Accio bitch

di Elsinor
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una sorpresa di compleanno ***
Capitolo 2: *** Il Marchio Nero ***
Capitolo 3: *** Uno strano Auror ***
Capitolo 4: *** Un astuto bastardo e un bastardo ambizioso ***
Capitolo 5: *** Effetti sconvolgenti ***
Capitolo 6: *** Salto nel fuoco ***
Capitolo 7: *** Il nido di Alec ***
Capitolo 8: *** Spiare paga ***
Capitolo 9: *** Quando il nemico è troppo vicino ***
Capitolo 10: *** Ciò che più temi ***
Capitolo 11: *** Il cattivo riflesso ***
Capitolo 12: *** Ciò che più desideri ***
Capitolo 13: *** Dammi soddisfazione ***
Capitolo 14: *** Oggetti smarriti ***
Capitolo 15: *** Adios ***
Capitolo 16: *** Cristallino ***
Capitolo 17: *** La mossa della sentinella ***
Capitolo 18: *** Un pessimo tè ***
Capitolo 19: *** In un'altra vita ***
Capitolo 20: *** Problemi in famiglia ***
Capitolo 21: *** Alla salute ***
Capitolo 22: *** Con ogni mezzo ***
Capitolo 23: *** Egon Hoffmann ***
Capitolo 24: *** Amore e odio ***
Capitolo 25: *** Tiro a segno ***
Capitolo 26: *** A prezzo del dolore ***
Capitolo 27: *** Debolezza ***
Capitolo 28: *** L'importanza di essere stupidi ***
Capitolo 29: *** Occasione persa ***
Capitolo 30: *** Palle e cervello ***
Capitolo 31: *** Quel vuoto che la cioccolata non può riempire ***
Capitolo 32: *** Il sogno silente ***
Capitolo 33: *** Novità ***
Capitolo 34: *** Un incontro inaspettato ***
Capitolo 35: *** Tua madre ***
Capitolo 36: *** L'insalata ***
Capitolo 37: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Una sorpresa di compleanno ***


Il compleanno più deprimente della mia vita fu quando compii undici anni e la lettera da Hogwarts non arrivò. Sorpresa!

Io a dire il vero me l'aspettavo. Avevo trascorso un'infanzia totalmente, platealmente non magica: non riuscivo a far esplodere i broccoli nel piatto quando non volevo mangiarli come mio cugino Chip, non sapevo fare le bolle di saliva colorate come mio cugino Chip e la mia scopa giocattolo volava solo se la inforcava mio cugino Chip. Papà aveva pure fatto finta di scordarsi la bacchetta sul tavolo davanti a me, io l'avevo provata e non era uscita manco mezza scintilla. La consapevolezza si era fatta strada piano piano e avevo centellinato la disperazione goccia a goccia, come se avessi un Dissennatore appollaiato sulla mia spalluccia da bambino. A undici anni, quando arrivò la conferma, ero già rassegnato.

I miei genitori no. Scrissero un mucchio di lettere di protesta ad Albus Silente, poi al Ministero della Magia. Credo siano tuttora in causa, ma dubito arriveranno mai al Wizengamot.
Niente e nessuno li ha mai convinti che io sia un Magonò. La loro teoria è che sono un mago un po' tardivo (un po' tanto) che con i giusti stimoli e un paziente insegnamento a Hogwarts avrebbe potuto sviluppare le sue dormienti capacità. A volte è più facile raccontarsi la verità che si sceglie.

Secondo la pacata lettera di risposta che mandò Silente, io posso avere una vita bella e piena sfruttando le mie vere capacità. Dev'essere per questo che sono finito a lavorare alla  Pinkerton Magiche Pulizie come un elfo domestico alcolizzato.
Potreste pensare che esageri per l'effetto comico, ma lavoro davvero insieme a un elfo domestico: si chiama Guzzle e appartiene alla famiglia Pinkerton. In teoria non viene pagato ma considerato quanto ruba, facendo la cresta sulle commissioni e sfilando roba dalle tasche e dai cassetti, racimola quasi il mio stesso salario. Lo spende tutto in Burrobirra, tra l'altro.

Come avrete intuito le Pulizie di Pinkerton non sono così Magiche quando le facciamo io e Guzzle. Le mie vere capacità non sono ancora venute fuori, e Silente non mi ha ancora scritto per elencarmele.

Ma veniamo alla mezzanotte del mio compleanno, dieci anni esatti dopo la mancata lettera da Hogwarts. La faccenda si prospettava analogamente triste: lavoravo, il collega di turno era Guzzle e ci avevano mandato a fare le pulizie al cimitero. Umidità, nebbia, croci di metallo storte, lapidi sempre storte ed erbacce che invece se la passavano proprio bene: insomma, un classico cimitero.
Dopo aver riempito qualche sacco di edera strappata, foglie e fiori marci dichiarai la pausa sigaretta. Io e l'elfo ci sedemmo sul bordo di un sarcofago sotto lo sguardo rassegnato di un angelo di pietra. Sì, avevamo la pietra sotto il culo e sì, era freddo: il fumo della mia sigaretta fatta a mano si confondeva coi vapori congelati dei nostri aliti. Guzzle scroccava qualche tiro facendo attenzione a non far cadere cenere sul suo "vestito" di cartone (era uno scatolone di Solvente Magico di Nonna Acetonella con tre buchi per testa e braccia). Ho già detto che era il mio compleanno?

«Ehi, Guzzle,» esordii con la vivacità più costruita del mondo «sai cosa fa un Mangiamorte al cimitero?»
Guzzle non rispose subito, ma del resto non era mai stato uno lesto a parole. Guardò l'orizzonte nebbioso e frastagliato e disse: «Silas pensa che quel signore lì è un Mangiamorte?» Silas è il mio nome. Quel signore lì, invece, non sapevo proprio chi fosse, e a dirla tutta non lo notai finché non seguii lo sguardo di Guzzle: qualcuno era sbucato da dietro gli alberi. La sagoma era quella di un uomo, decisamente più bassa e meno massiccia delle statue di pietra (inoltre si muoveva, il che capita di rado nelle statue di pietra, anche nel mondo magico). Troppo denso per essere un fantasma. Mantello scuro, cappuccio alzato.
«Era l'inizio di una barzelletta.» mormorai «ma lasciamo perdere.» lasciar perdere sembrava la cosa migliore. Stavamo riparati dietro le ali mezze aperte dell'angelo e l'incappucciato neanche guardava verso di noi. Camminava lento e da come teneva china la testa sembrava tutto preso da qualcosa che teneva tra le mani. Spensi la sigaretta contro la pietra del sarcofago. Guzzle sembrò preso da un identico istinto a immobilizzarsi e tacere.
Lo sapevo che non c'erano più Mangiamorte in giro da quando Voi-sapete-chi ci aveva lasciati, lo sapevo e volevo dirlo per convincere entrambi, ma rimasi zitto...abbastanza per sentire sopra agli scricchiolii delle foglie secche la voce profonda dell'uomo: «Il Signore Oscuro sorgerà di nuovo.»

Sorpresa!












Angolo dell'autrice: ma che storia è?! Magonò? Elfi domestici alcolisti? Bah, andrò a cercami una HarryxDobby per tirarmi su e NON seguirò assolutamente questa storia né lascerò una recensione. Comunque il prossimo capitolo arriva molto presto!

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Capitolo 2
*** Il Marchio Nero ***



L'uomo incappucciato tacque per lunghi istanti, poi disse «Certo.»
E silenzio.
Poi di nuovo «Per forza», poi di nuovo silenzio.
Insomma, cavolate tipiche di una normale conversazione. Solo che una normale conversazione non inizia con «Il Signore Oscuro sorgerà di nuovo.»
Quelle parole non mi sarebbero arrivate più chiare neanche se mi avesse parlato nell'orecchio. E a giudicare dalle dimensioni delle orecchie di Guzzle e dall'espressione del suo brutto muso, neanche lui aveva capito altro.
L'uomo incappucciato, però, non parlava all'orecchio di nessuno di noi, piuttosto al cavo delle proprie mani. E da dentro le sue mani forse qualcuno, evidentemente, gli rispondeva.

Scivolai sulle chiappe per spostarmi più dietro al busto massiccio dell'angelo di pietra che ci faceva da scudo. Lanciai un'occhiata a Guzzle. Guzzle tirò su col naso e un istante dopo svanì, con un CRAC che risuonò come trecento lenzuoli strappati contemporaneamente. Elfo bastardo!

Col cuore in gola mi piegai a sbirciare sotto l'ascella dell'angelo, in tempo per vedere l'incappucciato voltarsi dritto dritto nella mia direzione.
«Chi va là?» chiese, secco come il rumore della smaterializzazione appena avvenuta. Decisi di far finta che la risposta fosse "nessuno" e lentamente mi spostai per nascondermi daccapo dietro la statua. Altrettanto lentamente smontai dal sarcofago e riportai i piedi a terra, da lì in poi bastava correre. Nell'intervallo che impiegai per muovermi e riflettere in questo modo (a me sembrò lungo), il tonfo dei passi mi avvertì che l'uomo stava venendo verso di me.
Mi misi a correre. Una corsa breve...
...perché urtai con la tibia uno dei sacchi di erbacce e dopo un attimo di vertigine colpii il suolo con ginocchia, gomiti e mani. La terra era molliccia ma mi feci male lo stesso, infatti tirai giù Merlino e tutta la sua schiatta.
Subito una luce rossa mi riverberò addosso e il sarcofago scricchiolò sotto il delicato incantesimo che si era preso al posto mio.
Artigliai la terra scivolosa e annaspai per rimettermi in piedi. «Niente paura!» sparai (si nota molto che stavo improvvisando?) «È solo l'uomo delle pulizie!»
«Allora pulisci.» replicò freddo l'incappucciato, con molta più presenza di spirito del sottoscritto «O preferisci spiare?»
Non c'erano più ostacoli di pietra tra me e lui, né tra me e la bacchetta che mi puntava addosso. Nell'altra mano aveva un globo vetroso grande quanto il suo palmo, su cui riveberava la luce della luna (è per via della luce che lo notai, altrimenti la bacchetta puntata addosso era di per sé abbastanza interessante). Tipo una sfera di cristallo, ma molto piccola.
Mi raschiai la gola: «Non spio mai.» il mago rimase fermo senza abbassare la bacchetta. Il viso risultava del tutto indistinto, non so se per l'ombra o per magia. Ne approfittai per far circolare lo sguardo sul terreno, in cerca del rastrello che avevo buttato da qualche parte nel buio. Intanto continuavo a parlare «Ehm...per questo vado al cimitero. Non c'è nessuno da spiare, sono tutti morti.»
«Allora forse dovresti...»

Posso immaginare come finisse la battuta, ma mi fu risparmiato di ascoltarla da un CRAC di trecento lenzuola strappate che distrasse entrambi. Ovviamente non erano lenzuola, ma Guzzle, apparso giusto dietro il mago. Non sembrò far caso né a quest'ultimo né a me, ma borbottando una sequela lamentosa di «Ohiohiohi» si chinò a raccogliere una bottiglia di Burrobirra mezza piena. Si ricordava il punto esatto dove l'aveva mollata!
Tutto ciò era abbastanza per lasciare l'incappucciato e me interdetti, solo che fui io il primo a riscuotermi. Abbandonai in un attimo l'idea del rastrello e presi quel che avevo sottomano, cioè il sacco delle erbacce: slanciai le braccia per caricare il colpo e lo tirai dritto addosso all'incappucciato.
Ovvio che non lo buttai a terra, ma grazie all'effetto sorpresa fece un gesto inconsulto per ripararsi e gli partì una scia di scintille dalla bacchetta. Sulla mia divisa Pinkerton si accese una piccola brace, e nel momento che impiegai per preoccuparmene, Guzzle aveva rotto la bottiglia di Burrobirra in testa al nostro avversario. Crollò come un pupazzo.

Trovai il rastrello rischiando di metterci sopra il piede, e lo brandii subito per avvicinarmi circospetto al corpo. Guzzle stava piagnucolando con le mani ossute sulla faccia.
«Tranquillo, non credo sia morto.» cercai di consolarlo, anche se nel dirlo ad alta voce il sospetto mi venne. E se fosse stato solo un mago un po' svitato? Un Magonò e un elfo domestico sarebbero finiti ad Azkaban senza passare dal via.
Punzecchiai il mago con il rastrello, poi mi sembrò di vederlo muoversi e allora gli assestai qualche colpo di sicurezza con il manico.
«Guzzle, prendigli la bacchetta! Presto!» esclamai «Non piangere, amico: rischi di svegliarlo. E poi sei stato bravissimo, mi sa che ti devo la pelle.»
«Silas deve a Guzzle mezza bottiglia.» singhiozzò rauco l'elfo «Guzzle è tornato per salvare il giovane Silas anche se non vale una scarpa del padrone, e ora Guzzle ha dovuto usare la magia senza il permesso del padrone; l'ha usata per rompere una buona bottiglia mezza piena e ha ucciso un mago per salvare Silas che non vale il sacco delle erbacce.»
«D'accordo, ti ho ringraziato abbastanza. Andiamocene da questo posto.»
Con l'adrenalina di nuovo a livelli accettabili, tutta la faccenda cominciava a sembrarmi molto stupida. Mi ero fatto suggestionare da una barzelletta, un cappuccio e una semplice frase. Probabilmente era un esaltato che giocava al cimitero...forse era di quelli che si eccitano quando la fidanzata a letto ripete il nome di Voi-sapete-chi. Avevo letto un articolo del Settimanale delle Streghe in proposito, mentre ammazzavo il tempo al San Mungo, ricoverato dopo essere stato morso da una legione di doxy.
Tastai il terreno in cerca della bacchetta, ma trovai prima la sfera di cristallo. Era traslucida, biancastra e fredda e sì, sembrava proprio una piccola sfera di cristallo, rotolata via dalla mano del mago. Ebbi l'impulso di intascarla, ma non ero sicuro di voler sporcare oltre la mia fedina penale.
Indeciso, timoroso di finire a limonare Dissennatori, cercai il polso sinistro del mago per sentire il battito. Nel farlo lasciai che la manica ricadesse scoprendo la pelle pallida dell'avambraccio su cui spiccava un tatuaggio: un teschio con un serpente al posto della lingua.
Mi scese un brivido lungo la schiena. Ok, forse non era un tatuaggio. Era un Marchio Nero. 










Angolo dell'autrice: se avete problemi di sporco sulle vostre tombe, usate sempre il Solvente Magico di Nonna Acetonella Per Ogni Tipo di Sporcizia. Il Solvente non funziona su plexiglass, parquet e Marchi Neri. Questo è un angolo dell'autrice sponsorizzato, mi sto aspettando una valanga di recensioni positive in cambio della pubblicità. Intanto che aspetto, vi preannuncio che il prossimo capitolo si intitolerà "Uno strano Auror"!

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Capitolo 3
*** Uno strano Auror ***



«Benvenuti al Ministero della Magia. Per favore dichiarare il vostro nome e il motivo della visita.»
«Chip...ehm, Chester Collins. Vorrei avvisare il Ministero di un Mangiamorte arrabbiato a piede libero e del possibile ritorno di Voi-sapete-chi. E magari rendermi un po' meno fottuto.»
«Grazie.» replicò l'imperturbabile voce femminile che risuonava nella cabina telefonica. Risuonava magicamente, ovvio: nella cabina c'ero solo io, con l'inutile cornetta appesa all'orecchio e l'aria stupida.
«Il visitatore è pregato di raccogliere la targhetta e assicurarla sul vestito.» raccolsi la spilla dallo scomparto metallico per le monetine di resto: c'era scritto sopra Chipehmster Collins, (complimenti per essere riusciti a farcelo entrare tutto) Avviso di Pericolo. Non rendeva molto l'idea, ma almeno non c'era scritto Il Magonò Più Fottuto del Mondo.

La cabina iniziò a sprofondare accompagnata dal bla bla della voce femminile: «Il visitatore del Ministero ha l'obbligo di sottoporsi a perquisizione e di presentare la bacchetta perché sia registrata al banco della sorveglianza, all'estremità dell'Atrium.» sfruttai la corsa per lisciarmi i vestiti addosso, un tweed pizzicoso e alieno rispetto alla mia solita divisa/tuta di lavoro e i miei soliti jeans e maglietta babbani. Mio cugino Chip non era certo un principe, ma io volevo fare buona impressione. Il che era il motivo per cui stavo usando l'identità di un mago.
«Il Ministero della Magia vi augura una buona giornata.» a tiritera conclusa, la porta della cabina si aprì e mi lasciò uscire nell'enorme salone d'ingresso.
Ricordavo la Fontana dei Magici Fratelli da quando c'ero stato coi miei genitori: un'epoca in cui ero abbastanza piccolo da guardare il mastodontico mago dorato che zampillava acqua dalla bacchetta e poter sperare di essere un Magico Fratello anch'io. Chip, da sempre un idiota precoce, faceva un sacco di battute sulle tette dorate della mastodontica strega.
Quello di cui non mi ricordavo affatto era dove trovare il banco sorveglianza, sicché girai per un po', scansando impiegati indaffarati che divampavano dai camini lungo la parete o si Materializzavano producendo lo scoppiettio di una padella di pop-corn.

Trovai la scrivania giusta sotto all'eloquente cartello Sorveglianza. La parte della perquisizione andò liscia, l'impiegato si limitò a sventolarmi sotto il naso un'asticella di metallo e non partirono le sirene come quando cercai di uscire da un negozio babbano con Guzzle nascosto nello zaino (aveva allungato il braccino fuori e arraffato ovunque arrivava. Mai tenersi Guzzle alle spalle). Quando mi chiese la bacchetta, invece, esitai e decisi di provare una tattica diversa.
«Oh, che idiota!» esclamai, schiaffandomi la mano sulla fronte «Sta a vedere che l'ho lasciata negli altri pantaloni! Non l'avrò mica persa?!» mi tastai dappertutto, cercando di sembrare disperato...o meglio, cercando di sembrare disperato per quel motivo.
Il mago della sorveglianza non parve molto colpito. Si limitò a dire con voce atona «Cerchi bene.»
«E se non la trovo?» azzardai.
«Torni a casa e la cerchi.»
«Ok, l'ho trovata.» sospirai, tirando fuori la bacchetta che speravo di non dover usare. Era nientemeno che la bacchetta del Mangiamorte.
La bacchetta finì su una specie di bilancia d'ottone a un piatto solo, la cui base sputò fuori una striscia di pergamena. Il mago della Sorveglianza la esaminò, poi alzò gli occhi su di me. Deglutii.
«Diciotto pollici, anima di fibra di cuore di drago...?»
Mi parve di intuire un punto di domanda alla fine della frase, per cui mi affrettai ad annuire. Il mago guardò di nuovo prima la pergamena, poi me. La pausa che fece non mi piacque.
«...in uso da ventinove anni.» ancora una pausa «Corretto?»
«Sì.» risposi nervosamente.
Il mago si sfregò lentamente la barba malfatta con una mano, continuando a tenersi sotto il naso la pergamena «Che dire...» esordì dopo un'altra pausa non necessaria «...li porta bene i suoi quarant'anni, signor Collins.»
«Non ne ho quaranta.» replicai come l'imperatore dei coglioni «Ne ho ventidue.» dissi l'età di Chip e mi credetti pure molto furbo.
Il mago mi fissò con i suoi pigri occhi a mezz'asta: «Suppongo si renda conto che qualcosa non torna.»
A mia discolpa, era molto sotto stress. Vorrei vedere voi a fare i brillanti dovendo raccontare tutte quelle balle carpiate...e comunque quando la persona con cui chiacchieri più spesso è un elfo domestico è normale avere il cervello un attimino fuori esercizio.
Intanto la lungaggine della mia procedura aveva attirato l'attenzione di qualche ficcanaso vagante: con la coda dell'occhio notai che i maghi che passavano nei paraggi lanciavano sguardi perplessi, e un tizio alto vestito di nero si era persino fermato a godersi lo spettacolo.
«D'accordo, ehm...» mi piegai verso il mago e abbassai di parecchio la voce «...non è mia la bacchetta.»
«È la prima volta che lei non mi sorprende, oggi.» commentò lui «In effetti questo scherzo comincia ad annoiarmi. Non so se lei abbia perso una scommessa, ma di certo fa perdere tempo a me. Le suggerisco di fare meno stupidaggini e di tornare con la sua bacchetta, se proprio deve tornare.»
«Ha ragione, era una penitenza. I miei amici sono proprio stupidi.» mormorai «Non scommetterò mai più sul Quidditch.»
Il mago mi porse la bacchetta in silenzio e scosse la mano per farmi segno di andarmene. A quel punto fu quasi un sollievo, tranne per il piccolo particolare che non avevo più idea di che fare. Quanto sarebbe stato meglio aver detto la verità!

Un attimo...

...non c'era nessuno a dirmi cosa fare, giusto? Potevo unirmi con discrezione alla folla e raggiungere altrettanto discretamente gli ascensori. Se poi una volta oltrepassato i cancelli si sarebbero messe a urlare le sirene come nel negozio babbano, pazienza: tanto la figura di merda l'avevo già fatta. E poi era una situazione di emergenza, cavolo! Un'emergenza nazionale!

Deciso, girai sui tacchi e feci qualche passo nella direzione da cui ero arrivato, poi, quando mi sembrò che il mago della Sorveglianza stesse guardando da un'altra parte, cambiai strada. Mi infilai il più possibile in mezzo al fiume di gente e mi lasciai trasportare verso l'ingresso più piccolo. Quasi fatta, quasi fatta, quasi...fatta!

Mi catapultai nell'ascensore, subito schiacciato in un angolo da un profluvio di maghi e streghe. E siccome le cose mi stavano andando troppo bene, notai la presenza del ficcanaso alto vestito di nero che aveva osservato la scena alla Sorveglianza.
Un tizio corpulento alla mia destra portava un grosso cesto di vimini da cui veniva un buon odore, peccato che muovendosi in continuazione (il tizio, non il cesto) cercasse di darlo sugli stinchi a quelli intorno. La cabina aveva appena cominciato a salire ed erano già diventati tutti nervosi; tranne il mago vestito di nero, che incrociò le braccia e si appoggiò alla parete con distratta disinvoltura. Era proprio il tipo da cui ti aspetti una distratta disinvoltura: giovane, con i capelli neri lisciati all'indietro e il completo sobrio ma fastidiosamente impeccabile, senza manco una piega, un pelo o un granello di forfora. Sulla sua spalla destra era accomodato un ratto di notevoli dimensioni, dal manto lustro e nero, praticamente la versione topesca del padrone.
Avrei voluto avere la stessa distratta disinvoltura, comunque feci del mio meglio, nel mio stile, per ignorarlo.
La stessa voce disincarnata della cabina telefonica all'ingresso annunciò la prima fermata: Ufficio per i Giochi e Sport Magici. Chi se ne fregava. Il lato positivo fu che alcuni scesero, decongestionando leggermente l'abitacolo. Cominciai a chiedermi quale fosse precisamente il piano a cui scendere, e se l'avrei beccato giusto.
«Scusi, ehm...secondo lei a quale ufficio è meglio comunicare l'avvistamento di...qualcosa di pericoloso?» lo chiesi al tizio del cesto di vimini. Suonai un po' timido, ma ero abbastanza fiero di aver usato parole come "avvistamento" e "comunicare".
Il tizio del cesto abbassò lo sguardo sulla targhetta che avevo appuntato al petto, cosa che mi mise subito a disagio. Peggio mi sentii quando lo scemo la lesse pure ad alta voce: «Chipehmster Collins, Avviso di Pericolo. O-oh! Cose grosse!»
«Chester Collins» corressi tentando di sorridere «già, cose pericolose. È piuttosto urgente.»
«Pericolose tipo?» si informò il tizio, sorridendo anche lui, ma più a mo' di presa per il culo «Manticore? Giganti? Draghi? Donne?»
«Magia oscura.» sparai, vago. Me ne pentii subito vedendo il tizio spalancare gli occhi.
«Magia oscura...gli Auror!» rispose, e sorprendentemente era una risposta sensata «Scenda al secondo Livello e vada al Quartier Generale. A meno che non abbia stregato un Babbano o fatto evanescere la suocera, in tal caso è meglio il Dipartimento delle Catastrofi e degli Incidenti Magici.»
«Scusate se mi intrometto,» stavolta era stato il mago vestito di nero a parlare «ma penso di poterti essere utile...Chester Collins, giusto?» il suo sguardo attraversò il magma umano nell'abitacolo e mi si appuntò addosso, preciso come la spilla sul suo mantello. Anche il sorriso cortese con cui l'accompagnò aveva un che di affilato e freddo, un esercizio di educazione eseguito perfettamente. O forse il freddo era solo l'impressione del sudore sulla mia nuca.
«Giustissimo.» mi sbilanciai (l'agitazione mi portava subito a contar balle) «Lei invece è un Auror?»
«Alec Kingsman» si presentò di rimando il mago, senza smettere di sorridere, e il ratto sulla sua spalla si sollevò sulle zampette, allungandosi nella mia direzione. Notai che ora teneva un biglietto da visita color rosa pallido in bocca, estratto chissà da dove. Il mago alzò una mano per trattenerlo «Lascia stare, Ratbert, c'è troppa gente. Come dicevo, penso di poterti essere utile, sempre che mi spieghi con calma e nei dettagli il tuo problema.»
Come a dare maggior effetto scenico alle sue parole, l'ascensore si fermò in quel momento, dando modo a un bel numero di persone di levarsi dalle scatole.
Cercai di avvicinarmi ad Alec Kingsman e la folla mi dette una spinta d'addio in cambio, facendo sì che gli finissi quasi addosso. Il ratto squittì.
«Be', sarebbe fantastico.» risposi sopra il verso del ratto «Allora andiamo nel tuo ufficio? Scusa se ti ho spiegazzato.»
«Gli Auror sono abituati a spiegazzarsi!» esclamò prontamente il mago (però lisciò lo stesso il vestito là dove avevo appoggiato la mano) «Non c'è bisogno di andare in ufficio, tanto più che non vorrei avessi problemi con...» si schiarì studiatamente la voce e piegò appena il capo verso di me «...la tua bacchetta.»
«Oh» riuscii solo a dire, ricordandomi tutto d'un colpo della figuraccia alla Sorveglianza, nonché del fatto che l'Auror vi aveva assistito.
«Andiamo fuori.» invitò Kingsman senza smettere di sorridere, mentre il ratto sulla sua spalla si girò offrendomi la coda pelata.









Angolo dell'autrice: bentornati a chi segue la storia, e un saluto a chi vi è appena approdato. Magonò, elfi domestici, Mangiamorte e adesso anche ratti...cosa volere di più dalla vita? Un Idromele barricato! E che succederà mai a Silas? Lo scoprirete nel prossimo squittente capitolo di Accio bitch!

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Capitolo 4
*** Un astuto bastardo e un bastardo ambizioso ***



Il concetto di "fuori" di Alec Kingsman era un piccolo pub un po' scalcagnato vicino alla sede del Ministero. Io comunque certamente non mi formalizzavo, anzi, meno male che era a portata delle mie tasche. Era anche convenientemente semivuoto, forse per questo l'Auror l'aveva scelto, in sprezzo del pericolo di impolverarsi il vestito.
Accomodati su due panche di legno cigolanti, un tavolo in mezzo a noi, ci guatavamo con un misto di curiosità e diffidenza (da parte di Kingsman educatamente dissimulata) da sopra i nostri boccali.
«Quando vuoi puoi cominciare» mi esortò l'Auror, con un sorriso tirato (il ratto Ratbert si era rintanato a sonnecchiare in una tasca interna del suo mantello, se vi interessa) «a parlare, intendo. A bere ci hai già pensato da solo.»
«È sicuro questo posto?» ribattei, sostenuto, prendendo un altro sorso di idromele.
«Certo. Ci sono io, no?»
«Dico per parlare senza essere ascoltati.»
«Oh, è molto segreta, la tua storia?» l'Auror batté le ciglia e vidi balenare nei suoi occhi una scintilla di eccitazione. Il sorriso sulle sue labbra si allargo e sembrò anch'esso acquistare calore, mentre si protendeva col busto verso di me, il gomito destro appoggiato al tavolo. Sembrava seriamente affascinato, magari un po' (molto) beffardo, ma ad ogni modo era la reazione più genuina che gli avessi visto finora.
«Prendimi pure per il culo, ma è una cosa seria» puntualizzai «in effetti..» mi interruppi, su tacito invito della mano sollevata di Kingsman, e lo osservai tirar fuori la bacchetta e fare qualche gesto sopra il tavolo. Borbottò qualcosa.
«Bene,» concluse, riponendo la bacchetta «ora non ci sente nessuno, finché rimaniamo seduti qui. L'incantesimo dura otto ore, non mi ci sono impegnato,» poteva evitare quella sboronata, ma non lo fece «ma spero non mi ci vorrà tutto quel tempo per farti parlare.»
«Perché non sei partito subito con l'Imperio?» borbottai. Sarà stato un Auror ma si dava troppe arie. Era anche l'unico che avevo disponibile, così respinsi il boccale e iniziai il mio racconto.

Non mi interruppe mai. Manteneva, in modo chiaramente studiato, un'espressione neutra, anche se lo beccai alzare le sopracciglia un paio di volte. In compenso mentre ascoltava faceva cose tipo incrociare e disincrociare le braccia, tamburellare sul tavolo, puntellarsi la testa e spostare a caso il boccale: un po' più in là, un po' più in qua, lo fece persino ruotare.
«...alla fine ho preso la bacchetta e la sfera e sono scappato.»
Mi sembrava di aver terminato, ma siccome Kingsman ancora stava zitto aggiunsi «Anche l'elfo domestico se l'è filata.»
«Come dimenticare l'elfo domestico.» commentò finalmente il mago, alzando la testa dalle grandi manovre sul boccale e scoccandomi un sorriso soave «Quindi dove si trovano, adesso, questa sfera e questa bacchetta? Le hai in tasca?»
«Ehm, non proprio.» mi umettai le labbra, incerto su quanto sbottonarmi. Ma alla fine era uno del Ministero, no? «Cioè, la bacchetta è questa,» la tirai fuori di tasca e la appoggiai sul tavolo «la sfera l'ho tipo nascosta. Non mi sentivo sicuro a portarla.»
«Ma ti senti sicuro a truffare il Ministero» replicò Kingsman in tono sempre più gentile (a quanto pare la gentilezza l'adoperava tipo Maledizione Cruciatus) «tentando di introdurti illecitamente nella sua sede espropriando un'identità e una bacchetta che non ti appartiene.» la soddisfazione palese d'aver inanellato tutti quei paroloni non lo frenò un secondo. Battè l'indice sul tavolo accanto alla bacchetta malefica «È la stessa con cui hai tentato di passare la Sorveglianza, vero? Di buono c'è che devo tener buona la tua storia per quanto riguarda l'implicazione di una terza persona, un mago» mi parve che sottolineasse leggermente quell'ultima specifica, ma forse era solo un'impressione «che sicuramente non è Chester -altrimenti detto Chip- Collins. E che altrettanto sicuramente non sei tu.»
Rimasi a bocca aperta: nel senso letterale, perché volevo dire qualcosa ma lì per lì non mi uscì niente. Ma tanto Kingsman voleva solo godersi una pausa a effetto prima di ripartire «Nessuno dei due è abbastanza vecchio da aver usato quella bacchetta per ventinove anni...»
«Su questo siamo d'accordo tutti, Gilderoy Allock di 'sto cazzo» scattai (di fronte a tale linguaggio Kingsman contrasse lievemente un sopracciglio, cosa che mi esaltò) «infatti è la bacchetta di un Mangiamorte. E comunque hai origliato tutta la storia alla Sorveglianza e ti ricordi pure ogni parola? Sei inquietante come un Molliccio nel comodino del bagno.»
«Se mi sono fermato di fronte a quella scena patetica è solo perché...be', era patetica, e poi perché ho sentito il nome "Chester Collins", un nome abbinato a una faccia ben diversa da quella che ho visto spesso nella Sala Comune di Corvonero ad Hogwarts.»
Fece un'altra pausa ad effetto, stavolta non mi affrettai per riempirla. La faccia di Kingsman invece l'avrei volentieri riempita di cazzotti, anche solo per l'espressione schifosamente compiaciuta che tirò fuori.
«Ero Prefetto» puntualizzò «e lui al primo anno. Fece scoppiare una bomba alla crema in Sala Grande (c'era molta più crema rispetto a un dolce normale, ovviamente, l'aveva gonfiata con la magia), così dovetti togliere venti punti alla mia stessa Casa. Quel piccolo scemo si vendicò stregando il mio libro di Trasfigurazione perché facesse gemiti orgasmici quando lo sfogliavo: sperava di farmi uccidere dalla McGranitt. Purtroppo per lui il suo incantesimo da primo anno faceva pena.» concluse soddisfatto, e mi lanciò un'occhiatina da sotto in su.
Dissi quello che pensavo: «Fanno entrare proprio tutti, a Corvonero.»
«Chi di grande ingegno si fa grande vanto, indossa del Corvo il fierissimo manto.» recitò Kingsman, tutto contento (si vedeva che ci teneva un botto a questa storia che era stato Corvonero) «Ma tu e Chip Collins avete una cosa in comune che non è l'ingegno: siete troppo ambiziosi. Tu in questo caso hai raccontato più bugie di quante ne potessi sostenere. Che ci facevi al cimitero con un elfo domestico appassionato di alcol? Non l'hai detto.»
La domanda mi colse alla sprovvista, ma risposi: «Manutenzione della tomba di famiglia.»
«Una famiglia importante, se avete elfi domestici a servizio. Qual è il tuo nome?» mi diede sui nervi il tono in cui lo chiese, protendendosi in avanti e prendendo un tono suadente e complice. Aveva un bel viso, ma pareva proprio un ratto che si coccola il formaggio.
«Timothy Pinkerton.» mollai il nome di uno dei figli bambocci del capo. Se prima mi andava poco di dire il mio nome, adesso non mi andava per niente. Cercai di tornare al vero argomento della conversazione «Ma ci credi o no a quel che ho visto? Chi se ne frega dei nomi e della stramaledetta Hogwarts! C'è puzza di Tu-sai-chi su questa bacchetta!» dimenticandomi dell'incantesimo intorno al tavolo avevo abbassato la voce a un sussurro veemente, mentre con l'indice picchiavo vicino alla bacchetta.
Kingsman non sorrideva più, cosa che interpretai come segno di comprensione. Mi fissò con uno sguardo attento, e cavolo se aveva gli occhi azzurri come ghiaccio.
«Fammi un incantesimo.» mi invitò, allungando la mano e ruotando la bacchetta malefica con l'impugnatura verso di me.
Mi gelai.
Kingsman accennò un sorriso distaccato, incrociò le dita e le poggiò sul tavolo, atteggiandosi tutto a un'espressione di paziente attesa.
«Penso che un Incantesimo Reversus sarebbe una buona idea» suggerì. «sai, per vedere gli incantesimi lanciati dalla bacchetta dall'ultimo al primo.»
«Sì, so cos'è un Incantesimo Reversus, grazie» mentii «non serve mica essere stati a Corvonero. E comunque fallo tu, se sei un Auror.»
«Fallo tu se sei un mago.»
Pausa.
Ad effetto.
Qui ci stava, lo dovevo ammettere.
La ruppe Kingsman: «Un vago sospetto mi era venuto, visto che ho un'ottima memoria» ti pareva che non trovasse occasione di vantarsi «e non ricordo nessuno ad Hogwarts con la tua faccia. Per non parlare del fatto che non sembri avere una bacchetta. O un nome.» sbuffò «Pinkerton quello delle pulizie, veramente? Non sei di una famiglia importante. Le conosco tutte» ti pareva «e nessuno dei loro membri va in giro vestito in quel modo, tranne forse Xenophilius Lovegood che va in giro vestito peggio. A proposito, forse la tua storia dovresti proporla al Cavillo...»
«La mia storia è vera!» sbottai.
«Senza dubbio» replicò Kingsman, conciliante «o se non è vera è ben congegnata.»
«E questo basta a guadagnarle il tuo rispetto?» chiesi, pungente.
Lui sembrò colpito e un po' compiaciuto: «Vedo che hai capito. Ti sono venuto dietro perché intuivo che eri un tipo interessante con una storia interessante. Non immaginavo certo di ritrovarmi gli elfi domestici e la resurrezione di Tu-sai-chi...che è morto, non so se ti è arrivata la notizia...»
«Sì, mi arrivano i gufi anche se non sono un mago. Ma Tu-sai-chi non mi risulta morto, nessuno sa davvero com'è. Probabilmente è solo andato in pensione forzata. Tra l'altro alcuni dei Mangiamorte di ieri mangiano salsicce e purè al pub vicino a noi oggi.»
«I processi lasciali a Bartemius Crouch. Comunque sia, non ti consiglio di far casino al Ministero, finiresti più facilmente nei guai tu, mentre il Mangiamorte si gusterà il purè e passerà al dolce.»
«Peccato che il purè potrei essere io.»
«Ma no, tu sei il dolce.»
«Quanto hai ancora intenzione di far finta di essere un Auror?» sbottai.
Kingsman scoppiò a ridere.
«Se ricordi bene, non ho mai detto di essere un Auror. Sarebbe un reato perseguibile oltre che moralmente sbagliato.» il "moralmente sbagliato" a occhio non pareva disturbarlo «Sai, mentire non serve quanto pensi.»
«Insegni Bastardologia a Hogwarts o sei un giornalista del Cavillo? Sei del Cavillo, giusto?»
«Certo che no. Sono del Settimanale delle Streghe
Mi venne voglia di buttare il tavolo dalla finestra e tirar giù tutti i parenti di Merlino uno alla volta. Ma come cazzo fai a darti le arie quando scrivi sul Settimanale delle Streghe!
Per mandar giù gli improperi che mi salivano alle labbra bevvi un sorso dal mio boccale. Anzi, lo vuotai proprio,  già che c'ero. Kingsman doveva essere abituato alle obiezioni sulla balordaggine della sua rivista, perché, imperturbabile, partì con la difensiva:
«Ero al Ministero per un'intervista, se vuoi saperlo. Il Settimanale si occupa anche di attualità e inchiesta su argomenti di pubblico interesse. È un'ottima pubblicazione.»
Mi schiarii la voce: «Ah, ok, perfetto, senti, il numero sul ritorno di Tu-sai-chi lo farai uscire con o senza lo smalto magico in regalo?»
«Tu-sai-chi non sta per tornare.» scandì Kingsman a denti stretti. Mi pareva di aver finalmente toccato il tasto giusto per fargli perdere la brocca. Tamburellò nervosamente sul tavolo con le dita, guardando in tralice la bacchetta del Mangiamorte «Hai solo incontrato un fanatico. Non escludo che possa esserci dietro qualcosa di interessante, però, di più interessante dei giochini perversi con lui che si traveste da Babbano e lei da Mangiamorte.» Stavo per chiedergli se aveva scritto lui l'articolo che avevo letto al San Mungo, ma lasciai perdere.
«Il Marchio era vero. Non si cancellava.»
«Dovrebbe essere impresso a fuoco.»
«Sembrava abbastanza impresso.»
«Sei più tornato al cimitero a vedere che fine avesse fatto?»
«Che? Non sono mica pazzo! Potrebbe avere anche lui la stessa idea.»
«Può anche darsi, supponendo non sia morto o al San Mungo per la bottigliata in testa. Ma che problema c'è? Lo prendiamo e risolviamo il problema in una volta.»
Gli era tornata la scintilla di eccitazione che gli avevo visto all'inizio: gli brillavano gli occhi e, manco si trattasse di una caccia al tesoro, sorrideva, tutto energia e zero paura.
«Uhm, certo» replicai, sarcastico «e quando tenterà di ucciderci, tirerai fuori la bacchetta e lo stenderai con una potente intervista.» non aggiunsi "al Settimale delle Streghe" per non infierire.
«Non sarà così ansioso di finire ad Azkaban, e comunque mi so difendere.» il muso del ratto nero gli spuntò fuori dal mantello. Lui si distrasse per fargli un grattino sulla testa con due dita. Sorrise beffardo e declamò «E va bene, lo dico: non aver paura, ti proteggerò io!»
«A-ah! Da cosa, dai cappelli a punta fuori moda?»
«Parlavo con Ratbert, ovviamente.»
Mi allungai e gli soffiai l'idromele da sotto il naso, per poi buttarlo giù sorso dopo sorso. Nessuno spreco. Appoggiai il boccale con un tonfo e conclusi: «Non mi posso Smaterializzare, quindi dovremo usare i piedi. Muoviti.»










Angolo dell'autrice: quante sorprese dal misterioso personaggio dal manto nero! Parlo di Ratbert, ovviamente. Ma le sorprese non si esauriscono qui, come scoprirete nel prossimo capitolo. I versi recitati da Kingsman li ho composti io, si può supporre che siano un parto della fantasia del Cappello Parlante, il quale, come sapete, avendo troppo tempo libero inventa una canzone all'anno. A qualsiasi Casa apparteniate, qualsiasi rivista leggiate, continuate a seguire Accio bitch!

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Capitolo 5
*** Effetti sconvolgenti ***



Il cimitero alla luce del giorno non sembrava più uno scenario adatto alla mia storia.
Non dico che gli uccellini cantassero, ma faceva bel tempo, gli alberi erano verdi, le erbacce erano state accuratamente pettinate e le tombe rassettate dal sottoscritto e da Guzzle.

Ah, e di maghi oscuri? Manco l'ombra. Non c'era nemmeno l'erba schiacciata nel punto in cui era caduto il Mangiamorte. Era come se non ci fosse mai stato.

Per la mia salute era una buona notizia, per Kingsman un po' meno: gironzolava intorno al sepolcro con l'angelo di pietra e smuoveva svogliato il terriccio con la punta delle scarpe.

«È qui che ha colpito lo Schiantesimo, giusto?» domandò strofinando la statua in corrispondenza di una grossa macchia scura dai bordi sfumati.
«Già. Schiantesimo o quel che era.»
«Schiantesimo sicuramente, hai parlato di luce rossa. Potremmo fare la prova del nove con l'Incantesimo Reversus, comunque. Non sei curioso di esaminare quella bacchetta?»
«"Curioso" non è la parola giusta. To', esaminala quanto ti pare.» gliela lanciai mentre (d'accordo, colpa mia) non stava guardando, così trasalì, fece uno scatto tardivo e non la prese al volo.
«Sei un deficiente, Collins» sibilò, chinandosi a raccattare la bacchetta e spolverarla dal terriccio «sul serio, neanche i bambini di tre anni lanciano le bacchette.»
«Non mi chiamo Collins.» precisai, visto che al resto non sapevo che rispondere «Mi chiamo Hare. Collins è da parte di madre...»
«D'accordo, non mi serve il tuo albero genealogico. Prior Incantatio
Impugnò la bacchetta (con la naturalezza con cui io impugno la forchetta, ovviamente) e pronunciò chiaro l'incantesimo.
Sarebbe dovuto venuto fuori lo Schiantesimo e poi chissà cosa...evocazione di Marchi Neri? Maledizioni senza Perdono? Gratta e Netta?
Pensavo di essere pronto a tutto, ma quel che successe sbaragliò ogni sorta di aspettativa.

Non successe niente.

Rimanemmo per un pezzo come dei beoti a fissare l'estremità della bacchetta.
«Di solito quanto ci mette, questo incantesimo?» azzardai.
Kingsman aggrottò la fronte e lo recitò daccapo, scandendo bene le parole.
Zero.

«Sicuro di non essere un Magonò anche tu?» provai a dire, ma lui mi parlò sopra: «L'hai ROTTA, pezzo di idiota!» si portò la bacchetta a un centimetro dagli occhi, poi la sfregò sulla manica.
«IO? L'hai in mano tu! E poi è solo caduta. Non ci ho pestato sopra.» lo osservai fissare la bacchetta e imprecare silenziosamente, o forse stava cercando di lanciare incantesimi. Comunque muoveva le labbra e sembrava sconvolto.
«Senti, magari non è l'incantesimo che ti riesce meglio, ma se riprovi con calma...»
«Conosco benissimo quest'incantesimo.»
«Ok, forse mi ci sono seduto sopra al pub. Però poi l'ho messa sul tavolo e sembrava a posto.»
Non ascoltava più. Appoggiò la bacchetta del Mangiamorte al sepolcro di marmo ed estrasse la sua. La puntò sull'altra e fece un solo gesto preciso, le labbra strette e la fronte aggrottata.
La bacchetta del Mangiamorte si contorse, ingrassò disarmonicamente e rotolò giù dalla lastra di pietra sotto forma di un comunissimo bastoncino. Sì, di quelli che si raccolgono per terra da piccoli per giocare ai maghi grandi. Io avevo avuto solo quelli, nella mia carriera.
Stavolta io e Kingsman imprecammo contemporaneamente, e usammo tutti e due parole bandite da Hogwarts.
«Non è possibile!» esclamai una volta esaurite le volgarità (esaurite per il momento, ovvio) «Funzionava...sì, funzionava in mano a lui, e poi il tizio della Sorveglianza l'ha esaminata ed era una bacchetta vera, con la fibra di drago e tutto.»
«È stata per forza sostituita in qualche momento tra la Sorveglianza e qui.» dopo essersi lasciato andare, Kingsman pareva aver recuperato la Kingsmanezza e parlava in tono controllato, lisciandosi con distratta disinvoltura i capelli. Si era un po' spettinato dopo i due incantesimi falliti e quello riuscito.
«Ma non ho avuto nessuno attaccato al culo a parte, be', te.»
«Be', io non sono stato di sicuro, quindi possiamo restringere il campo.» gli era rimasta una punta di esasperazione mal trattenuta nella voce «Al Ministero c'era parecchia gente, e tu ti ci sei tuffato dentro. Nell'ascensore avrebbero potuto sfilartela di tasca anche senza magia.»
«Sono abituato ai borseggiatori sull'autobus e sulla metro, però.»
«Cos'è la metro?»
«La metropolitana. Quella dei Babbani, sai sottoterra, con le ruote...»
«Magia o no, te la sei fatta sfilare di tasca ed è lampante. Ha trasfigurato semplicemente un bastone e l'ha sostituito alla sua bacchetta. Il punto è...perché l'ha fatto?»
Durante il silenzio che seguì lui probabilmente riflettè sulla risposta, io invece pensai al Mangiamorte che avevo avuto così vicino da svuotarmi le tasche. Era il ciccione col paniere? Nel paniere c'erano i pezzi di Tu-sai-chi?
«Poteva uccidermi» azzardai «magari non lì in mezzo, ma attirarmi da qualche parte...»
«Invece ti ho attirato io da qualche parte.»
«Il che dimostra che dovrei smettere di prendere Cioccorane dagli sconosciuti.»
Sorrise a mezza bocca, mentre continuava a fissare pensoso il ramo-bacchetta «Non prendertela, alla maggior parte delle persone si può dar da bere qualsiasi cosa, con un bell'aspetto e un tono di voce deciso.»
«Forse dovevano smistarti a Serpeverde.»
«Invece no.» rispose molto asciutto «Senti, io penso che per qualche ragione voglia giocare con te. Hai per caso...» si batté la mano sulla fronte «...già, quella sfera trasparente. Hai detto che l'hai nascosta, giusto? Vorrà ritrovarla. Aspetta che tu lo porti da lei. Quindi si è ripreso la bacchetta e per non metterti in allarme l'ha sostituita...»
«...quindi ora mi sta tampinando in attesa di attaccare?» mi guardai intorno «E magari è qui, adesso, che guarda gli idioti che siamo?»
«Io di idiota ne vedo solo uno!» si guardò intorno anche lui, ma per un motivo diverso «E parlando di creature intelligenti...Ratbert!» il topastro, che fino a quel momento si era fatto un giro per conto suo, rispuntò fuori trotterellando a tutta velocità verso il padrone. Kingsman si piegò, schioccò la lingua, tese il palmo della mano e aspettò che Ratbert ci saltasse sopra, poi senza nessun complimento mi mise il sorcio sulla spalla.
Sobbalzai, ma Ratbert, come il padrone, ignorò la mia reazione inelegante e mi passeggiò tranquillo sulle spalle, attorno al collo, sul petto. Mi sembrò che annusasse. Aveva i baffi che fremevano (e delle unghie piccole ma micidiali). Si fermò sulla mia spalla destra e si sollevò sulle zampe posteriori, guardando il padrone. E il padrone guardò lui, annuì e lasciò che gli risalisse sul palmo della mano, per tornare a rintanarsi sotto il mantello.
«Sei pulito. Non hai sortilegi addosso.» si degnò di spiegare Kingsman «Allegro, ragazzo! Ora pensiamo a quella sfera.»
«Se andiamo subito dove l'ho nascosta, allora siamo proprio idioti in due.»
«Infatti andiamo a casa mia. Non faccio spesso questo invito al primo appuntamento (o forse sì), ma casa mia è protetta da degli ottimi incantesimi.»
«Fammi indovinare, sono ottimi perché li hai fatti tu.»
«Vedo che hai capito.» improvvisamente era di nuovo pieno di spirito e vivacità. A momenti saltellava come il ratto «Ma se preferisci la metro...» era chiaro che non aveva capito un tubo di cosa fosse la metro, lo pronunciò come se fosse un titolo del Cavillo, una cosa talmente ridicola da essere indegna di seria considerazione «A me piace la Metropolvere, invece. Sono stufo di camminare. Quindi andiamo dal custode a farci prestare un caminetto. A proposito, hai parlato col custode?»
«No.» borbottai «Non c'era quella notte.»
«Non c'era? Non è un po' strano?»
«No, sarebbe strano se avesse voglia di lavorare.»
«Parliamo col custode» decise Kingsman, sempre con quel tono di voce che usava per irretire la gente «e poi andiamo.»










Angolo dell'autrice: be'...ve lo aspettavate? Che dite, in quel paniere c'erano davvero i pezzi di Tu-Sai-Chi? E Kingsman avrà altri ratti nella manica? Devo comunque una Cioccorana a esme123, e un grazie a lei e ad Ashley More che commentano sempre e pompano il mio ego. A proposito, l'ho già scritto che chi recensisce di più vince il Premio Guzzle? Imperdibile.
Grazie anche a tutti gli altri che hanno recensito e/o seguono la storia, spero continuerete a farlo, nonostante la crescente follia. Vi aspetto fiduciosa al prossimo capitolo!

 

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Capitolo 6
*** Salto nel fuoco ***



La Pinkerton Magiche Pulizie si occupava regolarmente di quel cimitero, così, turno dopo turno, avevo anch'io conosciuto il custode.
Un mago da quattro soldi. Avrebbe dovuto farle lui le pulizie, ma era vecchio, aveva mal di gambe e bla bla bla. Stava lì solo perché non avevano il coraggio di schiodarcelo, ma lui dal canto suo faceva sempre meno, oltre ad esistere. Una sera sì e una no sgattaiolava via sulle gambe doloranti e andava a poggiare le chiappe doloranti sullo sgabello di un pub, poi beveva Whisky Incendiario fino ad affogare i dolori.
A quell'ora del giorno al cimitero non c'era un tubo da fare, così aveva ben pensato di esserci.
Stava seduto sulla sua poltroncina ammuffita con accoccolato accanto il suo cane, anche lui un bastardo male in arnese, solo più peloso. Normalmente avrebbe avuto anche la Gazzetta del Profeta spianata davanti, ma stavolta aveva Kingsman, con una tazza di tè in mano, intento a fare un inutile spargimento di fascino.
«Legge mai la Gazzetta del Profeta?» si stava informando tutto gentile. Erano immersi in una conversazione partita da "E lei chi diavolo è?", diventata una cosa salottiera grazie a complimenti sulla deliziosa casetta e la manutenzione del cimitero. Il custode doveva aver intuito che si trattava di un tipo che non ti scolli facilmente, così ci aveva malvolentieri offerto il tè già pronto che si apprestava a bere. Ne faceva litrate per volta e lasciava le foglioline a creparci dentro.
Il cane fissava con preoccupante attenzione il ratto sulla spalla di Kingsman. Anche il custode fissava il mago con atteggiamento simile.
«La leggo tutti i giorni, da cima a fondo.» rispose sostenuto.
«Be', io sono un giornalista.»
«Ah, ecco perché è così ficcanaso» borbottò il custode «le dica subito le cose. Non ho mica tempo da perdere come questo giovanotto.» indicò me con il cucchiaino del tè.
Presi un sorso, con risucchio, dalla mia tazza (aveva offerto il tè incidentalmente anche a me) ed evitai di replicare.
Kingsman sorrise comprensivo: «Sto facendo un'inchiesta sulle presenze moleste nei cimiteri che ospitano esclusivamente maghi. Fantasmi, Poltergeist...fino ai ricettatori di materiale per la magia nera.»
«E non mi potevano mandare Rita Skeeter?» protestò il custode, agitandosi un po' sulla poltroncina. Il cane emise un borbottio rauco, e Ratbert si nascose dietro il collo di Kingsman. Il custode scosse il cucchiaino per sottolineare le parole «Mi piace quella donna. Non le manda a dire!»
«Grande reporter.» convenne Kingsman serio «L'essenza dell'espressione "d'assalto".»
«Esatto, esatto, come dice lei. D'assalto!» incredibile come si stesse infervorando il custode «Attacca e li fa tutti a brandelli. È una donna affascinante, anche!»
«Ha uno stile.» replicò Kingsman con un sorrisetto che mi sembrò tirato «Le porterò una foto di Rita con autografo se mi aiuta col mio articolo. Anzi, sa cosa? Se mi pubblicano le faccio fare anche la dedica col nome: è una promessa.»
Con tutte le balle che aveva bevuto era un miracolo che il vecchio riuscisse a mandar giù anche il tè. Ad ogni modo ora sembrava felicissimo.
«Cosa vuole sapere?»
«Mi racconti un po' di aneddoti del suo lavoro, i problemi che incontra più spesso, le sue avventure quotidiane. Anche quella che le sembra routine per chi non è del campo può essere interessante. Per esempio...nella giornata e nottata di ieri, cos'ha fatto?»
L'entusiasmo scivolò via dalla faccia vizza del custode. Ovvio, aveva passato giornata e nottata tra poltrona e sgabello del pub, ci scommettevo.
«Dunque, al mattino ho parlato un po' col fantasma della tomba dei Forster.» esordì, incerto «Come ha detto lei, presenze moleste...be', questo però è innocuo, fluttua lì vicino e lavora a maglia con la faccia triste. È da quando sono qui che fa sempre la stessa sciarpa, per la barba di Merlino.»
«Interessante.» annuì Kingsman, appoggiato al bracciolo della poltrona con distratta disinvoltura «Ha incontrato presenze meno innocue, col favore delle tenebre?»
«Mh. Be', mi è capitato...qualcuna...nel corso degli anni...» borbottò girando e rigirando il cucchiaino nella sua tazza di tè.
Kingsman si protese: «E ieri sera
«Non credo...ah, sì.» apparve immensamente sollevato «Sono arrivati quelli delle Pulizie.» mi indicò «Questo ragazzo, che è un Magonò e non distingue un paiolo da un piolo. Non sa far niente, a parte lasciare in giro puzza di sigarette babbane e bottiglie vuote del suo compare elfo.»
«Ho già ascoltato cosa aveva da dire.» lo rassicurò Kingsman con un sorrisetto (bastardi) «In effetti mi ha riferito di un movimento strano tra gli alberi. Una creatura antropomorfa, materiale, sinistra...»
Il custode sbuffò «Avranno fatto il solito festino con la Burrobirra. Sa che effetto fa agli elfi domestici, quella roba. Avranno visto la signora Forster che faceva la passeggiatina notturna, quella sì che è sinistra, quando non indossa la camicia da notte.»
«Non troppo antropomorfa, però,» osservai io «somiglia più a uno Zuccotto di Zucca con braccia e gambe. Ed è un fantasma, quindi sicuramente non è materiale.»
Il custode mi lanciò un'occhiataccia, ma non mi considerandomi degno di ulteriore attenzione tornò a rivolgersi a Kingsman «Se proprio vuole saperlo, quando c'è qualche movimento strano nel cimitero, il mio cane se ne accorge sempre. E ieri sera non ha fatto un guaito, quindi ho bevuto qualcosa e sono andato a dormire sonni tranquilli.»
«Le auguro di passare molte altre serate così.» replicò amichevolmente Kingsman, poi bevve il tè che gli restava in un sorso, si alzò e gli tese la mano «Grazie per l'ospitalità, le sono in debito. Ora devo scappare, ma se tutto va bene ci risentiremo.» il custode si alzò a sua volta, strinse la mano e i due si scambiarono un po' di altri convenevoli svenevoli. Persino il cane scodinzolò, anche se Ratbert, da parte sua, non si fece vedere se non sotto forma di coda verminosa attorno al collo del padrone. 
Kingsman si esibì nell'ultima paraculata fingendo di ricordarsi all'improvviso un ultimo favore da chiedere, usare il caminetto per andarsene, se per caso era agganciato alla Metropolvere. Normalmente si sarebbe Smaterializzato, ma visto che doveva portarmi con sé per altre domande...
Insomma, favore accordato. Più che altro si offese di non essere lui il prescelto per le "altre domande", ma dopotutto poteva sempre presceglierlo Rita Skeeter in futuro.
Kingsman pescò dal mantello la Polvere Volante e ci condì il fuoco, che subito divampò verde smeraldo. Mi indicò le fiamme, neanche fossi così orbo da non vederle.
«Entra dopo di me e dì bello chiaro: "Berkshire House"»
«Calma, ho già viaggiato con la Polvere Volante.»
«Meglio così,» concluse Kingsman, accarezzando Ratbert tutto appallottolato e fremente «ci vediamo dall'altra parte.» e fece un passetto elegante nel fuoco.










Angolo dell'autrice: usate la Polvere Volante per i vostri viaggi! Sicura, affidabile, indolore (in caso di contatto con le mucose nasali, consultare il Guaritore), adatta a tutta la famiglia! Con la consapevolezza che questo non è assolutamente un altro Angolo dell'autrice sponsorizzato, recensite liberamente e seguite la storia per scoprire, nel prossimo capitolo, i segreti di Berkshire House!

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Capitolo 7
*** Il nido di Alec ***



Caddi e rotolai su un tappeto dal pungente odore di polvere.
Pungevano pure le setole del tappeto, eh. Sotto il velo di cenere che ci avevo appena sparso sopra si intuiva una di quelle noiose fantasie pseudo-persiane da mercatino dell'antiquariato.

Fortuna che avevo bevuto solo un goccio di tè e niente, perché viaggiare con la Polvere Volante fa venire la nausea peggio della gimcana del Nottetempo. Avrei potuto spargerci di peggio, su quel tappeto.

La mano di Kingsman si tese davanti al mio campo visivo e io la afferrai istintivamente per tirarmi su. Me ne pentii un attimo dopo quando alzai lo sguardo sul resto della stanza e mi resi conto che c'erano tre spettatori attentissimi che ci guardavano.

«Buon pomeriggio.» disse Kingsman, educato. Non mollò la mano, anzi la tirò per cercare di trascinarmi via come se niente fosse.
Ci seguirono con gli occhi come tanti gufi appollaiati sui trespoli.
Il più somigliante a un gufo era un occhialuto con l'aria da sgobbone, poi c'erano due ragazze, una con viso e occhi tondi da civetta e un'altra magra col naso a becco.
Stavano prendendo il tè davanti al caminetto, in un semicerchio rudimentale di poltrone, seggioline e pouf con al centro un tavolino. Sulla tovaglia bianca regnava un devasto di scones, marmellata, burro, tovaglioli sparsi, coltelli d'argento e zollette di zucchero scintillanti.
Il tutto era inserito in un salotto pretenzioso ma un po' muffito: sulle pareti color crema erano appesi quadri ovali di streghe arcigne che reggevano senza convinzione mazzi di fiori. I ninnoli di ceramica sulle credenze sembravano costosi e brutti e la pendola in un angolo ticchettava.
«La vecchia è di sopra.» aprì bocca l'occhialuto, rivolgendosi a Kingsman «Ti conviene fare attenzione.» «Anche meglio, Disilludilo.» gli suggerì la ragazza col naso a becco, lanciando un'occhiata penetrante verso di me. Avevo l'impressione che parlasse del sottoscritto.
«Non c'è bisogno, grazie. Faccio veloce.» replicò Kingsman con un sorriso cortese ma sbrigativo, mentre effettivamente camminava veloce tirandosi dietro il povero me. Aprì una porta che dava su un pianerottolo poco illuminato, da cui si dipanavano su e giù scale di legno bruno-rossiccio, e mi ci spinse dentro. Dal salotto qualcuno fece un commento a bassa voce seguito da una risatina, ma non feci in tempo a voltarmi che Kingsman aveva chiuso la porta dietro di noi.
«Che vogliono quelli? Chi sono? E perché dovresti disilludermi?» iniziai a snocciolare, seccato, ma Kingsman si portò l'indice alle labbra e mi fece uno "ssssh" più forte di qualsiasi recriminazione. Mi riacchiappò il polso per strattonarmi su per le scale, costringendomi a seguire il suo passo. Riuscimmo a fare una rampa intera prima di vedere un'oscura sagoma venirci incontro dal corridoio al piano di sopra.
«Signora Sherwood!» esclamò Kingsman con brio. Coprì abbastanza bene il grido incoerente che sfuggì a me.
«Signor Kingsman!» esclamò di rimando la vecchia, seria «Ora che ci siamo detti il nome a vicenda, posso sapere quello del nuovo ospite?» e guardò in tralice verso di me. Era una tipica vecchia signora a forma di bollitore per il tè, con l'aria severa e un lungo vestito violetto stinto coi bordi di pizzo.
«Mi chiamo signor Hare» risposi io, fregando Kingsman sul tempo «Ma può chiamarmi Silas.»
«La chiamerò fuori di qui se non mi dice che ci fa in casa mia, ragazzino impertinente.»
Kingsman stavolta mi battè: «Mi perdoni, non ho avuto il tempo di avvertirla: al lavoro mi hanno affidato degli stagisti e questo ragazzo deve visionare del materiale che ho nello studio, così...»
«La prossima volta avverta! Ha paura di consumare le penne ai gufi? Non mi importa cosa combina, ma voglio sapere chi entra qui» la vecchia fece dietro front e si allontanò lungo il corridoio «Buon lavoro, sempre che di lavoro si tratti!» abbaiò come saluto.
«La prossima volta te lo scrivo sulle tende con un Incantesimo di Tagliuzzamento, vecchia strega.» promise Kingsman a voce bassa quando fu sparita. Sospirò, mi diede un colpetto sulla spalla e fece cenno di seguirlo. Su una porta che si apriva nel corridoio c'era una targhetta dorata con scritto in elegante corsivo Alec's Nest. Il riquadro che conteneva la scritta era sormontato da un bassorilievo dorato a forma di corvo con un rametto nel becco, intento per l'appunto a fare il nido. Il corvo voltò la testolina verso di noi.
«Vento di levante» pronunciò Kingsman a voce bassa ma chiara.
Il corvo gracchiò e la serratura della porta scattò. Kingsman spinse la maniglia ed entrò, facendosi subito da parte per farmi passare.
«Forte, hai davvero i sistemi di sicurezza.» commentai, abbastanza soddisfatto.
«E non li hai visti tutti.» precisò Kingsman «Non li hai azionati perché non hai una bacchetta.» Sembrava decisamente sollevato dopo essersi chiuso dietro il resto della casa, gufi e vecchia compresi. Anche Ratbert, che scivolò finalmente fuori dal suo colletto e saltò giù per mettersi a correre in giro. E, dovevo ammetterlo, anch'io.
«Hai paura che la signora Shercosa ti venga a ficcanasare? O sono quelli al piano di sotto, gli spioni?»
«In realtà ci spero sempre che la signora Sherwood provi a entrare, così vedrei come le stanno bene addosso le mie fatture. Degli altri non preoccuparti.» l'ultima frase la disse con tanta noncuranza che ci lessi un filo di disprezzo.
«Sono tutti tuoi parenti?» azzardai.
«Eh?! Ti sembra mi somiglino, per caso? No, sono vecchi compagni di scuola. C'è la nipote della signora Sherwood, però. Infatti è la sua casa di famiglia, questa, non la mia. Io qui sono in affitto come gli altri. Ho questi appartamenti tutti per me, non è per niente male.»
In effetti non era per niente male, considerato che era almeno il triplo di casa mia, se non di più. Certo, casa mia è un buco, ma quello era un appartamento decente anche per un mago. Anche dal vestibolo (dove non c'era molto a parte un attaccapanni e uno specchio alto che Kingsman usò subito per darsi una rassettata) si intravedevano diverse stanze incastonate l'una dietro l'altra. Le pareti erano rivestite di carta da parati a righine e il pavimento di tappeti antiquati simili a quelli del salotto. Anche i quadri erano poco simpatici come quelli del salotto, ma non erano ovali e al posto delle signore arcigne ospitavano signori arcigni, impegnati a mescolare pozioni. Uno di loro mi guardò male mentre gli passavo accanto per entrare in quello che era chiaramente lo studio di Kingsman.
Me lo ero immaginato un tipo ordinato, ma la situazione che gravitava intorno alla scrivania rivelava un ordine che probabilmente solo lui capiva. Libri e pergamene erano impilati in modo da non cadere, peccato che quelle pile ordinate formassero colonne e colonnine sulla scrivania, sul pavimento, su un tavolinetto tondo e un po' ovunque. Aveva usato le pile di libri anche per appoggiare calamai, piume, una ciotola con strane incisioni e altri oggetti che non capivo, probabilmente magici. Le pareti erano coperte di ritagli di giornale, solo in parte del Settimale delle Streghe: molti erano della Gazzetta del Profeta, altri di una rivista (che non sapevo manco esistesse) chiamata Trasfigurazione Oggi, e c'erano persino un paio di articoli del Cavillo. Un articolo del Settimanale, che immaginai fosse suo (pure se era firmato con un nome femminile) l'aveva incorniciato al posto d'onore.
Ratbert scoperchiò a colpi di muso e di zampe un barattolo di ceramica che pensavo contenesse roba magica, rivelandolo un barattolo di biscotti.
«Ratbert, NO!» esclamò sconsolato Kingsman, guardandolo schizzare via con un bel pezzo di biscotto con gocce di cioccolato tra i denti. Sospirò «Sto cercando di insegnargli a distinguere gli oggetti trasfigurati dall'odore, una cosa che, neanche a farlo apposta, oggi ci avrebbe risparmiato lo scherzo della bacchetta. Purtroppo tutto quel che ha imparato finora è a prendersi il premio da solo, e spesso si premia perché esiste.» stava frugando, in maniera chiaramente insoddisfacente, tra i cassetti della scrivania.
Io spostai un libro e mi abbandonai su una poltrona di pelle: «Dammi un biscotto e chiamami Ratbert se non indovino che hai qualcosa per me.» siccome raccontava sempre mezze verità, supposi dovesse davvero "farmi visionare del materiale", come spiegato alla vecchia.
«Hai indovinato. Una cosa che temo di aver restituito troppo presto...aspetta qui.» e crac! si Smaterializzò.










Angolo dell'autrice: insomma, Kingsman, ti Smaterializzi nel bel mezzo della storia? E poi io che racconto ai lettori? Vabbè, spero che avrete ancora un po' di pazienza e aspetterete il prossimo capitolo. Verranno fuori scheletri dagli armadi? I nostri eroi si terranno ancora per la manina o passeranno ad altro? Ratbert diventerà grasso? Lo scoprirete presto, nel frattempo sentitevi liberi di lasciare una recensione o un biscotto!

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Capitolo 8
*** Spiare paga ***



Insomma, vi pare bello Smaterializzarsi senza dire neanche dove si va e per quanto si sta via? Lasciando l'interlocutore solo in una stanza insieme a un ratto, per di più. Alla fin fine sospettavo mi considerasse davvero una versione umana di Ratbert: utile, simpatico, domestico. I maghi erano così, anche i meno snob mi trattavano diversamente, bene magari, ma non come un pari. E Kingsman non era neanche uno dei meno snob.
Curioso, lo conoscevo da poche ore e mi pareva di esserci andato a spasso per anni. In onore di ciò, e per non essere da meno del ratto, decisi di offrirmi da solo un giro dell'appartamento.

Ratbert squittì indignato vedendomi entrare senza vergogna nel laboratorio segreto...che forse era un semplice cucinotto. Mah. In ogni caso c'erano erbe appese a radici in su, paioli, alambicchi e normali portaspezie. Mi sarebbe piaciuto apparecchiarmi un tè decente, ma anche se trovai il bollitore e la teiera non riuscii a fidarmi del barattolo del tè (sull'etichetta era scritto a mano "tè speciale" e non ero sicuro del concetto di "speciale" di Kingsman).
Invece la bottiglia di Whisky Incendiario Ogden Stravecchio che scovai in un'anta della dispensa non pareva avere niente di sospetto, così ne presi un sorsino-ino. E siccome non va bene bere a stomaco vuoto, ci mangiai sopra un pezzo di cioccolata fondente.
Dopo che la condivisi con lui, Ratbert decise immediatamente di volermi bene, così trotterellammo insieme pacifici a sbirciare la camera da letto e il bagno.
Il bagno non era eccitante, a parte il fatto che c'erano il doppio dei prodotti che uso io (un mucchio di roba per i capelli) e delle carpe dallo sguardo un botto inquietante che guizzavano sulle piastrelle dove erano dipinte.
Meglio la camera da letto: vi troneggiava un robusto letto a due piazze dalla trapunta blu un po' scombinata, e sulla parete dietro la testiera, accanto al gagliardetto di Corvonero, erano appese delle vecchie foto incorniciate. La migliore apparteneva all'ennesimo ritaglio di giornale e raffigurava una dozzina di ragazzini con l'uniforme di Hogwarts, raccolti in una composizione studiatissima attorno a una zucca gigantesca. Quando dico gigantesca, intendo grossa come il capanno che si intravedeva dietro, ma non erano le dimensioni la cosa più notevole: infatti la zucca presentava ampie ruote fatte di tralci, era cava e aveva l'interno magnificamente arredato, come si poteva notare dallo sportellino aperto da cui sbucavano soddisfatti ben tre dei ragazzini. Riconobbi subito Kingsman: giovanissimo, esile e femmineo, con i capelli lunghi e un candido antenato di Ratbert sulla spalla, si esercitava a sorridere con distratta disinvoltura all'obiettivo. Non gli veniva bene come adesso, però: nella sua espressione si notava troppo la forzatura, come se il sorriso fosse un esercizio che non affrontava spesso.
Il titolo dell'articolo era: Hogwarts: il futuro della Trasfigurazione, e parlava con enfasi esagerata dello stupido esperimento di un gruppo di studentelli. Uno dei più grandi, Babbano di nascita, aveva avuto l'idea di ricavare una carrozza con cavalli da una zucca e dei topi, idea che, secondo l'articolo, aveva preso da una fiaba babbana. Alcuni dei più secchioni della scuola avevano raccolto la sfida e lavorato insieme coinvolgendo gli insegnanti di Erbologia, Trasfigurazione e bla bla bla. Kingsman, capo della squadra che si occupava dei topi, veniva nominato come "Solo al quarto anno il sorprendente A.Kingsman (Corvonero), erede della rinomata Sartoria" eh? Che Sartoria?
Crac!
Sobbalzai fino al soffitto, ma era solo Ratbert che sgranocchiava un pettinino di legno che Kingsman aveva lasciato incautamente in giro. Addio.
Nell'armadio guardaroba troppo ordinato (piegava pure i calzini) trovai un indizio della rinomata Sartoria: su un abito di velluto nero con una catenella dorata era cucita l'etichetta Kingsman's con tanto di scritta piccola sotto Maghi di Classe, tutto ricamato a filo d'oro. L'abito era chiaramente costoso, ma non sembrava indossato di recente: ci aveva anche messo una guaina sopra per non sciuparlo (cosa dicevo sul troppo ordinato?).

Era ormai un bel po' che ficcanasavo, così al posto di preoccuparmi che Kingsman tornasse iniziai a preoccuparmi che non tornasse.
Poiché alla fin fine non c'era il lucchetto alla porta, uscii dal Nido e lanciai un'occhiata a destra e sinistra nel corridoio. Niente vecchia.
Il corvo gracchiò debolmente, incerto, ma io ero concentrato sui rumori che venivano dal piano di sotto. Li sentii appena varcata la porta, il che mi fece sospettare che il Nido oltre che blindato fosse anche insonorizzato.
Erano voci concitate e si intensificarono man mano che scesi le scale. Ratbert, che mi era venuto dietro, corse incontro alla porta del salotto e ci grattò sopra, riconoscendo tra le altre la voce del padrone. Appena gli aprii uno spiraglio, sgusciò dentro.
«...se almeno potessi fidarmi...» stava dicendo qualcuno, molto sostenuto.
Una melodiosa voce femminile: «Oh, c'è Ratbert: ha imparato ad aprire le porte.»
Una ragazza dalla voce più asciutta: «Lo sa fare da una vita, è solo che Alec si guarda bene dal dirlo.»
Il tizio di prima: «Ecco, è esattamente di questo che parlavo...»
Lanciai un'occhiata nella stanza in tempo per cogliere uno scorcio di Kingsman che, appoggiato con distratta disinvoltura al caminetto, sospirava esasperato: «Devi proprio farne una questione di principio?»
«Te l'ho detto, è una questione di fiducia!» ribatté l'occhialuto, infervorato «Se mi dici che ci devi fare, io te lo presto, il maledetto Avversaspecchio. Ma se penso che lo darai a in mano al primo balordo...»
«Ciao, Silas!» esclamò Kingsman senza scomporsi. Uao, non mi ero accorto che mi avesse visto.
Ora stavano comunque tutti guardando nella mia direzione, quindi aprii la porta come si deve e sorrisi al pubblico: «"Balordo" va benissimo!»
L'occhialuto era arrossito come una ragazzina: «Non parlavo di te,» borbottò «dicevo in generale.»
«In generale non vado in giro a rompere gli...ehm...»
«Gli Avversaspecchi.» mi aiutò Kingsman.
«...sì, esatto. Non sembra ma la tengo benissimo la roba degli altri. Mi esce dalle mani più scintillante di prima.»
L'occhialuto alzò le mani e le scosse, nervoso «Senti, non ho niente contro di te. È solo una cosa tra me e Alec.»
«Be', secondo me dovreste fare pace. So che vi conoscete da quando avete trasformato una carrozza in una zucca. O il contrario.» avevo un po' tirato a caso, ma a giudicare dalla faccia sbalordita di Kingsman ci avevo preso in pieno.
L'occhialuto si illuminò: «Una zucca in carrozza! Te ne ha parlato!»
«Certo, come non parlarne, ne aveva parlato anche la Gazzetta: un'impresa incredibile per dei ragazzi di quell'età.» a questo punto ero così paraculo che mi sarei preso a schiaffi da solo. Insomma, mi toccò sorbire una lezioncina sui calcoli che avevano dovuto fare, le zucche che erano esplose, eccetera. Fece anche l'imitazione del Guardiacaccia e dovetti ridere per forza perché risero tutti.
Ne valse la pena, perché alla fine mi prestò il maledetto Avversaspecchio.










Angolo dell'autrice: gli scheletri nell'armadio di Kingsman sono piegati con molta cura! E comunque piegare i calzini è normale, è Silas che è casinista, ecco. Spero abbiate trovato interessante il reportage spione e il maledetto Avversaspecchio, e spero troverete ancora più interessante il prossimo capitolo, dove succederà qualcosa di interessante (accidenti, che indizio!). Seguite! Recensite! Ratbert!

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Capitolo 9
*** Quando il nemico è troppo vicino ***



L'Avversaspecchio era un semplice disco, grande poco più del mio palmo, e con una superficie simile a metallo non lucidato. Uno specchio in cui non ci si poteva specchiare.

L'occhialuto proprietario, che poi si chiamava Fullerton, aveva una stanza piena di arnesi magici che in confronto Mondomago a Hosgmeade era una catapecchia sfitta. Ciononostante, a guardia dell'ingresso aveva solo un batacchio a forma di satiro truce, niente in confronto all'apparato antisociale di Kingsman, che pure mi era sembrato un tipo salottiero.
«Ma la usi tutta, questa roba?» chiesi a Fullerton, mentre lui guardava con passionale intensità l'Avversaspecchio nelle proprie mani, immagino prepandosi psicologicamente all'idea di consegnarmelo.
«Sì...e no. La colleziono» rispose, inspirando e risistemandosi gli occhiali scivolati sul naso «Alec farebbe qualsiasi cosa per averla, ah ah.» concluse, con una risatina forzata della serie "è la verità e c'è poco da ridere".
«Conosci da molto Alec?» mi chiese la ragazza col naso a becco, inquisitoria. Per la cronaca ci erano venuti tutti in parata, da Fullerton. Le loro chiacchiere erano anche divertenti, ma che stress quelle domande. Secondo me la tipa era innamorata di Kingsman, o non lo sopportava, una delle due.
«No, tu?» le replicai, rilanciando la Pluffa.
Rispose Fullerton al posto suo, forse perché era ancora concentrato sull'Avversaspecchio e non faceva attenzione a chi parlava con chi «Io ero in classe con lui, sono, ehm, uno dei suoi migliori amici, si può dire.»
«Adesso ti stai allargando.» commentò Kingsman, ma sorrideva bonario.
La ragazza col naso a becco lo guardò in tralice «Considerato che te la facevi anche coi Serpeverde, non è un gran vanto.»
«Tu in che Casa eri?» mi chiese candida la ragazza con la faccia da civetta.
«Quella dei più fichi, ovviamente.»
Fu una risposta più furba di quanto pensassi, perché scatenò un dibattito durante il quale l'interesse sul sottoscritto si perse.

Alla fine Fullerton mi smollò l'Avversacoso e io e Kingsman tornammo al Nido.
In compagnia lui aveva chiacchierato e partecipato agli aneddoti disinvolto come sempre, ma una volta tornati soli non pronunciò neanche un "Simpatici, eh?" o "Stupidi, eh?", smise proprio di considerarne l'esistenza.

«Visto qualcosa di interessante, nella mia camera?» mi chiese invece in tono salace. Già, pensavo mi avrebbe chiesto come facessi a sapere della zucca, ma ovviamente era abbastanza sveglio da fare due più due.
«Nah, solo foto della tua faccia.» replicai, osservando la superficie opaca dell'Avversaspecchio. Mi pareva si vedesse qualcosa, ma non somigliava al mio riflesso «A che serve 'sto coso?»
«"'Sto coso" è un oggetto magico molto prezioso che per fortuna siamo riusciti a schiodare dalle tasche di Fullerton. Stavo per mandare Ratbert a rubarlo, ma per fortuna sei arrivato tu.» alzò lo sguardo dalle pile di libri che stava scartabellando e mi fece un sorriso molto suadente...sempre che fossi tanto stupido da cascarci.
«Mi sa che Fullerton aveva ragione a non fidarsi di te. E non sono sicuro di riuscire a far funzionare questo oggetto magico molto prezioso.»
«Tranquillo, è a prova di idiota.» trovò finalmente il libro giusto e lo aprì. Mi fece cenno di seguirlo e senza alzare gli occhi dal libro camminò alla cieca fino al laboratorio-cucina «Serve a mostrarti il tuo nemico. Probabilmente ora vedi solo una macchia, ma se l'immagine inizia a diventare nitida è segno che sta per venirti addosso.» era un po' troppo entusiasta mentre lo diceva. Aprì e chiuse le ante della dispensa, ispezionando il contenuto.
«Se cerchi la cioccolata, l'ho mangiata. Quindi devo usarlo per sapere quando scappare?»
«Sarebbe meglio per sapere quando chiamarmi, sennò io cosa scrivo? A nessuna strega importa di quanti ragazzini sono scappati in settimana. È questo che sto cercando, un incantesimo per permetterti di avvertirmi al volo: pensavo a un Incanto Proteus mischiato a qualcos'altro, ma sarà una faccenda complicata...»
«Potrei usare il telefono.»
Silenzio.
Sulle labbra di Kingsman si stese cauto un sorriso: «Non finisci più di sorprendermi.»
«Non sai cos'è? È facile, è l'aggeggio babbano che c'è anche all'Ingresso dei visitatori al Ministero. Io ne ho uno anche dentro casa, ma senza la cabina intorno. Ok, al momento non funziona perché mi sa che dovevo pagare qualcosa, ma...»
«Effettivamente dovresti usare la magia per far funzionare l'Incanto» mi interruppe Kingsman, sempre col sorrisino tirato in faccia «se riuscissi a fare in modo che ti bastasse una parola saremmo a cavallo: di parole ne hai anche troppe.»
«Certo, è lì che risiedono le mie vere capacità. Lo dice anche Albus Silente.» mi appoggiai allo stipite della dispensa accanto a Kingsman, cercando di fare anch'io il distratto e disinvolto «Be', non alludeva alla mia inclinazione alle chiacchiere, ma comunque a qualcosa. Dovrò pur avere qualcosa, visto che non c'è un briciolo di magia in me.»
Kingsman mi guardò sorridendo, un sorriso indulgente, fastidioso. La testa inclinata di lato, mi coccolava con lo sguardo con un'espressione simile a quella che aveva usato per fregarmi al pub.
«Secondo me c'è.»
Allungò il braccio e appoggiò la mano sull'anta della dispensa accanto alla mia testa, poi si protese verso di me.
Si piegò anche, verso di me: non so se l'ho già detto, ma di altezza mi sovrastava. Mi venne ancora vicino e dovetti ammettere, per la seconda volta dopo aver messo il naso nel suo armadio-guardaroba, o forse per la terza dopo essergli caduto addosso in ascensore, che oltre a essere un saputello attraente aveva anche un buon odore. Chinò la testa e mi sfiorò con il naso e, sentite, non sono nato ieri. Avevo capito l'antifona.
Però stavo anche riflettendo, o meglio, per la mente mi passarono in quei pochi attimi un flusso di pensieri velocissimi e scompagnati: tanto per cominciare non mi piaceva Kingsman, non mi piaceva il suo snobismo, il suo egocentrismo, la sua falsità e il modo condiscendente con cui mi trattava. Inoltre "secondo te" un cavolo: non c'era proprio, la magia, in me. Punto. Non ci sarebbe mai stata. Guarda un po' se dovevo sorbirmi un'altra piattola uguale ai miei genitori, che dovevano concentrarsi su quella scintilla inesistente per provare qualche interesse per il sottoscritto.
L'ultimo pensiero mi sgombrò la testa dalla vampata ormonale, così girai la testa e scivolai discretamente ma decisamente di lato per sfuggirgli.
«Secondo me ti sbagli.» risposi cercando di fare come se niente fosse, ma la voce mi uscì un po' strana: i polmoni non capirono subito di dover riprendere il ritmo solito.
Vidi Kingsman sollevare la testa e fissare il soffitto a labbra strette, ma un attimo dopo aveva la sua solita espressione:
«Pazienza, oggi mi capita spesso. Malgrado ciò, farò la mia parte e mi cimenterò a inventare qualcosa che non sia il telefono o qualche altra scemata babbana,» ero proprio contento, adesso, di averlo schivato «la tua parte, invece, dovrebbe essere quella dirmi dove hai nascosto la famosa sfera.» 
Ops, dimenticato.
«Ti prego, non rispondermi in un cassetto di casa tua.» aggiunse Kingsman in tono da martire (ero supercontento, adesso, di averlo schivato) «o a quest'ora possiamo darla per persa. Ti avrà buttato per aria casa.»
«Mi fa piacere che ti rallegri l'idea, ma non c'è molto da buttare per aria. E la sfera non l'ho nascosta in un cassetto, l'ho...ehm, seppellita nell'aiuola davanti casa.» suonava bene, infatti ci credette «Devo proprio andare, adesso.»
«Mmh.» rifletté brevemente, poi mi scoccò un altro sorriso accattivante «Che fai domani?»
«Lavoro.»
«È domenica.»
«Lavoro anche di domenica. Ho preso un giorno oggi e già è tanto.»
«Prendine un altro per domani, ne va della tua vita!» declamò entusiasta. Si stava divertendo un mondo «Sei allacciato alla Metropolvere, giusto?»
«Ma se non ho neanche il camino, abito a Babbanopoli, io.»
«Si spiega perché sei così affezionato alle loro cianfrusaglie. Come tornerai a casa, allora?»
«Prenderò un autobus.» "...stronzo", fui tentato di aggiungere. Avevo i miei motivi per non voler passare con lui un minuto di più, e non era solo la schivata di prima. Semmai la schivata di prima mi aveva sbloccato il cervello e fatto germogliare un orrendo sospetto.

E se fosse Kingsman il Mangiamorte?













Angolo dell'autrice: zan-zan-zaaan! Siamo di fronte a un sospetto fondato o a un Silas in paranoia? E a proposito di paranoie di Silas, ecco come buttare all'aria una buona vecchia scena di bacio! Avrà davvero fatto bene a schivarlo? Potreste scoprirlo nel prossimo capitolo, ma nel frattempo potete anche scrivere cosa ne pensate in una recensione!

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Capitolo 10
*** Ciò che più temi ***



Il gufo picchiò sulla finestrella dietro il letto. Quando mi affrettai ad aprire, cercò di spiccare il volo in una fiera planata all'interno della stanza, senza calcolare le dimensioni della finestra rispetto alle sue chiappe. Risultato, strillò parecchio e perse molte piume.

«Oh, cazzo!»
Sì, c'erano motivi per imprecare, e anche tanti, oltre al gufo arrabbiato che rischiava di richiamare l'attenzione dei vicini.
Primo: ero sotto tiro di un Mangiamorte armato e pericoloso.
Secondo: avevo il fondato sospetto che il Mangiamorte e l'unico mago che desiderava aiutarmi fossero la stessa persona.
Terzo: avevo appena ricevuto una Strillettera dal mio capo.

Accesi la radio cercando una canzone abbastanza rumorosa. Ho la vecchia radio che avevo a casa dei miei, quindi è abbastanza magica e prende la frequenza di Radio Strega Network anche se sto in un condominio babbano. Cioè, diciamo che il più delle volte la prende.
Aprii la Strillettera con il coltello del burro.
La voce del capo esplose sopra i riff delle Sorelle Stravagarie: «HO FATTO GIÀ BENEFICIENZA AD ASSUMERTI, CREDI PURE DI POTERTI PERMETTERE DI STARE A CASA DUE GIORNI A GRATTARTI IL...»
Gli avevo detto che mi ero beccato il vaiolo di drago, ma evidentemente non ci era cascato oppure non gliene fregava niente. A ogni modo non avevo mai preso un giorno in due anni (ok, tranne la volta dell'intossicazione da Doxy e quella in cui ero scappato dagli gnomi), quindi era un'ingiustizia bella e buona.
Per fortuna (se così si può dire) avevo problemi più importanti del venire licenziato.

Per esempio dovevo trovare un modo per neutralizzare Kingsman, fisicamente o mentalmente che fosse, legarlo a una sedia e convincerlo a svelarmi la sua vera identità.
La sua insistenza nel voler mettere le mani sulla sfera mi aveva insospettito, per questo avevo mentito su dove l'avevo nascosta.
Riflettendoci, non era strano che lui si fosse trovato al posto giusto al momento giusto, che mi avesse spiato e seguito? Che intervista doveva mai fare uno del Settimanale delle Streghe, al Ministero? Cornelius Caramel e la sua bombetta erano forse il sogno erotico delle lettrici?
Nessuno meglio di lui avrebbe potuto rubarmi la bacchetta e inscenare tutta la storia della Trasfigurazione e sostituzione.
La sua posizione era la migliore per recuperare la sfera e togliermi discretamente di mezzo.
Aveva pochi scrupoli, tanti segreti, era ambizioso e neanche i suoi amici si fidavano di lui.
Perché non poteva essere lui il Mangiamorte?

«ANCHE L'ELFO È PIÙ UTILE DI TE, ALMENO QUALCHE MAGIA LA SA FARE...»

Mi accesi una sigaretta e osservai il devasto, assolutamente genuino e autoprodotto, del mio monolocale mansarda. Durante tutto il tempo in cui ero stato a Berkshire House nessuno aveva effettivamente approfittato della mia assenza per mettermi a soqquadro casa cercando la sfera. Se il Mangiamorte era Kingsman, la cosa era anche logica.
Forse dovevo chiamare Guzzle? Giustamente, lui qualche magia la sapeva fare, e già una volta mi aveva salvato brandendo la Burrobirra.
Già, la Burrobirra...forse far ubriacare Kingsman poteva essere un'idea. Secondo la tele (in casa avevo anche la tv, recuperata dall'appartamento vicino dopo che la vecchia inquilina aveva tirato le cuoia) i Babbani facevano così per far rivelare i segreti alla gente, fargli fare quello che volevano e anche fare sesso. L'ultima magari potevo risparmiarmela...anche se, visti i precedenti, delle tre sarebbe stata l'impresa più facile.

"...e questo era il nuovo singolo delle Sorelle Stravagarie, più arrabbiate che mai dopo una breve parentesi più melodica...breve per fortuna, dice qualche critico!"

Che odio, quando il dj inizia a parlare sopra le ultime note della canzone! Scandagliai intanto la dispensa, anche se sapevo già il contenuto a grandi linee: nulla.
Avevo giusto finito di mangiare toast coi fagioli ed ero in mutande perché mi era finito il sugo sulla maglia e sui pantaloni.

«...SEI SPARITO LASCIANDOTI DIETRO UNA SCIA DI GNOMI INCAZZATI, MA NO, NEANCHE ALLORA TI HO LICENZIATO...»

Miracolo! Mi era rimasta una bottiglia di rum di ribes rosso. Lasciai la sigaretta appesa all'angolo della bocca e andai all'armadio a cercare dei vestiti puliti (quelli di prima li avevo tirati su dalla sedia accanto al letto).

«...HO AVUTO PIETÀ PER I TUOI GENITORI CHE NON HANNO COLPA...»

 "...ci saranno grandi sorprese a Hogwarts quest'anno, magari avere ancora quell'età, eh? Allora torniamo un po' indietro nel tempo e ascoltiamo questa canzone che ci faceva dire..."

«Caaaaazzooooooo!»

La sigaretta mi cadde di bocca e la bottiglia di mano, spaccandosi sul pavimento in un'esplosione di liquido rosso e cocci di vetro. Uno dei frammenti mi tagliò la caviglia, ma non ci feci caso, come non feci caso al calpestarli indietreggiando: dall'armadio, il volto in ombra del Mangiamorte mi fissò, e il suo mantello si spostò mentre con tutta la calma del mondo fece un passo verso di me.
Raccolsi il pezzo più grande rimasto della bottiglia (il collo con poco altro attaccato) e menai un fendente nella sua direzione. I bordi erano belli affilati, ma nemmeno li guardò. Si fermò giusto un attimo, come per educazione, poi tornò a venirmi incontro. I frammenti di vetro scricchiolarono sotto i suoi piedi, e io indietreggiai ancora. Piano B.
Gli lanciai direttamente addosso il pezzo della bottiglia e senza neanche guardarla andare a segno girai sui tacchi e scappai.
Scappai, scappai.
Ora maledicevo il disordine, ma benedicevo l'angustia dell'appartamento e il poco spazio tra l'armadio e la porta, che infilai per catapultarmi FUORI!

Mi chiusi la porta dietro con un botto assordante e scivolai coi piedi nudi sul gelido pavimento del pianerottolo, accompagnato da uno strillo di donna e l'esclamazione di un uomo.
Eh?
«Ma che fa?!» squittì la signora del piano di sotto, coprendosi la bocca con la mano con un gesto più teatrale che reale «Oddio, è sempre stato un ragazzo strano, ma questo ancora non l'aveva mai fatto...»
«Non si preoccupi, mi sorprendo di rado.» la rassicurò con distratta disinvoltura l'uomo al suo fianco «Ciao, Silas.»
«Ho aiutato il signor Kingsman a prendere l'ascensore. Gli ho detto che sono abituata agli uomini che non sanno fare niente da soli, sa, grazie a mio marito.» la signora sembrava già un po' meno sconvolta, forse per effetto di Kingsman o perché spettegolare la calmava «Oddio, ma quello è sangue?»
«C'è il fottuto Mangiamorte lì dentro!» sbottai indicando la porta chiusa «Fa' qualcosa!»
Se Kingsman si sorprendeva di rado, beato lui, io ero così sorpreso che mi ci volle un po' prima di articolare quelle grida.
La signora assunse un'aria molto interdetta, Kingsman si illuminò.
«D'accordo, d'accordo.» cantilenò, tirando fuori la bacchetta dalla giacca dell'impeccabile completo babbano con cui era vestito (?!) «Lo chiudo dentro o lo attiro fuori?»
«Non è il momento di fare il coglione! C'è il Mangiamorte sul serio!»
«Io chiedevo seriamente, infatti. Ci sono finestre accessibili, e quante? Non l'abbiamo visto né sentito dal pianerottolo, quindi da dove è entrato?»
«Dall'armadio, cazzo!»
«Ok, spostati» puntò la bacchetta «Alohomora!»
La porta si spalancò ed emettemmo tutti un grido. Io, la signora del piano di sotto e Kingsman, anche se il suo era più di sorpresa che di paura. Così sembrava, almeno.
Il Mangiamorte, che effettivamente era alto e piazzato come lui, fece un passo al di là della cornice della porta, sempre con andatura calma, imperturbabile. La bottiglia doveva averlo mancato completamente!
Mosse la testa coperta dal cappuccio per cercarmi con lo sguardo, e nel vedere gli altri si fermò, parve esitare...
«Fai un cazzo di incantesimo!» urlai a Kingsman, che per tutto il tempo aveva tenuto la bacchetta puntata senza fare un tubo. Non sembrava più sorpreso e nemmeno spaventato, guardava il cappuccio del Mangiamorte con gli occhi a fessura, guardingo. Fece un passo in avanti, andandogli incontro, e flettè lievemente il braccio con la bacchetta.
Il Mangiamorte gli restituì lo sguardo e...
...Crack!
Si gonfiò di colpo fino a strabordare dalla cornice della porta e invadere quasi tutto il pianerottolo, non più umanoide ma stranamente piatto e squadrato.
Davanti a noi invece di un uomo incappucciato troneggiava ora la facciata di un negozio.
Un negozio con la vetrina bordata d'oro piena di manichini e l'insegna verde con scritto Kingsman's Maghi di Classe in lettere d'oro.
Io e la signora del piano di sotto rimanemmo a bocca aperta e senza parole, ma Kingsman scoppiò a ridere, facendo tremare il negozio come sotto terremoto.
Distese il braccio e concluse il gesto della bacchetta: «Riddikulus!»
Pof! Il negozio sparì lasciandosi dietro solo una nuvoletta di fumo.

«...uno stupido Molliccio.» dissi io in tono piatto.
«Ah, sai cos'è un Molliccio» commentò Kingsman, con ancora il sorriso sulle labbra «Perché hai avuto paura, allora?»
«Perché prima del fatto del cimitero con me prendeva una forma diversa» replicai secco. Con l'adrenalina che calava, il dolore ai piedi cominciava a farsi sentire «ma so benissimo cos'è un Molliccio, ne ho stanati migliaia pulendo i cessi.»
«Io invece era un secolo che non facevo questo incantesimo. Però mi è venuto bene, eh?» mi sorrise, sfacciato e su di giri «Mi merito un bacio? Ma nooo, dimenticavo che il vecchio Alec non è abbastanza in gamba per qualcuno.»
«Ehi!» protestai tra i denti, accennando con gli occhi alla signora del piano di sotto, che aveva gli occhi spalancati e non perdeva una parola.
«Tranquillo. Tanto le faccio un Incantesimo di Memoria tra poco.»
Sospirai, incrociando le braccia più strette perché crepavo di freddo «Non è questione di essere in gamba, è questione che preferirei baciare un Dissennatore che la tua faccia da cazzo.»
«O-oh!» esclamò Kingsman, teatrale «Che crudeltà! È questo il mio ringraziamento? Signora, venga qui, stia tranquilla...»
Osservai la signora del piano di sotto farsi fiduciosamente obliviare dal giovanotto attraente e ben vestito, poi li osservai entrambi farsi mille salamelecchi per salutarsi.
«Al ritorno si ricordi: pulsante zero!» cinguettò la signora scendendo le scale.
«Giusto, giusto: il pulsante zero.» ripeté gioviale Kingsman, tutto soddisfatto di aver imparato una parola nuova. Si girò verso di me e mi squadrò con sguardo condiscendente dalla punta dei capelli ai piedi nudi insanguinati «Mi inviti a entrare?»











Angolo dell'autrice: finalmente un capitolo un po' movimentato! Anche se non sembra, nessuna bottiglia è stata maltrattata durante la scrittura di questa storia. In questo capitolo abbiamo tra l'altro scoperto che l'alcol non risolve sempre i problemi...con il problema Kingsman avrà invece miglior fortuna? Seguite per scoprirlo! Recensioni ubriache o sobrie sempre ben accette!

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Capitolo 11
*** Il cattivo riflesso ***



Kingsman aprì una cinghia della sua valigetta di pelle e subito Ratbert fece capolino. Il topastro voltò il capo a destra e sinistra, facendo fremere i baffi, e schizzò ad arrampicarsi lungo la manica del padrone fino a raggiungere il suo posto preferito, la spalla.
«Bella casa.» commentò placido Kingsman. Da lì dov'era, cioè davanti all'ingresso, poteva vederla comodamente tutta, eccetto il bagno perché per puro caso la porta era socchiusa. La cucina/sala da pranzo nell'angolo alla sua destra, la camera da letto/studio/salotto/qualsiasi altra cosa di fronte a sé. Tutto coronato dal tetto spiovente. L'armadio era ancora aperto, ma dentro c'erano solo i miei vestiti tutti appallottolati più vecchie scatole portadocumenti. Dall'anta colava una macchia di rum di ribes rosso. Ce n'era dell'altro sul pavimento insieme ai cocci più grossi della bottiglia, quelli più piccoli erano arrivati ovunque e scintillavano negli interstizi delle piastrelle.
Mi buttai  a sedere sul letto, strinsi i denti e mi accinsi a ispezionare le piante dei piedi «Grazie. Raccoglierei il vetro da terra, ma se non ti dispiace prima devo eliminare quello conficcato nella pelle.»
«Be', forse posso aiutarti con entrambe le cose.» fletté le ginocchia e si chinò con distratta disinvoltura ad annusare la macchia sul pavimento «Incredibile quanto il tuo sangue sappia di ribes e alcol! Per fortuna prevedevo che non avresti avuto niente da offrirmi da bere, così ho portato del mio.» tirò fuori dalla valigetta la bottiglia di Whisky Incendiario che avevo assaggiato a Berkshire House, la scosse lievemente e me la lanciò «Tieni, funziona meglio di un incantesimo. Anche perché la guarigione non è la mia specialità.»
«Fa niente, il signor Ogden Stravecchio è il mio Guaritore di fiducia.» commentai, stappando e bevendo un bel sorso. I piedi non erano conciati male come pensavo, una volta pulito il sangue e il rum.
Nel frattempo Kingsman puntò la bacchetta e la pozza sul pavimento evaporò. Fece un altro gesto circolare e tutti i frammenti di vetro scivolarono dai quattro angoli della casa fino a concentrarsi in un mucchietto tintinnante sotto la sua bacchetta. Il mucchietto tremolò e i frammenti saltarono uno sopra l'altro cercando di ricomporre la bottiglia, ma presto rinunciarono e ricaddero affranti a terra. Kingsman mosse di nuovo la bacchetta e li fece sparire.
«Hai lasciato la macchia sull'armadio.» lo informai educatamente.
«Ho lasciato anche quel mucchio di stoffa fumante. Pensavo fossero fatti così, magari per una moda babbana.»
«Cazzo» in effetti ora che ci facevo caso sentivo anch'io puzza di bruciato, e in effetti una mia maglia per terra fumava lievemente, grazie alla sigaretta che ci era caduta sopra mentre scappavo «spegnila, spegnila!»
Kingsman sospirò, mormorò «Aguamenti» e con la bacchetta inzuppò la mia maglia il giusto per spegnere il principio di incendio «Posso sedermi anch'io, ora?» chiese sarcastico, distendendo le ginocchia per sollevarsi dal pavimento.
Volevo dirgli di evitare di farlo accanto a me, ma lui non aspettò la risposta e si sedette semplicemente sulla sedia vicino al letto, non prima di aver spazzato via tutti i vestiti che c'erano sopra.
«Comincio a pensare che il passaggio del Molliccio abbia migliorato la casa» commentò pungente, accomodandosi con distratta disinvoltura: incrociò le gambe e slacciò i bottoni della giacca «ti capita spesso di trovarne nei cassetti o pensi ce l'abbia messo il tuo Mangiamorte?» appoggiò le mani intrecciate sul ginocchio, sollevò il busto dallo schienale e si protese verso di me, ravvivato «Magari sperava di farti morire di paura...»
«Sei conciato bene per uno che ha paura delle sartorie.» non mi trattenni più dal ribattere.
Kingsman fece il suo sorriso impenetrabile «Grazie.» passò i pollici sui baveri della giacca. Era un completo nero fumo con tanto di gilet, camicia bianca tutta abbottonata e cravatta lucida di un rosa appena accennato. Sulla cravatta era appuntata una spilla d'argento a forma di teschio di corvo, quando si dice la mania dei dettagli «Questa moda babbana è così scomoda! Tanto per cominciare è tutto un po' troppo costringente, e tanto per finire ci sono troppe poche tasche e troppo piccole. Ho dovuto mettere tutto lì dentro.» indicò con un cenno del capo la valigetta di pelle nera con le cinghiette d'argento.
Io stavo riflettendo sul Molliccio-Mangiamorte: il fatto che avesse la stessa corporatura di Kingsman era un punto a favore della mia teoria o una proiezione della mia paura che la suddetta teoria fosse corretta? Roba complicata.
Tesi la bottiglia di whisky «Vuoi un po'?» volevo offrirla in modo disinvolto (e distratto) per non destare sospetti, così aggiunsi in fretta «Insomma, delle sartorie babbane non hai paura.»
«Io? Ma non ci ho mai messo piede. Non saprei neanche dove cominciare, è già stato abbastanza penoso prendere quell'ascensore con i pulsanti, potevi anche avvertirmi di usare le scale, a proposito...sì, ma in un bicchiere, per favore.»
In circostanze normali gli avrei detto di alzare il culo e prenderselo da solo, ma ci tenevo che bevesse, così mi alzai io. Presi un paio di pantaloni da ginnastica che erano stati buttati dalla sedia al letto, zoppicai per infilarmeli e zoppicai per raggiungere la cucina. Kingsman stava ancora parlando.
«Ho solo trasfigurato uno dei miei vestiti normali prendendo a modello qualche foto. Non sono sicuro delle cuciture interne, ma penso mi sia venuto bene.»
Trovai un bicchiere probabilmente pulito e glielo portai, dopo averci versato più whisky che potevo. Lui nel frattempo aveva riaperto la valigetta e tirato fuori due specchietti rotondi tipo quelli che usano le donne per rifarsi il trucco. Ne teneva uno in grembo e nell'altro si stava dando un'occhiata placidamente critica. Ratbert si era dileguato dalla sua spalla, forse vergognandosi, e sperai non stesse rosicchiando niente di irreparabile.
Kingsman alzò lo sguardo dallo specchietto, sorrise e allungò la mano verso il bicchiere che gli porgevo.
«Mi sta bene, no?»
«Eh?»
«Il vestito.»
«Sì, sembri proprio un Babbano.»
Come previsto, gli si raggelò il sorriso. Prese il bicchiere e mi porse uno degli specchietti «Non nel modo in cui lo sembri tu, questo devi concedermelo. Pensavo indossassi già i pantaloni, prima che ci mettessi sopra questi altri pantaloni.»
«No, erano mutande, e no, grazie, non mi serve rimirarmi, sono già irresistibile.»
«È il congegno magico che ti avevo promesso, idiota: uno Specchio Gemello.»
Lo presi, un po' spiazzato.
«Non che non ti serva uno specchio normale» infierì Kingsman (la battuta sul sembrare un Babbano gli doveva ancora bruciare) «ma questo ti servirà a comunicare col sottoscritto immediatamente. Io ho l'altro specchio. Basta che pronunci il mio nome e apparirò al posto del tuo riflesso e tu al posto del mio.»
«Kingsman» dissi, fissando lo specchio.
«Alec» mi corresse lui «e sono abbastanza sicuro che la tua faccia al posto della mia nello specchio diventerà il mio nuovo Molliccio. Ma in questo modo potremo parlare come se fossimo vicini...»
«...come al telefono.»
Kingsman (cioè, Alec) fece un sorriso forzatissimo «Sì, ma senza i numeri e i pulsanti.»
«Ehi, ma allora sai cos'è!»
«No, ma ho immaginato funzionasse come l'ascensore. Invece gli Specchi Gemelli funzionano in modo simile alla sfera di cui mi hai parlato, infatti ci ho riflettuto e sospetto che quella "sfera" sia in realtà uno Specchio Gemello di forma inconsueta.»
Guardai nello specchio e mi umettai le labbra «Sì, avrebbe senso.»
«Ovviamente non posso esserne sicuro finché non gli dò un'occhiata» continuò Alec, già più allegro «magari riusciremmo anche a scoprire chi ha l'altro Specchio e dove si trova...»
«Alla salute!» mi affrettai a esclamare, afferrando con la mano libera la bottiglia che avevo lasciato sul letto. Stappai e bevvi un sorso, osservando Alec trangugiare finalmente un po' del bicchiere che avevo riempito con tanta fatica. Però da sopra il bordo mi guardò con gli occhi a fessura di ghiaccio puro.
«Ci volevi il ghiaccio? I cubetti veri e propri non ce li ho, ma posso grattarne via un po' dal freezer, là dentro cresce da solo.»
«Silas, che ne hai fatto della sfera?» mi gelò. Guardò in controluce il bicchiere «Se non sapessi che è impossibile direi che ci hai messo un goccio di Amortentia, o Veritaserum, o veleno di Basilisco.»
«Così dal suono, la prima che hai detto sicuramente no.»
Sentimmo in contemporanea una serie di tonfi provenire dal televisore. Scattai in piedi e mi precipitai ad estrarre Ratbert dalla nicchia dove si aggrovigliavano i cavi. Squittì indignato, protendendosi verso la guaina di gomma che (per fortuna) non aveva finito di rosicchiare.
«Ratbert» lo richiamò pigramente Alec «Non sciupare i giocattoli di Silas. Cerca la sfera, piuttosto. Annusa, è magica.» fece un paio di schiocchi con la lingua, ma io stavo tenendo il ratto ben stretto tra le due mani. Era un falso magro.
«Forse non hai capito che i miei "giocattoli" hanno dei fili elettrici. Non mi aspetto che tu sappia cosa vuol dire più di quanto io sappia cos'è l'Amortenza, ma ti assicuro che è pericoloso rimanerci attaccati coi denti.»
«E io ti assicuro che è pericoloso mentirmi.» Alec fece un sorriso per niente piacevole.
Mollai Ratbert (anzi, lo lanciai proprio) e mi avvicinai a lui, cacciandomi le unghie nei pugni.












Angolo dell'autrice: le Olimpiadi di lancio del Ratbert sono finite da un pezzo, ma Silas questo non lo sa. Passeremo alla prossima categoria, lotta libera? Ho il sospetto che a qualche lettrice non dispiacerebbe, eheh. Tra Alec e Silas chi sarà più pericoloso? Continuate a seguire per scoprirlo, e intanto lasciate pure una recensione!

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Capitolo 12
*** Ciò che più desideri ***



«Sentiamo, grand'uomo, che vorresti fare?»
Alec mi squadrò freddamente: «Non devo neanche alzarmi in piedi per rivoltarti come i calzini che non hai.»
«Mi piacerebbe vederti provare!»
«M-mh?» inclinò la testa e mi fece un altro sorriso spiacevole.

Nella breve pausa in cui ci guardammo fissi Ratbert squittì tre volte. Aveva trovato l'Avversaspecchio (non so come avesse fatto ad aprire il cassetto in cui era chiuso) e lo teneva tra le zampe anteriori, mordicchiandone i bordi coi denti.

Alec cambiò faccia, corrugando la fronte e contraendo le labbra in una smorfia di disappunto «Allora non è qui che tieni la sfera. È davvero seppellita in quello sputo di giardino qua davanti? Neanche lì Ratbert ha percepito la magia, ma pensavo l'avessi seppellita molto a fondo.»
«La sfera è al sicuro.» dissi, cercando di sembrare sicuro anch'io «Ma magari non mi va di dirti dov'è.»
«Perché? Non ti piaccio?»
«No, neanche un po'.»
Bevve un sorso di whisky «Eppure ti ho aiutato al massimo delle mie forze, finora.»
Lo sapevo che era più falso dell'aspetto di un Molliccio, ma non potei evitare di sentirmi un po' in colpa. Forse perché all'improvviso aveva tirato fuori quell'atteggiamento pacato e innocente. Cercai di enumerare i motivi per cui non mi fidavo, così da ripassarli anche a me stesso:
«Tanto per cominciare, tu conti un sacco di balle...»
«Non dico mai bugie.»
«...perché riesci a rivoltare la verità come ti pare. Ma alla fine è sempre una balla che vendi. In questo somigli proprio a Rita Skeeter...»
«Ma meglio vestito.» precisò con un sorriso tirato.
«E ti tieni stretti i tuoi segreti, anche se ti impicci di quelli degli altri. Ci sono un sacco di cose di te che non so o che non ho capito: che ci facevi di preciso al Ministero, perché ti sei incollato a me, cosa pensi di ottenere...»
«Ma te le ho già dette queste cose. Facevo un'intervista, voglio una storia da scrivere.»
«Ok, chi intervistavi e perché?»
«Un'Auror, per un pezzo sulle streghe coraggiose.»
«Un'Auror chi?»
«Ninfadora Tonks.»
Avevo cercato di fargli domande a raffica per cogliere la più piccola esitazione, ma il bastardo aveva la risposta prontissima. Colse la mia esitazione e aggiunse «Puoi controllare la lista degli Auror del Ministero, se non mi credi. Certo, sarebbe difficile anche per me inventare su due piedi un nome come Ninfadora
«D'accordo, ma io non sono una strega coraggiosa. Ammettilo che questa caccia al tesoro che pensi di stare facendo non c'entra molto col Settimanale delle Streghe
Bevve un altro sorso di whisky «Ho le mie ambizioni.»
Pensai al ragazzino della foto insieme alla zucca, col sorriso studiato e gli occhi pieni di orgoglio e di speranza.
Forse anche Alec ci stava pensando, perché subito dopo aggiunse «Non crederai che il Settimanale delle Streghe fosse il lavoro dei miei sogni, vero? Mi piace fare il giornalista, sì, ma speravo di scrivere altre cose oltre alla lunghezza dei mantelli da giorno e da sera.»
«E speri che questa storia ti porti al Profeta
«Sì, dopodiché potrò fare un simpatico sberleffo a Transfigurazione Oggi che non mi ha voluto.»
Magari mostrarsi vulnerabile era un altro dei suoi trucchi. Oppure il Whisky Incendiario stava facendo effetto. Mi sedetti di nuovo sul bordo del letto, stavolta più vicino alla sua sedia, e mi schiarii la voce «Quindi il tuo sogno era di scrivere di zucche trasformate in carrozze. Be', almeno il Settimanale delle Streghe è divertente.»
«Io ho bisogno di sfide. Di scoperte. Di rischio. Di magia. Non di feste noiose in cui servono Aquaviola in bicchieri piccolissimi e le statue di ghiaccio cantano e tutti fanno a gara a chi è vestito peggio.»
«Ti ci vedo, però.» osservai, pensando tra me e me che avesse una bella faccia tosta a lamentarsi di essere pagato per andare alle feste, e non come me per pulire il casino lasciato dopo. Sempre che avessi ancora quel lavoro.
Lui fece un sorriso per niente allegro e scolò il resto del whisky in un sorso.
«Pensavo davvero di poter ottenere il posto a Trasfigurazione Oggi. Invece hanno preso Quincy e Sherwood» (le sue due coinquiline) «anche se il fatto che abbiano qualche anno più di me significa solo che all'epoca della zucca non erano così speciali. Mi hanno preso solo al Settimanale, per via di quelle quattro stupidaggini che ho imparato grazie alla mia famiglia. Io sono un bravo mago, un ottimo mago. Ma non è mai abbastanza.»
«Magari la magia non è la tua unica dote.» azzardai. «Quando penso a te mi vengono in mente anche altre cose. Tipo che, mh, sei bravo a manipolare le persone...»
«Già, dovevano smistarmi a Serpeverde, vero?» ribatté, con il sarcasmo più acido che gli avessi mai sentito usare. Tra l'altro mi fece anche un po' il verso ripetendo le stesse parole che gli avevo detto al cimitero, se le ricordava benissimo «Spiacente, non sei il primo a pensarla così. Anche per i miei dovevo stare a Serpeverde, solo perché c'erano stati loro. Me l'ha ripetuto un sacco di gente, poi.»
«Ok, non dovevi stare a Serpeverde. Lo sanno tutti che è la Casa degli stronzi. Magari sei un po' stronzo, ma hai un cervello che funziona bene. Funziona a tuo modo, insomma. È quel modo tuo che ti rende speciale, non che sai trasfigurare in cavallo un topo del cazzo.»
Ero diventato il Silente dei poveri, insomma.
Però ad Alec piacqui, almeno mi parve dal sorriso rattesco che mi rivolse dopo, quello in cui ti coccolava con lo sguardo come fossi un pezzo di formaggio. Avvicinò il bicchiere alle labbra un attimo prima di accorgersi che era vuoto, quindi lo appoggiò sul comodino accanto al letto e si protese col busto verso di me.
«Hai finito di farmi il processo?»
Lo chiese tanto soavemente che non capii subito cosa stava dicendo. Accennai al bicchiere vuoto.
«Sì, vuoi ancora?»
«Cosa speri di ottenere tu, cercando di farmi ubriacare? Il problema non è che non ti piaccio, è che -tiro a indovinare- ti è balenato in mente che potrei essere io il mago che temi.»
A quel punto lo avrei apprezzato io un altro goccio di whisky.
«Come hai notato giustamente, non sono stupido» proseguì Alec, un po' meno soave «quindi non vedo perché ti avrei dato l'Avversaspecchio, dato che in quanto tuo nemico ci apparirei dentro in tutto il mio splendore.»
«Me l'hai dato tu, per quanto ne so potresti averlo modificato quanto ti pareva» osservai (nel frattempo avevo bevuto davvero un goccio) «io non so niente di Avversaspecchi, quindi figurati se noterei qualcosa di strano.»
«Non era mio, te l'ha dato Fullerton.»
«Anche la bacchetta non era tua, ma si è magicamente trasformata in stecchino passandoti davanti. E lo specchio l'avevi già preso in prestito da Fullerton.»
«Per la bacchetta te lo concedo, anch'io mi sospetterei» ammise lui «ma Fullerton si sarebbe accorto benissimo che qualcosa non andava nel suo specchio. Mi ha anche accusato di averci lasciato una ditata di burro, cosa ridicola perché non uso mai il burro a colazione. Lascia che te lo dica, stai attribuendo al tuo Mangiamorte (cioè me) un ragionamento inutilmente tortuoso. Perché avrei dovuto fare tutti questi giochetti per fingere di aiutarti?»
«Perché sei un sadico bastardo.» buttai lì.
«Non sono per niente così!» protestò «Al limite sono un pochino vendicativo, ma non sprecherei mai un tale quantitativo di energie, specie se avessi cose più importanti di cui occuparmi, come la rinascita dell'Oscuro Signore. E poi, perdonami...ma per te? Non c'è bisogno di grandi manovre per eliminare un Magonò.»
«Eppure ho incontrato un Mangiamorte e sono ancora vivo» ribattei, sostenuto. Il parlare in prima persona di Alec cominciava a sembrarmi poco divertente «e la ragione per cui continuo a esserlo potrebbe essere proprio quella sfera che insisti tanto ad avere.»
«Già, ma se ci pensi non mi servirebbe recitare tutto questo copione. Mi basterebbe fare così» ed estrasse la bacchetta, puntandomela contro con naturalezza «e pronunciare una Maledizione Imperius. Mi consegneresti la sfera e mi faresti pure l'inchino. Oppure, se fossi davvero un sadico bastardo, userei un Cruciatus e ti convincerei a sputar fuori dove l'hai nascosta. È così che fa un Mangiamorte.»
«Levami la bacchetta di dosso.»
Sorrise.
«Scusa» sollevò la bacchetta e il palmo dell'altra mano, poi rifece sparire la bacchetta sotto la giacca. Cercai di non sembrare troppo maledettamente sollevato «era per farti capire. In effetti anch'io ho appena realizzato quanto deve essere lento questo tipo: forse la bottigliata che ha preso in testa non gli ha fatto un gran bene. O forse è un mago molto debole, o spera di uscirne pulito, o non vuole attirare l'attenzione...»
«Be', la mia morte, un po' come la mia vita, non solleverebbe tutta questa attenzione nel Mondo Magico.»
«In effetti no» convenne Alec senza nessuna delicatezza «ma magari un articolo sui giornali uscirebbe» sorrise «io lo scriverei.»
«Penso sia per questo che mi stai appollaiato sulla spalla come un ratto.»
«Ti sbagli, vorrei davvero tenerti in vita. Mentre sei a casa tua è fin troppo facile attaccarti: sicurezza zero, Babbani storditi...saresti dovuto rimanere a Berkshire House, ieri, ma ovviamente non l'hai fatto perché pensavi volessi ucciderti. Non avrei dovuto lasciarti andare.»
Mugugnai, guardando assente il whisky sciabordare nella bottiglia. Non l'avevo fatto perché pensavo volesse fare anche altro, ma mi guardai bene dal dirlo.
«Prego! Non ringraziarmi per la premura» declamò Alec (volevo proprio dargli la bottiglia in faccia) «tanto se continui a non fidarti non c'è motivo per cui io resti.» raccolse la valigetta e si alzò in piedi. Fece mostra di andarsene, insomma, da perfetta primadonna. Ratbert, dal tavolino della cucina su cui aveva rovesciato la scatola dei corn flakes, si mise sull'attenti, anche se masticava ancora.
Sbuffai. Non mi andava di dire "Aspetta...!" come le Babbane idiote alla tele, così mi alzai anch'io e lo afferrai semplicemente per il braccio, appoggiando la mano nell'incavo del suo gomito.
Si voltò verso di me e facemmo una breve gara a chi produceva l'espressione più sarcastica, poi abbassai lo sguardo sul suo avambraccio. Mi venne l'impulso di sollevargli la manica, così ci provai, ma era troppo stretta. Inaspettatamente, la sua mano mi venne in aiuto e sbottonò il polsino.
Si tirò su la manica con grazia e mi ritrovai a fissare la pelle del suo avambraccio, perfettamente chiara e pulita. Alzammo lo sguardo in contemporanea e gli vidi un'irritante faccia da "te l'avevo detto".
«Sei proprio un coglione.» commentai.
Per tutta risposta si spinse in avanti e mi baciò. Stavolta non me l'aspettavo proprio (dopotutto gli avevo appena dato del coglione) e non feci neanche in tempo a tirarmi indietro. Certo, potevo sempre dargli una spinta sul petto e levarmelo di dosso, però non lo feci. A dire la verità mi baciò con tanto entusiasmo che mi avrebbe sbilanciato se non gli fossi venuto incontro, ma gli venni incontro, e le mani addosso gliele misi per tirarmelo più vicino. Lo presi per il nodo della cravatta, gli scompigliai i capelli sulla nuca e tutto il resto. Sarebbe bastato a fargli saltare la mosca al naso, normalmente, ma stavolta non ci badò. E neppure io badai a niente. È normale essere lusingati quando ti si bacia come se non aspettassi altro da tutta la giornata, o dal giorno prima, quando ti è rimasto il desiderio insoddisfatto. E sto parlando di me.
Aveva ragione (porca vacca) Alec, il problema non era che non mi piaceva. Il problema era che mi piaceva, contro il buonsenso e la volontà, anche troppo.












Angolo dell'autrice: dodici capitoli per arrivarci, ma ce l'hanno fatta! Il piano alcolico di Silas ha funzionato...mh, no, aspetta non era proprio questo l'esito previsto. Vabbè. Se avevate preparato le bandierine SilasxAlec è il momento di sventolarle! Questa ship naviga in un mare burrascoso e nel prossimo capitolo...chissà che succederà! Per scoprirlo seguite (o continuate a seguire) la storia, e se vi va lasciate una recensione!

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Capitolo 13
*** Dammi soddisfazione ***



Non che io sia un tipo mattiniero, ma dopo mesi e anni di sveglie all'alba per lavoro ormai apro gli occhi spontaneamente alle sei in punto, a meno che non sia reduce da una sbronza forte o da una nottata particolarmente movimentata.

E quella con Alec non era stata una nottata particolarmente movimentata.

Ciononostante il signorino (evidentemente non un tipo mattiniero) rimase apparentemente morto per tutto il tempo in cui io mi alzai, feci la doccia, preparai la colazione, mangiai la colazione, lavai i denti.
Avrei potuto svegliarlo, ma non ebbi voglia. Non che fossi estasiato dal suo meraviglioso viso dormiente, visto che stava a faccia in giù e si vedeva solo un grumo di capelli sul cuscino.
Ratbert uguale, lo ritrovai sul tavolo della cucina a ronfare, bello ripieno di corn flakes. Infatti feci colazione con pane tostato e tè.

Pensavo si sarebbe svegliato, a quel punto, ma niente. Mi ritrovai, annoiato, a sedermi accanto a lui sul letto e punzecchiarlo con l'alluce.
Sussultò così violentemente che mi mise quasi paura.
«Cazzo!» esalò, sollevando la testa dal cuscino il minimo da rendere le parole intelligibili. Da dietro la cortina dei capelli lo intravidi strizzare gli occhi, battere le palpebre e far guizzare lo sguardo a destra e sinistra «Cazzo!» ripeté più forte e più disperato, afferrandosi la testa tra le mani.
Era più o meno un mio risveglio standard, ma per Alec suonava abbastanza insolito, considerato che non l'avevo mai sentito dire tante parolacce in una volta.
Lasciò una mano a reggersi la fronte e battè il pugno sul materasso, pronunciando «Cazzo!» in tono già più rassegnato.
«Ti prego, continua! Mi stavo emozionando!» esclamai, ma lui mi ignorò e allungò la mano sul comodino accanto al letto, tastando in modo da far cadere praticamente tutte le cianfrusaglie che c'erano sopra, compreso il bicchiere sporco del Whisky Incendiario del giorno prima. Crash.
«Cazzo!» ripeté in uno slancio di originalità Alec «Ma dove cazzo ho messo la bacchetta!» sembrava gli fossero saltati i nervi sul serio. Aveva i denti serrati e continuava a spostarsi i capelli dalla faccia, e quelli continuavano a ricadere.
«Ma non sai fare proprio niente senza bacchetta? Mh. Scusa. Non volevo. Qualcosa la sei riuscita a fare, dai.»
Non mi considerò neanche per offendersi. Si alzò a cercare i sui vestiti (che erano finiti perlopiù sul pavimento) e dopo qualche istante febbrile trovò la dannata bacchetta dove l'aveva lasciata, cioè dentro la giacca. Si rilassò.
«Reparo.» pronunciò in un sospiro di sollievo, puntando la bacchetta e costringendo i pezzi di vetro per terra a riattaccarsi in un secondo.
«Non me ne fregava niente del bicchiere, comunque.» precisai, cupo «Paura che ti avessi rubato la bacchetta?»
«Perché dovresti.» rispose Alec cercando di fare il disinvolto. Stava di nuovo evitandosi di dire balle.
«Dimmelo tu.» indicai a braccio teso il bagno «Se ti vuoi fare una doccia.» nella speranza che affogasse.
Ci andò sul serio, e si portò pure la valigetta in bagno. Lì dentro aveva anche i suoi stupidi prodotti per capelli, come appurai sbirciandolo tirar fuori come niente prima due poi tre flaconi.
Pensai di rubargli un po' di roba mentre era bloccato sotto la doccia, ma non ne valeva neanche la pena, come non valeva la pena di acchiappare Ratbert e farne salsicce per una decente colazione. Non mi sarei sentito meno idiota.
Mi battei ripetutamente sulla fronte, cercando di capire se suonava a vuoto. Nella mia testa ripetei la litania di parolacce di Alec, ma a differenza sua, non ero un borioso bastardo (solo un coglione). Ero andato a letto con un borioso bastardo e mi ero risvegliato con un borioso bastardo. Ma che sorpresa! Perché mi sentivo allora così schifosamente deluso?
«I tuoi asciugamani non li userebbe neanche un elfo domestico come vestito.» mi informò Alec, saltellando su un piede solo per calzare una delle sue scarpe nere lucide.
«Sono sempre buoni per farci una corda per impiccarti.»
«Hai la battuta pronta anche appena sveglio, complimenti.» replicò sereno, mentre risolveva di appoggiare il piede alla sedia per allacciarsi la scarpa.
«Tu sei appena sveglio. Io lo sono da ore. Sono abituato a lavorare come un elfo domestico, per questo ho gli asciugamani intonati.»
«Colgo un lievissimo risentimento, nella tua voce» tolse il piede dalla sedia e si raddrizzò, osservandomi con le braccia incrociate. Si era rimesso la camicia bianca e i pantaloni, e i capelli spettinati continuavano a dargli fastidio. A livello estetico mi pareva veramente il massimo, e la cosa mi faceva solo arrabbiare di più. Alzò le mani «D'accordo. Ti ho già chiesto scusa. Non ho fatto bella figura, ma avevo bevuto.»
«Se credi davvero sia per quello hai di me un'opinione pure più bassa di quanto pensassi.»
«Mi interessa davvero sapere ciò che pensi.» Alec tirò a sé la sedia e si mise seduto a cavalcioni. Mi guardò da sopra lo schienale con il sorriso incoraggiante da intervista.
«Penso che sarebbe stato bello se mi avessi messo un galeone sul comodino e te ne fossi andato prima dell'alba: ci avrei comprato uova e pancetta per colazione e mi sarei sentito trattato meno da troia.»
«Sì, anch'io vorrei la colazione.» sospirò Alec.
Mi avvicinai al bordo del letto di fronte a cui stava seduto, allungai la gamba, flettei il ginocchio e feci partire un gran calcio sul bordo della sedia, lì dove Alec aveva divaricato le gambe. Feci solo scricchiolare le giunture della sedia, ma si prese uno spavento comunque.
«Tu sei pazzo!» dichiarò.
«E tu mi hai interrotto. Ringrazia che non ho preso bene la mira, sennò dovevi rinunciare a far bella figura tutta la vita. Se ti schifava dormire nel mio letto potevi anche non farlo. Fai l'offeso se non mi fido delle tue stronzate e a me non dai uno zellino di credito? Io sono in gamba quanto te.»
Alec sbuffò divertito «Certo, in una gara di calci, può darsi. Ma anche lì ho le gambe più lunghe.»
«Una sola domanda, poi finisco l'intervista e ti lascio andare in pace a quel paese: è perché sono un Magonò che mi disprezzi? O lo fai in generale con chiunque non è te?»
«Che stupidaggine, non ti disprezzo. Poi se vuoi offenderti perché non ho fatto i salti di gioia all'idea di aver dormito nel tuo letto, è un altro discorso. È stata un errore quella storia del bacio...sì, di quello ti chiedo scusa.»
Mi prudevano già le mani, ma rincarai la dose «Ok, voglio ridere: perché l'hai fatto?»
«Il bacio? Non lo so, il primo ci ho provato perché mi hai fatto pena...»
Chiusi gli occhi «VAF...no, aspetta: sei tu che mi fai pena» inspirai profondamente per controllarmi «Tu, miserabile fallito di un mago.» glielo scandii bene, gustandomi ogni sillaba. Fece l'effetto che il cazzotto più potente non avrebbe fatto: Alec spalancò gli occhi e mi fissò. «Ti credi 'sto cazzo perché hai un pugno di M.A.G.O e una famiglia di rattoppa-calzini, ma sia i tuoi bei titoli che le tue arie valgono come pergamena per appiccare il fuoco. Fuori dalla scuola a nessuno piacciono i secchioni. E a nessuno piacciono gli stronzi che inventano storie e cercano di fregare anche se stessi. Vali più di me? Ma per piacere. Siamo disgraziati tutti e due, ma io almeno ho la scusa di essere un Magonò.»
«Usala ancora un po', questa scusa» sibilò Alec. Era diventato ancora più pallido «prego, vai con la lagna del povero mendicante! Tanto non è colpa tua, giusto? Puoi continuare a crogiolarti nel tuo fango e frignare, è più comodo che inseguire una qualsiasi ambizione.»
«Tu non hai proprio idea di cosa sia la mia vita! Di cosa sia essere me! Ma dimenticavo che non te ne frega niente di nessuno, hai la tua ambizione da inseguire! Forse quando sarai vecchio come Silente ti promuoveranno a scrivere le ricette delle crostate al rabarbaro per streghe golose. O forse tornerai a cucire mantelli nella bottega di tuo...»
SBAM
Alec aveva rovesciato la sedia con uno schianto assordante, mi aveva afferrato per il bavero della maglietta si era alzato in piedi. Mi lasciò annichilito, ma lo stesso mi balzò alla mente: allora sa fare qualcosa senza bacchetta!
Lo scollo della maglietta tirata mi premeva sulla nuca e faceva male, inoltre Alec era indiscutibilmente minaccioso mentre incombeva su di me. La sua espressione però non denunciava una furia fredda e sadica. Era troppo pallido, e si vedevano i muscoli del viso contrarsi sotto la pelle mentre cercava di controllarsi.
Avrei dovuto affrontarlo a muso duro, credo, ma mi venivano da fare cose disgustose come mettergli a posto i capelli (anche se mi piacevano fuori posto) e baciarlo per pena.
Ebbi qualche secondo per pensare tutte queste cose, poi mi lasciò andare.
Non disse niente, raccolse le sue cose, chiamò il ratto e uscì da casa mia.
Senza nemmeno che fossi riuscito a gridargli di andarsene.
Avrei dovuto arrabbiarmi il doppio, perché aveva vinto ancora lui. O forse come due idioti avevamo perso entrambi.
In ogni caso mi sentivo una merda.













Angolo dell'autrice: le cose non funzionano sempre come e quando vorremmo...in tutti i sensi! Di certo in questa storia non ne va mai una giusta, ma cos'ha che non va l'autrice? E cosa farà adesso Silas? Alec si riscatterà, in un senso o nell'altro? Per scoprirlo continuate a seguire e recensite come se non ci fosse un domani!

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Capitolo 14
*** Oggetti smarriti ***



Mi bastò mettere il naso fuori di casa per scoprire cosa Alec intendesse dicendo di essere "un po' vendicativo".

Tanto per cominciare aveva stregato un grosso ombrello nero perché balzasse su dal portaombrelli e cercasse di picchiarmi ogni volta che entravo o uscivo.
Sia ombrello che portaombrelli d'ottone non c'erano prima, quindi dedussi che o Alec li aveva direttamente evocati o nella valigetta era riuscito a fare entrare di peggio che un paio di saponi.
Poi aveva attaccato alla porta (con un Incantesimo di Adesione Permanente, in tutta probabilità, perché non riuscii a staccarlo in nessun modo) un cartello con su scritto "QUI NON SI COMPRANO CALDERONI PORTA A PORTA abbiamo i nostri e non ne desideriamo di dubbia provenienza. Evitate di disturbarci/vi". Magari in un quartiere di maghi era anche utile, ma a me sarebbe riuscito difficile spiegare ai vicini perché non volevo calderoni. Senza contare la presenza animata sul cartello di una strega sorridente che abbracciava un paiolo portatile e scuoteva l'indice, ammonendo con maliziosa severità il pubblico.
Stranamente neanche quella del piano di sotto disse niente a riguardo, forse si era rassegnata.
Credo che Alec si fosse persino preso la briga di trasfigurare lo zerbino, perché quando lo calpestai mi sembrò di sentire un ringhio. Sperai di non scoprire altro.

Non avevo intenzione di correre dietro Alec (soprattutto dopo averle prese da un ombrello) così tornai al piano primitivo: fare da solo e non fidarsi di nessuno.
Era ora di recuperare la maledetta sfera di cristallo, così presi lo zaino, ci infilai la divisa Pinkerton e mi scapicollai per andare al lavoro.
Arrivato in sede, timbrai al volo il cartellino sotto il naso dell'effige d'ottone di Otterline, la lontra logo dell'impresa. La bestia mi soffiò dietro, il naso di un rosso incandescente, ma non ci badai e continuai a correre.
«Dov'è Guzzle?» ansimai.
Il caposquadra mi squadrò lentamente da dietro i grossi occhiali e riprese a scorrere la lista dei turni con la bacchetta. Di solito il mio cartellino si scaldava e vi comparivano gli orari e i siti da fare in giornata, ma finora era rimasto gelido.
«Non sei molto più verde del solito, Hare.» commentò il caposquadra «Il vaiolo di drago ti è passato in fretta. Devo scrivere al San Mungo degli effetti miracolosi delle Strillettere.»
«Già. Ehm, dovrei vedere Guzzle. Gli ho lasciato una cosa. A proposito, mi hanno licenziato?»
«In teoria sì, il capo ha già messo gli annunci per trovare chi ti sostituisca, ma finché non lo trova immagino che puoi restare. Essere pagato è un altro discorso. Quanto alla prima domanda, l'elfo sta facendo i numeri dal 24 al 42 a Diagon Alley. Qualsiasi cosa ti abbia rubato ti consiglio di dirle addio, tanto non è mai niente di insostituibile.»
«Stavolta sì! Addio!»
Mi gridò flemmaticamente qualcosa dietro, ma ero già partito. Otterline morse l'aria quando le passai vicino mostrandole il dito medio.

Un furgoncino della Pinkerton aveva portato Guzzle e altri colleghi a Diagon Alley quella mattina, ma io ovviamente l'avevo perso, così ci misi il triplo del tempo.
Speravo di trovare Guzzle al Paiolo Magico ed evitarmi di visitare tutti i numeri dal 24 al 42, ma non era davvero una giornata fortunata. Presi una bottiglia di Burrobirra con gli ultimi zellini raschiati dalle tasche.
Trovai Guzzle quando arrivai al numero 38 e avevo già svuotato la bottiglia da un pezzo. L'infame elfo stava dando lo scopettone sulle scale e la mia vecchia collega Janet cercava di aiutarlo e leggere contemporaneamente il Settimanale delle Streghe. Il suo straccio stregato non pescava mai dal secchio della saponata e girava senza senso rimestando lo sporco, bell'incantesimo a cavolo.
«Guzzle!» gridai, facendo sobbalzare elfo, Janet e straccio «Hai presente quella cosa luccicante che hai intascato? La rivoglio!» Guzzle stava già correndo a tuffarsi nel secchio della saponata, ma lo afferrai per la collottola in tempo.
«Auguri, ragazzo! L'avrà già venduta.» commentò flemmatica Janet, voltando pagina.
«Bugia! Guzzle non prende soldi! Guzzle non è un elfo liberato!»
«Guzzle sarà un elfo morto, se non mi dici dove hai messo la sfera! E neanche perché ti ucciderò io, ma perché ci penserà un altro che sai.»
«Guzzle è più furbo di Silas!»
«Su questo mi sa che hai ragione, ma...»
«Guzzle non ruba, Guzzle vuole dare la sfera al padrone, ma dentro la sfera c'è qualcuno che parla, così Guzzle mette la sfera nella borsa di un mago!»
Rimasi esterrefatto «Che mago?!»
«Guzzle non lo sa! Primo mago che passa vicino Guzzle!»
Lo lasciai andare. Mi serviva una mano libera da schiaffarmi sulla fronte.
Janet arricciò il naso, facendo sobbalzare i suoi occhialini da lettura scarlatti «Guardate sul Profeta gli annunci per gli oggetti smarriti e ritrovati.» suggerì, con l'aria di chi concede a due idioti una soluzione ovvia.
Io e Guzzle ci guardammo. 
«Kingsman.» disse rauco l'elfo.
Potevo svitarmi la mandibola e conservarla in formaldeide, da tante volte era caduta nel giro di due giorni.
«Cosa?! Il mago a cui hai dato la sfera?»
«Scritta sulla borsa. Guzzle sa leggere benissimo. E guarda anche figure. Era verde e giallo...»
«Sarà stata la firma Kingsman's! La borsa era di un mago che aveva appena fatto spese lì.» intervenne, sempre imperturbabile, Janet. Girò verso di noi il Settimanale aperto: una strega col fisico da Scopalinda si spalmava languida su tutta una doppia pagina, vestita di un abito viola da cerimonia. Farfalle di stoffa le palpitavano sul corpetto, mettendocela tutta per sembrare vere. In un angolo c'era lo stemma verde e oro che riconobbi «Se lo trovate dategli il mio indirizzo, ragazzi. Alla mia età vale la pena di sistemarsi con un bel mago che mi regali abiti di classe.»
Per come la vedevo io, era più probabile che la vecchia Janet sposasse il Ministro della Magia e Gilderoy Allock messi insieme piuttosto che io riuscissi a riavere quella sfera.
L'unica possibilità che mi veniva in mente era fare una visita alla bottega Kingsman's Maghi di Classe, ciò che Alec temeva di più al mondo.












Angolo dell'autrice: in questo capitolo non compare Alec ma in compenso, per la gioia delle fans, compare Guzzle! Vincitore del premio per l'elfo più affascinante indetto dal Settimanale delle Streghe, sospetto lo abbiano votato Ashley More e Freya Crystal. Sappiate che Kreacher c'è rimasto male. Nel prossimo capitolo comparirà invece la bottega degli orrori...sarà davvero così spaventosa? E la sfera, dove sarà finita? Continuate a seguire e tenete presente che ogni recensione sarà un galeone devoluto all'Anonima Elfi Alcolisti!

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Capitolo 15
*** Adios ***



L'indirizzo era scritto nelle utilissime (chi l'avrebbe detto) pagine del Settimanale delle Streghe, comunque, vaffanculo, raggiungerlo fu una pena. Intendiamoci, anche se Guzzle per miracolo fosse venuto con me, non avrei mai tentato una Materializzazione Congiunta, col rischio probabilissimo di diventare carne alla tartara.

E a proposito, Burrobirra a parte non avevo ancora mandato giù nulla dopo la colazione misera e lo scazzo della mattina. Morivo di fame, così pranzai con un buono stropicciato che avevo nello zaino: un panino e una coca.
Tra i Babbani non avevo fatto il minimo scalpore (la ragazza alla cassa mi aveva persino regalato la sorpresina del menu bambini dopo aver riso a una mia battuta sui cetrioli sott'aceto), ma appena varcata la soglia del Mondo Magico cominciarono tutti a gettarmi occhiate storte. Persino un Crup tese il guinzaglio del padrone per cercare di annusarmi, sospettoso.
In effetti era una zona da riccastri, come si evinceva dal livello di eleganza e puzza sotto il naso dei passanti, nonché dai prezzi dei negozi, che avrebbero fatto sbiancare un goblin. Io non avevo messo la divisa Pinkerton, ma in compenso avevo su jeans e maglietta e masticavo ancora la cannuccia della coca (un bicchiere esagerato, ma sul buono era così). Certo non ero il massimo della classe di fronte alla bottega Kingsman's Maghi di Classe, ma del resto non ero nemmeno un mago.
Dalla facciata il posto sembrava proprio identico al Molliccio di Alec, giusto gli abiti sui manichini erano diversi. Le farfalle di stoffa a quanto pare andavano forte: la vetrina era tutta un palpitare d'ali, persino su un modello da uomo c'erano delle specie di falene. Fiori e foglie disposti studiatamente facevano da cornice.
Mi specchiai sul vetro perfettamente pulito (chissà quanti gufi ci si suicidavano contro) e cercai di appiattirmi i capelli. Inutile, perché appena entrai mi fissarono tutti lo stesso come se avessi il vaiolo di drago.
Una strega con un fisico molto diverso da quella della pubblicità stava provando uno degli abiti con le farfalle davanti a un'immensa specchiera scintillante, assistita da una commessa vestita di verde. Un'altra commessa riempiva calici di vino elfico ad altre due streghe con l'aspetto di acciughe sbracate su un divanetto di fronte alla pedana di prova.
Un'altra commessa ancora lottava con un retino pieno di farfalle di stoffa che cercava di trasferire in un grosso barattolo, un commesso invece faceva provare a un mago una veste con una fantasia cangiante, nel senso che proprio i disegni non stavano fermi.
Sì, si voltarono tutti, compresa la strega strizzata nell'abito con le farfalle.
A me venne un po' la pelle d'oca, non per la situazione, ma perché sotto il profumo dei fiori mi sembrò di sentire una traccia del profumo di Alec. Ma era solo un'impressione, ovvio.
Una commessa mi si avvicinò con un furioso ticchettìo di tacchi:
«Non possono entrare gli ambulanti, qui» mi informò a denti stretti «c'è un'ordinanza del Ministero della Magia che ci dà ragione, quindi è meglio che te ne vai.»
«Wow, ci diamo anche del tu?» protestai, alzando un sopracciglio in modo -credo- abbastanza snob «Pensavo fosse un posto di classe, questo. Sennò che lo scrivete a fare sull'insegna?»
La commessa sembrò sul punto di esplodere, ma una voce femminile più matura e posata la richiamò «Alanna, cosa vuole quel ragazzo?» era una donna con indosso una versione elaborata della divisa verde della sartoria che le cadeva perfettamente sul corpo da schianto. Era pallida, coi capelli neri e aveva le braccia incrociate con distratta disinvolt...feci due più due.
«Me ne occupo io.» rispose gelida Alanna, che dietro gli occhiali rettangolari e la crocchia da zia aveva gli stessi occhi azzurri e capelli neri di un certo mago, sembrava molto giovane e sì, carina. A ben guardarla somigliava alla strega Scopalinda della pubblicità, probabile che fosse sempre lei in versione modella.
«Conosco Alec» mi affrettai a dire prima che le venisse in mente di affatturarmi «Non vendo niente. Volevo solo un'informazione.»
Alanna (Alec e Alanna? Il cattivo gusto a mille, e dire che erano snob) spalancò gli occhi e un attimo dopo sembrò pronta a scagliarmi davvero un'Orcovolante...invece mi ordinò di seguirla. Mi portò lontano dai clienti, nello spazio tra un espositore di cappelli da strega e una rella di mantelli già pronti che spostò con un colpo di bacchetta in modo che ci tagliasse fuori da eventuali occhiate esterne.
Gettai un'occhiata ai cappelli «Soiez misterieus?!» esclamai leggendo un'etichetta a caso sotto un modello con la veletta «Avete articoli in goblinese?»
«Soyez mystérieuse» ripeté Alanna correggendomi con ferocia francese la pronuncia «Esalta la conformazione del viso attraverso un gioco di ombre proiettate magicamente.» prese il cappello dallo scaffale e lo indossò. In effetti una penombra ovattata parve spandersi in corrispondenza del viso, lasciando un triangolo di luce soffusa dagli occhi al mento «Per te ci vorrebbe il buio pesto.» concluse, voltando il capo a destra e sinistra per lasciarmi ammirare l'effetto dalle varie angolazioni. Ci somigliava proprio, ad Alec.
«Chi le fa queste magie?»
Lei si tolse bruscamente il cappello e lo risistemò al suo posto «Io» rispose caricando la sillaba di altezzosità e disprezzo per l'indegno che le stava davanti «è la mia collezione. Di altre si occupa mio padre, è un mago brillante. Sei fortunato che oggi non ci sia, ti avrebbe scagliato contro un Orcovolante al solo nominare mio fratello.»
«Be', meno male che ci sei tu, allora.» ne ero così poco convinto che mi uscì un po' sarcastica.
«Wow, ci diamo anche del tu?» replicò velenosissima lei, rifacendomi il verso «Se riguarda mio fratello potrei aiutarti...»
«Riguarda moltissimo tuo fratello.»
«...a patto che si tratti di studiare un modo per ucciderlo o fargli molto male.»
«Non c'entra niente con tuo fratello. L'ho detto solo per attirare la tua attenzione e non farmi buttare fuori. In realtà sto cercando una cosa...»
«Immagino sia un cervello.»
«Nah, quello non credo tu ce l'abbia» schizzò bile dagli occhi «credo invece che potresti avere una sfera di cristallo, grossa come un pugno. Forse uno dei vostri clienti ve l'ha portata, restituita, eccetera?»
«Ci occupiamo di sartoria, non di Divinazione. Vai a cercare i ricettatori di calderoni per queste cose, a occhio e croce sarai anche più nel tuo ambiente.»
«Non è una sfera da Divinazione, è una specie di Specchio...potrebbe comparirci qualcuno di molto arrabbiato. Magari l'avete usata come fermacarte, o come uovo da rammendo.»
«Non siamo Telami e Tarlatane o Madama McClan e non ci servono cianfrusaglie! Non ti trovo divertente, ragazzo!» io trovavo divertente che chiamasse ragazzo uno che non pareva più giovane di lei «Se sei un truffatore, un maniaco o disadattato mentale, in ogni caso sei nel posto sbagliato e mi fai perdere tempo. Vattene.»
Malgrado avesse un'inconfondibile aria di famiglia, non aveva la distratta disinvoltura della madre, almeno non fuori dalle foto. Era più come se avesse davvero una Scopalinda nel culo, cosa che, siccome ne avevo piene le staffe, le feci notare.
Mi aspettavo che estraesse la bacchetta, invece scoppiò in una risata maligna:
«Mi sa che sei tu a cavalcare le scope in verticale, almeno quando tu e mio fratello giocate a Quidditch senza palle! È bello vedere che è caduto così in basso da doversi accontentare di uno come te. Ma tranquillo: ti pentirai anche tu di esserti preso lui!»
«Già fatto, grazie» conclusi, voltandomi per andarmene (nello spostamento urtai con lo zaino l'espositore dei cappelli e diedi un calcio per allontanare la rella, tutto casuale, ovvio) «ma non ne faccio una malattia, degli stronzi è meglio liberarsi subito, come immagino abbia fatto lui andandosene da qui.»
«Ha detto che preferiva crepare che tornare qui» mi informò lei con una strana soddisfazione «spero proprio che lo faccia, sarebbe un peccato se crepasse lontano dove non posso godermelo.»
«Perché ce l'hai tanto con lui?» non mi trattenni dal chiedere, voltandomi di nuovo.
«Tieni la tua sacca lercia lontana dagli scaffali! Vari motivi, tra cui la trovata di rubarmi il ragazzo facendomi fare la figura della stupida con tutta la mia Casa!»
Era chiaro che la figuraccia le premeva molto di più del ragazzo, e avrei scommesso mille galeoni (che non avevo) sul fatto che la Casa in questione era Serpeverde.
Mi tolsi lo zaino dalle spalle e lo tenni per una bretella facendogli fare un mezzo giro contro gli scaffali, poi di fronte agli strilli di indignazione di Alanna presi la rella e le diedi una bella spinta in modo che si interponesse tra me e lei, schiantandosi tra l'altro proprio in pieno espositore. Appena in tempo, perché la rella venne colpita al posto mio da una fattura che cambiò colore a tutti i mantelli e li fece sfrigolare. Presi la fuga, parzialmente coperto dal fumo (chissà che cacchio mi sarebbe successo se mi avesse colpito), gridando «Adios, bastardi! È francese.» tra le esclamazioni di sgomento degli astanti.
Fu un grande momento, proprio il genere di cazzata che in genere mi tirava sempre su di morale. Infatti ebbi il morale di nuovo alle stelle per circa due-tre isolati, poi mi fermai e mi accorsi che si era aperto lo zaino, probabilmente mentre lo usavo come arma impropria.
Avevo perso la sorpresina del fast food, e mi chiesi col cuore in gola se non avessi perso pure l'Avversaspecchio. Sì, me lo portavo dietro.
Smisi di frugare, mi sedetti su una panchina ai margini di uno spiazzo deserto e svuotai direttamente lo zaino.
Trovai l'Avversaspecchio intatto in una piega della mia tuta da lavoro, ma non feci in tempo a provare sollievo che sentii una voce concitata provenire da sotto un'altra piega della tuta.




















Angolo dell'autrice: un altro capitolo senza Alec, ma con molto Kingsman. Che ne pensate di Alanna? Stupitemi commentando che vi è simpatica. Che fine avrà fatto la sfera? Si scoprirà il senso dei cetrioli sottaceto nei panini? Spero non vi siate ancora stancati di questa storia, perché questo non è un adios ma un arrivederci al prossimo capitolo!

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Capitolo 16
*** Cristallino ***



Guzzle che sentendo gridare la sfera la smollava subito nella prima borsa che gli capitava.

Ecco cosa mi venne in mente. A voi no?

Diedi uno strattone alla tuta come se stessi dando un colpo di scopa a un ragno gigante (similitudine presa dalla realtà, facendo le pulizie avevo incontrato non dico acromantule ma quasi).
«Ah, finalmente vedo qualcosa!» commentò soddisfatto e lievemente esasperato Alec.
Lo Specchio Gemello funzionava alla grande: la sua faccia nella cornice rotonda era chiara come lo sarebbe stato il mio riflesso.
Mi sentii molto stupido. Avevo rimosso la presenza nello zaino di quell'affare, un po' perché mi vergognavo a essermelo portato. In teoria non mi aspettavo più di vedere la brutta faccia di Alec, né tantomeno avevo intenzione di chiamarlo. Lui invece, a quanto pare, l'aveva fatto.
Mi accoccolai sulla panchina, chinandomi verso la superficie dello Specchio in modo che -mi pareva- il riflesso della mia faccia ci cadesse dentro.
«Ciao, Alec.»
«Ciao, Silas» rispose lui, sereno, guardandomi di rimando dall'altra parte dello Specchio. A giudicare dall'inquadratura non se lo stava sorreggendo vicino al viso con la mano, forse l'aveva appoggiato a una pila di libri o attaccato con un incantesimo a qualcosa, o da vero esibizionista lo faceva levitare a mezz'aria. Vedevo il suo mezzobusto dietro una scrivania che non pareva quella di casa sua, con sopra diverse pergamene e una piuma che si agitava intenta a scarabocchiare da sola. Alle sue spalle si intravedeva una sorta di bacheca coperta di foglietti e il poster di una squadra di Quidditch.
«Ti è piaciuto l'ombrello?» mi chiese, continuando a sorridere candido ma lanciandomi un'occhiata maliziosa da sotto in su. Gli avrei smontato la faccia pezzo per pezzo, ma lo preferivo così rispetto a che facesse finta di niente.
«Pensiero carino» risposi «spero di ricambiarti il favore appena ti incontro.»
«Che sollievo, temevo non volessi più incontrarmi!» esclamò, disintrecciando le mani posate sulla scrivania e afferrando una copia della Gazzetta del Profeta. Me la mostrò «Hai letto il Profeta di oggi?»
«No, ho letto Il Settimanale delle Streghe.» era vero. Me l'ero fatto prestare da Janet con la scusa dell'indirizzo di Kingsman's e tra un autobus e l'altro me l'ero letto da cima a fondo.
Alec piegò un angolo della bocca in un mezzo sorriso scettico, come se sospettasse che lo prendessi in giro.
«Be', per una volta sul Profeta ci sono cose più interessanti» svoltò il giornale per mostrarmi una pagina, quella delle inserzioni «per esempio questo annuncio su "Oggetti smarriti e ritrovati"...»
«Non ci credo.» mormorai attonito.
«...che recita "sfera del diametro di sei centimetri, in vetro, ritrovata a Diagon Alley, sul selciato di fronte alla Gelateria di Florian Fortebraccio. Lievemente scheggiata, non vi è stato praticato l'Incantesimo Riparatore per favorire eventualmente il riconoscimento. Non ha manifestato nessun potere magico. Il proprietario può reclamarla presso il seguente indirizzo...si prega di mandare un gufo, eccetera..."» borbottò le ultime parole, più che leggerle, e ributtò il giornale sul tavolo «dalla descrizione ho pensato che ricordasse la tua sfera, ma posso sbagliarmi. La tua sfera è in un posto sicuro, no?» concluse in tono falsamente conciliante. Incassai.
«D'accordo, anch'io penso che sia la mia sfera.» raccontai in poche penose parole la faccenda di Guzzle e di come avesse abbandonato la sfera in una borsa da shopping. Quando nominai Kingsman's Maghi di Classe Alec corrugò la fronte. Alle sue spalle vidi delle sagome colorate passare.
«Ehi, ma c'è gente intorno a te?»
«Per forza, sono in redazione. Tranquillo, ho i soliti Incantesimi Imperturbabili sui separé.»
«Tieni davvero per le Holyhead Harpies?»
«Non seguo il Quidditch» rispose immensamente annoiato «non sono io che attacco scempiaggini sulla bacheca.»
«Come non lo segui?!»
«Ma per piacere, è da plebei. È tutta una scusa per vendere scope, come se fossimo ai tempi di Barnaba il Babbeo e avessimo ancora bisogno di usarle...hanno inventato la Metropolvere...» agitò mollemente una mano, sospirando «...lascia perdere. Non mi va di farmi insultare di nuovo da te.»
«Non volevo farlo» ribattei a bassa voce, anche se dentro di me avevo malignamente (magari a ragione) pensato che non fosse proprio capace di volare, e per questo lo odiasse. E mi tornò in mente la battuta sul Quidditch della sorella di Alec, ma quello era un altro discorso «senti, credo di esserci andato troppo pesante, l'altra volta. Penso che tutto sommato tu sia a posto, anche se mi fai incazzare parecchio.»
«Be', grazie» ribatté Alec con un sorriso poco sincero.
«No, davvero. Senti, l'ho letto sul serio Il Settimanale e i tuoi articoli fanno un sacco ridere...in senso positivo, intendo. Si capisce che sei un tipo brillante. Fai bene a pensare di valere, anche se delle teste di cazzo come me cercano di tirarti giù.»
«Sei andato alla sartoria.» concluse Alec giocherellando con la piuma che aveva smesso di scrivere da sola.
'Fanculo.
«Ecco, vedi? Sei brillante e anche perspicace.»
«Diciamo che sei tu ad avere la capacità di dissimulazione di un troll zoppo. Sì, non ho un buon rapporto con i miei, ma un uomo della mia età credo se ne possa ampiamente fregare. Non c'è bisogno che mi commiseri.»
«Non lo stavo facendo» protestai, ricominciando ad arrabbiarmi «anzi, le tue disgrazie mi sono proprio uscite di mente quando tua sorella ha tentato di darmi fuoco.»
«Quella stronza» commentò soavemente Alec senza sorprendersi «sinceramente, non mi importa se prende fuoco la sartoria, ma se prende fuoco lei porto le salamandre da buttarci dentro.»
«Le hai davvero rubato il ragazzo?»
«"Rubare" presuppone che mi importasse di cosa fosse suo e cosa no. Lei crede che l'abbia fatto solo per farle dispetto -perché è un'egocentrica troia- ma realtà è capitato e basta» sbuffò e alzò brevemente gli occhi al cielo «Te l'è persino venuto a raccontare! La dice lunga su quanto eccitante sia stata la sua vita dai tempi dei fidanzatini a Hogwarts.»
Non commentai, così quando calò il silenzio Alec ebbe tempo per studiare la mia faccia (che in realtà non esprimeva niente di particolare). Sorrise.
«Sei geloso?» mi punzecchiò.
«Non proiettarmi addosso quello che ti piacerebbe.»
«Hai ragione. Mi piacerebbe» ribatté a sorpresa lui, abbassando gli occhi, sempre col sorriso sulle labbra «Ti devo delle scuse.»
Adesso sì che valeva la pena di osservare la mia faccia.
«Sì, sono abbastanza brillante da capire di essermi comportato male, con te. Ci ho pensato parecchio, in effetti. Si può dire che è tutto il giorno che ti penso!»
«Non c'è bisogno che mi fai la serenata, adesso» sbuffai, magnanimo «disinnesca l'ombrello e stacca quel cartello ridicolo dalla mia porta, piuttosto, così siamo pari.»
«Non posso.» Alec allargò il sorriso, divertito.
«Perché ci hai fatto incantesimi permanenti, bastardo?»
«Perché non servono a darti addosso, idiota. Sono sistemi di difesa. Magari ho tralasciato il riconoscimento del padrone di casa per l'ombrello, ok, ero arrabbiato. Ma per il resto ti dovrebbero proteggere.»
Rimasi in silenzio.
«Guarda il lato positivo» aggiunse Alec, allegro «se il tuo nemico usasse la Pozione Polisucco per camuffarsi da te, l'ombrello non si lascerebbe ingannare!»
«Davvero nessuno ci sta ascoltando, lì da te? Sono davvero imperturbabili, i tuoi Incantesimi Imperturbabili?»
«Certo, sono i miei.»
«Anch'io ti ho pensato,» sbottai «penso che non vedo l'ora che finisca questa storia, così potremo farci una scopata come si deve.»
Alec sorrise con dolcezza: «Cristallino.»
«Già, e a proposito di cristallo, quella sfera...»












Angolo dell'autrice: Bonjour finesse! Mi spiace per Silas e Alec, ma questa storia non è ancora finita. Continuate dunque a seguire e...46 recensioni? 46?! Due meno dell'anno scorso! (questa cit. la dovevo fare dieci recensioni fa, ma pazienza. Che Dudley mi perdoni!)
Visto che vi voglio molto bene, ho una sorpresa: scommetto che morivate dalla voglia di uno special di Halloween (fate sì con la testa), quindi la zia Elsinor lo ha scritto. Si intitola
Riddikulus trick ed è un'avventura scema di Silas & Guzzle, lunga cinque capitoli in tutto, ambientata prima degli eventi di questa storia. Posterò un capitolo al giorno fino ad Halloween e...potete iniziare a leggerla fin da subito!

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Capitolo 17
*** La mossa della sentinella ***



Controllai l'Avversaspecchio appena sceso dall'autobus che mi aveva riportato a casa. Pulito.
Nessun segno della catastrofe imminente.

L'altro Specchio, quello con cui avevo discusso con Alec della faccenda sfera, l'avevo riposto riluttante da un pezzo.
«Manderò subito un gufo all'indirizzo dell'annuncio, però conta che un annuncio pubblicato sul Profeta non è esattamente discreto: potrebbe averlo letto anche il vero proprietario.» aveva detto Alec, facendo (ma perché?) un sorrisino al pensiero.
«In tal caso rimarremo a bocca asciutta.»
«O ci ritroveremo a ingaggiare battaglia! Porta una bottiglia e un elfo domestico.»
Il solito coglione, insomma. Poi aveva letto l'ora su un orologio d'argento a saponetta e dichiarato di dover tornare al lavoro. Ratbert aveva definitivamente chiuso la comunicazione sbucando dal nulla e avventandosi contro lo Specchio, quindi l'ultima immagine che avevo di Alec era una pancia pelosa di ratto.
Stare con Alec mi aveva chiaramente intossicato peggio del veleno di Doxy, dover aspettare una notte intera e poi chissà quanto per reincontrarlo di persona mi sembrava una rottura insopportabile. Non è che mi aveva avvelenato sul serio? Magari con la bottiglia di Whisky Incendiario che aveva portato quella sera. Ma se l'era scolata soprattutto lui...

...così riflettevo aprendo il portone di casa, tanto assorto che mi ci volle qualche secondo per registrare il frastuono proveniente dai piani superiori.
Imboccai le scale, affrettando il passo, e incrociai la signora del piano di sotto che rientrava nel suo appartamento, serafica in volto.
«Buonasera» mi salutò, un po' distratta, come se avesse altri pensieri. Mi sorprendeva che quei pensieri non includessero il casino che si stava evidentemente consumando un piano sopra la sua testa: imprecazioni e grida di dolore di due voci d'uomo diverse, lo strillo assurdamente acuto e prolungato di una donna e una serie di tonfi pesanti. A quel punto avevo pochi dubbi sul fatto che i miei sistemi di sicurezza fossero entrati in funzione «sono salite due persone vestite in modo buffo. Credo appartengano a una qualche setta religiosa, non gli apra.» concluse la signora, placida, e rientrò in casa.
Mi schiacciai contro la porta, il cuore che batteva peggio dell'ombrello-guardia, e frugai nello zaino, in cerca dei miei specchi. L'Avversaspecchio, il primo che mi capitò tra le mani, era nebuloso come prima. Al diavolo! Possibile che Alec ci avesse davvero spalmato del burro sopra? Stavo per cercare lo Specchio Gemello per chiederglielo di persona, quando tra gli schiamazzi al piano superiore (ora stavano entrambi gridando incantesimi) distinsi una voce familiare.
Feci l'ultima rampa di scale di corsa.
«Chip!» gridai, stupefatto.
«Ferma questo coso!» gridò lui di rimando, cercando di sovrastare lo strillo della donna. Era la strega del cartello sui calderoni a gridare, le mani tra i capelli.
Un tizio molto più basso di Chip non tentava neanche più di alzare la bacchetta, curvo com'era sotto i colpi dell'ombrello. Quando feci un passo avanti, l'ombrello si fermò e rimase fermo per mezzo secondo prima di puntare verso di me.
«Butterscotch bonanza!» esclamai, tendendo il palmo della mano davanti a me. La strega sul cartello terminò lo strillo con un vocalizzo interrogativo, poi fu presa da un attacco di tosse. L'ombrello si reinfilò da solo nel portaombrelli e non si mosse più.
Chip batte le palpebre, fissandomi «Wow, Silas, hai dei poteri magici!» esclamò, gli occhioni verdastri dilatati dallo stupore. Era uguale a come lo ricordavo, ma ancora più alto e con le spalle più larghe. Non si era vestito da babbano, ma con un assurdo completo da mago giallo paglierino, in tono coi capelli. Eravamo tutti abbastanza scialbi in famiglia, ma Chip aveva preso dal ramo più attraente, benché sempre un po' smandrappato.
«Non l'ho fatto io l'ombrello, Chip» spiegai, con un sospiro «si ferma solo se dici quella stupida formula...e meno male che non avete provato a forzare la porta, mi toccava ricomprarne una nuova...tutto a posto.» l'ultima frase la rivolsi alla strega del cartello, che tossicchiava ancora e lanciava occhiate sospettose a Chip e compagnia.
«C'è anche un Incantesimo Respingi-Babbani niente male!» commentò felice Chip, rimettendo in tasca la bacchetta «C'era una vecchia che allungava il collo, ma ci ha solo buttato un'occhiata e se n'è andata. Immagino avremmo svegliato tutto il palazzo senza l'incantesimo. Magari ti saresti ritrovato la pulizia addosso, ci pensi?»
«Si chiama polizia.»
Chip mi si avvicinò e mi batté sulla spalla, con un sorriso comprensivo «Amico mio, se hai addobbato la porta in questo modo devi essere più nei guai di quanto pensassi.»
«Cosa te lo fa credere?» protestai con la voce che virava all'acuto (mai quanto la strega del cartello, comunque).
Per tutta risposta Chip indicò il tizio bassotto che si massaggiava la testa non molto fornita di capelli.
«Ti presento il signor Lloyd. È una specie di investigatore privato, vero?»
«Senza "una specie", signor Collins. Direi che lo sono.» replicò cordiale il tizio, voltandosi verso di noi.
«Lei è quello dell'ascensore!» sbottai, puntando l'indice «Il tizio col paniere!»
«Sono specializzato nel nascondermi in piena vista.» annuì lui con un sorriso, spianandosi le pieghe della veste. Dove l'aveva colpito l'ombrello gli stavano spuntando dei lividi, poveraccio.
Mi avventai su Chip. Lo afferrai per il bavero e lo sbattei contro la parete, con tutta l'intenzione di fare qualche livido in più anche a lui.
«Mi hai messo un investigatore alle calcagna, infame bastardo! I miei vecchi e i tuoi hanno fatto comunella per pagarlo? Potevi avvertirmi, anche se mi stai sul culo io non sarei stato zitto se l'avessero fatto a te!»
«Perché ti sto sul culo?» protestò Chip, un po' offeso, alzando un sopracciglio. Era decisamente più alto e meglio piazzato di me, ragion per cui più che tenerlo io attaccato al muro era lui che stava pigramente lasciandosi strapazzare «Tanto per cominciare non vedo perché dovrebbero metterti un investigatore alle calcagna, non hanno idea -per fortuna- dei casini in cui ti metti. Non ne avevo idea nemmeno io, finora! E poi, scusa, sei tu che hai cercato di infamarmi spacciandoti per me.»
«Lasci stare suo cugino, signor Hare» mi richiamò, sempre flemmatico, il signor Lloyd «non ha colpa, siamo io e lei che l'abbiamo involontariamente tirato dentro questa strana storia.»
«Mi dica chi è lei» ribattei tra i denti, mollando il bavero di Chip «la avverto, posso ancora fare molto peggio che suonarle le best hits delle Sorelle Stravagarie sulla crapa.»
«Come le ha detto suo cugino, sono un investigatore privato. Niente di particolarmente eccitante, perlopiù mi occupo di infedeltà coniugale, non immagina quali magie la gente è in grado di fare per sbrogliarsela in questi casi...comunque può stare tranquillo, non mi hanno assunto per seguire lei, ma il suo nuovo amico Alec Kingsman.»
Se mi avessero trasformato le vene in cannucce e risucchiato tutto il sangue non mi sarei sentito più agghiacciato di così.
«Alec ha una moglie?!»
«Ma non hai capito niente!» esclamò stupito Chip.
Il signor Lloyd sorrise «Non ha moglie né niente del genere, ma qualcuno è preoccupato delle sue scelte di vita, e ha richiesto da tempo i miei servigi per vigilare su di lui. Le ho detto anche troppo, non risponderò ad altre domande sull'identità del mio cliente.»
«Sì, tanto ho capito che è sua madre» sbottai. Ero incavolato per la pessima figura.
Il signor Lloyd sorrise ancora «Posso vantarmi di saper usare vari incantesimi di occultamento e dissimulazione. Non so se ha notato, quando ci siamo incontrati al Ministero, che dal cesto che avevo con me proveniva un odore particolare: serviva a confondere l'ottimo olfatto della bestiola del signor Kingsman, addestrata a riconoscere la magia. Era il signor Kingsman che spiavo, quando capitò che il signor Kingsman spiasse lei: fu allora che la vidi spacciarsi per suo cugino utilizzando una bacchetta palesemente non sua. La cosa mi allarmò dal punto di vista morale, e siccome sulle questioni morali il signor Kingsman è invece piuttosto rilassato, pensai fosse necessario agire in prima persona. Le sostituii quindi la bacchetta approfittando della sua distrazione (potevo sottrargliela e basta, ma temevo se ne sarebbe accorto subito e avrebbe causato scompiglio in pubblico) e mi ingegnai di rintracciare il signor Chester Collins. In tutta sincerità, temevo che lei fosse un criminale e volevo raccogliere informazioni per valutare se fosse pericoloso per il signor Kingsman.»
«Il signor Kingsman non è proprio un cucciolo di unicorno.» borbottai, polemico. Lloyd alzò le spalle.
«Neanche lei, se è per questo. Io faccio il mio lavoro. Dicevo, non ho avuto problemi a rintracciare il signor Collins, che però si è rivelato estraneo ai suoi maneggi e interessato a scoprirli. Io per la verità ho cercato di essere discreto, ma il signor Collins, ho scoperto con mio rammarico, fa ottimo uso di Legilimanzia.»
Non sapevo cosa fosse la Legilimanzia, ma Chip fece la faccia soddisfatta e io non volevo dargli ulteriore soddisfazione chiedendo.
«Quindi siamo qui insieme per supplicarla, qualsiasi scellerato piano abbia in mente, di lasciar perdere e restituire la bacchetta al suo legittimo possessore prima di subito. Lei è un Magonò, signor Hare. Anche con la bacchetta di un altro non sarà mai un mago.»
Calò il silenzio. Volevo scoppiare in una grande e ironica risata, ma avevo così poca voglia di ridere che non mi veniva neanche per finta.
«Entriamo e prendiamo un tè?» suggerì Chip, accennando col capo alla porta di casa mia.













Angolo dell'autrice: ecco a voi il cugino Chip! Ve l'aspettavate? E che dire del tizio dell'ascensore, il signor Lloyd? Vi sembra che questa storia sia incasinata? È vero! Recensite per dirmelo, e per scoprire quanto ancora può incasinarsi, non perdetevi assolutamente il prossimo capitolo!

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Capitolo 18
*** Un pessimo tè ***



Ed eccomi seduto sul letto, perché tre sedie non le avevo, a prendere insieme al mio cugino scemo e a un ficcanaso zelante il tè più deprimente della mia vita.
Ma com'ero finito in quell'assurdo, insensatissimo e immenso casino?

Aveva ragione Lloyd, ero solo un Magonò, non un fottuto Auror. Chi mi credevo di essere, a pensare di andare a caccia di maghi oscuri?
Dall'esterno non apparivo nient'altro che una versione squilibrata del vecchio Mundungus Fletcher (un bastardo come pochi, mai scommettere con lui sul Quidditch). Cominciavo davvero a sospettare di essere pazzo: dopotutto il Mangiamorte l'avevo visto solo io e un elfo domestico alcolizzato.
Pensare che lì dov'ero seduto solo la notte prima avevo passato qualche ora senza pensare a niente...né ai Mangiamorte, né all'essere un Magonò senza un soldo e senza un posto nel mondo. Solo ad Alec e al suo odore, ai suoi occhi e alla sua pelle, ai capelli che gli stavano meglio incasinati e al modo in cui mi guardava e toccava e baciava come se fossi, in quel momento, una cosa davvero preziosa.
Pur di tornare indietro, non avrei cambiato niente, neanche l'andare in bianco per il troppo whisky.

«Non hai neanche un biscotto?» chiese Chip, infelice, girando il cucchiaino nella tazza di tè. L'aveva preparato lui, ignorando le manopole della cucina a gas e facendo tutto a colpi di bacchetta.
«No, ma ho delle blatte. Vedi se riesci a catturarne una e sgranocchia chiudendo gli occhi.»
«Eheh, è uno scherzo che ho fatto, in passato» commentò Chip ridacchiando stupidamente «le ho trasfigurate in biscottini e...ah, tranquillo, non le ho date al tuo amico Kingsman. Lui si sarebbe accorto che si muovevano ancora un po', era in allerta dopo la faccenda del libro di Trasfigurazione orgasmico.»
«Non vogliamo abusare della sua ospitalità» intervenne Lloyd, seduto composto con la tazza in una mano e il piattino nell'altra «vogliamo solo aiutarla.»
«Ce l'ha lei la bacchetta?» chiesi brusco.
Chip alzò la mano «Io. Ci ho fatto un Prior Incantatio per avere qualche indizio sul tizio a cui l'hai fregata, ma ho trovato tutti incantesimi piuttosto ordinari.»
«Tipo?»
«Be', l'ultimo era un Silencio, poi Alohomora...»
«Ti sembrano ordinari?»
«Di Alohomora io ne faccio uno al giorno, di Silencio, be', ne subisco...»
«Ok, non stento a crederlo.»
«Vero che quest'ultimo non è un incantesimo facile, ma fa sempre parte del Fattucchiere Ordinario, insomma.»
Lloy si schiarì la voce.
«Chiedo scusa, ma non serve battibeccare: il signor Hare sa meglio di chiunque altro a chi ha preso la bacchetta.»
Feci una risata lugubre «Magari! Senta, signor Talpa, mi denunci e mi mandi ad Azkaban: almeno mi godrò un po' di pace e pasti gratis.»
«Non scherzi su Azkaban, ragazzo mio» replicò Lloyd, guardandomi gravemente dall'alto della seggiolina «dovrebbe sapere che laggiù i pasti sono a base di disperazione, e lei è così giovane, la disperazione non dovrebbe neanche sfiorarla.»
«E lei è un mago. Non può dirmi cosa cazzo dovrei provare.»
Chip si metteva sempre a ridacchiare quando qualcuno diceva "cazzo", e neanche lì fece eccezione. Smise sotto lo sguardo di pacato rimprovero di Lloyd.
«Io ho dei figli, signor Hare. Le parlo da padre. Se sono venuto qui al di fuori del mio lavoro e mi sono quasi rotto le ossa sotto il suo ombrello da guardia, non è perché mi compiaccio di punire un ragazzo, ma perché voglio convincerla a fare la cosa giusta.»
Chip intervenne, con voce insolitamente cortese «Silas?»
Alzai dal tè a lui un'occhiata astiosa «No, non ho neanche il latte.»
«Mh. Noti qualcosa di diverso nei miei occhi?» mi guardò, il sorrisino stupido fisso, gli occhi come sempre tondi e verde sporco.
«No. Se ci hai fatto un incantesimo, l'hai fatto male.»
Chip distolse lo sguardo da me e lo vidi abbassare la bacchetta che aveva dissimulato con la manica.
«Ehi! Tua madre te l'ha detto mille volte che non devi stregarmi!»
«È una storia veramente strana, signor Lloyd» spiegò Chip senza darmi retta «sembra che mio cugino abbia rubato la bacchetta a un tizio travestito da Mangiamorte al cimitero.»
«Credo che mi licenzierò: in confronto al seguire il signor Kingsman, il funzionario che utilizzava illegalmente una Giratempo per incontrare moglie e amante è una faccenda pulitissima.»
«Alec non c'entra niente» borbottai «ma tanto non mi serve l'aiuto di voi due. Lasciate la bacchetta e andatevene fuori dai piedi.»
«Silas...Silas!» Chip fece due tentativi di dare al mio nome un'intonazione bonaria e condiscendente «Siamo pur sempre della stessa famiglia. Sarà stato solo un tizio travestito, certo potrebbe avercela con te perché l'hai steso, eheh. Mi occuperò io di restituire la bacchetta.»
Sgranai gli occhi.
«Sono stato a Corvonero anch'io, no? Un modo lo trovo. Quel tizio sarà incazzatissimo a quest'ora, non sai cos'è per un mago stare senza bacchetta!»
«Già, figurati lo strazio di non poterla usare per far risorgere Voldemort!» sbraitai.
Chip sobbalzò così forte da versare il tè, il signor Lloyd fece cadere direttamente la tazza, mandandola a spaccarsi sul pavimento.
«Volevo dire: Voi-sapete-chi.» mi corressi a denti stretti. Pensai che tanto valeva che almeno qualcuno lo bevesse, il tè, così avvicinai la tazza alle labbra.
«FERMO!» gridò Chip, e mi ritrovai d'un tratto a bocca asciutta. Mio cugino aveva estratto la bacchetta veloce come un fulmine e mi aveva fatto evanescere il tè da sotto il naso. Avevo fatto in tempo a mandar giù solo un goccio.
Stavo per dire «Cosa...?» o imprecare, o entrambi, ma all'improvviso una grande arsura mi attanagliava la gola. Diventò un bruciore, poi un pizzicore, poi fu come avere ingoiato una Manticora.
Chip imprecò e si avventò su di me, tirandomi su dal letto di peso «Signor Lloyd, prenda una bottiglia dalla cucina e ci travasi un po' di quel tè che è caduto per terra. Quando ha finito, ci raggiunga velocemente al San Mungo. Io la precedo, così ottimizziamo i tempi.»
Abbassai lo sguardo sui frammenti di porcellana sparsi sul pavimento e vidi che dove era colato il liquido le piastrelle erano stinte, così come i decori sulla porcellana. Carino, peccato che stessi morendo.
«Ha intenzione di Smaterializzarsi portandosi dietro il ragazzo?» sentii chiedere Lloyd, allarmato.
«Certo, vede alternative? A dopo.»
Neanch'io ne vedevo, per la verità non vedevo niente, a parte il pavimento, perché il dolore era arrivato allo stomaco e mi aveva piegato a metà. Praticamente mi teneva in piedi la stretta sul braccio di mio cugino. Subito dopo mi sembrò che la sensazione di quella stretta mi si propagasse centuplicata da capo a piedi, strizzandomi come salsiccia in un budello.
Ero convinto che sarei crepato prima di percepire la fine di quell'orrore, ma la stretta venne meno e mi ritrovai a fissare un pavimento diverso, molto più pulito del mio. Chip c'era riuscito.
«'Sera» lo sentii dire con prontezza «possiamo passare? Mio cugino è stato avvelenato e sarebbe urgente.»
«C'è la fila...» borbottii tutto intorno.
Mi sembrò che la Manticora mi risalisse in una vampata dallo stomaco alla gola, così aprii la bocca e lasciai che si liberasse. A giudicare da sapore, colore e consistenza, quella che spruzzò fuori era una bella boccata di sangue (o mie viscere liquefatte).
Tacquero i borbottii e io e Chip fummo spediti di volata al terzo piano.
A quel punto non sentivo neanche più i piedi toccare terra, può darsi che mi avessero sollevato, in effetti. Sputai, cercando di liberare la bocca, e mormorai a Chip «Gli specchi...»
Ma Chip non mi filava di striscio, stava rispondendo ai Guaritori che facevano domande su quel che avevo bevuto e cos'era successo.
Avrei gradito svenire, ma successe solo dopo che mi ebbero allettato, ficcato in gola una pozione (scoprii di non riuscire più ingoiare, me la spinsero giù loro con qualche magia o, come ebbi l'impressione, stringendomi forte il collo con mani muscolose) e abbandonato a sprofondare in un mondo irto di dolore e sussurri maligni di ombre.














Angolo dell'autrice: purtroppo la storia finisce qui. Grazie a tutti quelli che COL CAVOLO, ma vi pare? La storia prosegue nel prossimo capitolo, più avvelenata che mai! Preparate i plaid, il tè...ehm, magari la cioccolata calda, perché da qui ci si incammina inarrestabili verso lo sprint finale. Continuate a seguire, posate i pomodori che stavate per lanciarmi, recensite e pregate per Silas!

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Capitolo 19
*** In un'altra vita ***



«Non dovresti essere al lavoro?»

La voce mi uscì così rauca che non pareva la mia, ma almeno uscì. La Manticora sembrava aver sloggiato e a parte la sensazione di avere solo un cucchiaio di sangue in tutto in corpo, mi sentivo fresco come una rosa, una meraviglia.
La stanza del San Mungo mi suscitò un gran déjà vu della stupida storia dell'intossicazione da Doxy, eccetto che quella volta non mi ero trovato nessuno al capezzale, men che meno Chip.
Mio cugino stava leggendo La Gazzetta del Profeta tutto accigliato e quando mi sentì parlare la abbassò, spalancandomi gli occhi addosso.
«No, veramente ho orari flessibili. Tutto a posto? La Guaritrice ha detto che l'antidoto ti rimetterà presto in piedi.»
«I goblin ti danno orari flessibili?»
«Ah, sei rimasto indietro. Adesso lavoro in proprio. Ti ricordi la mia impresa?»
«Dimmi che non stai parlando del Mago dell'Alcova.»
«Sto vendendo più Pozione Perduro di quanta ne riesca a distillare! E anche gli oggetti hanno successo. Più divertente dei goblin, no?»
Cercai di schiaffarmi la mano sulla fronte, ma il mio braccio era così molle che non produssi un gesto granché plateale.
«Silas,» esordì Chip tutto sorridente «lo so che ti sto sul culo (be', perché me l'hai detto), ma è stata una fortuna che fossi con te, ieri. E ora non posso certo mollare il mio cuginetto a cui hanno appena avvelenato il tè. La zia mi ucciderebbe.»
«L'avrà avvelenato Lloyd, non me la contava giusta.»
«Scemo, ha portato lui qui il campione per fare l'antidoto. Hanno detto i Guaritori che forse ti sei sbagliato con le erbe visto che non sei un mago, ma, voglio dire, non sarai un mago ma non sei così coglione!»
«Grazie, Chip.»
«E poi era tè in bustine. Secondo me invece lo ha avvelenato lui.» stese il braccio e puntò l'indice contro la porta dal lato opposto della stanza, porta da cui era appena entrato...indovinate.
Alec allargò lievemente le braccia e abbassò lo sguardo con modestia teatrale «Chiamatemi Sirius Black. Ma con capelli più belli.» ci venne incontro, piegando il capo per salutare con garbo la strega sul letto alla mia destra, che aveva la testa fasciata e si capiva che era una strega solo grazie alle tette. Nella stanza c'erano altri tre degenti oltre a me, uno tramortito e verdastro e l'altro un po' gonfio ma sveglio che leggeva la sua copia del Profeta, poi la strega che era la più reattiva, o forse lo era solo per via di Alec.
Notai che Alec portava di nuovo la valigetta di pelle, ma niente Ratbert. Probabilmente non lo facevano entrare al San Mungo.
Si evocò una sedia con un colpo di bacchetta e ci crollò sopra con distratta disinvoltura.
«Torno adesso da casa tua» mi disse, rivolgendosi a me come se avessimo interrotto una tranquilla conversazione pochi minuti prima «ho ricontrollato i sistemi di sicurezza ed è tutto in ordine. Impossibile che qualcuno sia entrato. Deve essere successo prima che li installassi, per forza.»
«No, avevo bevuto tè a colazione prima ed era a posto.» mi permisi di osservare.
«Oppure sei stato tu.» suggerì Chip quasi cortese, fissando Alec dal lato opposto del mio letto, le braccia incrociate.
«Ricominciamo? Lo sai che non ti mento.» rispose Alec, cortese anche lui.
«Veramente non lo so, ti chiudi a Knarl appena provo a sbirciare.»
«Non lo faccio apposta, ho solo una forza mentale spiccata.»
«Io comunque sto bene.» intervenni, distruggendo l'idillio.
Alec si voltò e mi contemplò per lunghi istanti la faccia. Non doveva essere un bello spettacolo, ma mantenne il sorriso cortese.
«Ma certo che stai bene» disse, incoraggiante «devi solo prendere un altro po' di Pozione Rimpolpasangue e aspettare che ti ricresca l'apparato gastroesofageo. Secondo i Guaritori ti rimetterai perfettamente.»
«L'ho già detto io.» protestò sommessamente Chip.
«Chip, mi vai a comprare da bere al negozio, quinto piano?» gli chiesi, guardando di sottecchi Alec.
Chip ci scoccò un'occhiata di disapprovazione e si alzò in piedi «D'accordo, ma ti avverto che sarà succo di zucca o roba del genere. Ha detto la Guaritrice che gli alcolici non li puoi bere. Ti prenderò anche una rivista zozza, contento?»
«No!» gli gridai dietro mentre usciva. Ma era un grido piuttosto rauco, e debole.
Alec, che non aveva smesso di guardarmi, allungò la mano e mi accarezzò i capelli.
«Avresti dovuto chiedere l'aiuto di tuo cugino prima. È un mago di talento e non è un idiota, anche se fa di tutto per sembrarlo. A differenza del sottoscritto, ti ha salvato la vita. Siamo stati presuntuosi, a pensare di poter sbrogliare questa storia da soli.»
«Tu sei presuntuoso» mormorai contrariato «e mio cugino non mi avrebbe mai dato retta se non mi avesse visto vomitare sangue a spruzzo.»
«Di certo questo episodio ha dato una nuova dimensione alle cose.» concluse Alec, conciliante. Aveva represso una smorfia quando avevo parlato del sangue a spruzzo. Me ne accorsi anche se mi si chiudevano gli occhi a farmi accarezzare la testa. Non perché mi venisse sonno, ma perché era proprio molto piacevole.
«Alec, lo sai che c'è uno pagato per spiarti?»
«Sì, mi ha avvisato lui che eri qui. Che seccatura, pensavo di essermene liberato con una fattura quattro anni fa, ma si è fatto rimettere a posto il naso. Devono pagarlo parecchio.»
«Non l'hai affatturato di nuovo, vero? Non è così male.»
«No no, mi ha detto che si licenzia. Gli ho fatto solo un piccolissimo regalo d'addio...»
Alzai gli occhi al cielo, o meglio, al soffitto.
«...che non è niente in confronto a cosa farò a chiunque ti abbia avvelenato.»
Osservai tristemente le pieghe delle lenzuola, la polvere che danzava nella luce tenue della finestra e la faccia di Alec dal sorriso misurato e gli occhi come pezzi di vetro in quella luce.
«Avrei dovuto incontrarti in un altro momento...in un altro posto...in un'altra vita.» considerai, rassegnato.
Alec smise di accarezzarmi i capelli.
«Vedo che hai recuperato il solito atteggiamento positivo. Come faccio a darti un bacio davanti a tutti?»
«Tipo fregandotene.»
Si guardò intorno, ma alla fine mi prese il viso con una mano incredibilmente delicata e si chinò a darmi quel fottuto bacio.
Ci guardammo negli occhi una frazione di secondo, poi lui tornò a sedersi con naturalezza e aprì le cinghie della valigetta.
«Ti ho portato qualcosina da casa» esordì, posando sulle lenzuola l'Avversaspecchio e lo Specchio Gemello «e un po' di regali da me.» un fascio di pergamene rilegate con quattro punti di filo e una bottiglia di Idromele barricato.
«Wow, grazie» dissi, prendendo subito la bottiglia «mi era presa paura con quella storia del non bere alcolici.»
«Non berla subito, idiota. Ora capisco come hanno fatto ad avvelenarti. Usala per l'occasione giusta, quando uscirai da qui. E solo un goccio. Leggiti Il Settimanale delle Streghe, intanto: è la bozza del prossimo numero, in anteprima assoluta.» sembrava piuttosto soddisfatto, così sfogliai educatamente le pergamene.
«Quello dell'annuncio sul Profeta mi ha risposto» proseguì Alec senza cambiare tono. Smisi di osservare la classifica del Premio per il Sorriso-più-Affascinante «ci incontriamo oggi. Naturalmente tu non puoi venire.»
«Naturalmente non ci puoi andare neanche tu. Potrebbero aver tolto di mezzo me per beccare te da solo.»
«Scusa se te lo dico, ma non credo faresti la differenza.» Bastardo.
«Vai con Chip, allora.»
Se Il Settimanale avesse indetto un Premio anche per il Sorriso-più-Forzato avrebbe sicuramente vinto Alec in quel momento.












Angolo dell'autrice: secondo me Alec può vincere anche il Sorriso-più-Affascinante! Felici di rivederlo? Che ne pensate, vi viene da sospettare ancora di lui? Siete team Chip o team Alec? O addirittura team Lloyd? Recensite e votate. In questo capitolo purtroppo non c'è Ratbert, ma in compenso Silas è vivo e vegeto. Per scoprire se lo rimarrà ancora per molto, continuate a seguire!

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Capitolo 20
*** Problemi in famiglia ***




«È già uscita la classifica? Oh, Merlino! Pensavo uscisse la settimana prossima.»
«Già, ma ho Il Settimanale delle Streghe in antemprima assoluta.» spiegai alla Guaritrice, dandomi un po' di importanza. Non che l'importanza mi salvasse dal dover ingurgitare tre pozioni una più schifosa dell'altra.
«Quando ha finito di leggerlo, lo presterebbe anche a me?» intervenne speranzosa la strega con la testa fasciata.
«Lo tenga pure.» dissi io, magnanimo come pochi «tanto quel che mi interessava l'ho letto.»
Avevo letto l'intervista di Alec a quell'Auror fresca di diploma che inciampava e faceva cadere cose. Mi aveva un po' rincuorato circa le mie capacità di Auror amatoriale.
Mentre la strega sfogliava felice la rivista, presi lo Specchio Gemello e rimirai la mia faccia. Era come una porta verniciata esposta al sole per troppo tempo, colore andato e bolle e asperità in piena luce. Ci voleva fegato per avere voglia di darmi un bacio, eppure Alec l'aveva fatto.
Borbottai il suo nome e immediatamente lo Specchio si oscurò. Una oscurità strana, con delle bande più chiare che si spostavano. Quando sentii le voci, capii che mi stavo godendo il panorama delle tasche di quell'idiota.
«E se Tu-sai-chi tornasse veramente? In quel caso ci potremmo fare poco...» stava dicendo mio cugino (parlava come al solito a voce alta, pregavo non fossero in un posto affollato).
«Se è morto non può tornare.» rispose Alec, con lo stesso tono definitivo che aveva usato con me quando ne avevamo discusso al pub.
«Be', ma non è morto, ovviamente. Nessuno sa che gli è successo!»
«Uguale a tuo cugino. Se sei così ansioso di prevedere il ritorno di Tu-sai-chi è perché all'epoca eri solo un bambino stupido. Io ho qualche anno più di te e me lo ricordo.»
«Non ero così piccolo...e comunque non ho detto che sono ansioso! Hai più motivi tu per esserlo, faresti lo scoop del secolo e dopotutto la tua famiglia è purosangue.»
«Nessuno è purosangue, a parte Crouch, Malfoy, Black...magari puoi vantare tu più generazioni di me. E per lo scoop sul ritorno di Tu-sai-chi in che mi pagherebbero, in dita di Babbano? Ma di che stiamo parlando. Se Tu-sai-chi fosse vivo, i Mangiamorte lo starebbero cercando.»
«Infatti stando a quel che ha visto Silas lo fanno. Ma scusa, parli con cognizione di causa perché i tuoi sono Mangiamorte?»
Inspirai sonoramente. Non sono un tipo coi peli sulla lingua, ma Chip in quel caso mi stava battendo alla grande. Mi aspettavo che Alec gli mollasse un pugno (o una fattura), invece rispose tranquillamente.
«No, sono sempre stati solo dei sarti. Ma li ho visti, i Mangiamorte. Credo che i miei li aiutassero, o almeno che gli lasciassero fare i loro comodi, visto che siamo ancora tutti vivi. Ho capito subito che Silas non raccontava storie, perché sono pochi ad aver visto il Marchio Nero sulla pelle di un uomo, di sicuro non i ragazzini delle pulizie.»
«È un Magonò, lo sai, vero. Ai Mangiamorte non piacciono. Vabbè, a nessuno piacciono, ma capitano, non ci si può fare niente.»
La torre di carte costruita dal mago del letto a fianco scelse quel momento per esplodere.
«Ehm, ti va una partita?» mi chiese, cogliendo la mia occhiata, la faccia gonfia tutta affumicata.
Di solito non dico di no allo Spara Schiocco, ma la Guaritrice entrò nella stanza.
«COSA FA!» abbaiò all'indirizzo del tizio gonfio «Vuole farsi trasferire al Reparto Incidenti da Manufatti? Silas,» cambiò completamente tono rivolgendosi a me, si vedeva che scoprire in anteprima qual era il Sorriso-più-affascinante del Mondo Magico l'aveva bendisposta nei miei confronti «hai proprio tanti amici! È venuta a farti visita anche questa signorina.»
«Resta pure seduto!» esclamò la sorella di Alec, entrando nella stanza, impettita, con un passo lieve ed elastico che sicuramente usava per far turbinare i vestiti farfallosi del papà. Solo che non indossava un vestito, né con farfalle né senza, ma degli abiti babbani chiaramente scelti a caso, tipo i miei per intenderci: scarpe da ginnastica logore, jeans forse da uomo, felpa quasi sicuramente da uomo, grigia con scritto "DTF", più un incomprensibile berretto da sci con tanto di corta visiera. Quel berretto le copriva anche le orecchie e nascondeva tutta la capigliatura. Rispetto alla prima volta che l'avevo vista erano rimasti uguali solo gli occhiali, infatti la riconobbi più che altro dalla voce acuta e imperiosa e dal portamento da scopa in culo.
«Ho pensato di farti una sorpresa» continuò in tono impostato, allungando il braccio con gesto ugualmente teatrale e lasciandomi cadere sul letto una pergamena sigillata (col sigillo rotto, però) «e portarti di persona un messaggio.»
«Wow» commentai, guardando ancora piuttosto interdetto la pergamena, poi lei «è la sorpresa più bella da quando ho trovato una gelatina tutti-i-gusti al gusto di cazzo.»
«Be', per te era una bella sorpresa!» ribatté prontamente lei, portandosi le mani dietro la schiena e guardando pure lei prima la pergamena poi me, come se si aspettasse che mi precipitassi a leggere.
«Da quand'è che sei diventata il mio gufo?»
«Non sai leggere, vero? Posso farti il riassunto a voce...»
«Sì, grazie. Non la tocco questa roba, chissà che fattura ci hai messo su. Sono cresciuto con un cugino mago, non sono scemo.»
«Sull'ultima ho dei dubbi! Vedi, l'ho letta prima di portartela» fece uno svolazzo con l'indice sopra la pergamena, accennando al sigillo rotto «quindi è sicura. No, non è da parte mia. È da parte di mia madre. Si dà il caso che il suo investigatore si sia appena licenziato per colpa tua, è tornato strisciando. Quasi letteralmente: mio fratello l'ha trasformato in una pogona.»
«Alec, coglione.» sospirai, spiattellandomi una mano sulla faccia.
«Una pogona adorabile, direi che ci ha guadagnato, non che voglia complimentare troppo mio fratello...comunque gli ha dato un incentivo per togliersi di mezzo, ma prima la pogona si è sentita in dovere di spiegare a mia madre che tu ad Alec gli hai stregato il cuor» la cantò proprio, sulle note del ritornello di Celestina Warbeck, con intonazione e tutto «quindi dovrebbe rassegnarsi e lasciarlo stare, eccetera.»
Mi dispiaceva davvero per Lloyd, dopotutto era una brava pogona...cioè, persona. A parte il fatto che non avevo stregato il cuor a nessuno, e comunque non erano fatti suoi.
«E alla fine di tutto ciò tua madre ha deciso di rompere le palle a me?» chiesi, allungando un dito verso la pergamena semiaperta per poi cambiare idea ed evitare di sfiorarla.
«Fingi di avere una bocca e non una fogna quando parli di mia madre» mi rimbeccò lei, gelida, alzando il mento tanto che temetti bucasse il soffitto «ha deciso di chiederti gentilmente di ripulire la vita di Alec dalla tua presenza, la tua influenza, e in generale i tuoi sporchi affari. Sei bravo a fare le pulizie, giusto?»
«No, mi hanno licenziato.»
«Be', se pensavi di fare il colpo grosso con Alec hai fatto male i conti. Da noi della famiglia non prende un soldo, e da solo ha lo stipendio di uno scribacchino di terza categoria. È questo che dice più o meno la lettera.»
«Dì pure a tua madre che non sono uno Snaso, che è stato Alec a cercarmi ed è Alec a starmi tra i piedi. Ho già i problemi coi miei parenti senza dovermi sorbire quelli degli altri, e ho problemi più gravi, come avrai intuito dal letto d'ospedale.»
«A me non importa niente dei tuoi problemi! Non dovrei nemmeno essere qui, ma origlio le conversazioni di mia madre e del signor Pogona da una vita. Ho intercettato il gufo e sono venuta perché questa storia mi è sembrata potenzialmente distruttiva per Alec e, come ti ho già spiegato, la sua distruzione è uno spettacolo a cui mi ritengo invitata.»
«Ah, ho capito, e ti sei vestita così per dar ancora più fastidio a tuo fratello.»
Alzò un sopracciglio, assumendo un'espressione effettivamente simile a una di quelle di Alec «No, per non farmi riconoscere dai miei fan ed essere realistica come tua conoscente.»
I suoi fan! E poi parlava male di Alec. Figurati se quelle quattro foto da manico di scopa addobbato l'avevano fatta diventare famosa.
Mossi il ginocchio e scalciai col piede per far cadere a terra la lettera senza toccarla direttamente «Be', tuo fratello se n'è andato da un bel pezzo, ripassa più tardi o ancora meglio mai. Curiosità, ma lo sai per cosa sta "D.T.F"?»
«Sta per Devi Tacere, Feccia!» ribatté lei, avvelenata. Si voltò in quello che sarebbe dovuto essere un turbinio di vesti e veleggiò altera fuori dalla stanza senza salutare.
La salutai io gridando «Occhio alle richieste di autografi lungo la strada!»
Il mago con la faccia gonfia e la strega con la testa fasciata seguirono entrambi con lo sguardo quell'uscita teatrale (il paziente verdastro no, era sempre in stato catatonico), io mi affrettai a riprendere mano allo Specchio. Solo che mi sbagliai e pescai l'Avversaspecchio, invece.
Di solito la superficie era coperta di nebbia indistinta, ma stavolta nella nebbia si agitava una forma allungata, a colori, umana. Cazzo.
Afferrai lo Specchio giusto solo per constatare che c'era ancora il nero dentro. In compenso si sentiva la voce di Chip, alta e giuliva come sempre:
«Sì, ero Battitore! Io invece di te non mi ricordo!»
Chiunque gli rispose non parlava altrettanto forte. Mi avvicinai lo Specchio all'orecchio, sforzandomi di sentire.














Angolo dell'autrice: il grande ritorno di Alanna! Vi era mancata? Sorprendetemi dicendo di sì. Per la cronaca, D.T.F non sta per Devi Tacere Feccia, potete appurarlo googlando. Finalmente l'Avversaspecchio ha dato segni di vita! Come potete intuire i nodi stanno per venire al pettine (persino nei curatissimi capelli di Alec) e le cose si faranno movimentate...continuate a seguire!

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Capitolo 21
*** Alla salute ***



«Forse perché me ne sono andato alla fine del mio quinto anno» rispose a Chip una voce tranquilla e affabile «la mia famiglia è tornata al paese d'origine e hanno pensato bene di trasferirmi a Durmstrang. Ma questo Alec già lo sa.»
«Non sapevo fossi di nuovo a Londra, però» anche la voce di Alec suonava affabile, ma un pochino tagliente «davvero un'incredibile sorpresa.»
«Già. Non so bene quanto mi fermerò, ma nel frattempo ho comprato questa casa. Non avrei retto l'andirivieni del Paiolo Magico, per non parlare dell'igiene. Se avessi saputo che era così facile ritrovarti, Alec...ma è davvero un'incredibile sorpresa.»
«"Incredibile" perché infatti non credo che sia una sorpresa, e siccome a quanto ricordo non sei stupido, non lo credi neanche tu.»
Percepii la tensione salire. Persino Chip era rimasto zitto. Scossi lo Specchio, ma ovviamente non successe nulla. Alec non aveva intenzione di tirarlo fuori dalla tasca.
«Credo, anzi so, che le coincidenze esistono. L'ho appena appurato, in effetti» rispose, sempre tranquilla, la voce misteriosa «anzi, più che di coincidenze mi azzarderei a parlare di Fato. Hai presente la sfera che cerchi? Forse scrutandoci dentro avresti potuto trovare traccia del nostro incontro. Ma a quanto ricordo non frequentavi Divinazione.»
«Una perdita di tempo» dal tono sembrava che Alec stesse sorridendo, ma era di sicuro un sorriso velenoso «posso riavere la mia sfera?»
«Certo» cigolìo di vecchio cassetto «Ma non vi fermate per un tè? Anche tu, ovviamente...Cole.»
«Quasi: Collins» corresse tutto amichevole Chip. Si schiarì la voce «scusa, ma col tè ho avuto una brutta avventura di recente.»
«Mh? Di che tipo?»
«Sì, guardami, ho ancora i segni...»
Ci fu una frazione di secondo di silenzio prima che scoppiasse tutto.

Si schiantarono legno e porcellana (o vetro?) insieme e tutte e tre le voci gridarono sovrapponendosi, prima di tutte quella dello sconosciuto.
Qualcosa (o qualcuno) cadde con una serie di tonfi e scricchiolii violenti.
«Cosa credevi di fare!» ringhiò lo sconosciuto, la voce quasi irriconoscibile dalla furia. Ci fu un'altra esplosione, più piccola «E cosa credi di fare tu

Un suono diverso mi perforò i timpani, coprendo qualsiasi cosa provenisse dallo Specchio. 
Alzai lo sguardo e vidi che era la strega con la testa fasciata a strillare, mentre dalla bozza del Settimanale delle Streghe colavano grosse gocce collose, lucide, dense e nere. Le parole sulla pergamena si scioglievano, spurgando inchiostro come ferite infette.
La strega lanciò via la rivista, che atterrò sul pavimento di fronte al mio letto. Il mago dalla faccia gonfia sobbalzò spargendo carte da gioco ovunque e la Guaritrice entrò di corsa nella stanza.
Io mi slanciai fuori dal letto e scivolai e inciampai sui piedi nudi, fino a cadere sulle ginocchia lì dove era caduto il Settimanale. Lo raccolsi, sporcandomi le mani di inchiostro.
«Si può sapere che cosa state combinando?!» sbraitò la Guaritrice, guardando prima la strega, poi il mago, poi me «Questo è un ospedale, non la succursale di Zonko!»
L'inchiostro sciolto sulla pergamena si muoveva ancora, raggrumandosi e dividendosi. Vermi liquidi tremolanti correvano, si contorcevano, si allungavano, si incontravano.
Infine formarono quattro parole: Bevi alla mia salute.
Anche se stavo inginocchiato sul pavimento, fu come se me lo togliessero da sotto. La Guaritrice riuscì ad alzarmi di peso e ritrascinarmi sul letto senza che opponessi la minima resistenza, anche se ormai la Pozione Rimpolpasangue mi aveva restituito un po' di energie.
Ripresi lucidità quando la Guaritrice mi strappò via la rivista e se ne andò borbottando.
«Ehi...aspetti!» farfugliai, completamente ignorato.
«Che scherzo orribile!» esclamò la strega con la testa fasciata.
«Che spavento!» fece eco il mago gonfio «Ci vorrebbe un po' di quel liquore che le hanno portato. Non è mica uno scherzo anche quello, eh?»
Presi la bottiglia di Idromele barricato che avevo incastrato sotto il materasso, stappai e incurante dell'esofago, dello stomaco e di tutto il resto, bevvi.
Era incantata anche la bottiglia! Così doveva essere, perché, nonostante ne avessi presa una bella sorsata, ad arrivarmi alla gola fu solo un goccio e poi basta.
Però l'Idromele era di un'efficacia spaventosa: bastò quel goccio a spazzare via il panico che mi obnubilava il cervello.
Dovevo solo agire e, miracolo, sapevo anche cosa fare.
Mi alzai dal letto, stavolta con calma, cercando e infilando le pantofole.
«Torno subito, ragazzi.» salutai i miei compagni di stanza, che mi guardarono (logicamente) come se fossi matto mentre uscivo. Tuttavia non chiamarono la Guaritrice, come avevo sperato/previsto, e lungo il corridoio non la incontrai. Scesi all'Accettazione senza che nessuno mi fermasse, in effetti.
Non avevo previsto di trovarci seduta la sorella di Alec, Alanna, con una pogona acciambellata sulle gambe secche elegantemente incrociate.
Non l'avevo prevista, ma mi parve che la sua presenza avesse perfettamente senso, anzi, che fosse segno di quel Fato di cui blaterava lo sconosciuto nello Specchio.
Quando lei mi vide ebbe un lampo negli occhi dietro le lenti rettangolari, ma cercò di mantenere un'aria di noncurante disprezzo.
«Sei venuto a chiedermi l'autografo?» chiese, accarezzando lieve il dorso squamoso verde-giallino della pogona, la quale dal canto suo si era voltata a guardarmi con molta più vivacità del lucertolone medio.
«No, a chiederti di venire con me. Credo che tuo fratello sia in pericolo di vita, e pensavo volessi assistere.»
Spalancò gli occhi e si raddrizzò sulla sedia.
Proseguii: «Ha appena incontrato un vecchio compagno di scuola che si è poi trasferito a Durmsbah. Un tizio alto, coi capelli chiari.» presi l'ultimo dettaglio dalla forma sbiadita nell'Avversaspecchio.
«Durmstrang» mi corresse Alanna, scandendo. Era chiaramente persa nei suoi avidi pensieri, glieli vedevo scorrere dietro le lenti mentre contraeva le sopracciglia e si mordeva il labbro inferiore. Era così colpita che le occorse qualche secondo per aggiungere «...idiota. E vorrebbe ucciderlo? Questa è bella...» le ultime parole le mormorò più che altro a se stessa, poi tornò a trafiggermi con lo sguardo «Sai dov'è?»
«Certo» lei di colpo sorrise, mostrando tutti i denti. Si può dire che si illuminò, ma non era il tipo da illuminarsi, facevano più per lei le ombre sinistre dei suoi cappelli «Dobbiamo sbrigarci, però!»
«Cerca tu di non rallentarmi!» esclamò lei alzandosi con la destrezza di un passo di danza, la pogona stretta al petto «Hai un aspetto orribile, spero di non dover portare in braccio anche te. E dove pensi di andare in pigiama?»
«Mh, vero. Mi puoi trasfigurare i vestiti quando usciamo? Tuo fratello lo sa fare.»
«Io lo so fare benissimo
Un Guaritore in divisa verde ci venne incontro, squadrandoci truce. Alanna intercettò il suo sguardo e si tolse con un solo gesto l'assurdo berretto da sci, liberando la chioma. Era nera, lucida e vaporosa. Anche i capelli di Alec si arricciavano verso le punte, ma meglio non pensarci.
Intanto il cipiglio del Guaritore si spianò, e anche i maghi in attesa intorno a noi, pur non smettendo di sanguinare, sputare fumo o avere le verruche, si ravvivarono.
Una donna con il cuoio capelluto ridotto a una buccia di patata, invece, ci guardò storto.
«Solo un saluto al mio ragazzo.» spiegò Alanna, con una voce così palesemente sdolcinata che bisognava essere deficienti per caderci. Sorrisero tutti.
«Queste cose fatele in stanza.» borbottò la strega. Un attimo dopo i pochi ciuffi di capelli che le erano rimasti in testa presero fuoco.
«Non rallentarmi.» mi ripeté Alanna, facendo balenare la bacchetta per poi afferrarmi rudemente per un braccio. Mentre tutti si affannavano intorno alla donna con la testa in fiamme, mi trascinò via.



















Angolo dell'autrice: Che è successo ad Alec e Chip? Qui ci vuole un Silas, un sorso di Whisky Incendiario, una pogona e una strega senza scrupoli. A questo punto potreste già aver intuito l'identità dell'uomo oltre lo specchio. Oppure potreste essere più confusi di prima e star maledicendo l'autrice. Niente panico! Commentate e seguite per leggere il prossimo spericolato capitolo!

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Capitolo 22
*** Con ogni mezzo ***



Ci trovammo in mezzo all'andirivieni di una strada babbana, io, Alanna e la pogona alias il signor Lloyd.
Io non avevo più il pigiama, o meglio, ce l'avevo ma trasformato in un completo molto simile a quello che indossava Alanna, solo senza cappello né scritte strane sulla felpa: evidentemente non ci si era sprecata con la fantasia. Alanna dal canto suo aveva abbandonato il berretto da sci e i capelli le fluttuavano attorno al viso mentre si voltava a destra e sinistra. Il signor Lloyd era sempre una pogona.
Grazie alla mia precedente visita al San Mungo ricordavo in che direzione era la vicina stazione della metropolitana, ma l'istinto mi suggeriva di andare altrove. Di solito il mio istinto combinava solo guai, ma ora mi pervadeva nei suoi confronti una fiducia inspiegabile...ma piacevole.
«Da questa parte.» dissi sicuro, lasciando che Alanna mi seguisse quasi correndo, appesantita da mezzo chilo di rettile.
«Hai una scopa da corsa nascosta nei dintorni?» mi ringhiò dietro, non capii se ironica o no.
Sbucammo sul marciapiede all'angolo di una strada, salutati dal clacson di un Babbano che probabilmente trovava adorabile il signor Lloyd.
Osservai l'auto allontanarsi e le persone fare avanti e indietro sul marciapiede. Anche loro ci lanciavano occhiate.
«Prendiamo il Nottetempo» annunciai ad Alanna, che come previsto si arruffò come un gatto «ma c'è troppa gente qua intorno, fai un incantesimo per distrarla.»
«Ci metteremo nei guai col Ministero, per questo» osservò Alanna, ma non sembrava nervosa, semmai vagamente ammirata. Si sistemò la pogona sulle spalle (il signor Lloyd agganciò le unghiette ricurve alla sua felpa), estrasse la bacchetta e sibilò «Serpensortia!»
Un serpente nero e lucente come un getto d'inchiostro schizzò fuori e atterrò sul marciapiede proprio in mezzo a un gruppetto di ragazzini Babbani. Partì un coro disarmonico di strilli e imprecazioni, che presto contagiarono tutti i passanti.
Alanna rideva sotto le grida, la bacchetta già tesa verso la strada.
BANG!
I tre piani viola e ondeggianti del Nottetempo sbucarono da dietro l'angolo della strada. L'autobus virò bruscamente, sfiorando di un pelo il marciapiede, e inchiodò di fronte a noi.
Mi chinai rapido a raccogliere una sigaretta quasi intera e accesa che un Babbano aveva lasciato cadere per scappare.
«Non li morderà mica, vero?» bofonchiai mentre aspiravo, lanciando un'occhiata preoccupata alla gente ancora in rotta.
«E allora?» Alanna ancora se la rideva sotto i baffi, mentre il bigliettaio aveva già cominciato la sua tiritera.
«Benvenuti sul Nottetempo, mezzo di trasporto d'emergenza per ma...uh, Silas?»
«Ciao, Stan. Fretta, oggi.» diedi un'ultima boccata avida e buttai la sigaretta, mentre lasciavo che Alanna salisse prima di me, tutta impettita e apparentemente decisa a ignorare il bigliettaio. Il bigliettaio come pensavo non ignorò lei, ma la seguì con gli occhi (e i brufoli) lucidi di ammirazione.
«Hai un galeone e cinque falci per il biglietto?» le sussurrai, inseguendola mentre già prendeva posto su una sedia accanto al finestrino «Sarebbe meglio anche una bella mancia, così ci porta subito a destinazione.» lei mi guardò come se fossi un mendicante che la disturbava per strada e mi lasciò cadere in mano uno alla volta quattro galeoni. Avevo creduto fosse una fortuna che il signor Lloyd in veste di pogona non pagasse il biglietto, ma a quanto pareva Alanna era imbottita di soldi.
Non c'era mancia abbastanza grossa per far star zitto Stan Picchetto, così per schivare le sue domande, dopo aver pagato, filai a sedermi vicino ad Alanna. Lei arricciò il naso e cercò di allontanare la sedia, ma tanto le sedie si spostavano già per conto loro grazie agli scossoni del Nottetempo. Il signor Lloyd era l'unico nell'abitacolo che non sembrava turbato, ma probabilmente era la faccia da rettile a essere poco espressiva.
«Può parlare?» chiesi «Ora che ci penso, avevi detto che era tornato così e vi aveva raccontato quelle cose.»
«Sì, prima parlava, ma gli ho fatto un Silencio,» spiegò sbrigativa Alanna «sennò portarlo in giro era una seccatura.»
«E perché, esattamente, te lo sei portata in giro?!»
«Be', tanto nessuno a casa l'avrebbe ritrasformato. A mia madre importava poco visto che non è più suo dipendente, e comunque non è pratica di Trasfigurazione umana. Mio padre forse potrebbe, ma non sa niente di tutta la storia dell'investigatore. Io forse potrei, ma trovo tutto questo molto divertente...»
BANG.
«Quasi arrivati!» annunciò soddisfatto Stan, avvicinandosi alle nostre sedie ribaltate e alle nostre gambe all'aria «Dico, Silas, è o non è un servizio speciale?»
«Mi sa che quei due galeoni di mancia li userò per qualcosa di più speciale, la prossima volta» ansimai, tirandomi su.
Stan ammiccò, accennando ad Alanna che annaspava furente «C'hai già una roba speciale» e si chinò a porgerle con galanteria la mano.
Malgrado il concetto di "speciale" di Stan e di Ernie alla guida, arrivammo davvero a destinazione in un attimo, e anche interi. Mentre scendevamo, sul marciapiede di una via piuttosto squallida e deserta, Alanna proclamò che il Nottetempo avrebbe dovuto prendere fuoco, fortuna che non passò dalle parole ai fatti.
Ai nostri lati si innalzavano due file di case dalle facciate di mattoncini rossi, dall'aspetto perlopiù trascurato. Su alcune delle porte e dei cancelletti erano appesi cartelli "Affittasi" e "Vendesi", nei brandelli di giardino incolti ammuffivano nanetti di gesso e innaffiatoi rotti.
«Dov'è Egon?» chiese brusca Alanna, perlustrando con lo sguardo la strada.
Corrugai la fronte, mentre anch'io cercavo il numeretto giusto tra le case tutte simili «Eeh?» 
«Egon! Egon Hoffmann! Davvero non sai neanche come si chiama? Non è che mi hai raccontato una balla? Ti rimanderò al San Mungo per non farti più uscire!»
«Ah, ho capito.» nome o non nome, non ci voleva un genio per capire che si trattava dell'ex fidanzatino di Hogwarts di Alanna, quello che aveva suo malgrado condiviso col fratello. O forse io sono un genio, non lo so «È questa!» esclamai eccitato, indicando una facciata con l'edera sopra. Il rampicante sembrava potato con grazia, il rosso dei mattoncini era particolarmente sanguigno e il bianco alle cornice delle finestre e dell'ingresso era immacolato «Sicuramente avrà sprangato la porta, quindi quel che faremo è...»
«Ehi, comandone! Mi hai seccato!» sbottò Alanna «Pensi di potermi muovere in giro come un cane?» tirò fuori dalla tasca della felpa un affarino blu e rosso, che riconobbi con sorpresa come il regalo del fast food che avevo perso. Ecco dove mi era caduto! Era un giocattolo deforme che non avevo mai capito da che parte si guardava, sapevo solo che da acceso sparava una lucina e un motivetto demente. 
Alanna lo tirò semplicemente contro la porta di casa Hoffmann, come se cercasse di mandare una Pluffa a segno. Mi aspettavo che facesse un bel bernoccolo alla porta, invece il giocattolo rimbalzò senza rumore e tornò in mano alla Cacciatrice improvvisata.
«Imperturbata» commentò lei tra i denti «non si può origliare...»
«Ok, quindi quello che faremo è entrare. Puoi sfondare la porta, oppure...»
«Oppure piantala di darmi ordini! Sarà piena di incantesimi.»
«...se hai una forcina ci penso io e 'fanculo agli incantesimi.»
«Forse non hai capito! La missione suicida devi farla da solo. Il serpente attacca quando sa di vincere» malgrado mi trafiggesse con occhi di un azzurro familiare, non era familiare la sua espressione, dura e feroce «è per questo che non ho fatto a pezzi Egon dodici anni fa, e tu che pensi di batterlo coi tuoi inesistenti poteri sei ridicolo.»
Mi avvicinai a lei. L'effetto non era granché intimidatorio, visto che eravamo quasi alti uguali, ma cercai di parlare chiaro «Ti ho portato io fin qui. Quel coso che hai tirato contro la porta è mio. Ti ho già aiutato e posso farlo ancora. Io entro, poi fai pure a modo tuo.»
La pogona sulle spalle di Alanna deglutì, facendo tremolare il gozzo irto di scaglie. Alanna strinse gli occhi e alzò con un gesto fluido la bacchetta.
Pensai mi avrebbe appiccato fuoco ai capelli come alla strega del San Mungo, ma quando mi colpì in cima alla testa sentii freddo, anziché caldo. Rivoli di freddo mi scesero giù dalla testa lungo tutto il corpo, tanto che mi toccai il collo pensando di trovare bagnato.
Mi guardai le dita e non le vidi.
Dopo un attimo di sconcerto, aguzzai la vista: c'era la mia mano, ma i contorni si spiccicavano a fatica dal grigio del marciapiede sottostante, un po' come se fosse diventata di vetro finissimo. Ero così dappertutto, e dovevo avere un aspetto assurdo, ma Alanna per la prima volta mi guardò con approvazione.
«Mi è venuto bene!» esclamò, e accidenti quanto somigliava ad Alec «Sei praticamente invisibile. Restami dietro, però, e tieniti in disparte, non in piena luce e possibilmente davanti a superfici non uniformi, idiota.» era talmente soddisfatta di quell'incantesimo che mi chiamò "idiota" in modo quasi affettuoso.
Si allontanò da me e salì con due salti i tre scalini candidi che separavano la porta di casa Hoffmann dal marciapiede. Non tentò nessun incantesimo, anzi, aveva già riposto la bacchetta.
Afferrò il batacchio di bronzo ad anello e bussò con decisione.


















Angolo dell'autrice: Silas & Alanna in azione! Commentate a pioggia se vi piace (o no) questo improbabile duo. A me piace l'incantesimo Serpensortia. Anche Stan Picchetto mi piace. E le pogone, non sono adorabili? Abbiamo scoperto il nome del malefico ex, ora che succederà? E soprattutto che fine ha fatto Alec? Lo scoprirete di sicuro nel prossimo capitolo!

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Capitolo 23
*** Egon Hoffmann ***



Alanna bussò e rimase in attesa, quasi in punta di piedi, le mani incrociate dietro la schiena. La coda appuntita della pogona la frustava tra le scapole.

Non dovemmo aspettare molto: la porta si aprì dolcemente, rivelando uno stretto corridoio rivestito di carta da parati. Non c'era nessuno dietro, quindi supposi che si fosse aperta da sola.
Invece non avevo guardato abbastanza in basso.
C'era un elfo domestico umilmente rattrappito accanto allo stipite. Non somigliava a Guzzle, che era losco e rugoso, ma aveva una testa tonda tirata a lucido e un naso a patata relativamente piccolo per lo standard degli elfi. Indossava quello che pareva un brandello di tenda, ma era la tenda di una casa elegante, verde smeraldo con frange gialle. Dalle orecchie da pipistrello pendevano nappine presumibilmente della stessa tenda.
«Padrone ha ospiti!» squittì, guardando il tappeto. Non è che gli elfi parlino un inglese fenomenale, ma questo (o questa?) aveva anche uno spigoloso accento straniero «Padrone è occupato!»
«Il padrone vorrà sicuramente vedermi» ribatté arrogante Alanna «corri ad annunciare Alanna Kingsman invece di fare il fermaporta!»
L'elfo (o elfa?) senza alzare lo sguardo emise un breve lamento e trottò via lungo il corridoio. 
Alanna ne approfittò per entrare.
Si voltò verso di me e mi fece un cenno sbrigativo con la mano, così entrai anch'io e mi chiusi dietro la porta. Grazie alle pareti del corridoio ero diventato tutto verde pallido e fiorellini dorati.
Ero un coso verde pallido a fiorellini dorati a cui sarebbe piaciuto avere lo stesso potere di Chip per capire che cazzo aveva in mente Alanna. Ma l'istinto (ancora lui) mi diceva di continuare a seguirla. Alec era lì dentro, e anche Chip era lì dentro.
Il corridoio sfociò in un piccolo soggiorno vecchio stile con tanto di caminetto. C'era anche un telefono (alla faccia di Alec), di quelli strani con la rotella invece dei pulsanti. A destra una rampa di scale, a sinistra due porte. Alanna sarebbe crepata prima di ammettere di non sapere dove andare, così le sussurrai qual era la porta giusta. Come lo sapevo? Istinto.
Lei sfilò la bacchetta di tasca e fece due gesti l'uno dietro l'altro, in modo così fluido che sulle prime pensai avesse fatto un solo incantesimo, cioè quello che spalancò la porta.
Mi accorsi poi che i suoi abiti babbani si erano allo stesso tempo sciolti e trasformati in una lunga veste viola. La familiare mania dei dettagli.
Successe così in fretta che non ebbi tempo di prepararmi a quello che avrei visto in quella stanza.

L'elfo (o elfa) domestico cacciò uno strillo acuto.

Io non cacciai uno strillo acuto, ma appena vidi Alec ebbi la stessa sensazione di quando facendo le scale manchi un gradino.

Eppure era solo seduto su una poltroncina con una tazza da tè in mano.
Sembrava illeso.
Si era voltato educatamente per vedere chi entrava, e appena inquadrò Alanna cambiò espressione.
«Dovevo immaginarlo che c'entrasse anche lei.» disse come se la sorella fosse una fetta intera di limone nel suo tè.
«C'entra anche lei?» ripeté quello che doveva essere Egon Hoffmann in un tono interrogativo delicatamente divertito. Riconobbi la voce pacata e affabile, praticamente senza accento, la figura snella e i capelli biondo chiaro. Da quel che avevo capito era probabile che avesse l'età di Alec o anche di più, ma aveva un aspetto quasi adolescenziale: il viso liscio, due occhi blu acuti, un naso lungo e le labbra piccole, sottili e femminee.
Stava in piedi appoggiato di schiena a una scrivania con sopra in bell'ordine piume, calamaio, pergamene, un paio di libri e un fermacarte di giada. Chiaro che la stanza era il suo studio: c'erano scaffali colmi di libri alle sue spalle e altri sulla parete di destra, mentre a sinistra una vetrinetta andata in frantumi. Delle fragili ante erano rimasti solo i frammenti affilati ancora attaccati alla cornice, le mensole dietro avevano ceduto e quel che c'era sopra doveva essere franato al suolo.
Era l'unico punto di disordine nell'ambiente altrimenti immacolato, e forse per questo avevano cercato di coprirlo con una sorta di tovaglia. Peccato che dalla tovaglia spuntava un bel pezzo delle gambe di mio cugino, e a giudicare dalla forma, il resto del suo massiccio corpo si trovava lì sotto.
Niente panico: era vivo. Istinto.
L'elfo o elfa domestica, che immaginai avesse spazzato i cocci con paletta e scopino e sistemato Chip alla meglio, ci fissava ora con gli occhioni pallidi spalancati e le mani sul viso.
Squittì un'insalata di parole incomprensibili che Egon Hoffmann capì, e a cui rispose brevemente nella stessa lingua.
«Vai pure, Dingel.» aggiunse in inglese, forse a beneficio del pubblico. Lei trotterellò via dalla stanza, passando accanto ad Alanna e lanciandole un'occhiatina spaurita. Passò pure di fianco a me, ma non mi notò.
«Benvenuta, Alanna.» proseguì Egon, sempre affabile.
«Ciao, Egon.» rispose lei, aprendo finalmente bocca. Aveva un tono indifferente, come se avesse spalancato a forza la porta di una stanza a caso.
Lui fece un gesto lieve con la mano, indicando sé stesso e Alec: «Ti prego, risolvi il nostro dubbio: c'entri qualcosa con questa storia? Se potessi aggiungere una domanda ti chiederei anche di quell'iguana.»
«Pogona. Anche detto drago barbuto.» lo corresse Alanna senza batter ciglio «Quale storia? Io sono venuta per vedere te.»
Il suo tono di voce cominciava a essere vagamente seduttivo (credo) ma non fu quello che mi colpì. Mi colpì il ricordarmi all'improvviso che, se Alanna aveva una pogona in spalla, Alec non aveva Ratbert. Però c'era la valigetta ai piedi della poltrona in cui era seduto.
«Grazie,» ribatté Egon senza traccia di ironia «ma non vedo come tu abbia fatto a sapere che ero in città.»
«Io so tutto: non credi che qualche tuo amico possa essere passato in Sartoria?»
«È possibile» annuì educato Egon «stavo giusto cercando di convincere tuo fratello ad avere maggior fiducia nelle combinazioni del Fato.»
«E come al solito cerchi i modi più perversi per ottenere quello che vuoi.» commentò Alec scrollando le spalle e bevendo il tè. Sapevo di non dovergli buttar giù la tazza (istinto) ma lo stesso gli diedi mentalmente del coglione.
«Perversi?» protestò Egon, però sembrava sempre delicatamente divertito «Sei tu a esserti presentato qui con quel grosso idiota Legilimens che ha cercato con poca grazia di violare la mia mente. Ti avrei spiegato tutto con calma senza dover rompere le mie porcellane.»
«Mi piacerebbe che avessi per me la stessa considerazione che hai per delle porcellane (che non sono neanche tue, ma dei Babbani che chissà come hai tolto da questa casa). Mi restituiresti la bacchetta, in quel caso.»
«Non credo proprio.» replicò sorridendo Egon.
«Hai la Pastoia?» intervenne curiosa Alanna, per la prima volta rivolgendosi ad Alec. Stava guardando le sue gambe che pendevano dalla poltrona.
«Purtroppo sì» rispose Egon al posto suo «è l'unica cosa che lo trattiene dal correre a tirarmi il collo. Ho pensato fosse più rispettoso dell'Incarceramus e meno drastico di una Maledizione.»
Vidi le spalle di Alanna tremare mentre tratteneva la risata.
«Veniamo a noi, Alanna» proseguì Egon, e stavolta un po' della sua delicatezza se ne andò, lasciando il tono di chi è abituato a comandare «è stato Lucius Malfoy a dirti di me?»
Alanna stava ancora ridacchiando, ma alzò le spalle e rispose: «Ti pare il caso di parlarne davanti a questo spione filobabbano?» accennò ad Alec.
«Oh, lo sa. Non ha voluto dirmi dov'era la bacchetta, ma ho fatto un Incantesimo di Appello ed è spuntata fuori dalla tasca dell'idiota lì sotto» indicò col capo Chip «l'ho impacchettata e rispedita dal proprietario poco fa. Il gufo è già in viaggio, e finalmente il nostro amico di famiglia sarà di nuovo intero.»
Ecco fatto.
Tutta la fatica per impedire alla bacchetta di ricongiungersi col Mangiamorte era andata a puttane, senza neanche che potessi non dico fare qualcosa, ma almeno assistere.
L'errore era stato non infilare nei calcoli il Mangiamorte all'altro capo della sfera, quello che, a meno di non sbagliarmi di grosso, mi stava davanti in quel momento: Egon Hoffmann.















Angolo dell'autrice: abbastanza scioccante, questo capitolo? Un nuovo personaggio è entrato in scena, un vecchio personaggio è steso sotto un telo, un altro impastoiato a una poltrona e un'altra non si capisce a che gioco sta giocando. La dannata bacchetta è volata al legittimo proprietario, tutto è bene quel che...ah, no. Siete scioccati? Siete perplessi? Commentate e non mancate di leggere il prossimo capitolo!

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Capitolo 24
*** Amore e odio ***



Egon Hoffmann si raddrizzò improvvisamente ed estrasse la bacchetta.
«Scusami, non ti ho chiesto di accomodarti.» fece apparire dal nulla una sedia di vimini intrecciato con un cuscino sopra, di fronte alla scrivania e accanto ad Alec.
Alanna si sedette tutta dritta, come se lo schienale di vimini fosse una corona. Per raggiungere la sedia scavalcò senza batter ciglio i piedi di Chip.
Non potevo più farmi schermo con quella streghetta impalata, così mentre si muoveva mi spostai anch'io, di lato, contro la libreria sulla parete a destra. Ero anche alla destra di Alec, per la cronaca. Mi chiesi se dovessi tentare di prendergli la valigetta, o aprirla, ma non sentivo fosse il momento di agire. Alec voltò appena la testa nella mia direzione, ma non posò gli occhi su di me né su niente in particolare. Solo guardando il suo profilo riuscivo a vedere le rotelle girargli a mille nel cervello. Le ossa della mascella erano tese sotto la pelle.
Egon stava guardando Alanna e il signor Lloyd sulle sue spalle.
«È una creatura affascinante. Ora che ci penso...Alec,» si rivolse a lui «non hai più il tuo topo? Com'era il nome...Ratkins?»
«Un ratto, non un topo» lo corresse cortesemente Alec «e Ratkins è morto anni fa. I ratti tendono a farlo. La feccia, purtroppo, no.» il sorriso non gli vacillò di un millimetro. Neanche quello di Egon, che comunque lo fissava dritto negli occhi.
«Ti rispetto, Alec. Lo so che non mi credi, ma è vero. Tu sei sempre stato coerente con la tua indisciplina...la tua ostinazione...la tua arroganza. Era quello che mi piaceva di te.» sorrise con più calore «E tuttora ti preferisco a chi ha voltato le spalle ai vecchi ideali appena il vento è cambiato. Alanna, hai notato quella piccola asperità del pavimento?» accennò a Chip sotto la tovaglia «Quello era uno dei Battitori della squadra di Corvonero. Ad Alec non è mai piaciuto il Quidditch, a te piace ancora?»
«Molto.» rispose pigramente Alanna.
«Avrai certamente letto di quell'assurda baraonda alla Coppa del Mondo di Quidditch. È stato il primo segno che avrei dovuto tornare...qui, dove un certo Signore Oscuro riscriverà daccapo la sua storia.»
Se qualcuno avesse guardato la libreria a destra, avrebbe visto le costole dei libri rabbrividire. Ascoltavo, e nel frattempo pensavo: alla bacchetta del Mangiamorte (Malfoy?) potevo dire addio, ma era rimasta la sfera. Non che ora servisse a molto...e la bacchetta di Alec, e probabilmente anche quella di Chip. Più utili.
Le aveva tutte addosso Egon? Buttarglisi addosso e frugargli le tasche era un suicidio, aveva la sua bacchetta in mano e aveva dimostrato ampiamente di essere pronto di riflessi. Ma soprattutto, l'istinto (sempre lui) mi diceva che non erano lì. E se invece le avesse chiuse insieme alla sfera? Magari nel cassetto che avevo sentito aprirsi nello Specchio Gemello...sulla scrivania.
«Cosa è rimasto dei vecchi Mangiamorte?» proseguì Egon, rigirandosi tra le dita la bacchetta. Parlava compito come se stesse tenendo una lezione a beneficio di due studenti, solo una punta di amarezza nella voce «Pagliacci che giocano a punzecchiare Babbani, che confondono il Marchio Nero in cielo con l'insegna di una squadra di Quidditch. Mangiamorte che temono il ritorno del Signore Oscuro, fedeli che marciscono ad Azkaban o in esilio. Mio padre è un debole, Karkaroff un infame, Malfoy un utile idiota, Avery, Nott, tutti gli altri...dei codardi. Persone come te, Alec,» alzò lo sguardo per sorridergli «sono fedeli a loro stesse e hanno un coraggio commisurato all'ambizione. Sanno rinunciare alle comodità e capiscono cosa conta davvero. Potremmo essere noi la nuova generazione, quando il Signore Oscuro sorgerà di nuovo.»
Nel frattempo ero scivolato di lato per sbirciare dietro la scrivania. Le esclamazioni di stupore e fastidio rispettivamente di Alanna e Alec coprirono quello che io udii chiaramente come un cigolio di legno. Come avevo intuito, c'erano due cassetti sopra il vano dietro la scrivania, entrambi chiusi, con maniglie di ferro. Una delle due mi sembrava più grassa rispetto all'altra, e un po' deformata. Il cassetto si scuoteva e faceva dei minuscoli scatti in avanti...cercava di aprirsi.
«Cosa ti fa pensare che si avvicini il Suo ritorno?» chiese Alanna. Sembrava colpita.
«Forse Lucius Malfoy sta ricomprando da suo padre tutta la cianfrusaglia di cui si è sbarazzato per scampare alle ispezioni del Ministero.» suggerì brusco Alec, senza sembrare colpito «Be', Egon, se puoi darmi la data approssimativa del Suo ritorno farò del mio meglio per tenere l'agenda libera.»
«Ci ho pensato io a toglierti un po' di impegni inutili» replicò Egon sorridendo «e mi dispiace, ma neanche stavolta hai indovinato. Dappertutto i Mangiamorte stanno vedendo il Marchio farsi sempre più netto sulla pelle. La voce è arrivata fino a Leipzig: per fortuna abbiamo mantenuto i vecchi contatti. Solo uno stupido non capirebbe che è un segno...e manca poco. Tieni l'agenda libera.»
Alec giocherellava con la tazza da tè ormai vuota. Mi risvegliò il ricordo di quel che pareva un secolo prima, quando eravamo seduti al pub vicino al Ministero e lo guardavo rigirare il boccale di Idromele.
«Questi impegni inutili hanno un nome?» chiese a bruciapelo.
«Sì, ma era talmente inutile che l'ho scordato.»
«Sei un cane bastardo,» scattò Alec, senza alzare lo sguardo «sei la feccia della feccia. Credi che penda dalle tue labbra come se avessi ancora quattordici anni? Ma per favore. Entrerei al servizio di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato anche subito, a condizione che ti ammazzi.»
Egon alzò le spalle: «Vedi, i tuoi sentimenti per me sono forti come dodici anni fa, hanno solo cambiato un po' colore.» fece un passo avanti, staccandosi dalla scrivania, e si chinò al livello degli occhi di Alec «Compiacersi di essere amati è una debolezza: te ne sarai accorto, ora che soffri perdendo quel patetico Magonò. A me non interessa se mi ami o mi odi. Sono entrato nel tuo cuore, e di me non ti libererai mai.»
Avevo smesso di osservare il cassetto, tutti i miei pensieri ruotavano attorno a trovare qualcosa di pesante da spaccargli sulla nuca. Un altro scricchiolio di legno attirò di nuovo la mia attenzione, e Alec iniziò a parlare nello stesso momento.
«Come hai fatto a mettere il veleno?»
Alanna stava ignorando il faccia a faccia tra il fratello ed Egon e perlustrava la stanza di sottecchi, cercandomi. Il signor Lloyd aveva i piccoli occhi tondi già puntati su di me, il torso squamoso sollevato sulle zampe anteriori e la gola palpitante.
Egon aveva le mani sui braccioli della poltrona di Alec.
«È stata Dingel, non io. Non so se lo sai, ma gli elfi possono Materializzarsi pressoché ovunque, a dispetto di tutte le nostre protezioni. E sanno farsi notare poco, è il loro lavoro. La diversità di approccio con la magia delle creature inferiori può rivelarsi estremamente utile, per quanto sia ritenuto un oggetto di studio indegno.»
«Per te non è indegno niente, sì, mi ricordo. Quanta fatica per liberarmi un po' l'agenda...»
«Non proprio, è stato più difficile fare ammettere a quella persona di aver perso la bacchetta contro un elfo domestico e un ragazzo. Non è stata una bella sorpresa, quando sono apparso nella sfera. Per fortuna è un congegno di mio padre e permette di far arrivare dei piccoli incantesimi a chi la sorregge, così quel vecchio sgorbio mi ha detto quel che mi serviva sapere e ha anche fatto qualcosina che mi serviva fare. Ma quando ho scoperto di te! Dimmi ancora che non credi nel Fato.»
Intanto tra il cassetto e il bordo della scrivania si era aperta una fessura buia che continuava ad allargarsi a piccoli strattoni mentre la guardavo. Cominciavo a credere, se non nel Fato, nell'avere un qualche potere "diverso". Forse ero un ibrido di elfo domestico.
«Perdi tempo» intervenne Alanna in tono piatto, rivolgendosi a Egon «non crede in nulla, neanche nelle Holyhead Harpies. Non può risalire dalla fogna in cui è sceso. Si è fatto quel piccolo Magonò per dare un altro schiaffo al suo sangue e mandare a puttane il suo orgoglio di mago.»
«Già, qualcuna qui è esperta, di puttane.» replicò velenoso Alec, lanciandole un'occhiata di traverso.
Non era solo la maniglia ad apparire deformata, ma anche il cassetto. Sembrava ci fosse un grosso rigonfiamento a forma di goccia sopra, come un lumacone trasparente. Non ebbi tempo di spremermici oltre le meningi perché il cassetto emise uno schianto e un tonfo e si spalancò.
Fu abbastanza da farsi udire da Alanna, Alec, Egon e signor Lloyd. Si zittirono tutti ed Egon fece per voltarsi.



















Angolo dell'autrice: ed ecco svelati un altro po' di misteri! Siete confusi e felici o confusi e basta? Non temete, ci sarà tempo per qualche spiegazione in più. Tra amore e odio (sarà vero amore o vero odio?) Alec sembra chiuso all'angolo e Silas e il cassetto se la stanno per vedere brutta! Commentate esprimendo il vostro amore o il vostro odio e aspettate il prossimo capitolo per vedere se la fortuna continuerà ad assistere Silas!

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Capitolo 25
*** Tiro a segno ***



Il cassetto si era aperto con uno schianto e un tonfo.
Il fondo tremò, come se qualcosa di pesante ci saltasse sopra, e quel qualcosa guizzava, trasparente, come una grossa goccia d'acqua.
CRASH.
Alec aveva scagliato la tazza sul pavimento. Uno dei frammenti di porcellana più piccoli mi arrivò fino al piede. Credo che Egon se ne prese un pezzo sulla caviglia, perché fece un "Ahi" metà sorpreso e metà colpito. La bacchetta gli era ricomparsa in mano alla velocità della luce, e la puntò abbastanza pigramente su Alec.
«Ops.» si limitò a dire lui, sfacciato. Era chiaro che la tazza non gli era caduta, l'aveva buttata di proposito dove non c'era il tappeto, e pure con forza. Intanto la goccia o lumaca trasparente che fosse era saltata giù dal cassetto. Corse lungo il pavimento verso Alec, come una lente convessa attraverso cui balenavano ingranditi i disegni del tappeto.
Egon aveva già deciso di tornare a occuparsi del rumore alla scrivania, aveva la bacchetta sollevata, l'avrebbe notata e adios qualsiasi cosa.
Presi un libro dagli scaffali alle mie spalle e lo tirai a caso verso di lui, poi mi buttai dietro la scrivania.
Non sono un Cacciatore di Quidditch, ragazzi. Infatti sbattei contro il cassetto aperto e per poco non mi aprii la testa in due, per non parlare delle ginocchia. Però il libro lo avevo mandato a segno meglio di Moran alla Coppa del Mondo.
Un incantesimo a vuoto, quello di Egon, andò a schiantarsi contro la libreria dove prima c'ero io, mentre il mio tiro finì esattamente dove lo volevo, ovvero sulla sua faccia. Che fortuna!
Non potei assistere, perché ero dietro la scrivania, ma fece un rumore soddisfacente, e anche Alanna si lasciò sfuggire un gridolino di sorpresa.
Strisciai fuori verso sinistra e per poco non gridai anch'io.
Egon aveva un bel segno rosso sulla tempia e una goccia di sangue appesa al sopracciglio, ma aveva già ripreso a lanciare incantesimi, stavolta contro il pavimento su cui correva la goccia trasparente. Uno, due, tre lampi di luce rossa bruciarono il parquet, e la goccia rotolò di lato con uno squittìo acuto.
Mi alzai in piedi di slancio e non ebbi proprio nessuna esitazione nell'afferrare il fermacarte di giada sulla scrivania e tirare. Tirai a caso come prima, ma sapevo che non avrei fallito.
Infatti lo presi sul dietro della testa. Fece un rumore sordo che più che soddisfacente era inquietante.
Cadde in avanti come il Mangiamorte del cimitero, la bacchetta gli sfuggì di mano e si smollò tutto come un pupazzo, disteso a terra.
Il ratto trasparente, dopo solo un attimo di esitazione, gli camminò sopra per raggiungere le gambe di Alec. Si arrampicò in un attimo sulla sua veste e gli porse quel che teneva in bocca, una cosa tanto sottile che non l'avevo notata.
La sua bacchetta.
«Grazie» disse Alec, la voce tremante, afferrandola e puntandosela contro le ginocchia «Finite Incantatem.» si alzò in piedi a fatica, reggendosi con l'altra mano al bracciolo della poltrona, e scalciò per allontare il corpo molle di Egon. 
«Bella Disillusione.» commentò atona Alanna.
«Anche la tua» replicò meno tremante Alec, mentre con un colpetto di bacchetta ridava a Ratbert colore e consistenza propri «Puoi anche parlare, ora, Silas.»
«Come cazzo...!» esclamai.
«Ti ho sentito quando mi sei passato vicino, idiota che non sei altro» si strofino la mano sulla faccia contratta «puzzi di fumo. È una fortuna che Egon non se ne sia accorto.» avvicinò agli occhi la bacchetta e corrugò la fronte «Ah, non è la mia. Anche la bacchetta di Collins ha i peli di unicorno, vero? La mia è d'ebano, però. Ratbert percepisce meglio il cuore che il legno.» Ratbert, sentendo fare il proprio nome, si sporse tutto fremente dalla sua spalla. Alec voltò la testa e gli lasciò un bacetto sul muso.
«Credo sia tutto nel cassetto.» lo informai, col sottofondo di Alanna che faceva finta di vomitare. Ero frastornato, come penso tutti. Non riuscivo ancora a realizzare cos'era successo. Guzzle mi aveva tradito? Gli aveva ordinato Egon allora di parlare della borsa marchiata Kingsman? Era tutto un complicato gioco per fottermi il cervello prima di cercare di stirarmi col veleno? E soprattutto, quel COGLIONE di Alec pensava a baciare il ratto.
«Accio cassetto» ordinò sbrigativo il coglione, puntando la bacchetta e facendo sì che il cassetto scivolasse via dai cardini e gli planasse incontro. Si chinò per appoggiare con grazia la bacchetta sui drappeggi della tovaglia che copriva Chip e afferrò a due mani quel pezzo di scrivania.
Qualcosa all'interno rotolò con un rombo cupo.
«Ah, la famosa sfera...» mormorò Alec allungando la mano per prenderla.
Mi cadde l'occhio sui cocci della tazza sparsi intorno a Egon sul pavimento ed ebbi un rapido déjà vu di mio cugino e di un pessimo tè.
«FERMO!» gridai ad Alec, ma non potevo evanescere niente con la mia volontà, così mi toccò guardare.

















Angolo dell'autrice: il Comitato contro il Maltrattamento delle Bottiglie e delle Tazze da Tè mi sta per fare causa. Ratbert, come qualcuno di voi aveva previsto, è tornato alla carica, Silas pure, ciascuno nel proprio stile. Egon è tutt'uno col tappeto. La sfera, l'ultimo pezzo rubato al Mangiamorte del cimitero, è stata recuperata. Ma...a quale prezzo? Se volete sapere cosa accadrà a quel "coglione" di Alec e che fine faranno gli altri, compresi quelli stesi a terra, attendete con fiducia il prossimo capitolo!

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Capitolo 26
*** A prezzo del dolore ***



Alec si lasciò sfuggire la sfera dalla punta delle dita, quella ricadde sul fondo del cassetto con un tonfo. Lasciò cadere anche il cassetto, che si rovesciò a terra. La bacchetta d'ebano rotolò sul tappeto accanto alla sfera.

Alec si portò la mano alla bocca e dalle sue dita filtrarono rivoli di sangue.

Mi precipitai verso di lui, mentre, ancora seduta, Alanna rideva tanto da piegarsi in due e far scivolare giù dalle sue spalle il signor Lloyd.
«L'ha maledetta, stupido...che stupido!» ansimò tra le risate «Ma nooo, Egon non lo farebbe mai! Egon ti ama! Che stupido!»
Presi Alec tra le braccia, era più alto di me, ma tutto incurvato sotto il peso della Maledizione sembrava rimpicciolito.
Ebbi giusto il tempo di fare quello prima che l'elfa domestica Dingel spalancasse la porta e si proiettasse con uno strillo acutissimo sul corpo esanime di Egon.
«Voi uccidere padrone!»
«Zitta, scema!» ordinò Alanna smettendo di ridere.
L'elfa si voltò verso di lei con il viso rotondo tutto contratto d'odio, e sollevò l'indice. Alanna però aveva già estratto la bacchetta.
Un lampo di luce rossa colpì Dingel al petto, la sollevò da terra e la spedì contro la libreria sulla parete di destra. L'incantesimo elfico, che aveva fatto in tempo a partire, mandò Alanna con tutta la sedia contro la parete opposta.
L'elfa si accasciò e rimase immobile, mentre Alanna, imprecando, cercò di alzarsi dalla sedia di vimini ribaltata, gli occhiali di traverso sul naso.
Alec emise un rantolo e sbuffò un altro po' di sangue, capii in ritardo che era un tentativo di ridere.
«È vero che sei stupido» lo rassicurai «ma non ti preoccupare, ora torniamo al San Mungo. C'è un camino in salotto, usiamo la Metropolvere che ti piace tanto.»
«La mia bacchetta...» esalò Alec, tendendo il braccio. Aveva le labbra e il mento rosse e lucide di sangue, e la pelle in contrasto era di un pallore mortale.
Ratbert, che prima gli correva impanicato da una spalla all'altra, passando anche per i miei capelli, saltò giù subito sul tappeto. Ci mancava solo che anche lui toccasse la sfera, così diedi a quel malefico grumo di cristallo un bel calcio e lo mandai sotto la scrivania.
«Silas, stia attento!» esclamò la voce del signor Lloyd. La pogona zampettava goffamente sul tappeto, la lingua rosa e viscida che balenava dalla bocca larga. L'Incantesimo Silencio doveva essersi spezzato! «Guardi il ragazzo!»
Capii subito a chi si riferiva: Egon si era voltato su un fianco e tastava intorno a sé sul pavimento, smuovendo frammenti di porcellana, in cerca della sua bacchetta. Si muoveva a fatica, come se fosse ancora stordito. Il segno sulla tempia era diventato un bell'ematoma violaceo che gli gonfiava il sopracciglio e si estendeva fino alla palpebra dell'occhio semichiuso. Faceva quasi pena, ma non era il momento di provare pena.
Lasciai Alec (scusa, Alec), presi una breve rincorsa e mi buttai stile placcaggio sopra all'aspirante Mangiamorte.
Ero ancora Disilluso, per cui non dovette capire subito cosa lo schiacciò a terra. Ma nonostante quello e la botta in testa aveva ancora dei riflessi abbastanza pronti per spostare il braccio appena cercai di afferrargli il polso. Con una spinta di reni riuscì a rovesciarmi sulla schiena, ma intanto lo avevo afferrato per le spalle e non mollavo. Cercò di sgomitare, mentre io gli circondai il collo con le braccia stringendo il più possibile.
«Tu!» ringhiò Egon, e la sua voce non aveva più manco l'ombra della morbidezza suadente di prima, ancora una volta da quando l'avevo ascoltata nello Specchio Gemello, era un irriconoscibile concentrato di furia.
Non si stava rivolgendo a me. Da sopra la mia stretta, le labbra tirate sui denti, fissava Alec e solo lui.
Alec, che aveva di nuovo la bacchetta in mano e la puntava su di noi, mentre con l'altra mano si appoggiava pesantemente al bracciolo della poltrona. Era più curvo e più bianco che mai, aveva un filo di sangue che pendeva dalle labbra e i suoi occhi solitamente acuti sembrava faticassero a restare a fuoco. La mano che reggeva la bacchetta aveva una presa debole e incerta.
«Fallo! Provaci, finché riesci a stare in piedi!» gli ringhiò contro Egon «Chi hai paura di colpire, lui o me?»
Alec si liberò la bocca sputando sul tappeto: «Non ho paura.» ansimò.
Egon si dibatté nella mia morsa, cercando di sospingerci entrambi più vicini alla sua bacchetta. Nel frattempo la pogona era zampettata goffamente lungo il pavimento verso di noi, e ora accelerava, diretta allo stesso obiettivo.
«Non voglio ucciderti, Alec!» gridò Egon, frustrato «Ti toglierò la maledizione della sfera! Il dolore che provi non è niente!» la sua voce ora tradiva effettivamente sofferenza, non che lo stessi torturando, comunque. Forse era l'occhio pesto o il bernoccolo sulla nuca. O forse era vedere Alec esausto e indeciso, quello che non stava rendendo felice neanche me.
Forse Egon percepì un mio istante di debolezza e ne approfittò per dare uno strattone deciso, che ci fece rotolare sul tappeto, sopra cocci di porcellana acuminati. Non lo mollavo, ma non riuscivo a tenerlo fermo. La fortuna, però, volle che rotolando finissi di nuovo sopra di lui, così ce la misi tutta per schiacciarlo a terra mentre il signor Lloyd raggiungeva la bacchetta. Il braccio di Egon si allungò disperatamente, e io altrettanto disperatamente allungai il mio e gli afferrai il polso magro tra le grinfie.
Appena in tempo.
Il signor Lloyd fece scattare la lingua, poi si voltò per allontanarsi, frustandoci le dita con la coda, la bacchetta di traverso tra le labbra gommose.
«Spostati, Silas!» esclamò una voce che non era quella fioca di Alec, ma quella sonora e tranquilla di Alanna. Mi voltai per appurare che era di nuovo in piedi, spettinata e spiegazzata ma a bacchetta alta, e ci guardava con un pizzico di insofferenza e disgusto, come se fossimo insetti sul tappeto «O puoi sempre prenderti una fattura tutta per te, se preferisci.» concluse, pacata.















Angolo dell'autrice: oggetti volanti, recipienti rotti e sbocchi di sangue sono un po' una costante della storia. Spero di avervi comunque sorpreso, tra pogone parlanti, Egon redivivo e Alec...che fa Alec? E che farà Alanna, che sembra avere invece le idee chiare? E che ne sarà del nostro eroe Silas? Faccio un sacco di domande come al solito, ma recensite anche senza rispondere, solo per dire la vostra. E continuate a seguire!

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Capitolo 27
*** Debolezza ***



«Spostati Silas!» Alanna era intervenuta, calma e terribile, la bacchetta levata contro me ed Egon a terra «O puoi sempre prenderti una fattura tutta per te, se preferisci.»
Un verso che forse voleva essere una parola uscì dalla bocca di Alec. Era appoggiato ancora più pesantemente alla poltrona, la faccia contratta.
«Patetico!» commentò Alanna a gran voce «Non ti reggi neanche in piedi e vuoi rubarmi la mia vendetta! Per cosa la useresti, poi? Ancora hai il cuoricino tenero per quel verme!» fece un'odiosa vocetta finto-melensa «Non riesci nemmeno a buttargli addosso una scintilla senza metterti a piangere! Vedi, Silas,» mi puntò contro la bacchetta, forse solo per indicarmi meglio, sperai «il caro Egon, benché sia un verme, ha ragione! Compiacersi di essere amati è una debolezza! Alec prova ancora qualcosa per Egon, ma per te non prova proprio niente!»
Egon, sotto di me, fece uno sbuffo, quasi una risata senza gioia «Ah, piccola Alanna...ti sei fatta coinvolgere anche tu dal ragazzino.»
«Scusa?» ribatté Alanna con ostentata cortesia «Con il parquet in bocca non si capisce cosa dici.»
«Io invece capisco tutto della tua gelosia...della tua ambizione...» sussurrò Egon con voce fievole, un mezzo sorriso sul volto ammaccato «e di quanto tu riveda un pizzico di te nella sfortunata creatura che mi tiene in terra.»
«Non...è sfortunato.» intervenne a sorpresa Alec, articolando ancor più a fatica di prima. Era ripiegato sullo schienale della poltrona e Ratbert frugava con acuti squittii nella valigetta che aveva rovesciato lì accanto.
Pare che io fossi l'unico a non dire niente, eh? Il fatto è che stavo impegnando un sacco di energie per tenere fermo Egon, ero sudato e senza fiato. Inoltre, caso raro, non sapevo proprio che dire, neanche una battuta sarcastica mi veniva in soccorso, gli insulti suonavano tutti troppo deboli, patetici, disperati.
«Sta avendo il suo momento» rise Egon, una risata soffocata, più simile a una serie di colpi di tosse «come Alanna. Ma Alanna dovrebbe sapere che, anche se non ho mai provato niente per lei, posso offrirle di meglio che una vendetta adolescenziale. Alanna, non vuoi conoscere il Signore Oscuro? Non vuoi offrire il tuo talento alla sua gloria?»
Alanna si accigliò: «Non ci guadagno nulla. Al contrario, Alanna sa che la vendetta le farà guadagnare un bel sorriso sulle labbra.»
«Ci sono cose più durevoli. Come ti ho detto, il Signore Oscuro sorgerà di nuovo, è un fatto. Ci guadagnerai più di ogni altro a esserti messa dalla parte giusta...anche più del tuo sciocco fratello.»
«Bene,» Alanna suonò subito più entusiasta «elimina il mio sciocco fratello e ti seguirò.»
«No.» la voce di Egon era piuttosto stanca ma definitiva.
La faccia di Alanna si contorse d'un colpo, perse giovinezza e grazia e si fece davvero brutta «Allora potete anche crepare abbracciati, peccato che stai abbracciando qualcun altro, adesso! Con tanti saluti al Signore Oscuro, ché tanto basta un moccioso di un anno a farlo fuori.»
Stese il braccio della bacchetta, e contemporaneamente Alec e Lloyd gridarono qualcosa.
Penso volessero entrambi avvertirmi del pericolo, anche se non ero sicuro su Alec.
In ogni caso, mantermi sotto il tiro degli incantesimi di Alanna non era nelle mie intenzioni, così mollai di colpo Egon e rotolai di lato sul pavimento.
Fortuna, perché la fattura colpì proprio dove ero stato io.
Il corpo di Egon sussultò e si irrigidì, le braccia e le gambe tese. Alanna emise un verso insoddisfatto e fece un altro svolazzo con la bacchetta, tornando a puntarla.
Egon iniziò a rimpicciolire.
Alanna aveva le sopracciglia aggrottate e una puntina di lingua tra i denti, e non distoglieva lo sguardo e la bacchetta da lui. Rimpiccioliva, scoloriva e i contorni del suo corpo si facevano meno definiti, di un gonfiore malsano.
Infine ebbe la forma e le dimensioni di un grosso bruco, o larva...un coso ad anelli, viscido, più largo al centro.
Alanna aggiunse con un ultimo sforzo un brillante color verde su cui fiorì una fantasia di macchie nere.
Quando abbassò di colpo la bacchetta aveva il fiatone, ma le brillavano gli occhi e le labbra si schiudevano in un gran sorriso. Scoppiò a ridere, ansimante, tenendosi la pancia.
Io non ero rimasto proprio tutto il tempo a guardare: a parte le braccia indolenzite, ero illeso, così mi ero tirato su. Ed ero tornato da Alec, che stava giusto per afflosciarsi per terra.
Aveva gli occhi vitrei (non capii neanche se vedesse davvero cosa aveva di fronte) e mi si abbandonò contro con quasi tutto il peso. Cercai di tenerlo in piedi, ma era troppo per me, così feci per buttarlo sulla poltrona.
Lui però mi artigliò il davanti della felpa (che aveva assunto consistenza e colore della suddetta poltrona) e avvicinò il viso al mio, gli occhi chiusi, finché non trovò la mia fronte con la sua. Era in molti sensi un momento schifoso nonché il meno romantico del mondo, ma pensai lo stesso che volesse un bacio e lo stesso gliene lasciai uno sulle labbra insanguinate. Invece, come scoprii un attimo dopo, voleva dirmi col filo di voce che gli restava: «Le prove...ti lascio i miei ricordi.»
«Ok,» replicai, anche se non avevo capito niente «non ti agitare...zitto, Ratbert.» mi resi conto che il ratto era sbucato dalla valigetta con una piccola ampolla, vuota e trasparente, tra le zampine.
Alanna in quel momento terminò la sua Trasfigurazione, smise di ridere e si voltò verso di noi puntandoci contro la bacchetta. Sembrava più rilassata, con un sorriso di grasso appagamento in faccia.
«Che dici, Alec, faccio mangiare Egon dalla pogona? È da prima che ho quest'idea.»
«Può scordarselo!» sbottò il signor Lloyd con voce tremante e indignata, accoccolato accanto al telo che copriva Chip «Non faccia sciocchezze e porti questa storia al Ministero!»
«Avrei dovuto farti un Silencio più potente, pogona! Ma non importa.» la tasca della felpa che indossava prima era diventata una tasca su un fianco della veste viola. Ne trasse il giocattolino del fast food e con un'oscillazione morbida del braccio lo lanciò sul pavimento. Le sezioni geometriche dell'oggetto si schiusero con corredo di lucine e musichetta irritanti, mostrando l'interno vuoto, ma non per molto. Aspirò il bruco verde, immobile e rigido, accanto a cui era atterrato, poi si richiuse su di esso con uno scatto. Quello doveva essere un effetto aggiunto da Alanna.
«Può andare, finché penso a cosa farne.» commentò lei, richiamando il giochino sul palmo della mano con un gesto della bacchetta. Rimise il gioco in tasca e ripuntò subito la bacchetta su me e Alec «Ora pensiamo al fratellone!»



















Angolo dell'autrice: vendetta passionale vs Voldemort: uno a zero. Che dite, vi fa un po' pena Egon? Per Alanna non sembra finita qui, e a farne le spese potrebbero essere proprio i nostri eroini. Recensite pure per dirmi per chi temete di più o per chi tifate, fosse anche per la pogona. Silas e Ratbert lotteranno per Alec? Che sta cercando di fare Alec, mentre il sangue lo abbandona e un bacio lo sostiene? Lo scoprirete non perdendovi il prossimo vermifugo capitolo!

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Capitolo 28
*** L'importanza di essere stupidi ***



Odio avere una bacchetta puntata addosso.

Lo odiavo anche quando lo faceva mia madre per farmi togliere le dita dal naso dall'altro lato della stanza. Figuratevi quanto mi piaceva stare sotto tiro di Alanna, che di certo non era preoccupata per la mia igiene o per la pulizia delle federe.
Lei, Alanna, si stava divertendo come mai nella vita: le brillavano gli occhi e la voce era acuta e briosa. Si reggeva quasi sulle punte dei piedi, come se avesse perso quei quaranta chili che pesava e fosse sul punto, come un vero manico di scopa, di spiccare il volo.
All'estremo opposto stava Alec, rattrappito su se stesso, a fare respiri corti e affannosi e gocciolare sangue come un rubinetto chiuso male.
E in mezzo io, una forma confusa con la poltrona dietro. Ero ancora aggrappato ad Alec, poiché lui aveva esaurito le energie per aggrapparsi a me.
«Silas?» canticchiò quasi Alanna, scuotendo piano la punta della bacchetta «Non farmi ripetere: hai due opzioni, toglierti di mezzo o farti affatturare. E non sono sicura che non lo farò comunque, dopo.»
«Be', se vuoi affatturarmi comunque non serve a niente che mi tolga di mezzo.» osservai, più spavaldo di quanto non mi sentissi.
«Avresti sempre un'occasione per scappare!» ribatté lei, allegra «Finora hai avuto abbastanza fortuna, no?» si avvicinò con due lenti passi. Io mi spostai per mettermi più davanti ad Alec. Lo feci d'istinto, non giudicatemi.
Alanna fece un sorrisino storto e allungò la bacchetta su di me.
Non cercai di scappare.
La bacchetta mi colpì in testa, non un gran colpo ma diciamo che lo sentii, e ho i capelli folti. Sentii anche un improvviso rivolo di calore, confortevole e non bruciante, scorrermi lungo il corpo. Guardai in basso e mi vidi i piedi, le gambe e tutto il resto, di nuovo della forma e colore del vecchio Silas.
«Mi sono stufata di parlare a una poltrona,» spiegò Alanna «magari ti trasformerò in qualcosa di più carino, ma solo se fai il bravo.»
«Fottiti.»
«Ok, non vuoi fare il bravo. Per me va bene anche aspettare, ho l'impressione che Alec non diventerà più vivo man mano che passa il tempo.»
Purtroppo vero. Non riuscivo a pensare a come togliermi dall'impasse (è già tanto che riuscissi a formulare il termine "impasse", con l'ansia che avevo addosso), non ero proprio disperato giusto perché, come aveva detto Alanna, finora avevo avuto abbastanza fortuna. E mi ci affidavo ancora.
«Tanto vale toglierti di mezzo!» concluse contenta Alanna «Nel migliore dei casi potrei curare Alec, tipo...uhm...trasformandolo in un pesce che non ha bisogno di respirare? Nel peggiore, comunque, gli abbrevierei l'agonia.»
«Raccontami anche quella di Baba Raba e il Ceppo Ghignante, visto che sei in vena di storie.» ribattei, deciso a non farmi abbindolare «Quel che ho capito è che non ti va di affatturarmi, forse perché sei stanca dopo la Trasfigurazione o perché davvero "ti rivedi in me"...qualsiasi cosa volesse dire il bel biondo con questa frase.»
«Questa sì che è meglio di Baba Raba!» esclamò Alanna, ma il sorriso le era sparito di colpo dalla faccia, e la linea delle sue labbra era dura «O forse voglio vedere fino a che punto sei stupido, e torturarti con l'evidenza che rischieresti la pelle per un uomo per cui vali meno di un ratto.»
«Sai cosa? Forse hai ragione! Ma me ne frego dell'evidenza! A me di Alec importa. Certo, potessi scegliere, tornerei a portare a casa Babbani che si straniscono quando dico che non so come si accende la tv: almeno in ogni caso arrivavo al Boccino. Con Alec mi ritrovo una bacchetta in mezzo agli occhi e niente in mano, ma continua a importarmene di lui. Anzi no, potessi scegliere, sceglierei di nuovo lui. Ecco fino a che punto sono stupido.»
Alanna rimase per qualche istante esterrefatta. Batté le ciglia dietro gli occhiali.
«Coi Babbani? Bleeeeah!» decise alla fine di commentare «Se lo sapesse Alec non ti starebbe vicino neanche adesso che sta crepando! O è già caduto così in basso? Alec? Ehi?»
Lo interpellò a voce alta e imperiosa, anche se era ormai mezzo ripiegato sulla poltrona e mezzo sul pavimento (non ce la facevo proprio più a sostenerlo). Aveva gli occhi chiusi e il suo sangue era sulla poltrona, sul pavimento e anche addosso a me. Ne sentivo persino il sapore sulle labbra.
Ratbert era raggomitolato sulla poltrona accanto a dov'era abbandonata la testa del padrone. Reggeva sempre un'ampolla tra le zampe, tutto rannicchiato per proteggerla in una palla di pelo lucida e nera. Non mi resi subito conto di cosa stava facendo Alec, poi notai un baluginio argenteo tra i suoi capelli. Staccò la punta della bacchetta dalla propria testa e tirò via un filamento lucente che ricadde nell'ampolla tesa dal ratto.
«Ah, ha deciso di consegnare le sue ultime volontà» commentò senza troppo interesse Alanna, che aveva notato tutto insieme a me «invece che tentare di difendersi...patetico! Mh, l'ho già detto. Del resto non credo riesca più a lanciare la minima fattura, in queste condizioni. Peccato, Silas, non ti proteggerà! Sei spacciato!»
Prima che potessi assentire o dissentire, alle spalle di Alanna eruppe un forte gemito demente. Suonava circa come l'inizio di uno sternuto che ci si sforza di trattenere.

Suonava anche come quell'imbecille di mio cugino.

Vidi il telo sotto cui era rincalzato sussultare e contorcersi, e le sue gambe piegarsi. Il signor Lloyd si ritrasse in fretta, la bacchetta di Egon Hoffmann ancora in bocca. Oserei dire che era riuscito a usarla per svegliare Chip (la bacchetta, non la bocca), con un incantesimo o una semplice punzecchiatura, non lo so. Ora doveva solo evitare che Alanna friggesse entrambi all'istante.
Alanna si era già voltata.




















Angolo dell'autrice: che ne pensate di questo Silas pronto al sacrificio (per amore o per stupidità?) e di questa Alanna non poi così pronta al delitto? E di Alec e Ratbert alle prese coi ricordi, e di Chip...già, finalmente Chip dà segni di vita! Riuscirà anche a dare un contributo al prossimo capitolo? Lo scoprirete solo seguendo.

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Capitolo 29
*** Occasione persa ***



Alanna si era già voltata.
La veste viola le fluttuò tra le gambe mentre faceva un mezzo giro su se stessa e spostava la bacchetta da me a Chip.
Appena avrebbe poggiato il piedino a terra e concluso il mezzo giro l'incantesimo sarebbe partito. Avevo pochissimo tempo. E nessun oggetto a portata di mano da tirare.

Così mi limitai a saltarle alla schiena. Con il braccio sinistro le circondai la vita e con la mano destra le afferrai il polso della bacchetta. Strattonai per abbassarle il braccio, anche se lo irrigidì quasi subito. Un fiotto di luce le eruttò dalla bacchetta, atterrò sulla scrivania di Egon e strisciò fin sul pavimento, lasciandosi una scia di pergamene volanti e il tappeto strinato.
Alanna incurvò la schiena e scalciò, facendomi barcollare. Tentò pure di rovesciare la testa e spaccarmi il naso, la schivai per pura fortuna. Non pesava niente e mi bastava mezzo braccio per doppiarle la vita, ma sarebbe stato più semplice tener ferma una biscia.
Una biscia in effetti non avrebbe neanche sparato incantesimi a destra e a manca, come invece Alanna continuava a fare. E visto che io continuavo a trattenerle il polso, gli incantesimi finivano da tutte le parti: scaffali crollavano, libri saltavano in aria spargendo coriandoli di pagine, la carta da parati fumava.
In tutto questo caos si infilò lamentosa la voce di Chip.
«Che male, che male!» lo vidi fare smorfie, massaggiarsi la testa arruffata e scalciare il telo che lo copriva da una parte. La bacchetta che Alec gli aveva adagiato in grembo era rotolata a terra lì accanto, la raccolse.
La pogona Lloyd iniziò subito a gridargli: «Disarmi la ragazza, signor Collins! Presto...»
Chip inquadrò me e Alanna attraverso la pioggia di pergamene. Sgranò gli occhi, ma non esitò un istante.
«Expelliarmus!»
La bacchetta sfuggì dalle dita di Alanna, che trattenne il respiro e si tese inutilmente per riacchiapparla.
Chip la afferrò al volo con la mano libera.
«Fatto» commentò pacifico, rigirandosi tra le dita il nuovo acquisto. Era ancora seduto a terra a gambe larghe, la schiena contro la parete «grazie del consiglio, signor L...» guardò la pogona accanto a sé e si fermò. Terminò la frase lentamente «...ora che ci penso ero venuto qui con Kingsman.»
«Mi legga nella mente.» lo invitò in tono ragionevole Lloyd, fissandolo con i piccoli occhi tondi e gialli.
Mantennero il contatto visivo per un po', e io mi sforzai di non richiamare la loro attenzione, anche se Alanna continuava a dibattersi e gridarmi nelle orecchie.
«In teoria la Legilimanzia non è "leggere la mente"...ma in pratica lo è.» concluse Chip spezzando il contatto e alzandosi in piedi (non senza prima sbattere la testa contro la mensola crollata che gli pendeva sopra) «Per fortuna...ahia! La sua mente è molto limpida, signor Lloyd!»
«Magnifico, baciatevi, adesso!» ringhiò Alanna, e per una volta ero d'accordo con lei.
«Non credo proprio, gattina,» sorrise Chip rigirandosi la bacchetta di lei tra le dita «oggi sono qui per far la guerra e non l'amore! Silas, lasciala: tanto ormai ha perso l'occasione.»
«Tu dici?» rispondemmo io e Alanna in coro, anche se con intonazioni diverse.
«Be', sì! È un po' da stupidi non ammetterlo. Ma se proprio non lo fa le spezzo la bacchetta seduta stante, quindi...»
Lasciai andare Alanna, più che altro perché non ne potevo più. Lei incespicò per recuperare un baricentro normale, poi rimase impalata, strofinandosi le braccia con lenta e silenziosa indignazione.
«Giocavi a Quidditch?» le chiese amichevole Chip.
«Non è il momento di fare il gallo!» sbottai, indicando la poltrona con il braccio meno indolenzito «Bisogna fare qualcosa per Alec, prima che svuoti le vene su sto' cazzo di tappeto.»
«Già, già, sarà meglio.» ammise Chip impensierendosi appena «Be', qua dentro c'è una Fattura Anti-Smaterializzazione, quindi per cominciare usciamo da questo buco pericolante.» "Pericolante" perché in effetti l'ordinato studio sembrava ora reduce da un tornado. Pezzi di libri e carte ricoprivano il mobilio bruciacchiato e ammaccato come dopo un'assurda nevicata. Il completo-tenda dell'elfa domestica Dingel verdeggiava in un angolo.
«Lei la lasciamo?» intervenni, dubbioso.
«Grazie per avermelo ricordato: no. Non è morta, e quando si sveglierà temo che non ce la farà passare liscia. Incarceramus!»
Corde sottili corsero ad avvolgersi attorno al corpicino verde.
«Avrei dovuto ucciderla.» considerò cupa Alanna.
«Scherzi?!» esclamò di rimando Chip «È preziosa! Deve testimoniare e confessare i suoi crimini! Signor Lloyd, visto che è pratico, mi recupera la sfera con sopra la maledizione? Non la tocchi a mani nude, però.»
«Sembra un compito facile, dal momento che non ho le mani.»
«Ah, già: mi scusi.» Chip puntò la bacchetta e con uno schiocco fece apparire al posto della pogona un ometto sdraiato a pancia sotto.
«Chip,» chiamai a bassa voce. Mi ero accucciato accanto al fagotto chiamato Alec. Pareva proprio incoscente, e pure freddo. O forse avevo le mani fredde io. In ogni caso se mi concentravo lo sentivo ancora respirare. «Chip, mi sa che devi de-vermizzare anche Egon Hoffmann. Lo sai, lui può togliergli la maledizione.»

















Angolo dell'autrice: finalmente Chip è risorto a reclamare anche il suo momento! Ciò dimostra che una pogona al giorno leva Alanna di torno. Silas se la sta cavando con coraggio e forza di braccia, ma i suoi nervi inizieranno a cedere? Riuscirà a salvare Alec a ogni costo? Per commenti, shipping (anche se siete Chip x Lloyd non vi giudico), pronostici e minacce usate l'apposito spazio recensioni! E attendete fiduciosi come sempre il prossimo capitolo!

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Capitolo 30
*** Palle e cervello ***



«Cosa?!» esclamarono in coro Chip e Alanna, con un'intonazione simile.
«Silas, amico mio: usa il cervello e non le palle!» proseguì Chip, forzando un sorriso «Ci penserà il San Mungo a Kingsman. Se de-vermizzo il verme, quello potrebbe leggermente riprovare a ucciderti!»
«Sì, ma Alec sta leggermente morendo!» ero esasperato, anche se dentro di me sapevo benissimo che la mia era un'idea stupida «Guardalo: non si può Smaterializzare! Non può usare la Polvere Volante! Se puoi portarlo...Ratbert, levati dal cazzo!»
Il ratto fece un verso indignato quando lo scansai con una manata. Mi accorsi che reggeva ancora la stupida ampolla tra le zampe, con dentro lo sputo d'argento uscito dalla testa di Alec. Le sue "ultime volontà".

«A-ah!» esclamò Chip, spalancando gli occhi, improvvisamente puntati su Ratbert «Ricordi freschi! Bravo, Kingsman! Non sei così male, anche da moribondo. Qui, ratto bello.» si esibì negli schiocchi di lingua con cui in genere si chiamano i gatti. Incredibilmente funzionò: dopo un attimo di indecisione, Ratbert gli corse incontro.
Alanna cercò di pestargli la coda mentre passava, ma lo mancò.
«Ascolta, Silas» esordì Chip, recuperando l'ampolla dalle zampe del ratto. Era in modalità calma ed efficiente «ho pensato al piano, ed è questo: tu e Lloyd portate Alec e la sfera al San Mungo dove devono stare. Io, Ratbert, l'elfa e la gattina facciamo un salto da chi troverà interessante la faccenda. Vedremo anche se è il caso di de-vermizzare il verme, contento?»
«Io non vengo!» disse subito Alanna «Non farò la spia a nessuno! Restate un Magonò, un'elfa domestica e un pagliaccio: auguri col Ministero!»
«Certo che vieni: ho la tua bacchetta, no? E poi primo, coi ricordi di Kingsman è superflua la tua testimonianza (e non credo farai una bella figura, eheh), secondo, non andiamo al Ministero.» ammiccò e puntò la bacchetta verso il pavimento accanto a me e Alec.
«Portus!» 
Il fermacarte di giada (l'avevo dimenticato) fremette, avvolto da una luce azzurra, poi tornò verde e immobile.
«Ha l'autorizzazione per creare una Passaporta, signor Collins?» chiese il signor Lloyd, che era strisciato fuori da sotto la scrivania con la sfera (a giudicare dalla forma) avvolta e ben chiusa tra i capi annodati di un fazzolettone scozzese.
«Ops: no. Ma l'ho appena fatto, perché, senza offesa, non sono sicuro che lei riesca a far Materializzare tutti i pezzi di mio cugino e di Kingsman dall'altra parte. Se ho attivato una Traccia, tanto peggio, la casa è del verme e il Ministero può dare la colpa a lui.»
«Ha ragione, ovviamente. Venga, Silas, dobbiamo far toccare la Passaporta anche al signor Kingsman.»
«So come funziona una Passaporta, signor Po...Lloyd.» ribattei, teso ma abbastanza speranzoso. Avevo già passato un braccio attorno al petto di Alec, Lloyd mi aiutò a trascinarlo letteralmente fino al fermacarte. Gli presi la mano, era bianca e più fredda della mia.
Alzai lo sguardo su Chip, che occhieggiava un po' Alanna e un po' noi, con il suo classico sorriso sognante. Ratbert gli si arrampicava dal collo alla testa.
«Grazie, Chip.»
Lui ammiccò: «Adios, Silas!»
«Adios!»
Io e Lloyd ci accordammo con un'occhiata e toccammo contemporaneamente il fermacarte con le dita. Le mie erano allacciate a quelle di Alec.
Quando si attiva una Passaporta è come se ti tirassero via le budella dall'ombelico, ma stavolta fu quasi un sollievo.

















Angolo dell'autrice: con questo breve (scusate) capitolo si chiude una serie di traversie da cui i nostri sono usciti non proprio sani ma abbastanza salvi. Ancora NON si chiude qui la storia! Ci sarà tempo per leggere cosa ne sarà di Silas, Alec (nonché SilasxAlec) e tutta la banda. E per spiegare che diamine è successo e succederà ancora. Spero non vi siate ancora stancati! Potete recensire e volendo votare il binomio palle/cervello più efficiente tra Silas, Chip, Lloyd e Ratbert. E ovviamente continuare a seguire!

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Capitolo 31
*** Quel vuoto che la cioccolata non può riempire ***



Scartai una Cioccorana.

Ok, forse non è il modo migliore per iniziare. Ma non volevo annoiarvi con la cronaca.

L'importante è che la Passaporta di Chip ci trasportò al San Mungo sani (o non peggio di prima, nel caso di Alec) e salvi.
Per fortuna c'era il signor Lloyd coi suoi modi pacati, perché io da solo avrei fatto più casino che altro. Presero in esame la sfera maledetta e Alec.
Passarono almeno dodici ore prima che avessi più la minima notizia di entrambi.

Trascorsi buona parte di quelle ore alla Sala da Tè per i visitatori al quinto piano. Man mano avvertii l'istinto, o fortuna, o il qualsiasi cosa che mi aveva sostenuto nelle ore precedenti svanire come se non ci fosse mai stato.
La Guaritrice del reparto Avvelenamento da Pozioni non mi aveva neanche rampognato per la fuga, segno che dovevo avere proprio una faccia su cui non infierire. Mi aveva restituito gli specchi, anche se ormai erano inutili.
Chiacchierai con il signor Lloyd, o meglio, parlò soprattutto lui, mentre io stavo spalmato con le braccia incrociate e la testa sul tavolino.
«Ho avuto l'impressione che lei si sia fatto troppo suggestionare dalle parole della signorina Kingsman.» aveva detto, girando il cucchiaino nel suo tè. Io avevo preso caffè, ovviamente.
«Intendo sul fatto che al signor Kingsman non importa di lei...»
«Sì, avevo intuito.» avevo bofonchiato a due centimetri dal tavolino.
«...ma davvero, non le dia peso: la signorina Kingsman è una ragazza tormentata e molto sola. Non credo abbia vere amicizie o tantomeno veri amori.»
«Lei dovrebbe scrivere romanzi.»
«Magari quando andrò in pensione lo farò. Credo inoltre di saperla più lunga della signorina sui sentimenti del signor Kingsman: l'ho visto quando era lei quello in prognosi riservata qui al San Mungo.»
Forse si era aspettato che gli avrei chiesto di approfondire, ma ero rimasto zitto.
Dopo qualche ora anche Lloyd se n'era dovuto tornare a casa dalla famiglia. Io non dovevo tornare da nessuna parte, così ero rimasto.
Chiusa la Sala da Tè avevo cercato asilo nel corridoio del quarto piano, mi avevano cacciato e detto di tornare il giorno dopo.

Ero uscito nella strada babbana, tra le saracinesche abbassate dei negozi ormai chiusi. Qualche sparuto gruppetto di Babbani andava o tornava dalle feste babbane, gli abiti babbani da festa e i tacchi alti delle scarpe babbane sul marciapiede. Chiacchieravano ad alta voce di cose babbane. Nessuno mi prestava grande attenzione, ero uno sciamannato qualsiasi senza l'aria particolarmente minacciosa. Sembravo Babbano, ma non lo ero abbastanza, come non ero abbastanza mago. La storia della mia vita.

Avevo creduto di passare la notte in bianco con tutto il caffè che avevo buttato giù, ma in verità mi ero addormentato su una panchina.
Dopo questa raffinata esperienza avevo fatto ritorno al San Mungo, incassato il rifiuto di vedere Alec e ripreso posto alla Sala da Tè.
Non avevo soldi, ma mi ero guadagnato una Cioccorana gratis commuovendo la tipa del negozio.
Stavo appunto seduto al tavolino a scartare la Cioccorana quando qualcun altro si sedette vicino a me.

«Le andrebbe di scambiare le figurine?»

Era una voce gentile, quella di un uomo decisamente vecchio per le figurine delle Cioccorane. Ad ogni modo, prima di dare una risposta vincolante, spostai la cioccolata per vedere cosa mi era toccato.
«Godric Grifondoro. Ok, ce l'ho. In effetti ne ho una montagna, ma sta a casa dei miei, ho smesso di fare la collezione. Lei cos'ha?»
Il vecchio mi mostrò la figurina: c'era sopra una familiare faccia barbuta con gli occhialini a mezzaluna e il naso ricurvo. Albus Silente.
Da sopra la figurina, una familiare faccia barbuta con gli occhialini a mezzaluna e il naso ricurvo mi sorrideva gentile e vagamente divertita.
















Angolo dell'autrice: sorpresa! Non per lark, che l'aveva indovinato (sgrunt!) nella sua recensione dello scorso capitolo! Ora la domanda è: come se la caverà l'autrice con questo personaggio non originale? E Silas, come reagirà? Le domande sono diventate già due, ma come sempre non dovete per forza rispondere, basta anche un commento al Silas in versione malinconico-esistenzialista che compare in questo capitolo. E come sempre, continuate a seguire!
 

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Capitolo 32
*** Il sogno silente ***



Fissai a lungo la faccia di Silente.

Lui ricambiò tranquillo lo sguardo. Rispetto al suo corrispettivo sulla figurina, riuscivo a vedergli dettagli come il reticolo di rughe attorno agli occhi azzurri e le piccole macchie sulla pelle.

Mi sarebbe piaciuto poter verificare se lo vedevo solo io, ma la Sala da Tè al momento era deserta.

«Anche Silente ce l'ho già.» ruppi il silenzio.
«Peccato» commentò quieto Silente, abbassando lo sguardo per rimirare il proprio volto ammiccante sulla figurina «Suppongo che dobbiamo entrambi tenerci quel che abbiamo.»
«Se vuole Godric, prenda pure.»
«Grazie, ma l'ho già trovato molte volte» morse delicatamente la Cioccorana «per fortuna c'è sempre la cioccolata.»
Mangiai anch'io. Il sapore pieno della cioccolata mi aggredì il palato e mandò al cervello un immediato segnale di soddisfazione. Dal giorno prima avevo mandato giù solo un biscotto col caffè. Magari stavo sognando, ma nei sogni non si sentono spesso i sapori, quindi boh.
«Che fa di bello da queste parti? Non ha da fare a Hogwarts? Ho letto sul Profeta che c'è un torneo, tipo.»
«Il da fare non manca. Ma avrei dovuto farti visita molto tempo fa.»
Rimasi a bocca aperta, e per fortuna che avevo già inghiottito.
«A me?»
«Sto parlando con Silas Hare, giusto? Spero proprio di sì: farei davvero la figura del vecchio rimbambito, altrimenti.»
«No, cioè, sì, sono io. Credo che lei abbia scritto ai miei genitori. Le mandano ancora lettere, eh? Mi dispiace, ma guardi che io non c'entro.»
«Colpa mia, avrei dovuto capire che non bastava una lettera. Considerato che i Magonò sono così rari, non mi sarebbe costato poi molto dedicare più tempo alla questione. A mia discolpa, ho passato un decennio piuttosto impegnativo.»
Di solito a questo punto del sogno Silente, dopo essersi profuso in scuse, diceva che si era sbagliato e mi allungava la lettera per Hogwarts. Avevo smesso di fare quel sogno da un bel pezzo, però.
«Ormai sono grande per Hogwarts» osservai quindi «e non dia retta a cosa le hanno scritto i miei, non saprei fare una magia neanche se ne andasse della mia vita. In effetti ne ho avuto la prova di recente...»
«Lo so, Silas.»
Mi fece un certo effetto sentirgli pronunciare il mio nome. Tanto che non capii subito le implicazioni di quel che aveva detto.
«Eh?»
«Il signor Chester Collins è venuto a raccontarmi la tua storia.»
Ora le capii.
«Sei stato molto coraggioso, Silas.» continuò Silente, guardandomi. Misi in bocca quel che rimaneva della Cioccorana e masticai lentamente «Con quella certa dose di incoscienza senza la quale molti coraggiosi non farebbero un passo.» deglutii.
«Dice che sarei potuto andare a Grifondoro?»
«Certamente,» io l'avevo detto un po' per scherzo, così la risposta mi spiazzò di nuovo «ma non credo che ti serva un Cappello Parlante per riconoscere il tuo valore. A me è bastato esaminare i ricordi del signor Collins e del signor Kingsman. Il primo lo ricordo per la propensione alla Legilimanzia e per l'inusitata esplosione di crema che provocò durante un banchetto in Sala Grande; il secondo fu Prefetto e vinse un Premio Speciale per la Trasfigurazione di un branco di topi. Già, come si chiama un insieme di topi? Branco, orda o...?» Silente si batté pensosamente la punta del naso con l'indice.
«Topaia?» suggerii per niente convinto.
«...colonia, forse? Ma non ha importanza. Ad ogni modo, sono onorato della fiducia che hanno riposto in me i miei ex studenti. Un altro mio ex studente, in compenso, pare abbia scelto la strada della crudeltà e dell'assassinio...e per quell'ex studente, ahimè, posso far poco. Non è certo il più orgoglioso prodotto di Hogwarts, ma appartiene a una nota famiglia purosangue che rifornisce da generazioni i principali negozi di Magia Oscura. Ha molte amicizie importanti e il suo arresto creerebbe un incidente diplomatico che, a ridosso del Torneo Tremaghi, sarebbe doppiamente sconvolgente. Senza contare la probabile implicazione di una terza persona molto prodiga nel conquistarsi il favore del Ministero della Magia. Un Ministero della Magia a cui non piace sentir parlare né di Mangiamorte, né di Maghinò né di elfi domestici. Alla luce di tutto questo, temo che tutte le prove che potremmo impilare aprirebbero solo un processo di cui non vedremmo presto la fine. Potremmo vedere prima il ritorno di Voldemort.»
Sussultai, facendo gemere la sedia. Silente, le dita unite in punta, guardava davanti a sé con aria malinconica ma quieta. Spostò gli occhi azzurri su di me e mi fece un rapido sorriso.
«Ovviamente faremo il possibile per evitarlo. Intanto la cosa più immediatamente utile da fare mi è sembrata rispedire il signor Egon Hoffmann da suo padre, insieme all'elfa Dingel, sperando che l'aria di montagna gli schiarisca le idee.»
«Sperando sì, perché altrimenti mi tornerà addosso come un Frisbee Zannuto» osservai, contrariato «mi avvelenerà anche il caffè, finché crede che io e Alec...ehm.»
«Ho ritenuto opportuno» scandì Silente, guardando distrattamente il soffitto «alleviare i tormenti amorosi del signor Hoffmann togliendo qualche piccolo dettaglio dalla sua memoria. Del resto, era un dettaglio che egli stesso aveva definito troppo insignificante per essere ricordato.»
Mi si era seccata la bocca a forza di rimanere a bocca aperta. Ora sì che avrei bevuto un tè.
«Se avessi consegnato il signor Hoffmann a un pubblico scandalo, il risentimento dei suoi amici avrebbe potuto nuocerti più di lui, per cui ho preferito agire in modo...sono indulgente a definirlo "poco ortodosso".»
«Be'...grazie.» dissi alla fine.
«Non c'è di che.» rispose Silente, modesto «suppongo gradirai sapere che l'elfo domestico Guzzle è libero dalla maledizione della sfera.»
Mi si dipinse in faccia quello che non doveva assomigliare al gradimento.
«Non ti ha tradito per sua volontà» aggiunse Silente leggendomi l'espressione «in compenso credo abbia cercato di avvertirti. Secondo i ricordi del signor Kingsman, hai trovato un Molliccio nel tuo armadio, un evento non insolito nelle case di maghi, ma insolito negli appartamenti babbani.»
«Pensa ce l'abbia messo lui?! E perché?» E quanti ricordi le ha passato esattamente, Alec? Questo non lo chiesi.
«Forse per convincerti a scappare. Ho trovato un po' di tempo per far visita a Guzzle, per accertarmi fosse libero dalla maledizione, ma non sono riuscito a estorcergli molte parole.» probabile che Silente fosse troppo educato per aggiungere "sensate"  «Anche l'indizio della borsa col marchio Kingsman altri non era che un goffo indizio.»
«Guzzle fa pena con gli indizi come con le pulizie.»
«Le buone intenzioni c'erano.» cos'altro poteva dire, era Silente, dopotutto. Si alzò dalla sedia. Capelli e barba incredibilmente argentei e lunghi gli ricaddero dietro il mantello e oltre la cintura «Ora, che ne diresti di un tè?»















Angolo dell'autrice: se Silente vi sembra troppo un deus ex machina...avete ragione. Ma ehi, è Silente e deus ex machina è il suo secondo nome (dopo Percival Wulfric Brian). Spero davvero che risulti in character, mi ci sono impegnata. E spero abbiate apprezzato la menzione a Guzzle. E che abbiate apprezzato Silas, ovviamente. Insomma, in caso scrivetelo in un'apposita recensione! Continuate a seguire la storia, poiché anche se si va verso la fine, ci sarà ancora qualche sorpresa!

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Capitolo 33
*** Novità ***



Alec stava bene.

Lo scoprii al termine delle dodici ore, aiutò il fatto che ad andarsi a informare fosse Silente in persona.
Erano riusciti a staccargli la maledizione di dosso e la sfera era andata distrutta (con tanti saluti alle prove del crimine), lui era un po' meno distrutto ma non esattamente in gamba. Era ancora incosciente, ma si sarebbe ripreso.
Silente mi consigliò di tornare a casa a riprendermi un po' anch'io, e i consigli di Silente sono come quelli del Guaritore, li segui e basta.
«Buona fortuna per la scuola.» abbozzai come saluto, tendendogli la mano. Che scemo, ma mi venne così. Silente mi strinse la mano senza batter ciglio.
«Buona fortuna a te, Silas. Avevi ragione a dire che sei grande per Hogwarts. Non sei un ragazzino, sei un giovane uomo dalla tempra notevole. Non avere mai il dubbio di non essere abbastanza.»
Il dubbio che avevo ora è che fosse stato Silente a insegnare due cosette di Legilimanzia a mio cugino.

Parlando di mio cugino: ricevetti una sua visita la mattina dopo. Lo annunciò una sequela di strilli, tonfi e ruggiti, perché i dispositivi di Alec erano ancora lì e nessuno aveva pensato (o potuto) disinnescarli.
Quell'idiota nemmeno si ricordava la parola d'ordine, così dopo molte grida dovetti alzarmi dal letto e zoppicare con gli occhi semichiusi per andargli ad aprire.
Scoprii che lo zerbino si attivava quando usavi un certo incantesimo per eludere le difese, e per farla breve meno male che le scarpe di Chip erano spesse.
«Meno male che ho salvato i muffin!» esclamò invece lui, porgendomi un sacchetto di carta «Guarda, hanno scritto il mio nome sul bicchiere! Ed è sbagliato!» quel particolare sembrava renderlo ancor più felice.
«Ma che ore sono...e di che giorno...?» bofonchiai, pescando dal sacchetto un muffin e un bicchiere di carta pieno di un liquido caldo e sciaguattante, chiuso da un coperchio di plastica. Appena misi a fuoco il marchio stampigliato sopra mi svegliai del tutto «Cosa...l'hai presi da un locale babbano! Ma ci sei entrato vestito così?!»
«Sì. Perché no, è sobrio.» rispose tranquillo come una pasqua Chip. Era vestito da mago, forse credeva di essere sobrio perché era in blu anziché in giallo «Pensavo di farti piacere con il cibo babbano! In effetti questi muffin sono buoni, ce n'erano altri due che ho mangiato venendo qui. Non ci tenevi a quelli con le gocce di cioccolato, vero?»
«Sì, invece!» discutere con Chip da appena sveglio era peggio che mai. Comunque a giudicare dalla luce da fuori e dalla colazione appena ricevuta, avevo dormito un pomeriggio e una notte intera, cosa che non avevo previsto buttandomi il giorno prima a letto per un pisolino.
«Sveglia sveglia! Andiamo al San Mungo.» annunciò Chip, prendendosi un terzo muffin.
«Ci sono novità?» chiesi subito.
«Sì, è di questo che volevo parlarti. Ho pensato molto al fatto che ti sto sul culo, e capisco che non ci siamo frequentati molto in questi anni, a parte a Natale...»
«Intendevo novità su Alec.»
«Ah. Sì, Kingsman sta bene. Dovrebbe essersi svegliato, a quest'ora.» prese un sorso di caffè dal bicchiere di carta «Uhm, andiamo?»
Avevo già finito il mio muffin, in fretta prima che ci arrivassero le zampe di Chip. Mi alzai e andai a raccattare vestiti dal pavimento.
«Certo. Ci Smaterializziamo?»
«Sai, quella volta che ho fatto la Materializzazione Congiunta in effetti era la prima volta. Non sono sicuro mi riesca, senza l'adrenalina del momento.»
«Stai dicendo che dovrei prendere la metropolitana vicino a te conciato così? Bella sicurezza Anti-Babbani, e poi io mi vergogno.»
Chip prese un'aria paternalistica e ragionevole: «Silas. Siamo a Londra. Non ci fa caso nessuno.»

A me sembrò che ci guardassero tutti, ma vabbè.
Chip sorseggiò il suo caffè come un turista felice, seduto sul vagone della metro con accanto me, piccolo e sbiadito in confronto. Non so se avesse fatto una magia per farci trovare posto.
Mentre camminavamo verso la via piena di negozi tra cui era camuffata l'entrata del San Mungo, Chip riprese il discorso "novità".
«...pensavo che avrei dovuto mandarti qualche gufo, ogni tanto, sai, per sentire come stavi. O invitarti a qualche partita di Quidditch. Per esempio potevo invitarti alla Coppa del Mondo, anche se alla fine non ci sono andato nemmeno io, ho perso i biglietti per un pelo!»
«Tanto il biglietto non me lo sarei potuto permettere, e poi sarebbero venuti i tuoi amici, no?»
«Be', sì...»
«Ah, e ora che ci penso non ho più un lavoro, quindi non so quando potrò di nuovo permettermi i biglietti per il Quidditch.» magari Silente avrebbe potuto assumermi, oltre che parlarmi in tono confortante.
«Ecco, era di questo che ti volevo parlare! Sai, gli affari mi stanno andando molto bene, tanto che pensavo di assumere una segretaria per smistare gli ordini, mentre io e il mio socio ci occupiamo della produzione. Non serve magia! Le tette grosse erano gradite, ma anche senza tette grosse va bene. Ti va di farlo?»
«La segretaria?» ripetei, un po' spiazzato.
«Anche un aiutino con le spedizioni farebbe comodo. Impacchettamento discreto, eccetera. Usiamo i gufi, ma alcuni clienti preferirebbero la consegna a mano, è più facile che acciuffare il gufo prima che lo intercetti la moglie. Hai quella cosa babbana per guidare?»
«La patente? No.»
«Vabbè, prendila. Ci penso io a stregare gli esaminatori. E comprerò un coso a ruote, certo...»
«Mh, Chip?» lui si voltò a guardarmi, delicatamente perplesso «Non è vero che mi stai sul culo, cioè, non sempre. È che quando sei andato a Hogwarts sono rimasto solo come uno scemo, e tu hai cominciato ad avere tutti quegli amici che ti venivano a trovare durante le vacanze. Parlavate di tutte quelle cose di cui io non capivo niente, e facevate tutte quelle cose che io non potevo fare. Anche se c'ero in mezzo, era come se non ci fossi, o comunque non mi ci sentivo...così mi sono stufato.»
«Mmh.» Chip mi guardò di sottecchi «Scusa...?»
«Va bene così. Grazie per l'offerta, accetto.»
Chip si illuminò.
«Ottimo! Ah, te l'ho detto di portare uno dei tuoi libri di Gilderoy Allock? Ne hai un po', vero?»
«Eh? A casa ce li ho tutti. Li vuoi in prestito?»
«Non indovinerai mai chi c'è nel reparto Lesioni da Incantesimo!»
















Angolo dell'autrice: voi invece l'avrete indovinato, scommetto! Ma non pensate di saperla tanto lunga: il prossimo capitolo potrebbe ancora riservare sorprese! E con questa frase sibillina spero di avervi convinto a continuare a seguire. Potete anche recensire, dicendo cosa ne pensate del nuovo lavoro e della sottrazione di muffin per Silas. -4 capitoli alla sospirata fine!

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Capitolo 34
*** Un incontro inaspettato ***



«Non indovinerai mai chi c'è nel reparto Lesioni da Incantesimo!» aveva detto mio cugino, e in effetti non avrei mai indovinato.
E non parlo di Gilderoy Allock (a cui comunque volevo assolutamente dare una sbirciata), ma di una visitatrice che incontrammo alla Stregaccoglienza.

Era davanti a noi, di spalle, ma riconobbi la sagoma sinuosa, accentuata da un insgamabile tailleur babbano grigio, e i capelli neri e lucidi alle spalle. Malgrado fosse sbilanciata da una parte da una borsa di stoffa verde con il marchio Kingsman's, manteneva un elegante equilibrio sui tacchi a spillo.
Chip mi diede di gomito e cercò di sussurrarmi un commento sul culo, ma conoscendo il volume dei sussurri di mio cugino borbottai per farlo tacere.
Non servì a molto, perché la donna si voltò subito dopo verso di noi.
«Sono pronta a scommettere che siete qui per Alec Kingsman. Ho vinto?» la voce della madre di Alec era pacata e vibrante come sempre. Ora che vedevo la sua faccia da vicino, la somiglianza era pure più evidente...cioè, somigliava all'Alec quattordicenne, quando era meno virile. Alanna le somigliava meno, forse per via dell'espressione dura e acida invece che morbida e ironica.
Era chiaramente una donna adulta, non una quattordicenne, ma parecchio giovanile. Il viso e i capelli splendevano di trucco e parrucco come un'insegna laccata di fresco.
«Lei è bravissima!» rispose Chip, suadente.
«E lei è chi?» replicò senza batter ciglio la madre di Alec «Riconosco solo questo ragazzo. Gli ho mandato una lettera che è stata molto efficace, a quanto vedo. Ma sospetto che mia figlia ci abbia messo del suo.» si voltò con un ondeggiare di chioma verso la strega al bancone, poi di nuovo verso di noi «Stavamo giusto parlando di Alec. Pare non voglia vedere nessuno. Ma forse voi avreste più fortuna...?» parlava tutta affabile e compita, come se fossimo tutti ospiti (poveri) nel suo salotto.
La tizia della Stregaccoglienza intervenne, un po' seccata «Non è una questione personale, signora. Il signor Kingsman ha detto "nessuno", e siccome ora è perfettamente in sé, possiamo credere che intenda nessuno.»
«Posso credere di conoscere mio figlio meglio di lei, signora...e quel che posso credere in fin dei conti non è affar suo.» replicò scherzosamente (più o meno) la madre di Alec, con un sorriso piuttosto affilato «Andiamo, Silas.» aggiunse, chiamandomi come se fossi il suo elfo domestico, e si incamminò con un agile ticchettìo di tacchi.
Le andammo dietro, io riluttante, Chip prontissimo. Si offrì persino di portarle la borsa lungo le scale, ma lei rifiutò educatamente.
«È solo un cambio d'abito, e qualcosa da mangiare: non sono sicura di cosa diano al San Mungo.»
«E cosa gli ha portato?» chiesi scettico, allungando il collo per spiare dentro la borsa. Mio malgrado, ero incuriosito.
«Insalata di spinaci crudi e noci.»
«Lei non è una gran cuoca, eh?»
«È il suo piatto preferito. Non lo sapeva?» rispose lei soave «Comunque no. Mi trovo meglio a cuocere i bulbi oculari dei miei nemici mentre sono ancora nel cranio.»
«Occhio alla zuppa!» esclamò divertito Chip.
«Stavo scherzando» precisò la signora Kingsman sbattendo le ciglia «ma non creda che sarò clemente se mio figlio dovesse finire in altri guai a causa sua.»
«Veramente sono quasi morto io a causa sua...»
«Lei non è mio figlio, veramente. Questa volta lascio correre perché ho già Alanna a cui pensare: non mi ha voluto dire molto, ma la conosco abbastanza per capire che ha le sue responsabilità.» si interruppe e accelerò per intercettare un Guaritore che camminava per il corridoio. Scambiarono qualche parola, poi la signora Kingsman ci fece cenno «È in quella stanza. Vada avanti lei, Silas, per favore. Gli dica che sono qui. Se la riceverà, saprò almeno che c'è qualcosa che vi lega.»
Molto incoraggiato, feci per entrare nella stanza.
Una Guaritrice mi bloccò immediatamente, ponendosi in tutta la sua stazza in mezzo alla cornice della porta. Fece in tempo ad aprire bocca che io mi voltai di taglio e la schivai camminando svelto di lato. Girai su me stesso e proseguii con naturalezza.

Alec era nel letto in fondo ed era perfettamente sveglio, ma così assorto nella scrittura da non accorgersi di me.
Aveva rimediato una sorta di scrittoio portatile di legno che gli poggiava sulle ginocchia e gli teneva con la giusta inclinazione la pergamena davanti. La piuma scricchiolava viaggiando sul foglio a una velocità tale che pareva andasse sotto dettatura.
Il mezzobusto fuori dalle coperte mostrava il sopra di un pigiama o camicia da notte bianco, a maniche corte. Il viso era segnato dalla stanchezza, i capelli vi ricadevano altrettanto stanchi e disordinati e aveva uno sbaffo di inchiostro sul naso.
Si fermò un attimo e sollevò uno sguardo pensoso, avvicinando l'estremità della piuma alle labbra, e io pensai che fosse proprio il massimo, meglio di Gilderoy Allock, e che avevo proprio perso la testa per lui. Per poco non ce la perdevo letteralmente.
Alec incrociò i miei occhi e abbassò la piuma di scatto.



















Angolo dell'autrice: bentornata alla madre di Alec, che, nel caso non ricordaste, si è intravista nel capitolo 15. Ve l'aspettavate? Intanto è tornato anche Alec, non proprio in forma ma effettivamente meglio di Gilderoy Allock. Che ne sarà della coppia Alec e Silas? Spettegolate pure nelle recensioni, e occhio ai tre capitoli che mancano alla fine!

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Capitolo 35
*** Tua madre ***



«Vattene.» mugolò infastidito Alec, abbassando di nuovo lo sguardo sullo scrittoio e passandosi nervosamente la mano tra i capelli «Fortuna che avevo detto che non volevo visite...»
«Ne avrai tantissime, sei così simpatico!» esclamai, avvicinandomi. Non c'erano sedie e non ne potevo certo far apparire, così mi buttai sull'angolo del letto accanto a lui. Gli feci inclinare lo scrittoio (non ci avevo fatto apposta, comunque) e lui trattenne sonoramente il respiro, acchiappando in tempo la boccetta di inchiostro.
«Ops, scusa. Dì, perché non vuoi vedere nessuno?»
«Perché mi incasini tutto!» sbottò Alec, agitando le mani accanto alla testa «E devo finire questo articolo che non potrà mai essere pubblicato, perché qualcuno dovrà pur scriverlo e sono l'unico talmente stupido da farlo. Faccio pena da come sono conciato, e l'ultima cosa che mi ci voleva è farti pena.»
«Se è per questo, ti ho visto peggio di così. E mi piace come ti stanno i capelli.»
Alec si coprì la faccia con la mano.
«Sul serio, non ti prendo per il culo. Comunque mi sa che ti sei perso qualche passaggio, mentre eri stecchito. Ora te lo racconto: ho incontrato Silente al bar...»
Alec si lasciò scivolare la mano dalla faccia: «E io un centauro al bagno. Era bellissimo. Voleva fare certe cose...»
«C'è tua madre.» mi ricordai all'improvviso, anche perché era apparsa sulla soglia.
Alec rimase impietrito.
«Vi lascio soli.» decisi, alzandomi dal letto. Le dita di Alec mi toccarono il polso e scivolarono via senza stringere. Le punte mi sfiorarono il palmo. Mi voltai, ma lui distolse lo sguardo e si morse appena il labbro inferiore.

Io e la signora Kingsman ci incrociammo a metà strada senza guardarci, lei mentre entrava, io mentre uscivo.

«Chissà cosa direbbe se scoprisse che esco con sua figlia!» esclamò Chip appena mi sistemai con la schiena appoggiata alla parete del corridoio accanto a lui.
«Tu non esci con Alanna» ribattei, malmostoso «e se lo facessi saresti il più grosso coglione dai tempi di Barnaba il Babbeo.»
«Certo che ci esco! Venerdì sera, ha accettato.»
«Forse perché non le hai ridato la bacchetta? Ti avvelenerà la cena. E poi, scusa, a parte che è una stronza pazza, ha anche cercato di affatturarmi.»
«Gliel'ho ridata, invece, e sono uscito con stronze peggiori! Alla fine non ti ha affatturato, no? Avrebbe avuto tempo di farlo, ma non l'ha fatto. Ehi, tranquillo: il tuo cuginetto è il Mago dell'Alcova.»
Non avevo ancora iniziato a lavorare per quello stupido marchio e già il nome mi faceva saltare i nervi.
Chip evocò due sedie e ci accomodammo belli come il sole, mentre la Guaritrice tarchiata passava e ci guardava male. Alec e sua madre pareva avessero iniziato una lunga discussione, così a me e mio cugino non restava che chiacchierare.
«Come ti è venuto in mente di andare da Silente?»
«Così. Mi ci ha fatto pensare Kingsman con quei ricordi nell'ampolla: Silente ha un affare chiamato Pensatoio per vedere i ricordi. L'ho visto quando ci ho fatto un colloquio per via delle lezioni di Legilimanzia. E Silente aveva riso della mia bomba alla crema, al contrario di quel Prefettino perfettino di Kingsman...»
«Ora che ci penso, che fine ha fatto Ratbert?»
«Non potevo mica portarlo qui, no? L'ho lasciato al mio socio, non credo mangi i ratti. I goblin non mangiano i ratti, vero? Mh, comunque non ti ho detto che il signor Lloyd vuole assumermi come assistente. Incredibile come nessuno capisca che io ho già un lavoro!»
Mi stavo giusto preoccupando del socio goblin quando mi colpì la realizzazione che da quella notte al cimitero a quel giorno la mia vita era cambiata.
Grazie al cavolo, direte, ma tra uno stress e l'altro non me ne ero reso conto. Certo, il Mangiamorte del cimitero era ancora a piede libero e Egon Hoffmann, in qualche remota montagna asburgica (a Fanculo) continuava a esistere. Le minacce del futuro erano oscure e non tanto remote.
Ma visto quello che avevo già passato, io ero abbastanza da superarle.

«Buona fortuna.» mi augurò enigmatica la signora Kingsman uscendo dalla stanza col suo sorriso soave che prometteva bulbi oculari bolliti. Chip le guardò il culo mentre si allontanava, io mi precipitai daccapo da Alec.
















Angolo dell'autrice: un breve capitolo con un inedito Silas motivazionale. L'episodio della bomba alla crema citato da Chip, per chi non lo ricordasse, viene menzionato da Alec nel capitolo 4. Purtroppo la mamma di mezzo ha interrotto il confronto tra Silas e Alec, ma confidate pure nel prossimo capitolo, che sarà nientemeno che il penultimo di questa storia! Commentate la babbeaggine di Chip e l'acidità di Alec e continuate a tifare per il lieto fine!

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Capitolo 36
*** L'insalata ***



Alec rimirava scontento la sua vaschetta di insalata.
«La mangiavo prima che andassi a Hogwarts...sono cambiato. A me piace la torta al butterscotch...oh, pazienza,» la buttò sul comodino (ne aveva uno) «se c'è una cosa che non cambierà mai sono i miei genitori. Ecco perché non tornerò neanche morto.»
«Hai fatto bene a non morire.»
Per la prima volta lo vidi sorridere. «Anche tu.»
«In realtà non so bene come ho fatto...» cominciai, con tutta l'intenzione di fare il modesto all'inizio per sboroneggiare alla fine, ma Alec mi interruppe.
«Io sì: ti ho riempito di Felix Felicis l'Idromele...la Pozione della Fortuna.» spiegò davanti al mio sguardo interrogativo «Dalla mia provvista personale. Me la tenevo per un'occasione speciale, ma ero seriamente preoccupato per la tua pelle, quindi...»
«Sei un bastardo.» dissi lentamente.
«Prego, non ringraziarmi!» esclamò offeso Alec «Mesi di lavoro, per non parlare dei galeoni per gli ingredienti...e invece di usarla per metterti al sicuro, tu vai a pescare mia sorella e corri in bocca al nemico. Che ti ho lasciato a fare quel messaggio sulla rivista?!»
«"Bevi alla mia salute" era proprio un messaggio del cavolo, potevi fare la fatica di dirmelo a voce, invece di sfoggiare i tuoi incantesimi.»
«Quello era solo il titolo, sotto c'era scritto altro.»
Stavolta mi tappò abbastanza la bocca. In effetti la Guaritrice mi aveva sottratto la rivista prima che mi venisse in mente di aspettare a leggere altre parole.
Alec mi stava guardando storto: «Se te l'avessi detto a voce avresti fatto un sacco di storie. Ho pensato fosse inutile farti agitare inutilmente e ho predisposto quel piano solo in caso di pericolo. Già, ha funzionato a perfezione!» sbuffò, abbassando lo sguardo sulle sue pergamene. Prese la piuma e cancellò al volo due parole.
«Com'era quella barzelletta che iniziava con Silente al bar? Ho proprio bisogno di farmi una risata.»
Era proprio stronzo, ma non riuscivo ad arrabbiarmi sul serio, finché aveva quello sbaffo di inchiostro sul naso. Gli raccontai tutto.
«Pensavi di morire quando hai lasciato quei ricordi?» gli chiesi. Era rimasto in silenzio, quindi qualcuno doveva pur iniziare il discorso.
Si inumidì le labbra: «Come vorrei avere un Pensatoio!» disse invece di rispondere «Fullerton venderebbe sua nonna. Anch'io la mia...ma la venderei per meno.»
«Te lo chiedo perché sono preoccupato di quanta roba tu abbia passato a Silente, sai, di me e te. Sarebbe un po' imbarazzante avergli stretto la mano.»
«Lo dici solo per vantarti di avergli stretto la mano» osservò lui acuto come sempre «e comunque ci ho messo il necessario. Dovrebbe preoccuparsi di più Egon.» il nome fece cadere di nuovo il silenzio.
Alec fissava le fitte righe di cui aveva ricoperto già due fogli di pergamena, in una bella grafia minuta e affilata. Io sbirciavo l'azzurro dei suoi occhi sotto le ciglia e mi chiedevo, in mancanza di Pensatoio, dentro quali ricordi si stesse perdendo.
«Pensavo che Alanna l'avrebbe schiacciato.» disse alla fine.
«E sei contento che non sia successo?»
«Cosa vuoi sentirti dire?» replicò stancamente, tirando indietro il busto e appoggiando la schiena al cuscino.
Alzai le spalle «La verità.»
Fece un sorriso malinconico «Sei raro.»
Lasciai perdere le risposte brillanti per ricambiare il suo sguardo, e diciamo che ne valeva la pena.
«A volte persino io sono irragionevole» riprese il solito Alec «e quando fai delle cose con un ragazzo per la prima volta, non è facile dimenticarlo.»
«U-uh.» commentai senza sbilanciarmi. Io avevo fatto varie cose con vari ragazzi e non mi ricordavo proprio di nessuno.
«Se ti può consolare, ho avuto un altro attacco di irragionevolezza quel giorno al Ministero. Ancora non ho capito perché ti ho notato...ah, invece sì, era quel vestito atroce. Per il resto...non lo so.»
«L'articolo.» suggerii, accennando alle pergamene sullo scrittoio.
Alec fece una smorfia «Già...l'articolo. Alla luce di Silente eccetera, mi sembra ancora più improbabile che uscirà da questa stanza. Ma potrei cambiare un po' di dettagli e i nomi. Tu diventi una ragazza, naturalmente...»
«Ok, perché?!»
«Perché deve esserci una ragazza, nella storia: ai lettori piace.» aveva un sorrisino all'angolo della bocca «Ratbert diventa umano. A proposito, dì a Collins che lo rivoglio prima di subito. Userò uno pseudonimo, altrimenti sembrerebbe che mi stia autoincensando.»
«Quando mai ti autoincensi.» non riuscii a trattenermi, ma tanto Alec non parve cogliere l'ironia.
«Già. Sembra che il mio nome resterà sempre in fondo alle ricette delle crostate al rabarbaro per streghe golose.» suonava come qualcosa che avevo detto e accidenti come se lo ricordava bene. Quando aveva affermato di avere un'ottima memoria non si stava autoincensando. Infatti proseguì, con un sorriso molto amaro «Avevi ragione, sono un fallito.»
«È tornato il treno dell'autocommiserazione? Guarda che l'espresso per 'fanculo parte alle nove in punto.»
«Perché, che cosa avrei guadagnato da questa storia?» rincarò, lagnoso.
«L'insalata, il vestito da tua madre...»
«Ci sarà sopra una Fattura Pungente di Alanna. Non lo metterò mai...be', magari dopo averlo esaminato...»
«...e poi c'è sempre quella scopata.»
Alec schioccò le dita. Non era riuscito a trattenere il sorriso, modestia a parte.
«A meno che tu non pensi che sia uno sbaglio e che ti faccio pena.» conclusi.
«Non lo penso e non lo pensavo.» ribatté Alec rimettendosi sulla difensiva. Si strofinò il naso, cominciava a sospettare dell'inchiostro, forse.
«Be', neanche io ho mai pensato che tu sia un fallito. Sei in gamba e mi hai salvato la vita.»
Alec mi sorrise, scuotendo piano la testa «Sei stato tu a salvarmi.»
«Silente dice che potrei stare a Grifondoro.»
«Molto appropriato, non ho mai conosciuto un Grifondoro col cervello più grande di una Gobbiglia.»
Cosa dovevo fare con lui? Glielo chiesi anche, solo che glielo chiesi da troppo vicino, così nemmeno pensò di rispondere.

















Angolo dell'autrice: quel che riesce a far sorridere Alec, ricordiamolo, è il ricordo della promessa "cristallina" fatta nel capitolo 16! E finalmente, in ritardo rispetto a tutti voi lettori, Silas scopre qual era il vero contenuto della bottiglia di Idromele. Il cerchio si chiude, e anche la storia...ehi, dove andate? Dovete ancora leggere il prossimo capitolo, l'epilogo! Che combineranno ancora Silas e Alec...e che combinerà la sottoscritta? Scoprirete questo e molto altro nell'imminente finale di Accio bitch!

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Capitolo 37
*** Epilogo ***



Dissi ad Alec di Gilderoy Allock.

Lo dissi un po' per cazzeggiare, perché sospettavo che, come di tutte le cose divertenti e popolari, Alec non ne avesse una grande opinione. Ciononostante ero stato molto ottimista sulla sua reazione.
«Ti prego, sei una strega di mezz'età, per caso? L'ho intervistato anni fa, è una tale testa di cazzo che deve farsi fare i cappelli su misura.»
«Ha fatto un sacco di cose grandi, però,» ribattei, offeso «non hai letto A merenda con la morte
«Purtroppo sì, gran cumolo di stronzate come tutti gli altri. Se ha fatto metà di quello che scrive mi mangio Ratbert. Peccato che sia in questo reparto per lesioni a cui non ho contribuito. A proposito, che ci fa in questo reparto?»
Aveva mostrato un barlume di curiosità, ma c'ero rimasto un po' male per cui non mi andava di rispondergli. Lo fece Chip, comunque.
Il risultato fu che mandò un gufo al Settimanale delle Streghe, si tolse l'inchiostro dalla faccia e mise il vestito Kingsman's.
Il tutto contro il parere della Guaritrice, ma tanto quella si era innamorata di lui e gli avrebbe anche tolto i pelucchi dal vestito, se non fosse stato impeccabile come sempre.
Io obbligai Chip ad andare a prendere la mia copia di A merenda con la morte, visto che era il mio preferito ed era colpa sua se non avevo fatto in tempo a portarlo.
Avevamo tutti e due il nostro libro pronto, ma Gilderoy Allock riuscì a farci solo uno scarabocchio sopra: lo avevano conciato proprio male.
«Non sappiamo se la memoria gli tornerà mai del tutto,» spiegò pietosa la Guaritrice chioccia che lo seguiva, mentre lui sorrideva spensierato, la piuma stretta nel pugno, facendo cerchi concentrici sul frontespizio della mia copia «Povero caro, è tanto un bel ragazzo!»
«Povero.» ripeté Alec, seduto su un letto libero (non riusciva ancora a stare in piedi a lungo) con un sorriso affettato. Cercai di resistere dallo stampargli il libro in faccia.
«Facciamoci una foto!» saltò su Allock, spalancando gli occhioni azzurri alla vista del fotografo panciuto che aveva mandato Il Settimanale «Venite, venite! Poi ve le firmo tutte! E sorridete
Chip si chinò felice per ricevere il braccio di Allock sulle spalle, io mi sistemai all'altro fianco, un tantino felice anch'io, malgrado tutto. Era pur sempre il mio idolo dell'adolescenza. Allock fece gesti ed esclamazioni frenetiche per avere anche Alec nella foto, così lui si mise magnanimo al mio fianco.
Più che pallido era esangue, ma aveva sistemato i capelli in qualche modo che gli stava bene e aveva il suo abito senza difetti. Lui ne aveva parecchi, di difetti, ma in quel momento era perfetto. Lo guardai di sottecchi piegare la testa e fare il suo sorriso distratto e disinvolto all'obiettivo, proprio come il ragazzino di quattordici anni pieno di sogni. Nessuno sapeva cosa c'era dietro i suoi occhi.
«Sorridete!» esclamò Allock, sfoderando i denti.
«Sorridi, Silas.» mi esortò a bassa voce Alec senza cambiare espressione.
Sorrisi anch'io. Era una bella foto.








Fine























Angolo dell'autrice: ebbene sì! Fine! C'è scritto anche sopra! Come avrete notato mi piacciono i finali un po' aperti, dove il futuro dei personaggi sia lasciato per un certo margine all'immaginazione. Il fatto è che la MIA immaginazione ha già iniziato a costruire il futuro di questi personaggi, per cui non è escluso che io scriva un sequel. Se state urlando "NOOO" ok, come non detto, se invece l'idea vi piace scrivetemelo pure, e scrivetemi anche se gradireste essere informati di un eventuale seguito via messaggio privato!
Ho ancora una long più piccola da finire, dopodiché mi prenderò una pausa, se non magari per qualche one-shot demenziale estemporanea. Le idee non mancano, il problema è l'organizzazione (eh, detto niente!). Se interessati, rimanete sintonizzati sul canale Elsinor!
Ora veniamo alle melensaggini doverose: GRAZIE in caps lock a tutti quelli che hanno letto, seguito, ricordato, preferito questa storia. GRAZIE a quelli che mi hanno messo tra gli autori preferiti (ma siete sicuri?). GRAZIE speciale a tutti quelli che hanno recensito, una volta, due o trentasette volte, quelli che non avevano mai recensito prima o non erano soliti farlo. Anche se non faccio tutti i vostri nomi, sappiate che ricordo con affetto tutte le recensioni che ho ricevuto...e ogni tanto le rileggo per coccolare l'autostima. MAI in caps lock avrei immaginato sareste stati tanti, e per giunta tutti smistati nella Casa dei più fichi (cit. Silas).
Momento premiazioni! Premio Guzzle -per il maggior numero di commenti- se lo spartiscono Ashley More, Fan of The Doors ed esme123; il Premio Facciabitch va a Freya Crystal per aver indovinato quasi perfettamente l'aspetto di Silas; il Premio Lloyd a BenjaM (ex lark) per aver indovinato in anticipo un colpo di scena (grrr); Premio Alanna per la follia più disarmante ad Ashley More perché ha cercato di far inserire la mia storia tra le Scelte.
L'angolo è più lungo del capitolo e mi fermo qui! Spero che le dis-avventure di Silas abbiano provveduto a una dose di follia settimanale e abbiano rischiarato un pochino le vostre giornate.
"Ma non aveva detto mi fermo qui?!" giusto, giusto...alla prossima!

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