso quella domanda ad alta voce, Kibum era sempre stato tormentato da quel punto interrogativo e, ora che erano giunti ad un punto di svolta, la sua curiosità era alle stelle.
Jonghyun sogghignò, ben conoscendo la curiosità dell’altro.
-Sei davvero curioso –, osservò.
-Tu non lo sei? – domandò Key, giocando con la schiuma.
Jonghyun sorrise sghembo, affondò le braccia nell’acqua ed accarezzò i fianchi del più piccolo.
-Ma io so cosa vuole fare –, disse senza celare una punta d’orgoglio.
Key gli rivolse uno sguardo obliquo inarcando un sopracciglio.
-Davvero? – chiese con un misto di eccitazione.
Jonghyun sorrise furbo sfiorandogli i fianchi sotto l’acqua. - Attaccare il palazzo reale. –
Key roteò gli occhi e rabbrividì per i movimenti delle mani del più grande sulla sua pelle. Stava per avere una crisi di solletico, ma non aveva intenzione di assecondare Jonghyun nel suo intento.
-Credevo avessimo già stabilito che è un’assurdità. Jinki ti ha detto che sei fuori strada. -
Jonghyun arricciò il naso. Anche se l’altro non intendeva prenderlo sul serio, lui era fermamente convinto della sua idea. Dopotutto, perché tutto quel mistero se non per sferrare un colpo così grosso?
Jonghyun sogghignò perdendosi nelle proprie fantasie. Conquistare il palazzo reale di Soul, mettere in ginocchio l’imperatore, prendere a calci quel grasso maiale del principe ereditario…doveva esserlo, no, grasso? Dopotutto chi l’aveva mai visto quello? Probabilmente passava tutte le sue giornate a banchettare ed ora era talmente grosso da non passare nemmeno dalle porte. Jonghyun annuì tra sé, sì, doveva essere per forza così.
Si umettò le labbra e nuovamente attratto dal collo di Key iniziò a mordicchiarlo.
Il mio micetto invece è bellissimo, pensò assaggiando la pelle dell’altro.
Key emise un verso di fastidio ma poi lo lasciò fare, sapeva che Jonghyun a volte era come un bambino: doveva avere il suo tortino di riso.
-Sciocchezze -, fece poi Jonghyun.
-Jong…-
- L’ha detto solo per depistarci o farci una sorpresa –
Key sospirò rassegnato. - Davvero stento a credere alle tue parole. Dovresti contare minimo fino a cento prima di dire tutto quello ti passa per quella testa anche se, essendo vuota, immagino tu non possa fare a meno di dar sfogo a tutte le folate di vento che vi passano in mezzo. Ah chissà quali scempiaggini pensi di udire. -
-Yah!-
Jonghyun premette la mano sul capo di Key che si ritrovò con la testa sott’acqua. Il più piccolo s’agitò sollevando spruzzi e schiuma prima di riemergere e riprendere fiato.
Jonghyun rise. – Hai della schiuma tra i capelli – disse sogghignando.
Kibum sbuffò. Davvero, a volte giocava come un bambino. Bhe, gliel’avrebbe fatta pagare. S’immerse di nuovo per ripulirsi i capelli dalla schiuma, poi affondò le dita sottili tra le ciocche corvine per ravvivarle.
Jonghyun rimase in silenzio ad osservare. Key sembrava un gatto intento nelle proprie pulizie giornaliere. Da sotto le ciglia scure, il più piccolo lo studiava con sguardo felino e arricciando il naso indispettito.
Jonghyun sogghignò ma era tutt’altro che rilassato, sapeva che Key non avrebbe lasciato correre quella provocazione ed era molto curioso da scoprire come intendeva reagire. Il contrattacco non tardò e lasciò il più grande di stucco facendogli sbarrare gli occhi per lo stupore. Key aveva infatti immerso le mani nella schiuma e ora tracciava con i polpastrelli dei disegni astratti sul volto del più grande. Per quanto Jonghyuh trovasse la sensazione delle dita dell’altro sul suo viso piacevole e rilassante, si domandò cosa stesse combinando. Era decisamente flebile come risposta.
Jonghyun corrugò la fronte. –Cosa stai facendo? – disse. Subito desiderò mordersi la lingua perché riconobbe nel suo tono una nota dall’allarme.
Key sorrise tenero, ma Jonghyun sapeva che era ben lungi dall’aver riposto le armi. Di norma, Key lo faceva solo quando era certo di aver vinto.
-Uhm -, fece Key, - volevo migliorarti. Sai un po' di trucco non ti starebbe male. –
Jonghyun lo prese per i fianchi tirandolo verso di sé. – Stai forse dicendo che sono brutto? –
-Solo che potresti essere migliorato –, rispose l’altro simulando indifferenza.
Jonghyun sorrise sghembo. Più che un contrattacco sembrava una provocazione. Soffiò tra la schiuma investendo in pieno il viso di Key che strizzò gli occhi lamentandosi con stizzite note acute. Ad opera compiuta, Jonghyun rise.
-Ora hai la barba – disse compiaciuto.
-Yah – fece Key, spruzzandolo.
Jonghyun reagì a sua volta e, in breve, la vasca si tramutò in una battaglia di acqua e schiuma. Terminata la lotta senza né vinti, né vincitori, entrambi tornarono a rilassarsi nell’acqua calda. Erano davvero troppo stanchi per giocare una guerra che rischiava di protrarsi troppo a lungo.
Kibum si accoccolò sul petto del più grande e lo baciò.
-Girati -, disse – ti lavo la schiena. -
Soddisfatto, Jonghyun ubbidì trovando più che appaganti le dita del più piccolo che gli accarezzavano la schiena e le spalle detergendolo con gli olii profumati. Calò il silenzio, spezzato solo dal suono nell’acqua e dai sospiri rilassati del più grande. Forse Jonghyun si sarebbe davvero addormentato cullato dall’acqua calda e da quei tocchi leggeri e premurosi, se non avesse iniziato a desiderare di più da quelle carezze. Con uno scattò di reni si voltò trascinando Key sul suo grembo ed iniziando a baciarlo prima piano, poi più intensamente. Nonostante facessero spesso l’amore, Jonghyun era sempre molto attento quando iniziavano a scambiarsi effusioni. Si sentiva sempre in bilico, come un funambolo che, per quanto esperto, si trova a dover concludere un percorso troppo impervio. Con Key era così. Temeva sempre di urtarlo, di spaventarlo, perché per quanto fossero uniti sapeva che per il più piccolo era tutto nuovo. Desiderava che ogni notte insieme fosse un’esperienza meravigliosa per lui, capace allo stesso tempo di farlo fremere di piacere e sentire amato, anche quando l’atmosfera diventava più passionale. Jonghyun voleva incuriosirlo, stimolarlo, ma senza ferire la sua sensibilità. Con un certo orgoglio, il più grande sentiva di riuscirsi perché per quanto Key fosse spesso diffidente e osservasse attento ogni sua mossa per valutarne le conseguenze, amava mostrargli la sua passione che ogni notte si traduceva in movimenti sempre più sicuri, ma conservavano sempre quell’impacciata innocenza che Jonghyun trovava irresistibile. Anche in quel momento, dopo l’iniziale turbamento per essere stato colto alla sprovvista, Key lo baciò mordicchiandogli le labbra, poi iniziò a tormentargli il collo con baci umidi ed intensi, finché ad un tratto non si staccò per fissare Jonghyun, serio.
-Secondo te perché ci sentiamo così? Quando uniamo le nostre abilità, intendo. Quello che sento ogni volta che sono con te, dal nostro primo incontro, io…non lo so…impazzisce, si moltiplica all’infinito…-
Kibum si mordicchiò il labbro e abbassò il capo. Non era facile trovare il termine e le immagini appropriate per descrivere ciò che succedeva tra loro. Forse un vortice, come aveva detto Jonghyun, era davvero la definizione giusta. Solo che non era un vortice normale, era fatto di luci, colori, emozioni, elettricità, calore…
Jonghyun sorrise accarezzandogli il viso.  - Sei pieno di domande questa sera. -
Kibum arrossì. -Ti dà fastidio? – domandò alludendo a ciò che aveva appena interrotto.
Jonghyun lo baciò sulla punta del naso. - Mi piace vedere gli ingranaggi che si muovono nella tua testolina. –
Jonghyun lo strinse, accarezzandogli il capo, e Key si accoccolò sul suo petto.
-No lo so perché, Key, ma penso che non dovremmo preoccuparcene. Ti amo e quello che abbiamo è meraviglioso, non mi servono spiegazione articolate per sentirmi soddisfatto. Non voglio nemmeno perdermi a cercare motivazioni logiche al perché ti amo. Ti stringo tra le braccia e per me è tutto ciò che conta, tutto ciò che voglio. -
Kibum sorrise. -Anche io ti amo. Senza te mi sentirei come una foglia al vento, perduta, senza i rami confortanti di un albero al quale aggrapparmi. –
Jonghyun lo baciò sul capo e percorse la spina dorsale del più piccolo con i polpastrelli. Key fremette appena e le luci dorate che si erano depositate sulla sua schiena bianca tremolarono. Il silenzio calò tra loro, il tepore dell’acqua li avvolse ed i profumi degli olii li cullarono nella penombra.
-Jong…-
-Uhm-
-Perché non lo facciamo?-
Gli occhi socchiusi, Jonghyun sorrise trasognato con una punta di malizia e, in tutta risposta, accarezzò i glutei e le cosce del più piccolo sotto l’acqua.
-Yah! – fece Key drizzando la schiena, - non quello…cioè, magari dopo…-
Il più piccolo si umettò le labbra. - Intendevo il legame di fratellanza –
Kibum non ci aveva mai pensato, ma nelle ultime settimane era diventato quasi un pensiero costante.
Jonghyun corrugò leggermente la fronte. - Perché? -
-Bhe perché è speciale… - disse Key.
Jonghyun continuava a fissarlo stranito, come se qualcosa in quella semplice domanda lo confondesse.
Kibum si stropicciò le mani sulle spalle dell’altro avvertendo un crescente disagio. Che cosa c’era di sbagliato nella sua domanda? Ora che aveva la possibilità di scegliere per sé desiderava legarsi a Jonghyun, non importava se quello che già condividevano era qualcosa di molto simile. Il principe si morse il labbro, forse era una richiesta egoista, forse la sua era paura, paura della verità, paura di poter essere di nuovo strappato dalle braccia rassicuranti di Jonghyun…Non si era mai posto quel problema, erano stati l’uno per l’altro dal primo istante, le loro anime si erano intrecciate e, infine, anche i loro corpi erano divenuti tutt’uno, ma Kibum percepiva ancora un’ombra dietro di sé pronta ad alitargli sul collo.
-Quello che ci unisce è già speciale. Io ti sento, sempre. Non ho bisogno di un legame vincolante per sapere quando sei triste, felice, quando provi piacere…- sogghignò.
-Scemo – lo rimbeccò Kibum lasciandosi strappare un sorriso.
- Noi abbiamo già tutto questo. –
Kibum annuì. Era vero, loro avevano già tutto ciò che molti, spesso, erano costretti ad accettare controvoglia. Lo stesso destino che, se non fosse fuggito, sarebbe toccato a lui.
-Non ci serve, è solo una cosa stupida tra nobili – disse Jonghyun con una punta d’astio.
-Lo so – disse piano, cercando d’ignorare l’ultima affermazione del più grande.  –E’ solo che voglio essere solo tuo. –
Kibum baciò Jonghyun sulla guancia, poi lo fissò come in cerca di una conferma. Jonghyun sorrise e lo baciò a sua volta.
-Non lo sei già?-
Kibum annuì. Lo era, ogni fibra del suo corpo, ogni sfumatura della sua anima erano dell’altro, come Jonghyun era suo. Allora, se era così perché percepiva sopra di sé la lama terribile di una paura latente e appena assopita?
-Allora di cosa ti preoccupi? – rise il più grande.
Kibum scosse il capo. - Nulla, scusami. A volte ragiono ancora come uno stupido nobile -, si schernì.
Jonghyun sollevò con l’indice il mento di Key per guardarlo negli occhi. Improvvisamente c’era meno luce in quelle iridi magnetiche, erano così cangianti che era come osservare il cielo a primavera. Percepiva un crescente nervosismo nell’altro dal modo in cui, ora, cercava di evitare il suo sguardo, da come sbatteva leggermente le ciglia per non permettergli di sondarlo. Ma erano soprattutto le mani di Key, che vagavano nervose sulle spalle e sul petto di Jonghyun, a mettere in guardia il più grande. Sembrava cercasse di rimettere insieme i pezzi, riprodurre in modo meccanico quello che avevano interrotto.
-Guardami – disse Jonghyun.
Kibum alzò gli occhi.
Jonghyun sapeva che era ancora spaventato da quello che era accaduto ad Hanamsi, anche lui lo era, ma in alcuni momenti aveva l’impressione che Key si sentisse inseguito da un’ombra. Per quanto quell’esperienza dolorosa li avesse uniti ancora di più era anche vero che, ora, il solo pensiero di perdersi era più terribile.
-Non devi più preoccuparti di queste cose. Chiunque ci sia là fuori è troppo distante per avere potere su di noi. Io ti proteggerò, non permetterò che qualcuno ti porti via, né che ti costringa a fare qualcosa che non vuoi. Sei libero adesso, lascia andare tutto. –
Kibum sorrise e strinse le braccia intorno al collo dell’altro baciandolo con passione, assaporando quelle labbra carnose e lasciando che la lingua di Jonghyun iniziasse a giocare con la sua. Voleva crogiolarsi tra le braccia del più grande e fare l’amore con lui in quell’acqua calda profumata e cosparsa di spuma. Strinse le gambe intorno al corpo dell’altro e mugugnò sotto il tocco delle mani di Jonghyun che scorrevano sulla sua schiena, sulle cosce e sui glutei in movimenti delicati e allo stesso tempo animati da una passione crescente quanto la danza che le loro labbra stavano conducendo. Non appena Jonghyun prese il controllo del bacio Kibum mugugnò, sorpreso, e quando il più grande si spostò sul suo collo inarcò la schiena ed ansimò in un sospiro appagato, subito rubato da labbra calde sulle sue. Kibum si staccò appena per riprendere fiato, baciò il mento di Jonghyun scendendo poi lungo il suo collo.
-Jong – miagolò in un soffio caldo e dolce.
 Jonghyun si umettò le labbra, percependo il corpo di Key tremare di un desiderio reso esplicito dal languore felino che palpitava nei suoi occhi sottili, sussultante nella penombra dorata.
Kibum sfregò la punta del naso contro la guancia dell’altro, poi gli prese delicatamente il volto tra le mani. Quegli occhi grandi e caldi, che gli avevano rubato anima e corpo, accendevano emozioni che mai aveva immaginato di provare, così come quelle labbra, che gli avevano rubato il primo bacio, erano come un balsamo. Jonghyun era la cura ad ogni suo pensiero triste anche quando era lui a renderlo tale. Si sarebbe perso per ore a guardare i tratti dell’altro, a sfiorare con le punte delle dita il viso della persona che amava, ad accarezzare quel corpo con le mani e con le labbra, domandandosi perché il filo rosso del destino avesse scelto di unire loro. Così diversi, così simili, così persi prima di trovarsi. Più stavano insieme, più Kibum desiderava donare a Jonghyun tutti i fremiti che l’altro era in grado di procurargli con un semplice tocco. Che cos’era quella magia, come ci riusciva il più grande? Quale era il suo segreto?
Kibum lasciò scivolare delicatamente le mani lungo il collo dell’altro, scendendo sul suo petto modellato dalle luci delle candele e leccò piano il neo tra le clavicole. Sentì Jonghyun accarezzargli il capo ed affondare le dita tra la sua chioma corvina, così si strinse di più al suo corpo rendendo chiaro ad entrambi quanto fossero desiderosi di appartenersi. Infine, il principe alzò gli occhi ed affondò nelle iridi ambrate ed acquose di Jonghyun, lasciandosi avvolgere da un brivido caldo.
-Facciamo l’amore, adesso – sussurrò a fior di labbra.
 
 
***
 
 
-Ora che non hai più niente da fare ho intenzione di prenotarti per le ore successive. –
Taemin incrociò le braccia ed annuì soddisfatto. Era dall’inizio del nuovo anno che tentava di parlare con la sua umma e renderlo partecipe di tutte le lamentele che aveva in serbo all’indirizzo di quello spilungone di Choi Minho, ma Kibum era stato totalmente immerso nei suoi allenamenti e quando aveva del tempo la sua testa era totalmente altrove.
Sempre dietro a quella testa vuota di Kim Jonghyun, pensò Taemin.
Kibum roteò gli occhi. Solo qualcuno come Taemin poteva definire tutte le carte che invadevano il suo tavolo come “niente da fare”. Dopotutto, cosa poteva aspettarsi da uno che oltre ad i propri allenamenti non faceva assolutamente nulla? Kibum sospettava che il più piccolo passasse le restanti ore giornaliere ad inventare nuovi modi per rendere la sua stanza una fogna.
-Taemin…-
-Niente storie! – squittì l’altro.
Kibum si massaggiò le tempie. Era lì, nel suo studio invaso dalle carte sino al collo, cosa diavolo faceva pensare a Taemin che non avesse niente da fare? Non che non fosse interessato a quello che voleva dirgli, ma già sospettava fossero assurdità e lui era parecchio impegnato.
Se riuscirò ad uscire da qui per l’ora di pranzo sarà già una conquista, pensò.
-Davvero non capisco che cos’abbia nella testa quel dannato Choi maledetto Minho! – si lamentò Taemin sbuffando sonoramente.
Kibum lo guardò di sottecchi. Non aveva alcuna intenzione di sbilanciarsi, significava mettersi in una pessima posizione. Iniziava a sospettare che a Taemin Minho non fosse del tutto indifferente, ma non intendeva azzardarsi a porre domande esplicite, sia perché cavare qualcosa al più piccolo era quasi impossibile, sia perché conoscere i suoi sentimenti l’avrebbe messo in serie difficoltà con Minho. Rivelargli ciò che provava Taemin o tacere e lasciare che se la sbrigassero da soli? Dopotutto, aveva detto chiaro e tondo a Minho che stava sbagliando prospettiva.
Forse erano pensieri egoistici da parte sua, dopotutto Taemin si era interessato parecchio a lui e a Jonghyun.
Arricciò il naso.
Più che altro ha ficcato il naso, pensò. Anche se doveva riconoscere che il ficcare il naso del più piccolo l’aveva aiutato. Tuttavia, da parte sua Kibum non aveva alcuna intenzione d’impicciarsi più di quanto era già stato costretto a fare. Non solo si sentiva totalmente inadatto, ma aveva anche un mucchio di lavoro.
D’istinto fissò inorridito i cumuli di carte sul tavolo. Com’era possibile che nonostante i suoi sforzi ogni giorno sembrassero più alti? Per di più erano per la maggior parte informazioni inutili. Esasperato prese un foglio, vi fece scorrere lo sguardo, sbuffò, lo appallottolò e lo lanciò dietro di sé.
Dopo averlo fissato allibito per qualche secondo, Taemin decise di dare inizio al suo sproloquio.
-Insomma -, proseguì Taemin, - l’ho invitato alla festa come hai detto tu. Spero che tu l’abbia notato prima di sparire? –
Kibum annuì. Certo che l’aveva notato. Il sorriso soddisfatto di Taemin era stato fin troppo evidente nel momento in cui aveva messo piede nella sala comune la notte del Seollal, così come l’espressione a tratti inebetita e talvolta nervosa di Minho l’aveva accompagnato.
-E’ com’è andata? –
Non voleva impicciarsi, ma un po' di sana conversazione non poteva far male, no?
Taemin si mise le mani tra i capelli, sbuffò e appoggiò i gomiti sul tavolo.
-Noiosamente normale! –
Kibum tossicò. – In che senso? –
Normale nel senso che era stato noioso e basta o normale nel senso che Taemin aveva desiderato qualcosa di più?
-Non ha fatto altro che guardarsi intorno come se qualcuno cercasse di ucciderlo, anche mentre stavamo ballando, o per meglio dire io ballavo, lui sembrava un manico di scopa con una lama alla gola. –
Kibum roteò gli occhi. Davvero Minho temeva che Jinki potesse ucciderlo nel sonno o, a questo punto, semplicemente con uno sguardo?
Guardava ancora dalla prospettiva sbagliata. Minho avrebbe dovuto godersi quella serata con Taemin invece di passarla terrorizzato da Jinki. Perché era così ottuso? Stava complicando una situazione terribilmente semplice e così perdeva tempo. I problemi di Minho stavano solo nella sua testa ed il vero problema che doveva porsi erano i sentimenti di Taemin. Tutto sommato, si ritrovò a riflettere Kibum, lui e Jonghyun avevano fatto parecchio chiasso ma si erano rivelati molto più celeri. Tentò di smorzare sul nascere un sorriso appagato al ricordo della notte precedente; era meglio riportare la conversazione sui binari originari.
-Bhe ma dopotutto è stata una serata piacevole, no, tra amici? – azzardò Kibum.
Taemin si mordicchiò le labbra. – Uhm, sì – disse alla fine, - ma non abbastanza divertente. –
Kibum lo sondò per qualche secondo, davvero scucirgli qualcosa era impossibile!
Aish, avevo deciso che non mi sarei impicciato, rimbeccò sé stesso. Se anche mi dicesse qualcosa lo farebbe in confidenza e tu non potresti andare a spifferarlo in giro, quindi tanto vale non sapere nulla! Smettila di cercare di metterti in una situazione compromettente!
Taemin picchiò un pugno sul tavolo facendo cadere diversi fogli.
-Comunque è scemo, forse più scemo di Kim Jonghyun! –
-Yah – scattò Kibum, - ti spiacerebbe smetterla d’insultare Jong davanti a me? –
L’espressione frustrata di Taemin si tramutò in un sogghigno divertito.
-E’ proprio vero, sei diventato protettivo come il proprietario di un serraglio con le sue scimmie cappuccine. –
Kibum arrossì ripensando all’acqua calda, al profumo, ai baci…Si riscosse, non era proprio il momento di abbandonarsi a certi pensieri. Aveva un mucchio di lavoro da fare!
Kim Jonghyun sei una terribile distrazione!, si lamentò tra sé.
L’espressione trasognata di Kibum non sfuggì a Taemin.
-Capisco -, fece soddisfatto, - deve averti fatto passare una nottata di fuoco, ma qualcosa mi suggerisce che anche tu sei abbastanza energico. –
Kibum avvampò, cercando d’ignorare il pessimo gioco di parole dell’altro. Taemin rise.
-La tua faccia, umma, è un libro aperto. –
Messo da parte l’imbarazzo, Kibum rivolse al più piccolo un’occhiata tagliente. Davvero, che cos’aveva fatto di male nella sua vita per meritarsi le allusioni di Taemin e, soprattutto, come si permetteva? Era pur sempre un principe! Decise di non controbattere, quando si trattava di quella peste era meglio lasciar perdere, sapeva di non poterla avere vinta, quindi tanto valeva non disturbarsi nemmeno ad estrarre le armi.
 
La mattinata proseguì senza che Taemin dicesse nulla di rilevante o compromettente e quando giunse l’ora di pranzo, Kibum fu ben lieto di chiudersi la porta dello studio alle spalle. Aveva proprio voglia di mettere qualcosa nello stomaco. Giunti nella sala comune, come sempre chiassosa, Kibum prese posto vicino a Jonghyun mentre Taemin rivolgeva ad un Minho sconcertato un’occhiata di rimprovero prima di sedersi vicino a lui.
Minho si grattò il capo, confuso, poi tornò a concentrarsi sulla sua ciotola di riso destreggiandosi con le bacchette. Dopotutto Taemin era decisamente strano, prima insisteva per farsi accompagnare alla festa, poi iniziava ad ignorarlo se non per rivolgergli occhiatacce. Forse era meglio concentrarsi sul proprio pranzo, sicuramente una ciotola del riso e della carne erano più facili da comprendere, e Minho era parecchio affamato.
-Miho è d’accordo con me – disse Jonghyun fissando trionfante Key.
-D’accordo su cosa? –
Kibum mise da parte le bacchette e allungò le mani verso il vassoio di mochi al centro della tavola.
-Sul palazzo. E’ quello il nostro obiettivo, potrei scommetterci! –
Jonghyun sembrava decisamente su di giri. Impugnava le bacchette come se avesse in mano una spada pronta sferzare l’aria e fare terra bruciata dei suoi nemici.
Kibum si portò una mano alla fronte, poi guardò Minho.
-Minho! – fece Key.
-Non ho detto di essere d’accordo – disse l’altro alzando le mani, - in realtà non ho detto niente, è lui che non fa altro che blaterare. –
Kibum guardò Jonghyun di sbieco. – Credevo ne avessimo parlato anche ieri! –
Jonghyun ripose le bacchette. – E’ evidente che io abbia ragione, non c’è spiegazione più logica! –
-E da quando tu saresti una persona dotata di logica? – chiese Taemin inarcando un sopracciglio.
Jonghyun lo ignorò, aveva tutt’altro per la testa.
-Questa – disse, - è la volta buona in cui riuscirò a prendere a calci nel fondoschiena quel maiale dell’erede al trono, quel grosso…-
-M-maiale? – balbettò Kibum sbarrando gli occhi e arrossendo.
Minho sospirò rassegnato, mentre Taemin rischiava di soffocarsi con il riso. Kibum rivolse ad entrambi un’occhiata sottile e affilata. Fantastico, il suo ragazzo gli aveva appena detto che era grasso e uno lo ignorava, mentre l’altro rideva. Davvero Kibum non sapeva chi uccidere per primo. Cercò d’ignorarli, mentre Jonghyun sorrideva con palese soddisfazione tra un boccone di riso e l’altro, come se avesse appena detto qualcosa di estremamente intelligente.
Jonghyun annuì sorridente. – Certamente. –
-E da cosa lo deduci? – chiese Kibum, piano. Non voleva sembrare sulla difensiva, ma desiderava approfondire quella faccenda.
Grasso, pensò allibito, forse mangio troppi dolcetti?!
Gli occhi del principe corsero al vassoio di mochi e deglutì. Erano così invitanti, morbidi, c’erano anche quelli con la marmellata ai mirtilli…lasciarli lì tutti soli era davvero un peccato mortale.  La sua pancia brontolò, ma decise d’ignorala e rinunciare al terzo dolcetto dopo aver sbirciato le sue cosce sotto il tavolo.
Jonghyun sorrise trionfante, pronto a dare sfoggio del suo acume, ma la conversazione fu interrotta da un raggiante Lee Jinki che fece il suo ingresso nella sala comune; decisamente un evento raro.
Minho s’irrigidì. Jinki sfoggiava un sorriso degno del leprotto bisestile nel pieno dell’ora del tè. Una visione che considerò decisamente inquietante alla luce delle ultime novità. Che avesse finalmente deciso di metterli a conoscenza dei suoi piani? Sarebbe stata anche l’ora.
Minho guardò Kibum che fissava a sua volta il Leader con una sorta di titubante aspettativa.
-Quando avete finito vi vorrei nel mio studio – disse Jinki, sempre sorridendo.
L’unico entusiasta parve Jonghyun che, non appena l’altro se ne fu andato, ribadì la sua posizione.
-Attaccheremo il palazzo – disse.
Minho lo ignorò, era una causa persa in partenza. Nulla avrebbe fatto cambiare idea a quella testa vuota, dovevano solo sperare nelle parole di Jinki. Minho sbirciò con la coda dell’occhio la possibile reazione di Kibum, ma il principe era impegnato a fissare qualcosa d’indefinito sotto il tavolo. Si domandò perché Jonghyun non si accorgesse mai del chiaro turbamento che investiva il suo ragazzo ogni volta che parlava dei Kim. Minho storse il naso. Probabilmente il suo amico era troppo impegnato nei suoi deliri per prestare attenzione alle reazioni controllate di Kibum. Dopotutto, doveva ammettere che lui stesso, prima di sapere la verità, non ci aveva mai fatto caso. Al suo fianco, Taemin stava terminando il pasto lanciando occhiatacce a Jonghyun e Minho si ritrovò a sorridere, benché la cosa non lo stupisse. Il più piccolo era molto legato a Kibum e Jonghyun stava inconsapevolmente dando il peggio di sé.
Minho sorrise di nuovo, cercando di allontanare quei pensieri poco piacevoli.
Almeno per una volta non era lui l’oggetto della rabbia di Taemin.
 
 
***
 
 
-Le miniere di Jin Sung sono il più grande giacimento del paese, un punto strategico fondamentale per le vie di comunicazione e una delle principali fonti di potere dell’imperatore, ed è per questo che le metteremo fuori uso. -
Minho assottigliò le labbra ed il suo volto si scurì.
Era come pietrificato, il suo corpo era lì, immobile, seduto a gambe incrociate su un cuscino che man mano acquistava la consistenza di un sasso piatto e duro, le mani posate sulle cosce, eppure la sua testa era altrove. Navigava tra ricordi lontani fatti di polvere, sofferenza, fame, odore di cenere, sangue e morte. Si ritrovò ad artigliare la stoffa dei pantaloni, mentre nella sua mente prendeva forma il triste ed arido scenario delle miniere di Jin Sung. Di norma, la gente soleva chiamare casa il luogo in cui nasceva e cresceva e Minho era nato e cresciuto in quel luogo, ma mai l’aveva sfiorato l’idea di chiamarlo casa. Solo un pazzo l’avrebbe fatto.
Le miniere di Jin Sung non erano solo uno dei principali centri d’estrazione del regno e di potere dei Kim, erano un luogo terribile dove le persone non erano altro che sacchi di carne e sangue da sfruttare, finché la morte non le prendeva. Perché la morte era l’unica via d’uscita da quell’inferno. Minho aveva vissuto buona parte della sua via nutrendosi della polvere di Jin Sugn, respirando l’odore di cenere e sangue, strisciando insieme a milioni di altri bambini lungo i cunicoli ed i pozzi d’estrazione. La sua vita era stata scandita dal lavoro incessante sotto le verge dei soldati, la baracca disadorna che gli dava rifugio nelle poche ore di riposo, il rancio fatto di pochi chicchi di riso che all’epoca aveva considerato un lauto pasto, tali erano i crampi allo stomaco. Quante volte aveva ammirato l’occhio argentato della luna che s’innalzava sopra le pareti scoscese rosse e gialle della cava, chiedendosi cosa vi fosse oltre tutta quella polvere, quella sofferenza, quella vita che non poteva definirsi tale? Spesso aveva osservato, appiattito tra le rocce, i corpi gonfi e verdastri gettati nell’Han. Bambole inerti, sfilacciati simulacri di anime ormai libere di volare verso quella luna luccicante di promesse.
Minho tornò alla realtà destato dal ticchettare dell’orologio alla parete. Tic, tac, tic, tac…oltre quel suono snervate il silenzio. Sembrava stesse per esplodere qualcosa.
Minho alzò gli occhi su Jinki e notò che quelli del Leader lampeggiavano di una luce scura. Ecco cosa stava per esplodere.
-E’ giunto il momento – sentenzio Jinki con fare meditabondo, lo sguardo basso sulle mani intrecciate sul tavolo. Poi, il Leader alzò gli occhi; ghiaccio sottile al punto di rottura.
-In questi anni ho atteso a lungo che s’affacciasse la possibilità di sferrare un colpo simile, ma come sapete le nostre forze sono esigue -, disse Jinki con una punta d’amarezza. –Abbiamo fatto grandi passi, ma non possiamo dire di possedere un esercito, quanti siamo, settanta? –
-Sessantacinque – disse Kibum.
Il Leader sorrise. – Ma ora le cose sono cambiate. Non ci serve un esercito per affondare Jin Sung, solo le nostre abilità e le conoscenze di qualcuno che ha passato anni in quel luogo. –
Questa volta Jinki guardò Minho ed il ragazzo rimase immobile.
-Questa guerra silente deve avere fine, basta assalti alle carrozze, ai soldati, non siamo banditi-, disse con una punta di disprezzo, poi prese un bel respiro e fissò gli altri, uno ad uno. –Voglio lanciare un messaggio chiaro a chi di dovere. Un assalto alle miniere e il modo migliore per rendere chiara ed esplicita la nostra presenza. –
Minho sapeva cosa rappresentavano le miniere di Jin Sung per Jinki. Non era solo un messaggio forte e chiaro che desiderava lanciare a Soul, ma un plateale atto di vendetta. Jin Sung erano state per i Lee il triste epilogo di un’infanzia vissuta in un sontuoso palazzo sotto le amorevoli cure di una famiglia calorosa, piena di idee e speranze ridotte in cenere nel giro di una notte. Erano il monumento visibile di un fallimento, il ricordo amaro della consapevolezza di non poter proteggere il fratello minore. Minho ricordava il viso stravolto di un Taemin agli inizi dell’adolescenza, la maschera di una vita infranta macchiata dalle prime tracce della polvere del mondo. Per i Lee erano stati pochi giorni di prigionia che li aveva segnati profondamente, per Minho era stata una vita intera. Aveva sempre pensato che solo da morti si potesse lasciare Jin Sung, perché solo morti aveva veduto lasciare quel luogo, ma il genio ancora in erba di Jinki aveva permesso a loro tre di fuggire. Jinki aveva cambiato il suo mondo e gli aveva mostrato cosa vi era oltre quelle impervie pareti rocciose che circondavano le miniere. Minho ricordava perfettamente il vento caldo di quella notte estiva, quando in cima a quella scarpata aveva detto addio a quell’inferno, quell’immenso formicaio brulicante di visi sporchi e corpi denutriti costretti a strisciare. Formiche operaie destinate a vivere e morire tra quelle aride pareti, senza la possibilità di udire il gioioso canto della cicala. Anche Minho era stato una di quelle formiche e come una formica aveva vissuto sino a quella notte. Minho si era sentito in bilico su una sottile linea seghettata, metallica sotto i raggi della luna, un limite che segnava un confine netto tra ciò che era e ciò che poteva essere. Per qualche strana ragione, Minho era stato titubante al pensiero di valicarlo. Perché, a volte, l’inferno in cui viviamo esercita un potere quasi rassicurante in confronto all’ignoto a cui andiamo incontro.
Il volto rigato di lacrime e sporco di Taemin s’impose prepotentemente nella mente di Minho e, d’istinto, corrugò la fronte e guardò in direzione del più piccolo. Quale oscura forza spingeva Lee Jinki a trascinare, di nuovo, Taemin in quell’inferno quando all’ora il semplice sentore di non riuscire a proteggerlo l’aveva quasi ucciso? Minho fremette. Lo sapeva, era quella brama latente di compiere una vendetta tanto attesa, scellerata quanto gloriosa. Perché? Come era giunto a questo?
Per quanto Minho odiasse e disprezzasse quel luogo non riusciva a condividere lo stesso entusiasmo del Leader. Vedeva solo follia. Follia negli occhi dell’altro, follia in quelle parole concitate che lanciava dichiarazioni di guerra promettendo solo disastro.
Non si poteva distruggere Jin Sung, nemmeno con le abilità degli altri era possibile un piano tanto assurdo. Era un’idea suicida destinata a concludersi con la loro inutile morte, perché l’imperatore era potente e per lui non sarebbe stato che un colpo dal quale leccarsi le ferite, forse lentamente, ma non avrebbe sancito la sua distruzione, bensì la loro.
Minho guardò gli altri. Jonghyun era eccitato, Taemin sembrava preoccupato ma esaltato, in quanto a Kibum era l’unico, come lui, a sembrare freddo e impassibile. Cosa passasse per la mente del principe Minho non ne aveva idea, solo un leggero colorito verdognolo era affiorato sul viso pallido dell’altro quando aveva sentito nominare le miniere, come se ricacciasse indietro la bile. Probabilmente Kibum ricordava molto bene i corpi gonfi che aveva visto, ormai mesi addietro, galleggiare sulla superficie dell’Han. Minho aveva come il sentore che Jinki avesse calcolato ogni cosa nei minimi dettagli. Non aveva mai voluto disfarsi del principe e lasciarlo andare a Nihon. No. Il Leader non voleva lasciarsi sfuggire quella che poteva essere la chiave del suo successo.
Minho assottigliò gli occhi, bassi e meditabondi. Non c’era logica in quel piano, non c’era ponderatezza, ma solo rabbia.
Jinki continuò a parlare, ma Minho non udì una parola e ad un cero punto si ritrovò fuori dallo studio insieme agli altri, finché non li perse nei corridoi. Dov’erano e dov’era lui?
Si sentiva come quella notte, in bilico su una linea sottile con la certezza di ciò che aveva alle spalle ed innanzi il vuoto.
Non seppe cosa lo portò davanti allo studio di Key, probabilmente aveva vagato per i corridoi a lungo; né quale forza lo guidò ad aprire quella porta e ad entrare. Uno strano odore amaro gli solleticò le narici facendogli arricciare il naso, i piedi tornarono a percepire la consistenza del terreno sotto di essi ed il sangue riprese a fluire.
-Che cos’è quest’odore?- chiese.
Kibum lo guardava fisso dall’altro alto della stanza. Sembrava tanto piccolo seduto a gambe incrociate a quel tavolo basso invaso da incartamenti. Anche lui sembrava pensieroso e ad un certo punto arrossì. Inclinando leggermente il capo di lato, il principe indicò la tazza fumante al suo fianco.
-Tisana -, disse, - per uhm…aiutare il metabolismo. –
Minho scosse il capo. Ci mancava anche quello!
-In poche parole serve a dimagrire. –
Kibum avvampò e incrociò le braccia tirando su col naso. – L’hai sentito? Ha detto che sono un maiale! – scattò.
Minho roteò gli occhi. Davvero, si stava facendo problemi per quello?
Aish, imprecò tra sé passandosi una mano tra i capelli.
-Tanto per cominciare non l’ha detto a te, poi non ne hai bisogno e, per tutti gli dei!, l’ha detto Kim Jonghyun! Questo dovrebbe essere sufficiente a farti riflettere. –
Kibum si mordicchiò il labbro inferiore e rivolse uno sguardò impacciato alla tazza fumante. Arricciò il naso. Aveva davvero un odore disgustoso. 
Minho roteò gli occhi. Anche se non aveva idea di cosa l’avesse portato lì, la cosa iniziava ad assumere contorni definiti, ma di certo non riguardavano i presunti problemi di peso di sua altezza reale. Prese un bel respiro.
-Che cosa pensi della riunione di oggi? – domandò cauto.
Minho non si sentiva tranquillo. Sapeva che qualcosa non funzionava, che si era rotto. Aveva un’immagine fissa nella mente: un orologio rimasto fermo troppo a lungo e poi, una volta ripreso il ritmo del tempo, le lancette che iniziano a girare in senso antiorario; decisamente assurdo. Bisognava fare un passo indietro e aggiustare quel dannato orologio.
Kibum si umettò le labbra. Cosa pensava? In realtà pensava molte cose, una diversa dall’altra. Era confuso, doveva ammetterlo, ed era proprio per questo che aveva passato il resto della giornata chiuso nel suo studio. Sfogliava le infinite missive che giungevano dai contatti a Busan e a Soul, ma quelle che aveva letto realmente poteva contarle sulle dita di una mano. Per tutta la durata della riunione era stato tormentato da una sensazione poco piacevole, fastidiosa quanto degli abiti bagnati appiccicati alla pelle. Gli era sembrato di tornare indietro alla prima volta in cui aveva visto Jinki, tormentato da un senso di paura e diffidenza, sensazioni che da tempo aveva abbandonato. Non gli piaceva provarle di nuovo. Si sentiva tradito ed un traditore al contempo.
Alzò gli occhi su Minho sul quale parevano aleggiare i medesimi dubbi. Decise di essere diretto. Non gli piaceva, non aveva mai preso posizioni contrarie a Jinki ed il pensiero di farlo lo feriva nell’intimo, ma questa era una faccenda seria.
-Non mi piace – disse semplicemente.
Minho annuì e si sedette di fronte a lui. Kibum iniziò a stropicciarsi le mani.
-Forse potrà sembrare che io sia di parte – disse flebile il principe.
L’altro scosse il capo, incoraggiandolo a proseguire.
-Non credo che avrà successo, ma non è tanto questo a preoccuparmi. Sarà un suicidio, non usciremo mai vivi da una missione simile, nemmeno se avessimo il resto dei Ribelli a supportarci, al contrario. Quanti di loro sono veri soldati? Nessuno. Forse non siamo banditi, ma la verità dei fatti è che è esattamente come loro che ci comportiamo. –
Minho trovò strano sentire l’altro dire queste cose. Kibum non aveva mai esitato nel dire “noi”, anche ora non vi era alcun dubbio nella sua voce.
-Sarebbe un massacro. Le miniere…non le ho mai viste, ma conosco abbastanza e so tutto sull’organizzazione interna, sulle dimensioni, le strutture…sono troppo grandi, immense. Non sarà una dichiarazione di guerra. Sarà la fine dei Ribelli e basta. Non solo, se io e Jonghyun useremo le nostre abilità congiunte ti posso assicurare che seguirà una vera esplosione e molte vite ne rimarranno coinvolte, persone innocenti moriranno. –
Minho annuì. Erano i suoi stessi pensieri.
-Forse -, azzardò Kibum, - Jinki ha in mente qualcosa che non ci ha detto. –
Più che un’affermazione a Minho quella parve una speranza disperata. Sembrava che il principe cercasse di aggrapparsi con tutte le sue forze a quella fiducia che aveva coltivato per mesi. Lo capiva, anche per lui era difficile, ma nonostante il rispetto che nutriva per Jinki lo conosceva abbastanza bene da sapere quanto potesse diventare pericoloso e fuori controllo. La rabbia e l’impotenza possono essere delle micce potenti.
Sospirò.
-Io non credo – si ritrovò a dire.
Vide il viso di Kibum sgretolarsi. Come la superficie liscia e perfetta di uno stagno infranta da una pioggia di sassolini.
-C’è sempre stata molta rabbia in lui-, proseguì Minho, - desiderio di rivalsa e credo che nel profondo si senta in dovere di vendicare la sua famiglia. Tuttavia è sempre stato moderato, ponderato in ogni scelta ed ha sempre messo il bene di chi lo circonda davanti a tutto. Ma temo sia stanco, lo vedo stanco, stanco di portare avanti una guerra invisibile senza sapere dove andrà a finire, stanco di domandarsi se quello che sta facendo avrà mai un senso…Vuole di più, per lui, per Taemin, per Chosun e temo sia disposto a tutto pur di lanciare delle provocazioni a Soul. Non voglio incolparti, Kibum, ma il tuo arrivo ha risvegliato qualcosa in lui. –
-Lo temevo-, disse Kibum con voce spezzata.
Il suo sguardo era triste e le mani tranquillamente posate sul tavolo. Non era nervoso, ora, solo affranto.
-Jinki mi ha dato tutto –disse, - mi ha dato la possibilità di essere felice, ma…a volte temo che si nasconda qualcosa, io non so come descriverlo. Era da mesi che non avevano questa sensazione – confessò. -Gli voglio bene come ad un fratello al quale non rinuncerei mai, non sarei nemmeno vivo se non fosse per lui, ma sta sbagliando strada e ammetterlo mi rende triste. –
Alla fine, Kibum alzò lo sguardo. Minho lo fissava serio e preoccupato e nonostante la precarietà della situazione il principe si ritrovò a sorridere. Non poté fare a meno di pensare a Siwon. Forse era un pensiero buffo, assurdo, ma si sentiva come se Minho avesse preso il suo posto.
-Perché sei venuto da me? –
-Perché mi fido del tuo giudizio. Sei l’unico con la testa sufficientemente sulle spalle da capire a cosa andiamo incontro. Solo tu puoi parlargli e sperare di farlo rinsavire, non io, non Taemin, non Jonghyun. –
Quelle parole rubarono un sorriso a Kibum. Forse l’altro non lo sapeva, ma in quel momento si sentì un vero principe, una sensazione che in tutta la sua vita non aveva mai provato. Minho si stava rivolgendo a lui perché si fidava e non solo come amico.
Minho lo fissò, carico di aspettativa.
-Dobbiamo parlare con Jinki, tu devi parlare con Jinki. Se non facciamo qualcosa lui stesso si pentirà delle sue azioni per sempre. -
Kibum annuì. Minho aveva ragione, Jinki sarebbe stato il primo a pentirsene, dovevano farlo per salvare lui ancora prima di loro stessi. Un Jinki in sé avrebbe fatto la medesima scelta, dovevano solo ricordargli chi era davvero e mostragli ciò che rischiava di diventare.
-Lo farò, ma non senza averne parlato anche con gli altri, questa storia riguarda tutti noi. Non dirò una parola a Jinki se non sarà una decisione unanime. –
Minho annuì, poi calò il silenzio.
-Sai – fece Kibum accennando un sorriso, - penso che butterò via quella cosa, ha un sapore orrendo.–
Allontanò da sé la tisana.
-Vuoi la tua solita? –
-Penso che mi farebbe bene e penso che ne farebbe anche a te. Sei uno straccio. –
Minho sorrise. Sì, ne aveva bisogno anche lui. Stava per uscire ed andare a prendere delle tazze per entrambi quando vide il volto dell’altro chino sulle missive tingersi di puro orrore.
-Key? –
Le mani di Key tremarono ed il foglio che reggeva oscillò come le onde del mare in tempesta. Fece scorrere gli occhi su quelle poche righe che avevano avuto il potere di mandare in frantimi la sua mente ed il suo cuore, come uno specchio infranto in schegge tintinnati. Più le rileggeva più sperava mutassero, ma rimaneva uguali. Pesanti e definitive come la peggiore sentenza di morte. Gli occhi iniziarono a pizzicargli e il nero dell’inchiostro sulla carta bianca si perse in una nebbia acquosa e sfuocata. Si rese conto di star piangendo solo quando una lacrima cadde sull’inchiostro, macchiandolo.
Minho gli sfilò il foglio. Veniva da un contatto a Busan ed era scritto in una calligrafia minuta e frettolosa. Dovette rileggere anche lui più volte per convincersi di non aver preso un abbaglio, ma tutto ciò che c’era da sapere era riportato chiaramente in quelle poche righe. Minho si passò le mani tra i capelli ed imprecò.
 
 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, se vorrete lasciami un commento vi ruberà solo due minuti di tempo e migliorerete la mia giornata! Per me è importante sapere cosa pensate! Per qualsiasi chiarimento sono sempre disponibile.
Grazie e alla prossima!
 
 
 
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[1] Probabilmente nessuno di voi conosce i libri de La ruota del tempo, non sono molto conosciuti, comunque è da qui che ho preso spunto aggiungendo qualche variante. Vi lascio il link nel caso vogliate approfondire, se avete domande scrivetemi! https://it.wikipedia.org/wiki/Custodi_delle_Aes_Sedai

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Capitolo 26
*** Capitolo 25. Tell me what to do (parte I) ***


Ciao a tutti! Finalmente sono riuscita ad aggiornare!
Ringrazio chi ha inserito la storia tra preferite, seguite e da ricordare.
Un grazie speciale a chi mi ha lasciato i suoi commenti: Blugioiel, Chocolat95, DreamsCatcher, Ghira_, Gonzy_10, KimJonghyun23, MagicaAli, Panda_murderess, e vanefreya. Grazie per il vostro sostegno!
Chiedo scusa per possibili errori che mi sono sfuggiti durante la rilettura e vi auguro buona lettura!
 
 
 
Capitolo 25
Tell me what to do (parte I)

 
 

“I’ll go to you first
At the end of a different road
I’ll wipe your cheeks that are
wet with tears and ask you(…)
That smile came to me, more brightly
The cold hands became more warm
Two lonely souls met
Not lonely, lonely, lonely, lonely
I’ll look into you again,
I’ll place your breathing in my ears
Even if everything but us changes”
Shinee, Tell me what to do
 
 
 
A Kibum non piaceva per niente l’idea di trovarsi con gli altri nel suo studio all’insaputa del Leader e, detto francamente, si sentiva già sufficientemente sulle spine all’idea di tentare quella mossa azzardata. Lui e Minho non avevano di certo cattivi propositi, tutt’altro, ma la situazione metteva Kibum sulle spine. Non solo perché, volente o nolente, stavano prendendo delle posizioni contrarie a quelle di Jinki ed intendevano convincere gli altri due a pensarla come loro, ma perché nel suo caso specifico non poteva fare a meno di considerare la sua posizione particolare. Minho non era stato di certo d’aiuto, anzi, Kibum aveva come l’impressione che l’avesse messo a forza su una giostra impazzita; no, un cavallo imbizzarrito era decisamente un’immagine migliore, imbizzarrito e al galoppo prossimo a gettarsi da un dirupo. Kibum si sentiva esattamente in quel modo! Gli sembrava di essere stato posto a capo di una ribellione nella ribellione! Assurdo! Tutt’al più non ne aveva alcuna intenzione, dovevano solo far ragionare Jinki, nient’altro.
Kibum arricciò il naso e incrociò le braccia, osservando gli altri seduti intorno al tavolo della cucina. Nonostante fosse uno dei luoghi preferiti da Taemin per spettegolare, poteva considerarsi una zona neutrale. Questo faceva sentire Kibum meno “sovversivo”.  
Il principe si umettò le labbra e s’appoggiò al mobile ligneo della cucina e osservando l’ambiente la sua attenzione fu calamitata da una piccola ragnatela.  Era un pensiero ed una sensazione assurda, ma si sentiva come il ragno che aveva tessuto quella tela: silenzioso e nell’ombra a complottare. Si passò una mano tra i capelli corvini.
E’ per il bene di Jinki e nostro, si disse.
Se avesse voluto attirare l’attenzione si sarebbe messo a sbuffare sonoramente. Decise di distogliere l’attenzione da quei sottili fili bianchi e tornare posarla sugli altri. Era l’unico a non essersi seduto, né intendeva farlo; era un fascio di nervi e dire che era nervoso era puro eufemismo. Per quanto certo di essere nel giusto non poteva fare a meno di sentirsi in colpa e un traditore ingrato. Aveva passato l’intera nottata a cercare le parole giuste da usare per intavolare quella conversazione, ma ogni tentativo si era rivelato fallimentare. Era una pessima situazione.
D’istinto, la sua mano corse alla tasca in cui conservava un foglio ormai stropicciato e macchiato. Lo stinse regalandogli l’ennesima cicatrice, ma non gl’importava, che s’accartocciasse pure, dopotutto il suo cuore era sul punto di fare lo stesso. Le ultime ventiquattrore erano passate lente ed inesorabili, scandite dal suono cupo e ritmato di un gong. Con il cuore in gola, Kibum aveva più volte riletto quelle poche righe, nascondendole poi tra le mani nervose desiderose di farle a pezzi. Lui e Minho erano gli unici a conoscere il contenuto di quell’informazione giunta da Busan e, nonostante l’apprensione, si era imposto di riferire tutto a Jinki prima che a chiunque altro. Sperava tanto di riuscirci. Kibum sorrise amaro. Un piccolo segno di lealtà di fronte a quella che sembrava un’aperta ribellione.
-Insomma, non che mi dispiaccia il nuovo piano…sono le miniere di Jin Sung, ma il palazzo reale…- Jonghyun sospirò e alzò le mani al cielo, in preda ad uno dei suoi sproloqui insensati.
– Poteva essere una grandiosa occasione! –
Kibum tamburellò il piede per terra e si mordicchiò il labbro inferiore, tuttavia quando Jonghyun si voltò nella sua direzione si lasciò sfuggire un sorriso cogliendo l’altro di sorpresa.
Jonghyun guardò Key poco convinto. Non appena aveva udito quel tamburellare nervoso si era accorto di aver parlato a sproposito, o quanto meno secondo l’opinione del più piccolo, ma quel suono non era stato seguito da occhiate taglienti e roteare di occhi felini, bensì dal sorriso più dolce che Jonghyun avesse mai visto. Non sapeva come interpretare quell’atteggiamento discordante. Key continuava a sorridere e a tamburellare il piede, la mano in una tasca che sembrava afferrare e stringere qualcosa. La testolina di Key doveva essere in pieno fermento, ne era certo.
Taemin sbuffò. –Non c’è nessun nuovo piano, è sempre stato quello. –
Jonghyun lo ignorò e sorrise a Key, ma il più piccolo si era voltato per scambiarsi delle occhiate con Minho.
Che cosa sta succedente? Si chiese Jonghyun grattandosi il capo.
-Bhe non importa – fece Jonghyun, senza staccare gli occhi dagli altri due.
C’era un’aria strana, tesa. Jonghyun non ne era sicuro, ma qualcosa gli diceva che stava per alzarsi vento ben più gelido di quello che li aveva colti nei mesi precedenti.
Kibum si mordicchiò le labbra, un’attività che l’aveva impegnato parecchio nelle ultime ore. Minho sembrava ansioso e non faceva altro che rivolgergli occhiate per incitarlo a parlare. Il principe aveva le mani sudaticce e quella in tasca stava letteralmente stritolando il foglio quasi illeggibile. Alla fine si schiarì la voce e s’affiancò a Jonghyun, accarezzandogli appena il capo con le dita sottili sino a far scivolare la mano sulla spalla dell’altro.
Jonghyun sgranò gli occhi e avvertì un brivido attraversargli la spina dorsale. Tutta quella dolcezza gratuita era davvero piacevole, ma non riusciva a spiegarsela e questo lo metteva in guardia. Nelle ultime ore Key era stato particolarmente tenero nei suoi confronti, non che normalmente non lo fosse, ma niente spocchia, niente battute sarcastiche od occhiate sottili al suo indirizzo.
-Le miniere di Jin Sung sono molto grandi – disse Key centellinando le parole e giocando, con le punte delle dita, con i capelli di Jonghyun.
Jonghyun sorrise, quasi beato, ed alzò il viso. -Quando grandi? – chiese con voce calda, sentendosi un cucciolo desideroso di coccole.
La situazione non migliorò perché Key, prima di rispondere, gli sfiorò lo zigomo con le labbra.
-Molto –
Jonghyun cercò d’ignorare le mani affettuose di Key che giocavano con i suoi capelli.
-E’ una missione difficile, ho qualche dubbio sulla sua riuscita è…-
Kibum desiderava essere cauto, misurare attentamente ogni parola.
-E’ una follia – concluse per lui Minho.
Kium sbuffò. Non solo Minho gli scaraventata addosso patate bollenti, ora gli metteva pure in bocca parole che non aveva detto, o quasi. Stava cercando di essere diplomatico ma, a quanto pare, il suo integerrimo amico aveva deciso di essere anche troppo diretto.
-Che cosa volete dire? –
La voce di Taemin tesa e, guardando il più piccolo, Kibum ebbe l’impressione d’intravedere un leggero rossore sul suo viso. Che cos’era, disagio? Rabbia? Vi era stata una punta di astio in quella domanda.
-Che non si può fare – rispose semplicemente.
Minho voleva che fosse diretto? Va bene, ma l’avrebbe fatto a modo suo. Non c’erano parole giuste o sbagliate, la situazione era precaria e, a conti fatti, girarci intorno era inutile.
-Cosa vuol dire? –
Jonghyun inarcò un sopracciglio. Le sue intuizioni erano state corrette, ma ora voleva saperne di più.
Kibum incrociò le braccia e si fece serio.
-Le miniere di Jin Sung non sono grandi, per essere precisi, sono immense. Un’intera gola incastrata tra irte pareti rocciose, controllata da centinaia di soldati che pattugliano costantemente la zona. Ci sono pozzi, cunicoli…ed è sempre in attività, giorno e notte. –
-Detto così sembra molto stimolante. –
Jonghyun sogghignò, mordendosi la lingua due secondi dopo. Key lo stava fissando intensamente e, questa volta, non c’era dolcezza nel suo sguardo.
-Hai così poco interesse per la tua vita? – domandò Key, duro, prima di baciargli la fronte.
Jonghyun s’irrigidì e si passò una mano tra i capelli. Stava sudando freddo. Cosa passava nella testa del più piccolo? Se non l’avesse conosciuto bene sarebbe stato pronto a scommettere che era impazzito. Tutto sommato la follia poteva essere una risposta quasi confortante, perché la situazione stava iniziando a diventare inquietante.
-E’ un suicidio che non porterà a niente – disse Minho.
Kibum annuì. -Sono stato uno sciocco. In questi mesi ho personalmente stilato una relazione per Jinki su tutta l’organizzazione imperiale delle miniere, la morfologia del terreno nella zona…avrei dovuto capire i suoi intenti. –
Sospirò. – Considerato il contenuto di quella relazione mi meraviglia la sua decisione. –
-Per non parlare del suo entusiasmo – commentò Minho.
Kibum roteò gli occhi, poi fissò Taemin.
Il più piccolo aveva assottigliato le labbra, di suoi occhi erano lucidi ed astiosi e stringeva le mani intorno alla tazza di latte che stava bevendo. Kibum temette si rompesse da un momento all’altro, tanto era ferrea la presa di Taemin. Non l’aveva mai visto così, ma l’aveva preventivato. Era chiaro che sentire quelle cose…annusare quell’aria di ribellione contro suo fratello non gli faceva piacere.
-E cosa dice quella relazione? – chiese Jonghyun.
Kibum distolse lo sguardo da Taemin per rivolgersi al suo ragazzo. Non poteva lasciarsi distrarre.
-In parole povere, Kim Jonghyun, che sono imprendibili. Forse con un grosso esercito possiamo sperare di avere successo, cosa che però non abbiamo. Per quanto riguarda le nostre abilità faranno solo danni. Sai cosa succederà quando le uniremo? Te lo dico io, sarà un disastro. Non so cosa Jinki voglia farci far esplodere, o radere al suolo, ma molte persone rimarranno coinvolte e non sto parlando solo dei soldati.-
Key fece una pausa. – Io e Minho abbiamo molti dubbi e, bhe, riteniamo sia opportuno parlare con Jinki, se voi siete d’accordo. -
-Volete persuaderlo ad annullare tutto?– chiese Jonghyun, sconvolto. Niente palazzo e ora niente miniere? Per quanto gli riguardava non era in attività da troppo tempo, l’ultimo anno non era stato dei migliori per i Ribelli. Da quanti mesi non assaltava una carrozza? L’ultimo ricordo che aveva risaliva all’estate! Non gli piaceva l’idea di rinunciare! Prima aveva sperato di prendere a calci l’erede al trono, poi aveva dovuto accontentarsi dei soldati reali ed ora questo…il nulla!?
–E’ davvero così pericoloso come dici? – domandò in tono rassegnato.
Key si limitò ad annuire. Gli dispiaceva togliere quello “sfogo” a Jonghyun, ma fosse stato per lui in quel momento l’avrebbe relegato in camera. Avvolse le braccia intorno al collo dell’altro e lo baciò sulla guancia.
Jonghyun arrossì. Che cos’erano quelle effusioni in pubblico? Cercò d’ignorare il naso di Key che gli solleticava il collo ed il suo invitante profumo per mettere insieme una frase di senso compiuto. Lee Jinki non era mai stato una persona chiara e semplice, al contrario amava tenere gli altri sulle spine, ma a sentire Key questo piano era totalmente privo di logica e buon senso. Possibile?
–Ma Jinki deve avere in mente qualcosa, no? –
-E quello che speriamo, ma…-
-Smettetela!- sbottò Taemin alzandosi in piedi e sbattendo la tazza sul tavolo. Le sue mani erano strette a pugno sino a farsi sbiancare le nocche, il collo un fascio di nervi rigidi, la mascella serrata e gli occhi sempre più lucidi.
-Mio fratello sa quello che fa, non ci manderebbe mai in quell’orribile posto senza un piano preciso. –
Taemin non voleva crederci, nemmeno soffermarsi a pensare ad una simile eventualità. Il solo sentir nominare Jin Sung gli metteva i brividi e nella sua mente riaffioravano immagini e sensazioni che desiderava solo dimenticare. Anche lui voleva vedere quel posto raso al suolo! Si morse le labbra. Jinki non l’avrebbe mai riportato lì senza buoni motivi e senza certezze.
-Minnie…- cercò di persuaderlo Minho. –In questo momento Jinki non è totalmente in sé. –
Taemin lo fulminò.
-Pure tu? – domandò sconvolto. - Dovresti essere il primo a voler vedere Jin Sung spazzata via dalla faccia della terra! Sai meglio di chiunque altro quanto quel luogo sia terribile, quanto… -
Taemin si bloccò, ricacciando indietro le lacrime. Non voleva sembrare debole e stupido, tanto meno di fronte a Minho; non lo trattava già a sufficienza come un bambino?
-Certo che lo voglio, ma questa è la strada sbagliata –, disse Minho prendendo il più piccolo per le spalle. Anche lui si era alzato ed ora lo fronteggiava.
Taemin si divincolò e puntò un dito contro Kibum.
-E’ tutta una tua idea! A te non interessa distruggere le miniere, al contrario! -
Kibum sobbalzò e s’irrigidì, fece un piccolo passo indietro e artiglio la spalla di Jonghyun, come se dovesse sfuggirgli dalle dita da un momento all’altro.  Non rispose. Per quanto le parole di Taemin lo ferissero comprendeva il suo stato d’animo. Si sentiva tradito e, d’altra parte, anche Kibum si sentiva un traditore. Come immaginava la sua posizione “particolare” lo stava mettendo in cattiva luce. Ed il principe non poteva biasimare il più piccolo se tra lui ed il fratello, Taemin aveva scelto Jinki.
Tuttavia, l’espressione astiosa di Taemin lo fece fremere ed impallidire. Era possibile che in un eccesso di rabbia svelasse il suo segreto?
Jonghyun fu il primo a percepire il suo turbamento e s’alzò circondando le spalle di Key con un braccio.
-Yah, chiedigli scusa! Key vuole solo…- iniziò Jonghyun.
- Certo, Key…- disse Taemin sottolineando bene l’ultima parola. Tornò a rivolgersi al principe.
- Pensavi di cavartela facilmente, vero? Oh Jonghyun sta già pendendo dalle tue labbra. Ma tu…- Taemin rivolse uno sguardo supplicante e deluso a Minho.
Minho sospirò. Sospettava non sarebbe stato facile far ragionare Taemin, ma il più piccolo stava passando il segno.
Kibum cercava di non darlo a vedere e rimanere impassibile, ma era chiaro quanto le parole del più piccolo l’avessero ferito. Jonghyun sembrava confuso e sul piede di guerra. Le cose non stavano andando come Minho aveva sperato.
Senza attendere una risposta, Taemin corse fuori dalla cucina abbandonando a metà la sua tazza di latte. Stringendo i pugni e strizzando gli occhi prossimi al pianto percorse i corridoi del Rifugio e, fortunatamente, non incontrò nessuno lungo il tragitto. Non gli piaceva l’idea di farsi vedere in quello stato.
-Taemin fermati! –
La voce di Minho gli giunse ovattata, come se a separarli vi fosse una parete di vetro. Solo quando l’altro l’afferrò per le spalle si rese veramente conto della sua presenza e cercò di divincolarsi. Taemin non voleva parlare con lui, anzi non voleva parlare con nessuno! Minho avrebbe dovuto capire, invece gli voltava le spalle, a lui e a Jinki.
-Mio fratello ha fatto tutto per noi, per te. Non saresti nemmeno qui se non fosse stato per lui! – urlò.
-Sai dove staresti? -, proseguì, -ancora a strisciare lungo quei cunicoli e a calarti in pozzi umidi e malsani, oppure cibo per i pesci di fiume. –
Minho lo guardò serio, senza lasciarlo andare.
-Lasciami – insistette Taemin, cercando di non dare alle sue parole un’intonazione prossima al pianto. –Non hai alcun diritto di parlare contro di lui. -
Minho si limitò a fissarlo senza muovere un muscolo. –E’ vero – disse poi, - io gli devo tutto e probabilmente non sono niente e nessuno per dirgli cosa fare, né voglio farlo. Ma proprio perché gli devo tutto non posso stare a guadare. –
Minho lo pensava davvero. Doveva tutto a Jinki: il fatto di essere vivo, di avere un tetto sopra la testa e uno scopo. Avrebbe fatto qualunque cosa per lui. Non stava, forse, già rinunciando ad i suoi sentimenti più intimi? Guardò Taemin e percepì l’infinito dell’oceano tra loro.
Minho sospirò. Poteva essere “l’altro”, poteva essere nessuno, ma non intendeva starsene a guardare mentre Jinki andava in pezzi per il suo stesso volere trascinando con sé anche Taemin.
-In questo momento tuo fratello è come un tronco in balia delle rapide, prossimo a schiantarsi contro rocce acuminate e tu ti stai aggrappando follemente al suo ultimo barlume di coscienza, sperando di rimanere a galla. –
Taemin sussultò rendendosi conto di quanto le parole dell’altro fossero vere. Minho aveva colpito nel segno e non poteva esservi immagine più appropriata per descrivere ciò che provava. Si stava davvero aggrappando ad un tronco in preda alla corrente e, ora, andava verso una cascata. Taemin sapeva che non sarebbe sopravvissuto a quella caduta, l’impatto sarebbe stato troppo forte, ma non riusciva a staccarsi da quell’unico appiglio. Riconoscere la veridicità di quelle parole era come ammettere una sconfitta e prendere coscienza del fatto che si stavano lasciando alle spalle qualcosa d’importante. Strinse un pugno al petto. Jinki l’aveva salvato mille volte ed altre mille era stato il suo tronco solido e robusto, che naviga sicuro senza mai perdere la giusta rotta.
Taemin si rivolse a Minho, sprezzante. – Queste parole sono tue o di qualcun altro che ti ha convinto? -
-Stai facendo insinuazioni orribili e lo hai fatto anche poco fa, ma so per certo che non le pensi davvero. –
Taemin abbassò il capo. Era vero, l’aveva fatto. La cosa più orribile era che, pur non pensandole, era stato fiero in quel momento. Peggio, aveva desiderato dire molto di più.
–Ho chiesto io a Kibum di parlare con Jinki, ma non lo farà senza il consenso di tutti. –
Taemin aprì la bocca a vuoto e sbarrò gli occhi al vero nome di Key.  – Tu lo sai? –
Minho annuì. – Lo so da mesi. –
Taemin abbassò il capo, contrito. Aveva pronunciato parole meschine e tanto altro avrebbe voluto dire in quel momento di rabbia, eppure non ne pensava neanche una. Tuttavia, se avesse potuto riavvolgere il tempo nulla sarebbe cambiato. Le medesime frasi sarebbero uscite dalla sua bocca pur di difendere Jinki.
Minho gli sfiorò appena il viso con il dorso della mano. – Minnie -, disse dolcemente. -Radere al suolo Jin Sung non cancellerà il passato. –
Dalle labbra di Taemin fuoriuscì un sospiro spossato, come il lamento affannato di lacrime che non aveva versato ma che erano sul punto di sgorgare. Appoggiò la fronte sulla spalla di Minho, trovandola calda e solida. Era come navigare su acque tranquille e rassicuranti, un fiume placido capace di condurti là, dove ad ogni aurora il sole sorge in tutto il suo splendore. Perché non poteva godere in eterno della sicurezza di quella spalla e del conforto di quel tocco gentile? Perché Minho non lo vedeva? Era forse così infantile ed insignificante? Il ricordo che conservava di quel ragazzino sporco ed in lacrime era davvero così patetico da gettare ombre profonde su ciò che era diventato?
Sono qui, desiderava gridare con tutto il fiato che aveva in corpo.
Minho sollevò il volto del più piccolo con movimenti gentili ed indugiò per qualche istante su quei tratti stravolti. Vedeva ancora il ragazzino scaraventato in una baracca fatiscente, sporco e spaventato, con indosso abiti un tempo splendidi ridotti in stracci, eppure allo stesso tempo era cresciuto diventando più forte e sicuro. Amava tutto di Taemin, passato e presente, indistintamente. Era come un fiore calpestato e rinato più bello e perfetto di prima, coronato da petali luminosi simili ai raggi del sole che incessantemente rincorre. Ma tutta quella luce, quella freschezza, Minho aveva deciso d’ammirarla da lontano, come se avvicinarsi troppo potesse spezzare l’incantesimo. Meglio rimanere in ombra e osservare la luce del sole da lì, piuttosto che immergervisi e perdersi in un miraggio.
Minho posò un bacio sulla fronte di Taemin, una carezza lieve simile al volo leggero di una farfalla sui fiori.
Taemin sospirò e chiuse gli occhi. Quello era tutto ciò in cui poteva sperare? Le carezze di labbra apparentemente fredde e in realtà calde come il posarsi di un raggio di sole sulla fronte? Un sorriso luminoso destinato a rimanere lontano?
 

***
 
Kibum si lasciò cadere sull’alto e morbido materasso del letto di Jonghyun, o per meglio dire di quello che da tempo era il letto d’entrambi. Nonostante la frustrazione non poté fare a meno di sorridere tra sé. Benché quella fosse a tutti gli affetti anche la sua stanza, continuava intimamente a considerarla il modo del più grande. Si coprì il viso con le braccia e chiuse gli occhi, sospirando alla ricerca di un po' di tranquillità. Tutta l’adrenalina che aveva in corpo stava scemando, ma un sottile strato d’ansia avvolgeva come una patina pronta a lacerarsi.
Dopo quella conversazione al limite del fallimentare aveva passato le restanti ore della giornata nel suo studio a spulciare la solita corrispondenza. La cena era stata penosa e Taemin non si era visto. Se il lato più razionale di lui si rendeva conto che il più piccolo aveva bisogno di sbollire e ragionare con calma, la umma che era in lui era sprofondata in stato d’apprensione non irrilevante. L’idea di una possibile rottura con Taemin lo spaventava, non solo perché era stato il suo primo amico, ma anche perché temeva potesse fare qualche sciocchezza. Voleva raggiungerlo e parlarli, ma sapeva anche che, ora, una mossa simile sarebbe stata del tutto inutile. Doveva quanto meno attendere il giorno successivo.
Dei passi, appena attutiti dai tappeti colorati che ricoprivano il pavimento, annunciarono l’arrivo di Jonghyun, così come il lieve abbassarsi del materasso indicò a Kibum che si era appena steso al suo fianco. Tuttavia, il principe non si mosse ed attese che fosse l’altro ad instaurare il primo contatto. L’attesa fu breve, perché Jonghyun gli stampò subito un bacio sulle labbra. Kibum sciolse le braccia ed aprì gli occhi, sorridendo alla vista del volto del più grande a pochi centimetri dal suo. Il principe socchiuse gli occhi godendo del lieve contatto delle mani calde dell’altro che gli sfiorarono il viso.  
-Stai bene? – chiese Jonghyun con un moto d’apprensione.
Key annuì, puntellandosi sui gomiti per mettersi seduto e sistemandosi un cuscino dietro la schiena. Al suo fianco, Jonghyun era scompostamente semi sdraiato e lo accarezzava lentamente.
-Per quanto io voglia prenderlo a sberla non devi prendertela troppo con Taemin –, disse il più grande.
-Non preoccuparti, so che non pensava sul serio quelle cose. –
Kibum ne era certo, tuttavia si ritrovò a stropicciarsi le mani nervose e sudaticce. Aveva temuto che il più piccolo rivelasse il suo segreto e, a malincuore, sapeva che di fronte a quell’eventualità non sarebbe mai riuscito a perdonarlo.
Kibum rivolse un sorriso caloroso Jonghyun sfregando il naso contro il suo, baciandone poi la punta. Non poteva permettere che subisse un trattamento così crudele. Doveva e voleva essere lui a spezzargli il cuore perché solo lui, poi, deteneva il potere di guarirlo con un bacio. Per quanto fossero state anime relegate nella solitudine per molto tempo, ora che si erano incontrate non potevano tornare, semplicemente com’erano venute, a quel freddo ed oscuro silenzio.
-Chissà cosa voleva dire – commentò sottovoce Jonghyun.
Il principe sospirò. Era stufo di vivere nella paura, di mentire, doveva darsi un tempo e se non l’aveva essere lui stesso a fabbricare quello perfetto. Perché per quanto fosse felice quella stilla di veleno tra loro era troppo reale e lui desiderava estirparla, come si estirpa la linfa mortale di una vipera.
-Era arrabbiato, non c'è motivo di dargli troppo peso – rispose glissando sull’intero argomento.
Prima di pensare al futuro, Kibum doveva trovare un modo, una qualunque scappatoia, per preservare il suo Amore. Si strinse al più grande nel tentativo di trattenerlo a sé, impedirgli di fare anche un solo passo lontano da lui.
Il mondo non è un luogo sicuro per chi vive in un sogno ed ama l’essenza stessa di un sogno.
Percepiva l’alito gelido della morte tra loro e, chiudendo occhi, vedeva il riflesso metallico e freddo di una lama pronta a coglierli.
Da quando Kibum aveva letto quelle poche righe stropicciate a macchiate di lacrime al punto da essere quasi incomprensibili, avvertiva che qualcosa si era infranto. Il tempo, il loro tempo, così come il loro universo perfetto, stava per essere raggiunto dal mondo reale. Kibum lo sentiva, ne udiva il ticchettio flebile e spaventoso del tempo reale che tentava di raggiungerli e di strapparli dal loro universo che giaceva per l’uno negli occhi dell’altro.
Stringendosi a Jonghyun, indugiò sul suo viso. Il più grande fissava il vuoto corrugando la fronte e arricciando l’angolo della bocca in un chiaro gesto di stizza. Con la punta dell’indice, Kibum picchiettò il naso dell’altro trovando la sua espressione pensosa molto buffa.
-Qualcuno deve raddrizzarlo, sì, siamo stati troppo indulgenti in con lui – fece infine Jonghyun.
Key rise stringendosi al più grande che non si lasciò sfuggire la possibilità di sovrastarlo e torturarlo con mani esperte nel generare incontrollate risate cristalline. Kibum si dimenò, scalciando e cercando di sgusciare dalla presa dell’altro, ma tutto ebbe fine solo quando Jonghyun lo bloccò sotto di sé. Intrecciarono le loro mani ai lati del cuscino
Kibum si umettò le labbra a cuore. Jonghyun aveva i capelli in disordine, le guance arrossate e le labbra carnose atteggiate in un sorriso vittorioso. Key allungò il collo cercando di raggiungerle e, come a rispondere ad un desiderio inespresso, Jonghyun si abbassò su di lui donandogli un bacio caldo quanto i suoi sorrisi. Poi si staccò.
-Per questa storia hai tutto il mio appoggio – disse Jonghyun tornando serio.
-Davvero? –
-Certo. –
Kibum si mordicchiò il labbro inferiore, titubante. – Perché stiamo insieme o perché lo pensi? -
Jonghyun sbatté le palpebre, non capacitandosi del senso di quella domanda, poi sorrise.
- Abbiamo lavorato molto per unire le nostre abilità e non ti nascondo che gettare questi mesi di allenamento al vento e rinunciare ad una missione non mi rende felice, ma mi fido di te. Se dici che è pericoloso, che Jinki sta commettendo un errore, io ti credo. -
Key liberò una mano dall’intreccio perfetto che la univa a quella dell’altro per attirare il viso di Jonghyun più vicino al suo. Respirò piano lasciandosi totalmente sedurre da quegli occhi ambrati dai riflessi dorati, mentre il respiro caldo dell’altro lo cullava. Accarezzò con i polpastrelli quelle labbra carnose dalle curve morbide e, inavvertitamente, si leccò le proprie con la punta della lingua. Baciò l’altro senza invadere la sua bocca, beandosi semplicemente di quel frusciare di seta su seta. Le labbra di Jonghyun sapevano sempre del profumo dei fiori di pesco e portavano con loro il ricordo sognante del calore di una notte d’estate.
-Come mai sei così dolce? – domandò Jonghyun non appena si staccarono.
L’espressione ed il tono del più grande risultarono appena colorite da una leggera apprensione per sé stesso, come se si aspettasse da un momento all’altro di trovarsi una lama puntata alla gola.
Key emise una fioca risata. L’unica dolcezza che lui percepiva era quella irresistibile delle labbra dell’altro.
-Non posso? – chiese, ancora inebriato.
Jonghyun lo studiò per qualche secondo, pronto a cogliere una qualunque contrazione di muscoli sul suo viso. Tuttavia, Key rimaneva sereno, appena adombrato da pensieri che cupi resi più luminosi dalle gote rosate e dagli occhi luccicanti sotto le ciglia scure. In quelle perle nere, Jonghyun non vide alcun tipo di malizia.
-Certo che puoi, sei adorabile, ma non sei mai solo dolce, sei anche spocchioso, pungente...non è che hai in mente qualcosa? –
-In mente qualcosa? –
Kibum ridusse le labbra ad un piccolo bocciolo, corrugando leggermente la fronte ad afferrare il senso del disagio dell’altro.
-Per esempio riempirmi di tenerezze e poi legarmi al letto e torturarmi. –
Fu allora che la bocca a cuore del più piccolo s’incurvò in un sorriso tinto di furbizia.
-Oh, povero Jongie, non avrai paura di me? – domandò suadente. -E dimmi -, proseguì Key, - esattamente stai esprimendo una paura o un desiderio?–
Jonghyun deglutì. Eccolo quel sorriso incantatore capace di mandarlo in estasi e farlo rabbrividire.
-Se ti rispondessi un desiderio? – disse alla fine ritrovando un po' di audacia.
Era pur sempre Kim Jonghynu, non si sarebbe fatto mangiare la lingua da un gatto!
 -Bhe forse potrei adoperarmi per trasformarlo in realtà. –
Jonghyun sorrise sghembo. Finalmente la conversazione iniziava a prendere un risvolto interessante sotto parecchi punti di vista. Tuttavia, di fronte allo sguardo d’astuto e piccolo predatore di Key si domandò se non fosse masochista. Key, ora, aveva abbandonato la totale dolcezza per lasciar spazio a quella vena astuta ed ammaliate che lo contraddistingueva.
Jonghyun s’irrigidì e allo stesso tempo avverti una vampata di calore propagarsi in tutto il suo corpo. Perché sembrava che Key fosse propenso a rifarsi le unghiette su lui e, soprattutto, perché la sua mente riusciva ad esserne intimorita ed eccitata insieme?
-Hai questo potere? -
-Mi stai forse sottovalutando? –
Key inarcò un sopracciglio e soffiò stizzito, poi gli prese il viso tra le mani.
-Non c’è nulla che io non possa fare, Kim Jonghyun –, sussurrò mellifluo.
Il più grande si ritrovò a ridere, cosa che fece arricciare il naso all’altro.
-Ecco, ora sei di nuovo te stesso. Spocchioso, sadico, tagliente e dolce. -
Lo baciò puntellandosi sui gomiti per alzarsi leggermente e poi scivolare tra le gambe dell’altro. Jonghyun accarezzò il profilo del più piccolo scendendo lungo i suoi fianchi ed insinuandosi sotto la sua schiena inarcata.
-Jong…-
-Uhm –
-Non devi uscire dal Rifugio per qualche missione, vero? –
Jonghyun mosse il capo in segno di diniego. –Il tempo è migliorato, ma ci vorrà ancora qualche settimana prima che le carrozze tornino a frequentare la strada. Perché? –
Key intrecciò le mani dietro al capo dell’altro, saggiando con le dita sottili la consistenza setosa di quei capelli castani del colore del cioccolato.
-Perché ti voglio tutto per me. –
 
 
***
 
 
I colori sgargianti della stanza risultavano quasi psichedelici soprattutto se ad essi si sommava un disordine degno a quello che poteva seguire una violenta esplosione; come qualcuno riuscisse a vivere lì dentro per Key era un mistero. Un grosso lampadario a più braccia pendeva dal soffitto gettando all’intorno la luce delle candele e disegnando sulle pareti ombre intrecciate simili a rami o zampe di ragno. I mobili raffinati con intarsi in madreperla e dipinti a mano erano per la maggior parte aperti e vomitavano sui tappeti i loro contenuti più vari. C’erano abiti, libri, oggetti di dubbio uso e provenienza e piccoli soprammobili che, chissà per quale motivo, decoravano il pavimento invece delle mensole. Visto dall’alto sembrava un immenso formicaio, un altro mondo privo di regole e logica. Una grossa poltrona campeggiava a destra dell’ambiente, totalmente sommersa da vestiti e cuscini, praticamente un multicolore mostro informe.
I muscoli sul viso di Kibum si contrassero in quella che doveva essere una smorfia di puro disgusto quando notò in cima alla testata della poltrona un vassoio con una ciotola e delle bacchette. Arricciò il naso. Dovevano essere i resti dell’ultimo pranzo di Lee Taemin, non aveva dubbi! Quella testa sciocca di Kim Jonghyun per una volta aveva ragione: Taemin se la passava troppo bene e doveva essere raddrizzato!
Kibum iniziò a tamburellare un piede, nervoso, quando la punta del suo calzare incontrò un’altra ciotola che rovesciandosi riverso sul pavimento, già devastato, gli ultimi chicchi di riso che conteneva. Il principe trattenne a stento un verso di stizza e il suo viso si deformò in una smorfia. Fece un bel respiro cerando di non dar peso a quel caos primordiale e si ridesse in punta di piedi verso il letto.
Al centro dell’alto materasso, non messo meglio del resto dell’ambiente, Taemin giaceva riverso a pancia in giù con il viso affondato in un cuscino. Se non fosse stato per la schiena che s’alzava ed abbassava a ritmo regolare, Kibum avrebbe tranquillamente potuto scambiarlo per una massa di abiti circondata da cuscini e fusa con il resto del disordine. Il materasso s’abbassò leggermente quando Kibum si sedette, dopo aver trovato un angolo libero. Il principe non disse nulla, si limitò a sospirare e a dondolare le gambe, attendendo una possibile reazione da parte del più piccolo. Alla fine, dopo un tempo silenzioso ed apparentemente interminabile, Taemin mosse il capo e sbirciò nella sua direzione per tornare ad affondare il viso nel cuscino due secondi dopo, non appena incontrò gli occhi dell’altro.
Taemin mugugnò e Kibum attese.
La verità era che Taemin sapeva di essere nel torto, ma si vergognava troppo di ciò che aveva detto per fare il primo passo. Non solo aveva messo a rischio il segreto di Key, gli aveva persino rivolto delle accuse ingiuste quando, in realtà, era animato dalle migliori intenzione. Per di più era stato quello sciocco di Choi Minho a convincerlo a prendere la parola.
No, fece Taemin tra sé picchiando i pugni sul cuscino, ora non metterti a pensare a quello scemo!
Taemin lo sapeva che Jinki non era in sé, lo vedeva da tempo e da tempo temeva che quel momento sarebbe giunto. Suo fratello era come un bomba pronta ad esplodere, la cui miccia era stata accesa molto tempo prima ma che, sino ad ora, aveva corso lenta sul filo della morte per mancanza di vento. Ma il vento si era alzato, il cambiamento era nell’aria e quella bomba voleva esplodere. Era stufa di tergiversare, di attendere la scintilla perfetta. Taemin aveva sempre temuto quel momento ed egoisticamente, spesso, l’aveva temuto più per sé stesso che per Jinki. Sapeva di avere avuto, nonostante le avversità, una vita relativamente facile. Suo fratello gli aveva sempre coperto le spalle e preso le giuste decisioni per entrambi senza che lui, Taemin, dovesse fare nulla. Gli bastava aspettare, come il viandante nel deserto che, magicamente, viene colto da un acquazzone. Senza Jinki cosa ne sarebbe stato di lui, però? Aveva visto che qualcosa non andava, percepito che prima o poi qualcosa si sarebbe rotto, eppure la sua mente aveva deliberatamente deciso d’ignorare. Soprattutto, non aveva fatto nulla per evitare che quel momento fatidico giungesse. Nulla. Aveva finto che tutto fosse perfetto. Ma non lo era. Quanto accaduto il giorno prima gli aveva aperto definitivamente gli occhi, mettendogli davanti la verità che per tanto tempo aveva negato. Delusione, paura, senso di colpa: ecco che cos’aveva provato, e in tutto questo aveva riversato il suo malessere sugli altri, accusandoli. Non solo, mentre lanciava insinuazione a casaccio aveva guardato con invidia i gesti e gli sguardi protettivi che Jonghyun e Key si erano scambiati e prima ancora era stato geloso degli scambi di semplice tenerezza tra i due. Perché lui non poteva avere tutto questo? Perché doveva accontentarsi di essere eternamente fissato come se fosse il bambino piangente coperto di cenere e polvere?
Meglio fondersi e sparire tra tutti quei cuscini piuttosto che affrontare la sua vergogna e vederla riflessa negli occhi della sua umma.
-Minnie – fece alla fine Key.
-Sono stato orribile, vero?-
Kibum dovette tendere le orecchie per comprendere il senso dei suoni soffocati dal cuscino che erano fuoriusciti dalle labbra di Taemin, ma quando riuscì ad interpretarli sorrise.
-Un po'. –
Taemin di mise a sedere incrociando le gambe e abbracciando il cuscino in cui affondava ancora parzialmente il viso.
-No, dimmi la verità. Quanto lo sono stato? – disse contrito.
Kibum sospirò, poi lo guardò serio. -Moltissimo.-
Il silenzio calò tra loro ed il viso di Key si scurì.
-Ho temuto che tu svelassi tutto a Jonghyun, ma so che…-
Taemin scosse il capo. – Non dirlo, perché per un attimo ho desiderato farlo. –
Nonostante Taemin si sentisse uno straccio sotto ogni punto di vista, dovette nascondere un sorriso. La sua umma era sempre la sua umma e, anche mentre l’aveva accusato indirettamente di essere un traditore, Kibum aveva subito pensato a quella testa vuota di Jonghyun.
-Perché? –
C’era allarme e preoccupazione nella voce di Kibum, ma anche desiderio di sapere.
Taemin strinse a sé il cuscino, come se fosse uno scudo protettivo capace di celare la propria vergogna.
-Perché v’invidio.  Ora sembrerò ancora più orribile…–
Trovò finalmente il coraggio di guardare l’altro negli occhi e ciò che vide lo stupì, Key stava sorridendo con un misto di tristezza ed apprensione.
-Non dovresti. Io gli mento, Minnie, ogni giorno…e non posso farne a meno. E’ come aver preso un veleno a piccole gocce e assumerlo costantemente finché non se ne è immuni. Piccole gocce di velenosa felicità. Sono solo da biasimare. –
-Sciocchezze! –, sbottò Taemin liberandosi del cuscino e picchiando i pugni sul materasso. –Smettila di compiangerti! Non c’è nulla di male nel volere un po' di felicità e di amore. –
Taemin si domandò se stesse parlando a Kibum o a sé stesso. Si mise le mani tra i capelli e si gettò all’indietro sul letto.
-Sono stato orribile, umma! –
Si mise di nuovo a sedere rizzandosi di scatto, come attraversato da una scossa elettrica. –Puniscimi, punisci umma! Merito di essere punito, sono stato cattivo, invidioso, cieco ed egoista! Ti prego, puniscimi e metti fine alle mie sofferenze, accetterò qualunque cosa, anche la morte! Anche la peggiore delle torture, ma puniscimi!-
Dopo qualche secondo di perplessità ed esitazione, Key sbarrò gli occhi dal taglio felino. La sua espressione incredula era simile a quella di un gatto che assiste alla disperata richiesta di un topo di essere mangiato. Alla fine rise.
Taemin roteò gli occhi ed incrociò le braccia. C’era qualcuno al mondo disposto a prenderlo sul serio? Evidentemente no!
Decise di lasciare a sua altezza qualche secondo per sfogarsi, un po' di risate dopotutto non potevano fare che bene e, anche se erano al suo indirizzo, poteva concederle alla sua umma. L’importante era che non diventasse un’abitudine. Taemin annuì tra sé arricciando il naso.
Va bene. Riordina la tua stanza – disse Key.
Taemin sbiancò. -C-cosa?  Perché?! –
-Perché mi hai chiesto di punirti e questa è la tua punizione. –
-Ma questa è pura malvagità! –
Taemin iniziò a gesticolare, confuso. Non poteva crederci, qualcuno era appena riuscito a fregarlo!
-Non avevi detto che avresti accettato anche la peggiore delle torture, anche la morte? –
Taemin sbuffò facendo oscillare la frangia troppo lunga sugli occhi. Aveva parlato troppo, ma chi poteva pensare che Kibum si rivelasse così infido? Chi?
Tornati seri, Taemin decise che era il momento di affrontare l’argomento più pressante. Jinki.
-Quello che hai detto…–
-Taemin…-
 -No, hai ragione. Lo so’ da un pezzo, ormai.  Conosco mio fratello, non c’è bisogno di parlarne, ma speravo tanto si fosse lasciato abbastanza rabbia alle spalle…-
Taemin scosse il capo. No, stava mentendo ancora e prima di tutto a sé stesso. Doveva smetterla d’aggrapparsi a quel tronco fingendo di navigare in acqua placide quando, in realtà, le rapide lo stavano sballottando ovunque. Era come fissare l’orlo di un precipizio prossimo a sgretolarsi e vedere un ponte che non esiste. Decise di essere onesto, con Kibum e con sé stesso. Raccontò tutto, di come che la sua casa era bruciata, i suoi genitori morti, di come lui e Jinki si fossero ritrovati soli sulla strada e poi in quel luogo mostruoso: Jin Sung. Raccontò di Minho, di come l’avevano conosciuto ed erano fuggiti, sino a quando aveva iniziato a prendere forma l’idea dei Ribelli. Ma più di qualunque altra cosa parlò di Jinki, della sua rabbia, delle sue paure, di tutte quelle cose che lui aveva finto di non vedere, ma che agli altri erano risultate lampanti. Mentre parlava, Taemin si mordeva le labbra, artigliava il cuscino come se fosse quel tronco che non voleva, ma doveva lasciare andare.
-Io l’ho sempre saputo, umma, ma ho finto di non vedere per paura e non so cosa fare. Ma –, aggiunse alzando lo sguardo, ora più luminoso e sicuro, -non voglio più stare senza far nulla. La verità è che fingere era più semplice, più comodo. Vedevo, ma ignoravo per non dover affrontare il problema. Sono stato egoista e meschino, ho pensato solo al mio bene e non al suo. L’altro giorno credevo di volerlo difendere, ma in realtà proteggevo solo la perfezione che mi era costruito intorno. –
Emise un sospiro rassegnato. - Sono un pessimo fratello. -
-Ti capisco, Tae, io non mi sto comportando in modo tanto diverso. Anche io ho paura, ho paura ogni giorno. Sono talmente felice che la sola idea di perdere questa felicità mi spaventa e così non riesco a viverla appieno. E’ assurdo, non è vero? –
Kibum emise una risatina schernendo sé stesso. –Non c’è parte di me che non conosca –
Kibum sorrise e Taemin capì che stava parlando di Jonghyun.
-Eppure forse non sa niente. Ogni mattina mi sveglio e mi dico che quello sarà il giorno in cui gli dirò il mio nome, perché lo amo e la sola idea sentirmi chiamare Kibum e non Key mentre facciamo l’amore mi donerebbe più felicità di un “ti amo”. –
Kibum arrossì leggermente. – Ma finisce sempre che m’invento scuse per non dover affrontare la realtà, per non dover vedere il castello di carta che ho costruito crollare. Farei qualunque cosa per lui, per Jong, voglio proteggerlo ma so’ anche che non posso proteggerlo da me stesso e questo mi terrorizza. -
Kibum era al limite. Infilò la mano in tasca e tastò la presenza di quel foglio stropicciato che pesava come un macigno. Lo porse al più piccolo.
Taemin dispiegò quell’ammassò di carta consunta con estrema cautela, come a sfiorare le ali ferite di una farfalla. Strizzò gli occhi cercando di comprendere quei caratteri macchiati e sbavati. Cosa li aveva ridotti così? Prematura pioggia primaverile o lacrime? Quando finalmente ne comprese il significato il sangue gli si raggelò nelle vene e guardò Kibum.
Solo delle lacrime potevano lasciare tracce così evidenti. Non sono come l’acqua che cade dal cielo, dolce e risanatrice che fa nascere i fiori, rinvigorisce le piante e scava il terreno per generare nuova vita. No, le lacrime sono salate e come il sale non concedono a nulla di  crescere.
-E’ arrivato un paio di giorni fa da Busan. –
La voce di Key era fioca, il suo viso cercava di rimanere marmoreo, ma Taemin vide oltre quel biancore una maschera di porcellana pronta ad infrangersi.
-Jonghyun lo sa?-
-Non ancora. Minho era con me quando è arrivata, ma a parte noi non lo sa nessun altro. Volevo dirlo a Jinki prima…-
Kibum si bloccò, artigliando con le mani sottili il copriletto, poi scattò con rabbia.
-E’ stato lui, ne sono sicuro! –
Taemin sobbalzò. Conosceva sufficientemente la gamma di espressioni della sua umma per capire che quella rabbia e quella paura potevano essere rivolte ad un'unica persona. Era sempre così quando il principe si riferiva al suo promesso, al fratellastro di Jonghyun.
-Ne sei certo?-
-No, ma che altra spiegazione può esserci? – fece Key con voce isterica ed acuta.
-Ma come? –
Taemin alzò le braccia al cielo. Era davvero possibile?
-Non lo so, ma non posso permettere…-
Taemin afferrò la sua umma per le spalle, cercando di mettere fine ai suoi movimenti nervosi.
-Parlerò io con Jinki –
-Nei sei sicuro? E’ tuo fratello…-
-Esatto! – Taemin annuì con vigore. – Avrei dovuto farlo molto tempo fa e sempre io avrei dovuto prendere l’iniziativa. Mi ha salvato milioni di volte, non posso voltargli le spalle e permettere che si distrugga da solo, forse non sarà facile, ma mi adopererò per riuscirci. Dobbiamo fermalo prima che accada il peggio e vista la situazione non possiamo aspettare. –
La determinazione di Taemin generò subito un sorriso sul volto di Kibum. Sperava davvero che riuscisse a far ragionare Jinki. Minho aveva fatto un errore di valutazione. Forse Kibum poteva rivelarsi il più diplomatico, ma il Leader non l’avrebbe ascoltato. In quello stato, Jinki l’avrebbe visto come un nemico, un’arma che si stava ribellando. Solo Taemin poteva sperare di smuovere i suoi sentimenti. Era dell’amore di suo fratello che aveva bisogno e solo questo poteva riaccendere nel Leader quella luce che si era spenta.
 
 
***
 
Quell’inverno il tempo era stato inclemente anche con il sud di Chosun, tuttavia la neve non aveva mai benedetto la città portuale di Busan con il suo candore; era scesa sottile sciogliendosi nell’aria insufficientemente fredda. Mancavano poche settimane all’equinozio di primavera e già un’aria tiepida increspava le vele delle navi e faceva fluttuare le bandiere colorate, trasportando il profumo di terre lontane. I gabbiani non lanciavano più grida solitarie e tristi, ma salutavano gioiosi il ritorno della bella stagione, animando il bacino portuale in crescente fermento.
Poteva dirsi una giornata perfetta, ma Kim Heechul non riteneva d’aver nulla da festeggiare, al contrario la giornata non poteva essere iniziata nel peggiore dei modi. Il filtrare delle prime luci dell’aurora dalle tende scarlatte era stato accompagnato dall’arrivo di una missiva da Soul. Direttamente dall’imperatore. Il giovane lord sapeva che non voleva dire nulla di buono. Non era la prima volta che riceveva una lettera direttamente da sua maestà; la scorsa estate ne era un esempio, solo che in quell’occasione i toni erano stati concilianti e lusinghieri. Ora, erano poche frasi severe e perentorie. Un ordine. Heechul doveva recarsi a Soul e dubitava sarebbe stata una visita di piacere.
Il giovane lord era scompostamente seduto sul divano foderato di velluto porpora e le zampe leonine laccate d’oro, davanti al camino spento della sua camera da letto. Indossava una camicia larga con scarsi accenni di merletto sui polsi e sul colletto semi slacciato e dei pantaloni scarlatti, mentre i piedi erano nudi e poggiavano sul tappeto. L’ambiente era fiocamente illuminato dalla luce rosata e violetta del primo mattino che modellava con pennellate leggere il mobilio prezioso ed i drappi raffinati. Sulla testata del divano, Heebum si leccava le zampette grigie facendo dondolare la coda, rivolgendo ogni tanto occhiate giallognole al padrone.
Heechul strinse con forza il calice dorato che teneva tra le mani. Non era sua abitudine bere di prima mattina, ma aveva deciso di fare un’eccezione. Assottigliò gli occhi riducendoli a fessure fiammeggianti, mentre il calice iniziava a diventare caldo e molle tra le sue mani. L’imperatore era furioso, il tono della lettera parlava chiaro ed Heechul sapeva cosa aspettarsi. Sua maestà voleva notizie, anzi no, voleva fatti e stava perdendo la pazienza. Ma questo non era importante per Heechul, l’imperatore sarebbe passato molto presto a miglior vita, quello che davvero il lord temeva era che rompesse il suo fidanzamento con il principe e, soprattutto, che fosse ufficialmente comunicato alla corte. Equivaleva a perdere la faccia, a rendere le basi della sua ascesa traballanti. Heechul non poteva permetterlo. Scagliò il calice contro il bianco camino marmoreo tingendolo di macchie rosse e delle fiamme scintillarono tra le sue mani. Heebum saltò sul tappeto emettendo un miagolio stizzito, dal letto baldacchino provenne un mugugno infastidito e le lenzuola si mossero, rivelando la presenza di un ragazzo.
Heechul si diresse verso il letto e s’adagiò sul materasso. I suoi polpastrelli ancora caldi sfiorarono il viso del giovane amante come a rimodellarne i tratti. L’altro sbatté le palpebre disperdendo le luci rosate del mattino e strizzò gli occhi, poi sorrise come il suo lord gli aveva insegnato e si rotolò tra le coperte, alle fine si stirò mettendo in mostra le curve aggraziate.
-Non state bene, mio signore? – domandò flebilmente, la voce ancora impastata dal sonno.
Le labbra rigide e serrate di Heechul si rilassarono e s’incurvarono in un sorriso accondiscendente, ma non riposte. La sua mano corse alla chioma nera del giovane e si chinò per coglierlo in un bacio appassionato.
Il giovane sgranò gli occhi ed emise un singulto di sorpresa, lasciando poi che l’atro esplorasse la sua bocca.
Quando Heechul si staccò accarezzo con il pollice le labbra dell’altro.
Il lord di Busan sapeva bene cosa doveva fare. Sarebbe andato a Soul per occuparsi dell’imperatore e poi ad Haehwan[1] per riprendersi ciò che era suo. La primavera era alle porte, i fiori di ciliegio pronti a sbocciare e i tempi ormai maturi per la sua ascesa al trono.
 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Se vorrete dedicare due minuti del vostro tempo per farmi sapere cosa pensate mi farà molto piacere, per me il vostro sostegno è importante! Grazie e alla prossima!
 
[1] Residenza privata estiva dell’erede al trono. 

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Capitolo 27
*** Capitolo 26. Tell me what to do (parte II) ***


Tell me what to do (parte II)
 
 


“These days, I don’t know, I don’t know you
You look like you gave up on a lot of things
But I hear your silent scream
Tell me what to do”
Shinee, Tell me what to do.
 
 
La grande vetrate era spalancata e le sottili tende azzurrate fluttuavano nell’ara tiepida ed intrisa dai profumi dolci della primavera imminente, lasciando intravedere lo scorcio di un giardino. Una fontana doveva zampillare tra i cespugli perché, anche all’interno del salottino che splendeva come un piccolo gioiello, si poteva udirne il suono cristallino.
Heechul si umettò le labbra assaporando le ultime tracce di tè verde aromatizzato alle ciliegie. La tazzina di porcellana oro e turchese tintinnò quando la ripose sul tavolino di fronte a lui. Accavallò elegantemente le gambe e si portò una mano drappeggiata dal merletto sotto il mento. Attese.
Davanti a lui l’imperatore sedeva in silenzio, squadrato e gelido nella sua corporatura robusta, simile ad un blocco intagliato nella roccia. Sorseggiava il tè sicuro di sé, certo di star tenendo il giovane lord sulle spine. In effetti Heechul si sentiva sulle spine, era curioso e timoroso al pensiero di ciò che sua maestà intendeva comunicargli, ma a farlo sentire realmente un fascio di nervi era l’eccitante attesa del successo, condita dall’ilare ironia che si nascondeva dietro quell’apparentemente innocua tazza di tè che l’uomo sorseggiava con alterigia. Quando Heechul era entrato nel salotto privato di sua maestà l’aveva trovato vuoto, segno che il regnante intendeva farlo attendere, ma sul tavolo erano già state riposte delle tazze di tè piene sino all’orlo.
Il giovane s’impose di non tradurre il contrarsi dei muscoli del suo viso in un sorriso troppo soddisfatto.
Oh era stato semplice, forse anche troppo, versare il contenuto letale della fiala che si portava appresso nella tazza dell’imperatore. Così semplice che si era stupido di sé stesso, non aveva nemmeno perso tempo a riflettere, aveva stappato la fiala, ammirato i riflessi sotto la luce dorata del sole che filtrava dalla finestra, inclinato il polso e, infine, fatto scivolare poche gocce nel tè. Semplice, letale ed infallibile. Per quanto gli riguardava l’imperatore era già fredda carne morta. Tuttavia, finché quell’uomo si ostinava a respirare aveva una parte da continuare a recitare. Erano le ultime battute di una commedia straziante ed Heechul non dubitava che al termine dell’ultimo atto, con il calare del sipario, non vi sarebbero stati scrosci d’applausi, ma un sospiro di sollievo e una risata appagata.
Finalmente, anche l’imperatore posò la tazza e si decise a degnarlo di uno sguardo. Non appena incontrò il suo volto, Heechul non poté fare a meno di chiedersi come quell’uomo potesse essere il padre del principe, perché non avevano alcun tratto in comune. Meccanicamente i suoi occhi sfiorarono i dipinti appesi alle pareti soffermandosi su quello della defunta imperatrice e, come sempre, quella visione gli tolse il fiato. Lei era davvero il ritratto sputato di Kibum.
-Siete stato particolarmente celere nel rispondere alla mia missiva -, osservò l’imperatore.
Heechul si schiarì la voce ed annuì.
-Era già mia intenzione recarmi in visita a Soul. –
L’imperatore lo soppesò per qualche secondo assottigliando le labbra ed Heechul fremette. Forse stava diventando paranoico, ma l’espressione dell’uomo era simile a quella di chi ha appena ingoiato qualcosa di molto amaro. E la morte, dopotutto, è sicuramente amara.
Ma solo per chi muore, s’appuntò mentalmente Heechul.
-La primavera è alle porte – disse l’imperatore.
Non era una mera osservazione sul tempo, ma la constatazione di un ultimatum che stava per scadere. Heechul lo sapeva bene.
Peccato che per allora sarete morto, mentre io sul trono e, se tutto va bene, con un micetto a scaldarmi il letto.
Heechul annuì e chinò il capo. Poteva fare altro? Stava per imbastire un’ossequiosa frase di scuse, quando l’imperatore alzò la mano e la sua gola si seccò.
-In molti a corte non fanno che domandarmi del principe. Comprendente il mio imbarazzo, non è vero? –
-Sì, maestà – disse contrito. –Comprendo quanto la situazione non sia semplice e indubbiamente scomoda. –
-Quindi capirete anche quanto la mia pazienza sia giunte al limite. –
Non era una domanda e ad Heechul si gelò il sangue nelle vene, ma subito tornò a scorrere perché sapeva che il tempo dell’imperatore stava giungendo al termine. Qualunque minaccia era ormai superflua perché la sabbia nella clessidra aveva iniziato a scorrere e scivolava veloce.
-E’ per questo che sono qui. –
L’imperatore lo guardò freddamente, poi prese un sorso di tè ed Heechul si umettò le labbra osservando quel semplice gesto.
-Ho ricevuto informazioni interessanti dagli uomini che avevo inviato sulle tracce dei Ribelli ed intendo muovermi a mia volta in quella direzione per prendere diretta visione della situazione. A questo proposito desideravo domandarvi il permesso di soggiornare ad Haewan. –
In realtà, Heechul non desiderava domandare alcun permesso, tanto meno riteneva necessario doverlo fare, ma doveva mantenere la facciata e capiva bene che la pazienza dell’imperato si stava sgretolando. Ad un passo dalla morte o no, l’imperatore aveva comunque facoltà di annunciare pubblicamente la rottura del fidanzamento. Questo avrebbe indubbiamente messo Heechul in una posizione scomoda, nonostante i sostenitori che aveva radunato intorno a sé.
-Per quanto mi riguarda potete andare ad Haewan anche subito, ufficialmente il principe si trova lì dalla scorsa estata e giustificare la vostra presenza presso la residenza privata di sua grazia non sarà un problema considerata la natura del vostro legame. –
L’imperatore sospirò. – Vi ho accordato grande fiducia quando vi ho offerto la mano del principe, fiducia che voi avete deluso. So’ che gestite egregiamente il governo di Busan, ma ho il rammarico, e devo ammettere anche l’orgoglio, di riconoscere quanto il carattere di mio figlio sia…difficile. Forse qualcuno di più maturo ed esperto potrebbe essere una scelta migliore e lord Hwang ha espresso più volte il desiderio di assumersi questa responsabilità. –
Heechul represse una smorfia di disgusto nell’udire in nome di uno dei fedelissimi dell’imperatore.
Heechul aveva sempre considerato la sana crudeltà null’altro che un mero mezzo necessario all’ambizione, mentre la crudeltà per il semplice gusto di essa non l’aveva mai compresa. Perché sporcarsi le mani inutilmente e senza scopo? Lui la usava solo per spostare le pedine sulla scacchiera ed aprirsi astutamente la strada sino allo scacco matto.
Lord Hwang non solo era crudele per il puro gusto esserlo, ma aveva anche un’età considerevole ed Heechul non poteva che pensare con orrore ad una possibile unione tra il principe ed il lord. A quell’uomo sarebbe importante ben poco di Kibum.
Sarebbe un terribile spreco, pensò.
Lui, invece, intendeva prendersi cura del suo piccolo Bummie, gli avrebbe dato qualunque cosa, soddisfatto anche il più piccolo dei capricci, il principe non doveva fare altro che accettarlo amorevolmente come compagno. Da parte sua, il lord di Busan non intendeva alzare un dito su Kibum se non per quietare il suo carattere ribelle e possibili resistenze iniziali, ma sperava non si rivelasse necessario. Per Heechul, il principe era un piccolo gioiello che desiderava custodire gelosamente per sé.
-Naturalmente io mi rimetterò al saggio giudizio di sua grazia. Il bene del principe è sempre stato il mio interesse principale e se riterrete che affidarlo a mani altrui sia la soluzione migliore io mi farò umilmente da parte –, disse provando disgusto per le sue stesse parole.
-Ma l’affetto che mi lega a lui m’impedisce d’abbandonare le ricerche -, fece con un moto di slancio.
-E infatti non le abbandonerete. Nessuno deve sapere di quanto accaduto in questi mesi, questo è un segreto, lord Heechul, che vi porterete nella tomba. –
Oh anche voi, pensò Heechul.
 
 
Una piacevole e fresca brezza aveva seguito Heechul mentre attraversava i corridoi ed i giardini del palazzo, finché i cancelli dorati non si erano chiusi alle sue spalle, tuttavia egli tornò a respirare solo quando montò sulla sua carrozza. Kyuhyun lo seguì a ruota e prese posto davanti a lui sulla seduta foderata di velluto.
-E’ andata bene? – domandò il cavaliere con un sogghignò.
Heechul roteò gli occhi e lo fulminò. Perché tra tutte le guardie personali che poteva scegliere si era ritrovato con quel piantagrane irriverente?
-Andrà bene quando sarà morto e sepolto. –
-Cosa che potrebbe avvenire nel giro di pochi giorni. –
-Uhm –, fece Heechul corrugando la fronte e posando il mento sul dorso della mano.
Aveva troppi pensieri nella testa per sostenere una conversazione all’insegna del sarcasmo con Kyuhyun. Desiderava solo lasciarsi Soul alle spalle per un po', udire le campane funebri per la morte dell’imperatore e riprendersi Kibum. Ah sì, e ricevere la testa del suo fratellastro su un piatto d’argento. Come dimenticare quella tediosa e scomoda incombenza? Tutto sommato era un programma fitto. Sospirò.
Notando che il lord non rispondeva, Kyuhyun si sporse all’esterno della carrozza e diede l’ordine di partire.
-Haewan. -
 
 
***
 
 
Per tutto il tempo Taemin aveva udito solo il suono della sua voce. Sapeva che le sue parole erano state chiare e coincise, semplici e logiche quanto lo scontato sorgere del sole all’alba, tuttavia alle sue orecchie erano risuonate simili al ronzio d’un alveare in fermento. Oltre a quel brusio era stato solo silenzio.
-E questo è tutto -, concluse.
Lo studio era immobile, freddo come se i primi aliti di primavera non potessero toccarlo, ogni cosa sembrava avvolta da una patina gelata, un sottile strato di polvere capace di attutire il suono più flebile. Le tazze di tè davanti a loro avevano perduto il loro tepore e il fumo che s’alzava dalla teiera era svanito, lasciando dietro di sé solo il ricordo del calore. Nell’aria rimaneva solo il profumo leggero del tè verde. Taemin si portò la tazzina alle labbra incontrando il liquido ormai imbevibile e leggermente amaro. Si ritrasse subito, alzando finalmente lo sguardo per rincontrare quello di Jinki.
Taemin lo fissò ed attese. Anche gli occhi di Jinki erano fissi di lui, ma immobili come la stanza e leggermente amari quanto il tè. Eppure, nonostante quel silenzio, Taemin percepiva un urlo silenzioso alzarsi dalle labbra serrate dell’altro. Pregò che quelle labbra s’aprissero, anche per cacciarlo, ma desiderava udire dei suoni veri.
Alla fine, Jinki ruppe l’immobilità in cui era stato stregato per prendere la tazza di tè e riporla subito dopo, accortosi di quanto il suo contenuto fosse ormai freddo. Il Leader picchiettò le punte delle dita sul tavolino generando uno snervante ticchettio.
Taemin deglutì mentre studiava con il fiato sospeso i movimenti del fratello, il quale si portò il dorso di una mano sotto il mento con fare pensoso.
-Di chi è stata l’idea? – La voce di Jinki suonò strascicata.
Taemin sospirò intrecciando le mani in grembo. – Di tutti. –
Il viso di Jinki rimase marmoreo, appena deformato dell’inarcarsi di un sopracciglio.
-Sono preoccupato per te –, disse Taemin prima di essere invaso da un moto d’apprensione crescente.
-Siamo preoccupati per te -, aggiunse.
I muscoli del volto del Leader si contrassero in una sorta di smorfia che mise i brividi a Taemin; sembrava il sorriso deforme e mal dipinto di un clown. Ma fu soprattutto il continuo silenzio del fratello ad aumentare la sua preoccupazione.
-Jinki…-
-Jin Sung merita di scomparire dalla faccia della terra. – Jinki strinse le mani a pugno sino a farsi sbiancare le nocche.
Nonostante suo fratello avesse parlato ad alta voce, Taemin ebbe l’impressione che stesse parlando a sé stesso.
-Lo so. –
-Non possiamo rinunciare. –
-Sarà un disastro, hyung. –
Taemin cercò di mantenere un tono calmo, tranquillo e conciliante, ma si rendeva conto che tutti i suoi peggiori timori avevano preso forma sin troppo vivida. Jinki era davvero al limite, una bomba innescata prossima ad esplodere tra fiamme e gloria e a travolgere tutto ciò che incontra. Taemin comprendeva tutta quella rabbia ed il desiderio di vendetta, perché erano anche i suoi, ma tutto questo non era necessario. Era solo una follia capace di spezzarli e ridurli a brandelli, Jinki per primo. Era stato difficile accettarlo, diventarne razionalmente consapevole, ma suo fratello, ora, era come una farfalla attirata delle fiamme invitanti di una lanterna, tanto splendide quanto destinate a segnare la sua fine. Stava a lui proteggere quelle ali in procinto di ridursi in cenere. Taemin sapeva che doveva esserci ancora un barlume di raziocinio nell’altro, che poteva smuovere qualcosa capace di farlo tornare in sé.
-Hyung-, disse accorato.
-Pensate davvero che non abbia un piano preciso? – domandò secco Jinki.
-Ce l’hai? –
Taemin ostentava calva, ma il suo stato d’animo era ben altro e lo stesso poteva dirsi per l’espressione pacata di Jinki. Il minore attese una risposta che sembrava non arrivare, era un silenzio irreale quello che si era fatto strada tra loro. Taemin non distolse lo sguardo, sebbene il volto dell’altro gli procurasse dei brividi: era come ammirare il bagliore metallico di un lampo prima d’udirne il rimbombo lontano, un vulcano rimasto inattivo per troppo tempo ed ora prossimo alla più terribile delle esplosioni. Una pioggia di cenere e lapilli che non lascia scampo.
-Apprezzo la vostra preoccupazione, ma è del tutto ingiustificata. Andremo a Jin Sung, questa è la mia decisione. –
Taemin corrugò la fronte. Quella non era una risposta, era un ordine condito con fittizia benevolenza. Strinse i pugni sulle cosce e si morse il labbro. Gli ci volle qualche secondo per trovare il coraggio e le parole per dire quanto non poteva più trattenere in petto.
-Ti stai sentendo? –
Taemin picchio i pugni sul tavolo, la voce flebile modulata da note acute e dal tentativo spasmodico di trattenere un singulto. Le tazzine oscillarono ed il riflesso del soffitto nel loro contenuto s’offuscò.
-Anche io soffro, ogni giorno. Non c’è notte in cui le fiamme, l’odore della cenere, le urla e tutti quei momenti terribili a Jin Sung non vengano a farmi visita. –
Guardò il fratello. Le luci negli occhi di Jinki tremolarono e le sue labbra di dischiusero abbandonando l’innaturale rigidità.
-Ma questa follia non ci ridarà il passato, hyung, ci strapperà solo il futuro. –
Jinki scosse il capo, come a disperdere dei pensieri molesti che si stavano insinuando nella sua mente.
-Basta così, Minnie, tu non sei un Leader, non puoi capire. –
Taemin sorrise amaro. Era davvero ironico, alla fine, lui era sempre il bambino, quello piccolo e capriccioso che doveva stare in un angolo, poteva fare ciò che voleva purché non s’infiltrasse nel mondo dei “grandi”, come se certe cose non le capisse. Ma lui le capiva anche troppo bene.
-E’ vero – disse, - non lo sono e ho sempre fatto di tutto per evitare di esserlo. –
Taemin aprì le braccia e sorrise innocente. – Io sono solo il tuo fratellino. Ma so che un Leader ha il compito di guidare e proteggere chi lo segue, tutti, dal primo all’ultimo e il Jinki che conosco ha sempre messo il bene degli altri davanti al suo. Hai sempre preteso fedeltà e i tuoi modi gentile, la tua accortezza ti hanno e ci hanno permesso di prosperare in questi anni, hai dato a tutti uno scopo comune, incrementato la fiamma di un sogno e di una speranza per questo regno. Allo stesso tempo hai allontanato chiunque fosse mosso da cieca vendetta, dal semplice desiderio di compiere atti tanto violenti quanto insensati, eppure tu stesso ora nei sei consumato. –
-Quello che faccio è per un bene superiore, per la speranza ed il sogno di cui parli… –
-No! -, scattò Taemin. – Non c’è nessun bene superiore, hyung, ci sei solo tu e la tua rabbia. Sprofonderemo solo nell’inferno e tu per primo ne sarai inghiottito. Se ti ostini a portare avanti tutto questo vanificherai tutti gli sforzi ed i sacrifici di questi anni. Vuoi davvero gettare tutto al vento per lanciare una provocazione? Casa non risorgerà dalle ceneri, umma e appa non torneranno, hyung. –
Taemin sospirò. Avvertiva la gola secca ed arida, come se avesse inghiottito la sabbia cocente del deserto. Guardò la tazza di tè e fece per prenderla, ma subito ritrasse la mano, rammentando quanto il suo contenuto fosse ormai gelido ed amaro.
-Noi altri abbiamo parlato, se davvero non vorrai tornare sui tuoi passi verremo con te, non per la fiducia verso un Leader, ma per i sentimenti che ci legano a fratello e ad un amico. Solo una cosa: impedisci a Jonghyun di venire. –
Jinki inarcò un sopracciglio e Taemin gli porse un foglio stropicciato.
-E’ arrivato giorni fa da Busan –, esordì il più piccolo.
Jinki saggiò con i polpastrelli le cicatrici sottili si quella carta consumata e quasi illeggibile.
-C’è una taglia sulla testa di Jonghyun, qualcuno vuole la sua testa. La notizia è partita dai bassi fondi di Busan, ma deve essersi ormai diffusa nei quartieri degradati delle altre grandi città. Non puoi portarlo, hyung. –
Jinki sospirò e allontanò il foglio da sé. Le tempie gli pulsavano e la testa gli martellava all’impazzata. Non aveva previsto tutto questo. Come poteva rinunciare a Jonghyun? Lui e Key erano la chiave per la riuscita del piano. Aveva lavorato così tanto, atteso così a lungo…era ad un passo dall’afferrare un sogno tanto proibito quanto peccaminoso, aveva davvero il coraggio di rinunciare?
-Non si può fare senza Jonghyun.  Mi serve. –
-E’ tuo amico – fece Taemin, sconvolto. – Non è un’arma che puoi utilizzare a piacimento. –
Scosse il capo. – Non ti riconosco. –
Jinki non rispose. Anche lui non si riconosceva, eppure non riusciva dal persuadersi ad abbandonare i propri propositi. Era come attratto da quel sogno di fiamme ed energia pronte a fare terra bruciata. Non poteva farne a meno, benché il buon senso gli suggerisse di volare lontano dal quel miraggio. Stava per gettarsi nel vuoto e trascinare gli altri con sé, forse, ma il vuoto, l’oblio continuavano ad esercitare un fascino morboso su di lui.
-Fermati, Jinki, se farai un altro passo in questa direzione sarai solo un passo più vicino dall’essere come le persone che odi e disprezzi e io so che non sei come loro, né vuoi diventarlo. –
Taemin s’alzò. Non aveva più nulla da dire e, a dire il vero, non c’era davvero null’altro che potesse fare. Si alzò emettendo un sospiro fioco e guardando da sotto le ciglia umide il fratello.
-La chiave del sogno che cerchi ce l’hai già, devi solo attendere e lo sai. Ma se ti ostini, se porti Jonghyun e lo perdiamo, perderai anche la chiave di quel sogno per sempre. Kibum ti odierà e ti assicuro che ti farà la guerra da qui sino a quando avrà respiro. –
 
 
***
 
Con gli occhi chiusi, le mani intrecciate sul petto che si alzava ed abbassava rilassato e gli arti distesi, Jonghyun posava il capo sulle gambe incrociate di Key, mentre un sorriso sereno gli balenava sulle labbra carnose, appena smorzato dal suono dei passi di Minho.
Vuole fare un solco nel pavimento? Si domandò Jonghyun facendo una smorfia e aprendo un occhio per sbirciare l’amico.
Minho camminava avanti e indietro nello studio di Key come un nervoso animale in gabbia. Per quanto strano a dirsi, Minho sembrava di gran lunga quello più agitato e non aveva smesso un secondo di muoversi, intercalando quel vagare insensato con sbuffi che a Jonghyun sembravano più ringhi repressi.
Jonghyun distolse lo sguardo per posarlo su Taemin. Il più piccolo era rientrato poco ore addietro e non aveva fatto intendere nulla sui retroscena della conversazione avuta con il fratello.
Jonghyun corrugò la fronte. Era una fortuna che avesse le gambe del più piccolo su cui distendersi a dargli conforto, perché si sentiva proprio come un soldato in cima alle mura che tenta di scorgere il nemico nella foschia. Una tensione palpabile aleggiava nell’aria insieme al profumo della carta, la percepiva nelle stesse gambe rigidamente incrociate di Key. Alzò il naso incontrando il viso teso del più piccolo le cui labbra a cuore risultavano stiracchiate, mentre le sue mani torturavano un povero pennello per non essere costrette ad ingaggiare una lotta tra loro. Jonghyun allungò le proprie per incontrare quelle nervose dell’altro e, subito, Key abbassò lo sguardo su di lui sorridendo.
Kibum posò un bacio leggero sulla fronte del più grande e gli accarezzò il capo. In tutta risposta, Jonghyun richiuse gli occhi sorridendo beatamente, lasciandosi sfuggire un sospiro appagato.
Sotto le carezza premuroso dell’altro finiva sempre per sentirsi come un cucciolo voglioso di coccole. Com’era possibile che esercitasse su di lui tutto quel potere d’attrazione? Negli ultimi tempi ci aveva riflettuto spesso e questo lo aveva inevitabilmente portato a considerare l’idea del legame di fratellanza. Certo lo considerava una cosa sciocca, superflua, ma se già si sentiva così bene con poco come sarebbe stato se ci fosse stato anche un legame ad unirli? Jonghyun si umettò le labbra sorridendo soddisfatto al ricordo della notte d’amore che aveva passato nella vasca da bagno con Key. Come sarebbe stato fare l’amore con il piccolo se si fossero legati? Dopo aver gongolato e fantasticato per qualche secondo corrugò la fronte per scacciare quei pensieri, prima che la situazione prendesse risvolti poco opportuni. Meglio concentrarsi sulla situazione attuale che, nonostante le carezza di Key, non era certo tra le più idilliache.
Non era possibile dare in senso logico al perché, da quanto Taemin aveva parlato con Jinki, si erano chiusi nello studio di Key in attesa che il Leader si facesse vivo. La verità era che quel luogo era parso il più naturale in cui rifugiarsi, come se fosse l’ultimo baluardo di difesa di fronte ad un esercito in carica e ben armato. Tuttavia erano passate più di ventiquattro e di Jinki non vi era traccia. Improvvisamente sembrava che nessuno di loro avesse incombenze e, in effetti, abbandonati gli allenamenti e nessuna missione in vista c’era ben poco da fare. Dopotutto avevano sputato sangue per mesi, una vacanza potevano anche prendersela.
Jonghyun si stiracchiò.
In realtà c’era un'unica persona che stava lavorando lì: Key. Il più piccolo era come sempre impegnato ad esaminare la corrispondenza proveniente da Soul e Busan. Jonghyun rivolse un’occhiata di sbieco agli altri due. Taemin si destreggiava nella produzione di origami con delle carte che Key aveva messo da parte, mentre Minho proseguiva la sua passeggiata in solitaria nell’imbarazzante spazio di tre metri.
Jonghyun arricciò il naso. Era davvero disdicevole che il suo micetto fosse così impegnato mentre quei due poltrivano.
-Voi non avete niente da fare? – disse facendo schioccare la lingua.
In tutta risposta Taemin alzò la sua ultima creazione, poi tornò ad ignorarlo.
Minho si fermò e roteò gli occhi. -Perché, tu stai facendo qualcosa? –
-Supporto morale. –
-A me sembra che tu stai solo ricevendo coccole gratuitamente -, fece Key.
Taemin rise.
-Ma non provare ad alzarti da lì –, aggiunse Key schioccandogli un bacio sulla guancia.
In quello stesso momento la porta s’aprì rivelando la figura di Jinki. Jonghyun s’alzò di scatto, ricomponendosi, mentre gli altri s’irrigidivano di colpo voltando il capo in direzione del Leader. Jinki entrò a passi lenti e misurati, facendo scorrere lo sguardo serio sui presenti, finché, in tutta tranquillità, non prese posto su un cuscino.
-E’ ancora buono? – domandò accendono alla teiera al centro del tavolo.
Kibum annuì e Jinki si versò una tazza. Gli altri osservare attentamente, mentre il Leader sorseggiava il tè come se fosse giunto lì per parlare del più e del meno.
-Ero certo di trovarvi qui –, esordì posando la tazza.
-Davvero? – Taemin si umettò le labbra.
Jonghyun non poté fare a meno d’osservare che era il più teso, ma anche Kibum non era da meno perché gli aveva subito stretto la mano non appena il Leader aveva aperto bocca. Jonghyun guardò le loro mani intrecciate sulla coscia del più piccolo, pur non guardandosi, la loro connessione era totale. Minho era ancora in piedi, le braccia conserte e in attesa.
-Nessuno vi ha visti in giro nelle ultime ore, tanto meno ad allenarvi. –
Gli altri si scambiarono delle occhiate. Come inizio non era esattamente dei migliori, ma trattandosi di Jinki poteva voler dire qualunque cosa.
Jinki sorrise, caloroso. – Sembra che le riunioni clandestine siano diventate uno dei vostri passatempi preferiti. Taemin mi ha illustrato con doverosa minuzia il risultato del vostro precedente comizio. -
Jonghyun deglutì e Kibum gli strinse la mano. Il sorriso caloroso di Jinki poteva essere il più tenero e luminoso di Chosun, ma anche l’ultima cosa che un condannato a morte vedeva prima di esalare l’ultimo respiro.
Jinki fece scricchiolare le dita.
Ecco, pensò Jonghyun, presto quello sarà il suono delle mie ossa.
-Dunque -, proseguì il Leader, - ritenete che io non abbia un piano preciso, dico bene? Avete ragione, non ne ho uno. –
Jinki sorrise. –A parte far esplodere mezza Jin Sung, è chiaro -, aggiunse guardando Jonghyun e Key.
Si versò un’altra tazza di tè. –Non è un granché, devo ammetterlo. -
Gli altri si guardarono interdetti.
-Oh non il tè – fece Jinki, distratto, - il piano. –
Sorseggiò.
Kibum si morse le labbra. Nonostante le ultime parole di Jinki non riusciva ad abbandonare la tensione che gli irrigidiva le membra, tanto meno ad emettere un sospiro sollevato. Tratteneva il respiro, come tutti, in attesa della prossima mossa del Leader, certo che avrebbe richiesto una manovra di difesa non indifferente. Kibum ripensò alla prima conversazione che aveva avuto con lui, non era stata tra le più felici, né la più chiara che avesse mai sostenuto. Lo stesso Jinki si era complimentato con lui per essere riuscito a reggere quello scambio di battute.
Bhe, pensò Kibum, sono un principe!
Ad ogni modo sapeva bene quanto fosse difficile comprendere le intenzioni del Leader. Lee Jinki era un enigma: splendente come il solo estivo e cupo come una notte senza stelle.
Alla fine Jinki parlò, spiazzandoli. – Vi devo delle scuse -, disse chinando il capo. –Avevate ragione, non solo non ho un piano preciso, ma tutto quello che ho fatto e che vi ho chiesto di fare in questi mesi è stato mosso dai peggiori propositi. –
Fece una pausa. – Ho sempre ripudiato l’idea di agire non questo modo e invece io stesso sono caduto in trappola. Non sono stato un buon Leader, ma soprattutto non sono stato un buon animo e buon fratello.- 
Jinki guardò Taemin che sorrise, sollevato. Finalmente la tensione si stava stemperando, anche Minho aveva abbandonato la posa militaresca per sedersi sull’ultimo cuscino libero, mentre Jonghyun e Key si scambiavano sorrisi rilassati. Jinki iniziò a parlare a ruota libera come, probabilmente, non aveva mai fatto.
-Sono stato un pessimo esempio, per molte cose, approfittando della mia posizione non ho guardato in faccia niente e nessuno, vi ho trattati alla stregua di armi e questo è imperdonabile. Ho dato ascolto ai miei istinti peggiori dimenticando cose ben più preziose, cercando dentro di me asettiche giustificazioni che sapevo prive di fondamento. –
Jinki si passò una mano tra i capelli e Kibum s’accorse che anche il Leader era spossato. Quella conversazione non doveva essere facile nemmeno per lui.
-Vi ringrazio per la vostra preoccupazione, senza di essa non sarei qui. Sapete – fece emettendo una risata, - l’abitudine di prendere decisioni importanti logora e ci si dimentica di non essere soli. –
Pronunciò le ultime parole guardando Kibum ed uno strano formicolio corse lungo il corpo del principe. Kibum ebbe la sensazione che l’avesse fatto di proposito, era a lui che stava parlando, non agli altri. Forse doveva essergli grato, tuttavia quell’affermazione ebbe l’effetto di una doccia fredda. D’istinto, Kibum strinse più forte la mano di Jonghyun che gli rivolse uno sguardo stranito, mentre lui teneva gli occhi fissi in quelli di Jinki, come se tra il Leader dei ribelli ed il principe intercorresse un dialogo silenzioso.
Per Kibum quell’affermazione significava solo una cosa, un dato ineluttabile che sino ad allora aveva ignorato: prima o poi sarebbe dovuto tornare a casa e prendere il posto che gli spettava. Lo sapeva Jinki e, in fondo, lo sapeva anche lui. L’imperatore non avrebbe regnato in eterno e, per quanto a Kibum non fosse mai importato molto del trono, quello era il suo destino, un destino che non poteva ignorare dopo quanto aveva visto. Dopo quello che Jinki gli aveva mostrato. Anche volendo, ora, non sarebbe mai riuscito a voltarsi dall’altra parte e salire a su una nave per lasciarsi tutto alle spalle. Era una sua responsabilità e non poteva venirne meno.
La sua mano tremò. Alla fine, volente o nolente, avrebbe perso Jonghyun in ogni caso? Il più grande sarebbe rimasto con lui per ricordargli che non era solo o avrebbe preso quella nave al suo posto?
-C’è un’altra cosa -, proseguì Jinki - presto tornerà la bella stagione e potremmo riprendere le nostre solite attività. –
Jonghyun s’illuminò.
-Ma tu ne sarai esentato –, disse Jinki guardando Jonghyun.
L’ilarità dell’altro si smorzò all’istante.
-Ma…-
Jinki guardò Key che scosse il capo, non voleva essere lui a comunicare al più grande della taglia che gli pendeva sulla testa, solo pensarlo gli provocava sensazioni terribili.
-E’ giunta notizia da Busan che c’è una taglia sulla tua testa e sono stati assodati dei sicari di Ming. –
Jonghyun sgranò gli occhi. Aveva sentito bene, una taglia sulla sua testa?! Perché ogni tanto qualcuno decideva di farlo fuori? Fece una smorfia. Il fatto che la notizia fisse partita da Busan era interessante, sembrava proprio che in quella città qualcuno si ostinasse a volerlo morto stecchito, ma come aveva fatto a ritrovare le sue tracce? Chi diavolo era quella persona e, soprattutto, era la stessa che aveva gli aveva mandato dei soldati alle calcagna anni addietro? Era una coincidenza interessante. Si grattò il capo. Una persona sana di mente avrebbe provato terrore, invece la fitta che gli attraversò il petto fu più simile ad una scarica d’orgoglio.
-I sicari di Ming sono i più letali – disse in un sussurrò prima di scoppiare a ridere.
Gli altri lo guardarono sorpresi.
-Bhe-, fece Jonghyun – sembra che sia una persona importante! – Rise di nuovo. – Non tutti si meritano un pugnale di Ming tra le scapole, ho sentito dire che uno degli ultimi imperatori di Nihon ha fatto la stessa fine. –
Jonghyun unì le braccia dietro il capo e sorrise sghembo, pavoneggiandosi. – Non capite? Sono come un re! Il re Kim Jonghyun! Finalmente qualcuno ha notato il mio ottimo operato lungo la strada sud! Ahaha negli annali di Chosun sarò ricordato come il re dei ladri Kim Jonghyun! –
A Jonghyun vennero in mente a raffica una lunga serie di soprannomi degni di lui, ma tutte quelle idee magnifiche non ebbero il tempo di fluire dalla sua testa alle sue labbra perché Key si alzò di scatto, quasi travolgendo il tavolo, e senza degnare nessuno di uno sguardo uscì dallo studio sbattendo la porta.
Jonghyun si grattò il capo. Perché aveva l’impressione che le pareti, per quanto solide, stessero tremando?
-Key? -
Yah!, pensò, mi stava coccolando sino a due secondi fa!
Ecco, se c’era una cosa che non lo allettava al pensiero di stringere il legame di fratellanza con Key era la possibilità di percepire tutta la sua rabbia, soprattutto se indirizzata alla sua persona. Deglutì. Quei pugnali scintillanti pronti a colpirlo non erano nulla a confronto con l’ira del più piccolo.
 Sospirò. Che cos’aveva detto questa volta che non andava?
 
 
***
 
Kibum fissò la sua ciotola di riso a braccia conserte. Non aveva fame, nemmeno i mochi al centro del tavolo riuscivano a suscitare il suo interesse e ciò faceva ben comprendere sia a lui, sia a chi gli stava intorno che era un pessimo momento. A tutti tranne a Kim Jonghyun. Che cos’aveva, o non aveva, nella testa il più grande per rivelarsi così ottuso? Kibum sbuffò, gli sarebbe tanto piaciuto saperlo. Era l’ora di cena e si erano riuniti nella sala comune per il pasto, tuttavia per quanto il principe avvertisse lo stomaco brontolare la sola idea di mandare giù qualcosa gli faceva contorcere le viscere. Arricciò il naso quando Jonghyun tentò l’ennesimo approccio.
-Avanti -, fece Jonghyun, - lo sai che se non mangi mi costringi ad imboccarti. –
Il più grande raccolse del riso con le bacchette e lo portò alle labbra a cuore di Key che lo fulminò.
Kibum non riusciva proprio a capire come l’altro potesse essere così tranquillo. Il sapere che su di lui pendeva una taglia sembrava non averlo minimamente scosso e Kibum si sentiva punto sul vivo. Non aveva alcun interesse per la sua vita e per loro? Come poteva essere così sconsiderato!? Non riusciva ad accettarlo, lui aveva passato giorni a struggersi per quello, mentre Jonghyun sembrava del tutto indifferente. La sua unica reazione era stata quella di dire buffonate per il resto della giornata e tentare goffamente di parlare con lui.
Bhe, dovrai impegnarti molto più di così, pensò Kibum stizzito.
-Ahhh –
Jonghyun allungò le bacchette verso di lui aprendo la bocca in una strana smorfia e Kibum roteò gli occhi. Il più piccolo decise che ne aveva abbastanza, se intendeva farsi ammazzare tanto valeva che lui, Kibum, si abituasse sin da subito alla sua assenza. Spostò in malo modo la mano dell’altro e s’alzò abbandonando la sala comune. Non intendeva rimanere lì seduto a piangere, mentre quella testa vuota ignorava il suo stato d’animo!
-Key!! – lo chiamò Jonghyun, disperato.
Jonghyun osservò la figura dell’altro sparire, di nuovo. Sbuffò frustrato e ripose le bacchette, poi si rivolse agli altri.
-Secondo voi che cos’ha? Insomma è sempre stato strano, ma questo…-
Riprese le sue bacchette e s’avventò su un pezzo di carne, osservando gli altri a occhi sgranati in attesa di una risposta.
Minho sospirò, mentre Taemin faceva scioccare la lingua scuotendo il capo.
-Mi domando come un essere umano possa raggiungere tali livelli di stupidità. – Minho prese un boccone di riso senza degnare l’amico di uno sguardo.
-Un essere umano non credo, ma uno scimpanzé che rincorre un casco di banane sì -, osservò Taemin.
-Si può sapere che ho fatto? –
Jonghyun si mise le mani tra i capelli. Perché nessuno parlava chiaramente?
Minho sbuffò. – Aish è tutto il giorno che dici idiozie, se esistesse un premio per questo…-
-Vinceresti sicuramente il primo premio -, concluse Taemin agitando le bacchette in direzione di Jonghyun. –Ma che dico! – fece poi dandosi una pacca sulla fronte, - la mole delle assurdità che dici è tale che potresti occupare l’intero podio! –
-Yah! –
Taemin alzò le braccia al cielo. – Il vincitore è il re Kim Jonghyun! –
-Non può essere un re, figurarsi morire come un re – disse Minho.
-A meno che non sposi un principe. –
Taemin si picchiettò la punta dell’indice sulle labbra, pensoso.
-Non sposerò un maiale! – scattò Jonghyun gesticolando con le bacchette e disperdendo chicchi di riso all’intorno.
-Comunque sarebbe il re degli stupidi – disse Minho.
-Si può sapere perché avete risposto le armi tra voi sono per fare comunella contro di me? Yah! Tornate a litigare! –
Jonghyun sbuffò e s’afflosciò reclinando il capo per poi scompigliarsi la chioma castana. –Perché fa così? –
-Jong-, iniziò Minho, - c’è una taglia sulla tua testa. –
-Lo so e con ciò? Non è la prima volta che qualcuno tenta di farmi fuori -, disse fingendo di recidersi la gola con le bacchette. – Quando lascia Busan ero praticamente ad un passo dalla morte, non ho paura. –
-Ma Key sì! Non ci arrivi? Hai forse scordato chi si occupa della corrispondenza? Key è stato il primo a saperlo, giorni fa, io ero con lui quando ha letto quella missiva. Come pensi che si sia sentito? –
Jonghyun alzò il capo e sbiancò mentre una piccola luce iniziava ad accendersi nella sua testa.
-Io…-
Jonghyun si rese conto di essere stato un vero idiota. Si passò le mani sul viso. Perché aveva la straordinaria capacità di essere così stupido? Key sapeva tutto da giorni e non doveva essere stato facile per lui rimanere zitto, d’altra parte nemmeno l’idea d’affrontare l’argomento doveva averlo entusiasmato. Ecco perché era stato così affettuoso. Il cuore gli s’accartocciò in petto. Quando doveva aver sofferto il più piccolo? Jonghyun non poté fare a meno di rimproverarsi e, ancora, tornò a riflettere sul legame di fratellanza. Era davvero così superfluo? Più ci pensava più la prospettiva di legarsi a Key diventava allettante.
-Il mondo gli è praticamente crollato sotto i piedi -, disse Minho, secco.
-Cosa deve fare? –
Taemin incrociò le braccia e roteò gli occhi. –E’ evidente, no? Alza quell’inconsistente fondoschiena scimmiesco e va a recuperare il tuo tortino di cioccolato prima che si squagli! –
-C-cosa? –
-Vai dalla mia umma e chiedigli scusa! –
Taemin s’alzò sbattendo i pugni sul tavolo.
Senza pensarci due volte Jonghyun abbandonò il pasto e si diresse alla ricerca del più piccolo. Raggiunse la loro stanza e poi lo studio di Key, ma del più piccolo non vi era traccia. Beh c’era un unico posto a quel punto da passare al staccio: la biblioteca. Quando la raggiunse era immersa nel silenzio, come sempre, un grande ambiente abbandonato a polvere e muffa di cui Key era l’unico frequentatore e sovrano indiscusso. Probabilmente conosceva ogni singolo libro tra quegli scaffali e la sua precisa collocazione. Non appena vi mise piede, Jonghyun ebbe la sensazione di essere entrato in un’altra dimensione, sospesa e ovattata, dove ogni suono, anche il più flebile, risulta attutito dallo spesso strato di polvere che ricopre ogni cosa e vortica nell’aria.
-Key? –
La sua voce si perse tra gli scaffali silenti che, tra le pagine assottigliate di tutti quei libri, nascondevano mondi ed emozioni in cui, ora, il più piccolo aveva deciso di rifugiarsi. Jonghyun si mosse tra gli scaffali reprimendo più volte uno starnuto e, nonostante il silenzio, era certo che Key si trovasse lì, semplicemente non voleva essere trovato. Era disposto a giocare a nascondino tra quegli scaffali per giorni se il più piccolo desiderava fargliela pagare, ma lui non aveva alcuna intenzione di darsi per vinto.
Ecco, rifletté, se avessimo un legame saprei esattamente dove si trova. Avrei anche saputo in anticipo quanto il mio atteggiamento fosse sciocco e, forse, imparerei a tenere la bocca chiusa quando serve.
Jonghyun sospirò. In realtà sull’ultimo punto aveva qualche dubbio.
-Micio? –
Alla fine lo vide seduto a terra a gambe incrociate con un grosso volume in grembo e il naso incollato alle pagine come se desiderasse esserne inghiottito. Jonghyun si posizionò davanti e attese che l’altro sollevasse il viso, ma Key tenne lo sguardo fisso sul libro.
-Perché m’ignori? – chiese ad un tratto Jonghyun, stufo di quel silenzio che gli sembrava durare da un’eternità.
-Sto cercando di abituarmi alla tua assenza, così quando sarai morto e la tua testa in viaggio verso Busan me ne sarò già fatto una ragione. –
Le parole di Kibum furono pronunciate in tono freddo e distaccato, sempre senza degnarlo di uno sguardo.
-Perché devi essere così tetro? –
-Perché tu sei così idiota? –
Nonostante la frase di Key stilasse acidità da tutti i pori, Jonghyun sorrise divertito. Finalmente aveva ottenuto una reazione sensata. Si chinò di fronte all’altro e, prendendogli il mento tra indice e pollice, gli sollevò il viso.
La pelle di Key era fredda e pallida, gli occhi leggermente cerchiati di rosso e le ciglia umide. Se non aveva pianto era in procinto di farlo.
-Key, mi dispiace -, fu tutto ciò che riuscì a dire il più grande.
Gli occhi felini di Kibum si posarono su quelli ambrati e caldi dell’altro e le sue labbra rosate tremarono.
-Hai idea di cos’abbia passato negli ultimi giorni? –
Accucciato davanti a Key, Jonghyun annuì. Ci aveva messo un po' per capirlo, ma sì, ora lo immaginava molto bene. Gli bastava pensare di essere al posto dell’altro per sentirsi sull’orlo della follia.
-Andrà tutto bene –
Kibum chiuse il libro con un tonfo e s’alzò di scatto. – Non è vero! –
-Key! –
Jonghyun s’alzò e lo prese per le spalle. – Starò attento, te lo prometto, non mi accadrà niente. Non è la prima volta che qualcuno mi dà la caccia, me la caverò, io…-
Kibum scosse il capò tirando su col naso ed iniziò a prendere a pugni il petto dell’altro.
-Sei uno stupido egoista egocentrico! T’importa così poco di me e di noi? Pensi di essere così grandioso da potertela sempre cavare, di poterti permettere di giocare con la tua vita? –
Lo spinse via. –Se non hai alcun rispetto per la tua vita potresti almeno cercare di averne per me! Vogliono la tua testa, e tu pensi che io sia disposto a vederti uscire dal Rifugio come se nulla fosse, con il rischio di non vederti mai più? Non capisci che la sola idea mi uccide?-
Jonghyun lo prese per i polsi, ma l’altro continuò a dimenarsi finché, stanco, non si tranquillizzò, il fiato corto per le urla.
-Immagini terribili mi perseguitano da giorni – sussurrò Kibum.
Oltre alle immagini, mille congetture si era prepotentemente fatte strada nella sua mente. Era davvero una coincidenza il fatto che l’ordine fosse partito da Busan, poteva davvero esserci Heechul dietro e, se sì, cosa e come sapeva di Jonghyun? Era possibile che sapesse di avere un fratellastro? Come l’aveva rintracciato? Certo, Jonghyun non si era mai posto il problema di non frasi notare, al contrario…
Quell’ordine chiedeva la testa di Jonghyun e se davvero Heechul era il mandante non poteva esserci via di scampo. Se il lord di Busan pretendeva una testa, una testa avrebbe avuto. Kibum non intendeva permetterlo, per Jong sarebbe stato disposto a tutto, anche a gettarsi tra le braccia del suo promesso se ciò fosse servito a salvare la persona che amava.
-Shhh-, fece Jonghyun accarezzandogli il capo. – Ho capito, non dire altro. -
Kibum singhiozzò ed appoggiò la fronte sulla spalla del più grande. – Tu sei tutto per me. Sei l’aria che respiro, il calore sulla mia pelle, il sangue che scorre nelle mie vene e quando sono di fronte a te sei parte di me. –
-Key…-
Gli accarezzò il viso sfiorandone il profilo con l’indice, ritrovandosi poi calamitato verso quelle labbra a cuore appena dischiuse, calde e lisce sotto il tocco del suo pollice.
Key gli prese il viso tra le mani e furono fronte contro fronte. Le dita del più piccolo s’intrecciarono ai capelli dell’altro, quasi possessive, gli ultimi sottili fili d’erba sull’orlo di un precipizio. Lo baciò. Fu un muoversi lento di labbra, il frusciare della seta sulla pelle quando gli abiti diventano troppo ingombrati e, allora, è il calore umano che si cerca. Caldo, appassionato, vero.
Jonghyun sorrise mentre il più piccolo approfondiva lentamente il bacio, insinuandosi con la lingua umida nella sua bocca. Avrebbe dovuto essere lui a consolarlo, invece era l’altro a baciarlo aggrappandosi ai suoi abiti.
-Giurami che non lascerai il Rifugio. –
Quando Kibum si staccò era rosso in viso e gli mancava il fiato, tuttavia i suoi sospiri si posarono lievi e pieni di tepore sulle guance di Jonghyun.
-Te lo giuro -, disse sfiorandogli la punta del naso con il proprio.
Come poteva dire di no quando lui stesso al posto di Key avrebbe preteso altrettanto? Non aveva paura e forse nemmeno sufficiente rispetto per la sua vita, ma non era disposto a far soffrire il più piccolo. Quei pochi giorni senza l’altro erano stati sufficientemente terribili per entrambi, ma almeno avevo conservato la speranza che erano vivi e che, da qualche parte, forse anche nel mondo dei sogni, si sarebbe ritrovati. Ma di fronte alla morte ogni speranza si sgretola, c’è il vuoto, il nulla, è un taglio netto come quello di una lama fredda ed affilata che separa le carni, e anche ciò che resta in vita si perde, inaridisce, con l’unica possibilità di congiungersi alla morte stessa.
Mentre abbracciava un Key ancora scosso e tremante, Jonghyun desiderò fondersi con ogni fibra dell’altro. Una sensazione ed un sentimento che andava al di là di una notte d’amore, quello che voleva era qualcosa di permanente e indissolubile capace di tenerli uniti oltre lo spazio.
Perché non è importante quanto un’orbita disti dal suo pianeta, ciò che conta è che sono legati in un eterno ruotante magnetismo.
Hai detto che sono parte di te quando siamo l’uno di fronte all’altro, io voglio essere parte di te sempre, pensò Jonghyun.
Sollevò il viso del più piccolo ed affondò in quegli occhi scuri e profondi che erano il suo universo.
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 28
*** Capitolo 27. Opera ***


Ciao a tutti! Allora prima d’iniziare ho alcune cose da dire:
1 mi scuso per l’immenso ritardo, è davvero un periodo pieno ed i prossimi mesi saranno anche peggio, inoltre la mia mancanza di sintesi non aiuta >.<
2 mi scuso perché mi sono accorta che nello scorso capitolo non ho fatto i consueti ringraziamenti. Forse nessuno l’ha notato, o magari non vi interessa, ma mi sento comunque in dovere di scusarmi. Purtroppo tra le mille cose da fare volevo solo darmi una mossa a pubblicare, visto che ero in ritardo, e questo dettaglio mi è sfuggito.
Rimedio subito ringraziando tutti i lettori, chi ha inserito la storia tra le preferite, seguite e da ricordare. In particolare chi mi ha lasciato i suoi commenti, vi ringrazio molto per il sostegno! Ricordo che le opinioni altrui sono sempre gradite e stimolano la creatività dell’autore.
Venendo al capitolo come noterete é abbastanza lungo e ho anche tagliato una scena che non mi convinceva XD Da qui in poi ci saranno dei cambiamenti importanti ed entreremo nella “fase finale” della storia (forse ci saranno ancora circa una decina di capitoli).
Spero di essere riuscita ad eliminare tutti gli errori di battitura, o quasi.
Buona lettura!
 
 
 
Capitolo 27
Opera
 
 
 
“My show, my show, opera
Singing opera, dancing opera
It’s so good, the answer is this
My show, my show, opera
The opera that I made
The best opera in the world
This is so good, everyone feels good”
Super Junior, Opera
 
 
 
Kibum si umettò le labbra, sbatté le palpebre ed osservò guardingo il sentiero che serpeggiava davanti a lui nella foresta. Appiattito tra i cespugli, represse uno starnuto arricciando il naso quando una foglia gli stuzzicò le narici.
Gli efficientissimi informatori di Jinki sparpagliati nei villaggi all’intorno avevano lasciato trapelare la notizia che vi era una carrozza, forse due, in arrivo da Soul e che presto sarebbero entrate nel raggio d’azione dei Ribelli. Una prospettiva allettante per le loro casse ed un piacevole sorpresa dopo mesi d’inattività
Per Kibum non era stato facile convincere Jinki a farlo prendere parte a quella missione che voleva inaugurare la nuova stagione d’assalto alle carrozze nobiliari. Se solo poche settimane prima il Leader meditava una missione suicida, ora era molto più cauto e apprensivo. Ciò significava che Jinki stava meglio e, piano piano, tornando sé stesso. Tuttavia, il principe non aveva resistito all’idea di prendere parte a quel saccheggio e, nonostante le resistenze iniziali, convincere Jinki era stato più semplice del previsto dato che Jonghyun, notoriamente l’elemento chiave di quella operazioni, era costretto al Rifugio.
Ovviamente, Kibum aveva dovuto rassicurare il Leader che, alla fine, aveva ceduto.
– E va bene, ma devi fare molta attenzione, non voglio che tu ti esponga inutilmente. –
Quindi niente abilità, quella dava certamente nell’occhio. Non solo, aveva anche dovuto camuffarsi per bene indossando un mantello dal cappuccio talmente voluminoso da nascondergli totalmente il viso.
Il principe si passò una mano sulla fronte; lì sotto stava sudando nonostante l’aria fresca che scuoteva le chiome degli alberi.
Kibum corrugò la fronte. Jonghyun non aveva preso per niente bene quella situazione ed il più piccolo se lo aspettava. Rassegnarsi all’idea di rimanere al Rifugio non era cosa da poco per Jonghyun, tanto meno sapere Key all’esterno. Oltre alla frustrazione doveva fare i conti anche con una non indifferente dose di preoccupazione.
-Non è giusto! – aveva sbottato Jonghyun, -finalmente si possono riprendere le attività e io devo starmene qui! Yah! Come posso farmi scappare tutte quelle carrozze? –
-Smettila di agitarti, non ti porterà proprio a nulla -, gli aveva detto Key.
In tutta risposta Jonghyun aveva sbuffato. – Loro mi aspettano! –
-Loro chi? –, aveva domandato il più piccolo portando le mani ai fianchi e squadrando l’altro.
-Tutti quei nobili, pronti a frasi rapinare e ridurre in mutande da me! Io sono il loro idolo, è per me passano su quella strada, non posso deludermi! –
-Kim Jonghyun smettila di fare l’idiota! –
Kibum aveva ruotato gli occhi e sospirato rassegnato. Nonostante tutte le promesse ed i pericoli, Jonghyun non voleva proprio darsi per vinto.
-Oltre a rinunciare a tutto il divertimento, devo pure starmene qui con l’ansia per te -, aveva detto Jonghyun fissandolo con gli occhi grandi. –L’ultima volta che hai messo piede fuori, da solo…-
Intenerito, Kibum l’aveva baciato dolcemente. – Tornerò e ti racconterò tutto, promesso. -
Kibum tornò al presente e posò lo sguardo sugli altri Ribelli appostati all’intorno.
Minho sembrava un lupo pronto ad avventarsi sulla preda, i suoi occhi brillavano di determinazione mentre la sua mano accarezzava l’elsa della spada. Alternativamente lanciava occhiate a Kibum e a Taemin come se si aspettasse di doverli riprendere da un momento all’altro per qualche azione imprudente.
Kibum gli era molto grato per l’apprensione che stava dimostrando, tuttavia gli sembrava di essere costantemente osservato da una balia. Lo stesso doveva pensare Taemin perché, nonostante gli occhi vispi e carichi di aspettativa, ogni volta che Minho gli rivolgeva la propria attenzione arricciava il naso e, appena il ragazzo più alto distoglieva lo sguardo, gli faceva una boccaccia. Kibum dovette più volte reprimere una risata.
Altri cinque ribelli erano posizionati tra gli alberi e attendevano l’arrivo della carrozza in trepidante attesa.
Il principe non era da meno. Percepiva l’adrenalina scorrergli nelle vene e provava una strana eccitazione all’idea dell’atto illegale e potenzialmente pericoloso che stava per compiere. Considerato il temperamento talvolta sfrontato Jonghyun, Kibum non dubitava che il più grande considerasse quello snodo della strada sud alla stregua di un parco giochi.
Era una giornata luminosa e il sole splendeva sopra di loro filtrando tra i rami e diffondendo un piacevole tepore, mentre una brezza leggera portava il profumo dei ciliegi in boccio.
I petali rosati posatisi sul sentiero danzarono nell’aria, sospinti da una folata di vento improvvisa che portò con sé il suono dello scricchiolare di ruote e lo scalpiccio di zoccoli sulla ghiaia.
Minho scattò sull’attenti.
-State pronti, arriva. –
 
 
***
 
Forse, e solo forse, altri avrebbero considerato quella mossa azzardata e una possibile falla in quella che, sin ad allora, era stata una trama perfetta e priva di sbavature, ma non Heechul. Il lord di Busan sapeva bene che per attirare una grossa preda era necessaria un’esca altrettanto grossa e lui era indubbiamente un’esca allettante.
Percorreva la strada sud a bordo della sua lussuosa carrozza in direzione di Haehwan, un secondo veicolo al seguito con beni e soldati. Una comitiva ed un bagaglio sufficienti ad attirare l’attenzione dei Ribelli, senza però rischiare d’intimorirli.  Heechul non aveva alcuna intenzione di renderli reticenti, al contrario era molto ansioso d’incontrarli per ottenere nuove informazioni e, forse, fare anche incontri interessati.
Potrebbe essere una piacevole riunione di famiglia, pensò sorridendo tra sé.
Con gli occhi chiusi, le dita affusolate che picchiettavano sugli avambracci incrociati, Heechul si godette il canto degli uccellini ed i profumi della primavera imminente respirando a pieni polmoni. Quel profumo era come una droga, portatore di ricordi e desideri. Forse stava di nuovo vaneggiando, ma quella dolce fragranza di ciliegi lo stordiva. Si leccò le labbra con la punta della lingua.
-Siete certo che sia una mossa saggia? –
I muscoli del volto del lord si contrassero delineando un sorriso sprezzante non appena la voce di quel piantagrane di Kyuhyun giunse alle sue orecchie. Spezzato il perfetto idillio in cui si stava lasciando cullare, Heechul aprì gli occhi e sbatté piano le palpebre, mettendo a fuoco il cavaliere davanti a lui. Roteò gli occhi e sbuffò.
Perché è così irritante?, si domandò.
-No -, rispose semplicemente.
Era una mossa astuta, ma di certo non saggia e, dal canto suo, Heechul si era sempre ritenuto più scaltro che saggio.
I saggi sono noiosi, pensò stiracchiando le gambe intorpidite dal viaggio.
Kyuhyun inarcò un sopracciglio.
-Siete spregiudicato. –
Heechul represse una risata. Spregiudicato, gli piaceva quella parola, ma lo irritava il fatto che il cavaliere avesse appena espresso in totale libertà un’opinione su di lui. Kyuhyun non aveva alcun senso della gerarchia. Avrebbe dovuto prenderlo a frustrate più spesso ma, in fondo, per quanto irritante trovava la sua irriverenza divertente. A conti fatti, Heechul riteneva d’aver fatto bene a sceglierlo.
-Ho appena ucciso un uomo, quanta spregiudicatezza pensi che serva, a questo punto, per percorrere una strada potenzialmente pericolosa? –
Kyuhyun sogghignò. – Vi ricordo che quell’uomo respira ancora. –
Heechul fece un gesto annoiato con la mano. – Questione di giorni, ore…che importanza vuoi che abbia? –
-Quindi devo chiamarvi vostra altezza? O forse per questo dobbiamo attendere gli ultimi dettagli? –
Heechul lo fulminò. Il cavaliere stava passando il segno. – Taci, sei irritante. –
Il lord si massaggiò le tempie. Aveva troppi pensieri nella testa, troppi, necessitava di giungere a capo di uno dei fili che aveva intrecciato in quella trama perfetta o, davvero, rischiava d’impazzire. A dirla tutta, udire il suono delle campane funebri ad annunciare la morte dell’imperatore poteva già essere una grande conquista. Il resto, come diceva Kyuhyun, erano dettagli.
Accavallò le gambe ed incrociò le braccia, socchiudendo gli occhi, quando la carrozza si fermò bruscamente. Sobbalzò andando a sbattere contro la testata della seduta.
-Aish-, fece massaggiandosi il capo.  
Kyuhyun tossicò per celare una risata. Fortunatamente il suo lord era troppo impegnato a rassettarsi gli abiti eleganti e a passarsi una mano tra i capelli per accorgersene.
Delle voci giunsero dall’esterno ed Heechul sorrise, rivolgendo poi uno sguardo trionfante al cavaliere. Dovevano che essere loro. I Ribelli.
Kyuhyun ricambiò lo sguardo ma nessun sorriso animò il suo volto, sembrava più scocciato, come se stesse tacitamente rimproverando il suo lord per quella mossa che considerava folle. Perché complicarsi la vita quando bastava attendere ad Haehwan lo svolgersi degli eventi mandando dei soldati in avanscoperta?
O perché non dimenticarsi dell’esistenza del principe? Pensò.
Kyuhyun sapeva bene che per il lord, Kim Kibum era un pensiero costante. Lo stesso il sorrisino che sino a poco prima aveva illuminato il viso di Heechul la diceva lunga su quelli che dovevano essere stati i suoi pensieri.
Il cavaliere scosse il capo.  
Ai suoni della foresta si frappose lo stridore del metallo, infine, qualcuno picchiò con forza sul legno del veicolo.
Con un gesto del capo, Heechul ordinò a Kyuhyun di uscire per primo dall’abitacolo laccato di rosso ed impreziosito d’oro.
Kyuhyun non poté fare a meno di sbuffare, rassegnato, infine ubbidì e scese riversando all’interno del veicolo la luce del primo pomeriggio.
Heechul si schermò il viso, poi scese dalla carrozza con passi misurati ed eleganti, rivolgendo un sorriso volpino ai presenti come il primo attore che, fatta la propria apparizione sul palcoscenico, attende gli applausi del pubblico.
Dopotutto, il mondo non è un immenso palcoscenico?
 
 
***
 
A Kibum bastò vedere la carrozza laccata di rosso, scorgere il baluginio dorato dello stemma che la decorava e le punte nere e lucide degli stivali di chi vi smontò per avere l’impressione, anzi la certezza, di essere sull’orlo di un incubo. Era come essere sul bordo di un precipizio e guardarne il fondo. Buio, profondo ed impenetrabile. Si sentì gelare. Lo scricchiolio di quegli stivali sulla ghiaia fu come il suono tetro di un sogno che s’infrange. Era come essere stato volontariamente relegato, sino ad allora, in un perfetto mondo in miniatura rinchiuso in una sfera di vetro prossima ad incrinarsi ed infrangersi. Un’assordante pioggia di cristalli.
Non seppe quando trovò il coraggio di alzare lo sguardo da quegli stivali per incontrare la figura intera del loro proprietario, forse passarono solo pochi secondi perché nulla mutò all’intorno, mentre il battito accelerato del suo cuore scandiva un tempo congelato.
Alla fine alzò gli occhi accuratamente celati dal profondo cappuccio.
La figura slanciata di Heechul si stagliava davanti a lui nella tipica e naturale eleganza che sempre lo contraddistingueva. Completo porpora dai ricami dorati, spumosi merletti ai polsi e al colletto, capelli perfettamente pettinati, occhi lampeggianti e sorriso scaltro. Un grosso felino intento a valutare come giocare con la preda. Era lui. E Kyuhyun era al suo fianco, come sempre.
Fu come se non fosse passato nemmeno un istante d’allora. Era ancora nelle sue stanza, a palazzo, stordito dal lungo banchetto di corte in cui era stato annunciato il suo fidanzamento, ed Heechul era davanti a lui pronto a reclamare ciò che già considerava suo.
Percepiva ancora il polpastrello incandescente di Heechul accarezzargli le labbra ed il suo fiato caldo sul viso. Un tocco leggero ma che aveva lasciato il segno. Si era sentito in trappola, spaventato, ferito nell’orgoglio dalla sua stessa debolezza e dall’umiliazione. Tutto il calore che il corpo e gli occhi dell’altro avevano emanato erano stati per lui più simili ad una doccia fredda. A mesi di distanza provava la stessa paura e gli stessi brividi.
Perché, si chiese, perché riesce ad esercitare tutto questo potere su di me? Come siamo arrivati a questo punto?
C’era una punta di amarezza nei suoi pensieri e forse anche di tristezza.
Da sotto il cappuccio, Kibum assottigliò gli occhi e, nonostante fosse certo di essere rigido quanto un gatto di marmo, vide la sua mano che reggeva la spada tremare.  Fu tentato d’afferrarsi il braccio, ma fu Minho a farlo.
Il ragazzo più alto si chinò per sussurrargli all’orecchio.
-Torna al Rifugio, adesso. –
Nonostante Minho stesse parlando con lui i suoi occhi erano puntati su Kyuhyun che lo fissava a sua volta in cagnesco.
Lo ha riconosciuto, pensò Kibum.
Non c’era da stupirsi, dopotutto era la terza volta che s’incontravano e le due precedenti Kyuhyun si era guadagnato sonore botte in testa. Se lo conosceva bene, e lo conosceva abbastanza, secondo Kibum Kyuhyun meditava vendetta d’allora.
Nonostante le parole di Minho, Kibum rimase immobile tornando a rivolgere la propria attenzione ad Heechul. Perché aveva la fastidiosa sensazione che lo fissasse come se sapesse od intuisse che vi era lui nascosto sotto quel cappuccio ed avvolto in quel mantello?
No, rifletté schernendosi, non essere sciocco Kibum, non può riconoscerti.
Era praticamente invisibile lì sotto, una figura esile avvolta in un mantello, un ammasso di stoffa, null’altro. Eppure, quella sensazione fastidiosa gli prudeva quanto la puntura di un’ape sulla pelle. 
Ti stai facendo suggestionare, si disse.
Minho lo scosse leggermente e Kibum staccò gli occhi da Heechul. Questa volta l’attenzione del ragazzo più alto era totalmente rivolta a lui.
-Devi andare – ripeté Minho.
-Umma? –
Taemin gli si fece vicino.
-E’ lui – sussurrò Key, la voce tremante.
Taemin non ebbe bisogno di nient’altro per capire, conosceva abbastanza bene la sua umma da sapere a chi si riferiva con quel “lui”. Oltretutto la paura di Kibum era palese, una paura che si mostrava in tale stadio avanzato solo quando c’era di mezzo il suo promesso.
Taemin lanciò un’occhiata al lord. Dunque, pensò, è lui quel tizio. Bhe, non gli avrebbe permesso di fare del male alla sua umma! Taemin strinse i pugni facendosi più vicino a Kibum.
La voce di Heechul risuonò tra gli alberi. –Vedi -, disse disinvolto lanciando uno sguardo divertito a Kyuhyun, -abbiamo fatto bene a prendere questa strada per raggiungere Haehwan. –
Kyuhyun s’impose di non roteare gli occhi.
-Speravo proprio d’incontrarvi – disse Heechul facendo scorrere uno sguardo interessato sui presenti.
I Ribelli si guardarono, perplessi.
-Curiosità –sussurrò Heechul rispondendo alle loro domande inespresse.
Kyuhyun arricciò le labbra.
-Perché? – fece uno dei ribelli, - volete forse fare la strada di ritorno in mutande? –
Heechul si portò due dita tra le sopracciglia, scosse il capo e rise e, quando rialzò lo sguardo, i suoi occhi luccicarono fissandosi sul ribelle che aveva parlato.
-E saresti tu a dilettarti in questo genere di passatempo? – domandò interessato.
Il ribelle incrociò le braccia e sbuffò, spostando il peso da una gamba all’altra. –No, quello è Jonghyun, ma oggi non c’è, siete fortunato. –
-Fortunato davvero – fece Heechul. Le labbra carnose di Heechul s’inclinarono in un sorriso e si umettò le labbra.
Kibum conosceva bene quell’espressione e strinse con forza l’elsa della spada. Heechul stava cercando tra i volti dei presenti quello sconosciuto del fratellastro. Stava tastando il terreno di caccia.
Maledetto, pensò il principe.
Questa volta la sua mano tremò ma non per la paura, bensì per la rabbia.
-Umma- sussurrò Taemin dandogli una leggera gomitata, - devi andare. –
-Scaricate i bauli – disse uno dei ribelli.
-Oh ma certo, prego, se riuscirete a prenderli sono tutti vostri. – Heechul incrociò le braccia e continuò a sorridere.
A quel punto accadde tutto velocemente, troppo perché si rendessero conto della situazione. Dei soldati scesero dalla seconda carrozza gettandosi su di loro e, subito, il cozzare delle lame spezzò la quiete della foresta ed il cinguettio delle rondini si perse.
Kibum non si era mai ritrovato nel bel mezzo di una battaglia, tanto meno quella poteva definirsi tale, una scaramuccia, forse…ma per il principe faceva poco differenza.
-Key, va via! – lo incalzò Minho spingendolo tra gli alberi.
Kibum barcollò e rivolse uno sguardo spaesato a Minho. Per quanto fosse tentato di mettere più distanza possibile tra lui ed Heechul, l’idea di fuggire mentre gli altri erano impegnati nel combattimento lo metteva a disagio facendolo sentire un codardo. Tuttavia, rimanere lì era rischioso e le possibilità si essere smascherato molto alte, così come quelle di essere trascinato a Soul.
Un cappuccio ed un mantello non potranno nascondermi in eterno, rifletté.
Gli tornò in mente la sua fuga da palazzo e quello che era accaduto ad Hanamsi solo pochi mesi prima. La sola idea di ritrovarsi nella medesima situazione gli fece perdere un battito ed avvertì un senso d’oppressione e soffocamento, come se gli alberi si stringessero intorno a lui.
Ma se resto, pensò, potrei affrontarlo.
Corrugò la fronte. Era in grado di affrontare Heechul? Non era mai stato in grado di valutare chi dei due fosse più forte e anche se negli ultimi mesi si era sottoposto ad allenamenti intensi non era certo di farcela. Affrontarlo poteva essere una mossa azzardata, ma se fosse servita a salvare Jonghyun?
-Key! – lo richiamò nuovamente Minho. –Vai! –
-Ma…-
-Ho detto vai! –
Kibum sobbalzò per la veemenza nella voce dell’altro e, senza farselo ripetere ulteriormente, rinfoderò la spada ed iniziò a correre tra gli alberi.
Minho guardò Kibum allontanarsi e, al suo fianco, la spada snudata, Taemin fece lo stesso. Il cozzare del metallo e l’animosità dei combattenti li riportò in breve alla realtà dove ogni ribelle era impegnato con un soldato, solo loro erano in ancora in disparte ed osservavano come spettatori solitari. Tuttavia, Minho era tutt’altro che rilassato. Quella semplice operazione rischiava di tramutarsi in un totale disastro per la sola semplice presenza di Kibum, e anche se il principe si era deciso a darsi alla fuga l’apprensione di Minho non era calata. Lo spazio ed il tempo che separavano Kibum dal Rifugio erano tutt’altro che brevi e nel mentre poteva accadere qualunque cosa. D’altra parte Minho non poteva abbandonare il resto dei Ribelli dato che la guida della missione era stata affidata a lui e, sino ad ora, l’unica cosa che era riuscito a fare era stato esattamente niente. Troppo impegnato a valutare le implicazioni di quel pessimo incontro e ad ingaggiare una lotta di sguardi all’ultimo sangue con quel cavaliere.
Se lo perdo una seconda volta, s’appunto mentalmente pensando a Kibum, Jinki e Jonghyun mi uccideranno.
-Aish. –
Non si poteva mai stare tranquilli. Anche una semplice imboscata rischiava di trasformarsi in un inferno.
E’ già un inferno, convenne osservando lo scontro.
Allo stesso tempo, Minho era preoccupato per Taemin e si chiese se non fosse il caso di mandarlo indietro con l’altro. In una normale occasione il più piccolo si sarebbe adirato, ma se avesse usato la scusa della umma…
Minho scacciò quei pensieri egoistici e meschini. Per quanto apparentemente fragile il più piccolo dei fratelli Lee era tutt’altro che debole, al contrario.
Se lo rimandi indietro, si disse, finirai per trattarlo di nuovo come un bambino e s’arrabbierà.
-Guarda un po' chi si rivede. –
Minho sbatté le palpebre mettendo a fuoco la figura davanti a lui che, fattasi strada tra i corpi in movimento, l’aveva raggiunto. Il ragazzo grugnì.
Strinse l’elsa della spada puntandola in avanti, subito imitato da Taemin.
-Di nuovo tu – ringhiò tra i denti.
-Già- sogghignò Kyuhyun. –
Nonostante impugnasse la spada, Kyuhyun non sembrava intenzionato ad ingaggiare battaglia. Il suo braccio armato, infatti, risposava lungo il fianco, mentre la mano libera si picchiettava le labbra con l’indice.
Tuttavia, nè Minho né Taemin accennarono ad abbassare la guardia.
-Dov’è? – domandò Kyuhyun senza troppi preamboli.
-In un posto dove non lo troverete mai. -
Kyuhyun scoppiò a ridere. – -Andiamo, non ne vale la pena per quel ragazzino capriccioso ed insolente. Vi conviene consegnare sua grazia al mio lord, non è una persona paziente. –
D’istinto Minho e Taemin spostarono l’attenzione alla carrozza dove, soli pochi secondi prima, era appostata la figura rosso vestita del lord di Busan, ma non lo videro. I due si guardarono con crescente timore. Dov’era finito, era lì a godersi la scena sino a due secondi prima?
Kyuhyun tossicò e con un gesto disinvolto del capo accennò alla boscaglia.
-Credo che qualcosa abbia attirato la sua attenzione – disse divertito.
Minho e Taemin intercettarono qualcosa di rosso scivolare tra gli alberi dietro di loro ed impallidirono. Stava andando esattamente nella stessa direzione in cui era fuggito Kibum e procedeva veloce.
No, fece Minho, non può sapere che è lui. Perché lo segue?
Prima che Minho se ne rendesse conto Taemin corse tra gli alberi.
-Minnieee!! – tentò di fermarlo Minho.
Stava per inseguire a sua volta il più piccolo, quando la lama luccicante di Kyuhyun gli tagliò la strada ferendogli di striscio il braccio. Una sottile linea rossa s’aprì sulla camicia di Minho, imporporandola.
-Oh no, noi abbiamo dei conti in sospeso. –
-Che cosa vuoi? – ringhiò Minho ignorando il braccio ferito e lanciando occhiate fugaci e angosciate al fogliame.
Prima Kibum ed ora Taemin. Nemmeno nei suoi incubi peggiori Minho sarebbe stato in grado d’immaginare uno scenario simile.
-Fossi in te mi preoccuperei più per me stesso che per i tuoi amichetti. –
 Kyuhyun accennò alla manica macchiata di sangue di Minho, poi fece mulinare la spada e prese posizione.
-Coraggio, ti lascio un margine di vantaggio. –
Minho rise. – Vantaggio a me?-
Nonostante Minho si preparasse ad affrontare il suo avversario con il sorriso sulle labbra era tutt’altro che calmo. Lanciò un’ultima occhiata fugace agli alberi: di Taemin non vi era traccia.
Aish, imprecò tra sé.
Se fosse successo qualcosa al più piccolo non se lo sarebbe mai perdonato. Taemin aveva un’abilità forte dalla sua, ma anche quel lord non doveva essere da meno. Nonostante la preoccupazione non poteva permettersi di lasciarsi distrarre, così focalizzò la propria attenzione sul cavaliere valutandone la posa accademicamente perfetta. Gambe leggermente flesse e braccio alzato, ma Minho non aveva intenzione di lasciarsi ingannare, il luccichio negli occhi dell’altro la diceva lunga su quello che doveva essere il suo stile di combattimento. Sleale.
Minho lo imitò. Aveva tutta l’intenzione di dimostrare che anche la sua preparazione non era da meno, anzi, a differenza di quell’insopportabile cavaliere che faceva da spalla all’altrettanto irritabile damerino che serviva, Minho aveva imparato da solo tutto ciò che sapeva. Da solo e dalle situazioni avverse in cui si era trovato. Tuttavia, non appena alzò il braccio fu attraversato da una fitta. Strinse i denti.
Il cavaliere sogghignò e Minho ringhiò tra i denti. A dispetto del tempo, era decisamente una pessima giornata.
Deciso a togliere quel sorrisetto sprezzante dal viso dell’altro, Minho attaccò per primo. Ormai stava diventando una questione personale e non intendeva permettere al cavaliere di prendersi nuovamente gioco di lui. Si flesse sulle gambe e scattò in avanti, pronto a colpire l’avversario.
Kyuhyun alzò la spada e parò il colpo scivolando di lato con un passo ampio ed elegante, quasi stesse volteggiando in punta di piedi. Ora, le posizioni ai lati del campo di battaglia si erano invertite e Kyuhyun si concesse uno sguardo alla boscaglia dietro di lui, spostando il peso da un piede all’altro con una disinvoltura che ebbe il potere d’irritare Minho.
Quel cavaliere intendeva combattere o prendersi semplicemente gioco di lui? Forse stava solo temporeggiando.
-Chissà -, fece Kyuhyun, quasi distratto, - come stanno i tuoi amichetti. Sai, il mio padrone è una persona eccentrica, non si sa mai quello gli passa per la testa. Mi domando cosa abbia attirato la sua attenzione. –
Minho serrò le labbra e corrugò la fronte. Già, se lo stava chiedendo anche lui, ma non aveva intenzione di lasciarsi sfuggire la minima informazione o permettere all’altro di stuzzicarlo, perché era quello che intendeva fare.
Come a dar credito ai pensieri di Minho, Kyuhyun si passò la spada da una mano all’altra, mettendo così in evidenza la sua abilità con entrambi gli arti.
Minho si ritrovò a sorridere tra sé. Anche lui possedeva la medesima destrezza, ma non aveva alcuna intenzione mi scoprire così le proprie carte.
-Non devi essere molto sicuro di te se perdi tempo in chiacchere -, disse Minho.
Kyuhyun lo fissò terreo ed attaccò con un lungo movimento di gambe, volteggiando su sé stesso e calando la lama sul capo di Minho.
Minho s’abbassò, parò il colpo alzando a sua volta la spada sopra la testa e fece compiere ai piedi, saldi, un movimento di rotazione sorpassando così l’avversario.
Dopo una serie d’occhiate ed un mulinare di spade che produsse nell’aria un eco metallico, si gettarono l’unico contro l’altro, generando un intreccio di movimenti simili a quelli d’un duetto in punta di piedi sulle note cristalline del metallo cozzante.
Le lame tagliarono l’aria leggera e profumata d’inizio primavera, danzando sotto i riverberi del sole che filtrava tra i rami ed i petali rosati dei primi fiori in boccio. Destreggiandosi in movimenti fluidi ed eleganti, ma non per questo privi di veemenza, disegnarono nell’aria e sul terreno figure complesse. Ruotarono, in perfetta sincronia, l’uno intorno all’altro con ampi movimenti dei mantelli che fluttuarono nell’aria satura del profumo dei ciliegi e del cinguettio delle rondini che, ignare di quanto stava accadendo sotto le fronde degli alberi, tracciavano ampie parabole nel cielo azzurro.
In breve, Minho si rese conto che quella danza perfetta e mortale lo stava conducendo in un vortice in cui il minimo passo falso poteva rivelarsi fatale. Così per quanto mosso dall’adrenalina e dall’eccitazione che quel duello gli stava provocando, scartò di lato cogliendo di sorpresa l’avversario che, sbigottito, rimase fermo giusto il tempo d’intuire la prossima mossa di Minho e correre ai ripari.
Minho tentò una finta, poi scivolò nuovamente di lato e ancora più veloce raggiunse le spalle di Kyuhyun che intercettati i suoi movimenti si voltò a sua volta pronto ad attaccare, e così fece. Minho s’abbassò all’instante, rotolò sul terreno e si rialzò di scatto, premurandosi di mettere qualche metro tra lui e Kyuhyun.
Ansimante e con il volto imperlato di sudore, MInho si passò una manica dell’hanbok sulla fronte, poi tornò in posizione pronto a respingere il prossimo colpo che, tuttavia, non giunse.
Kyuhyun gli rivolse un sorriso soddisfatto e al contempo indispettito. Abbassò la lama lungo il fianco e si passò l’altra tra i capelli sudaticci.
Nonostante i modi dell’altro, Minho non aveva alcuna intenzione di rilassarsi. Poteva essere un modo per depistarlo e perdere tempo in chiacchere prima d’assestargli un colpo alle spalle. Vigile, Minho tenne gli occhi fissi su Kyuhyun, pronto ad ogni suo possibile movimento.
Alla fine, Kyuhyuh rinfoderò la spada in un raschiante suono metallico e si tamponò la fronte con un fazzoletto.
-Bhe, è stato divertente, te lo concedo. –
Minho rimase di stuccò. Lo stava prendendo in giro?
Kyuhyun simulò uno sbadiglio e s’avvicinò alle carrozze. – Siete fortunati -, disse voltandosi di nuovo verso Minho, - il mio lord voleva un semplice incontro amichevole. –
Minho guardò tra gli alberi aspettandosi di veder rispuntare il nobile, ma di lui non vi era traccia. Imprecò tra sé.
-Oh -, fece Kyuhyun portandosi le braccia al capo e camminando all’indietro, - lui tornerà quando avrà finito di giocare. Ma – aggiunse quasi ridendo, - il futuro imperatore di Chosun può permettersi questo ed altro. -
Minho corrugò la fronte. Che cosa voleva dire con quella frase sibillina, cosa tentava di suggerirgli? Quel tipo aveva l’aria troppo furba per parlare a vanvera.
Ad un gesto della mano di Kyuhyun i soldati di Busan abbassarono le armi. I Ribelli si fissarono spaesati e Minho ordinò loro di fare altrettanto.
-Scaricate i bauli – disse Kyuhyun.
I soldati eseguirono e il cavaliere montò in carrozza. Non appena i veicoli ripartirono, Kyuhyun lanciò un saluto disinvolto con la mano.
Minho digrignò i denti. Quanto poteva essere insopportabile quel tizio? Quel gesto sembrava stare a significare che si sarebbero rivisti molto presto.
Il ragazzo osservò la macchia rosseggiante della carrozza sfumare all’orizzonte portando con sé i lo scricchiolare delle ruote e degli zoccoli dei quadrupedi sul sentiero. La quiete tornò nella foresta, così come il cinguettio gioioso delle rondini, come se quella breve e violenta parentesi non fosse mai stata reale.
-Guardate! Seta e oro! Questo sì che è un vero bottino. –
Al grido dei Ribelli, Minho s’avvicinò e sbirciò l’interno dei bauli colmi di oro e sete pregiate a giudicare dalla finezza del tessuto e dai colori luminosi.
Perché?, si chiese.
Tuttavia la sua era una domanda retorica. La situazione sembrava assurda, eppure ai suoi occhi vi era un senso terribilmente sottile. Tutto era stato perfettamente calcolato e valutato. Il passaggio sulla strada sud, le domande lasciate cadere a vuoto, le frasi gettate come sassolini nello stagno e pronte a tramutarsi in infiniti dubbi concentrici sulla superficie dell’acqua.
Quei bauli di meraviglie erano il riscatto per un principe, un doppio accordo di fedeltà ed alleanza o un’esca? O, forse, tutto questo e molto di più?
 
 
Mentre correva tra la boscaglia, Kibum fu attraversato da mille pensieri, ricordi e situazioni che s’accavallarono nella sua mente, stordendolo. Sembrava che tutto si stesse ripetendo in un tempo compatto ed indefinito che prendeva forma tra le chiome rosate dei ciliegi che, mentre discendeva la collina avvicinandosi dell’Han, digradavano in boschetti di bambù umidi e stretti, rendendo difficile la corsa. Strinse i pugni ed aumentò l’andatura, rimproverandosi mentalmente per aver lasciato indietro gli altri, pur sapendo che per evitare danni peggiori non poteva fare altrimenti.
Nel suo inconscio i rami degli alberi mutarono nelle pareti marmoree del palazzo, nella boscaglia graffiante e che aveva attraversato la notte cui aveva perso Siwon. Più correva, più si sentiva soffocare come se pareti immaginarie si chiudessero intorno a lui sino a schiacciarlo. L’umidità aumentò così come il suono dello scorrere del fiume. Le canne di bambù si tramutarono nelle stamberghe sudicie e traballanti di Seungil, il fragore del fiume nello scrosciare della pioggia che quel giorno l’aveva bagnato sino alle ossa.
Strinse gli occhi accecati dal sudore che gli colava dalla fronte.
Era come procedere alla cieca inseguito da una tigre affamata, mentre tutte le esperienze peggiori degli ultimi mesi si accallavano l’uno sull’altra generando quella patetica fuga, accompagnata da un unico pensiero coerente e costante. Jonghyun.
Ogni passo era un passo verso il più grande, verso quelle braccia forti e protettive dalle quali temeva di essere nuovamente strappato. Non poteva permettere che accadesse di nuovo. Alle sue spalle percepiva la presenza di un inseguitore invisibile, così correva, ormai con il fiato corto, e scivolava sinuoso e veloce tra le canne di bambù.
Lanciò uno sguardo oltre le spalle, ma non vide nessuno. Era assurdo, il suo stesso buonsenso gli suggeriva che era impossibile. Chi mai avrebbe potuto seguirlo e perché? Era solo un ribelle con indosso un mantello, null’altro. Eppure nella sua mente delle mani lo afferravano e trascinavano indietro, non solo nello spazio ma anche nel tempo. Il ricordo della voce di Siwon si fuse con quella di Minho, intimandogli di fuggire e riecheggiando tra la vegetazione. Gli sembrava di procedere in direzione di un baratro.
Si fermò. Non poteva continuare in quelle condizioni mentali e doveva ritrovare la calma o quella corsa si sarebbe tramutata in una maratona verso la follia. Dopotutto, il fantomatico inseguitore esisteva unicamente nella sua fantasia. S’appoggiò ad un ramo di bambù e riprese fiato portandosi una mano al petto. Il suo cuore batteva all’impazzata e le gambe tremavano per l’adrenalina. Odiò sé stesso e provò una profonda umiliazione. La sola presenza di Heechul era stata sufficiente a gettarlo nel panico. Diede un calcio ad un tronco, si morse il labbro e strizzò gli occhi per ricacciare indietro il fastidioso pizzicare di lacrime di frustrazione.
Come riusciva ad avere tutto quel potere su di lui?
Sentì dei passi dietro di sé, stivali che spezzano rametti, e si voltò di colpo trovandosi di fronte il lord di Busan.
Il viso leggermente imperlato di sudore, gli abiti appena scomposti da quella che doveva essere stata una camminata veloce e, certamente, non una corsa, Heechul era a pochi metri da lui. La sua espressione era quasi indecifrabile, sembrava incuriosito e divertito ma anche deluso, come se qualcosa avesse suscitato la sua disapprovazione.
Dunque, Kibum non si era immaginato nulla, non erano occhi e mani immaginarie quelli che aveva percepito su di sé. Erano reali. Troppo reali.
Tuttavia, quella conferma ebbe il potere d’infondergli calma, come se sino ad allora ad agitarlo fosse stata l’incertezza, il timore di qualcosa d’indefinito che alitava sul suo capo, senza però acquistare forma concreta. Forse, dopotutto, affrontare qualcosa di materiale, anche se terribile, è più rassicurante che avere a che fare con fantasma.
Tenendo sempre la mano al petto, Kibum udì i battiti del suo cuore riprendere regolarità. Era entrato in una bolla o, quanto meno, ci stava provando. Sottile e quasi inconsistente, ma seppur minima era comunque una protezione. Non poteva e non voleva mostrarsi debole, il suo orgoglio bruciava ancora con troppa forza e sapeva che se si fosse lasciato andare avrebbe perduto il poco contegno che aveva.
Heechul avanzò con passi lenti e misurati e, di nuovo, Kibum ebbe l’impressione che stesse tastando il terreno di caccia.
-Fermo – disse Heechul.
Fermo, ed i piedi di Kibum rimasero incollati al terreno, eppure lui desiderava correre come mai aveva fatto in vita sua. Strinse i pugni maledicendo sé stesso. Non era solo da Heechul che voleva fuggire, ma da ciò che rappresentava: una vita che aveva deciso di lasciarsi alle spalle benché continuasse ad inseguirlo con insistenza, impressa come una macchia indelebile sulla sua pelle.
Perché mi ha seguito? si chiese. Non può sapere che sono io.
Mosso da un istinto di sopravvivenza, Kibum si ritirò ancora di più sotto il cappuccio, ma la sensazione che l’altro l’avesse fissato per tutto il tempo divenne più vivida, quasi una certezza. Di certo, ora lo guardava intensamente, come se quegli occhi da tigre a caccia potessero scrutare le ombre del cappuccio con la stessa facilità con cui i raggi del sole trafiggono le nubi dopo una tempesta.
Heechul si umettò le labbra e rimase fermo a fissare quella figura che tanto l’aveva incuriosito, domandandosi come vi fosse riuscita al punto da condurlo lì. A rigore di logica poteva essere il semplice fatto che l’altro si era dato alla fuga non appena era scoppiato il tafferuglio, ma la verità era che Heechul era stato calamitato verso quella figura insondabile dal momento stesso in cui vi aveva, inavvertitamente, posato gli occhi. Non sapeva perché, ma percepiva una tensione nell’aria ed un profumo che non doveva trovarsi lì.
Heechul sorrise, trovando l’atteggiamento difensivo dell’altro divertente.
-Calma – disse piano.
Mosse dei passi studiati tra l’erba piegandosi leggermente in avanti nel tentativo di sondare le ombre del cappuccio che celavo il viso dello sconosciuto. Heechul ebbe l’impressione di avere a che fare con un piccolo animale selvatico che poteva essere indotto alla fuga da un semplice movimento brusco.
Kibum mosse all’istante un passo indietro e deglutì quando la sua schiena andò a sbattere contro un tronco. Era davvero tutto come l’ultima volta.
Heechul rise, forse anche lui aveva la stessa scena in mente. Una fortuna per Kibum che l’altro non sapesse che anche i protagonisti erano i medesimi.
-Calma, calma non voglio farti del male– ripeté suadente.
Come a dar credito alle proprie buone intenzioni, Heechul alzò le mani ed aprì i palmi.
Kibum lo sapeva. Kim Heechul non era mai stato tipo da usare la forza, le sue armi erano molto più sottili, come un veleno letale che consuma la vittima dall’interno. Lentamente.
Tuttavia, Kibum estrasse di nuovo la spada e la tenne alta davanti a sé.
-Lo sai che con quella puoi fare ben poco? –
Heechul rise divertito e sul palmo delle sue mani fece apparire una fiammella.
Kibum arricciò il naso. Quell’odore era fastidioso, gli stessi bagliori rossi che il fuoco di Heechul disperdeva all’intorno gli ferivano gli occhi. Da tempo immemore aveva imparato a temere il fuoco, finché non aveva incontrato Jonghyun scoprendone un altro lato. Aveva imparato che il fuoco, per quanto pericoloso, era anche il calore in inverno, il profumo di una calda notte d’estate. Era imprevedibile, come l’amore. Tuttavia, quello di Heechul rimaneva la fiamma incandescente capace di bruciare la carne viva, l’odore stantio della cenere, era vermiglio, follia e paura.
-Sai, hai un’aria famigliare. Perché non mi fai vedere chi si nasconde lì sotto? –
Kibum rimase in immobile. Quale strana forza aveva avuto il potere di condurre l’altro lì, davanti a lui, come calamitato?
Kibum scosse il capo sotto il cappuccio.
-Andiamo, non mi dirai che sei timido, uhm?-
Heechul avanzò e Kibum scivolò di lato liberandosi dell’impiccio del tronco.
-Non parli? - lo incalzò.
Preferirei sputarti in faccia, pensò il principe.
Nonostante il desiderio di sfoderare la sua lingua tagliate, Kibum s’impose di rimanere zitto o si sarebbe tradito con le sue stesse mani. Era frustrante. Nemmeno le armi che era sempre riuscito ad utilizzare contro Heechul ora gli potevano essere d’aiuto. Tuttavia, la situazione era più che precaria e rischiava di dover ricorrere alla sua abilità per disfarsi di Heechul.
Da sotto il cappuccio, Kibum fissò il più grande valutandone le mosse. Gli sembrava di essere in bilico su un filo sospeso nel vuoto; rimanere fermo era rischioso tanto quando procedere. Un’improvvisa folata di vento poteva coglierlo in qualunque momento e farlo precipitare. Respirò piano, rendendosi conto che quella bolla sottile che aveva eretto intorno a sé era sempre più traballante. Fremeva prossima a scoppiare. Ma, di nuovo, s’impose di essere forte. Se fosse stato costretto ad utilizzare la propria abilità avrebbe fatto i conti con le spiacevoli conseguenze.
Perderò tutto, sì disse Kibum, dovessi anche uscirne vincitore scoprirà ogni cosa e allora diventerà ancora più pericoloso.
Quasi per uno scherzo del destino, lo stesso che probabilmente aveva deciso di muovere l’intero corso di quella giornata, Heechul si fece ancora più vicino ed allungò una mano al cappuccio di Kibum.
Heechul non riusciva a trovare una spiegazione coerente, ma moriva dalla curiosità di conoscere l’identità di quella figura incappucciata al punto che la semplice idea lo eccitava. Era assurdo e razionalmente inspiegabile. Ora che erano più vicini percepì con chiarezza quel profumo dolce e leggero ed annusò l’aria.
Kibum si strinse nelle spalle e strizzò gli occhi sentendosi una preda braccata. Heechul annusava l’aria come se annusasse la sua stessa presenza. Un grosso felino cieco che percepisce l’odore della vittima designato pregustandosi un lauto banchetto.
Un brivido percorse il corpo del principe come colto da un’improvvisa folata di vento freddo, ma prima che quel traballante filo sospeso potesse gettarlo nel vuoto scartò di lato.
Fulmineo, Heechul l’afferrò per il polso e, con la mano libera, Kibum si calò maggiormente il cappuccio sul viso. Era in trappola. Se voleva fuggire non gli restava altra scelta che usare la sua energia ed essere inevitabilmente scoperto.
Non è giusto, pensò.
Stava per mandare in fumo la vita che si era costruito negli ultimi mesi e forse non sarebbe nemmeno uscito vincitore da quello scontro, prevaricandosi così la possibilità di tornare al Rifugio.
Mi trascinerà ad Haehwan e poi a Soul o a Busan.
Mentre tentava di divincolarsi dalla presa dell’altro fu invaso dal consueto formicolio che lo coglieva ogni volta che si preparava ad usare la sua abilità, ma, per quanto determinato, tutto ciò che riuscì a pensare fu l’incubo di tornare al punto di partenza. Non solo. Pensò alla sua vita al Rifugio, a Jinki che lo aveva accolto, a Taemin, a Minho e soprattutto a Jonghyun. Gli aveva promesso che sarebbe tornato, proprio come quel giorno ad Hanamsi, ma forse non ci sarebbe riuscito. Non solo, questa volta le possibilità di una fuga s’assottigliavano. Kibum sapeva che l’unico in grado d’affrontare Heechul poteva essere Jonghyun, l’unico in grado di salvarlo, ma non poteva permetterglielo. Jonghyun doveva stare lontano dal Heechul, Kibum non intendeva permettere al suo promesso di sfiorare il più grande nemmeno con un dito.
Jong, riecheggiò il nome dell’altro nella sua mente. Se il prezzo da pagare per te sono io, allora va bene.
La sola idea di separarsi ancora da Jonghyun, di essere strappato a lui da lui, gli sconquassava le viscere. Era come provare di nuovo quella sensazione terribile di soffocamento e del sangue che si gela nelle vene. Le luci che si spengo ed il fluttuare solitario ed insensato in un universo freddo e buio. I colori che sbiadisco ed i suoni che s’attenuano. L’assenza dell’altro, quale l’assenza della vita stessa.
Il semplice tocco della mano di Heechul sul suo polso aveva risvegliato in lui una paura viscerale appena assopita. Le sue dita sulle sue labbra…
Kibum aveva paura, sì, ma il solo pensiero dell’altro riuscì ad infondergli coraggio. Se doveva perderlo di nuovo, Jonghyun, se doveva perderlo per sempre allora sarebbe stato solo una bambola. Tanto bella e perfetta quanto insensibile e vuota.
Forse così, pensò, proverò meno dolore.
Se avesse potuto avrebbe vomitato, lì, direttamente sugli stivali lucidi di Heechul. Tanto questo si meritava.
Tuttavia, proprio mentre si preparava a colpire la voce di Taemin risuonò tra le canne di bambù.
-Lascia stare la mia umma! – gridò il più piccolo.
Heechul si voltò di scatto, infastidito per essere stato così bruscamente interrotto.
-Ragazzino cosa…-
Il lord non fece in tempo a terminare la frase perché una forza invisibile lo scaraventò tra i bambù.
Kibum rimase di stucco. Tutto si era aspettato e a tutto era stato pronto, ma non a quel fortuito colpo di scena. L’arrivo di Taemin era paragonabile a quegli stracci che l’avevano salvato dalla caduta rovinosa dai tetti di Seungil, o alla sola presenza rassicurante di Jinki tra quei vicoli sucidi incastrati tra edifici traballanti.
Riverso a terra ed intrappolato tra le canne di bambù, Heechul si dibatté senza risparmiarsi agli altri due minacce e sguardi irati. Nessuno era mai riuscito ad umiliarlo a quel mondo, figurarsi un ragazzino insolente spuntato dal nulla!
Senza perdere tempo, Taemin strascinò Kibum tra la boscaglia mettendo più strada possibile tra loro ed Heechul che, per quanto momentaneamente stordito, si sarebbe ripreso abbastanza presto da raggiungerli. Inoltre, lo sguardo d’odio del lord era più che palese, simile a quello di una bestia rinchiusa in una gabbia e prossima a sfondarla.
Finché avevano un minimo di vantaggio era meglio filarsela.
-Grazie – fece Kibum correndo trafelato, trascinato per il polso dal più piccolo.
Correndo, Taemin gli lanciò un’occhiata da oltre la spalla.
-Stai bene, umma? –
Sebbene ancora scosso, Kibum annuì. Aveva rischiato molto, ma ora era salvo.
-Mi dispiace -, proseguì il più piccolo, - pensavo di raggiungerti prima, ma credo di essermi perso tra gli alberi. –
Kibum cercò di sorridere e scosse il capo. -Sei arrivato giusto in tempo. –
-Mettiamoci sulla strada di ritorno, sono sicuro che ritroveremo gli altri. -
 
 
***
 
Jonghyun aveva atteso con impazienza il ritorno degli altri al Rifugio. Aveva sempre provato un profondo stato d’eccitazione ogni volta che si prospettava un saccheggio come si deve, ma quel giorno, oltre ad essere frustrato per l’impossibilità di parteciparvi, era anche animato dall’ansia. Ansia per Key. Per il più piccolo quella era la prima volta, il battesimo del fuoco, e Jonghyun aveva tanto desiderato essere al suo fianco in quell’occasione. Aveva così tanti trucchetti da insegnargli. Più volte aveva corrugato la fronte passeggiando nervoso. L’ultima volta che il più piccolo aveva messo piede fuori dal Rifugio, ovvero senza di lui, Jonghyun, era stato un disastro. Il ragazzo non riusciva proprio a darsi pace. Come volevasi dimostrare anche quel giorno l’epilogo non era stato dei più idilliaci. Quanto meno per Kibum. Il bottino, infatti, era stato dei migliori, anche se giunto nelle loro casse in modo a dir poco inspiegabile.
Jonghyun scosse il capo allontanando il pensiero di tutto quell’oro e quella seta. Aveva cose ben più importanti a cui pensare.
Soppesò Key dall’alto in basso, mentre questi sedeva sprofondato in una grossa poltrona nella loro stanza. Il più piccolo teneva lo sguardo basso e sembrava perso in uno stato d’apatia, relegato in un costante mutismo che non desiderava spezzare.
Jonghyun di portò due dita in mezzo alla fronte, massaggiandosela, mentre l’altra mano risposava sul fianco. Scucire qualcosa a Key, ottenere una qualunque reazione, al momento sembrava impossibile.
S’inginocchiò davanti al più piccolo prendendogli le spalle. Quanto desiderava conoscere ogni suo pensiero più recondito…
-Key –
Lo voglio, pensò Jonghyun, voglio quel dannato e stupido legame.
Ma desiderava anche fare le cose per bene, dopotutto si trattava di lui e di Key, tutto doveva essere perfetto. Ecco perché voleva prendersi ancora del tempo per riflettere.
Kibum strinse le mani sulle cosce artigliando i pantaloni e si morse il labbro sino a farselo sanguinare. una goccia rossa e dal sapore metallico gli scivolò in gola, fastidioso come l’incessante battere ritmato e frenetico del suo cuore.
Lo odiava, odiava Heechul ed odiava sé stesso perché gli permetteva di avere tutto quel potere su di lui. Ne era sempre stato spaventato, ma in qualche modo era sempre riuscito ad armarsi di una corazza inviolabile capace di tenere a freno le sue paure rispondendo con frasi taglienti e sguardi piccati. Aveva fatto del suo sarcasmo e delle sue espressioni stizzite armi di difesa che, sino ad allora, l’avevano sempre protetto. Ora, sembrava che quella corazza speciale fosse crollata. Come era stato possibile?
Forse era l’assenza di Siwon al su fianco, una presenza silente ma che gli aveva sempre garantito una protezione costante mossa da una devozione incondizionata. Forse, perché prima aveva tutto ma nulla da perdere, ora aveva solo ciò di cui aveva bisogno e non voleva perderlo. Mai.
Alzò gli occhi su Jonghyun. Il più grande era animato da una preoccupazione crescente, Kibum la leggeva chiaramente negli occhi gradi e acquosi dell’altro, nella presa salda ma tenera e protettiva che esercitava sulle sue spalle ancora scosse da lievi tremori. Heechul era ad un passo da loro, simile ad un grosso felino acquattato nell’erba alta pronto a balzare sulla preda ignara. Per lungo tempo il lord di Busan era stato una delle sue peggiori paure ma, ora, la paura che provava non era solo per sé stesso, ma anche per Jonghyun. Strano a dirsi, stando così le cose trovava un barlume di coraggio all’idea di affrontarlo.
Per Jong farei qualunque cosa, pensò.
Il principe tirò su col naso.
-Cos’è successo? – chiese il più grande.
Kibum scosse la chioma corvina. –Nulla, mi sono solo spaventato. –
-Yah, non dire idiozie! Non staresti così se non fosse accaduto qualcosa. –
Jonghyun gli prese le mani adagiandole sui propri palmi come a valutarne il peso. A Jonghyun parvero estremamente leggere, sottili, fredde e tremanti. Le strinse avvolgendole in un bagliore dorato ridando loro calore e colore, poi le baciò piano.
-Guardati, sei pallido e tremi. Non mentirmi, Key, non dirmi che non è successo niente perché non crederò ad una tua parola. –
Calò il silenzio.
Jonghyun s’alzò di scatto passeggiando nervoso e mettendosi le mani tra i capelli. – Aish -
Infine, Kibum lasciò fuoriuscire un sospiro fioco dalle labbra a cuore.
-Ho avuto paura, pensavo di essere più coraggioso ma mi sbagliavo. Ti ho deluso. –
Non poteva dire cos’era successo realmente, ma quanto meno poteva essere sincero sul suo stato d’animo. Aveva davvero creduto di essere più forte ed aveva fatto un buco nell’acqua. Si sentiva umiliato, deluso da sé stesso e avvilito.
Lo odio, pensò di nuovo. Lo odio perché di fronte a lui divento una bambola inerme, il suo giocattolo…
-Sciocchino. –
Jonghyun emise una risata, stupendolo, e gli alzò il mento con l’indice. – L’assenza di paura non è una dimostrazione di coraggio. Tu sei coraggioso e forte, non devi dubitare di questo.  –
Key lo fissò, dubbioso. – Tu hai paura? –
-Certo che ho paura, ogni volta. -
-E cosa fai? –
Jonghyun alzò le spalle. – L’idiota – rispose semplicemente.
Kibum sgranò gli occhi, poi si portò una mano alla bocca reprimendo a stento una risata che, tuttavia, non riuscì a trattenere.
Di fronte alla risata del più piccolo, Jonghyun sorrise radioso.
-Quando ho paura, faccio l’idiota, ecco. – Disse di nuovo. –La prima volta che ho partecipato ad una missione sono stato un totale disastro. - Si schernì, poi gonfiò il petto. –Lo so che sembra impossibile a vedermi ora. –
Key gli rivolse un’occhiata di sbieco.
-Ma ho quasi mandato a monte l’intera operazione mettendo in pericolo la mia vita e quella di altri Ribelli. Credimi, se Jinki fosse tipo da usare metodi di tortura, ora non avrei questo fisico mozzafiato. Una terribile perdita per te. –
Jonghyun picchiettò il naso di Key con la punta dell’indice ed il più piccolo represse uno starnuto.
-Cos’è successo? – chiese Kibum.
Jonghyun si grattò il capo, poi sogghignò. – Bhe, ho avuto troppa paura e ho fatto troppo l’idiota. –
Kibum si ritrovò a sorridere. Era impressionante come l’altro riuscisse sempre a fargli tornare il sorriso anche nei momenti peggiori. Con Jonghyun tutto diventava più semplice, poteva essere triste, spaventato ed un secondo dopo ridere a crepapelle, era assurdo e naturale al tempo stesso. Solo lui gli donava quel dolce tepore anche quando il buio prendeva forma intorno a lui ed il gelo s’impadroniva delle sue membra. La paura era ancora palpabile, non era svanita, né tutte le implicazioni che l’apparizione di Heechul, simile ad un fantasma del passato, aveva portato con sé erano meno vivide, tuttavia i modi dell’altro riuscirono a tranquillizzarlo e a risucchiarlo, di nuovo, in quella sfera di vetro miniaturizzata. In quel piccolo mondo perfetto staccato dalla realtà. Kim Heechul non faceva parte di quel mondo e, come tale, non poteva sfiorarlo. Non ora, non lì.
Il principe sospirò. -Ora hai paura? – chiese.
Kibum ne aveva, tanta. Forse quel vetro non si era rotto, ma lui poteva udirlo distintamente incrinarsi. Un suono fastidioso simile allo stridore di zanne nella notte quando ogni luce è spenta. Piccole crepe pronte ad esplodere in un tripudio di schegge.
Jonghyun annuì. – Ho già provato sulla mia pelle cosa significa la vita senza te e non voglio che si ripeta. Senza te è follia. È la primavera senza i ciliegi in boccio ed il mare senza il suo profumo od il cullare delle onde. –
Kibum lo abbracciò. Davvero fuori da quel mondo perfetto era pura follia. O, forse, era il loro mondo una follia utopica prossima a crollare.
Nelle ultime settimane il fantasma di Heechul aveva aleggiato prepotente su di lui, sino a diventare reale. Ed ora era lì, ad un passo da lui, ad un passo da loro.
Kibum sentiva che la resa dei conti era vicina. Si stava alzando il vento, minaccioso e violento. Dovevano solo sperare di sopravvivere.
Affondò il viso nel collo di Jonghyun respirandone il profumo e crogiolandosi nel calore che gli stava donando, un calore molto diverso da quello che aveva percepito solo poche ore prima. Jonghyun era il dolce tepore dell’estate, il profumo delicato dei peschi ed il suo fuoco era oro, follia e amore.
Lo strinse a sé e si strinse a lui.
Solo i tuoi baci sono i responsabili del mio respiro e solo il tuo calore dello scorrere del sangue nelle mie vene.
 
 
***
 
-Come stai? –
-Bene. –  Rispose secco Kibum alla domanda di Jinki, facendo poi piombare il suo studio nel silenzio.
Bene, pensò Kibum, io sto benissimo!
Sei solo isterico, gli sussurrò una fastidiosa vocetta nella sua testa.
Seduto a gambe incrociate su un cuscino, Kibum arricciò il naso, stizzito, e si mordicchiò il labbro inferiore. Il frusciare delicato del pennello che scorreva sui fogli era l’unico suono a fare da sottofondo e l’aria sapeva di carta e inchiostro, appena contaminata del profumo piacevole del raffinato tè bianco che Jinki aveva posato sul tavolo.
Il principe lanciò uno sguardo fugace alla teiera fumante e alle due tazzine ancora vuote. Ripose il pennello, incrociò le braccia e sbuffò sonoramente.
Chi voleva prendere in giro? Non stava per niente bene! Era isterico, nevrotico e frustrato. Le ultime ventiquattrore poteva essere classificate come tra le peggiori della sua vita! Era come la corda tesa di un kayagun[1] pronta a spezzarsi, producendo così note irrimediabilmente stonate. Nonostante ora fosse al sicuro aveva l’impressione che la situazione potesse precipitare da un momento all’altro. Anche mentre camminava per i corridoi i suoi sensi erano all’erta, come se l’adrenalina che si era impadronita di lui nella foresta non l’avesse mai abbandonato. Si sentiva una preda braccata. A nulla erano servite le rassicurazioni di Taemin, l’apprensione di Minho o le braccia di Jonghyun.
Al pensiero del più grande, le guance di Kibum acquistarono sfumature rosate. Sopirò. La notte precedente non era nemmeno riuscito a fare l’amore con lui. Le carezza di Jonghyun, le sue effusioni dolci ed appassionate non erano valse a distendere i suoi nervi. Lasciarsi trasportare dai suoi baci e dai suoi tocchi si era rivelato impossibile.
Sei un fallimento, Kibum.
Con un gesto infastidito della mano, il principe allontanò quei pensieri sulla sua vita intima. Non era il caso di perdersi in tali riflessioni mentre il Leader l’osservava accigliato dall’altro lato del tavolo.
Innervosito, Kibum si versò una tazza di tè e subito la portò alle labbra, gustandone il contenuto. Jinki aveva un ottimo fiuto per i tè.
Ma Kibum ne aveva abbastanza.
-Mi ha trattato come merce di scambio, come se valessi un baule d’oro e sete pregiate! Ma io valgo molto di più! –
Il principe picchio la tazza sul tavolo dando sfogo a tutta la frustrante umiliazione che provava.
Jinki si massaggiò le tempie. –Kibum…-
-Yah! Maledetto schifoso! –
-Kibum, stai delirando -, disse Jinki con la sua proverbiale pacatezza.
Sto delirando? Si chiese mentalmente Kibum, probabilmente sì!
Jinki si massaggio le tempie. – So di non essere stato molto presente negli ultimi tempi, non come avrei dovuto, almeno, ma ti assicurò che terremo la situazione sotto controllo. –
Kibum non aveva dubbi in proposito. Nonostante i suoi modi calmi e misurati, Jinki era tutt’altro che tranquillo, tanto meno aveva motivi per esserlo. La sola presenza di Heechul nelle vicinanze, ad Haehwan, equivaleva ad una minaccia silente per tutti loro.
-Ha in mente qualcosa di grosso – disse Kibum.
-Mi pare evidente – fece Jinki sorseggiando il tè.
Kibum scosse il capo. – No, hyung, non si tratta solo di me. –
-Kibum comprendo il tuo stato d’agitazione, ma riprendersi un principe mi sembra già “qualcosa di grosso”. –
Kibum si stropicciò le mani. Jinki aveva ragione, eppure lui percepiva una spiacevole sensazione.
Heechul era il mago degli intrighi. Doveva avere altro in mente.
-Aveva un sorriso troppo soddisfatto per qualcuno che ha passato gli ultimi mesi ad arrancare nel fango. – Disse alla fine.
-Uhm. –
Jinki si portò una mano sotto il mento e tamburellò le dita dell’altra sul tavolo.
-Manderò degli esploratori nei dintorni di Haehwan e metterò in allerta gli informatori lungo la strada per Soul. –
Kibum annuì. Jinki era sempre stato molto geloso in merito al funzionamento della sua rete di spionaggio ed informatori, ma Kibum non dubitava che il definirla semplicemente efficiente fosse puro eufemismo. Probabilmente aveva una staffetta pronta in ogni villaggio di Chosun, o quasi, e un numero cospicuo lungo la strada per Soul, dato che le informazioni raggiungevano il Rifugio quasi in tempo reale.
Tutto ciò che potevano fare era aspettare.
Il principe si versò altro tè e soffiò.
 
 
***
 
 
Lo scivolare del vino rosseggiante nella coppa di cristallo produsse un suono piacevole e, altrettanto piacevole, si rivelò il sapore corposo della bevanda. Heechul schioccò le labbra, gettò indietro il capo ed emise un sospiro appagato, allungò le gambe accavallate sul divanetto foderato di velluto blu ed adagiò la schiena sui cuscini di seta dai riflessi perlacei.
Haehwan era davvero una residenza magnifica, comoda e lussuosa, un piccolo gioiello tra le colline tondeggianti a soli pochi chilometri dalla capitale. Il luogo ideale in cui cercare ristoro nei mesi più caldi. Non era la prima volta che il lord di Busan si recava lì, ricordava di avervi passato delle estati o parte di esse quando ancora era un ragazzino, ovviamente su invito della famiglia reale.
I colori dei Kim di Soul, blu ed argento, risplendevano ovunque insieme ai marmi dalle tonalità chiare. Ogni ambiente era arredato con gusto e raffinatezza, non vi erano nulla di troppo pesante o eccessivo, ma semplicemente perfetto nella sua eleganza sottile. Dopotutto, quella era la residenza privata dell’erede al torno e, in quei semplici dettagli, Heechul ne riconosceva la mano. Aveva passato diverse ore ad esplorare il palazzo lasciandosi condurre dai ricordi di estati lontane. Era curioso, la prima volta che aveva incontrato Kibum era stato proprio lì, tra quelle pareti. Ricordava quell’avvenimento molto bene.
Nel suo vagabondare, gli appartamenti privati del principe erano stati per lui come una calamita, ammalianti e magnetici quanto gli occhi scuri dell’assente proprietario, dove l’essenza di quella sottile eleganza era ancora più evidente e rispecchiava inequivocabilmente la mente raffinata che li aveva concepiti.
Heechul aveva sfiorato con le mani affusolate i mobili preziosi intarsiati di madreperla e rifiniti da fili d’argento, i vasi di bianca porcellana su cui erano ritratti paesaggi onirici in monocromi blu, le sete ed i velluti lisci e perfetti.
Come deve essere la sua pelle, le sue labbra…
Heechul sospirò. Per quanto piacevoli, quelle riflessioni potevano rivelarsi pericolose. Non era il momento opportuno di abbandonarsi a tali fantasie che, ultimamente, gli facevano visita sempre più spesso. Era come se, per quanto distante e sfuggevole, Kibum non potesse fare a meno di esercita un forte potere d’attrazione su di lui. Una sensazione che generava in lui un piacevole tepore che, tuttavia, non aveva modo d’appagare. E questo era frustrante, terribilmente frustrante.
Era lì da un paio di giorni e la sua situazione non era cambiata molto. Certo, l’incontro con i Ribelli era stato divertente, ma nulla di più. Scarse erano state le informazioni e altrettanto scarsi i risultati.
Per ora, s’appunto mentalmente accompagnando i suoi pensieri con un sorriso appena accennato.
S’accarezzò il mento, pensoso. Qualcosa non gli tornava.
Quel ragazzino, pensò corrugando la fronte. Anzi quei ragazzini.
Fece oscillare il calice di cristallo apprezzando i riflessi cremisi del contenuto.
Il tipo con il cappuccio aveva davvero un’aria famigliare, come non ne aveva idea dato che non l’aveva visto in volto, ma c’era qualcosa, una sorta di sensazione viscerale che aveva provato…non sapeva spiegarla e questo lo metteva a disagio. In quanto all’altro, quello che aveva l’abilità, era decisamente una scoperta curiosa.
La sua mano si strinse intorno al calice.
Era forte quel giovane, davvero molto forte giacché era riuscito a metterlo fuori gioco.
Solo perché mi ha colto alla sprovvista, rifletté, in un regolare duello sarei stato io a vincere.
Su questo, Heechul non aveva dubbi.
Si alzò muovendo passi silenziosi sui tappeti, sino a raggiungere la vetrata a tutto sesto che dava sul paesaggio sottostante. Il suo sguardo si perse tra i dolci declivi modellati dalle luci del tramonto, rosate e arancioni. Il cielo era appena venato da pennellate grigie che lasciavano presagire una fresca pioggia d’inizio primavera e, qui, le luci acquistavano sfumature violette.
Era strano, ma aveva la sensazione di potersi permettere di oziare, di attendere semplicemente in totale tranquillità che Kibum si presentasse davanti alle porte di Haehwan per gettarsi tra le sue braccia, desideroso di conforto ed attenzioni dopo mesi di prigionia.
Sorrise mordendosi l’angolo della bocca carnosa. Una visione decisamente assurda sotto molto punti di vista ma, perché no, una speranza molto vivida in lui. Forse il ricordo residuo di un sogno.
Bevve un altro sorso di vino.
-Mio signore –
Kyuhyun, pensò.
-Sì? – fece tenendo lo sguardo fisso sull’orizzonte.
Era avanti che voleva e doveva guardare, oltre quelle colline verdi e tonde e le chiome rosate dei ciliegi dove il sole rosseggiante del crepuscolo stava andando a morire.
Volse leggermente il capo, giusto per prendere la missiva che Kyuhyun gli porgeva.
-Kang – disse il cavaliere.
Heechul si umettò le labbra, aprì la lettera e lesse. Le sue mani tremarono. Poteva il successo essere così eccitante da farlo fremere? Evidentemente sì.
-Kang ha preso il palazzo. – disse.
Kyuhyun si fece attento. –Ma l’imperatore…-
Perché non avevano ancora annunciato la sua morte?
Heechul si voltò finalmente a guardarlo. – Usa la testa. Avranno mantenuto il segreto per evitare eccessivo scompiglio a Soul, mentre prendevano il controllo del palazzo reale. Kang non è uno stupido. -
Il lord stava per aggiungere altro quando sobbalzò. Delle campane risuonarono in lontananza scandendo tempi lunghi e tetri, una melodia che Chosun aveva udito un’ultima volta anni addietro quando l’imperatrice Kim Myungso era deceduta. Presto quello scampanellare avrebbe invaso ogni angolo del regno per far sapere, anche ai villaggi più remoti, che l’imperatore era spirato.
Ecco, puntuale e metodico il nostro Kang, pensò.
Heechul fu colto da un’irrefrenabile risata.
Il cielo era rosso, non come il sangue che era stato versato, giacché era stata una semplice goccia di veleno a sancire a fine dell’imperatore, ma come quello del sipario che cala sulla scena.
L’imperatore era morto, il consiglio reale ed alcuni dei nobili più influenti del regno legati a lui a doppio filo, così come la fazione vincitrice dell’esercito imperiale. Aveva il controllo del palazzo reale e di Soul, il suo stendardo e quello dell’erede al trono sventolavano sulle mura della capitale giocando nel vento gravido del profumo dei ciliegi, uniti come era giusto che fosse. Mancava solo Kibum. L’ultima chiave d’accesso al trono.
L’immagine di lui seduto sullo scranno imperiale affiancato dal principe si fece sempre più vivida.
Alzò il calice, come a brindare a quella visione maestosa, poi prese un ultimo lungo sorso.
-Lunga vita all’imperatore di Chosun. -
 


Spero che il capitolo vi sia paiciuto. Se vorrete alsciami in commenti vi ruberà solo due minuti del vostro tempo! 
Alla prossima!

 
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[1] Strumento tradizionale

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Capitolo 29
*** Capitolo 28. Don't let me go ***


Ciao a tutti! Sono leggermente in anticipo rispetto alle tempistiche degli ultimi tempi, come sono brava XD
Ringrazio i lettori, chi ha inserito la storia tra preferite, seguite e da ricordare.
Un grazie speciale a chi mi ha lasciato i suoi commenti: Blugioiel, Chocolat95, DreamsCatcher, Ghira_, Gonzy_10, Jae_Hwa, KimJonghyun23, MagicaAli, Panda_murderess, Saranghae_JongKey e vanefreya.
Grazie per il vostro sostegno!
Spero di essere riuscita ad eliminare tutti gli errori di battitura o quasi.
Buona lettura!
 
 
Capitolo 28
Don’t let me go
 
 
 
 
“If saying goodbye is for a journey
If only I was strong at the sight of your back
I’d say a quiet goodbye to your back
Thanking the rain for covering my tears
(I remember the beautiful us)
Waiting with memories that make my heart ache
I’m letting you go with a smile
I believe I will wait for you.”
Shinee, Don’t let me go.
 
 
 
 
-È strano-
Rifletté ad alta voce Jonghyun, lo sguardo perso tra i chicchi di riso che rimescolava distrattamente con le bacchette.
Jonghyun fece scivolare lo sguardo sul lungo tavolo imbandito per il primo mattino. Di norma si sarebbe fiondato su tutto ciò che vi era di commestibile: riso, carne, verdure, dolci pagnotte da rendere ancora più gustose con la marmellata e dolcetti in pasta di riso. L’ultimo anno era stato molto proficuo in fatto di scorte alimentari, complici gli ottimi affari che solo in pochi mesi Key, il suo dolce micetto spocchioso, era riuscito a concludere con Haneul. Tuttavia, nonostante Jonghyun fosse stato svegliato all’alba dai crampi della fame, ora non aveva alcuna voglia di mangiare e questo la diceva lunga sul suo umore.
In realtà non aveva dormito molto quella notte, si era rigirato tra le coperte finché non aveva rinunciato a prendere sonno ed aveva passato le restanti ore notturne ad osservare il più piccolo. Key sembrava così tranquillo avvolto tra le coperte e rannicchiato tra i cuscini colorati, la frangia corvina a coprirgli il viso. Jonghyun non aveva resistito, aveva scostato quelle ciocche ed ammirato il viso candido dell’altro appena spennellato da una tenue sfumatura rosata sulle gote. Sembrava davvero tranquillo e rilassato, ma non era così.
Negli ultimi giorni avere a che fare con Key era stato quasi impossibile. Era stato freddo e distaccato quanto dolce e desideroso di attenzioni, solo per allontanarlo pochi secondi dopo con stizziti atteggiamenti spocchiosi e scuse che il più grande trovava assurde. Jonghyun percepiva che qualcosa lo turbava, ma come sempre il più piccolo era restio a parlare.
Alla fine, Jonghyun era sgattaiolato verso la sala comune per la colazione, mentre l’altro ancora dormiva. Gli aveva posato un bacio sulla fronte ed era uscito. Strano a dirsi, solo una volta fuori dalla stanza aveva avuto l’impressione di riuscire a respirare.
-Pensi che non mi voglia più? – mugugnò.
Finalmente, Minho alzò gli occhi dalla sua scodella per degnarlo della propria attenzione.
Era ora, pensò Jonghyun.
Quello spilungone era molto pensieroso negli ultimi tempi ed estremamente taciturno. Jonghyun iniziava a credere che la primavera avesse dei seri effetti collaterali.
-Non essere ridicolo -
-E allora che cos’ha? E da due giorni che tento di…bhe, hai capito, e lui mi rifiuta. Riesco a mala pena a dargli un bacio. Vedi, noi di solito… -
-Yah, te l’ho già detto un milione di volte, non voglio sapere cosa fate!-
Jonghyun sbuffò e si scompigliò i capelli, poi s’accasciò sul tavolo, il mento appoggiato sugli avambracci incrociati.
Che cos’aveva sbagliato questa volta? Con Key non si poteva mai sapere! Cercò di ripercorrere i suoi passi degli ultimi due giorni e, per quanto si sforzasse, non trovò nulla di strano. Ripensò alla notte precedente. Come al solito non appena si erano messi a letto avevano iniziato a baciarsi. Jonghyun si era accorto che l’altro era teso, così aveva fatto il possibile per distenderlo. Si era adagiato su di lui, dolcemente, attento come sempre a non schiacciare troppo quel corpo sottile e dall’aria fragile che gli faceva sempre pensare ad un giunco flessuoso. Poi, aveva percorso il corpo di Key modellandolo con carezze passionali, massaggiandogli le gambe, i glutei sino a raggiungere i fianchi e lì era rimasto mentre lo baciava sul collo e sul viso sino ad impadronirsi di quelle labbra a cuore che lo facevano impazzire. Andava tutto benissimo. Key aveva ricambiato, si era crogiolato tra quelle carezze percorrendo la sua schiena sino ad affondare le dita tra suoi capelli. Il suo micetto si era lasciato baciare ed aveva baciato, finché Jonghyun non l’aveva invitato a dischiudere le gambe per rendere più intimo quel contatto, in previsione di rendere quelle effusioni più profonde ed intense.
Era stato a quel punto che Key era scattato mettendosi seduto. Jonghyun era quasi caduto dal letto, anzi, pensò massaggiandosi il capo, era letteralmente finito a testa in giù. Le gambe sul materasso e la sua testa schiacciata tra il peso del suo stesso corpo e il tappeto che vivacizzava il pavimento.
Aish, fece affondando le testa tra le braccia.
-Ha qualcosa che non va, ma non capisco cosa. -
Consapevole di non riuscire a mangiare mise da parte le bacchette.
Minho non seppe cosa rispondere. Sapeva bene a cosa era dovuto il temperamento isterico di Kibum, ma di certo non era qualcosa che poteva rivelare a Jonghyun. Represse l’istinto di sbuffare sonoramente e prendersi a botte in testa.
Kibum dovrebbe parlare con Jonghyun, si disse annuendo tra sé.
Ormai quella situazione era diventata ingestibile sotto molti punti di vista.
Due giorni prima Minho era ad Hanamsi per affari con Haneul. Era stata una giornata piacevole, in giro non aveva visto brutte facce ed il villaggio sembrava tranquillo, finché non era giunto il tramonto. Il ragazzo stava per montare a cavallo quando si era fermato ad osservare il disco rosseggiante del sole prossimo a sprofondare oltre l’orizzonte. Il cielo del crepuscolo era una tavolozza di colori chiazzata di rosso, rosa, violetto, arancione, azzurro e blu dove lampeggiavano le prime stelle della sera, mentre la luna palpitava opaca in attesa di rivelarsi in tutto il suo argenteo splendore. Solo sottili fili di nubi grigie sporcavano quel dipinto perfetto.
Perdersi in lunghe riflessione osservando le bellezze della natura non era qualcosa che Minho faceva spesso. Di solito era Jonghyun a dilettarsi in questo genere di passatempo poetico, Minho invece preferiva ricercare la concentrazione tra le pareti della sua stanza. Tuttavia, in quei giorni era stato molto pensieroso e gli era bastato alzare il capo per perdersi in quello che, ormai, per lui era un pensiero fisso. Taemin.
Quando l’aveva visto immergersi tra le fronde della foresta aveva davvero temuto il peggio e non era stato tranquillo finché non l’aveva ritrovato con Key sulla strada di ritorno. Anche Taemin era strano, non che fosse una novità, ma se l’isteria fosse stata una malattia contagiosa probabilmente quei due dovevano essersi infettati a vicenda. Da quel momento i suoi ricordi si facevano confusi. La giornata assurda, la spossatezza, l’apprensione, la consapevolezza di essere stati sull’orlo del disastro e la ferita al braccio l’avevano confuso. Rammentava solo che, ad un certo punto, si era ritrovato nell’infermeria con Taemin intento a disinfettargli la ferita. L’odore delle erbe curative era ancora vivido nella sua mente e ciò gli dava la certezza che non si era trattato di un sogno.
-Volevi farti tagliare a fette? – gli aveva detto il più piccolo mettendo il broncio.
-Non puoi prendertela con me se sono ferito. –
-Io me la prendo con te quanto mi pare! –
Aish, fece Minho ripensando a quell’assurdo scambio di battuta.
L’assurdità della situazione da lì in poi non aveva fatto altro che aumentare. Era infatti seguito un dialogo sconclusionato del quale a stento ricordava il senso e, a dirla tutta, dubitava ne avesse avuto uno.
-Mi sono preoccupato quando ti ho visto sparire-, aveva confessato Minho. –Dovevi proprio correre via in quel modo? –
-Non sono un bambino! – aveva protestato l’altro.
-Questo non m’impedisce di preoccuparmi per te. –
-Ah sì?  Eri preoccupato per me? –
-E’ quello che ho detto –, aveva risposto Minho sull’orlo della disperazione.
Poi era calato il silenzio, spezzato solo dal tintinnare delle scodelle di grezza ceramiche che il più piccolo stava utilizzando per preparare un impasto di erbe curative che aveva spalmato sulla ferita di Minho. Per tutto il tempo, per quanto immerso nel proprio lavoro, Taemin non aveva fatto altro che lanciargli occhiate da sotto la lunga frangia biondiccia, come se si aspettasse che Minho dicesse qualcosa, intercalando il suo silenzioso disappunto arricciando tirando su col naso.
Il tutto si era concluso con un Taemin adirato che prima gli dava un leggero bacio sulla ferita e poi lo fulminava uscendo dall’infermeria sbattendo la porta.
Decisamente un bel grattacapo!
Un’unica idea chiara era maturata nella mente di Minho che, in seguito agli ultimi avvenimenti, aveva acquistato sempre più senso. Il ragazzo si era ritrovato a riflette sul perché, in tutti quegli anni, non si fosse mai domandato seriamente quali fossero i sentimenti di Taemin per lui. Certo, ci aveva pensato, ma aveva sempre dato priorità alla differente classe sociale d’origine e a Jinki. Ma Taemin cosa provava davvero per lui? Che fosse la prospettiva di cui Kibum gli aveva parlato mesi addietro?
Ad ogni modo, le sue riflessioni erano state spazzate via dal risuonare tetro di campane, una melodia lugubre che aveva riempito l’aria e congelato il tempo per un istante.
L’imperatore era morto.
Minho aveva riportato la notizia al Rifugio mosso da sentimenti contrastanti. Un tempo avrebbe lanciato grida d’euforia, ora non sapeva da che punto di vista considerare quella situazione.
Nel giro di poco l’intero covo dei Ribelli era in fermento. C’era chi si era limitato a festeggiare dimentico delle incombenze quotidiane, chi aveva lanciato assurde supposizioni sull’avvenire di Chosun e chi invece sosteneva che non sarebbe cambiato nulla.
Ovviamente, quella testa vuota di Kim Jonghyun non si era risparmiato in quanto a battute ed uscite fuori luogo.
-Ora che se n’è andato avremo un maiale come re! Ci pensate? –, aveva detto tra una risata e l’altra.
Naturalmente Key non l’aveva presa bene.
Il principe, se ancora così si poteva chiamare, non aveva battuto ciglio. L’unico cambiamento evidente sul suo viso era stato un crescente pallore, dopodiché Minho l’aveva intravisto sparire di soppiatto nello studio di Jinki, ma nulla di più.
Bhe, rifletté Minho, non deve passarsela bene.
Lui stesso era parecchio confuso e stordito da quell’inaspettato volgere degli eventi. Che cosa sarebbe accaduto, ora?
L’unica risposta chiara nella sua mente era una semplice parola: guai. Guai per Kibum, guai per Jonghyun, guai per lui e Taemin e guai per Jinki. Uno splendido circolo vizioso.
Inutile dire che l’atteggiamento di Jonghyun non aveva migliorato quello del suo ragazzo. Minho non osava nemmeno lontanamente immaginare il caos che doveva aleggiare attualmente nella testa di Kibum, motivo per il quale non era stupido da quelle crisi isteriche che tanto turbavano Jonghyun.
Tutto sommato poteva andare molto peggio, pensò.
Anche se, a suo parere, il peggio doveva ancora arrivare. Gli sembrava di essere nel bel mezzo dell’oceano sulla prua di una nave e scrutare la bonaccia, mentre all’orizzonte banchi di nubi grigi e neri ribollono tetri squassando il cielo con tuoni e lampi.
-Minho! – lo richiamò Jonghyun.
Minho si riscosse e sbatté le palpebre, tentando di focalizzare l’immagine dell’amico seduto di fronte a lui.
Jonghyun lo fissò truce e corrucciato.
-Ti sto parlando di problemi fondamentali e tu mi stai ignorando, razza di spilungone! Io e Key è diverse notti che…-
-Yah, ho capito! – sbuffò Minho passandosi una mano tra i capelli.
Stava impazzendo. Non bastavano i problemi della sua non vita sentimentale, doveva pure fare i conti con le ultime novità, i segreti di Kibum e le ansie di Jonghyun.
-Senti -, disse – probabilmente è solo scosso per quanto accaduto durante la missione. Forse -, azzardò, - voleva fare bella figura con te ma è stato preso dal panico, ok? E’ spocchioso e questo è il risultato. –
Jonghyun mugugnò poco convinto quando apparve Key, calamitando così la sua l’attenzione.
Quella mattina Key aveva il viso riposato ma teso, la sua pelle era così pallida da risultare quasi fredda e marmorea, i suoi occhi erano feline perle nere e solo la tonalità rosata delle sue labbra gli donavano colore. Indossava dei semplici abiti tradizionali bianchi e blu e le braccia gli ricadevano rigide lungo i fianchi.
Jonghuyn si chiese cosa nascondesse sotto quell’apparente freddezza. Ora che l’imperatore era morto, ora che Chosun era finalmente ad un punto di svolta, il più piccolo non aveva alcuna voglia di festeggiare con lui. Sembrava quasi nascondesse qualcosa.
Jonghyun arricciò il naso. Forse si stava facendo troppe paranoie ed era davvero come diceva Minho, dopotutto Key era un tipetto orgoglioso. Probabilmente avrebbe preferito ingoiare un rospo piuttosto che ammettere il suo fallimento personale nel corso dell’ultima missione.
-Minho – esordì il principe avvicinandosi ai due, - Jinki ci vuole vedere per…-
Key si bloccò e rivolse un’occhiata fugace a Jonghyun. -Per dei carichi da portare ad Hanamsi – concluse.
-Bene – fece Minho, alzandosi.
-Andiamo. –
Prima che Key avesse il tempo di voltarsi, Jonghyun s’alzò e l’attirò a sé.
-Non mi saluti? –
-Oh – fece l’altro, arrossendo.
Jonghyun lo guardò con occhi grandi ed acquosi tentando di sondare quelli del più piccolo.
Kibum abbassò il capo mordicchiandosi il labbro, indeciso sul da farsi, infine stampò un bacio sulla guancia del più grande.
-Ci vediamo più tardi -, sussurrò.
A dispetto delle sue stesse parole, Kibum non accennò a muoversi, al contrario si strinse tra le braccia dell’altro e lo baciò dolcemente. Jonghyun gli accarezzò una guancia e, subito dopo, Key s’allontanò freddamente, lasciando l’altro ancora più confuso.
 
 
 
Mentre percorrevano i corridoi diretti allo studio di Jinki, Minho osservò attentamente il suo nevrotico amico che camminava impettito al suo fianco. Nonostante a separali fisicamente vi fosse poco più di un metro, Kibum era lontano anni luce.
Il principe era piatto e liscio quanto la superficie perfetta di uno stagno, ma cosa vi fosse sotto quella patina fredda nessuno poteva dirlo. Probabilmente il caos, un microcosmo confuso e in ebollizione. Era come osservare un geyser prossimo ed esplodere.
-Glielo devi dire – disse ad un tratto Minho.
Kibum non batté ciglio e Minho si chiese se non l’avesse sentito o se, semplicemente, non intendesse rispondergli.
-Kibum –
-Lo so. –
Una risposta fredda, ma che lasciò trapelare una nota piccata.
-Le sta pensando di tuti i colori a causa del tuo comportamento isterico. –
Kibum abbassò leggermente il capo, abbandonando momentaneamente l’aria distaccata, poi sulle sue labbra a cuore lampeggiò un sorriso amaro.
-Quale comportamento? Sto cercando di essere naturale. –
Naturale?, pensò Minho.
C’era ben poco di naturale in Kibum in quel momento. Rigidità, forse, e fredda acidità alternate da sguardi bassi, dolci e tristi che premevano umidi ai lati dei suoi occhi sottili.
-Che la spocchia facesse parte della tua natura non avevo dubbi, ma l’isteria cronica a livelli tanto avanzati no. -
Kibum lo ignorò.
-Glielo devi dire – ripeté Minho. 
-Ti ho detto che lo so, Choi Minho –, sibilò Kibum.
-Non puoi più aspettare, la situazione è precaria a dir poco. –
Kibum s’arrestò, strinse i pugni e s’impose di non lasciarsi sopraffare dall’amara tristezza che gli stringeva il cuore. Una notte cupa, coperta da una coltre di nubi grigie e ribollenti, premeva sul suo capo, schiacciandolo. Per quanto scrutasse il cielo non riusciva a vedere alcuna stella. Era semplicemente in balia di un temporale annunciato dal quale, ora, non poteva più fuggire.
-Se ha finito di dire cose…ovvie – disse il principe, stizzito, - forse possiamo andare da Jinki. -
-Non penso sia il caso che tu metta di nuovo piede ad Hanamsi. -
Kibum roteò gli occhi. – Sei scemo o hai ingerito qualcosa di strano a colazione? Hanamsi era una scusa.  Ci sono novità da Soul. -
 

***
 
Erano passati tre giorni da quando le campane avevano annunciato funeree la morte dell’imperatore. Tre giorni che il rifugio aveva passato tra fervente eccitazione, aspettative e domande sull’avvenire.
Kibum sapeva solo che il suo mondo perfetto stava per sgretolarsi, anzi era già in frantumi. Aveva cercato di mantenere un atteggiamento di circostanza, fingere davanti agli altri, soprattutto Jonghyun, che era tutto normale, che per quanto il mondo all’esterno del Rifugio stesse subendo dei cambiamenti, il loro universo perfetto restava intoccato. Ma era una finzione. In quel momento, Kibum non era nemmeno in grado di definire i sentimenti che provava. Felicità per la morte dell’assassino di sua madre. Rabbia, perché la sua felicità era stata, strano a dirsi, legata alla sopravvivenza di una persona che odiava e ora che era morta non poteva scappare al suo destino. Ma soprattutto confusione e paura. La sua vita al Rifugio era giunta al termine e lo sapeva, come lo sapeva Jinki, Taemin e Minho li riuniti con lui nello studio del Leader. Non lo sapeva invece Jonghyun.
Dovevano prendere delle decisioni importanti. Le ultime notizie giunte a raffica dalle spie stanziate a Soul aprivano uno scenario che necessita di chiarezza e, Kibum lo sapeva bene, del ritorno dell’erede al trono alla capitale. Nella mente del principe quell’epilogo pareva inevitabile. Nulla era stato detto o definito in modo specifico, ma questo non rendeva la situazione meno reale. Kibum desiderava godere appieno di quegli ultimi istanti d’illusione, passare il tempo che gli restava con Jonghyun, qualunque cosa il futuro avesse in serbo per loro. Ma non ci riusciva. Stare con il grande significava perdere quel poco di coraggio che aveva maturato nelle ultime ore, aumentare la portata di una sofferenza inevitabile, insieme al senso di colpa. Sì, perché, ormai, il peso delle sue stesse bugie lo stava schiacciando. Minho aveva ragione: doveva parlare con Jonghyun.
Lo perderò ancora prima di mettere piede fuori da qui?
Quanto desiderava, ora più che mai, le sue carezze, i suoi baci ed i loro corpi fusi insieme in perfetta e passionale armonia? Eppure, allo stesso tempo s’imponeva d’evitare ogni contatto.
Se ora mi aggrappo a lui il poco coraggio che ho si scioglierà come neve al sole per poi evaporare.
Perché Kibum aveva già preso una decisione, doveva solo trovare la forza d’esprimerla ad alta voce per renderla definitivamente reale.
Forse non era una scelta saggia, ma indubbiamente la più sensata.
Kibum represse l’impulso di emettere l’ennesimo sospiro rassegnato che negli ultimi giorni sembrava fare costantemente da colonna sonora alla sua vita.
Taemin e Minho sedevano in silenzio rivolgendogli occhiate impacciate per poi distogliere subito lo sguardo, mentre Jinki passava in rassegna le ultime le missive giunte da Soul.
Aleggiava un silenzio pesante.
Kibum era in piedi, la schiena appoggiata alla libreria colma di libri, come a proteggersi le spalla da paura invisibili; le gambe mollemente incrociate davanti a lui, le braccia conserte ed i polpastrelli affondati negli avambracci. Si strinse nelle spalle. Desiderava le braccia calde di Jonghyun intorno a lui, ma era un conforto capace di tramutarsi in un ulteriore fonte di sofferenza e rimpianto. Come fare l’amore con lui. Una necessità mentale e fisica capace di risanarlo e distruggerlo al contempo, un’amara medicina destinata a trasformarsi nel veleno più dolce.
Fu un sospiro spezzato e frustrato del Leader a rompere il silenzio.
-Appena annunciata la morte dell’imperatore sono seguiti dei disordini all’interno del palazzo. –
Kibum tese le orecchie. Disordini all’interno del palazzo? Non poteva crederci, qualcuno aveva forse tentato un colpo di stato? Chi poteva essere stato, un nobile, un militare? Aveva mille domande nella testa ma si morse la lingua, imponendosi di attendere le spiegazioni di Jinki.
-Sembra ci siano stati degli scontri tra due fazioni dell’esercito imperiale, una sopportata da soldati di Busan. Quest’ultima fazione ha preso il controllo del palazzo guidata dal tenente Kang. Attualmente il palazzo e la capitale sono sotto il controllo dell’erede al trono e del lord di Busan. –
Kibum sbiancò e sgranò gli occhi, ma poi sorrise amaro trattenendo a stento una risata. Heechul era sempre stato astuto a ancora una volta aveva dimostrato di essere un passo avanti a tutti. Non scorgere la sua mano dietro gli ultimi avvenimenti era da ciechi ed il principe si chiese da quanto tempo pianificasse ogni cosa. Forse dalla sua fuga, oppure da anni. Dopotutto, Heechul aveva sempre desiderato il trono.
 -Oh non sapevo di avere il controllo della città –, disse con amaro sarcasmo.
-Chi è questo Kang? – chiese Taemin.
Kang, rifletté Kibum. Conosceva quell’uomo, in modo superficiale ma abbastanza da avere un’idea chiara su di lui. Non gli era mai piaciuto, come in realtà non gli era mai piaciuto nessuno che orbitasse intorno al potere di Soul.
- Kang è un militare, un soldato tutto d’un pezzo, freddo e calcolatore, ma di certo non un uomo avvezzo agli intrighi politici, implicano ragionamenti troppo sottili. Non può esserci lui dietro a quanto accaduto. –
-Che cosa vuoi dire? – domandò Minho.
Kibum alzò lo sguardo ed assottigliò le labbra in una linea sottile.
-Kang non è che un braccio armato, un burattino, al soldo del lord di Busan. –
Il principe puntò gli occhi lampeggianti sul Leader. -  E’ stato lui. –
Jinki sospirò ed incrociò le braccia.
Questa volta Kibum non riuscì a trattenere una risata. Ne aveva bisogno o sarebbe crollato. Gli altri rimasero in silenzio finché non ebbe finito, fissandolo seri. Nessuno di loro disse nulla, dopotutto qualunque parola rischiava di essere superflua. C’era poco da fare e poco da dire. Jinki era il più serio, ma lo stesso Kibum leggeva dietro quella serietà le sue stesse paure, la consapevolezza che da lì in avanti non potevano tornare indietro.
-L’imperatore non era malato, al contrario godeva di ottima salute. Kim Heechul deve avere progettato tutto nel dettaglio da tempo -, iniziò Kibum.
Il principe staccò la schiena della libreria ed iniziò a passeggiare a braccia conserte, gli occhi limpidi e sicuri rivolti agli altri.
- Non è tipo d’apprezzare le macchie di sangue sul suo merletto, avrà usato il veleno –, rifletté. – Avrà fatto promesse ai militari e ai nobili più in vista del consiglio reale in modo d’assicurarsi il controllo di Chosun una volta eliminato l’imperatore. Forse intendeva eliminarlo sin dall’inizio, non lo so, ma di certo la mia assenza deve averlo convinto ad anticipare i tempi. Mio padre non è mai stato un uomo paziente e deve averlo messo alle strette. Approfittando della sua posizione, delle sue ricchezze e del suo legame con me è riuscito ad ottenere il controllo di Soul e, si sa, chi controlla Soul, controlla Chosun. Qualunque cosa sia accaduta a palazzo l’associazione della mia e della sua persona al controllo della città fa sembrare tutto una normale successione. - 
Kibum si fermò e soppesò gli altri. – Ovviamente sono solo supposizioni, ma non importa. Ciò che conta è la situazione attuale e come risolverla.  –
Taemin s’alzò in piedi di scatto, adirato, il volto rosso ed i pugni stretti.
-Quel tizio ti sta soffiando il trono, umma! Andiamo là e prendiamolo a calci nel fondo schiena! -
-Come abbiamo osservato tempo fa i Ribelli non sono un esercito -, fece Minho scuotendo il capo ed incrociando le braccia.
Taemin non intendeva darsi per vinto. Odiava quel tizio dai racconti di Kibum ed ora che l’aveva visto a quattr’occhi non poteva che condividere i pensieri della sua umma. Non potevano lasciare Chosun nelle sue mani. Si voltò verso Jinki.
-Hyung, cerchiamo alleati e riprendiamo il palazzo reale per Kibum. –
Jinki scosse il capo e si massaggiò le tempie. La positività di Taemin era ammirevole, ma la possibilità di attuare i suoi propositi labile. Erano soli, Kibum era solo e il principe lo sapeva bene.
-Io non ho alleati, Minnie -, disse Kibum dando voce gli stessi pensieri del Leader.
-Ma deve esserci qualcuno disposto a sostenerti!-
-Metà della corte mi odia e l’altra metà mi ha sempre ignorato se non per accaparrarsi il mio favore. Non ho alcun potere a Soul, solo un titolo e il sangue dei Kim.–
Kibum sospirò. Che ironia, in tutta la sua vita a palazzo si era limitato a rinchiudersi in un mondo solitario e scuro, guardando con disprezzo e distacco adulatori e vuoti cortigiani. Nella sua mente l’imperatore era sempre stato una monolitica ed inamovibile certezza e solo ora si rendeva conto che non era così. Che sciocco! Se fosse stato più lungimirante avrebbe guardato al futuro con speranza e non con terrore.
Sono solo un’ombra, pensò con rammarico. Non ho mai lottato, né mi sono posto il problema di farlo. Perché sono sempre stato così cieco e spaventato?
-Da anni godo del diritto di regnare più dell’imperatore stesso, ma non ho mai mosso un dito. Quell’uomo ha ottenuto il potere grazie al matrimonio con mia madre, Kim Myungso, una volta morta lei avrebbe dovuto limitarsi a fare da reggente sino alla mia maggiore età. –
Kibum sorrise amaro. Le cose erano andate in modo molto diverso.
-Ma il tempo è passato e lui ha accumulato potere, finché per me non è stato impossibile inserirmi nel governo di Chosun.  In tutti questi anni non sono stato che un’ombra, un fantasma, troppo impegnato a crogiolarmi nella mia infelice solitudine, a guardare con disprezzo la corte ed il consiglio reale, ma non ho mai fatto niente per cercare amici ed alleati. Ho solo guardato senza vedere niente. –
Kibum si strinse nelle spalle. Perché improvvisamente aveva così freddo?
-La verità è che per quanto altri abbiano costruito una gabbia per me, io vi sono entrato docilmente senza fare domande. Mi è stato detto di essere un selvaggio per la mia lingua tagliente, l’unica forma di ribellione e difesa che mi sono concesso, e di avere il cuore troppo tenero. –
Alzò lo sguardo sugli altri accennando un sorriso ironico. – Su una cosa quell’uomo ha sempre avuto ragione: io sono come un bambino. Uno sciocco bambino spaventato. –
– Non possiamo sperare di avere alleati. – Concluse.
-E l’altra fazione dell’esercito imperiale? – azzardò Minho.
Minho odiava quella situazione ogni secondo di più, sembrava priva di vie d’uscita. L’unica certezza erano le parole non dette che aleggiavano all’intorno. L’idea di combattere al fianco di soldati reali non gli piaceva per niente, aveva passato una vita a combatterli, ma per una volta potere fare un’eccezione. Dopotutto non stava forse appoggiando il legittimo erede al trono?
Kibum scosse il capo. – No, l’altra fazione deve essere campeggiata del generale Yoon. È sempre stato il braccio armato dell’imperatore, un guerrafondaio ed un sanguinario. Non scenderò mai a patti con lui. -
Jinki alzò gli occhi per incontrare quelli del principe. Sapeva che era lo stesso Kibum la chiave per risolvere quell’enigma. Nei mesi addietro era stato ansioso di usarla, ora che era prossimo allo scacco matto ritraeva la mano. Nonostante avesse considerato Kibum un fratello più piccolo quasi al pari di Taemin, non aveva mai smesso di valutare tutti i possibili scenari per porre in campo quell’arma letale. Era servita una ramanzina da parte del fratello minore per farlo rinsavire ed ora era diventato, forse, sin troppo cauto. Sorrise tra sé.
Kibum lo fissò a sua volta, marmoreo, finché sul suo viso serafico non si delineò un sorrisetto scaltro e amaro.
-Se vuoi usarmi, Jinki, questo è il momento di farlo. –
-Umma! – scattò Taemin, apprensivo.
Minho gli lanciò un’occhiata e il più piccolo si quietò.
Kibum chinò il capo ed iniziò a stropicciarsi le mani. Oh era nervoso, molto nervoso, se qualcuno gli avesse annunciato di essere stato condannato a morte forse si sarebbe sentito più rilassato. Era stufo di rimanere da parte a guardare e voleva, doveva, combattere. Quella nave che non aveva mai preso l’aveva condotto lì, a quella scelta inevitabile che gli era parsa chiara e naturale nel momento in cui era stata annunciata la morte dell’imperatore. Era cambiato molto in quei mesi, la verità gli era stata gettata in faccia troppo brutalmente perché non mettesse radici profonde dentro di lui. Dopotutto, i semi erano già lì e attendevano solo un terreno favorevole e le sue lacrime tramutate in pioggia per attecchire. Non poteva più fuggire e lasciarsi tutto alle spalle. Doveva tornare a Soul e riprendersi ciò che era suo.
Sospirò e si portò una mano al petto.
Stava per gettarsi tra le braccia di Heechul e sapeva bene cosa tutto questo avrebbe comportato, ma aveva altra scelta? Doveva essere pronto a recitare una parte convincente premurandosi di non mettere troppo a rischio la sua sicurezza. Tremava al solo pensiero, ma era anche risoluto in quella che, ormai, era la sua decisione.
Si stava volontariamente gettando in un vulcano ardente e, se anche ne fosse uscito vivo, pesanti ustioni non l’avrebbero risparmiato. Il ghigno ridente del suo promesso balenò davanti a lui per poi essere sostituito dagli occhi caldi e teneri di Jonghyun e il principe avvertì gli occhi pizzicargli. Anche Jonghyun non ne sarebbe uscito illeso.
No, devi essere forte, si disse.
Kibum emise un sospiro fioco. - Una volta a Soul sarò poco più di un ostaggio. –
-Una volta a Soul? –fece Taemin sbarrando gli occhi.
-Una volta a Soul. L’unico modo per prendere il palazzo reale è avere qualcuno disposto ad agire dall’interno. E l’unico possibile qualcuno sono io –
Taemin non riusciva a credere che, alla fine, Kibum stesse per tornare a Soul. Si conoscevano da pochi mesi eppure si era abituato in fretta alla sua presenza e la loro amicizia era stata immediata. Se quelle parole non fossero state pronunciate dal principe stesso non vi avrebbe mai creduto, perché meglio di chiunque altro sapeva cosa significava per Kibum tornare a palazzo. Già una volta gli aveva detto addio e poi era rimasto, ma ora Taemin non si faceva illusioni. Kibum partiva perché non aveva scelta e perché, semplicemente, quella era la scelta giusta da fare. Questa volta non era una fuga, al contrario il suo amico s’apprestava ad affrontare quelle paure che molte volte erano state oggetto delle loro confidenze. Taemin era triste e preoccupato, ma anche orgoglioso del coraggio della sua umma. Se davvero era stato un bambino spaventato ora non lo era più e, se lo era, ora aveva il coraggio d’affrontare ciò che lo aspettava.
Lo sta facendo anche per noi, pensò il più piccolo.
Minho scosse il capo ed incrociò le braccia. Sospettava sarebbe finita in quel modo, quell’atmosfera aleggiava in modo quasi palpabile da giorni e le semplici parole del principe non avevano fatto altro che renderla più consistente. Kibum era arrivato all’improvviso ed altrettanto all’improvviso si proponeva di sparire. Avevano costruito la loro amicizia lentamente, un passo alla volta, finché non si erano ritrovati a condividere gli stessi segreti e le stesse preoccupazioni.
Taemin e Minho si scambiarono un’occhiata consapevoli di star condividendo i medesimi pensieri. I legami che avevano stretto in quei pochi mesi erano forti e nel bene e nel male avrebbero lasciato segni profondi.
Gli occhi del principe si animarono di determinazione. –Mi consegnerò al primo promesso ad Haewan e tonerò a Soul, una volta là troverò il modo per farvi entrare a palazzo, così risparmieremo inutili laghi di sangue. Mi terrò costantemente in contatto con voi, non so come farò…ma posso trovare un passaggio, una via, capace di far conquistare il palazzo ai Ribelli. Inoltre, la situazione attuale mi consente di tornare senza suscitare domande inopportune: dirò che avete accettato il riscatto così anche voi sarete al sicuro. Heechul è scaltro, ma è anche una persona di parola, non toccherà i Ribelli se mi vedrà tornare, a meno che voi non gli diate motivo di fare altrimenti. –
Jinki sondò il viso del principe portandosi alle labbra una tazza di tè. Kibum era giunto lì per caso, tremante e confuso, con un unico obiettivo: fuggire. Il solo pensiero di ritrovarsi di nuovo tra le mura del palazzo l’aveva spaventato e inorridito al punto d’affermare di preferire la morte. Parole forti, esagerate, ma che in modo chiaro ed inequivocabile aveva reso l’idea del suo stato d’animo. Jinki ricordava bene la loro prima conversazione e Kibum era cresciuto molto d’allora. Si era ripromesso di proteggerlo e prendersi cura di lui in qualità di Leader e fratello maggiore, anche se non sempre ci era riuscito. Poteva lasciarlo andare così? Temeva il futuro che si presentava davanti al più piccolo, pur riconoscendo coraggio e determinazione nelle sue parole.
- Sarà molto rischioso. Sei sicuro di voler affrontare tutto questo? Una volta là sarai solo. – disse Jinki, infine.
-Ho già deciso, Jinki. Non ti sto chiedendo il permesso. -
Kibum strinse i pugni.
-Non voglio più essere il bambino spaventato che ha visto sua madre morire e che da allora è sempre rimasto rintanato in quell’angolo buio e freddo. Voglio uscire da quella gabbia che altri hanno costruito per me e nella quale ho scelto di rimanere, dimenticandomi d’avere la chiave per aprirla.  Io voglio combattere per ciò che è mio e questo è il momento. –
Kibum incontrò gli occhi di Minho. 
-Rimarrò qui giusto il tempo per sistemare le mie questioni personali, poi andrò. –
Affronterò Jonghyun, pensò Kibum, anche se in questo momento lui mi spaventa più di Heechul.
Non aveva idea di cosa aspettarsi dal più grande. Rabbia, amore incondizionato, rifiuto o sostegno?
-Sei sicuro, Kibum? – domandò Jinki.
-Devo farlo – rispose risoluto.
-Quando è così non vi è nulla che possa fare per trattenerti, ma non ti lascerò andare da solo. Ti accompagneremo nei dintorno della residenza, non potrò proteggerti una volta che sarai all’interno ma voglio quanto meno vederti arrivare là sano e salvo. –
 
 
***
 
 
Così come Taemin aveva deciso di non perdere di vista Kibum per il resto della giornata, Minho progettava di fare lo stesso con Jonghyun. Intendeva tenerlo d’occhio da lì alle prossime ore ad anche in seguito.
Se solo lo trovassi!, pensò infastidito.
Jonghyun era latitante, le poche occasione in cui era apparso, ovvero duranti i pasti, era stato sfuggevole e sovrappensiero per sparire di nuovo chissà dove. Strano lo era sempre stato, ma questa era follia! E in un momento simile!
Aish!, imprecò tra sé.
La situazione era complessa o per meglio dire di una semplicità disarmante ma, ironia della sorte, questo rendeva tutto più difficile. Minho era scocciato, frustrato e preoccupato. Una lama ben affilata stava per calare sul capo del suo migliore amico e non aveva idea di quelle che sarebbero state le conseguenze. Minho sospirò. Jonghyun era potenzialmente pericoloso se preso nel modo sbagliato.
Aveva girato mezzo Rifugio ma di quella testa vuota non vi era traccia. Dov’era finito?! Forse aveva già saputo e si era gettato in un dirupo, oppure stava nascondendo il corpo di Kibum da qualche parte.
Aish, imprecò di nuovo tra sé e si scompigliò i capelli.
Proprio in quel momento, Jonghyun apparve all’orizzonte. Aveva un’espressione gongolante dipinta in viso segno che o era appena giunto a conoscenza della verità e l’aveva presa bene, giacché evidentemente le possibilità di morire e ricevere la degna sepoltura di un re per lui aumentavo, oppure era ancora ignaro della sorpresa che Kibum aveva in serbo per lui.
Minho protendeva di più per la seconda ipotesi, perché il gongolare di Jonghyun era quello tipico di qualcuno che sta per fare qualcosa di molto stupido, e Minho non dubitava che quel qualcosa di stupido coinvolgesse Kibum.
Tempismo perfetto, pensò tra sé con amarezza.
-Minhossi!! –, lo salutò Jonghyun saltellando verso di lui come una scimmia prossima ad un banchetto di banane.
Sì, pensò Minho, ha in mente qualcosa di stupido.
-Che stai facendo? E’ da ore ti cerco. –
-Oh sono stato in biblioteca –
Jonghyun si portò le mani dietro la testa e sorrise smagliante. Minho ebbe l’impressione che il suo amico intendesse slogarsi la mascella. Represso l’istinto di emettere un verso di disperazione.
-Tu in biblioteca? –, si limitò a chiedere sollevando un sopracciglio.
-Esatto. Non vuoi sapere perché? -
-Te l’avrei chiesto direttamente se tu non fossi così ansioso di…-
-Ho intenzione di chiedere a Key di fare il legame di fratellanza. –
Minho sbiancò e sbarrò gli occhi. Legame di fratellanza con Key? Quando a quell’idiota era venuta un’idea simile?!
-Sorpreso eh?-
-Sei…sicuro?-
-Che razza di domande sono? Tutto ciò che hai in altezza devi averlo perso in materia grigia. Aish, forse le mie gambe corte tutto sommato hanno dei vantaggi.-
Minho cercò d’ignorarlo. Conosceva abbastanza bene il suo amico da sapere che, in quel momento, desiderava solo dar sfogo alla propria felicità ed ascoltare sé stesso dire assurdità.
-Vedi, ne abbiamo parlato tempo fa e, devo ammetterlo, io non ero molto convinto. Insomma, è una cosa stupida che fanno i nobili e noi non lo siamo. -
Minho fu sul punto d’aprire una lunga parentesi in proposito, ma decise d’astenersi. Ne avevano parlato tempo prima? Quando, come e perché? Come aveva potuto Kibum farsi venire un’idea tanto stupida?! Forse aveva respirato per troppo tempo la stessa aria di Kim Jonghyun, non poteva esserci altra spiegazione. Dopotutto il principe era un tipo meticoloso ed accorto, l’unica cosa che poteva averlo portato a formulare pensieri tanto pericolosi era la paura di separarsi di nuovo da Jonghyun. Una paura legittima ed una soluzione che poteva proteggere entrambi, ma anche alzare la portata dei rischi. Nella loro situazione rischiava di trasformarsi in una lama a doppio taglio.
-Comunque, date le ultime novità mi sono ritrovato a rivalutare la questione. –
Jonghyun sorrise come se avesse appena fatto l’affermazione più intelligente del mondo.
-Novità? –
-Considerando il suo temperamento spocchioso degli ultimi giorni credo di aver capito qualcosa. Vedi, all’inizio non ha detto nulla, ma è evidente che è irritato per il mio rifiuto. Non lo faccio per quello, eh, è una cosa importante. –
Jonghyun incrociò le braccia ed annuì, quasi parlando a sé stesso.
Minho sbuffò. Quella testa vuota non aveva capito niente e stava per peggiorare una situazione talmente semplice da essere irrimediabilmente complicata. Arricciò il naso. I suoi stessi pensieri gli suonavano assurdi, ma allo stesso tempo non trovava definizione migliore. Minho maledisse tra sé Kibum.
Perché non gliel’ha detto prima? Pensò sull’orlo di una crisi, sciorinando nella sua mente le peggiori imprecazioni che in quel momento gli vennero in mente.
-Ci penso da qualche settimana-, proseguì Jonghyun, - ma volevo rifletterci con calma e ora non ho dubbi! Farò il legame di fratellanza con Key e quando quel maiale dell’erede al trono rotolerà come un salame dallo scranno imperiale, magari lo sposerò! –
Sul viso di Jonghyun s’allargò un sorriso smagliate. Secondo Minho un ubriaco avrebbe avuto di gran lunga un’espressione meno ridicola. Se solo fosse stato a conoscenza dell’implicazione delle sue parole probabilmente non avrebbe riso, ma si sarebbe messo le mani tra i capelli desiderando strapparseli dal primo all’ultimo, una cosa che Minho in quel momento desiderava fare ardentemente.
-Non il maiale – disse Jonghyun, serio, notando che l’amico non reagiva.
-Avevo capito. Quando pensi di chiederglielo? – azzardò Minho.
-Questa sera! –
Senza perdere ulteriore tempo, Jonghyun sparì lungo il corridoio.  Nella sua mente presagiva una serata perfetta ed una nottata altrettanto tale.
Grandioso, pensò Minho portandosi una mano alla fronte.
Quello era davvero un tempismo perfetto! Non osava immaginare come sarebbe andata a finire, conosceva abbastanza bene Jonghyun dal potersi permettere di fare pronostici molto negativi. Il suo amico desiderava stringere un legame forte e duraturo con la persona che, Minho lo sapeva bene, contava di più al mondo per lui ma che, in realtà, era la stessa che dichiarava di odiare. L’oggetto prediletto delle sue battute fuori luogo. Non si metteva bene, ma per quando preoccupato per i suoi amici Minho poteva fare ben poco. Era una questione tra Key e Jonghyun, o meglio tra “quel maiale dell’erede al trono” e “quella testa vuota di Kim Jonghyun”. Sospirò rassegnato. Si era prefissato di proteggere Kibum e allo stesso tempo aveva promesso al suddetto che si sarebbe preso cura di Jonghyun, ma cosa sarebbe accaduto se Jonghyun avesse preteso la testa di Kibum? Sperava davvero che riuscissero a risolvere le cose tra loro o avrebbe dovuto raccogliere i pezzi di Jonghyun e le ceneri di Kibum.
 

***
 
Seduto sul bordo del letto, come se dovesse scattare come una molla da un momento all’altro, Kibum si stropicciava le mani in grembo e mordicchiava il labbro. Era certo di essersi strappato una pellicina e di sanguinare, perché un pungente sapore metallico gli stuzzicava la punta della lingua. Con i sensi all’erta e le orecchie tese faceva attenzione a qualunque rumore giungesse da oltre la porta della sua stanza. Sua e di Jonghyun. Più di una volta era sobbalzato ed aveva guardato con terrore in direzione dell’uscio, ma ogni suono era poi scivolato via lasciandolo di nuovo nel silenzio.
Il principe lasciò spaziare lo sguardo su quel piccolo mondo confuso e dal gusto eclettico che univa i mobili e gli oggetti dalle fogge più tradizionali a quelli più ricercati e pesantemente decorati che tanto piacevano alla nobiltà di Soul. Era come se la stanza stessa rispecchiasse l’anima del suo principale proprietario e ne denunciasse lo stato di mezzosangue. Kibum sorrise tra sé assaporando i dettagli di quel luogo che per mesi aveva fatto da cornice alla sua vita, poi tornò a stropicciarsi le mani.
Jonghyun era stato irreperibile per l’intera giornata e se da un lato questo aveva aumentato la sua apprensione, dall’altro aveva tirato un sospiro di sollievo in più di un’occasione. Ma infondo sapeva che stava solo rimandando qualcosa che non poteva più essere posticipato. Era al limite, lo era la sua mente e il tempo che incalzava rapido come un cavallo in corsa. Se chiudeva gli occhi, Kibum poteva vedere quel cavallo sempre più vicino e prossimo ad investirlo.
Ormai era sera, aveva cenato in stanza, da solo, deciso e prendersi ancora un po' di tempo per sé prima di affrontare il più grande, che ora attendeva trepidante.
Kibum lanciò un’occhiata ai resti della sua cena riposti su un vassoio abbandonato su un basso tavolino non molto distante da lui. Non aveva quasi toccato cibo e nonostante la fame il semplice odore di cibo lo nauseava. Si era dunque concesso un bagno caldo nella speranza di distendere i nervi, ma si era rivelato un tentativo fallimentare. Più guardava la superficie dell’acqua, più desiderava sprofondarvi e mettere fine a qualunque pensiero molesto giungesse a turbarlo. Alla fine era uscito dall’acqua prima che quella tentazione diventasse troppo allettante ed aveva indossato un semplice hanbok dalle solite tonalità bianche e blu.
Ora, attendeva.
Kibum sospirò. Come sarebbe andata a finire? Non ne aveva idea, aveva immaginato ogni scenario possibile ed ognuno gli sembrava assurdo e realistico allo stesso tempo. Jonghyun lo amava, non aveva dubbi su questo, dubitarvi era da sciocchi, eppure non sapeva se una volta conosciuta la verità l’avrebbe voluto ancora. Jonghyun era imprevedibile quanto il fuoco stesso che portava, capace di riscaldare nelle notti più fredde ma anche di fare terre bruciata intorno a lui se ferito nell’intimo. E Kibum sapeva bene che l’avrebbe ferito.
Gli spezzerò il cuore, pensò. Te l’aveva detto che l’avrei fatto.
Strinse le mani intorno al copriletto e disperse le lacrime imprigionate tra le sue ciglia, poi la porta s’aprì.
Kibum s’alzò di scattò e sbarrò gli occhi, il suo viso s’imporporò per poi sbiancare ed avvertì chiaramente le gambe tremargli. Tornò subito a sedersi sul bordo del letto nel goffo tentativo di celare quel tremore.
-Jongie – disse con voce flebile.
Il viso del più grande era animato dal sorriso più luminoso e sincero che Kibum avesse mai visto e per lui fu inevitabile ricambiarlo. Come poteva rimanere impassibile di fronte a tanto splendore?
Quando vorrei vivere della luce di questo sorriso per sempre, pensò.
Era così bello, dolce e pieno di passione che infrangerlo era un peccato mortale.
Ma io lo ridurrò in pezzi, pensò con rammarico.
Jonghyun s’avvicinò inginocchiandosi di fronte a lui e posandogli le mani sulle ginocchia. Kibum abbassò lo sguardo incontrando gli occhi ambrati dell’altro, animati da pagliuzze dorate che palpitavano come ridenti fiamme.
-Hai l’aria di uno che sta aspettando qualcosa –, osservò Jonghyun senza perdere il sorriso.
Kibum dischiuse leggermente la bocca e poi scosse la chioma corvina.
-Pensavo. –
-A cosa? –
Incuriosito, Jonghyun si sedette al suo fianco accarezzandogli il viso con il dorso della mano.
Kibum chiuse gli occhi, assaporando quel contatto lieve. Le sue labbra a cuore s’incurvarono un sorriso e le sue gote assunsero tonalità rosate. Riaprì gli occhi e fissò con le sue magnetiche perle nere le ambre iridescenti del più grande.
-A noi. –
Prese un bel respiro. - Jonghyun devo…-
-Anche io ho pensato a noi in questi giorni. –
-Davvero? –
Jonghyun annuì. – Mi dispiace di non aver capito. –
Kibum sbatté le palpebre. Capito cosa? La risposta alle sue domande inespresse gli giunse prima che avesse il tempo di formularle ad alta voce.
-Che volevi fare il legame di fratellanza. –
Questa volta fu Jonghyun ad abbassare lo sguardo, poi rise imbarazzato portandosi una mano dietro il capo, scompigliandosi i capelli.
-Bhe, lo sai che sono un’idiota. Mi dispiace di avere preso la tua richiesta così alla leggera, ma ora non devi più preoccuparti. –
Il più grande gonfiò il petto. – Voglio farlo. –
Se avesse potuto Kibum avrebbe pianto per la felicità, ma notizia tanto bella non poteva giungere in momento peggiore. Ripensò a quella notte intensa iniziata come un bagno innocente, il crogiolarsi nell’acqua calda e la stanchezza genuina di chi desidera solo posare il capo sul cuscino e lasciarsi avvolgere dalle coperte. Quanto era stato ingenuo nella sua paura a cercare e chiedere un legame che poteva salvarli ma anche distruggerli? La paura che l’aveva mosso allora era ancora vivida in lui, più che mai, perché il momento di separarsi era arrivato anche troppo presto. Tuttavia non poteva. Aveva preso una decisione: affrontare Heechul, recitare la parte della bambola perfetta che il suo promesso desiderava. Stringere quel legame, ora, era impossibile. Il tempo stava loro rubando gli ultimi istanti e le sue bugie rischiando di trascinare entrambi nell’oblio. Doveva dire la verità prima che il coraggio lo abbandonasse, prima che cedesse alla tentazione di aggrapparsi all’altro con tutte le sue forze.
Devo portarlo con me per riuscire a sopravvivere, pensò, ma solo come memorie indelebili e nella folle e sciocca speranza di stare di nuovo tra le sue braccia se ancora mi vorrà.
-Jonghyun…-
La sua stessa voce risuonò alle orecchie di Kibum come il gracchiare di foglie secche scosse dal vento. Si schiarì la voce, ma non ebbe il tempo di parlare. Jonghyun l’attirò a sé e lo baciò. Kibum fu attraversato da un brivido mentre le labbra dell’altro modellavano le sue con morbide carezze.
Jonghyun sorrise. – A volte mi capita di svegliarmi nel cuore della notte con addosso una sensazione appiccicosa e, anche se non rammento cosa ho sognato, so’ con certezza che è il ricordo di quei giorni che ho passato senza di te. Sono come gli ultimi residui di un incubo rimasti incollati alla mia pelle. Io ti voglio con me ogni istante. Voglio metà della tua felicità e metà del tuo dolore.-
Kibum allungò una mano per accarezzare gli zigomi pronunciati dell’altro, il profilo di quelle labbra che pochi secondi prima lo stavano baciando e la curva dolce del suo naso. Come poteva trovare la forza di spezzare quel sorriso, di vedere quegli occhi ambrati accendersi di fiamme scure ed irruente per poi bagnarsi di lacrime brucianti?
-Io…-
-Dimmi solo se vuoi, perché io lo desidero più di qualunque cosa al mondo. –
-lo desidero con tutto il mio cuore, ma adesso…-
Jonghyun lo baciò con trasporto.
-Jong, devo parlarti…io…adesso…-
Jonghyun sorrise accarezzando il viso di Key, arrossato dal fiato che gli aveva rubato poco prima.
-Parliamo domani, ora voglio passare una notte splendida con te. Vuoi?–
Quella richiesta risuonò alle orecchie di Kibum come una tentazione terribile. Una necessità che percepiva accendersi nel suo stesso petto e pervadergli le membra. Voleva? Certo che voleva!
Ma posso?, si chiese.
Guardò gli occhi ambrati di Jonghyun che lo fissavano adoranti e pieni di desiderio e pregò d’affondare in quelle iridi calde e di esserne consumato.
Per quanto tempo sarebbero rimasti separati? Giorni, settimane, mesi o per sempre?
Scosse il capo. Desiderava unirsi all’altro in quella notte terribile che a Jonghyun pareva tanto luminosa quanto a lui tetra, ma non poteva permetterselo. Doveva dirgli la verità, accettare le conseguenze ed imporsi di lasciare quel mondo perfetto che avevano costruito, o ceneri e macerie li avrebbero seppelliti vivi.
Jonghyun fissò Key e si umettò le labbra per poi mordersi l’angolo della bocca. Perché il più piccolo non rispondeva, cosa lo turbava ancora? Perché sembrava tanto felice quanto triste? Era strano quella sera come lo era stato negli ultimi giorni. Jonghyun non era tranquillo, avvertiva un’ombra indefinita insinuarsi tra loro ed ingrandirsi ogni secondo di più. Posò le mani sulle braccia di Key esercitandovi una lieve pressione che voleva rassicurate tanto l’altro quanto sé stesso. Nell’aria c’era qualcosa di sbagliato, un velo appena sospeso che minacciava di soffocarli e li fissa ridente dall’alto pronto a calare su di loro, tagliente quanto una lama affilata.
Le mani di Jonghyun fremettero e strinse più forte Key, l’unica consistente certezza all’intorno. Sorrise. I suoi erano pensieri assurdi che non avevano alcun senso logico. Non c’era nessuna ombra, nessuna tristezza.
Kibum intrecciò le braccia dietro al collo di Jonghyun, fece aderire le loro fronti ed emise un sospirò spezzato da un singulto.
Se potessi, pensò, ti porterei con me anche dove non mi puoi seguire e prenderei su di me tutto il tuo dolore.
Stava per commettere un errore terribile, lo sentiva, ma percepiva anche il bisogno di quella notte d’amore prima che tutto s’infrangesse. Quanto egoismo e quanta avidità potevano in quel bisogno disperato?
Domani gli dirò tutto. Domani…questa notte desidero che lui mi ami ancora.
Si strinse più forte a Jonghyun e gli baciò la punta del naso.
Voglio essere Key un’ultima volta e tuo, pensò. Voglio lasciarmi trasportare dalle tue carezze prima di diventare una bambola di seta che non sente niente. Poi, se ancora mi vorrai, attenderò il ritorno dei colori, aspetterò che il mio sangue riprenda a scorrere e tornerò a respirare.
-Voglio – disse alla fine. –Voglio i tuoi baci, le tue carezze, il tuo corpo che stringe il mio e voglio darti ogni centimetro della mia pelle ed ogni mio respiro.–
Jonghyun gli alzò il mento per specchiarsi negli occhi felini dell’altro, per leggere in quelle iridi magnetiche il senso profondo delle parole di Key, incapace d’interrompere quel contatto visivo che aveva segnato il loro primo incontro e che ogni volta doveva essere ristabilito per trascinarli, di nuovo, in quel mondo fluttuate il cui ricordo appariva nella mente del più piccolo come un tenue acquarello.
Kibum si puntellò sulle ginocchia e seguì i movimenti lenti del più grande che aveva iniziato a togliersi della camicia di cotone. Era buffo, lui nato in un palazzo indossava abiti tradizionali, semplici e con pochi fronzoli, Jonghyun, invece, portava una camicia dalle maniche larghe a sbuffò con un leggero accenno di merletto sui polsi. Quanto poteva essere ironico il destino?
Il principe attirò l’altro a sé e Jonghyun si lasciò guidare, docilmente, sorridendo. Più si perdeva nelle irresistibili perle scure dell’altro, più Jonghyun si rendeva conto di essere sempre stato preda dell’altro. Era caduto volontariamente nella tana di una volpe. Sorrise sghembo. A Key bastava uno sguardo per farlo suo.
Key gli sfilò la camicia e la gettò sul tappeto. Alzò lo sguardo e Jonghyun lo abbassò, irrimediabilmente calamitati l’uno all’altro. Sempre sostenendosi sulle ginocchia, Kibum fece scorrere le mani sul petto del più grande sino a posarle sulle sue spalle per mordergli la pelle sottile che gli proteggeva il collo.
Jonghyun emise un lamento, ma sorrise e gettò il capo all’indietro quando il più piccolo gli baciò il collo con labbra umide, come a lenire quei piccoli morsi. Prese Key per i fianchi beandosi di quelle effusioni e tenendolo più stretto a sé, mentre l’altro gli faceva fusa e lo colmava d’attenzioni. Baci lenti e dolci che celavano una passione latente.
Kibum affondò il viso nell’incavo tra il collo e la spalla di Jonghyun, lasciandosi inebriare dal suo profumo. Sollevò il capo per posare un baciò più leggero sul suo petto all’altezza del cuore, poi gli prese delicatamente il viso, gli baciò uno zigomo e la mascella, strusciando infine le loro guance.
Jonghyun si sedette in ginocchio sul letto trascinando il più piccolo sulle sue cosce e le sue mani corsero sulla schiena di Key accarezzandogli la pelle liscia sotto la camicia, poi gli sollevò delicatamente una coscia per far aderire di più i loro corpi e Kibum ansimò, scosso da un brivido, e inarcò la schiena. Jonghyun lo avvolse in un abbraccio per accompagnarlo gentilmente tra i cuscini. Si umettò le labbra, contemplando la figura aggraziata di Key che lo fissava con le labbra rosate semi dischiuse, gli occhi luccicanti ed i capelli corvini scomposti. Era come ammirare il bocciolo di un fiore di ciliegio prossimo a schiudersi agli aliti del vento primaverile. Gli sfiorò le labbra con i polpastrelli ed il più piccolo emise un sospiro rilassato.
Il mio dolce fiore guerriero, pensò Jonghyun.
Perché era questo che era Key ai suoi occhi. Abbastanza forte da sopravvivere al gelo dell’inverno ed altrettanto delicato dal disfarsi tra la brezza di primavera e volare lontano. Che si fosse sbagliato? Aveva temuto che i freddi venti d’inverno lo strappassero da lui, ma se avesse dovuto temere di più il sopraggiungere della primavera con i suoi ingannevoli tepori e le piogge improvvise? Quei petali erano tropo teneri e delicati per rimanere aggrappati ai rami che li ospitavano. Una volta fiorito quel fiore era destinato a disperdersi al vento. Fu colto da un senso di tristezza e nostalgia. Key era lì tra le sue braccia, eppure Jonghyun fu invaso dal timore che potesse disfarsi in mille petali profumati e disperdersi tra i flutti. Lo baciò piano, sfiorando semplicemente le labbra a cuore del più piccolo con le proprie.
-Ti amo -, sussurrò.
Kibum sorrise ed allungò una mano ad accarezzare il viso Jonghyun. Assottigliò le labbra e strizzò gli occhi nel tentativo di disperdere i cristalli umidi che tentavano, invano, di trovare un via di fuga tra le sue ciglia. Per quanto l’altro fosse lì davanti a lui lo vedeva sbiadire come uno splendido acquarello bagnato dalla pioggia. Fece scorrere le punte delle dita sui tratti di Jonghyun per ridipingerli nella sua mente.
Jonghyun s’adagiò delicatamente su Key ed accarezzò il suo corpo con premura scivolando sotto i suoi indumenti.
Kibum inarcò la schiena e mugugnò, beandosi di quel contatto caldo e rassicurante capace di calmarlo e sciogliere i suoi nervi tesi. Il principe desiderava solo lasciarsi modellare dalle carezze dell’altro che risvegliavano in lui un consueto formicolio. La sua energia era in subbuglio e sfrigolava nell’aria circostante intrecciandosi con l’aria satura di calore. Si strinse a Jonghyun desiderando fondersi con lui in un abbraccio eterno, congelato nel loro tempo e nel loro spazio. Gli prese il viso tra le mani perdendosi nei suoi occhi ambrati, liquidi come oro e lava, ed affondò le dita tra i suoi capelli delle tonalità del cioccolato. Il fiato caldo di Jonghyun gli arrivava dritto in viso colorandogli le gote e portando con sé il profumo del ricordo di un sogno di una notte di mezza estate. Desiderava portare con sé anche solo il frammento del ricordo di quel sogno e custodirlo vicino al suo cuore. Un gioiello prezioso da rimirare nelle notti più fredde.
-Stringimi e amami come non hai mai fatto prima -, sospirò flebilmente Kibum a fior di labbra.
Jonghyun lo baciò appropriandosi di ogni angolo della sua bocca e liberò entrambi degli abiti. Il contatto di pelle contro pelle fu inebriante e Kibum respirò a pieni polmoni desiderando crogiolarsi nel profumo del corpo caldo dell’altro e in quei baci capaci sia di stordirlo che di risanarlo.
Mosso da passione crescente, Jonghyun si puntellò sui gomiti e sondò il viso di Key in una tacita domanda, alla ricerca di un assenso che solo l’altro gli poteva dare. La risposta di Kibum fu semplice nel suo silenzio dolce ed il più piccolo dischiuse leggermente le gambe invitando Jonghyun a rendere più intima quella notte che gli sembrava tanto oscura, illuminata solo dagli occhi del più grande.
Jonghyun lo baciò sulla fronte e sulla punta del naso, poi scivolò nel corpo dell’altro affondando delicatamente in un gemito di piacere.
Kibum emise un miagolio lamentoso, morse e baciò il collo dell’altro per alleviare il dolore iniziale, prima di rilassare il proprio corpo tra le braccia premurose ed appassionate di Jonghyun. Kibum desiderava imprimere tutto questo nella sua mente e sulla sua pelle, per custodirlo tra le sue memorie e lasciarsi cullare da esse nelle notti avvenire che già presagiva fredde e vuote, animate da ombre e paure che strisciando infide si sarebbero insinuate dentro di lui gelandogli il sangue. Le mani di Jonghyun sulla sua pelle cicatrizzavano ferite invisibili e ne aprivano altrettante destinate, forse, a segnarlo per sempre. Non voleva che fosse un addio, non doveva esserlo, ma più guardava avanti più vedeva e percepiva il buio del vuoto. L’universo senza stelle, freddo ed inconsistente. Era come fare l’amore sull’orlo di un burrone destinato a franare.
Erano come il dipinto di un sogno luminoso, troppo delicato e sottile per sopravvivere all’irrimediabile scorre delle stagioni del mondo reale. Si toccavano, si cercavano, intrecciavano mani, gambe, ma, ormai, i colori sbiadivano, scivolavano in rivoli colorati lasciando dietro di sé solo le memorie di emozioni intense.
Kibum s’aggrappò alla schiena di Jonghyun nel disperato tentativo di trascinarlo con sé. Perché era lì davanti a lui e lo poteva toccare, baciare e percepire il calore del suo corpo, eppure lo vedeva così lontano. Una figura solitaria che s’allontana e sbiadisce sotto la pioggia che sono le loro stesse lacrime
Jonghyun era assuefatto dal profumo dolce del più piccolo che sapeva di primavera, dalle sue movenze aggraziate e flessuose; totalmente calamitato verso quegli occhi sottili e lucidi capaci di risucchiargli anima e corpo. Percepiva in Key una passione dolce mossa da un desiderio bruciante e da un amore palpabile quanto i loro corpi impegnati in una danza dal ritmo frenetico e coinvolgente. Eppure, Jonghyun avvertiva anche urgenza e riconosceva nel più piccolo un bisogno disperato, il tentativo d’aggrapparsi al suo corpo e fondersi con esso per raggiungere la sua anima ed afferrane ogni piega, anche quella più recondita. Jonghyun era sconvolto dal piacere, dalle domande a cui cercava di dare senso e risposte assecondando i movimenti del più piccolo, baciandolo, accarezzandolo e facendolo suo ad ogni spinta. Che cos’era quel senso di disperazione strisciante, quella nota triste che permeava i gesti dell’altro?
Mi sto immaginando tutto, si disse. E’ solo il frutto della mia mente che vede, sente e vuole solo lui.
Dopotutto, anche lui non lo desiderava disperatamente?
Si domandò come sarebbe stato fare l’amore con Key una volta uniti dal legame ed assaporò quel pensiero con lo stesso trasporto con cui esplorò la bocca dell’altro. Leccò quelle labbra rosate, morse le curve a cuore che le modellavano ed assaggiò il dolce sapore di quella bocca che solo a lui era stata donata.
Perché Jonghyun sapeva che era un dono concesso solo a lui. Ogni volta quel pensiero lo inorgogliva e lo spronava ad amarlo con grazia e gentilezza anche quanto il desiderio fisico diventava incontenibile, per non sciupare quel tesoro meraviglioso. Desiderava che Key lo sapesse e lo sentisse, così ogni volta sbirciava il suo viso e allora ogni paura svaniva, perché leggeva in quegli occhi felini una felicità che andava oltre il semplice piacere. Era la pura gioia di essere amato che accendeva ancora di più le perle scure del più piccolo, animate da pagliuzze argentate palpitanti nella notte.
Jonghyun abbandonò la presa sui fianchi di Key e percorse il corpo del più piccolo per raggiungere i suoi polsi ed intrecciare le loro mani.
Kibum ansimò e fissò Jonghyun da sotto le ciglia scure che adombravano appena il languore felino che lo animava.
Quel semplice scambio di sguardi provocò a Jonghyun un fremito e, scosso dagli ultimi spasmi, rilasciò la sua passione bollente nel corpo di Key, accompagnato dal ritmo dei miagolii acuti del più piccolo.
Key inarcò la schiena e attraversato da brividi caldi emise un lungo gemito di piacere, lasciandosi completamente andare. Infine, giacque molle sotto il corpo del più grande.
Entrambi sospirarono, stanchi e appaganti, fondendo i fiati caldi che sapevano l’uno della bocca dell’altro.
Key allungò il collo verso Jonghyun domandando un bacio. Il più grande sorrise intenerito da quel gesto innocente che, ogni volta, chiudeva quei momenti di passione nati da un amore generato da sguardi fugaci.
Jonghyun posò un bacio delicato sulla fronte del più piccolo ed infine sulle sue labbra. Uno tocco lieve seguito dallo sfiorarsi di guance.
Key fece scivolare una gamba sopra quelle dell’altro per trattenerlo.
-Stringimi finché non giunge l’alba e non lasciarmi andare. –
-Ti terrò con me anche quando sorgerà il sole. –
Kibum gli prese il viso tra le mani ancora tremanti e sfregò il naso contro quello di Jonghyun. Quanto sarebbe stato meraviglioso credere incondizionatamente a quelle parole che sapeva nascere dal cuore del più grande. Ma poteva essere davvero così? Lì, tra le braccia di Jonghyun, mentre ancora gli apparteneva, era tutto perfetto ma il vetro traballante di quel mondo in miniatura, scandito dalle note limpide di una melodia dolce amara, stava crollando. Bastava una parola, una sola, il suo nome e come un sassolino avrebbe infranto quel vetro le cui crepe erano ormai troppo profonde e lo attraversavano come bianche cicatrici iridescenti.
No, pensò il principe, non lo farai.
Kibum si strinse al corpo ancora bollente dell’altro, mentre il suo fremeva delle ultime tracce di piacere. Affondò il viso umido di lacrime silenti nella spalla di Jonghyun e gli accarezzò il capo cullandolo e lasciandosi cullare dai battiti dei loro cuori. Chiuse gli occhi e respirò piano. Era il momento di abbandonare il sogno.
Ovunque mi condurrà il destino io ti amo e sono tuo.
 
 
 
Bene…dopo tutto questo amore
 
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…vi suggerisco di stare pronti a tutto per i prossimi capitoli!
 
Image and video hosting by TinyPic Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Se vorrete lasciarmi un commentino vi ruberà solo due minuti e mi farete molto felice ^^
Image and video hosting by TinyPic Alla prossima! Image and video hosting by TinyPic

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Capitolo 30
*** Capitolo 29. Our lonely season faded ***


Ciao a tutti!
Sono stata molto indecisa su se, come e quando tagliare questo capitolo, se fossi arrivata dove volevo sarebbe uscito lungo di trenta pagine e, come dico sempre, i capitoli lunghi sono belli ma quando è troppo è troppo. Spero che il taglio che ho deciso di fare vi piaccia così come l’effetto generale. Scrivere questo capitolo non è stato facile, ho riletto, aggiunto e tolto frasi mille volte e alla fine ho deciso di puntare sull’effetto emotivo generale di una situazione così complessa e per qualcuno improvvisa. Mi sembrava la soluzione più sensata e realistica. Ovviamente la jongkey ha ancora molto da dire sul perché delle proprie azioni, ma voglio riservarmi di affrontare ogni aspetto nei capitoli successivi, mi sembra più sensato che i ragionamenti più profondi e logici emergano pian piano dopo lo shock iniziale (soprattutto se devono venire dalla testa di Jonghyun XD).
Ringrazio chi ha inserito la storia tra le preferite, ricordate, seguite e ovviamente tutti i lettori. Un grazie particolare a chi mi ha lasciato i suoi commenti: Blugioiel, Chocolat95, DreamsCatcher, Ghira_, Gonzy_10, Jae_Hwa, KimJonghyun23, MagicaAli, Panda_murderess, Saranghae_JongKey e vanefreya.
Ringrazio anche chi mi ha mostrato il suo apprezzamento ed interesse per il mio lavoro tramite mp: K_POPforlife, horansfaith, Gonzy_10 e TheMazeRunner.
Grazie per il vostro sostegno ^^
 
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Vi lascio una comunicazione di servizio poi giuro che chiudo con i miei sproloqui. Ho creato una pagina twitter unicamente per efp in modo da lasciarvi anticipazioni e farvi sapere quando aggiornerò. Spero vi faccia piacere visto che è una cosa che faccio esclusivamente nel vostro interesse. Se volete potete cercarmi come @blueorchad_90
Spero di essere riuscita a correggere tutti gli errori o quasi.
Buona lettura!
 
 
 
 
Capitolo 29
Our lonely season faded
 
 


“Our love faded like the waning moon
With cruel words of poison that we didn’t mean
We hurt each other
In the thickly stacked disinterest
Our love grew miserable like a withered flower
We didn’t know how precious each other was
Our lonely season faded”

Shinee, An Encore
 
 
 
 
Jonghyun sorrise e sfregò il naso sulla guancia di Key, il cui corpo s’alzava a s’abbassava tra le sue braccia. Si chiese come il più piccolo facesse ad agognare il calore del suo corpo quando dormiva beatamente stretto a lui, seppellito tra coperte e cuscini. Lo strinse a sé. Era caldo il corpo di Kibum ed emanava il tipico profumo dolce e delicato, i suoi capelli corvini rilucevano scomposti sulla sua fronte, qualche ciocca fuggiva sui cuscini colorati e dalle sue labbra a cuore fuoriuscivano sospiri lievi. Jonghyun scostò una ciocca di capelli dal viso dell’altro e lo accarezzò con il dorso della mano, felice di scoprire che non si era dissolto in mille petali nella notte.
Era felice, Jonghyun, lui e Key avevano passato una notte splendida ricca di effusioni appassionate e dolcezza. Tuttavia corrugò la fronte e la sua bocca carnosa si contorse in una smorfia, riconoscendo una crepa sul viso di porcellana di Key. S’adombrò. Perché era tutto perfetto, eppure percepiva che qualcosa non andava? Vedeva ed aveva visto quella stessa ruga sottile la notte precedente, con orrore l’aveva osservata di sottecchi come se il viso del più piccolo dovesse infrangersi da un momento all’altro e, allo stesso tempo, aveva deciso d’ignorarla. Per tutto il tempo, nonostante la notte d’amore che avevano passato, l’impressione che una crepa si stesse aprendo tra loro non l’aveva mai abbandonato, come non l’aveva abbandonato la sensazione che Key tentasse disperatamente di colmarla con ogni carezza, ogni bacio…
Scosse il capo nel tentativo di disperdere quei pensieri molesti. Forse non era semplicemente abituato a tanta felicità.
Baciò la guancia di Key come a risanare quella ferita e a tratti immaginaria, poi tornò a sorridere.
Kibum mugugnò nel sonno e, lentamente, sollevò le palpebre. Il principe si strinse ancora di più all’altro alla ricerca della certezza della sua presenza. Il corpo di Jonghyun risultò caldo sotto il suo tatto ed i suoi occhi, quando l’incontrò, luminosi. Nascose il viso sul petto del più grande fin troppo consapevole delle sue colpe, del suo egoismo e della sua avidità. Gli aveva donato tutto di sé e ora gli portava via ogni cosa.
-Buongiorno- fece la voce calda di Jonghyun.
-Ciao – rispose lui, flebile, alzando appena lo sguardo. Voleva guardare gli occhi dell’altro ancora una volta, ma temeva che Jonghyun potesse leggere la verità nei suoi con tutto il senso di colpa che, in quel momento, gli pareva un pozzo senza fondo.
Jonghyun gli schioccò un bacio sulla guancia e s’alzò avviandosi verso il bagno. Kibum si rizzò a sedere di scatto.
-Dove vai? – domandò allarmato.
Jonghyun rise. – Non preoccuparti, continua a dormire -, disse facendogli l’occhiolino.
Kibum osservò l’altro sparire nella stanza da bagno e si passò una mano sul viso assonnato. Tornò a sdraiarsi allungando le mani sul posto lasciato vuoto da Jonghyun. Era ancora caldo. Rotolò sul materasso e si raggomitolò nello stesso punto sprofondando nelle tracce di profumo del più grande. Chiuse gli occhi e le immagini della notte precedente gli passarono rapide nella mente accompagnate del ricordo delle emozioni intense che aveva provato, come se le percepisse di nuovo sulla sua pelle.
Per quanto se avesse potuto tornare indietro non avrebbe mai rinunciato a quella notte perfetta, il senso di colpa che provava era palpabile e lo respirava sulle stesse lenzuola che l’avvolgevano ed impregnavano il materasso. I profumi di quella notte d’amore stavano acquistando il tanfo dei fiori che marciscono.
Che cosa ho fatto?, pensò avvertendo in petto fitte stilettate. Ho inferto ad entrambi un’altra ferita.
Strinse le mani al petto, udendo nella propria mente il suono di vetri infranti.
Scattò a sedersi quando una mano gli passò giocosa tra i capelli.
-Ti ho spaventato?– domandò Jonghyun con un sorriso divertito.
Kibum si strinse tra le coperte e scosse il capo, lasciando balenare un sorriso simile al timido incresparsi dell’acqua alla brezza leggera.
-No -, disse.
Jonghyun era già vestito, indossava dei pantaloni marroni, una camicia morbida dalle maniche a sbuffo con del leggero merletto sui polsi, simile a quella del giorno prima, dei comodi stivali che gli ricadevano molli alle caviglie e intorno a lui aleggiava l’odore di pulito e degli oli profumati che aveva usato per lavarsi. Il viso di Jonghyun sembrava rilassato, ma allo stesso tempo scrutava il più piccolo con interesse.
-Tutto bene? Ti ho lasciato l’acqua calda -, fece Jonghyun.
Kibum si puntellò sulle ginocchia, posò le mani sul petto dell’altro e baciò il neo tra le clavicole che la camicia aperte sino a quel punto lasciva intravedere. Alzò gli occhi sul più grande e si umettò le labbra.
Jonghyun sorrise dandogli un buffetto sulla punta del naso.
-Devo parlarti – disse il principe.
Il sorriso sul viso di Jonghyun s’incrinò, mentre quelle parole lasciavano trapelare, di nuovo, la sensazione molesta di quella fenditura sottile prossima ad allargarsi.
-Dopo -, disse.
Jonghyun si sentiva a disagio, non sapeva perché, non sapeva come, ma più guardava Key e più percepiva che nonostante tutta la perfezione qualcosa stava per rompersi. Era assurdo. Si rese conto che, come la mattina precedente, desiderava fuggire da quella stanza come se il solo abbandonarla potesse permettergli di tornare a respirare. Allo stesso tempo staccare gli occhi dall’altro e pensare di rinunciare alla sua presenza, anche per poco, lo affliggeva. Non aveva senso.
Accarezzò con i polpastrelli il viso candido di Key che lo fissava con una strana luce negli occhi.
 – Vado a prendere la colazione -, disse.
Kibum si mordicchiò l’angolo della bocca e strinse la camicia dell’altro tra le dita sottili, infine annuì rilassandosi di nuovo tra le lenzuola. Guardò Jonghyun abbandonare la stanza e fu colto da un sospiro di sollievo, subito smorzato da un crescente nervosismo. Desiderava piangere, rannicchiarsi tra quelle coperte e respirare il profumo di quella notte d’amore ormai svanita, trascinata via dalla corrente degli eventi. Si portò una mano alla bocca reprimendo un impellente senso di nausea.
Senza rendersene conto si ritrovò sprofondato nella vasca. Come era arrivato lì? Non ne aveva idea e tanto meno gl’importava. Ciò che gl’importava era come fosse arrivato a quel punto, come aveva potuto permettere che la paura lo bloccasse sino all’inevitabile? Aveva avuto mille occasioni e ogni volta aveva cercato scuse. Affondò nell’acqua ancora calda ed annusò, di nuovo, il profumo lasciato dal più grande, desiderando esserne assuefatto ed imprimerlo sulla sua stessa pelle. Voleva lavare ogni traccia delle sue colpe e del suo egoismo. Aveva agognato così tanto la felicità, bevuto ogni goccia di essa sino ad esserne ebbro, diventando così incapace di porsi un freno.
Riemerse dall’acqua, s’asciugò e scivolò dietro al paravento per vestirsi, fuggendo dagli occhietti luccicanti del grosso pavone che decorava il mobilio, quasi riuscissero a scrutarlo dentro. Si vestì come se dovesse partire da un momento all’altro, dopotutto era inutile continuare a fingere. Indossò dei pantaloni blu notte, una camicia uguale a quella di Jonghyun ma senza merletto e recuperò un mantello da viaggio. Con bassi stivaletti ai piedi tornò in stanza e attese.
Ecco, gli sembrava di essere tornato alla sera precedente, nervoso e seduto nel medesimo punto a stropicciarsi le mani in attesa di Jonghyun o, con maggior probabilità, del suo coraggio. Ma vi era una differenza fondamentale, se la notte scorsa il tempo si stava assottigliando ora era totalmente sfumato e, incalzato da questa consapevolezza, il principe incrociò le braccia e si morse il labbro. Non poteva più scappare.   
In quel momento Jonghyun rientrò reggendo il vassoio della colazione colmo di cibo ed un paio di tazze fumanti. Il profumo del tè e dei dolcetti di riso si diffuse subito nella stanza.
Jonghyun corrugo la fronte mentre riponeva il vassoio sul letto. -Stai bene? -, domandò. Key era immobile e lo fissava come un gatto diffidente in attesa del momento propizio per darsi alla fuga.
Kibum deglutì. Doveva farlo ora, non aveva scelta. Si domandò cosa dire, da dove iniziare e soprattutto come rendere il tutto meno doloroso. Si sentì la gola secca. Non aveva preparato alcun discorso.
Forse non sarebbe servito, pensò.
Avrebbe comunque scordato ogni cosa nel momento stesso in cui avesse aperto bocca.
Ormai è tardi, girarci intorno non servirà a niente e non salverà né me né lui, rifletté.
Guardò Jonghyun che lo fissava, serio, lasciando trapelare un crescente disagio. Kibum si rese conto che era già una tortura per entrambi.
-Devo parlarti -, disse in un soffio.
Quante volte aveva ripetuto quella frase nelle ultime ore senza darle alcun seguito? Infinite, forse.
Jonghyun si sedette sul letto e con voce incrinata disse: -Certo, intanto mangiamo. - 
Il più grande prese un dolcetto di riso e lo avvicinò alle labbra di Key che, con un gesto delicato ma deciso, scostò il viso di lato e gli prese la mano invitandolo ad abbassarla.
-Devo parlarti – ripeté di nuovo.
Kibum era come un kayagun[1] dalle corde spezzate, capace unicamente di emettere suoni distorti. Qualunque melodia avesse prodotto in passato ora era svanita.
Prese le mani di Jonghyun accarezzandone i palmi ed intrecciando le loro dita nella sciocca speranza di trattenerlo a sé. Si umettò le labbra e rimase lì, a fissare quelle dita intrecciante, avvertendo il peso di ogni cosa soffocarlo e rendendosi conto di non riuscire a guardare Jonghyun negli occhi. I suoi pizzicarono.
Jonghyun s’irrigidì e fu percorso da un brivido, guardò le loro mani intrecciate percependo in esse il desiderio di creare un ponte tra due argini di un fiume che si era scavato un letto troppo profondo. Si rese conto di sudare freddo.
-Mi stai spaventando – disse, incapace di trattenersi oltre. Poi rise. –Deve essere importante se metti in secondo piano dei dolci. –
Jonghyun abbassò il viso cercando d’incontrare quello di Key, ma vide solo ombre.
-Dobbiamo separarci per un po'-, disse ad un tratto Kibum.
-Separarci? – ripeté Jonghyun corrugando la fronte. Inarcò le sopracciglia alla ricerca di un senso, oltre a quello fin troppo palese, di quella semplice parola.
Separarsi, perché mai avrebbero dovuto? Che motivo c’era?
-Vedi -, tentò di proseguire Kibum, - devo tornare al palazzo della mia famiglia per sistemare alcune cose, ma ti prometto che sarà solo per poco. –
Il principe si stropicciò le mani tra quelle dell’altro rendendosi conto di aver detto tutto ma, in realtà, di non aver detto assolutamente nulla. Non erano che parole vuote, un alito di vento che soffia in una casa vuota.
Di fronte a quel semplice gesto nervoso che conosceva fin troppo bene, Jonghyun riconobbe una patina falsa e scivolosa ed ebbe paura. Se davvero era per poco che cosa turbava tanto il più piccolo? Il timore che lo trattenessero alla sua vecchia casa, che il suo promesso non lo lasciasse andare? Dopotutto quel tizio si era adoperato parecchio nei mesi addietro per riprendersi Key; non era forse quasi riuscito a strapparlo dalle sue braccia? Jonghyun strinse le mani di Key.
-Che cosa vuoi dire? –
Jonghyun non riusciva a capire, dopo tanto fuggire nessuna delle parole di Key avevano senso alle sue orecchie.
-Quello che ho detto – rispose Kibum, flebile, tenendo lo sguardo basso. Non sapeva cosa dire, cosa fare e intanto continuava a non dire e fare niente. Stava solo prolungando un’agonia.
Jonghyun s’irrigidì ed il suo sguardo si fece duro. Key gli stava nascondendo qualcosa e a giudicare dall’espressione colpevole non era qualcosa da poco, ormai non aveva dubbi.  Oltre al timore in lui iniziò ad insinuarsi anche la rabbia.
-Non hai detto niente, stai solo emettendo dei suoni – disse con voce dura ed alterata.
L’aria iniziò a farsi calda.
-Jongie…-
La voce di Kibum fuoriuscì dalle sue labbra a cuore quasi lamentosa e a Jonghyun parve una vuota supplica.
Una supplica per cosa? Che cos’hai fatto, Key, che cosa ci stai facendo?, si domandò il più grande con orrore.
Jonghyun desiderò passarsi le mani tra i capelli, sul viso, come a lavarsi dagli strascichi di un incubo annunciato e svegliarsi prima che fosse troppo tardi. Ma non stava dormendo, era sveglio e ne era anche troppo consapevole. Le sue mani rimasero legate a quelle dell’altro, bollenti.
-Perché, cosa ti costringe a tornare in un posto che odi e dal quale scappi da mesi? –, sbottò.
Kibum deglutì e si umettò le labbra sempre più secche. Le sue mani scottavano tra quelle di Jonghyun ma, per quando spaventato, non le lasciò andare.
Basta, si disse.
-Ti ho sempre detto che la mia famiglia aveva dei possedimenti vicino a Soul…non è esattamente vero. –
Il principe si stupì dell’estrema tranquillità con cui riuscì a pronunciare questa frase e, per una frazione di secondi, fu anche in grado di alzare lo sguardò prima di tornare ad abbassarlo.
-La mia famiglia governa quella città. Ora che…lui è morto, bhe, devo tornare in quel posto per sistemare alcune cose. –
Si strinse nelle spalle. –Ma ti prometto che noi…-
Jonghyun fremette. Il cuore gli si strinse in petto come se delle mani invisibili si stessero dilettando a torturalo, ed una terribile consapevolezza si fece spazio in lui, suscitandogli una paura viscerale.
La mia famiglia governa quella città, ripeté nella sua mente, Soul. Lui è morto…
Poche parole, apparentemente insensate, ma chiare. Tanti piccoli sassolini gettati alla rinfusa su un limpido stagno, generando milioni d’increspature.
Prese il mento del più piccolo con una mano e lo sollevò. Oh, ora ne vedeva mille di quelle crepe sottili.
Key mugugnò sotto la sua presa ferrea, così diversa dalla consueta tenerezza.
A Jonghyun non importò. Sentiva che si stava infrangendo, traballava come il vetro di una finestra tormentata da venti violenti.
-Lui, quel posto. Perché non mi fai la grazia di chiamarli con il proprio nome? Non sto capendo nulla di quello che farfugli, Key. –
La voce di Jonghyun era sempre più alterata, simile alle scosse di un terremoto prima dell’eruzione di un vulcano rimasto dormiente troppo a lungo. Non era vero che non aveva capito, lo sapeva Jonghyun e lo sapeva Kibum. Ormai, anche con quelle poche parole, la verità era trasparente quanto le stesse colpe e bugie di Key.
-Allora? – fece duro.
Silenzio.
Kibum boccheggiò. Faceva troppo caldo e la stessa aria bruciava.
Jonghyun sciolse definitivamente le loro mani e lo prese per le spalle, scuotendolo ed urlandogli in viso tutta la propria umiliazione.
 -Chi diamine sei? –
-Jongie…-
Kibum guardò il più grande con occhi umidi, poi li abbassò e strizzò per allontanare il pizzicore delle lacrime che premevano prepotenti. Non poteva più tornare indietro, eppure non riusciva a fare quell’ultimo passo e gettarsi definitivamente nel vuoto.
-Chi sei? – ripeté Jonghyun, scuotendolo di nuovo.
Il più grande voleva sentirlo dalle sue labbra, doveva avere quella conferma per quanto futile. Solo questo avrebbe reso l’orrore definitivamente reale. Jonghyun emise un sospirò rauco e frustrato.
 -Dimmi il tuo nome –, disse quasi in un sibilo.
Prese di nuovo il viso di Key costringendolo a guardarlo, ma Kibum tenne le palpebre basse.
-Dimmelo. –
Il principe fu attraversato da un brivido. La presa di Jonghyun sul suo viso gli faceva male ma sentiva di meritarsela. Non era nulla confrontata al dolore che provava in petto e che, in quel momento, lo legava a Jonghyun più di qualunque altra cosa.
-Kibum –
Il suo nome uscì dalle sue labbra come un soffio.
Jonghyun udì il vetro di quella traballante finestra infrangersi. Sorrise amaro. – Non ho sentito. Guardarmi negli occhi mentre lo dici. -
Alla fine, Kibum alzò gli occhi per incontrare quelli di Jonghyun, quelli che per mesi l’avevano spaventato impedendogli di trovare il coraggio. Non erano più animati da riflessi ambrati, ma freddi e neri come tagliente ossidiana e sotto di essi fiamme più scure e pericolose erano pronte a divampare.
-Kim Kibum -, ripeté chiaro. Sospirò. –Sono il principe ereditario di Chosun. –
Jonghyun lo fissò inespressivo. Ma era solo la calma piatta prima dell’esplosione del vulcano. Il silenzio che precede il boato.
Con il medesimo movimento repentino con cui aveva afferrato il mento del più piccolo, Jonghyun lo lasciò a andare e mosse dei passi lunghi e nervosi sui tappeti, portandosi le mani tra i capelli.
Seduto sul bordo del letto, Kibum si sentì abbandonato, persino la presa ferrea del più grande era stata una rassicurazione in confronto a quel gesto quasi disgustato che era seguito. Artigliò le lenzuola e tirò su col naso. Non voleva piangere. Doveva recuperare ciò che poteva anche se, temeva, vi fosse ben poco.
S’alzò e scivolo dietro a Jonghyun, deciso ad ignorare la sua rabbia ed incurante di ciò che poteva scatenare. Lo abbracciò da dietro ed appoggiò la guancia sulla sua schiena, ma fu come abbracciare un blocco di marmo. Lo strinse più forte.
-Jong, non devi preoccuparti, ci separeremo solo per poco. –
Era così, vero?
Jonghyun rimase immobile.
-Te lo prometto-, aggiunse, continuando a stringersi al più grande.
Doveva credere almeno in questo, ma sapeva che quella promessa suonava inconsistente, c’erano troppi se, troppi forse…e in parte dipendevano dallo stesso Jonghyun.
Alla fine, Jonghyun gli perse i polsi costringendolo a staccarsi, si voltò verso di lui e l’afferrò per le spalle.
Kibum deglutì. In quegli occhi tanto ardenti quanto freddi non vi era solo odio, l’odio non era che una fiamma flebile, ciò che davvero bruciava sotto quei carboni ardenti era anche peggio. C’era rabbia, delusione ed umiliazione. L’odio era qualcosa che Kibum poteva gestire. Forse. Dopotutto aveva passato mesi a torturarsi con quell’eventualità che era quasi una certezza. Ma questo andava oltre. Era da lui che il più grande era deluso e da lui che si sentiva umiliato.
Jonghyun continuò a fissarlo, rigido e duro come un blocco di granito, e Kibum desiderò che urlasse. Tutto era preferibile a quella finta calma.
Jonghyun gli prese di nuovo il mento con forza.
-Che cosa sei venuto a fare qui, sei una spia? Facevi il lavoro sporco per quell’uomo? –
Guardò il viso di Key, Kibum, cercando di capire cosa nascondesse. Dietro quel nome doveva pur nascondersi qualcosa, delle macchie indelebili che nella sua ingenuità non aveva visto e che segnavo i petali di quel fiore che aveva giudicato tanto trasparente al punto di temere potesse divenire invisibile e dissolversi al vento. Bhe, dopotutto non si stava disfacendo proprio ora tra le sue stesse mani?
Così trasparente e sottile che non esiste, pensò.
Jonghyun aveva l’impressione che il pavimento avesse perso consistenza sotto i suoi piedi. Stava galleggiando nel nulla. Aveva creato un mondo intorno a lui, intorno a loro, solo per scoprire che nulla era reale.
Il più piccolo aveva gli occhi umidi, il viso pallido e le sue labbra tremavano appena.
-No –, rispose Kibum.
-Che cosa sei venuto a fare qui? –
-Lo sai, ci sono finito per caso. –
Kibum si mordicchiò il labbro inferiore mentre l’altro lo tratteneva con forza e lo fissava con durezza.
-Jinki è stato gentile-, iniziò Kibum, - mi ha permesso di restare.-
-Jinki? Lui lo sa?- domandò Jonghyun con espressione impassibile.
Kibum annuì. –Taemin lo sapeva dall’inizio e…Minho, lui l’ha saputo a Seungil e Jinki gli chiesto tenere nascosta la cosa. –
I muscoli sul viso di Jonghyun si contrassero in una smorfia. Evidentemente tutti sapeva tranne lui. Allontanò questo pensiero; al momento era il minore dei mali.
-Perché mi hai mentito?-
Jonghyun si chiese chi fosse, cosa fosse davvero Key, ma soprattutto cosa fosse stato lui per l’altro. Non riusciva e non voleva credere di non essere stato niente, eppure ai suoi occhi quella sembrava la risposta più sensata. Le carezze, i baci, l’amore…era stato tutto falso o c’era qualcosa di vero?
-Io non ti ho mentito. Tutto ciò che sai di me è vero, ho solo tenuto nascosto il mio nome. –
Jonghyun mollò la presa e nella stanza risuonò una risata metallica. Il più grande mosse dei passi indietro e si passò una mano tra i capelli, infine incrociò le braccia e spostò il peso da una gamba all’altra.
-Allora mettiamola così, Kibum -, disse sibilando il nome del più piccolo, -perché non mi hai detto la verità?
-Jinki ha detto che era più sicuro se…-
Jonghyun fremette di fronte a quelle parole che sembravano solo una vuota scusa. L’aveva trattato, l’avevano trattato, come un’idiota per mesi ed ora era stufo di essere preso in giro. Voleva la verità e la voleva tutta. Era umiliante. Umiliante essere stato preso in giro, umiliante essersi legato a qualcuno come Kibum. Come appariva ai suoi occhi, che cos’era davanti a lui, quanto doveva essergli sembrato troppo semplice, troppo ignorante, troppo nessuno?
-Smettila di prenderti gioco di me!- tuonò Jonghyun.
Kibum sobbalzò. Fece un passo indietro e guardò Jonghyun i cui occhi erano acciaio prossimo a fondersi.
-Avevo paura…- 
Si massaggiò una tempia. –Di cosa?-
Kibum non rispose, limitandosi semplicemente a torturarsi le mani. Come spiegare che era di lui che aveva paura, del suo odio per i Kim, così palese in quegli occhi di fuoco? Dopotutto non era l’ammissione di una mancanza di fiducia che non avrebbe dovuto esserci?
-Tu non sei fidato di me, non ti sei fidato di noi – fece Jonghyun.
-Jong…-
Kibum tornò ad avvicinarsi al più grande tentando di stringersi a lui, ma Jonghyun lo respinse con un gesto fulmino. Il principe abbracciò il vuoto.
-Ti ho donato il mio cuore e tu l’hai fatto a pezzi per poi gettarlo in un angolo. Che cosa sono stato per te, eh? Un passatempo, un gioco? –
Jonghyun iniziò ad avanzare, incalzandolo, e Kibum indietreggiò travolto dagli occhi furenti del più grande e da quel fiume di parole che ferivano entrambi.
-Una cotta passeggera, un amante da prendere gettare a tuo piacimento? C’è qualcosa di vero in te o sei solo una maschera che hai creato per gioco eh? Rispondimi! -
-I miei sentimenti per te sono sempre stati veri, credimi. –
Kibum scosse il capo e strizzò gli occhi cercando d’aggrapparsi al petto dell’altro, ma Jonghyun gli afferrò le mani staccandolo da sé in malo modo. Il principe barcollò all’indietro.
Come temeva tutto stava inevitabilmente crollando. Credeva, credevano, d’aver costruito qualcosa di solido ed intaccabile, ma strati di bugie, di cose non dette, avevano sedimentato sopra quella struttura intoccabile strati su strati e ora che l’acqua vi si stava infiltrando le murature crollavano. Gli stessi sogni che avevano dipinto sulle pareti di quel progetto maestoso si stavano sgretolando e marcendo.
Jonghyun lo guardò sprezzante misto ad un crescente stato di delusione.
–Crederti? Hai un gran coraggio. -
-Come puoi pensare che non abbia mai provato niente per te? –, rispose Kibum con voce rotta.
-Come? Io non so più niente! Mi hai riempito di bugie, non so chi tu sia e fino a poco fa non sapevo nemmeno il tuo nome.–
-Non è importante…-
-Cosa-, lo incalzò Jonghyun senza dargli il tempo di parlare, - il tuo nome o il fatto che tu mi abbia mentito? –
Kibum boccheggiò. Non sapeva cosa rispondere perché non sapeva cosa contasse di più per Jonghyun. Lo odiava ed era deluso per ciò che era o per le sue bugie? Non capiva, se era solo per le bugie perché non poteva arrabbiarsi e poi stringerlo semplicemente a sé dicendogli che presto sarebbero stati di nuovo insieme? I loro sentimenti non erano forse abbastanza forti per questo?
-Ti sei divertito alle mie spalle per mesi, non è così? –
-Ho sofferto ogni giorno all’idea di mentirti –
-Eppure non hai fatto nulla per rimediare! – tuonò il più grande.
Jonghyun incrociò le braccia e sogghignò. - Oppure è quello che hai tentato di fare la notte scorsa?-
-Smettila -, sibilò Kibum, questa volta rivolgendo all’altro uno sguardo iroso.
Non intendeva permettere al più grande di ridurre a brandelli tutto ciò che c’era stato e che, ne era sicuro, poteva esserci ancora. In quei mesi si era sentito libero e amato e Jonghyun stava trasformando tutto in qualcosa di squallido, dimentico o ignorando volontariamente le parole e le carezze che si erano scambiati. In tutto questo non riusciva a leggere quali fossero le reali intenzioni del più grande. Era la pura verità ciò che usciva dalle sue labbra o il tentativo disperato di lasciarlo andare di fronte a quel futuro incerto? Stava proteggendo sé stesso?
-Voi altri pensate sempre di ottenere tutto ciò che desiderate, non è vero? Prendete tutto ciò che volete e poi lo gettate a vostro piacimento! -, proseguì Jonghyun.
Quelle parole dure, quelle insinuazione di cui loro stessi a stento ne comprendevano il senso reale stavano facendo soffrire entrambi. Erano come le gocce di un veleno che aveva iniziato ad insinuarsi tra loro da molto tempo.
Kibum non desiderava separarsi così, ma parte di lui sentiva che solo in questo modo sarebbe stato in grado di volgere definitivamente lo sguardo a Soul. Forse era lo stesso per Jonghyun.
-Smettila! – urlò Kibum portandosi le mani alle orecchie.
Jonghyun lo ignorò e sorrise sghembo - Spero che tu ti sia divertito in questi mesi, sicuramente ti sei divertito la scorsa notte.–
Kibum si mosse di scatto, quasi senza riflettere, colpendo la guancia del più grande con il proprio palmo. Jonghyun abbassò il capo e si massaggiò la guancia arrossata, poi tornò a fissare il più piccolo rivolgendo un sorriso amaro a quel viso pallido e delicato, aspettandosi e desiderando di vedere la sua maschera crollare, ma nulla mutò.
Kibum fremette e strinse i pugni di fronte a quel sorriso volutamente provocatorio. Era stanco, ferito e a pezzi.
-Che cosa vuoi sentirti dire, Kim Jonghyun? – sbottò esasperato, gli occhi umidi ma decisi a non lasciar trapelare alcuna lacrima, - che per me non sei mai stato niente, che non mi è mai importato di te? Che sei stato solo uno svago? Ti sentiresti meglio se ti dicessi che è così?! E’ questo che vuoi?!-
Il principe dovette urlarle perché si ritrovò con il fiato corto e la gola secca.
Jonghyun era immobile, apparentemente impassibile, ma sotto quel viso granitico i muscoli si contraevano e fremevano, mentre i suoi occhi palpitavano come carboni ardenti.
-Vattene – disse tagliente.
Kibum non si mosse.
-Vattene! – ringhiò Jonghyun.
Kibum sobbalzò e sgranò gli occhi. Sotto gli occhi fiammeggianti del più grande abbandonò la stanza, lasciando dietro di sé solo il profumo delicato dei fiori di ciliegio. Quello di una primavera annunciata, ma mai arrivata o morta troppo in fretta.
 
 
 
***
 
 
-Me ne voglio andare –
Nonostante la frase fosse uscita come un oscuro mugugno dalle labbra di Kibum, Taemin non ebbe difficoltà ad interpretarla. Dopotutto era da quella mattina, quando il principe si era presentato davanti alla sua stanza tremante e con gli occhi arrossati, che non diceva altro.
Taemin gli circondò la schiena con un braccio, massaggiandogliela.
-Non fare così umma, mi rendi ancora più triste. -
Kibum rimase immobile rannicchiato su sé stesso con le ginocchia strette al petto ed il capo seppellito tra esse. Taemin valutò la non reazione dell’amico e si rabbuiò. Il principe si trovava in quello stato di totale apatia da ore e sedeva per terra sul pavimento della camera del più piccolo con  la schiena appoggiata al letto.
Taemin arricciò il labbro inferiore continuando a massaggiare protettivo la schiena di Kibum.
Solo ridotto ad uno stato pietoso Kim Kibum poteva decidere volontariamente di sedersi in mezzo a tutto quel caos indefinito.
Maledetto Kim Jonghyun, imprecò tra sé Taemin, è tutto colpa tua se la mia umma sta seduto in una fogna! Stupida scimmia, non può pensare di gongolare per un casco di banane e poi gettarlo via solo perché una è marcia!
Taemin agitò il pugno libero. Quanto gli sarebbe piaciuto prendere a pugni quella testa di rapa!
-Jinki aveva detto che aveva bisogno di qualche ora per organizzare tutto, vedrai che partiremo tra poco, ormai è passato un po'. –
Kibum emise un verso incomprensibile e Taemin lo interpretò come un assenso. I minuti successivi passarono in totale silenzio, finché non apparve Minho.
-E’ tutto pronto – esordì Minho.
Kibum alzò finalmente il capo e, come mosso da una forza invisibile, si alzò emettendo un sospiro, subito imitato da Taemin.
-Bene – disse il principe.
Kibum s’aggiustò gli abiti con dei semplici gesti e recuperò il mantello da viaggio abbandonato in un angolo.
Taemin corrugò la fronte. Il cambiamento repentino di Kibum era decisamente notevole, ma lui sapeva bene che la sua umma stava solo cercando di essere forte.
E’ tutta colpa di Kim Jonghyun! Si lamentò tra sé trattenendo a stento uno sbuffo all’indirizzo dell’assente scimmia cappuccina.
Minho s’avvicinò a Kibum mettendogli le mani sulle spalle. Minho si aspettava tutto questo, lo temeva da tempo ormai e, davvero, aveva sperato finisse diversamente. Non gli era piaciuto mentire al suo migliore amico, ma allo stesso tempo l’idea di mettere a repentaglio la sicurezza di Kibum e tradire la sua fiducia e quella di Jinki non l’aveva mai sfiorato. Era un disastro annunciato e lo sapevano tutti.
-Andrà bene -, disse.
Kibum sorrise e scosse il capo. –No. Avrei dovuto dirgli la verità o respingerlo fin dall’inizio, invece non sono riuscito a resistere. Perché è così difficile?-
Minho gli strinse più forte le spalle e lesse negli occhi umidi del principe tutto ciò che l’aveva tormentato in quei mesi.
-A volte è più difficile dire ciò che proviamo proprio alle petsone che amiamo di più. –
Per un attimo gli occhi di Minho deviarono in direzioni di Taemin, fu solo la frazione di un secondo ma al più piccolo dei fratelli Lee non sfuggì quello sguardo triste e serio che sembrava parlare più a lui che a Kibum. Taemin si chiese cosa significasse, poi scosse la chioma biondiccia.
Minho tornò a rivolgere la propria attenzione a Kibum. –Lui ti ama, vedrai che capirà. –
-Lui è tutto per me. –
-Lui non ti merita – sbottò Taemin. –Stupida scimmia…-
 
 
 
***
 
 
 
 
Jonghyun era sdraiato sul letto, le gambe ed un braccio distesi ed un avambraccio a coprigli metà viso. Da quando il più piccolo aveva abbandonato la stanza era scivolato sul letto ancora sfatto e d’allora non si era mosso. I profumi che aleggiavano all’intorno e che ancora impregnavano i cuscini erano troppo intensi, al punto di fargli credere che Key, anzi Kibum, si trovasse ancora lì. Ma non era così. Non era lì, non avrebbe mai dovuto esserci e presto avrebbe lasciato quel luogo per tornare a Soul.
Forse se n’è già andato, rifletté.
Jonghyun desiderava alzarsi, scaraventare a terra tutto ciò che avrebbe incontrato sul suo cammino, prendere a pugni e a calci i muri e urlare, ma non aveva la forza mentale per farlo. Poteva solo rimanere immobile nella speranza di sprofondare nel vuoto assoluto, dopotutto il vuoto non si stava già aprendo un varco intorno a lui come un grosso buco nero? Prima o poi l’avrebbe raggiunto inghiottendolo e tramutandolo in niente.
Gli sembrava di essere caduto tra i gelidi flutti dell’Han e sballottato tra le rapide, finché non era stato trasportato alla deriva. Si sentiva frastornato al punto da non essere in grado di formulare alcun pensiero di senso compiuto, né mettere davanti a sé poche e semplici idee in grado di portarlo, anche in un secondo momento, a ragionare. Era totalmente perso in un mondo che stava sbiadendo.
In quelle ore aveva cercato d’imporsi di odiare il più piccolo, ma ogni tentativo si era rivelato confuso e inconsistente. Più la sua mente cercava di odiarlo, più il suo cuore soffriva.
Si portò la mano al petto stringendosi la camicia.
Forse mi sto solo svegliando da un sogno che poi è mutato in un incubo spaventoso e quando aprirò gli occhi sarà ancora estate, pensò.
Quei mesi non erano mai esistiti e quindi non potevano svanire come fiori delicati trasportati dal vento. Ma sogno o meno aveva messo radici troppo profonde, crescendo splendido e solitario. Riuscire a vivere ignorandolo sarebbe stato come respirare la primavera e non percepirne il profumo.
Forse per un attimo l’aveva odiato, quel semplice nome aveva risvegliato in lui i suoi istinti peggiori, ma non era stato che è un momento. Un lampo che s’accende nella notte per poi svanire. Gli era bastato guardare il viso provato dell’altro per capire che tutto ciò che aveva creduto, nel bene e nel male, non era che cenere tra le sue mani. Sul viso del principe si era aspettato di trovare i tratti di un ragazzo viziato, capriccioso, arrogante e pieno di sé, incurante di tutto e di tutti, ma non aveva visto nulla di tutto ciò. Davanti a lui Key rimaneva il fiore innocente che era sempre stato, pungente e delicato. Ma non aveva importanza. Jonghyun aveva capito che il loro tempo stava svanendo nel momento stesso in cui aveva udito il nome di Kibum e, ora, doveva trovare il coraggio di lasciarlo andare. Dopotutto non avevamo mai fatto parte dello stesso mondo ed era tempo che ognuno tornasse nel proprio. Era stato un sogno troppo reale, ma null’altro che un sogno.
Così si era imposto di trovare ciò che non c’era e allo stesso tempo aveva respinto il più piccolo con gesti e parole terribili. Credere che fosse tutto falso, forse, poteva rendere il distacco più facile.
Allo stesso tempo la rabbia e la delusione non l’avevano abbandonato, anche ora ribollivano in lui con prepotenza e il suo orgoglio si sentiva umiliato.
Jonghyun cercò d’ignorare il profumo dolce dell’altro tra i cuscini.
Quanto era stato profondo l’amore del più piccolo se non era stato in grado di rivelargli la sua vera identità? Era una maschera Key, così solida che nemmeno la verità lampante era riuscita ad estirpare, o era vero, reale come le coperte ancora impregnate di loro? Quanto poteva essere labile il confine tra una solida maschera e ciò che nascondeva?
Non mi ha detto la verità, pensò, non si è fidato di me.
Dei tocchi leggeri rimbombarono nella sua testa. Che cos’era? Forse era solo la sua immaginazione. Risuonarono ancora, poi si smorzarono sostituiti da passi circospetti sui tappeti.
Jonghyun represse un sorriso amaro. Conosceva quella camminata felina, non poteva che essere lui.
-Me ne sto andando. –
La voce di Kibum risuonò ferma, appena tradita da un leggero tremore.
Jonghyun non si mosse, rimase disteso sul letto con un braccio a coprirgli il viso.
Non aveva il coraggio di parlargli. Non si fidava né della sua rabbia, né del suo orgoglio ferito e, soprattutto, non era certo di riuscire a guardarlo ed avere la forza di staccarsi completamente da lui.
Passarono i secondi, i minuti, forse le ore, Jonghyun non ne aveva la più pallida idea, e tutto rimase avvolto nel silenzio.
Jonghyun sapeva che l’altro era ancora lì, giacché non aveva udito i suoi passi allontanarsi, e si chiese per quanto tempo fosse disposto a sostenere quel silenzio. Lo stesso, pensò amaro, che infondo c’era sempre stato tra noi.
-Avevo paura di perderti – disse Kibum ad un tratto, spezzando quel silenzio che pesava come un macigno.
–Mi hai perso comunque –, rispose Jonghyun senza muoversi o degnarlo di uno sguardo.
Quella semplice frase, che suonava come una sentenza terribile e definitiva, uscì dalla bocca carnosa del più grande senza che lui stesso se ne rendesse conto e risuonò alle sue orecchie distante e metallica.
Perderlo…
Jonghyun sogghignò amaro. Chi fosse davvero Key, infondo, non aveva alcuna importanza. In quelle poche ore aveva capito che Kibum non era suo, non lo era mai stato, né poteva esserlo. Credevano di far parte dello stesso universo, ma tra loro vi erano milioni di anni luce.
Fece scorrere lo sguardo sul corpo aggraziato del principe che solo poche ore prima aveva stretto tra le braccia respirando il suo profumo dolce e credendo, scioccamente, di portelo fare in eterno.
Strinse i pugni focalizzandosi sulla rabbia e sull’umiliazione che lo dilaniavano prima che un profondo senso di tristezza lo sopraffacesse.
Mosse un passò verso il più piccolo ma subito si fermò. Desiderava posare un’ultima volta un bacio leggero su quelle guance candide, su quelle labbra rosate e specchiarsi in quegli occhi felini e magnetici, ma doveva lasciarlo andare per continuare a vivere.
-Vattene, Kibum. Tornatene a Soul è quello il tuo posto, là e con il tuo promesso, è a lui che appartieni. -
 
 
 
 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto!
Se vorrete lasciarmi un commento vi ricordo che sono sempre graditi^^
 
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Alla prossima!
 
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[1] Strumento tradizionale. 

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Capitolo 31
*** Capitolo 30. An Encore ***


Ciao a tutti! Come potete vedere sono ancora viva, mi dispiace molto per l’immenso ritardo nel pubblicare questo capitolo. Purtroppo le ultime settimane sono state abbastanza incasinate e le prossime non si prospettano tanto meglio, quindi non escludo la possibilità di riuscire ad aggiornare nuovamente solo a fine mese. In ogni caso vi consiglio di tenere controllata la pagina. Spero di non avere lasciato troppi errori di battitura nel testo visto che ultimamente, con tutte le cose che ho da fare, sono abbastanza fusa.
Nonostante a inizio stesura abbia avuto dei dubbi sul taglio che avevo deciso di fare con lo scorso capitolo, proseguendo mi sono accorta che non potevo fare altrimenti perché questo capitolo è parecchio lungo. Tenere le due parti insieme era davvero impossibile.
Ringrazio chi ha inserito la storia tra le preferite, ricordate, seguite e ovviamente tutti i lettori. Un grazie particolare a chi mi ha lasciato i suoi commenti: Blugioiel, Chocolat95, DreamsCatcher, Ghira_, Gonzy_10, Jae_Hwa, KimJonghyun23, MagicaAli, Panda_murderess, Saranghae_JongKey e vanefreya.
Ringrazio anche chi mi ha mostrato il suo apprezzamento ed interesse per il mio lavoro tramite mp: K_POPforlife, horansfaith, Gonzy_10 e TheMazeRunner.
Grazie per il vostro sostegno ^^
Buona lettura!
 
 
 
 
Capitolo 30
An Encore
 

“Echoes of silence
(Locked inside)
My dried up lips
(Filled inside)
As much as the story was long
Our hello felt empty  (…)

I’m still dreaming
After the darkness goes away
You and I from the sunny days
Will replay itself”

Shinee, An Encore
 
 
Il cielo riluceva di un fastidioso grigiore traslucido e l’aria sapeva di pioggia imminente, erba e fiori in boccio. Il canto degli uccelli risuonava tra i rami rinvigoriti dai primi teneri germogli in attesa di essere bagnati dalla pioggia primaverile ed i grilli frinivano sui dolci declivi delle colline. Ma tutto questo aveva poca importanza. Che il cielo fosse turchese e terso e gli uccelli inneggiassero alla primavera, Kibum camminava come in una bolla senza tempo e spazio. Forse non stava nemmeno camminando, ma fluttuava o procedeva per inerzia mettendo un piede davanti all’altro. Erano passate poche ore dall’ultima volta che le braccia di Jonghyun l’avevano stretto a sé e, ancora meno, da quando l’aveva allontanato con parole dure e brucianti, tuttavia gli sembrava passata una vita. Era come un altro mondo e tra il prima e l’ora vi era un solco invalicabile.
Kibum rallentò il passo e sospirò, mentre gli altri, Jinki, Taemin e Minho, procedevano davanti a lui.
Sentiva su di sé la sensazione della perdita di quell’ultimo abbraccio che non c’era stato e di quel bacio morto sul nascere che Jonghyun stava per posare sulle sua labbra, prima che gli rivolgesse le sue ultime parole.
E’ a Soul il tuo posto, è al tuo promesso che appartieni.
Una frase che era risuonata e risuonava tutt’ora alle sue orecchie come con una sentenza ed una verità ineluttabile, quanto meno per le labbra che le avevano pronunciate.
Il mio posto è con te, pensò stringendosi una mano al petto.
Forse era stato un sogno. Aveva dormito troppo a lungo e troppo profondamente e, ora, non riusciva a distinguere sogno e realtà. Forse stava ancora dormendo e nulla di ciò che era accaduto in quei mesi corrispondeva al vero. La sua mente era lì, per quanto confusa e provata, ma il suo corpo riposava tra le coperte calde e pregiate del suo palazzo a Soul. Nulla era mai accaduto.
Si sfiorò le labbra con i polpastrelli pensando di nuovo a quel bacio mai arrivato. Quando avrebbe desiderato sfiorare le labbra dell’altro ancora una volta, anche solo per rammentarne il profumo e portarlo con sé prima che altri cogliessero le sue.
Temeva sarebbe finita in quel modo. Quanto era stato avido di felicità, di amore, per non vedere razionalmente dove tutto questo lo stava portando? Tutto ciò che erano e che potevano essere era stato inevitabilmente travolto dagli eventi. Di fronte a quell’abbraccio mancato, quella stretta che desiderava ma che allo stesso tempo sapeva di dover evitare affinché il suo coraggio non vacillasse, Kibum ebbe l’impressione che tutto fosse destinato a franare sin dall’inizio.
Kibum volse lo sguardo dietro di sé mentre il vento leggero gli scompigliava i capelli. Si stava lasciando indietro qualcosa che, ormai, aveva perso per sempre o poteva confidare nella speranza di stare di nuovo tra le sue braccia?
Il suo è stato un addio, rifletté amaro.
Si morse il labbro e strinse i pugni. Aveva sperato di lasciare il Rifugio, se non con la certezza, con la flebile consolazione di riunirsi a Jonghyun, ma ora non era più certo di niente. Forse era finita, forse non avrebbe mai dovuto iniziare.
-Kibum. –
Il principe volse il capo trovandosi di fronte Minho, mentre i fratelli Lee camminavano parecchi metri avanti a loro. Quanto era rimasto indietro?
-Va tutto bene? – domandò Minho.
Kibum annuì, ma sapeva che erano solo vuote frasi di circostanze per riempire un silenzio che diventava ogni passo più profondo.
Come può andare bene quando ho perso una parte di me?, si chiese.
Non vi era nulla di facile in ciò che stava per fare. Se da un lato lo scontro verbale con Jonghyun e l’addio fugace che il più grande aveva loro imposto gli aveva dato la forza di muovere i primi passi verso Haehwan, dall’altro lato l’idea di averlo perso lo spaventava ed insinuava in un lui un senso di rassegnazione.
-Sai, credo di aver capito. –
Kibum tornò a rivolgere lo sguardo a Minho rendendosi conto di essersi completamente scordato della sua presenza, nonostante gli avesse rivolto la parola poco prima. Con un certo disagio notò che l’altro lo guardava perplesso e che, senza che se ne fosse accorto, avevano ripreso lentamente a camminare mentre i Lee procedevano sempre avanti a loro con le orecchie fuori portata.
-Cosa? –, domandò sbattendo le palpebre tentando di ristabilire un contatto con la realtà.
-Taemin – rispose Minho in un sussurro e con una mal celata punta d’orgoglio.
-Oh –fece Kibum fissandosi le punte degli stivali.
Il principe si era totalmente dimenticato di quei due talmente era stato preso dalla sua relazione con Jonghyun.
E a rovinare tutto, gli suggerì una vocetta amara nella sua testa.
-La situazione tra te e Jonghyun e quanto è accaduto mi ha fatto riflettere molto…-
Minho si bloccò di colpo rendendosi conto che, nonostante il suo desiderio d’affrontare l’argomento con l’unica persona che era stata messa a parte dei suoi sentimenti, forse le sue osservazioni erano fuori luogo.
-Forse non è il momento -, tagliò corto.
Kibum scosse il capo e sorrise, invitando l’altro a proseguire con un lieve cenno del capo.
-Bhe -, proseguì Minho scrollandosi di dosso il disagio, - non mi sono mai interrogato sui suoi veri sentimenti, mi sono sempre preoccupato di Jinki. Forse gli devo parlare, a Taemin intendo. –
-Credo dovresti farlo. –
Kibum si stropicciò le mani, poi alzò gli occhi sull’altro. – Digli quello che provi, Minho, digli tutta la verità. Non so quali siano i suoi sentimenti, ma tiene molto a te. –
Sospirò. – Non lasciarti scappare la possibilità di essere felice. –
La sua voce si ruppe all’improvviso terminando la frase in un singulto, appena smorzato da un mordicchiarsi di labbra nervoso.
-Jonghyun ti ama – disse Minho, serio.
Il principe sorrise amaro. –Non lo so, non so più niente. –
-Adesso è arrabbiato, lo sapevamo che sarebbe stato così, ma poi…-
-Minho, per favore, non darmi false speranza. Mi sto già torturando da solo. Forse la rabbia passerà, ma io l’ho ferito molto più profondamente di quanto potessi immaginare. L’ho umiliato e deluso. Lui non mi vuole più. –
-E’ ridicolo – sbottò Minho.
-Non lo è. Quali che siano i suoi sentimenti, o i miei, non importa. Ha scelto lui per noi, hanno scelte le mie bugie. Non sono uno stupido, lui non vuole qualcuno che è stato capace di ferire il suo orgoglio, né un principe. –
Minho scosse il capo e sbuffò. Il ragionamento di Kibum non faceva una grinza, eppure non riusciva a credere né ad accettare che tra suoi amici fosse davvero finita. Per di più così. Come poteva quando il loro amore si era sempre specchiato l’uno negli occhi dell’altro, anche quando loro stessi non erano consapevoli dei propri sentimenti?
Stupido Jonghyun, pensò. Sei davvero così arrabbiato ed orgoglioso da non vedere quanto ti ama e da rivolgergli un addio inconsistente e vuoto?
Minho si guardò attorno. Non riusciva a credere che Jonghyun si fosse rifiutato di accompagnare Kibum. Nulla di ciò che era accaduto in quelle poche ore aveva senso ai suoi occhi. La stessa aria che si respirava all’intorno era sbagliata. Conosceva Jonghyun molto bene e poteva bene immaginare quanto l’orgoglio del più grande si sentisse tradito da Key, ma conosceva anche i suoi sentimenti e aveva la certezza che Jonghyun si sarebbe pentito di tutto questo.
Lui e la sua dannata zucca vuota, imprecò tra sé Minho. Vuoi davvero perderlo così?
Che cosa passava nella testa del più grande?
O forse, rifletté, stai solo cercando un modo per lasciarlo andare?
Quali che fossero i motivi ad aver mosso le parole ed i gesti del suo migliore amico nelle ultime ore, Minho riteneva fosse un’idiota ed aveva la netta sensazione che a muoverlo non fosse stata solo la rabbia, ma qualcosa di molto più sottile e pericoloso.
Paura, pensò.
-Avrei voluto dirgli tante cose, come quella sera tra la neve -, sospirò Kibum parlando più a sé stesso.
Per un attimo un sorriso ed un timido rossore balenarono sul viso del principe mentre rammentava la notte del capodanno lunare, quando era stato sul punto di rivelare la verità a Jonghyun. Quella notte era il momento perfetto, così immacolata nel suo biancore, nelle sue luci e in quella bolla di calore che era solo loro.  L’aveva sempre saputo, eppure come un codardo l’aveva gettata via.
Se potessi ripartirei da lì, pensò.
- Invece non sono riuscito a dirgli niente. Solo parole vuote e scontate gettate a caso. Avrei dovuto partire dalle parole sincere di quella notte, avrei dovuto dirgli che l’amavo, di odiarmi per le mie bugie ma di non dubitare mai di quello che provo per lui. Perché ogni volta che cerchiamo di esprimere ciò che proviamo più nell’intimo e ciò che ci spaventa perdiamo la capacità di parlare? Emettiamo solo suoni capaci di ferire, senza logica e senza sentimento. –
Kibum ricordava un’altra situazione simile, proprio dopo il loro primo bacio. Sorrise amaro riportando a galla quella scena fatta di frasi fredde e sguardi distaccati. Entrambi anche allora, seppur in modi diversi, avevano avuto paura. Paura di perdersi, paura di trovarsi…erano volate parole dure, ma poi era arrivata quella notte splendida sotto il cielo stellato della festa del raccolto…
Ma Kibum non si faceva illusioni. Non ci sarebbe stata nessuna notte stellata a riunirli, non questa volta. Prima si sarebbe arreso alla consapevolezza di averlo perso, meglio sarebbe stato. Ora, doveva solo concentrarsi sui suoi obiettivi e affrontare ciò che lo aspettava. Non doveva permettere che la tristezza lo distraesse.
Devo essere una bambola fredda e perfetta, si disse.
-Avresti dovuto dirgli che è un idiota considerate tutte le volte che ti ha dato del maiale. –
Quella di Minho voleva essere una battuta ma Kibum non reagì e capì che la mente dell’altro era persa altrove.
Fu Kibum a rompere il silenzio pochi secondi dopo. -Minho…-
Minho guardò il principe riconoscendo dei suoi occhi la stessa determinazione che aveva visto in lui quando aveva annunciato che sarebbe tornato a Soul. Minho capì che qualunque cosa stesse per uscire dalle labbra dell’altro sarebbe stato un ordine e non una semplice richiesta. Minho inarcò un sopracciglio.
-Stagli vicino. -
–Penserò io a lui. –
Avanzarono in silenzio aumentando il passo, infine raggiunsero gli altri e proseguirono la discesa delle colline camminando tra gli alberi lontani dal sentiero, dopotutto non potevano permettersi incontri non programmati. Potevano esserci dei soldati nei paraggi e Jinki era stato categorico sul fatto di agire in tutta segretezza.
Kibum si chiese da quanto tempo stessero camminando. Non era possibile fare valutazioni in base al cielo, dato che era interamente coperto da banchi di nubi sempre più grigie, ma il suo stomaco aveva iniziato a brontolare sonoramente e non mangiava dalla sera prima.
Meglio, pensò, sarò più credibile una volta ad Haehwan, pensò.
In ogni caso la residenza non doveva essere più così lontana.
Forse un’ora, valutò.
Un'aria fredda che profumava di pioggia rotolò tra agli alberi e Kibum alzò il capo. Probabilmente molto presto avrebbe iniziato a piovere.
Improvvisamente Jinki s'arresto ed alzò una mano, poi si voltò verso gli altri. Taemin si bloccò di colpo rischiando di scontrarsi con la schiena del fratello maggiore.
-Noi non possiamo proseguire oltre, la residenza è vicina, forse ancora una mezz’ora di cammino -, disse il Leader rivolto a Kibum.
Il principe annuì.
-Andrò da solo. -
Jinki sorrise e abbraccio il più piccolo. Kibum si strinse a lui come quel giorno sotto la pioggia di Seungil, ma se allora rivederlo era stato come intravedere un porto sicuro dopo essere stato sballottato dalla tempesta, ora quel porto lo stava lasciando senza sapere se vi avrebbe mai fatto ritorno.
-Grazie per quello che hai fatto per me. -
Jinki scosse il capo e gli passò una mano tra i capelli in un gesto tenero e confidenziale, come se salutasse un fratello più piccolo.
-Non devi farlo per forza – disse Jinki ad un tratto.
-Non devi sentirti in colpa per la mia scelta-, disse Kibum. -È mia, non tua. -
Jinki annuì e sospirò.
-Sei cresciuto in questi mesi. Quando sei arrivato eri poco più di un bambino spaventato che voleva solo fuggire. –
-Lo sono ancora – disse Kibum.
-No, ora sei un principe spaventato che ha il coraggio di combattere. -
Jinki fissò Kibum con orgoglio, consapevole sia della strada che l’altro aveva fatto sia di essere al contempo in parte l’artefice di quel cambiamento. Tuttavia, la preoccupazione per il destino del più piccolo non poteva che metterlo sulle spine. Non sarebbe stato facile. Come si sentiva responsabile di quel cambiamento, Jinki avvertiva anche il peso della responsabilità per quella decisione coraggiosa che Kibum aveva preso. Se gli fosse accaduto qualcosa non se lo sarebbe maia perdonato, né come Leader, né come fratello maggiore.
-Abbia cura di te, se qualcosa dovesse andare storto, se ti sentirai in pericolo, verremo a prenderti.-
-Non accadrà nulla di tutto ciò, andrà bene. Mi terrò in contatto. -
Taemin s’avvinghiò al braccio del principe. -Devi stare attento, umma.-
Come sarebbe stato ora la sua vita al Rifugio senza Kibum? Le giornate gli sarebbe risultate tremendamente vuote, non era più abituato alla sua assenza. Inoltre, come poteva stare tranquillo quando Kibum sarebbe stato costantemente in pericolo?
-So quello che devo fare -, rispose Kibum, la mente già distante e lo sguardo perso tra la boscaglia.
-È proprio questo che mi preoccupata. -
Taemin ripensò a quel giorno nel bosco, quando aveva assaltato la carrozza del lord di Busan. Ricordava bene quell’uomo e non gli piaceva per niente. Sapere la sua umma tra le mani di quel tizio lo spaventava, soprattutto perché questa volta non avrebbe potuto salvarlo e mandare a gambe all’aria quella faccia da schiaffi.
Kibum gli rivolse un sorriso rassicurante e l’abbraccio.
Il più piccolo sospirò quasi rassegnato tra le braccia della sua umma perché sapeva quanto era determinato e questo l’avrebbe portato indubbiamente a fare cose molto stupide.
Alla fine, Kibum guardò gli altri allontanarsi per fare ritorno al Rifugio, agitò un’ultima volta la mano nella loro direzione, subito ricambiato da Taemin, e rimase fermo finché non sparirono tra gli alberi.
Il principe si ritrovò solo tra la vegetazione. Sopra di lui le chiome degli alberi s’agitavano al vento e le foglie frusciavano riempiendo il silenzio. Tutti, aveva salutato tutti tranne Jonghyun. Appoggiò la schiena ad un tronco trattenendo un singulto. Si era imposto di non piangere e non l’avrebbe fatto. Possibile che quelle ultime parole forti, quell’addio insensato fosse tutto ciò che rimaneva di loro? Frasi sconnesse dalla quali trasparivano solo rabbia e paura?
E’ così che devo dirti addio? Senza sapere se credi o no alle parole orribili che mi hai detto?
Si passò la manica della camicia sugli occhi con veemenza, poi volse lo sguardo all’orizzonte dove già s’intravedeva il bianco luccichio di Haehwan.  Era tempo di tornare nel mondo reale.
 
 
 
***
 
 
Jonghyun si era rigirato nel letto per ore nella speranza di ragionare e non essere semplicemente preda della totale confusione e dei sentimenti contrastanti e troppo forti per essere gestiti. I motivi erano molteplici, uno diverso dall’altro, ma questo non mutava il risultato.
Lui non è per me.
Poi qualcuno aveva di nuovo bussato alla sua porta. Per un attimo aveva sperato fosse di nuovo lui, che la sua chioma corvina facesse capolino oltre la soglia per dirgli che era stato tutto uno scherzo di pessimo gusto, oppure che si era immaginato ogni cosa. Allora gli avrebbe donato quel bacio e quell’abbraccio che aveva negato ad entrambi.
Invece era entrato Minho e, subito, la rabbia si era impossessata con forza di Jonghyun. Il suo migliore amico gli aveva mentito per mesi, così come tutti gli altri, nonostante conoscesse molto bene i suoi sentimenti. Forse era stato costretto a mantenere il segreto, forse l’aveva fatto di sua spontanea volontà, Jonghyun non lo sapeva, ma la sua sola presenza lo infastidiva. Anche se si fosse sforzato con tute le sue forze respingere la rabbia che provava in quel momento era impossibile.
-Accompagneremo Kibum vicino alla residenza reale di Haehwan, vuoi…- aveva iniziato a dire Minho
-Non voglio –, aveva risposto freddo e repentino, sempre rannicchiato nel letto e dando la schiena al nuovo venuto.
-Perché vuoi gettare via tutto in questo modo?-
Non aveva risposto. Non c’era niente da gettare se non quello che non avrebbe mai dovuto esserci.
Lui non è per me, ripeté di nuovo quella fastidiosa e tetra vocina nella sua testa.
Meglio credere che non mi abbia mai amato.
-Sei un cretino. –
Minho aveva sbuffato sonoramente ed era uscito sbattendo la porta. Il colpo era rimbombato all’intorno per poi spegnersi, lasciando nuovamente Jonghyun in preda al silenzio assordante che faceva da cornice ai suoi pensieri confusi.
Tuttavia non sapeva perché, non sapeva come, ma Jonghyun si era ritrovato a correre tra la boscaglia nel disperato tentativo di raggiungerli. Forse erano partiti da ore e l’aveva perso per sempre, oppure era partito troppo presto ed era davanti a loro. Non solo sapeva. Questo come molte altre cose quel giorno non avevano senso. Non aveva nemmeno la più pallida idea di ciò che avrebbe fatto, ma non importava. Forse si sarebbe limitato a seguirli, a seguirlo, in silenzio per posare lo sguardo su di lui un’ultima volta. Forse l’avrebbe stretto a sé per dargli quell’abbraccio e quel bacio che bruciava sulla sua pelle e sulle sue labbra più di quanto avrebbero fatto se non glieli avesse dati. Forse aveva bisogno di quello per sancire definitivamente l’ultimo giro di quella spirale contorta in cui erano rimasti avvinghiati. Perché volente o nolente un'unica frase, in tutta quella confusione insensata, sembrava avere un senso: lui non è tuo e tu non sei suo.
La verità era che non avrebbero mia dovuto posare lo sguardo l’uno sull’altro perché qualunque cosa fosse nata sarebbe stata destinata a spezzarsi. Prima o poi quel momento sarebbe giunto. E come poteva lui, che non era mai stato niente, seguirlo a Soul? Era un mondo a cui non apparteneva.
Infine li aveva raggiunti e si era bloccato di colpo per poi seguirli in silenzio a debita distanza, accertandosi di rimanere ben nascosto tra gli alberi. Quando gli altri avevano salutato Kibum era rimasto fermo a guardare e s’era appiattito tra i tronchi fissando il più piccolo che non sembrava intenzionato a muovere un altro passo avanti.
Kibum si era accasciato contro un tronco, il corpo tremante e lo sguardo basso. Diverso dalla figura determinata e forte che aveva visto solo pochi minuti prima.
Aveva desiderato abbracciarlo ma era rimasto fermo, solo quando il principe aveva ripreso la propria marcia si era mosso con lui, ma sempre in ombra.
Ora, la pioggia aveva iniziato a scrosciare. Le nubi grigie e metalliche avevano infine rilasciato il loro pianto sulle colline e Jonghyun si calò il cappuccio sul capo. Guardò Kibum domandandosi perché non facesse altrettanto mentre la sua lucida chioma corvina s’infradiciava.
Si ammalerà, pensò.
La marcia proseguì, finché non giunsero al limite della boscaglia. Lì, Kibum si fermo di nuovo e Jonghyun con lui. Passarono minuti, forse ore. In realtà Jonghyun aveva perso il senso del tempo da quella mattina se non dalla notte precedente.
Poi Kibum si mosse, mise lentamente un piede oltre gli alberi, pronto a valicare un confine immaginario al di là del quale non avrebbe più potuto fare ritorno. Fu allora che Jonghyun si mosse, quasi inconsapevolmente, e si ritrovò con la mano stretta sul polso del più piccolo che nell’impeto del movimento era ruotato su sé stesso ritrovandosi di fronte il più grande.
Jonghyun deglutì di fronte allo sguardo liquido dell’altro. Era perplesso, Kibum, e faceva scorrere gli occhietti felini su di lui per sincerarsi della sua reale presenza, come se la stretta intorno al suo polso non fosse sufficiente. A Jonghyun girò la testa. Tutte le sensazioni che aveva provato al loro primo incontro si manifestarono prepotentemente, e guardando l’espressione confusa dell’altro capì che anche lui provava lo stesso. La stagione era diversa, lo scenario era differente, eppure tutto era immutato in quell’universo alternativo che era sempre stato solo loro. Poco importava che si fosse infranto.
-Jong…-
Kibum emise un debole miagolio e Jonghyun fu inghiottito dai suoi occhi magnetici.
Era stato un pazzo scellerato ad aver pensato anche solo per la frazione di un secondo, anche solo per proteggere sé stesso, che tutti i baci, tutte le carezze e le promesse erano state false. Non c’era mai stato niente di falso in Key. Nessuna maschera, nessuna ambiguità, solo un nome che poteva distruggere tutto perché li separava inesorabilmente anni luce.
Erano due pianeti che condividevano la stessa orbita, l’uno quella quell’altro e l’uno il satellite dell’altro, eppure appartenevano a due galassie diverse.
Il viso di Kibum era pallido e bagnato dalla pioggia, le labbra rosate esangui ed i suoi occhi sempre più confusi. Aspettava di sapere a cosa fosse dovuta la presenza del più grande, ma lo stesso Jonghyun non era in grado di fornire a sé stesso una risposta. Tutto ciò che riuscì a fare, che l’istinto gli suggerì di fare, fu liberare il polso della mano dell’altro per accarezzargli la guancia, mentre sprofondava sempre di più negli occhi scuri di Kibum.
Un pazzo. Ecco che cos’era. Lo vedeva ora come l’aveva visto poche ore prima, ignorandolo e volendolo ignorare. Gli bastava ripercorrere quegli ultimi mesi per avere la conferma, che non avrebbe mai dovuto vacillare, che lui era tutto per l’altro. Che quell’abbraccio disperato quella sera a Seungil, quando si erano ritrovati, era stato vero quanto il profumo dei ciliegi che si respirava nell’aria. Che quella prima notte insieme conservava per Kibum il valore inestimabile che gli aveva attribuito all’ora e che mai si sarebbe dato per il semplice bisogno del momento. Leggeva tutto questo e molto altro negli occhi del più piccolo che lo stesso Kibum, un tempo, aveva giudicato tanto vuoti, ma che lui aveva visto colmi di luci e sogni. E li vedeva ancora. Tremolanti sotto una patina lucida cristallizzata tra le ciglia scure di Kibum.
Jonghyun lo baciò.
Lo fece senza pensare, senza riflettere. Doveva prendere quell’ultimo bacio. Forse era sbagliato, o forse la cosa migliore che potesse fare. Non lo sapeva, non sapeva più niente. Qualunque decisione prendesse gli sembrava tanto perfetta quanto sbagliata, tanto sentita quanto vuota. Desiderava dare sfogo a tutti i suoi dubbi ma la confusione era tale che anche il semplice elencarli diventava complesso. Aveva perso il sentiero sicuro su cui camminava, troppi sassi e troppe erbacce l’avevano reso contorto, troppe domande e troppe toppe da mettere per aggiustare quella conversazione insensata.
Tuttavia lo baciò e lo fece intensamente come se fosse la prima volta. La sua mente, come le sue labbra che si muovevano su quelle dell’altro, lo riportarono al loro primo bacio tanto inaspettato quanto agognato da entrambi. E come all’ora la bocca del più piccolo si dischiuse timidamente per lui. Le labbra di Kibum avevano il sapore innocente di sempre, delicato e dolce, erano morbide e setose, ma giocavano dubbiose con le sue. Forse il più piccolo si stava domando se davvero era giusto scambiarsi quel bacio che per entrambi sapeva d’amore, d’incertezza, di rabbia, di lacrime non versate e di un addio che non sapevano esprimere a parole. Jonghyun non poteva rispondergli perché non aveva risposte sensate da fornirgli, come non ne aveva per sé stesso. Era ancora arrabbiato, ma lo amava e sapeva che anche Kibum provava ed aveva sempre provato lo stesso.
Alla fine si staccò con il fiato corto, prese il viso del più piccolo tra le mani e fece aderire le loro fronti. Kibum s’aggrappo alle sue spalle respirando piano, le labbra di nuovo rosate e del corpo scosso dalla pioggia che lo infradiciava.
-Prendi questo bacio e poi dimenticalo, è stato donato ad un sogno e rimarrà in quel mondo. -
Kibum tremò tra le sue braccia ed alzò gli occhi per incontrare i suoi, ottenendo la conferma che tra loro non poteva che esserci un addio.
-Tu non sei per me ed io non sono per te. Ora vai e non guardarti indietro -, disse Jonghyun.
Il più piccolo sciolse, lentamente, le dita sottili avvinghiate alla camicia di Jonghyun e una lacrima solitaria rigò il suo viso confondendosi con quelle del cielo.
 
 
***
 
 
Kibum non seppe come si ritrovò davanti ai cancelli di Haewan. Solo che un attimo primo era solo, confuso, pronto, o quasi, a concentrarsi unicamente su ciò che lo attendeva e a cercare di stabilire una linea d’azione, poi si era ritrovato di nuovo tra le braccia calde di Jonghyun ed aveva avuto la sensazione che fossero giunte a trarlo da un incubo. Ma non era stato così. Gli avevano solo donato quell’ultimo momento di dolcezza, quel bacio che sapeva di pesco, di amore, di rabbia, di vuoto e di un senso di abbandono che lo sfiorarsi delle loro labbra avevano tentato di colmare. Invano. Era stato un bacio dolceamaro che, Kibum l’aveva capito non appena le labbra di Jonghyun si erano posate morbide sulle sue, gli avrebbe arrecato per i giorni e le notti future tristezza e conforto. Jonghyun l’aveva guardato dritto negli occhi e Kibum aveva provato le medesime emozioni del loro primo incontro. Era ancora arrabbiato, Jonghyun, ancora ferito, ma l’amore era solo appena celato da quegli occhi che volevano risultare impassibili ma che, in realtà, lasciavano trasparire le pagliuzze ambrate che sempre li illuminavano quando leggeva negli occhi del più piccolo i suoi stessi sentimenti. Ma non era stato che un attimo, un alito di vento. Perché oltre all’amore Kibum aveva visto che non era più suo, non per Jonghyun almeno. La conferma era giunta dalle stesse labbra del più grande, le stesse che l’avevano baciato. Forse per l’ultima volta.
Dunque era un addio. Doveva crederci, rassegnarsi? Forse era la cosa migliore.
Kibum alzò gli occhi per incontrare la visione imponente ed elegante della residenza imperiale. I cancelli di Haehwan trafiggevano il cielo uggioso, appena stemperato dai raggi rosati e violetti del tramonto che facevano capolino tra le nubi, con i loro denti dorati. Per molte estati della sua infanzia quei cancelli avevano rappresentato l’ingresso in un mondo magico lontano dalla corte di Soul, erano stati come i raggi luminosi del sole estivo che lo stesso nome del palazzo evocava[1]. Ora, invece, erano come fauci luccicanti e ridenti pronte a inghiottirlo.
Il viso di Heechul balenò davanti a lui evocato dalle sue di ansie più recondite. 
Si strinse nelle spalle e tremò leggermente. Fu un tremito di paura al pensiero di ciò che lo attendeva una volta varcata quella soglia, ma anche il tentativo di scrollarsi di dosso il senso di tristezza, di vuoto ed abbandono che provava. Volse lo sguardo dietro di sé, alle colline, desiderando di veder apparire di nuovo il più grande. Ma era solo.
Sospirò. Sotto di lui si stava aprendo, si era aperto, un pozzo senza fondo. Doveva guardare davanti a sé o ne sarebbe stato inghiottito. Doveva ignorare la vasta gamma di sensazioni contrastanti che ora lo tormentavano e, soprattutto, doveva ignorare quel bacio e relegarlo in un angolo della sua mente e del suo cuore. Custodirlo come un gioiello prezioso senza che la sua luce lo stordisse.
O sarò come la farfalla che vola nella notte e si lascia attrarre dal fuoco, pensò.
Ma, dopotutto, non era già una farfalla pronta gettarsi di sua spontanea volontà tra le fiamme?
Sino a che punto l’avrebbero ghermito quei tentacoli infuocati? Sarebbe riuscito a conservare parte delle sue ali per spiccare di nuovo il volo o ne sarebbero state totalmente consumante?
Doveva entrare in quella bolla di sapone che la sua mente aveva già iniziato ed erigere per lui in vista di quel momento. Non poteva lasciarsi distrarre. Da niente.
Sono una bambola fredda e perfetta, ripeté nella sua mente come un mantra.
Trattenne l’impulso di sfiorarsi le labbra per cogliere quel bacio e nasconderlo da occhi indiscreti. Era solo suo.
Kibum abbassò gli occhi e si guardò i vestiti. Era fradicio e infangato a causa della pioggia e di tutte le volte che era scivolato tra il fango. Gli stivali erano totalmente incrostati, la camicia macchiata ed il mantello puntellato di schizzi. Probabilmente anche il suo viso era un disastro così come i suoi capelli. Alzò le mani. Anche quelle erano sporche di fango.
Fece spallucce. Non aveva importanza, anzi, questo contribuiva a rendere il tutto più credibile.
Per fortuna aveva smesso di piovere e, sotto le luci rosate del tramonto che a fatica s’aprivano un varco tra le nubi, si delineavano i colori tenui dell’arcobaleno.
S’avvicinò ai cancelli aperti e percorse il viale alberato che portava al portone d’ingresso della prima corte interna, dove arrivavano le carrozze.
I giardini erano perfetti ed ordinati come sempre, i fiori ed i roseti ingabbiati in splendide aiuole incorniciate da sottili balaustre ritorte bagnate d’oro. Al temine del viale principale fiancheggiato da ciliegi la residenza imperiale di Haehwan appariva in tutta la sua bianca eleganza marmorea. Degli uccellini fischiarono mentre Kibum faceva scorrere lo sguardo su quel luogo che, ora, gli sembrava tanto famigliare quanto estraneo. I ricordi positivi che aveva della sua infanzia si concentravano in quel luogo in cui aveva passato molteplici estati in compagnia della madre, l’imperatrice Myungsoo. Ironia della sorte, molte di quelle estati meravigliose le aveva passate lì anche in compagnia di Heechul e anche lui aveva contribuito a renderle tali.
Una volta era tutto diverso, pensò Kibum con rammarico.
Arrivato davanti al portone aperto procedette del tutto incurante dei soldati di guardia che subito lo bloccarono.
Kibum si sentì afferrare le braccia e scaraventare all’indietro. Barcollò, rimanendo in piedi per miracolo e rivolgendo uno sguardo disgustato alle pozzanghere che puntellavano il viale. Era già sufficientemente impresentabile senza fare il bagno lì dentro.
-Dove pensi di andare? -, fece un soldato accarezzando l’elsa della spada con fare minaccioso.
L’uomo indossavano la divisa rossa e oro dei soldati di Busan.
Kibum rivolse loro uno sguardo sprezzante.
Pure qui li ha portati, come se fosse casa sua!, pensò innervosito.
Kibum incrociò le braccia e spostò il peso da una gamba all’altra.
-Questa è casa mia –, soffiò.
Una delle guardie scoppiò a ridere. – Chi pensi di essere, il principe di Chosun? Sparisci. –
Kibum rimase immobile e si morse il labbro. Non aveva pensato all’eventualità di essere fermato. Era ridicolo, dopo tanto fuggire dai soldati di Busan e da Kyuhyun ora che si “consegnava liberamente” non volevano saperne di lui. Era davvero irritante. Certo, fradicio ed infangato non doveva essere un grande spettacolo, ma erano forse ciechi quegli zotici? Non avevano visto i corridoi del palazzo tappezzati di dipinti con il suo viso?
Sbuffò irritato. Se voleva entrare non aveva altra scelta che mostrare le unghie.
-Voglio parlare con lord Heechul, subito. –
L’altra guardia inarcò un sopracciglio e sogghignò.
-E perché mai dovrebbe parlare con te, sentiamo? –
Kibum prese un bel respiro, provando disgusto di fronte alle parole che si preparava a pronunciare ed imponendosi non di mordersi la lingua da solo.
-Sono il suo fidanzato -, disse tra i denti e stringendo i pugni.
Il soldato lo fissò stranito, sbarrò gli occhi e rise di nuovo, seguito a ruota dal suo compare.
– E io sono l’imperatrice Kim Myungsoo! –
-Yah! –
Kibum gli rifilò un calcio negli stinchi.
-Non osare pronunciare il nome di mia madre! -
L’altra guardia estrasse la spada, agitandola, e il soldato colpito lo guardò furioso per afferrargli il braccio con forza.  
-Sei pazzo o cosa, straccione? Giuro che ti ammazzo, piccolo piantagrane! –
-Non provare a toccarmi!-  gridò Kibum, divincolandosi.
Il viso della guardia divenne paonazzo e si contrasse in una smorfia omicida.
-Che cosa succede?-
I soldati si bloccarono ed il principe deglutì riconoscendo il timbro della voce del nuovo arrivato. Da oltre il portone apparve Kyuhyun.
La guardia personale del lord di Busan indossava la divisa rossa e oro, ma era molto più sfarzosa e simile ad un completo elegante rispetto a quella che indossavano i due soldati. Non fosse stato per la spada appesa al fianco e l’aria militare lo si sarebbe potuto scambiare per un nobile.
Kibum non avrebbe mai immaginato di essere così felice di vedere Kyuhyun. Per una volta la seconda testa della vipera gli tornava comoda.
E forse posso anche lavorarlo a mio piacimento, rifletté.
Dopotutto, se Kyuhyun aveva ancora la testa attaccata al collo dopo quanto accaduto a Seungil non doveva aver raccontato tutto nei minimi dettagli ad Heechul. E questo era indubbiamente un bel vantaggio per Kibum.
Il principe si umettò le labbra, stupendosi lui stesso di quanto fosse diventato calcolatore. D’altra parte era sempre stato furbo e quei mesi a stretto contatto con Jinki ora mostravano i propri frutti.
E poi ho un compito da portare a termine, se voglio avere successo devo usare tutto ciò che ho a disposizione.
Erano tutti pedine, lui compreso.
Dopotutto, ormai che cos’aveva da perdere?
Kyuhyun s’avvicinò e squadrò i presenti. Non appena riconobbe il principe sbarrò gli occhi.
-Voi? – fece quasi con una nota di panico.
Kibum sogghignò tra sé. Sì, di certo Kyhyun non era stato dettagliato nel raccontare gli ultimi avvenimenti ad Heechul e dall’espressione tra il sorpreso ed il preoccupato che animava il suo viso evidentemente temeva che Kibum spifferasse tutto. Per lui il ritorno del principe rappresentava la fine di una situazione decisamente noiosa ma anche una fonte d’ansia.
-Io.  Ordina a questi zotici di lasciarmi passare e levarmi le mani di dosso -, disse Kibum mostrando tutta la propria irritazione.
Se doveva recitare tanto valeva iniziare sin da subito. Dopotutto irritare il Kyuhyun era sempre stata una delle sue attività preferite.
Come volevasi dimostrare il cavaliere roteò gli occhi e trattene a sento uno sbuffò, infine ad un suo cenno del capo le guardie liberarono il principe.
Una volta libero, Kibum si rassetto gli abiti infangati ed alzò gli occhi con sguardo altezzoso e felino.
-Lui dov’è? –
-Colgo una nota d’apprensione, vostra grazia, o sbaglio? Ansioso di rivedere la vostra promessa metà? Vi assicuro che ha passato gli ultimi mesi e straziarsi per voi. -
Kibum soffiò ed incrociò le braccia. -Non osare permetterti insinuazioni o giuro che ti farò tagliare la lingua. Sei irritante-, disse scandendo l’ultima parola.
Kyuhyun sogghignò e condusse il principe all’interno del palazzo.
-Venite. –
Kibum non si soffermò ad osservare i corridoi, le sale e le scalinate che percorsero. Conosceva ogni centimetro di Haehwan ed era stato lui stesso, e sua madre prima, ad arredarlo con gusto elegante e raffinato. Poteva indicare con precisione la collocazione ogni preziosa ceramica di Ming rigorosamente decorata a monocromo blu su sfondo bianco, ogni mobile intarsiato in madreperla ed ogni vetrata drappeggiata da seta blu dalle rifiniture in filigrana d’argento. Così come conosceva il numero delle statue di marmo, degli alti candelabri ritorti ed i soggetti dei quadri appesi alle pareti che alternavano vedute paesaggistiche a ritratti di famiglia. Ma Kibum non osservò nulla di tutto ciò. Haehwan poteva rivelarsi un pericoloso ricettacolo di ricordi che non sapeva dove avrebbero potuto condurlo. Non alzò nemmeno lo sguardo ad ammirare il dipinto che più prediligeva: sua madre nel fiore degli anni e vestita di seta che teneva amorevolmente sulle ginocchia un Kibum ancora bambino. Nello stato attuale quel ricordo risultava troppo dolce e troppo triste per essere rimirato in tutta tranquillità. Il solo percorrere quei corridoi, limitandosi a tenere gli occhi fissi sul pavimento in alabastro, bastava a far riecheggiare nella sua mente la voce di lei insieme alle risate di due bambini del tutto ignari di ciò che il futuro avrebbe riservato loro e di come il mondo avrebbe inevitabilmente cambiato il loro rapporto. All’epoca, nessuno poteva immaginare che tutto fosse irrimediabilmente destinato a spezzarsi.
Solo quando giunsero innanzi ad una porta in legno chiaro dalle rifiniture dorate si fermarono e Kibum alzò lo sguardo. Heechul doveva essere oltre quella soglia.
Kyuhyun si bloccò di colpo, strinse i pugni e si morse nervosamente l’interno di una guancia.
-Devo chiedervi una cosa -, esordì.
Kibum sorrise tra sé, ben immaginando quale fosse la richiesta del cavaliere.
-Vi sarei grato se non racconterete a lord Heechul quanto accaduto nel nostro precedente incontro.-
Proprio ciò che Kibum si aspettava.
-Colgo una nota d’apprensione, temi forse che la tua testa possa rotolare giù dal tuo collo? Oh povero Kyuhyun, deve essere stressante vivere in questo modo. –
Kyuhyun trattenne uno sbuffò cogliendo al volo le parole volutamente derisorie del principe.
Kibum si finse pensoso, tamburellando l’indice sulle labbra a cuore. -Forse possiamo scendere a compromessi. –
Kyuhyun arricciò le labbra. A compromessi con sua grazia? Il solo pensiero lo metteva in guardia. Soppesò gli occhietti felini ed astuti del principe, valutando i possibili scenari che s’aprivano davanti a lui. Era decisamente una lama a doppio taglio, ma non aveva molta scelta.
-Cosa volete che faccia? – domandò titubante.
-Quanta fretta -, osservò Kibum, - non temere, sono certo che al momento opportuno mi farò venire in mente qualcosa. -
Kyuhyun grugnì.
Kibum si concesse una risatina, poi tornò a fissare la porta davanti a lui. Non aveva idea di cosa sarebbe accaduto una volta varcata quella soglia, l’unica cosa certa era che doveva essere pronto a recitare la sua parte e sperare di essere convincente.
Una bambola, pensò, devo essere una bambola fredda e perfetta.
Prese un bel respirò e fece segno a Kyuhyun di bussare. I colpi si fusero con i battiti del suo cuore.
 
 
 
***
 
 
 
Semi sdraiato sul divano foderato di velluto blu e dalle zampe leonine laccate d’oro, Heechul si concesse un sospiro rilassato e allungò le gambe, poi posò comodamente un avambraccio sul cuscino di seta.
Era assurdo e, forse, anche sciocco ed irresponsabile da parte sua, ma da quando era giunta la notizia della morte dell’imperatore Heechul si sentiva euforico oltre ogni dire. Era rilassato ed appagato, come se avesse raggiunto ogni suo obiettivo. Ma non era così. Mancava ancora un piccolo tassello a rendere tutto perfetto. Kibum. Tuttavia aveva la sensazione di potersi concedere un attimo di tranquillità perché più passava il tempo e più aveva l’impressione che molto presto sarebbe stato lo stesso principe a palesarsi di fronte a lui. E lui sarebbe stato pronto a consolarlo.
Heechul si umettò le labbra e fece scivolare lo sguardo assonnato sulla stanza. Il salottino da tè in cui stava comodamente oziando era un piccolo gioiello incrostato di marmo bianco e alabastro decorata da tappeti e tendaggi azzurri e blu e mobili eleganti dall’intelaiatura in legno dorato, un prezioso orologio dorato ticchettava su una mensola di marmo scandendo quel tempo sospeso. La luce rosata e violetta del tramonto piovoso filtrava dai sottili tendaggi che drappeggiavano l’alta finestra rettangolare che dava sul roseto del giardino sottostante.
Il lord allungò mollemente la mano drappeggiata da spumoso merletto ed inanellata da sottili cerchietti dorati adornati da piccoli rubini. Con un gesto calmo e distratto fece segno al suo giovane amante di porgergli la tazzina di fine porcellana risposta sul tavolino dalle zampe feline di fronte a lui. Subito le note prodotte dalle mani esperte del giovane sullo shimansen[2]  si smorzarono, perdendosi inevitabilmente nella luce soffusa del tramonto. Presa la tazza, Heechul sorseggiò il tè allo zenzero e arricciò il le labbra non appena incontrò il suo sapore pungente. Subito, il giovane gattonò sul tappeto e presa una zolletta di zucchero dalla zuccheriera d’argento la fece sprofondare nella tazza dal lord. La superficie dorata del tè tremolò inghiottendo la zolletta che sparì con un lieve “pluf”. Heechul bevve un sorso e, soddisfatto, si passò la lingua sulle labbra carnose. Ora aveva un sapore decisamente migliore.
Il suono dolce e acuto dello shimansen tornò a vibrare nell’aria sognante. Heechul sospirò e chiuse gli occhi.
Di norma preferiva concedersi una coppa di vino fresco e fruttato per rilassarsi, ma considerata l’euforia degli ultimi giorni aveva deciso di optare per il tè.
Ciò che provava era simile al sonnolento rilassamento dopo una scarica di adrenalina, ma non era ancora finita. Era solo una parentesi. Se i Ribelli si fossero dimostrati sufficientemente furbi da rendergli Kibum non poteva farsi trovare impreparato. Dopotutto, spaventato no, provato o meno da quei mesi di prigionia, non si faceva illusioni: Kibum sarebbe sempre stato Kibum. Astuto, irritabile, sempre pronto ad avere l’ultima parola e a rimbeccarlo con insulti taglienti quanto i suoi occhietti felini.
Heechul sorrise tra sé, poi rivolse un’occhiata al giovane ai suoi piedi. Quel giorno il suo amante indossava un corto hanbok maschile bianco dai ricami in argento, una visione eterea e innocente che presto sarebbe stata sostituita dall’originale. Almeno così Heechul sperava.
Stava per scivolare nel mondo dei sogni quando dei colpi risuonarono alla porta. Sbuffò. Aveva chiesto di non essere disturbato.
-Avanti. –
Dei passi riecheggiarono sulle lucide piastrelle di marmo per poi attutirsi quando incontrarono il tappeto.
Heechul emise un lamento e si massaggiò le tempie.
-Kyuhyun – disse scocciato.
Non poteva che essere quell’irritante cavaliere.
-Credevo di averti detto che non desideravo essere disturbato. -
-Chul -
La mente di Heechul si risvegliò di colpo, destata da quel semplice nomignolo che non udiva da anni, tanto meno pronunciato con quel tono lamentoso e tremolante d’affetto. Haehwan era così piena di ricordi che, forse, lo stato di dormiveglia gli stava giocando brutti scherzi. Forse era solo l’eco del ricordo lontano di due bambini che giocavano tra quei corridoi, dell’ennesimo ginocchio sbucciato o di una notte di temporale troppo violenta.
Heechul si alzò di scatto e con sguardo sorpreso incontrò sulla soglia una figura ben conosciuta che non vedeva da mesi, ma che tanto aveva sperato di rivedere. L’aveva inseguito nella sua mente e nei suoi sogni per tormentarlo e, allo stesso tempo, essere fonte di piacere.
-Kibummie – disse in un soffio.
Il principe mosse dei passi timidi ed indecisi sui tappeti e quando fu davanti a lui, Heechul lo soppesò attentamente. Era fradicio, Kibum, i capelli bagnati gli ricadevano scomposti sulla fronte, ma brillavano come sempre nel loro lucido nero corvino, il suo viso era macchiato di fango così come i suoi abiti; gli stivali ne erano totalmente incrostati ed avevano sparso impronte sul tappeto, così come l’orlo del suo mantello gocciolava pioggia e fango. Sotto quegli stracci macchiati e bagnati Kibum tremava leggermente, infreddolito, e le sue labbra a cuore che Heechul ricordavano così rosate erano leggermente esangui, ma i suoi occhi erano inconfondibili. Heechul avrebbe riconosciuto tra mille quel taglio felino animato da un lampeggiare magnetico che da tempo aveva iniziato ad esercitare una forte attrazione su di lui.
Heechul si chiese se non stesse sognando. Dopotutto sino a pochi secondi prima era sdraiato sul divano, totalmente avviluppato dalle note dello shimansen e dalle luci rosate del tramonto e Kibum era, indubbiamente, un motivo ricorrente nel suo mondo dei sogni.
Heechul fissò la stanza ed il principe, spaesato, ma qualunque dubbio abbandonò la sua mente quando Kibum si strinse al suo petto. Non fu tanto il gesto in sé a convincerlo che non stesse sognando, al contrario, ma la consistenza materiale del corpo infreddolito e tremante di Kibum quando s’appoggiò al suo.
Heechul passò una mano tra la chioma corvina del più piccolo nel tentativo di fugare ogni dubbio. Poi sorrise tra sé inarcando un angolo della bocca carnosa. Fece scivolare le mani inanellate sulle spalle dell’altro stringendolo possessivo.
-Chul-, si lamentò di nuovo il principe singhiozzando sul suo petto.
Il lord di Busan trattenne a stento un sorriso di pura soddisfazione. Allentò la presa sulle spalle dell’altro e gli alzò il mento con l’indice.
-Il mio povero Bummie – sospirò.
Era proprio lui, spaventato come immaginava e desideroso di un conforto che solo lui poteva e doveva dargli.
Sorrise.
Sapevo che saresti tornato tra le mie braccia, pensò, non poteva che finire così.
Heechul era euforico. Ora, finalmente, dopo mesi d’incertezza e di una situazione precaria che si era fatta sempre più insostenibile, era tutto perfetto. Ora, poteva finalmente affermare di possedere tutto ciò che desiderava, o quasi. Aveva Soul, Chosun e dunque Kibum. La triade perfetta capace di coronare i suoi sogni.
Kibum tirò su col naso.
-E’ stato orribile – disse il principe. –Mi hanno tenuto rinchiuso per mesi. –
-Ma certo-, disse Heechul con accondiscendenza. –Devi essere stato terrorizzato. -
Kibum strinse le mani sulla giacca elegante di Heechul, macchiandola di fango. Il lord s’impose di trattenere una smorfia, non era il momento di perdersi in tali futilità.
-Se non fosse stato per te sarei ancora prigioniero di quei selvaggi -, piagnucolò il principe. – Ho sentito che hai pagato un riscatto. –
Quelle parole furono puro oro colto per le sue orecchie di Heechul. A lungo aveva atteso quel momento. Non solo Kibum si era gettato letteralmente tra le sue braccia, ma sembrava anche ben disposto nei suoi confronti. Certo non si faceva illusioni che buona parte di quell’atteggiamento fosse dettato dallo stato emotivo del momento, ma era comunque un inizio.
Devo essere pronto ad aspettarmi battute acide e occhiate taglienti già da domani, s’appuntò mentalmente.
Non dubitava, infatti, che dopo un sonno risanatore Kibum tornasse sé stesso. Ma poco importava, aveva sempre apprezzato il suo caratterino difficile, era come le spine di una splendida rosa che contribuivano a renderla ancora più rara ed ambita.
Heechul annuì. – L’ho fatto. Non potevo permettere che rimanessi tra le loro mani. –
Tu sei mio, pensò.
Kibum singhiozzò e il lord gli accarezzò il capo come si fa con un cucciolo scappato di casa e tornato con la coda tra le gambe.
-Sei…sporco. –
Osservò ad un tratto Heechul guardando con disappunto gli abiti di entrambi.
Kibum arricciò il naso.
-Ho camminato fino a qui tra fango e pioggia e ho passato mesi in un buco schifoso circondato da ignoranti plebei della peggior specie, ti aspettavi che arrivassi qui pulito e profumato?-
Hecchul rise. Come volevasi dimostrate il principe non aveva perso il suo proverbiale caratterino.
Meglio così, rifletté.
Dopotutto, Heechul adorava le sfide e Kibum era sempre stato la sua preferita.
-Chulll –, si lamentò Kibum pestando un piede per terra. -Dovresti consolarmi e prenderti cura di me, non fare osservazione sul mio pessimo stato. Voglio farmi un bagno, non mi piace essere sporco e non mi piace che me lo si faccia notare. E ho fame. Voglio del tè e dei dolci. -
Heechul inarcò le sopracciglia e sorrise soddisfatto di fronte allo svolgersi degli eventi. Negli ultimi tempi era davvero fortunato.
-Li avrai, mio dolce micetto. -
Sempre tenendo il mento del più piccolo gli sfiorò l’angolo della bocca con la punta del pollice, umettandosi le labbra. Gli occhi di Kibum risultavano acquosi sotto le luci del tramonto e, nonostante i suoi tratti delicati fossero perfettamente distinguibili, il suo viso era macchiato di fango. Una visione decisamente strana dato che Kibum aveva sempre fatto il possibile per mostrarsi impeccabile. Heechul non ricordava di averlo mai visto sporco di fango, nemmeno quando erano bambini e giocavano nei giardini di Haewan. Nonostante il momentaneo disgusto per quella stretta infangata e bagnaticcia, il più grande dovette ammettere a sé stesso che così il principe riusciva a fargli il consueto effetto. Heechul fece scivolare una mano dietro la schiena dell’altro premendo i loro corpi l’uno contro l’altro e Kibum abbassò il viso nascondendo così il leggero rossore che, ora, gli tingeva il viso.
-Il mio povero Bummie. Ora ti farò preparare un bagno caldo e profumato e quando avrai finito mangerai tutto ciò che desideri. –
 
 
***
 
Le stanze private del principe di Chosun erano avvolte dalla penombra, appena illuminate dalle candele che baluginavano sugli alti candelabri a più braccia, delineando appena il prezioso mobilio all’intorno. Il grande letto a baldacchino sembrava fluttuare ed imporsi nella stanza come l’unica presenza solida, il resto non erano che linee sottili dai profili metallici. Tutto era stato accuratamente preparato per il bagno e per uno spuntino notturno grazie ad un semplice gioco di paraventi che permettevano d’isolare ogni spazio a seconda delle sue funzioni. Oltre l’ampia vetrata drappeggiata da velluto blu imperversava un temporale e lo scrosciare della pioggia smorzava il silenzio irreale di quella notte.
Cullato dall'acqua calda della vasca da bagno, Kibum si strinse le gambe al petto ed appoggiò il mento sulle ginocchia che spuntavano dalla schiuma profumata. Osservò di sottecchi la schiuma tremolare e poi chiuse gli occhi e si morse l'angolo della bocca, lì proprio dove Heechul l'aveva sfiorato. Per un attimo quel semplice gesto aveva avuto il potere di riportarlo indietro di mesi, ma si era imposto freddezza. Non doveva e non poteva lasciarsi spezzare da una simile sciocchezza. Dopotutto non era che l’inizio.
Un tintinnare di ampolle di vetro giunse alle sue orecchie e corrugò la fronte, colto alla sprovvista, quando le mani piccole del giovane servo che si stava occupando del suo bagno iniziarono a massaggiarli il capo con olii profumati. Le dita del giovane affondarono tra la sua chioma con movimento metodici e rilassanti, tuttavia Kibum rimase rigido, le gambe sempre strette al petto.
Un pensiero fugace gli attraversò la mente portandolo a domandarsi chi fosse quel ragazzo; era certo che non fosse uno dei servi di Haewan.
Probabilmente l’ha portato qui da Busan, pensò.
Dopotutto l'aveva visto nella sala in compagnia di Heechul.
Emise un mugugno e poi scacciò dalla propria mente quelle riflessioni inutili.
Quando i suoi occhi avevano incontrato quelli di Heechul aveva percepito il solito senso di disagio e vulnerabilità. Tuttavia aveva dovuto ignorare tutto questo e, come mosso dall’istinto di sopravvivenza, aveva lasciato che la sua personale bolla di freddezza l’avvolgesse. Era assurdo eppure riconosceva di essersi sentito particolarmente calmo, come se la breve conversazione e contatto con il più grande non l’avesse sfiorato. Finché era stato in presenza di Heechul gli era sembrato di vivere e vedere ogni cosa da lontano.
Forse è questo il segreto, pensò.
Solo ora che si trovava solo, nella propria stanza, percepiva con forza un profondo senso d’inquietudine, quasi capace di fargli rimpiangere la presenza dell’altro.  
Per tutto il tempo di fronte ad Heechul non aveva avuto idea di come comportarsi. Si era limitato ad agire d’istinto facendo ciò che l’altro si aspettava e desiderava da lui, ma anche cercando di coglierlo alla sprovvista. Mostrare un’espressione sconvolta e spaventata, dopotutto, non era stato così difficile. Era scosso degli ultimi eventi, spaventato da quelli futuri, certi ed incerti, e lasciarlo trasparire era stato più che naturale, sentimenti che ben si addicevano a qualcuno che aveva passato gli ultimi mesi "segregato in buco schifoso". Abbracciare il più grande era stato decisamente meno semplice, ma dopo un attimo di smarrimento Kibum aveva valutato lo stato pietoso dei suoi abiti infangati e la possibilità di rovinare il completo lussuoso dell'altro fin tropo allettante. Sapeva che Heechul ne sarebbe stato disgustato. Certo aveva intenzione di recitare la sua parte, ma non per questo intendeva rendere ad Heechul la vita semplice.
Avrai la tua bambola perfetta, ma sarà anche capricciosa e viziata, pensò trattenendo un sorriso subito smorzato dalle immagini e dalle emozioni contrastanti delle ultime ore.
Come poteva essere accaduto tutto in così poco tempo? Erano passate ventiquattrore dall’ultima volta che aveva fatto l’amore con Jonghyun, eppure ora era tutto finito.
Sospirò.
Il giovane smise di massaggiargli il capo ed inizio accuratamente a sciacquarlo. Non appena ebbe finito, Kibum gli fece segnò di allontanarsi e, con un inchino, il giovane sparì oltre il prezioso paravento che nascondeva il bagno del principe da occhi indiscreti.
A Kibum non era mai piaciuto avere troppa gente intorno, nemmeno i servi.
Uscì dall'acqua, si asciugò ed iniziò a vestirsi, nel mentre qualcuno bussò e la porta s'aprì. Solo una persona poteva permettersi ed avere l’ardire di bussare senza attendere il permesso di entrare.
-Spero che tu sia rilassato -, esordi Heechul facendo il suo ingresso.
Kibum si morse il labbro inferiore, bloccandosi di colpo con gli abiti in mano. Guardò il paravento per valutare se fosse sufficientemente spesso da impedire all'altro di sbirciare la sua figura, ma nonostante la pesantezza del materiale Kibum si sentì gli occhi dell’altro addosso. Inizio a vestirsi velocemente.
-Bummie?-
Il tono di Heechul risuonò carico d’aspettativa, ma anche scocciato per non aver ottenuto immediata risposta.
-Il bagno mi ha fatto bene-, s’affrettò a dire Kibum.
I passi del più grande risuonarono lievi sui tappeti e Kibum s'infilo in fretta e furia una camicia di cotone e dei pantaloni lunghi sino al polpaccio, prese un asciugamano ed iniziò a frizionarsi i capelli mentre scivolava oltre il paravento, trovandosi così a pochi metri dall’altro.
Heechul lo studiò attentamente, infastidito da quegli ultimi movimenti repentini che il suo udito aveva ben colto, tuttavia si rilassò non appena incontrò la figura elegante dell’altro. Coperto da quegli abiti bianchi e sottili, Kibum appariva quale una figura eterea fluttuante nella penombra della stanza ed Heechul non poté fare a meno di concedersi un sorriso. Lanciò uno sguardo fugace al giovane servo che aveva giudicato tanto simile al principe ma che ora, di fronte a Kibum, appariva irrimediabilmente sciatto e sgraziato. I suoi muscoli si contrassero in un’espressione disgustata.
Devo essere stato cieco o disperato, pensò Heechul.
La semplice vista del giovane lo infastidì e gli fece segno di uscire dalla stanza. Non appena lui e Kibum rimasero soli tornò a volgere la propria attenzione al più piccolo.
Kibum si finse indifferente e lanciandogli delle occhiate di sottecchi continuò a frizionarsi la chioma corvina. Non aveva un’idea precisa di ciò che passava per la mente di Heechul, ma la semplice idea di essere rimasto solo con lui lo fece fremere. Gli sembrava di essere come uno di quei piccoli volatili colorati racchiusi in una gabbia dorata per il semplice diletto altrui, perché era così che l’altro, ormai, lo guardava da tempo.
Alzò gli occhi su Heechul, meno intimorito e più curioso di capire cosa davvero si celasse oltre quegli occhi che sembravano bruciare. Un tempo erano stati diversi e Kibum rammentava molto bene che non l’avevano sempre guardato in quel modo.
Heechul gli sfilò la salvietta e passò una mano tra i suoi capelli che subito s'asciugarono. Kibum si umettò le labbra quando un leggero tepore lo avvolse, prima che un brivido gli percorse la spina dorsale. Heechul era troppo vicino.
-Sei hai freddo devi solo chiedere-, disse il più grande sfiorandogli il viso.
-Ora non ho freddo -, rispose Kibum con una punta di stizza nella voce. Scivolò di lato rivolgendo al più grande uno sguardo distratto.
-Ho fame.-
Prese posto sul divanetto di fronte al tavolo che era stato adibito per il suo spuntino e fece scorrere lo sguardo sui vassoi colmi di dolci, rendendosi conto di essere davvero affamato. Il suo stomaco brontolò. Quanto tempo era passato dall’ultima volta che aveva toccato cibo? Gli sembrava un’eternità. Bhe, non avrebbe dovuto fingere di essere affamato.
Il suo stomaco brontolò di nuovo ed Heechul rise prendendo posto sulla poltrona di fronte a lui.
Kibum sbuffò ed arricciò il naso, rivolse un’occhiata sottile all’altro e poi prese una fetta di torta. Era buona, soffice, dolce...senza che se ne rendesse conto si era già avventato sulla seconda fetta, sui biscotti, intervallando ogni boccone con sorsi di tè caldo e del tutto ignaro dalle occhiate di disapprovazione, ma anche divertite, che l’altro gli stava rivolgendo.
Heechul accavallò le gambe e posò il meno sul dorso di una mano, il gomito puntellato sul ginocchio. Valutò attentamente l’atteggiamento del più piccolo, indeciso se rimproverarlo per quei modi poco consoni al suo rango o limitarsi a godersi la scena. Dopotutto era solo una momentanea fame insaziabile, Kibum non poteva di certo essersi inselvatichito sino a quel punto, no?
Fosse così ci sarà più lavoro da fare del previsto, valutò tra sé.
-Devono averti affamato, non è vero? – disse.
-Non mangio da più di un giorno -, fece Kibum addentando un altro biscotto. -Non ho mai avuto così fame in vita mia.-
Heechul sorrise e si versò del tè. Sorseggiò lentamente studiando Kibum. Non lo vedeva da mesi e a lungo aveva agognato quel momento, tuttavia gli sembrava che il tempo si fosse fermato a quell’ultima sera a Soul, per poi essere ripreso a scorrere da lì.
Mentre prendeva un’altra fetta di torta, Kibum sbirciò il più grande valutando come comportarsi e tentando di anticipare le sue mosse. Doveva rendere i suoi mesi di prigionia credibili, su questo non vi erano dubbi. Certo non poteva raccontare assurdità, ma quanto meno rendere palese il proprio disgusto per i Ribelli. Fu lo stesso Heechul ad offrigli l’appiglio per procedere in quel senso.
-Spero che a parte affamarti non ti abbiano fatto del male. –
Kibum alzò occhi sul più grande e ripose la tazza di tè che stava sorseggiando. Corrugò appena la fronte passando in rassegna il significato di quella domanda. Non era certamente così sciocco da credere che l’apprensione dell’altro fosse sincera e sentita. Certo, forse dal punto di vista di Heechul lo era, ma Kibum sapeva bene che dietro a quell’interesse nei suoi confronti si celava interessi molto più personali. Non era incondizionata.
-No -, disse, -non sono così sciocchi, sapevano quando fossi prezioso. Sono l’erede al trono, dopotutto. –
La frase uscì dalle sue labbra altezzosa e composta, regalandogli un sorriso d’approvazione da parte di Heechul.
-Naturalmente. –
Naturalmente anche Heechul lo sapeva molto meno. Il lord i Busan si accarezzò il mento.
-Hanno passato mesi a domandarsi come usarmi -, proseguì Kibum. -Bhe non hanno concluso molto. Quando poi è arrivato il riscatto hanno iniziato a litigare tra loro, li ho sentiti, non sapevano se accettare. Ma sono avidi. Si riempiono la bocca di giustizia, ma sono solo dei banditi e nulla di più. -
Heechul annuì, pensoso. - Hai scoperto qualcosa su di loro, il loro nascondiglio…-
I muscoli del viso di Kibum furono sul punto di contrarsi in un’espressione furente, ma s’impose di tenere a freno le proprie emozioni. Solo la mano che stringeva con forza sul manico della tazzina tradì i suoi reali sentimenti. Kibum sapeva bene cosa si celava oltre quella domanda apparentemente fatta nell’unico interesse di riscattare il principe stesso.
Jonghyun, rifletté Kibum tra sé, è lui che sta cercando. Ma io non ti permetterò di fargli del male.
Con il trono di Chosun a portata di mano e Kibum ad Haehawn nulla poteva arrestare l’ascesa di Heechul. Probabilmente, nella mente del più grande la semplice esistenza del fratellastro rappresentava l’unica nota dolente. Il neo fastidioso del quale desiderava sbarazzarsi per evitare di correre rischi.
Kibum strinse non forza il manico della tazzina che tremolò. La ripose.
-Sono molto più organizzati di ciò che si dice ufficialmente, ma meno di quanto si sostiene nei salotti privati. –
Si stropicciò le mani fingendo disagio.
-Non ho mai avuto un’idea precisa su dove mi trovassi. Ho visto solo il buco orrendo in cui mi hanno tenuto per mesi. -
Il naso di Kibum s’arricciò con disappunto mentre terminava la frase con vocetta acuta.
-Vuoi fare qualcosa in proposito? –
-Non sono una minaccia. Accettato il riscatto stavano già litigando tra loro per decidere come spartirselo. Dimentichiamoli. -
Doveva fare il modo che Heechul si dimenticasse dei Ribelli, di Jonghyun, di qualunque cosa potesse mettere a rischio le persone che avevano reso quei mesi, seppur brevi, speciali ed irripetibili. Doveva far sì che il più grande catalizzasse tutta la propria attenzione unicamente su di lui, su di loro, e sul torno di Chosun che li attendeva a Soul. Kibum sapeva bene di avere le armi giuste a disposizione, ma era anche consapevole di doverle usare con cautela.
-È stato davvero...- iniziò a dire con un sospiro smorzato da un singulto.
Kibum si portò le mani al viso e singhiozzò. I passi di Heechul risuonarono sul tappeto e Kibum percepì il corpo dell’altro pesare sul divano al suo fianco. Le mani affusolate del più grande iniziarono a giocare con le sue ciocche procurandogli brividi.
-Sei stato un bambino capriccioso e ribelle –disse Heechul con accondiscendenza.
Kibum tirò su col naso e vincendo l’impulso di allontanarsi dall’altro si appoggiò a lui.
-Non avrei mai dovuto lasciare Soul...non avrei mai dovuto lasciare te. –
Heechul si umettò le labbra e fece scivolare un braccio intorno al fianco del più piccolo, mentre con l’altra mano continuava a giocare con i suoi capelli.
-Per una volta siamo d'accordo su qualcosa – sussurrò.
Fece per alzare il viso di Kibum, ma il principe s’alzò scivolando lontano da lui.
Il viso rivolto alla vetrata drappeggiata di velluto blu, la schiena rivolta ad Heechul, Kibum si strinse nelle spalle alla ricerca di un calore e di una sicurezza che solo una persona era riuscita a dargli.
Si morse l’interno della bocca imponendosi di allontanare il pensiero di Jonghyun. Era un lusso, per quanto doloroso, che non poteva permettersi.
Heechul arricciò l’angolo della bocca, infastidito da come l’altro era fuggito dal suo abbraccio, poi si alzò per raggiungerlo nuovamente.
-Lui è morto, vero? Ho sentito delle voci ma non sapevo se credervi -, disse Kibum rompendo il silenzio.
Heechul si bloccò di colpo a pochi passi dall’altro. La voce di Kibum era risuonata estremamente ferma nonostante le proprie parole ed il turbamento di poco prima.
Heechul s’irrigidì. Come avrebbe preso il principe la conferma della morte dell’imperatore? Era una domanda che non si era mai posto, dopotutto tra i due vi era sempre stata indifferenza. Lo raggiunse posandogli le mani sulle spalle.
-È così -, disse facendo aderire la schiena di Kibum al suo petto. -Ti porgo…-
Non ebbe tempo di terminare la frase perché Kibum rispose repentino, quasi in un sibilo infastidito.
-Ho sempre odiato quell'uomo, sono felice di non rivederlo mai più. –
Era vero, lo odiava e per quanto forti quelle erano le parole più sincere che Kibum aveva pronunciato dal momento in cui aveva messo piede ad Haewan.
-Voglio tornare a Soul e seppellirlo una volta per tutte -, disse freddo.
Heechul sorrise tra sé. Anche lui voleva tornare a Soul, ma non per seppellire il defunto imperatore, certo quello sarebbe stato un punto d’inizio. Strinse con più forza le spalle del più piccolo.
-Legittimo. Soul è il tuo posto, dopotutto. –
Infastidito dalle mani di Heechul che lo stringevano possessivo, Kibum si voltò ed appoggiò le mani sul petto del più grande sperando che i suoi movimenti costringessero l’altro a lasciare la presa. Ma fu solo un tentativo inesperto ed impacciato, perché Heechul continuò a stringerlo chiudendolo in una stretta che non sembrava lasciare via di scampo.
-Invierò un messaggio a Soul, così per quando arriveremo sarà tutto pronto. –
Kibum abbassò il capo e si morse il labbro, rassegnato. Se doveva fingere di accettare la compagnia del più grande doveva reprimere l’impulso di prenderlo a calci. Pensò a tutte le volte che si era stretto a Jonghyun. Quelli erano veri abbracci, caldi, sinceri…quelli di Heechul erano molto diversi. Possessivi, incatenanti, sbagliati. Tra le braccia di Jonghyun si era sempre sentito amato e protetto. Tra quelle di Heechul si sentiva in trappola. 
-Non so cosa farei senza di te -, disse.
Heechul gli prese il viso tra le mani e lo soppesò attentamente, gustando le parole di Kibum. Il più piccolo era ancora scosso, forse a disagio, e Heechul si sentì risucchiato da quegli occhi magnetici che ora cercavano di fuggire dai suoi. Il suo sguardo deviò sulle labbra a cuore del più piccolo. Quante volte aveva sognato di sfiorarle? Infinite, forse. Eppure solo ora riusciva ad ammirarle così da vicino. Erano come una calamita. Il desiderio di farle sue era forte e s’abbassò appena sul più piccolo, ma poi lo lasciò. Non doveva lasciarsi prendere la mano. Sapeva che doveva essere cauto, già una volta Kibum gli era scivolato via tra le dita a causa della sua stessa imprudenza. Quella sera a corte, quando era stato annunciato il loro fidanzamento, Heechul sapeva bene di essersi comportato come uno sciocco. Forse aveva bevuto troppo, oppure era solo l’eccitazione del momento, ma infilarsi nelle stanze di Kibum non era stata una mossa saggia, lo riconosceva. Kibum era un gatto diffidente, guardingo e pronto a scattare sulla difensiva alla prima avvisaglia di pericolo. Heechul sapeva di aver fatto una mossa azzardava e non intendeva ripetere lo stesso errore. Dopotutto, ora aveva tutto il tempo del mondo a disposizione per ottenere il completo favore di Kibum. Doveva essere paziente.
Un tuono risuonò nella notte e Kibum sobbalzò. Heechul rise, mentre l’altro s’aggrappava d’istinto alle sue spalle.
-Hai ancora paura dei temporali? –
-No – rispose l’altro di scatto.
Heechul sogghignò. Il nervosismo del più piccolo era fin troppo palese.
Kibum iniziò ad avvertire le braccia di Heechul intorno a lui sempre più scomode, tuttavia non sembravano accennare a volerlo lasciare andare. Represse un verso frustrato.
-A me non sembra -, lo canzonò Heechul.
-Ho detto che non ho paura. –
Kibum si divincolò. Quanto meno quel battibecco gli forniva la scusa perfetta per scansare Heechul. Tuttavia il più grande lo prese per il polso, tirandolo di nuovo verso di sé.
-Vuoi che dorma con te? Da bambini lo facevamo sempre in queste notti. Rammenti, i temporali estivi? –
Kibum si liberò della presa dell’altro. Ricordava bene quelle notti ed era vero, aveva sempre cercato la compagnia di Heechul in quelle occasioni e il più grande le aveva passate cullandolo finché entrambi non si addormentavano.
Era un altro tempo ed eravamo altre persone, pensò.
-Non siamo più dei bambini. Sono stanco, vorrei dormire -, disse.
Heechul annuì. Non si aspettava di certo una risposta positiva. Sollevò il mento di Kibum e lo baciò sulla punta del naso.
-Come desideri. Buonanotte, mio dolce principe. –
Kibum osservò il più grande uscire dalla stanza e si strinse nelle spalle quando la porta si chiuse davanti a lui. I passi di Heechul lungo il corridoio scemarono, persi in quella notte scura animata dal ticchettare della pioggia sui vetri.
Kibum chiuse la porta a chiave. Un giro, due giri, tre giri, quattro giri…qualunque cosa pur di tenere i propri incubi lontani. Sorrise amaro mentre si coricava nel sontuoso letto a baldacchino. Chiuse gli occhi ed emise un sospiro stanco e rassegnato. Si portò una mano al petto come a trattenere ricordi e sensazioni che stavano fuggendo, scivolando via come l’acqua che, ora, rotolava dalle colline tondeggianti. Di quel mondo perfetto restava solo il ricordo. Schegge di vetro sparse sul marmo, i ruderi di ciò che era. Aveva perso tutto o era solo un momento passeggero? Gli sembrava di galleggiare nel vuoto nero e liquido come un mare inchiostro.
Un lampo tagliò il buio della stanza ed un tuono scosse la notte facendo vibrare l’intelaiatura metallica delle finestre. Si strinse al cuscino. Era freddo.
 
 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Se vorrei dedicare due minuti del vostro tempo per lasciarmi un commento ricordo che sono sempre graditi, le opinioni altrui fanno sempre bene a chi scrive ^^
A presto!
 
 
 
 
 
 
 
[1] Haehwan significa luce del sole.
[2] Strumento tradizionale giapponese. 

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Capitolo 32
*** Capitol 31. My Love left for a faraway journey ***


Ciao tutti! A dispetto de pronostici negativi aggiorno in tempi umani.
Non ho molte premesse da fare, colgo solo l’occasione per scusarmi con Gonzy_10. Nella risposta alla tua scorsa recensione ti avevo detto che in questo capitolo sarebbe tornata la 2min con delle svolte…purtroppo per una serie di motivi ho dovuto rimandare al prossimo.
Ringrazio chi ha inserito la storia tra le preferite, ricordate, seguite e ovviamente tutti i lettori. Un grazie particolare a chi mi ha lasciato i suoi commenti: Blugioiel, Chocolat95, DreamsCatcher, Ghira_, Gonzy_10, Jae_Hwa, KimJonghyun23, MagicaAli, Panda_murderess, Saranghae_JongKey e vanefreya.
Ringrazio anche chi mi ha inserita tra gli autori preferiti: Blugioiel, Jae_Hwa e MagicaAli  *.*
Grazie per il vostro sostegno ^^
Spero di non aver lasciato troppi errori di battitura. XD
Buona lettura!
 
 


Capitol 31
My Love left for a faraway journey
 
 
 
 

“When my sadness (my sadness)
Become rain (with the memories)
And fall in your heart
Maybe you’ll come back to me
So today, I become rain and fall”
Shinee, Wish Upon a Star
 
 
 
Jonghyun aveva guardato la figurina aggraziata del principe allontanarsi e sbiadire sotto la pioggia, infine aveva percorso la strada di ritorno al Rifugio in uno stato di totale apatia, lasciando che la pioggia lo investisse e del tutto indifferente agli abiti ed i capelli zuppi che gli ricadevano incollati sulla fronte.
Ora, davanti all’ingresso del Rifugio che fissava stranito non poté fare a meno di domandarsi il senso di ogni cosa. Alzò gli occhi sulla scarpata, proprio lì dove Kibum era piombato, mesi addietro, come un angelo caduto dal cielo. Fradicio e spezzato. Si rese conto che altrettanto fradicio e spezzato lo aveva reso al mondo sfavillante da cui era fuggito ma che, dopotutto, era il suo mondo. Guardò i flutti dell’Han scontrarsi con le rocce appuntite e generare una spuma fangosa.
Uno scrosciò più forte di pioggia lo investì in pieno e fu come lo sferzare di mille fruste sul suo corpo gocciolante. Desiderò che le violente lacrime del cielo potessero lavare il senso di colpa che, ora, lentamente si stava scavando una via profonda dentro di lui come l’acqua che erode il terreno. Non riusciva a scrollarsi di dosso il malessere quasi fisico che provava al pensiero delle parole orribili che aveva rivolto al più piccolo, parole che in fondo gli erano suonate folli e ridicole nel momento stesso in cui le aveva pronunciate. Aveva tentato di erigere uno scudo intorno a sé ma si era rivelato fragile ed inconsistente.
Poco importava che fosse bastato uno sguardo sincero tra loro, un bacio, per capire che era tutto perdonato ed i loro sentimenti immutati. Questo non gli offriva alcuna consolazione.
Sogghignò tra sé, amaro, rammentando i dubbi che in quei mesi lo avevano tormentato. Quanto aveva temuto che Key avvertisse la nostalgia di casa, che si ricredesse su ciò che davvero desiderava dal suo futuro e sul suo promesso? Innumerevoli. Più volte si era sentito inadeguato, ma il sorriso e gli occhi dolci dell’altro erano sempre riusciti a stemperare quel peso. Ma poco cambiava.
Lui è l’erede al trono, si disse.
Quella consapevolezza si fece strada nella sua mente travalicando ciò che restava della rabbia e della delusione. Kibum era un nome che racchiudeva in sé un mondo troppo lontano al quale lui, Jonghyun, non poteva appartenere. Il più piccolo aveva desiderato fuggirvi, forse era stata davvero una fuga momentanea e se anche l’orologio del fato non fosse giunto a contare i secondi della loro relazione destinata a perdersi, prima o poi sarebbe tornato a casa.
Perché hai paura?, gli aveva chiesto durante il Chuseok, quando il più piccolo era stato così desideroso ma anche restio all’idea stringere una relazione con lui.
Un giorno ti spezzerò il cuore, questo gli aveva detto.
Parole che all’epoca Jonghyun non aveva compreso, giudicandole delle semplici paure prive d’importanza.
Il corpo di Jonghyun fu attraversato da un brivido, mentre dalla sua mente riaffioravano le memorie indelebili di quei mesi. Uno ad uno tutti i tasselli andarono a ricomporsi sino a creare un quadro che era sempre stato davanti a lui ma che non aveva mai visto, o volutamente ignorato.
Le frasi non dette del più piccolo, i timori e le paure appena sussurrate, quel senso di inquietudine che nonostante i momenti di puro idillio non l’aveva mai abbandonato. Jonghyun aveva percepito quell’inquietudine sulla sua pelle, liscia e sottile come un velo semi trasparente, impossibile da focalizzare con chiarezza ma capace di generare brividi lunghi e gelidi. E lui l’aveva ignorato. Questa consapevolezza gli fece stringere il cuore in petto. Aveva detto di rispettare i silenzi dell’altro, era vero, ma egoisticamente riconobbe che dietro quel rispetto vi era stata anche paura. Paura di sentir pronunciare da quelle labbra a cuore una parola capace di spezzare il loro equilibrio precario nella sua immaginaria perfezione.
Nel tuo silenzio io ho egoisticamente trovato la mia tranquillità.
Si sentì miseramente egoista e si disse che, ora, meritava quel senso di solitudine. Era un pianeta in balia del nulla, di quell’universo senza luci che lo stesso Kibum aveva descritto mesi addietro e in cui diceva di essere sprofondata senza di lui.
-Kibum – sussurrò.
Assaporò quel nome come mai aveva fatto da che l’aveva sentito pronunciare dal più piccolo. Sorrise tra sé trattenendo una lacrima. Era bello e risuonava melodico alle sue orecchie, adattandosi perfettamente ai tratti teneri ed intriganti del suo proprietario.
Si appoggiò alla parete rocciosa che gli graffiò la schiena e si passò una mano sul viso fradicio. Un tuono scosse il cielo e un lampo illuminò l’Han in fermento.
La sua mente scavò nei suoi ricordi e vide davanti a sé tutte le scelte sudate e meticolose del più piccolo sotto un’altra luce. Il suo fuggire iniziale, l’insicurezza nonostante i sentimenti forti, il timore di perderlo perché, forse, sapeva che prima o poi tutto sarebbe finito. Rivide le colline avvolte dal biancore della neve luccicante sotto il cielo stellato al sorgere della nuova luna, i modi impacciati di Kibum mentre tentava di mettere totalmente a nudo il suo cuore.
Se taccio è come mentire a me stesso e a te. Non voglio dare importanza a qualcosa che rappresenta un passato che mi sono lasciato alle spalle…
Un tentativo nervoso accompagnato dallo stropicciarsi delle sue mani infreddolite e morto sul nascere, stroncato da un rimbombo nel cielo e da semplici parole: li odio.
-Lui me lo voleva dire -, si ritrovò a sussurrare sotto la pioggia.
Ora, di fronte alla verità nuda e cruda, sembrava tutto così chiaro e sensato nella sua assurdità.
Si strinse nelle spalle, infreddolito e sentendosi bagnato sino alle ossa, e s’accasciò a terra tra il fango e le rocce, portandosi le mani al capo. Chiuse gli occhi ed alzò il viso lasciando che le lacrime del cielo si fondessero con le sue. Singhiozzò. Si sentì ancora più vuoto e freddo. Sensazioni simili l’avevano inseguito per tutta la vita e solo agli occhi teneri e furbi del più piccolo erano riuscite a spazzarle via. Ma ora non più. Si rese conto di non essere più in grado di portare quel peso. Non da solo. Si sentì perso, perso come non lo era mai stato in tutta la sua vita.
Il nome del più piccolo uscì dalle sue labbra in un singhiozzo incontrollato, poi urlò al vento tutta la frustrazione che aveva in corpo.
 
 
***
 
 
I raggi del sole filtravano dalla vetrata ad arco rifrangendosi sulle gocce di cristallo del grande lampadario che pendeva al centro della sala, spargendo così sprazzi di arcobaleno sulle pareti di marmo e sui preziosi tappeti.
Kibum sbatté le palpebre disperdendo il riflesso di un cristallo che si era posato sul suo viso, emise un lieve sospiro ed appoggiò la schiena rigida all’imbottitura di velluto della sedia. Si portò alle labbra una fine tazzina di ceramica, sorseggiò il pregiato tè bianco che conteneva e, subito, un piacevole tepore si diffuse nel suo corpo. Ma era un calore apparente perché percepiva nelle sue vene il sangue fermo e gelato. Ignorò quella sensazione di gelo interno e si umettò le labbra apprezzando il sapore delicato della bevanda. Posò la tazzina sul tavolino intarsiato di madreperla ed il musicale tintinnare della ceramica andò a sovrastare il fastidioso brusio della voce di Heechul che, da tempo indefinito, gli riempiva le orecchie.
Sopirò si nuovo e ripiegò il collo di lato, volgendo la propria attenzione oltre la finestra, verso le colline inondate dal sole.
Quella precedente era stata una pessima nottata, non sapeva nemmeno se avesse dormito o meno. Gli sembrava di essere rimasto relegato in una bolla per tutto il tempo, indifferente allo scrosciare della pioggia e ad i tuoni che sconquassavano il cielo, tuttavia costantemente sull’attenti e pronto a cogliere qualunque suono giungesse dai corridoi.
Si portò le punte delle dita alla fronte e chiuse gli occhi, tormentato da un crescente mal di testa. Intorno a lui gli sembrava tutto così estraneo, eppure famigliare. Ogni dettaglio si fondeva in una trama resa confusa dalla sua stessa linearità, gli sembrava di essere stato staccato dalla realtà per un tempo indefinito e ora ne era totalmente disorientato. Ogni cosa era al suo posto eppure sbagliata.
-Bummie.- 
La voce di Heechul risuonò alle sue orecchie, ma il principe sbatté le palpebre, infastidito, scacciandola dalla propria mente. Tornò a guardare le colline, lo sguardo puntato all’orizzonte alla ricerca di qualcosa.
-Kibummie. –
Kibum sospirò di nuovo, mentre gli occhi iniziavano a pizzicargli con troppa insistenza. Scosse il capo, doveva ignorare il desiderio impellente di scoppiare in lacrime.
-Kim Kibum mi stai ascoltando? –
Questa volta la voce di Heechul risuonò dura e infastidita, penetrò con prepotenza le difese di Kibum riscuotendolo da quel mondo a metà strada per trascinarlo nella realtà fredda fatta di marmo, mobili pregiati e luccicanti ed il tavolo imbandito per il tè pomeridiano.
Kibum rabbrividì e volse di scattò l’attenzione al più grande, sbattendo le palpebra.
Dall’all’altra parte del piccolo tavolo circolare, Heechul l’osservava dubbioso arricciando con disapprovazione un angolo della bocca e corrugando la fronte, mentre i suoi occhi ardenti lo scrutavano.
-Allora?- fece Heechul, scocciato, inarcando un sopracciglio.
Kibum si schiarì la voce. – Allora…cosa? –
Heechul sbuffò, allungò le gambe accavallate e si massaggiò le tempie. -Aish…cosa devo fare con te? – rifletté ad alta voce.
Heechul aveva sempre saputo che Kibum non era un soggetto facile, dopotutto si conoscevano sin dalla più tenera età, stargli dietro era sempre stata un’impresa. Sapeva che avrebbe dovuto pazientare per molte cose, sopportare le sue frasi taglienti nonostante, oltre all’irritazione, riuscissero anche ad eccitarlo. Sottometterlo alle proprie attenzioni era il suo obiettivo da tempo, era una sfida esaltante capace di sfiancarlo ma anche di spingerlo a correre più forte e a gareggiare con il più piccolo in astuzia, pazienza e molto altro. Era l’unico modo per ottenere ciò che desiderava. Tuttavia, doveva riconoscere che a volte mantenere il controllo era davvero difficile, per molte cose. Era pronto a tutto, disposto a tutto, ma davvero non si era aspettato di doverlo “rieducare” come si conviene. Iniziava a temere che i peggiori sospetti del giorno precedente fossero più che fondati.
Non posso portare un selvaggio a corte, rifletté.
Heechul tamburellò le dita sul tavolino, pensoso, continuando a studiare l’altro. Illuminato dalla luce del pomeriggio e vestito a dovere, Kibum era una visione delicata, eccitante e terribilmente irritante. Sorrise. Era davvero una splendida rosa piena di spine.
Kibum si strinse nelle spalle ricambiando di sottecchi l’occhiata indecifrabile del più grande che come sempre riuscì a metterlo a disagio. Perché aveva sempre l’impressione che lo scrutasse dentro? Bastava un’occhiata di Heechul perché si sentisse violato nell’intimo ed era una sensazione che detestava. S’irrigidì e strinse le mani sulle cosce.
-Non hai ascoltando una parola di quello che ho detto, non è vero? – fece Heechul, atono.
-Di grazia, smettila di fissare la finestra e sospirare. –
Rivolse al più piccolo uno sguardo che tratteneva a stento un profondo senso di frustrazione e di rabbia.
Kibum cercò d’ignorarlo. Per quanto gli riguardava stava già concedendo fin troppo ad Heechul e una parte di lui gli suggeriva di essere molto più cauto, ma considerando il temperamento del più grande sembrava impossibile. Doveva studiare attentamente le sue mosse, rendere l’altro sufficientemente malleabile da fargli abbassare ogni difesa. Heechul doveva fidarsi di lui. Era difficile e se ne stava rendendo conto ogni secondo di più, non solo per tutto ciò che lo aveva tormentato in passato, ma perché ora Heechul si stava rivelando una minaccia anche per altri. Jonghyun per primo. Kibum si morse il labbro inferiore e, come molte settimane addietro, non ebbe dubbi sul fatto di essere disposto a tutto pur di proteggere Jonghyun. Heechul non doveva sfiorarlo nemmeno con un dito, né arrivargli sufficientemente vicino dal posarvi lo sguardo. Kibum sapeva di essere l’unico baluardo capace di ergersi tra i due. Forse tra lui e Jonghyun era davvero finita, ma questo non cambiava i suoi sentimenti. Il posto di Jonghyun dentro di lui era quello spazio vuoto e buoi che ora percepiva al centro del petto, il cui unico sprazzo di luce era il tepore lieve di quell’ultimo bacio. Resistette all’impulso di volgere di nuovo lo sguardo alla finestra e sospirare, perché questo l’avrebbe irrimediabilmente portato a rivangare ricordi e sensazioni troppo vicini al presente e troppo forti perché potesse semplicemente limitarsi a relegarli in un angolo del suo cuore.
Tornò a guardare Heechul e mordendosi l’angolo della bocca si alzò per raggiungerlo.
Il più grande seguì i suoi movimenti, incuriosito, ma sul suo viso si stampò un sorriso soddisfatto non appena le braccia del principe gli circondarono il collo da dietro. Il profumo dolce di Kibum gli arrivò dritto alle narici, stimolando i suoi sensi. Heechul sorrise tra sé, beandosi di quella tortura che non poteva fare a meno di concedersi. Era un profumo delicato quello del più piccolo, eppure il suo ricordo l’aveva inseguito per mesi desiderando respirarlo a pieni polmoni, così come desiderava sfiorare la pelle liscia dell’altro che, ora, gli stava concedendo un assaggio di sé mentre Kibum posava il mento sulla sua spalla e le loro guance si sfioravano.
Heechul s’impose calma, tuttavia non resistette all’impulso di posare una mano inanellata sull’avambraccio del più piccolo e massaggiarlo con insistenza. I suoi anelli d’oro e rubini luccicarono.
Kibum strinse con più forza le braccia intorno al più grande, tentando d’ignorare la presa possessiva che Heechul esercitava sul suo braccio e di respingere il senso di stordimento che gli provocava il suo profumo. Era così simile a quello di Jonghyun, eppure così diverso, come il loro fuoco, uguali ma irrimediabilmente opposti. Come fiori di pesco cresciuti su due alberi differenti. Il profumo di Jonghyun era dolce e caldo, quello di Heechul così dolce da risultare stucchevole, così caldo da bruciare. Desirava allontanarsi da lui, tuttavia non si mosse.
-Chullll -, cantilenò suadente all’orecchio dell’altro.
Il respiro caldo di Kibum fece rizzare i peli sul collo di Heechul.
Heechul sorrise. -Che cosa c’è, Bummie? -
-Perché sei così duro?  - miagolò Kibum in tono lamentoso. - Non volevo farti arrabbiare. –
Heechul non rispose, continuando a bearsi del profumo dell’altro e dello sfiorarsi delle loro guance. Quanto sarebbe stato meraviglioso se Kibum fosse sempre stato così, abbastanza irritante da stimolare il suo interesse, ma sufficientemente docile da riconoscere che era unicamente suo? Forse, dopotutto, si stava agitando più del dovuto. Nonostante fosse consapevole di non potersi permettere di abbassare totalmente la guardia, doveva ammettere che il più piccolo sembra essere abbastanza malleabile o, in ogni caso, nelle condizioni ideali per esserlo. Una situazione che non poteva lasciarsi sfuggire. Tuttavia si lasciò scappare un rimprovero.
-Sei distratto, un gatto selvatico. E’ da questa mattina che non ascolti una parola di quello che dico. Ringrazi i servi e usi la tua abilità per cose futili, è disdicevole. Come possiamo tornare a Soul in queste condizioni? È stato sciocco da parte tua andartene, lo vedi cos’è accaduto? –
Kibum mugugnò e mise il broncio. Il più grande parlava di lui come se fosse difettato, una perla perfetta che era tornata nelle sue mani graffiata e meno lucente. Decisamente un magro bottino da mostrare alla corte di Chosun. Lo strinse di più, mostrandosi dispiaciuto.
- Chulll, perché mi dici queste cose? Sono ancora spaventato –, miagolò Kibum.
Heechul piegò leggermente il collo e rivolse all’altro uno sguardo obliquo da sotto le ciglia castane, poi sbuffò e si massaggiò una tempia con la mano libera.
-Hai ragione, perdonami, sono un insensibile. –
Calò il silenzio e benché intenzionato a tornare a sedersi, Kibum fu costretto a rimanere avvinghiato all’altro, giacché Heechul non sembrava intenzionato a lasciare la presa. Il principe s’impose di trattenere la propria frustrazione che altrimenti avrebbe espresso con un sonoro sbuffò ed un pestare di piedi sul tappeto.
Dannata piovra[1]!, pensò.
Gli stava concedendo un minimo di contatto e quell’arrivista ne approfittava, come se quella situazione non fosse già sufficientemente tediosa per lui. Represse il senso di fastidio della mano di Heechul che gli massaggiava il braccio mordicchiandosi le labbra. Benché innocenti, non aveva mai concesso a nessuno simili effusioni tranne che a Jonghyun e il semplice avvicinarsi ad Heechul lo faceva sentire un traditore. Non ci doveva pensare o non ne sarebbe uscito mentalmente sano.
-Abbiamo molto da fare a Soul -, disse ad un tratto Heechul.
Oh puoi starne certo, pensò Kibum. Ho molto da fare a Soul.
Del tutto ignaro dei pensieri del principe, Heechul proseguì il suo sproloquio.
-Dobbiamo organizzare il funerale del defunto imperatore, il banchetto inaugurale dei cento giorni rituali prima dell'incoronazione, la cerimonia per il nostro legame... –
Heechul assaporò ogni singola parola, mentre nella sua mente prendevano forma in progetti sempre più concreti ed imminenti. In particolare non poté fare a meno di porre l’accentò sull’ultima parte, pregustando il momento con un sorriso trasognato.
Kibum guardò il viso beatamente rilassato dell’altro, gli occhi chiusi e la guancia che premeva sulla sua. Appiccicata come una ventosa. Approfittò degli occhi chiusi di Heechul per esprimere il proprio disgusto con una linguaccia.
-Che noia -, sbuffò Kibum.
Era tornato da meno di un giorno e già Heechul pensava ai suoi comodi. Bhe, dopotutto non vi era nulla di cui stupirsi. Non aveva forse sempre pensato al suo tornaconto personale? Quando doveva averlo tormentato la sua assenza in quei mesi? Kibum represse un sorrisetto. Doveva essere stato terribile per Heechul vedere messo a rischio tutto ciò per cui aveva e stava pazientemente lavorando. Lo immaginava frustrato ed irritabile come un serpente a sonagli. Kibum non ne voleva sapere di quelle sciocchezze, che Heechul si divertisse pure con i suoi progetti, lui ne aveva ben altri ed avrebbe fatto in modo che buona parte di quelli dell’altro non giungessero a compimento.
 –Lo sai quanto io trovi tedioso solo il pensiero di organizzare tutto questo. Pensaci tu, sono sicuro che farai un ottimo lavoro -, disse annoiato.
Heechul corrugò la fronte e gli rivolse un’occhiata di rimprovero.
-Questa tua indifferenza Kibum è…-
Kibum s’impose di non roteare gli occhi.
– Mi fido di te -, disse tentando di addolcirlo.
Terminò la frase posando un bacio leggero sulla guancia di Heechul nella speranza che un tale espediente gli permettesse ulteriori manovre per divincolarsi dalla presa dell’altro. Il sorriso soddisfatto che subito si delineò del viso del più grande gli fece corrugare la fronte. Kibum si domandò se avesse accolto con la medesima espressione compiaciuta la notizia della morte dell’imperatore, della presa del palazzo reale da parte dei suoi soldati o, peggio, fosse proprio con quel sorriso che avesse dato l’ordine di eliminare il suo fratellastro. Il principe represse l’impulso di sputargli in faccia. L’odiava tanto quanto in passato gli era stato legato.
Heechul volse il capo allungando il collo verso di lui e Kibum deglutì. Non credeva davvero che per un’effusione così innocente fosse disposto a lasciarsi baciare da lui, vero?
Bhe, rifletté Kibum, probabilmente si sente in diritto di fare molte cose.
Con un movimento fluido approfittò della momentanea distrazione di Heechul per scivolare ai ripari, trattenendo a stento un sospiro di sollievo.
-Oh torta panna e fragole, l’adoro! – disse saltellando intorno al tavolo e battendo le mani, eccitato.
Impadronitosi di una fetta di torta raggiunse il pianoforte di fronte alla vetrata e ripose il piattino, con il suo delizioso contenuto, sul coperchio dello strumento, prese posto sulla seduta e fece scivolare le dita sottili sui tasti d’avorio. Subito, una melodia nostalgica e delicata riempì l’aria della stanza.
Heechul sbuffò irritato, ma poi si passò una mano tra i capelli castani emettendo una risatina divertita. Dunque, Kibum voleva giocare? L’idea non gli dispiaceva a patto che il risultato fosse a suo favore. Volse di nuovo l’attenzione al più piccolo, le cui dita cerchiate da sottili anelli d’oro bianco danzavano esperte sull’avorio come se non avesse mai smesso di praticare quell’arte melodica e seducente. Heechul riconobbe subito quelle note, appartenevano ad un motivo che quelle pareti conoscevano molto bene e che lui stesso aveva udito risuonare generato dalle mani della defunta imperatrice. Si picchiettò l’indice sulle labbra. Forse fare leva sui ricordi della loro infanzia poteva essere un’ottima carta da giocare, Kibum poteva rivelarsi molto sensibile in quel senso e, indubbiamente, Haehwan gli offriva il palcoscenico perfetto. Dopotutto un tempo era stati molto uniti e proprio tra quelle pareti avevano passato momenti indimenticabili. Heechul sorrise facendo spaziare lo sguardo all’intorno. In quella stanza avevano letto libri, suonato insieme e ascoltato i discorsi delle loro madri sul loro futuro comprendendoli a stento, ma eccitati all’idea di ciò che si prospettava davanti a loro. I corridoi e i giardini di Haehwan avevano accolto le loro risate, le corse sfrenate e le confidenze ingenue.
Umma dice che un giorno staremo insieme.
La sua vocetta eccitata di bambino risuonò nella sua mente accompagnata dalla visione di un piccolo Kibum che sorrideva estasiato alle sue parole senza però comprenderne il significato.
Io voglio stare sempre con Chul hyung!
Heechul sapeva che non si poteva replicare il passato ma, forse, poteva trovare un modo affinché nella mente del più piccolo si fondesse con il presente, come se tra di essi non vi fosse mai stata alcuna cesura.
-Se non ricordo male -, azzardò, - questa musica era accompagnata da una canzone. –
Subito, la voce di Kibum riecheggiò tra le pareti di marmo.
Heechul sorrise e si umettò le labbra, senza staccare gli occhi dal più piccolo la cui figura aggraziata si stagliava in contro luce davanti alla vetrata, avvolta dai fasci della luce dorata del sole. Heechul chiuse gli occhi assaporando quel il canto armonicamente in sintonia con lo scorrere dei morbidi polpastrelli di Kibum sull’avorio.
Perfetto, pensò.
Oh era davvero perfetto per Heechul. Perfetto, seducente, una bambola di porcellana elegantemente confezionata e pronta ad essere modellata ad arte per cantare e danzare unicamente per il suo diletto.
Nonostante le premesse iniziali la fuga di Kibum aveva dato frutti positivi, rendendolo più docile. Proprio come sperava non tutto il male era andato per nuocere. Certo, vi era ancora parecchio lavoro da fare perché cedesse totalmente a lui, ma meno del previsto e Heechul si sentiva sufficientemente positivo da considerarsi sulla buona strada.
Non appena vibrarono le ultime note, Heechul si alzò e prese posto vicino al principe. Scostò una ciocca corvina dell’altro ammirando, avido, quei tratti delicati e furbi ed apprezzando sotto il suo tocco la consistenza morbida di quei capelli. Il riflesso di una goccia di cristallo giocò sulla pelle perlacea di Kibum dando vita a tutto quel biancore. Heechul non riuscì a trattenere i propri pensieri.
-Oggi sei stupendo. –
E lo era, una visione totalmente differente da quella sporca ed infangata che aveva fatto il suo ingresso il giorno precedente. Era così che il più piccolo doveva essere per lui.
Kibum inarcò un angolo delle labbra a cuore in un sorrisetto indecifrabile.
-Lo so, grazie -, rispose il principe.
Heechul si aspettava una risposta simile, era tipica di Kibum.
-Di norma si usa rispondere: grazie, anche tu. -
-Di norma non è mio costume dire ciò che non penso. –
Il più piccolo aveva davvero voglia di giocare e lo stava dimostrando a più riprese. Di nuovo, Heechul guardò con divertimento a quella prospettiva capace di rendere la caccia ancora più allettante. Dopotutto era una delle cose che apprezzava di più di Kibum, una caratteristica che anche la sua bambola perfetta doveva avere affinché ai suoi occhi apparisse più affascinante.
-Non sono attraente? –, domandò per stare al gioco.
-Un po' -, rispose Kibum, distratto, suonando dei tasti a caso.
-Un po' quanto? -
-Passabile. –
Heechul rise. -Aish questo micetto dispettoso. –
Il più grande tamburello le dita sul coperchio ligneo del piano, mentre Kibum continuava a giocherellare con i tasti senza produrre alcuna musica sensata.
-Non sei stato molto carino con me nemmeno l'ultima volta -, disse Heechul.
-La colpa è tua, non saresti dovuto entrare nella mia stanza senza permesso. –
Kibum alzò il mento con disappunto, suonando note forti.
-Perdonami, credo di essere stato, come dire, leggermente eccitato quella sera. Forse avevo bevuto un bicchiere di vino di troppo. –
-È disgustoso. –
Le dita del principe scivolarono all’unisono sul piano.
-Di veramente disgustoso, Kibummie, c'è il fango che avevi addosso ieri. –
Heechul si unì a quella musica sconclusionata fatta di note perfetta ma maldestramente combinate.
Kibum roteò gli occhi.
-Sei irritante, un pessimo fidanzato dovresti riempirmi di complimenti e viziarmi. -
Heechul l'osservo di sottecchi piegando all'insù un angolo della bocca, prese una fragola dalla torta ancora intoccata e l’accostò alle labbra altrettanto invitanti dell’altro.
Kibum arricciò il naso e tentò di prendere il frutto con le mani, ma Heechul gli fece intendere chiaramente che non era questo ciò che desiderava da lui. Il principe represse una smorfia nonché un impellente bisogno di vomitare e, fingendosi accondiscendente, esaudì la richiesta del più grande prendendo la fragola tra le labbra e leccando ciò che restava della panna dalle dita di Heechul.
Era disgusto e si vergognava di sé stesso, ma si disse che doveva farci l’abitudine. Dopotutto la recita era appena iniziata e non si faceva illusioni sul fatto che disfarsi di Heechul e riprendere il controllo del regno non sarebbe stato né veloce né indolore.
Heechul l’osservò umettandosi le labbra e lasciandosi trasportare da fantasie tutt’altro che innocenti. Quanto desiderava quelle labbra rosate per sé!
-Com’era? –, chiese.
-Deliziosa-, rispose Kibum fingendosi indifferente.
E’ stato disgustoso, pensò. E devo stare attento a quello che dico.
Kibum riprese a suonare per allontanare il senso di profonda umiliazione che provava. I suoi occhi abbracciarono la stanza rievocando davanti a lui le immagini di un tempo lontano e finito per sempre. Due bambini, uniti come fratelli, che giocavano, ridevano, leggevano storie e su di esse fantasticavano, sognando di raggiungere mondi lontani ed inesplorati. Un tempo era stato tutto più semplice, bello e spensierato. Ma era bastata la morte delle loro madri per spazzare via ogni cosa, come un colpo di vento troppo forte. Ogni gesto, ogni sguardo, ogni parola innocente era svanita per sempre. E lì, proprio dove un tempo quelle donne avevano coltivato il sogno di vedere, un giorno, i loro amati figli uniti alla guida di Chosun, ora si consumava un dramma che lo stesso Kibum non poteva che definire patetico e pietoso e di cui lui era uno dei protagonisti principali. O forse l’oggetto. Non ne aveva idea. Di una cosa era certo: nel bene e nel male quelle morti li avevano cambiati ed altrettanto aveva fatto l’influenza dei loro padri trasformandoli in ciò che oggi erano. Due storie simili ma con esisti diversi. Kibum si era chiuso in sé stesso erigendo un muro di acida freddezza, mentre Heechul era stato consumato dall’ambizione.
-Perché ti sei fermato? –
La voce irritata di Heechul lo risvegliò da quel pericoloso mare di ricordi. Kibum sbatté le palpebre, guardò le sue mani tremanti sospese sui tasti d’avorio e poi Heechul.
-Oh, stavo solo pensando. –
Il viso di Heechul s’addolcì ed il più grande gli prese le mani, portandosele alle labbra.
-Non riesci a toglierti dalla testa le terribili esperienze di questi mesi, vero?-
Kibum simulò dei singhiozzi. – I ricordi m’inseguono come incubi. –
I ricordi lo inseguivano, ma non come incubi. Erano un lungo sogno meraviglioso che si dispiegava davanti a lui come un rotolo dipinto con sottili figurine danzati dai colori acquarello.
Jonghyun, pensò.
Quel semplice nome fece vibrare le corde del suo cuore e sì sentì irrimediabilmente solo e abbandonato in quella fredda stanza fatta di marmo, oro e falsità.
Liberò le mani dalla presa di Heechul e le strinse al petto per trattenere emozioni che già scivolavano lontane. Voleva tenerle dentro di sé, così come desiderava conservare sulle sue labbra la sensazione di quelle morbide di Jonghyun insieme al loro sapore. Quanto desiderava versare lacrime per lui, per loro, tramutarle in pioggia e vederle evaporare nell’aria satura del profumo dei ciliegi in boccio. Quanto desiderava, scioccamente, sperare anche solo per la frazione di un secondo che quello fosse un viaggio destinato a portarlo lontano dal suo amore ma, poi, anche a riunirli. L’assenza di Jonghyun bruciava dentro di lui e tra le sue ciglia, era come respirare a fatica in una scatola chiusa e vedere i colori sfumare in una monotona scala di grigi. Quanto desiderava urlare, piangere, sfogare tutto ciò che aveva in petto ma che, ora, doveva ignorare.
Non è nemmeno da due giorni che non sto tra le tue braccia, eppure le desidero, ne ho bisogno, come una stella del cielo notturno per brillare, fu il pensiero fugace che gli attraversò la mente.
Le braccia di Heechul scivolarono intorno alla sua vita e sobbalzò, tornando con i piedi per terra. I peli gli si rizzarono lungo tutto il corpo non appena le labbra carnose del più grande si posarono sul suo collo. Prima che si rendesse conto di ciò che stava accadendo, Heechul lo teneva già stretto a sé giocando con il suo collo che baciava, tirava e leccava, facendolo rabbrividire a più riprese.
-Smettila -, mugugnò tentando di divincolarsi.
-Perché? Ho l'impressione che ti piaccia.-
-Non è vero. –
Kibum tremò.
-Confessa, hai passato la scorsa nottata a rimproverarti per non avermi permesso di rimanere. –
-È ridicolo. –
E’ spaventoso, pensò.
Di veramente spaventoso vi erano le braccia di Heechul che l’avvinghiavano come tentacoli pieni di ventose, la sua bocca vogliosa che si muova sul suo collo ed il fatto che il più grande ritenesse davvero plausibile il fatto che avesse percepito la sua mancanza.
Sei già un incubo di giorno, pensò, faccio volentieri a meno della tua vicinanza notturna.
La presenza che davvero gli era mancata era stata quella di Jonghyun, dei suoi abbracci caldi e protettivi, stretti ma mai invadenti e costringenti, dei suoi baci dolci e passionali che avevano sempre avuto su di lui il potere di un balsamo guaritore. Le labbra di Heechul, invece, percorrevano il suo collo lasciando scie di saliva calda e bruciante ed aprendo ferite invisibili ad occhio nudo.
Tormentato da tremori caldi che si vergognava al solo pensiero di provare, Kibum mugugnò e tentò di divincolarsi.
-Stai fermo -, gli sussurrò dolcemente Heechul.
Kibum affondò le dita nel braccio del più grande, represse un lamento ed ubbidì. Vi era altro che potesse fare, aveva scelta? Doveva concedere al più grande almeno quel diversivo, quell’ingenuo scorcio di carne che innocentemente fuoriusciva dal suo colletto di seta. Poteva essere l’unico modo per tenerlo a bada. I suoi denti cercarono le sue labbra per sfogare su di esse la propria rabbia ed il senso di repellenza, tuttavia quando le sfiorò con la punta della lingua le scoprì già secce e martoriate. Si morse l’interno della guancia e subito il sapore ferroso ed aspro del sangue gli stuzzicò le papille gustative. Represse un senso di vomito. La sua mente si mosse disperata alla ricerca di un pensiero o di un’immagine capace di distrarlo, di allontanare la valanga di sensazioni e sentimenti che provava. Doveva essere freddo, insensibile, lasciare che ogni cosa scorresse indisturbata sulla sua pelle senza toccarlo davvero. Lentamente, la bolla l’avvolse, calda e confortante, un falso rifugio che poteva essere la sua unica via di fuga. Chiuse gli occhi e lì, in quell’universo nero e vuoto, trovò il sorriso luminoso di Jonghyun al limite di una strada buia e bagnata dalla pioggia. Era la sua lanterna, il suo faro in quella notte buia e burrascosa di cui non vedeva la fine. Probabilmente era una speranza sciocca, un’illusione che doveva imporsi affinché il peso delle sue scelte, della paura e della vergogna non lo schiacciasse. Doveva credere che alla fine di quel sentiero quel sorriso, che ora palpitava come una piccola luce calda nel suo cuore, fosse lì ad aspettarlo a dispetto di quell’ultimo bacio rubato e di quelle parole che, ancora, risuonavano tetre e terribili nella sua mente.
Io non sono per te e tu non sei per me.
Non è vero, pensò Kibum lasciandosi sfuggire un lamento non appena la bocca di Heechul tirò la pelle sottile del suo collo, io sono solo per te.
La bolla s’infranse.
Nel mondo reale una mano di Heechul risalì lentamente la sua schiena per poi insinuarsi tra le sue ciocche scure e stringerle, mentre le labbra del più grande continuavano a giocare sul suo collo provocandogli brividi che sapevano di paura, ma anche di un piacere fisico che era innegabile. Per quanto la mente di Kibum ne fosse nauseata il suo corpo non poté fare a meno di reagire positivamente a quei tocchi esperti che, con poche abili mosse, avevano capito quali corde toccare. Provò vergogna per sé stesso, disgusto per le mani e le labbra di Heechul che mostravano un desiderio crescente e la consapevolezza del fatto che, ora, lui doveva assecondarlo.
Le labbra a cuore di Kibum si dischiusero emettendo un sospirò rassegnato, ma che subito si tramutò in ben altro non appena Heechul rese quel bacio più insistente.
Il principe strizzò gli occhi e desiderò dissolversi al vento come mille petali di fiori, fondersi con la sottile pioggia primaverile che ora, nonostante il sole di poco prima, bagnava le colline ed i roseti di Haehwan. Forse, così, sarebbe riuscito a raggiungere Jonghyun e scivolare sulla sua pelle nella speranza di ledere le cicatrici che lui stesso gli aveva lasciato. Qualunque cosa pur di fuggire da quella stanza.
-Perché non anticipiamo i tempi? – sussurrò Heechul.
-I-i tempi? –
La voce di Kibum uscì dalle sue labbra in un sospiro balbettante. Si domandò cosa intendesse dire il più grande con quella frase gettata a caso, mentre un vasto numero di possibilità di dispiegava davanti a lui in uno scenario inquietante. Tremò.
-I cento giorni rituali prima dell’incoronazione e della cerimonia per il nostro legame…non trovi che siano…ridicoli? –, domandò Heechul continuando a tormentargli il collo.
Kibum mugugnò.
-Non penso che il consiglio reale sarà d’accordo. –
-E da quando t’importa? –
Heechul alzò il capo e sogghignò, Kibum s’irrigidì. La risposta giusta era che non gli era mai importato.
-Un mese -, gli sussurrò Heechul baciandoli di nuovo il collo.
Il corpo di Kibum fu attraversato dall’ennesimo brivido, questa volta unicamente di paura o meglio di terrore. Un mese. Un mese poteva essere un’eternità se solo immaginava di passarlo come quegli ultimi interminabili minuti, ma poteva anche rotolare rapido come un alito di vento se pensava a tutto ciò che doveva fare a Soul. Mettersi in contatto con Jinki, trovare un modo per fare entrare i Ribelli a palazzo, riprendersi la capitale e il regno non erano cose da poco, sarebbe stato sufficiente un mese?
Deve, pensò, deve o mi ritroverò definitivamente legato ai tentacoli di questa piovra.
-Non ti sembra un po' azzardato? – tentò.
-No. –
Heechul sollevò con l’indice il mento di Kibum, compiacendosi del rossore che si era impadronito delle gote del più piccolo e del segno inequivocabile che gli aveva lasciato sul collo, in artistico contrasto con la pelle chiara. Ai suoi occhi era come un marchio indelebile. Si passò la lingua sulle labbra.
-Abbiamo gli argomenti giusti per convincerli e, credimi Bummie, è un’ottima soluzione. –
Un’ottima soluzione per te!, pensò Kibum tentando di mantenere un’espressione calma e rilassata.
-L’impero di Nihon ci sta, come dire -, fece sogghignando, - con il fiato sul collo. Sai bene che attende da tempo di vedere il potere di Soul vacillare per tentare d’imporre il suo volere su Chosun. Il trono deve mostrarsi forte fin da subito e sventare ogni possibile minaccia d’invasione. Anticipare l’incoronazione e la nostra unione sarà indubbiamente un messaggio chiaro e forte ai nostri prepotenti vicini, non credi? –
Kibum corrugò al fronte. Sfortunatamente per lui il ragionamento di Heechul filava liscio. Troppo liscio. Gli sembrava una perfetta lastra di marmo sulla quale stava inevitabilmente per scivolare, il problema era che non aveva idea di cosa aspettarsi alla fine di essa. Era un trampolino sul vuoto.
-Sai bene anche tu quanto stringere un legame saldo tra Busan e Soul sia fondamentale, Busan è…-
-L’unico baluardo sicuro tra Soul e Nihon -, concluse Kibum fissando il vuoto.
Heechul sorrise soddisfatto. – Bravo -, disse dandogli un buffetto sulla guancia, - ricordi le lezioni di storia. –
Era impossibile per Kibum dimenticarle. Le alleanze matrimoniali e di legame tra Soul e Busan erano un motivo ricorrente sin dagli albori del regno di Chosun. Soul vantava una posizione strategica invidiabile per il controllo del territorio interno, ma Busan aveva il dominio sul mare e sulla costa. Due città potenti che spesso avevano rischiato di farsi la guerra tra loro, ma che non avevano esitato a stringere alleanze per respingere i nemici di Nihon. Probabilmente Nihon aveva iniziato a leccarsi i baffi non appena era giunta la notizia della morte dell’imperatore, aspettava solo una mossa falsa di Soul.
Kibum si rese conto che avrebbe dovuto fare i conti anche con tutto questo. Sospirò e guardò la finestra.
-Come vuoi-, disse alla fine, - se pensi sia più vantaggioso. -
Heechul tamburellò le dita sul coperchio del piano, reclinando leggermente il capo di lato e studiando il più piccolo.
Lui, Kim Heechul lord di Busan e, presto, imperatore di Chosun, intendeva organizzare una cerimonia indimenticabile e fare in modo che Soul non parlasse d’altro per mesi. Tutti dovevano guardarli e ammirarle lui quale nuovo regnante con la bellezza, la rarità dell’abilità di Kibum ed il suo sangue reale a fargli da cornice. Un gioiello luminoso da mostrare all’intero regno come suo.
Sorrise tra sé passandosi i polpastrelli caldi sulle labbra, mentre i suoi occhi deviavano sul profilo del più piccolo che aveva ripreso a suonare. Il capo di Kibum dondolava lento a destra e a sinistra e su e giù per seguire il ritmo della musica, i suoi trattiti erano delicatamente modellati da una luce grigio violetta, la curva dolce del suo spiccava in tutta la sua vivace tenerezza ed i suoi occhi erano concentrati sui movimenti delle sue mani, mentre le sue labbra semi dischiuse canticchiavano silenti.
 Heechul si era detto che aveva a disposizione tutto il tempo del mondo per farlo suo e di essere cauto, ma in realtà era solo il futile tentativo di porsi un freno. Era vero, aveva tutto il tempo del mondo, ma era anche una vita che aspettava ed ora che Kibum era lì, a portata di mano, resistere alla tentazione era quasi una battaglia persa in partenza. Certo, non intendeva essere frettoloso perché il rischio di mandare tutto a monte era troppo alto, non desiderava forse che il più piccolo cedesse spontaneamente?; ma forse poteva azzardare ancora un poco. Dopotutto, Kibum sembrava particolarmente docile quel giorno, nonostante non gli avesse risparmiato la sua parlantina pungente. Quando aveva iniziato a baciargli il collo l’aveva fatto mosso dal desiderio, senza riflettere, tuttavia per quanto fosse stata una manovra avventata ne era valsa la pena. Poteva forse rischiare di posare le sue labbra su quelle dell’altro o sarebbe stato troppo? Con Kibum non si poteva mai sapere.
Heechul gli accarezzò il viso con il dorso della mano, poi la fece scivolare dietro al collo del più piccolo per attirarlo a sé.
Kibum sbatté le palpebre trovandosi ad osservare con crescente timore il viso di Heechul che si avvicinava pericolosamente al suo. L’ennesimo brivido della giornata gli percorse la spina dorsale. Iniziava ad odiare quella situazione precaria e costantemente in bilico. Stare in presenza del più grande era come trovarsi su un terreno di caccia puntellato di trappole. I suoi occhi si mossero alla ricerca di una via di fuga e la sua mente lavorò veloce quando notò il piatto con la torta. Non perse tempo a riflettere e con un movimento repentino lo colpì facendolo rovinare addosso al più grande.
La torta finì dritta sui pantaloni di Heechul con tutto il suo tripudio di panna, le fragole rotolarono sul tappeto e il piatto cadde con un tonfo sordo.
Heechul si alzò di scatto, il viso paonazzo quanto il suo completo di seta scarlatta. Le macchie di panna sui suoi abiti sembrano delle decorazioni mal assortite.
-Yaaahhh Kim Kibum! -
-Ooohh Chullll- fece Kibum, allarmato. – Ti sei sporcato tutto! –
Il principe sgranò gli occhi fissando le macchia di panna sui pantaloni di Heechul.  –Tutta quella panna proprio lì...chissà cosa penserà la servitù. Dovresti andare a cambiarti, è orribile.  -
Kibum concluse la frase destreggiandosi in un allegro minuetto e in tutta risposta ottenne solo lo sbattere della porta. Quando alzò gli occhi dal piano vide che era rimasto solo. C'era solo Heebum, apparso da chissà dove, seduto sulla testata del divano che lo fissava con occhi giallognoli facendo dondolare la coda nel vuoto.
Tirò un sospiro di sollievo e si sfiorò le labbra con i polpastrelli, come a sincerarsi che la sensazione di quelle di Jonghyun sulle sue fosse ancora lì, intatta. Chiuse gli occhi e continuò a suonare. Le sue dita scivolarono sui tasti d’avorio inseguendo emozioni fatte di note timide e nostalgiche.
 
 
 
***
 
 
 
Kibum mugugnò nel sonno e arricciò il naso, infastidito dai movimenti molesti che lo sballottavano da una parte all’altra. Solo la presa salda di una mano sulla sua spalla gli impediva di rotolare chissà dove. Percependo la presenza di un corpo caldo al suo fianco si raggomitolò contro di esso.
Jong, pensò umettandosi le labbra.
Aprì lentamente gli occhi sorridendo rilassato, ma quando mise a fuoco l'ambiente intorno a sé si rese conto di essere in una carrozza in movimento.
La mano che gli stringeva la spalla gli accarezzo il capo e Kibum alzò gli occhi incontrando cosi l'irritante espressione compiaciuta di Heechul.
-Dormito bene?- domandò il più grande.
Kibum si rizzò a sedere rendendosi conto di aver dormito addosso all'altro per buona parte del viaggio verso Soul.
-No, sei scomodo -, mentì.
-Da come ti acciambellavi contro di me non si sarebbe mai detto.-
Heechul sogghignò scompigliandogli i capelli e Kibum si mise le dita tra le ciocche per ricomporli.
Il principe si maledisse tra sé. Si stropicciò gli occhi ancora assonnati ed iniziò a fare mente locale. La sua mente gli stava giocando brutti scherzi, meglio rimettere in fila ogni cosa prima di fare inconsapevolmente altre mosse insensate.
Erano partiti da Haewan in direzione di Soul quella stessa mattina con l’intento di raggiungere Soul in serata. Sbirciò oltre le tendine della carrozza e notò che era già il tramonto, segno che avrebbero raggiunto presto la capitale. Si stiracchiò le gambe intorpidite e guardò l’interno del veicolo. Sia lui che il più grande indossavano dei completi neri con ricami oro e argento, oro per Heechul, argento per lui. Dopotutto l’imperatore era appena morto ed entrare a Soul vestiti a lutto era d’obbligo, soprattutto per loro. Dall’altra parte della seduta Kyuhyun li sbirciava di sottecchi apparentemente indifferente, tuttavia tratteneva a stento espressioni facciali più che significative su quelli che dovevano essere i suoi pensieri.
Kibum soffiò, poi volse un’occhiata in direzione di Heechul che aveva allungato un braccio sulla testata imbottita, accavallato le gambe e portato una mano sotto il mento.
-Fatto dei bei sogni? – domandò Heechul con una punta d’aspettativa nella voce.
Kibum gli rivolse uno sguardo annoiato e sbadigliò portandosi una mano inanellata alla bocca. Certo che li aveva fatti! Per tutto il dannato tempo aveva creduto di essere ancora al Rifugio e di star dormendo tra le braccia calde e rassicuranti di Jonghyun.
-No – rispose stizzito.
-Meglio la realtà, dico bene? –
La realtà è un incubo, fece Kibum tra sé.
Heechul gli diede un buffetto sulla guancia, poi fece scivolare le punte delle dita sul suo collo dove aveva lasciato quell’orrendo segno rosso. Kibum l’aveva osservato attentamente quella mattina e l’aveva trovato orribile sotto molti punti di visti. L’umiliazione pungeva ancora sulla sua pelle come tanti piccoli spilli. Si era sentito usato, un oggetto di cui il più grande poteva disporre a sua piacimento.
Jonghyun non si è mai permesso di farmi una cosa simile, come se fossi una sua proprietà.
Volente o nolente i suoi pensieri finivano sempre per essere rivolti a lui, Jonghyun.
Sono una bambola fredda e perfetta, pensò cercando d’ignorare il ghigno compiaciuto che doveva essere dipinto sul viso di Heechul.
Aprì la tendina della carrozza nella sperando di trovare aria respirabile. Gli sembrava di soffocare. Due secondi dopo la richiuse perché il profumo di liberata che si respirava all’esterno dell’abitacolo era troppo allettante. Iniziò a muoversi freneticamente alla ricerca di un ventaglio, era sicuro di averne portato uno con sé e in un modo o nell’altro aveva bisogno d’aria.
Heechul lo guardò inarcando un sopracciglio.
-Che stai facendo? –
-Cerco il ventaglio. Ho caldo -, rispose sbrigativo.
-Hai chiuso la tenda due secondi fa. –
Kibum sbuffò. Oh era assurdo, ora non poteva nemmeno cercare un ventaglio in pace! Intendeva monitorare ogni aspetto della sua vita?
Perché non si trova un cane?
Come se avesse udito i suoi stessi pensieri Heebum, acciambellato su un cuscino di seta dall’altra parte della seduta, miagolò con disappunto.
Kibum assottigliò gli occhi ingaggiando una lotta di sguardi felini e fu allora che individuò il manico del suo ventaglio sotto il cuscino spocchioso del dannato gatto. Recuperò il ventaglio in malo modo facendo rizzare il pelo a Heebum.
-Cosa se ne farà un gatto di un ventaglio? – disse sbuffando e tornando a sedersi.
Heebum si riaccomodò impettito sul cuscino e si leccò le zampette grigie facendo tintinnare il campanellino dorato che portava al collo.
Heechul scoppiò a ridere e guardò il principe di sottecchi. –Oh non lo so, dimmelo tu? –
Kibum colse subito il sottointeso del più grande e roteò gli occhi.
Almeno io ho i pollici opponibili!, pensò facendo una linguaccia a Heebum. 
-Invidioso?-, sogghignò Heechul. - Vuoi anche tu un collare di seta con un luccicante campanellino? –
Kibum arricciò il naso, era nauseante e la cosa peggiore era che probabilmente Heechul non scherzava.
Iniziò a sventolarsi. Dall’esterno giungeva il suono dello scalpiccio degli zoccoli dei cavalli ed il cinguettare degli uccelli.
-Yah mi fa male il polso -, fece ad un tratto. Allungò mollemente il polso verso Heechul che lo guardò stranito.
-Chulll – miagolò.
Heechul gli prese il ventagliò e proseguì al suo posto, mentre con l’altra mano si massaggiava una tempia.
-C’è qualcosa che non suscita la tua irritazione oggi? –
-Un bravo fidanzato -, proseguì Kibum, - mi sventolerebbe di sua iniziativa pur di alleviare il mio malessere. Tu te ne stai a guardare il mio polso dolorante. Chul, stai cercando di alleviare le mie sofferenze o di generare un ciclone?  Non sei bravo a sventolare. -
Heechul lo guardò di sbieco indeciso se sorridere con sarcasmo o mostrarsi irritato. Era impressionante come il più piccolo riuscisse a suscitargli contemporaneamente due reazioni così diverse.
 -Scusami tesoro se non lo faccio di professione. -
-Potresti seguire un corso. -
Dall’altra parte della carrozza Kyuhyun simulò un colpo di tosse per nascondere una risata. Heechul gli lanciò un’occhiata di fuoco e tentò di colpirlo con un calcio.
La carrozza iniziò a rallentare sino a fermarsi e Heechul scostò le tende.
-Soul-, disse orgoglioso, - siamo arrivati.-
Che gioia, pensò Kibum.
Già immaginava il più grande gongolare all’idea di farsi vedere in giro con lui al fianco.
La carrozza superò le mura d’ingresso alla città imperiale e proseguì lungo il viale principale che conduceva al palazzo.
Kibum si passò una mano sul viso, indeciso se sbirciare Soul dispiegarsi oltre le tende o rimanere rintanato nel veicolo. Sentiva già le viscere del suo stomaco contrarsi. Sospirò, ma alle fine si fece coraggio ad allungò il viso all’esterno. Quella città aveva sempre avuto il potere di farlo sentire in trappola, ma se voleva prendere il posto che gli spettava non poteva più guardarla come una prigione, ma come un regno che poteva essere cambiato in meglio. Quei pensieri gli attraversarono le mente in modo così naturale da lasciarlo spiazzato, rendendosi conto che mesi addietro non lo avrebbero mai toccato. Capì di essere davvero cambiato perché non voleva più fuggire, né essere disposto a crogiolarsi nella solitudine.
Io voglio più luce, pensò.
La città corse ai lati della carrozza regalandogli la visione di scorci su cui non aveva mai posato lo sguardo. Piazze, botteghe, le case della gente comune e della nobiltà. Intanto il cielo vermiglio del tramonto sfumava in note blu e viola e una luna pallida si profilava all’orizzonte. I soldati di Busan erano ovunque, mischiati a quelli di Soul, così come il suo stendardo garriva al vento affiancato da quello del lord di Busan. Questo lo fece infuriare. Quando giunsero in vista dei cancelli del palazzo reale richiuse le tende, quello sì che per i giorni futuri sarebbe stato la sua prigione.
Superati i giardini reali i cavalli si fermarono. Kibum attese, come da etichetta, che qualcuno gli aprisse le porte, ma non appena i suoi piedi toccarono il selciato non furono le torri e le cupole del palazzo ad attirare la sua attenzione. Davanti a sé incontrò una figura famigliare che per anni era stata al suo fianco e che credeva di aver perso mesi addietro tra i rami intricati della foresta. Era impeccabile come sempre nella sua divisa, i capelli perfettamente pettinati, una nuova spada sfavillante al fianco ed il volto serio e composto che tuttavia tratteneva a stento l’emozione. Kibum sgranò gli occhi.
-Siwon? – sussurrò.
Siwon s’inchinò portandosi una mano al petto. –Signorino, ben tornato a Soul. –
 
 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e di essere riuscita nel mio intento di mettervi ansia (muahaha) Image and video hosting by TinyPic ma anche di farvi divertire!
 
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Se vorrete dedicare due minuti del vostro tempo per lasciarmi un commento ricordo che sono sempre graditi, le opinioni altrui fanno sempre bene a chi scrive ^^
 
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A presto!
 
 
 
[1] Termine gentilmente preso in prestito dai commenti di Blugioiel XD

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Capitolo 33
*** Capitolo 32. If you love him in a beautiful life ***


Ciao a tutti!
Ringrazio subito chi ha inserito la storia tra le preferite, ricordate, seguite e ovviamente tutti i lettori. Un grazie particolare a chi mi ha lasciato i suoi commenti: Blugioiel, Chocolat95, DreamsCatcher, Ghira_, Gonzy_10, Jae_Hwa, KimJonghyun23, MagicaAli, Panda_murderess, Saranghae_JongKey e vanefreya.
Ringrazio anche chi mi ha inserita tra gli autori preferiti: Blugioiel, Jae_Hwa e MagicaAli  *.*
Grazie per il vostro sostegno ^^
Spero di non aver lasciato troppi errori di battitura. XD
Buona lettura!
 
 
 
If you love him in a beautiful life
 
 
“You, who were like the dazzling weather
Your bright face
They are now parts of old memories
(…)
I’m alone again today”
Shinee, Beautiful Life
 
“If You Love Her
If you want her
More beautiful than flowers
You have to love her more
If You Love Her
If you need her
Tell her without holding back”
Shinee, If you love her
 
 
 
 
 
Taemin raggiunse l’armeria quasi strisciando, la spada in mano ed il viso stravolto tra la stanchezza ed il nervosismo impellente. Si sentiva come una molla pronta a scattare, eppure non riusciva a fare quel piccolo passo necessario ad esternare l’adrenalina latente. Un’agitazione che non lo stava portando da nessuna parte se non farlo sentire costantemente inquieto. Gli ultimi giorni, da quando la sua umma se ne era andata, li aveva passati senza né capo né coda. Era preoccupato, ma sapeva anche di non poter far nulla e questo lo faceva infuriare. Alla fine si era risolto a passare il tempo ad allenarsi distruggendo con fendenti e stoccate un buon numero di manichini, tutto perché nessuno sembrava intenzionato ad incrociare la spada con lui. Sbuffò e lanciò un’occhiata fugace ai manichini martoriati riposti in un angolo dell’armeria. Non avevano un bell’aspetto.
Bhe, forse questo non è un incentivo ad allenarsi con me, rifletté.
Per fortuna poi si era fatto avanti Minho, ma la cosa era più volte finita in tragedia.
Lui e i suoi dannati modi controllati! Non sono un bambino!
-Vuoi prendermi sul serio una buona volta? – gli aveva urlato in faccia.
Bhe, Minho era stato di parola. Forse anche troppo.
Taemin si passò una mano sulla fronte imperlata di sudore e si ravvivò la lunga frangia biondiccia. Si sentiva i muscoli doloranti e doveva essere ricoperto di botte violacee in più punti. Si tastò un fianco indolenzito e strizzò gli occhi. Probabilmente avrebbe scoperto lo stato pietoso del suo corpo dopo un lungo bagno caldo. A quel pensiero un’espressione soddisfatta e rilassata gli animò il viso, ma subito il senso di colpa lo invase e tornò ad imbronciarsi corrugando la fronte.
Non posso pensare ad uno stupido bagno caldo in un momento simile!, si rimproverò.
Nemmeno l’ultima volta che era rimasto da solo al Rifugio si era sentito così. Frustrazione, senso d’impotenza, preoccupazione, rabbia. Decisamente troppo da gestire tutto insieme. Era preoccupato per Kibum, la sua umma era in pericolo e lui non poteva fare niente, Jonghyun era un fantasma, sparito!, non aveva lasciato dietro di sé nemmeno la traccia di una buccia di banana. Probabilmente stava passando le sue intere giornate chiuso in stanza a piangere come un coccodrillo.
Taemin scosse il capo e rispose la spada nella rastrelliera.
Quello scemo ingrato, pensò.
Come se non bastasse Minho gli ronzava costantemente intorno indeciso se rivolgergli la parola o meno.
Neanche mordessi! Quest’altro scemo, aish!
A chiudere il quadro suo fratello stava macchiando qualcosa. Non era esattamente una novità, ma Jinki aveva spedito dei messaggi a quella certa persona e ciò poteva significare solo che aveva qualcosa di grosso che bolliva in pentola.
Ummaaaa!!! Urlò dentro di sé.
-Taemin –
Taemin si voltò per trovarsi faccia a faccia con Minho il cui viso tirato era segnato da due profonde occhiaie. Nemmeno lui doveva passarsela bene in quei giorni. Taemin sapeva che aveva tentato più volte d’instaurare un dialogo con Jonghyun senza ottenere risultati. Il suo migliore amico non sembrava intenzionato ad intrattenere una conversazione ragionevole.
-Forse dovresti andare in infermeria farti vedere -, disse Minho.
-Certo! Prima mi fai a pezzi e poi mi dici di andare in infermeria?! –
Taemin agitò i pugni in direzione del più grande che sgranò gli occhi e poi si passò una mano tra i capelli scuotendo il capo.
-Prima mi dici di fare sul serio e poi ti lamenti -, osservò Minho.
Taemin sbiancò. Non si era accorto di aver parlato ad alta voce.
Non devo fare la figura del bambino!!!
-Scusa -, disse, - non ce l’avevo con te. –
Ed era vero, o meglio era arrabbiato con Minho- era sempre arrabbiato con Minho!-, ma quello sfogo era non dovuto a lui.
Taemin sospirò e si mise le mani tra i capelli con disperazione.
-E’ solo che mi sembra d’impazzire! Non riesco a stare qui senza fare niente. –
Minho annuì, pensoso, incrociando le braccia. –Lo so. –
-Insomma -, sbottò di nuovo il più piccolo, - l’hai visto anche tu quel tizio e la faccia di Kibum. Non mi piace sapere che è là con lui. –
-Non possiamo fare niente, Minnie, non ora. L’abbiamo già detto milioni di volte: Kibum sa’ quello che fa. –
Questo non rassicurava per niente Taemin, ma come diceva Minho c’era ben poco da fare. Il più piccolo sospirò. Calma, aveva bisogno di calma. Si appoggiò alla parete ed incrociò le braccia. Preso dalle proprie preoccupazioni e dal desiderio di prendere a schiaffi Jonghyun, Taemin udì la voce di Minho, simile ad un balbettante brusio, dire cose insensate senza raggiungere un punto preciso. Sospirò di nuovo. Quel giochetto andava avanti da giorni e più Minho sproloquiava più lui ci capiva sempre meno. Che senso avevano tutti quegli assurdi giri di parole per dire semplicemente…niente?
Taemin scosse il capo contrariato. Era frustrante. Taemin ne aveva decisamente abbastanza, se doveva dirgli qualcosa perché non lo faceva e basta invece di sprecare tutto quell’ossigeno?
Sbuffò sonoramente. Si rendeva conto di poter fare poco o nulla per aiutare Kibum o mettere del sale in zucca a Jonghyun, cosa che considerava un’impresa impossibile sotto molti punti di vista, ma Minho rappresentava indubbiamente uno dei suoi molteplici problemi e, benché il tempismo non fosse dei migliori, era anche l’unico che poteva risolvere.
O metterci una pietra sopra, s’appuntò mentalmente.
D’altro canto ne aveva abbastanza di quella situazione insensata che si trascinava da anni. Meglio mettere le cose in chiaro una volta per tutte.
Minho gli piaceva da troppo tempo e in quei mesi si era reso conto di quanto lo facesse soffrire l’idea di non poterlo avere vicino come desiderava. Dunque, allo stato attuale ormai vi era una sola cosa da fare.
Glielo devo dire, pensò risoluto.
Al resto avrebbe pensato in seguito.
-Minho – sussurrò.
L’assurdo parlottare del più grande si bloccò di colpo.
-Taemin? –
Taemin alzò lo sguardo e si rese conto che non era stato solo il tono di Minho a risultare apprensivo, ma anche i suoi occhi lo erano.
Quando doveva essere stata flebile e titubante la sua voce nel pronunciare il nome del più grande?
Taemin si schiarì la gola e si staccò dal muro per avvicinarsi all’altro. Era il momento della verità, doveva mettere la parola fine a quella storia una volta per tutte e aveva intenzione di affrontare la morte a testa alta. Annuì tra sé con determinazione.
-Quella cosa che hai detto giorni fa a Kibum hyung – si schiarì di nuovo la voce. –Hai detto che spesso è proprio alle persone a cui vogliamo più bene che fatichiamo a dire ciò che proviamo… -
-Sì, l’ho detto -, disse Minho sbattendo le palpebre. Perché improvvisamente il più piccolo iniziava a parlare di quello? Lui era da giorni che tentava di dirgli ciò che provava e ora che sentiva di essere ad un punto di svolta il più piccolo interrompeva così il suo discorso.
-Lo pensi davvero? –
-Certo, ma Taemin ascolta quello che stavo cercando di dirti è che…-
Minho si sentì la lingua secca. Glielo voleva dire, certo il tempismo non era dei migliori ma ne aveva abbastanza, era inutile imporsi una tortura senza conoscere davvero le conseguenze del proprio agire.
Se la mia testa dovrà rotolare per mano di Lee Jinki va bene, pensò.
Attualmente aveva un tale mal di testa che poteva quasi considerarsi una liberazione.
-Tu mi piaci – disse Taemin con voce ferma.
I pensieri di Minho s’arrestarono di colpo e sgranò gli occhi. Taemin era ad un passo da lui e lo fissava serio e determinato come mai l’aveva visto, ma anche con un leggero accenno di timore. 
Minho scosse il capo. Aveva capito bene o era la sua mente che gli stava giocando un brutto scherzo? Taemin gli aveva davvero detto una cosa del genere, era possibile?
Sto sognando, pensò.
-Tu mi piaci -, ripeté il più piccolo scandendo ogni singola parola.
Questa volta la voce di Taemin giunse limpida e chiara alle sue orecchie, inequivocabile nella sua semplicità. Se prima Minho si era sentito la gola secca ora aveva totalmente perso l’uso della parola. Era da anni che cercava di capire se i suoi sentimenti fossero giusti o sbagliati e quando l’aveva capito aveva iniziato ad arrovellarsi se rivelarli al diretto interessato e se sì come. Da giorni lanciava sassi in uno stagno senza però vederli raggiungere il fondo e ora era il più piccolo a dichiararsi con una tale semplicità da lasciarlo disarmato.
Minho deglutì. Era come se tutto fosse proceduto con estrema lentezza per poi subire un’accelerata finale. Arrancare nel fango per poi trovarsi a rotolare da una collina senza alcuna possibilità di frenata. Assurdo. 
-Non dici niente? – fece Taemin leggermente piccato.
Taemin strinse i pugni e nonostante la determinazione di poco prima gli venne voglia di urlare e piangere. Non aveva fatto alcun pronostico sulle possibili reazioni di Minho, ma qual silenzio era decisamente imbarazzante.
E umiliante, si disse.
Bhe, doveva mettere fine a quella cosa ed intendeva chiuderla in modo altrettanto umiliante, tanto ormai aveva ben poco da perdere.
Taemin si alzò sulle punte dei piedi e posò un bacio leggero sulle labbra dell’altro. Ecco, ora la sua umiliazione era completa. Tornò con i piedi per terra ed uscì dall’armeria senza degnare Minho di uno sguardo.
Minho rimase interdetto. Aveva appena iniziato a fare mente locale e a rendersi conto della consistenza delle labbra del più piccolo sulle sue che Taemin era sparito. Si grattò il capo e si guardò intorno stranito come se si aspettasse di vederlo riapparire da un momento all’altro. Solo allora si rese conto di essere rimasto muto e privo di una qualunque reazione visibile per tutto il tempo.
Aish!, fece grattandosi il capo e muovendo dei passi confusi.
Se voleva rimediare a quel pasticcio c’era un’unica cosa da fare. Dopotutto non stava già rotolando a gran velocità lungo il versante di una collina?
-Taemin! –
Uscì di corsa dall’armeria alla ricerca del più piccolo, ma di Taemin sembrava essere svanita ogni traccia. Si mise le mani tra i capelli. Dov’era finito? Di quel passo alla fine della collina avrebbe trovato un burrone. Iniziò ad aggirarsi per i corridoi, dopotutto Taemin non poteva essere svanito nel nulla a meno che non si fosse trattato davvero di un sogno. Raggiunse la stanza del più piccolo, l’unico luogo in cui era sicuro di poterlo trovare, ed aprì la porta. Come si aspettava Taemin era in piedi in mezzo a tutto il caos che contraddistingueva la sua tana e lo fissava sconcertato con gli occhi lucidi.
Minho deglutì, poi agì senza pensare e, superato lo spazio che li separava, questa volta fu lui a posare le labbra su quelle dell’altro. Prima che ne rendesse conto lo stava baciando, un bacio vero, uno di quelli che aveva a mala pena avuto l’ardire di sognare.
Taemin sobbalzò e sgranò gli occhi al primo contatto con le labbra dell’altro, mentre la sua mente cercava di capacitarsi di tutto ciò che stava accadendo intorno a lui. Com’era possibile che un attimo prima si stesse arrovellando su come risolvere il problema chiamato Minho e poco dopo si trovasse così? Ma non aveva importanza. Dischiuse le labbra rispondendo al bacio del più grande, dopo tanta calma piatta non chiedeva di meglio e non aveva bisogno d’altro. Una certezza null’altro. Era tutto ciò che desiderava e Minho gliela stava dando insieme ad una speranza che aveva coltivato per anni. Più il bacio si faceva inteso più si sentiva investito da una valanga di emozioni che sino ad allora aveva solo potuto immaginare. Le aveva guardate da lontano con invidia, ma anche con felicità e curiosità domandandosi se mai gli sarebbe stata donata la possibilità di provare altrettanto.
Il cuore di Minho sussultò non appena Taemin rispose al suo bacio. Provò un misto di sorpresa per quel contato così inaspettato ma che, dopotutto, già il più piccolo aveva preannunciato. Era pura follia. Follia ciò che provava, follia ciò che stava facendo, ma era perfetto. Aveva smesso di rotolare a velocità inaspettata per essere sbalzato in aria e fluttuare nel vuoto leggero come una piuma. In quel momento comprese il senso di quelle strane sensazioni di ubriachezza di cui Jonghyun parlava sempre e si lasciò sfuggire un sorriso.
Nessuno dei due seppe dire per quanto tempo rimasero così, a ritagliarsi quello spazio che per anni avevano lasciato in sospeso e che ora aveva deciso di travolgerli, tuttavia quando si staccarono il sorriso era palese e limpido su entrambi i loro volti. Le loro paure erano ancora lì, amiche fedeli che avevano fatto loro compagnia in quegli anni segnati dal senso di solitudine per l’assenza dell’altro o semplicemente dall’assenza di loro, tuttavia erano state messe da parte. In quel momento non avevano alcuna importanza. Avevano dovuto vedere la tristezza ed il senso di solitudine su visi altrui per capire che rinunciare a quel passo tra loro era follia tanto quanto gettarsi nel vuoto, così come avevano dovuto guardare da lontano la felicità e quel senso di completezza che a loro non apparteneva, domandandosi come sarebbe stato concedere a loro stessi la speranza di provare altrettanto.
-Da quanto tempo? – sussurrò Taemin.
-Ho perso il conto degli anni -, rispose Minho sfiorandogli il viso.
-Scemo. -, fece Taemin nascondendo una risata nella sua spalla. - Io almeno gli anni li ho contati. -
Minho non riuscì a trattenere una risata e riprese a baciarlo.
Entrambi desideravano godere di quel momento di assurda perfezione che li aveva travolti come l’onda anomala di un mare piatto e fermo che, ormai, rischiava di trasformarsi in acqua stagnante e priva di vita. Era la corsa finale sulla riva, lo scivolare sull’incresparsi dell’onda. Ogni cosa tra loro era stata segnata da un pessimo tempismo, dalla calma noiosa e snervante durata anni sino a quella battuta finale. Lì, in quel caos che era la stanza del più piccolo ma anche una propagazione materiale di ciò che albergava nelle loro menti e nei loro cuori, avevano finalmente trovato un equilibrio simile a quello del funambolo sul filo sospeso. Un bagliore di luce tra le paure, i se e i ma che li avevano sempre accompagnati senza portarli da nessuna parte.
 
 
***
 
 
Jinki tamburellò le dita sul tavolo e fece scorrere gli occhi sulla missiva che teneva in mano. Rilesse più volte tentando di comprendere il significato abilmente celato in quelle frasi enigmatiche che poteva dire tutto o niente. Alla fine si passò una mano sul viso stanco e segnato dalle occhiaie e si concesse un sorriso. Quella certa persona non si smentiva mai. Le frasi apparentemente naturali che nascondevano detti e non detti, fronzoli enigmatici di cui nemmeno lui, Lee Jinki, riusciva a trovare un capo per sbrogliarli, potevano anche essere giochetti divertenti, ma il Leader dei Ribelli non riteneva fosse il momento opportuno per dilettarsi in simili espedienti.
No, pensò, non è proprio il momento.
Guardò la teiera fumante di tè al ginseng ed arricciò il naso. Ora nemmeno una tazza di tè sarebbe stata in grado di tranquillizzarlo e ciò la diceva lunga sul suo attuale stato mentale.
Perché non risponde mai in modo chiaro?
Se non fosse stato così preoccupato probabilmente si sarebbe messo a ridere per l’ironia dei suoi stessi pensieri.
Si portò due dita al centro della fronte ed iniziò a massaggiarla.
Era passata circa una settimana da quando il principe aveva lasciato il Rifugio e stando a quando dicevano i suoi informatori ormai aveva fatto ritorno a Soul. E ancora non aveva notizie di Kibum. Sapeva che non sarebbe stato facile per il più piccolo riuscire a mettersi in contatto con lui nell’immediato, ma questo non gli impediva di essere preoccupato. Probabilmente non era mai stato così preoccupato in vita sua.
Calma, si disse, devo solo pazientare.
Doveva davvero imporsi un minimo di tranquillità o la sua testa sarebbe scoppiata. La situazione di Kibum a Soul non doveva essere facile e la sua libertà d’agire estremamente limitata.
Jinki riprese la missiva, lesse e poi la gettò in aria facendola svolazzare nella calma piatta e latente della stanza. Si sdraiò sul pavimento, fissò il soffitto e chiuse gli occhi massaggiandosi le tempie.
Kibum era molto coraggioso, non aveva dubbi, ma la sua situazione a Soul precaria, bastava un’unica mossa falsa, la minima distrazione capace di far sorgere il ragionevole dubbio per mandare all’aria l’intero castello di carte. Jinki avvertiva la necessità di una maggiore sicurezza, ne aveva bisogno. Ovviamente aveva un’idea che gli balenava in testa da un po'. Se solo quella certa persona si fosse disturbata a rispondergli decentemente! Detestava dipendere da altri, ma in quel caso non poteva fare altrimenti. Quella persona poteva davvero rivelarsi la loro carta vincente, uno scudo capace di metterli ai ripari nel caso la situazione fosse precipitata.
La missiva terminò di svolazzare posandosi sulla punta del suo naso.
Iniziava a temere di doversi recare lui stesso da quella certa persona nella speranza di ottenere delucidazioni. Questo non gli piaceva per niente ed il solo pensiero gli metteva i brividi, ma sembrava proprio che non avesse altra scelta.
Ma prima c’era una cosa che desiderava e sentiva il bisogno di fare.
 
 
***
 
Jonghyun scivolò nella vasca bollente nella speranza che un bagno caldo avesse il potere di rilassarlo, un’espediente inutile che tentava da più giorni senza risultati degni di nota. Il suo corpo rimaneva rigido, un groviglio di nervi tirati, la mascella serrata e la fronte contratta.
Ormai non si rendeva più conto di ciò che faceva e di rimando sorrideva amaro. C’era stato un tempo in cui non aveva avuto idea di dove la vita l’avrebbe condotto, anche se aveva sospettato con un pugnale in gola o tra le scapole, ma era sempre stato in grado di mettere un piede davanti all’altro. Viveva alla giornata, ma viveva. Ciò che stava facendo ora, invece, non era certo potesse definirsi vita. Nel momento stesso in cui aveva rimesso piede la Rifugio tutto era proceduto in modo insensato. Era come un automa e proprio come un essere capace solo di movimenti meccanici aveva attraversato i corridoi per rinchiudersi in camera dove aveva passato l’ultima settimana. Il suo corpo reagiva mosso dagli stimoli più naturali come la fame ed il sonno. Si sentiva un fantasma e come tale si muoveva. L’ultima conversazione che aveva avuto con esseri umani era stata con Minho e Taemin, anche se a posteriori dubitava si potesse considerare come tale. Li aveva incontrati lungo i corridoi non appena era rientrato al Rifugio gocciolante di pioggia, uno straccio che camminava lasciando dietro di sé ampie pozzanghere. Se c’erano state delle persone che aveva desiderato non incontrare erano proprio loro, ma a quanto pareva il destino aveva ancora qualche beffa in serbo per lui. Taemin l’aveva aggredito subito, ma Jonghyun aveva dato scarso peso alle sue parole, tanto meno le aveva ascoltata realmente. Aveva tentato di scansarli per rintanarsi nella sua stanza e seppellirsi vivo, ma non gli avevano dato tregua.
-Jonghyun dobbiamo parlare -, gli aveva detto Minho.
A quel punto era esploso. Dobbiamo parlare. Gli era venuto da ridere ad udire quelle parole e a ripensarci era costretto a trattenere a stento una risata metallica. Parlare, era davvero ironico.
-Oh ora volete parlare -, aveva detto loro sprezzante, - tempo scaduto, tic tac, avreste dovuto farlo mesi fa. –
Gli altri due si era guardati senza proferire parole.
-Datemi una sola ragione per cui non dovrei odiarvi? – aveva chiesto loro.
Oh li odiava, quanto li odiava in quel momento. Li odiava quanto aveva la certezza di aver perdonato Key e di amarlo come l’aveva sempre amato.
Jonghyun chiuse gli occhi e si lasciò sprofondare nell’acqua.
Si aspettavano davvero che fosse disposto a perdonarli come se nulla fosse? Se da un lato capiva il motivo delle bugie di Key, dall’altro non riusciva ad accettare il silenzio degli altri. Quali giustificazioni avevano da fornirgli? Jonghyun non ne vedeva, si sentiva solo furente e ferito nell’orgoglio.
-Tu non capisci, Kibum…-, aveva tentato di dire Taemin.
Jonghyun riemerse dall’acqua e si passò una mano sul viso e tra i capelli.
Kibum, Kibum, Kibum. Non riusciva nemmeno a sentir pronunciare quel nome. Perché lo inseguiva come una maledizione? Risvegliava nel suo cuore un caldo tepore e allo stesso tempo lo gettava nella più completa disperazione.  Era una medicina ed un veleno al tempo stesso e lui ne era totalmente assuefatto.
Uscì dalla vasca rendendosi conto che anche quel giorno aveva fatto l’ennesimo tentativo a vuoto, poiché era ancora rigido e dolorante. Si vestì e raggiunse la stanza da letto dove fece spaziare lo sguardo e, come sempre, fu colto dalle vertigini. Tutto, qualunque cosa, anche il più insignificante granello di polvere gli ricordava lui. Era ovunque. Nella vasca da bagno a crogiolarsi nell’acqua calda e a fare l’amore con lui, raggomitolato sul letto pronto a ricevere un bacio, dietro al paravento in un fruscio di abiti scelti con cura. Il suo profumo dolce e delicato aleggiava all’intono impregnando l’aria stessa satura di lui come se non se ne fosse mai andato. Svegliarsi alla mattina con quel profumo tra i cuscini era una tortura tanto quando addormentarsi alla sera. Più volte aveva aperto e richiuso gli occhi certo di trovarlo al suo fianco. Ma non c’era. C’era solo quel profumo simile a quello dei ciliegi in boccio, la promessa di una primavera mai giunta e destinata a sfumare, subito, in un rigido inverno o in un’estate torrida unicamente capace di fare terre bruciata all’intorno.
Jonghyun si gettò sul letto e rotolò su un fianco. Dormire, ecco cosa desiderava fare. Un sonno senza sogni, perché se avesse sognato sapeva che il viso dell’altro sarebbe stato lì ad attenderlo. Un fiore semitrasparente nel suo candore che si era dissolto tra le sue mani, sciolto sotto la pioggia di primavera.
Chiuse gli occhi e subito il suo profumo delicato si fece più intenso, come se smorzando la vista tutti gli altri sensi si fossero fatti più attenti.
Strinse a sé un cuscino e l’essenza di fiori di ciliegio lo investì in pieno, quasi con prepotenza, calamitandolo verso i ricordi.
Il viso di Key baluginava davanti a lui, cangiante come il cielo a primavera e cristallizzato in sottili gocce di pioggia dai colori acquarello dell’arcobaleno.
Allungò una mano sul materasso incontrando il vuoto. Non c’era niente, come non c’era più niente dentro di lui. Un tempo il sorgere del giorno era iniziato con un bacio per chiudersi con un rinnovato suggellarsi di labbra e corpi. Gli sembrava di rimirare attraverso uno specchio vecchie memorie. Ma la verità era che doveva dimenticare tutto.
Sono di nuovo solo, pensò.
-Jonghyun –
Jonghyun riaprì gli occhi e sbatté le palpebre per rimettere a fuoco la stanza. Ancora uguale, ancora vuota senza lui. Si mise a sedere portandosi una mano al capo e reprimendo un lamento. Ora sentiva anche le voci.
-Jonghyun –
Jonghyun si voltò per incontrare la figura di Jinki che lo fissava, serio. Credeva di avere i sensi all’erta, perché non l’aveva sentito entrare? Abbassò gli occhi per rivolgere al Leader un’occhiata obliqua. Ecco un’altra persona con la quale per il momento non voleva avere nulla a che fare. Jinki aveva sempre saputo troppe cose e Jonghyun non dubitava che il Leader avesse fatto accuratamente i suoi conti. Per quanto nutrisse per Jinki il massimo rispetto non si faceva illusioni. La mente del Leader era irrimediabilmente lineare nella sua assurda contorsione, come un serpente.
-Jinki -, disse lasciando trapelare il proprio fastidio. - Che cosa vuoi? –
Jinki lasciò trapelare un lieve accenno di sorriso e Jonghyun cercò d’ignorarlo, come ignorò volutamente la battuta, di spirito?, che seguì.
-Pensi sempre che io voglia qualcosa. –
-Tu vuoi sempre qualcosa. –
Jinki piegò il capo di lato e annuì tra sé. Jonghyun si domandò a cosa stesse pensando e a cos’avesse pensato in tutti quei mesi.
No, si disse, non posso farmi distrarre o sopraffare anche da questo.
-Come stai? – domandò Jinki.
Jonghyun sogghignò portandosi una mano dietro al capo e scompigliandosi i capelli. Come stai. Sembrava quasi che gli avesse domandato come stava dopo un violento raffreddore. Era decisamente un inizio vuoto ed inconsistente, una frase gettata a caso per iniziare un dialogo di cui entrambi potevano presagire il finale ma il cui inizio poteva essere oscuro.
Jonghyun non aveva alcuna intenzione di rispondergli. Che cos’avrebbe dovuto dirgli?
Sorrise tra sé ripensando a vecchie conversazioni ed immagini.
Uno spiritello mi ha rubato il cuore in una notte di mezza estate ed ora è svanito, pensò.
No, Jonghyun era stufo dei giri di parole. Non li aveva mai né capiti, né apprezzati preferendo parlare in modo chiaro e diretto. Tutto il contrario di Jinki ma, dopotutto, ora il Leader si trovava sul suo terreno di caccia.
-Lo volevi usare, vero? –
La frase uscì dalle labbra di Jonghyun senza che vi avesse riflettuto e benché pronunciata in tono interrogativo nella sua mente aveva di più l’aspetto di un’affermazione. Un pensiero sottile rimasto latente per giorni e che ora lo attraversava come un fulmine a ciel sereno.
-Jonghyun, non avevo scelta –
Jonghyun avrebbe voluto ridere. Ecco che gli proponevano la solita storiella del “dovevamo proteggerlo”. Da chi, da lui forse? Perché altrimenti non riusciva a spiegarsi come mai fosse stato l’unico idiota a non conoscere la verità.
-Non offendere la mia intelligenza, hyung, ti conosco. Tu volevi usare Key, hai progettato di farlo nel momento stesso in cui ha messo piede al Rifugio. –
La sua voce risuonò dura, quasi un rimprovero. Non gli piaceva quello che doveva essere balenato nella mente di Jinki in quei mesi. Non gli piaceva che qualcuno volesse o avesse voluto usare Kibum. Più guardava la situazione da tutte le prospettive possibili, più si rendeva conto di quella che doveva essere stata la situazione del più piccolo. Questo gli faceva male. C’era stato abbastanza per l’altro? Questa domanda lo tormentava. Soprattutto perché una vocetta gli suggeriva che no, non c’era stato abbastanza. Perché non sapeva o perché il suo subconscio non aveva voluto vedere, non importava. Non era stato abbastanza.
Gli si strinse il cuore in petto. Sapeva tutto di lui, di Key, ma per quanto Kibum conservasse la medesima innocenza ed il profumo, tale è quello della rosa se la si chiamasse con un altro nome, alcune sue tenui sfumature rimanevano per lui oscure e misteriose. Insondabili e seducenti quanto quegli occhi felini.
Jonghyun scosse il capo. Doveva allontanare quella visione da lui prima che lo risucchiasse.
-E’ così, era mia intenzione farlo. Ma…-
La voce tenue di Jinki lo riscosse.
-Era tutto programmato, dico bene? – iniziò a dire Jonghyun seguendo il filo logico dei suoi pensieri, ma senza sapere dove questi lo avrebbero portato. – Quella strada assurda per raggiungere Taegu ed imbarcarlo su quella nave che in realtà volevi impedirgli prendere. Gli allenamenti, le nostre abilità, forse anche noi. Era tutto per uno scopo. –
-Non lo nego, ho intravisto i vantaggi di averlo nel momento stesso in cui Taemin mi ha mostrato chi era. Ma ciò non toglie l’affetto, Jonghyun, né la preoccupazione. –
Fu una confessione quella di Jinki che sentiva di dovere a sé stesso e a Jonghyun, pensieri che necessita di tradurre in parole dotate di una loro sonorità.
Jinki si passò una mano tra i capelli e sospirò. Era stanco, stanco e preoccupato e una parte di lui sentiva di essersi recato da Jonghyun non solo per sapere come stava, ma anche alla ricerca di un perdono perché sapeva che le colpe erano anche sue. Sorrise tra sé. Jonghyun aveva ragione. Lui voleva qualcosa.
-Lo so che è difficile accettare tutto questo, ma ciò che Kibum sta facendo a Soul…-
-Non m’interessa. –
Jinki sbatté le palpebre sentendosi colto alla sprovvista. Tutto si aspettava da Jonghyun ma non questo. Non era normale. Comprendeva la sua rabbia. La delusione e l’orgoglio ferito erano tasselli emotivi che tutti loro avevo messo in conto, ma ciò che non comprendeva era quel costante rifiuto per ogni cosa. Giorni erano passati da quando KIbum se n’era andato, ormai era quasi una settimana, eppure Jonghyun si rifiutava di reagire. Rimaneva chiuso nelle sue stanze tanto quanto in sé stesso. Perché? Jinki ne era intimamente sconcertato. Di fronte al sacrifico di Kibum, alla scelta dolorosa ma matura di consegnarsi spontaneamente come “ostaggio”, per quale motivo uno come Jonghyun rifiutava di combattere quando la persona che amava stava facendo l’esatto opposto mettendo a repentaglio la sua stessa persona? Non era da Jonghyun. Era orgoglioso, vero, permaloso, facile alle delusioni a causa di un passato che di semplice e felice aveva ben poco, ma non era il tipo capace di arrendersi, al contrario.
Jinki non riusciva a trovare un senso e guardando Jonghyun si rese conto che proseguire quella conversazione era inutile, forse tanto quanto lo era stato iniziarla. Tuttavia non riuscì a tenere per sé i suoi pensieri. Volente o nolente, che volesse ancora Kibum o meno, il suo amico doveva reagire e uscire da quel pozzo buoi ed insensato in cui si era volontariamente calato privandosi della fune per uscirvi.
-Questa cosa assurda che stai portando avanti non ti porterà proprio da nessuna parte, posso capire come ti senti ma…-
-Davvero? – sbottò Jonghyun, - lo sai? Tu lo ami come lo amo io? -
Jinki serrò e assottigliò le labbra. – Lo amo come amo Taemin. -
-Allora risparmiami queste frasi fatte. Tu non lo sai, non sai cosa significa svegliarsi con il suo corpo caldo vicino, accarezzare le sue guance fredde con il solo desiderio di dar loro quel calore che da sole non riescono a trovare. Non sai cosa vuol dire trovare in un bacio, semplice, e in un abbraccio tutte le risposte che prima non avevi. E soprattutto non sia cosa significa svegliarsi ora e credere che sia qui, cercare lui nel suo profumo, nelle ultime tracce sulle lenzuola, e scoprire che è troppo lontano per te. Troppo.-
Jonghyun non parlava solo di una distanza fisica. Lo sentiva lontano in ogni cosa e per ogni cosa, tanto quanto prima l’aveva sentito vicino come se fosse stato parte di lui. Key faceva ancora parte di lui, ma Kibum…lui era al di là, oltre un muro trasparente ed invalicabile. Qualcosa che poteva solo guardare da lontano.
Le sue mani strinsero le lenzuola e si morse le labbra. – E’ come affondare in un mare d’inchiostro e sentirsi soffocare -, sussurrò. –La sua luce è tutto ciò che può trarmi in salvo, ma è l’unica cosa che non posso afferrare. Posso solo guardarla mentre affondo. –
Le sue labbra si deformarono in un ghigno sghembo.
Che morte dolce, pensò.
Jinki lo guardò senza sapere cosa dire. Perché quella di Jonghyun sembrava una docile resa quando quello era il momento di stringere i denti e prepararsi a combattere in vista delle battute finali? Perché parlava di Kibum come se il velo nero della morte li dividesse? Kibum era tornato a Soul non solo per sé stesso, ma anche per Chosun, per loro e più di qualunque altra cosa per Jonghyun.
Il Leader si alzò e s’avviò alla porta. Forse Jonghyun aveva bisogno di altro tempo per metabolizzare il tutto ma lui, Jinki, aveva parecchio lavoro da fare e non intendeva rimanere con le mani in mano.
Prima di uscire lanciò un’ultima occhiata a Jonghyun che teneva lo sguardo fisso nel vuoto, le labbra semi dischiuse e le mani strette con forza sulle lenzuola.
-E’ tornato a casa anche per noi, Jonghyun. Sai cosa significa questo? -
Jonghyun non rispose. Lo sapeva? Forse, dopotutto aveva visto sul viso di Kibum la paura di separarsi.
Ma Kibum doveva tornare a casa, era giusto, e Jonghyun sperava tanto che lo dimenticasse come invano stava cercando di fare lui. Sperava che l’amore per il suo promesso si sostituisse a quello che Kibum provava per lui, perché per quanto saperlo tra braccia altrui gli facesse male tutto ciò che desiderava era il suo sorriso. Il sorriso di Kibum era così bello, speciale, riluceva in mezzo al caos e non doveva andare sprecato. Tanto meno a causa sua.
Non aveva idea di chi fosse quell’altro e infondo poco gl’importava. Ma doveva amarlo, doveva renderlo felice, doveva trattarlo come il fiore delicato ed innocente che era.
-Che sia un addio o meno dipende da te. –
La voce di Jinki giunse lontana e ovattata alle sue orecchie.
Amalo e fa in modo che non desideri guardarsi indietro, sussurrò Jonghyun nella sua mente ad un volto invisibile.
 
 
***
 
 
Il mausoleo dei Kim di Soul troneggiava sulla sommità della collina occidentale della città imperiale. La sua cupola d’alabastro riluceva sotto il sole, mentre all’interno regnava una penombra fitta appena smorzata dalle candele. Il fumo dell’incenso s’arrotolava in grigi arabeschi nell’aria satura del suo profumo intenso.
Kibum, davanti al feretro marmoreo dell’imperatore, si sentì soffocare. Era una fortuna che alla corte non fosse consentito entrare in quel luogo sacro ma solo accompagnare la salma all’ingresso, altrimenti era certo che sarebbe svenuto. Decisamente una scena imbarazzante.
Si portò una mano al colletto di merletto, fasciato da un sottile nastro di velluto nero, e lo strattonò. Gli mancava l’aria ed il profumo dell’incenso non contribuiva a migliore il suo stato.
Kibum detestava doversi trovare lì a rendere l’ultimo saluto ad un uomo che odiava e che, se ne avesse avuta la possibilità, avrebbe ucciso lui stesso. Strinse con forza l’enorme corona di gigli che avrebbe dovuto deporre ai piedi della tomba. Anche il profumo dei fiori lo infastidiva, era tropo simile a quello che nella sua mente faceva da cornice al funerale di sua madre. All’epoca vi era stato quell’uomo al suo fianco, un assassino che accompagnava un bambino davanti alla tomba di sua madre, ora vi era Heechul. Un miglioramento a confronto.
Kibum guardò il sarcofago di lucente marmo bianco drappeggiato da ghirlande minuziosamente scolpite e, sul coperchio, il profilo dormiente dell’imperatore.
L’ennesima vertigine lo colpì come uno schiaffo facendolo barcollare ed Heechul gli strinse forte una spalla. Il più grande lo sbirciò di sbieco, apparentemente impassibile nel suo nero completo da lutto, ma Kibum l’aveva visto più volte mordicchiarsi un angolo della bocca e lanciargli occhiate tra il nervoso ed il preoccupato.
Era stato lui ad ucciderlo o davvero l’imperatore era morto in modo naturale?
Kibum stentava a credere alla seconda ipotesi, la prima era molto più realistica e più logica. Il principe percepì le gambe molli, quasi di cera, e d’istinto strinse un polso dell’altro. Era strano trovarsi lì con Heechul e ancora più strano era il fatto che, nonostante tutto, non desiderava essere lì con nessun altro.  C’erano cose che sapevano solo loro e che, nell’intimo, ancora li legavano per trovare in quel freddo luogo di morte la loro conclusione.
-Sei stato tu, vero? – la domanda uscì dalle sue labbra come un soffiò leggero, perdendosi nell’aria fumosa.
Voleva sapere.
La sua mano era ancora stretta al polso di Heechul e avvertì l’altro irrigidirsi. Alzò lo sguardo sul più grande per incontrare il suo viso pallido e serio. Non appena avevano messo piede lì dentro qualcosa era mutato in Heechul e Kibum aveva avuto la fugace impressione che parte del bambino che un tempo aveva conosciuto fosse tornata a galla.
-Kibummie –
Kibum percepì una chiara nota d’affetto nel modo in cui l’altro aveva appena pronunciato il suo nome, un suono che non udiva da anni e che dubitava, una volta lasciato quel luogo, d’udire ancora.
Non attese risposta.
-Se sei stato tu ti devo un favore -, disse freddo. – Lo odiavo. –
Il braccio di Heechul si rilassò. Kibum gli lanciò un’occhiata di sbieco da sotto le ciglia scure e vide che il viso dell’altro era atteggiato in quello che, ora, era il suo tipico sorriso scaltro e calcolatore. Probabilmente nella mente di Heechul quella farse equivaleva ad una dichiarazione, un doppio filo destinato a legarli stretti. O meglio a legare Kibum a lui.
Heechul gli accarezzò una guancia fredda con il dorso della mano e poi gli sollevo il mento con l’indice.
-L’ho fatto per noi – disse suadente e mal celando un sorriso soddisfatto.
Kibum represse a stento una risata ironica.
L’hai fatto per te, si disse.
Ecco che il più grande era tornato in sé, come se quella nota d’affetto non fosse mai esistita. Persa nei meandri di un tempo che aveva cessato d’esistere.
-Dovresti riporre i fiori – gli sussurrò accarezzandogli il capo.
Kibum strinse a sé la corona di gigli. Sì. Avrebbe dovuto riporli.
Ma non ai piedi di questa tomba, pensò.
I suoi piedi si mossero sulla scacchiera di marmo rosso e bianco che decorava il pavimento ed i suoi passi risuonarono in un eco che si perse nell’alto soffitto, sino alla cupola a cassettoni rivestita di rame dorato. 
Dietro di lui, Heechul sospirò contrariato e lo seguì.
Lungo le pareti circolari si aprivano delle grandi nicchie e Kibum si fermò davanti ad uno splendido sarcofago bianco modellato sulla sommità dal profilo di una donna dai tratti delicati. Allungò le dita su quel viso così famigliare, ma ormai freddo e distante, e lo sfiorò.
Heechul si fermò a meno di un passo da lui e di nuovo calò il silenzio.
Incurante, Kibum depositò i fiori ai piedi del feretro.
-Lei ti manca, vero? – domandò Heechul.
Kibum annuì.
-Non mi sono mai abituato alla sua assenza. –
Heechul gli posò le mani sulle spalle. Fu un tocco diverso dal solito, come se essere di fronte a quella tomba avesse avuto il potere di portarli indietro nel tempo. L’estati calde fatte di sole e risate, il profumo dei roseti e le notti di temporale. Fuori il mondo continuava come sempre, ma lì il tempo e lo spazio appartenevano al passato.
-La tua ti manca? – chiese Kibum.
Anche la madre di Heechul era morta, non molto tempo dopo la sua a dire il vero. Un’altra morte misteriosa ed insensata che il passato aveva lasciato dietro di sé.
-Quando se n’è andata -, iniziò Heechul, -è stato come se una parte della mia vita si fosse chiusa. –
Kibum annuì. Non faticava a credere a quelle parole perché il bambino che Heechul era stato aveva iniziato a cambiare d’allora.
-Pensi che se fossero ancora vive noi saremmo diversi? – domandò a bruciapelo.
-Non lo so. –
Dalle labbra di Kibum fuoriuscì un sospiro che mutò in un singulto, mentre la sua mano scivola leggera lungo il marmo. La sua vista di fece sfuocata, tremolante, e si rese conto che le sue guance erano umide. Stava piangendo in silenzio. Si portò le mani al viso.
Heechul lo voltò verso di lui, lo strinse e gli pose un bacio sul capo.
Kibum decise di lasciarlo fare. Ne aveva bisogno. Aveva bisogno di tornare indietro, di sentirsi ancora per un momento il bambino che correva a piangere dal più grande.
Il modo in cui Heechul lo abbracciò fu il primo gesto sincero e sentito dopo anni, ma apparteneva anche ad un tempo che non poteva essere replicato.
Per un attimo, entrambi si fermarono.
Kibum si strinse al petto del più grande inumidendogli il completo di lacrime calde, mentre Heechul gli accarezzava il capo stringendolo a sé, quasi cullandolo.
Tuttavia, Kibum non si faceva illusioni. Fuori da quel mausoleo sospeso tra la vita e la morte tutto sarebbe tornato come prima, perché per quanto triste quella tomba bianca era l’unica cosa che ancora li univa. Bastava un passo e tutto sarebbe tornato ad essere null’altro che la cenere di vecchie memorie.
Kibum pianse. Pianse per sua madre, per Jonghyun, per sé stesso, per quei bambini spensierati persi per sempre, e anche per Heechul, per ciò che era stato e che non poteva più essere.
 
 
 
 
Con un movimento elegante, il principe snodò il nastro di velluto che gli stringeva il colletto e lo gettò a terra. Stanco e tormentata da un latente mal di testa prossimo a scoppiare, camminò a piedi nudi sui tappeti arabescati dei suoi appartamenti privati e si sedette scompostamente su un’ampia poltrona. La schiena appoggiata al bracciolo, le gambe penzolanti dall’altro lato ed il corpo apparentemente rilassato.
Kibum chiuse gli occhi e sospirò, massaggiandosi la fronte con i polpastrelli, mentre il suo petto sia alzava ed abbassava a ritmo regolare. Nonostante l’odore dell’incenso misto a quello di fiori funerei fosse ancora presente nelle sue narici, sentì di essere nuovamente in grado di respirare.
Come aveva immaginato non appena avevano messo piede fuori dal mausoleo tutto era tornato identico a prima. Heechul gli aveva offerto il braccio e guidato all’esterno per sfilare davanti alla corte e montare in carrozza per fare ritorno a Soul e, per tutto il tempo, il più grande l’aveva guardato orgoglioso come se stesse mostrando un trofeo ed i suoi tocchi erano tornati ad essere possessivi e mossi da un affetto malato che, ormai, Kibum era in grado di distinguere in modo chiaro.
Questo non solo aveva aumentato il suo disagio, ma l’aveva anche rattristato e si era domandato più volte come fosse stato possibile che tutto l’affetto buono e sincero fosse svanito. Si era ripetuto che non ci doveva pensare, in passato aveva sperato che fosse tutto un terribile scherzo, ma la verità era che Heechul gli aveva già spezzato il cuore molti anni prima.
Sbuffò e si passò una mano tra i capelli corvini.
Un vassoio d’argento fu posto sul tavolino di fronte a lui e le ceramiche tintinnarono quando il giovane servo sollevò la teiera fumate per versare il tè.
Kibum aprì i felini occhietti sottili e gli rivolse uno sguardo sonnacchioso e annoiato. Quel ragazzo che Heechul si era portato da Busan e che si ostinava a mettergli alle costole non gli piaceva. Non ne comprendeva il motivo, ma lo infastidiva come se fosse stato punto da un nugolo di moscerini, scatenandogli un intimo disagio. Era sempre intorno e provvedeva alla sua persona in tutto e per tutto. Più volete Kibum si era quasi sentito studiato.
-Puoi andare -, gli disse.
Il giovane drizzò la schiena e non accennò a muoversi.
-Lord Heechul mi ha detto…-
Kibum lo guardò di sbieco. -E io ti sto dicendo che per ora non ho bisogno di te. –
-Ma…-
Era ridicolo!
-Un principe deve forse domandare il permesso ad un servo per stare da solo? –sbottò.
Perché risvegliava i suoi istinti peggiori? Non si era mai rivolto a qualcuno in quel modo.
Il giovane s’inchinò ed uscì e Kibum tornò a massaggiarsi la fronte. Furono dei passi sicuri sul tappeto ed il tintinnare di una spada a ridestarlo dal proprio torpore, o dalle costanti lucubrazioni mentali. Non appena riaprì gli occhi si trovò di fronte Siwon.
Kibum sorrise.
Il cavaliere era come sempre impeccabile e sostava ritto come un fuso a pochi metri da lui. Se avesse potuto avrebbe fatto la guardia ai piedi del suo letto. Era felice di averlo ritrovato, sempre vigile e pronto a difenderlo. Per mesi si era torturato al pensiero che fosse morto a causa sua e rivederlo sano e salvo l’aveva rincuorato, facendolo sentire meno solo e più al sicuro in quel mondo luccicante e pericoloso. Sapeva di poter contare su di lui in ogni occasione e che se la situazione si fosse fatta critica non avrebbe esitato a proteggerlo, come del resto aveva sempre fatto. Siwon si era rivelato molto restio a parlare di quanto accaduto in quei mesi di separazione, ma Kibum non aveva bisogno di sottoporlo ad un interrogatorio serrato per sapere non erano stati passeggiata per lui.
Tuttavia, in quel momento il principe percepì una vena di disappunto nello sguardo dell’altro, in realtà era una nota che aveva notato spesso in quei giorni e che si mostrava con prepotenza ogni volta che lui, Kibum, concedeva delle effusioni innocenti ad Heechul. Siwon era sempre protettivo ed il fatto che Kibum non fosse ancora stato in grado di metterlo al corrente dei suoi piani rendeva lo sconcerto dell’altro indubbiamente più acuto.
In ogni caso, in quel momento Kibum capì che il disappunto di Siwon era dovuto alla sua posa scomposta. Il principe incrociò il proprio riflesso in un grande specchio ovale che decorava una parete. Piedi scalzi, camicia di cotone lasciata scivolare fuori dagli stretti pantaloni neri e lungo una spalla, capelli in disordine. Non era esattamente il massimo della compostezza, ma era davvero stanco di sentirsi cosa doveva fare.
Trattandosi di Siwon decise ricomporsi, fosse stato Heechul avrebbe solo trovato uno spunto per tormentarlo ed irritarlo, attività in cui si dilettava molto spesso negli ultimi tempi.
Si aggiustò la camicia, i capelli, si sedette elegantemente accavallando le gambe e sorseggiò il suo tè.
-Siwon – disse con calore. – Dovresti sederti, non so’ più come dirti di non rimanere lì in piedi come una statua. –
Davvero Kibum non sapeva più come fare. Le occasioni per rimanere soli erano state ben poche, ma in quei rari momenti quella frase faceva ormai da colonna sonora.
Kibum aveva scoperto molto presto di non essere più abituato a tutta quella formalità.
-Sì, signorino. –
Siwon prese posto sul divanetto di fronte a lui, sempre rigido e con una mano sul pomo della spada.
-Kibum – disse il principe sorridendo. – Ti ho detto di chiamarmi per nome quando siamo soli. –
Anche quella frase faceva ormai da colonna sonora tra loro, ma più della prima faticava a trovare riscontro.
Kibum sospirò. A giudicare dall’espressione di Siwon gli stava fornendo parecchi motivi di sconcerto e tutto sommato non poteva dargli torto. Passava dal gatto morto e quello stizzoso in presenza di Heechul come se nulla fosse e quando lui ed il cavaliere erano soli insisteva affinché fossero informali.
Il principe sorseggiò il tè, fece fluttuare con sottili fili bluastri d’energia la teiera e verso un’altra tazzina per Siwon.
Siwon allargò gli occhi e parve fare un balzo all’indietro prima di prendere la tazza e ripiegare il capo di lato in segno di ringraziamento.
-Sai, non è difficile. Sono solo cinque lettere Ki-bum. Prova? –
Kibum sorrise ed appoggiò il mento sul dorso della mano puntellando il gomito sul ginocchio.
-Kibum -, ripeté il cavaliere per poi bere un lungo sorso di tè.
Kibum annuì e sorrise, poi abbassò gli occhi sulla superficie dorata della bevanda calda e si perse a riflettere. Heechul gli stava sempre attorno e le sue possibilità di agire si stavano rivelando molto più limitate del previsto. Era passata quasi una settimana da quando aveva lasciato il Rifugio ed il suo tempo si stava assottigliando velocemente.
Un mese, pensò.
Più ci pensava e più vedeva in Siwon la sua unica possibilità di riuscita. Doveva essere il cavaliere ad agire per lui.
Si voltò a guardare la porta d’ingresso del salottino privato. Del più grande non vi era traccia e Kibum si chiese per quanto tempo ancora avrebbe goduto di un po' di tranquillità. Se voleva parlare con Siwon dei suoi piani quello era il momento buono per farlo.
Fece per aprire bocca, ma Siwon lo precedette.
-Signorino…uhm Kibum…-
-Sì? – chiese divertito.
-La vostra vita privata non è esattamente affare mio, il mio compito è garantire la vostra sicurezza… –
-Ma? –
-Lord Heechul…non ho potuto fare a meno di notare che siete più…-
-Affettuoso? –
Kibum sogghignò. Non era molto carino da parte sua ma doveva ammettere che vedere Siwon così sulle spine era abbastanza divertente.
-Non preoccuparti Siwon, non ho dimenticato con chi ho a che fare. Ho intenzioni di liberarmi di lui molto presto. –
Anche perché non ho molte alternative, s’appuntò mentalmente.
Il viso di Siwon si rilassò per poi rabbuiarsi.
-Vi state prendendo gioco di lui -, osservò. – E’ una cosa molto pericolosa, state giocando con il fuoco. –
Kibum non riuscì a trattenere una risata. – Sì, immagino di sì! –
-Sing…Kibum! –
Kibum si ricompose e tornò serio. –Devo raccontarti cos’è accaduto in questi mesi. Vedi, non sono mai stato prigioniere dei Ribelli. –
-Non lo siete stato? – domandò Siwon, perplesso.
Kibum scosse il capo e sorrise, poi iniziò a raccontare di come era finito al Rifugio, di Jinki, Taemin, Minho e nominò anche Jonghyun per quanto pronunciare il nome dell’altro ad alta voce gli provocasse sentimenti molto forti e contrastanti. Ma soprattutto parlo del loro piano, del suo piano.
-Se potessi dare il benservito ad Heechul seduta stante lo farei volentieri, ma vi sono una serie di complicazione. –
-Come mezzo esercito di Busan in giro per Soul e metà di quello imperiale al suo soldo -, osservò Siwon.
-Già. –
Kibum fece dondolare la gamba accavallata, pensoso.
-Probabilmente anche i nobili del consiglio reale sono stati corrotti da lui. –
Siwon strinse i denti.  -Non mi aspetterei niente di meno da quella serpe a piede libero. E’ un…-
Siwon si morse la lingua. Aveva molti insulti in mente, ma non aveva idea di quanto fosse opportuno pronunciarli di fronte a Kibum. Era pur sempre il suo principe!
-Non mi piace come vi guarda -, si risolse a concludere.
Kibum sorrise triste, non piaceva neanche a lui, tuttavia l’osservazione di Siwon gli scaldò il cuore.
-Ho bisogno di te, Siwon, io non ho alcuna possibilità di movimento. -
-Cosa desiderate che faccia? –
Siwon drizzò la schiena pronto a ricevere gli ordini, come se si aspettasse di guidare una carica da un momento all’altro.
-Trova un modo per fare entrare i Ribelli nel palazzo in modo che possano prenderlo per me. Qualunque cosa, ma voglio evitare spargimenti di sangue a meno che non vi sia altra scelta. una falla nel sistema difensivo, vecchi passaggi che non conosciamo, deve esserci qualcosa.  –
-Lo sapete che non sarà facile, vero? –
-Lo so. Loro non sono un esercito e io non ne ho uno, ma se agiamo segretamente e con astuzia possiamo farcela. –
Siwon annuì.
Kibum sorseggiò il tè.  La situazione sembrava più critica del previsto ed iniziava a ritenere fosse stato fin troppo positivo, benché la presenza di Siwon segnasse un punto a suo favore.
Niente esercito, niente alleati…, rifletté.
Si strinse nelle spalle. Le notti erano irrimediabilmente fredde e le lenzuola pregiate sapevano solo di pulito. Lui sentiva la mancanza del corpo caldo di Jonghyun, dei suoi abbracci, delle sue carezza, dei suoi baci, delle sue mani calde sul suo viso e dei piedi sotto le lenzuola. Il suo profumo, quello dei fiori di pesco in boccio, era un ricordo che si portava con sé come la sensazione delle sue mani e delle sue labbra sulla sua pelle.
-Signorino? –
-Sì? –
-Questo Jonghyun di cui avete parlato…tenete molto a lui? –
Kibum sbatté le palpebre, perplesso. Di cosa stava parlando?
Siwon si concesse un sorriso. –Vi conosco e raramente vi sentito parlare di qualcuno con affetto. –
Aveva parlato con affetto di Jonghyun? Non se n’era accorto.
Tossicò.
-Noi -, tossicò di nuovo, - siamo stati insieme in questi mesi. –
Quella conversazione stava prendendo una piega imbarazzante.
-Insieme? –
Questa volta fu la voce di Siwon a tremolare. – In che senso? –
Kibum sgranò gli occhi, si portò una mano alla bocca e rise di gusto. Siwon stava rivelando di avere un certo senso dell’umorismo.
-Come due persona che si amano. –
Siwon rischiò di strozzarsi con un sorso di tè.
-Non hai motivo di preoccuparti, Siwon. –
Kibum abbassò il capo e le sue gote s’arrossarono. – I lo amo -, disse.
Siwon ripose la tazza e lo squadrò, troppo protettivo per lasciarsi andare ed accettare incurante quella dichiarazione.
-Lui vi ama? –
Kibum si morse il labbro. Lo amava? Sì, quell’ultimo bacio…ma la verità era che Jonghyun non lo voleva più.
Alla fine annuì.
-Perché vi ha lasciato venire qui? –
-Perché…- la voce di Kibum tremò.
Il principe si stropicciò le mani e sospirò. Gli mancava tutto di lui. La sua luce era l’unica cosa in grado di infondergli coraggio, ma anche ciò che, se anche fosse uscito vittorioso da quel piano suicida, probabilmente aveva perduto per sempre.
-Perché non gli ho detto che sarei stato un ostaggio. -
 
 
 
Un applauso alla 2min che finalmente si è dichiarata, ci ha messo solo 32 capitoli…complimenti XD

 
Jonghyun è…Jonghyun. Povero. Ma cosa farà quando scoprirà “come” Kibum è tornato Soul?

 
Image and video hosting by TinyPic Jinki complotta e beve tè, nulla di nuovo u.u, ma chi sarà “questa persona” che mette i brividi anche a lui?

 
Diva&Diva si sono concessi un attimo di tenerezza…vi sfido a non shipparli nemmeno un po' a fine storia XD

 
Image and video hosting by TinyPic Siwon è tornato e pronto a combattere!

 
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I prossimi capitoli dovrebbero essere incentrati su Diva&Diva. Quello che deve succedere a Soul sarà la parte più corposa e quindi sto cercando di organizzarmi per rendere il tutto cronologicamente sensato XD vi suggerisco dunque di fare attenzione ai riferimenti temporali nel testo, in ogni caso vi darò le mie soliti indicazioni noiose a inizio capitolo ^^
La situazione si farà sempre più seria e vi preannuncio che potrebbero esserci dei capitoli a raiting rosso. Nulla di sconvolgente, ormai conoscente il mio stile di scrittura, ma dato che non conosco il vostro grado di sensibilità preferisco mettere le mani avanti. Comunque vi avviserò a inizio capitolo.
Vi ricordo che ho iniziato una raccolta dedicata ad Orbit (Orbit. River flows in you).
I primi episodi sono tutti incentrati sull’infanzia di Kibum e Heechul, vi consiglio la lettura perché permetterà di approfondire alcune cose (cosa qui non possibile) e di seguire l’ordine di pubblicazione se volete avere un’idea generale chiara.

Se vorrete essere così gentili da lasciarmi un commentino vi ruberà solo due minuti e salverete un’autrice dal suicidio rituale XD
 


Image and video hosting by TinyPic Alla prossima!

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Capitolo 34
*** Capitolo 33. Dangerous ***


 
Ciao a tutti!
Vi segnalo questo capitolo a raiting arancio-rosso, avete presente quel rosso arancione orrendo che non sta né di qua, né di là? Ecco XD
Ringrazio subito chi ha inserito la storia tra le preferite, ricordate, seguite e ovviamente tutti i lettori.
Un grazie particolare a chi mi ha lasciato i suoi commenti: Blugioiel, Chocolat95, DreamsCatcher, Ghira_, Gonzy_10, Jae_Hwa, KimJonghyun23, MagicaAli, Panda_murderess, Saranghae_JongKey e vanefreya.
Ringrazio anche chi mi ha inserita tra gli autori preferiti: Blugioiel, Jae_Hwa e MagicaAli  *.*
Grazie per il vostro sostegno ^^
Spero di non aver lasciato troppi errori di battitura. XD
Buona lettura!
 
 
 
Capitolo 33
Dangerous
 
 
 
“The more magnificent you are, the more thorns you have
I know well that I can’t ever catch you
But that just makes me want to confirm your danger
Dangerous, you’re so dangerous
(…)
Shinee, Dangerous
 
“Excuse Me Miss a kiss with you
like Vanilla ice cream, a Peace we dreamed
Shall we walk together,
Will you be with me?”
 
Shinee, Excuse me Miss
 
 
 
Il sole pomeridiano filtrava dai vetri della veranda spargendo sprazzi di luce simili a pennellate dorate, all’intorno grappoli di orchidee coloravano l’ambiente mentre, al centro, il tavolino di vimini era stato preparato con cura, drappeggiato da una sottile tovaglia di pizzo che faceva da sfondo ad un invidiabile servizio di ceramica di Ming dalle tonalità azzurre e bianche. Il profumo dei dolci si fondeva nell’aria primaverile con quello dei roseti dei giardini imperiali, su cui la veranda personale del principe ereditario di Chosun godeva di una vista privilegiata.
Il principe si umettò le labbra e guardò estasiato la tazza di cioccolata fumante che reggeva tra le mani. Aahhh quel profumo invitante, quella sottile patina appena raffreddata di cioccolato fondente e quel leggero spruzzo di panna ad addolcire il tutto. Una vera goduria. E un peccato mortale.
Era stata una giornata estremamente tediosa, scandita da una serie di attività vuote e assolutamente controproducenti per il suo piano. A giorni di distanza, Siwon non aveva ancora portato notizie positive se non che, forse, vi era un piccolo gruppo di soldati disposto a supportarlo. Una bella notizia, ma infondo non era che una goccia nel mare. Kibum era demoralizzato e più si avvicinava la data dell’incoronazione e della cerimonia di legame, più si sentiva soffocare. Aveva l’impressione che gli fosse stato legato intorno al collo un cappio di seta, ogni giorno più stretto e potenzialmente mortale.
Quella merenda pomeridiana offriva, nella prospettiva di lunghe giornate monotone, l’unica nota di svago. O almeno poteva esserlo se non fosse stato per la presenza di Heechul. Come se non bastasse si era portato dietro anche Kyuhyun, nulla di strano in realtà, ma sopportarne due al prezzo di uno era davvero troppo.
Non appena avevano fatto il loro ingresso come se nulla fosse, il principe aveva rivolto uno sguardo disperato a Siwon che si era limitato ad esprimere il proprio disappunto lanciando un’occhiataccia a Kyuhyun. Il cavaliere aveva risposto con un sorriso sprezzante.
Bhe, Kibum aveva intenzione di rendere quel terribile pomeriggio un pochino divertente, almeno per lui.
Rivolse di nuovo occhiata calcolatrice alla tazza di cioccolate e poi sbirciò, sorridendo innocentemente, Heechul seduto di fronte a lui sulla grande poltrona di vimini.
Heechul sorrise a sua volta mostrando un’espressione irritantemente soddisfatta, tamburellando le dita sul tavolo e spulciando una fetta di torta.
-Devi provare questa cioccolata -, disse il principe, estasiato.
Kibum si alzò reggendo la tazza e Heechul che lo fissò incuriosito inarcando un sopracciglio.
-Bummie cosa…-
Kibum gli rivolse un sorriso radioso e saltellò nella sua direzione. Oh sarebbe stato divertente! Il principe mise abilmente un piede sopra l’altro e barcollò per poi ruotare su sé stesso e salvarsi da una rovinosa e calcolata caduta. Jinki gli aveva davvero insegnato un mucchio di cose!
Tuttavia, la cioccolata si ritrovò a fluttuare a mezz’aria. Una splendida cascata di cioccolato!
-Yah! Kim Kibum!!!-
Heechul scattò in piedi giusto in tempo per evitare la tazza fumante che il più piccolo gli aveva “inavvertitamente” fatto cadere addosso.
-Chullll-, fece Kibum, sconvolto, portandosi le mani alla bocca.
Heechul s’impose calma. Chiuse gli occhi e respirò piano, mentre le sue mani s’aprivano e si chiudevano a vuoto.
Kibum lo fissò trattenendo a fatica una risata, ma attendendo anche con trepidante impazienza una reazione da parte del più grande. Sapeva che Heechul stava fumando di rabbia. Era tirato quanto le corde di un violino prossime a spezzarsi e scattare all’unisono in una nota stonata e stridente.
Macchie di cioccolata puntellavano la seduta di pizzi e trine della poltrona, mentre la tazza giaceva a terra in frantumi.
Nel silenzio che seguì Siwon tossicò e Kyuhyun roteò gli occhi.
-Chul -, miagolò Kibum avvicinandosi contrito al più grande.
-Cosa -, fece Heechul tra i denti, - cosa esattamente stavi cercando di fare? –
Kibum sbuffò e pestò un piede per terra. –Yah, perché non apprezzi mai quello che faccio? –
Heechul incrociò le braccia a tamburellò le dita sugli avambracci.
-Che cosa dovrei apprezzare, il fatto che una delle tue attività preferite negli ultimi tempi sia scaraventarmi dolci addosso? –
La sua voce risuonò piatta, ma Kibum lo conosceva abbastanza bene da sapere che era solo la quiete prima dell’esplosione del vulcano.
-Chulll!!! Io volevo solo portartela. –
Kibum allungò le mani verso il più grande e Heechul lo squadrò.
-Perché è buona -, tentò di giustificarsi tenendo lo sguardo basso.
Heechul sospirò e Kibum arricciò il naso con fare altezzoso.
-Non hai alcun rispetto per la mia sensibilità. –
Heechul si portò una mano alla fronte e sospirò di nuovo. Kibum poteva essere un docile micetto per poi trasformarsi in una tigre del bengala pronta a rifarsi le unghie su di lui. Alzò gli occhi ed inarcò un angolo delle labbra carnose. Era divertente ed eccitante, ma anche frustrante soprattutto se ad andarci di mezzo erano i suoi completi di seta. Odiava le macchie sui vestiti.
-Non hai alcun rispetto per…-
-La tua sensibilità -, concluse Heechul, - lo so, lo ripeti continuamente. –
-E tu continui a non averne. –
Kibum puntò i piedi, incrociò le braccia e diede le spalle al più grande, poi singhiozzò.
-Ti ricordo che ho passato dei mesi terribili, rapito da dei bruti e costretto a vivere in un buco, senza cibo e senza un bagno decente. Puoi immaginare il mio disagio? –
Tornò a voltarsi verso il più grande per guardarlo con occhi umidi.
-E tu respingi i miei tentativi di essere gentile. –
Kibum sospirò.
-Voglio solo rimediare a questi anni di inutili discussioni e tu non apprezzi le mie gentilezze. Mi sento respinto e offeso. –
Heechul sogghignò e gli diede delle piccole pacche sul capo, poi abbassò il viso per guardare Kibum più da vicino. Fu costretto a mordersi il labbro per non cedere alla tentazione di fare altrettanto con quelle a cuore del principe. Oh le voleva, ma non aveva alcuna intenzione di prenderle così, davanti a dei servi e sotto la luce del sole. Intendeva godersi il momento tanto quanto l’attesa.
-Ti assicuro, Kibummie, che non è mia intenzione respingerti. –
Gli accarezzò il viso e sollevò il mento.
-Però dovresti evitare di destreggiarti con tazze e piatti. Oppure –, sogghignò, -segui un corso. -
Kibum mise il broncio e sbuffò, Heechul fece per attirarlo a sé, ma lui scivolò di lato per raggiungere la porta a vetri che dava sul giardino.
-Usciamo -, disse con rinnovata euforia. – Sono stufo di fare merenda, facciamo una passeggiata. -
All’esterno, i giardini erano invasi dal sole primaverile e una leggera brezza faceva danzare i rami degli alberi ed i petali dei fiori. I roseti bianchi e blu, ingabbiati in sottili prigioni ritorte laccate d’oro, diffondevano il loro profumo e s’articolavano in giochi complessi. Eleganti pergole di legno chiaro ospitavano altrettanti esemplari generando gallerie fiorite ed intricati sentieri.
Il braccio stretto intorno a quello del più grande, Kibum cercò di godersi l’aria esterna senza pensare alla presenza di Heechul al suo fianco. Intanto, Siwon e Kyuhyun li seguivano a pochi metri di distanza. Non fosse stato per la presenza di Siwon, Kibum non si sarebbe arrischiato a passeggiare per i suoi giardini privati in sola compagnia di Heechul. Le occhiate del più grande e le improvvisate nei suoi appartamenti stavano diventato fin troppo frequenti ed insistenti per i suoi gusti.
Il principe sospirò.
Detestava il fatto che una parte di lui si fosse irrimediabilmente arresa agli sguardi di Heechul che da anni lo inseguivano e lo facevano sentire a disagio, ma dopotutto era la premessa per sopravvivere all’impresa.
Questo o la follia, pensò.
I suoi tentativi d’irritarlo erano un puro diversivo, il semplice desiderio di non rendergli la vita facile di fronte alla sua resa apparente. Ma in fondo non erano che giochetti sciocchi e, come Siwon aveva sottolineato più volte, pericolosi. Heechul non era il tipo di persona da sottovalutare.
Kibum sbuffò.
-Sai, dovremmo parlare ai nobili del consiglio alla cerimonia inaugurale per anticipare l’incoronazione e il legame –, disse Heechul ad un tratto.
Kibum sentì d’avere un mancamento. La cerimonia! Ecco qualcosa di terribilmente noioso che aveva dimenticato. Da lì a pochi giorni ci sarebbe stata la cerimonia inaugurale che apriva i cento giorni rituali in vista dell’incoronazione e del legame. In realtà sarebbe stato più un ballo di corte o qualcosa di simile, ma in tutta sincerità Kibum non ci teneva ad indagare più di tanto. Solo per il fatto che rappresentava per Heechul l’occasione di gongolare con lui a braccetto davanti a tutta la corte era sufficientemente rivoltante.
-Credevo l’avessi già fatto -, disse noncurante.
Cento giorni, tsk, Kibum arricciò il naso. Un corno! Ho solo un mese per metterti alla porta.
-Non sarebbe stato opportuno prima, non trovi? –
Kibum si ritrovò a sospirare di nuovo, forse alla disperata ricerca d’aria. Quel cappio di seta intorno al suo regale collo stava diventando ogni secondo più stretto.
Ripensò alle parole di Taemin quando aveva suggerito di prendere a calci nel fondoschiena il lord di Busan. Era davvero una prospettiva allettante, ma attualmente non opportuna.
-Forse. -
Kibum sospirò di nuovo.
-Cos’è tutto questo sospirare? –
Heechul gli rivolse un sogghignò
-Impaziente? –
Kibum si lasciò sfuggire un sorriso divertito prima di contrarre i muscoli facciale in un’espressione di pura tenerezza.
Quando avrebbe voluto guardarlo in faccia, sorridergli innocentemente e sussurrargli un’unica parola: “sparisci”.
-Ho caldo –, si limitò a rispondere senza degnarlo di troppe attenzioni.
Heechul sorrise tra sé. Anche lui era molto impaziente e più osservava Kibum fluttuare davanti a lui come una farfalla multicolore più la sua impazienza aumentava. Era una vera tortura.
-È meglio rientrare-, disse, - questo sole non va bene per te. -
Kibum sbuffò ed incrociò le braccia. – Non mi va. –
Lo scambio di battute che aveva immaginato non stava decisamente andando come previsto. In realtà quel giorno ogni suo tentativo sembrava cadere a vuoto, stava lanciando sassi senza calcolarne accuratamente la traiettoria ed iniziò ad avere l’impressione che di quel passo si sarebbe fatto molto male.
-Allora farò venire un servo con il parasole. –
Kibum strattonò la manica del più grande mettendo il broncio.
-Aniiiii, non voglio! –
-Kibumah –
-Ani, aniii. Non mi piace avere tutta questa gente intorno. –
Heechul mosse una mano a vuoto agitando il merletto dei polsini con fare annoiato.
-Sono solo dei servi. -
-E’ chiedere troppo desiderare di passare un po' di tempo da soli? –
Kibum si morse il labbro. Ecco che l’aveva fatto di nuovo. Stava decisamente osando troppo e bastò un’occhiata preoccupata di Siwon a metterlo sull’attenti. Per quanto stuzzicare Heechul fosse divertente doveva fare attenzione. Stava tirando una corda già fin troppo tesa.
Quella semplice frase bastò ad illuminare gli occhi di Heechul di malizia e Kibum s’irrigidì. Lo sguardo intenso del più grande sembrava perforarlo e Kibum sudò freddo.
Lo odiava! Odiava quel terribile senso di disagio ed odiava il fatto che Heechul avesse più potere su di lui di quanto lui stesso volesse ammettere. Odiava sé stesso per dover recitare quel ruolo patetico.
-Vuoi rimanere solo con me? –
La voce si Heechul risuonò in un sussurro suadente, mentre prendeva tra indice e pollice il mento del più piccolo per fissarlo dritto negli occhi.
Kibum si strinse nelle spalle. Di fronte a quegli occhi si sentiva spogliato d’ogni cosa e non si riferiva solo agli abiti che indossava, era qualcosa di molto più intimo e sottile. Semplicemente non si sentiva niente.
Kibum tremò. La sua bolla stava per infrangersi e poteva vederne le crepe rilucere al sole. Era resistita anche troppo a lungo. Le sue mani stropicciarono il vuoto.
Una bambola, sono solo una bambola fredda ed insensibile, recitò nella propria mente nel disperato tentativo di ricreare quella bolla precaria, ma fondamentale. Era il suo unico scudo.
Heechul gli accarezzò il viso con i polpastrelli.
-E dimmi, come vorresti rimanere solo con me? Uhm, a cosa sta pensando questo tenero micetto? –
Kibum tremò un’ultima volta prima, poi la bolla tornò ad avvolgerlo. Entrò in apnea.
-Mi trascuri-, sbottò per correre ai ripari.
Di fronte al sorriso sornione di Heechul, Kibum si domandò da dove gli fosse uscita quella frase insensata. Era una pessima giornata e più andava avanti più inciampava nei suoi stessi piedi. Decise che era meglio svignarsela prima di peggiorare la situazione.
Lasciò il braccio del più grande in malo modo e s’avviò lungo il sentiero tra le aiuole.
-Dove vai? –
Kibum aumentò il passo con Siwon alle costole. A volte fuggire era davvero la scelta migliore.
-Torno dentro -, gridò di rimando senza voltarsi.
-Hai appena detto che non volevi farlo. -
-Ho cambiato idea. -
Heechul lo guardò interdetto e strinse i pugni, mentre osservava il più piccolo saltellare all’intero del palazzo come se avesse un esercito alle costole.
Unì le mani dietro la schiena e passeggiò nervoso corrugando la fronte. Kibum era particolarmente sfuggente e, nonostante le premesse iniziali fossero state più che positive, si rendeva conto che la strada non sarebbe stata di certo in discesa. Senza contare che Siwon se ne andava in giro con fare guardino e si frapponeva costantemente tra lui ed il principe. Heechul iniziava ad essere stufo di quei continui giochetti. Perché faticare tanto per ottenere qualcosa che, infondo, era sempre stato suo e di nessun altro?
- E’ indubbiamente una bella gatta da pelare. –
La voce si Kyuhyun risuonò dietro di lui interrompendo il flusso dei suoi pensieri.
No, pensò Heechul, è una caccia che deve avere fine.
-Stai zitto. Te l’ho detto milioni di volte: sei irritante. –
 
 
 
***
 
 
 
Se prima era stato ansioso di prendere aria, ora fu solo rientrando a palazzo che Kibum riuscì finalmente a respirare. Lontano da Heechul. D’istinto si guardò alle spalle per sincerarsi dell’assenza del più grande. Non si poteva mai sapere. Nonostante la presenza rassicurante di Siwon al suo fianco percorse i corridoi in uno stato d’ansia che lo portò a tenere un ritmo veloce e costante. I suoi stivali ticchettarono sui pavimenti di marmo finché non raggiunse i suoi appartamenti e lì riuscì finalmente a tirare un sospiro di sollievo. Si liberò subito dei calzari e gettò la giacca di seta sul tappeto. Ne aveva decisamente abbastanza.
Siwon scosse il capo e sorrise, raccolse la giacca e la posò sulla testata di una poltrona.
-È tutto una pessima idea signorino, una pessima idea. -
-Kibum –
Lo corresse subito il principe. Siwon annuì e Kibum si passò una mano tra i capelli e mosse dei passi nervosi simili a quelli di un felino in gabbia. In quel momento si sentiva davvero in trappola, le pareti intorno a lui si stavano restringendo a dismisura e l’aria gli mancava. Emise un verso frustrato, poi tornò a guardare Siwon, serio.
-Novità? –
Le labbra di Siwon s’assottigliarono e scosse il capo, affranto.
-Hai mandato quei messaggi che ti ho chiesto? –
Nonostante vi fosse ben poco da raccontare, Kibum aveva deciso di tenere Jinki costantemente informato. Era buffo, ma quelle semplici missive gli davano l’illusione di essere a casa, come se stesse intrattenendo un dialogo silente con il più grande. Gli mancavano i consigli di Jinki, le sue premure da fratello maggiore ed i piccoli gesti che avevano contraddistinto il loro rapporto. Anche se distante, Kibum sapeva di poter fare affidamento sul suo supporto.
-Naturalmente, dal primo all’ultimo in orari diversi e da posti diversi per non attirare l’attenzione, tutti indirizzati voi sapete dove. -
- Ottimo.-
Kibum si mordicchiò le unghie. Si sentiva sempre osservato, era più forte di lui.
-Credi che sospettino qualcosa? -
-Non hanno motivo, ma di certo tengono gli occhi aperti, quanto meno Kyuhyun. -
-Quella biscia -, sibilò il principe. -Ti ha visto mandare quei messaggi?-
-Non credo, tuttavia le sue comparse improvvise sono indubbiamente sospette. -
-Non ha niente di meglio da fare, come fare da guardia a Heechul? –
Kibum mosse dei passi nervosi e stizziti, poi s’adagiò sul divano accavallando le gambe.
-Tsk, un guinzaglio intorno al collo di quella serpe non sarebbe male. –
Siwon si concesse un sorriso divertito. -Ho sentito di dire che in alcuni posti allevano i serpenti a sonagli e li addestrano a ballare al suono di un flauto. –
Si sedette vicino al principe che l’accolse con un sorriso. Finalmente Siwon stava imparando a comportarsi normalmente quando erano soli e Kibum gliene era davvero grato. Certi aspetti dell’etichetta non gli erano mai andati a genio, ma li aveva sempre considerati la normalità, tuttavia dopo l’esperienza al Rifugio era cambiato tutto. Si picchiettò l’indice sulle labbra.
-Davvero non c’è limite alle assurdità. -
L’immagine del corpo flessuoso e oscillante di un serpente a sonagli s’affacciò nella sua mente con il volto di Heechul al posto di quello di un rettile.
Ani aniii, scosse il capo per allontanare quella visione ridicola.
-Più che di un guinzaglio avrebbe bisogno di qualcos’altro -, osservò Siwon.
La mano del cavaliere corse al pomo della sua spada, come a reprimere il desiderio di sferzare l’aria non potendo sfogare la propria frustrazione sull’oggetto del suo profondo disappunto.
Kibum scoppiò a ridere. Anche Siwon doveva essere al limite se non riusciva a trattenere certe osservazione.
Di fronte alla risata inaspettata del principe, Siwon avvampò.
-Signorino, Kibum, non dovreste immaginare certe cose -, fece allarmato.
Kibum ridacchiò. A volte aveva l’impressione che Siwon lo vedesse ancora come l’adolescente quattordicenne che l’aveva salvato dalla strada. Sorrise tra sé.
-Sei tu che mi suggerisci certe immagini -, lo punzecchiò.
-Chiedo scusa. -
-Sto scherzando. –
Kibum tornò serio ed appoggiò il mento sul palmo di una mano, arricciò il naso mentre i suoi occhi iniziavano a pizzicare. Sbatté le ciglia.
-Hai sentito che cos’ha detto? Parlerà durante il ballo ai nobili del consiglio per anticipare il tutto. -
I muscoli facciali di Siwon si contrassero un una delle sue rare smorfie che riservava solo a Kim Heechul, o a qualunque cosa avesse a che fare con lui.
-Ho sentito. Credete che accetteranno? -
-Accetteranno di sicuro, dopotutto a loro non importa, tanto meno se dal loro assenso possono ricavare ulteriori privilegi. –
Kibum tirò su col naso.
-Mi dispiace importi un compito tanto difficile. -
-Lo sapete che farei qualunque cosa per voi. -
-A volte è proprio questo a preoccuparmi. –
Il principe sorrise amaro, si alzò e raggiunse la finestra drappeggiata dalle tende sottili che oscillavano alla brezza primaverile.  Il suo sguardo si perse nell’orizzonte oltre le mura di Soul, le colline ed i tranquilli villaggi per osservare lo scorrere frizzante dell’Han, luccicante sotto il sole. Là, da qualche parte, il suo destino l’aveva portato sull’orlo di una scarpata per poi trascinarlo sul fondo del fiume. Come fosse sopravvissuto per lui era ancora un mistero, ma di una cosa era certo: era stato come tornare alla vita. Forse era stato l’incontro con gli occhi di Jonghyun ad infondere al suo subconscio il potere di sopravvivere a quel salto mortale. Era un pensiero sciocco che lo sfiorava spesso, ma gli piaceva credere che fosse così. Ma allora perché il fato li aveva uniti per poi dividerli? Gli sembrava di avere a che fare con uno dei piani intricati di Jinki, dove tutto trova senso solo ad opera compiuta. Forse era servito a farlo crescere e a riportarlo a casa più forte. Lui e Jonghyun, mano nella mano, aveva disegnato un sentiero di bianchi sassolini fatti di emozioni, lacrime, amore, dubbi, ma anche certezze, finché non si era formato un bivio e Kibum aveva dovuto proseguire da solo. Tuttavia, ogni emozione che aveva generato quei sassolini l’aveva portata con sé rendendolo più determinato.
 Si passò le dite sulle guance, scoprendole umide.
-Il mio tempo sta scadendo. –
Siwon fu subito al suo fianco e gli appoggiò una mano sulla spalla.
-Non dite così, vedrete che troveremo una soluzione. Nel frattempo posso suggerirvi di fare attenzione? Tutta questa storia è una pessima idea. –
-Non intendo rendergli la vita facile. -
-Di questo passo rischiate di non renderla facile nemmeno a voi. -
Kibum si voltò verso di lui, reclinò leggermente il capo e sorrise.
-Hai ragione. Sono davvero a corto d’idee Siwon e temo che presto si esauriranno, a quel punto non so’ cosa farò. -
 
 
 
***
 
 
Disteso nella vasca da bagno e totalmente immerso nella schiuma, Kibum lanciò uno sguardo annoiato all’orologio dorato appeso alla parete. Le lancette si muovevano con estrema lentezza scandendo un tempo che era giunto veloce per poi arrestarsi sulle battute finali. La sera del ballo era giunta e con essa tutto ciò che ne sarebbe derivato. Gli veniva da vomitare all’idea. Mancava meno di un’ora e lui era, se così si poteva dire, ancora in alto mare in quanto a preparativi, ma poco gl’importava. Non aveva mai fatto della puntualità una sua preoccupazione.
Delle mani si posarono sulle sue spalle massaggiandole lentamente.
Sebbene colto alla sprovvista, Kibum mugugnò, gettò la testa indietro e chiuse gli occhi. Per quanto quel servo continuasse ad infastidirlo decise di lascialo farle, riconoscendo di aver bisogno di distendere i nervi. Le spalle e del collo gli dolevano da giorni. Il timore di essere scoperto, le continue occhiate poco convinte di Heechul, Kyuhyun che appariva nei momenti più improbabili come un cane da caccia intento a fiutare il terreno…tutto questo e molto altro lo facevano stare irrimediabilmente sulle spine. Era stressato. Avrebbe tanto voluto addormentarsi senza alcun pensiero al mondo.
I giorni precedenti al ballo inaugurale si erano rivelati un vero inferno. Siwon continuava a lavorare senza ottenere risultati significativi e ormai passava più tempo in biblioteca e a perlustrare le mura del palazzo che al fianco del principe.
Kibum viveva nell’agitazione costante tra il terrore di tradirsi ed il pensiero di dover potare avanti la propria recita. Era stanco e demoralizzato da notizie positive che non arrivavano. Ogni giorno la sua bolla di freddezza diventava sempre più fragile e lui stesso si sentiva sottile e tirato, prossimo a crollare. Tanto meno aveva la forza di trovare nuovi espedienti per tormentare il più grande. Non aveva né le idee, né la forza per portare avanti quello sciocco teatrino. Nemmeno la voglia.
Heechul gli ronzava continuamento intorno e più si avvicinava la fatidica serata, più trovava scuse per elargire giudizi e consigli non richiesti.
Sospirò e mosse le gambe sotto l’acqua.
Aveva anche osato suggerirli come vestirsi e fatto portare una serie di capi da scegliere per l'occasione!
Come se non sapessi vestirmi da solo!
Kibum si sentiva ferito nell'orgoglio, ma ciò che lo feriva di più era la consapevolezza di non essere forte e preparato quanto credeva. Più di una volta aveva rischiato di mandare a monte tutto a causa dei suoi scatti di nervi.
-Non sono una scimmia ammaestrata! -, gli aveva urlato in faccia.
Heechul aveva cercato di ammansirlo. -Che cosa succede qui? -, aveva detto prendendogli il mento.
Kibum si era morso l'interno della guancia per evitare di sputare acido, alla fine aveva sfoggiato uno dei suoi bronci migliori. Facevano sempre effetto sul più grande.
- Perché stiamo facendo i capricci? Che cosa vuole questo micetto per comportarsi bene?-
Jonghyun, aveva pensato Kibum, io voglio Jonghyun.
Jonghyun era sempre un pensiero costante, insieme al desiderio di allontanarlo.
Sotto il tocco delle mani che gli massaggiavano le spalle, Kibum rilassò la schiena e posò una mano dalle dita gocciolanti sul bordo della vasca, annoiato. Quelle mani sulle sue spalle erano davvero una sensazione piacevole, proprio ciò di cui aveva bisogno. Tuttavia dentro di sé sorrise triste al ricordo di aver condiviso un simile momento d’intimità con Jonghyun. Perché lo ritrovava sempre anche nei gesti più semplici? Lui non c’era eppure era ovunque. Era nell’aria che respirava, nei raggi di sole al mattino e in quelli della luna alla sera. Nel vento che soffiava dolce tra rami degli alberi ed i roseti dei giardini imperiali.
Corrugò la fronte, mentre la sensazione di quelle mani esperte sulla sua pelle mutava in una tortura mentale e fisica.
-Basta – disse, -portami l’asciugamano. –
Nessuna risposta, solo dei passi che si allontanarono per poi riavvicinarsi. Passi leggeri, ma non abbastanza, attenti, ma più studiati. Kibum arricciò il naso. Sembravano i tocchi felpati di un grosso felino sul terreno di caccia. C’era qualcosa di strano e di sbagliato in quell’eco metodico appena attutito dal tappeto.
Kibum si risolse a sorridere nervoso. Stava diventando paranoico, davvero troppo paranoico. Di quel passo si sarebbe compromesso da solo e non poteva permetterselo.
Si alzò gocciolante dalla vasca. Rivoli d’acqua scivolarono lungo la sua spina dorsale insieme ai residui di schiuma, poi corsero irregolari accarezzandogli i fianchi ed i glutei. Gocce di pioggia sul marmo.
Kibum aprì gli occhi e guardò l’occhio d’argento della luna oltre la finestra istoriata da un tripudio fiori bianchi e blu. I suoi raggi sottili disegnavano lame metalliche sul pavimento di marmo e suoi tappetti, delineando appena il suo stesso profilo. Il principe aprì le labbra a vuoto liberando un sospiro nostalgico. Perché quella luna di primavera era così simile a quella nuova dell’inverno?
Sei così mutevole al punto da prenderti gioco di me e rimanere uguale? Perché mi fai questo?
Rabbrividì.
Dov’era il suo asciugamano?
-Ho freddo, muoviti -, disse nervoso.
Subito, del morbido cotone venne posata sulle sue spalle e la sua mano corse ad afferrarne i lembi per chiuderlo davanti a sé. Fece per uscire dalla vasca ma si bloccò di colpo, pietrificato, quando un piacevole tepore, che non poteva essere causato semplicemente dal contatto con il tessuto, gli pervase le membra per poi farlo rabbrividire.
Distolse gli occhi dalla vetrata per abbassarli e reclinare il capo di lato, incontrando così sulla sua spalla il luccichio di anelli dorati e rubini.
Alzò la testa di scatto facendo oscillare le ciocche corvine improvvisamente asciutte.
-Heechul – disse in un soffio tremante.
Heechul sorrise stringendogli le mani sulle spalle e una nuova ondata di calore travolse Kibum.
-Povero micetto infreddolito –
Il principe uscì dalla vasca, tenendosi l’asciugamano stretto intorno al corpo, e si voltò verso il più grande con un movimento stizzito.
Heechul era già pronto nel suo completo di seta rosso scarlatto ricamato d’oro, puntellato di rubini e il merletto appena accennato. Lo fissava celando a stento, tra le iridi nere e profonde, il baluginio una fiammella appena assopita tra carboni ardenti.
Le labbra di Kibum s’assottigliarono.
-Che cosa fai qui? –
-Mi assicuro che il mio promesso non arrivi in ritardo al ballo di corte. –
Kibum arricciò il naso.
-Non hai bussato. –
-L’ho fatto, ma non ho ricevuto risposta. –
Kibum maledì sé stesso per aver ordinato a Siwon di proseguire il lavoro in biblioteca. Quel giovane servo, invece, riservava più attenzioni agli ordini di Heechul che ai suoi. Dove diamine era sparito?
- E con ciò ti sei sentito libero di entrare? –
-Non credevo mi servisse il permesso per frequentare gli appartamenti del mio promesso. –
Heechul rise e allungò una mano per dargli un buffetto sulla guancia, ma Kibum fu più veloce e fece un passo indietro. Era troppo poco vestito per correre il rischio di avere Heechul a meno di un metro da lui.
Naturalmente il più grande si sentiva superiore a tutto e a tutti e Kibum non fu sorpreso.
-Non è così -, rispose lapidario.
Raggiunse il paravento dove erano stati preparati i suoi abiti per la serata e sparì oltre di esso con la stessa velocità con cui un guerriero cerca riparo dietro il proprio scudo. Tuttavia, fu costretto a mordersi il labbro inferiore non appena si rese conto di quanto il paravento fosse sottile, troppo sottile.
La voce divertita di Heechul risuonò nella stanza, mal celando ciò che doveva pensare in quel momento.
-Sei famoso per arrivare in ritardo ad ogni cerimonia. –
-Sono il principe, arrivo quando mi pare alle cerimonie di corte, soprattutto se sono in mio onore. –
-Ti ricordo che qui c’è di mezzo anche il mio onore. Spero che ti comporterai bene, la tua fredda acidità in queste occasioni è pari solo ai tuoi ritardi. –
Kibum scimmiottò con smorfie silenti le lagne del più grande. Perché si lamentava ancora, non si era già goduto lo spettacolo di lui nudo e fradicio? Arrossì per la vergogna e la rabbia, maledicendo contemporaneamente quello stupido paravento. Anche lui, da lì, riusciva a scorgere il profilo di Heechul che s’aggirava per la stanza come un leone tra l’erba alta. Afferrò con foga gli abiti ed iniziò a vestirsi.
Heechul osservò con interesse e divertimento i movimenti frenetici dell’altro. Il suo dolce micetto era stato particolarmente capriccioso negli ultimi giorni e conosceva abbastanza bene Kibum da sapere che era nervoso. A volte si era rivelato impossibile sostenere una conversazione sensata con lui e a Heechul era quasi parso di tornare indietro a quegli ultimi anni in cui erano stati costantemente in lotta. Ovviamente non per colpa sua, quanto meno nella sua visione personale. Ad ogni modo, questo l’aveva messo sulle spine e quando Kyuhyun l’aveva informato di strani spostamenti da parte di Siwon il suo spirito di sopravvivenza si era allertato. Che quei due stessero escogitando qualcosa? Dopotutto sapeva bene che Siwon poteva rivelarsi una lama a doppio taglio. Ma cosa potevano mai combinare quei due? Heechul aveva perso buona parte della sua tranquillità e più di una notte era rimasto sveglio a tormentarsi. Forse era solo una sensazione sciocca dettata dalle sue stesse paranoie: ora che aveva ciò che desiderava, o quasi, gli sembrava tutto troppo perfetto per essere vero. Dunque, quella sensazione di prurito dietro la nuca non era altro che frutto dalla sua immaginazione. Tuttavia, per quanto Heechul fosse intenzionato a godersi quel momento, non era nemmeno disposto ad abbassare totalmente la guardia. Kibum non aveva altri a parte lui, Heechul era e sempre sarebbe stato il suo legame più profondo e, ora come ora, temere che potesse sfuggirgli tra le mani era un pensiero impensabile quanto ridicolo. Questo bastava a rincuorarlo, ma non a concedergli sonni tranquilli, perché la visione serafica del più piccolo lo inseguiva costantemente.  A dispetto dei suoi buoni propositi a conti fatti stava pazientando anche troppo per i suoi gusti. Attualmente solo la costante guardia di Siwon gli impediva l’accesso alle stanze del principe. Un ostacolo che intendeva eliminare facendo leva sullo stesso Kibum.
Heechul sospirò.
Probabilmente il ballo, i preparativi per l’incoronazione e la cerimonia di legame avevano reso Kibum nervoso, plausibile, anche lui non stava nella pelle. Tuttavia, intendeva fare al più piccolo un bel discorsetto su ciò che si aspettava dalla loro relazione, era inutile fingere di voler portare avanti una caccia che entrambi sapevano essersi già conclusa.
Heechul sogghignò e si sedette su una poltrona senza staccare gli occhi dal paravento. Accavallò le gambe e si accarezzò le labbra con i polpastrelli.
Quella del più piccolo era una figura etera che si muoveva in contro luce nascondendosi alla sua vista ma, allo stesso tempo, lasciando poco spazio all’immaginazione. Il corpo flessuoso e dalle movenze aggraziate di un felino intento a giocare in fruscio di stoffe.
Kibum poteva essere sfuggente, ma infondo aveva solo lui a cui aggrapparsi e sapeva che gli apparteneva. Era un dato di fatto ineluttabile deciso da anni che il fidanzamento della scorsa estate aveva solo ufficializzato. Che facesse pure il prezioso e giocasse con lui a patto che tutto avvenisse tra le lenzuola. Dopotutto, ormai, non erano solo i tempi ad essere maturi, ma anche Kibum e la stessa visione del principe di poco prima lo confermava. La pelle nivea baciata dalla luna, le gocce d’acqua che scivolavano silenti lungo il suo corpo, modellandolo, ed i glutei sodi e perfetti che racchiudevano la promessa di un piacere sconosciuto.  I sensi di Heechul ne erano rimasti profondamente turbati poiché, per quanto la bellezza di Kibum fosse un dato di fatto, vederlo così la rendeva ancora più reale, imponendosi con delicata prepotenza sullo spettatore, sia fisicamente che mentalmente. 
Il cuore di Heechul aveva già saltato dei battiti per lui anni addietro, quando ancora il principe non era altro che un tenero bocciolo. Rammentava molto bene quel momento ed era vivido nella sua mente come se l’avesse appena vissuto. Un pomeriggio assolato ad Haewan e un Kibum tredicenne tra i roseti. Un fiore circondato da altrettanti fiori d’impareggiabile bellezza, su cui però primeggiava con la grazia che lo contraddistingueva. Un fiore di ciliegio dotato di molte più spine delle rose che lo circondavano.
L’ombra del principe oltre il paravento scomparve e Kibum scivolò davanti a lui sotto i raggi metallici di una luna tagliente e fredda.  
Heechul accarezzò la sua figura con occhi luccicanti, apprezzandone ogni dettaglio.
Il principe indossava un completo di seta blu notte impreziosito da girali in filigrana d’argento e puntellato da piccoli diamanti simili ad una miriade di stelle. I capelli corvini erano lisci e perfetti, ricadevano in avanti adombrandogli appena il viso bianco come porcellana e le labbra rosate erano serrate e morbide.
-Hai indossato l’abito che prediligevo -, osservò Heechul mal celando una punta d’orgoglio.
Kibum annuì rivolgendogli uno sguardo sfuggente e s’avvicinò al ripiano marmoreo di una grande specchiera, dove erano stati accuramene preparati i gioielli che doveva indossare.
-Dunque -, fece Kibum giocherellando con degli anelli, -sei preoccupato che ti faccia fare brutta figura. –
Heechul fece schioccare la lingua, lo raggiunse e lo aiutò ad infilare i cerchietti d’oro bianco alle dita. Maneggiò le mani del principe con cura apprezzandone la grazia sottile e trovandole irrimediabilmente fredde quanto la luna sopra Soul.
Quando ebbe finito lo guardò.
-Sei perfetto. –
Certo, pensò Kibum, come una bambola.
Le labbra di Kibum s’incurvano in un stretto bocciolo. Un sorriso strano che Heechul non fu in grado d’interpretare. Il prurito dietro alla nuca del più grande tornò a farsi insistente, rammentandogli i motivi più pratici che lo avevano condotto lì.
-Questa serata è molto importante. –
-Lo so. –
Kibum lo sapeva molto bene. Quella serata offriva ad Heechul la possibilità di pianificare le prossime mosse e pavoneggiarsi con lui al fianco per mostrare a tutti la sua preziosa bambola.
-Cambieranno molte cose. –
Kibum inarcò le sopracciglia.
-Ovvero? –
Nonostante le sue parole fossero risuonata calme e quasi indifferenti, dentro di sé ribollì e si domandò, con una certa apprensione, cosa intendesse dire Heechul.
Heechul sorrise. -Lo sai. –
-No, non lo so – rispose stizzito.
Non lo sapeva e le opzioni che aveva di fronte erano l’una più inquietante dell’altra.
-La nostra unione è stata stabilita molto tempo fa. –
-Stai dicendo una cosa ovvia che non risponde alla mia domanda. –
Heechul sogghignò. – Mi fa piacere sapere che, quanto meno, trovi ovvia la natura della nostra relazione, perché è proprio di questo che desidero parlarti. -
Kibum incrociò le braccia e spostò il peso da un piede all’altro, una posa che Heechul conosceva molto bene. Il principe stava erigendo un muro di difesa.
-Penso sia giunto il momento di prendere le cose seriamente sotto molti punti di vista. Niente più giochetti. –
Kibum deglutì. Giochetti? Cosa voleva dire, forse sospettava qualcosa, aveva intercettato uno dei messaggi per Jinki ed era riuscito ad interpretarlo? Alla fine era stato scoperto e la sua corsa prossima a terminare?
-Giochetti? -
D’istinto fece un passo indietro, ma il più grande l’afferrò per il polso attirandolo a sé.
-Oh andiamo, lo sappiamo entrambi che ti diverti a fare il prezioso con me, lo fai da anni. –
Kibum fu costretto a soffocare una risata. Dunque era questo che Heechul credeva intimamente? Che lui, Kim Kibum, morisse segretamente per lui?
Idiota, pensò, io voglio prenderti a calci nel sedere. 
Era ridicolo, ma vantaggioso e ciò significava che non aveva alcun sospetto. Tutto sommato le sue patetiche scenata da gatto morto stavano dando i loro frutti.
-Quando siederemo sul trono dovrai avere un atteggiamento esemplare, niente scenate, niente frasi taglienti ai nobili, niente occhiate omicide e, soprattutto, Kim Kibum, niente dolci che finiscono dove non dovrebbero. Devi essere un modello di dolcezza e perfezione e startene buono, mentre io mi preoccupo di tutto il resto. –
Vuoi dire mentre tu governi e io faccio la bella statuina per te, pensò Kibum, amaro.
Ma Heechul si sbagliava di grosso. Uno di loro sarebbe salito al trono per governare Chosun, ma non il più grande. Kibum era fermo nella propria determinazione, doveva solo stringere i denti, tenere duro e sperare.
-Vedrai -, aggiunse Heechul. Il suo fiato caldo era dolce come caramello ed accarezzò il viso di Kibum. Heechul era troppo vicino.
 –Non avrai nulla di cui preoccuparti, baderò io a te e farò in modo che tu abbia tutto ciò che desideri. Hai la mia parola, Bummie. -
A patto che ti assecondi, non è così?, si ritrovò a pensare Kibum.
Era sempre stato così e Kibum lo sapeva bene. Heechul era disposto a viziarlo e a dargli tutto ciò che desiderava a patto che Kibum avesse occhi solo per lui e lo assecondasse. Ciò che più feriva il principe era il fatto che Heechul credesse davvero che lui fosse disposto a tutto questo e che fosse davvero tutto ciò che desiderava. Evidentemente non l’aveva mai conosciuto veramente o, ad un certo punto, aveva scordato chi era davvero Kibum per sostituirlo con un’immagine ideale.
Kibum abbassò gli occhi e sbatté le palpebre. Si sentì triste.
-Non sei felice? –
Davvero credeva che questo lo rendesse felice? Kibum sapeva che non erano solo l’ambizione e il desiderio a legare Heechul a lui, provava affetto, ma era un affetto “sbagliato”, lo amava come si ama la bambola preferita.
Kibum si ritrovò ad annuire e sorrise triste, ma il più grande non parve accorgersene.
Heechul iniziò a passeggiare sui tappetti, un eco sordo nel vuoto. Rivolse al più piccolo delle occhiate di sbieco e si fermò a pochi metri da lui.
-Tuttavia -
Kibum s’irrigidì e inclinò leggermente il capo, perplesso. Ora, che cos’aveva in mente?
-Spero davvero che tu non stia combinando guai. –
Il principe deglutì a vuoto. Dunque sospettava davvero qualcosa, era così? Come si era tradito? Era stato attento e meticoloso in ogni dettaglio. Scriveva i suoi messaggi in codice, li faceva inviare a Siwon da punti e ad orari diversi ed era certo di star recitando bene la sua parte.
Il suo cuore batté veloce e Kibum si portò una mano al petto, come ad arrestarlo o ad attutirne il suono che gli sembrava rimbombare nella stanza, tradendolo.
Emise una risata nervosa.
-Guai? –
Heechul si avvicinò di nuovo, questa volta il viso serio e rigido. C’era qualcosa che non lo convinceva, che lo metteva sulle spine e lo spingeva a tenere i sensi all’erta. Forse quella rosa era davvero troppo magnifica, le sue spine troppo impervie perché riuscisse a coglierla. Che la caccia che credeva d’aver vinto fosse destinata a rimanere sospesa nel vuoto pericoloso ed eccitante?
No, pensò. Avrò tutto ciò che desidero e sarà meraviglioso.
-Siwon ha mandato dei messaggi i giorni scorsi. –
Il tono di Heechul fu lapidario. Doveva togliersi il pensiero in modo da potersi concentrare su tutto il resto. Una prospettiva decisamente più piacevole ed allettante.
Kibum represse l’impulso d’indietreggiare ed artigliare il ripiano marmoreo della specchiera. Doveva rimanere calmo e mantenere il respiro regolare per evitare di suscitare ulteriori sospetti. La sua mente lavorò veloce alla ricerca della strategia d’adottare. Non poteva permettersi passi falsi e doveva far sì che Heechul bevesse ogni sua singola parola. E Kibum sapeva molto bene come ottenere la sua totale attenzione.
-Davvero? – disse sorpreso.
Il più grande eliminò la distanza che ancora li separava con due grandi falcate e tornò a posizionarsi davanti a lui, le mani unite dietro la schiena.
-Ne sai qualcosa? –
-Sinceramente, Heechul, non spio la posta della mia guardia del corpo. –
-Dunque tu non c’entri nulla? –
L’espressione di Heechul era insondabile.
Kibum sorrise, quasi divertito, e mise mollemente una mano sulla spalla dell’altro.
-A chi dovrei mandare messaggi? Ho solo te e tu sei qui con me -, disse suadente. -Avrà anche lui una vita privata, non credi? –
Heechul arricciò le labbra senza staccare gli occhi dall’altro e Kibum capì subito era che pensoso. Poteva vedere con estrema chiarezza la mente del più grande muoversi e smontare, lentamente, qualunque dubbio l’avesse assillato.
-Magari gli piace qualcuno -, suggerì Kibum con un sogghigno. – Non credi sia divertente? –
La bocca carnosa di Heechul s’inclinò in un mezzo sorriso e Kibum esultò dentro di sé, poiché quelle del più grande non erano che labili preoccupazioni. Decise di rincarare la dose e circondò con le braccia il collo dell’altro.
-Perché stiamo parlando di Siwon? E’ un discorso noioso. –
Questa volta Heechul rise e Kibum capì d’averlo quasi in pugno. Ora doveva solo dargli il colpo di grazia.
-Chul –
Subito il viso di Heechul s’animò.
-Sì? –
-Ho deciso, voglio davvero essere un bravo compagno per te. –
Strinse di più le braccia intorno al suo collo e lo fissò dritto negli occhi sbattendo le ciglia.
Heechul si umettò le labbra. Gli occhi felini di Kibum erano  limpidi come polle d’acqua al sole, le sue gote leggermente rosate ed il suo profumo inebriante. Averlo così vicino lo rendeva ogni giorno una tentazione sempre più pericolosa.
-Vedrai, mi comporterò bene, non voglio farti fare brutta figura. –
Heechul sorrise compiaciuto, gli sfiorò il viso con i polpastrelli e l’attirò a sé.
Kibum deglutì intuendo all’instante l’intenzione dell’altro e s’impose calma, se si fosse tirato indietro avrebbe smentito le sue stesse parole, inoltre sapeva che, ormai, la pazienza di Heechul in quel senso era al limite. Gli doveva le sue labbra e la sua bocca da troppo tempo per arrogarsi la libertà di tirarsi indietro. Tuttavia, quando le labbra carnose di Heechul sfiorarono le sue sobbalzò, scatenando una mezza risata da parte del più grande che, divertito, lo sfiorò di nuovo. Kibum chiuse gli occhi, respirò piano e sparì nella sua bolla.
Heechul mosse, avido, le labbra su quelle di Kibum assaggiandole lentamente, leccandole con la punta della lingua e mordendole appena, certo che il rossore che avrebbe provocato sarebbe stato, ai suoi occhi, appagante quanto il sapore della bocca del più piccolo. Quanto aveva desiderato quel bacio? Quelle labbra l’avevano stregato non appena ne aveva compreso la natura sensuale ed ora le trovava morbide, dolci ed eccitanti come immaginava. Non erano che una goccia di ciò che voleva, ma era un inizio soddisfacente ed inatteso che non poteva non apprezzare. Circondò la vita dell’altro con un braccio, lo spinse sul ripiano di marmo ed approfondì il bacio, scoprendo tutta la pericolosa e perfetta perdizione che quelle labbra a cuore gli avevano segretamente negato per tanto tempo.
Kibum mugugnò ed artigliò le spalle dell’altro per non perdere l’equilibrio. Era una tortura lenta ed impietosa. Heechul stava lacerando, pezzo dopo pezzo, le ultime tracce del bacio d’amore di Jonghyun per sostituirlo con uno che sapeva unicamente di desiderio. Più mordeva e leccava le sue curve a cuore, più le sensazioni meravigliose di quell’ultimo bacio sfuggivano, trascinate lontane per appartenere irrimediabilmente al mondo dei ricordi. Le labbra di Heechul sulle sue erano bollenti, bruciavano come il fuoco che consuma ed il loro sapore era di una dolcezza stucchevole come quello di una pesca troppo matura. Kibum mugugnò di nuovo e mise a tacere un singhiozzo mordendosi l’interno della guancia. Stavano entrambi soffocando in quel bacio, eppure Heechul non accennava a staccarsi. Sentì la lingua dell’altro sondare la sua bocca, i suoi denti morderlo ad intervalli irregolari senza preoccuparsi di strappargli dei gemiti.
Quando finalmente si staccarono Heechul gli accarezzò le labbra con la punta del pollice, compiacendosi del rossore sulle sue guance e del suo respiro affannato.
 Kibum posò i polpastrelli sulle sue labbra, rendendosi conto che le tracce dell’ultimo bacio di Jonghyun erano svanite e, con crescente orrore, la sua mente viaggiò alla ricerca di quelle sensazioni perfette, tanto dolci quanto tristi. Non c’era più nulla, solo il freddo vuoto dentro di lui e la brama bruciante di Heechul sulla sua pelle.
Heechul lo strinse più forte a sé, gli scostò dei ciuffi corvini dalla fronte e sfregò il naso sul suo collo per lasciarsi inebriare dal suo profumo.
-Hai idea di quanto io ti desideri?  -
Il principe deglutì a vuoto.
 -Baciami -, gli ordinò Heechul a fior di labbra.
Kibum ubbidì. Ora come ora non aveva altra scelta e, alla fine, ciò che le sue labbra avevano conservato sino a poco fa era svanito in un alito di vento. Non aveva nulla che valesse la pena salvare, se non chi gli aveva donato quell’ultimo tocco d’amore.
Jong, pensò.
Sapeva che Heechul lo cerava ancora, non aveva bisogno di conferme o prove. Il più grande era troppo meticoloso ed ambizioso per correre rischi.
Se lui, Kibum, serviva a distrarlo, a fargli dimenticare Jonghyun e a far sì che si sentisse sicuro ed appagato al punto da considerare l’esistenza del fratellastro null’altro che un dettaglio irrilevante destinato a perdersi, allora Kibum era disposto a fare qualunque cosa.
Non preoccuparti, amore mio, non permetterò mai che ti faccia del male, pensò.
Jonghyun era tutto.
Mosso da questi pensieri posò i polpastrelli tremanti sul viso di Heechul, reclinò il capo e con estrema lentezza mosse le sue labbra su quelle dell’altro. Finse di non percepirne la dolcezza stucchevole, il calore troppo intenso ed il loro dischiudersi impaziente che assecondò. Non era niente e non sentiva niente. Avrebbe dovuto tenerlo a mente per il prossimo futuro.
Heechul sorrise compiaciuto, gli occhi accesi di un languore che dichiarava palesemente quelli che desiderava che fossero i programmi per quella serata, portando inevitabilmente l’atteso ballo in secondo piano. Dopo quel bacio a lungo agognato non poteva che guardare con fastidio la prospettiva di lasciare quella stanza. Ma andava bene così, per quella sera sufficiente e il resto poteva attendere. Proseguire poteva rivelarsi troppo pericoloso. Kibum poteva fuggire come un gatto infastidito da carezze tropo insistenti e lui, Heechul, desiderava plasmarlo pian piano.
-Questa sera -, sussurrò all’orecchio di Kibum, - cerca di comportanti altrettanto bene. –
La frase risuonò ambigua alle orecchie di Kibum che tuttavia si ritrovò ad annuire.
 
 
 
 
Salvee!! Spunto di nuovo per lasciarvi qualche nota. Innanzi tutto spero che il capitolo vi sia piaciuto ^^
Ora veniamo alle cose pratiche! Vi avevo avvisato che probabilmente ci sarebbero stati uno o più capitoli a raiting rosso e desideravo lasciarvi qualche indicazioni in merito, giusto per mettere in chiaro le cose.
Allora non ci saranno MAI scene esplicite di nessuno tipo perché:
1 non rientrano nel mio stile di scrittura
2 non sarebbero in linea con la storia
3 trovo le immagini esplicite, di qualunque natura, assolutamente volgari, fini a sé stesse e dunque prive di valore
4 ogni scena forte sarà quindi veicolata non da immagini esplicite, ma dai pensieri e dalle sensazioni dei personaggi coinvolti
5 il raiting rosso è più una forma di rispetto che mi sento di adottare nei confronti della vostra sensibilità
 
Per quanto riguarda i futuri aggiornamenti…
La mia speranza è quella di riuscire a lasciarvi un nuovo capitolo entro il prossimo fine settimana, dato che le due settimane successive sarò via e a quel punto il rischio sarebbe quello di aggiornare dopo il 23. Nel caso non ce la facessi vi lascerò comunque almeno un episodio di Orbit. River flows in you dedicato a Diva&Diva.
Stando alla mia tabella di marcia dovrebbero esserci ancora 4 o 5 capitoli più epilogo (mi sento triste T.T)
Vi chiedo gentilmente di dedicare due minuti del vostro tempo per lasciarmi un commentino ^^, per me la vostra opinione è sempre importante ed ora che ci avviciniamo alla fine ho maggiormente bisogno del vostro sostegno per essere carica al massimo!
 

 
Alla prossima!
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Capitolo 35
*** Capitolo 34. Sweet love your aroma is deep in my heart but You know I’m not joking ***


Ciao a tutti! So che avevo detto che sarei riuscita ad aggiornare solo a fine mese con un capitolo parecchio lungo, ma mentre scrivevo mi sono accorta di essere a poco più di metà capitolo e di aver già scritto 25 pagine, quindi ho pensato di tagliare per vari motivi.
Non ho segnalazioni particolari da fare, se non che sono stata molto indecisa, considerando il taglio, sul titolo del capitolo XD e vi avviso che il prossimo potrebbe avere lo stesso con solo l’indicazione di parte II. Piccola annotazione sul titolo: la prima parte è riferibile sia alla jongkey, sia a Diva&Diva, mentre la seconda a Diva&Diva e alla situazione in generale.
Ringrazio chi ha inserito la storia tra le preferite, ricordate, seguite e ovviamente tutti i lettori.
Un grazie particolare a chi mi ha lasciato i suoi commenti: Blugioiel, Chocolat95, DreamsCatcher, Ghira_, Gonzy_10, Jae_Hwa, KimJonghyun23, MagicaAli, Panda_murderess, Saranghae_JongKey e vanefreya.
Ringrazio anche chi mi ha inserita tra gli autori preferiti: Blugioiel, Jae_Hwa e MagicaAli  *.*
Grazie per il vostro sostegno ^^
Spero di non aver lasciato troppi errori di battitura. XD
Buona lettura!
 
 
Capitol 34
Sweet love your aroma is deep in my heart
but
You know I’m not joking
 
“Excuse Me Miss I’m going crazy
My entire head is filled with
Your brilliant smile that blinds my eyes, Angel
(…)
Do you not know my aching heart?
(…)
You shake me up, I’m disoriented
Sometimes I’m scared
that someone other than me
Will confess to you first
(…)
Your eyes
as clear as marbles
My reflection in them
Oh, they’re in love
Don’t say no
you already know
You know I’m not joking. “
Shinee, Excuse me Miss
 
 
Jinki tirò le redini di cuoio, il cavallo compì un giro su sé stesso sollevando la terra con gli zoccoli ed infine s’arrestò. Il leader dei ribelli smontò dal quadrupede ed alzò lo sguardo ad ammirare la pagoda che s’ergeva davanti a lui. Sostenuta da un grande basamento di pietra, l’edificio ligneo svettava sulle colline circostanti con i tetti laccati verdi e gialli, mentre le tegole d’ardesia rilucevano sotto i raggi di un tramonto rossastro. L’aria giaceva immota creando una sorta di atmosfera nostalgica e da sogno dove lui, Jinki, poteva camminare indisturbato senza che nulla mutasse, dallo spostarsi di un sottile filo d’erba alle fumose nubi del cielo. Era come camminare in un dipinto uscito dal passato. Nulla era mutato o sembrava destinato a farlo, era esattamente tutto come lo rammentava dalla sua infanzia.
Le guardie della residenza lo accompagnarono lungo la scalinata d’accesso e poi all’interno dell’edificio dove percorse corridoi dalle pareti lignee, sui quali s’affacciavano porte scorrevi dall’intelaiatura di seta finemente ricamata.
Non era davvero cambiato nulla e lo stesso luogo rispecchiava le idee che quella certa persona aveva in merito alla moda di corte, giacché la rifiutava nella sua totalità.
La residenza stessa così come l’arredamento essenziale ma raffinato davano chiaro sfoggio di quanto più di tradizionale potesse esservi.
Procedette lasciandosi avvolgere dall’atmosfera, sempre scortato dalle guardie, finché non giunse davanti ad una porta scorrevole e gli fu detto di attendere.
Jinki annuì e raddrizzò maggiormente la schiena, poi attese con il fiato sospeso ed un leggero tic nervoso alla mano destra. Era sulle spine. Dopo anni nulla sembrava essere mutato tra lui e quella certa persona, nemmeno la posizione che ricopriva tra i ribelli aveva avuto, col tempo, il potere di infondergli maggiore sicurezza davanti a lui.
S’accorse che stava sudando, il suo viso grondava eppure non faceva caldo.
Quando la porta scorrevole si riaprì una guardia lo invito ad entrare.
Jinki deglutì.
Odiava le riunioni di famiglia.
La stanza era permeata dall’aroma di un incenso dai toni leggermente speziati, insieme a quello di tè bianco con un pizzico di vaniglia. Anche gli odori erano sempre gli stessi.
Jinki lasciò scivolare lo sguardo all’intorno.
 Le pareti lignee erano sgombre se non per un dipinto su carta di fronte a lui che, con semplici linee d’inchiostro, ritraeva un paesaggio montano. Sul basso tavolino al centro fumava una grande teiera di ghisa ed erano già state preparate delle tazzine. Probabilmente le guardie avevano avvisato quella certa persona del suo arrivo non appena era giunto in vista della residenza.
La certa persona non lo degnò di uno sguardo, limitandosi a versare, con un mal celato sorrisetto divertito, il tè. I capelli castani gli ricadevano in avanti ed indossava un lungo abito tradizionale. Un tassello perfettamente inserito nell’ambiente che l’ospitava, tutto il contrario di Jinki in polverosi abiti da viaggio.
Quando finalmente il suo ospite alzò il capo gli rivolse un ampio sorriso, ma Jinki sapeva che non doveva lasciarsene ingannare. Jinki deglutì. Quel sorriso era decisamente irritante e nonostante avesse imparato lui stesso a farne uso, doveva ammettere che quello di suo cugino riusciva sempre ad essere molto più inquietante. Leeteuk poteva rivolgerti i sorrisi più calorosi del mondo e al contempo meditare di ucciderti.
-Deduco che tu non abbia compreso il significato dei miei messaggi -, esordì il più grande continuando a sorridere.
Jinki sudò freddo. Leeteuk aveva sempre avuto il potere di farlo sentire a disagio ed inadeguato, davanti a lui aveva l’impressione di essere costantemente sotto esame perché sapeva che molto di ciò che aveva imparato lo doveva al cugino più grande e al defunto zio materno. Dopo l’incendio che aveva travolto la sua famiglia ed il tempo passato per strada erano stati loro a prendersi cura di lui e Taemin.
Davanti a lui tutta la sicurezza che normalmente mostrava veniva messa alla prova e, spesso, era destinata a sciogliersi come neve al sole. Ma quel giorno Jinki non poteva permetterselo.
-L’avrei fatto se tu fossi stato più chiaro. –
-E di certo il fatto che io non abbia voluto essere chiaro di proposito non ti ha sfiorato minimamente. –
Leeteuk inclinò leggermente il capo in un’espressione angelica, come se avesse fatto con commento sul tempo.
Jinki si schiarì la voce.
-Al contrario. –
L’altro appoggiò il mento al dorso di una mano.
-Sai, arrivati ad un certo punto credevo fossi in grado di camminare sulle tue gambe, ma nonostante tutto ciò che ti ho insegnato hai ancora molto da imparare. –
Le labbra di Jinki si assottigliarono e trattenne un singulto. Ecco che, come sempre, lo faceva sentire un inferiore incompetente. Sapeva che lo faceva per stimolarlo, ma a volte era davvero stressante.
Con un gesto della mano affusolata, Leeteuk lo invitò a sedere.
-Dovresti bere un po' di tè, hai una pessima cera, caro cugino. –
Jinki ripiegò le gambe sul cuscino e subito si portò una tazza alle labbra. Aveva la gola secca.
Nella stanza calò brevemente il silenzio, scandito solo dal tamburellare dei polpastrelli di Leeteuk sul legno lucido del tavolino. Jinki ripose la tazza e si umettò le labbra, in attesa.
-Dunque-, esordì Leeteuk, - hai bisogno del mio aiuto. –
Jinki annuì, deciso.
Le dita del cugino continuarono a tamburellare sul tavolo.
-Sai meglio di me che il ramo Park della famiglia Lee è stato estromesso del consiglio reale da molto tempo. Io non ho alcun potere a Soul, mio caro Jinki, come pensi che possa giocare un ruolo di qualche tipo? –
Questa volta Jinki si concesse un sorriso divertito. Davvero credeva di poterlo prendere in giro in quel modo? No, di certo stava solo meditando sulla situazione.
-Lo so molto bene, ma nonostante questo godi di una certa fama a Soul e sei informato su tutto ciò che accade tra le pareti del palazzo reale, così come i nobili sanno quanto possa rivelarsi temibile l’esercito dei Park. –
Leeteuk si accarezzò il mento, quasi compiaciuto dalla situazione che il cugino stava illustrando. Era vero, i Park non aveva poteri effetti, ma agivano da anni nell’ombra e gli stessi ribelli ne erano una dimostrazione. Non era forse stato a lui a suggerire a Jinki di fondare i Ribelli e a finanziare inizialmente l’impresa? Era lui il potere nell’ombra, lui a muovere i fili.
-E’ il momento che aspettavano Leeteuk, lo sai meglio di me. –
Leeteuk alzò gli occhi sul cugino, pensoso. Oh era certamente il momento che stavano aspettando, ma poteva anche rivelarsi la loro rovina. Per lui uscire pubblicamente allo scoperto era un rischio enorme capace di mandare a monte lunghi anni di preparativi e progetti.
Si umettò le labbra. 
-Ultimamente sei propenso a fare scelte avventate. –
-Mi hai sempre detto…-
-Di osare, certo. –
Leeteuk lo fissò dritto negli occhi.
-Se tagli i rami di un albero prima o poi ricrescono, ma se recidi le radici muore. –
Jinki si fece serio. Era vero. Leeteuk era le sue radici, lui non era che il tronco ed i ribelli i rami.  Tutto dipendeva ed era sempre dipeso in larga misura da suo cugino. Un tassello fondamentale, ma invisibile come le radici di un albero.
Jinki sospirò. Comprendeva i dubbi dell’altro, ma dovevano agire.
Ormai si era reso conto che nella sua mente Chosun era passato in secondo piano.
Kibum è la cosa più importante, pensò.
-Kibum ha bisogno di noi per riprendersi ciò che gli spetta di diritto. Noi siamo la sua unica speranza, così come lui è la nostra chiave per Chosun. –
-Hai la certezza di poterti fidare di lui? –
Jinki si mordicchiò le labbra. Leeteuk gli aveva sempre insegnato ad essere cauto e diffidente e Jinki non aveva mai messo in dubbio tale politica. All’inizio era stato molto diffidente nei confronti del principe e l’aveva osservato a lungo, ma Kibum era genuino e ne aveva dato molteplici dimostrazioni.
-Sì -, rispose sicuro.
Leeteuk sorseggiò il tè.
-Non conosco il principe, diciamo che in tutti questi anni potrebbe tranquillamente essere paragonato ad un fantasma, dettaglio che possiamo interpretare in molti modi. –
Era stato lo stesso pensiero di Jinki la prima volta che aveva parlato con Kibum. Davanti a lui si erano aperte due prospettive: o era uno sciocco, o la sua assenza sulla scena politica di Chosun era dovuta ad attività molto più importanti e segrete per cui necessitava di non attirare su di sé troppa attenzione.  La realtà, tuttavia, aveva mostrato una terza prospettiva.
La verità è che per quanto altri abbiano costruito una gabbia per me, io vi sono entrato docilmente senza fare domande. Mi è stato detto di essere un selvaggio per la mia lingua tagliente, l’unica forma di ribellione e difesa che mi sono concesso, e di avere il cuore troppo tenero. Io sono come un bambino. Uno sciocco bambino spaventato.
Erano state queste le parole di Kibum nel momento di prendere la sua decisione.
-Ma so qualcosa sul lord i Busan e non mi stupirebbe scoprire che è tutto un suo piano o un piano congiunto di sua grazia ed il suo promesso. –
-Non è così. -
-Hai prove? –
-Ho ciò che ho visto in questi mesi e la parola di Kibum. –
Non voglio più essere il bambino spaventato che ha visto sua madre morire e che da allora è sempre rimasto rintanato in quell’angolo buio e freddo. Voglio uscire da quella gabbia che altri hanno costruito per me e nella quale ho scelto di rimanere, dimenticandomi d’avere la chiave per aprirla.  Io voglio combattere per ciò che è mio e questo è il momento.
Kibum aveva detto anche questo prima di lasciare il Rifugio e Jinki era stato animato sia da un moto d’orgoglio che d’apprensione.
-Vedi, caro cugino, dal mio punto di visto la situazione è questa: o è come dici tu e vi state lanciando in una missione molto pericolosa e dall’esito incerto, dunque avete bisogno di me, o sei stato fregato dall’inizio alla fine e tu e i ribelli state per cadere in una trappola. -
Jinki scosse il capo con vigore.
-Da quanto mi hai scritto è arrivato per caso, poi ha vissuto tranquillamente al Rifugio finché non è giunta la notizia della morte dell’imperatore, morte che il principe stesso ha dichiarato, secondo lui, non essere naturale, così torna a palazzo come ostaggio del suo promesso per dare ai ribelli un’occasione. Logico. Ma osserviamo le cose con calma e occhio critico. Il principe giunge vicino al Rifugio per caso, strano ma plausibile. L’imperatore, supponiamo, viene assassinato dal lord di Busan che immediatamente si trasferisce ad Haehwan ad un passo dal principe e da voi. Vi viene inviato un riscatto che fingete di accettare sullo stesso suggerimento di sua grazia che torna a Soul portando con sé tutti i segreti dei ribelli. –
Leeteuk sorrise.
-Devi ammettere che è interessante. –
Leeteuk prese un altro sorso di tè.
-Ecco come potrebbero essere andate realmente le cose. Il principe ed il suo promesso desiderano il trono, legittimo vista la posizione di sua grazia, nel frattempo i ribelli si dimostrano una spina nel fianco per Chosun. Il principe architetta un piano con il lord di Busan per riprendersi il torno e allo stesso tempo disfarsi dei ribelli, così finge di fuggire da palazzo, fa in modo di essere accolto da te e, nel frattempo, il suo promesso si occupa di tutto il resto, ottiene il controllo del consiglio reale, dell’esercito e assassina l’imperatore. A quel punto Kim Kibum deve tornare a Soul così, in comune accordo, elaborano l’espediente del riscatto, lui sa che non accetterai, ma ti convince a fingere di farlo mettendo insieme un bel teatrino. Dopodiché torna a Soul con la prospettiva di condurre i Ribelli all’interno del palazzo ed eliminarli come topi. –
Jinki sospirò. Era vero, visto da occhi esterni aveva tutto senso e Kibum era abbastanza furbo ed intelligente da elaborare un piano simile. Dopotutto non stava forse facendo il doppio gioco a Soul? Ma Kibum stava mettendo a rischio sé stesso per loro, per Jonghyun…
-Ti dico che possiamo fidarci di Kibum e lui ha bisogno di noi. Gli affiderei la mia vita, gli affiderei quella di Taemin. -
Questa volta fu Leeteuk a sospirare. Stava riflettendo e Jinki lo vedeva e lo capiva molto bene. Suo cugino aveva bisogno di certezza così come ne aveva bisogno lui.
-Non posso mettere a rischio il mio esercito senza alcuna garanzia, Jinki, se il piano fallisce o è una trappola crollerà tutto come un castello di carte, lo sai vero? –
-Lo so, ma a volte bisogna rischiare. –
Jinki abbassò il capo.
-Ho bisogno di te. –
Leeteuk si massaggiò le tempie, poi sollevo gli occhi per squadrare il cugino.
-Dunque, io come ti servirei? –
Il leader dei ribelli udì i battiti del suo cuore accelerare. Quella non era una vera e propria domanda, suo cugino stava tastando il terreno per vedere quanto lui fosse determinato. Voleva capire se sapeva ciò che stava facendo.
-Nessuno di noi vuole inutili spargimenti di sangue, il tuo esercito deve rappresentare per noi una garanzia, uno scudo nel caso le cose dovessero mettersi male. Kibum per primo desidera che tutto avvenga con la massima discrezione, ma sia lui che io sappiamo che è sperare troppo. Il caos è destinato a scoppiare all’interno del palazzo, sta a noi contenerlo e tu puoi esserci utile in questo se i ribelli non dovessero farcela da soli. –
-I ribelli non possono di certo farcela da soli, qualunque modo il principe trovi per farvi entrare a palazzo sarete scoperti e vi troverete l’esercito imperiale alle costole insieme a quello di Busan, la vostra unica possibilità sarà riuscire a resistere sufficientemente da supportare sua grazia e dargli la possibilità di mettere all’angolo Kim Heechul.–
Jinki annuì. Era così.
Leeteuk sospirò di nuovo e tornò a massaggiarsi le tempie. Jinki attese con il fiato sospeso, osservando ogni contrazione dei muscoli del viso del più grande. Dalla sua risposta sarebbero dipese molte cose ed il leader dei ribelli percepiva la tensione nell’aria. Quando alla fine Leeteuk tornò a guadarlo, Jinki capì che la preoccupazione non l’aveva abbandonato, al contrario, tuttavia i suoi occhi luccicavano.
-Mi fiderò di te, Jinki, come tu ti fidi di Kim Kibum e prega di potertene fidare davvero come dichiari, perché se è una trappola le nostre teste per prime, e poi quelle dei ribelli, si ritroveranno a decorare le mura di Soul. -
 
 
***
 
 
La serata del ballo era stata terribilmente tediosa per Kibum, alternata da momenti d’imbarazzo a causa di Heechul, che gli era rimasto avvinghiato per tutto il tempo come una piovra, e dal desiderio di sputare acido. Più volte era stato costretto a mordersi la lingua per evitare di esprimere platealmente il proprio disgusto. Ancora stordito fisicamente e mentalmente dal bacio con il più grande, Kibum era stato investito dalle luci del salone rese ancora più accecanti dai riflessi che giocavano, quasi schernendolo, sulle vesti di seta e suoi gioielli dei nobili. Sembravano tutti delle bambole vestite ad arte e, tristemente, Kibum aveva dovuto ammettere a sé stesso che Heechul aveva fatto il possibile perché loro due primeggiassero su tutti. Volente nolente non vi erano abiti o gioielli capaci di brillare più di quanto facessero i loro. I balli si era susseguiti uno dopo l’altro finché il principe non ne aveva perso il conto. Tra un volteggiare e l’altro aveva ascoltato i discorsi vuoti di Heechul, cercato d’ignorare il modo in cui lo stringeva e sé, fissava le sue labbra e represso l’impulso di vomitargli sulle scarpe. Quello sì che sarebbe stato un bel colpo di scena ed avrebbe movimentato la serata. Ma a dare un tocco “di classe” alla serata era bastata la richiesta di Heechul ai nobili.
-Intendiamo concludere ogni formalità tra un mese -, aveva riferito senza troppi preamboli.
La frase aveva subito suscitato la perplessità dei nobili del consiglio reale, tuttavia nessuno si era opposto. Kibum era rimasto in silenzio a guardare desiderando sputare in faccia a tutti loro. Nessuno la riteneva una scelta consona e rispettosa delle tradizioni, eppure tutti avevano annuito. Come degli stupidi burattini.
Quando tutto si era concluso Kibum aveva tirato un sospiro di sollievo, raggiunto i suoi appartamenti prima che i baci di Heechul lo mangiassero vivo e si era chiuso in camera gettandosi sul letto, sfinito. Ovviamente Siwon era rimasto fuori a fare la guardia. Intendeva prendere ogni precauzione possibile ora che la sua relazione con il più grande, come Heechul aveva rimarcato più volte nel corso della serata ogni qual volta era riuscito a strappargli un bacio, aveva raggiunto un nuovo livello.
Tsk, aveva pensato Kibum, neanche fosse un percorso ad ostacoli.
Bhe certamente lo era per lui, anzi forse era più simile ad una corsa su un lago di lava.
I giorni successivi non erano stati il massimo della festa, non che si aspettasse altro. Considerando che ufficialmente i cento giorni partivano dal funerale del defunto imperatore e le tempistiche erano state ridotte, a Kibum rimanevano poco più di tre settimane. Un tempo decisamente scarso. Siwon proseguiva il suo via vai in biblioteca e davanti alle sue stanze, mentre lui era sobbarcato dai preparativi per l’incoronazione e la cerimonia di legame.
Anche quel giorno non era riuscito a fuggire da quegli importanti ed inutili impegni.
Kibum sospirò e guardò il suo riflesso nello specchio, mentre il sarto di corte gli appuntava l’ennesimo spillo sul lungo hanbok di seta previsto per la cerimonia.
Ho una faccia stupenda, pensò ironico, sono il ritratto della pura felicità.
Constatò osservando la sua espressione seria e pensosa, per non dire annoiata. Sbatté le palpebre e mise bene a fuoco.
Ho le occhiaie, si disse con disappunto.
Quello era davvero terribile lui, Kim Kibum, non aveva mai avuto occhiaie invita sua. Sbuffò.
-Qualcosa non va, mio principe? – fece il sarto armeggiando con gli spilli.
Kibum si riscosse.
-E’ tutto apposto –
Tuttavia corrugò la fronte e lanciò uno sguardo ad Heechul seduto sul divano dietro di lui.
Perché non si faceva gli affari suoi, doveva proprio stare lì a guadare mentre faceva le prove per l’abito da cerimonia? Se aveva le occhiaie era tutta colpa sua!
-Non dovresti guardare -, disse stizzito arricciando il naso.
-Paura che porti male? – sogghignò Heechul, facendo dondolare le gambe accavallate.
Io spero che porti male, fece Kibum tra sé.
Non appena il sarto ebbe terminato, Kibum fu ben felice di liberarsi del lungo abito tradizionale. Rimasto solo con Heechul prese posto al suo fianco e si versò una tazza di tè. Soffiò piano sulla superficie dorata della bevanda e sorseggiò.
Una mano di Heechul gli sfiorò il viso per poi voltarlo nella sua direzione. Kibum rispose la tazza ed alzò gli occhi sul più grande che sorrise compiaciuto prima di baciargli il collo, la guancia ed infine appropriarsi delle sue labbra. Kibum mugugnò e lasciò il più grande al suo passatempo, ormai aveva imparato ad estraniarsi totalmente. Per quanto gli riguardava Heechul poteva andare avanti anche l’intera giornata. Lui non sentiva niente.
Sono una bambola fredda e perfetta, si ripeteva ogni volta prima di sparire nella sua bolla.
I baci di Heechul iniziavano sempre lentamente, controllati, come se desiderasse capacitarsi della consistenza reale delle labbra del più piccolo, e solo in un secondo momento diventavano più passionali, mentre stringeva Kibum a sé.
Il principe aveva l’impressione di lottare ogni volta con le ventose di una piovra impazzita, tuttavia Heechul non era andato oltre e Kibum tirava ogni volta un sospiro di sollievo.
Heechul continuò a baciarlo facendo scivolare una mano intorno al suo fianco. Non appena si staccò, Kibum ricambiò. Non ebbe bisogno che l’altro glielo dicesse, sapeva che era ciò che desiderava.
Heechul iniziò a giocherellare con la sua chioma corvina e gli accarezzò una guancia.
-Non sei eccitato all’idea del legame di fratellanza? – domandò curioso. -Pensa a ciò che potremmo fare, le nostre abilità…-
Heechul si umettò le labbra ed i suoi occhi sognanti si persero nella stanza.
Kibum appoggiò il capo sulla sua spalla e lo sbirciò attentamente. Si vedeva lontano un miglio che Heechul non stava più nella pelle. Indubbiamente, l’idea di sedere sul torno e di avere completamente Kibum scatenava in lui idilliache allucinazioni.
Il principe ne era fermamente convinto.
-Per quanto i suoi sogni ad occhi aperti siano rivoltanti -, aveva osservato un giorno Siwon, - confido che per quanto non stia più nella pelle tenga ben nascosto qualcos’altro. –
Ah povero Siwon, pensò Kibum. Il cavaliere era al limite della sopportazione, non vi erano dubbi.  Tutto sommato però le sue uscite riservavano sempre a Kibum brevi momenti d’ilarità.
-Bummie? –
-Uhm -, fece annoiato.
-Mi stai ascoltando? -
Kibum abbandonò i propri pensieri per tornare a rivolgere l’attenzione al più grande. A giudicare dal tono sembrava innervosito. Lo era sempre quando riteneva che Kibum non gli stesse dando la giusta considerazione.
-Oh sì, le nostre abilità. –
Kibum sapeva molto bene come sarebbe stato unire le loro abilità perché l’aveva già fatto con Jonghyun, solo che loro non avevano avuto bisogno di un legame di fratellanza per riuscirci, ma solo di molto allenamento. Ricordava molto bene quelle giornate stancanti, così come la soddisfazione finale. Come aveva spiegato loro Jinki, lui e Jonghyun godevano, o forse era meglio dire che avevano goduto, di un rapporto particolare, diverso, qualcosa di antico che si era perso nel tempo e che poteva accadere solo tra chi possedeva un’abilità. Per riuscirci con Heechul aveva bisogno del legame. Legame che Kibum aveva promesso, nella sua ultima notte d’amore, a Jonghyun.
Heechul sogghignò. –Di certo il regno di Nihon ne sarà impressionato. –
Kibum sorrise di rimando, mentre l’altro gli prendeva la mano per baciargliela.
-Di certo non si faranno venire strane idee d’invasione -, si mostrò concorde Kibum.
Quello era un dato di fatto innegabile, dopotutto, e se doveva valutare del punto di vista strategico le decisioni di Heechul a malincuore era costretto ad ammettere a sé stesso che erano astute e ben ponderate. Bhe, non poteva aspettarsi nulla di diverso. Kim Heechul erano noto per essere un abile calcolatore ed il modo in cui gestiva il governo di Busan la diceva lunga sulle sue capacità.
Ancora appoggiato alla spalla del più grande, Kibum sospirò.
Nonostante la sua posizione particolare gli avesse sempre imposto di conoscere a fondo la natura di un legame di fratellanza, solo in quei giorni di preparativi Kibum aveva potuto rendersi conto di quanto stringerne uno fosse molto semplice. Un’assurdità se si considerava l’importanza del legame e le sue conseguenze. Lui ed Heechul non avrebbero dovuto fare altro richiamare le loro abilità, intrecciarle, non unirle come aveva fatto con Jonghyun, e fondere l’una nella pelle dell’altro, lasciando così sulle loro braccia dei fili rossi intrecciati. Un marchio indelebile. Il tutto con un testimone a fare da garante. Come uno splendido filo rosso visibile al mondo intero. Ma Kibum aveva imparato che vi erano fili molto più forti capaci di legare le persone e non per questo visibili ad occhio nudo. E lui lo sentiva, quel filo, lo tirava oltre le colline, verso il fiume. Tuttavia aveva deciso d’ignorarlo come s’ignora un male incurabile per continuare a vivere la propria vita. Lui aveva scelto di farlo, aveva imposto a sé stesso di farlo, per perseguire i suoi obiettivi. Doveva.
E per proteggerti, pensò. Comunque vada io ti proteggerò sempre.
Lanciò uno sguardo fugace alle tende sottili che oscillavano incorniciando la vetrata rettangolare, poi sbadigliò, si sentiva sonnolento a causa delle notti insonni passate a rigirarsi del letto.
Heechul gli accarezzò il capo.
-A quel punto -, fece Heechul come se avesse seguito parte del flusso dei pensieri di Kibum, - potrei sapere cosa provi quando ti bacio. –
Kibum alzò il capo e sorrise furbo. Ti assicuro che non ti piacerebbe, pensò.
Heechul gli schioccò un bacio umido sulle labbra.
-Perché non mi offri delle anticipazioni? –
Kibum gli rivolse uno sguardo obliquo da sotto le ciglia.
-Non è decoroso, Chul. –
-Aish, quanto sei crudele. –
Heechul si portò una mano al petto fingendosi affranto, poi posò dei piccoli baci sulle labbra del più piccolo che cercò di divincolarsi.
-Yah, così me le consumi e sono saranno più tanto belle. –
-Oh fidati Bummie, le tue labbra sono nate apposta per essere baciate da me e i miei baci non possono che renderle più belle. –
Kibum tirò su col naso ed incrociò le braccia. Se non fosse stato per la precarietà della situazione sarebbe scoppiato a ridere. Mesi addietro non si sarebbe fatto tanti scrupoli, tanto meno a rispondergli a tono. Ma ora non poteva permetterselo. Mise a tacere il proprio orgoglio e si limitò a rivolgergli un’unica parola.
-E’ ridicolo. –
Kibum tornò a sorseggiare il suo tè. Era una fortuna che, infondo, Heechul apprezzasse i suoi colpi di testa e le sue frasi taglienti, altrimenti avrebbe dovuto mordersi costantemente la lingua, cosa che già era costretto a fare spesso.
Si umettò le labbra assaporando l’aroma alla vaniglia del tè e chiuse gli occhi. Rilassarsi, ecco di cosa aveva bisogno. Se solo non ci fosse stato Heechul in giro.
Rivolse uno sguardo al più grande che lo fissava tamburellando le dita sulle gambe accavallate.
Heechul gli passò una mano tra i capelli e si chinò su di lui per imprimergli sulle labbra a cuore l’ennesimo bacio. Kibum emise un lieve sospiro rassegnato appoggiandosi allo schienale del divano, ma mai scelta fu più sbagliata perché quel piccolo spiraglio concesse all’altro di rendere subito il bacio di profondo. Il principe sbarrò gli occhi, sorpreso, poi mugugnò e li richiuse, mentre Heechul assaggiava la sua bocca e lo spingeva tra i cuscini. Una mano del più grande corse al suo fianco, mentre l’altra affondava tra le sue ciocche corvine e le sue labbra carnose si spostavano sul suo collo.
-Bummie – mugugnò Heechul.
Il più grande si puntellò sui gomiti, staccandosi per guardare gli occhi magnetici e stordenti del principe. Gli accarezzò il viso con il dorso della mano e si perse per qualche secondo nei tratti delicati di Kibum, gli occhi lucidi e le gote rossate, allo stesso tempo lasciò che il respiro affannato del più piccolo lo colpisse in viso, inebriandolo con il profumo di quella bocca invitante ed arrossata da mille baci. Sogghignò. Forse le stava davvero consumando. L’accarezzò con i polpastrelli bollenti in un gesto ormai diventato consueto. Il suo dolce micetto era una vera droga e lui ne era totalmente assuefatto, dalla consistenza setosa delle sue labbra a cuore e dal profumo delicato simile a quello della primavera. Era sempre stato così, ma dopo quel primo bacio Heechul percepiva scorrere con maggiore impeto il sangue nelle sue vene. Kibum smuoveva qualcosa d’indefinito in lui ed era fermamente convinto che, nonostante il principe facesse ancora il prezioso spocchioso, anche lui provasse altrettanto. Dopotutto, Kibum era sempre stato timido in quel senso ed Heechul lo trovava adorabile quanto una zuccherosa caramella nella sua carta lucida.
-Bummie -, ripeté di nuovo con un lieve affanno nella voce.
Kibum deglutì a vuoto ed Heechul continuò a fissarlo come se lo stesse studiando. Il suo disagio aumento, quel silenzio era più terrificante di mille parole.
-Sì? – domandò titubante. –Vuoi che ti baci? – suggerì timidamente.
-No –
Heechul gli accarezzò un fianco senza distogliere gli occhi e al principe gelò il sangue nelle vene.
Siwon!, lo chiamò mentalmente Kibum, allarmato.
-Signorino Kibum! -
Come evocato, la porta s’aprì all’improvviso ed apparve un Siwon trafelato. Il viso arrosato del cavaliere, probabilmente dovuto ad una lunga corsa, divenne ancora più paonazzo non appena vide il Lord di Busan piegato sul suo principe schiacciato tra i cuscini. Le mani di Siwon afferrarono il vuoto, benché nella sua mente desiderasse impugnare la spada e fare a pezzi Heechul.
Kibum scattò in piedi liberandosi di Heechul in malo modo, il quale rischiò di finire lungo disteso sul tappeto.
-Siwon -, disse Kibum in un soffiò lisciandosi gli abiti. –E’ successo qualcosa? –
Dimmi che hai trovato una soluzione!, pregò dentro di sé.
Gli occhi di Siwon corsero da un lord all’altro, poi dovette imporsi calma perché il suo viso si distese e la sua voce risuonò ferma.
-Perdonatemi -, tossicò, -ho scordato la vostra passeggiata pomeridiana. –
Kibum sgranò gli occhi.
Passeggiata pomeridiana…?, pensò confuso, oh ma certo!
Subito si riscosse e rivolse al cavaliere uno sguardo rassicurante, a giudicare dall’espressione Siwon sembrava più sconvolto di quanto non lo fosse lui.
-Oh non preoccuparti Siwon, arrivi giusto in tempo. –
Kibum unì le braccia sopra la testa e si stiracchiò, fingendo poi uno sbadiglio.
-Penso che mi farà bene una passeggiata o rischierò di addormentarmi. –
Heechul si raddrizzò, incrociò le braccia e gli rivolse un’occhiata di sbieco, poi afferrò il principe il polso mentre questi s’accingeva a lasciare la stanza.
-Dove pensi di andare? – chiese con una punta di fastidio nella voce.
Kibum sorrise innocentemente. –A fare una passeggiata, non ha sentito Chul? –
Heechul digrignò i denti, guardò Siwon con fare omicida e poi tornò a posare l’attenzione su Kibum.
-Credevo stessimo facendo…altro –
Kibum strinse le labbra simulando perplessità e fece spallucce.
-Hai detto che non volevi un bacio. –
Questa volta fu Heechul a fissarlo con perplessità. Davvero non riusciva a capire se Kibum fingesse di non comprendere i suoi desideri, e dunque si divertisse semplicemente a tenerlo sulle spine, o fosse così ingenuo ed innocente da non arrivarci. Heechul si umettò le labbra. Per quanto assurdo ed inconciliabile conoscendo Kibum poteva essere per entrambi i motivi, stava ancora riflettendo su questo dilemma quando il più piccolo gli schioccò un bacio sulla guancia prima di sparire, lasciandolo a bocca asciutta.
-Ci vediamo a cena, Chul! –
 
 
 
Kibum si guardò intorno, circospetto, si mosse tra i cespugli e raggiunse un luogo appartato dei giardini sotto un pergolato di glicini. I fiori rendevano l’aria profumosa, mentre degli uccelli cinguettavano sui rami ritorti.
Il principe incrociò le braccia e spostò il peso da una gamba all’altra, poi si schernì con un sorriso sprezzante, guardando le finestre aperte del palazzo che s’affacciavano sul giardino. Le tende danzavano al vento come a tentare la fuga dalla loro prigione di marmo. Anche a lui sarebbe piaciuto fuggire.
-Avreste dovuto concedermi il permesso di tagliarlo a metà mesi fa. –
La mano di Siwon corse d’istinto all’elsa della spada, ma si trattenne dall’estrarla.
-Vi giuro che…-
Kibum alzò una mano per zittirlo, serio. –Che non farai nulla. –
-Sign…Kibum! –
- Abbiamo cose più importanti di cui occuparci. –
-Con tutto il rispetto, la vostra incolumità è la cosa più importante per me. –
Le braccia sempre incrociate, Kibum sorrise. –E io te ne sarò eternamente grato. –
Siwon si schiarì la voce ed estrasse un foglio dalla tasca della giacca. – Non dovete temere, non lo sopporterete ancora a lungo -, disse soddisfatto.
Kibum sbarrò gli occhi ed afferrò il foglio, titubante. Si accorse che le sue mani tremavano solo quando l’aprì facendolo oscillare. I suoi occhietti felini corsero veloci su quella che si rivelò una mappa del palazzo reale e del suo intero sistema difensivo. Passarono i secondi, forse i minuti, scanditi dal silenzio animato solo dal cinguettio dei pettirossi, e Kibum continuò a fissarla senza capire. L’unica cosa chiara, e l’unico pensiero nella sua mente, era che lì doveva esservi la sua ancora di salvezza. L’espressione soddisfatta di Siwon ed il sorriso che tratteneva a stento la diceva lunga, eppure Kibum era troppo euforico per reagire.
-Questo è…-
-La nostra soluzione. –
Siwon indicò alcuni punti sulla mappa.
-Vedete questa galleria? –
Kibum seguì le dita di Siwon che avevano iniziato a muoversi tra un tratto d’inchiostro e l’altro. Annuì.
-La vedo ma…-
Il principe strinse gli occhi. Non conosceva quel tratto del palazzo e non poteva nemmeno trattarsi di uno dei soliti passaggi segreti, poiché li aveva già valutati attentamente e nessuno di essi era fatto al caso loro.
-Non la conoscete, vero?–
Siwon sembrava orgoglioso di sé stesso e Kibum bevve ogni sua singola parola ad occhi sgranati e luccicanti, imponendosi più volte concentrazione per non lasciarsi distrarre da tutti i pensieri piacevoli e lo scivolare via di ansie che quelle semplici righe d’inchiostro gl’infondevano.
-Si tratta di un vecchio passaggio che passa sotto la città, attraversa Soul dalle mura nord e giunge sino al palazzo reale per poi arrestarsi nei sotterranei vicino alle prigioni. Accedervi è molto semplice, ho già perlustrato le mura nord e ho trovato una grata che mostra chiaramente l’esistenza di una galleria nella stessa posizione indicata sulla mappa. –
Kibum era sconcertato. Se da un lato l’esistenza di quella gallerie gli forniva ciò di cui aveva bisogno, dall’altro lo metteva davanti ad un fatto evidente: il sistema difensivo aveva una falla bella grossa e, per quanto attualmente vantaggioso per lui, poteva rivelarsi molto pericolosa in caso di attacco nemico.
-Perché non ne abbiamo mai conosciuto l’esistenza? –
-Si tratta di un’antica via di fuga riservata alla famiglia reale, ma è caduta in disuso. Attualmente rientra nel sistema fognario della città ed è collegata ad alcuni canali minori. –
Kibum fece un mezzo sorriso. Dunque i Ribelli sarebbero entrati nel palazzo reale tramite il sistema fognario di Soul. Poteva quasi essere divertente. Di certo non s’immaginava Jinki ad arrancare in una fogna e nemmeno Minho, in quanto Taemin, bhe, lui era un’altra storia, dopotutto viveva costantemente in quella fogna che era la sua stanza, probabilmente si sarebbe sentito a casa, e Jong…
No, il suo nome non deve nemmeno sfiorarmi la mente.
Siwon si schiarì la voce. –Il suo unico accesso è la grata nord. Ho controllato i sotterranei è ho trovato il punto di collegamento, è stato accuratamente sigillato ma le tracce sono ben visibili. –
Kibum si accarezzò il mento. –Quanto pensi sia solido il muro in quel punto? –
Siwon sogghignò e Kibum valutò che quello era il sorriso più scaltro che avesse mai visto sul volto del cavaliere.
-Abbastanza, ma non per qualcuno dotato di abilità. –
Kibum sorrise a sua volta. I Lee non poteva di certo smuovere interi blocchi di mura o sfondare l’intero sistema difensivo di Soul, ma una piccola porzione di parete solida, in parte compromessa da lavori di rimaneggiamento, bhe, era tutta un’altra storia.
-Hai fatto un ottimo lavoro, Siwon. –
-Desiderate che invii un messaggio? –
Siwon era euforico quanto lui, probabilmente sarebbe stato disposto a tramutarsi lui stesso in un piccione viaggiatore per inviare quel messaggio e, sebbene molto titubante, Kibum valutò che, forse, era davvero l’unica soluzione.
Il principe incrociò di nuovo le braccia e passeggiò accarezzandosi il mento, pensoso. Non poteva rischiare d’affidare ad un piccione un messaggio tanto importante, nemmeno se scritto in codice. Dopo la sera del ballo Heechul non aveva espresso ulteriori perplessità sui movimenti di Siwon, ma Kibum non si sentiva tranquillo e desiderava prendere ogni precauzione possibile, tutt’al più Kyuhyun s’aggirava ancora dove non avrebbe dovuto con fare indagatore.
Kibum alzò gli occhi e guardò Siwon ancora in attesa di un suo ordine. Si massaggiò le tempie. Quella che si stava facendo strada nella sua mente era una mossa pericolosa, ma sembrava anche l’unica sensata per la riuscita del piano.
Ma non per me, pensò.
-No. Lo porterai tu. –
Privarsi di Siwon significava rinunciare ad una protezione solida e sicura, forse l’unica capace di tenere, quanto meno momentaneamente, Heechul alla larga. Ma era un sacrificio che era disposto a fare. Che doveva fare. Il messaggio era più importante.
Nonostante desiderasse stringersi nelle spalle per proteggersi dei brividi che avevano iniziato a scuotere il suo corpo, Kibum sparì di nuovo nella sua bolla e, distese le braccia lungo i fianchi, fissò Siwon con una nuova determinazione negli occhi.
-No -, fu la risposta secca di Siwon.
Le labbra a cuore di Kibum s’incurvarono in un sorriso divertito. No. Doveva immaginarselo.
-No -, ripeté di nuovo Siwon scuotendo il capo, come ad allontanare un pensiero molesto che gli era rimasto appiccicato alla mente.
-Se credete che sia disposto a lasciarvi qui, solo, con quel…pazzo… -
Siwon si morse la lingua rendendo bene palese il fatto che il termine che riteneva più consono per identificare il lord di Busan era ben altro.
-Ho visto cosa stava cercando di fare. No, il mio posto è qui con voi e non intendo perdervi di vista nemmeno per un secondo. –
Kibum l’ignorò. Non poteva lasciarsi distrarre dall’apprensione del cavaliere. Doveva solo agire.
-Imprimiti quella galleria nella mente e poi fa sparire la mappa, distruggila, è troppo pericolosa. Raggiungi il Rifugio, ti ho già spiegato dove si trova, e dì a Lee Jinki che ti mando io, se non dovesse crederti chiedi di Taemin, lui ti ha visto al mercato di quel villaggio la scorsa estate e si ricorda sicuramente di te. –
-Ma…-
-Non te lo sto chiedendo, Siwon, te lo sto ordinando. –
-Vi farà a pezzi nel suo trionfo. –
-Baderò a me stesso. -
Ciò che quel messaggio portava con sé era troppo fondamentale per correre rischi inutili, poteva essere, anzi era, l’unica via per permettere ai Ribelli di prendere il palazzo e l’unica speranza per Chosun. Erano tutti strumenti, tutti pedine che dovevano muoversi sulla scacchiera al fine di raggiungere un obiettivo più importante. Lui stesso non era che una mera pedina e, come tale, la regina era disposta a lasciarsi mangiare dal re avversario pur di giocare lo scacco matto finale.
Sorrise tra sé. A volte gli sembrava di essere Jinki e, proprio come il Leader gli aveva preannunciato, ora capiva molte cose.
Le responsabilità comportano dei sacrifici, rifletté mordicchiandosi il labbro.
Kibum si scoprì a fissare i fiorellini azzurri che puntellavano il prato, quando dei fruscii tra i cespugli lo costrinsero ad alzare il capo di scatto, risvegliandolo dalle proprie meditazioni. Si aspettava di vedere uno scoiattolo sparire tra il verde con una ghianda tra le zampette, ma ciò che invece intravide tra gli alberi oltre le aiuole lo pietrificò.
Kyuhyun, gridò la sua mente, allarmata.
Quel tizio spuntava sempre dove non avrebbe dovuto. Stabilire chi fosse più meticoloso tra lui ed Heechul era davvero un’impresa, ma in quel caso Kibum si sentì di considerare la presenza di Kyuhyun come frutto dell’antipatia e della diffidenza che nutriva verso di lui e Siwon. Il cavaliere di Busan aveva passato dei mesi troppo duri per abbassare la guardia e di certo non gli bastavano dei baci tra il principe ed il suo padrone per renderlo innocuo. Sempre che Heechul potesse considerarsi tale, cosa di cui Kibum dubitava ampiamente, tuttavia quanto meno poteva sviare la sua attenzione.
-Signorino…-
Kibum mosse un passo indietro e si riparò dietro la figura di Siwon, portandosi l’indice alle labbra.
-Kyuhyun ci sta osservando tra gli alberi -, sussurrò.
I denti di Siwon stridettero.
-Devi fare quello che ti ho detto -, sussurrò di nuovo il principe.
Lanciò un’occhiata a Kyuhyun che sembrava passeggiare con aria indifferente, ma Kibum sapeva che aveva le orecchie tese ed allerta quanto quelle di un coyote.
- Lascia il palazzo non appena avrò finito di urlare. –
Siwon lo guardò perplesso.
-Urlare? –
 
 
***
 
 
Heechul giocherellò con l’argenteria e tamburellò le dita sul bracciolo della poltrona. Le gambe accavallate e l’espressione irritata, il lord fece scivolare lo sguardo sul lungo tavolo imbandito. Tutto era pronto per la cena, i bicchieri di cristallo rilucevano sotto le luci del lampadario che pendeva al centro della sala, la frutta era lucida e polposa ed uno squisito arrosto ripieno campeggiava su un vassoio d’argento. Era tutto perfetto. Solo la poltrona all’altro capo del tavolo stonava nella sua vuotezza.
Dove diamine è finito?, si chiese.
Heechul continuò a tamburellare le dita sul bracciolo seguendo il ritmo delle lancette dell’orologio.
Dov’era Kibum? Che intendesse arrivare solo con il dessert? Di certo poteva considerarsi un pensiero divertente se non fosse stato che Heechul iniziava ad essere parecchio irritato. Quella giornata era iniziata con tutt’altre prospettive.
La porta s’aprì ed il suo viso s’illuminò prima di corrugare la fronte.
-Kyuhyun -, disse annoiato.
Il cavaliere accennò un inchino che Heechul considerò fin troppo irriverente, ma decise di lasciar correre, aveva altri pensieri per la testa.
-Sua grazia fa sapere che è indisposto e non può raggiungervi. –
Heechul roteò gli occhi. Serviva pazienza con Kibum, molta pazienza.
Avrà mangiato troppi dolci a merenda, pensò.
Guardò Kyuhyun che aveva uno strano sorrisetto in viso e sbuffò.
-Cosa fai ancora qui? Vuoi un invito a cena, forse? –
Kyuhyun si sedette all’altro capo del tavolo.
-Sfrontato -, sibilò Heechul.
Il cavaliere doveva essere impazzito perché si era comodamente seduto sulla poltrona di fronte a lui ed aveva iniziato a spiluccare degli acini d’uva.
-Quel cane di Siwon ha lasciato il palazzo -, disse divertito.
Heechul sgranò gli occhi e sbatté le palpebre, drizzandosi subito a sedere. Siwon aveva lasciato il palazzo? Questa notizia avrebbe dovuto renderlo euforico, il cavaliere era una vera palla al piede per i suoi progetti personali ed un’arma potenzialmente pericolosa, tuttavia la notizia lo rese inquieto. Perché Siwon lasciva il palazzo a sole poche settimane dal grande evento? Era sempre stato al fianco del principe. Doveva preoccuparsi, considerarlo un campanello d’allarme, o forse si stava di nuovo lasciando trasportare dall’ansia?
-Quando? –
-Poche ore fa. –
-E tu me lo dici ora? –
Kyuhyun si versò del vino e sorseggiò.
-Ha avuto un’accesa discussione con sua grazia, credevo aveste sentito le amorevoli urla del vostro promesso risuonare per tutti giardini. –
Il cavaliere si umettò le labbra.
-Vi giuro che non avevo mai udivo un concerto composto da tali armoniosi acuti. Impressionate. E pensate: è tutto vostro. –
Heechul lo guardò di sbieco inarcando un sopracciglio ed accarezzandosi il mento. Kyuhyun era decisamente troppo baldanzoso ed irriverente.
Ha respirato troppo la mia aria, pensò, un giorno mi fregherà.
-Dunque l’ha cacciato -, rifletté ad alta voce.
-Così pare. –
Kyuhyun sogghignò ed Heechul iniziò a massaggiarsi le tempie. Era una splendida notizia, eppure strana. Che cosa poteva aver scatenato l’ira del suo micetto al punto da cacciare Siwon? Tra tutti gli scenari possibili questo superava di gran lunga le sue aspettative.
- Volete che lo insegua? –
-Taci, sto cercando di pensare. -
Perché? La sua mente si stava adoperando per trovare in tutto questo un secondo fine, ma non ne vedeva. Certo era strano, o forse solo un caso molto fortuito. Che fosse tutta una montatura? Ma per cosa? Per mettersi in contatto con chi? Ripensò ai messaggi inviati dal cavaliere.
Scosse il capo.
No, non aveva alcun senso.
Lui ha solo me e lui e solo mio, pensò.
Si passò una mano sul viso.
-Signore? –
-No –
-No? – ripeté Kyuhyun, perplesso.
Heechul lo fulminò.
Dopotutto cosa gli poteva importare di Siwon? Era uscito di scena e questo non poteva che essere un bene. Doveva levarsi dalla testa quegli assurdi sospetti. Non avevano alcun senso, soprattutto perché Kim Kibum non aveva legami al di là delle mura del palazzo ed anche al suo interno aveva ed aveva sempre avuto solo lui, Heechul. Qualunque diverbio fosse nato tra il principe e la sua guardia del corpo non poteva che essere accolto come positivo, perché lo liberavano di un impiccio non indifferente.
Sorrise tra sé.
Il resto non erano che le mere farneticazioni della sua mente eccitata e troppo calcolatrice. Poteva essere solo così, doveva essere così.
 
 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto!
 
Image and video hosting by TinyPic Vi chiedo gentilmente di dedicare due minuti del vostro tempo per lasciarmi un commentino ^^, per me la vostra opinione è sempre importante ed ora che ci avviciniamo alla fine ho maggiormente bisogno del vostro sostegno per essere carica al massimo!
 
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Alla prossima!

 
 
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Capitolo 36
*** Capitolo 35. Sweet love your aroma is deep in my heart but You know I’m not joking (parte II) ***


Salve! Questo capitolo è la seconda parte di quello precedente. Inizialmente stavo pensando di unirlo al prossimo, ma mi sono resa conto che questo era già sufficientemente pieno di emozioni (quanto meno dal mio punto di vista), quindi ho deciso di tenerlo isolato, tanto era già abbastanza lunghetto. E poi l’idea di lasciarvi agonizzanti sino alla pubblicazione del prossimo era molto allettante…
 
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Muahaha
 
Ora, iniziamo con la lista della spesa…
1 mi scuso con Chocolat95, ti avevo detto che in questo capitolo avremmo rivisto Jonghyun, tuttavia con i vari spostamenti di scene e tagli vari la cosa è rimandata al prossimo. Considerato come rimaneggio sulla mia tabella di marcia negli ultimi tempi forse devo smetterla di fare anticipazioni ^^’
2 per Bluegioiel. Finalmente qui appare l’ultimo Suju coinvolto nella storia, quindi spero che tu abbia allestito il palco a dovere XD
3 AVVISO vi segnalo questo capitolo a raiting rosso e per sicurezza vi riporto le note che avevo lasciato un paio di capitoli fa.
Non ci saranno MAI scene esplicite di nessuno tipo perché:
1 non rientrano nel mio stile di scrittura
2 non sarebbero in linea con la storia
3 trovo le immagini esplicite, di qualunque natura, assolutamente volgari, fini a sé stesse e dunque prive di valore
4 ogni scena forte sarà quindi veicolata non da immagini esplicite, ma dai pensieri e dalle sensazioni dei personaggi coinvolti
5 il raiting rosso è più una forma di rispetto che mi sento di adottare nei confronti della vostra sensibilità
 
Ringrazio chi ha inserito la storia tra le preferite, ricordate, seguite e ovviamente tutti i lettori.
Un grazie particolare a chi mi ha lasciato i suoi commenti: Blugioiel, Chocolat95, DreamsCatcher, Ghira_, Gonzy_10, Jae_Hwa, KimJonghyun23, MagicaAli, Panda_murderess, Saranghae_JongKey e vanefreya.
Ringrazio anche chi mi ha inserita tra gli autori preferiti: Blugioiel, Jae_Hwa e MagicaAli  *.*
Grazie per il vostro sostegno ^^
Spero di non aver lasciato troppi errori di battitura. XD
Buona lettura!
 
 
 
 
Capitolo 35
Sweet love your aroma is deep in my heart
but
You know I’m not joking
(parte II)
 
“Excuse Me Miss I’m going crazy
My entire head is filled with
Your brilliant smile that blinds my eyes, Angel
(…)
Do you not know my aching heart?
(…)
You shake me up, I’m disoriented
Sometimes I’m scared
that someone other than me
Will confess to you first
(…)
Your eyes
as clear as marbles
My reflection in them
Oh, they’re in love
Don’t say no
you already know
You know I’m not joking. “
Shinee, Excuse me Miss
 
 
 
 
La luce del tardo pomeriggio inondava gli appartamenti del lord di Busan rendendo il marmo bianco cangiante, incendiato dai raggi del tramonto che sfumavano dal rosso intenso, al rosa-violetto ed il blu a preannunciare lo scendere della notte. L’ampia vetrata rettangolare che d’affacciava sul balcone era aperta, lasciando così fluire all’interno della stanza da giorno i profumi della piena primavera ed i suoni che lì, nel cuore del palazzo reale di Soul, giungevano ovattati dalla città sottostante.
Heechul si lasciò sfuggire un sorriso divertito prima di scoppiare in una sonora risata e non appena si fu ripreso si portò il calice di cristallo alle labbra, poi rivolse uno sguardo divertito al vecchio amico seduto sulla poltrona di fronte a lui.
-Non sei cambiato per niente. –
Yesung sogghignò, accavallò le gambe, e ticchettò l’indice sul suo calice. I capelli corvini dalla lunga frangia gli adombravano il viso, mentre gli occhi allungati e neri, simili a piccole perle, rilucevano delle ultime tracce di una risata incontrollata e di una battuta andata a buon fine. Il giovane lord appoggiò un gomito al bracciolo della poltrona, si portò una mano alla guancia e reclinò il capo, soddisfatto.
-Mi fa piacere sentirtelo dire. Questi anni da ambasciatore presso la corte di Nihon sono stati provanti. Dei! Da quelle parti hanno un senso dell’umorismo incomprensibile e temevo di aver perso…-
Yesung fece un gesto inconsunto con la mano, facendo oscillare il merletto del polsino. – Il tocco -, concluse con l’ennesimo sorrisetto.
Heechul sorseggiò il vino fresco e fece oscillare il calice, apprezzando le sfumature rosseggianti del contenuto.
-Ti posso assicurare che il tuo senso dell’umorismo è rimasto intatto. Dunque, immagino non sia stato facile il tuo lavoro da quelle parti. –
Yesung fece spallucce.
-Interessante, devo dire, ma a lungo andare quella gente diventa noiosa. Sembra che il loro principale pensiero sia invadere Chosun, costantemente, sono molto attenti e valutano oggi mossa di Soul. La morte dell’imperatore ha scatenato molte chiacchere e ti confesso che sono girate anche voci su un possibile assassino. –
Yesung rivolse al vecchio amico un’occhiata di sbieco.
-Sono curioso di conoscere il tuo parere. –
Heechul trattenne una risata.
-Beh è una teoria interessante. E chi sarebbero i presunti assassini? –
Yesung si sporse appoggiando entrambi gli avambracci sui braccioli.
-Tu e il legittimo erede al trono. –
Heechul inarcò le sopracciglia, divertito, e Yesung lo squadrò.
-Immagino che non otterrò una confessione da te. -
-Ne hai forse bisogno? –
Yesung sorrise. – No, ti conosco troppo bene, Heechul. –
Sorseggiarono entrambi, poi Yesung posò il calice sul tavolino tra loro, si umettò le labbra e lasciò spaziare gli occhietti scuri all’intorno. Di certo il suo amico, Kim Heechul, si era sistemato bene al palazzo reale per quanto la sua posizione di Lord di Busan fosse già decisamente invidiabile. Ma Heechul, dopotutto, era sempre stato ambizioso, desiderava e pretendeva il meglio, dalle scarpe nuove al gradino più alto della scala sociale e all’amante migliore e, benché Yesung non vedesse il principe da anni, sicuramente appariva tale agli occhi del suo amico. Conosceva molto bene l’ossessione quasi maniacale che Heechul nutriva per il suo promesso e lui stesso era stato oggetto di confidenze in quel senso da parte dall’altro.
-Grazie a Kibum siederò sul trono ed avrò lui, il gioiello più luminoso di Chosun -, aveva detto Heechul anni addietro.
Yesung sorrise tra sé. Ora, sembrava proprio che Heechul fosse ad un passo dall’ottenere tutto ciò che aveva sempre desiderato. Osservando l’espressione rilassata e beata dell’altro, Yesung valutò che doveva essere ampiamente appagato, o quasi.
-Vedo che hai tutto ciò che desideri -, osservò ad alta voce.
Heechul annuì. Parlare al presente poteva essere avventato, ma sì, aveva tutto ciò che desiderava.
Quasi, aggiunse mentalmente.
Dopotutto, in termini concreti, Kibum mancava ancora all’appello.
Heechul si lasciò sfuggire un sospiro indefinito, misto tra il sognante e l’irritato. Ticchettò l’indice sul calice di cristallo e si lasciò risucchiare dalle sfumature cremisi del vino. L’assenza di Siwon, che aveva giudicato decisamente positiva, aveva apportato ben pochi cambiamenti, anzi, Kibum si era rivelato estremamente sfuggente. Certo, era passato a mala pena un giorno d’allora, ma Heechul era impaziente e quando la sera stessa aveva raggiunto le stanze del principe trovandole chiuse a chiave aveva emesso un verso di pura frustrazione.
Micetto dispettoso, pensò.
Quella stessa mattina aveva cercato d’indagare sul motivo che aveva spinto Kibum ad allontanare Siwon, ma non aveva ottenuto risposte soddisfacenti.
-Non ne voglio parlare, Chul, è ancora troppo doloroso -, aveva detto il principe reprimendo un singhiozzo.
Dopo di che, Kibum si era reso irreperibile per il resto della giornata.
-Voglio rimanere solo-, aveva detto, - sono ancora troppo sconvolto. –
Bhe, Heechul l’aveva lasciato fare. Sforzare Kibum poteva rivelarsi pericoloso e, benché Heechul si ritenesse un felino decisamente più grosso, sapeva che se voleva piegare quel dolce micetto al suo volere doveva mostrare ancora un po' di pazienza.
Heechul sospirò di nuovo.
-Ammetto di ritenermi soddisfatto -, rispose alla fine.
Yesung annuì.
-E cosa mi dici di quel “piccolo problema” di cui mi accennavi in una missiva tempo fa? –
I denti di Heechul raschiarono ed il suo viso si contrasse in una smorfia. Il suo fratellastro, Kim Jonghyun, era decisamente un “piccolo problema” molto frustrante.
-Non ci sono novità. Dopo quella segnalazione lungo la strada sud sembra essere svanito nel nulla. –
-E non lo ritieni un bene? –
-Spesso le cose che spariscono sono le più pericolose, possono sempre rivelare qualche spiacevole sorpresa. –
Heechul posò il calice sul tavolino con veemenza e delle gocce di vino macchiarono, rosse, la superficie madreperla del piano d’appoggio.
-Voglio levarmi questo impiccio il prima possibile, la sua esistenza è una spina nel fianco da troppo tempo. Ti giuro, il giorno in cui avrò la testa che Kim Jonghyun ai miei piedi festeggerò degnamente.-
Yesung sogghignò.
-Vedrai, lo risolverai presto. Dopotutto ottieni sempre ciò che vuoi. –
Heechul sorrise di rimando, quando la sua attenzione fu richiamata da una vocetta acuta.
-Chulllll!!! –
Kibum fece il suo ingresso saltellando sui tappeti e circondò il collo del più grande da dietro appoggiando il mento sulla sua spalla.
-Perché non mi hai detto che avevi ospiti? – domandò il principe, imbronciato. -In quanto padrone di casa non è educato da parte mia non salutare. –
-Credevo volessi crogiolarti nel tuo dolore –, fece Heechul non riuscendo a trattenere un tono ironico.
Il principe tirò su col naso e guardò Yesung, curioso, assottigliando gli occhietti felini.
-Ti ricordi di…- iniziò Heechul.
Kibum si raddrizzò all’istante, serio. Per quanto fosse disposto a recitare la parte del gatto morto per il più grande non intendeva di certo mancare di rispetto alla propria persona davanti ad altri e, in tutta sincerità, anche se aveva incontrato raramente Yesung, rivolgendogli al massimo dei convenevoli di circostanza, non aveva una grande simpatia nei suoi confronti. Anzi, a dirla tutta gli rammentava un vecchio e spiacevole episodio che aveva sancito la luna calante del suo rapporto con Heechul. D’istinto provò una fitta al petto.
-Ma certo-, disse, - Yesung, ambasciatore presso la corte di Nihon. –
Yesung inclinò il capo ed annuì.
-So’ che il tuo lavoro non è dei più semplici, ma lo stai portando avanti egregiamente. –
-Siete molte gentile. –
-Non è gentilezza. –
Kibum arricciò il naso. Figurarsi se voleva essere gentile con quello!
-Sono i fatti -, concluse.
Heechul rise.
Kibum sciolse l’abbraccio con il più grande, s’appoggiò alla testata della poltrona e spostò il peso da una gamba all’altra valutando la situazione. Non aveva nessuna voglia di intrattenersi in una lunga conversazione con quei due, ad indurlo a fare il suo ingresso erano state le mezze frasi che aveva udito mentre raggiungeva gli appartamenti del suo promesso. Era rimasto bloccato sulla soglia per un tempo che gli era parso interminabile, mentre il sangue gli si ghiacciava nelle vene ed il respiro gli veniva meno. Aveva appoggiato la schiena al muro e si era portato una mano alle labbra per reprimere dei singhiozzi che non poteva permettersi.
Kibum artigliò la testata della poltrona per scaricare la rabbia repressa ed impedire al suo sguardo d’indurirsi. Fingersi indifferente non era facile, ma non poteva fare nient’altro.
Si schiarì la voce.
-Immagino che da quelle parti stiano osservando con un certo interesse quanto accade a Soul. –
-E’ così. –
-Tsk, avvoltoi. –
Kibum tornò a circondare il collo del più grande, questa volta sfiorandogli la guancia con la propria. Orami il principe aveva capito come quietare la vipera.
-Ma io e Chul abbiamo un piano perfetto per tenerli lontani, non è vero? –
Heechul sogghignò e posò una mano sul braccio del più piccolo.
-Oh è così. –
Kibum appoggiò il mento sulla sua spalla ed alzò gli occhi magnetici su Yesung.
-Forse dovresti restare sino all’incoronazione. –
-Era mia intenzione. –
-Ottimo. –
Kibum tornò a sfregare la guancia contro quella del più grande. –Chul, non pensi che potrebbe farci da testimone per il legame di fratellanza? Così potrà riferire i dettagli dell’intera cerimonia a Nihon, non sarebbe…-
-Decisamente una mossa astuta, Bummie. -
Heechul accarezzò il viso del più piccolo e gli rivolse un sorriso scaltro, gli preso il mento tra indice e pollice e lo baciò. Quando si staccò guardo compiaciuto Yesung e l’amico ricambiò con un sorrisetto che Kibum giudicò estremamente fastidioso.
Il principe tornò a raddrizzarsi. Non intendeva trattenersi un attimo di più in quella stanza con quei due, né per tenere in piedi uno stupido teatrino per Heechul, né per fingere di voler portare avanti una qualunque conversazione. In quel momento non provava solo disagio ed umiliazione, ma anche rabbia e disgusto. Tentò di ricacciare indietro il sapore della bocca di Heechul e preparò la ritirata.
-Giacché sei venuto qui immagino che tu ti sia ripreso, - intervenne Heechul.
Kibum fece spallucce. – No, ma iniziavo ad annoiarmi. Mi domandavo se desiderassi cenare insieme, ma vedo che hai ospiti. -
Se in origine a condurlo presso gli appartamenti del più grande era stata l’esigenza di una mossa strategica: ovvero elargire al suo promesso il contentino di una cena al lume di candela e frasi “perdonare” l’atteggiamento sfuggente delle ultime ventiquattrore, ora la sola idea gli provocava degli urti allo stomaco.
Schioccò un bacio frettoloso sull’angolo appena inclinato delle labbra carnose di Heechul e lasciò la stanza. Sparire era esattamente ciò che desiderava. Era giunto lì con i migliori propositi, per lui ovviamente, ma quei semplici sprazzi di conversazione l’aveva debilitato sia mentalmente che fisicamente. A stento riusciva a trattenere un tic nervoso alle mani e a mantenere un’espressione del viso cordiale. Come poteva quando l’unico pensiero che gli attraversava la menta portava il nome di Jonghyun? L’ansia gli stava erodendo lo stomaco sino a creare una voragine. Doveva andarsene da quella stanza e rimettere insieme i pezzi prima che si sgretolasse definitivamente davanti a quei due.
 
 
Yesung lanciò uno sguardo sfuggente all’erede al trono che, a dispetto di qualunque forma di etichetta, se n’era andato senza elargire o ricevere i consueti convenevoli. Scambiò le gambe accavallate e studiò con sguardo intenso il suo amico.
Kim Heechul era totalmente perso e non riteneva che fosse un bene.
Yesun si accarezzò il mento con l’indice continuando a squadrare l’altro. Se c’era una regola che aveva appreso alla corte di Nihon era: mai abbassare la guardia, il primo a cedere il passo era notoriamente il primo a cadere e, spesso, bastava un flebile alito di vento per gettare alla rinfusa un castello di carta, per quanto costruito con perizia.
Bevve un sorso di vino.
Indubbiamente, Heechul ne aveva eretto uno di proporzioni non indifferenti, ma quanto era stabile?
Il Lord di Busan sembrava molto sicuro di sé ma, dopo la breve apparizione del principe, Yesung aveva l’impressione che il suo amico si fosse lasciato sfuggire qualche dettaglio, qualche falla nel sistema difensivo di quel castello di carte che costruiva da anni. Non vi era alcuna certezza nei suoi pensieri, alcuna prova, e apparentemente sua grazia sembrava condividere i desideri di Heechul, tuttavia una strana sensazione lo metteva in guardia. Che fosse solo dovuto all’elevato istinto di sopravvivenza che era stato costretto a sviluppare a Nihon? In ogni caso era intenzionato a metterlo in guardia. Era sempre meglio prevenire che curare e Yesung aveva imparato che il veleno era notoriamente l’arma migliore per finire le proprie vittime. Il bacio sfuggente del principe poteva, forse, essere paragona ad una goccia di veleno con lo scopo di assuefare, lentamente, la propria vittima?
-Che cos’era? -
-Un bacio. –
L’espressione di Heechul era soddisfatta, molto soddisfatta. Yesun inarcò le sopracciglia.
-Un bacio? Sinceramente, Heechul, a me sembrava più qualcuno che fingeva di volerti annusare. -
Heechul fece un gesto annoiato con la mano, come ad allontanare una mosca fastidiosa, poi arricciò il naso.
Sciocchezze, pensò, lui e mio e lo sa.
-E’ solo timido. -
Yesung sospirò con aria rassegnata, poi si sporse in avanti appoggiando gli avambracci sulle ginocchia. A lui Kim Kibum era sempre sembrato più furbo che timido.
-Ti ricordi che cos’hai sempre detto di lui? -
Heechul sorrise.
-Che quel micetto sarebbe stato mio?-
-Che era intelligente e astuto, probabilmente l’unica persona in tutta Chosun capace di tenerti testa. Bhe, ti dico una cosa: forse sta sfruttando queste sue doti per fregarti. Ti sta miagolando intorno per stordirti. Fossi in te lo terrei d’occhio. -
Heechul s’irrigidì e si portò una mano sotto il mento, sfregandoselo con l’indice.
-Uhm.-
Guardò verso il punto in cui era sparito Kibum.
Mi sta fregando?, si chiese.
I dubbi che l’avevano tormentato nei giorni precedenti tornarono a bussare alla sua porta con una certa prepotenza e una non insignificante dose d’ansia. Certo alcuni punti rimanevano oscuri, seppur conditi da spiegazioni logiche e momenti di tristezza da parte del più piccolo non appena s’affrontava l’argomento dei suoi mesi di prigionia. Il cambiamento di Kibum nei suoi confronti, anche se in parte timido ed impacciato, poteva considerarsi sospetto per quanto il principe stesso gli avesse fornito spiegazioni esaustive e mostrato a più riprese la necessità d’aggrapparsi a lui. Non era forse tornato piangente tra le sue braccia?
Alzò gli occhi, contrariato. Maledetto Yesung!
Poteva dare adito ai sospetti dell’amico o liquidare il tutto con una risata?
Yesung dovette leggere i dubbi nella sua mente perché gli sorrise con mal celato divertimento.
-Tsk – fece Heechul. –Oltre a ridere, che cosa mi suggerisci di fare? –
Non era sua abitudine domandare consiglio, ma con Yesung era tutto un altro paio di maniche. Si conoscevano da anni ed era sempre stato oggetto delle sue confidenze più intime. Se c’era una sola persona al mondo che poteva definire amico era lui. Nonostante l’irritazione che le parole dell’altro gli avevano procurato sorrise tra sé, prima che la risposta di Yesung alle sue lucubrazioni mentali lo spiazzasse.
-Portatelo e a letto e mettilo alla prova o, semplicemente, metti in chiaro le cose. -
Heechul sbatté le palpebre di fronte alle parole dirette dell’altro, poi scoppiò a ridere. Di certo era una cosa che desiderava fare da tempo e su cui aveva avuto modo di riflettere attentamente più volte, spesso mettendo un freno ai suoi desideri ed imponendosi calma. Una calma che in realtà si stava assottigliando sino a diventare una patina inconsistente e semi trasparente. Ripensò al giorno precedente, all’occasione perfetta sfumata a causa dell’arrivo di Siwon e di quella porta che, nel cuore della notte, aveva trovato chiusa a chiave, dandogli solo la possibilità d’immaginare la figura elegante del principe riposare tra le lenzuola. Kibum era come un sogno che giaceva immoto nel suo subconscio, la promessa di una pelle bianca ed incontaminata, di morbide labbra rosate, sospiri che risuonavano nella sua mente come musica soave, di un piacere sconosciuto e sublime e di un’innocenza che desiderava prendere per sé. La visione del più piccolo che usciva, gocciolante e perfetta, dalla vasca da bagno giunse ad allietarlo valicando il confine dei ricordi. Gli si strinse lo stomaco, mentre un lieve tepore gli attraversava il corpo. Scosse il capo e s’impose di tornare al presente.
-Sai non mi piace l’idea di credere alle tue insinuazioni. –
Non gli piaceva davvero e le trovare estremamente fastidiose.
-Ma penso che ascolterò il tuo consiglio. –
Dopotutto, ormai, mancavano poco più di due settimane al grande evento e attendere era sciocco, uno scrupolo assurdo e ridicolo. Ripensò al corpo di Kibum sotto di lui e schiacciato tra i cuscini, così come l’aveva ammirato la mattina precedente senza però avere la possibilità di rendere quella situazione più intima e alla prospettiva di renderla tale quella notte. Infondo, rifletté con occhi languidi, Yesung aveva ragione ed il suo stesso orgoglio personale gli suggeriva che aveva sopportato anche troppo i capricci di Kibum.
Sorseggiò il vino e si umetto le labbra alla ricerca delle ultime tracce di quel nettare rosso ed inebriante.
 
 
***
 
 
Kibum appoggiò la spazzola sul ripiano di marmo e guardò il suo riflesso nello specchio. I suoi capelli corvini erano morbidi e setosi, la pelle pallida riluceva sotto i riflessi delle candele che illuminavano neri pozzi di solitudine. Il principe si rannicchiò sullo sgabello foderato di velluto e i piedi leoni, abbracciandosi le gambe, poi sospirò lievemente.
Non riusciva a togliersi dalla testa quanto aveva udito quel pomeriggio e, in tutta sincerità, parte di lui non vi voleva nemmeno credere. La sua mente rifiutava con vemenze la verità che gli era stata gettata in faccia. Sino ad allora aveva solo sospettato che dietro alla taglia sulla testa di Jonghyun ci fosse Heechul, certo erano stati sospetti molto forti che lasciavano poco spazio ai dubbi, ma comunque non supportati da prove concrete. Tuttavia, quelle parole taglienti quanto la lama di un coltello già tinta di rosso l'avevano travolto come una violenta raffica di vento sul ciglio si un dirupo. Privandolo di qualunque via di fuga. Il terrore che aveva sempre provato per l’incolumità di Jonghyun, per quanto profondo e vivido, si era pian piano amalgamato con il resto dei sentimenti e delle emozioni che negli ultimi tempi avevano scosso la sua dolce quiete tra le braccia del più grande. Era stato come essere cullato, a lungo, dalle braccia calde e confortanti di Jonghyun in uno stato sognante di dormiveglia per poi essere, improvvisamente, riscosso con forza. Udire ogni cosa con le sue orecchie dalla bocca di Heechul, la stessa che soleva baciarlo ogni qual volta ne aveva l'occasione, era stato terribile. Era come vedere prendere forma un mostro immaginario.
Kibum si strinse le gambe al petto e tirò su col naso.
Jong, pensò.
L’amava così tanto. Negli ultimi giorni aveva allontanato il pensiero di lui, ma sapeva di star prendendo in giro sé stesso. Non poteva ignorare quell’invisibile filo che trascinava la sua anima verso le colline sino al fiume.
Affondò il viso tra le braccia intrecciate intorno alle ginocchia e represse dei singhiozzi.
Lui è al sicuro, pensò, non può lasciare il Rifugio, non deve, Jinki e Minho lo terranno lontano dai guai e anche Taemin.
Tutto sarebbe finito presto, era solo questione di tempo e lui doveva solo stringere i denti ancora un poco. Siwon era partito e i ribelli si sarebbero organizzati per raggiungere Soul ed entrare a palazzo. Doveva stare calmo e resistere, l’incubo sarebbe finito presto. Doveva.
Kibum non riusciva ad immagine che potesse finire male, non per imprudenza, semplicemente non voleva accarezzare nemmeno lontanamente quell’idea. Il solo pensiero gli faceva troppo male e troppa paura.
S’alzò dallo sgabello e si diresse verso la finestra, appoggiò i polpastrelli sul vetro indeciso se aprirla ed uscire sul balcone o rimanere relegato all’interno della sua stanza da notte. La prospettiva di annusare l’aria aperta sul balcone, che portava con sé la speranza sciocca ed infantile di poter respirare i suoi stessi profumi era una tentazione forte, ma quanto poteva essere rincuorante? Poteva crogiolarsi in un piacere ed in una speranza flebile torturandosi in quel modo? Però ne aveva bisogno, aveva bisogno di respirare il profumo di un amore che aveva messo radici profonde nel suo cuore invadendo ogni parte del suo essere.
Kibum deglutì e, titubante, lanciò uno sguardo fugace alla porta della sua stanza da letto che quella sera aveva volontariamente deciso di lasciare aperta. Non sapeva perché l'aveva fatto, o meglio, il suo subconscio lo sapeva bene. Era una mossa sciocca quanto disperata ma, ora come ora, Kibum sentiva di avere ben poche carte da giocare. Tutto ciò che poteva fare era distrarre Heechul sino alle battute finali. Fare in modo che il più grande non avesse occhi ed interesse che per lui. E dopo quanto aveva udito quel giorno, Kibum era molto determinato, spaventato sì, ma anche consapevole di essere ormai giunto ad un punto di non ritorno. Doveva mettere da parte tutto sé stesso per proteggere la persona che amava. Forse non sarebbe servito a nulla, forse era solo una soluzione disperata che si era imposto.
Ma per te io farei qualunque cosa.
I suoi occhi fissarono meditabondi la toppa della porta e la chiave ivi inserita. Poteva decidere di girarla ora, fare pochi passi e tenere anche per quella notte gli incubi e le ombre lontani, ma decise di rimanere immobile a fissarla. Non avrebbe fatto alcun passo verso di essa, poiché sarebbe equivalso a fare un passo indietro. Lui, ormai, era pronto ad affrontare la battaglia che, molto presto, avrebbe scosso le pareti marmoree del palazzo.
Per te e per un futuro di noi baratterei, ora, ogni parte del mio corpo, ogni centimetro della mia pelle ed ogni mio respiro. Mi basta la flebile speranza di salvarti. 
Strinse i pugni e distolse lo sguardo.
Io non ho paura, pensò, le bambole non hanno paura.
Aprì la finestra ed uscì sul balcone. Non appena i suoi piedi nudi sfiorarono il marmo rabbrividì e si strinse nelle spalle quando l’aria fresca e quasi pungente della notte scivolò sotto i suoi abiti sottili. L’argentea luce lunare bagnò la sua figura modellata dal morbido cotone semi trasparente della larga camicia che indossava e dai pantaloni lunghi sino al polpaccio, mentre i riflessi delle stelle si posavano sulla sua chioma corvina. Raggiunse la balaustra e vi posò le mani sottili lasciando spaziare lo sguardo all’orizzonte. Sotto di lui Soul era puntellata di luci, rosse e gialle come piccoli fuochi caldi e ristoratori, ma troppo lontani perché lui potesse goderne. Oltre le mura della città le colline tondeggianti si dispiegavano come un mare verdastro illuminato dai diamanti pungenti che rischiaravano il cielo, infine, all’orizzonte l’Han serpeggiava simile ad un filo d’argento, una cicatrice iridescente nella notte. Kibum alzò gli occhi al cielo bluastro e viola animato da fredde luci lontane ed un suo sospirò si fuse con la brezza piena del profumo dei ciliegi in fiore, portando con sé una nota nostalgica. Chissà se sarebbe scivolata tra le fronde degli alberi, rotolata lungo i declivi delle colline sino al fiume.
Il principe chiuse gli occhi e sospirò di nuovo, pregando tra sé che quel flebile canto raggiungesse Jonghyun per accarezzarlo e donargli un bacio leggero in quella notte dalle ombre profonde.
Si rese conto di non poter trovare conforto né nel passato, né nel presente. Poiché il passato era troppo luminoso ed il presente troppo tetro. Non poteva fare di quella luce meravigliosa un baluardo perché era troppo intensa, così intensa da ferire i suoi occhi ormai abituati all’oscurità. Allo stesso tempo in buio in cui era costretto a camminare, mettendo cautamente un piede davanti all’altro, era troppo profondo ed insondabile. Gli sembrava di essere giunto davanti ad una porta spessa e semi aperta, oltre la quale l’oscurità riluceva vivida, ma di non avere il coraggio di valicarla nonostante delle mani invisibili premessero sulle sue spalle. Era semplicemente in attesa.
Riaprì gli occhi ed abbassò lo sguardò sulle sue mani accorgendosi che stavano tremando. Come poteva essere ridotto in quello stato quando l’incubo non aveva ancora valicato i confini del reale, né lui aveva oltrepassato quella soglia scura?
La risposta giunse alle sue spalle in un posarsi umido e morbido sul suo collo e in un profumo troppo dolce che invase le sue narici. Delle mani scivolarono intorno ai suoi fianchi, cingendolo, mentre l’odore di pesche troppo mature si faceva più intenso. Tremò appena e, reprimendo un sorriso sarcastico, si domandò se fosse stato l’incubo a fare un passo verso di lui o viceversa o se, forse, semplicemente era stato fagocitato da quella porta lasciata volontariamente aperta.
-Cosa stai cercando nel cuore della notte? – domandò Heechul con una punta di divertimento.
Jonghyun, pensò Kibum, cercò la luce del suo sorriso, il calore dalla sua pelle, il suono della sua voce melodiosa nel vento. Cercò il mio amore come agogno l’aria per respirare e l’acqua per dissetarmi.
Ignorò la domanda del più grande.
-Immagino che tu non abbia bussato –, disse con estrema calma, stupendo sé stesso.
Pur rimanendo voltato percepì Heechul sorridere.
-L’ho fatto, ma non ho avuto risposta. –
Kibum si voltò verso il più grande, mentre questi continuava a cingergli i fianchi.
-E come sempre ti sei sentito libero d’entrare. –
Questa volta, Kibum vide il sorriso del più grande rilucere come zanne affilate nella notte. S’impose di non tremare e rimase rigido e freddo come un perfetto blocco di marmo. La sua stessa pelle era gelida ed il suo sguardo insondabile, duro come nera ossidiana.
-Devo avere il permesso per frequentare le stanze del mio promesso? –
La voce di Heechul risuonò ironica.
-Credevo avessimo già sostenuto questa conversazione. –
Heechul sogghignò e gli accarezzò il viso.
-Oggi ho avuto l’impressione che desiderassi passare del tempo con me, non è forse così? –
Kibum arricciò il naso.
-A cena, Chul, non pensi che ora sia tardi? –
Il principe di divincolò dall’abbraccio e, oltrepassate le tende che fluttuavano nella brezza della notte, rientrò in camera. La sensazione del tappeto morbido sotto i suoi piedi fu piacevole, ma rabbrividì. Si strinse le braccia al petto e lanciò un’occhiata dietro di lui.
Heechul, ritto in piedi, lo fissava tra il serio ed il divertito, gli occhi ambrati luccicanti e le labbra piene. Sembrava molto sicuro di sé, una tigre in pieno territorio di caccia che vede l’antilope incauta abbeverarsi alla sorgente, inconsapevole di ciò che si nasconde tra i cespugli o sotto il pelo dell’acqua apparentemente rigenerante.
-Allora dimmi: perché hai lasciato la porta aperta? –
Heechul prese il mento del più piccolo tra indice e pollice per guardarlo dritto negli occhi, poi si chinò su di lui.
-Voleva essere un invito, forse? – sussurrò all’orecchio del principe.
Tornò a fissare il più piccolo e Kibum tremò. Quegli occhi di pura lava liquida sembravano perforargli la carne, alla ricerca di una verità che non riusciva a cogliere ed in preda ad una brama intensa.
Heechul emise una ristata. -Stai tremando, Bummie? -
Kibum si umettò le labbra ed abbassò lo sguardo.
-Ho freddo -, mentì.
Heechul sorrise mellifluo. -Non dovresti tenere la finestra aperta. –
Il più grande chiuse la finestra ed i profumi della notte scomparvero insieme ad i suoni, racchiudendo, così, il principe in un spazio limitato il cui unico profumo era quello dolce e stucchevole di Heechul, le uniche luci quelle incandescenti che animavano il viso del più grande e gli unici suoni i passi felpati dell’altro sul tappeto.
Kibum si strinse nelle spalle e rabbrividì di nuovo quanto il più grande lo prese per le spalle costringendolo a voltarsi. Gli occhi scuri di Heechul lo sondarono liquidi.
Non vi fu bisogno di parole e tra loro bastò uno sguardo per rendere espliciti i desideri di Heechul. Lo voleva e lo voleva quella notte senza alcuna possibilità di contrattazione. Quella che fiammeggiava sul viso del più grande non era una richiesta, bensì l’imposizione del volere di chi, ormai, è giunto al limite. Tuttavia, Kibum lesse anche dell’altro. C’era un sospetto appena assopito in quelle iridi ambrate ed infuocate, il palpitare timido di una fiamma tra i carboni in attesa di un alito di vento per divampare. Una cosa che Kibum non poteva permettere che accadesse.
Non si fida di me, pensò il principe.
Kibum abbassò gli occhi e s’impose di resistere alla tentazione di stropicciarsi le mani, mordersi le labbra, piangere o fuggire. Aveva saputo fin dall’inizio che cosa avrebbe comportato tornare a Soul e portare avanti una recita per Heechul e, dopotutto, era sempre stato consapevole del fatto che andare a letto con lui rientrava nel pacchetto. Ma sperava che quel momento non giungesse…sino ad allora era stato più che fortunato.
-Che ne dici -, fece Heechul sollevandogli il mento con l’indice, - riprendiamo da dove eravamo rimasti la scorsa mattina o hai desideri particolari? –
Kibum si morse il labbro. Heechul non era lì solo per soddisfare un desiderio che lo tormentava da tempo, ma lo stava mettendo alla prova. Sospettava qualcosa o stava solo tastando il terreno…o giocando come si gioca con la preda prima di finirla? Qualunque fosse il motivo Kibum doveva estinguere quel sospetto indefinito.
Per te…per noi, anche se non posso più averti.
Il suo Amore era il mondo che non poteva più avere, il responsabile di ogni suo singolo respiro e dello scorrere del suo sangue. Senza di lui nulla aveva senso, tutto scorreva vuoto, insensato e privo di vita. Dunque, che Heechul prendesse pure ciò che desiderava, era disposto a dare tutto sé stesso pur di sapere Jonghyun al sicuro e lontano, molto lontano.
Qualunque cosa sarebbe accaduta di lì a poco tra le pareti di quella stanza, ormai, non aveva più importanza. Heechul poteva prendere ciò che voleva perché, in ogni caso, l’avrebbe afferrato a vuoto.
Io ho già dato tutto ciò che avevo a Jong. Non c’è nulla che tu mi possa portar via. Sono stato suo quando ero solo di me stesso e la mia anima è sua per sempre.
Heechul gli cinse i fianchi, possessivo, gli posò un bacio sulla fronte, gli prese il viso con una mano stringendogli le guance, lo sondò per qualche secondo e poi lo baciò. Le labbra del più grande si mossero umide sulle sue, insistenti e scomposte, mentre lo spingeva verso il letto a baldacchino.
Kibum si strinse alle spalle del più grande per non perdere l’equilibrio con la stessa forza con cui cercò di afferrare il suo coraggio, mentre la lingua dell’altro invadeva la sua bocca quasi soffocandolo. Ebbe l’impressione di cadere nel vuoto prima che il contatto con il materasso lo fece sobbalzare. Sopra di lui Heechul si staccò e Kibum alzò gli occhi incontrando quelli ambrati e languidi dell’altro. Il principe si sentì come la preda in balia delle fauci del predatore, tuttavia ciò che più lo spaventò fu la consapevolezza di essere stanco di persistere in quella fuga disperata il cui esito era già stato preannunciato. Lo sguardo di Heechul era sempre più simile a quello di una tigre a strisce che, silenziosa, si nasconde tra le fronde di un’ombrosa foresta prima dell’assalto.
Heechul ansimò come se avesse appena concluso una lunga corsa e si umettò le labbra con la punta della lingua. Accarezzò il viso di Kibum lentamente per poi sfiorargli le labbra a cuore. Il suo dolce micetto era così bello ed indifeso, le gote rosate e gli occhietti felini che cercavano di fuggire da lui, mentre le mani sottili stropicciavano il cuscino ai lati del capo. Kibum era splendido ed era suo. Sorrise soddisfatto animato da una punta d’orgoglio, poi accarezzò di nuovo il viso del più piccolo costringendolo, gentilmente, a guardarlo. Gli occhietti felini del più piccolo erano nere perle luminose e lo fissavano come una preda braccata. Heechul sogghignò tra sé e la sua eccitazione aumentò. Da quanto sognava quel momento?
-Rilassati –, sussurrò Heechul a fior di labbra. –Hai paura? -
-No, solo…-
Heechul inarcò un sopracciglio. – Solo? –
-Mi cogli impreparato – disse Kibum tutto d’un fiato.
-Che tenerezza. Non devi aver paura, Bummie, tu sei mio e io sarò gentile con te. -
Kibum deglutì e si morse il labbro inferiore, mentre le sue mani stropicciavano le spalle dell’altro. Dalle sue labbra fuoriuscì un sospirò rassegnato. Davvero lo sarebbe stato, gentile, poteva credergli? Forse no, ma non era forse l’unica speranza in cui poteva confidare?
-Lo prometti? –
La sua voce tremò, ma guardò il più grande negli occhi, poi arrossì. Sembrava la supplica dell’antilope disperata tra gli artigli della tigre. Divorami senza farmi sanguinare.
-Te lo prometto -, gli sussurrò Heechul all’orecchio.
Heechul sfiorò una guancia ed il collo del più piccolo con la punta del naso e chiuse gli occhi. Il profumo dolce di Kibum gli inebriò i sensi, scuotendo il suo corpo in un brivido caldo. Le sue mani corsero ai fianchi dell’altro massaggiandoli piano per abituarlo al suo tocco ed abituare sé stesso alla consistenza reale di quel corpo caldo e perfetto sotto di lui. Heechul riaprì gli occhi per guardare quelli magnetici del principe e sorrise. Dunque, dopo tanto attendere, Kibum stava per essere suo. Una succosa caramella pronta ad esserne scartata. Heechul si umettò le labbra e fissò, voglioso, il viso titubante del principe e le sue labbra semi dischiuse che accarezzò con la punta del pollice.
-Baciami -, gli ordinò.
Kibum annuì, allungò il collo, affondò le mani tremanti nei capelli castani di Heechul e lo baciò.
Subito, il più grande prese il controllo, dapprima lentamente poi con maggior foga. Heechul s’adagiò sul più piccolo e fece scivolare le mani sotto gli abiti di Kibum per accarezzargli lo stomaco, la schiena, i glutei e le cosce, liberando poi, con lentezza passionale, entrambi degli abiti.
Il contatto con la pelle nuda del più grande fu stordente per Kibum ed una miriade di sensazioni lo invase. In breve, le mani e le labbra di Heechul furono ovunque, sfioravano, modellavano, baciavano, mordevano e graffiavano, ma in esse non vi era alcuna dolcezza, solo un desiderio bruciate che chiedeva di essere soddisfatto dopo un’attesa che l’aveva torturato sia fisicamente che mentalmente. Saggiavano con tatto caldo e umido ogni centimetro della sua pelle. C’era gentilezza, sì, ma non c’era amore. Kibum strizzò gli occhi e si morse il labbro inferiore per impedire a sé stesso di ansimare perché, per quanto la sua mente rifiutasse con disgusto ciò che stava accadendo, il suo corpo non poteva fare a meno di esserne stimolato. Strinse il cuscino ai lati del capo e si morse il labbro con più forza, facendolo sanguinare. La lingua del più grande invase la sua bocca portando con sé il suo sapore stucchevole ora misto a quello del sangue.
Heechul fece scivolare una mano sotto la schiena di Kibum, gli sfiorò i glutei ed afferrò i suoi fianchi. Lo baciò sul collo tirandogli appena la pelle ed entrò nel corpo del principe con un sospiro di pura estasi.
Kibum mugugnò, inarcò la schiena, artigliò d’istinto le spalle di Heechul e gli morse il collo per soffocare un lamento. Strinse le gambe intorno al bacino del più grande, mentre questi lo baciava con foga sussurrandogli frasi e parole inconsulte, frammezzate da sospiri appagati.
-Dimmi che sei mio -, disse Heechul, ansimante.
-Sono tuo. -
Era tutto così strano ed irrimediabilmente sbagliato, fuori posto come la tessera di un puzzle che, con forza, tenta di farsi in strada in uno spazio che non le appartiene. Con Jong aveva sempre percepito solo amore e dolcezza ed era sempre stata una danza perfetta tra anime la cui unione aveva il potere di rigenerare entrambi. Quello che invece, ora, stava accadendo tra lui ed Heechul era molto diverso, era solo la danza incontrollata di due corpi tra lenzuola impregnate dall’odore della cenere sul campo di battaglia.  Tra le mani di Heechul, Kibum aveva la sensazione di disfarsi come un tronco annerito.
Ormai per Kibum la paura era passata in secondo piano, era in balia di un incendio che sin dalla prima scintilla si era preannunciato incontrollabile e, ora, ciò che davvero lo turbava era il disgusto. Odiava sé stesso per essersi concesso al più grande, pur sapendo di avere poche alternative, odiava il suo corpo che non poteva fare a meno di provare piacere, così come odiava le sue labbra, da altri giudicate tanto perfette, per la loro incapacità di trattenere sospiri ed ansiti appagati ed odiava quella recita patetica che doveva portare avanti anche tra le lenzuola, rispondendo ai tocchi di Heechul, assecondando i suoi movimenti ed i suoi desideri. Nelle mani dell’altro di sentiva una bambola, quella stessa bambola tanto fredda e perfetta che si era costruito a mo’ di maschera e che ora si stava spezzando sotto le spinte di Heechul. Era una follia insostenibile e decise di sparire negli angoli più reconditi della sua mente. Ebbe appena il tempo di udire un suo ultimo verso di piacere fondersi con quello del più grande, poi sprofondò nella sua bolla.
 
 
Salve XD Spero siate ancora tutti vivi…ma soprattutto agonizzanti
 
Image and video hosting by TinyPic Al di là della situazione disperata spero che il capitolo vi sia piaciuto ^^
 
Vi chiedo gentilmente di dedicare due minuti del vostro tempo per lasciarmi un commentino ^^, per me la vostra opinione è sempre importante ed ora che ci avviciniamo alla fine ho maggiormente bisogno del vostro sostegno per essere carica al massimo!
 
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Alla prossima!
 
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Capitolo 37
*** Capitolo 36. Let me out ***


Salve a tutti!
Ringrazio chi ha inserito la storia tra le preferite, ricordate, seguite e ovviamente tutti i lettori.
Un grazie particolare a chi mi ha lasciato i suoi commenti: Blugioiel, Chocolat95, DreamsCatcher, Ghira_, Gonzy_10, Ichabod_Crane, Jae_Hwa, KimJonghyun23, MagicaAli, Panda_murderess, Saranghae_JongKey e vanefreya.
Ringrazio anche chi mi ha inserita tra gli autori preferiti: Blugioiel, Jae_Hwa,  MagicaAli e SHINee4ever  *.*
Grazie per il vostro sostegno ^^
Spero di non aver lasciato troppi errori di battitura. XD
Buona lettura!
 
 
Capitolo 36
Let me out
 
 
“My line of vision has fallen
Not because I lost you
But I know I can’t hold you even if
I miss you to death”
Jonghyun, Let me out
 
 
L’aria profumava di primavere ed era satura dei pollini che volteggiavano nei coni di luce dorata che filtravano tra i rami degli alberi su cui graziose foglioline verdi e teneri boccioli danzano nella brezza frizzante. Gli uccellini, nel pieno della stagione degli amori, cinguettavano allegri e giocosi disegnando eleganti parabole nel cielo turchese e terso richiamando l’attenzione del compagno desiderato con una danza leggiadra.
Sdraiato e con gli occhi chiusi, Taemin rigirò il capo di lato ed allungò una mano tra l’erba sottile, mentre con l’altra stringeva quella di Minho, giocherellando con essa. Il tepore del sole sulla sua pelle era piacevole e quando una nuvola solitaria lo nascose per pochi secondi arricciò il naso con fastidio. Come si permetteva d’interrompere il suo idillio?!
Era primo pomeriggio e lui e Minho avevano deciso di concedersi un po' di tempo per sé stessi e fuggire, anche se per poco, all’atmosfera tetra ed ansiosa che permeava il Rifugio. Tra i Ribelli aleggiava un’aria d’attesa e Taemin aveva l’impressione di osservare uno stagno apparentemente placido ma, in realtà, pronto ad esplodere con la forza di un geiser. Anche se non al corrente dei dettagli, i Ribelli sapevano che il loro Leader aveva qualcosa di grosso che bolliva in pentola e attendevano ordini e novità con crescente aspettativa. La stanza di Jonghyun continuava a rimanere serrata senza mostrare oltre ad essa alcun segno di vita, se non l’accumularsi di energia negativa che aveva portato lui, Taemin, e Minho a non osare valicarla. Entrambi sapevano che qualcosa andava fatto per il loro amico, tuttavia erano anche consapevoli del fatto che, per ora, Jonghyun doveva essere lasciato in pace. Era stato lo stesso Jinki a suggerire loro di essere pazienti.
-In questo momento non è ancora in grado di ragionare, dategli tempo -, aveva detto il Leader prima di partire.
Bhe, aveva pensato Taemin, quella scimmia cappuccina non è mai stata in grado di ragionare come un normale essere umano.
Taemin sospirò e si umettò le labbra, mentre il suo capo continuava a riposare delle gambe di Minho. Il più grande era una presenza solida e confortante, simile ad una zattera sicura a cui aggrapparsi nel mezzo delle rapide. In effetti, Taemin si sentiva proprio così: in balia di un torrente impazzito e puntellato di rocce acuminate; presagire dove la corrente l’avrebbe portato era impossibile, tuttavia la sola presenza dell’altro bastava a rincuorarlo e a farlo sorridere. Forse era da egoista ed insensibile da parte sua prendersi quei piccoli momenti di felicità, ma era anche consapevole di averne bisogno. O l’ansia l’avrebbe divorato.
Non appena il sole tornò a scaldargli il viso sorrise ripensando allo scambio di battute che era seguito alla dichiarazione tra lui e Minho.
Dopo quel bacio con il più grande si era domandando perché Minho non avesse mai espresso i suoi sentimenti a parole. Se gli piaceva da così tanto tempo perché era rimasto in silenzio per anni? Certo, aveva osservato tra sé, anche lui non era stato da meno, eppure negli ultimi tempi aveva fatto il possibile per far intendere all’altro i suoi desideri, no?
-Perché non me l’hai detto? Ho sperato ogni giorno che tu lo facessi ma…-
-Ti trattavo come un bambino? – aveva terminato per lui Minho.
Taemin si era ritrovato ad annuire ed abbassare gli occhi per la vergogna. – Avevo sempre paura che tu vedessi il bambino sporco e affamato e…perché? –
Minho aveva sospirato reprimendo un sorriso. -Taemin, tu sei un nobile –
-E con ciò? –, era stata la domanda immediata del più piccolo. Davvero quella frase alle sue orecchie era suonata totalmente priva di senso. Un nobile…e quindi? Anche la sua umma lo era e stava con quello scemo di Kim Jonghyun che, bisognava dirlo, non era esattamente un tripudio di buone maniere. Taemin non aveva compreso e tutt’ora non comprendeva perché quel dettaglio avesse tanto turbato Minho. Dopotutto era solo un titolo e Taemin non rammentava di aver mai condotto la vita di un nobile nel giusto senso del termine. Quando la sua dimora si era sgretolata tra le fiamme era molto piccolo e, ora, poteva dire di rammentare a stento i volti della sua vera umma e del suo vero appa. Per lui la sua famiglia erano Jinki, Minho, con i quali era cresciuto, e poi Jonghyun e Kibum. Ad ogni modo la sua mancanza di reazione aveva lasciato Minho di stucco quanto lui nell’udire la sua affermazione.
-Dunque era per questo? –, aveva chiesto.
Minho aveva scosso il capo facendo intendere che vi era dell’altro. -Jinki –
Lo spilungone aveva pronunciato il nome del Leader arrossendo sino alle punte delle orecchie e Taemin era scoppiato a ridere.
–Cosa? Hai paura di lui? –
Se possibile, Minho era diventato ancora più rosso ed il più piccolo aveva trovato quella scena oltremodo divertente.
Taemin aprì gli occhi, strizzandoli appena a causa del sole, e sorrise. Minho aveva lo sguardo serio e fissava imperterrito lo scorrere del fiume davanti a loro; sembrava risucchiato nei suoi stessi pensieri. Sempre sorridendo, Taemin allungò una mano per affondarla nei capelli dell’altro e richiamare così la sua attenzione. Subito, Minho abbassò lo sguardo e gli sorrise dolcemente.
-Ti sei svegliato? – domandò il più grande.
-Chi ti ha detto che dormivo? -, fece Taemin reprimendo uno sbadiglio.
Minho rise e si chinò per baciarlo. Taemin sorrise beato ricambiando a sua volta, poi si mise a sedere e gambe incrociate e sollevò le braccia per stiracchiarsi. Rivolse al più grande uno sguardo furbo, sfregò la punta del suo naso contro quella di Minho e gli schioccò un bacio a fior di labbra. Minho gli mise un braccio intorno al fianco ed il più piccolo posò il capo sulla sua spalla. Tra loro calò di nuovo il silenzio, appena smorzato dallo scorrere del fiume.
-Non ti sembra che stiamo correndo troppo? – disse Minho ad un tratto.
Taemin roteò gli occhi. Minho era spesso un fascio di nervi quando erano soli e più di una volta il più piccolo aveva notato che si guardava intorno come se una mannaia dovesse calargli sul collo da un momento all’altro. Correndo…l’unica corsa, almeno secondo il modesto parere di Taemin, era quella lunga ed estenuante che avevano condotto in quegli anni per raggiungersi.
-Per quanto mi riguarda tra noi è andato tutto anche troppo lentamente e sai cosa ti dico? Ne ho abbastanza, è ora di dare a questa relazione un po' di pepe. –
Sbuffò.
-Sai, in questi anni ho fatto di tutto per attirare la tua attenzione e tu sei stato solo capace di trattarmi come un bambino -, disse risentito.
-Dovresti smetterla con questa storia, qualcuno potrebbe pensare che tu abbia solo questa frase nel repertorio. -
-Bhe non è così! Ho una lunga gamma d’insulti nel mio repertorio e in questo momento li lancerei molto volentieri tutti addosso a quella testa vuota di Kim Jonghyun. -
Taemin tornò serio e s’accoccolò di nuovo sulla spalla dell’altro. Minho gli accarezzò il capo.  
-Quello che voglio dire, - proseguì, - è che questi mesi sono stati illuminanti. Ho invidiato molto il rapporto tra umma e Jonghyun. –
Minho annuì tra sé. Era stato lo stesso per lui.
-Se non fosse stato per loro penso che sarei ancora qui a domandarmi perché l’idea di stare con te sia così assurda. -
-Grazie tante! – squittì Taemin.
Questa volta fu il turno di Minho per roteare gli occhi. Perché il più piccolo prendeva tutto come un insulto personale?
Aish, imprecò tra sé.
-Hai capito cosa voglio dire. -
-Sì, ma se nomini ancora Jinki giuro che ti strozzo, Choi Minho, questa non è una relazione a tre. –
-A proposito di Jinki, hai idea di quando tornerà? –
Ormai era passato qualche giorno dalla partenza del Leader e ancora non avevano sue notizie o avevano visto rispuntare la sua faccia.
Taemin scosse il capo ed allungò una mano sul prato per strappare un filo d’erba ed intrecciarlo tra le dita.
-Non ne ho idea. –
Il più piccolo sospirò. Non gli piaceva sapere il fratello lontano dal Rifugio, non solo perché ciò lo investiva di responsabilità delle quali avrebbe fatto volentieri a meno, ma anche perché in quella situazione particolare tutto poteva accadere. Taemin non era tranquillo. Erano in attesa di risposte fondamentali e notizie positive che sembravano restie ad arrivare. Ciò che avrebbe detto o fatto suo cugino era impossibile da prevedere e Taemin sapeva bene che Leeteuk poteva rivelarsi più enigmatico ed imprevedibile dello stesso Jinki. Soul taceva tranne che per i messaggi sporadici e stringati di Kibum che, tuttavia, negli ultimi due giorni non erano stati recapitati. Questo era indubbiamente un fatto che metteva Taemin in allerta e sulle spine per la sua umma.
-Leeteuk starà valutando attentamente la situazione, ma penso che il fatto che Jinki non sia ancora tornato debba considerarsi positivo. Se nostro cugino gli avesse rifilato un secco “no” sarebbe già tornato. –
Taemin corrugò la fronte.
-O lo sta convincendo, e ciò significa che abbiamo un margine di possibilità, oppure stanno già elaborando un piano ed organizzando l’esercito. Per quanto mi riguarda quest’attesa mi sta uccidendo, spero davvero che torni presto -
-Temo stia deteriorando tutti. Di Kibum ci sono novità? –
Taemin scosse il capo. – Umma sembra sparito negli ultimi due giorni. Minho, credi che stia bene?-
Minho annuì. – Ha la mente scaltra, vedrai che starà badando a sé stesso e lavorando sodo. –
Il più piccolo sollevò il viso per baciare Minho. Era davvero incredibile come le parole del più grande fossero sempre in grado d’infondergli un piacevole tepore nel cuore. Forse era solo un’illusione momentanea, l’effetto del braccio dell’altro intorno al suo fianco, ma percepì un senso di pace.
Minho tossicò. -Ammetto di sentirmi un po' in colpa. –
Taemin si scoprì a roteare di nuovo gli occhi e a reprimere un verso di stizza. Ecco che Minho parlava di nuovo delle sue paranoie!
-Non sto per nominare Jinki -, disse prontamente Minho, già presagendo gl’insulti dell’altro.
L’espressione di Taemin s’addolcì per poi intristirsi. Gettò sul prato il filo d’erba ormai martoriato. Minho si sentiva in colpa per Jonghyun e, d’altra parte, anche Taemin provava un fastidioso senso di disagio. Loro erano lì a crogiolarsi al sole, a godere dalla presenza e delle carezze dolci dell’altro, quando i loro amici erano separati.
E stanno soffrendo per questo, pensò Taemin.
-Uhm, ho capito. -
Un moto di tristezza gli strinse il cuore. Lui conosceva bene i sentimenti della sua umma e solo uno sciocco poteva essere così cieco da non vedere quelli di Jonghyun, anche se una porta chiusa isolava quella stupida scimmia cappuccina dal resto del mondo da diverse settimane.
-Però-, disse alla fine, -è giusto concedersi un briciolo di felicità. Abbiamo aspettato una vita, ci siamo lanciati tanti quei sassi a vuoto che, bhe, abbiamo diritto a tutto questo. –
Guardò Minho negli occhi. Quello spilungone era tanto bello, tanto stupido e tanto sensibile. Sembrava sempre così serio e duro innanzi a chi non lo conosceva, ma Taemin sapeva che Minho aveva un cuore enorme che tanto aveva dovuto sopportare e tanto era disposto a dare. Taemin non l’avrebbe scambiato con nessun’altro al mondo. Gli prese il viso tra le mani per posargli un bacio leggero sulle labbra.
- Io ho paura Minho, ho paura di perderti adesso che ti ho appena trovato. Nessuno può presagire ciò che accadrà nelle prossime settimane. Stiamo progettando qualcosa di molto più grande di noi. C’è Soul all’orizzonte e quella città mi fa paura, mi sembra osservare un pozzo senza fondo e percepirne solo l’oscurità umida e viscida appiccicarsi alla pelle come tanti tentacoli. –
Si strinse nelle spalle.
Aveva davvero paura e solo ora riusciva a comprendere appieno tutti i dubbi e le paure che in quei mesi avevano tormentato Kibum. Prima li aveva sempre ascoltati con apprensione, ma percependoli solo in superficie, ora li sentiva scavarsi un letto profondo ed impietoso dentro di lui. Artigliò le spalle di Minho come se potesse volare via da un momento all’altro.
-Ho bisogno di stare con te prima che il mondo crolli, perché crollerà, comunque vada il mondo che conosciamo sarà scosso sin dalle sue fondamenta. -
Appoggiò di nuovo il capo sulla spalla di Minho che lo strinse.
-Se chiudo gli occhi vedo un mare di fuoco intorno a noi. –
Minho sollevò il mento dell’altro per guardarlo. C’era paura negli occhi di Taemin, una paura sottile che sapeva d’incertezze per il futuro. Nel bene e nel male l’arrivo del principe al Rifugio aveva cambiato tutto, quei mesi non erano stati che la calma piatta prima della tempesta. La marea era salita lentamente ed ora stava a loro rimanere a galla. Lì, ai piedi del fiume e sotto i raggi del sole, si stavano illudendo di vivere ancora nella tranquilla perfezione di un tempo, ma non era così. Taemin aveva ragione. Il mondo stava per controllare ed entrambi ne percepivano già le scosse premonitrici.
Minho ripensò alle ultime parole che si era scambiato con Kibum.
Non lasciarti scappare la possibilità di essere felice.
No, non aveva alcuna intenzione di lasciare che quella felicità scivolasse via come i flutti dell’Han tra le rocce. Una volta a Soul non avrebbe combattuto solo per Chosun, ma anche per loro.
Tutti quegli anni di attesa e, soprattutto, quegli ultimi mesi avevano dato loro la possibilità d’intrecciare relazioni importanti, rendere più forti quelle che già li univano ed ora esse s’ergevano come un solido scudo capace di proteggerli e sorreggerli su quel campo di battaglia già dissestato sul nascere. Poco alla volta erano cresciuti e non erano più i ragazzini spaventati, esuberanti, sprovveduti, pieni di rabbia e in fuga che volevano salvare sé stessi e il mondo. Avevano messo, insieme, tanti piccoli mattoncini l’uno sopra l’altro ed ora erano pronti a combattere per Chosun.
E per i nostri sogni, per ciò che amiamo…, pensò Minho.
L’amore, era certo, li aveva resi più forti e rinforzato quella catena di dipendenza che li univa indissolubilmente. Avevano avuto bisogno dell’amore per vedere e varcare il velo delle apparenze. L’amore, dopotutto, aveva dato loro coraggio, un coraggio diverso, più profondo, più sincero e maturo.
Sorrise tra sé e pensò al coraggio di Jinki nell’affrontare sé stesso e mettere da parte, totalmente, la rabbia e la vendetta, a quello di Taemin che era pronto a gettarsi in quello sconosciuto mare di fuoco, a quello di Kibum che per fare un passo avanti ne aveva fatto uno indietro e a quello di Jonghyun seppellito sotto le macerie del suo cuore, ma pronto a sbocciare come un fuoco irruento. Infine pensò al suo. Il suo amore per Taemin era il suo coraggio.
Strinse il più piccolo a sé e lo baciò sulla fronte. Comunque fosse andata erano pronti.
 
 
***
 
Le risate sguaiate, la musica dalle note acute e frastornati, le luci che animavano la penombra in un caleidoscopio sgargiante, le mani delle kisaeng che gli massaggiavano le spalle, gli avambracci, s’insinuavano giocose tra i suoi capelli e il suono della tazza di soju sul tavolo, riempita ad intervalli irregolari, che gli rimbombava nella testa lo stavano stordendo. Il capo gli doleva all’inverosimile senza lasciargli via di scampo, mentre la sua vista era sfuocata. Davanti a lui sfilavano un’accozzaglia di colori forti, fondendosi l’uno con l’altro in una danza psichedelica.
Jonghyun si portò una mano al capo per sostenerlo, troppo pesante perché rimanesse su con le sue stesse forze, si passò una mano tra i capelli, scompigliandoseli, ed afferrò con mano incerta la tazza di soju portandosela alle labbra. Metà del contenuto bagnò il tavolo ed il restante gli colò lungo il mento che si asciugò con il dorso di una mano. Fissò stordito la tazza vuota portandosela di nuovo alla bocca, non capacitandosi del suo essere vuota, alla fine la posò e si alzò barcollante. S’appoggiò con guardo perso ad una colonna di legno e chiuse gli occhi, respirando piano. Non era esattamente in sé, ma riconosceva che bere tutto quel soju a stomaco vuoto non era stata una delle sue migliori pensate. Tanto meno lasciare il Rifugio e recarsi ad Hanamsi. In quel momento non rammentava il motivo preciso, forse qualcosa legato a dei pugnali di Ming tra le scapole o robe simili. Sbuffò. Bhe, non aveva importanza, si sentiva troppo stordito per preoccuparsi di dettagli simili e, a dirla tutta, anche se quando aveva lasciato il Rifugio sapeva di star facendo qualcosa di terribilmente stupido, non gli era importato. Dunque, come poteva importargli ora? Dopo settimane di volontaria segregazione voleva solo bere qualcosa in santa pace e respirare un po' d’aria pulita. 
Grugnì.
L’aria calda e satura di sudore e fiumi d’alcol che si respirava nella locanda di Haneul non poteva esattamente definirsi aria fresca. Anche una mente frastornata e al limite come al sua era in grado di arrivarci.
Si passò una mano sul viso e tra i capelli guardando l’ambiente all’intorno. A quell’ora della notte la locanda di Haneul era in pieno fermento, un terribile caos indefinito. Doveva uscire da lì e rimettere insieme i suoi pezzi per tornare al Rifugio, poiché in quel momento tutto ciò che desiderava era un cuscino sotto la testa e, perché no, un bagno caldo.
Uscì barcollante dalla locanda e raggiunse la strada. Alzò gli occhi verso la luna d’argento che riluceva lucida nella notte e sorrise sghembo, incrociando i piedi a casaccio e rimanendo sulle proprie gambe per miracolo. Rise. Era buffo che desiderasse tornare a crogiolarsi in quel letto da cui era fuggito, eppure se i profumi che lo impregnavano erano stati una lenta e dolce tortura nelle ultime settimane che, alla fine, l’avevano costretto a fuggire, ora li agognava come la vittima che attende impaziente il ritorno dell’aguzzino.
Guardò la luna. Era così bella, ma risvegliava in lui ricordi capaci di procurargli un groppo allo stomaco. Improvvisamente di sentì soffocare e gli si strinse il cuore in petto. Più la fissava, più aveva l’impressione di sprofondare in una tetra voragine, risucchiato da un buco nero senza via d’uscita. Il vuoto lo stava consumando da dentro.
-Keyyy – biasciò senza staccare gli occhi dal disco argentato.
Jonghyun agitò un pugno verso la luna. Quel dannato satellite si stava prendendo gioco di lui! Rideva della sua orbita perduta, del suo centro perfetto ora sparito.
-Stai ridendo di me? – biascicò.
Si chinò per raccogliere un sasso e lo lanciò a vuoto con un grido folle, poi s’acquietò e claudicante, gli occhi cerchiati da profonde occhiaie, svoltò in una via per raggiungere la piazza principale di Hanamsi. Era certo di aver lasciato lì il suo cavallo.
Si grattò il capo. Sarebbe riuscito a cavalcare sino al Rifugio?  Fece spallucce. Non ne aveva idea ma, infondo, anche quello aveva scarsa importanza. Rivoleva il suo letto ed il profumo dolce di Key a stordirlo, la visioni di lui tra le lenzuola e nella vasca da bagno. Sul suo volto stravolto si dipinse un sorriso beato ed emise una risata scoordinata, poi tornò a scurirsi.
Oppure, pensò con un barlume di lucidità, mi romperò il collo strada facendo e finirà tutto. Niente più mal di testa, niente più…
Si strinse una mano al petto e i suoi pensieri sfumarono. Il capo gli girava paurosamente e si portò, di nuovo, una mano ad esso mentre con l’altra s’appoggiava al muro ligneo di un edificio. La sua vista sfuocata incontrò il manifesto di un decreto reale lo stesso che, ora rammentava, l’aveva portato a riempirsi lo stomaco di soju.
-Incoronazione – lesse con voce impastata.
Appoggiò entrambe le mani al muro e la fronte.
-Keyyyy –, piagnucolò.
Si staccò per chinarsi in avanti e riversare il frutto della sua bevuta smodata al suolo. Disgustato da sé stesso si strinse lo stomaco nella speranza di trattenere un nuovo conato, senza successo. Si ripulì con la manica e con gli occhi colmi di lacrime e la vista annebbiata raggiunse la piazza. Lì, l’aria circolava più pulita e salutare e questo fu in parte rincuorante per lui. Quanto meno poteva respirare ed ignorare l’olezzo del suo stesso vomito. Singhiozzando tirò su col naso, poi cercò con lo sguardo il suo cavallo. Doveva essere lì da qualche parte, era certo di averlo legato vicino al pozzo, tuttavia quando guardò in quella direzione si bloccò di colpo e sgranò gli occhi. Sbatté le palpebre ed un sorriso sghembo ed indefinito gli contrasse i muscoli facciali.
-Key? –
Reclinò il capo di lato e, mentre il suo sorriso s’allargava, corse verso il più piccolo. Era lui! Ne era certo! Lì vicino al pozzo che lo fissava con occhi, forse esageratamente grandi, capelli forse troppo lunghi e…perché sembrava stare su quattro zampe?
Jonghyun si mordicchiò un labbro e poi scosse il capo. Bhe non aveva importanza, per quanto gli riguardava Key poteva averne anche tre di gambe, faceva ben poca differenza. Fece spallucce e corse verso di lui allargando le braccia.
-Keyyy – urlò di gioia cingendogli il collo.
Però…perché quel collo era così grande? Forse il più piccolo aveva il mal di gola.
-Keyyy, Keyyy –
Gli prese il viso sproporzionato tra le mani e lo guardò estasiato. Oh il suo Bum era così bello! Pianse dalla gioia. Ecco lo sapeva, raggiungere Hanamsi era stata una buona idea!
-Oh Key, Kibum, Kibumie, Bumie, ti amo! Sei bellissimo! –
Pianse.
-Mi sei mancato, perché sei tornato così strano? Eh eh, Bumie? Perché non parli? –
Kibum parve mettere uno strano suono e Jonghyun lo fissò allarmato.
-Cosa ti è successo? Eh eh??? Keyyyy!! –
Jonghyun reclinò il capo. –Non vuoi parlare, sei arrabbiato? –
Sorrise gongolante. –Ora ti darò un bacio! Bumieee! -
Stava per dare adito ad i propri propositi quando si senti afferrare da dietro e scaraventare a terra sull’acciottolato. Gridò di sperato il nome del più piccolo, agitandosi a terra scompostamente, mentre qualcuno tentava di tenerlo fermo.
Perché? Non era giusto! Ora che finalmente ritrovava il suo amore qualcuno tentava di strapparlo di nuovo da lui!
-Yaaahhh -, gridò divincolandosi
-Choi Minho tieni fermo quell’idiota del tuo amico! Non posso credere che abbia la testa così vuota da scambiare un cavallo per la mia umma! –
Una voce che era certo di conoscere fece breccia nella mente di Jonghyun. Non era forse Taemin? Ma perché voleva portarlo via?
-Keyyyy –
-Stai fermo Jong – disse Minho, esasperato.
Aiutato da Taemin, Minho cercò di rimettere in piedi Jonghyun e sostenerlo, mentre questi li fissava stralunato. Minho valutò che era davvero messo male.
-Ha perso la testa – osservò.
-Per quanto mi riguarda la sua testa non è mai pervenuta -, disse Taemin con stizza.
Il più piccolo incrociò le braccia ed arricciò il naso, profondamente contrariato. Un secchio pieno d’acqua s’alzò fluttuando dal pozzo per finire dritto sulla testa si Jonghyun che scosse il capo come un cane bagnato, poi emise un sonoro starnuto.
-Razza di scemo – sibilò Taemin. –Minho, portiamo il cretino lontano da qui prima che attiri tutti i sicari in giro a cercarlo, se si fa ammazzare umma sgozzerà tutti quanti con le sue stesse mani. -
 
 
 
Taemin guardò Jonghyun che si stava detergendo mani e viso nel fiume. Era furioso! Come poteva un essere umano raggiungere tali livelli di stupidità? Ovviamente solo qualcuno chiamato Kim Jonghyun! Taemin era preoccupato e deluso. C’era una taglia sulla testa di quella scimmia cappuccina, gli era stato ripetuto più e più volte, tuttavia si comportava da sconsiderato saltando impunemente da un ramo all’altro.
Quel pomeriggio, quando lui e Minho erano tornati al Rifugio, avevano scopeto che Jonghyun era uscito dalla sua stanza, giacché l’avevano trovata spalancata, e così avevano tirato un sospiro di sollievo, finché non avevano saputo da altri Ribelli che quello scemo era stato visto lasciare il Rifugio. Subito erano stati colti dal panico. Che cos’aveva intenzione di fare?
Taemin sbuffò sonoramente. Davvero non aveva alcun rispetto per sé stesso, né per le persone che l’amavano! La sua umma si stava facendo in quattro per tutti loro, per Jong, probabilmente pensava tristemente a lui ogni istante nella speranza di rivederlo e Jonghyun sembrava propenso a gettare via la sua vita come se nulla fosse.
-Che cosa pensavi di fare, razza di cretino integrale? Eh?! Mentre tentavi di suicidarti hai pensato per un secondo alla mia umma? -
-Taemin, per favore. Ci vuole un minimo di tatto – fece Minho incrociando le braccia.
-Tatto? Vuoi sapere come gli darò del tatto? Ora lo prendo a sberle!-
Jonghyun si diede un’ultima rinfrescata e poi si raddrizzò, voltandosi verso gli altri. La testa gli girava ancora, ma tutto sommato aveva la mente abbastanza lucida, quanto meno da non scambiare un cavallo per Kibum.
-Sono tornato in me. –
-Vuoi dire che hai abbassato leggermente il tuo livello di stupidità? – domandò Taemin.
Il più piccolo dei Lee agitò le mani nel tentativo di afferrare frasi, parole o, più probabilmente, insulti che in quel momento non riusciva ad esprimere a parole. Alla fine scosse il capo e rinunciò, invitando il suo compagno a parlare. Taemin emise un sospiro rassegnato e si massaggiò le tempie. La stupidità di Kim Jonghyun riusciva a scuotere profondamente i suoi nervi.
-Jong -, iniziò Minho. – Che cosa ti è saltato in mente? Non lo sai che…-
-Lo so, i sicari. –
Jonghyun sospirò ed abbassò il capo. Sapeva benissimo di essersi comportato come un’idiota. Andarsene in giro in quel mondo, in quello stato, mentre dei sicari erano sulle sue tracce…davvero da sprovveduti. Sapeva di star facendo qualcosa d’immensamente stupido nel momento stesso in cui aveva messo piede fuori dal Rifugio, tuttavia l’aveva fatto comunque.
Taemin tornò ad agitarsi, ma Minho lo mise a tacere con un gesto della mano prima che potesse produrre nuovi insulti. Taemin parve riprendere il controllo di sé, o quanto meno di non essere sul punto di strozzare Jonghyun.
-Dunque come ti è venuta in mente questa malsana idea? –
Jonghyun sogghignò e fece spallucce. Se doveva essere sincero fino in fondo aveva quasi sperato che lo trovassero, che gli conficcassero un dannato pugnale tra le scapole e tanti saluti. Quanto poteva essere piacevole la morte? Sicuramente meglio dei tormenti che lo torturavano ora. Forse sarebbe dovuto morire in quel vicolo maleodorante a Busan...
Kibum…, sospirò tra sé.
Quanto poteva essere vuota ed insensata la vita senza di lui?
Nulla ha senso. Sono insensibile ad ogni cosa, alla brezza di primavera, ai profumi, alla fame, alla sete, alle luci nel cielo, il mio sangue giace fermo nelle vene, respiro e mi muovo unicamente per inerzia solo perché nessuno si è premurato di darmi il colpo di grazia. Dunque, fatevi pure avanti pugnali senza nome, vi lascerò bere il mio sangue gelido più che volentieri. Io non sento niente perché sono già morto, lui era la mia vita, ma io non lo posso avere.
Represse un singhiozzo.
Io sono tuo, ma tu non sei più mio.
-Io sono già morto –, sussurrò voltandosi verso il fiume. Alzò gli occhi ad ammirare il cielo blu e viola puntellato di stelle e la luna argentata che ancora sembrava ridere di lui. Chiuse gli occhi nella speranza di trovare nel sospiro del vento il ricordo in esso incatenato di tenere parole che, in quello stesso luogo, si era scambiato con il suo Amore.
Tu mi hai stregato anima e corpo ed io ti amo, parve sussurrare.
Allora lascia che io sia tuo e che tu sia mio, che il tempo riprenda a scorrere, rispose la sua mente di rimando.
Eppure il tempo non scorreva, rimaneva fermo, immobile, solo l’Han proseguiva la sua corsa eterna incurante d’ogni cosa. Jonghyun era bloccato in un limbo, poiché come potevano riprendere a scorre il tempo e lo spazio se il suo universo era svanito all’orizzonte e la sua orbita persa per sempre?
Non posso più stare senza il tuo amore, sarebbe come osservare il vento da una finestra senza poterne percepire il soffio, senza sentirne il profumo.
Nemmeno io, però tu non ci sei.
Jonghyun si lasciò andare sull’erba alta ed umida, guardando verso l’unico vuoto orizzonte che gli era rimasto. Le sue mani strinsero sottili fili d’erba e l’aria fu satura di cenere.
-Ti abbiamo cercato ovunque – disse Taemin, ritrovando la calma. – Hai idea di quanto fossimo preoccupati? –
Jonghyun non reagì, rimase fermo a fissare lo scorrere dell’Han davanti a lui alla ricerca di una risposta in quel fluire lento. Non riusciva a darsi pace. Non era solo la perdita dell’altro a tormentarlo. La verità era che dietro di sé vedeva una scia interminabile di errori che, ora, rilucevano come schegge di vetro sotto le stelle. Chiedeva un'unica cosa: guardarlo per l’ultima volta negli occhi e trovare il coraggio di domandargli perdono. Perdono per aver cercato di odiarlo, per averlo allontanato in malo modo infliggendo ad entrambi una speranza che non c’era, perdono per tutto ciò che non aveva visto e che non aveva voluto sentire.
Stringimi finché non giunge l’alba e non lasciarmi andare.
Ti terrò con me anche quando sorgerà il sole.
Ma non erano mai state le ombre della notte tormentare Kibum, quelle che temeva avevano sempre avuto poco a che fare con lo scorrere del giorno e della notte. E lui, Jonghyun, non aveva capito.
Le sue dita giocarono con i fili d’erba e sorrise amaro.
-Ci siamo aggrappati al frammento scheggiato di uno specchio che rifletteva un sogno meraviglioso e la nostra avidità, il nostro egoismo, ci hanno impedito di lasciarlo. L’abbiamo stretto talmente forte che le nostre mani hanno iniziato a sanguinare e di fronte a quel sangue siamo diventati ancora più avidi. Abbiamo allargato ferite che poteva essere cicatrizzate da semplici parole, ma abbiamo avuto paura. Io ho avuto paura. -
Taemin e Minho si guardarono preoccupati, ma non dissero nulla. Dopo settimane di silenzio Jonghyun stava finalmente dando voce ai propri sentimenti e sapevano che dovevano lasciarlo sfogare.
-Ho sbagliato tutto, -proseguì Jonghyun. -Tutto è stato sbagliato. Ho visto e sentito solo il mio orgoglio ferito, l’umiliazione e la rabbia, ne sono stato così accecato, mi sono sentito così tradito, da non vedere la sua tristezza e la sua paura. Ho visto quella crepa e l’ho ignorata, la mia rabbia mi ha portato a fiondarmi su di essa incurante di renderla più profonda e dolorosa. –
Rise.
-Mi sono sempre vantato di tenere a lui più che a qualunque altra cosa al mondo, alla sua felicità, al suo sorriso, ma quando mi è stato imposto di darvi seguito mi sono allontanato. Io sono scappato. –
-Perché? – chiese Minho.
Jonghyun si rialzò e si voltò.
-Perché ho avuto paura. Ho sempre saputo che lui era troppo per me, più volte mi sono chiesto cosa potessi dargli io, cosa potesse vedere lui in me quando non sono mai stato nessuno…-
Quante volete si era imposto di godere semplicemente del legame speciale che condivideva con Key senza curarsi di null’altro?
-Lui non voleva niente da te, solo il tuo amore -, disse Taemin con un moto di disperazione.
Jonghyun sospirò, poi sogghignò ignorando completamente le parole del più piccolo. –Non gli ho reso la vita facile. L’ho insultato costantemente. –
Minho sbuffò. -Lo sa che non parlavi di lui. –
-Non ha importanza. Ha sofferto comunque per la mia stupida lingua lunga e l’ha fatto in silenzio, come sempre. E’ colpa mia se non mi sono meritato a sufficienza la sua fiducia, io non gli ho dato motivo di farlo. -
Taemin scosse il capo e strinse i pugni. Era così triste! In quegli ultimi giorni grazie a Minho si era sentito vivo come non lo era mai stato, appagato ed euforico e, per poco, era riuscito a dimenticare tutti problemi, i dubbi e le sofferenze che stavano facendo da tetro sottofondo a quelle ultime settimane. Si era detto più volte che doveva cogliere quella felicità inaspettata tuttavia, ora, innanzi alle parole tristi ad amareggiate di Jonghyun avvertì un groppo allo stomaco. La sofferenza di Jonghyun era palpabile ed impregnava l’aria dell’odore stagnate della cenere.
Guardò Minho. Se loro si fossero trovati nella stessa situazione anche lui avrebbe sofferto. Tutta quella sofferenza gli faceva paura, ma anche capire quanto potessero essere forti i sentimenti e questo gli dava la carica.
Noi usciremo vittoriosi da tutto questo, pensò.
Jonghyun aveva lo sguardo basso, pensoso, e Taemin intravide su di esso l’ennesimo sorriso rassegnato.
-No. Non giustificarmi, Minho. Io ho visto, ma ho ignorato per la mia stessa felicità. Lui era speciale, era diverso. Ma il mio orgoglio l’ha trattato come uno qualunque, il mio orgoglio e la mia paura di perderlo, di dover accettare di perderlo, hanno fatto questo. –
Jonghyun alzò il capo e sorrise di nuovo, questa volta con una luce di speranza negli occhi.
-Spero che il suo promesso tenga a lui, che lo ami come lo amo io e che ne abbia cura. Spero che lo terrà al caldo quando verrà l’inverno perché lui il freddo lo sente dentro. Spero che sia più furbo di me, più gentile, perché io gli ho detto che era tutto, che era speciale, eppure quando tutto è iniziato a crollare io ho fatto un passo indietro.-
Taemin e Minho si guardarono, spaesati. Perché improvvisamente avevano entrambi l’impressione che al loro amico mancasse qualche tessera fondamentale del puzzle? Per settimane quel sentore li aveva messi sull’attenti senza però dargli peso, dopotutto Jonghyun era sconvolto ed impulsivo per natura e per quanto ne sapevano loro aveva bisogno dei suoi tempi per rimettere in fila i propri pensieri e quanto restava del suo cuore spezzato. Amava Kibum immensamente e tutta quella storia l’aveva ferito profondamente. Tuttavia, di fronte alle ultime parole di Jonghyun qualcosa li scosse. Perché parlava così quando Kibum era tornato a Soul come ostaggio, quando era stato messo in moto un piano per salvarlo e Chosun con lui? Non aveva alcun senso. L’amara disperazione era un sentimento che s’addiceva a Jonghyun, ma non la resa. Taemin era certo che se Jonghyun fosse stato a conoscenza di tutti i dettagli non avrebbe parlato così, né si sarebbe arreso, al contrario…
Taemin si scambiò uno sguardo inequivocabile con Minho che annuì. Qualcuno doveva mettere chiarezza in tutta quella faccenda.
-Jong -, iniziò Minho, titubante, - non lo sai? –
Jonghyun lo guardò interrogativo.
-Kibum..lui non…-
– Cosa? -, domandò con un moto d’apprensione.
Che cosa c’era ancora che non sapeva e che Kibum gli aveva tenuto nascosto? Quali altri oscuri segreti gli avevano celato quei mortali occhi magnetici?
Taemin e Minho si scambiarono delle occhiate sconvolte e l’agitazione di Jonghyun aumentò.
-Cosa? – ripeté con insistenza.
-Jong siediti -, disse Minho, -c’è qualcosa che devi sapere. –
Jonghyun ubbidì. Ora come ora le sue gambe erano molli come cera, anche volendo non sarebbero mai state in grado di reggerlo. Deglutì.
-E’ iniziato tutto quel giorno nella foresta, quando abbiamo attaccato quella carrozza -, iniziò Taemin.
Jonghyun si umettò le labbra. Ricordava bene quel giorno, perché Kibum era tornato al Rifugio sconvolto e a fatica lui era riuscito a strappargli qualche parola su quanto accaduto.
-C’era il suo promesso su quella carrozza e stava andando alla residenza reale di Haehwan -, fece una pausa, - Kibum…lui ha capito subito che aveva in mente qualcosa, infatti…-
Taemin raccontò di quel baule offerto come riscatto e di come poi, con il precipitare degli eventi, avessero deciso di accettarlo per mettere in moto il piano. Raccontò della morte dell’imperatore, dei dubbi e delle paure della sua umma, del suo coraggio nel prendere una decisione importante e del piano. Decise di omettere alcuni aspetti della vicenda, di quanto Kibum fosse spaventato dal suo promesso e dai suoi sguardi, tutte cose che il principe gli aveva riferito in confidenza e che, ora, potevano solo peggiorare la situazione dato che più procedeva nel racconto, più i muscoli di Jonghyun fremevano e sembrava sul piede di guerra. Sorvolò anche sul legame di sangue che univa Jonghyun al lord di Busan ed il fatto che, stando ai sospetti di Kibum, era stato proprio il suo promesso a mettere una taglia sulla testa del più grande. Anche quelle erano informazioni troppo pericolose da condividere con una mente impulsiva come quella di Jonghyun e in quanto al legame di sangue Taemin non era certo di poterne parlare. Era qualcosa che sapeva solo lui, che la sua umma gli aveva detto in privato e non riteneva necessario che Jonghyun sapesse. Dopotutto che cosa sarebbe cambiato?
-E’ andato là come ostaggio, hyung, di sua spontanea volontà per darci una possibilità -, concluse.
Jonghyun boccheggiò. Kibum, il suo Key, aveva affrontato tutto questo senza dirgli una parola, limitandosi semplicemente ad incassare le sue parole dure. Fremette. Intuiva il perché di tutto questo, anche se avrebbe tanto desiderato sentirlo dalle labbra del più piccolo, Kibum sapeva che se ne fosse stato al corrente lui, Jonghyun, gli avrebbe impedito di andare. Nella visione di Kibum quella doveva essere stata una debolezza che non poteva permettersi. Ma tutto questo, ora, non aveva alcuna importanza.
Ostaggio. Quella parola riecheggiò nella sua mente producendo un eco terribile. Il suo Kibum in ostaggio di un pazzo con il quale stava per legarsi. Strinse in pugni. Quanto doveva essere spaventato e solo il più piccolo? Cercò di non immaginarlo perché il solo pensiero gli accartocciava il cuore in petto.
Vorrei stringerti, cullarti e dirti che va tutto bene. Se solo potessi raggiungerti anche solo con il pensiero io…
-Io devo…-
Andare là, io devo andare là e proteggerlo!
Minho lo guardò, fermo.
-No. -
-Ma…-
-Non puoi, hyung -, disse Taemin con le lacrime agli occhi. – Se lo fai potrebbe essere molto pericoloso. –
Jonghyun corrugò la fronte. – Dovrei starmene qui ad aspettare? Non potete chiedermelo. –
-E’ stato Kibum a chiedertelo implicitamente quando ha deciso di risparmiarti tutti i dettagli -, disse Minho.
Jonghyun sospirò, era vero, tuttavia…come poteva? Squadrò i suoi amici.
-Davvero credete che non debba andare? –
Minho gli posò entrambe le mani sulle spalle sorridendogli rincuorante.
-Penso che tu debba andare di corsa. –
Minho sospirò e guardò Taemin. –Se io fossi al tuo posto perderei ben poco tempo a pensare. –
Il più piccolo arrossì.
-Ma anche che tu non debba farlo. La situazione è estremamente complicata, se vai là potresti mandare tutto a monte, non è una decisione che puoi prendere d’impulso e alla leggera. Per una volta pensa prima di agire. -
Jonghyun si morse il labbro, ma alla fine annuì. Minho aveva ragione. Era proprio agendo senza pensare che aveva distrutto tutto. Non poteva commettere di nuovo lo stesso errore.
Alzò il capo con occhi accessi di nuova determinazione. Il cielo sopra di lui brillava di mille luci palpitanti nel blu profondo della notte, era perfetto e luminoso quasi quanto l’universo negli occhi del suo Amore. Chiuse gli occhi. La brezza di primavera scosse la sua chioma e strafigurò il fruscio dell’erba alta nel frinire di grilli invisibile e nel canto triste della cicala che piange sul corpo freddo di chi non è sopravvissuto all’inverno. Scivolò tra gli alberi di ciliegio trasportando il loro lieve profumo e generando sussurri dolci e melanconici. Un canto accompagnato da note frementi sotto mani sottili e delicate.
Dopotutto, non sono forse le storie più dolci le più tristi da cantare?
Kibum era ovunque, in quel vento che gli accarezzava la pelle, in quel profumo seducente che aleggiava leggero, in quel canto lontano ed il suo ricordo luccicava tra le stelle nel cielo. Lui era le stesse luci che illuminavano la notte, la sua notte.
Sollevò le palpebre ed i suoi occhi furono calamitati verso Soul. Un filo lo tirava inesorabilmente in quella direzioni, lo strattona dritto dal petto facendolo sanguinare e allora capì. Non era mai stato l’odio ad attrarlo alle luci ridenti della capitale, ma l’amore. Quel filo rosso era sempre stato piantato nel suo cuore ed era bastato l’incontro fugace ed eterno di due occhi, i riflessi di due anime sole, a trasformalo in un intreccio perfetto da cui non vi era scampo.  Resistere a quell’attrazione era impossibile, era come smettere di respirare e sperare di continuare a vivere.
Indugiò ancora qualche secondo sulla visione lontana di Soul, poi distolse lo sguardo.
Le colline ondulate che s’ergevano tra lui ed il suo Amore brillavano nere e verdastre come un mare di liquido inchiostro colmo di ombre profonde capaci di genera mostri ed incubi antichi, appena assopiti sotto l’erba tenera e carezzevole, così illusoria nella sua dolce apparenza. Tuttavia, nell’aria si respiravano anche le note dolci ed i sussurri di una preghiera coraggiosa.
Jonghyun si portò una mano al petto ed udì il suo cuore battere all’impazzata. Il tempo scorreva di nuovo e lui era uscito dal limbo.
Lo senti? È il tempo che riprende a scorrere, sussurrò il ricordo di una voce nel vento.
Nel cielo la prima stella a destra brillava di una luce intensa, era stata l’ultima a fiorire nella notte e sarebbe stata l’ultima a spegnersi. L’ultimo faro luminoso sino al radioso esplodere della rosata aurora.
Io sono tuo e verrò a salvarti, mio dolce fiore guerriero.
 
 
***
 
Il viso affondato nel cuscino e le braccia strette ad esso, Kibum mugugnò nel sonno e si stirò tra le coperte. Era a pezzi, ogni muscolo gli doleva come se avesse portato avanti una lunga ed estenuante corsa e poi, sfinito, si fosse raggomitolato sul letto per sprofondare in un sonno privo di sogni. Arricciò il naso infastidito. C’era un profumo strano tra le lenzuola e sulla sua pelle, irrimediabilmente dolce come una pesca troppo matura o una caramella squagliata al sole. E c’era calore. Un calore che non poteva essere stato prodotto solo dal suo corpo, poiché era troppo intenso, troppo caldo. La sua pelle, invece, quella di Kibum, era troppo fredda per produrre un calore simile, tutto ciò che poteva generale era un lieve e dolce tempore. Il suo naso s’arricciò di nuovo. Perché gli sembrava di sentire odore di bruciato? Nonostante i suoi occhi fossero ancora chiusi e la sua mente assopita, percepiva che vi era qualcosa di strano. Lui stesso di sentiva strano.
Jong?, domandò la sua mente alla ricerca di minimo di sicurezza.
Strinse di più il cuscino.
Anche se non pienamente in sé le sue sensazioni, il suo olfatto ed il suo stesso corpo indolenzito e fiacco gli suggerivano che quelle strane tracce non potevano essere state lasciate da Jonghyun. La pelle di Jonghyun portava e lasciava sempre sulla sua pelle il profumo giocoso delle prime pesche di maggio, mentre il suo calore era sì intenso, ma conservava il tepore di un caldo focolare in pieno inverno, privo dell’odore pungente della cenere. Le sue carezze erano sempre state premurose e lo lasciavano stanco, sì, ma mai indolenzito ed ogni suo risveglio era stato dolce e perfetto.
La sua mente iniziò ad agitarsi scompostamente come un verme che cerca di farsi strada oltre la superficie rossa e perfetta di una mela. Un tarlo fastidioso stava facendo breccia nei suoi pensieri.
No, pensò, voglio dormire.
Come ad erigere uno scudo contro la sua stessa coscienza, il suo subconscio gli suggerì di tenere gli occhi chiusi e sprofondare di nuovo in quel sonno senza sogni che l’aveva cullato per le poche ore di sonno che gli erano state concesse. L’oscurità che era calata intorno a lui era stata così rassicurante. Per tutto il tempo si era sentito cullato dalle braccia calde di Jonghyun, aveva percepito il suo respiro regolare e l’amore dell’altro su di lui a proteggerlo come una coperta speciale.
Non svegliarti, gli suggerì di nuovo la sua mente.
Ma, ormai, il verme aveva fatto breccia nella mela e ne aveva raggiunto il cuore.
Mosse le gambe sotto le coperte incontrando quelle di qualcun altro e, benché ancora fisicamente sonnolento, la sua mente si svegliò di colpo e provò un senso di sconvolgimento. Per un attimo gli parve di fare un salto nel vuoto, benché riconoscesse con chiarezza la consistenza del materasso sotto di lui. Rabbrividì quando una mano gli accarezzò la schiena percorrendogli la spina dorsale, scivolando poi sui suoi glutei.
Heechul…, quel nome lo colpì come una doccia d’acqua fredda e si svegliò definitivamente, desiderando di non averlo mai fatto.
Delle braccia lo trassero verso un corpo caldo, stringendolo, mentre un naso sfregava sul suo collo prima che su di esso vi si posassero delle labbra umide le cui movenze, già di primo mattino, sapevano di desiderio. Inarcò leggermente la schiena e mugugnò di nuovo, mentre una risata divertita giungeva alle sue orecchie. Kibum si divincolò scompostamente, come a scacciare non tanto la consistenza fisica e reale delle mani e delle labbra di Heechul su di lui, quanto la sua consapevolezza di esse.
Il fiato caldo e stucchevole di Heechul gli soffiò nell’orecchio.
-Bum -, sussurrò.
Kibum affondò il viso del cuscino e lo strinse con veemenza nella speranza di essere, di nuovo, risucchiato nell’insensibile ed allettante oscurità.
Dunque era accaduto ciò che più temeva.
Non devo piangere, ammonì sé stesso affondando il viso nel cuscino, mentre le labbra di Heechul continuavano a tormentagli il collo.
Le braccia del più grande lo strinsero più possessive e desiderose, costringendolo a voltarsi. Kibum stropicciò gli occhi, fingendo di voler eliminare le ultime tracce di sonno dal viso quando, in realtà, desiderava solo disperdere le poche lacrime salate che avevano fatto breccia oltre le sue ciglia.
Il più grande scivolò su di lui imprigionandolo tra le sue braccia e, come aveva fatto la notte precedente, gli accarezzò il viso e le labbra con i polpastrelli.
-Ho adorato i tuoi miagolii – disse Heechul posando un bacio umido sulla sua guancia.
Kibum s’accorse di non provare più alcuna paura e nemmeno disgusto, semplicemente non provava nulla. Era vuoto e solo una luce tremolate palpitava in fondo al buco nero in cui era stato risucchiato. Jonghyun. Tuttavia a lui quella luce bastava, era tutto ciò di cui aveva bisogno ed il resto non aveva importanza.
Pedine, siamo tutti pedine. Io sono una pedina.
La lingua di Heechul invase la sua bocca per esplorarla lentamente.
Kibum lo lasciò fare. Ormai non aveva alcun senso opporre resistenza. Non aveva più nulla da salvare, nemmeno il suo orgoglio.
Solo Jonghyun, fu il pensiero determinato che lo portò a stringersi al corpo del più grande.
Heechul sogghignò prendendogli il mento. – Sei stato bravo. –
Kibum avvampò e nascose il viso nel petto dell’altro. Lui voleva solo dimenticare tutto, perché per quanto la sua bolla l’avesse protetto quello scudo si era rivelato troppo fragile per sostenere un’intera nottata tra le mani del più grande, soprattutto al pensiero che era stata solo la prima di altre. Boccheggiò. Le immagini della notte precedente riaffiorarono vivide nella sua mente, mostrandogli dei corpi aggrovigliati tra lenzuola che sapevano di cenere, insieme alla sensazione del corpo dell’altro che premeva dentro di lui alla ricerca di piacere, finché il suo non si era ritrovato, tremante, ad accogliere la passione bollente di Heechul.
-Potremmo fare colazione -, suggerì il più grande, - e poi passare l’intera giornata qui a giocare, cosa ne pensi, non sarebbe splendido? –
Sarebbe un incubo, pensò Kibum.
Finalmente, il principe si decise ad alzare lo sguardo per incontrare quello di Heechul che lo fissava soddisfatto. Kibum represse un’espressione di astio e disgusto. Oh doveva essere indubbiamente soddisfatto considerato ciò che aveva ottenuto la notte precedente dopo anni d’attesa. Quegli occhi ambrati da tigre lo fissavano irrequieti e Kibum capì che aveva solo iniziato a gustare la sua preda.
Sorrise furbo al più grande, celando quelli che erano i suoi veri pensieri. Doveva concentrarsi e ricostruire la sua maschera perfetta. Gli cinse il collo con le braccia posandogli un bacio sul naso ed intrecciando le loro gambe sotto le coperte.
-Forse -, disse, - potrei anche concederti il permesso di rimanere nelle mie stanze. –
Heechul sogghignò. –Forse? –
Kibum annuì e lo fissò con occhi magnetici e sottili. Heechul si umettò le labbra.
-Se ci fosse la torta al cioccolato per colazione, con le fragole… -
Baciò il più grande sul collo, sul mento e poi sull’angolo della bocca.
-Allora potrei – sussurrò suadente.
Se avessero passato lì l’intera giornata Heechul non avrebbe avuto il tempo di pensare a nient’altro.
Nemmeno a Jonghyun, fece Kibum tra sé con un moto di speranza.
Affondò le dita nei capelli castani di Heechul, mentre un sussurro lontano che l’aveva cullato tutta la notte gli scaldava il cuore.
Io sono tuo e verrò a salvarti, mio dolce fiore guerriero.
Io sono tuo.
Forse era stata solo la sua immaginazione o uno scherzo del vento che soffiava oltre la finestra, ma quella promessa silenziosa era sbocciata nella notte nel suo cuore e desiderava tenerla stretta. Tuttavia non era che un semplice conforto, perché nulla di simile poteva e doveva accadere.
Tu devi stare al sicuro e lontano. Io ti proteggerò.
Kibum sfregò il naso contro la guancia di Heechul e poi lo baciò con la stessa passione con cui desiderava salvare il suo Amore.
 
 
Eccomi di nuovo!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che vi siate goduti il momento di tenerezza della 2min
 
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perché ci sarà ancora un capitolo di relativa tranquillità, quasi, e poi scoppierà il caos
 
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muahaha
 
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Vi chiedo gentilmente di dedicare due minuti del vostro tempo per lasciarmi un commentino ^^, per me la vostra opinione è sempre importante ed ora che ci avviciniamo alla fine ho maggiormente bisogno del vostro sostegno per essere carica al massimo!
 
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Alla prossima!
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Capitolo 38
*** Capitolo 37. Before it's too late ***


Salve a tutti!
Ringrazio chi ha inserito la storia tra le preferite, ricordate, seguite e ovviamente tutti i lettori.
Un grazie particolare a chi mi ha lasciato i suoi commenti: Blugioiel, Chocolat95, DreamsCatcher, Ghira_, Gonzy_10, Ichabod_Crane, Jae_Hwa, KimJonghyun23, MagicaAli, Panda_murderess, Saranghae_JongKey e vanefreya.
Ringrazio anche chi mi ha inserita tra gli autori preferiti: Blugioiel, Jae_Hwa,  MagicaAli e SHINee4ever  *.*
Grazie per il vostro sostegno ^^
Spero di non aver lasciato troppi errori di battitura. XD
Buona lettura!
 
Capitolo 37
Before it’s too late
 
 
 
 “Even if time is not on our sides, it’s OK
There’s only one life to live so before it’s too late
Hold my hand”
Shinee, Runaway
 
 
 
Era notte fonda, le luci delle stelle penetravano a stento tra il fogliame e solo il suono del fiume in fermento guidava Siwon nella giusta direzione.
 -Rammenti il luogo in cui ci siamo separati la scorsa estate? –, gli aveva chiesto il principe.
Erano passati mesi dalla prima ed ultima volta che aveva messo piede in quel tratto di foresta, tuttavia la sua mente attenta ne aveva registrato meticolosamente ogni dettaglio.
-Sì. -  
Non poteva di certo dimenticare il luogo in cui aveva perduto il suo principe, una macchia sul suo orgoglio che gli bruciava ancora prepotentemente sulla pelle. Altri non sarebbero stati in grado di distinguerlo, ma lui ricordava in modo vivido gli odori ed i suoni di quel punto sperduto tra tre fronde.
-Una volta lì segui lo stretto sentiero che scende lungo la scarpata e prosegui a est, finché non raggiungi una grotta. Loro ti troveranno. –
Erano state queste le indicazioni di sua grazia per raggiungere il luogo in cui si nascondevano i Ribelli.
I Ribelli, pensò Siwon assottigliando le labbra.
Ancora faticava a crederci. Da anni quel gruppo di banditi gettava scompiglio e minacciava il regno, eppure non avevano torto un capello al suo principe, al contrario l’avevano salvato, si erano presi cura di lui e non era mai stato loro prigioniero. Quella storia gli procurava non poche perplessità, tuttavia si fidava ciecamente del giudizio di sua grazia.
-Sarai interrogato e prenderanno le dovute precauzioni, tu riferisci loro che ti mando io e chiedi di Lee Jinki, se lui non dovesse fidarsi domanda di Taemin, sono certo che si ricordi di te. –
La voce del principe risuonò nella sua mente come un soffio leggero e a Siwon si strinse il cuore in petto. Di nuovo era stato costretto a lasciare il suo fianco. Si vergognava immensamente, ma dopotutto stava eseguendo degli ordini fondamentali e da bravo cavaliere quale era riconosceva nelle scelte del principe una logica fredda ed impeccabile.
-Baderò a me stesso -, aveva detto.
Siwon non aveva dubbi in proposito, ma tutto stava nel modo in cui intendeva badare a sé stesso.
Il cavaliere scosse il capo. Non doveva lasciarsi distrarre da tali pensieri o avrebbe rischiato di mettere un piede in fallo e fare dietrofront all’istante.
Lee Jinki, Lee Taemin, Choi Minho, ripeté per la millesima volta nella sua mente i nomi dei Ribelli che Kibum gli aveva ordinato di rammentare.
E Kim Jonghyun.
All’ultimo nome fu percorso da un fremito e strinse l’elsa della spada.
-In questi mesi siamo stati insieme come due persone che sia amano. –
A Siwon era parso d’inghiottire un rospo e anche ora la sensazione era la medesima.
Il cavaliere si fermò per saggiare con tatto la rugosità di un tronco ed annusare l’aria all’intorno. Lì la boscaglia era più fitta, i profumi dell’erba più pungenti ed il fiume deviava con vigore nella scarpata sottostante, producendo un suono simile a quello del rullare di mille tamburi. Era quello il luogo.
Guidato dal fiume uscì dalla boscaglia per ammirare lo scorrere feroce dall’Han sotto di lui. La schiuma bianca s’arricciava intorno alle rocce come merletto scosso dal vento e la luna d’argento si rifletteva tra i flutti. Il salto erano notevole e Siwon si chiese come il principe fosse riuscito a sopravvivere.
Indubbiamente qualche strana forza stava vegliando su di lui, pensò.
Imboccò il sentiero e proseguì.
 
 
***
 
 
Jinki accarezzò il crine sudaticcio del cavallo e si mosse cauto tra le rocce.  Il suono dei suoi stivali sui rigagnoli morenti del fiume, che puntellavano la piccola grotta all’ingresso del Rifugio, riecheggiò all’intorno mentre dall’esterno giungeva il rumoreggiare dell’Han.
Essere finalmente a casa era un vero sollievo e non vedeva l’ora di mettere gli altri al corrente degli ultimi avvenimenti. Nonostante l’iniziale conversazione con Leeteuk l’avesse messo molto sulle spine, facendogli più volte temere di non ottenere il supporto desiderato, le trattative si erano svolte nel migliore dei modi. Dunque Leeteuk, l’ombra dietro allo stesso Leader dei Ribelli, era finalmente disposto ad uscire allo scoperto dalla sua tana.
Jinki sorrise tra sé. Ovviamente suo cugino intendeva essere molto cauto.
-Se dovessimo fallire è importante preservare un minimo di forze -, aveva detto.
Jinki non poteva che trovarsi d’accordo.
Possiamo perdere dei rami, ma non le radici, pensò.
La sua permanenza da Leeteuk era durata più del previsto e insieme avevano iniziato ad elaborare un piano. Non avevano alcuna certezza e lo sapevano entrambi, ma Jinki era certo di aver accumulato abbastanza forze da poter dare ai Ribelli e a Kibum una speranza in più. Lo stesso piano attendeva notizie da Soul per essere definito nei dettagli e passare così all’azione.
Ma dobbiamo muoverci!, pensò stringendo i pugni.
In quei giorni era giunta notizia di un decreto reale che annunciava l’imminente incoronazione dell’erede al trono e della cerimonia di fratellanza con il lord di Busan.
-Decisamente in anticipo rispetto alla consueta tabella di marcia -, aveva subito osservato Leeteuk, sorseggiando del tè.
Jinki ne aveva convenuto appieno, ma se l’altro era riuscito a rimanere apparentemente impassibile, lui aveva sgranato gli occhi ed era stato percorso da un brivido. Un mese era decisamente poco, senza contare che la decisione effettiva risaliva a minimo una settimana prima. Facendo due semplici calcoli tra il funerale dell’imperatore ed i cento giorni rituali che erano stati ridotti ad un mese, Jinki aveva stimato che avevano circa due settimane di tempo. Scarse. E indubbiamente scarso era il tempo che rimaneva loro.
E a Kibum, aveva pensato con crescente apprensione.
Dunque, nonostante non avesse ancora notizie positive da Soul, l’esercito era già stato organizzato ed ora era semplicemente in attesa.
Jinki si passò una mano tra i capelli, avvertendo l’adrenalina accumulata in tutte quei giorni sfumare. Stava per condurre il cavallo lungo il passaggio segreto che l’avrebbe riportato a casa, lì, oltre la consistenza spessa ed umida delle rocce, quando dei passi lo fecero sobbalzare. Il Leader dei Ribelli scivolò dietro un masso ed afferrò l’elsa della spada estraendola con un movimento fluido, poi s’appiattì nell’oscurità maledicendo la presenza del cavallo che indubbiamente l’avrebbe tradito.
I raggi della luna che giungevano pallidi all’interno della grotta evidenziarono il sopraggiungere di un’alta figura.
Jinki assottigliò gli occhi e s’irrigidì. Non era uno dei suoi Ribelli e ciò lo mise subito in allarme. Osservò attentamente il modo in cui il nuovo venuto si muoveva circospetto nel tentativo di sondare l’oscurità, mentre tastava le rocce. Al Leader dei Ribelli fu chiaro come la luce del sole a mezzogiorno ciò che stava cercando.
Lui sa’, pensò con un moto d’ansia.
Chi era? Una guardia reale, un soldato di Busan, una spia o forse qualcuno inviato da Kibum? Benché l’ultima possibilità gli sembrasse quella meno verosimile pregò con tutto sé stesso che fosse così.
Il Leader studiò attentamente i movimenti dell’altro a partire dal mondo in cui accarezzava l’elsa della spada. Doveva sicuramente trattarsi un cavaliere, non di un semplice soldato, e non appena il suo viso fu investito da un raggio lunare poté dire con certezza che non si trattava dello stesso che aveva incontrato a Seungil. Tuttavia ciò non lo rassicurò.
Jinki si raddrizzò, sorrise tra sé e uscì dall’ombra, la spada sguainata ma abbandonata lungo il fianco. Lui, Lee Jinki, non aveva bisogno di armi simili, tuttavia far credere il contrario aveva sempre i suoi vantaggi.
-Un po' tardi per una passeggiata notturna -, disse tranquillamente sfoderando un sorriso amichevole.
L’uomo si voltò di scatto sguainando la spada proprio.
Il sorriso di Jinki si tramutò in un sogghignò e la spada del cavaliere fluttuò a mezz’aria davanti al suo padrone con la lama puntata alla sua stessa gola.
L’uomo rimase immobile e solo una lieve contrazione della sua mascella provò che si trattava di un essere vivente e non di una statua.
I passi del Leader riecheggiarono della grotta, finché non si fermò di fronte all’altro unendo le mani dietro la schiena.
-Le ore notturne sono notoriamente le più fresche. –
Jinki lo squadrò attentamente.
-Osservazione corretta, tuttavia questo è indubbiamente un luogo strano dove fare una passeggiata. –
-Mi godevo il panorama. -
Jinki inarcò un sopracciglio e poi rise; a dispetto delle apparenze quel tizio aveva senso dell’umorismo.
E sangue freddo, valutò tra sé.
Non era un cavaliere qualunque, probabilmente veniva da Soul ed era agli ordini di un nobile.
Di nuovo, Jinki pregò che si trattasse di Kibum.
Ad un suo cenno del capo la lama premette con più forza sulla gola dell’altro. Il Leader dei Ribelli aveva tutta l’intenzione di capire con chi aveva a che fare. Poteva essere una trappola oppure ciò che stavano aspettando. Una cosa era certa: meglio essere cauti.
Questa volta il cavaliere parve titubante e lo sguardo di Jinki si fece più duro.
-Chi sei e chi ti manda? –
Jinki era stufo di giocare e non aveva tempo da perdere. Se fosse stato necessario avrebbe sottoposto il cavaliere ad un serrato interrogatorio seduta state. Poco importava l’umidità appiccicosa che regnava nella grotta, l’ora tarda e le ombre fitte che a fatica gli permettevano di leggere il viso dell’altro. Il Leader sbatté gli occhi e la lama premette sul collo dell’altro costringendolo a fare un passo indietro e a spostarsi sotto i raggi della luna.
-Choi Siwon e mi manda l’erede al trono di Chosun, Kim Kibum. Sono la sua guardia del corpo…-
- La sua guardia del corpo è morta la scorsa estate proprio in questa foresta. –
Il viso di Siwon si contrasse in un mezzo sorriso.
-Vi sembro forse un fantasma? Sono vivo e vegeto. –
Jinki lo squadrò. Da quanto ne sapeva lui la guardia di Kibum era morta, ma era anche vero che non avevano trovato il suo corpo, solo tracce di sangue ed una lama abbandonata che Kibum aveva riconosciuto essere quella del suo servitore. Forse il cavaliere diceva il vero, oppure era una trappola: Kibum era stato scoperto e sia lui che loro erano persi per sempre.
-E magari una spia. -
-Se fossi una spia non conoscerei il punto esatto dell’ingresso al Rifugio. –
-A meno che Kim Kibum non sia stato scoperto e costretto a parlare. -
Siwon annuì, incurante della lama che premeva sulla sua gola. Un caldo rivolo di sangue gli scese lungo il collo. Sua grazia gli aveva riferito del fatto che i Ribelli sarebbero stati molto prudenti, tuttavia non aveva alcuna intenzione di perdere tempo. La sicurezza e la vita del suo principe dipendevano dal messaggio che custodiva gelosamente nella sua testa.
-Voglio parlare con Lee Jinki. – Disse pur sapendo che probabilmente lo stava già facendo, poiché sapeva grazie al principe dell’abilità del Leader dei Ribelli.
Jinki sogghignò. – lo stai già facendo. –
-Provatelo. –
Siwon intendeva metterlo alla prova esattamente come l’altro stava facendo con lui; poteva rivelarsi un buon modo per convincerlo della sua genuinità.
Jinki scoppiò a ridere di nuovo. Quel tizio era un osso duro e sapeva ciò che voleva.
-Se conosci il nome di Lee Jinki devi anche essere al corrente della sua abilità e credo di averla palesata sin dall’inizio. -
Siwon annuì. Finalmente parlavano sullo stesso piano. Ad un cenno del capo dell’altro riprese a parlare. Lui aveva la sua prova ed ora era il suo turno.
-Il principe ha inviato dieci messaggi nelle ultime settimane. –
Recitò a memoria il contenuto di ognuno di essi e Jinki l’ascoltò attentamente. Il Leader era impressionato, tuttavia benché i suoi dubbi iniziassero ad assottigliarsi rimase sull’attenti. I loro nemici poteva essere venuti a conoscenza di quei messaggi…
Ma allora perché lasciare che giungessero a destinazione?, pensò.
Non aveva senso.
Ad ogni modo fu altro ad attirare la sua attenzione e a convincerlo della genuinità dell’altro. Non si trattava del contenuto delle sue parole, bensì del modo in cui esse venivano pronunciate.
Devozione. Questa parola attraversò la sua mente come un fulmine al ciel sereno. Vi era devozione nel tono del cavaliere, preoccupazione per il suo principe e la parte più intima di Jinki ne fu segretamente commossa. Quel tizio sembrava davvero essere la guardia del corpo di Kibum, la stessa che il più piccolo aveva pianto per settimane. Come fosse sopravvissuto non ne aveva idea, ma era evidente che dal momento in cui il principe era tornato a Soul, Choi Siwon si era dedicato a lui anima e corpo.
-Ricordati, Jinki, la verità spesso si trova oltre le parole. –
Leeteuk glielo diceva spesso e lui aveva sempre cercato di vedere oltre. Non era forse accaduto lo stesso con Kibum? Aveva iniziato a comprenderlo nel momento in cui i loro occhi si erano incontrati e le parole avevano semplicemente fatto da cornice ad un dialogo più intimo e profondo.
Siwon alzò lentamente una mano per picchiettarsi un indice sulla tempia.
-La mia testa custodisce qualcosa di molto importante. -
Jinki fremette.
-Cosa? –
-La vostra chiave d’accesso al palazzo reale. –
 
 
 
***
 
 
 
 
Sembrava impossibile eppure Jonghyun aveva dormito come un sasso. Un sonno terribilmente profondo e pesante al punto che, il mattino successivo, aveva impiegato un po' per rimettere in fila i propri pensieri. Tuttavia una cosa era più che certa: la sbronza della notte precedente era stata davvero una pessima idea. Il capo gli doleva ancora e la sua voglia di alzarsi dal letto era inesistente. Solo un pensiero coerente lo spronava a trovare le forze. Kibum. Jonghyun rammentava con estrema chiarezza le ore, prima di addormentarsi, che aveva passato a rigirarsi tra le lenzuola a riflettere. In realtà, più che riflettere era stato un disperato tentativo d’imporsi di non montare a cavallo e galoppare in direzione di Soul. Naturalmente era ben consapevole dei rischi, della logica ferrea che Minho aveva snocciolato in modo da mettere a tacere qualunque suo proposito. Tuttavia…come poteva? Aveva troppo da recuperare, troppo da farsi perdonare, troppo da capire e, soprattutto, era troppo preoccupato.
Se ti accadesse qualcosa e io non fossi lì a proteggerti…, questo pensiero continuava a tormentalo.
Alla fine dei martellii più forti ed insistenti l’avevano fatto sobbalzare per scoprire che non si trattava della sua testa, ma di qualcuno che bussava concitatamente alla porta. Si era alzato barcollante per trovarsi davanti un Minho dall’aria trafelata e Jonghyun aveva compreso nell’immediato che in quelle deliranti ore notturne era accaduto qualcosa.
-Jinki è tornato e con lui c’è un messo giunto da Soul. –
Soul…, al nome della città imperiale il cuore di Jonghyun aveva iniziato a battere all’impazzata.
A Jonghyun non era servito altro, il suo mal di testa era svanito di colpo e si era precipitato nello studio di Jinki: se c’erano delle novità o quanto meno la speranza di salvare Kibum il prima possibile desiderava saperlo. Così aveva fatto irruzione guadagnandosi delle occhiate di rimprovero da parte di Taemin che, per completare il quadro di totale disappunto, aveva roteato gli occhi.
Ora, lui e gli altri sedevano a gambe incrociate su dei cuscini in attesa di conoscere le ultime novità. Delle tazze di fumanti ed intoccate erano state disposte sul tavolino davanti a loro, ma nessuno sembrava interessato ad esse, solo Jinki lanciava ogni tanto delle occhiate nella loro direzione.
Jonghyun sedeva rigido con i nervi tesi e l’unico effetto che il profumo del tè esercitava su di lui era impedirgli di scattare come una molla. Sospirò e strinse le mani sulle cosce. Erano passati pochi minuti dal momento in cui aveva messo piede lì, tuttavia gli sembrava che il tempo scorresse ad una lentezza snervante. Jinki aveva l’aria di uno che aveva tutta l’intenzione di prendersela comoda. Jonghyun si domandò se lo facesse apposta o se fosse semplicemente stanco e provato. Di norma avrebbe proteso per la prima ipotesi, ma in questo caso valutò attentamente l’espressione del Leader. Jinki aveva delle occhiaie profonde e segnargli il viso e più volte si era passato le mani su di esso e tra i capelli.
Jonghyun lanciò un’occhiata incuriosita al messaggero prima che la lentezza di Jinki gli facesse prudere le mani. Doveva togliersi ogni tipo di pensiero impulsivo dalla testa. Quel tizio, valutò, non poteva essere un comune messaggero se era lì a perorare la causa di Kibum, o magari giunto su ordine del più piccolo. Inoltre, il modo rigido in cui sedeva, le mani posate piatte ed imperturbabili sulle cosce, la spada risposta di lato ed il viso serio e freddo lo denotavano senza ombra di dubbio come un cavaliere, o quanto meno un soldato.
No, pensò Jonghyun, questo tizio è un cavaliere e ricopre anche una posizione elevata.
Le conoscenze di Jonghyun in merito erano limitate, tuttavia aveva assalito abbastanza carrozza da saper distinguere un semplice soldato da un cavaliere ai diretti ordini di un nobile. Quel tizio rientrava indubbiamente nella seconda categoria. Era un concentrato di freddezza ed attenzione, e Jonghyun non dubitava che fosse in grado di estrasse la lama con estreme velocità per spiccare seduta stante i capi di tutti i presenti. Solo le sue mani ogni tanto tremavano, ma non erano che gli scatti involontari dei nervi.
Jonghyun deglutì, dal momento in cui erano state fatte le dovute presentazioni quel tizio non aveva smesso di lanciargli delle occhiate di sottecchi.
I loro occhi s’incontrarono per la frazione di un secondo e di fronte a quel gelo Jonghyun fu percorso da un brivido.
Mi sta studiando, valutò tra sé.
Il Leader bevve un sorso di tè, ripose la tazza e si schiarì la gola.
-Siwon è qui su ordine di Kibum. –
Jonghyun fremette, Taemin aprì la bocca producendo una perfetta forma ovale e Minho rimase rigido e attento, solo i suoi occhi tradirono un minimo di vita e s’assottigliarono.
Jinki rivolse un’occhiata al cavaliere per invitarlo a proseguire al suo posto.
-Sua grazia -, disse Siwon con una punta d’orgoglio, - mi ha inviato qui quale messaggero. Non si fidava ad affidare a dei semplici piccioni viaggiatori il messaggio che sto per comunicarvi. –
Siwon raccontò della mappa e del passaggio, senza tralasciare alcun dettaglio o piano sommario che lui e Kibum avevano valutato per permettere ai Ribelli di entrare a palazzo.
Jonghyun ascoltò attento e sospettoso. Potevano davvero fidarsi di quel tizio, era stato davvero il suo Kibum a mandarlo o era tutta una montatura per attirarli in qualche trappola?
Si mordicchiò il labbro inferiore, poi sorrise involontariamente tra sé. Quella era un’abitudine nervosa che aveva preso da Key. Scacciò quel pensiero nostalgico per tornare a concentrare la propria attenzione su Siwon.
Sempre che sia il suo vero nome, s’appuntò.
Forse era l’apprensione per il più piccolo, o il semplice fatto che il cavaliere alternava il suo sproloquio ad occhiate indefinite nella sua direzione, in ogni caso voleva appurare la veridicità dell’intera faccenda.
Se fosse stato una spia loro si sarebbero ritrovati in guai molto grossi. Kibum per primo. Jonghyun non aveva alcuna intenzione di mettere a rischio la sicurezza di Key per nulla al mondo. Il semplice fatto di non essere accanto a lui gli scatenava una marea di sensazioni spiacevoli.
Potrebbe essere scoperto, torturato…, pensò con orrore.
Scacciò con forza questi pensieri capaci destabilizzarlo emotivamente e l’aria intorno a lui iniziò a surriscaldarsi.
In risposta, il cavaliere arricciò il naso con un moto di evidente fastidio, mentre si guardava intorno alla ricerca della fonte di calore.
Spero per te che tu non sia una spia, altrimenti non sarà di certo l’aria ad andare a fuoco!, pensò Jonghyun.
-Ora..- iniziò Jinki.
-Che prove abbiamo? – scattò Jonghyun.
Gli altri si voltarono per fissarlo, allibiti, e solo il cavaliere rimase impassibile. Non solo quella era la prima frase decisa e forte che pronunciava da settimana, ma aveva anche interrotto una frase di Jinki sul nascere e tutti Ribelli dotati di un minimo di senno sapevano che era qualcosa da non fare mai, nella maniera più assoluta. Tuttavia, Jonghyun non aveva alcuna intenzione di curarsene, poiché aveva cose più importanti a cui pensare. Ad ogni modo, o per fortuna, Jinki gli sorrise appena come rincuorato da quella reazione improvvisa.
-Se fosse una spia? Dice che lo manda Kibum, ma non abbiamo alcuna prova a sostegno. Perché dovremmo credergli? –
Si voltò verso il cavaliere, sfidandolo apertamente.
-Potrebbe essere stato il lord di Busan a mandarti qui, magari con l’intento di mettere a tacere dei sospetti, oppure ha scoperto qualcosa, intercettato i messaggi di Key…-
Il cavaliere lo fissò perplesso.
-Kibum -, si corresse Jonghyun. – Dici di conoscere una via per entrare nel palazzo eppure non ci mostri alcuna mappa. Dovremmo forse credere semplicemente alle tue parole e lasciarci guidare da te nel cuore del potere imperiale? –
-Dovete credere a sua grazia. –
-Tsk, Kibum non è qui, qui ci sei tu e io non mi fido di te senza prove. Dov’è questa mappa? Mostrala e forse mi lascerò convincere. –
-Non ce l’ho -, rispose il Siwon.
Il cavaliere sembrava tranquillo, come se si fosse aspettato di dover rispondere a simili accuse.
Bhe, pensò Jonghyun, si vede che non è uno sprovveduto, avrà previsto tutto!
-Non ce l’hai -, ripeté piccato.
-Sua grazia mi ha ordinato d’imprimerla nella mente e poi di distruggerla. -
Jonghyun gli rivolse un sorriso sghembo. Quella era decisamente una buona risposta e se non fosse stato indisposto dagli sguardi irritanti del cavaliere probabilmente non avrebbe esitando a credervi. Dentro di sé sorrise orgoglioso. Poteva ben immaginare gli ingranaggi muoversi veloci nella testolina felina e astuta del più piccolo. Key era sempre stato scaltro, su quello non vi erano dubbi, ed un ordine simile gli s’addiceva. Tuttavia quella semplice constatazione a non aveva alcun valore di prova, non per lui.
-Oppure è un modo per non indurci a tagliarti la testa seduta stante! –
Taemin sbuffò sonoramente.
-Stupida zucca vuota! Conosco questo cavaliere, era con Kibum al mercato la scorsa estate. –
Jonghyun aprì e richiuse la bocca a vuoto. Se era così allora si trattava della guardia del corpo del principe, la stessa che avevano cercato invano per settimane.
-Non era morto? -
-Ti sembra morto? – domandò Minho.
Jonghyun scosse il capo. No, non sembrava morto per niente. Ad ogni modo voleva appurare la situazione da ogni punto di vista.
-E quindi il sangue, la spada che abbiamo trovato? Potrebbero essere stati degli espedienti abilmente calcolati per fare il doppio gioco. –
Questa volta i muscoli facciali del cavaliere si contrassero con prepotenza. Jonghyun lo vide combattere con sé stesso per non estrarre la spada. Probabilmente se era fedele a Kibum come diceva la sua idea doveva fargli ribrezzo.
-Non è così -, intervenne Jinki. – Come mi ha già riferito è stato mesi nelle prigioni di Soul e poi a Busan sotto stretta custodia. –
Jonghyuh fece una smorfia. – Ma…-
-La fedeltà di Siwon nei confronti di Kibum non è oggetto di discussione. L’ho già appurata io stesso. –
Jinki bevve un sorso di tè e Jonghyun capì che doveva tacere. L’indulgenza del Leader aveva dei limiti e lui li aveva ampiamente superati con poche ed abili mosse. Se Jinki diceva che quel Siwon non era una spia, ebbene, non era una spia. Fine e tanti saluti.
Jonghyun tirò un sospiro di sollievo. Nonostante il suo orgoglio ferito si fidava ciecamente di Jinki e sapeva che aveva un ottimo metro di giudizio. Si sentì rincuorato ed il suo pensiero andò subito a Kibum.
Resisti, pensò mentre un piacevole tepore gli scaldava il cuore.
-Ora che i dubbi di Jonghyun sono stati messi a tacere abbiamo cose più importanti di cui discutere. –
Calò il silenzio e tutti rimase in attesa.
Jinki bevve un altro sorso di tè.
-Leeteuk ci ha accordato il suo supporto e appoggia le nostre intenzioni, questa è indubbiamente una buona notizia. Convincerlo non è stato facile, ma c’era d’aspettarselo. Non vuole compromettere la sua posizione e rischiare più del dovuto, tuttavia riconosce l’importanza di questa operazione ed è disposto a fidarsi di Kibum. –
Jonghyun aggrottò la fronte e sbuffò. Lui era l’unico, ad accezione di Minho che condivideva parte del passato dei Lee, a conoscere l’identità dell’ombra che si nascondeva dietro ai Ribelli. Non conosceva i dettagli, ma sapeva che il congiunto dei Lee aveva svolto, e continuava a svolgere, un ruolo fondamentale. Tuttavia per qualche strano motivo, benché non l’avesse mai incontrato, non gli andava a genio. A dirla tutta nessun nobile gli andava a genio, quanto meno a parole. In un modo o nell’altro finiva sempre per avere a che fare con loro ed era molto irritante! In quella prospettiva il suo legame con Kibum era sicuramente il massimo dell’ironia.
-Come ci aiuterà? – domandò Taemin.
-Ci darà il suo esercito. –
-Credevo che umma non volesse spargimenti di sangue -, osservò Taemin in soffio.
Jinki annuì, ma fu Siwon a parlare.
-E’ così. Sua grazia ha espresso a più riprese il desiderio di limitare al massimo spargimenti di sangue. Naturalmente è consapevole di non poterli evitare del tutto, ma vorrebbe un minimo di discrezione anche nei confronti della popolazione civile. Niente rappresaglie per le strade o eserciti alle porte di Soul, tutto deve consumarsi all’interno del palazzo. –
Siwon sospirò e fece una smorfia. – Sfortunatamente il legame che unisce Soul a Busan è fondamentale per la sicurezza di Chosun contro Nihon, sicurezza che il principe non intende compromettere in alcun modo rischiando un’aperta guerra civile. Indubbiamente una situazione simile farebbe apparire Chosun debole agli i nostri vicini che potrebbero decidere di approfittarne. –
Jonghyun ascoltò ammirato e con crescente apprensione, oltre ad un senso di frustrazione che si stava scavando una profonda voragine dentro di lui. Kibum aveva elaborato tutto questo da solo e ben consapevole delle scelte pericolose che stava facendo. Se all’inizio il ritorno a Soul di Kibum gli era parso come la conclusione naturale ed inevitabile alla luce dell’identità del più piccolo, ora comprendeva che dietro vi era molto di più. Dentro di lui andava formandosi una visione sempre più lucida e spaventosa. La sua preoccupazione per il più piccolo montò con furia e strinse i pugni sino a farsi sbiancare le nocche.
Che cosa ci faccio qui?, si chiese.
Siwon aggrottò la fronte. –Dunque vorrei conoscere la natura del vostro piano -
Jinki annuì e si umettò le labbra.
-Kibum non può sperare di mettere il lord id Busan alle strette da solo o non ci sarebbe stato bisogno di tutto questo –, iniziò Jinki riflettendo tra sé per fare mente locale.
 -Sfortunatamente, come ci ha detto lui stesso, ha da tempo fatto terra bruciata intorno a sé a corte, di conseguenza non ha alleati tra i nobili, né la fedeltà dell’esercito imperiale, sempre che quello attuale possa definirsi tale. Tutto il potere è nelle mani del lord di Busan e lui non è che un ostaggio utile per il suo sangue agli scopi del suo promesso.  –
Jonghyun digrignò i denti. Le sue speranze era state davvero vane e sciocche. L’aria intorno a lui divenne ancora più calda. Non c’era amore per Kibum a Soul, né sicurezza.
-Dunque -, proseguì Jinki, - è totalmente solo. –
Il Leader fece una breve pausa e bevve un altro sorso di tè.
-Tuttavia la sua presenza a Soul è fondamentale. Garantisce a noi una via relativamente sicura e a sé stesso la possibilità di sfidare il suo promesso e riprendersi ciò che è suo di diritto. Il nostro piano consiste nel fornirgli un appoggio, uno scudo in modo che possa agire. Diversi uomini di Leeteuk si uniranno a noi, altri rimarranno nei dintorno del palazzo e se la situazione dovesse precipitare verranno in nostro soccorso. Il nostro compito sarà quello di agire più segretamente possibile, quanto meno all’inizio, dopo di che dovremmo creare confusione, convincere i nostri nemici che siamo molti di più e molto più forti del reale, in questo modo daremo a Kibum una speranza e il supporto che gli serve per disfarsi del suo promesso. –
Siwon annuì con vigore.
-E Leeteuk? –, volle sapere Taemin.
Jinki sogghignò.
Prevedere ciò che avrebbe fatto loro cugino era pressoché impossibile. Probabilmente si sarebbe goduto il tutto da una posizione privilegiata, in attesa, oppure non avrebbe resistito all’idea di complottare con i nobili ed elargire promesse al fine di ottenere un sostegno per Kibum.
-Non ne ho idea -, rispose semplicemente. –Ma non dobbiamo preoccuparcene, l’importante è avere i suoi uomini a rimpolpare le nostre file. –
-Naturalmente io vi guiderò all’interno del palazzo, sua grazia mi ha affidato personalmente questo compito -, disse Siwon.
Jinki annuì.
Jonghyun non seppe se sentirsi sollevato da tutti quei discorsi. Il quadro che avevano dipinto pareva semplice, la missione quasi una passeggiata, ma non era così. Al contrario. La loro posizione era appesa ad un filo e così quella di Key. C’era poco da stare tranquilli. Si passò una mano sulla fronte e tra i capelli scoprendoli sudati. L’aria era davvero calda.
-Ora veniamo alla pessima notizia. –
Jonghyun sbarrò gli occhi. Cattiva notizia? Le altre potevano definirsi belle? Delle speranze, forse, un piano disperato, ma nulla di più.
Forse per loro che avevano saputo tutto sin dall’inizio solo ora la situazione iniziava a farsi rosea.
Da un lato, Jonghyun fu felice di esserne stato all’oscuro.
Non ce l’avrei mai fatta a lasciarti andare, anche così mi ha quasi distrutto.
Sapeva bene di essere stato l’ombra di sé stesso nelle ultime settimane.
-La cerimonia d’incoronazione è stata anticipata e così quella di legame tra Kibum e il suo promesso. Abbiamo due settimane. –
Due settimane, pensò Jonghyun. Fu come ricevere una secchiata d’acqua gelata. Lo sapeva, ora rammentava, l’aveva letto la sera precedente nel decreto reale affisso lungo le vie di Hanamsi, lo stesso che l’aveva indotto a prendersi una sbornia con i fiocchi. Quella notizia l’aveva totalmente destabilizzato. Era stato come se la verità gli fosse stata gettata in faccia brutalmente.
Kibum legato ad un altro, tra le braccia di un altro.
Provò un senso di fastidio viscerale, perché se prima nutriva la segreta speranza di un minimo di felicità tra Kibum ed il suo promesso, ora sapeva che era un’inutile illusione.
Lo vuole solo per il trono. Cosa ne sarà di lui?, pensò con orrore.
Due settimana e se non avessero agito in tempo l’avrebbe per sempre.
Che cosa ci faccio ancora qui?
 
 
***
 
 
L’aria della sera era umida e non un filo di vento smuoveva i rami intricati della foresta davanti a lui.
Percorso da un brivido, Jonghyun si strinse nel mantello. La vegetazione aveva un aspetto sinistro tuttavia, benché una sorta d’inquietudine indefinita l’avesse assalito non appena era uscito all’aria aperte, non aveva alcuna intenzione di tornare sui suoi passi. Ovunque il suo Kibum fosse stato relegato tra le pareti di marmo e le suppellettili dorate, lui l’avrebbe trovato. Avrebbe vegliato silenziosamente sul più piccolo sino all’arrivo degli altri. Era quello il suo posto. E quello era il suo piano.
Jonghyun aveva passato le restanti ore della giornata nuovamente chiuso in stanza a fissare il soffitto o a rigirarsi sul letto, tormentato da quell’unica e semplice domanda e cui non sapeva dare risposta.
Che cosa ci faccio ancora qui?
Da qualunque prospettiva l’analizzasse l’esito era semplice e chiaro, ma allo stesso tempo s’ergeva pericoloso ed invalicabile come un muro di spessi mattoni.
Prima che si rinchiudesse nelle proprie stanze, Minho l’aveva raggiunto prendendolo saldamente per un polso.
-Non farti venire strane idee-, gli aveva intimato.
-Non ho strane idee -, aveva mentito spudoratamente.
Bhe, non aveva idee strane, davvero. Desiderava solo montare a cavallo e raggiungere Kibum. Semplice. Nulla di più, nulla di meno. Lo sapeva che era un azzardo, ma non riusciva a starsene con le mani in mano. Il solo pensiero gli procurava ripetute stilettate al cuore.
-Se provi a fare qualcosa di stupido vanificherai tutti i nostri sforzi -, aveva fatto eco Taemin alle parole di Minho.
Jonghyun aveva sbuffato. Lo sapeva bene, non era di certo sua intenzione fare qualcosa di stupido! Infatti intendeva prendersi qualche ora per vagliare con calma l’intera faccenda.
Insediato da mille pensieri si era rigirato sul letto, respirando il profumo del più piccolo rimasto intrappolato tra le lenzuola. Durante l’ultima notte d’amore che aveva passato con Kibum, Jonghyun aveva percepito su di sé e intorno a sé tutto l’amore dell’altro, era stato palpabile come i loro corpi che si sfioravano, si accarezzavano, come i loro baci umidi, intensi e pieni del sapore della bocca dell’altro. Per Jonghyun era stato come assaporare delicatamente un aroma leggero e perfetto. Una notte splendida attraversata da un brivido silente che portava con sé una paura strisciante, simile ad una lama sottile avvolta nella seta. Quella notte l’aveva rigenerato, ma l’aveva anche distrutto. Come poteva rimanere lì in attesa quando le sensazioni, le emozioni ed il semplice ricordo delle carezze dell’altro erano così vivide sulla sua pelle?
Alla fine si era alzato di scatto per recarsi dal cavaliere. Prima di prendere qualunque decisione definitiva desiderava scambiare qualche parola con lui. Aveva la sensazione che gli altri gli nascondessero ancora qualcosa, soprattutto quella peste di Taemin. La sua intenzione era quella di lasciare i Rifugio con un quadro completo, in questo modo nessuno avrebbe potuto accusarlo d’impulsività.
Siwon era stato sistemato nel vecchio studio di Key, Jonghyun l’aveva trovato rigido come l’aveva lasciato: le gambe incrociate e la spada risposta al fianco. Ne era rimasto impressionata. Che cosa quel tizio assurdo stesso pensando era impossibile dirlo con certezza.
La stanza era avvolta nella penombra e lui, senza rifletterci troppo, aveva acceso con la sua abilità delle candele di cera poste su un alto candelabro. Subito delle piccole fiamme gialle e arancio avevano iniziato a danzare silenziose.
Solo allora Siwon aveva aperto gli occhi di scatto facendo correre la mano all’elsa della spada.
-Mezzosangue -, aveva detto lui senza troppi preamboli a mo’ di spiegazione.
Odiava parlare delle sue origine, della sua condizione spesso guardata con disgusto. Quante volte quel sangue misto l’aveva fatto sentire un relitto umano? Innumerevoli. Agli occhi dei nobili era un reietto e a quelli della gente comune qualcuno di cui non ci si poteva fidare. Solo i Ribelli lo avevano accolto e solo l’amore di Kibum l’aveva fatto sentire importante e completo.
Siwon gli aveva rivolto un’occhiata ansiosa e preoccupata prima di domandargli da dove provenisse.
-Busan – aveva risposto.
Sbuffando, si era seduto cercando d’ignorare le continue occhiate sconcertate di Siwon. Che diamine aveva quel tizio? Bhe, lui era andato lì per parlare di cose molto più importanti che della sua triste storia. Si era maledetto tra sé per aver fatto uso della sua abilità e poi aveva iniziato a parlare senza mezzi termini. Di giochetti e frasi a metà ne aveva abbastanza.
-Kibum -, aveva detto avvertendo la gola secca. – Lui ti ha parlato di me? –
Non era stato questo il modo in cui intendeva iniziare, ma forse mettere le carte in tavola sin dall’inizio era meglio per tutti. Avevano già iniziato con il piede sbagliato.
Siwon aveva reclinato il capo di lato in segno d’assenso. Sin dal primo momento in cui i loro occhi si era incontrati, Jonghyun si era sentito studiato dall’altro e, per qualche strano motivo, usare la sua abilità aveva aumentato la diffidenza del cavaliere.
-Lui mi ha parlato di te -, aveva detto Siwon, questa volta a voce.
Jonghyun si era ritrovato di nuovo a sbuffare e a passarsi una mano tra i capelli. La sua stessa agitazione l’aveva innervosito.
-Io -, aveva riaperto bocca indeciso su cosa dire. Ma ogni discorso sensato era morto nella sua mente non appena aveva acceso quelle stupide candele.
Jonghyun si era umettato le labbra. Dal modo in cui il cavaliere l’aveva guardato non sembrava che Kibum avesse detto cose positive sul suo conto e se così fosse stato non poteva di certo biasimarlo. Aveva sorriso tra sé cercando di celare i timori dell’ira del più piccolo a causa dell’ultimo bacio che gli aveva rubato, ma anche divertito all’idea del visetto imbronciato dell’altro. Aveva poi scosso il capo per allontanare quelle visioni. Non poteva premettersi distrazioni. Di nessun genere.
-Lui ti ama -, aveva detto Siwon cogliendolo di sorpresa.
Una fiamma calda si era accesa nel petto di Jonghyun, smorzata solo dallo sguardo glaciale del cavaliere. Jonghyun aveva capito che quel tizio era molto protettivo nei confronti di Kibum e nonostante quelle occhiate lo mettessero a disagio ne fu felice. Se non altro il più piccolo aveva avuto qualcuno su cui fare affidamento, qualcuno disposto a proteggerlo.
-Io però non sembro attirare le tue simpatie. –
Il cavaliere aveva arricciato il naso e Jonghyun era stato costretto a reprimere una risata; era stata decisamente un’espressione buffa da vedere sul quel viso impassibile.
-In passato i sentimenti sinceri di sua grazia e le sue aspettative sono già stati traditi e ha sofferto molto, il mio compito è proteggerlo. –
Jonghyun aveva annuito. –Il tuo desiderio di proteggerlo va decisamente al di là di quello di una guardia. –
-Devo al signorino la mia vita, mi ha salvato dalla strada e concesso la possibilità di crearmi una vita migliore. Io ho deciso di riporre la mia spada ai suoi piedi, essa e la mia vita gli appartengono. –
Jonghyun ne era rimasto impressionato e commosso. La sua espressione nei confronti dell’altro si era addolcita, riconoscendo pienamente il senso di fedeltà che lo legava a Kibum.
-Tu lo ami? –, aveva domandato il cavaliere cogliendo alla sprovvista.
Dopo un attimo di sconcerto per una domanda così diretta, Jonghyun aveva sorriso sghembo e con gli occhi lucidi.
-Lui ha distrutto tutto di me, ogni idea, ogni convinzione, il mondo che credevo si è sgretolato come un castello di sabbia e mi è scivolato fra le dita, disperdendosi al vento nel momento i cui i nostri occhi si sono incontrati e lui è diventato il mio universo. -
Questa volta era stata l’espressione del cavaliere ad addolcirsi, regalandogli un raro sorriso.
-Prima di lasciarci -, aveva proseguito Jonghyun, - tra noi sono corse parole molte dure. Ho detto cose che non pensavo per proteggere me stesso ed i miei sentimenti. –
Poteva l’amore fare così male, generare ferite tanto crudeli sulla persona amata?
Siwon aveva annuito lasciando trapelare un pizzico di comprensione e lui aveva sospirato passandosi una mano tra i capelli.
-Gli ho dato un bacio che aveva sapore di un addio, credendo che lasciarlo andare significasse dargli la speranza di una felicità che con me non poteva avere. Ma mi sbagliavo. Io non so’ se da qualche parte nel mondo reale esiste uno spazio ed un tempo destinato ad essere nostro, non so’ se mi vorrà ancora, non so’ se pensa ancora a me o mi ha lasciato indietro come le foglie morte dell’autunno sulla superficie cristallina di un fiume. Io non so’ nulla, proprio come non mi è stata data la possibilità di conoscere la verità. Ma qualunque sia il nostro destino voglio saperlo in salvo, lontano da quelle ombre e da quelle paure silenziose che potevo solo leggergli negli occhi senza avere né la forza, né il coraggio di comprendere. Siwon, io devo sapere quanto è in pericolo. -
Il cavaliere non aveva risposto, si era limitato ad abbassare gli occhi e a stringere i pugni. C’era stata rabbia nel suo sguardo. Poi aveva parlato.
-Soul non è un luogo sicuro per lui. –
-Cosa vuoi dire? -
Tra loro era calato il silenzio e Jonghyun aveva capito che Siwon non avrebbe aggiunto altro. Ma a lui non era servito altro e l’aveva sempre saputo. Aveva dovuto crollare definitivamente, strisciare sul suo stesso corpo e vomitare l’odore rancido della sua stessa bile per rialzarsi in piedi ma, alla fine, l’aveva fatto. Non poteva rimanere al Rifugio perché il suo posto era al fianco del più piccolo e lo sapeva con certezza, perché quell’invisibile filo rosso che l’attirava verso l’altro da giorni lo strattonava con forza senza dargli stregua. Aveva raccolto i frammenti del suo cuore, uno ad uno, ed ora solo Kibum poteva aiutarlo a rimetterli insieme e lui avrebbe fatto lo stesso con quelli del più piccolo.
Ora, davanti alla foresta e alle colline che lo separavano da Soul, Jonghyun represse l’ennesimo brivido. I suoi nervi erano tesi come se si trovasse già a Soul all’imboccatura di un passaggio fetido e buoi, l’unico capace di ricondurlo dal suo Amore.
L’immagine del più piccolo emerse dal mare dei ricordi che aveva custodito in ampolla di vetro. Quegli occhi dal taglio felino sembravano chiamarlo, esercitando su di lui un potere magnetico da cui non aveva mai avuto scampo. Rivide Kibum tremate tra le fronde degli alberi, gli abiti fradici puntellati di petali rosati, il viso esangue e gli occhi lucidi come nere perle baciate dalla luna. Anche la sensazione di quell’ultimo bacio era ancora lì, indefinita e sublime come se appartenesse ad un universo alternativo. Non vi era altro modo per descriverla. Potevano i ricordi scaldare il cuore e allo stesso tempo lacerarlo?
Si chiese quante possibilità avessero i Ribelli, il principe ma, soprattutto, quante ne avessero lui e Kibum. Se anche fosse giunto alla fine di un tunnel senza fondo avrebbe potuto riabbracciarlo o sarebbe stato solo una visione bellissima destinata a sfuggirgli dalle dita?
La verità era che aveva ancora paura, perché volente o nolente il futuro appariva incerto ed avvolto dalla nebbia. Kibum era e rimaneva un principe e se avessero avuto successo si sarebbe ripreso il trono per regnare su Chosun.
Se anche usciremo vivi da tutto questo cosa sarò io per te? Cosa ne sarà di noi?
Per la prima volta quei pensieri si fecero strada nella sua mente gettandolo nella più completa confusione e provò un senso di vertigini. Gli sembrava di nuotare nel bel mezzo in un mare profondo senza vedere alcuna riva, mentre sopra di lui le nubi grigie e gravide di tempesta s’addensano. Dopotutto il suo orizzonte non era perso, la sua orbita naufragata facendolo sprofondare in un buco nero? Tutto ciò che poteva fare e dibattersi tra i flutti nella speranza di raggiugere l’unico misero scoglio che spuntava dall’informe massa d’acqua, tuttavia più si avvicinava ad esso più i viscidi tentacoli del mare lo erodevano pezzo dopo pezzo. Vedeva un puntino luminoso alla fine del quel buco nero disperso in un universo ormai vuoto e freddo, ma promettesse quella flebile luce era impossibile dirlo con certezza.
Prese un bel respiro.
Forse non ci sarebbe stato più spazio per loro, i sentimenti che nutrivano l’uno per l’altro non sarebbero stati in grado di trascinare quel sogno splendido nel mondo reale, ma in quel momento non aveva importanza. Kibum era tutto ciò che contava. Sempre.
Non aveva idea di quello che avrebbe fatto una volta giunto a Soul, l’unica cosa chiara era che intendeva proteggerlo e vegliare su di lui sino all’arrivo degli altri. Come non lo sapeva.
Ma il mio posto è lì con te, anche se sarò un’ombra. Io ti proteggerò anche a costo del mio sangue.
Jonghyun alzò il capo e come la notte precedente guardò il cielo. Questa volta non vi erano stelle a rischiararlo, ma solo una luna opaca e giallognola. La foresta davanti a lui era avvolta nella completa oscurità. Lo sciabordio del fiume gli riempiva le orecchie e l’umidità che s’alzava dalla vegetazione era appiccicosa ed aveva un odore pungente.
Strinse con forza le redini del cavallo e gli diede un colpo di tacchi.
 
 
 
 
 
Eccomi di nuovo! Spero che il capitolo vi siamo piaciuto^^, per quanto mi riguarda sono felice di essermene liberata. La sua stesura mi ha dato diversi problemi, non tanto perché sia un capitolo complicato, tutt’altro, ma non riesce a soddisfarmi T.T Nonostante le continue riletture non sono riuscita né ad aggiungere particolari, né a cambiare qualcosa…quindi ad un certo punto mi sono arresa, anche perché ho iniziato ad odiarlo e quando si arriva a questo punto vuole dire che si è al limite.


Tanto per cambiare la scimmia cappuccina si prepara a fare danni…qualcuno ha aperto il serraglio, ora vedremo cosa combinerà!

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Siamo davvero agli sgoccioli e dal prossimo scoppierà l’incendio, letteralmente…

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Dato che avete un pò di tempo vi consiglio d'iniziare ad allenarvi a strapparvi i capelli, ne avrete bisogno...

 
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PICCOLO AVVISO io partirò il 22 di questo mese e tornerò il 5 del prossimo, dunque va da sé che non riuscirò né a scrivere, né tanto meno a pubblicare il prossimo capitolo sino intorno alla metà di agosto. Pazientate ^^, nel frattempo vi auguro buone vacanze c<3
 
 
Come sempre vi chiedo gentilmente di dedicare due minuti del vostro tempo per lasciarmi un commentino ^^, per me la vostra opinione è sempre importante ed ora che ci avviciniamo alla fine ho maggiormente bisogno del vostro sostegno per essere carica al massimo!

 
Dato che non ci “vedremo” per un po' e oggi mi sento abbastanza buona, vi lascio con una piccola anticipazione…
 
“Quegli specchi d’acqua sorgiva in cui si tuffavano le luci della notte erano di nuovo lì, davanti a lui, e lo fissavano increduli come si fa con l’immagine residua di un sogno.”
Capitolo 38. Get the treasure
 
Alla prossima! Image and video hosting by TinyPic

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Capitolo 39
*** Capitolo 38. Get the treasure (parte I) ***


Ciao a tutti! Sono in clamoroso ritardo, lo so, a mia discolpa posso dire che vi avevo avvisati XD quindi sono perdonata? Spero che mi perdonerete una volta giunti alla fine di questo lungo capitolo ^^
Ringrazio chi ha inserito la storia tra le preferite, ricordate, seguite e ovviamente tutti i lettori.
Un grazie particolare a chi mi ha lasciato i suoi commenti: Blugioiel, Chocolat95, DreamsCatcher, Ghira_, Gonzy_10, Ichabod_Crane, Jae_Hwa, KimJonghyun23, MagicaAli, Panda_murderess, Saranghae_JongKey e vanefreya.
Ringrazio anche chi mi ha inserita tra gli autori preferiti: Blugioiel, Jae_Hwa,  MagicaAli e SHINee4ever  *.*
Grazie per il vostro sostegno ^^
Spero di non aver lasciato troppi errori di battitura. XD
Buona lettura!
 
 
Capitolo 38
Get the treasure (parte I)
 
 
“We don’t have time to hesitate no no
When we shine, it’s over, time is money
After all, life is just a mirage
But love is the only thing, that doesn’t surrender
The treasure sleeps behind the cellar’s door
The final security, is unlocked in an instant
The darkness that shines in the cat’s eye
That eye is just for me.”
Shinee, Get the treasure
 
“No matter how brightly the stars shine
Reminded of you, I am only pained
If all things beautiful were to disappear
Would I be able to forget.
On the morning when the moon dims I set off
Even if the birds’ songs brush against my ears
See I still remain trapped here by my love for you.”
Taemin, Flame of Love
 
 
 
La luce rosata del primo mattino sfumava in una tenera tonalità violetta sui tendaggi bianchi e sottili del baldacchino. Le lenzuola di seta pregiata giacevano sfatte come se tra di esse vi si fosse consumata una battaglia, lo stesso disordine regnava sui tappeti cosparsi di cuscini e gli abiti abbandonati su poltrone e divani.
Semi sdraiato sull’alto materasso e vestito di una semplice camicia di cotone e dei pantaloni scarlatti, Heechul sogghignò osservando con soddisfazione non solo il disordine all’intorno, testimone silente di una notte passionale, ma anche quello sulla scacchiera davanti a lui, quanto meno dal lato del campo del suo avversario. Le pedine d’avorio di Kibum sembravano in estrema difficoltà, mentre le sue, di nera ossidiana, avanzavano facendo strage di pedoni, alfieri e cavalli. Heechul si sfregò il mento con l’indice, meditando le prossime mosse per giungere allo scacco matto; se Kibum avesse continuava a giocare in quel modo incauto non sarebbe stato difficile. Fece scivolare gli occhi oltre la scacchiera per incontrare la figura aggraziata del principe ed il suo senso di soddisfazione aumentò. Kibum era sdraiato a pancia in giù, indossava una lunga camicia di cotone e le gambe nude dondolavano seguendo un ritmo silenzioso che doveva risuonare unicamente nella sua testolina. Heechul osservò il viso concentrato dell’altro posato sul palmo di una mano, mentre l’altra ondeggiava a mezz’aria alla ricerca della pedina giusta da spostare. Kibum arricciò le labbra a cuore e Heechul si umettò le proprie. La immagini di quelle ultime notti, e non solo, che avevano passato insieme fluttuavano sfuocate nella sua mente, circondate da un alone di luce dorata ed incandescente. Possedere il corpo del più piccolo era esattamente come aveva sempre sognato. Sublime. Inebriate sia per la mente, sia per i sensi. Subito fu attraversato da una serie di brividi caldi e s’impose di distogliere lo sguardo per tornare a concentrarsi sulla partita che, allo stato attuale, sembrava prevedere lui come vincitore indiscusso.
La mano di Kibum ondeggiò ancora qualche secondo, poi spostò un cavallo e si coprì la bocca per celare uno sbadiglio. Heechul assottigliò gli occhi ed inarcò un sopracciglio.
-Sul serio, Bum, hai aspettato tutto questo tempo per fare una mossa tanto sciocca? –
Kibum sbuffò sonoramente dando sfogo a tutta la noia che in quel momento l’affliggeva. Heechul roteò gli occhi.
-Credevo di averti insegnato a giocare decentemente a scacchi molto tempo fa. –
Kibum lo guardò di sottecchi.
-Tu sei più bravo -, miagolò in tono lamentoso.
Il principe sapeva bene che i modi migliori per quietare Heechul erano le lusinghe, le fusa ed i baci, tutte tecniche che aveva affinato ad arte.
-E tu sei distratto. –
Senza esitare, Heechul spostò un alfiere, mangiò un pedone e lo fece oscillare davanti al naso del più piccolo.
-Ti ho mangiato un pedone -, disse per rimarcare. –In realtà ti ho mangiato ben sei pedine, mentre tu meno della metà. –
Kibum si stiracchiò e rotolò sul materasso per raggiungere un vassoio d’argento pieno di dolcetti.
-A me non interessa mangiare le tu pedine -, disse infilandosi in bocca un bignè alla crema.
Heechul sogghignò. –Naturalmente tu preferisci mangiare altro. –
Kibum si sedette sulle ginocchia e si ripulì le mani dalle tracce lasciate dalla crema, proprio come un micio si occupa della pulizia delle proprie zampette morbide. Sbirciò di sottecchi il viso improvvisamente cupo dell’altro e si rabbuiò a sua volta. L’espressione meditabonda di Heechul non andava affatto bene, non solo poteva essere rischiosa, ma ciò stava anche a significare che i suoi continui sforzi stavano dando ben pochi frutti. La distrazione che stava fornendo al più grande era puramente momentanea e Kibum se ne accorgeva ogni ora di più. Aveva fatto di tutto per attirare su di sé tutta l’attenzione di Heechul, eppure l’aveva udito con le sue stesse orecchie impartire ordini irritati a Kyuhyun e lamentarsi con Yesung. Tutto a causa di Jonghyun. Più si avvicinava il giorno dell’incoronazione, più Heechul sembrava ansioso in quel senso e quello che inizialmente aveva considerato come un piccolo ed irritante neo, ora si era straformato in una macchia terribile. Ormai in possesso di tutto ciò che desiderava, o ad un misero passo dall’ottenerlo, quell’unico problema gli appariva sin troppo vistoso.
Come il suo merletto, pensò Kibum arricciando il naso.
-Devo estirpare questo problema alla radice -, l’aveva udito sibilare tra i denti rivolto a Yesung.
Kibum era spaventato, un fascio di nervi ed ansia che s’allentava solo quando si ritrovava da solo con Heechul. In quei momenti non poteva fare altro che staccare la spina ed assecondare i desideri del più grande, o giocare con lui, per il resto rimaneva in attesa come il navigante solitario che, nel bel mezzo di una tempesta, prega di raggiungere presto un porto sicuro.
Lo sguardo di Heechul era corrucciato. Stava pensando e lo stava facendo con troppa intensità, qualcosa che Kibum non gli poteva assolutamente permettere.
Il principe gattonò verso il più grande.
-Chulll –, gli miagolò dritto in viso.
Heechul sembrò ignorarlo e Kibum si mordicchiò il labbro inferiore, preoccupato. Non andava affatto bene. Scivolò dietro la schiena dell’altro, posò le mani sottili sulle spalle di Heechul, gli fece le fusa sul collo con la punta del naso e soffiò piano.
-C’è qualcosa che ti preoccupa? – domandò, fingendo ingenuità.
-No. –
La risposta del più grande risuonò distante, atona e sfuggevole quanto lo stesso sguardo di Heechul perso nell’oscillare delle tende che dipingevano ombre sul suo viso.
Kibum gli strinse le braccia intorno al collo e aumentò le fusa d’intensità, poi baciò una guancia del più grande.
-Sembri…teso -, disse.
Quello davvero teso era lui, Kibum. Giocare con Heechul era davvero come giocare con il fuoco: pericoloso ed imprevedibile.
Heechul inclinò lo sguardo su di lui ed inarcò il lato destro delle labbra carnose in un sorriso mellifluo, Kibum lo fissò a sua volta da sotto le ciglia.
-Nulla di cui un dolce micetto come te debba preoccuparsi – disse il più grande.
Kibum simulò un sorriso. Lui era molto preoccupato. Il tempo incalzava e se nelle ultime settimane era stato teso, ora il tempo gli pareva cristallizzato in un eterno incubo pronto a scorrere veloce solo quando la sua bolla s’infrangeva. Il principe stropicciò le mani sulle spalle del più grande, mentre questi gli cingeva i fianchi per trascinarlo sulle sue cosce.
-Qualunque cosa ti stia affliggendo, non ne hai motivo -, disse Kibum prendendogli il viso tra le mani e costringendo Heechul a guardarlo dritto negli occhi.
Desiderava che le sue parole scivolassero nella mente del più grande come una linfa tanto dolce quanto pericolosa.
-Noi abbiamo tutto ciò che desideriamo, siamo ciò che tutti vorrebbero essere. Nessun pensiero inutile dovrebbe affliggerci, ciò che sta oltre queste mura è niente. Noi siamo tutto e tu hai tutto ciò che vuoi e che ti spetta. –
Sorrise.
– Me -, sussurrò con una punta d’orgoglio. – E presto Chosun. -
Non era forse tutto questo che Heechul pensava e desiderava sentirsi dire, che rimarcava costantemente tra loro e palesava davanti alla corte?
Kibum intendeva assuefarlo con il suo stesso dolce veleno.
L’unica cosa di cui davvero dovresti preoccuparti, ora, sono io. Per quanto tu abbia apparentemente il pieno controllo della situazione il vero gioco sono io a condurlo.
Come a confermare i suoi stessi pensieri Kibum lo baciò lentamente, poi lasciò che l’altro prendesse il controllo e lo spingesse tra i cuscini. Sopra d lui, Heechul sorrise soddisfatto.
-Rammentami quando abbiamo iniziato a litigare? –
Kibum fece spallucce ed abbassò lo sguardo.
-Uhm -, fece pensoso.
Oh, lui rammentava molto bene. Aveva udito discorsi che l’aveva ferito molto, forse Heechul non ne aveva alcuna memoria, ma lui vi aveva rimuginato parecchio prima di rassegnarsi totalmente al fatto di aver perso Chul per sempre.
Senza riflettere allungò una mano verso il capo di Heechul, affondando le dita sottili nella chioma castana del più grande. Per quanto tempo aveva sperato di sbagliarsi, di ritrovare un giorno l’affetto di un tempo e lasciarsi alle spalle la paura, la rabbia, il disgusto per gli sguardi dell’altro ed il senso d’umiliazione? Innumerevoli. Per anni aveva cercato un fantasma dissoltosi nella notte. Anche in quelle settimane una parte di lui aveva cercato e sperato invano, ma ormai lo sapeva da tempo che era tutto perduto. Heechul lo era. Loro. L’ultimo sprazzo di affetto sincero era tornato in superfice di fronte alla tomba bianca di sua madre per poi svanire. Una luce fugace spentasi definitivamente. Aveva già pianto per questo e ora come ora sentiva di non avere più lacrime da versare. Ne aveva già fatte scorrere a fiumi in passato.
Guardò il viso di Heechul sopra di lui. Un cuore gelido, animato da occhi incandescenti. Il più grande lo scrutò, desideroso, e Kibum sorrise amaro dentro di sé, mentre sul suo viso mostrava un sorriso zuccherino.
-Non ricordo - disse evasivo.
Da quando hai barattato il tuo affetto per me per la mera ambizione ed il semplice desiderio di avermi.
Kibum sospirò. Era ridicolo, dopo anni riusciva ancora a provare dolore per quello!
Dovrei cancellarlo come lui ha cancellato il suo affetto sincero per me.
Heechul sogghignò. – Quanto tempo sprecato. Sia cosa vorrei mangiare al posto delle tue sciocche pedine? Te. –
Baciò il più piccolo con foga facendo scorrere le mani lungo il suo corpo ed accarezzandogli le cosce. A Kibum sfuggì un lamento tra le labbra dell’altro quando Heechul si pesò totalmente su di lui.
-Ti voglio – gli sussurrò Heechul all’orecchio. –E’ un peccato che ora non abbia proprio il tempo di rimanere qui a giocare. –
Heechul si staccò e scese dal letto.
Kibum si mise a sedere passandosi una mano tra i capelli corvini e tirò tra sé un sospiro di sollievo.
-Devi vedere il consiglio reale? –
Heechul s’infilò la giacca di seta rossa. –Naturalmente. –
-Non credi che dovrei partecipare anche io? –
Heechul rise, come se il principe avesse appena detto qualcosa di molto divertente.
Per non dire assurdo, osservò Kibum.
-E perché mai? –
-Beh, sono il principe - disse Kibum, sfoderando l’espressione più innocente ed ingenua che aveva nel repertorio.
-Esattamente. Non mi pare che tu abbia un posto nel consiglio reale, tuo padre…-
-L’imperatore è morto -, disse Kibum, questa volta con durezza. Le mani del principe strinsero le lenzuola.
Sono io l’erede al torno.
-Sei stato tu ad eliminare questo…ostacolo. Per noi. –
Per te, pensò.
Heechul lo studiò per qualche secondo. Era ovvio che non si aspettava una domanda simile, d’altra parte nemmeno Kibum sapeva con certezza come fosse improvvisamente sorta nella sua mente, se ne era reso conto solo quando aveva udito la sua stessa voce pronunciarla. Forse era semplicemente la manifestazione inconscia del suo desiderio di tastare il terreno in ogni direzione.
-Quando sarai incoronato e noi due uniti potrai presiedere tutti i consigli che desidererai. –
Il ragionamento di Heechul non faceva una piega. Il precedente imperatore l’aveva sempre tenuto alla larga dagli affari di stato, incamerando per sé, un reggente usurpatore, tutto il potere, di conseguenza fintanto che in linea ufficiale il suo titolo rimaneva quello di principe non aveva alcuna possibilità di prendere parte al consiglio.
A quel punto legato a te potrai avermi totalmente al guinzaglio per farmi fare la parte della bella statuina ed assecondare ogni tua pretesa. Rifletté Kibum.
Heechul tornò verso di lui, gli prese il mento con una mano e gli schioccò un bacio sulle labbra.
-Questo pomeriggio discuteremo i dettagli della cerimonia. –
Kibum sorrise. – Non vedo l’ora. –
Il più grande lanciò un’occhiata fugace alla scacchiera.
-Il tuo lato del campo è un disastro. –
Rimasto solo, Kibum sbuffò e si gettò tra i cuscini aprendo le braccia, chiuse gli occhi e respirò piano portandosi una mano al petto. Il suo cuore stava riprendendo un battito regolare.
Ormai mancava una settimana alla sua “data di scadenza”, Siwon doveva aver raggiunto i Ribelli da un pezzo e probabilmente Jinki e gli altri erano pronti a far scattare il piano. Rotolò su un fianco. Poteva essere ad un soffio dalla salvezza o ad un soffio dal disastro.
In ogni caso se le cose non vanno come spero dovrò rivedere drasticamente la mia strategia. Sarò legato a Heechul e non sarà facile gestire la cosa dato che potrà percepire chiaramente l’odio e la rabbia che provo nei suoi confronti.
Kibum si mordicchiò nervosamente un labbro.
Le sue doti recitative, i sorrisi falsi e le moine sarebbero serviti a ben poco.
Fece scivolare lo sguardo sulla scacchiera. Il sul lato era davvero sguarnito, tuttavia si ritrovò a sorridere. Allungò un braccio verso il tavolo da gioco e spostò il suo ultimo alfiere d’avorio.
-Scacco matto. –
Il re nero di Heechul rotolò silenziosamente sulle coperte sfatte.
 
 
 
***
 
 
Il ricordo della mattinata passata a pulire le latrine del palazzo reale era ancora vivida nella sua mente quanto nel suo naso. Nonostante fosse alle prese da ore nelle cucine con piatti e pentole sporche, quell’odore nauseabondo di fogna aveva deciso di non staccarsi dalle sue narici. Più volte era stato costretto a ricacciare indietro conati di vomito. Non poteva di certo dare di stomaco su tutte quelle pentole da lavare! Certo, il massimo della sfortuna sarebbe stato quello di riversare il contenuto del proprio stomaco su quelle già pulite. Difficile, dato che le aveva accuratamente riposte in un angolo, ma data la sfortuna che lo perseguitava da una vita, e che in quei giorni aveva deciso di dare il meglio di sé a suo discapito, beh, non si poteva mai sapere.
La manica della camicia macchiata di unto gli cadde lungo il dorso della mano e, senza smettere di sfregare il pentolone su cui stava lavorando, la tirò sino al gomito con i denti, poi si passò l’avambraccio sulla fronte.
Da quanto era arrivato a Soul pochi giorni addietro, Kim Jonghyun non poteva di certo dire di essere stato fortunato. Anche se all’inizio aveva osservato euforico e carico d’aspettativa le porte del palazzo reale aprirsi davanti a lui, dal momento in cui vi aveva messo piede non era riuscito a concludere molto. Anzi, a dirla tutta non aveva concluso proprio niente.
Jonghyun corrugò la fronte e sfregò con astio crescente il fondo della pentola, ripulì la spugna, strizzò uno straccio e si rimise al lavoro.
Giunto a Soul aveva interrogato sé stesso su come entrare indisturbato nel palazzo reale e più volte aveva fatto la ronda intorno alle mura. Doveva riuscire a mettervi piede e passare inosservato, ma allo stesso tempo avere una certa libertà di movimento per rintracciare Kibum e tenerlo d’occhio sino all’arrivo dei rinforzi. A tali condizioni e con tali prospettive entrare a far parte della servitù gli era parsa la soluzione migliore e ottenere un posto non era stato difficile. Sembrava che con l’avvicinarsi dell’incoronazione fossero alla disperata ricerca di personale aggiunto.
Ad accoglierlo era stata la capo cuoca, una donna grassoccia con un’orrenda cuffietta di pizzo e dall’aria estremante autoritaria.
-Hai idea del lavoro che c’è da fare, qui? No, eh?! Siete tutti dei perdigiorno -, aveva detto la donna facendo oscillare il suo enorme cucchiaio di legno. Era la sua arma preferita e la usava saltuariamente sui servitori più pigri. Inutile dire che lui, Jonghyun, aveva già collezionato una serie di bernoccoli non indifferente.
-Ma ora ti darò io qualcosa da fare! –
A Jonghyun era sembrata pronta a spedirlo sul primo campo di battaglia disponibile.
Tuttavia era lì da quasi una settimana e di Kibum nemmeno l’ombra. Jonghyun aveva scoperto nel giro di poche ore che anche all’interno della servitù esisteva una rigida gerarchia e guarda caso lui si trovava alla base della piramide sociale. Dunque, nessuna prospettiva di avvicinarsi agli appartamenti reali per svolgervi anche la più sciocca delle incombenze. No, per Kim Jonghyun solo latrine e piatti sporchi.
La mia unica possibilità è sperare in una promozione immediata.
Jonghyun ringhiò tra sé, frustrato.
Ovviamente avevo sfruttato le poche ore di libertà per aggirarsi nei corridoi dei piani superiori alla ricerca di Kibum, ma era stato tutto inutile. Il palazzo era immenso e lui non aveva la più pallida idea di dove andare a sbattere la testa, l’unica volta in cui aveva tentato d’informarsi sulla collocazione degli appartamenti reali era stato prima ignorato dalle cameriere e poi guardato in malo modo dalla capo cuoca. La donna, che sembrava considerassi la regina indiscussa della cucina, aveva agitato il cucchiaio di legno come se fosse stato uno scettro e l’aveva squadrato da capo a piedi.
Oh e naturalmente era stato beccato dove non avrebbe dovuto ed era stato punito! La ruota della fortuna stava sì girando nella sua direzione, ma con il chiaro intento di schiacciarlo, Jonghyun non aveva dubbi in proposito.
Insomma, il suo piano si stava rivelando un totale fallimento. Di quel passo gli altri sarebbero arrivati a Soul prima che lui riuscisse a fare alcunché.
Kibum, pensò avvertendo un gruppo allo stomaco.
Jonghyun guardò avvilito la montagna di stoviglie che lo sovrastava.
Il più piccolo era lì da qualche parte nel palazzo, eppure distante anni luce. Poteva essere in pericolo o spaventato e lui, Jonghyun, non poteva fare nulla per aiutarlo. Accorciare le distanze fisiche tra loro non era servito. Di notte si rigirava nel suo giaciglio, impossibilitato a prendere sonno, domandandosi dove si trovasse il più piccolo e cosa stesse facendo, se dormisse sonni tranquilli o agitati. Aveva freddo, mangiava abbastanza? Nutriva ancora speranze o le aveva abbandonate? Lo amava ancora?
Si morse nervosamente il labbro, prese una nuova pentola e tornò a sfregare con insistenza.
Aveva sentito parecchie chiacchere in giro. Le cameriere in livrea addette agli appartamenti reali erano delle gran pettegole e non perdevano occasione per raccontare in giro ciò che vedevano e sentivano.
Galline, pensava Jonghyun ogni volta.
A detta di quelle sciocche rapaci merlettate, che credevano di appartenere ad una sorta di nobiltà all’interno della servitù, il principe Kibum ed il suo promesso erano una coppia molto affiatata. Dalle loro risatine Jonghyun aveva capito perfettamente con cosa intendessero per “affiatata”.
Jonghyun aveva due sole parole per definire il suo stato d’animo. Confusione e rabbia. Confusione perché non sapeva quanto quelle voci fossero vere, rabbia perché quel tizio sconosciuto che mirava al trono aveva probabilmente messo le mani addosso a Kibum. Rammentava molto bene la timidezza, l’insicurezza del più piccolo e quanto avesse faticato ad aprirsi anche con lui. Solo immaginare Kibum tra le braccia di un altro, per di più contro la sua volontà, gli faceva ribollire il sangue nelle vene.
Le sue mani si strinsero d’istinto sul bordo della pentola, intorno alla spugna e le sue nocche sbiancarono.
Il pensiero che Key potesse essere stato ferito lo turbava nell’intimo e risvegliava i suoi istinti peggiori. Inoltre si domandava con costante apprensione quello che poteva essere lo stato d’animo del più piccolo? Era scosso o forse aveva infine deciso di voltare pagina ed abbandonare il piano? Jonghyun passava la metà del suo tempo a convincersi di una versione, per poi fare lo stesso con l’altra. Di norma era la notte a generare nella sua mente i pensieri più cupi, mentre al mattino sotto la luce del sole tutto sembrava prendere un’altra forma. No, si ripeteva, già una volta aveva fatto l’errore di dubitare di Kibum ed aveva visto com’era finita. Non doveva lasciarsi dominare dalla paura e dall’incertezza. Kibum era solo e in pericolo, in balia del lord di Busan e lui era disposto a tutto pur di proteggerlo.
Il chiacchiericcio di un gruppetto di cameriere in livrea attirò la sua attenzione e di fronte alle loro risatine roteò gli occhi. Eccole che spettegolavano di nuovo!
Galline!, imprecò tra sé con stizza.
Decise di tapparsi le orecchie e l’avrebbe fatto più che volentieri se gli ordini sbrigativi della capo cuoca non avessero attirato la sua attenzione.
-Minsik ha l’influenza – disse sottolineando le sue parole con un agitarsi minaccioso del cucchiaio.
Le cameriere emisero dei gridolini disgustati.
Jonghyun roteò gli occhi.
-E sua grazia attende il suo tè pomeridiano, qualcuno deve consegnarlo al suo posto. –
Le cameriere iniziarono a lamentarsi. Sembravano sempre pronte a vantarsi del fatto di avere accesso agli appartamenti reali, ma non appena qualcuno cercava di rifilare loro delle incombenze supplementari tagliavano la corda.
Jonghyun scosse il capo e prese una nuova pentola. Stava per riprendere il proprio ingrato lavoro quando gli si accese una luce nella mente.
Sua grazia, il tè pomeridiano. Kibum!
Era la sua occasione per mettere il naso dove non avrebbe dovuto e difficilmente ne avrebbe avute altre!
-Vado io!  -gridò.
La capo cuoca si voltò verso di lui con una lentezza quasi snervante. Jonghyun deglutì, mentre la donna lo squadrava come si fa con un arrosto poco cotto.
-Tu? –
La donna inarcò un sopracciglio, per fortuna il suo cucchiaio riposava quieto lungo il suo fianco tondeggiante.
Jonghyun annuì con vigore. Si sarebbe messo a saltellare su una gamba pur di convincerla.
Alla fine la donna sospirò come se non avesse altra scelta. – E va bene, ma…-
Jonghyun abbandonò la pentola che cadde a terra producendo un fastidioso clangore metallico e s’appropriò subito del carrello dorato su cui era stato disposto tutto l’occorrente per l’ora del tè. Stava per precipitarsi fuori dalle cucine con esso quanto un colpo in testa troncò sul nascere la sua corsa.
-Yah, fermo. Dove pensi di andare conciato così? –
Jonghyun abbassò gli occhi per guardare i suoi abiti. Erano un disastro; bagnatici e sporchi di unto, una vera e propria macchia di sporco deambulante che indubbiamente avrebbe stonato con la tappezzeria raffinata dei piani superiori.
La donna sospirò rassegnata e agitò il cucchiaio a vuoto.
-Procurati una livrea pulita, non puoi pensare di andartene in giro in quel modo negli appartamenti di sua grazia. –
Jonghyun non se lo fece ripetere due volte.
-Ora ascoltami bene e cerca di non combinare guai, intesi? Ci sono delle regole molte severe e precise se vuoi portare a termine egregiamente questo compito di estrema importanza. –
A quel punto la donna sciorinò una serie di istruzioni assurde. Jonghyun ascoltò annuendo ad ogni parola, ma comprendendone la metà. Era troppo agitato per prestare seriamente attenzione, la sua mente vagava altrove in un accavallarsi di pensieri, preoccupazioni e puri momenti di euforia che morivano sul nascere per lasciargli solo un senso adrenalinico di agitazione.
 Non appena si ritrovò a percorrere i corridoi si rese conto di aver dimenticato ogni cosa, comprese le istruzioni per raggiungere gli appartamenti.
Iniziò ad imprecare tra sé. Non andava affatto bene!
La mia stupida testa vuota!, pensò con rabbia.
Quando finalmente raggiunse la sua destinazione, dopo aver girovagato un bel po' ed aver posto domande imbarazzanti a qualunque servitore incontrasse sul proprio cammino, boccheggiò.
Jonghyun alzò lo sguardo sulla porta di legno bianca solcata da un tripudio di girali laccati d’oro ed i suoi occhi si soffermarono sul pomello dorato a forma di rosa come se fosse un serpente a sonagli. Deglutì. La felicità che lo animava al pensiero di rivedere il più piccolo si scontrava con la paura di ciò che avrebbe potuto trovare una volta varcata quella soglia.
Abbassò il suo sguardo sul carrello controllando che fosse tutto in ordine e cercò di ricordare le istruzioni ricevute, ma nella sua mente apparivano come una pagina bianca.
Sbuffò.
Vista la sua fortuna sarebbe indubbiamente finito col fare danni.
Doveva bussare o entrare silenziosamente senza disturbare? Parlare o aprire bocca solo se interpellato? Guardare sua grazia negli occhi o evitarlo?
No, meglio evitare o quegli occhi felini mi condurranno alla follia!, pensò.
E le zollette di zucchero, doveva essere lui a metterle o no?
Alla fine prese un bel respiro ed afferrò il pomello.
L’ambiente che s’aprì davanti suoi occhi superava di gran lunga il suo concetto di lusso ed eleganza. Il salotto privato del principe era un’ampia sala rettangolare, le pareti dipinte di turchese erano animate da bianchi stucchi impreziositi da foglie d’oro bianco e giallo, tre finestre ad arco erano drappeggiate da tende di candida seta, i mobili erano d’oro, marmo, pietre dure e madreperla, mentre un grande lampadario di cristallo pendeva al centro di essa. I riflessi della luce sui materiali preziosi era stordente e tutto sembrava avvolto da un pulviscolo dorato.
Jonghyun abbassò gli occhi d’istinto, per poi rialzarli pian piano sbattendo le palpebre.
Il principe Kibum ed il so promesso erano seduti su un lungo divano foderato di seta blu e sembrano coinvolti in una piacevole conversazione. Davanti a loro un basso tavolino intarsiato di madreperla appariva miseramente vuoto in confronto allo sfarzo all’intorno e attendeva solo di accogliere su di esso il tè dei lord.
Jonghyun s’impose di tenere gli occhi bassi e a non posarli sul più piccolo, troppo timoroso di palesare i suoi sentimenti e tradire uno dei due, nonostante desiderasse abbracciare Key e annusare di nuovo il suo profumo.
Mosse un primo passo incerto sul pavimento di marmo ed ebbe l’impressione di camminare su una lastra di ghiaccio. Si fermò a pochi passi dal tavolino in madreperla senza che i due lo degnassero di uno sguardo o considerassero minimamente la sua presenza e Jonghyun assottigliò le labbra avvertendo il gelo invadergli le vene.
Cercò di concentrare la propria attenzione sulle teiere, le tazzine, i dolci e tutto l’occorrente che doveva disporre accuratamente sul tavolo, seguendo istruzioni che aveva totalmente dimenticato; tuttavia prima che se ne rendesse conto i suoi occhi si erano già posati sui due.
Il principe indossava un semplice completo di seta blu con poche decorazioni in filigrana d’argento, le gambe accavallate dondolavano appena, nervose od eccitate quanto la coda di un felino. Le sue mani adorne di sottili fasce di bianco oro parvero a Jonghyun ancora più aggraziate e sottili, tuttavia il loro posarsi sul viso dell’altro lo costrinsero a reprimere un ringhio. Il lord di Busan risultava altrettanto elegante nel suo completo in rossa seta, tuttavia il raffinato merletto che ne adornava i polsi ed il collo ostentava gusti più appariscenti. A dispetto dell’idea che si era fatto, Jonghyun constatò che era molto più giovane di quanto avesse immaginato. Quanti anni poteva avere, forse cinque o sei in più di lui? Indubbiamente era un giovane uomo attraente dagli occhi scuri, furbi, e la chioma dei colori del cioccolato. Intorno a lui aleggiava uno strano ed innaturale calore.
Jonghyun provò un fastidioso senso d’imbarazzo ed inadeguatezza. Si sentì irrimediabilmente piccolo e misero e davanti a quelle figure perfette la distanza che percepiva tra lui e Kibum assunse le sembianze di un profondo abisso pronto a risucchiarlo. Le sue mani tremarono e la fine ceramica sul carrello tintinnò, un suono lieve che gli altri due non notaro o ignorarono volutamente. Sembrava che nulla potesse toccarli, tutto scivolare sui loro lucidi abiti di seta come acqua di sorgente. Un altro mondo la cui semplice indifferenza creava un barriere trasparente ma invalicabile tra loro e Jonghyun, e lui la percepì intorno a sé come se osservasse ogni cosa attraverso una finestra di cristallo. Sottile, ma tagliante.
-Voglio che sia tutto perfetto – sentì risuonare la voce di Key.
Un sorriso triste attraversò le labbra carnose di Jonghyun.
 Il lord id Busan rise, una risata che Jonghyun trovò esternamente fastidiosa.
-Dunque vuoi fare una cerimonia in grande, dico bene? –
Anche la sua voce compiaciuta era irritante!
Kibum annuì e si sporse verso il suo promesso posandogli un bacio sulle labbra. Jonghyun fremette.
-Aspettiamo questo momento da una vita, Chul, ci è stato promesso, è nostro. Trovi così strano che io voglia fare le cose in grande? Non vedo l’ora. –
Il lord di Busan appoggiò la schiena alla testata del divano e sogghignò divertito.
-Il mio astuto micetto, tu non stai nella pelle all’idea di prenderti gioco di Nihon e mostrargli la forza di Chosun con Soul unita a Busan. –
Questa volta fu Kibum a sorridere, uno di quei sorrisi che più volte avevano fatto rabbrividire Jonghyun. Di norma significavano guai.
-E’ indubbiamente un’ottima occasione. Il lusso, Chul, può essere un perfetto specchio per allodole. Spero che le loro ali da avvoltoi siano abbastanza forti, perché dovranno girarci in circolo molto a lungo prima di piombare su di noi. –
Il principe sorrise arricciando le labbra a cuore e rivolse uno sguardo soddisfatto al suo promesso.
-A dirla tutta, spero che cadano sfiniti come polli. –
-Tesoro mio -, disse il lord di Busan, - i polli non volano. –
-Oh lo so, Chul, però credono di poterlo fare. -
-Tu lo sai, vero, che ti trovo assolutamente irresistibile quando fai così? –
Kibum scambiò le gambe accavallate, puntellò un gomito sul ginocchio e posò il mento sul palmo della mano. Sorrise come chi ha appena visto una tigre mettere una zampa in fallo.
-Potrei averlo intuito. E naturalmente Yesung riferirà tutto una volta tornato da quegli avvoltoi, in qualità di testimone avrà una visione privilegiata. –
Kibum si picchiettò un indice sulle labbra a cuore. –Sempre che tutta quella profusione di cristalli che desidero far pendere dal soffio non lo stordisca. A proposito, lui dov’è?–
-Ci raggiungerà a breve, pensavo di passare un po' di tempo da soli. –
La mano del lord s’allungò verso il più piccolo per accarezzargli il viso e Jonghyun ebbe l’impressione di percepire un brivido attraversare la schiena di Kibum.
Era paura o si trattava di qualcos’altro?
-Abbiamo qualcosa in sospeso. -
-Intendi la partita a scacchi? – fece Kibum corrugando la fronte. –Temo di aver risposto la tavola da gioco…-
-Lo sai che non mi riferisco alla partita a scacchi -, disse il lord.
Jonghyun l’osservò reclinare il capo e sporsi verso l’orecchio del principe.
-Stavamo facendo qualcosa di molto meno noioso. –
Il lord di Busan attirò il più piccolo a sé per baciarlo ed il principe mugugnò prima di lasciarsi andare tra le braccia dell’altro.
Il viso di Jonghyun divenne paonazzo ed i suoi muscoli s’irrigidirono. Osservò quel perfetto ed irritante sconosciuto tormentare le labbra del suo Key con un bacio indubbiamente intenso e stringerlo a sé in modo possessivo. Jonghyun l’odiò con tutto sé stesso, non solo per le sue labbra e le sue mani su Kibum, ciò che davvero scatenò il suo odio fu osservare come lo baciava e come lo toccava.
Come una bambola, come un giocattolo, pensò.
Non c’era amore nei suoi gesti e questo lo fece soffrire più della consapevolezza di averlo perduto davvero per l’amore di qualcun altro. Il più piccolo aveva sempre cercato amore e dolcezza tra loro, anche nei momenti di maggior passione, come l’ultima notte che avevano passato insieme, e lì non vi era nulla di tutto ciò.
S’impose di distogliere lo sguardo e tornò ai suoi compiti, cercando di fare mente locale. Resistere alla tentazione di correre fuori dalla stanza era forte, così come il desiderio di prendere a pugni quel tizio, ma sfortunatamente per lui erano entrambe azioni a cui non poteva dar seguito. Aveva un compito da svolgere e benché nessuno avesse minimante preso in considerazione la sua presenza, prima o poi avrebbero notato l’assenza del loro tè. Era lì fermo impalato da troppo tempo. Mentre i due continuavano a scambiarsi effusioni, versò il tè e s’avvicinò al ripiano in madreperla con le tazze.
-Di questo passo si raffredderà il tè - miagolò Kibum.
-Un problema che potrei risolvere facilmente. -
Il principe si divincolò dalle braccia dell’altro e si ricompose, accavallando poi le gambe con un movimento disinvolto ed elegante.
Jonghyun pose la tazza davanti a lui ed il tintinnio della ceramica ebbe il potere d’infrangere un muro invisibile. Kibum allungò una mano verso di essa ed alzò appena gli occhi, incontrando inevitabilmente quelli ambrati di Jonghyun. Le gote già arrosate del più piccolo avvamparono per poi sbiancare, i suoi occhi sottili s’allargarono come quelli di un gatto al buio e la tazza gli tremò tra le mani. Delle gocce dorate caddero sulla madreperla, creando uno strano contrasto.
Il cuore di Jonghyun perse un battito. Quegli specchi d’acqua sorgiva in cui si tuffavano le luci della notte erano di nuovo lì, davanti a lui, e lo fissavano increduli come si fa con l’immagine residua di un sogno. Per la prima volta, dal momento in cui aveva messo piede in quella stanza, Jonghyun riuscì a guardarlo veramente. Kibum era splendido nei suoi abiti da principe come non l’aveva mai visto. Era lui, i suoi capelli corvini, il suo profumo, la sua pelle candida e liscia come un petalo, le sue labbra invitanti che gli avevano donato baci, sorrisi dolci, astuti e timidi. Erano i suoi occhi felini quelle nere perle lucenti che sembravano avere attenzioni solo per il suo promesso. Kibum era tutto questo, eppure non era lui. Ogni gesto, ogni parola, ogni carezza e ogni bacio a fior di labbra che aveva concesso all’altro, agli occhi di Jonghyun apparivano falsi, calcolati come la strategia vincente su un campo di battaglia. Tutto sembrava avvolto da una carta lucida dai riflessi illusori.
Il contatto tra i loro occhi durò la frazione di un secondo, eppure Jonghyun ritrovò dentro di sé tutte le emozioni di un tempo non molto lontano. Tutto giaceva immutato, intoccato e racchiuso in una splendente sfera di vetro animata dal vorticare delle luci del cielo. Era lì, perfetto e dormite, solo in attesa di essere risvegliato.
Jonghyun ripose la seconda tazza e si preparò ad uscire. Non poteva più restare.
-Il mio zucchero? –
La voce del lord di Busan risuonò alle sue orecchie bloccandolo di colpo. Il lord inarcò un sopracciglio rivolgendogli un’occhiata di sbieco. Sembrava si stesse sforzando di degnare della propria attenzione con un perfetto idiota.
Jonghyun strinse i pugni cercando di mantenere la calma.
-Perdonatemi – disse con voce leggermente roca.
Prese le pinzette d’argento e fece cadere una zolletta di zucchero nella tazzina.
Il lord tornò ad ignorarlo, rigirando il tè con un cucchiaino dorato, poi alzò di nuovo lo sguardo, scocciato.
-Che cosa fai lì impalato? Sparisci. –
Jonghyun non se lo fece ripetere due volte, si era trattenuto anche troppo per i suoi gusti. L’ultima cosa che vide prima di richiudere la porta alle sue spalle fu l’espressione sconvolta di Kibum.
Percorse i corridoi a passo svelto, desideroso di mettere più distanza possibile tra lui e quel mondo parallelo ed invalicabile. Era stato umiliante sotto molti punti di vista. Aveva saputo fin dall’inizio che probabilmente ciò che avrebbe trovato lì non gli sarebbe piaciuto, eppure aveva deciso di affrontarlo ed ora si sentiva sconfitto fu tutti i fronti. Quel tizio, il lord di Busan, non gli piaceva per niente. Non gli piaceva come guardava Key, come lo toccava e come gli sorrideva. Non era cieca gelosia la sua, benché affermare di non provarne sarebbe stata una bugia bella e buona, no, il suo era disgusto perché aveva intravisto qualcosa di mellifluo nell’altro, una dolcezza finta e stucchevole. Tuttavia la sua mente era torturata da quella scena ed i dubbi e le paure s’affollavano nella sua mente come un vespaio impazzito.
Svoltò un angolo e si fermò. L’abisso sotto di lui si stava allargando a dismisura.
Jonghyun respirò piano e fece per portarsi una mano al petto nel tentativo di rallentare i battiti impazziti del suo cuore, tuttavia non ne ebbe il tempo perché fu fermata a mezz’aria da una delicata e sottile che esercitò sul suo polso una presa nervosa, titubante, ma anche determinata. Jonghyun non ebbe bisogno di voltarsi per dare un nome al suo proprietario.
Kibum, pensò mentre il suo cuore faceva l’ennesimo balzo.
Jonghyun rimase immobile, desideroso di voltarsi e guardare di nuovo il più piccolo negli occhi per comprendere e mettere a tacere tutti i dubbi folli che si erano appicciati alla sua pelle e al suo cuore. Tuttavia non lo fece, timoroso che Key potesse dissolversi nel nulla.
Percepì l’altro farsi più vicino e poi fermarsi, indeciso, poi il fiato caldo di Kibum soffiò sul suo collo e gli sfiorò un orecchio.
-Sta sera, nel giardino est. –
Poi fu un attimo e quel sussurrò, così come la presenza del principe, svanì. Jonghyun si voltò per scoprire un corridoio vuoto e silente. La luce del sole del tardo pomeriggio penetrava delle vetrate rifrangendosi sul marmo bianco. Silenzio e vuoto. Solo il profumo residuo dei fiori di ciliegio in boccio aleggiava tenue nell’aria.
-Sta sera, nel giardino est -, ripeté in un sussurro che scivolò lungo il corridoio in un flebile eco.
 
 
 
***
 
 
La notte era particolarmente tetra. Non vi erano stelle in cielo e tutto era coperto da nubi scure appena delineate dai raggi argentei della luna che a stento riuscivano ad aprirsi un misero varco. C’era aria di pioggia e alzando lo sguardo sopra di sé, Kibum ebbe la certezza che presto sarebbe scoppiato un temporale.
Kibum rallentò il passo e s’impose un’andature regolare; subito il suono dei suoi stivali lungo il sentiero s’affievolì.  Aveva il fiato corto e probabilmente il viso arrossato.
La cena era stata più lunga del previsto e lui aveva atteso con impazienza il momento opportuno per accaparrare una scusa e sparire, proprio come aveva fatto quel pomeriggio.
Superò il roseto e involontariamente i suoi piedi ripresero velocità.
Jonghyun.
Il nome del più grande riecheggiò nella sua mente smuovendo in lui paura, euforia e crescente apprensione.
Dal momento in cui l’aveva rivisto era rimasto agitato per il resto della giornata ed aveva fatto il possibile per nasconderlo. Non era certo di esserci riuscito, dato che Heechul gli aveva rivolto occhiate indagatorie per tutto il tempo.
Si strinse nelle spalle per proteggersi dall’aria fredda della sera e corrugò la fronte, ripensando a quanto accaduto. Era stato umiliante, ma ancora di più lo turbava l’umiliazione che doveva aver provato Jonghyun; sapeva che era molto orgoglioso e d’altra parte lui l’aveva già ferito a sufficienza. L’avrebbe perdonato, avrebbe capito o inconsapevolmente aveva dato a lui e a loro il colpo di grazia?
Una folata di vento scosse le chiome degli alberi. Kibum si bloccò di colpo e le sue labbra a cuore si aprirono per emettere un fioco sussurro.
-Jonghyun. –
Il profilo serio di Jonghyun si stagliava nelle ombre della notte. Aveva il viso corrucciato, le palpebre abbassate come se stesse vivendo un incubo interiore e le sue labbra erano rigide e serrate. C’era del calore intorno a lui e a Kibum scappò un sorriso, sentendosene rassicurato. Da quanto non percepiva un calore simile, luminoso e confortevole?
All’udire il suo nome, Jonghyun alzò il capo ed aprì gli occhi ambrati.
Kibum vi riconobbe la consueta luce dorata e si umettò le labbra. Gli sembrava impossibile averlo di nuovo davanti a sé. Si domandò se si trattasse di un sogno. Troppe notti aveva sperato invano di riabbracciarlo, per quanto allo stesso tempo desiderava saperlo lontano. La verità era che Jonghyun era sempre stato un sogno, loro lo erano stati; delle luci cangianti sospese nello spazio infinito. Vederlo lì, così, in quei giardini e tra le mura del palazzo che erano così reali nella loro solida freddezza era strano e innaturale. Come se, alla fine, il sogno avesse preso consistenza materiale sino a fondere le proprie trame con il mondo reale. Non vi era più alcuna distinzione. O forse era tutta un’illusione?
Mosse un passo incerto verso l’altro e l’erba frusciò.
Jonghyun l’osservò, attento. Era reale, oppure era la sua mente che gli giocava l’ultimo scherzo? Scosse il capo. No, Kibum era lì, una figura eterea ed apparentemente fragile. Il suo sguardo scivolò sul viso pallido del più piccolo, riconoscendone i tratti delicati animati da magnetici occhi felini.
Jonghyun sorrise.
Kibum abbassò lo sguardo, avvertendo su di sé tutta la vergogna per quanto accaduto quel pomeriggio. Iniziò a stropicciarsi le mani, nervoso sul da farsi e su come sostenere lo sguardo dell’altro, e domandandosi quale sarebbe stata la conclusione di quell’incontro.  Desiderava abbracciarlo, baciarlo, trovare finalmente rifugio tra le sue braccia e recuperare un tempo ed uno spazio che si erano perduti, inseguendo un’orbita sbagliata, eppure non osava muoversi. Percepiva ancora su di sé le mani di Heechul, il calore bruciate dei suoi baci umidi e per questo si sentiva sporco, una sensazione che aveva provato più volte, ma che aveva abilmente seppellito dentro di sé. Allo stesso tempo si rendeva conto di quanto quella situazione fosse pericolosa. Il palazzo reale era l’ultimo luogo in cui Jonghyun poteva dirsi al sicuro e tristemente sapeva che respingerlo e portare avanti la recita era l’unico modo per allontanarlo.
Kibum continuò a stropicciarsi le mani e sbatté le palpebre. La verità era che non aveva il coraggio di mandarlo via e per questo aveva paura.
Il principe allungò una mano verso il viso dell’altro, poi la bloccò a mezz’aria.
-Perché ti sei fermato? – domandò Jonghyun con voce indecifrabile.
-Perché-, Kibum deglutì, - perché ho paura, temo che la mia mano possa affondare nel nulla. –
Jonghyun sorrise ed i suoi occhi s’illuminarono.
Kibum chiuse gli occhi e respirò piano. Non poteva mentirgli, non ne aveva la forza e solo l’’idea di dichiarare di amare Heechul, anche se era una bugia, lo disgustava. No. Non poteva portare avanti una stupida recita anche davanti a lui. Ciò che era accaduto non aveva forse già ferito entrambi? Non erano state proprio le bugie, le cose non dette a far crollare tutto?
-Jong -, ripeté fioco.
Anche volendo, Kibum sapeva che la sua stessa voce, i suoi stessi occhi ed i suoi gesti l’avevano già tradito.
La sua mano superò l’ultimo spazio che ancora li separava.
Jonghyun abbassò le palpebre e dalle sue labbra fuoriuscì un sospiro simile ad un soffio. I polpastrelli gelidi del più piccolo si posarono delicatamente sul suo viso e fu percorso da un brivido, poi un senso di pace l’avvolse. La totale quiete, il dondolare dolce di una barca sulla superficie cristallina di uno stagno sotto le luci delle stelle. Avrebbe voluto rimanere lì per sempre, sospeso in quel limbo di pace. Era bastato il tocco del più piccolo per tramutare l’ansia ed i dubbi dell’attesa in nulla, tutto ciò che ora provava era il suo amore incondizionato per Kibum. Non gl’importava di ciò che aveva visto o sentito. Il vero Kibum era davanti a lui, non la bambola sciocca e zuccherina che era stato costretto ad osservare quale spettatore silente.
Kibum circondò il collo di Jonghyun con le braccia, posò la fronte sulla sua spalla e reclinò il viso verso il suo collo, sfregandovi la punta del naso. La sua bocca a cuore si piegò in un sorriso nostalgico. Non era cambiato nulla. Era stato come navigare nel bel mezzo della tempesta ed osservare dalla prua la vasta distesa d’acqua all’orizzonte. Ma ora aveva raggiunto la riva, la tempesta si era acquietata e lui poteva riconoscere sotto i piedi la consistenza tenera dell’erba. Era lui. Erano le sue braccia che ora lo stringeva delicatamente, il suo petto, la sua pelle liscia e calda, il suo profumo dolce, quello delle pesche a maggio e del ricordo fugace di una notte di mezza estate.
-Jonghyun – disse di nuovo, aggrappandosi all’altro.  –Perdonami. –
Jonghyun non seppe dire se Kibum si riferisse a quanto accaduto quel giorno o alle bugie, d’altra parte nemmeno il principe ne era certo. Jonghyun lo strinse a sé riconoscendo in quel semplice contatto un’antica perfezione che sembrava essersi spezzata, ma che in realtà attendeva solo la loro riunione per ristabilire l’orbita perfetta di pianeti impazziti. Anche lui aveva molto da farsi perdonare.
-Tu puoi perdonare me? –
-Sempre -, sussurrò il principe.
Kibum sorrise ed affondò il viso nel collo del più grande per respirarne il profumo. Troppo a lungo aveva respirato solo cenere.
-Finalmente, mi sento di nuovo a casa. –
Jonghyun baciò la chioma corvina del più piccolo. Fu una sensazione strana quella che provò; era vissuto in molti luoghi nel corso della sua vita, ma non si era mai spinto in là al punto da definirli casa, nemmeno il Rifugio. Eppure quella parola associata a Kibum gli risultò estremamente naturale.
-Mi sei mancato, Kibum. –
Il principe alzò il viso e rivolse a Jonghyun un sorriso radioso, gli occhi tremolanti.
-Dillo di nuovo. –
-Mi sei mancato. –
Key scosse il capo. –No, il mio nome. Dillo di nuovo. –
-Kibum. –
Il principe indugiò qualche secondo sulle labbra del più grande, poi lo baciò. Era un errore? Forse. Sarebbe riuscito a staccarsi? Difficile a dirsi. Ma se Jonghyun gli aveva rubato un bacio prima di allontanarlo, perché ora lui non poteva?
All’inizio le loro labbra di mossero titubanti e insicure, come se non si fossero mai sfiorate o non fossero certe di avere il diritto di appartenersi ancora. Entrambi erano timorosi di commettere una mossa avventata ed infrangere in mille schegge di vetro quel sogno perfetto, di svegliarsi di soprassalto e scoprirsi fradici e tremanti tra le lenzuola, soli o tra braccia altrui. Tuttavia più le loro labbra si cercavano e le loro lingue danzavano sensuali, più la paura svaniva. Lentamente approfondirono il bacio e ogni frammento di loro tornò al suo posto. Le sensazioni e le emozioni di quel contatto intimo e delicato furono come un balsamo capace di cancellare in un istante le ferite di entrambi. Nulla era cambiato.
-Ti amo, Kim Kibum -, disse Jonghyun con voce calda. 
-Ti amo anch’io, Kim Jonghyun. Stringimi.  -
Jonghyun sorrise, riconoscendo il famigliare tono di comando dell’altro. Gli erano mancati quegli imperativi suadenti ed irresistibile.
-Stringimi -, ripeté Kibum. 
Jonghyun lo strinse e quando si straccarono intrecciarono le loro mani.
-Che cosa fai qui? – chiese Kibum.
-È per te che sono qui. Minho e Taemin mi hanno detto tutto. Perché hai voluto affrontare tutto da solo? -
Kibum si strinse nelle spalle.
-Se te l'avessi detto avresti tentato di fermarmi e tutto il mio coraggio sarebbe svanito. – Kibum sospirò -Ho desiderato dirti la verità milioni di volte, ma sembrava sempre il momento sbagliato. Ero troppo felice, tu mi rendevi felice, e l'idea di perdere quella felicità mi terrorizzava. Ho visto quanto ci odiavi...-
-Qualunque odio io abbai mai provato il mio amore per te è più forte, ricordi? Te lo dissi quella notte tra la neve. Tu mi hai sempre reso migliore. –
Kibum annui. Lo ricordava bene, ma quelle parole non erano state sufficienti a rassicurarlo perché in fondo non era Jonghyun che temeva, ma sé stesso.
-La verità è che io non ho mai avuto abbastanza fiducia in me stesso. Pronunciare il mio nome ad alta voce significava renderlo più reale, insieme alla consapevolezza che prima o poi il sogno sarebbe finito e io volevo continuare a sognare. Sono stato egoista, la felicità mi ha reso avido di essa. –
-Lo siamo stati entrambi, ma non avrei mai potuto odiare te. La mia reazione…-, Jonghyun scosse il capo. -  Ho avuto paura, Kibum, ho temuto di perderti per sempre nell'esatto istante in cui hai pronunciato il tuo nome perché ho visto tra noi una distanza infinita. Ho detto cose orribili che non pensavo, desideravo crearmi degli alibi per odiarti e riuscire a staccarmi da te. –
Jonghyun sogghignò, schernendosi. – Sì è rivelato un espediente sciocco ed inutile perché tu eri ovunque. Eri nella pioggia, nel vento, nel profumo dei ciliegi in boccio e ora che sei davanti a me sei di nuovo parte di me. –
-Siamo sempre stati l’uno parte dell’altro. -
Kibum lo baciò a fior di labbra, poi si staccò e fece un passo indietro. Si stava trattenendo troppo, forse lo stavano già cercando e non poteva rischiare di mettere in pericolo Jonghyun e mandare in frantumi tutti i suoi sforzi o rischiare di perderlo ora che l’aveva ritrovato.
- Ho desiderato rivederti con tutto me stesso, ma tu non dovresti essere qui. -
-Sono qui per proteggerti. –
Kibum sorrise triste. - Non puoi proteggermi, Jong. –
Chi proteggerà te?, pensò amaro.
-Ti sbagli, veglierò su di te sino all'arrivo degli altri, ormai è questione di poco. –
Gli occhi del principe s’illuminarono di curiosità e dalla sua voce trapelò un fremito d’eccitazione.
-Questione di poco? –
Jonghyun annuì.
-Quel cavaliere che hai mandato al Rifugio è arrivato giorni fa. -
-Siwon -
-Lui. Ci ha illustrato il tuo piano e Jinki ha trovato un esercito. -
Kibum sgranò gli occhi, incredulo. Un esercito era proprio ciò che gli serviva, volente o nolente non poteva farne a meno, ma come aveva fatto Jinki? Certo sapeva che il Leader era pieno di risorse, ma questo superava di gran lunga le sue aspettative.
Forse sto davvero sognando, pensò.
- Un esercito? Come?–
- Suo cugino. Non farmi domande è una lunga storia e conosci Jinki: gli piace avere i suoi segreti. -
Erano tutte notizie meravigliose e Kibum si ritrovò a sorridere come non faceva da tempo, avvertendo per un attimo il cuore più leggero. Tuttavia un rumore tra la vegetazione lo fece sobbalzare. Il frusciare delle foglie, il suono secco di rami spezzati. Il principe rabbrividì e s’aggrappò alle spalle di Jonghyun.
-Cos'è stato? -, disse allarmato.
Tornò il silenzio.
-Sarà qualche animale, stai tranquillo, presto sarà tutto finito. -
Kibum annuì. Sarebbe davvero finita presto, in un modo o nell’altro, e questo era già sufficiente a rassicurarlo. Tornò a guardare Jonghyun cercando d’ignorare il desiderio di aggrapparsi a lui per quanto rimaneva della notte e gli rivolse uno sguardo determinato. Non potevano restare lì. Nessuno dei due.
-Questo posto è pericoloso per te. -
-Ma...-
-Jonghyun, ascoltami. Tu non hai idea di quello che stai rischiando, devi rimanere nascosto tra la servitù, ti prego. -
Jonghyun si morse le labbra carnose. Come poteva essere utile a Kibum e proteggerlo se il più piccolo lo pregava di rimanergli lontano? Sapeva che la vicinanza, dato la situazione, poteva essere una tortura, ma Jonghyun era disposto a sopportarla.
Kibum gli prese il viso tra le mani, gli occhi magnetici puntati dritti nei suoi.
-Ti prego. -
Jonghyun riconobbe una ferrea determinazione nella voce dell’altro. Benché dallo sguardo del più piccolo trasparissero paura e preoccupazione, quello di Kibum era stato un ordine che non ammetteva repliche. Il “ti prego” dichiarava solo urgenza. Jonghyun sospirò. Forse era tempo di smetterla di porsi domande inutile, doveva semplicemente lasciarsi andare, affidarsi per una volta a qualcuno ed evitare di fare di testa sua. Kibum era turbato e quali che fossero le sue motivazioni era palese che desiderava saperlo al sicuro.
Non posso dargli ulteriore preoccupazioni, rifletté. 
Doveva acconsentire.
-Lo farò. –
Kibum sorrise, allentò la presa sul viso di Jonghyun per affondare le dita sottili tra suoi capelli, accarezzandolo piano.  -Ti prometto, amore mio, che se ancora mi vorrai quando sarà tutto finito ogni distanza tra noi svanirà. Fidati di me, farò il possibile perché ciò accada. – Lo baciò sulla punta del naso.
Jonghyun annuì e fu di nuovo invaso da un senso di pace. Lo baciò consapevole che entrambi temevano quella distanza e che avrebbero fatto di tutto pur di superarla. Come non ne aveva idea, ma per ora bastava.
-Devo andare – disse Kibum non appena si staccarono. - Ho inventato una scusa assurda per allontanarmi ed il tempo scorre troppo velocemente, la mezzanotte è passata da un pezzo e non posso trattenermi. –
Kibum fece un passo indietro prendendo consapevolezza egli stesso delle sue parole. Heechul doveva essere molto irritato per la sua assenza. Fu percorso da un brivido. Il pensiero di ciò che l’attendeva gli fece contorcere le viscere, ma ora più che mai doveva mostrarsi sicuro di sé. Heechul non aveva alcun sospetto, Jonghyun l’amava e presto Jinki sarebbe arrivato con i Ribelli ed un esercito. Era tutto perfetto e doveva solo tenere duro, perché alla fine di quel tunnel buoi e stretto vi era Jonghyun ad attenderlo, una luce calda e luminosa pronta ad avvolgerlo.
Jonghyun gli afferrò un polso rivolgendogli un’occhiata nervosa.
-Non tornare da lui. –
-Devo andare – disse Kibum, fermo. –Non tentarmi, Jong. -
 Jonghyun lasciò la presa, sospirando rassegnato. Non era giusto, ma aveva appena fatto una promessa e doveva mostrarsi in grado di mantenerla. Le immagini di quel pomeriggio danzarono vivide davanti a lui avvolte da luci e colori troppo sgargianti, il cui semplice ricordo gli feriva gli occhi. Scosse il capo con vigore per allontanarle.
-Finirà presto -, si ritrovò a dire, - te lo giuro. -
Kibum sorrise e annuì, poi sparì nella notte in un fruscio.
 
 
 
 
***
 
 
Jonghyun lasciò che la porta della sua stanza si richiudesse con un tonfo. Le strette pareti tremolarono e dell’intonaco giallognolo cadde dal soffitto, ma lui non se ne curò.
Lo svantaggio di essere l’ultimo arrivato era che gli avevano rifilato come stanza, se così la si poteva chiamare, il peggio del peggio, il vantaggio era che non doveva condividerla con nessuno.
S’infilò le mani tra i capelli girando a vuoto e mordendosi la lingua per reprimere un ringhio frustrato e probabilmente dai toni animaleschi. Aveva sostato ancora qualche minuto nei giardini prima di ritornare presso gli alloggi della servitù, ovviamente perdendosi in più di un’occasione. Faticava ancora ad orientarsi ed il suo stato d’animo non l’aveva aiutato.
Jonghyun prese un bel respiro e si lasciò andare sul misero giaciglio composto da assi di legno disconnesse e lenzuola che avevano visto tempi migliori, l’unico mobilio eccetto un armadio sgangherato e semi vuoto. Non aveva portato molto con sé.  
Era frastornato. Non era esattamente una novità nelle ultime settimane, e qualcuno di sua conoscenza avrebbe potuto dire che lui lo era costantemente, tuttavia il quel momento ne aveva la chiara percezione. Il breve incontro con Kibum l’aveva scosso sotto molti punti di vista.
Gli sembrava di camminare lungo un filo sottile sospeso tra il mondo dei sogni e la realtà. Il bacio con il più piccolo aveva risvegliato in lui uno strano formicolio. Il suo sangue aveva ripreso a scorrere vivo e caldo, non per la semplice lavoro meccanico indotto da un muscolo. Lo stesso profumo di Kibum non era più la mera reliquia rimasta ad aleggiare in una stanza vuota o appiccata alle lenzuola. Jonghyun percepiva ancora il corpo aggraziato del più piccolo tra le sue braccia, come poteva udirne il respiro tranquillo ed appagato. I suoi polpastrelli conservavano ancora la consistenza setosa dei capelli corvini dell’altro, così come le sue labbra custodivano gelosamente l’emozione e il sapore di quelle di Kibum.
Sorrise amaro facendo schioccare la lingua.
E ora è con quel tipo!, pensò con astio.
Devo stare calmo, s’impose. Non posso fare irruzione nei suoi appartamenti e ridurre quel tizio in cenere.
Un sorriso sadico gli animò il viso. Non ora almeno.
Affondò di nuovo le dita tra i capelli. Il suo intero corpo fremeva di rabbia, era un vulcano prossimo ad esplodere e solo il buon senso lo costringeva a mettere un freno ai suoi istinti più bellicosi. Non era facile, impossibile quasi, ma per quanto gli apparisse tutto come un assurdo controsenso doveva rimanere tranquillo e doveva farlo per Kibum.
Gli ho premesso di stare alla larga, di rimanere al sicuro…ma al sicuro da cosa quando è lui ad essere in pericolo?! Maledizione Kibum, come puoi chiedermi una cosa del genere?
Le mani di quel tizio su Kibum, il suo Kibum! Non poteva sopportarlo! Il più piccolo aveva bisogno di essere cullato, coccolato e accarezzato teneramente e Jonghyun aveva visto come quel tipo lo guardava. Non avrebbe fatto nulla di tutto ciò!
Tirò un pugno alla parete di legno graffiandosi le nocche ed emettendo un ringhio. Quello era l’unico sfogo che poteva concedersi.
Gli ho promesso di non fare sciocchezze e devo trattenermi, non posso rischiare di metterlo in pericolo a causa della mia testa vuota!
Si passò una mano sul viso che scoprì sudato. Si sedette sul letto e piantò saldamente i piedi sul pavimento di legno. Si morse il labbro ed aprì i palmi delle mani verso l’alto per poi richiuderli. Scosse il capo. Stava impazzendo, dall’ansia, dalla rabbia ed il fatto di avere avuto la sensazione di essere seguito lungo buona parte del tragitto per tornare negli alloggi della servitù non l’aiutava.
Si portò una mano alla gola riarsa consapevole di avere accumulato involontariamente troppo calore, la sua stessa pelle bruciava. Doveva bere. Allungò una mano verso la brocca riposta ai piedi del letto. Era piena, strano, era certo fosse mezza vuota. Fece spallucce e bevve di gusto.
L’acqua era stranamente fresca, come se fosse stata appena versata. Anche quello era molto strano, ma lui era incredibilmente assetato e non aveva intenzione di lasciarsi influenzare da assurde paranoie.
Si asciugò le labbra con l’avambraccio e poi si portò una mano alla testa. Gli girava. Scosse il capo ed emise un lamento infastidito. Chiuse gli occhi e poi li riaprì trovandosi di fronte un mondo sfuocato e confuso. Un senso di panico l’invase.
Cosa stava succedendo?
S’alzò barcollando e appoggiandosi alla parete per non crollare a terra. Si portò una mano alla gola.
Stramonio?!, Pensò allarmato.
Conosceva bene l’effetto di quella sostanza, ma le rare occasioni in cui aveva avuto il dispiacere di provarla non gli aveva mai fatto un effetto così forte. Chiunque fosse stato gli aveva rifilato una dose da cavallo! Stava per svenire, le sue gambe erano troppo molli, le palpebre troppo pensanti e qualunque percezione tattile stava sfumando. Era come galleggiare nel vuoto inconsistente dentro una bolla appannata. Tutti i colori erano sfuocati e l’aria quasi inesistente. Boccheggiò. Non percepì le sue gambe sfasciarsi a terra come cera liquida. L’ultima cosa che vide furono un paio di stivali davanti al suo naso.
 
 
 
 
 
Eccomi di nuovo! Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che sia valso l’attesa ^^
Ricordo che i commenti sono sempre graditi. Lasciarmi due righe vi ruberà solo due minuti di tempo e farà felice una scrittrice disperata <3
 
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In merito ai prossimi aggiornamenti non posso fare pronostici, potrei pubblicare tra un paio di settimane come tra un mese. Purtroppo ho diversi lavori da portare a termine che hanno la priorità, inoltre la prossima settimana sarò via per studio e non so quanto riuscirò a scrivere.
 
 
OGGI ORBIT COMPIE UN ANNO!
 
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Fate gli auguri! ^^
Colgo l’occasione per ringraziare tutti quelli che seguono ininterrottamente da un anno ^^ <3 Grazie!!
A presto!
 
 
 
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Capitolo 40
*** Capitolo 39. Get the treasure (parte II) ***


Finalmente riesco ad aggiornare, è tutto il giorno che ci provo!
Ringrazio chi ha inserito la storia tra le preferite, ricordate, seguite e ovviamente tutti i lettori.
Un grazie particolare a chi mi ha lasciato i suoi commenti: Blugioiel, Chocolat95, DreamsCatcher, Ghira_, Gonzy_10, Ichabod_Crane, Jae_Hwa, KimJonghyun23, MagicaAli, Panda_murderess, Saranghae_JongKey e vanefreya.
Ringrazio anche chi mi ha inserita tra gli autori preferiti: Blugioiel, Jae_Hwa,  MagicaAli e SHINee4ever  *.*
Grazie per il vostro sostegno ^^
Spero di non aver lasciato troppi errori di battitura. XD
Buona lettura!
 
 
Capitolo 39
Get the treasure (parte II)
 
 
“We don’t have time to hesitate no no
When we shine, it’s over, time is money
After all, life is just a mirage
But love is the only thing, that doesn’t surrender
The treasure sleeps behind the cellar’s door
The final security, is unlocked in an instant
The darkness that shines in the cat’s eye
That eye is just for me.”
Shinee, Get the treasure
 
“(...) it’s just that my personality goes good
then bad, so what!
There must be times when my performance
goes up then down
(…)
We are living in this world full of dilemmas
know that too
Why is it so hard?”
Super Junior, Mr Simple
 
 
Un tuono scosse il cielo e l’intelaiatura dorata della finestra tremò. Kim Heechul fece un passo indietro e guardò ammirato un fulmine spezzare la notte, uno spettacolo imprevedibile, letale e affascinate. lo adorava.
Davanti a lui, su un ripiano di incrostato di marmi colorati, era stato preparato un vassoio dorato con una brocca e due calici in cristallo allo scopo di passare una nottata piacevole, ma sembrava proprio che non fosse destino.
Emise una risata nervosa e roteò gli occhi.
Quella giornata si era rivelata piena di soprese e non era ancora finita.
Heechul si portò un calice alle labbra, si passò la lingua sul labbro superiore per guastare appieno il sapore intenso del vino fruttato, poi fece schioccare la lingua. Corrugò la fronte indeciso su quale definizione attribuire al suo stato d’animo. Euforico, furioso, divertito? Esisteva un termine per includerli tutti? Non ne aveva idea. Sicuramente appariva tutto molto ironico.
Lanciò uno sguardo fugace al temporale che imperversava su Soul, rigirò il calice cristallino tra le mani e lo ripose sul vassoio. Il suono del metallo riecheggiò nella stanza vuota e silenziosa del principe di Chosun. Vi era solo lui lì, lui e i suoi dilemmi. Sogghignò, poi i suoi muscoli facciali si contrassero in una smorfia grottesca.
Qualcuno bussò alla porta e il suo viso tremolò come la superficie di uno stagno infranto da una pioggia di sassolini, infine si distese in un quieto specchio d’acqua.
-Mio lord -, fece Kyuhyun accennando un inchino.
-Dunque? – domandò Heechul con voce ed occhi d’acciaio.
- Ho eseguito i vostri ordini. -
Le labbra carnose di Heechul si piegarono all’insù in un pallido sorriso.
-Bene. –
Kyuhyun avanzò, i passi attutiti dai tappeti, e posò sul ripiano una fiala contenete un liquido verdognolo.
-Ha fatto effetto in pochi secondi -, disse il cavaliere. –Sembra che dosi massicce provochino i consueti effetti collaterali. Posso suggerirvi…-
-Non ho bisogno dei tuoi suggerimenti -, disse in un sibilo astioso.
Non gli piaceva ciò che stava per fare e non vi era bisogno che quell’irritante di Kyuhyun glielo ricordasse.
Heechul rivolse alla fiala uno sguardo in tralice. Era stato saggio ad acquistarla dal suo losco uomo d’affari a Busan e l’utilizzo che ora ne aveva fatto non gli procurava alcun rimorso, semmai un senso di appagante soddisfazione; tuttavia il destinatario originale era stato un altro e ciò l’aveva messo a disagio sin dall’inizio. Una vocetta dentro di lui continuava tormentarlo, insieme ad uno snervante senso di disagio.
Ma quel micetto va rieducato.
-Che cosa desiderate che faccia con il principe? – chiese Kyuhyun.
Heechul tornò alla finestra. Si rigirò la fiala tra le mani, meditabondo, apprezzandone i riflessi smeraldini sotto i lampi che animavano un ribollente cielo grigio piombo. Non era mai stata sua intenzione affidarsi ad un mezzo simile, ma d’altra parte gli avevano insegnato che i mici selvatici devono essere addomesticati e tenuti al guinzaglio. Quanto accaduto non gli lasciava altra scelta.
E’ per il tuo bene, pensò.
-Ai gatti non piace la pioggia -, sussurrò.
Con un temporale simile nulla poteva trattenere Kibum nei giardini, il principe sarebbe tornato molto presto dalla sua “passeggiata notturna”.
-Mio signore? -
Heechul digrignò i denti e strinse i pugni, poi prese un bel respiro e s’impose calma. Non doveva permettere alla rabbia di dominarlo, spingendolo così a compiere azioni avventate. Era consapevole di essere furioso e si sentiva sottile quanto una lastra di ghiaccio prossima a spezzarsi.
-Me ne occuperò io.  –
Rimasto solo, Heechul bevve un lungo sorso di vino e tamburellò le dita sul marmo. Ciò che aveva scoperto nel giro di poche ore gli sembrava impossibile e al contempo ironico. E ancora una volta doveva ringraziare l’occhio lungo di Yesung e la sua eccessiva diffidenza.
Non è mai eccessiva, s’appuntò mentalmente.
Era scocciante ammetterlo, ma aveva abbassato la guardia e questo era un dato di fatto. Solo la curiosità stemperava la sua collera. Gli sembrava di osservare una tavola da gioco confusa sulla quale alcune pedine occupavano una posizione cardine, ma allo stesso tempo sembravano tra loro scollegate e prive di senso. Aveva i punti essenziali, ma non sapeva come unirli. Bhe, l’avrebbe scoperto molto presto.
 Sogghignò. Avrebbe potuto ridere di gusto se solo avesse voluto.
Kibum è mio, questo pensiero attraversò la sua mente come un ago acuminato.
Strinse il calice con forza reprimendo l’impulso di lanciarlo contro la parete. Quale magnifica opera d’arte ne sarebbe scaturita: macchie scarlatte su raffinati stucchi bianchi e oro; indubbiamente un tocco di colore intenso e passionale su tanto innocente candore.
Kim Jonghyun si era rivelato un problema più grave del previsto e andava assolutamente eliminato. Ma allo stato attuale anche sopprimerlo poteva essere rischioso. 
Corrugò la fronte ed un frusciare intorno alle sue caviglie rivelò la presenza di Heebum. Il felino si flesse sulle zampette grigie e con un balzo raggiunse il ripiano, miagolò e mordicchio la mano del padrone in segno d’affetto. Heechul gli accarezzò la schiena flessuosa e Heebum arricciò la coda, soddisfatto.
Doveva valutare attentamente ogni cosa al fine d’elaborare una strategia vincente. Nel frattempo poteva solo prendere le precauzioni necessarie, per quanto spiacevoli.
Riempì il secondo calice ed aprì la fiala.
Dosi eccessive provocano gli stessi effetti collaterali, ripeté nella sua mente le parole di Kyuhyun.
Kim Heechul non aveva alcuna intenzione di correre più rischi del dovuto, dopotutto la situazione era già tesa come la corda armoniosa di un’arpa prossima a spezzarsi.
Due gocce verdi caddero silenziose sulla superficie rossa del vino per poi esserne inghiottite.
Piccolo selvaggio.
 
 
***
 
 
Kibum si rese conto di aver trattenuto il respiro lungo tutto il tragitto per raggiungere i suoi appartamenti solo quando vi rimise piede. Chiusa la porta alle sue spalle uscì dall’apnea e tornò a respirare. Per contro il suo istinto si mosse a tentoni alla ricerca della sua bolla, una membrana sottile e trasparente.
Mosse dei passi incerti sui tappeti e si mordicchiò le labbra. Ora, tra quelle mura di marmo e stucchi, quella bolla confortante gli apparve troppo fragile per resistere.
Non questa notte, pensò.
Il cielo che lampeggiava oltre le tende semitrasparenti lo mise a disagio e un tuono lo costrinse a portarsi una mano al petto. Sobbalzò. Rivedere Jonghyun gli aveva donato una felicità immensa e sarebbe rimasto ore a crogiolarsi tra le sue braccia, ma non poteva e nonostante tutto la presenza del più grande lo rendeva nervoso e preoccupato più di quanto già non fosse. Forse erano solo le sue paranoie ed il fatto di vivere costantemente recitando una parte, ma aveva una brutta sensazione. Il suo sesto senso lo metteva in guardia impedendogli d’assaporare appieno la gioia del momento. Era davvero troppo pericoloso. Allo stesso tempo una paura appiccicosa si era attaccata alla sua pelle non appena aveva udito quei rumori tra i cespugli. Nonostante le rassicurazioni di Jonghyun non riusciva a toglierseli dalla testa. D’altra parte riconosceva di avere i nervi sin troppo tesi.
Fu percorso da un brivido e si strinse nelle spalle. Non gli erano mai piaciuti i temporali e quella notte appariva davvero ai suoi occhi come un presagio funesto.
Non sono lucido, pensò.
Si sfregò le mani sulle braccia come a scaricare l’adrenalina che aveva in corpo ed iniziò a passeggiare, nervoso.
Le sue stanze erano stranamente silenziose e vuote.
-Chul? – chiamò.
Era starno non vederlo lì a gironzolargli intorno, quasi inquietante. Se da un lato poteva tirare un sospiro di sollievo, dall’altro riconosceva che preferiva di gran lunga avere Heechul sotto gli occhi piuttosto che saperlo a piede libero con Jonghyun nel palazzo.
-Chul? –
L’unica risposta che giunse alle sue orecchie fu un miagolio annoiato. Il principe trovò Heebum comodamente acciambellato su un cuscino del divano e si chinò per osservalo. Non aveva mai nutrito una grande simpatia per quella palla di pelo, poiché Heebum, proprio come in quel momento, soleva fissarlo con occhi gialli di gelosia e irritazione. Sembrava quasi che lo considerasse un rivale per ottenere le attenzioni del suo padrone.
Tranquillo, pensò Kibum, è tutto tuo.
Heebum miagolò e mosse la coda, soddisfatto, poi strinse gli occhi e fece una buffa espressione.
Mi sta sorridendo?, si domandò Kibum.
A volte aveva l’impressione che fosse in grado di leggergli nel pensiero.
-Che cosa fai qui tutto solo? –
-Mi faceva compagnia. -
Kibum raddrizzò di colpo e voltatosi si ritrovò faccia a faccia con Heechul.
-Oh sei tu. –
Da dove salta fuori?! Non l’ho nemmeno sentito muoversi.
Di certo i tappeti dovevano aver attutito i suoi passi, ma sino a quel punto? E poi perché non l’aveva visto da nessuna parte?
Kibum deglutì.
Heechul lo fissava, serio, a meno di un passo da lui ed il suo fiato caldo gli provocò dei brividi lungo la spina dorsale. Negli occhi del più grande lampeggiava una luce metallica quanto i fulmini nel cielo e l’immobilità della sua espressione lo faceva sembrare una statua di marmo. Infine, le labbra di Heechul s’inclinarono appena in uno strano sorriso.
-Aspettavi qualcun’altro? –
Kibum fece un passo indietro.
-Certo che no.-
Il principe sorrise nervoso e s’afferrò un polso dietro la schiena. Stava tremando e ciò non andava per niente bene. Non aveva motivo di tremare.
Nessun motivo, si disse. Lui non sa niente, Jong è al sicuro.
Doveva mantenere la calma o si sarebbe tradito da solo. Cercando di recuperare un atteggiamento disinvolto com’era solito fare, Kibum si sedette su un bracciolo del divano e fece dondolare una gamba.
-E’ tardi -, disse, - non mi aspettavo di trovarti ancora qui. –
-E’ durata molto la tua passeggiata. –
Kibum s’irrigidì e artigliò la fodera di velluto del bracciolo. Nonostante i suoi migliori propositi si era attardato nei giardini più del dovuto. Senza rendersene conto aveva preso la strada più lunga, perdendosi tra le siepi; non era stata sua intenzione, ma riconosceva che doveva essere stato il suo subconscio ad agire. La sola idea di passare la nottata con Heechul dopo aver rivisto Jonghyun gli provocava dei crampi allo stomaco. Aveva la certezza che la sua bolla non avrebbe mai retto, a quel punto la sua rigidità e reticenza avrebbe irritato Heechul.
Annuì.
-Mi dispiace, Chul, sembra proprio che oggi il mal di pancia non voglia lasciarmi stare. E’ da questo pomeriggio che mi tormenta -, si schernì.
Un sorriso sottile si delineò sul viso di Heechul, come un taglio. Kibum ebbe un fremito e non seppe come interpretarlo. C’era qualcosa di strano nell’aria, una sorta di nota stonata impossibile da smorzare.
Smettila Kibum!, si disse.
Non doveva lasciarsi trasportare da tetre fantasie.
-Forse devo smetterla di mangiare tutti quei dolci a colazione. –
-Mi sembra una scelta responsabile -, disse Heechul con accondiscendenza.
Il più grande si spostò verso il ripiano di marmo vicino alla finestra e prese due calici.
-Tieni –, disse porgendogliene uno.
Kibum lo fece oscillare in una mano e ne annusò il contenuto. Vino. Non era mai stata sua abitudine bere, considerate le sue fortunatamente poche esperienze negative, ma da quando era tornato si era spesso concesso dei piccoli sorsi. Aveva imparato che lo aiutava a scivolare con più facilità nel suo rifugio mentale.
E poi, pensò, non è male.
Mentre le sue labbra a cuore sfioravano il fine cristallo, Heechul l’osservò da sotto le ciglia arcuate. Bevve due sorsi riconoscendo un piacevole retrogusto ai lamponi e…
Kibum arricciò il naso. Aveva uno strano sapore amarognolo.
Posò il calice sul tavolino di fronte al divano facendo schioccare le labbra, poi guardò su Heechul. Il più grande lo stava studiando picchiettando l’indice affusolato sul suo calice intonso. Il lieve oscillare del vino rivelò sfumature di un profondo cremisi in artistico contrasto con la chiara trasparenza del cristallo.
Kibum fece dondolare di nuovo la gamba accavallata e sfoderò l’espressione più contrita e innocente che aveva nel repertorio.
-Chullll sei arrabbiato? –
Heechul sorrise appena. Una crepa su una lastra di ghiaccio.
-Ho qualche motivo per esserlo? –
-Ti ho fatto aspettare. –
-Meglio così, ho avuto tutto il tempo per preparati una sorpresa. -
Kibum inarcò un sopracciglio. Perché trovava così inquietante quell’affermazione?
-Una sorpresa? –
Kibum batté le mani fingendo entusiasmo e s’aggrappò al collo di Heechul.
-Che cos’è? –
-Se te lo dicessi non sarebbe più una sorpresa -, rispose l’altro con voce sottile.
Il principe cercò di sorridere. La calma che aleggiava all’intorno era irreale, un’illusione. Nient’altro che il silenzio profondo prima dell’eruzione di un vulcano.
-Mi ha preso un cucciolo, vero? lo sai che li adoro! –
Heechul rise. Una risata fredda e metallica.
-Qualcosa di simile. Vieni, ho messo la tua sorpresa al sicuro. -
Kibum impose alla propria voce di non tremare. Qualcosa in quella conversazione stava assumendo una piega sempre più strana. O forse era solo la sua immaginazione?
-Dove? –
Heechul si portò un dito alle labbra.
-Vedrai. –
Kibum tremò, ma sorrise e schioccò un bacio sulla bocca di Heechul che rimase rigido. Le labbra notoriamente bollenti del più grande erano gelide. Il ghiaccio che s’incrosta sulla lava.
Terrore. Il principe non trovò parola migliore per definire il suo stato d’animo, tuttavia assecondò Heechul e lo seguì.
Jonghyun, singhiozzò dentro di sé tentando di mantenere il controllo su un senso di disperazione che si stava insinuando dentro di lui come una fredda lama. Gli era davvero accaduto qualcosa di terribile o era solo il suo instabile stato emotivo a dipingere oscuri scenari?
Il suo senso d'inquietudine aumentò quando si ritrovò a precorrere i corridoi immersi nell’ombra e nel silenzio. Solo il rumoreggiare dei banchi di nubi in fermento spezzavano la quiete della notte.
Jonghyun, Jonghyun, Jonghyun…ogni rimbombo portava nella sua testa il nome del più grande. Un suono tetro che lo fece rabbrividire a più riprese.
Le labbra a cuore di Kibum tremolarono come petali scossi dal vento. Heechul lo conduceva per mano rivolgendogli sorrisi come si fa con la vittima sacrificale prima del colpo di grazie. La sua stretta era ferrea, più possessiva del solito. Gli stava facendo male.
Kibum conosceva quella strada ed il suo cuore inizio a battere all'impazzata. Quando raggiunsero l'ingresso delle prigioni s'impose di non tremare. Non poteva dargli una tale soddisfazione. Tuttavia si bloccò di colpo.
Se muovo un solo passo le mie gambe si sfalderanno come cera.
Heechul si voltò e gli sorrise benevolo.
-Non vuoi vedere la tua sorpresa? -
Kibum annuì. Che altro poteva fare?
Il più grande gli accarezzò una guancia con il dorso di una mano e lo fissò con occhi d'acciaio affilati quanto la punta perfetta di un ago.
-Vieni.-
Lo condusse, quasi dolcemente, lungo una serie di gradini stretti e scivolosi. L’umidità scorreva in sottili rigagnoli lungo le pareti e cadeva sulla pietra grigia in uno snervante ticchettio. Penetrò nelle ossa di Kibum raggelandogli il sangue, insieme a ciò che vide oltre le sbarre di una cella.
Jonghyun!, urlò nella sua testa.
 
***
 
Le strade erano deserte, l’atmosfera triste e opprimente, una visione totalmente diversa da quella che li aveva accolti quel pomeriggio, quando Soul era apparsa luminosa, caotica, colorata e piena di soprese. Ora, nel cuore della notte, una pioggia insistente bagnava la città e alzando gli occhi al cielo, Taemin ebbe l’impressione che cadesse a secchiate. Scivolava lungo i tetti, correva sulle grondaie e scrosciava sulla strada lastricata per poi essere convogliata in canalette e sparire chissà dove.
I Ribelli erano giunti a Soul in piccoli gruppi per non dare nell’occhio e a loro si erano uniti, strada facendo, dei soldati di Leeteuk, mentre altri erano già in città in attesa del loro arrivo. Il grosso dell’esercito di Leeteuk, invece, era accampato tra le colline fuori dalla portata di occhi indiscreti e pronto ad intervenire in caso di necessità. Inutile dire che tutti speravano non fosse necessario. Lungo la strada per la capitale, Jinki si era fermato brevemente all’accampamento del cugino, tuttavia Taemin non aveva idea di ciò che i due si fossero detti, né di quello che sarebbe stato il ruolo di Leeteuk in prima persona. Forse nemmeno Jinki lo sapeva. Ad ogni modo era utopico credere che Leeteuk se ne sarebbe stato con le mani in mano.
Fermo sotto la pioggia incessante, Taemin osservò il cancello arrugginito davanti a lui; una ferita nascosta e mal cicatrizzata che s’apriva tra le mura del palazzo imperiale.
-E’ questo. – La voce notoriamente ferma di Siwon tradì un fremito.
Il suono che il cancello produsse non appena il cavaliere l’aprì fu inquietante.
Taemin fu percorso da un brivido. L’adrenalina si percepiva nell’aria quanto il temporale stesso. Sfrigolava come scariche d’energia invisibile. Si sporse in avanti e arricciò il naso.
Fogne, pensò con disgusto mettendosi una mano davanti al naso.
Se ancora conservava qualche speranza il suo naso le aveva appena infrante.
Dunque è da qui che entreremo nel palazzo, osservò attento.
Sino a pochi giorni prima gli era sembrato tutto così lontano e ora erano lì, a fare ciò che i Ribelli avevano sempre sognato. Eppure era tutto diverso. Qualcosa era cambiato.
E’ per via di Kibum, rifletté Taemin, invaso da un moto d’apprensione per la sua umma.
Guardò il cavaliere sondare il passaggio, stringere i pugni e rughe sottili allungarsi ai lati dei suoi occhi.
Non deve essere stato facile per lui abbandonare Kibum.
Aveva sviluppato un affetto spontaneo per il cavaliere, poiché la devozione di Siwon per la sua umma era palese e questo era un dettaglio che Taemin non poteva ignorare. Inoltre, il cavaliere aveva dimostrato di essere davvero un ottimo spadaccino. Taemin l’aveva visto disarmare, non senza una certa apprensione, Minho mentre si allenavano. All’inizio si era preoccupato, ma Minho aveva accolto le continue sconfitte con il sorriso sulle labbra.
-Non capita tutti i giorni d’incontrare spadaccini simili!-, aveva osservato con entusiasmo.
Taemin scosse il capo e tornò al presente. Doveva rimanere concentrato. Aveva l’impressione di camminare su un filo: il minimo passo falso poteva farlo precipitare nel vuoto e, si sa, il vuoto tende ad essere oscuro ed indefinito.
Sospirò. Il colpo di testa di Jonghyun non aveva di certo migliorato la situazione.
-Al suo posto avrei fatto la stessa cosa -, aveva commentato Minho.
Al ricordo di quelle parole Taemin arrossì sino alle punte delle orecchie.
Ad ogni modo sperava tanto che Jonghyun non facesse sciocchezze, quella scimmia a piede libero poteva rivelarsi un pericolo sia per Kibum che per sé stesso.
Soprattutto per sé stesso. E umma mi ucciderà!
Taemin si premette due dita sulla fronte.
Se mette le zampe sul casco di banane sbagliato siamo finiti!
L’incognita di ciò che li attendeva alla fine di quel tunnel era già abbastanza inquietante senza la necessità di fare pronostici sulle prodezze della scimmia cappuccina.
Taemin incrociò le braccia e corrugò la fronte senza distogliere gli occhi dell’oscurità densa e umida davanti a lui.
Un tempo i Ribelli avevano desiderato conquistare il palazzo per rovesciare l’imperatore e cambiare il mondo, ora volevano farlo per mettere il legittimo sovrano sul trono e cambiare Chosun. Una sottigliezza che Taemin non riusciva ad ignorare.
A pochi passi da lui, Jinki sembrava sicuro di sé e freddo, ma era tutta apparenza. Era un fascio di nervi rigido e pronto a scattare al minimo segno di pericolo. Taemin valutò che doveva avere elaborato una lunga lista di piani alternativi nel caso la situazione fosse precipitata.
Jinki fece scivolare lo sguardo sui Ribelli presenti. -Entreremo in piccoli gruppi come stabilito. Ogni chiudi fila si fermerà lungo un tratto del percorso e attenderà il gruppo successivo per condurlo lungo il passaggio. -
Taemin fu il primo ad annuire e al suo fianco Minho, ritto come un fuso, fece altrettanto. Anche Minho era rigido come metallo freddo, tuttavia Taemin aveva l’impressione che non fosse solo per l’imminente missione. S’impose di reprimere una risata tra le ombre del cappuccio del suo mantello. Sembrava che la semplice vicinanza di Lee Jinki riuscisse ad irrigidire Minho quanto una missione suicida.
- Il primo chiudi fila si fermerà qui all’ingresso ed attendere il prossimo gruppo in modo da ripetere le istruzioni. Io e Taemin ci occuperemo della parete che sbarra l’accesso al palazzo, eliminata quella procederemo con cautela un gruppo alla volta. Tutto chiaro? –
Un brusio d’assensi si fuse con il suono della pioggia.
-Bene. Siwon, apri la strada. –
Il cavaliere annuì con vigore e sparì nell’oscurità del passaggio.
Taemin si ritrovò a fissare le tenebre e la sua mano corse d’istinto a quella di Minho.
-Tienimi -, sussurrò.
Avrebbero trovato la luce a fine percorso? Non ne aveva idea.
Minho gli strinse la mano e Taemin avvertì un senso di sicurezza nascere in lui come una calda luce nel petto. Qualunque cosa ci fosse oltre quel nero insondabile non potevano tirarsi indietro.
S’immerse nel passaggio tenendo stretta la mano di Minho.
 
 
***
 
 
Il principe si gettò contro le sbarre della cella senza riflettere, non seppe nemmeno come si liberò della presa ferrea di Heechul; poteva essere esistita solo nella sua mente se non fosse stato per il dolore intorno al polso contornato da macchie rosse.
Inginocchiato a terra, premette la fronte sul ferro e strinse le sbarre sino a farsi sbiancare le nocche, incurante del dolore ai tendini. Una stretta nervosa e disperata.
Oltre quelle invalicabili sbarre di luccicante metallo, Jonghyun era riverso a terra simile ad uno scomposto fagotto di stracci.
Kibum udì il suo cuore scricchiolare e allungò una mano tremante per scostare delle ciocche umidicce dalla fronte dell’altro.
Non posso averlo perso.
Il viso di Jonghyun era imperlato di sudore e tumefatto sullo zigomo sinistro, delle occhiaie scure avevano scavato un solco profondo sotto le palpebre abbassate e le labbra carnose erano screpolate ed esangui. Il principe le sfiorò, trovandole molto diverse da quelle morbide e sensuali che si erano posate sulle sue. Erano come pesche rinsecchite. Tuttavia un soffio leggero e regolare fuoriusciva da esse. Doveva era stato imbottito di stramonio, ma era vivo.
Il principe tirò un sospiro di sollievo, mentre una lacrima solitaria gli scorreva lungo la guancia.
-Jongie -, sussurrò.
Una furia che non credeva di possedere s’impossessò di lui e tornò a stringere le sbarre contraendo i muscoli delle braccia. Si voltò di scattò verso Heechul il cui sguardo di fuoco era inchiodato su di lui.
Non m’importa!
Kibum scoprì di provare più rabbia che paura. Oppure era solo la consapevolezza di essere precipitato in un dirupo e di non avere più nulla da perdere. Non lo sapeva.
- Che cosa gli hai fatto?!-
La palpebra destra del più grande ebbe un fremito e le vene sul suo collo, che spuntava dal consueto merletto, pulsarono. Furono gli unici segni di vita.
- Heechul!? -, gridò Kibum fuori di sé.
-Mi prendo cura di te, Bummie, come ho sempre fatto –, rispose Heechul con tranquillità raggelante.
Kibum scosse la chioma corvina.
Jonghyun mugugnò ed il principe gli prese delicatamente il viso tra le mani, dimentico della presenza della tigre alle sue spalla.
-Jong -, sussurrò tenendogli il viso tra le mani.
Jonghyun aprì lentamente gli occhi ambrati.
-Key? –
-Jonghyun. –
Il più grande si mise a sedere a fatica, tenendo una mano sul capo dolorante e mugugnando. Gli faceva male ovunque ed il clima umido e freddo non aveva contribuito allo stato dei suoi muscoli e delle sue ossa. Jonghyun scosse il capo e sbattendo le palpebre cercò di mettere a fuoco ciò che aveva intorno sé e di fare mente locale. Dov’era, cos’era accaduto, perché la sua testa martellava come se fosse stata colpita ripetutamente ed il suo zigomo pulsava? Si portò una mano al viso scoprendo che era gonfio in quel punto. Sbatté le palpebre e la sua vista tornò gradualmente normale. Davanti a lui, nella penombra di quella che sembrava una cella e oltre delle sbarre di metallo, Kibum lo fissava con il fiato sospeso, le labbra a cuore e gli occhietti felini tremolati.
Jonghyun sorrise appena e sulle sue labbra s’aprirono dei piccoli tagli. Trattenne una smorfia.
-Kibum – disse con voce roca, scoprendo di avere la gola secca quanto le sue labbra. Tossicò.
Incurante delle sbarre che li separavano, Kibum gli afferrò le spalle e lo strinse a sé. Affondò il naso nei capelli di Jonghyun e gli accarezzò il capo.
Jonghyun si concesse un sospiro rilassato, poi la sua testa iniziò a riordinare i pezzi e tutto gli fu fin troppo chiaro quando notò un’altra presenza. Tra lui ed Heechul corse uno sguardo di fuoco e Jonghyun tenne stretto il principe in un gesto protettivo.
Non gli permetterò di fargli del male, pensò.
-Che tenerezza –, sogghignò Heechul senza staccare gli occhi da lui.
Il lord di Busan s’avvicinò con passi lenti e misurati che riecheggiarono all’intorno.
-Heechul…- fece Kibum, temendo il peggio.
Ma il più grande non lo stava ascolta, anzi la sua attenzione era totalmente rivolta a Jonghyun. Il suo fratellastro del quale, finalmente, poteva disporre come più desiderava.
Mai!, ringhiò Kibum tra sé. Avrebbe difeso Jonghyun con le unghie, con i denti e con la sua stessa vita se necessario.
Conosceva abbastanza bene Heechul da sapere che, ora, il suo sguardo non prometteva nulla di buono. Era bruciate e determinato quanto quello di una tigre pronta a balzare sulla preda. Una tigre furiosa che si era vista sottrarre un pasto invitante da una scimmia dispettosa. Una ferita terribile per il suo orgoglio.
Doveva trovare un modo per fermarlo finché ne aveva l’occasione. Forse poteva usare la sua abilità e tentare una fuga disperata…era sicuramente un’idea, ma avevano speranze?
Il principe si mordicchiò le labbra e notò, a pochi metri da loro, la presenza di Kyuhyun. Nascosto nell’ombra, come sempre.
Soffiò nella sua direzione. Era stato lui, non aveva dubbi! Chi altri avrebbe potuto essere così serpente da fare la spia, magari gongolando dalla soddisfazione?! Ripensò alle interminabili e tristi giornate che aveva passato con lui, trascinato come un sacco di patate per la foresta verso Busan. Lo odiava! Già una volta aveva tentato, quasi riuscendoci, di strapparlo da Jong e ora questo! Non avrebbe mai dovuto scendere a compromessi con lui.
Avrei dovuto spifferare tutto a Heechul!, pensò.
Ma ora non aveva tempo per Kyuhyun, doveva capire come muoversi e in fretta.  
Posso fare affidamento solo sulla mia abilità, ma…
Se la sua posizione era stata totalmente compromessa ciò significava che Heechul aveva già preso le dovute precauzioni. Ma doveva fare un tentativo, per quanto disperato.
Cercò dentro di sé la propria energia, qualcosa di strano e potente che faceva parte di lui, ma che la stessa etichetta di corte gli aveva sempre imposto di sopprimere.
E’ un gioiello prezioso, una vanto per la casata e per Chosun, non un giocattolo. Imparare ad usarla e controllarla non è altro che un atto distintivo del tuo rango, nulla di più, ecco cosa gli dicevano.
Una pietra luminosa, un simbolo di potere semplicemente d’ammirare. Fremette, anche lui era questo agli occhi di Heechul.
A che scopo avere un’arma potente se non la posso usare?
Ma lui sapeva usarla molto bene e la sua permanenza dai Ribelli aveva aumentato la sua forza e la sua destrezza. Poteva sperare, ora, di essere in grado di scavalcare Heechul?
Tuttavia Kibum si ritrovò ad afferrare il vuoto e sgranò gli occhi, impallidendo.
Dov’era la sua energia?
-Non sforzarti, Bummie, non la puoi usare. Credevi che fossi stato così sciocco da non prendere le dovute precauzioni? –
La voce di Heechul lo scosse.
-Che cosa mi hai dato? –, domandò con orrore.
Non poteva essere il solito stramonio…non aveva avvertito alcun effetto collaterale. Giramenti di testa, vista annebbiata…nulla! Poi gli tornò alla mente il gusto amarognolo del vino. Poteva essere? Trattandosi di Heechul era tutto possibile.
-Che cosa hai messo nel vino? – disse alzandosi di scatto.
-Stramonio -, rispose Heechul in un pallido sorriso. -Un tipo molto particolare. Sai, se preso a dosi ridotte gli effetti di stordimento sono nulli, ma l’esito…quello hai potuto vederlo tu stesso. –
Afferrò il mento del principe tra indice e pollice.
-Oh Bummie, non era mia intenzione ricorrere ad un simile espediente con te, ma sei stato un micetto cattivo. –
Kibum si liberò con un gesto disgustato, barcollando all’indietro e andando a sbattere contro la parete umida.
Heechul represse un ringhio e sogghignò, poi rivolse la propria attenzione a Jonghyun.
I due si fissarono come un lupo ed una tigre pronti a saltare l’uno al collo dell’altro.
Jonghyun s’alzò a fatica facendo leva sulle sbarre. -Non lo toccare -, disse tra i denti.
Le labbra di Heechul s’assottigliarono in una lama e di suoi occhi si ridussero a fessure. S’avvicinò alla cella quasi fluttuando.
-Kim Jonghyun. –
Scandì quel nome come se desiderasse gustarlo lentamente, eppure l’esito finale fu la smorfia di chi ha ingoiato qualcosa di troppo amaro.
-Incontrarti di persona non era esattamente nei miei piani. –
Le labbra screpolate di Jonghyun si spezzarono in un sorriso sghembo. -Chiedo scusa per il disturbo. –
Desiderava sputare in faccia a quel tizio tutto il disprezzo che provava nei suoi confronti. I suoi occhi astiosi deviarono per un secondo verso un Key tremante e con il viso teso, i cui occhi liquidi sembravano pregarlo di non dire una parola in più. Jonghyun si morse la lingua e distolse lo sguardo.
Heechul rise.
-Per essere dietro a delle sbarre e ridotto così male hai del fegato. Dovrei andarne fiero, forse, per essere un mezzosangue dimostri di avere il sangue dei Kim di Busan. –
Jonghyun non disse nulla. Il senso di quelle parole gli sfuggiva. Si portò una mano allo zigomo tumefatto che continuava a pulsare, impedendo ai suoi pensieri di scorrere limpidi.
-Lo so perché sei qui, perché hai allungato le tue mani bastarde su di lui. – Heechul accennò a Kibum- Sei venuto a portarmi via ciò che è mio di diritto, non è così? Sapevo che un giorno l’avresti fatto, ma io ti estirperò, Kim Jonghyun, come si fa con le erbacce. Sei stato furbo a venire qui, davvero un piano ammirevole, ma vedi a quanto pare noi abbiamo molto in comune.–
Heechul sogghignò ed iniziò a passeggiare, le mani unite dietro la schiena.
-Speravo davvero di essermi sbarazzato di te molto tempo fa, ma sei davvero una spina nel fianco. –
-Che cosa vuoi da me?–
Gli occhi di Heechul avvamparono e fece un gesto iroso con un braccio, smuovendo l’aria all’intorno. -Non prenderti gioco di me! -
-Smettila Heechul, lui non sa niente -, intervenne Kibum, poi si rivolse a Jonghyun. –E’ stato lui -, disse, - lui ha messo quella taglia sulla tua testa. -
Jonghyun sbatté le palpebre. Perché? Sino a poco prima non lo conosceva, cosa voleva da lui?
Heehcul sgranò gli occhi e scoppiò a ridere.  -Lui non lo sa davvero. –
Kibum si staccò dalla parete. -Non lo sa.-
-Tu sì -, affermò Heechul con mal celata curiosità.
Kibum annuì.
-Da quando? –
Kibum non rispose.
Heechul sogghignò, si era aspettato quel silenzio.
-Aish, quanto sai essere testardo, Bummie. Fammi indovinare, lo sai da quando l’hai conosciuto, non è vero? L’abilità del fuoco…e magari ti ha detto di provenire da Busan, dico bene? –
Kibum si mordicchiò le labbra, ma s’impose di non stropicciarsi le mani, dopotutto Heechul lo conosceva da troppo tempo per non cogliere quei segni di disagio. Rivolse uno sguardo preoccupato a Jonghyun che, ancora confuso, stringeva le sbarre della cella indeciso sul da farsi.
Heechul accorciò la breve distanza tra loro e gli prese il viso, stringendogli le guance. Kibum soffiò.
 –Sei così astuto, Bum. –
Le iridi di Heechul lampeggiarono di orgoglio ed ammirazione e, per qualche secondo, indugiarono sulle labbra del principe, ma poi lo lasciò e tornò a rivolgersi a Jonghyun.
Jonghyun guardò Heechul in cagnesco e il più grande sorrise divertito, snudando appena i denti bianchi che luccicarono nella penombra.
-Busan -, sussurrò Jonghyun. Abbassò gli occhi e corrugò la fronte, mentre quelle parole che gli erano parse tanto sconclusionate iniziavano ad acquistare una forma, un blocco di marmo liberato dalla propria informità dal più abile degli scultori.
-Busan -, ripeté Heechul.
Le loro iridi ambrate si sfiorarono e in esse vi scoprirono il fuoco. Entrambi furono scossi da un brivido, riconoscendo nell’altro una parte di sé.
Jonghyun capì.
-Noi abbiamo qualcosa in comune, Jonghyunnie, il sangue e…il fuoco. –
Una fiammella danzò sul palmo della mano di Heechul, poi fu inghiottita dall’oscurità in uno sfrigolio. Rimase solo l’odore del fumo.
-Vuoi sapere che cosa voglio? Voglio la tua testa, fratellino. - 
-Hai mandato tu quei soldati cinque anni fa. Perché? –
-Sei davvero totalmente ignorate, deduco che tu sia venuto qui solo per Kibum.  –
Heechul fece scorrere lo sguardo sul principe e sogghignò passandosi la lingua sulle labbra carnose.
-Anche se “solo” è riduttivo. - Incrociò le braccia e si portò due dita alla fronte, totalmente dimentico della domanda dell’altro.
-Sono davvero curioso riguardo a voi due. Non è ironico, Kibummie? –
Kibum deglutì. Sì, lo era, e la loro posizione terribilmente precaria. Doveva scegliere con cura le proprie parole se desiderava salvare qualcosa.
Che cos’altro sa? Si chiese con un moto d’ansia.
Quanto la sua posizione era stata compromessa? Non riusciva a credere che tutto il suo lavoro fosse andato miseramente in fumo. Sbirciò Kyuhyun di sottecchi. Era stato lui! Quel rumore tra i cespugli…avrebbe dovuto ascoltare il suo sesto senso invece di cedere alle rassicurazioni di Jonghyun. Cercò di fare mente locale. Quando l’aveva udito e che cosa aveva potuto dedurre Kyuhyun dalla loro conversazione.
Tutto, pensò con orrore. Eppure, non sembra che Heechul sappia tutto, rifletté. Non ha fatto parola dei Ribelli, sembra unicamente interessato a Jong…
Mantenere la mente fredda e lucida non era semplice, ma doveva riuscirci e non dire nulla che potesse tradirlo.
-Quando ero prigioniero dei Ribelli lui era incaricato di occuparsi di me -, tagliò corto. Una bugia frettolosa, ma che poteva risultare convincente se giocata nel modo appropriato.
Forse c’era ancora qualcosa da salvare. Finché i Ribelli avevano la possibilità di fare irruzione nel palazzo lui e Jonghyun potevano contare su un’ancora di salvezza. Sbirciò di nuovo Kyuhyun che gli rivolse una strana occhiata. Sembrava si stesse mordendo la lingua tra i denti o suggerendo a lui di farlo.
Mi sta mettendo in guardia, pensò il principe.
Kibum sbatté appena le palpebre.
Non gli ha detto tutto, comprese. Che cosa sta architettando?
Era impossibile che Kyuhyun avesse taciuto sui Ribelli unicamente per buon cuore, giacché non ne possedeva uno.
Kibum represse un sorriso amaro e divertito non appena intuì.
Sta cercando di salvarsi la pelle come fa sempre. Tipico di lui. Desidera tenersi aperte due strade, se i Ribelli dovessero prevalere lui figurerebbe come un eroe per non aver fatto la spia, se dovessero fallire la sua posizione rimarrebbe invariata. Heechul non saprà mai del suo tradimento.
Doveva essere stato questo il ragionamento di Kyuhyun.
Maledetto doppiogiochista!
Eppure, per quanto frustrante, da un lato doveva ringraziare l’innato spirito d’inguaribile serpe approfittatrice di Kyuhyun.
–Come hai scoperto che era qui? –
Il principe desiderava sapere che cosa li aveva traditi e nel frattempo temporeggiare. Sapeva che Heechul era abbastanza pieno di sé dal non stare nella pelle all’idea di rivelare i giochi contorni che si nascondevano dietro ai suoi piani ben riusciti.
Che si crogioli pure.
A scacchi quel metodo funzionava sempre.
Le braccia conserte ed i passi metodici, Heechul tamburellò le dita sugli avambracci e fece qualche passo in avanti, poi si bloccò. Il primo attore che s’appropria del centro della scena. Guardò il fratello.
-Sei stato fonte di non pochi fastidi, Jonghyunnie. - Strinse le mani affusolate sulla giacca rossa e contrasse la mascella. –Dopo una fugace apparizione sei diventato introvabile, nemmeno i sicari di Ming sono stati in grado d’individuarti nonostante il tuo raggio d’azione fosse limitato. Ma eri un problema da risolvere. –
Tornò a rivolgersi a Kibum. -Così ho iniziato a domandarmi che cosa avrei fatto al suo posto e devo dire che nascondermi esattamente sotto il naso del nemico sarebbe stata la mia scelta. Stupida e impensabile. Naturalmente erano solo ipotesi, non potevo sapere se lui fosse davvero a conoscenza del nostro legame o della taglia sulla sua testa. Eppure qualcosa doveva pur sapere per sparire come era riapparso. –
Heechul sorrise. – Non so come tu abbia fatto, Kibum, ma ho l’impressione che vi siano le tue zampette dietro a tutto questo. –
Kibum strinse i pugni.
Il lord di Busan fece schioccare le labbra e riprese le fila del discorso.
-La cerimonia alle porte poteva rivelarsi un ottimo specchio per le allodole e sapevo che sarebbe stata necessaria ulteriore servitù, dunque quale miglior copertura per nascondersi ed agire? D’altra parte i servi non sono altro che ombre che si muovono sotto gli occhi dei nobili senza essere visti. Ma io avevo tutta l’intenzione di trovarlo.  Non potevo conoscere le sue intenzioni, ma se sapeva avrebbe sicuramente tentato qualche mossa per arrivare a me. –
Corrugò la fronte e si sfregò il mento con l’indice. –Devo ammettere di essermi sbagliato su questo punto. Era a te che puntava. –
Heechul si umettò le labbra e proseguì. – Ho fatto tenere d’occhio gli alloggi della servitù, i movimenti all’interno di quel formicaio, e soprattutto i nuovi arrivati. Meno del previsto, ma questo mi ha permesso di concentrare il mio interesse su pochi soggetti. Ero molto deluso, giacché sembrava tutto fin troppo tranquillo, finché non mi è giunta voce di strani avvenimenti: piatti freddi ritrovati miracolosamente caldi, fuochi che si ravvivavano da soli e panni bagnati asciugati in tempi derisori. Era la mia occasione. Ho ordinato a Minsik di fingersi indisposto in modo da cedere il suo servizio per il tè pomeridiano ad altri candidati. –
Kibum boccheggiò. Minsik era il suo servo personale, quello che Heechul si era portato da Busan. Heechul aveva ragione, i servi ai loro occhi non erano che ombre silenziose, e così lui non aveva dato peso alla sua assenza.
-L’hai usato come esca. Sapevi già tutto. –
-Un’esca perfetta, ne converrai. Se Kim Jonghyun desiderava giungere ai piani alti quella era un’occasione che non poteva sprecare. Quando l’ho visto arrivare ho capito subito che si trattava di lui, non poteva essere altrimenti. –
Heechul rise. –Forse è stato il richiamo del sangue. Desideravo prendermi del tempo per studiarlo prima d’agire, ma poi, Bummie, mentre mi propinavi le tue solite scuse capricciose, Yesung mi ha raggiunto per il tè e mi ha riferito di averti visto parlare con un servo. La cosa mi ha stupito e immagina la mia sorpresa quando mi sono reso conto che quel servo non era altri che Kim Jonghyun. Capirai, la situazione è diventata estremamente interessante. Sei rimasto agitato ed indisponente per tutto il giorno e quando questa sera sei sparito con l’ennesima scusa ho ordinato a Kyuhyun di seguirti. Il resto non c’è bisogno che perda tempo a raccontarlo. –
Kibum incrociò le braccia e s’irrigidì. – Sarai molto fiero di te. –
-Lo sono, ma devo ringraziare Yesung per la sua prontezza di riflessi. –
Yesung, pensò il principe, un’altra serpe con i fiocchi.
Heechul si voltò verso Jonghyun e picchiettò le dita sulle sbarre, producendo una melodia snervante. –Ora…cosa devo fare con te?-
Con un movimento repentino, Kibum scivolò davanti alla cella e fissò Heechul con astio. I suoi occhietti magnetici inchiodarono l’altro che, sorpreso, si morse l’interno della guancia. Le schiena premuta contro le sbarre di ferro, Kibum fu percorso da un brivido e cercò le mani di Jonghyun. Le loro dita s’intrecciarono ed il calore tiepido del più grande gl’infuse sicurezza. Non l’avrebbe perso. Doveva pensare velocemente e correre ai ripari. Kibum s’impose tutta la freddezza della quale era capace.
-Non lo sfiorerai con un dito –, soffiò tra i denti.
Gli occhi di Heechul erano fiamme latenti sotto neri carboni e lampeggiavano dal principe al fratello, incapace di decidersi su chi dei due soffermare la propria attenzione. Alla fine sospirò e li mantenne su Kibum. I suoi tratti s’ammorbidirono e le sue labbra carnose si modellarono in una piega dolce.
-Kyuhyun, riporta sua grazia nelle sue stanze. –
 
 
 
 
Jonghyun osservò impotente, gli occhi sgranati e le mani strette alle sbarre, Kibum essere portato via. Fu come osservare una piccola luce inghiottita dall’oscurità.
Non gli faranno del male, si disse, non rientra nei loro interessi.
Questa era l’unica cosa che lo confortava. Rimasto solo indurì i tratti per concentrarsi sul fratello che lo fissava meditabondo, mordicchiandosi un pollice. Erano entrambi degli animali in gabbia con solo delle sbarre di metallo a separarli, intenti a scrutarsi per capire quale dei due fosse il più pericoloso.
-Perché? - domandò Jonghyun, di nuovo in cerca di una risposta. –Non avevi idea di chi fossi e non sapevi di Kibum. –
Nel silenzio che galleggiava tra le pareti umide, Heechul passeggiò lentamente a braccia incrociate.
-Nostro padre è sempre stato un uomo duro -, disse piano.
Per un attimo parve rimuginare su qualcosa ed i suoi muscoli facciali fremettero in una smorfia grottesca. Sogghignò. -Duro è un eufemismo. –
Heechul si fermò e con lui cessò anche il suono lieve degli stivali sulla pietra.
-Sai cosa mi disse sul letto di morte? Trova tuo fratello e bada a lui. Qualcosa che da uno come lui non mi sarei mai aspettato, ma evidentemente la malattia doveva averlo rimbambito. –
Heechul rise, una risata nervosa, isterica, piena di risentimento e frustrazione.
-Per tutta la vita non ha fatto altro che tormentarmi, e credimi quando ti dico che ho provato quei tormenti sulla mia stessa pelle. Mi diceva che non ero senza ambizione, ma che mi mancava la crudeltà che deve accompagnarla. - Fece una pausa. -Ho imparato che se vuoi raggiungere i tuoi obiettivi devi lottare, essere astuto, spregiudicato ed usare tutte le pedine a disposizione senza guardare in faccia niente e nessuno, perché nessuno guarderà mai in faccia te. Il mondo è crudele, Jonghyunnie, vi è chi è destinato ed elevarsi sino al gradino più alto e chi non può fare altro che scivolare nell’oblio. Dipende solo da noi, dalla nostra forza e da quanto siamo disposti a rischiare e io ho rischiato tutto per avere tutto. –.
Jonghyun deglutì, un brivido gli percorse la schiena ed arretrò di un passo. Gli sembrava di udire sé stesso nei momenti peggiori della sua vita; le innumerevoli volte in cui non aveva visto altro che gli orrori e la crudeltà del mondo, senza rendersi conto che poteva esserci altro. Erano stati anni terribili durante i quali la solitudine e la rabbia erano state le sue uniche compagne, le stesse che ora vedeva ergersi con chiarezza, simili ad ombre ridenti e spaventose, oltre le spalle di Heechul. Avevano condotto vite estremamente diverse, eppure erano più simili di quanto avessero mai immaginato.
Ma io sono stato più fortunato, pensò Jonghyun. Jinki mi ha dato la speranza e Kibum mi ha dato l’amore.
-E ora lui voleva ritrovare un figlio mezzosangue che con la sua stessa esistenza disonorava la nostra famiglia. Ma io ero certo che non ti saresti mai accontentato delle mie briciole e avresti messo a repentaglio tutto ciò per cui avevo lavorato: la mano del principe, l’aspirazione al trono. Tutto. Non potevo permetterlo. -
Heechul scosse il capo per scacciare un pensiero fastidioso che lo tormentava. -Lui amava te, più di quanto avesse mai amato me. -  
Jonghyun non seppe cosa rispondere, ad ogni modo dubitava fortemente nell’ultima affermazione. Quell’uomo non si era mai interessato a lui, probabilmente in punto di morte desiderava solo scrollarsi di dosso qualche senso di colpa. Jonghyun sapeva bene che, se anche l’avesse trovato per dargli “parte di ciò che gli spettava”, orgoglioso com’era lui gli avrebbe sputato in faccia il suo disprezzo.
-Io non voglio niente da te -, disse alla fine.
Con uno scattò improvviso, Heechul s’avventò sulle sbarre che tremarono e baluginarono come lampi.
-Tu vuoi Kibum e io non posso permetterti di portarmelo via. Lui è tutto ed è mio. –
Gli occhi ambrati di Heechul lampeggiarono eccitati e alla ricerca di qualcosa. -Io lo amo. -
Jonghun corrugò la fronte. Lo amava? Forse. Sicuramente nella sua testa credeva di amarlo davvero, ma agli occhi di Jonghyun quell’amore era sbagliato. Malato. L’attaccamento morboso di chi si aggrappa con tutte le proprie forze ad un miraggio. Jonghyun ne aveva avvertito lo spiacevole sentore anche quel pomeriggio e ora ne era certo. Voleva Kibum per il trono, il trono per avere Kibum, Kibum perché era Kibum e lo desiderava.
Per la prima volta Jonghyun comprese appieno il significato delle ombre che avevano sempre costretto Kibum a guadarsi intorno con ansia e diffidenza. Era lui.
Jinki muoviti!, gridò dentro di sé.
Forse lui non sarebbe sopravvissuto a quella notte, ma Kibum sì, in un modo o nell’altro, tuttavia si domandò se la morte non fosse preferibile.
Appassirà pian piano come un fiore senza la luce del sole e la rugiada del mattino.
-Il tuo non è amore -, disse.
-Non lo allontanerai da me -, fece Heechul tra i denti.
-Da quanto ho visto e sentito l’unica cosa che lo allontana da te sei tu.-
Heechul divenne paonazzo, poi raggelò come una patina di ghiaccio scivoloso. -Non puoi capire cosa ci unisce. – Abbassò il capo e sorrise tra sé, nostalgico. –Lui non mi lascerà mai, lo ha promesso -, sussurrò.
Ripresa padronanza di sé, Heechul gli rivolse un sorriso di acida freddezza e tamburellò le dita sulle sbarre. –Non ho ancora deciso cosa fare con te. Ucciderti era la mia prima scelta, in silenzio e senza troppe cerimonie. Ma temo che Kibum non me lo perdonerebbe mai. E’ una bambola di porcellana, fragile, delicata, perfetta…-
Jonghyun scosse il capo. Le sue parole non avevano senso. Lo sguardo perso di Heechul fissava un punto indefinito al di fuori della realtà, un sogno ideale che, ormai, viveva unicamente nella sua mente. Ne era prigioniero e quella prigione lo stava distruggendo dall’interno.
Jonghyun non riuscì ad abbandonare la rabbia, ma il disprezzo svanì e provò solo pena.
Avrei potuto essere al suo posto e lui al mio.
Gli occhi di Heechul fiammeggiarono. -Lui non è tuo. –
-Lui non è mio - ripeté Jonghyun, calmo, come se parlasse ad un bambino. –Ma io sono suo. –
Heechul inarcò un sopracciglio e sorrise con malizia. –Spero che ti godrai la nottata. – Accennò alla cella. –Io lo farò. -
 
 
***
 
 
Kibum si era ritrovato a passeggiare per il suo salotto privato come un animale in gabbia. Più volte aveva affondato le dita sottile tra i capelli e si era coperto il viso alla disperata ricerca di una calma che sapeva di non possedere. Alla fine si era appoggiato alla spalliera del divano a braccia incrociate in uno stato di apparente immobilità, tradito solo dal mordicchiarsi nervoso delle labbra. Doveva imporsi calma e freddezza per capire come agire e giocare le poche carte in suo favore.
Non gli farà del male, sa che metterebbe definitivamente a rischio il nostro rapporto ed è l’ultima cosa che desidera. Cercherà una soluzione alternativa.
Ora doveva essere quello il ragionamento di Heechul.
Starà calcolando tutto nei minimi dettagli.
Kibum sospirò e guardò l’ingombrate orologio che ticchettava sulla mensola del camino. Le lancette dorate scandivano le ore notturne ed il tempo che aveva a disposizione per elaborare una strategia di difesa.
Cercò d’ignorare i rintocchi incalzanti e chiuse gli occhi.
La breve conversazione che aveva sostenuto con Kyuhyun, prima di essere segregato nelle sue stanze, continuava a rimbalzargli nella testa.
-Non gli hai detto…tutto -, aveva osservato con le dovute cautele.
-Avevo un debito nei vostri confronti, ricordate? –
-Mi sembrava di aver capito che dovessi essere io a stabilirne i termini, sbaglio? –
-Dovreste ringraziarmi invece di lamentarvi per una simile sottigliezza. Vi sto facendo un favore. –
-Stai facendo un favore a te stesso. –
-Che cosa mi avreste ordinato di fare, fingere di non aver visto nulla o tentare una mossa disperata per salvare il vostro amante? Ho accettato di scendere a compromessi con voi per salvarmi la testa, non per metterla ulteriormente a rischio. –
Kibum aveva stretto i pugni. –Non è il mio amante, io lo amo. –
-Congratulazioni, vostra grazia, ma se volete un consiglio vi suggerisco di non ripeterlo con tale veemenza davanti a lord Heechul. –
Kibum corrugò la fronte e s’impose d’ignorare l’irritazione che quella serpe sogghignate riusciva a procurargli ogni volta. Fissò pensoso le piastrelle di marmo.
 Heechul non sa dei Ribelli e si è bevuto la mia piccola bugia, dunque il piano è salvo. Ora, tutto ciò che devo fare è temporeggiare e trovare un modo per ammansirlo. Se sposto in modo accurato le mie pedine possiamo uscire da questa storia illesi.
In quel momento la porta s’aprì e lui sobbalzò. Heechul entrò senza degnarlo di uno sguardo, si versò del vino e sedette su una poltrona con aria stanca e provata. La schiena rilassata, le gambe allungate con le caviglie incrociate e gli avambracci mollemente appoggiati ai braccioli, Heechul bevve un sorso di vino e si massaggiò una tempia.
Kibum rimase fermo ed osservò con attenzione il capo di battaglia che li separava. Doveva riuscire a muoversi nella giusta direzione.
Anche io sono una pedina, pensò, e da me dipende la vita di Jonghyun.
Heechul sorseggiò e si lascò sfuggire un sospiro avvilito.
-Mi hai molto deluso, Kibum. Profondamente. –
Il sangue di Kibum raggelò. Il principe si mosse sui tappeti mettendo cautamente un piede davanti all’altro con la stessa attenzione con la quale un gatto attraversa un lago ghiacciato. Dopotutto, la caduta in acque gelide può rivelarsi mortale.
-Avevi promesso che non mi avresti mai lasciato. –
Lo sguardo basso e scuro, Heechul fece oscillare il calice.
Kibum si fermò di fronte alla poltrona e si umettò le labbra, mentre una ruga sottile gl’increspava la pelle di porcellana. Era vero. Aveva fatto una promessa, molto tempo addietro[1].
Avevo otto anni e tu eri diverso. Entrambi lo eravamo.
-Quante volte ti ho detto di diffidare degli sconosciuti? Il mondo è pericoloso. –
E tu fai parte di quei pericoli, pensò Kibum.
-Mi dispiace, io…-
Heechul gli rivolse un’occhiata sottile.
-Mi hai molto deluso. Sei sempre stato ingenuo, Kibummie. Quando capirai che noi due siamo soli? Io ho te e tu hai me. Non devi fidarti degli altri. –
Kibum s’inginocchio di fianco alla poltrona e posò il mento sul braccio con aria addolorata.
-Perdonami. -
Era il momento di portare avanti la recita.  Sapeva che se avesse fatto la mossa giusta sarebbe riuscito a gestire Heechul. Doveva essere molto convincente perché questa volta le moine da gatto morto non sarebbero servite. Mostrarsi contrito e desideroso di perdono poteva essere la scelta giusta e con delle scuse ben imbastite, facendo leva sul suo precario stato emotivo durante il periodo di “prigionia”, forse poteva riemergere dal quel pantano.
Prese la mano libera di Heechul, la baciò e se la portò alla guancia.
-Quando ero in quel posto orribile-, disse con voce rotta, -ero terrorizzato, solo e non avevo la più pallida idea di ciò che avrebbero fatto di me. – Kibum si umettò le labbra. –Ma Jonghyun si è occupato di me e io…-
-Ti sei…affezionato a lui -, concluse Heechul, duro.
Kibum abbassò gli occhi e annuì, colpevole.
Heechul inarcò le labbra carnose in un sorrisetto spezzate, bevve un sorso di vino e fece scioccare la lingua. -Una mossa sciocca. -
-E’ stato un errore. -
-Lo è stato. -
Kibum posò la fronte sulla guancia del più grande e gli cinse il collo con le braccia.
-Chul -, miagolò, - perdonami. Per me ci sei solo tu, la mia è stata una terribile debolezza dettata dalla paura e stimolata dalla sua gentilezza. –
Kibum sbatté le ciglia e arricciò le labbra a cuore. –Era ciò di più simile a te che avevo intorno e…tu mi mancavi. –
Heechul si voltò verso di lui e gli accarezzò il viso. Era così? Poteva biasimarlo per quello? Anche lui non aveva forse cercato conforto altrove per sopperire la terribile distanza tra loro? Si portò il calice alle labbra e poi sospirò.
-Questa cosa…devi finire, Kibum. Tu sei mio. -
-E’ già finita da quanto sono tornato da te, questa sera…mi sono lasciato prendere dall’emozione -, Kibum si morse il labbro. –Non accadrà più, non dimenticherò più quale è il mio posto. -
-Bravo-, sorrise Heechul alzandogli il mento con l’indice. -Ciò significa che ora sai quale è? -
Kibum annuì.
-Dimmelo -, fece con voce fredda e metallica.
-E’ sul torno di Chosun, legato a te e tra le tue braccia. Ti chiedo solo di lasciarlo andare e non fargli del male. –
Heechul s’irrigidì, mentre Kibum s’aggrappava alla sua giacca rossa.
-E’ stato gentile con me. –
Il principe si puntellò sulle ginocchia e posò le labbra su quelle dell’altro. Fu un bacio lento e umido che, Kibum lo sapeva bene, poteva far presa su Heechul più di qualunque parola. Forse il più grande nutriva della diffidenza nei suoi confronti, ma aveva ben chiaro nella testa ciò che desiderava e lui, Kibum, aveva fatto di tutto per assuefarlo con il suo profumo dolce ed i suoi baci apparentemente innocenti. Quel bacio era l’ultima mossa disperata e se avesse fallito non vi sarebbe stato nulla da fare per Jonghyun.
Devo illuderlo che abbia il completo controllo della situazione.
S’aggrappò alle spalle di Heechul ed approfondì il bacio, guidato dalla mano del più grande che affondava nella sua chioma corvina.
-Quanto successo non uscirà da queste stanze -, disse Heechul in un sussurro eccitato.
Kibum annuì, sorrise timido e gli accarezzò le labbra con un bacio leggero quanto un petalo. -Pochi giorni e coroneremo i nostri sogni e dimenticheremo questa brutta storia. Ti chiedo solo di non fargli del male. -
Heechul gli accarezzò il viso ed il suo fiato caldo colpì Kibum con la sua dolcezza stucchevole, quando la porta si spalancò di colpo costringendo entrambi ad alzarsi di scatto.
Sulla soglia apparve un Kyuhyun trafelato che, gli occhi ingigantiti da panico, s’appoggiò trafelato allo stipite della porta. Per la frazione di un secondo, Kibum provò un’acuta soddisfazione.
-Mio lord, stanno invadendo il palazzo! -
-Cosa?! –
Heechul divenne paonazzo ed il cuore di Kibum fece un balzo.
Jinki, pensò, i Ribelli!
-Una banda armata, mio signore… –
Le irrilevanti spiegazioni di Kyuhyun furono sovrastate dal ringhio furioso che proruppe dalle labbra di Heechul. Il lord di Busan gettò il calice contro la parete ed il cristallo s’infranse in frammenti luccicanti, mentre il vino, rosso, macchiava la parete bianca e il tappeto.
-Ribelli -, sibilò Heechul con disprezzo. Si voltò verso il principe e lo trasse a sé. -Hai visto Kibum, la sua non era gentilezza. Ti ha usato per spiarci e passare informazioni a quella plebaglia. E ora vogliono portaci via tutto. –
-Chul…-
Kibum fu invaso dall’angoscia. Il più grande era sempre freddo e calcolatore, ma in quel momento sembrava una tigre irrequieta e furente, e lui non aveva idea di ciò che avrebbe potuto fare in quelle condizioni. Pensò a Jonghyun ancora chiuso nelle prigioni e pregò che Jinki e gli altri lo trovassero il prima possibile.
-Kyuhyun, raduna i soldati. –
All’ordine del suo lord, il cavaliere s’inchinò frettolosamente e sparì.
Heechul si tornò a guardare il principe e gli sorrise. -Non temere, mi occuperò di loro. –
Kibum non seppe cosa rispondere e sbatté le palpebre, confuso, quando vide l’altro avviarsi fuori dalla stanza e prendere la chiave dorata della porta.
-Fermo, cosa fai? –, disse aggrappandosi al suo braccio.
-Ti tengo al sicuro, come sempre. –
Spinto all’interno della stanza, KIbum barcollò e guardò con orrore la porta chiudersi davanti a lui. La serratura emise un ruggito.
No!
Non poteva rimanere chiuso lì dentro, anche lui doveva fare la sua parte. Era fondamentale.
La mia abilità è ancora fuori uso, se rimango chiuso qui dentro non so quando riuscirò ad uscire.
-Heechul! -, gridò. -Non puoi chiudermi qui dentro! –
Kibum si passò le mani sul viso sconvolto e picchiò i pugni sul legno. - Fammi uscire! Heechulll!!! -
 
 
 
 
Salve! Spero solo vi siete presi la giusta dose d’infarti u.u muahaha non temete perché anche il prossimo capitolo ve ne regalerà parecchi.
 
 
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Siamo davvero agli sgoccioli…come sempre se vorrete dedicarmi due minuti per lasciare un commentino ne sarò molto felice ^^
 
 
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Vi lascio una piccola nota riguardo alla raccolta Orbit. River flows in you.
1 Se non l’avete fatto vi consiglio di leggerla, rende alcune cose solo accennate in questi ultimi capitoli più chiare, quanto meno del mio punto di vista.
2 per vari motivi ho deciso di dedicarla solo a diva&diva, quindi ci saranno ancora uno o due episodi, dopo di che la considererò conclusa.
3 probabilmente cambierà titolo dalla prossima pubblicazione, che avverrà solo una volta terminata Orbit, e la troverete come Orbit. Kiss the rain (sì, mi piace yiruma)
 
A presto!
 
 
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[1] Se questo passaggio non vi è chiaro vi consiglio di leggere l’ultimo episodio che ho pubblicato nella raccolta. 

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Capitolo 41
*** Capitolo 40. Alarm clock ***


Salve! Se vi state chiedendo se sia un caso che io stia pubblicando oggi sappiate che non lo è, il capitolo era già pronto da un paio di giorni XD In origine speravo di postare oggi l’epilogo, ma i capitoli finali si sono rivelati molti di più e molto più lunghi del previsto.
Ringrazio chi ha inserito la storia tra le preferite, ricordate, seguite e ovviamente tutti i lettori.
Un grazie particolare a chi mi ha lasciato i suoi commenti: Blugioiel, Chocolat95, DreamsCatcher, Ghira_, Gonzy_10, Ichabod_Crane, Jae_Hwa, KimJonghyun23, MagicaAli, Panda_murderess, Saranghae_JongKey e vanefreya.
Ringrazio anche chi mi ha inserita tra gli autori preferiti: Blugioiel, Jae_Hwa,  MagicaAli e SHINee4ever  *.*
Grazie per il vostro sostegno ^^
Spero di non aver lasciato troppi errori di battitura. XD
Buona lettura!
 
 
Capitolo 40
Alarm clock
 
“In my nightmare,
I’ve lost my way

(…)
This moment is not a dream
I can’t acknowledge it,
I can’t stand this reality
Come back to me, this nightmarish reality –
I need you

I hope my alarm clock will quickly ring
To wake me from this dream

(…)
I can’t escape this bad dream
(…)
Quickly wake me up, wake me up”
Shinee, Alarm clock
 
 
Il boato che seguì il crollo della parete avvenne in un tripudio di frammenti di mattoni e malta. Una nuvola densa di polvere grigiastra costrinse i ribelli a ripararsi gli occhi e le vie respiratorie. Jinki si scansò di colpo appiattendosi contro la parete laterale e si coprì il viso, mentre Taemin barcollava all’indietro.
-Stai bene?– domandò Minho apprensivo, sostenendo il più piccolo.
Taemin tossicò, poi annuì.
-Sei certo di essere in forze? Non sarà facile una volta dentro il palazzo. –
Avere a che fare con una parete spessa, anche se compromessa da restauri e rimaneggiamenti, non era stato facile. Come aveva spiegato loro Siwon, che dopo essersi ripulito gli abiti alla bell’è meglio ora sondava il terreno oltre la polvere; il passaggio era una vecchia via segreta ad uso esclusivo della famiglia reale, poi abbandonata e convertita in sistema fognario, cosa che i raccapriccianti miasmi che avevano inalato durante il percorso aveva confermato loro. Nonostante l’utilizzo della loro abilità per i fratelli Lee non era stato facile abbatterla e, indubbiamente, dopo quel boato era impossibile pensare che il loro ingresso a palazzo avvenisse in totale segretezza.
Dunque, Minho riconobbe subito nel modo in cui Taemin si pesava su di lui che l’operazione l’aveva provato fisicamente e mentalmente. Anche Jinki sembrava spossato e, puntellandosi sulla parete, il Leader raggiunse Siwon per sondare con occhio critico ciò che si prospettava davanti a loro.
I ribelli, chiusi in una sorta di silenzio sospeso, attendevano gli ordini.
-Siwon -, lo incalzò Jinki, - sai dirci dove siamo? –
Il cavaliere annuì e si guardò intorno; i suoi stivali impolverati mossero un passo in avanti decretando definitivamente il suo ritorno a palazzo.
-Siamo nei sotterranei dell’ala ovest. Gli appartamenti di sua grazia sono esattamente dalla parte opposta. – Con l’indice, Siwon indicò le volte a crociera che si dispiegavano sopra di loro sfumando nell’oscurità – Esattamente sopra di noi ci sono le prigioni. –
Jinki annuì, poi si voltò verso i ribelli. – Procederemo per gruppi come abbiamo fatto sin qui. - Il Leader guardò le macerie con disappunto. – Speriamo di non aver già attirato troppo l’attenzione. –
-Le pareti sono spesse e ci sono parecchi metri sopra di noi, - disse Siwon, - abbiamo ancora un margine di vantaggio. –
-Ottimo. –
-Tuttavia una volta fuori dalle prigioni sarà tutta un’altra storia. –
-Un vantaggio sufficiente. Andiamo. –
Procedettero compatti nella semi oscurità.  I sotterranei già umidi e freddi erano cunicoli ampi costruiti in mattoncini rossi intervallati da sottili strati di malta, sopra di loro le volte a crociera s’intravedevano appena e gli unici suoi all’intorno erano quelli dei loro stivali e dei rivoli di umidità che scorrevano lungo le pareti e creavano piccole pozzanghere.
Taemin si ritrovò a rabbrividire stringendosi nelle spalle e cercando conforto nella vicinanza di Minho. Il più grande era ancora rigido e continuava a rivolgere occhiate nervose a Jinki che procedeva davanti a loro affiancato dal cavaliere. Taemin roteò gli occhi e gli pestò volontariamente un piede.
-Taemin che…-
-Scusa -, rispose il più piccolo in tutta tranquillità. – Non si vede a un palmo dal proprio naso -, si lamentò. – E’ in momenti come questi che quella sciocca scimmia cappuccina potrebbe rendersi utile, invece è in giro a scivolare sulle bucce di banane. -
Minho scosse il capo e sbuffò. Ogni scusa era sempre buona per insultare Jonghyun. Certo, Minho era totalmente concorde sul rischio che quella scimmia stava facendo correre a tutti loro, soprattutto considerando che non avevano la più pallida idea della situazione interna al palazzo, ma era indubbio che per Taemin fosse solo un incentivo in più.
Quando finalmente raggiunsero le prigioni furono accolti da una luce fievole e da un leggero cambiamento climatico, a parte questo tutto era silenzioso e tranquillo come nei sotterranei. Siwon aveva ragione: troppi metri li separavano del piano abitato per attirare l’attenzione nell’immediato. Tuttavia procedettero con cautela, finché il cavaliere non si bloccò di colpo appiattendosi contro la parete.
-Guardie - sussurrò.
Il corridoio si piegava a braccio generando un perfetto angolo retto e Taemin sporse il naso oltre ad esso.
-Guardie -, confermò, - almeno cinque. –
Un sottile nervosismo iniziò a serpeggiare tra i presenti. Jinki corrugò la fronte e si sporse a sua volta.
-Possiamo superarli con una certa facilità, ma dobbiamo accertarci che nessuno di loro abbia la possibilità di fuggire. –
Tamein arricciò il naso e incrociò le braccia. –Stupide guardie imperiali. –
Minho gli diede una gomitata accennando a Siwon.
-Oh -, fece il più piccolo, - naturalmente non riguarda i presenti. –
Siwon annuì, pensoso, ma era evidente che non aveva udito una parola. I suoi occhi da lupo stavano studiando i soldati, i quali più che fare la guardia sembravano bivaccare davanti ad una cella.
-Questo è molto strano-, osservò, - non dovrebbero esserci soldati qui. Le celle sotto il palazzo vengono utilizzate raramente e solo per prigionieri particolari. Io stesso ho passato qui qualche mese …-
-Ci stai dicendo che è successo qualcosa? – domandò Minho.
Siwon annuì e si sporse di nuovo. -Sono di Busan -, disse tra i denti.
-Se si tratta di quella scimmia…dov’è la mia umma? – Taemin strinse i pugni.
Jinki gli posò una mano sulla spalla. -Manteniamo la calma. Non sappiamo chi vi sia in quella cella, né tanto meno se sia collegato a noi, dunque affrontiamo i soldati e procediamo come stabilito. –
 
 
***
 
 
Seduto sul pavimento freddo e disconnesso della cella, Jonghyun si tastò lo zigomo dolorante, poi appoggiò la nuca alla parete, sospirò e chiuse gli occhi. Si sentiva davvero inerme ed inutile. Era giunto lì con i migliori propositi certo che nessuno avrebbe notato la sua presenza o la potesse considerare rilevate, invece era stato fregato su tutti i fronti. Seppur con qualche piccola falla e incomprensione sulla natura del suo agire, doveva ammettere che Kim Heechul, il suo fratellastro, gli aveva preparato una trappola degna di quel nome.
Jonghyun aprì gli occhi e li strizzò. E ora è di nuovo solo con Kibum.
Il modo in cui il più piccolo era riuscito a destreggiarsi in quella terribile situazione era stato in quelle ore costantemente oggetto delle sue riflessioni. Ammirava il suo coraggio, ma quel piano era una follia rischiosa e dopo la conversazione con Heechul le sue paure si erano fatte più acute.
Sapeva che era mio fratello, pensò, l’ha sempre saputo.
Questo pensiero lo turbava e riconosceva con un certo sarcasmo che il quadro davanti a lui era davvero ironico.
Aveva mille motivi per starmi lontano, invece il suo cuore è rimasto con me anche quando l’ho allontanato.
Strinse nelle spalle per camuffare un fastidioso senso di disagio. In tutti quei mesi Kibum l’aveva protetto da molte cose, non solo dalla taglia che gravava sulla sua testa. Ma ora non era tempo di perdersi in tali riflessioni, la situazione presente era già sufficientemente complessa nonostante, per qualche strano motivo, il piano dei Ribelli non era stato svelato.
Abbiamo ancora una speranza.
Non capiva come, ma era accaduto qualcosa.
Sicuramente Kibum ha capito più di me, conosce queste persone ed è abbastanza furbo da destreggiarsi con loro.
Un sorriso divertito ed orgoglioso scivolò sulle sue labbra secche, spezzandole di nuovo. Lanciò un sguardo in tralice alle cinque guardie davanti alla sua cella e sogghignò. Doveva incutere un grande timore a qualcuno se si dava tanto disturbo, soprattutto considerando che era ancora imbottito di stramonio.
Quanto l’odiava! Dal momento in cui era rimasto solo la pena che aveva provato nei confronti di Heechul era pian piano sfumata. Quanto poteva essere contorta e calcolatrice la sua mente? Era egoista, egocentrico e, soprattutto, credeva di poter disporre delle vite altrui come meglio credeva solo per i suoi scopi personali. A Jonghyun non importava niente di lui, il loro legame gli era indifferente, così come la morte che gli aveva messo alle costole. Nulla lo toccava, se non l’ironia che faceva da cornice. Suo fratello aveva inseguito un fantasma per anni. Jonghyun l’odiava, sì, ma non per ciò che voleva fare a lui, ma per ciò che aveva fatto a Kibum. Ripensò a quando aveva trovato il corpo fradicio e malconcio del più piccolo lungo il fiume; era stato come osservare un angelo caduto dal cielo e da quel preciso istante Jonghyun si era ripromesso di proteggerlo e prendersi cura di lui.
E’ a causa sua se quella notte ha rischiato la vita.
I silenzi, le paure, le ombre avevano sempre portato il suo nome.
Jonghyun non lo poteva tollerare e desiderava solo affrontarlo, tuttavia sapeva di non essere ancora nelle condizioni adatte. Corrugò la fronte e cercò invano la sua abilità. Niente, ma se lo aspettava.
Aspetta che mi riprenda ed esca da qui! Qualunque cosa tu abbia fatto a Kibum te ne pentirai.
Kim Heechul aveva creato da sé il suo nemico. Un nemico che come aveva detto lui stesso possedeva il suo stesso un fuoco, un fuoco che però stava sottovalutando.
Appoggiò la fronte sulle ginocchia ripiegate al petto e cercò di regolarizzare il respiro, quando una voce squillante colse la sua mente in riposo alla sprovvista. Mantenne la fronte sulle ginocchia e scosse il capo. Sembrava quella di Taemin.
Ora sento pure le voci.
Doveva essere l’effetto delle pesanti dosi di stramonio che aveva ingerito.
Mancanza di effetti collaterali un corno!, imprecò tra sé.
Solo quando le voci dei soldati si fecero concitate si alzò di scatto. Raggiunse le sbarre della cella e le afferrò con forza, osservando stranito lo scontro che aveva appena iniziato a consumarsi davanti ad esse. Allargò gli occhi per la soprese ed il suo cuore fece una capriola. Erano loro!
Jinki!
Era salvo, erano salvi, o quanto potevano mantenere vivida la speranza di esserlo.
Seguì attentamente ogni movimento trattenendo il respiro ogni volta che la situazione diventata pericolosa per Ribelli, ma non fu necessario allarmarsi troppo. Un paio di soldati furono sbalzati all’indietro grazie all’abilità dei Lee, mentre gli altri passarono sotti i fendenti precisi di Minho e Siwon. In pochi minuti i soldati di Busan si ritrovarono legati e imbavagliati. Interdetto e troppo felice per proferire parola, Jonghyun rimase ad occhi sbarrati, finché la voce di Minho non lo riscosse completamente riportando con i piedi per terra.
Da oltre le sbarre, Minho lo fissò incredulo quanto lui. -Jonghyun? Sei tu? -
L’umidità che s’infilava prepotente nelle sue ossa, s’appiccicava alla sua pelle e ai suoi capelli tornò ad essere reale e fastidiosa, proprio come i suoi muscoli intirizziti ed il pulsare dello zigomo. Allargò la bocca e su di essa s’aprirono altre ferite.
-Minhossi! – gridò di gioia sull’orlo delle lacrime.
-Tu, dannata scimmia idiota! -, sbottò Taemin aprendosi la strada a gomitate tra i ribelli. - Chi ti ha rimesso in gabbia, che cos’hai combinato? –
-Yah! – gridò Jonghyun.
Perché doveva sempre insultarlo? Ma era troppo felice per strepitare inutilmente. Jonghyun si grattò il capo ed abbassò gli occhi. Era davvero imbarazzante raccontare come erano andate le cose, soprattutto se era Taemin a chiederlo, dato che glielo avrebbe rinfacciato a vita.
-Il mio piano non è andato come previsto -, tagliò corto.
Taemin incrociò le braccia con crescente disappunto. –Questo lo vedo -, sibilò.
Jonghyun roteò gli occhi e una volta libero si preparò ad affrontare Jinki. Il leader lo fissava severo mettendo perfettamente in chiaro quello che era il suo giudizio, nonché le sue attuali preoccupazioni.
Jinki incrociò le braccia. – Ti rendi conto di quello che hai fatto? –
-Il nostro piano non è stato scoperto -, s’affrettò a dire Jonghyun.
Jinki inarcò un sopracciglio.
Jonghyun sospirò rassegnato, aveva sempre saputo che raggiungere Soul era una mossa azzardata e pericolosa, ma non farlo avrebbe significato andare contro i suoi stessi sentimenti. Glielo disse ed i tratti severi e freddi di Jinki s’addolcirono.
Il leader annuì, pensoso. -E’ stata comunque una mossa avventata, potevi mandare all’aria tutto. Siamo molto fortunati.  –
-Lo so -, ribadì Jonghyun a capo chino, poi si rivolse a Siwon. –Mi dispiace, volevo proteggerlo ma ho fallito. Appena mi sono avvicinato a lui siamo stati scoperti, anzi sono stato scoperto. –
Jonghyun fece una smorfia. –Mio fratello mi aspettava. –
Davvero il suo fratellastro aveva progettato con cura ogni cosa e lui, inconsapevole, aveva fatto esattamente tutte le mosse che Heechul aveva previsto.
-Da quando hai un fratello? – chiese Minho, sgomento.
-E’ un lunga storia. -
-L’hai saputo -, sussurrò Taemin. Vedendo l’espressione confusa del più grande, Taemin si schiarì la gola. – Umma me lo ha detto mesi fa, è lui che… –
-Lo so, la taglia. –  Sembrava proprio che alla fine l’unico a non sapere mai niente fosse lui. Perché Kibum avesse taciuto aveva un suo senso, contorto, ma infondo capiva il desiderio di proteggerlo. D’altra parte saperlo non avrebbe cambiato nulla, il sangue è sangue, c’era ben poco da fare, e probabilmente Kibum aveva temuto che lui, Jonghyun, potesse qualche sciocchezza. Forse anche Taemin aveva temuto la sua calda.
E io non ho dimostrato particolare propensione alla riflessione ultimamente.
Le ultime settimane, da quando Kibum aveva lasciato il Rifugio, erano molto confuse. Era stato come galleggiare in un incubo, costantemente in apnea, ed ora che si era risvegliato aveva la percezione di incubi molto più reali e pericolosi.
-Ora non è importante. Kibum…-
-Dov’è sua grazia? – chiese Siwon repentino.
- L’ha fatto condurre nelle sue stanze circa un’ora fa. Quale è il piano? Io devo trovarlo. -
-Prenderli a calci nel sedere! -, sbottò Taemin.
-Lo troveremo -, disse Jinki. – Ora dobbiamo muoverci, prima che il nostro effetto a sorpresa svanisca. –
 
Raggiunti finalmente i piani alti del palazzo, i ribelli furono accolti da un nuovo cambiamento climatico. Qui, l’umidità era assente e vi era un piacevole tepore appena raffreddato dal temporale ormai prossimo ad esaurirsi. L’aria era più limpida e respirabile. I corridoi erano silenziosi, solo i passi dei loro stivali rivelano la presenza di essere umani, per il resto poteva trattarsi di un luogo infestato dai fantasmi. Le porte lussuose erano chiuse ed i mobili pregiati che adornavano gli ambienti s’ergevano nella penombra come manichini silenziosi.
Jonghyun osservò oltre le vetrate le nubi grigie diradarsi. Non aveva idea di che ore fossero, ma a giudicare dagli aloni rosati che tingevano il cielo ad est l’alba non doveva essere così lontana.
E’ stata una notte lunga, pensò, e non è ancora finita. Alla fine vedremo il sorgere del sole?
Scosse il capo per allontanare i pensieri tristi che gli attanagliavano il cuore. Quei corridoi fin troppo quieti e vuoti, popolati solo da figure inerti appena animate da baluginii dorati, mettevano i brividi.
Questa calma piatta non durerà a lungo, osservò.
Il tintinnio della spada che pendeva al fianco di Siwon lo riscosse e alzò lo sguardo su di lui.
Siwon assottigliò le labbra e delle rughe sottili si delinearono ai lati due suoi occhi attenti. -Non avrei mai dovuto lasciarlo da solo -, disse in tono di rimprovero.
-Non hai colpe, hai fatto il tuo dovere. –
Siwon corrugò la fronte.
Jonghyun gli afferrò il polso. –Hai fatto ciò che potevi e molto di più. Se non fosse stato per te non saremmo qui adesso. L’unico ad aver sbagliato sono io. – Abbassò il capo e sorrise amaro. –Ma devo ammettere che se dovessi tornare indietro rifarei la stessa cosa. – Tornò a guardare Siwon, lui aveva intuito, o conosceva, il suo legame con Kim Heechul ecco perché aveva guardato con sospetto la sua abilità. Il suo senso del dovere e la sua devozione nei confronti del principe l’avevano messo in allarme e Jonghyun lo rispettava ed ammirava molto per questo, riconoscendo che era stata un’ottima spalla per Kibum per anni. Desiderava che lo sapesse e che non lo considerasse una minaccia. Per quanto il suo legame con il loro nemico gli fosse indifferente c’era una cosa che non riusciva ad ignorare. La paura. Le parole di Heechul continuavano a rimbalzargli nella testa mettendolo a disagio. Quel senso di solitudine e rabbia erano per lui sin troppo famigliari e si domandò, davvero, quanto fosse stato vicino a crollare prima d’incontrare Jinki.
-Io lo amo. –
Io non sono lui. Forse lo sono stato o potevo esserlo, ma non lo sono.
 Siwon annuì. – Me lo hai detto. –
-Te lo dico di nuovo -, fece duro. –lo amo e se mai dovessi fare qualcosa che possa ferirlo puoi usare la tua spada per fare di me ciò che vuoi. –
Siwon fece uno strano sorriso. –Ti prometto che lo farò. –
Jonghyun inarcò un sopracciglio. Che cos’era: la verità esternata a mo’ di battuta? Di certo faceva uno strano effetto sul viso composto del cavaliere.
Il gruppo si bloccò di colpo e Jonghyun rischiò d’inciampare nei suoi stessi piedi. Alzò lo sguardo sul corridoio e fu attraversato da un brivido. Davanti a loro una figura solitaria, che sembrava galleggiare nel vuoto, li stava fissando tra lo stupito ed il divertito. Jonghyun lo riconobbe subito. Era il cavaliere che aveva portato via Kibum. Come si chiamava? Kyuhyun? Sì era lui, lo stesso che aveva fatto la spia.
Strinse i pugni.
Jinki distese il braccio. -Mantenete la calma -, sussurrò.
Lo sguardo di Kyuhyun corse su di loro per poi focalizzarsi su Siwon e le sue labbra s’inclinarono in un sorriso irritante. Gli occhi dei due cavalieri s’incontrarono e l’intero corridoio raggelò, attraversato da una scarica elettrica. Con un movimento repentino Kyuhyun sparì inghiottito dalla penombra.
La calma piatta fu spezzata da un’imprecazione incomprensibile di Siwon. -Ci ha visti, ora darà l’allarme -, disse.
-Prima o poi doveva iniziare -, fece Jinki.
– Quel tizio -, fece Minho con astio, - è sempre in mezzo e appare nei momenti meno opportuni. –
-Concordo. – Jonghyun incrociò le braccia.
Jinki ordinò a dei ribelli di tornare nei sotterrai per avvisare gli altri che, ormai, erano stati scoperti. Dovevano farsi trovare pronti perché molto presto sarebbe scoppiata una battaglia.
-Cosa facciamo? – chiese Taemin.
Non ci fu bisogno di risposta perché dei soldati apparvero nei corridoi lasciando loro ben poca scelta.
 
 
***
 
 
-Heechul!!!-, gridò Kibum con tutto il fiato che aveva in gola.
Disperato, il principe s'infilò le mani tra i capelli e passeggiò per la stanza; solo la consistenza dei tappeti sotto i suoi stivali nascondeva la natura nervosa dei suoi passi. Kibum si passò una mano sul viso e picchiò i pugni sulla porta.
-Heechul!!-
Singhiozzando isterico sferrò un calcio al legno e s'accasciò a terra. Dal corridoio non giungeva alcun rumore, solo ogni tanto dei passi frettolosi ed il tintinnio di spade che poi sparivano, lasciandolo di nuovo nel completo e freddo silenzio. Ovunque si stesse consumando la battaglia doveva essere lontano dai suoi appartamenti.
Non posso rimanere qui!
Si concentrò per fare appello alla sua energia ma la trovò assopita. Lo stramonio era ancora in circolo.
Devo fare qualcosa!
Aveva lavorato sodo per quel momento, era la sua unica occasione per riprendersi ciò che era suo e non poteva sprecarla in quel modo. Troppe persone erano coinvolte.
Heebum si avvicinò miagolando e si strusciò contro le sue gambe.
Con uno scatto di reni, Kibum si alzò e puntò l'alto candelabro a pochi passi da lui. Lo trascinò a fatica verso la porta e lo usò per colpirla a mo’ di ariete. Nella stanza risuonarono dei tonfi sordi ma, a parte qualche scheggia di legno, nulla scalfì la sua prigione. Il candelabro cadde a terra in un clangore metallico.
Aveva il viso imperlato di sudore e le guance bagnate da lacrime che non si era reso conto d’aver versato. Il senso d'impotenza e l'isteria del momento avevano spezzato i suoi nervi già tesi. Stava crollando, tutta la sua freddezza ed il suo auto controllo erano al limite. Quelle settimane erano state davvero dure e, ora, la sua bolla si stava afflosciando come una pellicola trasparente. La sola idea di vedere il piano fallire gli procurava un senso di vuoto. Era un incubo dal quale desiderava uscire.
Jonghyun...
Dov'era Jonghyun? Che cosa stava succedendo oltre le pareti della sua stanza?
Heebum tornò a miagolare lamentoso, appoggiò le zampette sulle sue gambe e si stirò, facendo oscillare la coda. Anche a lui non piaceva l'idea di rimanere chiuso lì dentro.
Con un gesto nervoso, Kibum si ripulì le guance dalle lacrime, si diresse verso la finestra e l’aprì. Si sporse oltre il davanzale rendendosi conto, come aveva immaginato, che era una follia pensare di fuggire in quel modo. Guardò in basso e represse un senso di vertigine. C’erano troppi metri a separalo dal suolo, già quella mossa e Seungil era stata rischiosa e ora l’altezza era il doppio.
È troppo alto, questa volta non ce la posso fare.
Heebum saltò sul davanzale e sparì lungo il cornicione con un miagolio soddisfatto.
-Yah-, gridò Kibum, frustrato.
Richiuse la finestra e tornò a colpire la porta chiamando il più grande, ma come previsto non ottenne risposta.
-Heechul!! -
Scivolò a terra, le mani sul viso.
Come siamo arrivati a questo punto?, si chiese.
Le immagini della sua infanzia con Chul gli passarono davanti alla velocità travolgente di un fiume in piena. Il semplice ricordo faceva male, ma ancora più male era la consapevolezza devastante di non essersene ancora staccato. Nonostante tutto nell’intimo rimaneva ancorato al suo cuore. Ripensò all'ultima volta che aveva avuto un rapporto umano con Heechul; erano passati anni ma le immagini, le sensazioni, la brezza estiva e il dolore del suo cuore infranto erano ancora lì, intatti come se non fosse passato un giorno. Due anni di separazione passati a scambiarsi lettere piene di sogni che erano finiti ancora prima d’iniziare, la gioia di rivederlo dopo tanto tempo per scoprire che nulla poteva più essere come prima. Ci aveva messo un po' a capirlo, invano aveva messo a tacere i dubbi, ignorato le frasi spezzate e gli occhi del più grande che scivolavano su di lui, avidi. Ma delle parole inequivocabile che non avrebbe mai dovuto udire avevano fugato ogni dubbio.
-Grazie a Kibum siederò sul trono ed avrò lui, il gioiello più luminoso di Chosun. –
Kibum ricordava molto bene quelle parole e non era stato solo il significato che celavano a spaventarlo, ma soprattutto il tono e lo sguardo del più grande. Tutti i dubbi erano svaniti per lasciare spazio solo alla certezza.
-Ne sei sicuro? – l’aveva canzonato un giovane Yesung.
-Lo vedrò molto presto -, aveva detto Heechul con orgoglio. – Da questa notte sarà mio, scommettiamo? –
Kibum si era sentito umiliato, sciocco, ingenuo e ancora più solo.
Si strinse le ginocchia al petto e posò la fronte su di esse. Stava barcollando sul vuoto, ma doveva imporsi di reagire. Non poteva mollare; Jinki, i suoi amici, e sicuramente Siwon, erano lì fuori a combattere per lui.
E Jonghyun ha bisogno di me come io ho bisogno di lui.
Si alzò di nuovo e con occhi felini carichi di magnetica determinazione tornò ad avventarsi contro la porta. Doveva abbatterla e uscire da quell’inferno solitario.
-Jonghyun!!! –
Aguzzò l’udito quando udì il tramestio di passi concitati, il suono di un pesante oggetto di metallo cadere a terra, poi più nulla. Qualcuno era passato di lì, ma non si era curato di lui. Sferrò un calcio alla porta e la sua gamba fu percorsa da un fastidioso formicolio.
-Jong!!! -
Urlò con tutto il fiato che aveva per un tempo indefinito, finché la sua gola divenne riarsa, ottenendo in risposta sempre e solo silenzio. Il fiato ridotto allo stremo, il viso bagnato di lacrime e sudore, non si accorse dei tentacoli di sottile fumo grigio che, ora, scivolavano malevoli sul marmo. Le sue forze s’assottigliarono e la sua mente s’annebbiò, infine scivolò semplicemente a terra, privo si sensi.  
Jong…
 
 
***
 
 
Jonghyun si piegò di lato, flesse le ginocchia e con uno scatto di reni saltò all’indietro, evitando per un soffio la lama di un soldato. Valutò attentamente i movimenti del suo avversario e dopo una finta scartò di lato, si piegò, recuperò la spada di un soldato caduto, rotolò su un fianco e si rialzò. Rivolse al soldato un sorriso provocatorio che sortì subito l’effetto voluto e, con un movimento repentino del braccio, i muscoli tesi ed evidenti sotto la camicia sottile, alzò la spada e parò il colpo tenendo i piedi ben piantati a terra.
Intorno a lui vi era l’inferno. In pochi minuti gruppi di soldati erano stati fagocitati dai corridoi prima deserti e ora i ribelli cercavano di farsi strada avanzando lentamente tra corpi in movimento e mulinare di spade.
Jonghyun ruotò su sé stesso, parò un altro colpo e barcollò all’indietro. Ebbe bisogno di tutta la sua prontezza di riflessi e destrezza per rimanere in piedi e non scivolare sulle viscide macchie di sangue che punteggiavano il marmo bianco. Superò il suo avversario lasciandolo a terra con una ferita lungo il fianco e s’aprì la strada. Ansimante, si voltò ad osservare la devastazione che si stavano lasciando alle spalle ed un unico pensiero gli attraversò la mente.
Kibum non deve vedere tutto questo. Non era ciò che voleva.
Il loro passaggio portava con sé il tintinnare di spade, tingeva di rosso il bianco splendente del palazzo e si scontrava inevitabilmente con i soldati di Busan, rossi e oro, e quelli imperiali, blu e argento.
I Lee avanzavano scaraventando all’indietro i propri avversari grazie alla loro abilità. I mobili e le tende si muovevano al loro passaggio creando confusione e gettando i soldati nel panico. Minho e Siwon si muovevano con eleganza e precisione fendendo aria e carne con il ferro.
Era il caos.
Jonghyun corrugò la fronte, si morse il labbro e strinse con forza l’elsa della spada.
Devo trovarlo!
-Jonghyun! – grido Minho, allarmato.
Lui fece appena in tempo a saltare di lato per evitare una lingua di fuoco che, bollente, era saettata verso di lui. Premuto contro il marmo gelido, Jonghyun si passò l’avambraccio sulla fronte sudata e guardò nella direzione da cui era partita la fiammata, pur sapendo molto bene ciò avrebbero incontrato. Infatti era lì, Kim Heechul, un groviglio di corpi in confuso movimento a separarli. Le loro iridi si sfiorarono ed i suoni aspri e stridenti della battaglia divennero ovattati.
Gli occhi ambrati di Jonghyun affondarono completamente nella lava liquida dell’altro in un vortice scarlatto, poi baluginarono dorati e astiosi.
Perfetto, nel suo abito scarlatto, Heechul inarcò l’angolo destro delle labbra carnose in un sorriso sghembo e provocatorio.
Jonghyun strinse i pugni e le sue dita scricchiolarono. Avrebbe risposto usando la sua stessa arma, o almeno questo era il suo desiderio. Cercò la sua abilità, era lì, ora la sentiva, ma ancora fuori dalla sua portata. Un piccolo fuoco pronto a divampare che brillava lontano. Non gl’importava, in un modo o nell’altro intendeva affrontarlo.
Heechul dovette intuire i suoi pensieri perché il suo sorriso si stirò aprendosi in un taglio grottesco. Fece un passo indietro e con un gesto del capo lo invitò a farsi avanti.
Jonghyun represse un verso frustrato. Suo fratello desiderava che lo seguisse. Che cosa voleva mettere in piedi, una caccia disperata tra due predatori? Quella situazione era sempre stata in bilico, ma dal momento in cui era entrato in gioco Kibum era diventata una questione personale destinata ad esplodere al di là di qualunque legame di sangue.
Jonghyun rivide le labbra e le mani di Heechul sul più piccolo e ringhiò. Qualunque pena o pietà avesse provato nei suoi confronti svanì completamente per essere sostituita dal disprezzo.
Non lo toccherai mai più!
Heechul parve divertito e con un movimento elegante girò i tacchi e scivolò lungo il corridoio alle sue spalla.
Jonghyun strinse l’elsa della spada ed avanzò sgomitando, poi si slanciò in avanti pronto all’inseguimento. I corridoi sfilarono davanti a lui finché non si ritrovò solo. Lì, la vera battaglia era lontana, c’era silenzio, una calma immobile che raggelava il sangue. Non c’erano finestre all’intorno, solo alte pareti soffocanti incrostate di marmi colorati, oro e stucchi. Jonghyun si fermò, ansimante, piegò le ginocchia e vi posò i palmi delle mani. Il suo viso era imperlato di gocce di sudore, i capelli erano scomposti ed in parte appicciati alla fronte. Alzò gli occhi. Sopra di lui si dispiegava un soffitto turchese scandito da pesanti lampadari di cristallo, immobili. Mosse dei passi lenti e misurati sulle piastrelle bianche e nere, poi si fermò.
Dov’era sparito? Era certo che fosse lì intorno, non poteva essere altrimenti, forse lo stava anche osservando.
Dove ti sei nascosto, maledetto?
 Silenzio. Era stato come valicare la soglia di un mondo altro e ritrovarsi nella penombra del vuoto, solo. Ma Jonghyun sapeva che Heechul era lì, nascosto da qualche parte, come una tigre pronta a spiccare un balzo. Poteva sentire il suo fiato caldo.
-Dove sei!? – urlò.
Fece un giro su sé stesso, il suono delle piastrelle sotto le sue suole echeggiò all’intorno e una nuova vampata di fuoco corse repentina verso di lui. Jonghyun s’abbassò, arricciò il naso per l’odore di bruciato e sbatté le palpebre. Il fumo gli aveva ferito gli occhi.
Davanti a lui apparve Heechul, i cui passi eleganti e calcolati non produssero alcun rumore e scivolò semplicemente sul marmo come un incubo. 
Heechul incrociò le braccia e lo squadrò. -Ero certo fossi così stupido da seguirmi. –Avanzò lentamente. –Un piano interessante, ma mi domando cosa pensiate d’ottenere. –
-Dov’è Kibum? –, chiese Jonghyun, ignorandolo.
Heechul fece una smorfia. -Un misero mezzosangue come te dovrebbe avere la decenza di chiamarlo con il suo titolo. Sei troppo informale. –
-Che cosa gli hai fatto? –
-Questa tua convinzione che io possa fargli del male è snervante. Cosa pensi che vi ricaverei? Sei tu ad essere un pericolo per lui. Non vedi cosa gli hai fatto? – Heechul simulò sconforto. –Povero Jonghyunie, la tua unica possibilità di mantenere la testa sul collo è svanita, lo sai? Quando Kibum vedrà tutto questo -, allargò le braccia, - e si renderà finalmente conto del selvaggio che sei, di come l’hai usato per condurre i ribelli qui, beh, nulla m’impedirà di prendermi la tua testa. -
Jonghyun inarcò un sopracciglio. Pensava che fosse un suo piano? Divertente. Se c’era sicuramente una cosa che loro non avevano in comune era una mente calcolatrice. Lui agiva d’istinto, erano sempre state le emozioni a guidarlo, talvolta sbagliando, ma quella era la sua natura. Trattenne un sogghigno divertito. Oh certo, a Kibum non sarebbe piaciuto vedere quel caos, ma Heechul sbagliava ad attribuire a lui, Jonghyun, il piano. Provò l’irrefrenabile tentazione di sputare in faccia al fratellastro la verità, ma la represse. Kim Heechul avrebbe comunque scoperto molto presto chi vi era dietro a quel complotto. Per quanto ammirasse l’astuzia del principe commetteva sempre un errore: la sottovalutava. E questo era il risultato. Era davvero pieno di sé se credeva di non poterne essere vittima.
-Se l’idea di prenderti la mia testa ti diverte così tanto dovresti valutare l’idea di farlo in pubblico. –
-Puoi star certo che quando sarà il momento mi premurerò di farlo con le dovute cerimonie. Ora, giacché mi hai seguito fin qui tanto vale giocare, non pensi, Jonghyunnie? -
–Penso che abbiamo tutta l’infanzia da recuperare. –
Jonghyun mulinò la spada pronto a riprendere la corsa, ma una parete di fuoco gli bloccò la strada. Le fiamme sfrigolarono gettando ombre rosse sulle pareti e il marmo sotto di esse iniziò ad annerirsi e a scricchiolare. Delle crepe s’aprirono sul pavimento. Jonghyun imprecò tra sé e scattò all’indietro.
Oltre le fiamme Heechul gli sorrise, lo salutò con un gesto divertito della mano inanellata e s’allontanò lungo il corridoio.
Codardo!, pensò Jonghyun ringhiando tra i denti.
Desiderava essere seguito? Ebbene l’avrebbe accontentato.
Ma poi rimpiangerai di esserti preso gioco di me!
Più passava il tempo, più la sua abilità riprendeva forza. Heechul avrebbe dovuto saperlo; voleva forse attendere quel momento per decretare chi dei due fosse più forte o stava solo giocando prima di finirlo?
Jonghyun corrugò la fronte e si morse il labbro inferiore. Entrambe le opzioni erano possibili.
Camminò all’indietro contando le piastrelle, fissò le lingue scarlatte e si preparò a prendere la rincorsa per saltare, ma fu afferrato per il braccio. Si voltò pronto a difendersi, la spada alzata.
-Jinki? -
Da dove era spuntato?
-Che cosa pensi di fare? –
-Spedirlo all’inferno dal quale è uscito! – ringhiò furioso.
Ne aveva abbastanza di Heechul, dei suoi giochetti e di tutto il resto, voleva…
Jinki lo scrollò prendendolo per le spalle. -Senza abilità? Ragiona. Ti sta chiaramente attirando in una trappola e di questo passo tutto ciò che otterrai sarà farti ammazzare. – Jinki lo fissò dritto negli occhi, serio. -Vai da Kibum. –
Jonghyun guardò le fiamme che si stavano alzando verso il soffitto, sino a ghermire le volte turchesi, e poi un punto indefinito oltre ad esse. Strinse i pugni e i suoi denti stridettero. Il desiderio d’affrontare Heechul era molto forte.
-Jong! Abbiamo bisogno di lui. Trovalo e mettilo al sicuro finché non potrà intervenire in prima persona. –
Jonghyun scosse il capo e sbatté le palpebre. Il viso del più piccolo volteggiò davanti a lui come una piccola luce palpitante.
Kibum.
In quel momento, Jonghyun desiderava solo stringerlo tra le sue braccia e cullarlo dolcemente, sussurrargli parole rassicuranti ed impedirgli di vedere il caos che si era scatenato nel palazzo.
-Kim Jonghyun!-
Jonghyun scosse il capo e poiannuì. Sì, era questo ciò che doveva fare. Che Heechul bruciasse pure nel suo inferno, lui non aveva tempo da dedicargli nemmeno su un invito tanto esplicito e caloroso. Kibum era più importante, era tutto ciò che contava.
-Taemin ti sta aspettando. –
Jonghyun lanciò un ultimo sguardo oltre le fiamme.
Jinki lo spintonò. -Penserò io a lui. Vai. –
-Hyung, stai attento. –
 
Svoltato l’angolo del corridoio a ritroso, Jonghyun trovò subito Taemin ad attenderlo.
-Siete riusciti a raggiungermi-, osservò.
Il viso stanco e provato, Taemin annuì. -L’impresa più difficile è stata convincere Siwon a rimanere con i ribelli, hanno bisogno della sua guida nel palazzo. -
Conoscendo il cavaliere, Jonghyun non ebbe dubbi in proposito.
Fianco a fianco corsero per raggiungere egli appartamenti reali. All’imbocco dell’ala est li accolse una nebbiolina densa e grigia, soffocante. C’era odore di bruciato. Avanzarono portandosi un braccio davanti al viso per proteggersi e strizzando gli occhi.
-Deve esserci stato uno scontro -, osservò Taemin.
Chiunque fosse stato non aveva badato alle conseguenze delle proprie azioni, né considerato il luogo in cui si trovata.
Jonghyun aumentò il passo. -Kibum!!! –
No, non poteva perderlo così! Cos’era successo? Non poteva essere stato Heechul, non avrebbe mai commesso una pazzia simile a meno che non fosse stato certo di perdere, allora forse avrebbe ridotto in cenere sé stesso e Kibum, ma era troppo sicuro di sé per ricorre ad una mossa tanto disperata. Doveva essere accaduto dell’altro.
Ben presto si resero conto che un grosso candelabro accesso era caduto dando fuoco a delle tende, l’incendio era piccolo, ma il fumo generato da quel contatto rischiava di rivelarsi molto più pericoloso.
Jonghyun strizzò gli occhi lacrimanti, guardò la fila di porte alla sua destra e picchiò con forza su di esse.
-Kibum!!! –
Doveva trovarlo!
-Kibum!!! –
 
 
***
 
-Uhm –
Kibum mugugnò ed aprì lentamente gli occhi. Perché la sua vista era così sfuocata? La sua stanza sembrava avvolta dalla nebbia. Tossicò. Il capo gli doleva e l’aria densa e pensante premeva su di lui. Gli ci volle qualche secondo per capire che era semisdraiato a terra contro la porta della stanza. Fece leva sugli avambracci e si mise a sedere, le gambe scomposte e la schiena appoggiata al legno. Alzò il viso alla ricerca di aria pulica ma trovò solo fumo irrespirabile, tossì e si portò un braccio davanti alla bocca e al naso.
Non respiro, fu l’unico pensiero sensato che l’attraversò.
Gli occhi socchiusi e lacrimanti, guardò la finestra chiusa che incorniciava il cielo violetto e rosato dell’alba; se solo le sue gambe non fossero state così molli e prive di forza avrebbe potuto raggiungerla e respirare aria pulita.
Il suo capo ciondolò di lato ed abbassò gli occhi felini sulla mano inerte piena di piccoli graffi inferti dalle schegge di legno.
Jong…
Fu scosso da un colpo di tosse e le sue palpebre tornarono ad abbassarsi. Una strana quieta s’impadronì della sua mente. Era così stanco, spossato sia nel fisico che nella mente, il solo atto di respirare gli costava fatica. Voleva dormire, dormire e lasciarsi avviluppare dalla quiete della notte, così tenera, dolce…
-Kibum!!! –
La porta dietro di lui oscillò. Perché non lo lasciavano riposare in pace? Mugugnò.
Andate via, pensò innervosito.
La porta oscillò di nuovo e rimbombarono dei colpi.
-Kibum!!! –
Il principe scosse il capo.
Jong?
Riaprì gli occhi e sbatté le palpebre. Sembrava davvero la voce di Jonghyun.
-Kibum!!!-
 La sua mente si risvegliò di colpo e guardò con orrore il fumo che lo stava soffocando, annodandogli la gola in grigie spire.
-Jong –, un verso gracchiante fuoriuscì dalla sua gola secca.
Delle lacrime iniziarono a rigargli il volto e tirò su col naso. Jonghyun era davvero lì, oltre quella porta apparentemente invalicabile e stava bene.
-Jong -, sussurrò. Raccolse le poche forze che aveva e puntellandosi sulle ginocchia iniziò a battere dei colpi sulla porta.
-Jonghyun! Jong, sono qui! –
I colpi dall’altra parte cessarono all’istante per essere sostituiti da voci concitate.
-Kibum! –
-Umma! –
Kibum si lasciò sfuggire un sorriso ed emise un verso strozzato misto tra una risata ed un pianto. Riconobbe subito la voce squillante e preoccupata di Taemin, anche lui gli era mancato e non vedeva l’ora di riabbracciarlo. Appoggiò la fronte sul legno, le guance umide e salate.
-Jonghyun, fammi uscire! – singhiozzò.
La porta oscillò di nuovo, risuonarono colpi simili a spallate e la maniglia si mosse più volte, frenetica.
 –Yah –, udì l’urlo frustrato di Jonghyun.
-Yah, spostati stupida scimmia! Cosa credi di fare? Posso aprirla con la mia abilità in un attimo, smettila di comportanti come un animale! –
Non appena la voce di Taemin si spense la serratura scattò. Appoggiato alla porta, Kibum barcollò all’indietro prima di ritrovarsi tra le braccia del più grande. -Bisogna fargli prendere aria, subito -, fece Taemin con urgenza e aprendo la finestra.
Kibum boccheggiò e sostenuto da Jonghyun si sporse oltre il davanzale, tossì. Finalmente tornava a respirare aria pulita, anche la sua vista divenne meno sfuocata e poté abbracciare con lo sguardo i giardini inondata dalla luce chiara dell’aurora. Si strinse a Jonghyun ed appoggiò il capo sulla sua spalla, la punta del naso a sfiorare il collo dell’altro.
-Jong -, sussurrò in un pallido sorriso.
Jonghyung gli accarezzò la chioma corvina e lo strinse a sé, riconoscendo quanto era fragile e debole il corpo dell’altro. Sorrise e gli baciò il capo accarezzandogli la schiena scossa da singhiozzi, poi la sua mascella s’irrigidì e di suoi occhi percorsero con astio ed orrore il caos all’intorno. Un alto candelabro giaceva a terra, dei frammenti di cristallo punteggiavano il tappeto, una parete era macchiata di rosso e del fumo grigio sviluppava ancora parte della stanza. Kibum doveva aver passato dei momenti terribili e solo l’urgenza di trovare aiuto doveva averlo costretto a rimanere ancorato alla porta sino a ridursi allo stremo.
Forse non si è nemmeno accorto di ciò che stava accadendo, pensò.
-Jong -, ripeté Kibum, - ti ho chiamato così tanto. –
La voce del principe era flebile ma esprimeva tutta la sua paura.
–Va tutto bene, ora sono qui.  –
Kibum iniziò a respirare in modo regolare e si crogiolò in quell’abbraccio tenero e rassicurante. Non voleva staccarsene. Finalmente erano di nuovo insieme. Quante volte si erano persi e ritrovati in quella notte infinita? Innumerevoli. Non intendeva perderlo un’altra volta.
Jonghyun gli prese il viso tra le mani. –Kibum, dobbiamo uscire da qui. –
Kibum annuì. Sì, dovevano andarsene. Aveva bisogno di aria e doveva portare a termine un compito.
Devo affrontarlo, pensò.
-Umma -, Taemin gli mise una mano sulla spalla, - ce la fai a camminare? –
Kibum scosse il capo. Avvertiva le gambe molli come cera liquida.
-Forza-, fece Jonghyun, chinandosi, - salimi in groppa ed aggrappati a me. Prendi un bel respiro, dobbiamo riattraversare il corridoio. Chiudi gli occhi finché non saremo all’esterno. - 
Il più piccolo ubbidì, incamerò più aria sana possibile e nascose il viso dietro alla spalla dell’altro.
La corsa che seguì fu come quella lungo un tunnel buio ed infinto. I suoni, gli odori, ogni cosa, scivolò intorno a Kibum senza toccarlo. Si concentrò sul respiro di Jonghyun, sul suo corpo caldo e sul suo profumo. Quando finalmente aprì gli occhi si ritrovò depositato ai piedi di un albero. L’erba appena spruzzata dalla rugiada mattutina aveva una consistenza tenera e profumava di fresco. Le aiuole colme di rose in boccio, bagnate da una luce rosata, contornavano una bianca fontana ed il riverbero del sole depositava i suoi petali dorati sull’acqua. Il vivace zampillare della fontana s'unì al canto delle rondini. Dunque si era svegliato dall'incubo o era prigioniero di un sogno? Forse stava vagabondando in un irrequieto dormiveglia, dove tutto è immobile eppure costantemente in bilico.
Kibum respirò a pieni polmoni e richiuse gli occhi, poi sussultò quando una pezza bagnata gli fu posta sulla fronte e sulle guance. Riaprì lentamente gli occhi e la sua bocca a cuore s’inclinò in un timido sorriso.
-Jonghyun -, sussurrò allungando la mano sottile sul capo dell’altro.
Continuando a detergerlo, Jonghyun alzò gli occhi per la frazione di un secondo e sorrise a sua volta.
-Vedrai che tra poco starai meglio. –
Il principe annuì e sbirciò, da sotto le ciglia arcuate, i tratti concentrai di Jonghyun, la sua fronte aggrottata e le labbra martoriate atteggiate in una smorfia di disappunto. I tocchi del più grande scivolavano leggeri e premurosi sul suo volto come dolce rugiada sui petali dei ciliegi in boccio. Lavavano le sue lacrime, la polvere e lo rigeneravano.
-Umma, non farmi mai più spaventare così –, si lamentò Taemin.
-Mi dispiaci, Minnie-
Taemin scrollò le spalle. – Ora non parlare, hai bisogno di forze. Dimmi solo cosa possiamo fare. Il generale dell’esercito imperiale, non puoi ordinargli di…-
-Non posso ordinargli niente –, fu la risposta immediata di Kibum. –E’ agli ordini del mio promesso, non ai miei. - Abbassò il capo. –I soldati faranno ciò che dice il generale Kang e lui non andrà mai contro Heechul, è grazie alla loro alleanza che ha ottenuto la carica e non ha motivo di credere che perderà. –
Taemin sbuffò e si portò le mani ai capelli biondicci. Non era giusto! La sua umma era l’erede al trono, perché doveva soffrire così a causa dell’ambizione di quel…, sbuffò di nuovo. Non riusciva a trovare un insulto adatto!
Quanto vorrei scaraventarlo di nuovo come un sacco di patate!
Improvvisamente sgranò gli occhi. –I soldati faranno ciò che dice il generale -, ripeté.
Kibum annuì. –E’ così…-
-Ho un’idea -, scattò Taemin, - ma ho bisogno di Minho. – Si morse le labbra, nervoso. –Pensate di potervela cavare? –
-Stai tranquillo, ci penserò io -, disse Jonghyun.
Kibum guardò Taemin sparire tra le siepi e sorrise. Sperava davvero che qualunque idea gli fosse venuta potesse aiutarli, perché lui, si rendeva conto con orrore, in quel momento aveva la mente prosciugata. Non era così che avrebbe voluto rivederlo, nella frenesia della battaglia, ma non potevano fare altrimenti. Ora avevano tutti dei compiti importanti da svolgere.
Io per primo.
Giunti alla fine, forse vi sarebbe stato il momento di rimettere insieme i pezzi e ritrovarsi.
Sospirò e tornò a concentrarsi su Jonghyun. Il più grande gli sfiorò il viso un’ultima volta e abbassò la mano.
-Ecco -, fece Jonghyun, - ora stai meglio? –
-Deh -
Si sentiva molto meglio, aveva solo bisogno di aria pulita per tornare in forze. Tuttavia, ora era Jonghyun a preoccuparlo. Era spossato e nonostante il tentativo di addolcire lo sguardo ogni volta che lo posava su di lui, appena lo abbassava la sua fronte veniva attraversata da solchi profondi e la sua mascella si serrata rigida, tuttavia i suoi occhi, benché segnati da profonde occhiaie a testimonianza di quella lunga notte insonne, luccicavano di belligerante determinazione. Kibum conosceva bene quello sguardo: Jonghyun era furioso. Osservò i suoi abiti scoprendoli macchiati di polvere, cenere e sangue.
-Sei ferito? – domandò con urgenza.
–Non è mio. –
Kibum lo sondò attentamente per accertarsene, notò uno strappo lungo il bordo della camicia che lasciava intravedere gli addominali ben disegnati e poi l’ammasso di stoffa che Jonghyun aveva utilizzato per rinfrescarlo.
-Grazie -, disse sfiorandogli un guancia.
Era strano ritrovare tanta dolcezza dopo quelle settimane di separazione che gli erano sembrate infinite, eppure era sempre stato così tra loro. L’uno per l’altro, anche quando non sapevano che i fili del loro destino erano già stati intrecciati. Kibum rammentava il primo momento in cui i loro occhi si erano sfiorati e qualcosa s’indefinito si era impossessato del suo corpo e risvegliato nella sua anima. L’amore era già lì, solo in attesa di una scintilla, e dopo tutti i dubbi e le paure di una cosa era certo: non l’amava più come quel giorno. Il suo amore era cresciuto ad ogni suo respiro e loro con esso. L’avevano nutrito con le loro lacrime, con i loro sorrisi e ora non potevano più rinunciare all’altro. Il mondo non avrebbe più avuto alcun senso. Sarebbe stato solo il ruotare insensato di un pianeta su sé stesso. A quale scopo portare avanti un movimento tanto faticoso se l’universo all’intorno rimaneva vuoto, nero, freddo e senza luci? Anche se tutto era nato come un sogno le loro speranze l’avrebbero reso reale.
Kibum guardò in direzione del palazzo e assottigliò le labbra a cuore, mentre la brezza dolce di primavera giocava con le sue ciocche corvine, ravvivandole. I occhi felini che lampeggiarono determinati. C’era odore di cenere nell’aria. Soffocante ed acre cenere. Cercò la mano di Jonghyun e le loro dita s’intrecciarono per dare un senso al bisogno di valicare definitivamente il confine ultimo che ancora li separava. Era meraviglioso essere di nuovo l’uno al fianco dell’altro ed avere la sensazione che, infondo, non si erano mai lasciati. Le loro anime erano rimaste avvinghiate in quel nodo strano e perfetto.
Kibum distolse lo sguardo e s’accosto al più grande, le dita sempre intrecciate, gli sfiorò la guancia con la punta del naso e dalle labbra di entrambi fuoriuscì un sospiro.
-Là dentro ho temuto di perderti per sempre e di vedere riaprirsi quella porta solo per realizzare che era stato davvero un sogno destinato a finire. Di scoprire che noi, ormai, non eravamo altro che cenere, che la mia realtà era il mio incubo, senza alcuna possibilità di risveglio. –
Gli accarezzò una guancia e le sfiorò con le labbra rosate.
-Devo affrontarlo, non vi è altro modo per fuggire del limbo di questo incubo. -
Jonghyun si rabbuiò e lanciò un’occhiata obliqua al palazzo. Heechul, sibilò tra sé con astio represso. Sapeva di non avere né il potere, né il diritto d’impedire a Kibum d’affrontarlo; non avrebbe mai permesso ad altri di combattere le sue battaglie. Nemmeno a lui. Gli bastò uno sguardo agli occhi determinati del più piccolo per capirlo.
Ma starò al tuo fianco. I suoi occhi d’ambra scivolarono caldi sulle loro dita intrecciate. Non commetterò più l’errore di separarmi da te.
Assottigliò le labbra. – Lo so. -
Giunti sin lì non potevano permettersi di fare passi indietro. Potevano solo avanzare come pedoni, lo sapevano entrambi, e leggevano la medesima consapevolezza sul viso dell’altro.
Kibum annuì, si strinse a Jonghyun e si baciarono.
In quel tempo inesistente e apparentemente infinito che avevano passato segregati nelle stanze più buie del loro essere avevano visto il pensiero dell’altro sprofondare nell’oblio, e loro stessi erano sprofondati con esso. Solo il loro amore era riuscito a colmare quel vuoto e comunque fosse andata ora erano di nuovo insieme, forse per l’ultima volta o forse per sempre, ma erano insieme. In piedi, sull’orlo del nulla, si cercarono e si rincorsero in una danza in punta di piedi per ripristinare un equilibrio perduto. Entrambi si lasciarono trasportare come foglie sulla superfice cristallina di un ruscello. Fu un bacio pieno dello stesso calore confortate del fuoco in pieno inverno, di una passione calma, avvolgente e sempre più profonda. Le loro abilità ancora dormienti s'agitarono e ripresero forza, come se il semplice danzare delle loro anime avesse fatto scattare una molla.
 Il fiato corto ed i polpastrelli posati sulle guance di Jonghyun, Kibum si staccò appena.
-Starai con me fino alla fine?-
-Fino alla fine.-
 

 
 
 
Rieccomi! La scimmia cappuccina ha di nuovo ritrovato il suo casco di banane preferito!
 
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Sappiate che intendo torturavi sino all’epilogo che forse riserverà ancora qualche sorpresa (devo ancora definire i dettagli), quindi iniziate ad allenarvi a prendere a testate lo schermo u.u
 
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Ricordo che i commenti sono sempre graditi, soprattutto ora il vostro sostegno è fondamentale per aiutarmi a concludere al meglio!
Alla prossima! <3

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Capitolo 42
*** Capitolo 41. One by one, even today ***


 
Salveeee, sì lo so, sono in ritardo clamoroso, non aggiorno da quasi un mese T.T
Mi vergogno tantissimo e vi chiedo scusa, purtroppo è stato un mese un po' incasinato tra tesi, lavoro e rischio d’influenza. La lunghezza del capitolo e le continue revisione sia in corso di stesura che a lavoro concluso non hanno di certo velocizzato i tempi di pubblicazione. Sottopongo sempre i miei capitoli a lunghe riletture, anche se ovviamente qualcosa sfugge sempre, e a questo ci tenevo in modo particolare per ovvi motivi. Scriverlo non è stato facile e ci sono ancora un paio di cose che non mi soddisfano, ma sinceramente non so più dove “ritoccare”, ho tagliato, aggiunto, spostato e riscritto alcune frasi tante di quelle volte che farlo di nuovo mi sembra assurdo e controproducente. Gestire le varie scene non è stato semplice sia per quanto riguarda la loro disposizione che per il loro svolgersi interno.
Questa volta non lascerò i consueti ringraziamenti, non perché non voglia farveli, ma perché voglio riservarmi di farveli per bene nell’epilogo (che spero di non pubblicare tra un mese XD).
Piccolo suggerimento pre lettura: prendente un bel respiro e armatevi di pazienza se volete arrivare alla fine perché sono circa 34 pagine di word e succede un po' di tutto. Vi avevo avvertiti che sarete tornati a respirare solo con l’epilogo u.u
Spero di essere riuscita ad eliminare la maggior parte degli errori (in caso contrario mi scuso) e soprattutto di vedervi agonizzanti a fine capitolo XD
Buona lettura!
 
 
 
Capitolo 41
One by one, even today
 

 
 “I shoo away sleep and open my sleepy eyes
After a few moments, it will be tomorrow
The quickly passed by day feels so empty
My heart swallows sand
(…)
The actions that silently gave scars
I didn’t mean to hurt you but
I only have a sorry heart all the time
(…)
I look back on the film of our memories
On the day we first met
My heart pounded so hard, I couldn’t hide the tears
(…)
There is a rope between us
Something that can’t be explained, something so great
Our stories, memories keep connecting
one by one, even today”
Shinee, Honestly
 
 
 
Le fiamme scarlatte danzarono convulse, ghermendo le volte turchesi e annerendole, i bianchi fiori di stucco contrassero i petali e si disfecero, l’oro iniziò a colare lungo le pareti in liquidi raggi di sole, il pavimento di marmo scoppiettò ed il puzzo di bruciato permeò l’aria del corridoio.
Jinki si portò un avambraccio davanti al naso, il pugno serrato, e ad uno battito delle sue ciglia la cortina di fiamme s’aprì davanti a lui. Scrutò il corridoio appena illuminato dalla luce dell’alba che si rifrangeva sui vetri infranti delle finestre, simili al luccichio della rugiada al mattino, il tutto avviluppato da una fastidiosa e grigia nebbiolina. Ridusse gli occhi a fessure e le sue labbra si distesero in un taglio dritto e perfetto, poi iniziò a correre. Kim Heechul non poteva essere andato troppo lontano.
In quell’area del palazzo i corridoi si susseguivano vuoti e silenziosi, il tramestio della battaglia era lontano, ma Jinki sapeva che gli altri stavano combattendo duramente. Sperava solo che tutto si concludesse prima che si giungesse al disastro.
O a quel punto l’esercito di Leeteuk sarà costretto ad entrare in città.
Jinki si fermò, il suo mantello ondeggiò oltre le sue spalle e le sue ciocche castane seguirono i movimenti del suo capo. Si guardò intorno. Dov’era? Non poteva di certo essere svanito nel nulla. Il suo avversario era astuto e sapeva esattamente ciò che stava facendo; attirare Jonghyun in una trappola doveva essere stato il suo intento sin dall’inizio, ecco perché l’aveva allontanato dall’epicentro del caos. Desiderava affrontarlo e finirlo, faccia a faccia. Tuttavia, Kim Heechul sembrava essersi volatilizzato.
Jinki irrigidì i muscoli e corrugò la fronte.
Dove sei finito?
Scrutò il corridoio davanti a lui, il lungo tappeto arabescato che attraversava il pavimento e su di esso, al limite della penombra in cui si perdeva, si dispiegò un’ombra. Dei lucidi stivali fecero capolino e spezzarono la luce violetta.
-Ce ne hai messo di tempo, Jonghyunnie, il nascondino non è mai stato uno dei tuoi giochi preferiti? –
Heechul si bloccò e le vene sul suo collo pulsarono.
-Desolato -, fece Jinki aprendo i palmi delle mani -, Jonghyun non poteva rimanere a giocare, aveva qualcosa di più importante di cui occuparsi. -
Heechul lo fissò stranito e visibilmente irritato. Non gli era mai piaciuto vedere i suoi progetti sfumare e nelle ultime ore nulla stava andando come aveva previsto. Heechul irrigidì la mascella e trattenne un verso di rabbia. Qualcosa di più importante…il lord di Busan non aveva dubbi su ciò che poteva trattenere Kim Jonghyun dall’inseguirlo. Kibum.
Ma io ho messo il mio micetto al sicuro, pensò.
Sogghignò. Il bacio del più piccolo gli aveva lasciato un sapore dolce in bocca e sulle labbra. Kim Jonghyun aveva ormai decretato la propria fine. Invadere il palazzo e sperare di uscirne illeso era un’assurdità che l’avrebbe portato dritto al suo cospetto e lui, Heechul, avrebbe ben volentieri calato il sipario su di lui con il benestare di Kibum al suo fianco, finalmente uniti davanti a tutta Chosun. Tuttavia, vedere il suo giochetto interrompersi così bruscamente era davvero snervate quanto l’esistenza stessa di Jonghyun.
Si portò una mano al fianco con fare annoiato.
-E tu chi saresti? -
Molte cose per Jinki avevano perso importanza, se ne rese conto in quel preciso momento. Gli occhi di liquida lava del suo interlocutore sembravano pronti a fare terre bruciata di qualunque ostacolo lungo il suo cammino e Jinki quello sguardo lo conosceva bene. L’aveva scrutato nel suo riflesso allo specchio mille volte, ma quelle mura che aveva tanto odiato ora intendeva mantenerle salde per chi aveva il dritto di regnare. C’era ancora rabbia in lui, ma le minacce, le provocazioni, avevano ormai perso significato. Era cambiato tutto. Ancora prima di mettere piede lì dentro si era interrogato su quanto potesse considerarsi forte abbastanza da non cedere ai suoi istinti peggiori. Sapeva che una volta nel palazzo la sua battaglia più dura sarebbe stata quella contro sé stesso. Erano state le parole concitate e preoccupate di Taemin e smuoverlo mesi addietro e, anche ora, creavano intorno a lui uno scudo invisibile, ma infrangibile.
Anche io soffro, ogni giorno. Non c’è notte in cui le fiamme, l’odore della cenere, le urla e tutti quei momenti terribili a Jin Sung non vengano a farmi visita. Ma questa follia non ci ridarà il passato. Io sono solo il tuo fratellino, ma so che un Leader ha il compito di guidare e proteggere chi lo segue, tutti, dal primo all’ultimo e il Jinki che conosco ha sempre messo il bene degli altri davanti al suo. Hai sempre preteso fedeltà e i tuoi modi gentili e la tua accortezza ci hanno permesso di prosperare in questi anni, hai dato a tutti uno scopo comune, incrementato la fiamma di un sogno e di una speranza per questo regno. Allo stesso tempo hai allontanato chiunque fosse mosso da cieca vendetta, dal semplice desiderio di compiere atti tanto violenti quanto insensati, eppure tu stesso ora ne sei consumato.
Guidare, proteggere, erano questi i suoi compiti e Taemin aveva fiducia in lui.
Per Tae, pensò risoluto, non perderò la mia strada.
Sino ad allora aveva portato avanti il suo ruolo ed i suoi compiti da leader, aveva guidato, protetto e preso parte alla realizzazione del piano, ma ora per lui era giunto il momento di farsi da parte. Consapevole di essersi ormai lasciato alle spalle i propri demoni personali, tutto ciò che poteva e doveva fare era spianare la strada a Kibum. Da lì in poi era tutto nelle mani dell’erede al trono di Chosun. Era la sua battaglia, il suo regno, il suo demone. Lui, Jinki, doveva solo tenere il lord di Busan lontano da Kibum, distrarlo, finché il principe non fosse stato pronto ad affrontarlo. L’alfiere che distoglie l’attenzione da altre pedine in movimento, molto più pericolose e prossime allo scacco matto.
Jinki incrociò le braccia. -Ha importanza? –
Heechul sogghignò. –No, se sai come giocare. –
Le labbra di Jinki assunsero una strana incurvatura. –Gioco molto bene. –
Il lampadario di cristallo sopra i loro capi oscillò, i suoi riflessi sulle pareti tremolarono come una polla d’acqua disturbata dal soffio del vento e della polvere bianca cadde dal soffitto.
-Bene. – Fece Heechul. - Le vittorie danno più soddisfazioni quando gli scontri sono alla pari. –
Una lingua di fuoco saettò verso il Leader dei Ribelli e Jinki ruotò di lato, strinse i denti e, tenendo i piedi ben piantati a terra, afferrò con la mente la sua abilità. Le gocce di cristallo del lampadario si staccarono, fluttuarono a mezz’aria e si lanciarono in avanti per travolgere Heechul. Una vampata di fuoco le investì.
Heechul rivolse a Jinki una smorfia infastidita.
-Ho già visto questa abilità. Dov’è il ragazzino biondiccio? Ho un conto in sospeso con lui. -
Jinki inarcò un sopracciglio. Taemin. Suo fratello l’aveva incontrato nella foresta insieme a Kibum. Serrò la mascella. Se Kim Heechul sperava di pareggiare quel conto in sospeso, beh, avrebbe dovuto rivedere le sue priorità.
-Non credo che tu abbia tempo da perdere con un’invasione da gestire -, osservò.
Heechul scoppiò a ridere. – Invasione? Siete ridicoli, voi…-
Non fece in tempo a terminare la frase perché venne sbalzato indietro. Heechul rotolò sul tappeto digrignando i denti, il completo di seta scarlatto ormai impolverato e macchiato di cenere. Inginocchiato scompostamente sul tappeto e con il viso paonazzo, Heechul osservò Jinki avanzare con passi misurati. Il tappeto prese fuoco e Jinki fece un salto indietro, mentre delle fiamme tentavano di avviluppargli le gambe. Approfittando della momentanea distrazione dell’avversario, Heechul si rialzò con un balzo, pronto a dileguarsi.
Jinki lo vide con la coda dell’occhio svoltare dietro ad un angolo. Imprecò tra sé. Non poteva lasciarselo scappare senza avere la certezza che Kibum fosse pronto! Lo rincorse e quando raggiunse una balaustra dorata si bloccò. Sotto di lui s’apriva un ambiente circolare, il pavimento a scacchiera era un alternarsi di piastrella bianche e bluastre, le pareti animate da archi e vetrate sostenevano una cupola da cui pendeva un grande lampadario di cristalli multicolori.
La mano affusolata elegantemente posata sulla ringhiera d’oro, Heechul scivolò lungo una scalinata di marmo e, volteggiando, raggiunse il centro della sala. Alzò il capo verso Jinki e sorrise sghembo. Doveva assolutamente liberarsi di lui, poiché aveva cose molto più importanti a cui pensare e nemici molto più insidiosi per lui ed il suo micetto d’affrontare. Ogni secondo che concedeva a quel tizio era un passo indietro rispetto a Jonghyun. Non poteva permetterlo!
Jinki strinse con forza la balaustra, le vetrate tremarono, i cristalli del lampadario tintinnarono convulsi e seguì uno schianto, subito avvolto da una cupola fiammeggiante rossa e oro.
Quando la bolla di fuoco si diradò il pavimento a scacchi era disseminato dai resti delle vetrate ridotte in poltiglia e cenere, solo il centro della sala mostrava ancora una piastrella bianca. Jinki ritrasse le mani dal metallo incandescente, fece un passo indietro, ridusse gli occhi a fessure e fu colto da un senso d’inquietudine. Di Kim Heechul non vi era più traccia. L’aveva perso.
 
 
***
 
 
Lasciatosi alle spalle l’irritante piantagrane dotato di abilità, Heechul non perse tempo a guardarsi indietro. Attraversò i corridoi come una furia dirigendosi a passi sicuri e decisi verso gli appartamenti reali. Con quel mezzosangue di Kim Jonghyun a piede libero nel palazzo nulla di ciò che era suo poteva dirsi al sicuro. Doveva accertarsi che tutto fosse in ordine e stabilire ulteriori misure di sicurezza. Il suo micetto non doveva essere toccato. Non appena raggiunse l’ala est capì subito che doveva essersi verificato il peggio e, aumentando il passo e serrando i pugni sino ad aprire dei piccoli taglietti sui palmi, trovò con orrore la porta spalancata. S’arresto sulla soglia per la frazione di un secondo, poi le ante bianche e oro sbatterono alle sue spalle. I frammenti di cristallo sparsi sul pavimento scricchiolarono sotto i suoi stivali, un candelabro era riverso a terra, segno inequivocabile che il suo Bummie si era difeso; e la finestra era spalancata. Heechul ruotò su sé stesso e si mise le mani tra i capelli.
-Kim Jonghyun! – urlò fuori di sé.
Sferrò un calcio ad un tavolino intarsiato di madreperla, il mobilio si ripiegò su sé stesso e volarono schegge di legno. Alcune gli graffiarono le guance.
Il viso rosso di rabbia e le labbra seducenti contratte in una smorfia grottesca, Heechul s’impose calma. Non era cedendo ai suoi istinti che avrebbe risolto quella spiacevole situazione. Doveva riflettere ed agire in modo meticoloso. I muscoli del suo viso tornarono a distendersi, le labbra s’atteggiarono in una curva morbida e gli occhi limpidi luccicarono. Attratto dall’aria fresca del mattino che filtrava dalla finestra e faceva ondeggiare le tende sottili, Heechul posò l’avambraccio sul davanzale marmoreo e vi tamburellò le dita affusolate, seguendo un ritmo tetro che, tuttavia, nella sua testa risuonò come una marcia trionfale. Colto da ilarità improvvisa si piegò in avanti nel fallimentare tentativo di soffocare una risata che, alla fine, echeggiò cristallina.
-Ah Jonghyunnie -, sospirò facendo spaziare gli occhi lampeggianti sulla devastazione all’intorno. –Scoprirai molto presto che l’odio di Kim Kibum può essere repentino e letale quanto il suo affetto e tu, fratellino, hai passato il segno. –
Kim Heechul non aveva dubbi in proposito. Qualunque affetto Kibum avesse nutrito o nutriva ancora per quel mezzosangue era prossimo a sfumare, o era morto del tutto.
Fece scivolare lo sguardo sui giardini sottostanti e ciò che vide lo fece sorridere.
 
 
***
 
 
-Minho! –, gridò Taemin aprendosi la strada a gomitate e a colpi di abilità tra i combattenti.
Nell’udire il suo nome pronunciato dal più piccolo, Minho mulinò un ultimo colpo di lama e si voltò all’istante avanzando tra la calca. Siwon, a pochi metri da lui, fece lo stesso.
Taemin si piegò sulle ginocchia posandovi i palmi delle mani, i capelli sudaticci erano in parte appiccicati alla sua fronte e le gambe gli tremavano leggermente per la corsa.
I due lo guidarono lontano dai combattimenti e si ripararono dietro ad un gruppo di colonne.
-Che cos’è successo? – lo incalzò Minho.
-Dov’è sua grazia? – fece Siwon, prendendolo per le spalle. Minho lo scostò rivolgendogli un’occhiata contrariata.
-Siwon -, disse Taemin trafelato e con il fiato corto, - se sento ancora un “sua grazia” giuro che ti prendo a calci. -
Il cavaliere tossicò e ammutolì.
Taemin si passò l’avambraccio sul viso sudato, appoggiò la schiena ad una colonna e si portò una mano al petto. Il suo cuore stava scoppiando. Non si era reso conto d’aver corso così velocemente. Prese un bel respiro. Aveva l’impressione di essere appena riemerso dopo una lunga nuotata. 
-Ho lasciato la scimmia cappuccina e umma nel giardino est. –
Minho rivolse e Siwon un’occhiata interrogativa.
-Quello vicino agli appartamenti reali -, specificò subito il cavaliere.
-E dunque? – chiese Minho aprendo i palmi delle mani. – Cos’è successo? –
-Abbiamo evitato il peggio, umma è al sicuro con Jonghyun -, roteò gli occhi.
Quella stupida scimmia!, pensò. Aveva avuto di nuovo la possibilità di fare l’eroe e invece se non fosse stato per lui, Taemin, probabilmente lo scimpanzé sarebbe stato ancora là a prendere a calci una porta! Arricciò il naso. Almeno si era caricato il suo tortino di cioccolato sulle spalle e l’aveva portato al sicuro!
-Il peggio?!-, scattò Siwon, - sua grazia…-
Taemin s’impose di mordersi la lingua per mettere a freno la sua parlantina. Non avrebbe mai dovuto allarmare Siwon in quel modo!
-Era solo un po' provato, ora sta bene -, tagliò corto.
Meglio tralasciare i dettagli, rifletté.
L’ultima cosa di cui avevano bisogno era dover controllare anche Siwon.
-Com’è la situazione?-
Minho scosse il capo sconsolato. –Non va bene, i soldati sono ovunque, anche con i rinforzi che tuo cugino ci ha fornito…-
-Non possiamo permettere all’esercito di entrare in città, dobbiamo evitare questa manovra ad ogni costo -, fece Siwon, perentorio. – Sua grazia ha detto…-
Taemin si massaggiò le tempie e non ascoltò il seguito, l’ennesimo “sua grazia” era stato più che sufficiente a convincerlo a staccare la spiana, e lui aveva un piano.
-Dobbiamo trovare il generale Kang. -
-Che cosa vuoi fare? – chiese Minho.
Taemin incrociò le braccia e sorrise. -Ti serve la sua divisa. -
-Cosa?-
-Ho un piano. Siwon, sai dove possiamo trovarlo?-
-Sicuramente nella caserma. Venite. -
Il cavaliere li guidò dando loro istruzioni e si lasciarono alle spalle l’epicentro della battaglia. Superate grandi sale rettangolari e corridoio infiniti, Siwon s’appresto a condurli all’esterno del palazzo per raggiungere una grigia costruzione squadrata dall’aria militare.
-Eccola, ora noi…-
Non fecero in tempo a valicare le colonne del porticato che s’affacciava sul giardino, né tanto meno Siwon a terminare la frase, perché furono costretti a fermarsi.
-Speravo proprio d'incontrarti di nuovo.-
Da dietro una colonna spuntò Kyuhyun. Una mano al fianco e l’altra che penzolava annoiata lungo il corpo, Kyuhyun focalizzò la propria attenzione su Siwon. La guardia del corpo del principe digrignò i denti.
-Ancora lui-, si lamentò Minho.
-Andate -, disse Siwon accennando al grigio edificio. - Io devo occuparmi di questo serpente. –
Una volta raggiunta la caserma, Minho e Taemin s’appiattirono contro la parete e ripresero fiato.
-Ora si può sapere che cos'hai in mente? – domandò il più grande.
Il più piccolo roteò gli occhi. La diffidenza di Minho era decisamente fastidiosa, soprattutto considerata la natura della loro relazione!
-Un'idea -, rispose piccato.
Minho evitò di commentare, si limitò ad umettarsi le labbra e a sbirciare all'interno dell'edificio grazie ad una finestrella. C'erano tre ufficiali e il generale Kang, a giudicare dalla divisa più vistosa e gli alti gradi sulla spalla, e discutevano animatamente riuniti intorno ad un tavolo. Minho non riuscì a non a trattenere un sorriso. Nonostante la situazione volgesse a favore dell'esercito imperiale e di Busan i loro avversari erano agiatati.
-Spero che sia una buona idea-, disse.
Il più piccolo mise il broncio ed incrociò le braccia. -Io ho sempre buone idee, Choi Minho. -
Minho roteò gli occhi. Peccato che quelle idee fossero spesso pericolose e sconsiderate.
Taemin sorrise con aria innocente ed indicò con l'indice l'interno dell'edificio. –Entriamo-, sussurrò.
Minho annuì ed estrasse la spada, qualcosa gli suggeriva che a dispetto dell'abilita del più piccolo il grosso del lavoro sarebbe toccato a lui. Nulla di nuovo. Infatti, al di là di ogni buonsenso, il più piccolo non perse tempo e fece il suo ingresso in totale tranquillità, incurante dei soldati all’interno.
-Chiedo scusa per l’intrusione -, fece Taemin accennando un inchino.
I soldati ammutolirono e intorno al tavolo iniziò a serpeggiare un certo sconcerto, poi estrassero le spade. Solo il generale Kang rimase fermo nella sua posizione limitandosi a gridare degli ordini. Non ci volle molto perché Minho e Taemin riuscissero a respingere gli avversari e alla fine rimase in piedi solo Kang che, per tutto la durate del breve scontro, era rimasto ancorato con una mano al tavolo.
Kang snudò i denti e guardò con disgusto gli ufficiali a terra, poi puntò gli occhi piccoli e sottili sui due invasori. -Non so cosa voi altri abbiate in mente, ma…-
Non terminò la frase perché una sedia gli finì dritta in testa. L'uomo barcollò e si accasciò a terra, dove andò a fare compagnia ai suoi sottoposti.
-Forza Minho, spogliati e indossa la sua divisa -, disse Taemin senza mezzi termini.
-Taemin sei impazzito?!-
Il più piccolo sbuffò e pestò un piede. -Vuoi aiutare umma o no? Non fare domande e muoviti. -
Minho fece spallucce e s'impose di non porre al più piccolo ulteriori domande, almeno per il momento. Una volta indossata la divisa si sistemò il colletto, allacciò i polsini e lisciò le maniche. Ruotò le spalle osservando con un certo disagio i gradi luccicanti e le medaglie sul petto. Gli sembrava d’indossare una pelle non sua.
-Ora vuoi dirmi cosa dovrei fare combinato così, dato che vuoi usare me per la tua assurda idea? -
-Non agitarti, Minho hyung, non è niente di complicato. –
Minho strabuzzò gli occhi e represse un colpo di tosse. Minho hyung?! Questo non prometteva niente di buono! Si passò una mano sulla fronte.
-Taemin -, lo squadrò temendo il peggio.
Taemin unì le mani dietro alla schiena, si puntellò sui talloni e poi iniziò a girare intorno al più grande, sorridendo. Osservò con occhi brillanti la figura elegante e slanciata di Minho. -Ti sta bene -, disse non riuscendo a nascondere una punta d’orgoglio, ma anche d’imbarazzo. Arricciò il naso, arrossi e sgranò gli occhi non appena le labbra di Minho gli rubarono un bacio.
-Cosa fai? – mugugnò.
Certamente non gli dispiaceva quell’effusione inaspettata, ma non era esattamente il momento opportuno. Lui aveva un dannato piano geniale!
-Per una volta voglio essere io a coglierti di sorpresa -, rispose Minho sorridendo a fior di labbra.
Beh, pensò Taemin, se stiamo per rimetterci il collo tanto vale ritagliarci un breve momento per noi.
Non dubitava, infatti, che umma Key e appa pollice opponibile stessero facendo altrettanto prima d’affrontare il peggio.
Taemin si ritrovò a sorridere a sua volta, s’alzò sulle punte dei piedi, affondò le mani tra i capelli dell’altro e si lasciò trasportare da quel bacio ogni secondo più passionale, perché nonostante tutta la spavalderia Taemin aveva paura. Quel mare di fuoco di cui aveva parlato a Minho lo vedeva ancora ed era sempre più vicino, li circondava e rendeva impossibile vedere con chiarezza ciò che vi era oltre.
Ma non importa, pensò, qualunque cosa vi sia oltre ad esso noi la stiamo affrontando insieme.
Quella era già una vittoria.
-Iniziavo a temere che non sarebbe mai accaduto. -
I due si staccarono di colpo. Jinki era davanti a loro e li osservava a braccia incrociate con una strana aria soddisfatta dipinta in viso.
Minho iniziò a sudare freddo. -Jinki, posso spiegare…-
Il Leader scoppiò a ridere. -Stavo perdendo le speranzo con voi due. -
I due fratelli si scambiarono un’occhiata complice e Minho sbatté le palpebre, stranito. Aveva sentito bene? Guardò Taemin che si portò una mano davanti alle labbra per celare una risata e scosse il capo imponendosi, di nuovo, di non porre domande. Non era il momento e ad ogni modo le risposte rischiavano di rivelarsi più inquietanti della completa ignoranza. Minho sapeva bene che con i due Lee era sempre meglio non approfondire.
-Tuttavia-, fece Jinki iniziando a passeggiare per la stanza, - il vostro tempismo non è dei migliori, ma mi racconterete di questa storia più tardi. -
Jinki tornò serio, fece scivolare lo sguardo attento sui corpi esanimi dei soldati, sulla divisa di Minho e, infine, alzò gli occhi sul fratello in cerca di una spiegazione.
-Il generale Kang -, disse Taemin facendo cenno all’uomo semisvestito e privo di conoscenza, - è stato corrotto dal lord di Busan e di conseguenza l’esercito, ma quando i soldati imperiali lo vedranno muovere le armi contro Busan e non contro i Ribelli…- 
-Allora faranno altrettanto -, concluse Jinki.
-In breve la notizia si diffonderà tra i ranghi dell’esercito e l’avremo dalla nostra parte. -
Minho tossicò, anche lui iniziava ad intuire, ma non gli piaceva per niente. Il vero Kang era steso a terra e lui, Minho, indossava la sua divisa. Incrociò le braccia.
-Non può funzionare. –
-Sciocchezze-, disse Taemin, -nella confusione della battaglia nessuno noterà la tua faccia. -
-Questa affermazione è alla stregua di un insulto, che cos’ha la mia faccia?-
-La tua faccia non ha nulla che non va, ma nella confusione della battaglia nessuno vi farà caso, noteranno solo la tua divisa ed i tuoi gradi. – Taemin gesticolò. -L’importante è che ti vedano da lontano combattere i soldati di Busan. Inoltre-, disse dando un calcetto ad uno degli ufficiali tramortiti, - anche io farò la mia parte.-
Jinki annuì e si meravigliò di non averci pensato per primo. – Ottimo piano, Taemin. –
Era davvero un piano interessante e anche Minho concordava appieno sul quel punto, peccato che avessero deciso di usare lui senza interpellarlo. Fece spallucce. C’era davvero ben poco da fare, tanto meno protestare. L’idea folle di Taemin poteva davvero rivelarsi una mossa vincente ed impedire al grosso dell’esercito di Leeteuk di fare irruzione in città e scatenare il panico.
-Grazie hyung, ma tu non stavi inseguendo Kim Heechul? Cos'è successo? -
Il Leader si scurì. -L'ho perso -, ammise con vergogna. Si era lasciato fregare e quando il fuoco si era diradato era rimasto solo con un pugno di cenere tra le mani. -Non ho idea di dove sia finito, ma immagino si metterà sulle tracce di Jonghyun. -
-E quindi di Kibum, ora sono insieme. -
-Tu non eri con loro?-
-Sì, ma li ho lasciati nel giardino est. – Taemin sospirò. - Hyung, non penso che ora Kibum sia in grado di affrontarlo. –
Quella era una pessima notizia. Non solo Jinki aveva perso Kim Heechul, ma era anche venuto meno all’obiettivo che si era imposto quel giorno: tenerlo lontano da Kibum finché il principe non fosse stato in grado di affrontarlo. Delle rughe profonde si disegnarono sulla fronte del Leader. Il lord di Busan era a piede libero e con ogni probabilità stava cercando o Kibum, o Jonghyun o entrambi, in ogni caso li avrebbe trovati insieme. La situazione era troppo pericolosa, bastava un passo falso per far crollare il precario castello di carte che avevano costruito e, a quel punto, anche il piano di Taemin sarebbe servito a ben poco. Doveva raggiungerli.
-Vado da loro. In quanto a voi -, accennò un sorriso, – buona fortuna. –
 
 
 
***
 
 
I vetri limpidi dall’intelaiatura dorata permettevano solo un fugace scorcio sul piccolo giardino rigorosamente ordinato in aiuole di rose e gigli, tuttavia le pesanti tende di velluto blu erano tirate a celare qualunque cosa stesse accadendo oltre le pareti della sala del consiglio reale. Solo la luce del primo mattino filtrava in raggi sottili come lame, spezzando la monotonia dell’ombra, e scivolava gialla e rosata sugli affreschi e sul lungo tavolo di ciliegio. Quattro guardie, con indosso una divisa verde e oro, erano schierate ad ogni lato e posavano, rigide, la mano sull’elsa della spada appesa al fianco.
Leeteuk, seduto al posto d’onore, incrociò le braccia e con un sospiro rilassato s’appoggiò allo schienale imbottito. Allungò una mano sul legno pregiato facendola scivolare sino alla fine tazzina di ceramica davanti a lui e, preso un cucchiaino dorato, iniziò a mischiarne distrattamente il contenuto trasparente. Un profumo di vaniglia si diffuse nell’aria. Impegnato in quei gesti semplice ma metodici, Leeteuk osservò di sottecchi i nobili seduti intorno al tavolo e si lasciò sfuggire un sorriso.
-Il vostro tè si fredderà -, fece con candida premura.
Qualcuno sobbalzò, altri contrassero i muscoli facciali, irritati, e i lunghi orecchini di lady Park tintinnarono come serpenti a sonagli.
Lord Jung si tamponò il volto paffuto e sudaticcio con un fazzoletto di seta. –E’ avvelenato? –
Leeteuk si portò la tazza alle labbra e sorseggiò.
I nobili si scambiarono delle occhiate dubbiose, poi seguirono il suo esempio, finché l’anziano lord Sik non posò la sua tazza sul piattino e prese la parola.
-Possiamo sapere, di grazia, per quale motivo siamo stati trascinati qui dai vostri soldati prima dell’alba? –
Leeteuk fissò l’uomo dal viso legnoso, le cui mani lunghe simili a bastoncini rinsecchiti giocherellavano con l’aria tessendo fili invisibili. Nonostante le parole ferme il lord era agitato.
Lady Park incrociò e la braccia ed arricciò le labbra. – Soprattutto con quale autorità. –
-Trascinati? – ripeté Leeteuk, sorpreso. Si accarezzò il mento. –Ero certo di aver detto ai miei soldati di scortarvi gentilmente. –
Lord Jin emise una risatina adirata. –Fate poco lo spiritoso, diteci cosa volete e cosa sta succedendo. –
-Ebbene arriverò molto presto ad illustrami cosa mi aspetto da voi, ma prima lasciate che vi comunichi che i Ribelli hanno invaso il palazzo. – Sorseggiò il tè. –Su ordine si sua grazia. -
I nobili ammutolirono.
-Questo è ridicolo -, osservò lord Sik sogghignando e scuotendo il capo. -E quindi contro chi dovrebbero combattere? –
-Contro i soldati di Busan, mi pare ovvio. Oh e contro l’esercito imperiale che, come molti di voi sapranno bene, è sotto gli ordini di lord Kim Heechul, non è forse così? –Leeteuk li squadrò uno ad uno. –Non è forse vero che è lui ad avere l’effettivo controllo di Soul e, dunque, di Chosun? –
Alcuni nobili abbassarono lo sguardo, altri evitarono volutamente quello del loro interlocutore per scambiarsi delle occhiate di sottecchi.
Lady Park agitò una mano inanellate ed i riflessi luminosi delle pietre preziose si sparpagliarono sul tavolo. -E’ una follia. –
-No se l’erede al torno rischia di vedere usurpato il suo posto, non trovate? Lord Kim Heechul non ha forse messo fine alla vita dell’imperatore con il vostro supporto e preso il controllo del palazzo dopo aver corrotto gli alti ranghi dell’esercito? – Leeteuk tamburellò le dita sul tavolo. – Questo, signori, si chiama colpo di stato e voi ci siete dentro sino al collo. – Fece per portarsi la tazza alle labbra ma la bloccò a mezz’aria. - Forse se collaborerete sua grazia chiuderà un occhio sui vostri…spiacevoli precedenti. -
Il viso porcino di lord Jung iniziò a sudare copiosamente. Il suo fazzoletto di seta era ormai ridotto ad uno straccio ed aveva assunto una poco invitante colorazione giallognola. -Lord Heechul ha detto che il principe era d’accordo…-, balbettò.
-Stai zitto, idiota – sibilò lord Jin.
-E’ una montatura, è chiaro -, osservò lady Park con un misto di soddisfazione.
Le labbra si Leeteuk si stirarono mettendo in evidenza una leggera fossetta sulla guancia destra che apparve come una piccola ruga. Anche per lui poteva rivelarsi un terribile imbroglio, una trappola ordita ad arte in cui era caduto con entrambi i piedi. Le sue uniche certezze, scarse, si basavano sulla fiducia che suo cugino Jinki aveva accordato al principe di Chosun. Ecco perché aveva deciso d’intervenire in quel modo. Ottenere l’alleanza dei nobili a nome del principe non solo poteva rivelarsi una mossa vincente nel caso in cui la fiducia di Jinki fosse stata ben riposta, ma rappresentava anche il suo salva condotto presso sua grazia nel caso in cui fosse stata una trappola. Se anche fosse stato tutto un complotto ordito dal principe e dal suo promesso per togliere di mezzo l’imperatore e i ribelli, beh, dopo aver palesato così apertamente la sua fedeltà al principe davanti alla più alta nobiltà, Kim Kibum non avrebbe potuto toccarlo. L’unico a rimetterci sarebbe stato il lord di Busan; un alleato che a lungo andare avrebbe potuto rivelarsi scomodo per lo stesso principe.
Lord Sik alzò una mano per bloccare qualunque intervento inappropriato e puntò gli occhietti neri su Leeteuk. –Parlate chiaro, mio lord, e diteci cosa volete.- 
-Mi fa piacere che l’abbiate domandato, lord Sik. Avete due opzioni, miei lord: credere alle mie parole e schierarvi con il legittimo erede al trono, o sostenere lord Heechul e scatenare una guerra civile tra Busan e Soul, mettendo così a rischio la vostra sicurezza e quella del regno. Decisamente sconveniente, non trovate? Una guerra civile non risparmierà di certo le vostre terre, le vostre ricchezze e dubito che nel caos che seguirà Nihon starà fermo a guardare. Ma naturalmente la scelta spetta a voi. – Leeteuk picchiettò l’indice sulla tazza. –Oh, a proposito, il mio esercito è accampato fuori Soul ed è pronto ad intervenire in favore di sua grazia ad un mio semplice comando. -
Intrecciò le dita, puntellò i gomiti sul tavolo, si sporse in avanti e posò il mento sui dorsi delle mani.
-E noi, ovviamente, non vogliamo gettare la città nel panico, dico bene? -
 
 
***
 
 
Il fiato corto ed i polpastrelli posati sulle guance di Jonghyun, Kibum si staccò appena.
-Starai con me fino alla fine?-
-Fino alla fine.-
Il principe posò la fronte su quella del più grande, sorrise e gli circondò il collo con le braccia. Jonghyun gli sollevò il mento con l’indice e sorrise a sua volta perdendosi negli occhietti felini e magnetici del più piccolo che, in quel momento, lasciavano trasparire determinazione e paura. Gli accarezzò il viso con il dorso della mano e lo trasse a sé. Il profumo dolce di Kibum ebbe su di lui un effetto rilassante, era quello della primavera in boccio; la promessa di un sogno prossimo a fiorire. Dipendeva tutto da loro.
-Andrà bene -, disse Jonghyun nel tentativo di rassicurare entrambi.
Gli occhi chiusi ed il capo posato sulla spalla dell’altro, Kibum sorrise e si lasciò avvolgere a sua volta dal profumo del più grande, quello di un’estate improvvisa e inaspettata.
-Jong…-
Qualunque cosa stesse per dire gli morì in gola prima di sfiorargli le labbra. Un cadenzato battere di mani ruppe l’atmosfera tranquilla del giardino catapultandolo in un silenzio irreale ed inquieto. D’istinto, Jonghyun strinse il più piccolo e Kibum s’aggrappò alle sue spalle con le dita sottili in un gesto nervoso.
-Heechul – sussurrò Kibum.
Heechul avanzò per fermarsi a meno di un metro da loro. Incrociò le braccia e spostò il peso da un piede all’altro.
-Quale dolce quadretto. –
A Jonghyun bastò un’occhiata per capire che il fratellastro non era uscito illeso dallo scontro con Jinki. Il suo completo di seta scarlatto era cosparso di polvere, derubato della sua naturale lucentezza, mentre il merletto candido aveva assunto tonalità grigie e pendeva floscio, privo di vita. Si domandò con una certa apprensione che fine avesse fatto il Leader, sperando con tutto sé stesso che non gli fosse accaduto nulla d’irreparabile.
Heechul deve averlo seminato, rifletté.
Per quel poco che conosceva il lord di Busan non dubitava che fosse stata quella la sua mossa, dopotutto Heechul non era tipo da farsi distrarre facilmente e Jinki non era di certo il suo obiettivo.
Percepì Kibum fremere e poi tornare ad irrigidirsi, lo sbirciò con la coda nell’occhio e lo vide mordicchiarsi il labbro inferiore, mentre le sue mani continuavano a stropicciargli le spalle. Era nervoso.
Jonghyun guardò Heechul in cagnesco. Tutto era a causa sua.
Il volto di Heechul era disteso, ma i suoi muscoli facciali tremolavano sotto la pelle liscia appena sfregiata da taglietti rossi e sottili e, alla fine, ricambiò l’occhiata.
-Un piano ambizioso, Jonghyunnie, ma destinato a naufragare. Come tutti tuoi propositi. – Sottolineò le ultime parole e deviò lo sguardo su Kibum. –Credevo avessimo già chiarito questa…spiacevole situazione. -
Heechul allungò un braccio verso il principe e sorrise. –Vieni da me, Bummie, non puoi fidarti di lui e io sono qui per proteggerti. –
Kibum scosse il capo con vigore. –No. -
-Kibum -, disse Heechul in tono fermo, - non essere sciocco. -
Il principe si staccò da Jonghyun, fece scivolare le braccia lungo i fianchi, mosse un passo avanti e strinse i pugni.
-No. –
Heechul si massaggiò le tempie e sorrise divertito. I suoi capelli scomposti dalla corsa precedente ondeggiarono nella brezza frizzante del mattino. -Sai che trovo la tua testardaggine eccitante, ma a volte è davvero snervante. Non capisci che è sempre stato questo il suo intento? La sua gentilezza nei tuoi confronti è stata solo una mossa per ottenere il tuo favore e permettere a lui e agli altri zotici della sua risma d’invadere il palazzo. Vogliono portarci via ciò che è nostro e distruggerci. Qualunque parola gentile o giustificazione di abbia propinato è falsa come tutto il resto, non puoi fidarti di lui. –
-E’ di te che non mi posso fidare. –
Kibum l’aveva imparato a proprie spese da tempo, nonostante avesse sempre nutrito la segreta speranza di ritrovare un giorno il suo Chul. Abbassò lo sguardò e scosse il capo, sconsolato, rendendosi conto che la ferita non si era mai rimarginata del tutto; sanguinava più riprese e gli ultimi avvenimenti l’avevano solo resa più profonda. S’accorse di essere sul punto di versare lacrime di amara tristezza non appena l’erba ed i fori del giardino tremolarono sfuocati davanti a lui.
Non posso aggrapparmi a qualcosa che non esiste più.
L’aveva odiato così tanto per aver fatto a brandelli il suo orgoglio, i suoi sentimenti, per averlo umiliato e lasciato solo in quel mondo freddo e ostile eppure, ora, davanti all’espressione stranita e sfumata di paura dell’altro provò solo pena, ma ciò non di meno Heechul doveva essere fermato. Da tempo Kim Heechul era null’altro che un involucro vuoto destinato, prima o poi, ad afflosciarsi su sé stesso. Si era nutrito d’ambizione per sopperire la paura del vuoto e della solitudine che lo divoravano dall’interno e, paradossalmente, ciò l’aveva reso ancora più solo.
Hai perso me e io ho perso te.
Kibum sbatté le palpebre e disperse i cristalli salati imprigionati tra le sue ciglia.
Devo lasciarlo andare, s’impose.
L’immagine del bambino sorridente che ancora custodiva in un piccolo spazio del suo cuore sbiadì come era giusto che fosse. Disfatta del vento del tempo. Lui e Chul erano esattamente come le loro madri: cenere e polvere relegata in un’urna di marmo. Prigionieri di un tempo e di uno spazio ormai finito, tagliato fuori dalla realtà, e là destinato a giacere per sempre.
-Bummie –, fece Heechul con una nota interrogativa nella voce. Non riusciva a capacitarsi di ciò che stava accadendo. Di certo poteva essere solo un incubo terribile. Kibum era suo, da sempre! Che cos’era quell’insensato moto di ribellione? Indubbiamente una follia e Kim Jonghyun ne era la causa e l’artefice!
Il principe alzò lo sguardo e, gli occhi limpidi, lo fissò impassibile.
Heechul schiumò rabbia e il suo viso assunse una tonalità intesa -Stai cercando di metterlo contro di me, non è così? – Disse rivolto a Jonghyun.
Jonghyun non riuscì a trattenere un sorriso provocatorio. -Hai fatto tutto da solo. –  Stavano conducendo un gioco pericoloso ma il fatto che Heechul, nonostante i suoi calcoli meticolosi, non avesse ancora capito chi fosse il suo vero nemico era esilarante. 
-Il tuo sporco piano non…-
- Ti stai sbagliando, Heechul, Jonghyun non ha ordito alcun piano. – Kibum si umettò le labbra. –  Sono stato io. -
-Tu? –
-Io. – Kibum inarcò un angolo delle labbra a cuore, incapace di trattenere un sorriso astuto. –Io ho fatto entrare i Ribelli nel palazzo. –
 
 
***
 
 
Siwon si piegò di lato per evitare un fendete di Kyuhyun, ma l’operazione non gli richiese troppa energia. Il suo avversario non sembrava intenzionato a combattere seriamente, ma solo a tormentarlo per puro piacere. Quel duello insensato stava andando avanti da troppo tempo per i suoi gusti e non aveva idea di come stessero andando le cose altrove. Soprattutto, non aveva idea di quelle che potevano essere le condizioni del suo principe e lui era certo che avesse bisogno della sua protezione!
Kyuhyun mulinò la spada e se la passò da una mano all’altra dando sfoggio di una destrezza del tutto fuori luogo.
-Pensi di essere al circo? – lo canzonò Siwon con crescente irritazione.
Kyuhyun rise. -Che emozione rivederti. Devo ammettere che mi sei mancato, non avevo nessuno con cui litigare ed è stato noioso. La tua scomparsa non mi è mai quadrata, ero certo che il principe avesse in mente qualcosa. Avevo consigliato a lord Heechul di farti seguire, ma ha totalmente ignorato il mio suggerimento. Dal momento stesso in cui hai lasciato il palazzo ha avuto in mente un'unica cosa ed ha visto solo i risvolti più…piacevoli della tua assenza. – Sogghignò. – Cosa non farebbe per le grazie di sua grazia. -
Siwon scattò in avanti e calò un fendente deciso.
 Kyuhyun lo intercettò appena in tempo e ruotando su sé stesso prese le distanze. - Come siamo permalosi. –
-Perdi sempre un sacco di tempo in chiacchiere. –
E lo fai perdere a me, s’appuntò mentalmente Siwon.
Kyuhyun mise le mani avanti. -E va bene, non farò più allusioni sul tuo adorato principe, contento? – Dondolò da un piede all’altro e si portò la mano libera dietro al capo.
 - Forse non ho voglia di perdere tempo con te. -
Perdere tempo? Se c'era davvero qualcuno che stava perdendo tempo prezioso quello era lui, Siwon. Il suo principe poteva essere in pericolo e lui non era al suo fianco.
Strinse con forza l'elsa della spada e le vene sulla sua mano pulsarono per il contrarsi dei muscoli. Il sorrisetto compiaciuto e ambiguo di Kyuhyun non gli piaceva per niente.
-Che cosa stai tramando, ti diverti a disseminare caos?-
Quella serpe era troppo rilassata per i suoi gusti e non gliela dava a bere.
-E’ un ottimo passatempo, ma le mie motivazioni sono molto più venali. Mettiamola così, Choi, comunque vada io uscirò illeso da questo storia, dunque non vedo perché sprecare inutilmente energie preziose. Avrò sicuramente molto lavoro da fare non appena saranno riposte le armi e, data la situazione, sono quasi tentato di sperare che sia il principe a vincere. -
Kyuhyun alzò gli occhi al cielo, sbuffò e si portò una mano al fianco con fare annoiato.
-Lord Heechul rischia di rivelarsi troppo intrattabile dopo un simile affronto. -
Siwon assottiglio le labbra e serro la mascella. Che cosa stava farneticando quell'inaffidabile approfittatore? Di rimando alla sua diffidenza più che ben riposta, Kyuhyun sorrise.
-Dovresti ringraziarmi, se non fosse per me lord Heechul avrebbe scoperto del vostro piano ore fa. -
-Cosa vuoi dire?-
Siwon desiderava delle risposte chiare e quella frase era sin troppo sibillina, soprattutto sulla lingua biforcuta di Kyuhyun.
Kyuhyun fece spallucce. - Diciamo che avevo un conto in sospeso con sua grazia e sono stato così gentile da non fare la spia. -
Oh certo, ora era chiaro. Cho Kyuhyun intendeva rimanere a guardare e schierarsi a partita già giocata dalla parte del vincente.
-Ti metti al riparo come una vipera nella tana. -
-Che brutto paragone, non sono così viscido. -
Kyuhyun fece per aggiungere altro, ma le sue labbra s'aprirono a vuoto e la sua mano intenta a gesticolare rimase sospesa a mezz'aria.
-Cavaliere Cho! - Il generale di Busan corse trafelato verso di loro come spuntato dal nulla, aveva la divisa sgualcita ed il viso segnato da profonde occhiaie.
-L'esercito è allo sbando! I soldati imperiali e quelli dei nobili del consiglio si sono rivoltati contro di noi, nel palazzo è scoppiato il caos e nessuno sa più contro chi deve combattere! Dov’è lord Heechul? -
Kyuhyun lo fissò impassibile. -No lo so, ma non credo che a vi possa interessare. - Affondò la lama della spada nel corpo del generale con un movimento freddo e preciso.
-Non più almeno. -
L’uomo sbarrò gli occhi, un rivolo di sangue gli colò lungo l’angolo sinistro della bocca e liberato dalla lama cadde a terra con un tonfo sordo, gli occhi sbarrati fissi nel vuoto.
Le labbra di Siwon si stirarono in una rigida smorfia. Era certo che Cho Kyuhyun avesse in mente qualcosa, non si sarebbe mai lasciato scappare la possibilità di trarre vantaggio dalla situazione che si era creata all’interno del palazzo, ma non credeva fosse disposto a tanto.
Kyuhyun osservò pensoso il sangue scarlatto sulla sua spada e la pozza rosseggiante che si stava allargando sotto il corpo del generale, poi sorrise a Siwon. -Sembra proprio che ora giochiamo sullo stesso lato del campo.-
Sullo stesso lato del campo o meno, Siwon intendeva tenerlo d’occhio.
 
 
***
 
Kibum mosse un passo verso Heechul ed allargò le braccia aprendo i palmi delle mani. -Tu stesso non mi hai lasciato altra scelta. –
Heechul sorrise nervoso. Non riusciva a capacitarsi di quella strana situazione e a mettere insieme i pezzi. Che cosa gli era sfuggito, cosa non aveva calcolato? La scacchiera gli era sembrata tanto perfetta, tanto chiara, con lui come unico vincitore indiscusso e a un passo dall’ottenere tutto ciò che desiderava e che gli spettava. Chosun, il consiglio reale e Kibum non erano già ai suoi piedi? Perché aveva la sensazione che ogni cosa gli stesse sfuggendo dalle mani come foglie secche trasportate dal vento?
-Che cosa ti hanno detto per convincerti, Bummie? Ti hanno forse minacciato, è così? Qualunque promessa i Ribelli ti abbiano fatto non devi credere alle loro parole, sono dei bugiardi, come tutti, lo sai che possiamo contare solo l’uno sull’altro. –
Sfiorò il viso del principe con un tocco leggero. Era così, no? Kibum era la sua dolce bambola perfetta e solo delle bugie condite ad arte o delle minacce potevano averlo indotto a mettersi contro di lui. Non doveva esserci altra spiegazione! Heechul lanciò un’occhiata fiammeggiante a Jonghyun. Era certo che dietro vi fossero le bugie di quell’arrampicatore sociale. Era lui la causa di tutto.
-No, Heechul, l’idea è stata mia dall’inizio alla fine e ho utilizzato i Ribelli per attuarla. –
Heechul sbiancò. Doveva essere un incubo. Strizzò gli occhi e scosse il capo per allontanare pensieri e sensazione moleste, certo che si sarebbe presto svegliato con il corpo aggraziato ed invitante del più piccolo al suo fianco, pronto per essere di nuovo suo. Ma si sbagliava. Kibum era davanti a lui e lo fissava con uno strano brillio negli occhietti sottili e l’accenno di un sorriso astuto ad animargli le labbra a cuore, mentre Kim Jonghyun osservava attento, pronto ad intervenire al minimo cenno di pericolo. Heechul digrignò i denti in direzione del fratellastro, poi tornò a guardare Kibum. Il sorrisetto astuto non aveva ancora abbandonato il più piccolo.
-Che cosa speri di ottenere, Kibum? –
-Come diresti tu, Chul, voglio solo riprendermi ciò che è mio. – Fece una pausa. -Hai comprato l’esercito imperiale, stretto alleanze segrete, corrotto i nobili del consiglio reale e ucciso mio padre. Credevi davvero che me ne saresti buono a fare la bella statuina per te, mentre tu prendevi il completo controllo di Soul e di Chosun? Il mio posto sul trono è stato usurpato per troppo tempo.  -
Kibum avanzò, riducendo ulteriormente la distanza tra loro. Non aveva più paura, al contrario la determinazione aveva preso il totale sopravvento. Tutto ciò che desiderava era miagolare in viso a Chul come la sua dolce bambola perfetta era riuscita a fregarlo. Dopotutto, lo stesso Heechul si era vantato del piano che aveva ordito per arrivare a Jonghyun? Kibum intendeva ricambiarlo con la stessa moneta così, comunque fosse andata, quella sarebbe stata pur sempre una piccola vittoria. Una coda invisibile s’arricciò soddisfatta oltre le sue spalle. Il suo sorriso si fece più furbo ed un brillio argentato, simile a quello della luna piena in una notte estiva, s’accese tra le sue ciglia.
-Vuoi sapere com’è andata? –
Heechul s’irrigidì, pallido come un blocco di ghiaccio alla deriva. -Illuminami, Bummie, sono curioso. –
-Quando ho lasciato il palazzo la scorsa estate avevo tutt’altri progetti: lasciarmi Chosun, te, mio padre e la corte alle spalle e mettere più strada possibile tra me e voi, ma le cose sono andate in modo diverso. –  
Kibum fece una pausa e valutò attentamente le sue parole. Non era necessario che Heechul conoscesse i dettagli della sua “prigionia”, non era quello il suo obiettivo. Ora i suoi affetti erano le sue maggiori debolezze e la più grande, Jonghyun, era già sin troppo palese. Doveva essere freddo finché poteva e mostrare con altrettanta freddezza quelli che erano stati i suoi calcoli senza mettere a nudo i suoi sentimenti.
– Non mi ci è voluto molto per rendermi conto che i miei interessi e quelli dei Ribelli avevano troppi punti in comune per permettermi d’ignorare i vantaggi di un’alleanza proficua per entrambi.  Quando ho saputo che eri stato visto sulla strada per Haewan, che avevi chiesto un riscatto e poi è giunta la notizia della morte di quell’uomo e degli avvenimenti a Soul ho subito sospettato che fosse opera tua. Una volta ad Haewan ho avuto la conferma; ti conosco troppe bene e tu eri sin tropo soddisfatto, avevi lasciato le tue tracce ovunque e alla fine tu stesso mi hai confermato il ruolo che hai svolto nella morte dell’imperatore, il resto non erano che le dirette conseguenze del tuo operato. Ad ogni modo era la mia occasione. Ho convinto i Ribelli ad accettare il riscatto e in cambio avrei trovato un modo per farli entrare a palazzo, così entrambi avremmo ottenuto ciò che desideravamo. Tornato a Soul dovevo solo muovermi con cautela, così ho usato Siwon per portare avanti i miei propositi.  –
-Siwon –, sibilò Heechul-, avrei dovuto farlo seguire. –
Kibum incrociò le braccia e sorrise felino. -Uno dei tuoi tanti errori. Hai passato tanto di quel tempo a rincorrere nemici invisibili che non ti sei accorto che l’unico che dovevi davvero temere era accanto a te. Se può lenire il tuo orgoglio sappi che non è stato facile, ero certo che mi avresti tenuto d’occhio e messo alla prova, soprattutto all’inizio, lo sapevo quando ho rimesso piede ad Haewan, quando mi hai chiesto di Siwon e quando sei venuto nella mia stanza, ma…-
D’istinto, Heechul si umettò le labbra. –Una notte indimenticabile a cui ne sono seguite altre, non è così Bum? –
Kibum si morse l’interno guancia e il sapore metallico del sangue gl’invase la bocca; udì i denti di Jonghyun stridere dietro di lui, sicuramente prossimo a compiere qualche sciocchezza. Fu più veloce e il palmo della sua mano raggiunse la guancia di Heechul generando un rumore secco. 
Il viso voltato di lato e ancora incredulo, Heechul si toccò la guancia, si massaggiò la mandibola e rivolse al più piccolo un sorriso divertito. Afferrò il principe per il polso del braccio ancora alzato, lo fece ruotare e lo strinse da dietro.
Kibum boccheggiò e un brivido gli percorse la schiena, mentre Heechul premeva la guancia contro la sua. Tutto di lui sapeva di cenere. La percepiva nella sua narici, nella bocca impastata e sulla sua pelle come indelebili macchie grigie. Si morse le labbra e strizzò gli occhi.
-Lascialo -, disse Jonghyun tra i denti. Era disposto a farsi da parte per lasciare Kibum libero d’agire, ma non a sopportare pazientemente tutto questo. L’umiliazione ed il disgusto di Kibum gli si leggevano in viso. Aprì e chiuse le mani a vuoto per tenere impegnati i suoi nervi desiderosi di scattare.
Heechul lo guardò con fare provocarlo, poi si chinò su Kibum per sussurragli all’orecchio. – Hai raccontato i dettagli a Jonghyunnie? Sembrate così in confidenza. –
Il fiato caldo e stucchevole di Heechul fece rizzare i peli sul collo di Kibum.
Heechul sorrise sghembo e tornò a rivolgersi al fratellastro. – Secondo te, Jonghyunnie, si può fingere di provare piacere? –
-Schifosissimo bastardo! – Ringhiò Jonghyun. –Lascialo! -
Heechul lo ignorò.
-Sono fiero di te, Kibum, dico davvero. Sei esattamente come dovresti essere, come io ti voglio. Bellissimo, scaltro, determinato e mio. –
-Io non sono tuo. – Disse il principe tra i denti. Kibum assestò a Heechul una gomitata nel fianco e una volta libero barcollò all’indietro, ma trovò subito Jonghyun pronto a sostenerlo. Le mani di Jonghyun si strinsero protettive sulle sue spalle ed ebbero un effetto tranquillizzante su di lui. D’istinto, le loro dita s’intrecciarono e si scambiarono un’occhiata.
-Sono qui-, sussurrò Jonghyun.
Kibum annuì e accennò un sorriso. Lo era sempre. La sua presenza gli dava forza, ma era anche il suo punto debole e ormai anche Heechul lo sapeva.
Heechul si piegò in avanti e boccheggiò. I suoi occhi erano puntati su di loro e sembravano perforarli. Era furioso. Consapevole di non poter rischiare una manovra diretta contro Jonghyun, ma desideroso di farlo.
 -E poi cosa pensavi di fare, Bum, sostituirmi con lui? – Heechul abbassò il capo, pensoso, incrociò le braccia e tamburellò le dita affusolate sugli avambracci. –Un rimedio perfetto dal punto di vista strategico. L’alleanza con Busan intatta, un cuscinetto tra te e Nihon. –
-Jonghyun è stato un caso –
Heechul sorrise sprezzante. –Un caso -, ripeté. Qualunque bugia Kibum gli avesse rifilato sulla natura del suo rapporto con il fratellastro aveva smesso di reggere quando li aveva visti abbracciati, ma più di quell’atto di dolce passione era stato l’istinto protettivo che nutrivano l’uno per l’altro a dargli la certezza. Conosceva Kibum troppo bene. Era geloso. Kibum era suo, eppure rammentava a stento un tempo in cui il più piccolo l’aveva guardato con sincera adorazione, proprio in quei giardini, e solo ora se ne rese conto.
Che cosa mi è sfuggito?
Si era lavorato Kibum per anni e nonostante il più piccolo si fosse sempre rivelato difficile e sfuggente aveva creduto che, infondo, facesse parte del gioco e del carattere capriccioso dell’altro, tuttavia non ne era più così sicuro. Ma ora non aveva tempo per perdersi in tali riflessioni, doveva riprendere il controllo della situazione. Doveva riprendersi il suo micetto, la sua chiave di accesso al torno e al potere indiscusso su Chosun.
Passeggiò a vuoto e facendo strage dei fiorellini bianchi che puntellavano il prato.
 -E ora vuoi sfidarmi, dico bene?-
Il principe rivolse l’ennesimo sguardo a Jonghyun ed il più grande annuì. Le loro dita si sciolsero e Kibum avanzò di nuovo verso Heechul che sorrise sghembo. Kibum desiderava sfidarlo, molto bene, ma avrebbe scoperto a proprie spese quanto quell’idea fosse sciocca. Intendeva riportarlo alla ragione. Il lord di Busan osservò il principe farsi avanti e sorrise ammirato. I pantaloni blu notte stretti a fasciare le gambe eleganti e flessuose, la camicia bianca e sottile, i capelli corvini scomposti in ciocche ribelli, il viso di porcellana, le labbra simili a petali di ciliegio e gli occhietti magnetici luccicanti, Kim Kibum era l’immagine perfetta e letale di ogni suo più recondito desiderio.
-Mi dispiace, Chul -, disse Kibum con una nota di rammarico nella voce rotta, - ma come ho già detto mi hai lasciato ben poca scelta. Credimi, fosse dipeso da me tutto sarebbe andato in modo molto diverso. –
Kibum non si riferiva solo alle ultime settimane, al contrario, più di ogni altra cosa rimpiangeva ciò che avrebbero potuto avere e che ora avevano perduto per sempre. Non aveva potuto salvare Heechul quando ancora vi era una speranza, ma malgrado il senso di colpa era conscio del fatto che non avrebbe potuto fare nulla. Qualcuno avrebbe prima dovuto salvare lui, sciogliere lo strato di ghiaccio che proteggeva, ferendo al tempo stesso, la sua anima. Lanciò un’occhiata oltre la sua spalla verso Jonghyun. Alla fine dell’incubo c’erano la luce ed il calore di una notte di mezza estate. Kibum non poteva più rinunciare a quella felicità, ne era ebbro ed intendeva esserlo sino al suo ultimo respiro.
Tu mi hai salvato.
E a quel punto non c’era più stato spazio per Heechul. Egoismo? Forse, ma la verità era che Chul era già perduto da tempo. Kibum l’aveva cercato invano per anni, celando il senso di nostalgia frammisto all’odio e alla paura dietro a frasi acide ed occhiate pungenti. In risposta aveva trovato sempre e solo il vuoto.
Dei fili blu e neri vorticarono intorno al principe sfrigolando nell’aria all’intorno. La sua energia era flebile, lo stramonio gl’impediva ancora di utilizzarla appieno, ma era già qualcosa. Kibum corrugò la fronte, si concentrò e la sua abilità s’animò in tentacoli sinuosi lanciando bagliori azzurrognoli, poi tremolò ad intermittenza. La sua fronte s’imperlò di sudore.
Heechul incrociò le braccia con fare soddisfatto. – Non puoi battermi, Kibum.  Guardati, lo stramonio è ancora in circolo, riesci ad utilizzare la tua abilità a stento e sappiamo entrambi che sono sempre stato più forte di te. –
-Ho imparato molto in questi mesi. –
Certo, Heechul era e rimaneva più forte di lui, ma la forza contava sino ad un certo punto. Serviva astuzia e destrezza e benché il suo avversario ne avesse in abbondanza, Kibum era certo di poterlo battere su quel piano.
L’energia di Kibum riprese vigore e con uno scatto improvviso, simile ad una frusta, si mosse repentina verso il più grande. Heechul non perse tempo, uno specchio di fuoco dorato si erse di fronte a lui e l’energia s’infranse contro di esso in uno scintilli blu e nero.
Heechul fece spallucce e sollevò i palmi delle mani per rimarcare le parole di poco prima.
Kibum si morse le labbra e s’impose di non stropicciarsi le mani sui pantaloni. Disperse la sua energia a casaccio nella speranza di confondere l’avversario, ma Heechul attaccò a sua volta e delle lingue di fuoco sibilarono contro di lui costringendolo a saltare. Proseguirono in quel modo mettendo in atto una coreografia ritmata e ripetitiva, ma infondo non era altro che un mordi e fuggi, un giochetto subdolo con l’unico scopo di spossare uno dei due sino a costringerlo alla resa ed entrambi sapevano chi, a quelle condizioni, sarebbe stato il primo a cadere. Una falena attratta e consumata dalle fiamme. Kibum strinse i denti. Lo stramonio gl’impediva d’attingere appieno alla sua abilità e lui stava consumando inutilmente le poche forze di cui disponeva. Naturalmente, Heechul lo sapeva molto bene.
Una lingua di fuoco vorticò minacciosa sopra il capo di Kibum e l’odore di bruciato lo costrinse subito ad arricciare il naso. Dubitava che Heechul intendesse fargli veramente del male, non rientrava nei suoi interessi, ma se stava cercando di spaventarlo, ebbene, Kibum doveva ammettere con un certo fastidio che ci stava riuscendo. S’abbassò, rotolò sull’erba e quando si rialzò trovò un anello di fuoco a circondarlo. Mosse dei passi confusi guardandosi intorno, si fermò e soffiò astioso verso Heechul.
Jonghyun sgranò gli occhi e corse verso di lui. -Kibum! – urlò.
-No -, fece il principe voltandosi di scatto.
Jonghyun s’arresto. Conosceva bene il tono di Kibum e quel “no” era un ordine deciso ed irrevocabile.
-Stanne fuori Jonghyun -, disse Kibum con il fiato corto. Distolse lo sguardo e tornò a posarlo sul suo avversario. –Noi abbiamo iniziato e noi finiremo. –
Fili blu e nerastri s’insinuarono tra le fiamme, l’anello di fuoco s’estinse e, terminato il proprio lavoro, l’energia del principe fece altrettanto.
Kibum s’accasciò in ginocchio, vinto dalle gambe deboli e tremanti. Era fradicio di sudore, i capelli corvini appiccicati alla fronte, stanco e tormentato dal calore fastidioso che aleggiava all’intorno insieme all’odore di bruciato che gli faceva contorcere le viscere nello stomaco. Ansimò, gli occhi socchiusi infastiditi dal bruciore del fuoco e dalle gocce di sudore che gli colavano sul viso. Dunque finiva così, dopo tanto lottare era davvero destinato ad inginocchiarsi davanti ai desideri di Kim Heechul?
Gongolante, Heechul si chinò su di lui e gli alzò il viso prendendogli il mento tra indice e pollice.
-Povero Bummie -, sussurrò. –Ma sei stato bravo. –
Kibum sfuggì alla presa dell’altro con un gesto stizzito.
Divertito, Heechul gli diede un buffetto sulla guancia. -Devo ammetterlo, credevo di averti addomesticato a dovere, ma sei davvero un micetto selvatico. – Heechul scosse capo. – Dovevi solo amarmi -, disse con rammarico.
-Amarti, e come? – Kibum sorrise amaro. - Tu non hai mai amato altri che te stesso, l’idea di me e te insieme, l’idea di te sul trono di Chosun e di me nel tuo letto. –
– Ti avrei dato tutto. -
-Tutto? Tutto ciò che possiedo e che tu vuoi strapparmi per rendendomelo in un secondo momento come un favore. Per te non sono mai stato altro che una bambola da rinchiudere in una gabbia dorata. - Abbassò il capo e quando lo rialzò scoprì di avere ancora delle lacrime da versare.
Ma questo è un addio, Chul.
Era un addio definito anche se non privo di rimpianti.
-Io ti ho amato, Chul. Certo, come può amare un ingenuo ragazzino di sedici anni, ma ti ho amato. Per molto tempo tu sei stato tutto per me, ma quel tempo è finito quando hai deciso di barattare l’affetto che c’era tra noi per la tua ambizione. Ai tuoi occhi sono diventato solo un mezzo per raggiungere i tuoi scopi, di qualunque natura essi fossero. -
Heechul sfiorò la guancia del più piccolo con il dorso della mano e gli alzò di nuovo il mento.
-Possiamo recuperare -, sussurrò con dolcezza.
Kibum sorrise triste. – Siamo come un albero morto, Chul. Non c’è più niente da recuperare, noi abbiamo mancato il nostro tempo. -
Il sorriso di Heechul si contrasse in una smorfia e fu come osservare una maschera di cera deformarsi sotto il calore del fuoco. Qualcosa di irrimediabilmente grottesco.
Kibum scoprì impossibile decifrare i pensieri dell’altro, ammesso e non concesso che ne possedesse di razionali. Forse erano troppo confusi anche per lui. Osservare l’agitarsi dei muscoli sul volto di Heechul, il ticchettio all’occhio destro e le vene in rilievo sul collo dava l’idea di assistere all’accendersi e allo spegnersi una luce intermittente prossima al cortocircuito.
Il viso di Heechul si contrasse un’ultima volta, poi il lord fu sbalzato lontano e rotolò sull’erba travolto da una forza invisibile.
Kibum si voltò di scatto verso la direzione da cui era partito il colpo.
Jinki?
-Non mi piace lasciare i giochi a metà-, disse il leader, piccato. Non diede il tempo a Heechul di reagire perché lo colpì di nuovo.
Heechul snudò i denti ed emise un ringhio, conscio di essere appena stato costretto ad uno scontro che sin dall’inizio aveva desiderato evitare. Non gl’importava nulla di quel piantagrane. –Di nuovo tu, devo proprio liberarmi di te per riuscire ad occuparmi dei miei affari.-
Jinki fece spallucce e sorrise.
 
 
-Kibum!-
Jonghyun prese il più piccolo per le spalle e lo scosse. Il principe sbatté le palpebre, accorgendosi di essere rimasto ad osservare senza muovere un muscolo. La comparsa di Jinki era stato un improvviso colpo di fortuna.
Jonghyun lo scosse di nuovo. -Cosa ti è saltato in mente? –
Kibum appoggiò il capo sulla spalla di Jonghyun, si vergognava. Aveva sbagliato tutto! Solo ora ne aveva la piena certezza.
-Credevo di potercela fare da solo. – Kibum si tirò su col naso e s’asciugò il sudore dalla fronte con l’avambraccio. – Sono stato troppo orgoglioso, non avrei dovuto chiederti di stare da parte a guardare, ogni passo sino a qui l’abbiamo fatto insieme…-
Il principe scosse il capo. Non avrebbe mai dovuto chiedere a Jonghyun di sostenerlo e poi costringerlo a farsi da parte, era stato uno sbaglio e soprattutto era stato ingiusto. Sapeva che nonostante tutto il più grande aveva sofferto per quella sua decisione. Era la sua battaglia, certo, lui doveva essere in prima linea, ma impedire a Jonghyun d’aiutarlo in modo attivo era stata una leggerezza sotto molti punti di vista. Aveva rischiato di mandare tutto all’aria!
Jonghyun sorrise e gli accarezzò il capo. -Sono contento di sentirtelo dire, sai quanto mi è costato resistere alla tentazione d’intervenire? – Aiutò il più piccolo a rialzarsi. – Ho un’idea. –
-Hai un’idea? – ripeté Kibum, non riuscendo a trattenere un moto di sorpresa.
-Yah, non fare quell’espressione incredula, anche io posso avere idee geniali. Dobbiamo unire le nostre abilità. –
– Stai scherzando? Siamo entrambi al limite delle nostre forze, lo stramonio è ancora in circolo e anche se il suo effetto sta svanendo io sono allo stremo, mentre tu sei ancora debole. Come speri di riuscirci? –
-Io sto meglio di quanto credi, ma non è questo il punto. Non abbiamo bisogno che le nostre forze siano al massimo, non ricordi? Ciò che ci ha permesso di unirle è stata una connessione mentale. Mesi fa non avevamo idea di come funzionasse, ma ora sì e non sprecheremo inutilmente forze per riuscirci. –
-Questo lo so, ma una volta unite, anche se le nostre abilità si amplificheranno come se fossimo legati, non saranno sufficienti e allora sì che ci costerà più della forza che abbiamo.  In ogni caso sappiamo entrambi che utilizzarle in quel modo è pericoloso. -
- Non ci serve usarle, dobbiamo solo mostrare di saperle unire.
Kibum inarcò le sopracciglia. Forse iniziava a capire. In quel modo avrebbero creato uno scudo protettivo intorno a loro, una cupola blu e oro che era stata capace d’impressionare lo stesso Jinki. Kim Heechul doveva solo vedere e rimanere impressionato a sua volta.
-Vuoi spaventarlo? –
-Spaventarlo e farlo infuriare. Non c’è bisogno che sappia come e se le useremo, ma solo vedere che possiamo farlo. –
Kibum guardò Heechul ancora impegnato con Jinki. Il Leader gli stava dando del filo da torcere ed i nervi di Heechul fremevano.
-Vuoi basare tutto su un bluff?-
Jonghyun annuì. Nonostante tutti i giochetti subdoli ormai aveva capito come funzionava la mente del fratellastro e dal suo punto di vista quello era l’unico modo per metterlo definitivamente alle strette e sperare di vederlo capitolare. Aveva due certezze: stramonio o no anche le forze di Heechul si stavano esaurendo, mentre la sua mente stava per spezzarsi. Stava perdendo la connessione con la parte razionale di sé, non aveva più certezze, solo desideri che fuggivano lontani su cui aveva creduto d’esercitare una presa ferrea.
– E’ psicologicamente allo stremo, non riesce ad accettare ciò che sta accadendo e non appena vedrà ciò che possiamo fare ne sarà spaventato e s’infurierà. Agirà d’istinto dimentico di qualunque accortezza e a quel punto sarà solo un passo più vicino a crollare. Ci scaraventerà addosso tutta la forza che gli rimane sino ad esaurirla. Noi dobbiamo solo tenere duro. –
Kibum annuì, pensoso. Jonghyun aveva ragione: Heechul avrebbe sicuramente agito in quel modo, ma era comunque una scelta pericolosa principalmente basata sulla fortuna. -E’ rischioso. –
Jonghyun lo sapeva. Kim Heechul era già sufficientemente pericoloso senza che fosse infuriato, ma per batterlo dovevano stimolare ad una miccia già accesa.
-Lo so, ma è tutto ciò che abbiamo insieme al piano di Taemin, qualunque esso sia. –
Il principe rifletté per pochi secondi, poi prese le mani del più grande tra le sue. Alla fine avevano solo quello, avevano solo loro.  -Va bene, facciamolo -, disse deciso.
Jonghyun affondò le dita tra le ciocche corvine del principe e l’attirò a sé per baciarlo.
-Questo è perché ti amo e non so se sopravvivrò alla fine di questa giornata, ma desidero che le nostre labbra siano l’ultimo ricordo per entrambi. - Sogghignò e sbirciò con la coda dell’occhio Heechul che, tra un colpo e l’altro, lanciava costantemente occhiate nella loro direzione. –E questo è per farlo adirare ancora di più. – Baciò il più piccolo in profondità, tenendogli il viso tra le mani. –E questo -, disse baciandolo una terza volta, - potrebbe essere un anticipo. -
-Scemo -, sussurrò Kibum con il viso paonazzo.
Si diedero di nuovo le mani ed abbassarono le palpebre. Non ci provavano da tempo, ma sapevano cosa dovevano fare. Concentrarsi, rilassare le loro menti e ritrovarsi in un mondo alternativo fuori dal tempo e dello spazio, dove erano solo due pianeti fluttuanti che ruotavano l’uno intorno all’altro nel vuoto pieno di luci. Le loro abilità vibrarono nell’aria in fili sottili, blu e oro, e danzarono per intrecciarsi in una trama fitta e perfetta. Quando riaprirono gli occhi videro una cupola traslucida ergersi sopra di loro. Lì i suoni giungevano ovattati, le immagini sfuocate, ma le sensazioni più intime s’insinuavano tra le pieghe della loro pelle regalando loro brividi intensi.
 
All’esterno il mondo era in fermento. Heechul aveva abbandonato totalmente il suo già scarso interesse per Jinki e fissava quell’inspiegabile e spaventosa cupola attraversata da riflessi cangianti. Il gioco dei raggi dorati del sole sulle superficie di un ruscello.
Jinki sorrise soddisfatto. -Bravi-, sussurrò.
Heechul s’avvicinò barcollante con gli occhi strabuzzati e cerchiati di rosso. Era uno straccio. Non solo i suoi abiti eleganti e perfetti erano sciupati e macchiati, ma il suo volto era lo specchio della paura e dell’incredulità.
-Voi, come…-
Dei fili blu e oro sibilarono nell’aria come fruste, costringendolo ad arrestare.
Heechul fece un passo indietro stringendo i denti e reprimendo un verso di disappunto.
-Non potete fare questo, non siete legati…-
Non gli giunse alcuna risposta. Qualunque cosa stesse accadendo all’interno di quella cupola luminosa era fuori dalla sua portata e dalla sua comprensione. Era un mondo che non gli apparteneva. Si scagliò su di essa con un ringhio, simile a quello della tigre che, esasperata, tenta di gettarsi sulla preda sfuggente.
La cupola tremolò sotto la forza delle fiamme e Heechul la osservò con un mezzo sorriso carico di aspettativa, ma quando le fiamme si diradarono la trovò intatta. Riversò su di essa tutto il fuoco che aveva ancora in corpo, finché scemò. Per quanto ci provasse in lui non c’era più calore, ma solo lo stesso arido gelo che gli stringeva il cuore. Aveva momentaneamente esaurito le sue forze. Cadde in ginocchio e s’infilò le mani tra i capelli. Aveva avuto tutto, ma ora non gli rimaneva più niente, nemmeno una goccia d’abilità. Era prosciugato nella sua totalità. Una borraccia vuota ripiegata su sé stessa.
Davanti a lui, la cupola di sciolse rivelando così ciò che celava. Le mani ancora unite, Kibum e Jonghyun si sostennero l’un l’altro consapevoli di aver ormai dato tutto ciò che potevano. Forse era finita.
Heechul si morse le labbra sino a farsele sanguinare. Come era potuto accadere? Aveva calcolato tutto nei minimi dettagli senza lasciare nulla al caso. Per anni aveva progettato e atteso. Guardò Jonghyun con gli occhi iniettati di sangue. Non riusciva a tollerare la vista del suo fratellastro per mano al suo Bummie! Era lui l'immagine vivente della sua sconfitta e la causa della sua caduta. Ma Heechul non intendeva arrendersi, non ancora.
-Tu –, disse tra i denti, -non mi porterai via nulla. –
Jonghyun avanzò per mano al più piccolo. -Non hai mai avuto niente di ciò che credevi e se l’avevi l’hai perso da molto tempo. -
-Non è finita, io…-
La voce squillante di Taemin risuonò tra gli alberi. -Invece è finita. –
Taemin incrociò le braccia trattenendo a stento un sorriso soddisfatto, ben consapevole di avere l’attenzione di tutti i presenti, dei volti curiosi ed increduli del lord di Busan, di umma e di Jonghyun su di lui e di quello orgoglioso di Jinki.
Kibum non poté fare a meno di notare la divisa da ufficiale indosso al più piccolo, insieme a quella da generale di Minho. Ma non c’erano solo loro. Siwon, Kyuhyun, alcuni soldati e dei ribelli venivano subito dietro di loro.
Il principe strinse la mano di Jonghyun. Era davvero finita?
-L’esercito imperiale ha combattuto per il legittimo erede al trono -, annunciò Taemin, - così come quelli dei nobili del consiglio. E’ finita, Kim Heechul, il tuo esercito è in subbuglio, il tuo generale è morto ed i tuoi alleati ti hanno voltato le spalle. Tu stesso sei finito. –
Heechul scosse il capo. –No, no…-
Siwon si fece avanti, accennò un inchino al principe, che ricambiò con un cenno del capo, e ordinò a dei soldati di occuparsi del lord.
-Prendetelo -, disse.
-Tu, miserabile cane fedele! – urlò Heechul. Tentò di divincolarsi dalla presa dei soldati, poi vide Kyuhyun.
-Che cosa fai lì impalato, ti ordino di…-
-Non credo siate nelle condizioni d’impartire ordini. –
Heechul sbiancò. – Traditore -, fece sputando astio.
-Io sono fedele solo al mio senso di sopravvivenza, dovreste saperlo, mio lord.
Heechul si dimenò emettendo versi frustrati.
Kibum si umettò le labbra e si morse l’angolo destro delle labbra. Era come osservare un grosso predatore mettere le zampe artigliate in una trappola letale tra l’erba alta. Straziante. Distolse lo sguardo. Aveva detto addio a Chul, ma non voleva guardare oltre. Si voltò verso Jonghyun e gli accarezzò il viso, regalandogli uno dei suoi sorrisi più radiosi.
-Jong… –
Jonghyun sorrise a sua volta. -Lo so, anch’io. –
Il principe posò le mani sulle spalle dell’altro e gli sfiorò la punta del naso con il suo. Desiderava baciarlo in quel mondo reale che era finalmente loro e scoprine l’effetto sulla sua pelle. Si sporse verso Jonghyun, ma con la coda dell’occhio notò un movimento fulmineo alle spalle del più grande ed impallidì.
Liberatosi dalla presa dei soldati, Heechul aveva recuperato un pugnale da uno dei loro foderi e stava tentando un ultimo e disperato balzo. Kibum capì subito che il suo obiettivo era Jonghyun, poiché gli occhi rosseggianti di Heechul lasciavano trasparire con chiarezza quelle che erano le sue intenzione.
-Jonghyun! – urlò.
Scivolò in avanti, s’aggrappò alle spalle di Jonghyun ed intercettò la corsa dell’ultimo artiglio lucente ed affilato di cui la tigre disponeva, poi divenne tutto confuso. Percepì solo un gelo metallico lacerargli la carne, un calore umido dall’odore pungente ed ogni fibra del suo corpo perdere sensibilità. Vide il viso terrorizzato di Jonghyun sopra di lui e la sua bocca aprirsi a vuoto, ma qualunque cosa stesse dicendo non l’udiva. Non era altro che un muoversi frenetico ed insensato di labbra per emettere note tanto silenti, quanto disperate. Le sue palpebre si fecero pesanti e fece una smorfia, mugugnando. Affondò gli occhi assottigliati nelle iridi ambrate di Jonghyun ed osservò il fuoco che vi palpitava all’interno. Non poteva udire la sua voce calda ed avvolgente, ma voleva ammirare quella cangiante luce dorata. Le labbra esangui di Kibum si modellarono in un sorriso pallido, finché quel palpitare ambrato non s'estinse smorzato da una folata d’aria gelida.
 
 
 
 
Salveee
 
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Spero siate agonizzanti/in punto di morte o prossimi a tagliarvi le vene mauahaha, se è così ho raggiunto il mio obiettivo!
 
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Per farmi perdonare ed allietare la vostra attesa vi lascio un piccolissimo anticipo che sono certa vi riscalderò il cuoricino <3
 
Gli prese il suo viso tra le mani e sfregò la punta del naso sulla sua guancia. Il calore ed il profumo dolce dell’altro erano inebrianti, gli riempivano il suo cuore e facevano fremere il suo corpo. Un sospiro eccitato scivolò oltre le sue labbra.
-Lava la cenere dalla mia pelle e ridammi il tuo amore. –
 
 
Ci vediamo prossimamente con: Now we live in the same time!
 
 
 
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Capitolo 43
*** Epilogo. Now we live in the same time ***


 
Ciao a tutti! Sono quasi riuscita ad aggiornare in tempi decenti, dai questa volta vi fatti aspettare meno di un mese XD
Oggi non ho molto da dire nelle note iniziali, ci rivediamo alla fine di tutto con i miei sproloqui e tutti i ringraziamenti.
Buona lettura!
 
Epilogo
Now we leave in the same time
 
 
“All the times I spent with you
All the happy moments spent without knowing
The streets I’ve walked till now
The streets I’ve walked alone, crying and lonely
You changed all of those things
Now I finally know
The reason why this street in front of me is so beautiful
 
The dark memories that still remain in me
Are slowly soaking up the light by resembling you
Please help me to prevent that light from extinguishing
So that I can shine on you whenever
 
All the times I spent with you
The streets that I’ve walked till now
I promise you
Now we live in the same time
It’s all you
The reason why this street in front of me is so beautiful”
Shinee, The Reason
 
 
 
Jonghyun osservò il più piccolo umettarsi e mordersi l’angolo destro delle labbra e comprese all’istante che nonostante fosse tutto finito e potessero finalmente tirare un sospiro di sollievo, la vista di Kim Heechul delirante e ridotto all’ombra di sé stesso turbava Kibum più di quanto fosse disposto ad ammettere. Circondò le spalle del più piccolo, delicatamente, e Kibum si voltò verso di lui. Il tocco leggero del più piccolo sulla sua guancia fu come la carezza di un petalo setoso ed il sorriso che seguì ebbe il potere di stemperare le ultime ombre che, ancora, s’annidavano tra quei giardini idilliaci e profumosi.
-Jong… –
I suoni della battaglia erano svaniti, traspostati lontani per estinguersi nella brezza frizzante. C’erano solo loro ed il cinguettio delle rondini.
Jonghyun sorrise a sua volta. -Lo so, anch’io. –
Il principe posò le mani sulle sue spalle e gli sfiorò la punta del naso con il proprio. Jonghyun desiderava baciarlo. Mai come la prima volta o come quando si erano ritrovati l’aveva desiderato così intensamente. Si erano sempre baciati in un sogno, talvolta dolceamaro, ma comunque in un sogno, e ora Jonghyun desiderava scoprire il sapore della bocca dell’altro nel mondo reale a cui, finalmente, appartenevano. Mosso dai medesimi desideri, Kibum si sporse verso di lui e Jonghyun sorrise, in attesa, ma le labbra del più piccolo non raggiunsero mai le sue. Kibum rivolse un’occhiata obliqua alle sue spalle e i giardini intorno a loro iniziarono a ruotare come la corsa confusa ed irrefrenabile di una giostra impazzita.
-Jonghyun! –
Kibum scivolò in avanti, s’aggrappò alle sue spalle e da quella labbra rosate che Jonghyun aveva tanto desiderato sfiorare fuoriuscì un lamento sommesso. Kibum s’afflosciò tra le sue braccia, privo di forze, e s’accasciò a terra, le palpebre tremolanti. Jonghyun boccheggiò e la giostra s’arrestò di colpo per rimanere sospesa in un tempo che non c’era, mentre intorno a loro imperversava il caos. Il sangue caldo e viscido di Kibum gli bagnò le mani ed il suo odore pungente gli attorcigliò le viscere. La vista della linfa rosseggiante del più piccolo sulla sua mano gli provocò un senso di nausea. Posò i polpastrelli tremanti il viso di Kibum, macchiandolo. Pennellate scarlatte e maldestre sul viso delicato e perfetto di una bambola di porcellana.
-Kibum! Kibum! -
Il suo mondo iniziò a naufragare, la sua orbita si perse nei meandri più oscuri dello spazio, risucchiata nel buco nero del vuoto in cui gli stessi occhi di Kibum sembravano perdersi. Fissava qualcosa di opaco ed indefinito, alla ricerca di nitidezza tra sfumature pasticciate e contorte.
-Kibum!-
Il corpo del più piccolo tra le sue braccia era come una bambola molle ed esangue.
Jonghyun vide gli occhietti sottili di Kibum farsi ancora più piccoli e le sue labbra piegarsi in un sorriso pallido.
Poteva il loro mondo perfetto ed incontaminato ospitare la morte?
 
 
***
 
 
Silenzio. Il silenzio era tutto ciò che udiva da giorni, un silenzio assordante che rimbombava come colpi di gong sconquassandogli i timpani. Solo i passi attutiti dai tappeti dei pochi ammessi in quella stanza spezzavano quel silenzio assordante.
Seduto su una grande poltrona foderata di velluto, Jonghyun affondò il viso tra le mani e poi le passò tra i capelli. Era spossato ed aveva il viso segnato da profonde occhiaie, le labbra secce e gli zigomi alti, quasi appuntiti tanto era tirata e disidratata la sua pelle.
Nel grande letto a baldacchino davanti a lui, Kibum dormiva tra i cuscini, immobile.
Si passò di nuovo le mani sul viso e sospirò. I suoi occhi stanchi faticavano rimanere aperti, ma non intendeva lasciarlo.
Non posso perderti.
Jonghyun strinse le mani sulle cosce, facendo sbiancare le nocche, e guardò il viso esangue del più piccolo.
Kibum era un fiore cristallizzato nella morsa dell’inverno.
Jonghyun scosse il capo. Il ricordo di ciò che era accaduto nei giardini era ancora troppo vivido. La confusione, il sangue, gli occhi di Kibum che si chiudevano per lasciare dietro di sé solo l’ombra di un sorriso dolce.
Per un attimo era stato tutto perfetto, ma poi era volato via come un fiore di ciliegio al vento, lasciando dietro di sé un profumo delicato e sfuggente.
Allungò una mano e sfiorò con i polpastrelli caldi la guancia bianca di Kibum che riprese una chiara tonalità rosata.
Jonghyun era certo che si sarebbe risvegliato. L’aveva saputo sin dall’inizio, anche nelle prime ore concitate e disperate che erano seguite l’attacco, quando lo stesso medico di corte aveva guardato dubbioso non tanto la ferita del principe, quanto la sua totale mancanza di forze.
-La ferita è meno profonda di quanto sembra e la lama ha evitato per un soffio i polmoni, ma è prosciugato -, aveva osservato con un sospiro amareggiato. - Ha bisogno di riposare e la ferita deve essere tenuta costantemente sotto controllo per evitare infezioni. -
La lama era penetrate tra le scapole del principe senza intaccare gli organi vitali, inoltre Kim Heechul l’aveva ritratta non appena si era reso conto di aver colpito la persona sbagliata. Jonghyun ricordava molto bene le urla del fratellastro che erano risuonate per i corridoi, ma dal momento in cui si era rinchiuso in quella stanza con Kibum le aveva lasciate fuori dalle sue orecchie e della sua mente. C’era solo il silenzio ed il suono del respiro di Kibum che man mano riperdeva regolarità. Per quanto gli riguardava Kim Heechul poteva marcire in prigione a strepitare e a piangere sino a consumarsi gli occhi; sarebbe spettato a Kibum decidere del suo destino non appena si fosse svegliato.
A rendere davvero critica la situazione del più piccolo era stato il suo fisico già provato e quella ferita era stata il colpo di grazia, ma il principe era stato sottoposto a cure meticolose e il risposo assoluto aveva contribuito a rimetterlo in forze. Il viso pallido e freddo aveva man mano assunto un biancore più sano e brillante, mentre le labbra esangui avevano ripreso la consueta tonalità rosata.
Jonghyun desiderava solo vedere gli occhi di Kibum riaprirsi, osservare la luce magnetica che vi dimorava e posare le labbra su quelle dell’altro per avere quel bacio che era stato loro rubato.
Il mio dolce fiore guerriero, pensò lasciandosi illuminare da un sorriso triste.
Allungò una mano e strinse delicatamente quella del principe. C’era calore in essa, il sangue aveva ripreso a scorrere caldo nelle vene di Kibum e le sue palpebre tremolavo desiderose alzarsi.
-Svegliati -, sussurrò, -svegliati amore mio. –
Scostò delle ciocche corvine dalla fronte di Kibum e vi posò le labbra.
Si sarebbe svegliato presto, lo sapeva. Per quanto dormiente e privo di sensi Kibum era lì. Legato a lui a doppio filo, un filo fragile, ma che era ben lungi dallo spezzarsi. Un pianeta si sarebbe indubbiamente accorto che la sua orbita stava fuggendo.
-Jongie. –
Le labbra ancora posate sulla fronte dell’altro, Jonghyun sorrise. Il suono della voce di Kibum nella sua testa risuonava così reale e le ciglia del più piccolo gli stuzzicavano il mento facendogli rizzare i peli sul collo.
-Jongie. –
Delle dita sottili affondarono delicatamente tra i suoi capelli, accarezzandolo. Jonghyun si staccò e quando alzò il viso trovò gli occhietti felini di Kibum intenti a fissarlo. Tremolanti come il riflesso della luna piena sulla superfice di un ruscello.
-Jongie -, ripeté Kibum con voce flebile.
–Bummie.-
 
 
***
 
 
Kim Kibum, principe di Chosun, sedeva a gambe incrociate al posto d’onore della sala del consiglio reale. L’alto schiena in legno dorato della seduta svettava rigido e severo sopra il suo capo e un lungo tavolo di ciliegio si dispiegava davanti a lui.
Dondolò la gamba accavallata, ascoltò le ultime parole del lord che stava parlando e si massaggiò le tempie, i gomiti puntellati sul tavolo. Era davvero snervante. Rivolse un’occhiata acida di sottecchi ai lord. Le loro richieste, le loro lamentale, per non parlare dei consigli affettati e non richiesti, stavano rischiando di farlo impazzire. Ognuno di loro aveva avanzato pretese per aver sostenuto il legittimo erede al trono, come se non fosse di fatto un loro dovere! Kibum non aveva dubbi: dovevano essere le stesse richieste che avevano avanzato ad Heechul in cambio del loro appoggio contro il defunto imperatore.
Sanguisughe, pensò.
Si morse la lingua. Devo comportarmi bene, si disse.
Sanguisughe o no aveva bisogno del sostegno dei nobili.
Represse uno sbuffò. Non gli davano un attimo di tregua! Il medico di corte era stato perentorio sul fatto che necessitavae ancora di riposo, ma ciò non di meno le sue responsabilità l'avevano investito come un fiume in piena. Benché relegato a letto carte d'ogni tipo avevano invaso le sue lenzuola. Fortunatamente Taemin, Minho, Jinki e naturalmente Jonghyun, per non parlare di Siwon, avevano alleviato quella stressante convalescenza.
-Umma, eravamo cosi in pena per te! -, aveva esordito Taemin saltandogli al collo.
Siwon, che non abbandonava mai le sue stanze e svolgeva una sorveglianza rigida e ferrea, aveva intimato al più piccolo dei Lee di usare maniera più consone, termine che Taemin non aveva resistito all'idea di scimmiottare di nascosto.
-Deve riposare!-, aveva ripetuto Siwon.
Taemin l’aveva ignorato. -Devo raccontarti tutto!-
Pieno d'entusiasmo ed evidentemente molto orgoglioso di sé stesso, Taemin aveva raccontato per filo e per segno del suo piano e del ruolo svolto da Leeteuk con i nobili.
Kibum aveva ascoltato con interesse e crescente entusiasmo, se non fosse stato per loro non sarebbe mai riuscito nel suo intento.
-Ma devo dirti anche dell’altro -, aveva aggiunto Taemin, arrossendo. -Si tratta di quello scemo di Choi Minho.-
Vedendo Minho e Taemin costantemente incollati l’uno all’altro Kibum aveva intuito ciò che doveva essere accaduto e le parole di Taemin glielo avevano confermato. Il principe era molto felice per loro, l’euforia per questo cambiamento si leggeva chiaramente in viso a Taemin e l’espressione rilassata e meno rigida di Minho la diceva lunga su quello che doveva essere il suo stato d’animo attuale. Finalmente si era lasciato alle spalle tutti i suoi dilemmi per abbracciare completamente i sentimenti che provava verso il più piccolo dei Lee. Alla fine anche Taemin non più stato in grado di nascondere i suoi, sebbene fosse stato sempre molto abile nel farlo.
Minho passava molto tempo anche in compagnia di Siwon ed entrambi, così come Jinki, l’avevano informato costantemente su ciò che accadeva nel palazzo.
Kibum appoggiò una guancia sul palmo di una mano e rivolse uno sguardo in tralice a Leeteuk, seduto alla sua destra, e poi a Jinki alla sua sinistra. Entrambi erano stati nominati membri del consiglio reale, era stata una delle sue prime decisioni. Leeteuk non si fidava completamente di lui e dall’altra parte Kibum nutriva la medesima diffidenza. Il suo aiuto era stato fondamentale, certo, probabilmente senza di lui ben poco sarebbe stato possibile, ma Kibum lo trovava illeggibile sotto molti punti di vista. L’unica cosa chiara era che Leeteuk aveva subito colto l’occasione per entrare a far parte del consiglio. Kibum gli aveva accordato quell’onore di buon grado, ma non poteva dire di nutrire completa fiducia nei suoi confronti. Con Jinki, invece, era tutta un’altra storia. Solo saperlo al suo fianco intorno a quel tavolo di ruffiani, approfittatori e superficiali gli era di sostegno.
Il nobile davanti a lui, dall’altra parte del tavolo, iniziò a gesticolare ed il merletto sui suoi polsini s’agitò nell’aria. -E’ assolutamente necessario definire una nuova data per l’incoronazione, a Nihon…-
Kibum scollegò il cervello. A Nihon stavano indubbiamente sparlando dei disordini che erano accaduti al Palazzo di Soul…
-Ritardare farà sembrare il regno…-
Debole, privo di guida, terminò mentalmente Kibum.
Aveva già sentito quel discorso mille volte nell’ultima settimana e credeva di sapere molto bene la frase che vi avrebbe fatto seguito.
-In quanto al vostro legame di fratellanza è necessario vagliare nuovi candidati dato che il lord di Busan non è più nelle condizioni adatte. -  Il nobile tossicò notando l’occhiata sottile del principe.
Kibum s’appoggiò allo schienale foderato di velluto e mugugnò. La sua ferita tra le scapole era guarita, ma gli doleva ancora. Doveva trattarla con riguardo. Non era facile gestire quella situazione e come se non bastasse Heechul riusciva ad essere un problema anche dietro alle sbarre.
-Inoltre -, proseguì il nobile cercando di evitare il suo sguardo, - è opinione comune che sia necessario prendere dei provvedimenti contro il lord di Busan. –
Kibum tamburellò le dita sul legno di ciliegio. Ma certo, avevano spalleggiato Heechul finché era stato nella posizione di potersi definire il più forte, ma ora che era caduto in disgrazia non vedevano l’ora di sbarazzarsi completamente di lui.
E magari spartirsi i suoi possedimenti, s’appuntò mentalmente tra sé.
Peccato che lui, Kibum, avesse tutt’altri progetti.
Il principe non si era aspettato nulla di diverso, ma quei discorsi gli risultavano comunque estremamente irritanti.
Kibum arricciò il naso. Ecco un altro problema che era restio a risolvere, uno di quegli argomenti che avrebbe evitato più che volentieri. Il destino di Kim Heechul.
Vigliacco, si disse.
Aveva chiesto sue notizie non appena si era sentito più in forze.
-Nelle prigioni, sorvegliato a vista e costantemente imbottito di stramonio -, l’aveva rassicurato Siwon, poi aveva fatto una pausa. –Chiede costantemente di voi -, aveva aggiunto senza nascondere un profondo fastidio.
Kibum aveva appoggiato la schiena ai cuscini e sospirato amareggiato e pensoso. Sapeva che avrebbe dovuto prendere decisioni importanti, decisioni dalle quali non avrebbe potuto fare passi indietro una volta pronunciata la sentenza. Ma ancora non ne aveva prese. Era conscio di non averne il coraggio.
Era davvero un vigliacco? Forse sì o forse no.
Jonghyun gli aveva rivolto degli sguardi nervosi e le vene sulle sue tempie avevano iniziato a pulsare. - Se pensi di andare là sappi che per quanto mi riguarda lo farai solo scortato da un intero esercito. .-
-No -, aveva detto, fermo, -  non ho alcuna intenzione di vederlo.-
Lui ed Heechul non avevano più nulla da dirsi. Qualunque dialogo tra loro rischiava di rivelarsi un labirinto senza via d’uscita, capace solo d’attorcigliarsi su sé stesso.
Ho già detto addio a Chul.
Kibum si alzò, le mani aperte ed i polpastrelli puntellati sul tavolo. I sottili anellini d’oro bianco che gli fasciavano le dita luccicarono. I nobili lo imitarono.
-Sono molto stanco, le mie condizioni non sono ancora ottimali e desidero ritirarmi. Prenderò in esame le questioni più urgenti e valuterò i vostri consigli. –
Senza attendere i convenevoli imposti dall’etichetta uscì dalla sala seguito a ruota da Jinki e Leeteuk. Trovarono subito Siwon e Kyuhyun ad attenderli.
Kyuhyun indossava una divisa imperiale nuova di zecca, aveva smesso i colori rossi e oro di Busan per passare a quelli blu e argento di Soul.
D’altra parte ha cambiato schieramento con la stessa facilità con cui ci si cambia gli abiti, osservò Kibum con stizza.
Il cavaliere aveva la schiena appoggiata al muro, le braccia conserte e non si degnò nemmeno di ricomporsi non appena lo vide.
Kibum non era proprio riuscito a liberarsi di lui, il ruolo che aveva giocato durante gli scontri l’aveva reso quasi un eroe.
Invece è solo un’irritante…, l’insulto gli morì in gola non appena una nuova fitta gli attraversò le scapole.
Kyuhyun era una vera spina nel fianco! Gironzolava sempre attorno a lui e a Siwon, sembrava quasi che si fosse autonominato sua seconda guardia del corpo.
Manco morto!
Figurarsi se intendeva affidare la propria sicurezza ad una bisca simile, nemmeno lo stesso Kyuhyun probabilmente si fidava di sé stesso quando si guardava allo specchio. Non era altro che un ruffiano alla ricerca di una nuova posizione. Il problema era che allo stato attuale non gli era possibile disfarsi di lui. Anche quel problema richiedeva la sua attenzione.
Kibum decise d’ignorarlo per fra cenno a Siwon di scortarlo.
Meglio mettere sin da subito le cose in chiaro su chi era la sua guardia del corpo.
Siwon gli rivolse subito un sorriso misto ad uno sguardo preoccupato. Dopo quello che era accaduto era costantemente sull’attenti e sembrava non essersi scrollato di dosso dei sensi di colpa che in realtà non avrebbe dovuto provare. Per di più doveva tollerare Kyuhyun. Nonostante le apparenze Kibum sapeva molto bene che quei due non avevano riposto le armi tra loro. L’insofferenza di Siwon era fin troppo palese e Kyuhyun non perdeva occasione per irritarlo.
Povero Siwon, pensò.
Procedettero lungo i corridoi, le due guardie a scortarli.
-Mio principe-, disse Leeteuk, - so che ne avete abbastanza di consigli indiscreti e non richiesti, ma se posso esprimermi brevemente…-
-Esprimi ciò che desideri, sono certo che sarai molto più costruttivo di tutti quegli altri messi insieme. –
Leeteuk poteva essere illeggibile e a tratti inquietante, ma sapeva il fatto suo e sino ad allora i suoi consigli si erano sempre rivelati ottimi.
-Vi ringrazio. Temo dobbiate proprio prendere delle decisioni ed in modo abbastanza celere, ne valgono la sicurezza e l'immagine di Chosun, nonché le vostre sia a livello internazionale che a corte. E temo che la corte rappresenti il problema principale. -
Kibum annuì, pensoso. Lo sapeva molto bene. Continuando a camminare si portò due dita alla fronte premendole al centro.
La questione del legame andava risolta prima che la pazienza dei nobili venisse meno, spingendoli a farsi venire qualche strana idea. Quel non piccolo problema lo tormentava da giorni impedendogli di ragionare sul resto. Lui, Kibum, aveva le idee molto chiare, ma la decisione che desiderava prendere non dipendeva unicamente da lui e quell’idiota di Kim Jonghyun non contribuiva a rendere la situazione più facile.
-A cosa stai pensando? – chiese Jinki, pur conoscendo già la risposta.
-A quel...cretino-, soffio Kibum indispettito.
Siwon arriccio il naso e il ritmo perfetto dei suo passi stonò. -Signorino -
-E’ un cretino-, rimarcò.
Dopo tutto quello che era accaduto aveva sperato di poter contare sull'appoggio incondizionato di Jong, invece si stava rivelando solo un'ulteriore fonte di preoccupazioni. Come poteva preoccuparsi di Chosun quando era lui il suo pensiero costante?
Idiota!
Jonghyun era sempre gentile e premuroso, passavano insieme ogni singolo istante, tranne i momenti in cui lui, Kibum, era sobbarcato dagli affari di corte e l’altro decideva di concedersi dei momenti d’isolamento. Kibum non gliene faceva una colpa, sapeva quanto l’ambiente di corte poteva diventare pressante, aveva provato quella fastidiosa sensazione per tutta la vita e per Jonghyun era tutto nuovo. Tuttavia, dopo i primi giorni di euforia conseguiti il suo risveglio aveva avuto la spiacevole sensazione che qualcosa stesse mutando. Era sempre gentile, affettuoso e lo copriva costantemente di attenzioni, ma la sua mente, il suo sguardo, erano distanti. Poco a poco sembravano guardare lontano, sempre più lontano. Come se scrutasse oltre la nebbia.
Perché?
Non c'era stato nessun vero bacio tra loro, nessuna effusione, il più grande si era limitato a sfiorarlo come si fa con una bomboniera di cristallo.
Kibum fu percorso da un brivido e si strinse nelle spalle per nasconderlo. Perché erano di nuovo insieme eppure le sue notti erano irrimediabilmente fredde e silenziose? Sentiva la mancanza dei suoi baci, delle sue carezze gentili ma passionali e dei loro corpi uniti. Arrossì sino alle punte delle orecchie e scosse il capo. Che cosa stava succedendo?
-Non si riesce mai ad ottenere ciò si vuole, un attimo prima si ha tutto a portata di mano e poi... -, disse Kyuhyun facendo uno strano gesto con la mano.
Kibum non seppe dire se trovò più irritanti le sue parole ed il tono incurante con cui le pronunciò.
I denti di Siwon raschiarono l'uno sull'altro.
Kibum arricciò le labbra. Grandioso! Ci mancavano anche le insinuazioni velenose di Kyuhyun con riferimenti a terze persone. Per quanto il viso di quel voltafaccia gli facesse ribrezzo si voltò stizzito.
-La tua esistenza è già una spina nel fianco, non costringermi ad ordinare a Siwon di tagliarti la lingua. Taci e smettila di fare sarcasmo non richiesto. -
-Dunque-, fece Jinki, - gli hai parlato? -
Kibum incrociò le braccia e scosse il capo. -Ogni volta che tento d'affrontare l'argomento si dà alla macchina. Minho lo copre, ne sono certo.-
-Se intendi stringere il legame con lui ti conviene parlargli alla svelta. –
Leeteuk annuì, convinto. – I nobili staranno già facendo i loro conti. -
-Lo so.-
I pensieri affollavano la testa di Kibum come un vespaio impazzito. Aveva davvero ritenuto scontato che alla fine di tutto avrebbero stretto il legame di fratellanza con Jonghyun. Dal momento in cui si erano ritrovati nulla gli aveva fatto intendere il contrario, eppure ora non ne era più così sicuro.
Sei stato tu a chiedermelo razza di…scimmia!
Raggiunse gli appartamenti reali scortato unicamente da Siwon. Era stanco, il giorno volgeva al tramonto e lui non aveva avuto un attimo di riposo.
Devo davvero parlare con Jong.
Ne aveva bisogno, non solo per risolvere i problemi più pratici, ma ne aveva bisogno per lui e per loro.
-Avvisa di non farmi portare la cena, del tè andrà benissimo -, disse a Siwon.
Il cavaliere s’inchinò e una volta solo Kibum fu investito dal silenzio. I suoi appartamenti erano stati rimessi a nuovo e i mobili preziosi del suo salotto privato brillavano sotto la luce tramonto. Trovò Jonghyun disteso sul divano e profondamente addormentato. Sorrise. Forse l’aveva atteso per tutto il pomeriggio. Kibum si chinò su di lui e saggio con le punte delle dita le ciocche castane ed intense del più grande. Gli zigomi alti gli conferivano un’aria rigida, ma le guance piene l’addolcivano ed il suo petto s’alzava e s’abbassava a ritmo regolare. Le labbra carnose erano semi dischiuse e le sue ciglia disegnavano delle ombre sottili sul suo viso. Posò le labbra sulla sua guancia. Le palpebre serrate di Jonghyun tremolarono e s’aprirono.
-Kibum. –
La voce impastata dal sonno, Jonghyun si mise a sedere portandosi una mano al capo.
Kibum si sedette al suo fianco. –Mi dispiace, credevo di essere di ritorno per l’ora del tè, avevo ordinato una delle nostre torte migliori. -
Gli occhi ancora assonnati di Jonghyun deviarono verso la finestra che regalava uno scorcio sulle colline di Soul. Il cielo del tramonto era spezzato dai pinnacoli delle dimore dei nobili per poi essere dolcemente modellato dei declivi verdeggianti pettinati da una brezza leggera.
-Non dovrei sforzarti così tanto, ti sei appena ripreso -, disse constatando l’ora tarda. –La ferita ti fa ancora male? –
Kibum fece spallucce. – Solo un pochino. – In realtà gli aveva procurato diverse fitte quel pomeriggio, ma decise di non frane parola.
Circondò le spalle di Jonghyun e appoggiò la fronte sulla sua spalla. Jonghyun rimase immobile e a Kibum parve di stringere un tronco. Il principe deglutì e sospirò amaro. Lo sguardo del più grande era tornato a fissare qualcosa d’indefinito oltre la finestra, verso l’orizzonte…Guardò a sua volta nella medesima direzione e poi alzò gli occhi sottili sulle pareti del salotto. Troppo alte, troppo spesse e troppo fredde. Forse erano troppo anche per Jonghyun.
Forse noi non bastiamo.
Forse l’orizzonte nelle sue luci cangianti era più allettante.
Un angolo delle sue labbra a cuore s’arricciò involontariamente in un sorrisetto sarcastico. Non c’era nessun forse, lo era. Lui stesso lo trovava infinitamente più allettante di quelle alte pareti.
Ma io sono prigioniero qui.
Il tempo in cui desiderava fuggire era finito, perché nonostante tutto ora era consapevole di avere delle responsabilità a cui non poteva venire meno. Doveva farlo per lui, per Chosun e per sua madre che non poteva più farlo. Era stato davvero convinto, ed aveva sperato, di potere condividere quelle responsabilità con Jong e dal momento in cui si erano ricongiunti nulla gli aveva fatto credere altrimenti, eppure la sua sicurezza stava vacillando. Perché Jonghyun guardava oltre, alla ricerca di luoghi troppo lontani perché lui lo potesse seguire?
Si morse il labbro inferiore e s’impose calma. Non aveva alcuna certezza, alcuna risposta definitiva e Jonghyun erano ancora lì accanto a lui. Doveva affrontare l’argomento del legame, il suo ritardare rischiava di far precipitare tutto e Kibum sapeva bene che rimandare le cose importanti si era già rivelata la mossa peggiore.
Si sporse per baciarlo, ma Jonghyun fuggì dal suo abbraccio e s’alzò. Kibum si ritrovò a stringere il pregiato velluto del divano. Dopotutto ciò che avevano passato stava davvero tentando di afferrare il vuoto?
Torna da me, pensò.
-Jong -, disse titubante, -cosa c’è? –
Jonghyun gli rivolse un sorriso nervoso e fece spallucce, schernendosi. –Nulla -, disse, ho solo bisogno di sgranchire le gambe. – Rise. –Ho dormito parecchio. –
Kibum lo fissò. Pensava davvero che gli credesse? Lo sapevano anche i muri che se c’era una cosa che Kim Jonghyun non sapeva fare era mentire e Kim Jonghyun stava mentendo. Anche il soggetto in questione era ben consapevole non essere in grado di reggere quella farsa, perché di fronte agli occhietti magnetici del principe abbassò lo sguardo.
Kibum s’irrigidì. Tanto valeva affrontare l’argomento senza troppi preamboli. S’alzò e lo raggiunse.
-I nobili premono affinché io stringa un legame di fratellanza favorevole per Chosun. –
Jonghyun incrociò le braccia, abbassò lo sguardo e sogghignò. – Lo so. Le voci girano in fretta. –
Kibum alzò i palmi delle mani. –Dunque, la tua proposta…-
-Non credo sia una buona idea -, rispose Jonghyun, tetro. Quando aveva chiesto a Kibum, o meglio a Key, di stringere il legame con lui era tutto diverso. Con Key sarebbe stato semplice, nessuna responsabilità, nessuna barriera a separarli, ma con Kim Kibum non poteva essere altrettanto. Jonghyun lo desiderava ancora, più di qualunque altra cosa, ma non voleva farsi illusioni. Non poteva permetterselo.
Guardò il più piccolo che lo fissava perplesso e con un leggero tremore alle mani. Sorrise sghembo. –Dubito di poter essere considerato un legame favorevole. –
Le voci giravano davvero in fretta nei corridoi e ciò che gli stava dicendo Kibum non rappresentava per lui alcuna novità. Era dal momento in cui aveva messo il naso fuori dalla stanza di Kibum che sentiva i nobili discutere sul futuro di Chosun e tutto ruotava inevitabilmente intorno al legame che il principe, e futuro imperatore, avrebbe stretto. Per quanto avessero lottato, per quanto desiderassero rimanere insieme vi era sempre troppa distanza tra loro. Lui, Jonghyun, non era nessuno e non aveva ciò che serviva, delle terre in una posizione strategica, tanto per cominciare, e ricchezze capaci d’incrementare le casse della famiglia reale. Non capiva assolutamente nulla della politica di corte, dei giochetti e dei sotterfugi che scandivano la vita tra quelle pareti di marmo, ma non era uno sciocco e aveva udito abbastanza da sapere che quelli erano dei requisiti fondamentali che lui non possedeva. Potevano pestare i piedi, urlare, ma alla fine i nobili e le esigenze del regno si sarebbero messi tra loro e Jonghyun sapeva che Kibum non poteva venire meno ai suoi doveri. Sospirò e si passò una mano tra i capelli. Molti lo squadravano infastiditi domandandosi perché gironzolasse sempre intorno agli appartamenti privati di sua grazia. Jonghyun sentiva di avere il tempo contato. Volente o nolente prima o poi sarebbe stato messo alla porta e né Kibum, né il loro amore avrebbero potuto impedirlo. Tutto ciò che poteva fare era attendere il momento fatidico e godersi gli istanti che rimanevano con il più piccolo. Stare con lui alleviava il suo stato d’animo, era come immergersi in acqua fresca, eppure ad un certo punto diventava troppo fredda e gli provocava crampi insostenibili. Strinse i pugni. Non era riuscito a proteggerlo come avrebbe voluto, né il futuro sembrava volergli permettere di farlo. Aveva fallito e non poteva più rimediare. Kibum era quasi perito a causa sua.
Jonghyun aprì le mani. -Non ho nulla da offriti, Kibum, né a te né a Chosun. Lo sai. –
-Ma… - fece Kibum, avvicinandosi.
Sfiorò la guancia del più piccolo. – Anche i sogni più belli sono destinati a scontrarsi con la realtà e la parete trasparente che ci divide è troppo spessa -, sussurrò scuotendo il capo.
Kibum non la pensava così, non dopo tutto quel lottare. Doveva esserci un senso. Lui lo vedeva, perché Jonghyun no?
Ottuso, pensò.
-Jong, non dire sciocchezze, Busan rimane la mia scelta più vantaggiosa. La città è sguarnita, la sua posizione è delicata e deve sempre avere un lord fedele alla famiglia reale per essere forte e continuare a svolgere il suo ruolo di cuscinetto tra Soul e Nihon. –
Jonghyun reclinò il capo. Non capiva. Cosa c’entrava Busan?
-Sei l’ultimo erede vivente dei Kim di Busan, quella città è tua, è un tuo diritto di sangue.-
-Io sono solo un mezzosangue. -
-Basta il mio sigillo su un pezzo di carta per renderti un puro sangue e nessuno oserà dire il contrario. Busan è la mia scelta migliore, tu lo sei, tu hai tutto ciò che mi serve, tutto ciò che desidero. Possedimenti in una posizione strategica, ricchezze e, soprattutto, hai il mio amore. –
Kibum baciò delicatamente una guancia di Jonghyun. –Io ti voglio, Jong, con tutto il mio cuore e con tutta la mia anima che è tua io voglio e scelgo ancora te. -
Lo guardò speranzoso, ma tutto ciò che ottenne fu il silenzio ed uno sguardo incerto. Prese le mani del più grande, ma Jonghyun arretrò.
-Busan non m’interessa -, disse Jonghyun, atono. -Non posso. -
Kibum incrociò le braccia e passeggiò nervoso, poi fece un gesto stizzito con il braccio. -Busan ti darà il diritto di avere me davanti a Chosun -, disse esasperato.
Perché ogni volta che dovevano affrontare un discorso importante finivano per dire cose insensate? Era come rincorrersi all’infinito senza soluzione di causa. Non vi era più nulla in grado d’impedire loro di stare insieme se non loro stessi. Le preoccupazioni di Jonghyun non avevano motivo d’esistere, dunque perché continuava a scivolare lontano da lui? Fuggiva come i raggi del sole al tramonto. Erano forse state tutte delle scuse? Kibum non poteva crederci. Scosse le ciocche corvine. Non aveva alcun senso! Lasciò vagare lo sguardo sugli intrecci arabescati dei tappeti, sui mobili preziosi e che talvolta gli erano sembrati tanto freddi ed opprimenti nelle notti d’inverno. Quelle pareti erano davvero troppo alte e troppo strette?
-Credevo sapessi che qui sarebbe stato tutto diverso, che avresti dovuto rinunciare a parte della tua libertà, ma credevo anche che noi fossimo abbastanza per restare -, disse con un misto di risentimento nella voce. Non voleva essere duro, ma aveva bisogno di chiarezza, di certezze e Jonghyun non gli stava dando né l’una né l’altra. E questo lo spaventava.
Jonghyun tornò a sedersi sul divano, le gambe larghe, gli avambracci posati sulle cose e lo sguardo basso adombrato dalla frangia castana. Sospirò frustrato. Ciò che aveva detto Key cambiava solo in parte la situazione attuale. Certo, il palazzo reale e tutto ciò che comportava stare con Kim Kibum lo spaventava, ma c’era dell’altro. Le parole di Kim Heechul gli rimbombavano ancora nella testa, l’avevano tormentato costantemente i quei giorni ed aveva la sensazione che si fossero appiccicate sulla sua pelle e sul suo cuore. La paura, la rabbia, la solitudine, sentimenti ed emozioni che conosceva troppo bene e che più di una volta si erano stretti intorno al suo collo come un cappio. Si era salvato, era vero, ma che garanzie aveva per il futuro? Aveva davvero superato tutto questo o era destinato a ricadervi, come in un vortice, e in quel caso sarebbe riuscito ad amare Kibum o sarebbe finito con il commettere gli stessi errori del fratello? Più di qualunque altra cosa l’idea di ferire Kibum lo terrorizzava.
Kibum s’avvicinò lentamente e s’inginocchiò di fronte a lui, le ginocchia premute sul tappetto. Scrutò il viso scuro di Jonghyun e le rughe sottili intorno ai suoi occhi. C’era dell’altro. Jonghyun era turbato, ma sembrava restio a dar voce ai propri pensieri.
 -Cosa ti turba, Jong?-, domandò con crescente preoccupazione. - Noi possiamo stare insieme se lo desideriamo. Ti prego, parlami. -  
Jonghyun si passò una mano tra i capelli e sul viso. -Avevi mille motivi per fuggire da me. –
Le labbra a cuore di Kibum tremolarono in un sorriso intenerito, prima che un’ombra triste passasse sul suo viso candido. Ora capiva e si pentì nell’immediato del tono piccato che aveva usato poco prima. Gli sguardi sfuggenti, quel senso di paura e disagio latenti. I turbamenti di Jonghyun andavano al di là di quelle pareti fredde ed i giochi di potere, bensì portavano un nome ben preciso.
Heechul, pensò Kibum.
Anche seppellito parecchi metri sotto di loro tra muri umidi e gocciolanti, Kim Heechul rappresentava un pericolo. Bastava il suo pensiero per gettare ombre all’intorno.
-E’ vero, avevo mille motivi. – Lo fissò penetrante e Jonghyun tentò di nuovo di fuggire al suo sguardo. Il principe si domandò sino a che punto quei pensieri lo turbassero. – Guardami -, disse con voce ferma.
Jonghyun ubbidì, d’innanzi a quel tono era sempre stato inevitabile.
- Ho avuto paura, è vero, se all’inizio ti ho rifiutato è stato anche a causa sua, ma ho scoperto molto in presto che l’idea di rinunciare a te mi faceva più male. –
Jonghyun aprì la bocca, forse per ribattere, in realtà non sapeva nemmeno lui cosa dire e Kibum non gli permise di proseguire, gli pose un dito sulle labbra e sorrise.
-Sai di cosa ho paura, Kibum? Di me. Ho provato troppa rabbia e troppa paura in passato per affrontare tutto con leggerezza. Non sopporterei di farti del male e tu hai già rischiato la vita a causa mia. –
Il principe sorrise. In quelle paure c’era tutto l’amore di Jonghyun e non intendeva lasciarlo andare. Si appartenevano e sin dal primo istante si erano presi cura l’uno dell’altro, avevano lenito le loro ferite, anche quelle che non sapevano di possedere, ed avevano rimesso insieme i propri frammenti. Kibum era stato come un velo al vento, solo ed in balia della corrente, ma erano bastati gli occhi d’ambra di Jonghyun per dare al suo volare confuso un senso ed una direzione. Si erano presi per mano ancora prima di sapere che un giorno sarebbero stati loro. Tutto il loro mondo, tutto ciò che erano, era racchiuso in un unico sguardo consumatosi in un attimo sospeso. Kibum percepiva ancora il calore del sole estivo al tramonto, il profumo dei ciliegi e dei peschi ed il guizzare vivace dei pesci nello stagno insieme al rifrangersi delle luci morenti del giorno sulle loro squame.
-Jongie -, disse dolcemente alzandogli il mento e accarezzandogli la mascella con un dito sottile. –Guardami, tu non sei lui e la mia anima è tua come la tua è mia. -
Kibum s’alzò, si spostò verso la finestra e posò le mani sul davanzale di marmo. Il cielo era una tavolozza azzurra spennellata da nubi rosate che si fondevano in una tenue tonalità violetta.
- Le abbiamo provate tutti, Jong, la rabbia e la paura di cui parli sono state le nostre catene invisibili per tanto tempo, mie, tue, di Taemin, Minho e anche di Jinki. Ma solo stando insieme abbiamo trovato la forza di liberarcene, abbiamo trovato la nostra forza l’uno nell’altro. Io ho te, tu hai me, Taemin ha Minho, Minho ha Taemin, Jinki ha Taemin e tutti noi. Anche io ho paura, Jong. Mia madre ha passato la mia intera infanzia ad istruirmi ma non sono pronto, né ho idea di ciò mi riserverà il futuro, so solo che dovrò lottare ogni giorno e che cadrò mille volte prima di capire come reggermi sulle mie gambe, o forse non lo capirò mai. La mia unica certezza è che ogni passo desidero farlo con te. Potrei dirti di aver combattuto per salvare Chosun, per senso di responsabile ed è vero, ma più di qualunque altra cosa l'ho fatto per noi. Se non fosse stato per la speranza di riabbracciarti a lungo andare mi sarei arreso ad Heechul, poiché a parte il mio orgoglio non avrei avuto nulla per cui lottare. Sei tu che mi hai salvato ogni giorno. –
Udì i passi di Jonghyun sul tappeto finché sfumarono nel silenzio e le braccia del più grande gli cinsero i fianchi. Un tepore caldo e rassicurante l’invase facendogli capire che Jonghyun stava utilizzando la sua abilità.
-Sei freddo-, sussurrò Jonghyun posando le labbra carnose sul suo collo.
Kibum si voltò e gli accarezzò il viso, scostandogli delle ciocche castane dalla fronte. -Abbi paura, ma non permettere alla paura di decidere per noi. Resta con me, Kim Jonghyun, ed io giuro che ti salverò ogni giorno. -
Colmi d’emozione, gli occhi di Jonghyun luccicarono come ambra al sole e baciò il più piccolo stringendolo a sé. Kibum aveva ragione. Lui aveva paura, certo, e forse la paura non l’avrebbe mai abbandonato, ma non era più solo ad affrontarla. Nessuno dei due lo era. Abbracciò il più piccolo, affondò la mano libera nella sua chioma corvina ed esplorò la sua bocca con crescente trasporto. Kibum ricambiò con altrettanta passione aggrappandosi a lui. Finalmente avevano riavuto il loro bacio, ma entrambi desideravano di più ed erano alla ricerca di un rapporto più profondo. Bastava guardare il riflesso dei loro occhi in quelli dell'altro per capirlo. Erano velieri sopravvissuti alla tempesta e allo sciabordio delle onde, ed ora avevano bisogno di gettare l’ancora in un porto sicuro per ritrovare l’equilibrio perduto.
Il viso imporporato ed il fiato corto, Kibum sorrise astuto. -È un sì? -
Jonghyun sogghignò a fior di labbra. -Credi ancora che io sia capace di dirti di no?-
Il principe gli baciò la punta del naso. –No.- Gli prese le mani intrecciando le loro dita che tremavano appena nell’attesa di appartenersi ancora anima e corpo.
-Vieni -, disse piano Kibum, stuzzicandogli la guancia con la punta del naso.
lo voleva, desiderava Jonghyun come non aveva mai fatto prima. Ne aveva bisogno come di un balsamo purificate sia per il suo corpo che per la sua anima. Il ricordo delle notti passate con Heechul, la sensazione delle sue mani sulla sua pelle e dei suoi baci umidi e pieni solo di desiderio, era ancora troppo vivido. Solo le carezze di Jonghyun ed i suoi baci potevano restituirgli ciò che aveva perduto. Un piacere che profumava d’amore e non di corpi impegnati in una danza confusa.
Condusse il più grande nella sua stanza da letto fissandolo con occhi magnetici e procedendo a ritroso. Passi lenti e misurati per assaporare l’attesa.
La porta si richiuse dietro di loro, isolandoli e relegandoli in uno spazio intimo avvolto dalla penombra. Il grande letto a baldacchino troneggiava al centro della stanza illuminato dalle luci morenti del giorno e drappeggiato dalle tende di velluto.
Kibum guardò la serratura dorata, sussultò mordicchiandosi il labbro e le sue ciglia palpitarono. Rammentava molto bene il terrore che gli aveva attanagliato il cuore quando aveva lasciato aperta quella porta per permettere all’incubo di entrare. Distolse lo sguardo da essa e l’alzò su Jonghyun. Ora stava per fare entrare un sogno.
-Vieni -, ripeté Kibum. Gattonò sul letto stringendo tra le dita sottili la camicia del più grande per trascinarlo con sé.
Jonghyun l’assecondò, affondò le ginocchia nel materasso e fu sopra Kibum. Si umettò le labbra. Era splendido come sempre, i capelli corvini sul cuscino, il viso di porcellana, le labbra a cuore rosate perfettamente disegnate e gli occhi magnetici luccicanti di timido languore come la prima notte in cui avevano fatto l’amore. Jonghyun sorrise e gli accarezzò teneramente il viso con il dorso della mano. Per quante notti avessero passato insieme la delicatezza e la gentilezza d’ogni suo gesto non era mai sfumata. Kibum doveva sempre essere amato dolcemente ed ora più che mai Jonghyun sentiva che il più piccolo ne aveva bisogno. Delle rughe si disegnarono sulla sua fronte. Jonghyun era ancora turbato dal ricordo di come Heechul aveva stretto il più piccolo, come una bambola, un giocattolo. Aveva ferito Kibum nell'intimo e l'idea di commettere inconsapevolmente lo stesso errore lo spingeva a fare di un solo bacio un tesoro inestimabile che doveva e voleva trattare con cura. Come un fiore.  Non voleva rovinare i suoi petali delicati, ma fargli percepire tutto il suo amore.
-Ti amo -, sussurrò.
Gli occhi felini di Kibum luccicarono e posò i polpastrelli tiepidi sul viso di Jonghyun per saggiarne la consistenza reale e ripercorrerne i tratti. Gli occhi grandi, la curva delicata del naso, le labbra carnose, Jonghyun era esattamente come l’aveva ridipinto nella propria mente durante la loro ultima notte d’amore. Aveva custodito gelosamente quell’immagine nel suo cuore facendo di quella flebile e luminosa speranza il suo unico appiglio. La speranza non era stata priva di ostacoli, ma ora erano pronti a strappare definitivamente il sogno dal suo naturale mondo onirico per fonderlo indissolubilmente con la realtà.
-Ti amo anch’io. Desidero ridarti ogni centimetro della mia pelle ed ogni mio respiro e rivoglio te, le tue carezze, ti tuoi baci ed il calore del tuo corpo nel mio. –
-Riavrai tutto di me. -
Kibum desiderava amarlo come non aveva mai fatto. Fargli sentire che nonostante la paura di quelle pareti di marmo che si chiudevano sopra di loro, delle ombre che forse li avrebbero sempre seguiti, lui avrebbe fatto qualunque cosa pur di tenerlo con sé e farlo sentire a casa. Ma soprattutto che lui, Kibum, era suo, solo suo.
Il più grande s'adagio su di lui, gli accarezzò i fianchi ed intrecciò le loro mani sul cuscino. Kibum boccheggiò per il peso del corpo dell'altro e la sua spina dorsale fu percorsa da un brivido caldo.
Jonghyun lo sentì fremere sotto di sé e lo baciò lentamente. Un bacio lento ed umido. Lo voleva. Rivoleva quella pelle candida, quei miagolii tanto eccitanti quanto puri ed innocenti nel loro amore e, soprattutto, desiderava quegli occhi sottili fissi nei suoi per vederli baluginare come la luna d’argento nell’inchiostro liquido di una notte senza stelle. Sembrava passata una vita intera dall'ultima volta che avevano fatto l'amore.
Kibum dischiuse le labbra a cuore e le gambe per concedere a Jonghyun di esplorare la sua bocca ed adagiarsi più comodamente sopra di lui. Lo lasciò fare affidandosi completamente alle sue carezze premurose, inebriato da quella passione calma e calda. Desiderava essere amato, scosso dai brividi puri e perfetti che solo Jonghyun sapeva dargli. Fece scivolare le gambe tra quelle dell'altro per poi stringerle intorno al suo bacino, s'aggrappo ai suoi avambracci ed inarcò la schiena. Jonghyun gli morse il lobo di un orecchio.
-Jongie -, miagolò con una nota di rimprovero ben immaginando il sorrisetto divertito che doveva animare il più grande.
Le labbra di Jonghyun baciarono ripetutamente il suo collo costringendolo a sospirare a più riprese.
 -Bummie -, ansimò Jonghyun con il fiato corto. -Ti voglio. -
Kibum non chiedeva altro e le sue dita scivolarono sotto la camicia di Jonghyun, percorsero la sua schiena ed il suo addome, infine lo liberò da quell’indumento ora ingombrate per gettarlo sui tappeti. Posò un bacio sul neo tra le scapole dell’altro, mentre Jonghyun gli sfilava i pantaloni. Una mano di Jonghyun scivolò lungo la sua coscia con desiderio crescente per infilarla tra le sue gambe, ma Kibum esercitò una lieve pressione sulle sue spalle costringendolo ad arretrare.
Inginocchiati l'uno di fronte all'altro sulle coperte, Kibum prese il viso di Jonghyun tra le mani e sfregò la punta del naso sulla sua guancia. Il calore ed il profumo dell’altro erano inebrianti, gli riempivano il cuore e facevano fremere il suo corpo. Un sospirò eccitato scivolò oltre le sue labbra.
-Lava la cenere dalla mia pelle e ridammi il tuo amore. –
Per troppe notti era stato solo un giocattolo tra mani altrui ed aveva udito con disgusto i suoi versi convulsi fondersi con quelli colmi di piacere e soddisfazione di Heechul. Desiderava rinascere tra le braccia di Jong.
Il fiato tiepido e dolce del principe stuzzicò le narici Jonghyun. Continuava ad esserne sconvolto, era come essere solleticati dall'aroma della primavera in boccio e dal tepore frizzante che racchiude in sé la promessa silente dell'estate.
Kibum s'adagiò sulle cosce del più grande e fece le fusa sul suo petto e sul suo collo, mentre le mani di Jonghyun percorrevano lentamente la sua schiena donandogli un calore surreale. Spogliati degli abiti che ancora li separavano si strinsero alla ricerca spasmodica del contatto di pelle contro pelle. Non appena s’unirono intimamente un rantolo lievemente roco risuonò tra le tende del letto a baldacchino, subito accompagnato da un gemito simile ad un miagolio.
-Amore mio -, sussurrò Jonghyun. Si lasciò avvolgere dalla seta e strinse i fianchi del più piccolo, guidandolo.
Assecondarono i movimenti ed i desideri dell’altro, accarezzandosi, baciandosi e talvolta mordendosi sul collo e sulle labbra, un gioco innocente ed appagante capace di farli sentire vivi ed eccitarli ad ogni spinta. I loro sospiri si fusero nella penombra della stanza. Solo una lama di luce rosata filtrava tra le tende tirate e tingeva le loro figure di una luce chiara e soffusa. Fu una danza lenta e dondolante al ritmo della melodia dolce dei loro respiri.
Kibum inarcò la schiena, appoggiò la fronte su quella del più grande, strinse le dita sottili tra i capelli dell’altro e gli miagolò in viso tutto il piacere che stava provando. Sensazioni ed emozioni che aveva dimenticato tra quelle lenzuola.
-Jongie -
Jonghyun lo spinse tra i cuscini accompagnandolo con delicata passione e si rotolarono sul materasso intrecciando gambe, bocce e sospiri. Si strinsero l’uno all’altro alla ricerca della certezza materiale che, sì, ora anche fuori dal sogno appartenevano allo stesso tempo e stavano strascinando l’altro nel mondo reale. Tutto ciò per cui avevano lottato, le urla, i pianti, lo scalpitare insensato ed il dimenarsi da catene strette ed invisibile giaceva dentro di loro come buie memorie che ora, finalmente, acquisivano un senso per essere illuminate da nuova luce. Quella strada tanto buia e solitaria che avevano percorso arrancando, ciechi di fronte a sé stessi e al mondo, quello vero, ora appariva meno tetra perché camminavano mano nella mano guidati dalla luce dell'altro. Ogni giorno si sarebbero salvati insieme. Non c'era più la perfezione del sogno, quel tempo alternativo si era spezzato, ogni illusione era svanita, ma in quel mondo fatto di materia che tanto li aveva spaventati ora erano davvero insieme.
Le loro dita s'intrecciarono sulla seta. Le lenzuola scomposte sapevano di loro, di quella primavera annunciata e mai arrivata che finalmente poteva esplodere nei suoi colori e nei suoi profumi. Le immagini e le sensazioni che erano sembrate sbiadire sotto la pioggia si ricomposero in luccicanti sfumature come se tutto procedesse a ritroso per ricreare un mondo perduto, ma ora vero quanto i loro corpi intrecciati. I loro occhi s’incontrano per la prima volta in quel nuovo mondo che finalmente poteva essere loro e scossi da fremiti si restituirono all'altro.
Ansimante, Jonghyun appoggiò la fronte su quella di Kibum. Non poteva andarsene perché a dispetto di qualunque paura anche Kibum aveva bisogno di essere salvato, proprio come lui, e solo insieme sarebbero riusciti a preservare l’uno la luce dell’altro.
-Resta con me -, sussurrò Kibum.
-Ti ho detto che lo farò. –
-Dimmelo ancora, giuramelo. –
Jonghyun sorrise.
-Resto. Io sono tuo e tu sei mio, resterò con te. Sempre. –
-Qualunque cosa accada? –
-Qualunque cosa accada l’affronteremo insieme. –
 
 
 
***
 
 
Le sue narici si dilatarono e delle nuvolette bianche si condensarono nell'aria. Benché fosse primavera inoltrata le notti erano ancora fredde e conservavano tra le spire degli incubi notturni anche gli aliti di vento più gelidi, spesso portando con sé l'odore della pioggia. Ad ogni modo non aveva alcuna importanza. Dopo giorni passati in un buco umido e dall'aria stantia non poteva che accogliere con gioia lo sferzare del vento sulle colline. Il mantello volteggiò alle sue spalle e tenne il cappuccino calato sul viso; ora che non poteva più momentaneamente godere delle luci della ribalta le ombre gli erano molto più congeniali. Le sue labbra carnose si piegarono in un sorriso sghembo. La tigre respirò a pieni polmoni.
Era uscito dal palazzo reale, aveva attraversato Soul ed era giunto fuori dalla città in un battito di ciglia; almeno questa era la sua percezione. La sua guida, l'uomo incappucciato davanti a lui, era stato di poche parole, gli aveva fornito delle istruzioni chiare e semplici che lui aveva ascoltato ed eseguito senza fare domande. Non gli piaceva prendere ordini, ma data la situazione attuale aveva dovuto adeguarsi. Dopotutto ne valeva la sua stessa testa. Non si poteva mai sapere ciò che i piani alti di Soul stavano progettando per lui. Per tutto il tempo aveva evitato di alzare gli occhi sulla città e si era limitato a fissare i propri stivali facendo attenzione a mettere un piede davanti all'altro. Dopo giorni di inattività si era rivelato un compito faticoso.
Ora, oltre le mura di Soul, la tigre evito di rivolgere lo sguardo alle sue spalle, certo che vi avrebbe trovato le luci della capitale pronte a deriderlo. Era irritante, terribilmente irritante. E dire irritante era puro eufemismo.
Il frusciare dell'erba annunciò l'arrivo di un altro individuo e la tigre era pronta a scommettere sulla sua identità.
-Yesung-, disse con un mezzo sorriso.
-Non avrai creduto che fossi disposto ad abbandonare un vecchio amico, Heechul?-
Yesung era davvero ciò di più simile ad un amico che possedeva, ma Heechul dubitava fortemente che vi fosse solo amicizia dietro all’agire dell’altro. Yesung non era tipo da correre rischi inutili. Evidentemente vedeva in quella mossa dei vantaggi che ora a lui sfuggivano. Heechul fece spallucce. Poco male, l'importante era essere di nuovo libero.
Yesung lo squadrò da capo a piedi incrociando le braccia. –Non hai un bell’aspetto -, constatò. Si rivolse all’uomo incappucciato. –Hai fatto come ti ho detto? -
-Sì, mio signore. –
-Molto bene, ho ancora un piccolo favore da chiederti. –
L’uomo accennò un inchino.
-Dovete scambiarvi gli abiti.  –
Sotto il cappuccio, Hecchul inarcò un sopracciglio. –Credi sia necessario? Presto ci sarà il cambio della guardia e s’accorgeranno della mi scomparsa. Non è conveniente perdere tempo e rimanere nei paraggi. –
-Il tempo e le distanze non sono un nostro problema amico, sicuramente non mio. -
Heechul non obiettò oltre, d’altra parte in quel momento era debitore di Yesung e qualunque cosa avesse in mente gli conveniva stare al gioco. Liberatosi del completo di seta ormai sfatto indossò gli abiti semplici ad anonimi dell’uomo, poi arricciò il naso e guardò verso la città. Un terribile errore. Tutto. Gli avevano portato via ogni cosa, Busan, le sue ricchezze, il suo futuro sfavillante e Kibum. Non poteva accettarlo. Ringhiò tra le tenebre.
-Heechul –
La voce di Yesung lo riscosse. –Non vi è nulla che tu possa fare. La cosa migliore per te se desideri rimanere in vita è sparire ed assicurarti che non si mettano sulle tue tracce. –
La tigre si umettò le labbra e snudò appena le zanne. Era una magra consolazione, ma Yesung aveva ragione. Doveva sparire. Ma Kim Heechul non aveva alcuna intenzione di darsi per vinto. Certo, aveva commesso degli errori che gli erano costati cari, ma d'altra parte aveva solo perso una battaglia. Quanto meno dal suo punto di vista.
-Che cos’hai in mente? –
Gli occhi di Yesung luccicarono astuti, s’avvicinò all’uomo ed estrasse la spada. Un verso strozzato risuonò nella notte ed il corpo dell’uomo cadde tra l’erba alta con un tonfo. La lama brillò ancora umida di sangue sotto la luce delle stelle.
Heechul fece una smorfia e si portò una mano al naso per non respirare l’odore del sangue. La testa iniziò a vorticargli e deglutì. Le urla, il corpo di Kibum che s’accasciava a terra e tutto quel sangue, il sangue del suo micetto… Strinse le braccia intorno allo stomaco, si piegò in avanti e rigettò. Le sue mani tremarono, stava sudando freddo e si passò una mano sul viso.
No, si disse, non devo pensare a tutto questo.
Yesung rinfoderò la spada e spostò il peso da un piede all'altro senza rivolgergli lo sguardo. -Hai di certo visto tempi migliori. -
-Risparmiami le tue osservazioni -, fece Heechul tossicando. Si pulì la bocca e sputò di lato per liberarsi del sapore della bile.
Yesun rise. -Sei in grado di utilizzare la tua abilità?-
Heechul fece i suoi conti, erano passate diverse ore dall'ultima dose di stramonio e ciò che gli era rimasto in corpo l'aveva appena rigettato. Era al limite delle sue forze, ma poteva attingerne ad una minima parte. Non ebbe bisogno di chiedere a Yesung ciò che voleva, aveva capito. Il corpo dell’uomo bruciò davanti a loro non abbastanza da consumarlo, ma sufficientemente per renderlo irriconoscibile.
Yesung si chinò, lo sfiorò con la mano avvolta in un guanto ed il corpo svanì, trasportato nelle sprigioni del palazzo reale di Soul.  –Lo troveranno presto -, fece. Guardò Heechul e sorrise. -Cosa ne pensi del suicidio?-
Heechul arricciò il naso ed emise un breve e graffiante ruggito.
In un'umida cella...
Se avesse voluto suicidarsi, Kim Heechul l’avrebbe fatto con tutta l'eleganza del caso e solo di fronte alla totale certezza di essere stato definitivamente sconfitto.
-Dubito che ormai abbia importanza. -
Guardò il punto in cui il corpo dell'uomo era sparito e sogghignò. Non era il caso di essere schizzinosi. Aveva bisogno di un luogo sicuro in cui leccarsi le ferite e recuperare le forze. Dopotutto la tigre non aveva alcuna intenzione di abbandonare la caccia.
Bummie, pensò con fervore.
Alzò di nuovo gli occhi su Soul: la città bruciava di mille luci nella notte bluastra puntellata di stelle. Era uno spettacolo grandioso. Sembrava un rogo e Kim Heechul l’ammirò come un segno del destino.
-Un giorno riprenderò ciò che è mio, Jonghyunnie. - Il suo sussurro rotolò lungo i declivi delle colline e si perse nel vento.
 
 
 
 
 
 
 
 
Rieccomi!
Allora prima di lasciarmi andare ai sentimentalismi e perdermi nei ringraziamenti vorrei aprire una breve parentesi sulla scena finale e lasciarvi qualche nota “tecnica”.
La fine di Heechul è stata una spina nel fianco dal momento in cui ho iniziato a scrivere la storia, ero certa che mi avrebbe tormentata e così è stato.
 
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 Ho delineato il suo personaggio ancora prima di decidere come si sarebbe sviluppata la jongkey e molto altro. Insomma è stato il motore dell’intera vicenda. Ogni personaggio ha avuto la sua evoluzione e ha “scoperto le sue carte” sia nel corso della storia, sia nella mia testa mentre scrivevo e lui in modo particolare. Più andavo avanti, più ho iniziato ad aggiungere sfumature e dettagli al suo personaggio, per non parlare del suo background. Non è stato un semplice antagonista, ma una figura costantemente presente anche quando non c’era “fisicamente” ed abbiamo avuto la possibilità di vedere tutto anche dalla sua prospettiva.
Avrete capito che gli sono molto affezionata, dunque non ho avuto cuore di farlo fuori in modo definitivo. Ma la motivazione di questa scena finale non dipende solo da questo.
Ovviamente ho valutato attentamente le varie opzioni, ma nessuna riusciva a convincermi davvero.
La cosa più logica era farlo condannare a morte da Kibum…logica ma non per forza la scelta migliore. Tralasciando il fatto che il mio cuoricino si sarebbe spezzato, una decisione di questo tipo avrebbe comportato anche il coinvolgimento di Kibum…anche se costretto dagli eventi sarebbe stata una soluzione poco in linea con il suo personaggio. Certo non avrebbe optato per il perdono, ma nonostante tutto una parte di lui non sarebbe riuscita a guardarlo morire…ci sarebbe stato sempre il ricordo del bambino che era. Insomma il cuoricino del principe si sarebbe spezzato…proprio come il mio. E poi dichiamocelo, Kibum ne ha passate abbastanza senza farsi carico anche di questo XD Torturare il proprio bias è una pratica sottovalutata e dovrebbe essere inserita tra le discipline olimpiche, ma come per ogni cosa ci sono dei limiti e delle regole da rispettare.
A quel punto ho valutato l’opzione suicidio. Non male, ma non benissimo. Implicava una resa ed una rassegnazione completa…Kim Heechul, seriously? Nha. Quanto meno doveva essere sviluppato attentamente e questo avrebbe implicato delle scelte a fine storia che non mi è stato possibile fare. Solo la morte di Kibum poteva indurlo ad una mossa così estrema.
Opzione tre: non prenderlo in considerazione nell’epilogo. Arrivato alla fine della jongkey ho riletto tutto per valutare la cosa, ma per quanto fossi soddisfatta del risultato generale qualcosa stonava. È stato un personaggio troppo presente per permettersi d’ignorarlo nel finale. E comunque un affronto simile a Diva2 non si può fare!
Dunque rimaneva una sola opzione: la fuga in stile Kim Heechul XD Ho certato qualcosa che fosse in linea con il personaggio e che allo stesso tempo non andasse ad intralciare il lieto fine della jongkey.
Personalmente non sono una da “e vissero tutti felici e contenti”. La vita non è mai tutta rosa e fiori, è sempre in salita e anche quanto raggiungiamo un obiettivo non è mai un punto d’arrivo, ma sempre un nuovo punto di partenza. Mi piace vedere questa scena finale come una metafora in questo senso che vale sia per Heechul che per tutti gli altri personaggi.
 
Bene, ho detto anche troppo su questo argomento, quindi passiamo alle note “tecniche”.
1 Devo terminare la raccolta con l’ultimo episodio e ora questa è la mia priorità, entro il prossimo mese conto di concludere.
2 Progetti futuri. La mia testolina ha iniziato ad elaborare una nuova storia la scorsa primavera ed ho tutta l’intenzione di scriverla e pubblicarla. Sarà qualcosa di più breve e meno complesso di Orbit, ma forse più forte dal punto di vista emotivo (?). Non posso fare previsioni sulle tempistiche, ma spero di riuscire a postare qualcosa prima della fine dell’anno (ahahahaah).
 
Ho sproloquiato anche troppo, quindi direi di passare a cose più piacevoli e meno noiose *.*
 
Beh, che dire, la storia è finita e devo ammettere che non so proprio come sentirmi a riguardo. Avevo preparato un discorso intelligente, ma credo di essermelo dimenticato XD Orbit è arrivata in un momento particolare. Ho sempre scritto tantissimo, ma ho passato un anno intero senza scrivere una riga finché non ho iniziato questa storia e mi ha tenuto compagnia sino ad oggi. E’ stata un po' come un’amica fidata e per quanto io sia felice di essere arrivata alla fine mi sento anche triste.
 
Voglio ringraziare tutti i lettori, chi ha inserito la storia tra le preferite, le ricordate e le seguite. Tutte le persone meravigliose che si sono premurate di dedicarmi due minuti del loro tempo e mi hanno lasciato un commento: Blugioiel, Chocolat95, DreamsCatcher, Ghira_, Gonzy_10, Ichabod_Crane, Jae_Hwa, KimJonghyun23, MagicaAli, Panda_murderess, Saranghae_JongKey e vanefreya.
Ringrazio anche chi mi ha inserita tra gli autori preferiti: Blugioiel, Jae_Hwa,  MagicaAli e SHINee4ever  *.*
 
Vorrei rivolgere un grazie speciale soprattutto alle persone che hanno recensito negli ultimi mesi.
Blugioiel, grazie mille per i tuoi continui complimenti e per i tuoi scleri post lettura, sono stati una vera carica d’adrenalina!
Chocolat95, mi hai lasciato tantissime recensione e le tue riflessioni sono state spesso fonte d’ispirazione. Probabilmente senza i tuoi interventi alcune scene sarebbero state diverse. Grazie^^
Gonzy_10, so che hai una predilezione per la 2min e in questa storia ne abbiamo avuto solo un assaggio, dunque ti ringrazio doppiamente per i tuoi commenti e per aver seguito con costante entusiasmo.
Ichabod_Crane, leggere i tuoi commenti è stato un vero piacere e da quello che mi hai scritto mi sento di poter dire di aver raggiunto i miei obiettivi. Non sono riuscita a farlo quando era il momento e dunque lo faccio ora: la scena del risveglio di Kibum dopo la notte con Heechul è stato proprio il tuo commento ad ispirarmela, all’inizio non era prevista nella mia tabella di marcia, quindi mi sembra giusto dedicartela. Ti ringrazio molto perché è diventata una delle mie preferite e credo che abbia aggiunto qualcosa di più allo svilupparsi degli eventi, anche se si tratta per lo più di una scena introspettiva.
Jae_Hwa, la tua prima recensione è arrivata in un momento in cui ero un po' giù e presa da mille cose, è stata davvero una piacevole sorpresa e d’allora ho sempre atteso con piacere i tuoi commenti e con altrettanto piacere li ho letti. Grazie mille per il sostegno! Per il resto non posso che ringraziarti così…
 
 
Image and video hosting by TinyPic Infine desidero riservare un grazie speciale a MagicaAli! Hai seguito sin dall’inizio e recensito ogni singolo capitolo (aspetto sempre i tuoi commenti agli ultimi e sono certa che mi farai morire dal ridere come sempre XD). Non so davvero come ringraziati, il tuo sostegno è stato fondamentale!
 
Grazie ancora a tutti per aver seguito fin qui, spero davvero di avervi lasciato qualcosa alla fine di questa storia, di avervi fatti ridere, piangere, emozionare e magari di avervi tenuto un po' di compagnia!
Alla prossima!
 
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