The reason to survive

di Kaimy_11
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Scivolando ***
Capitolo 2: *** Cioccolato e cannella ***
Capitolo 3: *** Ancora mia ***
Capitolo 4: *** Controvento ***
Capitolo 5: *** Qualcosa cambia ***
Capitolo 6: *** Battito d'ali ***
Capitolo 7: *** Mai così ***
Capitolo 8: *** Contatto ***
Capitolo 9: *** Freddo e vuoto ***
Capitolo 10: *** Senza lacrime ***
Capitolo 11: *** La cura ***
Capitolo 12: *** Per sempre ***
Capitolo 13: *** Barriera ***
Capitolo 14: *** Dritto al cuore ***
Capitolo 15: *** Al limite ***
Capitolo 16: *** Animo da Intrepido ***
Capitolo 17: *** Ciò che è mio ***
Capitolo 18: *** Buoni ***
Capitolo 19: *** Più solo ***
Capitolo 20: *** Assassina ***
Capitolo 21: *** Fiducia ***
Capitolo 22: *** Mi dispiace (parte 1°) ***
Capitolo 23: *** Mi dispiace (parte 2°) ***
Capitolo 24: *** Momento d'incertezza ***
Capitolo 25: *** Dolce e amaro ***
Capitolo 26: *** Il peso degli errori ***
Capitolo 27: *** Tanto da morire ***
Capitolo 28: *** Voragine ***
Capitolo 29: *** Altalena ***
Capitolo 30: *** Fiamma spenta (parte 1°) ***
Capitolo 31: *** Fiamma spenta (parte 2°) ***
Capitolo 32: *** Qualsiasi cosa accada ***
Capitolo 33: *** Addio ***
Capitolo 34: *** Forme d'amore ***
Capitolo 35: *** Una parte di me ***
Capitolo 36: *** Colpevole ***
Capitolo 37: *** Fumo e cenere ***
Capitolo 38: *** Sottosopra ***
Capitolo 39: *** Senza scelta ***
Capitolo 40: *** Nessuno ***
Capitolo 41: *** Non ancora ***
Capitolo 42: *** L'inizio della fine(parte 1°) ***
Capitolo 43: *** L'inizio della fine (parte 2°) ***
Capitolo 44: *** Nebbia calda ***
Capitolo 45: *** Veleno ***
Capitolo 46: *** Scegli me ***
Capitolo 47: *** Alle origini ***



Capitolo 1
*** Scivolando ***


1. Scivolando

 

 

Apro la porta e tutto ciò a cui riesco a pensare è che non so come usciremo da questa situazione e, anche se allontano il pensiero per evitare che il fastidioso peso della sconfitta mi opprima, temo che non ci siano rimaste poi tante carte da giocarci.

Ad ogni modo, il peggio deve ancora arrivare.

Avverto che le forze mi stanno tornando in circolo, nonostante debba trascinarmi faticosamente dietro il mio piede ferito. Mi impongo di ignorare il dolore che mi riporta con la mente al momento dalla mia sconfitta e raggiungo la mia camera da capofazione, entrando pronto ad agire. 

Non so cosa succederà e non mi preoccupo di scoprirlo perché credo fermamente di essere in grado di crearmi da solo il mio destino.

Perciò, in fin dei conti, ho poco da temere.

Mentre con la mano spingo la porta affinché si richiuda dietro di me, sollevando lo sguardo, vedo il mio timore più grande.

Aria è in piedi davanti al letto, mi da le spalle, ma nonostante ciò vengo ugualmente colpito dal vuoto che esprime. Inconsciamente ho scoperto che posso sentire dentro di me, in una parte che credevo di non avere più, anche le sue emozioni.

Vorrei non dover perdere il poco tempo che abbiamo in questo modo, ma so per certo che se commetto un errore adesso la perderò. Perciò meglio fare con calma ora, piuttosto che tentare in futuro di ristabilire un contatto con lei, considerando che nessuno mi garantisce che avrò il tempo e l’occasione per farlo.

-Sei pronta? Hai preso tutto?- Le chiedo con voce piatta.

Non voglio che lo prenda come un ordine, ma sa che non possiamo permetterci un altro solo momento in questa stanza.

Sa che non può rispondermi di no.

Si gira e mi trafigge con quelli che mai prima d’ ora mi sono sembrati gli occhi di un’ estranea. Le sue iridi cobalto sono lucide e spente, temo che possano risucchiarmi nel mare oscuro che ha dentro, così distolgo immediatamente lo sguardo.

Guardo in basso e piego la bocca in una smorfia, non riesco più a trattenere il disgusto che provo al pensiero che la piccola lottatrice per cui ho perso la testa sia caduta in un limbo da cui non riesce a riemergere.

Ripenso al mio addestramento e a come gli altri capifazione abbiamo tirato fuori il mostro che è in me. Hanno plagiato una creatura temibile che non sa fare altro che lottare, anche quando è tutto finito. La voglia di comportarmi come l’istruttore tremendo che sono stato per gli ultimi iniziati mi assale, e sta quasi per prendere il sopravvento, quando mi impongo di mantenere la calma.

Con lei, in questo momento, minacce e rimproveri non servirebbero assolutamente a nulla.

-Aria!- La chiamo deciso.

Lei mi guarda ancora, con la differenza che sta volta mi vede realmente perché serra le labbra come fa quando è arrabbiata. Capisco che ho la sua attenzione e l’essere riuscito ad infastidirla mi soddisfa.

La rabbia, d’altronde, è pur sempre un’emozione migliore del nulla. Ed io ne so qualcosa.

-Dobbiamo andare, lo sai, vero?-

Non prende neanche in considerazione l’idea di rispondermi, si avventa contro il fagotto nero che c’è sul letto e me lo sbatte contro al petto, tenendolo sollevato con una mano sola finché io non lo prendo.

È uno zaino di tessuto nero in cui ha messo dentro quello che potrebbe servirmi mentre saremo via. Avrà sicuramente preso dal mio armadio qualche maglietta pulita e altri indumenti di ricambio, ma non so di preciso per cosa abbia optato e non mi interessa saperlo.

Dove andremo, avremo tutto quello che ci serve.

Aria si mette sulle spalle il suo zaino, che è riuscita a riempire perché le ho dato il permesso di correre al suo vecchio dormitorio a recuperare alcune cose senza la quale, a suo dire, non poteva lasciare la residenza.

La imito, mettendomi su una spalla sola la sacca con le poche cose che mi porterò dietro, poi l’ afferro da un polso. Sono pronto a trascinarla via con me, ma riesco a fare un solo passo in direzione del corridoio prima che lei si fermi.

-E Luna?- Chiede con un filo di voce.

Mi fermo e la guardò, ha di nuovo quello sguardo smarrito che aveva quando sono entrato nella stanza e la cosa mi manda direttamente il sangue al cervello.

La strattono e serro la mascella dalla rabbia. -È un gatto! Saprà cavarsela!-

Ma le spalle di Aria si abbassano e, nel momento in cui la sento arrendersi, capisco che l’ho sopraffatta senza il minimo sforzo. Non ha più la volontà di opporsi, mi fa un cenno poco convinto e il suo sguardo si sposta sui dettagli della camera.

Lascio che sia lei a guardare un’ultima volta la mia stanza da capofazione, la nostra stanza, pensando ai momenti che abbiamo condiviso fra queste mura negli ultimi giorni.

Ma non farò altrettanto.

Non sono un sentimentalista, non lo sono mai stato.

Ogni volta che sento la spinta di un’ emozione travolgermi, scopro che è solo la rabbia a volermi assalire, come suo solito. Ragion per cui,  per evitare che qualcosa mi faccia perdere la pazienza anche in questo momento, preferisco pensare che presto torneremo qui con tutta la nostra fazione da vincitori.

Meglio non considerare che, di fatto, stiamo scappando via come codardi e non so se e quando faremo ritorno.

Apro la porta e trascino via Aria con la consapevolezza che, per quando io desideri perdere il controllo e spegnere la mente, non riuscirò ad essere furioso con lei.

Ho ancora paura che un mio gesto sbagliato me la porti via.

Tutto ciò che mi è rimasto è la sua fiducia, non posso rischiare.

-Ho lasciato una finestra semiaperta, se avrà bisogno, potrà entrare e ripararsi…-

Mi capisce, i nostri sguardi si incontrano per meno di un istante e credo di cogliere un luccichio di felicità, prima che il suo volto si rabbui di nuovo mentre chiudo a chiave la porta.

Per Aria non sto solo chiudendo una porta, le sto portando via quello in cui credeva.

Ma non può andare sempre male e voglio dimostrarglielo.

Per adesso, tutto ciò che devo fare è proteggerla, attenendomi al piano che ho elaborato insieme agli altri capi.

Dopo che quella maledetta Rigida mi ha sparato, Max ha fatto portare lei e Quattro da Jeanine, ma la ragazzina è scappata.

Quello che non avremmo mai potuto immaginare, era che sarebbe arrivata alla nostra residenza riuscendo, insieme al suo amichetto con il numero di paure più basso mai registrato, a fermare la simulazione. Quando questo è successo, noi capifazione eravamo radunati al quartier generale degli Eruditi, pronti a gestire al meglio la situazione nel momento in cui tutto si sarebbe concluso come prestabilito.

Ma non è andata così.

Secondo il piano originario, la simulazione si sarebbe conclusa solo dopo aver guidato tutti gli Intrepidi al quartiere degli Eruditi, dove Jeanine avrebbe esposto loro il nuovo piano governativo della città. Max avrebbe preso la parola, gestendo la nostra fazione a dovere, impartendo i nuovi ordini e obbligando anche i ribelli ad adattarsi alle nuove regole.

In realtà, in pochi fra gli Intrepidi sarebbero stati contrari ad un nuovo governo che vedeva la nostra fazione al consiglio per la prima volta dopo anni.

Senza alcuna alternativa, con le nuove leggi già in atto, gli Intrepidi avrebbero dovuto adeguarsi e obbedire. La situazione si sarebbe risolta da sola in poche ore e, a seguire, avremmo ottenuto anche l’appoggio del resto della città.

Ed invece le cose sono andate diversamente.

Con la simulazione interrotta senza le dovute precauzioni, con i soldati ancora al quartiere degli Abnegati, si è scatenato il putiferio. Siamo riusciti a vedere tutto da uno dei computer principali degli Eruditi, che mostrava le riprese delle innumerevoli telecamere sparse per città.

È stato solo e soltanto un inutile bagno di sangue. Una volta tornarti in possesso dello loro facoltà cognitive, gli Intrepidi hanno aperto il fuoco gli uni contro gli altri, incapaci di far distinzione fra nemici e amici.

Calmare le acque è stato insolitamente facile, la divisione netta che si è creta ha diviso automaticamente gli alleati dai traditori.  

Fortunatamente uno degli uomini più fidati di Max era sul posto, e ha richiamato a sé quanti più compagni è riuscito a recuperare, spiegando loro la situazione e convincendoli ad unirsi ai capi e a correre al quartier generale degli Eruditi.

Ma, per una parte decisamente troppo numerosa di Intrepidi, la simulazione a cui sono stati costretti è stato un tradimento troppo grave.

Per questa ragione, etichettando tutti gli altri come traditori della fazione, il gruppo di ribelli si è staccato da noi. Spaventati dalle possibili ripercussioni, sono fuggiti a nascondersi chissà dove, portandosi dietro tutte le armi che avevano con sé.

Temiamo che presto vadano dai Candidi. D’altronde, chi meglio della fazione che amministra la giustizia in città potrà mai accoglierli?

Grazie a Jeanine e alla sua tecnologia, un messaggio è stato inviato a tutte le fazioni, invitandole ad allearsi alla nostra causa e a riconoscere gli Eruditi come nuova fazione al governo, senza possibilità di appello.

Nel messaggio c’è anche un invito riservato agli Intrepidi che sono scappati, in cui viene loro ordinato, senza troppe cerimonie, di ricongiungersi ai loro capifazione e di rispettare le nuove regole. Non so se davvero qualcuno si aggiungerà a noi, so solo che la nostra fazione ha risentito della divisione.

Il nostro gruppo si trasferirà dagli Eruditi, perché abbiamo promesso loro protezione e perché insieme potremo essere più forti e lavorare in maniera più efficiente.

Non possiamo riprenderci la nostra residenza, l’altra metà dei nostri compagni, i trasgressori, potrebbero farvi ritorno e non siamo pronti per sostenere una guerra tra Intrepidi.

In questa situazione di svantaggio che ci impedisce di replicare ad un possibile attacco, dovevamo assolutamente entrare in possesso della scorta di armi contenuta nel cavò della nostra residenza.

E non potevamo assolutamente fare a meno di cancellare tutti i dati dei computer al centro di controllo, sbarazzandoci di prove compromettenti. Era di fondamentale importanza riappropriarci di quanti più file riservati che avrebbero potuto provare le nostre colpe e svelare i nostri piani originali.

È per questo che ho guidato un gruppo di soldati in questa missione di recupero alla nostra residenza, ma dobbiamo andarcene al più presto per evitare spiacevoli incontri con l’altra metà della nostra fazione.

Al momento, evitare altri inutili spargimenti di sangue è la missione primaria.

Dobbiamo agire in fretta. 

Guido Aria tenendola con fermezza, non è al sicuro qui e voglio riportarla al più presto con me alla base. Non avrei dovuto portarla con me, ma non potevo nemmeno lasciarla da sola, così ho preferito assicurarmi che fosse sempre al mio fianco.

 

Arriviamo al punto di partenza e troviamo una piccola folla già radunata, il treno fermo e tutti i nostri compagni piazzati davanti ai portelloni.

Quando mi vedono arrivare si zittiscono e non mi perdono di vista mentre continuo ad avanzare verso di loro.

-Muoviamoci!- Grido e, come se avessi dato il via ad un insolito quanto orribile balletto, il gruppo di Intrepidi che mi ha seguito in questa missione di recupero inizia a salire sul treno in maniera scomposta.

Si ammassano tutti nello stesso punto e si spintonano fra di loro, con movimenti talmente instabili che dubito delle loro facoltà cognitive.

È probabile che dopo tanti anni passati a rincorre il treno, il loro corpo non sabbia come comportarsi davanti ad un mezzo fermo senza rischio ne pericolo. Non sanno dove scaricare l’adrenalina che prima disperdevano nella corsa e nei salti per aggrapparsi ai vagoni che frecciavano via, perciò  risultano impacciati e non fanno altro che urtarsi a vicenda.

Stringo la presa attorno al polso di Aria e la trascino con me quando salgo sul primo vagano del treno, mi sistemo contro una parete facendole segno di mettersi davanti a me.

Dall’occhiataccia che le lancio, le intimo di non muoversi.

Lo sguardo che mi riserva è carico di dubbi, e le sue labbra si serrano ancora, manifestandomi il suo fastidio. Ma la sua presa di posizione ha vita breve, mandandomi per l’ennesima volta in bestia, quando abbassa lo sguardo sconfitta e si stringe nelle spalle.

Forse avrei dovuto evitare di ricordarle la mia superiorità tutte le volte che si prendeva la briga di rispondermi a tono o di provocarmi, anche se avrei giurato che le piacessero i modi che usavo per rimetterla al suo posto e che li trovasse eccitanti quanto me.

Ripenso alle volte in cui le ho chiuso la bocca, alle volte che l’ho sbattuta sul mio letto soltanto perché la sua sottomissione era un’ unione perfetta fra eccitazione e perdizione di cui non potevo fare a meno.

Ma adesso è tutto sbagliato.

Non so cosa darei per vederla reagire, mi farei sparare all’altro piede.

Scuoto la testa, mordo l’interno di una guancia fino a sentire il dolore raggiungere il mio cervello come un pizzico bruciante. Adesso non posso preoccuparmi per Aria, quando arriverà il momento,  saprò risvegliarla.

Anche se, con molte probabilità, non le piaceranno i miei metodi.

Quando il treno parte, il sussulto improvviso fa perdere ad uno dei tanti idioti l’equilibrio. Esprimendo a pieno tutta la sua incapacità, quello che dovrebbe essere uno degli uomini migliori che ho al momento al mio servizio, scivola verso il fondo del treno. Mentre barcolla all’indietro, urta malamente Aria, che si sbilancia in avanti e mi finisce addosso.

Impreco sotto voce, contro il soldato.

Per evitare altri incidenti, faccio passare un braccio dietro la schiena di Aria e la tengo vicina a me, non voglio che nessuno la tocchi più del dovuto. Non sopporto questa situazione, sono letteralmente con le spalle al muro e non sono affatto soddisfatto di starmene stipato in un vagone sovraffollato.

Odio quando non sono in grado di gestire al meglio una situazione.

Abbasso gli occhi per smettere di arrovellarmi il cervello e di farmi venire un attacco di claustrofobia, di cui fortunatamente non soffro, e mi accorgo di quanto realmente sia piccola Aria.  La sua testa corvina non arriva nemmeno alla mia spalla, tiene il viso comodamente accoccolato sul mio petto e sento le sue mani stringermi i fianchi.

considerato il rischio che corro, non mi prendo il disturbo di verificare il suo sguardo, temendo di trovarlo ancora spento e vuoto.

Non so davvero cosa fare con lei, voglio a tutti i costi che torni quella che era e che chiuda la porta su qualunque cosa la turbi tanto in questo momento. Non è assolutamente il momento di dimostrarsi deboli, affronteremo momenti difficili, illudersi del contrario sarebbe controproducente, e lei non è nelle condizioni di reggere.

Più che di Aria, mi preoccupo per me.

Non avrò tempo per lei né per distrarmi e, per quanto mi scocci ammetterlo, lei è la mia unica debolezza.

Ho scelto il momento sbagliato per affezionarmi, ogni errore che faccio può rivoltarmisi contro. Se ho rischiato con successo una volta, frequentando un’iniziata contro le regole, non è detto che avrò ancora fortuna. Da adesso in avanti i miei doveri saranno al primo posto e, per farlo, dovrò trovare il modo di tenere Aria lontana.

La guardo e una mano sfugge al mio controllo sfiorandole i capelli. La sento rabbrividire e percepisco quello stesso brivido scorrermi lungo la schiena.

Sospiro, in questo mare di inconsce lei è l’unica certezza che ho e non sono abbastanza determinato da potervi rinunciare. Sarei folle a separarmi dall’unica persona con cui voglio condividere il mio tempo, e la mia parte altruista non è così sviluppata da spingermi a lasciarla andare per permetterle di salvarsi.

Perché devo ammetterlo, le ho fatto più male che bene.

Credevo di tenerla al sicuro e invece ho permesso che le ordinassero di rimanere chiusa in una stanza, il centro di controllo, dove sui monitor è stata trasmessa la morte del suo migliore amico. Come se non bastasse, sa che ne sono responsabile.

Le devo la mia fiducia perché lei mi ha dato la sua, perciò non posso abbandonarla e riconosco che è abbastanza forte da saper decidere da sola cosa è meglio per lei e cosa vuole fare, senza prendermi io questo incarico.

Ho deciso che la riporterò in sé e, mentre mi convinco di esserne in grado, sento la fastidiosa sensazione di essere osservato e mi volto verso il fondo del vagone.

Mi sfugge una smorfia quando scorgo la figura esile ed elegante di Leah, ma i suoi occhi verdi non guardano me, sono puntati su Aria. Seguono il profilo della sua testa e la mia mano che vi è ancora appoggiata sopra, arricciando le labbra per il fastidio.

Assottiglia lo sguardo e scuote la testa prima di voltarsi dalla parte opposta.

È probabile che qualcuno al mio posto avrebbe colto la nota di delusione nel suo sguardo e ne sarebbe rimasto impietosito. Ma quel qualcuno non sono io.

Mi concentro unicamente sul fastidio che sento crescere dentro di me e solidifico la presa attorno alla schiena di Aria, stringendola di più in quello che riconosco come un gesto protettivo che uso solo nei suoi riguardi.

Il treno si ferma, cosa a cui nessuno degli Intrepidi è abituato, e aspetto che tutti scendano prima di farlo io.

Mi accorgo che Sarah, l’unica donna capofazione, ci stava aspettando. La vedo impartire ordini a tutti senza batter ciglio e la massa scura di Intrepidi appena arrivati si sposta in maniera compatta, iniziando a seguirla.

Io non ho bisogno di andare con lei, so che la prima cosa da fare è trovare una sistemazione a tutti, e di certo non spetta a me occuparmene.

Io ho altro a cui pensare.

Appoggio una mano sulla schiena di Aria e le indico la strada da percorre. Ci spostiamo così verso sud, attraversando la zona del quartiere degli Eruditi abitata dei membri più importanti. Devo raggiungere Jeanine al più presto per elaborare un nuovo piano d’azione e perché so che ha per me informazioni importanti di cui Max deve restare all’oscuro.

La capofazione degli Eruditi ha un alloggio preferenziale proprio nella zona più curata dal quartiere e di tutta la città, peccato che non la usi mai perché passa tutto il suo tempo davanti al computer del suo ufficio al quartier generale.

Camminiamo da un po’ e siamo quasi arrivati, passiamo per una via principale che sembra deserta quando sentiamo una voce.

-Ariana!-

Mi volto e colgo il movimento di un corpo esile che corre verso di noi, vedendo una massa blu e di capelli biondi che si getta addosso ad Aria.

Lei non dice nulla, è silenziosa come lo è stata fino adesso e il suo copro rimane immobile mentre la biondina l’abbraccia.

-Stai bene? Eravamo preoccupati!-

Mi si storce il naso al pensiero che quella ragazzina, che riconosco come la sorella di Aria, si sia presa il diritto di avvicinarsi a lei come se qualcuno le avesse dato il permesso di farlo.

Sono io che mi prendo cura di Aria da settimane ormai, nessun altro deve toccarla.

Amber si stacca da lei ma le tiene ancora le mani sulle spalle, la guarda dritto negli occhi e si accorge che qualcosa non va. Vedo il suo sguardo che si assottiglia, ma non colgo né preoccupazione né altro.

Mentre sono l’una di fronte all’altra, mi accorgo della somiglianza disarmante che le lega e mi riscopro infastidito.

Aria è sull’orlo dell’abisso e ci sta scivolando dentro, mentre sua sorella continua a fissarla con insistenza, vittima anche lei del silenzio assoluto.

A quel punto, dato che le disgrazie non arrivano mai sole, un uomo avanza verso di noi e mi prendo un attimo per analizzare i suoi capelli neri, la sua espressione severa e i suoi occhi azzurri. Non mi ci vuole molto a capire che è il padre di Aria, ha la stessa espressione fredda e austera che aveva lei durante gli allenamenti per la sua iniziazione.

-Ho saputo che sareste arrivati.- Dice, e capisco che si sta rivolgendo a me. -Ci sarà un certo trambusto per la divisione degli alloggi ai vostri compagni. Ho pensavo che magari Ariana potrebbe fermarsi a dormire in casa nostra. C’è ancora il suo letto, d’altro canto.-

Il moto di rabbia che mi assale mi rende per un attimo incapace di formulare una risposta adeguata.

Cosa da a quest’uomo la presunzione di rivolgersi a me con tanta sicurezza?

Forse la sua mente non è poi così brillante e non gli permette di accorgersi del pericolo che sta correndo contro di me. La sue voce arrogante e la tranquillità che usa, per me, sono solo un affronto.

Ora capisco perché Aria è scappata, ho conosciuto sua sorella e suo padre, ed entrambi si comportano da Rigidi in maniera snervante. Hanno una compostezza innaturale mentre parlano, sembra quasi che non respirino, e il loro sguardo autorevole su di me non funziona.

Forse questo Erudito ha bisogno che la sua camicia azzurra si sporchi dal sangue che gli farò colore dal naso per capire con chi a che fare.

-Aria è un’ Intrepida adesso, ed io sono il suo capofazione!- Scandisco senza mezzi termini. -Decido io dove dorme, e casa vostra non è più il suo posto.-

Noto con estremo piacere il fremito che ha il suo occhio sinistro, sintomo del fastidio che le mie parole gli hanno causato.

Faccio un mezzo sorriso mentre mi passo la lingua sulle labbra, soddisfatto.

-Lei non è tua!-

Quando sento quella fastidiosa vocina indirizzata contro di me, abbasso gli occhi sulla ragazzina bionda ancora vicino alla sorella, e per un attimo la sua espressione decisa mi sembra la stessa che usava Aria quando combatteva sul ring.

Ma Amber è decisamente più arrogante e snervante, non so cosa mi impedisca di staccarle la testa dal collo. La trafiggo con uno sguardo e sto quasi per avanzare verso di lei, quando mi ricordo che è solo un’ inutile ragazzina Erudita con cui non intendo sprecare il mio tempo.

Tuttavia deve aver visto i miei muscoli scattare, perché scivola dietro Aria e mi guarda con sospetto.

Dal modo in cui spalanca gli occhi, capisco che anche suo padre deve aver temuto per lei. Sogghigno, evidentemente bastava fargli avere un mezzo infarto per riuscire a smuoverlo. Sento perfino la paura nella sua voce, quando mi parla ancora.

-Effettivamente è vero, sei il suo capofazione adesso. Perciò, ti chiedo il permesso di lasciare che Ariana resti sta notte con la sua famiglia.-

Già non gradisco una sola parola di quelle che ho sentito, ma se crede di potermi rabbonire si sbaglia di grosso. E, quando lo vedo abbassare gli occhi su Aria e fare una smorfia di preoccupazione, perdo il controllo.

-Magari le farà bene…- annuncia. -Amber, porta dentro Ariana!-

Vedo la biondina fare un cenno al padre e far passare un braccio dietro le spalle di Aria, pronta a guidarla via.

E la bestia dentro di me si risveglia.

-Si chiama Aria!- Urlo contro suo padre. -E la mia risposta è no!-

Lui  non batte ciglio, anzi, solleva il mento e mi sfida con lo sguardo.

Che grande errore.

Sto davvero per afferrarlo dal colletto della camicia, ho già le mani sollevate e sono pronto a strattonarlo fino a togliergli quell’espressione arrogante dalla faccia, ma poi sento la sua voce e tutto si spegne.

-Veramente…- Dice Aria, in un flebile sussurro. -Io vorrei restare…-

La guardo e sono stravolto, le mie braccia si  sono paralizzata a mezz’aria.

Lei è ancora immobile, le braccia lungo i fianchi e lo sguardo totalmente spento e privo di emozioni. Per un attimo mi sembra di vederla tremare impercettibilmente, ma devo essermi sbagliato.

Abbasso le braccia, che tenevo ancora sollevate verso il collo di suo padre, e prendo Aria per un polso. La trascino poco lontano per poterle parlare in privato, non prima di lanciare un’ occhiata di traverso al padre.

-Vuoi restare?- Le chiedo, chiaramente arrabbiato.

Lei mi si ferma davanti, è ancora priva di vitalità ma vedo le sue spalle irrigidirsi e capisco che sta recuperando la sua forza.

Mi fa un cenno con la testa.

-Credevo che fosse la famiglia da cui eri fuggita…- le ricordo, guardandola dall’alto.

Sono profondamente infastidito, fremo di rabbia a stento trattenuta e non posso negarlo.

Tanto per cominciare non accetto che Aria metta in dubbio la mia autorità davanti a quell’arrogante di suo padre, per di più non mi aspettavo che scegliesse loro a me.

È riuscita a deludermi e a farmi fare la figura dell’idiota in un colpo solo.

Mi guarda per interminabili secondi e, per quello che mi sembra un miracolo, ritrovo la mia piccola lottatrice. Il blu dei suoi occhi scintilla alla luce del sole morente prima che abbassi consapevolmente la testa in un cenno.

Sa che ho ragione, allora perché vuole restare a dormire in quella stanza da cui tentava di scappare nel suo scenario della paura?

Non voglio farle del male, ma sento le mie vene pulsare cariche d’ira e non posso fare a meno di lanciare l’ennesima occhiataccia a suo padre, che ci osserva poco distante.

Vorrei ricordargli che, se anche dovessi acconsentire a lasciare Aria con loro per una notte, non hanno alcun diritto su di lei.

Io si.

Lei è mia.

Ma so che Aria sta scivolando verso l’abisso e non voglio certo essere io a spingerla giù. Le posso concedere questo capriccio immotivato, ma da domani la musica cambierà e lei dovrà tornare ad essere quella di sempre o se la vedrà con me.

-Non sarebbe permessa una cosa del genere.- Le dico. -Perciò domani mattina presto passo a prenderti e non voglio sentire altre storie!-

Alza ancora lo sguardo verso di me e mi fa un cenno convinto. -Non ne farò. A domani allora!-

Sta quasi per andarsene quando si volta ancora verso di me, mi sorride e muove le labbra in un'unica parola.

-Grazie…- Mi dice.

Ma io non rispondo.

La osservo raggiungere sua sorella e suo padre e li vedo incamminarsi verso una casa dove una donna dai capelli scuri li attende, poco fuori la soglia.

Vedo la mano di Amber posarsi sulle spalle di Aria e stringerla in un abbraccio, accorgendomi di essere io quello che sta scivolando nell’ abisso.

Ma nel mio caso, l’abisso è la rabbia.

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

 

 

 

 

Ed ecco qui un nuovo inizio di storia, un po’ ritardo, ma il seguito è arrivato!

Il cambio di stile nella scrittura sta semplicemente nel fatto che non sarà più un racconto in terza persona ma in prima. Ma chi sarà a raccontare?

Aspetto con ansia i vostri commenti, sono ansiosa di sapere come vi è sembrato questo capitolo dal punto di vista di Eric, se era credibile e soprattutto se vi piace come sto iniziando a intrepretare questa seconda parte.

Andando avanti emergeranno tutti i dettagli, per ora vorrei tanto sapere cosa ne pensate di questo primo capitolo!

Grazie per aver letto la prima parte e per essere arrivati fino a qui, bacioni : )

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Capitolo 2
*** Cioccolato e cannella ***


2. Cioccolato e cannella

 

 

Apro gli occhi e sollevo la testa dopo essermi gettata sul viso l’acqua tiepida, ritrovandomi davanti al mio riflesso intrappolato nello specchio sopra il lavabo.

La ragazza che mi restituisce lo sguardo ha pesanti occhiaie scure sotto gli occhi, lo sguardo spento e le labbra arricciate in un’ espressione severa.

Una notte nella mia vecchia stanza, è ho già ricominciato ad avere la stessa espressione seria e apatica degli Eruditi. Certo, il tatuaggio che ho dietro l’orecchio sinistro non c’era l’ultima volta che mi sono specchiata in questo bagno, ma non basta un disegno a fare di me una vera Intrepida.

Mi passo una mano sulla guancia, non mi dispiacciono le occhiaie, dimostrano la nottataccia insonne che ho passato e tutto quello che ho dovuto sopportare a partire da ieri. Sono come le cicatrici, sono il segno di una lotta e di una ferita richiusa.

Con la differenza che la mia ferita non è ancora guarita.

Mi guardo le mani, sono davvero rovinate a causa dei colpi che ho sferrato al muro di roccia fuori dal centro di controllo, alla residenza degli Intrepidi. Sono ricoperte di tagli con le unghia spezzate.

Non mi dispiace neanche questo, mantiene vivo il ricordo del dolore.

Ho sognato un ragazzo correre nel buio, lo osservavo ma non riuscivo a raggiungerlo. Quando si girava verso di me mi sorrideva e riconoscevo subito il volto di Will. Poi un colpo di pistola lo colpiva dritto al centro della fronte ed io assistevo impotente alla sua morte, mentre i suoi occhi si svuotavano e il suo corpo cadeva accasciandosi al suolo.

Quando, urlando, avevo tentato di accorrere, ero andata a sbattere contro un vetro e mi ero accorta di essere in gabbia. Poco dopo, con i pugni ancora contro la superficie fredda, avevo visto spuntare Eric dal buio con ancora la pistola in mano.

Dopo aver guardato il cadavere di Will, l’ Eric del mio sogno si era voltato verso di me e mi aveva puntato contro la pistola. Le mie urla non erano bastate a fermarlo, perché il suo sguardo era vacuo e distante, come se fosse anche lui vittima di una simulazione che lo guidava come un burattino.

Partito il colpo di pistola, mi ero finalmente svegliata.

Mi abbasso e mi sciacquo un’altra volta il viso con l’acqua, prima di afferrare un’ asciugamano per riasciugarmi.

Sono stanca.

Sono così spossata che potrei addormentarmi anche in piedi, ma ormai chiudere gli occhi è diventato un tormento e non credo di esserne più capace.

Questa mattina, quando ho deciso che era ora di alzarmi, non mi sono semplicemente limitata a scendere dal letto, essendo già sveglia da ore.

Ho detto a me stessa che potevo farcela.

Ma non ci credo.

Serro i pugni attorno all’asciugamano e mi impongo di rimetterlo a posto con cura, lo stiro con le mani e stendo le pieghe, sperando di distrarmi e di riuscire a riprendere il controllo di me stessa.

Esco dal bagno e torno in quella che era un tempo la mia camera, senza perdere tempo ad osservarla. D'altronde, l’ho rivista di recente dentro la mia allucinazione della paura durante l’ultimo test di ammissione agli Intrepidi.

Una libreria piena di libri, un tappeto al centro e una finestra di fronte la porta. Avanzo verso il letto e lo rifaccio, poi prendo lo zaino in cui sono riuscita a infilare alcuni indumenti e cerco qualcosa da indossare. Ho dormito con una delle mie vecchie camicie da notte che erano ancora nel cassettone, ma davvero non capisco com’è possibile che fossero ancora lì.

Pensavo che, una volta andata via, la mia famiglia si sarebbe liberata della mia stanza e di tutto quello che era mio.

Dal mio dormitorio sono riuscita a recuperate solo dei cambi di biancheria, qualche canottiera, una T-shirt, un pantalone nero aderente da combattimento e un altro pieno di tasche. Ho anche una felpa nera con cappuccio, un maglioncino con scollo a v e il mio inseparabile giubbotto di pelle con la cerniera in diagonale. Quello che Eric ha preso per me al Pozzo quella volta che ho dormito con lui nella sua stanza.

A quel ricordo mi si ferma il cuore. Sembra passata un’ eternità.

Stringo i pugni, non so se sarò mai più la stessa o se sarò di nuovo felice come lo sono stata quella mattina.

Opto per i jeans striati che avevo addosso ieri sera, poi prendo una canottiera pulita e, considerato l’aria frasca del mattino, raggiungo il mio vecchio armadio.

Ritrovo un dolcevita a collo alto di un blu talmente scuro ed intenso da sembrare nero. Non so se ho il permesso di prenderlo, ma il colore è perfetto e nessuno ci farà caso. Lo indosso, afferro lo zaino con il resto delle mie cose, mi metto la giacca di pelle sulle spalle e vado al piano di sotto.

Quando arrivo, lo trovo buio e deserto, segno che è davvero troppo presto. Decido così di lasciare lo zaino e la giacca vicino al mobile dell’ingresso, quello dove mio padre mi ha fatto deporre la mia pistola.

Niente gente armata in una casa Erudita.

Sospiro e mi dirigo al bancone della cucina, accendo le luci e anche il forno. Non ce la faccio a starmene con le mani in mano perché, se sto ferma per più di un istante, inizio a pensare e la mia mente mi uccide con ricordi e considerazioni.

So già che non posso farcela, non sono nelle condizioni di sopportare altra sofferenza, perciò decido di concentrarmi su una delle poche cose che mi piaceva fare quando vivevo ancora qui.

Preparare le torte.

Prendo tutti gli ingredienti e li unisco in una ciotola e, senza che mi accorga del tempo che passa, distribuisco l’impasto in una teglia e la metto nel forno. Nel frattempo apparecchio la tavola, sistemando le tovagliette per la colazione e, dato che non è passato tanto tempo e che si tratta pur sempre della mia famiglia, metto davanti ad ogni posto la tazza preferita di ognuno dei miei familiari. Facevamo sempre così, ed una sorte di tepore mi attraversa quando accarezzo la mia tazza a fiori viola.

Faccio in modo che la preparazione mi tenga impegnata il più a lungo possibile, piegando con cura i tovaglioli di carta e allineando i cucchiaini. Perdo davvero la cognizione del tempo. Inizio a lavare gli utensili che ho utilizzato e ripulisco anche il bancone e, alla fine, mi siedo per un attimo nella sedia a capotavola che era il mio posto una volta.

Mio padre occupava l’altro lato e mia madre e mia sorella ai due fianchi della piccola tavola da pranzo rettangolare.

È in questo momento che ripenso alle parole di mia sorella, mentre cercava di convincermi del fatto che per la mia famiglia fossi stata importante. Forse non era un caso se sedevo io a uno dei capitavola come mio padre, non Amber.

Scuoto la testa e sospiro, mentre sento le scale di legno scricchiolare sotto il peso di qualcuno che scende.

Una testa con folti capelli scuri, raccolti in una lunga treccia, fa capolino annusando l’aria con fare compiaciuto. È mia madre in camicia da notte turchese e vestaglia abbinata, ad arrivare in cucina. Osserva la tavola apparecchiata con cura e sorride, ma non è il tipico sorrisino tirato che ricordavo sul suo volto.

Sembra davvero soddisfatta.

Distolgo lo sguardo quando mi guarda, lei avanza verso il forno che si mette a suonare proprio in quel momento, ed estrae la torta proteggendosi la mano con un guanto da cucina.

-Dormito poco?- mi chiede, pacata.

La guardo con una smorfia e fortunatamente non mi vede, perché mi da le spalle. Quando non le rispondo, lei non si perde d’animo.

-Avevi voglia di preparare la colazione?-

Sta volta sto per parlarle, ma mia sorella sceglie quel preciso istante per presentarsi in cucina tutta trotterellante.

-Cos’è questo buono odore?-

-Torta!- esclama mio padre, arrivando in cucina dietro di lei.

Quando mi vedono, seduta rivolta vero mia madre ferma al piano cottura, mi aspetto che si arrabbiano, infastiditi.

E invece sorridono.

Che diavolo gli prende? Cosa sono questi sguardi contenti? Non vedevano l’ora che andassi via e adesso sono così felici di trovarmi di prima mattina nella loro cucina?

Non sono certo un regalo inaspettato!

O così credo.

Amber sfoggia un grazioso completo blu, con la gonna che le solletica le ginocchia. Mi si stringe lo stomaco al pensiero che quelli sono i suoi nuovi abiti da lavoro e che, probabilmente, adesso anche lei lavora per Jeanine.

Mio padre è impeccabile nella sua camicia inamidata azzurra e, da dietro gli occhiali, mi rivolge uno sguardo tranquillo che per un attimo mi fa ripensare ad Eric e al modo in cui mi osserva quando pensa che abbia qualcosa che non va.

Mi sembra strano che, proprio adesso, mio padre abbia a cuore la mia salute e mi guardi con se fossi un animale ferito.

Forse è quello che sei

Dice sadica la vocina nella mia testa, ma fortunatamente non ho tempo di darle ascolto perché mia madre mi mette davanti una tazza fumante e, dal profumo che sembra entrarmi dentro come un brivido caldo, capisco che è tè ai mirtilli.

Il mio preferito.

Sorrido imbarazzata e ruoto sulla sedia, per mettere compostamente le gambe sotto al tavolo. Osservo mio padre che si siede al suo posto davanti a me e Amber che sposta la sedia alla mia destra per accomodarsi. Mia madre serve anche a loro due tazze di tè e porta la torta a tavola, già divisa in fette.

-Torta cioccolato e cannella, eh?- esclama mio padre, prendendo un pezzo di torna ed esaminandone il profumo.

Prima ancora che mia madre gli sorrida, indicandomi con un cenno del capo, gli occhi blu di mio padre si sollevano verso di me e il sorriso che mi concede mi avvolge come una coperta calda. Sapeva già che l’avevo preparata io, era la mia ricetta preferita ed il mio regalo di inizio giornata per la famiglia, quando mi alzavo di buonumore.

-È deliziosa!- Commenta Amber, sorridendomi a sua volta.

Poi fa un sorriso anche a mia madre e lei ricambia.

Ma che gli prende a tutti sta mattina? Dov’è finita la mia sorella gemella fredda e altezzosa? Dov’è andata a finire l’autorevolezza di mio padre? Non dovrebbe rimproverarmi perché non ho dormito abbastanza? E mia madre e la sua arroganza? Perché non si lamenta del fatto che ho messo le mani nella sua preziosa cucina?

Perché gli sei mancata! Sono felici di riaverti qui…

Scuoto la testa per zittire la mia vocina interiore e, per un attimo, mi chiedo se Amber non avesse ragione quando mi diceva che i miei avevano scelto di trattarmi con freddezza solo perché non approvavano la mia decisione di andarmene.

Forse si sentivano traditi.

D’altro canto è questa la famiglia che avevo accanto quando ero una bambina come le altre. Avevo una sorella allegra, un padre tranquillo e attendo e una madre cortese e precisa.

Ma poi non li ho avuti più.

Bè, di certo saranno contenti e soddisfatti della mia scelta di ieri sera, quando ho convinto Eric a lasciarmi passare la notte nella mia vecchia casa.

Ho colto la rivalità tra lui e mio padre, perciò è di sicuro soddisfatto di aver vinto contro il mio capofazione, mentre Amber è felicissima che abbia dormito qui.

Deglutisco a fatica, pensando che quel capofazione sarà infuriato da morire.

Eppure, in questo insolito momento in cui tutti sembrano rabboniti dal profumo di cannella che ancora invade la stanza, mi ritrovo ad ammettere che sto bene. La mia mente è lontana da complotti folli e dalla guerra, mi sento al sicuro, protetta.

E, per la prima volta, il pensiero di essere debole e di avere qualcuno che si prende cura di me, non mi spaventa.

Sta notte Amber è venuta nella mia camera ed è rimasta con me per un po’. Non è come l’ho lasciata, non mi tiene a distanza, sembra essere tornata la bambina spensierata che ne combinava di tutti i colori insieme a me quando eravamo piccole.

-Non mangi?-

Mi chiede con un sorriso, indicando la torta.

Non so cosa rispondere, mi sento inebetita.

Mia madre arriva in mio soccorso, prende un pezzo di torta, lo avvolge in un tovagliolo di carta e me lo passa.

Le sussurro un grazie mentre prendo la torta dalle sue mani e, quando le nostre dita si sfiorano, sento un brivido lungo la schiena.

All’inizio provo repulsione al pensiero che, con quelle stesse dita, mi iniettava dei sedativi per farmi dormire quando mi comportavo in maniera non adeguata. Ma poi mi sorride rassicurante, facendomi provare qualcosa che non conosco, e all’improvviso non so davvero più cosa provare.

Tento di portare la torta alle labbra per addentarla ma, invece dell’aroma di torta e cioccolato, sento uno strano odore ferroso e salino attraversarmi, bruciante come una lama.

Mi accorgo di pensare al sangue e in un attimo vedo davanti a me il corpo di Will cadere al suolo.

Sussulto, abbasso la torta e prendo un respiro profondo.

Ma che mi prende?

Vorrei provare ancora a mangiare la mia torta, ma mi si è rivoltato lo stomaco e all’improvviso sono invasa dalla nausea.

E, mentre fisso la fetta di dolce ripetendomi che non è un nemico pericoloso, il trillo del campanello ci coglie tutti di sorpresa.

-Aspettiamo qualcuno, tesoro?- chiede mio padre, rivolto a mia madre.

Dal tono di voce estremamente composto, e dal modo in cui si pulisce le labbra con un tovagliolo, capisco che è infastidito e che la sua è stata più che altro un’esclamazione sarcastica.

-Deve essere per me…- Sussurro ad occhi bassi.

So che è Eric, tremendamente puntuale.

-Scusate, è meglio che vada.- Aggiungo, mentre sto per alzarmi dalla sedia.

Ma mio padre mi ferma con un gesto della mano e un’occhiata che non ammette repliche.

-Rimani al tuo posto e finisci la tua colazione, tesoro!- Si alza e si avvia alla porta. -Ci penso io!-

Mi viene quasi da sorridere, mio padre sta mattina ci chiama tutte tesoro? Anche a me?

Poi alzo gli occhi al cielo bevendo dalla mia tazza di tè. Il signor Grey è estremamente convinto che non si possa iniziare bene una giornata senza aver prima fatto un’abbondante colazione ricca di zuccheri, per fornire al cervello le giuste energie per funzionare fino a sera.

Eruditi! E mio padre ne è il modello perfetto.

Sento la porta aprirsi e rabbrividisco al pensiero di lui davanti ad Eric, accorgendomi solo adesso dell’errore che ho commesso a lasciarlo andare, dato che non ho idea di cosa gli dirà per convincerlo a lasciarmi con loro ancora un po’.

Conoscendo già l’epilogo della situazione, mi sforzo di bere tutto il mio tè in meno sorsi possibili.

-Sì?- Dice mio padre.

-Tempo scaduto!-

Il tono di voce rauco di Eric mi attraversa come una scossa elettrica e mi fa sussultare, solo adesso mi accorgo dell’effetto devastante che ha su di me e di quanto bisogno ho di stare con lui.

Mando giù velocemente un'altra sorsata di tè, ma vedo Amber che mi guarda storto.

Le sorriso e alzo le spalle. Non sa cosa si rischia ad approfittare della pazienza del più giovane capofazione degli Intrepidi.

-È molto presto, mia figlia non ha ancora finito la sua colazione. Posso accompagnarla al quartier generale io, dato che tra poco vado a lavoro.-

Mio padre si finge cortese, ma colgo la sua ostilità anche se sono seduta nella stanza accanto senza vederlo.

-Forse non mi sono spiegato bene…-

Capisco che è ora di andare quando sento ogni muscolo del mio copro vibrare e vedo mia madre irrigidirsi.

È bastata una mezza minaccia di Eric per far calare il gelo in cucina.

Non è certo il momento per far scoppiare una lite fra Eric e mio padre, conoscendo la delicatezza del mio capofazione, anche se la tenacia di mio padre non scherza.

-È davvero meglio che vada, adesso…- dico a mo’ di scuse, mentre mi alzo da tavola e cerco di raggiungere la porta, in soccorso di mio padre.

-Aspetta!- mi richiama mia madre.

Mi volto verso di lei, preoccupata, ma la vedo prendere la mia fetta di torta intatta e avvolgerla in un tovagliolo pulito insieme ad un’altra fetta presa dal vassoio.

-Portale con te, in caso ti venisse fame più tardi!-

Per un attimo mi paralizzo, ma non appena vedo il sorriso di Amber mi faccio coraggio, accetto l’involucro di carta e piego le labbra all’insù, scoprendo che mi riesce naturale.

-Grazie!- le dico, e scappo.

Arrivo al mobiletto dell’ingresso e raccolgo la pistola e i caricatori, guardando per un attimo la schiena rigida di mio padre mentre tiene ancora una mano sulla maniglia della porta aperta.

-Non mi piace aspettare e sto perdendo la pazienza!-

Gli dice Eric, ed io rabbrividisco per la rabbia espressa dalla sua voce.

Afferro la giacca e me la metto subito addosso, riponendo le fette di torta dentro le tasche, poi raccolgo al volo lo zaino da terra e mi avvicino alla schiena di mio padre, facendo capolino da sopra la sua spalla.

-Sono qui!- dico per tranquillizzare Eric e per far capire a mio padre che non è il caso di tirare ancora la corda.

Lo sguardo di Eric e ferino e terrificante, ha persino le narici allargate e le sue spalle sono tese, mi chiedo davvero come faccia mio padre a tenergli testa senza scappare dalla paura.

Ho appena scoperto che un Erudito riesce a fare qualcosa che nessun Intrepido si sognerebbe mai di fare: sfidare Eric.

Lo vedo girarsi verso di me e colgo subito la sua espressione infastidita, mentre la sua camicia si tende quando fa un profondo respiro. Per un attimo ho paura che si arrabbi e mi impedisca di uscire, ma poi mi guarda e si rilassa.

-Hai mangiato?-

-Sì.- sussurro, perché in parte sto mentendo.

Si sposta con riluttanza, lasciandomi intravedere l’occhiataccia severa che lancia ad Eric mentre esco.

Alzo lo sguardo e gli occhi cerulei di Eric sono su di me, mi pare di vederlo più tranquillo, o forse è arrabbiato anche con me. Non lo so.

-Stai attenta!- dice mio padre.

Mi volto e faccio un cenno. -Anche tu!- trovo il coraggio di rispondergli, guardandolo intensamente.

Non ho il tempo di vedere la sua espressione, di capire se si è offeso o altro, perché Eric mi appoggia una mano sulla spalla e mi fa voltare costringendomi a seguirlo.

Pochi passi lontano da casa, sento di nuovo l’angoscia assalirmi.

-Stai bene?-

Guardo Eric al mio fianco, i suoi occhi puntati su di me, percepisco un senso di vuoto soffocarmi e rabbrividisco.

Non rispondo, mi limito a sollevare le spalle mentre continuo a camminare.

-Bè, almeno tu hai fatto colazione mentre io muoio di fame!- brontola.

O santo cielo, non vorrà litigare adesso?

-Tieni!- gli dico, passandogli una delle due fette di torta avvolte nel tovagliolo.

Eric guarda la mia mano con sospetto.

-È un pezzo di torta che ho preparato io sta mattina…-

-Bene, in tal caso posso mangiarlo!-

Lo prende dalla mia mano senza toccarmi, facendomi capire quanto invece desiderassi un contatto con lui. Lo desideravo disperatamente, sto gelando e ho bisogno di immediato calore.

Riprendiamo a camminare e io sono un passo avanti, ma lo sento mangiare avidamente il dolce.

-Buona!-

Farfuglia, divorando la torta a grandi bocconi al punto da farmi quasi sorridere, ma mi accorgo di non riuscirci. Il freddo mi assale, un freddo che viene dall’interno, sento la terra sotto i miei piedi muoversi più veloce di me.

-Bene!- Gemo, e mi fermo.

Sento una mano di Eric sulla mia spalla e ritrovo il contatto con la realtà.

-Sono contento che permetterti di dormire con la tua vecchia famiglia non sia stato del tutto inutile.- Inizia, spavaldo. -Almeno hai ripreso a parlare!-

Perdo del tutto la calma e, al tempo stesso, la forza.

-Potresti fare qualcosa anche tu!- sbotto, alzando la voce e ricominciando a camminare.

-Cosa?- urla Eric, allargando le braccia mentre mi segue.

Perché adesso la mia salute mentale sta a cuore a tutti quanti? È così difficile capire che non c’è più speranza, che ho perso una parte di me e che non dimenticherò mai quello che è successo?

Di certo non è standomi addosso e trattandomi con pietà che mi aiuteranno.

Odio dover ricordare che solo ieri mi solo lasciata prendere da una strana e sgradevole forma di mutismo, ma non posso farci niente, di certo non adesso.

-Sto parlando con te!- Mi ringhia Eric, afferrandomi da una spalla e costringendomi a voltarmi.

Me lo trovo davanti a gli urlo contro. -Potresti iniziare smettendo di arrabbiarti e di urlarmi addosso senza motivo!-

-Sei tu che mi urli contro!-

Dando per scontato che si accorga benissimo di stare sbraitando, capisco che vuole solo provocarmi.

-Fai quello che vuoi!- brontolo, abbasso lo sguardo e metto le mani in tasca.

Anche Eric si calma, serra la mascella e mi guarda con attenzione, poi lo vedo alzare gli occhi al cielo e sospirare pesantemente mentre nasconde un’ imprecazione.

-Forza, vieni qui…-

Davanti all’invito silenzioso delle sue braccia ora aperte verso di me, pronte ad accogliermi, mi trema il labro. Prima che inizi vergognosamente a piangere, sento le mie gambe muoversi da sole verso di lui.

Mi getto letteralmente contro il suo petto e lo stringo forte, respirando a pieno il suo profumo, ma non mi sento meglio, ho solo più voglia di piangere.

Mi stringe forte a sua volta, con una mano mi accarezza la schiena mente tiene l’altra tra i miei capelli sciolti. Non parla e capisco che non ho bisogno che lui mi dica niente, perché mi basta solo sapere che è qui con me.

-Avremo bisogno di tutta la tua forza per affrontare questa situazione…-

All’improvviso i miei muscoli si tendono per la tensione, ricordandomi della guerra.

-Perché avremo?-

Spinge la mia guancia contro il suo petto e lo sento sospirare.

-Non posso occuparmi di te come vorrei, quindi ho bisogno di sapere che ce le farai.-

Non so se essere arrabbiata perché non crede nelle mie capacità, o se essere estasiata dal fatto che si preoccupa tanto per me da arrivare al punto di dire che ha bisogno anche lui che io sia forte.

-Quanto è grave?-

Invece di rispondermi, mi fa sollevare la testa per farmi incontrare il suo sguardo serio e pieno di ansie, fa un sorriso tirato che non arriva ad illuminare i suoi occhi seri e prende fiato.

Quando mi bacia sulla fronte, sento una morsa stringermi dolorosamente lo stomaco e mi sento sprofondare. Non ci vuole molto a capire che siamo davvero messi male.

Posso solo immaginare la gravità della situazione in cui siamo finiti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

 

 

Eccomi qui con l’aggiornamento che è arrivato miracolosamente sano e salvo a destinazione!

Il pericolo ero io stessa che gli ho messo le mani mille volte. Non lo so perché, ho dei dubbi e cerco di fare quadrare tutto al meglio con la trama, cerco di lasciare il carattere di Eric più realistico possibile e di rendere piacevole e credibile anche il personaggio inventato. Ovvero Aria.

Spero vi piaccia il nuovo capitolo, fatemi sapere cosa ne pensate, io intanto continuo a rimettere in fila come soldatini gli altri capitoli  e correggere i mille errori di battitura (e non solo).

 

Detto ciò volevo rubarmi un altro minutino perché, di recente, mi sono imbattuta su quei  test che ti dicono a quale fazione di Divergent appartieni, e la mia vita è cambiata!

Uno di questi era sulla pagina Facebook ufficiale della serie.

 

La domanda è: avete provato? Che fazione vi è uscita? Credete che vi rispecchi sul serio?

 

I sono super curiosa perché questa faccenda delle caratteristiche personali mi intriga troppo, è interessante sapere se saremo davvero adatti ad un sola fazione.

Esiste anche l’esito Divergente, ma io non l’ho avuto. Mi sembra assurdo, dovremo essere tutti Divergenti in teoria, no?

 

Peccato che io abbia fatto tre test diversi, cambiato addirittura alcune risposte nella speranza di cambiare il risultato e rispondendo in giorni diversi.

Ma era sempre lo stesso in tutti i casi.

Puramente Erutita!

Devo essere contenta?

 

Adesso vi lascio in pace , scusate se vi ho manifestato i miei dubbi, volevo sapere se c’è qualcun altro interessato dall’idea!

Bacione, grazie infinite a tutti per le letture e per le recensioni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Ancora mia ***


3. Ancora mia

 

 

 

Non so con precisione da dove iniziare per spiegarle come stanno le cose, perciò non lo faccio.

Una mia mano scivola lungo il suo viso e serro le labbra.

-Eric?-

Mi scosto di un passo da lei e tento di riprendere a camminare, ma non si arrende.

-Eric?-

-Sappiamo solo che essere in maggioranza non basta e che dobbiamo prenderci la fiducia delle altre fazioni, per ora solo questo!-

Sentendosi ammonita, si paralizza sotto il mio sguardo e inizia a mordersi il labbro inferiore. Sono molto infastidito, più di quanto vorrei, ma d'altronde non ho dormito quasi per niente e l’irritazione è inevitabile.

-Andiamo, forse riusciamo a fare colazione in mensa. Ho ancora fame!-

-Gli Intrepidi useranno la mensa insieme agli Eruditi?- Mi chiede e non capisco perché.

Quando le faccio un cenno la vedo rabbuiarsi e colgo un fremito che la scuote. Non so davvero cosa diavolo le prende e la guardo storto, ma mi ignora.

-Puoi mangiare anche la mia fetta, se ti piace tanto…- Spiega, estraendo un altro involucro dalla tasca della sua giacca. -Io non ho fame…-

-Non avevi detto di aver mangiato?-

Lei mi guarda e sembra stupida che mi ricordi la domanda che le ha fatto quell’arrogante di suo padre, si stringe nelle spalle e mi tende la torta.

La prendo, ma mi accorgo di come trema la sua mano e capisco che qualcosa non va. Non può mentire a me, sarà anche furba ed intrigante, ma non sono uno che si lascia ingannare e ho le mie esperienze.

-Ho bevuto un tè!- mi risponde, sperando che la sua spiegazione mi basti.

Sollevo entrambe le sopracciglia e scarto la fetta di torta, adesso so che non mi sbagliavo.

-Però, sostanzioso!- la guardo storto. -Non sapevo che le tue abili manine sapessero anche preparare torte…-

Mi guarda imbronciata e riprende a mordersi il labbro.

L’avvicino e le metto un braccio dietro la schiena. -Dai un morso…- Le dico appoggiandole la fetta sulle labbra.

Lei sembra disgustata e io sto perdendo la pazienza, così serro la presa attorno alla sua schiena e le lancio un’occhiata d’intesa.

-Non puoi preparare una buona torta e non assaggiarla neanche…-

Mi guarda intimorita, perché sa che sto tentando la strada dolce e senza urti, ma se mi fa infuriare non le piacerà come reagirò.

Riluttante, apre la bocca e da un piccolo morso, lasciandomi con i nervi a fior di pelle quando mi accorgo della fatica che fa a masticare.

-Un altro!- le dico quando finalmente manda giù.

-Avevi detto uno!-

Ignoro la sua protesta e, sempre tenendola ferma contro di me, le metto ancora una volta la torta davanti al labbro. Lei sposta il volto e io stringo la mano attorno al suo fianco, ferendola. Sussulta e mi guarda con occhi tristi e speranzosi al tempo stesso. Sono impassibile, stringo ancora di più e quando la sento sussultare di nuovo mi fermo e le lancio un’occhiata molto allusiva.

-Un altro ho detto, o ti apro quella fottuta bocca con le mie mani!-

Apre la bocca, docile, e io ne approfitto per ficcarle dentro a forza quanta più torta riesco, rischiando di farla soffocare. La lascio andare solo quando  inizia a tossire mettendosi una mano davanti alle labbra, mentre cerca di masticare piano tutta la torta e di ingoiarla a fatica.

Mi guarda storto e io finisco il resto di dolce mettendomi la carta in tasca, adesso sono veramente arrabbiato, e so che dormire nella sua vecchia casa non è bastato. Vorrei prenderla a schiaffi ma è inutile ingannarmi, perché so che non potrei mai farlo. Riprendo a camminare e lei mi corre dietro, afferrandomi la mano.

Sospiro, stringo la presa attorno alle sue dita fredde e ci dirigiamo al quartier generale.

-Non mi hai ancora risposto…- Le dico.

Lei mi guarda senza capire.

-Ce la farai?

Fa un mezzo sorriso e sospira. -Sì, sto bene. Davvero!-

-Non potrai più tornare a dormire con la tua famiglia.-

-Non avevo alcuna intenzione di farlo!-

La divisione in fazioni è piuttosto rigida su questo punto. In quando ormai membro effettivo degli Intrepidi, Aria non può passare la notte in una casa Erudita, anche se si tratta dell’abitazione in cui è cresciuta.

-Ma non puoi neanche stare con me…- Dico a bassa voce.

So che adesso arrivano le note pesanti e il modo in cui potrebbe reagire mi preoccupa.

-Mi è stato dato un appartamento da dividere con gli altri capifazione, non posso portarti con me.- Le spiego, e lei sembra tranquilla.

-Dove dovrò dormire?-

Serro la mascella e faccio passare un po’ di tempo prima di risponderle, stringendole la mano. -In un dormitorio comune assegnato alle donne della nostra fazione…-

Sussulta, i suoi occhi si perdono nel vuoto e fa un’espressione terribilmente penosa.

Dannazione! Lo so che non è nelle condizione di dormire in mezzo ad un branco di persone che non conosce nemmeno, ma era per questo che avevo bisogno che si riprendesse.

-Ieri le cose sono state decise in fretta, e sapevo che eri a casa tua così non ho detto nulla.- Provo a spiegarle. -Vedrò cosa posso fare.-

Non mi risponde.

Mi si gela il sangue al pensiero di Aria in mezzo alla parte femminile della nostra fazione. Loro non sono come lei, sono rivoluzionari convinti ed invasati, anche le donne. Nelle condizioni in cui è, sarà come un agnellino in mezzo ai lupi in quel dormitorio e, per di più, ormai la nostra relazione non è più così segreta e l’informazione si sta espandendo a macchia d’olio.

Se qualcuno c’è l’avesse con me, e non mi stupirei di qualche voce fuori dal coro, prima non avevo punti deboli ma adesso ne ho uno. E, dato che non penso ci siano folli che vogliano affrontarmi di persona, lo sgradevole pensiero che possano prendersela con Aria mi divora senza pietà.

Siamo davanti all’imponente palazzo di vetri che per troppi anni sono stato costretto a frequentare e, quando Aria mette il broncio, capisco che anche lei è infastidita da questo posto stracolmo di fottuti Eruditi.

Entriamo con cautela e le lascio prontamente la mano, mi accorgo che trema ma vedo che si calma da sola e avanzo nell’atrio. C’è gente vestita di blu e di nero che si sposta nelle varie direzioni e una donna Erudita alla reception passa dei moduli a Jeanine lì vicino.

Lei alza lo sguardo e mi vede, ma mi accordo spiacevolmente che i suoi occhi si spostano su Aria e la faccenda non mi piace. Fa cenno a Robert al suo fianco e ci raggiungono.

-Ben arrivato, Eric!- Mi saluta Jeanine. -Dovresti seguirmi nel mio ufficio.-

Ma, certo! Adesso sta esagerando, ho passato praticamente tutta la notte a sentirla strepitare come una povera pazza isterica e ho lasciato che impartisse ordini a tutti i miei uomini come se fossero membri senza spina dorsale degli Eruditi. Ma ora ho voglia di metterle le mani addosso e non certo come farei con una donna, ma per metterla finalmente a tacere.

Sono appena arrivato e devo pensare a sistemare Aria, il suo fottuto ufficio può aspettare.

-…Puoi portare Ariana con te!- dice improvvisamente Jeanine, ma si sta rivolgendo a Robert.

Guardo in cagnesco quel ragazzino più stronzo di suo padre Finn e mi aspetto che indietreggi, ma lui non se ne accorge, fa un sorrisino verso Aria.

Sto per appenderlo a testa in giù dopo averlo riempito di pugni, ma Jeanine parla per me.

-Ariana conosce bene questo posto, può darti sicuramente un aiuto.-

-Per fare cosa?- chiedo, e mi accorgo da solo che il mio tono è troppo duro, ancora prima dell’occhiataccia di Jeanine.

-Robert deve stilare una lista con tutte le armi in possesso degli Intrepidi. Abbiamo quelle che siete andati a prendere nella vostra residenza, ma non sappiamo di preciso cosa avevano con sé i soldati.-

Serro la mascella, non mi va che Aria vada in giro con Robert ad interrogare gli Intrepidi, gli animi sono ancora troppo accessi e non voglio che lei si trovi in mezzo ad una discussione o peggio.

-Va bene!- Dice lei, e mi chiedo perché abbia deciso di parlare e di dimostrarsi forte proprio adesso che avrebbe dovuto tacere e lasciare fare a me.

-Bene!- Esclama Robert, analizzandola con quel suo sorrisetto irritante. -Non so di preciso dove sono collati tutti i dormitori all’interno di questo palazzo…-

Perché non era così schifosamente gentile quando quel bastardo di suo padre frustava Aria con quella sua verga maledetta?

Lei fa uno sguardo risoluto, solleva il mento e gli fa segno di precederlo verso il corridoi laterale che so per certo conduca al settore principale con più dormitori, anche se è passato molto tempo da quando vivevo qui.

Mentre se ne vanno, io vado dalla parte opposta, con Jeanine che mi segue verso il suo ufficio all’ultimo piano in alto.

 

-Non doveva succedere, come avete potuto farvela scappare!- sbraita Jeanine, e per poco non le schizzano gli occhi fuori dalle orbite.

Può anche fingersi perennemente composta, ma non è così. Peccato che non abbia capito che ha davanti a sé cinque capi intrepidi che non tollereranno ancora per molto il suo atteggiamento.

-Non so cosa avremmo potuto fare!- Interviene Sarah. -Ha sparato ad Eric ed è sfuggita a Max. Come potevamo immaginare che raggiungesse il centro di controllo e che vi attaccasse insieme a Quattro?-

-Ecco perché dovevate intervenire prima che mi raggiungessero al centro di controllo!- Sbraita ancora Jeanine, alzandosi in piedi da dietro la sua scrivania. -Lasciate pensare me, voi agite e basta!-

-Ora calmati, Jeanine. È una situazione compromettente per tutti!- interviene Max, mettendo un braccio davanti a Sarah, per calmarla.

-Forse, se qualcuno non si fosse fatto sparare da una ragazzina…-

Furioso, mi volto verso Finn che si finge indifferente, ma poi un ghigno strafottente gli incurva le labbra. Vuole giocare contro di me?

-Non voglio neanche pensare all’errore di Eric.- Dice Jeanine, prima di guardarmi. -Come hai potuto farti sparare e lasciarla andare?-

-Sai Jeanine, penso che tu non sappia più a chi passare la colpa, quando sei tu ad aver commesso un grande errore…- Dico.

Jeanine mi guarda, furiosa, abbassa gli occhi e sembra seriamente intenzionata ad ascoltarmi.

-Ti ho mandato tutti i video delle simulazioni di quella Rigida, scrivendoti che i suoi tempi non mi convincevano. Ma tu hai detto che non c’era niente che non andava. Hai anche voluto assistere al suo test finale e non hai avuto sospetti su di lei. E adesso la colpa sarebbe nostra?-

-Nessuno poteva immaginare cosa sarebbe successo, anche Quattro è riuscito ad ingannarci per anni!-

L’intervento di Max era mirato a calmare gli animi di tutti, ma il sentire nominare Quattro mi fa solo salire la rabbia, che inizia a scorrermi nelle vene come fuoco.

-Quanti Intrepidi sono andati a rifugiarsi dai Candidi?- Chiede Jeanine.

-Tutti quelli che non sono qui!- Risponde Sarah, sarcastica.

Jeanine la ignora. -Fatemi avere una lista. Dobbiamo sapere quanti uomini armati avranno a disposizione i Candidi e le altre fazioni, qualora decidessero di attaccarci!-

-Non ci attaccheranno mai, siamo più forti e loro hanno paura!-

-Non importa Finn, fatemi una lista!- Ordina Jeanine. -È tutto!-

Gli altri escono in silenzio, ma io mi prendo un attimo di tempo per gustarmi l’occasione di ribaltare la situazione a mio favore. D'altronde ho avuto davvero una giornata orrenda e devo scaricare la frustrazione contro questa donna che crede di poter sorpassare il mio limite e trattarmi come uno dei suoi cagnolini da laboratorio.

-Sai una cosa, Jeanine?- Le dico, quando anche Max ha lasciato la stanza.

Lei mi guarda e mi avvio per uscire.

-Credo che quella signorina Prior ti piacesse per qualche assurdo motivo, e che tu non voglia ammettere che ha fregato te per prima!-

Le offro il mio sorriso più sfacciato e chiudo la porta, godendomi a pieno la sua espressione risentita e furibonda.

 

A pranzo seguo un gruppo di miei compagni e mi siedo con loro ad un tavolo della mensa degli Eruditi, evitando accuratamente quello con gli altri capifazione, perché non voglio cadere di nuovo in inutili discussioni.

È tutta la mattina che sono seduto davanti ad uno dei computer principali di Jeanine ad osservare le telecamere sparse per la città e, in particolare, quelle nel quartiere dei Candidi. Sono stanco e ho bisogno di una pausa.

Mi accorgo che anche Sarah ha scelto di sedersi per conto suo.

Cerco Aria e la trovo seduta ad un tavolino appartato vicino a sua sorella e, per un attimo, penso che non avrebbe potuto fare una mossa peggiore. Potrebbe essere considerato un tradimento alla fazione scegliere di sedere con un’ Erudita invece che con qualcuno degli Intrepidi, e non voglio che attiri su di sé male lingue e nemici.

Poi però mi guardo intorno e vedo tavolate miste di Eruditi e Intrepidi, sapendo che non è solo dovuto allo spazio limitato. Non è un caso che la metà della nostra fazione abbia scelto noi, dato che molti di loro erano trasfazione Eruditi che qui hanno ritrovato parenti, amici e conoscenti. Il fatto che Aria abbia scelto un tavolo appartato e che sia da sola con Amber non è il massimo, ma nessuno dovrebbe farci troppo caso e additarla per questo.

Cerco di non farmi vedere, so in che stato è, e non voglio darle un dispiacere dimostrandole che ho scelto di non sedermi con lei, ma davvero non voglio focalizzare l’attenzione su di noi più del necessario. E mi ricordo che finora non abbiamo mai mangiato insieme a mensa, neanche fra gli Intrepidi.

Guardo quello che ho nel vassoio, senza riuscire a fare a meno di osservare ancora Aria, di sfuggita.

Dovrei parlare con i miei compagni, ma non so perché non riesco a staccare gli occhi da lei e mi chiedo da quando sono diventato così apprensivo nei suoi confronti. Con un fastidioso disagio, ricordo che alla vecchia Aria, la mia lottatrice testarda, darebbe estremamente fastidio sapere quanto mi sto preoccupando per lei. Odiava sentirsi debole, così mi chiedo con rammarico come debba sentirsi adesso.

Prendo una forchettata del mio pasto e sento un sapore amaro, non riesco a non sentirmi responsabile per lei, ecco perché mi comporto in questo modo.

Scuoto la testa pensando che per oggi mi sono preso carico dei problemi e delle crisi isteriche degli altri abbastanza, torno a mangiare ma poi, erroneamente, sollevo gli occhi e guardo ancora Aria.

Sta ridendo con sua sorella, le dice qualcosa e anche Amber sorride.

Poi mi accorgo di come Aria, distratta dalla sua conversazione allegra, si porti distrattamente alla bocca un cucchiaio di purè di patate, per poi assaporarlo facendo una smorfia disgustata. Sembra che abbia i conati dal fastidio, si mette le mani davanti alla bocca, gonfia le guance e cerca un fazzoletto in cui sputare quello che ha in bocca.

Assaggiò a mia volta un po’ di purè e mi sembra tutto nella norma, ed ecco che sento un fastidio tanto forte per quello che ho visto che quasi mi alzo per la rabbia a stento trattenuta.

Amber coglie il suo gesto e le chiede spiegazioni, posandole una mano sul braccio. Aria fa un sorriso timido, sposta il piatto e scuote la testa.

Per l’amore del cielo, sta scherzando?

Poco dopo vedo che si tocca il ventre con entrambe le mani e scuote la testa spiegando qualcosa alla sorella, imbarazzata e stretta nelle spalle.

Certo, ha il ciclo da quel che mi ricordo, ma non starà usando la scusa del mal di pancia per non mangiare?

Forse sua sorella potrebbe anche cascarci, ma non io. Sono profondamente arrabbiato e, quando l’ avrò sotto mano, Aria dovrà fare i conti con me. La torta che le ho infilato in bocca solo sta mattina non era niente.

È davvero così provata da quello che è successo? Quando mi ha raggiunto in ospedale era arrabbiata con me, ma poi ha detto che sarebbe stata la mio fianco. Sta mattina, a conferma, in mia compagnia sembrava tranquilla.

Sua sorella le fa una domanda e lei scuote la testa con troppa enfasi, guardando con disgusto il suo piatto. Poi Amber le dice qualcosa e si alza, entusiasta, ma Aria non sembra convinta. Seguo la biondina e mi accorgo che è tornata al bancone per chiedere all’addetta alla mensa qualcosa.

L’attimo dopo è di ritorno al tavolo con una tazza fumante in mano e, dalla bustina che pende, capisco che deve essere tè. Quando lo mette sotto al naso di Aria ottiene solo una sua smorfia, ma alla fine lei annusa il liquido e si fa coraggio.

Mentre beve il tè, sono sollevato dal fatto che metta almeno qualcosa di caldo nello stomaco, ma di certo non può andare avanti così. Forse sta davvero male per il ciclo, forse ha solo bisogno di stare un po’ tranquilla, eppure non sono del tutto convinto.

Ritorno a mangiare e finisco il mio pranzo, ascoltando i discorsi dei miei compagni, mi fanno alcune domande sulla situazione attuale e io rispondo senza rivelare troppe informazioni.

Quando è ora di andare mi alzò e lascio il mio vassoio vuoto alla ragazza del mio amico che si è offerta di riportarli lei indietro per tutti noi, approfittandone dato che ho fretta di ritornare al mio lavoro di sorveglianza segreta.

Davanti alla porta mi accorgo che Aria mi sta guardando e per un attimo incrocio il suo sguardo. Vorrei rassicurarla, ma il pensiero che non stia mangiando perché è ancora sconvolta mi disturba profondamente. Così tanto che la guardo di traverso, scuoto la testa e le volto le spalle, andandomene.

So che ci starà male per questo, ma non posso accettare una cosa del genere. Le avevo chiesto di essere forte e lei mi aveva promesso che sarebbe stata bene, quando invece ha scelto di mentire. Se lei si allontana in questo modo da me, non sarò in grado di correrle dietro. Abbiamo troppi problemi al momento, problemi che gravano su di me, e devo risolvere la situazione anche per il suo bene.

Il peso della realtà è troppo grande per lei, ne è rimasta schiacciata e lo capisco, ma vorrei che non fosse così.

Vado verso la sala computer e non posso fare a meno di chiedermi dove sia finita la mia Aria, quella che affrontava con coraggio l’iniziazione degli Intrepidi e che mi guardava con gli occhi pieni di vitalità.

Con il peso della sconfitta addosso, non posso fare a meno di chiedermi se sarà ancora mia. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

 

Anche questo terzo capitolo è finito, forse era un po’ corto e non ci sono stati gradi risvolti. Vi è piaciuto? Cosa ne pensate?

Per tutti gli altri aggiornamenti preparatevi a capitoli più lunghi del solito!

 

Grazie per aver letto, fatemi sapere le vostre idee.  : )

 

Spero di sentirvi presto, magari passate a trovarmi sulla mia pagina facebook, dove troverete anticipazioni e altro riguardo questo storiella! https://www.facebook.com/Kaimy11?fref=ts

Bacioni!!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Controvento ***


4. Controvento

 

 

Le scale di marmo appena fuori dal quartier generale degli Eruditi sono fredde. Sopra di me, alle mie spalle, il trambusto che c’era nell’atrio principale sta mattina sembra essersi calmato. La sera è finalmente scesa e, qui al buio, posso ammirare le stelle.

Riconosco la stella polare e alcune delle costellazioni principali, mi stringo nelle spalle e mi scappa un sorriso. Mio padre portava sempre me ed Amber, quando eravamo bambine, nella periferia del nostro quartiere, insegnandoci ad ammirare la volta celeste, lontani dalle luce del centro abitato.

Sento aprirsi la porta poco sopra di me e in seguito passi pesanti che scivolano sulle scale.

Quando un’imponente figura mi si ferma vicina, inombrandomi dalla luce che viene da dentro l’atrio, non ho bisogno di sollevare la testa per capire che è Eric.

Mi guardo le scarpe ai piedi, appoggiati su un gradino più in basso rispetto a quello dove sono seduta e sospiro. So che è arrabbiato, non so di preciso per cosa, ma mi preparo al peggio e ad una sfuriata colossale.

-Potresti sederti vicino a me…- Provo dolcemente.

-Non qui!-

La sua risposta è autoritaria e più fredda del marmo su cui siedo, così non posso fare a meno di ricordare l’istruttore spietato della mia iniziazione.

Sollevo lo sguardo e vedo che mi tende una mano, anche se si guarda nervosamente alle spalle per assicurarsi che nessuno faccia troppo caso a noi.

Adesso è anche paranoico, ci mancava solo questa.

Non accetto la sua mano, capendo che me l’ha offerta unicamente per farmi contenta, e scendo le scale di fretta. Lui però mi supera, mi afferra la mano stringendomela con forza e so che lo sta facendo come punizione per non averla accettata prima.

Mi trascina con lui fino ad arrivare al piccolo parco deserto del quartiere, dove si ergono strane sculture in bronzo. Chiamano questo centro il Millennium e, anche se mi sono lasciata alle spalle la mia vita da Erudita, non posso certo dimenticare tutte le volte che sono stata qui, anche solo di passaggio. Ricordo le mie odiose gonne e gli ammonimenti continui di mia sorella, arricciando il naso per il fastidio. Però ricordo anche di aver giocato a nascondermi dentro le sculture quando ero piccola.

Eric mi guida su di un’ aiuola ad un’estremità laterale, mi fa arrampicare sull’erba umida fino al punto più alto dove finalmente si siede. Sto per fare lo stesso e posizionarmi accanto a lui, ma mi tiene ferma per il polso, scuote la testa e mi fa segno si sedermi sulle sue gambe mentre mi accompagna tirandomi per la mano.

Mi ritrovo così accoccolata sulle gambe stese di Eric, stretta contro il suo petto dalle sue forti braccia. Gli offro un fianco, non la schiena, perché ho scelto di sedermi stendendo le gambe accanto al suo bacino e non sulle sue.

-Eric…- Provo, ma lui mi posa un dito sulle labbra.

Deve essere particolarmente arrabbiato se mi impedisce perfino di parlare, vuol dire che qualsiasi cosa dirò non basterà a difendermi.

Rabbrividisco.

Lui fraintende, forse crede che sia per il freddo e mi stringe di più. Sento le sue labbra sui miei capelli e mi accorgo di come inspiri il mio profumo, mentre le sue mani mi cingono la schiena.

-Non so davvero cosa fare con te, piccola Aria…-

La pesantezza nella sua voce mi fa rabbrividire ancora, credevo fosse furioso, invece sembra profondamente abbattuto. Tuttavia c’è anche la solita, vecchia rabbia, nelle sue parole e non posso restarne indifferente.  

-Non devi fare niente!- dico d’istinto. -Non sono piccola come credi!-

Sono certa che sia statisticamente impossibile fare sempre e comunque la mossa sbagliata in ogni occasione, ma è quello che ultimamente faccio quando sono in compagnia della versione da brivido di Eric.

La mia sfrontatezza e anche la mia ribellione assurda, dato che sono stretta e coccolata dalle sue braccia, gli fanno perdere la pazienza.

Mi tira indietro i capelli cosicché possa guardarmi negli occhi dall’alto e, il solo fatto di esporgli così apertamente la mia gola priva di protezione, mi fa rabbrividire. Credo di aver paura di lui, perché so che se è arrabbiato perde del tutto la poca e quasi inesistente delicatezza che possiede. Inoltre, quando si infuria, perde la fiducia e la stima in me e inizia a trattarmi come una bambina, prendendo le decisioni al mio posto e costringendomi a fare quello che vuole.

-Ti avevo chiesto solo una cosa. Una fottutissima, dannatissima cosa!- Sibila contro il mio viso, alitandomi selvaggiamente sulle labbra.

Sbatto le palpebre, pietrificata. Mi aggrappo con una mano alla sua spalla, dato che mi tiene ancora la testa all’indietro e ho paura che, se mi lasciasse, potrei cadere con la schiena contro l’erba.

-Ti avevo solo chiesto di essere forte e invece continui a fare stronzate!-

Lo osservo senza capire.

Serra la mascella e mi guarda dritto negli occhi, fulminandomi. -Continui sempre a farmi preoccupare per te e dannazione Aria, io non ho tempo per queste cazzate! Ho altre cose di cui preoccuparmi, la testa piena di pensieri e mi aspettavo di avere il tuo appoggio, invece mi fai solo avvilire di più!-

Mi trema il labro e mi sento morire, mi lascia andare i capelli ma mi sostiene senza farmi cadere all’indietro, così torno seduta ma non ho il coraggio di guardarlo. Odio la furia che deforma i suoi lineamenti, i suoi bei lineamenti forti e sicuri. Adoro il suo viso, i suoi  occhi grigio azzurro e le sue labbra sottili, che in questo momento sono piegate in una linea diritta e severa.

Cosa ho fatto? Come ho potuto farlo arrabbiare tanto? Ho capito cosa voleva dirmi con la sua sfuriata disperata e mi sento profondamente in colpa.

Anche stupida!

Dice la mia vocina.

Anche per Eric è un brutto momento, anche peggio. Io non ho nessuna responsabilità sulle spalle, nessuno che attende i miei ordini. Non ho una fazione da ricostruire e una guerra che devo far finire a mio favore. Immagino che anche Jeanine gli dia il tormento.

Io ho la mia famiglia che mi protegge, ho Eric che farebbe di tutto per tenermi al sicuro, eppure sto sprofondando.

Sto andando controvento alla deriva e non so come riprendermi.

Ma anche Eric ha bisogno di conforto, aveva solo bisogno che io fossi lì a rassicurarlo quando, arrivata la sera, fosse venuto da me per un attimo di pace.

E invece, dopo tutti i pensieri della giornata, si ritrova ad avere a che fare con un guscio vuoto a cui deve fare da balia.

Mi sento inutile, ferita e ancora più distrutta.

-Eric, io…- Provo piagnucolando, rifiutandomi di fare scendere le lacrime.

Ma lui non vuole sentirmi. -Fammi il favore di stare solo zitta!- mi ringhia contro, senza nemmeno guardarmi.

Serra i pugni con cattiveria e vedo il suo sguardo incupirsi e velarsi di risentimento, quando lo solleva verso il cielo. Forse il mio tono lamentoso lo ha fatto infuriare di più e me ne pento. Ma, mentre guarda le stelle, mi chiedo se anche a lui da piccolo, abbiano insegnato a riconoscere le costellazioni. Penso alla sua curiosità ed anche alla sua tenacia, sorridendo appena.

-Come ho fatto a non accorgermi che eri un Erudito?- chiedo senza neanche accorgermene.

Lui mi guarda e per un attimo, ovviamente, è furioso, non gradendo né la mia domanda né il fatto che abbia parlato quando mi aveva detto di non farlo. Il suo sguardo si incupisce all’istante, poi un angolo della sua bocca sensuale si solleva in un accenno di sorriso che arriva anche agli occhi.

-Me lo sono sempre chiesto anch’io. Non mi hai mai domandato in che fazione ero nato e la cosa cominciava ad infastidirmi. Non avevi neanche un briciolo di curiosità e, per di più, non coglievi i segnali che ti mandavo continuamente.-

-Ero così convinta che fossi sempre stato un Intrepido…-

La mia innocenza mi stupisce, ho dato per scontato che Eric fosse nato nella fazione di cui era diventato capo, ma avrei dovuto capirlo il giorno del mio compleanno, quando mi ha portata in infermeria, che qualcosa non tornava.

Improvvisamente mi assorbisce con uno sguardo, lasciandomi senza fiato. Eric mi stringe a sé e inizia a cullarmi fra carezze ai capelli e sulla guancia. Evidentemente ha scelto la strada della comprensione, capendo che se fa il duro con me io non potrò fare altro che crollare e sprofondare ancora di più.

L’attimo dopo mi sbilancia all’indietro e mi ritrovo con la schiena distesa sull’erba umida, lui si sposta per sovrastarmi, e sono abbagliata dal suo ghigno strafottente.

-Sai cosa c’è?- Mi chiede. -Credo che tu abbia solo bisogno di una forte distrazione!-

Si insinua sotto il mio giubbino di pelle e mi solleva la maglietta, accarezzandomi la pancia in uno dei suoi soliti gesti impulsivi e prepotenti. Cielo, le sue mani sono così calde e io muoio di freddo qui fuori, il contrasto è così intenso che mi inarco contro di lui.

Fa un sorriso sfrontato, godendosi la mia reazione di puro piacere, e si avventa sulle mie labbra.

Quando mi bacia, sento la sua bocca morbida e calda e i brividi aumentano fino al punto che non riesco più a controllarmi. Gli intreccio le dita dietro la nuca e lo attiro a me, avida di quel contatto. Mi sembrano anni dall’ultima volta che mi ha baciata, non lo ricordavo così intenso, eppure adesso non desidero altro e non ho alcuna intenzione di farlo smettere.

La sua lingua cerca la mia e io non mi oppongo, gli mordo il labbro inferiore e lo sento nascondere un ringhio, o forse un gemito rauco, non lo so.

All’improvviso mi costringe a smettere, bloccandomi i polsi ai lati della testa con le sue mani inamovibili.

-Oh, sì che ne hai bisogno!- Canticchia minaccioso, anche se nasconde a stento la sua soddisfazione.

-Di cosa?- farfuglio in cerca di ossigeno.

Mi guarda come se fossi una vera idiota a non capire. -Di scopare!- spiega, schietto. -Hai bisogno di una bella scopata, Aria! Ti rimetterebbe al mondo!-

Arrossisco e mi immobilizzo sotto il suo sguardo.

In un primo mento, mentre lui ride con arroganza per la mia reazione, penso che sia un vero bastardo materialista se pensa davvero che mi basti farlo con lui per dimenticare tutti i problemi che mi angosciano.

Ma poi mi porta i polsi sopra la testa e me li blocca con una mano sola, mente con l’altra va in cerca del mio seno e si ci ferma sopra in una lenta e profonda carezza attraverso la stoffa del mio maglione leggero. Mentre le sue labbra tornano all’attacco sulle mie, mi inarco nuovamente contro di lui e mi accorgo di quanto il mio corpo desideri disperatamente il suo. Improvvisamente capisco che ho un immenso bisogno del suo calore, che ho davvero la necessità di perdermi nella dolcezza dell’abisso profondo che mi offrirebbe, di galleggiare come se non avessi più alcuna consistenza e di svuotarmi completamente. Vorrei ritrovarmi esausta, accasciarmi sul suo petto senza avere più la forza di tenere gli occhi aperti o di pensare troppo.

In preda all’eccitazione, libero con uno strattone i polsi dalla sua mano e mi precipito ad accarezzargli il petto forte e caldo. Le sue labbra sono ancora sulle mie e sta volta è lui a mordermi il labbro e io gemo, ma non oppongo resistenza.

Faccio scivolare le mani sul suo giubbotto pesante e salgo fino alla cerniera, che faccio poi scorrere giù aprendogli la giacca. Libero il suo petto e inizio a tastargli gli addominali attraverso la maglia che indossa, ma non mi basta, così faccio strisciare le dita fino ad arrivare al bordo della sua T-shirt e intrufolo le mani sotto per accarezzargli la pelle bollente.

Passo la mano sulla cintura dei suoi pantaloni e, quando sto per infilare le dita, lui si stacca bruscamente dalle mie labbra e mi afferra la mano, bloccandomi.

-Cerca di stare ferma!- dice rauco e capisco che è senza fiato.

Lo guardo senza capire.

Fa un sorriso accattivante e si passa una mano fra i capelli, in quello che mi pare un tentativo per calmarsi. -Fai la brava, non vorrai costringermi a farlo qui all’aperto?-

E improvvisamente la realtà mi piomba addosso e mi risveglia dal mio sogno ad occhi aperti, guardo in alto e mi accorgo del cielo sopra di noi e di essere sul prato del parco. Non c’è nessuno, ma siamo maledettamente esposti, inizio a mordermi il labbro al pensiero che qualcuno ci abbia visto e che anche quello che abbiamo fatto fin ora era spinto e da tenere in privato.

Mi ha fatto completamente perdere la ragione.

Sorride maligno e mi accarezza una guancia, so che ha ottenuto quello che voleva.

-No, non qui!- Farfuglio in preda all’ansia. -E poi…-

-Sì lo so, sanguini ancora!-

Inarco le sopracciglia, perché non usa un termine migliore?

Sono ancora distesa sul prato, lui è seduto accanto a me con le mani ai lati dei miei fianchi che mi sovrasta, ho i suoi occhi incollati addosso. Ed in questo momento una mano sfugge al mio controllo, mi tremano le labbra mentre poggio piano le dita sulla sua bocca in una carezza incerta. Poi accarezzo il suo mento e la sua guancia, sentendo un live strato di barba pungente sotto la mano, sta mattina non si è raso. I suoi occhi sono nei miei, e io non ho la forza di resistergli, una morsa mi attanaglia il petto.

-Ho così bisogno di te…- Gemo, e so che ho gli occhi lucidi ma non voglio piangere.

Lui mi guarda apprensivo, vedo per un attimo un’ ombra scura inombrargli il volto e mi fissa severo. L’attimo dopo, le sua labbra mi accennano un sorriso e mi sento meglio.

-Lo so. Ma sai di cosa ho bisogno io.-

Respiro a fondo l’aria fresca della sera e tolgo la mano dalla sua guancia.

-Sarò forte.- Gli prometto in un sussurro.

 

Più tardi, Eric mi riaccompagna al mio dormitorio, dove ho già lasciato il mio zaino sotto al letto più vicino alla porta. È stato Robert a dirmi che avrei dormito lì, con il gruppo di ragazze giovani della mia fazione, che come me non hanno ancora famiglia. Mi sono sentita più a mio aggio per quella notizia, ma non posso fare a meno di pensare a Robert e al suo modo di trattarmi come se fossi stata la sua segretaria personale.

Ha dato a me il compito di scrivere sulla tavoletta elettronica, mentre lo conducevo ai vari dormitori in cui gli avevano detto di aver radunato i nostri compagni. Ho natato anche una certa gentilezza verso di me, o non ho potuto fare a meno di pensare che ha iniziato a guardarmi con ammirazione da quanto ho detto a suo padre di essere la figlia di Richard Grey, anche se non capisco perché.

Quando dico ad Eric che è stato Robert a farmi vedere dove avrei dormito, lui inarca le sopracciglia e non mi sorprendo di vedere la sua mandibola scattare.

Dopo avermi condotto davanti alla porta tenendomi per mano, Eric mi deposita un casto bacio sulla fronte e, dopo avermi accarezzato la guancia e regalatomi uno dei suoi sguardi intensi con cui penso che un giorno o l’altro mi assorbirà, se ne va senza dirmi una sola parola.

Osservo la sua schiena allontanarsi, sospirando, poi chiudo la porta del dormitorio e guardo il mio letto con diffidenza. Le altre dormono, ci saranno almeno una decina di ragazze, forse meno.

Non se parla che io dorma qui.

Mi metto lo zaino in spalla, tiro via la trapunta, afferrò il cuscino e scappo fuori richiudendo la porta per permettere alle altre di dormire in santa pace. So dove devo andare, e non ho ripensamenti. Attraverso un lungo corridoio, salgo una rampa di scale e mi dirigo verso la grande porta a vetri della biblioteca principale, apprestandomi a digitare il codice di apertura sul pannello digitale.

Un sorriso trionfante mi illumina quando mi accorgo che la porta si apre, d’altro canto quello della biblioteca è l’unico codice che non cambia mai. Gli Eruditi adorano la conoscenza e non hanno motivo di impedire a qualcuno che voglia leggere o studiare di poterlo fare in serenità e a qualsiasi ora. Entro e la porta si chiude automaticamente dietro di me, ispiro il profumo di libri e polvere e mi accorgo che questo è l’unico posto di cui ho sentito la mancanza. Ci sono diversi tavoli, scaffali stracolmi di volumi e alcuni divanetti agli angoli.

Ci sono anche delle comode poltroncine, in cui ricordo di essermi seduta quanto venivo a rifugiarmi qui per scappare ai continui rimproveri dei miei familiari. Infondo, se ero a leggere in biblioteca, non avevano niente di cui rimproverarmi ed erano tranquilli come lo ero io qui dentro.

Punto dritta al divanetto più infondo e mi ci stendo sopra coprendomi con la trapunta, lascio a terra lo zaino e mi rimbocco il cuscino sotto la testa.

Sono così stanca e affamata che ho solo voglia di dormire, sono spossata e senza forze. So che avrei dovuto mangiare, ma neanche a cena sono stata in grado di mettere qualcosa sotto i denti. Il mio stomaco brontolava dolorosamente, ma come facevo a mangiare quando la mia minestra aveva il terribile aroma del sangue e la sua fluidità me lo ricordava tremendamente?

Ogni volta che provavo a portare un cucchiaio alle labbra sentivo l’odore ferroso di sangue e armi da fuoco, e alla fine mi si è chiuso lo stomaco e ho dovuto abbandonare l’idea di mangiare.

Mi stringo al cuscino e chiudo gli occhi, beandomi del calore della trapunta ma, appena la mia mente si rilassa e sto per scivolare al sonno, sento un rumore di spari e urla disperate.

Vedo Will, lui mi guarda intensamente, ma poi qualcuno gli spara e lui cade a terra privo di vita.

Apro gli occhi di scatto e mi metto a sedere, capendo subito che niente di ciò che ho visto o sentito è accaduto realmente in questo momento, ma che sono solo i ricordi a tormentarmi nei miei incubi.

Torno distesa, mi copro fino al mento, chiudo gli occhi e inizio a piangere.

 

Contro ogni previsione, capisco di essere comunque riuscita a dormire qualche ora, dato che mi sveglio a causa della luce che entra dalle ampie finestre. Sbadiglio, massaggiandomi l’attaccatura del naso, mi sento ancora più stanca e terribilmente assonnata.

L’orologio appeso ad un colonna segnala le sei del mattino, e so che nessuno arriverà a lavoro prima delle sette e mezza. Rotolo giù a fatica, piego la coperta e me la porto via sotto braccio, trascinando il cuscino e lo zaino.

Al piano di sotto raggiungo il bagno comune riservato al mio dormitorio e mi ci chiudo dentro, bloccando la serratura dall’interno, voglio stare in pace e non vorrei che qualche mattiniero mi disturbasse. Senza contare che non ho voglia di farmi vedere svestita.

Scelgo la doccia che mi sembra più pulita e apro il rubinetto dell’acqua calda, ringraziando che gli Eruditi non abbiano sciocche norme sul risparmio. Mi spoglio e faccio una doccia veloce, poi mi asciugo con uno degli asciugamani lì vicino messi a disposizione per gli ospiti e vado a frugare nel mio zaino. Indosso biancheria pulita e scelgo una T-shirt a mezze maniche, la felpa nera con cappuccio e i pantaloni stretti striati.

Guardo la mia pistola e mi chiedo per quanto dovrò portarmela appresso, adesso che non ho più i pantaloni con le tasche. Forse dovrei consegnarla ad Eric, in realtà non voglio girare armata, così  la lascio nello zaino insieme ai caricatori.

Mi metto il giubbotto di pelle, sollevando il cappuccio della felpa per poi rilasciarlo cadere fuori dalla giacca, e mi lego i capelli in una coda.

Corro al dormitorio e lascio al volo coperta, cuscino e zaino, aprendo appena la porta e lasciando tutto sul letto lì vicino, prima di scappare.

Quando arrivo all’atrio principale, però, mi stupisco di trovarlo tanto affollato. È molto presto, e non capisco cosa ci faccia già la receptionist al suo posto. Volendo rifletterci, con quello che sta succedendo, è già tanto che qualcuno vada a casa a dormire.

Max sta parlando con Finn vicino all’ingresso, ma mi blocco quando vedo Eric, davanti a me, discutere animatamente con Jeanine.

Ho il timore che qualcosa non vada.

-Non è più ammissibile, Eric. Adesso abbiamo un problema e dobbiamo fare qualcosa!-

-Risolvitelo da sola il tuo fottuto problema!- Sbraita Eric, furioso senza alcun ritegno.

Rabbrividisco e spalanco gli occhi. Sono tutti e due al centro dell’atrio, come può Eric comportarsi così quando qui sono tutti accaniti sostenitori di quella donna?

-Ho tollerato la tua testa calda fin troppo!- gli risponde lei. -Adesso si fa come dico io, ed è l’unico modo per rimettere le cose a posto.-

-Sono i miei uomini, decido io come si muovono, non sono al tuo servizio. Ricordatelo!-

Jeanine guarda i muscoli tesi di Eric e indietreggia, ma poi fa un sorriso strano e gli dice qualcosa a bassa voce che non riesco a capire.

Eric è furioso, scuote la testa e in quel momento si accorge di me, spalancando gli occhi. Sembra improvvisamente spaventato e non capisco perché.

Jeanine si volta nella mia direzione e il più tremendo dei suoi sorrisi freddi e falsi le piega le labbra.

-Ariana!- mi chiama, entusiasta.

Che sta succedendo?

Mi si avvicina ed Eric la segue, stringe i pugni e la guarda in cagnesco.

-Si chiama Aria!- le abbai contro, afferrandola da una spalla. -Non provare a coinvolgerla, stavi discutendo con me!-

Jeanine agita una mano in aria verso di lui come se avesse appena detto un’assurdità, e lo liquida con un sorrisino che poi rivolge a me.

-Ho solo bisogno di parlare con tuo padre e tua sorella, Ariana.- Mi dice, scandendo il mio nome completo, e ho il sospetto che sia per fare salire i nervi ad Eric e sottolineargli la sua superiorità.

Eric trattiene un ringhio nel petto e mi guarda con rabbia, chissà perché ho l’impressione che non dovrei essere qui.

-Dovrebbero arrivare fra un ora, ma io ho bisogno di loro adesso. Andresti a chiamarli per me?-

Guardo Jeanine e sono tremendamente confusa, se ha bisogno del suo creatore di sieri e dalla sua addetta alle simulazioni, deve essere davvero successo qualcosa di grave. Mi infastidisce la sua finta dolcezza, e sono preoccupata della rabbia di Eric.

Ma non posso discutere.

Sono contenta di aver l’occasione di scortare Amber e mio padre qui, non vorrei che lo facesse nessun altro.

Faccio un cenno a Jeanine, ignoro l’espressione avvilita di Eric e fuggo fuori scendendo le scale di corsa.

Cielo, cosa succede adesso?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** Qualcosa cambia ***


5. Qualcosa cambia

 

 

 

Dannazione!

È evidente che tutto ciò di sbagliato che ho fatto fino adesso nella mia vita stia tornando a chiedermi il conto.

Sto impazzendo, ancora non riesco a capacitarmi di come possa essere successo tutto questo. Siamo armati, siamo con gli Eruditi che possiedono un armamentario di tecnologia ed invenzioni da far rabbrividire, eppure stiamo perdendo. I Pacifici non si schierano, però hanno offerto asilo ai pochi Abneganti sopravvissuti. Non sono contro di noi, sono troppo codardi per prendere una decisione e al tempo stesso troppo svegli per opporsi alla nostra potenza.

Rimangono quei maledetti Candidi, che sembrano considerarci dei traditori anche se neanche loro, con le poche informazioni di cui dispongono, hanno ancora deciso di metterci i bastoni fra le ruote.

E, in tutto questo, Jeanine è convinta che i sieri e le simulazioni siano l’unica arma efficace che abbiamo per assoggettare al nostro controllo tutta la città. Non potremo mai convincerli con le buone ad essere nostri alleati, dato che le capacità governative inadeguate degli Abneganti non spiegano il nostro massacro. Abbiamo agito in maniera folle e priva di controllo, scegliendo una simulazione per spingere i nostri soldati all’attacco e, per quanto la pace stabilita dal sistema delle fazione fosse a rischio, nessuno sa di preciso per cosa siamo davvero arrivati a tanto.

Solo Jeanine conosce la vera minaccia ma, per tutti gli altri, gli Abneganti non avevano ancora fatto nulla che sgretolasse l’unione delle cinque fazioni e che li rendesse meritevoli di un simile trattamento.

-Si può sapere che cosa ti prende?-

Alzo gli occhi e Jeanine è davanti a me, gli occhiali in mano e l’espressione corrucciata. Mi sta fissando con attenzione, come fa di solito quando cerca di analizzare qualcosa o di risolvere un complicato rompicapo.

-Cosa?-

-Pensavo di poter contare su di te e che fossimo una squadra ma, invece che il mio braccio destro, ti comporti come un nemico particolarmente infastidito dalla mia presenza…-

Jeanine e le sue tecniche di adulazione mi riportano con la mente a quando ero solo un ragazzino Erudito, carico di rabbia. È stata questa donna a trovarmi, a darmi un motivo per cui lottare e a mettermi sulla buona strada per diventare qualcuno. Ho creduto di poter far parte di una rivoluzione che avrebbe portato onore e rispetto agli Intrepidi, mi sono sporcato le mani perché credevo di stare facendo ciò che era giusto per i miei uomini, ma le cose sono andate in modo sbagliato.

Di fatto mi sono fatto manipolare, ho agito per lei senza ricevere in cambio abbastanza.

E adesso tutto va a rotoli.

Metà di quelli che erano i membri della mia fazione mi considerano un traditore e vorrebbero volentieri mettermi le mani al collo, le strade sono state ricoperte di morti e adesso abbiamo il caos al posto della città piena di rigore e di prosperità che mi era stata promessa.

Sono un capofazione, è vero, ma ho raggiunto il mio posto facendomi strada con i pugni e con i denti. Sento ancora il sapore del sangue in bocca e la stanchezza e il dolore nelle ossa.

Lei aveva una visione, un obbiettivo, in cui io ho creduto e in cui credo ancora. Mi ha aiutato e so che anche lei vuole riaggiustare le cose e raggiungere l’obbiettivo che ci eravamo prefissati, perciò sono ancora un suo alleato.

Sono con lei, ma sta volta sono anche pronto a mettermi contro di lei se non si dà una calmata. Deve iniziare ad elaborare un piano serio, invece di dire un mucchio di stronzate.

E, di certo, deve smetterla di considerare me e i miei uomini al suo servizio.

-Non mi piacere prendere ordini.- Sibilo fra i denti.

Lei fa uno strano sorriso. -Credimi, lo so!-

Non sopporto la confidenza che si prende con me, forse un tempo condividevamo un tipo di rapporto diverso, più complice. Ero davvero al suo servizio e agivo secondo il suo volere, ma a volte qualcosa cambia e, nel mio caso, sono cambiato io.

-Tutto qui?- Mi chiede, sicura di sé, mentre si rimette gli occhiali.

Quando non le rispondo scuote la testa con fare sbrigativo e torna da Max.

Sospiro, non andremo avanti così.

Non con le sue idee folli.

-Avete preso la vostra decisione?-

Alla domanda che Jeanine gli ha rivolto, Max si volta e la guarda prendendosi qualche secondo per rispondere.

-Non abbiamo Divergenti da offrirti per i tuoi esperimenti. Quelli che erano fra gli Intrepidi sono tutti scappati dai Candidi, dopo la simulazione.-

Analizzo le parole di Max e provo l’ennesimo moto di rabbia verso quella donna, chiedendomi se si stia divertendo a prenderci in giro.

È piuttosto evidente che, i fortunati Divergenti che erano riusciti a nascondersi fra gli Intrepidi, sfuggendo ai molteplici controlli e attacchi, non siano certo corsi da noi dopo l’attacco agli Abneganti. Sentendosi in pericolo, hanno scelto lo schieramento dei trasgressori e sono andati a rifugiarsi dai Candidi, lontano dalla nostra portata.

-Credo anche che, se avessimo qualche Divergente tra noi, potremo usarlo per potenziare il nostro schieramento.- Precisa Max.

-Non ci servono a niente soldati Divergenti!- Gli risponde Jeanine.

La guardo torvo e mi accorgo che anche Finn sta facendo lo stesso.

-Forse dovresti cercare fra i tuoi cervelloni, non mi stupirei se qualcuno ti fosse scappato.- Interviene Finn. -Furbi come sono, ci sarà qualche Erudito Divergente che è riuscito a non farsi scovare e ammazzare da te!-

Jeanine non gradisce, lo guarda per interminabili secondi e storce la bocca e il naso come se avesse provato a mangiare qualcosa di estremamente orrendo. Ed io, per la prima volta, mi trovo ad essere d’accordo con Finn e ad apprezzare la sua sfrontatezza.

La porta dell’atrio si apre e, in tutta la sua arroganza, fa il suo ingresso il signor Grey. È rigido nella sua camicia perfettamente inamidata, con i pantaloni blu e gli occhiali perfettamente diritti sul naso. Da dietro le lenti, i suoi occhi scuri mi squadrano con insistenza e le sue labbra si piegano in una linea severa.

Non mi va di pensare che Aria abbia eredito da lui i suoi occhi, né mi piace pensare al fatto che è stata sotto la responsabilità di quell’uomo per sedici anni.

Lui mi guarda ancora, fa una smorfia, raddrizza la schiena e mette delicatamente una mano sulla spalla di Aria, che è appena entrata, accompagnandola al centro della sala dove Jeanine lo attende.

Vedo come mi guarda, stringendo la presa sulla spalla della figlia, sembra diffidente e, con quel gesto, vuole rivendicare apertamente la proprietà su Aria.

Mi viene da ridere, ma trattengo un ghigno mentre mi passo la lingua sulle labbra.

Oh, se il caro Grey sapesse in quanti punti del corpo di sua figlia sono state le mie mani! …

Mi pregusto l’idea di sbattergli in faccia la verità e di dirgli che la sua bambina ha perso con me la sua innocenza. Ovviamente Aria mi ucciderebbe se lo facessi, perciò devo desistere, ma non perderò l’occasione di far capire a quel vecchio pallone gonfiato che Aria, ormai, è mia e basta.

-Mi hai chiamato, Jeanine?- Chiede, con la sua voce fastidiosamente altezzosa.

Lei gli si avvicina e il mio primo pensiero è di togliere Aria dalle mani di suo padre, perché voglio mettere in chiaro che con la divisione in fazioni e con la scelta che lei ha fatto, il suo posto è al mio fianco e non certo sotto l’ ala protettiva del padre.

In seguito capisco che, nelle condizioni in cui è, Aria non dovrebbe sentire quello che Jeanine sta per dire.

I miei occhi si posano di lei, attratti da una potente forza magnetica. Le sue labbra sono tremendamente rosse, sembrano un fuoco abbagliante e vorrei toccarle, sapendo che deve essersi morsa il labbro per tutto il tempo. Sembra smarrita mentre ricambia il mio sguardo, ma lo fa con attenzione, come se sapesse di trovare in me la sua ancora di salvezza.

Drizzo le spalle, guardo il punto accanto a me e non devo fare altro che segnalarlo ad Aria con un’ alzata di sopracciglia, ordinandole silenziosamente di raggiungermi.

Lei fa un’espressione speranzosa, mostrandomi chiaramente la sua volontà di annullare la distanza fra di noi ma, quando si muove appena verso di me, suo padre solidifica la stretta attorno alla sua spalla e la tiene vicino a sé, fingendosi tranquillo. Aria guarda la mano sulla propria spalla, poi solleva il suo sguardo disperato su suo padre ma lui non la guarda perché sta aspettando che Jeanine lo raggiunga.

Serro la mascella.

Non so perché lei non si ribelli per raggiungermi, dato che sono pur sempre il suo capofazione, e per di più quel fottuto idiota vuole giocare contro di me in una muta gara a chi ha più potere su Aria nel momento sbagliato.

Se le farà sentire cosa dirà Jeanine, lei non lo tollererà.

Mi viene la voglia di assalirlo e sto quasi per andarmi a prendere la ragazza con la forza, quando la porta si apre ancora e sta volta ad entrare è Amber. La sua testa bionda avanza senza timore nella stanza, fino a fermarsi accanto a suo padre, dal lato opposto della sorella.

Non posso fare niente ormai, Jeanine li ha raggiunti a fa un sorriso di incoraggiamento alla biondina, che ricambia. Avanzo a mia volta a grandi passi e li raggiungo.

Formiamo un insolito cerchio scomposto al centro della sala e io sono in mezzo fra Aria e Jeanine, difronte a me ho suo padre che mi guarda senza nascondere il suo fastidio.

Jeanine prende un respiro profondo, guarda per un attimo Amber accanto a lei e mette in mostra il suo sorriso di circostanza.

-Dobbiamo elaborare un nuovo siero a cui nemmeno i Divergenti riescano a sottrarsi.- esordisce.

-Ci stiamo già lavorando.-

Jeanine accoglie la precisazione di quello stupido di Grey, con l’ennesimo sorriso tirato. -Intendo che dobbiamo iniziare ad eseguire dei test su alcuni volontari.-

-Abbiamo dei volontari?- Chiede Amber e, per un attimo, penso che sia una stupida.

Poi mi accorgo con stupore che la sua era una domanda sarcastica e mirata della quale conosce già la risposta.

-Non ci sono Divergenti fra gli Intrepidi che si sono schierati con noi, perciò dobbiamo cercare qualcuno fra i nostri…-

Quando Jeanine finisce di parlare, Amber fa una smorfia e abbassa lo sguardo.

Il signor pallone gonfiato, della quale non mi sto perdendo un solo movimento, solleva il mento e guarda Jeanine, senza capire.

-Mi sembra una mossa avventata, Jeanine. Non possiamo permetterci di perdere collaboratori adesso...-

-Troveremo qualcuno che non ci serve, Richard. E poi…- dice con assoluta serenità. -Dobbiamo solo eseguire dei test preliminari, dopo potranno tornare alle loro funzioni.-

Mi stupisco del coraggio che ostenta mentre mente.

Sappiamo tutti che non lascerà mai in vita i Divergenti che avrà trovato per i suoi stupidi giochetti, nemmeno se si tratta di membri della sua preziosa fazione di geni.

Abbasso gli occhi verso il mio fianco e mi accorgo di Aria e della sua espressione attonita.

Le trema visibilmente il labro, sembra a corto di ossigeno e i suoi occhi sono lucidi. Improvvisamente la sua bocca si deforma per il disgusto, mentre solleva lo sguardo su suo padre e, trovandolo impassibile, scuote la testa.

-Cosa dovremo fare, esattamente?-

-Ho bisogno che tu torni a lavorare al nuovo siero.- Risponde Jeanine a Richard. -Vorrei invece che Amber lavorasse con me ai computer e che scoprisse come reagiscono i soggetti sotto simulazione.-

Amber la guarda in silenzio.

-Sicuramente saprai capire subito se sono coscienti o se cercano di opporre resistenza.-

Ma la ragazzina bionda, invece di rispondere alla sua capofazione, guarda preoccupata sua sorella di fronte a lei e fa un’espressione che non riesco a decifrare.

-Capisco, vuoi che iniziamo subito?- Chiede Richard, come se stesse discutendo del tempo, valutando se sia il caso o meno di prendere l’ombrello prima di uscire.

Aria solleva i suoi occhi verso di lui e sembra profondamente ferita. -Ucciderete altre persone?- chiede sottovoce.

-È necessario per il bene del funzionamento del sistema delle fazioni.- L’ammonisce in modo freddo e autorevole, senza prendersi il disturbo di guardarla mentre storce il naso. Quando abbassa gli occhi su di lei, però, i suoi lineamenti si alterano per la rabbia.

Aria sembra rimpicciolirsi mentre si stringe nelle spalle, lo guarda sconvolta e poi osserva sua sorella, che abbassa lo sguardo in silenzio.

Jeanine, che non si è persa un solo dettaglio della scena, decide di dire la sua. -Non siamo assassini, Ariana, stiamo solo proteggendo il sistema dal pericolo dei Divergenti.-

Ma quando Aria ricambia il suo sguardo, non è affatto rimasta colpita dalla sua ostentata tranquillità.

Noto il modo in cui trema, forse per la rabbia oppure perché cerca disperatamente di non piangere. Non muovo un muscolo quando la vedo voltare le spalle a tutti noi e alla follia di ciò che ha sentito, per andarsene via in silenzio.

Nella mia mente, il desiderio di picchiare a sangue quel bastardo di suo padre prende forma in un’immagine che mi passa davanti agli occhi. Mi vedo mentre lo tengo fermo dal colletto della camicia e fisso il suo labbro insanguinato dopo i pugni con gli ho rifilato.

È un vero peccato che tutto quello che penso non sia la realtà perché, se quel fottuto idiota non si fosse messo tra me ed Aria, adesso lei sarebbe al mio fianco, lontana da questa discussione che sicuramente l’ha ferita per la brutalità dei fatti.

Stringo i pugni e faccio scricchiolare minacciosamente le nocche mentre lo studio, furioso, non posso accettare il modo in cui ha rimproverato sua figlia e il danno che le ha fatto.

Ma, la cosa che mi infastidisce maggiormente, è il fatto che Aria non sia ancora nelle condizioni di difendersi. Come ha potuto dare fiducia a quell’uomo che le ha reso la vita un’ inferno solo perché aveva ammesso di voler cambiare fazione? Credeva davvero che le dimostrasse il suo affetto paterno proprio adesso?

Sospiro pesantemente e mi allontano da suo padre prima che la voglia di picchiarlo diventi tanto forte da metterlo seriamente in pericolo.

Adesso ho un compito da svolgere e spero che mi distragga ma, prima di andarmene, lancio un’ ultima occhiata furiosa a quel Richard, in un chiaro avvertimento silenzioso.

Tra noi è solo questione di tempo, prima o poi gli metterò le mani addosso e lo farò pentire di avermi sfidato.

 

Le mie ore di sorveglianza segrete davanti ai monitor sono finite.

È il secondo giorno che passo seduto su di una sedia scomoda a fissare gli schermi e i filmati di sorveglianza e, adesso, posso andare da Jeanine e comunicarle con sicurezza che non ci sono Intrepidi dispersi per le strade.

Non so se sia un bene o un male ma, tutti quelli che hanno disobbedito e che ci considerano dei traditori della fazione, sono rifugiati dai Candidi.

Tuttavia, non c’è ancora nessuna traccia di Quattro e della sua troietta Rigida. Non sono dai Candidi, posso confermalo a Jeanine con assoluta certezza. Ho passato ore e studiare i filmati di tutte le telecamere, analizzando con precisione assoluta ogni corridoio e ogni vicolo nel quartiere dai Candidi.

Jeanine ha il sospetto che siano corsi a nascondersi dai Pacifici, ma la sua ipotesi è quasi impossibile da essere verificata. Le campagne dei Pacifici sono sconfinate e dispersive, senza abbastanza telecamere nella loro residenza per stabilire con precisione se siano davvero lì.

Esco dallo studio e mi sposto verso la mensa, non prima di aver lanciato occhiate da tutte le parti in cerca di ciò che rimane della mia lottatrice testarda. La scorgo in lontananza, vicino alla porta d’ingresso alla mensa, con sua sorella.

La raggiungo a grandi falcate per afferrarla da un gomito e, senza darle spiegazioni, la trascino via con me. Ignoro bellamente l’occhiata ammonitrice che mi lancia sua sorella e mi sposto in un angolo tranquillo, in un corridoio vicino, per discutere con Aria senza interruzioni o altre rotture di scatole.

-Oggi pranzerai con me.- Le annuncio, serio.

Lei mi guarda e, invece dell’espressione offesa che mi aspettato di vedere sul suo volto, scorgo un sorriso.

-Non abbiamo mai mangiato insieme a mensa…- Mi ricorda.

Sono contento che abbia ritrovato un po’ di audacia e sorrido quando le si arrossano le guance.

-C’è una prima volta per tutto!-

-Non sono più un’ iniziata adesso, ma pensavo che non volessi ancora farti vedere con me…-

Sospiro. -Infatti è così.-

Mi guarda, in confusione.

-Se fossimo ancora nella nostra residenza starei con te apertamente ma, dato come stanno le cose, non voglio dare troppo nell’occhio.-

Lei mi guarda con sospetto, non ha ancora capito che rappresenta il mio unico punto debole e che non posso permettermi di metterla in pericolo. 

Meno sanno di noi e minori sono le probabilità che arrivino a lei per ferire me.

-Per questo non prenderemo un tavolo solo per noi, ma saremo con altri, in modo da attirare meno l’attenzione.-

Riprendo a camminare e lei mi segue, ma sembra ancora confusa e intimidita da qualcosa.

-Con chi?- mi chiede.

La guardo dall’alto e mi chiedo quando riacquisterà la sua sicurezza, dato che adesso se ne sta sempre stretta tra le spalle, cosa che non sopporto.

-Amici, ti piaceranno.-

Entriamo in mensa e seguiamo la fila al bancone. Il menù di oggi offre petto di pollo alla griglia e patate al vapore, salsa d’accompagnamento e una minestra dall’aspetto poco invitante, che decido di ignorare. Prendo due vassoi e mi faccio servire due piatti, senza dare ad Aria la possibilità di scegliere cosa prendere.

Preso quello che ci serve, mi dirigo dritto al tavolo in cui sedevo ieri, con i due vassoi in mano. Mi seggo e faccio segno ad Aria di affiancarmi ma lei è silenziosa, osserva con sospetto il vassoio che le ho messo davanti ma non dice nulla mentre mi si siede accanto.

Sollevo gli occhi e mi accorgo di Nick che, seduto nel posto di fronte a lei, la guarda ad occhi sbarrati, incapace di mandare giù il boccane che ha in bocca.

Faccio un ghigno, non deve essere facile per lui trovarsela davanti dato che, l’ultima volta che l’ha vista, era seduto con me ad un tavolino nella zona tatuatori, a chiedersi quante cose poteva saper fare quella ragazzina con la sua bocca carnosa. Se la memoria non mi inganna, si era anche soffermato ad ammirare il suo fondoschiena, prima che gli colpissi la mano con un pugno.

Deve essere imbarazzante, per lui, rendersi conto che ha sbavato su una ragazza che poi è diventata davvero mia.

-Finalmente!- Esclama Jason, seduto accanto a Nick, ma sta guardando Aria con un sorriso curioso.

Lo ignoro.

-Che piacere conoscere la famosa ragazza!- dice, smettendo di mangiare per continuare ad ammirare Aria senza alcun impedimento.

Nick, accanto a lui, deglutisce a forza e mi guarda allarmato.

Sogghigno, può stare tranquillo, se l’ho risparmiato quella volta posso dargli un’altra occasione.

-Sono Jason!- si presenta il rossiccio che dovrebbe essere mio amico, con un ampio sorriso.

-Aria!- Risponde lei, semplicemente.

La guardo di sfuggita e mi accorgo che sembra tranquilla, anche se un po’ imbarazzata. Noto anche, con un certo fastidio, che non ha ancora toccato il suo pranzo e che si tiene le mani strette tra le ginocchia.

-Lei è Camille, la mia ragazza!-

Jason indica ad Aria la bionda che gli siede accanto, che la saluta con un sorriso di divertimento.

-Eric voleva tenerti nascosta!- Dice Camille.

Aria solleva le sopracciglia e sorride. Nick si affretta a finire quello che ha nel piatto.

Abbasso gli occhi, prendo coltello e forchetta e inizio a tagliare in piccoli bocconi il petto di pollo che ho davanti, spezzettando anche le patate. In una mossa rapida, sfruttando la momentanea distrazione dei nostri compagni di tavolo che sono impegnati a parlare fra di loro, metto il mio piatto sul vassoio di Aria e lo sostituisco con il suo.

Tranquillamente, taglio un pezzo dal mio nuovo piatto di pollo ancora integro e lo porto alla bocca. Aria non dice niente e osserva quello che ha davanti, accorgendosi che ho sostituito i nostri piatti perché le ho già tagliuzzato la carne.

Batte le palpebre e si acciglia.

Jason parla con Camille, e Nick non osa alzare lo sguardo nella nostra direzione.

Mi volto lentamente e avvicino le labbra all’orecchio di Aria, parlandole in modo chiaro ma senza che nessuno ci senta.

-Adesso tu mangerai ogni singolo boccone che hai nel piatto, uno per uno.-

China la testa ma vedo che è contrariata.

-Se non lo fai…- La minaccio con durezza. -Giuro che ti apro la bocca a forza e ti ci metto dentro tutto quando e non mi importa se faremo una scenata qui davanti a tutti!-

Rabbrividisce e mi guarda, sconvolta.

Le lanciò un’occhiata di avvertimento per farle capire che non scherzo e per scoraggiare ogni tentativo di ribellione da parte sua.

-Adesso!- scandisco a bassa voce.

Con mani tremanti, Aria prende la sua forchetta e la usa per infilzare un pezzetto di pollo e portarselo davanti alle labbra ma, quando lo annusa, la sue espressione è disgustata.

Ruoto verso di lei e trattengo un ringhio di rabbia. -Vuoi che lo faccio io?- guardo la forchetta che ha in mano e fingo di allungarmi per prenderla.

Si spaventa e si mette subito il pollo in bocca. Per un attimo mi guarda e vedo che gonfia le guance sforzandosi di non sputare, poi manda giù a forza e si affretta a bere un po’ d’acqua.

Serro i pugni e riprendo a mangiare, non voglio essere arrabbiato o fare il duro con lei, non ne ho più la forza e probabilmente non servirebbe a niente. Voglio solo che finisca quello che ha nel piatto cosicché potrò tornamene ai miei impegni, dove non sarò più costretto a vedere in che stato è ridotta la ragazza sconosciuta che ho adesso accanto.

-Non farmi diventare cattivo…- Le suggerisco.

La mia voce è rauca e graffiante e lei respira pesantemente mentre comincia a mangiare, ma deglutisce a fatica e credo che se le avessi chiesto di ingoiare sassi lo avrebbe fatto più volentieri e con più facilità.

Quando finisco il mio pasto, Aria ha a mala pena mangiato metà di quello che aveva davanti e mi guarda, speranzosa. Le rivolgo un’occhiataccia che la fa impallidire.

-Non abbiamo presentato Nick ad Aria!- Esclama Jason, battendo una mano sulla spalla di Nick, che diventa viola. -Lui è quello che la prima volta che ti ha vista ha detto che gli sarebbe piaciuto scoparti!-

Aria ricambia lo sguardo di Jason e diventa dello stesso colore di Nick.

-Prima che Eric specificasse che ti avrebbe scopata lui!- interviene Camille, ridendo quando Aria la guarda in un più che evidente imbarazzo.

-Naturalmente!- Jason è divertito e stringe la mano di Camille sul tavolo, prima di lanciarmi un’occhiata eloquente.

Io scuoto la testa a lui e alle sue battute di spirito poco apprezzate, ma poi nascondo un sorriso di apprezzamento quando Nick tossicchia, a disagio.

-Oh, non preoccuparti!- Dice Camille ad Aria, vedendola a testa bassa. -Nick è abituato a fare figuracce!-

Scoppia a ridere perfino Nick, insieme a Jason e ovviamente a Camille.

Aria sfoga tutta la tensione che deve aver accumulato e si abbandona ad una risata di puro divertimento, rimane comunque composta coprendosi la bocca con una mano.

Io rimango in silenzio con le braccia incrociate sul tavolo, senza che tutta questa improvvisa ilarità mi tocchi minimante, dato che Nick è ancora sulla mia lista nera ed è a rischio se osa fare una sola mossa sbagliata.

Eppure, inspiegabilmente, Camille e l’idiozia senza limiti di Nick sono serviti a qualcosa perché, quando abbasso gli occhi, Aria sta mangiando e, finalmente, svuota il piatto.

Mi guarda imbronciata e con le labbra mi chiede: soddisfatto?

Le sorrido senza alcuna riserva mentre nessuno ci guarda e mi godo il rossore che le imporpora le guance. Ma, il dono più bello che mi fa, sono i suoi occhi lucenti quando, sfrontata, mi fa una linguaccia.

 

 

 

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

Ed eccomi con quello che definirei un rapidissimo aggiornamento, siete contenti?

 

Piccola nota: Dato che è passato tanto tempo, volevo richiamare alla vostra memoria un capitolo della precedente storia, proprio il 5° tra l’altro (neanche a farlo a posta!) dove Eric è seduto a bere ad un tavolo con due amici e vede Aria in fila per farsi fare un tatuaggio.

In quell’occasione compaiono per la prima volta Nick che, se ricordate, si è beccato un pugno alla mano da Eric per i suoi apprezzamenti ad Aria, e Jason, anche se non avevo specificato il nome!

Vi piacciono, li avete riconosciuti?

 

Ovviamente grazie a tutti quelli che leggono e soprattutto a chi recensisce : )

 

Che ne pensate di come procede la storia? C’è qualcosa che non vi convince? Fatemelo sapere, mi farebbe molto felice!

 

Baci, alla prossima!

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** Battito d'ali ***


6. Battito d’ali

 

 

 

 

 

Mi sento felice.

Sto bene e, mentre cammino lungo il corridoio laterale, quasi non tocco terra con i piedi da quanto mi sento leggera. Ma a farmi tornare giù è la consapevolezza che, quella che provo, è solo una felicità effimera. Un appagamento momentaneo che ti esalta a tempo breve, per poi disperdersi in un battito d’ali.

Eric non imparerà mai ad essere gentile, ma io conosco i modi che usa per dimostrarmi che sta cercando di prendersi cura di me, nonostante quello che gli aleggia intorno e anche dentro.

Non ho mai creduto nelle coincidenze o nel fato, neanche nella divina provvidenza. Penso invece che ognuno di noi sia l’artefice del proprio destino, l’unico e solo a poter, in base alle decisioni prese, cambiare radicalmente il proprio futuro. Nonostante ciò, quando proseguendo per il passaggio interno che porta dritto all’ufficio di mio padre sentendo urla disperate, mi chiedo come abbia potuto la sfortuna trovarmi e colpirmi con tanta durezza.

Avanzo di un passo e mi blocco del tutto quando vedo due uomini Intrepidi trascinare a forza una donna vestita di blu che, per opporsi, è praticamente in ginocchio con i due cha la trascinano a forza tenendola per le braccia.

Vedo le sue calze strappate e la gonna e la giacca blu in disordine. Credo che abbia una quarantina d’anni, un bel viso tondo, anche se è deturpato dalle lacrime, e uno chignon di capelli biondi tutti arruffati per la colluttazione che deve aver avuto.

-Vi prego, che cosa vogliono farmi?-

Mi vengono i brividi quando alle mie orecchie arriva la sua supplica disperata.

Faccio un altro passo e mi appoggio con una mano alla parete fredda alla mia destra, per sorreggermi in cerca della forza e del coraggio per assistere a quello che ho davanti. Forse dovrei andarmene, e vorrei tanto scappare, ma non riesco a muovermi. Ho i piedi incatenati al pavimento e le ossa estremamente pesanti, so che se mi muovessi adesso non sarei capace di sorreggere il mio stesso peso. Ho la gola secca e il cuore che mi rimbomba nelle orecchie, nei polsi, sulle tempie, è comense il mio stesso corpo fosse diventato un involucro vuoto capace solo di amplificare il mio battito cardiaco.

-Ho fatto il mio lavoro onestamente per tanti anni…- Piagnucola la donna, e gli Intrepidi si fermano davanti ad una porta che in quel momento si apre.

Quando un uomo appare dal nulla rimanendo davanti all’ingresso del laboratorio, rimango colpita dalla sua camicia azzurra immacolata e perfettamente stirata. Da dietro gli occhiali, i suoi occhi blu si posano con freddezza disarmante sulla donna che adesso è accasciata ai suoi piedi, dove l’hanno depositata i due soldati.

-Richard!- Esclama disperata, quando solleva lo sguardo colmo di lacrime su di lui. -Il mio test attitudinale aveva dato un solo risultato, perché mi fate questo?-

Mio padre la osserva in assoluto silenzio e una smorfia gli piega le labbra, come se avesse davanti un insetto pericoloso.

Fa cenno ai due Intrepidi e la donna viene trascinata di peso dentro lo studio, mentre urla disperatamente.

Sento un dolore atroce attraversarmi e mi piego su me stessa, appoggio le mani alle ginocchia e respiro a fondo ma, quando sollevo la testa, l’uomo che dovrebbe essere mio padre mi sta guardando.

Non capisco cosa provi esattamente ma so per certo che non mi importa, scruto in silenzio il suo volto contrito e lo vedo irrigidirsi. Smette di guardarmi per fare uscire i due Intrepidi, poi abbassa gli occhi, scuote la testa e si chiude dentro il suo laboratorio personale.

È troppo.

Scappo via di corsa, le gambe che mi fanno male e i polmoni che bruciano in cerca di ossigeno.

Ho la terribile impressione di indossare ancora calze e gonna blu, solo la consapevolezza di vestire di nero mi aiuta e non sentirmi in trappola.

Mentre corro, per un attimo, penso a come debbano essersi sentiti i miei giovani compagni di fazione, mentre erano intrappolati in una simulazione al quartiere degli Abneganti. Mi sembra di correre per la mia stessa vita, senza essere tuttavia padrona di me stessa. Mi sento le mani fredde, come se avessi in mano un’ arma e fossi a contatto con il suo metallo gelido.

Mi manca l’aria, ho le vertigini e anche la nausea. Le pareti che mi circondano si muovono, ho l’affanno e sto per scivolare a terra.

Poi reagisco, mi faccio forza e raggiungo un bagno di servizio. Non posso farmi venire un attacco di panico davanti a tutti, so come affrontare tutto questo, era la mia ultima paura durante il mio test finale di ammissione agli Intrepidi.

Posso farcela.

Mi chiudo in bagno e cado sulle ginocchia, respiro velocemente e chiudo gli occhi.

Quando lo faccio, vedo un corpo cadere a terra privo di vita. È assurdo come la testa possa scivolare giù, trascinata dalla forza di gravità, quando non c’è più vita dentro la persona che muore. Vedo gli occhi di Will e vedo il sangue colare sulla sua fronte.

E, all’improvviso, ne sento il sapore ferroso in bocca.

Il sangue è rosso e denso, come la carne, carne cruda. Quello che ho mangiato, carne di pollo, cadavere cotto.

Assassini, gente morta.

Non reggo, mi alzò e con un balzo raggiungo l’altra porticina che da sulla tazza del water e mi ci inginocchio davanti mentre vengo scossa dai conati.

Vomito tutto e mi sento svuotata come se mi avessero privata dell’anima. Mi asciugo con un pezzo di carta e tiro lo sciacquone mentre mi metto faticosamente in piedi, e inizio a piangere.

Dannazione, ero appena riuscita a mangiare qualcosa, come ho fatto a cadere così in basso e a ridurmi così?

Raggiugo il lavello e mi sciacquo il viso. Non dormo, non mangio, non resisterò ancora per molto.

Disperata, sollevo la testa e incrocio il mio stesso sguardo dal riflesso del specchio. Vedo una giovane ragazza dai capelli neri e il viso pallido, occhiaie scure sotto gli occhi umidi di lacrime e le labbra gonfie.

Quella intrappolata nello specchio non posso essere io, è una sconosciuta, un mostro. E all’improvviso ricordo un’altra delle mie paura durante le simulazione per il test finale.

Avevo paura di me stessa e della persona che sarei potuta diventare se fossi restata fra gli Eruditi, peccato che questa versione debole e distrutta di me stessa che sto impersonando, sia ancora peggio.

Alzo il braccio e colpisco con un pugno lo specchio che si rompe, lasciando cadere scaglie di vetro per terra, mentre rivoli di sangue mi sporcano la mano e il bruciore acuto della ferita mi lascia senza fiato.

 

Apro e chiudo la mano mentre osservo la fasciatura sporca di sangue che mi avvolge le nocche e il dorso della mano destra. E, fra tutte le cose a cui potrei pensare e per cui potrei incupirmi, la mia mente diabolica e irrimediabilmente contorta ha scelto di portarmi a pensare alla reazione del mio capofazione.

Accidenti, Eric mi ucciderà..

Penso, e non so se ridere o tremare di paura.

Non sarà affatto contento e, per di più, vorrà una spiegazione. Non so di preciso da quando il nostro rapporto è diventato così ossessivo, ma non saprei dire se mi dispiace davvero il suo eccessivo attaccamento a me.

-Mi dici che accidenti hai combinato?-

Sono seduta su una sedia e sollevo lo sguardo oltre il mio braccio, appoggiato sulla superficie liscia del tavolo, per guardare oltre la scrivania.

Mi accorgo con indifferenza di Amber che mi fissa con insistenza, mette via il disinfettante e le bende, per poi mettersi le mani sui fianchi. Non credo che mi lascerà in pace tanto facilmente.

Mi guardo introno, siamo nel suo piccolo e nuovo studio. A quanto pare, alla principale e insostituibile addetta alle simulazioni, nonché scopritrice del sistema a spettro gemello che unisce le cellule celebrali ai trasmettitori a distanza, serviva un bel posticino tutto su in cui lavorare.

-Vuoi ancora diventare una ricercatrice?- Le chiedo, stupendomi del gelo che c’è nelle mie parole.

Le mi guarda e sospira. -Lo volevi anche tu, ed è questo che avresti avuto se fossi rimasta!-

Scoppio a ridere ma mi accorgo da sola che è una risata priva di gioia, è più che altro una liberazione.

-Sai, qui c’è qualcuno che si preoccupa per te!-  mi rimprovera.

La osservo senza tradire alcuna emozione e sollevo un sopracciglio.

-Pensi che non sia così?-

-Dovreste pensare alle persone che state per uccidere…-

Allarga la bocca per il disgusto e alza le braccia in segno di resa. -Non ho parole, pensi davvero che io sia un mostro?-

Non le rispondo, continuo a fissarla con indifferenza.

-Non lo capisci, vero? Sei egoista come al solito!- è sconvolta dalla rabbia, ma mantiene la sua fredda compostezza.

Credo abbia imparato da nostro padre, temo sia un difetto di famiglia che ho ereditato anch’io.

-Mi mancavano i tuoi rimproveri e i tuoi complimenti…-

-Piantala, Aria!-

A quanto pare Amber è l’unica Erudita che accetta di non chiamarmi più Ariana.

-Non lo capisci che questa situazione è terribile anche per noi?- Fa una pausa e abbassa lo sguardo. -Non abbiamo altra scelta…-

-Non crederete davvero che per salvare il sistema delle fazioni si debba uccidere qualcuno?- Ma, nell’istante in cui l’accuso, capisco quale sia la verità. -Avete paura di Jeanine?-

Amber mi guarda e la sua sicurezza vacilla mentre l’azzurro dei suoi occhi vibra.

Sono sconvolta, mi raddrizzo sulla sedia in cui sono seduta e la guardo. -Vi minaccia?-

-Avrà presto il controllo della città e non fa che parlare di una minaccia terribile, dicendo che dobbiamo evitare il crollo del sistema. Dice che i Divergenti saranno i responsabili, e sta prendendo sempre più potere, in più ha i tuoi capifazione come alleati. Cosa pensi che possiamo fare, noi?-

Mi guarda come se cercasse la mia approvazione, colgo la sua preoccupazione ma non mi intenerisco.

-Magari potreste tiare fuori il coraggio e dirle chiaramente che è pazza!-

Amber mi guarda e fa il suo sorrisino di circostanza, lo stesso che si fa ad un bambino quando dice una sciocchezza. Mi sembra di aver davanti Jeanine e fremo di rabbia.

-Il coraggio è una virtù degli Intrepidi, non di noi Eruditi.- Mi ricorda dolcemente Amber, quando mi guarda con un sorriso che adesso sembra sincero.

La osservo mentre mi irrigidisco. -Vi minaccia?- Insito.

Mia sorella alza gli occhi al cielo e si siede di fronte a me. -Jeanine conosce tutti i nostri punti deboli, Aria…-

Non dico nulla eppure, quando mi sorride ancora, un brivido mi percorre la schiena per quello che mi dice.

-Cerca solo di stare attenta…-

 

Sto galleggiando nel cielo in un silenzio rilassante. Mi sento libera e leggera, posso toccare le nuvole e sentirne la morbidezza sui polpastrelli.

Sospesa in una dimensione pacifica e senza incubi, capisco di essere in dormi veglia, e un sonno senza tormenti è come una manna dal cielo. So di essere distesa sull’erba fresca, con l’umidità che mi entra nelle ossa, sotto il cielo serale e all’aria aperta, ma non me ne accorgo. Un lieve calore mi inebria i sensi e sconfigge il freddo, mi sento coccolata e in pace con il mondo.

Capisco che stavo davvero per addormentarmi quando qualcosa si insinua sotto la mia nuca e mi sveglio con un sussulto. Qualcosa sta strisciando anche sotto le mie gambe ma, quando mi volto di scatto ad occhi sbarrati, quello che vedo mi tranquillizza.

Eric è chino su di me, le sue braccia sono allungate sotto il mio corpo e mi guarda con sospetto.

Gli sorrido timidamente, arrossendo per la consapevolezza di come mi ha trovata. Ero stesa a terra con le braccia aperte, e lui, almeno credo, stava cercando di prendermi in braccio.

-Ti verrà un’ accidenti qui fuori!- Mi rimprovera con una smorfia severa. -Questo non è il posto migliore per dormire!-

Non mi lascio intimidire e gli sorriso ancora, maliziosa. -Sai com’è, ad aspettarti…-

La sua espressione si ammorbidisce. -Volevo portarti al tuo dormitorio.-

-Prima ti preoccupi che ci vedano insieme, e poi volevi portarmi in braccio nel mio letto?-

Mi guarda storto, per niente divertito. -Penso che a notte fonda ci sia poca gente in giro!-

Scuoto la testa, inutile discutere con lui, tanto più se è di cattivo umore. Ed è questo che non capisco, come fa a fare qualcosa di dolce come cercare di prendermi in braccio senza svegliarmi, e poi essere così scontroso?

-Stai congelando!- Mi rimprovera ancora, guardandomi dall’alto con disprezzo.

Lo osservo in silenzio, con le mie guance che minacciano di infuocarsi, quando lo vedo togliersi con disinvoltura la giacca per rimanere con addosso solo un maglioncino di cotone aderente che gli evidenzia tutta la linea degli addominali, dai pettorali fino in basso. Fisso la sua muscolatura pressante e mi si secca la gola tanto è la voglia di toccarlo.

Non dovrei essere in imbarazzo, ci siamo visti nudi e siamo andati a letto insieme, ma in questi giorni la lontananza fra di noi, e non mi riferisco a quella fisica, è stata talmente tanta da farmi dimenticare cosa sia un po’ di intimità con lui.

Mi mette la sua giacca calda attorno alle spalle ed io mi sento subito rincuorata, accorgendomi che stavo davvero tremando di freddo.

Alzo gli occhi e lui mi sta guardando impassibile, poi scuote la testa e si lascia cadere sulle ginocchia sulla pendenza  in salita dell’aiuola, verso di me. I suoi occhi mi scaldano più della sua giacca e mi perdo dentro di lui in un istante.

-Grazie!- dico con il cuore colmo di gioia, mentre mi sistemo meglio la giacca sulle spalle.

L’errore che commetto è quello di portarmi una ciocca di capelli dietro l’orecchio con la mano destra.

-Che hai fatto?-

Sussulto quando sento il tono accusatorio che usa, che non è nulla paragonato alla ferocia intrappolata nei suoi lineamenti mentre fissa in cagnesco la fasciatura.

Mi stringo nella spalle. -Niente di che!-

Eric rimane in silenzio, contrae il viso e mi osserva con cautela. -Non vuoi dirmelo?-

Sto in silenzio.

La sua espressione muta, contrae gli occhi come se stesse riflettendo su qualcosa e la sua bocca si apre per poi richiudersi. Quello che mi stupisce, è l’accenno di un sorriso sulle sue labbra.

-Hai dato un pugno a qualcosa.- Esclama, e capisco che non è una domanda.

Mi mordo il labbro. -Sì…-

Sta volta il suo sorriso si allarga e nei suoi occhi colgo una scintilla.

Non capisco. -Sei felice?-

-Che reagisci?- Mi guarda come se fossi una stupida, leggermente arrabbiato. -Certo!-

Mi incupisco e mi stringo nella sua giacca. Eric ha capito che, per la frustrazione, ho colpito qualcosa ed è soddisfatto. Ma non dovrebbe essere così, non dovrebbe considerarmi una persona in difficoltà che ha bisogno di riprendersi sfogandosi con i pugni.

Mi sento umiliata e ferita, forse se smettesse di preoccuparsi per me riuscirei a risollevarmi, e invece non si accorge di schiacciarmi con tutta la sua apprensione. È sempre lì che mi guarda come se si aspettasse di vedermi andare in pazzi da un momento all’altro.

-Cosa c’è, adesso?- mi chiede, e sento la nota furente nella sua voce.

Sta per arrabbiarsi sul serio, lo sento, è solo questione di tempo.

-Voglio solo che tu la smetta di guardarmi così!-

-Così come?-

-Come se…- Non trovo le parole. -Non mi guardavi così una volta.-

Il suo viso si gela. -Non eri così una volta.-

Mi sento morire. Posso immaginare il pugno conficcato nel mio stomaco, e sentirne quasi il dolore anche se non c’è mai stato.

Trattengo le lacrime e lo guardo, mentre la terra sotto di me trema. È stato schietto e letale e, se in parte ne sono contenta, non posso frenare l’orrore che ho dentro e che tenta di distruggermi.

-Sono sempre io…- sussurro.

-Non è vero!-

La sua mascella si serra ed io ho solo bisogno di piangere, ma non lo farò. Mi sembra di essere finita altrove, lontana da Eric.

No

Piagnucola la mia vocina. Non voglio perderlo.

-Non è vero!- Lo guardo, piena di rancore.

Mi tremano le mani, non posso perdere Eric né me stessa. Mi sto aggrappando con tutte le forze a un’ uscita perché non voglio rimanere ancora chiusa in una bolla.

Lui mi guarda e mi sembra avvilito, credo che voglia toccarmi oppure dirmi qualcosa ma poi serra la mascella ed è come se si allontanasse da me. -Credevo di aver visto in te una lottatrice, ma mi sbagliavo.-

Serro gli occhi, desidero ardentemente, con tutta me stessa, tornare alla mia iniziazione nonostante sia stata terribile. Rivoglio il mio maestro orgoglioso di me, che mi guardava fiero e fiducioso, ed io voglio solo tornare ad essere la sua allieva preferita.

Mi sento oppressa e sola come quando ero ancora a scuola, quando tutti i miei compagni Eruditi mi escludevano perché ero diversa. Ero diventata un mostro, picchiavo chiunque mi guardasse storto e attaccavo briga con tutti, per sfogarmi.

Adesso capisco che era il mio modo per ribellarmi e per combattere il dolore che avevo dentro.

Sento la voglia di distruggere tutto ribollirmi nel sangue e infiammarmi la gola.

-Sei diventata debole.- mi sussurra, sputando ogni singola parola.

Mi sta facendo impazzire.

Gli lancio un avvertimento nel tentativo di risultare minacciosa. -Eric!-

-Reagisci!-

-Come?- urlo.

Mi si avventa contro e mi afferra dalle spalle. -Reagisci e smetti di essere debole.-

È troppo, mi libero dalle sue mani con tanta forza che gli faccio perdere l’equilibrio e poi, mentre la mia mente si annebbia del tutto e il mio cuore va a mille, l’adrenalina che mi scorre il circolo spinge la mia mano contro la guancia di Eric in uno schiaffo deciso.

Lo schiocco del mio palmo sulla sua pelle spezza il silenzio, sono così arrabbiata che mi trema il labbro. Ho ancora la mano a mezz’aria e il mio corpo è scosso dalla furia ma, mentre guardo il volto di Eric rabbuiarsi, capisco la gravità di quello che ho fatto e impallidisco.

Ho appena dato uno schiaffo ad Eric, il minaccioso ragazzo dall’arrabbiatura facile per cui ho perso la testa, nonché mio capofazione.

Lo guardo con il fiato corto mentre lo vedo analizzare quello che è appena successo a testa bassa. Poi, con un’ ombra scura nello sguardo, si porta una mano sulla guancia colpita e rimane fermo per alcuni interminabili secondi.

Non dice nulla e non mostra alcuna emozione, si alza lentamente in piedi ma i suoi occhi non incontrano i miei. Intimorita, mi alzo a mia volta, osservandolo con sospetto.

Quello che succede dopo mi toglie del tutto il fiato.

In un battito di ciglia le mani di Eric sono sul mio corpo, mi stringono i fianchi e mi agganciano in un abbraccio di fuoco mentre le sue labbra cercano disperatamente le mie e, quando le trovano, mi bacia con una passione travolgente.

Non capisco, sono sconvolta, eppure non posso fare altro che sbattere le palpebre e intrecciare le dita dietro la sua nuca, mentre mi inarco contro di lui in un disperato bisogno di contatto. Il mio cuore è in fibrillazione e voglio che il bacio non finisca.

Le mani di Eric percorrono la mia schiena in salita e si insinuano nei miei capelli, mentre le mie dita scendono sul suo petto solito. Vorrei abbandonarmi a lui, togliergli i vestiti che indossa e stringerlo sapendo che anche per lui è così. Di fatti, quando si stacca da me, ha il fiato corto e mi guarda con gli occhi pieni di desiderio.

Il grigio delle sue iridi è una pozza in cui vorrei immergermi, ma la sua espressione è decisa e mi fa capire che il nostro momento infiammato è finito.

Non capisco davvero cosa stia accadendo, dovrebbe essere arrabbiato, invece mi sorride. Mi sistema dolcemente la sua giacca sulle spalle e mi prende per mano, trascinandomi in silenzio fuori dall’erba. Ignora le mie occhiate dubbiose e continua a camminare con una strana espressione seria sul bel volto ribelle, fino a quando non arriviamo davanti al palazzo centrale.

Eric mi deposita un casto bacio sulla fronte e, dopo essersi ripreso il suo giubbotto, mi fa segno di entrare.

Io sono ancora talmente sconvolta che non riesco a parlare, lo guardo in cerca di chiarimenti che non arrivano ma, prima che possa cambiare idea e punirmi per lo schiaffo che gli ho dato, gli lascio la mano e salgo svelta i grandini.

Per un attimo mi volto a guardarlo e capisco, solo adesso per davvero, che il nostro rapporto è un sottile equilibrio fra passione e bisogno. Sappiamo desiderarci ardentemente e completarci come le due metà di una sfera, ma non possiamo essere in equilibrio se ci perdiamo.

Eppure, la sottile corda che ci tiene appesi sul baratro in cui finiremo per distruggerci a vicenda e separarci per sempre, è ad un passo dal cedere.

Basterebbe un battito d’ali per spazzarla.

Io sono senza fiato, ma Eric mi sorride, si volta e se ne va.

 

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** Mai così ***


7. Mai così

 

 

 

 

 

 

Non l’ho mai vista in questo stato.

Credo che abbia deciso di togliersi definitivamente la maschera, ma non so se sia perché è pronta a mostrare a tutti la sua vera identità, o solo perché ha perso vergognosamente il controllo ed è fuori di sé.

Un ghigno mi piega le labbra quando penso che probabilmente si tratta della seconda ipotesi.

-Come è potuto accadere?- Sibila Jeanine, rivolta a Max.

La guardo appena, non ho tutta questa voglia di soffermarmi su di lei.

Sono concentrato, estremamente concentrato, su quell’imbecille di Robert appoggiato vicino alla porta d’ingresso dello studio, proprio di fronte a me. Ma lui non mi sta guardando, peccato, se lo facesse smetterebbe all’istante di fare quello che sta facendo.

Sia dia il caso che l’idiota non si accorga di come lo sto fulminando con lo sguardo, perché è troppo impegnato a guardare la ragazza seduta su un piano di lavoro poco distante da lui.

Non ha tutti i torti, chi non si perderebbe a guardarla, appetibile per com’è? Indossa dai pantaloni aderenti, fin troppo noto con un certo amaro in bocca, e le sue cosce sode sono accavallate l’una sull’altra. La giacca di pelle segue le sue forme come una seconda pelle, stringendole i fianchi e aprendosi ai lati del seno facendolo sembrare ancora più abbondante. Ha i capelli leggermente mossi che le cadono in onde sensuali ai lati del viso, creando una cornice perfetta per i suoi occhi blu con cui potrebbe stregare chiunque. Le labbra sono rosse già di prima mattina, gonfie e sicuramente calde, e il solo pensiero del loro sapore mi costringe a passarmi la lingua sul labbro inferiore.

Il desiderio mi invade all’improvviso, mentre penso che è insolito vederle i capelli vaporosi, dato che sono sempre stati lisci. Credo che sia perché li ha tenuti per troppo tempo legati, facendo prendere una piega diversa alle punte.

Sto per chiedermi da quanto non ma la porto a letto, quando Robert sorride mentre la guarda e  Aria se ne accorge.

Robert alza gli occhi al cielo per poi lanciarle uno sguardo d’intesa, lei sembra profondamente annoiata. Lo guarda con indifferenza e scuote la testa ma, quando abbassa lo sguardo, vedo che le sue labbra si piegano per un secondo all’insù.

Robert lo nota e un sorriso trionfante lo accende.

Vorrei sapere cosa li diverte tanto, magari potrei unirmi al loro incomprensibile scambio di informazioni, ma penso che mi divertirei di più a picchiare a sangue il figlio ruffiano di Finn. 

Non mi piace condividere quello che è mio, se Robert non leva gli occhi di dosso da Aria potrei cavarglieli dalle orbite.

A dire il vero, a lasciarmi infervorato, c’è anche il pensiero che sarebbe meglio che parlassi bene con Aria, prima che vada in giro a fare altri sorrisini da gatta morta a destra e a manca. Non so se gradirebbe che il nostro rapporto diventasse violento ma, se ha intenzione d’intendersela con un altro, dovrà affrontarmi.

-Non abbiamo alcuna certezza che siano davvero dai Pacifici, Jeanine.- Interviene Max, parlando con calma.

-E dove dovrebbero essere? Dispersi?- Alza le braccia e scuote la testa. -Il codice della recensione non è stato cambiato subito, e Quattro lo conosceva benissimo. Non mi stupirebbe che siano fuggiti nelle campagne…-

Guardo Jeanine e so che ha ragione, quel bastardo e la sua troietta sono sicuramente dai Pacifici, non c’è altra spiegazione.

-Con tutto quello che è successo, il codice della recinsione era il nostro ultimo pensiero!- insiste Max. -Sappiamo solo che, dopo aver fermato la simulazione, Quattro e il suo gruppo hanno preso un treno.-

-E secondo te dove sono andati, dato che nessuna telecamera li ha ripresi mentre scendevano?-

Max non dice nulla ma Finn, al suo fianco, guarda storto Jeanine, avendo colto la sua solita arroganza.

-Magari si muovono di continuo, per questo non riusciamo a trovarli.-

Le ultime parole di Max mi sembrano talmente assurde che deciso di intervenire. -Con loro c’erano anche i pochi superstiti degli Abneganti e, senza cibo né protezione, non credo che riuscirebbero a spostarsi tutti senza farsi scoprire…-

Jeanine alza una mano in aria in segno di approvazione verso di me. -Finalmente qualcuno che ragiona. C’erano anche donne e bambini, hanno bisogno di un posto in cui proteggersi.-

Max fa più cenni con la testa. -Manderemo presto un gruppo di uomini in ricognizione.-

-Che posizione hanno preso i Pacifici?- chiede Finn.

-Non si sono schierati.- Risponde Jeanine. -Avete fatto una stima delle vittime nella vostra fazione?-

Qualcosa cattura la mia attenzione, così vedo la testa di Aria scattare in alto.

La osservo mentre fissa Jeanine con una furia che non sapevo potesse gestire tutta in una volta, e sento una fitta al petto.

Conosco la scintilla che ha negli occhi in questo momento, è la stessa che aveva quando l’ho sfidata ad accettare di seguire il corso preferenziale al poligono, lo stesso sguardo che aveva durante gli allenamenti, la stessa luce che le brillava negli occhi quando saliva sul ring contro qualcuno apparentemente più forte di lei.

E poi, mentre i miei muscoli si rilassano per qualcosa che sembra felicità, ricordo che aveva quella stessa scintilla quando ero andato da lei al poligono e, senza aspettare il suo permesso, l’avevo baciata con rabbia. Non mi aveva scacciato, così ripenso al modo in cui si era lasciata andare fra le mie mani e a come mi aveva guardato quando avevo interrotto il bacio, mordendole il labbro.

Da quel giorno avevo smesso di andare a cercarla, e lei non ha mai abbassato la guardia, non ha mai dato segni di dubbi o cedimenti, mostrandomi solo il suo sguardo più freddo.

Sogghigno senza essere visto, la mia lottatrice testarda esiste ancora.

Poco dopo Aria abbassa di nuovo la testa, scuotendola, e vedo la sua espressione affranta. È  evidente che la lista dei morti all’ordine del giorno non fa per lei.

La cosa peggiore è che anche Robert la sta guardando, e mi chiedo cosa voglia da lei.

Non so perché Jeanine permetta a loro due di partecipare alle nostre riunioni segrete, in cui dovremmo essere solo noi cinque capifazione degli Intrepidi e lei, e questa faccenda mi infastidisce.

Aria non dovrebbe essere coinvolta in tutto questo schifo, e di Robert possiamo fare benissimo a meno. Eppure, la geniale rappresentante degli Eruditi, li ha voluti con noi e continua ad affidargli compiti importanti.

-Avevamo mandato un gruppo di uomini in ricognizione sul campo di battaglia il giorno dopo, e abbiamo contato le vittime della nostra fazione e anche degli Abneganti.- Spiega proprio Robert.

Aria sussulta.

-Molto bene!- Jeanine torna alla sua calma controllata. -Mi serva qualcuno che chieda a Richard se ci sono progressi con il nuovo siero, e ho bisogno che i vostri soldati vengano divisi in base alle loro qualità.-

-Per cosa?- Chiedo.

-Dobbiamo sapere quali sono gli uomini di cui fidarci di più per le faccende importanti.- Mi spiega con uno sguardo autoritario. -Ci servono gruppi per le ricognizioni, una squadra che resti sempre in difesa del nostro quartier generale e tutto il resto.-

Non ha tutti i torti, ma all’interno della nostra fazione siamo già tutti divisi in ruoli.

Peccato che, ovviamente, con la divisione che c’è stata, abbiamo bisogno di radunare le file e riassegnare i compiti.

-Ariana?- trilla Jeanine, in quello che per la prima volta mi sembra un dono deciso ma carezzevole. -Devi aiutare Robert a radunare i vostri compagni, e fatti accompagnare da tuo padre per sapere come procede il suo lavoro.-

Jeanine riabbassa lo sguardo e scrive qualcosa su di un foglio ma, quando lo solleva nuovamente, Aria non si è mossa.

In verità non l’ha proprio ascoltata, se ne sta appollaiata su di un tavolo con un gomito appoggiato al ginocchio che tiene accavallato sull’altra gamba, la mano alle labbra mentre si mordicchia tranquillamente le unghia.

-Ariana?- ripete Jeanine, offesa. -Non mi hai sentita?-

Ma lei non le risponde. Sposta la mano per ammirarsi le dita, sembra annoiata, proprio come se non avesse sentito nulla, eppure ha un atteggiamento superbo. Si riporta un ciuffo di capelli dietro l’orecchio e fa oscillate i piedi.

Jeanine si incendia, serra un pugno e le urla contro: -Ariana!-

Sorrido, so cosa sta facendo la mia piccola lottatrice.

Tanto per cominciare non risponde più al nome di Ariana e Jeanine dovrà farsene una ragione. E, cosa più importante, lei non è uno dei suoi cagnolini da laboratorio, ma un vero soldato Intrepido.

E, i soldati, prendono ordini solo dai loro superiori.

So che sta aspettando che sia uno dei suoi capifazione a darle l’ordine, ma non posso farlo io, penserebbero che ha fatto tutta questa sceneggiata per obbedire solo a me, e non è questo quello che vogliamo.

Mentre la guardo, sentendo l’orgoglio crescere in me come quando la osservavo vincere i suoi incontri durante l’iniziazione, capisco che sta rischiando troppo. Già di per sé mettersi contro Jeanine in questo momento non è la cosa giusta, per di più non so come reagiranno gli altri capi.

Ma, ovviamente, Robert la sta guardando e, con le braccia incrociate al petto e la schiena contro la parete, fa un sorrisino compiaciuto.

-Aria!-

Quando la voce di Finn rompe il silenzio nella stanza, Aria scatta in piedi con un piccolo balzo perfetto giù dal bancone su cui era seduta, rigida e composta con le braccia diritte lungo i fianchi.

-Sì, signore?- esordisce con obbedienza.

Finn la guarda e vedo distintamente che sta sogghignando, fa un cenno con la testa e si porta le mani dietro la schiena come quando impartisce ordini ai suoi collaboratori più fidati. -Vai dal ricercatore per fornirci un aggiornamento sul suo lavoro al nuovo siero, e aiuta Robert a radunare i nostri uomini!-

Il sorriso sulla bocca di Robert si amplia malignamente mentre incontra lo sguardo soddisfatto di suo padre.

-Certamente, signore!- Dice Aria.

La osservo rapito, mentre abbassa per un istante la testa in segno di rispetto verso un suo superiore e si volta facendo segno a Robert. Lui ricambia, si scosta dal muro e la segue ma, mentre le si avvicina, vedo l’occhiata che si lancia con suo padre.

Assottiglio lo sguardo, anche Finn e suo figlio avevano capito che Aria aspettava un ordine da uno dei suoi capi, perché non voleva obbedire alle richieste che Jeanine impartisce a tutti senza distinzione di fazione.

Si stava ribellando, e so che Max non avrebbe approvato, ma Finn sì.

Finn è quello che odia di più l’atteggiamento di Jeanine e che si diverte a dare lui stesso gli ordini ai suoi uomini, per mantenere il controllo e sentirsi importante ed insostituibile.

Ma perché lui e Robert sono tanto compiaciuti per quello che ha fatto Aria, solo perché apprezzano il gesto di ribellione? Forse dovrei essere riconoscente a Finn per aver impedito che ad Aria venisse data una strigliata per la sua arroganza, ma avrei preferito che non fosse stato proprio lui a reggerle il gioco.

Non mentre suo figlio si crogiola come un poppante che ha appena vinto un premio, seguendo Aria con una soddisfazione a stento trattenuta.

Vedo che guarda ancora Finn, e lui gli fa un cenno.

Mi ribolle il sangue nelle vene, inizio a vedere tutto annebbiato e so che non è un buon segno.

Aria è mia e, qualsiasi cosa stiano pensando qui due, faranno meglio a stare attenti. Ho permessero che le facessero del male una volta e non gli darò un’altra opportunità.

Jeanine è furiosa e fissa Finn con astio, ovviamente la sua mente geniale ha analizzato con attenzione tutto quello che è avvenuto e le ha fornito la verità.

Sposto lo sguardo sulla schiena di Aria e lo mantengo su di lei mentre appoggia la mano sull’interruttore per aprire la porta. Quando esce, colgo la sicurezza emanata dal suo corpo e mi sento sollevato.

È sempre stata forte e determinata, un eterno connubio tra estrema dolcezza e coraggio. È questo che mi ha fatto perdere la testa per lei, nonostante fosse solo una trasfazione.

So che ha avuto un periodo difficile, e pensavo davvero che non avrebbe più ritrovato la sua grinta e invece, al momento, sembra emanare fuoco.

Per me è sempre stata un fuoco vivo e ammaliante, ma mai così.

 

Scorgo la sua testa bionda ancora prima che i suoi occhi azzurri si assottiglino, fissandomi con fastidiosa insistenza.

Scuoto la testa, sogghignando, vorrei cambiare strada ma quell’odiosa ragazzina mi serve e così l’avvicino e mi paro davanti a lei.

-Dov’è Aria?-  Le chiedo senza tanti giri di parole.

Amber mi osserva con disprezzo, quasi lo stesso che c’è nel volto di suo padre ogni volta che mi vede, e fa un passo indietro, indignata.

-Che vuoi?- risponde.

Alzo gli occhi e serro la mascella, reprimendo l’impulso di prenderla a schiaffi.

Già è fastidioso per me doverle rivolgere la parola, ma al pensiero che questa arrogante Erudita si creda alla mia latezza, mi va il sangue alla testa. Oltretutto, la sua somiglianza con Aria mi disturba profondamente.

All’inizio sembravano identiche ad eccezione del colore degli occhi e dei capelli ma, per me che conosco il viso di Aria alla perfezione, le differenze saltano subito all’occhio.

Non vedo niente, in realtà, che l’accomuni alla mia Aria, da lontano posso anche sembrare due gocce d’acqua ma da vicino è tutta un’altra cosa.

-Ti ho chiesto dov’è tua sorella. La sto cercando!- Alzo le sopracciglia per incalzarla e aspetto.

Lei solleva il mento e mi guarda con scetticismo. -Davvero, è per cosa?-

Sta giocando con il fuoco. Benissimo.

Mi scappa una risata che dovrebbe intimorirla, ma lei continua a guardarmi, altezzosa.

-Non credo che tu voglia davvero sapere cosa facciamo io e la tua sorellina quando siamo soli…-

Colpita come un bersaglio, Amber spalanca gli occhi e deglutisce, chiaramente turbata. 

Si ricompone e mi lancia un’occhiataccia. -Divertiti quanto vuoi, è chiaro che non ci tieni davvero a lei…-

Piego la testa da una parte e mi prendo davvero del tempo per valutare l’ipotesi di staccarle la testa dal collo.

-Credi che mi serva la tua approvazione? Se hai tanto fiato da sprecare, dimmi dov’è e facciamola finita.-

Sogghigna e incrocia le braccia al petto. -Ti sei già accorto che non mangia, da quello che ho capito quando l’hai fatta sedere con te in mensa. Ma non mi pare che tu te ne sia più preoccupato, dopo…-

Serro un pugno e la trafiggo con un’occhiata furente, non tollero che si riprenda l’argomento sull’alimentazione inesistente di Aria, non voglio neanche pensarci.

Capisce di avermi colto sul vivo e il suo ghigno si amplifica. -Non mangia nemmeno adesso, ma c’è un’altra cosa che forse non sai e di cui non ti sei preoccupato.-

-Mi stai dando i nervi!- Le ringhio contro.

Lei mi ignora bellamente. -Non dorme da quando siete arrivati qui!-

Inarco un sopracciglio, che cos’è adesso questa storia?

Prima ancora che Amber parli, ripenso alle occhiaie scure che Aria ha da giorni e alle sue guance scarne, e mi chiedo se non sia stato solo a causa del suo rifiuto per il cibo, e se siano le conseguenze della mancanza di sonno.

-Non riesce a chiudere occhio e non vuole dormire da sola in quel dormitorio, dove non conosce nessuno.- Continua senza pietà vedendo il mio sbigottimento. -Se ne va in biblioteca e se ne sta lì fino al mattino, ma a te non importa.-

Avevo promesso ad Aria che mi sarei occupato della sua sistemazione, che il dormitorio sarebbe stato solo un accomodo provvisorio e invece non l’ho fatto. Un po’ perché non ho avuto tempo e un po’ perché non voglio smuovere troppo le acque.

Come potevo immaginare che stesse tanto male, che fosse arrivata al punto di scappare dal dormitorio ogni sera e di non dormire?

-E perché non dormirebbe?- Mi azzardo a chiedere, spinto dalla curiosità e dal fastidio.

Lei scuote la testa. -Dice di avere degli incubi, ma non mi ha detto molto altro.-

Incubi.

Non credo di dovermi stupire, ha sbalzi d’umore disarmanti ed ogni volta che la vedo non so mai se aspettarmi la mia lottatrice o il guscio vuoto che è diventata dopo l’attacco agli Abneganti.

Ma è davvero arrivata a questo punto? Prima il cibo ora il sonno.

Iniziava a tirare fuori le unghie, e invece adesso scopro che il suo malessere latente la sta divorando dall’interno e, chissà perché, mi convinco dell’idea che lei non stia facendo nulla per uscire dal limbo in cui è prigioniera.

-Dovevi occuparti di lei, no? Non sei il suo capofazione?- mi provoca la biondina.

La guardo storto, sono arrabbiato e lei dovrebbe togliersi dai piedi.

So che ha scandito il mio titolo perché per lei non rappresento altro per sua sorella, non vuole ammettere che sono molto di più o forse vuole farmi sentire in torto perché, secondo il suo parere, non sto facendo abbastanza.

Non mi interessano le sue accuse, non sono la balia di sua sorella e, se cercava di turbarmi, non ha davvero capito chi ha davanti. Non sono un ragazzino con una cotta, Aria è mia e di nessun altro e so io cosa fare con lei.

In realtà, non è vero, non lo so più.

-Sai, se magari dormisse con qualcuno, forse non avrebbe problemi.- Mi stuzzica ancora. -Non avete un sacco di cose da fere quando siete da soli?-

Battuta del cazzo! Ragazzina insolente del cazzo.

La afferro in un solo secondo dalle spalle e la spingo contro la parete, tenendola saldamente sollevata da terra. I miei occhi si puntano nei suoi e l’espressione furente che le mostro dovrebbero lasciarla senza fiato.

Sconvolta, scuote la testa e mi guarda, ma la sua paura ha vita breve. Mi osserva con un cipiglio cupo e non intende abbassare lo sguardo.

-Se provi a farmi del male,- Mi avverte. -Aria non ti perdonerà mai!-

Sento le mie labbra sollevarsi in un ghigno malefico, prima che la rabbia mi accechi ancora. -È per questo che hai iniziato a ricordarti di avere una sorella, per farti difendere? Ma, se ti stacco la testa dal collo e nascondo il tuo cadavere, come farà a ritenermi responsabile?-

I suo sguardo vacilla, si sta davvero chiedendo se sarei in grado di concretizzare la mia minaccia. Serra le labbra e si ostina a fissarmi con sfrontatezza, nonostante stia cercando di nascondere il suo timore davanti alla mia furia.

La lascio andare scansandola malamente e mi avvio a grandi passi lungo il corridoio, prima che le mie mani si muovano da sole attorno al suo collo.

Cosa credeva di ottenere da me?

Non tollererò mai più una sola parola da lei o da quel pallone gonfiato di suo padre,  e adesso non ho dubbi sul perché Aria non vedesse l’ ora di raggiungere gli Intrepidi.

Senza alcuna spiegazione logica, mentre mi allontano, anche il pensiero di Aria mi infastidisce e mi rende ancora più nervoso.

 

 

 

 

 

 

 

Continua…

 

 

Ciao a tutti, grazie mille a tutti coloro che leggono. Scusate il capitolo un po’ corto, ma mi rifarò più avanti.

Baci : )

 

 

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Capitolo 8
*** Contatto ***


8. Contatto

 

 

 

 

 

 

Mi si chiudono gli occhi da soli.

Se penso che l’ultima volta che ho dormito davvero ero ancora nel letto di Eric alla residenza degli Intrepidi, mi sale l’angoscia, ma anche la rabbia.

Cosa mi passa per la testa proprio non lo so, forse il mio intero copro si sta ribellando contro di me e mira alla mia pazzia, fatto sta che non dormo più. Scappo tutte le sere in biblioteca, mi accuccio sul divanetto comodo e chiudo gli occhi.

Li apro poco dopo, sconvolta dagli incubi, e non mi resta altro che attendere l’arrivo del giorno, fissando il soffitto.

Per ironia della sorte, di giorno muoio di sonno.

Se mi dimenticassi per un solo momento di camminare, probabilmente mi addormenterei, ma non ho un solo attimo per riposarmi.

Sono appoggiata con la schiena alla parete vicino ad una porta di accesso ad uno dei dormitori femminili, in cui sono stati sistemati gli Intrepidi. Non è il mio, in questo ci sono ragazze più grandi è la situazione è testa.

Sto iniziando ad ammirare Robert perché, per quando mi scocci ammetterlo, sa proprio come gestire ogni situazione. È serio, determinato, sa controllarsi e farsi rispettare. Ha il fisico un po’ troppo asciutto, eppure drizza le spalle in modo autoritario, e in un attimo tutti rivedono in lui suo padre Finn e gli obbediscono.

-La situazione è difficile per tutti.- spiega con assoluta calma e, mentre parla, sembra che guardi negli occhi tutti i presenti.

Ha un tono limpido e preciso, non è per niente intimorito, nonostante nella stanza ci siano anche alcuni giovani uomini. Probabilmente sono venuti a riunirsi con le loro compagne, amiche o parenti.

Quando siamo arrivati per avvisarli della riunione indetta dai capifazione, omettendo il fatto che in realtà è stata una decisione di Jeanine, gli animi si sono accessi.

Qui nessuno sa niente, tutti chiedono informazioni, perché davvero non si capisce più cosa stia succedendo. In particolare, qualche rivoluzionario, ha messo zizzania chiedendo come mai non ci decidiamo ad attaccare il gruppo di Intrepidi che si sono staccati da noi.

Anche in questo dormitorio, qualcuno ha fatto la stessa domanda, pretendo da Robert una risposta.

-Certo, siamo in un momento difficile, ma almeno a voi vieni data qualche informazione!-  si lamenta un ragazzo dai capelli scuri, seduto su una branda vicino ad una ragazzina di circa quattordici anni.

Hanno lo stesso naso, quindi penso che sia sua sorella minore.

-Nemmeno a noi sono state date tutte le informazioni, ci limitiamo ad eseguire gli ordini.- Spiega Robert con la stessa calma fredda di prima, ma vedo il suo sorriso amaro, causato dalla verità nelle sue parole.

È vero, non sappiamo quasi nulla, Jeanine muove i fili e i nostri capifazione pianificano in gran segreto.

Sospiro e colgo, per l’ennesima volta, l’occhiata attenta della ragazza dai capelli rossi seduta sulla branda alla mia destra. Mi fissa regolarmente da quando sono entrata ed io, vedendola, ho deciso di ignorarla.

Ovviamente mi infastidisce la sua presenza, e mi irrigidisco ogni volta che i nostri occhi si incontrano.

Se fossi stata nella situazione mentale di cui ero vittima solo ieri, forse sarei rimasta sopraffatta dalla sfortunata coincidenza di trovarmi faccia a faccia con Leah, la precedente fiamma di Eric, ma oggi mi sento carica come un’ arma pronta a sparare. Devo controllare l’adrenalina, qualsiasi cosa che vedo mi infastidisce e sono pronta a scattare alla minima provocazione.

In realtà, ero così quando vivevo ancora fra gli Eruditi e, dato il mio precoce ritorno a casa, non mi stupisco del mio umore nero.

Robert dice che va bene così, che sembro una vera Intrepida addetta al comando, quando l’ultima volta che abbiamo lavorato insieme sembravo “un’iniziata sperduta”, come ha detto lui stesso. Adesso sono salita di categoria, ora mi chiama novellina.

Scuoto la testa, mentre Leah abbassa lo sguardo per concedersi un’ occhiata più attenta al mio corpo.

Sta cercando di capire cosa ci trovi Eric in te…

Suggerisce la mia vocina, crudele.

Sbuffo, che vada al diavolo lei e la fiamma passata di Eric, ma il termine vecchia fiamma mi fa pensare a Sasha. Non so dove sia, non so se sta bene, ma fino ad oggi ho fatto di tutto per non pensarci per paura di crollare ancora. Non posso preoccuparmi anche per lei, se le fosse successo qualcosa non potrei mai accettarlo.

-Cosa dovremo venire a fare a questa riunione?- chiede un ragazzo biondo, alterato.

Robert non ne può più di spiegazioni, ha passato tutta la mattina a trattare con Intrepidi fuori di testa, e anche il suo impeccabile autocontrollo sta raggiungendo il limite.

Lo vedo massaggiarsi l’attaccatura del naso con le dita, mentre serra gli occhi, avvilito e deciso a mettere fine a questa assurda perdita di tempo. Abbiamo ancora altri tre dormitori da visitare e un gruppo di altri soldati sparsi per la residenza da avvisare.

Abbiamo già detto tutto a queste persone, il nostro compito si conclude qui.

-La riunione si terrà nella sala congressi degli Eruditi, qui al loro quartier generale. È per questa sera, dopo cena.- Dico seccamente. -Conservatevi le vostre domande e cercate di farvi dare risposte soddisfacenti dai nostri capi!-

Mi scosto dalla parete, guardo Robert per accettarmi che sia pronto per andarsene e lui mi fa un mezzo sorriso, facendo un cenno con la testa. Meglio dargli tregua e andarcene, questi quattro idioti lo hanno torturato abbastanza.

-Perché dobbiamo farci dare ordini da questa ragazzina, solo perché Eric se la scopa, conta più di noi?-

Ero già di spalle e pronta ad andarmene ma, quello che sento, mi fa gelare il sangue nelle vene.

Dovrei essere sconvolta e preoccupata, Eric non vuole che si sappia così apertamente di noi, ed erano queste le situazione che voleva evitare fin dalla mia iniziazione.

Lui è uno dei capi, chiunque stia con lui potrebbe ricevere favoritismi, che per me significa essere sempre messa in dubbio e additata come una delle tante raccomandate del momento.

Mi vergogno da morire, non voglio che nessuno pensi di me cose del genere, ma il mio copro mi sorprende e, invece di spegnersi, si accende.

Mi prudono le mani, ardo di rabbia.

-Perché non chiudi il becco, Mary?- Interviene Robert, furioso.

Non so perché mi rispetta, ma lui mi tratta davvero bene, a parte qualche battuta piccata. Si è nominato capo del nostro insolito duetto, ma lo accetto, lui è un vero Intrepido mentre io sono appena arrivata, e poi è stato gentile.

Ma non ho bisogno di lui adesso.

Forse dovrei incassare e andare via, lasciare che la donna che ha parlato se ne vada al diavolo, ma non sono diventata un’ Intrepida per farmi mettere di nuovo i piedi in testa da tutti, come quando ero a scuola.

Mi giro lentamente e osservo l’oca che ha parlato, è bassa, con i capelli castani striati di rosso scuro e ha un orecchio pieno di piercing. Non sembra affatto sveglia, mi guarda con disprezzo e ha le braccia tozze piene di muscoli, per il resto sembra un pallone gonfiato che è stato forato.

Sicuramente è lenta nei movimenti, goffa e non saprà nemmeno cosa sia un piano d’attacco.

-Mary!-

Una vocina sottile l’ammonisce e, con mio enorme disgusto, vedo che a parlare è stata Leah, che adesso la fissa con risentimento.

Se anche l’ex di Eric prende le mie difese, devo proprio apparire come un’idiota!

Sento il fuoco scorrermi nelle vene, lo sento pulsarmi nella testa e le mie dita scattano frenetiche serrandosi a pugni.

Sorrido, questo è il momento di comportarsi da Intrepida.

-Se non sai cosa dici, tieni chiusa la bocca!- la minaccia Robert.

-Scusa che hai detto?- chiedo io alla ragazza, subito dopo di lui.

Lui si gira e mi guarda, è preoccupato ma non dice nulla.

Qualcuno degli uomini fa un fischio di incitamento, nella mia nuova fazione basta un niente per far scoppiare una rissa e tutti ne sono eccitati, d'altronde è il loro pane quotidiano.

Sorrido ancora e faccio un passo avanti.

-Quindi tu pensi che io sia meno forte di te!- esclamo, allargando le braccia.

Mary sogghigna. -Certo, guardati! Non sei niente e credi di potere dare leggi a tutti!-

Mi accarezzo il mento con un dito fingendo di pensarci, ed in un attimo penso che la cattiveria mi rende spavalda ed arrogante, temo che siano emozioni collegate.

-Forse, per farti stare meglio, dovrei dimostrarti che riesco a spaccarti la faccia, così non ti sentirai offesa la prossima volta che ti dirò cosa fare!-

Fa una smorfia e mi guarda come se fossi pazza. -Non riuscirai mai a battermi e non sei più forte di me.-

-Lo sono!- dico, e mi fermo davanti a lei, dandole uno spintone con entrambe le mani.

Lei indietreggia e i suoi occhi si accendono d’ira.

Alle sue spalle, una ragazza si è alzata in piedi per godersi la scena.

-Non sei nessuno, sei solo una troia!- mi urla contro.

E io perdo la pazienza.

Mi avvento su di lei e mi abbasso subito per schivare un colpo, colpendola dritto allo stomaco con un pugno. Lei tossicchia e indietreggia, ma non ho intenzione di darle tregua.

Ha più muscoli di me e, l’unico vantaggio che ho su di lei, è la mia agilità e la mia cattiveria. Devo usare la tecnica che ho usato contro Molly durante l’iniziazione, devo sfinirla e toglierle subito la possibilità di colpirmi perché, se ci riuscisse, sarei spacciata.

Mary cerca di darmi un calcio ma io, rapida, le afferro la caviglia e la tiro verso di me, facendola scivolare per terra. Non mi è difficile inveire contro di lei mentre è stesa al suolo, sono ceca d’ira e in un attimo tutta la rabbia e tutto il dolore accumulati in questi giorni dentro di me esplodono e non posso fare altro che colpire.

Ne ho bisogno, devo farlo per sentirmi meglio.

Il contatto dello scontro mi rianima.

Incastro un calcio dopo l’altro nelle sue costole.

Lei scivola via veloce e si rimette in piedi, approfitto del suo barcollare goffo e l’afferrò da entrambe le spalle, ma la costringo a piegarsi in avanti con una ginocchiata mirata in pieno addome.

Impreca e mi aggredisce come una furia, ed io non posso nulla contro la sua forza bruta, i muscoli non sono il mio forte nel combattimento.

Mi afferra dalle braccia ma io sono più furba e, presa alla sprovvista, agisco, dandole una testata che le stampa una macchia rossa al centro della tasta.

Quando mi lascia, però, sono stravolta dal contraccolpo che ho preso a mi gira la testa, mi sembra di essere andata a sbattere contro un muro di cemento e le pareti attorno a me oscillano.

Cogliendo il mio momento di debolezza, Mary mi assesta un mal rovescio sulla guancia destra.

Il colpo mi fa vedere doppio, mi fischiano le orecchie e non so nemmeno più dove mi trovo.

Tutti attorno a noi si sono spostati creando un cerchio per lasciarci combattere. C’è chi grida, chi esulta e chi incoraggia la mia avversaria.

Vedo il sorriso trionfante di Mary e non riesco a muovermi mentre mi si avvicina, sono stravolta, mi gira la testa e il suo colpo al viso mi ha tramortito.

Ma poi incrocio lo sguardo di Leah e penso che per niente la mondo mi accascerò qui davanti a lei.

Mi hanno portato via il mio migliore amico, mi anno riportato degli Eruditi, mi hanno tolto tutto e nessuno mi ha ancora pagato il conto. E adesso dovrei sopportare che questa schifosa palla ignorante mi dia della troia e che insinui, davanti a tutti, che sono una privilegiata perché me la faccio con Eric?

Mai.

Aspetto in un falso stato di impotenza che la mia nemica si avvicini e, quando non se lo aspetta, le rifilo un altro pugno in pieno stomaco e così, quando si accascia in avanti, senza pietà le afferro i capelli e spigo la sua testa per terra. Lei cade e io la prendo a calci, la colpisco al volto e sento il sangue caldo che mi scorre dentro, sento l’euforia e la follia e mi sento viva.

Mi sento forte.

Colpisco il suo fianco con un calcio forte e le grido contro. -Chi è più forte?-

Lei geme e io insisto con un altro colpo alle costole.

-Dillo!-

Tossisce quando mi fermo e mormora qualcosa di incomprensibile.

Un altro calcio per lei.

-Tu!- grida, in preda al dolore.

Con il piede la faccio girare supina e le appoggio la suola della scarpa sul petto. -Mi hai forse offesa?-

Scuote la testa, ha il volto livido e un rivolo di sangue le cola dalla bocca. 

-Quindi, dato che sono più forte di te e non sono una troia, terrai la tua fottuta bocca chiusa la prossima volta che verrò a dirti cosa fare, perché qualcuno mi ha ordinato di farlo?-

Silenzio assoluto.

I suoi occhi marroni si spalancano e mi fa un cenno, ma non può concedersi altro con tutti i calci che le ho dato all’addome.

Faccio una smorfia e la scavalco, andando verso Robert che mi guarda senza manifestare alcun tipo di emozione. Intorno a noi nessuno fiata e sono consapevole dell’occhiate che mi rivolgono, ma non mi importa.

Esco con Robert che mi segue e ci spostiamo verso il corridoio secondario, salendo al piano di sopra. Ho il respiro affannato e mi fa male la testa, ma ho talmente tanta adrenalina in corpo che potrei mettermi a correre, sono furiosa, sono cattiva.

Stringo i pugni e prendo un respiro profondo.

-Alla faccia della novellina!- Canticchia Robert, e sento che ride.

Mi giro e lo fulmino con lo sguardo, ma lui non ne rimane intimorito.

-Piaci a mio padre.- Mi dice come se nulla fosse, ed io lo guardo chiedendomi se sia il caso o meno di portarlo da un bravo dottore, perché sospetto che sia impazzito.

-Non mi pareva…- Ammetto, ricordando la gentilezza che suo padre ha dimostrato nei miei confronti quanto ha scoperto di me ed Eric.

Robert capisce e fa uno strano sorriso. -So che dopo che ti ha ferita in quel modo non si direbbe, ma è così.-

-Perché?-

-Perché pensa che tu sia una dura, e poi ha un debole per le trasfazione Erudite…- fa un altro sorrisetto.

-Che stai dicendo?-

Robert smette di guardarmi e per un attimo penso che sia triste, ma poi scuote la testa e mi guarda negli occhi. -Mia madre veniva dagli Eruditi.-

Mi mordo il labbro inferiore ma non smetto di guardarlo.

Lui torna a sorridere e riprende a camminare, raggiungendomi. -Come te, aveva superato la sua iniziazione contro ogni aspettativa!-

Alzò gli occhi al cielo, mentre lo seguo lungo il corridoio. -Cosa avete voi tutti con le donne trasfazione?-

-E chi scommetterebbe mai su di voi? Partite in svantaggio! Non avete l’esperienza delle interne né la forza degli uomini, infatti sono pochissime quelle che passano.-

-Io ho fatto anche meglio di alcuni interni!- Preciso, guardandolo storto.

 -Certo, per questo piaci a mio padre. Sei in gamba!- Per un attimo sembra in imbarazzo.

-Ma?- chiedo.

Fa l’ennesimo dei suoi sorrisetti furbi. -Stai con Eric, il che è un difetto troppo grave. Mio padre lo detesta.-

-Chi lo avrebbe mai detto!- provo a rilassarmi.

-Comunque mi dispiace per quella volta…- mi dice a testa bassa.

Lo guardo di sottecchi ma non dico nulla.

-Non è stato corretto che mio padre se la prendesse con te. La penso come quel tuo compagno, Peter, avrebbe dovuto prendersela con Eric. Non è ammissibile che un capo disobbedisca alle regole.-

Trattengo il fiato, non so perché mi stia facendo questa rivelazione ma, pensare a quella spiacevole volta, non mi piace. Vorrei dirgli che, di fatto, Finn voleva proprio punire Eric, solo che sapeva benissimo che gli avrebbe fatto molto più male prendendosela con me.

-Comunque sia, con quella faccenda, ti sei guadagnata altri punti agli occhi di mio padre!- Mi sorride mettendosi le mani dietro al schiena come fa Finn, ed io distolgo lo sguardo perché sta volta sono io a sentirmi improvvisamente in imbarazzo.

-Perché?-

Ride e si ferma ad aprire una porta. -Con le frustate si piegano tutti, ma tu eri molto ostinata e coraggiosa!-

-Avrei dovuto mettermi a frignare?- lo sfido, offesa.

In realtà, dopo, mi sono messa davvero a piagnucolare sulla spalla di Eric, ma questo lui non dovrebbe saperlo.

Ride ancora, entra nella stanza blindata in cui sono state catalogate delle armi e sceglie una pistola che si infila nella cintura, tiene fisso lo sguardo su di me ed esce in silenzio.

La porta di richiude e, senza che abbia il tempo di accorgermene, Robert mi mette una mano sotto il mento e mi fa voltare il viso per osservarmi la guancia destra.

-Guarda che brutto livido sta per spuntarti qui…- sussurra più a sé stesso che a me.

Rimango paralizzata e, quando torno padrona di me stessa, faccio subito un passo indietro e mi sottraggo a lui.

Lo schiaffo di quella stupida di Mary inizia a farmi male, ma non ci penso, sto solo considerando il fatto che nessuno ha fermato la nostra lite e che Robert non mi sta rimproverando.

Sospiro, per gli Intrepidi una scazzottata non è nulla di male, era fra gli Eruditi che un solo schiaffo a qualcuno mi sarebbe costato giorni di punizione.

-Forse dovresti metterci del ghiaccio.- Esclama senza preavviso, osservandomi il viso, dubbioso.

-Sto bene!- sbotto, e lo guardo imbronciata.

Lui sorride e piega la testa da una parte. -Non ti facevo tanto temeraria…-

Questa situazione è del tutto assurda, mi sento messa all’angolo e non so cosa fare, l’adrenalina dello scontro è scemata troppo in fretta e mi ha lasciato svuotata e priva di energie. Mi sento sola e confusa.

-Sei sicura che non ti faccia male? Guarda cosa ti ha fatto quella stupida…- sussurra, e penso ancora che parli tra sé e sé più che con me.

Arrossisco e nello stesso tempo mi sento disgustata e vorrei solo andarmene, ma sento le gambe di gomma. Senza che me lo aspetti, allunga la mano verso di me e io, per lo stupore, mi blocco. Osservo la sua mano sollevarsi e mi trema il labbro.

Le sua dita intrappolano una ciocca dei miei capelli e me la rimettono dietro l’orecchio destro, sfiorando la mia guancia ferita.

Mi scosto immediatamente e lo guardo di traverso. Non voglio che mi tocchi, non voglio che mi si avvicini, dannazione!

Robert fa un sorriso affascinante e scuote la testa. -Cosa c’è, non vuoi che ti tocchi?-

Ride e mi afferra un polso, sollevandomi il braccio verso di lui, e penso che voglia stringermi la mano. Nello stesso momento in cui ritraggo il braccio, portandomelo al petto per tenerlo più lontano possibile da lui, Robert si gira spensieratamente a guardare qualcosa alle nostre spalle e impallidisce.

Spalanca gli occhi nocciola per un istante e poi li riduce a due fessure sottili, fa un’espressione seria e si allontana da me.

-Ci vediamo!- mi dice.

Sembra arrabbiato ma anche improvvisamente preoccupato da qualcosa, tiene la testa fra le spalle e se ne va seguendo il corridoio.

Io tiro un sospiro di sollievo, non ne potevo più di questa situazione. Scuoto la testa per l’assurdità di quello che è successo e mi avvio dalla parte opposta rispetto a quella in cui è andato Robert. Ho intenzione di andare a cercare Amber ma, quando alzo lo sguardo, il mio cuore manca di un battito e il respiro mi si ferma.

Mi paralizzo ad occhi sbarrati e capisco cosa ha fatto fuggire Robert, non sapendo se essere felice o spaventata.

Eric se ne sta immobile all’inizio del corridoio, con uno sguardo folle che gli spalanca le orbite, ha i muscoli delle spalle tesi che pressano sotto la sua ciacca.

Per un attimo non so che fare, ripenso a cosa può aver visto e a come possa aver interpretato il tutto, e rabbrividisco.

Eppure, per quanto vorrei che non fosse così, il mio corpo reagisce immediatamente alla sua presenza e sembra attratto da lui come da una forza magnetica.

Ho un assoluto bisogno di contatto.

Mi manca da morire, vorrei chiudere tutto fuori e rifugiarmi in un luogo protetto da sola con lui, voglio la sua rabbia, voglio le sua mani e la sua rude dolcezza.

Ma lui non mi guarda più nello stesso modo.

Mi faccio coraggio e avanzo, non ho nulla da temere.

-Eric!- gli dico con un sorriso.

Ho subito effetto su di lui, si rilassa e i suoi occhi non sono più furiosi, ma caldi su di me.

Mi mette due dita sotto al mento e mi solleva il viso, mentre io abbasso lo sguardo per non incrociare il suo, con cui osserva la mia guancia.

-Che hai fatto?- chiede rauco.

Mi sposto, le sue dita che mi sollevano il mento sono un tocco diverso rispetto a quello di Robert poco fa, ma mi sento bene.

-Ho preso a calci un’oca!- ammetto senza guardarlo.

Quando torno a fissarlo, sono sconvolta dal sorriso sinistro con cui mi fa ammutolire.

-E…?-

Mi stringo nelle spalle. -Forse è ancora a terra!-

Sollevo la testa e rimango senza fiato quando gli occhi grigi di Eric incontrano i mei e, con disperazione, riconosco finalmente quello sguardo. È lo sguardo pieno di orgoglio con cui il maestro osserva la sua allieva prediletta, lo stesso con cui seguiva i miei progressi durante l’ iniziazione.

Eric!...

Mi sento avvampare e quasi mi si inumidiscono gli occhi, sono estasiata, finalmente mi guarda di nuovo come prima. Anche se, a dire il vero, non dovrebbe essere contento perché picchio qualcuno.

L’istante dopo, giusto per ricordarmi che non sto vivendo una storia d’amore tutta rose e fiori, ma che ho a che fare con un uomo spietato con sbalzi d’umore continui, mi si avventa addosso e mi afferra i polsi, immobilizzandomeli contro la parete al mio fianco. Mi ritrovo schiena al muro, con lui davanti che mi blocca con il suo petto forte e mi incatena con uno sguardo furente.

Mi porta i polsi sopra la testa, tenendoli entrambi fermi con una mano sola. -Ti stavi divertendo con Robert?-

Mi intimidisce ma lo guardo ostinata, senza nascondere il fastidio. -No!-

-Perché ti ha messo le mani addosso?-

-Non lo so!- scandisco, fissandolo senza batter ciglio.

Fa un ghigno terrificante e si avvicina al mio orecchio fino ad alitarmi sul collo. -Stai attenta a quello che fai…-

È una minaccia.

È stupido.

Lo guardo e sono sconvolta e furiosa al tempo stesso, come può pensare che io pensi a qualcun altro che non sia lui? Non so cosa darei per avere un po’ di tempo per stare con lui, desidero così tanto potermi addormentare sul suo petto che la mancanza del suo calore mi soffoca.

E lui pensa a Robert e alle sue mani!

-Sei mia!- ringhia in un sorriso terrificante.

Mi coglie in flagrante mentre fisso desiderosa le sua labbra, mi fa di no con la testa e si avventa con crudeltà sul mio orecchio sinistro, mordendolo senza pietà.

Provo a dimenarmi, ma mi blocca con il suo copro e mi tiene ancora le mani ferme sopra la testa. Soffoco un piccolo urlo e lo incenerisco con lo sguardo quando mi lascia andare le braccia.

Mi tasto l’orecchio ferito, temendo che me lo abbia staccato, invece è ancora lì al suo posto.

Eric sogghigna e si passa la lingua sul labbro inferiore. -Ho una cosa per te…-

Per quanto strano sia, ora che lo guardo meglio, Eric porta con sé due giubbotti. Uno lo indossa, mentre l’altro lo ha legato con le maniche attorno al collo, se ne libera e me lo sventola davanti.  All’inizio non capisco cosa dovrei farmene, ma poi colgo la fascia azzurra cucita sulla manica destra della giacca che indossa e tutto mi è chiaro.

Prendo con riluttanza la giacca nera che mi passa e osservo la stessa fascia di tessuto blu, con disgusto.

-Mettitela!- Mi ordina, forse percependo la mia riluttanza.

Quando se ne va, mi sento assalita dalla nausea.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

 

 

Leggermente in ritardo, vero? Chiedo scusa, ma alla fine sono riuscita ed aggiornare!

Cosa ne pensate?

 

Baci, grazie a tutti!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 9
*** Freddo e vuoto ***


9. Freddo e vuoto

 

 

 

 

Dovrebbe essere terribile, e lo è, ma io non riesco a provare nulla.

Le lacrime cadono ai lati delle sue tempie lasciando una scia trasparente, ha le labbra ormai secche e graffiate, la pelle tanto bianca che sembra fatta di cera.

Forse sarebbe diventata una donna attraente, ma nessuno potrà mai dirlo, dato che non la lasceranno uscire viva da questa stanza.

Jeanine mi ha chiamato per un passaggio delle consegne, sembra non preoccuparsi del suo lavoro che abbiamo interrotto, lasciandomi chiaramente intendere che aveva davvero bisogno di me. Forse per una volta non sto sprecando il mio tempo, ho i muscoli doloranti per l’immobilità di questi giorni snervanti e non vedo l’ora di tornare all’azione.

-Resiste alle nostre simulazioni, anche se il siero è stato potenziato. E, se resiste lei che ha solo una lieve divergenza non del tutto sviluppata, dato che non ha ancora sedici anni, per tutti gli altri sarà un gioco da ragazzi liberarsi delle nostre allucinazioni…-

Jeanine liquida con un gesto della mano la sua assistente e le passa la cartellina elettronica che stava studiando, poi osserva la ragazzina distesa sul tavolo asettico e sospira con rammarico. Ultimamente sembra invecchiata di colpo, ha ciuffi di capelli biondi che sfuggono alla sua acconciatura, gli occhi stanchi ed è sempre nervosa ed irritabile.

Tutto il peso che ci stiamo portando dentro inizia a gravarci addosso ma, per quanto ognuno di noi stia facendo del suo meglio, le soluzioni sembrano limitate e irraggiungibili.

Al mio fianco, Jason osserva con una smorfia il tavolo operatorio occupato e le pareti bianche e luminose della stanza degli esperimenti. Dietro una grande scrivania colma di cavi ed elettrodi, sono radunate le menti più brillanti al servizio di Jeanine, di cui due donne di mezz’età e un uomo che conosco piuttosto bene.

La ragazzina sul tavolo emette un gemito fra le lacrime e si morde le labbra, per un istante lotta contro le corde che la imprigionano e singhiozza.

-Mettete fine alle sue sofferenze, sono stanca di lei!- sentenzia Jeanine e, in un batter d’occhio, una delle due donne assistenti prepara una siringa con un liquido scuro dentro e si avvicina alla ragazzina.

Probabilmente non dovrei farlo, ma non riesco a smettere di guardare la giovane Divergente legata al lettino bianco al centro della sala. Sembra disperata, sa che sta per morire, piange, eppure non dice niente. I suoi occhi sono piccoli e scuri, ha dei lineamenti davvero armoniosi e piacenti, ma la cosa che continuo ad osservare sono i suoi lucenti capelli neri. Sono corti ed arruffati, ed io li osservo senza riuscire a smettere di farlo.

La ragazzina alza gli occhi sulla donna che la sta raggiungendo con la siringa in bella vista e riprende a piangere. Scuote la testa e muove le labbra per dire di no, senza emettere alcun suono, serra i pugni e alle fine appoggia completamente la testa al tavolo da laboratorio e chiude gli occhi.

L’ago entra nella vena del suo braccio e lei non si muove, ha gli occhi serrati e si sta mordendo il labbro, le lacrime cadono dai suoi occhi ma sta lottando contro l’impulso di scappare. Ne sono certo, sa che sarebbe inutile e che le sue energie sono ormai limitate. Penso sia evidente che stia affrontato la sua fine con coraggio, è riuscita a controllare il respiro e sembra persa fra i suoi pensieri quando i suoi pugni serrati si allentano e la testa le scivola da un lato, mentre emette l’ultimo respiro.

Il veleno del siero della morte ha fatto il suo rapito effetto, privando quella ragazzina della sua giovane vita e, mentre la fisso assottigliando lo sguardo, mi aspetto quasi che si riprenda e ricominci a lottare. Ed invece so benissimo che non sarà così.

-Peccato, sarebbe stata un’ottima Erudita, se solo non avesse avuto altre inclinazioni…- Sospira Jeanine, avvicinandosi a me.

Io non la guardo, non ancora, rimango ad osservare il corpo privo di vita della ragazzina, per riscoprirmi ancora rapito dai suoi capelli neri e dal suo viso angelico.

Richard Grey abbandona la sua postazione dietro la scrivania e si avvicina al lettino, si ferma accanto al copro e lo osserva, serrando le labbra mentre la libera dai ganci metallici che le impedivano di scappare.

D'altronde, da sola non andrà più da nessuna parte.

Sul volto di quel bastardo di Richard compare un’ espressione severa, la sua bocca forma una linea retta mentre il suo sguardo è pieno di rabbia, e so a chi ho già visto fare quell’espressione. Mi ricordo una giovane e bella trasfazione che saliva sul ring con la consapevolezza di aver già perso ma che, mordendosi il labbro e mascherandosi dietro uno sguardo determinato, riusciva sempre a farcela.

Con quel ricordo, guardo ancora i capelli neri della Divergente morta sul lettino e so benissimo quale fosse l’altra sua inclinazione che l’ha tradita, senza che me lo dica Jeanine. Sicuramente, dai test condotti sulla sfortunata, è emersa la sua predisposizione per gli Eruditi tanto quanto per gli Intrepidi.

Ho visto il coraggio con cui aspettava la sua condanna, la determinazione e la sua forza mentre piangeva in silenzio e so perfettamente che aveva un animo da Intrepida. E, mentre Richard le libera le caviglie e scuote la testa per soffocare il fastidio che prova, so per certo a chi sta pensando.

Conosciamo benissimo un’ altra bella ragazza dai capelli neri, intelligente ma con un carattere di ferro.

Distolgo immediatamente lo sguardo perché quel funesto pensiero mi riempie di rabbia, ma non provo nulla, assolutamente niente. Sono solo stanco e profondamente seccato.

Jason, ancora accanto a me, abbassa la testa e sembra preferire non guardare.

Nel silenzio che segue, scorgo la figura che mi si sta avvicinando con fare circospetto, mi fa segno di spostarmi e io la seguo in un angolo più appartato.

-Non stiamo ottenendo alcun progresso, continuiamo ad accumulare morti, quando il nostro obbiettivo dovrebbe essere quello di garantire prosperità alla nostra città.- Mi dice Jeanine a bassa voce, attenta e precisa.

-Il che significa?-

Siamo da soli io e lei, Jason è in disparte e i tecnici sono impegnati con i trasmettitori e con il cadavere.

-Significa che dobbiamo sbrigarci ad eliminare tutti i Divergenti e a riportare al più presto la pace fra le fazioni.- Afferma decisa, fa un profondo respiro e mi osserva come se stesse cercando di leggermi dentro. -In città deve tornare l’equilibrio.-

-Hai qualcosa in mente?-

-Mentre aspettiamo che il nuovo siero sia pronto, dovremo iniziare ad occuparci dei Divergenti nascosti fra gli Esclusi. Tra di loro c’è ne sono tantissimi e sono tutti a piede libero.- Dice, si aggiusta il colletto della giacca blu notte e torna a prestare attenzione al tafferuglio dei suoi colleghi dietro l’enorme scrivania sovraccarica.

Rimango in silenzio.

-Non hai notato qualche movimento strano degli Esclusi, mentre osservavi i filmati di sorveglianza?-

Faccio una smorfia. -Non li ho proprio visti! Sembrano spariti dalla città!-

-Il che significa?- Alza il viso verso di me e mi lancia un’occhiata d’intesa, ripetendo le mie parole di poco prima.

Un brivido freddo si fa largo dentro di me, e rabbia e incredulità mi piombano addosso, stampandomi un ghigno sulla faccia.

-Si stanno nascondendo.- Concludo. -Ma per cosa?-

-Si preparano, Eric. Stanno tramando qualcosa.-

Jeanine sembra infastidita, ma lo nasconde apparendo composta come al solito. C’è qualcosa in lei che non riesco a comprendere, non so se mi stia trattando con i guanti solo perché teme che possa perdere la pazienza. Sa che il mio aiuto le è prezioso e deve aver seppellito i suoi modi da tiranno per non farmi infuriare del tutto, con il rischio che la mandi al diavolo.

Eppure, mentre mi riserva il suo sorrisino freddo, mi domando se per caso non mi stia solo raggirando, rabbonendomi.

-Cerca informazioni e scopri i covi segreti degli Esclusi, presto gli faremo visita.- Mi dice Jeanine e, senza neanche accertarsi che abbia capito o che sia disposto ad accettare la sua richiesta, si sposta e ritorna dai suoi colleghi dietro la scrivania.

Serro i pugni mentre faccio scricchiolare la mascella, indico a Jason di seguirmi ed usciamo quando, proprio oltre la soglia, troviamo un nostro compagno Intrepido e un uomo in camicie bianco che devono entrare nel laboratorio.

Io e Jason ci spostiamo per farli passare e non posso fare a meno di affrettare il passo, pensando che quei due devono essere andati lì per occuparsi del corpo della ragazzina dai capelli neri.

Mi infastidisce terribilmente che Jeanine mi abbia costretto ad assistere ad un’ esecuzione, non me ne importa un accidenti dei suoi Divergenti morti, ma non capisco perché non abbia trovato un altro momento per ricevermi.

Penso ancora ai capelli neri della ragazzina, al suo sguardo orgoglioso mentre le iniettavano il veleno e continuo a sentire una morsa di fastidio allo stomaco quando l’associo, contro il mio volere, ad Aria.

È per questo che sono carico di rabbia, non provo pietà per quella Divergente, ma i punti che aveva in comune con la mia Aria mi mandano il sangue al cervello.

Poco dopo, mentre cammino seguito da Jason, mi accorgo di essere stato davvero raggirato e per poco non mi predo a pugni da solo.

Jeanine sa sempre tutto, ha avuto sott’occhio Aria per tanti anni perché era la figlia di Richard e sono pronto a scommetterci una mano che ha visionato il suo test attitudinale.

Coincidenza vuole, che mi abbia convocato proprio mentre aveva a che fere con una Divergente che era sia intelligente che coraggiosa.

Una giovane ragazza con i capelli neri.

Ora capisco il sorrisino che mi riservava quella schifosa pazza di Jeanine.

Lei sa.

 

-Mi stai evitando?-

La sua voce fredda mi inchioda e io mi lascio scappare un ghigno. Mi volto lentamente e osservo la sua figura affasciante, indolentemente appoggiata con la schiena alla parete, ha le braccia incrociate al petto e un piede piantato dietro di sé, contro il muro.

Dal suo sguardo direi che è molto arrabbiata.

Sogghigno. -Perché?-

Lei fa spallucce e finge di prendersi del tempo per pensarci. -Non saprei…- dice, rivolgendo verso l’alto i palmi delle mani. -Forse perché è da ieri che fingi di non vedermi?-

La osservo, piego la testa e il mio ghigno si amplifica. Mi sto volutamente prendendo gioco di lei.

Mi lancia un’occhiataccia.

-Quindi, solo perché ieri non ci siamo visti, tu pensi che io ti stia evitando?-

Le si piega la bocca in una smorfia e mi sfida a continuare, fulminandomi con un’alzata di sopracciglia.

-Stia scherzando? Sono due sere che non mi raggiungi al parco, e ieri mi hai volutamente evitata per tutto il tempo.-

Non le rispondo, mi passo la lingua sul labbro superiore e distolgo lo sguardo.

Jeanine sospetta di lei, non ho dubbi al riguardo, non credo nelle coincidenze.

Sospetta la sua lieve divergenza e non so che conclusioni potrebbe trarre dai suoi dubi. Potrebbe considerare Aria una semplice Intrepida astuta, oppure cogliere in lei quella maledetta, e forse inesistente, divergenza e considerarla una minaccia.

Ciò di cui sono davvero certo, è che Jeanine mi ha in pugno. Ha capito che mi sto allontanando da lei, che non sono più il suo soldato disperato e privo di vita che agiva solo per soddisfare il proprio desiderio personale. Una volta, io e lei, abbiamo camminato sullo stesso sentiero, eravamo entrambi assetati di potere e gloria ma, oggi, io voglio molto di più.

Voglio il potere per poterlo dividere con una sola persona.

E Jeanine lo sa.

Sa che Aria non la pensa come noi, che è diversa, che potrebbe diventare una rivoluzionaria. Sa che potrebbe incantarmi e convincermi a desistere dai nostri piani, potrebbe farmi notare la follia delle nostre azioni e Jeanine non può permettere che accada.

Al momento, ciò che provo per Aria, è una lama che pende sopra la sua testa, con Jeanine che tiene la corda sospesa e può decidere quando lasciarla cadere sul suo esile collo.

Non posso permettermi nessun dubbio, niente giochi adesso. Devo stare lontano da Aria nella speranza che nessuno sospetti della sua influenza su di me e di quanto dipendo da lei.

Ho sempre saputo che il nostro legame sarebbe stato più causa di problemi che di godimento, ma mi sono convinto che il piacere che ne traevo era troppo prezioso per essere sacrificato e che ne valesse la pena.

Avremmo avuto dei problemi anche se fossimo rimasti alla nostra residenza. Non avrebbe mai potuto progredire nella sua carriera, qualsiasi essa sarebbe stata, senza che girasse il sospetto che ricevesse dei favori dalla mia posizione. Sono un capofazione, chiunque stia con me verrà visto bene o male a seconda della mia reputazione. È inevitabile.

Ma qui tutto si complica, sono a capo di una rivoluzione che può scoppiare da un momento all’altro, non posso esporre chi mi è accanto.

-Mi trovi per i corridoi e fai vinta di non vedermi, ci incrociamo e tu cambia strada. Fingi che non esisto! Ti da così fastidio guardarmi?- Mi chiede, serrando i pugni.

-E perché dovrei guardati, per vedere come sei ridotta?- Ringhio, sentendo quel sentimento oscuro che si fa largo dentro di me.

Si scandalizza, è offesa e alza la voce contro di me, con gli occhi pieni di risentimento. -Non sai un cazzo!-

Perdo il controllo.

-No, non so un cazzo. Non so perché l’unica persona di cui mi importa qualcosa si stia autodistruggendo senza avere alcuna considerazione di sé stessa. Non so che cosa sei diventata, tanto meno perché mai dovrei sprecare il mio tempo con te!-

Il sangue mi è andato alla testa e vedo nero, sono fuori di me dalla rabbia.

Mi guarda e i suoi occhi blu si spalancano e ciò che colgo è puro dolore, forse anche terrore, ma mi sembra di soffocare nella tempesta che si cela dietro le sue iridi.

Ed è in questo momento che capisco che non la sto tenendo lontano da me solo perché voglio proteggerla, ma anche perché voglio davvero allontanarla.

La cerco disperatamente, per poi trovarla ed accorgermi che non so cosa fare con lei, semplicemente perché è tutto diverso. Mi costringo a vedere quello che è diventata e, per quanto di tanto in tanto mi faccia cogliere qualche barlume della sua vecchia grinta, ora come ora è solo un guscio vuoto e la sua debolezza mi uccide lentamente, come un veleno.

I tempi in cui sparavamo insieme al poligono sono lontani, persi, finiti. Dimenticati.

Se salisse adesso su un ring ne uscirebbe massacrata, ed io non accetto la compagnia di gente inutile.

Sono distrutto, furioso, perso. Vorrei baciarla, spogliarla ma al tempo stesso vorrei prenderla a schiaffi e fermarmi solo quando ne ho abbastanza.

Sono freddo e vuoto, sono al limite.

Non voglio vedere i suoi occhi spenti, vorrei essere impassibile come sempre ma la ferita, sta volta, è ad un livello troppo profondo perché io possa combatterla.

L’ho vista con Robert, l’ho vista piangere, l’ho vista rifugiarsi dalla sua famiglia che odia, ho dovuto sopportare la predica di sua sorella che mi accusava e ne ho abbastanza.

Rivoglio la mia donna, peccato che non so più contro chi lottare.

-Eric…- mi chiama.

Il suo volto si rabbuia e rivedo la sua espressione più nera, le sue labbra si serrano ed io la ignoro.

Mi volto e me ne vado, sotto il suo sguardo colmo di delusione, sentendo nettamente il bisogno di scappare per quanto invece non desideri altro che lei.

Vorrei solo lei.

-Eric!- grida, ma io non voglio sentirla.

Per un solo istante mi volto indietro e potrei scommettere che stia piangendo ma, stranamente, non lo sta facendo.

Ha i pugni serrati lungo i fianchi, l’espressione furiosa mentre si morde il labbro. Con mio enorme stupore, vedo che sta cercando di ricomporsi, imponendosi la calma fra un respiro e l’altro.

Sorrido, la mia piccola lottatrice esiste ancora.

Non se ne è mai andata.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

 

 

Ciao e grazie a tutti per le letture, spero che la storia vi stia piacendo.

Mi piacerebbe sapere le vostre opinioni, nel frattempo preparatevi per una rivelazione scioccante nel prossimo capitolo.

 

Nulla di eclatante, soltanto una piccola rivelazione del caro Eric a fine del prossimo aggiornamento, che lascerà Aria, e forse anche qualche lettore, a bocca aperta.

 

Non dico altro, alla prossima.

Nel frattempo, se vi fa piacere, vi lascio il link della pagina facebook dove troverete qualche anticipazione:

https://www.facebook.com/Kaimy11

 

Baci Baci!

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** Senza lacrime ***


10. Senza lacrime

 

 

 

 

 

-Mia madre era una trasfazione Erudita, mio padre le faceva da istruttore durante la sua iniziazione, quando arrivò fra gli Intrepidi.-

Non credo sia educato, ma non sto prestando tanta attenzione a Robert e al suo racconto, sto invece guardando la mia mano destra senza la fasciatura che mi aveva fatto Amber. Adesso non ho più i tagli sanguinanti che mi sono procurata dando un pugno ad uno specchio, è rimasto solo qualche segno.

Altre cicatrici da aggiungere alla lista, tra quelle che non mi dispiace di avere perché rimango su di me a dimostranza di quello che ho subito.

Ho anche alcune unghie spezzate e qualche altro graffio sparso sulle nocche di entrambe le mani, per quella volta che mi sono accanita su di un muro di roccia, sperando che il dolore fisico scacciasse via quello mentale.

Quella volta, la sofferenza per la perdita del mio amico era troppa da sopportare.

Ancora adesso sento un peso schiacciarmi e minacciare la mia sanità mentale di continuo, con non tanto velate minacce e, in verità, anche con una promessa di pace.

Abbandonarsi all’oblio sarebbe più semplice, lo so, ma non posso permettermi di cedere.

-Ti sto annoiando, novellina?-

Alzo gli occhi su Robert e vedo che mi scruta di nascosto, con un mezzo sorriso fra le labbra.

Ha un bel viso spigoloso e due profondi occhi color caramello, i suoi capelli rasati stanno ricrescendo e il suo fisico asciutto e la sua altezza contribuiscono ad esaltare la sua bellezza. Su di me non ha quel tipo di effetto, eppure devo riconoscere che è l’Intrepido più controllato e gentile con cui io abbia mai parlato.

Sembra diverso dagli altri, sembra molto simile a me. So che è intelligente, pacato, un vero osservatore. Potremmo andare davvero d’accordo.

-Adesso capisco perché piaccio tanto a tuo padre…- Lo provoco.

Mi osserva e il suo sorriso si amplifica, scuote la testa come se mi trovasse divertente e finisce di assemblare la pistola che ha in mano.  

-Allora non ti dirò che aveva i capelli scuri, lunghi, e che era testarda da morire!- sghignazza Robert.

Sorrido. Avevo frainteso il suo atteggiamento, lui non è attratto da me, saremo potuti essere davvero amici in una situazione diversa. Magari saremmo finiti a lavorare insieme, dato che è lui il capo dell’area logistica.

-Sai che carriera avrei scelto, se non fosse successo tutto quello che è successo?-

-No, quale?-

Tendo le labbra, alzando il mento. -Supervisore area logistica!-

Per un attimo strabuzza gli occhi, poi scoppia a ridere. -Allora saresti veramente diventata la mia assistente!-

Alzo gli occhi al cielo, ancora con questa storia dell’assistente?

-Oppure, magari, ti avrei soffiato il posto!- lo sfido.

Lui scuote ancora la testa e riprende a ridere. -Non diciamo cazzate, non ci saresti mai riuscita. E,  comunque, avresti sempre cominciato come mia assistente. È da lì che partono le novelline carine che scelgono di fare carriera nel mio reparto!-

Mi strizza l’occhio e io lo guardo storto, poi rido.

-Quale onore, niente di meno che l’assistente personale del grande capo dell’area?-

-Certo, così avrei valutato le tue effettive capacità prima di assegnarti un vero ruolo. Il coordinamento di tutta la fazione non è una cosa semplice!-

-Quindi era destino?-

Nasconde un sorriso e inserisce un altro caricatore in una pistola pronta all’uso. -Temo di sì, avresti avuto a che fare ogni giorno con me, anche se non fossimo qui.-

Magari un giorno capirà che non sono la sua tutto fare, Jeanine ci assegna sempre compiti da svolgere insieme, ma non sono al suo servizio. Capisco che quella folle donna tenga in considerazione Robert, d'altronde il supervisore dell’aera logistica coordina tutta la fazione ed è il ruolo più importante che si possa avere dopo quello di capofazione, senza contare che è il figlio di Finn.

Ma perché io? Per mio padre? Per Amber? Per Eric?

Per tutti e tre, magari…

-Lavorare con me è così noioso, per te?- mi provoca, e vedo che mi osserva attentamente.

Mi stringo nelle spalle e lascio dondolare i piedi, dato che sono seduta su un tavolo, con vari tipi di coltelli appuntiti al mio fianco, tutti lucidati e catalogati.

-Dipende…-

Robert è una buona compagnia, sa dirmi chiaramente cosa fare, come se sapesse sempre di cosa sono o non sono capace. Mi fa sentire valida e, cosa più importante, è simpatico. Abbiamo lo stesso tipo di umorismo tagliente, siamo entrambi due calcolatori nati e, soprattutto, non mi tratta come la troietta di Eric.

In questo covo di pazzi, è l’unico.

-Tua madre è…-

-Morta!- dice, completando la mia domanda con la sua risposta. -C’è stato un incidente al pozzo, tempo fa, stava cercando di aiutare un bambino ed è scivolata nello strapiombo al posto suo.-

La mia gola si secca all’improvviso. Immagino una bella donna dai capelli neri lucenti che si sporge troppo oltre la ringhiera, recupera un bambino sbadato, ma non riesce a ritrovare l’equilibrio e cade nella corrente spietata dello strapiombo.

-Mio padre non se n’è ancora fatto una ragione, sembra che non gli importi, ma da quel giorno è cambiato molto…- Mi confessa Robert.

Vedo che tiene basso lo sguardo e, all’improvviso, la sua sfrontatezza sembra sparita.

-Cambiato?-

Per un attimo sorride, ma c’è un profondo rammarico nella sua voce. -Una volta non era così terribile, e non andava certo in giro con una verga in tasca!-

Mi guarda, lanciandomi un’occhiata d’ intesa, ed io rabbrividisco al ricordo di Finn che mi frusta mentre sono stesa sul pavimento della palestra.

Mi sembra assurdo pensare ad un Finn meno spietato.

-Ha iniziato a punire i trasgressori perché, come dice lui, bisogna intervenire sin da subito e con decisione, per impedire che la mela cada lontano dall’albero.-

Incontro lo sguardo di Robert e, all’improvviso, capisco.

Sua madre è morta perché un bambino indisciplinato stava facendo qualche gioco pericoloso vicino alla ringhiera. Lei è stata coraggiosa ma, magari, Finn pensa che nulla sarebbe successo se quel bambino fosse stato educato correttamente dai propri genitori.

Poco dopo il terribile incidente, il capofazione si arma di frustino e va in giro e punire tutti i trasgressori.

Sono senza fiato, ma forse sto divagando, sto facendo congetture senza senso, dipingendo un uomo meno folle, più umano.

Il Finn di adesso, non sa nemmeno cosa sia l’umanità.

-Quanti anni avevi?- chiedo.

-Dieci!-

Abbasso la testa, chissà come deve essere stato per un bambino di dieci anni, sapere che la sua mamma non sarebbe mai tornata a casa. Ovviamente si sarà comportato da Intrepido, forte sin da subito con un padre rigido che, di sicuro, non avrebbe ammesso nessuna debolezza.

E, sempre chiedendomi il perché dei miei pensieri fantasiosi, immagino come debba essere stato per un uomo come Finn tornare a casa senza sua moglie e dover badare ad un figlio, da solo.

Era la donna che amava, la sua allieva preferita di cui si era innamorato e che aveva sposato.

Robert si volta e riordina le pistole che aveva preso, quando un’ improvvisa intuizione mi lascia a bocca aperta.

La sua allieva preferita, il maestro che si invaghisce di una trasfazione… Quanto tutto questo mi è familiare?

Per gli istruttori è severamente proibito avere una relazione con un’ iniziata.

Quando Finn ha scoperto me ed Eric, non ha avuto pietà.

Mi manca l’aria, non capisco, forse è solo una coincidenza e chissà cosa mi sta passando per la testa.

Eppure…

Scaccio la vocina della mia testa e scendo dal tavolo, risistemando i coltelli.

-Abbiamo finito qui? Ti sei divertito abbastanza con i tuoi giocattoli?-

Robert accoglie la mia provocazione con una mezza risata. -Ma certo, non vorrei costringerti a sprecare ancora il tuo tempo con me!-

Incrocio le braccia al petto e faccio roteare gli occhi.

Questa mattina non è stata Jeanine ad assegnarci un incarico, ma è stato Robert in persona a chiedermi se volevo dargli una mano.

Il capo dell’area logistica ha pensato che fosse opportuno controllare le armi, riposte nella camera blindata del quartiere degli Eruditi. Ha voluto accertarsi che tutto fosse in ordine, che non ci fossero pistole danneggiate o mancanti e, con i tempi che corrono, la sua scrupolosità mi sembra del tutto appropriata.

Dobbiamo avere cura delle armi che siamo riusciti a recuperare, in caso di bisogno devono esserci tutte e non potranno verificarsi problemi. In oltre, dobbiamo stare attenti che qualcuno dei nostri non cambi idea e si armi per schierarsi contro di noi.

Questo è un altro motivo per cui Robert ha voluto occuparsi di questo controllo al reparto armamenti di persona. Ha chiesto solo a me di accompagnarlo, ma non sono stata di grande aiuto.

Assottiglio lo sguardo e mi chiedo se davvero non abbia altri interessi nei mei confronti.

Di certo Eric avrebbe da ridire, soprattutto se sapesse che sono stata da sola per un’ intera mattinata con lui, chiusa in una camera blindata.

Sospiro e mi mordo il labro inferiore, quando penso che, probabilmente, Eric non verrà mai a saperlo.

Forse non mi parlerà mai più.

Mi fisso le scarpe e mi rifiuto di pensare, non posso credere che tra noi sia finita anche se, il nostro ultimo incontro, sembrava proprio una brusca separazione.

Non so cosa fare, non ho il coraggio di vederlo perché il solo pensiero mi riempie di angoscia, anche se avrei bisogno di lui.

I miei bisogni sono confusi al momento. Ieri sera sono uscita per andare al parco, dove sapevo che sarei rimasta da sola e stavo malissimo, ripensavo a quello che mi aveva detto e non volevo crederci.

Ma non ho pianto. Niente lacrime.

Posso farcela, mi dico mentre esco con Robert, che mi da un piccolo pugno scherzoso sulla spalla.

 

Oggi non ho visto nessuno, ho pranzato con Amber, che continuava a guardarmi come se avessi avuto dei vermi che mi camminavano sulla testa. Poi ho accompagnato Robert al reparto computer, perché voleva controllare le telecamere all’interno della residenza degli Intrepidi per accettarsi che nessuno vi fosse tornato.

Per il resto del tempo ho girato a vuoto senza meta, tenendomi alla larga da tutti e, ovviamente, nessuna traccia di Eric. Temo che controlli i miei movimenti, perché non mi spiego altrimenti come abbia potuto sparire nel nulla senza farsi vedere.

Non so se sarei stata pronta a incontrarlo, in realtà.

Entro nella biblioteca dopo aver digitato il codice, con lo zaino in spalla, la coperta sotto braccio e il cuscino in mano. Striscio silenziosamente verso il mio nuovo letto, ovvero un divanetto a tre posti piuttosto scomodo e vi sistemo sopra il cuscino, la coperta e abbandono lo zaino per terra.

Ho solo il tempo di sedermi e stendermi la coperta sulle gambe, che sento un rumore. Mi volto di scatto e, nascosto dietro uno scaffale libreria, avvolto nel buio, c’è un uomo.

Ha le spalle larghe, i muscoli pressanti sotto la divisa nera e un tatuaggio che gli scende lungo il collo.

Apro la bocca ma non dico niente, rimango paralizzata e non so cosa fare, sento solo il battito feroce del mio cuore.

Eric avanza verso di me e il suo sguardo è duro come una roccia, mi scruta e non so se quello che vede sia o non sia di suo gradimento perché il ghiaccio, a confronto, trasmetterebbe più calore di lui. C’è una nota di follia nelle sue iridi grigie, i pugni sono serrati lungo i fianchi e la sua mascella è contratta.

-Eric?- Non so cos’altro dire.

Non sembra neanche lui, quello sguardo vuoto mi ricorda quello dei soldati sotto simulazione e rabbrividisco visibilmente.

-Allora è vero…- Esclama.

Tiro un sospiro di sollievo, almeno parla.

Sto per chiedergli spiegazioni, ma lui mi fa segno di tacere portandosi un dito davanti alle labbra, mentre mi tiene inchiodata con uno sguardo tremendo, ai limiti della pazzia.

Mi appiattisco contro lo schienale del divanetto e cerco di controllare il tremore delle mani. Resto coraggiosamente in silenzio, mentre lui si sposta per prendere una delle sedie vicino al grande tavolo principale e la trascina davanti al mio strano letto.

Si siede a game divaricate e i suoi movimenti sono lenti e letali come non mai, mi sta davvero spaventando anche se non credevo di poter avere paura di lui.

Appoggia i gomiti sulle sue ginocchia e poi si sostiene il mento sopra i pugni, non mi guarda, sta pensando. Non posso fare a meno di considerare che assomiglia terribilmente ad un carceriere che sta decidendo il destino del suo condannato.

Assottiglio lo sguardo, perché fa così? Non lo so, ma non lo sopporto.

-Eric?- sta volta sono più sicura.

Solleva, con lentezza disarmante, i suoi occhi grigi su di me e mi scruta in silenzio, con un’ espressione furibonda.

-Perché sei qui?- mi chiede, scandendo le parole.

Scuoto la testa. -Perché sei tu qui?-

Chiude gli occhi, fa un sospiro rassegnato e poi ride.

Mi si gela il sangue.

È una risata amara e priva di gioia, per di più colgo la nota minacciosa nella sua ilarità e perdo il controllo sul tremore delle mie mani.

-Non ho tempo per queste fottute stronzate, Aria.- Si volta verso di me e non è l’Eric che conosco io.

Ho davanti il capofazione spietato, ma non solo, è molto peggio. Ricordo il suo incontro con Leah allo strapiombo e riconosco i suoi modi freddi e la sua arroganza.

Mi sento svuotare, si è stancato di me.

-Dimmi perché sei qui!- Insisto con coraggio.

Io non sono Leah, non striscerò per terra come lei.

Sogghigna, poi abbassa la testa e sembra abbattuto. -Sapevo che eri qui.-

E capisco, spalanco gli occhi e il cuore mi si ferma.

È qui per me…

-Perché?-

I suoi occhi si puntano nei miei e sono sicura che abbia capito cosa gli sto chiedendo realmente, eppure sempre confuso, sembra in lotta con sé stesso.

-Perché sei venuto qui a cercarmi?- Insisto.

-Non hai un dormitorio?- mi ringhia, spavaldo.

-Vai tu a dormirci!- Strillo, mi alzò lanciando la coperta e gli passo davanti per spostarmi.

Aggiro il divano, ho bisogno di mettere distanza fra di noi, non ne posso più, sto per esplodere e non ho niente contro cui sfogarmi. Gli do le spalle e mi appoggio con i reni allo schienale, getto il viso fra le mani e chiudo gli occhi.

-Perché fai così? Cosa vuoi, che stiamo facendo?-

-Lo chiedi a me!- Urla.

Si alza di scatto e sento la sedia su cui era seduto cadere all’indietro con un tonfo secco.

Non mi volto, mi copro gli occhi con le mani e soffro in silenzio, mordendomi il labbro.

-Mi stai distruggendo, Aria!-

La sua voce è roca, come un graffio sulla palle, deve essergli uscita dal profondo come un lamento straziante.

Mi volto e non sono solo le mani a tramarmi, sta volta mi sento furiosa, ferita anche, ma soprattutto arrabbiata. C’è solo il divano a dividerci.

-Non sono io che ti faccio del male, Eric, ne fai tu a me.- Afferro lo schienale e lo stringo forte. -Ti stai facendo tutto questo da solo, non capisco perché mi tratti così. Smettila di considerarmi debole, dannazione!-

-Sei debole!- mi grida contro, il suo sguardo è furente.

-No, non lo sono! Posso combattere e sono sempre io!-

Mi guarda, serra le labbra e scuote la testa. Odio quando mi guarda con disgusto come sta facendo adesso.

-Dimmi cosa è cambiato in me!-

Sono nata fra gli Eruditi, mi è stato insegnato ad analizzare sempre la verità prima di trarre conclusioni e così, non sapendo cos’altro fare, tento di spingerlo a spiegarmi cosa prova.

Eric non sa cosa dire, è in difficoltà ma continua a respirare pesantemente con le spalle contratte che si alzano e si abbassano.

-Hai paura di me.-

Sto per mettermi a ridere. -Ma che dic…-

Non finisco la domanda perché si avventa su di me con uno sguardo che non gli ho mai visto.

Se solo mi prendesse mi farebbe del male, lo so, ne sono certa.

Sti sta comportando come quando era con Leah e, in un gesto fulmineo, indietreggio fino ad andare a sbattere contro la parete dietro di me e rimango a fissare Eric, terrorizzata.

Si è arpionato sul divanetto, ha un ginocchio sul mio cuscino e le mani serrate attorno allo schienale, mentre mi fissa in cagnesco. Respira a fatica ma, nel suo sguardo furioso, leggo anche una profonda delusione.

Non so sostenere il suo sguardo, mi fissa come se gli avessi procurato una profonda ferita e ed io, con mio rammarico, sto tremando.

-Vedi?- grugnisce.

Scuoto la testa. -Che stai dicendo? È stato un gesto improvviso, per forza mi sono spaventata!-

-Cazzate! Non mentire con me!- Urla e, le righe che ha tatuate sul collo, si tendono insieme alle sue vene pulsanti.

Chiudo gli occhi e respiro profondamente, sento le lacrime pungermi gli occhi come la verità che mi pesa sul cuore.

È vero, ho avuto paura di lui nel momento stesso in cui l’ho visto muoversi nell’ombra. Ho avuto paura quando, in questi giorni, mi diceva cosa fare e quando lo vedevo arrabbiato. Quando mi riportava al dormitorio non avevo il coraggio di oppormi e non ho avuto il coraggio di dirgli tutto quello che provavo realmente.

Ha ragione. Non sono io.

-Non ti spaventavo nemmeno mentre ero il tuo supervisore. Ti prendevi gioco di me quando venivo al poligono, come se ci conoscessimo da sempre!- ringhia a testa bassa, e penso che stia parlando a sé stesso. -Tu non la vuoi questa fottuta guerra, Aria, ma rimani qui e fai tutto quello che ti dico solo perché hai paura di me!-

Mi mordo il labro e mi sento improvvisamente debole. Posso vedere, come se fosse reale, il pugnale che affonda dentro il suo petto ad ogni sua parola.

Mi ha detto che lo sto distruggendo, ora capisco perché.

-Penso che tu ti sia stancato di me…-  confesso.

Se non butto fuori quello che ho dentro, scoppierò a piangere e non voglio.

Eric incassa la testa fra le spalle e si appoggia maggiormente allo schienale, stringendolo.

Vedo le vene attorno alle sue nocchia tendersi. -Credimi, vorrei tanto che fosse così, ma non lo è…-

L’aria torna nei miei polmoni come una cura, mi trema il labbro ma sta volta non è paura.

Ha avuto mille motivi per mandarmi al diavolo ma non lo ha fatto, vorrei rimproverarlo e prendermela con lui, vorrei dirgli che è colpa sua perché, se non mi avesse trattato come un animale ferito, non saremo a questo punto.

Ma mentirei.

Se non si fosse preso cura di me, decidendo al mio posto e standomi addosso come una guardia personale, sarei scivolata nel baratro, senza speranza.

Non posso avere paura di lui, non mentre le sue spalle forti tremano davanti a me, senza che i suoi occhi di ghiaccio abbiano la forza di incontrare i miei.

-Eric…- Gemo.

Mi avvicino a lui e poso le mie mani sulle sue, accarezzandogli le nocchie.

-Mandiamo tutto al diavolo, non pensiamo più a tutto questo casino.-

Scuote la testa.

-Ci siamo solo noi.- Gli dico, prendendogli il volto fra le mani e costringendolo a guardarmi. -Ho così bisogno di fare l’amore con te, voglio te e basta. Sono sempre io, non ho paura di te, io ti voglio!-

Io suoi occhi si accendono quando mi guarda.

-Non ho paura di tutto quello che sta succedendo. Hai ragione, non voglio tutto questo schifo, tutto quello che conta per me sei tu. Mi fido di te. Voglio stare con te. Avevi detto che dovevo distrarmi, ma penso che dobbiamo distrarci entrambi ed insieme!-

-No…- sussurra, e si allontana. Sfugge al mio tocco e si scosta dal divano, facendo un passo indietro. -Ci sono le telecamere…- Mi spiega.

Io non capisco, ormai sono solo capace di farfugliare frasi senza senso.

È rigido come una statua, serra i pugni e mi guarda quasi fossi il nemico. -Jeanine non deve sapere di noi, deve credere che stiamo ancora litigando…-

Inarco un sopracciglio. -Chi se ne frega di Jeanine, sa già di noi, non mi importa se crede che litighiamo o no!-

-Tu non capisci, sei in pericolo!- Ringhia, gonfiando il petto. -Ti voglio anch’io, piccola, non sai quanto, ma non adesso. Devi starmi lontana, non basta fingere, lei lo capirebbe.-

Sono senza fiato, Eric non mi odia, mi ha perdonato.

Però non si avvicina e rimane rigido in modo che, per le telecamere della biblioteca, sembri che stiamo ancora litigando. Fortuna che non c’è audio. Peccato che so benissimo che non contrae i muscoli solo per fingere, ma anche per la sofferenza

-Non mi importa di quello che pensa!- dico, aggirando il divano per avvicinarlo ma si allontana e, per un attimo, penso che sia lui ad avere paura di me.

-Aria- Sibilla. -ho detto no!-

È tremendo.

-Perché ti importa tanto di lei? Da quando ti fa paura?- lo provoco, cerco ancora di avvicinarmi ma lui indietreggia. -Sei così suggestionato da lei! Santo cielo, te la scopavi o cosa?-

Sembra assurdo, non mi spiego come sia possibile che uno come Eric, che non teme niente e nessuno e che, soprattutto, odia ricevere ordini, si faccia comandare a bacchetta da quella donna. Lei sembra avere una certa confidenza con lui, lo manipola, cerca di incantarlo, ma per l’amor del cielo è assurdo!

Che legame hanno per rispettarsi così tanto? Davvero credo che la spiegazione sia più intima, ma so che non è vero.

Alzo gli occhio al cielo, esasperata. Eric non andrebbe mai con Jeanine, penso che mi ucciderà per averlo insinuato. Sento che sto per ricevere la sua ira e trattengo la voglia di ridere ma, quando lo guardo, il cuore mi sale in gola e manca di un battito.

Eric è ancora più teso, sembra infastidito, come se avessi toccato un nervo scoperto e stesse trattenendo per orgoglio il dolore. Come se non bastasse, deglutisce a forza e non mi guarda, nervoso.

Mi sento morire, mi tremano le dita delle mani e i miei occhi si spalancando, così come la mia bocca.

No…

-Ci sei andato a letto?- La mia voce è così fredda che non la riconosco.

Eric e il suo sguardo mi ammoniscono, in una sfida ad aggiungere altro, solleva il mento e la sua mascella si contrae.

-Rispondimi!- gemo, furiosa. -Dimmi se te la sei scopata!-

La sua espressione si fa arrogante, sogghigna e si passa la lingua sulle labbra. -Diventi volgare quando sei arrabbiata, sei gelosa?-

Urlo. -Dimmelo!-

Smette di sorridere, assottiglia lo sguardo, studiandomi per interminabili secondi.

Scuote la testa e mi guarda senza battere ciglio, fremente. -È successo una sola fottutissima volta, molto tempo fa, e non mi piace pensarci. È stato uno sbaglio, non è più successo e non c’è mai stato niente fra me e lei. Ero solo molto giovane.-

Mi porto una mano allo stomaco e sono sicura che qualcuno mi abbia appena dato un pugno, considerato che mi manca il fiato e che sento un dolore travolgente. Ma non è così.

Tremo convulsamente, vorrei piangere ma sono senza lacrime, non ne ho più.

-Non guardarmi così!- mi ringhia contro, eppure, quando cerca di avvicinarsi a me, sembra intimorito.

Si ferma prima di raggiungermi, come se una misteriosa forza lo avesse improvvisamente respinto.

Chissà, forse anche un pallone gonfiato come lui sa quando ha combinato qualcosa di veramente grave per cui non esiste rimedio.

È riuscito a distruggere tutto, compreso ciò che restava di me.

Sollevo la testa, lo guardo ma non lo vedo realmente.

Le mie labbra si muovono da sole. -Vattene, Eric!-

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

 

Siete arrivati anche alla fine di questo capitolo, cosa ne pensate?

Che avreste fatto al posto di Aria?

 

Baci a tutti, vi aspetto, alla prossima : )

 

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Capitolo 11
*** La cura ***


11. La cura

 

 

 

 

Mi passo stancamente una mano sul volto facendola scivolare fino alla fronte e oltre i capelli, non credo di aver dormito più di due ore sta notte. Mi sento le ossa pesanti, sono avvilito e annoiato.

Qui non sta succedendo niente.

Siamo appostati poco lontano dal quartier generale dei Candidi, Lo Spietato Generale lo chiamano, e non ci vuole un genio a capire il perché. Odio i Candidi, la gente che non sa quando tenere la bocca chiusa non dovrebbe neanche essere presa in considerazione.

Nascosti dalle mura di edifici ormai vecchi e dimenticati, aspettiamo da non so quanto di cogliere qualche movimento sospetto in cerca di informazioni ma, come avevo detto anche se nessuno mi ha dato ascolto, stiamo solo perdendo tempo.

Il solito via vai è un macchia di bianco e nero ma, insolitamente, il nero è il colore predominante.

I trasgressori, ovvero il gruppo di Intrepidi che si sono staccati dalla nostra autorità, sorvegliano il perimetro e controllano ogni ingresso. Sono pronto a scommettere che hanno promesso protezioni ai Candidi.

Che accoppiata!

Mi scoppia la testa, potrebbero andarsene tutti al diavolo e invece dobbiamo sorvegliarli da vicino, perché le telecamere non offrono un quadro abbastanza dettagliato per studiare i loro movimenti ed essere pronti ad attaccare.

Lascio cadere il fucile al mio fianco e mi abbandono contro la parete dietro cui mi sto riparando, dovrei concentrarmi sul mio obiettivo e svolgere al meglio il mio lavoro, ma riuscirci mi è impossibile. Mi copro il volto con le mani, appoggiando i gomiti sulle ginocchia che tengo sollevate contro il petto e mi ritornano davanti i suoi occhi.

Sono abituato ad essere visto con disprezzo, a cogliere le occhiate infastidite al mio passaggio e gli sguardi che sfuggono al mio. Niente, però, regge il confronto con l’espressione sconvolta che aveva Aria sul volto ieri sera.

Nessuno mi ha mai guardato in quel modo, era profondamente disgustata da me, anche ferita lo so, ma non riesco a togliermi dalla testa i suoi occhi spalancati, le sue labbra tremanti e l’immobilità del suo corpo.

Mi ha fatto sentire freddo, freddo dentro.

L’ho vista in tanti modi, dovrebbe essere facile, e invece accettare di averla delusa e ripensare al suo sguardo devastato mi infastidisce profondamente. Non avrei mai pensato che proprio lei provasse tanto odio verso di me.

L’ho lasciata al suo stato di profondo disgusto e me ne sono andato, non avrebbe avuto senso discutere con lei in quel momento, quando la notizia ancora calda le creava tanto fastidio. Aveva bisogno di assimilare l’informazione e forse, a freddo, potremo riparlarne.

Serro i pugni e mi mordo l’interno della guancia fino a farmi male mentre serro la mandibola. Dannazione, non può avercela con me per una vecchia storia!

D’accordo, non se lo aspettava e non è contenta, lo capisco benissimo, ma deve farsela passare!

In un attimo ritorno a l’anno dopo la mia iniziazione, quando Max non si decideva a nominarmi capofazione. Era tutto uno schifo senza fine, ero sempre stanco per gli allenamenti, mi impegnavo al massimo per farmi ammette fra i capi e, nello stesso tempo, aiutavo Jeanine con i Divergenti e le passavo informazioni segrete su Max e gli Intrepidi.

Ero sempre a rischio, in una lotta silenziosa con la morte che non vedeva mai un vincitore.

Sempre ad un passo dal precipizio, avevo i nervi a fior di pelle ogni istante e non avevo modo di sfogarmi.

Dall’altra parte, nel mio vecchio quartiere, una donna attraente continuava a credere in me, mi aveva aiutato ad indirizzare le mie forse e mi dava, giorno dopo giorno, qualcosa per cui lottare. Mi faceva sentire forte, importante, ed io non desideravo altro.

La sera in cui mi dissero che ero diventato Capofazione, con l’euforia che mi faceva saltare a tre metri da terra, ero sgattaiolato al quartier generale degli Eruditi per dirlo a Jeanine.

I nostri piani non avrebbero potuto procedere meglio, tutto stava andando finalmente come previsto e, anche lei, era da pochi mesi riuscita a prendere il posto di quel vecchio idiota che c’era prima di lei ed era diventata ufficialmente la rappresentata degli Eruditi.  

Odio ricordare quella notte ma, dopo mesi di avvilimento continuo e con la rabbia e forse anche qualche ormone di troppo che mi scorrevano in corpo, ho ceduto alle lusinghe di quella donna. Ci sentivamo entrambi soli, sconfortati, in un’ eterna lotta contro tutti e, fra insuccessi e sconfitte, eravamo finalmente arrivati ad un punto di svolta.

E lo avevamo raggiunto insieme.

La gola mi si secca e abbasso la cerniera della mia giacca per respirare meglio, dopo il pensiero del suo corpo nudo sotto il mio, del mio momento di rabbia che si mescolava alla passione e all’esaltazione del momento, il termine su di un letto caldo con l’unica donna che al tempo mi comprendeva al fianco, anche lei sfinita ed appagata.

Le mani mi scappano sui miei capelli corti sopra la fronte e li stringono, so perfettamente che Jeanine mi ha usato dal primo secondo e che, per quanto io rispetti ancora il nostro piano originario, non abbiamo assolutamente nulla in comune. Quella notta di cinque anni fa è stata solo una notte di puro e semplice sesso, uno sfogo liberatorio per festeggiare i successi ottenuti dopo tante fatiche quando il traguardo sembrava irraggiungibile. Non è più successo, al contrario, il nostro rapporto si è raffreddato e anche sfiorarci o guardarci negli occhi ci sembrava fin troppo fastidioso.

Non lo rifarei, ho il voltastomaco anche solo a pensarci, non sono minimamente attratto da lei e non lo ero neanche quella notte. È stata solo l’euforia del momento, una distrazione consenziente fra persone adulte con bisogni che, per una sola maledetta volta, poteva essere soddisfatti reciprocamente.

Aria deve accettarlo ed imparare a comportarsi da adulta, deve farsi passare la sua crisi da bambinetta gelosa senza fare troppe storie.

Jeanine me la sono soltanto scopata, una volta, così come ho fatto con altre. Con Aria è diverso, a lei ho persino detto di amarla, cosa che ha assimilato senza batter ciglio. Forse le mie parole le sono entrate da un orecchio per uscirle dall’altro.

E poi fa la gelosa! E mai dirle che si comporta da bambina, oppure si arrabbia!

Che bambina! Ma perché non riesco a togliermela dalla testa?

Sospiro, la voglio disperatamente e mi manca quando non è con me, mi spinge persino a preoccuparmi per lei come se spettasse a me proteggere la sua incolumità in ogni istante. Ovviamente devo farlo, perché se le succedesse qualcosa di brutto la perderei e non potrei mai accettarlo.

Aria non è stata con altri, è stata solo con me. Mi rasserena il ricordo della nostra prima notte insieme, del suo piccolo corpo tremante, del suo sguardo caldo e di tutte le altre volte che siamo stati a letto insieme. Non posso fare a meno di lei, mi fa impazzire, mi fa perdere il contatto con la realtà.

È una droga, è la mia cura.

Improvvisamente la capisco, se penso alle sue labbra posate su quelle di un altro uomo mi vengono i brividi e la rabbia mi acceca, non potrei mai accettare l’idea che sia stata di un altro ragazzo.

E, se per di più lo conoscessi, credo che lo ucciderei.

Sono sempre stato estremamente possessivo e non mi piace rinunciare a qualcosa che è già in mio possesso. Anche quelle che definivo semplici compagnie di letto, se sapevo che erano andate a scoparsi altri ragazzi, con me avevano chiuso.

Con Aria poi, è tutta un’altra cosa, potrei uccidere qualcuno anche solo per uno sguardo di troppo.

A tal proposito mi ricordo di Robert, so che passa molto tempo con lei, e credo che dovrei fare qualcosa per fargli capire di tenere apposto le sue manacce, magari potrei sparargli, giusto per precauzione. E per divertimento, ovviamente.

-Che razza di imbecilli! E si fanno anche chiamare Intrepidi?-

Nick è accovacciato al mio fianco e si sporge oltre il muretto più basso per osservare, attraverso un prezioso innovato di tecnologia Erudita, l’ingresso dello spietato generale.

Mi volto verso di lui per capire di cosa parli e lui mette da parte il binocolo potenziato per scuotere la tesata.

Mi giro appena e tendo il collo per vedere a mia volta e, anche se le figure sono indistinte, scorgo gli uomini armati e vestiti di nero davanti l’enorme porta.

-Perché hanno scelto i Candidi? Cosa ci guadagnano?- Si chiede Nick, visibilmente infastidito.

-Gli serviva solo un luogo in cui stare che non fosse pieno di telecamere tanto quanto la nostra vecchia residenza.- Spiego freddamente.

Nick mi guarda e sembra perdersi nei suoi pensieri, poco dopo fa una smorfia. -Bè, non erano meglio le campagne dei Pacifici? Si può andare a correre per tenendosi lontani dai quegli invasati saltellanti! Ma i Candidi? Come fai a fare stare zitti i Candidi? Nemmeno i Pacifici parlano così tanto!-

Sta volta non rispondo, rimango seduto spalle al muro e chiudo gli occhi con un profondo respiro. Non mi importa di dove vadano a rifugiarsi i nostri vecchi compagni, sono solo degli idioti ribelli e andrebbero tutti abbattuti.

Al tempo stesso, penso mentre risollevo le palpebre pesanti, senza nessuna spiegazione non si può pretendere che tutti obbediscano dopo il trambusto dell’attacco agli Abneganti e la simulazione a cui li abbiamo costretti. Ho provato a dire a Jeanine che forse dovrebbe rendere pubblica la verità, ma per lei è assolutamente fuori discussione.

-Siete qui!- Esordisce Jason, entrando furtivamente nel vecchio edificio cadente in cui sono in appostamento con Nick. -Sarah vuole sapere se secondo te possiamo andare, Eric.-

Lo osservo, annoiato e stanco, senza avere la voglia di rispondere. Mi limito a fare un cenno mentre mi alzo, attento a non emergere al di sopra del muro diroccato dietro cui ci stiamo nascondendo.

-Perché questo sopralluogo?- Mi chiede Nick, all’improvviso. -Voglio dire, potremo attaccarli e basta! i Candidi sono indifesi e, se li cogliamo di sorpresa, i trasgressori non avranno scampo. Siamo più forti!-

Jason, che stava uscendo, si ferma  e si volta a guardarci, anche lui in attesa di una mia risposta.

Mi sposto verso l’esterno e sospiro. -Jeanine ha uno dei suoi piani, vuole attaccare solo quando il siero sarà pronto.-

-Ancora con questi sieri? Possiamo costringerli ad obbedirci con la forza!-

Guardo Nick e la mia stanchezza aumenta, sospiro ancora. -Non vuole che venga ucciso nessuno, per non sprecare prezioso materiale genetico.-

Nick fa roteare gli occhi. -Certo, se per lei un branco di idioti è preziosissimo patrimonio genetico…-

Jason si volta per uscire ma poi mi guarda. -Come faremo a iniettargli il siero senza rischiare di uccidere qualcuno?-

Persino Nick alza lo sguardo e si blocca a guardarlo.

Serro la mandibola e mi passo ancora una volta una mano sulla fronte, per la rabbia mi scappa un ghigno che nascondo.

-Ci attaccheranno sicuramente, non possiamo andare lì a farci trivellare di colpi perché lei li vuole tutti sotto siero senza ucciderli!- Afferma Jason, lanciandomi un’occhiata furibonda.

Esco dall’edificio e faccio segno ad uno dei miei uomini appostati fuori di andare. Lui mi fa un cenno, si alza e sgattaiola via furtivamente per andare ad avvisare Sarah, l’altro capofazione, e i suoi uomini di rientrare alle base.

Jason e Nick mi stanno ancora osservando, dubbiosi.

-Jeanine si inventerà qualcosa.- Dico, poi lancio un’occhiata al profilo del quartier generale degli Eruditi che si vede in lontananza. -Oppure per lei siamo tutti sacrificabili e ha in mente di mandarci a farci ammazzare, il che non sarebbe poi così strano.-

 

La vedo, e una forza sconosciuta mi attira verso di lei come un assetato è attratto inesorabilmente dal bisogno di bere, non appena trova una fonte d’acqua.

Aria incrocia i miei occhi, sussulta, assottiglia lo sguardo e poi si volta per sfuggirmi a passo svelto.

Sogghigno, non ha scampo dato che il corridoio che ha imboccato non ha uscita. La seguo sicuro di me e, come era prevedibile, lei si ferma davanti al muro cieco con solo la porta di un bagno alla sua destra. Ostinatamente mi da le spalle, ma vedo che ha il respiro pesante e mi accorgo dei suoi pugni serrati.

Le arrivo alle spalle e faccio aderire la sua schiena contro il mio petto, sentendomi immediatamente inondato da un calore profondo.

-Andiamo, piccola!- Le sussurro all’orecchio, mentre le accarezzo le braccia con le mie dita. -Non vorrai essere ancora arrabbiata con me?-

Le bacio una guancia e la stringo.

-Volevi che ti stessi lontana? Bene, non hai bisogno di fingere che abbiamo litigato, ti starò alla larga per mia scelta!- Mi risponde a tono, con freddezza.

Sogghigno, lo so che non dice sul serio, è imbronciata e il tono della sua voce era leggermente troppo acuto. Non può fingere con me, conosco perfettamente tutti i segnali che emana il suo corpo.

Le faccio passare le braccia davanti al petto e la stringo a me, sentendo ancora di più la sua schiena contro. -E dai, è stata solo una stronzata successa tempo fa!-

Mi ignora e si irrigidisce, sollevando il mento.

Le rido in un orecchio e le poso un bacio sulla tempia. -Dovresti essere furba, lo sai che per me ci sei solo tu. Ci sono state altre prima, ma era solo sesso. Con te è diverso.- Ammetto.

-Diverso?- Indaga.

Sorrido, è così facile colpirla nel punto giusto, so sempre come coinvolgerla.

Come quella volta che l’ho portata fuori dalla residenza prima dell’esercitazione a ruba bandiera, si era arrabbiata perché le avevo detto che volevo essere io a privarla della sua verginità, ma ho rimediato.

Certo che è assurdo, ci so maledettamente fare con lei eppure sono un fottuto bastardo, lo so.

Se avessi lo stesso successo anche con gli altri, sarei il capofazione più amato della storia e avremmo ancora tutta la fazione unita, probabilmente.  

-Diverso!- Confermo.

Si arrabbia e cerca di liberarsi ma io la stringo più forte e le do un altro bacio sulla guancia, ma l’unica cosa che ottengo è un altro suo tentativo di fuga.

-Dimentica quella storia, fallo per me.- Provo.

-Faccio fin troppo per te, e non te lo meriti!-

Rido e la lascio andare, non prima di averla fatta voltare verso di me. -Non me lo merito?!-

La sua occhiataccia ammonitoria non ha successo.

-Pensi che io non faccia abbastanza per te?- Chiedo incrociando le braccia al petto.

Lei imita la mia posizione e corruga la fronte. -Il giorno prima mi mandi al diavolo e adesso sei qui a supplicare… non so nemmeno cosa siamo!-

Strabuzzo gli occhi e indietreggio di un passo -Supplicare?- sibilo minaccioso. -Io volevo dimostrati il mio affetto e tu mi offendi?-

Mi guarda storto e capisco che non ha voglia di scherzare. -Diverso!- Bofonchia, in una tremenda imitazione di me, o almeno penso.

Sogghigno, non credo che capirà mai che sono più bravo di lei a giocare. -Perché non mi baci e facciamo pace?-

Arrossisce ma non demorde. -Non faccio quello mi dici!-

-Sì invece, sei mia!-

Il suo sguardo cambia improvvisamente, lascia cadere la braccia lungo i fianchi e si morde il labbro inferiore. -Dici sempre che sono tua, ma tu?-

-Cosa?-

Non dice niente, i suoi occhi blu mi inchiodano e io mi passo la lingua sul labbro.

-Baciami e ti rispondo.- Le propongo.

Inarca un sopracciglio ed indietreggia, rossa in viso. -Di solito se vuoi baciarmi e lo fai e basta, perché non ti prendi quello che vuoi anche adesso?-

-Ti sto offrendo l’occasione di essere tu a baciarmi, per una volta. Non farò nulla, lascerò fare tutto a te.-

-Perché sei mio?- mi incalza.

-Baciami e ti rispondo.-

Si avvicina lentamente a me e mi mette una mano sulla spalla. -Posso fare a modo mio?- mi sussurra.

Sorrido mentre le sistemo una ciocca capelli dietro l’orecchio. Sono così belli i suoi capelli neri, lunghi, lisci come seta che le accarezzano la schiena. Per un attimo rimango incantato dal suo viso dolce, dai suoi occhi caldi e dalla sua bocca invitante.

-Tutto come vuoi tu, sarò io ad adeguarmi.-

Mi sorride e si avvicina con il viso al mio così, istintivamente, sollevo le mani per prenderle le guance, ma lei si ferma e si allontana di scatto.

-Giù le mani!- mi ammonisce.

-Dove devo metterle?-

Mi guarda storto. -Giù!-

-Mi stai perdonando?-

-Taci, non lo ho ancora deciso! E tieni ferme quelle mani o smetto!-

Obbedisco lasciando cadere la braccia lungo i fianchi e attendo, divertito.

Aria si appoggia alle mie spalle mentre e si mette in punta di piedi perché le sue labbra arrivino alle mie ma non mi bacia, inizia invece e passarmi la sua lingua morbida sul labbro superiore e poi su quello inferiore, lentamente. Fa una breve pausa e poi strofina la punta del suo naso contro il mio, per poi riprendere a far scivolare la sua lingua sul tutto il contorno della mia bocca.

È una tortura che mi manda vergognosamente tutto il sangue al di sotto della mia cintura, devo serrare i pugni per impedirmi di toccala, trattengo un ringhio e tento di baciarla ma lei si allontana.

Sposta le sua piccole mani sul mio collo e mi prende il labbro inferiore fra le sue labbra, lo succhia e lo mordicchia con lentezza disarmante, mi sta facendo impazzire ma non posso darle la soddisfazione di cedere al mio stesso gioco.

Penso che stia finalmente per concedermi quello che voglio e invece inizia a ricoprirmi le labbra di piccolissimi baci, lenti, estremamente lenti. Mi bacia l’angolo della bocca, poi si sposta al centro, poi l’altro angolo, ed io non resisto e l’afferro dai gomiti.

-Aria?- ringhio.

Sorride e mi posa un dito davanti alla bocca. -Non ho finito.-

Non ho chiuso gli occhi neanche per un istante, volevo assaporarmi ogni momento ed ogni sua espressione ma adesso, rassegnato, chiudo le palpebre e la lascio fare, spostando le mani sui suoi fianchi.

Mi soffia sulle labbra e mi morde forte, emetto un lamento soffocato ma non apro gli occhi per incenerirla con un’ occhiataccia. E poi, quando meno me lo aspetto, mi bacia e cerca a forza il contatto con la mia lingua, che io avidamente le offro.

Mi godo i brividi sul mio corpo e il calore che sembra essersi concentrato tutto nel mio basso ventre, è da lì che proviene tutto il piacere che si irradia attraverso le mie vene e sale fino al mio petto.

Mi sta facendo eccitare con un solo e semplice bacio, non è possibile, non sono un ragazzino elle prime esperienze. Eppure è estremamente esaltante sentire l’intreccio delle nostre lingue che avviene dentro la mia bocca, dato che di solito sono io ad avventarmi su di lei e a imporle la mia lingua oltre le sue labbra.

Perdo quel poco di lucidità che mi era rimasta e l’afferro tra le braccia sollevandola da terra, la bacio a mia volta e le intreccio le dita fra i capelli afferrandole quel viso bellissimo.

-Tuo!- ringhio tra un bacio e l’altro, mentre mi sposto lungo il suo collo lasciandole una scia infuocata. -Tutto tuo!-

Lei ride e mi afferra le mani. -Sei mio, Eric?-

La osservo e mi perdo nei suoi occhi cobalto, che mi fissano come nessuno mi ha mai guardato. Lei vede dentro di me, lei scova la mia anima e la porta con lei a bearsi al sole d’estate.

Non sono niente senza di lei, potrei vivere solo per ricevere lo sguardo caldo e pieno d’amore con cui mi fa vibrare il cuore in questo momento.

E all’improvviso capisco e trovo la soluzione a tutti i nostri problemi.

So come riprendermela, so come tornare ad essere quelli che eravamo prima. So come porre fine ai nostri attriti e sono certo di poter sciogliere il gelo che ci portiamo dentro.

Se il freddo ci allontana, il calore ci riunisce.

La bacio ancora e mi godo fino in fondo il fuoco che mi accende dentro. -Sono tuo, Aria.-

Abbiamo entrambi bisogno di lottare per non perderci e, l’unica lotta che possiamo fare, è quella fra noi stessi con i nostri corpi che si intrecciano, che si cercano e si respingono nel nostro gioco pericoloso ed eccitante.

-Non mi importa un accidenti di Jeanine, che provi anche solo a toccarti, ci sarò io a proteggerti!- Le garantisco, poggiando la mia fronte sulla sua.

Sono andato contro le regole della mia fazione e ho rischiato di mandare all’aria il piano che preparavo da anni per lei, ed è proprio questo che ci ha tenuti insieme. Amiamo la lotta ma, se combattiamo battaglie diverse, ci perdiamo.

Devo riportarla con me, al mio fianco. Anche se le avversità saranno maggiori, dobbiamo rimanere insieme per non dividerci. Se la lascio indietro l’abbandonerò alla sua debolezza, se la trascino con me le ridarò la forza per tornare ad essere la mia lottatrice testarda.

-Devo andare, fidati di me!-le dico, baciandole la fronte.

La lascio andare di mala voglia e sto per andarmene, quando i suoi occhi dolci mi incatenano.

-Vedrai,- Le dico per rassicurarla. -Quello che ho in mente ti piacerà!-

Le sorriso, le do un ultimo bacio a fior di labbra e mi impongo di andarmene.

L’ho accusata di aver smesso di lottare quando, in realtà, ero io ad aver messo tutto da parte. Adesso so cosa voglio e niente mi fermerà.

Ho la cura.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua…

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Capitolo 12
*** Per sempre ***


12. Per sempre

 

 

 

 

 

 

 

Ho così tanta voglia di spegnere la mia testa che per poco, riuscendo quasi a sentire già da adesso il mio copro che scivola verso il basso attratto dalla forza di gravità, mi lascio andare per terra.

Senza che nessuno mi veda, mi copro le orecchie con i palmi e tento di seguire il consiglio di Amber per sfuggire agli attacchi di panico, sforzandomi di concentrarmi sul ritmo costante e regolare del mio cuore che posso sentire dalle vene dei miei polsi. Faccio un respiro profondo, imponendomi di controllare il battito e rilasso la mente ma niente, non c’è nulla da fare.

Jeanine parla, parla e non smette di parlare. Alla fine ha trovato il coraggio per uscire dalla sua tana e fare un discorso pubblico, o più o meno.

Si è scelta un bel posto luminoso sul fondo dell’ingresso del quartier generale degli Eruditi, al suo fianco ci sono i cinque capifazione Intrepidi e, davanti a loro, la folla si è radunata in trepidante attesa.

Alcuni sono persino appostati sulle scale che conducono alle varie aree, altri sono nei corridoi adiacenti, ed è evidente che tutti voglio ascoltare la donna che sta guidando la nostra misteriosa guerra.

Misteriosa, perché ancora nessuno sa per cosa stiamo combattendo.

O per cosa abbiamo ammazzato tutti quegli Abneganti, direi io.

Adesso come adesso, mi chiedo se, fra tutti presenti, ci sia ancora qualcuno che abbia voglia di ascoltare. Jeanine si è rivolta ai suoi Eruditi, che sembrano credere davvero in quello che continua a blaterale. Ma anche agli Intrepidi, che ascoltano, certo, ma sono più diffidenti e dubbiosi, come me.

Quelli che rimangono della fazione che ho scelto, tengono molto in considerazione il volere dei nostri capi, li rispettano senza obbiettare e gli sono rimasti fedeli. È solo che, arrivati a questo punto, avere delle riserve inizia ad essere inevitabile.

Gli altri, gli Intrepidi che sono andati a rifugiarsi dai Candidi, che si definiscono il gruppo dei leali, ci chiamano i traditori. Noi chiamiamo loro trasgressori, e ci riteniamo la legge. Non ci vuole un genio per capire che tutte queste definizioni, tutte queste classificazioni, non fanno altro che dividerci sempre di più generando uno stato di confusione e disagio generale.

Siamo in una situazione folle, senza soluzione e, invece di risolvere, siamo così furbi da peggiore le cose.

Jeanine ha elencato i motivi per cui gli Abneganti erano inadatti al governo, ha divulgato tutti gli errori che avevano commesso e concluso con la spiegazione dei danni irreparabili che rischiavano di causare al sistema delle fazioni. Poi ha riassunto, con una compostezza da manuale, che l’aiuto degli Intrepidi è stato di vitale importanza e che si è ricorso alla simulazione nel tentativo di limitare i possibili danni e per velocizzare l’azione, dato che, a detta sua, non si poteva aspettare oltre.

Mi gratto la nuca e non posso certo dimenticarmi del super discorso da ninna nanna sull’importanza del sistema delle fazioni che ha fatto, aggiungendo che nessuna fazione può sopravvivere senza l’aiuto delle altre. Ha detto che dobbiamo riuscire a far capire a chi ancora non ci appoggia che siamo diventati la forza predominante e, chi sarà contro di noi, verrà tagliato fuori dalla società e si ritroverà nella polvere.

La sua abilità, da portavoce perfetta, è stata nel far apparire un discorso minaccioso come una storiella gentile che mirava ad invitare gentilmente i Candidi ad unirsi a noi, consegnandoci tutti i loro Divergenti.

Sospiro, mi guardo in torno in cerca di qualche altro volto esausto e ne trovo parecchi. Una ragazza con un sopracciglio pieno di piercing e i capelli lilla, Intrepida ovviamente, sbadiglia di continuo. Il ragazzo che le sta accanto ha l’espressione più disgustata che io abbia mai visto.

Gli Eruditi sembrano tutti educati e concentrati sul discorso della loro rappresentante, ma tra gli Intrepidi è davvero difficile trovare qualcuno interessato quanto loro. Mi accorgo persino di una donna che ritiene più divertente contare le rampe di scale sopra le nostre teste, piuttosto che ascoltare. È così concentrata che muove persino le labbra mentre conta, rendendo chiara la sua attività alternativa, e io mi chiedo come faccia a non farle male il collo dato che ha la testa totalmente all’indietro.

Ridacchio sperando che nessuno mi veda, a quanto pare non solo l’unica che si è stufata.

Che poi non è certo colpa mia, è Jeanine a dubitare della nostra intelligenza, se pensa che basti radunarci e raccontarci una marea di storielle false per tenerci buoni e al guinzaglio.

Robert, al mio fianco, mi guarda con un sopracciglio alzato. Non capisco mai se sia serio o mio complice.

Scuoto la testa e mi appoggio contro la vetrata per non cedere al desiderio di sedermi per terra, mi fanno persino male le gambe da quanto sono stanca di starmene qui ferma come un soldatino. Il bello di essere tra quelli più in fondo, lontani da chi parla, è quello che nessuno può vedermi e fare troppo caso a me.

Questa è una fortuna, ma non pensavo che si sarebbe rivelata tale, perché non credevo che Jeanine fosse capace di superare il limite e di sconvolgermi più di quanto ha fatto fino ad adesso.

Ma non avrei dovuto illudermi.

Dovrei sapere che abbassare la guardia è sempre sbagliato.

-Ci sono state delle perdite, me ne rendo conto.- Le sento dire. -Non solo tra gli Abneganti, anche gli Intrepidi, purtroppo, hanno perso dei compagni. C’è stato un imprevisto e non eravamo preparati, per questo non saranno più tollerati errori. Il prezzo è stato troppo caro.-

Percepisco, più che vedere, le smorfie dei miei compagni Intrepidi. Robert al mio fianco, incrocia le braccia al petto.

-Abbiamo perso soldati valorosi che non potranno vedere la nostra nuova città, quando avremmo raggiunto il nostro scopo, per colpa dei trasgressori che si sono ribellati. Anche noi abbiamo perso qualcosa, e non accadrà più. Ha persino perso la vita un giovane Intrepido che aveva da poco superato l’iniziazione, proveniente dalla comunità degli Eruditi.-

Will.

Mi si gela il cuore, mi tremano le mani e posso sentire distintamente, una per una, le lacrime che minacciano di scendermi dalle guance. Sento improvvisamente freddo, sento il ghiaccio che mi accarezza la pelle e mi fa male il petto, costringendomi ad annaspare in cerca d’aria.

Questo è troppo, non posso sopportarlo. Farei un torno al mio amico se accettassi che questa donna, la sua stessa assina, parlasse della sua morte così impunemente.

E per un attimo lo rivedo, ricordo i suoi occhi gentili, lo sento ridere. Lo vedo con Christina, lo vedo correre con me al parco, da piccoli.

E adesso non c’è più.

I ricordi cambiano e rivedo la scena dei miei incubi, la sua fronte forata e il suo corpo vuoto che si accascia.

Non posso accettarlo.

È stata lei, Jeanine con la sua follia, a causare la morte di gente innocente e si prende il diritto di parlarne, credendo di ingannarci con le sue menzogne. Non c’era solo Will, sono morti anche altri.

Vorrei tanto sparire e non causare scompiglio, so cosa sto facendo e cosa significherà, ma davvero non posso accettare in silenzio. Devo farlo per Will, non c’è più nessuno a difenderlo e non lascerò che la sua memoria venga offesa in questo modo così disgustoso.

Mi sposto, Robert mi afferra da un braccio e mi fa di no con la testa, trafiggendomi con un’occhiata tremenda. Ha l’espressione terrificata, proprio come se stessi per uccidere qualcuno.

Vorrei dirgli che mi dispiace ma che non è colpa mia, è così sbagliato tutto quello che accade che non mi ritengo più responsabile di nulla, neanche delle mie stesse azioni.

Ignoro il suo avvertimento e mi allontano, mi accorgo che impreca in silenzio, ma saggiamente non mi ferma.

Ma forse avrebbe dovuto. Magari, se l’avesse fatto, si sarebbe guadagnato la simpatia di Eric.

Scivolo silenzia tra la folla al mio fianco e cerco di guadagnarmi l’uscita. Ogni persona che aggiro mi guarda come se avessi tre occhi, o i capelli in fiamme, non saprei dirlo. Li ignoro, passo davanti a due donne per spostarmi e poi, finalmente, raggiungo la porta.

Lì davanti, in disparte insieme ad un ragazzone alto dalla pelle d’ebano, c’è una donna che riconosco. Ha lunghi capelli neri e delicati lineamenti asiatici, ha un’espressione dura e sicura di sé, eppure non sembra cattiva. È Tori, la donna che mi ha tatuato i ghirigori d’acqua sulla nuca e lungo la scapola.

Lei mi guarda con la fronte corrugata, sembra piuttosto concentrata su di me e quasi assorta.

Arrivo all’imponente porta di vetro e la spingo per aprirla, sentendola improvvisamente pesante. Nel silenzio improvvisamente calato nella stanza tra un discorso e l’altro di Jeanine, il suono della porta che si apre taglia l’atmosfera con la stessa precisione chirurgica di una lama affilata sulla carne, in un stridio fastidioso che attira all’istante tutti gli occhi su di me.

Io non mi volto, non ne ho il coraggio né la forza, ma posso quasi sentire lo spossamento d’aria di ogni singola testa che si è girata verso di me.

Non credo di potermi permettere di voltarmi, non oserei, so già che ho attirato l’attenzione, Jaenine ha smesso di parlare e mi rifiuto di pensare a casa staranno pensando i capifazione al suo fianco.

Uno in particolare.

Spero che la folla mi schermi dalla loro vista, facendomi da barriera.

Esco e lascio che la porta si richiuda dopo il mio passaggio, cammino verso il parco, trovo un posto al sole e mi siedo. Mi sento vuota, ho così freddo, vorrei piangere ma non ne sono più capace.

Abbandono la testa sulle ginocchia, sono piena di rabbia e dolore, sono sconfitta.

 

Nel pomeriggio, ho deciso di andare a trovare Amber nel suo studio, anche se è più opportuno dire che sono andata ad ingombrare il suo prezioso angolo con la mia presenza.

Si è rifiutata di dirmi a cosa stava lavorando di preciso ed io ho accettato di buon grado, trovandomi perfettamente d’accordo con la sua idea. Così sono rimasta seduta sulla sua poltroncina girevole, che gentilmente mi ha ceduto, a guardare fuori dalla finestra mentre lei lavorava al computer.

Una volta fuori dal suo ufficio, mentre cammino verso la mensa come un’ automa, con la mente sgombra da ogni pensiero, vengo interrotta da una voce femminile.

-Ariana?-

Sentendomi chiamare con il mio nome completo, so già che si tratta di un’ Erudita e penso che non ne ricaverò nulla di buono. Ma c’è qualcosa, nella voce dolce che sento, che mi tranquillizza. Mentre mi volto sento degli sconosciuti brividi lungo la schiena, perché la mia mante ha fatto i suoi calcoli, scavando fra i miei ricordi e dicendomi già con chi avrò a che fare, ancora prima che scorga il suo viso.

Dietro di me c’è una giovane ragazza con i capelli biondi, è elegante nel suo tailleur azzurro e il suo viso grazioso non sembra rovinato dal naso importante. La somiglianza con suo fratello Will è disarmante, eppure lei è così aggraziata con il suo stesso sorriso gentile.

-Cara?-

Mi avvicino a lei con il cuore in gola, mi sento mille farfalle nel petto, in un misto di gioia e commozione che non riesco a gestire come vorrei.

-Ciao!-  Mi sorride. -Ti ho riconosciuta subito. Ti ho vista andare via dalla riunione, quando ha parlato di Will…-

Le muore la voce in gola e non ho bisogno che mi spieghi che era presente al discorso di Jeanine e che per lei, la mia fuga, è stata significativa.

-Eravate sempre insieme voi due, mi ricordo delle volte che venivi a casa nostra per i compiti e la merenda. Sai, Will mi ha parlato la sera prima del giorno della scelta, mi aveva confidato che avrebbe scelto gli Intrepidi. So che eravate molto amici.- La sua voce è molto dolce, ma colgo la malinconia che nasconde.

-Io…- Provo a dire, ma vengo scossa da un singhiozzio privo di lacrime.

Prima, fuori, ho provato a lasciarmi andare perché ne avevo davvero bisogno ma non ci sono riuscita e, adesso, non so fare altro che cedere ad un pianto muto e asciutto. Mi sento una stupida, tiro su con il naso e respiro profondamente.

-Manca anche a me…- Dice in mio soccorso, abbassa la testa e vedo le sue lacrime anche se le asciuga velocemente.

-Io so come è successo…- gemo, e credo che il mio sia un tentativo di lotta.

Sono ancora arrabbiata per il modo in cui se ne è andato, e non posso portarmi dentro questo rancore così allungo. Ho bisogno di sfogo.

-Sì, lo abbiamo saputo. Io ho visto il filmato.-

La freddezza della sua determinazione mi lascia per un attimo senza fiato, la guardo e non ho le parole per replicare.

Lei si asciuga qualche altra lacrima sfuggita, si impone di sorridermi e, come solo una vera Erudita potrebbe fare, si riaggiusta il colletto della giacca e si ricompone come se nulla fosse successo.

-Dopo tre giorni sono andati e recuperare il suo corpo e, finalmente, dopo più di una settimana, ci hanno dato il permesso di celebrare il suo funerale.-

La guardo e vado in confusione.

-Spetterebbe alla sua nuova fazione disperdere le sue ceneri ma, dopo tutto quello che è successo, con gli Intrepidi divisi e considerato che era solo un iniziato, ci è stato concesso di dirgli addio a modo nostro.-

Stringo i pugni e mi mordo il labbro inferiore, non piangere sembra improvvisamente la cosa più difficile da fare.

-Forse con la divisione delle fazioni non sarebbe possibile, ma non credo che qualcuno faccia caso a queste cose, in questo momento.  Perciò, mi chiedevo se ti andrebbe di assistere al funerale.-

Alzo gli occhi su di lei e per poco non scoppio a singhiozzare, mi paralizzo e la guardo attentamente. Ha le spalle rigide ma il suo sorriso è incrinato, d'altronde la sofferenza non è facile da nascondere. Lei è come me, è forte, non so come dirle quanto apprezzo il suo gesto nei miei confronti.

-Ne sarei felice…- sussurro.

Sorride.

 

Sono seduta sulla ringhiera di confine del Millennium dove, poco lontano di fronte e me, una piccola e timida folla vestita di azzurro forma un semicerchio davanti allo scarso fiume che accarezza il parco nel quartiere degli Eruditi, scorrendo per la città.

Una donna bionda tiene in mano un’ urna argentata, al suo fianco un uomo dai capelli scuri la sostiene. Cara è accanto ai suoi genitori, si asciuga gli occhi con un fazzoletto, e appoggia una mano sull’urna quando la madre la inclina per disperdere le ceneri nel letto del fiume.

Stringo i pugni, mi sembra di vivere una delle mie paure durante il test finale dagli Intrepidi, con la differenza che superarla da cosciente è molto più doloroso.

Non dovrei assistere al funerale di una delle poche persone che mi stavano a cuore.

Will, il mio unico amico fra gli Eruditi che mi faceva compagnia e mi sosteneva, non c’è più. Potevamo essere entrambi Intrepidi, potevamo essere felici, e invece siamo in uno schifo di guerra e andremo solo di male in peggio.

Un addio è per sempre.

È questo che mi dico mentre osservo Cara che abbraccia sua madre, mentre quelli che immagino essere loro amici e parenti, si avvicinano uno alla volta in un composto silenzio per porgere alla famiglia le loro condoglianze.

Will è morto e a nessuno è importato che fosse troppo giovane o troppo buono, se ne andato e basta. Vorrei avergli detto grazie per le volte che mi ha difeso, per essermi stato vicino, ma dovrò farlo silenziosamente sperando che gli arrivi comunque il mio messaggio.

Non so di preciso perché me ne sto qui in diparte, seduta da sola al limite del parco, osservando da lontano. Forse perché so che non c’entro nulla con la sua famiglia, magari perché sono un’ Intrepida, ma non è per questo. Avrei voluto avvicinarmi, d'altronde anche Will era diventato un Intrepido, ma le mie gambe hanno ceduto. E, quando anche il mio cuore si è fatto pesante, ho dovuto optare per una soluzione alternativa, mantenendo le distanze.

Inspiegabilmente sento uno strano calore sulla mia nuca e provo la particolare sensazione di essere osservata, così mi volto lentamente e incrocio il mio sguardo con quello del ragazzo che mi sta scrutando da capo a piede.

La sua giacca nera avvolge la sua corporatura muscolosa, contribuendo, insieme alle strisce nere tatuate sul suo collo, a donargli un’aria ferina e pericolosa. Il suo sguardo tetro è più affilato di una lama.

Serro le labbra, Eric mi sta fissando con cattiveria e so benissimo che era venuto a cercarmi per rimproverarmi per la mia uscita di scena al momento sbagliato durante il discorso di Jeanine.

Lo so è basta, lo capisco a pelle quando è furioso, e non mi riferisco solo alla sua espressione. Tutto in lui vibra in maniera diversa e so che non è pronto a perdonarmi.

Poi, dopo avermi studiata per qualche altro secondo mentre le sue spalle si abbassano e il suo sguardo si vela di incertezza, si accorge di quello che sta succedendo poco più in là da me e le sue labbra si piegano in una linea retta.

Mi accorgo di come i suoi muscoli si rilassano, del disaggio che prova quando inarca le sopracciglia mentre segue il termine del funerale vicino al fiume. Non appena riporta i suoi occhi su di me per scrutarmi, si accorge della mia tristezza e trattiene il respiro.

I miei forzi per cercare di nascondere il mio malessere sono falliti miseramente.

La sua mascella si serra, solleva il mento e guarda un punto imprecisato oltre la mia testa, fa un cenno rigido con il capo e si allontana silenziosamente.

Il mio cuore si riscalda all’improvviso, Eric non è abituato al dolore, non sa come gestire il suo, figurarsi quello degli altri. Il realtà è molto abile, sa meglio di me che non ho bisogno di consolazione e di inutili abbracci, ho solo bisogno del mio momento tranquillo per dire per sempre addio a Will.

Non è convenzionale assistere al funerale di un’ altra fazione ma, nonostante fosse arrabbiato con me e fremesse nel desiderio di farmi passare la voglia di fare come mio solito stronzate, Eric mi ha permesso di restare.

Adesso mi sento meglio, mi alzo faticosamente e, attenta a non perdere l’equilibrio, mi allontano ed esco dal parco per seguire il sentiero che mi riporta indietro.

Tuttavia, superato il cancello, mi paralizzo quando scorgo la figura imperiosa che mi attende.

Eric è indolentemente appoggiato ad una scultura, ha le braccia incrociate al petto e l’espressione indecifrabile. Quando mi vede contrae tutti i lineamenti del viso, nonostante ciò i suoi occhi accarezzano la mia figura e mi scaldano.

Accenno un sorriso: mi ha aspettata.

Quando gli sono vicina, Eric mi affianca in silenzio e mi prende per mano. Sollevo la testa per guardarlo meglio e lui ha il volto abbassato verso di me, anche se è una maschera priva di sentimenti.

Non dico nulla e cammino insieme a lui.

Non so come faccia questo capofazione spietato e folle a farmi sentire così al sicuro con semplici gesti, dovrei tremare di paura ogni volta che lo vedo, e invece ne sono irreparabilmente attratta e non ho pace finché non sono fra le sue braccia.

Sono come un bambino davanti al fuoco, sa che non dovrebbe metterci la mano, eppure non resiste alla tentazione di scoprire cosa si prova a toccare quelle fiamme danzanti ed incredibilmente attraenti.

Eric è capace di fare del male, so che lo ha già fatto, eppure io sento le sue mani su di me e trovo la calma. Lui mi guida, lui mi salva, ed io dipendo da lui come non vorrei e sono sua.

Solo sua.

E sarà così per sempre.

-Mi dispiace.-  Sussurro freddamente. -Non volevo andarmene in quel modo.-

Mi sento esausta, tutte le mie emozioni mi hanno sopraffatto e poi abbandonata, svuotandomi. Sono in piedi solo perché Eric mi tiene per mano. La sicurezza che emana è una coperta che mi avvolge e mi tiene al riparo dalla notte più fredda.

-Penserò io a rimettere a posto tutto.- Afferma.

Sorrido, il mio Eric che mi protegge sempre.

Non dovrebbe, sono un disastro più che una buona compagnia. Sono uscita da una sala colma di gente facendomi notare, anche se non volevo, ho interrotto il discorso di Jeanine e lei sarà furiosa. Eric dovrebbe essere arrabbiato, e so che lo è, ma anche sta volta mi perdonerà assumendosi la responsabilità dalle mie azioni e rischiando in prima persona per difendermi.

Dovrei odiarlo, è un pazzo criminale e so che è responsabile di quello che è successo, persino della morte di Will. Avrebbe dovuto impedirlo, avrebbe dovuto mantenere uniti gli Intrepidi.

Il capofazione che amo terrorizzava mezza fazione, si faceva rispettare con la forza ed è arrogante e presuntuoso. So che è cattivo, non ha limiti e non conosce la pietà, ma io non posso separarmi da lui. 

Dovrei essere arrabbiata perché ha ammesso di essere andato a letto con Jeanine, e infondo non so ancora come farò a liberarmi del dolore e del rancore che mi soffocano quando il ricordo mi sfiora, ma non posso fare altro che ammettere di averlo già perdonato. Ieri, a suo modo, ha cercato di scusarsi e di farmi capire che per lui è stato l’errore di una sera.

Avrei voluto oppormi e fargliela pagare, ero davvero arrabbiata e pensavo che non gli avrei mai più rivolto la parola e che fra noi fosse tutto finito. Eppure il pensiero di perderlo mi devastava e, per quanto io voglia negarlo, ho ceduto nel momento stesso in cui mi ha abbracciato dalle spalle e mi ha proposto di baciarlo.

Ma la mia arrendevolezza non è stata solo debolezza.

Eric ha visto dentro di me, sa cosa sono e cosa posso diventare, sa quanto in basso posso scendere e come può annerirsi la mia anima. Non so come, ma continua a lottare per me anche quando dovrebbe mollare, sa come prendermi, mi rende felice e mi fa andare avanti anche quando credo di non farcela.

Non posso non amarlo, non posso vivere senza i suoi occhi, senza le sua mani su di me. È capace di sorprendermi e travolgermi con gesti improvvisi e premurosi che mi tolgono il fiato e, semplicemente, i sentimenti che provo per lui si convertono e smetto di combatterlo.

Non so cosa è giusto, ma io ho trovato la mia metà mancante e non posso illudermi di non desiderarlo. 

Forse sbaglierò, mi farò del male, molto male. Lo seguirò nelle tenere in cui mi porterà, perché sarà insieme che ne usciremo.

Stringo la presa attorno alle sue dita forti e lui si porta la mia mano davanti alle labbra, accarezzandomi il dorso con un bacio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

Ciao a tutti, come avrete capito bisognerà attendere il prossimo capitolo per scoprire che tipo di sorpresa aveva in mente Eric!

 

La storia procede molto al rilento, vi sarete accorti anche di questo, non so ancora se sia stata una scelta corretta. Voi cosa ne pensate? Troppo lungo e noioso, volevate sin da subito particolari più significativi e importanti?

 

Bè, sarete accontentati visto che, per me, la storia inizia adesso!

Non so di preciso perché, ma sento che da questo capitolo in poi tutti i dubbi e gli assestamenti che seguivano la fine della precedente storia sono stati risolti.

Mi sembra che siamo pronti per la vera guerra e per approfondire, finalmente, il rapporto tra Aria ed Eric dopo le prime turbolenze.

 

Grazie a tutti voi che seguite la mia storia, ci vediamo al prossimo aggiornamento… con piccola sorpresa XD

 

Fatemi sapere cosa ne pensati, baci!

 

 

 

 

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Capitolo 13
*** Barriera ***


13. Barriera

 

 

 

 

 

 

 

Il colpo parte e si pianta al centro del bersaglio con precisione incredibile, in un boato che mi ricorda giorni più sereni.

Sembrerebbe che questa ragazza spari da anni, e invece ha seguito solo un corso per qualche settimana e, per di più, non si esercita da un pezzo. Tuttavia, l’inerzia non ha minimamente intaccato la sua abilità.

Rimane concentrata, colpo dopo colpo, e va sempre a segno.

Mi avvicino alla linea di tiro e l’affianco, senza riuscire a fare a meno di farmi sfuggire un piccolo sorriso soddisfatto, mentre riconosco il suo sguardo risoluto nell’impugnare con forza la pistola. Studio la sottile muscolatura delle sue braccia che si tendono, la rigidità delle sue spalle delicate e l’espressione determinata.

-Ho fatto bene, allora, a far istallare un poligono anche qui…- La provoco, ma lei mi ignora.

Sogghigno, mi volto verso la colonnina metallica al mio fianco e prendo la pistola che vi è appoggiata sopra. Nel momento in cui lo faccio, il vassoio d’appoggio si apre lasciando emergere dalla colonna un nuovo ripiano con alcuni caricatori, a quel punto una serie di lucine azzurre si accendono agli angoli.

Gli Eruditi e tutta la loro fottuta tecnologia!

Purtroppo è vero che non possiamo vivere gli uni senza gli altri, e dovremmo cominciare a lasciarli entrare nella nostra residenza per permettergli di migliorare tutti i nostri impianti. I nostri computer sono vecchi e lenti, i nostri bersagli semplici cartonati appesi ad un binario mobile, ed è ora di aggiornarci.

Giorni fa ho chiesto a Jeanine un piccolo centro di tiro, perché i miei uomini stavano marcendo a rigirarsi i pollici. Avevano bisogno di un posto dove sfogare i nervi e dove poter riprendere in mano le armi per esercitarsi, oppure avrebbero perso la mano e si sarebbero uccisi fra di loro senza niente che li coinvolgesse.

Inizio a sparare ed in un attimo la tensione accumulata nel mio corpo si disperde, mi carico di energia e mi sento forte, libero. Trivello la sagoma che ho davanti fino a quando non finisco i colpi del caricatore, fermandomi giusto un attimo ad ammirare la mia opera.

Tutti i colpi sono andati a segno vicino al centro, qualcuno sulla testa.

Il fantoccio ruota su se stesso e, quando ritorna in posizione, è nuovo di zecca e pronto a ricevere altre scariche di proiettili. Dietro al muro su cui sono stati allineati i bersagli, è stato istallato un sistema di ricambio di altissima tecnologia.

Aria, accanto a me, continua a sparare. Finisce un caricatore e lo sostituisce con quello già pronto sulla colonna metallica, ricominciando con i colpi.

Osservo il suo operato e ne rimango sempre stupido. Non ha una vera e propria tecnica, il suo è un talento di base, un’abilità innata che fa semplicemente parte di lei.

-Vuoi diventare più brava di me?- La stuzzico, quando fa una pausa. -Le tue manine delicate non ne hanno abbastanza?-

Finge di non avermi neppure sentito.

Mi allungo sopra la colonna metallica che separa le postazioni e le accarezzo la guancia. -Pensavo ti piacesse poter sparare…-

Mi guarda ma non dice nulla, si scosta da me e ricomincia a colpire il fantoccio.

Serro la mandibola, dietro di noi è stata creata una postazione per il lancio dei coltelli, mentre al nostro fianco c’è lo spazio palestra e un ring da combattimento.

Ero sicuro che l’avrei resa felice portandola qui, ho persino fatto uscire tutti mezz’ora prima della chiusura per poter rimanere da solo con lei, ma non ottengo nessun risultato.

Sto iniziando a perdere la pazienza, quando mi guarda e accenna un sorriso, dandomi una lieve speranza.

-Mi piace sparare, ma con te.-

Sorrido, per quanto le mie scarse capacità di manifestare i miei sentimenti me lo consentano.

Per un attimo abbassa la testa e penso che, se non l’avessi portata qui, forse starebbe ancora pensando al funerale.

Non avrei mai voluto vederla soffrire, ma ciò che mi ha lasciato l’amaro in bocca è stata l’assenza delle sue lacrime. Ha visto disperdere le ceneri del suo amico, quando nel suo scenario della paura c’era proprio un’ urna, e non ha detto nulla.

Dovrei essere soddisfatto della sua dimostrazione di forza, ma so benissimo che un dolore non espresso rimane dentro e pesa molto di più delle lacrime.

Non ho mai avuto qualcuno da proteggere e, alla prima occasione, non faccio altro che collezionare fallimenti, cosa a dir poco fastidiosa. Voglio sempre il meglio dai miei uomini, dagli iniziati, e soprattutto da me stesso, così sono finito col pretendere il massimo anche da lei.

Ma non è quello di cui ho bisogno.

Voglio che sia forte per sé stessa, mi piace spingerla al limite e vederle superare le sue difficoltà ma, essendo così coinvolto, non sopporto vederla soffrire. Chiunque le faccia del male dovrà vedersela con me e, se lei non è in grado di superare i suoi momenti difficili, io sarò li a spingerla avanti.

Non sopporto minimamente il disaggio che mi causano le sue lacrime.

Non posso affrontare i miei sentimenti, mi infastidiscono perché mi fanno sentire debole. Lei è il mio unico punto debole, per questo devo difenderla e renderla forte.

Sto provando a mantenere intatta la mia integrità mentale, sperando di non ledere alla mia figura, ma non ritengo che quella che sto affrontando sia una guerra che merita il mio tempo. D'altronde, sono anni che combatto contro me stesso, so quanto può essere sfibrante, e mi chiedo se ne valga ancora la pena, ora che c’è Aria con me.

Ancora non capisco perché mi rimanga accanto, non so cosa veda in me, dato che c’è ben poco da amare. Eppure, lei tira fuori le unghia e lotta per starmi vicino, anche quando avrebbe mille motivi per scappare o per voltarmi per sempre le spalle.

Lei ha visto oltre ogni mia barriera, mi ha spogliato non solo dei miei vestiti e non posso negarle tutto me stesso, fingendo o issando muri che so già che abbatterà.

Non so dove trovo il coraggio di accettare i miei limiti e di ammetterle, senza alcuna protezione, ciò che provo.

-Mi dispiace per il tuo amico. Era una mia responsabilità, ma ho mandato lui e tutti gli altri a morire.- Prendo fiato serrando i pugni. -Ti avevo promesso che avrei sistemato tutto, e invece non sto facendo niente!-

Aria abbassa la testa e respira a fatica, credo che stia tentando di trattenere le lacrime.

Senza sapere perché, in questo momento, vorrei che si lasciasse andare.

-Sei tutto ciò che ho. Odio vederti soffrire.- Grugnisco, infastidito da me stesso.

I suoi occhi blu mi incatenano e mi bruciano dentro quando si fissano nei miei, improvvisamente piange, si avvicina a me e sento che non ha la forza per dire quello che prova.

-Eric, io ti amo…-

Smetto di respirare, le vado incontro e ci ritroviamo l’uno di fronte all’altra, sto per toccarla, ma solleva le braccia e mi ferma.

È agitata, sconvolta, mi guarda e le lacrime nei suoi occhi le appannano la vista mentre le trema il labbro.

-Non voglio ammetterlo perché ho paura che per te non sia così, ma adesso non mi importa. Io voglio te, voglio stare con te, e non voglio vivere nella paura che ti stancherai di me.-

Abbassa la testa, lotta contro l’impulso di continuare a piangere ed io non resisto, le prendo il viso fra le mani e la bacio senza attendere il suo consenso.

-Razza di stupida, perché non lo hai detto prima?-

-Non lo so!- Ammette, con gli occhi nei miei e le mani appoggiate sulle mie mentre le accarezzo le guance umide. -Perché vorrei non provare per te quello che provo, ma non posso. Sono innamorata di te, ho paura, ma voglio solo stare con te.-

La bacio ancora, sento il sapore salino delle sue lacrime e respiro a fondo il suo profumo.

-Dovrei essere così arrabbiato con te…- ringhio.

Si stacca da me e guida le mie mani sui suoi fianchi, quando si appoggia alle mie spalle. -Perché sono debole?-

-Non sei debole.- Le garantisco con un ghigno. -Io lo sono, per colpa tua. Ti avevo detto di amarti il giorno che mi hanno sparato al piede, quando sei venuta da me dopo la simulazione. Ma tu non mi hai risposto.-

Batte le palpebre, guardandomi senza fiato.

-Credevi che me lo fossi dimenticato? Quando ieri mi hai chiesto se sono tuo, pensavo che non meritassi una risposta, ragazzina!-

Si morde il labbro. -Pensavo che lo avessi detto per la foga del momento…-

Inarco pericolosamente le sopracciglia. -Ti sembro forse uno che si fa prendere da un’ emozione momentanea e si lascia scappare parole che non sa nemmeno gestire?-

Resta in silenzio, sembra impaurita, almeno ha la decenza di capire quando sbaglia.

-Non sono un ragazzino in preda agli ormoni, se dico di amarti nonostante tu sia più piccola di me ed insopportabilmente arrogante, vuol dire che ti amo, mi hai capito?-

Per un primo momento i suoi occhioni da bambina mi scrutano, in attesa, poi un sorriso malizioso le arriccia deliziosamente le labbra.

-Posso fidarmi del mio capofazione?-

La mia bocca si tende in un sorriso, mi passo la lingua sul labbro inferiore e le prendo una mano, per darle un bacio sul dorso pallido.

-Ho una sorpresa per te.- Annuncio.

-Una sorpresa?-

Sogghigno e mi godo la sua espressione da bambina curiosa, ricordandomi quanto adoro la sua duplice personalità. Mi eccita la sua innocenza ed impazzisco per il suo carattere ribelle.

-Sì.-

 

La faccio fermare davanti a me e le chiudo la cerniera del giubbotto di pelle, riconoscendo che è quello che le ho procurato al Pozzo una mattina, dopo che era rimasta a dormire con me nella mia camera. Non dovrebbe indossarlo in realtà, dato che non ha la fascia blu sulla manica, cosa che la rende diversa, rivoluzionaria.

Arrivo alle fine della cerniera e la prendo per mano.

-Non voglio certo che tu prenda freddo, piccola!-

Mi ammonisce con lo sguardo mentre fa una piccola smorfia, non ama essere chiamata piccola. Poi mi sorride raggiante.

Sogghigno e la conduco con me lungo le vie fredde del quartiere, non manca tanto all’inverno, ormai le sere iniziano a diventare davvero gelide.

Potrei avere la testa affollata dai pensieri, ed invece sono così sereno che non penso a nulla di specifico. Abbasso gli occhi e per un attimo incrocio i suoi, pieni di vita ed allegri, era così che li ricordavo e così che li voglio sempre.

Posso davvero accenderla o spegnerla, e lo so perché lei ha la stessa influenza su di me.

Dovrò ricordarmelo.

Vedo da lontano la nostra meta e faccio un piccolo ghigno, fermandomi.

Aria mi guarda, incuriosita.

-Una sorpresa è una sorpresa…- Le dico, lasciandole la mano per posizionarmi dietro la sua schiena.

Segue il mio movimento e gira la testa per cercare il mio sguardo da oltre la sua spalla. Mi sorride, ed io sento un brivido che parte dal mio petto e scende sotto la cintura.

-Non puoi guardare…- Le sussurro sensualmente all’orecchio, sentendo la vibrazione del suo corpo contro il mio petto.

Le metto le mani davanti agli occhi e la spingo in avanti, lei ride e posa le sue mani sulle mie.

-Non mi farai cadere, spero!-

-Dovrai fidarti di me.- La guido lungo la strada spingendola con cura. -Non sbirciare.-

-Tengo gli occhi chiusi!- Mi promette.

Sono anni che non provo un’euforia simile scorrermi lungo la pelle e penetrarmi nelle vene. Mi sono sentito così felice ad appagato solo poche volte in vita mia, come quando sono diventato capofazione, per il resto si è trattato soltanto di soddisfazioni momentanee e non del tutto appaganti.

Ero sempre annoiato ed insoddisfatto.

Con lei mi sento forte, vivo.

Le indico di girare muovendole la testa e dandole una leggere spinta da dietro con il mio copro, lei capisce e si muove sotto la mia guida, mentre ride.

Ora che ci penso, è stata lei a regalarmi veri momenti di gioia, come quando ha scelto di abbandonarsi completamento a me concedendomi tutta sé stessa. Non dimenticherò mai la sera che ha voluto fare l’amore con me, era decisa all’inizio e dopo spaventata, ma lo ero anch’io. Ero eccitato da morire, eppure non riuscivo a smettere di pensare che avrei potuto farle male, e non volevo.

Era l’unica che non mi istigava pensieri crudeli.

Mi ha dato una vibrazione appagante, era tutta mia, finalmente avevo ottenuto il tanto agognato premio. Ero così impaziente di averla tra le mie mani che stavo impazzando.

Nonostante sia stato con altre donne, quando sono a letto con lei provo mille emozioni sconosciute che mi annientano e mi creano dipendenza.

Siamo finalmente arrivati, così mi fermo ed esito un attimo prima di lasciarla.

-Non aprire gli occhi, oppure mi arrabbio.-

Lei fa un cenno. -Agli ordini!-

Le tolgo le mani dal viso e scivolo verso la porta della casa davanti cui siamo arrivati, estraggo le chiavi che ho in tasca ed apro. Torno da lei, le copro gli occhi e la guido dentro, ci fermiamo al centro della sala e faccio un passo indietro.

-Apri gli occhi…- Sussurro.

Indietreggio per chiudere la porta con due giri di chiave e poi mi affretto ad affiancarla, perché voglio godermi la sua espressione.

Le labbra di Aria si schiudono per la sorpresa, i suoi occhi vibrano di eccitazione mentre segue, con una certa incertezza, i dettagli della casa illuminata solo dalla luce che entra dalle vetrate.

Sulla sinistra c’è la parete della la cucina, con i fornelli e i vari ripiani e armadietti, e davanti un tavolo con sedie coordinate. Di fronte a noi c’è il fianco di una rampa di scale in legno che sale seguendo il profilo del muro. Sulla nostra sinistra, ad un livello leggermente più basso a cui si accede con uno scalino, il soggiorno con un ampio divano bianco sistemato di fronte alle vetrate.

-Considerala casa nostra fino a quando non torneremo alla nostra residenza.- Le spiego.

Quando si gira verso di me, i suoi occhi sono fuoco, colmi di amore e qualche altra emozione che non riconosco.

Credo, ma non vorrei dirlo, che sia soddisfatta di me.

-Ero stanco della sistemazione con gli altri capifazione, e Max voleva stare con sua moglie e suo figlio, così ho procurato una casa anche lui. In questo modo, ho evitato di dare nell’occhio prendendomi un’abitazione per me.-

-Ti sei fatto assegnare due case?- Chiede.

Mi stringo nelle spalle. -Sono quelle vuote riservate alle nuove famiglie che si formano fra gli Eruditi. Nessuno ne avrò bisogno per adesso, ce ne sono abbastanza libere.-

-Quindi possiamo stare qui?- Sembra incerta.

La guardo con severità a mi incupisco.

Mi aspettavo più entusiasmo, non certo tutte queste riserve. -Sarah sentiva la mancanza del suo compagno, e Finn voleva avere Robert sottocchio, invece che in un dormitorio con tutti gli altri. Liberando il posto mio e di Max, ho reso tutti felici.-

Inizia a tranquillizzarsi, sul suo viso si accende un sorriso pieno di gioia e, finalmente, ho quello che volevo.

Mi avvicino a lei, l’abbraccio e poi la prendo per mano, guidandola su per scale.

Non c’è una porta, si entra direttamente nella camera da letto che ha solo due vere pareti, dato che affaccia con una ringhiera di legno sul piano inferiore, con una vista sul soggiorno.

Il letto è al centro, sistemato contro il muro principale, ci sono anche due sedie imbottite ai lati, e sui comodini due abatjour con merletti azzurri.

Aria è rimasta senza fiato, nella penombra, osserva in silenzio la trapunta blu del letto.

Mi posiziono dietro di lei e, allungando le braccia davanti, la avvolgo e le faccio scivolare verso il basso la cerniere dal giubbotto che io stesso le avevo chiuso. Quando l’ho aperto, glielo faccio cadere dalle spalle e tiro le maniche dai polsi, togliendolo.

-Dato che non riuscivi a dormire senza di me…- le sussurro in un orecchio, mentre lancio la sua giacca sulla sedia dietro di me. -Ho pensato di appropriarci di un posto in cui posso vederti dormire su di un letto con me, invece che in un divano.-

Si volta e mi guarda piena di desiderio, ma non è solo desiderio, è anche amore.

Mi manda in fiamme.

Non sono abituato ad affrontare situazioni che non so gestire, mandando in tilt il mio sistema nervoso, per cui devo rimediare a questa situazione che mi svantaggia.

Le prendo prontamente il viso fra le mani e la bacio, sto diventato violento intanto che il mostro assetato dentro di me si risveglia. Sento le sue mani cercare la cerniera del mio giubbotto e apro le braccia, permettendole di liberarmi. Rimasto senza giacca, mi avvento su di lei e le tolgo il maglioncino leggero che indossa, lei mi segue sollevando le braccia.

Faccio un passo indietro per godermi la sua pelle nuda e, eccitato, mi avvento sul suo collo e la bacio, mentre muovo le mani sui suoi fianchi.

-Pensavo non mi volessi più…- Geme, e colgo il suo desiderio attraverso la sua voce.

-Permettimi di dimostrarti il contrario….- ringhio, prendendole il viso. -Voglio fare piano, voglio godermi ogni istante. Non sai quanto ti ho desiderata.-

Le sue dita si posano sulle mie labbra. -Non sembravi tanto attratto da me…-

-Non puoi neanche immaginare quanto ti sbagli!-

Fa scorrere le mani sul mio addome e mi solleva l’orlo della maglietta che indosso, si china verso il basso causandomi un fremito che mi fa tremare le gambe, mentre mi si incendia il petto. La sua bocca si posa sui miei addominali e posa piccoli baci salendo vero l’alto intanto che mi solleva la maglietta. Arriva al mio petto e lo bacia, mentre impazzisco di piacere con brividi di calore che mi salgono lungo la schiena, mentre sento il bisogno di liberarmi dai pantaloni.

Aria mi afferra la maglietta per togliermela ed io, obbediente, sollevo le braccia per permetterglielo. Quando mi bacia il collo, seguendo le line del mio tatuaggio, decido che ne ho abbastanza di giocare e le sbottono i jeans che indossa, facendoglieli scorrere lungo le gambe.

La spingo sul letto dietro di lei, costringendola a sedersi.

Mentre mi guarda, i suoi occhi ardono ed io vorrei sprofondarvi dentro. Voglio affondare in lei.

Le afferro i pantaloni, piegandomi sulle ginocchia, e glieli sfilo dalle caviglie insieme alle scarpe. Mi raddrizzo e le sono davanti, così ne approfitta per sbottonarmi la cintura e abbassarmi i pantaloni, da cui esco quando cadono a terra.

-Mi vuoi?- Chiede, sorprendentemente maliziosa.

-Lo vedrai!-

Scosto le coperte e la prendo per mano, guidandola al centro del letto, poi mi intrufolo anch’io sotto le lenzuola, mettendomi a cavalcioni su di lei.

E perdo il controllo, mi piego a baciarle il seno, mentre le faccio passare le mani sotto la schiena per sganciarle il reggiseno, di cui mi libero gettandolo via.

-Sei mia!- ringhio contro la pelle del suo collo.

Lei geme ed io voglio di più, così scendo sul suo ventre pallido.

-Dimmelo!-

Scuote la testa ed io le mordo la pelle del fianco, per punirla.

-Ho detto dimmelo!-

-Sono tua!- freme.

Sono abbastanza soddisfatto, le tolgo l’ultimo pezzo di stoffa che mi separa da lei sfilandole ferocemente le mutandine delle gambe. A quel punto cerca di allungarsi per togliermi anche i boxer, ed io l’aiuto, spogliandomi.

-Sei tutta mia.- Ringhio.

Le si aggrappa alle mie spalle e mi attira sulle sue labbra.

-Io ti amo… - Mi sussurra, tanto piano che quasi non la sento.

Un fuoco mi accende, la voglio, adesso. È la mia cura ed il mio veleno.

-Dimmelo ancora!- le ordino, sistemandomi fra le sue gambe.

Geme e si inarca contro di me. -Ti amo!-

Mi godo con un sorriso lo spettacolo del suo copro nudo sotto di me, è tutto ciò che potrei mai chiedere e voglio abbattere ogni barriera fra di noi.

Mi lecco avidamente le labbra, pregustandomi il momento.

-Oh piccola, ti amo anch’io…-

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua….

 

 

 

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Capitolo 14
*** Dritto al cuore ***


14. Dritto al cuore

 

 

 

 

 

 

Qualcosa disturba il mio sonno, forse la luce oppure dei rumori troppo vicini.

Tento di aprire le palpebre, riscoprendole estremamente pesanti, ci riesco e il mio copro protesta, ancora bisognoso di riposo. Attorno al letto una figura vestita di nero si aggira con fare sospetto, ma non ci metto molto a capire che è Eric, riconoscerei le sue forme e i suoi movimenti ovunque.

È in piedi, si sta allacciando la cintura dei pantaloni, sembra concentrato ma, inspiegabilmente, c’è qualcosa nei suoi lineamenti che mi sembra diverso. Non ha la mascella contratta, ha uno sguardo caldo, forse è solo una visione, ma apparrebbe sereno.

Batto le palpebre, Eric recupera la sua giacca con una fascia di tessuto blu cucita alla spalla e la indossa quando, voltandosi verso di me, incrocia il mio sguardo. Ha un momento di incertezza, poco dopo mi accenna un tenue sorriso. Punta le ginocchia sul letto e mi raggiunge, posandomi le sue labbra calde sulla fronte.

-Dormi!- mi ordina a bassa voce.

Il mio corpo non fatica ad obbedirgli, i miei occhi si chiudono da soli e la stanchezza mi lascia subito sprofondare nel mondo dei sogni.

 

Deve essere passato davvero tanto tempo dall’ultima volta che ho dormito così bene, ovviamente ero ancora nella camera di Eric alla residenza degli Intrepidi. Da quando sono qui, fra gli Eruditi, il mio sonno è sempre stato tormentato dagli incubi e, quando scendeva la sera, la paura mi attanagliava in una morsa gelida che mi impediva di addormentarmi da sola.

Sta notte non ho sognato la scena della morte di Will, né Eric con una pistola in mano puntata contro di me. Forse assistere al funerale del mio amico mi ha aiutato a lasciarlo andare. E, ovviamente, anche chiarire tutto con Eric deve avermi aiutata.

Forse dormire con lui è stata la chiave di tutti i miei problemi.

Apro gli occhi e mi metto a sedere, massaggiandomi la testa, sono ancora stanca. Scosto le coperte e mi alzo, vergognandomi nel costatare che sono ancora nuda. Decido di zampettare alla ricerca dei miei indumenti, recupero la mia biancheria dal pavimento e il mio maglioncino su una sedia, poi raggiungo la ringhiera di pregiato legno d’acero e mi affaccio per osservare il piano di sotto.

Le tende color tortora nascondono le vetrate che ricoprono l’intera parete del soggiorno, che vanta solo un divano in palle bianco panna.

Di Eric nessuna traccia.

Seguo il contorno della balaustra e raggiungo la scale, anche loro di legno chiaro finemente intagliato, e arrivo alla cucina. Scivolo verso il tavolo e lo accarezzo, è bianco larice, sempre di legno. Sorrido, purtroppo mi sono mancate le case degli Eruditi, eleganti, confortevoli e, ovviamente, tecnologiche. Guardo il piano cottura riconoscendo gli stessi fornelli e strumenti che avevo nella casa in cui abitavo con la mia famiglia.

Improvvisamente mi accorgo che ho davvero bisogno del bagno, ma penso che sopra c’era solo una porticina per il guardaroba, così scendo il gradino da cui si accede al piano ribassato del soggiorno a vista e giro l’angolo dietro le scale, trovando una porta.

Entro timidamente, faccio scattare l’interruttore della luce e mi prendo alcuni secondi per studiare l’ambiante, quasi incantata.

Alla mia sinistra c’è una parete a specchio con un’ ambia vasca da bagno di ceramica, leggermente più piccola di quella nel bagno di Eric, ma comunque accogliente. Manca la doccia, dettaglio che noto con particolare rammarico. C’è il lavello con un grande specchio sopra, proprio difronte alla vasca, sulla destra. Entro e raggiungo il water sul fondo, ho bisogno di fare pipì.

Le case per le nuove famiglie sono attrezzate di tutto, ci sono set di asciugamani e lenzuola, stoviglie e beni alimentari di prima necessità, di quelli inscatolati e a lunga conservazione.

Apro un mobiletto e prendo un asciugamano pulito e un set di spazzolini, così mi lavo il viso, le mani e i denti. Quando mi guardo allo specchio, ricevo una sorpresa.

Non ho le occhiaie, i miei occhi non sono più spenti e ho persino le guance leggermente arrossate. Devono essere gli effetti del sonno che mi sono concessa, e anche le comodità di questa nuova casa hanno contribuito.

Naturalmente, come mi ricorda la mia vocina interiore, gran parte del merito va ad Eric.

E alla nottata movimentata…

È assurdo, ma arrossisco. Con lui sono audace ma, quando se ne va, i ricordi mi imbarazzano. Ancora non riesco a credere di andare a letto con il capofazione che tutti reputano cattivo. Mi prende in un modo che non so gestire, mi colpisce nel profondo ed io sono terribilmente attratta da lui. Mi passo una mano sul collo, accarezzandomi il tatuaggio dietro l’orecchio sinistro e, ripensare alle labbra di Eric sulla mia pelle, mi scalda facendomi sentire la mancanza delle sue braccia che mi avvolgono.

Ora che ci penso, è da tanto che non ho uno specchio davanti, ne approfitto per voltarmi e sbirciare il resto dei ghirigori d’acqua che mi sono fatta tatuare sulla spalla. Come ricordavo, le onde ribelli seguono in curve morbide la mia scapola sinistra, per scendere in diagonale verso le costole e accarezzarle in una curva di riccioli acquatici.

Sorrido, almeno questo mi fa sentire un’Intrepida anche se sono ancora intrappolata fra gli Eruditi di cui credevo di essermi liberata.

Attraverso il gioco di specchi, mi accorgo dello strumento di alta tecnologia sistemato sulla parete vicino alla vasca: una lavasciuga.

Mi volto e la guardo con infinita ammirazione, finalmente non devo più dare i miei panni sporchi ad Amber che li portava a casa. È stata molto gentile, mi ha praticamente costretto a lasciargli i miei indumenti e, il giorno dopo, me li riconsegnava già asciutti.

Tuttavia ricordo che ha da un po’ che non le do nulla, e a tal proposito mi viene in mente il mio zaino nascosto sotto al letto del dormitorio.

Scappo fuori dal bagno, intenzionata a rivestirmi per andare a recuperare di corse le mie cose al quartier generale degli Eruditi quando, passando dalla cucina, nato due zaini neri accasciati vicino alla porta d’ingresso. Mi avvicino, dubbiosa, e controllo che nel mio sia tutto come lo ricordavo. Sto per andare a buttare tutto in lavatrice, prima di posare lo sguardo su quello che riconosco come lo zaino di Eric.

Prima di fuggire come dei ladri dalla nostra residenza, ho preparato queste due borse, per me e per lui, mettendoci dentro quanta più roba che potevo, ma i nostri cambi d’abito sono pur sempre limitati. Non so se dovrei farlo, ma sbircio timidamente fra le cose di Eric, scoprendo una palla di abiti neri tutti in disordine.

Scuoto la testa, non c’è dubbio, urge fare il bucato!

Non credo che Eric voglia andare in giro puzzando, perciò non penso che si arrabbierà se lavo le sue cose. Mi chiedo come abbia fatto fino adesso, ma poi arriccio il naso dicendomi che avrà sicuramente trovato qualche addetto che provvedeva alle necessità dei capi.

Magari un’addetta.

Imbronciata, afferro la massa informe di tessuto scuro e mi trascino in bagno.  

 

Quando Eric rientra, io sono in bagno con la porta aperta.

-Aria?- chiama a voce leggermente troppo alta.

Dato che la casa non è così grande per giustificare il suo tono, capisco che è allarmato.

-Sono qui!- gli rispondo.

Sento un attimo di silenzio, poi il rumore delle chiavi che cadono nel tavolino e passi pesanti che raggiungono il bagno.

Eric fa capolino dalla porta e si appoggia con un gomito all’architrave, studiandomi con i suoi occhi ghiacciati. Gli rivolgo un breve sorriso, sono inginocchio per terra davanti alla lavasciuga, ho accanto una cesta che riempio con i panni che tiro fuori puliti e asciutti, dopo averli accuratamente piegati.

-Che stai facendo?- mi chiede, dubbioso.

Ho notato che è testo, ultimamente sembra sempre stanco, soprattutto dopo una mattinata passata agli ordini di Jeanine.

Jeanine.

Mi irrigidisco al pensiero che sia andata a letto con Eric, so che è successo tempo fa e che probabilmente è stato solo un momento di follia passeggera, ma ho i brividi a pensarci.

-Combatto un nemico alla mia portata: i panni sporchi!-

Inclina la testa da un lato ma non dice nulla, mi sta osservando. Anch’io, con la coda dell’occhio, lo osservo, non mi piace vederlo così preoccupato.

Chiedere sarebbe una mossa sbagliata, se avesse voluto aggiornarmi su quello che succede là fuori me ne avrebbe già parlato.

Afferro la cesta ormai piena e supero Eric, che si sposta, salgo le scale e appoggio tutto sul letto. Apro l’anta del guardaroba e inizio a sistemare i panni, dividendoli tra i miei e quelli di Eric.

Sento i suoi passi pesanti sulle scale, ma non lo guardo, continuo il mio lavoro. Non so cosa mi irrigidisca, forse il fatto che non mi dica cosa sta succedendo, trattandomi come una bambina.

-Ero venuto a prenderti per andare in mensa, a meno che tu non voglia saltare il pranzo…-

L’allusione al mio rifiuto per il cibo che ho iniziato ad avere dopo la simulazione mi fa infuriare, così gli lancio un’occhiataccia, e ovviamente lui non ne rimane minimante intimorito.

-Robert ti cercava, sta mattina.- mi comunica.

Ecco, adesso vuole litigare, lo so che è geloso di Robert, è inutile che finga il contrario.

-Scommetto che è risuscito a sopravvivere anche senza di me!-

Penso che la mia risposta lo abbia soddisfatto, perché accenna un ghigno, uno di quelli di apprezzamento.

-Credo di sì.-

Tiro un sospiro di sollievo.

-Hai dormito fino a tardi?- indaga.

Stringo le labbra e faccio un cenno, mentre sistemo le sue t-shirt su uno scaffale.

-Ti preferisco qui al sicuro, che in giro con Robert!- Sembra assorto nei suoi pensieri e non si è ancora mosso, se ne sta in piedi davanti alle scale.

-Non dire bugie, vuoi solo tenermi all’oscuro di tutto. Dovresti smetterla di proteggermi!- sbuffo, sistemando, in una fila ordinata, altre magliette.

Eric avanza con lentezza letale, i muscoli sono tesi e la mascella contratta. Mi prende dalle spalle e mi fa voltare verso di lui, si passa la lingua sulle labbra ed io sento un brivido lungo la schiena.

-Ovviamente è così.-

Non posso crederci, inarco le sopracciglia, la sua sincerità mi lascia senza fiato.

-Devo prendermi cura della donna che amo…- Spiega.

Lo odio, è ufficiale.

Mi fa infuriare l’istante prima, con i suoi silenzi e il suo atteggiamento iperprotettivo e, l’attimo dopo, mi colpisce dritto al cuore e mi fa sciogliere come un ghiacciolo al sole.

Mi prende il mento con una mano, accarezzandomi le labbra con il pollice.

-Cos’hai sta mattina?- mi chiede, guardingo, mentre il suo solito ghigno arrogante gli incurva le labbra. -Sembri… appagata!-

Tremo sotto il suo sguardo divertito, arrossendo.

-Sessualmente appagata, direi!-  Ride quando lo guardo sconvolta e mi afferra il viso per baciarmi.

-Dovrò accontentarti più spesso!- Continua, tutto contento.

Scuoto la testa e non posso fare a meno di ridere. -Sei tu che mi hai tenuta in astinenza fino adesso!-

Mi attira dai fianchi e ride, soffiandomi sul collo. -Adesso sei diventata esigente, non sai fare a meno di me?-

-Tu invece non hai bisogno di me…- Brontolo contro la sua spalla.

Mi scosta e mi guarda dritto negli occhi, sta sogghignando, lo fa sempre. -Sono grande Aria, so controllare i miei impulsi. In quanto a te…- Mi osserva. -Sei alle prime volte e godi subito, non sai aspettare. Dovrò insegnartelo…-

Gli occhi grigi di Eric seguono la mia figura e io avvampo fino a perdere il respiro, lo spintono via e metto il broncio. -Abbiamo qui l’uomo esperto!-

Lo sento ridere ancora, ma è una risata arrogante che mi fa vergognare della mia inesperienza.

-Lo sono, Aria, e mi divertirò ad istruirti a dovere. Ora andiamo a mangiare, o perdo la pazienza e ti sbatto sul letto. Adesso!-

Lo ignoro per non dargli soddisfazione, chissà perché ricadiamo sempre nel ruolo del maestro e dell’allieva preferita. Sono arrabbiata, imbarazzata, eppure non posso fare a meno di guardarlo e sorridergli.

Scuoto la testa e lo seguo giù dalle scale.

 

-Guarda chi ci onora con la sua presenza!-

Camille mi guarda e sorride, facendomi l’occhiolino.

Seguo Eric al tavolo dove Nick è già seduto a capotavola, alla sua destra c’è Jason, con accanto la sua ragazza.

Eric si siede alla sinistra di Nick, e credo che lo faccia per via dei precedenti apprezzamenti del suo amico su di me, lasciandomi il posto difronte a Camille.

-Sai sparare?-Mi chiede proprio lei.

La guardo, sollevando gli occhi dal mio vassoio, ha lunghi e ricci capelli biondi che tiene sciolti, ottenendo un’aria selvaggia. Si è colorata una ciocca di rosa e ha anche un piccolo brillantino al naso e, almeno alla vista, niente tatuaggi. Sembra simpatica, un po’ troppo esuberante, come tutti gli Intrepidi ovviamente, ma a posto.

-Più o meno…- Mento, stringendomi nelle spalle.

Eric, intento a bere un sorso d’acqua dal suo bicchiere, mi guarda di sottecchi e nasconde un sorrisino di divertimento.

-Dato che abbiamo finalmente un poligono e una palestra, pensavo che potresti venire con me ad esercitarci un po’…- Lancia un’occhiata maliziosa a Jason al suo fianco e poi solleva gli occhi al cielo. -Dato che questi uomini hanno sempre da fare…-

Ma Jason si irrigidisce, serra i pugni sul tavolo e deglutisce con uno sguardo improvvisamente funereo. Solleva gli occhi verso Eric e, mentre sbircio di nascosto il suo viso, scopro che anche lui ricambio il suo sguardo con una certa serietà.

-Hai risolto?- gli chiede Jason.

Eric posa il bicchiere che aveva in mano e scuote la testa.

Sento un brivido, c’era davvero qualche nuovo problema, avevo intrepretato nel modo giusto l’atteggiamento di Eric al suo ritorno a casa.

Camille, che ha seguito la scena, guarda Jason desolata e torna a mangiare, ed improvvisamente anche lei è preoccupata.

Non so cosa sta succedendo, Eric era nervoso e teso come se fosse sul punto di esplodere da un momento all’altro, e Jason è sicuramente a conoscenza del motivo.

-Oggi?- chiede Nick, ha gli occhi cupi e le spalle rigide, mentre sposta lo sguardo da Eric a Jason.

Quest’ultimo osserva Eric, serio.

Eric fa un cenno senza guardare nessuno dei due.

-Ne siete sicuri?- Nick non sembra convinto, si irrigidisce e guarda in basso.

-Credo che non abbiamo altra scelta.- Risponde Jason, e adesso anche lui sembra improvvisamente abbattuto e furioso al tempo stesso, mentre ricomincia a mangiare.

Vedo la testa bionda di Camille abbassarsi come quella del suo ragazzo, prende un respiro profondo e serra le labbra come per imporsi di non dire nulla. Sono sicura che lei sappia cosa sta succedendo e che non sia d’accordo con la decisione che hanno preso i tre ragazzi.

Credo che andrò davvero a sparare con lei, magari riesco a farmi dire qualcosa.

-Adesso basta, Jeanine!- Ringhia qualcuno.

Tutta la mensa si ammutolisce per quel grido rabbioso e, come per magia, si girano tutti verso il corridoio fuori dalla mensa.

Ma io non lo faccio, io conosco quella voce.

Jeanine ed un uomo con folti capelli neri sono praticamente davanti alla porta, l’uomo è furioso, non l’ho mai visto così. In fondo, mio padre è sempre stato un uomo controllato e vederlo in questo stato mi sconvolge. La sua camicia celeste, immacolata come al solito, si tende a causa dei suoi muscoli contratti, ha le labbra piegate in una smorfia terribile e i suoi occhi sono furenti.

Jeanine, che sembra davanti ad una tazza di tè, assottiglia lo sguardo e fa il suo sorrisino arrogante mentre dice qualcosa.

Mio padre spalanca la bocca, disgustato, scuote la testa e le da una risposta che costringe Jeanine ad irrigidirsi e penso sia sul punto di perdere la pazienza, si vede.

Mio padre le punta un dito contro, la minaccia in qualche modo e poi fa un gesto con la mano e credo che dica ora basta.

Ed, in quel momento, Max fa la sua comparsa al fianco di Jeanine e si mette davanti e lei, spintonando via con forza mio padre, che urta con la schiena contro il muro alle sue spalle.

Mi irrigidisco, spalanco gli occhi e mi accorgo che mi tremano le mani.

La mia testa scatta verso il tavolo che di solito occupo con mia sorella e trovo Amber, con una sua collega, che sta guardando la scena con precisione. È terrorizzata.

Torno a prestare attenzione a mio padre e lo vedo con un’espressione indecifrabile, dice qualcosa a Jeanine e, scuotendo la testa, se ne va.

Max scambia un’ occhiata con Jeanine e lei gli fa un cenno, sorridendo.

Il sangue mi si gela nelle vene, mi fischiano le orecchio. Guardo Eric, ma lui è rigido come una statua ed osserva furibondo il corridoio da cui è andato via mio padre.

Quando abbassa gli occhi su di me, mi incatena al suo sguardo freddo e mi fa di no con la testa.

Prendo un respiro profondo e mi volto verso Amber, in cerca del suo sguardo, e vedo che mi stava già guardando, in attesa. I suoi occhi celesti sono stravolti, vedo che sta per alzarsi ma scuoto la testa e le faccio segno di non farlo e lei mi capisce, sembra dubbiosa ma non si muove.

Eric mi ha fatto capire che non possiamo fare nulla, se interveniamo verremo coinvolte, e magari Jeanine non aspetta altro per esercitare altre pressioni e minacce su nostro padre.

Non so cosa sia accaduto, ma non è questo il momento per scoprirlo.

Poco dopo mi accorgo di come Jason e Nick fissano Eric, sembrano pronti ad agire, ma lui è ancora in silenzio e scruta Jaenine da lontano.

Non mi lascio ingannare dalla sua calma, so che è fuori di sé, lo conosco bene.

Prima che abbia il tempo di fare qualcosa di mia volontà, mi accorgo di Robert che è seduto qualche tavolo dietro Jason, e mi sta facendo segno di alzarmi e seguirlo.

Inarco le sopracciglia, cosa vuole da me? Non ho tempo per lui.

Eppure Robert si alza, sventola una mano in aria e continua ad indicarmi di raggiungerlo. Ha un’espressione tremendamente seria e non si preoccupa nemmeno del capofazione vicino a me che lo vede e gli lancia occhiate di fuoco.

Robert ignora l’occhiataccia e mi incita a raggiungerlo con una cerca foga.

Evidentemente oggi sono tutti arrabbiati.

Percepisco l’irrigidimento di Eric al mio fianco, mi guarda di traverso e sembra quasi che io sia responsabile delle pretese di Robert. Scuoto la testa perché non so cosa voglia da me, lui lo guarda e serra la mascella.

Osservo Robert che si picchietta sul polso indicandomi un orologio immaginario. A quando pare ha anche fretta il ragazzo!

Eric serra i pugni. -Vai!- mi ringhia contro.

Sono preoccupata per mio padre, vorrei andare da Amber e capire cosa succede ed invece devo andare da Robert per chissà quale ragione.

Metto una mano sulla spalla di Eric per tranquillizzarlo, dato che non sopporto vederlo incupirsi in questo modo, ma anche perché ho bisogno di questo contatto.

Sorrido timidamente a Camille, che mi ricambia, prendo il vassoio e lo ripongo sul carrello insieme agli altri. Schivo due tavoli e raggiungo Robert, i suoi occhi sono spalancati per la rabbia. Mi afferra un braccio, incurante degli sguardi di tutti, e soprattutto di Eric, e mi attira a sé per sussurrarmi all’orecchio.

-Devo parlarti!-

Raggelo, non sono pronta per un’altra brutta notizia, il mio cuore ha già preso abbastanza colpi. Siamo circondati da catastrofi e non ho il tempo di rimettermi in piedi che qualcuno mi spinge di nuovo a terra.

Chiudo gli occhi e torno mentalmente alla notte precedente, e al mio momento di quiete prima della tempesta, seguendo in silenzio Robert, che sembra sul punto di collassare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 15
*** Al limite ***


15. Al limite

 

 

 

 

 

Sono seduto alla scrivania personale di Jeanine, anche se questo è solo un ufficio secondario che usa per comodità. All’ultimo piano dell’edificio, ha creato una stanza protetta con misure di sicurezza inimmaginabili a cui nessuno ha accesso e in cui nasconde un computer con file segretissimi.

Qui invece, davanti a me, c’è un altro computer di cui conosco i codici. Jeanine mi lascia accedere ai video di sorveglianza della città, che dovrebbero essere riservati. In questo momento però, non sono qui per le mie consuete ore di monitoraggio, ma per una ricerca privata.

Jeanine mi nasconde qualcosa, lo so, me ne accorgo.

Per di più, a pranzo, ha avuto pubblicamente quella discussione con il suo fedele Grey.

Per quando lo odio, sarei più che felice di vederlo finire nei guai.

Inoltre, per mia pura curiosità, mi chiedo cosa abbia spinto il suo fedelissimo creatore di sieri a ribellarsi apertamente a Jeanine, quando ero convinto che fosse totalmente dalla sua parte.

Tento di aprire una cartella criptata che non riesco a sbloccare e la cosa mi fa innervosire. Sono certo che quella donna non si fidi più di me come una volta, per cui ho davvero bisogno di capire cosa sta tramando per scoprire se devo o meno preoccuparmi.

Ma sto perdendo il mio tempo purtroppo, sono stato tutto il pomeriggio a girare per il quartier generale degli Eruditi in cerca della loro rappresentate e di informazioni sospette. Poi, sicuro che Jeanine non arrivasse nel suo studio ad interrompermi, mi sono messo al lavoro sul suo computer senza tuttavia ottenere alcun risultato. Sono certo che saprà che sono stato qui e la faccenda non mi intacca minimamente, anzi, spero che venga a chiedermi risposte.

Sarò felice di mandarla al diavolo.

E magari, dopo, la costringerò a dirmi quello che voglio.

Esco tranquillamente dall’ufficio e mi perdo a camminare con calma nel corridoi con le pareti bianche e luminose, segno che sono nella zona più importante dell’edificio.

-Eric!-

Sento la voce di Jason e sollevo gli occhi, vedendolo corrermi animatamente incontro. Nick è dietro di lui e ha il fiato corto.

Sembrano sconvolti.

Naturalmente la cosa non mi colpisce più di tanto, è già un miracolo se siamo ancora tutti vivi e le novità che arrivano possono essere unicamente negative.

-Ti abbiamo cercato dappertutto!- Mi attacca Jason, guadagnandosi un’occhiataccia.

Da quando il mio fedele braccio destro mi inveisce contro?

-Alcuni uomini sono tornati dall’attacco agli Esclusi. Erano gravemente feriti, così hanno preso un furgone e sono rientrati di corsa alla base. Quei miserabili bastardi erano armati, ci stavano aspettando e hanno aperto il fuoco!-

Jason è furioso, continua a sbraitare ed io sento la rabbia ribollirmi dentro.

Avevo detto a Jeanine di aspettare, avevo provato a farle capire che, se i suoi sospetti su una possibile ribellione da parte degli Esclusi erano fondati, i miei uomini non erano pronti per un contrattacco.

Eppure lei doveva aver capito che quei maledetti erano armati e pronti a combattere ma, invece di darmi ascolto ed aspettare un momento migliore, ha mandato altri soldati a farsi ammazzare per chissà quale dei suoi contorti piani.

Sta volta me la pagherà.

Serro un pugno e cerco di oltrepassare Jason che mi si è messo davanti, ma lui non si sposta e fa un passo avanti per bloccarmi. Lo guardo storto, che gli passa per la testa?

-C’è altro…- Continua e, in un solo secondo, la sua espressione furiosa scivola verso la paura.

-Cerca di stare calmo!- Mi avvisa Nick, al mio fianco, scrutandomi con cautela.

-Non dirmi di stare calmo!- gli urlo contro, afferrandolo per il colletto della giacca.

-Ha ragione, devi mantenere i nervi saldi!- ringhia Jason, afferrandomi il braccio e strattonandomi.

Spintono via Nick e fulmino Jason con un’occhiataccia.

Cosa da il diritto ai miei collaboratori più fidati di sfidarmi in questo modo?

Però, in un momento di lucidità, guardo l’espressione terrificata di Jason e capisco che deve esserci qualcosa di serio sotto, dato che non si sono mai comportati così.

-Riguarda Aria…- Dice a conferma dei miei pensieri.

Ogni suono attorno a me cessa e sento solo un fastidioso fischio nelle orecchie.

Jason prende un profondo respiro e si scambia uno sguardo con Nick. -Ethan, il capo missione, ha ricevuto l’ordine di reclutare Aria fra gli uomini per l’irruzione di oggi. Pensiamo che sia stata Jeanine ad imporglielo.-

Il sangue mi sale al cervello e non vedo più nulla, solo nero. -Che cosa?-

Nick prende coraggio e si riavvicina. -Non è fra i gravemente feriti che sono tornati di corsa alla base. Quindi, se era veramente nel gruppo che è partito, starà tornando e non è detto che le sia successo qualcosa.-

Lo guardo e lo incenerisco. Non voglio neanche pensare che le sia successo qualcosa, sono furioso al pensiero che sia stata coinvolta in uno scontro a fuoco con degli Esclusi.

-Com’ è potuto succedere che venisse messa nel gruppo di ricognizione? Quando lo avete saputo?-

-Subito dopo la partenza della squadra, Camille è andata a cercarla per portarla al poligono. Ma ha scoperto, tramite una discussione in corridoio, che Ethan aveva cercato Aria per arruolarla nella missione.- Mi spiega Jason, serio. -Quando Camille è venuto a dirmelo, sono corso a cercare informazioni. Purtroppo non credo che ci siano dubbi: è stata opera di Jeanine.-

Non voglio crederci, sento un peso che mi preme sul petto, sono talmente pieno di rabbia che un fremito mi percuote tutto il copro.

-Siete sicuri che sia partita, perché nessuno l’ha fermata? Perché non me lo hai detto subito?-

-Perché ti abbiamo cercato e tu non c’eri!- Sbraita Jason.

Non l’ho mai visto perdere così il controllo con me.

Scuoto la testa, lo spingo di lato e cammino spedito verso l’ingresso. Sono furioso, non sono più in grado di formulare pensieri logici.

Tutto, maledizione, ma Aria no!

-Camille è fuori e sta aspettando che tornino, se la veda se ne occuperà lei. Stai calmo!-

Non sto calmo e se non la smettono di dirmelo li ammazzo. Ignoro Jason e contraggo tutti i muscoli, devo solo sforzarmi di camminare e di raggiungere l’atrio perché so che, se il gruppo dei feriti è già rientrato, non manca tanto per il ritorno di tutto il resto della squadra.

Raggiungo finalmente l’ ingresso ed esco fuori scendendo di corsa le scale, ma la scena che mi trovo davanti è raccapricciante.

Due furgoni antisommossa ad energia solare sono stati malamente parcheggiati in mezzo alla piazza. Corpi insanguinati giacciono a terra, con gli Intrepidi che erano rimasti alla base che li raggiungono prontamente per dargli un primo soccorso. Ci sono anche degli Eruditi, medici penso, che ricuciono i feriti e trasportano i più gravi su dei lettini, verso l’ospedale.

È tutto maledettamente assurdo, non voglio crederci, non è possibile che un gruppo di reietti con qualche fucile d’occasione sia riuscito a fare tutto questo ai miei soldati.

Saranno partiti in poco più di trenta e la metà di loro ha riportato ferite più o meno gravi, senza contare che anche coloro che sono rimasti illesi non saranno messi poi tanto meglio.

Jeanine ha fatto tutto questo, è lei la causa. E dovrà pagare.

Non la perdonerò, sono i membri della fazione di cui sono a capo che ci hanno rimesso. Siamo in un momento al limite, e come ripaghiamo coloro che ci sono rimasti fedeli? Mandandoli a farsi sparare da un branco di miserabili che tramavano alle nostre spalle?

Purtroppo era vero, gli Esclusi stavano sfruttando il caos in città per agire, ma non avrei mai pensato a niente del genere.

Mi getto tra la folla, spintonando chiunque mi intralci il cammino. Devo recuperare Aria subito, è stata esposta a tutto questo disastro, devo trovarla e accettarmi che stia bene oppure ucciderò qualcuno.

Tanto per cominciare, quando trovo Ethan gli spacco la faccia, dovrà rispondere personalmente a me di quello che ha fatto. Quel lecchino schifoso si è fatto dare ordini da Jeanine.

Guardo ovunque, mi sento al limite della sopportazione, devo trovarla, ma non la vedo.

-Camille?- Sento la voce di Jason al mio fianco.

Mi volto a guardare la bionda, vedendola in mezzo ad un piccolo gruppo di soldati tornati incolumi dopo la battaglia.

-Non è qui!- ci grida di rimando.

Mi sento mancare.

Non è tornata.

Non era fra i feriti gravi del primo turno e neanche fra gli incolumi rientrati inseguito, ma così non ha senso.

Jason ci supera, raggiunge Camille e afferra per il collo uno dei soldati rientrati dalla sommossa e lo strattona.

-Stammi a sentire!- gli sbraito contro. -C’era una ragazza con voi, una molto giovane, con i capelli neri. Dov’è?-

Il mal capitato non è neanche in grado di reggersi in piedi, batte più volte le palpebre e si sposta da Jason. -C’era una ragazzina, ma non so dove sia. Ci sono stati due morti e abbiamo dovuto lasciare lì i corpi perché non siamo riusciti a recuperarli.-

Jason si stacca dal soldato come se fosse improvvisamente entrato in contatto con il fuoco. Camille, dietro di lui, si copre la bocca con le mani.

Io non sento più niente.

Torno sui miei passi spintonando tutti, urto una donna medico con una cassetta del pronto soccorso in mano, scavalco un corpo ricoperto di sangue a terra. È pieno di gente ovunque, sono tutti scesi in piazza per accogliere il rientro della squadra, vedo feriti che zoppicano su per le scale, ragazze e ragazzi, ma lei non c’è.

Non Aria, non lei. Non lo accetto.

Non può essere, non voglio neppure prendere in considerazione l’idea.

No.

Se Ethan l’ha presa e porta con sé e lei non fosse riuscita ad opporsi, non potrei mai perdonarmelo. Sono già furioso con me stesso, il pensiero che lei non ci sia più mi uccide, sono morto dentro.

Mi fermo davanti alle scale e mi porto le mani alle tempie, comprimendomi la testa.

Dove può essere? Perché Jason non la trovava?

Sono al limite e sto facendo di tutto per convincermi che non sia partita perché, se lo ha fatto e non è tornata, vorrebbe dire che il suo copro è rimasto fra quelli dei caduti nel covo degli Esculi.

No. No. No!

Respiro a fatica, digrigno i denti e sento le ginocchia deboli, tutto intorno a me gira, sento voci, vedo persone che corrono, ed io sento solo un vuoto opprimente schiacciarmi il petto ed offuscarmi la mente.

So che è colpa mia, Jeanine mi teneva d’occhio da un po’ e non era soddisfatta del mio atteggiamento.

Avrei dovuto tenere sempre Aria sott’occhio, al sicuro vicino a me, invece di lasciarla sola. La mia piccola lottatrice è stata trascinata in un campo di battaglia e io non ero lì ad impedirlo.

Dopo tutto quello che ho fatto per tenerla al sicuro, come può non esserci più? Vorrebbe dire che ho rischiato tutto per niente. Sacrifici del tutto inutili.

Mi copro gli occhi con le mani, perché non è qui?

-Eric!-

Sento la sua voce e il mio cuore riprende a battere, sollevo la testa e vedo la sua chioma corvina in cima alle scale.

Le sue labbra rosse tremano ma, il dettaglio che mi salta agli occhi, sono le mani di Robert arpionate sulle sue spalle. Lui è dietro di lei e la tiene davanti a sé, con fare possessivo.

Appena i suoi occhi incontrano i miei, Aria scende di corsa le scale e si precipita verso di me.

Sono senza fiato, l’unica cosa che voglio è averla qui per assicurarmi che sia reale e non solo il frutto di una visione. Dovrei preoccuparmi degli sguardi di tutti i presenti, ma non sono certo diventato un capo per avere soggezione degli altri.

Ho sempre creduto di avere tutto, quanto in realtà non aveva nulla.

Aria è mia, è l’unica cosa che mi appartiene, la voglio e non sono abbastanza altruista da potervi rinunciare.

Non dopo aver creduto che me l’avessero sottratta.

Arriva, mi si getta al collo ed io la stringo forte contro il mio petto mettendole le braccia dietro i fianchi, inspiro il profumo dolce dei suoi capelli e mi sembra di essere tornato a respirare solo in questo momento.

-Aria!- Soffio con un ringhio, stringendola. -Stai bene!-

-Mi fai male, Eric!-  Geme.

Sento i miei avambracci conficcati sotto le sue costole e allento di un millimetro la stretta, ma non voglio lasciarla andare per nessuna ragione.

-Non sono mai andata via. È stato Robert, lui mi ha protetta!-

Le metto una mano sulla guancia, e assottiglio lo sguardo. Mi sembra di aver tenuto la testa sotto l’acqua ghiacciata per ore e lei è la mia fonte d’ossigeno.

-Stai bene?-

Batte le palpebre e si stringe a me. -Sì Eric, non mi sono mossa da qui!-

Mi appoggio con il mento sulla sua testa e provo a sopprimere il martellio insistente delle mie tempie.

-Robert ha scoperto che Jeanine voleva mandarmi in missione, così mi ha portato via e, quando quell’uomo è venuto a cercarmi, gli ha impedito di farmi partire. Si chiamava Ethan, vero?-

La guardo, non sto dando davvero peso alle sue spiegazioni, penso solo al fatto che è ancora mia, e che lo sarà ancora per molto.

Tuttavia sono confuso. -Come?-

-Robert gli ha detto che aveva bisogno di me, ma quello era insistente e voleva portarmi via a tutti i costi, così è intervenuto Finn. È stato lui ad ordinargli di lasciarmi alla base e partire senza di me. Ethan era piuttosto ostinato con Robert, ma aveva paura di Finn e alla fine se ne è andato.-

Scuoto la testa, non riesco a credere ad una sola parola.

Sollevo gli occhi e scorgo Robert nel punto in cui era prima, mi sta fissando con insistenza. Dietro di lui, in cima alla scale, è appena arrivato suo padre. Finn mi osserva e un sorriso arrogante gli increspa le labbra.

Non so perché quei due siano così interessati ad Aria e, al momento, non mi interessa scoprirlo. Prendo Aria dai lati del viso e poso la mia fronte sulla sua, beandomi del contatto con la sua pelle calda.

-Credevo che ti fosse successo qualcosa.- Dico, digrignando i denti. -Se provi a farmi prendere un’altra volta un colpo simile, ti ammazzo con le mie mani!-

Scuote la testa contro le mie mani e mi getta le braccia al collo, credo per rabbonirmi. Prendo fiato e, attento a non stritolarla di nuovo, le faccio passare le braccia dietro la schiena.

Poi, senza preavviso, mi accorgo che si sta sforzando di sopprimere dei tremori e capisco che la sua spavalderia serviva solo a nascondere la sua angoscia.

E, come era prevedibile, la rabbia mi toglie definitivamente la capacità di ragionare. Un velo nero mi scende addosso, la paura diventa ira e il mio senso di vuoto si concretizza in un bisogno folle di attaccare.

Avrò la mia vendetta, adesso.

Sono furioso, assottiglio lo sguardo mentre mi accorgo di Jason e Camille che si sono avvicinati insieme a Nick.

Lascio andare Aria e guardo il mio amico. -Occupatevi di lei!- gli ordino.

-Eric, non fare cazzate!- mi ammonisce Jason, mentre Camille affianca Aria e le mette un braccio sulle spalle.

Sfuggo allo sguardo preoccupato di Aria e salgo di corsa le scale, mentre Jason, alle mie spalle, grida il mio nome.

Mi addentro nell’edificio e vado dritto come una furia al piano più alto, salendo le scale con ampie falcate.

Trovo Jeanine davanti alla porta del suo ufficio, sembra quasi che mi stia aspettando.

L’afferro da un braccio, stritolandoglielo più che posso, lei mugola qualcosa in segno di protesta ma sono indifferente alle sue suppliche. Apro la porta e lancio la donna dentro la stanza, richiudo la porta e mi avvento su di lei spingendola contro il muro.

-Come hai osato farlo? Se le succedeva qualcosa eri morta, Jeanine. MORTA!-

Non credo di essere mai arrivato al punto di perdere così tanto il controllo, ho superato il mio limite, sto urlando.

-Volevo solo spaventarti, Eric.- Mi guarda con coraggio ma vedo che trema. -Devi ricordarti che sei qui per una missione di massima importanza. Ultimamente non sei più coinvolto come vorrei, sembra che tutto questo ti infastidisca. Eppure dovresti sapere cosa rischiamo, lo sai e dovresti appoggiarmi in tutto!-

I suoi occhi fiammeggiano di rabbia.

La pagherà, voglio solo distruggerla. -Stai facendo una serie di cazzate, ti aspetti che ti segua nella rovina? Dobbiamo risolvere, Jeanine, invece di fare altri errori. Sono morti dei miei uomini, siamo in guerra e tu mandi al macello i miei soldati per qualche stupido Divergente Escluso!-

-Dobbiamo trovarli tutti, Eric, dal primo all’ultimo. Adesso abbiamo la prova che gli Esclusi tramavano qualcosa e che vogliono attaccarci!- Tenta di difendersi.

È assurdo che sappia perfettamente che voglio farle del male e abbia comunque il coraggio di parlare.

Non è puoi molto intelligente, le manca il buon senso.

Le metto le mani attorno al collo e stringo, abbasso la testa per essere con il volto di fronte al suo, mentre un sibilo rauco mi esce dal petto.

-E come l’hai ottenuta questa prova, sacrificando i miei uomini?-

Impallidisce.

-Ma non cambiare discorso, hai messo in pericolo Aria. Io ti ammazzo, non devi toccarla!- Serro la presa intorno al suo collo e spingo la sua testa con forza contro la parete che ha alle spalle.

Un senso di trionfo mi infiamma le vene e il mio cervello si accende in un desiderio sinistro.

Lei geme, mette le sue mani sulle mie e cerca di liberarsi.

-Non volevo che le successe niente!- Alita. -Volevo solo spaventarti e punirla per la scenata che ha fatto durante il mio discorso! E, in quando a te, vedi di ricordarti perché siamo qui e cosa c’è in ballo!-

Non posso credere che abbia tentato di mandare Aria dagli Esclusi perché è ancora in collera con lei per il modo in cui è uscita dall’edificio durante il suo importantissimo discorso. So che era importante e che, con la sua insolenza, Aria ha fatto passare un messaggio sbagliato.

Ma non la perdonerò mai per il rischio a cui ha tentato di esporla.

Sono così tanto arrabbiato che mi fischiano le orecchie e sento male a tutti i muscoli a furia di comprimerli.

Le tolgo le mani dal collo ma la tengo ancora contro il muro.

-Lo so perfettamente qual è la nostra missione. Sono con te, cazzo! Sono dalla tua parte!- Le urlo contro.  -Voglio la città che cercavamo di costruire, voglio te al governo e gli Intrepidi al tuo fianco nelle decisioni importanti. Voglio morti tutti i fottuti Divergenti perché sono un pericolo e voglio portarti la testa di Quattro e della sua fottuta troietta Rigida! Li voglio morti entrambi! Voglio che tutto questo finisca perché voglio tornarmene a casa e stabilizzare questa città del cazzo.-

Sono senza fiato per l’intensità del mio sfogo, avevo dimenticato tutto questo e adesso ne sono nuovamente coinvolto.  

La guardo negli occhi. -La domanda è, tu sei con me? Perché, ultimamente, penso che tu sia andata fuori di testa con i Divergenti e che non sei più in grado di concentri sulla nostra missione.-

Il sorriso di trionfo di Jeanine mi sconvolge, mi osserva soddisfatta da quello che vede e si risistema con eleganza il colletto della giacca blu.

 -Certo che sono con te. A quando pare è bastato mettere in pericolo la cara Ariana Grey per farti tirare fuori gli attributi e farti tornare quello che eri!- Sospira. -Bene…-

Non sopporto i suoi giochetti, soprattutto se osa mettere in mezzo ciò che è mio.

Le punto un dito contro e sibilo minaccioso. -Se la tocchi ancora, Jeanine…-

-Oh non lo farò, non ne avrò più bisogno. Stai tranquillo.- Risponde prontamente, interrompendomi.

Stanco del suo sorrisino beffardo, mi volto e me ne vado.

Ovviamente, le ho già dimostrato chi sono veramente. Ha la certezza che sono ancora con lei, che so che se mi tiro indietro me la farà pagare, ma si è anche resa conto che non ho più paura di lei. Sono anni che non conosco più la paura.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 16
*** Animo da Intrepido ***


16. Animo da Intrepido

 

 

 

 

 

 

 

 

Me ne sto raggomitolata sul divano, dovrei essere una vera Intrepida e, dato che di fatto non mi è successo nulla, non dovrei avere alcun motivo per avere paura.

Ed invece sono profondamente scossa.

Camille mi ha riaccompagnata a casa ed è rimasta un po’ con me. Non so se è perché le facevo pena o se è perché glielo ha chiesto Jason, di certo io non avevo alcuna intenzione di restare da sola.

Non mi sono ancora tolta il mio adorato giubbotto di pelle, è quello che Eric mi ha regalato e non vogliono privarmene. Ma in questo modo sono l’unica che non ha la fascia blu degli Eruditi sul braccio destro e credo che, dopo quello che è successo oggi, da domani dovrò rassegnarmi ad andare in giro con la nuova giacca che Eric mi ha consegnato.

-Vedrai che tornerà presto…- Mi rassicura Camille, accarezzandomi un ginocchio.

Il suo sorriso è molto confortante, è solo che sono così intimorita che non riesco a reagire come vorrei. Sono seduta con le ginocchia al petto, rivolta verso Camille che è seduta sull’estremità opposta rispetto a me.

Strofino la guancia contro la pelle bianca del divano e osservo la compagna di Jason, chiedendomi come sia possibile che nella mia vita mi ritrovi sempre ad avere una ragazza bionda che mi fa da balia.

Robert mi ha detto che Jason e Nick sono le guardie del corpo di Eric, dandomi un’informazione che mi ha lasciata a bocca aperta, dato che per me è assurdo che Eric abbia bisogno di protezione. Ma Robert mi ha spiegato che è normale, che tutti i capifazione hanno una scorta personale, a prescindere dal fatto che ne abbiamo bisogno o meno.

Questo mi fa pensare che forse, dato che il suo ragazzo ha il compito di garantire l’incolumità di Eric, Camille si senta obbligata a difendere me.

E poi c’è Amber, che è convinta di essere la sorella più saggia e, in quanto tale, pensa di dovermi controllare e guidare.

Sasha invece, la mia migliore amica fra gli Intrepidi, ha visto in me qualcosa e mi ha imposto la sua amicizia fin fa subito. Forse le sembravo un fenomeno da baraccone, introversa e attaccabrighe. Era convinta che avessi bisogno di qualcuno che mi frenasse quando partivo all’attacco, ma che mi tirasse su il morale quando cadevo a terra, così si è assunta l’incarico senza che glielo chiedessi. Ma sono felice che l’abbia fatto.

E adesso c’è Camille, che ha dentro di sé la forza e l’arroganza degli Intrepidi, ma il modo rassicurante con cui mi guarda mi dimostra anche la sua dolcezza. Non tutti gli Intrepidi la possiedono, gli uomini non di certo.

Eppure, ora che ci penso, anche Robert e Sasha sono gentili, e anche Will lo sarebbe stato. Sospiro, è questo l’animo dei veri Intrepidi, siamo folli e spericolati, coraggiosi, ma il nostro scopo è quello di proteggere gli altri e non possiamo fare a meno di farlo senza alcuna paura.

-Jason lo prenderà per le orecchie se farà qualcosa di stupido…- Mi rassicura ancora Camille, cogliendo la mia preoccupazione.

Lei accenna un sorriso strizzandomi un occhio, ed io provo a piegare le labbra all’insù pensando al suo ragazzo che impedisce ad Eric di fare assurdità.

Vorrei essere ottimista, ma è passato davvero tanto tempo da quando Eric ci ha lasciati per andare ad affrontare Jeanine. Jason e Nick sono andati a cercarlo e, anche se era indecisa se dirmelo o meno, Camille pensa che Ethan passerà una brutta serata.

Il suo pensiero mi fa chiudere del tutto lo stomaco, era aggressivo e voleva a tutti i costi farmi andare con lui in missione. Conosco bene i modi di Jeanine.

Solo le gentili minacce di Finn e la fermezza di Robert hanno convinto quell’uomo a ritirarsi in buon ordine.

In verità, preferisco non concentrarmi sui miei eroici difensori, almeno per il momento.

Improvvisamente sentiamo delle voci maschili e vediamo alcune ombre muoversi oltre le vetrate che seguono il profilo della casa.

Poiché il divano è rivolto verso le finestre difronte alla cucina, devo allungare il collo oltre lo schienale che mi fa da barriera per vedere la porta che si apre ed Eric che fa il suo ingresso.

Il cuore mi manca di un battito, sembra invecchiato di dieci anni in un colpo solo, tiene la testa incavata nelle spalle, ha i muscoli del corpo tesi e lo sguardo cupo. Solo lui, tuttavia, riesce ad apparire tremendamente minaccioso anche quando è abbattuto.

Camille mi sorride e si alza, sale agilmente il gradino che porta al piano rialzato della cucina e si avvicina ad Eric. Vedo che gli strofina una mano sulla spalla e gli sorride, lui le fa un cenno con il capo e mi pare che ricambi, a suo modo, il sorriso.

Quando Camille esce, raggiungendo Jason che l’attende fuori, mi fa stare bene il pensiero che Eric abbia qualcuno che si prenda cura di lui. Degli amici con cui sfogarsi ma che sanno anche riportarlo sulla retta via.

I nostri sguardi finalmente si incontrano e mi sembra che restare in piedi gli costi uno sforzo enorme.

-Vieni qui!- Mi ordina con calma.

Obbediente, scivolo giù dal divano e lo aggiro per andare verso Eric. Quando lo raggiungo, lui mi afferra il viso con le mani e cerca le mie labbra per baciarmi con ferocia e desiderio. Mi stringe contro il suo petto, mi afferra i capelli e la sua lingua pretende la mia, facendomi capire che aveva un estremo bisogno di sentirmi.

Interrompe il bacio e, dopo avermi tenuto per qualche istante fra le sue braccia, mi accarezza la guancia e mi incatena a sé con il più caldo degli sguardi.

Sono senza fiato e batto più volte le palpebre.

Si toglie la giacca e la getta sul tavolo della cucina, poi mi prende per mano e mi trascina verso il bagno.

-Che vuoi fare?-

Non mi risponde.

Entriamo in bagno, accende la luce e si avvicina alla vasca aprendo il rubinetto dell’acqua calda, lasciandomi intendere le sue intenzioni.

Quando mi arriva davanti sto tremando, ma non certo di paura. Mi mostra il suo ghigno strafottente e si sfila la maglietta da sopra la testa.

 

-Sei piuttosto attraente così…-

Il calore che mi inebria i sensi mi fa sentire al sicuro per la prima volta dopo ore. Apro gli occhi, ho la testa reclinata all’indietro per appoggiare comodamente la nuca contro il bordo della vasca. Sono seduta davanti ad Eric, devo stringermi le ginocchia al petto per entrarci ma, ovviamente, lui è più alto e le sue gambe lunghe lo costringono a tenere i piedi piantati attorno a me. Appoggio le mani sulle mie ginocchia che emergono dallo strato di schiuma e sospiro.

-Così come?- gli chiedo.

Lui mi abbaglia con un’ affasciante alzata di sopracciglia. -Innanzitutto, sei nuda e bagnata…-

La sua allusione sfacciata mi fa arrossire e lui, attento alla mia reazione, si passa avidamente la lingua sulle labbra.

-Ma mi riferivo ad altro.- Aggiunge con voce suadente. -Hai i capelli raccolti con il tatuaggio sul collo bene in vista, da brava Intrepida, poi c’è la tua bella pelle pallida e le tue labbra da mordere.-

Sorrido, ho legato i capelli in uno chignon scomposto, e temo anche di avere qualche ciuffo fuori posto. Mi accarezzo dietro l’orecchio sinistro dove so che dovrebbe esserci il mio tatuaggio e poi mi passo le dita sulle labbra. Sono imbarazzata, ma anche onorata di piacergli anche così, semplice ed in disordine.

-Smettila di farti strani pensieri sulle mie labbra!- lo rimprovero, divertita.

Lui sghignazza.

Lo guardo, sembra assolutamente a suo agio.

È appoggiato al bordo della vasca tenendo le braccia aperte, sull’orlo fuori dall’acqua, in una posizione che gli conferisce un aspetto potente e selvaggio. Mi ritrovo ad apprezzare la sua corporatura imponente, la sua altezza e tutte le fasce muscolari che lo rendono possente. Seguo con gli occhi le sue spalle forti, perdendomi in ogni piega e in ogni sporgenza, e scendo fino al suo petto vigoroso, mordendomi il labbro.

Anche solo guardarlo mi manda in fibrillazione, risalgo con lo sguardo lungo il suo collo, seguendo le linee che si è fatto tatuare, e osservo rapita la sua mascella squadrata e tremendamente mascolina. I suoi occhi sono ferro fuso, capaci di esercitare su di me un’incredibile forza d’attrazione.

Temo che conosca perfettamente l’entità del suo potere, sembra che sia abituato a comandare da anni ed è consapevole di poter piegare chiunque al suo volere con un solo sguardo. Se ne sta comodamente seduto a gambe aperte, con la sua espressione austera e beffarda, a fissarmi con arroganza.

Un fremito mi scuote e la mia attenzione viene attratta dal bicchiere di vetro che soppesa in una mano, facendolo oscillare con insolenza, mentre il liquido ambrato al suo interno scintilla.

Non so di preciso chi abbia avuto l’accortezza di far trovare una sorta di whisky nella credenza di una casa ancora da occupare, ma Eric l’ha scovata e si è portato il suo bicchiere nella vasca per sorseggiarlo in tranquillità

-Anche tu sei molto attraente…- Mi lascio sfuggire, maliziosa.

Non ho più paura di giocare con lui, soprattutto quando è lui a lanciarmi la sfida.

Sogghigna e per un attimo, mentre respira a fondo, ho paura che stia sopprimendo l’impulso di divorarmi. Contrae la mascella e, con il suo sguardo famelico, si porta il bicchiere alle labbra e beve un sorso senza staccarmi gli occhi di dosso.

Rabbrividisco per l’intensità del nostro contatto visivo e sono costretta a guardare da un’altra parte, per non svenire.

Eppure, penso mentre mi rigiro attorno all’indice una ciocca di capelli sfuggita al mio chignon, Eric non può ingannarmi così. Forse può fare credere agli altri che vada tutto bene, ma io vivo i suoi sbalzi d’umore e ho imparato a conoscerlo.

Anche se adesso finge che vada tutto bene e sembra essere tornato spavaldo come al solito, io ho visto il suo sguardo perso e disperato mentre mi cercava fuori dal quartier generale degli Intrepidi.

Quando Robert si è deciso a lasciarmi andare, siamo corsi fuori perché avevamo sentito dell’esito disastroso della missione contro gli Esclusi. Purtroppo me lo sentivo che Eric si sarebbe preoccupato, era impossibile che non fosse venuto a sapere che uno dei soldati voleva arruolarmi per la missione, ed ero terrorizzata che fosse furioso con me. Mi ripetevo che, non appena avesse saputo che avevo passato tutto il pomeriggio con Robert e che era stato lui a non lasciarmi partire, si sarebbe infuriato e se la sarebbe presa con me per non essere subito corsa da lui a dirgli tutto.

E sarei anche andata da lui, se solo Robert non me lo avesse impedito.

Ma con mia enorme sorpresa, quando lo avevo visto aggirarsi come una furia tra la folla, mi era sembrato impossibile che quella persona devastata fosse davvero Eric. Lo avevo seguito con lo sguardo mentre mi cercava disperatamente, non so chi gli avesse detto che avrei dovuto essere  tra gli uomini rientrati dalla missione, ma era evidente che fosse sul punto di impazzire.

Fatico ancora a credere che quell’uomo angosciato fosse lui, mi aveva inizialmente spaventata, era tremendo e sicuramente intenzionato a compiere una strage.

Non ero neanche riuscita a trovare il coraggio di raggiungerlo, ma non mi aveva fatto solo paura. Vederlo disperarsi in quel modo solo per me mi aveva commosso, riuscendo a sconvolgermi fino alle profondità del mio animo.

Quando lo avevo visto prendersi il viso fra le mani e respirare a fatica mi si era spezzato il cuore.

Sorrido di nascosto, ancora penso alla forza con cui mi ha stretto a sé senza preoccuparsi degli sguardi dei presenti. So che ha sempre provato qualcosa per me, ma solo oggi ho avuto la prova dell’intensità del suo amore verso di me.

Arrossisco e il mio cuore si scalda.

Chiudo gli occhi e torno a quel momento, ero spaventata e vederlo in quel stato, per la prima volta senza il suo formidabile autocontrollo, non mi aiutava certo a mantenere la calma.

Eppure ho anche un altro ricordo di cui non riesco a liberarmi.

Qualcun altro è rimasto senza fiato difronte allo slancio d’affetto di Eric nei miei confronti, cosa che mi fa capire quanto sia incredibile vedere il gelido capofazione manifestare i suoi sentimenti. Rimanendo attratta dagli occhi scuri puntati con insistenza su Eric, mi ero accorta di Tori, la tatuatrice, ferma sulle scale insieme alla folla. Sembrava incredula e, dopo aver studiato anche me con attenzione assoluta, si era rabbuiata, probabilmente avvolta nei suoi pensieri.

Scuoto la testa, il ricordo del suo sguardo scrutatore mi mette a disaggio, e ho bisogno di smettere di pensare a Eric sconvolto.

Anche quando è rientrato, poco fa, sembrava stanco e sul punto di crollare.

Lo preferisco decisamente in questa versione attraente e forte.

Trovo subito qualcosa con cui distrarmi. -È normale che la pelle tatuata rimanga più sensibile, o con il tempo passa?- Chiedo tranquillamente ad Eric, accarezzando il disegno delle onde sulla mia nuca.

Pensando a Tori, mi è venuto in mente qualcosa a cui pensavo da un po’, ed Eric può darmi le risposte che mi mancano.

Lui si gratta distrattamente il mento, assaggia un po’ di whisky, e mi osserva. -Con il tempo la sensibilità diminuisce, e alla fine passa.-

Sono incantata dall’intrigo di linee che ha sugli avambracci, ma anche quelle che ha sul collo mi attirano terribilmente.

-Me lo chiedi perché ti ha fatto male?- Mi domanda, indicando il disegno che ho dietro l’orecchio.

-Abbastanza…- Ammetto. -Soprattutto qui…- Gli indico, posando le dita sulle curve dei ghirigori più vicine alla gola.

-Il collo è il punto più doloroso, forse avresti dovuto pensarci meglio prima…- Mi provoca, studiandomi.

-E tu? Perché ti sei fatto tatuare il collo, dato quanto fa male?-

Inarca pericolosamente le sopracciglia e  sogghigna. -Non ho paura del dolore, piccola- afferma, passandosi le dita sulle linee che ha tatuate sotto al mento.

-Non hai risposto alla mia domanda.- Lo sfido con lo sguardo.

Beve un’ altro sorso dal suo bicchiere per poi leccarsi avidamente le labbra. Non mi guarda, sembra improvvisamente serio. -Subito dopo la mia iniziazione, quando sono diventato capofazione, volevo qualcosa di forte.-

-Da duro?- Lo stuzzico.

Fa un cenno poco convinto, riflessivo. -Tutti i capi si fanno tatuare queste line, in corrispondenza delle ossa. Max le ha sui dorsi delle mani. È un simbolo. Sul collo, in particolare, è segno di forza.-

Sono rapita dalle sue parole, è così raro sentirlo parlare di sé.

Eppure penso che mi basterebbe chiedere per sapere di più. Durante la mia iniziazione aveva provato a mandarmi dei segnali per farmi capire che era anche lui un nato Erudito, ma non ho saputo ascoltare. Avevo troppa paura di porgli le domande sbagliate e farlo infuriare, dando per scontato che non volesse dirmi nulla di sé.

Ma devo smetterla di avere paura di lui, Eric lo odia.

-E sulle braccia?-

Eric si guarda i muscoli degli avambracci su cui è tatuato un complicato intreccio di linee che ricoprono entrambe le braccia. -Non ha un vero significato, volevo anche in questo caso qualcosa di forte!- Mi osserva e sogghigna. -Ma vediamo se indovini…-

Sorrido, sposto il peso del mio corpo in avanti fino a ritrovarmi accovacciata nel punto in cui tenevo i piedi, proprio fra le gambe di Eric. Raggiungo il suo braccio destro ancora appoggiato al bordo della vasca e accarezzo con le unghia il labirinto che ha sulla pelle, tracciando con un dito dei cerchi attorno ai simboli degli Intrepidi che intervallano le spesse righe nere. Mi accorgo che ci sono disegnati anche dei mirini e una rete che si dirama sotto il labirinto.

Assottiglio lo sguardo, questo disegno mi sembra così ovvio che le parole mi escono da sole. -Il labirinto indica le vie complicate, della vita penso, oppure simboleggia scelte difficili. È un caso che queste linee avvolgano il simbolo degli Intrepidi?- Poi indico con un dito il mirino disegnato all’interno del braccio. -È questo cos’è? Un obbiettivo, un traguardo da raggiungere? E la rete penso sia un limite invece, qualcosa che ti frena o che ti frenava.-

Quando sollevo lo sguardo, Eric mi sta osservando e le sue labbra sono arricciate per la soddisfazione. 

-Sei tu…- Deduco, dubbiosa.

-Ci hai girato un po’ troppo intorno e non tutto quello che hai detto è corretto, ma…- Solleva gli occhi e finge di prendersi del tempo per riflettere. -Ci sei andata molto vicina!-

Scuoto la testa e sorrido. -Non vuoi dirmelo?-

Il suo sguardo più intrigante mi incatena, prende il bicchiere e lo porta alle labbra per finire il suo whisky  mentre mi analizza con crescente soddisfazione.

Sospiro, ho già ottenuto molto, direi che il mio bisogno di risposte è stata soddisfatto.

Ma non un altro tipo di bisogno. 

Deglutisco a fatica mentre torno ad osservare il suo petto solido, credo che Eric abbia ragione, sono troppo spesso vittima dei miei istinti e devo imparare a darmi un contegno. Ma non è certo colpa mia se Eric è così dannatamente invitante.

-Vuoi stare qui a fissarmi ancora per molto?- Mi provoca, con il suo sorrisino soddisfatto, e la vibrazione sensuale della sua voce mi manda in trepidazione.

Penso che sia proprio un bastardo, sa benissimo quanto potere ha su di me e si sta divertendo a stuzzicarmi. Odio la sua espressione arrogante, da uomo maturo che sa controllarsi ma che non vede l’ora di giocare e di vedere fino a quando posso spingermi.

Sorrido, gli ho già dimostrato che non ho paura di sfidarlo, anzi, mi diverto a ribaltare la situazione e a mettere lui nella posizione di svantaggio. 

Appoggio le mani sulle sue spalle e mi sollevo, mettendomi seduta a cavalcioni su di lui, attenta a non scivolare vergognosamente nella vasca.

Gli occhi cerulei di Eric mi guardano e, con una certa soddisfazione, vedo che sembra immensamente divertito, anche se la sua arroganza rimane. Ridacchia, mi mette le mani sui fianchi e mi osserva, intenzionato a godersi le mie cattive intenzioni.

-Vediamo quando sei sensibile sul collo!- Dico, chinandomi verso di lui.

Inizio a baciargli le linee sul collo, lentamente, passandoci sopra la lingua e poi la bocca.

Le labbra di Eric sono ostinatamente chiuse, non emette alcun suono, ma la risposta che mi arriva dal suo copro mi basta per capire che sta apprezzando. Lo sento spingersi contro di me e, dato che sono seduta su di lui, sento anche la sua eccitazione.

Sorrido, può anche smetterla di fingersi indifferente. Gli intreccio e dita dietro la nuca e sono piacevolmente sorpresa dal sottile strato di capelli che stanno ricrescendo ai lati della sua testa rasata.

-Vuoi farlo in acqua?- mi sussurra, con un’occhiata furba e tremendamente pericolosa.

Tremo, la mia sicurezza vacilla e arrossisco completamente.

Si lecca abilmente le labbra e sogghigna, divertito dalla mia espressione. -Ormai è tardi per cambiare idea…-

Mi afferra dai fianchi e io sono felicemente in trappola.

 

Mi risveglio tra le lenzuola con un dolce senso di beatitudine ad avvolgermi, sono al caldo, tranquilla. Eric è completamente avvinghiato a me, creandomi una gabbia intorno con le sue braccia possenti.

Sorrido strofinando il naso contro il suo viso, ha l’espressione imbronciata a abbandonata del sonno.

Scivolo abilmente da sotto le sue braccia, non senza una certa fatica e tento di sgattaiolare via, dato che sento un bisogno impellente di andare in bagno. Sto per mettere anche il secondo piede per terra, quando un mano mi afferra con decisione il polso.

Per un attimo sussulto, ma poi mi accorgo che è Eric che si è allungato verso di me per bloccarmi.

-‘Ove vai?- biascica, vittima del sonno.

Scuoto la testa e nascondo un sorriso. -Devo fare pipì!- sussurro.

Solleva per attimo la testa dal cuscino, mi scruta attraverso gli occhi socchiusi e mi fa una smorfia, ancora mezzo addormentato.

-In fretta!- brontola, rigettandosi sul cuscino e lasciandomi andare.

Rido in silenzio coprendomi la bocca con la mano, giorno dopo giorno scopro nuovi lati di lui. Oggi quello possessivo!

Lancio un’occhiata ad Eric, con addosso la sua t-shirt nera e i boxer, è a pancia in giù con le gambe aperte, occupando quasi tutto il letto, e non riesco a fare a meno di fare un sorriso ebete.

Non c’è dubbio: io amo questo uomo spietato!

Scendo cautamente le scale e vado in bagno, perdendo un po’ di tempo perché sono assonnata e sovrappensiero, mi lavo le mani e mi strofino gli occhi mentre mi guardo allo specchio. Esco dal bagno e mi stupisco nel sentire dei mormorii rauchi e sommessi.

-No!-

Sento il ringhio di Eric e il cuore mi sale il gola, mi affretto a raggiungere il piano superiore e mi fermo davanti al letto, senza parole.

Eric è scivolato di nuovo nel sonno, è su un fianco e stringe il cuscino mentre si muove a scatti come in preda agli spasmi. Mi avvicino, sedendomi nella mia metà di letto e lo osservo, sembra combattere contro qualcosa ed io non sopporto la sua sofferenza neanche mentre dorme, così gli accarezzo piano una guancia.

-No… è mia! No!-

Borbotta tra i denti, e mi si ferma il cuore.

Sta avendo un incubo, e temo di sapere che riguarda me. Ripenso alla sua espressione devastata di oggi  quando non riusciva a trovarmi e capisco subito cosa lo turba.

Il mio capofazione fa gli incubi per colpa mia, i brutti ricordi lo perseguitano e gli tolgono la pace del sonno. Prontamente, scivolo sotto le coperte e mi intrufolo fra le sue braccia, non sopporto vederlo soffrire.

Lui mi stringe, e non so se stia ancora dormendo o se si sia riscosso, fatto sta che smette di agitarsi.

Lo abbraccio strofinando la testa contro il suo petto e respirando a fondo il suo profumo.

Mi torna in mente il complicato labirinto che ha tatuato sulle braccia e penso a quanto debbano essere buie e contorte le profondità del suo animo da Intrepido.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

 

Grazie a tutti voi che seguite questa storia e per le letture, non manca tanto per un evento che definirei cruciale anche nella trama originale di Insurgent.

Cosa ne pensate di come procede la storia fino adesso?

Sono piena di dubbi, anche sull’evolversi del rapporto tra Aria e Eric.

Consigli? Appunti o critiche? Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate con qualche commento, mi sareste di immenso aiuto.

 

Inoltre, se vi fa piacere, vi lascio la mia pagina facebook dove troverete anticipazioni, immagini e altro sulla mia storia.

https://www.facebook.com/Kaimy11?ref=aymt_homepage_panel

 

Al prossimo capitolo in cui Eric darà il meglio di sé… O forse no!

Bacioni : )

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 17
*** Ciò che è mio ***


17. Ciò che è mio

 

 

 

 

 

 

 

Me ne sto comodamente seduto su una sedia imbottita, ho le mani incrociate sull’addome, le gambe larghe e il bacino leggermente in avanti per permettermi di appoggiare la nuca sulla spalliera. Sono molto soddisfatto della mia posizione, ancora di più considerato che posso godere di una delle visioni più belle che possano appagarmi in questo momento.

Ho davanti quel verme arrogante del padre di Aria e non sembra affatto felice di vedermi.

Si sta infuriando, lo vedo, ha persino le narici allargate. Picchietta sui tasti del suo computer e finge di ignorare la mia presenza, fa di tutto per concentrarsi sul suo lavoro, ma è troppo infastidito per farlo. È seduto davanti a me, dietro la sua scrivania, si gratta nervosamente il collo e sospira pesantemente, lanciandomi occhiatacce.

Io non demordo, mi ha provocato e posso dimostrargli quando sono ostinato e combattivo nelle mie battaglie. Mi sono preso il disturbo di venire nel suo ufficio, trovando il tempo con tutti i problemi che ho da risolvere, e lui crede di poter fare il gradasso e non dirmi quello che voglio sapere.

Mi ha sfidato, mi ha detto che non avrebbe parlato e che mi sarebbe toccato stare seduto a guardarlo tutto il tempo, ed è quello che sto facendo.

Faccio scricchiolare pericolosamente le nocchia, piego il collo da una parte e dell’altra e mi lecco le labbra. Metto una gamba sul mio ginocchio e continuo a fissarlo con insistenza, sogghignando.

Richard mi guarda e scuote la testa, disgustato.

-Mi piacerà assistere mentre Jeanine ti tortura con i tuoi stessi sieri…- Esclamo.

-Si può sapere cosa vuoi?- mi abbaia contro, ed è tanto furioso che gli occhiali gli scivolano sul naso.

Ha perso del tutto il controllo, ed io ho ottenuto il mio scopo.

Ho dovuto starmene seduto per un po’, ma alla fine gli ho fatto salire i nervi prima di stancarmi e mandarlo al diavolo del tutto.

-Voglio sapere che cosa è successo con Jeanine.- Dico schiettamente, riferendomi alla scenata che hanno fatto solo ieri.

Lui mi guarda, fa una smorfia di fastidio e si passa una mano sui capelli neri per riordinarli all’indietro, si aggiusta anche gli occhiali e torna al suo lavoro al computer. -Cosa te ne importa? Pensavo che fossi molto intimo con lei. Inizia forse a nasconderti le cose, Eric?-

Un mio sopracciglio schizza pericolosamente verso l’alto, ma non ho intenzione di cedere e dargliela vinta così facilmente. -Ed io pensavo che i suoi fedeli cagnolini non avessero il coraggio di ribellarsi alla loro padrona.-

Richard mi guarda e sembra sul punto di lasciarsi scappare qualcosa, ma scuote la testa. -Se mi chiede qualcosa che non posso darle, mi oppongo.-

La faccenda si fa interessante.

Piego la testa da un lato. -E cos’è che non sei disposto a concederle?-

-Torna ai tuoi affari, Intrepido! Ho del lavoro di cui occuparmi!-

Sospiro ancora, unisco le mani sotto al mento e lo guardo come se fossi realmente interessato alle sue reazioni. -Hai ragione, dovrei lasciarti al tuo destino, così mi libererei di te…-

Serra i pugni e mi sfida con lo sguardo. Devo riconoscerglielo, è uno dei pochi che osa farlo.

-Perché? Per avere il via libera con mia figlia?-

Il sorriso più bastardo e falso che conosco mi illumina. -Ma io ho già il via libera! È nella mia fazione, mi appartiene. Non abbiamo certo bisogno del tuo permesso, vecchio!-

Un guizzo gli solleva un angolo del labbro superiore, mente mi incenerisce con gli occhi. -Non è un po’ troppo giovane per te?-

Rimango in silenzio, sorridendogli nel modo più antipatico che posso.

-Mi sembrava un po’ eccessivo il tuo interesse per lei, era chiaro che non fossi solo il suo capofazione.- Spiega. -Tu non sei degno di lei, e non mi piaci!-

-Me ne farò una ragione.-

-È per questo che sei qui? Perché te lo ha chiesto lei?-

-Non me lo ha chiesto.-

Mi guarda e assottiglia lo sguardo. -Quindi sei qui perché, di tua iniziativa, vuoi capire in che situazione sono con Jeanine per capire se dovrai intervenire per non farmi ammazzare? E lo fai per Ariana, immagino!-

Non rispondo.

-Molto premuroso da parte tua!- Mi beffeggia. -Credi che io abbia bisogno di una guardia del corpo? Jeanine ha ancora bisogno di me, molto più di quanto ne abbia di te…-

Affilo lo sguardo, ma il sorrisino che mi rivolge mi fa capire che già ottenuto quello che voleva.

Stringo i pugni e decido che è il mio turno per metterlo in difficoltà.

-Sapevi che voleva mandare Aria in una missione suicida, ieri?-

-No!- Mi ringhia contro, indignato. -Ma sono sicuro che non lo ha fatto per punire me, ma te!-

Serro la mascella, il bastardo sa davvero come toccarmi sul vivo.

-Pensavo che fosse tuo dovere occuparti di lei, dato che fa anche parte dei tuoi Intrepidi!- Scuote la testa. -Tu non meriti mia figlia, lo sai, vero?-

Faccio una breve analisi.

Ho ucciso diverse persone perché erano Divergenti, o comunque ho assisto alla loro morte senza fare nulla. Ho ottenuto il mio ruolo di comando con la forza, mi sono sempre comportato senza pietà e complotto da anni con una donna che ha sterminato un’intera fazione per scongiurare chissà quale pericolo. Sono suo complice e continuo ad agire come una macchina da guerra nelle sue mani. Non mi importa di niente e di nessuno e, quando posso, faccio di tutto per prevalere sugli altri e sottometterli.

La domanda è se merito l’amore di una ragazza dal cuore puro, bella, dolce ed incredibilmente intelligente.

Ovviamente la risposta è no.

-Jaenine ha capito subito che fra di voi c’era qualcosa.- mi scruta e non credo che approvi ciò che vede. -Se l’hai toccata…-

-Una volta sola?- Arriccio le labbra con un’espressione innocente, ma l’attimo dopo sogghigno soddisfatto.

Avrei anche fatto a meno di lasciarmi sfuggire questa provocazione, ma lui ha tirato troppo la corda con la faccenda della mia responsabilità sul coinvolgimento di Aria nella missione.

Le vene sulla fronte di Richard iniziano a pulsare e i suoi occhi si spalancano per la rabbia. -Sei venuto qui per vantarti?-

-No, ma inizio a credere di aver sprecato il mio tempo.-

Scuote la testa e digita qualcosa al computer. -La stai mettendo nei guai, se tu sbagli, sarà lei a pagare. E ne hai già avuto la prova!-

-Non spetta più a te occuparti di lei.-

-Lei è il nostro punto debole, e Jaenine è particolarmente abile a scovare le nostre debolezze.- Mi osserva. -Se la deludiamo, ci punirà colpendo Ariana.-

Contraggo i pugni e sopprimo il fastidio che provo. -Me ne ricorderò. Non ho alcuna intenzione di permettere che Jeanine le metta addosso le sue manacce. A differenza tua, io posso davvero proteggerla.-

È vero, ieri ho rischiato grosso, e non è certo merito mio se Aria è stata risparmiata, ma adesso so cosa fare e non lascerò che le succeda più niente.

E non avrò certo bisogno di Finn o Robert.

In silenzio, Richard continua la sua osservazione su di me, fa un cenno che sembra rivolto a sé stesso e riprende a scrivere al computer. -Lo spero.-

-Che cosa voleva Jeanine da te?-

Detesto quest’uomo e non lo lascerò illudersi di essermi superiore.

Ho sempre usato arroganza e conoscenza per mantenermi al disopra di tutti e, anche se sta cercando di usare il mio stesso metodo contro di me, sono diventato esperto nel manipolare le menti e assoggettarle con la paura.

-Vedi, Eric, non tutti sono bravi a manovrare una simulazione.- Inizia, concentrato sul monitor che ha davanti. -Bisogna seguire i movimenti ed i pensieri del soggetto in esame e manovrarlo modificando i suoi istinti. Si deve entrare nella sua psiche, alterare le sue emozione e, per farlo, è necessario essere in perfetta sintonia con l’individuo. Ci vuole talento e precisione, anche istinto, e non ci sono corsi di formazione per diventare abili tecnici addetti alle simulazioni.-

-E quindi?- Lo esorto, sto perdendo la poca calma che mi è rimasta, ma so che sta per arrivare ad un punto.

Ha solo bisogno di prendere il discorso alla larga.  

-Amber ha un talento naturale per questo, conosce la chimica che lega i trasmettitori al cervello, ha scoperto lei come crearli e sa perfettamente come funzionano. Riesce a stabilire un contatto diretto con il soggetto sotto simulazione senza che nessuno le abbia mai insegnato come fare. Mia figlia è molto intelligente, è ha questo talento eccezionale, di cui ovviamente Jeanine si è accorta.-

Mi gratto distrattamente il mento. -Mi stai dicendo che voleva qualcosa da Amber, o sbaglio?-

China la testa. -Ieri i tuoi soldati hanno fatto una sommossa ad uno dei rifuggi di Esclusi che sono stati trovati, per recuperare qualche Divergente per i nostri test. Jeanine voleva che, una volta avuti qui i prigionieri, Amber scegliesse personalmente i soggetti che riteneva adatti per gli esperimenti e che, dopo, li analizzasse mettendoli sotto simulazione.-

-Non ha nessun altro che può farlo?-

-Solo io e Jaenine sappiamo gestire adeguatamente le simulazioni, ma Amber ha capacità notevoli. A mia figlia basta avere davanti agli occhi per qualche minuto un possibile Divergente, per capire immediatamente se sarà in grado di resistere o meno ai nostri nuovi sieri. Purtroppo Jeanine ha ragione, Amber ha un talento naturale, non si spiega come ci riesca.-

-Perché ti sei opposto?-

-Perché non voglio che mia figlia venga coinvolta in tutto questo orrore.- I suoi occhi mi inchiodano come se avessi detto la più grande delle assurdità. -Non è sciocca e sa cosa facciamo, ma non permetterò che si sporchi le mani e che le venga chiesto di uccidere qualcuno!-

Per quanto vorrei mandarlo al diavolo, lo comprendo. Io stesso faccio quello che posso per risparmiare ad Aria più atrocità possibili.

Peccato che suo padre sia la rappresentazione perfetta di ciò che sarei stato se fossi rimasto fra gli Eruditi, dettaglio che rende impossibile dargli la mia completa approvazione.

Apprezzo astuzia e controllo, ma ho imparato a mie spese che era indispensabile avere la potenza che potevano darmi gli Intrepidi se volevo davvero affermarmi.

Ho lasciato gli Eruditi nella polvere dei liberi per la polvere da sparo della mia nuova fazione

-E Jeanine?- Chiedo.

-Le ho detto di andarsi a scegliere da sola i suoi candidati perfetti per i test.- Scuote la testa. -Alla fine ha capito che se sconvolge Amber, rischia di perdere la sua fiducia e il suo prezioso aiuto.-

Non mi sembra strano, conoscendo Jeanine.

-Inoltre, mi ha accusato di rallentare di proposito la produzione del nuovo siero potenziato. Dice che sto perdendo tempo.- Fa un sorrisino sinistro.

-Ed ha ragione?-

Il suo sorriso si amplifica mentre si sistema il colletto della camicia azzurra. -Naturalmente! Jeanine ha sempre ragione…-

Le sue parole mi fanno irrigidire, non so perché ma ne rimango infastidito. -Perché sei ancora qui se stai tendando di fregarla?-

-Perché, come ti ho detto, ha ancora bisogno di me!- assottiglia lo sguardo.

Guardo da un’altra parte, quest’uomo mi da i nervi. -A cosa le servi?-

-Sono uno dei pochi che sa la verità. Io so cosa nascondevano gli Abneganti e perché Jeanine sta facendo tutto questo.-

La sua occhiata mi trafigge e mi fa sentire improvvisamente più oppresso ed infastidito, anche se non ne conosco la causa.

Mi alzo con un movimento preciso e lo guardo dall’alto con freddezza, mi volto e lo lascio seduto dov’è senza degnarlo di troppe attenzioni. Sono stanco di lui e, dato che non rischia la pelle, non ho motivo per sprecare ancora il mio tempo qui.

Quando arrivo davanti alla porta per uscire, mi fermo e mi volto per un attimo, lanciandogli uno sguardo feroce. -Conosco anch’io la verità, so tutto da molto tempo, ormai.-

 

Sento degli spari e scendo le scale che danno al nuovo poligono che abbiamo fatto istallare, notando due persone davanti ai bersagli.

Camille spintona scherzosamente Jason, che ha mandato a segno tutti i suoi colpi.

Mi guardo intorno, non c’è nessun altro.

-Eric!- mi saluta Camille, avanzando verso di me.

La studio in silenzio. -Aria non c’è?-

Lei distoglie lo sguardo, è in difficolta e si volta a guardare Jason, in cerca di sostegno. -Le ho detto che venivamo qui, starà arrivando!-

Non mi lascio ingannare dal sorriso di Camille ma a rimetterci, come sempre, è  Jason, che si ritrova fulminato da un mio sguardo particolarmente ostile.

-Dov’è?- gli chiedo.

Jason posa la sua pistola sulla colonna metallica e guarda Camille, incerto.

Lei gli fa di no con la testa.

-Dov’è?- Insisto.

Con un sospiro, Jason mi affianca. -Era con Robert…-

Camille gli lancia un’occhiataccia di rimprovero.

Mi sale il sangue al cervello e perdo ogni forma di lucidità.

-Perché?- ringhio.

-Bel lavoro!- brontola Camille, dando una pacca sulla spalla al suo ragazzo, e tornandosene in postazione per sparare.

In risposta, Jason solleva le spalle.

-Quello schifoso!- soffio, preda di immagini moleste create dalla gelosia.

-Hai scoperto perché lui e Finn si sono messi in mezzo per non farla andare in missione contro gli Esclusi?-

Inarco le sopracciglia e scuoto la testa. -Non ho alcuna intenzione di andare a parlare con Finn, se lo vedo lo ammazzo. Sai che non l’ho mai sopportato!-

-Pensi che sia solo perché Robert è interessato a lei?- sembra scettico.

-Interessato a lei?- Esclamo ad occhi sbarrati. -Quell’idiota le sbava dietro!-

Jason sospira ancora e appoggia la fronte su una mano. -Non starai esagerando?-

Lo guardo storto. -Non voglio che passi troppo tempo con lui. Perché diamine li ha lasciati insieme?-

-E cosa avrei dovuto fare? Trascinala via di peso?- alza gli occhi al cielo.

-Era il minimo!- Non sto per niente scherzando, sono furioso. -E, la prossima volta, vieni subito ad avvisarmi!-

Jason mi guarda allibito, scuote ancora la testa e fa roteare gli occhi. Prima che mi mandi al diavolo, sentiamo dei passi giù per le scale e ci voltiamo di scatto.

Ma ad arrivare è Nick

-Siete qui!- Ci saluta.

Camille, dalla sua postazione, si sbraccia per fargli segno di raggiungerla.

-Hai visto Aria?- Gli chiedo, ancora arrabbiato.

-Sì!- dice, poi mi guarda e impallidisce, improvvisamente preoccupato. -Cioè no!-

-Sì o no?- Gli abbaio contro.

Nick guarda Jason e lui gli un fa cenno di rassegnazione.

-Era con Robert nella sala armamenti, quando sono passato da lì.- Ammette, scrollando le spalle.

Sollevo i pugni sopra la testa e li serro prima di spaccare qualcosa, non sopporto questa situazione. -E che facevano?- pretendo di sapere.

-Robert ripuliva le pistole e Aria scriveva qualcosa su di una cartellina digitale. Credo che stessero catalogando le armi che sono state riportate indietro dagli uomini che ieri sono andati in missione.-

Mi passo nervosamente una mano fra i capelli. -Cosa che non poteva fare senza di lei, ovviamente!- dico a Jason, per scuoterlo.

Lui ci pensa e piega le labbra in una smorfia, guardandomi con un sopracciglio alzato.

-Io lo ammazzo!- grugnisco.

-Robert era tutto contento mentre ripuliva un fucile!- mormora Nick, mimando il gesto di strofinare un’arma, guardando Jason, ma lui è ancora pensieroso.

-Che faceva il bastardo?- sono indignato. -Era contento? Andrò io personalmente a farlo ridere!-

Jason mi lancia un’occhiata severa. -È il figlio di Finn, e vuoi due vi odiate già abbastanza!-

-Aspetta un attimo!- Interviene Nick, contrariato. -A me ha fatto un sacco di storie per un complimento quando non era nemmeno la sua ragazza, e permette a quell’invertebrato di fare lo scemo chiuso in una stanza con la sua donna? Ci sta rimettendo la sua reputazione!-

Sento i nervi fremere e il mio pugno tenta di sollevarsi da solo diretto sul naso di Nick, senza che neanche me ne accorga, ma si ferma a mezz’aria.

Osservo Nick e piego la testa da una parte.

-Sei un idiota!- lo ammonisce Jason.

-Perché? Che ho detto?- Si giustifica, sollevando i palmi delle mani.

-Fate i bravi!- Ci richiama Camille, facendosi sentire.

Nick scuote la testa, ma si paralizza e spalanca gli occhi quando incontra il mio sguardo folle d’ira.

-Sai cosa c’è?- dico di punto in bianco, senza cambiare espressione. -Hai ragione!-

-Complimenti!- impreca Jason contro Nick, spintonandolo.

-Ma che ho detto?- Si lamenta l’altro.

Sento Camille sbuffare sonoramente. -Ci date un taglio o no?-

Sogghigno, credo di avere uno sguardo folle, ma mi va benissimo. -Vado e fargli qualche carezza a suon di pugni!-

Mi volto e mi avvio alle scale, ma Jason mi richiama.

-Piantala Eric, non fare come al solito!-

-Fatti gli affaracci tuoi!- urlo.

Svolto l’angolo e mi avvio nel corridoi per risalire ai piani principali, ma m’ imbatto subito nella persona di cui mi importa veramente.

Aria mi osserva stupita e mi sorride. -Eric!-

Non mi faccio incantare, la guardo truce. -Dove sei stata?-

Devia lo sguardo dal mio e si stringe nella spalle. -Con Amber!-

Digrigno con forza i denti e smetto di respirare, furibondo. Mi sta mentendo, non posso crederci, sento per la prima volta l’impulso di farle del male.

Non mi aspettavo un tale tradimento.

-Ne sei sicura?-

Il mio sibilo tra i denti deve averla scossa, dato che mi osserva, deglutisce e rimane intimorita dal mio sguardo alienato. Improvvisamente serra i pugni e mi sfida puntando gli occhi nei miei e sollevando il mento.

-Se lo sai, perché chiedi?-

-Sei stata con Robert e hai provato a mentirmi!-

-Certo che l’ho fatto!- Conferma orgogliosamente. -Perché sapevo che ti saresti arrabbiato e volevo evitarlo, per una cosa così stupida!-

-Una cosa così stupida?- grugnisco. -Quello stronzo se lo fa venire duro pensandoti!-

Si scandalizza fino al punto di diventare rosso porpora e mi guarda con disgusto, spalanca la bocca e scuote la testa. -Eric!-

-Cosa c’è? Sono stato troppo volgare? Per cosa pensi che ti stia sempre attaccato al culo? Vuole qualcosa da te!-

-Che cos’è che vorrebbe?-

-Scoparti!-

-Non è così!- Scuote ostinatamente la testa. -Credimi, non è come pensi!-

Serro la mascella e colpisco il muro al mio fianco, facendo sussultare Aria. Siamo da soli in questo corridoio sotterraneo e sono furioso, non capisco perché si ostini a non capire.

-Cosa ti da questa sicurezza?- Ringhio.

Lei mi guarda intensamente e sembra più decisa che mai. -So che non è così. Ma, in ogni caso, non è di lui che dovresti preoccuparti!-

-Che stai dicendo?-

-Dovresti preoccuparti di me!- mi spiega, in collera. -Io non ti tradirei mai!-

Prendo un profondo respiro, mi copro gli occhi con una mano e strofino la fronte. -Lo so, Aria, questo lo so!-

-Mi ha praticamente salvata, se non fosse stato per lui sarei finita in una rappresaglia con gli Esclusi. Pensavo che, dopo quella storia, ti fosse passata!-

La mia rabbia latente, che si era appena assopita, schizza nuovamente fuori. -Mi stai facendo fare la figura dello stupido!- Urlo.

Spalanca i suoi innocenti occhi e blu e le trema il labbro. -Che cosa?-

-Non gli sono per niente grato di averti difesa, peggiora solo tutto!- le sbraito contro, ad un palmo dal suo viso. -Sono un capofazione e la mia donna si fa difendere da un altro e passa tutta la giornata con lui. Che figura pensi che ci sto facendo io, eh?-

Arriccia le labbra e abbassa lo sguardo, con un broncio contrariato. Le metto le mani ai lati della testa, contro la parete, per imprigionarla fra me e il muro e abbasso il capo per poterla guardare dritto negli occhi.

-Non condivido ciò che è mio, hai capito, Aria?- La mia voce è roca e letale.

-La pensi così?-

-Sì! E guardami quando ti parlo!- Sono ancora arrabbiato. -Stai dando un messaggio sbagliato anche quell’idiota, non voglio che tu gli faccia credere chissà cosa, dandogli corda.-

Solleva gli occhi e il suo sguardo è pieno di risentimento mentre si mordicchia il labbro inferiore. -Come vuoi tu!-

Le prendo il viso fra le mani e le faccio scorrere i pollici sulle labbra, nel tentativo di cancellare quel broncio ostinato. -Sei furba, non comportarti da ingenua!-

Fa un cenno, infastidita.

Mi sento ancora piuttosto arrabbiato, ma la sua espressione offesa fa breccia nella mia coltre d’ira.

-Forza, andiamo a casa!- Le dico mettendole un braccio sulle spalle, per guidarla. -Ho bisogno di sfogarmi!-

Lei si scosta di un soffio dal mio fianco e mi guarda, insospettita, con le guance in fiamme.

Sogghigno maligno. -Sì piccola, hai capito. Ho bisogno di sfogarmi con te!-

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

 

 

 

Ciao a tutti, malgrado le modifiche, non sono tanto soddisfatta di questo capitolo, voi che ne dite?

 

Volevo ringraziare chi legge e segue la storia, e in particolare chi lascia una recensione, aiutandomi e facendomi enormemente piacere : )

 

Lasciandovi una piccolissima anticipazione, volevo invitarvi a preparavi psicologicamente per il prossimo aggiornamento!

Chi di voi si stesse ponendo qualche domanda sulle reali intenzioni di Finn e Robert, troverà qualche risposta in più nel prossimo capito. (Sempre se riesco a completarlo e a ritenermi soddisfatta!)

Avete qualche sospetto? Vi fidate di padre e figlio?

 

Fatemi sapere.

Baci!

 

 

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Capitolo 18
*** Buoni ***


18. Buoni

 

 

 

 

 

-Ed eri solo una donna trasfazione! Quinta è un’ ottima posizione, fidati di me, non hai di che lamentarti!-

Alzo gli occhi al cielo.  -Ancora con questa storia delle donne trasfazione?-

-Siete in fondo alla lista, nessuno punterebbe su di voi. I posti nella fazione quest’anno era più limitati del solito, e al primo posto nelle aspettative ci sono i ragazzi interni. Le interne se la giocano con gli uomini delle altre fazione, ma per voi donne che siete cresciute lontano dalle nostre abitudini, senza particolare forza fisica… è davvero dura!-

Guardo Robert e assottiglio lo sguardo, appoggiando il mento sul dorso di una mano. -Che discorso maschilista, pensi che gli uomini abbiano un vantaggio solo perché hanno più forza bruta!-

-Hai notato che tipo di iniziazione è la nostra? Come è stato combattere contro i ragazzi, a parte il fatto che erano trasfazione, e quindi impreparati quanto te?-

-Solo uno di loro mi ha battuto!- Dico orgogliosamente, ma poi penso a Peter. -Bè, due di loro… dato che c’è stato anche uno scontro non autorizzato…-

Sfido Robert con uno sguardo, voglio vedere se ricorda il nostro primo incontro, quando suo padre mi ha frustata con un’insulsa verga metallica perché io e Peter stavamo combattendo fuori dagli allenamenti.

Lui guarda altrove e fa un cenno con la testa, sembra improvvisamente che la sedia su cui siede sia diventata un covo di spine.

Scuoto la testa e penso al mio caro nemico Peter, il ragazzo più dolce del mondo che aveva come passa tempo preferito quello di farsi odiare da chiunque gli capitasse a tiro, che è sparito insieme a Tris quando la simulazione è stata interrotta. Si dice in giro che sia un traditore.

-Gli ordini sono cambiati, non dobbiamo più custodire qui le armi, ma assicurarci che tutti abbiamo almeno una pistola per potersi difendere in caso di attacco.- Mi avvisa Robert. -Devo passare a dare a tutti la comunicazione e divedere le armi. Vieni con me?-

Abbasso la testa e mi mordo nervosamente il labbro.

Non so perché sta mattina, fra tutti i posti in cui potevo andare, io mi sia ritrovata proprio davanti alla porta blindata del reparto armamenti.

Inizio a credere che, quando dividevano il buon senso, evidentemente ero da un’altra parte. Forse in fila per la sfortuna o per l’abilità innata di finire sempre nei guai e fare sempre la cosa sbagliata.

Non dovrei stare con Robert, Eric me lo ha chiaramente proibito, eppure anche oggi non avevo nulla da fare e gli sguardi di tutti gli Intrepidi pesavano su di me, ovunque andassi.

Sono quella che si definirebbe l’attrazione del momento, al centro dell’uragano senza avere minimamente idee di cosa usare come appiglio per rimanere con i piedi per terra. Sono vergognosamente inadatta a tutti gli sguardi che ricevo ma, forse, se mi mettessi pazientemente a cavare gli occhi ad ogni idiota che mi fissa, darei loro un valido motivo per ritenermi interessante.

Ormai ho un’ enorme etichetta addosso, stampata sulla fronte e più grande del mio viso, che mi identifica come la ragazza di Eric. Potrei ballare su un treno in corsa, gettarmi dallo strapiombo o sparare a tutti i computer del centro di controllo, ma rimarrei comunque nota unicamente per i miei rapporti con il giovane e tremendo capofazione.

Forse, considerate le mie incapacità, potrei anche considerarla una fortuna. Peccato che mi sembri di essere tornata fra gli Eruditi, visto che sono ancora una volta il fenomeno del momento e la persona diversa da evitare.

Dovrei iniziare a tassare gli sguardi degli altri, d'altronde, se ricevessi un premio o qualcosa in cambio ogni volta che qualcuno mi guardia, sarei ricca!

-Non dovresti chiedere a qualcun altro?- Domando.

-Pensi che sia pericoloso andare in giro a distribuire armi da fuoco?- Robert si gratta distrattamente dietro l’orecchio destro. -Forse hai ragione, chiederò a mio padre o ad uno dei miei uomini. È solo che, come sai, non posso fidarmi di nessuno quando si tratta di armi.-

Rimango in silenzio.

-Siamo Intrepidi, siamo abituati ad essere armati e, con la situazione in cui ci troviamo, vogliono tutti avere la possibilità di potersi difendere. Ma non vorrei che scoppiasse una lite, o che qualcuno decidesse di cambiare schieramento e andasse ad aumentare le scorte dei trasgressori che sono fuggiti dai Candidi.-

-Si sa qualcosa di loro?- Indago, con una fitta allo stomaco, chiedendomi che ne è stato della mia amica Sasha.

-Calma piatta! I Candidi non si sono schierati e il resto della nostra fazione vive con loro perché non hanno dove altro andare, dato che non vogliono essere sorvegliati da tutte le telecamere che ci sono nella nostra residenza.-

Abbasso la testa e faccio per alzarmi, ma Robert solleva un sopracciglio, fermandomi.

-Te ne vai?-

Pensavo di aver scampato il pericolo, convincendolo a svolgere i suoi impegni giornalieri con qualcun altro, e invece temo che dovrò essere più chiara.

So che Eric ha esagerato, non deve essere geloso di Robert, e io non devo fare tutto quello che mi dice.

La mia vocina interiore mi ricorda che, dato che la punizione di Eric non mi è dispiaciuta affatto, forse dovrei davvero infischiarmene del suo divieto. D’altro canto, non è stato così terribile soddisfare il mio capofazione, e ho scoperto di essere così mentalmente persa da apprezzarlo anche nella sua versione amatoria più intensa.

Ci sono tanti dottori fra gli Eruditi, dato che ci sei, fatti vedere da uno bravo…

Metto a zittire la mia vocina interiore, ricordandole che mia madre, quando avevo dieci anni, mi ha già fatto fare una risonanza al cervello ed ha appurato che non c’è niente che non va.

Il danno tuttavia non è interno, ma esterno. Eric è un virus che mi ha infettata e si nutre di me, portandomi alla follia.

Sospiro, non voglio farlo arrabbiare ancora. Lui si sfoga con la rabbia, ma so che era il suo modo per manifestarmi il disaggio che provava.

Lo immagino in un attimo con Leah, li vedo nudi, chiedendomi come si comportava con lei, se era selvaggio e possessivo o passionale, e la mia gola si sera all’istante mentre un brivido freddo mi scende lungo la schiena.

La gelosia è così forte che fa male e, se ad Eric non piace che sto troppo con Robert, rispetterò la sua richiesta perché non voglio causargli alcun dolore.

-Robert, forse è meglio che non passiamo più tanto tempo insieme.- Vedo il suo sguardo ferito e mi affretto a correggere il tiro. -Voglio dire, non sono adatta come tua assistente, puoi trovare qualcuno più esperto di me!-

-È stato Eric, vero?- Mi accusa. -Lui è così idiota da essere geloso e tu lo assecondi?-

Abbasso gli occhi, non ho voglia di discutere anche con lui. È ancora seduto della parte opposta della scrivania, in quello che ha fatto diventare il suo studio, nella stanza adiacente a quella blindata con le armi.

-Ricordagli che saresti comunque finita a lavorare per me, se ti fosse stato dato il tempo di scegliere la tua carriera. Cosa avrebbe fatto, sarebbe venuto a controllarti?-

Mi mordo il labbro inferiore, non avevo mai pensato al capofazione Eric che sorveglia la sua compagna. In realtà non ho mai avuto il tempo di immaginarmi realmente parte della vita degli Intrepidi, con un lavoro mio e al servizio della società.

Sì, e al servizio di Robert. Pensi davvero che Eric non si sarebbe fatto strane idee in testa, vedendoti sempre con il figlio del suo compagno di giochi e amico Finn?

Sospiro.

-Per l’amore del cielo, Aria!- allarga le braccia, esasperato. -Non siamo dei bambini, devo mettermi in fronte la scritta amico per togliermi Eric dalle costole?-

Guardo la sua espressione arrabbiata e quasi mi metto a ridere.

-Ti ho anche salvato la pelle, dovrebbe essermi riconoscente! Se non fosse stato per me, saresti finita in un bagno di sangue!-

Non sai quanto ti sbagli, hai fatto crescere la sua gelosia e lo hai fatto arrabbiare…

Arriccio le labbra e mi rabbuio. Certo che Eric avrebbe anche potuto essere un po’ più felice del fatto che qualcuno si sia preso il disturbo di tenermi al sicuro.

-Non mi hai ancora detto perché lo hai fatto.- Dico, sollevando lo sguardo su di lui.

Lui inarca le sopracciglia, si appoggia allo schienale della sedia e all’improvviso non sembra più tanto sicuro di sé. È diventato un bambino colto in fallo da un genitore, quasi riesco a vedere le sue dita sporche di marmellata.

-Non credo di potertelo spiegare.- Inizia, osservandosi le dita che tiene incrociate davanti al petto. -Quando ho saputo che Ethan ti stava cercando, sono venuto a cercarti e ti ho portata via dalla mensa. Volevo essere certo di potergli impedire di farti partire.-

-Questo lo so già!- Puntualizzo, attenta ai suoi movimenti.

I suoi occhi nocciola incontrano i miei e mi mostrano tutta la loro decisione. -Sei così cocciuta, novellina, che mi viene automatico farti da fratello maggiore. Non posso perché la virilità del tuo ragazzo ne risente?-

Faccio roteare gli occhi.

-A me piacciono le bionde, Aria!- Fa un mezzo ghigno divertito, perso in una battuta che deve avergli offerto la sua mente e che solo lui può capire. -E preferisco essere io l’uomo della coppia. Con te sarebbe un po’ difficile, per te ci vuole più uno del calibro di Eric!-

Mi strizza l’occhio ed io, per non assimilare improvvisamente le tonalità di un pomodoro, metto il broncio.

-Ho una sorella gemella se vuoi, ed è bionda!-

Ride. -Potresti presentarmela, se non fosse un’Erudita!-

-Non ti piacciono le Erudite?- Lo provoco scherzosamente.

So che è proibito dalla società avere relazioni tra membri di fazioni diverse.

-Te l’ho già detto, mia madre era un’ Erudita prima di diventare Intrepida.- Mi ricorda. -E le saputelle mi piacciono solo se so come gestirle!-

-Allora mia sorella non fa per te!- dichiaro, nascondendo un sorriso.

Robert ride solo per un attimo, poi allunga la mano sopra la scrivania e prende la mia, facendomi sussultare.

-Non possiamo fare a meno di stare insieme, noi siamo uguali!-

Il dorato dei suoi occhi mi incatena, sembra così sincero e profondo che non posso fare a meno di rimanere colpita dalla loro intensità.

-Noi siamo i buoni, Aria.- Insiste, scrutandomi con disarmante serietà. -Con quanti degli Intrepidi qui fuori potresti parlare liberamente? Sono tutti degli invasati assetati di guerra e di potere, per loro uccidere è un gioco e agiscono solo in base a quello che possono guadagnarci. Hanno preso il lato peggiore degli Intrepidi, dovrebbero proteggere i più deboli, e invece si vantano della loro forza e si drogano di adrenalina.-

Sono a bocca aperta, sento la paura della verità nelle sue parole piombarmi addosso e ridurmi ad un involucro di carne tremante.

-Tutte le persone con cui lavoravo e che consideravo amici sono nello schieramento opposto, dai Candidi, e ci saremo anche noi due se non fossimo legati a due capifazione!-

Seguo le ombre ambrate dei suoi occhi che mi incalzano, fissi su di me con particolare insistenza, e respirare mi diventa faticoso senza alcun preavviso.

So che ha ereditato l’intelligenza di sua madre, le sue parole sanno colpire e arrivare dritto alla meta, senza superficialità. Serro per un istante le palpebre e l’immagine di un pugnale che mi si conficca nel petto sembra così concreta che per poco non mi sento in dovere di estrarmi la lama dal corpo.

In realtà odio Tris e la sua follia, che ha causato la morte di Will e l’interruzione della simulazione al momento sbagliato. I nostri capifazione avevano un piano e, se fosse andato a buon fine, la nostra fazione non sarebbe divisa a metà. Se i trasgressori ci appoggiassero, la guerra sarebbe già finita.

Sono convinta di quello che penso, ma non posso mentire a me stessa come vorrei. Io non ho nulla in comune con queste persone che hanno causato la morte della fazione degli Abneganti e messo sotto simulazione i miei compagni.

Persino Eric sa che è così …

Robert mi accarezza il dorso della mano con il pollice, accenna un sorriso, ma io mi concentro sulle nostre mani unite e il vuoto che ho dentro mi toglie l’uso delle capacità cognitive.

Poi la porta si apre con un tonfo secco, e le mie dita tra quelle di Robert mi sembrano improvvisamente un peccato troppo grave da essere ammesso.

Soprattutto quando l’uomo entrato concentra il suo sguardo azzurrino proprio su questo pericoloso dettaglio.

Ritraggo subito la mano, sono vittima del terrore, ma è decisamente troppo tardi per rimediare. Il capofazione entra nella stanza e focalizza istantaneamente la sua attenzione su di me, come se potesse attraversarmi con un unico sguardo mirato.

Sento come se mille aghi mi stessero pungendo la pelle, la paura mi paralizza e inizio a sentirmi sporca e sbagliata. Ma i miei sensi di colpa non cambiano in alcun modo la situazione.

Il danno è fatto.

Improvvisamente, le rughe agli angoli degli occhi dell’uomo appena entrato si tendono a causa del suo sorriso.

Finn piega le labbra in un ghigno intrigante, soddisfatto. -I mie ragazzi!- esclama a mo’ di saluto.

Arriccio le labbra, non condividendo il suo entusiasmo.

-Papà!- lo ammonisce Robert, guardandomi preoccupato.

Finn ride, consapevole del suo errore, ma non sembra farci troppo caso. Con la sua innata sicurezza, che si irradia da lui e lo avvolge come un’aura, avanza e si posiziona dietro la mia sedia, mettendomi le mani sulle spalle.

Mi irrigidisco.

Robert fissa le mani di suo padre su di me e scuote la testa, concedendosi uno sguardo di rassegnazione verso il padre.

-Stavo pensando che verrò con te oggi, quando dovrai assegnare le armi ai nostri soldati. Sono tutti carichi come molle, e non vorrei che qualcuno si lasciasse andare troppo all’euforia con una pistola carica in mano.- Il suo sorriso sinistro si illumina come quello di un bambino dispettoso. -È meglio che metta tutti in riga come solo io so fare!-

-Certo papà, indubbiamente!- lo beffeggia il figlio, ricambiando il sorrisino. -Me lo ha consigliato Aria, inizialmente volevo portare lei con me. Ma mi ha fatto giustamente notare che era il caso di portare con me qualcuno di più… incisivo!-

La risata fragorosa di Finn mi fa sussultare.

-Ma certo, ci vuole il pugno di ferro per quei pazzi! E poi…- Inizia a massaggiarmi vigorosamente le spalle. -Non possiamo certo mettere in pericolo la nostra cara Aria!-

Sento il mio copro irrigidirsi maggiormente, sollevo il mento, infastidita.

Nostra?...

Robert scuote la testa e sospira. -Papà, Aria ha la sua vita.-

-Che peccato! Così intelligente e bella, un vero fiore all’occhiello. Potrebbe renderti un uomo fortunato.-

Lo sguardo di rimprovero che Robert rivolge a suo padre è un chiaro avvertimento. Non condivide il suo divertimento, al contrario, sembra spaventato.

Serro i pugni, questa storia sta diventando assurda e io non voglio immischiarmi.

-Peccato che voglia sprecare il suo tempo con la persona sbagliata!- sospira Finn, la sua voce si assottiglia e diventa più velenosa.

La sua abilità nel ferire le persone me la ricordo fin troppo bene e, se ho dovuto permettergli di farmi del male già una volta, non me ne starò qui a lasciare che i suoi denti avvelenati affondino nella mia carne.

Scuoto le spalle, liberandomi del suo tocco e mi alzo, diretta alla porta.

-Dov’era il tuo uomo di ferro quando Ethan voleva arruolarti nella missione?-

I miei piedi si bloccano incollati al pavimento, mi sento vittima in una gelatina gigante, il mio corpo è avvolto da uno strato gommoso e appiccicaticcio che mi impedisce di muovermi come vorrei. Le parole crudeli di Finn mi risuonano nelle orecchie, amplificate dallo strato gelatinoso che mi avvolge.

Finalmente si è tolto la maschera, dietro i suoi sorrisi sornioni si nascondeva il serpente pronto all’attacco che adesso minaccia la mia incolumità. Ma preferisco conoscere tutte le sfaccettature del mio nemico, ora che ha tirato fuori gli artigli, so con chi ho veramente a che fare e posso difendermi.

-So già che non approvi il mio rapporto con Eric.- Dico sprezzante, voltandomi per guardarlo dritto in faccia. -L’ultima volta me lo hai dimostrato piuttosto chiaramente!-

Gli lancio uno sguardo di fuoco mentre le sue labbra si arricciano in una smorfia, come se avesse assaporato un frutto particolarmente aspro.

Sa perfettamente che mi riferisco alla punizione che mi ha ingiustamente inflitto, ho ancora delle cicatrici nella parte bassa della schiena e non ho intenzione di dimenticarle solo perché ha fatto qualcosa di buono per me.

-Non si possono avere relazioni fra iniziati ed istruttori.- Spiega, con un’espressione vuota. Sembra quasi che non provi nulla, ma vedo che sta cercando di nascondere il fastidio. -Ma non eri tu il mio obbiettivo.-

-Certo, ma è con me che te la sei presa!- sottolineo, furente.

Non possiamo starcene qui a parlare di questo come se niente fosse, sono io quella che è finita in infermeria per la sua folle vendetta.

-Tutti sbagliamo. Speravo di essermi fatto perdonare, intervenendo sulla decisione di Jeanine di mandarti allo sbaraglio contro gli Esclusi.- Esclama, tornando a nascondersi dietro il suo sorrisino bonario.

-Basta papà, lasciala in pace!- Interviene Robert, ancora seduto.

Sembra gli stia lanciando un avvertimento, incollerito.

-Sto solo dicendo che dovrebbe riflettere di più, prima di farsi del male sprecando le sue occasioni con una persona che finirà solo per danneggiarla!-

-Ho detto basta!- ringhia Robert.

Non mi importano i loro battibecchi. -Danneggiami?-

Finn è estasiato dalla mia curiosità, la soddisfacente consapevolezza di avermi toccata sul vivo si fa largo sul suo viso, illuminandolo con il più cattivo dei ghigni. -È troppo grande per te!-

-Quindi sarebbe solo una questione d’età?-

-L’età è fondamentale fra gli Intrepidi.- Mi avvisa, incrocia le braccia al petto e diventa serio come un genitore che sta per spiegare al figlio il vero significato della morte.

-Mi stai ascoltando?- Inveisce Robert, cercando l’attenzione del padre che gli da le spalle. -Lasciala in pace!-

-Dovrebbe sapere a cosa va incontro!- Abbaia Finn, senza tuttavia perdere la sua compostezza.

-A cosa?- insisto, decisa.

Lui mi guarda con micidiale precisione e si appoggia con i reni alla scrivania. -L’eccessiva differenza di età fra due partner non va bene per la vita nella nostra fazione. Dovresti puntare a qualcuno più giovane, come Robert ad esempio!-

Robert nasconde il viso fra le mani, avvilito.

-Sei a conoscenza del limite di età fra gli Intrepidi, vero?-

Mi chiede Finn, ma ciò che mi colpisce è lo sguardo terrorizzato di Robert. Lui mi guarda e credo che stia cercando di scusarsi in anticipo con me.

-Il limite di età?-

L’attenzione di Finn è tutta su di me. -Quando un Intrepido inizia a diventare troppo vecchio per svolgere adeguatamente le sue funzioni, e si trascina per la residenza come un inutile peso, non è più ammesso nella fazione.-

-E cosa fa?-

Finn fa spallucce.  -Molti scelgono il suicidio. Oppure ha due possibilità: può diventare un Escluso o accettare la fine della sua vita e acconsentire ad essere giustiziato.-

Non ho nemmeno il tempo di sentire il gelo invadermi lentamente come una tortura inaccettabile, perché Finn aumenta la dose velenifera e mi attacca ancora.

-Perché tu lo sappia, i capifazione scelgono sempre quest’ultima ipotesi. Sarebbe un disonore per noi finire fra i reietti della società e preferiamo andarcene con dignità, quando completiamo il nostro incarico al comando.-

Non sorride più, mi osserva in silenzio e sembra colpito dalla gravità della sua rivelazione.

Le mie labbra iniziano a tremare, non sento più nulla però, solo dolore e sconforto. Sono impietrita davanti a Finn, senza ricordarmi più come si faccia a respirare.

-Lui dovrebbe avere ventidue anni, o ventitré ? E tu sedici. Sei anni di differenza sono già troppi. Le donne invecchiano sempre dopo noi uomini e, quando lui sarà decrepito, tu sarai ancora in forze. Questo significa che, quando verranno a chiedere ad Eric di togliersi di mezzo, tu avrai davanti a te altri anni di vita all’interno della fazione, ma senza di lui.-

Come se qualcuno avesse schiacciato un interruttore, sento un fastidioso fischio all’orecchie e il mio cuore prendere a battere all’impazzata.

-E cosa farai a quel punto? Convincerai Eric a scegliere gli Esclusi e lo seguirai?-

Scuoto la testa e respiro. Posso farcela. -Perché no?-

-E immagina di avere dei figli, un giorno.- Continua, imperterrito. -Supponendo che tu riesca a convincerlo a scegliere gli Esclusi, dove potreste continuare a stare insieme finché la morte naturale non vi raggiunga, lasceresti i tuoi figli prima del tempo per lui? Sapendo che, con molta probabilità,  morirà comunque prima di te, lasciandoti da sola nel nulla e nella povertà?-

Mi sembra di sentire distintamente, come se fosse reale, il suo di qualcosa che va in frantumi. Percepisco quasi i pezzi di porcellana schizzare via.

Sono io che vado in frantumi.

So di avere gli occhi spalancati come quelli di una bambina a cui hanno tolto un giocattolo, e temo di averne anche la stessa espressione.

-Avere relazioni con gli iniziati è sbagliato per tanti motivi!- Mi comunica, guardandosi la punta delle scarpe.

Sono così piena di dolore che, come ogni volta che arrivo a toccare il fondo, l’unica cosa che riesco a fare è arrampicarmi con tutte le mie forse per uscire dal baratro, e lottare contro tutto e tutti per vendetta.

-Tu ne sai qualcosa, vero?- lo provoco, ferendolo.

Robert mi guarda sconvolto, mi ha raccontato lui che i suoi genitori si sono conosciuti durante l’iniziazione di sua madre, e che Finn era il suo istruttore.

Mi aspetterei di vedere il capofazione furioso, ed invece lui mi guarda e sembra sopportare a stento il peso dell’aria sulle sue spalle.

-Sì, parlo per esperienza. Mia moglie aveva sette anni meno di me, era una follia. Quando ci sposammo tutti mi dicevano che stavo sbagliando, ed io sapevo di averla condannata, ma lei non voleva sentire ragioni.- Abbassa la testa e inizia una lotta interiore con i suoi demoni. -Quando è nato Robert mi sono sentito meglio, sapevo che non appena me ne sarei andato, lei non sarebbe rimasta sola.-

Incrocio lo sguardo di Robert, vedo con dolore che è scivolato nella tristezza che il racconto di suo padre deve aver innescato in lui.

Ma io sto molto peggio.

In realtà Finn si è sbagliato, ho già compiuto diciassette anni, ma qualche mese in più non mi avvicina ad Eric abbastanza per fare la differenza.

Come vivrò d’ora in avanti, con una condanna sopra la mia testa e con una terribile consapevolezza che mi toglierà il sonno? Non potrò mai essere felice se dovrò andare avanti con la paura che, un giorno, qualcuno venga a bussare alla nostra porta per portare via Eric perché è arrivato il suo momento di fare una scelta e morire.

È un incubo.

Perché, fra tutte le persone che si divertono tanto a proteggermi e a trattarmi come una bambina, non c’è nessuno di loro che viene qui a consolarmi e a dirmi che è tutta una bugia?

Ma non è un bugia, è l’orrore dei fatti…

-Per questo motivo molti capi scelgono di non avere famiglia. Pensa a quanto sarà penoso per lui abbandonarti.- La voce di Finn suona bassa e profonda, sembra quasi un lamento. -Mia moglie era forte, ma a volte ci pensava, sapeva che me ne sarei andato troppo presto.-

Quando lo osservo, la tristezza che lo affligge supera la barriera del suo freddo autocontrollo e mi raggiunge con inaudita violenza.

Arrivati a questo punto, mentre entrambi sembriamo appena usciti sconfitti da una battaglia piuttosto cruenta con la verità svelata e ricordi dolorosi, mi chiedo chi siano davvero i buoni e chi i cattivi.

-Lo so bambina, è tremendo. Mi piacerebbe che tu avessi la possibilità di scegliere.- Mi dice.

Eppure, mentre mi guarda negli occhi, con un’ afflizione insopportabile nello sguardo provato dal peso dall’età, ho il presentimento che sappia perfettamente che seguirò il cuore e non la ragione.

Lo sa perché sua moglie ha fatto la stessa scelta.

Entrambe ci siamo comportate da Intrepide e abbiamo scelto il brivido della vita, sacrificando la logica degli Eruditi. E, come lei, io rinuncerò a ciò che è logico pur di stare con l’uomo che amo per quanto più tempo possibile.

Ci rinuncerò anche a costo di finire fra gli Esclusi prima del mio tempo, o di rimanere da sola con largo anticipo.

 

Mordo con forza il mio labbro inferiore sperando che sanguini, perché so che il dolore di un taglio non è niente in confronto a quello della lacerazione del mio cuore.

Corro per le strade a testa bassa, schivando i pochi passanti che incontro che stanno andando a mensa. Svolto un angolo, supero due case e raggiungo la mia, trovando un ragazzo sulla porta.

Eric si volta verso di me, mi sorride e io sento il fuoco del mio petto risvegliarsi. È così bello con la sua giacca nera, i suoi tatuaggi e il sorriso strafottente.

Il solo vederlo placa il mio animo.

-Ero venuto a cercarti qui a casa per portarti a mensa!- Esordisce, sicuro di sé.

Ho la testa bassa, respiro a fatica e i miei occhi sono pericolosamente umidi, così lo supero e mi rifugio in casa.

Lui mi segue, chiude la porta e si ferma difronte a me. Rimane ad osservarmi con un sopracciglio alzato e si accorge della mia espressione sconvolta.

Ride beffardo e si lecca avidamente le labbra -Cosa c’è? Ieri sera è stato troppo per te?-

I miei occhi si sollevano su di lui, non riesce a distrarmi, sono sul punto di piangere anche se farò di tutto per non farlo

Mi afferra il mento con una mano e mi attira contro il suo viso. -Sono stato troppo irruento con te? Pensavo ti fosse piaciuto!-

Piega la testa da un lato e guarda bramosamente il mio copro, mentre si gode qualche pensiero intrigante che deve essergli passato per la mente.

È sempre così superficiale e stronzo che penso a quanto sarebbe facile odiarlo.

Ma anche amarlo…

Respiro a fondo, serro i pugni e abbasso la tesata.

Non piangere, Aria. Non piangere….

Eric non mi vuole debole, ed io non voglio mostrargli la mia sofferenza. Andrà tutto bene, devo solo resistere.

-Che ti è successo?- mi chiede, e non è più sfrontato.

Le sue parole distruggono le mie barriere e, quando scoppio in un singhiozzio disperato, senza tuttavia versare nemmeno una lacrima, non so fare altro che abbassare il viso e serrare i pugni lungo i fianchi.

Complimenti!…

-Aria?-

-Mi abbracci?- lo supplico, rifiutandomi di guardarlo.

E poi ti lamenti se ti tratta come una bambina?…

Lo sento sospirare, non ci sa proprio fare con le carinerie e con i miei momenti di sconforto, piuttosto preferisce trattare con i suoi soldati.

Le sue braccia calde mi cingono e sento la forza del suo abbraccio infondermi la calma, capendo che inizia a sentire anche lui il peso del mio pianto.

-Qualcuno ti ha fatto del male?- Mi sussurra, senza riuscire a nascondere l’ira che gli sta montando dentro.

Mi accarezza la testa, mentre mi imprigiona nel suo abbraccio forte.

-Sì.- Piagnucolo. -Tu!-

 

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

 

 

 

Ed eccoci alla fine di questo capitolo che vi avevo anticipato!

Era troppo confuso e senza senso? Vi sembrano spiegate tutte le intenzioni di Finn e Robert, o avete ancora riserve e dubbi su di loro? Vi sembra tutto assurdo o credere alle buone intenzioni di Robert?

Mi sono spesso chiesta chi fossero i buoni e i cattivi, e voi?

Credete che la reazione di Aria sia stata eccessiva, o condividete la sua tristezza?

 

La smetto con le domande, e vi ringrazio per essere ancora qui a seguire la mia storia! Grazie di cuore!

 

Volevo anche informavi riguardo future irregolarità sui prossimo aggiornamenti. Causa viaggio, i prossimi capitoli verranno pubblicati o in anticipo oppure, molto più probabilmente, in ritardo.

Farò del mio meglio per non farvi aspettare troppo, promesso : )

 

A presto, bacioni!

 

 

 

 

 

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Capitolo 19
*** Più solo ***


19. Più solo

 

 

 

 

 

 

Siamo seduti al tavolo della mensa per il pranzo soltanto perché Aria non vuole dirmi cosa accidenti le passa per la testa. Fosse stato per me, saremo rimasti a casa e mi sarei fatto spiegare per filo e per segno il suo comportamento a dir poco bizzarro.

Non sono abituato a lasciare le cose a metà e non voglio che niente mi sfugga o rimanga affidato al caso. E, la mia ragazza che scoppia a piangere accusandomi di averle fatto del male, non può certo rimanere un caso irrisolto.

Cosa ancora più strana, che mi fa perdere la capacità di dialogare con il mio cervello in cambio di informazione su come agire, è stata la sua reazione il secondo dopo il pianto. Si è asciugata le guance, mi ha sorriso e mi ha detto di avere fame.

Mi piacerebbe sottolineare al me stesso interiore che sta iniziando a dubitare di me, che non sono certo stato tanto stupido da acconsentire in silenzio. Le ho chiesto spiegazioni, l’ho minacciata, ma lei ha continuato a sorridermi e, con uno dei suoi sguardi seri mozzafiato, mi ha ammonito chiedendomi di non insistere e di fidarmi di lei.

Non mi fido di lei, soprattutto se è pervasa dalle sue debolezze.

So che non cede spesso alle emozioni, è solo che, quando soffre, lo fa in maniera incontrollata. Perciò ho la garanzia che le sia accaduto qualcosa di intenso, mi manca solo il miracolo di capire cosa mi sono perso.

-Devo andare.- Esordisce Aria.

Prende il suo vassoio, sorride a Camille che le fa una battuta e si alza.

Sono dietro di lei mezzo secondo dopo, senza degnare i nostri compagni di alcuna spiegazione. La seguo mentre mette via il vassoio.

La raggiungo quando varca la porta. -Aria?-

Si volta e il suo sorriso mi fa vacillare.

Perché fa così?

-Sto bene, Eric.-

-Prima non sembrava!-

Mi prende dalle spalle e le sue mani si fermano ai lati del mio viso. -Ti devi fidare di me, se fosse qualcosa di importante te ne avrei parlato!-

Scuoto la testa e sfuggo al suo tocco, ho bisogno di lucidità o riuscirà nuovamente ad ingannarmi.

-Sappiamo entrambi che hai la brutta abitudine di nascondermi le cose.-

-Non ti ho mai nascosto niente, ma sappiamo entrambi che le mie crisi da adolescente mestruata sono un’inutile perdita di tempo con cui non vuoi annoiarti.-

Inarco le sopracciglia, adesso mi viene in mente quella volta alla residenza, quando era sfuggente e insolitamente distaccata. Il giorno dopo ero furioso, e al poligono l’ho accusata di essere un’adolescente in preda alle crisi ormonali, usando proprio le sue stesse parole.

-Hai detto che ti ho fatto del male.-

Alza gli occhi al cielo e sorride. -Eric, non pensarci. Non mi hai fatto nulla, ma sai che sei il solo per cui posso stare male.-

Il suo sguardo improvvisamente determinato mi lancia una scossa elettrica che mi attraversa.

-Quindi dovrei lasciar cadere l’argomento, sapendo che qualcosa che riguarda me ti ha scosso fino al punto di farti singhiozzare come se ti stessero torturando?-

Abbassa gli occhi, poi li rialza e non so se ho ancora il coraggio di sostenere il suo sguardo.

Mi sta creando un profondo disaggio e non amo trovarmi difronte ad esperienze che non so gestire.

Il controllo mi sfuggirà di mano, lo so.

-Vuoi vedermi di nuovo piangere? Non voglio parlare di quello che è successo, sto bene, l’ho superato. Ora non pensiamoci più!-

La mia mascella scatta in avanti, incanalo molta più aria del necessario e mi metto le mani in tasca.

La risposta è no, non voglio che si metta a piagnucolare di nuovo in quel modo, la sua sofferenza mi disarma e mi colpisce con più violenza di un pugno in pieno stomaco.

-Ultimamente te la faccio passare liscia un po’ troppo spesso…-

-E dove sarebbe se no il divertimento?- Sogghigna maliziosa. -Sono più forte di te, quando voglio!-

-Illuditi, ne hai bisogno!-

Mi incammino lungo il corridoio e lei schizza al mio fianco, sorridendo tutta contenta. Mi chiedo cosa ci trovi di tanto divertente, se sapesse cosa divertirebbe me e se conoscesse fino in fondo la mia mente contorta, riderebbe meno.

-Oggi la mia presenza qui non è indispensabile.- Dico, per cambiare discorso. -Sono esausto e penso che me ne andrò a dormire per qualche ora.-

Aria fa un cenno mentre usciamo dall’edificio.

-Vieni con me?- Le chiedo.

-Non avevi bisogno di dormire?- mi provoca, astuta.

Sogghigno. -Posso dormire dopo che mi avrai stancato a dovere, e tu potresti riposarti con me.-

Si stringe nelle spalle. -In realtà volevo stare con Amber, ma è troppo presto. Ti accompagno a casa ma dopo vado via.-

Sento distintamente lo scatto dell’interruttore della mia rabbia quando si accende.

-Tranquilla, prendi pure le tue decisioni senza consultarmi!-

Accelero il passo, con i nervi a fior di pelle. Aria conosce la facilità con cui perdo la pazienza, sospira e mi raggiunge.

-Posso stare con mia sorella oggi pomeriggio, dato che non ho niente da fare e mi annoio?- chiede, dolcemente, sbattendo più volte le ciglia.

I suoi metodi ammiccanti da ruffiana non bastano.

-Se non hai niente da fare, posso occuparlo io il tuo tempo!-

-Non ti basta tenermi lontana da quello che sta succedendo? Vuoi proprio rinchiudermi?-

Osservo il broncio che le sta arricciando le labbra e scuoto la testa.

-Io lo definirei proteggerti.- Sottolineo. -Tua sorella è innocua, quindi se vuoi puoi andare.-

Fa un sorrisetto. -Grazie, ma non dovrei lasciarmi dare il permesso da te. Se ti chiedo l’autorizzazione per ogni cosa che faccio, ti do troppo potere.-

Le lanciò un’occhiata talmente cupa e infuriata che si ferma e sussulta.

-Stai continuando ad illuderti?-

-Perché?- mi chiede.

Il sorriso più maligno che conosco mi piega le labbra, prima che vi passi sopra la lingua. -Perché lo sappiamo benissimo entrambi che ho già tutto il potere che voglio su di te!-

 

Il problema di un risveglio dopo un sonno particolarmente profondo, è l’intontimento che ne sussegue.

Sono davvero riuscito a sprofondare nel sonno, anche se solo per qualche ora, e adesso mi sento confuso e pesante. I miei muscoli protestano quando cerco di alzarmi, perciò ci rinuncio e rimango disteso.

Brontolo, infastidito per non so quale motivo, e mi rigiro, grattandomi la nuca senza provare neanche per sbaglio ad aprire gli occhi. Più che essermi riposato mi sembra di aver combattuto una guerra a mani nude.

Sento lo scatto della serratura, e alcuni rumori alquanto fastidiosi, che mi costringono a lasciarmi sfuggire un ringhio sordo.

Ad aggravare il mio fastidio, ci si mettono anche dei sussurri di voci femminili.

-Ce la faccio!-

-Ti aiuto!-

Sento fin da quassù il sospiro di rassegnazione di Aria. -Davvero, non è il caso di…-

-Smettila di fare storie, tanto entro lo stesso!-

-Parla piano, almeno!-

-Più di così dovresti essere capace di leggermi nel pensiero!-

Che qualcuno mi dia una botta in testa, quell’insopportabile so-tutto-io della sorella di Aria riesce ad irritarmi anche solo con la sua voce capricciosa.

Già che sono tanto affiatate, perché non vanno a giocare da un’altra parte?

A quanto pare Aria è brava a tenere testa solo a me, mentre a sua sorella da corda.

-Non posso credere che quello lì si sia fatto assegnare una casa. Chi si crede di essere?- Borbotta sottovoce la biondina.

-E fai silenzio!-

Lo sbuffo rassegnato di Aria viene coperto da rumori che non conosco, devono aver posato qualcosa di pesante a terra e spostato una sedia del tavolo.

Dato che fingere di dormire ormai è unitile, e la mia lotta in cerca di recuperare il sonno è già persa, deciso di alzarmi.

Metto i piedi per terra e rimango per un attimo con i gomiti sulle ginocchia, prendendomi la testa fra le mani, schiacciato da tutto il peso delle mie membra stanche. Sbadiglio in silenzio, allungo i muscoli delle braccia e mi alzo, forse dovrei indossare la maglietta, ma non la trovo.

Avanzo vero la ringhiera che affaccia sulla cucina e mi ci appoggio con le mani.

Aria sta sistemando qualcosa nei pensili sopra il lavello, attenta a richiudere le ante senza fare il minimo rumore. Sua sorella, invece, sta frugando in uno scatolone per terra su cui si è chinata.

-Non vorrai fare tutto da sola? Mister solarità non deve andare a sbrigare qualche faccenda per cui si richiedono tutti i muscoli che si porta solitamente dietro?-

Anche se sta sussurrando, l’arroganza di quella biondina mi arriva comunque. Inarco un sopracciglio, potrei usare la sua stessa simpatia mentre la torturo.

Aria le lancia un’occhiataccia, ma sua sorella sghignazza e si raddrizza sollevando la testa. Mentre lo fa, il sorrisetto le si ferma a metà quando incrocia il mio sguardo. Con l’espressione di chi ha appena visto un fantasma, Amber strabuzza gli occhi e mi squadra da capo a piedi con i suoi occhietti attenti da Erudita.

Mi rendo vagamente conto, con un sorriso maligno che a stento trattengo, di essere piuttosto inquietante da quassù. Sono avvolto nell’oscurità, incombendo su di lei aggrappato alla ringhiera. A completare il quadro ci sono le mie fasce muscolari abbastanza minacciose, di cui ha già notato l’esistenza.

Ma l’espressione che appare sul suo viso non è di paura come mi immaginavo, ma di profondo sbalordimento. Diventa rossa in viso dal mento fino all’attaccatura dei capelli, spalanca la bocca con indignazione e schizza all’indietro, voltandosi all’istante.

-Per l’amore del cielo, e mettiti addosso qualcosa!-

In un primo momento lo sbigottimento prende anche me, strabuzzo gli occhi a mia volta e mi osservo, distrattamente.

Ho addosso solo i boxer neri che, a voler essere del tutto onesti, non lasciano poi tanto all’immaginazione. I miei pettorali sono in vista così come le mie gambe.

Faccio una smorfia beffarda, gongolandomi al pensiero di essere riuscito a far uscire dai gangheri la biondina, e attendo la reazione di Aria.

Sentendo l’urletto stridulo della sorella, si volta a guardarla per poi sollevare con precisione lo sguardo su di me. Segue i contorni del mio copro pressoché nudo e, quando la sue mente le spiega quello che è appena successo, scuote la testa indirizzandomi un’occhiata di rimprovero.

L’istante dopo, quando scrollo le spalle con un’innocenza che non mi è mai appartenuta, è costretta a coprirsi la bocca con una mano per nascondere una risata, mentre guarda l’espressione sconvolta di sua sorella.

-Non ti avrò mica traumatizzata?- Beffeggio Amber, sicuro di me e anche più arrogante di lei.

Amber solleva le mani ai lati del suo viso per non rischiare di vedermi, e si infuria. -Ti stanno stretti i vestiti, o ti piace fare l’esibizionista?-

Ci rifletto un attimo, arricciando le labbra e guardando il soffitto.

-Può darsi. Ma sei tu l’intrusa qui, e non sono problemi miei se la vista di un uomo nudo ti fa strani effetti.- ammetto, grattandomi distrattamente il tatuaggio che ho sul collo.

La sento borbottare qualcosa ma non me ne curo, rimango invece colpito dallo sguardo di Aria. Mi sta fissando con attenzione e senza nessuna traccia di imbarazzo.

Sono sicuro che non molto tempo fa avrebbe abbassato lo sguardo, arrossendo, e invece adesso è sfrontata e mi sorride con complicità quando lancia un’occhiata di apprezzamento ai miei pettorali.

Scuoto la testa, sto avendo decisamente una brutta influenza su di lei.

Mi allontano dalla ringhiera in modo da non essere più visibile e inizio a rivestirmi, preparandomi per uscire. Purtroppo la biondina ha ragione, è meglio che non stia troppo lontano dal quartier generale e da Jeanine, visto che possono esserci risvolti della situazione da un momento all’altro. Non si sa mai cosa passa per la testa dei miei colleghi capi o in quella della rappresentate momentaneamente isterica degli Eruditi.

Scendo le scale, una delle due gemelle deve aver acceso la luce e un bagliore bianco candido mi ferisce gli occhi. Quando attraverso la cucina, mi sento preso d’assalto e ho la sensazione di vederci doppio.

-Dato che lui va via, potrei restare ad aiutarti!- Esclama Amber.

Aria alza gli occhi al cielo.

Forse le due credono di avere davanti uno specchio, oppure i nove messi che hanno passato insieme nel grembo materno hanno creato una simbiosi peggiore di quel che temevo.

Hanno la stessa posizione, le braccia incrociate al petto e le gambe rigide con una caviglia davanti all’altra. Aria è appoggiata con la schiena al bancone della cucina, mentre Amber allo schienale del divano nel salotto.

La somiglianza fra di loro, per me che conosco bene Aria, non è poi così evidente come può esserlo ad una prima osservazione, e i capelli che entrambe tengono sciolti fanno definitivamente la differenza.

Mi volto verso la bionda e la sua espressione da saputella minacciosa mi infastidisce.

-Tu resti qui?- Le chiedo con una smorfia.

-Perché, c’è forse un divieto?-

-Esiste qualcuno che ti sopporta?-

-E a te?-

Rimango per una manciata di secondi a fissare il suo sorrisino puramente bastardo, scuoto la testa e aggiro il tavolo della cucina per raggiungere il bancone.

Dato che in quanto a bastardaggine non mi batte nessuno, e intendo mantenere il titolo di campione assoluto, afferro Aria dal mento e le sollevo il viso baciandola a forza sulle labbra.

Pretendo la sua lingua e faccio in modo che il bacio sia il più esplicito possibile.

Lei ha ancora le braccia incrociate e mi guarda con le sopracciglia corrugate, ma è anche senza fiato e nasconde un lieve sorriso.

-Fai la brava!- le dico.

Esco dalla porta, soddisfatto dell’espressione schifata della biondina.

 

-Fermo lì dove sei!-

Mi blocco di colpo davanti alla porta e alzo le braccia in segno di resa. Lo sguardo determinato che ho davanti è quanto di più pericoloso io abbia mai visto, mentre vengo tenuto sotto tiro da un arma pericolosissima.

Il dito che Aria mi punta contro.

La ragazza fa capolino dalla porta del bagno, ha i capelli completamente raccolti, una canottiera e pantaloni stretti risvoltati sulle caviglie.

-Togliti le scarpe!- mi avverte. -Ho appena pulito!-

Strabuzzo gli occhi, mi chino in avanti ed inizio a slacciarmi gli stivali, me li sfilo e li appoggio cautamente vicino alla porta, chiedendole il permesso con lo sguardo prima di farlo.

Ma lei è ancora imbronciata. -Perché sei tornato così presto?-

Chiudo la porta, stufo di questa sua presa di posizione, e sono indeciso se appenderla a testa in giù alla ringhiera della camera da letto, o se sbatterla sul divano per scopi non proprio leciti.

Nel dubbio, mi risistemo il colletto della giacca e avanzo a testa alta.

-Si può sapere che stai combinando? E dov’è finita la rompi scatole?-

Aria sospira ed esce dal bagno, è scalza. -Amber se n’è andata ed io ho appena finito di ripulire questo accumulo di polvere che si faceva chiamare casa!-

La guardo scettico, mettendomi le mani in tasca. -Non dovrebbe esserci qualcuno che ne se occupi?-

In ogni fazione, coloro che superano l’iniziazione finendo nei posti più bassi della graduatoria, devono assumere i ruoli lavorativi più umili ed occuparsi della pulizia e della mensa.

-Amber ha detto che questa casa non risulta nei registri abitativi, quindi non sarebbe passato nessuno a pulire o a rifornire. Non voglio stare in mezzo allo sporco, perciò ho fatto io.-

Mi guardo intorno, non noto molte differenze, ma colgo un odore di disinfettante e agrumi. Abbasso gli occhi e vedo che nello scatolone che sbuca da dietro le gambe di Aria ci sono prodotti per la pulizia.

-Me li ha procurati Amber.- Spiega, intercettando il mio sguardo.

-Dovevi essere piuttosto annoiata.- Sbuffo, incrociando le braccia al petto. -Se fossimo ancora fra gli Intrepidi non ti saresti mai dovuta preoccupare di queste cose, avresti avuto un’ ottima posizione e ci sarebbe stato chi si sarebbe occupato della pulizia per te.-

Si stringe nelle spalle. -Sono abituata. Quando vivevo qui e i miei genitori lavoravano, eravamo io e Amber e riordinare a fare da mangiare. Per di più mia madre non si fidava delle donne delle pulizie.-

Ci rifletto un attimo, non sono abituato a vedere Aria in questo modo, la preferisco con una pistola in mano. Il suo sorriso mi tranquillizza e devo ammettere che sono anni che non vivo in un ambiente tanto familiare.

-Andiamo a mensa?- Dico, per distrarmi da pensieri che mi mettono a disagio.

-E se invece restassimo qui?-

-Io ho fame!- Inarco un sopracciglio.

-Certo, ma potrei cucinare io…- Propone, imbarazzata.

Un ghigno mi piega le labbra. -Tu?-

Fa un cenno, raggiante.

-Okay…- Le concedo con una scrollata di spalle, incuriosito e senza nulla in contrario.

-Che ne dici di farti un bagno mentre preparo?-

Il mio sorriso si amplifica, oggi questa ragazzina vuole proprio stravolgermi.

Le prendo il viso fra le mani. -Stai tentando di rabbonirmi?-

-Perché no!-

Mi sorride e la bacio.

 

Abbiamo appena finito di cenare, Aria ha preparato maccheroni al formaggio e patate al forno. Non sapevo che avesse anche questa abilità culinaria, ma lei insiste col dire che non c’è niente di strano, dato che preparava sempre la cena per la sua famiglia.

Ero abituato a mangiare a mensa, dove il cibo non è assolutamente male, ma il profumo di un piatto caldo appena sfornato mi mancava.

Per gli Intrepidi è molto più comune che per i membri delle altre fazioni mangiare alle mensa, viene vista più come un’abitudine per ritrovarsi e per fare baldoria. Per di più non tutti hanno tempo e voglia di tornare a casa per i pasti e, in molti, non hanno nemmeno una famiglia che li aspetta.

Non ho mai avuto il piacere di sapere cosa volesse dire tornare a casa dopo una giornata pesante e potermi concedere un rigenerante bagno caldo, trovandomi poi la cena in tavola e una persona pronta a prendersi cura di me.

Non credevo di aver bisogno di tutte queste smancerie, ma il profumo di pulito che c’era in bagno, i miei vestiti riordinati nell’armadio sapendo che sono state le mani di una persona che mi ama ad occuparsene per me, il letto rifatto, mi hanno fatto sentire veramente a casa per la prima volta in vita mia.

Ed uno strano tormento mi si agita dentro.

Non ho ricordi così piacevoli della mia infanzia, non avevo una madre che mi dedicasse le sue amorevoli cure, né una vera e propria famiglia come tutte le altre. Fra gli Intrepidi mi sono circondato solo della mia solitudine, e la vita da uomo solo che si concede qualche distrazione occasionale con ragazze sempre diverse mi bastava.

Ma non era del tutto soddisfacente.

Adesso, con questa insolita sensazione di pace che mi avvolge, sento improvvisamente le mie membra meno stanche e più leggere. È come se fossi riuscito ad azzerare ogni peso che avevo dentro e sono di nuovo in grado di respirare.

-Ho anche un’altra sorpresa per te!- trilla Aria.

Siamo ancora seduti, io a capotavola e lei al mio fianco, nel lato più vicino alla cucina.

Si alza, toglie tutti i piatti mettendoli nel lavello e, con l’aiuto di uno strofinaccio, estrae qualcosa dal forno.

Quando una torta fumate dal profumo di cannella e cioccolato mi viene esposta davanti, al centro del tavolo, la guardo con un mezzo sorriso.

-Dato che il primo assaggio aveva avuto esiti positivi, ho pensato di riproportela!-

Spiega, richiamando in me il ricordo del nostro primo giorno lontano dalla nostra residenza, quando sono andato a prenderla a casa della sua famiglia e lei mi ha offerto quel dolce che aveva preparato per la colazione.

-Non mi ricordo più che sapore aveva, credo che dovrò mangiarne una fetta per dirti se è buona-

Sogghigno e lei è entusiasta.

Taglia una fetta per me, me la porge e si risiede per mangiare la sua.

Addento il dolce e sembra perfino più buono di come lo ricordavo. Nessuno mi ha mai preparato una torta, nemmeno per il mio compleanno. L’unico dolce che mangio negli ultimi anni è la torta al cioccolato degli Intrepidi.

Il mio sguardo si incupisce e la voragine dentro di me si riapre facendo fuoriuscire, come mostri imprigionati, pensieri angoscianti e brutti ricordi.

Il risultato che ottengo, è un’ondata di malumore.

-Vedi di non abituarti troppo a questo posto!- l’ammonisco, scorbutico. -Presto ce ne torneremo a casa nostra!-

Mastica con calma la torta, si acciglia e scuote la testa. -Siamo seri, non c’è questo pericolo: odio questo posto!-

La osservo, rimango in silenzio in attesa di spiegazioni che non tardano ad arrivare.

-Non voglio più vivere qui, credevo di essermene liberata. E poi ho passato troppo poco tempo nella residenza degli Intrepidi e intendo recuperare il tempo perduto!-

Fa una pausa, abbassa lo sguardo sulla sua fetta di dolce che sembra essere improvvisamente diventata molto interessante e sospira.

-Mi sembra di essere ritornata a quando era piccola, qui non mi sento a mio aggio, venivo sempre evitata e la mia famiglia ha iniziato a considerarmi veramente solo adesso. Ero sempre sola!-

Seguo le sue spalle incurvarsi in avanti e vedo il suo sguardo triste, sentendomi travolto dal suo dolore. Forse siamo entrati in sintonia e soffriamo allo stesso modo, ma in realtà mi sento così empatico semplicemente perché conosco benissimo il suo disagio, e so cosa vuol dire non vedere l’ora di andarsene e lasciarsi questi fottuti Eruditi alle spalle.

-Non sarai mai più sola. Ci sarò io!- Le dico, improvvisamente infuriato con le granelle di cioccolato nella torta.

Il dolce nel mio piattino è buono, non per questo verrà risparmiato alla mia tortura mentre lo sbriciolo con particolare enfasi.

-Lo stesso vale per te.- Mi dice.

Sollevo gli occhi ma lei non fa altrettanto, sta disegnando cerchi immaginari sulla superficie del tavolo con un dito.

-Non sarai più solo.- Sorride. -Almeno fino a quando mi vorrai ancora la tuo fianco!-

Sto per dirle di non preoccuparsi di me e che non sono affatto solo, ma le parole non mi escono minimamente di bocca.

Ho affrontato praticamente da solo la mia adolescenza in attesa del giorno della Scelta, ho superato da solo la mia iniziazione e anche tutto il resto della mia carriera fra gli Intrepidi.

Avevo qualche amico, c’erano Jason e Nick e anche Camille, pochi altri, e mi andava benissimo così per mia scelta.

Ma le cose cambiano.

-In quanto ex Erudito abituato sin da subito ad analizzare ogni cosa nella maniera più logica, e a spingere il mio cervello oltre i limiti per tenerlo sempre in allenamento,- Esordisco, con il mio solito ghigno. -Non mi è difficile trarre la conclusione che sarei un folle a lasciarti andare!-

Gli occhi blu di Aria si riscaldano, diventano liquidi come un calmo fiume in cui farsi cullare.

Mi sorride.

-E, dato che non sono ancora impazzito del tutto, ti terrò sempre con me!-

La mia conclusione la illumina, mi sembra una bambina davanti al suo giocattolo preferito.

-Perché quel sorriso?- Indago con diffidenza.

Lei ride. -Il grande Eric che si apre con me e riesce, in un colpo solo, a parlare tranquillamente del suo passato Erudito come non ha mai fatto prima, e ad ammettere di volermi sempre con sé?...-

I suoi occhi mi sorridono, furbi. -Deve essere il mio giorno fortunato!-

Ammette facendo spallucce, mentre torna alla sua fetta di dolce.

Perdo per un attimo il filo dei miei pensieri, incantato come sono a guardarla, con questa sconosciuta beatitudine che mi fa sentire a tre metri da terra, e la vocina del mio subconscio si risveglia per prendersi di gioco di ciò che rimane di me.

Il giorno fortunato lo hai avuto tu, quando la divina provvidenza ha messo questa ragazzina nella tua vita, facendotela incontrare…

 

 

 

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

Insolitamente dolce?

Mai sentito dire: La quiete prima della tempesta?

Okay, la smetto e mi ritiro in buon ordine. Se il prossimo aggiornamento slitta, non arrabbiatevi, farò del mio meglio!!   ^.^

 

Bacioni a tutti e grazie mille!

 

 

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Capitolo 20
*** Assassina ***


20. Assassina

 

 

 

 

 

-Jeanine vuole parlati.-

Queste tre parole hanno il potere di incatenarmi con la stessa forza con cui un macigno mi schiaccerebbe contro il pavimento, mi intimoriscono, vorrei scappare, ma non posso.

Il peso è troppo grande e la forza di lottare svanisce al cospetto della superiorità del mio nemico.

Amber rientra in quella categoria di persone che sanno sempre cosa dire per colpirti nel punto più profondo del tuo essere, dove le tue sicurezze vacillano, prive di stabili fondamenta.

-Che cosa vuole?-

Mia sorella solleva il mento, stizzita dal mio tono brusco, ma poi sospira, lancia occhiate furtive da una parta e dall’altra del corridoio e mi si avvicina.

-Non lo so, ma ha detto a me di informarti.- Sussurra.

La mia testa scatta dall’altra parte per sfuggire al suo sguardo, è appena mattina ma ne ho già abbastanza per oggi.

Mio padre e mia sorella stanno continuando gli esperimenti sui Divergenti, e non sono diventata un’Intrepida per tollerare la tortura immotivata di persone innocenti. Ho sempre creduto che i diversi, le persone con divergenze che gli permettevano di vantare strani talenti celebrali, fossero mostri da evitare.

Ma adesso conosco il vero nemico.

-Se lo ha chiesto solo a te,- Dico a mia sorella, concedendole un’occhiata. -Vuol dire che sapeva che papà avrebbe dato in escandescenza, e se…-

-Se non lo ha chiesto ad Eric il motivo è lo stesso. Lui è troppo protettivo nei tuoi confronti, non ti lascerebbe andare a parlare con lei.-

La osservo, incurvando le sopracciglia. -Dato che sei tanto sveglia, che mi dici di te? Perché me lo hai detto?-

Abbassa gli occhi e non mi risponde.

-Tu non credi che mi farà del male.- Intuisco.

-Se volesse farti fuori non si sporcherebbe certo le mani.-

-E allora cosa ti preoccupa?-

Amber sospira e mi guarda desolata, come se fosse già a conoscenza della verità nelle sue parole.

-Jeanine può manipolarti, ma non voglio che ti sconvolga.-

-Credo che tu sappia cosa vuole da me.-

-Lei è ossessionata da te!-

Alzo le braccia in Aria per la frustrazione. -Che assurdità!-

Scuoto la testa e stringo i pugni. Perché la rappresentate degli Eruditi, la donna che da sola detiene il momentaneo controllo della città, continua a trattarmi in modo diverso rispetto agli altri?

Sono solo una novellina, non ho l’esperienza dei mei compagni Intrepidi né i talenti degli Eruditi, eppure lei mi affiancava a Robert e ci affidava missioni di massima serietà.

-Cosa vuole da me?-

Amber si guarda ancora intorno, poi mi si avvicina. -Tu sei importante per lei, sei al centro di tutto!-

-Ma al centro di cosa?-

L’istinto porta mia sorella ad abbassare lo sguardo, si morde il labbro come spesso faccio io e mi guarda come se si aspettasse di essere colpita da un momento all’altro.

-Non andare Aria, ignorala. Vuole solo scatenare le acqua, vuole controllarti come fa con tutti noi, ma tu sei diversa.-

-Diversa in cosa?- Sto perdendo la calma.

-Non lo capisci? Tu non ti fai comandare da lei, tu ti opponi, e questo Jeanine non può permetterselo!-

Apro la bocca per chiederle il perché, ma comprendo subito il problema, ripetendomi mentalmente le parole di Amber.

Sei al centro di tutto…

Io sono il legame più forte che i suoi tre collaboratori più fidati hanno.

-Ma certo…- Esclamo. -Ha paura che possa mettere te e papà contro di lei!-

Amber stira le labbra nel più triste dei sorrisi che io abbia mai visto.

-Quindi la mia lealtà le serve come garanzia! Dato che non può farmi fuori perché Eric mi protegge, mi vuole dalla sua parte!-

-Alla fine non saresti stata poi una cattiva Erudita, quando vuoi sai usare la testa!-

Ignoro la battuta di mia sorella e mi passo una mano sulla fronte.

Ma certo, Jeanine vuole giocare, e allora giocherò con lei.

-Credo proprio che andrò a parlare, giusto per scoprire con che stratagemma pensa di rabbonirmi dopo aver tentato di uccidermi, mandandomi in una missione pericolosa.-

-Non dimenticare Eric!- mi avvisa, seria.

-Eric?-

-Sì, Eric!- lancia un’occhiata furtiva al corridoio. -Hai una forte influenza su di lui e Jaenine non può perdere il suo braccio destro.-

Mi prendo del tempo per riflettere.

-Jeanine mi ha detto che lui non deve sapere nulla. Se accetti di parlarle, tienilo fuori!-

-Se accetto e lui lo sa non mi permetterà di vederla!- Confermo.

Improvvisamente l’afflizione di mia sorella si manifesta, facendola apparire combattuta. -Nemmeno io vorrei che andassi, ho paura di cosa potrebbe dirti. È molto brava a trovare i nostri punti deboli.  Ma so che non ti farà del male e se mi ha chiesto di chiedertelo, io…-

-Ti fidi ancora di lei, vero?-

Il mio sguardo accusatorio fa indietreggiare Amber.

-Lo so che sta facendo follie!- si giustifica, piccata. -Ma i Divergenti sono davvero pericolosi, e nostro padre conosce la verità. Jeanine ha le sue ragioni!-

Devio lo sguardo, consapevole che, per quanto mia sorella possa essere cambiata in mio favore, non rinuncerà mai al suo lato Erudito.

Fa parte di lei. Non potrebbe mai andare contro la sua rappresentata, alla sua maestra, al suo idolo.

-Non è riuscita a spaventarmi quando voleva costringermi a rimanere fra gli Eruditi, e pensi che possa intimidirmi adesso?- Chiedo, con un sopracciglio alzato.

-Lo so, ma non puoi sapere quello che può dirti.-

-So difendermi, Amber, voglio sapere cosa vuole e con che coraggio mi guarderà in faccia dopo aver cercato di uccidermi. Tu non dirlo a papà, e nemmeno a…-

-Con quello scorbutico del tuo ragazzo non ci parlo!- Dichiara, facendo un gesto netto con la mano. -Ed è meglio che papà non lo sappia, ha già troppi pensieri.-

-So difendermi, userò il cervello e farò in modo di rimanere immune al fascino delle sue minacce!- mostro un sorriso poco rassicurante ad Amber e mi volto per andarmene.

-Sti attenta!-

-Certo, sono un’ Intrepida!- Sorrido.

 

-Gradisci ancora zucchero?-

Fisso la donna che mi sta davanti, cogliendo anche la più insignificante traccia di affaticamento che l’afflizione può aver lasciato sul suo volto.

È diversa, sarà passato più di un mese da quando ho lasciato la sua fazione, eppure sembrano passati anni.

Una volta era il suo sorriso sornione a farla sembrare la persone più temibile con cui trovarsi a che fare, la sua espressione appagata la elevava al disopra di tutti i comuni mortali che avevano l’onore di incrociare il suo favore.

Adesso i suoi occhi sono cupi e minacciosi, incute timore con un solo sguardo rigido e mirato. Le sue spalle sono rette, impegnate in una continua e silenziosa lotta con un peso immaginario che minaccia di ledere alla sua perfetta autorevolezza.

La nuova Jeanine, così come la vecchia, non ha alcuna intenzione di piegare la schiena e di farsi vincere dalle avversità.

Questa donna apparentemente sconosciuta che ho davanti, non ha più bisogno di sorridere per intaccare le sicurezze di chi le sta difronte. Adesso si è tolta la maschera di falsa bontà per mostrare tutta la sua determinazione.

L’opinione comune è che, la stanchezza accumulata nel tentativo di fronteggiare l’attuale situazione critica, abbia scavato sul viso di Jeanine segni di debolezza.

Ma io sono di tutt’altro avviso.

La forza del suo spirito e la grinta l’anno rinvigorita. Sembra più giovane, più bella.

I suoi occhi azzurri scintillano nei miei quando ricambia il mio sguardo, e un sorriso appena accennato tende per un istante il suo broncio severo.

-No, grazie.- Rispondo, fissando con sospetto la mia tazza di tè.

Siamo sedute ad un tavolino in un’ampia sala illuminata dalla vetrata che occupa un’intera parete. Jeanine ha dato ordine di lasciarci sole, non ha fatto rimanere neanche le sue guardie personali Erudite e, soprattutto, niente Intrepidi.

Magari ha paura che qualcuno corra da Eric a spifferare tutto.

Deglutisco, in quel caso il capofazione sarebbe troppo impegnato ad individuare un punto strategico in cui appendermi per aver agito alle sue spalle, perciò Jeanine sarebbe al sicuro e non avrebbe di che preoccuparsi.

Gli occhi mi cadono sulla tazza fumante di tè e rabbrividisco, non so se dovrei realmente berla.

-Se volessi farti assumere qualcosa contro la tua volontà, non sceglierei un’innocua tazza.- Esclama Jeanine, come se mi avesse letto nel pensiero.

Lei solleva la sua tazzina di ceramica bianca e beve un lungo sorso.

Continuo a guardarla, in attesa che anche lei sposti lo sguardo su di me, ma credo che voglia solo perdere tempo, forse nella speranza di urtarmi i nervi.

-Cosa vuoi da me?- chiedo.

Lei non si sconvolge minimamente, anzi, sorride e posa la tazzina sul piattino che ha davanti.

-Non voglio nulla da te, al contrario, desidero darti le informazioni che cerchi.- Fa una paura. -Se vogliamo collaborare, dobbiamo essere sinceri.-

-Iniziamo subito, allora.- Propongo.

Jeanine riprende a sorseggiare il suo tè.

Serro i pugni, infastidita. -Tu hai solo paura che le tue azioni senza senso mi spingano a farmi delle domande e che, in cerca di risposte, possa agire contro di te.-

Il suo silenzio prolungato mi lascia continuare.

-Ma non sono io il problema.- Aspetto che dica qualcosa, ma non lo fa. -Quale sfortunata coincidenza che il tuo creatore di sieri, la tua addetta alle simulazioni e il tuo braccio destro in battaglia, siano rispettivamente mio padre, mia sorella e il mio…-

Per un attimo smetto di parlare, non sapendo come completare la frase.

Credevo di non avere paura di definire il mio rapporto con Eric, ma evidentemente mi sbagliavo. Lo sguardo della mia interlocutrice mi lascia senza parole.

-Eric tiene molto a te.- Appura.

Inarco le sopracciglia. -E questo è un problema per te.-

Il sorriso di Jeanine si allarga mentre l’azzurro dei suoi occhi si accende.

-Il nostro è un obbiettivo di massima importanza, Ariana. Dobbiamo rimanere concentrati su quello, senza distrazioni.-

-Hai paura che io possa distrarlo?-

-Tu non sei una distrazione. A differenza di quello che credi tu, io so perfettamente che Eric non cambierebbe idea per te.-

Rimango di ghiaccio, il mio cuore ha un sussulto e non posso fare altro che rimanere a fissare Jeanine in silenzio.

Lei si schiarisce la gola, si risistema alcune pieghe della gonna e mi scruta con attenzione. -Il nostro piano va avanti da anni e non possiamo permetterci di fallire. Il rischio sarebbe troppo alto.-

-Allora cosa vuoi da me?- Mi accorgo che la mia voce non è più tanto sicura.

Amber aveva ragione, Jeanine conosce i miei punti deboli e sa come ferirmi.

Parla come se lei ed Eric fossero una squadra da sempre, vuole farmi capire che hanno condiviso un legame di profonda fiducia, sostenendosi a vicenda.

Le immagini di un Eric più giovane e Jeanine nuda, inibita fra le sue braccia, mi fanno contorcere lo stomaco.

Prendo un respiro profondo e scuoto la testa. Non mi lascerò turbare da lei.

Non così.

-Voglio solo che tu capisca l’importanza dei doveri di Eric.- Insiste, tranquilla. -E la gravità della nostra situazione.-

-Me ne sono accorta, soprattutto dai morti.-

Mi incenerisce con un’occhiata. -I Divergenti sono il pericolo.-

-Perché?-

Riprende in mano la sua tazza e beve. -Distruggeranno la nostra città.-

-Solo perché reagiscono ai tuoi sieri di controllo?-

-Il problema arriverà da fuori, da oltre le mura.-

Il mio corpo si immobilizza.

-Gli Abneganti nascondevano una pericolosa verità. Fortunatamente adesso è nelle nostre mani e dobbiamo custodirla per scoprirne il segreto, prima che lo faccia qualcun altro.- Mi spiega Jeanine, senza guardarmi.

So benissimo cosa sta facendo, sta snocciolando davanti a me frammenti di verità con finta casualità. Sa perfettamente come ingannarmi.

-Allora perché non lo spieghi a tutti? Perché non ammetti che stai facendo tutto questo per proteggere la nostra città da un pericolo che viene da fuori?-

Jeanine sospira, accenna uno dei suoi sorrisi e finalmente mi guarda. -Non possiamo, perché la verità sarebbe addirittura peggiore dell’incertezza.-

Stringo i pugni sulle ginocchia. Mi chiedo come sarebbe per la nostra città, vivere con la paura di un minaccia dall’esterno, dopo tanti anni di pace vissuti nel terrore di quello che i nostri antenati si erano lasciati alle spalle.

Non sappiamo di preciso perché furono istaurate le mura, si parla di una guerra terribile, di sconosciute atrocità e, i palazzi distrutti dei nostri quartieri, sembrano un segno abbastanza credibile.

Tutto ciò che sappiamo è che il sistema delle fazioni ci permette di mantenere la pace e che non dobbiamo uscire dai confini.

-A volte la consapevolezza è una condanna peggiore dell’ignoranza.- Sussurro.

Jeanine segue i miei movimenti mentre bevo un po’ di tè, e sorride, riprendendo a bere il suo.

-Saresti stata un’ ottima Erudita, Ariana.-

Nello stesso giorno, è già la seconda volta che mi sento ripetere la stessa cosa.

Rifletto, poso la tazza e non mi guardo attorno. Determinata. -So di aver fatto la scelta giusta. Sono un’Intrepida, non un genio.-

-Non essere modesta, saresti stata una valida ricercatrice.- Sorride.

Sollevo gli occhi su di lei. -Ma non si può essere sia intelligenti che coraggiosi. Non senza essere Divergenti.-

-Non ho detto questo.-

-Quindi non credi che io sia una Divergente?-

Le mani di Jeanine si posano delicatamente sulle sue gambe, mentre il suo vecchio sorriso bonario le torna sul viso. -L’ho creduto.-

-Cosa ti ha fatto cambiare idea?-

-Il modo in cui usi il tuo intelletto.-

Scuoto la testa. -Che vuoi dire?-

-Un Erudito usa la logica per ogni situazione. Tu la usi unicamente per superare gli ostacoli che incontri, quando ti fa comodo.- I suoi occhi sono freddi e decisi. -I Divergenti si lasciano guidare da tutti i loro talenti in egual modo, per questo non riescono ad essere gestiti. Seguono soltanto l’istinto e non li si può controllare.-

-Stai dicendo che sono nella norma?- Insisto.

Sta volta voglio la verità.

-Tu affronti le situazioni con coraggio, e usi la mente solo per aiutarti e per trovare la soluzione migliore per battere il tuo nemico. Gli Eruditi, pur trovata la soluzione, non avrebbero il coraggio di metterla in atto.-

Adesso capisco.

Io sono inquadrabile, il mio schema mentale e preciso e sempre lo stesso. Seguo forza e coraggio, e mi servo della mia intelligenza per facilitarmi le cose ogni volta che mi trovo davanti ad un impedimento.

I Divergenti, invece, affrontano le situazioni quotidiane unendo la sincerità all’altruismo, o il coraggio alla gentilezza. Non hanno uno schema, non seguono un principio morale che li associa ad una sola fazione.

Semplicemente, non sono schematici. Si comportano come i membri di una fazione tanto quanto quelli di una seconda.

Io no.

Io ho sempre usato la testa, certo, mi era stato insegnato così e ho studiato abbastanza da aver mantenuto le mie abilità di calcolo, ma mi sono sempre comportata da Intrepida. Anche da bambina, quando ero costretta a passere ogni secondo della mia giornata in cerca di nuove informazione per apprendere sempre di più, il mio animo ribelle mi dissociava dalla mia fazione di nascita.

I Divergenti, invece, si mimetizzano bene e non li si riconosce facilmente.

-Quindi sono solo un’ Intrepida sveglia?- Esclamo, stupita dalle mie stesse intuizioni.

Mi sembra che qualcuno abbia improvvisamente acceso la luce in una stanza buia.

La tranquillità assoluta di Jeanine mi sconvolge -Sì Ariana, sei un’Intrepida sveglia!-

-Ma non sono una Divergente?-

-No, la tua mente non è brillante come quella di un vero Erudito, ma sei coraggiosa come tutti gli Intrepidi. Un Divergente sarebbe intelligente tanto quanto è coraggioso.-

Il tè che sto bevendo è ai mirtilli, nonché il mio preferito quando vivevo ancora con i miei genitori. Non credo alle coincidenze, ma non penso nemmeno che Jeanine abbia seguito un’ attenta analisi su di me fino a scoprire qual è il mio tè preferito.

O almeno spero.  

-Tornando a noi.- Jeanine si risistema il colletto della giacca. -Come ti dicevo, ho intenzione di essere onesta con te e di farti sapere cosa abbiamo in programma.- 

Seguo le increspature del mio tè dentro la tazza a prendo un profondo respiro, in attesa di qualcosa di importante.

-Vogliamo mandare un gruppo di soldati dai Pacifici, per assicurarci che non si oppongano al nostro governo e che non nascondano i fuggiaschi che stiamo cercando.-

Il suo sguardo serio mi attraversa, sembra leggermi dentro, ed io non capisco cosa si aspetti di preciso da me.

-I fuggiaschi?- chiedo.

Dal modo in cui mi guarda, capisco che sta per rivelarmi finalmente qualcosa di importante.

-Crediamo che un piccolo gruppo di Abneganti, sopravvissuti insieme al loro rappresentate, si siano rifugiati lì seguendo un tuo compagno di iniziazione, Quattro e Tris.-

Appena sento quell’ultimo nome, il mio copro reagisce immediatamente e ogni mio muscolo si tende, colpito da una violenta scarica elettrica.

Assassina…

È automatico, non posso fare a meno di pensare a lei unicamente come l’assassina di Will.

Jeanine si gode il mio cambiamento emotivo, che ovviamente coglie al volo con la stessa velocità di un falco che scende in picchiata sulla sua preda, e assottiglia lo sguardo.

-Non possiamo farceli sfuggire, se è veramente lì che si nascondono. Mi serve qualcuno determinato a condurli da me.-

-Qualcuno determinato?- Le faccio eco, ancora furente di rabbia al pensiero di Tris.

Assassina…

Si risistema ancora una volta la giacca e raccoglie una ciocca di capelli biondo lucente dietro un orecchio. -Non posso mandare nessuno dei capifazione, mi servono qui a protezione del quartier generale, e poi li voglio in forze per quando arriverà il momento opportuno.-

-E quindi?-

Alza gli occhi su di me ma non mi sta realmente guardando, mi sta studiando, sta leggendo dentro di me come se fossi un messaggio criptato da decifrare.

-Ho motivo di credere che Tris fosse risultata positiva a ben tre fazioni, un risultato a dir poco sconvolgente. D’ altro canto, abbiamo visto cosa è stata in grado di combinare.- Scuote la testa, la smorfia sulle sue labbra la rende per un attimo terrificante. -Quella ragazza ha fermato la simulazione causando la morte di molti innocenti, creando uno squarcio netto nella nostra città. Se non fosse stato per la sua interferenza, a quest’ora tutto sarebbe andato come previsto e ci staremo godendo i risvolti di una nuova città con un sistema governativo migliorato.-

Assassina…

-Te le sei fatta scappare Jeanine, vero?-

Non so perché l’ho detto, l’ho fatto e basta.

Ho il respiro accelerato, abbasso gli occhi sulle mie mani e serro le palpebre per un attimo. Inevitabilmente, come uno schiaffo in pieno volto, mi riappaiono le immagini che ho scorto nel monitor al centro di controllo.

Vedo Tris sparare a Will e il copro del mio migliore amico che cade a terra con un foro in fronte.

Quando riapro gli occhi, le parole sfuggono da sole al mio filtro bocca cervello e il mio tono è più violento di quanto vorrei.

-Avete lasciato che quel mostro creasse tutto questo casino. Dovete prenderla, deve pagare per ciò che ha fatto. È un mostro, una Divergente pericolosa.-

Sento il suono del mio cuore pulsarmi nelle orecchie, la vista mi si offusca e mi sento accaldata.

Quando il sorriso più sinistro che conosce appare fra le labbra sottili di Jeanine, capisco finalmente cosa voleva da me.

-Lei ha ucciso il tuo amico senza pensarci, è la prova che i Divergenti vanno fermati perché sono senza controllo sulle loro stesse azioni.- Mi comunica, giusto per chiarirmi le idee. -Penso che Tris e Quattro possano essersi nascosti tra i Pacifici, si saranno mimetizzati con loro e magari avranno anche cambiato aspetto. Ho bisogno di qualcuno che li conosca bene e che desideri davvero catturarli.-

La guardo, sentendo solo adesso l’intensità delle mie emozioni scuotermi dall’interno. Non riconosco più me stessa, non so cosa mi sta succedendo.

Penso quasi che il tè fosse davvero drogato, ma so che non è così.

Sono la rabbia e il rancore a stordirmi violentemente.

-Sono sicura che troveresti Tris ovunque si nasconda e che me la riporteresti qui, come nessun altro potrebbe fare.-

Le parole di Jeanine mi attaccano con forza inaudita.

Amber aveva ragione, lei sa dove colpire per ferire. Sapeva benissimo cosa dirmi per coinvolgermi.

-Vuoi mandarmi in un’altra missione sucida, Jeanine?-

Ora so perché mio padre ed Eric avrebbero fatto di tutto per impedirmi di parlare con lei, sapevano che mi avrebbe portato fino al punto di cedere.

E, solo adesso, so che avevano ragione.

Non avrei dovuto accettare il suo invito e parlare con lei.

-Non ho mai avuto intenzione di ucciderti!- Dichiara con assoluta calma, beve il tè con una mano sola, incrociando il mio sguardo da sopra il bordo della tazza.

-Ma, se io fossi morta, avresti avuto la certezza che i tuoi collaboratori più importanti sarebbero rimasti con te, senza più nessuno di cui occuparsi. E, soprattutto, senza il rischio che la mia influenza li allontanasse da te e dal vostro obbiettivo.-

-Sopravvaluti l’influenza che potresti avere su qualcuno.-

Le sue parole mi lasciano l’amaro in bocca. So che sta ancora insinuando che non conto abbastanza da far cambiare idea ad Eric.

Jeanine posa la tazza e mi osserva con attenzione. -Il dolore distrugge le persone, Ariana, ed io ho bisogno di collaboratori attivi, non certo di vittime della disperazione.-

Contraggo le sopracciglia. -Quindi questa missione sarà sicura?-

-Hai la mia parola.- Mi assicura, seria. -Non farò un altro errore. I Pacifici non attaccheranno e le persone che cerchiamo non saranno così tanto combattive. Sono sicura dell’esito della missione.-

Non rispondo.

Ho troppi pensieri che mi tormentano.

-Ma, come ti dicevo, ho bisogno di qualcuno determinato e che conosca bene i nostri ricercati. Saresti all’altezza delle mie aspettative, ne sono certa.-

Non rispondo ancora, sto cercando di prendere tempo.

Non posso farlo, non posso andare in missione a recuperare Tris, Eric non me lo permetterebbe mai.

Ma è anche vero che lui è l’unico qui dentro che desidera catturare Quattro tanto quanto io voglio Tris, ma Jeanine ha detto che lui non partirà.

Lui ha sempre odiato Quattro e, dopo che Tris gli ha sparato al piede, sono sicura che non se li farebbe scappare un’altra volta.

Ma sono io la persona perfetta.

È vero, riconoscerei Tris anche se si fosse tinta i capelli e se ne andasse in giro con un velo che le nasconde la faccia. La sentirei a distanza.

Lei ha ucciso Will, e non importa quanto io abbia cercato di dirmi che lo ha fatto per legittima difesa, perché non me ne convincerò mai.

So che non è così, ho visto il suo sguardo gelido mentre prendeva la mira e lo colpiva alla testa.  Non ha sparato a caso, non è stata una coincidenza. Ha fatto fuoco per uccidere, quando poteva benissimo colpirlo ad un arto per atterrarlo e riuscire a scappare.

La sua mente deviata l’ha spinta a colpire senza esitazione, perciò è un mostro senza controllo e non la lascerò girare ancora impunita per la città.

Se non avesse fermato la simulazione, la nostra fazione non si sarebbe divisa, gli Intrepidi non si sarebbero sparati fra di loro, ma avrebbero obbedito al nuovo governo e ce ne saremo tornati tutti a casa.

Assassina…

Sussurra la mia vocina, improvvisamente maligna e spietata.

Puoi prenderla, puoi vendicare Will…

-Non credo di essere all’altezza della missione. Ho appena superato l’iniziazione, sicuramente ci sono Intrepidi più qualificati di me.- Gemo, con talmente tanta poca convinzione che non mi stupirei se Jeanine scoppiasse a ridere.

E invece non lo fa, si sporge oltre il tavolino per avvicinarsi e mi offre un sorriso d’intesa, uno di quelli con cui fa sembrare tutto assurdo e superabile.

-Non essere sciocca, hai notevoli abilità. Sei forte, furba e determinata. Non c’è nessuno più adatto di te, considerata la tua voglia di catturare la Divergente.-

Mi mordo il labro, prendo fiato e sospiro.

Jeanine non sbaglia mai. Non crede nella sola forza fisica, ma piuttosto in una forza mentale che è assai più potente. Sa che il mio odio le porterà la sua preda.

Troverò l’assassina, fosse l’ultima cosa che faccio. Sento l’adrenalina già in circolo nelle mie vene.

-C’è un solo problema.- Dico, sollevando la tazza del tè.

-Quale?- mi chiede, sinceramente in dubbio.

-Rispondo agli ordini dei miei capifazione. E non avrò il consenso.- Bevo il mio tè.

Jeanine arriccia le labbra in un sorriso divertito, solleva la sua tazza verso di me come in un insolito brindisi al nostro nuovo accordo, e fa per bere.

-Troveremo un modo per convincere Eric!- Dichiara.

Provo la spiacevole sensazione di essere caduta nella tela del ragno solo adesso che non ho più alcuna intenzione di scappare.

Era questo che voleva da me sin dall’inizio.

Passo la lingua sulle mie labbra al sapore di mirtillo e sento un fremito scuotermi.

È possibile che Jeanine avesse architettato tutto dall’inizio, e che la nostra insolita alleanza non sia frutto del caso e di una mia decisione, ma bensì di un piano già scritto?

La osservo, non può essere stata tanto abile, era impossibile pianificare tutto con tanta precisone!

Non può essere, vero?...

Non rispondo alla vocina nella mia testa, al contrario, incrocio lo sguardo con quello di Jeanine e le sorrido apertamente, con un ghigno sinistro.

Non mi importa se mi abbia ingannato, o se abbia pianificato tutto sin dall’inizio. Non mi importa neanche che abbia una contro mossa per attaccarmi in seguito, con l’inganno.

Tutto ciò che mi importa è avere Tris.

Due nemici possono anche deporre le armi per uno scopo comune.

E, il nostro obbiettivo, e quell’assassina.

Sogghigno, fosse l’ultima cosa che faccio, avremmo quella Divergente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

 

 

Finalmente aggiorno, scusate per il ritardo!

Come promesso, ecco a voi risvolti sospetti nella trama. Ovviamente siamo solo all’inizio, al via, ma immaginerete di sicuro che nei prossimi capitoli le cose si faranno interessanti…

 

Mi farebbe piacere avere il vostro parare e qualche consiglio : )

 

Per anticipazioni e notizie, vi lascio la pagina Facebook sulla mia storia:

https://www.facebook.com/Kaimy11

 

Grazie a tutti.

Baci!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 21
*** Fiducia ***


21. Fiducia

 

 

 

 

 

 

 

 

-State dando i numeri?-

Scuoto la testa e fisso insistentemente le donne oltre la scrivania.

Intenta ad analizzarmi come se fossi una delle sua amate cavie, o come se fossi un mistero che sta per essere risolto, Jeanine mi osserva con assoluta attenzione.

Neanche a dirlo, il suo solito sorrisino altezzoso le increspa le labbra.

-Cosa ti disturba, esattamente?- Mi chiede.

La sua voce è piatta, rilassata, addirittura cortese.

Forse crede davvero di potermi analizzare, di poter affrontare la faccenda con un approccio pratico e scientifico, ma io non sono analizzabile.

Non so nemmeno io cosa mi passa per la testa.

Mi avvicino minaccioso, raddrizzo la schiena e tengo i miei occhi su di lei.

Quando arrivo alla scrivania e batto i pugni sul tavolo, proprio solto il suo naso, Jeanine non sussulta nemmeno.

-Ciò che mi disturba, Jeanine, è che tu voglia sfidarmi anche dopo tutto quello che è successo.-  Sibillo.

Potrei disegnare, se avessi un pennarello a portata di mano, la scia della mia rabbia che mi attraversa il corpo. Si sta risvegliando, salendo delle mie braccia fino a raggiungere le profondità della mia mente, da dove potrà facilmente comandarmi e piegarmi al suo volere.

Ma Jeanine non si scompone, probabilmente non vede la furia che mi cresce dentro, si risistema la gonna sulle ginocchia e accenna un sorriso.

Finge di non comprendere.

-Pensi forse che voglia mandare Ariana in missione solo per farti un torto?-

Colpisco ancora la superficie del tavolo con entrambi i pugni e mi raddrizzo.

-Dopo l’ultima volta, Jeanine, i miei uomini non sono più al tuo servizio e le missioni le decido io.- Specifico. -E, in particolare, scordati di Aria. Lei non è selezionabile. Se vuoi liberarti di lei, dovrai trovare un altro modo per ucciderla!-

Serro i pugni con tale forza che mi stupisco di avere ancora la sensibilità alle dita.

Come era prevedibile, Jeanine coglie perfettamente il mio messaggio.

-Non sto mettendo questa ragazza in pericolo solo per minacciarti, Eric. Ho già la tua completa collaborazione…-

La fulmino con un’occhiata avvelenata. -E perché mai vorresti una ragazzina che ha a mala pena superato l’iniziazione, quando hai uomini assai migliori fra cui scegliere?-

-Perché lei non si lascerà scappare Beatrice Prior, come hai fatto tu!-

Sono sconvolto dall’assoluta sicurezza con cui mi sputa in faccia la sua opinione. Ormai fremo di rabbia e non mi curo di nasconderlo, la minaccio con lo sguardo a proseguire, e lei lo fa senza timore.

-Ariana vuole quella Divergente quasi quanto la voglio io, ed è in gamba, anche se tu fingi di non saperlo. È molto sveglia e, per la sua giovane età, vale molto più di tanti dei tuoi uomini.- Fa una pausa e nasconde un sorrisino di pura soddisfazione. -Voglio una persona abile e determinata, e non c’è nessuno meglio di lei.-

-E allora manda me!- Le sbraito contro, tenendomi a distanza per paura di perdere del tutto le staffe e staccarle quel sorriso dalla faccia. -Sono indiscutibilmente più forte e sai perfettamente che voglio prendere quel bastardo di Quattro e la sua Rigida! O pensi che io non sia all’altezza della tua nuova bambolina?-

-Tu eri la mia prima scelta, Eric, ma non partirai!-

-Perché no?-

-Perché mi servi qui, voglio che i capifazione rimangano a protezione del quartier generale, invece che scendere in campo.- Spiega con enfasi. -E, in particolare, avrò bisogno di te per faccende molto più delicate, perciò mi servi in forze.-

-Non avevi detto che andare dai Pacifici sarebbe stata una passeggiata? Hai qui tutti gli uomini che vuoi a proteggerti, lasciami andare in campo a prendere quei vermi e lascia Aria qui.-

Adesso urlo senza sosta, non faccio nemmeno una pausa.

-Come ti ho appena detto, ti preferisco qui a dirigere i tuoi uomini. E, per di più, mandarti in campo potrebbe essere controproducente. Conoscendoti, potresti farti compromettere dalla rabbia, rischiando di mandare tutto a monte.-

-Che cosa?- Sbraito. -Non volevi Aria proprio perché era determinata a prendere quella Tris?-

-Lei ha molto più autocontrollo di te, saprà rimanere concentrata sull’obbiettivo.-

Scuoto la testa, una smorfia mi deforma la bocca. -Tu non la manderai a rischiare la pelle per i tuoi capricci da prima donna. Trovati altri giocattoli, Jeanine!-

-Non è una missione impegnativa e non dovremmo incontrare complicazioni.- Insiste, per nulla disturbata dalle mi parole. -Dopo gli ultimi insuccessi siamo preparati a tutto, saremo cauti e Ariana tornerà sana e salva.-

Le punto un dito contro. -Lei non parte!-

-Ma io voglio andare!-

Sento la sua voce e un brivido mi sale lungo la schiena, senza darmi la possibilità di capire se sia la solita rabbia o qualcos’altro a scuotermi.

Incontro i suoi occhi blu, gelidi e carichi di determinazione come non li ho mai visti.

Se ne sta in piedi al fianco di Jeanine, dietro la scrivania, le braccia incrociate al petto mettendo in bella vista la fascia blu cucita sulla spalla della sua giacca. Ha il mento sollevato, fiera, e mi osserva.

-Fai silenzio!- L’ammonisco, senza nascondere il mio sguardo truce.

Sto perdendo la pazienza e il suo tradimento non migliora certo la situazione.

Mi sta facendo perdere la testa.

-Sono stata zitta fino adesso!- Si ribella. -Ma sono qui, Eric, e non puoi fare finta che non esista!-

Jeanine incrocia le mani sotto il mento e non è in grado di nascondere le soddisfazione che prova.

-Perché non dovrei andare, Eric? Sei irrazionale!- Mi rimprovera.

Prendo un respiro profondo e mi passo una  mano tra i capelli, ma i miei sforzi sono inutili: la calma mi ha abbandonato da un pezzo.

-Non sei all’altezza!- Le rammento, ferendola.

Scrolla le spalle. -Non sono richieste particolari abilità per riportare indietro dei fuggitivi e, per il resto, me la caverò.-

-Sono il tuo capofazione, Aria, e non hai la mia autorizzazione per prendere parte alla missione.- La guardo dritto in faccia e la sfido a continuare. -Non permetterò che le tue incompetenze la compromettano.-

Serra le labbra e mi manifesta tutto il suo risentimento.

-Eric si preoccupa troppo per la tua incolumità.- La consola Jeanine, mettendole una mano sul braccio. -Ha solo bisogno di essere rassicurato.-

Da quando quelle due sono tanto intime?

E com’è che la mia relazione con Aria è diventata così esplicita? Non posso credere che Jeanine ne parli con tale tranquillità.

-Max mi ha fornito i nomi di alcuni soldati adatti per la missione, ma puoi decidere tu chi far partire. Manda pure i tuoi uomini di fiducia, se pensi che Ariana sarà più al sicuro.-

Non mi prendo neanche il disturbo di guardare Aria.

-Mi sono già espresso sull’argomento, e la mia risposta è no. Aria non avrà il consenso di partire e non cambierò idea.-

Senza perdersi minimamente d’animo, Jeanine sposta lo sguardo verso Aria e solleva le sopracciglia in una domanda silenziosa.

Aria, dal suo canto, stende le labbra e fa un cenno.

-Non sei l’unico capofazione, Eric.- Inizia Jeanine. -Non sono i miei Eruditi, perciò non posso decidere io per loro. Se non vuoi concederci l’autorizzazione, penso che potrei andare da Max a chiedere il suo consenso.-

Sopprimo il ringhio che covo nel petto e lancio un’occhiataccia ad Aria, sto provando a farla desistere con più cattiveria che posso dal suo intendo, ma lei ormai ha dato la sua fiducia a Jeanine.

Non posso crederci, sono stato tradito e messo all’angolo.

Serro la mascella e le faccio di no con la testa, facendomi vedere solo da lei, perché non può chiedermi tanto.

-Dammi il permesso, Eric. Voglio prendere parte alla missione.- Mi dice, senza abbassare il mento.

Scuoto ancora la testa. Mi sta chiedendo di essere io a concedere l’autorizzazione perché non vuole scavalcarmi e chiedere a Max.

Ma mi ha già scavalcato, si è messa dalla parte di Jeanine e mi hanno tolto ogni possibilità di scelta.

Mi ha tradito…

-Prendila come un’esperienza formativa.- Interviene Jeanine. -Lascia che dia il suo contributo alla nostra causa.-

Mi piacerebbe dire a Jeanine che, almeno fino a ieri, Aria era assolutamente contraria ai suoi metodi e a tutta questa guerra. Ma ormai pare che le sia assolutamente fedele, dato che è disposta perfino ad andare contro il mio volere pur di partire.

Ognuno ha la sua priorità, la mia era proteggere Aria.

Ma lei non vuole essere protetta.

Sopprimo il senso di delusione che mi soffoca e guardo Aria con sufficienza.

-Se lo desideri così tanto, allora buon divertimento!-

 

È tutto il giorno che ci evitiamo a vicenda, sono certo che sta scappando da me.

Non capisco con precisione cosa sto cercando di ottenere fuggendo per poi andare a cercarla, forse voglio una spiegazione.

Forse non voglio neanche vederla.

Arrivo a quella che chiamavo casa, ma che improvvisamente mi appare come un luogo estraneo. Faccio scattare la serratura ed entro, non devo neanche guardarmi troppo intorno perché lei è poco distante da me.

È in piedi vicino alle scale, le braccia incrociate al petto e lo sguardo determinato.

Mi prendo alcuni secondi per osservarla, sento la furia montarmi dentro e sto quasi per prenderla dalle spalle e sbatterla ripetutamente contro il muro fino a quando non mi dirà cosa le è saltato in mente, ma cambio idea.

Getto giacca e stivali vicino al divano e mi avvio su per la scale, sorpasso Aria senza degnarla di un’occhiata e raggiungo la camera al piano di sopra.

Sento i suoi passi sulle scale e capisco che mi sta seguendo, non so che intenzioni abbia, ma so che non sono interessato a scoprirlo.

Mi tolgo il maglione e lo lancio sulla sedia che ho vicino, per slacciarmi la cintura.

Aria rimane in silenzio, vedo con la coda dell’occhio che si è appoggiata alla ringhiera e mi studia con attenzione.

Mi sfilo anche la maglietta e rimango con addosso solo i pantaloni, sto per togliermeli ma Aria mi riscuote dai miei pensieri.

-Dovresti avere più fiducia in me…-Esordisce.

Ed è la scintilla che accende la dinamite, facendola esplodere.

-Non venirmi a parlare di fiducia!- Urlo, voltandomi verso di lei per fronteggiarla.

Non si scompone, limitandosi a sollevare un sopracciglio. -Perché?-

-Hai il coraggio di fingere?- Arrotolo la maglietta che ho ancora in mano e la lancio con forza sul letto. -Da quando sei così intima con Jeanine?-

Non risponde.

-Avresti dovuto venirne a parlarne prima con me, invece di metterti d’accordo con lei!-

-La colpa è tua!- esclama, fulminandomi con un’occhiata mirata.

-Che cosa?- Urlo, arrivandole ad un palmo dal viso. -Hai il coraggio di insultarmi dopo quello che hai fatto?-

-Tu non hai fiducia in me!- Mi mette le mani sul petto e mi spinge via. -Non serviva a niente chiedertelo, perché mi avresti detto di no!-

-Non posso credere che tu voglia partire! Vuoi rischiare di farti ammazzare?-

-Non mi farò ammazzare!-

Ci stiamo urlando contro a vicenda e, per quanto sia a mio agio con modi bruschi e non sempre educati, non credo che arriveremo da qualche parte in questo modo.

Sospiro e la prendo dalle spalle. -Perché vuoi andare in missione?-

Serra le labbra.

-Tu non sei come noi, perché ti sei fatta manipolare da Jeanine?-

-Non mi sono fatta manipolare da nessuno!- Urla, liberandosi delle mie mani. -Se mai sei tu che mi manipoli! Mi tratti come se fossi tua, ma sono una persona, Eric!-

Inarco le sopracciglia e mi allontano di mia spontanea volontà, improvvisamente scottato dalla sua presenza.

-Che cosa?- Ringhio.

-Sono stanca di sentirmi un’ Erudita. Io sono un’ Intrepida, lasciami agire come tale!- Mi supplica, inaspettatamente arrendevole. -Fidati di me, sai che posso farcela!-

-E ti basta andare a sparare a qualche Pacifico per sentirti un’ Intrepida?-

Le trema il labbro e i suoi occhi si addolciscono. -Gli Intrepidi assicurano i criminali alla giustizia!-

-Credevo pensassi che fossimo noi i criminali. Sei improvvisamente passata dalla parte di Jeanine, o vuoi allearti ad un’ assassina per prenderne un’altra?-

Aria spalanca i suoi occhioni blu e mai come adesso mi sembra una bambina impaurita.

L’instante dopo assottiglia lo stesso sguardo che era smarrito e riacquista determinazione. -Tris è il nemico.-

-Sarai responsabile di quello che le faranno.- Scuoto la testa e le prendo il viso fra le mani. -Pensi di poterlo sopportare?-

Mi guarda e temo che possa leggermi nel pensiero.

-Non mi importa, non merita clemenza!- Risponde semplicemente.

Sconfitto, chino il capo.

Per Aria quella Rigida bastarda è l’assassina del suo amico Will, lo so, è inutile negarlo.

Desidero più di lei prendere quella ragazzina che ha osato spararmi e, ovviamente, non vedo l’ora di mettere le mani su Quattro e fargliela pagare per avermi umiliato da quando ha messo piede fra gli Intrepidi.

Ma dovrei occuparmene io, non certo Aria.

E non doveva tradirmi alleandosi con Jeanine ai miei danni.

-Non dovresti andare, lascia che sia qualcun altro a prenderla. Potrai comunque avere la tua vendetta per quello che ha fatto al tuo amico.-

Aria scuote la testa e mi guarda con disgusto, come se l’avessi in qualche modo offesa.

-Qui non si tratta di vendetta! Quella Divergente ha fermato la simulazione, causando la morte di molti dei nostri compagni. Se tutto fosse andato secondo i piani, sareste riusciti a spiegare a tutti cosa stava accadendo e nessuno avrebbe aperto il fuoco. La nostra fazione sarebbe ancora unita, la città in pace e Will e tanti altri sarebbero ancora vivi!-

Colgo la scintilla di fuoco nei suoi occhi e rimango senza parole.

-Tris è un mostro, voleva giocare a fare l’eroina e invece è soltanto un’assassina!- Dice infuriata, fremente di determinazione. -Io la prenderò, Eric, e non mi importa cosa le faranno! Deve pagare per quello che ha fatto!-

Sono sconvolto dal suo cambio emotivo, non riconosco la furia che la anima.

-Sei sicura che è questo ciò che vuoi? Tu non sei spietata, Aria!-

Mi prende una mano tra le sue e nasconde un sorriso.

-Dovresti deciderti, Eric. Quando mi sono lasciata abbattere dalla sofferenza, mi hai detto che non mi riconoscevi più, che mi rivolevi forte. E, adesso che voglio combattere, mi rivorresti debole?-

-Qui non si tratta di debolezza!- Ringhio.

Le prendo il mento con due dita, sperando che il contatto con la sue pelle fredda possa calmarmi e tenere a freno il mostro che ho dentro.

Sono furente. -Se ti succede qualcosa….- sibilo, minaccioso.

-Non mi accadrà niente, abbia fiducia in me!-

Mi perdo nei suoi occhi scuri, cerco di placare il mio animo, ma fallisco.

Sono un Intrepido, non dovrei avere paura di niente, ma questa diceria è falsa. Tutti hanno paura di qualcosa, ed è conoscendo e ammettendo i propri limiti che si può essere più forti.

Aria è il mio limite e, se in ballo c’è la sua sicurezza, perdo lucidità. Peccato che, prenderne atto, non mi aiuti a mantenere la mia autorevolezza.

La abbandono e mi lascio cadere sul letto, dandole volutamente le spalle.

Non dovrei permettere a questa ragazzina di vincermi in questo modo, non posso davvero permetterle di partire e di mettere a rischio la sua vita.

Sento il materasso piegarsi sotto il suo peso, quando si accovaccia vicino a me.

La carezza delle sue dita sulla mia schiena nuda non basta a destarmi dal mio stato di rabbia profonda.

-Vuoi essere arrabbiato con me?- mi chiede, dolce.

Odio quando fa così, i suoi sbalzi d’umore non sono sempre graditi. Non può sfidarmi il secondo prima e adesso cercare di rabbonirmi.

-Lasciami in pace, Aria. Hai fatto la tua scelta!-

-E allora appoggiami!-

-Fatti appoggiare da Jeanine!-

Ritrae la mano con cui mi sfiorava la pelle e si ammutolisce.

-Perché non vuoi fidarti di me?- Mi chiede, sconsolata.

Qualcosa mi smuove dentro di me e balzo seduto, ad un soffio da lei.

Le afferro il mento e le sollevo il viso, costringendola a guardarmi.

-E tu hai fiducia in me?-

I suoi occhi si fissano nei miei, speranzosi.

-Certo!- mi garantisce.

-E allora non provare mai più a scavalcarmi. Tu fai quello che ti dico io, chiaro?-

Fa un cenno, senza distogliere lo sguardo dal mio.

-Se torni ferita, ti garantisco che ti ammazzo. Hai capito?-

Si ritrae, sbatte la palpebre e spalanca le labbra, allibita.

Poi accenna un sorriso malizioso. -Mai dolce, vero?-

-Mai!-

L’afferro dalla nuca e le impongo a forza il contatto con le mie labbra, infilandole la lingua in bocca senza alcuna gentilezza.

 

-Siamo intesi, quindi?-

-Sì, capo!- mi sorride.

La osservo da capo a piedi senza perdermi un suo solo dettaglio.

La nuova divisa aderisce perfettamente al suo corpo e gli inserti blu evidenziano il colore dei suoi occhi, che in questo momento sono puntati su di me e sembrano realmente in grado di scorgere ogni mio più profondo pensiero.

Oltre alla fascia di tessuto sulla spalla destra di ogni giacca, è stata cucita anche una stringa immancabilmente blu attorno alla coscia, in cui è saldamente legata la fondina per la pistola.

Ma i dettagli del colore degli Eruditi non sono finiti, infatti, dai mezzi stivaletti di Aria, fanno capolino due rinforzi di tessuto imbottito che avvolgono la parte anteriore delle sue gambe, proteggendo caviglie, stinchi e ginocchia.

Alcuni dei miei uomini anno ginocchiere, o proteggi comiti blu. Altri hanno le maniche della giacca, oppure pantaloni elasticizzati, interamente azzurri.

Con una smorfia mi ritrovo a pensare che solo una donna poteva pretendere un cambio di abbigliamento per simboleggiare la nostra alleanza agli Eruditi, come se ai nostri nemici importasse di che colore sono le nostre divise mentre ci sparano addosso.

Eppure capisco che, in una società come la nostra, dove il colore degli abiti che indossiamo ci indentifica e ci seleziona, era inevitabile non apportare le dovute modifiche alle nostre uniformi da combattimento.

Mi scoccia ammetterlo, ma Jeanine non ha tutti i torti.

E, in questo modo, possiamo distinguerci dai trasgressori che sono fuggiti dopo la simulazione, senza rischiare di fare fuoco suoi nostri stessi alleati.

Sospiro pesantemente e torno a prestare attenzione ad Aria, in piedi davanti a me, soffermandomi su un dettaglio in particolare.

Inarco un sopracciglio quando indugio sulla cerniera della sua giacca, chiusa solo fino alle costole. In questo modo il tessuto le strizza i fianchi mettendo in risalto le forme generose del seno.

-Mi stai prendendo in giro?- Indago, cupo.

Le afferro quella maledetta cerniera e gliela chiudo fin sotto il collo.

Lei fa roteare gli occhi.  -No, capo!-

Assottiglio lo sguardo e la prendo saldamente dai fianchi, costringendola contro il mio petto.

-Devo ricordarti le condizioni del nostro accordo?- Le alito sulla bocca.

I suoi occhi si sollevano verso i miei, si morde il labbro inferiore e scuote la testa.

-Cosa succede se rientri con anche solo un graffio?- Sollevo entrambe le sopracciglia in attesa di risposta.

-Me ne fai altri mille!- Sbuffa.

-Tienilo bene a mente perché, se ti sloghi una caviglia, o se ti rompi qualche tuo prezioso ossicino, io…-

-Sì, sì, mi fai a pazzi. Ho afferrato il concetto, Eric!- Brontola, guardandomi di traverso.

Le prendo il mento con una mano e le passo il pollice sulle labbra, deliziosamente arricciate per il disappunto.

-E cosa farai per tenerti lontana da guai?-

Lei sospira. -Non farò stupidaggini e mi terrò saldamente incollata alle costole di Jason. Farò tutto quello che mi dice e sarò la sua ombra. Contento?-

Potrei anche ritenermi soddisfatto, ma non lo sono.

C’è troppo in ballo.

E l’espressione scocciata di Aria sta quasi riuscendo ad allietarmi fino al punto di rilassarmi i nervi.

-E se, sfortunatamente per voi, dovesse succederti qualcosa?-

-Jason si ritrova appeso a testa in giù da qualche parte!- Brontola, alzando gli occhi al cielo.

Sogghigno. -Ricordarglielo, quando lo vedi!-

-Credo proprio che se lo ricordi, dato che glielo hai detto ieri, con tutte le tue graziose e simpatiche minacce!-

-Tu ricordarglielo lo stesso!- Scandisco.

Lei sbuffa ancora e io serro la mascella.

-Non sto scherzando, Aria. Sono serio.-

Ottengo al sua attenzione, assottiglia lo sguardo e mi osserva con cura, piegando la testa da un lato.

-Nemmeno io.- Mi garantisce, determinata. -Porterò a termine la mia missione e tornerò da te sana e salva.-

-Stai attenta.- Le ordino.

Fatico a trattenere la tensione, ho i nervi a fior di pelle e non mi resta altro che serrare i pugni e impedirmi di fare qualche sciocchezza.

In questo momento vorrei solo prenderla di peso e trascinarla in casa, spogliarla e fare l’amore con lei fino a sfinirla e farle passare la voglia di partire e di rischiare la pelle. Ma so che non posso farlo, le ho promesso fiducia e devo lasciarla andare, ripetendomi che tornerà con tutte le ossa al loro posto.

Ha ragione, è un’ Intrepida ed io sono rimasto attratto prima di tutto dalla sua forza. Lei è la mia piccola lottatrice, l’iniziata testarda che incanalava tutte le sue forze per combattere e che vinceva ogni incontro a testa alta, contro ogni aspettativa. Anche quando era fra gli Eruditi usava la lotta per superare ogni avversità, scoraggiando chiunque ad infastidirla.

Come solo lei può fare, le basta guardarmi per cogliere il turbamento del mio animo. Accenna un sorriso e allunga una mano fino ad accarezzarmi la guancia.

-Andrà tutto bene, te lo prometto!-

-Lo spero per te.- Ringhio, per nulla addolcito dal tono gentile della sua voce.

Inarca le sopracciglia e scuote la testa. -Saresti davvero capace di arrabbiarti con me, se veramente tornassi ferita?-

L’ammonisco con un’occhiata talmente furente che mi stupisco di vederla ancora davanti a me.

-Andiamo!- Mi esorta. -Se vedessi anche una sola goccia del mio sangue andresti nel panico, altro che moltiplicare i miei graffi. Non avresti mai il coraggio di farmi del male!-

I suoi occhi mi incatenano ma, dentro di me, il solo pensiero di Aria ferita mi crea un vuoto talmente profondo da lasciarmi senza fiato. 

Contraggo la mascella fino a farla scricchiolare e spalanco gli occhi, furioso.

Aria sembra capire di aver esagerato, di fatti si morde nervosamente il labbro inferiore e mi osserva con cautela.

Almeno ha ancora il buon senso di capire quando deve darsi un freno.

-Non mettermi alla prova, Aria!-

Coglie il mio rimprovero e abbassa saggiamente gli occhi, sospira e rimane in silenzio.

Non resisto, mi sono trattenuto anche troppo.

Le afferro la nuca e spingo le sue labbra contro le mie, baciandola fiano a quando non siamo entrambi senza fiato.

Quando la lascio andare ha il fiatone, mi guarda ancora in confusione, poi riacquista tutta la sua determinazione e mi fa un cenno.

-Andrà tutto bene. A dopo, Eric.-

Aspetta un mio cenno di assenso e si volta, incamminandosi lentamente verso il gruppo di uomini che l’attende davanti ai furgoni corazzati.

Quando le arriva accanto, Jason le mette una mano sulla spalla e incrocia il mio sguardo, facendomi anche lui un cenno di saluto.

So che la proteggerà a qualsiasi costo, ho scelto personalmente lui perché non affiderei la sicurezza di Aria a nessun altro.

Nick li raggiunge e fa segno ad Aria di seguirlo, aiutandola a salire a bordo del furgone.

Li seguo con lo sguardo e mi impongo di rimanere al mio posto, controllando il respiro e allentando la tensione dei miei muscoli.

Mi fido dei miei due uomini migliori ma, se dovesse accadere qualcosa, nemmeno il mio braccio destro, nonché mia guardia del corpo e a conti fatti mio migliore amico, sarà risparmiato alla mia furia.

Se le accade qualcosa, sia Nick che Jason se la vedranno con me e non avrò pietà per nessuno.

Nemmeno per Aria.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

 

Ciao a tutti, non credo di dover aggiungere altro, vero? Scommetto che le vostre menti stanno già disegnando, almeno in parte, ciò che accadrà!

Giusto?

 

Non voglio annoiarvi, ma mi farebbe bene sapere cosa ne pensate con qualche commentino.

Purtroppo sono insicura e avrei bisogno di sapere se secondo voi quello che scrivo ha senso.

Eric è come dovrebbe essere?

Vi piace Aria?

Le storia funziona, volete continuare  a leggere o vi sta stancando?

Mi sembra di scrivere solo per me stessa, invece mi piacerebbe condividere tutto con voi lettori e scambiarci qualche parere.

 

Grazie a tutti coloro che mi seguono!

Siete silenziosi ma so che ci siete e vi adoro, tantissimo! <3

 

Grazie mille.

A presto, bacioni!

 

 

 

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Capitolo 22
*** Mi dispiace (parte 1°) ***


22. Mi dispiace (Parte 1°)

 

 

 

 

 

 

 

Non riesco a togliermi dalla memoria l’espressione di Eric.

Il tormento dei suoi occhi, dello stesso colore del cielo quando è ricoperto dalle nuvole, era abilmente mascherato della rabbia espressa dalla tensione della sua mascella.

Mi risistemo un ciuffo di capelli dietro l’orecchio e alzo gli occhi sul soffitto del retro del furgone. Per mia fortuna non sono mai stata claustrofobica, anche se devo ammettere che, starsene qui rinchiusi fra queste pareti di acciaio rinforzato, è piuttosto opprimente.

E noioso.

Raccolgo le ginocchia al petto e sospiro.

-Tranquilla, i Pacifici non saranno un problema!- Esclama Nick, seduto difronte a me nel retro del furgone. -Dovresti preoccuparti di Eric, ma con te sarà innocuo!-

Mentre Nick sghignazza di nascosto, Jason, seduto accanto al guidatore sul sedile unico oltre il divisorio, si volta per lanciargli un’occhiata di traverso.

-Perché hai accettato? Ci annoieremo in mezzo a quegli spampanati dei Pacifici!- Protesta Nick, indignato dal rimprovero silenzioso del suo amico.

-Se ti annoi tanto, conta mentalmente fino a mille. In silenzio!-

Non so perché, ma il tono di voce di Jason mi fa sfuggire un sorriso. Mi sembra Eric quando tenta di fingersi arrabbiato con me.

-Già, dimenticavo: dobbiamo badare alla bambolina!-

Jason non ci fa caso, sbuffa e si rivolta.

Ma Nick non sembra perdersi d’animo, mi osserva con divertimento e fa spallucce. -Non ti ho offesa, vero? È solo che, per il nostro bene, sarebbe stato meglio che te ne restassi al sicuro da brava bambina!-

So che sta scherzando, ma assottiglio lo sguardo e fatico a trattenere il broncio.

-Se volevo fare la bella statuina, rimanevo un’ Erudita!- borbotto. -E non ho bisogno del tuo aiuto. Se hai paura, puoi sempre startene nel furgone.-

-Vacci piano, ragazzina, lo sai con chi stai parlando?-

-Con un idiota!- Interviene Jason, senza voltarsi.

Rido, mentre Nick impreca a mezza voce.

Tuttavia, un pensiero insistente mi tormenta e, ciò che ha detto Nick, ha solo confermato le mie preoccupazione.

Mi sistemo sulle ginocchia e mi appoggio con i gomiti alla trave che ci divide dal sedile anteriore.

-Temo di averti messo nei guai.- Dico, vicina alla spalla di Jason.

Giro appena la testa, osservando il guidatore, che sembra quasi una statua tanto è silenzioso e composto. Non so se posso parlare apertamente con lui in ascolto, ma non mi sembra che Nick si sia fatto tanti scrupoli a nominare Eric.

L’uomo al voltante ha folti capelli di un biondo rossiccio, avrà poco meno di trent’anni, ma la cosa che mi colpisce è il suo tatuaggio. Sono totalmente incantata dal morbido intreccio che gli accarezza il lato del collo, scendendo dietro il suo orecchio in una curva sinuosa.

Per un attimo penso che abbia il mio stesso tatuaggio, dato che ha scelto un ghirigoro nel mio stesso punto, vicino alla nuca. Ma lui non ha onde d’acqua, ma cinque artigli che si intrecciano in un’ esse.

Jason mi riscuote dal mio incanto, scoppiando a ridere. -Se ti riferisci ad Eric, non hai di che preoccuparti!-

-Dici?-

-So tenerlo a bada meglio di quanto immagini e ci vuole ben altro per mettermi nei guai!-

Si volta per incrociare il suo sguardo con il mio, offrendomi un’alzata di sopracciglia. Il suo sorriso furbo mi rassicura e provo a sorridere a mia volta.

-Quei due sembrano due fidanzatini, sono disgustosi!-

Sentendo il suo lamento, mi volto verso Nick, che se ne sta seduto a braccia incrociate con la schiena contro la parete di metallo.

Lo guardo piegando la testa da un lato.

-Jason è l’unico che sa tenere Eric al guinzaglio.- Mi spiega. -A volte…-

Jason rimane in silenzio, limitandosi ad alzare gli occhi al cielo.

Sono ancora vicina alla sua spalla e, anche se posso scorgere unicamente il profilo del suo viso, mi accorgo della sua espressione pacata, ma forte al tempo stesso.

Per quel poco che l’ho visto, è sempre stato controllato ed equilibrato, per cui non fatico ad immaginare in che fazione sia nato. Solo gli Eruditi hanno un controllo del genere e sanno rimanere seri e concentrati in ogni circostanza.

A meno che non sia stato un Abnegante, visto che non a caso li chiamano Rigidi.

-Siamo le guardie del copro di un capofazione e ci hanno messo a farti da balia, pensi che sia onorevole?- Insiste Nick, osservandomi con il mento alzato.

Ruoto verso di lui ed accenno un sorrisino. -Bastava dire che non volevi venire, non serve tutto questo giro di parole!-

-Senza contare che rischiamo che Eric ci faccia a pezzettini, se ti accade qualcosa!-

-Ripeto,- continuo fissandolo negli occhi. -Bastava dire che non volevi venire!-

Mi aspetto che mi imprechi contro e invece Nick si limita a piegare le braccia dietro la testa, appoggiandoglisi contro, mentre si lascia sfuggire un sospiro rilassato.

-Mi ero sbagliato: non sei affatto la ragazza per me!-

Scrollo le spalle e torno a guardare in avanti. -Magari Eric ne sarà felice, quando gli chiederò cosa ne pensa!-

Jason scoppia a ridere.

Nick spalanca gli occhi e mi omaggia con una smorfia di pura indignazione. -Sei scorretta, ragazzina, ma non credo che arriverai da Eric se ti stacco una gamba!-

-Gli dirò anche questo!- trillo contenta.

-Voglio vedere come farai, senza lingua!-

Lui ride, trionfante, ma rispondo con una linguaccia.

Mi rimetto a sedere, esattamente di fronte a Nick, sussultando quando il furgone prende una buca. Sollevo gli occhi, accorgendomi di Jason che si è girato sul sedile, per osservarci.

-Divertitevi, ma siamo quasi arrivati!- Ci informa.

Non fatico a crederlo, il modo in cui il furgone comincia a sobbalzare preannuncia la zona dei cambi dei pacifici. Mi sporgo in avanti, cercando di sbirciare da oltre il parabrezza, giusto in tempo per vedere la recensione mentre la superiamo.

Nello stesso istante che oltrepassiamo il confine della città, un brivido freddo mi percorre la schiena e l’adrenalina inizia a scorrermi nelle vene. Non mi sono mai spinta così oltre, non ho mai desiderato superare i cancelli, e non capisco perché ho la sensazione di stare per fare qualcosa di sbagliato.

È come se stessi infrangendo le regole. Forse è perché so che Eric non mi vorrebbe qui.

Abbasso la testa, non è per questo.

Sto servendo Jeanine, la folle che ha distrutto la nostra città e ucciso degli innocenti. Lo schieramento di Intrepidi in cui sono si crede la legge, ma forse siamo noi i veri trasgressori.

Mi mordo il labbro, tutta la rabbia che inizio a sentire è scatenata dal pensiero di Tris.

Manca poco e avrò la mia vendetta.

 

Sono rimasta colpita dalle campagne dei Pacifici, pensando che è qui che avrebbe potuto condurmi la mia innata voglia di libertà. Il sole mi piace, ma sono troppo introversa e scontrosa per saltellare sul prato con le ragazzine Pacifiche.

Con una fitta al cuore ripenso a Sasha, lei era una Pacifica dal carattere Intrepido, e mi chiedo che fine abbia fatto. Spero solo che sia al sicuro con lo schieramento opposto della nostra fazione.

Abbiamo lasciato i furgoni al limite del territorio e Jason, in quanto capomissione, ha parlato con la rappresentante dei Pacifici.

Questa fazione crede fortemente nella pace e nell’uguaglianza, per questo non hanno un capofazione, ma solo una porta voce, ovvero Johanna. Lei ci ha accordato il permesso di cercare tra la sua gente i nostri fuggitivi, e ha provveduto a radunare tutti i Pacifici nella loro mensa.

Attraversiamo un’ambia zona agricola, le mie scarpe schiacciano foglie secche e terra umida, il caldo è fastidioso e non sono abituata a tutta questa luce e a questi colori.

La sede degli Intrepidi è una fredda grotta sotterranea, buia e umida. L’esatto contrario.

Passiamo in mezzo ad un sentiero fra i campi, mi guardo intorno e osservo i miei compagni di missione, stupendomi di trovarli rigiri e seri come perfetti soldati. Forse è sola la mia natura Erudita che mi spinge a rimanere incuriosita da questa bizzarra realtà oltre le mura.

Ciò che mi riscuote dai miei pensieri è il trillo della risata di una bambina, che mi costringe a voltarmi nella sua direzione. Il suono della sua risata è piacevole, ma il sorriso che tento di fare mi si ferma a metà quando scorgo il cavalo bianco che la piccola cerca di accarezzare sul muso.

L’animale è del tutto simile a quello disegnato nei miei libri di favole, con tanto di criniera lucente. Ma, come mi ricordano i libri di biologia e faunistica che ho studiato a scuola, i cavalli sono animali estremamente emotivi e la loro sensibilità li rendere instabili.

Eppure, come se luce accarezzasse le crine candide dell’animale fino a renderle accecanti, non riesco a smettere di guardare il destriero. Pensare ad un animale tanto forte ed indomabile, ma così sensibile e preda dei suoi istinti mi rende inquieta.

Conosco questo tipo di sensazione.

Impreco in silenzio, pensando che solo quei pazzi dei Pacifici potevano scegliersi la compagnia di animali tanto volubili, per non parlare della bambina figlia dei fiori che non sa fare altro che ridere.

Abbasso totalmente la cerniera del giubbotto per aprirlo, in cerca d’aria, riscoprendomi in qualche modo sconvolta dai suoi occhioni pieni di felicità. Vorrei avere anch’io la stessa spensieratezza e la stessa bontà innata, ed invece covo dentro di me una rabbia ceca.

Quando ritorno a concentrarmi sui miei passi, raggiungo il fianco di Nick e vedo che mi studia con un’ aria divertita per non so quale motivo. Colgo la risata che cerca di trattenere e scuoto la testa, contrariata, colpendolo con una spallata mentre riprendiamo a camminare.

Quando sollevo lo sguardo verso Jason a capo della fila, osservo Johanna e la vedo camminare in silenzio. La donna ci conduce all’interno e ci fa attraversare un lungo corridoio fatto di vetrate con la struttura in legno.

Attorno a me ci sono i miei compagni, siamo poco meno di venti. Forse Jeanine crede che ci vogliano così tante persone per tenere ferma quell’assassina di Tris, o forse sa che Quattro è un avversario temibile.

Non sappiamo se hanno armi con loro, ma crediamo che si siano portati dietro Peter e il fratello di Tris. Forse hanno con loro anche Marcus, l’unico rappresentate degli Abneganti ancora in vita.

Ma non mi importa degli altri, io voglio solo lei.

Raddrizzo le spalle, sto camminando vicino a Nick, proprio dietro a Johanna e Jason. Dietro di noi gli altri Intrepidi sono in silenzio, pronti all’azione, e di certo non sono tesi quanto me. Io sto per esplodere, mi fremono le mani dalla voglia che ho di prendere l’assassina.

Quasi mi si annebbia la vista.

-Non siamo con voi né contro di voi.- Ci avvisa all’improvviso Johanna, rivolta a Jason. -Ma accoglieremo tutti coloro che avranno bisogno di aiuto, senza distinzione di fazione,  purché siano disarmati e disposti a seguire le nostre regole.-

Quindi vuol dire che i fuggitivi sono qui?

Vedo che Jason la guarda incurvando le sopracciglia, ma non chiede nulla.

La donna si ferma improvvisamente davanti ad un’ambia porta, facendoci segno di entrare.

Un bagliore candido mi offusca per un attimo la vista, così rimango ferma sulla soglia mentre i miei compagni si dividono e iniziano a girare fra i tavoli. Abbasso il braccio con cui mi ero coperta gli occhi e osservo bene il luogo in cui ci troviamo. È una mensa molto grande e diversa da quelle che ho visto, infatti questa è una cupola circolare fatta di vetro e legno con al centro un albero.

Sono tutti vestiti di giallo, rosso e arancio, e si capisce benissimo che faticano a stare seduti troppo a lungo. Su questo sono simili agli Intrepidi, anche loro si annoierebbero a starsene buoni attorno ad un tavolo senza motivo.

Questi Pacifici non hanno paura di noi, continuano a parlottare fra di loro, voltandosi appena ad osservare gli Intrepidi che gli passano accanto.

Jason è andato dritto verso il fondo della sala, da un gruppo un po’ troppo silenzioso di donne e bambini, che tengono la testa basta.

Assottiglio lo sguardo, forse anche lui ha notato che il comportamento degli altri Pacifici non combacia con quello del gruppo seduto al tavolo sul fondo. Abbiamo saputo che i pochi sopravvissuti degli Abneganti sono scappati qui nelle campagne e forse Jason li ha appena scovati.

Doveva essere di sicuro un Erudito, ma non è questo il momento per pensare a fazioni di appartenenza e agli Abneganti.

Io voglio solo lei.

Un brivido mi brucia la pelle, è come se il mio copro rispondesse alla vicinanza con quella dannata Divergente.

So che è qui.

Serro i pugni e avanzo in silenzio, Nick mi segue ad un passo di distanza, ma lo ignoro. Devo trovare l’assassina, non sento altro che la mia rabbia crescermi dentro, il cuore mi batte all’impazzata. Sono così determinata che il mio respiro è lento e controllato, calibro ogni passo e mi muovo con lenta precisone. Scivolo in un corridoio fra due file di tavoli, sentendo la tensione e il fuoco nelle vene, il mio nemico è intorno a me e posso davvero percepirne la presenza, devo solo individuarla fra tutte queste teste.

I Pacifici, forse a causa della lunga esposizione al sole, hanno tutti i capelli chiari. Ci sono tantissimi biondi e molti castani chiari.

Ma io voglio solo una testa bionda. Potrei riconoscere le sue sfumature più scure ovunque, conosco perfino la piega dei suoi capelli quando li legava in una coda di cavallo.

Un rumore attira la mia attenzione facendomi sussultare, è solo qualcosa di pesante che cade, ma a me è sembrato molto di più.

Mi è sembrato il rumore di uno sparo.

In un attimo non sono più nella mensa, vedo solo la via principale del quartiere degli Abneganti. Vedo Will correre, poi vedo gli occhi dell’assassina focalizzarsi sul mirano del suo fucile e sparare.

La mia gola si secca all’improvviso e sono costretta a prendere un respiro profondo per calmarmi. Tremo, mi fischiano le orecchie e capisco che, tutto questo, per me, è semplicemente troppo.

Devo trovarla, adesso!

Continuo a guardarmi introno e avanzo scandagliando tutti i presenti, senza grandi risultati.

-Non sono un po’ troppo corti i tuoi capelli?-

Sento la voce dell’unica ragazza Intrepida che ha preso parte alla missione a parte me, voltandomi verso il lato est dall’apia sala.

L’Intrepida è all’ultimo tavolo vicino alla vetrata, davanti alla schiena di un ragazzo dalle spalle rigide di cui posso vedere la tensione anche da qui. Conosco quella fronte ampia, ma non mi soffermo su di lui.

La ragazzina che gli sta seduta esattamente di fronte, dall’altro lato del tavolo, ha i capelli biondi. Mi da le spalle, ha un taglio decisamente troppo disordinato e troppo corto per essere apprezzabile, ma riconosco i riflessi ambrati della sua chioma e anche la linea della sua schiena mi è familiare.

Tris…

Il mio corpo sussulta, il cuore mi esplode nel petto e i muscoli delle braccia mi fanno male quando li contraggo con forza della rabbia.

L’assassina è qui, e l’ho trovata.

Ma non ho il tempo di saltarle addosso perché, quando la ragazza Intrepida allunga la mano verso il colletto della camicia sbiadita di quello che adesso riconosco come Quattro, insospettita dalle linee scure che si intravedono sul suo collo, lui scatta e la immobilizza con un’unica mossa.

È questione di pochi attimi, si scatena il putiferio.

Un uomo Intrepido tenta di sparare a Quattro, ma lui si muove rapido ed evita il colpo. Ruba il fucile della ragazza che ha precedentemente tramortito e apre il fuco.

Vedo un ragazzo dai capelli neri alzarsi ed iniziare a correre e lo riconosce, è Peter.

Ma non voglio lui.

Supero un tavolo e cerco di correre verso Tris, ma lei, dopo un attimo di incertezza, si alza e lancia la pistola che aveva nascosto dietro la schiena a Quattro, che la prende al volo. Iniziano a scappare ma non ho alcuna intenzione di permetterglielo.

Quelli che avevo già identificato come un piccolo gruppo di Abneganti travestiti da Pacifici, si alzano ed iniziano ad accavallarsi verso la porta, scontrandosi con alcuni Intrepidi che cercano di riacciuffarli, ma alcuni scappano comunque lungo il corridoio.

Penso che il sentiero che abbiamo attraversato per arrivare qui sia l’unica via d’uscita, è chiuso e lungo, e forse posso sfruttare questo particolare per raggiungere Tris.

Purtroppo sono troppo lontana, e ci sono troppi tavoli in mezzo, così salto su uno di essi e ci corro sopra fino a guadagnarmi l’uscita. Salto giù dal tavolo con un balzo, fletto per un attimo le ginocchia e recupero l’equilibrio restando in piedi e riprendendo subito a correre. Non mi credevo capace di una coordinazione del genere, ma è la furia ad animarmi.

I miei compagni si sono spinti verso l’uscita, fermandosi per prendere la mira e sparano senza sosta. Spintono un giovane Intrepido che bloccava il passaggio, trovandomi davanti ai piedi il cadavere dell’uomo che aveva provato a sparare a Quattro.

A quanto pare è stato colpito dritto al petto dal suo nemico.

Lo scavalco e, a differenza dei miei compagni, mi lancio nel corridoio alla ricerca di quei maledetti assassini.

Non sono loro i buoni, sanno solo spargere sangue e ci costringono a fare altrettanto per riacciuffarli e riportare l’ordine.

Troppo tardi, mi accorgo dell’errore che ho fatto.

Il corridoio è lungo e dritto, interamente composto di vetrate lucide e, avendo alle mie spalle i miei compagni che sparano contro i fuggitivi, sono sulla traiettoria di tiro. Gli sono d’intralcio e loro non possono certo smettere di sparare e lasciare andare i fuggitivi.

Sento l’uro di Jason alle mie spalle che invoca il mio nome e mi ordina di fermarmi, ma non lo farò.

Io voglio lei.

Continuo a correre con tutto il fiato che ho in corpo, riscoprendo una forza che non credevo di possedere, sono solo rabbia. Sento i sibili dei proiettili che mi saettano a pochi centimetri di distanza ma non mi fermeranno, posso evitarli.

Davanti ho una confusione di corpi che corrono presi dal panico, alcuni cadono per i colpi dei miei compagni, altri continuano la corsa. Quando si spostano, scorgo finalmente la persona che cerco. Vedo i suoi capelli biondi e perdo il controllo, allungando le mani per prenderla.

Un colpo sfreccia fra me e la parete di vetro, così mi sposto con uno scatto, mentre una sezione delle vetrate si infrange e scoppia in schegge taglienti. Mi faccio scudo con le braccia e, quando abbasso il gomito, vedo il ragazzo dai capelli neri che scappa davanti a me.

Manifestando tutto il suo inutile altruismo, Tris rallenta per spingere via Peter, evitandogli un colpo di pistola.

Smetto di respirare tanta è la mia furia. Difende Peter ma ha sparato a sangue freddo a Will.

Come ha potuto?

Stava difendendo la sua vita…

Impreco silenziosamente contro la mia vocina interiore a balzo in avanti, ormai posso prendere quella maledetta.

Doveva proteggere anche sua madre…

Will non meritava di morire, è tutta colpa della Divergente.

Il mio cuore esplode ancora di infinita euforia quando, allungandomi, afferro con la punta delle dita la spalla di Tris. Con tutta la forza che ho nei muscoli, la scaravento contro la parete di vetro ancora intatta e le blocco le spalle con le mie mani, tenendola ferma.

Sarai responsabile di tutto quello che le faranno…

La guardo negli occhi e le parole di Eric mi bruciano il petto, quando mi ritornano in mente.

Tris sembra impaurita, trema visibilmente e, quando mi riconosce, non sembra arrabbiata come chi si trova davanti ad un nemico.

Sembra sconvolta.

Digrigno i denti quando tenta di sfuggire, cercando di spintonarmi. La colpisco con forza sul viso, sfogando tutta la rabbia che ho, posso finalmente vendicare Will. Lei tenta di colpirmi allo stomaco ma è troppo lenta, così la trascino verso di me mettendole una gamba davanti alle caviglie, per farla cadere.

Ma, nella caduta, la maledetta si afferra alle mie spalle e mi trascina giù con lei.

Sento i rumori degli spari alle mie spalle e il martellante battito del mio cuore. Tramortisco l’assassina afferrandola dal collo e spingendo con forza la sua testa contro il pavimento, poi mi metto a cavalcioni su di lei.

I nostri sguardi si incontrano ancora e vedo che ha gli occhi lucidi ed è impaurita. Rimango per un attimo immobile, rivedo la scena della morte del mio migliore amico e mi accorgo che Tris aveva questo stesso sguardo affranto anche in quel momento.

Forse aveva paura, la paura fa perdere il controllo…

Mi mordo con forza il labbro, sto per scoppiare, mi bruciano gli occhi. Will è morto ed io ho la sua assassina fra le mani.

La tengo ferma con forza, non la lascerò scappare. Le braccia mi tremano, non ho mai perso il controllo fino a questo punto. Tris mi afferra i polsi e cerca di liberarsi, scuotendo la testa.

-Will…- mi lascio sfuggire in un ringhio di profondo rancore.

Il suo istinto di sopravvivenza le ha ordinato di eliminarlo per salvarsi…

Cerco di zittire la mia coscienza ma non ci riesco. L’unica cosa che si arresta del tutto è il corpo della mia nemica, che si placa come se si fosse spenta.

-Mi dispiace…- geme con gli occhi lucidi fissi nei miei

Il lamento soffocato di Tris mi attraversa e mi ferisce come una scarica infuocata. Non credo che potrò mai riprendermi da questo momento, il cuore mi sale il gola.

Sarai responsabile di tutto quello che le faranno…

Ma io non sono un’ assassina.

Nemmeno lei, non voleva farlo…

Il contatto con la sua pelle mi distrugge, non voglio più toccarla, voglio solo fuggire.

Ed in un solo secondo di incertezza, mentre sono impegnata in un dibattito con la mia coscienza, la mia presa su di lei si allenta e la fisso senza forze.

-Tris!-  

Al grido di Quattro, alzo gli occhi e lo vedo di fronte a me che mi punta la pistola contro per prendere la mira. Fa fuoco e il proiettile fischia vicinissimo al mio orecchio, così abbasso subito la testa per proteggermi. E Tris, approfittando della mia debolezza, libera il braccio per raccogliere il pugno vicino al mento e caricare il colpo. La sua mano scatta contro di me luccicando, e capisco cosa è successo quando mi conficca un coltello appuntito sotto la mia clavicola destra.

La lama mi penetra nella carne provocandomi un bruciore acuto e costringendomi ad urlare, perdo l’equilibrio e cado all’indietro. L’ ultima cosa che vedo è l’espressione decisa di Tris. Lei scivola via da sotto di me, mi sposta con un calcio e scappa.

Mi accascio, dilaniata dal dolore e avvolgo le mani attorno all’impugnatura del coltello, chiedendomi come abbia fatto quella stupida Rigida a nascondere un’ arma da taglio e a riuscire ad usarla su di me al momento giusto.

Sento spari, la voce di Quattro che incita Tris a correre via e l’urlo di Jason.

Calde lacrime mi rigano le guance, l’intera spalla mi sembra in fiamme e la stringo con una mano. Ma il problema non è solo il dolore, quanto l’estrema sensazione di vuoto che mi opprime e mi dilania, come ha fatto il coltello con la mia pelle.

Avevo Tris sotto al naso e l’ho fatta scappare.

Ero pronta a farle del male, quando non era realmente colpevole della morte di Will.

Jeanine lo è, ed io mi sono alleata con lei per prendere Tris.

Tris mi ha piantato un pugnale sotto la clavicola, estremamente vicino alla gola. Di cosa mi stupisco, se ha sparato al suo amico per salvarsi, perché non doveva accoltellarmi?

Non voglio più pensare, voglio solo sprofondare nel mio dolore. Voglio essere in grado di smettere di tormentarmi.

Avverto i suoni ovattati, sento freddo, sono arrabbiata, dolorante. Non ho la reale percezione del mio copro mentre mi chiudo a riccio rotolando su un fianco. Sento solo il dolore alla spalla.

Intravedo i piedi dei miei compagni che mi scavalcano per lanciarsi all’inseguimento dei fuggitivi, inseguendoli fino alla fine del corridoio, ma io non mi alzo. Ne ho abbastanza di tutto questo.

-Aria!-

Jason arriva in scivolata su di me e mi afferra le mani, togliendomele dalla ferita per esaminarla. Mi fa ruotare sulla schiena e, accasciata a terra sotto di lui, posso vedere la sua espressione stravolta. È spaventato, ma anche arrabbiato, stringe le labbra con forza e allarga l’apertura del mio giubbotto per analizzare il danno.

Quando vede la lama affondata nella carne, trattiene un’imprecazione.

-Tienila ferma!-

Ordina a qualcuno, ma non so né con chi parli né a cosa si riferisca.

Due braccia mi sollevano e capisco che è Nick, che mi stringe contro il suo petto e mi immobilizza senza che io abbia la forza di oppormi. Quando capisco cosa hanno intenzione di fare, scuoto la testa e cerco di scappare. Ma Jason non si lascia impietosire, mi tine ferma la spalla con una mano e con l’altra estrae in un colpo unico il coltello dalla ferita.

Urlo tanto forte che mi si spezza il fiato, ho sentito ogni singolo centimetro percosso dalla lama per uscire, la mie pelle è invasa da fiamme inesistenti e non riesco a fare altro che sopprimere le lacrime e piangere in silenzio.

Senza esitare ancora, Jason mi prende in braccio, ed io gemo a causa del sussulto improvviso che mi urta la ferita. Torna verso la mensa seguito da Nick e si ferma davanti a Johanna.

-Dove sono i vostri medici?- sbraita.

Johanna vede il sangue che mi imbratta la spalla e indietreggia.

-Non abbiamo tempo da perdere!- sbraita Jason. -Perde sangue e ha bisogno di aiuto!-

-Vi accompagnerò all’infermeria, ma…- Tenta di dire Johanna.

Ma Jason l’anticipa. -Mi basta qualcuno che possa disinfettarle il taglio e fermare l’emorragia. Voglio solo riportarla indietro viva, al resto penseranno gli Eruditi!-

Riprendiamo a camminare ed io sono sopraffatta dal dolore lanciante alla spalla, ho quasi perso la sensibilità alle dita e sento il sangue colare lungo il braccio da dentro al giubbotto.

-Emorragia?- Chiedo in un sussurro, ma vengo del tutto ignorata.

Chiudo gli occhi contro la spalla di Jason e mi mordo il labbro.

Sono ancora turbata da tutto quello che è successo e dal mio scontro violento con Tris, ma la mia mente mi propone unicamente un pensiero.

Devo essere impazzita, perché non riesco a pensare ad altro che a Eric e alla promessa che gli avevo fatto di rientrare sana e salva, senza neanche un graffio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

 

 

 

Ciao a tutti, tanto per cominciare volevo ringraziare tutti i lettori per essere arrivati fino a qui, e in particolar modo quelli che mi hanno aiutato recensendo.

Penso che tutti abbiate letto Insurgent, vero? Avrete capito che per questo capitolo ho fuso qualche elemento del film, seguendo però principalmente il libro.

Spero di non aver fatto spoiler non graditi a nessuno, ma alla fine ho dato una mia interpretazione personale al momento, senza anticipare molto. Credo.

 

Questo era il capitolo che mi creava problemi da un po’, purtroppo le scene d’azione non sono il mio forte e ho paura che sia risultato tutto un caos di confusione di cui non si capisce nulla.

Ho tentato di rendere tutto il più chiaro possibile, magari fatemi sapere cosa ne pensate e aiutatemi ancora a capire se il capitolo vi è piaciuto o meno.

 

Questa è solo la prima parte, ho dovuto dividere in due questo aggiornamento. Idee su cosa succederà?

 

Baci, a presto!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 23
*** Mi dispiace (parte 2°) ***


23. Mi dispiace (parte 2°)

 

 

 

 

 

 

 

Il movimento del furgone è praticamente insopportabile, i sobbalzi tendono la ferita costringendomi a serrare le labbra per non lamentarmi.

I medici dei Pacifici hanno accuratamente disinfettato il taglio per impedire possibili infezioni, spalmato una crema con funzione isolante che lo protegge e lo mantiene unito fino a quando non saranno dati i punti di sutura. Per finire mi hanno attaccato un ampio cerotto bianco, che al momento è tutto macchiato di sangue, peggiorando decisamente l’immagine. La ferita sembra molto più grande ed ampia.

Proprio quello che mi ci vuole per il mio incontro con Eric, considerando che non mi darà minimamente il tempo di fiatare, basandosi unicamente sulla prima impressione.

Non ho mantenuto fede alla mia promessa, non sono tornata illesa. Non gli importerà molto del resto.

Prendo un profondo respiro e mi appoggio una mano sulla spalla, quando un violento brivido di freddo mi scuote. Mentre tremo, qualcosa di caldo mi viene posato sulle spalle, avvolgendomi.

-Tieni anche il mio giubbotto!- Mi dice Nick con un sorriso, sistemandomi addosso la sua giacca. -Ti terra al caldo, ma ridammelo quando arriviamo o Eric mi decapita!-

Gli offro un sorriso di ringraziamento, è seduto vicino a me e mi accarezza la schiena con fare confortante.

Non riesco a ridere della sua battuta, soprattutto se penso ad Eric arrabbiato.

Sto iniziando ad avere paura e a chiedermi quando arriveremo, guardo Jason, che siede di fronte a noi. Per il viaggio di ritorno ha abbandonato il sedile anteriore per rimanermi accanto e, da come mi guarda, capisco che ha la mia stessa preoccupazione.

L’eccessiva perdita di sangue può provocare un abbassamento della temperatura corporea, sintono significativo che rende impellenti le dovute cure.

A volte è bello trovare qualche altro nato Erudito, non pensavo che l’avrei mai detto, ma in certi casi non rimpiango affatto l’ambiente in cui sono cresciuta.

-Ti fa male?- Mi chiede Nick, mi passa un braccio intorno alle spalle e mi avvicina a sé per scaldarmi, dati i miei continui tremori.

Inevitabilmente, la preoccupazione ha reso Nick premuroso. Si credono sempre tutti in dovere di proteggermi, figuriamoci quando ho uno squarcio sanguinante sulla spalla.

-Stai tranquilla, non hai di che preoccuparti. I medici ti ricuciranno subito!-

Abbasso la testa e mi mordo il labbro, non è quello il mio problema.  

-Se ci arrivo viva!-

Nick solleva le sopracciglia e guarda Jason. -Quali erano gli ordini?-

Jason lo guarda e non sembra affatto divertito. -Di riportarla indietro senza neanche un graffio!-

Deglutisco, un taglio largo cinque centimetri e profondo sei, è molto più di un graffio.

È un miracolo che non abbia reciso vasi sanguinei importanti, mancando per un soffio il muscolo sottostante. Dato il punto delicato, tra la gola e il petto, poteva finirmi molto peggio, e invece me la sono cavata con un piccolissimo solco ad un vena secondaria.  

Sono stata fortunata, ma Eric non mi concederà la stessa grazia.

-Usa la tua ferità come scudo, non può arrabbiarsi se stai male!- suggerisce Nick, divertito.

-Non è uno scherzo!- sbraita Jason, arrabbiato per la prima volta.

In realtà non ha parlato molto da quando siamo in viaggio e ha tenuto gli occhi fissi su di me con letale attenzione.

Si vedeva che covava dentro qualcosa e alla fine è esploso.

-Qui non si tratta del taglio, quello è solo un dettaglio!- impreca contro Nick, per poi guardarmi. -Ti rendi conto della follia che hai fatto?-

Mi stringo nelle spalle, sperando che il mezzo abbraccio di Nick basti a difendermi.

-Ti sei lanciata all’inseguimento, nonostante il resto dei nostri compagni si fosse posizionato sulla linea della porta per sparare! Non solo sei stata d’intralcio, ma hai anche disobbedito ai miei ordini. Non hai sentito quando ti ho urlati di fermarti?-

Non oso rispondere, abbasso solo gli occhi, mentre Nick mi osserva in silenzio.

-In quanto capomissione,- Riprende Jason, massaggiandosi con le dite l’attaccatura del naso. -Dovrò riferire tutto al capofazione che ha organizzato la missione.-

-Andiamo, Jason!- Esclama Nick, sollevando le mani. -Si è comportata da vera Intrepida! Chi altri ha avuto il coraggio di lanciarsi fra le pallottole per prendere quei fottuti bastardi?-

-Vai a dire ad Eric che si è comportata da Intrepida, vediamo lui cosa ti dice!-

Nick fa una smorfia.

Non ho bisogno che si spieghi meglio, so che deve farlo. Quando farà rapporto ad Eric per riferirgli l’esito della missione, dovrà anche dirgli del mio comportamento avventato.

-Ha ragione, deve dirgli tutto.- Intervengo.

Sollevo la testa per guardare Nick e lui non sembra convinto.

Poi guardo Jason e provo a sorridergli. -Solo, per favore, non farlo subito. Vorrei non avere ferite aperte e doloranti quando si infurierà!-

Jason mi osserva e l’angolo destro della sua bocca si solleva in un sorriso. -Tranquilla, per ora la priorità è farti stare bene.-

Sta volta riesco a sorridere sul serio.

-Era la sua prima missione, dopo tutto!- gli ricorda Nick.

-Lo so, non avrebbe dovuto rischiare, ma è stata molto coraggiosa.- Incrocia le braccia al petto e sembra inseguire un pensiero divertente, da come si illuminano i suoi occhi.- Saprò cosa dirgli, non preoccuparti.-

Per un attimo ogni dolore alla spalla cessa, mi sento meglio ora.

Jason sembra molto simile a Eric, sono entrambi controllati e determinati ma, sotto strati di forza, si cela un lato amabile.

Fortuna che c’è Nick nel trio, tiene alti gli animi e porta un po’ di leggerezza. Forse anche troppa.

Osservo il suo braccio attorno alla mia spalla e nascondo una risata, voglio proprio farmi uccidere da Eric, oggi.

Vorrei tanto che ci fosse lui qui e invece ho paura di incontrarlo.

Il furgone rallenta e si allinea con gli altri nell’ampio piazzale davanti al quartier generale, intraversandosi per permetterci di scendere rivolti verso all’ingresso.

La prima sensazione che provo è gioia, vorrei correre e gettarmi fra le braccia di Eric per farmi portare in infermeria. L’istante dopo realizzo che il mio desiderio è pura utopia e vengo assalita dall’angoscia.

Jason si alza, aspetta che gli aprano il portellone da fuori e balza giù. Nick  mi sta vicino mentre mi raddrizzo.

-Grazie, ma questo è tuo. Non voglio farti prendere a calci!- Gli restituisco la sua giacca con una mano sola.

Nick ride, si rimette il giubbotto e salta giù dal furgone.

Io avanzo e mi siedo sul bordo, guardando preoccupata il suolo, perché so che se salto mi farò male alla spalla.

-Vuoi che ti aiuti?- chiede Nick, allungando le mani verso i miei fianchi.

Sorrido, ritraendomi. -Nick, se Eric vede che ho bisogno di aiuto per scendere da questo coso, verrà qui di corsa!-

-Vedo che lo conosci bene!- Interviene Jason, guardando verso l’edificio degli Eruditi. -È già sulle scale è sta guardando verso di noi.-

Rabbrividisco.

-Prima o poi lo scoprirà!- sottolinea Nick.

Sbircio da oltre i portelloni aperti e mi accorgo che siamo i più lontani. Ringrazio mentalmente il guidatore dall’insolito tatuaggio sul collo che ha parcheggiato nell’ultima fila, così avrò più tempo per riprendermi e fingere che sia tutto a posto. Certo, camminare con un taglio ancora aperto non sarà piacevole, ma almeno non mi troverò subito Eric addosso.

-Meglio dopo!- gli rispondo.

Scivolo piano giù e prendo un profondo respiro. Il trambusto del rientro della missione è proprio quello che mi serve come copertura.

Dal furgone accanto al nostro balza giù un ragazzo dai capelli neri lucenti, con addosso una casacca giallo sbiadito e, nel riconoscere il suo sguardo beffardo, trattengo il fiato. Due uomini lo affiancano e lo conducono all’ingresso senza essere troppo delicati, ma il ragazzo sembra perfettamente a suo aggio e padrone di sé stesso.

Pare che quel verme di Peter abbia scelto di allearsi nuovamente al nostro schieramento, scegliendo spontaneamente di consegnarsi per farsi portare al cospetto dei nostri capifazione e di Jeanine. Io spero che lo striglino a dovere, la nostra momentanea tregua il giorno della simulazione non ha certo cancellato l’odio che provo per lui.

Mi concentro sulla mia mano destra sporca a causa del sangue colato lungo il braccio e penso subito di nasconderla, incrociando le braccia al petto.

-È con Camille, magari lei lo terrà buono!- Sospira Nick.

Sollevo per sbaglio gli occhi e lo vedo, una figura imponente sulle scale, affiancato da una ragazza bionda. Il mio cuore sussulta per la voglia di raggiungerlo, ma mi si contorce lo stomaco. Ringrazio la distanza che mi impedisce di vederlo bene in viso, sapendo che neanche lui può scorgere la mia espressione o incrociare il mio sguardo.

Se mi guarda, cederò.

-Forse dovresti nascondere la ferita.- Mi suggerisce Nick, mentre camminiamo.

Sono fra entrambi i ragazzi e avanziamo con colma. Mi sento scortata, così tengo le braccia strette al petto, tenendo chiusa la giacca sul taglio, impedendomi di tremare dal dolore.

-Lasciate parlare me!- Ci ordina Jason.

Alzo gli occhi e vedo che è arrabbiato.

-Forse Nick ha ragione,- Provo. -Se nascondo la ferita, guadagneremo tempo!-

-Se la prenderà comunque con tutti e tre! Senza pensare che, alla fine, la missione è fallita e Quattro è ancora libero.- Precisa Nick, scollando le spalle. -Possiamo solo limitare i danni. Lascia fare a Jason, saprà calmarlo.-

Conto mentalmente i miei respiri e ad ogni passo mi avvicino all’inevitabile. Sollevo la testa e ho gli occhi di Eric puntati addosso, non riesco ancora a vedere bene la sua espressione e mi va bene così.

Superiamo due furgoni, mentre un ragazzo ci passa davanti per aiutare la ragazza ferita da Quattro a raggiungere l’ingresso. 

-Respira, Aria. Ti sta guardando!- Mi avverte Jason, cupo.

Non oso guardare.

So che mi sta dicendo di non farmi vedere tesa, altrimenti Eric capirà tutto, si agiterà inutilmente e sarà possibile spiegargli per bene cosa è successo. Ma come faccio?

Sollevo la mano destra e me la porto davanti al viso per grattarmi la fronte.

-Fine del piano di occultamento della ferita: ormai ci ha scoperti!-

Sento Nick parlare e lo guardo senza capire, poi mi osservo la mano insanguinata che ho appena esibito per errore e per poco non mi mordo la lingua.

Ormai siamo praticamente arrivati, quando abbasso la mano vedo Camille correre animatamente dietro qualcuno, scendendo a saltelli le scale.

Non ho bisogno di sapere dietro chi corre.

Eric ci raggiunge ad ampie falcate, respira pesantemente e le sue spalle sembrano un muro che sta per schiantarsi contro di noi.

Si ferma ad un soffio da me, ignorando i suoi compagni al mio fianco, mi afferra il braccio destro e comincia a tastarlo risalendo verso la spalla. Poco prima che arrivi al punto critico, sussulto e mi sposto, cercando di sfuggire al suo tocco.

Incrocia il mio sguardo e i suoi occhi si spalancano come quelli di un predatore che ha appena assaggiato carne fresca. Mi impongo di rimanere ferma e calma, ma ho già fallito in partenza.

Allunga la mano verso il colletto del mio giubbotto e lo sposta, aprendosi una visuale sul cerotto imbevuto di sangue che mi copre la clavicola.

Il ringhio che emette è in tutto e per tutto simile a quello di un animale ferito.

Il suo sguardo cambia, sembra folle, eppure spaventato. L’illusione dura un attimo, quando torna a guardarmi, è nero di rabbia.

-Posso dirti cosa è successo…- Prova Jason, ma un’occhiata di fuoco di Eric gli ferma in bocca le parole.

-Con te faccio i conti dopo!- sibilla.

Spalanco gli occhi e sussulto tanto forte che temo che qualcuno se ne sia accorto. Non sembra nemmeno lui, la sua voce è roca e profonda, una lama cosparsa di veleno. Da brivido.

Ha i muscoli talmente tesi che mi chiedo come faccia a respirare.

Camille, dietro la spalla del capofazione, guarda la sua nuca con risentimento.

-Perché non te la prendi con me?- Oso dire, in un atto di pura follia più che di coraggio.

Sollevo il mento, dovrei preoccuparmi d’altro, ma non sopporto che proprio lui finga che non esisto. E poi prendersela con Jason non ha senso, non voglio che Camille si preoccupi per l’incolumità del suo ragazzo.

Ma Eric fa scivolare i suoi occhi gelati su di me fino ad incrociare il mio sguardo e, solo allora, un ghigno travestito da sorriso gli illumina in modo sinistro il volto. Gli angoli della sua bocca sottile si sollevano e mi sembra quasi che, il risolino malefico con cui si sta gustando un’insana idea che deve essergli affiorata alla mente, sia in grado di graffiarmi la pelle.

Deglutisco sonoramente.

-Credimi, piccola: è quello che farò.- Mi promettere Eric, in un sussurro appena udibile, dando il giusto peso ad ogni sillaba.

Che carino, mi chiama piccola anche quando minaccia di uccidermi!...

Mi afferra per un gomito e mi trascina dietro di sé. Saliamo le scale e si sposta verso est, facendomi capire che siamo diretti all’ospedale.

Adesso mi fa di nuovo male la ferita e il suo atteggiamento certo non aiuta. Lo seguo ancora pochi metri, respirando a fatica per il dolore, passiamo attraverso un tunnel di vetro e le porte scorrevoli dell’ambulatorio si aprono davanti a noi al nostro arrivo. Nell’atrio sento subito la fastidiosa puzza di alcol.

Un’infermiera ci viene incontro, scorge il mio cerotto insanguinato dalla giacca aperta e corre via, penso a chiamare qualcuno.

Ne approfitto per avvicinarmi ad Eric, gli appoggio la mano libera sul suo braccio, ma lui la incenerisce con uno sguardo e grugnisce.

Ritraggo subito la mano.

Quando la porta laterale si apre, ne esce una donna dai lunghi capelli scuri, avvolta in un camice bianco perfettamente stirato e pulito. La dottoressa ci scruta senza batter ciglio, ed io non credo ai miei occhi.

È mia madre.

Guardo Eric e cerco la sua attenzione, vorrei supplicarlo con lo sguardo e fargli capire che non ho intenzione di farmi ricucire proprio da lei, ma lui mi ignora. Tuttavia osserva mia madre dall’alto in basso e sembra diffidente quanto me.

-È il mio turno e sono anche il caporeparto. Portala dentro!- Dichiara mia madre, facendo segno ad Eric di entrare in una sala.

Temo che abbia colto la sua riluttanza e forse anche la mia.

Eric mi lascia il gomito e mi guida con una mano sulla spalla, con molta più delicatezza di prima. Non avrà paura dell’opinione di mia madre?

Entriamo in una sala illuminata da luci al neon bianche, con ampie finestre e pavimenti lucidati. Al centro c’è un lettino imbottito con lo schienale reclinabile, color crema. Non è molto diverso da quello che usavano per le simulazioni, su un lato c’è anche un computer con dei cavi.

Fantastico!...

Dall’altra parte, invece, c’è una sedia e un carrellino di metallo con vari attrezzi e disinfettanti.

Deglutisco, odio questo posto.

Vengo spinta sul lettino, dalla parte della sedia. Sto per appoggiarmi con entrambe la mani per issarmi su, ma vengo fermata dalle fitte lancinanti che la mia ferita continua ad inviarmi.

Non ho il tempo di aprire bocca, Eric è già davanti a me, mi solleva dai fianchi e mi siede sul lettino.

Arrossisco, credo a causa della presenza di mia madre, anche se la vicinanza con il petto del mio capofazione mi ha subito scaldata. Ruoto seduta e mi metto sdraiata, ma inizio a sudare freddo.

-Adesso dovresti uscire…- prova mia madre, rivolta ad Eric.

In tutta risposta, lui trascina la sedia a ridosso del lettino e si siede al mio fianco, senza batter ciglio.

Temo che non l’abbia nemmeno ascoltata.

Lo guardo in silenzio e vorrei esprimergli tutta la mia gratitudine, ma non posso perché lui non mi guarda.

Per me non è il massimo essere in un ospedale con mia madre, la stessa donna che mi ha fatto fare una risonanza al cervello, quando ero piccola, per assicurarsi che non fossi pazza quando ho iniziato a dire di voler scegliere gli Intrepidi. È la stessa donna che mi ha fatto venire la paura degli aghi, dato che mi iniettava dei sonniferi per addormentarmi quando non mi comportavo a modo.

Un tremore mi scuote e appoggio la testa allo schienale leggermente sollevato, respirando con calma. Ora che sono qui, con la possibilità di essere finalmente curata, il dolore al taglio esplode e i brividi di freddo aumentano.

-Ti hanno sparato?- Mi chiede mia madre, sistemandosi alla mia destra vicino alla ferita, sull’altro lato del lettino rispetto ad Eric.

Lui soleva gli occhi su di lei e sembra pronto ad ucciderla.

-No!- Mi affretto a rispondere, con voce tremula. -È stato un coltello!-

Mia madre solleva il mento e apre piano il mio giubbotto, le sue dita afferrano un lembo del cerotto e lo tirano via delicatamente. Stringo le palpebre per il bruciore e, quando riapro gli occhi, l’espressione critica di mia madre mi fa capire che l’aspetto della mia ferita non è migliorato.

-Devi toglierti la giacca.- Avvisa.

Eric non fiata.

Sto per sollevarmi, ma mia madre preme il pulsante di un telecomando e lo schienale dietro di me si solleva fino a mettermi quasi seduta. Provo a togliermi la giacca e lei mi aiuta, impedendomi movimenti bruschi con la spalla ferita, ma avverto comunque una fitta insopportabile.

Adesso che sono rimasta con solo la canottiera nera addosso, totalmente evitata dallo sguardo tetro di Eric, sento sempre più freddo. Soprattutto quando mi accorgo di come mia madre scruta il tatuaggio che ho dietro l’orecchio sinistro.

-Ti hanno medicata?- Chiede.

-Hanno disinfettato la ferita e applicato una crema protettiva.-

Lei si volta e cerca qualcosa nei cassetti del carrello su cui è adagiato il computer. Torna da me con uno strano arnese in mano, che fa scorrere ad un centimetro sopra la mia ferita. L’istante dopo è di nuovo al computer, si siede sullo sgabello e capisco che sta analizzando una scannerizzazione del mio taglio.

-Abbastanza profondo, vedo, e molto vicino ad un nervo e al muscolo. Sei stata fortunata che sia andato tutto bene.-

Impreco mentalmente, doveva proprio dirlo? La mia testa scatta verso Eric, allerta.

Lui sospira pesantemente e appoggia i gomiti sull’imbottitura vicino al mio fianco, poi nasconde il mento fra le mani. Sembra covare terribili idee di tortura ai miei danni, guarda dritto davanti a sé senza incrociare nemmeno per sbaglio il mio sguardo.

-Chi ha estratto la lama è stato molto preciso.- Continua mia madre, studiando il monitor. -Non ha danneggiato ulteriormente i tessuti, doveva avere polso fermo!-

Almeno un buona notizia.

-È stato Jason!- preciso in un sussurro.

Eric mi sente, solleva un sopracciglio ma non cambia espressione e si ostina ad ignorarmi.

Spero di aver portato punti a favore di Jason, ma al momento sono più preoccupata per me.

Tra mia madre ed Eric, non so in quali mani potrei essere peggio.

Quando ritorna verso di me, sventolando il suo camicie bianco, ha in mano una strana penna appuntita e una boccetta. Appoggia tutto su un tavolino vicino, ed estrae l’oggetto più pericoloso al mondo: una siringa.

Indietreggio contro lo schienale e artiglio l’imbottitura del lettino con le unghia.

Non sono più un’ Intrepida, sono tornata la bambina Erudita che scappava dall’incubo della puntura soporifera. Provo la stessa paura, lo stesso tormento e la stessa pressione che segue la consapevolezza di essere impotente.

Il cuore mi batte a mille, questo è peggio del mio scenario della paura.

Osservo mia madre e colgo l’incertezza nei suoi occhi: sa benissimo perché ho paura.

La minaccio con lo sguardo ma lei non si ferma e così, d’istinto, mi sposto verso il bordo libero del lettino e cerco di scappare.

-No!- articolo a voce bassa, ma con decisione.

Mia madre si blocca, la siringa a mezz’aria e uno sguardo carico di dubbi. -È anestetico, sentirai meno male con questo.-

-Ho detto…- Scandisco, fissandola dritto negli occhi. -Di no!-

Lei scuote la testa. -Non essere sciocca, come farai con il dolore?-

Scuoto la testa e credo che il mio sguardo sia passato dall’essere deciso a quasi folle. -Sopporterò!-

Mia madre nasconde una smorfia di disapprovazione e appoggia la siringa sul tavolino.

-Come vuoi!- Dice, ma so benissimo che il mio rifiuto l’ha ferita.

In questo momento i miei pensieri sono confusi a causa del dolore, ma so per certo che non voglio che proprio lei mi tocchi con quell’ago. Per di più, sono già abbastanza scossa di mio e non voglio che qualche sostanza medicinale mi stordisca ancora di più.

Voglio essere lucida e cosciente, visto che dopo mi attende la furia di Eric. E, per quanto riguarda il dolore, non mi preoccupo. Preferisco viverlo, voglio sentire ogni punto per ricordarmi che mi sono fatta ingannare proprio da Tris, la stessa persona che avrei dovuto catturare.

La stessa persona che credevo colpevole.

Solo adesso mi accorgo che Eric, anche se finge che nulla sia cambiato, mi riserva un’occhiata con la coda dell’occhio. Forse è infastidito perché ho rifiutato l’anestetico, forse apprezza il mio coraggio, non posso dirlo con certezza.

Mia madre ritorna verso di me, ma non ci guardiamo neanche più, mi si avvicina con una boccetta in mano e getta un po’ di liquido sulla mia pelle, facendomi sentire subito un forte bruciore.

-Devo disinfettare!- Spiega. -Ti avevo avvertita che faceva male!-

Grazie tante, pensavo che dato che mi sono fatta fare un tatuaggio senza grossi problemi, qualche punto di sutura senza anestesia sarebbe stato più semplice. Ma iniziamo male.

Stringo subito i denti e volto la testa dall’altra parte, serrando i pugni per il dolore.

Quando mette via la boccetta, mia madre prende in mano una strana penna, fa scattare un tasto e la punta di un ago inizia a martellare, andando su e giù velocemente.

Non promette bene.

-Con questo utensile riuscirò a risanare anche i tessuti sottostanti e sarà più veloce.- Afferma. -E la cicatrice sarà quasi invisibile.-

Ritraggo istintivamente la spalla quando avvicina quell’aggeggio infernale. Fa scendere l’ago sulla mia ferita e per poco non urlo.

Trasalisco, e meno male che dovevo sopportare solo un po’ di bruciore!

Senza che possa essere pronta per l’accaduto, una mano ardente si chiude sulla mia. Il mio sguardo guizza su Eric, seduto vicino a me, tiene gli occhi bassi sulla mia mano stretta nella sua, ma sembra quasi che non si ricordi della mia esistenza. Le sue spalle sono sempre rigide a la sua mascella è saldamente contratta eppure, per quanto sia arrabbiato, ha colto il mio dolore.

Forse vuole tenermi buona o magari vuole darmi coraggio. Il suo pollice disegna cerchi invisibili sul dorso dalla mia mano e, se mi concentro su quelli, posso farcela.

Lascio ricadere la testa contro lo schienale e chiudo gli occhi, controllando il dolore con respiri profondi. Non è così tremendo ora che Eric mi tiene per mano.

Mia madre finisce di richiudermi e ripulisce il taglio con un pezzetto di cotone. Quando ritorna al computer, inserisce quello stesso batuffolo sporco di sangue in un’apposita fessura.

Credo voglia analizzare il mio sangue, ma non ho idea del perché.

Mentre sono immersa nei miei pensieri, beandomi del contatto con la mano calda di Eric, lei continua il suo lavoro davanti al monitor. Eric è silenzioso e rigido come una statua, mi chiedo davvero se stia respirando.

E poi mia madre ci pone la sua domanda.

-Voi prenderete delle precauzioni, vero?-

Mi soffoco con la mia stessa saliva, sobbalzo sul lettino come se mi avessero colpito con una scossa elettrica e il mio cuore impazzisce.

O santo cielo, non può aver chiesto una cosa del genere!...

Guardo Eric terrorizzata, so di avere vergognosamente le guance in fiamme, ma il vero problema è che non so come possa reagire lui ad una domanda così intima da parte di mia madre.

Per un attimo temo per la sua vita.

Non ci vuole un genio per capire a cosa si riferisce, vuole sapere se i nostri rapporti sono protetti.

Chi le ha detto che ne abbiamo? Perché non è stata zitta?

Sono così in imbarazzo che il male alla spalla è sparito.

Eric ha ancora la mia mano tra le sue, non si è mosso di un millimetro, perfettamente a suo agio.

-Sì!- Dichiara, senza battere ciglio e con la sua voce da perfetto comandante.

La sua risposta è schietta quanto inaspettata ma, quando le sue labbra si sono mosse per parlare, ho scorto chiaramente l’accenno di un sorriso.

È divertito, ma che ha da ridere?

Mia madre arriccia le labbra. -Quelle che prendi tu non sono molto affidabili, se ti dimentichi l’iniezione mensile.-

Scuoto la testa, sono sicura che Eric abbia iniziato a farsi iniettare antifecondativi molto prima di conoscermi, e non voglio soffermarmi a pensare al perché ne avesse bisogno. Non mi interessano certo le storie occasionali che ha avuto, o quanto meno mi impongo di non darvi peso.

Tuttavia mi sono sentita sollevata quando non ho dovuto pormi questo problema la nostra prima volta insieme, fortuna che la ricerca medica ha sperimentato contraccettivi maschili oltre a quelli femminili.

-Siete qui da più di mese, per cui temo che la tua copertura stia scadendo.- Continua mia madre, come se nulla fosse successo.

Non ci credo, è un sogno. Un incubo. Che qualcuno mi dia un pugno, voglio svegliarmi.

Sbircio Eric, sono sicura che esploderà. Ma, incredibilmente, lui è impassibile.

-Facciamo in fretta.- Sentenzia, lasciandomi la mano per iniziare a sfilarsi la giacca.

Sta scherzando? La vista del mio sangue deve averlo fatto impazzire. Non c’è atra spiegazione.

Eppure sono rincuorata, non immaginavo che accettasse persino questa intrusione senza perdere la testa.

Mia madre fruga nei cassetti di un armadietto e si avvicina ad Eric con un’altra siringa in mano, con mio grande dispiacere. Non ha la minima incertezza quando strofina un pezzo di cotone con del disinfettante sul suo bicipite possente, sotto l’orlo dalla mezza manica nera, né quando conficca l’ago.

Sarà anche abituata a curare gli Intrepidi, ma invidio la sua sicurezza.

Eric non sembra minimamente accorgersi di lei né della puntura, ignora tutto, me compresa.

Mia madre aggira il letto, si avvicina ad un tavolino a dopo mi porge una pillolina candida.

-Questa è per te!- Afferma con un mezzo sorriso. -Una protezione in più!-

Sono dubbiosa, non ho idea di cosa mia stia dando, potrebbe essere per la ferita oppure avere qualcosa a che fare con la storia della contraccezione. Sbircio Eric ma lo vedo assolutamente sicuro di sé mentre si rimette la giacca, così mando giù la pillola, ringraziando che non ci siano aghi anche per me.

Quando mia madre si allontana, dicendoci che tornerà in un attimo, mi metto a sedere e lascio cadere i piedi accanto alla sedia di Eric. Adesso siamo vicini, l’osservo ma lui continua imperterrito ad ignorarmi.

È così bello, forte, ed è la prima persona che mi ama veramente e che sa perfettamente come sono e cosa provo in ogni momento. Non potrei vivere senza di lui. Forse per lui è lo stesso, ed io l’ho ricambiato mettendomi nei guari e tornando ferita.

Devo averlo deluso, peccato che lui non sappia manifestare la tristezza e che la combatta con la rabbia.

-Mi dispiace…- sussurro.

Lui sospira pesantemente, lo sguardo dritto davanti a sé.

Sono state le sue parole a tornarmi in mente e ad impedirmi di fare del male a Tris, e al ricordo mi sento mancare. Non posso credere che ho rischiato di catturarla, permettendo che Jeanine la torturasse.

Come ho potuto non ascoltarlo? Ha sempre cercato di proteggermi da quella donna ed io l’ho tradito.

Se fosse tornato lui ferito, dopo essersi alleato con Jeanine, io sarei morta. Starei malissimo.

-Mi dispiace davvero, Eric!- gemo, sforzandomi di non piangere.

La mia testa cade in avanti e, finalmente, gli occhi di Eric si posano su di me.

 

 

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

 

 

 

Sta volta ho molto da dire!

 

Tanto per cominciare grazie a tutti i lettori.

Ma, in particolare, mi sembra a dir poco doveroso, ringraziare le persone che hanno recensito.

Vi adoro, vi farò una statua, non immaginate minimante (neppure un po’) quanto mi avere reso felice. Non ho mai ricevuto, per tutta questa storia, così tante recensioni per un solo capitolo!

Mi avete cambiato la giornata, mi avete dato una spinta a scrivere grandissima.

(Alla fine mi accontento con poco, mi basta un vostro parere e schizzo al settimo cielo)

 

Grazi infinite di cuore.

 

Per questo, per ringraziarvi per aver speso il vostro tempo per me e per farmi sapere cosa ne pensavate, volevo aggiornare prima del previsto.

Voi siete stati così gentili da farmi dei complimenti, avete apprezzato lo scorso aggiornamento ed io mi era messa al lavoro per non farmi aspettare troppo la seconda parte.

Ma purtroppo non c’è l’ho fatta.

Pensate che, mentre rileggevo il capitolo per controllare gli errori di battitura e altro, proprio dieci secondi prima di aggiornare, mi sono messa a modificare una parte intera perché non mi convinceva, nemmeno dopo averla cambiata quattro volte!

Per cui, se trovate più errori del solito, non vi spaventate. Magari segnalatemeli!

 

Che dire?

A sì, come avrete intuito, se volete vedere la reazione di Eric, quella vera, con i fiocchi stile fuochi d’artificio, dovrete aspettare il prossimo aggiornamento.

Per ora è stato “buono” perché Aria era ferita, ma dopo?

Magari vi aspettavate tutto adesso, scusate se l’attesa è troppa.  Ma vi manca un solo capitolo e scoprirete come reagirà davvero Eric.

 

Adesso vi lascio, ringraziando ancora tutti i lettori e mille volte grazie alle persone che hanno gentilmente recensito.

 

Bacioni!

 

 

 

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Capitolo 24
*** Momento d'incertezza ***


24. Momento d’incertezza

 

 

 

 

 

 

 

Il suono dei suoi denti che battono per il freddo è tutto ciò che sento e su cui mi concentro per non perdere quel minimo barlume di lucidità che mi è rimasto. Non che per me sia facile impormi la calma e tollerare i suoi piccoli ansimi di lamento, o il modo in cui trema impercettibilmente.

Sarebbe molto più semplice, almeno per me, gettare il suo corpo in una cella e chiuderla a chiave lì per il resto dei suoi giorni. Ma, siccome fattori avversi me lo impediscono, mi limito a metterle una mano sulla spalla e a spingerla dentro casa.

Mentre chiudo la porta con due giri di chiave, imprecando mentalmente, Aria viene scossa da un violento brivido e si stringe i due giubbotti che ha sulle spalle, immobilizzandosi al centro della cucina.

Mi rifiuto di guardarla per cui, a testa alta, le arrivo alle spalle e le tolgo la mia e la sua giacca da sopra, gettandole sul tavolo. Eppure, per un errore dettato dalla tentazione, cedo a me stesso e la osservo. Mi da le spalle, ma vedo i rivoli di sangue secco lungo il suo braccio destro e il rosso diventa l’unico colore che vedo.

Con la rabbia che mi martella nelle vene, afferro Aria dal braccio sano e la trascino con me in bagno. Faccio scattare l’interruttore della luce e vado ad aprire i rubinetti della vasca regolando l’acqua calda. L’idea di riempirla con acqua ghiacciata mi tenta, perché credo che non si meriti affatto un confortevole bagno caldo che le dia sollievo dal freddo, visto che se sta gelando è solo colpa sua e del fatto che è tornata a casa con una ferita da cui ha perso troppo sangue.

Prendo una serie di respiri profondi e, per l’incolumità di questa ragazzina che credevo più furba, ordino a me stesso di non guardarla neppure per un secondo. So già gli effetti che produrrebbe su di me la sua attuale debolezza.

O il suo sangue.

Lei si avvicina alla vasca, fa per spogliarsi ma si blocca e mi osserva con sospetto. Forse sta pensando di ribellarsi o si sta illudendo che basti guardami storto per farmi andare via e lasciarle un attimo di pace. Purtroppo per lei le mie intenzioni sono diverse e voglio metterla in soggezione fino a farla sentire oppressa.

Deve sentirsi in colpa.

Per questo incrocio le braccia al petto e mi appoggio con i reni al lavello, scandagliando con uno sguardo particolarmente minaccioso tutto il suo corpo. Continuo a fissarla fino a quando non la vedo deglutire, lasciarsi scappare un ultimo brivido di freddo prima di spogliarsi lentamente e mettere, titubante, un piede dentro la vasca.

Serro entrambi i pugni e ripeto a me stesso che avrò presto la mia vendetta, che presto farò capire ad Aria che non si gioca con la mia pazienza e tanto meno con la mia ira, ma ogni cosa al suo tempo. La vedo sedersi nella vasca e sospirare, beata dal calore dell’acqua, e provo seriamente a tranquillizzarmi. Ma è inutile.

Mi sono sforzato, con tutto me stesso, di credere in lei e di non pensare inutilmente al peggio. Ci ho creduto così tanto che alla fine, per un fottutissimo attimo, mi ero immaginato di vederla tornare trionfate dalla missione. Già la vedevo soddisfatta e piena di forza mentre trascinava Tris dentro il quartier generale degli Eruditi, e l’idea mi aveva rasserenato.

E invece mi ritrovo un involucro ferito e tremante dentro una vasca, con la mia vocina che calcola senza pietà le probabilità troppo alte che avrebbero potuto portare quel coltello e reciderle la gola anziché conficcarsi nella sua spalla.

Ed è esattamente quando vedo il suo sangue sciogliersi via dalla sua ferita, mentre si strofina accuratamente la pelle, che ogni briciolo della mia corazza si distrugge in un’ esplosione di microscopiche schegge che mi divorano rapidamente. Tutto si spegne e, mentre l’acqua calda pulisce il suo braccio destro imbrattato di rosso, un improvviso ordine nelle mia mente mi chiarisce la situazione.

Esco ferocemente del bagno e raggiungo il bancone della cucina.

Non è il male che ha fatto a me il problema, non avrei sofferto se mi avesse aggredito fisicamente, ma il male che ha fatto a sé stessa che è ricaduto su di me. Posso gestire il mio dolore ma non posso domare il suo, quello mi attacca ed io vengo schiacciato dalla consapevolezza di non poter fare nulla per lei.

È una diretta conseguenza del sentimento che proviamo l’uno per l’altra, ci lega ad un filo che ci rende un’ unica cosa. Soccombo ogni volta che cade lei e, se so rialzarmi dopo le mie cadute, non posso farlo se è lei a farsi del male.

L’idea di non poter fare nulla e di dover assistere impotente a ciò che succede ad Aria è insopportabile, è come attendere la propria fine senza potersi difendere.

Scuoto la testa e sogghigno perché, nel bene e nel male, anche lei è schiava di questo problema tecnico della nostra relazione.

E adesso so come ripagarla e punirla.

Frugo nei cassetti e prendo un coltello da cucina, uno semplice per i pasti. Lo stringo dall’impugnatura e torno in bagno, chiudendo la porta dopo il mio passaggio. Avanzo lentamente verso di lei, con la mia piccola arma che luccica pericolosamente nella mia mano, e mi siedo sul bordo della vasca.

Lei indietreggia fino a far aderire la schiena alla ceramica, fissa il suo sguardo nel mio e spalanca gli occhi mentre le trema il labbro. Scuote la testa, come per volermi lanciare un messaggio che possa fermarmi.

-Eric…- piagnucola, terrorizzata.

La sua espressione allarmata mi ferisce, la piccoletta ha davvero scarsa fiducia nei miei confronti. O forse conosce me e il mostro che vive dentro di me, e sa che mantengo le mie promesse.

-Il nostro accordo diceva che per ogni graffio con cui saresti tornata, io te ne avrei fatti altri mille. Mi sbaglio?-

Mi osserva con attenzione, scuote la testa e tace.

Impassibile, le tendo la mano e lei studia le mie dita come se fossero infuocate, mi osserva ancora con profondo rammarico ma non sembra più impaurita. Solo triste.

Stende la sua mano nella mia, con il palmo vero l’altro e non mi toglie gli occhi di dosso, ma sento che trema. Arriccia le labbra e volta di poco la testa, per non guardare.

Ho ancora il coltello nell’altra mano, così lo sollevo per conficcarlo nella carne e lei sussulta ed emette un piccolo squittio di paura quando abbasso con decisione la lama.

L’istante dopo, quando si accorge che qualcosa non è andato come pensava, schiude con cautela le palpebre e sbircia le nostre mani. Scorge il coltello piantato alla base del mio pollice, sfiorando soltanto la sua pelle, e la sua espressione cambia.

Avevo visto nei suoi occhi la paura, ma adesso vedo un mare di incubi. Se si era sentita tradita, ora si sente minacciata ed è vittima dello sconforto.

-No!- Sussurra, con i suoi occhi da bambina spaventata.

Fissa la sottile lama del coltello da portata infilzato nel palmo della mia mano e scuote la testa.

-Perché? Non…-

-Cosa?- La sfido.

Ma lei non fiata e si copre la bocca con la mano libera, orripilata dalle gocce del mio sangue che seguono il contorno della mia mano e cadono sul pavimento.

Le lascio andare la sua mano ed estraggo la punta del coltello, ma solo per colpirmi ancora una volta sullo stesso punto tra il pollice e l’indice. Sta volta però, lo faccio con estrema lentezza e tenendo gli occhi incollati sul viso di Aria, per non perdermi il suo turbamento emotivo.

Il suo timore è cresciuto e so per certo che i sensi di colpa la stanno attaccando senza pietà. Adesso sa cosa ho provato io, anche se non potrà mai arrivare ai miei livelli. Il mio è solo un innocuo graffietto, che mi sono fatto da solo, non certo una ferita in un punto critico come la sua.

-No!- Mi supplica ancora, con voce tremante. -Smettila, per favore!-

Un ghigno mi solleva l’angolo della bocca quando il bruciore che sento tra le dita mi aiuta a sfogare la rabbia, anche quando affondo di più la punta del coltello.

Aria mi afferra il braccio, lo stringe e cerca di farmi smettere di torturarmi. Osservo silenziosamente le sue dita sul mio tatuaggio e soffoco un moto di rabbia, lanciando via il coltello. Sento il tintinnio con cui rimbalza sul pavimento, e riservo un’occhiata furente ad Aria, che mi implora con il suo sguardo afflitto.

Lei mi infastidisce, non posso rimanere impassibile alla sofferenza che dimostra e sottraggo malamente il braccio alla sua presa. Mi alzo e mi avvicino al mobiletto del lavello, che apro per recuperare una confezione di cerotti e ne uso uno per coprire il piccolo foro che mi sono procurato sotto al pollice. Non fa male, solo fastidio.

Ciò che mi fa male è ben altro.

Torno a guardare Aria, ancora immersa nella vasca, e colgo il luccichio della piccolissima lacrima che le scivola lungo la guancia. Lei se la asciuga velocemente con il polso e mi inchioda con uno sguardo ostinato.

Quasi sorrido, al pensiero che forse non sono così folle come credevo, visto che non sono l’unico che passa dal dolore alla rabbia in breve tempo. Anche lei, a quanto pare, assimila la disperazione con la furia.

Improvvisamente sono stanco di lei, stanco di questa guerra silenziosa che stiamo combattendo perché, come è giusto che sia, nessuno dei due vuole che l’altro si faccia male. So, per quel che mi riguarda, che non accetterò mai quello che è successo e che non basta certo qualche sua lacrima versata per la mia mano ferita a farmi dimenticare che ha rischiato di farsi ammazzare.

Però ci sono altri tradimenti che non posso dimenticare e altri errori che non sono capace di perdonare. Ora che la mia rabbia è mutata, ed è passata da un disperato bisogno di comprensione e accettazione ad un’ estrema necessità di sfogo, penso al mio amico che ha permesso che tutto questo accadesse. Serro con forza la mandibola, fulminando Aria con uno sguardo carico di follia.

-Se ci tieni alla tua pelle,- L’avviso. -Non provare ad allontanarti!-

Esco dal bagno sbattendo la porta e attraverso il salotto.

-Dove vai?- Strilla Aria, ma la ignoro.

Quando oltrepasso la soglia di casa, ritorno a respirare.  

 

Ultimamente ho concesso la mia fiducia un po’ troppo spesso e ne ho pagato le conseguenze. Quando si sbaglia, bisogna pagare, è una delle poche cose che hanno cercato di insegnarmi da piccolo.

Ed è anche una delle regole che ho sempre cercato di non rispettare.

Se sei abbastanza forte, o abbastanza in alto, puoi fare a meno delle regole e i tuoi errori posso passare inosservati, o essere pagati da qualcun altro.

Fin da quando ho messo piede fra gli Intrepidi, il mio obbiettivo è stato unicamente quello di arrivare ad uno dei posti da capofazione. Fidarmi di qualcuno non era nei miei piani, non avevo quello stupido bisogno di circondarmi di gente che mi rispettasse o che agisse per mio conto. Le uniche persone a cui ho permesso di guardarmi le spalle sono state le due guardie che mi sono state affidate come scorta personale.

In particolare, Jason era l’unico fra gli Intrepidi a tenermi in considerazione anche prima della mia nomina a capo e che, dopo, era capace di tenermi testa senza tremare come un codardo.

E l’unico a cui io abbia mai affidato qualcosa di importante.

E ha fallito. E mi ha deluso. E chi sbaglia paga.

Scendo le scale verso il poligono e, giunto alla sala d’addestramento, faccio scattare l’interruttore.

I neon si accendono e per un attimo tutto diventa bianco, fino a quando metto a fuoco la figura in piedi appoggiata ai persagli a muro. Strabuzzo gli occhi per il fastidio della luce e avanzo verso la linea di tiro, analizzando i dettagli del ragazzo che mi stava evidentemente aspettando.

Ormai sa che non mi piace affatto l’ufficio che Jeanine mi ha affidato, le gabbie da Eruditi non mi piacciono e non ho certo bisogno di una scrivania per risolvere i miei problemi. L’unico punto, in tutto questo fottuto quartier generale pieno di geni senza spina dorsale, in cui mi sento con le spalle coperte, è questo bunker sotterraneo che ho fatto allestire per la mia fazione.

Sogghigno, l’essersi fatto trovare già qui, pronto all’accusa, non diminuirà di certo la sua condanna.

La sua schiena aderisce ai manichini allineati contro la parete, i suoi capelli rossicci sono spettinati per chissà quale affaticamento e i suoi occhi chiari mi puntano come se fossi una minaccia da respingere.

Solleva il mento e incrocia le braccia al petto. -Pensavo volessi sapere come è andata!- esordisce, senza il minimo segno di incertezza.

Stavo per saltargli al collo, ma qualcosa nella sua spropositata sicurezza mi rallenta.

Serro un pugno e la furia mi deforma i lineamenti. -Dammi un solo motivo per non spaccarti la faccia!-

Jason mi risponde con un’ alzata di sopracciglia e il suo sorriso più arrogante. -Perché ti faresti male contro di me, Eric!-

Soppeso la sua osservazione grattandomi il collo, mi appoggio ad una delle colonne metalliche che dividono le postazioni e osservo il soffitto.

-Mi chiedo se sapresti fare lo stronzo anche se ci fosse Camille ricoperta di sangue,- Inizio, piegando la testa da un lato mentre tendo i muscoli. -Sarei curioso di scoprirlo!-

-Pensi che sia contento di quello che è successo?- ringhia, staccandosi dalla parete. -Pensi che abbia lasciato intenzionalmente che Aria si facesse del male, o che non abbia fatto del mio meglio per impedirlo?-

Scoppio a ridere -Quindi non potevi fare meglio?-

Inarca le sopracciglia e incrocia le braccia davanti al petto. -Se vuoi, la prossima volta, la lego da qualche parte così le impedisco di fare quello che vuole. Più o meno come fai tu!-

Serro la mascella.

-Allora!- Esclama, guardandomi a testa alta. -Vuoi un reso conto di quello che è successo, o no?-

 

Entro in casa sbattendo la porta.

Una testa sbuca da oltre la spalliera del divano e due occhi grandi mi analizzano. Le volto subito le spalle, raggiungo il bancone della cucina e lo apro in cerca di un bicchiere.

Si è comportata da Intrepida, ha avuto coraggio e spirito d’azione…

Spirito d’azione un corno!

Jason dice che è stata agile e precisa, una vera macchina da guerra. Aveva preso Tris, l’aveva atterrata, era riuscita ad averla in pugno.

E l’ha lasciata andare.

Riempio il bicchiere con l’acqua del rubinetto e bevo un lungo sorso.

Ho chiesto subito a Jason quale fosse stata la sua opinione. Chiunque crederebbe che è stato il colpo del coltello a farle perdere la presa su quella Rigida, ma io non mi spiego come sia stato possibile. Aria voleva Tris a tutti i costi, la odiava per l’incidente con il suo amico Will. Persino Jeanine era convinta che tutto l’odio che covava sarebbe bastato per permetterci di mettere le mani sulla Divergente.

E come poteva una macchina da guerra, una che si era lanciata all’inseguimento della sua preda, incurante dei proiettili che le sfregiavano accanto, avere sotto mano il suo obbiettivo e lasciarselo scivolare via come niente?

Ho visto combattere la Rigida, non era neanche lontanamente paragonabile ad Aria. Se non fosse stata brava con pistole e coltelli, e se non avesse preso la bandiera durante l’esercitazione esterna, i pochi scontri che aveva miracolosamente vinto non sarebbero bastati a farla passare al secondo modulo dell’iniziazione.

Non ho creduto neanche per un attimo che Aria si sia fatta fregare dalla Prior.

Jason era in mezzo al corridoio, cercava di raggiungerla, aveva davanti la scena da una buona angolazione. Dice di non essere certo di quel che ha visto ma, per lui, Aria ha avuto un solo istante di esitazione, che Tris ha sfruttato per sferrare il suo attacco con il coltello.

Certo, la Rigida è furba e determinata. Io stesso, per un solo fottutissimo errore di calcolo, mi sono trovato una pallottola nel piede per colpa sua.

Ma Aria non è come me, lei analizza il nemico, non posso credere che non abbia previsto la sua mossa. Non posso credere che si sia fatta ferire proprio da Tris.

Jeanine era certa che le avrebbe riportato la Divergente e Jeanine non sbaglia mai.

Cosa l’ha fermata, perché l’esitazione?

Jason ha detto che Aria ha dovuto anche spostarsi per sfuggire alla traiettoria di un proiettile sperato contro di lei, e di certo quella distrazione le è costata cara.

Dentro di me non posso minimamente accettare che una persona in particolare le abbia volontariamente sparato addosso. Ho visto come Jason cercava di nascondere la parole, come ha provato a non dirmi il nome del colpevole, ma alla fine ha dovuto confessare.

Quattro ha cercato di sparare contro Aria. Il mio peggior rivale che vuole fare del male all’unica persona che rappresenta il mio tutto.

Se il proiettile fosse andato a segno…

Bevo un altro sorso d’acqua e lascio scivolare il bicchiere nel lavello, dopo arpiono il bancone della cucina con le mani, prendo un profondo respiro e mi volto lentamente verso di lei.

I suoi capelli neri sono scompigliati e umidi per il bagno, mi interroga silenziosamente con lo sguardo e sembra serena.

Io invece non lo sono affatto.

Sto per aprire bocca e chiederle chiarimenti, quando mi domando cosa voglio veramente sapere.

Non so con che coraggio, né con che intenzioni, ma Aria mi anticipa.

-Vuoi sapere perché mi sono lanciata all’inseguimento di Tris, senza considerare gli spari che partivano da dietro di me?-

E improvvisamente so come attaccarla. -No, quello lo so benissimo!-

Mi osserva senza capire.

-Tu eri arrabbiata con lei, la volevi. Era ovvio che facessi di tutto per catturarla. Per questo non volevo farti andare.- Faccio una pausa e scendo il gradino del soggiorno per arrivare a lei. -Quello che mi chiedo, è come sia possibile che tu te la sia fatta scappare.-

Il tremito che la scuote è talmente evidente che mi preparo al peggio.

-Non avevi detto che non ero come voi?- Inizia, rifiutandosi di guardarmi.

Non ho molto tempo da perdere. Aggiro il divano e mi chino davanti a lei, afferrandole il mento con la mano, mentre con l’altra mi appoggio allo schienale che ha dietro.

-Stammi a sentire!- la inchiodo con uno sguardo. -Domani dovrò spiegare a Jeanine perché avevi per le mani la Divergente e te le sei fatta scappare. Perciò, dato che devo essere sempre io a coprire le tue cazzate, abbi almeno la decenza di essere onesta con me!-

La mia voce si alza inevitabilmente verso la fine, il suo sguardo trema nel mio mentre si morde il labbro.

-Mi ha colpita e ho allentato la presa.-

Scuoto la testa. -Piantala con le stronzate. L’hai lasciata andare di tua volontà?-

Piega le labbra in una smorfia e scaccia via la mia mano da sotto il suo viso. -No!-

-Quindi ti ha colto alla sprovvista?- ringhio.

-Nessuno poteva dire che aveva un coltello nascosto! E Quat…- Scuote la testa e cerca di correggersi, provando a rimediare. -Qualcuno mi ha sparato e ho dovuto spostarmi per evitare il colpo!-

Sogghigno e le accarezzo con la punta delle dita una guancia, mentre le riafferro minacciosamente il mento, per incollarla al mio sguardo cattivo.

-Stavi cercando di mentire a me?- Sibilo lentamente, consapevole che la mia espressione deve essere decisamente peggiorata. -Per tua sfortuna Jason mi già ha detto che Quattro ha provato a spararti, quindi non cercare di fregarmi peggiorando la tua situazione!-

-E tu, invece di preoccuparti di questo, mi chiedi se ho lasciato andare Tris?- urla, spingendomi via. -Non sei contento che non mi abbiano sparato? Non ti interessa più di me?-

Mi raddrizzo e le punto un dito contro. -Sarebbe molto meglio se non mi importasse più di te!-

Smette subito di essere ostinata, perdendo metà della sua forza. Ha le ginocchia vicino al petto, con i piedi sul divano, le trema il labro e le mani le cadono ai lati dei fianchi.

Ma i suoi occhi delusi non mi calmano.

Sopprimo un ringhio afferrandomi i capelli con le mani.

-Pensi davvero che le abbia permesso di scappare?- Mi chiede, in un sussurro.

Abbasso la testa e la scuoto.

-Mi hai detto che sarei stata responsabile di quello che le avrebbero fatto e…-

Le sue parole scatenano la parte peggiore di me, il sangue inizia a ribollirmi nelle vene e sento distintamente il mio petto comprimersi.

Vorrei potermi rifiutare di credere.

-Tu mi stai dicendo,- La mia voce è un sibilo rauco e minaccioso. -Che hai disobbedito a me, alleandoti segretamente con Jeanine, per farti mandare in missione a recuperare quella schifosa Rigida…- Mi fermo, nel tentativo inutile di calmarmi.

Lei mi fissa ad occhi sbarrati, stringendosi le mani al petto. Sa già che ho perso il controllo.

-Per poi avere una fottuta crisi di coscienza e lasciartela scappare?!- Urlo.

Lei sussulta.

-Hai mandato all’aria la missione, ti sei messa in mezzo per niente e non sei neanche riuscita a bloccarla, pur avendola in pugno!- Sto ancora sbraitando, ad un passo da lei.

-Ho avuto un solo momento d’ incertezza, uno solo!- strilla a testa alta. -E poi mi sono spostata per evitare lo sparo e lei ne ha approfittato per piantarmi un coltello nella spalla!-

-Sono sempre io che mi assumo la responsabilità dei tuoi errori, Aria!- grido, inferocito. -Non posso sopportare che tu mi disobbedisca per poi mettermi in questa situazione di merda!-

-L’avrei presa, Eric! Se non fosse stato per il coltello, non mi sarebbe scappata!-

-Ma stai zitta!- la minaccio. -I tuoi colpi di testa stanno cominciando seriamente a stancarmi.-

-Preferivi che la portassi qui, vero?- Insiste, fissandomi ostinatamente. -O forse era meglio che Quattro mi centrasse, o che il coltello mi tagliasse una vena.-

-Che stai blaterando?-

-Ho inseguito Tris, quando tutti gli altri avevano troppa paura di Quattro, e si sono fermati in un punto a sparare da lontano. Dì questo a Jeanine, quando te lo chiederà!-

-Sei pregata di chiudere il becco e non farmi pensare a Jeanine. Hai chiuso con lei, non le parlerai mai più e non ti voglio più immischiata in niente che la riguarda!-

Sono ancora in piedi, carico d’ira, ma lei è più testarda di me al momento.

E anche più folle.

Assottiglia lo sguardo e mi squadra da capo a piede. -Ma certo, parlaci tu con Jeanine, vi capite così bene. Attento a non farti cadere i vestiti, però!-

Mi accorgo di quello che ho fatto quando ormai è troppo tardi, non sono mai stato abituato a controllarmi con nessuno.

L’ho afferrata dalle spalle con tutta la forza che possiedo e le ho dato uno strattone senza alcun ritegno, e adesso sono con il volto ad un centimetro dal suo e ho davanti i suoi occhi.

Dovrebbe essere terrorizzata, e lo è, ma ha anche il coraggio di continuare a guardarmi.

-Non dirlo mai più, Aria!- dico d’un fiato, in un soffio. -Perché è quello che avrei dovuto continuare a fare: scoparmi chi mi andava e basta!-

Le sue labbra tremano, ma è abile a controllarle. -Pensavo ti importasse di me!-

-Ed è così infatti!- ammetto, raddrizzandomi.

Solo quando allento la pressione delle mani sulle sue spalle, mi accorgo di quanto erano affondate le mie dita nella sua pelle. La lascio attonita, con il suo sguardo profondamente offeso e le labbra gonfie ed infuocate.

Trema impercettibilmente, ma si mette le mani sulle spalle per confortarsi, mentre riprende a mordicchiarsi il labbro con cattiveria.

-Ma nel momento in cui ho accettato di amarti, ho ammesso la mia più grande debolezza. Tu sarai per sempre il mio momento d’incertezza, su tutto e per ogni cosa!- Faccio una pausa e le do le spalle, avvicinandomi alle grandi finestre. -E non me ne pentirò mai abbastanza!-

Mi passo una mano sulla nuca, dove i capelli che avevo rasato stanno ricrescendo e si fanno sentire in un corto strato sottile. È già tanto che io mi rada il volto tutte le mattine, di certo non mi interessa della precisione del mio taglio di capelli.

Poso per un attimo lo sguardo sulla mia mano libera, non posso credere di aver quasi fatto del male ad Aria, ma non posso neanche credere di essere arrivato al punto di pentirmi delle mie azioni.

Io non chiedo il permesso a nessuno, io prendo e basta e pretendo che tutti mi obbediscano.

Con lei ho toccato il fondo.

Quando mi volto non si è mossa nemmeno per sbaglio, tiene gli occhi bassi, aperti e avvolti in un misto di rabbia e sconforto. Le sue bellissime labbra sono arricciate in una smorfia contrariata, si tiene le mani sulle spalle e si protegge con le ginocchia piegate davanti al petto.

Camino verso le scale, dovrei scaricare i nervi ma non ne avrò modo fino a domani, perciò tanto vale provare a dormire.

-Hai intenzione di restare lì?- Impreco, lanciandole un’occhiata da oltre la mia spalla. -Fai come ti pare!-

Salgo le scale, infastidito dalla sua ostinazione, che vada al diavolo lei e i suoi capricci da bambina. Dovrei prendermela con me stesso in realtà, sono io che le ho permesso di manipolarmi a suo piacimento e le ho concesso troppe vittorie.

Mi spoglio sbrigativamente, lanciando i vestiti dove mi capita, mi infilo sotto le coperte e serro

gli occhi.

 

È notte fonda quando il tormento ha superato il limite, costringendomi ad una resa. Mi copro la fronte con il braccio e mi guardo introno, senza riscontrare alcuna traccia di Aria.

Decido di alzarmi e arranco, imprecando mentalmente contro il sonno e la stanchezza, giù dalle scale. Attraverso la stanza, aggiro il divano e rimango un attimo ad osservarla.

Aria dorme raggomitolata su sé stessa, addossata allo schienale come in cerca di riparo. Ha ancora il broncio sulle labbra e le sopracciglia incurvate verso l’interno.

Non credevo che si potesse rimanere arrabbiati anche nel sonno, dovrebbe bearsi del riposo che è riuscita a concedersi, invece di lamentarsi anche da addormentata.

Sospiro e mi chino su di lei, scostando il bordo della felpa che indossa, per poi maledirmi il secondo dopo.

Il cerotto che le copre la ferita è imbrattato da alcune gocce di sangue, sono poche, ma bastano a farmi capire che il mio gesto aggressivo è servito solo a riaprirle la ferita.

Spero di non aver fatto un danno troppo grave, anche se, come mi ricorda la mia coscienza, non devo preoccuparmi di una ferita sulla pelle. Quella si può ricucire, ma il vuoto che lascerebbe una nostra rottura, non verrebbe mai più ricolmato.

Le faccio passare un braccio sotto le gambe ed uno dietro le spalle, sollevandola con calma, senza svegliarla. L’avvicino al mio petto, sorreggendola senza alcuno sforzo, e il suo profumo dolce mi invade le narici, sedando il mio animo come un potente unguento balsamico.

Risalgo le scale con lei in braccio e la stendo nella sua parte del letto, coprendola con la trapunta. Le accarezzo il collo con le dita, seguendo il contorno del cerotto sulla ferita.

Vado al mio posto e mi stendo a mia volta, sospirando pesantemente.

-Sei ancora arrabbiato?-

Piego la testa verso di lei, sentendo la sua voce. Non si è mossa, ha gli occhi chiusi e tenta di dormire.

-Sì.- Ammetto, perché è la verità.

Lei sospira e avvicina i pugni al mento. -Anch’io!-

Scuoto la testa, mi giro dall’altra parte e mi impongo di dormire.

 

-La ferita di Ariana va meglio?- Mi chiede Jeanine, picchiettando con le dita sulla sua lavagna elettronica. -Ho saputo che non è nulla di preoccupante.-

Fuori la giornata è scaldata da un sole invernare, la luce attraversa le vetrate tingendo di arancione la stanza. Sono in piedi al centro dello studio, le mani incrociate al petto e il mento alto mentre la osservo nascondendo una smorfia.

-La missione è fallita. Uno dei miei uomini è morto e una ragazza è rimasta ferita.-

Jeanine smette di trafficare con i suoi aggeggi elettronici e mi presta attenzione, sollevando le sopracciglia.

-Hai fatto male i tuoi conti, Aria non era qualificata per la missione.- Dichiaro.  

-Non esattamente.- Risponde, sollevando lo sguardo su di me.

Provo a sopprimere il fastidioso presentimento che mi blocca e serro i pugni. -Che vorresti dire?-

Si prende un attimo per individuare le parole più adatte, poi sospira e mi guarda. -Ero certa che Ariana avrebbe fatto di tutto per prendere Beatrice, e non mi sbagliavo affatto.-

I secondi passano e tutto quello a cui riesco a pensare, in questo preciso istante, è che Jeanine sappia più di quanto dovrebbe.

Come se non bastasse, si sta prendendo gioco di me, tentando di farmi salire i nervi, continuando a scandire il nome completo di Aria, sapendo benissimo che è una cosa che non sopporto. Ariana era il nome che aveva fra gli Eruditi e rappresenta unicamente quella parte della sua vita.

E Jeanine lo sa benissimo.

-Un vero peccato che la Divergente sia riuscita a scappare, ferendo Ariana.- Sospira con falsa disinvoltura.

Quella di Jeanine non è una constatazione detta a caso. Jeanine non sbaglia mai.

I suoi calcoli sono sempre precisi e infallibili e, se credeva che Aria sarebbe stata in grado di sfruttare la propria rabbia per non farsi scappare Tris, niente le farà cambiare idea. Ancora di più sapendo che si era lanciata all’inseguimento, riuscendo a bloccarla.

Assottiglio lo sguardo e tendo i muscoli. Una coltellata non ferma un valido soldato, lo rallenta, ma non gli impedisce di portare a termine la missione. L’impedimento vero e proprio potrebbe essere stato causato dall’inadeguatezza, dalla sua giovane età e dalle incompetenze tecniche.

Oppure dai suoi reali sentimenti.

Probabilmente Aria ha detto la verità, ha avuto un momento di incertezza che, insieme allo sparo di Quattro, le è costato una pugnalata alla spalla.

Se così non fosse stato, ci avrebbe riportato la Rigida.

Jeanine è consapevole di aver fatto male i calcoli, ma il suo errore non è stato quello di affidare ad una novizia un ruolo al disopra delle sue capacità, chiedendole di riportarle una fuggitiva particolarmente pericolosa.

Ma quello di darle fiducia.

Ha sopravalutato Aria, credendola capace di agire senza obbiezioni di coscienza.

L’unica cosa che so per certo è che ha esitato, forse non ha saputo reagire per l’inesperienza, ma qualcosa l’ha fermata. Ed è per questo motivo che prometto a me stesso che Jeanine non dovrà mai sapere cosa è successo in quell’istante in cui Tris era ad un passo dall’essere catturata.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

 

 

 

 

Ecco finalmente il capitolo che in molte, a quello che ho intuito dai commenti, aspettavate!

Era questa la reazione che immaginavate per Eric?

 

Dal prossimo aggiornamento iniziano alcuni capitoli che potrebbero sembrare di calma, ma che contengono dettagli e passaggi fondamentali per giungere ad una parte molto importate per la storia.

Direi la più importante in assoluto per i fan di Eric in Insurgent.

Vi viene in mente niente?

 

Adesso vi lascio, ringraziando come sempre tutti coloro che seguono la mia storia, ma un grazie particolare a chi ha recensito.

Non mancate di farmi sapere cosa ne pensate, siete fondamentali e mi aiutate tantissimo.

 

Baci!

 

 

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Capitolo 25
*** Dolce e amaro ***


25. Dolce e amaro

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’indolenzimento dei miei muscoli è tale che fatico persino a capire come alzarmi dal letto. Non credo di sapere con precisione dove siano i miei arti, né dove sia la mia testa.

Però so dov’è la mia spalla: è quella da cui si irradia gran parte del dolore.

Rimpiango l’anestetico che non mi sono fatta iniettare, soprattutto quando considero tutto il dolore che mi avrebbe risparmiato. I punti continuano a tirare e le mie articolazioni risentono dello sforzo fisico di ieri e delle scarse ore di sonno che ho alle spalle.

Essermi addormentata su un divanetto scomodo, inoltre, non mi è stato d’aiuto.

Mi metto a sedere e mi massaggio la testa, costatando da subito il disastro che devo avere al posto dei capelli. Sono ancora vestita, ho dormito in canottiera e pantaloni, e non muoio certo dalla voglia di ricordarmi il perché.

Sento dei rumori provenire dalla cucina, e non so se il fatto che Eric sia qui mi faccia piacere oppure no. Di sicuro sta trafficando con il frigorifero e la credenza in cerca di qualcosa da mangiare, mettendo tutto in disordine.

Sospiro, non ho idea di che ore siano, perciò scivolo giù dal letto, raccolgo una felpa che non indosso e scendo le scale. Credo proprio che Eric mi abbia già sentita, perché smette di armeggiare con gli armadietti della cucina e rimane in silenzio.

Se pensa che gli rivolgerò la parola, ha fatto male i suoi conti.

Raggiungo il bagno a testa alta, senza degnarlo neanche di uno sguardo, chiudo la porta e impreco mentalmente.

Ci sono poche cose che non posso tollerare del suo carattere, una sola per la verità.

Qualche tempo fa si è arrabbiato con me, insinuando che avevo iniziato ad avere paura di lui. Mi piacerebbe sbattergli in faccia tutto quello che penso adesso, dopo il suo comportamento di ieri sera. Sappiamo che tiene a me, ma deve smetterla di reagire in modi esagerati. Le persone normali manifestano in altra maniera le loro ansie e, se decidono di proteggere qualcuno, non si mettono certo ad urlargli contro.

Sono furiosa al pensiero che mi abbia strattonata e maltrattata, e non mi importa se si è alzato a notte fonda solo per portarmi a letto in braccio. Probabilmente gli si era raffreddato troppo il fianco, oppure tentava di discolparsi.

Devo assolutamente fare pipì, non so da quanto non vado in bagno, non ho idea di che ore sono di preciso e, per quello che ne so, potrebbe essere pomeriggio. Quando ho finito mi lavo le mani e il viso e, proprio in quel momento, la porta si apre senza che nessuno abbia bussato.

Afferro un asciugamano senza voltarmi, mi tampono il viso e strofino le mani per asciugarle, incontrando unicamente il mio sguardo attraverso lo specchio. Non ho un aspetto così terribile come temevo, a parte i capelli. Uso l’elastico che ho ancora al polso per raccoglierli in una coda.

Sospiro e lancio un’occhiataccia ad Eric, ancora fermo davanti alla porta.

Ha la mascella contratta e le spalle rigide, penso che fatichi persino a respirare. I suoi occhi sono di ghiaccio e mi scrutano con rancore. Non è esattamente il migliore dei modi per chiedere scusa, perciò capisco che è ancora sul piede di guerra.

Benissimo, si tenga la sua rabbia e io mi terrò la mia.

Poi però lo sento trattenere un ringhio infastidito, scoprendo che non guarda più me, ma il mio braccio. Osservo la mia immagine riflessa nel specchio e abbasso gli occhi sulle mie spalle, scorgendo i segni neri che devono essersi appena guadagnati l’ira di Eric.

Mi metto di profilo, portando una spalla in avanti per valutare meglio la situazione e conto quattro lividi tondi che seguono il contorno del braccio.

So che sono i segni lasciati dalle dita di Eric quando mi ha stretto e strattonato.

Reagisco d’istinto, lo fulmino con lo sguardo e lui si irrigidisce. Non smette di guardare i lividi che lui stesso mi ha procurato, scuote la testa con un’espressione lugubre e si allontana.

Prendo un respiro profondo, so perfettamente che questi segni fanno più male a lui che a me, ma se imparasse a darsi una calmata non dovrebbe fare i conti con certi inconvenienti.

So che mi ama, lo amo anch’io e non posso fare a meno di lui, e non ho paura di un paio di lividi. Ciò che mi ferisce davvero è il pensiero che non si fidi più di me, o che mi consideri davvero una sua debolezza.

Prendo la felpa che mi sono portata dietro e me la infilo, stanca di guardare i ricordi della sfuriata di Eric.  

Non deve essere facile per lui tenere a me, non ci sarà nemmeno abituato. Fino ad ora ha sempre pensato a sé stesso e ai suoi obbiettivi, è sempre stato un capo indiscusso, mentre adesso ha sulle spalle una guerra. Deve proteggermi da Jeanine e da molto altro, è normale che i suoi nervi siano al limite.

A proposito di Jeanine, mi ritornano in mente le mie parole, quelle che hanno realmente scatenato l’ira di Eric. Ho fatto una stupida insinuazione sulla notte di sesso che hanno avuto anni fa, pur sapendo che è un tasto dolente per lui quanto per me.

Esco dal bagno in silenzio, raccolgo le mie scarpe vicino al divano e mi trascino fino al gradino che divide la cucina dal soggiorno, sedendomi sopra. Mentre mi allaccio le scarpe, bussano alla porta.

Eric, che sta smangiucchiando un pezzo di focaccia recuperata da non so dove, impreca in silenzio e lascia tutto sul bancone della cucina per andare ad aprire.

Non so ancora chi abbia avuto il coraggio di presentarsi qui, considerato l’umore nero di Eric. Ma, quando lui spalanca la porta di scatto, facendosi scappare un mezzo ringhio, credo che chiunque resterebbe terrificato dalla vista delle sue spalle imponenti e dei suoi muscoli minacciosi.

E invece mi sbagliavo.

Da oltre la spalla di Eric, illuminata dal sole, fa capolino una ragazza dai capelli biondi e ricci che le donano un’aria ribelle, con una ciocca rosa acceso. Vedo che è abbastanza alta e slanciata, interamente vestita di nero e con un brillantino sul naso, che luccica.

Camille dondola sul posto, ed intravedo persino un sorrisino derisorio quando solleva le sopracciglia ad indicare il modo in cui le viene sbarrata la porta.

-Che vuoi?- Le ringhia contro Eric.

Lei alza gli occhi al cielo. -Ciao, Eric!-

-Sei venuta ad assicurati che la tua amichetta sia ancora viva?-

-Non ho dubbi su questo!- Gli risponde, con un sorrisino saputello. -Non sei ancora tanto stupido da uccidere l’unica donna che ti sopporta!-

-Così mi offendi, pensavo di piacerti, almeno un po’.- Eric sogghigna e piega la testa da un lato. -Ti sei già stancata di me?-

Lei sbuffa e lo spintona per entrare. Si ferma poco distante dal tavolo e vi lascia sopra uno strano fagotto.

-Dato che non eravate a pranzo, vi ho portato un po’ di dolce.- Afferma. -Una specie di torta che non regge il confronto con la nostra, ovviamente. Ma vale la pena di essere mangiata!-

Il mio sguardo si sposta su Eric, che osserva incuriosito il fagotto sul tavolo e gli si avvicina senza ripensamenti.

-Dovevi dirlo subito!- Dice a Camille, prendendosi una fetta di torta.

Lo vedo appoggiarsi con i reni al bancone della cucina, dall’altro lato del tavolo, mentre addenta il dolce.

Camille lo guarda a sua volta e scuote la testa, con un mezzo sorriso. -Assurda la sua passione per i dolci, vero?- Dice, rivolgendosi a me. -Forse c’è così poco zucchero nel suo carattere, che ha bisogno di compensare con la pasticceria!-

Non so di preciso quanto ci metta quell’affermazione a raggiungere il mio cervello, ma scoppio a ridere prima di formulare un pensiero concreto.

Eric mi osserva con un sopracciglio alzato, temo di aver appena offeso la sua virilità, o qualcosa di simile. Lancia un’occhiataccia a Camille, ma lei non se ne preoccupa.

La vedo saltellare verso di me e sedersi con me sul gradino, mi sorride e sospira.

-Se il colosso qui presente fa troppo lo stronzo, dimmelo. Io e Jason lo sistemiamo subito!-

Nascondo un sorriso, prima che Eric finisca di mangiare il suo dolce e venga a prenderci entrambe per i capelli, esaurita tutta la sua pazienza.

-Se non ha speranze Jason contro di me,- Inizia Eric. -Cosa pensi di potermi fare, tu?-

Camille si volta verso di lui e lo osserva, scettica. -Non preoccuparti, saprei come farti male. O devo ricordarti il nostro primo incontro, durante l’iniziazione?-

Rimango di sasso, come se avessi visto un albero staccarsi dal terreno e mettersi a volare.

-Io ricordo di averti mandata in infermeria con un polso slogato!- bofonchia Eric, tra un boccone e l’altro.

-Sì certo, ma prima sono riuscita a darti un calcio nelle pelle. Lo avevi dimenticato?- gli risponde lei, con una smorfia.

Adesso sono letteralmente a bocca aperta.

-Avete fatto l’iniziazione lo stesso anno?- chiedo, senza neanche accorgermene.

Camille mi sorride, tornando a guardarmi. -Proprio così! E Nick e Jason l’anno prima!-

Un pensiero mi attraversa la mente e non so se darvi voce oppure no, ma alla fine ci provo. -Ma se avete combattuto insieme, vuole dire che…-

-Che eravamo entrambi trasfazione, sì!-

Tiro un sospiro di sollievo, non tutti apprezzano che si facciano riferimenti al proprio passato, soprattutto gli Intrepidi.

-Vediamo se indovini da che fazione venivo!-

La osservo per un attimo, so benissimo qual è la risposta. -Abnegante!-

Lei spalanca gli occhi e poi ride. -Come hai fatto? Pensano tutti che sia stata un’ Interna. In molti dicono Candida e in pochi Pacifica. Nessuno ha mai indovinato.-

Scuoto la testa. -Era già scontato che non fossi nata Intrepida!-

Questa ragazza ha una dote innata nel prendersi cura delle persone, ed è evidente.

La sera in cui Eric credeva che fossi stata mandata in missione dagli Esclusi, lei è stata con me. Una Pacifica mi avrebbe riempita di abbracci, una Candida di parole confortanti.

Un Abnegante sarebbe stata in silenzio al mio fianco, così come ha fatto lei.

E poi ho visto il modo in cui, quella stessa sera, ha messo una mano sulla spalla di Eric. Era rassicurante, ma anche riservata. E, ancora, ho notato la gentilezza che ha nei confronti di Nick.

Eric e Jason sono estremamente simili, comunicano con uno sguardo, mentre Nick è il simpaticone di turno, il terzo! Ma Camille gli fa da sorella.

Certo, Camille deve essere stata l’Abnegante meno abnegante della storia, ma lo è stata!

-Dovresti raccontarmi di quel calcio!- Le dico, con un sorrisino maligno.

Sento Eric sbuffare.

Lei ride. -Se ti stai chiedendo com’era Eric a sedici anni, sappi solo che era molto più stronzo e scontroso di adesso!-

Assottiglio lo sguardo. -Mi sembra impossibile!-

-Oh credimi, adesso è un angioletto a confronto! Con te fa il bravo, ma qualche hanno fa era veramente insopportabile!-

-Stai per ritrovarti fuori, Camille!- sogghigna Eric, servendosi di un secondo pezzo di torta.

-Ma smettila, non ti stanchi mai di essere insopportabile?- Gli risponde, girandosi ancora per guardarlo.

Eric rimane in un temibile silenzio.

-Ero l’unica che riuscisse ad avvicinarsi a lui senza rischiare di finire a terra. Anche dopo il calcio nelle sue parti basse!- Riprendere Camille, allegra. -Quando Jason è diventato la sua guardia del corpo, l’ho conosciuto e il resto lo sai!-

-Risparmiaci i particolari, posso sopravvivere anche senza sapere come siete diventati tanto appiccicosi!- Sbuffa Eric, con un cipiglio cupo. -Non devi andare da lui o altro?-

-Tra un po’!- trilla lei, sorridendomi.

Ricambio il sorriso, osservando Eric con la coda dell’occhio.

Ho appena scoperto che questa ragazza bionda che mi sta accanto era l’unica persona che Eric tenesse in considerazione come qualcosa di simile ad un’amica, prima dell’arrivo di Nick e Jason. Mi mordo il labbro, mi sembra di conoscerne la ragione.

Eric divide le persone in quelle che hanno paura di lui, che tratta da sottomessi e di cui non ha alcun tipo di rispetto né di considerazione, e quelli che non le temono. Per questi ultimi c’è la speranza che Eric si accorga della loro esistenza o che, addirittura, gli permetta di affiancarlo.

Al momento, che io sabbia, ad avere questo onore siamo solo io, Camille, Nick e ovviamente Jason.

Mi risistemo un ciuffo di capelli sfuggito alla mia coda, pensando che è stato proprio il mio atteggiamento a far si che Eric mi notasse ed iniziasse ad interessarsi a me. Io non avevo paura, quando veniva a trovarmi al poligono dialogavo con lui senza timore e, pur rispettandolo come mio superiore, l’ho sempre trattato come un ragazzo normale.

In molti commettono l’errore di valutarlo solo come il più terribile dei capifazione.

E lui, con quelle stesse persone, si comporta di conseguenza. Per questo motivo in pochi conoscono il vero Eric, rimanendo tutti ai margini, fermi all’opinione negativa.

Credo proprio che, data la scarsa pazienza che ha con le persone, ad Eric vada bene essere temuto, probabilmente non desiderava altro. Non è una persona socievole o di molte parole, sta bene da solo, ma ha imparato ad accettare la compagnia di quei pochi di cui si fida.

Di quelli che non hanno paura di lui, pur rimanendogli fedeli.

Ci sono anche i suoi nemici, come Quattro e Finn, che non hanno minimamente paura di lui ma che lo sfidano apertamente, guadagnandosi il suo rancore più profondo.

-Se vorrai altri aneddoti imbarazzanti sul giovane iniziato di nome Eric, vieni pure da me!- Mi sussurra Camille, strizzandomi l’occhio.

-Fuori!- scandisce Eric, con le braccia incrociate al petto e lo sguardo assottigliato.

Temo che l’abbia sentita.

-Hai paura di quello che potrei dirle?-

-No!-

-Bene, allora rilassati!-

Guardo Eric, è sempre furioso, eppure scuote la testa e un ghignetto divertito gli solleva l’angolo della bocca.

-Vado sul serio, adesso!- Dice Camille, alzandosi in piedi. -Comportatevi bene!-

Tra un sorriso e l’altro si avvicina alla porta, ed Eric avanza verso di lei, fino ad incontrarsi sull’uscio.

-E smettila di essere sempre così serio!- Lo deride Camille.

E, in una mossa fulminea degna del migliore Intrepido, lei si allunga verso di lui e gli scompiglia animatamente i capelli. Eric agita le braccia e la scaccia, con un cipiglio pericoloso mentre la guarda storto.

-E vattene!- Le abbaia contro, cercando di afferrarla per spingerla fuori.

Ma Camille si svincola ed esce dalla porta fra risate e saltelli.

Rimango con gli occhi puntati su Eric, incapace di pensare ad altro se non ai suoi capelli.

Il suo sguardo furente si posa su di me mentre chiude la porta, sbattendola. -Non farti venire strane idee!-

Metto il broncio. -Quindi non posso toccarti i capelli?-

Eric si volta verso di me, rigido e composto come suo solito, poi sospira e si massaggia la fronte con le dita. -Tu puoi toccarmeli quando vuoi, Aria. Non fare la bambina, adesso!-

Non mi inganna con la sua finta indifferenza ma, senza che ne capisca il motivo, riesce a farmi arrabbiare.

-E può toccarteli anche qualcun altro?-

Quando le parole lasciano le mie labbra, mi paralizzo all’istante. Come posso essere stata così stupida, con un’altra insinuazione che, sicuramente, scatenerà la sua ira?

Lo guardo spaventata.

Lui è ancora di spalle, immobile, si volta con lentezza disarmante e il suo volto è privo di emozioni.

-Che hai detto?-

La sua voce è talmente carica di rabbia  che temo il peggio per me stessa, sussulto e mi affretto ad abbassare lo sguardo.

-Vuoi farmi arrabbiare di nuovo?-

Il suo sibilo rauco mi rattrista, da quando perde la pazienza così facilmente? Mi incupisco e mi osservo le scarpe.

Sento i suoi passi e rimango immobile, lui si china su di me e mi afferra di peso, sollevandomi e caricandomi sulla sua spalla come se fossi un sacco vuoto. Non ho il reale tempo di oppormi, mi ha colto di sorpresa e in pochi passi arriviamo al divano e mi ci butta sopra, sovrastandomi.

Appoggia i gomiti ai lati del mio corpo e mi osserva intensamente.

-Hai finito?-

Gli lancio un’occhiataccia e scuoto la testa. -Sono ancora arrabbiata con te!-

Il suo sguardo è impenetrabile. -Anch’io!-

Scuoto la testa, mi sembra di essere tornata alla sera appena passata.

Eppure lo guardo, fermo sopra di me mentre sono inerme, distasa e alla sua mercé senza possibilità di fuga, e il fuoco si risveglia dentro di me. Una lava incandescente mi rianima, mi attira inesorabilmente verso di lui e vorrei tanto resistere ma non posso.

Sollevo cautamente una mano e la faccio scorrere fra i suoi capelli, ora non più rasati ma corti e morbidi anche sulla nuca, e sento subito il forte legame che ci unisce.

Vorrei odiarlo, sono davvero furiosa con lui, ma non posso fare altro che arrendermi.

-Non tagliarti più i capelli, mi piacciono di più così.- Sussurro.

Mi fa un cenno.

Non capisco a cosa stia pensando, sembra impassibile e serio.

Le mie dita scivolano sul suo zigomo e sulla sua mascella, leggermente pungente a causa del leggero strato di barba che non si è preoccupato di radersi.

Guardandomi intensamente, mentre la mia carezza sembra averlo toccato nel profondo, Eric si avventa sulle mie labbra e mi bacia intensamente. Le nostre lingue si incontrano e si cercano, la sua bocca e calda è morbida sulla mia, anche mentre gli addento il labbro inferiore, tirandolo leggermente.

Mi immobilizza i polsi e si struscia su di me, facendomi sentire sempre più debole e sua, schiacciata dal suo corpo possente su di me. Mette le mani ai lati del mio viso e mi tiene ferma, mentre inizia a mordermi a sua volta il labbro, scendendo poi a baciarmi il collo.

Quello che provo adesso è un sentimento dolce e amaro. Lo desidero e il suo tocco mi inebria, eppure vorrei avere la forza per oppormi.

Fa passare la sua mano dietro la mia schiena a mi solleva di scatto, smorzandomi il respiro. Mi ritrovo seduta davanti a lui, mi guarda per interminabili secondi e riprende a baciarmi con forza. Sono senza fiato, tremo di eccitazione e mi aggrappo a lui mettendogli le mani sulle spalle.

Accarezza tutto il mio viso e intreccia le dita dietro la mia nuca, spingendomi con ferocia contro la sua bocca, con cui sembra intenzionato a continuare ad assaporarmi.

Mi scappa un gemito e lui si stacca da me.

Sogghigna soddisfatto, mi tiene ancora il viso fra le mani mentre si passa la lingua sulle labbra, mi posa un bacio sulla fronte e si alza.

-Devo andare adesso, fai la brava!-

Si avvia verso la porta ed io vorrei tanto mandarlo al diavolo, peccato mi manchi il fiato e la forza per farlo. Esce ed io crollo distesa, ho il fiatone e il cuore in fibrillazione.

Gran bel modo di fare pace, se di questo si trattava.

 

Il mio pensiero è quello di andare a trovare Amber per farle sapere che sto bene, dato che penso che mia madre l’abbia informata della mia ferita alla spalla. Perciò sgattaiolo fuori casa, stanca di essere in balia di Eric e considerato che non ho voglia di starmene buona ad aspettarlo, perciò raggiungo il quartier generale.

Arrivo allo studio di mia sorella, apro la porta e non ho il tempo di entrare dentro che qualcuno mi afferra, mettendomi un braccio intorno alla spalle mentre con l’altra mano mi tappa subito la bocca.

La porta viene richiusa e io sono in trappola.

Cerco di dimenarmi, ma chi mi tiene è più forte di me e capisco che è un uomo. La luce è spenta, ho solo una torcia puntata contro, segno evidente che c’è qualcun altro nella stanza. Presa dal panico, mi chiedo cosa ci facciano queste persone nell’ufficio di mia sorella, e vorrei sapere se almeno lei sta bene.

Sgomito contro il mio aggressore, venendo stretta più forte anche dal braccio che mi tiene tappata la bocca. Tento inutilmente di urlare, quando il fascio di luce puntato su di me illumina la giacca nera che ricopre il braccio del mio aggressore.

-Lasciala, Zeke!- esordisce una voce femminile.

Il ragazzo mi libera da un solo braccio, mentre mi tiene ancora una mano davanti alle labbra, premendo contro le mie guance.

-Ti fidi di lei?- La voce di quello che deve chiamarsi Zeke è aspra. -Ma è la ragazza di Eric!-

-Questa è una cosa che possiamo usare a nostro favore!-

Assottiglio lo sguardo, l’altra persona, quella che ci tiene la torcia puntata contro, è una donna e mi sembra di conoscerla. Dovrei sapere chi è, ma non riesco ad associarla ad un volto.

-Hai intenzione di gridare?- mi chiede il ragazzo.

Mi immobilizzo, scuoto la testa contro la sua mano e lui mi lascia libera.

-Per la cronaca,- Dico a bassa voce, voltandomi a lanciare un’occhiataccia al ragazzo. -Mi chiamo Aria, e non sono solo la ragazza di Eric!-

Zeke ha gli occhi e la pelle scuri, potrebbe essere un ragazzo attraente se non mi avesse appena aggredita. Ha qualcosa di familiare, anche se non capisco cosa, ma mi pare di averlo già visto anche se non saprei dove.

-Perché sei uscita dalla sala, durante il discorso di Jeanine?-

Sentendo la voce della donna, e capendo che sta rivolgendo a me la sua domanda, mi volto verso quella che dovrebbe essere la scrivania di mia sorella, incrociando lo sguardo della mia interlocutrice.

Si è puntata la torcia sul viso per mettermi di vederla, così riconosco subito i suoi occhi a mandorla e i suoi lunghi capelli scuri, rimanendo senza parole.

È Tori, la donna che mi ha tatuato.

Ora ricordo dove ho visto Zeke, era vicino a lei quando ho raggiunto la porta principale per uscire dall’atrio patronale, il giorno del discorso di Jeanine. Quella volta, quando sono scappata via, Tori mi ha fissato a lungo e adesso vuole sapere il perché del mio gesto. D’altro canto, non avrei dovuto offendere Jeanine e sfidare i nostri capifazione, nessun’altro ha osato girare sui tacchi e andarsene.

Non so perché, ma non riesco a mentire. Questa donna si è fidata di me, dando ordine a Zeke di lasciarmi andare, perciò non credo che sia mia nemica.

-Non sopportavo che quella pazza di Jeanine parlasse delle morti che ci sono state, come se non ne fosse la responsabile.-

Tori rimane in silenzio.

Zeke, al mio fianco, incrocia le braccia al petto. -Non possiamo fidarci di lei, Tori! Sarà anche piccola e carina, sarà uno zuccherino pieno di buoni sentimenti, ma sta con Eric. Sei fuori di testa?-

-Dov’è mia sorella?- pretendo di sapere, decisa.

-Non era più qui quando siamo arrivati.- Mi informa Tori.

Ora che so che non hanno fatto del male ad Amber, posso fidarmi un po’ di più di questi due.

-Perché siete nel suo studio?- Chiedo.

Il ragazzo sospira e, con la coda dell’occhio, vedo che scuote la testa verso Tori.

Ma lei sembra determinata e sicura di sé. -Da che parte stai?-

Scrollo le spalle. -Dalla parte di chiunque abbia un po’ di cervello! Chiunque la smetta di uccidere persone, che siano Divergenti o meno, avrà la mia simpatia.-

-E allora perché sei intima con Eric? È un assassino, fa tutto quello che Jeanine gli dice di fare!-

Mi volto verso Zeke che ha appena parlato e, alla scarsa luce della torcia, lo guardo storto. -Eric non è qui, e quello che fa o non fa non è affare tuo. Chi mi dice che non siate degli assassini anche voi?-

-Non lo siamo!-

-Nessuno sa per cosa combattiamo. Chi mi dice che siete vuoi quelli di cui ci si può fidare?-

Zeke scuote la testa. -Che piccoletta antipatica!-

E all’improvviso, qualcosa nella sua espressione falsamente scocciata, mi fa capire perché questo ragazzo mi ricorda qualcuno.

-Tu sei il fratello di Uriah!-

Il ragazzo mi osserva con entrambe le sopracciglia alzate. -E tu come lo conosci?-

-Era anche lui un iniziato, no? E, che io sappia, lui è dai Candidi. Mentre tu sei qui, fra quelli che chiamano i Traditori, esattamente come me!-

-Stiamo cercando informazioni contro Jeanine.- Interviene Tori. -Vogliamo capire cosa trama contro i Divergenti!-

-Benissimo!- Esclamo. -Fai pure! Ti auguro di capirci qualcosa.-

-Tua sorella è una sua alleata, controllava la simulazione. Crediamo che nel suo computer possano esserci informazioni riservate.-

Sento una fitta al petto e stringo i pugni. -Mia sorella non è come Jeanine, è solo costretta ad obbedirle.-

-Non è affare nostro!- Sentenzia Tori. -A noi serve solo la password.-

In un attimo capisco cosa mi sta chiedendo, ma so già che non riuscirò a farmi dire nulla da Amber.

Avanzo verso la scrivania, riservando un’occhiata furente a Zeke che fa un passo per fermarmi. Tori gli fa segno di lasciarmi passare ed io la raggiungo.

Ossero la tastiera illuminata dal monitor, su cui lampeggia un riquadro bianco con la scritta: Errore.

-Hai già inserito i codici di sblocco per i computer degli Eruditi?- Chiedo, stupita.

Ho riconosciuto la schermata, di solito ogni computer in questa sede necessita di particolari sequenze numeriche anche solo per accendersi. Queste precauzioni sono state prese per evitare che membri di altre fazione accedano ai dati degli Eruditi.

I codici di base non cambiano quasi mai, ma ognuno, ovviamente, può proteggere i propri dati con ulteriori password personali.

-Conosco molte cose sugli Eruditi e ho ottenuto i codici di sblocco. E le telecamere di questa stanza sono state disconnesse.-

Non faccio domande e provo a digitare sui tasti possibili password che Amber avrebbe potuto scegliere. Non è tipo da sequenze numeriche o chiavi preimpostate suggeritale dai computer, dovrebbe impararle a memoria ed un qualsiasi decifratore potrebbe individuarle.

Deve essere qualcosa di personale.

Provo con il titolo del suo libro preferito e con altre parole importanti, ma niente. Provo con i nomi dei nostri genitori e con il suo, so che deve aver scelto qualcosa di privato, ma non troppo banale. Vengo colta da un lampo di genio, quando intuisco che potrebbe aver usato un nome di cui nessuno sospetterebbe.

Perché non quello della sorella fuggita in un’altra fazione, vergogna della famiglia?

Scrivo Ariana, ma riappare la segnalazione di errore.

Sbuffo. -Mi dispiace, non saprei cosa…-

Ma poi mi fermo.

Cerco una parola personale, magari il nome di una persona importante, ma di cui nessuno sospetterebbe. Sarebbe già impossibile sospettare che abbia usato il nome della sorella tanto odiata, me chi penserebbe mai che possa aver usato un diminutivo che disprezzava e che si ostinava a non usare? Tre sole lettere per giunta, la password meno sicura possibile.

Sorrido, praticamente insospettabile. Neanche mio padre ci arriverebbe.

Faccio scorrere le dita sui tasti e scrivo Aria.

Dopo una barra di caricamento, il monitor si illumina e una scritta di accesso lameggia in verde.

Rimango per un attimo a riflettere, mi sembra insolito che non ci siano altre misure di sicurezza a proteggere questo computer, e questo mi fa intuire che qui dentro non ci sia nulla di veramente rilevante.

Ma tengo per me la mia considerazione.

-Chi ci dice che possiamo fidarci di te, e che non correrai a dire tutto?-

Guardo Zeke, cogliendo solo il luccichio dei suoi occhi.

-Chi mi dice che non mi abbiate ingannato e che non cerrete dai nostri capi, o da Jeanine, a dire che sono una traditrice?-

-Direi che potremmo accusarci a vicenda, perciò non ci resta che fidarci, sapendo che siamo nelle tue mani così come tu lo sei nelle nostre!- Afferma Tori, osservandomi con precisione.

Arriccio le labbra. -Sono comunque in una posizione migliore della vostra, non potete minacciarmi.-

Zeke inarca le sopracciglia.

Di certo ci vuole coraggio e follia per fidarsi di due quasi sconosciuti che dicono di tramare contro chi comanda questa guerra, ma qualcosa mi dice che non sono del tutto in errore.

In un misto di sapori dolci e amari, annuisco tra me e me. Non mi sto schierando con nessuno, ma ho ancora le facoltà di distinguere da sola cosa è giusto e cosa è sbagliato.

Privare qualcuno della propria vita, dopo aver manipolato le sue azioni con una simulazione, è certamente un’ azione abominevole. E non  può restare impunita.

-Ma non avete di che preoccuparvi.- Aggiungo. -Non dirò nulla. Se avete in mente di fermare Jeanine, spero che abbiate successo!-

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

Bum! Tadan! Sorpresi?

Si aprono le scommesse. Cosa succederà? Via libera a possibili scenari futuri che porteranno a diverse conseguenze per il seguito della trama!

Magari qualcuno indovinerà perché questa scena finale ha una certa importanza per il futuro…

 

Come sempre grazie infinite ai lettori, ma soprattutto a chi mi sostiene con bellissimi commenti!

A presto!

Baci!

 

 

 

 

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Capitolo 26
*** Il peso degli errori ***


26. Il peso degli errori

 

 

 

 

 

 

Non so con esattezza cosa mi dia questa impressione, o da cosa scaturisca questa sensazione. Eppure, come se qualcuno me lo stesse urlando nelle orecchie, so che non uscirò vivo da questa situazione.

Non tornerò vittorioso dalla battaglia, né mi salverò dalla bufera che sta per arrivare. Credo fermamente che morirò, me lo sento, avverto i brividi gelidi della morte sulla nuca e ho la pelle d’oca al solo pensiero.

Ormai le cose sono andate troppo avanti, i nostri progressi non arrivano e siamo solo diretti al fondo del baratro. In un momento tanto critico, non posso che domandarmi come ne uscirò io da tutto questo delirio. E, con calma e precisone, sento ancora la vocina che mi sussurra di non sperare e di non illudermi.

Non ne uscirò vivo.

Jeanine mi osserva come se fosse realmente in grado di leggermi nella mente e, dal sorrisino di traverso che tenta di nascondere, temo quasi che voglia confermare i miei dubbi.

Non sono più il suo fedele braccio destro, adesso è Max il suo primo uomo di fiducia, mentre a me non è spettato altro che essere declassato.

Avevo visto in Max un uomo forte, coraggioso, il classico modello da seguire per diventare un vero uomo Intrepido. Anche quando, dopo la mia iniziazione, ha iniziato insieme agli altri capi ad addestrarmi e ad istruirmi con regole severe e ordini indiscutibili.

Mi è stato insegnato ad essere crudele, a vedere solo ciò che mi faceva comodo vedere e a plagiare la verità a mio favore. Mi è stato imposto di far eseguire la legge senza accomodazioni o favoreggiamenti di alcun tipo, di farmi temere prima ancora di farmi rispettare e di prendere con la forza qualunque cosa mi servisse.

Ed è questo che Max ha fatto: si è preso il mio posto e si ci è accomodato sopra, senza alcuna intenzione di andarsene.

Ha strisciato dietro Jeanine, l’ha accontenta e assecondata in ogni sua follia. Ha messo i suoi uomini al servizio di una donna senza scrupoli, mandandoli a farsi ammazzare nel primo assalto contro gli Esclusi, senza guardare in faccia nessuno.

Ethan, l’uomo che aveva l’ordine di reclutare Aria fra i partecipanti per la missione, era proprio un suo soldato di fiducia.

Non gli è importato che Jeanine gli chiedesse di mandare allo sbaraglio una ragazzina innocente che aveva appena finito l’iniziazione, per cui di nessuno aiuto. Era solo per punire me.

Assottiglio lo sguardo e serro i pugni, probabilmente l’idea di colpirmi direttamente lo ha fatto impazzire di soddisfazione.

Ormai il nostro capo indiscusso è uguale in tutto e per tutto a Jeanine, pensano allo stesso modo e con la stessa spietata freddezza. Conta solo il loro obbiettivo, vogliono il dominio sulla città e l’eliminazione totale dei Divergenti e di chiunque gli metta i bastoni fra le ruote.

Un tempo ero anch’io così, anche più spietato di Max e persino più perverso di Jeanine. La loro cattiveria non è niente se paragonata al mostro terribile che ero. La loro non è neanche pura cattiveria, non agiscono direttamente per fare del male, ma unicamente per il loro interesse. Si sporcano le mani se è necessario, non hanno scrupoli certo, ma non scelgono deliberatamente di provocare dolore.

Io sì. Un tempo traevo piacere dalla sofferenza degli altri e mi crogiolavo all’ombra del mio potere, lo stesso che mi permetteva di esercitare il controllo su tutto e mi dava il diritto di agire come preferivo.

Quella parte di me esiste ancora, sono ancora sadico e i miei nemici, prima di essere eliminati, subiscono la mia ira. Ma adesso le mie priorità sono cambiate.

Adesso c’è Aria e so quanto benessere può darmi la sua compagnia, tanto abbastanza da mettere tutto il resto il secondo piano. Voglio il potere per essere libero insieme e a lei, e voglio farla pagare ad ogni nostro nemico.

Non mi importa delle leggi, voglio solo che la mia fazione sia forte e rispettata. Per quel che mi riguarda, ho solo intenzione di spassarmela con Aria per tutto il resto della mia vita.

Tuttavia non posso dimenticare, non del tutto almeno, gli Intrepidi.

La metà di loro ci odia e, la metà che gestiamo, o muore in guerra o scalpita di rabbia per questa situazione assurda. Voglio riunirli, li rivoglio insieme, uniti e stabili sotto la mia guida per poter ristabilire l’ordine in città.

I miei uomini saranno o con me, o contro di me.

Se non ho una città tranquilla e un esercito ai miei ordini, come potrei avere il potere e cosa potrei mai farmene?

Se Max vuole giocare ad essere il tirapiedi di Jeanine, e ad andarsene in giro gonfiando il petto solo perché adesso si crede l’uomo più potente di tutti, che faccia pure!

So che adesso sono in svantaggio, che sono stato omesso da buona parte dei segreti e che non verrò più tenuto in considerazione come prima. Ma so anche che la nostra unità si sta sfaldando e che è destinata a cadere a pezzi, perciò non mi resta altro che essere in una buona posizione quando avverrà la rottura.

Se Jeanine e Max continueranno a commettere errori e ad agire impunemente, tenendo tutti all’oscuro della verità ma pretendendo obbedienza, la situazione gli si rivolterà contro e si elimineranno dai giochi con le loro stesse mani.

A quel punto io potrei riprendere le redini e tirare i fili, potrei prendere il controllo della città con la forza molto meglio di come ha fatto Jeanine fino adesso.

Guardo Finn, non troppo distante da me, e sollevo un sopracciglio mentre osservo la smorfia furiosa che fa mentre vede Jaenine che sussurra qualcosa all’orecchio di Max. Non avrei mai pensato di potermi alleare con lui ma, al momento, la pensiamo allo stesso modo e l’odio che coviamo verso quella donna e verso quello che credevamo essere il nostro capo, ci porteranno entrambi allo stesso punto.

Oltre ad avere bisogno di lui, so per certo che non mi lascerà mai il comando, perciò non posso fare altro che prepararmi ad un’ assurda quanto falsa alleanza.

-Il siero è pronto. Possiamo andare dai Canditi e attaccare gli Intrepidi trasgressori!- Dichiara Max, mentre Jaenine fa un sorriso.

Serro i pugno e assottiglio lo sguardo, senza parlare.

-Gli ordini sono molto semplici, non andrete lì per ucciderli, ma per iniettargli il siero.- Aggiunge l’Erudita.

Prendo un profondo respiro. -Come faremo a non farci ammazzare?-

-Ho pensato anche a questo, ovviamente.- Aggiunge lei. -Il nuovo siero di simulazione ha un’azione soporifera. Per cui, tutti quelli colpiti, cadranno a terra addormentati.-

-Anche i Divergenti?-

-No.- Risponde, senza guardarmi. -Questo siero non è per i Divergenti. Loro rimarranno svegli, cosicché potrete individuarli e catturarli.-

Finn corruga la fronte.

-Perciò questa non è altro che un’altra delle tue caccie ai Divergenti per i tuoi test?- Ringhio.

La rabbia sta facendo il suo solito lavoro dentro di me, ovvero aggredirmi per farmi perdere il controllo.

Ci era stata promessa una resa dei conti, dovevamo andare a fermare i trasgressori e invece non faremo altro che perdere altro tempo con i Divergenti. Non capisco come possa essere sufficiente addormentare l’altra metà degli Intrepidi, senza fermare la loro rappresaglia.

-Pensavo che avremmo sistemato la situazione con i disertori.- Interviene Finn, dando voce ai miei pensieri.

La sua compostezza da manuale fa rimanere per un attimo Jeanine senza parole, ma l’istante dopo ha già tirato fuori il suo odioso sorrisino.

-Non siamo in grado di sostenere una guerra fra Intrepidi, ci sarebbero troppi morti e non otterremo nulla.-

-Quindi che facciamo?- Chiedo, aggressivo.

Jeanine mi inchioda con uno sguardo furente. -Abbiamo progettato delle armi speciali che non sparano proiettili, ma aghi con una dose di siero.-

-Perché tutto questo?-

-Perché ti ho già detto che non potete uccidere tutti! Ci servono soggetti validi per ricostituire una città senza Divergenti. Il siero avrà un effetto a lungo tempo, e contiene un trasmettitore che ci permetterà di fare partire nuove simulazioni quando vorremo!-

Inarco le sopracciglio e, per un solo istante, la terra sotto di me vacilla.

-E quando intendevate dirci di un siero di questo tipo?- Esclamo.

Max mi osserva e un ghigno gli solleva gli angoli della bocca. Jeanine, seduta dietro la sua scrivania, si risistema alcuni ciuffi di capelli sulla fronte e sfugge al mio sguardo.

Non avrei mai immaginato che perdere il mio posto mi avrebbe escluso da dettagli tanto importanti. Respiro profondamente e osservo Finn, lui è in silenzio e sembra privo di emozioni, ma so per certo che è furioso quanto me.

-Una volta entrato in circolo, il trasmettitore non può essere estratto senza causare danni nel soggetto ospite, e rimarrà pronto ad attivarsi al nostro comando.- Spiega Jeanine, con una certa soddisfazione.

In altre circostanze, o magari se fossi stato preventivamente avvisato, un’idea del genere mi avrebbe dato una profonda soddisfazione. L’idea di un’ arma tanto subdola ed efficace mi intrigherebbe e potrei gioire, pensando alle sventure che capiteranno ai miei ex compagni che ci hanno tradito. Penserei che se lo meritano.

Ma non doveva andare così.

Mi passo una mano tra i capelli e cerco di rimanere lucido. Sarah e Marcus, gli altri due capifazione, se ne stanno in un angolo e ci osservano senza dire nulla.

-Il piano è già pronto, tutto è stato programmato nei dettagli.- Dichiara Max. -Attaccheremo fra qualche giorno, giusto il tempo di collaudare i nuovi fucili e addestrare i soldati scelti.-

Incrocio le braccia al petto e scuoto la testa tra me e me, nulla in quello che ho sentito mi convince.

Ho acconsentito quando è stato stabilito che la nostra fazione avrebbe agito contro gli Abneganti sotto simulazione, ma la situazione non mi sembra esattamente la stessa. Quella era un’ emergenza, e non mi importava dei rischi.

Se il nostro obbiettivo è ancora quello di ristabilire una società libera dai Divergenti e sotto il comando degli Eruditi,  un’altra simulazione non può esserci di grande aiuto. Servirà solo a scaldare ancora di più gli animi in città, e aumenterà la spaccatura all’interno degli Intrepidi.

Voglio il controllo, non il caos. Il potere, non l’anarchia.

-Stai progettando un’altra simulazione?- chiedo, con lo sguardo fisso su Jeanine.

Lei mi osserva per alcuni secondi, per poi incrociare le dita sotto al mento. -Non sei d’accordo con il nostro piano?-

Resisto all’impulso di urlarle contro, quando capisco di essere stato messo con le spalle al muro. Max mi osserva in cagnesco, appare disgustato e credo che sia pronto a saltarmi addosso alla prima parola che dirò.

Non ho certo paura di lui, solo che questa situazione mi sta togliendo l’aria dai polmoni. Ho sempre gestito io gli accordi con Jeanine ed ero sempre io il primo a cui chiedeva consiglio. Adesso, se solo mi azzardassi a parlare, mi taglierebbero fuori del tutto e non sono nelle condizione di potermi permettere un azzardo simile.

Sono finito in trappola.

-Perché preparare un’altra simulazione? Pensi che non ci obbediranno e che avremmo bisogno di costringerli, sottomettendoli al nostro volere con un computer?- Dico.

Jeanine solleva il mento e i suoi occhi mi inceneriscono. -Pensi che voglia mettere tutti sotto simulazione perenne e farli vivere come degli automi per il resto delle loro vite? È questo che stai insinuando?-

Covo il ringhio che mi sta salendo dal petto senza darvi voce e mi massaggio l’attaccatura del naso con le dita.

-Ci interessa quello che ha da dire il ragazzino?- Interviene Max, rivolto a Jeanine. -Abbiamo già deciso tutto, sappiamo quello che facciamo e non dobbiamo condividere con lui i dettagli!-

Finn fa scattare la testa verso di me e sembra allarmato quasi quanto me. Ha capito che non solo sono stato tagliato fuori dai giochi, ma che ho perso ogni tipo di importanza.

Il ragazzino?  

Stringo i pugni con tale forza che sento le dita informicolarsi, contraggo la mandibola e i miei denti scricchiolano dolorosamente. Sono anni che nessuno mi chiama più ragazzino, sono stato nominato capofazione a diciassette anni e nessuno ha mai osato rivolgersi a me con quell’appellativo.

Era questo che rischiavo quando ho iniziato a frequentare Aria, sapevo che se avessi perso la considerazione di Max sarei stato finito per sempre. Ormai è tardi per tornare indietro, ma non avrei mai dovuto deconcentrarmi dal mio obbiettivo e permettere a Jeanine di mettermi da parte.

Finn continua a fissarmi, incrocio lo sguardo con il suo e per la prima volta nessuno di noi due sempre vittorioso o spavaldo. Lui mi odia e mi detesta da sempre, dovrebbe gioire delle mie sventure, ed invece non lo fa.

Come me, sa che attriti e altre perdite di tempo non ci aiuteranno. Il vero problema è che siamo guidati da una donna folle e che il nostro capo ha perso la testa e le obbedisce senza il minimo segno d’orgoglio.

Abbiamo accettato di sbarazzarci dei Divergenti perché ci siamo convinti che fossero pericolosi, trovandoci tutti d’accordo. Abbiamo fatto scendere in campo i nostri compagni sotto simulazione, pronti a rovesciare il governo degli Abneganti, ma adesso è tutto diverso.

Stanno preparando per un’altra simulazione ma non ci viene detto nulla e, per di più, dovremmo andare ad attaccare i nostri compagni solo per iniettargli un siero e catturare nuovi Divergenti.

Non mi importa della sorte dei trasgressori, che marciscano pure insieme ai Candidi.

Quello che voglio e riprendermi la mia città e il mio posto di comando, voglio riprendermi la mia fazione e tornare a casa. E, la donna che avrebbe dovuto garantirci pace e potere, sta mandando tutto all’aria.

Se continuerà con le sue idee, non avremo mai il controllo del consiglio.

La paura è un’arma potente per raggiungere i propri obbiettivi ma, se la paura diventa un odio ceco e profondo, sarà impossibile governare senza essere uccisi.

Se dovessimo commettere troppi errori e se i nostri nemici dovessero vincere, saremo tutti morti.

-Dovrà partire un alto numero di soldati, dato che dall’altra parte ci sono molti Intrepidi armati.- Dichiara Finn.

Non lo guardo neanche, la rabbia mi ha anestetizzato completamente e penso che potrei danneggiarmi se solo muovessi un muscolo.

-La protezione del quartier generale viene prima di tutto.- Afferma Jeanine.

-La vita dei nostri uomini viene ancora prima dato che, senza di loro, abbiamo già perso!-

La precisazione di Finn scatena il fastidio di Max, che increspa le labbra e mi osserva con il mento sollevato.

-Guiderai tu l’attacco, Eric.- Mi dice. -Non vedevi l’ora di scendere in campo e, in questo modo, potrai rimediare ai tuoi errori e consegnarci Quattro e Tris.-

Ho perso la capacità di rispondergli, ho gli occhi spalancati e i muscoli tesi. Sollevo lo sguardo su di lui, sono folle di rabbia e gli lancio un’occhiata talmente cupa che spererei di vederlo incenerirsi sul posto.

Non vedevo l’ora di avere il permesso per agire, ma hanno rovinato tutto.

-Hai la tua occasione per vendicarti. Cerca solo di non farteli scappare ancora e di non farti sparare di nuovo ad un piede da una ragazzina!- Max si concede una risata rauca.

-Avrebbe potuto sparare in testa a te, dato che eri li vicino.- Ringhio tra i denti. -Dovresti ringraziarmi!- 

-Che hai detto?-

-Dateci un taglio!- Sbraita Finn, più forte di Max.

Jeanine non mi ha ancora tolto gli occhi di dosso. Il suo sorriso è sparito ma il suo sguardo è carico di determinazione.

-Non temere, verrò anch’io con te e ti coprirò le spalle.- Continua Max, tornando a canzonarmi. -Ci sarà bisogno di qualcuno valido che sappia cosa fare, perciò non ti farò partire da solo. Tu potrai guidare i tuoi soldati nella prima linea.-

Prima linea? Gli servo solo per il fuoco di copertura e per aprirgli la strada?

Un gelido brivido mi scuote.

-Benissimo, allora i miei uomini saranno armati. E parlo di armi vere!- Pretendo.

-Non se ne parla, ho già detto che non ucciderete nessuno!- Dice Jeanine, sempre con gli occhi fissi su di me.

-Non sacrificherò altri uomini!-

-Ha ragione.- Interviene Finn, sicuro di sé. -Non possono andare lì senza armi. Gli serviranno per difendersi in caso di bisogno.-

-Ho progettato un siero che addormenterà tutti sul colpo. Hai paura che vengano attaccati da qualche Divergente?-

-Ho detto che i miei uomini saranno armati!- ripeto, furente, lanciando un’occhiata a Jeanine.

-Farai quello che ti diremo!- urla Max.

Spalanco gli occhi e contraggo i pugni. Sto quasi per avventarmi su di lui, quando Sarah interviene.

-Se andranno disarmati sarà come mandarli al macello!-

-Non possiamo perdere altri uomini. Gli Intrepidi trasgressori sono troppi e non sappiamo cosa faranno i Candidi!- Precisa Finn, alzando la voce.

-Va bene allora, i soldati saranno armati, ma useranno le armi vere solo in caso di estrema necessità!- Concede Jeanine, prima di guardarmi. -Contento, Eric? Ma cerca di non commettere altri errori in missione, perché ne hai fatti già abbastanza.-

Dovrei reagire alla sua affermazione ma mi limito a impallidire, incapace di fare a meno di ripensare alle parole di Sarah. Ma penso solo ad una cosa.

Jeanine ha deciso di mandarmi in missione ma non voleva darmi la possibilità di aprire il fuoco sui nostri nemici. Tuttavia, quella che lei e Max stanno organizzando, sembra più che altro una missione suicida.

Ed io adesso non gli servo più.

Poco tempo fa, parlando con Jason e Nick quando siamo andati a spiare i Candidi, avevo manifestato loro i miei dubbi. Nemmeno in quel momento mi era sembrata strana l’idea che Jeanine progettasse di mandarci tutti a farci massacrare.

In realtà non avrò l’occasione di vendicarmi di Quattro e di prenderlo, finalmente.

Adesso capisco perché, da quando sono entrato in questo studio, la voce della mia coscienza non fa che urlarmi che morirò.

Probabilmente non si sbaglia.

Ho agito imprudentemente, concedendomi debolezze e lussi che invece avrei dovuto negarmi.

Avrei dovuto stare più attendo, perché solo adesso percepisco il peso degli errori che ho commesso.

 

-Come diamine ci riesce?-

Nick è radunato con Jason e Camille attorno ad una postazione di tiro, comprendo la persona che spara.

Sono sceso al poligono perché sento la necessità di rilassare i nervi e perché, in verità, avevo proprio bisogno di loro. Dovrei dire ai due ragazzi della missione e dei piani di Jeanine ai miei danni, ma non lo ritengo il momento adatto.

A volere essere onesto con me stesso, vorrei che quel momento non arrivasse mai, perché non sono pronto ad ammettere a voce alta di essere stato sconfitto.

Le cose da discutere sono poche e non ci sono punti da sistemare, ma solo la cruda realtà dei fatti da essere esposta. La paura non mi sfiora neanche, non temo quel gruppo di smidollati della mia fazione che si sono rifugiati dai Candidi, tanto meno la morte.

Camille scuote la testa e si sposta di un passo, permettendomi di vedere la massa di capelli scuri della ragazza che sta sparando.

Le mie labbra si sollevano in un accenno di sorriso quando i miei occhi indugiano più del dovuto sulla schiena di Aria.

È stata lei, con le sue debolezze e con i suoi sguardi determinati, a riaccendermi.

Mi ha dato un valido motivo per cui lottare, e ha tirato fuori i mostri dal mio armadio, affrontandoli meglio di come avrei fatto io.

Conosce bene il nero assoluto che mi avvolge, quel colore talmente oscuro da resistere ad ogni fonte di luce. Ed io conosco la debilitante sensazione di essere perso e sopraffatto dai miei tormenti, e so con precisione cosa si prova a vivere senza sapere cosa riserva il domani.

Ho odiato con tutto me stesso ogni forma di debolezza, ripugnando la mia parte più umana e fragile nelle profondità di una cella buia, nell’angolo maledetto della mia mente. 

Tutto è filato liscio, e non ho mai sentito la mancanza di altri tipi di appagamento personale, fino a quando non è arrivato un profumo di succo di fragola e un aroma delicato a pizzicarmi le narici.

Detesto dover ammettere che Aria ha scavato dentro di me, si è presa le chiavi della mia cella e ha liberato una parte di me che non conoscevo, ma che avevo ingabbiato per precauzione.

In questo momento posso affermare con certezza che avevo fatto la mossa giusta, liberandomi di ogni mio limite e scegliendo di proseguire senza indulgi lungo la mia strada, ma posso anche ammettere di non essere in grado di provare rimpianti.

Avrei dovuto allontanarla da me e impedirle di farmi del male, ma i modi con cui è riuscita ad appagarmi erano troppo allentanti e non ho saputo rinunciarvi.

Probabilmente quel sentimento che ho imparato a provare verso di lei mi porterà alla mia rovina, ma non cancellerai quello che mi ha dato, nemmeno se ne valesse della mia stessa vita.

Lei è mia. Non rinuncio a ciò che ho conquistato.

E non perderò.

Assottiglio lo sguardo e avanzo di un passo, sono stanco di pensare negativo. Non dirò ancora nulla a Jason perché non c’è nulla di cui allarmarsi, e non mi scaverò la fossa in anticipo, perché non verrò certo abbattuto in una stupida missione contro i trasgressori. Smettere di lottare non è una caratteristica che mi appartiene e, dopo tutto, non potrei mai andarmene e lasciare Aria da sola e priva di protezione.

Sistemerò tutto come ho sempre fatto e mi riprenderò il rispetto di tutti i capifazione.

È Jeanine ad avere le ore contate, non certo io. Ed io, a differenza sua, ho qualcuno da cui fare ritorno e per cui so che tornerò.

-Non può essere così precisa, non ha abbastanza pratica alle spalle!- Afferma Nick, indignato.

Allungo il collo e mi accorgo che, oltre i tre che si sono radunati attorno ad Aria, il bersaglio che ha di fronte è trivellato di colpi tutti andati a segno sulla fronte del fantoccio.

Sogghigno.

-Ti ha insegnato Eric a sparare?- Indaga Jason, scrupoloso e con lo sguardo assottigliato.

Aria si stringe nelle spalle.

-Sei brava anche con i coltelli?- Le chiede Camille.

-Non molto!- Le risponde, con una smorfia.

Ricordo perfettamente la prima volta di Aria e degli altri iniziati davanti ad un bersaglio e con dei coltelli in mano. Quattro aveva spiegato loro la tecnica, ma in pochi erano riusciti a metterla in pratica, ed Aria non era fra questi. Aveva una mira pessima e, le poche volte in cui riusciva a non fare finire i coltelli per terra, riusciva per miracolo a colpire la parte bassa del bersaglio.

Era stata risparmiata alla mia furia solo perché avevo trovato un iniziato più incapace, altrimenti avrei fatto mettere lei davanti ad un bersaglio.

Magari Aria avrebbe avuto il coraggio di restarci senza battere ciglio nemmeno per sbaglio.

In quel periodo non le rivolgevo la parola, dato che mi ero imposto di starle alla larga dopo averla costretta a baciarmi, irrompendo al poligono mentre si esercitava.

Ero già una sua vittima, lo sapevo, ma avevo ancora in corpo quel tanto di lucidità che mi suggeriva di tenere giù le mani da un’ iniziata. Sapevo che sarebbe stato controproducente e ho provato a mettermi un divieto, che ho infranto quando l’ho vista cadere dal sentiero che saliva verso la guglia.

-E come te la cavi con i combattimenti?- Riprova la bionda.

Aria si illumina in un sorriso malizioso. -Già meglio!-

Sogghigno, non molte ragazze trasfazione potrebbero vantarsi di aver battuto quasi tutti i ragazzi contro cui hanno dovuto combattere. Forse nemmeno Camille c’è riuscita.

-Ma davvero? Perché non combatti contro di me, così vediamo cosa sa fare una principiante!- La provoca Nick, avvicinandola.

Aria si imbroncia e gli riserva un cipiglio critico.  

-Non avere paura, ci andrò piano con te!-

-Ha una ferita alla spalla, quindi non può combattere.- Lo ammonisce Jason.

Nick sbuffa e scuote la testa, ma poi inizia a sghignazzare. -Tu e il tuo caro Eric siete così in simbiosi che vi siete entrambi fatti colpire dalla Rigida? Tu alla spalla e lui al piede. Non ti sarai lasciata piantare un coltello per solidarietà verso di lui?-

Aria si acciglia e lo guarda storto, come Jason.

Camille gli da un colpetto sulla spalla. -Ma quanto sei idiota?-

Mi schiarisco la voce con un colpo di tosse. -Perché non combatti contro di me?-

E, quando si girano tutti all’unisono, mi ritrovo con quattro paia di occhi sbarrati puntati contro.

Accortasi finalmente della mia presenza, Aria si sposta per riuscire ad incontrare il mio sguardo oltre la spalla di Camille.

Quando mi sorride i suoi occhi si accendono.

Jason osserva Nick e fatica a trattenere una risata, mentre gli batte due colpi di incoraggiamento sulla spalla. Camille, in silenzio, scuote la testa davanti all’espressione attonita di Nick.

-Buon divertimento, amico!- Gli dice Jason, battendogli un’ ultimo colpo sulla schiena.

-Sai Eric, non dicevo mica sul serio!- Prova a giustificarsi Nick, grattandosi la testa e scompigliandosi i capelli neri.

Aria lo guarda e mostra un sorrisino bastardo e crudele.

Io avanzo, imperterrito, deciso e a spalle aperte. Nick si meriterebbe proprio qualche mio pugno, dato che non ha ancora pagato per i suoi commenti indecenti su Aria, quando l’avevamo vista fuori dallo studio del tatuatore.

Ora che ci penso, se non avesse scatenato la mia gelosia con i suoi apprezzamenti, non sarei mai andato da lei a pretendere le sue labbra al poligono. Sono state proprio le sue parole ad accrescere il desiderio che covavo verso quell’iniziata.

La verità è che non voglio fargli del male, ma ho davvero bisogno di sfogarmi e quell’idiota ha bisogno di ricordarsi chi è veramente il suo capo. Gli farà bene finire con il culo per terra e, soprattutto, a me farà bene sfogarmi per calmare i nervi.

Non combatto contro qualcuno da molto tempo, mi sono tenuto in allenamento in palestra e con qualche scontro amichevole con lui e Jason quando eravamo ancora nella nostra residenza, perciò sento davvero il desiderio di fare un po’ di movimento.

Se è ai danni del mio amico con poco cervello, meglio ancora.

Arrivo davanti a lui e lo afferro per il colletto della maglietta, lo trascino verso la palestra e gli assesto un caccio agli stinchi, mentre cammina.

-Dovevi pensarci prima!-

Camille scoppia a ridere. -Trattalo bene! Ci serve in forze!-

-Perché mi dai già per spacciato?- Si lamenta Nick, verso Camille, liberandosi dalla mia presa.

Arrivo alla zona con gli attrezzi ginnici e il ring e accendo la luce. Gli altri mi raggiungono e si sistemano in un angolo, ma li avvicino per affidare la mia giacca ad Aria, quando me la tolgo.

Si stringe nelle spalle e mi mostra il suo sorrisino furbo, così le riservo un ghigno soddisfatto, mentre le accarezzo una guancia. È sempre così bella che potrei perdermi a guardarla, soprattutto quando la vedo stringersi la mia giacca al petto, incrociando le braccia su cui l’ha adagiata.

Mi allontano e salto sul piccolo ring, dove Nick mi sta già aspettando.

-Sono nato fra gli Intrepidi, perciò ho più esperienza di te.- Mi stuzzica. -Magari sta volta ti batto sul serio!-

Affilo lo sguardo e mi metto in posizione. -Credici!-

Parte all’attacco ed io mi sposto, deviando il suo pugno. Quando torna verso di me gli afferro il polso e glielo rigiro nella mia presa, rifilandogli un mal rovescio al volto. Lui si libera e mi colpisce con un calcio al fianco, ma non ha il tempo di rimettere il piede a terra che lo colpisco a mia volta allo stomaco.

Sento i miei muscoli che gioiscono per l’attività a cui li sto finalmente sottoponendo e andiamo avanti a prenderci a pugni e calci per un po’, bloccandoci alcuni colpi a vicenda. Ci stiamo solo esercitando, nessuno dei due fa sul serio.

In uno scatto di forza afferro Nick dal collo e lo sbatto a terra, ma lui mi colpisce alla mascella con un pugno mirato. Mi rialzo e mi passo il dorso della mano sul punto ferito, asciugandomi un rivolo di sangue uscito dal piccolo taglio che mi si è aperto sul labbro inferiore.

Osservo la striscia di sangue sul mio dorso e sogghigno. -Vuoi fare sul serio?-

Scatto in avanti ancora prima che Nick mi veda e lo colpisco con forza all’addorme, lo sollevo da terra afferrandolo dai fianchi e lo risbatto a terra, con più foga di prima.

Gli do un calcio allo stomaco e lo faccio rotolare via.

-Sparisci!- Gli intimo, mentre lui scivola giù dal ring.

Jason ride quando vede Nick zoppicare. -Non ti sarai mica fatto battere per l’ennesima volta da Eric?-

-Simpatico!- Gli abbaia contro. -Con te se la gioca, ma io faccio quello che posso!-

Camille gli si avvicina e gli poggia le mani sulle spalle. -Andrà meglio la prossima volta. Prova a dargli un calcio nelle palle!-

Scuoto la testa e guardo storto Jason, dato che mi ricordo ancora piuttosto bene del calcio che la sua adorabile ragazza mi ha dato in mezzo alla gambe, nel tentativo di battermi durante il nostro scontro all’iniziazione. Ovviamente non le è servito a molto.

Lei e Nick escono e Jason li segue, ma io sono ancora in piedi sul ring a riprendere fiato, quando mi accorgo di due grandi occhi scuri che mi fissano con insistenza.

Aria ha una strana espressione sul viso, sembra assorta nei suoi pensieri mentre mi osserva. Il suo sguardo è così caldo che risveglia il mio desiderio, peccato che l’istante dopo mi piombi addosso la malinconia.

Lei è così fragile, non ha abbastanza muscoli e la sua tenacia non le sarà d’aiuto contro i veri Intrepidi. Se mi succedesse qualcosa, nessuno mi garantisce che la lasceranno in pace. Potrebbero attaccarla e non posso contare solo su Jason per proteggerla.

Scuoto la testa e sospiro, ripetendomi che devo smetterla di pensare alla mia morte perché tanto non avverrà.

Sono più forte.

-Vieni qui!- Le dico piano.

Lei solleva le sopracciglia e sembra dubbiosa.

-Forza, sali e vieni qui!- Insisto.

Appoggia la mia giacca su una panca e avanza lentamente verso il ring, su cui sale sopra aiutandosi con le mani.

Stanco di aspettare, l’afferro da un polso e l’attiro a me, sfilandole la sua giacca dalle spalle e lanciandola via.

-Questa non ti servirà.-

-Che vuoi fare? Ti ricordo che ho una spalla ferita!- Si ritrae leggermente.

Sento il dubbio nella sua voce ma non me ne preoccupo, l’afferro e la costringo con la schiena contro il mio petto, stringendola forte con le braccia e togliendole ogni possibilità di muoversi.

Lei trattiene il fiato ed io sogghigno.

Avvicino la bocca al suo orecchio e trattengo un ringhio minaccioso. -Vediamo se riesci a liberarti!-

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

Capitolo un po’ lungo, ma con molti dettagli. Cosa ne pensate? Vi è piaciuto?

Se vi va fatemi sapere la vostra opinione con qualche commento!

 

Come sempre grazie a tutti i lettori.

Baci, a presto!

 

 

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Capitolo 27
*** Tanto da morire ***


27. Tanto da morire

 

 

 

 

 

 

 

Le nostre braccia si strofinano e la pelle calda di Eric mi incendia, soprattutto dopo che il suo respiro bollente mi ha graffiato l’orecchio. Sono completamente immobile fra le sue braccia, non riesco a vederlo perché gli do le spalle, ma mi sforzo di allungare il collo nel tentativo di incontrare il suo sguardo.

-Mi dici che intenzioni hai?-

Lui è freddo e impassibile, mi osserva seriamente e solidifica la stretta su di me.

Sussulto, mi manca il fiato ed ogni mio tentativo di ribellione è ostacolato dalla forza dei suoi muscoli che mi stritolano. Serro le labbra e provo ad esercitare maggiore resistenza per liberarmi, ma i miei tentativi sono del tutto inutili.

-Non riuscirò mai a batterti, Eric. Perché non mi lasci e basta?- Brontolo.

Tra le tante cose che potrei fare con Eric, farmi battere in un combattimento in cui non ho nessuna possibilità di riuscita, non rientra affatto.

-Non riuscirò a liberarmi!-

-Stai zitta e rifletti!-

Sussulto contro il suo petto per il suo ordine.

Brividi freddi mi corrono lungo la schiena e il mio istinto di sopravvivenza mi urla di scappare. Sono in presenza del capofazione spietato, il tono che ha usato è lo stesso che ha quando gestisce i suoi soldati. La sua freddezza mi stringe il cuore in una morsa e la mani mi tremano, quando le stringo attorno agli avambracci tatuati di Eric.

-So benissimo di essere più forte, ma è ora che tu impari a combattere coma una vera Intrepida!-

Accetto in silenzio il suo ammonimento, perché è di questo che si tratta. Lui conosce perfettamente ogni mio punto debole, e sa che il mio modo di combattere non è altro che un misto di rabbia e fortuna.

Tendo i muscoli e tento di allargare le braccia, ma i bicipiti inamovibili di Eric mi imprigionano saldamente.

-Ti facevo più furba.-

Scuoto la testa per la frustrazione. -Cosa dovrei fare?-

-Trova il mio punto debole oppure non riuscirai a liberarti!-

Assottiglio lo sguardo e spero che il mio unico talento, ovvero il mio radar capta punti deboli, si attivi e mi venga in soccorso.

Come ha precisato lui stesso, se punto sulla forza ho già perso in partenza. Potrei contare sulla velocità, magari i suoi muscoli lo rallentano e gli appesantiscono i movimenti. Ma, anche se avessi questo vantaggio, la sua forza rimane comunque troppa e non riuscirò mai ad aggirare il problema.

Forse Eric rientra nei tipi di avversari spavaldi e sicuri di sé e, spesso, la sicurezza può trasformarsi in una debolezza. Magari potrei attaccare per prima e coglierlo di sorpresa.

In un attimo le mie speranze si vanificano, quando considero che Eric non è il tipo di avversario che può essere mandato al tappeto con qualche trucchetto. Se anche riuscissi ad usare contro di lui la sua stessa spavalderia, riuscirebbe a resistere e mi massacrerebbe. È una furia e non sarò mai abbastanza furba, veloce o concentrata per riuscire a fargli anche solo un graffio.

-Non ci riesco!- sbotto.

Anche se non lo vedo, sono sicura che abbia fatto una smorfia di sufficienza per scacciare via la mia affermazione, senza darvi alcun peso.

-Dovrai riuscirci.- Mi dice. -Il tempo stringe.-

A conferma delle sue parole, le sue braccia si serrano maggiormente attorno al mio torace e mi bloccano in una morsa strangolatoria. Più passa il tempo più stringe, le costole mi fanno male e i polmoni iniziano a bruciare quando non ricevano l’apporto sufficiente di ossigeno.

Mi piego in avanti, sconfitta e dolorante.

Ed ecco che colgo la sua incertezza perché, quando emetto un gemito soffocato, Eric ha un brevissimo e quasi inesistente sussulto che lo costringe ad allentare di un soffio la presa.

Il suo punto debole…

Eric ne ha solo uno, e sono proprio io.

Sogghigno, cercando di respirare. Per quanto può fingersi impassibile, non è indifferente alla mia sofferenza. Inoltre, come ho costatato prima, Eric è estremamente sicuro di sé. Si considera già vincitore e sa per certo che cederò.

Perciò non devo fare altro che cedere.

Trattengo un respiro, fingo uno svenimento e mi abbandono in avanti, accasciandomi contro le sue braccia forti. Lui rimane stabile, ma dura solo un secondo, si china con me e mi toglie un braccio da attorno, sorreggendomi con uno solo. Quando sta per prendermi il viso con la mano libera, smetto di fingermi svenuta.

Sfrutto la sua distrazione per cercare di rifilargli una gomitata sotto al mento, ma lui mi blocca subito parandosi con la mano con cui voleva sorreggermi la testa.

Avevo immaginato che si sarebbe difeso facilmente, per cui non mi resta altro che giocare sporco e usare una tattica che già un’altra ragazza ha usato contro di lui. Sposto le gambe quel tanato che mi basta per mettere un piede fra le sue e sollevo rapida il tallone verso il suo inguine. Non colpisco molto forte, non serve e non voglio rischiare la pelle, ma riesco comunque a ferirlo tra le gambe e lo sento imprecare a mezza voce.

Una volta che mi sono liberata del tutto, ruoto rapidamente e mi ritrovo faccia a faccia con lui, mi guarda in cagnesco ma io sono rapida e gli sferro una ginocchiata all’addome.

Quando si china in avanti, lo spintono via con forza mettendogli entrambe le mani ai lati delle spalle. Eric barcolla all’indietro e, quando si ferma, si piega sulle ginocchia per riprendere fiato e scopre i denti in un ringhio sordo.

-La pagherai…- grugnisce.

Tenta di sollevarsi ma ci ripensa, batte un piede per terra e si copre con una mano i propri attributi.

Arrossisco e mi guardo disperatamente intorno. Il mio istinto di sopravvivenza si è riacceso e mi dice di scappare, almeno finché sono in tempo. L’instante dopo, la parte Erudita del mio cervello, mi ricorda che scappare servirebbe a poco. Non farei altro che aggravare la mia situazione, e comunque mi aspetterebbe a casa sul piede di guerra.

-Mi hai detto di trovare il tuo punto debole e…-

-Lo so cosa ti ho detto di fare!- abbaia tra i denti, sollevando appena gli occhi per incenerirmi.

La sua voce rauca mi fa tremare.

Respira a fondo, si passa entrambe le mani prima sul viso e poi fra i capelli e si risolleva. L’espressione del suo volto, calma e tranquilla, è quanto di più temibile al mondo. Mi si serra lo stomaco, è quando assume l’atteggiamento composto e freddo di un Erudito che Eric diventa terrificante.

Fa un passo vero di me, poi un altro, ed io sono talmente tanto spaventata che non riesco a fare altro che guardarlo negli occhi. Sono un topolino indifeso davanti al serpente affamato. Gli occhi di Eric lanciano saette e, la vittima, sono unicamente io.

Fulmineo come un tuono, mi afferra un polso in una mossa che non riesco neanche a vedere.

E per fortuna che la sua massa corporea avrebbe dovuto rallentarlo!

-Adesso ascolta.- Inizia, letale. -Dimostrami che vali o ti farai molto male.-

Deglutisco a forza e provo a liberarmi, senza riuscirci, ovviamente.

-Prova a colpirmi!-  Ordina.

Assottiglio lo sguardo e tento di dargli un pugno con la mano libera. Tuttavia, sapendo quanto abile sarebbe ad intercettarlo, provo una finta. Faccio partire il pugno verso il viso, ma il secondo dopo lo devio verso il suo stomaco.

Ingabbia il pugno nella sua mano, quella libera dato con l’altra mi tine ferma dal polso, parandolo con la stessa facilità con cui si verserebbe da bere in un bicchiere vuoto.

Fremo di irritazione.

Giusto per rendere la situazione ancora più umiliante, la sua stretta al mio polso rimane stabilissima e, oltre a ferirmi, mi impedisce quasi ogni movimento.

-A parte l’ estrema lentezza,- sottolinea. -A tradirti è stato il tuo sguardo.-

Mi lascia andare, ma sono confusa.

-Se fingi di colpirmi in faccia ma guardi in basso, hai già svelato la tua prossima mossa all’avversario.-

Rimango senza fiato per la sua spiegazione, ragione per cui non muovo un muscolo.

-Perciò!- mi dice, sollevandomi il viso con due dita. -Tieni alto lo sguardo!-

Il modo in cui mi fissa negli occhi mi incatena e mi priva di ogni capacità cognitiva. Spero sia per questo che, quando il suo pugno parte contro il mio stomaco, non riesco ad intercettarlo in nessun modo.

Serro gli occhi e mi chiudo in difesa, il suo colpo affonda dentro di me e mi ferisce, ma capisco benissimo che non ha usato tutta la sua forza. Se lo avesse fatto, starei boccheggiando dal dolore.

Tuttavia, che lui ne sia cosciente o meno, mi ha fatto male. Mi mordo il labbro e mi copro il punto della pancia colpito con entrambe le mani.

-Non essere ridicola, non ti ho neanche toccato!- Grugnisce.

Lo guardo storto.

Serra la mascella, piega il collo da un lato e poi dall’altro e mi afferra dai fianchi per sollevarmi, in un attimo. Quando, dopo avermi capovolta, mi stende a terra facendomi urtare malamente la schiena, l’impatto mi lascia davvero senza fiato. Impreco e mi dimeno con tutta la forza che posso, colpisco a vuoto sperando di centrarlo e non smetto di lamentarmi.

Senza preoccuparsi delle mie reazioni, Eric mi immobilizza i polsi ai lati della testa. Quando riapro gli occhi mi manca ancora il fiato, ma non certo per il dolore. Eric è cavalcioni su di me, anche se in realtà non mi si è seduto addosso ma rimane sollevato sulle sue ginocchia, che sono ognuna ai lati dei miei fianchi.

Il suo viso è ha un soffio dal mio.

-Liberati!-

Poiché il dolore del suo pugno si è unito a quello della botta in testa che ho preso quando mi ha stesa, non sono in vena di essere combattiva.

Mostro un sorrisino di apprezzamento. -Sei sexy con il labbro gonfio!-

Si passa la lingua sul taglio che il pugno di Nick gli ha procurato e nasconde un ghigno.

Sento un tuffo allo stomaco. -Perché non lasciamo perdere questo stupido gioco e passiamo ad altro?-

-Ti sembra che io stia scherzando?- ringhia.

A rafforzamento delle sue parole, la presa sui miei polsi si serra strappandomi un lamento.

No, non sta affatto scherzando.

-Sei troppo forte per me, non posso assolutamente muovermi!- mi lamento, scuotendo la testa.

Eric avvicina ancora il suo viso al mio, solidificando la presa anche attorno alla mie gambe per immobilizzarmi del tutto.

-Stammi a sentire.- Dice, e riconosco subito la sua voce. -Calmati e rifletti.-

Ha smesso di essere il capofazione cattivo, tornando ad essere il mio Eric. Ovviamente, sperare in qualcosa di dolce è fuori luogo, di fatti non mi stupisco della sua espressione furibonda.

-Ti basta una sola mano per stordire un avversario, anche se si tratta di un colosso molto più forte di te!-

Rimango a guardarlo senza parlare.

-Io posso insegnarti una mossa molto efficace.- Propone, schietto. -Ma prima devi riuscire a liberare almeno una mano!-

Alzo gli occhi al cielo e batto i talloni sul ring, per la frustrazione. -Non puoi suggerirmi qualcosa, maestro?-

Un sorrisetto furbo gli attraversa le labbra, anche quando scuote la testa.

-Eric, io…-

-Puoi farcela. Smettila di indugiare, non stiamo giocando!-

-Me ne sono accorta!- sbuffo.

Respiro lentamente e osservo il suo corpo che mi blocca.

-Sbaglio, e sei più brava con i calci che con i pugni?- Mi chiede, con un sopracciglio sollevato e lo stesso sguardo furbo di prima.

-Credo di sì.-

-E allora, dato che hai più forza nelle gambe che nella braccia, punta su quello!-

Eric può fare il saputello quando vuole, ma non credo abbia idea di cosa voglia dire essere in netto svantaggio fisico.

Però sono stanca di questa situazione. Sfrutto la mia rabbia e spingo la testa in avanti, nella speranza di dargli una testata ben assestata. Lui si sposta, rapido, ma il mio vero obbiettivo non era la sua fronte. Colgo l’occasione e libero una gamba, sollevando di scatto il ginocchio.

Anche sta volta non riesco a colpirlo come vorrei, ma il diversivo è stato sufficiente per il mio scopo. Giro di scatto la testa e gli mordo una mano, costringendolo a liberarmi un polso.

Sento il suo ringhio di dolore e, prima che possa colpirmi, sventolo la mano libera in aria in segno di vittoria.

Per chissà quale ragione, ho ancora la sensazione che Eric non stia davvero usando tutta la sua forza contro di me. Ovviamente non mi lamento.

-Bene!- Bofonchia.

Studia i segni dei miei denti sul dorso della sua mano e si acciglia.

-Tu mi hai detto che…-

-Lo so!- Urla. -Quello che ti ho detto!-

Arriccio le labbra in un sorriso malizioso. -Nervosetto?-

Lascio vagare il mio sguardo sulla sua figura possente ed eccitante, ancora a cavalcioni su di me. Sta volta si è seduto poco sotto la mia pancia, d’altro canto è abituato a questa posizione di dominio su di me. Sorrido ancora, mordicchiandomi il labbro quando i suoi occhi infuocati si posano su di me, senza nascondere il risentimento che prova.

Ma non è solo offeso, è anche orgoglioso.

-Dato che sei riuscita a liberare una mano…- Afferma con un ghignetto divertito. -Ti insegnerò un piccolo trucchetto per tramortire un avversario con una mano sola!-

Sembra perfettamente a suo aggio, e so benissimo che lo è. Seduto su di me, mi tiene immobile e totalmente in sua balia, mentre mi insegna a combattere e si gode i miei fallimenti contro di lui tanto quanto i miei successi.

Senza darmi spiegazioni, si allunga su di mi e stende il mio braccio libero contro il pavimento del ring. Le sue dita abili scorrono con precisione sul tratto di pelle pallida dell’interno del mio braccio, tra l’interno del gomito e la spalla. Il suo dito disegna le linee delle mie vene e si ferma in un punto preciso, esercitando una leggera pressione.

Avverto uno strano fastidio.

-Cosa c’è qui?- Chiede, senza guardarmi.

I suoi occhi sono fissi sulle ombre bluastre delle mie vene che si intravedono dalla pelle più candida. Inarco le sopracciglia e lo osservo, stupita. Mi sembra di essere tornata fra gli Eruditi, a scuola per la precisione.

Sorrido. -Me lo stai chiedendo da Intrepido o da Erudito?-

Lui incrocia il mio sguardo ma rimane in silenzio.

Ho la sensazione che non ci si liberi mai del proprio lato Erudito, ma tengo per me la considerazione. La curiosità e la voglia di prevelare sugli altri, esibendo le proprie conoscenze, sono caratteristiche personali che non possono semplicemente essere apprese.

Eric rimane in ostinato silenzio ed io prendo fiato per rispondere. -L’arteria brachiale?-

Fa un cenno e torna a tracciare linee immaginarie sul mio braccio. -Un’importantissima arteria che pompa il sangue direttamente dal cuore e lo trasporta al braccio. Senza contare i nervi che si sovrappongono, proprio qui!-

Il suo dito preme con più forza sulla vena ed io sussulto.

-Se volessi uccidere qualcuno, non dovresti fare altro che recidergli questa arteria. Morirebbe dissanguato in breve tempo.-

-Ed io devo uccidere qualcuno?-

Non l’ho chiesto con uno scopo preciso, ho solo pensato ad alta voce. Ma, l’occhiata che Eric mi lancia, mi paralizza perfino il cuore.

Il suo sguardo è profondo e intenso, mi gela, la sua anima sembra emergere direttamente dai suoi occhi di metallo e il dolore che vi colgo è disarmante. So perfettamente che sono gli occhi di un assassino quelli che sto guardando. Eppure so, con altrettanta certezza, che questo uomo mi ama e che le tenebre che per anni lo anno avvolto non vinceranno ancora.

-Potrebbe ritenersi necessario, ed è il caso che tu sia pronta.- Mi informa.

Faccio un cenno.

-Tuttavia, non devi per forza arrivare a tanto.- Sogghigna e, quando si raddrizza, sembra turbato da qualcosa. -Ti basta provocare molto dolore.-

-Come?- chiedo, curiosa.

Ho sempre saputo che l’eccessiva curiosità può essere nociva.

Eric prende fiato e guarda in alto, grattandosi distrattamente il collo. -Devi stringere con precisione il punto di incrocio tra l’arteria e  il nervo. Provoca un dolore intenso e ti darà qualche minuto di vantaggio sul tuo avversario.-

Mi lascio andare con la testa all’indietro, ho ancora un braccio aperto e, per un attimo, chiudo le palpebre.

-Mi dispiace, piccola…-

Quando riapro gli occhi, l’espressione di Eric è sofferente e determinata al tempo stesso, sospira e mi blocca, immobilizzandomi le spalle con il suo gomito.

-Devi conoscere l’entità del dolore di cui sto parlando, per capire fino in fondo che tipo di malessere provocherai sul tuo nemico.- Sussurra, tenebroso. -E ti servirà per ricordarti di questa mossa e di come eseguirla alla perfezione.-

Sapevo che non avrei dovuto fidarmi di lui, non importa se è sopra di me in una posa ambigua e intima, vuole fortificarmi ed è disposto a tutto.

Mi chiedo perché debba farmi del male per aiutarmi, ma non ho il tempo di darmi la risposta, perché le sue dita si serrano con maestria attorno all’arteria del mio braccio. Eric mi pizzica e mi torce con forza la pelle e mi urta il nervo sottostante e anche la vena colma di sangue.

Urlo così forte che mi brucia la gola.

Gli occhi mi si riempiono di lacrime e mi stupisco di non vedere accorrere tutti in mio soccorso. Oltre al fatto che devono avermi sentita urlare in tutti i piani dell’edificio, proprio nel poligono accanto dovrebbero esserci ancora Jason, Nick e Camille.

Se credono che sia in buone mani e che Eric non mi farà del male, si sono sbagliati di grosso.

Quello che dovrebbe essere l’uomo che mi ama mi libera e mi aiuta e mettermi seduta. Lo scaccio via, gemendo, e mi porto una mano al punto leso. Sono ricurva in avanti e mi dondolo in cerca di conforto, ma l’oscillare avanti e indietro non mi aiuta come vorrei. Reprimo l’istinto di urlare ancora e mi mordo il labbro, trattenendo le lacrime che mi appannano la vista.

Il dolore è così acuto che mi sembra che mi abbiano tagliato il braccio. Ho avvertito un forte bruciore e il fuoco di una lama recidermi la carne. Per qualche secondo ho perso la sensibilità alle dita e tutto il mio arta pulsava di un dolore tremendo. Quasi mi viene voglia di supplicare Eric di staccarmi il braccio, perché questo male è decisamente troppo.

Prendo fiato, accorgendomi della mano di Eric che mi accarezza dolcemente la schiena. Vorrei prenderlo a pungi, ma il dolore inizia a scemare.

-Che diamine ti è preso oggi!- piagnucolo, asciugandomi le lacrime prima che cadano.

Il suo volto si indurisce e le sue spalle si tendono. -Affronteremo tempi duri, so che ti sei ripresa e che sei tornata come prima. Ma non basta.-

Lo osservo e detesto la serietà con cui mi tiene a distanza. -È successo qualcosa?-

Si irrigidisce. -Sono stato fin troppo buono con te, ma le cose cambieranno.-

-Vuoi farmi ancora male?-

Dal modo in cui sogghigna, credo che sia divertito dal mio tono petulante. -No, ma da oggi in poi ti allenerò personalmente!-

Scuoto la testa e mi osservo il braccio.

-Ti rimarrà un bel livido, ma ti ricorderai a vita come ferire qualcuno!- Mi beffeggia.

-Grazie tante!-

Non ho il tempo di fare molto, visto che Eric mi afferra il viso con entrambe le mani e spinge la sua fronte contro la mia.

-Non ci sarò sempre io a proteggerti e, se quell’idiota di Quattro non vi ha insegnato a combattere come si deve, dovrò addestrarti io!-

Sorrido di nascosto, coccolata dal calore delle sue mani sulle mie guance.

-Quattro faceva sembrare tutto facile, ma ci riusciva solo lui.- Sospiro. -Dovevi farci tu da insegnante, invece che limitarti a girarci intorno per terrorizzarci!-

Scoppia ridere, una risata fragorosa e potente. Vera. -Devi solo ringraziare che non ti abbia usata come bersaglio personale!-

-Lo avresti fatto?- Indago.

Si stacca da me e mi osserva. -Sarebbe stato estremamente eccitante!-

Scuoto la testa.

-Sul serio, ragazzina!- ringhia. -Ti concedo l’onore di avermi come maestro, ma sei un’ eccezione!-

Mi allungo per rubargli un bacio sulle labbra. -Per me eri eccitante quando facevi il cattivo, ogni volta che mi passavi accanto avevo un brivido.-

Arrossisco all’istante per l’audacia della mia confessione.

Lui sogghigna. -Avevi già gli ormoni in subbuglio che mi chiamavano?-

Sorrido. -Avevo paura di te solo un pochino, per il resto volevo solo mettermi in mostra e farti vedere che ero brava.-

Sta volta è lui a baciarmi. -E nel frattempo io ti guardavo e cercavo di impormi di tenere le mani in tasca!-

Rido a mia volta. -Non lo hai fatto!-

-Sei tu che ti sei presentata mezza nuda per un tatuaggio!-

-Non avresti dovuto guardarmi le gambe!-

-Hai ragione!- Conferma con voce rauca, mentre i suoi occhi mi incendiano. -Avrei dovuto toccarti! E infatti l’ho fatto!-

-Se fossi stato cattivo con me come lo sei stato con gli altri, con Christina per esempio, non ti avrei mai permesso di baciarmi.-

-Ero cattivo anche con te!- Chiarisce, un po’ stizzito. -Avrai capito che la vita fra gli Intrepidi non è esattamente una passeggiata, ed era mio dovere infilare il concetto nelle vostre testoline da iniziati!-

Lo ignoro, tentando di baciarlo ancora. Ma lui mi blocca.

-Avresti dovuto fermarmi quando eri ancora in tempo!- ruggisce, letale. -Perché ora sei completamente mia!-

 

Eric aveva delle faccende da sbrigare, ed io sono ancora scossa dal nostro incontro e continuo a sentire i battiti insistenti del mio cuore. Mi ha detto che ci saremo visti a casa sta sera, così ho pensato di ingannare il tempo, e di distrarre la mente, andando a cercare Amber. Non era nel suo studio, perciò percorro il corridoio del piano, sperando di trovarla prima che vada a cena. Poi, da lontano, un dettaglio colpisce la mia attenzione.

Vedo un ragazzo dal fisico asciutto ma forte, alto e con cortissimi capelli castano scuro. Ha una fondina legata ad una coscia, in cui è saldamente infilata una pistola. Inoltre, particolare che solo un Intrepido poteva cogliere, mi pare di intravedere un pugnale emergere da uno dei suoi stivali. Non sono in molti, di questi tempi, ad avere il permesso di aggirarsi armati per i corridoi, anche dopo la riassegnazione delle armi ai soldati.

Mi incupisco e osservo, con crescente diffidenza, il ragazzo.

È davanti alla porta blindata della sala armamenti e, il solo fatto di vederlo lì mi ricorda tempi migliori. Ma ciò che cattura la mia attenzione non è Robert, ma la ragazza bionda vestita di azzurro che gli sta di fronte.

In effetti lo studio di Amber e quello di Robert, collocato dentro la stanza blindata, sono sullo stesso piano e alle estremità dello stesso corridoio, ma questo non giustifica comunque il loro incontro.

Non saprei proprio dire cosa ci facciano un Intrepido e mia sorella insieme, sembra che discutano di qualcosa. Amber ha le braccia incrociate al petto e lo sguardo più critico e annoiato del solito. Robert sembra tranquillo, anche se, qualcosa in ciò che dice, devo coinvolgerlo più del normale visto la sua espressione decisa. Lo vedo prendere per le spalle mia sorella, e sono certa che le chieda qualcosa. Lei si divincola e fa una smorfia, sbuffando infastidita.

Scuoto la testa per l’assurdità di quello che sto vedendo e faccio un passo avanti, quando entrambi, finalmente, si accorgono di me. Robert si raddrizza all’instante, lanciando un’ occhiata allarmata a mia sorella che, come solo lei può fare, è impassibile.

Avanzo ancora, fermandomi poco distante per fissare con cattiveria Robert. Non ho alcuna voglia di parlargli, sono ancora arrabbiata con lui per l’intromissione di suo padre e per l’informazione che mi ha dato senza alcun permesso di farlo.

Robert sospira, mi raggiunge e tenta di mettermi una mano su un braccio, ma io mi allontano e lo fulmino con un’occhiataccia.

-Puoi almeno starmi a sentire?- Mi chiede, determinato e forse anche arrabbiato.

Amber, alle sue spalle, lo fissa imbronciata.

-Se proprio devo…- Gli concedo, sfuggendo al suo sguardo insistente.

-So che quello che ti ha detto mio padre ti ha sconvolta, e probabilmente è colpa mia. Avrei dovuto fermarlo e dirgli di lasciarti in pace.- Spiega. -Ma mi pare di averti già detto che ti considero un’ amica, ci tengo molto a te ma non ho altre intenzioni, a prescindere dalle fantasie di mio padre. Chiaro?-

Sollevo un angolo della bocca per il fastidio, mentre il mio sguardo si fa sempre più arrabbiato. Chi si crede di essere per darmi ordini?

Robert sospira e si concede una fugace occhiata oltre la sua spalla, per osservare mia sorella che, tuttavia, lo guarda storto e fa una smorfia.

-Ho saputo che tua sorella ricopre una posizione delicata, dato il suo lavoro.- Fa una pausa, ed io resto in silenzio. -Potrebbe essere in pericolo, non sappiamo di chi possiamo fidarci o chi potrebbe ritenerla scomoda e decidere di liberarsene.-

Lo fulmino con gli occhi e indietreggio, ancora più infastidita di prima.

-Ma non hai di che preoccuparti. La proteggerò io!- Afferma.

-Cosa?- Sta volta sono io a fare le smorfie.

Amber stende le braccia lungo i fianchi e batte un piede. -Potresti dire al tuo amico di lasciarmi in pace? È da giorni che mi segue ovunque e che si crede di essere la mia guardia del copro. Sono stufa di lui!-

Torno a prestare attenzione a Robert e sono sempre più scettica e confusa.

-Non importa se non vuoi perdonarmi, ti dimostrerò che sono tuo amico e starò attento a tua sorella.- Continua lui, orgogliosamente.

Scuoto la testa.

-Sbaglio, o eri preoccupata per lei?- Mi sussurra, chinandosi su di me.

Io indietreggio. -Non mi pare di averlo detto, io…-

-Ho preso la mia decisione!-

Detto ciò Robert mi supera e se ne va, dritto e composto come un vero soldato al termine della sua missione.

Sono senza parole, incrocio le braccia al petto e seguo con gli occhi la sua schiena allontanarsi.

-Quello lì è venuto da me, giorni fa, chiedendomi se potevo convincerti a perdonarlo!- Mi comunica Amber, facendo roteare gli occhi per l’esasperazione.

-Che?-

Amber sospira. -Quando gli ho detto che non avevo intenzione di ascoltarlo, mi ha detto che mi avrebbe protetta!- scuote la testa e mi guarda storto. -Ti rendi conto?-

Mi volto ancora verso il corridoio da cui è andato via Robert e mi mordo il labbro.

La mia preoccupazione aumenta quando penso alla posizione di mia sorella in tutta questa guerra. È pur sempre la persona che ha guidato la simulazione contro gli Abneganti e la più fedele servitrice di Jeanine. Robert ha ragione, non sappiamo di chi possiamo davvero fidarci.

-Bè, forse non ti farebbe così male avere qualcuno che ti guarda le spalle…- Ammetto, soprappensiero.

-Stai scherzando?-

Guardo Amber ma non so cosa dirle.

Lei alza gli occhi al cielo. -Non so che intenzione abbia il tuo amico. Credi che lo faccia per convincermi a mettere una buona parola per lui con te, e semplicemente per fare colpo direttamente su di te?-

Guardo ancora il punto in cui Robert è sparito e faccio spallucce. -Chi può dirlo? In fondo gli piacciono le bionde!-

Sto ancora guardando il corridoio, ricordandomi della giustificazione usata da Robert per garantirmi che non era interessato a me, quando sento Amber sbuffare.

-Perché sia chiaro: a me non piacciono gli Intrepidi!-

Prendo un profondo respiro e mi mordicchio il labbro, gli occhi ancora fissi sul corridoio. -Peccato, è davvero un bravo ragazzo…-

Amber mi osserva, segue con gli occhi il punto immaginario che sto fissando e mi rivolge un’occhiata critica. -Se lo pensi davvero, perché non vuoi riappacificarti con lui?-

La guardo di scatto, infastidita dalle sue solite ovvietà indisponenti, le riservo una smorfia e mi volto. Non so come faccia mia sorella a colpirmi sempre nel punto giusto ma, mentre continuo insistentemente a tenere lo sguardo fisso nel punto in cui Robert è scomparso, mi pongo la stessa identica domanda.

 

Provo, in quello che mi sembra più un gesto vano, a districare i miei capelli ancora umidi dopo il bagno. Sono seduta sul bordo del letto, indosso unicamente canottiera e mutandine nere, pronta per andare a dormire. Ho travato una spazzola nuova di zecca in bagno, nell’assortimento di base dell’unità abitativa e, proprio mentre continuo a spazzolarmi i capelli, sento le scale scricchiolare e intuisco che Eric sta per raggiungermi.

L’ho lasciato in bagno per finire di prepararsi, lasciandogli qualche attimo di tranquillità per concedermi a mia volta un momento da sola. Accarezzo le punte dei miei capelli e rimango ad osservarle, stupita da quando siano allungate da quando me ne sono andata dalla mia famiglia. Sospiro e metto via la spazzola, so che tra l’ iniziazione e questo periodo di stallo al servizio di Jeanine sono passati più di due mesi, ma i cambiamenti sono continui e imprevedibili.

Mi sembra di stare vivendo un’altra vita.

Una nuova vita con Eric.

Lo stesso ragazzo che sbuca dalle scale completamente, totalmente e interamente nudo. Il suo torace brilla alla luce dell’abatjour accesa sul comodino e le pieghe dei suoi addominali si inombrano, creando un contrasto di chiaro scuro a dir poco terrificante. Ha lo sguardo selvaggio e, quando mi guarda, il suo ghigno perfido scintilla pericolosamente.

So benissimo che non dovrei sentirmi tanto imbarazzata, soffocata e cotta come lo sono in questo momento. Stiamo insieme, l’ho già visto senza vestiti, tuttavia non esiste una condizione mentale tanto stabile da garantirmi un’ immunità completa al fascino selvaggio, rude e magnetico di Eric.

Metto il broncio, sperando di non essere vista, e mi chiedo quando smetterò di essere così tanto preda dei miei ormoni ogni volta che lo vedo. Dovrei semplicemente smetterla di essere una sua vittima, dovrei diventare il carnefice, soprattutto se so che posso farlo.

Ho iniziato ad essere molto spavalda con lui, a lasciarmi andare, ma sono ancora in netto svantaggio e non posso fare altro che soccombere al maestro.

Spero solo di fargli anch’io lo stesso effetto, almeno a volte.

-Sempre senza pudore, vero?- Brontolo, sfuggendo ancora al suo sguardo.

Lo sento sghignazzare.

-Ho pensato che non mi servissero i vestiti, al momento!-

Quel tipo di emozione che ho imparato a riconoscere come desiderio, si risveglia al richiamo seducente della sua voce bollente e mi fa vibrare lo stomaco, annidandosi più in basso.

Dal modo in cui mi agito, ancora seduta sulla punta del letto, Eric sogghigna e capisce di aver fatto centro.

Come sempre!

Si avventa su di me e mi imprigiona il viso fra le mani, baciandomi ferocemente. Con la stessa forza bruta e prepotente mi toglie la canottiera, gettandola via. Non mi da il tempo di accorgermene che mi solleva, stringendomi con un braccio solo, e mi trascina con lui al centro del letto.  

-Dato che non riesci più a resistere…- Sussurra, in un ringhio caldo.

Sento che sto perdendo lucidità man mano che il fuoco che ho dentro mi incendia. Gli avvolgo le braccia intorno al collo e lo bacio.

Le sue mani scorrono sapientemente sul mio corpo fino a togliermi anche le mutandine, poi mi accarezza con dolorosa lentezza la pancia, fino a scendere più giù.

Spalanco gli occhi e mi inarco contro di lui.

-Tu mi ami?- gemo.

Smette di sogghignare e il suo sguardo si fa serio e tagliente, mi afferra il viso con una mano e mi impone di guardarlo.

-Tanto da morire.-

Quando mi bacia il mio cuore è perso e gioca tra fiamme ardenti.

Forse dovrei cogliere il tormento nei suoi occhi e percepire su di me ogni traccia del suo più profondo dolore. Dovrei capire che le sue parole hanno un significato molto più intenso e veritiero di quel che immagino, ma la sofferenza mi avvolge per un breve istante soltanto.

Nel momento in cui Eric si fa spazio fra le mie gambe, baciandomi la gola e mordendomi avidamente la pelle, perdo del tutto il contatto con la realtà.

Desidero solo lui e il calore che mi offre la sua pelle. Potrei morire senza di lui.

Tremo quando la paura di perderlo mi spezza il cuore, poi le sue labbra corrono in mio soccorso e si posano sulle mie, le sue braccia mi stringono e riprendo a respirare.

Sarei niente senza di lui.

Morire se lui non ci fosse.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

Come sempre grazie a tutti voi che seguite i miei capitoli!

Presto arriveranno momenti critici in cui i nostri protagonisti verranno messi a dura prova, per cui spero che vi stiate godendo questi attimi di pace!

Piccola precisazione: se la scena in cui Aria da un calcio ad Eric tra le gambe vi sembra familiare, confermo i vostri dubbi dicendovi che è presa da Insurgent, ma in quel caso è Tris a colpirlo, quando lui la cattura!

A presto, fatemi sapere cosa ne pensate e sarò felicissima di rispondere!

Baci!

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Capitolo 28
*** Voragine ***


28. Voragine

 

 

 

 

 

 

 

-Sei sicuro di non volerti opporre?-

Guardo il mio amico studiando, con il mio solito cipiglio di rabbia e indifferenza, il suo sguardo contrariato.

-A cosa dovrei oppormi esattamente, Jason?-

Lui incrocia le braccia al petto e scuote la testa. -A essere mandato in prima linea in una missione che ti sembra del tutto inutile!-

-Dovevamo andare a prendere quegli idioti che si sono nascosti come codardi dai Candidi, ma che senso ha se dobbiamo sporcarci le mani soltanto per recuperare qualche Divergente?- Interviene Nick.

Jason sospira e alza gli occhi al cielo. -Per caso Jeanine vuole tentare ancora di catturare la famosa Tris?-

-Se è lì, stai tranquillo che la prenderò e la porterò qui!- Ringhio.

Il solo sentire nominare quella Rigida maledetta che è riuscita a sfuggirmi, osando spararmi ad un piede, mi fa salire la furia. Senza contare che, dopo tutti i guai che ha combinato, ha anche ferito Aria.

Forse è proprio colpa della Rigida se ho perso parte della mia rispettabilità. E di quel verme di Quattro, naturalmente.

-Non sappiamo che accoglienza riceveremo, e quei fucili che sparano aghi pieni di siero potrebbero non bastare!- Insiste Jason, serio.

-Dormiranno tutti, soltanto i Divergenti rimarranno svegli.- Preciso.

-E in quanti saranno? E se si mettessero a scappare? Se gli altri Intrepidi ci attaccassero in massa? Come credi che potremo difenderci se avremo l’ordine di non uccidere?-

Scrollo le spalle. -Avremo delle armi vere per le emergenze.-

-Hai presente la struttura dello Spietato Generale? Tanti piani in verticale, proprio come qui dagli Eruditi! Non possiamo bloccare tutte le scale e gli ascensori e, se arrivassero dai piani più alti, non saremo in grado di gestire la situazione!-

-Avremo abbastanza uomini!-

-I trasgressori sono armati e un edificio non è come un campo aperto. Potrebbero nascondersi, sfruttare ogni piano per preparare delle imboscate!-

-Saliremo un piano alla volta, li bloccheremo e li manderemo tutti a dormire!-

-Non basterà, Eric!- Jason mi guardo dritto negli occhi. -E lo sai anche tu!-

Mi strofino la fronte con una mano, cercando di controllare il respiro.

-Ci servono uomini che si occupino dei Divergenti, altri che controllino le uscite, altri ancora per il fuoco di copertura e qualcuno in difesa!-

-Non ci riusciremo mai se gli ordini sono di non uccidere e se non ci danno il numero di uomini necessario!- Interviene Nick, indignato.

-E cosa faremo con i Divergenti trovati, li mettiamo in dei sacchi e li portiamo tutti qui?- Chiede Jason, con la voce avvelenata.

Sospiro e sollevo la testa verso di lui. -Gli ordini sono di selezionarne solo alcuni.-

Nick fa una smorfia.

Non continuo.

-Non mi importa dei Divergenti o della sorte dei nostri compagni che si sono staccati da noi, ma non puoi davvero acconsentire ad una cosa del genere!- Mi esorta Jason.

Decido di mantenere ancora il silenzio perché, se parlassi, la rabbia mi accecherebbe del tutto e mi toglierebbe ogni capacità di ragionamento.

-Non puoi farti usare in questo modo! Ti stanno solo mandando a fare piazza pulita di Divergenti mettendo a rischio te e la tua squadra!-

Le parole di Jason rischiano di far cedere il mio autocontrollo, ma resisto.

-Sei un capofazione, metti delle regole! Volevamo attaccare i trasgressori, e invece dobbiamo portare a Jeanine qualche altra cavia da laboratorio.- Dice Nick, deciso. -Dai tu gli ordini e, se proprio devi stare in prima linea, che sia almeno per una buona ragione e per spaccare la faccia a qualche falso Intrepido!-

Respiro profondamente.

-Stanno cercando di liberarsi di te, Eric. Devi impedirglielo!- Mi urla contro Jason.

Perdo il controllo. -E COME?-

Nick, che è seduto sul bordo del ring insieme a me, sussulta per il mio grido rabbioso.

Jason, che è in piedi davanti a noi, assottiglia lo sguardo e sembra impegnato in una complicata lotta interiore.

-Non gli servo più a niente, ero solo l’infiltrato di Jeanine quando le serviva qualcuno che le passasse informazione. Adesso usano Aria per minacciarmi e Max ha preso il mio posto. Vogliono solo scoprire cosa rende i Divergenti unici e mettere tutta la città sotto simulazione!- Sbraito. -Ed io non posso farci niente!-

-Ci hanno messo sotto simulazione e mandati a distruggere un’ intera fazione di Abneganti. Sono anni che eliminano i Divergenti e non hanno ancora intenzione di fermarsi!- Jason si volta e fa qualche passo in tondo.

Osservo il mio amico e braccio destro, seguo le rughe d’espressione che si tendono ai lati dei suoi occhi mentre riflette e i suoi capelli rossicci che si scompiglia con una mano.

Non ricordo molto di lui quando eravamo entrambi negli Eruditi e, dato che è andato via un anno prima di me, i nostri rapporti sono iniziati solo dopo che sono diventato capofazione e lui è stato assegnato come mia guardia personale. È praticamente l’unico di cui mi fido, insieme a Nick, ho sempre chiesto il suo parere in tutto e ho sempre ricevuto buoni consigli e una spalla su cui contare in ogni situazione.

Ma nonostante la sua fiducia, non ho risparmiato neanche lui alla simulazione.

Lui, Nick e persino Camille, sono stati guidati da un computer e obbligati a fare piazza pulita di Abneganti. Camille, per di più, è dovuta tornare nella sua vecchia fazione e non sappiamo se sia stata costretta a fare fuoco proprio su qualcuno che conosceva.

Sono sempre stato indifferente alle vicissitudini degli altri perché, non avendo nessuno di cui dovermi occupare a parte me stesso, mi era facile rimanere immune ai dolori degli altri.

Però, quando il pensiero di Aria in mezzo a tutti gli altri soldati, priva di coscienza, mi stava conducendo alla pazzia, mi sono giocato tutte le mie carte migliori per impedirlo.

Forse avrei potuto fermarmi a riflettere, chiedermi se era giusto infischiarmene delle persone che mi credevano loro amico e non muovere un solo dito per impedire che gli venisse iniettato il siero di simulazione a distanza. Ho mantenuto il segreto sulle vere intenzioni di Jeanine anche con Jason, gli avevo raccontato degli accordi privati di quella donna con me e sapeva che preparavamo una rivolta per prenderci in mano il consiglio cittadino.

Ma non ho mai aperto bocca sulle modalità dell’attacco e non ho mai parlato di un siero che sarebbe stato somministrato a tutta la fazione, meno che ai capi. A dire il vero, avrei potuto chiedere che almeno le mie guardie personali rimanessero coscienti per proteggermi, ma non ho neanche pensato di provarci.

Max ha tenuto fuori la sua famiglia e un suo collaboratore fidato, Finn suo figlio Robert, ma solo perché era già a conoscenza dei nostri piani. Perfino Sarah ha dovuto rinunciare al suo compagno, che non è stato risparmiato alla simulazione.

Ed io, andando contro ogni logica e regola, ho preferito rischiare perfino la mia posizione per salvaguardare ciò che era mio, ovvero per Aria.

E né Jason né Nick mi hanno mai rinfacciato le mie scelte.

Quando ne ho avuto occasione, ho sfruttato le raccomandazioni di Jeanine e mi sono appropriato del ruolo vacante di capofazione con la forza, scavalcando tutti. Avrei dovuto essere l’ultimo della lista fra tutti i possibili nuovi capi, e invece sono passato davanti a tutti senza farmi alcuno scrupolo.

Io sono riuscito ad elevarmi dalla polvere in cui strisciavo per troneggiare sugli alti, e sono sempre stato immune alle sorti avverse di quei poveri disgraziati che non hanno avuto la mia stessa forza, o fortuna.

Credo che non cambierò mai, continuerò a pensare unicamente a me stesso, dando priorità unicamente i miei interessi. Non voglio essere una brava persona, non so come si fa e non voglio scoprirlo, e continuerò a collezionare errori ogni qualvolta che mi verrà chiesto di scegliere tra il mio tornaconto personale e il bene degli altri.

Tuttavia ho imparato ad accettare anche altre persone nella mia vita, a cui devo dare importanza per ottenere un completo appagamento personale. Ho sempre apprezzato la compagnia di Jason, Nick e Camille, ma solo adesso inizio a preoccuparmi per loro.

Ultimamente ho imparato a dare importanza alla mia fazione, o almeno a quei pochi che mi sono rimasti fedeli. Ho scoperto che devo riportare alla stabilità questa città, ma soltanto perché mi sono stancato di tutti i problemi che devo tentare di risolvere.

Ho scoperto cosa voleva dire sentire la mancanza di qualcosa solo quando ho capito cosa significava rischiare di perdere tutto.

Devo assolutamente riportare quel che rimane degli Intrepidi alla nostra residenza, perché temo che se continuiamo a restare in mezzo a questi geni occhialuti degli Eruditi, daremo tutti di matto e ci scapperà anche qualche morto. Sono settimane che siamo bloccati lontani da casa, e sono stanco di fare la guarda del corpo di Jaenine e non sono più intenzionato di obbedire a regole non mie. 

Comprendo direttamente sulla mia pelle l’urgenza di porre fine a questa battaglia. Abbiamo rischiato di perdere e siamo inciampati in errori inutili, ma quanto meno gli Abneganti non saranno più al governo e gli Intrepidi acquisteranno potere e saranno finalmente tenuti realmente in considerazione. Saremo più forti, aiuteremo gli Eruditi a fare rispettare la legge e con loro al comando avremo un vero consiglio gestito da gente competente.

Peccato che tutto ciò che desidero al momento è chiudere per sempre la bocca di Jaenine.

In verità la sorte dei Divergenti non mi preoccupa, dato che ucciderli è probabilmente l’unica cosa buona che so fare. Sono dei pericolosi soggetti che creano scompiglio al sistema delle fazione, per cui non hanno bisogno di protezione. Neanche i trasgressori dai Candidi sono un mio problema, che soccombano al loro destino se continueranno ad opporsi.

Ma devo agire o mi troverò in mezzo ad una tempesta senza alcun riparo.

Per di più, anche se sono sempre stato al di sopra delle paure, mi angoscia il pensiero di quello che i miei nemici potrebbero fare ad Aria, e se mi faccio ammazzare lei sarà solo e priva di protezione. Non sapevo cosa volesse dire temere di perdere qualcuno di importante ma, d’altro canto, un assetato non conosce la sete fino a quando non viene privato dell’acqua. È stato il rischio di perdere Aria e tutto ciò in cui credevo che mi ha smosso. Non posso lasciarmi sconfiggere, non sarebbe da me e ho sempre lottato fino ad ottenere ciò che volevo, per cui devo fare qualcosa.

Tipo cercare di rimanere in vita.

-Jeanine e Max non riusciranno a sbarazzarsi di me!- Scandisco con un ghigno. -E poi voglio proprio andare a prendere a calci qualche traditore!-

Jason fa un cenno con la testa e mi osserva. -Se non puoi opporti a questa decisione, radunerò una squadra e pianificherò ogni mossa nel dettaglio. Saremo preparati per ogni evenienza e studieremo attentamente ogni piano della sede centrale dei Candidi.-

-Se vuoi preparare una squadra ed ideare un piano, fai pure, ma voi due non verrete con me!-

Alla mie parole, Nick si gira di scatto a guardarmi. -Stai scherzando?-

-Noi partiamo con te, piantala di dire stronzate!- Dice Jason, guardandomi con determinazione.

Lo fisso a mia volta e contraggo tutti i muscoli, quando la rabbia inizia a offuscarmi la mente. Non sopporto quando mi contraddice.

-Ho detto che restate qui!-

-Scordatelo!-

-Non vi porterò con me a rischiare la pelle, dovete restare qui!-

Jason sembra cogliere il messaggio e inarca le sopracciglia. -Perché?-

Sospiro pesantemente e mi afferro il viso con le mani. -Perché, nel male augurato caso che qualcosa dovesse andare storto, dovrete badare ad Aria. È una mia responsabilità, e non voglio che qualcuno se la prenda con lei solo perché è stata tanto stupida da voler stare con me!- Faccio una smorfia. -E probabilmente dovrete pensare anche a voi stessi!-

-Che vuoi dire?- chiede Nick, osservandomi con sospetto.

-Niente mi garantisce che si accontenteranno di essersi sbarazzati di me. Jeanine ha già cercato di colpire Aria e potrebbero passare a voi, e magari prendersela anche con Camille!- Spiego, con voce rauca. -Per di più, se i ribelli dovessero impugnare le armi, dovrete essere in grado di difendervi!-

-Ho sentito abbastanza cazzate, per oggi!- dichiara Jason. -Noi verremo con te e torneremo tutti interi, fine della storia!-

Sogghigno. -Potrei ordinarti di restare qui!-

Jason non si lascia intimorire e mi riserva un’occhiataccia. -In quanto tue guardie del copro, se riteniamo che la tua incolumità è a rischio, possiamo tranquillamente disobbedire all’ordine di qualsiasi altro capofazione e anche a tutto quello che ci dici tu.-

Serro la mascella e impreco mentalmente.

-Dovresti studiarti di più le regole della fazione, Eric!- mi beffeggia.

-Pensi che sia uno scherzo?- Ringhio.

Lui scuote la testa e mantiene la sua espressione più seria. -No, per cui noi veniamo con te. La discussione è chiusa!-

Faccio ruotare gli occhi e trattengo l’ennesima imprecazione che penso.

-Per quando è fissato l’attacco?- Mi chiede.

-Presto, forse domani!- Sbotto, nella speranza di fargli cambiare idea.

Ma so che è inutile.

-Dove vai?- Gli chiede Nick.

Sollevo gli occhi e mi accorgo che il mio amico ci sta abbandonando, avviandosi a grandi passi fuori dalla palestra in cui ci siamo radunati per discutere, lontani da telecamere e orecchie indiscrete.

-A cercare uomini fidati e a procurarmi una piantina dello Spietato Generale!-

-Ti aiuto!- Esclama Nick, saltando già dal ring e affrettandosi a raggiungere Jason.

Li osservo uscire e gli urlo dietro. -Siete due idioti!-

-Abbiamo imparato dal migliore!- Mi risponde Nick.

Segnandomi mentalmente di prenderlo a pugni, mi prendo il viso fra le mani e respiro lunghe boccate di ossigeno.

Avrei dovuto impormi e convincerli a rimanere al sicuro ma, per quanto mi scocci ammetterlo, sono gli unici di cui mi fido veramente. Devo al loro costante aiuto tante delle mie vittore e, probabilmente, continuerò ad avere bisogno di loro anche in futuro. Sempre se riusciranno a non rimetterci la testa.

Dovrei rimproverarmi per i miei errori e maledirmi per essere caduto tanto in basso e per aver perso la fiducia di Jeanine, ma non ho alcuna intenzione di farlo.

Non sono ancora stato risucchiato da una voragine, la forza che possiedo è sempre la stessa e sono ancora un vero capo Intrepido.

Grazie a Jason, adesso ho altro su cui concentrarmi.

Un giorno avrò la mia vendetta sulla donna che mi ha ingannato e poi tradito.

E quel giorno arriverà presto.

 

-Perché non posso mai stare sopra?- Protesta.

Quando mi lecco le labbra un ghigno sfugge al mio controllo, sospiro e alzo gli occhi al cielo, senza trattenere la mia soddisfazione.

Sono comodamente steso supino sul letto, completamente nudo e con la pelle percossa dai residui dei brividi di piacere che mi hanno appena scosso. Ho un braccio piegato sotto la testa e l’altra mano aggrappata al lenzuolo che mi copre i fianchi, nel tentativo di recuperare al più presto un contatto con la realtà.

Lascio cadere la testa da un lato e guardo Aria e i suoi capelli sciolti e selvaggi, che le scendono sulle spalle e sulle braccia nude. Il pensiero che sia del tutto nuda in realtà, mi accende una scintilla al centro del petto che potrebbe riavviare il mio copro, se non fossi preda dei postumi di un estremo piacere. Sono stanco, ma vederla stesa a pancia in giù, tranquillamente appoggiata ai gomiti mentre mi rivolge le sua occhiata più intrigante, impedisce al mio sangue di tronare a fluire al cervello come vorrei, rimanendo pericolosamente in basso.

-Sopra sta chi comanda.- Le rispondo, con una certa arroganza. -E sappiamo benissimo chi di noi due ha quel ruolo!-

Si accarezza il labbro inferiore con un dito e fissa la spalliera del letto.

Mi perdo nell’ammirazione delle morbidezze delle sue labbra carnose e il solletico che mi attraversa il petto ricomincia, mi scuote e mi costringe a respirare profondamente per calmarmi. Il mio petto si alza e si abbassa al ritmo pesante del mio respiro, ancora affannato, ma lei non ci fa caso. Sto facendo una doppia fatica, dato che devo riprendermi mentre il mio desiderio mi sta già chiedendo di ricominciare.

-E non vuoi cedermi il comando nemmeno per un istante?-

Soppeso le sue parole, fingendo di pensarci sopra, mentre mi sforzo di non soffermarmi con lo sguardo sulle rotondità del suo seno che riesco a scorgere e mi concentro sulla sua espressione sicura.

-No!- Dichiaro.

Scuote la testa. -Non ti piacerebbe lasciare fare a me, ogni tanto?-

Una risata rauca mi esce dalle labbra. -No, lascio il piacere dell’essere sottomessa unicamente a te!-

-Io non sono sottomessa!- Sottolinea corrugando la fronte.

Il ghigno che le mostro deve essere andato a segno, dato come la vedo deglutire.

-Mi stai dicendo che non ti è piaciuto?- La stuzzico.

Arriccia le labbra. -Inizia a stancarmi dartela sempre vinta. Ci sarà un modo per convincerti a farmi stare sopra almeno una volta!-

Affondo la nuca nel cuscino e sul mio braccio e guardo con attenzione il tetto, come se smettere di pensare al sapore del suo copro fosse facile. Cerco di concentrarmi sulla mia stanchezza, ma la tentazione sembra essere più forte e più agguerrita.

-Tu non ci starai mai sopra, Aria, non con me!-

Il sorriso che mi rivolge potrebbe costarle la vita. -Mi stai dicendo di trovarmi qualcun altro?-

-Mi stai dicendo che non ti soddisfo abbastanza?-

Il blu dei suoi occhi vibra quando un pensiero a me sconosciuto la fa sorridere. -No se continui a negarmi quello che voglio!-

-Quindi andresti con un altro?-

Mi osserva con determinazione e sorride, mordicchiandosi il labbro.

-Credo di non averti fatto capire a sufficienza chi comanda…- Sibillo.

Scosto il lenzuolo che ci copre e la sovrasto, tenendomi sollevato dalla sua schiena puntando le mani sul materasso, ai lati delle sue spalle.

-Forse devo farti vedere cosa ti perderesti a rinunciare a me!- Le sussurro ad un orecchio.

Lei tuffa il viso nelle sue mani e ride dolcemente, o forse si sta prendendo gioco di me, difficile stabilirlo con certezza.

L’afferro dai fianchi e cerco di attirare il suo bel fondoschiena contro il mio bacino, ma si oppone, lasciandosi cadere in avanti e nascondendo il viso nel cuscino.

-Non ancora, Eric!- Brontola.

Una risata crudele mi esce spontaneamente, a quanto pare questa ragazzina insolente continua a riservarmi immense soddisfazioni anche quando non è più la mia allieva.

-Cosa c’è, tesoruccio, ti ho sfinita?-

Scuote la testa, rimanendo con le guance sulla federa candida. -Ho solo voglia di dormire, e ti ho già detto che non mi piace più fare l’amore con te!-

-Che strano, dal modo in cui continuavi a gemere e a contorcerti sotto di me poco fa, avrei detto che avevi gradito!-

-Io non gemo!- Strilla. -E non è vero che mi contorcevo!-

-Hai ragione!- Le concedo, posandole un bacio sulla spalla scoperta. -Urlavi dal piacere!-

Non ho realmente bisogno di vederla in viso per sapere quanto sono arrossate le sue guance, mi basta sentire come contrae i muscoli ma, per sicurezza, l’afferro e la costringo a sollevarsi.

Me la rigiro tra le mani senza che lei opponga resistenza e la costringo a guardarmi in faccia, la faccio sedere esattamente sulle mie ginocchia e le prendo il viso fra le mani.

-Vuoi che ti rinfreschi la memoria?- Sogghigno.

Lei batte più volte le palpebre e, come avevo immaginato, è rossa di vergogna. Ma si ricompone in fretta.

-Vuoi già rifarlo?- Mi chiede sollevando un sopracciglio, scettica. -E credi di farcela?-

Le afferro il mento con una mano mentre faccio passare l’altro braccio dietro la sua schiena, per sorreggerla.

-Non sottovalutarmi.- Grugnisco, riservandole un’occhiata minacciosa.

Nasconde un sorriso, abbassando le palpebre, tanto che le sue ciglia sfiorano gli zigomi. Poi si mordicchia i labbro, mi fa passare le braccia attorno al collo e si spinge contro di me.

-Ma sono tanto stanca.- Mi sussurra all’orecchio.

-Allora dovrò tenerti sveglia!- La mia voce è volutamente bassa e provocante.

Soffia con un sorrisino sul mio collo, dandomi i brividi. -E mi farai stare sopra?-

Mi assaggio ancora le labbra, pregustandomi già il sapore della sua di bocca. -Allora proprio non vuoi capire…-

La spingo all’indietro e la stendo a pancia in su sul letto e la sovrasto, le bacio la gola e scendo fra i suoi seni, gustandomi la sua pelle. E, mentre scendo a baciarle il ventre, una sgradevole sensazione mi assale a tradimento e sono costretto e serrare i pugni attorno alle lenzuola.

Ripenso alla sua minaccia di andare con un altro uomo e il tormento mi schiaccia, ma non sono vittima di un’insana gelosia, quanto di un terribile presentimento.

Se qualcosa dovesse allontanarmi da lei o se qualcuno dovesse portarmela via, non avrei più niente. Sarei risucchiato da abissi neri e oscuri che già conosco, e non sarei altro che una nuova vittima di questa guerra.

Rimarrei a mani vuote e con una voragine nel petto.

Ed è in questo preciso istante, mentre sono con le labbra sulla costola sinistra di Aria, che prendo coscienza della verità e ogni tassello del puzzle immaginario, che non sapevo neanche di stare componendo, va in ordine.

A me non importa assolutamente nulla delle altre persone. Ho scelto la carriera ad ogni forma di contatto e di piacere che avrei potuto concedermi, prendendo solo ciò che mi serviva quando mi serviva. Sono estraneo alle sofferenze degli altri, sono puramente egoista e voglio porre fine alla guerra unicamente perché sono stanco di tutto questo trambusto e per tornarmene a casa. Tutti i grattacapi che ho al momento hanno iniziato davvero a stufarmi, ma non me ne faccio nulla della pace se non posso essere io a dettare legge.

Tutto ciò che so fare è comandare, non sono fatto per ricevere ordini, non lo sopporto e il pensiero di obbedire ad altri mi fa venire il voltastomaco. Ho i brividi al solo pensiero di dovermi sottomettere e di non essere più io il capo di me stesso. Non saprei cosa fare, come muovermi, perderei ogni brandello di vita senza la mia autorità.

Perciò non ho mai avuto intenzione di fermarmi davanti a nulla, non mi importa su quanti cadaveri dovrò passare e quante teste di Divergenti dovrò fare saltare in aria.

Perché, per me stesso, conto unicamente io.

Ho a cuore unicamente il mio bene, ma per questo Aria è così importante. Mi appaga, mi fa vivere e mi tiene ancorato alla terra anche quando tutto trema.

Ucciderei per lei, farei a pezzi chiunque osasse sfiorarla o provasse ad impedirmi di tenerla con me. Lei è mia ed io non sono disposto a rinunciare a ciò che mi appartiene, sono sempre stato possessivo e violento. Soprattutto se si tratta della persona senza la quale non potrei sopravvivere.

È parte di me, ragion per cui sono pronto a sporcarmi le mani per proteggerla.

Le mie labbra si spostano lungo il suo corpo, e il profumo della sua pelle che sa del mio sudore mi attraversa le narici e il cervello, facendomi sussultare. Trattengo un ringhio e stringo i suoi fianchi, lei mugola e tenta di liberarsi dalle mie mani, che si arpionano maggiormente alla sua carne.

Se qualcuno dovesse provare a fermarmi incontrerà la mia ira, perché niente sarà in grado di tenermi lontano da Aria, da questo letto e da ciò che desidero di più. Farò fuoco su qualunque ostacolo e su chiunque.

Sempre tenendola saldamente dai fianchi mi sollevo e le bacio la pancia, leccando la lieve linea dei suoi addominali appena accennati.

-Eric?-

La ignoro, sono insaziabile e lo scarso contatto che ho con la sua pelle non mi basta più.

Non adesso.

Le fiamme che mi ribollono dentro mi martellano le tempie e pulsano dolorosamente fra le mie gambe. Le mordo piano il mento e cerco la sua lingua oltre le sue labbra, baciandola ferocemente.

Una mia mano scivola sotto la sua nuca e le afferro i capelli, ferendola, la tengo ferma e inizio a morderle le labbra e a leccarle la gola, fin dietro il suo orecchio.

-Eric, io non…-

Le tappo la bocca con una mano mentre con l’altra le divarico le ginocchia. Sono così eccitato e furioso che mi spingo prepotentemente contro di lei e la faccio mia, senza aspettare il suo consenso e senza le dovute attenzioni.

Prova inutilmente a sottrarsi, provando a scivolare via con i fianchi, soffoca un lamento contro il palmo della mia mano e si dimena.

Il piacere assoluto che provo, con il mio copro sopra il suo e il calore del piacere ad avvolgermi, è tale che sono sordo alle sue proteste. Andando contro ogni forma di buon senso e di gentilezza, la tengo stretta contro di me e continuo insistentemente, senza fermarmi. Il piacere cresce fino ad inebriarmi i sensi, perdo del tutto il controllo e mi aggrappo con un mano alla spalliera del letto, ancorandomi.

-Sei mia!- Gemo forte. -E quando dico che sei mia, intendo solamente e totalmente mia!-

Lei si inarca e i nostri respiri affannati si fondono.

Mi sposto ma non la lascio in pace, mi siedo al centro del letto stendendo le gambe e l’afferro per mettermela in braccio, rivolta verso di me.

-Stai sopra se vuoi, vediamo quanto resisti!- grugnisco.

Le afferro i capelli dietro la nuca, avvolgendomeli alla mano, e tiro con forza.

-Sei mia, sei solo mia e guai a te se provi a scappare!- Ringhio contro la sua gola completamente esposta.

-Sì!- si lamenta, afferrando la mia mano per liberarsi i capelli. -Sono tua, ma smettila di farmi male!-

I suoi capelli ottengono la libertà, peccato che la mia mano scenda sulla sua schiena per spingerla contro di me quando le mordo con cattiveria una spalla.

-Serve a lasciarti impresso il concetto, piccola!-

Mi spinge via e scuote la testa. I suoi occhi languidi mi guardano e credo proprio che, tra strati di piacere, debba esserci annidata una profonda stanchezza che le rende difficile tenere gli occhi aperti. So che il precedente rapporto che abbiamo avuto solo pochi attimi fa l’ha distrutta, ma non intendo fermarmi adesso.

Si morde il labbro e mi mette le mani sulle spalle, cercando di sistemarsi su di me, ma subito dopo mi guarda e colgo la sua incertezza. Sogghigno, avido e pieno di desiderio che non riesco più a trattenere, le prendo i fianchi e la sollevo e, quando scivola nel punto giusto sopra di me, è la fine.

Un suono profondo e gutturale mi esce dalla gola mischiandosi ad un gemito, la abbraccio e la stringo con forza. Anche lei geme e si accascia sulla mia spalla, mentre il godimento di entrambi sale e ci appesantisce i respiri.

Lentamente, solleva la testa e cerca di spingermi indietro la schiena, premendo contro il mio petto con le sue mani sottili per fari distendere. Il suo tentativo fallisce quando le afferro saldamente i polsi, fermandola, e raddrizzo la schiena per rifiutarmi di sdraiarmi.

Non ho alcuna intenzione di dargliela veramente vinta e voglio mantenere il controllo della situazione.

-Tu…- Protesta, senza fiato e faticando a scandire le parole. -Così sei sempre tu a comandare tutto!-

Cerco di tapparle la bocca con un bacio, lei tenta di ritrarsi ma io l’abbraccio forte e la tengo contro il mio copro.

-Perché è così che deve essere!- Ringhio contro le sue labbra, con il fiato corto. -Io comando e tu mi appartieni. Sempre!-

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

 

 

 

 

Ciao a tutti, questo capitolo non mi ha ancora convinta e l’ho riletto e corretto tante volte, perciò perdonatemi se ci saranno troppi errori di battitura.

Avevo paura che la prima parte fosse troppo confusa e la seconda troppo esplicita. 

 

Nel prossimo aggiornamento potrete dare una sbirciatina sul passato di Eric, con un breve racconto della sua infanzia.

 

Grazie a tutti i lettori.

Se avete dei dubbi o volete farmi sapere cosa ne pensate, sarei felice di leggere i vostri commenti!

Bacioni!

 

 

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Capitolo 29
*** Altalena ***


29. Altalena

 

 

 

 

 

 

 

-Se sei sopravvissuta anche alla seconda volta, vuole dire che sei più brava di quel che pensavo!- Ammette.

Assaggio un cucchiaino di budino e sollevo gli occhi su di lui, senza trovarlo tanto interessante quanto il mio dessert.

In realtà non sono d’accordo, devo la mia riuscita unicamente alla clemenza di Eric e non certo alle mie abilità. E, contando i lividi che mi avrà sicuramente lasciato, non credo di potermi definire tanto brava. Ruoto la spalla e sento un fastidioso dolore che mi costringe a fare una smorfia, mi tasto un ginocchio e ritrovo lo stesso malessere per cui, a conti fanti, non so quanto gentile sia stato il mio nuovo istruttore.

Non so perché gli sia venuto in mente di insegnarmi a combattere, soprattutto se le sue lezioni si trasformano in un massacro ai miei danni, anziché essere dei momenti di apprendimento. Capisco che devo imparare a difendermi come una vera Intrepida, ma non vedo il motivo per cui debba prendermi a pugni.

Ero abbastanza brava contro gli altri iniziati, ed ho iniziato a fare a botte a scuola ancora prima di imparare a leggere, ma è pura utopia se pensa che riuscirò mai a batterlo.

Riesco a colpirlo solo quando me lo concede e dosa la sua forza.

-Il calcio al mio povero ginocchio potevi anche risparmiamelo.- Decreto.

Porto un altro cucchiaino di budino alle labbra e mi rifiuto di guardarlo.

Dopo l’episodio di due giorni fa, quando finito di combattere contro Nick ha avuto la bizzarra idea di sfogarsi contro di me, gli è venuto in mente di fare una replica del nostro scontro. Aveva detto di volermi addestrare ma, quando sta mattina è venuto a prendermi per trascinarmi su quello stesso ring, per me è stata ugualmente una sorpresa.

Eric nasconde una risata e mi accarezza il ginocchio, allungando una mano su di me da sotto al tavolo.

-Su questo hai ragione, devo ancora imparare a controllarmi e a non farti troppo male.- Ammette, incrociando il mio sguardo e mostrandomi il suo sorriso accattivante.

Sospiro e cerco di non farmi ingannare. Se persino Nick va ancora in giro zoppicando, cosa poteva aspettarsi da me?

-Sai,- Inizia, accarezzandomi una guancia con la sua mano calda. -Non mi riferivo solo ai nostri combattimenti…-

Il cuore mi martella nel petto e le mie guance si infiammano, ancora di più quando mi sorride e mi mette un braccio attorno alle spalle.

-Diciamo che sei sopravvissuta ad un’altra seconda volta violenta, giusto ieri sera.-

Il respiro mi si blocca.

Sorrido e mi avvicino a lui, lasciandomi stringere contro il suo petto. Quello che non mi aspetto è il suo viso che si strofina contro la mia tempia e le sue labbra che mi posano un bacio sulla fronte.

Siamo seduti a mensa, vicini, allo stesso tavolo di Jason, Camille e Nick. Loro non prestano particolare attenzione a noi e al nostro scambio di effusioni, però siamo in pubblico e molti Intrepidi potrebbero vederci.

Eric non sembra preoccuparsene, mi avvolge anche con l’altro braccio e mi solleva il viso con due dita, come fa spesso, costringendomi a guardarlo. Il suo sguardo è magnetico e il grigio azzurro dei suoi occhi sembra liquido e caldo.

Accenna il suo tipico sorriso beffardo e si allunga per mordicchiarmi il lobo dell’orecchio.

-Sei molto bella oggi.- Mi provoca, in un sussurro sensuale. -Devi aver dormito proprio bene!-

Ridacchia ma io non gli do troppo peso, soffermandomi più che altro sul suo complimento.

So di piacere ad Eric, non me lo dice spesso ma me lo ha fatto capire.

Per quanto mi riguarda ho sempre pensato che fosse Amber quella carina, con i suoi lineamenti così simili ai miei eppure più sottili ed aggraziati. I suoi fluidi capelli dorati la rendevano quella da ammirare, anche a scuola, mentre i miei neri e dritti riuscivano solo a farmi sembrare ancora più pallida.

Ho sempre pensato che il mio naso arrotondato e i miei occhioni mi facessero assomigliare ad una bambina. Gli zigomi troppo pronunciati e le mie labbra gonfie, per niente gentili come quelle di mia sorella, toglievano armonia al mio viso.

Eric la vede diversamente, per lui i mie lineamenti, che per tanto tempo ho considerato eccessivi e appariscenti, sono caratteristici e lo affascinano.

Sorrido ancora quando una sua mano mi accarezza la coscia.

-Quindi è per questo che sei così dolce, devi compensare con la cattiveria di ieri sera!- Esclamo.

Mi guarda, piega la testa da un lato e, dopo aver riflettuto qualche secondo, mi stampa un bacio sulle labbra.

-Può essere!- dichiara in fine, stringendosi nelle spalle. -Ti devo qualche gentilezza!-

Sorrido raggiante. -Devi aver dormito piuttosto bene anche tu!-

Ignora la mia occhiata provocante, mi libera dal suo abbraccio per trascinare la mia sedia più vicina alla sua, poi torna a cingermi le spalle con un braccio e mi stende l’altro sulle gambe.

-Sta mattina ero distrutto, non so come ho fatto a svegliarmi!- Brontola, scocciato.

Lo osservo e non posso fare a meno di nascondergli un sorrisino, mentre mi mordicchio il labbro.

Guida la mano che teneva poggiata sulle mie ginocchia fra i miei capelli e inizia a giocare con qualche mia ciocca, intrecciandosela fra le dita.

La sue mani sono così grandi e perennemente calde, tanto che il loro solo contatto basta ad inebriarmi. Approfittando del mio momento di debolezza, Eric mi sorride ancora, mi stringe a sé e mi bacia sulla testa.

-Allora, è stato bello stare sopra?- Mi sussurra ad un orecchio, dandomi i brividi.

Rossa per l’imbarazzo, cerco di spingerlo via. -Smettila!- ridacchio.

Eric mi stringe di più, mi posa un bacio sul collo e ride anche lui, soffiandomi sulla pelle e aumentando i miei brividi.

-La piantate voi due?- Si lamenta Nick, seduto al capotavola accanto a me. -Siete imbarazzanti!-

Ci giriamo tutti a guardarlo, anche Jason e Camille.

-E tu non guardarli!- Gli risponde proprio lei.

-Stai scherzando? E chi vuole guardarli?- Continua Nick. -Ma potrebbero essere un po’ più discreti invece che sbatterci in faccia i loro amoreggiamenti! Mezza fazione è rimasta sconvolta.-

-Come dargli torto! La versione disinibita di Eric potrebbe portare all’infarto qualcuno. Nemmeno io sono così smielato con Camille.- Esclama Jason, concentrato a spalmare il burro sul suo toast.

-Smielato? Altro che miele, tutto questo zucchero potrebbe farmi vomitare!-

-La verità, Nick, è che devi trovarti una ragazza anche tu. Non vorrei dirtelo tutti i giorni, ma è così.- Interviene Camille, con gli occhi fissi sul suo budino.

Sembrano impegnati in una chiacchierata invisibile e di poco peso.

In realtà, quelli che sembrano invisibili e senza peso siamo io ed Eric, dato che la nostra presenza viene bellamente ignorata.

-E per cosa, per perdere la dignità come lui?- Riprende Nick, indicando Eric. -Andiamo, ormai è praticamente andato!-

-Ormai lo abbiamo perso!- Conviene Jason, addentando il toast.

-Almeno prima eri solo tu ad avere la ragazza, ma Camille non è mai stata un problema. Adesso sono l’unico a rigirarsi i pollici, credo che dovrò cambiare giro o mi farete venire il voltastomaco!-

-Ho già detto che devi trovarti una ragazza?- Indaga Camille, sporgendosi oltre il suo ragazzo per guardare Nick.

-Non mettergli pressioni, tesoro. Magari non ci riesce!- Le parole di Jason, anche se dette a bassa voce e con finta serietà, fanno scoppiare a ridere Camille.

Nick finge di non aver sentito. -Il punto è che questa ragazzina ha scombussolato gli equilibri!-

Riprendo a mangiare il mio budino, staccandomi da Eric e, con il cucchiaino ancora in bocca, alzo gli occhi al cielo e mi prendo del tempo per riflettere.

Alla fine mi volto verso Eric e lo guardo battendo le palpebre, faccio la vocina sottile e provo ad impietosirlo. -Dice che ho scombussolato gli equilibri!-

-Adesso lo scombussolo io.-  Mi garantisce, esibendo il suo sguardo più maligno quando si china su di me, incrociando le braccia sul tavolo.

Arriccio le labbra per non ridere.

Poco dopo Eric si raddrizza e si rivolge al suo amico. -Come va la gamba, Nick? Magari potrei passare all’altra.-

-Sei più perfida di quel che temevo!- Mi accusa Nick, scuotendo la testa.

Io gli rivolgo un sorrisino falso e faccio spallucce.

-Ho detto quello che pensavo, e anche lui!- Continua, indicando Jason.

-Sì, vi ho sentiti, entrambi!- Ringhia il mio capofazione. -Andate al diavolo!-

Scuote la testa, nasconde un ghigno e si alza portandosi dietro il suo vassoio.

Imito Eric e andiamo a svuotare i nostri piatti lasciando tutto negli appositi carrelli. Usciamo dalla mensa, sentendo ancora le risate di Camille e Jason.

Raggiungiamo il corridoio e ci avviamo alle scale, quando Eric mi prende per mano e mi tira a sé.

-Ti accompagno a casa, ho delle cose da prendere e poi devo tornare indietro. Io e Jason abbiamo un lavoro importante da terminare.- Mi informa Eric. 

Continuo a camminare, mi porto un ciuffo di capelli dietro l’orecchio e fisso il pavimento. -Potresti dare anche a me qualcosa da fere, invece di tenermi sempre all’oscuro di tutto.-

Per un attimo penso che mi abbia preso per mano solo per darmi un contentino.

-Non torneremo sull’argomento.- Mi ammonisce, con la voce pericolosamente alterata. -Ti voglio al sicuro e fuori da tutto questo schifo!-

Sospiro. -Chissà se riuscirai mai a considerarmi veramente un’ Intrepida.-

-Quando torneremo a casa lo farò e ti lascerò svolgere i tuoi incarichi per la fazione. Magari non al servizio di Robert.-

A sentire il nome di quello che sarebbe stato il mio capo reparto, se avessi avuto il tempo di scegliermi la carriera, mi si serra lo stomaco. Non ho più tanta voglia di rivederlo da quando Finn mi ha rivelato il problema del limite di età fra gli Intrepidi.

So che non è colpa sua, ma vederlo significherebbe ritornare a quella orrenda verità che mi è stata svelata, e non sono stata pronta a farlo nemmeno con Eric. Soprattutto non sono pronta per sopportare ancora suo padre, non posso farcela. Rivedere Robert mi riporterebbe alla mente sua madre e l’amore travagliato con Finn. A me basta il mio di amore complicato e sofferto.

E, come ciliegina sulla torta, il pensiero di lui e della sua intercezione con mia sorella mi infastidisce parecchio.

-Cosa devi fare con Jason?- Chiedo ad Eric, solo per distrarmi.

Dal modo in cui serra la presa attorno alla mia mano e per come irrigidisce le spalle, capisco di aver toccato un argomento critico. Il suo volto si rabbuia e la smorfia che fa quando contrare la mascella lo rende terrificante, i suoi occhi si accendono di rabbia e scintillano, furenti.

-Non chiedere!- Scandisce.

Prendo fiato e reprimo il brivido di terrore che stava per scorrermi sulla schiena, mi faccio forza e provo ad accettare la sua decisione, scacciando via il pensiero che ciò che mi nasconde sia qualcosa di brutto. Ma non si sarebbe irrigidito tanto se non sentisse il peso di ciò che deve fare. Forse è qualcosa di serio, però so solo che nel suo sguardo ho intravisto una certa insofferenza.

Il mio compito, al momento, è stargli vicino e sostenerlo. Ed è solo questo che devo fare.

Gli stringo la mano e sospiro. -Va bene, Eric!-

-Eric?-

Abbiamo appena girato l’angolo e stiamo quasi per imboccare la scala quando, dalla rampa, fa capolino una donna.

È lei che ha nominato Eric e, dal modo in cui lo guarda, intuisco subito che sa perfettamente chi è.

E non credo che conosca il capofazione degli Intrepidi.

Indossa un completo blu, ma non di quelli eleganti delle donne in carriera, ha dei pantaloni di lino e un maglioncino semplice. Ciò che attira il mio sguardo è il modo in cui la luce esalta le sfumature bionde dei suoi capelli castano chiaro, raccolti in una crocchia dietro la nuca. I suoi occhi sono di un grigio chiaro e luminoso e le sue labbra sono sottili.

Sussulto, riconoscerei quei tratti distintivi ovunque.

Volto appena la testa e sollevo lo sguardo sul volto di Eric, adesso paralizzato in una smorfia. Dai suoi capelli biondo scuro scendono goccioline di sudore, i suoi occhi grigi sono spalancati e le sue labbra sottili serrate.

Questa donna sa benissimo chi è Eric. Ma ha conosciuto un Eric diverso da quello che conosco io, lei ha visto l’Erudito.

-Sei proprio tu?- sussurra, senza smettere di guardarlo.

Eric spalanca le narici, sembra un animale inferocito. Non saprei dire se l’immobilità del suo corpo sia dovuta al rifiuto o, magari, a qualcosa di simile alla paura. Sempre che lui conosca cosa sia.

-Alla fine ci siamo rincontrati!- Afferma la donna.

Tuttavia, quando sorride, qualcosa stona. È un sorriso finto, tirato all’estremo e per questo agghiacciante. Questa donna si sta fingendo padrona della situazione, in realtà è allarmata e stringe le mani davanti al grembo per controllarne il tremore.

Sposto lo sguardo su Eric e vederlo tanto teso e con il suo sguardo tremendo, mi inquieta.

-Non mi presenti la tua amica?- Azzarda la donna, posando gli occhi sulle nostre mani unite.

Non batte ciglio, eppure deglutisce. È come se sapesse di non correre alcun rischio, pur temendo ugualmente per la sua incolumità.

Ma ha fatto uno sbaglio grave, perché toccando me ha spinto sul nervo scoperto di Eric. Infatti lui serra la presa attorno alla mia mano e si irrigidisce mentre fa scricchiolare minacciosamente la mandibola. E poi, senza preavviso, l’istante dopo recupera il pieno controllo sulle sue emozioni e rilassa totalmente i muscoli e, addirittura, le sue labbra si sollevano per un sorriso magnanimo.

Tremo fino alle ossa.

-Perché non chiudi la tua schifosa boccaccia e sparisci dalla mia vista.- Le spiega con un tono amabile e pacato. -Prima che io mi ricordi di avere un coltello, e decida di conficcartelo nella gola.-

Ed è quando mi volto a guardare la donna che qualcosa non mi torna. Dovrebbe essere preoccupata, ed invece si limita a fare una smorfia di disappunto, prima di voltarsi per andarsene.

È come se avesse previsto questo epilogo. Sono rimasta senza fiato, confusa.

Eric grugnisce di rabbia e mi tira con prepotenza a sé, tenendomi talmente salde le dita nelle sue che mi fa male. Mi trascina velocemente fuori dall’edifico ed io riesco a malapena a stragli dietro, saltellando, ma non oso lamentarmi. Quando arriviamo finalmente davanti alla porta di casa nostra tiro un sospiro, lui mi lascia per aprire ed io mi sgranchisco le dita indolenzite.

Entriamo, sbatte violentemente la porta dietro di noi e avanza per gettare la sua giacca sul tavolo.

-Non ci provare nemmeno!- Sbraita Eric, contro di me.

Sollevo lo sguardo e batto le palpebre, perplessa.

Eric si è arpionato al tavolo della cucina, chino in avanti e con un’ espressione intimidatoria. Essendosi tolto la giacca, la braccia sono scoperte, per cui l’intreccio di tatuaggi che ha sugli avambracci è ben visibile, alterato dalla tensione dei bicipiti.

Avanzo di un passo. -A fare cosa?-

-A chiedere!- Ringhia, puntandomi un dito contro con uno sguardo ardente.

Si raddrizza con un’ imprecazione, sopprime un ringhio e si avvia verso la scale, salendole a pesanti falcate.

Seguo la sua figura possente, sospiro e avanzo piano, per raggiungerlo. Quando arrivo in camera da letto lo trovo nascosto dalle ante dell’armadio, dato che ci sta frugando dentro mettendo tutto in disordine. Scivolo silenziosa verso il letto e mi siedo in un angolo, il più lontano possibile dalla furia che è attualmente Eric. Non vorrei proprio essere al posto della povera felpa che ha scelto di indossare, dato come la sta strapazzando.

Abbasso lo sguardo, accavallo una gamba, e gioco con la fibbia dei miei stivaletti. -Io non ti chiedo niente Eric, non l’ho mai fatto, da quello che ricordo.-

Sto alludendo al periodo in cui ero ancora un’ iniziata e non riuscivo a capire che Eric era stato un Erudito. Avevamo avuto modo di parlare e di conoscerci, ma non gli ho mai chiesto nulla del suo passato. Sapevo che non potevo osare, ponendogli domande pericolose. Quasi tutti coloro che hanno cambiato fazione tendono a cancellare e abolire categoricamente le proprie origini.

Eric grugnisce quando tira su la lampo della felpa, si siede sulla sedia nell’angolo, svuota le tasche dai caricatori e posa la pistola sul comodino lì accanto.

-Ti ha dato fastidio il fatto che non ti abbia mai chiesto da che fazione venivi, però non mi dici mai nulla di te, quando di me sai tutto. Non ti ho mai chiesto niente, nemmeno una spiegazione per le scelte che hai preso in passato!-

-Vuoi sapere perché ammazzavo Divergenti con la stessa facilità con cui mi scopavo una ragazza diversa ogni sera?-

Uno schiaffo avrebbe fatto meno male.

La sua risposta mi lascia l’amaro in bocca e per poco non tradisco un sussulto.

So benissimo di non avergli mai chiesto nulla solo per paura. Ho accettato il suo lato criminale smettendo semplicemente di considerarlo.

Gli Eruditi insegano ai bambini a temere i Divergenti, ad odiarli e allontanarli, per cui posso capire molto della politica imposta da Jeanine. Non certo le uccisioni di massa.

Stringo i pugni e mi chiedo se, per caso, le mani di Eric non siano sempre ardenti perché sono le mani di un assassino. A quanti ha tolto la vita? Ne valeva davvero la pena? Lo meritavano?

Aveva detto che il suo compito era quello di fornire i nomi, che a volte assisteva alle esecuzioni, ma di certo non si è fermato lì. E sarei stata stupida a crederlo.

Una scossa di paura mi attraversa, quando mi chiedo cosa sarebbe stato davvero disposto a fare pur di raggiungere i suoi scopi.

Ma come faccio sempre, pur sapendo di essere in torto, provo a giustificarlo. Ripeto a me stessa che non so quello che ha passato, cosa gli ha insegnato la sua famiglia, o perché sentisse il disperato bisogno di liberarsi dai vincoli dell’obbedienza ed ottenere un ruolo di comando.

Da come ne parla lui, diventare capofazione era una questione di vita o di morte. E, se non avesse obbedito agli ordini ricevuti, lo avrebbero ucciso per evitare che rivelasse i piani degli Intrepidi con gli Eruditi.

Ed io non avrei nessuno che mi protegge.

La mia mente, stanca del peso opprimente che minaccia di uccidermi se provo ancora a pensare ai crimini di Eric, mi conduce su altri dettagli fastidiosi che necessitano di risposte.

-Non mi importano i nomi di quelle che ti scopavi prima, vorrei solo sapere qualcosa di più di te.- Scandisco, sforzandomi di apparire tranquilla. -Non so assolutamente nulla del tuo passato. Non so chi eri!-

-Perché conta chi sono adesso!- Mi ammonisce, ancora seduto sulla sedia.

-Questo lo so!- Respiro profondamente. -E tu sai cosa provo per te, quindi perché vuoi nascondermi tutto?-

Scuote la testa, sbuffa e si ripiega sui comiti le maniche della felpa.

-E così difficile per te parlarne?- Lo provoco, cercando disperatamente il suo sguardo.

-Ti preferisco quando nascondi la testa sotto la sabbia e tieni chiusa la bocca.- Ringhia.

Incasso il colpo abbassando la testa, senza dire più nulla.

Lui si alza, infastidito, impreca in silenzio e si avvicina alla ringhiera che affaccia sulla cucina.

-Non c’è molto da sapere.- Soffia, con le mani strette al corrimano di legno.

Guardo la sua schiena contrarsi e i suoi muscoli pressanti sotto la felpa, rimanendo in silenzio.

-I miei genitori sono morti in un incendio scoppiato nel laboratorio dove lavoravano, quando avevo sei anni.- Ammette con un’ anomala serenità.

È solo per un istante, ma l’immagine di un bambino biondo e bellissimo che piange davanti ad un edificio in fiamme mi assale, costringendomi e scuotere violentemente la testa.

Ho sempre pensato che il passato di Eric fosse stato travagliato, ma non osavo immaginare un bambino di sei anni orfano e solo. O genitori morti bruciati.

Sopprimo un brivido e penso al modo in cui Eric ha impostato la sua vita fra gli Intrepidi, isolandosi da tutti dietro un muro di freddezza e crudeltà, chiedendomi se non sia una scelta in qualche modo dettata dal suo passato.

Nessuno sceglie di rimanere da solo se non per nascondere un vuoto interiore.

-Quella che hai visto oggi era mia zia, la sorella di mia madre. È lei che ha badato a me e mi ha dato una casa dove stare.- Dice, con lo sguardo fisso davanti a sé e le spalle sempre più rigide.

-Ti somigliava molto.- Non riesco a fare a meno di considerare.

-Sì, e anche a mia madre!- Spiega con disgusto.

La sua voce è calda e vibrante, potrebbe far credere che dentro di lui vada tutto bene, ma lo conosco troppo per lasciarmi ingannare. Appare composto, indifferente al suo stesso racconto, ma se gli avessi chiesto di gettarsi da un edificio lo avrebbe fatto con molto più piacere.

E facendosi meno male.

-Ma, prima che quel verme di suo marito si convincesse a farmi vivere in casa sua, mi sono fatto più di un anno nell’orfanotrofio del quartiere.-

La sua confessione mi lascia senza fiato. -Perché non ti hanno preso subito?-

-Perché quel vecchio bastardo riteneva illogico sprecare il cibo della sua tavola per un figlio non suo!-

Eric scrolla le spalle come se mi avesse comunicato le condizioni del tempo fuori, ma la cadenza amara della sua voce mi ferisce.

Conosco bene la logica degli Eruditi, l’ho subita anch’io, sulla mia stessa pelle. Per loro conta unicamente la divisione in ciò che è logico e ciò che non lo è.

Adesso so di non essere l’unica nauseata dalla loro maledetta abitudine.

Probabilmente anche la mia famiglia ha seguito lo stesso ragionamento, quando hanno scelto di estraniarmi, perché ritenevano illogico affezionarsi ad una persona che, presto o tardi, se ne sarebbe andata.

-Ovviamente, non sono mai stato incline ai rapporti interpersonali e non sono mai stato gentile- Specifica, divertito dalle sue stesse parole. -Non sopportavo chi mi ronzava troppo attorno. Picchiavo gli altri bambini ed ero l’incubo delle tutrici.-

E per l’ennesima volta, l’immagine di un bambino che piange mi assale. Sta volta lo vedo solo, con i capelli scompigliati in mezzo ad altri ragazzini senza famiglia. E, ancora una volta, mi ritrovo a scuotere violentemente la testa per riprendermi.

Anche io ero ribelle e scontrosa, facevo sempre a botte, e nemmeno io ho avuto un buon rapporto con mia madre. Ma almeno io ne ho avuta una.

-Quando sono andato a vivere con loro, all’inizio andava tutto bene, ma mio zio aveva regole ferree e pensava che con le punizioni mi avrebbe rimesso in riga.- Soffia con il naso e scuote la testa. -Non siamo mai andati d’accordo e quell’idiota viziato e insopportabile di mio cucino, il loro amato figlio senza cervello, si divertiva a rendermi la vita un inferno!-

Sollevo lo sguardo sulla schiena di Eric e serro i pugni. -E tua zia?-

-Era un’ Erudita!- Sottolinea, e mi sembra quasi infastidito per l’ovvietà della mia domanda. -Non mi sono mai aspettato niente da quella lì!-

Mi mordo il labbro fino a sentire dolore, perché l’immagine del bambino che piange viene sostituita con quella di un ragazzino picchiato e chiuso in camera.

Magari è per questo che l’Eric capofazione pretendeva sempre il massimo dai suoi inizianti, cercando di portarli al limite.

-A dire il vero, di tanto in tanto, la stronza fingeva di volermi bene e provava a incantarmi con le sue gentilezze, false e non richieste. Pensava che avessi bisogno della sua pietà!-

Eric sbuffa e si concede una mezza risata, puramente amara e cattiva.

Ora so perché è così estraneo ai sentimenti, lo osservo e so per certo che persino io, al suo posto, odierei ogni forma di contatto umano. Non è facile credere negli altri quando, la tua stessa famiglia, ti ha deluso negandoti l’affetto che meritavi.

Ora so da dove è nato il gelo che avvolge in cuore di Eric. Forse ha la stessa origine della barriera che ho costruito attorno a me stessa prima di cambiare fazione.

-Ma sai una cosa? Alla fine sono riuscito ad avere la mia vendetta, e ne sono più che soddisfatto!- Senza preavviso, Eric lascia la ringhiera e si volta verso di me ma, considerata l’espressione spaventosa che ha, avrei preferito che rimanesse di spalle.

-Sai che fine ha fatto il loro amato figlio?-

Rimango in silenzio, non sono certa di aver mai visto Eric tanto spietato.

Adesso non sono più tanto sicura di me, probabilmente avrei dovuto tenere veramente la bocca chiusa e non chiedergli nulla. Sono sconvolta e mi sento su una giostra, spaventata dalle brusche salite e discese del suo umore. È come stare su un’ altalena.

-L’hanno dopo di me, il piccolo bastardo ha ben pensato di scegliere gli Intrepidi, giusto per continuare a tormentarmi.- Sogghigna e, nella penombra, i suoi denti scintillano quanto il suo sguardo crudele. -Ma non era più tanto bravo fra gli Intrepidi!-

Il modo in cui fa spallucce, ostentando una falsa innocenza, mi fa perde del tutto la poca sicurezza che avevo. Sono abbastanza furba da sapere che è proprio quando Eric si finge magnanimo e composto che tira fuori il peggio di sé.

-Non ha mai superato il secondo modulo dell’iniziazione.- Conclude.

Alzo gli occhi e incrocio i suoi, con un nodo allo stomaco che fa quasi male.

Il secondo modulo è quello in cui si affrontano le simulazione, che permettevano di entrare nella mente degli iniziati, e scovare eventuali incongruenze.

Lo guardo paralizzata dal terrore, ponendogli una domanda silenziosa.

-Hai capito benissimo, piccola. Era un Divergente.- Il suo sorriso si amplifica e inclina la testa dal un lato. -È stato il primo che ho ammazzato, gli ho sparato e l’ho guardato cadere dallo strapiombo.-

 

L’ ha fatto di proposito, voleva vedere quanto riesci a sopportare. Voleva provocarti per capire per quanto ancora riuscirai ad accettare quello che ha fatto e a stare con lui…

La mia vocina continua a parlare, cercando di darmi conforto e di tenermi tranquilla, ma io non ci riesco. Il ricordo del racconto di Eric e della sua cattiveria mi tormenta.

Il mio passo è veloce, sto scendendo verso il poligono dove Eric, Jason, Camille e Nick mi aspettano. Voglio solo rilassarmi e dimenticare, voglio esercitarmi a sparare, fingendo che sia tutto normale.

Ma non ci riesco, non quando la paura di diventare fredda e spietata come tutti gli Eruditi che diventano Intrepidi mi terrorizza. Eric ha ceduto al suo lato crudele, era spaventoso, ma mi terrorizza di più il pensiero che anch’io potrei eguagliarlo. Quando volevo catturare Tris, sono arrivata al punto di allearmi con Jeanine e di desiderare veramente di fare del male a quella Rigida per vendicarmi di Will. Magari un giorno potrei salire su di un’altalena che potrebbe portarmi troppo in alto, fino a rompersi e farmi schiantare al suolo.

Svolto l’angolo e intravedo le scale, tirando un sospiro di sollievo.

Senza spiegarmi come sia possibile, sento dei passi dietro di me, così mi volto ma il corridoio è deserto. Mi stringo nelle spalle e riprendo a camminare, ripetendomi che posso anche fare a meno di diventare paranoica.

Poi però la corrente salta e il corridoio, prima di un bianco accecante, piomba nel buio. Sussulto, il respiro mi si accorcia e mi fermo proprio in cima alle scale. Un’ombra saetta davanti a me, sui gradini, ma non ho il tempo di voltarmi perché vengo colpita brutalmente alla testa da qualcosa di pesante.

Il colpo fa tornare per un attimo la luce, quando uno sfarfallio bianco mi acceca, poi il bruciore arriva lancinante. In preda al dolore, e ancora fortemente stordita, non riesco neppure ad urlare perché sono senza fiato. Subito un braccio mi passa davanti e mi blocca le spalle contro la schiena del mio aggressore, che riesce a tenermi ferma senza grandi sforzi.

Qualcosa, forse un ago, mi punge nel tratto di pelle del fianco lasciata scoperta dal giubbotto che si è sollevato troppo dal bordo dei pantaloni. Ma non è solo il pizzico di una puntura a farmi male, sento il bruciore di altri aghi che si conficcano nella carne, lacerandomi i tessuti.

Sta volta sto davvero per urlare, ma l’aggressore è più veloce, con uno scatto mi rigira verso di lui e mi sferra un violento pugno allo stomaco che mi dilania. Cerco di decifrare il volto di quello che è sicuramente un uomo, ma non ci riesco. Il buio è quasi totale e la mia vista sfarfalla ancora per il colpo alla testa.

Tutto ciò che vedo sono le sue spalle e il mento appuntito. La fioca luce inquadra per un secondo la macchia nera che ha sul collo e, con il poco di lucidità che mi resta, capisco che si tratta di un tatuaggio dietro l’orecchio, proprio come il mio. L’aggressore ha degli artigli, o almeno credo, tatuati vicino alla nuca. Sono quattro o cinque, e si incurvano disegnando una esse.

Non mi da il tempo di ribellarmi o altro che mi colpisce con un mal rovescio netto al volto, prende un leggero slancio e si avventa su di me con una spallata contro le mie costole, spingendomi e facendomi volare giù dalle scale.  

Il colpo è stato troppo potente ed io sono decisamente stordita, per cui non riesco ad appigliarmi a nulla, è buio ed io rotolo malamente giù per i gradini. Mi urto una spalla e sbatto la testa più volte, picchiandola quasi contro ogni scalino.

Alla fine raggiungo il termine e il piccolo pianerottolo che svota a destra, esattamente davanti al poligono.

La mia testa colpisce con crudeltà il suolo e tutto rimane buio per un po’, poi la corrente torna e il neon sopra di me mi acceca. Sento voci che conosco e qualcuno che chiama il mio nome, ma non riesco a riprendermi, sto perdendo coscienza e un fiume tranquillo cerca di risucchiarmi verso il fondo.

-Aria!-

Due braccia mi sollevano e mi cingono, mani calde mi prendono il viso e provo un attimo di sollievo. Apro gli occhi quel tanto che basta per mettere a fuoco il volto di Eric, faticando a riconoscerlo dato la paura intrappolata nel suo sguardo.

Forse sono davvero troppo stordita e la realtà mi appare alterata, perché niente può spaventare Eric. Provo a dire qualcosa, vorrei tranquillizzarlo, ma le tenebre mi avvolgono e perdo i sensi.

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

 

 

Oserei dire che di cose di cui parlare ce ne sarebbero parecchie, (per un solo capitolo poi!) ma vedrò di farla breve.

Innanzitutto spero che il racconto di Eric risulti credibile, era difficilissimo immaginarmi il suo passato, ho modificato più volte quel pezzo e mi auguro che sia riuscito.

 

E poi c’è l’aggressione di Aria, ve l’aspettavate? E se vi dicessi che vi ho inserito un indizio che spiega chi è l’aggressore? Lo avete trovato?

 

Ormai siamo vicinissimi alla partenza di Eric, per cui mettetevi comodi e se vi va fatemi sapere le vostre idee su tutto quello che è accaduto finora. O su quello che secondo voi accadrà!

 

Vi lascio anche il link della pagina facebook delle mie storie, dove troverete anticipazione e altro:

https://www.facebook.com/Kaimy11

 

Grazie a tutti e al prossimo capitolo.

Baci Baci!

 

 

 

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Capitolo 30
*** Fiamma spenta (parte 1°) ***


30. Fiamma spenta (parte 1°)

 

 

 

 

 

 

 

Le mie dita vengo attraversate da un leggero spasmo nel momento in cui entrano in contatto con i suoi morbidi capelli, ritrovandomi agitato e reso debole dell’insana paura di farle del male. So che non posso danneggiarla, non lo farei mai e, se anche ne fossi in grado, una carezza non potrebbe ferirla. Ancora meno dato che è addormentata e non percepisce nulla.

È solo che, la sua pelle pallida e la ferita in bella mostra sulla fronte, la fanno sembrare estremamente fragile, tanto che temo che mi basterebbe esercitare una leggera pressione con le dita per mandarla in frantumi.

Forse è già distrutta, o lo sarebbe se fosse cosciente.

Aria è di nuovo su un letto d’ospedale, la terza volta da quando ha avuto la sfortuna di incrociare il mio sguardo.

La prima volta è stata quando è caduta dai sentieri della residenza degli Intrepidi che conducono alla Guglia. Ma almeno quella volta sono stato risparmiato dall’onere di portarla a farsi rattoppare.

Se penso che, quella volta, è stato Quattro a prenderla in braccio e a portarla in infermeria, la terra sotto i miei piedi si apre e rischia di risucchiarmi verso il basso. Sollevo la mano dalla testa di Aria con uno scatto e la serro a pugno, sforzandomi di trovare la calma. Respiro profondamente e ordino alle mie dita di stendersi e di continuare ad accarezzare la sua testa.

In realtà è stato meglio affidarla a qualcun altro quella volta, e non solo per la mia immagine, ma per la mia stessa sanità mentale.

È la seconda volta che devo essere io a portarla in ospedale, con la differenza che l’ultima volta era cosciente ed è arrivata su questo stesso lettino su cui giace ora con le sue gambe.

Sua madre l’ha ricucita, di nuovo, l’altra volta alla spalla e questa volta alla fronte.

Le sue condizioni non sono tanto preoccupanti, è stabile, ma hanno preferito iniettarle una dose di sedativo per impedirle di risvegliarsi durante la medicazione e per garantirle un sonno più tranquillo e un risveglio privo di dolore.

Aria ha paura di sua madre e delle punture soporifere che le somministrava contro i suoi comportamenti scorrenti, da Intrepida. Io invece mi chiedo come si possa avere paura di una medicina che ti allevia tutte le sofferenza e ti concilia il sonno.

Un sonno silenzioso e senza sofferenza.

Per quanto riguarda sua madre, devo ammettere che ho deciso di darle un’altra opportunità.

Quando sono arrivato all’ospedale con Aria in braccio, svenuta e con la testa ricoperta di sangue, lei ha mantenuto la calma e in un batter d’occhio ha dato disposizione affinché sua figlia venisse prontamente soccorsa. E, cosa più importante, è riuscita a buttarmi fuori dalla stanza senza che mi accorgessi di essermi effettivamente allontanato da Aria e da quel lettino su cui l’avevo adagiata per l’ennesima volta.

Vorrei avere avuto la sua stessa fortuna, e vorrei che fosse stato sufficiente anche per me qualche punto di sutura e un anestetico per guarirmi. Ma, poiché nessuno ha sedato me e il mio dolore, i pezzi della mia corazza distrutta mi lacerano la carne e impediscono alle ferite sanguinanti di richiudersi.

Non guarirò mai. Il dolore mi martella nel petto ed è come se fossi a cuore aperto tanto mi sento danneggiato.

Faccio scivolare la mia mano sulla sua guancia fredda e il brivido che ha precedentemente scosso le mie dita mi fa nuovamente tremare la mano, ma sta volta è diverso. Non è una scossa di paura, ma di puro piacere.

Entrare in contatto con lei è l’unica cosa che mi tiene ancora vivo. È la mia unica sopravvivenza.

-Perché non si sveglia?- Chiedo.

Il macchinario dall’altra parte del lettino continua ad mettere i suoi costanti fischi a intervalli regolari, mentre la donna con il camice bianco finisce di tamponare con del disinfettate un piccolo graffio sulla mano di Aria. Sospira, si sistema un ciuffo di capelli scuri dietro l’orecchio e osserva il volto della figlia.

-Aveva una caviglia slogata, due costole incrinate e la botta alla testa le ha causato una lieve commozione celebrale. Ha l’anestetico ancora in circolo, e dormire le farà bene.-

Faccio una smorfia, senza distogliere nemmeno per sbaglio lo sguardo dal volto di Aria. -Ma non avevi detto che doveva già essersi svegliata?-

La dottoressa si stringe nelle spalle e si alza. -Effettivamente ci sta mettendo un po’ troppo, ma non me la sento di disturbarla.-

Rimango in silenzio e continuo a guardare Aria, sperando che le sue lunghe ciglia nere si sollevino dai suoi zigomi, rivelandomi i suoi occhi cobalto di cui non pensavo poter soffrire tanto la mancanza.

-Si riprenderà. È forte.-

Qualcosa mi fa storcere il naso e la mia mascella si serra automaticamente per il fastidio. So che sua madre ha parlato per darmi conforto e il tono della sua voce era cortese e non troppo freddo, eppure sento il bisogno di attaccarla, perché è come se mi avesse colpito e offeso.

Sono perfettamente cosciente della forza di Aria, ma non accetto che ne si parli come giustificazione per quello che le è successo. Il fatto che sia forte non vuol dire che non le sia accaduto nulla o che non le abbia procurato dolore.

Aria non è altro che una vittima di circostanze avverse, troppo fragile e pura per proteggersi con le sue sole forze dalla cattiveria di questa città deviata e corrotta.

Le accarezzo cautamente, con il dorso della mano, il livido violaceo che le copre la guancia e la mascella, augurandomi che non le faccia troppo male al risveglio e che si riassorba presto. Questa macchia scura le deturpa il viso, contrastando spaventosamente con il candore della sua pelle.

Mi ricorda il livido che aveva sullo zigomo dopo la sua prima caduta, durante la sua iniziazione.

Ci avevo posato le dita sopra quando, rivolgendole la parola dopo i giorni di silenzio seguiti al nostro primo bacio, le avevo detto per la prima volta che era mia.

Mi apparteneva già a quel tempo, ma mi appartiene ancora di più adesso.

Le sue ferite, ma soprattutto questa macchia nera al volto, sono un affronto che mi manda direttamente il sangue al cervello. E devo sopportare sua madre, che sostiene che si riprenderà solo grazie alla sua tenacia!

Siamo praticamente certi che qualcuno l’abbia aggredita, pare che abbia incassato qualche colpo e qualcosa l’ha colpita alla testa, dato che non tutti i suoi traumi sono riconducibili alla caduta dalle scale. Jason ha provato a cercare l’aggressore e sta ancora tentando di rintracciare lui o qualche informazione, ma non so ancora nulla.

La rabbia che provo è come una costante scarica che mi pizzica i muscoli, potrei esplodere da un momento all’altro, ma la mia furia si abbatterà sul colpevole al momento giusto.

Adesso Aria è la priorità.

-Temo che le rimarrà la cicatrice sulla fronte.- Spiega la donna, tranquillamente. -Il taglio era molto esteso e non sono riuscita a fare di meglio con i punti.-

Osservo, senza farci troppa attenzione, il cerotto che le copre metà fronte e penso che non mi importa di quali segni rimarranno su di lei, ma quanti ne lascerò io su chi le ha fatto questo.

Avrei preferito che non le accadesse nulla e guardare ogni giorno le cicatrici della sua aggressione mi sarà fatale, lo so già.

Fortuna che la ferita è a sinistra, proprio dal lato che le scende un ciuffo di capelli più corti che solitamente le solletica la fronte, così potrà nasconderla.

-Dovremo lasciarla riposare, inoltre credo che quel ragazzo sia qui per te!-

Distolgo per la prima volta lo sguardo da Aria, provando un fastidio soffocante, e mi volto verso il vetro che affaccia sul corridoio. Jason mi sta aspettando e guarda verso di me con un’ espressione funerea sul volto, ha i capelli rossi scompigliati come tutte le volte che si agita e la sua giacca è sbottonata e scomposta.

Faccio scricchiolare i denti e osservo la mia mano, ancora sulla guancia di Aria, sospiro e mi faccio forza per staccarmi da lei. La guardo per interminabili secondi, sentendo la furia e l’angoscia che crescono di pari passo dentro di me e mi tolgono il respiro e la capacità di ragionare, ma mi allontano.

Non ho intenzione di lasciarla sola, non in questo posto colmo di Eruditi, ma devo parlare assolutamente con il mio uomo di fiducia. Esco dalla stanza e affianco Jason, che mi aspetta proprio davanti al vetro e sta ancora osservando il lettino su cui riposa Aria.

Quando mi guarda vedo che serra i pugni, probabilmente dalla rabbia. -Non sono riuscito a prendere il bastardo.-

La sua informazione mi lascia quasi del tutto indifferente. Ovviamente non aspetto altro che mettere le mani addosso al colpevole, ma non mi ero illuso che Jason fosse già riuscito ad acciuffarlo. Respiro profondamente e mi passo una mano fra i capelli.

-E i filmati delle telecamere?- Chiedo.

Lui scuote la testa. -Erano state scollegate. Ho ripercorso tutto il corridoio e ho trovato un quadro elettrico manomesso manualmente. Chiunque sia stato, ha fatto saltare la luce nel settore, mandando fuori uso le telecamere di sorveglianza.-

Distolgo lo sguardo e impreco mentalmente, consapevole del fatto che più tempo passa prima che troverò il responsabile e maggiore sarà la mia furia quando lo prenderò per il collo.

Sono un capofazione è, ciò che è mio, non si tocca.

-Ho anche controllato le registrazioni dei piani superiore, in cerca di qualcuno di sospetto che scendeva verso il poligono, ma niente. Camille sta ancora cercando altre registrazioni che potrebbero esserci utili, mentre Nick chiede informazioni in giro.-

Jason è nervoso e la sua rabbia lo irrigidisce, anche se tenta di non scomporsi troppo.

Scuto la testa. -Dannazione! Deve esserci qualcosa, chi l’ha aggredita e perché?-

Il mio amico solleva il mento e mi osserva. -Sai benissimo che sia Jeanine che Max avrebbero buoni motivi per cercare di colpirti. E sai bene che sono abbastanza stronzi da usare Aria contro di te!-

-Su questo non ci sono dubbi!- Scandisco, grattandomi il collo. -Loro potrebbero essere stati i mandanti, ma chi è stato a sporcarsi direttamente le mani?-

-Se non è riuscita a difendersi in alcun modo, doveva essere qualcuno molto più forte di lei, per cui un uomo. E, dato che dai filmati delle telecamere accese non ho notato nessun movimento, deve essere stato uno solo.-

Jason mi ricorda quanto sia piacevole avere origini Erudite, che ti permettono di usare il cervello in maniera appropriata. Serro la mascella e abbasso la testa, sopraffatto dal pensiero di un uomo che ha osato mettere le mani addosso alla mia lottatrice.

-Devo sapere chi è stato.- Sibillo in una minaccia.

-Lo troveremo!- mi garantisce Jason.

Non dico nulla, rimango a fissarlo e sto quasi per prendere coscienza di quello che sta accadendo e calmarmi, dato che adesso posso fare poco, quando la porta principale dell’ospedale si apre e fa il suo ingresso Amber.

In realtà fatico a riconoscerla, dato che non l’ho mai vista in questo stato. La freddezza e la sua insopportabile aria altezzosa sono sparite, è sconvolta e ha il viso rigato dalle lacrime. È tutta un fremito, respira affannosamente quando si getta all’interno dell’ospedale e mi supera senza neanche accorgersi della mia presenza.

-Mamma!- Strilla, lanciandosi verso la donna dal camice bianco.

Sua madre è davanti alla porta della stanza di Aria, così mi volto dando le spalle alla finestrella che mostra il lettino e osservo la scena. La biondina si avventa sulla dottoressa, che rimane senza parole, guardandola senza capire cosa le prenda.

-Dov’è Aria? È successa una cosa terribile, non è al sicuro. Devo vederla, io posso…-

Ma il lamento di Amber si interrompe quando volta la testa verso la finestrella e, qualcosa oltre il vetro, la costringe a spalancare la bocca e a trasformare il suo viso elegante in una macchia di terrore.

-No! Aria, no!- Urla a squarcia gola.

Non ho realmente il tempo o il modo di elaborare quello che sta accadendo, la mia mente sta ancora cercando una chiave di lettura a tutto quello che è successo, quando mi volto anch’io verso la finestrella che affaccia direttamente sulla stanza di Aria e la scena che ho di fronte mi gela il sangue nelle vene. Temo che sia di fatto così, perché la morsa dolorosa che sento al petto mi fa pensare che il mio cuore non sia più in grado di ossigenare il mio sangue, troppo solido, e che sia sul punto di smettere di battere. Sono impotente e non riesco a distogliere lo sguardo.

Da oltre il vetro, vedo che Aria non è più stesa sul lettino ma è in piedi, e sveglia.

O almeno così pare.

Si è avvicinata al tavolino su cui erano adagiati gli strumenti chirurgici e ha afferrato un bisturi, vedo la sua lama scintillare sotto le luci al neon e la presa salda e ferma delle dita di Aria. Seguo, impietrito, il percorso del bisturi quando lei stende il braccio libero e si incide, senza emettere un fiato e con l’espressione più vuota che io abbia mai visto, la sottile pelle del polso e le vene sottostanti.

Il sangue cade sul pavimento e, anche se lo fa in silenzio, io sento distintamente il tintinnio delle gocce rosse che si infrangono sulle piastrelle. Il loro suono è assordante, mi duole il petto e fatico a respirare, vorrei fosse solo uno dei miei incubi.

Sollevo lo sguardo sul volto di Aria, in cerca di sollievo, ma ne rimango traumatizzato. I suoi occhi non sono quelli che mi hanno catturato tempo fa, non nascondono la scintilla di determinazione che la contraddistingue e nemmeno la loro dolcezza quando si posano su di me come se fossi degno della sua considerazione.

Sono vuoti e assenti come una fiamma spenta.

Amber è stata più forte di me, si è già lanciata nella stanza ma non arriva abbastanza in tempo. Aria ha già abbassato nuovamente la lama contro sé stessa, continuando ad incidersi tagli profondi nello stesso punto del polso.

-No, smettila!- Urla contro sua sorella, tentando di toglierle l’arma.

Ma Aria ha una stretta solida, stringe il bisturi con entrambe la mani e non si scompone minimamente mentre sua sorella tenta con tutte le forse di portarglielo via. Sembra che non le costi alcuno sforzo trattenere quel bisturi e non credo si accorga di Amber che si dibatte per farle allentare la presa.

Finalmente qualcosa scatta in me e mi decido ad agire, ritrovando la forza di muovermi. Balzo dentro la stanza, raggiungo le due sorelle e mi frappongo tra loro. Afferro Aria dalle spalle e la scuoto bruscamente.

-Svegliati!- Sbraito.

La strattono tanto forte che le sue mani si spalancano e il bisturi cade per terra. Aria apre per un attimo la bocca e il suo labbro inferiore trema, ma il suo sguardo è ancora assente anche quando lo solleva verso di me. So perfettamente cosa sta succedendo, ho già visto la desolazione che ha adesso negli occhi, e so che è vittima di una simulazione.

Dopo tutto quello che ho fatto, dopo il rischio che ho corso per tenerla fuori dalla prima e per impedire che venisse mandata contro gli Abneganti priva di volontà, vedere che adesso un computer la sta guidando mi dilania lentamente dall’interno e smuove spaventosamente la mia furia.

-Aria! Guardami!- Le impongo, prendendole le guance fra le mani.

Spero con tutto me stesso che quella sua piccola e quasi inesistente divergenza si acceda e la risvegli, o che il suo intelletto si attivi per sottrarla alla realtà alterata di cui è prigioniera. So che sarebbe in pericolo se fosse davvero Divergente, ma non posso sopportare che sia priva di coscienza.

Non posso farcela.

Inspiegabilmente, Aria reagisce, mi guarda e per un solo istante mi illudo che mi veda realmente.

-Eric…- Geme in un sussurro quasi inudibile.

Fisso le sue labbra arrossate e la mia sicurezza vacilla.

Quando i suoi occhi si spalancano come se avesse visto qualcosa di terrificante e inizia a urlare, mi sento morire. Si copre le orecchie con le mani e scuote selvaggiamente la testa, le sue urla squarciano il silenzio e sua sorella, ancora al mio fianco, inizia a piangere.

Anche Aria piange, si dimena fra le mie mani e continua ad urlare senza sosta, non l’ho mai vista in questo stato e non credo che potrebbe essere più disperata di così.

-Basta!- grida.

Si accascia in avanti e la prendo prontamente. Piange forte e trema, dalle sue labbra escono urla e lamenti disperati.

-Fa male, Eric! Fallo smettere!-

La sue parole mi riscuotono, le scosto i capelli dal viso e cerco di farla raddrizzare, stringendola contro il mio petto. La cullo fra le braccia, serro le palpebre e spingo la mia bocca contro la sua testa per impedirmi di mettermi ad urlare anch’io, tanta è la mia frustrazione. Mi mordo l’interno di una guancia fino a farla sanguinare e mi impongo di continuare a respirare, per quanto doloroso sia.

-Fa male! Non ce la faccio più!- Continua Aria, nell’ennesimo urlo colmo di sofferenza. -Basta Eric, fa male. Mi stai facendo male!-

Spalanco gli occhi e le metto le mani attorno alle guance, tentando di farla smettere di graffiarsi il viso con le sue stesse dita.

-Non è reale, piccola!- Dico fra i denti, cercando di incrociare il suo sguardo perso fra i tomenti. -Non credere a quello che vedi, nessuno ti sta facendo del male, io non ti farei mai male!-

È assurdo, so che non può sentirmi, ma non potevo non provarci.

-Basta!- Urla. -Fa troppo male!-

Scoppia a piangere, si morde il labbro e scuote forte la testa, stringendo le mie mani che le tengono il viso.

Vederla debole è una cosa che odio, peccato che sentirla piangere in questo modo, sapendo che sto soffrendo terribilmente, mi devasti e mi renda difficile ragionare. Vorrei aiutarla, ma non so come fare. Sono capace di fare a pugni e di ottenere quello che voglio con la forza, ma davanti a me non c’è nessuno nemico e non so come porre fine alle sue sofferenze.

La stringo ancora contro di me e tento di ignorare i brividi che la scuotono e i suoi singhiozzii soffocati contro la mia spalla.

-Sssh.- Le sussurro contro l’orecchio. -Calmati.-

Vorrei mettermi a piangere e ad urlare anch’io, peccato che abbia dimenticato come si fa a piangere molto tempo fa e che credo sia inutile iniziare a gridare a mia volta.

Mentre cerco una soluzione per tirare fuori Aria dall’allucinazione di dolore in cui è prigioniera, ricordo tutto quello che so sulle simulazioni e sollevo lo sguardo verso la telecamere nell’angolo, puntata proprio contro di noi, come se ci stesse guardando.

-Eric…- Sussurra Amber, che è rimasta al mio fianco a fissare sua sorella tutto il tempo.

Ignoro i lamenti di Aria e osservo la bionda, vedendo che sta fissando anche lei la telecamera, nonostante le lacrime che le ricoprono le guance.

Riporto gli occhi sulla lente e capisco che, chiunque stia guidando la simulazione, non potrebbe farlo senza vedere in diretta i nostri movimenti.

Stringo il corpo tremante di Aria con un braccio solo e allungo l’altra mano verso la fondina saldamente agganciata alla mia coscia ed estraggo la pistola. Punto l’arma, senza alcun ripensamento, contro l’obbiettivo e sparo. Sbaglio il primo colpo, che però colpisce il basamento della telecamera, danneggiando i circuiti, mentre il secondo si pianta dritto nella lente centrale.

Il boato degli spari ha spaventato mezzo ospedale, di fatti sento le grida dei medici mentre rinfodero l’arma. Amber è indietreggiata ma non smette di guardare sua sorella.

Tutto ciò di cui mi importa, in questo preciso istante, è di Aria e del suo copro che smette di tremare. Ha il respiro affannoso, stringe le sue mani attorno al mio petto, imprigionando il tessuto della mia giacca, e il suo pianto si fa meno insistente e più controllato.

Respira profondamente e, con estrema lentezza, solleva il viso e mi guarda. I suoi occhi suono colmi di lacrime ma, adesso, sono vivi e limpidi. Solleva le sopracciglia mentre analizza il mio viso, poi sposta la sua attenzione sul suo polso insanguinato e il suo labbro inferiore ha un fremito. Si guarda intorno e scuote la testa, è confusa e spaventata.

Torna a guardarmi ed io le accarezzo la guancia, incapace di parlare.

-Eric?- la sua voce è un debole sussurro.

Vorrei essere in grado di fare qualcosa ma non ci riesco.  Posso combattere un nemico alla volta e, al momento, tutte le mie forze sono impiegate nel tentativo di fermare l’ira che minaccia di esplodermi dentro.

-Non fa più male, ma…- farfuglia Aria, osservando le line del suo stesso sangue che le colano lungo il braccio.

Serro i pugni dietro la sua schiena e faccio un respiro più profondo che posso.

Una figura vestita di bianco si avventa su Aria e le blocca il polso ferito, avvolgendolo velocemente in un garza.

-Sta perdendo troppo sangue!- sbraita sua madre. -Sul lettino!-

Capisco che è un ordine rivolto a me e non perdo tempo, sollevo Aria mettendole un braccio sotto le ginocchia e l’adagio sul letto. Sua madre lo aggira, avvicina a sé il carrellino con gli attrezzi chirurgici e toglie la benda con cui aveva bloccato il polso di sua figlia.

Non è una bella visione, il sangue esce copiosamente e gocciola fino al pavimento.

Nel frattempo, mentre la mia lotta interiore prosegue con l’intento di mantenermi calmo, Amber mi affianca, iniziando ad analizzare sua sorella. Mi è difficile capire le sue intenzione, ma le solleva il collo e le scosta i capelli dalla nuca, controlla sotto le spalline della canottiera nera che indossa, in cerca di qualcosa.

Aria non si muove, continua a guardarmi e so per certo che è ancora confusa e preoccupata, ma non le dico nulla.

Finalmente Amber trova ciò che cercava, quando solleva di poco l’orlo della canotta di Aria e, sul suo financo, si intravede una pallina metallica attaccata alla sua pelle candida. La piccola sfera argentata emana un raggio di luce azzurra.

Mi irrigidisco e devo arpionarmi al lettino per non cedere e colpire qualcosa.

So cos’è quell’oggetto infernale, ho analizzato giusto ieri i fucili modificati che Jeanine ci ha preparato per la missione contro i Candidi.

Ad Aria è stato conficcato nella carne un cip per le simulazioni a distanza che può attivarsi in qualsiasi momento e riportare la sua mente nel limbo delle allucinazioni.

-Devo toglierlo!- Dice Amber.

-Non ora! Ha un taglio sulla mano e va medicato, rischia di svenire per tutto il sangue che continua a perdere!- Le risponde sua madre, ancora all’opera per disinfettare la ferita sul polso che ha tra le mani.

La sua voce è fredda e autoritaria, riconosco che deve essere abituata a dare ordini. Prende uno strano aggeggio munito di ago e lo posa sulla vena aperta del polso, iniziando a ricucirlo.

Aria, che non si era accorta di nulla dato che ha il suo sguardo puntato si di me, emette un gridolino di dolore, sussulta e spalanca la bocca in una smorfia.

Nel frattempo anche Amber ha preso del disinfettante e le tiene ferma anche l’altra mano per curare il taglio che deve essersi procurata stringendo la lama del bisturi fra le dita.

Sono ancora vicino ad Aria, con Amber accanto che la tende il braccio, e sono cosciente del bisogno che ha la mia piccola lottatrice di me. Ha gli occhi spalancati e il labbro tremante, ma non guarda più me, è concentrata sull’ago luccicante con cui sua madre le sta ricucendo la vena.

Serro la mascella e stringo forte i pugni, poi Aria mi guarda e le sue labbra si muovono.

-Eric…-

Mi dice, e credo che abbia capito perfettamente quello che sto per fare.

Sa che non rimarrò, sa che sto per andarmi a prendere la mia vendetta, e temo che non sia consenziente. Mi sta pregando, con tutto il suo corpo e con la sua espressione disperata, mi sta chiedendo aiuto, ma non c’è più speranza per me e per la mia anima.

Non posso restare, non posto guardarla ricoperta di sangue e tagli, con gli occhi tristi e pensare che è tutta colpa mia. Non voglio pensare che è fragile e debole, che la forza che ha dentro non la terrà lontana dai pericoli a cui nemmeno io potrò sottarla.

Non sono il tipo di uomo che resta a leccarle le ferite.

Non posso illudermi che andrà tutto bene.

Non saremo mai più felici.

Non ce lo permetteranno, ma di certo non lascerò i colpevoli impuniti.

Sfuggo al suo sguardo e alla vista dal suo sangue, le do le spalle e mi avvio a passi pesanti verso l’uscita. Lei chiama ancora il mio nome, ma fingo di non sentirla.

Esco dalla stanza ma mi manca ancora il respiro, guardo Jason e non lo degno di alcuna considerazione. Sto per abbandonare l’ospedale, quando sento i suoi passi dietro di me.

-Che stai facendo?- Gli ringhio contro.

-Io vengo con te!-

Mi fermo e mi volto verso di lui. Siamo fermi sulle scale, lui più in alto rispetto a me.

-No, tu rimani qui.-

-Non ti lascio da solo, potresti avere bisogno di me. Non sai cosa hanno in mente!- Mi avverte, determinato.

Scuoto la testa. -Proprio per questo ho bisogno che tu rimanga qui. Proteggi Aria ed impedisci a chiunque di entrare in quella stanza.-

-Eric, ascolta, tu…-

-È una cosa che devo fare da solo!- Scandisco.

Jason incontra il mio sguardo, serra le labbra ed alza gli occhi al cielo, serrando i pugni.

-Stai attento!- Mi dice in fine, in quello che mi sembra più un ordine che un consiglio.

 

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

 

 

 

Nelle recensioni avete tutte ipotizzato che l’aggressore potesse essere Zeke, ma la domanda è: ne siete ancora sicure?

Quali sono le vostre impressioni adesso?

Una cosa è certa, siamo vicini all’inevitabile.

 

Un bacio a tutti voi che leggete.

Alla prossima!

 

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Capitolo 31
*** Fiamma spenta (parte 2°) ***


31. Fiamma spenta (parte 2°)

 

 

 

 

 

-Facile nascondersi dietro un vetro.- Esordisco.

Con un’insolita quanto allarmante facilità, sono riuscito a raggiungere lo studio privato e protetto di Jeanine, all’ultimo piano dell’edificio. Nessuno mi ha intralciato il cammino e tutte le porte erano aperte.

Com’era prevedibile, mi stava aspettando. Peccato che, da donna astuta quale che è, non si sia fatta trovare impreparata. Sono in piedi al centro di una stanza vuota e, davanti a me, un vetro spesso e trasparente mi separa dal mio nemico.

-Non mi sto nascondendo. Ho solo ritenuto opportuno prendere delle precauzioni per parlarti, dato il tuo temperamento…- Mi spiega Jeanine, osservando con un sorriso di ammirazione la sua barriera protettiva.

Sfruttando tutte le risorse a sua disposizione, ha fatto realizzare questo divisorio in un materiare altamente resistente ed anti proiettili, dietro cui si nascondeva per le sue ricerche segretissime a cui lavorava da sola, protetta nel suo studio invalicabile.

Dati gli ultimi aggiornamenti, credo anche che si fosse preparata per proteggersi da un eventuale attacco da parte dei ribelli e, il pensiero che lo stia usando per difendersi da me, mi da un certo piacere.

-Stai solo prendendo tempo.- Le rispondo, fissando a mia volta, il vetro che ci separa. -Ma, prima o dopo, ti prenderò e mi divertirò a sentirti urlare.-

Jeanine non si lascia intimorire, analizza la mia minaccia con l’ennesimo sorrisino e mi osserva.

-Non ti sembra di stare esagerando? Visto che, di fatto, non è successo nulla di grave?-

-Vieni a dirmelo da questa parte del vetro.-

-D’accordo, forse non hai tutti i torti!- Acconsente con una scrollata di spalle. -La tua preziosa ragazza è stata aggredita, le è stato inserito sotto pelle un microchip che mi permette di azionare una simulazione a distanza e si è provocata da sola qualche lesione. Hai ragione!-

Incrocio le braccia al petto e, il sapore della vendetta che già mi pregusto fra le labbra, basta a farmi mantenere i nervi saldi.

-Mi domando quale parte del tuo corpo sia più sensibile.- Esclamo. -Potrei tagliarti le dita, una per una, che te ne pare? Oppure, se fossi una persona clemente, potrei tagliarti di netto la gola e starmene lì a guardare mentre ti dissangui lentamente. E dolorosamente.-

-Ti sto solo dicendo che almeno lei è viva, e al sicuro.-

Inarco un sopracciglio. -Almeno lei?-

-Cosa pensi che ti faranno se dovessi riuscire ad uccidermi?- Mi chiede, sicura di sé.

-Tu ti stai sopravvalutando. Non hai ancora capito che non sei più niente? Nessuno ha più fiducia in te, nemmeno i tuoi stessi Eruditi!-

Sogghigno crudelmente, sapendo di aver esposto chiaramente la verità dei fatti. Una verità di cui, forse, Jeanine non si è ancora accorta.

-E tu, invece? Pensi di avere molti uomini al tuo servizio? Chi pensi sarà così stupido da opporsi a Max, mettersi contro di me e rischiare la sua vita per te?-

Le sue parole mi lasciano per un  attimo l’amaro in bocca, tanto che non replico.

-Pensi di essere tanto amato dalla tua fazione? Mi pare di ricordare che la tua nomina a capofazione non era stata accolta molto bene.-

La sua affermazione è veleno per me.

-Sei dove ti trovi adesso grazie a me!- Infierisce.

-Sono dove sono perché ero il migliore. Essere stato la tua spia fra gli Intrepidi per tanti anni, mi ha solo dato qualche grattacapo in più.-

-Se mi succedesse qualcosa, Max ti ucciderebbe all’istante, anche senza prove della tua colpevolezza.- Asserisce, piegando le labbra in una smorfia altezzosa.

Controllo il respiro e rimango ancora in silenzio, nel tentativo di non dare peso alle sue dichiarazioni.

-E ora dimmi,- Riprende. -Chi dei due è caduto in basso e ha perso veramente tutto?-

-Pensi che io abbia paura di morire? Se prima di farlo sarò in grado di staccarti la testa, sarò più che felice di andarmene.- Scandisco in un ringhio.

Ride, come se avesse scambiato la mia intimidazione per qualcosa di divertente. -Mi minacci? smettila di fingere che niente sia cambiato. Forse, un tempo, ti avrei creduto realmente capace di mandare al diavolo tutto solo per liberarti di me. Ma in queste circostanze, non so quanto saggio sia, da parte tua, svalutare tanto la tua vita.-

-Non la svaluto, ma sono pronto a sacrificarla per portarti all’altro mondo con me.- Preciso, sollevando il mento con orgoglio.

-E che mi dici della tua Aria?- Chiede, senza troppi giri di parole. -La lasceresti priva di protezione, sapendo che sarà al centro del mirino? Sapendo che si mi attacchi, non sopravvivrà?-

Assottiglio lo sguardo, accorgendomi all’istante che è la prima volta che ha detto Aria senza usare più il suo vecchio nome completo. 

-Adesso sei tu a fare minacce precise.-

-Ti sto solo mettendo al corrente dei fatti.-

-Ho i miei uomini di fiducia!-

-E in quanti sono? E puoi davvero fidarti di loro? Non hai un vero gruppo di uomini al tuo servizio, forse ti rimangono soltanto i due ragazzi della tua scorta e la ragazza di uno di loro,- Finge di pensarci. -Camille, giusto?-

Soffocare la mia rabbia mi diventa difficile, ora che questa donna sta tentando di provocarmi, facendo pressione sui miei legami solo per colpirmi.

-Sapevi che è stato proprio uno di quelli che consideri dei tuoi uomini ad aggredire Aria?-

Credevo che avrei provato un’immensa soddisfazione nel momento in cui Jeanine si fosse decisa a smettere di rivolgersi alla mia lottatrice usando il suo nome completo, lo stesso che fino ad adesso si era divertita a scandire per esteso, solo per rivendicarla come propria. Ed invece non è così.

Il nome Aria è il simbolo della sua scelta di libertà, del suo essere un’ Intrepida, lontana dal dominio degli Eruditi, e non pensavo minimante che la rappresentata di quella fazione lo avrebbe mai tollerato.

Ma, se ha accettato la sua scelta, significa che non le è più di alcuna utilità.

-Ovviamente non ti dirò chi è stato a tradirti e non riuscirai a capirlo tanto facilmente da solo. Non te lo saresti mai aspettato.- Afferma, soddisfatta.

Tra i soldati della mia fazione che hanno promesso a me la loro fedeltà, non mi fido realmente di nessuno. Forse sono in pochi quelli che ho iniziato a tenere in considerazione, perciò non mi stupirei di essere stato raggirato.

Respiro profondamente e serro i pugni. -Chiunque si sia sporcato le mani, pagherà. Stessa cosa che succederà a te.-

-Forse dovresti smetterla di crederti il più forte.- Mi consiglia, riflettendoci sopra. -Perché, credimi, non sei nella posizione di farlo.-

-Che vuoi dire?- Chiedo, minaccioso.

Sorride. -Ho recentemente analizzato i risultati dei test attitudinali sostenuti qualche anno fa dai tuoi amici.-

Deglutisco a fatica, ma mi impongo di non tradire alcuna emozione.

-Jason è Nick sono risultati Intrepidi, senza nessuna esitazione. Ma Camille…- Fa una pausa e sospira. -Ci crederesti che è risultata Abnegante?-

Mantengo il controllo, nonostante mi sembri di essere appena precipitato da un treno in corsa dopo questa notizia, e maschero il mio turbamento con una smorfia. Non è neanche lontanamente possibile che Camille sia Divergente, me ne sarei accorto, la conosco bene.

Ma, se quello che insinua è vero, cosa avrei fatto se mi fosse stato chiesto di sbarazzarmi di lei?

-E con questo?- Fingo indifferenza.

-Da che mi risulti, tutti coloro che hanno fatto una scelta diversa da quella consigliata dal test, si sono rivelati poi dei Divergenti.- Mi informa, con finta tranquillità, come se mi stesse raccontando una favola per bambini.

-Non tutti.- Specifico in un ringhio di rabbia.

-Certo, non tutti. È solo che gli Abneganti sono sempre stati un problema.- Dice, nel tentativo di nascondere il fastidio che prova e che le monta dentro quando si parla della fazione che ha recentemente annientato. -Anche se passano agli Intrepidi, non fanno altro che sviluppare un insana voglia di cambiare le regole e di proclamarsi paladini della giustizia.-

Sto per perdere del tutto la pazienza, d’altro canto non mi è facile mantenere i nervi saldi in questo momento.

-Conosci qualche Intrepido che è risultato Abnegante al test, ma che poi ha scelto gli Intrepidi? Io ne conosco addirittura due. Quattro e Tris.-

La sua espressione mi manda direttamente il sangue al cervello. Il pensiero di quel farabutto di Quattro e della sua maledetta Rigida mi fa impazzire e mi acceca. Ma, al momento, ho altre preoccupazioni che mi tolgono il fiato e mi pesano sulle spalle.

-Questo non fa di Camille una Divergente!- Urlo, contraendo tutti i muscoli.

-Certo che no, ma magari potrei eseguire dei test più approfonditi su di lei e verificare i nostri dubbi.- Sospira, in una falsa indecisione.

Vuole ingannarmi e farmi perdere il controllo, sicura nella sua posizione di vantaggio mentre si ripara dietro la sua barriera, ma dovrebbe temere la mia rabbia invece di cercare di scatenarsela contro.

-E poi, a che ci sono, potrei anche analizzare Aria e verificare il nostro iniziale sospetto. Magari il suo lato Erudito è più presente di quello che immaginiamo e…-

-CHE COSA VUOI?- Urlo.

Spalanco gli occhi e sento ogni singola goccia del mio sangue ribollirmi dentro, il mio cuore viene stretto in una morsa dolorosa ed esplodo.

Jeanine solleva le sopracciglia e allarga le braccia come se nulla fosse accaduto. -Solo la tua fiducia.-

-L’hai persa!- Ringhio.

-Lo so benissimo, l’ho capito dal primo istante che ti ho visto posare i tuoi occhi su Ariana Grey.-

Riprendo fiato e la fisso in cagnesco. Il suo sguardo si posa su di me e si rabbuia per un istante, mentre le sue parole si fanno serie e taglienti.

-Tu hai scelto lei, Eric. Hai scelto di metterla al primo posto e di distaccarti da me. Ma io lo avevo previsto.- Abbassa gli occhi e maschera abilmente un sorriso avvelenato. -Ho provato a portare la ragazza dalla nostra parte, le ho dato fiducia e la tenevo in forte considerazione, cosicché tu la reputassi parte integrante del nostro piano e collaborassi con noi, ma niente.-

L’improvvisa intuizione mi attraversa come un lampo e mi costringe a sollevare un angolo della bocca in un ghigno. -Ecco perché partecipava alle nostre riunioni e la facevi lavorare con Robert…-

Jeanine prosegue come se non avessi parlato. -Avevo provato ad unire la tua passiona per la ragazzina con il tuo lavoro, ma non è bastato. Ti sei condannato quando hai deciso di tenerla fuori dai tuoi doveri, ed è stato lì che hai iniziato veramente a separare le due cose.-

La guardo, carico di rancore, ma non dico nulla. Voglio capire dove intende arrivare.

-Hai iniziato a ritenere lei il giusto, mentre il tuo dovere iniziava a diventare sbagliato. Ma hai perso tutto.-

Non tutto… Dico a me stesso.

-Hai fatto male i conti. Sono più forte di te.- Mi dice, crudelmente. -Potrei dare in questo momento l’ordine e lei morirebbe, e dopo tu.-

-Non oseresti, perderesti anche suo padre e sua sorella. E loro ti servono.- Le ricordo, sogghignando.

-Sai una cosa, Eric? Ho pianificato di uccidere Aria prima di te, in modo da farti soffrire prima di darti il colpo di grazia. Vuoi che ti faccia anche assistere ai test che potrei condurre, giusto per sicurezza, sulla ragazza del tuo amico?-

-CHE COSA VUOI?- Urlo ancora, senza fiato.

-Che svolgi il tuo dovere!- Mi abbaia contro, mentre inizia finalmente a tirare fuori la sua grinta e le sue vere intenzioni.

Il sangue mi pulsa insistentemente nelle tempie e nei polsi, la vista mi si sta appannando e respirare mi è sempre più difficile.

-Cosa vuoi, Jeanine?- sibilo. -Vuoi che vada dai Candidi e li addormenti tutti, sparandogli contro il nuovo siero? Lo farò. Vuoi che risparmi la vita a tutti coloro che non sono Divergenti? Lo farò! Vuoi che ti porti qui dei Divergenti per i tuoi test, ammazzando tutti gli altri?-

Jeanine mi guarda attentamente, con il mento leggermente sollevato e il suo solito sorrisino che le fa già capolino fra le labbra.

-LO FARO’!- Sbraito con tutto il fiato che ho in corpo. -Ma dopo mi lascerai in pace!-

Adesso non ho più riserve, andare in missione è diventata una priorità. È cambiato qualcosa dentro di me.

Lotterò per dimostrare quello che valgo, mi vendicherò dei traditori che hanno diviso la fazione degli Intrepidi e ucciderò Quattro, una volta e per sempre. Forse Jeanine non sbaglia, ho passato troppo tempo dietro ad Aria e mi sono dimenticato di combattere, mi sono dimenticato che sono un capofazione e che devo imporre la legge.

Andrò a prendermi la mia vendetta, e adesso la pretendo. Me la sento già in pugno.

-E poi rivoglio il mio ruolo e nessuno dovrà mai più darmi ordini o vi farò tutti a pezzi! E, se proverai anche solo per sbaglio a minacciarmi ancora, la pagherai!- urlo, fremente d’ira.

-Per me va bene!- Trilla Jeanine, in risposta -Abbiamo un accordo!-

-Ti ho detto quello che farò!- replico.

-Partiresti contro i Candidi questa sera stessa?-

-Sì! Il quando non fa alcuna differenza. Anzi, prima lo facciamo e prima avrò chiuso questa faccenda.-

-Ho la tua parola?-

-Hai la mia parola!- Soffio, trattenendomi per non urlare ancora. -Sono anni che lavoro segretamente per te e ti passo informazioni su Max.-

-Questo lo so.-

-Lo sai?- Ringhio. -Sono anni che eseguo i tuoi ordini e mi ripaghi così? Intendendotela con Max, lo stesso che disprezzavi?-

Si stringe nelle spalle. -Sei stato tu a tradirmi per primo.-

-Ti ho sempre detto che rispettavo i nostri piani originali e che avrei continuato a stare al tuo fianco. Ma sei stata tu ad andare fuori di testa, ed io non appoggio gli squilibrati!-

-Sciocchezze. Se ho la tua parola, tu hai la mia.- Taglia corto. -Mi porterai i Divergenti che voglio e ucciderai tutti gli altri?-

-Sì.-

Il mio sguardo è terrificante e i muscoli mi fanno male da quanto li tengo contratti, ma lei mantiene la sua solita compostezza

-Perfetto.- Sorride. -Ma vedi di non fare una carneficina, tutti coloro che non sono Divergenti ci servono per la nostra nuova società!-

Mi volto, mandandola mentalmente al diavolo e ripromettendomi che sto solo rimandando la sua esecuzione ma che, presto o tardi, avrò la sua vita.

-Sai una cosa? Come al solito non ti sei posto la domanda giusta.- Esclama serenamente. -Ma, se ne fossi stati in grado, probabilmente saresti ancora fra gli Eruditi.-

Mi volto e la incenerisco con un’ occhiataccia.

-Chi ha guidato la simulazione di Aria?- Mi chiede.

Il mio copro si immobilizza e il respiro mi si smorza.

-Escludendo Amber,- Prosegue, orgogliosa di sé. -Ti dico anche che non sono stata io, e puoi credermi.-

In un istante mi riaffiorano alla mente le parole di Richard Grey, durante il nostro ultimo colloquio. Mi aveva incredibilmente spiegato, con onestà, che Jeanine era interessata a sua figlia Amber per le sue abilità innate nel guidare le simulazioni. Aveva anche precisato che soltanto altre due persone avevano la stessa capacità, ed una era Jeanine in persona.

L’altro era proprio lui.

-Che stai dicendo? Non lo farebbe mai!- dico tra i denti, sconvolto.

Non posso crede, tanto meno accettare, che quel bastardo di Richard sia stato tanto folle da guidare la simulazione della sua stessa figlia, dandole allucinazioni di dolore e costringendola a tagliarsi da sola le vene dei polsi.

-Cosa non farebbe mai, esattamente?- Indaga Jeanine, sollevando il mento per guardarmi meglio. -Scegliere fra le sue due figlie? Pensi che non potrebbe?-

Capisco subito cosa deve essere accaduto e mi blocco sul posto, con il battito cardiaco accelerato. -Che hai fatto?-

-Ho scoperto che avevo ragione, come sempre. Richard stava ritardando di proposito la fine del nuovo siero a prova di Divergenti e, come se ciò non bastasse come prova del suo tradimento, stava anche facendo fuggire alcune cavie.- Fa una pausa. -Ovviamente non potevo tollerarlo.-

-E così lo hai minacciato.-

Il mio copro è fermo, statico, e anche il mio cuore si ristabilizza, mentre la realtà dei fatti mi aggredisce come un’ondata cruenta.

-Gli ho detto che Amber avrebbe pagato per gli errori di suo padre.-

Non ho realmente bisogno che dica altro per capire come sia andata a finire la faccenda, poiché ho già intuito tutto.

Ma Jeanine prosegue. -A meno che lui…-

-A meno che lui non avesse guidato la simulazione di Aria. Così, in un colpo solo, hai punito lui e l’hai fatta pagare a me, usando un errore di quel bastardo di Richard per minacciarmi e costringermi a fare quello che volevi.- Deduco, finendo per lei il discorso.

Mi impongo di respirare e deglutisco a fatica, guardando Jeanine carico di rabbia e rancore.

Ma lei esibisce il più trionfale dei suoi sorrisi. -Come vedi, la fortuna gira ancora a mio favore!-

La verità è che Jeanine ha ancora una volta sfruttato le sue carte per raggirarmi, il problema è che è stata propria la sua astuzia spietata a rendermi un suo alleato. E, questo suo essere perfida e capace di ottenere sempre quello che vuole, continua ad intrigarmi.

 

-Non avevo altra scelta!- Urla. -Avrebbe fatto del male ad Amber, e tu non sai cosa può fare Jeanine!-

Sono senza pietà e, se anche me ne fosse rimasta una dose, non la userei contro questo bastardo e vigliacco. Richard Grey indietreggia, facendo scivolare le rotelle sotto la sua sedia imbottita e, lo sguardo terrorizzato con cui tenta inutilmente di tenermi alla larga, non basterà a salvarlo.

Vado spedito verso di lui, aggirando rapidamente la scrivania, lo afferro con forza dal colletto della sua camicia e lo scaravento a terra.

-C’è l’avevi una scelta!- Ringhio, sferrandogli un calcio all’addome. -Ma tu hai scelto di fare del male alla tua stessa figlia per risparmiare l’altra!-

Richard tossicchia e si copre lo stomaco leso con un braccio. -Sapevo che ci saresti stato tu a proteggere Ariana! Mentre Amber non avrebbe avuto nessuno!-

-Sapevi che Jeanine non se la sarebbe mai presa veramente con Amber, dato che l’adora.- Sibilo. -Le hai obbedito soltanto per farti perdonare e per salvarti la pelle!-

Lo osservo, lasciando che la mia rabbia scorra selvaggiamente nelle mie vene fino ad inebetirmi i sensi, mentre lui tenta inutilmente di risollevarsi da terra. Tossisce ancora ma si affretta a scuotere la testa, ma vedo ugualmente che ha paura.

-Non è come pensi, non potevo mettere Amber in pericolo!- Dice, prima di alzare coraggiosamente il suo sguardo su di me. -Ma Aria è forte, lo è sempre stata!-

Ed è in questo preciso istante che perdo ogni tipo di controllo su me stesso ed esplodo. È già la seconda volta, oggi, che mi sento dire che Aria è forte, prima da sua madre ed ora da suo padre.

Ma come osano esaltare solo adesso la sua forza d’animo, dopo che per anni l’anno condannata per la sua indole Intrepida? Non hanno il diritto di farlo, né devono permettersi di usare il suo coraggio come giustificazione per tutto il male che ha subito.

Aria è una lottatrice senza corazza, avrebbe tutte le caratteristiche per sopravvivere alle battaglie più estenuanti, ma le hanno tolto ogni possibilità di difesa e non merita di soffrire inutilmente.

È un fiore nel deserto, prezioso e speciale, ma bisognoso di cure.

E la sua stessa famiglia, coloro da cui avrebbe dovuto ricevere le prime amorevoli attenzioni, l’ha più volte tradita e condannata per il suo spirito selvaggio, mentre adesso si riparano dietro la certezza della sua forza.

Ma sono gli stessi che hanno sempre condannato quella sua grinta interiore.

Mi avvento su Richard e lo sollevo dalle spalle, facendolo urtare con forza contro la parete alle sue spalle.

-Lei non è forte!- Urlò. -Non lo è mai stata!-

Sento il suo lamento di dolore e lo lascio andare, ma solo per assestargli un altro calcio alle costole.

-Dov’era la sua forza quando le rendevate la vita un inferno perché aveva ammesso di voler cambiare fazione?- Un altro calcio per lui, più forte del primo.

Si accascia al suolo, ma non smetto. Non ne sono in grado.

-Dov’era la sua forza quando le avete voltato le spalle? L’avete lasciata sola, l’avete distrutta!- Urlo, colpendolo nuovamente con un calcio allo stomaco.

-Ti sbagli!- Scandisce, stringendosi l’addome e respirando a fatica.

-Chiudi la bocca!- urlo, spintonandolo ancora contro il muro.

Sono in piedi, incombo su di lui e lo guardo sperando di poterlo distruggere solo con lo sguardo. Ma non sarebbe del tutto appagante.

-Non era solo forte, era un fuoco troppo potente per voi, e l’avete trasformata in una fiamma spenta!-

Gli assesto un calcio così forte che balza quasi in aria e si lascia cadere del tutto sul pavimento, senza più nessuna voglia di provare a rialzarsi.

-Lei è arrivata da me, sola ed arrabbiata, e io l’ho resa forte!- Ringhio e gli calpesto una mano.

Richard grida di dolore e si massaggia le dita doloranti.

Gli Eruditi potrebbero essere la fazione migliore di tutte, io stesso lo credevo. La loro mente potrebbe renderli più forti e temibili degli Intrepidi, ma so bene quanto le loro convinzioni possano distruggere chi è diverso. Chiunque sia loro inferiore non merita considerazione e, per quanto io mi sia sforzato di rimanere in contatto con loro e li abbia serviti, solo adesso capisco che non erano la mia fazione e che mi hanno solamente usato.

Volevo la loro forza e invece loro hanno preso la mia.

Si sono presi anche la parte innocente di Aria e, la forza che ha adesso, non è altro che un disperato bisogno di difendersi da tutto e tutti.

-Io l’ho resa felice!- Lo colpisco ancora. -Io l’ho cambiata!-

La sua testa scatta verso di me, stringe le labbra per non lamentarsi e striscia per terra nel tentativo di sollevarsi. Aspetto che riesca a mettersi seduto, con la schiena contro la parete, solo per riprendere ad urlargli contro.

-Lei è mia, mi appartiene!- Scandisco. -E, quando la riportò alla residenza degli intrepidi, farò in modo che non abbia mai più a che fare con te! Non la rivedrete mai più!-

Solleva lo sguardo su di me, tradendo un brivido di paura, ma non tiene chiusa la sua boccaccia. -A me basta che stia bene…-

La sua accondiscendenza mi fa infuriare, così reagisco d’istinto e gli sferro un pugno dritto su di una guancia.

Lui piega la testa dal lato in cui lo spinge il mio colpo e sputa sangue, asciugandosi poi il labbro con il dorso della mano.

-Jeanine ha scoperto che stavo tentando di ingannarla, ostacolando i suoi piani. Dovevo darle quello che voleva oppure tutta la mia famiglia, compresa Aria, avrebbe pagato per le mie colpe!-

Lo guardo, disgustato. -Così hai scelto di sacrificare solo Aria, complimenti!-

-Non capisci!- Urla, perdendo ancora sangue dal labbro. -Ti avevo detto che Jeanine avrebbe usato Aria per ricattarci e per colpirci, ed anche tu l’hai messa in percolo!-

Sto per riavventarmi su di lui, ma solleva le mani e ciò che mi dice mi arresta.

-Sai che è anche colpa tua!-

Rimango fermo, ribollendo d’ira e con ancora il pugno a mezz’aria.

-Dovevo dare a Jeanine ciò che voleva, e lei voleva punirci per i nostri sbagli! Perciò dovevo permetterglielo, oppure si sarebbe accanita di più su Aria e non sappiamo cosa sarebbe arrivata a fare.- Tossisce. -Non si sarebbe fermata fino a quando non avrebbe avuto ciò che voleva!- 

Abbasso il braccio e mi passo una mano fra i capelli, inalando un’importante dose di ossigeno, nel tentativo di tornare lucido.

-Ma avevo tutto in mente, non a caso ho scelto quel momento e l’ospedale per la simulazione.- Afferma. -Sapevo che c’eri tu a fermala, mia moglie a medicarla, e Amber a trovare il cip che le avevano iniettato!-

Spesso, la mia rabbia raggiunge livelli tanto elevati che finisce per scemare da sola. Mi calmo, respiro profondamente e serro la mandibola.

-Ovviamente, la tua mente da Erudito aveva calcolato tutto!-

Riservo un’ ultima occhiata a Richard e, prima di andarmene, gli sferro un potente pungo al viso.

 

-Se n’è andata!- Annuncia la dottoressa, riordinando i suoi attrezzi chirurgici. -Non sono riuscita a trattenerla.-

Osservo la madre di Aria, cercando qualche somiglianza con il volto della figlia, ma non ne trovo molte. Forse hanno in comune solo la linea del naso e l’espressione rigida e controllata, che usano quando sono concentrate su qualcosa.

Forse dovrei dire a questa donna che ho appena ridotto molto male suo marito, o forse dovrei prendermela anche con lei, ma no ho tempo.

-Come sarebbe a dire?-

Non capisco come abbia potuto, proprio sua madre, che è anche un medico, permettere ad una paziente di lasciare l’ospedale così presto. È evidente che sono dei pessimi genitori.

-Non avevo motivo per costringerla a rimanere, era stabile e con tutte le ferite curate e ricucite.- Afferma, senza guardarmi e continuando il suo lavoro.

Sostituisce la carta insanguinata dal lettino, ed io rabbrividisco al pensiero che quello sia il sangue di Aria.

-Le ho dato degli antidolorifici, le ho detto di stare a riposo e di tornare qui se avvertiva dei sintomi preoccupanti.- Continua, infilando in un cassetto degli aghi disinfettati. -Anche il tuo amico le ha consigliato di rimanere, ma lei ha insistito, dicendo che voleva andarsene a casa. Alla fine lui l’ha accompagnata.-

Penso a Jason e, il sapere che c’era lui con lei, mi da un attimo di sollievo.

-Ad Aria non è mai piaciuto l’ospedale.- Mi confida la donna.

La osservo e mi chiedo se lo abbia comunicato a me oppure a sé stessa. Non so se sappia di tutte le paure di Aria per gli aghi e per gli ambienti Eruditi, e mi domando anche se sappia di esserne in parte responsabile.

Poco dopo sento dei passi e mi volto, scorgendo una ragazzina vestita con il classico completo da lavoro delle donne Erudite. Il suo volto mi è immediatamente familiare, ma è soltanto Amber.

-Le ho tolto il cip!- Dichiara orgogliosamente, fissandomi.

Sua madre finge di non ascoltare.

Inarco un sopracciglio e osservo la ragazzina. -E Jeanine te lo ha permesso?- 

Amber si stringe nelle spalle, abbassa il viso e nasconde un sorriso malinconico. -Le ho detto che, se voleva la mia completa fiducia e il mio aiuto, doveva lasciare in pace mia sorella.-

Vorrei non farlo, ma mi ritrovo a pensare che Jeanine non ha accontentato Amber solo perché ha bisogno di lei, ma semplicemente perché ha raggiunto il suo scopo e non ha più bisogno di usare Aria contro me e suo padre.

Ancora una volta, con un’ unica mossa, Jeanine ha ottenuto tutto quello che voleva. Si è ripresa l’obbedienza del suo fidato creatore di sieri, ha rimesso in riga me e ha legato a sé anche Amber e il suo giovane talento, per sfruttarla negli anni a venire.

-Ha accettato!- Conclude, stendendo le labbra per mascherare la tristezza nel suo sguardo. -Non le farà più nulla.-

Vedo Amber abbassare la testa e andarsene e, forse per la prima volta, non provo alcun tipo di astio nei suoi confronti. Provo quasi un sentimento sconosciuto, un misto tra pietà e compassione che non ho mai provato prima.

Quando la biondina esce dalla stanza, mi volto verso sua madre, trovandola ancora intenta a riordinare il suo piano operatorio.

-Ho bisogno di una cosa.- Dico.

Lei si ferma un attimo e mi osserva. -Cosa?-

Prendo un respiro profondo e mi avvicino, senza nascondere il fastidio che covo. -Mi serve una dose di un particolare tipo di anestetico che hai già usato in passato su Aria. Dovresti essere esperta al riguardo, ti viene in mente niente?-

Il suo sguardo si fa ostile e indietreggia, offesa. Ha perfettamente capito la mia allusione e non le è piaciuta.

-Perché vuoi darle un sonnifero?- Mi chiede, aggrottando le sopracciglia.

Mi volto, guardo fuori dalle vetrate e serro entrambi i pugni. -Per tenerla lontana da me!-

 

 

 

Continua…

 

 

 

 

 

 

 

Eccoci qui, ad essere sincera non ho molto da dire, o forse dovrei parlare troppo per cui mi limito ad aspettare le vostre opinioni.

 

Capitolo strano e pieno di dialoghi, un po’ diverso dal solito ma spero vi sia piaciuto e sono curiosa di sapere cosa ne pensate e se vi siete fatti altri idee sui risvolti futuri.

 

Grazie a tutti, baci!

A presto!

 

 

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Capitolo 32
*** Qualsiasi cosa accada ***


32. Qualsiasi cosa accada

 

 

 

 

 

 

I miei polpastrelli sfiorano, quasi timorosi, la superficie liscia e fredda delle vetrate. Fuori è già buio, le strade e le case sembrano congelate nel tempo, non passa nessuno. Il silenzio mi avvolge e crea una barriera fra me e i miei stessi pensieri, sento solo il mio respiro e lo vedo condensarsi contro il vetro.

Sento la voce di Jason, fuori, non capisco perché si ostini a starsene lì da solo di guardia. Poco dopo la porta si apre ma non mi volto, mi sento ancora stordita e stanca. Sospiro, faccio scivolare le dita sul vetro, tradendo un sussulto quando un brivido freddo mi corre lungo la schiena.

Mi volto lentamente, senza staccare la mano dal vetro, e osservo, come rapita, Eric e i suoi movimenti.

Ha chiuso la porta a chiave, è passato accanto al tavolo e si ferma prima del divano, a guardarmi.  Non si è tolto la giacca, al contrario se la stringe al petto quando incrocia le braccia. Sembra quasi che tenti di riscaldarsi, ma il gelo dei suoi occhi è impossibile da sciogliere, ne sono certa.

Ha un’ espressione seria e profonda, troppo, mi appare lontanissimo e irraggiungibile. I suoi occhi seguono il profilo del mio corpo ed è come se non mi riconoscesse, dato il modo in cui contrae la mandibola. I suoi occhi sono sempre più freddi e assenti.

Stringo con i denti il mio labbro inferiore, rattristandomi, credo sia alquanto fastidioso guardarmi. Lui odia le mie debolezze e, in questo momento, sono ridotta piuttosto male. Non deve essere tanto bello quello che vede, indosso solo i pantaloni e una canottiera nera, che lascia in vista la fasciatura bianca attorno al mio polso sinistro. Un cerotto, decisamente troppo grande per le dimensioni del mio viso, mi copre una parte della fronte ma per fortuna ho sciolto i capelli e sono riuscita a nasconderlo almeno un po’. Spero anche che il livido che ho scoperto di avere sulla guancia si sia attenuato, altrimenti avrò metà faccia nera per un bel po’.

Un vero spettacolo.

All’improvviso, qualcosa in Eric cambia, i suoi muscoli si rilassano e il suo sguardo si ammorbidisce, diventando più caldo. Il gelo della sua espressione si scioglie e un tenue sorriso gli tende le labbra sottili. Mi guarda, beandosi del nostro contatto visivo e mi accorgo di non essermi mai sentita così tanto amata come in questo momento.

-Sei bellissima.- Dichiara, in un sussurro ardente.

Le mie labbra si sollevano spontaneamente in un sorrisino accondiscendente, forse ironico, anche se è quasi riuscito a commuovermi e a toccarmi nel profondo. Non può pensare davvero che io sia bella in queste condizioni, forse dovrei offendermi perché mi sta prendendo in giro.

Eppure il mio cuore batte ferocemente e i brividi che mi percuotono diventano di calore e non più di freddo.

Stacco la mano dal vetro e avanzo cautamente, fino a fermarmi di fronte a lui. È così alto quando gli sono vicina, che non posso fare a meno di sentirmi ancora più piccola e fragile.

Eric scende il gradino e mi osserva per alcuni secondi, la sua espressione è strana, un connubio tra sofferenza e appagamento che non comprendo. La sua mano si solleva e mi accarezza una guancia ma, nella sua solita certezza, c’è anche una punta di insicurezza che mi distrae.

Piego la testa contro il palmo della sua mano per strofinare la mia pelle contro la sua, mi inarco e gli tengo la mano con le mie, estasiata del perenne calore delle sue dita.

Ma la sua carezza, così semplice eppure così intensa e piena di significato, dura poco. Mi afferra il polso e, con un’ insolita delicatezza che su di lui stona, mi attira a sé per osservare la mia fasciatura.

Ma mi basta vedere il modo in cui si incupisce il suo sguardo e come serra automaticamente le labbra per sfuggire alla sua presa. Non voglio che si intristisca guardando la mia fasciatura e pensando a cosa c’è sotto e, di certo, non voglio che il meraviglioso azzurro dei suoi occhi diventi scuro e velato di rancore.

Eric è così bello quando è sereno e felice, per me appare anche più forte. Ma lui arriccia le labbra e scuote la testa, improvvisamente arrabbiato per qualcosa.

-Come ti senti?- Mi chiede, senza guardarmi.

-Confusa!- Ammetto tranquillamente.

Temo che la dose di sedativi che mi è stata iniettata sia ancora in circolo e, se in parte trattiene il dolore, mi inebria i sensi e mi stordisce.

Eric fa un cenno tra sé e sé e si sposta, raggiungendo il mobiletto basso nel soggiorno, vicino alle vetrate. Sospira, si passa una mano fra i capelli come fa ogni qualvolta è teso, e apre un’ anta bianca per prendere una bottiglia e un bicchiere.

-Se ti gira la testa, o se ti senti mancare…- Inizia.

-Sto bene, Eric!- Lo tranquillizzo, sbrigativamente.

Alzo gli occhi al cielo, sono abituata all’atteggiamento iperprotettivo che tutti hanno nei miei confronti, ma speravo che almeno Eric ne restasse immune, usando un po’ di buon senso.

Ed invece, lui per primo sta iniziando a diventare paranoico se c’è in ballo la mia incolumità.

Sorrido spensieratamente, mi siedo sul bracciolo del divano e lascio penzolare le gambe, mentre osservo il mio capofazione.

Versa il liquido ambrato nel bicchiere e, quando lo vedo portarselo alle labbra e bere un lungo sorso, rimango per diversi secondi in silenzio. Nemmeno lui parla, beve qualche altro goccio e sospira, fissando in cagnesco il paesaggio che si intravede dalle vetrate.

-E a me no?- Oso chiedere, spavalda.

Si volta e mi guarda incuriosito, sollevando entrambe le sopracciglia.

-Forse l’alcol serve più a me che a te.- Spiego. -Sono io la vittima, infondo.-

Eric ci riflette, forse prendendo seriamente in considerazione la mia richiesta. I suoi occhi sono incollati su di me, magnetici e bollenti, avanza fino a raggiungermi e piega la testa da una parte.

Io non dico nulla, lo osservo a mia volta.

Alla fine solleva il bicchiere che ha in mano e lo soppesa, valutandolo con un uno sguardo critico, poi si stringe nelle spalle e me lo tende davanti.

Non mi lascio sfuggire la sua occhiata di sfida, né il mezzo ghigno che gli piega le labbra seducenti.

Afferro il bicchiere senza ripensamenti e faccio per bere.

-Vacci piano con quello!- Mi avvisa.

Ma è troppo tardi, ho mandato giù di colpo un’abbondante sorsata e, deglutendo, ho avvertito la mia gola andare in fiamme e mi salgono perfino le lacrime agli occhi.

Tossicchio coprendomi la bocca con il dorso della mano, mi brucia perfino la lingua.

-Come diamine fai a bere questa robaccia?- Mi lamento, stridula, passandogli il bicchiere con cui non voglio avere più niente a che fare. -Ti ammazza!-

Eric fa roteare gli occhi per la mia reazione esagerata, prende il bicchiere e tradisce un sorrisino. Poi abbassa gli occhi e si perde nelle sfumature ambrate del liquido, come se dentro vi fossero nascoste tutte le risposte di cui ha bisogno.

-Forse è proprio questo il suo vanto!- ammetta, soprappensiero.

Rimango senza parole, mi riprendo dal mio brusco approccio con la sostanza alcolica e osservo la sua schiena, mentre si allontana.

Probabilmente ho commesso un errore quando ho affermato di essere stata io la vittima, poiché, tra noi due, quello che sembra essere appena uscito sconfitto da una battaglia sembra proprio lui.

Trattengo un respiro, persa nell’inseguire con gli occhi ogni suo dettaglio, dalla curva delle sue spalle ai suoi fianchi, incapace di dare voce al turbinio di emozioni che mi sconvolgono dall’interno.

Attendo pazientemente che abbandoni il suo bicchiere sul mobile, che si volti con disarmante lentezza e che mi raggiunga, desiderosa di un contatto con lui.

Ne ho bisogno.

Eric mi aggira, sedendosi sul divano e mi ignora, forse non si accorge nemmeno più della mia presenza, perso com’è fra i suoi pensieri.

Chissà per quale ragione, so per certo che quegli stessi pensieri che gli induriscono i lineamenti del viso sono oscuri e possibilmente letali per lui quanto per me.

Non mi perdo d’animo e agisco, ancor di più quando sento l’irrefrenabile desiderio di lasciarmi stringere dalle sue braccia. Sono ancora seduta sul poggia braccio, vicino alla gamba di Eric, così mi basta ruotare su me stessa e sollevare un ginocchio per mettermi a cavalcioni su di lui.

Adesso che siamo viso a viso, lui mi sembra incredibilmente tranquillo, non si scompone minimamente per la mia presa di posizione, limitandosi a sollevare le braccia per permettermi di sedermi su di lui, per poi cingermi i fianchi con le sue mani bollenti.

Sollevo cautamente le dite e gli accarezzo il viso, lentamente e senza perdermi un solo centimetro della sua pelle. Disegno con l’indice il contorno delle sue labbra sottili e lui, spinto da quella fame che conoscono anch’io e di cui sono vittima quando il desiderio che provo per lui aumenta, schiude le labbra e accoglie il mio dito all’interno della sua bocca.

Serra appena i denti attorno alla mia pelle ed io stringo le labbra, senza tuttavia togliere il dito, forse per paura che me lo morda con maggiore forza.

Sento la sua lingua calda avvolgermi il polpastrello e succhiarlo e, intanto, i nostri occhi sono incollati e una scarica di calore e corrente ci attraversa entrambi, fondendosi grazie all’intensità del nostro sguardo.

La mano di Eric si solleva dal mio fianco per avvolgersi attorno alle mie dita, prende il mio indice e lo allontana delicatamente dalla sua bocca, ma lo tiene fermo davanti alle sue labbra per posarvi un bacio.

Rabbrividisco visibilmente, batto più volte le palpebre e cerco istintivamente di allontanarmi, tanto mi manca il fiato. Ma Eric è più rapido, mi mette prontamente le mani dietro la schiena e mi tiene ferma contro il suo petto.

-Eric…- Gemo, con le orecchie improvvisamente accaldate per dell’audacia del momento.

-Perché non usi quella tua bellissima lingua per qualcosa di più utile, anziché parlare?-

Spalanco gli occhi, il suo è stato più un ammonimento che un consiglio. Mi guarda seriamente, ha persino le sopracciglia incrinate verso l’interno, mostrandosi ancora più arrabbiato.

Conosco benissimo Eric e i suoi modi, non sarà mai gentile e, ogni volta che soffre o si arrabbia, si comporterà con cattiveria e sarà sempre più scontroso ed esplicito.

Un angolo della mia bocca si solleva in un sorrisetto malizioso, con cui cerco di nascondere il mio imbarazzo. -Vuoi un bacio, Eric?-

Non si lascia minimante ingannare, mi fissa in cagnesco e solleva il mento, con arroganza. -Sì, si può sempre iniziare con un bacio…-

Scuoto la testa e mi chino verso di lui, gli afferro le guance con le mie mani e lascio aderire le nostre labbra. La morbidezza calda e avvolgente della sua bocca accende un incendio dentro di me,  vorrei fare tutto con calma, assaporarmi il momento, ma Eric mi afferra dalla nuca e mi spinge verso di lui. La sua lingua si insinua fra le mie labbra e cerca la mia, fino a quando il nostro bacio cresce e le nostre mani si muovono ferocemente ed insaziabili sul corpo dell’altro.

Faccio scivolare le dita sul petto di Eric e le stringo attorno al tessuto della sua giacca, mentre lui mi lambisce la schiena con carezze insistenti.

Ci stiamo ancora baciando, sempre più presi ma, prima che la situazione sfoci oltre, la mano di Eric sulla la mia nuca si serra attorno ai miei capelli. Senza preavviso, mi tira indietro la testa e mi afferra il mento con la mano libera, costringendomi a guardarlo negli occhi, ad un soffio dal suo viso.

-Stammi a sentire!- Mi ordina, furente. -Io ti amo!-

Sono senza fiato e lo guardo, quasi intimorita. Le sue parole sembrano un rimprovero, un avvertimento, non certo una dichiarazione.

Il suo sguardo è pervaso da fiamme invisibili ma potenti, il suo corpo è tutto un fremito e, mentre digrigna e denti per la rabbia, scorgo il rancore che tenta di nascondere dietro la sua espressione autoritaria.

Dovrei essere offesa, dovrei desiderare quel briciolo in più di dolcezza che mi manca, invece mi si scalda il cuore e quasi mi salgono le lacrime agli occhi.

Eric soffre, so che è così e so benissimo perché. Sono successe cose terribile e, amandomi, non potrà mai sopportare che qualcuno mi faccia del male.

Mi mordicchio ancora il labbro inferiore e abbasso subito lo sguardo, per paura che Eric scorga i miei occhi lucidi di commozione.

-Ma adesso ascoltami.- Mi dice, in quella che adesso sembra una supplica. -Dopo tutto quello che è successo, dovrò fare delle cose.-

Mi prende il viso fra le mani e i nostri occhi si incontrano, i miei intimoriti e i suoi carichi di determinazione.

-Dovrò fare cose spiacevoli e agire in modi che non ti piaceranno.- Mi avvisa, furente. -Ho preso la mia decisione, perciò farò tutto quello che devo e non mi fermerò. Solo che…-

Respira profondamente, impegnato in un’ evidente lotta contro sé stesso, stringe la presa delle sue mani attorno al mio viso e serra i denti.

-Solo che ho bisogno del tuo appoggio!-

La sua voce è rauca e sofferente, mi incatena con un’occhiata severa e spinge la mia fronte contro la sua.

-Ho bisogno che tu sia con me, piccola, e che tu mi dia il permesso per ciò che devo assolutamente fare!-

Chiudo gli occhi, respiro il profumo di Eric e stringo i pugni contro il suo petto.

-Io sono con te Eric, qualunque cosa deciderai di fare!-

La mia dichiarazione lo spiazza per un attimo, stupisce persino me, mi osserva e credo sia confuso. È anche spaventato dalla mia accondiscendenza, ma subito dopo un ghignetto maligno gli solleva le labbra.

-Ne sei sicura?- Mi chiede, liberandomi il viso dalla sua presa. -Non hai idea di cosa ho intenzione di fare…-

-Non mi importa!- Lo interrompo, scuotendo la testa. -Io mi fido di te e so che…-

Mi manca la voce, sento di nuovo il fastidio delle lacrime che tentano di appannarmi la vista e faccio un respiro profondo.

-Conosco la gravità dei fatti e non ti chiederò di restare impassibile a tutto questo. Perciò fai ciò che devi!-

Finisco di parlare e sono costretta a prendere una boccata d’aria e, all’improvviso, mi sento fragile ed indifesa.

Lo sguardo di Eric si ammorbidisce, vacilla quasi, mentre mi accarezza la guancia con una mano.

-Ma devi promettermi alcune cose!- Lo avviso, spingendomi indietro facendo leva con le mani contro il suo petto.

Eric mi osserva inarcando un sopracciglio, ma non dice nulla, accarezzandomi piano le gambe e la schiena.

-Tanto per cominciare, nonostante i miei trascorsi con loro, vorrei che la mia famiglia restasse al sicuro e non voglio venga fatto loro del male per colpa mia.- Dico d’un fiato.

Ma Eric si irrigidisce e mi guarda con una smorfia. Immaginavo che non avrebbe accolto tanto bene questa richiesta e so che non ama particolarmente la mia famiglia, ma la sua reazione mi pare comunque esagerata.

Spalanca le narici dalla furia e mi guarda storto, stringendo la presa attorno ai miei fianchi.

-Altre richieste?- Chiede, con la voce leggermente troppo alterata.

Prendo un profondo respiro e lo guardo negli occhi, intensamente, ignorando ogni mio altro pensiero.

-Devi promettermi che, alla fine di tutto questo e quando avrai rimesso a posto le cose, a qualsiasi costo…- Improvvisamente non ho più paura di nulla e so benissimo cosa voglio -Jeanine morirà!-

Eric ha un secondo di incertezza, sbarra lo sguardo e mi osserva con sospetto. Non mi scompongo, attendendo in silenzio la sua risposta.

So che la mia crudeltà lo ha spiazzato, ma ogni parte razionale e pacifica di me è stata spazzata via dai recenti avvenimenti.

Non ci sarà altro sangue versato, né il mio né quello di vittime innocente. Le ultime gocce di sangue che cadranno sulla terra della nostra città saranno quelle di Jeanine.

La clemenza non servirebbe a nulla, quella donna ha causato troppo dolore perché possa essere assolta. L’unica speranza di libertà per tutti noi è la sua morte.

Le labbra di Eric si deformano in un ghigno malefico e spaventoso, mentre una scintilla pericolosa si accende nel suo sguardo.

-Hai la mia parola.- afferma. -Jeanine non sopravvivrà a questa guerra!-

Faccio un cenno e restiamo ad osservarci in silenzio per qualche instante. Fino a quando sento che le carezze di Eric si fanno più incalzanti e capisco che sta cercando di spingermi contro il suo petto ma mi oppongo.

Lo fermo e mi raddrizzo. -Ho un’ ultima richiesta!-

-Cosa c’è ancora?- brontola lui, ammonendomi con un’ occhiata.

-Mi devi promettere…- Provo a dire, tentando di farmi forza. -Che farai del tuo meglio per rimanere al sicuro e, qualsiasi cosa accada, ritornerai sempre da me!-

Torno a guardarlo e una fitta mi dilania il petto, quando mi accorgo dell’espressione affranta e sconsolata di Eric.

Spalanca la bocca e i suoi occhi si assottigliano, mi osserva e mille emozioni lo scuotono.

-Farò del mio meglio.- mi garantisce. -Ma non posso prometterti nulla.-

La sua voce è un sussurro debole e lontano e, quando le sue mani mi prendono il viso, percepisco ogni goccia del suo dolore come se fosse veleno sulla mia pelle.

-Che significa? Che…- Sto provando a dire.

Ma Eric mi impone di guardarlo, con le mani ancora ai lati del mio viso, e non credo di averlo mai visto tanto sofferente.

Ma nemmeno tanto arrabbiato.

-E tu devi promettermi che, qualsiasi cosa accada, starai bene! Mi hai capito?- Ringhia, immobilizzandomi la testa perché lo guardi dritto negli occhi. -Devi promettermi che ti terrai fuori dai guai!-

-Eric, io…-

Non l’ho mai visto in questo stato, una parte di me ha paura e l’altra soffre con lui.

-E promettimi,- Mi implora, nero d’ira. -Che ti ricorderai sempre di me e di quello che ho fatto per te!-

Mi trema il labbro, i miei occhi perdono la loro sfida con le lacrime, che infrangono la barriera. Serro gli occhi prima che le lacrime cadano e scuoto la testa per sottrarmi alla sua stretta.

-Eric! Perché mi dici queste cose?-

Mi porto i pugni al petto per darmi conforto e non oso aprire gli occhi. Tuttavia Eric si solleva, venendomi incontro, mi avvolge fra le braccia e mi trascina con lui addosso allo schienale del divano.

-Stai tranquilla, andrà tutto bene.- Mi sussurra fra i capelli, vicino al mio orecchio. -Non piangere!-

Mi culla stringendomi forte, i suoi muscoli mi tengono saldamente imprigionata contro di lui e io mi arrendo, accoccolandomi maggiormente sul suo petto forte.

Vorrei dirgli che non sto ancora piangendo, ma mi sento devastata, non capisco perché Eric sia così arrabbiato e al tempo stesso sofferente.

Vorrei solo che questo abbraccio non finisse mai.

-Eric, ma…- Ritento, con la voce spezzata.

Tengo saldamente gli occhi chiusi per paura che le lacrime mi tradiscano.

Eric respira a fondo il mio profumo, mi stringe ancora e mi accarezza la testa.

-Perdonami.- Ringhia. -E non odiarmi.-

Improvvisamente ho paura, così mi stringo ancora di più dentro il suo abbraccio, e non mi stupisco quando mi accorgo della mano di Eric che si insinua tra di noi per cercare e prendere qualcosa nella tasca interna della sua giacca.

Ho il viso nascosto nella sua spalla e le mani ancora strette contro il petto quando, in un gesto fulmineo, Eric mi spinge verso la parte di divano libero e mi stende, supina.

In un attimo, senza darmi modo di accorgermi di quello che fa, Eric mi sovrasta e mi immobilizza con il suo corpo, bloccandomi le braccia.

Accade tutto troppo in fretta, non ho il tempo di oppormi, nemmeno quando Eric mi afferra il viso e me lo tiene saldamente fermo. L’attimo dopo qualcosa mi punge il collo e urlo.

Il fastidioso bruciore mi ha tolto il fiato, ma ciò che mi distrugge è la consapevolezza di quello che sta succedendo. Sento lo stantuffo spingere il liquido dentro la mia vena, mi dimeno inutilmente fino a quando Eric non mi estrae l’ago e mi libera.

Scatto in piedi, scappando da lui e mi copro il collo ferito con una mano.

-Come hai potuto?- Urlo.

Anche Eric si alza, lascia cadere a terra la siringa che aveva in mano e avanza verso di me.

-Mi dispiace, non avrei voluto, ma ho bisogno che tu dorma per un po’.- Confessa, avvicinandosi a me con le mani stese davanti, come se volesse proteggersi oppure rassicurarmi che non mi farà ancora del male.

-Che cosa?- Grido ancora.

Eric sa che sono rimasta terrorizzata dalle punture di sonnifero che mi venivano somministrate da piccola, sa che odio perdere coscienza contro la mia volontà e che ho paura degli aghi. Come ha potuto tradirmi così?

-Fidati di me, mi occuperò io di tutto. Tu hai davvero bisogno di riposarti.- Mi dice, raggiungendomi e tentando di prendermi. -Lascia che ti porti a letto…-

-Non toccarmi!- Strillo, colpendo la sua mano che tentava di afferrarmi.

Il volto di Eric è impassibile e la sua voce è bassa e rassicurante, non sembra affatto pentito.

Faccio un passo indietro ma barcollo, stordita dai rapidi effetti del sonnifero che stanno iniziando a sottrarmi dalla realtà.

Eric mi afferra prontamente e mi mette in braccio senza il minimo sforzo, io provo a dimenarmi, agito i pugni sul suo petto ma ho le palpebre pesanti.

-Andrà tutto bene…-

Il sussurro di Eric mi riscuote e, solo adesso, capisco che il vero problema non è il fatto che mi abbia iniettato un sedativo, ma il perché.

Cosa vuole nascondermi?

Ho improvvisamente paura.

-Perché…?- Soffio, con le ultime forze.

Mi gira la testa e il sonno è sempre più insistente, mi sento debole e vuota.

-Perché sei tutto ciò che ho e non rischierò mai più di perderti!- Sibilla.

È tornato sofferente e carico d’ira, lo sento dalla sua voce e dal tremore delle sue braccia.

Arriviamo in camera e lui mi deposita piano sul letto, togliendomi le scarpe.

Non riesco ad aprire gli occhi ma lo cerco, allungando anche una mano verso di lui.

-Eric?-

Lancia via i miei stivaletti e si china su di me, mi accarezza il viso e posa la sua fronte sulla mia.

-Tranquilla, dormi.- Sussurra. -Se andrà tutto bene, quando ti sarai svegliata, sarò già qui con te.-

E se andasse male?

Cosa sta succedendo?

-Cosa…- Provo a parlare, ma non ci riesco.

Sono sempre più spaventata, ma perdo coscienza velocemente e non controllo più il mio copro. Sono avvolta dal buio, vorrei urlare, il mio cuore batte forte ma non posso fare nulla.

Prima che le tenebre mi rapiscano, sento le labbra di Eric posarsi in un lieve bacio sulle mie, e il suo gemito sommerso di sofferenza.

-Perdonami!-

 

Raggi di luce mi feriscono gli occhi, così mi copro il viso con un braccio, rotolando fra le coperte. Respiro il profumo del cuscino di Eric, su cui sono finita, e sussulto.

Apro di scatto gli occhi e mi metto a sedere, battendo le palpebre per la luce che entra prepotentemente dalle vetrate del piano di sotto. Tuffo il viso fra le mani, proteggendomi la vista, e mi chiedo perché non abbiano costruito dei veri muri alla camera da letto.

Prendo un respiro profondo, scrollo forte la testa e salto giù dal letto, accusando un leggero capogiro.

Quando metterò le mani addosso ad Eric gli farò pagare a caro prezzo il suo trucchetto con il sonnifero, penso, mentre mi sorreggo la fronte con la mano. Sono ancora vestita, afferro i miei stivaletti allineati accanto al comodino e mi avvicino alla ringhiera.

Tutta questa dannata luce mi acceca e mi confonde ancora di più, come se i postimi del sedativo e dell’aggressione di ieri non facessero già abbastanza per rallentarmi.

Scendo le scale con le scarpe in mano e la casa mi sembra fredda e vuota come non mai.

Vedo una figura muoversi accanto al bacone della cucina, ma non è Eric, è una ragazza bionda con una camicetta blu addosso.

Impreco mentalmente e raggiungo il divano a passi ampi, lascio cadere gli stivali per terra e provo ad infilarmene uno.

Eric non ha mantenuto la sua promessa, aveva detto che sarebbe stato al mio fianco al mio risveglio.

Mi metto anche l’altro stivale, con cattiveria, e trattengo uno sbuffo infastidito.

Quando lo vedo gliene dirò quattro.

Il problema è trovarlo.

Tirò su la cerniera dello stivale e un pensiero mi blocca, sento passi avvicinarsi a me e sollevo di scatto la testa, verso la ragazza che è con me.

Eric aveva detto che sarebbe stato al mio fianco qualora tutto fosse andato bene.

E se così non fosse stato?

Mia sorella avanza verso di me e i suoi occhi mi seguono come se temesse di vedermi andare in frantumi da un momento all’altro. Le sue labbra tremano quando fa per parlare, ma si ferma, chiude gli occhi e prende un profondo respiro.

-Aria…- Sembra terrorizzata.

Il mio cuore perde un battito, puoi un altro, e in fine inizia a galopparmi nel petto come se volesse scapparmi via. Le mie mani tremano, sento il gelo avvolgermi e togliermi ogni speranza, mentre inizio a prendere coscienza dei fatti.

Dov’è Eric? Perché c’è qui Amber con me?

-Dov’è Eric?- Chiedo.

Mi accordo subito e da sola che la mia voce è stridula, spezzata. Mi porto una mano alla gola perché mi sento soffocare. Percepisco il dolore annidarsi nel mio petto e minacciarmi di esplodere.

-Aria,- prova Amber, con dolcezza. -Ascolta…-

-Dimmi dov’è!- ringhio.

E, quando sento le lacrime pungermi gli occhi e la disperazione richiamarmi, capisco perché c’è tutta questa luce in casa. La porta è aperta, fuori il sole è alto e ci sono due figure lì davanti che non avevo notato subito.

Jason avanza, seguito da Camille che si asciuga le guance con le mani, trattenendo un singhiozzo.

Osservo con cura la guardia del corpo di Eric e qualcosa non quadra. Ha un grosso livido sotto il mento, la manica della giacca strappata e un graffio sul sopracciglio.

-Dov’è?- Chiedo ancora, con un filo di voce.

Se Jason è qui, ferito e scompigliato, non ci vedo nulla di buono.

-Lascia che ti spieghi…- Inizia Jason, a testa bassa, allungando una mano verso di me come se volesse tenermi ferma. -Jeanine non si fidava più di Eric e Max voleva il suo posto. Hanno organizzato un assalto agli Intrepidi che erano scappati dai Candidi e volevano Eric in prima linea nell’attacco e…-

Non voglio ascoltare, scuoto la testa e faccio un passo indietro. Sento il pulsare del mio cuore e un brivido che minaccia di avvolgerlo e stringerlo.

Camille nasconde il viso fra le mani e respira profondamente.

Amber mi guarda e le trema il labbro.

Io non voglio credere. Non voglio pensare. Voglio solo Eric. Dov’è Eric? Perché non è qui?

-Ieri sera ho guidato insieme ad Eric la missione contro i nostri compagni traditori. Siamo andati dai Candidi armati, avevamo un piano pronto ed eravamo organizzati.- Continua Jason, ma si ferma, si passa una mano fra i capelli e mi guarda tristemente. -Ma qualcosa è ancora storto…-

Scuoto la testa. Non ci credo. Eric è forte. Eric non mi lascerebbe mai.

Indietreggio e il mio viso si deforma in una smorfia di rabbia, lo incenerisco con lo sguardo e gli urlo contro. -Dimmi dov’è Eric!-

Lo sguardo di Jason si fa disperato, serra per un attimo gli occhi e si morde il labbro, stringe i pugni lungo i fianchi e, quando mi guarda, non lo riconosco.

È distrutto.

-Aria, mi dispiace tanto. Hai la mia parola che farò di tutto per riportarlo indietro. Vedrai, ce lo riprenderemo e…-

-DOV’ È!- Urlo.

Jason mi guarda e tace.

Indietreggio ancora, scuoto la testa e mi porto le mani al petto per impedire al mio cuore di sfondarmi il torace e fuggire via. Non può essere vero, è solo un incubo. Un incubo e basta.

Jason mi guarda e, all’improvviso, sfoga la sua rabbia con uno sguardo incollerito.

-Lo hanno catturato.- Mi comunica, sibilando tra i denti.

Osservo l’immobilità del suo copro, sentendo quella stessa forza bloccarmi tutti i muscoli. Ogni cosa intorno a me scompare, tutto si ammutolisce, non sento neanche più dolore, non vedo altro che una prepotente luce bianca.

Abbasso la testa, mi prendo il viso fra le mani e respiro.

È facile, posso farcela, devo solo respirare e andrà tutto bene.

Non andrà niente bene.

Eric non tornerà mai più.

L’ho perso per sempre.

Cado in ginocchio e scoppio a piangere, ma non provo alcuna sofferenza.

Sento solo un vuoto perché, qualsiasi cosa accada d’ora in avanti, io sono già morta.

Io ho già perso tutto.

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

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Capitolo 33
*** Addio ***


33. Addio

 

 

 

 

 

 

Qualcuno, o qualcosa, sta tentando di riscuotermi.

Non so ancora chi abbia il coraggio di insistere così per svegliarmi e non capisco perché non vogliano lasciarmi in pace. Sono già stanco e sconfitto, tutto ciò che voglio è continuare a dormire ed illudermi che tutto vada bene.  

Vorrei sentire sulla mia pelle quella sensazione di pace e benessere che solo questo letto può concedermi perché so, che quando aprirò gli occhi, i miei tormenti inizieranno e non si arresteranno fino a quando non avranno banchettato con la mia carne.

Odio le sconfitte, ma sono abbastanza intelligente per capire che, sta volta, non potrò sottrarmi a ciò che mi aspetta.

Per una volta, anche se non desidero altro che rimanere nel mio stato di sonno pacifico, dovrò arrendermi.

Continuare a lottare non ha più senso.

“Svegliati”

Insiste la voce, vorrei metterla a tacere, eppure so di non essere in grado di farlo.

Sento l’aria entrare nei miei polmoni, peccato che le mie palpebre siano pesanti e serrate, immuni al richiamo della coscienza che tenta di evadere dallo stato di tepore.

-Papà!-

Mi copro il volto con un braccio e sospiro, messo all’angolo.

-Papà? Mamma dice che è ora di alzarsi!-

La voce è insistente, decisa, non credo accetterebbe di essere contradetta.

Con uno sforzo immane, mi impongo di aprire gli occhi e lascio cadere il viso sul cuscino. Mi rivolgo vero il lato libero del letto matrimoniale che occupo, infastidito dalla luce che entra dalle finestre.

Dal bordo del materasso, fa capolino una testa arruffata e folta di capelli corvini. Ha una frangetta pesante e, in tutta onesta, non credo di aver mai visto tanti capelli e tutti così neri sulla testa di una creatura tanto piccola.

Ha le manine paffute arpionate al bordo del materasso, su cui ha tuffato il visetto tondo. La cosa che mi colpisce, come uno schiaffo in pieno petto, è lo sguardo con cui la creaturina mi fissa senza battere nemmeno ciglio. Nelle sue iridi cerule, il sole fa brillare alcune pagliuzze azzurre e so che ha preso da me questo particolare colore di grigio chiaro ma, cosa che davvero non comprendo, è come faccia ad aver già appreso il mio sguardo più freddo ad autoritario.

È solo una bambina di quattro anni, non può guardarmi così insistentemente e con tale precisione, quasi potesse piegarmi ad ogni suo volere. Sospiro, questa bambina è già capace di farmi fare qualsiasi cosa desideri, ed è inutile che mi illuda del contrario.

D’altro canto, con un padre come me, ed una madre cocciuta come la sua, non poteva che venirne fuori un dannato mostriciattolo!

La bambina sbuffa, infastidita dalla mia indolenza, gonfia le guance e un cipiglio critico le inarca le sopracciglia.

-Papi!- Mi ammonisce, con un’ occhiata severa.

Mi passo la lingua sulle labbra, forse non ho ammaestrato a dovere le donne della mia famiglia, perché è del tutto assurda l’arroganza con cui si rivolgono a me. Fortuna che mi è rimasta un po’ di furbizia e che non mi sono ancora rammollito del tutto.

Sono ancora stordito dal sonno ed esausto, perciò, senza dire nulla e senza particolari espressioni, mi limito a stendere un braccio sul posto libero nel letto e a battere la mano sulle lenzuola candide.

La piccola capisce al volo il mio tacito invito e, magicamente e con uno sbalzo d’umore tipico dei bambini, il più caldo dei sorrisi le illumina il viso e accende nel suo sguardo una scintilla furba.

Mi ritrovo a sorridere a mia volta, sbadigliando e riposando per un attimo le palpebre pesanti, mentre il ricordo del sorriso raggiante e dolce di mia figlia mi tranquillizza, garantendomi che, forse, non avrò una giornata così tanto pessima.

Nel frattempo, la bambina si è arrampicata sul letto e sta gattonando verso di me. Indossa una tutina nera in pile, una felpa con cappuccio e pantaloni morbidi che la rendono torna e imbottita come una palla di gomma. Ma lei non si lascia rallentare, avanza goffamente e affondando nel materasso.

Mi arriva addosso e mi getta le sue piccole braccia attorno al collo, stampandomi un sonoro bacio sulla guancia.

-Papi!- Mi ammonisce ancora, strofinandosi la bocca e le guance con la manica della felpa. -Pungi!-

Ridacchio, cercando di mantenere gli occhi chiusi, e l’avvolgo mettendole un braccio intorno. Mia figlia ride con me, con la sua vocina acuta e cristallina e mi abbraccia, gettandosi sul mio petto.

Ma la pace dura poco, visto che risolleva subito la sua testa arruffata e mi guarda.

-La mamma dice che è tardi, devi portarmi a scuola e andare a lavoro.- Mi informa, cercando di togliersi dal viso le ciocche nere che le oscurano la vista. -Dice che sei un capo e hai delle cose da fare!-

Faccio roteare gli occhi e sbuffo.

Stavo dormendo così beatamente, ed è risaputo che soffro di insonnia. Potrei starmene a dormire un po’ di più la mattina, infondo dovrei sfruttare i vantaggi della mia posizione all’interno della fazione!

Ed ecco che il mio ingegno si attiva ancora, costringendomi a sollevare pericolosamente un angolo delle labbra.

Osservo la bambina, che se ne sta seduta attaccata al mio fianco, impegnata nel tentativo di appiattirsi la massa esuberante di capelli scuri che ha sulla testa.

-Perché non facciamo un patto, io e te?- Le propongo.

I suoi occhietti grigi mi osservano con cautela, sembra diffidente.

Sorrido. -Se mi lasci dormire per altri cinque minuti, ti do il permesso di saltare sul letto!-

Le sue labbra si tendono in un sorriso che va da orecchio a orecchio e il suo sguardo, prima critico, si trasforma e si accende di complicità.

-Ma la mamma non vuole…- Mi sussurra, chinandosi verso di me.

Ha l’espressione falsamente impaurita, portandosi addirittura una manina paffuta davanti alla bocca.

Sogghigno e sollevo le sopracciglia. -Sarà il nostro segreto!-

Con il sorriso più raggiante, e al tempo stesso più diabolico che conosco, la bambina si alza e inizia a ridacchiare tutta contenta.

Saltella sul materasso, in un continuo su e giù, e soffoca piccoli urletti d’eccitazione.

Impreco mentalmente e mi copro gli occhi con le mani, a conti fatti non credo sia stata un’ idea così geniale. Il letto sobbalza per i continui salti della creaturina, che tra l’altro se la ride a voce alta, e per di più dalle finestre davanti al letto entra troppa luce.

Sospiro, devo accettare la mia sconfitta e convincermi che è finito il mio tempo per dormire.

Rimango accecato quando apro gli occhi per osservare mia figlia, dato la luce dietro di lei, ma sospiro di rassegnazione.

-Pronto?- Mi chiede, euforica.

Mi lancia un’ occhiata maliziosa e si piega sulle ginocchia, stringendosi le braccia vicino al copro.

Scuoto la testa e nascondo un sorriso dietro un’espressione severa.

-Una volta soltanto, coniglietta!- l’avviso, sollevando un dito contro di lei.

Contenta, fa un cenno, ride e prende lo slancio per saltarmi addosso.

Mi balza sulla pancia e io l’afferro al volo, mettendole le mani sotto le ascelle. Mi lascio andare ad un lamento decisamente teatrale e lei scoppia a ridere, la sua vocina è felice e acuta, getta addirittura la testa all’indietro da quanto è soddisfatta.

Fortuna che è solo una piccola bambina ma, a dirla tutta, non è il massimo farsi saltare sullo stomaco appena sveglio.

Soltanto che, ancora una volta, questa piccola bambina sa come vincermi.

-Papi?- Mi chiama, togliendosi i capelli dal viso. -Essere un capo è una cosa seria?-

La osservo, aiutandola con una carezza e liberarsi gli occhi dai ciuffi scuri che le sono caduti davanti.

-Certo, è una cosa molto importante.- Le spiego pazientemente.

È ancora seduta a cavalcioni sul mio petto, si strofina gli occhi e arriccia le labbra.

-A volte devi fare delle cose che non vorresti fare?- Indaga.

Sospiro, le accarezzo una spalla e faccio un cenno. -Sì, a volte sì.-

Il broncio che mette mi rattrista, e il suo sguardo non è più tanto soddisfatto.

Sorrido e le faccio il solletico sui fianchi con una mano. -Ma mi permette anche di fare quello che voglio! Ed è una cosa bella!-

Lei ride e tenta di impedirmi di farle il solletico.

-Allora, coniglietta, hai finito di saltare?- Le chiedo, ma so già che non riuscirà a parlarmi perché vittima del solletico.

Agita la testa e mi blocca la mano, continuando a ridacchiare.

-Quindi, dato che sei importante, mi porterai dai Pacifici un giorno a vedere i coniglietti?-

Sospiro sonoramente e mi chiedo davvero da quando mi lascio vincere così da una donna.

Incapace di dirle di no, mi lascio scappare un sorrisetto e la sollevo per avvicinarla a me. -E va bene, ma dovrà essere un nostro segreto!-

Felice, mi abbraccia stringendomi il collo.

-Non dirlo alla mamma!- Le sussurro, con fare cospiratorio.

Lei si copre la bocca con le mani e trattiene una risata, poi fa più cenni con la testa e mi guarda con un sorrisetto furbo.

-Cos’è che non dovrei sapere?-

Sento la sua voce e, sia io che la bambina, ci voltiamo verso la porta.

Indolentemente appoggiata all’architrave, un’ affascinante e giovane donna mi osserva con letale precisione.

Ha un viso elegante su cui troneggiano due intriganti occhi blu, intensi e caldi. La cosa che adoro di più, però, sono le sue labbra, gonfie e sensualmente arrossate, che in questo momento tiene arricciate in un sorrisino stuzzicante.

Si sta picchiettando sul palmo della mano libera una spazzola, e si mordicchia il labbro, in attesa. Ma io sono ancora impegnato a contemplare il suo copro atletico, ma dolcemente arrotondato nei punti giusti. E, mentre mi perdo con lo sguardo nelle morbidezza dei suoi fianchi, mi accorgo del magnifico sorriso che tenta di nascondere.

Ha il viso così sereno e appagato che, per un attimo, mi ritengo soddisfatto di me stesso e mi prendo il merito della sua felicità.

-Si può sapere che guaio state architettando, sta volta?- Vuole sapere.

Avanza e, quando mi guarda, scuote la testa e alza gli occhi al cielo.

-Vuoi alzarti o no? È tardi e il letto non è fatto per giocare.- Sottolinea, puntandomi contro la spazzola. -Hai una riunione e non dovresti arrivare in ritardo!-

Aria sbuffa e usa sempre la spazzola per indicare alla bambina il punto di materasso davanti a lei. -Vieni qui tu, piccola peste!-

La bambina ride e gattona verso sua madre, sedendosi e rivolgendole le spalle.

Rimango, quasi rapito, ad osservare Aria che spazzola gli indomabili capelli di nostra figlia, raccogliendoli accuratamente in una coda di cavallo che tiene prima ferma con una mano, per poi avvolgere il tutto con un elastico che aveva al polso.

-Cosa combinavate tu e papà?- Chiede Aria alla piccola, sorridendole dolcemente.

La bambina piega indietro la testa, nel tentativo di guardare la madre alle sue spalle, ma scuote la testa e si abbandona ad una risata gioiosa.

La donna che amo si lascia contagiare dalla risata, scuote a sua volta la testa e sistema la coda che ha fatto alla bambina.

-Forza coniglietta, vai a metterti le scarpe intanto che papà si veste!-

Sento ancora la risata piena di gioia della mia piccola, mentre saltella giù e si avvia fuori dalla camera da letto.

Aria sospira, si passa una mano dietro il collo per raccogliersi i capelli su di una spalla e inizia a spazzolarli.

-Ti alzi?- Mi richiama con un’ alzata di sopracciglia.

Ma io non le rispondo, la guardo pettinarsi e seguo i riflessi delle sue ciocche perfettamente lisce, attirato dal richiamo della sua pelle che solo io posso sentire.

Mi chiedo se questa donna sia consapevole della sua bellezza, che sembra immune allo scorrere del tempo e alle fatiche quotidiane. Con un piccolo sorriso mi ricordo che sono state proprio la sua bellezza e la sua forza ad attrarmi, rendendomi schiavo di un sentimento e di una passione a me sconosciuti.

Lei è mia, ed io sono fortunato ad averla trovata.

-Non ti stai dimenticando niente?- La interrogo, con uno sguardo allusivo.

Mi osserva, si stringe nelle spalle e getta indietro i capelli.

-Non mi hai ancora dato un bacio, stamattina.- Le rammento, accarezzandomi distrattamente il collo. -E, senza quello, non mi muovo da qui!-

Per un attimo Aria aggrotta le sopracciglia, studiandomi. Poi, rassegnata, mette le ginocchia sul materasso e mi raggiunge, tenendosi sollevata da me con le braccia.

-Non so se te lo meriti!-

Ignoro le sue parole, le metto un braccio dietro la nuca e con la mano libera le imprigiono il mento fra le dita.

-Fai la brava oggi al lavoro!- Le consiglio.

Attiro il suo viso al mio e le bacio prepotentemente le labbra.

Lei si libera da me, senza accorgersi di quando io non desideri altro che tenerla con me su questo letto.

-Salterai la colazione, se non ti muovi!- Mi dice, e mi da le spalle per andarsene.

Nascondo un ghignetto divertito per le sue parole e fisso il soffitto, preparandomi ad alzarmi.

Ma qualcosa me lo impedisce.

Un boato mi fa sussultare, mi scuote e mi spezza dall’interno.

Un’ improvvisa paura mi paralizza, mi gela e mi costringe ad accelerare il respiro e, per un istante, la consapevolezza che tutto questo non sia reale mi distrugge.

Il suono secco e assordante che ho sentito era il rumore di uno sparo, lo riconoscerei ovunque.

Balzo seduto sul letto, intorpidito ed improvvisamente dolorante, per capire cosa sta succedendo e perché non posso semplicemente continuare a stare bene.

Aria non è ancora uscita, si è paralizzata al centro della stanza, tremante di terrore.

Non mi ci vuole molto a scoprire cosa la turba perché, guardando sulla soglia della porta, vedo un corpicino abbandonato sul pavimento.

La sua tutina nera è troppo grande per il suo fragile corpicino, i suoi capelli raccolti sono in disordine e gli occhietti grigi spalancati.

Il mio cuore batte a mille e il respiro mi si smorza. Vorrei urlare, scappare, mi sento perso e distrutto.

Tutto è andato distrutto.

Ho detto addio a tutto ciò che di bello avrei potuto avere.

Da sotto la testa della bambina stesa a terra si allarga una scia di sangue scarlatto, che cola direttamente dal foro sulla sua fronte.

-NO!- Urla Aria.

Si getta verso la bambina e la raccoglie tra le braccia, cullandola, ma la piccola è immobile.

Aria piange, grida, si dispera e si morde con forza il labbro inferiore, stringendo a sé il corpicino privo di vita.

Vorrei intervenire, vorrei agire a fare qualcosa, ma terrore e dolore mi bloccano. Non riesco a muovere un solo muscolo.

-Sei stato tu!- Mi urla contro Aria, il viso rigato dalle lacrime e storpiato dalla rabbia. -La colpa è solo tua!-

Scuoto la testa, mi sento stringere il petto in una morsa tremenda e tremo.

Vorrei solo tornare a qualche attimo prima, ma so che ho perso tutto.

Non ho più nulla.

Mi faccio forza e cerco di respirare, quando mi torna in mente il pensiero che tutto questo non può essere reale.

-Come hai potuto?- Mi accusa ancora Aria, sempre più avvilita. -Come hai potuto pensare di sparare ad una bambina?-

Il mio cuore manca un battito ed una fitta di dolore mi indebolisce. Ho perso ogni forza e vorrei solo spegnere tutto ma, a tradimento, mi balena nella mente l’immagine di una bambina bionda e paffuta con una camicia da notte bianca.

È in ginocchio davanti a me ed io le punto una pistola alla fronte.

-No!- Urlo, agitandomi e in preda agli spasmi. -Non l’ho uccisa!-

Non so dove mi trovo, né come questa situazione possa essere la realtà, ma so per certo, ne sono sicuro, di non aver sparata a nessuna bambina.

Aria sbarra gli occhi e mi trafigge con uno sguardo carico di collera.

-Non mentire!- trattiene un singhiozzio e riscoppia a piangere. -Stavi per ucciderla, se non ti avessero fermato, lo avresti fatto!-

Qualcosa dentro di me si spezza, il dolore aumenta, sento le tempie pulsare e il respiro mancarmi.

Continuo a guardare Aria accucciata per terra, che culla il copro sanguinente della nostra bambina.

La mia coniglietta.

Di fatto l’ho realmente uccisa io, impedendole di nascere.

Poi Aria mi guarda, non piange più, ma il suo volto è una maschera di odio.

-Sei un mostro!- Mi urla contro.

E mi sveglio.

 

L’aria brucia quando entra nei miei polmoni e ogni centimetro del mio copro pulsa di un acuto dolore.

Mi dimeno, sono steso su di un letto e sto soffocando. I muscoli pulsano scariche di dolore, mi manca l’aria, mi fa male il petto.

Sto soffocando e il dolore è insopportabile.

Urlo, ringhio tra i denti e mi agito sempre di più.

Sollevo appena le palpebre ma una luce bianca mi acceca, credo provenga da un neon posizionato proprio sopra di me. Ho delle flebo attaccate alle braccia e vedo solo tubicini trasparenti.

Sento un solletico sul viso e mi accorgo di avere una mascherina per l’ossigeno e le stringo con una mano, inalando un’ambia dose. Ne traggo subito beneficio, ora riesco a respirare.

Ma sto male.

Ardo di dolore e non riesco a gestirlo.

Mi tasto con la mano il collo e sento il cerotto che lo ricopre. Quando mi muovo sento tirare, credo siano i punti, ma non riesco a ricordare cosa mi ha ferito, riducendomi in fin di vita.

Respiro dalla mascherina e batto le palpebre, nel tentativo di controllare le fitte di dolore.

E poi ricordo.

Ricordo tutto. 

Sono andato in missione dai Candidi, dovevo recuperare Divergenti per Jeanine e attaccare gli Intrepidi traditori. Jason e Nick erano con me, mi guardavano le spalle ma, quando mi sono illuso di aver portato a termine la mia missione, ho mandato i miei due uomini di fiducia nei piani inferiore per sgombrare la strada per quando ce ne saremo tornati a casa.

Ero carico di rabbia e adrenalina, avevamo raccolto alcuni Divergenti che non si erano addormentati dopo la puntura del siero di simulazione, ed ero pronto per il rientro.

E poi l’ho vista.

Cercava di scappare insieme ad un altro Intrepido, Uriah, ma io l’ho bloccata. La stronza mi ha anche dato un calcio fra le gambe, mi ha fatto infuriare, ma l’avrebbe pagata. Non riuscivo a pensare ad altro, avevo la Rigida bastarda e potevo fargliela pagare per tutto quello che aveva combinato.

Ci siamo spostati in un’ ambia stanza ricoperta da vetri che sicuramente era l’ufficio del rappresentante dei Candidi, dove ho fatto inginocchiare la bastarda davanti a me.

Tutto ciò che volevo era tornare alla base, sbattere in faccia a Jeanine l’esito della missione e dimostrare a lei e a Max che non erano riusciti a liberarsi di me.

Ho esaminato brevemente i prigionieri e ho sparato ad un uomo perché non lo ritenevo un soggetto adatto per gli esperimenti di Jeanine, ma la mia attenzione era tutta su Tris, la bastarda. Ho ancora una cicatrice sul piede per colpa sua, dato che mi ha sparato, facendomi perdere la reputazione con gli altri capifazione.

Volevo che soffrisse, volevo che pagasse per aver fermato la simulazione e distrutto tutti i miei piani.

E volevo che soffrisse per quello che ha fatto ad Aria. Volevo che pagasse per aver ucciso il suo amico e aver fatto soffrire la mia donna. Oltretutto, anche lei vanta una cicatrice sulla spalla per colpa della Divergente bastarda.

Doveva pagare.

Doveva soffrire.

Così l’ho superata e mi sono diretto verso un’insignificante ragazzetta Candida. A Jeanine non servono i bambini, le cui divergenze non sono ancora sviluppate, ed io ero carico di euforia e follia.

Avevo l’arma puntata sulla bambina, quando la maledetta Rigida mi si è buttata addosso, facendomi perdere l’equilibrio.

L’ho presa a calci, la bastarda, e l’ho rimessa al suo posto. Ho colto l’occasione per chinarmi su di lei e le ho raccontato che sapevo perfettamente che il suo test attitudinale aveva dato ben tre fazioni come esito.

E le ho promesso che l’avrei uccisa in fretta.

Ma non ho potuto.

La maledetta Rigida aveva un coltello nascosto, che è riuscita a piantarmi nella gola nonostante avesse la mani legate. Ha approfittato della mia distrazione e della mia vicinanza per aggredirmi.

Poi i ricordi si sono fatti confusi e poco nitidi.

Ricordo il dolore, il senso di soffocamento e il mio sangue che mi imbrattava i vestiti.

Ricordo di essere caduto a terra e di aver visto una massa di Intrepidi raggiungerci. Ho sentito urlare i soldati che erano con me, quando sono stati catturati dai trasgressori, e ho ringraziato mentalmente il fatto che Jason e Nick fossero già scesi ai piani più bassi.

Almeno loro sarebbero riusciti a tornare alla base.

Ma per me non ci sarebbe stata più alcuna possibilità.

I trasgressori mi hanno preso, ho sentito la voce di Quattro che mi accusava, ho sentito le urla.

Anche le mie.

E poi i frammenti di ricordi sono quasi inesistenti, credo di essere stato portato in ospedale e curato, o così deve essere data la mia situazione attuale.

Ma sto troppo male, credo che mi abbiano negato le giuste cure e sicuramente anche gli antidolorifici, perché non resisto.

Sono bravo a gestire il dolore, ma questo è troppo, temo di non farcela.

Potrei morire e non rivederla mai più.

E non le ho nemmeno detto addio.

Urlo ancora e mi dimeno, sento il bip di un macchinario e mi accorgo di essermi staccato una flebo dal braccio, con il mio sangue che zampilla via dalla vena aperta.

Sento dei rumori, qualcuno mi arriva accanto e tenta di bloccarmi, ma io mi agito di più.

-Tenetelo fermo!- Ordina una voce femminile.

In un attimo due forti braccia mi immobilizzano, apro gli occhi e vedo un Intrepido tenermi fermo contro il letto e guardarmi con disgusto. Non lo conosco molto bene, ma scommetto di non essergli mai andato a genio. 

Qualcosa mi punge il braccio e capisco che stanno tentando di sedarmi. Tanto meglio, una perdita di coscienza mi risparmierà il dolore, ma non voglio arrendermi.

Non così.

Devo sapere se Jason è riuscito a scappare e se si prenderà cura di Aria. Provo a liberarmi dell’Intrepido ma non ci riesco, sono troppo debole.

-Perché non lo avete lasciato morire e basta?- chiede l’infermiera.

Indossa un camicie bianco e, da quel poco che riesco a vedere dai miei occhi, identifico la spilla con il simbolo dei Candidi attaccata sul suo petto.

Vorrei mandare al diavolo tutti i maledetti Candidi e la loro incapacità di tenere la bocca chiusa.

L’intrepido che mi tiene fermo sbuffa per il fastidio e sogghigna. –Tranquilla!- Le dice.

Lo sento chinarsi verso di me e lo vedo muovere la testa in cerca del mio sguardo, che si oscura sempre di più.

-Questo traditore bastardo verrà presto giustiziato!-

Lo sento sogghignare, ma non posso reagire.

Perdo coscienza e scivolo nell’obblio e, mentre la mia mente si perde in limbi sconosciuti, sento il suono allegro di una risata di bambina.

Tuttavia non mi illudo, so perfettamente di aver detto addio ad ogni possibilità di speranza.

Per me è finita.

 

 

 

 

 

Continua…

 

 

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Capitolo 34
*** Forme d'amore ***


34. Forme d’amore

 

 

 

 

 

 

 

-Che dati precisi abbiamo?-

-Jeanine scenderà a compromessi con i Candidi per costringerli ad arrendersi in cambio della pace e, tra le sue richieste, ci sarà anche la liberazione di Eric.-

-E perché gli altri Intrepidi dovrebbero rinunciare al loro prigioniero?- Chiede Jason, battendo un pugno sul tavolo.

Mio padre sospira e credo scuota la testa, ma non posso dirlo con certezza, dato che gli do le spalle.

-Jeanine ha ricevuto una richiesta di contrattazione da Jack Kang, il capofazione dei Candidi, ed è a lui che chiederà il rilascio del capofazione Intrepido che hanno catturato.- Spiega.

-Certo, peccato che Kang sia circondato dal resto della nostra fazione!- Sbraita Jason, incollerito. -Sono loro che decideranno per Eric e non permetteranno mai al capo dei Candidi di restituirlo a Jeanine. Non sono certo così stupidi!-

Serro gli occhi e respiro profondamente.

-Datti una calmata, ragazzo! Infondo sapevamo tutti benissimo che Jeanine e Max non aspettavano altro che sbarazzarsi di Eric!-

Quella voce mi fa riaprire gli occhi, d’altro canto, il tono grave ed autoritario di Finn non può essere ignorato.

-Mi stai dicendo che dovrei rassegnarmi? Che dovrei accontentarmi della presa in giro di Jeanine e magari sperare che la sua richiesta venga accettata?-

La voce di Jason è carica di tensione e rabbia.

-Quello che voglio dire…- Riprende Finn, imperioso ma controllato. -È che sapevamo perfettamente di non poterci aspettare niente da quella donna. Dobbiamo fare da soli e usare unicamente i nostri mezzi!-

Jason sbuffa, contrariato. -Curioso che proprio tu voglia darci il tuo aiuto, Finn! Tu Eric non vi siete mai sopportarti e, magicamente, adesso vuoi aiutarci a liberarlo?-

Finn soffoca una risatina indolente. -Mio malgrado, quella testa calda è la cosa più simile ad un possibile alleato che mi sia rimasto. Dopo che Max ha perso la testa a fare il lecchino di Jeanine e Sarah e Marcus non hanno le palle per agire, dovrò fare tutto da solo per ristabilire l’ordine in questa dannata città! E, da quanto ho potuto constatare, Eric vuole esattamente quello che voglio io.-

-Già, ed ha pagato a caro prezzo le sue ambizioni!- Precisa Jason, con disprezzo. -Lui ha avuto il coraggio di opporsi, mentre tu tenevi la testa sotto la sabbia da bravo codardo!-

-Ho mantenuto un profilo basso e ho usato la testa, ma almeno io sono qui! Eric, come al solito, ha fatto il passo più lungo della gamba e si è esposto pensando di essere intoccabile, ma si sbagliava!- Ringhia Finn. -E comunque sono ancora un tuto capofazione, perciò abbi un minimo di rispetto!-

-Basta, per favore!- La voce di Robert è tranquilla ma sicura, mi attraversa come un’ondata di calore. -Siamo qui per un obbiettivo comune, non per litigare fra di noi!-

-So benissimo che la nostra priorità, al momento, è salvare Eric e non serve che me lo ricordi. Mi chiedo solo perché dovrei fidarmi di voi due…-

Sento le parole di Jason e sospiro, ripetendomi mentalmente di respirare.

Espirare ed inspirare sembra improvvisamente difficilissimo.

Sono avvolta da uno strato di tepore e indifferenza, continuamente attaccata da forze oscure ed invisibili che tentano di farmi piombare nello sconforto.

Ma non ho motivo di soffrire, non ho più nulla da perdere né un motivo per vivere. Vorrei solo che tutti stessero zitti e smettessero di scaldarsi tanto, lasciandomi in pace. Vorrei essere libera di scivolare nell’abisso che minaccia di inghiottirmi, e dargliela vinta per una volta, dato che è da diverso tempo che tenta di portarmi via. Potrei dormire per giorni, dimenticarmi di ogni sofferenza e sopravvivere al dolore al cuore.

Non mi interessa rimanere in vita. Mi basterebbe chiudere tutto fuori, smettere di pensare e non soffrire più. Eppure è impossibile perché, per quanto io sia consapevole di essere arrivata alla fine, il dolore mi dilania nonostante io finga di esserne immune.

Non piango, non parlo, ma sento ogni singolo spostamento d’aria e soffro sempre di più ad ogni secondo che passa.

Avrei voluto dire a Jason di rassegnarsi, di seppellire i suoi sensi di colpa e di accettare l’idea che Eric è andato per sempre. Lo abbiamo perso, morirà e noi non potremo fare nulla.

Mi mordo il labbro e chiudo gli occhi, ma è troppo tardi. Calde lacrime sfuggono al mio controllo e mi scendono lungo le guance. Ne sento il sapore salato sulle labbra e mi chiedo per quanto riuscirò ad andare avanti.

Vorrei arrendermi, so bene che la mia assoluta immobilità non mi aiuterà ad estraniarmi da tutto ciò che mi circonda.

Sono nella casa che Eric era riuscito ad ottenere per noi, seduta sul divano con le ginocchia al petto e le braccia strette intorno alle gambe, nel tentativo di proteggermi.

Radunati attorno al tavolo, un insolito quanto improbabile gruppo, discute animatamente attorno alla cartina dello Spietato Generale che hanno steso sulla superficie di legno.

Sento la voglia di dire a Jason di tranquillizzarsi e di non essere così ostile con Finn e Robert. D'altronde, loro non possono dirgli il vero motivo per cui sono qui, disposti a rischiare per salvare un loro rivale.

Sono qui per me.

Per non so quale assurda ragione, Robert mi vuole bene. A quanto pare gli ricordo sua madre, per cui anche Finn prova uno strano senso d’affetto nei miei confronti. Senza volerlo, l’insolito connubio di forza e debolezza che sono, ha fatto breccia anche nei loro cuori, facendoli sentire in dovere di proteggermi.

Forse Finn dovrebbe prendere atto del fatto che non sono come sua moglie e che non deve tentare di salvarmi soltanto perché non c’è riuscito con lei.

Io non ho bisogno di nessuno.

E vorrei dire a Robert di non complicarsi la vita e di non sprecare tempo e fiato per me, soltanto perché forse, in un ipotetico futuro alternativo, saremo potuti essere amici.

Non mi sono rimaste molte speranze, ho già perso. Ho peso Eric.

Le lacrime mi appannano la vista quando tento di aprire gli occhi, respiro profondamente, visto che negli ultimi secondi mi sono dimenticata di prendere fiato.

Amare è sbagliato perché, in ogni caso, provoca sofferenza. Aveva ragione Eric e avrebbe dovuto continuare ad estraniarsi da ogni forma di contatto umano.

Se lo avesse fatto, magari, sarebbe ancora qui.

Altre lacrime mi scendono sul viso, infondo so che è tutta colpa mia. È sarà colpa mia anche quando Finn e Robert finiranno nei guai per aiutarmi, o quando mio padre ed Amber verranno scoperti soltanto perché mi volevano bene.

Non dovrebbero essere qui, riuniti a pianificare contro Jeanine per salvare una persona già condannata a morte.

Non stanno facendo altro che firmare le loro di condanne.

Jason e Nick vogliono salvare il loro amico e mantener fede ai loro doveri di guardie del copro. Camille voleva bene ad Eric, ne sono certa, e vuole dare il suo contributo.

Amber, seduta sulle scale, è qui per me e basta.

E poi c’è mio padre, che credo sia qui per lei, o forse gli faccio pena e vuole darmi una mano. C’è anche la possibilità che si sia stufato di Jeanine, ma so che odia Eric e non mi spiego perché voglia portarlo indietro.

Così come non mi spiego i lividi violacei sul suo viso.

Per finire ci sono Robert e Finn, che dicono di voler aiutare Eric perché era l’unico capofazione a pensarla come loro e ad avere ancora un po’ di spina dorsale per volersi riprendere il controllo della città. Probabilmente è vero, Finn potrebbe formare un’ alleanza con Eric e spodestare Jeanine e Max, ma se non si fossero inutilmente affezionati a me, non so se sarebbero radunati qui con tanta devozione.

Mi volto per un solo istante e senza farmi vedere, per osservare il gruppo alle mie spalle.

Jason e Finn sono in piedi ai due capotavola opposti del tavolo. Nick e mio padre sono appoggiati con la schiena al bancone della cucina, entrambi pensierosi e con le braccia incrociate al petto. Camille è in piedi ed è appoggiata al muro vicino alla porta d’ingresso, dietro Jason. È seria e incredibilmente silenziosa, ma vedo che di tanto in tanto sospira.

Amber se ne sta appollaiata sul primo gradino delle scale, ascoltando. Robert, invece, ha preso una sedia e ha scelto di sederti dietro suo padre, poco lontano dalle scale.

Assottiglio lo sguardo e scruto le loro espressioni, che formano un misto di emozioni.

Credo sia nomale che gli amici di Eric vogliano provare ad illudersi di poterlo salvare, ma si potrebbe riassumere dicendo che sono tutti qui per lealtà, per coraggio o per un obbiettivo.

Respiro profondamente, leggendo la determinazione che si mischia alla paura sui volti di Jason e Camille, e mi accorgo di come Amber mi osservi di nascosto, preoccupata ma pronta a fare di tutto per me.

Esistono diverse forme d’amore, complicate e spesso poco chiare, ma queste persone sono disposte a rischiare le loro vite perché, in un modo o nell’altro, provano qualcosa.

Amano e hanno qualcuno, o qualcosa, da salvaguardare.

Jason, Camille e Nick faranno di tutto per riavere il loro amico, mio padre è disposto ad aiutarlo per non farmi stare  male. Finn e Robert per lealtà verso gli abitanti della nostra città.

È proprio vero che l’unione fa la forza. Forse Eric si sbagliava, forse l’amore non è una cosa così brutta.

Mi rivolto e lascio che le lacrime cadano dai miei occhi senza premurarmi di fermarle. Non emetto neppure un suono, neppure quando penso che Eric aveva imparato benissimo questa lezione.

Ha visto cosa voleva dire amare, quanto bene poteva fargli, e ha scelto di stare con me ad ogni costo e senza paura.

I codardi sono coloro che si rifugiano in sé stessi, rifiutandosi di correre il rischio di essere intaccati. Ma i veri coraggiosi si nascondono tra coloro che lottano per qualcuno.

Non esiste coraggio senza sacrificio.

Stringo i pugni e mi mordo maggiormente il labbro, chinando la testa in avanti quando una potente scarica di dolore mi abbatte.

-In molti si sono stancati di obbedire a quella donna e gli Intrepidi vogliono ritornare alla propria residenza.- Dice Robert, tranquillo. -La nostra fazione deve riunirsi, ancora di più adesso che possiamo riprenderci il comando.-

-E se i ribelli non ci volessero più con loro? Siamo stati al servizio di Max e Jeanine fino ad adesso, per loro siamo solo dei traditori!- Fa notare Jason.

-Ma il nostro aiuto potrebbe servirgli.- Annuncia Finn. -Loro non hanno abbastanza uomini o armi per sostenere una guerra. Noi sì.-

-Mi state dicendo che potremmo barattare Eric in cambio della nostra alleanza con i ribelli?- Interviene Nick, sorpreso.

-È possibile.- Dichiara il capofazione. -Potremo convincerli che hanno bisogno di noi per attaccare il quartier generale degli Eruditi.-

-Stavamo parlando di riprenderci Eric, ma voi volete dichiarare guerra a Max!- La voce di Nick è allarmata.

-Abbiamo pianificato tutto e sono certo che abbiamo almeno una possibilità di riuscita.- Dice Robert. -Avremo degli infiltrati che resteranno qui, agiranno dall’interno, aprendo le porte ai ribelli e bloccando gli uomini di Max.-

-Ma come faremo ad ottenere la fiducia degli intrepidi ribelli? Probabilmente ci spareranno non appena ci vedranno, altro che cercare di farci riconsegnare Eric!- Precisa Jason.

-E inoltre non credo che rinunceranno a lui tanto facilmente. Voglio dire, per loro è un traditore!- Conferma Nick, scuotendo la testa.

Finn si schiarisce la voce. -Allora li convinceremo che Eric è più utile de vivo che da morto!-

Sussulto.

-E come?- chiede Jason, diffidente.

-Li convinceremo che non hanno speranza contro Jeanine. Diremo loro che abbiamo più armi di quante ne abbiamo veramente, più uomini della realtà, e che questo quartier generale è una trappola piena di pericolosi marchingegni Eruditi.-

-Dove vuoi arrivare?-

-Gli faremo capire che attaccare da soli sarebbe una follia. Quando gli offriremo la nostra alleanza, li metteremo con le spalle al muro. Dovranno convincersi che il nostro aiuto gli sarà indispensabile.-

-Tra l’altro, abbiamo veramente un discreto numero di uomini pronti a ribellarsi e molte armi in nostro possesso.-  Sottolinea Robert. -Senza contare che, se entrano nel quartier generale senza sapere come muoversi, rischiano sul serio di farsi ammazzare.-

-D’accordo, e quindi?- Jason non sembra convinto.

Ma io smetto di piangere e volto la testa per osservare gli omini alle mie spalle. L’ombra di una speranza si fa spazio nel mio cuore distrutto.

Finn sogghigna. -Diremo loro che il nostro gruppo di uomini è pronto a fare guerra a Jeanine soltanto se riavremo Eric sano a salvo.-

Spalanco gli occhi e torno a respirare.

Camille si stacca dal muro. -Potrebbe funzionare?-

Finn nasconde un sorriso. -Dovrà funzionare. Gli faremo credere che Eric è a capo degli uomini che sono pronti a tradire Max e Jeanine e che, se lo uccidono, non avranno mai il loro appoggio in battaglia.-

-Credi che accetteranno?- Vuole sapere Jason, appoggiandosi con entrambe le mani al bordo del tavolo.

-Li costringeremo ad accettare!- Specifica Finn, incrociando le braccia al petto. -Li minacceremo, gli diremo che se si metteranno contro di noi e non ci riconsegneranno Eric, noi rimarremo fedeli a Max e scenderemo in campo al suo fianco in caso di guerra.-

Il mio cuore riprende a battere mentre mi trema il labro inferiore.

C’è davvero una speranza.

Il gruppo di Intrepidi che sono scappati dai Candidi sono privi di armi e in minoranza, ma con un disperato bisogno di vendetta. Vogliono fare giustizia, ma non ne hanno i mezzi, e sono costretti a nascondersi per paura.

Ma noi potremo dare loro l’aiuto di cui hanno bisogno.

Se formassimo un’ alleanza saremo molti di più. Potremo rubare tutte le armi nascoste qui, grazie a Robert, e attaccate i nemici dall’interno. Finn ha ragione, Jeanine ha diversi mezzi per proteggersi, ma potremmo riuscire ad attaccarla da dove non se lo aspetta, prendendola alle spalle.

Finn ha ragione, non tutti gli Intrepidi che sono qui e che indossano la fascia blu degli Eruditi cucita al braccio sono disposti a sopportare ancora questa situazione. In molto voglio ribellarsi.

Gli uomini che rimangono fedeli a Max e agli altri due capifazione si troverebbero non solo i nemici fuori dalla porta, ma anche dentro casa!

Ma solo uniti possiamo avere una speranza. I trasgressori che sono dai Candidi saranno costretti ad accettare la nostra proposta e dovranno consegnarci Eric.

Stringo i pugni. Eric è diventato, suo malgrado, il perno della rivolta. Il tassello che permetterebbe ai trasgressori di vendicarsi e di farsi giustizia, ma che potrebbe garantire la riunificazione di tutti quegli Intrepidi che vogliono la morte di Jeanine.

L’idea di Finn è stata geniale, possiamo usare Eric e nominarlo, a sua insaputa, il capo di questa rivolta interna.

Gli Intrepidi non saranno certo così stupidi da preferire la giustizia privata, uccidendo subito Eric, alla possibilità di liberarsi per sempre di Jeanine vincendo una guerra con di lei, no?

Più rifletto, più mi ripeto che non devo illudermi. Se provo, anche solo per sbaglio a sperare, non saprò riprendermi quando tutto crollerà in frantumi

-Senza contare che Eric, oltre ad essere un capofazione, è stato il braccio destro di Jeanine per molti anni. Si era alleato con lei da molto prima di noi e conosceva tutti i suoi segreti.- Esclama Finn. -Dovrebbero essere furbi e volerlo tenere in vita, giusto per rubargli delle informazioni.-

-E, in cambio delle sue informazioni, potrebbe avere salva la vita!- Deduce Jason, nascondendo a stento la sua soddisfazione.

-Quindi baratteremo Eric in cambio di informazioni, armi e uomini?- Conclude Nick, ma non sembra sicuro come Jason.

-Non informazioni qualunque, ma informazioni segretissime.- Interviene mio padre, raddrizzandosi. -Di cui io sono in possesso.-

Robert si alza in piedi. -Non credo che abbiamo molto tempo a disposizione.-

-Farò più in fretta che posso per farvi avere tutti i file riservati.-

Jason sospira. -Dovremo capire come fare avere il nostro messaggio ai ribelli, o stabilire chi andrà a contrattare…-

-Di questo ne parleremo a tempo debito. Per ora organizziamoci, prepariamo tutto al meglio e cerchiamo un modo per raggiungere i Candidi senza essere fermati.- Ordina Finn.

Jason fa un cenno. -Benissimo, muoviamoci allora!-

-Dobbiamo trovare un computer e analizzare i sistemi di sicurezza di questo posto, se vogliamo far fuggire qualcuno.- Mentre parla, Finn si è già spostato verso l’uscita, ma poi si ferma.

Io abbasso lo sguardo, chiudendomi in me stessa e riprendendo la mia lotta contro la tristezza. Nessuno fa caso a me, nascosta nel salotto in penombra.

-La ragazza è al sicuro?- Vuole sapere il capofazione.

-Jeanine non le farà mai del male.- Gli risponde mio padre. -Non rischierebbe di perdere la mia fiducia.-

-Ma certo, infondo ha già ottenuto quello che voleva e non ha bisogno di spargere il sangue di una ragazzina!-

Le parole di Finn mi feriscono. So che adesso che quella pazza si è liberata di Eric, non ha motivo di uccidermi. Meglio tenermi in vita e vedermi soffrire, usandomi per ricattare mio padre e mia sorella.

-Vieni con me?- Chiede Finn a qualcuno.

-Certo!- Risponde Jason. -Nick?-

Con la coda dell’occhio vedo Nick spostarsi e seguire Jason e Finn, che apre la porta ed esce.

-Rimani tu con lei?-

La domanda di Camille mi stupisce, poi mi volto di poco e vedo che si è rivolta a mia sorella e capisco che stanno parlando di me.

Chiudo gli occhi e mi ricordo di eseguire un’altra serie di respiri.

Si preoccupano per me quando sono l’unica sana di mente che ha capito perfettamente che Eric è già spacciato. Temono un mio crollo psicologico, ma saranno loro ad averne uno quando rimarranno delusi.

Stringo i pugni e ignoro le lacrime, sforzandomi di smettere di pensare.

Ma non ci riesco. Forse hanno ragione a credere che Eric sia ancora vivo, ma in che condizioni è? Lo hanno ferito? Lo tengo prigioniero? Gli stanno facendo del male?

Abbasso ancora la testa e soffoco un lamento sordo. Non devo illudermi, neppure per un momento, oppure morirò. Non c’è speranza, non c’è mai stata, non devo credere a quello che dicono.

Senza preavviso una mano si appoggia dolcemente sulla mia spalla.

-Vedrai, andrà tutto bene…-

La voce gentile di Camille mi riscuote e mi riapre la ferita che ho nel petto.

Perché non capiscono che non andrà bene niente?

Rimango in silenzio e ascolto i suoi passi che si allontanano, anche se è esuberante e coraggiosa come un’Intrepida, una parte di lei rimarrà sempre Abnegante. Prendersi cura degli altri, sapendo sempre ciò di cui hanno bisogno, è un’arte.

-Dormi qui, allora?- Chiede mio padre a qualcuno.

-Sì, rimango con Aria.- Risponde Amber.

-Se avete bisogno di qualcosa, chiamami.-

-Certo! Notte papà.-

Sento il sospiro di mio padre e sono pronta a giurare che è rimasto fermo a fissarmi per un po’, ma alla fine decide di andare via in silenzio e capisco che è uscito dalla porta.

-Rimango qui fuori di guardia.-

Le parole di Robert mi incuriosiscono e ruoto su me stessa, appoggiandomi alla spalliera del divano.  

-Rob, ce la caveremo!- Sospira Amber, avvicinandosi a lui.

Rob? Gli Eruditi odiano i diminuitivi e poi cos’è questa confidenza?

Sono l’uno di fronte all’altra e, non so perché, ma mi sento improvvisamente trasparente.

-No invece, non siete al sicuro.- Insiste lui. -Anche Jason ha detto che è bene fare dei turni di guardia, tu ed Aria siete al centro del ciclone.-

Amber non dice nulla e si stringe nelle spalle.

Vedo il sorriso sereno di Robert e seguo la sua mano che si posa sulla spalla di mia sorella.

-Rimarrò a controllare la zona, ma voi vedete di non uscire e non aprire a nessuno.-

-Sono un’ Erudita! Mi hai preso per una stupida?- Gli fa eco lei, con il suo solito sorrisetto furbo.

Anche Robert sorride, le accarezza un braccio e si allontana.

Vedo Amber abbracciarsi in silenzio e sospirare, mentre segue l’uscita di Robert, ed io inarco le sopracciglia.

Vero è che l’amore ha infinite vie e assume le forme più bizzarre, ma c’è un limite a tutto.

Scuoto la testa e torno a fissare il vuoto davanti a me, passandomi le mani sul viso per asciugarmi le lacrime secche.

-Perché non vai a farti un bagno caldo?-

Mi tolgo le mani dal viso e guardo mia sorella, che mi ha affiancato.

A quanto pare nemmeno lei capisce che non mi importa più nulla di me, che voglio solo starmene in pace con il mio dolore. Anche solo respirare mi è faticoso e, se provo a pensare, mi esplode il cuore.

Forse è per questo che sta qui, ha paura che faccia qualche sciocchezza.

Mi alzo senza risponderle e mi chiudo in bagno, aprendo il rubinetto della vasca per riempirla.

Evito cautamente di guardare lo specchio e decido anche di tenere gli occhi chiusi mentre mi tolgo i vestiti. Non voglio rischiare che ricordi dolorosi mi attacchino.

So benissimo che le mie condizioni fisiche sono quasi peggiori di quelle mentali. Ho un enorme cerotto sulla fronte, nascosto da un ciuffo di capelli. Un brutto livido su metà faccia e altri più piccoli sui fianchi e sulle gambe. Fatico a muovere la spalle e il braccio destro e, quando appoggio un piede per terra, la caviglia mi fa malissimo.

Eppure tutte le mie ferite sono secondarie e non bruciano quanto la mancanza di Eric.

Darei qualsiasi cosa per averlo qui a stringermi fra le sue braccia e, invece, lui è prigioniero di chissà quale inferno. È fra nemici che lo considerano un assassino e non oso immaginare cosa gli faranno. Gli faranno cose orribili.

Sicuramente il mio amore sta soffrendo ed io non posso essere con lui.

Una morsa terribile mi stringe il petto a cado in ginocchio, singhiozzando disperatamente.

 

Esco dal bagno con un asciugamano attorno e salgo al piano di sopra per vestirmi, in un susseguirsi di movimenti automatici e quasi involontari. Mi metto dei pantaloni stretti, quelli che usavo per gli allenamenti ed una canottiera, scendendo a piedi scalzi.

Quando arrivo in cucina, sul tavolo, c’è un piatto con dentro una minestra fumante.

-Mentre eri in bagno la mamma è venuta a portarci un po’ di zuppa, quella che ti piaceva tanto.- Mi informa Amber, cautamente. -Credo che tu debba mangiare.-

Rimango a fissarla con indifferenza, provando quasi l’istinto di ignorarla e tornarmene di sopra, ma qualcosa mi blocca.

Tutto dentro di me tace, non sento nemmeno più il battito frenetico del mio cuore, ma ricordo qualcosa.

Dopo la morta di Will non riuscivo più a mangiare senza avvertire un insopportabile senso di nausea ed Eric era profondamente contrariato dalla cosa. Lui mi ama e non avrebbe mai voluto vedermi crollare e, di sicuro, non ammetterebbe mai che mi lasci andare ora.

Me lo immagino qui, a guardarmi di traverso e con la mascella contratta per il disappunto.

È la mia forza che lo ha attratto e condotto da me, ed erano i miei successi durante l’iniziazione a renderlo fiero. Non so se lo rivedrò mai più, ma di certo so che non mi perdonerebbe mai se mi lasciassi morire.

Sono stanca di soffrire e non voglio dover lottare contro niente e nessuno. E, decisamente, non posso lottare contro me stessa se sono debole.

Io sono un’ Intrepida e, se non sono più capace di essere forte per me stessa, devo esserlo per Eric. Devo farmi forza e stare bene, lui vorrebbe così.

Sospiro e avanzo fino a sedermi al tavolo, prendo il cucchiaio e inizio a mangiare, Amber sorride e si siede vicino a me. Non sento nemmeno il sapore, sento solo le lacrime che minacciano di distruggere ancora gli argini dei miei occhi, ma posso resistere. Devo concentrarmi per rimanere stabile ed in forze.

Non credo che riusciremo mai a salvare Eric ma, se così fosse, devo essere pronta per dare il mio contributo.

Finisco quello che ho nel piatto e scivolo via in silenzio, tornando di sopra. Arrivo vicino al letto e la mia attenzione viene catturata da una macchia nera su di una sedia. Mi avvicino cautamente e prendo fra le mani la felpa nera. È di Eric, la indossava giusto ieri.

L’avvicino al petto e ne respiro il profumo, riconoscendo l’odore di Eric, un misto di sudore e essenza maschile. Respiro ancora il suo ricordo e mi affretto ad indossare la felpa, rassicurata dal fatto che se non potrà essere lui a tenermi al caldo sta notte, avrò addosso qualcosa che sa ancora di lui.

Raggiungo il letto e mi rannicchio dal lato di Eric, tuffando la testa nel suo cuscino in cerca del suo profumo e lo sento.

Visto che non ha più senso nascondermi, mi arrendo e piango, soffocando i gemiti. La felpa di Eric è troppo grande per me, così mi ci stringo dentro e mi copro il viso con le maniche troppo lunghe. Decido di mettermi anche il cappuccio in testa, d'altronde non volevo altro che sparire ed avere Eric con me e questa felpa mi permette di fare entrambe le cose.

Sento i passi di Amber sulle scale e rimango in attesa. Lei arriva e si siede accanto alla mia schiena e mi accarezza la testa.

-So che sei contraria a certi metodi, ma hai bisogno di dormire.-

Mi volto a guardarla e vedo che tiene in una mano un bicchiere d’acqua e, nell’altra, due pilloline verdi.

-Sono naturali, ma ti aiuteranno a stare meglio e ad addormentarti.- Mi dice, poi si alza e appoggia tutto sul comodino. -Te le lascio qui, decidi tu.-

Odio i sonniferi e lei lo sa. Ma credo che conosca anche le mie condizioni.

-Dove vai?- Le chiedo, con un soffio di voce, quando la vedo avvicinarsi alle scale.

Lei si volta e mi sorride, rassicurante. -Sul divano.-

La ringrazio mentalmente per la sua discrezione e per il modo in cui si sta occupando di me, ma non ho la forza di reagire come vorrei.

-Tieni,- Le dico, afferrando l’altro cuscino al mio fianco. -Usa il mio cuscino e nell’armadio ci sarà una coperta!-

Lei lo prende e ne approfitta per posarmi una carezza sulla spalla e poi, in silenzio, cerca la trapunta e scende giù spegnendo tutte le luci che trova al suo passaggio.

Sprofondata nel buio tremo di paura, abbraccio il cuscino di Eric e mi posiziono meglio il cappuccio sulla testa.

Chissà se Eric è al caldo, se sta bene o se soffre più di me.

Forse gli hanno già sparato…

Scuoto la testa, lascio libere le mie lacrime di scorrermi sul viso e mi metto seduta. Nella fioca luce individuo il bicchiere e cerco a tentoni le pillole, le metto in bocca e bevo subito un’ abbondante sorso d’ acqua per mandare tutto giù.

L’amore ha varie forme, e alcune uccidono.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

 

 

 

Ciao a tutti, siamo ancora qua, con Eric prigioniero dei ribelli ed Aria in disperazione per ovvi motivi.

 

In questo capitolo i dialoghi erano fitti e intrecciati con le spiegazioni, per cui spero di essere stata abbastanza chiara. Ma, se qualcosa nei vari passaggi vi è sfuggito, non esitate a chiedere e proverò a chiarire i vostri dubbi.

 

In sostanza, Finn propone di chiedere agli Intrepidi ribelli che si sono rifugiati dai Candidi di allearsi con loro. Potrebbero avere il numero di uomini necessario e aumentare la scorta di armi, così da riuscire ad uscirne vincitori in un’eventuale guerra contro Jeanine e Max. Ovviamente tutto ha un prezzo e, se i ribelli vorranno allearsi ed essere aiutati, dovranno risparmiare Eric.

Ma lo faranno? Saranno disposti ad allearsi con quelli che consideravano dei traditori, dovendo per di più rispiare la vita al loro odiato Eric?

 

Lo scopriremo nei prossimi capitoli. Siate pazienti <3 !

 

Ovviamente colgo l’occasione per ringraziare tutti i lettori, e spero che vogliate farmi sapere cosa ne pensate con qualche commento.

Baci e mille grazie, a presto!

 

 

 

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Capitolo 35
*** Una parte di me ***


35. Una parte di me

 

 

 

 

 

 

-Volete smetterla?-

Ignoro totalmente il lamento di Aria, trascinando oltre la porta due pesanti borsoni.

Non è tanto per il fatto che spettino a me i lavori pesanti, lo accetto, ma sono comunque di cattivo umore di prima mattina.

-Non protestare, niente fatiche per te, dato il tuo stato!- Le rammenta Jason, togliendole uno scatolone dalle braccia.

-Fatemi il favore! Non me ne starò certo seduta e buona, non sono mica invalida!- Si lamenta lei.

Camille ride e la passa accanto.

-Sì invece! Le future mamma non fanno sforzi!- Le dice, e prendere il sacco pesante che Aria aveva legato al braccio.

Aria alza gli occhi al cielo e scuote la testa.

Nel frattempo mi appresto a seguire quelli che dovrebbero essere miei amici, chiudo la porta e avanzo nel salottino, lasciando cadere i borsoni per terra e ignorando la mia donna quando le passo davanti.

Mi guardo intorno, infastidito dall’odore stantio dell’appartamento nuovo e impreco in silenzio. Vado ad aprire le finestra, tra una lamento e l’altro, e Aria mi raggiunge per posarmi una mano sulla spalla.

-Come sei premuroso! Allora ti piace la nuova casa!-

La fulmino con un’occhiataccia particolarmente storta e lei fa roteare gli occhi, sbuffa e si allontana.

-Era ora che vi stabilisse in una vera abitazione! Non potevate certo continuare a stare in una stanza!- Afferma Camille, mentre toglie i teloni protettivi dal tavolo della cucina e dal divano.

Vorrei dirle di tenere chiusa la boccaccia, ma ringhio in silenzio e mi sforzo di non esprimermi.

-E poi così Eric sarà vicino di casa di Max e sono sicuro che non vedeva l’ora!-

Mentre Jason ridacchia, soddisfatto della sua battutaccia del cavolo, io lo incenerisco con lo sguardo e mi appunto mentalmente di fargliela pagare a caro prezzo.

D’altro canto, sono ancora profondamente incollerito con lui. Se sono finito in tutto questo guaio, è solo colpa sua.

-Cosa stai facendo?- Strilla Camille.

Mi volto e vedo Aria che tenta di sollevare uno dei due borsoni che avevo abbandonato sul pavimento.

-Ferma lì!- L’avverte Jason, la raggiunge  e le ruba il borsone, caricandoselo su una spalla. -Dove vuoi che lo porti?-

Aria sbuffa e incrocia le braccia al petto. -In camera da letto!-

-Benissimo!- Dice Jason, sparendo oltra la porta.

Digrigno i denti e serro i pugni, sono più che stufo di tutte queste storie e relative moine!

-Non ho intenzione di starmene a guardare!- Specifica Aria, con le mani sui fianchi.

Camille scuote la testa e aggira il tavolo, le si avvicina e sistema i cuscini del divano.

-Io dico che te ne starai tranquilla ad aspettarmi!- Le mette le mani sulle spalle e la costringe a sedersi sul divano. -Appena finisco il mio turno di lavoro vengo qui ad aiutarti a mettere tutto in ordine.-

-E nel frattempo cosa faccio? Ho il giorno libero e non intendo sprecarlo a far niente!- Brontola Aria, mettendo il muso.

Camille si raddrizza e le punta un dito contro. -E invece guai a te se fai sforzi!- Sospira. -Userai questo giorno per riposarti e, se proprio ti annoi, puoi andare a trovare Mickey all’area bimbi. Sarà felicissimo di poter giocare con te.-

Aria si illumina come se avesse visto il sole per la prima volta, allettata dall’idea.

-E per di più, la sua tutrice sarà felice di non dover badare a lui per un po’.- Precisa Jason, riapparendo in soggiorno.

Maledetto bambino!

Se fossi nei panni della direttrice dell’area marmocchi della fazione, lo soffocherei con un cuscino.

Quel mostriciattolo è la vera causa della mia rovina.

E ovviamente la colpa è anche di Jason, che ha avuto la brillante idea di ingravidare la sua ragazza, qualche anno fa. Non potevano andare a farsi un giro sulla sky-line, quei due, invece di spassarsela?

Stringo i pugni e faccio un respiro profondo.

-Adesso devo scappare, vedi di stare ferma!- Dice Camille, stringendo le braccia intorno al collo di Aria, in un breve abbraccio.

-Va bene!- Promette lei, sbuffando.

-Vado anch’io!- Dichiara Jason, voltandosi a guardarmi. -Ci vediamo dopo pranzo al secondo piano?-

Lo osservo freddamente e faccio un cenno.

Quando l’allegra coppietta che mi ha rovinato la vita esce, tiro un sospiro di sollievo.

Sono rimasto immobile davanti alla finestra, così mi appoggio con la schiena ai vetri e incrocio le braccia al petto, osservando Aria.

Se ne sta seduta composta sul divano, dritta e con le mani appoggiate sulle cosce. I suoi occhioni blu mi scandagliano in silenzio, non batte ciglio e non manifesta alcuna espressione.

Indossa abiti insolitamente raffinati per un’ Intrepida e questo solo perché ha addosso una maglietta nera di lino, che le fascia in seno e si allarga sul ventre, evidenziandone il gonfiore.

Distolgo lo sguardo, infastidito, e le do volutamente le spalle per guardare fuori. Fortuna che gli alloggi per i capifazione sono nei piano più alti, gli unici in superfice, così possiamo avere anche qui una discreta vista sul mondo oltre la residenza.

-Eric, perché non viene a sederti qui con me?- Prova dolcemente.

Faccio uno sbuffo di sufficienza e la ignoro. Forse non ha ancora capito che, quando sono davvero arrabbiato, la sua gentilezza con me non funziona. Non può sempre raggirarmi come vuole, lo ha già fatto e ne ho pagato le conseguenze.

Ho voluto accontentarla e renderla felice, ma adesso mi ritrovo a vivere una vita non mia e sono furioso.

Chi me lo ha fatto fare?

Aria sospira. -Senti, lo so che la faccenda del trasloco non ti piace, ma non potevamo fare diversamente. Anche a me piaceva la tua vecchia stanza, ma non possiamo più starci!-

Rimango in silenzio e serro la mandibola.

-Presto non saremo più solo io e te e abbiamo bisogno di più spazio.- Fa una pausa e colgo la sua incertezza. -So che la faccenda del bambino in arrivo ti spaventa e che i cambiamenti non fanno per te, ma sono certa che andrà tutto benissimo. Devi solo farci l’abitudine, vedrai che andrà bene!-

Il suo tentativo di rassicurarmi fallisce miseramente.

Mi arpiono al davanzale della finestra e tento di fare un respiro profondo.

È tutta colpa di quell’idiota di Jason e della sua trovata di mettere su famiglia.

Ho passato gli ultimi sei anni della mia relazione con Aria in pace ed armonia. Ce la siamo spassata alla grande, abbiamo sempre fatto quello che ci andava di fare e le nostre vite sono le più invidiate in tutta la fazione.

Lei è ufficialmente il braccio destro all’area logistica, ricopre un ruolo fondamentale e gestisce lei il reparto quando Robert è impegnato altrove. Ed io sono sempre capofazione.

Non abbiamo avuto grandi problematiche di coppia, a parte qualche mia scenata di gelosia, e il nostro rapporto è rimasto stabile e intrigante al punto giusto. Abbiamo sempre continuato a desiderarci e a sopportarci reciprocamente.

Aria non ha mai manifestato la sua voglia di avere figli e mai mi ha chiesto cosa ne pensavo dei bambini o se ne avessi voluti. A volte avremo accennato qualcosa sull’argomento, ma non abbiamo preso realmente in conto l’ipotesi. Persino io ne parlavo tranquillamente, ma non per questo volevo sfornare marmocchi come ha fatto invece il mio miglior uomo di fiducia.

Lo stesso che adesso vorrei strozzare.

È stata la nascita di Mickey a far perdere la testa ad Aria.

Ha seguito la gravidanza di Camille senza batter ciglio, ma forse iniziava già a farsi strane idee. E poi, quando ha visto quel mostriciattolo per la prima volta, è andata del tutto fuori di testa!

Ogni volta che le permettevano di tenerlo in braccio, Aria era radiosa e, ogni volta che incrociava  il mio sguardo, i suoi occhi luccicavano di amore.

Mi hanno rovinato.

Quel piccolo mostro iniziava a camminare e Aria spariva per ore soltanto per andare a giocare con lui. E, ogni volta che lei tornava a casa dopo essere stata con Mickey, aveva uno sguardo spento e triste. Mi ha persino accusato di dedicarle poche attenzione, visto i miei impegni lavorativi, e diceva che iniziava a sentirsi sola.

Non me lo ha chiesto esplicitamente, ma che dovevo fare?

Le ho domandato se credeva fosse una buona idea diventare madre a ventitré anni, ma lei non ne aveva nessuna paura. Al contrario, aveva iniziato a temere lo scorrere del tempo, ricordandomi che per gli Intrepidi l’età che avanza è un problema e che tutti i membri dalle nostra fazione fanno i figli da giovani.

Ho quasi voglia di prendermi a schiaffi per la mia negligenza.

Nel tentativo di tenerla buona, le ho proposto di sospendere gli anticoncezionali e quel che sarebbe successo sarebbe stato.

Ma non pensavo che rimanesse incinta così presto, accidenti!

Speravo passasse più tempo, magari un altro anno.

E invece sono rimasto incastrato e per di più ho anche dovuto cambiare casa. Ero così abituato al mio letto, mentre adesso chissà quante notti in bianco mi aspettano.

Per non parlare delle ore di sonno che perderò non appena nascerà il marmocchio.

Jason si diverte a prendermi in giro con Nick, me ne dicono di tutti i colori per ridere della mia sventura.

E nel frattempo io pianifico la loro morte.

-Eric?- Prova ancora Aria.

Sbuffo e mi volto. -Cosa c’è? Vuoi sapere se sono pronto per l’arrivo di un poppante che passerà il suo tempo a strillare?-

Lei mi guarda, solleva il mento ma tace.

-E, come se non bastasse, so per certo che ti allontanerà da me!- confesso, abbattuto ed arrabbiato. -Non voglio che ci divida, tu devi essere soltanto mia.-

-Hai paura che ti trascurerò, dedicandomi solo al bambino?- Chiede.

-Certo!- Ringhio.

Scuote la testa, ma mantiene una certa freddezza. -Non succederà mai. Mi prenderò cura di lui ma anche di te, senza negarti mai il mio tempo e il mio affetto.-

-Quindi stai provando a farmi credere che non cambierà niente?- urlo, accusandola.

-Eric!- Sospira. -Le cosa cambieranno eccome, sono già cambiate.-

La osservo e mi si storce la bocca in una smorfia.

-Quello che voglio dire è che ci faremo l’abitudine. Io so per certo che andrà tutto bene e devi iniziare a crederci anche tu e ad accattare questa novità.-

Faccio stridere i denti e continuo a respirare, nonostante io sia del tutto furioso.

-Vieni qui per un momento.- Mi propone, picchiettando con la mano sul posto del divano libero al suo fianco.

-Fammi indovinare, vuoi sapere se sono pronto per diventare padre?- Ringhio. -No che non lo sono e lo sai benissimo!-

Non batte ciglio e mi attende, silenziosa.

Impreco ad alta voce qualcosa di incomprensibile e mi siedo accanto a lei, incassando la testa fra le spalle.

-Io mi fido di te.- Mi dice.

La guardo, così serena e statica, e mi sento improvvisamente debole.

-Come puoi pensare che sarò un buon padre?- Le chiedo, e mi accorgo che la mia sembra più una supplica.

Forse ho bisogno di essere persuaso e spero vivamente che lei abbia una soluzione.

-Sai che sono irascibile e non sono affatto un buon esempio di persona. Mancano solo quattro mesi e il tempo è troppo poco. Non sarò mai pronto!-

Lei mi sorride e mi accarezza un braccio.

Mi scosto e scuoto la testa, infastidito. -E perché diamine sei così calma? Cosa aspetti ad arrabbiarti?-

Lei sorride ancora e mi guarda con tenerezza, come se fossi un bambino sorpreso a combinare un guaio, e inizia persino ad accarezzarmi i capelli.

-Dico sul serio, Aria! Ti sto praticamente dicendo che non voglio un figlio e tu stai zitta?- Sputo ogni singola parola, guardandola come se fosse impazzita.

Forse gli ormoni le sono andati alla testa.

Aria mi incatena con uno dei suoi sguardi più dolci e profondi e, in un attimo, mi scalda dall’interno e mi dona la pace.

-Sono tranquilla perché so perfettamente che amerai questo bambino.- Mi accarezza il viso. -E non mi arrabbio perché ti conosco bene e so che stai solo andando in paranoia. Magari pensi davvero quello che dici, ma è solo l’agitazione a farti perdere la testa!-

-Ascolta!- Sospiro, scostandomi dallo schienale del divano per guardarla meglio negli occhi. -Se nascesse un maschio, forse, protei provarci. Potrei sempre insegnargli a sparare e a fare a pugni ma…-

Lei mi guarda e solleva le sopracciglia. -Ma?-

-Ma pensa se nascesse una femmina!- Sbotto. -Cosa ci faccio io con una bambina?-

Mi aspetto che si offenda, ed invece scoppia a ridere.

Ed ecco che mi offendo io.

-Andiamo, Eric! Non cambia nulla il sesso del bambino!-

-Come fai a dire una cosa del genere?- Sbotto, ma poi sospiro di rassegnazione. -Hai ragione, a prescindere che sia maschio o femmina, sarò comunque un pessimo genitore.-

Lei mi rivolge un’ occhiata ammonitrice, poi scuote la testa e mi prende il viso tra le mani, trascinandomi verso di lei.

-Stami bene a sentire!- inizia, seriamente. -Tu gli insegnerei il valore del coraggio e l’importanza della forza. Gli insegnerai a combattere le sue paura e a superare ogni ostacolo.-

La guardo e, per un attimo, tutto si spegne.

-Gli insegnerai che bisogna sempre combattere per ottenere ciò che si desidera, e che arrendersi non serve a nulla.- Continua. -Gli insegnerai ad avere sempre una ragione per cui lottare e un motivo per cui sopravvivere.-

I suoi occhi mi incatenano e il suo sorriso mi fa sentire sempre più debole. La sua espressione serena e sicura mi fa capire che crede cecamente in me.

E che mi ama.

Eppure non è una sprovveduta, lei sa benissimo che ci saranno delle avversità, ma è pronta a sostenermi e ad affrontare ogni problema con me.

-Comunque vada, sarai un ottimo papà.- Afferma. -E, lui o lei, ti amerà.-

Qualcosa mi spinge a sorridere e, nel profondo del mio essere, la tempesta si è assopita. Temo che si rianimi e mi sconvolga ancora ma, per ora, tutto tace.

Le metto una mano sul viso e spingo la sua fronte contro la mia.

Aria ha sempre avuto la capacità di attaccarmi e spingermi al mio limite, ma sa anche come risollevarmi ogni volta e come riaccendermi.

Lei è la mia forza.

-Grazie per avermi appena ricordato perché mi sono messo in questo guaio.-

Lei sorride e strofina la punta del suo naso con il mio. -Di che parli?-

-Ti amo.-

La mia dichiarazione la fa sorridere mentre abbassa lo sguardo, sicuramente per nascondere il rossore delle sue guance.

Stanco del senso di soffocamento che ho provato fin ora, e improvvisamente assetato delle sue labbra, le prendo il viso con entrambe le mani e la bacio.

Lei ricambia appassionatamente, le nostre lingue si intrecciano e le tasto tutto il corpo, sempre più carico di desiderio.

Aria mi stringe a sé e, mentre sta per sollevare una gamba per sistemarsi a cavalcioni su di me, emette un piccolo gridolino acuto e mi spinge via.

-Che diavolo succede adesso?- Ringhio, avvilito.

Mi ero appena rilassato, ed ecco che torna a farmi saltare i nervi. Sono ancora teso e ho bisogno di pace, non di urla che mi fanno saltare per aria.

Aria agita entrambe le mani e squittisce come una bambina. -Si sta muovendo!-

Inarco un sopracciglio e la guardo di traverso.

-Il tuo bacio ha emozionato anche lui e ha iniziato a scalciare. Gli piaci già, Eric!-

Le sue parole mi generano un improvviso senso di nausea che mi costringe a fare una smorfia.

L’ho detto io che questo moccioso non farà altro che mettermi i bastoni fra le ruote e allontanarmi da sua madre.

Addio intimità!

-Lo vuoi sentire?-

La sua richiesta mi spaventa più di un’ arma puntata contro, tanto che mi appiattisco contro lo schienale del divano.

-Forza, non fare storie!- Mi rimprovera, percependo il mio scetticismo. -Dammi la mano!-

Sto per dirle di no e vorrei farle capire che non è il caso di insistere troppo con me. Sto provando ad accettare la novità, ma non deve forzarmi. Tuttavia non ho il reale tempo di oppormi, perché Aria mi afferra una mano e se la sistema sul pancione.

-Senti, proprio qui!- Mi consiglia, trascinando il palmo della mia mano al centro del suo ventre.

Sospiro, ma non detraggo la mano, un po’ per non deluderla e un po’ per via della mia natura curiosa.

In un certo senso mi incuriosisce l’idea della creaturina dentro di lei che cresce e si muove, ma dall’altra parte la considero solo un’invasione.

Quella cosa si è insinuata dentro la mia donna e mi chiedo come faccia lei a sopportarlo. E poi l’ha resa lenta e suscettibile, ed io amo Aria proprio per la sua forza.

Il mese scorso è stata intrattabile quasi tutti i giorni, era insopportabile e irritata. Per non parlare di quella volta, al secondo mese di gravidanza, quando le è venuta voglia di torta alle quattro di notte.

Sospiro e attendo un qualsiasi segnale di vita da parte del mostriciattolo, ma niente.

Aria sbuffa e sposta la mia mano su un’altra zona della sua pancia. -Dannazione, era proprio qui… non starà mica dormendo?-

Prendo un altro profondo respiro e alzo gli occhi al cielo, cercando il modo in cui spiegarle di rassegnarsi e di lasciarmi in pace.

-Aria, ascolta, io….-

Sto per manifestarle il mio disappunto, ma mi si bloccano le parole in gola.

Improvvisamente sento qualcosa bussare attraverso la pelle di Aria e colpirmi, con un ritmo incostante ma deciso.

E, per un solo fottutissimo istante, immagino i piedini della creaturina zampettare per la stanza. Lo vedo correre e saltare.

Immagino i suoi pugni sulle mie mani quando gli insegnerò come stendere un avversario.

Sento il suono delle sua voce chiamarmi, ma non con il mio nome.

Vedo una testolina arruffata buttarsi fra le braccia di Aria per farsi abbracciare.

E all’improvviso percepisco la sua forza e il mostriciattolo non è più una minaccia.

-Lo senti?-

Guardo Aria e vedo i suoi occhi luccicare di commozione. Il suo sorriso è il più felice e bello che io abbia mai visto. Il mio cuore palpita ed io rimango a bocca aperta, sconvolto da tutta la sua contentezza.

-È una parte di te!- Deduco in un sussurro.

Lui è dentro di lei, vive in lei ed io capisco per la prima volta che non potrò fare a meno di amarlo.

Ma lei mi sorride e mi mette le mani sulla mia, ancora sulla sua pancia.

-È anche una parte di te.- Precisa dolcemente, arricciando le labbra.

Una parte di me.

Bè, certo, non c’è mica finito da solo lì dentro, è anche merito mio. È il frutto del mio legame con Aria e rappresenta la nostra unione.

Spero solo che non abbia parti di me o che, almeno, prenda solo i dettagli positivi. Se erediterà la mia forza e la mia testardaggine avrà di sicuro un bel carattere, ma meglio un ribelle che uno stronzo egoista.

Aria ride, mi mette le mani sulle spalle, sollevandosi per mettersi in braccio a me.

Le faccio passare la braccia dietro la schiena e la osservo in silenzio, ancora perso nei miei pensieri.

-Sei felice?- Mi chiede, sollevandomi in viso con le dita.

Sospiro, vorrei manifestare tutti i tormenti che ho dentro e dare un nome a ciò che provo, ma non è possibile.

So solo di amare questa donna e di non desiderare altro che lei.

-Sì!- ammetto semplicemente, quando un’ondata d’amore mi rasserena.

Non riesco ancora a sorriderle, ma chiudo gli occhi e respiro pienamente il suo profumo.

Lei si china su di me, mi fa passere le braccia introno al collo e fa per baciarmi.

-È un vero peccato che tutto questo non sia reale, non trovi?- Mi chiede in un sussurro contro la mia bocca.

Le nostre labbra si incontrano e ci baciamo, ma nel mio cuore si è annidata una strana tristezza.

Ed una terribile consapevolezza.

-Ma lo hai voluto tu, amore.- Dice Aria, quando i nostri sguardi si intrecciano. -È solo colpa tua se tutto questo non succederà mai.-

Le accarezzo il viso e la tristezza mi devasta, perché adesso sto riprendendo coscienza e so perfettamente che lei non è qui con me.

So di averla persa e il pensiero di lasciarla andare mi annienta.

-Mi manchi tanto.- Mi confessa, con gli occhi lucidi.

La stringo di più a me e lei si accoccola con la testa sulla mia spalla.

-Non andartene.- La supplico. -Sei tu ad essere una parte di me!-

Lei ride piano. -Non è reale Eric, non illuderti.-

La serro nel mio abbraccio e chiudo con forza gli occhi.

Aria si solleva e mi mette le mani sulle guance, posando la sua fronte sulla mia.

-Ti amo, ma devi svegliarti!- Dice.

Io respiro tutto il suo odore meraviglioso e scuoto la testa cercando di baciarla.

Ma lei mi nega le sue labbra mi stringe a sé.

L’abbraccio e, quando sento la sua voce, il mio cuore ha un sussulto.

-Svegliati!-

 

-Svegliati, verme!-

Sussulto fino a ritrovarmi mezzo seduto, svegliandomi di soprassalto.

Batto più volte le palpebre, in cerca del sogno perduto e per trovare una posizione stabile su questo letto decisamente troppo piccolo.

Tento di mettere a fuoco il luogo in cui mi trovo, respirando profonde boccate di ossigeno. Ho la gola secca, ho sete e il bruciare alla trachea sta diventando insopportabile.

La stanza in cui mi trovo è minuscola, le pareti sembrano soffocarmi e c’è spazio a mala pena per il lettino sui cui mi trovo.

-Ti muovi?-

Tra strati di dolore fisico e mentale, mi volto verso il punto da cui proviene la voce e deglutisco. Sbarre di spesso metallo mi dividono dall’uomo Intrepido che mi chiama con insistenza.

-Allora, brutto bastardo, come si sta in gabbia?- Mi beffeggia.

Sento la sua risata amplificata, il suo sono aspro mi vibra nelle orecchie e vorrei tanto metterlo a tacere.

Sono confuso e stordito, il mio copro protesta per le scariche di dolore che lo attraversano e ho sempre più bisogno di bere. Seguo con lo sguardo le travi di ferro verticali, a intervalli regolari, e provo ad indentificare il profilo del soldato.

Ma non lo riconosco. Sarà uno di quelli che mi odiano. Non che non lo sapessi ma, nella mia fazione, erano in molti a detestarmi.

Ma almeno prima ero temuto.

-Ti ho portato la tua razione, verme!- Sogghigna il soldato.

Batto ancora le palpebre e cerco di inumidirmi le labbra secche.

Mi sembra di ricordare il momento in cui sono stato portato in questa cella e, da quel poco che ho capito, sono stato imbottito di sedativi.

La gola continua a bruciarmi, ma scorgo il vassoio che l’Intrepido regge fra le mani e mi sento quasi meglio. Individuo un piatto fumante, anche se non so cosa contenga, e una bottiglietta di plastica colma d’acqua. Ho una sete tremenda ma, ora che ci penso, ho anche fame e ho assolutamente bisogno di mangiare e di rimettermi in forze. Sono ridotto piuttosto male, anche se fatico a farmi da solo un quadro clinico, dato il mio stordimento.

Mi tasto il collo e sento sotto i polpastrelli il cerotto che mi ricopre la ferita lasciata dal coltello della Rigida.

-Che peccato…- Canticchia l’Intrepido, mentre lo vedo indietreggiare di diversi passi. -Mi è scivolato!-

Non comprendo subito le su parole, fino a quando non lo vedo lasciare cadere di proposito il vassoio che aveva in mano.

Il piatto si rovescia e quella che riconosco come zuppa si disperde sul pavimento, mentre la bottiglietta d’acqua rotolo via, troppo lontana dalla mia cella.

Sento la delusione e la rabbia soffocarmi, ma la seta è comunque il problema più grande.

-Manderò qualcuno a pulire,- Spiega il mio carceriere. -Domani!-

Serro la mandibola e torno a prestare attenzione all’uomo che mi fissa da oltra le sbarre e, mentre lui esibisce un sorrisino arrogante, io riesco a fulminarlo con un’ occhiataccia.

Conosco perfettamente la crudeltà degli Intrepidi e il loro essere spietati, io stesso sono sempre stato un mostro, ma adesso che sono io a subire vorrei solo urlare e uccidere qualcuno.

Ma non ho la forza neppure per arrabbiarmi.

Devono odiarmi parecchio se mi negano persino l’acqua.

Deglutisco, in cerca di saliva che mi umidifichi la bocca, sentendo un sapore amaro e disgustoso.

Credo che la dose di sedativi e altri medicinali che hanno usato su di me debba essere stata bella forte, a giudicare dal mio stato di torpore e dagli scherzi che mi propone la mia mente. So benissimo di non aver fatto un sogno qualunque, era molto di più.

La mia testa confusa e persa nel dolore ha ideato un ipotetico futuro e cui non arriverò mai.

Ho appena avuto uno squarcio su ciò che avrei potuto avere ma che non avrò. Il mio cervello ha sognato una scena che, almeno secondo le mie fantasie, poteva rappresentare la mia vita.

Se solo non avessi distrutto tutto.

-Forse non dovrei dirtelo, ma mi sembra giusto che tu sappia la verità.-

Fisso in cagnesco l’uomo, anche se temo di non risultare poi tanto spaventoso, visto il mio stato pietoso.

-Jeanine ha chiesto la tua liberazione al capofazione dei Candidi, in cambio della pace con la sua fazione.-

Sento le sue parole e non riesco a nascondere un sussulto, ma il mio stato di euforia dura poco.

È sorprendente che Jeanine si sia disturbata per me, quando so bene che mi voleva morto. Perciò capisco già che la sua richiesta è del tutto inutile e che non verrà mai accolta.

Probabilmente ne è consapevole anche lei.

-Ma vedi, Eric, non spetta ai Candidi decidere della tua vita.- Continua. -Mi sembra crudele illuderti.-

Decido di ignorarlo e torno disteso, risistemandomi la coperta che mi è stata concessa.

-Saremo noi a giudicarti!-

Serro le palpebre e gli auguro silenziosamente di farsi ammazzare.

-Verrai presto giustiziato per i tuoi crimini, assassino!- Sputa fuori con rabbia.

I miei muscoli hanno un fremito, ma preferisco non sprecare la mie poche forze per insultarlo.

Sento i passi del soldato allontanarsi e i battiti del mio cuore aumentare.

Vorrei tornare a dormire, a sognare Aria magari, e invece non riesco a fare a meno di immaginarmela disperata e in lacrime davanti al mio cadavere.

Se mi addormentassi adesso, probabilmente, farei solo incubi.

Della mia vita mi è sempre importato poco, ho più ricordi da seppellire che da vivere, perciò non ho paura.

Sento solo uno sgradevole peso gravarmi addosso quando ricordo i miei ultimi sogni, così felici e irraggiungibili. Probabilmente quella vita non avrebbe fatto per me, non la merito e non mi ci sarai mai trovato a mio aggio.

Per un attimo mi sembra di risentire la voce di Aria e serro con più forza gli occhi. È tutta colpa sua se sono diventato debole e se, per un attimo, mi sono illuso di poter cambiare ciò che ero.

Se non fosse stato per causa sua, non sentirei nemmeno un briciolo di dolore.

L’angoscia non mi sfiora neanche, ho troppa sete per disperarmi.

Infondo l’Intrepido si sbagliava, non faranno in tempo ad uccidermi, visto che sto giù morendo.

Il mio corpo sta cedendo, sto molto male e presto mi lascerò andare del tutto.

Una parte di me, poi, se n’è già andata.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua….

 

 

 

 

 

 

 

 

Grazie a tutti per aver letto e per essere arrivati fino a qui. Ringrazio come sempre tutti i lettori e spero che la storia continui a piacervi.

Vi chiedo anche di farmi sapere cosa ne pensate con qualche commento, se vi va, così da aiutarmi a capire ste sto procedendo nel modo giusto o meno.

 

Come avrete capito le sventure di Eric non sono ancora terminate, ma qualcosa dovrà pur cambiare e nei prossimi capitoli scoprirete come andrà a finire.

 

Inoltre vi devo avvisare di probabili ritardi futuri. Spero di farcela a mantenere gli aggiornamenti regolari, ma ultimamente ho poco tempo per scrivere e non so se più avanti sarò puntuale con i nuovi capitoli.

In realtà volevo anche preparavi qualcosa di nuovo e farvi ritrovare Aria e Eric in situazioni diverse ma è solo un’idea e per ora non vi svelo altro.

 

Grazie ancora, bacioni!

 

 

 

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Capitolo 36
*** Colpevole ***


36. Colpevole

 

 

 

 

 

 

 

 

-Amber mi ha detto che volevi parlarmi.- Esordisco freddamente.

Sono nelle studio di mio padre, ma non al quartier generale, ma dentro casa sua.

Proprio dove abitavo una volta, quando la mia vita era diversa.

Una volta i miei unici problemi erano le gonne troppo scomode e i rimproveri di mia sorella.

Un tempo credevo che bastasse prendere a pugni chi mi infastidiva per affrontare ogni disagio, e riponevo negli Intrepidi ogni mia speranza di felicità.

Mi ero illusa che sarebbe bastato indossare abiti neri per sentirmi a casa.

Mai aspettative furono più errate.

E deludenti.

Fra gli Intrepidi ho riscoperto la mia vera forza, il mio carattere seppellito sotto strati di rancore, e anche le mie paure.

Ho trovato l’amore. E l’ho perso.

Ho imparato cosa voleva dire stare bene. E cosa significasse soffrire davvero.

Quando, sta mattina, Amber mi ha riportato l’invito di nostro padre, mi sono limitata a dirigermi verso questa casa ormai estranea, come un’ automa. Ho varcato la porta che mio padre mi ha aperto e l’ho seguito in silenzio. Mia madre non c’è, è in ospedale.

Non mi sono guardata intorno e non ho provato assolutamente nulla.

Che io ricordi, non so più cosa sia provare emozioni e sentire i proprio battiti cardiaci.

-Sei venuta qui da sola?- Mi ammonisce prontamente mio padre.

Forse dovrei manifestare qualcosa, ma non faccio espressioni.

Sospiro e stringo le labbra. -Nick mi ha accompagnata.-

-Non devi andartene in giro da sola, è fuori discussione.- Mi dice, fremente. -E, per nessun caso, devi mettere un solo piede al quartier generale.-

Mi limito a fissarlo in silenzio e lui scuote la testa, forse pensa che il suo messaggio mi sia entrato in un orecchio e uscito dall’altro.

Ma io ho capito benissimo.

Ora che non c’è più Eric a proteggermi, sono un bersaglio facile piazzato al centro di un uragano.

Però Jeanine non ha più interessi verso di me, non le servo più e ormai ha messo a tacere per sempre Eric e addomesticato mio padre.

Chi dovrei temere? Coloro che odiavano Eric? Perché dovrebbero farmi del male se lui non potrà mai venirlo a sapere?

E poi, cosa più importante, cosa dovrei temere?

La mia morte?

Nascondo una risatina con uno sbuffo, e mio padre mi guarda storto. Probabilmente mi crede impazzita.

Peccato non sia così.

Sarebbe più facile perdersi invece di dover affrontare ogni secondo il dolore.

Vedo, per un solo istante, il volto di Eric fra i miei ricordi e il mio cuore manca un battito. Mi sale la nausea e mi mordo con forza l’interno della guancia, imponendomi di non pensare.

Chiudo le palpebre e svuoto la mente.

-C’è ben poco da scherzare!- Scandisce mio padre. -Ho le informazioni di cui parlavo.-

Riapro gli occhi.

-E perché mi hai fatta venire qui? Non dovresti parlarne con Jason, o con Finn?-

-Non mi fido degli Intrepidi, tanto meno dei capifazione!-

Osservo annoiatamente il colore dei miei abiti e lancio uno sguardo eloquente a mio padre.

Lui scuote il capo. -Finn non deve sapere cosa sto per dirti, dopo capirai. Devi avere tu questi file e consegnarli direttamente nelle mani dei nuovi capi dei ribelli.-

-Non spetterà a me contrattare, non so nemmeno se Jason mi lascerà andare. Si può sapere che stai dicendo?-

-Di chi ti fideresti tu?- mi interrompe, guardandomi dritto negli occhi. -Della fedele guardia di Eric, o di una ragazzina con le mani pulite che non ha mai ucciso nessuno?-

Assottiglio lo sguardo e mi fisso le scarpe.

Mio padre si accomoda alla sua scrivanie a mi invita silenziosamente a sedermi sulla sedia accanto a lui.

Lo seguo, ma non ho il coraggio di guardare i suoi occhi, così simili ai miei. Non l’ho mai visto così concentrato, ho anche l’impressione che sia spaventato ma determinato.

-Perché vuoi aiutarci?- Chiedo. -Perché vuoi rischiare la tua vita per salvare Eric? Lui non ti piace.-

Con un sospiro, mio padre si passa una mano sulla nuca.

-È complicato!-

-Cosa è complicato?-

Lui non risponde ed io mi concentro sui lividi violacei sulla sua mascella e, solo adesso, capisco chi glieli ha procurati.

-Perché ti ha picchiato?-

Lui tradisce un sussulto e mi guarda seriamente, stringe le labbra e scuote la testa.

-Dimmelo!-

Serra un pugno e se lo porta davanti alla bocca, come se volesse impedirsi di parlare, e inizia a smanettare con il suo computer.

-Perché me lo meritavo, probabilmente.-

Le sue parole mi spiazzano. -Perché Eric ti ha picchiato?-

-Perché ho guidato io la tua simulazione!-

Il suo ringhio mi smorza il fiato il gola.

Eppure, nonostante la sconcertante verità, non riesco a provare assolutamente nulla.

Solo uno strato di ghiaccio in più attorno al mio cuore.

Mi accarezzo distrattamente con le unghie la fasciatura sul mio polso e rimango in un ostinato silenzio.

-Jeanine mi ha ordinato di farlo e, se non lo avessi fatto, ci avrebbe rimesso tua sorella.-  Mi spiega. -Mi dispiace.-

Non capisco più tanto bene il mio cuore e i miei sentimenti ma, dopo tutto il freddo che mi opprime da dentro, l’unica cosa che riesco a provare è amore. Penso a mia sorella che dorme sul divano e che mi accudisce, al suo sorriso identico al mio e agli anni in cui avrei dato di tutto per averla più vicina a me.

-Se lo hai fatto per Amber, sono felice che tu l’abbia protetta. Non mi importa quello che hai fatto a me.- Dichiaro.

Stare senza di Eric mi uccide, ma non posso fare nulla, lui è praticamente già morto.

Non tornerà più a sgridarmi perché sono debole e non scoprirà mai l’indulgenza che sto dimostrando verso mio padre.

Sto provando con tutta me stessa ad essere Intrepida, per quanta importanza questo possa ancora avere, è ho imparato a mie spese che non se non ho nulla per cui lottare non posso sopravvivere.

E, in questo mare di sofferenza, non mi resta che combattere per qualcosa.

O per qualcuno.

E lui non c’è più.

-Non ho fatto il padre quando ne ho avuto la possibilità, ma non permetterò più che ti accada qualcosa.- Inizia mio padre. -So che Eric morirebbe piuttosto che vederti in pericolo.-

Serro i pugni, vorrei dirgli di smettere di parlare di Eric al presente.

Forse Eric avrebbe sacrificato la sua vita per me.

E lo ha fatto.

-In questo, è migliore di me.- Afferma.

Osservo mio padre ma non dico nulla, lo vedo selezionare dei documenti sul monitor e studio la sua concentrazione.

-Ciò che stai per scoprire è molto importante.- Continua. -Sto per svelarti la ragione per cui i tuoi capifazione hanno appoggiato Jeanine e accordato la simulazione contro gli Abneganti.-

Sollevo gli occhi e il mio respiro accelera.

In molti ucciderebbero per questa informazione.

-Un anno fa Jeanine ha convocato i capi Intrepidi e ha mostrato loro una lettera, lasciataci dagli antenati che costruirono questa città e conservata nel tempo.- Mi spiega.

-Una lettera? E cosa diceva?- Chiedo, confusa.

Mi scruta con attenzione e sospira. -Spiegava che dopo una grandissima e devastante guerra, le mura furono erette per proteggerci e che fuori non è rimasto altro che miseria e morte. Non dobbiamo uscire da qui, perché siamo tutto ciò che resta dall’umanità.- Fa una pausa. -E poi parlava dei Divergenti.-

-Diceva che erano una minaccia?-

-In realtà no, chiedeva solo di tenere costantemente aggiornato e sotto controllo il numero di persone Divergenti in città.-

-Non capisco. Non ha molto senso.-

-La lettera diceva anche che era stato creato un ulteriore file video che spiegava la divisione in fazioni della nostra città, ma questo documento era stato consegnato agli Abneganti e nel corso delle generazioni è stato protetto da loro.-

Scuoto la testa. -E fammi indovinare: Jeanine voleva quel video.-

Mio padre fa un cenno. -La lettera diceva che quel video doveva rimanere nascosto, così come la lettera stessa. Tutto ciò che dovevamo fare era mantenere integre le fazioni, censire i Divergenti e non oltrepassare mai le campagne dei Pacifici.-

Serro un pugno. -Per questo ha attaccato gli Abneganti, per quel video?-

-Gli Abneganti volevano divulgarlo, e Jeanine sapeva che sarebbe stato nocivo per il sistema delle fazioni.- Mio padre torna a guardare il computer. -La curiosità avrebbe spinto fuori molti abitanti, e la società sarebbe andata in pezzi.-

-Così Jeanine ha fatto girare per mesi menzogne incriminanti sugli Abneganti, per far perdere loro di credibilità?- Deduco, incurvando le sopracciglia.

-Proprio così. Non potevamo rischiare che le informazioni degli antenati venissero rese pubbliche. Dovevamo salvaguardare la pace.-

-E così avete optato per la simulazione, facendo sporcare le mani agli Intrepidi.- Dico, con un certo fastidio.

Il mio migliore amico è morto per impedire agli Abneganti di distruggere le fazioni.

Solo adesso posso dire con certezza che la colpa era dei Rigidi, di Tris, e non di Eric. Ma non traggo sollievo, sono solo infuriata.

-Mi stai dicendo che non c'era altro modo?-

-Non potevamo rischiare!- Insiste mio padre, lanciandomi una breve occhiata. -Oltre la recinzione non c’è vita per nessuno di noi.-

-Ma se quello che dici è vero, Eric non è colpevole.- Soffio, ansimante. -I capifazione avranno anche esagerato con la simulazione, ma hanno preso una decisione estrema per il bene della nostra città!-

Gli occhi blu di mio padre si fissano nei miei. -Ed è questo che devi far credere al resto della tua fazione e ai ribelli!-

Respiro profondamente e stringo con forza i pugni attorno alle mie ginocchia.

Eric non è solo un assassino, i capi Intrepidi hanno agito per il bene della città, stavano solo seguendo le direttive degli antenati.

-I capifazione sono autorizzati a prendere decisioni di qualsiasi tipo se è per salvaguardare la sopravvivenza della città e dei suoi abitanti, e le loro scelte non possono essere discusse.- Afferma mio padre, quasi leggesse nella mia mente. -È la legge!-

Lo osservo ma non sono in grado di dire nulla. Dovrei essere sconvolta per le morti che ci sono state e invece, da egoista, penso solo ad Eric.

-Sì può non essere d’accordo con la loro decisione, o con la simulazione, ma non certo condannare a morte qualcuno per aver svolto il proprio dovere.- Conclude.

Non possono condannare Eric solo perché, da capo, ha preso una decisione. Era nei suoi doveri, ha ubbidito a Max.

-Aspetta un attimo.- dico. -Ma se Jeanine aveva ragione e gli Abneganti no, perché ti stai mettendo contro di lei?-

Vedo le vene del collo di mio padre ingrossarti e mi accorgo del suo sguardo che si incupisce. -Perché Jeanine ha perso la testa con i Divergenti e sta esagerando con le morti.-

-Pensi che gli antenati volessero eliminarli?- Ipotizzo.

-Logicamente, abbiamo dedotto che se ci veniva chiesto di tenerli sotto controllo, voleva dire che erano pericolosi.-

Mi mordo il labbro e sento l’ira montarmi dentro. -Ma uccidere bambini dopo averli torturati non ti diverte più?-

L’occhiataccia che mio padre mi lancia, in tempi diversi, mi avrebbe ammutolito, ma non è più così. Ho affrontato l’iniziazione degli Intrepidi e subito le ire di Eric.

-Jeanine vuole avviare una nuova simulazione per controllare la città.- Mi dice a brucia pelo.

Impallidisco.

-Mi assumo la responsabilità di quello che ho fatto. Ho preso una decisione, scegliendo quello che per me era importante e i sacrifici richiesti non erano altro che il prezzo da pagare.- Mi informa.

Riprendo ad osservarmi le ginocchia e mi mordo il labbro per non parlare.

-Ed è la stessa cosa che ha fatto Eric.-

Sentire il suo nome mi incendia di dolore e desiderio.

-Anche lui ha preso una decisione e ha scelto di salvaguardare ciò che possedeva già, ovvero la sua vita, la sua posizione. Te…-

Serro ostinatamente le palpebre e mi rifiuto di guardarlo.

-Devi sapere un’altra cosa.- Dice ancora. -Quando Eric è stato catturato, stava eliminando i Divergenti che avevano trovato.-

Soffoco il tuffo al cuore e creo altri strati di gelo immaginario attorno a me.

-Ho visto i video di sorveglianza del palazzo dei Candidi e ho visto Eric mentre stava per sparare ad una bambina…-

Assimilo le ultime parole udite e torno a sentire il battito del mio cuore, più feroce e insistente che mai.

Credevo di essere diventata immune al dolore, ed invece mi sbagliavo.

-Stava?-

Mio padre fa un cenno. -Beatrice Prior lo ha aggredito e lo ha colpito con un coltello che teneva nascosto.-

In un turbinio di emozioni, che inevitabilmente mi condurrà alla pazzia, riconosco la rabbia scorrermi nelle vene e soffocarmi. Ma avverto anche un certo sollievo. Ma fa male comunque.

-Perché la cosa non ti turba?- chiedo sgarbatamente, nel tentativo di combattere ciò che provo.

-Eric è un soldato, e i soldati eseguono solo gli ordini!- Sbotta, fissandomi con rammarico. -Per questo non volevo che tu scegliessi quella fazione. Gli Intrepidi eseguono quello che gli viene imposto di fare e non si fermano. Non hanno scrupoli.-

Respiro profondamente e mi mordo ancora una volta l’interno della guancia. Vorrei non accettarlo, ma obbedire in silenzio è la prima regola che ci era stata insegnata durante l’iniziazione.

Eric assisteva agli allenamenti e puniva chiunque si opponesse o si arrendesse.

Nessuna fazione è perfetta, purtroppo.

-Eric lo ha sempre saputo e lo ha accettato.- Prosegue, sicuro di sé. -È un uomo che ha scelto di obbedire.-

-E tu cosa sei?- Sbotto, offesa. -Un uomo che tratta le persone come cavie e le uccide, soltanto per  salvare i membri della propria famiglia?-

-Sono una persona saggia!- mi risponde a tono.

-Una persona saggia?- ripeto, scandalizzata.

-Ho messo le mie capacità e le mie competenze al servizio della città e della fazione. Mi sono sporcato le mani perché ho dovuto farlo.-

-Quindi tu hai dovuto farlo, mentre Eric è un criminale?-

Mio padre scuote la testa e mi osserva, quasi dolcemente. -Eric ha fatto la sua scelta, a mio avviso molto coraggiosa, ma anche molto intelligente.-

Sono sconvolta dalle sue parole quanto dalla comprensione nella sua voce.

-Non poteva opporsi.- asserisce. -Avrebbe perso tutto.-

Improvvisamente mi gira la testa e sento brividi freddi.

Eric ha rischiato troppo a causa mia, e ha dovuto obbedire perché non poteva fare altrimenti se voleva tenersi stretta la sua vita e la mia.

E invece ha perso.

Ed è successo tutto a causa mia. Sono colpevole.

-Se vuoi salvare Eric, devi convincere i ribelli del rischio che correva la nostra città e dell’importanza della simulazione.-

Alzo gli occhi verso mio padre, ma non so se ho ancora la forza per ascoltare.

-Ti ho passato una copia digitale della lettera, ma nessuno deve sapere che c’è l’hai. Ti ho anche copiato dei documenti di Jeanine, in cui pianifica l’attacco e informazioni rubate a Max.- Mentre mi parla stacca una chiavetta di memoria esterna dal suo computer e me la porge.

-Cosa succederebbe se Jeanine scoprisse quello che stai facendo?- Voglio sapere, mentre prendo la chiavetta.

Lui non ricambia il mio sguardo e torna a studiare il monitor che ha davanti.

-Convinci i ribelli che i capifazione Intrepidi non erano dei folli, ma che hanno agito in quel modo per il bene della città. Ovviamente troverai chi non è d’accordo e chi continuerà a ritenere Eric un traditore.- Spegne il computer e gira la sua sedia verso di me. -Devi fare come ha detto quell’uomo, Finn. Devi spaventarli e fargli credere che, se uccidono Eric, si troveranno da soli in questa guerra, contro tutti e senza armi a sufficienza.-

-Non hai risposto alla mia domanda.-

-Convinci gli Intrepidi e i Candidi ad accettare il vostro aiuto, fagli capire che non sono gli unici a voler fermare Jeanine e che possiamo vincere la guerra solo se uniamo le forze.-

-Papà?-

Lui sospira e mi scruta in silenzio.

-Perché?-

-Perché il manifesto degli Eruditi ci impone di usare sempre il nostro intelletto a favore degli altri e per migliorare la nostra società. Sto facendo quello che ritengo giusto fare per garantire sviluppo e futuro al nostro sistema.-

A quanto pare, esistono ancora dei veri Eruditi che credono nel valore della fazione.

-Se rischi la tua vita lascerai la mamma e Amber da sole, e questo mi sembra del tutto illogico. Perché vuoi aiutarmi a liberare Eric?- Insisto.

Lui sospira e, messo all’angolo, solleva gli angoli della bocca in un sorriso triste. -Non mi sono mai comportato come un padre con te, questo ti sembra logico?-

Un fremito mi gela e mi immobilizza.

-La fazione prima del sangue.- Recito, raddrizzando le spalle. -Io ho sempre detto che me ne sarei andata, perciò devi preoccuparti prima di tutto della tua famiglia, non di me.-

-Per me il sangue è sangue e tu sei la mia figlia, anche se non ti ho mai dato comprensione.- Dichiara, alzandosi. -Ma non potrò proteggerti per sempre, mentre Eric può.-

Mio padre mi prende delicatamente dalle spalle a mi fa alzare, guidandomi fuori dallo studio.

-Consegna quei dati soltanto al capo dei ribelli e non farne parola con nessuno.-

-Ma…- Provo, scendendo le scale sotto la sua guida.

Non mi lascia continuare. -Parla tu con loro, sai farlo, mira dritto ai loro cuori e falli ragionare prima con le buone e poi con le cattive. Crederanno più alla tua innocenza che ad una guardia addestrata!-

Arriviamo davanti alla porta e ci fermiamo.

-Stai molto attenta e dì ad Eric di fermare Jeanine il prima possibile, o sarà tutto perduto!-

È ancora al mio fianco, mi stringe con un braccio attorno alle spalle a mi posa un frettoloso bacio fra i capelli.

-Tieniti fuori dai guai e stai vicino a tua sorella.- Mi consiglia, senza guardarmi neppure per un attimo.

I nostri sguardi non si incontrano, non ci guardiamo in faccia, ed io continuo a fissare la porta davanti a noi perché non so come combattere la mia stessa freddezza.

Vorrei dire qualcosa, ma non posso.

La porta si apre e mio padre mi spinge delicatamente fuori.

Prima che si richiuda in casa mi volto e, per un solo secondo, i nostri occhi blu si incontrano ma regna il silenzio.

Poi la porta si chiude ed io e mio padre siamo nuovamente separati.

 

Avanzo verso la strada principale e, poco distante, vedo Nick e Jason che parlano fra di loro. Mi stavano aspettando per riportarmi a casa.

Mi si storce il naso.

Non mi servono due guardie del corpo e non sono dell’umore per sorbirmi i loro sguardi desolati. Voglio stare da sola, in pace con me stessa per quanto possibile sia. Forse sono una stupida ma, la parte più autolesionista di me, spera quasi che qualcuno mi aggredisca e metta a tacere la mia mente tormentata.

So benissimo che non è colpa loro quello che è successo ad Eric, ma Jason si sente responsabile e non voglio che mi ronzi intorno perché proteggendomi può discolparsi.

Probabilmente, almeno nelle profondità del mio animo distrutto, sono in collera con lui.

Penso che è stato l’ultimo a vedere Eric, a parlargli, a toccarlo, e mi sento soffocare.

Approfittando del fatto che non mi vedono, torno sui miei passi e aggiro la casa della mia famiglia, scegliendo un’altra strada per tornarmene a letto.

Devo solo attraversare due isolati e poche case, non ci vorrà molto e non c’è motivo che si preoccupino per me.

Era Eric quello che avrebbe avuto bisogno di aiuto. Ma è stato sopraffatto e non mi illuderò di riaverlo.

Stringo i denti e mi impongo di respirare regolarmente. Quando il cuore fa troppo male, mi concentro sul mio respiro.

-Finalmente ti ho trovata! Non sai da quanto desidero parlarti…-

Sento una voce sottile e cristallina e mi volto, già disgustata ancora prima di vedere il volto della mia interlocutrice.

Probabilmente perché ho già capito chi è.

Voltandomi, mi trovo davanti una ragazza alta ma mingherlina, con i fianchi sottili e il viso di porcellana. Ha un caschetto di selvaggi riccioli rosso fiamma e due graziosi occhi verde chiaro. La nausea mi attanaglia lo stomaco e non nascondo una smorfia, mentre mi chiedo quale sfortunata coincidenza mi ha portato ad incontrare proprio Leah, la ragazza con cui  Eric si vedeva.

Sapendo quanto instabili sono i miei nervi, capisco benissimo che devo allontanarmi subito da questa situazione. Non è il momento migliore per immaginarmi le labbra delicate di questa ragazza incollate a quelle di Eric.

-Non ho tempo da perdere!- Taglio corto, scorbutica.

Ma lei sorride e mi guarda con dolcezza, battendo le lunghe ciglia curve. -Volevo solo dirti quanto mi dispiace, per te e Eric intendo.-

Stringo i pugni fino a fare scricchiolare le nocche e respiro profondamente.

Odio pensare che, questa ragazza, appaia come la più tenera e fragile degli Intrepidi. Probabilmente, Eric ha una predilezione per le donne che nascondono un lato dolce e che necessitano di essere guidate. Magari, rifletto, gli piace essere il più forte anche in amore ed impostare un tipo di relazione in cui è lui a dominare sulla sua compagna.

Non è un caso che io sia più piccola d’età, ma anche un caso perso e disperato con i miei sbalzi d’umore.

Leah, poi, sembra tanto esile che basterebbe un soffio di vento a spostarla. Ma so che nasconde abilmente i suoi artigli.

-Però devo dirti la verità: non eravate adatti per stare insieme e non sareste durati poi tanto.- Dichiara lei. -Voglio dire, come gli è venuto in mente di lasciare una come me, per una come te?-

Ho creduto, per davvero e per tutto questo tempo, che questa ragazza che si divertiva ad incantare Eric, fosse in realtà una comune persona senza cattive intenzioni.

Io mi fingo forte quando in realtà sono un cucciolo in catene, mentre lei si finge amabile quando invece è esattamente la bastarda che avevo intuito che fosse.

Le poche volte in cui l’ho sentita parlare, mi ha fatto accapponare la pelle.

Arriccia le labbra in un sorrisino e si stringe nelle spalle. -Io cerco solo di darti un consiglio, ma forse ormai non ha più molto senso, vero?-

-Sparisci!- Le intimo, ceca di odio.

-Hai anche provato a prendermi in giro quella volta al poligono, quando hai finto di non essere tu quella che se la faceva con Eric.- Scuote la testa e mi guarda assottigliando lo sguardo. -Ti rendi conto di essere stata la causa della sua rovina?-

Fremo perché sto perdendo la pazienza, ne ho abbastanza per oggi di sentirmi colpevole e responsabile della sorte di Eric. Nessuno soffre più di me.

Leah sorride, ma non guarda me. Fissa un punto alle mie spalle.

-Ti sei fatta battere da questa qui, sorella?-

Sento una voce maschile e mi volto, scorgendo un ragazzo Intrepido e biondo che gira l’angolo da dietro un’ abitazione e avanza verso di me. Non sembra un osso particolarmente duro, ma è molto alto e sicuramente atletico. Tuttavia, ciò che mi lascia l’amaro in bocca, è la ragazza che lo sta seguendo. Riconosco i suoi capelli colorati e le sue braccia muscolose, è bassa e piazzata e sarà anche forte, ma ricorda un burattino rotto mentre si muove.

Assottiglio lo sguardo e lancio una breve occhiata a Leah, che sogghigna.

La ragazza che sta arrivando è Mary, l’oca con cui mi sono scontrata poco tempo fa mentre seguivo Robert in giro per il quartier generale.

Anche se non sono più un’ Erudita, capisco subito che sta per succedere qualcosa di brutto.

In nessun caso avrei avuto una possibilità contro tre Intrepidi, se in più consideriamo che sono ancora dolorante per la mia recente caduta dalle scale, posso dire di essere già finita.

Come piovuta dal cielo, mi assale la consapevolezza di essere una vera stupida, visto che sono stata tanto spavalda da non farmi accompagnare a casa.

E poi ho il coraggio di chiedermi come mai la gente si senta sempre in dovere di proteggermi. Non è certo colpa loro se sono un disastro ambulante.

Il ragazzo piega la testa da un lato e mi studia. -Mia sorella Mary dice che l’hai umiliata davanti a tutti.- mi spiega, con una calma invidiabile. -Tenetela ferma!-

Quando la vedo avanzare contro di me, sollevo entrambe le braccia e blocco subito il pugno che Mary mi aveva indirizzato contro. Apro di scatto le braccia e, cogliendola alla sprovvista, la colpisco al viso. Lei si lamenta ed io non perdo tempo, sferrandole una calcio al fianco.

Ma ho usato la mia caviglia dolorante, e non è stata una buona idea.

Quando Mary si accascia e si sposta, mi accordo troppo tardi che il ragazzo ci ha raggiunte e mi è davanti.

Prova a colpirmi ma mi sposto, per essere colpita poco dopo da un calcio in pieno stomaco che mi toglie l’aria dai polmoni. Non ho il tempo di reagire o di capire cosa succede, che mi attacca nuovamente con un mal rovescio al viso che mi fa barcollare e finire a terra.

Cerco di rialzarmi ma, mentre sono ancora accovacciata al suolo, un ulteriore calcio alle costole mi stordisce del tutto e mi trovo a rotolare sull’asfalto.

-Visto? Non è poi un granché!- Dice il ragazzo. -Potete finirla, se volete.-

-Che ne dici di rovinarle quel bel faccino da troia?- Cinguetta Mary.

Ho la nausea e sono carica di rabbia, peccato che il dolore mi impedisca di rialzarmi. Arrendermi non fa parte di me, mi hanno insegnato a non farlo mai.

Eric me lo ha imposto. Ed io non cederò.

Certo non davanti alla sua ex e a due fratelli decerebrati.

Mi sollevo sulle ginocchia e afferro la caviglia di Mary, che mi si era avvicinata, le faccio perdere l’equilibrio e la tiro verso di me da un braccio.

Sto per colpirla con un pugno ma qualcosa mi colpisce di nuovo allo stomaco e, dalla forza, capisco che è stato un altro calcio del ragazzo.

-Non vuoi proprio startene buona troietta, vero?- Mi schernisce Mary.

-Non perdere tempo!- Strilla Leah.

Mi passo la manica della giacca sulla bocca, accorgendomi di avere il labbro spaccato.

-Alzala da terra, voglio guardarla in faccia!- Afferma Leah, rabbiosa, e sento i suoi passi avvicinarsi.

Non ho il tempo di reagire perché mi sento afferrare malamente per i capelli e sollevare da terra. Strillo e mi dimeno senza sosta, e alla fine la presa si allenta e quasi perdo l’equilibrio.

Mi preparo ad incassare un altro colpo, ma non arriva.

Sento il ringhio sordo di dolore del ragazzo e un urletto disperato da parte di Mary.

Batto le palpebre, mi prendo il viso fra le mani per fermare il giramento di testa e punto gli occhi su ciò che sta accadendo davanti a me.

Un ragazzo piuttosto giovane, dal fisico allenato e i capelli neri e lucenti come le ali di un corvo, sta combattendo contro il mio aggressore. Gli riserva un pugno dopo l’altro e schiva tutti i suoi contraccolpi.

Non ho il tempo di riprendermi dalla vista del mio assurdo salvatore, perché vedo Mary avventarsi contro di me. La mia testa gira, ho dolori ovunque, non posso farcela questa volta. Eppure, prima che il suo pungo mi colpisca, sento un boato e Mary crolla a terra.

Strizzo gli occhi per reprimere la nausea e controllare il dolore, ma la scena che ho davanti è incredibile. Mary grida e si tiene stretta la sua gamba insanguinata, mentre il ragazzo dai capelli neri ha ancora la pistola puntata contro di lei.

Nel frattempo, data la differenza di abilità che li divide, il biondo è finito in ginocchio a tossicchiare sangue davanti al mio salvatore, evidentemente sconfitto.

Il ragazzo dai capelli neri mi affianca e solleva spavaldamente il mento, guardando dall’alto in basso i due fratelli agonizzanti. -Vi consiglio di sparire.-

Mary scuote la testa e ringhia come un animale, mentre suo fratello striscia verso di lei e, insieme, si rialzano come possono.

-Chi diavolo sei? Come hai osato sparare?- Sbraita il ragazzo che mi ha attaccata, mentre del sangue cola dal suo sopracciglio.

Mary e suo fratello guardano il mio improbabile compagno con odio, poi si sostengono a vicenda, doloranti e sconfitti, e si voltano per andarsene.

Leah invece non si è mossa, si è tenuta alla larga dallo scontro, il suo sguardo è di fuoco mente mi studia con odio.

-Non finisce qui…- sibilla.

-Lo spero!- Le rispondo.

-Io ti consiglio di non provarci più!- Ringhia il ragazzo accanto a me, sollevano appena contro di Leah la sua pistola ancora carica.

Lei impallidisce e, da brava codarda, si volta e se ne va dietro ai suoi due amici. 

Ora che siamo rimasti soli, sposto la mia attenzione sulla divisa immacolata da Intrepido che il mio precedente compagno di iniziazione indossa, spiacevolmente colpita dai troppi inserti blu che rinforzano le imbottiture della tuta e gli fasciano le gambe muscolose.

-Però, devi essere una persona importante adesso.- Dichiaro, con sarcasmo. -Se ti permettono di andartene in giro armato, Peter!-

Lui si volta verso di me ed esibisce il suo sorriso arrogante, ravviandosi i capelli neri e lucidi, mentre il suo sguardo si accende. -Max e Jeanine apprezzano particolarmente i miei talenti.-

La sua dichiarazione mi fa perdere il controllo, anche se non mi stupisco più dei miei sbalzi d’umore. Forse è il mio intuito che mi suggerisce qualcosa.

-Ti cercavo da un po’, ma trovarti è stato particolarmente complicato…- Spiega, fingendosi desolato. -Una vera fortuna che io sia arrivato al momento giusto per salvarti, non trovi?-

Faccio un passo indietro, barcollando, ma lo incenerisco con un’occhiataccia. -Che vuoi?-

Peter osserva il graffio sul mio labbro e anche il livido rimasto sulla mia guancia e sogghigna. -Stai bene?-

-Sono tutta intera!-

-Volevo solo informarti del fatto che presto il posto vacante da capofazione verrà rimpiazzato!-

Lo osservo risistemarsi orgogliosamente la giacca e la voglia di ucciderlo mi acceca.

-Non è ancora ufficiale, voglio dire, il caro Eric non è ancora passato a miglior vita, ma sono pienamente qualificato per sostituirlo!-

Faccio in modo che le sue parole mi scivolino addosso e mi limito a ricambiare il suo sguardo a testa alta, ostinata.

-E, dato che mi dispiacerebbe lasciarti tutta sola, sono venuto ad offrirti la mia compagnia!-

-Prego?-

Il suo sguardo si affila e il suo sorriso si allarga, diventando quasi famelico. -Se ti servisse un sostituto di Eric, io potrei…-

Il pugno che gli pianto dritto sul naso gli impedisce di finire la frase.

Credo di essermi fatta più male io alla mano di quanto ne ho fatto a lui, ma almeno mi sono sfogata.

Peter si copre il viso con le mani e impreca, poi mi guarda, sospira e sorride nonostante il suo naso ferito.

-Dovresti essere più riconoscente verso di me, ho appena salvato il tuo bel faccino!-

Lo fisso in silenzio, gelida. Anche se mi gira la testa.

-Adesso che ti ho aiutata, saresti in debito con me.- Mi avvisa, tamponandosi il naso con la manica della giacca. -Ma temo che dovrò essere sempre io a impedire che la tua piccola testolina geniale finisca per aria.-

Avanzo di un passo, sollevo il viso e lo sfido con lo sguardo, ferma ad un soffio da lui.

-Te l’ho detto l’ultima volta e te lo ripeto ancora.- Sibillo, mentre mi osserva divertito e per nulla spaventato. -Bada alla tua di testa, non si sa mai che mi venga voglia di staccartela.-

Gli volto le spalle e mi allontano senza voltarmi indietro, accompagnata dall’odiosa e insistente risata di quel bastardo lecchino di Peter.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua...

 

 

 

 

 

 

 

 

E finalmente, dopo un gran ritardo, sono tornata con un aggiornamento. È anche più lungo del solito, giusto per provare a farmi perdonare!

 

Mi sembra corretto fare alcune importanti precisazione, per cui preparatevi ad una lunga nota finale.

 

Attenzione: non ho messo l'avviso Spoiler tanto per cominciare perché credo che tutti i lettori di questa storia abbiano visto almeno i due film, anche se magari non hanno finito di leggere Insurgent o Allegiant. Per cui avrete già sentito parlare di antenati e messaggi da oltre la recinzione.

Per il resto è un insieme di mia invenzione fra i dettagli emersi dai film, la storia del libro e la mia fantasia.

Non vedo grosse anticipazione, anzi, non è altro che un mio modo di spiegare cosa è successo e cosa ha spinto Jeanine e Max a mettere una fazione sotto simulazione contro gli Abneganti. Nel libro non viene assolutamente data una spiegazione di questo tipo sul perché sia scoppiata la guerra.

Si tratta di una mia idea, basata certamente sul libro, ma con dettagli miei che mi sembravano adatti e verosimili.

Inoltre volevo provare a dare una motivazione per le azioni di Eric! Volevo che ci fosse un perché!

La mia storia ha lo scopo di mostrare cosa è successo dall'altra parte, perché sappiamo già cosa hanno fatto i buoni, ma volevo fare chiarezza anche sulla posizione dei cattivi!

Non mi resta che sperare di non aver fatto spoiler non graditi a nessuno, e ovviamente mi auguro che questo capitolo vi sia piaciuto.

 

Ovviamente se avete consigli o dubbi scrivetemi pure!

Anzi, ho sempre bisogno di pareri e idee, non sapere cosa pensate o se ci siete mi “spegne” un po' e mi piacerebbe tanto avere i vostri commenti per capire se devo continuare o meno.

 

Il ritardo purtroppo è stato causato da un po' di mancanza di ispirazione. Per di più questo capitolo mi terrorizzava! Nella prima parte dovevo stare attenta ad essere chiara e a scrivere qualcosa che avesse un senso. Era una scena critica e decisiva e per questo molto importante.

Nella seconda ci sono stati due ritorni di due personaggi particolari e anche adesso mi auguro di non aver combinato un guaio.

Se non vi è piaciuto o non siete d'accordo, fatemi sapere!

 

Adesso penso di aver detto tutto, scusatemi per il ritardo, proverò a riprendere a scrivere regolarmente!

Cerco sempre di creare bei capitoli da leggere, spero di riuscirci!

 

Grazie a tutti,

A presto! Baci!

 

 

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Capitolo 37
*** Fumo e cenere ***


37. Fumo e cenere

 

 

 

 

 

-Allora, chi è?-

Sapevo che gli Intrepidi erano la fazione più movimentata e malsana della città e, quando ho lasciato cadere il mio sangue sui carboni ardenti il giorno della Scelta, l’idea di lanciarmi nella mischia e perdere del tutto la ragione mi allettava parecchio.

È triste ammettere che le mie aspettative sono state largamente deluse, ma non mi resta altro che ammirare il disgustoso fiume di gente che affolla il Pozzo.

Sono tutti euforici e si sono quasi totalmente bevuti il cervello mandandolo giù insieme alla birra ma, per una sfortunata benedizione divina, nessuno è mai scivolato nello strapiombo da ubriaco.

Che peccato, di tanto in tanto farebbe bene fare un po’ di pulizia, eliminando qualche imbecille di troppo. Se lanciassi un sassolino fra la folla, le mie probabilità di colpire una testa vuota sarebbero pericolosamente alte.

Almeno hanno le pistole, se non sanno rendersi utili in altri modi, possono sempre spararsi fra di loro e fingersi dei duri.

Scuoto la testa e continuo a scandagliare la massa di festeggianti radunati fino a tarda notte per fare baldoria, riscoprendomi sempre più disgustato.

Si sentono urla e l’eco delle mille voci crea un frastuono che copre ogni altro tipo di suono e, per parlare, bisogna urlarsi nelle orecchie. Ci sono gruppi di giovani radunati che si sfidano in combattimenti, altri in gare di bevute.

Non mi è andata poi così male, qualcuno si farà male sul serio prima di domani.

Altri scalmanati si arrampicano e si inseguono per i sentieri che conducono al centro di controllo, e le loro risate si mischiano ai rumori dei loro piedi che contribuiscono ad aumentare gli echi che vibrano lungo le pareti rocciose.

Potrei essere a divertirmi e a rilassarmi, ed invece i miei doveri da capofazione mi obbligano a fare da supervisore per questa inutile festa di ammissione alla fazione.

Prendo un respiro profondo e provo a consolarmi pensando che, nella mia vecchia fazione, il concetto di libertà e svago non esiste. Mentre qui ognuno è padrone unicamente di stesso.

Tranne me, io posso comandare tutto e tutti. Posso decidere delle sorti di questi disagiati, posso fare ogni cosa desideri.

E, adesso che l’iniziazione è finita, mi sono liberato anche dell’ultimo divieto che avevo.

Respiro l’odore di zolfo e polvere della grotta e mi sento vibrante, potrei lanciarmi in uno dei combattimenti organizzati e fare un occhio nero a qualcuno. Potrei godermi i cori che urlerebbero il mio nome dopo la mia vittoria, e gongolarmi sotto gli sguardi referenti e terrorizzati che mi seguirebbero se decidessi di scendere in campo.

Potrei portarmi a letto ogni ragazza che fosse in grado di intrigarmi, potrei fare esattamente quello che ho fatto negli ultimi anni.

Vivere come se non ci fosse un domani.

Seguo con gli occhi un combattimento fra due ragazze, per poi spostare la mia attenzione su un gruppo di ragazzini interni che sono appena stati ammessi alla fazione e che se ne stanno seduti con le gambe a penzoloni da uno dei sentieri lungo le pareti, incuranti del pericoloso vuoto sotto di loro.

Anche quei ragazzi stanno osservando la marmaglia festeggiante, ma io non sono interessato alle gare di bevuto o agli idioti che amoreggiano nascosti in angoli bugli.

Individuo un altro gruppo di ragazzi molto giovani che hanno appena superato l’iniziazione e, finalmente, trovo quello che volevo.

Un ragazzo dai capelli neri tiene un braccio intono alle spalle di una coetanea dalla pelle scura, mentre dice qualcosa che fa ridere le due ragazze che gli stanno difronte.

Una delle due novelline ha i capelli biondi, mentre l’altra vanta una chioma corvina e lucente che mi accende una fiamma di desiderio nel petto.

Aria si copre la bocca con una mano per contenere il proprio divertimento, mentre continua a ridere di gusto per le scemenze che le starà sicuramente dicendo quello che riconosco come il suo amico Will.

Fortuna per lui che sembri più interessato alla Candida dalla lingua lunga e alla bottiglia di birra che regge nella mano libera, altrimenti avrei dovuto spezzargli qualche osso.

Sasha, la biondina, inizia a parlare con gli altri due, ancora vomitevolmente abbracciati, ed io inganno il tempo osservando Aria.

Si risistema i lunghi capelli, lisci come seta e sicuramente altrettanto morbidi. Posso dirlo con certezza. Ha le ciglia nerissime e le labbra di un rosso talmente acceso che mi si secca improvvisamente la gola.

Credo si sia truccata.

I miei occhi scivolano bramosamente sul suo copro, fasciato dei suoi abiti attillati che la rendono estremamente provocante. I suoi fianchi e le morbidezze del seno sono messe in evidenzia della giacca di pelle che le ho preso io qualche giorno fa.

Respiro a fondo per calmarmi e togliermi dalla testa le fantasie che mi sto facendo riguardo le labbra e la scollatura di quella ragazzina ammaliatrice.

-Sei ancora con noi? Ti decidi a dirci chi è questa ragazza o vuoi tenerla nascosta?-

Guardo annoiatamente Jason al mio fianco e sopprimo l’impulso di mandarlo al diavolo.

Torno ad osservare il gruppetto di iniziati e sollevo il mento per indicargli la ragazza dai capelli scuri e la bocca più seducente che io abbia mai visto.

Non è difficile notarla, dato che è appoggiata alla parete, proprio sotto un neon azzurro. I giochi di chiaro scuro sul suo viso la fanno sembrare incorporea e sempre più desiderabile, con la sua aura misteriosa ad avvolgerla. Sembra una calamita, nessuno potrebbe resistere dall’ammirarla, dettaglio che noto fastidiosamente.

Un ragazzo che lavora al poligono la sta fissando insistentemente e sembra imbambolato, ignorando bellamente la ragazza con cui stava parlando.

-Aspetta un momento!- Esordisce Nick, dietro Jason. -Ma quella non è…?-

Sento un’ira ceca soffocarmi e mi stacco dalla parete e scendo il sentiero su cui ero appostato, ignorando i miei compagni. Mi intrufolo tra la folla e avanzo incurante di tutti i presenti, sono loro che si spostano silenziosamente per farmi passare senza che io debba nemmeno prendermi il disturbo di guardarli storto.

Il mio sguardo è fisso su Aria.

Will e Christina borbottano qualcosa e se ne vanno, non prima che il ragazzino abbia riservato una fugace pacca sulla spalla ad Aria.

Lei, rimasta con la sua amica Sasha, si distrae un momento per bere un sorso dalla bottiglia di birra che tiene in una mano.

Assottiglio lo sguardo e avanzo, quando la biondina si volta e si accorge di me, mettendosi in allerta. Sussurra qualcosa all’orecchio di Aria, che fa più cenni con la testa e la saluta con la mano mentre lei si dilegua.

Distratta, la mia piccola lottatrice non si è accorta del mio arrivo, beve un altro sorso di birra e fa un passo in avanti troppo rapidamente e per giunta a testa bassa. Inevitabilmente ci urtiamo e lei rimbalza contro il mio petto. Non la facevo così goffa, ma non mi dispiace averla colta di sorpresa, soprattutto quando mi godo il rossore che accende le sue guance pallide.

Non le do il tempo di riprendersi.

-Questa non fa per te!- Le dico, rubandole la bottiglia che ha in mano e iniziando a bere.

-Come sarebbe?- Protesta.

La ignoro e freno ogni suo altro possibile tipo di lamento mettendole un braccio intorno alle spalle e trascinandola via con me, bevendo un sorso di tanto in tanto.

Aria, sopraffatta da me, sbuffa e scuote la testa. -Quella era mia!-

-Era!- Specifico. -Adesso che sei ufficialmente un’Intrepida, devi obbedire al tuo capofazione.-

-Quindi prima ero autorizzata a non darti ascolto? Accidenti, avrei dovuto approfittarne…-

Le riservo una fredda occhiata, dall’alto. -Troppo tardi, quinta in classifica!-

-Per caso è un rimprovero?- Indaga, imbronciata e con le sopracciglia pericolosamente incurvate.

-A ognuno i risultati che merita.- La provoco. -Goditi il tuo ingresso nella fazione.-

Sono quasi certo che si arrabbierà, e invece ridacchia.

-Vedo che stai approfittando del mio avanzamento a membro ufficiale negli Intrepidi!- Dice, arricciando le labbra mentre indica con lo sguardo il mio braccio attorno alle sue spalle. -Non ti preoccupa più che ci vedano insieme?-

La osservo, passandomi la lingua sulle labbra, ma non le concedo alcun tipo di soddisfazione. Le mostro solo la mia espressione più distaccata mentre bevo ancora dalla bottiglia.

-Sapranno che sei mia!- Sottolineo, minaccioso.

Lei si stringe contro il mio fianco e nasconde un sorriso.

-Hai visto?- mi sento chiedere.

Seguo lo sguardo di Aria e mi accorgo, con disgusto, della coppietta che si scambia effusioni in un angolino isolato. La situazione è strabiliante perché, contro ogni previsione, i due sono niente di meno che quell’imbecille di Quattro insieme a Tris.

A quanto pare, quest’anno gli istruttori hanno fatto festa con le ragazzine.

Se avessi saputo prima che anche lui sgattaiolava via di nascosto con la sua compagna di giochi, lo avrei fatto appendere per le caviglie per godermi il suo fallimento. Ma, forse, è stato persino più abile di me. Anche in questo.

Faccio una smorfia e mi affretto a distogliere lo sguardo.

-Mi è appena andata la cena di traverso!- Confesso, gettando via la bottiglia vuota in un contenitore.

Aria ride sonoramente.

-Credi davvero che quei due Rigidi sappiamo come si fa a scopare?- sputo fuori le parole ad alta voce. -Non gli hanno insegnato solo a tenersi per mano?-

Lei ride ancora, ma poi si guarda intorno mentre camminiamo e solleva lo sguardo su di me. -Aspetta un momento, dove andiamo?-

-Non sei stanca di questa festa?-

-Veramente no ma, se vuoi offrirmi qualcosa di meglio…-

Mi godo il suo sorrisetto provocante e nascondo un ghigno, mentre la guido lungo un corridoio secondario.

Saliamo due rampe di scale e ci inoltriamo nel reparto riservato agli alloggi preferenziali. Ci fermiamo davanti alla mia porta e la libero dal mio braccio per cercare la chiave per entrare.

-Voglio farti scoprire i vantaggi di stare con un vero uomo!- La informo, aprendole la porta. -Potrei avere anch’io qualcosa di rigido...-

-Smettila!- Mi ammonisce, sorpassandomi per entrare.

Ridacchio mentre scuoto la testa, e resisto all’impulso di saltarle subito addosso e strapparle via con la forza quei vestiti che indossa.

Chiudo la porta, sospiro e appendo la mia giacca all’attaccapanni, poi mi tolgo anche la maglietta e l’abbandono sulla poltroncina.

Aria aggira il letto per tirare le tende, subito dopo anche lei si sfila la giacca e la lascia a sua volta sulla poltroncina. La osservo mentre si siede sul letto per sfilarsi le scarpe e deglutisco.

Non ho bisogno di essere cauto con lei, è già caduta nella mia rete e non le permetterò di sfuggire, tuttavia provo l’insano desiderio di gustarmi ogni attimo con questa ragazzina estremamente nociva per la mia integrità mentale.

Decido di affrontare un fastidioso problema per distrarmi.

-C’è una cosa che devo dirti.- Inizio, sedendomi vicino a lei per togliermi gli stivali. -Hai presente il ragazzino che sta sempre appresso a Finn?-

La sento irrigidirsi, anche se tenta di nasconderlo. -Sì.-

Sospiro, cogliendo il tono aspro della sua voce. Credo ricordi benissimo Finn e quel bastardo di Robert che assisteva mentre suo padre la frustava senza pietà.

-Bene, si chiama Robert ed è suo figlio.- La informo.

-E quindi?-

Prendo un respiro profondo e mi alzo per slacciarmi la cintura dei pantaloni. Lei è ancora seduta, e cerca inutilmente il mio sguardo da dietro la mia schiena.

-È il responsabile dell’area logistica, il reparto dove dovresti lavorare tu.-

-Che cosa?- Strilla.

Alzo gli occhi al cielo e mi passo stancamente una mano sulla nuca.

-Quando accidenti pensavi di dirmelo!- Si lamenta, balzando in piedi.

Rimango in silenzio e mi volto, per fronteggiarla.

Scuote la testa e agita le mani in segno di rinnego. -Non lavorerò mai per lui, io non sceglierò quella carriera. Io…-

Freno la sua crisi isterica prendendola dalle spalle e inchiodandola con uno sguardo deciso.

-Smettila di comportarti come una bambina!- L’ammonisco. -Non cambia assolutamente nulla, quell’idiota non può toccarti!-

Lei abbassa gli occhi e si morde il labbro.

-Aria, tu devi scegliere il posto più adatto a te. E, ne sono certo, all’area logistica farai presto carriera e sarai subito fra i migliori.- Le garantisco in un ringhio.

Lei fa un cenno ed io le lascio le spalle.

-Ma sono quinta, non è detto che mi lascino quel posto.-

Faccio una smorfia. -Quello sarà il tuo lavoro! Domani Max parlerà a nome dei capi e vi consiglierà la carriera che, secondo le osservazioni fatte, fa al caso vostro.-

-E quindi?-

Torno vicino a lei e la osservo, distaccato. -Sei la più adatta, sei sveglia e hai carattere. Indicheranno soltanto a te l’area logistica.-

Sembra più tranquilla, sospira e si volta per sfilarsi i pantaloni.

La imito, ritrovandomi con solo i boxer addosso, e la seguo sul letto.

-Quando domani sarà il tuo turno, se Finn dovesse dire qualcosa, tu ignoralo!- Le intimo, con uno sguardo arrabbiato.

Mi sistemo contro lo schienale del letto e osservo Aria appoggiarsi a me. Gioca con le ciocche lisce dei suoi capelli, mentre io mi perdo ad ammirare la sua scollatura, messa in evidenzia dalla canottiera striminzita che indossa.

Quella e le sue mutandine sono l’unica cosa che mi impedisce di averla nuda sotto di me.

-Domani sarà anche il giorno in cui ci assegneranno le nuove sistemazioni!- Afferma, contenta.

Le faccio passare un braccio dietro la schiena e l’accolgo in silenzio quando si appoggia al mio petto scoperto.

-Io e Sasha abbiamo pensato di farci assegnare un’abitazione insieme!-

Sogghigno. -Dille subito che si troverà a dormire molte notti da sola!-

Immaginavo che avrebbe reagito alla mia allusione, gradendo il fatto che le abbia praticamente detto che dormirà spesso con me, ed invece la vedo rabbuiarsi.

Inarco le sopracciglia e mi posiziono meglio per guardarla, dato che si è nascosta sotto il mio braccio. Si passa un dito sulle labbra imbronciate e se lo mordicchia, i suoi occhi fissano un punto imprecisato e sono cupi di serietà.

-Che cosa c’è?- Chiedo, nascondendo a stento il fastidio che provo.

-Niente!-

-Stai mentendo con me?- La minaccio, spostandomi del tutto dallo schienale per poterla guardare dritto in faccia.

-Non c’è nulla da dire.- Dice, facendo spallucce ed iniziando a torturarsi le mani che ha raccolto sul ventre.

-Aria,- Inizio, e freno la rabbia sollevandole il mento con due dita. -Parla!-

I suoi occhi mi incatenano in uno sguardo profondo. -Penso solo che, a volte, potremo non avere voglia di dormire insieme.-

-Che vuoi dire?-

Sospira. -Dico solo che potremo litigare, o stancarci.-

Sollevo un sopracciglio. -Ti sei già stufata di me?-

-No!- sbuffa, scuotendo violentemente la testa. -Non volevo dire questo.-

Vedo il modo in cui abbassa la testa, quasi offesa, la osservo giocare con il bordo della sua canottiera e so che non ho bisogno che mi spieghi meglio cosa prova.

Quello che condividiamo è un tipo di relazione intima e piacevole, ma non sono stato chiaro sulle mie intenzioni verso di lei. Il problema non è quello che sente lei, ma ciò che voglio realmente io.

Probabilmente è insicura, conosce i suoi sentimenti ma non i miei.

-Guardami!- Le ordino, accarezzandole una guancia. -Non credo nelle storie d’amore, tanto meno in quelle che durano per sempre. Penso invece che dovremmo farci compagnia e passare del tempo insieme finché ci va di farlo.-

Non sono un ragazzo da storie d’amore, e non sopporto alcun tipo di legame o di catena.

E questo deve capirlo subito.

Fa un cenno convinto. -Sì! Finché staremo bene insieme e finché ne avremo voglia. Mi sembra un buon piano.-

I suoi occhi si accendono e credo che alleggerire le aspettative l’abbia fatta sentire meglio. Non abbiamo bisogno di vincoli e pesantezza, siamo due adulti consenzienti che si desiderano.

Non servono altri titoli.

Tuttavia, credo di dover mettere in chiaro che non ho alcuna intenzione di rinunciare a questa ragazzina tanto presto.

-Non so tu…- Le dico. -Ma io ho una gran voglia di te, adesso!-

Le metto le mani ai lati delle gambe e striscio su di lei, gattonando fino alle sue labbra, la bacio e le rimango addosso.

-Ho una missione da compiere e da portare a termine. Devo farti diventare una vera donna!-

-Non lo sono?- Chiede, spostandomi con entrambe le sue mani sul mio petto.

Ghigno. -Sei una ragazzina attaccabrighe e bastarda. Devo insegnarti ad incanalare meglio le tue energie!-

Lei non fiata, mi osserva come una falena incantata da una fiammella. Mi lecco le labbra e scendo a baciarle il collo e il seno, sentendola inarcarsi contro di me e trattenere un gemito di puro piacere.

-E le tue voglie!- Specifico, sopprimendo un sorriso contro la pelle della sua gola.

Si concede uno sbuffo infastidito. -Tu vuoi solo che io non faccia la difficile e che ti accontenti!-

Approfitto della distrazione per scostarmi da lei e osservarla meglio. Le imprigiono il viso fra le mani e la bacio bramosamente.

-E non dimenticare la parte più importante!- Le alito sulla bocca.

-Fammi indovinare,- Sorride. -Sono tua!-

La zittisco stampandole un altro bacio. -Guai a te se ti becco a fare la scema con un altro.-

La sua risata mi gela. -E cosa mi faresti?-

Indietreggio, le afferro i fianchi e la trascino verso di me fino a farla distendere. La sovrasto, eccitato, le sollevo la canottiera e inizio a baciarle il ventre.

-Forse devo provare con un approccio diverso dalle minacce, non serve farti paura.- Affermo, scivolando con le mani lungo le sue cosce.

Lei si inarca e il suo respiro accelera.

-Devo farti capire cosa ti perderesti e indurti alla fedeltà in un altro modo.-

Le afferro saldamente i fianchi per morderle la pelle e lei ride.

Poi, mentre sto per posarle un bacio sul punto morso, mi mette una mano sul viso e mi ferma.

-Aspetta!-

La sua voce suona stranamente amplificata nella mia testa e un brivido gelido mi attraversa la schiena come una scarica di corrente. Mi sento confuso, improvvisamente accaldato e tutto intorno a me sembra meno consistente.

Osservo il bellissimo visto della donna che amo e mai mi è apparso più bello, probabilmente perché so che lei non è reale.

Questo non è il presente, è solo una nuvola di fumo.

Con il cuore in subbugli e i brividi a mille, mi sollevo e raggiungo il suo volto.

-Non sei qui con me, vero?-

Lei mi sorride e fa di no con la testa.

Stringo le labbra e faccio un cenno, lo comprendo.

La mia mano si muove da sola sulla sua guancia, nell’ennesima carezza prima che tutto svanisca.

-Grazie per avermi aperto gli occhi.- Le dico. -Credo sia un bene che le cose non siano andate in questo modo.-

Inarca le sopracciglia. -Che vuoi dire? Non avresti voluto che tutto filasse liscio così?-

Scuoto la testa. -È stata la costante paura di perderti a farmi capire quanto tenessi realmente a te.-

Rimane in silenzio.

-Lottare per starti accanto mi ha dato la forza per andare avanti e mi ha legato a te per sempre.-

-Ma la guerra ci ha divisi per sempre!-

-Ti avrei persa comunque!- Un sorriso freddo mi piega le labbra e abbasso la testa per posare la fronte sulla sua. -L’eccessiva felicità non fa per me, avrei finito per combinare qualche cazzata e avrei rovinato tutto!-

I suoi occhi sono così caldi che, per un attimo, vorrei non svegliarmi mai.

-Ti avrei fatta scappare via, mi conosco molto bene.- Le confesso.

La sua mano inconsistente scivola sul mio viso e mi accarezza dalla fronte fino al mento, incendiandomi.

Serro gli occhi con forza, sperando che basti a farmi restare qui. Cerco di baciarla sulle labbra, ascoltando i battiti del mio cuore addolorato, ma questo sogno non può durare per sempre.

Quando la mia bocca assapora la sua, mi sveglio.

 

Sono stato nuovamente portato in infermeria, i medici hanno dovuto medicarmi ancora perché la mia ferita al collo si è infettata.

Mi hanno trovato disidrato e mal nutrito, mi hanno imbottito di sedativi e antibiotici e, il cocktail di medicinali, ha dato alla mia mente il potere di creare altri sogni e illusioni.

Sono perfettamente cosciente del fatto che non si tratti di semplici visioni oniriche, ma di quadri dettagliati di un futuro a cui ho voltato per sempre le spalle.

Tutti gli anestetici che mi iniettano permettono al mio subconscio di prendersi gioco di me e di vagare oltre questa cella, inseguendo la speranza di momenti più felici.

Ma quegli attimi di pace mi sono stati per sempre rubati da questa guerra, adesso non mi resta altro che una nuvola di fumo e una manciata di ceneri.

Il mio mondo è andato distrutto, potrei reagire, arrampicarmi sugli specchi. Potrei perdere la testa e illudermi, ma so benissimo che non è ciò che voglio.

Sono pronto a lasciarmi scivolare verso il basso senza alcun intento per lottare, poiché so che se gettassi via le mie ultime energie in lotte assurde, sarei io stesso a ridurmi in fumo e cenere.

Apro gli occhi battendo le palpebre e, nell’oscurità, metto a fuoco la figura di un ragazzo fermo davanti alle sbarre della mia prigione.

È giovane, alto e magro. I suoi capelli sono tagliati molto corti, come i Rigidi, ma i suoi abiti sono neri. Non riesco a vedere con precisione i lineamenti del volto del mio visitatore, ma non credo di averne bisogno.

So chi è.

Vorrei mandarlo via, cinque sia, ma lui non me ne da il tempo. Si volta e si allontana, lasciandomi solo l’amaro in bocca e una rabbia ceca imprigionata nel petto.

L’idea che Quattro se ne sia stato davanti a me a fissarmi mentre dormivo mi manda alla follia, ma non ho più nulla da perdere e ho già abbandonato la ragione.

Torno a dormire, augurandomi di non aver più alcun tipo di sogno.

A dire il vero, non so cosa sia peggiore tra l’illusione che mi offrono i sogni, o l’assenza totale di speranza.

 

 

 

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

 

 

 

 

Ciao a tutti, eccovi un nuovo aggiornamento dal punto di vista di Eric.

Il titolo è stato tratto da un’omonima canzone dei Finley che mi ha dato la giusta ispirazione per questo capitolo. Mi ha messo sulla strada giusta e mi ha aiutato a rendere il concetto che volevo.

 

Grazie a chi continua a seguire questa storia.

Baci

 

 

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Capitolo 38
*** Sottosopra ***


38. Sottosopra

 

 

 

 

 

 

-Come ti è saltato in mente?- Mi urla contro Jason, con poca grazia.

Sollevo il mento e gli riservo un’occhiata gelida.

Sono seduta sulle scale, nella casa che credevo essere diventata un luogo sicuro per me ed Eric, con Amber vicino a me che mi tampona il graffio sul labbro.

-E che cos’ hai guadagnato?- Mi riprende sempre Jason, ancora arrabbiato. -Nelle tue condizioni, poi!-

Osservo distrattamente la fasciatura attorno al mio polso sinistro e penso all’orrendo livido che segue il profilo destro del mio viso, o al cerotto nascosto dai capelli sulla mia fronte.

Sposto il volto dalle cure di mia sorella, irritata, e serro le labbra mentre mi rifiuto di guardare Jason. Sento il fastidio del taglio sul labbro inferiore, ma quasi non mi dispiace.

-Ti sembra il momento per i colpi di testa, questo?- Sottolinea.

Stringo i pugni sulle ginocchia e mi impongo di non dire nulla, nonostante il tuffo al cuore.

-Vuoi stare zitto?- Lo ammonisce mia sorella, riservandogli uno sguardo minaccioso degno del più crudele degli Intrepidi.

Jason rimane stizzito, solleva il mento e osserva Amber senza proferir parola. Sta cercando di recuperare la clama, in suo aiuto arriva Camille, che gli mette una mano sulla spalla e lo scorta fuori dalla porta.

-Lasciala tranquilla.- Sussurra al suo ragazzo, prima che escano.

Io sospiro e appoggio i gomiti sulle ginocchia per gettare la testa sui palmi delle mie mani.

Ora che non c’è Eric, Jason sente il dovere di garantire la mia incolumità, forse è stato proprio il suo amico a chiederglielo. Avranno una specie di codice fra uomini, o fra Intrepidi, che li obbliga a prendersi cura delle compagne degli amici, in caso di una loro prematura dipartita.

Oppure, opzione da non eliminare, Jason si sente ancora in colpa per non essere riuscito a svolgere i suoi doveri e a riportare indietro sano e salvo il suo capofazione. In questo modo si spiegherebbe anche il suo estremo isterismo, dato che ultimamente si comporta come un folle, continuamente nervoso e irritabile.

È sempre stato un ragazzo controllato e, anche se lo conosco abbastanza da aver notato il lato più forte e autoritario del suo carattere, non si spiega la foga e la rabbia con cui prende ogni decisione.

Probabilmente sente il peso enorme della responsabilità sulle spalle, e sa cosa succederà al suo amico se il piano per riportarlo indietro fallisse.

Mi fa male ammetterlo, ma io di certo non gli sto dando il mio aiuto. Cerco di incrociare il suo sguardo il meno possibile e non ho rivolto la parola né a lui né a Nick da quando Eric è stato fatto prigioniero.

Senza contare che mi sono appena fatta picchiare da una squinternata che aveva un conto in sospeso con me, dopo che l’ho battuta in un piccolo scontro, e che mi sono fatta ingannare dalla precedente compagna di letto di Eric.

A certo, non devo dimenticarmi dell’arrivo del mio impavido salvatore senza corazza.

Se Eric sapesse che mi sono fatta salvare il collo da quello schifoso ruffiano di Peter, credo che mi ucciderebbe con le sue stesse mani per il disonore.

Pensare a Peter mi fa infuriare e vorrei tornare indietro per assestargli un pugno più potente, e magari anche qualche calcio. Non posso accettare che un traditore come lui, che è fuggito via come un codardo insieme a Tris, sia stato preso in considerazione da niente di meno che Max e Jaenine come possibile sostituto capofazione.

Tra stronzi malefici andranno molto d’accordo, evidentemente.

-Devono lasciati in pace, non è colpa tua se qualcuno ha la testa tanto vuota da pensare di poterti fare del male.- Inizia Amber, cautamente. -Tu non hai mai avuto bisogno di aiuto!-

Mi volto di scatto ad osservarla, siamo vicinissima, sedute sullo stesso scalino, ma lei mi guarda e nasconde un sorriso malizioso.

Scuoto la testa e sento le emozioni stravolgermi, non che sia una cosa strana in questi giorni, eppure la rabbia che mi assale sembra quasi sconosciuta.

Amber voleva solo incoraggiarmi, facendo riferimento al mio animo Intrepido che mi ha sempre dato abbastanza forza da riuscire a superare ogni ostacolo che mi si presentava davanti. Lo stesso animo che mi ha allontanato dalla mia famiglia e che mi rendeva diversa da tutti i miei compagni Eruditi, etichettandomi sin da subito come una selvaggia da evitare.

Sono fiera di me stessa e del modo in cui sono riuscita a sopravvivere per sedici anni in una fazione che non mi apparteneva, ma non dimenticherò tanto presto il volta faccia dei miei stessi familiari e tutti i modi con cui provavano a farmi sentire in colpa.

Volevano che mi convincessi di essere sbagliata.

Ed invece ero soltanto me stessa.

Ed ero sola.

-Che ne sai?- Spunto fuori, infastidita. -Se anche avessi avuto bisogno d’aiuto, tu non c’eri!-

Amber tace, fissa intensamente il suo sguardo nel mio e il suo sorriso svanisce.

-Perché?- Chiedo, trattenendo il tremore della mia voce. -Spiegami perché ti stai prendendo cura di me adesso, quando per tutto il tempo che siamo state insieme non hai fatto altro che ostacolarmi?-

Lei abbassa la testa e serra le labbra, come spesso faccio io quando non voglio dire qualcosa di sbagliato.

-Eri sempre contro di me. Sempre!- Insisto.

-Ti sono stata vicino quando hai avuto bisogno di me, o devo ricordarti di quando soffrivi di attacchi di panico?-

Le sue parole mi gelano, tanto che indietreggio con la schiena di un soffio.

Da piccola, di notte, la solitudine mi inghiottiva e mi faceva svegliare piena di paura. Non posso dimenticarmi di quei momenti terribili, in cui mi sembrava di essere sul punto di morire e temevo che nessuno sarebbe venuto a salvarmi. Come se non bastasse, ho sempre odiato sentirmi debole ed inferiore.

Persino nel mio scenario della paura, durate il test finale di ammissione agli Intrepidi, ho rivissuto uno dei miei odiati attacchi di panico e, per superarlo, ho pensato ad Amber.

Era lei che, in punta di piedi, si intrufolava nella mia camera e mi aiutava a tranquillizzarmi. Copriva le mie orecchie con i suoi polsi e mi lascia ascoltare il battito regolare del suo cuore, fino a quando anche il mio non si stabilizzava. Quei momenti di difficoltà erano gli unici che mi permettevano di godere ancora di una sorella.

Quando ho iniziato a crescere e a desiderare con tutta me stessa di cambiare fazione, ho perso Amber ed ogni sorta di legame fraterno che ci univa.

-Io ti ho sempre sentita…- Sussurra.

Sorrido per un attimo. Sentire era il nostro termine in codice, la nostra parola segreta. Era un modo diverso per dirci di cogliere i segnali, consigliandoci reciprocamente di tenere gli occhi aperti.

Si dice che i gemelli sentano i sentimenti del proprio fratello, e noi usavamo questa vecchia diceria popolare, assolutamente smentita dagli Eruditi, per comunicare senza farci scoprire da nessuno.

Bastava che Amber mi chiedesse di sentire per farmi capire che aveva scoperto qualcosa di nuovo, invitandomi a stare all’erta. Gli Eruditi amano gli indovinelli e, quello di scoprire i segreti, era il nostro gioco preferito che ci permetteva di tenere la mente allenata, da brave Erudite.

Era come la caccia al tesoro dei Pacifici.

O il ruba bandiera degli Intrepidi.

Il mio cuore sussulta e mi impongo, con tutte le mie forze, di non pensare a Eric e al suo regalo. La sera dell’esercitazione, scoccata la mezza notte sul giorno del mio compleanno, Eric mi aveva portata con sé nella sua camera.

Mi sembra di sentire l’odore della sua pelle e del suo bagnoschiuma quando, la mattina seguente, lo avevo raggiunto in bagno per intrufolarmi con lui sotto la doccia. Potrei quasi sentire le sue dita sul tatuaggio che ho sul collo, ma scuoto violentemente la testa.

Faccio un respiro profondo, nascondo il ricordo sotto strati di dolore, e inspiro.

Torno a guardare mia sorella, io e lei siamo gemelle e, anche se non siamo totalmente identiche, ci somigliamo moltissimo e il nostro legame è sempre stato intenso. O almeno lo era quando eravamo bambine, quando anche il nostro aspetto fisico ci rendeva una cosa sola. Poi siamo cresciute, e anche i tratti distintivi dei nostri volti hanno iniziato a diversificarsi e a caratterizzarci, dividendo le nostre personalità.

Lei è sempre stata quella bella, elegante, intelligente. Perfetta.

Io no.

Eppure, nonostante la divisione che si stava creando, non sono mai riuscita veramente ad odiarla.

Eravamo capaci di non rivolgerci la parola per giorni, fino a quando una di noi due non si ammalava e l’altra correva in suo soccorso. Potevamo litigare solo il giorno prima, e quello dopo fare merenda insieme, anche se in silenzio, solo perché una della due aveva avuto una brutta giornata o passato un momento difficile.

Amber non ha mai tollerato la mia irriverenza, né il mio temperamento focoso, eppure era quella che mi passava di nascosto le risposte nei compliti in classe importanti.

Poteva accusarmi a nostro padre per qualcosa che avevo combinato, per poi farmi trovare la mia stanza riordinata e i compiti scolastici per il giorno dopo già eseguiti alla perfezione. Ho sempre pensato che fosse il suo modo per sdebitarsi, e non l’ho mai accettato.

Rimettevo a soqquadro la mia stanza, prendendomi i rimproveri di mia madre e, l’indomani a scuola, mi rifiutavo di consegnare i compiti che mia sorella aveva svolto al posto mio.

E invece adesso, mentre sono soffocata dal dolore per la perdita di Eric, chiedendomi se sopravvivrò ancora molto, capisco che era il suo modo per dimostrarmi che mi voleva bene.

Scuoto la testa. -Era così tanto illogico, per te, trattarmi da sorella anche se me ne sarei andata?-

Amber si stringe nelle spalle. -Ho fatto il ragionamento più sbagliato che un Erudito possa mai fare. Ti rimproveravo sempre e facevo la spia, sperando che la smettessi di comportarti in certi modi. E ho provato ad allontanarmi da te, sperando che non avrei sentito la tua mancanza quando te ne saresti andata.-

Inizio a osservare la cucina, forse non voglio più ascoltare.

-E invece non sono mai riuscita ad accettare che te ne saresti andata. Persino il giorno della Scelta, ho sperato che il tuo sangue e il mio finissero insieme nell’acqua.-

Il mio cuore vacilla e mi chiedo come sarà un giorno per me, se mai avrò dei figli, vederli scegliere

una fazione diversa e andarsene via per sempre.

La mia famiglia, quel giorno, ha perso un componente. Io sono corsa dietro un treno insieme al mio amico Will, mi sono gettata da un palazzo per accedere alla mia nuova fazione e mi sentivo libera a felice.

Non molto lontano, la mia vecchia famiglia tornava a casa e, quella sera, si sedeva a cena cercando di ignorare il mio posto vuoto a tavola.

Provo a pensare a come sarebbe stato se fossimo nate fra gli Intrepidi, chiedendomi come avrei reagito ai comportamenti da studiosa curiosa di mia sorella. Avrei davvero provato a comprenderla oppure, con l’orgoglio e la crudeltà degli Intrepidi che mi hanno sempre distinto, le avrei chiuso le porte in faccia?

Conoscendo già la risposta, sospiro e mi volto a guardarla. -Perché adesso è più facile starmi vicino?-

-Perché ormai non posso fare più nulla. Mi sono rassegnata!- Spiega. -Ho accettato con filosofia la tua scelta, e ritengo illogico accanirmi ancora, dopo quanto mi sei mancata per tutto il mese dell’iniziazione!-

Abbasso gli occhi sulle mie scarpe e vorrei essere più brava a seppellire le mie emozioni.

Ma non posso ricordarmi di respirare, di scacciare via il ricordo di Eric prima che mi annienti e riuscire anche a rimanere immune alle confessioni di mia sorella.

-Ma, quando questa guerra finirà, io tornerò dagli Intrepidi.- Le rammento.

Lei non si perde d’animo e mi riserva un sorriso triste. -Mi piace pensare che, quando tutto questo sarà finito, le cose cambieranno.-

-Che vuoi dire?-

Si stringe nelle spalle. -Magari la divisione delle fazioni non sarà più così netta e, senza Jeanine, l’assurda regola della fazione prima del sangue perderà di significato!-

Provo a pensare alla nostra città con regole meno ferree, o alla libertà per i trasfazione di poter andare a trovare i propri cari lasciati nella fazione di nascita quando vogliono, invece di dover aspettare il giorno delle visite.

Magari Eric mi permetterà di farlo, è pur sempre un capofazione, e forse potrebbe mettere una buona parola per me.

L’errore che ho fatto mi costa subito caro. Mi sento stringere lo stomaco, la mia la gola si serra e per poco non mi ritrovo ad ansimare.

Come ho potuto essere tanto frivola da pensare a Eric?

Il suo ricordo non deve neanche sfiorarmi, nemmeno per sbaglio. Respiro, mi calmo, e butto fuori l’aria.

-Devo giocarmi bene le mie carte e trattari bene, così avrai voglia di rivedermi, quando tornerai alla tua fazione!- Trilla Amber, soddisfatta.

La guardo, rimanendo contagiata dal suo sorriso. -Allora lo fai per un tuo tornaconto! Sei proprio un’Erudita calcolatrice!-

Alza gli occhi al cielo e scuote la testa. -Ho i miei modi per dimostrare il mio affetto.-

-Certo!- Soffio.

Poi, mentre vengo attratta delle ombre di Intrepidi che si muovono oltre le vetrate vicino alla porta d’ingresso, ripenso ad un particolare, ed un sorriso maligno mi solleva un angolo della bocca.

-Non è che, per caso, stai sperando in un cambiamento delle regole per poter continuare a vedere qualcun altro? Un certo Intrepido, magari?-

Lei mi guarda e scivola un po’ più lontano da me, come se il punto su cui sedeva fosse diventato d’improvviso incandescente.

-Rob?- La incalzo, con una falsa espressione dubbiosa.

Le guance di Amber prendono fuoco in un battito di ciglia, mentre spalanca gli occhi celesti. Apre la bocca per dire qualcosa, ma poi la richiude, sorride con furbizia e scuote la testa.

-L’ho sempre detto che saresti stata un’ottima Erudita!- Afferma, con la sua odiosa aria da saputella.

-Andiamo!- Scatto. -Mi hai sempre chiamata Ariana, scandendo ogni singola lettera del mio nome completo, e adesso te ne vai in giro a dispensare abbreviativi affettuosi? E da quando ti lasci prendere le mani da un ragazzo, da un Intrepido poi?-

Lei rimane in silenzio, osservandomi con le labbra arricciate per la soddisfazione.

-Non eri tu quella che odiava gli Intrepidi?- Chiedo, quasi scandalizzata dal suo improvviso cambiamento di opinione.

Lei fa spallucce.

-A quanto pare, c’è un Intrepido che ti piace!- Deduco.

Amber nasconde un sorriso. -Sì, forse uno sì.-

Mi lascio scappare un accenno di risata mentre scuoto la testa, e anche lei si lascia andare, ma il suo modo di ridere sembra più che altro un sospiro liberatorio.

-È così odioso!- Si lamenta, mimando con le dita il gesto di stritolare qualcosa.

Il collo di Robert, magari.

Inarco le sopracciglia. -Cosa? Non mi sembrano esattamente le parole d’affetto che mi sarei aspettata di sentire.-

-Voglio dire, è indisponente e mi risponde sempre a tono!- Chiarisce, mentre la sua voce scivola verso note più dolci. -È arrivato lì un giorno, dicendomi che mi avrebbe fatto da scorta!-

Rimango in silenzio, appoggio la tempia su una mano e inizio ad ascoltarla.

-Ovviamente ho fatto di tutto per fargli cambiare idea, credevo che volesse fare colpo su di te e non volevo essere messa in mezzo.-

-E poi?-

-E poi lui ha iniziato a seguirmi ovunque!- Impreca, con un piccolo strillo. -Ha iniziato persino a entrare nel mio ufficio e a sedersi davanti alla mia scrivania mentre lavoravo! Se ne stava fermo a fissarmi, ma poi abbiamo anche iniziato a parlare e…-

-E?-

-E non era così male! È molto intelligente, e stare con lui è piacevole.- Sorride. -A volte mi faceva infuriare, mi contraddice sempre e vuole avere ragione su ogni cosa.-

-Mi stai dicendo che hai trovato, finalmente, qualcuno che sa tenerti buona e che ti piace?- Sollevo le sopracciglia.

-Non è solo questo!- Si affretta a specificare. -Un giorno, mentre mi riaccompagnava a casa, sono passati due Intrepidi che mi hanno guardato storto. Io non ho dato peso alla cosa, ma Rob si è messo davanti a me a ha fulminato quei due con un’occhiataccia, costringendoli a passare oltre a testa bassa.-

-E ti ha fatto piacere che qualcuno prendesse le tue difese?-

-Mi ha fatto sentire bene!- Ammette, forse più a se stessa che a me. -Lui mi fa sentire bene.-

Sorrido, forse per seppellire la scossa di dolore che mi trafigge il cuore quando la nostalgia di un certo Intrepido possessivo e scontroso che tuttavia mi proteggeva sempre, mi assale.

-E questo che succede quando perdi la testa per qualcuno!- Confesso. -Non fai altro che pensare a lui, vorresti stare sempre con lui ed ogni gesto carino che fa nei tuoi confronti ti fa sentire speciale e leggera.-

Stringo i pugni quando torno con la mente alla mia iniziazione, ricordando cosa provavo ogni volta che incontravo gli occhi cerulei di Eric. Mi bastava un suo solo cenno o sorriso, anche se solo accennato, per sentirmi appagata e raggiante.

Ogni volta che mi parlava, anche se era per insultarmi per qualche errore tecnico che avevo commesso in combattimento, io mi sentivo investita da mille raggi di sole e mi caricavo di energia.

Avrei fatto qualsiasi cosa per essere considerata da lui.

Soltanto ora che l’ho perso mi rendo conto che avrei fatto meglio a starmene al mio posto, vincendo i miei scontri a testa bassa, senza osare mai aspirare alle attenzioni di quel capofazione spietato che mi toglieva il fiato.

Magari, se non si fosse indebolito a causa mia, starebbe ancora bene.

Mi mordo con forza il labbro inferiore e mi ordino di respirare, buttando fuori l’aria lentamente.

-Ma Robert è solo uno stupido, e si illude!- Esclama Amber, riscuotendomi dai miei tormenti.

Si alza e si avvicina alla cucina, apre uno sportellino e prende un bicchiere.

-Che vuoi dire?-

Lei sospira, mentre cerca un cucchiaino. -Lui spera che con la fine di questa guerra le cose cambieranno, e che potremo stare insieme. Ma si sbaglia!-

Vorrei dirle che sono d’accordo con Robert, ma tutto ciò a cui riesco a pensare è Eric in catene e Jaenine che progetta le nostre morti, una dopo l’altra.

-Vorrei pensarla come lui, ma è già un miracolo se rimarremo in vita per vedere la situazione risolversi.- Dice mia sorella, come se mi avesse letto nel pensiero.

Sollevo gli occhi su di lei, sono ancora seduta sulle scale, rivolta verso la cucina, e la osservo versare una bustina di antidolorifico nel bicchiere. Sembra tranquilla, quasi priva di emozioni e il suo viso elegante è composto come sempre. Cerca una bottiglia d’acqua e versa un po’ di liquido nel bicchiere per sciogliere la polvere medicinale.

-Non voglio qualcun altro che rischi la vita per me.- Dice di punto in bianco, usando il cucchiaino per mescolare l’antidolorifico all’acqua.

-Perché dici questo?-

Appoggia entrambi i palmi sulla superfice del tavolo per un secondo e posa i suoi occhi chiari su di me, trafiggendomi con uno sguardo intenso.

-Desidero che qualcuno fermi Jeanine ma, per i ribelli, io sono pur sempre quella che ha guidato la simulazione e manovrato gli Intrepidi contro gli Abneganti.-

Le sue parole mi gelano il sangue nelle vene e i miei occhi si spalancano, manifestando tutta la mia sofferenza.

Ho sperato con tutta me stessa di convincere il resto degli Intrepidi, ovvero i ribelli che si sono rifugiati dai Candidi, ad allearsi con noi contro Jeanine. E adesso, dopo aver sperato tanto, mi rendo contro che se vinceranno non si limiteranno solo a farla pagare a Jeanine, ma vorranno punire tutti i responsabili dell’attacco agli Abneganti.

Sussulto e serro le labbra, dicendomi che potrei davvero riavere Eric e vincere la guerra con i ribelli.

Ma potrei perdere mia sorella.

-No!- Scandisco. -Non ti succederà nulla. Ti sei pentita e ci aiuterai a spodestare quella pazza. Tu hai il controllo sulle simulazioni e sui computer principali, potresti sabotarla benissimo il giorno dell’attacco, chiarendo da che parte stai!-

Amber mi osserva ma tace, accenna un sorriso e torna a mescolare il liquido nel bicchiere.

-Eri solo un’iniziata, e diremo che Jeanine ti minacciava e che sei stata costretta.- Continuo, sentendo l’agitazione nella mia voce e cercando di controllarla. -Nessuno condannerebbe mai una ragazzina!-

Scuote la testa. -Ero ufficialmente un’Erudita il giorno della simulazione, e ho fatto la mia scelta!-

Batto i pugni sulle mie ginocchia e le riservo un’occhiata decisa e quasi minacciosa. -Jeanine è il mostro, è lei che ha tenuto tutti in pugno fino adesso. Non si possono condannare tutti gli Eruditi che le hanno obbedito.-

-No, tanti di loro continuano il proprio lavoro solo perché hanno paura.- Conferma.

-Le cose cambieranno, hai ragione. Ci sarà un nuovo consiglio e rimetteremo tutto al suo posto, liberandoci di Jeanine.- Insisto. -Non permetterò che se la prendano con te, solo perché quella pazza ti sfruttava!-

Quando la vedo nascondere una risata, rimango in silenzio.

-Parli esattamente come Robert!- Scuote la testa e risciacqua il cucchiaino nel lavello. -Siete proprio due Intrepidi!-

-Quando la mia fazione tornerà al completo, obbediranno di sicuro a Finn ed Eric, e saranno loro a dettare legge!- Insisto. -Finn ascolterà Robert e non permetterà che ti facciano del male. E anche Eric ti proteggerà!-

Provo ancora una volta quell’odioso senso di soffocamento e il mio cuore manca un battito, quando mi accordo di aver commesso l’errore di aver dato per scontato il ritorno di Eric.

Forse, ora che temo per mia sorella, non mi resta che sperare nella riuscita dei nostri intenti ancora di più.

-In ogni caso, io e Robert non potremo mai stare insieme. Perciò è bene che si rassegni, e dovrò iniziare ad allontanarlo prima che si affezioni di più. Non voglio spezzargli il cuore.-

Le sue parole aprono la voragine che ho nel petto e tutto mi sembra senza senso, sottosopra.

Sento unicamente il desiderio di riavere Eric.

Se penso alla mia relazione con lui, posso capire benissimo che a legarci è stata proprio la paura di perderci. Ho imparato a mie spese che lottare per amore rafforza il sentimento. E, mentre me ne sto qui a soffrire terribilmente perché temo di non poter mai più sentire le braccia dell’uomo che amo su di me, le parole mi escono spontanee e dettate dalla sofferenza.

-Smettila Amber, lascia perdere la logica e le regole!- La supplico. -Non rischiare di perdere Robert, perché lo rimpiangerai!-

Mia sorella mi guarda e il suo sguardo si rattrista.

-Darei di tutto per riavere Eric, e morirò se non si salverà. Perciò, ti prego, non rinunciare a Robert e goditi ogni secondo con lui, perché potresti non averne più l’occasione!-

Finisco di parlare e nascondo il volto fra le mani, cercando di riprendere fiato. Sento che potrei cedere, ma farò di tutto per non farlo e per essere forte abbastanza da sopportare anche questo attacco di dolore.

-Andrà tutto bene, Aria. Riuscirete e riprendervi Eric.- Mi rassicura Amber. -Jeanine ne ha chiesto il rilascio in cambio della pace con i Candidi, e Jack Kang ha troppa paura di essere tagliato fuori dalla società per mettersi contro di lei.-

-Dimentichi gli Intrepidi!- Le ricordo, mordendomi il labro.

Non credo che il resto della mia fazione sarà clemente con Eric, dopo tutto quello che ha fatto, o che gli permetteranno di tornare dagli Eruditi.

-Kang ha chiesto un incontro con Jeanine e lei ha accettato e, fino ad allora, Eric è una merce di scambio troppo preziosa!- Precisa, schietta. -C’è tempo, e sono certa che i ribelli preferiranno aiuto e armi contro Jeanine, piuttosto che uccidere un capofazione!-

Scuoto la testa, forse Amber non conosce gli Intrepidi.

Siamo l’unica fazione che è stata capace di divedersi, nonostante l’inferno in cui ci troviamo. Siamo soldati, obbediamo ai nostri superiori, ma le teste calde sono troppe e armate.

Niente ha evitato il disastro e l’ammutinamento di una parte di Intrepidi.

E, per quei ribelli che si sento traditi, Eric rappresenta una minaccia e un assassino.

Lui è quello che ha permesso che i suoi compagni venissero messi sotto simulazioni e guidati come burattini.

Lui uccideva i Divergenti.

Non lo risparmieranno mai.

Mi passo le mani sul volto. -Pensi che lo sapremo per tempo se lui fosse…-

Le parole mi si fermano in gola.

-Morto?- Chiede lei. -Sì, immediatamente. Jeanine verrebbe subito informata e la città è piena di telecamere.-

Con uno sforzo immane, mi impongo di respirare.

-Eric è ancora vivo, e ci resterà. Fidati!-

Lascio che le sue parole mi scorrano addosso come una coperta calda, ma ormai il mio cuore è sanguinante e mi sento totalmente impotente. Non riesco a impedirmi di pensare ad Eric che soffre, rinchiuso e maltrattato e spero solo che non lo stiano torturando, mentre io me ne sto qui, protetta da tutti.

Vorrei soffrire anch’io, e vorrei essere con lui.

-Tieni!- Mi dice Amber. -La tua dose di antidolorifico e antibiotico! Devi prenderlo per rimetterti in forze!-

Sollevo lo sguardo e mi accorgo con rabbia del bicchiere che mi porge, e resisto all’impulso di spingerlo via.

-Ascoltami, lasciarti andare al dolore non ti aiuterà. Se vuoi essere forte, devi guarire e stare bene!- Mi incita con sicurezza, cogliendo i miei pensieri.

Sospiro e prendo il bicchiere.

Eric non vorrebbe vedermi abbattere e, se ci sarà bisogno di me per salvarlo, non voglio essere un peso con tutti i miei lividi i traumi ossei.

-Se lo bevi tutto, avrai una sorpresa!- Canticchia Amber.

Bevo, anche se di mala voglia, e le porgo il bicchiere vuoto.

Lei lo prende, soddisfatta, e lo appoggia al tavolo. Il secondo dopo inizia a frugare nelle tasche della sua giacca abbandonata su di una sedia e si nasconde qualcosa dietro la schiena.

-Non è stato per niente facile, era quasi impossibile.- Inizia a spiegarmi, con aria solenne. -Non avevo un cognome, né un riferimento o una data. Niente! Solo un nome e un’età approssimata!-

Assottiglio lo sguardo e piego la testa da una parte, incuriosita.

-Però non mi sono data per vinta, ho fatto ricerche negli anagrafici registrati nei computer e sono risalita a dei vecchi annuari scolastici.- Amber mi si avvicina e mi sorride.

-Di che parli?-

È raggiante. -La ricerca è stata lunga, ma alla fine c’è l’ho fatta!-

Quando allunga le mani verso di me, porgendomi una fotografia, il mio cuore si ferma e dimentico di respirare.

Mi tremano le dita quando le appoggio sulla superficie liscia della piccola foto che ritrae un ragazzino dai capelli chiari. L’avvicino a me a la osservo come se da questa analisi dipendesse la mia vita.

Il ragazzo ritratto avrà all’incirca sedici anni, probabilmente questa reliquia risale al periodo prima della Scelta. Nessuno di noi ha molte foto, le poche vengono usate per gli schedari.

Non mi stupisce che non sia rimasto negli Eruditi, visto il taglio che ha sul labbro gonfio. La t-shirt azzurra che indossa, poi, non gli conferisce certo l’aspetto elegante degli Eruditi. Ha i capelli di un castano dorato troppo lunghi che gli solleticano la nuca e gli ricoprono totalmente la fronte.

Il suo sopracciglio destro, leggermente sollevato in segno di sfida, è libero dai piercing, così come i lobi delle orecchie. Sul collo non c’è nessuna linea nera.

Potrebbe sembrare che in questo ragazzino non ci sia nulla dello spietato capofazione che è diventato, ma a me basta studiare i suoi occhi per provare un brivido lungo la schiena.

Il suo sguardo sembrerebbe austero e distante, proprio come quello di ogni Erudito, ma la ribellione delle sue iridi di ghiaccio riesce quasi ad essere intimidatoria anche attraverso una semplice foto.

Accarezzo con l’indice la mascella già squadrata e tremendamente mascolina nonostante la giovane età, e già abilmente serrata per avvalorare la sua espressione dura come una roccia.

Questo ragazzino non è ancora l’uomo che amo e che riusciva a farmi vibrare con una sola parola, ha il viso troppo tondo e la pelle troppo pulita ma, in questi occhi freddi e nell’espressione distaccata con cui fissa l’obbiettivo, c’è già l’impronta fiera del capofazione più crudele degli Intrepidi.

Il mio labbro inferiore inizia a tremare, proprio come le mie mani, mentre rigiro la fotografia e studio la piccola scritta sul retro bianco.

Eric Blaine.

Il suo nome completo inizia a risuonarmi nella mente e mando al diavolo le lacrime che cercavo di controllare e lascio che vincano, ritrovandomi le guance bagnate e la vista appannata.

Sollevo i miei occhi lucidi su Amber e, per quanto mi sia possibile, le sorrido.

-Grazie!- Le dico in un sussurro.

Lei sorride, in piedi davanti a me. -Vai a riposarti adesso, hai preso le medicine, devi riprenderti e presto ti verrà sonno!-

Non so se Amber abbia davvero iniziato a leggermi nel pensiero, ma ho davvero bisogno di rintanarmi nel mio letto e mettere la testa sul cuscino di Eric per sentirmi più vicina a lui. Desidero infilarmi dentro la sua felpa e piangere in santa pace.

Salgo le scale in silenzio, stringendomi al petto la fotografia del mio piccolo Eric come se fosse il mio tesoro più grande.

E lo è.

 

Sono ancora stesa nella parte di letto di Eric, con la sua felpa addosso, quando decido che non ho più intensione di disperarmi e lasciarmi vincere dal mio fisico debilitato per le aggressioni subite.

Mi alzo in silenzio, respiro profondamene e stendo le braccia sopra la testa, facendo una smorfia quando sento il dolore irradiarsi dalla spalla slogata.

Mi tolgo la felpa e ci avvolgo la mia piccola fotografia dentro, sistemando tutto sul cuscino. Non faccio alcun rumore, rimango seduta sul letto a bearmi del silenzio.

Senza preavviso, sento una piccola risata e capisco che qualcuno è in casa con me.

Scivolo in piedi e mi avvicino di poco alla ringhiera, quel tanto che basta per permettermi di vedere il piano di sotto senza che gli altri si accorgano di me.

Camille e Jason sono davanti alla porta, lei gli sorride e lui sembra decisamente più sereno rispetto ad oggi.

-Non mi baci?- Gli chiede Camille, a bassa voce.

Lui le accarezza il viso e scuote la testa. -Nick mi aspetta, dobbiamo vederci con Finn per organizzare la partenza.-

Camille prende la mano del suo ragazzo per portarsela alle labbra e posarvi un bacio.

-Tu rimani qui, e impedisci ad Aria di uscire da questa casa!- Scandisce lui, leggermente alterato ma pur sempre a bassa voce. -Non possiamo rischiare che le succeda qualcosa!-

-Tranquillo, mi occuperò io di lei!-

Per un attimo mi ritrovo a sorridere come se tutto andasse ben per davvero.

È ancora tutto storto, Eric è in pericolo ma, per un solo fottutissimo istante, voglio stare bene.

Vorrei che fosse sempre così facile, come Camille e Jason che si guardano negli occhi e si danno forza a vicenda.

Vedo il modo in cui si sfiorano, come se una corrente li attraversasse, e voglio essere felice per loro che sono insieme e che si amano, ma la nostalgia di Eric riemerge.

Conosco benissimo l’alchemica che li lega, è la forza più potente di tutte, e mi manca terribilmente un contatto così intimo con il mio Eric.

Non so nemmeno se lo rivedrò.

-Non mi hai ancora baciata!- Gli ricorda Camille, afferrando Jason per il colletto della sua T-shirt.

Mi sento improvvisamente assopita dal loro scambio di affusioni, come se sapere che almeno loro possono ancora stare insieme mi dia sollievo per la mia perdita.

E tutto il mio stato di beatitudine dura fin quando mi accorgo della macchia scura sul petto di Jason che scatena il mio brusco risveglio.

Mentre Camille tira la maglietta aderente del suo ragazzo, la abbassa fino a scoprire il tatuaggio che Jason ha sul petto, proprio dove dovrebbe trovarsi il cuore.

Assottiglio lo sguardo per scorgere nel dettaglio il suo disegno e, senza una spiegazione apparente, il mio cuore inizia a battere più veloce.

Camille si aggrappa allo scollo della maglia di Jason fino ad attirarlo a sé e baciarlo, rendendo anche più ampio lo squarcio che mi permette di osservare il tatuaggio.

Con un fuoco invisibile che mi dilania lo stomaco, seguo le linee scure che rappresentano cinque artigli che si intrecciano in una esse sinuosa e smetto di respirare.

Come lame di ghiaccio sulla pelle, l’improvviso risveglio della mia mente mi assale, in un insieme di brividi freddi e caldi spinti all’estremo dal mio cuore al galoppo.

Io ho già visto il tatuaggio di Jason, anche se era su di un’altra persona e in punto diverso della pelle, ma per tutto questo tempo sono rimasta assopita nell’ombra e la mia memoria sembra riaccendersi solo adesso.

È solo una frazione di secondo, ma mi sembra di rivivere la mia recente aggressione, prima che mi iniettassero il siero di simulazione, e mi ritorna alla mente l’unico dettaglio che sono riuscita a scorgere del mio aggressore.

Nella penombra, ad attirare la mia attenzione, è stato il tatuaggio che l’uomo aveva sul collo, vicino alla nuca. Ho studiato, se pur stordita, gli artigli che seguivano il contorno del suo orecchio formando una lettera esse.

E, mentre tutto intorno e me inizia a girare vorticosamente, mentre ogni mio muscolo trema, ricordo a chi ho già visto lo stesso tatuaggio, disegnato nello stesso punto del copro.

Durante il primo viaggio verso il campo dei pacifici, avevo deciso di avvicinarmi al sedile anteriore su cui sedava Jason, per parlargli. Tuttavia, il complicato intreccio di cinque artigli che formavano un’esse dietro l’orecchio del guidatore seduto al fianco di Jason, mi aveva notevolmente colpita. 

Anch’io ho un tatuaggio nello stesso punto, mi ero detta, imprimendo fra i miei ricordi il disegno d’inchiostro del guidatore dal mento appuntito e i capelli rossastri.

E, ora che tutto è più limpido, dell’uomo che mi ha spinto giù dalle scale, non ricordo solo il tatuaggio ma anche il suo mento deciso.

Indietreggio fino a sedermi di nuovo sul letto e respiro velocemente, ansimo ma mi copro la bocca per non emettere rumori.

Non può essere, non voglio crederci. È tutto sbagliato, tutto sottosopra.

Tutto quello che so è che il fatto che il mio aggressore e Jason abbiano lo stesso identico tatuaggio, anche se in parti diverse, non può significare nulla di buono.

Per di più, adesso che tutto torna a galla, ricordo benissimo che, nel furgono verso i Pacifici, Jason non sembrava per nulla disturbato dalla presenza dell’uomo alla guida. Al contrario, sia lui che Nick avevano parlato apertamente, facendo anche riferimenti sul mio rapporto con Eric, senza preoccuparsi di essere uditi da quel soldato.

Ma la relazione tra me ed Eric doveva essere tenuta riservata, il che significa che se le sue due guardie del corpo non si sono preoccupate di tenere la bocca chiusa, era perché si sentivano tranquilli con quell’autista.

A peggiorare tutto, analizzando meglio la faccenda, non posso non pensare al fatto che Jason e Nick erano con me soltanto per proteggermi. E, quel giorno, quando mi sono lanciata all’inseguimento di Tris in mezzo al fiume di pallottole sparata dai miei compagni, Jason non ha fatto nulla per salvarmi.

Ma lui era il caposquadra, il braccio destro di Eric, e ha lasciato che la sua ragazza corresse sulla linea di tiro degli spari senza agire.

Mi ha solo urlato di fermarmi.

Intense scariche di tensione mi lambiscono, e bruciano sotto pelle mentre il mio cuore è fuori controllo. Mi sembra di precipitare nel vuoto, mentre riconosco i sintomi di un’emozioni intensa ma che gli Intrepidi dovrebbero ripudiare.

La paura.

Ho paura perché, in questo preciso istante, l’idea di salvare Eric mi sembra irraggiungibile.

Jason e Nick sono sempre stati le sue guardie del colpo e i suoi unici amici fidati.

Ed erano con lui al palazzo dei Candidi, dovevano guardargli le spalle e riportarlo indietro sano a salvo anche a costo delle loro stesse vite.

E invece se ne sono scappati via senza il loro capofazione.

Spalanco la bocca come in cerca di ossigeno, ma la serro prima di emettere un qualche lamento. Mi prendo il viso fra le mani e scuoto la testa, disperata.

Che senso può avere tutto questo? Non dovrei neppure pensarci, è impossibile che Jason abbia corso contro corrente per tutto questo tempo, non può essere.

Tutto quello che so e che Eric non è qui. E adesso lo vedo quasi allontanarsi ancora di più da me.

Non può aiutarmi e, se quello che sto iniziando a pensare a vero, non potrò salvarlo nemmeno io.

Jason era la mia unica speranza.

Ripenso alle parole che si è scambiato un istante fa con Camille e la terra sotto di me vacilla.

Non possiamo rischiare che le succeda qualcosa…

Tranquillo, mi occuperò io di lei…

Improvvisamente mi sembrano inquietanti, terribili. Cosa nascondo e che hanno in mente per me?

Anche Camille è convolta? E Nick?

L’ossigeno sparisce dai miei polmoni, non mi resta che un’ondata di brividi, battiti accelerati, tempie pulsanti e uno strato di profonda angoscia che mi avvolge e mi incatena.

Sono sola, non posso fidarmi di nessuno ed Eric non è qui a occuparsi della situazione.

Niente ha più un senso.

E tutto stravolto.

Mi sento sottosopra come se mi avessero appeso a testa in giù.

Ho paura.

 

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Bum! Da Dan! Crack!

Che altro dire? Vi aspettavate questo punto? Siete ancora tutti interi?

Ma, cosa più importante, cosa ne pensate?

 

Non vi ho anticipato nulla nello scorso capitolo, non vi ho detto che sarebbe tornato il “famoso tatuaggio” e che scoprire su chi lo avremmo rivisto sarebbe stato, come dire? Scioccante!

Sono stata troppo cattiva?

Ma avete letto tutti questi capitoli della mia storia, e vi sarete di sicuro fatti una vostra idea! I pensieri di Aria potrebbero essere veritieri? O il timore l’ha portata fuori strada?

Certo, gli indizi non dicono nulla di buono.

 

Spero di non essere troppo odiata, e di non avervi riservato un colpo troppo crudele. Non posso consigliarvi altro che di fare un respiro profondo, e aspettare i prossimi capitoli dove, inevitabilmente, la faccenda verrà affrontata!

 

Nota importante: Nei libri ufficiali della saga, non emerge assolutamente un cognome per il nostro Eric. Molti di voi lo sapranno, che purtroppo neanche in Four si scopre qualcosa di più sul nome del nostro amato cattivo. Rimane soltanto Eric!

Neanche internet aggiunge altro, per cui ci tengo a precisare che l’idea di scegliere Eric Blaine come nome e cognome del personaggio è un’idea puramente mia e di mia completa fantasia.

Nessuno dice che “Eric” fosse il suo vero nome anche da Erudito, magari ne aveva scelto uno nuovo quando è diventato un Intrepido, come hanno fatto Quattro e Tris.

Il cognome, ripeto, è stato scelto da me perché mi piaceva e suonava bene, ma non è quello reale.

 

Grazie come sempre a tutti voi che seguite questa Fic, spero di ricevere vostri pareri e consigli.

Bacioni a tutti!

 

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Capitolo 39
*** Senza scelta ***


39. Senza scelta

                                                                                                   

 

 

 

 

 

 

I miei piedi pendono come se la forza di gravità fosse stata del tutto assorbita da un vortice. Il vento sceglie accuratamente di saettare tra i miei stilavi penzolanti, e lascio che la sua forza, superiore alla mia, mi faccia oscillare lievemente le gambe.

Tra le varie alternative, scelgo di fissare il vuoto. Basterebbe sporgermi appena, lasciarmi andare e sprofonderei nella voragine e di me non resterebbe che un cumulo di polvere.

Guardo la terra arida e sconfinata che sovrasto, dall’alto della mia postazione, e decido di sollevare lo sguardo verso l’orizzonte, dove si perde ogni confine.

Sono perlopiù insignificante, da quassù. Ogni mio pensiero e ogni briciola del mio tormento non esistono e non servono neppure a far scorrere il tempo più rapidamente.

È la mia mente, insieme a quell’organo indispensabile alla vita e al funzionamento del mio corpo ma di cui vorrei volentieri liberarmi, che pesano.

Pesano troppo.

Siedo sul bordo della cementificazione che forma la barriera, al confine esatto della fine della città. Davanti a me si estendono le campagne dei Pacifici, stranamente silenziose e smorte. Ho le gambe abbandonate oltre l’orlo e le mani ancorate ai lati delle mie ginocchia.

Dovrei bearmi della pace che questo momento mi consente, e godermi la solitudine e il silenzio più totale, ma questo luogo mi rispecchia fin troppo. Tutto tace, non c’è vita e la speranza non è mai nemmeno esistita.

Lo detesto.

Non sopporta lo stato di accettazione a cui sono costretto, semplicemente perché non ho niente contro cui oppormi. Non sono l’artefice del mio attuale destino e, per scegliere, avrei dovuto avere almeno un’alternativa.

Io non l’ho avuta. Mi sono ritrovato senza scelta.

Nel silenzio del vento che solleva la polvere, passi lenti e leggeri striscino dietro di me, aggirandomi fino a raggiungere il mio fianco. Potrei distrarmi e prendermi il disturbo di verificare chi sia la persona che mi ha raggiunto, ma non ne ho bisogno.

Non ho bisogno di vederla per sapere che è lei, poiché mi basta sentirla. Oltre tutto, è l’unica persona che sa accorrere al momento del bisogno anche se non ho chiesto aiuto.

Ed è l’unica che può raggiungermi in questo posto.

Aria si siede, gettando le gambe oltre il bordo, si risistema i capelli dietro le orecchie con entrambe le mani e osserva il paesaggio. I suoi occhi colore del cielo notturno si perdono nella linea dell’orizzonte dopo aver accarezzato gli alberi da frutto dei Pacifici, fino a quando le sue labbra non si piegano in un sorriso.

Qualcosa mi indispone, forse la sua ostentata serenità che non riesce in alcun modo a contagiarmi, forse tutto questo sole accecante.

Volto il capo, con un imprecazione trattenuta, e inizio a contare i campi coltivati che ho davanti, chiedendomi se potrò mai raggiungerli.

Probabilmente non metterò mai più i piedi per terra e non mi esporrò più al sole, e questo è tutto ciò che so mentre riprendo a cercare la linea dell’orizzonte.

Non potevamo sapere cosa fosse rimasto della civiltà oltre la recinzione, e dovevamo starcene al sicuro in città.

Ma la sicurezza era compromessa ed ho fatto il mio dovere per limitare i danni collaterali.

Ho abbandonato il sacrificabile in visione di un bene maggiore.

-Ne valeva davvero la pena?- Mi chiede Aria, con un sussurro elegante.

È come se mi avesse letto nel pensiero, ma non me ne stupisco. Questo momento non sta accadendo realmente e tutto è possibile.

Sollevo orgogliosamente il mento. -Ho eseguito gli ordini e ho fatto quello che era giusto per la città. Non mi importa di quanto sangue mi sono sporcato.-

Serro la mandibola, profondamente infastidito dalla sua poca compressione.

Non ho dubbi, ho fatto la scelta giusta.

Fa un cenno con la testa e si stringe nelle spalle. -Non hai alcun rimpianto?-

Vorrei dirle che non mi importa dei Divergenti che ho ucciso e che, al contrario, ritengo di aver agito con coraggio operando nell’unico modo possibile, ma desisto dal mio intento.

-Sono stato un capofazione, mi hanno temuto e rispettato. Mi sono preso tutto quello che volevo. Cosa dovrei rimpiangere?-

Mi volto spavaldamente verso di lei, con un’ occhiata fredda ed una smorfia evidente.

Lei mi osserva per interminabili secondi, poi sorride e torna a studiare il paesaggio oltre di noi. - Forse avresti dovuto fermarti e guardare la vita in un altro modo…-

Serro entrambi i pugni e mi lascio sfuggire un sospiro stizzito. -E come? Con gli occhi di un debole?-

Non ho mai dato peso a emozioni secondarie che avrebbero soltanto offuscato i miei obbiettivi.

Aria non risponde.

-Non sono un sentimentalista, tanto meno un rammollito. Tutto quello che volevo era farmi guardare con rispetto dagli altri.- Ringhio, in collera. -Volevo che nessuno mettesse più in dubbio le mie capacità.-

Prendo fiato e adesso, ogni cosa che vedo, a iniziare dagli alberi e proseguendo con i campi, mi disturba. Vorrei trarre conforto dalla presenza di Aria, ma mi è impossibile. Lei è qui, con i suoi sorrisi e con la sua forza, mentre io non ho niente. Detesto la sicurezza che emana, è come se potesse schiacciarmi.

-Dovevo dimostrare che ero in grado di fare ogni cosa, e che non sarei mai stato secondo a nessuno!- Urlo, colpendo con un pugno il cemento su cui sediamo.

Lei mi osserva in silenzio. I suoi occhi sono un oblio profondo che mi attende, pronto a risucchiarmi.

-Accontentarmi delle briciole non faceva per me, volevo il massimo.- Insisto. Poi la guardo e la mia autorevolezza vacilla. -E l’ho avuto.-

-In cambio di cosa?-

-Di niente!- Sbraito. -Non avevo nulla da perdere. Cosa dovevo chiedere di più? Pensi mi importi degli altri o di tutta questa stupida città, o di quello che c’è la fuori?-

Indico con il mento le terre oltre noi e mi rifiuto di continuare a ricambiare il suo sguardo.

Qualcosa continua a pesarmi addosso e vorrei liberarmene.

-Io vivo solamente per me stesso!- Scandisco.

Ma Aria non si lascia abbindolare, getta la testa all’indietro e ride, lasciando che le sue ciocche corvine le solletichino la schiena.

-Che grande idea!- Mi beffeggia. -Volevi vendicarti per gli anni della tua adolescenza fra gli Eruditi?-

Abbasso il capo, chiudo gli occhi e mi impongo di respirare per calmarmi.

-Forse.- Soffio fra i denti.

-Avevi bisogno di dimostrare che eri forte, il più forte, perché per sedici anni sei stato il più debole?- Indaga.

Non so se la sua sia una provocazione o un’affermazione. Vorrei rispondere, vorrei metterla a tacere e riprendere ad ascoltare il silenzio.

Ma non posso impedirle di dare voce ai miei stessi pensieri, anche a quelli più profondi e nascosti.

Questo è il mio sogno.

-Non volevi più essere il ragazzino orfano e indegno, che non meritava alcun tipo di amore.- Inizia, con un tono così leggero che mi stupisco di udirlo. -Tuo zio ti picchiava, ti insultava, per lui non eri altro che un peso. Hai finito col convincerti di essere un vero fallimento.-

Ho smesso da così tanto tempo di essere il bambino che lei descrive che, per un solo istante, mi illudo che la sua considerazione possa scivolarmi addosso come se non fosse fondata.

-Avevi bisogno di arrivare, di superare tutti, di essere nella cima più alta e di guardare in faccia tutti gli altri, dall’alto.-

Mi perdo nei dettagli affascinanti del suo viso e la rabbia dentro di me, il senso di solitudine e di sconfitta, sono soffocati dal bisogno che sento di spegnere tutto.

Se posso avere lei, vale la pena di smettere di pensare.

Quando la sua espressione si rattrista e i suoi occhi mi inondano di amore, vacillo.

-Ma non sei mai stato debole.- Mi convince. -Hai superato sempre tutto da solo, affrontato ogni sfida senza chiedere aiuto.-

Sembra così piccola e sconfortata che potrei quasi seppellire ciò che provo per confortarla.

Ma poi assottiglia lo sguardo e storce la bocca. -Credevi che anche per tutto il resto della tua vita, saresti bastato a te stesso?-

Cedo al mio stesso desiderio e, messo all’angolo da emozioni contrastanti e distruttive, sollevo un braccio e le metto una mano sulla guancia.

La sua pelle brucia fra le mie dita e mi incendia il petto, sottraendomi il respiro.

-È sempre stato così.-

-E adesso?-

-Adesso cosa?- Chiedo, alterato.

I suoi occhi continuano a guardami come se le bastasse uno sguardo per curarmi e, d’improvviso, la sua pietà non mi è più gradita, portandomi a ritrarre la mano.

-Basti a te stesso? O ti odi talmente tanto da non sopportare nemmeno la tua stessa compagnia?-

Mi pone la sua domanda e continua a fissarmi, innocentemente stretta nelle spalle.

Una smorfia mia deturpa i lineamenti.

-Sono orgoglioso di me stesso. Non ho niente da rimproverarmi.- Le comunico, impassibile. -Sono sopravvissuto senza una famiglia, non mi è mai servita, e sono arrivato ai vertici degli Intrepidi.-

Lei tace.

-Ho dato il massimo.- Aggiungo, tornando a guardare il cielo.

Aria sospira e, quando una folata di vento le scompiglia i capelli, torna a sistemarli dietro un orecchio.

Vorrei odiarla e scappare, ma sono bloccato. Persino la mia rabbia non ha più la stessa potenza.

-La mia vita era lineare e precisa, niente avrebbe potuto scalfirmi.- Penso ad alta voce.

-E invece?-

Stringo il bordo su cui siedo e cerco di capire che frutti sboccioni dagli alberi sotto di me, ma l’unica cosa che sento germogliare è il mio rancore.

Mi priva di ogni energia.

-E invece sei attivata tu!- Ringhio fra i denti.

Credevo che Aria sarebbe rimasta intimorita, invece mi osserva.

Attentamente.

-Ti piaceva avere sempre tutto sotto controllo, era questo a darti sicurezza.- Sospira. -Sono la tua debolezza più grande, vero? Metto in dubbio tutto ciò in cui hai sempre creduto.-

Odiarla diventa sempre più facile, eppure così difficile.

-Ho iniziato a credere in te.- Ammetto.

Ammiro il suo profilo elegante e perdo la pazienza, mentre lame che non esistono annientano quel maledetto organo che dovrebbe pompare per ossigenarmi i tessuti, ma che invece rema contro di me.

Respiro profondamente ma non servirà.

-E adesso?- Insiste.

Ed è la goccia che fa traboccare il vaso.

-NON CI SEI!- Urlo con tanta forza che sento l’eco delle mie parole espandersi.

Un silenzio assordante ci divide per diversi secondi, e provo a prendere in considerazione l’idea di calarmi. Aria, nel frattempo, abbassa la testa e inizia a disegnare cerchi immaginari sulla polvere del cemento.

-Pensi che ti uccideranno?- Mi chiede.

La sua voce è sempre più lieve.

Dovrei essere sconvolto dalle sue parole, eppure non lo sono. Strati di sensazioni più o meno intense mi proteggono, estraniandomi.

-Sì.-

Aria disegna un altro cerchio. -Hai paura?-

Rifletto un solo istante. -No. Ti ho già detto che non ho rimpianti.-

Osservo un uccello che svolazza sopra di noi e lascio che il silenzio mi dia risposte. Anche Aria, accanto a me, segue il volo dell’animale.

-Ho preso tutto ciò che la vita poteva darmi. Possa anche andarmene.-

Ma Aria non è soddisfatta dalla mia spiegazione, mi guarda e, anche se non sto facendo altrettanto, colgo la sua delusione.

-E io?-

La sua domanda mi lascia quasi indifferente. Quasi.

-Eri la cosa più bella che avevo.-

Scuote la testa e gioca con un sassolino trovato. -Non avresti dovuto andartene!-

-Non avrei dovuto conoscerti!-

-Ma avevi detto di amarmi…-

-Ed è così!- Urlo, maledicendo ogni albero che scorgo. -Ed è questo il mio problema!-

Nel momento stesso che le parole escono dalla mia bocca, sento come se una forza sconosciuta mi avesse prosciugato dall’interno.

-Avevi detto di non avere paura.-

-E non ho!- Preciso, furente. -Ma mi manchi e pensarti è… difficile.-

Questa conversazione inizia a complicarsi, perciò faccio a meno di guadarla in faccia.

-Allora non pensarmi!-

L’ovvietà della sua affermazione mi fa prima perdere le staffe, tanto che devo serrare i pugni, ma inseguito mi alleggerisce.

Sarebbe talmente tanto semplice essere sereno come lei, che mi sento uno stupido a non esserlo.

-Questo è impossibile.-

-Sono il tuo rimpianto, allora?-

Mi convinco a guardarla e inarco un sopracciglio. -Perché?-

-Perché senza di me saresti stato più forte e non avresti nulla per cui varrebbe la pena di sopravvivere.-

-Non rimpiango niente.- Scandisco.

Fisso gli occhi nei suoi, sono determinato e non mi perdo un suo solo respiro.

-Mi ami ancora?- Mi interroga, provando a sorridere. -Anche adesso che il mio ricordo ti spezza e il pensiero di dirmi addio per sempre ti fa temere la morte?-

Potrei darle talmente tante risposte che quasi mi si annebbiano i pensieri, ma il suo sguardo è capace di togliermi ogni corazza e di scavare in profondità dentro di me.

Allungo una mano e le risistemo un ciuffo ribelle dietro un orecchio, accarezzandole la guancia e afferrandola da sotto il mento.

-Sempre.-

Aria mi osserva e le sue labbra, meravigliosamente arrossate e gonfie come al solito, si incurvano in un sorriso raggiante. Prende la mia mano fra le sue e la stringe.

-Non ti lascerò, Eric.-

Rido beffardo. -Non sei nemmeno qui!-

-Intendo dire che tornerò da te!-

Sottraggo la mano dalle sue. -Dimenticami!-

Sorride, riafferra il mio braccio e se lo sistemo in grembo. -No!-

Mi sottraggo al suo tocco, tirando via il braccio e voltandomi. -Vattene!-

-Ma non sono qui!-

-Sparisci!- Sbraito.

Ma lei scuote la testa. In un gesto veloce, mi mette una mano dietro la nuca e spinge la mia fronte contro la sua.

-Quanti farmaci ti danno?- Ride. -Devono essere forti se ti fanno fare ancora certi sogni!-

-Non sai quanto.- Confermo. -Sono ridotto piuttosto male.-

Lei chiude gli occhi e respira profondamente. -So che stai male, ma non ti ho abbandonato.-

-Dovresti.- Le consiglio. -Sono spacciato.-

Mi lascia andare, si raddrizza e finge un’espressione pensierosa. -Dovresti approfittare delle tue condizioni per continuare a drogarti di medicine.-

-Magari non voglio più vederti.-

Il suo sguardo indagatore le rivela le mie debolezze, aumentando il suo sorriso.

-Dico davvero.- Insisto.

-Anch’io.- Avvicina il viso al mio. -Ti amo.-

Qualcosa mi riscuote dall’incanto di cui sono vittima e un ghigno beffardo mi increspa le labbra.

-Rassegnati, mia piccola lottatrice.- Le dico. -Questa non è una battaglia che potrai vincere.-

Aria si avvicina, le prendo il viso fra le mani e la tengo ferma a un soffio da me.

-Siamo senza scelta.-

Nei suoi occhi scintilla un’ombra di tristezza e le sue labbra tremano.

Assottiglio lo sguardo, ridacchio maleficamente e mi avvicino alla sua bocca. Ma, prima di fare entrare in contatto le nostre labbra, salgo sulla sua fronte e le poso un bacio fra i capelli.

Sposto la bocca sulla sua guancia e respiro sulla sua pelle, sussurrandole all’orecchio.

-Questo è un addio!-

L’istante dopo mi lascio scivolare giù, precipitando nel vuoto oltre la barriera.

 

La vibrazione sulle sbarre di metallo mi fa svegliare di soprassalto, eppure fingo di mantenere la calma e di ignorare il baccano che qualcuno sta facendo per richiamarmi.

-Avrei bisogno di un attimo della tua attenzione, se non ti è di troppo disturbo.-

Il mio cervello registra all’istante il tono raffinato e la richiesta educata, senza nulla di ironico o aggressivo.

Sarebbe come una nota distorta in una sinfonia, pensare che a parlare sia stato un Intrepido.

Deve essere stato qualcun altro, qualcuno di importante. E credo si possa trattare di una sola persona.

Mi metto a sedere, scosto con calma le coperte e sollevo pigramente lo sguardo sulle due figure oltre le sbarre della mia cella. Il primo è un giovane dal fisico allenato che indossa una divisa nera simile a quella della mia fazione, ma con una fascia bianca che gli attraversa il petto e la spalla con lo stemma dei Candidi stampato sopra. Capisco subito che si tratta di una guardia Candida.

L’altro uomo è più magro, alto e con la schiena rigida e composta. Indossa un lungo completo nero con bottoni bianchi e, sulla sua spalla, in bella vista è cucito con del filo candido, lo stemma della fazione di cui è a capo.

Ho visto quest’uomo poche volte, ma il suo sguardo abilmente affilato è sempre nascosto dietro un’espressione serena.

Conquistata la mia attenzione, Jack Kang fa un cenno silenzioso e incrocia le mani sotto il ventre.

-Ho saputo che le tue condizioni si stanno stabilizzando.- Esordisce.

Io continuo a guardarlo con diffidenza.

-Dato che ci siamo già visti, possiamo saltare le presentazioni.- Asserisce, abbassando il tono della voce.

-Vai al punto!-

Accoglie la mia provocazione con una smorfia che tuttavia machera con un sorrisino di circostanza.

-Ho proposto a Jeanine di incontrarci per trattare i termini per un accordo di pace.- Mi spiega, imperturbabile. -Lei ha accettato e mi ha fatto preventivamente avere le sue richieste. Tra queste, c’è la tua liberazione.-

Deglutisco a fatica.

Dovrei essere speranzoso, illudermi almeno per un istante e invece provo solo un profondo senso di rabbia. Probabilmente soffro di attacchi d’ira immotivati, oppure ho passato talmente tanto tempo a reprimere ogni qualsivoglia traccia di emozione, che adesso ho familiarità solo con al rabbia e questa mi assale anche quando dovrei gioire.

Ma la verità è un’altra, ed è molto più oscura.

La verità è che sono abbastanza intelligente da sapere che quella di Jeanine è solo e soltanto una viscida farsa. Non le importa della mia libertà, è stata lei stessa ad incastrarmi per sbarazzarsi di me, ma ha bisogno di mantenere integra la sua maschera.

Ha bisogno di far credere alla città che tieni ai propri alleati e, a quei pochi Intrepidi che mi hanno seguito e che ancora mi sostengono, che ha almeno provato a liberarmi.

Ma, come io so che non ha realmente a cuore la mia vita, lei sa benissimo che la sua richiesta verrà totalmente respinta.

Jack continua a fissarmi, mentre mi ritrovo a digrignare i denti e devio lo sguardo, serrando la mandibola con tale forza da sentirla scricchiolare.

-Voglio che tu capisca bene una cosa.- Inizia il capofazione dei Candidi. -Per noi non sei altro che un assassino, e meriteresti una condanna. Ma devo garantire il bene della mia fazione.-

In quello che mi sembra più che altro uno sfogo di follia, scoppio a ridere. Mi sembra un altro dei miei bizzarri sogni, o peggio, la pura realtà che si prende ancora gioco di me.

Jack Kang mi osserva, mi aspetterei di vederlo perdere la pazienza e dire addio alla sua innata compostezza, e invece mi sorprende mantengo uno sguardo tranquillo. Io contino a ridere, fino a quando non mi si secca la gola, e sono costretto e a tossicchiare.

Cerco di riprendermi, ancora falsamente divertito, e mi volto a guardarlo con un ghigno particolarmente indisponente.

-E cosa vuoi da me? Un incentivo?- Lo beffeggio.

Riprendo a ridere sonoramente e la guardia avanza minacciosamente verso le sbarre, forse vuole entrare e prendermi a calci, ma Kang solleva una mano e lo ferma.

-Vuoi che finga di collaborare con te, giusto per non farti perdere la faccia davanti a tutti quando deciderai di accettare le richieste di Jeanine perché sei troppo codardo per opporti?-

Finalmente colgo il guizzo di fastidio che lo costringe a sollevare un angolo della bocca.

Si sforza di tendere le labbra e la sua voce rimane bassa. -Potresti avere un’ipotesi migliore della morte. Se ci aiuti e se ci consegni spontaneamente le informazioni in tuo possesso, potremo prendere in considerazione l’idea di risparmiarti…-

Sento distintamente il suono di qualcosa che scatta nella mia mente e mi annebbia i pensieri con uno strato d’ira.

-Fammi il favore!- Gli ringhio contro. -Non fingere con me di essere nella posizione di poter rifiutare una richiesta di Jeanine. Se non farete tutto quello che vi dice, spazzerà via i tuoi Candidi come polvere!-

So di aver fatto breccia nel controllo di Jack Kang, anche prima di vederlo irrigidirsi. Quello che dico è vero, Jeanine non vuole collaborazioni ma solo sottomessi.

Questo capofazione sa bene che i Candidi non servono a Jeanine, ma non sa che quella donna prepara continui sieri per assoggettare chiunque al suo volere.

Tutto ciò che Kang può fare, è obbedirle di sua iniziativa, invece che farlo sotto simulazione.

Forse, magari per sbaglio, potrei essere davvero liberato.

Scaccio via subito il pensiero e colpisco con un pugno il materasso, odiandomi per la mia debolezza e per aver permesso all’illusione di raggiungermi.

-Ti ho concesso la possibilità di collaborare.- Scandisce, con un tono decisamente più severo. -Ma potrei farti confessare con il nostro siero della verità.-

Sogghigno e scuoto la testa. -Fallo, ma non ti sarà utile. Jeanine non ha rivelato le sue vere intenzioni a nessuno e, se anche fossi a conoscenza di qualcosa, preferirei vederti strisciare nella terra piuttosto che aiutarti!-

La guardia freme e controlla il suo capo, pronto a intervenire.

Ma Kang si limita a sollevare il mento. - Non ci stai facilitando le cose, Intrepido!-

Mi volto a guardarlo e a stento trattengo il mio odio. -Non è mia intenzione farlo!-

Il capofazione dei Candidi mi osserva ancora, in un curato silenzio, e scandaglia il mio viso in cerca di possibili tracce di incertezza o di menzogna. E non ne trova neanche l’ombra.

Fa un cenno e mi trafigge con un’occhiata penetrante. -Me ne ricorderò…-

Quando si volta elegantemente per andarsene, sicuro di sé, la sua guardia lo segue solo dopo avermi guardato con disgusto.

Mentre sento l’eco dei loro passi allontanarsi, ogni mia speranza mi abbandona e tutto si spegne in un boato assordante. O forse non tutto perché, nella stanza buia del mio subconscio, qualcosa di terribile si risveglia e spazza via ogni traccia di logica e controllo.

Abbandonato a me stesso e al mio destino, scoppio a ridere.

Rido senza sosta, dovendo addirittura sorreggermi al bordo del letto, ma poi tornano ad assalirmi il dolore, la sete e la sofferenza e colpisco con un pugno deciso il pavimento, facendomi sanguinare le nocche.

 

 

 

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

 

 

 

Scusatemi per il ritardo e se troverete più errori del solito, ma questo è un capitolo che non mi ha mai convinta del tutto e che mi ha fatto faticare parecchio.

 

Baci e a presto!

 

 

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Capitolo 40
*** Nessuno ***


40. Nessuno

 

 

 

 

 

 

Ho passato un’intera ora ferma immobile sul letto, senza osare fare il minimo rumore con il raschio che Camille si accorgesse che ero sveglia.

Vorrei che fosse stato tutto un incubo, scoprendo di aver passato per davvero gli ultimi minuti a dormire. E invece sono immobilizzata dai tormenti e dai dubbi.

Non conosco gli amici di Eric abbastanza per sapere quanto posso realmente fidarmi di loro e, qui da sola e senza sostegno, mi sembrano tutti potenziali nemici.

Non ho nessuno.

È un caso che mia sorella si sia improvvisamente rivelata tanto disponibile con me, dopo aver passato i sedici anni della nostra convivenza a bistrattarmi?

Jeanine ha sempre avuto grande riguardo nei suoi confronti, come se il suo infallibile intelletto le avesse detto sin da subito che quella ragazza sarebbe diventata molto abile. E, anche Amber, ha sempre ammirato quella donna, ed è attualmente la sua fedele addetta alle simulazioni. Non è un mistero che Jaenine mi odia, per cui non mi stupirei se avesse chiesto a mia sorella di plagiarmi per tenermi d’occhio, in attesa di chissà quale momento di rivalsa.

E Robert e Finn? Due perfetti sconosciuti che mi hanno odiata sin da subito per il mio rapporto proibito con Eric. Poi, di punto in bianco, Robert mostra affetto nei mie confronti e anche suo padre si prende il disturbo di coprirmi le spalle, solo perché gli ricordo sua moglie e perché mi vedrebbe bene al fianco di Robert.

Come posso fidarmi davvero di loro? Finn è un capofazione, era d’accordo con Max, e come faccio a essere certa che abbia cambiato schieramento? E se anche lui stesse tramando alle mie spalle, ingannandomi per avere la mia fiducia?

Mi prendo il volto fra le mani e respiro profondamente. Diventare paranoica non mi aiuterà.

Per mia fortuna, non sono così importante e non girano tutti attorno a me, per quanto Eric abbia avuto un ruolo importante in tutta questa guerra. È stato al centro di odi e complotti, ed io sono sempre il suo punto debole, certo, ma questo non giustificherebbe tutti questi falsi alleati.

Dubito che un uomo potente come Finn sprecherebbe il suo tempo a cercare di ingraziarmi, dato che non gli servirei a nulla.

Ma è anche vero che, se si guadagna la mia fiducia, potrebbe arrivare a Eric. E, se fosse ancora un alleato di Max, potrebbe avere come scopo quello di far abbassare la guardia a Eric per attaccarlo.

Però Eric è già fuori gioco, che senso avrebbe?

E Robert? Prima si affeziona a me e poi perde la testa per mia sorella, che è di un’altra fazione?

Scuoto la testa e respiro profondamente, non so più cosa pensare.

Non possono essere tutti traditori, spero, ma non mi stupirei che tra loro qualcuno remasse nel senso opposto.

È statisticamente impossibile che tutto vada bene e che siano tutti armati di buone intensioni.

Mi alzo e avanzo lentamente verso la ringhiera, cercando di scorgere Camille. La vedo distesa sul divano, che si risposa.

Deglutisco e stringo i pugni.

Darei di tutto per potermi convincere della sua totale innocenza, perché non voglio credere che questa ragazza dal cuore Abnegante, tanto disponibile e dolce persino con Eric, nasconda qualcosa.

Magari il colpevole è solo Jason, oppure non è un caso che l’unica ragazza con cui Eric sia riuscito a istaurare una parvenza di amicizia, si sia poi innamorata del suo braccio destro.

Chi potrebbe essere in una posizione migliore della loro, se si volesse attaccare il più giovane dei capifazione?

Rabbrividisco e indietreggio.

Jason ha lo stesso identico tatuaggio che aveva l’uomo che mi ha aggredito, e questo non è certo un dettaglio da sottovalutare.

Potrebbe non significare nulla, ma io non credo alle coincidenze. Tutti gli Intrepidi si fanno tatuare, ma in pochi optano per un disegno già preimpostato, senza personalizzarlo.

Jason non mi sembra il tipo da farsi fare un disegno così tipico per caso.

Qui cinque artigli che formano una esse devono per forza significare qualcosa, e sono certa si tratti di un legame che lo unisce al mio non più tanto misterioso aggressore.

Era il ragazzo dai capelli biondi che guidava il furgone quando sono andata dai Pacifici, nel tentativo di recuperare Tris. Adesso rimpiango di non aver prestato più attenzione a quel volto, quel giorno. Ricordo solo il colore dei suoi capelli e il suo mento appuntito, proprio come quello dell’uomo che mi ha spinto giù dalle scale.

Ora che ci penso, sono rimasta da sola con Jason, Nick e il mio futuro aggressore, e abbiamo parlato di Eric apertamente.

Se Jason e Nick hanno fatto allusioni sul mio rapporto con Eric senza preoccuparsi di essere ascoltati da quell’uomo, vuol dire che si fidavano di lui. Altrimenti avrebbero tenuto chiusa la bocca, visto che il mio rapporto con il capofazione non era certo da sbandierare ai quattro venti.

Forse anche quella non era una coincidenza e anche in quel caso ho rischiato di essere assalita.

In quell’occasione, quando mi sono lanciata all’inseguimento di Tris, i miei compagni hanno continuato a sparare alle mie spalle, rischiando di colpirmi.

Jason era il capo missione e aveva l’ordine di riportarmi indietro sana e salva.

Eric gli aveva affidato la mia vita e lui non ha fatto niente.

Forse non voleva fare nulla, se mi avessero colpito, sarebbe stato un incidente causato dalla mia follia.

L’alibi perfetto.

Scuoto la testa e mi mordo il labbro, non voglio crederci.

Pensare che il migliore amico di Eric sia un traditore è devastante, e non solo perché rischio di non poter salvare l’uomo che amo.

Eric ha sempre odiato tutto e tutti, isolandosi nel rigore della sua carriera e trattando gli altri senza alcuna considerazione. E adesso c’è il rischio che gli unici a cui aveva dato la sua fiducia erano in realtà dei traditori.

Respiro ancora e la rabbia mi acceca.

Dopo sento la porta aprirsi e per un attimo mi preoccupo, ma la prima a entrare è Amber. Non è da sola, dietro di lei c’è mio padre che si avvicina al tavolo della cucina. A seguire fanno il loro ingresso anche Robert e Finn, accompagnati da Nick e Jason.

Raggiungo la ringhiera, determinata come poche volte in vita mia. Credo sia un bene che ci siano tutti perché, se davvero qualcuno fra i qui presenti gioca sporco, è il caso di smascherarlo e metterlo con le spalle al muro il prima possibile.

Se devo rinunciare a degli alleati, preferisco togliermi subito questo pensiero, anche se dovesse significare scoprire che gli amici di Eric lo hanno ingannato per chissà quanto tempo.

Serro i pugni attorno al corrimano, non so come reagirebbe Eric se sapesse che proprio Jason è coinvolto nella mia aggressione ma, forse per fortuna, lui non è qui.

Sbaglio a pensare male di tutti, credo ancora nelle persone e so che fra tutti coloro che si sono radunati nella cucina al piano di sotto per preparare il piano che ci permetterà di riavere Eric, c’è almeno qualcuno su cui posso contare.

In particolare c’è una persona di cui so per certo di potermi fidare. Cecamente, visto che ha il mio stesso sangue.

Scendo piano le scale ma mi fermo a metà, intercetto lo sguardo di mia sorella e le faccio silenziosamente segno di affiancarmi. Lei inarca le sopracciglia, forse cogliendo il malessere nascosto dietro la mia espressione gelida. Mentre tutti si sistemano attorno al tavolo, parlottando fra di loro,  guardo con diffidenza Jason e Camille abbracciarsi e serro entrambi i pugni.

-Cosa c’è?- Mi distrae mia sorella.

Recupero il controllo di me stessa e scendo un gradino per essere a un palmo dal suo viso.

-Devo chiederti una cosa importante.- Inizio, in un sussurro quasi inudibile. -Ti fidi davvero di Robert?-

Lei mi osserva e sembra improvvisamente preoccupata. -Che vuoi dire?-

-C’è una possibilità che il suo interesse nei tuoi confronti sia solo un inganno per guadagnarsi la tua fiducia e quindi anche la mia?-

Amber abbassa gli occhi e riflette, concentrata. Deglutisce, fissa il suo sguardo nel mio e scuote la testa.

Torno a respirare. -Sei sicura che ti voglia bene?-

Mia sorella non mi è mai sembrata tanto forte come un questo momento. -Sì!-

Le faccio un cenno e provo a tranquillizzarmi.

Mi fido cecamente di lei e del suo giudizio e so che, se anche potesse essere influenzata dalle sue stesse emozioni, nessuno riuscirebbe mai a ingannare il suo intuito infallibile da Erudita.

Se Robert avesse avuto doppi fini, sono certa che Amber avrebbe fiutato il suo inganno a distanza ma, se dice di avere fiducia in lui, vuol dire che è realmente sincero. 

È un immenso sollievo per me poter esser certa almeno di qualcuno. Ho imparato a volere bene a Robert, e anche l’odio verso Finn iniziava a scemare, e avere la certezza di averli dalla mia parte mi da sicurezza.

Ovviamente do per scontato che le lealtà di Robert includa anche quella di Finn.

Questo però non esclude Jason dalla lista dei possibili bugiardi.

Credere che sia un traditore mi distrugge e non voglio prendere davvero in considerazione questa ipotesi o potrei esplodere. Guardo Camille, al suo fianco, ripenso alla sua gentilezza con Eric e mi chiedo se il suo affetto fosse reale.

Lei mi è stata vicina, per me era diventata un’amica, quando magari era tutto un suo piano studiato.

Finn si è seduto al capotavola che aveva scelto all’ultimo incontro a cui ha partecipato e, pensare che è proprio lì che Eric si è seduto quell’unica volte che abbiamo cenato insieme in questa casa, mi fa quasi sussultare.

Lo raggiungo, affiancandolo, e mi guardo intorno.

Mio padre è accanto a me, al mio fianco. Robert è dietro, stranamente vicino a mia sorella, che si tiene in disparte vicino alle scale.

Di fronte ho proprio Jason, che anche sta volta si è posizionato all’altro capotavola, ma lui rimane in piedi. Accanto a lui, sul quarto lato della tavola, difronte a mio padre, ci sono Camille e Nick.

Quasi mi viene da ridere, abbiamo involontariamente creato una divisione ed io sono in mezzo a mio padre e Finn. Robert e Amber sono accanto a noi, mentre i fedeli amici di Eric se ne stanno sull’altra sponda come se fossimo nettamente divisi da una forza invisibile.

-Avete valutato la mia proposta?- Inizia proprio Finn.

Estrae dalla tasca della giacca una cartina, che stende davanti a sé.

-Sì, mi sembra un buon programma. Dobbiamo partire domani notte, non abbiamo scelta!- Gli risponde Jason.

Lo guardo e il mio cuore si gela, magari ha fretta di arrivare ad Eric per riaverlo in pugno. Penso al suo tatuaggio e lo immagino con un coltello in mano, mentre taglia la cola del capofazione che doveva proteggere.  

Mi concentro, scuoto la testa e provo a mantenere la calma.

Sento la voce sicura di Finn, mentre segue con il dito un punto sulla mappa, ma non lo ascolto.

-Benissimo, allora potremo…-

-C’è una cosa che dobbiamo chiarire, prima!- Lo interrompo.

Il capofazione solleva entrambe le sopracciglia e mi osserva con disappunto. È ancora seduto, e sono proprio accanto al suo gomito, ma io non sto guardando lui.

Il mio sguardo è di ferro e saldamente puntato su Jason.

Il braccio destro di Eric ha entrambi i palmi appoggiati al tavolo, posa gli occhi su di me e si sorprende di scorgere tutta l’ostilità con cui lo sto fissando. Arriccia la bocca in un sorrisino rassicurante, forse credendomi definitivamente impazzita per il dolore, magari vuole offrirmi l’opportunità di dire per la prima volta la mia.

Come se fossi una ragazzina da accontentare.

Serro ancora più forte i pugni e sollevo il mento per indicare la sua t-shirt scura. -Che significato ha il tuo tatuaggio, quello che hai sul petto?-

Lui scuote la testa per lo sbigottimento e spalanca gli occhi, in confusione.

Mio padre si volta lentamente a guardarmi, scorge il modo in cui continuo a fissare Jason e capisce che sta succedendo qualcosa, incrocia le braccia al petto e rimane a studiarmi in silenzio.

-Questo?- Chiede Jason, tirando verso il basso il colletto della sua maglietta smanicata, mostrandoci il tatuaggio con gli artigli. -Ma perché vuoi saperlo? Che cosa…-

Non gli lascio terminare la frase. -Rispondimi!-

Sto cercando di stare tranquilla, ma se penso che questo ragazzo potrebbe aver tradito Eric, mi si incendiano le vene dalla rabbia.

E per la paura.

Anche Finn gira di poco la testa e solleva i suoi occhi azzurri su di me e, dal modo in cui contrae le spalle e per come fissa lo sguardo su Jason, potrei dire che anche lui inizia a sospettare della gravità della situazione.

Ma Jason non si cura delle occhiatacce ostili che hanno incominciato a lanciargli mio padre e Finn, sembra solo profondamente confuso.

-È l’iniziale del mio cognome, Stone. E gli artigli sono un simbolo di famiglia.- Spiega, facendomi sussultare. -Mi sono fatto questo tatuaggio quando sono arrivato negli Intrepidi, insieme a mio fratello.-

Quelle parole mi tolgono definitivamente il respiro, mi paralizzo e cerco di ragionare con logica.

Mio padre continua a tenermi d’occhio, ma introno a noi regna il silenzio.

-Tuo fratello?- Chiedo, senza ripensamenti. -Il ragazzo biondo che guidava il furgone il giorno che siamo andati dai pacifici?-

Jason assottiglia lo sguardo. -Sì, lui. Perché?-

-Perché tutto quello che ricordo dell’uomo che mi ha spinto già dalle scale, dopo avermi iniettato il cip per la simulazione, è il tatuaggio che aveva sul collo, identico al tuo…-

Nella stessa frazione di secondo, si verificano più cose insieme perché il mio cervello riesca a cogliere tutto, perciò rimango ferma e attonita.

Finn scatta in piedi, strisciando rumorosamente la sedia dietro di sé, minaccia Jason con il più tetro degli sguardi e stende un braccio davanti a me, quasi a volermi riparare dietro la sua schiena.

E, nell’istante in cui prendo atto del suo gesto, comprendo con estrema certezza che questo terribile capofazione si è davvero affezionato a me e al ricordo che gli rievoco di sua moglie.

Anche Eric, nella nostra prima uscita fuori dalla residenza degli Intrepidi, si è parato in mia difesa e ha steso un braccio davanti a me, proteggendomi dietro la sua schiena all’arrivo di un gruppo di Esclusi.

Per cui so per certo, e per esperienza, che gesti come questo non possono essere programmati, in quanto puramente istintivi e spontanei.

Robert scatta in avanti, affiancandomi prontamente.

-Che diavolo sarebbe questa storia!- Sbraita contro Jason.

Mio padre si sposta per avvicinarsi istintivamente a me e a Robert, cercando con lo sguardo mia sorella per assicurarsi che sia ancora al sicuro.

Camille spalanca la bocca e le sue spalle tremano, quando si gira lentamente verso il suo compagno, e lo guarda desolata.

Nick è l’unico a non essersi scomposto, incrocia le braccia al petto, osserva l’amico e rimane in silenzio totale.

-Ci devi una spiegazione, ragazzo. Una valida!- Ringhia Finn, e la sua voce è quanto di più tetro e minaccioso io abbia mai sentito.

È la voce di un capo potente e maturo, quella con cui Jason viene accusato.

Se Jason fosse colpevole, saremo tutti in pericolo. Stiamo pianificando un piano contro Jeanine davanti ad un suo possibile complice.  E magari lei sa già tutto.

-E poi eri tu quello che non si fidava di noi?- Esclama Robert, con astio. -Come facciamo noi a fidarci di te?-

-Non lo faremo, infatti!- Precisa Finn, ancora in piedi in mia difesa.

Il suo sguardo è tetro e incollerito.

Ma io, in tutto questo susseguirsi di azioni, non ho perso di vista Jason e la sua espressione.

L’ho visto rimpicciolire come se un macigno gli fosse stato gettato sulle spalle e ho seguito l’ombra di dolore e delusione nascere nei suoi occhi e crescere fino ad appannargli la vista.

-Aspetta!- Dico a Finn, mettendogli una mano sul braccio che mi tiene davanti.

Il capofazione mi lascia avanzare di un passo e mi osserva cautamente, senza perdere di vista Jason.

O quello che rimane di lui.

Le mani del migliore amico di Eric sono ancora piantate sulla superficie del tavolo, ma si allargano sempre di più intanto che la sua schiena cede in avanti. Il suo volto è pietrificato dal terrore e i suoi occhi sono persi nel vuoto a inseguire dettagli a noi sconosciuti.

Poi qualcosa scatta in lui, forse un pensiero, così Jason solleva gli occhi e incrocia i miei, scuote la testa e mi offre la più devastata delle emozioni.

-Che cosa hai detto?- Chiede con un filo di voce.

Posso quasi sentire l’aria che riprende a invadermi i polmoni, ora che ho quasi la garanzia di potermi ancora fidare di lui. Conosco i bugiardi, fra gli Eruditi ce ne sono parecchi e tutti malamente nascosti.

Ci sono mille modi per fingere e ingannare, e i Candidi li conoscono bene. Tuttavia, sono certa del fatto che nessuno possa fingere per sempre o mantenere una maschera anche quando è stato scoperto.

Jason potrebbe aver negato, oppure inventato una scusa, ma i suoi sentimenti sembrano vibrare attorno a lui come un’aura tetra.

Dubito che si possa imbrogliare sulle proprie emozioni, le si può nascondere forse, ma non alterare.

D’altro canto, il dolore rimane pur sempre dolore.

Mi volto verso Amber e, dai suoi occhi, capisco che anche lei ha avuto la mia stessa intuizione. Gli Eruditi non scovano la verità sul volto degli altri come i Candidi, ma è evidente che questo ragazzo abbattuto non sta mentendo.

-In che rapporti sei con lui?- Gli chiedo, ancora in allerta.

-Con Luke?- Jason solleva la testa  e sembra attonito. -Ha scelto gli Intrepidi due anni prima di me e, quando anch’io ho lasciato gli Eruditi, ci siamo ritrovati e abbiamo riallacciato i rapporti. Ma abbiamo sempre avuto due caratteri diversi, abbiamo scelto carriere diverse e non ci vedevamo spesso. Non siamo molto legati, ma mi sono sempre fidato di lui e non posso credere che abbia fatto una cosa del genere.-

Ripenso al tatuaggio sul collo del mio aggressore e non ho alcun dubbio.

-Non può essere!- Afferma.

Eppure, quando mi guarda, le sue parole mi sembrano una supplica.

-Ne sono sicura! Era lui.-

Stringo i pugni per controllare il tremore delle mani e continuo a studiare i segni della sua afflizione.

-Facciamo finta per un attimo che io creda alla tua bella storia.- Interviene Finn, schietto. -Che motivo avrebbe tuo fratello di voler colpire Eric, dato che proprio tu eri la sua guardai personale?-

Indirizzo una breve occhiata a Finn, per poi riconcentrarmi su Jason.

-Non lo so, non ne ho idea!- Dice, agitato.

Vedo la rabbia scorrergli nelle vene e infuocarlo, mentre nei suoi occhi si inseguono strati di dolore sempre più intenso.

Scuote la testa. -Sono la guardai del corpo di Eric, ho sempre pensato che anche Luke fosse fedele a lui!-

-Pensaci!- Lo esorto.

Il mio non è un semplice suggerimento, ma anche un consiglio a non tirare troppo la corda della nostra fiducia. Vorrei dargli il mio totale appoggio, ma ho un disperato bisogno di certezza e non posso permettermi alcun tipo di dubbio.

-Non mi sembra così strano che suo fratello abbia tradito Eric.- Interviene Robert, stanziando al mio fianco. -Tutti gli Intrepidi che ci hanno seguiti qui si sono divisi e hanno dato la loro fedeltà a ognuno dei cinque capifazione, e noi sappiamo benissimo quanti consensi è riuscito ad accaparrarsi Max.-

Finn guarda il figlio, oltre di me, e gli urla contro. -Chi ci dice che non siano complici?-

Mi stringo nelle spalle e mi rifiuto di controllare l’espressione di Camille.

-Certo, con la sua posizione Jason era l’uomo migliore per colpire Eric alle spalle!- Conviene Robert.

Ma Jason non sembra condividere. -Non è questo il problema!-

-No?- Chiede Finn, sarcastico e con un sopracciglio alzato per il disappunto.

-Eric mi ha detto di aver parlato con Jeanine, e che lei gli aveva rivelato che era stato proprio uno dei suoi uomini ad aver aggredito Aria, uno di cui non avrebbe mai sospettato. E adesso capisco tutto.-

Quando Jason mi guarda, con uno sguardo tanto intenso da valere più di mille parole, colgo la sua ira e credo di capire da che parte stare.

La sua fedeltà e amicizia a Eric non si discutono e, quando troverà suo fratello, non avrà clemenza.

È lui quello che è stato tradito e deluso.

Eppure c’è qualcosa che non mi quadra.

-Sì, ma perché tuo fratello si è schierato contro Eric?- Decido di chiedere.

Che motivo avrebbe Luke a voler colpire il capofazione per cui suo fratello lavora?

Jason si perde in una profonda riflessione e, alla fine, fa un ampio sospiro. Si volta, si allontana dal tavolo e si avvicina alla porta, appoggiandoglisi con un pugno. Si passa una mano fra i capelli e solleva il mento, senza guardarci più.

-La ragazza di mio fratello era una Divergente, me lo aveva confidato poco prima che ritrovassero il suo cadavere sul fondo dello strapiombo.-

Le sue parole mi gelano sul posto, mentre inizio a sentire il martellare del mio cuore rimbombarmi nelle orecchie.

-Ma se l’ha fatto per vendetta, perché allearsi proprio con Jeanine, considerando che è lei la prima a dare la caccia ai Divergenti?- Sussurro, ferita. -Cosa c’entra Eric?-

Finn, ancora al mio fianco, torna a sedersi. Incrocia i pugni sotto al mento e sospira.

-Sono certo che quella donna e Max abbiamo manipolato Luke e che siano riusciti a fare ricadere la colpa di tutto solo su Eric.-

La spiegazione del capofazione mi lascia l’amaro in bocca.

-E lui si è vendicato aggredendo la sua ragazza. Ha senso.- Conviene Robert, mettendomi una mano sulla spalla.

Quello che penso io ha molto più senso ed è anche più sconcertante. A un uomo ferito, uno che ha appena perso la persona che ama, poco importa di punire il vero colpevole, sono convinta che Luke volesse solo gustarsi una lenta vendetta. Non voleva consegnare il responsabile alla giustizia, non c’è più giustizia in questa città, voleva solo far soffrire l’assassino che gli aveva ucciso la ragazza.

Voleva me per ricambiarlo con la stessa moneta.

-Chi era la compagna di tuo fratello?- Chiede Finn, sollevando appena il viso verso Jason.

Lui non si volta, scuote la testa e inizia a guardare il viale fuori dalle vetrate vicino alla porta. -Si chiamava Samantha, era un’interna che ha fatto l’iniziazione il mio stesso anno.-

Finn fa più cenni con la testa. -Mi ricordo di lei, conoscevo suo padre. A voler essere onesti, da quel che mi pare di ricordare, è spettato proprio a Eric l’ingrato compito…-

So benissimo che, con la sua spiegazione, Finn intende dire che è stato dato a Eric l’ordine di uccidere quella ragazza. E, con altrettanta certezza, so che la mia idea era corretta e che a Luke non importavano le responsabilità di Jeanine. Voleva solo colpire Eric, portandogli via me per pareggiare i conti.

Mi tremano le gambe e quasi barcollo, carica di pensieri negativi.

Come potrei mai stupirmi o essere realmente in collera con il fratello di Jason?

Persino io ero disposta a prendere Tris per vendicarmi di Will, e so che ucciderei senza scrupoli per Eric.

Ma Eric è un vero assassino e averlo sempre saputo e accettato non mi aiuta a mandare giù questa verità particolarmente indigesta. Penso a quella ragazza, e immaginare Eric che la spinge nel torrente mi terrorizza.

Con me è sempre stato iperprotettivo, ma non ha esitato a togliere la vita a un innocente. Era una Divergente, certo, e gli era stato ordinarla di farla fuori, ma fa ugualmente male riconoscerlo colpevole.

-Cosa intendi fare?- Lo interroga Finn.

Jason respira profondamente, scosta la tenda e continua a guardare fuori della finestra. -Lo troverò e mi occuperò di lui.-

La voce tetra che usa mi da i brividi. Spaventa persino più di Eric quando dava il peggio di sé durante la mia iniziazione.

Camille studia il suo compagno e riesco quasi a vedere l’ondata di amore che gli lancia con lo sguardo, per consolarlo.

-No!- Dico d’istinto. -La nostra priorità è Eric!-

-Eravamo qui proprio per pianificare il suo recupero.- Mi informa Nick.

Qualcosa nel tono di ovvietà che ha usato mi colpisce particolarmente, è come se volesse ammonirmi per aver rallentato i loro piani con le mie accuse.

Incrocio per errore lo sguardo di Camille e vedo che è cambiato, non è leggero, ma distante e freddo.

Bella mossa…

Urla la mia vocina, per ricordarmi che non è stata la migliore delle idee quella di inimicarmi gli unici sostenitori di Eric in un momento così tragico.

Serro ancora i pugni e distolgo lo sguardo, sentendomi una stupida ad aver accusato Jason, ma anche delusa dal rancore di Camille e Nick.

Cosa avrebbero fatto loro al mio posto? Come potevo starmene tranquilla? Eric non c’è e devo assicurarmi che nessuno voglia sabotare il suo salvataggio.

Nessuno.

E ora come ora, è di nessuno che mi fido veramente, per quanto spiacevole sia.

-Jason?- Lo chiama Finn, di punto in bianco. -Sei ancora tu l’uomo più adatto per raggiungere il quartiere dei Candidi e parlare ai ribelli. Non farmi pentire di averti dato fiducia, fingerò di crederti solo perché non c’è nessun altro che potrebbe farlo.-

-Forse dovremmo rifletterci di più, ma purtroppo non abbiamo né tempo né altre opzioni.- Puntualizza Robert, pensieroso.

Focalizzo la mia attenzione su Jason, ancora di spalle attaccato alla finestra. Penso alle sue doti comunicative e all’abilità con cui riesce a mantenere il controllo di ogni situazione, e lo ritengo davvero il più adatto.

L’unico.

-Dovrete riuscire a superare le guardie e a farvi ascoltare dal resto della nostra fazione, e tu hai le capacità strategiche per riuscire in entrambe le operazioni. E poi…- Finn fa un sospiro strano, quasi derisorio e sinistro. -Dobbiamo ragionare per esclusione!-

-Noi due dobbiamo restare qui, per controllare i nostri uomini e accettarci che tutto fili liscio.- Spiega Robert, in quella che mi sembra una domanda a suo padre.

-Non solo, dovremo coprire le loro tracce e impedire che Jeanine scopra i nostri piani.- Specifica Finn.

-Anche Aria deve andare!- Interviene mio padre con convinzione e, subito, tutti gli occhi sono su di lui.

Il cuore mi sale in gola.

-Qui non è al sicuro e, al tempo stesso, Jeanine non sospetterà nulla non vedendola. Penserà che la teniamo chiusa qui, e la riterrà fuori gioco dopo la cattura di Eric.-

-Non so quanto saggio sia mandare proprio il braccio destro e la ragazza di Eric a trattare per lui, dato la poco credibilità che avrebbero.-

Guardo Finn, che ha appena parlato, e rimango in silenzio mentre lo osservo studiare la cartina che ha davanti.

-Ma sono anche le due persone che devono lasciare subito questo posto, perché troppo esposte. E, al tempo stesso, le uniche di cui nessuno noterà l’assenza.-

Continuo ad ascoltare il capofazione, ma non comprendo del tutto le sue parole, che mi appaiono quasi senza senso.

-Penseranno che si sono nascosti per evitare ripercussioni, e per assorbire il colpo. Ma non crederebbero mai che siano tanto folli da andare in casa del nemico!- Chiarisce Robert, gonfiando il petto per la sua intuizione. -Loro non sanno dei nostri piani e degli uomini nostri alleati!-

Tiro un sospiro di sollievo e mi sento improvvisamente più leggera.

-Io vado con loro!- Si offre Nick.

E, in quel momento, Jason si volta. Stringo i pugni e guardo altrove, perché quasi non lo riconosco. Ha l’espressione vuota e furente di chi ha appena subito una sconfitta troppo dura da tollerare.

-No, tu non puoi.- Gli spiega. -Tu devi restare per aiutare Robert, e sarebbe meglio che ti facessi vedere in giro. Se ti vedono, non sospetteranno che ci siamo separati e che stiamo agendo alle loro spalle.-

-Non puoi andare solo con Aria, è troppo pericoloso!- Si lamenta l’amico.

Ma Jason scuote la testa. -Non stiamo andando lì per combattere, ma per parlare. Se decidessero di farci fuori, non riusciremo a opporci comunque. Porterò Camille con me, Eric mi aveva detto di portarla via il prima possibile.-

Nessuno fa domande nonostante il dubbio che si solleva. Pensando al carattere ribelle di Camille, cha nasconde la comprensione degli Abneganti, il sospetto che avevo diventa quasi una terribile realtà.

-Inoltre, farvi vedere in pochi e indifesi, servirà a chiarire le vostre nobili intenzioni.- Afferma Finn. -Non serve un esercito, non vogliamo attaccarli.-

Mi guardo introno, lasciando scorrere lo sguardo su tutti i presenti. Vorrei dire a me stessa che sto per rivedere Eric, ma non ci credo. Mi sento vuota, come se non riuscissi a credere più in niente.

Penso solo che riuniremo gli Intrepidi e fermeremo Jeanine, ma per Eric potrebbe essere già troppo tardi. Penso al pericolo che correranno quelli che restano, come mia sorella, e al rischio a cui ci stiamo esponendo tutti.

Stringo le palpebre e respiro intensamente.

Io non ho paura, farò tutto quello che devo e lotterò come ho sempre fatto. Se Eric esiste ancora, da qualche parte, lo troverò.

Perché, vivo o morto che sia, nessuno mi impedirà di riavere il mio capofazione.

Nessuno.

 

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

 

 

Scoperti i retroscena e chiariti i dubbi sulla partenza per salvare Eric, o almeno credo!!

 

E voi che fini avete fatto?

Vi confesso che l’ispirazione e l’amore per questa fic mi stanno un po’ abbandonando, non ho riscontri, non so cosa ne pensate, temo che non vi piaccia più e mi chiedo se devo davvero continuare…

So che a qualcuno piace ancora, ma vorrei tanto avere vostre notizie e pareri.

Non la scrivo per me stessa la storia, io so già come va a finire!!! : )

La domanda è: volete saperlo anche voi e vi siete annoiati?

 

Grazie comunque a tutti i lettori, vi rilascio il link della mia pagina Fecebook dove trovate le varie anticipazioni per i capitoli!

https://www.facebook.com/Kaimy11/

 

Bacioni!! A presto!

 

 

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Capitolo 41
*** Non ancora ***


41. Non ancora

 

 

 

 

 

 

Una mano mi accarezza indolentemente la spalla nuda, in un lento movimento circolare. Sulla mia schiena sento i suoi seni e il suo ventre piatto, sento il suo respiro soffiarmi sull’orecchio e le sue labbra sul collo.

Mi risistemo meglio il cuscino e tento di riposarmi, distogliendo la mia attenzione dalle dita fredde che seguono il profilo del mio braccio, nella speranza che basti per fingere di essere solo.

Non vorrei sentire altro se non il silenzio, oppure i nostri respiri leggermente affannati, almeno per un altro po’. Sono accaldato e sudato, ma la mia pelle continua ad essere lambita da una mano fredda che mi solletica dolcemente. Chiudo le palpebre e labbra morbide mi sfiorano la nuca e scendono, in una scia umida, lungo la mia spina dorsale.

Poi sento una breve risata e un soffio fra le mie scapole. -Non ti addormentare!-

Spalanco gli occhi e avverto un fastidio al centro del petto, come se quel suono gentile fosse stato in grado di ferirmi.

La sua voce è troppo acuta, mi entra nelle orecchie con violenza e, come per magia, mi ricorda che qualcosa non torna e che non dovrei essere dove sono. Non dovrei trarre piacere da tutto questo, mi sono ripetuto più volte di non cedere a questo tipo di distrazione. Non devo mai infilarmi in qualcosa se non so già come uscirne.

Mi volto, scansando bruscamente la mano che mi cingeva, e osservo con un cipiglio assai critico la ragazza distesa insieme a me sul letto.

Il suo corpo pallido e nudo è esile e longilineo, con la muscolatura perfettamente delineata nell’addome, ma privo delle morbidezze avvolgenti che un corpo femminile dovrebbe offrire. Il suo viso è semplice, equilibrato e privo di segni distintivi che potrebbero farmela ricordare a lungo.

I suoi capelli rossi, corti e scompigliati, incorniciano due occhi verdi e arroganti che mi studiano con soddisfazione.

Mi alzo con una mossa unica dal letto e mi avvio verso la porta del bagno.

-Puoi anche andartene adesso, Leah!- sputo fuori le parole con cattiveria.

Lei fa uno sbuffo teatrale, scuote la testa e ridacchia, mentre si mette seduta sul bordo del letto. -Pensavo che potevamo farci ancora compagnia e trovare qualcosa di divertente da fare, visto che era da molto che non ci vedevamo!-

-Non credo che tu sia stata tanto stupida da sperarci veramente!- Sogghigno e mi fermo, appoggiandomi con una spalla alla porta del bagno. -O almeno me lo auguro per te!-

Leah mi ammonisce con lo sguardo e si rimette le mutandine. -A me ha fatto molto piacere che ti sia tornata la voglia!-

Faccio una smorfia senza nemmeno accorgermene, sono disgustato.

-Non credo ti farebbe male passere più tempo come me, o più notti, come preferisci!- Mi dice, afferrando il suo reggiseno da sotto al cuscino. -O forse hai trovato un'altra con cui dormire!-

Assottiglio lo sguardo e la osservo, incuriosito.

-Non fare finta di niente!- Esclama, lanciando un’occhiata di apprezzamento al mio corpo. -Deve esserci qualcuna che ha voglia di scaldarti!-

Mi osservo distrattamente, sono ancora completamente nudo, in piedi davanti a lei.

Mentre Leah si riveste io mi limito ad osservarla, particolarmente annoiato. Questa ragazza non mi diverte, al contrario, mi fa salire i nervi. Ed era così anche quando la frequentavo, per questo mi ha stancato subito e l’ho allontanata.

-E poi ho visto che eri strano, come assente!- Insiste. -A me puoi dirlo se ti piace qualcuna!-

La sua insinuazione mi lascia l’amaro in bocca e serro i pugni, prima di concedermi una piccola risata crudele. -Ti piacerebbe!-

Leah non comprende il mio messaggio e mi guarda battendo le palpebre.

-Se così fosse,- Inizio a spiegare, con arroganza. -Potresti sperare che io sia interessato ad avere una qualche tipo di relazione. Ma sai che non è così, e sai anche che quando ci vedevamo non mi interessavi veramente.-

Lei si riveste come se non mi stesse ascoltando, ma mi sono accorto del guizzo delle sue sopracciglia.

-Mi servivi.- Specifico. -Che è diverso!-

-Sai, a volte dovresti smetterla!- afferma, allacciandosi le scarpe.

-Di fare cosa?-

Accenna un sorrisino, mi guarda e si avvicina alla porta. -Di essere così stronzo!-

Mi passo la lingua sulle labbra e sollevo il mento.

Apre la porta e fa per uscire, ma poi si volta verso di me e scuote la testa. -Anzi no, magari è parte del tuo fascino!-

Quando si richiude la porta alle spalle mi sento libero e soddisfatto, così mi chiudo in bagno per farmi una doccia prima di dover scendere in palestra. Mi fiondo sotto il getto dell’acqua calda e rifletto, sapendo perfettamente perché non ha funzionato con Leah, poco tempo fa.

Lei mi ha ingannato con la sua falsa fragilità, quando in realtà voleva cambiarmi e si credeva per giunta in grado di farlo. Mi ha ingannato facendomi credere che tenesse a me, che fosse pronta a coprirmi le spalle, ed invece il nostro rapporto le serviva solo e soltanto per un suo appagamento personale. Le faceva bene credere di essere la ragazza di un capofazione e se la spassava con me.

Ma, se mi fosse accaduto qualcosa, a lei sarebbe dispiaciuto unicamente perdere il suo trofeo.

Ed io non sono il trofeo di nessuno.

Io non cerco corde che mi leghino i polsi, cerco un terra sconfinata da conquistare per correre fino a perdermi. E non mi illudo di trovare un qualche tipo di completamento in un’ altra persona perché, se non sono capace nemmeno io di sopportare me stesso, non sono così pretenzioso da pensare che qualcun altro possa apprezzarmi fino in fondo.

Ancora di più se ciò che nascondo nel baratro è un’ oscura voragine.

Ciò che mi servirebbe, se proprio volessi mettermi a cercare qualcosa, è un animale feroce come bestia domestica. Un essere selvaggio che possa condurmi alla follia pur rimanendo al mio guinzaglio.

Esco dal doccia, mi asciugo e torno in camera per vestirmi.

Vengo distratto da una macchia nera che entra dalla finestra. Scorgo il gatto balzare sul letto e andare a strusciarsi con il muso sul mio cuscino ma, quando arriva a quello dove era Leah, emette un miagolio vibrante e si ci strofina sopra con la schiena, più volte e con vigore.

Scuoto la testa e apro l’anta del guardaroba per prendere ciò che mi serve. Penso che quella stupida gatta nera che si diverte a considerare questa camera come casa sua, si sia preoccupata dell’odore estraneo riscontrato sul letto, e si sia premurata di rimuoverlo con il proprio.

-Tranquilla!- Brontolo infilando la testa nella maglia. -Sei tu l’unica donna!-

Continuo a rivestirmi, prendendo anche un paio di pantaloni puliti, e il gatto si stiracchia abilmente fino ad accovacciarsi sul bordo del letto, si lecca una zampetta anteriore e inizia a fissarmi intensamente.

Mi metto le scarpe e lei se ne sta accomodata sul mio letto, osservandomi con calma. I suoi occhi gialli mi studiano pigramente, fino a quando non mi vede infilare anche la giacca e capisce che ho finito di vestirmi. A quel punto scivola con grazia giù dal letto e mi raggiunge in un ancheggiare sinuoso, si struscia sulle mie gambe e fa le fusa.

La osservo e alzo gli occhi al cielo, chiedendomi perché questo felino sappia ingannarmi meglio di tante altre donne. Ha saputo aspettare, senza perdermi d’occhio, per poi cercare le mie attenzioni quando sa che non gliele negherò.

Mi piego sulle ginocchia e le gratto dietro le orecchie, mentre lei si solleva contro le mie dita per intensificare la carezza, scorre lungo la mia mano per farsi accarezzare anche la schiena e torna a strisciare contro le mie gambe.

-Bestiolina intelligente!- Le dico, grattandole ancora il pelo corvino del muso.

Velocemente prendo le chiavi ed esco dal mio appartamento, anche se non mi esalta l’idea di scendere in palestra e dover sopportare la presenza di Quattro, dovendo resistere alla tentazione di farlo a pezzi non appena emette fiato. Non lo sopporto, è solo un ostacolo, e per di più addestra quegli invertebrati degli iniziati rammollendoli ancora di più.

Raggiungo presto i livelli più bassi e supero il poligono, studiandolo con fin troppa attenzione, per quanto mi scocci ammetterlo. Avevo, con mio profondo rammarico, preso l’abitudine di venire sempre a controllare se ci fosse qualcuno in particolare che si allenava, a fine giornata.

Ma adesso le cose sono cambiate e sono intenzionato a ristabilire il mio equilibrio, senza altri colpi di testa.

Entro finalmente in palestra e non annuncio la mia presenza, avanzando silenziosamente verso il ring per godermi lo scontro che sta avvenendo senza che nessuno mi lanci occhiate intimorite. Magari, se sarò fortunato, coglierò Quattro in fallo a combinare qualche sciocchezza contro le regole e potrò fare rapporto a Max.

Giusto se la sorte gira a mio favore.

Faccio un altro passo e mi fermo dietro le schiene di un piccolo gruppetto di iniziati raccolti in trepidazione a seguire l’incontro. Solo quando sollevo gli occhi sui i due che si affrontano, la mia attenzione viene catturata.

Nell’istante seguente, mi accorgo di due dettagli entrambi particolarmente spiacevoli, tanto che non so quale sia il peggiore. Il primo è che Quattro si è accorto della mia presenza e mi riserva un’occhiataccia infastidita, e la seconda cosa che avverto è un fastidioso e immotivato tuffo al cuore quando inizio a studiare la chioma corvina della ragazzina sul ring.

Non so perché mi dispiaccia vedere Aria lì, a girare attorno a quel Candido untuoso di nome Drew. Lui è più altro e largo di lei, più perfido, e semplicemente so già che la batterà e preferirei non fosse così.

Ho visto in lei vera follia Intrepida quando è salita la prima volta sul ring contro Peter, è quasi mi sono esaltato mentre combattevano, carichi di odio e adrenalina. Ho fermato lo scontro e li ho presi ad esempio, perché sono scontri come quello che dovrebbero vedersi tutti i giorni fra gli Iniziati.

Ma questi ragazzini sono troppo deboli e spaventati, del tutto inutili per le nostre schiere. Vederli l’uno contro l’altro è più che altro una tragedia, altro che spettacolo.

In particolare, questa ragazzina è troppo esile. In forma, certo, ma a Drew basterebbe un solo pugno calibrato e piantato al punto giusto per stenderla.

I miei presentimenti vengono confermati quando il ragazzo avanza verso di lei e stende il braccio per darle un mal rovescio, ma lei è veloce, si abbassa per schivare e quando si rialza gli afferra il polso e glielo porta dietro la schiena, piegandolo in modo anomalo.

Drew strilla di dolore, ma so che non basterà questo a fermarlo.

Lei è in gamba, ed è innegabile, d'altronde ha tenuto testa a Peter. Ma adesso è diverso. Aria calcola, sceglie le mosse in base alle debolezze del nemico e le usa per farcela.

Ma non può bastare. Non adesso. La tattica non è forza, e la sua testardaggine non può sostituire le abilità che le mancano.

Infatti Drew si libera con un semplice strattone, si gira e la spintona via. Velocemente si raddrizza e le da un pugno in pieno viso che la fa barcollare all’indietro.

Mi si storce la bocca e la delusione si fonde alla rabbia. Mi sono lasciato ingannare dalle apparenze, questa ragazzina sarà anche motivata e brava a sparare, ma il suo bel faccino non basta se non ha muscoli.

Drew riparte all’attacco e assesta ad Aria un calcio ai reni che la costringe a piegarsi in avanti, su sé stessa, per riprendere fiato.

Il ragazzo le sferra un pugno sulla guancia e l’iniziata davanti a me, Christina, sussulta come se fosse stata lei a ricevere il colpo.

-Non ce la farà!- Appura, sussurrando all’indirizzo del suo compagno.

Serro la mandibola e incrocio le braccia al petto, seguendo i patetici tentativi che fa Aria per ritornare all’attacco, ma il suo pugno va a vuoto e Drew ne approfitta per spingerla a terra con una gomitata al ventre.

-Non scommetterci troppo!- Afferma Will, sicuro di sé. -C’è la farà!-

Abbasso gli occhi sul trasfazione che ho davanti e lo osservo con un sopracciglio alzato. Forse ha una cotta per Aria, data la confidenza con cui le si rivolge, e la sta un tantino sopravvalutando. Drew vincerà sicuramente l’incontro, è chiaro come il sole, e credo che sia lo stesso pensiero che passa nella testa di Christina, visto che anche lei guarda Aria a terra per poi lanciare uno sguardo dubbioso al suo amico.

-Ma sta perdendo!- Sottolinea la Candida.

Will scuote la testa. -Aria ha rotto per la prima volta il naso a qualcuno quando aveva sei anni. E quello che ha mandato in infermeria non solo era un maschio, ma aveva nove anni!-

-Che?- Si stupisce la ragazza. -E come diamine ha fatto?-

-Credo che se lo stia ancora chiedendo anche quel ragazzo!- Ridacchia Will.

Sollevo entrambe le sopracciglia e sposto lo sguardo sulla ragazzina agonizzante sul ring, che para miracolosamente un pugno del suo avversario, mettendosi in ginocchio. Non riesco ad associarla all’immagine di una bambinetta tutta ossa che sferra un gancio destro a un ragazzetto più alto di lei, riuscendo addirittura a rompergli il naso.

-Ne sei sicuro? Drew è chiaramente più forte di lei!- Insiste, a giusta causa, Christina.

-Fidati di me.- Dichiara Will. -Faceva a botte con chiunque la infastidiva, anche senza motivo. Era il tormento degli Insegnanti!-

La Candida tace e io torno a guardare Aria, vedendola serrare i pugni e mordersi il labbro, sconfitta.

-Aria sa usare la sua rabbia per difendersi meglio di quanto immagini.-

-Non deve solo difendersi, deve vincere!- Ribatte Christina.

-Non sembra forte, lo so, ma quando si vede in difficoltà tira fuori gli artigli e spacca qualche naso, per farsi forza!-

-Non sembra una tanto male, ma perché picchiava gli altri?-

-Te l’ho detto, era il suo modo per difendersi. Spaventava tutti e li teneva a distanza.-

-Ma perché?-

Stranamente interessato, abbasso ancora gli occhi sul ragazzo e attendo la sua risposta.

Sta volta Will sospira. -Perché era diversa, troppo diversa, e odiava sentirselo dire. Così preferiva starsene per conto suo e usare la forza per fare stare zitti quelli che le davano fastidio.-

Non so con precisione perché, ma qualcosa in quello che dice il ragazzetto mi colpisce.

Non so di preciso in che modo, ma mi lascia di sasso. Conosco le regole rigorose degli Eruditi e la loro abitudine di evitare tutto ciò che non è conforme alle loro usanze.

Se ripenso alla prima impressione che ho avuto degli iniziati, mi pare di ricordare una personcina con una mira niente male, un caratterino piuttosto acceso ed una certa predisposizione a prendere a pugni la gente. Per cui, il resoconto di Will su Aria, non va poi tanto fuori tema.

Dovrei smetterla di negare, e ammettere a me stesso di aver già avuto modo di apprezzare i talenti di quella ex Erudita. Senza contare che, sempre a voler essere onesto con me stesso, le ho già infilato la lingua in bocca senza il suo consenso e sono tre giorni che non le rivolgo la parola.

Ho scelto di non immischiarmi e di starle accuratamente distante ma, chissà perché, il pensiero che abbia creato scompiscio fra gli Eruditi mi da un discreto piacere.

Eppure so che non basta avere carattere, e il suo passato non fa di lei una vera Intrepida.

Come se avesse letto nel mio pensiero, Drew riserva ad Aria un calcio alle costole e lei si accascia a faccia in giù. Vedendo che la sua avversaria non si alza, lui si volta e si avvia verso il bordo del ring, per scendere.

Ma, contro ogni previsione, Aria sfrutta tutte le sue forse per rimettersi in piedi e avanza verso l’avversario. Drew si accorge di lei solo quando gli è già arrivata alle spalle, cerca di colpirla ma è troppo tardi e non ha avuto modo di prepararsi, così alla ragazza basta abbassarsi per schivare il suo colpo. Quando torna in posizione d’attacco, Aria lo colpisce con un montante alla mandibola, talmente forte, che temo gli abbia fatto saltare qualche dente. Quello cade in avanti, in ginocchio, e Aria non perde tempo.

Con una mossa da manuale, si da un lieve slancio con un saltello, ruota bene il bacino e gli assesta un calcio sul collo che gli fa perdere i sensi di colpo.

Potrebbe avergli spezzato l’osso del collo, infatti Quattro salta sul ring e si affretta a verificare che il ragazzo sia ancora nel nostro mondo, mettendogli due dita sulla vena della gola. Accertatosi che ha ancora i battiti, Quattro solleva lo sguardo verso Aria e la fa un cenno, dichiarandola vincitrice.

-Visto? Che ti dicevo?- Esulta Will, dando una piccola gomitata a Christina.

Eppure io non posso fare a meno di pensare che, in realtà, si riferisca a me. E la mia vocina interiore gli da ragione, accusandomi di non aver avuto fiducia in Aria.

Ma, il fatto che lei abbia vinto, sconvolgendo tutte le aspettative, significa solo una cosa. Significa che avevo visto giusto e che la ragazzina sa il fatto suo.

Con un brivido di pura euforia, capisco finalmente che non devo scappare da lei, perché è lei che stavo cercando.

Lei potrebbe essere la bestia selvaggia che saprebbe scaldarmi il fianco ogni notte e rendere frizzanti le mie giornate, senza annoiarmi con assurdi lamenti. Ma non è solo selvaggia, la bambina deve essere inquadrata. È energia libera e così, a briglia sciolta, non andrà lontano.

Will ha ragione, lei non è forte, sa solo proteggersi.

Aria lotta per sé stessa, usa l’attacco come difesa, è la sua caratteristica. Lei non è solo furia, nasconde uno strato di fragilità, e ho avuto modo di ammirare il suo lato dolce e gentile.

Per questo ha bisogno di qualcuno che sappia domarla e aiutarla a incanalare nel modo giusto le sue forze. La ragazzina è giovane, ha bisogno di un uomo che le faccia da guida e la faccia maturare nel modo giusto.

Sogghigno: non mi dispiacerebbe affatto assumermi questo faticoso incarico.

La osservo scendere con un balzo elegante dal ring e sciogliersi i capelli, scompigliandoseli poi con le mani per darvi volume, e capisco che non ha più senso negare.

Non mentre non riesco a far meno di guardarle le labbra e di desiderarle.

Senza che me lo aspettassi, lei mi guarda con un’intensità disarmante e mi trafigge, impassibile. Sembra non badare al gonfiore sulla sua guancia, sa tenere alto il mento per fissarmi. Ma poi abbassa gli occhi e mi ignora, e so benissimo che lo fa perché sono stato io a baciarla per poi voltarle le spalle e non rivolgere più nessuna attenzione.

Che piccola lottatrice bastarda. Non bastarda, forte, e la forza non è un difetto. Sono stato io il primo a credere in lei, avevo visto giusto. Lei è una mia prerogativa.

Lei è la mia piccola lottatrice.

Quattro annuncia la pausa pranzo e tutti si disperdono, ma non si limitano ad allontanarsi, strisciano via silenziosi fino a sparire del tutto. All’improvviso sono solo, sento unicamente il battito regolare del mio cuore ma davanti ho ancora lei.

Aria avanza senza degnarsi di guardarmi, lentamente, non mi concede neppure una fredda occhiata. Mi passa accanto in silenzio e mi gela. Mi sorpassa ed io, sopraffatto da un inquietante senso di smarrimento, guardo l’improvviso vuoto creatosi attorno a noi e capisco.

Mi concedo un sorriso di circostanza e scuoto la testa mentre, a farmi compagnia, c’è soltanto l’eco dei passi di Aria che si allontana.

Non è reale…

Risvegliatomi dal mio stato di incoscienza che voleva ingannarmi, mi volto di scatto, perché non le permetterò di ignorarmi.

Non le permetterò di lasciarmi qui, non ancora una volta.

-Aria!- La chiamo.

Lei si ferma subito e si volta solo per metà, osservandomi tranquillamente.

-Questo non è solo un sogno, vero?-

Lei mi sorride con dolcezza e si volta completamente. -No Eric, questo è un ricordo!-

Rifletto per un attimo e faccio più cenni con il capo. -È successo tutto esattamente così. Ma quella volta non ti ho fermato quando sei scesa dal ring, ti ho lasciata andare via.-

Il suo sorriso si amplia e alza gli occhi al cielo. -No! Quella volta eri troppo stupido ed orgoglioso. Erano giorni che giocavi a fingere che non esistessi più, dopo avermi baciata al poligono!-

Quella volta, finito il suo scontro con Drew, l’avevo lasciata andare via ed ero rimasto fermo ed impassibile mentre mi passava accanto per uscire, silenziosa.

-Quindi, questa conversazione è solo il frutto della mia immaginazione?- chiedo.

Lei si stringe nelle spalle. -Sai come si dice: I sogni sono paure o desideri!-

O frutto dei farmaci che mi danno, vorrei aggiungere, ma mi trattengo.

-Allora coglierò l’occasione!- Affermo, serio. -Probabilmente mi faranno fuori e, dato che non potrò più dirti nulla di persona, devo farlo adesso!-

Avanzo verso di lei senza ripensamenti e con una mano le afferro una spalla, per tenerla vicina a me, mentre con l’altra le sollevo il mento.

-Tu sei la mia piccola lottatrice!- Dichiaro.

La mia voce è rauca e spezzata, e devo respirare profondamente e tenermi saldamente a lei per farmi forza. So che è solo uno stupido sogno, frutto della mia fantasia, ma sento una profonda rabbia e il dolore che provo è troppo da gestire tutto in una volta.

-Ma cosa dici?- Ride.

Lei prendo il viso con entrambe le mani e spingo la sua fronte contro la mia, respirando quanto posso il suo profumo e stringendo le sue guance calde.

-Sei la mia lot…- Provo, un in ringhio strozzato, ma fallisco e mando tutto al diavolo. -Sei mia!-

Lei posa le sue mani sulle mie e il suo sguardo si rattrista.

-Mia!- Gemo. -Sei mia ed è solo questo quello che conta!-

Scuote piano la testa. -Eric, io…-

-Shh!-Soffio sulle sue labbra. -Sei stata mia. Ho perso la ragione per te!-

Aria prova a togliermi le mani dal suo viso e cerca di prendermi dalle spalle per guardarmi negli occhi, forse per parlarmi, ma io non voglio.

Mi manca la forza.

La stringo contro il mio petto e la bacio.

 

Mani forti mi afferrano dalle spalle, mi trascinano via con prepotenza ed io sento la mia testa che urta violentemente contro qualcosa di solido. Forse il pavimento.

Apro gli occhi e vedo ombre nere che affollano il mio campo visivo. Altre braccia mi cingono i fianchi e sento che il mio corpo viene messo in piedi.

Provo a reggermi da solo, ma un pugno mi centra dritto fra le costole, sullo stomaco, mi manca l’aria e grugnisco. Mi piego in avanti, schiavo di una violenta ondata di dolore e nausea, tossisco quel filo d’aria che mi è rimasta e cerco di mettere a fuoco ciò che mi circonda, per capire cosa mi sta succedendo.

Attorno a me ci sono tre Intrepidi, ne conosco due. Hanno sostenuto l’iniziazione in uno dei primi anni che sono stato assegnato come supervisore durante gli addestramenti per gli iniziati, affiancando gli Istruttori.

Ho reso le vite di questi due un inferno, li ho puniti ingiustamente e per poco non li ho fatti buttare fuori dalla loro fazione di nascita.

Inutile considerare che, di certo, non mi hanno mai apprezzato né considerato un loro leder.

Uno di loro mi afferra dal collo, proprio dove i punti della ferita che la Rigida mi ha procurato con un coltello sono ancora freschi, e mi strattona.

-Allora, capofazione, cosa si prova a sapere di stare per morire?-

Tossisco quando un secondo pugno mi colpisce ancora sugli addominali e cerco inutilmente di liberarmi dei miei aggressori con uno strattone, ma sono troppo debole. Il secondo mi colpisce con uno schiaffo alla mascella e mi ride in faccia, tenendomi poi fermo dai capelli, per costringermi a guardarlo.

-In realtà non sei più il nostro capofazione!- Sghignazza.

Ringhio e scalcio, ma mi tengono saldamente fermo e mi colpiscono ancora quando cerco di ribellarmi.

-Basta!- Sentenzia l’intrepido che non conosco. -Dobbiamo portarlo nella sala riunioni per l’esecuzione!-

Esecuzione…

Quella parola risuona nelle mie orecchie e nel mio petto con forza, come dotata di vita propria e di una sua del tutto personale intenzione di portarmi alla pazzia.

Sapevo che dovevo morire, non era poi così difficile da prevedere visto che sono prigioniero dei miei nemici. Sono considerato un assassino e traditore della mia stessa fazione, quella di cui ero a capo.

Ma non sono pronto. Non ancora.

È troppo presto, devo recuperare le energie, smettere di fare sogni traditori e metabolizzare la mia fine. Ho creduto, fino ad adesso, che la mia ora era arrivata e che sarei andato incontro alla mia morte a testa alta, ma non adesso!

Sono debole, un vago e sgualcito ricordo di me stesso e del rigoroso capo che sono stato. La mia forza sembra essersi sciolta al sole. Non riesco neppure a reggermi in piedi, e non voglio presentarmi così al cospetto del creatore.

Avevo delle cose da fare, volevo la mia vendetta. Dovevo tornare a casa, dovevo ancora insegnare troppe cose alla mia piccola lottatrice.

Dovevo impedire che altri se la prendessero, portandomela via per sempre.

Lei doveva essere solo mia.

-Sai una cosa?- Mi chiede uno dei due ragazzi più giovani, avvicinandosi al mio orecchio. -Indovina un po’ chi è stato nominato capofazione al posto tuo?-

Qualcosa, forse un brutto presentimento mi distrae dai miei pensieri e mi incendia.

Mi raddrizzano e mi trascinano via, tenendomi da entrambe le braccia. Quello che non conosco mi lega i polsi dietro la schiena.

-Quattro!- Se la ride il mio carceriere. -Proprio così! Magari sarà lui a farti fuori!-

Come se il cielo fosse crollato tutto in un istante, ogni voce nella mia testa si spegne. Non temo più nulla e il tempo, tiranno o magnanimo che sia, non è più un mio problema.

Sento le vene infuocate, percosse da una lava bollente di rabbia e odio. Il mio copro si contrare, sono dolorante ma la mia furia mi toglie anche l’ultimo frammento di lucidità e smetto di esistere.

Adesso aspetto la morte come una vecchia amica.

L’ancora che mi teneva saldamente incollato a questa terra è sparita, si è dissolta ed io non ho più ragione per restare.

Forse mi sarebbe andata diversamente, se non avessi commesso l’imperdonabile errore di perdere la testa per un’iniziata qualsiasi. Se fossi rimasto lucido e concentrato sul mio dovere, invece di perdermi in vaneggiamenti privi di senso logico.

E adesso lei non è qui, non le importa di me, si diverte solo a tormentarmi in sogno ma alla fine mi sta abbandonando. Io mi sono giocato tutto per lei, e sto morendo per colpa sua. Ho perso tutto.

È rimasto solo il dolore. Ed è troppo perché io possa accettare di oppormi ad esso.

Non mi importa più di lei. Non temo più la morte.

La pretendo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

 

Colgo l’occasione del nuovo capitolo per ringraziare di cuore quelli che mi hanno sostenuto continuando a leggere e mandandomi addirittura dei messaggi privati per esprimere il proprio interessamento alla storia e per invitarmi a continuare.

Ci proverò e cercherò di aggiornare presto, spero sempre che ogni nuovo capitolo vi piaccia!
Bacione e grazie a tutti i lettori!

 

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Capitolo 42
*** L'inizio della fine(parte 1°) ***


42. L’inizio della fine (Parte 1°)

 

 

 

 

 

 

-Torna indietro tutta intera, novellina!-

Sollevo gli occhi, non che abbia tutta questa voglia di conversare, ma ricambio lo sguardo di Robert. Le sue braccia sono stese verso di me e le sue mani pesanti si posano sulle mie spalle.

Un sorriso perfettamente rilassato gli tende le labbra, ed io proprio non comprendo cosa ci trovi di tanto divertente in tutto questo.

Stiamo per compiere una follia.

Ogni cosa è sbagliata, la nostra città non dovrebbe essersi ridotta in questo modo, come un verme strisciante nella polvere più nera.

Ho soltanto diciassette anni, appena compiuti, non dovrei aver visto tanta gente morire e non dovrei avere paura di perdere la mia stessa vita.

E, cosa più importante, non dovrei avere una tale responsabilità fra le mani.

È l’alba, il sole dietro di me sta per sorgere, ma la sua luce non riesce a scaldarmi. Come potrebbe? Mi sembra di essere sul punto di morire, ogni mio muscolo è teso e dentro fremo di terrore.

Finn e Jason hanno organizzato il piano nei minimi dettagli e, a quanto dicono, hanno pensato a tutto per essere pronti a ogni evenienza. Sappiamo dove sono posizionate le telecamere che sorvegliano le vie cittadine, ognuno avrà il suo ruolo e tutto dovrebbe filare lisci.

Eppure a me sembra tutto così assurdo, che mi chiedo quanto ci metterà la nostra bolla di sapone a scoppiare. O peggio, quali danni dovremmo subire quando perderemo.

-Fai vedere chi comanda a quegli idioti dei Candidi, okay?-

Alle parole di Robert, avverto un sussulto al cuore.

-Come puoi essere tanto spavaldo?- Soffio, scrollandomi le sue mani di dosso.

Robert assottiglia lo sguardo, ma prova a sorridere.

-Sono un Intrepido, novellina. Non ho mai paura.-

-Non parlo di paura, parlo di buon senso!- Esclamo. -Rimarrete qui, dove ci sono Max e Jeanine che potrebbero farvi ammazzare, se scoprissero che ci avete aiutati a fuggire!-

Robert si concede una risatina. -Max avrà anche i suoi uomini, ma noi abbiamo i nostri!-

-E se non ci fosse tempo di chiedere aiuto?-

Alza gli occhi al cielo. -Non diventare paranoica, non è il momento.-

-Robert…- Sospiro.

Non voglio che muoia. Non voglio nemmeno che a morire sia suo padre Finn. Non voglio dover dire addio a nessun altro.

-Andrà tutto bene, tranquilla!- Mi incoraggia, con una pacca sulla spalla.

Ma, prima che sottragga del tutto il braccio, lo afferro per un gomito e lo guardo dritto negli occhi.

-Promettimi che penserai ad Amber!-

Il labbro superiore di Robert ha un piccolo fremito quando i suoi occhi si assottigliano, ma poi fa un cenno.

-Ti ho già detto che la proteggerò.-

-So di voi due!- Chiarisco, seria. -Giurami che non le accadrà niente!-

Dopo averci riflettuto un attimo, Robert si concede un sorrisino accattivante e fa più cenni con la testa.

Prendo fiato e, decidendo di allontanarmi prima che altri pensieri disastrosi mi assalgano, mi sposto e lascio Robert.

Per questa nostra insolita a pericolosa riunione, abbiamo scelto il retro della casa che condividevo con Eric, visto che è la più periferica del quartiere. Non ci sono case vicine, da cui qualcuno potrebbe spiare i nostri movimenti dalle finestre e, inoltre, Finn ha scoperto che non ci sono telecamere che sorvegliano la via secondaria che da qui ci condurrà fuori zona.

Raggiungo mia sorella Amber che mi aspettava in disparte e apro anche la bocca per parlare, ma non esce alcun suono.

-Papà e mamma sono dovuti andare a lavoro per non destare sospetti, ma nello zainetto ti ho messo tutte le medicine che ti servono. Ricordati di prenderle, devi ancora riprenderti!- Mi spiega.

Sulla schiena ho lo zaino che mi ero portata dietro quando siamo fuggiti dagli Intrepidi. Adesso ho molto meno con me, ma non potevo non prenderlo e a quanto pare è già stato rifornito di antidolorifici e altro.

Se ripenso a mia madre, che avrà sicuramente dato le medicine ad Amber, penso che lei è l’unica della mia famiglia con cui non mi sono ancora riconciliata del tutto. Se penso a mio padre, invece, sento quasi bruciare la chiavetta di memoria che nascondo nella tasca interna della giacca.

Mi irrigidisco e provo a svuotare la mente, ma non posso fare a meno di ammettere che sto rischiando tutto per salvare Eric, quando le possibilità di riuscita sono pari a zero.

Come potrò mai convincere un gruppo di folli Intrepidi, feriti e terrorizzati dagli Eruditi, a fidarsi di noi e a collaborare? Eric, poi, è un loro prigioniero e non rinunceranno mai a lui, e vorranno punirlo per le sue gravissime colpe.

E non è che io non sia disposta a perdere ogni cosa e a sacrificarmi per riaverlo al mio fianco, ma se a perdere la vita fosse qualcun altro ne morire. Preferire cento volte perire, piuttosto che accettare l’idea che qualcuno venga ucciso per avermi aiutato.

Amber è mia sorella, l’ho appena ritrovata dopo anni di stupide liti che ci hanno divise, non posso sopportare che qualcuno le faccia del male.

E la colpa sarebbe solo mia.

-Amber…- Alito, addolorata.

-Stammi a sentire!- Taglia corto. -Sono un’Erudita e non sono stupida! Abbiamo davvero pianificato tutto e niente andrà storto.-

-Come puoi esserne certa?-

-Non ti fidi del mio infallibile giudizio?- Ironizza, ma poi mi guarda seriamente. -Abbiamo impiantato un virus nel sistema di sorveglianza. Quando sarete dai Candidi, all’orario giusto, l’intero impianto elettrico avrà un blackout e nessuno riuscirà a vedere che siete arrivati allo Spietato Generale. Per di più, anche il sistema di memoria verrà danneggiato, in modo che non rimanga nulla sui nastri.-

Sento il peso sulle mie spalle schiacciarmi sempre di più.

-Sarete invisibili.-

-E tu?-

-Cosa?-

Prendo fiato. -Riuscirai a non far capire a Jeanine che aiuti Robert a preparare una rivolta?-

Lei sorride, furba. -Il mio compito sarà proprio quello di ingannarla! Lei mi adora, non sospetterebbe mai che ti ho aiutata a scappare, anche se sei mia sorella!-

Qualcosa dentro di me scatta e perdo la calma. -Stiamo parlando della donna più intelligente della città e tu pensi di imbrogliarla?-

Lei non risponde.

-Un Blackout, poi? Non capirà che è stato architettato e non accidentale?-

-Ed è qui il bello!- Afferma. -Jeanine sa benissimo che in tanti sono contro di lei e che vogliono nasconderle quello che accade dai Candidi, perciò sa che “incidenti” di ogni tipo possono verificarsi, solo che non saprà chi è stato a causare il guasto! Magari andrà su tutte le furie, pensando che i nostri sistemi siano stati hackerati da altre fazioni!-

Sto per impazzire, me lo sento.

-E poi, hai presente il carico di corrente che consuma ogni giorni in nostro quartier generale? Macchinari sempre in funzione e luci sempre accese! Direi che è più che normale che salti la corrente elettrica, una volta ogni tanto, no?-

E magari sarà anche normale per Jeanine decidere di uccidere tutti coloro di cui sospetta.

Mi passo le mani sul viso e respiro profondamente, ma non serve.

So che andrà tutto storto.

-Ascoltami bene!- Mi richiama Amber. -Tu devi andare!-

La osservo in silenzio.

-Devi riunire gli Intrepidi e convincerli a venire qui e a combattere contro Jeanine! Non importa cosa rischiamo, è la nostra sola possibilità per fermare quella criminale per sempre! Se non uniamo le forze, finirà tutto in un bagno di sangue!-

Non so più cosa dire.

So che Eric, in sostanza, è il problema secondario. Io lo rivoglio con me, sono pronta a tutto per salvarlo, ma il mio dovere è anche quello di fare qualsiasi cosa in mio potere per fermare questa folle guerra.

Se riesco a convincere i rivoluzionari che rappresentano la metà della mia fazione, non solo posso salvare la vita dell’uomo che amo, ma posso fermare tutte queste morti inutili e spodestare Jeanine.

Gli unici che devono morire sono lei e Max.

Ed io posso fare qualcosa, o almeno provarci, per raggiungere il nostro scopo.

E poi riavrò Eric. Costi quel che costi.

-Ma cambiamo argomento!- Esclama. -So che penserai che sia un comportamento da pacifica, ma ci tenevo molto.-

Quando poso gli occhi su di lei, mi accorgo che sui palmi delle sue mani ci sono due braccialetti. Hanno entrambi uno spesso cordoncino intrecciato, soltanto che uno è nero e l’altro blu. Ad entrambi è attaccato un ciondolino luccicante e, quando capisco cosa rappresenta, il mio cuore accelera i suoi battiti e tutto mi sembra improvvisamente troppo difficile da sopportare.

-So che è stupido, e se non lo vuoi….-

-Mettimelo!- Le ordino, stendendo il polso destro verso di lei.

Lei nasconde un sorriso e mi allaccia il braccialetto nero e, quando termina la sua opera, il ciondolo luccica al sole e posso ammirarlo meglio. È un ciondolo d’argento a forma di lettera a.

-Ho pensato che non avevamo nulla di nostro e, visto che i nostri genitori ci hanno dato due nomi con la stessa iniziale, ho pensato che potesse significare qualcosa.-

In silenzio, le tendo la mano e aspetto che mi dia il suo braccialetto con lo stesso ciondolo, per poi allacciarlo al suo polso.

Improvvisamente ripenso al profumo della colazione quando ero ancora a casa con la mia famiglia, e un senso di vuoto mi assale.

Non dovremo essere in guerra, non dovremo rischiare la vita. È tutto sbagliato.

Eppure, in questo mare di disperazione, c’è una cosa che so.

Non voglio più perdere nessuno e, considerando che ho appena riallacciato il rapporto con mia sorella, non ci vedo nulla di male a condividere un piccolo cimelio.

Potrei tornare e trovarla morta, oppure non tornare mai più perché verrò uccisa non appena arriverò dai Candidi.

Voglio avere con me quanti più portafortuna possibile, come se non ne indossassi già abbastanza.

Sono conciata in modo abbastanza bizzarro, visto come mi sono vestita. Ho addosso la felpa di Eric, che è di diverse taglie più grande e sporge dal mio adorato giacchino di pelle, quello con la cerniera che sale in diagonale che mi è stato donato proprio da Eric. Ho i capelli racconti in una treccia scomposta e un paio di vecchi jeans con le toppe.

Non sembra che io stia andando ad affrontare una battaglia: sembro di ritorno. Non è solo il mio abbigliamento trasandato e i miei capelli scompigliati a farmi sembrare appena uscita da un uragano, ma anche i miei lividi.

Ho una guancia ancora tumefatta, di un bel viola sfumato di verde, un vero capolavoro. Ho potuto togliere il cerotto che copriva i punti che mi sono stati dati sulla fronte, ma una sottile linea rossa mi fa da cicatrice.

Eppure la ferita che mi da più fastidio di tutte è quella che si vede meno. Dovrei odiare i segni che mi deturpano il viso, ma niente mi fa più male della fasciatura attorno al mio polso sinistro.

Ogni volta che Amber mi medicava, mi rifiutavo di guardare il segno dei punti che mi hanno ricucito carne e vene, dopo che una simulazione mi ha spinto a farmi del male da sola.

Quando mi riscuoto, vedo Amber che si stringe nelle spalle, senza più guardarmi.

È assurdo, ma capisco che mia sorella vorrebbe di più, ma si limita a un distaccato saluto per non forzarmi. Sa che non sono molto avversa ai contatti fisici.

Ma non sa che sono cambiata e che, in questo momento in cui tremo di paura e non ho più alcuna certezza, non ho bisogno di barriere. La guardo, e penso che se mai sopravvivrò senza di Eric, lei sarà tutto ciò che mi rimarrà.

Sento il vuoto crescere e mi manca l’aria. Barcollo.

L’afferro da una mano e la spingo verso di me, stringendole le braccia attorno al collo e nascondendomi sulla sua spalla. Provo a controllarmi, ma il respiro è affannato.

-Stai attenta, ti prego!- La imploro. -E, se pensi che Jeanine sospetti qualcosa, prendi Robert e scappate dai Pacifici!-

Ricambia il mio abbraccio e si stringe a me. -Staremo bene! Vai a prendere Eric!-

Respiro profondamente, riconoscendo nei suoi vestiti l’odore di casa mia, e su di me ha subito effetto. Mi calma come una cura. Ma non del tutto.

La stringo ancora e poi la guardo negli occhi un’ultima volta e lei mi sorride, mente il sole fa luccicare le lacrime nascoste tra le sue ciglia. Faccio appello a tutta la mia forza e la lascio andare, ma mi accorgo che si passa una mano sulla guancia.

Sospiro e mi impongo di concentrami e di pensare ad altro, avanzando.

Raggiungo Jason, non troppo lontano, e porto la mano alla fontina legata alla mia coscia. Tocco il metallo freddo della pistola e cerco forza. Ho con me l’arma che mi è stata data il giorno della simulazione, quella che ho tenuto nascosta nel fondo del mio zaino per giorni. C’è anche un coltello nascosto nel mio stivale, ed un altro coltellino infilato nelle tasche sul davanti della felpa di Eric, protetto dalla giacca.

Il piano originario prevedeva che ci presentassimo al resto della nostra fazione disarmati, ma Jason ha pensato che potremmo incontrare dei pericoli lungo il percorso. Ci saranno squadre di ronda degli uomini di Max e gruppi di Esclusi, per cui dobbiamo essere pronti a tutto.

Arrivati dai Candidi potremmo sempre deporre le armi, ma mi piace pensare che mi lasceranno il mio coltellino segreto, visto che il giubbotto lo nasconde.

Mi fermo davanti a Jason, con lui ci sono Camille e Nick, e stanno discutendo sul percorso da seguire per arrivare sani e salvi a destinazione.

Nick si accorge di me e mi riserva uno sguardo freddo. -Stai attenta ragazzina, e non fare stronzate!-

Non so se sia un saluto, un incoraggiamento o un rimprovero, ma so che da quando ho accusato Jason di tradimento, lui e Camille non mi guardano più allo stesso modo.

Nascondo le mani nelle tasche dei pantaloni, mi mordo il labro e abbasso la testa.

-Siamo pronti!- Annuncia Jason, inflessibile. -Hai tutto?-

Capisco che si riferisce a me e penso al mio zaino sulla schiena e alle mie armi nascoste, così faccio un cenno.

-Dovrei essere con voi!- Esclama Nick, con profondo rammarico.

Jason gli mette una mano sulla spalla. -Ci sarai di grande aiuto anche da qui, non temere!-

I due si danno un frettoloso abbraccio, corredato di pacche sulle spalle e Nick fa un passo indietro.

Camille si affianca a Jason e iniziano a camminare, ed io li seguo ad un passo di distanza.

Senza poterne fare a meno mi volto, e vedo Robert e Finn che mi osservano allontanarmi e il capofazione solleva il mento verso di me, come in un saluto.

Poco distante c’è Amber che li sta raggiungendo, lei non si accorge che la sto guardando, ma io continuo a fissarla anche mentre cammino, torcendo il collo.

Ultimamente sono pessimista e in preda a crisi emotive, e so che non devo più fidarmi di quello che provo, eppure quello che sento è un profondo malessere. Mi sembra di avere un terribile presentimento e, mentre guardo mia sorella, la vocina nella mia testa mi sussurra che questo è un addio.

Probabilmente non la rivedrò mai più, e temo che sia perché il mio corpo sa che sto andando incontro alla mia fine. I ribelli mi faranno a pezzi quando sapranno che sono la ragazza di Eric e che, di fatto, sto andando lì per chiedere che gli risparmino la vita.

Dovrebbe essere un nuovo inizio, è magari lo sarà.

Ma, al momento, mentre mi sembra di star lasciando per sempre mia sorella, mi sembra che sarà solo l’inizio della fine.

La mia fine.

 

-Ormai è quasi mezzo giorno, tra poco andranno via!- Afferma Jason, tornando ad accucciarsi per terra.

Io sono seduta contro il muro di fronte e lui e Camille, e cerco di fingere di non esserci. Ho le mani appoggiate sulle ginocchia e conto mentalmente fino sessanta e, ogni volta che ci arrivo, ricomincio da capo.

Sapevamo che lungo il nostro percorso avremmo incontrato delle difficoltà, tra cui i gruppi di soldati in perlustrazione per le vie della città. Stanno cercando gli Abneganti scomparsi e possibili Divergenti che si stanno ancora nascondendo.

Fortunatamente Jason è riuscito ad avere lo schema dei turni delle ronde e sapeva con precisione dove nasconderci per evitarle.

Superata definitivamente la zona degli Eruditi, abbiamo dovuto aggirare tutto quello che rimane del quartiere degli Abneganti e, prima di gettarci di corsa lungo l’ultimo tratto di strada, ci siamo dovuti riparare in un vecchio edificio abbandonato per evitare di essere avvistati dai soldati in marcia.

Siamo ormai fermi qui da ben ventiquattro minuti, li ho contati tutti, ed ogni altro istante che passa è insopportabile. Ma Jason aveva ragione, il gruppo di ricognizione sarebbe passato all’ora prestabilita e noi dovevamo occultarci. Non potevamo certo gironzolare in bella vista.

-Cosa succede se ci vedono?- Domanda Camille, in un sussurro.

Jason sporge la testa oltre la finestra scardinata sopra la sua testa e conta con lo sguardo gli Intrepidi che riesce a vedere, muovendo le labbra ad ogni numero.

Cinque. Ci sono cinque soldati che eseguono fedelmente gli ordini di Max.

E non sono nostri amici.

Jason torna giù e colpisce con un pugno la parete dietro di lui. -Non potremmo permettere che ritornino alla base ad informare Max!-

Camille devia lo sguardo, stringendo le palpebre quando prende un profondo respiro.

Rimango in silenzio e seguo anch’io le figure nemiche, interamente vestite di nero e blu, che si aggirano poco distante da noi. Avrebbero dovuto essere i miei compagni di fazione, sarebbero dovuti essere i miei colleghi, avrei dovuto condividere con qualcuno di loro lo stesso tavolo a mensa.

E invece sono pedine che si muovono sotto di Max che tira i fili, ma non ci è dato sapere se anche loro vorrebbero ribellarsi alla sua folle tirannia.

Potrebbero essere Intrepidi assetati di sangue e guerra, che non desiderano altro che mettersi in mostra consegnando Divergenti e trasgressori a Jeanine. Oppure potrebbero essere al suo servizio solo per paura, e perché magari non hanno avuto contatti con Finn e non sanno che non sono gli unici a pensarla diversamente.

Questo dubbio e l’unica cosa che mi tormenta perché, per quanto l’idea di uccidere qualcuno mi faccia contorcere lo stomaco, sono stanca di starmene buona e zitta. Voglio correre da Eric, sta passando troppo tempo, e sono stanca di sopportare tutti gli assassini che incontro nascondendo la testa sotto la sabbia.

-Stanno andando via!- Dichiara Jason, dopo un’ultima occhiata alla strada principale.

Tiro un sospiro di sollievo e striscio sulle ginocchia per sollevarmi cautamente senza rischiare di farmi vedere da oltre la finestra.

Camille mi supera e la seguo fuori, con Jason che ci fa strada e ci indica di correre sul retro del vecchio edificio in cui ci siamo nascosti. Fuggiamo rapidi e silenziosi, aggirando i resti delle strutture per evitare di esporci troppo e saltiamo oltre la linea dei binati che attraversa la zona.

Stiamo per superare un cancello grande tanto quando è arrugginito, sistemato fra due colonne di solito cemento, ma Jason ci ferma. Ci indica una telecamera nascosta e ci fa aggirare il muro per poi intrufolarci da un buco che funge da passaggio secondario.

Quando capisco dove ci troviamo, il mio cuore ha un forte sussulto, l’adrenalina mi sale in gola e i brividi che provo lungo le braccia mi scuotono, tanto che tossicchio in cerca di ossigeno.

Siamo finalmente arrivati nella zona delimitata dei Candidi, se sollevo gli occhi posso scorgere lo Spietato Generale, ovvero la loro sede operativa principale, e attorno a noi ci sono già le prime abitazioni ordinate. Per arrivare fino a qui abbiamo strisciato come ombre, evitato treni e telecamere e ci siamo nascosti a ogni passaggio delle guardie, ma alla fine ci siamo.

Non ci troviamo più tra i cunicoli abbandonati della città, ma siamo chiaramente giunti in uno dei settori dedicato a una delle cinque fazioni. I Candidi hanno case comode e tutte rivolte ad est, con finestre da cui si intravedono le bianche tende interne.

Sto per fare un passo avanti, quando una mano di Jason mi afferra per un braccio e mi trattiene.

-Aspetta, dobbiamo chiarire alcune cose.-

Osservo Jason, infastidita, e tolgo il braccio dalla sua presa.

-Di cosa?-

Jason si scambia uno sguardo con Camille e lei gli fa un cenno d’incoraggiamento.

Non ho parlato con loro per tutto il tragitto, ma li ho visti scambiarsi informazioni mentre organizzavano gli ultimi dettagli.

-So che sei sconvolta e che vuoi subito salvare Eric,- Inizia. -Ma devi mantenere i nervi saldi e promettermi che non fari niente di avventato.-

Osservo lui e la sua ragazza e, in questo momento, non riesco più a provare affetto per loro.

-Non farò assolutamente niente e lascerò parlare te, ovviamente. Non sono una stupida!- Scandisco.

Jason apre e richiude la bocca, come se stesse per dire qualcosa prima di cambiare idea.

Vedo Camille che lo osserva, ma non guarda mai me, neppure per sbaglio.

So di aver praticamente, e senza neanche troppi giri, accusato Jason di essere un doppiogiochista, e so anche che non gli è ancora passata. In un colpo solo ha scoperto il tradimento del fratello ed è stato accusato di essere in combutta con lui, anche se era allo scuro dei suoi piani.

Jason è il migliore amico di Eric, magari voleva che mi fidassi di lui cecamente, ma non è forse quello che ho fatto?  

Sarò anche partita all’attacco, ma gli ho soltanto chiesto del suo tatuaggio, per poi schierarmi subito dalla sua parte e dargli fiducia anche se Finn era contrario.

Mi dispiace che si sia creata questa situazione e, a mente fredda, capisco anche che ho ingigantito la faccenda solo per paura. Avrei dovuto escludere a priori l’idea di un suo possibile coinvolgimento nella mia aggressione.

Eppure, mentre guardo gli occhi di Camille posarsi con accondiscendenza su di me, come se il mio gesto fosse stato troppo stupido e per questo da compatire, non posso fare a meno di pensare che rifarei esattamente quello che ho fatto.

Ero sola, e dovevo riportare a casa Eric tutto intero. Nemmeno adesso mi fido veramente di qualcuno. Ho solo me stessa.

-Quello che voglio dire,- riprende Jason. -È che ho bisogno che ti fidi di me.-

Le sue parole mi lasciano senza fiato.

-Mi fido di te!- Gli rispondo. -E te l’ho anche dimostrato!-

Se non avessi creduto alla sua spiegazione, non sarei certo venuta fin qui con lui!

-Perché le cose potrebbero non andare come vogliamo, ma devi sapere che farò di tutto per Eric.-

Ascolto la sua spiegazione e devio lo sguardo, anche se non capisco esattamente per cosa io mi senta in colpa.

-Non essere pessimista!- Lo riprende Camille, accarezzandogli una guancia. -Siamo arrivati fino a qui e sappiamo che Eric è ancora vivo.-  

Mi giro di spalle e riprendo a camminare prima che qualcosa mi faccia soffocare, anche se forse è troppo tardi perché sento già una morsa spiacevole allo stomaco. Non è il momento di calcolare le possibilità di riuscita, non voglio neanche credere di aver fatto tutta questa strada per niente.

Ho anche messo in pericolo Robert, Amber, Finn e Nick, che sono rimasti dagli Eruditi e copriranno le nostre tracce. So che potremmo venire uccisi e sono consapevole del fatto che per Eric potrebbe essere semplicemente troppo tardi.

Ma, vivo o morto che sia, sono arrivata fino a qui per lui e non mi tirerò indietro.

Ricaccio indietro le lacrime e sopprimo i brividi che mi scuotono, metto le mani nelle tasche della giacca e scelgo un sentiero secondario, piuttosto che la strada principale.

Sento Jason e Camille dietro di me e capisco che stiamo andando dalla parte giusta. Per le viuzze non ci sono Intrepidi, e i pochi Candidi che scorgiamo o non si accorgono di noi, o fingono di non vederci. Forse si sono abituati alla presenza di Intrepidi nel loro quartiere.

Sento i battiti del mio cuore accelerare e inizialmente non ne capisco la ragione, poi alzo lo sguardo e mi accorgo di essere esattamente davanti allo Spietato Generale.

Solo un sentiero di mattoni di marmo ci divide dalla scalinata e dall’imponente porta e vetri.

-Cosa facciamo?-

La voce di Camille alle mie spalle non basta a distrarmi, il cuore pulsa contro il mio petto e le mani mi tremano dentro le tasche. Ho gli occhi incollati sulla vetrata, ma i vetri sono oscurati e non vedo l’interno.

Fuori, un ragazzino vestito di nero esattamente come noi, ci guarda strabuzzando gli occhi e corre dentro urlando qualcosa che non capisco.

Jason cerca di controllare il proprio nervosismo con un sospiro ma, quando mi affianca e mi volto per osservarlo, vedo come freme.

-Niente! Non facciamo niente, entriamo e basta!-

Camille fa un cenno. -Collaboriamo se ci chiedono di consegnare le armi?-

Jason solleva il mento e si risistema la giacca sul petto, allungando poi la mano verso la sua gamba come a volersi accertare di aver ancora la sua pistola. -Non abbiamo atra scelta.-

E, quando penso che il mio corpo si sia paralizzato, le mie gambe si muovono da sole e avanzo senza indugio verso le scale. Sento che mi seguono come un’ombra, saliamo le scale e, a ogni singolo scalino, il mio cuore salta un battito ma non ho più paura.

Non sento più niente.

Sono io stessa a spingere e ad aprire la porta dello Spietato Generale, e Jason e Camille entrano prontamente con me. Il profumo di pulito e disinfettante mi invade le narici, siamo arrivati in una sala d’attesa ambia e ordinata.

Ho giusto il tempo di accorgermi del mosaico sul pavimento che raffigura la bilancia dei Candidi quando, improvvisamente, l’ordine e il bianco della sala lasciano il posto a una massa scura che si avventa su di noi.

Sento Camille urlare e Jason invitare qualcuno alla calma, spiegando che vogliamo solo parlare, ma credo che sia inutile.

Due forti mani mi afferrano i polsi e mi spingono a terra, urto violentemente con le ginocchia sulle piastrelle e vedo Camille finire giù al mio fianco.

Un gruppo di Intrepidi si piazza danti a noi, due uomini tengono ferme me e Camille, e Jason continua a inveire contro qualcuno, sperando di farsi ascoltare.

Ma un brivido mi gela la schiena e mi chiedo perché si stia agitando tanto, quando è chiaro come il sole che siamo arrivati alla fine senza passare da un inizio. Non abbiamo più speranza, sollevo lo sguardo e mi accorgo della luccicante canna del fucile puntata esattamente contro la mia testa. Sento solo il battito frenetico del mio cuore e il vociare confuso attorno a me, così lascio che le mie palpebre si chiudano e chino la testa in avanti.

Perché deve essere questa la fine?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

 

 

 

Scusatemi per il ritardo e, se volete farmi sapere le vostre impressioni su questo capitolo, lasciatemi pure un commento.

Per il resto non voglio aggiungere altro, ci vediamo alla seconda parte di questo aggiornamento.

Baci!

 

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Capitolo 43
*** L'inizio della fine (parte 2°) ***


43. L’inizio della fine (Parte 2°)

 

 

 

 

 

 

 

 

Perché deve essere questa la fine?

 

-Siamo qui solo per parlare. Chi è il vostro capo, adesso?-

La voce di Jason potrebbe anche apparire calma, immutata, ma colgo il leggero accento acuto che mette alla fine di ogni parola.

Tengo le palpebre serrate e il capo chino, anche quando l’uomo che mi tiene ferma mi lascia le braccia, ma rimane comunque in piedi al mio fianco.

-Noi non trattiamo con i traditori come te!- Scandisce qualcuno, con un tale grado di disgusto nella voce che quasi si soffoca parlando.

Scuoto la testa e appoggio i palmi delle mani sulle piastrelle fresche, ancora ad occhi chiusi. I battiti del mio cuore sono sempre più insistenti e assordanti per me. Gli Intrepidi attorno a noi non sono tanti, ma parlottano fra loro, alcuni urlano. Qualcuno grida che sono arrivati dei traditori, scarponi calpestano pesantemente il pavimento ma, il suono peggiore di tutti, è lo scatto di un’arma che viene caricata.

Apro per un mezzo istante le palpebre ma me ne pento subito.

-Non stiamo dalla parte degli Eruditi! Vogliamo aiutarvi, fateci solo spiegare!- Insiste Jason.

Il mal rovescio che lo colpisce alla mandibola gli fa piegare la testa e perdere quasi l’equilibrio e il suono secco che produce contro la sua pelle fa sussultare Camille.

Torno a serrare con forza le palpebre, ma lo squittio della mia amica basta a farmi avvertire una morsa allo stomaco.

-Che diritto hai tu di parlare?- Abbaia una voce rauca. -Sei uno dei tirapiedi di Eric, pensi che non ti abbia riconosciuto?-

-I vecchi capifazione sono degli assassini e ci hanno traditi tutti!- Urla un altro uomo.

Premo con più forza i palmi sulle piastrelle e mi impongo di aprire gli occhi. Fingere di non esserci non mi allontanerà da questo posto, e non sono arrivata fino a qui per sopportare.

Non so cosa mi sia successo di preciso, forse è questa aria che mi soffoca come un veleno, forse so che Eric è qui e il pericolo che percepisco per lui e per me è troppo pesante e mi sono lasciata schiacciare.

Sono ad un passo da lui, deve essere qui per forza eppure non riesco a raggiungerlo. Sapevo che sarebbe stato difficile, ma ho un fucile puntato contro e Jason non viene neanche ascoltato.

Non ci è concessa neppure una possibilità.

E non mi serve essere nata e cresciuta dagli Eruditi per essere in grado di capire preventivamente che, di questo passo, non otterremo nessun miglioramento. Mi sento sconfitta, furiosa e spaventata e respiro pesantemente.

-Disarmateli!- Ordina l’Intrepido che sembra a capo degli altri.

Jason e Camille allargano le braccia e due uomini li raggiungono e li perquisiscono, privandoli subito della pistola che entrambi hanno infilata nella fondina, in bella vista legata alla coscia.

Non vengo risparmiata e un ragazzo più giovane mi solleva appena le spalle e si impossessa anche della mia pistola, mi tasta i fianchi e le tasche del giubbotto senza trovare nulla. Poi scende lungo la mia gamba e astrae a colpo sicuro il coltello dentro al mio stivale destro.

Mentre mi spinge via, la mia attenzione viene catturata da un’ immagine riflessa nel bianco del mosaico sulle piastrelle che raffigura la bilancia dei Candidi. La cosa curiosa è che la figura è perfettamente delineata, riesco a vederla con precisione mentre scivola giù dalle scale con la mano appoggiata al corrimano. Vedo che è una donna Intrepida, il suo passo è incerto e infatti un ragazzo l’aiuta a scendere. Non riconosco i lineamenti del suo viso, il riflesso non è poi così nitido, ma noto i suoi lunghi capelli neri.

Trovo la forza per distogliere lo sguardo solo per sollevare la testa e cercare disperatamente la proprietaria del riflesso. Individuo la rampa di scale davanti a noi e le poche persone che la stanno percorrendo.

Come un fascio di luce che mi attraversa la mente, permettendomi di chiarirmi la situazione, ricordo come se stesse avvenendo in questo istante dentro di me, una discussione che ho ascoltato poco tempo fa.

Ero nella casa che dividevo con Eric, al piano di sopra e fingevo di dormire per non dover parlare con nessuno, ma al piano di sotto i ragazzi discutevano. Finn stava raccontando a mio padre e a Jason del trambusto causato da due fuggiaschi che erano riusciti a farla franca. A quando ha detto il capofazione, una donna Intrepida era stata sorpresa mentre cercava di intrufolarsi nel protettissimo studio di Jeanine. Era riuscita a scappare insieme ad un suo compagno, ma era stata colpita da un proiettile ad una gamba. A sentire Finn, quella non era altro che una prova del disfacimento dell’alleanza con Jeanine e che non eravamo gli unici a volerla fermare. Si era anche rammaricato per non essere riuscito a entrare in contatto con quella donna, visto che era pronto a scommettere di potersi fidare del suo aiuto.

Quel giorno, affogata nel dolore per la perdita di Eric, non avevo fatto i giusti collegamenti, ma adesso tutto torna. Io stessa ho avuto modo di conoscere un’Intrepida intenzionata a scoprire i piani segreti di Jeanine, tanto folle da intrufolarsi negli studi privati e riuscire a manomettere i sistemi senza farsi scoprire.

Ed io l’ho aiutata.

Mi tremano le labbra mentre vedo quella stessa Intrepida mettere, con passo tremante, un piede sull’ultimo scalino e farsi largo nell’ampia sala d’ingresso. Ma non sta avanzando verso di noi, si sta facendo scortare da due uomini verso un ascensore laterale.

Fisso la sua schiena e vengo scossa da un fremito, quasi mi muovo meccanicamente verso di lei. Non ci ascolteranno mai, non crederanno alla nostra proposta di alleanza. Ma, se esiste da qualche parte una sola possibilità di successo, lei rappresenta la carta vincente.

-Siamo solo in tre e ci avete disarmato, credi che siamo venuti qui per attaccarvi?-

Le parole di Jason vengono accolte con una risata generale.

Non presto loro attenzione, la donna ha schiacciato l’interruttore dell’ascensore per richiamarlo. Mi manca il fiato tanto sono sopraffatta dalle mie emozioni.

-Tori…- Gemo.

Il soldato vicino a me mi guarda storto. -Che hai detto?-

Vedo le porte dell’ascensore aprirsi e l’uomo che l’accompagna entrare nella cabina argentata e non posso permettermi di lasciarmi andare proprio adesso.

-TORI!- Urlo con tutto il fiato che ho in corpo.

La testa di Jason scatta verso di me, ed io sgomito contro l’Intrepido che cerca di afferrarmi e mi alzo in piedi. Urto contro il suo braccio che mi si stende davanti alle costole, mi smorza il respiro ma allungo una verso di Tori nella speranza che mi veda.

Tori si ferma sul colpo, si volta e cerca di capire chi abbia chiamato il suo nome, ma il gruppo che ci blocca cattura per primo la sua attenzione.

Riapro la bocca per chiamarla ma l’uomo che mi tiene mi spintona nuovamente per terra e l’urto con il suolo mi stordisce. Batto più volte le palpebre per recuperare la concentrazione e vedo Tori scrollare le spalle, come se si fosse sbagliata, e voltarsi per entrare nell’ascensore.

Sono stordita e in debito d’ossigeno ma non posso arrendermi. Così, invece di scacciarlo, mi aggrappo ai vestiti dell’uomo che mi sorveglia e mi rimetto in piedi.

-TORI!- urlo ancora, facendomi largo affinché mi veda.

E, questa volta, quando lei si volta, i suoi occhi incrociano i miei.

La vedo scuotere la testa, confusa, e stendere una mano contro l’uomo che l’affianca per zittirlo, quando lui le dice qualcosa. A quel punto Tori cerca di raggiungerci ma zoppica visibilmente e qualcuno l’affianca per aiutarla a camminare.

A quanto pare è vero che le hanno sparato e, lontana dalle cure e dalle attrezzature degli Eruditi, temo che la sua ferita non sia stata trattata adeguatamente.

Il soldato accanto a me non perde tempo, rinunciando all’ipotesi di mettermi ancora in ginocchio, mi afferra le braccia e me le immobilizza dietro la schiena. Mi mordo il labbro per non lamentarmi e tengo gli occhi fissi su Tori che avanza continuando a ricambiare il mio sguardo.

So che Jason mi sta guardando e non credo comprenda la situazione.

-Che accidenti ci fa tu qui?- Mi attacca Tori.

Il suo sguardo è alterato e violento ma cerco di non pensarci e, mentre respiro profondamente per sopprimere la paura, trovo la forza di muovere le labbra.

-Vogliamo solo parlare!-

-Chi credi di essere?- Interviene un uomo, puntandomi contro la sua pistola sicuramente carica.

Li guardo tremante per un attimo e, per cautela, mi immobilizzo.

-Devi almeno ascoltarci….- Provo.

-Perché?- Mi chiede Tori, studiandomi da capo a piede con diffidenza.

A quel punto, dopo essersi ripreso dallo shock iniziale, Jason arriva in mio soccorso.

-Ti chiedo solo di lasciarci parlare con un vostro rappresentante.- 

Tori solleva il mento. -Ne hai una davanti, adesso!-

Tiro un sospiro di sollievo, incapace di nascondere il sorriso speranzoso che mi solleva le labbra.

-Siamo venuti fin qui, rischiando le nostre vite, per proporvi un’alleanza!-

Alle parole di Jason, Tori strabuzza gli occhi e lo osserva come se fosse impazzito. Tra gli altri Intrepidi attorno a noi si leva l’ennesima risatina.

-Non tutti gli Intrepidi che si sono spostati dagli Eruditi sono fedeli a Max. In molti si sono stancati di Jeanine e vogliono provare a combatterla. Ma non possiamo fare nulla da soli, ed è per questo che sono venuto a offriti il nostro aiuto!-

Tori fa una smorfia. -E perché mai dovrei volerlo?-

Jason abbassa per un attimo la testa e nasconde un ghignetto soddisfatto. -Perché possiamo accedere alla scorta di armi di Max e perché abbiamo uomini infiltrati fra gli Eruditi che possono farci entrare nella loro sede operativa e combattere per noi!-

Un silenzio teso crolla addosso a tutti i presenti, persino Tori impiega qualche secondo in più prima di replicare.

Osservo Jason e so perfettamente che non avremmo potuto chiedere di più di questo. Il nostro obbiettivo era farci almeno ascoltare e proporre il nostro aiuto. Il resto è affidato al destino.

-Non mi stai convincendo.- Esclama Tori, sorreggendosi al ragazzo che l’affianca. -Perché mai dovreste tradire Max, dato che è lui che comanda adesso?-

-Già!- Asserisce l’Intrepido davanti a Jason.

È lui che ha diretto la situazione da quando abbiamo varcato la porta e credo sempre di più che sia un comandante. Ha solo mezza testa rasata e il labbro pieno di piercing, deve essere poco più grande di Jason ma sa come farsi rispettare.

Mi spaventa, credo che ci ostacolerà in tutti i modi, eppure come posso biasimarlo?

-Pensate di essere gli unici ad esservi accorti che Jeanine è totalmente fuori controllo? Max non è più il nostro capo, obbedisce a quella donna, e questa citta merita di meglio. È nostro dovere fermare quei pazzi e, l’unico modo che abbiamo per riuscirci, è unire le forze!- Chiarisce Jason.

Lo guardo, in piedi alla mia destra, e mi sento più tranquilla ora che anche lui ha recuperato il suo freddo autocontrollo e riesce a farsi ascoltare con precisione. Osservo anche Camille, alla mia sinistra, e vedo che è meno agitata anche se resta allerta.

Ma, nonostante i nostri buoni propostiti, Tori non è soddisfatta.

Scuote la testa e osserva Jason con disgusto. -Tante belle parole le tue, ma sai quante ne ho sentite?-

Qualcosa scatta nella mia testa, non so perché mi succeda, ma mi sento come quando ero appena arrivata fra gli Intrepidi. Sento che se non urlo e se non faccio tutto quello che posso per farmi notare, mi schiacceranno.

-Pensi che siate voi gli unici eroi?- Strillo contro Tori. -Non puoi provare almeno ad immaginare che anche qualcun altro si sia accorto dello schifo che c’è lì fuori e delle morti assurde che ci sono state? Vogliamo fermare quel mostro di Jeanine esattamente quanto lo vuoi tu!-

-Stai zitta, traditrice!- Ringhia contro di me l’uomo con mezza testa rasata. -Sei stata fino ad adesso fra gli Eruditi, non meriti di aprire bocca!-

Ciò che mi fa veramente male è quel velo di verità nell’accusa che mi è stata mossa contro.

-Almeno ho abbastanza cervello per capire che dobbiamo unire le forze se vogliamo vincere! La nostra priorità deve essere fermare il nostro nemico comune, non conta altro!- Gli rispondo. -Tu continua pure a giocare a fare il duro con un fucile puntato contro una ragazza, codardo!-

L’uomo mi lancia un’occhiata furibonda e solleva l’arma per mirare alla mia fronte, ma rimane al suo posto. L’Intrepido che mi tiene ferme le braccia dietro la schiena mi strattona, serrando la presa ed io sussulto per il dolore ma serro le labbra e gli occhi per non fiatare.

-Okay, fermi tutti!- Riprende Tori, allargando le braccia. -Fingiamo per un attimo che io vi creda, che sicurezze avete dall’altra parte?-

Jason prende un profondo respiro e, con calma, si libera del soldato che gli teneva ferma una spalla. -Finn è con noi!-

Basta questa sua dichiarazione per bloccare per un istante il tempo. Tutti ammutoliscono, poco dopo si solleva un mormorio generale, ma non di dissenso. Dalle espressioni che ho davanti, direi che sono tutti sorpresi. È evidente che Finn era un capofazione indiscusso.

-Lui è Robert hanno la fiducia di tutti gli alleati che abbiamo dall’altra parte, hanno le chiavi del cavò dove tengono le armi. Prepareranno insieme un piano e attaccheranno dall’interno quando sarà il momento, fermando gli uomini di Max anche prima che riescano a capire cosa succede!-

Tori abbassa per un attimo lo sguardo, riflette mentre solleva un piede e si sorregge maggiormente al ragazzo accanto a lei. Subito dopo, anche se non capisco cosa le passi per la testa, solleva lo sguardo su di me.

-E siete venuti fin qui, rischiando di farvi scoprire da Max che avrebbe potuto accusarvi di tradimento, solo per offrirci il vostro aiuto?- Chiede Tori.

Capisco subito che sta insinuando qualcosa, ma Jason parla per primo, attirando la sua attenzione.

-Vogliamo fermare Jeanine, la donna che ha distrutto un’intera fazione e che sta per distruggere anche tutta la citta. Pensi che non sia sufficiente?-

Ma Tori continua a fissarmi e qualcosa nella sua espressione gelida non mi torna. -E a trattare con noi, Finn manda proprio voi?-

Finalmente comprendo qual è il suo problema, mentre un brivido freddo mi attraversa. Lei sa in che rapporti siamo con Eric.

Non si fiderà mai di noi. E l’ho capito solo adesso.

Credo che anche Jason abbia colto il messaggio, ma non si da per vinto. -Per quanto assurdo possa sembrare, Finn non è l’unico capofazione Intrepido a esseri opposto apertamente a Jeanine. I ribelli rimasti dagli Eruditi lo sanno e accetteranno di farsi guidare solo da lui e da Eric.-

Lo sguardo di Tori scatta su Jason con letale cattiveria, solleva le braccia e trattiene una risata amara.

-Lo sapevo!- Dice. -Siete venuti per lui!-

Gli animi si scaldano all’instante come se fosse scoppiato un incendio nella stanza, l’uomo che mi tiene mi trascina più distante da Jason e le armi puntate contro di noi sembrano raddoppiare.

Jason scatta in avanti e si affretta a replicare. -Ti chiedo solo di lasciarlo in custodia a noi!-

L’Intrepido rasato gli arriva davanti e lo spinge di nuovo al suo posto. -Per cosa? Per riportarlo con voi e rimetterlo a fare il cagnolino di Jeanine?-

-Nessuno di noi tornerà dagli Eruditi!- Precisa Jason, tendando di sfuggire alla presa dell’uomo dietro di lui. -Staremo qui con voi e lotteremo al vostro fianco quando sarà il momento di attaccare!-

Mi volto verso Camille, lei mi guarda e i suoi occhi lucidi mi fanno contorcere lo stomaco. Ha l’espressione affranta e mi fa di no con la testa, come a voler confermare i miei peggiori timori.

Abbiamo fallito.

-Bella idea, ci avete provato!- Dice Tori. -Ma noi non ci alleiamo ad un criminale. Eric è stato dichiarato colpevole e condannato a morte!-

Senza che io possa in alcun modo impedirlo, mi cedono le ginocchia e resto in piedi solo perché il soldato mi sorregge.

Tori coglie il mio turbamento e mi riserva una fredda occhiata. -Siete arrivati tardi, sta per essere giustiziato!-

Le sue parole sono una lama accesa dal fuoco, che mi infligge piccoli tagli e mi tortura fino alla morte.

-Non me ne faccio nulla di voi ma, se volete restare a combattere con noi, fate come volete.- Aggiunge Tori, rivolta a Jason.

Ma lui non vuole accettare e arrendersi, spinge l’uomo rasato e cerca di raggiungere Tori che si sta allontanando.

-No!- urla Jason. -Aspetta!-

Ma due uomini lo bloccano, uno gli sferra un colpo allo stomaco che lo fa finire per terra. Camille urla. Tori si volta per un solo istante, guarda con superficialità quello che sta succedendo e poi si rivolge a me, puntandomi un dito contro.

-E sappi che se non vi faccio uccidere subito, è solo perché ti devo un favore!-

Guardo come ipnotizzata le sue labbra, seguo impotente la chioma corvina di Tori che ondeggia attorno alle sue guance pallide quando lei volta la testa per andarsene. Vedo i movimenti degli altri a rallentatore e le urla e le parole sono ovattate e, ora che tutto sembra finito, mi risveglio. Senza che io comprenda cosa accidenti combini il mio copro, proprio ora che dovrei arrendermi, sento che non posso farle altro che lottare con maggior vigore.

Sento quasi un bruciore, immaginario ma non per questo meno intenso, all’altezza del petto e mi ricordo della chiavetta che ho accuratamente nascosto nella tasca interna della giacca.

Mio padre aveva ragione, questi Intrepidi ribelli hanno troppa rabbia e paura per fidarsi della guardia personale di Eric. E, per quanto l’idea di un’alleanza potrebbe scuoterli, non acconsentiranno senza prove tangibili.

Ed era proprio per questo che mio padre ha rischiato anche la sua vita per farmi avere una copia dei file più segreti e riservati di Jeanine. In molti sarebbero morti per accedere a questi segreti, ma solo io possiedo una chiavetta di memoria che può svelare gli oscuri retroscena che hanno spinto Jeanine ad uccidere gli Abneganti e a mettere sotto simulazione gli Intrepidi.

E Tori non desiderava altro che scoprire la verità.

Ma nella chiavetta c’è anche l’unico modo che ho per scagionare Eric, visto che un capofazione non può essere condannato per una scelta che ha preso nell’esercizio delle sue funzioni, quando ha solo fatto una scelta per proteggere la citta.

Si può non essere d’accordo con lui, ma non ucciderlo.

-Mi devi molto di più che un favore!- Grido contro di lei, tirando contro il soldato che mi trattiene. Tori si ferma, si volta e fa una risatina soffiando con il naso. -Cosa?-

Anche il resto degli uomini che stavano tentando di portarci via si fermano e ci permettono di parlare ancora con Tori.

Tremo convulsamente e non so se sia la paura o la furia.

Assottiglio lo sguardo e cerco le parole giuste. -Se Eric mi avesse scoperta, o se Jeanine in persona avesse saputo che vi ho aiutati e coperti, di certo non sarei qui tutta intera!-

Tori fa spallucce. -Bè, alla fine siamo stati scoperti!-

-Non per causa mia!-

Riflette per un attimo e mi studia in silenzio.

-Ti ho dato la mia fiducia e ti ho dimostrato che sono contro Jeanine, come te.- Sollevo le mani in segno di resa e ne riabbasso solo una. -Ti chiedo di darmi la tua, e di accettare un dono che ho portato per te.-

Mi porto una mano al petto dove, sotto stradi di tessuto, nascondo un oggetto preziosissimo e aspetto che Tori dia il via libera ai suoi uomini, prima di abbassare leggermente la cerniera del giubbotto ed infilare la mano per estrarre la chiavetta dalla tasca interna, senza che mi sparino addosso.

-Hai rischiato la tua vita, intrufolandoti di nascosto prima nell’ufficio di mia sorella per poi arrampicarti fino a quello di Jeanine. Ti sei fatta perfino sparare e tutto questo solo per scoprire la verità.- Inizio, parlando con calma e mostrandole la chiavetta metallizzata nel palmo della mia mano. -Ed è esattamente questo che ti offro: La verità! Qui dentro ci sono i segreti di Jeanine e potrai scoprire perché i nostri capifazione hanno accettato una simulazione di massa contro gli Abneganti!-

Tutti gli occhi dei presenti saettano freneticamente da me a Tori, per poi fissare con dubbio la chiavetta di memoria che esibisco. Ma, in particolare, Jason e Camille mi osservano e sembrano quasi spaventati.

L’unica reazione che mi importa è quella di Tori e, visto che osserva la mia mano senza decidersi, aumento la dose.

-Ti do la possibilità di capire perché tanti Divergenti sono morti!-

Alle mie parole, qualcosa in Tori cambia e nel suo sguardo si accende una luce nuova e profonda. Punta i suoi occhi nei miei e il suo labbro inferiore trema, poi fissa la chiavetta e sembra in preda a mille tormenti.

Non comprendo il suo sbalzo emotivo, ma temo che abbia testato sulla sua pelle la gravità delle troppe morti che ci sono state tra i Divergenti. E non parlo solo di quelle avvenute dopo la guerra, ma di quelle che c’erano prima. Eric mi ha detto della fine che hanno fatto, per anni, i Divergenti che osavano scegliere gli Intrepidi, illudendosi di trovare in loro una nuova famiglia.

Forse mi sbaglio, ma Tori mi sembra improvvisamente troppo coinvolta.

-È tutto qui dentro.- Insisto cautamente. -Ti chiedo solo di guardare questi file e scoprire cosa ha spinto Eric e gli altri capifazione ad agire in quel modo.-

Non ho ancora abbassato il braccio e, mentre gli Intrepidi guardano lei, Tori continua a studiare la chiavetta.

Serro il pugno libero e mi impongo di essere coraggiosa.

Per un attimo vedo la mano di Tori sollevarsi come in un guizzo involontario che manifesta la sua voglia di accettare, e so che non vede l’ora di mettere le mani sui file in mio possesso. Eppure, contro ogni ragione e logica, Tori richiama il braccio lungo il suo fianco e serra le labbra.

-Non ho tempo da perdere, vuoi solo ingannarmi!- Sentenzia senza tanti giri di parole.

Impallidisco, scuoto la testa e cerco di salvare il salvabile.

-E in che modo? Siamo qui, vostri prigionieri e non vogliamo scappare!-

Ma Tori non mi guarda già più, ma non voglio abbassare il braccio. Anzi, le agito la chiavetta davanti e continuo a provare.

-Hai la mia parola!- Affermo, convinta. -Torva un computer e apri questi dati. Ti chiedo solo cinque minuti del tuo tempo in cambio della verità che tutti vorrebbero conoscere!-

La smorfia di Tori aumenta e fa un gesto di rifiuto con la mano.

-Portateli via!-

Al suo ordine, il soldato che mi trattiene mi afferra dalle spalle e mi spinge malamente via. Jason viene preso da due uomini che lo immobilizzano e cercano di allontanarlo e anche Camille riceve lo stesso trattamento.

Sento che non ho più le forze, che tutto sta andando in frantumi ma la paura è così opprimente che devo combatterla in ogni modo possibile. Ho perso lucidità e, ora che ci penso, non mi dispiace. Cerco di piantare i piedi per terra e mi aggrappo al braccio dell’uomo che mi immobilizza, provando ad oppormi.

-Sai che ti dico? Uccidilo! Condanna Eric se pensi che ti farà stare meglio!- Grido contro la schiena di Tori. -Ma domandati se vale la pena rinunciare alla verità che ti sto offrendo, quando quello che ti chiedo sono solo pochi minuti del tuo tempo!-

Tori, per la seconda volta, si ferma ma continua a darmi le spalle.

Il soldato rafforza la presa, mi ingabbia con le sue braccia e mi solleva da terra. Urlo e scalcio, ma non sono abbastanza forte. Jason è ormai lontano e anche io sto per essere portata chissà dove.

Disperatamente, con la vista appannata, scorgo Tori che sta tornando indietro e sta cercando di raggiungermi. Cammina a fatica, ma mi si avvicina senza bisogno di aiuto.

Il soldato che mi tiene se ne accorge e si ferma, rimettendomi a terra ma senza lasciarmi andare.

Però ho ancora la chiavetta stretta in mano e il braccio libero, così lo tendo verso di lei.

-Non permettere che muoia altra gente innocente!-

So di aver scelto le parole giuste e, sotto il mio sguardo speranzoso, in un gesto rapido e distaccato, Tori mi strappa senza troppa gentilezza la chiavetta di mano.

Ed è come se fossi magicamente tornata al mondo solo adesso, come se avessi tenuto per tutto il tempo la testa sotto l’acqua ghiacciata.

Vengo sollevata di peso da terra e portata via, ma non mi oppongo, guardo incantata Tori che si allontana e mi sento inondata da una scarica di adrenalina.

C’è l’ho fatta.

Ci portano in una piccola stanzetta tutta bianca con delle panche dello stesso colore, ci spingono dentro e chiudono la porta dietro di noi. Sento la serratura che viene fatta scattare e respiro un’abbondante boccata d’ossigeno.

Sono improvvisamente immune a tutto, mi passo le mani dietro la nuca e chiudo gli occhi, bloccando fuori dalla mia testa Jason che continua a chiamarmi e mi chiede spiegazioni. Conto ogni respiro che faccio, percorro avanti e indietro la stretta sala e mi ricordo di respirare. Apro e chiudo i pugni, cammino, mi siedo per terra e poi mi rialzo per ricominciare a contare i passi che faccio in cerchio e poi mi risiedo.

Sento Jason e Camille parlare, lui dice che abbiamo fatto tutto quello che potevamo e che forse ci ascolteranno. Non parlano di Eric, non lo nominano neanche e a me va bene così. Non posso permettermi di pensare a lui adesso e perdere quel poco di testa che ancora gestisco.

Mi lascio cadere lungo la porta, solida e fredda, e aspetto.          

 

E aspettiamo per così tanto tempo che inizio a perdere coscienza.

Aspettiamo fino a quando non sento i cardini stridere e mi sposto e mi alzo in fretta, prima che la porta si apra.

Rimango paralizzata al centro della stanza, Jason e Camille mi affiancano e davanti a noi abbiamo tre uomini Intrepidi. Uno di loro ha lunghi capelli castani e un tatuaggio sullo zigomo.

-Prendeteli!- ordina.

Gli altri due si avventano su me e Camille e ci afferrano dalle braccia.

-Dov’è Eric?- Pretende di sapere Jason.

Il mio cuore si blocca insieme e me, mentre guardo l’uomo davanti a noi scambiarsi uno sguardo soddisfatto con i suoi colleghi.

-Siete arrivati tardi!- Risponde.

Jason urla come un animale in gabbia e Camille e scoppia a piangere.

Ed io dovrei fare come loro, ma non ci riesco. Tutto crolla, tutto si spegne e muore lentamente.

Ricordo le parole di una mia insegnate di psicologia, a scuola, spiegare quanto la mente potesse influire sulle funzioni del copro. Non importa essere in salute, se crolliamo in uno stato di depressione e ci lasciamo andare, le forze ci abbandonano e tutto svanisce.

Semplicemente, se decidiamo che è finita, finisce davvero.

Conosco gli stadi del decadimento e sto iniziando ad attraversarli uno per uno troppo in fretta.

Indebolimento, perdita del controllo sugli arti inferiori e superiori, vertigini, brividi di freddo, dolore pulsante al fianco, vista appannata, offuscamento dei pensieri.

E, per ultimo ma più potente, dolore pungente al petto e relativo senso di soffocamento.

È straziante.

È l’inizio della fine.

Dovrei rimanere cosciente e rendermi conto di quello che sta accadendo, ma sono stata inghiottita da un baratro profondo e non sono più consapevole di nulla. Osservo quello che succede senza darvi peso. Credo che mi abbiano preso in braccio, i mie piedi non toccano terra mentre attraversiamo ancora l’ingresso, che è deserto. Jason urla, vuole spiegazione e Camille non controlla i singhiozzii. Usciamo, la luce del sole è forte, chiudo gli occhi e smetto di respirare.

Sono stata una bugiarda e ho mentito a me stessa.

Non era vero che avevo già accettato la morte di Eric. Era falso quando mi dicevo che bastava non pensare a lui per non soffrire la sua assenza. Mentivo quando fingevo di essermi rassegnata e che davo Eric per spacciato.

Dentro di me, aggrappatasi ai tessuti fragili del mio cuore, c’è sempre stata la speranza che fosse ancora vivo e che sarei riuscita a salvarlo. La verità è che non ho mai davvero preso in ipotesi l’idea che non lo avrei mai più rivisto. Se sono rimasta in forze fino ad adesso, se sono riuscita a non perde la ragione, non è stato perché ho saputo lottare.

Speravo di tornare fra le sue braccia e credevo, come una stupida, che avremmo vinto. Credevo che tutto sarebbe andato bene. E sbagliavo. Ho sbagliavo e adesso è finita.

Non ha più senso tenerlo fuori dalla mia testa, non adesso che il suo ricordo è tutto ciò che mi rimane di lui.

Rivedo i suoi occhi fieri puntati su di me dopo che ho vinto il mio primo incontro. Sento il sapore umido e amaro delle sue labbra sulle mie, mentre l’odore acre del poligono ci avvolge. Torno nella sua stanza, sotto le sue lenzuola e con il suo petto caldo sotto la guancia. Sorrido, siamo sotto la doccia e le sue mani sono su di me e percorrono ogni centimetro del mio corpo. Percepisco l’acqua che mi accarezza, avverto il suo odore entrarmi dentro.

È salato, intenso, sa di sudore maschile, di foglie bagnate e aroma di pioggia.

Apro la bocca e respiro profondamente, tossendo quando l’aria torna finalmente nei miei polmoni. Sto piangendo adesso, ma non mi ricordo di avere iniziato.

Mi accorgo che saliamo su un treno fermo e, quando parte, nel vagone ci siamo solo io, Jason, Camille e i tre soldati che ci scortano.

-Dove ci state portando?- Sbraita Jason, con la voce impastata.

Vedo che ha un labbro gonfio e spaccato ma non ho idea di cosa gli sia successo.

-I Candidi ci hanno stancato, Kang vuole collaborare con Jaenine, e noi ce ne torniamo alla nostra residenza!-

-Perché avete ucciso Eric?- Grida Jason. -Era un capofazione, come avete potuto?-

L’uomo che mi tiene in braccio mi deposita in un angolo, addosso alla parete del treno ed io rimango totalmente immobile, con le ginocchia al petto e la testa bassa.

-Te l’ho detto: siete arrivati tardi!- Gli risponde il soldato con il tatuaggio al volto. -Intanto che aspettavamo Tori, il vostro amico era già stato portato al cospetto degli altri nuovi capi. E, visto che tra loro c’era anche Quattro, quell’idiota di Eric ha pretesto che fosse proprio lui a sparargli, e così è stato!-

Inizio a tremare talmente forte che per poco non scivolo distesa. Batto i denti e continuo a piangere.

-Come sarebbe?- Impreca Jason, seduto con Camille, poco lontano da me.

Osservo l’uomo con cui parla, quello con i capelli castani leggermente lunghi e lo zigomo tatuato.

-Magari, se Eric avesse tenuto la bocca chiusa, sarebbe ancora vivo!- Spiega. -Ha persino chiesto a Tris di elencargli i crimini per cui era stato condannato!-

Jason batte i pugni al suolo e Camille scuote la testa, disperata.

Ed io, mentre il treno in movimento ci fa sobbalzare, sollevo lo sguardo sull’Intrepido e inizio a sentire un fischio assordante nelle orecchie.

Tris.

Sempre lei. Lo ha guardato morire. Era lì e si è limitata ad accusarlo davanti a tutti. Quattro ha ucciso Eric, ha sparato prima che Tori potesse arrivare, e magari sospendere l’esecuzione.

Quattro ama Tris, l’ho capito.

Io amavo Eric, ma lui l’ha ucciso.

E, mentre Camille strilla e Jason impreca contro gli Intrepidi che ci sorvegliano, con micidiale precisione, capisco cosa devo fare.

Non mi importa più nulla di me, la mia vita è arrivata al capolinea. Ho perso Eric, per sempre. L’unica cosa che può darmi sollievo è la vendetta.

Il fischio nelle mie orecchie non se ne va, continua, mi assorda e mi isola totalmente. Il tempo passa ma non me ne accorgo, Jason fa domande ma non lo sento. Arriviamo, il treno si ferma e l’Intrepido di prima mi prende di nuovo e mi solleva, mi fa scendere giù e mi lascia in piedi sulle mie gambe, accanto a Jason. Rimango paralizzata, un piccolo gruppo di Intrepidi ci attende, parlano ma io non ascolto, vago con lo sguardo e, quando trovo la persona che cercavo, sussulto mentre il sibilo che sento diventa più acuto.

Tris non è lontana, è appartata in un angolo e sta parlando con Uriah e Zeke, si accarezza il braccio e non si accorge di me.  

Il piccolo gruppo che ci accerchia è troppo agitato per prestarmi attenzione, Camille continua a urlare e a lamentarsi, scoppia una piccola rissa con Jason contro un uomo che non conosco ed io ne approfitto per scivolare via. Mi muovo come un automa, nessuno fa caso a me, sono troppo impegnati a discutere e a fare a pugni. Avanzo e mi accarezzo un fianco perché, quando mi hanno privato delle mie armi, non sapevano che avevo nascosto un coltellino nella tasca della felpa, sotto la giacca.

Tris è lì, non mi manca molto per raggiungerla, devo solo estrarre l’arma e piantargliela nella gola. Non avrà il tempo di fermarmi.

Lei ha guardato morire Eric e io guarderò morire lei, sapendo che Quattro proverà quello che sto provando io. Ma dopo morirò, raggiungerò Eric mentre lui rimarrà da solo con il suo dolore.

Il fischio nelle mie orecchie non è cessato, infilo la mano sotto l’orlo della giacca e tasto il coltellino. Ho lo sguardo fisso su Tris, lei sembra serena ed io scivolo inosservata verso di lei, nessuno sospetta quello che sto per fare e la confusione generale è tale da nascondermi.

Ma poi, senza preavviso, qualcuno si avventa su di me e non ho la forza per impedirlo. Due braccia mi stringono il collo e un corpo è contro il mio. Una testa bionda è sulla mia spalla. Quando si solleva, due occhi castani mi fissano e un viso che conosco mi sorride.

-Aria!- Esclama quella che credo sia la migliore amica.

Sasha mi prende dalle guance e cerca di attirare il mio sguardo, ma io continuo a fissare Tris e ad accarezzare il coltellino nella tasca.

-Santo cielo, stai bene!- Squittisce, abbracciandomi ancora. -Sapevo che saresti arrivata anche tu, l’ho capito quando hanno portato qui Eric!-

Il fischio che mi assordava svanisce.

Il petto mi si comprime, fa male, abbasso gli occhi e guardo Sasha. Lei continua a sorridermi, mi accarezza le spalle ma per me è come se non ci fosse. Il mio cuore batte, ancora, forte e mi sale in gola.

Lei scuote la testa, ma poi mi osserva meglio e sembra improvvisamente preoccupata.

-Non lo sapevi?- Indaga, scrutandomi con apprensione.

Le lacrime scendono lungo il mio viso.

-Eric è qui, hanno deciso di risparmiarlo e di portarlo via con noi.- Mi spiega. -Gli uomini che lo avevano in custodia sono arrivati con il treno prima del tuo, li ho visti passare da qui poco fa e…-

Mille aghi mi pungono la pelle, respiro aria fresca e tremo mentre gli occhi mi si appannano per le lacrime. Non capisco più cosa mi sta succedendo. Il mio corpo è un estraneo.

Torno a guardare Tris e vedo che si è accorta di me, mi riserva una fredda occhiata ma subito dopo devia lo sguardo e si allontana insieme a Zeke.

Sasha è ancora davanti a me, mi accarezza una spalla.

-Ti senti bene?-

Mi volto e ritrovo Jason con lo sguardo, vedo che in suo soccorso è arrivata Tori, che ha fermato la rissa e gli sta parlando. Quando Jason spalanca la bocca e il suo sguardo si perde, capisco quale notizia ha ricevuto. Camille gli salta al collo per abbracciarlo, lui l’avvolge con un braccio solo e poi inizia a guardarsi intorno, credo mi cerchi, poi solleva la testa e incontra il mio sguardo. Ha gli occhi con una strana luce, sorride e si passa più volte le mani tra i capelli.

Ci hanno mentito, volevano solo farci soffrire.

Eric è ancora vivo.

Scappo via, i piedi si muovono da soli, spintono un ragazzino che si era messo lungo la mia strada e arrivo alle spalle di Tori. Tutti gli Intrepidi che le fanno da scorta si spostano ma mi tengono d’occhio e credo che notino il modo in cui continuo a tremare.

Quanto Tori si volta, rimane a guardarmi e credo che voglia dirmi qualcosa ma si trattiene.

Serro i pugni, faccio il respiro più profondo della mia vita e smetto di tremare. I fischi nelle orecchie non ci sono più e il mio cuore torna a battere normalmente.

-Portami da lui!- scandisco. -Adesso!-

 

 

 

 

 

 

Continua….

 

 

 

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Capitolo 44
*** Nebbia calda ***


44. Nebbia calda

 

 

 

 

 

 

 

Perché?

Mi hanno preso e portato nella sala congressi dei Candidi, mi hanno costretto a sedermi al centro e si sono divertiti a prendersi gioco di me. Volevano uccidermi, condannarmi e io ho preteso che fosse quella Rigida maledetta a elencarmi i miei crimini. Mi è bastato venire a sapere che Quattro era stato nominato capofazione, che alla fine aveva preso il mio posto, per smettere di lottare.

Lui era lì, davanti a me, con Harrison e aspettavano Tori. Che bel trio dei miei stivali a capo di un gruppo di invertebrati che si spacciano ancora per Intrepidi!

Ma io non potevo aspettare, volevo farla finita, voleva lasciare questo mondo avariato in cui non c’era più posto per me e volevo tornare a sognare. Quello che vedevo, il dolore che affliggeva il mio copro e mi confondeva la mente, gli insulti sussurrati attorno a me, era troppo.

Era insopportabile e mi stava distruggendo.

Volevo andarmene.

Ho chiesto a Quattro di spararmi, non potevo sopportare che tirassero a sorte per stabilire chi mi avrebbe definitivamente spedito all’altro mondo. Che fosse quel Rigido di Quattro a spararmi, quell’inutile usurpatore che mi aveva messo i bastoni fra le ruote da quanto era arrivato fra gli Intrepidi. Con il suo bassissimo numero di paure, Max lo aveva notato subito ed era pronto a dargli il mio posto, se quell’idiota non lo avesse rifiutato più volte.

Ed ero riuscito ad accettare di morire, se niente aveva più senso e se il mio rivale mi aveva sopraffatto, tanto valeva che fosse lui ad uccidermi una volta per tutte.

E Quattro ha accettato, mi ha detto che non avrebbe avuto rimpianti ad uccidermi e mi ha puntato la pistola alla testa. Ho visto il metallo contro di me, ho sentito il richiamo dell’oltretomba e ho chiuso gli occhi.

Poteva essere la mia fine, e invece non lo è stata.

Non riesco a spiegarmi perché, un secondo esatto prima dello sparo, la porta è stata spalancata con un boato e Tori ha fatto irruzione, seguita da alcuni soldati, ha parlato con Quattro e gli ha ordinato di fermarsi.

Tutti attorno a me hanno iniziato ad agitarsi, desideravano il mio sangue, ma non lo hanno avuto. Tori ha preso Quattro e lo ha portato via, a quanto ho sentito, doveva fargli assolutamente vedere una cosa, e non sono più tornati. A prendermi sono venuti dei soldati, mi hanno picchiato per stordirmi e mi hanno caricato su un treno e siamo ritornati tutti nella nostra residenza.

Ma perché?

Batto i pugni sulla ringhiera e guardo il tramonto, senza vederlo realmente, visto che non dovrei essere ancora qui a permettermi il lusso di ammirarlo.

Sono stato riportato nella mia camera da capofazione, quella ai piani alti. Quando siamo scesi dal treno e ho capito che non sapevano dove rinchiudermi, mi sono sgolato per farmi ascoltare e ho preteso che mi lasciassero marcire nel mio letto. Non so con quale pietà hanno accettato, forse sanno che ridotto così non posso scappare e per loro una cella vale l’altra. Da quanto ne so, due guardie sorvegliano la mia porta.

Mi passo una mano sulla fronte, imperlata di sudore e torno dentro la stanza, chiudendo dietro di me la porta a vetri.

Sono senza maglietta, sono accaldato e dolorante, ho addosso solo i pantaloni di una vecchia tuta. Mi gratto distrattamente il mento, dove la mia barba è cresciuta senza che mi sia abituato all’idea. Arranco verso il letto, ma non riesco a stare fermo, vorrei liberarmi del peso che mi opprime e poter fare qualcosa.

È tutto privo di senso.

Mentre mi porto una mano alle costole indolenzite, sento due tonfi secchi contro la mia porta e a poco non mi soffoco con la mia stessa saliva, quando cerco di trattenere un ringhio inferocito. Bussano ancora e serro i pugni, guardandomi intorno in cerca di una possibile arma da usare contro chiunque stia cercando di infastidirmi.

Credono forse di potersi prendere il diritto di presentarsi qui, ogni volta che gli passa per la testa? Sono un sopravvissuto, anche se ne ignoro il motivo, non un loro maledetto giocattolo da manovrare a piacimento.

Al mio silenzio, la porta si apre di scatto ed io non ci vedo più dalla rabbia. Rimango ai piedi del letto, minacciosamente piazzato davanti alla porta e gonfio il petto, che si alza e si abbassa quando respiro.

Sulla soglia c’è un ragazzo con una coda di cavallo dietro la nuca.

-Che diamine volete?- Sbraito, agitando le braccia. -Lasciatemi in pace!-

Digrigno i denti e attendo che l’Intrepido sparisca ma, a quanto pare, non risulto poi così spaventoso come speravo. Temo sia colpa dei miei lividi perché, invece di filarsela, il ragazzo rimane fermo a squadrarmi da capo a piede con una smorfia di sufficienza. Si concede un sorrisetto corrucciando le labbra e solleva il mento in segno di sfida.

Sto per avventarmi su di lui, senza considerare che sono in uno stato pessimo e che mi farei stendere al primo colpo, ma un suo gesto mi fa esitare. L’Intrepido si volta e fa segno con la mano a qualcuno di avanzare.

Mi aspetterei di vedere arrivare altri uomini pronti a torturarmi, immagino già i loro passi sicuri, ed invece un corpo esile viene letteralmente gettato oltre la mia porta.

La ragazzina è entrata barcollando, o meglio è stata lanciata dentro, e ha dovuto recuperare l’equilibrio sui proprio piedi dopo la spinta. Sarebbe logico vederla confusa e invece, come se per lei non contasse nient’ altro, i suoi occhi si sono agganciati ai miei e non si sono più spostati.

Neanche per sbaglio.

Tutto quello che succede dopo, è avvolto dalla nebbia.

Una nebbia calda.

Dovrei fare qualcosa, qualsiasi cosa sarebbe meglio dell’immobilità che mi blocca, ma non saprei nemmeno da dove cominciare e anche solo pensare mi richiede troppa fatica. È come infilare una mano in una vasca piena di pesci nel tentativo di prenderne qualcuno, ma loro sono talmente piccoli e veloci che scivolano tra le dita, ed è impossibile afferrarne anche uno solo.

Aria è qui davanti a me, e non è un sogno, il suo corpo è reale e il colore dei suoi occhi è fin troppo vivido per essere frutto della mia immaginazione. Mi sforzo di non guardarla, non è logico il modo in cui sono attratto da lei, come se fosse la mia unica fonte di ossigeno.

Non ha senso, non avrei dovuto rivederla mai più e mi ero rassegnato all’idea. Per di più non ha affatto un bell’aspetto, ha un livido violaceo sotto lo zigomo, un taglio sopra un sopracciglio e il labbro spaccato. Il colorito della sua pelle tende al giallognolo, ha le guance scavate, i capelli arruffati e qualcosa nel suo modo di stare in piedi leggermente curva le dona un’aria fragile.

Una volta l’armonia dei suoi lineamenti era come una dolce melodia, adesso tutto stride fastidiosamente e guardarla è quasi una tortura per gli occhi.

Ed io, malconcio e ad un passo dal crollare, la guardo dritto negli occhi e non desidero altro che un suo semplice tocco.

Un assetato non vuole altro che bere, e non contano le condizioni dell’acqua che gli viene offerta se ha davvero bisogno di dissetarsi. Lei è la mia aria, ed io devo respirarla per sopravvivere.

È mia.

Le sue labbra gonfie sono bellissime e qui maledettissimi occhi per cui ho perso la testa sono talmente perfetti che sembrano falsi. Grandi ma dal taglio leggermente affilato, né celesti né neri.

Sono blu. Sono una notte priva di stelle, sono un manto scuro che ti avvolge con un battito di ciglia.

L’intrepido con i capelli raccolti mi osserva sogghignando, scuote la testa ed esce.

Quando sento il tonfo della porta chiudersi, riprendo coscienza di me stesso e capisco che non devo lasciarmi prendere dal senso di sollievo.

Lei non dovrebbe essere qui.

Questo posto non è più casa, è la mia prigione e Aria qui non è al sicuro. Non voglio nemmeno sapere come c’è arrivata, conta solo che se ne vada subito.

Sto per fare appello a tutte le mie forze per recuperare l’uso della parola e imporle di scappare, quando lei emette uno squittio soffocato ma straziante. È un lamento disperato che la scuote come un brivido, i suoi occhi si inumidiscono e il suo labbro inferiore trema.

-Eric!- Sussurra.

Il mio nome esce dalla sua bocca e per me è il suo più bello, mi entra dentro a forza, mi prende il cuore e lo costringe a battere.

Cerco di parlare, vorrei invocare il suo nome ma lei mi precede. Si lancia verso di me con le braccia tese e credo che voglia abbracciarmi, ma io non riesco a muovermi.

Tuttavia qualcosa non va come doveva, ed Aria inciampa sui suoi stessi piedi e cade. È vicinissima, e vederla scivolare in quel modo risveglia il mio istinto, così riesco ad allungarmi verso di lei e ad afferrarla prima che sbatta contro il pavimento.

Mi abbasso insieme a lei, ci ritroviamo in ginocchio proprio davanti ai piedi del letto, l’una difronte all’altro.

Le mie mani si muovano incerte attorno al suo viso, come se improvvisamente non sapessi più cosa farmene di due palami e ben diedi dita. I capelli le sono ricaduti ai lati delle guance, ha la fronte in avanti e non vedo più la sua espressione, ma capisco che qualcosa non va.

La sento singhiozzare, ma non sta semplicemente piangendo, il suo copro è scosso da forti sussulti e ha le dita serrate attorno alle orecchie. Sta soffocando, si lamenta mugugnando e per un attimo non so cosa fare, mi sento impotente.

Poi ricordo il suo test finale e tutte le sue paure, soprattutto l’ultima, quella che avevo ritenuto più bizzarra. Anche durante la sua allucinazione della paura, infatti, Aria si era accasciata tremante per terra e aveva combattuto una sorta di attacco di panico. Non capisco perché una come lei debba aver sofferto di un disturbo simile, ma questo che sta vivendo deve rappresentare un forte momento di shock per lei e non so se posso biasimarla.

Ho ancora le mani vicino alla sua testa, ricordo cosa le ho visto fare per riprendersi e devo almeno provare a darle aiuto. Le copro le orecchie con i miei polsi, affinché non senta altro che il battito del mio cuore, sperando che basti per tranquillizzarla.

Passano alcuni secondi, non faccio altro che guardarla piangere e vorrei che mi mostrasse il suo viso e che stesse bene ma, quando si riprende, intrufola le sue mani fra le mie e mi getta le braccia al collo. Lei mi stringe in un abbraccio e nasconde il viso sul mio petto nudo, ma mi urta malamente la ferita che ho sul collo e il bruciore mi costringe a lasciarmi sfuggire un guaito gutturale che le fa allentare la presa.

Si stacca appena da me, il suo sguardo vacilla pieno di lacrime, scova il cerotto che mi fascia il collo e lo accarezza con dita tremanti.

-Scusa.- Piagnucola dolcemente. -Stai bene?-

E come succede nella maggior parte delle volte, quanto la mia rabbia si risveglia, si impadronisce di me senza che io abbia modo di affrontarla, e senza che io sappia di preciso cosa l’ha scatenata.

Forse è il mio orgoglio ridotto a brandelli, forse sono impazzito del tutto oppure fatico ad accettare la sua compassione.

Sono stato umiliato e sconfitto, maltrattato e ferito sia fuori che dentro. Ma, per quanto in basso io possa essere caduto, non tollererò mai e poi mai che lei mi guardi come se fossi un animale in fin di vita.

Dovevo prendermi cura di lei, dovevo essere più forte, e invece siamo arrivati al punto in cui lei, che non è ridotta poi tanto meglio di me, mi guarda i lividi sparsi sul corpo e prova pietà per me.

È troppo.

Sono stanco di accettare situazioni che non voglio neppure considerare.

La nebbia che avvolge i miei pensieri mi brucia la pelle e accende un incendio nelle mie vene, mi si appanna perfino la vista e le mani di Aria su di me diventano un affronto.

Provo amore per lei, ma adesso non c’è niente di romantico nel sentimento che mi si risveglia nel petto. Non sarebbe mai dovuta venire fin qui, doveva restare al sicuro invece di gettarsi fra le braccia del mostro.

La voglio, sento il suo odore dolce e frizzante e perdo il controllo.

Scatto in piedi, sentendo i miei muscoli protestare per il gesto improvviso, l’afferro dalle spalle e la metto in piedi a sua volta. Abbasso la cerniera della giacca che indossa, gliela sfilo dalle spalle e me ne libero. Ha uno zaino con sé che cade a terra.

Ciò che trovo sotto, però, mi distrae. È una felpa decisamente troppo grande per lei, sgualcita e con qualche strappo qua a là, per di più non ha un buon profumo.

Strofino tra le dita una piega del tessuto della felpa, Aria mi guarda intimorita ma obbediente, rimane in silenzio e mi accarezza la mano che tengo su di lei. Osservo le sue dita come fossero avvelenate e scaccio via la sua mano, faccio scivolare anche la seconda cerniera e la costringo a togliersi la mia felpa.

Questo è uno schifoso segno di debolezza, non dovrebbe indossare qualcosa di mio solo per poterne trarre conforto mentre non c’ero. Nemmeno i Pacifici fanno sciocchezze simili, ed io trovo inammissibile che proprio lei abbia fatto una cosa così disgustosa.

Non lo sopporto, sono infastidito e alterato.

L’afferro dai fianchi e la sollevo, spingendola sul letto. Aria batte le palpebre, si solleva tenendo i gomiti appoggiati dietro e non sembra felice. Segue la mia avanzata su di lei, quando cerco di raggiungerla strisciando sulle ginocchia, ma scuote la testa e guarda la porta.

-No, no. Non possiamo!- Geme.

Le prendo il viso tra le mani, per tenerla ferma, e le bacio il collo per poi scivolare lungo la sua spalla. Ma lei insiste a muoversi, cerca di allontanarmi e dice di no. Decido di concederle un attimo per capire cosa accidenti voglia, così mi scosto da lei e vedo il modo in cui continua a lanciare occhiate spaventate alla porta.

Impreco mentalmente contro la mia stupidità e devo darle ragione. Fuori ci sono non so quante guardie e la porta non è chiusa a chiave. Scendo giù dal letto e raggiungo velocemente il comodino, da cui estraggo totalmente il cassettino. Potrei seriamente uccidere se venissi interrotto sul più bello, e non voglio certo che qualcuno veda la mia donna in certi momenti intimi.

Ruoto il cassetto fra le mie mani, fregandomene dei pochi oggetti al suo interno che cadono sul pavimento, e prendo la chiave di scorta che avevo attaccato con del nastro adesivo sul fondo. Faccio subito un passo verso la porta e, in una mossa fulminea, metto la chiave nella serratura e la faccio scattare per chiudere.

Credo proprio che da fuori abbiamo sentito i giri di chiave e abbiano capito che mi sono chiuso dentro, ma è troppo tardi. Qualcuno colpisce la porta, forse con un calcio, e l’Intrepido di prima inizia a sbraitare.

-Bastardo! Che stai facendo?-

Lo ignoro, balzo sul letto e mi risistemo su Aria mettendomi a cavalcioni attorno al suo bacino ma senza schiacciarla con il mio peso.

Tento di slacciarle i pantaloni ma lei non vuole saperne di starsene ferma e buona.

-Che fai?- Tenta. -No!-

Cerca di togliermi le mani dai bottoni dei suoi jeans ma riesce solo a farmi infuriare ancora di più, così le afferro malamente un polso e glielo sbatto sul letto. Lei si lamenta e si dimena sotto di me.

Sono stanco della sua opposizione, stanco di tutto questo trambusto e voglio mettere una pietra sopra a tutto. Ogni cosa sembra lottare contro di me, tutto mi sfugge o mi viene sottratto ma non può succedere proprio a me, che avevo gli Intrepidi in pugno. Sono passato dall’essere ad un passo dal prendermi l’intera città, al dover strisciare per sopravvivere. Nemmeno la mia ragazza ha più rispetto per me e mi respinge, ma è ora di riprendermi tutto quello che voglio.

Voglio spegnere l’incendio nel mio copro e fermare l’uragano nella mia testa.

E, primo fra tutto, voglio liberarmi del dolore che provo.

Posso gestire quello fisico, ma c’è qualcosa che mi sta togliendo il fiato e ho perso il controllo.

-Eric!-

I miei occhi scattano nei suoi, mi avvento su di lei e le tappo la bocca con la mano, facendo pressione sul suo viso, intenzionalmente.

-Devi stare zitta!-

Le ordino e, quando mi vedo riflesso nei suoi occhi, so per certo che non mi ha mai visto così. Sono fuori di me dalla rabbia, ho le orbite spalancate e lo sguardo stralunato, per non parlare delle narici allargate e i denti digrignati come una bestia.

Tengo ancora la mano premuta sulle sue labbra e la inchiodo con uno sguardo d’intesa. Inizia a piangere ma ha l’accortezza di farlo in silenzio, ricambia il mio sguardo e muove la testa in un cenno.

-Brava!- Sibilo contro il suo orecchio.

Tolgo la mano e inizio a baciarle il viso e la gola, e lei se ne sta finalmente ferma, addirittura immobile. È terrorizzata ma le sta bene, non doveva venire qui, a stuzzicarmi e a risvegliare la mia sete.

Desidero solo perdermi dentro di lei, spegnere tutto e fare silenzio tra i miei tormentati pensieri. Ma non voglio amore, voglio che lei soffra, che si penta di essere tornata da me quando doveva dimenticarmi.

Non sono più quello di prima e non sono mai stato quello giusto per lei.

Voglio il suo odio, lo voglio sentire su di me mentre piange, invece che sopportare il suo sguardo disperato o il modo in cui mi compatisce ad ogni occhiata.

Le tolgo i pantaloni a forza e lei si lascia scappare qualche singhiozzio, ma quello che mi interessa è che non tenti di scappare.

-Eric, aspetta, io…-

La sua voce mi infastidisce talmente tanto che divento una furia, mi spoglio, le strappo via quella canottiera che le è rimasta addosso e mi libero della sua biancheria in meno di un secondo. Sono violento e la maneggio senza alcuna cura, stringendo la presa sulle sue braccia per farle male di proposito.

Lei geme, scuote la testa, mi accarezza la fronte e cerca il mio sguardo.

Ormai sono ad un passo dall’averla e soddisfare il mio desiderio, ma i suoi occhi spaventati sono puntati su di me.

-Eric, ti prego, non così!-

Serro i pugni attorno alla coperta e faccio una smorfia terribile, se crede che le serva supplicarmi per fermarmi, non ha capito nulla di me.

Adesso voglio che sia tutto più brutto e doloroso, per lei.

Mi insinuo fra le sue gambe e mi tengo sollevato da lei puntando le mani ai lati della sua testa, poi mi cade l’occhio sulle sue labbra e devo accettare che non è così facile farlo con lei in questo modo.

La bacio, le accarezzo il viso con le dita e lascio che si illuda per un attimo che io stia aspettando il suo permesso. Aspetto che ricambi il bacio e poi le immobilizzo i polsi sopra la sua testa con una mano sola perché non voglio essere toccato, la faccio mia quando non se lo aspetta e soffoco il suo pianto con la mia bocca sulla sua. 

 

L’acqua scorre sui nostri corpi e lava via sudore e sofferenza, mentre il vapore ci avvolge in una nebbiolina che ci scalda fin dentro le ossa.

Siamo in piedi nella doccia, sorreggendoci a vicenda in un abbraccio muto ma vitale. Aria tiene la guancia premuta contro il mio petto e mi stringe le braccia attorno ai fianchi, serrandomi con tale intensità che non ho il coraggio di dirle che sta premendo sui lividi che mi sono stati causati dalle percosse che ho subito sull’addome. Perciò, anche se è fastidioso, resisto e la lascio aggrappata a me perché so che ne ha davvero bisogno.

Faccio scivolare le mie dita lungo i suoi capelli che, colmi d’acqua, sono ancora più setosi di come sarebbero normalmente, e risalgo poi fino alle sue spalle in una carezza che scende e ricomincia. Con l’altra mano le tengo il viso premuto contro di me e, di tanto in tanto, le poso qualche bacio sulla sommità della testa, per tranquillizzarmi quando i pensieri che faccio diventano troppo oscuri.

Non so da quanto andiamo avanti così, a confortarci con i nostri respiri e a trarre piacere l’uno dal calore corporeo dell’altra. Ma, poterla riavere in mio possesso e poterle sfiorare ancora la pelle, sta funzionando e sono riuscito a calmarmi. Ho ritrovato me stesso, almeno in parte, e sento che la tensione dei miei nervi è stata portata via dallo scorrere sereno dell’acqua.

Prendo il viso di Aria fra le mani, scostandola da me e la costringo a sollevare lo sguardo, ci guardiamo per qualche secondo e, quando sento che non posso più resistere, la bacio. Assaggio le sue labbra, le mordo piano e cerco un intreccio con la sua lingua, mentre il suo fiato caldo mi solletica e il suo sapore mi manda in estasi.

Le mie mani scorrono sul suo corpo e spingo maggiormente la sua schiena per averla più vicina, mentre lei fa passare timidamente le sue braccia fra le mie e me le intreccia dietro la nuca, attenta e non urtarmi la ferita sul collo. Sembra rimpicciolire nel mio abbraccio, mi tocca quasi con paura senza smettere di ricambiare il mio bacio. 

Però alla fine si stacca da me, è senza fiato, scuote la testa e sembra sul punto di rimettersi a piangere.

-Eric…-

Il modo in cui invoca il mio nome fa riaccendere quella scintilla pericolosa che minaccia di farmi perde ancora il controllo. Non sopporto la nota disperata che le fa vibrare la voce, né accetto che debba rompere così la bolla in cui ci stavamo rifugiando.

Tuttavia, anche se sono ad un soffio dalla follia, ricordo bene il mio atteggiamento di poco prima e so di averla ferita imponendomi con la forza su di lei, l’ho anche spaventata e voglio provare a non commettere ancora lo stesso errore. Chiamo a raccolta tutte le mie forze e faccio un respiro profondo, appoggiando la mia fronte alla sua. Ho ancora le mani ai lati delle sue guance e uso entrambi i pollici per bloccarle le labbra.

-Non parlare!- Le chiedo con calma, e in realtà la sto supplicando di non aprire più bocca.

Sono perfettamente in grado di capire che non possiamo fare finta che niente sia successo e comportarci come se fossimo realmente liberi di essere felici. È successo qualcosa che ha stravolto tutto e non ho idea di come lei sia arrivata qui, ma so benissimo che non dovrei essere ancora vivo.

Ma, proprio perché avrei dovuto perderla per sempre invece di ritrovarla, voglio pensare soltanto a lei e chiudere ogni problema fuori da questa camera almeno finché posso permettermi di farlo. Ho commesso molteplici errori, ma non può essere un crimine pretendere un momento di pausa fuori dalla bufera.

Le spiegazione possono aspettare, non vedo l’urgenza di chiarire la situazione quando sto così bene immerso nella nostra atmosfera.

Il mio corpo sembra rinvigorito, non sento più dolore e anche nella mia mente regna una pace assoluta. Poso le mie labbra sulla sua fronte, sulla punta del suo naso, poi sulle sue labbra e infine sul suo mento. L’abbraccio ancora una volta e chiudo i rubinetti della doccia, uscendo tenendo Aria per mano.

La lascio per prendere due asciugamani dal mobiletto vicino e me ne metto uno attorno al colo. Con l’altro avvolgo Aria e le strofino energicamente le spalle, poi la lascio finire di asciugarsi. Uso il mio per frizionarmi velocemente il corpo e, quando sono pronto, lo lancio dentro la vasca.

Aria non dice una sola parola, sembra assorta e anche un po’ intimorita, ma il modo in cui i suoi occhi da bambina mi fisso intensamente, senza perdersi un mio solo respiro, mi fa sentire come se avessi una coperta sulla spalle.

Torno a concentrarmi su di lei e utilizzo i lembi del suo asciugamano per strofinarle i capelli, cercando di togliere l’acqua in eccesso. Lei non si oppone, continua a tenermi gli occhi addosso ma io continuo il mio lavoro. Le asciugo il viso, le bacio ancora la fronte e le tolgo il telo da attorno alle spalle per passarlo ancora fra i suoi capelli umidi. Mi prendo il mio tempo, faccio tutto lentamente e solo quando sono soddisfatto lascio cadere l’asciugamano e prendo Aria per mano.

Arriviamo davanti alle ante del mio guardaroba, che apro per recuperare qualcosa da mettere. Lei si allontana e recupera da terra il suo zaino, che le è scivolato dalle spalle quando ho iniziato a spogliarla, e ci fruga dentro.

Mi vesto velocemente, optando per indumenti più pesanti e maglietta a maniche lunghe visto il freddo serale. Mi concedo uno sguardo ad Aria, che si copre con biancheria intima pulita e una canottiera. Ciò che mi disturba è il fatto che vada a recuperare dal pavimento la mia felpa che indossava quando è arrivata e, anche se la sta solo piegando, il pensiero che sia affezionata a quello straccio puzzolente mi fa contorcere lo stomaco. Forse il problema non è l’indumento in sé, quanto il malessere che mi causa sapere che le era rimasto solo quello come mio ricordo.

Torno al guardaroba, frugo nel ripiano invernale e prendo una felpa in pile senza cerniera né cappuccio, con le maniche lunghe nere e la parte del petto e delle spalle grigio scuro. Non sono uno che fa particolarmente caso all’abbigliamento, ma questa maglia mi è sempre piaciuta.

Raggiungo Aria, che rimane imbambolata a fissarmi, le infilo la felpa dalla testa e lei solleva le braccia per metterle dentro le maniche. Le copro i fianchi mentre lei si raccoglie i capelli su una spalla ed io intreccio le dita tre le sue ciocche ancora inumidite, incantato dal modo in cui insiste a tenermi incollato a sé con uno dei suoi sguardi più caldi.

Ora che ha i capelli all’indietro, la cicatrice che le squarcia la fronte e il livido sullo zigomo sono in bella vista, e il suo viso sembra ancora più scarno, eppure io vedo solo le sue labbra gonfie e per me è comunque bellissima. Anzi, con tutti i suoi traumi, sembra ancora più forte e non fragile, ed io adoro la sua tenacia.

La bacio ancora, accarezzandole la schiena e vorrei continuare a farlo in santa pace, ma lei ha evidentemente altro per la testa e mi sposta mettendomi le mani sulle spalle.

-Eric, io…-

Le prendo il mento fra le dita e le sollevo il viso, zittendola, le riservo uno sguardo intenso e scuoto la testa.

Lei comprende, si morde il labro ma rimane inquieta e devia il mio sguardo. Decido di posarle un bacio sulla testa per addolcire il mio divieto, perché non voglio che rovini tutto con parole inutili ma desiro pur sempre farla stare bene.

Senza che se lo aspetti la prendo in braccio, ignorando le proteste del mio copro ancora debilitato e aggiro il letto per depositarla dalla parte in cui di solito dormiva. Lei si sistema sotto le coperte e segue i miei movimenti in silenzio, con la sua espressione innocente e bollente che mi tenta fin troppo, raggiungo il mio lato e mi siedo sul materasso.

Una volta fra lenzuola mi sdraio e striscio vicino ad Aria, che si raggomitola contro il mio corpo e incastra la sua testa sotto il mio mento. La stringo, forte, e scopro che la stanchezza, il malessere e la rabbia mi hanno davvero sfinito.

Senza neanche sapere come, scopro che posso addormentarmi tranquillamente e, coccolato dal profumo della pelle di Aria che sa del mio bagnoschiuma, mi basta appoggiare la testa al cuscino e chiudere le palpebre per abbandonarmi ad un sonno privo di incubi.

O, al meno, all’illusione di pace.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

 

 

Il ricongiungimento fra i due protagonisti è avvenuto. Lo immaginavate così? Opinioni diverse?
Grazie a tutti i lettori e a chi commenta, vi ricordo la mia pagina facebook dove potete trovare le anticipazioni dei capitoli:

https://www.facebook.com/Kaimy11/

 

Baci, al prossimo capitolo!

 

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Capitolo 45
*** Veleno ***


45. Veleno

 

 

 

Grida disperate stanno urlando il mio nome, mi chiamano ed io cerco di orientarmi in un’oscurità fitta per raggiungere chi mi chiama. Conosco la voce che continua a gridare, è Eric che soffre ed io devo andare da lui, un bagliore mi urta gli occhi e cerco di aprirli.

La verità è che sto riacquistando coscienza, inizio a svegliarmi e c’è davvero una luce nella stanza che mi infastidisce, ma non è quella del sole. E, se sto smettendo di dormire, non è perché mi sono riposata abbastanza, ma perché qualcosa sta tentando di riscuotermi.

Strizzo gli occhi e poi li apro lentamente, accorgendomi dalla luce giallognola dell’abatjour. Qualcosa mi spinge la spalla, facendomi dondolare mentre sono distesa su un fianco.

Sollevo la testa e incrocio lo sguardo di Eric, è seduto con la schiena contro la spalliera del letto, intento a studiarmi con un cipiglio critico, mentre smette di spintonarmi dal braccio.

-Hai finito?- Mi rimprovera. -Non facevi che lamentarti nel sonno e agitarti!-

Batto le palpebre per tentare di mettere meglio a fuoco il suo viso e inarco le sopracciglia.

È serio e la sua staticità è micidiale. Fissa un punto davanti a sé con tale insistenza che sembra quasi che non veda altro, è livido in volto e i suoi occhi sono talmente cupi che sembrano neri. Non c’è traccia di azzurro, ha le orbite spalancate che accentuano con una vena folle il suo sguardo. La sua mandibola, ricoperta da uno strato di barba, è serrata e rigida ad avvalorare il rigore della sua espressione furibonda.

-Incubo?- Azzarda, sollevando appena un sopracciglio ma senza guardarmi.

Dal modo in cui è seduto, per la luce accesa e dalle due pesanti occhiaie sotto i suoi occhi, deduco che è sveglio da un po’. Sono sollevata di non essere stata io a disturbare il suo sonno, ma questo significa solo una cosa.

-Anche tu?- Chiedo.

Eric spinge in fuori il labbro inferiore, fa stridere le mascelle e china il capo in un unico e breve cenno.

È così diverso il suo viso, con qualche livido e graffio e con il mento insolitamente nascosto dalla barba incolta. Persino il suo sguardo è cambiato, si è aggravato decisamente troppo. Gli unici segni familiari rimasti sul suo volto sono i piercing sul sopracciglio e sui lobi dell’orecchio.

Un brivido di freddo mi costringe a stringermi sotto le coperte, e preferisco cedere al sonno che pensare a tutti i terribile pensieri che posso turbare Eric. Io stessa ho subito sulla mia pelle la sua più nera sofferenza.

Gli getto le braccia attorno al bacino e mi raggomitolo con il viso sul suo fianco, lo stringo e mi strofino contro di lui.

-Spegni la luce…- Brontolo.

Sono assonnata e non voglio che Eric se ne stia sveglio a farsi assalire dai tormenti.

Lui fa uno sbuffo gutturale, spegne la luce sul suo comodino e si divincola fra le mie braccia per tornare disteso. Si gira dall’altra parte, ma non fa niente, gli metto un braccio sul suo e mi riaddormento contro la sua schiena.

 

Sono seduta sul letto e guardo Eric mentre si toglie la maglietta a maniche lunghe con cui ha dormito per sostituirla con una t-shirt. Avrei mille cose da spiegargli, domande da fargli e vorrei dirgli in tutti i modi che conosco quanto mi è mancato. Ma la conversazione cadrebbe sul tragico, sicuramente soccomberei alle mie stesse emozioni e finirei per disperarmi e ammettere che ho temuto che fosse morto.

Dovrei ammettere che sono stata ingannata e che ho perso la ragione all’idea di non poterlo più riavere. È strano che non sia lui a chiedermi spiegazioni, ed io tremo al solo pensiero di raccontargli come sono arrivata qui e svelargli tutto quello che non sa.

Conosco Eric abbastanza bene da sapere che non sarà contento di scoprire che io, Jason e Camille, abbiamo rischiato la vita per salvarlo. Quando saprà che è stato Finn ad aiutarci, e che senza il nostro piano sarebbe stato davvero condannato, andrà in escandescenza.

Il suo orgoglio non gli permetterà mai di accettare la verità. Per lui essere salvato, da me poi, sarà peggio di una condanna.

Non so come farà ad accettare di dover collaborare con gli stessi che stavano per ucciderlo, o come farà a sopportare l’idea che Quattro sia stato nominato capofazione. Mi mordo il labbro e mi torturo le dita, non riuscendo a liberarmi dall’idea che Eric preferirebbe andarsene all’altro mondo piuttosto che sopportare un affronto simile. Quello che deve accettare è troppo e ho paura del modo in cui potrebbe reagire dopo tutto quello che ha passato.

Mi accorgo che mi sta osservando e, per evitare che capisca che qualcosa non va, mi alzo velocemente e recupero i miei jeans, indossandoli.

A essere onesta con me stessa, non so quello che gli hanno fatto ma so per certo che non voglio scoprirlo. Prima o poi vorrò la verità, per quanto male farà, ma non adesso.

Quando bussano alla porta, entrambi ci paralizziamo a fissarla, solo che io sono terrorizzata mentre Eric freme d’ira.

-Sono io.- Dice una voce maschile che mi tranquillizza. -Sono Jason.-

Mentre tiro un sospiro di sollievo e avanzo per aprirgli, Eric mi incatena con un’occhiata tremenda.

-Che ci fai lui qui?- Pretende di sapere.

Tutti i suoi muscoli sono scattati e lo fanno tremare, lo vedo scoprire i denti e assottigliare lo sguardo. Non sono nelle condizioni di gestire ancora i suoi attacchi di rabbia, perciò apro la porta e mi sposto per fare entrare Jason.

Quando i suoi capelli rossicci fanno capolino, seguo la sua figura alta e slanciata e i suoi occhi verdi sembrano così calmi che quasi posso illudermi che tutto si aggiusterà. Si mimetizza bene con me ed Eric, dato che anche lui ha il viso tumefatto. Avanza ed io chiudo subito la porta, rifiutandomi di controllare se ci sono ancora guardie fuori.

-Eric!- Esclama Jason, con un sospiro.

Solo un angolo delle sue labbra si solleva in un sorriso, si passa una mano sulla fronte e poi qualcosa nel suo viso cambia. Non è più sereno, piega in modo strano la bocca e credo che cerchi qualcosa di appropriato da dire, ma abbassa lo sguardo e serra gli occhi.

Aggiro Jason e vado a sedermi sul bordo del letto, sperando che basti starmene buona in un angolo per lasciare che lui ed Eric trovino il modo per ritrovarsi. Sono amici, ma sono due uomini fortemente orgogliosi e, come so che Eric non potrà accettare di essere stato salvato dalla sua guardia, Jason non si perdonerà mai per aver lasciato il suo capo e amico nei guai ed essere fuggito via il giorno dell’attacco ai Candidi.

Quando Jason cerca di avvicinarlo, Eric si irrigidisce, lo fulmina con un’ occhiata spaventosa e spalanca le orbite e le narici insieme. Fa un passo indietro, proprio lui che non indietreggerebbe davanti a nulla, e Jason si ferma.

Scuoto la testa e serro i pugni attorno alla trapunta, questo non è affatto un buon inizio. Eric sembra quasi terrorizzato da Jason, ma non è del suo amico che ha paura, ma delle verità che porta con sé.

Le stesse verità che non ha voluto sapere da me.

Mi ha impedito di parlare, perché sa che qualsiasi cosa che uscirà dalla mia bocca o da quella di Jason non gli piacerà.

Forse è stanco di subire e di ricevere notizie tragiche.

-Perché ci sei anche tu?- Sibilla Eric.

Jason prende fiato a fa un cenno. -Siamo noi due e Camille, Nick è rimasto dagli Eruditi.-

Eric serra la mandibola e mi guarda intensamente, qualcosa nel suo sguardo vacilla e temo che stia finalmente iniziando a prendere coscienza della realtà e, come immaginavo, non sarà facile per lui accettare. Sembra sul punto di esplodere, di crollare e di lasciarsi andare, è come se mi stesse supplicando con gli occhi di dirgli che quello che ha intuito non è vero.

Non è più lui, non è lo stesso capofazione spietato che era capace di fare piombare il silenzio in una sala con il suo solo ingresso. Adesso è lontano dalla corazza che ha sempre indossato e con cui si è sempre difeso.

Non può sopportare di mandare giù altri bocconi amari.

E, come ho scoperto più volte su me stessa, Eric ha un solo modo per combattere sconforto e dolore, e quel modo è la rabbia.

Una rabbia che non perdona.

-Cosa sa di preciso?-

Guardo Jason, che mi ha posto la domanda a mezza voce, è in piedi poco distante da me e vedo che è allerta.

Scuoto la testa in silenzio e torno a guardare Eric. Jason può solo provare a immaginare che Eric non sa assolutamente nulla perché è da ieri che mi impedisce di parlare. Ma conosce Eric da molto più di me, e temo che abbia molta più familiarità di me con il lato oscuro del suo amico. Spero che sappia gestirlo bene come fa con i problemi minori.

-E quando siete arrivati?- Indaga Eric.

È ancora in piedi al centro della stanza, davanti a me e Jason e ci guarda con occhi spalancati e i muscoli tesi.

Mi cedono le palpebre e chiudo gli occhi, aprendo la bocca per respirare.

Eric sarà anche stordito e traumatizzato, ma non è stupido, è nato fra gli Eruditi ed è sempre stato un comandante astuto. Il pensiero che la sua vita sia dipesa da noi lo sta divorando dall’interno.

È consapevole che la mia sola presenza non può aver influito sulla decisione dei suoi carcerieri, e che non possono averlo risparmiato solo grazie a me. Ma con me c’era anche Jason e, se scopre che non siamo arrivati alla residenza degli Intrepidi al momento giusto, collegherà tutti i pezzi e capirà.

Jason non usa mezzi termini, nonostante noto dal modo in cui diventa serio che ha capito benissimo la situazione.

-Prima, dai Candidi.-

A quelle parole, Eric impallidisce, tutta la sua muscolatura si sgonfia quando lascia andare un lungo fiato che lo fa quasi rimpicciolire. Il suo sguardo ondeggia, gli occhi si ingrigiscono, arriccia il labbro inferiore come fa sempre quando vuole mascherare con una smorfia i suoi reali pensieri.

Riflessioni che spesso sono orribili macchinazioni di vendetta, o fantasie perverse ai danni dei suoi nemici. Oppure debolezze che non accetta di esternare.

-Li avete fermati voi…- Deduce Eric, in un sussurro vibrante. -Ecco perché non mi hanno sparato!-

Vorrei non aver sentito le sue parole. Sussulto e nascondo le mani fra le ginocchia, ho addosso la maglia pesante di Eric, ma non basta a difendermi dal freddo che mi è improvvisamente entrato nelle ossa.

E la situazione peggiora quando Eric volta in un gesto secco il capo verso di me e mi tramortisce con uno sguardo allucinato.

Si sente tradito, è come se lo avessi ingannato, e la brutalità con cui mi accusa silenziosamente né è la prova.

-E che cosa gli avete offerto in cambio?- S’interroga.

Sollevo lo sguardo, la sua richiesta è un latrato profondo, un misto di rabbia e disperazione.

Fortunatamente Jason sa tenere i nervi saldi, solleva il mento e gonfia il petto, senza timore.

-Un’alleanza!-

-E a che prezzo?- Abbaia Eric. -Jeanine sa che siete qui? Volevate farvi ammazzare?-

Ormai sta perdendo il controllo, alza la voce ed è tutto un fremito, scosso dai muscoli in eccessiva tensione. Ha un’espressione orribile, al limite della pazzia, ma non mi stupisco.

Di certo non ho mai creduto che ci avrebbe semplicemente ringraziati o che sarebbe corso ad abbracciarci, si tratta pur sempre di Eric. Lo stesso capofazione tormentato e sempre abituato a dare ordini, e mai a chiedere.

-Perché non provi a ragionare e ti siedi, così possiamo parlarne!- Il tono di Jason è sicuro, ma riesce solo a guadagnarsi un’occhiataccia.

-Non dirmi cosa devo fare!- Urla Eric in risposta.

È teso ma guarda Jason e scuote la testa, forse cerca di calmarsi, per quanto inutile sarà provarci.

In un colpo solo ha perso la fiducia di Jeanine e dalla sua fazione, ha rischiato di perdere la vita, è prigioniero di un gruppo che non lo riconosce più come capo e adesso viene a sapere che deve la sua vita a qualcun altro.

E, per una persona che ha sempre creduto nella propria forza, tollerare di aver avuto bisogno di aiuto per sopravvivere, e portarsi sulle spalle un debito che non può essere ripagato, è veleno.  

Per di più, anche se questo gli fa onore, deve digerire l’ennesima sconfitta sapendo che le persone che voleva tenere fuori dalla tempesta si ci sono buttate dentro solo per salvarlo.

Eric impreca a mezza voce qualcosa di incomprensibile, attraversa la stanza con pesanti falcate e passa davanti a Jason senza guardarlo, troppo impegnato a rimuginare su qualcosa. Si siede accanto a me e, da come si sfiorano le nostre gambe, comprendo che ha scelto questa vicinanza con me di proposito.

Vorrei toccarlo ma non oso farlo, per paura di ferire ancora il suo orgoglio e fargli credere che voglio confortarlo, quando so che non ha bisogno di questo.

Jason rilassa le spalle, ci passa davanti e raggiunge la poltroncina girevole nell’angolo accanto alle vetrate, toglie il mio zaino che c’era sopra e lo mette per terra per sedersi. Aspetta di avere l’attenzione di Eric e inizia il suo racconto parlandogli dei nostri compagni che non riconoscono più Max come capo, che ha permesso la nascita di un gruppo di oppositori interno. Prosegue facendogli presente che molti Eruditi non erano più dalla parte della loro rappresentante, ma che le ubbidivano solo per paura, e molti di questi sono scappati prima di noi.

E questa era un’informazione che non avevo nemmeno io.

-Era solo questione di tempo, e lo sapevi anche tu. Jaenine ha perso credibilità e ormai quelli che la vogliono morta sono di più di quelli che la sostengono. Così abbiamo offerto ai ribelli, cioè a questa metà della nostra fazione, il nostro aiuto per quando decideranno di attaccare per fermare Max!- Afferma Jason.

Io mi volto cautamente verso Eric, spiandolo di ascosto, tiene gli occhi incollati su Jason e vedo distintamente i lineamenti del suo viso tendersi.

-Pensate veramente di poter battere Jeanine?- Chiede, rifiutandosi di credere. -Vi siete messi contro di lei?-

Jason sa benissimo che Eric ci odierà per l’azzardo che ci siamo concessi, ma sembra non darvi peso.

-Tecnicamente non lo sa ancora.- Puntualizza, scrollando le spalle.

Eric lo guarda allibito e scuote la testa. -Come li avete convinti?-

Jason solleva un sopracciglio.

-Gli avete offerto aiuto, d’accordo, ma perché mi hanno lasciato in vita?-

Mi paralizzo, fissandomi le mani che tengo sulle ginocchia, coperte delle maniche troppo lunghe. Eric è sempre più vicino alla verità e non mi sembra affatto calmo, per cui è solo questione di tempo prima che perda la testa.

-Perché gli abbiamo detto che ti volevamo in cambio del nostro aiuto e che, in caso contrario, i nostri compagni sarebbero rimasti con Max!-

Sta volta è Eric che si paralizza, la sua mascella scricchiola e piega la testa da un lato. Ciò che mi fa salire il cuore in gola, è il ghigno maligno che gli solleva un angolo della bocca.

-Quindi tu mi stai dicendo che avete rischiato di farvi scoprire da Jeanine, che siete andati dai Candidi con il rischio di farvi ammazzare,- Inizia, rauco. Poi il suo sorriso sparisce. -Per barattarmi in cambio del vostro aiuto nella rivolta?-

Cade un silenzio teso, Jason sostiene lo sguardo di Eric ma picchietta con le dita sui braccioli della poltrona, e credo sia nervosismo. Io guardo di sfuggita Eric, la delusione sul suo volto prende il posto della folle rabbia.

-E loro hanno accettato?-

Jason non ha esitazioni. -Hanno dovuto!-

Ma Eric non è soddisfatto della risposta, abbassa il capo e si passa la lingua sul labbro inferiore. Appoggia il braccio sulle mie gambe e mi stringe leggermente un ginocchio, poi guarda il suo amico e la durezza nel suo sguardo mi ricorda il capo indiscusso che è sempre stato.

-Non essere ridicolo!- Lo accusa. -Agli Intrepidi rimasti con gli Eruditi non importa nulla di me. Se vogliono combattere contro Jeanine, non cambieranno idea se crepo!-

Jason ed io ci scambiamo un fugace sguardo preoccupato, ma entrambi ci affrettiamo a deviarlo, prima che Eric noti qualcosa.

Per un attimo mi chiedo perché l’uomo che amo non possa semplicemente essere felice di essere ancora qui con me, invece di scoprire tutte le nostre carte, quando sappiamo già che darà i numeri ad ogni nostra parola.

-Che cosa c’è che non so? Come siete riusciti a organizzare tutto, chi vi ha aiutato?-

Eric si agita accanto a me e stringe troppo la presa sul mio ginocchio, così gli prendo la mano fra le mie. Jason lo guarda e tace per qualche secondo, poi chiude per un attimo gli occhi e alla fine risponde.

-Finn!- Confessa in un sospiro.

-Finn?- Urla Eric, alzandosi in piedi di scatto. -E vi siete fidati di lui?-

Mi passo una mano su di una guancia e cerco di controllare il respiro.

Anche in questo caso Jason non si scompone e parla con voce ferma.

-Lui si è stancato di Max e Jeanine, proprio come te.- Precisa. -Per questo pensa che tu sia l’unico che può aiutarlo, perciò gli servi!-

Eric fa due passi verso la porta, si passa una mano fra i capelli e torna indietro, scuotendo la testa. -Finn potrà anche ribellarsi, ma non gli serve il mio aiuto. Anzi, gli sono d’intralcio!-

-Non avevamo altra scelta, Eric!- Insiste Jason, che inizia a scaldarsi. -Non potevi certo pretendere che rimanessi con Jeanine dopo quello che ti ha fatto?-

Al solo pensiero di un futuro senza Eric, con me e Jason succubi di quella pazza criminale, un brivido freddo mi costringe a tremare dentro la felpa pesante. Penso che è tutta colpa di quella donna se Eric ha rischiato di morire, e l’odio che provo verso di lei mi fa mancare l’aria.

Non so se Eric ha notato il mio turbamento, ma torna a sedersi al mio fianco e mi riappoggia il braccio sulle gambe.  

-Finn non ci inganna!- Chiarisce Jason, dando un pugno al bracciolo della poltrona. -È con noi!-

Ma Eric si infuria di nuovo. -E cosa ti da questa certezza?-

In questo momento vorrei sparire, Jason cerca il mio sguardo ma nessuno dei due sa cosa dire. Entrambi stiamo nascondendo un segreto che ci condannerebbe, ma non è questo il momento.

Jason potrebbe dire a Eric che Finn e Robert sono legati a me, e che è da loro che mi sono fatta difendere quando ho sospettato di lui, dopo aver visto il suo tatuaggio. E, ovviamente, se io dicessi a Eric che è stato il fratello del suo amico a spingermi giù dalle scale e ad attaccarmi il trasmettitore per la simulazione, non reagirebbe bene.

Ma Jason potrebbe svelare l’esistenza della chiavetta che ho consegnato a Tori.

Direi che non ci vuole un genio per capire che possiamo fare a meno di altri problemi, e che Eric ha già il suo carico di brutte notizie.

Ma purtroppo Eric si accorge del modo in cui io e Jason cerchiamo di sfuggire allo sguardo dell’altro e, per mia sfortuna, la sua gelosia emerge e lo porta con la mente in un’unica direzione.

-Robert!- Sbraita, ma fa anche di peggio.

Scatta con il busto nella mia direzione e, fulmineo, mi stringe con cattiveria un polso nel suo pugno e mi gira anche leggermente il braccio per intensificare il dolore.

Sussulto e i miei occhi vibrano nei suoi in cerca di spiegazioni, apro anche la bocca per lamentarmi, ma mi sta facendo troppo male al polso e mi manca il fiato.

-Che cosa gli hai dato per convincerlo? Che cosa hai fatto?- Ringhia, con una furia che, sebbene in questi attimi abbia dato il peggio di sé, non gli avevo ancora visto.

Ed è mentre la sua smorfia diventa più tetra e la sua stretta ai miei danni più solita che comprendo il malinteso creatosi.

Eric crede che io sia riuscita ad ottenere i favori di Robert in maniera poco lecita e che, dopo aver ottenuto i miei di favori, Robert abbia chiesto al padre Finn di aiutarmi nel mio piano di salvataggio.

Eric ha frainteso ma, nonostante conosca la sua gelosia e le sue paranoie, mi fa comunque male pensare che proprio lui abbia una così scarsa stima di me.

Eric pensa che io mi sia concessa a Robert per ingraziarmelo, che sia andata a letto con lui per comprarmi il suo aiuto e, di conseguenza, quello del padre.

Non posso accettare che lo pensi, eppure, mentre riprendo fiato, mi chiedo a che punto sarei davvero arrivata pur di riavere Eric.

-Che cosa hai fatto?- Mi urla contro Eric, strattonando il mio povero polso che ancora stringe.

-Eric!- Lo richiama Jason, ma non ottiene nessuna considerazione.

Scuoto la testa. -No, io non…- boccheggio, cercando di liberarmi dalla presa bruciante di Eric. –Robert e io no… lui e…-

Eric intensifica lo sguardo, credo cerchi di dare un senso al mio farfugliamento, così finalmente allenta di un soffio la presa.

-Lui e mia sorella!- sbotto.

All’instante gli occhi di Eric si spalancano insieme al suo pugno, e finalmente il mio polso è libero.

Vorrei poter trarre un sospiro di sollievo, ma lo sguardo cupo di Eric non preannuncia nulla di buono.

-Quindi è vero che gli piacevi e, non potendo avere te, si è accontentato della tua gemella!-

Sbarro gli occhi alla sua affermazione e rimango talmente tanto sconvolta che mi dimentico di massaggiarmi il polso indolenzito.

Non pensavo che fosse tanto geloso da arrivare ad insinuare che Robert si sia preso una cotta per mia sorella solo perché mi somiglia. Robert non è mai stato interessato a me e ha scelto mia sorella per affinità, non per il suo aspetto fisico.

-Ma che stai…- Provo, ma comprendo subito che spiegare ad Eric l’innocenza del sentimento tra Robert e Amber sarebbe tempo perso, ancora di più dato il momento. -Lascia perdere!-

Come inutile sarebbe spiegargli che Finn si è affezionato a me perché gli ricordo sua moglie.

-Non parlare!- Mi abbai contro, ma l’occhiata avvelenata che mi rivolge, e con cui sembra accusarmi in silenzio di qualcosa che però non ho commesso, è anche peggio.

-Non capisci?- Jason alza la voce ed è decisamente arrabbiato. -Finn gestisce i ribelli, li controlla e farà in modo che combattano per noi! Ed è Robert ad avere il controllo sulle armi, mentre la sorella e il padre di Aria manometteranno i sistemi e potremo entrare!-

Le sopracciglia di Eric hanno un guizzo e penso di sapere a cosa sia dovuto. Se già non accetta il nostro aiuto, di certo sentir nominare mio padre non gli ha fatto piacere per nulla.

-Non ha senso! Ammesso che il vostro piano funzionasse, cosa impedisce agli Intrepidi qui fuori, con cui credete di esservi alleati, di farmi fuori?- Dice Eric, poi assottiglia lo sguardo. -Cosa mi state nascondendo? Qualcosa li ha fermati, avrebbero potuto spararmi e allearsi direttamente con Finn, senza voi a fargli da tramite!-

Mi si gela il sangue, stringo la mano di Eric, abbandonata sulle mie gambe, e mi rifiuto di guardare Jason, anche se so perfettamente che mi sta fissando e aspetta una mia spiegazione. Lui stesso è rimasto interdetto quando ho tirato fuori quella chiavetta digitale e ho chiesto a Tori di visionare i file al suo interno.

Forse si aspetta che sia io stessa a dare una spiegazione a Eric, visto che è stato grazie a me e al mio segreto se abbiamo guadagnato tempo. Vorrei fosse semplice, ma mio padre ha rischiato grosso per farmi avere quelle informazione e so che Eric non avrebbe voluto che le consegnassi così ai nemici. Non mi perdonerà se verrà a sapere che gli è stata risparmiata la vita perché mio padre ci ha fatto avere i segreti di Jeanine, dove viene svelato che i capifazione Intrepidi hanno accettato la simulazione per proteggere la città, dopo che i messaggi degli antenati ci invitavano a tenere sotto controllo i Divergenti.

Sapere che deve la sua vita a me, e a mio padre, sarebbe come dargli il colpo di grazia con una dose troppo alta di veleno per il suo orgoglio.

-È stata un’idea di Finn!- Esordisco, controllando la voce. -Lui ha detto a tutti i suoi uomini di come ti sei sempre opposto a Jeanine, e che eri stato catturato perché lei aveva tentato di liberarsi di te. Sei un vero capo per loro, uno dei pochi che ha avuto il coraggio di contrastare Max, e non accetteranno che i trasgressori ti facciano del male!-

Jason ed Eric mi studiano attentamente.

-Gli abbiamo detto che se non ti lasciavano andare, non ci sarebbe stato nessun accordo.- dico con un’alzata di spalle, come se avessi detto la cosa più ovvia del mondo. -Non conta cosa vogliamo io e Jason, ormai, per gli Intrepidi rimasta degli Eruditi, sei una guida!-

Ma Eric non è d’accordo e, come ogni qualvolta che da il peggio di sé, si finge controllato e sereno e si concede perfino una risata. Peccato che il modo in cui ride mi faccia agghiacciare.

-E mi state dicendo che credere a questa follia?- Enfatizza.

Jason rimane a guardarlo e non esprime alcuna emozione, credo stia iniziando a stancarsi. Quando Eric guarda per un attimo me, si accorge che sono rimasta delusa dalla sua reazione e torna serio.

-Non funzionerà.- Decreta. -Max farà fuori tutti e, appena possibile, qualcuno farà fuori anche me!-

Sulla poltrona girevole, Jason scuote la testa e guarda l’amico con rancore.

Per quanto riguarda me, non so se è semplicemente il mio sistema emotivo ad essere andato in tilt ma, con un tuffo al cuore, mi sento invadere da un profondo malessere. Purtroppo sono abbastanza intelligente da capire perfettamente perché me la prendo tanto.

Non posso sopportare che Eric parli della sua morte, dando per scontato che falliremo comunque. Non dopo tutto quello che abbiamo fatto.

-Qual è esattamente il tuo problema?- Dico fra i denti.

Eric volta paino la testa e mi ricambia con un’occhiata infuriata e credo che, se potesse, mi chiuderebbe la bocca per sempre.

-Il problema è che vi siete messi contro Jeanine, quando avreste dovuto rimanere dalla parte dei vincitori. Invece siete passati dalla parte di un gruppo di disperati e volete prendere parte ad una guerra in cui finirete col farvi ammazzare!- Mi guarda come se stesse spiegando qualcosa di complicato ad un bambino. -Con lei sareste stati al sicuro!-

Sono stanca di farmi prendere in giro da lui, che evidentemente si rifiuta di capire. Scatto in piedi e lo fronteggio senza paura.

-Al sicuro da cosa?- Esplodo. -Dovevamo restare con quella pazza di Jeanine e scegliere se nasconderci o obbedirle?-

Eric mi offre una smorfia in risposta. -Avete sprecato energie utili per me, quando è chiaro che stanno solo cercando il modo per farmi fuori. E magari i prossimi sarete voi!-

Stringo i pugni e batto un piede per terra, per la frustrazione. -Pensi che potevo starmene buona senza provare almeno a fare qualcosa? Secondo te avrei dovuto rassegnarmi?-

Dal modo in cui mi guarda, faticando quasi a respirare, capisco che sto iniziando a smuovere qualcosa.

-Rischierei la mia vita altre cento volte piuttosto che accettare in silenzio!- Mi faccio forza e continuo. -Non solo non avrei mai accettato di abbandonarti al tuo destino, ma per niente al mondo sarei rimasta con quella squilibrata!-

Eric serra le labbra e fa un lungo respiro, fissandomi in cagnesco, come se fosse stato sul punto di rimproverarmi ma si fosse trattenuto.

-Sarà stato anche folle, ma c’è l’abbiamo messa tutta e ha funzionato!- Taglio corto. -Adesso siamo qui, tu sei con noi e possiamo vendicarci di Jaenine. La voglio morta!-

Il modo in cui Eric continua a sostenermi lo sguardo mi fa sentire inutile, sembra che non sappia in che modo iniziare ad insultarmi, però ha la gentilezza di non farlo.

Jason, che non si è intromesso fino adesso, si passa le dita sul proprio labbro gonfio e riflette. Quasi dimenticavo che ha fatto a pugni con un altro Intrepido e che, a differenza di me e Camille, lui ha ricevuto il trattamento pesante dalle varie guardie che ci hanno scortato dal nostro arrivo dai Candidi.

-Per quanto assurdo sia, arrivati a questo punto, abbiamo davvero una possibilità di farcela.- Spiega. -Non eravamo disposti a rimanere al servizio di Max e Jeanine, e non potevi certo chiederci di rinunciare a te senza nemmeno provarci!-

Il suo discorso è più che corretto e condivido in pieno, ma Eric lo fissa come se avesse appena detto qualcosa di così assurdo da essere comico. Piega la testa in avanti, la scuote e ridacchia freddamente.

-Vattene via!-

Jason non replica, fa un cenno tra sé e sé e si alza, ma vedo l’occhiata comprensiva che riserva al suo amico. Non è per niente offeso, rispetta la richiesta che gli è stata fatta.

-Io e Camille ci siamo sistemati nella stanza qui accanto, dato che era rimasta vuota.- Lo informa, ma Eric finge di non prestargli più attenzione.

Sono rimasta senza parole, ancora stravolta per la nostra discussione, mi risiedo accanto ad Eric ma per fortuna non mi sono illusa di poter stare tranquilla.

-Vai anche tu con lui!-

Le parole improvvise di Eric mi gelano, lo guardo e non riesco e frenare la mia delusione.

-Cosa?- Sono indignata.

-Non serve a niente che anche tu stia rinchiusa in questa stanza, non sei una prigioniera! Ma rimani con Jason, non voglio che te ne vada in giro da sola in questo posto.-

Trattengo un fremito e serro le dita per non fare vedere che mi tremano le mani, guardo in basso e mi mordo forte il labbro.

Per quanto finga di ignorarmi, Eric deve avere notato il mio turbamento e non credo volesse intenzionalmente farmi del male. Mi afferra una mano e si volta finalmente per guardarmi in viso.

-Vai, Aria!-

Sta volta le sue parole sono meno amare, è una supplica mascherata dalla forza. Mi stringe la mano e i suoi occhi sono nei miei, decisi ma più caldi.

Comprendo che ha bisogno di stare da solo con stesso per un po’, vorrei anche essere in grado di accettarlo e di ritirarmi in buon ordine come ha fatto Jason, ma è come se mi avessero dato un pugno alla stomaco.

Faccio un cenno e mi alzo, passandogli davanti senza guardarlo più, poi Jason mi apre la porta. Cerco di non pensare più a nulla e di provare a calmarmi, ma mi basta vedere il modo in cui le due guardie fuori ci squadrano per sentirmi ancora in ansia.

Quando Jason si chiude la porta alle spalle, uno dei due soldati prende parola.

-Tori vuole parlare con la ragazza!-

La cosa curiosa è che il soldato si è rivolto solo a Jason, limitandosi a indicarmi con il mento, come se io non fossi presente.

Lo guardo storto.

-So dove trovarla!- Taglia corto Jason.

Mi mette una mano dietro la schiena e mi conduce lungo il corridoio, lasciandoci alle spalle le guardie.

La stanza di Eric è proprio l’ultima in fondo al corridoio dove sono situate le camere preferenziali ai piani superiori. Arriviamo in fondo, superando tutte le camere e ci fermiamo davanti ad una porta chiaramente più corazzata delle altre, con appesa sopra una targhetta con scritto il nome Max, e mi si storce il naso.

Tre uomini armati sono di guardia e, quando avanziamo per entrare, un soldato dagli occhi color ghiaccio mette una mano sulla spalla di Jason.

-Tu no!- Gli abbaia contro. -Solo lei.-

Mi volto a guardare Jason, allarmata. Lui si irrigidisce e contrae i muscoli del viso, ma si ricompone rapidamente e mi fa un cenno, che ricambio prima di dargli le spalle per entrare.

Dentro di me so che pretenderà dei chiarimenti, e che li aspetta da quando ho tirato fuori quella chiavetta di memoria di cui ignorava l’esistenza. Per di più Tori ha scelto di parlare solo con me, e credo proprio che Jason non sorvolerà su questo dettaglio scomodo.

Appena entro, qualcuno chiude la porta dietro di me, ed io mi ritrovo in uno studio, difronte ad una scrivania dietro cui siede Tori, intenta a scrivere qualcosa su dei fogli. Passa un documento ad uno dei due soltati al suo fianco e questo mi supera per uscire.

-E quindi,- Esordisce Tori, ancora a testa china sul suo lavoro. -Eric e gli altri capifazione ci hanno messi tutti sotto simulazione e mandati contro gli Abneganti, per rispettare il presunto volere degli antenati e per scongiurare un’ ipotetica catastrofe che veniva da fuori?-

Serro le labbra, controllo il respiro ed apro e chiudo le mani, ancora nascoste dalla maglia troppo grande di Eric che mi sono dimenticata di togliermi. Lo scetticismo di Tori è evidente, misto ad una dose elevata di sarcasmo, ed è chiaro che la nostra alleanza non è ancora consolidata.

-Purtroppo, in quanto capofazione che ha agito per il bene della sua fazione e di tutta la città, può essere processato e destituito dal suo incarico ma non condannato a morte.- Spiega, sollevando finalmente la testa per ricambiare il mio sguardo. -Sono le assurdi leggi che abbiamo!-

Dovrei tirare un sospiro di sollievo, ma il sorrisino amaro di Tori non preannuncia nulla di buono. Eric ha ragione, non si accontenteranno mai di vincere la guerra, vorranno vendetta.

- Per ora!- Precisa la nuova capofazione, impassibile. -Per me gli assassini devono pagare e non mi fiderò mai di Eric!-

Non abbasso la testa, mi sento rimpicciolire ma so che poteva andare molto peggio.

-Mi chiedo però se quei file siano veri…- Indaga.

-Lo sono!- Mi affretto a precisare.

Tori mi studia a lungo, assottigliando lo sguardo, poi fa un gesto rapido con la mano e torna a scrivere sui suoi fogli.

-Tu, Jason e Camille siete sotto stretta sorveglianza ma siete liberi. Eric è nostro prigioniero e non abbiamo ancora deciso cosa farcene di lui.-

Mi mordo il labbro e mi impongo di rimanere calma, nonostante il misto di rabbia e timore che mi scuote.

-Gli abbiamo solamente concesso un periodo di prova.-

Serro i pugni fino a conficcarmi le unghie nei palmi. -Cosa vuoi davvero?-

Tori torna a guardarmi, fa una smorfia e allarga le braccia. -Che collabori!-

-Lo farà!- chiarisco.

Jeanine ha tradito anche lui, e spero che il suo desiderio di vendicarsi basti a convincerlo a non opporre resistenza.

-Ho sempre creduto che Eric fosse uno stronzo e basta. Un pallone gonfiato a cui non importava nulla di nessuno, all’infuori di sé stesso.- Mi comunica, scrivendo.

Rimango in silenzio.

Tori si picchietta con la penna sul mento e fa spallucce. -Poi ho visto come si comporta con te, ed è evidente che per lui sei importante.-

Ricordo benissimo, ora più che mai, il modo in cui Tori fissava Eric, quel giorno dagli Eruditi quando c’era stata la sommossa contro gli Esclusi. Eric credeva che avessi preso parte alla missione e, quando mi ha ritrovata, la sua reazione è stata esplicita e intesa.

E Tori era presente.

-E quindi?- La incalzo.

-Adesso penso che sia uno stronzo egoista con una ragazza!-

Nascondo una smorfia mordicchiandomi il labbro. La sua risposta non fa una piega.

Ma Tori non ha ancora finito, spinge via i fogli e capisco che sta cercando di dirmi qualcos’altro.

-Non mi importa di Eric e delle sue relazioni, ma su quella chiavetta di memoria che mi hai dato c’erano degli estratti da alcuni appunti di Jaenine, in cui diceva che avrebbe usato te per ricattare lui.- Mi osserva. -È vero?-

Sento un formicolio sul polso sinistro, sui punti di sutura, e anche alla schiena dove rimane il segno del trasmettitore che mi è stato inserito.

-Sì.-

Lei fa un cenno. -Non siamo delle bestie come quella squinternata di Jeanine, e non ce la prenderemo con una ragazzina per far parlare Eric. Ma…-

Ricambio il suo sguardo e cerco di non farle capire quello che provo.

-Se lui non collabora, glielo faremo credere!- Conclude. -È tutto!-

Fa un segnale ad una sua guardia e questa mi avvicina per scortarmi fuori dalla porta. Mi muovo come un automa, la mia mente è piena di pensieri e quasi tutti pessimi.

Sapere che non è solo un bastardo assassino, ha aiutato Tori a dare ad Eric una seconda possibilità. Ma loro vogliono risposte da lui, lo interrogheranno e si aspetteranno la sua collaborazione. Per quanto bello sarebbe illudersi, Eric non accetterà mai di sua spontanea volontà, perciò gli faranno pressioni minacciando me.

Fantastico, come se non avessimo già abbastanza problemi a fargli accettare la situazione, per di più sarò sempre io il problema.

Questa è la volta buona che inizierà ad odiarmi, me lo sento.

 

 

Continua…

 

 

 

 

 

Dite che sono “un tantino” in ritardo? Scusatemi, ma sto davvero cercando di migliorare. Per esempio, mi pare che questo capitolo sia un po’ più lungo degli altri, così da farmi perdonare per l’attesa.

Come sempre vi chiedo cosa ne pensate, visto che da questo momento in poi può davvero succedere di tutto!

 

Alla prossima, spero presto!

Bacioni e grazie a tutti voi che seguite questa mia storiella!

 

 

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Capitolo 46
*** Scegli me ***


46. Scegli me

 

 

 

 

 

 

L’acqua gelida che mi getto sul viso mi risveglia, anche se mi procura un brivido lungo la schiena. Chiudo il rubinetto del lavello del bagno ma resto a capo chino per non sgocciolare per terra. Allungo un braccio per prendere l’asciugamano appeso lì vicino, mi ci tampono il viso e mi friziono i capelli umidi.

Esco dal bagno e raggiungo il balcone, appoggiandomi alla ringhiera mentre osservo annoiatamente il sole che illumina il tetto dei palazzi circostanti. Dovrei pensare a tante cose, dovrei decidere come comportarmi da adesso in poi, ma la mia mente è totalmente assopita. È come se qualcosa avesse fatto piazza pulita dei pensieri e avesse resettato persino il mio subconscio.

Non c’è nulla su cui valga la pena soffermarsi e niente che io posso realmente fare per cambiare le cose, per cui tanto vale chiudere la porta su ogni tentativo di ribellione.

Arrendermi è più difficile che lottare, ma in questo momento non sto rinunciando a combattere, sto semplicemente accettando che non c’è nessuna battaglia da sostenere. Se ci fosse anche solo una piccola lotta da disputare per migliorare la mia situazione, radunerei le forze a partirei all’attacco.

Ma niente.

Quel che è fatto è fatto e il futuro sembra essere già segnato, ed io, onestamente, non sono intenzionato a sprecare ulteriormente le mie energie. Voglio godermi il silenzio dentro la mia testa e lasciare che il mondo vada a pezzi senza dovermi preoccupare di ricucirlo. Ho fatto abbastanza per questa fottuta città, ho passato giornate intere al lavoro e sono stato ripagato ampiamente per i servigi svolti.

Ho avuto fin troppo.

Direi che adesso possono andarsene tutti al diavolo.

Sono tutti vermi senza spina dorsale che vogliono proteggersi fra di loro, che si fingono moralisti, quando il giorno prima si odiavano come cani randagi.

Non provo vergogna per quello che ho fatto, rifarei tutto.

Pensavamo che i Divergenti fossero pericolosi, ma a dire il vero non ho ripulito la mia fazione da quei soggetti solo perché era giusto, ma anche perché mi era comodo farlo. Se mi avessero chiesto di uccidere degli innocenti per garantirmi il mio posto da capofazione, lo avrei fatto. Ho dato tutto per farmi rispettare e non mi importava che credessero in me, mi bastava che mi temessero e che obbedissero ad ogni mio ordine.

Se per garantirmi il mio potere mi sono dovuto sporcare le mani, non è un problema.

Dovrei ricordare a me stesso in che situazione sono finito, oppure dovrei semplicemente guardami allo specchio e costatare lo stato pietoso in cui sono ridotto, ma la mia ora di commiserazione può attendere.

Sento bussare alla porta e resisto all’impulso di gettarmi oltre la ringhiera per il fastidio, sopprimo un ringhio e mi volto di scatto verso l’interno della stanza. Ritorno dentro, furente.

Poco dopo, senza che io abbia dato il mio consenso, la porta si apre lentamente e penso che sia Aria. Se è lei ad aver osato irrompere qui, potrei anche chiudere un occhio. Certo, se le avevo detto di lasciarmi in pace avrebbe potuto ascoltarmi e starsene fuori dai piedi ancora per un po’, ma non mi aspetto che quella ragazzina comprenda il mio stato d’animo e so che vuole starmi attaccata come una spina nel fianco.

Con mio stupore, a sbucare da dietro la porta non è né Aria né una guardia, ma solamente Jason.

Lui entra e chiude la porta dietro di lui, mantiene un’espressione neutra e mi osserva.

-Ho parlato con Tori, dato che a quanto pare comanda lei adesso.- Parte, schietto e senza giri di parole. -Dice che non sei un vero prigioniero, perciò non ti porteranno da mangiare qui.-

Scrollo le spalle. -A no, non sono un prigioniero?-

Jason sembra intenzionato ad ignorare i miei attacchi di spirito. -Il punto è che non avresti modo di scappare, per cui puoi benissimo scendere a mensa.-

Al solo pensiero, mi sembra che una bomba mi sia appena esplosa al fianco. E probabilmente sarebbe meglio.

-Non sto scherzando!- Mi avvisa, con uno sguardo serio.

-Nemmeno io!- Preciso. -Preferisco lasciarmi morire di fame.-

-Rispetto la tua scelta, ma le condizioni sono queste.-

Gli volto le spalle a vado a sedermi sulla poltroncina girevole nell’angolo.

-Hai davvero intenzione di startene chiuso qua?- Vuole sapere.

Il suo sguardo è assottigliato e direttamente puntato su di me, in cerca del mio.

-Non ho fame.-

Jason si passa una mano sulla fronte e sospira. -Sul serio, Eric. Dovrai uscire da qui prima o dopo.-

-Vattene e lasciami in pace!-

Lo guardo storto e faccio ruotare la sedia per non dover più sopportare le sua occhiate. Non ho alcuna intenzione di scendere a mensa, dove tutti mi fisseranno e faranno commenti sotto voce. Sto cercando di stare calmo, di far finta di niente, ma se continuano a provocarmi mi sarà assai difficile impedirmi di staccare qualche testa.

Per di più sono un fottuto capofazione, o ero, e non ammetto di essere scortato o comunque tenuto sotto stretta sorveglianza mentre vado a mangiare.

Piuttosto che dare a quei bastardi la soddisfazione di vedermi sconfitto, mi lascio davvero morire.

-Hai qualcosa in mente?-

Mi passo una mano sulla ferita sul collo. -No.-

Jason si altera. -E quindi che facciamo?-

-Niente, a quando pare avete già deciso tutto.- Ruoto di nuovo la sedia per fronteggiarlo. -Sarò il loro fottuto prigioniero, mi interrogheranno, mi useranno per barattarmi in cambio di armi e dell’aiuto degli altri Intrepidi rimasti dagli Eruditi e sembrerebbe che mi risparmieranno!-

-Senti…- Prova.

-No, ascoltami tu!- Non gli do modo di continuare. -Non venire qui a dirmi che non avevate altra scelta, o che volevate solo salvarmi, perché sai benissimo anche tu che, quando non gli servirò più, mi faranno fuori!-

-Dovevamo solo prendere tempo, Eric! E ci siamo riusciti!- Mi urla contro.

-Bene! Allora prendiamo tempo e fingiamo che vada tutto bene!-

Scuote la testa, avvilito. -Possiamo ancora cambiare le cose, se collabori…-

Assottiglio lo sguardo e lo osservo mentre si pizzica con e dita l’attaccatura del naso.

-Se collabori, ti lasceranno vivere!-

Perdo la pazienza e mi alzo, dando un calcio alla poltrona che gira su stessa. -E in che modo?-

Lui tace.

-Hai mai pensato che, forse, non avevo alcuna intenzione di essere uno schifosissimo sopravvissuto? Dovrei festeggiare di essere vivo, ma non sono più niente, non sarò più un capofazione e dovrò vivere come un eterno sorvegliato speciale!-

Jason serra le palpebre e prende fiato. -Pensavo che…-

-Che cosa?- urlo. -Che mi fossi totalmente rammollito e che Aria mi avesse cambiato, o che mi sarebbe bastato sopravvivere per vivere con lei?-

Non risponde.

-Non avrei mai scelto questo, non avrei mai voluto ritrovarmi in questo schifo!- Gli do le spalle e mi allontano di qualche passo. -Ero un capofazione, avevo rispetto, ed era quello che avrei dovuto continuare ad avere.-

-Preferivi continuare a essere un capo al servizio di Jeanine? Preferivi far parte degli sconfitti?-

-Non sono forse sconfitto, adesso?-

-Chi ti dice che fermando Max non riconquisterai fiducia?-

-La fiducia di chi?- Anche solo guardarlo mi infastidisce. -Non mi importa più niente di questi Intrepidi che hanno nominato Quattro come loro capofazione! Loro volevano uccidermi e probabilmente lo faranno a prescindere di cosa farò!-

-E allora che farai?-

-Quello che volevi che facessi!- Allargo le braccia. -Me ne starò qui a prendere tempo e fingerò di voler collaborare!-

Jason fa una smorfia e devia lo sguardo.

-Non ho mai chiesto questo, sai benissimo che avrei preferito morire da capofazione che ridurmi così, per cui non venire qui a dirmi che devo fare qualcosa!-

-Eric…-

-No!- Lo zittisco. -Avete fatto la vostra mossa, ora voglio essere libero di decidere per me!-

Solleva lo sguardo su di me. -E cosa scegli?-

-Scelgo quello che ho sempre scelto!-

Lo sorpasso ed esco nuovamente sul bancone, mi appoggio alla ringhiera e fisso lo sguardo oltre i tetti dei palazzi.

-Scelgo me.- Specifico. -Scelgo di fare solo e soltanto quello che ritengo giusto e vantaggioso per me stesso.-

 

Mi accorgo di essermi appisolato solo quando il tonfo della porta mi fa sussultare. Borbotto qualcosa, mi passo pesantemente la mano sugli occhi e tento di mettere a fuoco la goffa figura che sta attraversando la stanza a passo di carica.

Con il senno di poi, avrei dovuto chiudere la porta. Fuori dovrebbero esserci ancora delle guardie e non credo si farebbero tanti scrupoli a entrare senza il mio consenso.

Batto le palpebre e mi ritrovo una ragazza che mi fissa insistentemente dai piedi del letto, con un’espressione che, ad essere onesti, non preannuncia nulla di buono.

Sono disteso sul mio letto, supino, con sotto la testa due cuscini e non ricordo di essermi addormentato, so solo di essermi steso per controllare il fastidioso dolore alla schiena e perché non avevo altro da fare. Prendo un pesante respiro, pentendomene quando sento la solita fitta alle costole, che mi ricorda i maltrattamenti che ho subito.

Serro i pugni e mi sforzo di non pensare a quei bastardi che hanno osato prendere a calci il loro capofazione.

-Ti ho portato la cena!- Dichiara Aria, abbastanza seccata.

Lascia cadere sul letto un fagotto non bene identificato e mi scruta in silenzio con un cipiglio assai contrariato.

-Chiudi a chiave la porta!- Le rispondo, sistemandomi meglio i cuscini dietro la schiena per stare più sollevato.

Lei alza gli occhi al cielo e, sbattendo i piedi, fa come le dico e fa scattare la serratura.

-Ci sono ancora le guardie?- Pretendo di sapere.

-Una nuova coppia di idioti. Erano seduti per terra a mangiare panini.-

Decido di mettermi seduto contro lo schienale del letto e fisso Aria, cercando di decifrare l’espressione del suo volto. Probabilmente si sta solo comportando da bambina ed è offesa con me per averla mandata via, tuttavia penso che potrebbe esserci dell’altro.

-Che ti ha detto Jason?- Indago.

Lei fa spallucce e si riposiziona davanti al letto.

-Niente!- Sputa fuori con una smorfia.

Assottiglio lo sguardo, cercando di minacciarla a essere sincera, ma lei incrocia le braccia al petto e devia lo sguardo.

Forse non ha gradito il mio rifiuto di reagire o la mia decisione di starmene in questa camera, invece di aggirarmi come un sorvegliato poco gradito per la residenza, in mezzo a tutti quegli schifosi ribelli.

-Se vuoi che me ne vada di nuovo, basta dirlo!-

La sua voce è notevolmente avvelenata e il mezzo sguardo che mi riserva non è da meno.

Un ghigno arrogante mi solleva le labbra. -Se fossi stata capace di starmi ancora lontana, saresti rimasta dov’eri, invece torni sempre da me!-

-Sono tornata perché sono stanca di starmene fra Jason e Camille, ma non voglio neanche stare qui a guardare te!- Stende le braccia lungo i fianchi e fa per spostarsi verso la finestra, ma ci ripensa e si pianta sul posto per lanciarmi un’occhiataccia. -Sai, piuttosto che stare qui a guardarti, preferisco andarmene in giro per la mia fazione, visto che almeno io non sono una codarda come te che preferisci nasconderti qui dentro!-

Sento distintamente l’ondata di furia che sale lungo le mie vene fino alla mia testa, dove crea una nebbia fitta che mi acceca per un istante, ma poi capisco che sta solo cercando di provocarmi e mi limito a guardarla storto.

-Attenta a come parli…- l’ammonisco con voce grave.

-Ma certo, tanto saresti benissimo capace di farmi del male!- Fa l’ennesima smorfia, stizzita, poi incrocia il mio sguardo. -Come ieri sera!-

Rimango ostinatamente a fissarla perché non ho alcun motivo di abbassare gli occhi, anche se so che si sta riferendo al modo in cui le sono saltato addosso quando l’ho rivista. So di non essere stato molto gentile ma, da quello che ricordo, dopo abbiamo fatto la doccia insieme ed era per farmi perdonare.

Evidentemente la ragazzina è un’ingrata.

-Scoparmi la mia ragazza non mi sembra una cattiveria così terribile, anche se in quel momento non volevi!- Preciso.

Ma lei non sembra soddisfatta, scuote la testa e batte anche un tallone per terra. -Quando mai ti è importato di cosa voglio io!-

-Poverina!- La beffeggio. -Come se ti fosse dispiaciuto stare con me.-

-Non l’ho mai detto!-

-Allora che vuoi?-

Si morde il labbro inferiore e sospira. -Forse sto solo ricordando a me stessa come sei realmente…-

Sollevo un sopracciglio. -Qualunque cosa tu stia facendo, stai esagerando!-

-Ma che paura!- Esclama allargando le braccia. -Che mi farai?-

Sto per risponderle malamente, forse sono anche prossimo a perdere del tutto la pazienza, ma improvvisamente tutta questa faccenda mi sembra ridicola. Conosco bene Aria, non è tipo da certe scenate senza nessun motivo sotto e so che sa gestire anche le situazioni più complesse. Tuttavia è solo una ragazzina, cosa che dimentico spesso, magari tutto quello che è successo inizia ad essere semplicemente troppo e tutti abbiamo un limite. Io stesso ho oltrepassato il mio e sento che qualcosa dentro di me è andato irrimediabilmente perso per sempre, forse anche lei ha toccato il fondo.

La sua deve essere solo una crisi isterica di qualche tipo, le donne ne hanno sempre qualcuna, probabilmente è arrivato il suo momento per sfogarsi.

La guerra cambia le persone, ma la morte fa di peggio. Aria ha perso molto e magari si aspettava il mio sostegno ma, anche se fossi il tipo di ragazzo che le offre una spalla su cui piangere, non saprei aiutarla.

-Smettila di fare la vittima!- La riprendo, scocciato. -Sai bene che, se anche avessi voluto farti male, non sari in grado di fartene!-

-Perché?- Mi chiede, con il mento sollevato.

La sua domanda mi spiazza, credevo di averla soddisfatta. Prendo un respiro profondo, mi passo stancamente una mano sul viso e torno a fissarla intensamente.

-Perché sei mia!-

-E per cosa sono tua, esattamente?-

Evidentemente è diventata incontentabile, ma questo suo giochetto sta iniziando a darmi i nervi.

-Stammi sentire…-Inizio, ma non ho modo di continuare.

-Io ho scelto te! Sempre!- Afferma con vigore e rabbia.

Colgo il suo tremore e rimango per un attimo interdetto, attendo alle sue reazioni.

-Ti ho seguito dagli Eruditi senza chiedermi se fosse giusto o sbagliato, ho rischiato la vita solo per riaverti con me e ancora adesso farei di tutto solo per te!-

-Posso sapere che diavolo stai…?-

-Ma a te non importa di cosa provo, pensi solo a te stesso!- Insiste, interrompendomi. -Ogni volta che qualcosa va storto, io scelgo te e mi basti!-

Ormai non mi guarda neanche più, sembra impegnata nel suo sfogo e la sua voce è sempre più stridula e al tempo stesso seria.

-Hai perso tutto, lo capisco, ma evidentemente io non sono abbastanza per te-

-La pianti di blaterare cosa senza senso, o…?-

-Scegli me!- mi ordina, incatenandomi con uno sguardo talmente intenso che mi assorbe. -Mettimi per una volta davanti a tutto, amami e basta!-

Per un attimo penso che mi abbia mentito, perché non è possibile che non abbia parlato con Jason, data la precisione delle parole che ha usato, ma forse non ne aveva bisogno per capire tutto.

E, sapere che ad Aria è bastato guardarmi per capire meglio di me la mia stesa situazione, è la goccia che fa traboccare il vaso e perdo il controllo.

-Ti ho già scelta una volta!- Sbraito inferocito. -E ne ho pagato le conseguenze a caro prezzo!-

Credo di averla colpita, lo capisco dal modo in cui spalanca gli occhi e per come le trema il labbro inferiore.

-Ti ho scelta il giorno della simulazione, quando ho infranto ogni regola solo per assicurarmi che tu fossi al sicuro.- Le spiego, mettendo i piedi giù dal letto. -E sai qual è la cosa stupida?-

Mi alzo e avanzo molto lentamente vero di lei, aggirando il letto.

-La cosa stupida è che una stupida simulazione non ti avrebbe certo uccisa, ma io volevo proteggerti ugualmente.-

-Quindi te ne sei pentito!- Ipotizza, serrando ostinatamente le labbra.

Colgo il suo sguardo di sfida, ma noto anche il luccichio dei suoi occhi improvvisamente umidi.

-Non ho detto questo!- Sbraito, ad un soffio dal suo viso. -Ma non posso negare di aver perso tutto quello che avevo per colpa tua.-

Abbassa il viso, si morde con cattiveria il labbro e un brivido le fa scuotere le spalle.

Mi fermo davanti a lei e, cautamente, le appoggio una mano sulla guancia e le sollevo il viso affinché mi guardi.

Ma l'espressione che il suo volto si rifiuta di celare è dotata di un'oscurità semplicemente troppo profonda.

-Grazie per aver risposto alla domanda che mi tormentava da giorni.-

Aggrotto le sopracciglia e ritraggo la mano, la sua dichiarazione è stata troppo fredda.

Mi osserva con cattiveria, lacrime scorrono lungo le sue guance ma lei rimane impassibile. -Lo sapevo che per te è tutta colpa mia e che avresti preferito non incontrarmi!-

-Complimenti!- Ringhio. -Come al solito non hai capito un cazzo!-

Scuote la testa e cerca di spostarsi, ma l'afferro dalle spalle, senza tuttavia riuscire a farmi guardare.

-Non ricordo di aver detto quello che dici tu!- Le urlo contro.

Non posso crederci che mi stia facendo perdere tempo dietro queste sciocchezze, o che si sia offesa. Dovrebbe sapere cosa provo per lei, dovrebbe capirmi. Ho soltanto detto la verità e quello che penso, tutto il resto se lo è inventata da sola.

La sento soffocare una risata mentre si ostina a starsene a testa bassa. -Ma è come se lo avessi detto...-

La sua risposta mi paralizza, non c'era alcuna traccia della sua solita dolcezza nella sua sua voce, solo uno spesso strato di gelo letale. L'errore che commetto è quello di allentare la presa su di lei e lasciarmela scappare, così scatta verso la porta e fa girare la serratura.

-Non osare uscire da questa stanza o giuro che te ne farò pentire!- La minaccio puntandole un dito contro.

Sono furioso, tremo d'ira, eppure questo non le impedisce di sollevare il mento e, con uno sguardo di sfida, uscire dalla camera e sbattermi la porta in faccia.

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

 

 

 

Scusate per l’immenso ritardo, non so che dire e purtroppo non so se riuscirò davvero a riprendere ad aggiornare regolarmente. Magari, spero, con l’estate avrò più tempo libero e potrei provare a scrivere di più.

Farò del mio meglio!

 

Intanto ringrazio tutti quelli che ancora continuano a seguire questa mia lunga e stramba storiella, grazie davvero!

 

Baci, spero a presto!!!

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 47
*** Alle origini ***


47. Alle origini

 

 

 

Mi appiattisco con la schiena contro la porta ormai chiusa dietro di me, anche se, inevitabilmente, mi sembra di aver messo molto più di uno strato di legno tra me ed Eric. Il mio cuore batte ferocemente, minacciando di uscirmi dalla schiena, dove urta contro la superficie della porta.

Da dentro la stanza che ho appena lasciato sento proveniere varie imprecazioni al limite della decenza e anche qualche tonfo poco rassicurante ma, dentro di me, sento sola una voce che ripete senza pietà una stessa e unica frase.

Non posso negare di aver perso tutto per colpa tua…

Uno strato di lacrime mi appanna la vista e trattenerlo dentro gli occhi mi sembra l’unica soluzione, mentre mi mordo il labbro e provo e restare in piedi, con un singhiozzio che mi sfugge dal petto. Chiudo le palpebre e mi piego in avanti, cercando di non emettere altri suoni e prendendo un profondo respiro.

-Cosa c’è bambina, hai litigato con il fidanzatino?-

Spalanco gli occhi e guardo alla mia sinistra dove, contro la parete che segna la fine del corridoio, i due ragazzi di guardia sono ancora seduti per terra.

Sghignazzano in risposta all’occhiataccia carica di lacrime che gli lancio e so bene che non posso certo discutere con loro. Mi stacco dalla porta e mi avvio a grandi passi verso le scale, voglio allontanarmi da qui prima possibile. Supero la stanza che Camille e Jason si sono presi e passo rapidamente anche davanti a quello che era lo studio di Max, non voglio che mi vedano.

In realtà non so dove andare, gli sguardi che mi hanno trafitto in mensa mi sono bastati e non voglio correre il rischio di farmi vedere da chi ucciderebbe Eric senza pensarci due volte.

Avevo creduto di essere tornata a casa, che niente era peggiore del quartiere degli Eruditi, o che qui non avrei dovuto nascondermi. Ed invece non è cambiato assolutamente nulla.

Mentre scendo le scale, mi accorgo che il mio corpo mi sta portando verso una direzione e la motivazione è molto semplice. Non sono stata in questa residenza troppo a lungo da sapermi muovere liberamente, gli unici percorsi che conosco bene sono quelli per andare in mensa o in palestra.

E poi c’è la strada che divideva la camera di Eric dai dormitori, e quella l’ho imparata bene, riesco ad orientarmi anche al buio. Ed anche adesso è buio pesto, è sera e a quanto pare hanno deciso di rispettare le regole sul risparmio energetico e tutte le luci sono state spente.

Scivolo silenziosa la prima rampa di scale e poi le altre, accarezzo la roccia fredda dell’ultimo corridoio e sparisco oltre una porta incastonata in un buco in ombra.

Al mio ingresso, ad accogliermi c’è la lieve luce delle lampade d’emergenza installate ai quattro angoli della stanza che, lunga e silenziosa, è fin troppo simile a come la ricordavo.
Letti singoli e cigolanti sono ancora sistemati in due file, l’una di fronte all’altra.

Avanzo di un passo ma, come se avessi calpestato un pulsante, al mio movimento, uno squittio squarcia il silenzio. Mi paralizzo, per un attimo preoccupata, poi sollevo lo sguardo e, proprio sotto un flebile fascio di luce celestina, appare inquadra una figura.

È un profilo esile e minuto, reso ancora più piccolo dalla curva della sua schiena. È una macchia interamente nera e non solo per i vestiti, ma anche per il color cioccolato della sua pelle e l’ebano intenso dei suoi capelli arruffati.

Ancor prima di indovinare di chi si tratta, realizzo su quale letto è seduta, ed è allora che tutto ha un senso e non ho più dubbi su chi sia la ragazzina singhiozzante.

Il letto era quello del mio amico Will, che se n’è andato per sempre dopo aver legato particolarmente con la nostra compagna d’iniziazione Christina.

E sono proprio gli occhi marroni di Christina quelli che mi inchiodano come fari nella notte puntati contro di me. È solo un attimo, realizza chi sono e la sua espressione teneramente sconfortata si trasforma in un connubio di rabbia e odio. Si asciuga le lacrime con la manica lunga della felpa e compie uno scatto atletico per alzarsi e aggirare il letto in un unico e fluido movimento. Mentre guadagna l’uscita a testa bassa, ma non certo per timore, mi sfreccia accanto e sparisce fuori dalla porta senza batter ciglio.

Mi accorgo di avere la bocca aperta, come se avessi cercato di parlare ma qualcosa me lo avesse impedito. So bene cosa mi ha zittita, è stato il buon senso.

Will era anche mio amico, avrei potuto dirle, il primo vero amico fra gli Eruditi, ma a quale scopo?

So bene cosa sono diventata, sono una traditrice, una pazza che si è alleata a quei mostri di blu vestiti che hanno causato la morte di persone innocenti con una folle simulazione di massa.

Sono nella schiera dei cattivi.

Come una fitta in pieno petto, mi piove addosso la consapevolezza che per Christina, probabilmente, sono responsabile della morte di Will.

E non è forse così?

Dov’ero io mentre il mio amico, guidato da un computer manovrato dalla mia stessa sorella, agiva privo di volontà e si faceva sparare in testa da una sua amica?

Io ero ferma, immobile, in piedi dentro la sala di controllo degli Intrepidi, protetta dall’amore di Eric per me e tenuta lontana dalla guerra. Io ero ad assistere, senza oppormi e senza fare nulla di utile, mentre i miei compagni morivano.

Proprio io, che ho odiato Tris per essere stata il braccio che ha sparato a Will, mi rendo finalmente conto che ho più colpe io nella morte del mio amico che l’esecutrice stessa.

Solo adesso so di avere  le mani sporche di sangue tanto quanto Eric, per essere rimasta al fianco degli Eruditi senza fiatare, per aver visto mio padre torture poveri Divergenti senza fare niente.

Solo adesso so di non essere innocente.

Mi merito ogni odio, ogni sguardo inferocito e, soprattutto, merito di non avere più un luogo da definire casa. Non merito di rimanere rintanata nella camera di Eric, come se esistessimo solo noi.

Il nostro legame ha già causato troppi danni e non voglio più chiudere gli occhi, sono cresciuta e non posso illudermi.

Sono stata passiva, ero solamente la compagnia di Eric, una muta complice.

Una muta colpevolezza che solo adesso accetto.

Abbasso gli occhi sulla branda davanti alle mie ginocchia, la prima vicino alla porta, il mio letto. Mi ci lascio cadere sopra lentamente, quasi timorosa di romperlo. Ero felice di avere il letto in uscita, così potevo sgattaiolare da Eric nel cuore della notte, o rientrare all’ultimo minuto la mattina, facendo credere a tutti di aver dormito lì. Ma adesso, in mezzo a tutto questo buio, mi rendo conto che è una posizione ai margini.

Sono sempre stata fuori, confinata nel mio amore per Eric, ho messo tutto e tutti da parte, non mi sono goduta la mia iniziazione e ho allentato i rapporti con gli amici. Ho cercato per tanto tempo gli Intrepidi per sentirmi parte integrante di una società, considerando il mio vissuto disastroso fra gli Eruditi, per ripetere gli stessi errori.

Ho tenuto alla larga gli Eruditi per poi non tuffarmi nella mischia degli Intrepidi per starmene con il mio capofazione.

Sprofondo con il viso nel cuscino, sperando che basti per nascondermi da me stessa, ma non posso scappare, questo l’ho imparato.

Improvvisamente, odio Aria tanto quanto ho detestato Ariana Grey e non so più a quale parte di me stessa appellarmi.

Chi sono io?

Sono Aria, la compagnia di Eric che non ha mai voce in capitolo né coraggio di agire? O sono Ariana, la scontrosa Erudita sempre incompresa e arrabbiata, succube di una vita non voluta?
Quando potrò essere davvero me stessa, capace di gestire il mondo che mi circonda e smettere di scappare?

Prima sapevo solo lottare, poi ho sperato di sparire, adesso desidero solo vivere.

 

Mi accorgo di essermi addormentata profondamente solo quando qualcosa mi riscuote dal mio riposo senza sogni. Apro gli occhi di scatto, mentre la consapevolezza della mia vulnerabilità mi rigetta con violenza alla realtà, così faccio forza sulle braccia e mi sollevo.

Cerco di mettere a fuoco la stanza ma è buio, tuttavia non mi serve molta luce per inquadrare il volto della persona che si è seduta sulla mia branda, vicinissima a me. Sarà la vicinanza, oppure il riflesso delle lucine azzurre del corridoio o, molto più semplicemente, il fatto che conosco bene questo volto, ma so subito chi è.

Pelle luminosa, da bambolina di porcellana, grandi occhi vividi color nocciola chiaro, naso arrotondato e labbra morbide. I capelli dorati sono raccolti in una coda di cavallo, ma l’elastico non impedisce a parecchi ciuffi lisci e ribelli di scivolarle sulla fronte e incorniciarle il viso.

-Sasha!-

Il sussurro mi esce di bocca con più incertezza di quanto vorrei, quasi come se avessi posto ad alta voce una domanda e fossi in attesa di conferma.

Un timido sorriso le crea due fossette sulle guance, ma i suoi occhi si abbassano trascinando giù anche qualche ciuffo ribelle che la nasconde. È come se non avesse voluto sorridere, come se in realtà avrebbe voluto insultarmi e magari era venuta qui proprio per questo, ma l’attimo dopo scuote la testa e sospira.

-Aria?- Chiede ironicamente.

Assottiglio lo sguardo, mettendomi lentamente seduta contro lo schienale del letto e mi prendo un attimo per riflettere ma, nel caos della mia mente, i pensieri sono troppi e non riesco che a pensare a una sola cosa.

-Sei arrabbiata con me?-

Sasha non mi guarda, storce la bocca e segue con gli occhi il contorno della stanza per poi scrollare le spalle.

-La risposta potrebbe essere lunga e complicata e magari non capiresti del tutto, ma credo si possa riassumere con un no!-

Rimango per qualche secondo spiazzata, poi spingo fuori dal naso l’aria in un sospiro liberatorio che assomiglia molto a una lieve risata.

-Non mi chiedi come ho fatto a trovarti?-

La osservo e, tra dubbi e pensieri incompiuti, capisco che qualcosa non torna. È praticamente impossibile che Sasha mi abbia trovato, insomma, non poteva sapere che avevo litigato con Eric e che ero corsa a rifugiarmi qui sotto. Va bene l’amicizia, ma non dovrei essere qui, non dovrei essere uscita dalla stanza che fa da prigione del capofazione.

Per cui, senza grandi difficoltà a capirlo, l’unica risposta è che Sasha sia stata spinta in questo puzzolente dormitorio dal mio stesso bisogno di pace e chiarezza e che per una fortunata coincidenza ci abbia trovato me dentro a dormire. D’altronde, quando sono arrivata, c’era già Christina e non credo si fosse rifugiata qui solo per compiangere Will.

Il dormitorio è stata la prima casa che noi iniziati trasfazione abbiamo trovato. Privati persino dei vecchi vestiti, non eravamo altro che un branco di giovanissimi sfollati senza famiglia e con un futuro incerto.

Siamo umani, ma prima di tutto dei semplici ragazzini, è normale che con tutto il trambusto successo ai piani alti, cerchiamo un luogo extra tempo dove possiamo tornare ai momenti in cui l’unica paura era quella di finire tra gli esclusi e dove gli unici dolori che sentivamo erano quelli fisici dopo gli scontri copro a corpo.

Ho più volte desiderato di tornare qualche mese indietro, ma non è possibile.

Stringo un pugno e mi mordo il labbro quando sento che le parole vorrebbero uscirmi da dentro come un fiume in piena. Per un attimo ho pensato di essere io quella distrutta, ma è Sasha quella che è stata catapultata in una simulazione che l’ha spinta ad attaccare la fazione degli Abneganti, forse ha anche fatto fuoco, proprio lei che era una Pacifica, per poi, quando tutto si è concluso per il peggio, ritrovarsi sola.

Ho cercato per tanto tempo di farmi degli amici da piccola senza mai riuscirci e, quando nella nuova fazione ne trovo una, non posso certo dire di averla tratta al meglio.

-Sasha, mi dispiace! Io non ero dalla parte di Jeanine, te lo giuro!- inizio a blaterare. -Ho seguito Eric e ti prego perdonami, mi sei mancata! Sapevo che stavi bene, mi sono informata! E non volevo che avviassero la simulazione, non c’entro con quella storia! Io…-

Improvvisamente non so più cosa dire e a quale scusa banale appigliarmi, mi do un colpetto sulla fronte e getto il viso sulla mano.

-Io sono un’idiota!- Borbotto.

-Su questo non c’erano dubbi!-

Sposto le dita per sbirciare la sua espressione.

-Altrimenti non avresti cambiato fazione e saresti ancora una cervellona!-

Chiudo gli occhi e mi tolgo le mani da viso. -Tu non puoi immaginare quello che hai fatto per me, ti devo la mia vita!-

Quello che ho detto è la pura verità, niente esagerazioni.

Quando sono scesa dal treno su cui mi avevano caricata i ribelli, dopo essere scappati dallo Spietato Generale, avevo come unico obbiettivo quello di uccidere Tris. Mi avevano fatto credere che Eric era stato giustiziato e, carica di rabbia e dolore, volevo punire Quattro per aver sparato e Tris per aver assistito alla morte dell’uomo che amo. Avevo un coltellino nascosto sotto la giacca, nella tasca della felpa e, approfittando del caos generale alla fermata del treno dentro la residenza Intrepida, ero sgattaiolata tra la folla diretta verso la mia vittima.

Avevo già la mano sulla lama e Tris davanti a me, ancora un passo e avrei estratto l’arma per reciderle la gola, attaccandola alle spalle.

Ma, come un miracolo divino, Sasha mi era saltata al collo in un lungo abbraccio, che mi aveva dato il tempo di risvegliarmi del mio incubo omicida giusto in tempo per far sì che Tris si spostasse. Era stata proprio Sasha a riaccendermi il cuore, svelandomi che Eric era ancora vivo.

Se la mia amica non mi avesse fermata in tempo, avrei commesso un terribile crimine, sarei stata giustiziata sul colpo e, la cosa più bella, sarebbe stata scoprire che Eric invece era sano e salvo e che magari avrebbe dovuto assistere alla mia esecuzione. E, ovviamente, mi sarei sporcata le mani di sangue innocente.

Un brivido enorme mi percorre la schiena e mi fa sussultare.

-Lo so!- è la risposta che ricevo.

Rimango spiazzata, non c’è ironia nella sua voce, ma serietà. Sa che non ho esagerato, che le devo davvero la mia vita.

Indago inarcando le sopracciglia.

Lei ricambia in silenzio il mio sguardo e un brivido, sta volta gelido, mi attraversa da parte a parte.

È logico, perché non ci ho pensato subito?

Nessuno salterebbe al collo di una persona che per un mese intero se n’è stata fra le schiere nemiche! D’accordo essere state amiche, magari sentiva la mia mancanza, ma non si dimentica un tradimento. Può aver compreso le mie motivazioni, ma non ha senso che si getti ad abbracciarmi senza sapere se sono un’alleata o un’infiltrata erudita. Non ha senso, va bene che Sasha era una pacifica, ma forse un abbraccio al volo era un po’ troppo.

Tutto acquisterebbe maggiore senso se si interpretasse quel gesto di affetto come un placcaggio.

Sasha mi ha vista arrivare, mi ha riconosciuta nel mare di teste, ha visto il mio sguardo perso e ha capito il mio obbiettivo, forse ha persino intravisto la mia mano sotto la giacca e ha immaginato cosa stringessi. E così, senza pensarci, ha sfruttato l’euforia del momento e mi ha gettato le braccia intorno alle spalle, ma non solo per abbracciarmi, ma soprattutto per fermarmi.

Mi verrebbe quasi da chiederle come mai non sia fra gli Eruditi, ma la sua non è solo astuzia, quanto più coraggio.

Ci vuole coraggio a scegliere di salvare una persona che ti ha voltato le spalle.

Ci vuole coraggio nel proteggere qualcuno pronto a uccidere.

E, soprattutto, ci vuole un immenso coraggio a perdonare.

Per quale ragione non lo so, ma un angolo della mia bocca si solleva, forse c’è molta più ironia di quel che temo in tutto questo.

-Tu non volevi davvero uccidere Tris, giusto?-

La sua voce è calma, a differenza dei suoi occhi che celano fiamme ardenti, fiamme pronte a inghiottirmi oppure a lanciarmi una mano di salvezza.

Non ci penso neppure un momento.

-La risposta potrebbe essere lunga e complicata e magari non capiresti del tutto, ma credo si possa riassumere con un no!-

Sasha continua a guardarmi, aspetta, poi qualcosa cambia di scatto e le vedo sputare fuori dai denti una risata che esplode senza che possa contenerla. Si volta un attimo, si copre la bocca con la mano ma alla fine torna a guardarmi e inizia a ridere, prima a scatti come se avesse il singhiozzo, dopo senza freni.

Inizialmente è per il suo modo goffo di ridere, fatto sta che inizio a ridacchiare anch’io, tengo la bocca chiusa ma le spalle tremano e cedo a una risata liberatoria.

Ci ritroviamo a non riuscire a smettere di ridere, più ci guardiamo e peggio è, e temo che da un momento all’altro arrivi un medico a portarci via a forza per chiuderci in psichiatria.

C’è pazzia nel suono cristallino di risate femminili che echeggia nella caverna, ma mai quanta c’è n’è lì fuori.

Stiamo ridendo dopo aver parlato di tentati omicidi e tradimenti, sarebbe più logico piangere ma quel tempo è finito. Quale miglior modo di combattere angoscia e pazzia se non quello di utilizzare altrettanta angoscia e follia?     

Ridiamo ancora e ancora, per quanto non me lo ricordo, so solo che quando sento che sto per piangere rido più forte e non posso e non voglio smettere.

 

Varco la soglia con un grado di ansia tale, che mi stupisco di essere ancora salda sui miei piedi, invece di tremare come una foglia. Nemmeno il giorno della scelta ero tanto tesa, avrei avuto mille occhi puntati addosso ma mi sentivo fiera e forte come un leone.

E invece adesso, che devo semplicemente continuare a camminare ed entrare in una semplice stanza, è come se un macigno mi tirasse indietro.

Non sono più gradita qui, non dopo le scelte che ho preso e quello che ho fatto, per cui sarò sotto accusa per ogni frammento di secondo, sguardi o non sguardi. Non importano le parole che sentirò, so già che avrò bisogno di ogni mio barlume di forza per resistere.

Ho accanto una persona importante, dovrebbe farmi da roccia ed è così, ma se mi aggrappo a lei rischio solo di trascinarla nell’abisso con me.

-Non ci noteranno neppure!-

Dovrei essere rincuorata, peccato le bugie abbiano le gambe corte e corto sia anche il loro affetto dolce.

-Dici?- ironizzo.

No, non è vero che passerò inosservata. L’ultima volta che sono stata qui mi è parso di avere un riflettore direttamente puntato contro. Nessuno mi ha detto nulla, bastavano le loro occhiatacce a urlarmi nelle orecchie.

Non ho mai voluto essere famosa, per di più non per qualcosa di brutto.

-Fai finta che non ci sia nessuno e non fare la pappamolle!-

Predo un profondo respiro e seguo Sasha per mettermi in fila, subito dietro di lei, per farci servire la colazione. Adesso è mattina prestissimo e a quanto pare ho trascorso quasi tutta la notte al dormitorio, fantastico!

Prendo il mio vassoio e, per quanto mi scocci ammetterlo, cerco di nascondermi dietro Sasha e tengo bassa la testa. Il trucco sembra funzionare, nessuno si è accorto di me, le due ragazzine alle mie spalle sono troppo impegnate a chiacchierare fra loro per notarmi, perciò mi mimetizzo bene e sembro una qualunque ragazzina. Almeno qualcosa di positivo.

-Due caffelatte, per favore!-

Sasha ordina per me e la donna con una cuffietta bianca in testa, da oltre il vetro della mensa, non alza nemmeno lo sguardo e ci porge due tazze fumanti. Ne approfitto e continuo a sfilare dietro la mia amica, fino all’angolo aperto con i dolci a buffet. Sasha prende due muffin al cioccolato e ne sistema uno sul mio vassoio mentre tiene l’altro per sé. 

-Non abituartici!- sorride.

Sorrido anch’io.

Quando ci voltiamo, la scena davanti e noi è molto chiara.

Il primo tavolo vicino alla mensa è quello che nessuno vuole mai, che è stato volentieri lasciato ai sorvegliati speciali, di fatti ieri sera mi sono seduta lì con Jason e Camille. Poco più avanti c’è il tavolo che occupavo da iniziata, dove vedo già sedute Lynn e Marlene.

E mi fermo.

-Sasha, grazie ma ci dividiamo qui!-

Lei si volta a guardarmi e non batte ciglio. -Vuoi sederti al tavolo incriminato tutta sola? Così si che sarai al centro dell’attenzione!-

Non rispondo.

-Perché non vieni con me?-

Guardo il mio vecchio tavolo, pieno di ricordi, e per un attimo ci rivedo tutti durante l’iniziazione e rivedo la testa mora di Will nel posto accano al mio. Mi si chiude lo stomaco. Non sono degna di sedermi lì, per di più sono certa che arriverà anche Christina e ho già capito di non essere gradita.

-Non posso…-

Sasha sospira. -Allora potrei sedermi qui con te.-

La scena che mi si presenta adesso è anche peggio. Già mi vedo Sasha sotto accusa, sguardi critici contro di lei, per aver fraternizzato con il nemico. Non posso esporla tanto.

-Non se ne parla!-

-Non devi fare la martire per forza, nessuno ti obbliga a sederti da sola!-

Invece sì, ma non so come spiegarglielo.

-Aria, se vuoi possiamo semplicemente cercarci un altro tavolo vuoto e metterci lì-

-Meno ti vedono con me e meglio è!-

Sta per dire qualcos’altro, ma poi sospira. -Sei sicura?-

Faccio un cenno convinto.

Ci separiamo ed io mi siedo tristemente nel tavolo vuoto, notando la guardia nell’angolo che inizia a fissarmi. Ieri mi sono sistemata a un capotavola, semplicemente perché Jason si era seduto nell’altro e Camille accanto a lui, ed io non volevo stargli troppo vicina. Mi risiedo allo stesso posso, così magari le guardie nell’ombra possono tenermi d’occhio senza sforzo, non sia mai che mi venga voglia di gridare viva gli Eruditi e uccidere qualcuno.

Assurdo.

Osservo la mia colazione e intanto mi chiedo come ho fatto a finire in una situazione tanto brutta. Certo, ho visto di peggio, il fondo l’ho toccato quando Eric era stato catturato ed io ero ancora nelle mani di Jeanine, ma anche adesso non sono nelle fasce d’oro.

Scarto il muffin e lo addento, impressionata da quanto il sapore di cioccolato possa darmi sollievo, rievocandomi le mie vecchie colazioni da iniziata. Forse devo davvero ritornare al passato e, se anche non posso riportare in vita Will e se non posso cambiare la mia scelta di seguire Eric dagli Eruditi, forse posso semplicemente ritrovare la mia vera io.

Avrei tanto bisogno della bambina che sono stata, di quella pazzerella che a sette anni prendeva a pugni i compagni di banco a scuola che la fissavano un secondo in più. E di certo mi serve la tostissima iniziata degli Intrepidi, quella che si è guadagnata un posto per un addestramento alle armi da fuoco, quella che vinceva ogni incontro senza batter ciglio e che ha pareggiato con Peter e che ha perso soltanto contro Edward.

Sorrido, mi farebbe comodo tornare a essere l’allieva prediletta del capofazione, anzi, riportare a quel preciso momento il mio rapporto con Eric. Rivoglio l’alchimia, l’elettricità e la mia sfacciataggine!

Non sono stata forse io a sfidarlo con ogni mio sguardo e a provocarlo senza timore? Giocavo con lui quando veniva a vedermi al poligono, l’ho seguito quando mi ha portata con lui a fare quel sopraluogo per ruba bandiera e l’ho istigato fino a farmi baciare. E non sono stata io quella che si è infilata con lui nella sua doccia, senza un briciolo di pudore? Non sono stata io a gettarmi nel suo letto senza nemmeno contare fino a tre?

Dove diavolo è finita quell’intrepida?

Dove mi sono smarrita?

In altre parole, per ritrovare me stessa e riavvicinarmi a Eric, devo ritornare alle origini.

Devo ritornare a quando tutto era solo un gioco per me, una nuova sfida da vincere. È incredibile per me dirlo ma, quella personcina orgogliosa e feroce che sto cercando, altro non è che Ariana!

Era lei che ha resistito per sedici anni fra gli Eruditi, pronta a tutto per raggiungere gli intrepidi, è stata lei a diventare un’Intrepida con caparbietà e forza.

Ariana era amica di Will e non si sarebbe mai schierata con la fazione che lo ha ucciso.

Ariana era la ragazzina arrivata fra gli Intrepidi, quella graffiante come un felino, ed è lei che ha stregato Eric.

Quella che sono adesso è solo una versione distorta di una persona insignificante che desidera tanto e non raggiunge niente. Aria era la persona che volevo essere, la libera Intrepida finalmente al suo posto, invece sono solo un mucchio di buoni propositi e fallimenti colossali.

Nel cercare disperatamente Aria ho perso Ariana, ma così ho solo ucciso me stessa.

Finisco il mio muffin e inizio a bere dalla mia tazza fumante di latte caffe e, mentre il liquido caldo mi scende dentro, sento crescere una forte sensazione di benessere. Ora so cosa devo fare.

Aria è troppo succube di Eric e, per quanto lo ami, non posso dargli il massimo se perdo tutta me stessa e nemmeno lui può amarmi come un tempo se non sa più chi sono.

Per questo devo ripartire da capo, tornare alle mie origini per andare avanti.

Per salvare Aria e riconquistare Eric, devo scavare a fondo e andarmi a riprendere Ariana.

Mentre bevo e la tazza davanti al naso mi oscura parte della vista, sento dei rumori vicino a me così abbasso di poco la tazza e vedo Jason sedersi dall’altra parte del tavolo mentre Camille lo raggiunge.

Non ho il tempo di mettere giù la tazza che la sedia al mio fianco si sposta e un braccio muscoloso e tatuato mi sfiora quando si piazza sul tavolo vicino al mio vassoio. Per un attimo mi perdo a osservare il suo tatuaggio, poi studio le tre fette di torta al cioccolato nel suo vassoio e infine salgo al suo viso.

Una mascella quadrata e fiera, barba incolta, piercing sul sopracciglio e line scure stampate sul collo sono da sempre il suo biglietto da visita e i lividi e graffi sparsi qua e la non lo intaccano. Ma i suoi occhi sono sempre la mossa finale, la zampata che ti arriva dopo e ti stende senza che tu possa difenderti.

Le iridi grigie sono dentro le mie, mi sta fissando con intensità disarmante eppure non c’è ostilità in lui. Non mi sta respingendo, mi sta assorbendo come faceva una volta. È come se con questo suo sguardo stesse scrutando dentro di me e si fosse già ricongiunto con Ariana.

Senza dire una sola parola, si impadronisce della mia tazza togliendomela dalle mani e si beve il mio caffelatte, forse non aveva voglia di parlare con la cameriera e infatti non ha nemmeno un bicchierino di caffè davanti. Quando ha finito, mi rimette sul mio vassoio la tazza completamente svuotata e inizia a mangiarsi la sua torta al cioccolato.

Impossibile, è uscito dalla sua maledetta stanza e se ne sta qui seduto a fare colazione nonostante le tre guardie dietro di lui che non si perdono un suo solo movimento, incurante persino delle occhiatacce di chi ci passa accanto e sordo a qualche battutina infelice che mi pare di aver sentito.

Nel frattempo si è spazzolato via tutti e tre i pezzi di torta e torna a guardarmi, muto, eppure mi sembra che mi stia dicendo di tutto.

Sorrido.

 

 

 

 

 

 

 

Continua…

 

 

 

 

 

Che dire? Sono passati mesi, lo so, e mi sembrava sempre più impossibile riuscire ad aggiornare. Cercavo di concentrarmi, di trovare tempo per scrivere anche se non ne avevo, ma semplicemente non ero più “sul pezzo”, mi sembrava di essermi allontanata del tutto da Aria e Eric e di non aver più nulla da raccontare.

Poi, piano piano, le scene sono tornate una ad una nella mia mente e adesso mi sembra di non riuscire a pensare ad altro e mi sento nuovamente catapultata nel loro mondo!

Spero che continui questa ondata di ispirazione e che riesca di nuova ad immergermi in questa storia per continuare a scriverla.

L’unica novità è che temo che i prossimi capitoli, a dispetto del ritmo fin ora stabilito, saranno dal punto di vista di Aria senza alternarsi con Eric. Purtroppo, dopo tutti questi cambiamenti ed evoluzioni dei personaggi, la mente di Eric è una porta chiusa e forse è meglio così.

 

Ringrazio di cuore chi mi ha scritto su Facebook per invitarmi a postare un nuovo capitolo, perché mi ha dato una grossa spinta, forse è grazie a questo se ho aggiornato!

Grazie infinite a Kaithlyn24 che mi appoggia sempre con chilometriche recensioni e consigli.

 

E poi che dire? Forse il cambiamento emotivo di Aria segnala un nuovo inizio, voi che ne pensate?

Sarò ripetitiva, ma ricevere qualche vostro parere mi sarebbe utilissimo e mi spingerebbe a continuare!

 

Grazie a tutti i lettori, che non so più nemmeno se continueranno a seguirmi, e scusate per l’immenso ritardo!

Spero a presto, baci!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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