Blink of an eye

di Shadow writer
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio ***
Capitolo 2: *** Lasagne e novità ***
Capitolo 3: *** Rockin' Jokers ***



Capitolo 1
*** L'inizio ***


 
1_ L'inizio


 
 
La mano aperta sbatté con violenza sulla scrivania mentre la proprietaria si sporgeva verso la segretaria seduta al di là.
«Possibile che nessuno qui sappia fare il proprio lavoro?» sbottò violentemente, con gli occhi grigi che mandavano lampi.
«Pretendo di parlare con qualcuno di competente!»
«Il detective Graham sarà sicuramente in grado di aiutarla, signorina» rispose il più gentilmente possibile la segretaria «Perché non prova a parlare con lui?»
«Il detective Graham?» ripeté l'altra con una smorfia «Sono qui da due ore e quell'uomo non ha saputo far altro che rivolgermi commenti sarcastici ed arroganti. Voglio parlare con qualcuno di competente!»
«Signorina, posso chiederle di calmarsi?» continuò senza scomporsi la segretaria.
«No, non può chiedermelo!» replicò l'altra risoluta, poi prese un respiro profondo e quando parlò, cercò di farlo con un tono ragionevole: «Senta, il mio fidanzato è scomparso da due giorni e io ho bisogno di qualcuno che mi aiuti a ritrovarlo. Penso che una centrale di polizia sia il posto adatto, no?»
C'era una forte vena di amaro sarcasmo nelle sue ultime parole, ma la segretaria finse di ignorarlo.
Afferrò la cornetta del telefono e, mentre digitava il numero, disse alla donna: «Ora chiedo che le sia permesso di parlare con il miglior detective»
Rinunciò di chiederle di aspettare seduta, perché sapeva che non l'avrebbe fatto, e spiegò velocemente la situazione dall'altro capo del telefono.
«Va bene, grazie» concluse, poi si rivolse nuovamente alla propria interlocutrice, che non le aveva mai staccato gli occhi grigi di dosso: «Qualcuno la sta aspettando nella stanza cinque. Prenda il corridoio a destra, la terza porta»
«Grazie» la donna ringraziò con un cenno del capo e, sistemandosi la borsa sulla spalla, si avviò dove le era stato indicato, con il sollievo della segretaria.
Attraversò la sala, imboccò il corridoio luminoso e si fermò davanti alla terza porta di legno chiaro.
Dopo aver bussato, attese che le venisse detto di entrare prima di farlo.
All'interno della stanza, non molto ampia, era sistemata una scrivania, perpendicolare alla porta.
Da entrambi i lati del tavolo c'erano le stesse sedie di metallo dall'imbottitura sottile, ma l'unica altra persona presente se ne stava in piedi e guardava verso la porta.
Si trattava di un giovane uomo dai capelli chiari, mascella definita e alta statura. Indossava una giacca di pelle, maglia scura e jeans sbiaditi.
«Detective Graham» lo salutò freddamente la donna.
«Mi sembra che meno di un'ora fa, mi augurava a "Mai più rivederci"» replicò lui ironicamente.
«Già e ci speravo con tutto il cuore» fece lei «Mi hanno detto che mi avrebbero fatto parlare con il migliore, ma ci dev'essere stato un errore» la donna fece per uscire, ma il detective la frenò, facendo un passo verso di lei.
«Aspetti» la richiamò «Lei si trova nel posto giusto. Se vuole ritrovare il suo fidanzato, deve fare affidamento su di me»
La donna lo scrutò, da sotto le palpebre socchiuse, con aria guardinga.
Era entrata nella centrale due ore prima, preoccupata, sperando che qualcuno la rassicurasse, dicendole che se ne sarebbero occupati loro, ma si era ritrovata faccia a faccia con quel detective dall'aria baldanzosa, che non aveva perso occasione per rivolgerle seccanti frecciatine senza migliorare minimamente la situazione.
«Lei è l'unico detective disponibile?» domandò, scrutandolo.
Graham le rivolse un sorrisetto storto: «Non l'unico, ma il migliore»
«Anche il più arrogante, immagino» mormorò lei a voce troppo bassa perché potesse comprenderla, ma abbastanza alta perché l'altro intuisse il concetto della lamentela.
«Si accomodi» le fece cenno di prendere posto di fronte a lui, mentre faceva altrettanto.
La donna obbedì e si sedette insieme al detective.
«Credo che per questioni di praticità, sia meglio ridurre i convenevoli tra noi. Posso darti del tu, giusto?» continuò l'uomo e l'altra annuì in modo secco.
«Bene, il tuo nome e cognome?»
«Tess Graves»
«Hai detto di essere qui per la scomparsa del tuo fidanzato, giusto?»
«Sì. Due giorni fa non è tornato a casa la sera, così ho pensato si fosse trattenuto in ufficio per lavoro. La mattina non è tornato e anche se ero preoccupata, ho pensato fosse uscito presto. L'ho chiamato per tutto il giorno e quando anche ieri sera non è tornato, ho cominciato ad essere seriamente in pensiero»
«C'è qualcuno che avrebbe avuto motivo di rapirlo?»
«Assolutamente no!» rispose la donna «Ma la sua famiglia è benestante, quindi qualcuno potrebbe pensare di arricchirsi con un riscatto»
Il detective la guardava fisso negli occhi, senza perdersi una parola.
«Non prende appunti?» domandò la donna trapassandolo con lo sguardo.
L'uomo si portò l'indice alla tempia e picchiettò: «Io ho questo e, per ora, funziona piuttosto bene. Torniamo al fidanzato scomparso. C'era un fidanzamento ufficiale tra voi?»
La donna sussultò, sorpresa dalla domanda: «No, ma ero certa che mi avrebbe chiesto la mano da qui a poco. Non faceva che parlare del nostro futuro insieme e di tutte le cose belle che avremmo potuto fare»
«Mmh...da quanto vivete insieme?»
«Dieci mesi»
«E da quanto vi frequentate?»
Tess ebbe una leggera esitazione, poi rispose: «Abbiamo cominciato quattro anni fa...»
«Ma non è stata una relazione continua» indovinò il detective con una smorfia.
La donna scrollò le spalle: «Ci sono stati alcuni momenti di...pausa, ma molto brevi, non più di dieci giorni»
«Capisco» commentò l'altro, celando nella replica molti sottintesi.
La donna si agitò sulla sedia: «Quindi?»
«Tu cosa ne pensi?»
Lei parve spaesata dalla richiesta, poi abbassò lo sguardo, lo rialzò e infine parlò: «Io...non saprei. Elliot non aveva alcun motivo per volersene andare, è questo che mi preoccupa»
Il detective si alzò in piedi: «Bene, andiamo a dare un'occhiata all'ultimo luogo che ha visitato, secondo ciò che sappiamo: l'ufficio»
«Non mi fa altre domande?» chiese Tess sorpresa.
Lui scrollò le spalle: «Preferisco verificare prima le cose di persona. Qualsiasi tuo giudizio potrebbe essere alterato d influenze esterne, io voglio oggettività»
«Come vuole, detective» replicò lei alzandosi in piedi a sua volta.
L'uomo si voltò, lanciandole uno sguardo tra le ciglia lunghe: «Chiamami Harrison»
Dieci minuti più tardi erano in strada, a bordo della rossa Oldsmobile 88 del detective, alla volta dell'ufficio.
«Elliot Hooper è un pubblicitario, giusto?» domandò Harrison, alla guida, senza togliere lo sguardo dalla strada.
Tess annuì: «Più che altro si occupa di contattare giornali, stazioni radiofoniche, reti televisive»
«Mmh»
«Ecco, l'edificio è questo» la donna indicò una costruzione moderna che si elevava a destra della strada. Ruotò il volante e s'infilò nel parcheggio davanti agli uffici.
Dopo aver sistemato l'auto, i due si avviarono verso l'ampia porta a vetri.
Al di là di essa si apriva un atrio luminoso con una scrivania esattamente di fronte all'entrata. Una segretaria li accolse sorridendo: «Buon giorno, con chi avete appuntamento?»
Il detective mostrò il distintivo e senza parlare si diresse a grandi passi verso le scale.
Tess lo seguì a ruota, senza protestare e tre rampe dopo giunsero a destinazione. 
«Qual è il suo ufficio?» domandò Harrison, voltandosi leggermente verso la donna.
«Ultima porta del corridoio a sinistra» 
Il detective si diresse dove indicato, bussò leggermente sulla porta, e quando nessuno rispose, s'introdusse indisturbato all'interno.
Tess si guardò attorno, ma nessuno sembrava aver notato la loro intrusione, così seguì l'uomo chiudendosi la porta alle spalle.
L'ufficio di Elliot era una stanza piccola, ma ben arredata, con una scrivania sistemata di fronte alla porta e i pochi scaffali addossati alle pareti.
Tutto era in ordine e non lasciava presagire nulla di sospetto, anzi, sembrava che Elliot fosse sul punto di arrivare per svolgere la sua normale giornata lavorativa.
«Mmh...» fece il detective pensieroso, attraversando più volte la stanza a grandi passi e lanciando occhiate qua e là.
Tess lo seguì per qualche minuto con lo sguardo, fino a che lui si decise a parlare: «Il tuo fidanzato si è fermato in ufficio fino a tardi, diciamo almeno oltre alle undici»
«Cosa glielo fa credere?» domandò lei dubbiosa.
«La temperatura» replicò il detective rivolgendole uno sguardo che sembrava dire: "Non è ovvio?"
«Nel corridoio che abbiamo attraversato c'è una temperatura media di quindici, sedici gradi, mentre all'interno di questa stanza, è molto più alta, non l'hai notato?»
«In effetti» acconsentì lei, costretta a dargli ragione «Ma non capisco cosa c'entri questo con Elliot»
«È abbastanza semplice. Ho notato che il riscaldamento dell'edificio non è centralizzato, ma ogni stanza permette di regolarlo manualmente. Elliot si trovavo in ufficio quando la temperatura esterna ha cominciato a scendere e ha quindi regolato quella dell'ufficio di conseguenza. Suppongo per questo che fossero passate le undici. Dopodiché ha riordinato tutto ed è uscito, probabilmente soprappensiero, dimenticandosi di spegnere il riscaldamento»
Tess non replicò, ma aspettò che il detective aggiungesse altro.
«Il suo cellulare è un IPhone dalla cover blu?» domandò lui poco dopo.
«E questo come l'hai capito?» replicò lei sgranando leggermente gli occhi.
Il detective le rivolse un sorriso storto e sollevò il cellulare, posato accanto al computer.
Tess finse di riprendersi velocemente dalla figuraccia e commentò: «Questo significa che sarà più difficile rintracciarlo?»
L'altro annuì: «E conferma la tesi secondo cui fosse soprappensiero, a meno che non l'abbia lasciato intenzionalmente»
«Con quale scopo?» 
«Non ne ho idea, e non ne sono convinto, ma bisogna considerare tutte le possibilità»
Senza aggiungere altro, il detective uscì dall'ufficio, senza aspettare la donna, così che quando lei lo raggiunse, l'uomo stava già parlando con quello che riconobbe essere Jacob Stiles, nonché il responsabile di Elliot.
Il detective le fece cenno di seguirla e insieme si infilarono nell'ascensore che salì al quinto piano, dove si fermarono davanti ad una porta segnata da un cartello di divieto d'accesso.
Stiles batté due colpi sul legno e senza aspettare replica, aprì la porta.
«Si accomodi, detective» disse «Sono certo che loro sapranno come aiutarla»
Harrison lo ringraziò con un cenno ed entrò insieme a Tess.
Si trattava di una stanza scura, con una parete tappezzata di televisori in bianco e nero. La qualità delle riprese indusse la donna a pensare che si trattasse dei video di sorveglianza e non sbagliò.
Infatti, ad un ordine del detective, l'addetto della sicurezza, digitò qualcosa sulla sua piccola testiera e tutti gli schermi divennero neri per un istante, poi ricomparvero le immagini.
Le inquadrature erano le stesse, ma i luoghi deserti e scuri. In un angolo dello schermo era segnato l'orario, 22:01.
Il video scorse velocizzato, fino a che il detective non ordinò di fermarsi con un secco: «Stop»
I numeri segnavano le 11:48, quando le telecamere del corridoio ripresero Elliot uscire di fretta dal proprio ufficio e infilarsi nell'ascensore, all'interno del quale non c'erano però telecamere, così il filmato continuò quando l'uomo uscì nel parcheggio. Raggiunse a passi rapidi la propria auto, in una zona troppo buio per distinguere la sua figura. La sua auto emerse qualche secondo dopo dalle tenebre e sparì sulla strada.
«Questo non aiuta molto» commentò il detective con un sospiro.
«Torna indietro» ordinò poi all'addetto «E fammi rivedere la scena»
L'altro ubbidì prontamente.
«Aspetta!» esclamò ad un tratto Tess, mentre Elliot attendeva l'ascensore. La figura nelle riprese stava guardando diritta verso la telecamera, con la fronte corrugata.
La donna sentì lo sguardo del detective trapassarla, ma continuò a scrutare l'immagine.
«Va bene» aggiunse poi, facendo cenno all'uomo di proseguire.
Riguardarono le riprese altre quattro volte, ma non riuscirono a trovare nulla di più, o almeno nessuno ne fece parola.
Il detective Graham  ringraziò l'uomo della sorveglianza e tornò alla propria auto insieme a Tess.
Prima di salire a bordo, la donna gli lanciò una lunga occhiata, al di là della vettura e solo dopo qualche istante, si decise a chiedere: «Hai qualcosa da dire riguardo la nostra...visita?»
Il detective la guardò dritta negli occhi, con il sole che illuminava le sue iridi verdi, poi fece un cenno d'assenso: «Sì, ho qualcosa da dire. Il tuo fidanzato manca al lavoro da due giorni e il responsabile non sembrava preoccupato»
Tess resse quello sguardo penetrante che sembrava lasciare intendere molto più di quanto non avesse detto. 
Sospirò: «Hai ragione. Il padre di Elliot possiede tre giornali, il che è molto...vantaggioso per chi lavora come pubblicitario»
Sul volto del detective si dipinse il suo sorriso sghembo e sarcastico: «Questo è interessante...un figlio di papà»
Prima che l'altra potesse replicare, l'uomo si era già sistemato dietro al volante e lei fece solo in tempo a salire prima che l'auto partisse rumorosamente.
«Il dipartimento non fornisce un'auto di servizio?» domandò lei pungente quando furono usciti dal parcheggio.
Dallo specchietto notò un bagliore di divertimento negli occhi del detective: «Non parlare male del mio gioiello»
L'altra fece una risata secca, ma non aggiunse altro.
«La prossima tappa è il luogo in cui vive Hooper. Dopodiché non avrò più bisogno della tua consulenza, immagino che tu abbia degli impegni»
La donna non replicò, ma si limitò a guidarlo fino alla propria abitazione.
Il detective parcheggiò sulla strada accanto al piccolo ma curato giardino della casa e insieme si mossero verso la villetta. 
La costruzione non era grossa, ma considerando che era occupata da solo due persone, risultava molto spaziosa.
Era di colore bianco, con le ante di legno scuro e una veranda davanti alla porta d'ingresso. Nonostante alcuni elementi tradizionali, nell'insieme dava l'idea di un edificio moderno. Infatti l'interno era arredato in modo semplice ma secondo le tendenze del momento.
Tess condusse il detective nel salotto, una sala luminosa e ampia. L'uomo si fermò davanti alla perdete decorata con fotografie. 
La maggior parte ritraevano gli stessi soggetti: una donna sorridente, dai capelli castani e gli occhi grigi, accanto ad un uomo alto e biondo, anche lui sempre sorridente.
«Carini» commentò Harrison sottovoce, ottenendo una smorfia sul volto di Tess.
«Pensavo che fossi qui per ricavare indizi, non per criticare le nostre fotografie» replicò lei pungente. 
L'uomo si voltò leggermente, quando bastava per lanciarle un'occhiata rapida e far saltare lo sguardo da lei alle immagini.
«In realtà, questo fa parte del mio lavoro»
L'altra incrociò le braccia al petto e lo fissò.
Dovette attendere qualche minuto prima che il detective parlasse ancora.
Dopo aver esaminato ogni fotografia, si voltò verso di lei e la squadrò con le sue iridi verdi.
«Dimmi...come reagisce di solito Elliot alle difficoltà?»
Le labbra di Tess si schiusero e i suoi occhi si sgranarono in un'espressione di sorpresa. Sbatté le palpebre un paio di volte, confusa, ma l'impazienza dell'uomo la spinse ad affrettarsi a rispondere.
«Lui...generalmente non ci sono mai state difficoltà» rispose.
«E quando c'erano?» insistette l'uomo.
Tess si strinse le braccia al petto, pensierosa: «Be', lui è piuttosto in gamba, quindi riesce a risolvere quasi tutto, ma...» esitò un istante, poi riprese: «Ricordo una volta, quando avevo saputo che c'erano stati dei problemi sul lavoro -ora non ricordo di cosa si trattasse precisamente- Elliot diceva che tutto andava bene, che non c'era nulla di cui preoccuparmi, ma io sapevo che non dormiva ed era molto nervoso»
«Però non ha mai voluto renderti partecipe della difficoltà, giusto?»
L'insinuazione del detective provocò una smorfia sul volto di Tess: «Io credo che più che altro volesse evitarmi preoccupazioni. Non mi sembra una cosa così cattiva»
Harrison si lasciò scappare una risata secca e irrisoria.
«Cosa significa?» domandò l'altra indispettita.
L'uomo le rivolse un sorriso sghembo: «Mi dispiace rompere la tua...dolce illusione, ma non era questo che spingeva Elliot a comportarsi così. Le immagini e il suo agire, sembrano rivelare un certo narcisismo nel tuo ragazzo»
«Narcisismo?» ripeté l'altra divertita «Chi non è un po' narcisista?»
Lo sguardo del detective si fece serio: «Non sto parlando di sciocchezze, ma di psicologia. Il narcisismo non comporta solo l'ammirarsi allo specchio, come la maggior parte degli ignoranti credono» lo sguardo di Tess diventò di ghiaccio all'udire quella frecciatina «Ma un vero e proprio modello di comportamento. La persona narcisista è piena di sé e si piace fisicamente quanto socialmente. Vuole avere successo e vuole che gli altri lo riconoscano per ciò che è. Quando è sulla cresta dell'onda, si sente euforico e travolge di entusiasmo tutti quelli che lo circondano. Quando insorge un problema, cerca di risolverlo di nascosto, evitando che chi gli sta vicino lo venga a sapere perché questo potrebbe portare delusione nei suoi confronti e non se lo perdonerebbe mai»
Quando il detective ebbe finito di parlare, Tess rimase in silenzio e lasciò che l'uomo vagasse per la stanza.
«Non c'è bisogno che tu lo dica a parole» commentò lui poco dopo «Il tuo silenzio mi sta dando ragione»
Lei imprecò in mezzo ai denti, perché l'uomo sembrava aver ritratto alla perfezione Elliot, eppure non voleva dargli la soddisfazione di sapere che aveva ragione.
«Non capisco cosa c'entri la psicologia con la sua scomparsa» commentò poi.
Harrison smise di camminare per il salotto e si fermò davanti a lei.
«La cosa più importante, per ora, è capire se il tuo ragazzo è stato costretto ad andarsene o l'ha fatto di sua spontanea volontà. So che ti risulta difficile credere a quest'ultima opzione, ma ovunque sia, si è portato con sé la macchina e il portafoglio, mentre ha lasciato il cellulare. Non ti sembra un po' sospetto?»
Tess scrollò le spalle, così l'altro aggiunse, abbassando la voce come se non volesse farsi sentire: «Se sai come pensa una persona, allora saprai anche come agirà»
Nessuno parlò per qualche istante, poi lui domandò: «Hai lasciato l'auto alla centrale?»
La donna annuì.
«Allora ti riporta là. Ora posso proseguire le indagine da solo»
lei annuì ancora: «Va bene, ma voglio essere informata»
L'uomo tirò le labbra in un sorriso storto: «Sarà fatto»

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Capitolo 2
*** Lasagne e novità ***


2. Lasagne e novità



Il terzo giorno dalla scomparsa di Elliot Hooper, si prospettava come una giornata serena, nonostante il termometro segnasse parecchi gradi in meno rispetto ai giorni precedenti.
Alle 12.30 Tess Graves uscì dalle scuole medie con il cappotto ben abbottonato e una sciarpa di cotone intorno al collo per proteggersi dall'aria fredda e si diresse verso la stazione di polizia, poco distante.
Quando raggiunse l'edificio statale, il suo naso era congelato e rossiccio, così decise di aspettare nella saletta prima di chiedere del detective Graham. Voleva evitargli ogni occasione di battutine pungenti.
Quando cominciò a sentirsi meglio, domandò alla segretaria di poter vedere l'uomo. Quella si affrettò a parlare al telefono, dopodiché le disse di recarsi nella stanza 5, dove il detective la stava aspettando.
Harrison indossava gli stessi abiti del giorno precedente, jeans, maglia scura e giacca di pelle come se fosse pronto ad uscire.
Aspettava Tess in piedi, davanti alla scrivania.
«Buon giorno. Non mi aspettavo di vederti qui» l'accolse, facendole cenno di sedersi.
La donna si slacciò due bottoni e prese posto sulla sedia.
«Mi chiedevo se ci fossero delle novità, riguardo la ricerca» disse poi, cercando di scandire bene le parole con le labbra raffreddate.
L'uomo accennò un sorriso: «Sì, stavo per chiamarti, non era necessario venire fin qui»
Si sedette dall'altro lato della scrivania e digitò sulla testiera del computer che aveva davanti, poi girò il monitor verso la donna.
Sullo schermo c'era un fotogramma del video di sorveglianza che avevano visto il giorno precedente. Inquadrava l'auto di Elliot che s'immetteva in strada mentre usciva dal parcheggio. Il muso del veicolo era già fuori dall'inquadratura della videocamera.
Harrison piazzò sulla scrivania una cartina della città. Con un pennarello nero aveva cerchiato l'ufficio di Elliot e approssimativamente dove doveva trovarsi casa sua.
«Prima di tutto» cominciò tendendo la cartina a Tess «Vorrei che mi tracciassi con il dito il tragitto che Hooper deve fare per recarsi dall'ufficio a casa»
La donna sbatté le palpebre stupita, ma stava cominciando a capire che dietro alle richieste del detective si celavano scopi precisi.
Puntò l'indice sull'ufficio -annotandosi mentalmente che doveva smetterla di mangiarsi le unghie- e lentamente lo spostò lungo la strada fino a casa sua.
Un tragitto di dieci minuti, un quarto d'ora, se c'era traffico.
«Mmh...» fece il detective. Ruotò lentamente la cartina verso di sé e posò il dito sull'ufficio: «E se invece di andare a sinistra, fosse andato a destra?» 
Mosse l'indice in direzione opposta rispetto a quella presa da Tess.
Lei scosse il capo: «Non avrebbe senso. Il tragitto diventa molto più lungo, conduce alla periferia, e la strada è parecchio rovinata da quella parte. Ci sono addirittura alcuni punti con lampioni rotti»
«Mmh...quindi Hooper, a pochi minuti da mezzanotte, non avrebbe avuto nessun vantaggio a percorrere la strada a destra, rispetto a quella a sinistra?»
Tess ci pensò un istante, per non dare risposte affrettate, poi replicò: «L'unica cosa che mi viene in mente è il benzinaio a un centinaio di metri dall'ufficio, ma raramente Elliot ha fatto benzina di notte»
«Capisco» commentò Harrison, poi tornò a guardare lo schermo, portando l'attenzione della donna verso di quello. 
Finalmente Tess realizzò, ancora prima che il detective chiedesse: «Allora perché in queste riprese, l'auto di Elliot Hooper, sta svoltando a destra?»
 
Mentre tornava alle scuole, Tess non riusciva a togliersi dalla testa il fotogramma sullo schermo del detective Graham, l'auto di Elliot che non tornava a casa. Si sentiva frastornata e confusa, incapace di ragionare lucidamente.
Harrison aveva detto che non c'erano ancora prove sufficienti per definire se era stato rapito o se n'era andato, ma quest'incertezza le stringeva il petto in una morsa di piombo.
Non poteva credere che Elliot se ne fosse andato, doveva esserci qualcosa dietro, ne era certa. O almeno cercava di convincersene.
Entrò nel parcheggio della scuola e lo attraversò a passo spedito. Quando raggiunse l'ingresso, scorse le sue colleghe rivolgerle i loro sorrisi falsi e smielati.
Essere una neanche ventiseienne tra donne che avevano almeno dieci anni più di lei, non le conferiva di certo il titolo di Miss Simpatia tra le altre insegnanti. Ce n'era una in particolare, Jenna Patterson, che cercava di metterla in cattiva luce e di farla apparire come un'incapace ad ogni occasione. Durante un consiglio speciale convocato perché due gruppi di studenti avevano provocato una rissa, la donna aveva mentito dicendo che Tess era di turno alla sorveglianza e che quindi era una responsabilità sua. Tess era venuto a saperlo una settimana più tardi, dato che il giorno del consiglio, era a casa con l'influenza e non aveva potuto dire come erano andate realmente le cose.
Le salutò con un cenno distaccato ma cortese, ed entrò nei corridoi della scuola.
S'immerse nelle successive ore di lezione, pensando solo alla sua materia e ai suoi studenti, perché se avesse pensato ad altro non sapeva fino a dove sarebbe arrivata.
Quando ebbe finito e anche l'ultimo studente fu uscito dall'aula, raccolse le proprie cose e lanciò uno sguardo al cellulare.
Una chiamata in arrivo.
«Pronto?»
«Sono Harrison» le rispose la voce calda del detective «Volevo informarti che ho contatto il benzinaio di cui parlavi per poter consultare i filmati di sorveglianza»
La donna sentì il suo battito cardiaco accelerare. Ecco, ci siamo, pensò.
«Sì, ti ascolto» disse cercando di nascondere il tremito nella voce.
«Nada» rispose il detective «A quanto pare le telecamere non funzionano da parecchio tempo e nessuno le ha sostituite. Questa pista conduce a un punto morto»
«Capisco» replicò lei con una punta di delusione nella voce.
«Ti chiamo appena trovo altro» continuò lui «Buona serata»
«Grazie, buona serata anche a te»
Il detective attese qualche secondo, poi agganciò.
 
 
Tess Graves entrò nella centrale di polizia alle 12.40, esattamente la stessa ora del giorno precedente.
Nella sala d'attesa alcune persone attendevano il proprio turno sedute, mentre i funzionari facevano avanti e indietro per le stanze dell'edificio.
Quando si avvicinò alla segretaria, prima ancora di parlare, quella disse con un sorriso di cortesia: «Il detective Graham non è nel suo ufficio al momento»
«Uh, okay» replicò Tess «Allora lo aspetto qui. Sa quando tornerà?»
«No, mi dispiace»
L'altra decise allora di prendere posto accanto ad una signora grassottella che teneva la propria enorme borsa sulle gambe.
Tess non riuscì a trattenere il movimento nervoso della gamba mentre faceva saltare lo sguardo da una porta all'altra, sperando di vedere emergere il volto baldanzoso del detective Graham.
Non dovette aspettare molto prima che l'uomo facesse la sua entrata, con un espressione pensierosa attraverso gli occhi verdi.
Quando la vide, le rivolse un sorrisetto: «Buon giorno, Tess. Seguimi»
Lei obbedì e velocemente si trovarono nella solita stanza utilizzata dall'uomo.
«Quanta impazienza» commentò lui con una punta di divertimento nella voce.
Tess si strinse le braccia al petto: «Voglio risolvere questa cosa il prima possibile. Vivere in una grande casa vuota non è piacevole, soprattutto con la sensazione che manchi qualcuno»
L'altro non fece commenti, ma aspettò che si fosse accomodata prima di parlare.
«Sei arrivata proprio mentre mi sono arrivati di risultati delle ricerche sulle carte di credito di Hooper»
La donna sollevò le sopracciglia, in attesa di risposta.
«Anche in questo caso, nada» rispose lui ottenendo un sospiro dall'altra. Nei suoi occhi si accese una luce: «Questo almeno dal giorno della scomparsa» aggiunse «Perché circa una settimana prima, ha prelevato una discreta quantità di denaro»
«Precisamente, quanto?»
L'uomo rispose secco, senza giri di parole: «Diecimila dollari»
Tess si sentì la testa girare. Si appoggiò allo schienale della sedia, temendo di ribaltarsi a terra.
Diecimila dollari. Che diavolo ci doveva fare Elliot con quei soldi?
«Ora, non rispondere affrettatamente» riprese il detective trafiggendola con lo sguardo «Ma pensa a qualsiasi spesa, anche la più insignificante, che lui aveva intenzione di fare. Pensaci attentamente»
La donna rimase in silenzio, con le labbra serrata e lo sguardo pensieroso.
Stava mentalmente ripercorrendo tutta la settimana precedente, alla ricerca di un indizio.
I suoi occhi s'illuminarono: «È stato giovedì scorso il prelievo, giusto?»
L'uomo lanciò un'occhiata alle carte che aveva davanti.
«Sì, è esatto. Come lo sai?»
«Elliot mi aveva parlato della sua intenzione di iscriversi al club di golf e di voler pagare tutto in contanti. Diceva che lì sono tutti molto benestanti e se usi la carta rischi di fare la figura del poveraccio»
Harrison rise di gusto, poi cercò di contenersi, ma sulle sue labbra sopravvisse un sorriso di trionfo.
«Cosa c'è?» domandò la donna.
«È solo che...adoro avere ragione!»
Lei sollevò le sopracciglia e il sorriso di lui si allargò: «La personalità narcisistica, ricordi?»
Tess sbuffò, alzando gli occhi al cielo e quando il detective smise di ridere, commentò: «Non pensavo però che l'iscrizione fosse così cara»
«Non lo è, infatti» replicò Harrison riacquistando il tono professionale «A quale club voleva iscriversi?»
Tess scrollò le spalle: «L'unico che c'è in città»
L'uomo digitò qualcosa sul computer, aprì un link sullo schermo, poi digitò il numero che comparve sulla tastiera del telefono appoggiato sull'altro lato della scrivania.
Sollevò la cornetta, attese qualche istante in silenzio, sotto lo sguardo perplesso della donna.
Ad un tratto attivò il vivavoce, mentre una voce maschile rispondeva dall'altro capo: «Golf Club QNW, come posso esserle utile?»
«Salve, mi chiamo Harrison Graham. Il mio amico Elliot Hooper mi ha detto di aver fatto fatto richiesta di iscrizione nel vostro club, è corretto?»
«Attenda un istante» si sentì il rumore ticchettante di una tastiera, dopodiché la voce dell'uomo riprese: «Non esiste nessun iscritto a nome di Elliot Hooper, signor Graham, ma...forse si tratta di quel giovanotto che è stato qui settimana scorsa per informarsi. Purtroppo non abbiamo registrato il suo nominativo»
«Nessun problema, posso occuparmene io?»
«Certo, ma deve fornirci i dati del suo amico»
«Va bene, passerò a trovarvi il prima possibile. Elliot mi ha pregato di anticipare il pagamento al suo posto, ma si è dimenticato di riferirmi a quanto ammontasse la cifra. Potrebbe cortesemente riferirmelo?»
Tess alzò gli occhi cielo. Non avrebbe mai creduto che a pronunciare quelle parole gentili fosse il detective Graham, se non li avesse avuto davanti agli occhi.
Intuendo il filo dei suoi pensieri, lui le rivolse un sorrisetto sghembo, mentre l'uomo alla cornetta rispondeva: «Mi dispiace signor Graham, ma tutto dipende dalle intenzioni del signor Hooper. Di certo dovrà pagare la quota di iscrizione, ma il prezzo potrebbe alzarsi se il suo amico intende prendere delle lezioni e noleggiare le attrezzature»
«Vuole fare entrambe le cose» replicò Harrison «Elliot non baderà a spese, ne sono certo. Potrebbe riferirmi il totale? Senza sconti e senza tagli»
«Attenda un istante»
Dall'altro lato calò il silenzio. Tess incrociò gli occhi verdi di Harrison. Notò che avevano una sfumatura di colore particolare, che non aveva mai visto in nessun altro ed erano insoliti anche nella forma, rotondi nella parte centrale, si assottigliavano alla fine.
«Ho calcolato un quota annuale, sia per l'iscrizione che per il noleggio» la voce dell'uomo scosse entrambi.
«E il risultato è circa 1.500 dollari»
Harrison non replicò subito, ci pensò su un istante.
«Ne è sicuro? Pensavo fosse una cifra più alta»
«Come ho già detto, la spesa è molto soggettiva, ma nessuno ha mai superato i duemila dollari l'anno»
«Va bene, grazie mille»
Prima che l'altro potesse replicare, il detective terminò la chiamata.
Poi alzò gli occhi verso Tess.
«Bene, ora dobbiamo scoprire cosa intendeva fare con i restanti ottomila dollari»
Lei annuì leggermente, frastornata dalle informazioni che aveva appena ricevuto.
«Credi che questa pista possa portare a qualcosa?» domandò poi, sorreggendo lo sguardo dell'uomo.
Lui si appoggiò allo schienale della sedia, incrociando le braccia.
«Ogni dettaglio ha uno scopo preciso e appartiene ad uno schema ben più grande. Ciò significa che ogni informazione è per noi un vantaggio»
La donna annuì ancora, pensierosa.
«Tess...» cominciò il detective «Ti senti bene?»
Lei alzò gli occhi grigi sull'uomo e lo fissò in silenzio per qualche istante.
«Io...non so se sentirmi preoccupata dalla sua scomparsa oppure tradita» rispose stringendo le braccia intorno al busto «O abbandonata, come un cagnolino»
L'uomo accennò un sorriso nervoso, poi commentò: «La centrale offre un servizio di consulenza psicologica per le vittime o chiunque ne abbia bisogno. Potresti...»
«No» lo interruppe seccamente lei alzandosi in piedi «Non ne ho bisogno, grazie»
Pronunciò le parole con una certa durezza, rivolgendo all'uomo uno sguardo freddo.
«Grazie per avermi aggiornata» aggiunse poi «Buon lavoro»
Uscì rapida dalla porta, lasciandolo solo.
Harrison si lasciò cadere contro lo schienale, alzando gli occhi al cielo.
Si aspettava quella reazione e si diede dello stupido solo per averci provato.
Aveva capito che Tess Graves non cercava la compassione di nessuno e che non si sarebbe lasciata aiutare tanto facilmente.
 
 
Il sesto giorno dalla scomparsa di Elliot, Tess si recò alla centrale di polizia alle undici, approfittando dell'ora buca prima della pausa pranzo. Rimanere a scuola al faceva sentire sola tanto quanto a casa, quindi meglio recarsi nella sala d'attesa della centrale, dove c'era sembra qualcuno sulle scomode sedie metalliche.
Appena entrò nella sala, la segretaria le rivolse uno sguardo perplesso, quasi volesse dire: "Oggi sei in anticipo".
Quando Tess si fu avvicinata, la donna le disse, ancora prima che potesse parlare: «È nella stanza cinque»
«Grazie» replicò lei.
Raggiunse la solita porta e bussò. Sentì la voce del detective al di là, così spinse leggermente la porta.
L'uomo era seduto comodamente sulla sedia e stava parlando al telefono in tono allegro.
Le fece cenno di accomodarsi, mentre proseguiva la propria conversazione.
Tess prese posto e studiò con nonchalance l'uomo.
Quel giorno, indossava abiti diversi. Una camicia di jeans arrotolata sulle braccia muscolose, jeans scuri e anfibi neri appoggiati al ripiano inferiore della scrivania.
«Sì, è stato un piacere, Todd» stava dicendo al telefono, divertito «Certo...Grazie mille, alla prossima»
Riattaccò con un sorrisetto dipinto sul volto e finalmente dedicò la propria attenzione alla donna, anche se non aveva smesso di guardarla da quando era entrata nella stanza.
«Perché così presto oggi?» le domandò curioso.
Lei alzò gli occhi al cielo: «Vengo qui da due giorni e già mi prendete per un'abitudinaria»
L'uomo rise, ma non fece altro commenti.
«Novità?» chiese Tess impaziente.
«Non significative» rispose l'altro «Ho chiamato gli amici e conoscenti di Elliot Hooper e ho chiacchierato con loro. Volevo farmi un'idea del suo carattere e temperamento attraverso gli occhi di più persone»
«E ci sei riuscito?»
Lui annuì: «Sì, più o meno sì»
«Non capisco perché tu sia così interessato alla psicologia rispetto che ai fatti»
Harrison le rivolse uno sguardo penetrante: «Sbagli se pensi che io ponga le due cose su livelli differenti. Ma è anche vero che i fatti possono essere una farsa, mentre l'animo di una persona, raramente mente»
«E i bugiardi?»
«Sono facilmente riconoscibili» rispose tranquillo lui.
«Quindi studi la psicologia di tutte le persone che ti trovi davanti?»
«Preferisco capire subito con chi ho a che fare che avere sorprese più tardi» rispose con uno sguardo rabbuiato.
«E funziona?» domandò ancora Tess, incuriosita.
Harrison abbozzò un sorrisetto: «Direi di sì. Grazie a questo, ho potuto subito escludere che tu avessi a che fare qualcosa con la scomparsa del tuo fidanzato»
«Giusto» acconsentì lei «Nei film sono sempre gli innamorati i colpevoli»
«O quelli non più innamorati» la corresse il detective, ma si affrettò ad aggiungere: «Ovviamente non sto parlando di qualcuno in particolare»
Tess piantò i propri occhi in quelli verdi dell'uomo.
«Tu mi hai studiata fin dal primo momento in cui ci siamo incontrati, giusto?»
Lui ridacchiò: «Fin da quando sei entrata nella centrale come una furia pretendendo che ti aiutassimo»
La donna arrossì leggermente al ricordo, ma sostenne lo sguardo fieramente: «Quindi ti sei fatto un'idea di me»
«Esatto. E t'interessa saperla?»
«Esatto» gli fece eco lei «Me lo merito, non credi?»
«Direi di sì» acconsentì il detective in tono divertito.
Raddrizzò la schiena senza staccare lo sguardo dalla donna, poi cominciò: «Tu sei nervosa»
«Ah!» si lasciò sfuggire lei.
«Lasciami continuare. Sei una persona nervosa, si vede dal modo in cui si muovono i tuoi occhi e dal fatto che ti mangi le unghie -non fare quella faccia. Ti piace avere sempre la risposta pronta, ma sai che spesso parli ancora prima di pensare e le parole che escono non sono quelle che vorresti. Ne sei consapevole, però non sai trattenerti. Lo dimostra il tono rapido con cui rispondi e il modo in cui arrossisci subito dopo aver parlato. Sei una persona a cui piace che tutto sia in ordine, o fisicamente o nella tua testa, non hai importanza, ma tu hai bisogno di una certa...metodicità per poterti sentire tranquilla» lo sguardo del detective la sondava come se riuscisse a leggere dentro «Non ti piace ciò che non puoi controllare, non ti piace che gli altri facciano ciò che tu vuoi che sia fatto in un certo modo, preferiresti fare il loro lavoro pur di non lasciarli sbagliare. Ecco perché vuoi sempre essere informata su ciò che scopro. Vorresti essere perennemente al mio fianco per poter controllare la situazione in ogni istante. Ti arrabbi più facilmente di quanto vorresti, provi qualsiasi emozione più velocemente di quanto vorresti, ma cerchi di tenerla a bada, nella tua testa, secondo il tuo ordine mentale...»
«E questo come l'hai capito?»
L'uomo la guardò divertito: «Ho tirato ad indovinare. Sono piuttosto bravo»
«Basta così» lo interruppe lei, con le guance accaldate.
L'uomo abbozzò un sorrisetto.
«Adesso che c'è?» chiese lei trafiggendolo con gli occhi.
«Te l'ho detto, adoro avere ragione»
Tess tacque. Fu Harrison a spezzare il silenzio.
Prima cacciò la mano sotto alla scrivania e ne estrasse un contenitore per cibo dal coperchio rosso. Lo allungò verso la donna e lei gli rivolse uno sguardo interrogativo, tenendo le braccia strette al corpo.
«Sono delle lasagne di verdure» spiegò lui «La mia attenta analisi mi ha rivelato che non sembri essere una grande cuoca e nei momenti di stress si tende a mangiare in modo sbagliato, con le conseguenze di scombussolarci il metabolismo»
La donna sollevò le sopracciglia: «Mi hai preparato il pranzo?»
Harrison scrollò le spalle e le rivolse un sorrisetto strafottente: «Vedilo come vuoi»
Tess allungò incerta la mano e afferrò il contenitore.
«C'è dentro anche una forchetta» aggiunse il detective senza cambiare espressione.
«Io...Ti riporterò tutto»
«Sarebbe magnifico» replicò lui.
Tess rimase immobile un istante, incerta se dovesse aggiungere altro o tacere, poi decise di salutare frettolosamente l'uomo e lasciare la stanza, con il contenitore per alimenti sotto il braccio.
Rivolse un cenno di saluto anche alla segretaria, mentre si affrettava ad uscire dalla centrale.
Camminò per la strada fino al parco cittadino che si estendeva poco distante dalle scuole.
Nonostante l'aria fresca, il sole caldo rendeva piacevole lo stare all'aria aperta, così si decise a prendere posto su una delle panchine di legno del parco, guardando gli sportivi che facevano jogging, con le giacche a vento colorate e le cuffie nelle orecchie.
Aprì con cautela il coperchio, rivelando la porzione abbondante di lasagne. La scrutò scettica per qualche secondo, poi raccolse le forchette e ne prese un boccone.
Cosa stava cercando di fare il detective Graham? Forse voleva solo scusarsi per la propria arroganza, dimostrare che, dopotutto, anche lui poteva essere gentile.
Tess sgranò gli occhi, piacevolmente sorpresa.
Devo fare pratica con quella cosa dell'analisi psicologica, pensò, perché non avrei mai detto che il detective fosse un ottimo cuoco.

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Capitolo 3
*** Rockin' Jokers ***


3_ Rockin' Jokers 
 



Harrison lanciò un'occhiata all'orologio appeso sopra alla porta del suo ufficio. 
Segnava le 13:05.
Si alzò in piedi e sgranchiendosi le gambe si diresse verso la sala d'attesa.
Si avvicinò al banco della segretaria.
«Ehi, Sadie...» cominciò, ma lei lo interruppe con un sorriso divertito: «Mi dispiace, ma la tua bella non si è fatta viva»
Lui alzò gli occhi al cielo: «È strano, non è da lei»
Sadie fece una risatina: «Sai come funzionano certe cose: all'inizio ti sembra di esserne risucchiato, poi poco alla volta le trovi noiose, fastidiose, e te ne distacchi»
Harrison le rivolse un sorrisetto sarcastico: «Grazie per i tuoi consigli di vita. Io torno al lavoro»
Sadie rise ancora, scuotendo il capo e lo guardò allontanarsi per tornare da dove era venuto.
 
Ad informare il detective Graham che era arrivata l'ora di andarsene, fu la stanchezza.
Cominciò a sbadigliare e a stropicciarsi gli occhi come un bambino davanti alla televisione che vuole provare a se stesso che può rimanere ancora sveglio.
Lanciò un ultimo sguardo al computer, poi spense tutto, raccolse le carte sparse per la scrivania e alzandosi in piedi, prese la giacca di pelle.
All'esterno dell'ufficio, poche lampade rimanevano accese a rischiarare l'ambiente e il cielo fuori dalle finestre era ormai nero.
Harrison salutò i colleghi che lavoravano nel turno serale e fece per uscire dalla centrale, proprio mentre qualcun altro stava entrando.
I due si scontrarono bruscamente e a malapena l'uomo riuscì ad stringere tra le braccia la figura che gli crollò addosso.
«Mi dispiace, mi scusi, mi dispiace» si affrettò a dire una voce femminile e mentre l'aiutava a mettersi in piedi, Harrison le rivolse uno sguardo interrogativo: «Tess?»
La donna si raddrizzò, sistemandosi i capelli castani, poi lo riconobbe e sul suo volto si aprì un sorriso imbarazzato: «Uh, scusami. Non volevo...caderti addosso»
Lui rise: «Nessun problema»
Tess lanciò uno sguardo alle sue spalle, poi tornò a guardarlo negli occhi: «Te ne stai andando?»
«Sì, ho finito il mio turno» rispose lui, poi aggiunse, con un sorriso poco affabile: «Ma se ti serve qualcosa posso fare uno strappo»
«Uh, no, no. Devo solo riconsegnarti...» la donna s'interruppe per frugare nella borsa «questo» esclamò estraendo il contenitore per alimenti che Harrison le aveva lasciato il giorno precedente.
L'uomo rise e lo prese, ringraziando.
«Oggi non sei passata nella pausa pranzo» commentò poi, avviandosi insieme a lei verso il parcheggio della centrale.
«Ho avuto un contrattempo a scuola» rispose semplicemente la donna.
La luce fredda dei lampioni faceva apparire bianche le facce di entrambi, mettendo in risalto le ombre scure nelle curve del volto.
Si fermarono al centro del parcheggio, come se fosse un buon compromesso per entrambi, una distanza equivalente dalle loro mete.
«C'è stata qualche novità?» domandò Tess, piantando gli occhi in quelli del detective.
Lui scosse il capo: «No, mi dispiace. Ti avrei chiamata se...»
«Giusto» acconsentì lei, poi aggiunse: «Grazie»
«Dovere. Ti senti bene?»
Le ombre della notte dipingevano il volto della donna più lugubre e affilato.
Lei annuì: «Sì, è solo che...sono uscita di casa stamattina presto e l'ultima cosa che voglio è ritornarci. Tutto in quel posto mi ricorda Elliot e mi fa sentire ancora più sola...»
«Ti capisco» commentò il detective comprensivo «Più grande e più vuoto»
La donna fece un cenno di assenso con il capo, stupita di quanto le sue parole del detective suonassero veritiere.
Gli rivolse un piccolo sorriso: «C'è un bar qui vicino, ti andrebbe...» lasciò la frase in sospeso e vide il volto del detective cambiare, mettersi sulla difensiva.
«Io...» cominciò l'uomo, ma lei lo interruppe, schermendosi con una risata nervosa: «Lascia perdere, scusa se te l'ho chiesto. Tu sei il detective affidato al caso del mio fidanzato scomparso, non il mio amico con cui...»
«Posso essere entrambi» Harrison la fermò bruscamente e le rivolse un sorriso sghembo: «O almeno provarci»
Tess rise nervosamente, poi annuì e con le mani affondate nelle tasche del cappotto, si avviò insieme a lui per la strada buia.
Dieci minuti più tardi, erano seduti ad un tavolino di legno scuro del Rockin' Jokers, con due bicchieri di birra tra loro.
«Così quando Elliot mi ha chiesto di trasferirmi da lui, ho lasciato la mia famiglia e il luogo in cui sono cresciuta» stava dicendo Tess «Non è molto distante da qui, ma...»
«Ma sei rimasta sola» concluse Harrison per lei «sola con Elliot»
Lei sorseggiò la sua birra, con un'espressione assorta. Quando riappoggiò il bicchiere, il maglione le scivolò sulla spalla, rivelando uno spallino di pizzo nero.
«E tu, invece?» gli domandò poco dopo.
L'uomo sbatté le palpebre distogliendo lo sguardo dalla sua spalla, poi sorrise: «Non posso vantare una grande schiera di amici»
Tess rise e l'altro proseguì: «Tra il lavoro e...altri impegni, non ce n'è il tempo»
«Pensavo che il tuo carattere socievole fosse un buon trampolino» commentò la donna sarcastica.
Lui accolse la frecciatina con un sorriso sghembo: «Questa era cattiva»
Lei rise: «Oh no, era sincera»
«Ma faceva male comunque»
«Non to facevo così sentimentale, detective» protestò ironica.
«Questo non ti giustifica!»
Tess rise ancora e le andò di traverso la birra. Tossicchiò, sotto lo sguardo divertito dell'uomo. 
Sentiva che la stava studiando con gli occhi. Le luci del locale rendevano le sue iridi di un verde elettrico quasi irreale. Il suo sguardo era penetrante, come una torcia che fende l'oscurità rivelando e ogni dettaglio.
Tra i due calò il silenzio, mentre sui loro volti sopravvivevano le ombre di sorrisi.
«Allora» cominciò la donna poco dopo «perché hai accettato di accompagnarmi?»
L'uomo aprì la bocca e la richiuse, come se non sapesse cosa dire.
«Animo compassionevole?» suggerì Tess «Eppure non mi sembri il tipo»
Prese il bicchiere tra le mani e ne trangugiò un lungo sorso, senza distogliere lo sguardo da lui.
Il volto di Harrison s'indurì: «Perché non puoi semplicemente pensare che si tratti di umanità? Un gesto spontaneo e naturale»
Tess scrollò le spalle e commentò sottovoce: «Sembra che tu abbia avvertito un certo senso di responsabilità nei miei confronti e che sia questo il motivo per cui siamo qui, ora» 
Harrison sbuffò e si appoggiò allo schienale della sedia, allontanandosi dal tavolo, da Tess. 
Il detective adorava avere ragione tanto quanto detestava che l'avessero gli altri.
E quella donna aveva fatto centro completo.
Complimenti Tess Graves, commentò mentalmente, con tutto il sarcasmo possibile.
 
 
Tess infilò la chiave nella toppa, la fece ruotare con un gesto secco e spinse la porta per immergersi nella penombra della casa.
Aveva l'abitudine di lasciare una lampada accesa, come per convincere i ladri che c'era qualcuno in casa e che era meglio non provarci. Per ora, aveva funzionato.
Barcollò per il corridoio, poi si lasciò cadere sul divano del salotto, esausta.
Non riusciva a smettere di darsi della stupida, per aver invitato il detective al bar e si sentiva ancora più in imbarazzo quando pensava che lui aveva accettato.
Perché lei aveva bisogno di qualcuno con cui confidarsi e lui la vedeva solo come lavoro, una responsabilità.
Si sdraiò sul divano e sperò di addormentarsi all'istante perché non aveva alcuna intenzione di spostarsi da lì.
 
 
Una settimana da quando Elliot se n'è andato, pensò Tess la mattina successiva, alzandosi a fatica dal divano.
Il materasso su cui aveva dormito non era dei più comodi e si sentiva tutta indolenzita.
Sbadigliando, salì al piano superiore per cambiarsi e rendersi presentabile.
Era un sabato mattina sereno e pacifico, perché all'esterno dell'abitazione non avvertiva un solo rumore molesto, tutto era avvolto dalla quiete.
Come ogni sabato, la donna afferrò borsa e cappotto e si diresse verso il supermercato per fare la spesa della settimana.
Dovette guidare per una decina di minuti, prima di parcheggiare di fronte alla porta a vetri del supermercato della città.
Prese un carrello e si diresse all'interno.
Tra le corsie degli scaffali c'erano altre persone con carrelli e cesti e Tess si ritrovò più di una volta a salutare le madri dei suoi studenti.
Attraversò il supermercato con la lista della spesa in mano, fino a quando una voce non la fermò: «Tess!»
La riconobbe immediatamente, ancora prima di vedere chi aveva parlato.
«Harrison?» 
Il detective era davanti a lei, con il carrello mezzo pieno e un foglietto tra le mani.
«Be', sì, anche io devo fare la spesa» commentò lui ironicamente.
La donna rise: «È solo che...è strano vederti fare una cosa così comune»
«Pensavi mi nutrissi di sangue umano?»
Lei abbozzò un sorriso: «Sarebbe stato meno strano»
Anche lui sorrise, poi tornò a guardare lo scaffale davanti a sé. Tess lo osservò prenderne una confezione di cereali e metterla nel carrello.
«Quei cereali sono pieni di zucchero» commentò lei.
«Sì, è vero» acconsentì il detective «Ma c'è la sorpresa e di sicuro sono più buoni dei tuoi..."Linea perfetta"» l'uomo aveva allungato il collo per leggere la confezione nel carrello della donna.
«Ah!» esclamò la donna divertita «La sorpresa?»
Harrison sollevò il cartone e glielo mostrò: «In ogni confezione c'è un animaletto "dal soffice pelo, fantastico da accarezzare"»
«Da collezione?»
«Ovviamente» confessò lui con un sorriso sghembo, poi tese il cartone a Tess: «Te li consiglio, provali»
La donna esitò un istante, poi alzando gli occhi al cielo e maledicendo la dieta sana, li afferrò e li mise nel carrello.
Harrison la guardava divertito e compiaciuto allo stesso tempo.
«Hai altri consigli per la spesa intelligente?» domandò lei con uno sguardo di sfida.
«Ovvio» replicò lui «Conosco tutti i prodotti migliori. Serve una mano?»
Tess alzò gli occhi al cielo, ma sorrise: «Fai strada»
 
 
Un'ora più tardi, Tess stava tornando a casa con un'auto piena di borse della spesa. Harrison non aveva mentito, lo aveva voluto mettere alla prova e ne era rimasta soddisfatta.
Per recarsi a fare la spesa, ed essere così esperto, l'uomo doveva sicuramente essere single, constatò Tess.
Se si aggiungevano anche le ottime abilità di cuoco, si poteva supporre che fosse anche un buon "casalingo". La donna scoppiò a ridere al pensiero del grosso detective che aspirava e spolverava la casa, magari in versione Biancaneve nel rifugio dei sette nani.
 
 
 
Il suono di attesa che la cornetta trasmetteva nel suo orecchio, sembrava ad Harrison Graham come un colpo di tamburo.
Picchiettò nervosamente le dita sulla scrivania, ansioso di ricevere una risposta.
«Sì, pronto?» la voce burbera si sostituì bruscamente ai colpi di tamburo.
Harrison si raddrizzò velocemente sulla sedia: «Signor Hooper, è da giorni che cerco di contattarla! Sono il detective Graham e lavoro per la polizia di stato. Mi sto occupando della scomparsa di suo figlio, Elliot Hooper»
«Smetta di farlo» la voce dell'uomo parve un latrato.
«Come, scusi?»
«Mi ha sentito alla perfezione, detective. Smetta di farlo. Ho già a disposizione i miei investigatori privati che di certo sono più efficienti di quelli statali!»
«Signore, la fidanzata di Elliot, Tess Graves è molto interessata allo svolgimento delle indagini e fa riferimento a me da ormai...»
«Ho già parlato con la signorina Graves una settimana fa e le aveva riferito la mia intenzione di lavorare con investigatori privati»
«Non ne sapevo nulla»
«Questo dimostra che ho fatto un'ottima scelta. Se non c'è altro, detective, io sono un uomo molto impegnato...»
«Certo, buona giornata signor Hooper»
«Grazie e anche lei, detective. Le ricordo di considerare il caso ormai chiuso»
«Sarà fatto, signore»
Harrison riattaccò nello stesso istante del suo interlocutore, con una smorfia dipinta sul volto.
Sentì la porta aprirsi lentamente e il volto di Sadie fece capolino: «Ehi, ti ho portato alcuni documenti da...cos'è quella faccia?»
L'uomo sollevò le sopracciglia, interrogativo.
«Sembra che tu stia per ammazzare qualcuno. È mezzogiorno e venti e tra poco dovrebbe arrivare la tua bella. Non puoi farti trovare con quell'espressione»
«È perfetto, Sadie» replicò lui «Proprio la persona che voglio vedere in questo momento»
La donna alzò gli occhi al cielo, gli lasciò i documenti sul tavolo e tornò da dove era venuta.
Il detective rimase immobile per un tempo indefinito, fino a che riconobbe i passi di Tess nel corridoio. Leggeri e veloci.
«Avanti» disse ancor prima che la donna bussasse.
Lei aprì, con un'espressione stupita.
«Buon giorno, io...»
«Siediti» Harrison non avrebbe potuto usare un tono più glaciale.
Tess ubbidì, sorpresa e intimidita dal suo atteggiamento. Aveva i capelli castani scompigliati e le guance arrossate dal freddo.
«C'è qualche problema?» domandò poi, la voce ridotta ad un sussurro.
Il volto del detective era rigido, il suo sguardo tagliente.
«Quando diavolo pensavi di dirmi che hai già parlato con il padre del tuo ragazzo e che altri investigatori si stanno occupando del caso?»
Tess aprì la bocca, la richiuse e la riaprì.
«Io...non parlo molto con i miei suoceri» mormorò poi.
«Ma lo hai fatto. Una settimana fa»
«Non sapevo come si sarebbero comportati! Il padre di Elliot è capace di dire che lo stanno ancora cercando quando magari hanno trovato il suo...cadavere» la voce della donna si affievolì sull'ultima parola. Cercò di assumere un atteggiamento più risoluto: «Io non piaccio ai suoi genitori. Mi vedono come appartenente ad una classe inferiore alla loro e non è ciò che avrebbero voluto per loro figlio. Mi disprezzano, perché sono un'insegnante e non un'ereditiera con cui far...accoppiare Elliot! Non voglio aspettare che loro risolvano le cose per conto loro come se si trattasse di questione di famiglia, perché la cosa riguarda anche me! E non sto infrangendo la legge rivolgendomi ad una struttura statale!»
Le guance della donna erano diventate più scarlatte per la rabbia di quanto avesse fatto il freddo.
«Capisco ed è tutto molto commovente» replicò Harrison sarcastico «Ma questo non è un buon motivo per tenermelo nascosto»
«È un crimine?» domandò lei con aria di sfida.
L'uomo incrociò le braccia al petto, con uno sguardo serio: «Se gli investigatori del signor Hooper hanno trovato informazioni, di certo non le hanno rese pubbliche e si sono affrettati a nasconderle. Il che significa che io potrei non avere mai una pista»
«Ma non è così!» replicò Tess risoluta «Avevo torto quando me la sono presa con te, il primo giorno. Hai un buon intuito e sei riuscito a scoprire indizi importanti, come il video del parcheggio e il prelievo di diecimila dollari»
L'uomo le rivolse un sorrisetto saccente: «Le lusinghe, per quanto piacevoli, non bastano. Un qualsiasi detective avrebbe trovato quelle informazioni e non ci condurranno a un bel niente se gli investigatori di Hooper si mettono in mezzo»
Tess non rispose, abbassò lo sguardo, si guardò le mani, poi tornò a fissare il detective: «Il caso è archiviato?»
«Hooper senior vorrebbe che lo fosse» replicò lui.
«E tu?» 
Lo sguardo della donna sembrava voler sopprimere la speranza che nutriva, come se vedendo quella debolezza, l'uomo avrebbe potuto schernirla. Invece, Harrison pareva dispiaciuto dalla piega che la conversazione aveva preso.
«Tess...» cominciò lui, sussurrando il suo nome. Si appoggiò alla scrivania, per farsi più vicino: «Io credo che l'indagine debba proseguire, ma non posso darti false illusioni»
La donna tirò un mentale sospiro di sollievo: «Mi bastava sentire questo»
Harrison abbozzò un sorriso storto, poi cercò di tornare professionale: «Se devo essere sincero, le indagini non stanno proseguendo molto bene. Non abbiamo nessuna idea di dove possa trovarsi Elliot»
«Il suo cellulare?»
«Lo abbiamo portato qui. Nessun indizio prima della scomparsa, né dopo»
Tess rimase in silenzio, così fu di nuovo Harrison a parlare: «Continuerò a cercare, ma penso che se non salterà fuori nulla, farai meglio a parlare con il signor Hooper. Di sicuro lui saprà dirti qualcosa»
La donna annuì e lo guardò ancora: «Immagino non ci sia altro»
«Già»
Lei si alzò in piedi e Harrison la imitò.
«Buona giornata» le disse, mentre le apriva la porta.
Lei sorrise: «Anche a te»
Sparì nel corridoio e quando fu solo, l'uomo non riuscì a capacitarsi come fosse incazzato con lei prima che entrasse e come in quel momento si sentisse invece dispiaciuto di vederla andare via.
 
 
 
Lo stomaco di Tess brontolò e lei alzò gli occhi al cielo.
Non era riuscita a preparare una cena decente e ora ne pagava le conseguenze. Si diresse in cucina, intenzionata a mangiare il gelato che Harrison le aveva fatto comprare sostenendo che era "ottimo in ogni stagione e circostanza. Un po' come il prezzemolo".
Aveva già aperto lo sportello del freezer quando sentì suonare il campanello.
Rise tra sé. Stava pensando al detective e non poteva trattarsi di altri che di lui.
Attraversò il salotto proprio mentre il campanello suonava una seconda volta.
«Arrivo! Arrivo!» gridò.
Si dovette fermare davanti alla porta, che aveva già chiuso, così impiegò qualche secondo per aprire catenacci e far scattare la serratura.
Tirò la maniglia e scrutò la sagoma che apparve davanti a lei, in controluce rispetto ai lampioni alle sue spalle.
«Finalmente, tesoro» la salutò una voce maschile «Come te la passi, Tess?»
Lei sgranò gli occhi: «Elliot?»
 














Ciao a tutti,

purtroppo ho dovuto rimuovere dal sito il resto del racconto dato che un editore ha acquistato i diritti per pubblicarlo sia in forma cartacea che in eBook.
Se qualcuno fosse interessato, il romanzo si chiama "Blink of an eye - Le verità nascoste", edito da Dario Abate Editore. 
Si può acquistare online su amazon, ibs, mondadori, feltrinelli, libreria universitaria.
Qui sotto vi lascio il link di Amazon. 
Grazie a tutti coloro che hanno letto la storia e l'hanno seguita e recensita appassionatamente. Il vostro supporto mi ha permesso di perseverare e arrivare fino alla pubblicazione. Spero vorrete provare l'esperienza di leggere "Blink of an eye" come un libro vero e proprio.
Ancora grazie a tutti di cuore.

Alla prossima, 

M.

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