Lux Maxima

di Seagullgirl
(/viewuser.php?uid=108672)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno ***


 
Una nuvola di vapore avvolgeva il binario nove e tre quarti e con lui il vagone rosso fuoco da cui proveniva.
Una ragazza dai capelli scuri se ne stava ferma proprio nel bel mezzo della pensilina, fissando strabiliata ora il muro di mattoni alle sue spalle, ora il treno che sbuffava impaziente.
Accanto a lei vi era una donna minuta, vestita completamente di nero e che la superava in altezza di appena qualche centimetro. Era avvolta in una spessa sciarpa di lana, un cappello di velluto le nascondeva la fronte e ai piedi portava degli stivaletti di camoscio ricamati. L’unica cosa che faceva intuire che non si trattava di una strega oscura erano i polsini e il colletto di visone del lungo giaccone, che risaltavano fin troppo vistosamente in mezzo a tutto quel nero.
 
La ragazza sembrava non considerare troppo quella che doveva essere sua madre, guardando dovunque meno che verso di lei.
« Scusa, sai dove devo mettere il baule? » chiese ad una studentessa che le sembrava abbastanza grande da sapere come funzionasse la questione dei bagagli.
« Devi toccarlo con la bacchetta e dire “Conscendo “ »
Nel dirlo colpì il suo baule, che sparì all’istante.
« Oh, grazie »
L’altra non parve averla sentita; diede un’occhiata alla signora in nero, aggrottando le sopracciglia, poi si voltò di nuovo verso di lei, le rivolse un breve sorriso e si avviò lungo la pensilina.
 
« Sei sicura che non vuoi che ti accompagni? » le chiese la madre improvvisamente, come se si fosse resa conto solo in quel momento di dove si trovasse.
« No mamma, non ho due anni. E poi diamo già abbastanza nell’occhio così, te lo garantisco » le rispose leggermente scocciata, squadrandola da capo a piedi e sospirando. Probabilmente era abituata al modo strambo in cui si vestiva la madre, ma non molto a come gli altri la guardavano quando era con lei.
« Perché, che ho di strano? » l’aria innocente con cui lo chiese fece ridere la ragazza, che le si avvicinò e l’abbracciò delicatamente.
« Tu sei tutta strana, lo sai » rise, come fosse un vecchio gioco tra di loro.
« Hai preso tutto, sì? Sicura? Fai mente locale » cambiò discorso rapidamente, ammonendo la figlia.
« Sì, sono sicura. E comunque se mancasse qualcosa puoi mandarmela per posta, ricordi? I gufi arrivano anche lì »
Doveva sempre ripeterle le cose centinaia di volte e di solito questo la irritava, ma l’idea che non l’avrebbe rivista per i seguenti tre mesi la rendeva un po’ più tollerante.
« Allora divertiti… studia… » le sorrise la madre, sistemandole il colletto della giacca. « E mi raccomando, non fare troppo tardi la sera, altrimenti la mattina non ti svegli »
« Sì, sì, lo so. Prometto che farò del mio meglio » ridacchiò, abbracciandola di nuovo.
« Mi mancherai » le mormorò dandole un ultimo bacio sulla guancia.
Il treno fischiò e in lontananza si sentì qualcuno che annunciava la partenza.
« Devo andare o perdo il treno » annunciò iniziando ad allontanarsi, salutandola con la mano.
« Ti chiamo stasera! » le urlò la madre per farsi sentire sopra il rumore.
« Non credo che il cellulare funzioni lì! »
« Cosa?? »
« Non so se funziona! Ti scrivo! » le mimò da lontano, già attaccata al vagone.
La vide annuire e fare segno di “ok” con le dita, ma non era molto sicura che avesse capito davvero. Continuò a salutarla con la mano finché non la vide più; si appuntò mentalmente di chiedere se a Hogwarts si potessero usare i cellulari ed entrò.
 
 
                         ***
 

« Te l’ho detto, non l’ho visto! » gridò esasperata una voce maschile dal vagone vicino.
Tre ragazze e un ragazzo se ne stavano fermi in mezzo al corridoio, e una di loro sembrava molto agitata.
« È passato di qui, sono sicura, era nella sua cassetta due minuti fa » mormorò continuando a guardarsi attorno preoccupata.
« Tanto non è che possa andare da molte parti, lo troverai, Cassy » le fece notare la ragazza riccia che le stava accanto, appoggiata al finestrino con le braccia incrociate e l’aria piuttosto annoiata.
« Lo so anche io che non può andare da molte parti, Alexa, ma Godric è ancora piccolo, non è mai stato da nessun’altra parte se non a casa e potrebbe farsi male… oddio, e se finisce tra i Serpeverde? Devo trovarlo al più presto! »
Tenendosi le mani tra i capelli biondi corse via con gli occhi sempre fissi sul pavimento.
Qualunque cosa stesse cercando, probabilmente era in grado di infilarsi negli anfratti più piccoli.
« L’ha chiamato… Godric? » domandò la brunetta dai capelli lisci, con l’aria di chi è seriamente preoccupato.
« Sì… la solita leccaculo » rispose la riccia, sempre con la stessa aria annoiata.
« Perché leccaculo? » intervenne la terza, riemergendo improvvisamente dai suoi pensieri. Aveva l’aria di chi non si è ancora svegliato del tutto, con i capelli neri e corti tutti arruffati, la frangia troppo lunga e il volto pallido.
« L’ha chiamato così solo perché pensa che farà buona impressione sui professori. Idiota. Come se alla McGrannitt piacessero queste cose…»
« Ma quanti anni ha quella donna, tipo cento? »
« Anche di più. Vorrei sapere come fanno certi maghi e streghe a campare così tanto… »
« Scusate » Edith interruppe la conversazione, che ormai stava iniziando a degenerare, con un po’ di titubanza. Le tre ragazze si girarono tutte assieme, mettendola un po’ in soggezione. « Io sono nuova e non so… come funzionano gli scompartimenti? Posso mettermi dove voglio oppure… » lasciò la frase in sospeso, sperando che non la trovassero troppo strana. Sapeva che a Hogwarts c’erano delle Case di appartenenza e che i rapporti tra di loro erano particolari, per cui non voleva rischiare di commettere un errore sedendosi nello scompartimento sbagliato.
A dire il vero si sentiva molto stupida, ma cercava di non darlo a vedere.
« Sì, sì certo, puoi metterti dove vuoi. In linea di massima ti sconsiglierei i primi tre vagoni del treno, perché sono quelli dei Serpeverde e personalmente preferirei una martellata su un piede a loro, ma per il resto puoi sederti dove vuoi… » le rispose la ragazza con i capelli ricci, che per la prima volta sembrava un po’ meno annoiata dalla situazione.
« Se vuoi puoi stare nel nostro scompartimento » aggiunse la mora, sorridendole gentilmente « c’è ancora posto, se ti va ».
Edith si sentì rincuorata. Quelle tre le sembravano piuttosto affabili, e poi non era molto brava ad attaccare bottone, per cui se doveva scegliere preferiva sedersi con qualcuno a cui era almeno riuscita a rivolgere la parola.
« Se non disturbo, volentieri »
« Figurati. Da questa parte, vieni » le fece strada, fermandosi davanti ad uno scompartimento chiuso. Quando lo aprì una ragazzina piuttosto bassa e rotondetta per poco non le andò addosso. « Ah, ecco, stavo venendo a cercarvi. Che è successo? » domandò sporgendosi per guardare nel corridoio.
« Niente, Cassy ha perso il suo gatto » le spiegò entrando
« Di già? Ma siamo partiti ora… quella ragazza è veramente svampita » constatò continuando a guardarsi intorno nel corridoio.
« Lei è… » si fermò un istante, indicando Edith e rendendosi conto che non le avevano ancora chiesto come si chiamava.
« Edith, mi chiamo Edith » sorrise lei porgendo la mano alla ragazzina più bassa.
Solo in quel momento notò che aveva le punte dei capelli di uno strano verde acquoso, come se stessero per cambiare colore da un momento all’altro. Sulla spalla destra, inoltre, aveva una specie di palla di pelo rosa, che sembrava muoversi.
« Cos’è quella? » domandò cercando di osservarla più da vicino.
« È una puffola pigmea »
Lo disse come se fosse una cosa perfettamente normale, ma Edith non aveva idea di cosa fosse. « Una puffola? »
La toccò con un dito, e improvvisamente quella aprì gli occhi.
Edith sussultò, sorpresa. Non era stata una sua impressione: quella cosa era viva e aveva gli occhi, oltre ad un piccolo musetto rosato a punta e delle minuscole zampette.
« Non ne avevi mai vista una? » chiese ridacchiando la ragazzina, accarezzando l’animaletto con l’indice. Questo sembrò fare le fusa, emise uno strano suono e ondeggiò, come se fosse contento.
« Vanno molto di moda qui da noi » la informò la ragazza mora, che nel frattempo aveva sistemato delle cose nella borsa sul sedile.
« Comunque io sono Merope » si presentò la proprietaria della puffola che aveva catturato l’attenzione di Edith.
In quel momento, anche le altre due ragazze entrarono nello scompartimento.
« Già, non ci siamo presentate » ricordò la mora, « io sono Hayleen e loro sono Alexa e Margot » disse indicando prima la riccia e poi la ragazza con i capelli scompigliati.
« Per favore, chiamami Maggie. Margot mi fa sembrare una persona seria » disse con una smorfia, buttandosi sul sedile consumato e appoggiando la guancia sul palmo della mano con aria stanca.
« Edith » ripeté il suo nome e sorrise, osservandole una ad una.
Non sembravano affatto male come primo incontro.
 
 
                                                                                                                                  ***
 
 
Il viaggio in treno durò qualche ora, durante le quali le quattro ragazze le spiegarono che non appartenevano tutte alla stessa Casa.
Hayleen e Alexa erano Grifondoro, Margot Corvonero e Merope Tassorosso.
Ad Alexa in realtà piaceva essere una Grifondoro solo perché detestava l’atteggiamento supponente dei Serpeverde, ma Hayleen l’aveva presa in giro dicendo che il Cappello Parlante aveva avuto dei lunghi momenti di indecisione sulla Casa alla quale assegnarla. Alla fine era stato Grifondoro a vincere, ma secondo Alexa questo era avvenuto solamente perché lei aveva esclamato “ Senti, diamoci una mossa che mi stai schiacciando tutti i capelli! “.
Affermazione, a quanto pare, tipicamente da Grifondoro.
Margot, invece, era convinta che il giorno in cui era stata smistata lei il Cappello avesse bevuto qualche Whisky Incendiario di troppo, perché ( a quanto diceva ) c’era poco del modo di essere dei Corvonero in lei, tanto che tutti i suoi compagni di casa la guardavano strano ogni volta che dimenticava la parola d’ordine.
“ Pretendono che io risolva l’indovinello ogni santa volta, anche se sono le dieci di sera e ho sonno! “ aveva esclamato all’idea di dover ripetere ancora simili esperienze per tutto l’anno scolastico.
Merope non aveva niente da dire sulla sua Casa; lì era stata messa e lì stava.
Niente di più, niente di meno.“ Oh, i Tassi sono okay. Guarda Moppi. Chi potrebbe avercela con lei? “ fu la breve descrizione offertole da Alexa.
Edith ebbe l’impressione che Tassorosso non fosse considerata al pari delle altre Case e si chiese perché, ma non osò esprimere la sua perplessità ad alta voce.
 
Quando arrivarono a Hogwarts, non appena scesa dal treno, Edith fu letteralmente “ pescata” tra la marea di gente e unita a quelli del primo anno da un omone grosso e barbuto, un mezzogigante che le sue nuove amiche le avevano detto chiamarsi Hagrid.
Aveva l’aria di averne passate molte, e i suoi capelli cominciavano a diventare bianchi, eppure nei suoi occhi c’era qualcosa di estremamente vivo e giovane che non riusciva a spiegarsi.
Attraversarono il lago su delle barchette pericolanti, ma nonostante temesse di finire da un momento all’altro nel Lago Nero la visione del castello illuminato in mezzo a tutta quell’oscurità valeva davvero la pena.
Quando finalmente toccarono terra Hagrid li condusse dentro, li fece sistemare in fila indiana e li accompagnò fino alla Sala Grande, dove si fermò, in apparente attesa di istruzioni.
Dopo qualche minuto, una volta che tutti gli altri studenti si furono accomodati ai rispettivi tavoli, li fece entrare, costringendoli ad una sorta di sfilata sotto gli occhi di tutti. Anche gli altri ragazzi e ragazze con lei erano in grande soggezione, ma Edith si sentì ancora più ridicola, perché era l’unica studentessa di sedici anni in mezzo a tanti ragazzini di undici. Aveva la sensazione di apparire una perfetta idiota, e mentre tutti la fissavano come fosse una bestia rara maledisse se stessa per non essere andata a scuola fin da subito come gli altri.
 
 
In fondo alla sala, esattamente al centro di un lungo tavolo orizzontale, stava seduta su di una enorme sedia in legno dipinto e decorato a mano una donna anziana ma distinta, dritta come un fuso e con uno splendido mantello verde smeraldo.
Da quello che le sue compagne le avevano detto, doveva essere la Preside, nonché ex Direttrice della Casa di Grifondoro, la professoressa McGrannitt, che viveva e insegnava nel castello ormai da tempo immemore, da prima della Prima Guerra Magica.
I suoi occhi, colore del ghiaccio, risplendevano alla luce delle candele, e anche se tradivano una certa stanchezza il suo sguardo non ne risentiva minimamente.
Hagrid le porse un rotolo di pergamena e si andò a sedere al tavolo degli insegnanti, dietro il quale riusciva a malapena a passare.
Mentre i nomi dei primini riecheggiavano nella sala, Edith si voltò a cercare tra la folla le ragazze conosciute sull’Espresso.
Alexa era seduta accanto ad Hayleen circa a metà della lunga tavolata Grifondoro e stava cercando di sistemarsi la cravatta senza molto successo, mentre l’altra era perfettamente composta e ordinata, senza nemmeno un capello fuori posto. Quando si accorse che Edith la stava guardando accennò un saluto con la mano e un sorriso, che la rincuorarono.
Nel tavolo accanto Merope era nascosta da un paio di ragazzi più alti di lei, e continuava ad agitarsi e sporgersi cercando di vedere qualcosa, invano.
Margot invece era invisibile in mezzo ai Corvonero, forse troppo lontana, ed Edith non riuscì a scorgerla.
Si chiese quanto ci sarebbe voluto prima che potesse sedersi a mangiare con loro, ma poi ricordò che non era così scontato che potesse stare in compagnia, poiché nessuna  di loro era in Serpeverde, per cui se lei ci fosse capitata sarebbe stata completamente sola e per di più in mezzo a gente che, a quanto aveva capito, non era molto amata dal resto della scuola.
« Edith Knight »
il suo nome riecheggiò come fosse una sentenza; Edith si voltò verso la McGrannitt con riluttanza, tremendamente preoccupata. Salì i tre gradini che la separavano dal Cappello con una lentezza che le parve infinita e si sedette sullo sgabello dove a quanto pare si sarebbe deciso il suo fato.
Ripetendosi mentalmente di non essere troppo melodrammatica attese in silenzio per qualche secondo che il Cappello decidesse in quale Casa smistarla, così come aveva fatto con i suoi compagni, ma l’attesa parve più lunga del previsto.
« Mmm… » si sentì mormorare,  « difficile… sono combattuto »
Edith lo avvertì muoversi sulla sua testa e tentò di spostarlo appena, come se volesse scoprirsi gli occhi per poterlo vedere meglio.
« Vedo coraggio, spirito d’iniziativa… ma anche lealtà e sincerità… » continuò nei suoi ragionamenti, poco chiari a tutti meno che a lui, mentre Edith si agitava sempre di più. Moriva dalla curiosità di sapere cosa ne sarebbe stato di lei, anche se temeva di finire nel posto sbagliato. A quanto dicevano, però, il Cappello non sbagliava mai, per cui pensò che la cosa migliore fosse lasciarlo fare.
« Ma tutto sommato, credo… TASSOROSSO! » esclamò scatenando un boato dal tavolo centrale.
Tirò un sospiro di sollievo, mentre scendeva i gradini e andava a sedersi accanto a Merope, che nel frattempo le aveva fatto posto e l’aveva silenziosamente invitata a sedersi accanto a lei con un leggero sorriso.
« Benvenuta! » le dissero in rapida successione tutti quelli attorno a lei e anche qualcuno di più lontano, ciascuno con un sorriso più smagliante dell’altro.
« Tu non hai undici anni » constatò un ragazzo vicino a lei, ottenendo una gomitata nelle costole dalla ragazza che aveva accanto.
« Ehm, no, infatti » ridacchiò Edith, voltandosi.
« Dove hai studiato fino ad ora? » continuò ignorando gli sguardi truci degli altri.
« A casa. Mi ha insegnato mia madre, noi… abbiamo viaggiato molto a causa del lavoro di mio padre, per cui hanno preferito portarmi con loro e non ci sono molte scuola di Magia… » non sapeva esattamente cosa dire; era piuttosto in soggezione con tutte quelle domande, ma quei ragazzi erano così affabili e solari che non la mettevano per nulla a disagio. Per la prima volta in vita sua, anzi, si sentiva interessante.
« Beh, benvenuta a Hogwarts, Edith! » le sorrise la ragazza davanti a lei, poggiando una mano sulla sua. Edith ricambiò il sorriso, grata di quella accoglienza così calda.
Pochi minuti dopo, quando finalmente fu finita la cerimonia di smistamento, i tavoli si riempirono di cibarie e bevande, e la Sala fu avvolta da una luce calda e un chiacchiericcio sommesso.
 
Quando, terminato il banchetto, le Case si divisero, Edith scese con Merope verso le cucine, dove si trovavano la Sala Comune e i dormitori dei Tassorosso.
Nascoste dietro alcune piante finte, sul lato destro dello stesso corridoio, vi erano alcune file di botti incastrate dentro al muro, in una sorta di strano puzzle.
« Noi non abbiamo una parola d’ordine come le altre case » spiegò, « devi picchiettare su questa botte, la seconda dal basso, nel mezzo della fila, al ritmo di “ Tosca Tassorosso” » spiegò, facendole vedere e sentire come doveva fare.
Edith cercò di memorizzare il ritmo, sperando di ricordarselo la volta successiva, se fosse stata sola. « Cosa succede se sbaglio? » chiese mentre Merope apriva la porta.
« Vieni annaffiata con l’aceto » rispose lei secca, senza un filo di ironia nella voce.
Mentre ancora cercava di elaborare ciò che aveva appena sentito, però, la sua attenzione fu catturata da una calda luce gialla che proveniva da alcune lampade appese al soffitto e da cui pendevano anche numerosi vasi ricolmi di piante di ogni tipo.
La Sala Comune era tonda, e nella parete di fronte a lei vi erano altre due porticine a forma di tappo di botte, dalle quali, suppose, probabilmente si accedeva ai dormitori.
Il pavimento in legno era coperto da un enorme tappeto decorato che seguiva la forma della stanza, e numerose poltrone dall’aria molto comoda erano lì pronte ad accoglierle, accanto ad un grande tavolo dall’aria antica.
Merope procedette spedita verso le porte sul fondo, aprendone una e salendo delle scalette che conducevano alle stanze femminili.
 
Quando entrarono nella stanza Edith si meravigliò che le sue cose fossero già poste ai piedi del suo letto, e soprattutto che fosse così grande.
La stanza ospitava una dozzina di letti, tutti baldacchini con tendaggi gialli e delle splendide coperte in patchwork che le ricordavano le coperte di lana che la nonna le cuciva da piccola.
« Siamo tutti insieme? » domandò sorpresa.
Era sempre stata convinta del fatto che Hogwarts avesse delle camere come ogni college, da tre o quattro persone massimo, e invece a quanto pareva ogni ragazza del sesto anno si trovava lì con loro. Si grattò il braccio, come faceva spesso quando era a disagio.
« Sì, siamo divisi solo per sesso e per anno » ammise Merope sedendosi sul suo letto, che miracolosamente era accanto al suo. Qualcosa le faceva pensare che non fosse solo un caso, ma non si fece troppe domande.
« Beh, visto che è tardi credo sia meglio andare a letto. Spero solo che domattina non ci sia Pozioni alla prima ora » sbadigliò e si infilò velocemente il pigiama, come se non vedesse l’ora di poter dormire.
Edith avrebbe voluto chiedere perché Pozioni fosse così terribile, ma anche i suoi occhi erano piuttosto pesanti e sentiva il bisogno di stendersi su quel piumone così soffice e colorato.
Cercò velocemente il pigiama nel baule e imitò Merope, infilandosi sotto le coperte.
Stranamente non erano ruvide come spesso le era accaduto negli alberghi Babbani, ma lisce e profumate.
Avvolta in quella inaspettata sensazione di comodità, come fosse a casa, Edith si addormentò profondamente nel giro di poco.
 
 
                                                                                                                            ***
 
 
 
Il giorno dopo, quando scesero per la colazione, la Sala Grande sembrava ancora più affollata del giorno prima.
Edith si sedette accanto a Merope, la quale sembrava non essere infastidita dalla continua presenza della ragazza, anche se lei iniziava a sentirsi un po’ una palla al piede per la sua nuova amica.
« Scusami se ti sto sempre appiccicata » sussurrò mentre imburrava un toast
« Appiccicata? » Merope non sembrava capire bene di cosa parlasse, e Edith ridacchiò mentre la guardava cercare di sistemarsi il mantello stropicciato sulle spalle.
« Sì, voglio dire… non voglio essere di peso, venendoti sempre dietro, ma non ho idea di come funzionino le cose qui e il castello è davvero enorme e… »
« Tranquilla, sono stata una novellina anche io » la rassicurò mentre si versava dell’acqua calda nella tazza e metteva in ammollo una bustina di the.
« Pensa che il primo giorno di lezioni mi sono persa e sono arrivata in ritardo alla lezione di Pozioni. Ho vagato per i sotterranei per più di quindici minuti prima di trovare l’aula, e per poco non morivo di paura »  raccontò rabbrividendo al ricordo.
Edith rise, e per un po’questo alleviò la tensione.
Aveva così tanta paura di sbagliare che temeva di rimanere da sola anche solo per un minuto.
Non era mai stata in una scuola di Magia; nei suoi sedici anni aveva sempre frequentato scuole Babbane, mentre sua nonna e poi sua madre le insegnavano i rudimenti della Magia a casa. Non aveva mai capito perché, ma quest’ultima sembrava volerla tenere lontano da quel mondo, come se nascondesse qualche terribile segreto che non le aveva mai rivelato.
Tutto ciò che Edith aveva appreso sulla magia in quegli anni lo doveva a sua nonna e ai suoi libri, perché sua madre si era limitata ad insegnarle sempre e solo incantesimi molto elementari e sicuramente non le sarebbero bastati per entrare al sesto anno ad Hogwarts senza aver frequentato i cinque precedenti.
Tuttavia, la professoressa McGrannitt, la preside, una volta che ebbe saputo la sua condizione, non fu troppo rigida con lei. Quando si parlarono, colse nel suo sguardo come una punta di curiosità, mista a preoccupazione. Non riuscì a capire il perché, ma quando Edith le chiese di essere accettata a Hogwarts la preside sembrò contenta, quasi sollevata, di dirle di sì.
Doveva ammettere di aver studiato parecchio prima di sostenere l’esame di ingresso a cui era stata sottoposta; nonna Lilly le aveva lasciato libri e appunti a valanghe, incoraggiandola sempre ad essere curiosa ma anche timorosa nei confronti della magia. Edith sapeva bene quanto poteva essere pericolosa, se usata nel modo sbagliato. Suo nonno era morto in quel modo, e la nonna era riuscita a non perdere la fiducia nella magia solo grazie ai libri di cui era stata gelosamente custode per tanti anni. Contenevano incantesimi molto complicati, che Edith non poteva ancora gestire, ma che – stando a quanto diceva sempre sua nonna- avevano aiutato la sua famiglia a non allontanarsi dalle arti magiche negli anni successivi alla Prima e poi alla Seconda Guerra.
Lilian diceva sempre che la luce poteva essere trovata ovunque, anche nei momenti più oscuri. Sua madre sorrideva con malinconia quando la sentiva dire quella frase, come se fosse un vecchio detto appartenuto a qualcuno che entrambe conoscevano bene.
 
Edith era ancora immersa nei suoi pensieri, quando qualcuno le mise davanti un foglio con l’orario delle lezioni.
« La Preside vorrebbe vederla prima dell’inizio delle lezioni, signorina Knight » disse con voce paciosa la Professoressa Sprite, direttrice della sua Casa, prima di tornare al tavolo degli insegnanti.
Merope sbirciò l’orario, aggrottando le sopracciglia. « È un po’ diverso dal nostro » osservò confrontandolo con il suo.
« Beh, io sono praticamente nuova, forse alcuni corsi sono più bassi perché non ho le competenze necessarie » suppose alzando le spalle.
« Mmm… può darsi. Ma hai… perché hai Incantesimi alle 19? » chiese osservando una scritta a mano al di sotto delle normali caselle. « Non è orario di lezioni »
Edith si sporse per guardare e rimase sorpresa anche lei. La McGrannitt non le aveva detto che avrebbe dovuto seguire corsi diversi dai suoi compagni.
« Non ne ho idea. Lo chiederò alla McGrannitt, visto che devo andarci adesso »
riprese il foglio e si fece spiegare da Merope come arrivare all’ufficio della Preside.
Mentre tutti si dirigevano verso le varie aule, finita la colazione, Edith si incamminò verso il Gargoyle di pietra che stava a guardia dell’ufficio della McGranitt, il quale si attivò non appena lei vi si trovò davanti.
Bussò e rimase in attesa, finché una voce dura e ferma le disse di accomodarsi.
La professoressa McGranitt era dritta come un fuso, seduta dietro la scrivania d’ebano posta in mezzo alla stanza, indaffarata con strane pergamene e ceralacca rosso fuoco.
Un gufo maculato se ne stava appollaiato su un vecchio trabiccolo che stranamente non sembrava essere fatto apposta per lui.
« Voleva vedermi, professoressa? » chiese timidamente Edith avvicinandosi quel tanto che bastava per essere sentita.
« Sì, signorina Knight. Si sieda »
La sua voce era più austera di quel che ricordava, e per un attimo si sentì intimorita.
Si sedette su una delle due sedie davanti alla scrivania, sforzandosi di stare perfettamente diritta, come se temesse un qualche giudizio negativo.
« Dopo il nostro colloquio, ad Agosto, ho parlato con il professor Vitious, il docente di Incantesimi, e in seguito ad un’attenta analisi della sua condizione abbiamo ritenuto necessario che seguisse delle lezioni supplementari due volte a settimana, dalle diciannove alle venti » la informò con tono piatto.
Edith era sorpresa; non tanto per il fatto di dover seguire lezioni in più – quello le sembrava ragionevole, dal momento che non aveva mai studiato in una vera scuola di Magia e sicuramente aveva grosse lacune – ma perché il tono e lo sguardo della professoressa sembrava più duro del solito, come se fosse preoccupata.
Inoltre, non le aveva minimamente accennato alla possibilità di dover seguire lezioni diverse quando si erano parlate prima dell’inizio del semestre, nonostante Edith si fosse mostrata sorpresa del fatto che la McGrannitt non avesse nulla da ridire sulla sua formazione casalinga e fallace. Addirittura, quando lei aveva provato a dirle che forse sarebbe stato meglio se fosse stata assegnata ad un anno inferiore al suo, la Preside le aveva detto che non sarebbe stato necessario.
Forse aveva parlato troppo presto.
Eppure, le sembrava strano che una come lei potesse sbagliarsi.
« Inoltre, se non le è troppo di disturbo, gradirei vederla una volta alla settimana, diciamo il venerdì alle diciotto, per parlare con lei dei suoi progressi scolastici e assicurarmi che si ambienti al meglio qui a Hogwarts »
Alzò lo sguardo dai suoi fogli e le rivolse un sorriso tirato, ma apparentemente spontaneo.
« È tutto per ora. La sua prima lezione è tra mezz’ora, nei Sotterranei. Le suggerisco di non tardare. »
Detto questo ricominciò a scrivere frettolosamente su una delle sue pergamene, e Edith capì di essere stata congedata.
 
Come aveva previsto Merope, le ci volle un quarto d’ora buono per capire dove fosse l’aula di Pozioni, e quando la trovò vide da lontano che un uomo non troppo alto stava chiudendo la porta in quel preciso momento.
Si affrettò a raggiungerlo, correndo, e si aggrappò alla maniglia con tutta la forza che aveva, come per impedirgli di chiuderla. Da dentro, evidentemente sorpreso dal movimento strano, il professore lasciò andare la presa, e la porta si spostò violentemente contro di lei, colpendola in fronte e risuonando in maniera piuttosto forte.
Edith perse l’equilibrio e cadde a causa dell’improvviso cedimento del suo punto d’appiglio, finendo violentemente per terra.
« Ah, che dolore! » esclamò massaggiandosi la testa.
« Oh cielo, si è fatta male? » le chiese una voce piuttosto calda, mentre qualcuno si chinava su di lei.
Spostò la mano da davanti al viso e si trovò davanti quello che doveva essere il suo professore di Pozioni: un anziano signore con i capelli grigi e bianchi, radi al centro della testa, e il volto piuttosto rugoso, con due occhioni spalancati che le ricordavano quelli del cane da caccia di sua nonna, Tobia.
« Ehm, non si preoccupi, è stata colpa mia, mi scusi. Ero in ritardo e… mi dispiace » balbettò, diventando rossa non appena si accorse che dietro di lui tutta la classe si era girata a guardarli.
« Oh, non si preoccupi signorina… » sembrò in difficoltà, come se si fosse reso conto solo in quel momento di non averla mai vista prima.
« Knight. Edith Knight. Sono arrivata quest’anno » si affrettò a spiegare lei tirandosi su e spolverandosi il mantello.
« Oh, allora è lei! » i suoi occhi si illuminarono come se le avesse detto di essere la figlia di Harry Potter, e allargò le braccia invitandola con un gesto ad entrare.
« Mi avevano detto che avrei avuto una nuova studentessa, sì, sì… » farfugliò chiudendo la porta dietro di lei. « Si sieda, si sieda. Stavamo giusto per cominciare »
Edith gli sorrise cordialmente, anche se il suo atteggiamento la inquietava un po’, e si sedette in silenzio.
« Te l’avevo detto che quest’aula è impossibile da trovare » le sussurrò all’improvviso qualcuno accanto a lei.
Si voltò e vide i grandi occhi verdi di Merope fissarla in un misto tra inquietudine e curiosità.
« Oh, ciao, non ti avevo vista » rise tra sé e sé portandosi una mano al petto per lo spavento. « Avevi ragione, i sotterranei sono inquietanti e veramente intricati »
« Come fanno i Serpeverde a non perdersi quaggiù? Hanno una specie di sesto senso? » rise, ma a Merope la battuta non sembrò piacere, perché si rabbuiò ancora di più.
« Io non ci scherzerei tanto sopra » ribatté severa.
« Oh, okay. Scusa, cercavo solo di sdrammatizzare »
La guardò qualche secondo negli occhi, prima che si rimettesse a scribacchiare concitatamente sulla sua pergamena, e decise di imitarla.
Il professore - che aveva scoperto chiamarsi Lumacorno -  sembrava piuttosto socievole, anche se tendeva un po’ a perdersi nelle nuvole mentre spiegava.
Per fortuna quella era una lezione di teoria, si disse; partire direttamente con le pozioni sarebbe stato alquanto difficile, dato che probabilmente lì erano tutti molto più esperti e bravi di lei e non voleva incendiare un’aula il suo primo giorno.
Quando si ritrovò con la penna in mano, però, si accorse di aver cantato vittoria troppo presto.
Edith era cresciuta senza usare la magia nella vita di tutti giorni, per cui anche le “usanze” dei maghi erano quasi del tutto nuove per lei.
Di conseguenza, il massimo con cui sapeva scrivere era una stilografica, non certo una piuma.
« Ehm, Merope, come si usa quest’affare? » sussurrò alla sua compagna non appena ebbe provato a scrivere la prima parola ottenendo solo una gran macchia sul foglio.
« Che vuoi dire? » le chiese lei voltandosi e osservando la pergamena dell’amica.
« Voglio dire, come faccio a scrivere senza combinare macelli e magari ad una velocità superiore a quella di un’anziana col Parkinson? »
Merope la guardò accigliata, come se avesse parlato in un’altra lingua.
« Con il cosa? »
« Lascia perdere, dimmi solo come si fa » insistette esasperata.
« Non hai mai scritto prima d’ora? » chiese vagamente scocciata, cercando di non perdere le parole di Lumacorno.
« Non con una piuma! A casa mia usiamo le biro, o al massimo le stilografiche » le spiegò gettando un’occhiata al professore, che nel frattempo stava scrivendo un elenco di strani ingredienti alla lavagna.
« Cosa sono le biro? » chiese di nuovo con la stessa espressione sorpresa.
« O mio dio, andiamo bene… » sospirò Edith arresa, finché una voce dal fondo dell’aula non la fece drizzare come un fuso sulla sedia.
« C’è qualche problema là in fondo? » domandò Lumacorno, voltandosi con aria confusa.
« Ehm, no professore, è solo che io… »
Edith si vergognava a dirlo davanti a tutta la classe, ma non voleva fare brutta impressione facendo credere di essere disattenta.
« Lei cosa, signorina Knight? »
Tutta la classe si girò a guardarla, in un silenzio così carico di aspettativa che credette di morire soffocata.
« Io… non so scrivere » mormorò arrossendo e guardando Lumacorno dritto negli occhi.
Una risata generale si diffuse nell’aula, e Edith incrociò lo sguardo di un ragazzo moro, qualche fila avanti a lei, dal lato opposto, che sembrava particolarmente divertito e non smetteva di fissarla.
Per qualche istante pensò di chiedergli quale fosse il suo problema, ma non volendo rischiare una punizione si limitò a sostenere il suo sguardo finché Lumacorno non parlò, costringendola a voltarsi. « Come sarebbe “ non sa scrivere “? »
« Intendevo con la piuma » si affrettò ad aggiungere, arrossendo sempre di più.
« A casa mia non usiamo la magia, di solito, io ho sempre frequentato scuole babbane e… lì non usano più le piume da circa un secolo » spiegò concitata, sperando di apparire un po’ meno stupida.
In realtà, si rese conto solo dopo qualche istante di aver peggiorato la situazione, insinuando involontariamente che a Hogwarts fossero retrogradi.
Una nuova risata, anche se più sommessa della prima, si fece largo tra gli studenti.
Lumacorno la ignorò, avvicinandosi a lei.
« Beh, in tal caso immagino… che possa prendere appunti con… qualunque cosa usasse prima, finché non imparerà » concluse, anche se dalla sua espressione e dalla sua voce si capiva che era leggermente confuso e forse anche offeso da quella sua ignoranza.
« La ringrazio » si limitò a ribattere Edith, facendo un cenno col capo e seppellendosi tra i suoi stessi capelli per evitare gli sguardi curiosi dei compagni.
 
       
                                                                                                                          ***
 

« Credo che mi sotterrerò » mormorò Edith mentre mangiava distrattamente il suo pollo.
« Vedrai che domani se ne saranno già dimenticati tutti. Anzi, secondo me già adesso nessuno ci pensa più » la rincuorò con un mezzo sorriso.
 
« Ehi, tu sei quella che non sa scrivere, vero? »
Una voce maschile la fece voltare, innervosendola ancor prima che potesse associarla ad un volto.
Il ragazzo da cui proveniva era lo stesso che aveva sfidato con lo sguardo in classe poche ore prima, quando lei aveva dato vita quel simpatico sketch.
« E tu sei il cretino che rideva, vero? » ribatté a tono, sollevando le sopracciglia.
« Uh, siamo anche permalosi » rise nuovamente lui, sedendosi disinvoltamente accanto a lei con aria divertita. « Da dov’è che vieni? » le chiese con il solito tono, come se si aspettasse una risposta assurda.
« Portobello Road, Londra, e tu? Da un negozio di palloncini? » chiese fingendo serietà. Merope davanti a lei li osservava interessata, con gli occhi più aperti del normale, come se stesse guardando un film.
« Cosa vorresti dire? » aggrottò le sopracciglia lui, dimostrando di non aver capito la battuta.
« Voglio dire che mi sembri un bel pallone gonfiato, ecco cosa. » spiegò lei bevendo un sorso di succo di zucca senza nemmeno guardarlo.
Per qualche secondo percepì il suo sguardo sottile su di lei, e la cosa la infastidì, ma fece finta di niente.
« Senti, non so perché tu ti senta così speciale da non poter sopportare qualche battuta, ma essere Babbani non è una scusa per tutto » ribatté freddo, e a quel punto Edith si sentì costretta a guardarlo negli occhi.
« Così come essere Purosangue non è una scusa per essere stronzi, immagino »
Per qualche istante calò il silenzio, e i due si fissarono senza dire niente.
« Non sono un Purosangue » mormorò a tono basso lui, senza smettere di fissarla.
« Beh, allora l’essere stronzo deve essere una tua dote personale e non ereditaria » continuò pungente Edith.
Di nuovo silenzio.
« E comunque nemmeno io sono Babbana » aggiunse.
« Mia madre è una strega, e anche i miei nonni lo erano, ma a casa mia la magia è caduta in disuso da quando sono nata. Ho sempre frequentato scuole Babbane, ho imparato la magia da mia nonna, non ho mai usato un gufo per spedire lettere e non ho mai scritto con una piuma, ma non credo che questo sia un grosso problema, visto che voi non avete idea di cosa sia un phon, una biro o un cellulare » concluse.
Riprese a mangiare senza guardarlo, probabilmente aspettando che se ne andasse.
Non sapeva perché si era giustificata o perché aveva preso così a cuore il commento di quel ragazzo di cui non conosceva nemmeno il nome, eppure sembrava che la sua risposta l’avesse lasciato senza parole.
« Te lo concedo » mormorò infine il ragazzo, alzandosi.
Edith lo guardò con la coda dell’occhio e vide che aveva un’aria soddisfatta, come se se stesse ridendo sotto i baffi. « In effetti qui sono un po’antiquati, ma hanno il loro fascino »
Lei continuò a mangiare in silenzio, ma lui si abbassò all’improvviso, avvicinandosi a lei più di quanto si aspettasse e fissandola intensamente.
« Se avessi bisogno di qualcuno che ti insegni a scrivere, comunque, sarà un piacere »
sorrise sghembo, ancora più divertito quando le guance di lei si tinsero involontariamente di rosso.
Prima che potesse ribattere qualunque cosa, però, la voce di una professoressa che non conosceva ancora lo richiamò, interrompendo la loro conversazione.
« Signor James, quello non è il suo tavolo, non può stare lì. Vada a sedersi »
« Sì signorina Kinnon! » annuì vigorosamente lui portando la mano alla fronte e facendo finta di mettersi sull’attenti.
Una ragazza, accanto a Edith, ridacchiò frivola, lanciandogli occhiate maliziose da dietro la spalla.
Evidentemente quel ragazzo doveva essere piuttosto “ famoso”, perché guardandosi attorno si accorse che il 90% delle femmine al loro tavolo lo stavano guardando, chi più chi meno palesemente, mentre i ragazzi ridacchiavano sommessamente tra loro, come apprezzassero la sua spavalderia.
Arroganza, vorrai dire, si corresse mentalmente.
La professoressa non rispose al tentativo di James di buttarla sul ridere, ma si limitò a fissarlo ancora più severamente, con entrambe le mani sui fianchi, aspettando che tornasse al suo posto.
« Ci vediamo » le sorrise divertito facendole l’occhiolino, prima di voltarsi e andarsene seguito dall’insegnante.
Edith lo seguì con lo sguardo per qualche metro, fino a quando non fu sufficientemente lontano da non sentirla.
« Qual è il suo problema? » domandò a voce alta, senza rivolgersi a nessuno in particolare.
« Ah, nessuno, lascialo perdere, è sempre stato così » commentò senza troppa enfasi Merope, concentrata sul suo budino.
« E come mai nessuno gli ha mai dato un pugno sul naso? » chiese lievemente stizzita, tanto che l’amica davanti a lei alzò lo sguardo sorpresa.
« Scusami, è che ha una faccia che mi irrita proprio a pelle » spiegò continuando a cercare di guardarlo da dove era seduta, come se volesse osservarlo meglio per assicurarsi di detestarlo fino in fondo.
« Non sei l’unica, se la cosa ti consola. Aaron è il genere di ragazzo per cui le persone si dividono in due categorie: chi lo odia e chi lo ama » disse facendo un cenno con la testa ad indicare la ragazza che pochi minuti prima aveva riso come un’oca a quella scenetta penosa.
« Tu in quale categoria staresti? » domandò incuriosita assottigliando lo sguardo.
Merope ficcò il libro di Pozioni che teneva sulle gambe dentro la borsa e fece per alzarsi; le lezioni del pomeriggio sarebbero iniziate dopo poco e lei sembrava avere una certa fretta. « In quella che lo ignora per il buon della pace » disse infine.
« Purtroppo per me è difficile provare indifferenza per qualcuno » mormorò Edith imitando l’amica e alzandosi.
« Beh, potrebbe anche piacerti, magari. Se lo conosci un po’ non è così male… gli piace solo fare il cretino. Credo sia insito nel suo DNA » osservò.
Edith sorrise; era lieta che almeno avessero la stessa filosofia sugli uomini.
« Gioca anche a Quidditch » aggiunse Merope, come fosse un dettaglio importante.
« E..? »
Lei fece spallucce « Non so, di solito è un dettaglio che fa impazzire le ragazzine »
Edith rise e la guardò come se stesse farneticando « Ma per chi mi hai presa? »
« In ogni caso, dubito mi piacerà mai. Anzi, credo che potrei fare fatica persino a tollerarlo » aggiunse.
« In tal caso credo che il problema maggiore non l’avrai con lui, ma con mezzo dormitorio femminile » commentò l’amica con l’aria di chi prevede guai.
« Sta così simpatico a tutte? »
Merope si fermò, osservando Edith come se avesse appena fatto una domanda oltremodo stupida. « Non è che gli sta simpatico: loro lo venerano » sillabò lentamente, come se volesse sottolineare ulteriormente la cosa.
Edith sollevò le sopracciglia, pensando che esagerasse. Come si poteva venerare un tipo del genere? « E perché mai? » domandò incredula.
Merope sollevò di nuovo le spalle e si sistemò il berretto sulla testa; si stavano avviando verso la capanna del guardiacaccia, vicino alla quale si tenevano le lezioni di Cura delle Creature Magiche, e faceva già piuttosto freddo fuori.
« Non lo so. So solo che sono tutte innamorate di lui, chi più chi meno. Credo non ci sia una sola ragazza a Hogwarts che rifiuterebbe di uscire con lui » rifletté quasi con preoccupazione.
« Fino ad ora » mormorò tra sé Edith, serrando i denti.
Se mai Aaron James le avesse chiesto di uscire, era piuttosto sicura che l’avrebbe mandato a quel paese. Anzi, ripensandoci l’avrebbe fatto volentieri anche senza quella scusa.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo due ***


 
Se il primo giorno era stato imbarazzante, quelli dopo furono traumatici.
Alla prima lezione di Erbologia fu morsa da una misteriosa pianta dal nome strano e impronunciabile mentre tentava di travasarla; alla lezione di Cura delle Creature Magiche, tenuta da una professoressa decisamente troppo mingherlina e docile per quel lavoro, il guardiacaccia Hagrid tentò di mostrare ad una ragazza quanto fossero carine le bestioline chiuse nella gabbia prendendone una in mano, con il risultato che aprendo lo sportellino le liberò tutte e furono costretti a correre in su e in giù per tutto il giardino nel tentativo di recuperarle.
Le uniche due lezioni in cui sembrò non avere problemi furono Incantesimi e Trasfigurazione, la seconda delle quali era tenuta dalla stessa donna che aveva rimproverato quel cafone di James quel giorno in Sala Grande.
 
La professoressa Kinnon era una donna sulla quarantina, non molto alta, robusta e con i capelli corti e grigiastri. Il suo sguardo era caldo ma severo, e la sua voce non incuteva paura, ma era ferma e decisa.
Edith riuscì senza troppi problemi a trasformare il soprammobile davanti a lei in una rana vera, che iniziò a saltellare qua e là per tutta l’aula, con grande divertimento degli altri studenti.
Saltò sulla testa di un Serpeverde dai capelli marrone rossicci, che la scacciò in malo modo e le puntò la bacchetta contro, come fosse un mostro da eliminare.
Edith corse verso l’animale senza pensarci e lo intrappolò sotto una gabbia che aveva trovato lì vicino, poi alzò lo sguardo verso il ragazzo.
 « Calmati, non c’è bisogno di farle del male, non è pericolosa »
« Mi è saltata in testa, dovresti stare più attenta a quello che fai! » esclamò lui senza nemmeno ascoltarla.
« L’esercizio era di dare vita ad un soprammobile » gli fece notare sgranando gli occhi, come se non si capacitasse di tanta agitazione.
« E non potevi prendere un soprammobile meno schifoso? Oltre che scrivere non sai nemmeno ragionare, tu » rispose acido il ragazzo, abbassando finalmente la bacchetta e passandosi una mano tra i capelli per assicurarsi che non ci fosse niente.
Edith lo fissò per qualche secondo, allibita.
« Beh, certamente se avessi saputo che c’erano delle femminucce cagasotto come te in classe avrei scelto qualcosa di più adatto… che ne dici, una puffola rosa andava bene o è troppo terrificante anche quella? » lo schernì.
Qualche Serpeverde si azzardò a ridacchiare, e diversi Tassorosso risero divertiti.
« Ora basta! » dichiarò la professoressa raggiungendoli in poche falcate. Fece segno a tutti di allontanarsi, puntò la bacchetta verso la gabbia sotto la quale era intrappolata la rana, che subito tornò ad essere un semplice oggetto di ceramica e rimise a posto entrambe, poi si rivolse a Edith.
« Signorina Knight, capisco che lei provenga da un tipo di scuola in cui probabilmente linguaggio è normale utilizzare certe parole, ma qui a Hogwarts le cose sono un po’ diverse da com’ erano laggiù. Il suo linguaggio è inappropriato, per cui la invito a cambiarlo velocemente se non vuole guadagnarsi un abbonamento per l’ufficio della Preside, chiaro? »
La fissò dritto negli occhi, e lei sostenne lo sguardo. Annuì una sola volta, perfettamente dritta e con le mani dietro la schiena, come un soldatino.
Era consapevole del fatto che quella non era come una scuola babbana, ma per quanto si sforzasse di essere borghese e  “ alla vecchia maniera “ c’erano lo stesso alcune cose che proprio non le andavano giù.
 
Tutti gli studenti del sesto anno dovevano frequentare anche alcuni corsi a scelta; nel suo caso si trattava di Babbanologia, Cura delle Creature Magiche e Artimanzia.
Era stata indecisa a lungo, soprattutto sull’ultima, perché le era stata descritta come una materia davvero difficile, però alla fine la curiosità aveva preso il sopravvento e aveva scelto di provare. Per Babbanologia era avvantaggiata: in tutta la scuola era forse la studentessa più esperta del mondo babbano - essendo praticamente cresciuta come una di loro - per cui le era sembrato quasi scontato scegliere quella materia, mentre Cura delle Creature Magiche le piaceva perché la trovava rilassante sotto molti punti di vista. Anche in quel caso la curiosità aveva giocato un ruolo fondamentale, assieme alla sua attrazione verso gli animali, per quanto strani potessero essere.
C’era da dire che anche se a lei attiravano molto loro, lei non sembrava riscuotere sempre altrettanto successo. Spesso si ritraevano o erano diffidenti, e non riusciva a spiegarsi perché. Aveva notato che le succedeva spesso quando era nervosa o di malumore, e soprattutto con i gatti, anche se non ne aveva ancora capito del tutto il motivo. Era strano, perché suo padre invece li aveva sempre attratti come calamite, mentre con lei a volte erano diffidenti, come spaventati, intimoriti. Se lei tendeva una mano la annusavano e la guardavano: si fermavano un attimo, immobili come la pietra, e andavano via svelti, come se avessero da fare.
A parte questo, però, tutto il resto andava bene. Le lezioni erano impegnative e le pause troppo brevi, però tutto sommato era divertente studiare qualcosa di diverso dalle solite guerre e i soliti poeti o filosofi. Era bello, finalmente, essere parte di quel mondo a cui apparteneva e che per tanto tempo le era stato nascosto come un quadro sotto una teca di vetro e potervi partecipare, poter imparare con la pratica una volta ogni tanto, non solo leggendo e ripetendo come un mantra gli incantesimi che trovava sui libri di sua nonna.
La prima lezione di Artimanzia non fu troppo difficile: nel liceo babbano dove andava studiavano greco antico, e per certi versi quella materia glielo ricordava.
Non che fosse una buonissima premessa: aveva sempre fatto schifo a tradurre il greco, però trovava che quella dose di “intuizione” che aveva appreso in quei due anni le fosse utile. Cercare di interpretare il futuro attraverso i numeri e gli alfabeti era interessante e difficile, ed era proprio quel velo costante di mistero che avvolgeva il tutto ad affascinarla enormemente.
Erano veramente in pochi a seguire il corso, e la cosa non le dispiaceva: non era abituata a stare tutto il giorno a contatto con così tanta gente, e ogni tanto qualche momento più tranquillo non guastava.
Merope le faceva ancora un po’ da balia, però era riuscita ad ambientarsi abbastanza bene, almeno quel tanto che bastava per riuscire ad arrivare da sola a lezione e nella sala comune. Riuscire ad aprire la botte non era stato così complicato come pensava; una volta memorizzato, il ritmo della bussata rimaneva ben impresso in mente, ed era senza dubbio molto meglio che rispondere ad indovinelli o ricordarsi ogni volta una parola d’ordine diversa –che poteva comunque essere facilmente scoperta –.
 
La sua prima lezione supplementare, secondo le disposizioni della McGrannitt, si sarebbe dovuta tenere con il professor Vitious, ma era stata rimandata per problemi personali di quest’ultimo, per cui ancora non era riuscita a scoprire in cosa consistessero quei misteriosi incontri serali.
Alexa era quasi più eccitata di lei per tutto ciò, e ogni giorno insisteva perché le raccontasse tutto non appena l’avesse scoperto. Per Merope e Margot erano delle semplici ore di recupero, ma a sentire Alexa – e Hayleen le dava corda – erano una specie di “lezioni segrete” fatte apposta per carpire qualche misteriosa informazione su di lei. Anche se non sapeva quali.
« L’unico segreto che posso rivelarle è come fare a non morire di freddo d’inverno in questo castello: TERMOSIFONI » sillabò verso l’amica.
« Sifoni? Quelli del bagno? » la guardò stranita Alexa.
Edith non capiva come, nonostante fosse pieno di mezzosangue in quella scuola, nessuno si meravigliasse di cose così banali.
Lei ancora non si era ripresa dal fatto che lì il suo i-pod non funzionasse.
« Termosifone » ripeté paziente Hayleen, che era mezzosangue ( anche se misteriosamente non le pareva strano dover usare le candele invece delle lampadine ).
« È un affare rettangolare fatto di ceramica che sta attaccato al muro e produce calore per riscaldare la stanza » spiegò Edith salendo a fatica gli ultimi scalini.
« Wow, che figo » commentò Meg a voce non troppo alta ma facendola comunque ridere.
« Dovresti prestarle quel tuo aggeggio babbano per ascoltare la musica » suggerì Alexa riferendosi alla McGrannit,  « magari te la fai amica » ridacchiò.
« Sì, certo, e poi le regalo il CD di Taylor Swift » commentò Edith.
Merope guardò stranita l’amica riccioluta, commentando sottovoce con un « chi? » al quale non seguì alcuna risposta.
Arrivarono nell’aula di Incantesimi miracolosamente puntuali, e salutarono Margot che invece aveva Trasfigurazione.
Il professor Vitious – si era convinta Edith – era l’esserino più piccolo e minuto che esistesse, ma con la maggior quantità di barba possibile. Sembrava una specie di ranocchia raggrinzita, così fragile, con una vocina acuta e talmente buffa che ogni volta doveva trattenersi dallo scoppiare a ridergli in faccia.
« Bene ragazzi, accomodatevi e iniziamo » squittì non appena varcarono la soglia.
« Oggi impareremo come fare gli incantesimi non verbali » proclamò alzando la bacchetta tremolante. « Voglio che pensiate tutti ad un incantesimo, il più semplice possibile per iniziare, e lo eseguiate sulla pallina che avete davanti in completo silenzio » spiegò, riferendosi alle palline di legno che aveva sistemato all’interno di una scatolina, una per ciascun banco.
« È molto importante che vi concentriate al massimo e ripetiate nitidamente e con fermezza nella vostra mente l’incantesimo, senza staccare gli occhi dall’oggetto su cui intendete eseguirlo »
Detto ciò puntò la bacchetta verso la pallina di una Grifondoro al primo banco e, in perfetto silenzio, la fece alzare in aria. « Provate voi adesso » li incoraggiò.
Alexa fissò la sua pallina come se volesse disintegrarla, puntandole la bacchetta così vicina che sembrava una minaccia, più che un tentativo di eseguire un incantesimo non verbale, ma riuscì solo a farla tremolare per pochi secondi e mormorò  un’imprecazione poco signorile tra i denti.
Hayleen e Merope, invece, sembravano un po’ scoraggiate: continuavano a scuotere la bacchetta nella speranza che il problema fosse come avevano puntato l’oggetto e non l’incantesimo in sé, anche loro con l’aria piuttosto crucciata. Nessuna delle loro due palline fece niente per cinque minuti buoni, poi quella di Hayleen prese fuoco, facendo un’enorme fiammata.
« Cazzo! » esclamò Edith accanto a lei senza pensare, cercando di spegnerla manualmente, finendo anche per scottarsi.
Sperò che il professor Vitious non l’avesse sentita, ma purtroppo così non fu.
« Signorina Knight » tuonò squittente, improvvisamente molto meno divertente del solito. « Sono sicuro che la Preside l’abbia già messa al corrente del fatto che un tale linguaggio scurrile non è permesso in questa scuola! » esordì, facendo zittire tutta la classe. Edith sprofondò nel proprio posto, per quanto possibile dato che le sedie erano di legno massiccio, e mormorò delle scuse imbarazzate.
« Perché non viene qui e mostra ai suoi compagni come eseguire l’incantesimo? »
Alexa e Hayleen dapprima si guardarono, poi si rivolsero verso di lei con gli occhi lievemente sgranati; Edith non riusciva a capire se fosse perché era strano da parte del professor Vitious prendere certe iniziative “punitive” o perché temevano la figuraccia che l’amica avrebbe potuto fare, ma in ogni caso non aveva scelta.
Si alzò lentamente e in silenzio, dirigendosi alla cattedra con aria timorosa e lì si fermò.
« Prego » squillò di nuovo il professore, facendole cenno con la mano verso la pallina che giaceva immobile sul piano.
Edith la fissò qualche istante, senza guardarsi attorno, con un’aria leggermente spaventata; poi fece un breve sospiro e alzò la bacchetta.
La sua espressione cambiò: i suoi occhi si assottigliarono leggermente, le spalle si abbassarono e la mascella si serrò ancora di più.
L’oggetto tremò e si alzò senza fatica, levitando davanti a lei.
Senza smettere di fissarla, mosse la bacchetta facendola roteare in aria, mentre la pallina eseguiva splendide evoluzioni.
Si bloccò di nuovo a mezz’aria, proprio sopra la testa di un ragazzo seduto al primo banco che inizialmente non aveva guardato in faccia, ma che dopo pochi secondi riconobbe come lo sbruffone a cui piaceva tanto prenderla in giro: James.
Edith fissò intensamente la sfera, e questa prese fuoco. La fece roteare attorno alla testa di Aaron, che la seguì con lo sguardo, un po’ sorpreso e un po’ spaventato, ma stranamente sogghignante.
Si fermò davanti ai suoi occhi e si spense, prima di crollare sul banco con un tonfo.
 
Per alcuni secondi nell’aula calò il silenzio più totale; metà dei suoi compagni la fissarono inebetiti, sorpresi da quanto era appena successo.
Lo stesso professor Vitious rimase a bocca aperta per un istante, prima di ricomporsi e liquidarla con un frettoloso « Bene, molto bene, torni pure al suo posto » con un tono che sembrava quasi preoccupato.
Alexa, Hayleen e Merope continuarono a fissarla anche una volta che si fu seduta, facendola sentire leggermente in imbarazzo. « Che c’è? » mormorò guardandole.
« Tu… tu… » balbettò Hayleen girandosi prima verso di lei e poi verso Merope, muta come un pesce.
« Sei stata assurda! » esclamò – per quanto possibile, senza farsi sentire dal professore -  Alexa, scuotendole un braccio. « Dove hai imparato a fare gli incantesimi non verbali così? » la sua curiosità dava voce a quella di tutta la classe.
Edith fece spallucce, guardandola timidamente negli occhi. Non le sembrava di aver fatto nulla di eccezionale; era solo un caso che lei si fosse già esercitata su quel tipo di incantesimi, nulla di più. « Mi ha insegnato mia nonna, a casa. Ho sempre studiato con lei, fino a quando…non è morta » abbassò la testa, improvvisamente triste.
Era successo l’anno prima; non era stata una cosa improvvisa, erano preparati, però era stato comunque terribile. Sua nonna era una fonte inesauribile di conoscenza; quando le stava accanto Edith aveva sempre l’impressione che nascondesse meravigliosi e immensi segreti dentro di sé e che fosse solo questione di tempo prima che glieli rivelasse.
L’amore di Lilian nei confronti della magia, che non era mai morto, nemmeno dopo tutte le guerre che aveva vissuto, l’aveva contagiata sin da piccola.
Le piaceva moltissimo quando apriva qualche vecchio libro e le insegnava un nuovo incantesimo o una nuova pozione ( anche se in quelle non era così brava ); la faceva sentire importante e speciale come nessun altro al mondo.
Quando se n’era andata, tutta quella bellezza, quell’emozione, era come se fosse rimasta ferma nell’aria, senza che nessuno sapesse dove incanalarla.
Era anche per quello che aveva chiesto a sua mamma di mandarla a Hogwarts.
Sua nonna l’aveva sempre descritto come un posto meraviglioso, magico sotto tutti i punti di vista, pittoresco, affascinante, ispirativo. Già prima di andarci, lo sentiva un po’ suo.
« Comunque non è niente di che, ragazze. È solo questione di pratica » spiegò sorridendo alle amiche, « io sono già due anni che mi esercito, vedrete, voi sarete molto più brave » le incoraggiò.
« Due anni?? Tu sapevi fare incantesimi non verbali già a quattordici anni?? » stavolta Alexa si sentì fin troppo bene, e Edith le fece cenno di abbassare la voce.
« Più o meno… ma è solo casuale, a casa non seguivo un programma preciso come il vostro, ve l’ho detto… sicuramente ci sono tante cose che voi sapete fare e che io non ho mai fatto »
Merope alzò le sopracciglia, iniziando a mettere le cose a posto, poiché nel frattempo la lezione era finita e il professore stava scrivendo i compiti assegnati alla lavagna.
« Ne dubito » commentò.
 
Alexa e Hayleen continuarono a lanciarle occhiate incuriosite per tutto il percorso fino alla Sala Grande, dove si dovettero dividere per andare ognuna al proprio tavolo.
« Comunque questa cosa dei tavoli divisi mi pare un po’ una stronzata » disse facendo girare i due Tassorosso accanto a lei. Ancora non si era abituata alla questione del lessico, e ogni volta che le scappava una parolaccia c’era sempre qualcuno che si girava a guardarla sorpreso o addirittura sconcertato.
« Insomma è un po’un controsenso, non ti pare? Non incita molto alla socializzazione con le altre Case, è come se fossimo gli uni contro gli altri in una specie di gara » osservò, stavolta un po’ più sottovoce.
« Ma è così » constatò Merope indicando con la testa le clessidre in fondo alla Sala.
In effetti c’era la questione della Coppa delle Case che li metteva un po’ in competizione, e non ne capiva molto il senso.
Appartenevano tutti alla stessa scuola, non gli veniva impedito fare amicizia con persone di altre casate, però di fatto poi era come se ci fosse un confine tra tutti loro, sottile ma invalicabile.
« Lo so, ma credevo che ci fosse una sorta di patriottismo, non so… siamo tutti studenti di Hogwarts ma in un certo senso internamente siamo sempre divisi. Nessuno avverte mai tensione tra le Case? »
Merope fece spallucce, sgranocchiando una carota. « Beh, tra Serpeverde e Grifondoro c’è una rivalità che dura da sempre ormai » osservò, « le altre case più o meno vanno d’accordo… anche se verso i Serpeverde diciamo che spesso c’è un po’ di pregiudizio… e anche verso di noi se è per quello » aggiunse alzando gli occhi al cielo.
« I Tassorosso hanno la reputazione dei deboli » affermò Edith, che ormai aveva capito più o meno quali erano i cliché di ogni Casa.
Merope annuì a testa bassa. « È che alle persone piacciono gli stereotipi »
Lei la guardò, annuendo leggermente e increspando le labbra.
Non le piaceva pensarlo, però in effetti guardando Merope ogni tanto aveva l’impressione che fosse troppo buona, troppo pacifista, sempre così timida e taciturna, come se non avesse mai da ridire su niente e nessuno, non avesse voglia di litigare e preferisse di gran lunga ovattare le discussioni per il buon della pace.
Edith invece non era così, e già quello le faceva capire quanto incasellare tutte le persone della stessa Casa sotto un’unica etichetta fosse sbagliato.
Lei era allegra, sincera, fedele ai propri amici e leale, come si diceva fossero i Tassorosso, ma per esempio non era molto docile, e anche se non le piaceva litigare se era necessario non si tirava indietro. Non riusciva ad ingoiare troppi bocconi amari e portava rancore; era molto testarda, sapeva essere polemica e saccente se voleva, però in fondo era buona come il pane. Anche se era in grado di infuriarsi e odiare qualcuno, era anche in grado di amare più di chiunque altro. Non era una semplice copia, non era uguale a nessuno lì, che fosse della sua Casa o meno.
Nessuno è uguale a nessuno, in fondo.
 
« Stasera non hai la tua prima lezione extra? » domandò Merope improvvisamente, cambiando discorso.
Edith annuì, iniziando a tagliare la carne « sì, infatti » confermò, « sono curiosa di sapere cosa dovrò fare. Spero solo che non mi torturino troppo… io l’avevo detto alla McGrannitt che non era il caso di passarmi direttamente al sesto anno, ma lei sembrava convinta! E ora questo… non riesco a capire »
« Forse vogliono solo assicurarsi che tu non abbia lacune. Magari è solo una cosa temporanea »
« Sì, può darsi » annuì, pur non molto convinta.
C’era qualcosa che continuava a non quadrarle di quella storia, anche se non riusciva a capire cosa.
Ma mancavano solo poche ore alla prima lesione, per cui forse l’avrebbe capito presto.
 
Finito il pranzo le aspettava un’ora di Babbanologia e due di Pozioni, in comune rispettivamente con Corvonero e Grifondoro. Le ultime due erano le più dure, specialmente per Merope, che non andava molto d’accordo con  fuoco e calderone e che una lezione su due finiva per combinare qualche danno.
Fortunatamente il professor Lumacorno era troppo vecchio e stanco per rimproverarla più del dovuto, ma ogni volta che la vedeva entrare in aula la guardava con aria sempre più sconsolata.
Edith, dal canto suo, non era sicuramente un fenomeno, però se la cavava.
Fino ad allora non aveva mai fuso un calderone e sebbene non avessero lo stesso aspetto magnifico di quelle di Emily McMillan – una Corvonero piuttosto snob – le sue pozioni erano comunque accettabili.
Nonostante avesse fatto una figura penosa proprio il primo giorno, con la storia della piuma, della biro e tutto il resto, Lumacorno non sembrava avercela con lei, anzi. Mentre gironzolava per i banchi osservando le preparazioni degli studenti spesso si soffermava vicino a lei facendo brevi e confusi mugolii che sembravano di approvazione, talvolta annuendo impercettibilmente con il capo. Non le diceva mai niente, non la correggeva ( nonostante fosse evidente dai risultati che un po’ ne avrebbe avuto bisogno ) né la rimproverava. Non si lamentava nemmeno del fatto che spesso scrivesse ancora con la biro, abbandonando la penna nel calamaio, quando lui dettava.
Edith sapeva che il professor Lumacorno era da sempre famoso per le sue preferenze verso alcuni studenti, ma trovava molto strano pensare di poter essere una di loro; la sua fama infatti lo descriveva come uno a cui piaceva intrattenersi solo con studenti importanti: discendenti di famiglie nobili, ricche o in quale modo importanti nel mondo magico. Studenti particolarmente talentuosi, anche, perché no.
Se c’era una cosa che non aveva erano i pregiudizi sulle origini, quelli no.
Edith però non rientrava in nessuna di quelle categorie; non c’era motivo per cui Lumacorno potesse essere interessato ad averla come sua protetta o anche solo in simpatia, eppure più il tempo passava più lei aveva l’impressione che fosse così.
 
« Bene, signorina Lacreux, si accomodi pure accanto alla signorina Donovan » disse Horace non appena varcarono la soglia.
« Lei signorina Knight, invece, lì. » continuò indicando un banco in seconda fila, nella parte esterna.
Edith rivolse uno sguardo distratto verso il ragazzo già seduto al banco, ma non fece in tempo ad avvicinarsi che già l’aveva riconosciuto. « O mio dio, non di nuovo »
Due occhi verdi la fissavano divertiti, incorniciati da un bel sorriso irriverente.
Non era difficile capire perché quel ragazzo piacesse a tutte, ma era davvero impossibile capire come mai nessuno lo avesse ancora preso a schiaffi, vista l’aria strafottente che lo accompagnava ogni secondo. « Ah, la dattilografa » la schernì lui appoggiandosi con il gomito destro al banco e girandosi verso di lei.
Edith alzò lievemente le sopracciglia e strinse le labbra, poggiando le mani sui fianchi. « Senti » iniziò, « non mi interessa battibeccare. A casa mia ti avrei fatto il cu.. il sedere a strisce, ti avrei letteralmente fatto verde »
Lui la interruppe « no, ti prego, tutto ma non verde » fece con aria fintamente drammatica.
Lei colse l’allusione ai colori dei Serpeverde e alzò gli occhi al cielo, ma continuò il discorso come nulla fosse « ma qui non siamo a casa mia, questa scuola è piena di regole nuove e strane per me, e non posso nemmeno insultarti come vorrei o fartela pagare, per cui facciamo semplicemente che tu non mi rompi i co… le scatole e io ti ignoro, okay? » propose mantenendo il tono di voce basso per non farsi sentire da Lumacorno, che intanto scriveva strani ingredienti alla lavagna.
« Dimentichi che dobbiamo lavorare insieme » le ricordò indicando con un cenno della testa il calderone davanti a loro.
In effetti le sfuggiva il motivo per il quale stavolta Lumacorno li avesse mescolati; di solito lavoravano sempre divisi a seconda delle Case.
Come se le avesse letto nel pensiero, il professore si girò verso gli studenti e si schiarì la voce, gonfiando il petto con quell’aria tronfia che assumeva sempre quando pensava di aver avuto un’idea geniale.
« Cari ragazzi » iniziò, e già la metà di loro stava sbadigliando, « oggi faremo qualcosa di diverso. Come vedete vi ho mescolati, e anche se questo può sembrarvi un po’ strano vi garantisco che c’è una spiegazione »
Fece una pausa strategica per far aumentare la suspense, come fossero in un film giallo. « Oggi vorrei che imparaste a collaborare » dichiarò infine.
È impazzito, pensò Edith.
« Non solo con i vostri compagni di Casa, ma come studenti della stessa scuola » spiegò. Quel discorso cadeva proprio a fagiolo: Lumacorno l’aveva per caso spiata mentre parlava con le sue amiche?
« Per questo vi ho mescolati. Sarà vostro dovere e vostra convenienza collaborare con il compagno, anche se di una Casa diversa dalla vostra, perché la buona riuscita dell’esercizio gioverà ad entrambi: il punteggio della coppia che vincerà verrà equamente diviso tra le due Case. In altre parole, o perderete entrambi o vincerete entrambi » concluse, palesemente soddisfatto della sua idea.
Si scanneranno, fu il primo pensiero di Edith, che si voltò verso Aaron con aria perplessa e sorpresa almeno quanto lui.
« E ora hop hop, al lavoro! » esclamò Lumacorno battendo le mani, fin troppo vitale.
Edith aprì il libro e iniziò a leggere in silenzio, mentre sceglieva gli ingredienti necessari e li sistemava da una parte.
Sentiva gli occhi del Grifondoro accanto a lei che la scrutavano, ma fingeva di non accorgersene. Per tre volte rilesse la stessa riga, prima di decidersi ad afferrare l’estratto di artemisia davanti a lei.
« Allora » esordì improvvisamente la voce accanto a lei.
Non gli prestò attenzione, iniziando a regolare il fuoco sotto il calderone e a mescolare ingredienti.
« Hai fatto pace con le piume o ti creano ancora problemi? » domandò ridacchiando, ma stranamente meno saccente del solito. Edith però era troppo impegnata per accorgersene, e si mise subito sulla difensiva. « Tutto bene, grazie. Ora per favore stai zitto altrimenti sbaglierò qualcosa » si limitò a ribattere senza voltarsi.
« Vuoi dire che ti confondo? » sogghignò lui, intravedendo uno spiraglio di luce nel suo muro.
Lei posò la bottiglietta che teneva in mano e girò la testa, sospirando. Avrebbe tanto voluto prenderlo a calci nel sedere, ma sospettava che non fosse permesso dall’etichetta, così si limitò a fulminarlo con lo sguardo.
« Senti » iniziò, « non ho idea di cosa tu stia parlando, sinceramente non mi piaci neanche un po’ e avrei preferito un Serpeverde qualsiasi come compagno, ma questa è una pozione piuttosto complicata e sebbene io non sia un fenomeno vorrei cercare di farla il meglio possibile per guadagnare qualche punto, e penso farebbe comodo anche a te. Quindi o stai zitto e collaboriamo, o stai zitto e faccio da sola, ma la cosa fondamentale è che tu ti tappi la bocca, a meno che non sia per parlare della pozione. Tutto chiaro? »
Aaron sorrise, sempre divertito, ma stavolta anche un po’ curioso. Probabilmente non era abituato a certe risposte, soprattutto da parte di una ragazza.
Soprattutto una Tassorosso.
Ma a quanto pare Edith era suonata piuttosto convincente.
« Cristallino », rispose facendo un cenno con le mani in direzione del calderone, « è tutto tuo »
Lei annuì. « Bene » e riprese a mescolare.
 
 
 
« Il tempo sta per scadere ragazzi, avete un minuto » esordì Lumacorno dopo due estenuanti e interminabili ore. « Tre, due, uno…stop! »
Tutti poggiarono i mestoli e sospirarono, soprattutto Merope, che era tutta scompigliata, sudata per via dei vapori e quasi più pallida del solido, se possibile.
Il professore passò tra i banchi per esaminare il lavoro di ciascuno, mugolando qualcosa di tanto in tanto o facendo brevi commenti.
« Signorina Lacreux, vedo che stare con la signorina Donovan l’ha aiutata » commentò con un sorriso osservando la pozione cristallina che aveva davanti.
« Glielo avevo detto che bastava un po’ d’esercizio! » aggiunse dandole una pacca sulla spalla.
In realtà, Lumacorno non le aveva mai detto una cosa del genere, ma Merope apparteneva ad una famiglia Purosangue piuttosto importante, per cui com’era tipico di lui Horace non si era mai sbilanciato troppo sul suo conto, anzi: cercava di tenerla sotto la sua ala quanto più possibile, sebbene fosse chiaro che in realtà la considerasse una studentessa di Pozioni piuttosto mediocre.
Quando arrivò al banco di Edith, si fermò più del dovuto, sporgendosi verso il calderone con aria crucciata. « Mi aspettavo di meglio da lei, signorina Knight » mormorò con tono dispiaciuto. « La pozione è celeste, sarebbe dovuta essere trasparente » le fece notare.
« Ha ragione professore, ma vede, in realtà avevo già preparato questa pozione una volta, solo in maniera un po’ diversa e… mancherebbe ancora un tocco finale » cercò di spiegare.
Lumacorno aggrottò ancora di più le sopracciglia, buttando un occhio al libro che teneva davanti. « Quello non è il libro di Pozioni che ho indicato io » osservò leggermente irritato.
« No, infatti. Era di mia nonna, studiavo con questo a casa, ho pensato che… »
« Signorina Knight, io ho indicato un libro preciso perché come lei certo saprà esistono molte ricette non autentiche in questo campo, e ho scelto questo manuale proprio per evitare certi risultati » la rimproverò facendo cenno al calderone dove ribolliva una miscela azzurro acceso.
« Lo capisco, ma le garantisco che questa… » tentò di difendersi Edith, ma invano. Lumacorno la interruppe di nuovo prima che potesse finire.
« Ormai non importa » dichiarò sospirando, come fosse deluso, e ponendo così fine alla conversazione.
Edith non fece in tempo ad aprire di nuovo bocca che lui era già passato oltre, sempre con quell’ aria sovrappensiero che lo contraddistingueva.
Lumacorno continuò il suo giro, assegnò i voti e i punti ( facendo vincere il gruppo composto da Merope e Emily Donovan)  e scribacchiò alla lavagna i compiti per la settimana successiva. La campanella suonò proprio mentre stava finendo di dettare, e tutti si dileguarono in una gran confusione, esausti e desiderosi di uscire di lì.
« Forse farmi stare zitto non è stata una grande idea » commentò sagace Aaron, mentre Edith riponeva il libro in borsa.
Aveva seguito il suo ammonimento e l’aveva lasciata fare come voleva, incuriosito da quel suo atteggiamento così peperino e dal suo sguardo determinato, ma aveva ridacchiato diverse volte mentre lei divergeva dalle istruzioni del Manuale.
« Avrebbe funzionato » ribatté lei a denti stretti, fulminandolo con lo sguardo.
Era veramente insopportabile con quel suo sorrisetto strafottente e i capelli mossi da divo di Hollywood, sebbene i suoi lineamenti fossero decisamente inglesi.
« Se ne sei sicura perché non lo dimostri? » le suggerì indicando con lo sguardo il calderone ancora pieno.
Edith lo fissò negli occhi per qualche istante, titubante. Erano di un verde davvero luminoso e profondo, doveva ammetterlo. Per un attimo si dimenticò persino quanto lo detestasse, ma durò poco. Una Grifondoro davanti a lei fece cadere un libro e la scosse dai suoi pensieri.
L’aula si stava svuotando e Lumacorno era intento a riporre il materiale negli armadietti dietro la cattedra; se voleva fare qualcosa, quello era il momento.
Guardò il calderone, poi Aaron, Lumacorno e di nuovo la pozione.
Oh, ma che cavolo! pensò, avvicinandosi ed estraendo rapidamente la bacchetta dal mantello. 
« Potīre forma » mormorò, facendo attenzione a non farsi sentire.
Aaron si sporse verso di lei, curioso, dopo essersi guardato attorno per accertarsi che nessuno li avesse notati.
Improvvisamente la pozione iniziò a bollire più forte e più fittamente, mentre il suo colore iniziò a schiarirsi, fino a diventare perfettamente trasparente e luminoso.
Edith sorrise compiaciuta, mentre il Grifondoro la fissava sorpreso. Si guardarono per un attimo, poi lei alzò le sopracciglia con un sorrisetto strafottente.
« Te l’avevo detto che funzionava » sussurrò.
Lui fece per ribattere, ma il tonfo dell’armadietto di Lumacorno che si chiudeva li fece sobbalzare; in un secondo furono fuori dall’aula, pregando che lui non avesse fatto in tempo ad accorgersi che erano ancora lì.
 
 
 
 
Quella sera era veramente agitata: mancavano solo dieci minuti alle sette, orario in cui si sarebbe dovuta tenere la sua prima lezione supplementare, e lei stava camminando velocemente lungo il corridoio silenzioso e vuoto, diretta verso l’aula di Incantesimi.
Erano giorni ormai che si chiedeva cosa l’aspettasse, quale fosse lo scopo di quelle lezioni e perché la McGrannitt si fosse ricreduta così all’improvviso riguardo la sua preparazione. Tra le sue amiche erano sorte le teorie più disparate, una più improbabile dell’altra, che l’avevano fatta molto ridere, ma avevano anche accentuato al massimo la sua curiosità.
Più si avvicinava alla meta più sentiva l’eccitazione crescere, come se si aspettasse chissà quale sorpresa, mentre probabilmente sarebbero state solo delle noiosissime ore di ripasso in cui sarebbe stata messa sotto esame da ogni professore e probabilmente anche rimproverata per tutte le sue lacune.
A quel pensiero rallentò, improvvisamente non più tanto entusiasta.
Alla fine, però, arrivò inevitabilmente a destinazione. La porta era chiusa, così bussò.
Stranamente non ci fu nessuna risposta, per cui spinse giù la maniglia ed entrò con molta cautela. « È permesso? » mormorò facendo un passo avanti.
L’interno dell’aula era vuoto; nessun libro sulla cattedra né professor Vitious in vista.
Era molto strano, perché se c’era qualcuno che teneva alla puntualità era proprio lui ( come d’altronde un po’ tutti i professori, ad Hogwarts ).
Leggermente perplessa, Edith decise però di sedersi ed aspettare, sperando che prima o poi sarebbe arrivato. Passarono i minuti, ma niente. Lei continuava a guardare nervosamente l’orologio che portava al polso ed iniziava ad essere preoccupata.
Non sapeva cosa fare; c’era un limite di tempo oltre il quale era legittimata ad andarsene senza temere ripercussioni? Sarebbe forse dovuta andare dalla Preside a chiedere se fosse successo qualcosa? Magari il professore si era sentito male, o gli era successo qualcosa… in fondo era piuttosto anziano, non si sa mai, pensò.
Proprio mentre stava riflettendo su quella macabra possibilità, però, la porta si aprì con un leggero cigolio, che la fece sobbalzare.
« Salve » scattò in piedi, lisciandosi la gonna della divisa. Ancora non si era abituata all’idea di non poter indossare pantaloni, almeno nei giorni normali.
La professoressa Sprite, l’insegnante di Erbologia, non era esattamente chi si aspettava di vedere, ma dal momento che avrebbe dovuto fare lezioni supplementari di quasi tutte le materie suppose si trattasse di uno scambio di orario imprevisto e non pensò di chiederle perché fosse lì.
« Signorina Knight, devo chiederle di seguirmi, la Preside la desidera »
Quelle parole inaspettate la lasciarono di stucco; cosa stava succedendo? Improvvisamente anche la McGrannitt era impazzita e non ricordava più cosa facevano i suoi alunni sotto le sue stesse direttive?
« Veramente io starei aspettando il professor Vitious per le lezioni supplementari, è stata la Preside a… » non fece in tempo a proseguire il discorso, però, perché la direttrice della sua casa le si avvicinò e le posò una mano sul braccio, invitandola a seguirla. « Non si preoccupi, lo sappiamo. Venga con me » aggiunse.
Sempre più perplessa e confusa, annuì e la seguì nei corridoi, su e giù per le scale – a loro piace cambiare, ormai lo sapeva – fino a che non arrivarono davanti al Gargoyle di pietra. Edith immaginava che si sarebbe attivato da solo come l’ultima volta, invece la Sprite pronunciò nitidamente “ caramelle mou “ per far si che si mettesse in moto e permettesse loro di passare.
Si chiese perché diamine la McGrannitt avesse scelto una parola d’ordine tanto assurda, ma si rispose che probabilmente c’era qualche strana ragione dietro che solo lei poteva capire, così smise di pensarci.
Salì gli scalini in religioso silenzio; davanti a lei la Sprite ballonzolava ad ogni passo ed Edith dovette sforzarsi per non ridacchiare. L’aveva sempre trovata buffa, e come direttrice della sua Casa era piuttosto tranquilla e non molto severa, anche se era talmente benvoluta da tutti che in ogni caso nessun Tassorosso si sarebbe mai sognato di disobbedirle; sarebbe stato come disobbedire alla propria mamma, e questo non faceva parte della loro natura docile.
Arrivata in cima alle scale la professoressa si fermò un istante per bussare e una voce dall’interno le rispose immediatamente, come se la aspettasse con molta urgenza.
 
L’ufficio della McGranitt era esattamente come l’aveva visto la prima volta, tranne per il fatto che stavolta non c’era solo lei nella stanza, ma mezzo corpo docenti.
Edith ebbe improvvisamente un tuffo al cuore e istintivamente riesaminò mentalmente tutto quello che aveva fatto nelle ultime ventiquattrore o negli ultimi giorni, alla ricerca di qualcosa di così sbagliato da richiedere la presenza di tutti i suoi insegnanti assieme a lei nell’ufficio della Preside.
Riaffiorò il ricordo di qualche giorno prima, quando c’era stato quello spiacevole diverbio con il Serpeverde del suo anno, che aveva dato di matto durante l’ora di Trasfigurazione facendole dire parole “ inappropriate alla situazione “ - come le avrebbe definite la McGrannitt - ma si era già scusata con la professoressa Kinnon, più che esaurientemente a suo parere, e non poteva credere che il motivo di tanto subbuglio fosse quella semplice scaramuccia tra studenti.
O forse si.
Stava sudando freddo.
« Buonasera signorina Knight » la voce della Preside risuonò per prima, sempre gentile e composta come al solito, ma con un tono leggermente più teso.
La spaventava. « Ci scusiamo per averla fatta aspettare a lungo, ma stavamo parlando proprio di lei e la cosa è andata per le lunghe, perciò abbiamo ritenuto meglio mandarla a chiamare » aggiunse avvicinandosi a lei.
« È successo qualcosa? » domandò con voce flebile, adesso piuttosto in soggezione.
« In realtà sì » rispose la professoressa congiungendo le mani sullo stomaco, come se stesse per darle una notizia spiacevole.
O mio dio, adesso mi espellono. Ma il regolamento non diceva che bastava così poco per farsi buttare fuori. Insomma anche quel ragazzo è stato…
« Se ho fatto qualcosa di sbagliato mi dispiace molto, vi chiedo scusa, io non.. » tentò di giustificarsi, ma la McGrannitt la interruppe.
« No, non è questo » la fermò con un gesto della mano. Di nuovo Edith sentì il cuore urtare la sua gabbia toracica, più forte del solito.
« Volevamo parlarle di una questione piuttosto delicata, in realtà »
La voce della Preside adesso sembrava più incerta, quasi tremolante, come se avesse paura di chiedere e stesse cercando con cura e timore le parole giuste.
« Vede, alcuni colleghi mi hanno riferito che lei durante questa settimana di lezioni ha fatto cose… piuttosto singolari » iniziò a passeggiare su e giù per la stanza, lanciandole brevi occhiate di tanto in tanto, come per osservare le sue reazioni.
« In che senso? » Edith aggrottò le sopracciglia, confusa.
« Nel senso che ha fatto cose che gli studenti della sua età… di solito non fanno » tentò di spiegarsi meglio, ma senza molto successo. Edith non riusciva a capire dove volesse arrivare e si guardava attorno perplessa, cercando indizi negli sguardi dei professori che le stavano attorno.
C’erano, oltre alla McGrannitt e alla Sprite, la professoressa Kinnon – ragione per la quale aveva temuto che il problema riguardasse l’episodio avvenuto durante la sua ora – il professor Lumacorno, che la osservava con una strana espressione accigliata, e il professor Vitious ( e quando lo vide Edith tirò un sospiro di sollievo; fortunatamente stava bene e le sue assurde elucubrazioni mentali si erano solo spinte troppo oltre mentre lo aspettava ).
« Ad esempio? » chiese infine, titubante.
La McGrannitt le si avvicinò, stavolta guardandola negli occhi. « Ad esempio padroneggiare alla perfezione un incantesimo non verbale » suggerì, facendo una breve pausa per scrutarla, « oppure modificare miracolosamente in pochi minuti una pozione mal riuscita » aggiunse, stavolta a voce più bassa, come se quello fosse un dettaglio particolarmente importante o sconvolgente.
Edith abbassò la testa, arrossendo. Lumacorno se n’era accorto, allora.
Non sapeva se essere contenta o mortificata da ciò; si era fatta trasportare da quel James e si era convinta a finire il suo lavoro anche se il professore aveva già terminato la lezione per dimostrargli che c’era riuscita, anche se con un procedimento diverso, ma adesso si sentiva sotto esame. Forse aveva sbagliato ad essere così arrogante. Era tutta colpa di Aaron, era stato lui a spingerla a farlo, era un manipolatore! Sicuramente sapeva che l’avrebbero rimproverata, e non vedeva l’ora.
Che stronzo, pensò stringendo i denti e fissando la punta delle sue scarpe.
« Mi dispiace » mormorò sempre a testa bassa, sperando che non la punissero.
La risposta della McGrannitt però arrivò inaspettata. « No, no, non deve scusarsi »
Edith alzò la testa, ancora più confusa e sorpresa. Non doveva scusarsi?
La Preside sorrise, anche se leggermente. « Non la sto rimproverando »
Ah no?
« Noi siamo solo sorpresi dalle sue abilità » spiegò, « normalmente gli studenti, anche più grandi, non sono in grado di fare certe cose » continuò, riprendendo a camminare. « Certo, padroneggiare un incantesimo non verbale è qualcosa che si può acquisire con l’esercizio, ma modificare una Pozione in così poco tempo… »
« Non l’ho modificata » la interruppe d’istinto, portandosi poi la mano alla bocca.
La McGrannitt la fissò, aggrottando le sopracciglia. « Come? »
« Voglio dire, non l’ho modificata, l’ho solo… completata » spiegò, lanciando un’occhiata nella direzione di Lumacorno. Anche lui la osservava crucciato.
« Ho utilizzato il manuale di Pozioni che avevo a casa, non quello indicato dalla vostra lista, e il procedimento era diverso. Avevo già preparato quella Pozione in precedenza, e aveva sempre funzionato... solo che era necessario pronunciare una formula, per farle assumere il suo aspetto finale »
Tutti la fissavano in silenzio, come se avesse rivelato chissà quale segreto di Stato.
Possibile che il professor Lumacorno trovasse così strano che lei conoscesse un procedimento diverso? In fondo lo sapevano tutti che lei aveva studiato a casa, era piuttosto normale che tra la sua istruzione e quella scolastica ci fossero delle differenze, ma se il risultato finale era lo stesso cosa importava?
Ancora non riusciva a spiegarsi in perché di tanta preoccupazione e subbuglio.
« Capisco » disse infine la Preside, voltandosi verso di lei dopo essersi scambiata uno sguardo misterioso con il professor Lumacorno.
« Posso chiederle di che libro si tratta? » domandò.
« Non ha un vero e proprio titolo, c’è scritto solo Pozioni Avanzate sulla copertina, è rilegata a mano, è molto vecchio… apparteneva a mia nonna. Ho pensato che potesse andare comunque bene, per ora gli argomenti ci sono tutti e…. »
Di nuovo, la McGrannitt la bloccò con un cenno della testa. « Bene, la ringrazio »
« Mi dispiace di non aver seguito le istruzioni del professore, le chiedo scusa » tentò di rimediare Edith, sempre più mortificata. « Pensavo che non contasse il procedimento, se il risultato era lo stesso »
Calò di nuovo il silenzio più assoluto per qualche istante, come se tutti aspettassero il verdetto finale della Preside.
« Ormai ciò che è fatto è fatto, è inutile rimuginarci sopra. In futuro però la prego di seguire le istruzioni dei professori e procurarsi i libri di testo presenti sulla lista. Il risultato è importante, ma è anche importante che tutti gli studenti abbiano gli stessi mezzi. Non vorremmo che nascesse qualche discussione. » tentò di spiegarle con gentilezza. Non c’era traccia di rimprovero nella sua voce, per cui Edith si tranquillizzò un po’, annuendo con fermezza. « Certo », promise.
La McGrannitt fece un cenno d’assenso e di nuovo un breve sorriso tirato.
« Molto bene allora, è tutto »
Edith rivolse uno sguardo al professor Vitious, che parlottava con Lumacorno in un angolo, poi si rivolse di nuovo a lei. « Ma professoressa, la mia lezione di stasera? »
Lei la guardo solo per un istante, come fosse distratta.
« È rimandata. Venga domani nel mio ufficio, alle sei. Puntuale »
Edith annuì, si diede una rapida occhiata attorno e si voltò per andarsene.
Mentre chiudeva la porta dietro di sé, sentì distintamente gli occhi di tutti i professori addosso, che la scrutavano con curiosità.
 
 
 
***
 
 

 
Una volta che Edith fu uscita, la professoressa McGrannitt si sedette dietro la scrivania antica in perfetto silenzio, mantenendo l’espressione crucciata che aveva sempre quando pensava a qualcosa che non riusciva a comprendere del tutto.
« Horace » chiamò poi, senza alzare lo sguardo dalle venature del tavolo, ancora immersa nelle sue riflessioni, « quella pozione » chiese, « funzionava? Il risultato ottenuto era quello giusto? »
Lumacorno guardò per un attimo i suoi colleghi, più bianco del solito alle luci flebili delle candele. Aprì la bocca timoroso, balbettando qualcosa, come se non fosse certo di volerlo dire. Si avvicinò alla scrivania, guardando la McGrannitt dritta negli occhi.
« Sì, sì, funzionava, funzionava alla perfezione. È che… » si bloccò a metà frase, incerto. Di nuovo guardò i suoi colleghi, in particolare il professor Vitious.
« Cosa? Parla, Horace » lo incitò la McGrannitt, sollevando la schiena dalla sedia.
Lumacorno la guardò, combattuto, poi sospirò.
« Minerva, ho controllato in tutti i libri di Pozioni conosciuti. Non esiste un altro procedimento per quell’infuso ».

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3513582