E'ria

di niky999
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - L'inizio della fine. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - Blackout. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - Caos. ***



Capitolo 1
*** Prologo - L'inizio della fine. ***


PROLOGO
L'inizio della fine.

 


 
 





Buio.

Era così dunque, che si moriva.


Il vento che mi sfiorava delicatamente i capelli assomigliava tanto a un ultimo alito di vita. Una brezza fredda e macabra, poi un respiro. Probabilmente quello della morte.

Chiusi gli occhi d'istinto: improvvisamente il soffio di poco prima si fece violento e travolgente, ma non seppi spiegarmi il perché. Era come se qualcosa lo avesse fatto infuriare, e stesse quindi riversando tutta la sua rabbia su chiunque incontrasse per la sua strada. 
In quel caso, il mio corpo disteso immobile sul terriccio bagnato risultava un facile bersaglio.

Comunque, nell'arco di pochi secondi mi accorsi di non avvertirlo nemmeno più, sebbene il mio corpo fosse ancora gelido.
Possibile che si fosse fermato? No... i miei capelli svolazzavano ancora.

Poco a poco iniziai a sentire l'oscurità avvolgermi. Le sue mani tastarono incerte il mio corpo, poi lo graffiarono, avide e ingorde. Potevo avvertire il suo tocco gelido e minaccioso sulla mia pelle, ma non il dolore provocato dai suoi artigli ferrati e dai denti affilati.

Era così dunque, che si moriva.

Nessun dolore, nessuna sensazione. Desideri soltanto morire. 
'Tutto qui? Deludente', pensai. 
Credevo che al nostro popolo fosse riservata qualche attrazione in più, o una semplice diavoleria. 
Decisi che alla prossima riunione avrei sommerso il consiglio di lettere di reclamo, e gli avrei persino fatto visita di persona se fosse stato necessario. 'La morte è troppo noiosa e manca di creatività, propongo fuochi d'artificio e musica metal di sottofondo.' pft, a chi volevo darla a bere? Nessuno avrebbe accolto la mia richiesta, e soprattutto non ci sarebbe stata una prossima volta. Diavolo, stiamo parlando dei nostri ultimi attimi di vita, certamente non pretendevo un'orchestra o un ballo in mio onore, però pensavo ci fosse qualcosa di più fico e movimentato di quella cantilena da vecchi.

Aprii gli occhi di scatto, mandando in fumo le ultime forze che la mia linfa vitale era disposta ad offrire. 
Per un attimo mi era parso di intravedere del trambusto in mezzo alla folla, ma non mi fu concesso abbastanza tempo per capire. 
Mi sfuggì una lieve risata, che sembrò più uno spasmodico colpo di tosse: stavo morendo, che importanza aveva? 
Tutti quei pensieri rimbombavano nella mia testa come un'eco infinito, assordanti e fragorosi. 
Poi, ahimè, nella mia mente si fecero strada le immagini dei miei primi attimi di vita.

Ero morta? No, non ancora.

Iniziai a vedere tutto ciò che il mio corpo aveva trascorso dalla sua nascita sino a quel giorno, anche se in modo un po' confusionario, e a essere onesti avrei decisamente preferito non ricordare.

La curiosità che mi aveva pervasa poco prima fu in un attimo sostituita dal grande desiderio di farla finita, o di premere un ipotetico pulsante rosso che spegnesse tutti i miei sensi e le mie emozioni. Purtroppo però, questo privilegio non fu concesso né a me, né a chiunque lo avesse desiderato prima di me. Nessuno sceglie  quando morire, e a dirla tutta avevo la netta sensazione che il fato mi avesse riservato ancora qualche minuto di pura sofferenza.

Per la prima volta dopo tanto tempo mi accorsi di essere triste. Probabilmente stavo persino piangendo, ma non avevo modo di sentire le lacrime salate che mi scorrevano sul volto. Pensai che fosse sicuramente meglio così.

L'oscurità, che poco prima mi afferrava e mi dilaniava con i suoi artigli, divenne poco a poco una carezza amorevole sul mio corpo. Era piacevole, e decisi quindi di assaporarne il calore per quanto potessi. Ridicolo, vero?
Iniziò poi ad avvolgermi a sé, ricordandomi tanto il caldo abbraccio di una madre. Come potevo provare quella sensazione? Non aveva importanza. Niente per la mia testa ne aveva, ormai. 
La mia anima lottava per rimanere ancorata al mio corpo, ma non riuscivo a capirne il motivo.

Era una sensazione così gradevole.

Decisi di mettere fine alla sua inutile battaglia, e cercai di abbandonarmi completamente al mio dio e alla sua volontà.
Proprio quando finalmente era giunta la mia fine, inaspettatamente, sentii qualcosa strapparsi nel mio petto. A poco a poco divenne uno squarcio, e il dolore invase i miei sensi. Credevo mi avessero abbandonata, cosa stava succedendo? 
Un vortice gelido mi lacerò la pelle e mi sentii strappare dalle braccia invisibili che poco prima mi attiravano a sé. 
Il vuoto... sentivo che stavo cadendo nel vuoto. 
Per un attimo mi parve di sentire il clangore di una spada, ma non avevo più tempo per pensare. Dovevo lasciarmi andare.

Buio.

Era così dunque, che si moriva. 





 Buona lettura! (Lasciate un commento se vi va, così ho modo di migliorarmi!)

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 - Blackout. ***


CAPITOLO 1
Blackout.












"Non riesco a trasferirle l'energia necessaria, deve essersi compromesso qualcosa nel cervello." 
"Aspetta, lasciami provare... oh, sì, hai ragione. Non riesco... non riesco a connettermi. Qualcosa non va, devo subito analizzarla o potrebbe esserle fatale."
"Veloce, non abbiamo più tempo!"
"Ci sto provando, sto facendo del mio meglio... ma è faticoso, qualcosa mi sta respingendo. Non capisco, questo incantesimo non prevede probabilità di fallimento. E' assurdo."
"Aspetta, provo a darti una mano..."
La testa. Tutte quel frastuono mi stava facendo scoppiare la testa. Avevo la fastidiosa sensazione che mi stessero gridando all'orecchio frasi totalmente sconnesse e prive di senso. Con un megafono. Anche se non avevo mai provato personalmente un'esperienza del genere, per mia fortuna, ero sicura che in quel momento stessi patendo la stessa sofferenza, se non peggiore.
"Non... non riesco a localizzarla, non ce la faccio. Dai un'occhiata al manuale."
Localizzarmi? Cosa diavolo intendevano dire con localizzarmi? Sentii qualcuno sfogliare delle pagine in fretta e furia. 
"Non abbiamo sbagliato niente... qui dice che non abbiamo sbagliato niente!"
"Oh... credo che ormai sia fin troppo debole per ricevere delle cure. Insomma, credo proprio che sia morta. E' l'unica spiegazione."
Morta? Stavano parlando di me? Impossibile, riuscivo senza dubbio a sentire il battito del mio cuore, seppur debole. Che fosse solo la mia immaginazione? Anche questo fuori discussione. Non avrei nemmeno un'immaginazione, altrimenti, e soprattutto non avvertirei quell'incredibile desiderio di tappare la bocca a entrambi e riadagiarmi sulla terra sporca. 
"Dobbiamo abbandonarla qui e andare a soccorrere gli altri feriti, ormai non ha alcuna speranza di sopravvivenza. Là fuori hanno bisogno di noi."
A quelle parole il mio cuore ebbe un sussulto. Tentai di gridare, di avvisarli che ero ancora in forze e che avevo bisogno del loro aiuto, ma ciò che ne risultò fu l'impercettibile movimento del mio labbro inferiore, piegato un poco all'ingiù. 
Qualcuno si alzò in piedi e si mise probabilmente a correre. Lontano da me. Lottai contro tutti i muscoli del mio corpo anche solo per esalare un misero respiro, ma in quel momento tutto sembrava essersi bloccato o esplodere nella mia testa. Dopo lunghi e interminabili tentativi andati in fumo, ne trassi che non potevo fare altro se non aspettare di riacquistare abbastanza forze da poter zoppicare via da quell'orrore.

L'unica certezza, intensa e vivida nella mia mente devastata, era quella di essere ancora viva.

Non era una mera speranza o una stupida convinzione creata dal mio cervello.

Io ero viva.

Ero sopravvissuta.

---
Quando finalmente riaprii gli occhi, la luce del sole mi accecò per un istante mentre cercavo di capire dove mi trovavo, quella volta. Mi sentii un po' ondeggiare, ma non riuscii ad alzare la testa. Iniziai piano piano a riacquistare il controllo dei miei sensi, e mi parve di sentire del pelo sotto le mie mani. Era morbido, e soffice, ma dove mi trovavo? Dopo qualche secondo di puro disorientamento capii di essere in groppa a un grosso animale, forse un lupo. Era bianchissimo, tanto che la sua luminosità, riflessa dal sole, parve bruciarmi gli occhi. Non sapevo dove mi stesse portando, ma stranamente avevo la netta convinzione che potessi fidarmi di lui. Mi era familiare, in qualche modo, ma non riuscivo proprio a capire cosa mi attirasse tanto. Proprio mentre mi cimentavo ad osservarlo in cerca di risposte, lo vidi voltarsi con il muso verso di me. Per un attimo i nostri sguardi si incrociarono, e sembrò che i suoi occhi rossi e vitrei emanassero felicità. Il mio risveglio lo aveva sollevato, ma per quale motivo?

Mi guardai intorno, per quanto potessi: dovevo trovarmi in un campo di battaglia, considerando la mole di feriti che si trascinavano a terra agonizzanti. Non sapevo chi fossero i malcapitati, ma provavo una gran compassione per loro. Avrei voluto voltarmi per capire chi fosse il malvagio artefice di tutto ciò, ma mi tenevo in equilibrio a fatica e sentivo di essere in condizioni pessime. Il mio corpo probabilmente non avrebbe retto una caduta a quella velocità.

Lentamente iniziai ad avvertire dolori in tutto il corpo e mi accorsi di avere una grossa ferita in mezzo al petto. Stava sanguinando molto, e sembrava profonda. Era davvero grave, senza alcun dubbio. Doveva essere fatale una lacerazione di quella portata, eppure, stranamente, ero ancora viva.
Viva. 
Pronunciare quella parola, o meglio, formularla nella mia testa, mi faceva incredibilmente bene.
Il vento che sferzava sul mio viso malconcio, i raggi del sole che riscaldavano il mio corpo ferito e il soffice pelo che ammorbidiva il mio tatto, mi fecero dimenticare per un attimo il dolore che stava invadendo la mia mente poco a poco. 
Non avevo la più pallida idea di dove mi trovassi, né chi fosse quel grosso animale e né dove mi stesse portando, ma in quel momento erano domande prive di valore.
Io ero viva.
---
Non seppi dire se avessi passato l'intero viaggio a dormire o se avessi di nuovo perso i sensi, sta di fatto che non ricordavo più nulla del tragitto, o meglio, di qualsiasi cosa. 
Nel frattempo, il lupo che mi aveva trasportata fin lì si era fermato davanti ad una grossa torre e mi stava probabilmente intimando di scendere. Non appena appoggiai i piedi per terra, però, sentii le ossa scrocchiare prepotentemente e le gambe cedermi, ma prima che potessi cadere rovinosamente sull'asfalto e rompermi qualche altro osso, delle grosse braccia mi afferrarono da dietro la schiena. Chi diavolo era? Avevo dato una vaga occhiata in giro poco prima ed ero sicura che il luogo fosse deserto. Alzai la testa per cercare il mio 'salvatore', e davanti ai miei occhi si parò con sorpresa l'immagine di un ragazzo che mi fissava dritto dritto negli occhi, forse aspettandosi un qualche tipo di reazione. Osservandolo notai che aveva lucenti capelli bianchi di media lunghezza, che coprivano il lato destro del suo viso, e gli occhi sorprendentemente chiari. Questi dettagli mi lasciarono inspiegabilmente di stucco; la sua luminosità mi metteva a disagio. Persino la sua pelle era fin troppo bianca, tranne che per alcune occhiaie rossastre sotto agli occhi che, comunque, si sposavano perfettamente con la sua colorazione. Sembrava quasi... un angelo. Quella parola mi fece rabbrividire solo a pensarla.

"Insomma, che fai? Hai superato intere valli e montagne in groppa ad un lupo e perdi l'equilibrio così?" mi rimproverò ironicamente, ma ero talmente assorta e incuriosita dal suo aspetto che quasi non lo sentii. La sua risata mi parve familiare, sentivo di averlo già visto da qualche parte.
"Raiden? Sei ancora fra noi?"
Raiden?
"Stai parlando con me?"
"No, dicevo alla ragazza laggiù, dietro all'albero. Non la vedi?"
Mi voltai dietro di me e cercai con lo sguardo la fantomatica ragazza di cui l'albino parlava, ma non c'era traccia di lei, né della più pallida forma di vita. Mi stava forse prendendo in giro? Domanda retorica, era così ovvio.
"Non ho idea di quali problemi ti stiano affliggendo in questo momento, ma qui non c'è nessuno e soprattutto non so chi sia questa Raiden. Devi avermi sicuramente confuso con qualcun'altra."
Subito dopo aver pronunciato quella frase il suo sguardo cambiò radicalmente. Notai che sembrava spaventato, a tratti confuso. Mi lasciò andare per un attimo e fece qualche passo indietro, mentre io ero costretta a lottare con le mie gambe per poter restare in piedi. La sua espressione variava repentinamente dall'essere stranito, poi divertito, spaesato e ancora stranito.Forse semplicemente aveva davvero qualche problema, e il suo cervello stava andando in tilt. Non seppi perché, ma quell'immagine mi strappò una piccola risata interiore.

"Non... non capisco. Aspetta, tu sai chi sono, vero?"
La sua domanda mi riportò immediatamente alla realtà, e mi costrinse a vagare nei miei ricordi e a cercarvi il suo volto. La ricerca, naturalmente, non portò risultati.
"Te lo ripeto, non ho idea di chi tu sia. Sei sicuro di non conoscere qualcuno che mi somiglia molto? O di non aver preso una botta in testa?"
"No! E' impossibile!" Iniziò ad urlare e a grattarsi la testa con forza. Sembrava terrorizzato... ma per quale motivo? Forse si trattava davvero di qualcuno che avevo precedentemente incontrato, ma la mia testa lo aveva catalogato come un ricordo superfluo e l'aveva archiviato. Per questo si era offeso? 
Scartai senza troppi ripensamenti l'idea. Ero davvero sicura di non averlo mai visto, tralasciando qualche sensazione di poco conto.

Forse era pazzo.
"Ne... ne sei sicura? Sei sicura di quello che hai appena detto? Anzi, ti faccio un'altra domanda." iniziò a sospirare energicamente, cercando di placare in qualche modo l'ansia e l'inquietudine che avevano ormai preso il completo controllo del suo corpo. Anche questo fu inutile. "Tu sai dirmi chi sei? Hai qualche ricordo di te?"
"Chi sono? Ma che domande, certo che lo so. Io sono... sono..." Silenzio.
I battiti del mio cuore si bloccarono per un istante, seguiti dal mio respiro e dai miei pensieri. Sentii il sangue scorrermi gelido nelle vene, e le pupille degli occhi restringersi. Probabilmente avevo la mente annebbiata per aver perso i sensi poco prima, a dirla tutta dovevo ancora riprendermi...
Un'altra ipotesi, anche quel giorno, venne scartata e gettata nell'immondizia. A chi volevo darla a bere? Non ricordavo più nulla.

I miei pensieri aleggiavano nel vuoto, e credevo stranamente di aver già provato quella sensazione opprimente. 
Un brivido percorse tutto il mio corpo, provocandomi un'enorme scarica di adrenalina, poi il blackout.
Buio.
Chi ero io?




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Capitolo 3
*** Capitolo 2 - Caos. ***


CAPITOLO 2
Caos.









Sabbia.

Tutto ciò che rimase del mio corpo, in quel momento, furono inutili granelli di sabbia in riva al mare.

Ero stata spazzata via dal mio fondale ed ora avevo scoperto una luce che non mi apparteneva. Un raggio accecante, abbagliante, che mi aveva frastornata a tal punto da privarmi di tutta la mia essenza. I miei ricordi e tutto il mio vissuto li avevo abbandonati nelle profondità dell'oceano, e non sarebbe stato affatto facile riprenderli con me. Tutto ciò che avevo la possibilità di fare, allora, era attendere che il mare si ritirasse ogni volta abbastanza da trascinarmi via con sé e riportarmi alla mia piccola realtà. Ma quanto tempo sarebbe trascorso prima di riuscire in quell'impresa? Quanto ancora sarei stata priva di ogni certezza, di ogni fondamento, di ogni sfaccettatura di me stessa, prima di poter rivivere davvero? E quanto faticoso sarebbe stato quel cammino?

Più mi interrogavo su come avrei superato quella condizione e più, ai miei occhi, appariva come una strada impervia e impraticabile che non avrei mai avuto la forza di ripercorrere.

Ero totalmente in balia delle onde.

Probabilmente nel mio fondale, come mi piaceva chiamarlo, ero stata una completa maniaca del controllo. Il fatto che non potessi vedere nulla oltre la barriera della mia coscienza e che non potessi sapere ciò che la vecchia me aveva compiuto, prima di allora, mi rendeva nuovamente un inutile e misero granello di sabbia in una spiaggia e in un oceano spietati.

Nella mia mente si affacciò persino l'ipotesi che qualcuno avesse catturato la mia anima con qualche strano aggeggio per poi travisarla in un corpo a me estraneo. A essere onesti, quella mia folle distorsione non era nemmeno troppo lontana dalla realtà.

Ero semplicemente terrorizzata dall'ignoto, come qualunque altra forma di vita cosciente su E'ria. Vi era, però, un un'unica ed abissale differenza che mi contraddistingueva inevitabilmente dal resto della popolazione: io avevo paura di me stessa.

---

Tutto ciò che seguì quella mia orrenda e traumatica realizzazione, fu una serie di immagini e di parole confuse che la mia mente non perse nemmeno tempo ad elaborare.

Ricordavo solo che l'albino, che avevo incontrato e conosciuto al mio risveglio, aveva iniziato a farneticare delle parole su come sarebbe riuscito a contattare un potente mago di Derigon, mi pare si chiamasse. Probabilmente voleva tentare di farmi riacquistare la memoria con un semplice incantesimo. Assolutamente ridicolo. Non conoscevo le doti di quel fantomatico stregone, ma qualsiasi mente sobria comprenderebbe che un sortilegio del genere si trova fuori dalla portata di chiunque.

Avrei dovuto cavarmela da sola. O meglio, combattermi da sola. Nessun altro poteva farlo al posto mio.

"Biondina? Mi senti? Hai per caso perso anche l'udito?" una voce morbida e infantile mi ridestò immediatamente dalla mia trance. Fu come se mi avessero presa per i capelli e riportata a forza a galla, lontano dalla mia bolla insonorizzata. "Shax non mi aveva avvertito di questo particolare. E adesso come faccio? Io non la conosco mica la lingua dei segni!"

"Ti sento, ti sento." la bloccai, già in attesa di ritornare al mio piccolo angolo subacqueo. Non potei fare a meno, comunque, di sentirmi spaesata non appena esplorai con lo sguardo il luogo in cui il mio corpo era finito senza accorgersene. Doveva essere la stanza di una delle Torri dei maghi, a giudicare dalla quantità immensa di libri, candele e strani miscugli stipati sugli scaffali. L'odore, poi, era inconfondibile. Il profumo di salvia si era ormai annidato nelle mie narici, e aveva probabilmente invaso tutto il mio corpo. Ero sicuramente già stata in quelle stanze più volte, considerando la familiarità che mi suggeriva. Oltre a essere una maniaca del controllo ero persino una combina guai, chissà quante crisi di nervi avevo dovuto sopportare lì dentro nella mia precedente vita.

"Allora, come sta la nostra piccola paziente? Che poi, piccola non credo sia l'aggettivo più adatto a descriverti, comunque, bando alle ciance. Ti ricordi di me?" Dalle bianche pareti di quell'orribile stanza, i miei occhi si posarono sulla fonte di quella voce graziosa.

Corti capelli bianchi, mossi e spettinati, incorniciavano il volto olivastro di quella che, apparentemente, poteva essere solo un'innocua bambina. Osservandola meglio, invece, non era difficile capire che di innocuo aveva ben poco. I suoi occhi rosso sangue, vacui e spenti, mi lasciavano una vaga sensazione di inquietudine. Sul resto del corpo, poi, sembrava che si fosse ricucita del filo all'interno della pelle. In realtà osservando più da vicino si poteva notare con sollievo che si trattava solo di un semplice tratto di inchiostro, ma ciò non cambiava comunque il senso di agitazione che il suo aspetto incuteva.

In ogni caso, tutti quei dettagli non avevano fatto riaffiorare neanche un misero ricordo nella mia mente spoglia, perciò dovetti farle cenno di no con la testa.

A quella risposta la sua espressione divenne vagamente triste, e la costrinse ad abbassare lo sguardo per nascondere la delusione che le aveva riempito gli occhi.

Di nuovo.

Quante volte ancora avrei dovuto provocare quella reazione? Sperai con tutto il cuore di essere stata il più anti-sociale possibile nel corso della mia precedente vita, o non avrei retto un altro giorno di più.

"Bene allora, è arrivato il momento di presentarmi. Il mio nome è Ervia, e... insomma, vuoi sapere come ci conosciamo?" domandò, cercando di nascondere la voce rotta dall'agitazione.

Naturalmente allora più che mai avevo bisogno di sapere, e di districare poco per volta la grossa matassa di nodi che si era venuta a creare nel mio cervello.

Senza pensarci due volte, quindi, annuii.

"Raiden..." bisbigliò appena il mio nome, che ancora non ero abituata a trattare come il mio. Perché ci metteva tanto? Cosa la turbava? La fissai insistentemente cercando in qualche modo di metterle fretta. Più stava in silenzio e più cresceva dentro di me una curiosità a cui non sapevo proprio resistere. Chi era Ervia?
"Probabilmente quello che sto per dirti ti sorprenderà un po'. Comunque, senza troppi giri di parole, io sono tua sorella." sputò tutto d'un fiato.

Mia sorella.

Quella dolce bambina dai cupi lineamenti era mia sorella.

E io, in tutto ciò, non avevo alcun ricordo di lei.

Possibile che la mia mente si fosse svuotata fino a quel punto? Possibile che non ricordassi proprio nulla? Doveva essere stata sicuramente una figura importantissima della mia vita, una parte di me, eppure era stata rimossa anche lei. Non c'era stata pietà per nessuno.

Compresi, quindi, da dove derivasse la delusione di poco prima: probabilmente credeva, o meglio, era convinta che le cose sarebbero andate diversamente e che non ci sarebbe stato nessun scuotimento del capo in risposta alle sue domande. A essere sinceri ne ero piuttosto convinta anche io. Non credevo possibile che, da un giorno all'altro, si potesse spazzare via l'intero archivio di una memoria di oltre vent'anni. Iniziai a pensare che nel mio cervello si fosse annidato un qualche tipo di demone che si era appropriato dei miei ricordi, e che li custodiva gelosamente allontanandoli dalla mia portata. In effetti c'erano un paio di leggende che narravano l'esistenza di questi mostriciattoli demoniaci, i Birvon, che andavano a caccia di memorie altrui per costruire la loro 'esperienza'. Notai con disprezzo come riuscivo a ricordare tanti particolari insignificanti del mondo che mi circondava, ma non della mia vita e di tutte le relazioni che avevo intrattenuto durante il suo corso. Forse il mio demone si sentiva solo, e aveva bisogno di un po' di esperienza sociale. Non potevo biasimarlo.

"Beh? Ti è tornato in mente qualcosa?" mi chiese con una buona dose di speranza che, anche quella volta, sarebbe finita in mille pezzi.
"Non credo, ma... forse ho solo bisogno di stare un po' da sola e di riflettere in pace. Mi ricorderò di te, non preoccuparti. Bisogna avere un po' di pazienza." Favoloso. Non mi era stato difficile mentirle in quel modo, quindi dedussi di essere persino una bugiarda patentata. Tutto ciò tornava incredibilmente a mio vantaggio, considerando che per molto tempo mi avrebbero sommersa sempre con la stessa, identica e opprimente domanda: 'come stai?'

Naturalmente avrei mentito ogni volta, e avrei finto di aver raggiunto uno stato di serenità che in realtà non ci sarebbe mai stato.

La linea invisibile fra la pazzia e la parziale sanità mentale era talmente sottile da non essere nemmeno percepibile.

Chissà fin dove avrei retto, fin dove mi sarei spinta. Quanto avrei resistito e quanto avrei ricordato. Chissà se avrei ricordato, e chissà come avrei resistito e a chi mi sarei ridotta.

Chissà.

---

La giornata trascorse, sì e no, non esattamente come io avevo pianificato.

Avrei tanto voluto prendermi una pausa, infilarmi in un angolino e tornare nella mia gradevole bolla, ma nessuno mi concesse questo privilegio.

Shax, così si chiamava l'albino, aveva passato tutto il pomeriggio in mia compagnia tentando di far riaffiorare alla mia mente qualcosa, parlandomi della mia vita. Naturalmente fu tutto vano. Decise allora di raccontarmi tutto ciò che gli passava per la testa per quanto riguardava il mondo in cui, all'incirca, vivevo.

E'ria era il nome del pianeta che ci aveva accolti, ma questo la mia mente già lo aveva elaborato.

Ebrith, invece, era a quanto pare il regno di Alkar, re degli angeli. Scoprii poi che il suo nome, Shax, derivava da un grande demone passato conosciuto come saccheggiatore delle 'anime buone', ed era questo che l'albino faceva. Grazie alle sue sembianze che gli donavano l'aspetto di un perfetto angelo qualunque, poteva infiltrarsi comodamente quando gli pareva e piaceva, per saccheggiarli o per riferire notizie al nostro popolo. Per questo, avendoli studiati da vicino, la sapeva lunga su di loro e nel suo racconto decise di soffermarsi in particolar modo su quelle creature. Li descrisse come esseri superficiali, mossi a compiere il 'bene' senza nemmeno sapere cosa fosse, e costantemente controllati dalle braccia a loro superiori. Si aggrappavano ad ideali inutili e insensati, e alla fine non praticavano mai ciò che costantemente millantavano e predicavano. Il loro regno non era tutto rose e fiori, come ci si potrebbe aspettare da esseri della loro portata.

A furia di obbedire a comportamenti etici che, per altro, non potrebbero mai rispettare completamente le loro ideologie o verrebbero considerate creature perfette, hanno iniziato a obbedire senza nemmeno chiedersi il motivo di ciò che stessero facendo. Si sa che più un comportamento viene forzato e più, alla lunga, accresce anche la voglia di sfogare tutti i desideri che in quell'arco di tempo sono stati ampiamente repressi. E' proprio per questo motivo che, a dirla tutta, non è più Alkar a governare sul suo popolo, ma il caos.

In ogni caso, tutte le informazioni che avevo raccolto sugli angeli mi parvero persino un po' superflue, quindi per il resto del suo racconto finsi solamente di ascoltarlo o di esserne interessata, annuendo ogni tanto e aprendo la bocca con sorpresa quando il discorso si animava.

Mi parlò poi del nostro re, Nexo. Lo descrisse come un demone piuttosto autoritario, che concedeva quasi fin troppa libertà al suo popolo ma restava totalmente inflessibile nei confronti di alcune sue ideologie 'sacre', che pretendeva venissero rispettate. Per chiunque non le accettasse, comunque, era prevista una lunga sessione di torture con successiva esecuzione in pubblica piazza, motivo per cui nessuno aveva intenzione di disobbedirgli.

Non imponeva molti limiti, ma i pochi che prevedeva erano naturalmente invalicabili.

Non potei fare a meno di rimanere affascinata dal nostro re e dal nostro regno, dai nostri ideali e dalla nostra libertà. Se non per alcuni particolari, quasi quasi la si poteva considerare una perfetta anarchia.

Proprio quando il racconto iniziava a farsi più interessante, però, iniziai ad avvertire dolorosissime fitte alla testa. Shax probabilmente se ne accorse subito, e si bloccò all'istante tentando di capire cosa stesse succedendo.

Gli chiesi di andarsene, ma lui non volle saperne di lasciarmi sola e fui perciò costretta a uscire di corsa dalla stanza e a zigzagare per il corridoio in cerca di un bagno. Naturalmente, il bagno non lo raggiunsi. La vista iniziò ad annebbiarmisi e istintivamente ruotai un po' gli occhi all'insù. Riuscii a sentire solo per un attimo la voce di Shax accanto a me gridare qualcosa, probabilmente stava chiedendo aiuto. Poi di nuovo niente.

Di nuovo il buio.

Sarebbe andata avanti così per molto tempo.



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