Le cronache di Aveiron: Oscure minacce

di Emmastory
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Equilibrio ***
Capitolo 2: *** Vecchia conoscenza ***
Capitolo 3: *** Fra onirico e reale ***
Capitolo 4: *** Loro ***
Capitolo 5: *** Buone azioni ***
Capitolo 6: *** Protetti dal buio ***
Capitolo 7: *** Il covo ***
Capitolo 8: *** Prigionieri ***
Capitolo 9: *** La nostra amata casa ***
Capitolo 10: *** Avvertimenti ***
Capitolo 11: *** Lei dagli occhi verdi ***
Capitolo 12: *** Sana e salva ***
Capitolo 13: *** Il vuoto nella mente ***
Capitolo 14: *** Espiar colpe e peccati ***
Capitolo 15: *** La famiglia prima di tutto ***
Capitolo 16: *** Fuggitiva ***
Capitolo 17: *** Con occhi di bambina ***
Capitolo 18: *** Sola nei boschi ***
Capitolo 19: *** Riunione ***
Capitolo 20: *** Nuova e attesa calma ***
Capitolo 21: *** Simboli di amore e fede ***



Capitolo 1
*** Equilibrio ***


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Le cronache di Aveiron: Oscure minacce

Capitolo I

Equilibrio

E così, in un giorno di primavera, piove. Due lunghi anni sono passati, e svanendo, hanno lasciato il posto ad uno completamente nuovo. Volendo essere ottimista, sorrido, e guardando fuori dalla finestra, le vedo. Piccole gocce di fredda pioggia, che rigano il vetro scivolando lente, per poi raggiungere il terreno e bagnarlo, dando quindi alle tenere e non ancora esistenti piantine una speranza di nascere. Analogamente, mi chiamo Rain, e ho da poco dato alla luce mia figlia Terra. Una bambina dolce e a dir poco adorabile, i cui occhi, verdi come smeraldi, mi ricordano moltissimo quelli di due persone a me molto care. Mia madre e mia sorella. Una di loro è felice di essere diventata nonna, mentre l’altra, disgraziatamente, non sa neppure di essere zia. Alisia. Questo è il suo nome, che ricordo nonostante l'inarrestabile e crudele scorrere del tempo. La sfortuna me l'ha portata via in un nefasto giorno dividendoci sin da allora. Qualcosa, forse un presentimento, o una voce nella mia testa, mi dice che è viva, e tenendo in braccio la mia piccola, non faccio che pensare. Il mio amato Stefan è accanto a me, e rinfrancata dalla sua presenza, so di non dover temere. “Ricordi?” chiede, avvicinandosi e stringendomi un braccio attorno alle spalle. Un gesto che non compie ormai da lungo tempo, e che mantenendo il silenzio, accetto senza proteste. “Ricordi.” Rispondo, con fare triste e sconsolato. “Sta tranquilla, non sei certo sola, sai?” continua, dischiudendo le labbra in un debole sorriso. Colpita, mi volto a guardarlo, ma anche stavolta, non oso proferir parola. “Ci siamo io e Terra.” Disse, dopo aver trascorso alcuni preziosi secondi di silenzio a guardarmi. “È questo il problema. È solo una bambina, e Dio solo sa cosa potranno farle!” Sbottai con forza, poco dopo aver adagiato la bimba nella sua culla, stesso nido che mi aveva accolta nei miei tempi da neonata. “Rain, smettila. Ho fatto una promessa, e intendo mantenerla. Quei vermi non toccheranno nessuna di voi due. Io vi amo, e non potrei mai permetterlo.” Rispose a muso duro, fissandomi con occhi di ghiaccio e non ottenendo risultato dissimile dall'intristire nostra figlia. Allarmata dal suo pianto, mi precipitai verso la culla, e prendendola in braccio, feci quanto fosse in mio potere per aiutarla. “Va tutto bene, calma.” Sussurrai, cullandola e stringendola fra le mie braccia. A quelle parole, la bimba sembrò calmarsi quasi istantaneamente, e in breve, i suoi pianti si tramutarono in dolci vagiti. In quel preciso istante, guardai di nuovo fuori dalla finestra. La sera era calata, e uscendo da quella stanza, Stefan ed io lasciammo che nostra figlia dormisse in pace e serenità. Poco prima di andare, le rivolsi un ultimo sguardo, e sorridendo, sussurrai alcune parole. “Ti voglio bene.” Tre lemmi di una semplicità incredibile, ma che dati i miei trascorsi, avevano con il tempo assunto un significato speciale. Afferrando la maniglia della porta, la chiusi evitando accuratamente ogni cigolio, e appena un attimo dopo, mi concentrai su Stefan. “Ne sei sicuro?” chiesi, riferendomi alle parole da lui precedentemente pronunciate. “Te l'ho detto. è una promessa.” Rispose, non appena raggiungemmo quella che era la nostra camera. Infilando il pigiama, mi sdraiai sul letto, e chiudendo gli occhi, non volli sentire il volare di una mosca. In quel momento, non volevo che chiudere gli occhi e dormire, sperando di cadere in un sonno profondo e dimenticare, almeno per la durata delle lunghe ore notturne, la difficoltà del mio vivere e la precarietà del suo stesso equilibrio.

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Capitolo 2
*** Vecchia conoscenza ***


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Capitolo II

Vecchia conoscenza

Ancora notte. Non c'è alcun segno della luce solare, e mentre i grilli friniscono nelle vicine campagne e nei boschi, sono sveglia. Un ennesimo incubo ha turbato il mio sonno, e mentre il tempo scorre, sudo freddo. Da tempo ormai immemore, sempre le stesse orribili immagini. Uomini dal volto coperto. Forti, potenti e minacciosi, capaci di seminare terrore nel mio cuore e nella mia giovane mente. Intanto, il mio respiro si fa affannoso, e ad occhi chiusi, cerco di tornare a dormire. Mi agito nel sonno, e drizzandomi a sedere, ho l'impulso di gridare. Troppo spaventata per farlo, non lo soffoco, e sfogandomi, mi sento venir meno. Sentendomi, Stefan si volta, e guardandomi con occhi sgranati, non riesce a credere a ciò che vede. Il mio corpo è scosso da violenti tremiti, e incredibilmente non riesco a parlare. La paura mi paralizza, e non ho modo di muovermi. Immobile come una statua di pregiato marmo, biascico qualche parola. “Sono qui. Loro sono qui.” Queste le frasi che non faccio che ripetere, e che Stefan ascolta senza fiatare. “Rain, tesoro, sta calma. Qui non c'è nessuno.” Mi dice in un sussurro, lasciando scivolare le sue dita fra i miei capelli, che carezza con il suo solito fare gentile e premuroso. Come c'è d'aspettarsi, il suo tocco ha su di me un effetto calmante, e riuscendo a ricompormi, lo guardo negli occhi, in completo e perfetto silenzio. Sto ancora tremando, e ho bisogno di aiuto. In questo momento, il suo amore sarebbe l'antidoto perfetto contro ogni mio malessere, e intuendolo, Stefan posa delicati baci sulle mie labbra. Pur accettandoli di buon grado, non approfitto di quel momento, ma è questione di attimi, e tutto cambia. Le nostre effusioni si intensificano, e attirandomi a sè con delicatezza, inizia a rendermi sua. Baci e carezze si susseguono con ritmo concitato, e improvvisamente, una sensazione di calore mi attraversa il corpo riportandomi alla realtà. Lasciandomi prendere la mano dalle mie stesse sensazioni, scelgo di bearmi di ognuno di quei momenti, e mentre il buio della notte è nostro compagno, io e Stefan non riusciamo a fermarci. Sappiamo bene quanto il nostro amore valga per entrambi, e per l'ennesima volta, siamo sicuri che nessuno ce lo porterà via. I sentimenti che proviamo non cambieranno mai, e neppure la più furiosa delle tempeste potrà cancellarlo. Le sue attenzioni mi avevano calmata da quell'incubo, e riuscendo finalmente a dormire senza timori di sorta, mi addormentai serenamente. La luminosa mattina arrivò senza farsi attendere, e aprendo gli occhi alle prime luci dell'alba, diedi inizio alla mia giornata, che comprendeva, oltre alla mia solita routine quotidiana, anche le mansioni di madre. Ora come ora, la piccola Terra assorbe la maggior parte del mio tempo, ma evitando di lamentarmi, spendo gran parte delle mie energie nell'intento di renderla felice. Lei non lo sa, ma il suo sorriso mi riempie d'orgoglio, dandomi modo di continuare a vivere e mantenere la positività. Ad ogni modo, ero impegnata a darle da mangiare, e improvvisamente, la pioggia iniziò a scrosciare, cadendo copiosa sul terreno inaridito dal sole. Sorprendentemente, mia figlia appariva incantata da quel fenomeno, e continuando a tenerla in braccio, sorrisi di fronte alla sua curiosità. I minuti passarono, e Stefan mi raggiunse. Spostando il suo sguardo dal mio viso a quello della bambina, si offrì di prenderla in braccio, e lasciandolo fare, l'abbracciai. Passai il resto di quella mattinata ad occuparmi delle faccende domestiche, controllando Stefan e la piccola solo occasionalmente. Giocando con il padre, la bimba non faceva che ridere, a volte così tanto da restare senza fiato. Con l'arrivo del pomeriggio, si scoprì spossata, tanto da addormentarsi sul divano di casa. La sera scese lieta, e mentre la pioggia non accennava a smettere di cadere, abbattendosi sul suolo con velocità inaudita, qualcuno bussa alla nostra porta. Quel suono mi distrasse, e voltandomi, esitai. Alcuni miseri secondi scomparvero dalle nostre vite, e Stefan scelse di aprire la porta. Pioveva ancora, e di fronte a noi c'era una povera ragazza. Bagnata come un povero pulcino, tremava per il freddo, e non riuscendo quasi a parlare, ci guardò con aria sofferente. “Vi prego, aiutatemi.” Soffiò, stringendosi nella leggere giacca che portava sperando di conservare il suo esiguo calore corporeo. Era buio, ma avvicinandomi, riuscii a vedere i suoi occhi. Di un colore che avevo già visto, a metà fra l'azzurro del cielo e il viola dei fiori più aulenti. “Lasciala entrare, credo di conoscerla.” Dissi a Stefan, per poi allontanarmi dalla porta e permettere a quella povera ragazza di entrare in casa. Subito dopo, la invitai ad accomodarsi sul divano, e offrendole una coperta, sperai che riuscisse a scaldarsi. Raggiungendo quindi la cucina, scelsi di prepararle una tisana, mentre Stefan accendeva il caminetto. “Stai bene? Come ti chiami?” Le chiesi, sedendomi al suo fianco e offrendole quella bevanda. “Rachel.” Trovò la forza di rispondere, fra un sorso e l'altro della tisana che le avevo preparato. “Mi chiamo Rain, e mi sembra di averti già vista.” Azzardai poi, presentandomi e ricordando la prima volta in cui era inconsciamente entrata nel mio campo visivo. “Un tempo servivo Lady Fatima, ma mi ha cacciata dal regno.” Disse lei, a occhi bassi in segno di vergogna. “Perchè? Cos’hai fatto?” Indagai, confusa e stranita da quelle parole. Ad essere sincera, la conoscevo bene, e avendo visto il suo comportamento cambiare, e il suo cuore cominciare a battere, dubitavo fortemente che potesse comportarsi in quel modo. “Le ho disobbedito.” Continuò, per poi tacere e scivolare nel più completo silenzio, quasi vergognandosi di quel gesto. In quel momento, Stefan ed io ci guardammo. Proprio come me, lui non riusciva a nascondere la sua preoccupazione, e guardandola, azzardò una proposta di cui non si pentì neanche lontanamente. “Vuoi restare?” Una domanda che raggiunse le sue orecchie in pochi secondi, alla quale lei rispose con un cenno del capo. Alzandomi in piedi, le chiesi di seguirmi, mostrandole quindi la camera degli ospiti. “Non è molto, ma spero sia abbastanza.” Sperando che perdonasse la frugalità dell'arredamento. Sapevo bene che aveva vissuto come serva di Lady Fatima per anni, e supponevo fosse abituata a vivere nel lusso, ma sorridendo, lei non battè ciglio. “Va più che bene.” Disse infatti, sedendosi sul letto e guardandomi mentre mi allontanavo al solo scopo di lasciarla da sola. “Rain?” mi chiamò, poco prima che potessi andarmene. Voltandomi nella sua direzione, la guardai negli occhi, attendendo una risposta. “Grazie.” Soffiò semplicemente, parlando a voce così bassa da rischiare di non essere udita. Richiudendo quella porta, tornai da Stefan, scoprendolo impegnato a cullare Terra. La bimba vagiva, ed era calma, ma per qualche strana ragione, non riusciva a dormire. “Vuoi tenerla?” mi chiese, offrendomi quell'opportunità come ogni altra che si rispetti. Mantenendo il silenzio, mi limitai ad annuire, e prendendo in braccio mia figlia, iniziai a cullarla intonando una semplice nenia cantatami da mia madre durante l'infanzia. Sorprendentemente, la mia idea parve funzionare, e chiudendo gli occhi verdi come gemme, la bimba si addormentò. Continuando a guardarla, osservai il suo respiro e il battito del suo piccolo cuore, entrambi regolari. Aveva soltanto due anni, ed era sana come un pesce, ma nonostante tale consapevolezza, non riuscivo a smettere di preoccuparmi. Camminando lentamente per i corridoi di casa, la portai nella sua culla, per poi deporre un bacio sulla sua fronte e lasciarla dormire. Finalmente, potei andare a letto, e nel momento in cui il mio viso incontrò il morbido cuscino, mi assopii. Dormendo quindi come un angelo, non mi accorsi del passare delle lunghe ore, svegliandomi soltanto la mattina dopo, allarmata ancora una volta dal pianto di mia figlia. Alzandomi dal letto, raggiunsi la sua stanza, scoprendo solo in quel momento, che qualcuno sembrava essersene già accorto. Rachel. Avvicinandomi, mi limitai a guardarla, e raggiungendomi, Stefan scelse di imitarmi. “Scusate, la bambina stava piangendo, e io...” biascicò lei, sentendosi accusata e tentando di giustificarsi. Con un gesto della mano, la fermai. “Hai fatto quel che sentivi.” Risposi, regalandole quindi un sorriso. “Grazie.” Aggiunsi poi, posandole una mano sulla spalla. “Hai per caso fame?” azzardò quindi Stefan, virando la conversazione su tutt'altro argomento. A quella domanda, Rachel non rispose, e guardandolo, non fece che annuire. Chiedendole di seguirmi, la condussi in cucina, e dopo la colazione, la sentii rivolgermi una richiesta alquanto strana. “Posso parlarvi... in privato?” chiese, concentrando improvvisamente il suo sguardo su di me. “Certo, che succede?” risposi, per poi scegliere di porle quella semplice ma al contempo ardua domanda. Raggelando, Rachel non seppe cosa dire, e apparve ai miei occhi così nervosa da non riuscire a parlare. Provando istintivamente pena per lei, la guardai con fare apprensivo, e in quel preciso istante, lei si guardò intorno, quasi a volersi sincerare dell'assenza di intrusi in casa nostra. “Ho paura.” Esordì, sgranando gli occhi come un gattino spaventato. “Di cosa?” azzardò Stefan, sperando di non turbarla ulteriormente. “Come sapete, sono fuggita da Aveiron, ma temo di essere stata seguita.” Confessò, facendosi improvvisamente seria. La sua voce tremava assieme al suo corpo, e continuando a guardarla, pronunciai una singola frase. “Ti aiuteremo noi.” Dissi, guardandola con aria fiduciosa. Alle mie parole, Rachel non rispose, ma sorridendo, si alzò in piedi al solo scopo di abbracciarci entrambi. “Grazie Rain, tu e Stefan non avete idea di quanto questo significhi per me.” Disse poi, con la voce corrotta e spezzata dall’emozione. Mantenendo il silenzio, lasciai che mi stringesse, e non appena il nostro abbraccio si sciolse, le consigliai di tornare a dormire. Quella sorta di confessione doveva averla stressata non poco, ed ero convinta che un buon sonno ristoratore l'avrebbe aiutata a riprendersi. Seguendo il mio consiglio, la povera Rachel tornò a letto, e sedendomi di fianco alla finestra, ammirai il paesaggio. Il sole splendeva, ma aguzzando la vista, notai l'avvicinarsi di alcune grigie e pesanti nuvole. Forse stava per piovere, o forse qualcosa stava per accadere, e abbandonandomi ad un cupo sospiro, sperai per il meglio, concentrandomi sul ritorno nella mia vita di una vecchia conoscenza.

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Capitolo 3
*** Fra onirico e reale ***


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Capitolo III

Fra onirico e reale

Nonostante le nuvole, non stava piovendo, e con l'avvicinarsi della sera, mi aggiravo nei corridoi di casa, intenta a raggiungere la mia stanza e sedermi a riflettere. Una volta arrivata, vi trovai Stefan, sdraiato sul letto e visibilmente pensieroso. Volgendo il mio sguardo verso di lui, gli sorrisi debolmente, e sedendomi alla mia scrivania, preparai dei bianchi fogli su cui riversare le mie frustrazioni. “Cosa scrivi?” mi chiese poi, curioso. “Solo pensieri.” Risposi, conservando la segreta speranza di aver soddisfatto la sua curiosità. “Sfogarsi fa bene, sai?” osservò poi, regalandomi un luminoso sorriso. Tornando a concentrarmi, ripresi a scrivere. La penna che stavo usando era una delle poche biro in circolazione, e anche se l’inchiostro nero come il carbone mi macchiava saltuariamente le mani, la cosa non mi toccava. Subito dopo, lo vidi voltarsi e darmi le spalle. Non sembrava stanco, ma forse desiderava solo chiudere gli occhi per qualche minuto. Improvvisamente, un suono ci distrasse. “Hai sentito anche tu?” mi chiese Stefan, con una vena di preoccupazione nella voce. “Ma è Rachel!” risposi, scattando in piedi come una molla. Precedendomi, Stefan uscì dalla stanza, e fermandosi al centro del corridoio, non fece che aspettarmi. In pochissimo tempo lo raggiunsi, e attraversando il corridoio, raggiungemmo insieme la stanza incriminata. “Rachel! Cos'hai?” chiesi, avvicinandomi a lei con fare amorevole. “Dovete scusarmi, è tutta colpa dei miei ricordi. Vorrei scacciarli, ma non ci riesco.” Disse piangendo e tirando su col naso. “Va tutto bene, da brava, sfogati.” Risposi, stringendola in un delicato abbraccio e parlandole in modo gentile. “Parlarne ti aiuterà, te la senti?” proruppe Stefan, in tono calmo e composto. Quasi rinfrancata da quelle parole, Rachel lo guardò, e sorridendo debolmente, si limitò ad annuire. In quel preciso istante, mi sedetti sul letto accanto a lei, e da lì ebbe inizio il suo racconto. “In questi giorni c'è un sogno che continua a tormentarmi. Di notte resto sveglia a piangere in silenzio, ma nulla mi aiuta.” Esordì, tacendo al solo scopo di riprendere fiato e provare a calmarsi. “Cosa vedi esattamente?” si informò Stefan, mantenendo la stessa calma già mostrata in precedenza. In completo e perfetto silenzio, attese una risposta, ed evitando di interrompere, mi fermai a pensare. Suo padre era un dottore, e a quanto sembrava, Stefan gli stava lentamente rubando il mestiere con gli occhi. “Nulla, c'è solo buio, urla e una persona che chiama il mio nome.” Disse poi, trovando nuovamente il coraggio di parlare. “Sai per caso chi sia?” indagai, sperando di non turbarla né peggiorare la situazione. “No, ma credo che la mia mente cerchi di dirmi qualcosa.” Questa fu la sua risposta, che per un singolo attimo, ci lascio interdetti. “Va avanti.” La pregò Stefan, regalandole un sorrise al solo scopo di infonderle coraggio. “Si tratta...” La frase le morì in gola, poichè rifiutandosi di parlare, lei serrò le labbra. Guardandola, la incoraggiai a mia volta con un semplice gesto della mano, e in quel momento, qualcosa in lei cambiò radicalmente. “Di Lady Fatima.” Concluse, per poi iniziare a tremare e a piangere inconsciamente. Avvicinandomi, provai a consolarla, e dopo poco tempo, la vidi tornare in sè. “Forse... Forse è una pazzia, ma io voglio, anzi devo tornare ad Aveiron.” Dichiarò, decisa e convinta della sua idea. “Cosa? Sei matta? Il regno è in ginocchio, e ti uccideranno!” Gridò Stefan, perdendo improvvisamente la calma nel tentativo di riportare la ragazza alla ragione. “Sono pronta a questo sacrificio.” Continuò, facendo uso dello stesso tono di voce chiaro e solenne. “Perchè, Rachel, dicci solo perchè, e noi ti aiuteremo.” La pregai, provando istintivamente pena per lei. “Perchè io la amo, e nulla mi allontanerà da lei!” confessò, cambiando improvvisamente tono di voce e divenendo furiosa. Per sua pura sfortuna, la sua rabbia si trasformò in lacrime, che correndo sul suo viso, le rigarono le guance senza alcun ritegno. “Resto io con lei.” Dissi a Stefan, sperando che riuscisse a leggermi le labbra e comprendere il mio muto linguaggio. Non proferendo parola, non fece che annuire, e uscendo dalla stanza, mi lasciò da sola con Rachel. Passai quindi il resto della notte a consolarla e tentare di riportare un sorriso sul suo volto, salvo poi addormentarmi dopo aver trovato una vecchia coperta nell'armadio presente nella stanza. “Grazie ancora, Rain.” La sentii sussurrare, poco prima di addormentarmi e lasciarmi vincere dal sonno. Trascorrendo i miei ultimi momenti di coscienza a riflettere, mi decisi. Avrei aiutato Rachel, poichè in fondo, noi due eravamo simili. Le nostre vite, seppur in modi diversi, apparivano a volte sospese fra l'onirico e il reale.

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Capitolo 4
*** Loro ***


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Capitolo IV
Loro
Un nuovo giorno aveva inizio, e in piedi perfino prima dell'alba, ero di nuovo occupata a scrivere. Pensieri, come dicevo a Stefan, che una volta scritti, rileggevo al solo scopo di provare a calmarmi. Alzando lo sguardo, notai una piccola pila di fogli in un angolo della scrivania, ordinatamente disposti uno sopra l'altro. Leggendone ognuno con attenzione, mi accorsi di aver riempito intere pagine. Senza neppure accorgermene, avevo iniziato a tenere un diario, e non facendo che rileggere quanto avevo scritto, passavo il tempo. Contrariamente a Stefan, Rachel e Terra, io non riuscivo a dormire, e scrivere era un modo per distrarmi ed evitare di pensare al dolore e alla paura sicuramente provati dalla gente di Aveiron, da mia sorella e forse anche dai miei amici. Gente che avrei presto rincontrato, e che avrei avuto l'occasione di studiare e osservare, rendendomi conto dell'inferno in cui ora sono costretti a vivere per colpa dei Ladri. Persone che un tempo erano del loro stesso calibro, ma che accecati dalla sete di potere, si erano riuniti in piccoli gruppi, il cui unico scopo nonchè divertimento era quello di terrorizzare e spaventare quelle povere e vecchie anime. Guardandomi, mia madre continua a ripetermi la stessa frase. Un monito che ascolto ogni volta senza parlare, e a seguito del quale, mi limito sempre ad annuire. "Sei fortunata." Diceva, parlando sempre con aria estremamente seria. "Che intendi?" chiedevo ogni volta, per poi tacere nell'attesa di una risposta. Risposta che non arrivava mai, e che per qualche strana ragione, entrambi i miei genitori preferivano nascondermi. Liberandomi in fretta da quel pensiero, scossi la testa, e sentendo il cinguettio di alcuni uccelli, mi accorsi dell'arrivo del mattino. Ancora una volta, il dorato astro re del cielo spodestava l'argentea e possente luna, reclamando, come era solito fare, il suo trono alla regina della notte. "Ben svegliato." Dissi a Stefan vedendolo liberarsi dalla trappola rappresentata dalle coperte. "Sei già in piedi?" mi chiese, notandomi solo dopo essersi guardato brevemente intorno. "Lo sono da ore." Risposi, guardandolo con aria tranquilla. "Non sei di nuovo riuscita a dormire, vero?" osservò, attendendo in silenzio una mia risposta. Tacendo al solo scopo di pensare, organizzai le idee, per poi respirare a fondo e dirgli la verità. "Dobbiamo tornare indietro." Dissi, facendomi improvvisamente seria. "Vedo che Rachel ti ha convinta." Commentò, non apparendo per nulla sorpreso dalla mia decisione. Smettila, sai che ha bisogno di aiuto." Hai ragione." rispose poi, tornando ad essere ragionevole. "Glielo diciamo? azzardai, quasi desiderando una conferma da parte sua. "Non vedo perchè no." Continuò Stefan, ora impegnato a rivestirsi e indossare una delle sue camicie preferite. Sorridendo, lo guardai negli occhi, ma nel farlo, non parlai. I nostri sguardi lo facevano per noi, ragion per cui, data anche la nostra profonda intesa, le parole avevano perso d'importanza. Ad ogni modo, mi avvicinai, e deponendogli un bacio sulla guancia, mi assentai per un attimo. Raggiunsi quindi la camera degli ospiti, trovando Rachel già pronta e vestita. "Buone notizie." esordii, guardandola con aria calma e con un sorriso sul volto. "Che succede?" chiese lei, evidentemente curiosa di conoscere la verità. "Ti riporteremo ad Aveiron." Dissi, regalandole un secondo sorriso e avendo il piacere di vedere il suo volto non mostrare che immensa gioia. "Dici davvero?" si informò poi, volendo unicamente sincerarsi della veridicità delle mie parole. "Certo, ora preparati, così tornerai a casa." Continuai, non potendo anche stavolta fare a meno di sorridere. A quelle parole, Rachel non rispose, e allontanandomi, le diedi modo di raccogliere le sue cose. "Aspetta." pregò, inducendomi quindi a voltarmi. "Sì?" azzardai, fissando nuovamente lo sguardo su di lei. "Che mi dici della bambina?" indagò, preoccupandosi non poco per la piccola Terra, che a solo due anni d'età era decisamente troppo giovane per intraprendere quel così pericoloso viaggio al nostro fianco. “Lei resterà con mia madre.” Dissi semplicemente, facendo uso di una calma che non credevo di possedere. “Bene, quando si parte?” chiese poi, curiosa e impaziente. “Quando desideri.” Rispose Stefan, facendo il suo ingresso nella stanza solo in quel momento. “Perfetto. Datemi solo un minuto.” Disse, per poi chiedere implicitamente del tempo per prepararsi al viaggio che l’avrebbe ricondotta a casa. Lasciandola da sola, le regalammo la solitudine che tanto aveva chiesto, e raggiungendo la nostra camera, Stefan ed io ci preparammo a nostra volta. Guardando sotto al letto, ricordai di averci lasciato il mio zaino, e aprendolo, scoprii di non averlo mai svuotato. Dando un’occhiata al suo interno, notai che conteneva ancora gli strumenti utilizzati durante la mia ultima uscita, ovvero una piccola ma affidabile bussola e la mappa del villaggio dove ora vivevo. “Sono pronta.” Dichiarai, guardando Stefan con aria sicura. Incrociando il mio sguardo, sorrise, e proprio in quel momento, una dolce e quasi angelica voce attirò la nostra attenzione. “Mamma, papà, dove andate? Posso venire anch’io?” chiese Terra, che svegliatasi dal suo riposino, sembrava averci sentiti. A quella domanda, il mio cuore di madre si sciolse, ma guardandola con fare amorevole, mi trovai costretta a negarle tale richiesta. “No, tesoro, tu resterai con la nonna.” Dissi, continuando a guardarla con aria tranquilla e rilassata. “Tornerete presto, vero?” si informò poi, spaventata all’idea di non rivederci.” “Certo, piccola, ora non preoccuparti e va a giocare. La nonna sarà qui a minuti.” Le disse Stefan, rassicurandola e indicandole il colorato baule contenente tutti i suoi giocattoli. “Va bene.” Si limitò a rispondere, per poi raggiungere la sua cameretta e distrarsi come ogni bambina della sua età. In quel preciso istante, una singola lacrima provò a sfuggire dal mio occhio, ma ricacciandola indietro, le impedii di farlo e rovinarmi il viso. “Cos’hai? Mi chiese Stefan, accorgendosene. “No, non è niente.” Mentii, avendo come unico desiderio quello di far cadere l’argomento. “Su, non preoccuparti. Starà con tua madre, cosa vuoi che le accada?” mi disse poi, nel tentativo di rincuorarmi. “Forse hai ragione, ma ora andiamo e non pensiamoci.” Risposi, scacciando dalla mia mente quegli oscuri pensieri legati ai pericoli che la mia piccola avrebbe potuto correre. Attraversando il corridoio, andai a chiamare Rachel, e una volta usciti di casa, il nostro viaggio ebbe inizio. Per pura fortuna, Aveiron non fosse lontana, ma nonostante tale consapevolezza, non riuscivo a calmarmi. Sapevo bene che mia madre avrebbe badato a lei, eppure, ancora una volta, la tranquillità era per me merce alquanto rara. Fra un passo e l’altro, lasciai che la mia mente vagasse libera, e di punto in bianco, ricordai le parole della mia bambina. “Tornerete presto, vero?” una domanda innocente, per la quale non c’era risposta dissimile dalla menzogna. Volendo proteggere e preservare le sue speranze, Stefan le aveva mentito dicendole che saremmo tornati in poco tempo, ma in cuor mio sapevo che la verità era un’altra. Difatti, l’intera questione si basava sulla fortuna. Avremmo potuto farcela e rivederla, o soccombere e vedere il suo dolce viso divenire per noi un lontano e vago ricordo. In altri termini, saremmo potuti morire, e la colpa sarebbe stata unicamente imputabile a Loro.

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Capitolo 5
*** Buone azioni ***


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Capitolo V

Buone azioni

“Aspettate.” Ci aveva pregato mia madre, dopo aver mandato la nipote a giocare e distrarsi nella sua stanza. Quasi per istinto, mi voltai, e fu allora che lo vidi. Un piccolo coltello dall’acuminata lama giaceva fra le sue mani, e mentre questa riluceva grazie all’intervento del sole, lei scelse di parlarmi. “Prendi quest’arma, e fanne buon uso.” Mi disse, consegnandomi quell’oggetto con fare deciso. “Lo farò.” Risposi soltanto, guardandola negli occhi e inchinandomi rispettosamente di fronte a lei. Così, il nostro viaggio aveva avuto inizio, e anche se lentamente, camminavamo. Ero al fianco di Stefan, e Rachel era dietro di noi. Ci seguiva spedita, ma per qualche strana ragione, appariva spaventata. Non accennava a guardare di fronte a sé, limitandosi a camminare fissando il terreno, oggi arido e inospitale. Ad ogni modo, i minuti scorrevano, e con ogni passo, pensavo. Il mio pensiero si concentrava sulla mia bambina. Una dolce e innocente creatura, che solo grazie ad una mia astuzia aveva potuto godere della compagnia e della protezione di sua nonna, e che nonostante la felicità provata al riguardo, si preoccupava per noi. Strano a dirsi, ma la frase che mi aveva rivolto prima della nostra partenza risuonava ancora nella mia mente, producendo un’eco infinita, e per certi versi anche fastidiosa. Era solo preoccupata, e non aveva alcuna colpa, ma non riuscivo a smettere di pensarci, fallendo quindi anche nel misero intento di concentrarmi sul percorso che dovevamo compiere. “Starà bene.” Mi ripetevo, parlando con me stessa e non accennando ad arrestare il mio cammino. In quel momento, un suono mi distrasse, e voltandomi quasi per istinto, non vidi che un’insulsa roccia, mossa dal vento e colpevole della mia distrazione. Mirando il cielo, respirai a fondo, decisa. Chiaro era che il viaggio fosse ancora lunga, ma dovevamo farcela. Non eravamo soli, e Rachel contava su di noi. Aveva implicitamente espresso il desiderio di tornare ad Aveiron, e noi volevamo aiutarla. Camminando, mi guardavo intorno, nella speranza di trovare un qualsiasi punto di riferimento. Compito non certo difficile, poiché il dolore, la fame e la miseria permeavano l’aria come umida nebbia, e potevano essere avvertiti a chilometri di distanza. “Fermatevi.” Ci ordinò Rachel, facendosi improvvisamente seria. “Siamo arrivati.” Aggiunse poi, in tono solenne. “Come fai a saperlo?” le chiese Stefan, colpito. “Riconoscerei questa casa fra mille.” Rispose lei, sempre più sicura di sé stessa. Muovendo alcuni passi in avanti, si mise in testa alla nostra marcia, e bussando alla porta che aveva di fronte, attese. Lunghi minuti sparirono quindi dalle nostre vite, e una singola anima si degnò di aprire la porta. Era Shiro, uno dei servitori di Lady Fatima. Lo credevo morto durante una spedizione, ma a quanto sembrava, non era così. Vivo e vegeto, ci guardava tutti negli occhi. “Cosa fate qui, stranieri?” ci chiese, per poi tacere nell’attesa di una nostra risposta. “Fatti da parte, sono qui per la Leader.” Disse Rachel, seria e pronta all’azione. “E così sei tornata strisciando. Non credo voglia più rivederti, ma passa pure.” Questa la frase che Shiro pronunciò, scatenando in Rachel una reazione repentina e inaspettata. Intimandogli ancora una volta di farsi da parte, lo allontanò spingendolo, e non appena la strada fu libera, ci fu concesso di entrare. “Venite.” Ci disse, riferendosi a noi, che per tutto quel tempo eravamo rimasti fermi come statue. Annuendo lentamente, obbedimmo entrambi a quella sorta di ordine, e camminando, la nostra amica ci guidò fino alla sala centrale. Incredibilmente, era proprio come la ricordavo. Nessun particolare era fuori posto, e alla nostra vista, la Leader sussultò. “Rain! Perché sei tornata?” indagò, confusa e stranita dalla mia presenza in quel luogo, che lei stessa mi aveva tempo prima consigliato di abbandonare per andare alla ricerca dei miei genitori. Mantenendo il silenzio, non proferii parola, e solo alcuni secondi dopo, qualcosa accadde. Guardandosi brevemente intorno, Lady Fatima scoprì la presenza di Rachel, e guardandomi, non chiese che spiegazioni. “Cosa ci fa lei con voi?” tuonò, rivolgendosi stavolta anche a Stefan. “Questa povera ragazza desidera parlarvi, Signora.” Disse lui, in tono calmo e pacato, segno di profondo rispetto nei suoi confronti. “Parlarmi? Parlarmi? Bene, sentiamo, cos’avrà mai da dirmi una sporca traditrice come lei?” replicò la Leader, ormai inviperita. A quelle parole, Rachel si fece avanti, e guardando la donna negli occhi, deglutì sonoramente. Era nervosa, e soltanto posando il mio sguardo su di lei, potei appurare che ogni singola cellula del suo povero corpo stesse tremando. “Avrei qualcosa da dirvi, mia signora.” Esordì, per poi voltarsi verso me e Stefan alla ricerca di conforto. “Puoi farcela.” Le lasciai intendere, infondendole il coraggio che le mancava con un solo gesto della mano. “So bene di aver tradito con i miei gesti la Vostra fiducia, ma ho riflettuto, e sono solo oggi arrivata a comprendere di aver sbagliato. Mi appello alla Vostra clemenza, chiedendo di fronte a questi testimoni il Vostro perdono. Prima di rispondere, e segnare il mio destino, sappiate che non agisco per paura, terrore o codardia, bensì perché… perché io Vi amo, Lady Fatima.” Quello fu il discorso di Rachel. Chiaro e pieno di sentimento, aveva appena abbandonato le sue labbra, e che venendo soppiantato dal silenzio della snervante attesa, non doveva che essere giudicato dalla stessa Leader. In quei momenti, la quiete ci rese sordi, e guardando dritto davanti a noi, Stefan ed io potemmo assistere ad un vero e proprio miracolo. Asciugandosi una piccola lacrima che minacciava di rovinarle il viso, Lady Fatima si alzò in piedi, e raggiungendo la nostra cara amica Rachel, posò un delicato bacio sulle sue labbra. Intuendo l’una il volere dell’altra, non fecero che stringersi e baciarsi a vicenda, e solo nel momento in cui si staccarono, una delle due ebbe la forza di parlare. “Grazie Rain, grazie Stefan. Ricorderò questo gesto per sempre. Fu Rachel a parlare, e sorridendo, guardò negli occhi la sua amata. Una lite le aveva divise, e il dolore che ne era derivato aveva loro impedito di chiarirsi, ma ancora una volta, un’universale teoria si dimostrava corretta. L’amore esistente fra due persone non era che l’incantesimo più potente a questo vasto mondo. Sollevando una mano in segno di saluto, mi congedai da Rachel, ben sapendo di lasciarla al sicuro e in buone mani. Poco prima che potessi andarmene, lei chiamò il mio nome, e voltandomi nella sua direzione, la sentii pronunciare una singola frase. “Buona fortuna in questo viaggio, Rain.” Sei semplici lemmi, fra cui anche il mio nome, e un augurio per il futuro mio e di Stefan dopo le nostre buone azioni.

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Capitolo 6
*** Protetti dal buio ***


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Capitolo VI

Protetti dal buio

Senza ulteriori indugi da parte nostra, il viaggio di ritorno verso casa era iniziato. Eravamo stanchi, ma non abbastanza da avvertire il bisogno di fermarci o riposare, che ignoravamo con coraggio e prodezza al solo scopo di tornare indietro e rivedere la nostra amata figlia. Il mio pensiero continuava ad andare a lei, e l’immagine del suo viso angelico mi balenava in mente. La immaginavo felice e contenta di rivederci, mentre correva a piedi nudi per casa al fine di raggiungerci e abbracciarci entrambi. “Sto arrivando, piccola mia.” Mi dissi, continuando a camminare e ignorando stavolta anche il freddo vento che la sera aveva portato con sé. Il tempo passava, e nell’aria si spandeva l’odore della pioggia. A quanto sembrava, un temporale non avrebbe tardato ad arrivare, e con il cuore colmo d’ansia, mi stringevo nei miei abiti, avvicinandomi a Stefan con la precisa intenzione di lasciarmi abbracciare e guadagnare il calore che perdevo costantemente. In quel momento, non avevo desiderio dissimile dal tornare a casa, e tremando per il freddo e la paura di non farcela, fissavo il mio sguardo sulla mia piccola bussola. Piccola, certo, ma profondamente affidabile. La guardavo con insistenza, mentre Stefan era impegnato a leggere la mappa che ci avrebbe condotto a destinazione. Per pura fortuna, Basil lo aveva istruito a dovere su come fare, e fra un passo e l’altro, mi sentivo sempre più sicura. Ce l’avremmo fatta, e con il passare del tempo, ne fui completamente certa. Non accennavo a fermarmi, ma lo sforzo eccessivo mi stava privando della forza d’animo che era solita caratterizzarmi. Trascinavo quindi i passi, ed ero così stanca da faticare perfino a parlare. Biascicando il nome del mio amato, andai alla disperata ricerca di conforto, e sentendo una strana stretta al cuore, mi accasciai fra le sue braccia. “Siamo quasi arrivati, resisti.” Mi pregò, guardandomi negli occhi semichiusi e ora privi del loro naturale splendore. “Stefan, mi dispiace, ma non ce la faccio. Devo riposare.” Frasi strascicate e difficilmente comprensibili, che il mio amato ascoltò senza proferire parola. “Ce l’abbiamo quasi fatta, ti prego, rialzati.” Una seconda preghiera che raggiunse le mie orecchie infondendomi il coraggio che avevo perso assieme alle mie energie, e che parve tornare solo in quel momento. Stringendogli la mano, mi rimisi faticosamente in piedi, ma perdendo nuovamente l’equilibrio, caddi in terra. “Rain!” mi chiamò, con la voce rotta da un misto di dolore e preoccupazione. Avrei davvero voluto rispondere, ma da parte mia neanche un anelito di vita. Ero ancora viva, ma troppo stanca per muovermi. Ferma, inerme e incosciente, ma comunque in grado di sentire lo scrosciare della pioggia bagnarmi inesorabilmente il corpo. Ero terrorizzata. Mi sentivo sul punto di morire e lasciarmi andare, ma fu aprendo gli occhi che li vidi. Due loschi individui dal volto coperto e incappucciato. Contrariamente a me, Stefan era ancora in piedi, e utilizzando il piccolo pugnale trovato nel mio zaino e regalatomi da mia madre, cercava di difendermi. “Lasciatela stare!” gridò, agitando quella daga al solo scopo di spaventarli e provocare la loro fuga. Tentativo eroico, ma sfortunatamente vano. Difatti, quei due bruti si impadronirono della sua arma, e un fendente raggiunse il suo stomaco. Paralizzata dalla paura, chiusi gli occhi di fronte a quell’orribile spettacolo, e fingendomi sapientemente morta, temetti il peggio. Erano loro, i Ladri. Ci avevano trovati, e forse ci avrebbero torturati o perfino uccisi. Non ero sicura di quanto sarebbe potuto accadere quella notte, ma una certezza si faceva largo nel mio inconscio. Avrebbero potuto agire indisturbati, poiché protetti dal buio e dall’oscurità di un giorno che aveva ormai raggiunto il suo culmine.  

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Capitolo 7
*** Il covo ***


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Capitolo VII

Il covo

Non sono sicura di quanto tempo sia passato, ma so di aver finalmente ripreso i sensi. Lentamente, riapro gli occhi, e facendolo, scopro che la testa mi fa male. Il dolore è tremendo, così forte da impedirmi di pensare. Guardandomi intorno, tento di scoprire dove sono, ma senza successo. Tutto attorno a me è buio, e uno spiraglio di luce filtra da una finestra, le cui metalliche sbarre rendono l’intero ambiente più cupo e macabro di quanto già non sia. Facendo saettare lo sguardo in ogni direzione, mi sento confusa. “Dove sono?” non faccio che chiedermi, mentre il dolore alle tempie non accenna a diminuire. Decisa a far luce su questo mistero, provo a mettermi in piedi e muovermi, ma qualcosa mi blocca. Istintivamente, abbasso lo sguardo, e fissandolo sui miei palmi, mi lascio vincere dal terrore. I miei polsi sono bloccati da delle pesanti catene, e per quanto ci provi, non riesco a liberarmi. Ogni mio tentativo si rivela vano, e l’unico risultato che ottengo, è quello di ferirmi. Lamentandomi per il dolore, scopro che una piccola ferita non sanguina, ma nonostante questo, brucia come fuoco vivo. Disperata, chiedo aiuto, ma in risposta non c’è che silenzio. Il tempo scorre, e mentre la frustrazione si fa largo in me, continuo a urlare, sperando vivamente che qualcuno mi aiuti. Ancora una volta, nessuna risposta. Niente, il nulla più totale. Un silenzio di tomba cala nella buia stanza, e improvvisamente, una voce. “Ciao, Rain.” Un saluto rivolto a me, e pronunciato con una pacatezza quasi innaturale. Quasi per istinto, mi volto, ed è allora che lo vedo. A quanto sembra, è uno dei miei aguzzini. Ha ancora il volto coperto, ma è avvicinandosi che sceglie di mostrarmelo. Raggelando, sento le gambe deboli. Il mio battito cardiaco accelera a causa della paura, e guardandolo quel losco figuro negli occhi, non riesco a credere che sia vero. È Maddox. Lo stesso ragazzo che aveva cercato di farmi del male nel giorno del mio arrivo nella dimora di Lady Fatima, e forse l’unica persona che odi. “Cosa vuoi da me? Dov’è Stefan?” chiedo, sfidandolo con lo sguardo e la voce. “Rain, non lo vedi? Il tuo amato è proprio accanto a te.” Disse, per poi spostare il suo sguardo verso un punto preciso della stanza, che in quel momento venne illuminato dalla luce di una sporca lampadina penzolante dal soffitto. A quella vista, trattenni un conato di vomito. Era vero. Il mio Stefan era lì, e dalla ferita che aveva allo stomaco gocciolava del sangue, che in tutto quel tempo, aveva finito per formare un disgustoso grumo sul pavimento. Tremando come una bestiola impaurita, iniziai a parlare con me stessa, tentando in tutti i modi di convincermi che nulla di quanto avevo appena visto fosse vero, ma invano. Ogni cosa corrispondeva al reale, e lì, accasciato su quella sedia, c’era il mio tanto amato marito. Gli occhi spalancati e vitrei, la bocca chiusa, e per pura fortuna, o forse per opera di forze a me sconosciute, il suono del suo debole respiro. Quasi impercettibile, ma presente. Respirando a fondo per tentare di calmarmi, credetti che fosse un miracolo, ma continuando a guardarlo, non potei fare a meno di piangere. Crollai quindi in ginocchio, e chiamando a gran voce il nome di Stefan, gli dissi che lo amavo. I miei lamenti risuonarono nell’intera stanza, echeggiando come le voci di spiriti dimenticati, mischiandosi poi ad una malefica risata. “Perché stai piangendo? Ci sono io con te.” Disse Maddox, parlando in tono gentile e avvicinandosi a me al solo scopo di rincuorarmi. “Vattene via subito.” Ringhiai, inviperita. Per nulla intimorito dalle mie parole, Maddox tentò di abbracciarmi, e spingendolo via con tutte le mie forze, sentii un improvviso scatto. La catena che mi legava uno dei polsi si era spezzata, e anche se con un immane sforzo, riuscii a liberarmi completamente. Subito dopo, corsi verso Stefan, e pur vedendolo in quello stato, non esitai a parlargli. Notandomi, chiamò con voce flebile il mio nome, e rispondendo a quella sorta di richiamo, ricominciai a piangere. “Sì, Stefan, sono io, sono qui amore, andrà tutto bene.” Dissi, con la voce che tremava almeno quanto il resto del mio corpo. “Ti amo.” Dissi poi, avvicinandomi e posando le mie labbra sulla sua quasi esangue guancia. “Tu credi?” chiese poi il mio ormai conosciuto aguzzino, per poi tacere nell’attesa di una risposta. Per sua sfortuna, quella domanda non trovò mai una vera risposta, poiché la rabbia mi impedì di controllarmi. Dando difatti inizio ad una corsa sfrenata, mi avventai su di lui, e atterrandolo, ritrovai il pugnale regalatomi da mia madre. Istintivamente, lo afferrai, ma scoprii che la lama era troppo consunta per essere di alcuna utilità. Lasciando che le lacrime mi rovinassero il viso, piansi in silenzio, e rialzandosi da terra, Maddox mi raggiunse. “Non disperare, piccola, sono qui.” Disse, sempre nel vano tentativo di calmarmi. “Allora allontanati.” Risposi a muso duro e con l’occhio invelenito. “Cosa? Non posso farlo! Io ti amo.” Continuò, risultando quasi offeso dalle mie parole. “Non è vero. Sai che amo Stefan, e tu sei… sei…” provai a rispondere, sentendo quella frase morirmi in gola. “Gay? Andiamo, ci hai davvero creduto? Se lo fossi non proverei il desiderio di baciarti, non credi?” indagò, avvicinandosi lentamente e stringendomi in un abbraccio dal quale volli solo scappare. Disgustata dalla sua presenza, provai a divincolarmi, ma il mio misero tentativo si rivelò vano. Falli quindi nel mio intento, e in quel preciso istante, la sua mano scivolò sulla mia guancia carezzandola lentamente, e le sue labbra raggiunsero le mie. Lottando per liberarmi dalla sua ferrea presa, gli assestai un pugno sul braccio finendo per cadere, e per qualche strana ragione, la cosa divertì quell’orribile essere. “Cosa fai? Cerchi di scappare?” si informò, per poi ridere di gusto non curandosi del dolore fisico ed emotivo che mi stava provocando. Mantenendo il silenzio, non risposi, ma concentrando il mio sguardo su Stefan, lo vidi tentare di muoversi. Con il cuore pieno di speranza, chiamai il suo nome, e osservandolo meglio, notai che aveva perfino cercato di medicarsi la ferita. Si era strappato le maniche della camicia nel tentativo di farlo, ma a me non importava. Era ancora vivo, e l’emorragia si era fermata. In quel momento, Stefan chiamò a raccolta le sue forze e il suo coraggio, e provando ad alzarsi in piedi, cadde rovinosamente. “Guardalo, sta cercando di proteggerti.” Osservò Maddox, deridendolo e prendendosi gioco di lui. Non dandosi per vinto, Stefan provò a riacquistare l’equilibrio, e pur non riuscendoci, pronunciò una singola frase. “Sei un mostro, questa è tutta colpa tua.” Sibilò guardandolo fisso negli occhi. I suoi, azzurri e freddi come cristalli, sembravano brillare nel buio, e di fronte a quell’offesa, Maddox non ebbe alcuna reazione. Guardandoci alternativamente entrambi, sorrideva maliziosamente, e mantenendo un silenzio degno di un cimitero o di un luogo di culto, non parlava. Ad ogni modo, il tempo scorreva, ed io non sentivo altro che il suono di una voce nella mia testa. Il mio istinto di sopravvivenza parlava. “Scappa.” Mi diceva, fornendomi un utile consiglio che avrei seguito non appena l’occasione adatta si fosse presentata. Incerta sul da farsi, guardai Stefan, e notando per l’ennesima volta la gravità delle nostre rispettive ferite, capii che la situazione era critica. Dovevamo fuggire, ma sapevo che quel mostro non ce l’avrebbe permesso. Cosa fare dunque? Un unico pensiero che mi vorticava in mente, e un quesito al quale non riuscivo a trovare una risposta. Colta all’improvviso da un nuovo senso di frustrazione, piansi di nuovo, e stavolta lanciai un urlo. “Basta!” gridai, sentendo la gola dolere e bruciare per lo sforzo. “Perché hai deciso di farci questo?” chiesi poi fra le lacrime, attendendo una qualsiasi risposta da parte di quel viscido verme. “Te l’ho detto! Io ti amo!” disse lui, fissandomi con quei suoi occhi azzurri come splendenti e preziosi zaffiri. “Ne ho abbastanza! Questo non è amore! Se davvero mi amassi mi lasceresti andare!” un secondo urlo che risuonò nella stanza, e per pura sfortuna, le ultime parole da me pronunciate prima di perdere i sensi e svenire crollando in terra. Non volevo crederci, ma era successo. La stanchezza aveva nuovamente prevalso su di me, e nonostante la mia forza d’animo, avevo ceduto. La verbale lotta avuta con Maddox mi aveva vista perdente, e finendo in terra, il mio corpo aveva comunicato la sua resa. Ero priva di forze, ma non ancora morta. Non potevo lasciare che accadesse, né che quel mostro mi plagiasse. Avrei combattuto fino alla fine per liberarmi e fuggire da quel covo.

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Capitolo 8
*** Prigionieri ***


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Capitolo VIII

Prigionieri

La notte aveva raggiunto anche Aveiron, e mentre il tempo scorreva senza sosta, mi sentivo sola. Stefan era con me, e insieme, condivideva una stessa stanza, per molti aspetti incredibilmente simile ad una cella. Maddox ci aveva catturati e rinchiusi lì dentro, e forse stanco dei miei continui lamenti, aveva fatto in modo che Stefan non potesse parlarmi né muoversi per raggiungermi. Mi ero ripresa dal mio svenimento, e nulla mi impediva di piangere al suo fianco. La ferita che avevo al polso non era ancora guarita, e bruciava ogni qualvolta provassi a stringere il pugno. Come se il mio dolore non fosse abbastanza, quel mostro aveva provveduto a sostituire le vecchie e spezzate catene con due nuove e identiche, legate stavolta ai miei polsi in maniera più stretta. Riuscivo a malapena a muovermi, e per farlo, ero costretta a trascinarmi. La porta in duro legno si aprì cigolando sinistramente, e a quel suono, mi voltai di scatto. Era lui. Era tornato, e la sua sola vista seminava terrore nel mio cuore e nel mio animo, entrambi attualmente martoriati dal dolore. “Cosa vuoi?” chiesi, attendendo una sua risposta. “Calmati, piccola, non sono qui per farti del male.” Disse, dando inizio ad un confuso ma continuo andirivieni per la stanza intera. “Dobbiamo parlare.” Dichiarò poi, guardandomi e avvicinandosi a me. Lasciandolo fare, lo vidi inginocchiarsi e respirare a fondo, ma prima che potesse aprir bocca, intervenni. “Perché ci tieni ancora chiusi qui?” indagai, ormai stanca della mia prigionia. “Non lo so.” Rispose, chinando lo sguardo in segno di resa, o forse celata vergogna. “Come?” lo incalzai, costringendolo a ripetersi. “Hai sentito bene, non lo so.” Disse, alterando leggermente il tono della sua stessa voce. Non contenta di sentire quelle parole, lo guardai intensamente, e solo allora, ascoltai una verità abbandonare la sua anima. “Non mi aspetto che tu capisca quello che sto per dirti, ma sappi che è vero. Ero convinto di essere diverso, avevo perfino trovato qualcuno e di essermi innamorato, ma poi ti ho vista, e ho capito ogni cosa. Sarai stanca di sentirmelo dire, ma io amo soltanto te.” Parole vere e forti al tempo stesso, che quasi mi commossero, ma che vennero rovinate dall’unica confessione alla quale non credevo. Forse non mentiva, e forse stava cercando di dimostrarmelo, ma non volevo credergli. Era folle, semplicemente folle. Come poteva dire di amarmi dopo tutto quello che mi aveva fatto? Non aveva senso. Spostando lo sguardo dal suo viso al terreno, mi massaggiai una tempia. Pulsava dolendomi incredibilmente, e nel tentativo di calmare il dolore, mi convinsi di stare lentamente perdendo la mia sanità mentale. Ad ogni modo, raccolsi il mio coraggio, e in quel momento, mi decisi. “Maddox, ti prego, ascolta. L’unica persona che io ami è Stefan, e noi due insieme abbiamo una bambina. Ti prego, liberaci e lasciaci tornare da lei.” Dissi, scongiurandolo e sperando di far leva sul nuovo e ragionevole lato che aveva mostrato. “Non posso.” Rispose invece, sconvolgendomi e vanificando quindi quella mia preghiera. “Se ti lascio andare, tu fuggirai, ed io resterò da solo per sempre.” Continuò poi, guardandomi negli occhi. “Ti sbagli, questo non è vero.” Lo rassicurai, sorridendo debolmente. “Un giorno qualcuno capirà chi sei veramente, e ti amerà dal profondo del suo cuore.” Aggiunsi, parlando stavolta in modo più pacato e gentile. “Impossibile.” Replicò, rompendo il silenzio creatosi fra noi e lasciando che la sua voce si spezzasse come una robusta corda. “Quel qualcuno adesso mi odia, ne sono certo.” Confessò poi, fissando il suo sguardo sul pavimento e sforzandomi di non piangere. “Possiamo sapere di chi parli?” azzardò Stefan, che fino a quel momento non aveva fatto altro che tacere ascoltando ogni parola di quella conversazione. “Basil.” Rispose, scioccandoci entrambi. Evitando comunque di scompormi, sorrisi. “Lo conosco bene, e so che non potrebbe mai farlo.” Dissi, regalandogli quindi un secondo sorriso. A quelle parole, Maddox non rispose, ma guardandomi negli occhi, parve andare alla ricerca di una conferma. “Hai ragione.” Mi disse, alludendo alla nostra intera conversazione e abbassandosi al solo scopo di liberarmi dalle catene che mi imprigionavano mani e piedi. Sorpresa da quel gesto, sorrisi per l’ennesima volta, e lasciando che ci mostrasse l’uscita, seguimmo ogni suo passo. “Siete liberi di andare.” Dichiarò, fissando lo sguardo sull’orizzonte appena di fronte a noi. Imitandolo, scoprii che il sole stava per sorgere. La luce sarebbe presto tornata a splendere, ma cosa più importante, eravamo davvero liberi, e non più suoi prigionieri.

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Capitolo 9
*** La nostra amata casa ***


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Capitolo IX

La nostra amata casa

Ero combattuta. Nella mia mente, l’immagine di Maddox appariva complessa, distorta e a tratti indecifrabile. Il suo comportamento era per me incomprensibile. Ci aveva rapiti, torturati per giorni interi, e poi finalmente liberati. Eravamo quindi liberi di tornare a casa, ma camminando, non riuscivo a smettere di pensare a tutto quello che era accaduto. Ormai se ne andata quasi un’altra settimana, eppure ne porto ancora i segni. Quell’ormai famosa ferita è ancora presente sul mio polso, e lo stesso vale per quella di Stefan, fortunatamente sostituita da una cicatrice poco sopra al suo stomaco. Stiamo tornando indietro, e mano nella mano, non parliamo. Il nostro amore ci guida, e le parole non servono. Ad ogni modo, il tempo passa, e mentre questo scorre, il nostro viaggio continua. Abbiamo perso la nostra mappa, ma siamo comunque sicuri di stare andando nella direzione giusta. Nell’aria c’è silenzio, rotto soltanto dal suono dei nostri passi, lenti, decisi e sincronizzati. “Eccoci.” Dichiara poi Stefan, fissando lo sguardo su una casa poco lontana da noi. Felice, accelero il passo che tengo, ma raggiungendola, mi blocco. “Dai, bussa.” Mi incalza Stefan, dandomi una lieve e leggera spinta. Obbedendo a quella sorta di ordine, sono sul punto di farlo, ma un improvviso pensiero me lo impedisce. “No.” Sussurro, ritraendo improvvisamente la mano. “Terra non può vederci così.” Continuo, seria e decisamente non in vena di scherzi. Per tutta risposta, Stefan mi stringe la mano al solo scopo di nascondere quella ferita, e solo alcuni secondi dopo, è proprio lui ad aprire la porta. In quel momento, il colore degli occhi di mia madre si fonde con quello dei miei. “Ragazzi! Cosa vi è successo?” chiede, riuscendo a notare la stanchezza e il dolore dipinti sui nostri volti nonostante i tentativi di nasconderli e apparire tranquilli. Aprendo la bocca per parlare, mi appresto a rispondere, ma all’improvviso, una voce stridula e conosciuta ci interrompe. È Terra, la nostra tanto amata bambina che da ormai lungo tempo desideravamo di rivedere. “Mamma! Papà!” chiama, felice ed eccitata. “Tesoro!” rispondo, inginocchiandomi per un solo attimo e sollevandola fino a prenderla in braccio. Alla sua vista, Stefan sorride, e con una mano le scompiglia la chioma castana da lui ereditata. “Siamo tornati, visto?” le dice, lasciandosi poi sfuggire una risata. Unendosi all’ilarità del padre, la bimba ride, e desiderando unicamente di essere lasciata andare, scalcia leggermente. Non appena i suoi piedi toccano il pavimento, lei resta ferma a guardarci, e improvvisamente, vede ciò che non voglio che veda. Nel salutarla, Stefan mi ha lasciato la mano, e ora la mia ferita, segno di quanto ho subito nella precedente settimana, è in mostra. “Che è successo alla mamma?” chiede, sperando in questo frangente nell’aiuto della nonna. “Niente, si è solo fatta male, principessa.” Risponde questa, prontamente. Mostrando un luminoso sorriso, la piccola si accontenta di quell’informazione, e coprendosi la bocca con una mano, sbadiglia. “Sei stanca, vero? Su, va nella tua stanza, mamma arriverà fra poco.” La rassicuro, guardandola e regalandole una gentile ma frettolosa carezza sulla guancia. Silenziosa, Terra si limita ad annuire, e zampettando per il corridoio, obbedisce come ogni brava bambina. Non appena è lontana, mia madre mi invita a sedermi in cucina. “Parlate.” Ci esorta, parlando contemporaneamente a me e a Stefan. “Devo sapere cosa vi è successo, potete nasconderlo alla bambina ma non a me.” Continua, incalzandoci ancor di più. “Mamma, noi… è una lunga storia, va bene?” risposi, dopo alcuni attimi di snervante silenzio. “Ed io sono pronta ad ascoltare, Rain. Avanti, parla.” Tuonò, continuando a guardarmi negli occhi con aria incredibilmente seria. “Siamo stati rapiti, d’accordo?” sbottai, avendo comunque cura di tenere basso il tono della voce così che Terra non potesse sentirci. “Cosa? Non è possibile!” rispose lei, confusa e stranita da quanto aveva appena sentito. “È tutto vero, queste ferite ne sono la prova.” Disse Stefan, mostrando la mia e quelle che si era procurato su braccia e gambe nel tentativo di difendermi. Scioccata e paralizzata dallo stupore, mia madre non ebbe la forza di rispondere, e riacquistandola dopo un lungo silenzio, riuscì di nuovo a parlare. “Dovete credermi, mi dispiace moltissimo, ma quello che importa è che siete vivi ed io…” Disse, lasciando quella frase in sospeso e sentendo la sua voce spezzarsi a causa delle forti emozioni che provava. “Avrei doluto aiutarvi! Avrei dovuto saperlo! Che razza di persona sono?” continuò poi, con gli occhi velati dalle lacrime e il viso solcato dalle stesse. “Mamma, basta. Sei un’ottima persona, e non potrei desiderare madre migliore. Sei qui per me, per Stefan e per Terra, hai affrontato mille pericoli per proteggermi, perché piangere? Ti voglio bene, e te ne vorrò sempre.” Le dissi, per poi concludere quel discorso con una frase che non avrebbe mai e poi mai perso il suo significato, e il cui valore era letteralmente inestimabile. L’abbraccio che seguì quell’istante fu fortissimo, e non appena si sciolse, lei scelse di andarsene. Poco prima di farlo, mi rivolse la parole per un’ultima volta. “Ti voglio bene anch’io, bambina mia.” Disse, per poi guadagnare la porta di casa e allontanarsi chiudendola lentamente. Rimanendo ferma e inerme, la guardai senza proferire parola, e non appena la porta di casa si richiuse, scoppiai a piangere. In silenzio, come ero solita fare, ma comunque liberamente. “Sfogati.” Mi sussurrò Stefan, posandomi una mano sulla spalla. Voltandomi per guardarlo, sentii una nuova speranza accendersi in me come un fuoco primordiale e indomabile, e baciandolo nonostante le lacrime, mi sentii libera e felice. In un momento di quel calibro, non desideravo che attimi di calma e pace, e infilandomi a letto solo dopo aver fatto addormentare la mia piccola Terra, mirai il cielo esprimendo un desiderio. Ero consapevole della situazione che si era creata ad Aveiron, ma nonostante questo, volevo poter continuare a vivere una vita normale, scandita da innumerevoli cicli solari e vissuta assieme al mio Stefan nelle mura della nostra amata casa.  

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Capitolo 10
*** Avvertimenti ***


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Capitolo X

Avvertimenti

Una nuova notte era calata già da lunghe ore, e per la prima volta da tempo immemore, non mi agitavo nel sonno. Dormivo tranquilla, e respirando regolarmente, non sentivo che calma attorno a me. Il fisiologico bisogno di bere mi svegliò, e alzandomi dal letto per raggiungere la cucina, mi assicurai di non disturbare il sonno di nessuno. Le ferite di Stefan si stavano fortunatamente cicatrizzando, ma erano comunque più gravi delle mie, e sapevo che se voleva davvero guarire, avrebbe dovuto riposare. Lo stesso discorso valeva poi per nostra figlia Terra, una bambina di quasi tre anni d’età che necessitava di lunghe e ininterrotte ore di sonno. Era ancora piccola, e ne andava della sua salute. Ad ogni modo, e solo dopo aver bevuto un singolo ma intero bicchiere d’acqua, mi intrufolai nella sua stanza, guardandola dormire. In silenzio, la osservavo. Era spompata. Alcuni dei suoi pupazzi preferiti giacevano in terra. Aveva ingenuamente giocato per tutto il giorno, fino all’ora di dormire. Una sua manina spuntava fuori dal lettino, e l’altra era nascosta sotto il cuscino. Faceva caldo, ma nonostante la canicola, mia figlia dormiva come un dolce angelo. A quella vista, sorrisi, e raccogliendo da terra uno dei suoi animali di pezza, glielo accostai. Avvertendone la presenza al suo fianco, lo strinse a sé, e mugolando qualcosa, tornò a dormire. Lasciandola sola, mi rifugiai di nuovo in camera da letto, posando la testa sul mio guanciale, e addormentandomi a mia volta. La mattina arrivò poi puntuale come sempre, e svegliandomi, diedi inizio alla mia giornata. Sentendo il rombo di alcuni tuoni in lontananza, guardai fuori dalla finestra, e solo allora, notai la presenza in cielo di alcune grigie nuvole. Molto probabilmente la pioggia sarebbe presto caduta, ma la cosa non mi toccava. Ad ogni modo, Stefan mi raggiunse solo poco tempo dopo, e salutandomi, scelse di baciarmi. “Dov’è Terra?” chiese, sorpreso di non trovarla già seduta a tavola e intenta a far colazione. “Sta ancora dormendo.” Risposi, sorridendo debolmente e perdendomi nei suoi occhi. In quel momento, un secondo bacio unì le nostre labbra, e alcune ore più tardi, qualcuno bussò alla porta, spezzando bruscamente la catena dei nostri pensieri. Ero occupata a tenere in braccio Terra, ma alzandosi in piedi, la bambina scelse di indagare. “Una lettera.” Disse, prendendo in mano quella bianca busta e mostrandola sia a me che al padre. “Dalla a me.” pregai, per poi prenderla fra le dita e aprirla con la ferma e precisa intenzione di leggerla. Sorprendentemente, non era firmata, ma guardandola meglio, Stefan riuscì a riconoscere la calligrafia del padre, ovvero il sapiente e giudizioso dottor Patrick. A quanto sembrava, la voce riguardante i nostri trascorsi aveva fatto in fretta il giro del villaggio, e ora tutti sapevano quanto era accaduto. Tutti meno la nostra bimba, ovviamente. Sin da quel giorno, Stefan ed io ci eravamo fatti una reciproca promessa. Le avremmo certamente detto la verità, ma solo quando sarebbe stata grande abbastanza da comprendere la pericolosità dell’intera faccenda. La minaccia dei Ladri non era certo questione da poco, e volevamo che fosse pronta ad affrontare anche solo la notizia. “Credo che dovremmo fargli visita.” Proruppe Stefan, rompendo il silenzio creatosi fra noi. Mantenendo il silenzio, non feci che annuire, e prendendo in braccio nostra figlia, mi mostrai pronta. “Andiamo.” Dissi poi, incalzandolo e guadagnando con pochi passi la porta di casa. Raggiungendomi, Stefan mi prese per mano, e dopo una ventina di minuti di cammino, ci accorgemmo entrambi di aver raggiunto la nostra destinazione. Bussando alla porta della casa, attesi che venisse aperta, e solo pochi secondi dopo, il dottor Patrick si parò di fronte a noi. “Dobbiamo parlare.” Disse semplicemente, conducendoci in quello che ricordavo essere il suo studio. Seguendolo, Stefan ed io non proferimmo parola, e una volta arrivati, attendemmo che desse inizio al suo discorso. Poco prima che ciò potesse accadere, i nostri rispettivi sguardi incrociarono quello di una persona già conosciuta. Drake, fratello di Stefan e zio della piccola Terra. “Perché lui è qui?” chiese Stefan, sorpreso e leggermente adirato. “Non c’è tempo per le liti. La situazione è grave. Se volete restare vivi e vegeti, dovrete fare quello che vi dico.” Rispose il dottor Patrick, serio. Ascoltandolo senza parlare, il mio amato fu costretto a nascondere e sopprimere la sua rabbia, e in quella cupa mattina, suo padre ci comunicò tutti i dettagli di un piano volto a sconfiggere, e perlomeno neutralizzare i tanto odiati e temuti Ladri. Avremmo dovuto sapere come e quando contrattaccare, rivolgere la parola solo ai visi amici per formare un’eventuale squadra, e soprattutto, essere in grado di difenderci. Dati i miei trascorsi, la situazione non era per me delle migliori, ma considerando anche l’ipotetica evoluzione dell’intera vicenda, compresi che sarebbe stato meglio dare ascolto ad ognuno dei suoi avvertimenti.

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Capitolo 11
*** Lei dagli occhi verdi ***


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Capitolo XI

Lei dagli occhi verdi

Era vero. La comparsa delle grigie e pesanti nuvole non era stata un caso, e proprio come temevo, aveva iniziato a piovere. Ovvio era che ci fossi ormai abituata, ma nonostante tutto, mi preoccupavo. In fin dei conti, Stefan ed io ci eravamo trasferiti ad Ascantha per sfuggire ai Ladri e ai rigori atmosferici, ma nulla, nessuno dei nostri stratagemmi sembrava funzionare. Seduta nella mia stanza, sto lentamente aggiornando il mio piccolo diario. Armandomi di ago e filo, avevo unito tutte le pagine insieme, e con un pizzico di volontà, ero riuscita anche a rilegarlo. Ci scrivevo di tutto. Dai miei pensieri, alle frasi più significative della mia giovane vita. Fra queste, ne spiccava una. “Ho fatto una promessa.” Pronunciata dal mio amato Stefan centinaia, forse migliaia di volte, mi infondeva la calma e il coraggio necessari ad affrontare le avversità delle nostre rispettive vite, il cui plumbeo grigiore veniva puntualmente rischiarato dalla presenza di nostra figlia Terra. Il tempo scorreva, e lei cresceva senza sosta, ma con l’andar dello stesso, mi interrogavo. “Cosa sarebbe successo se i tanto temuti Ladri avessero fatto ritorno?” “Cosa avremmo dovuto fare?” e cosa più importante, cosa volevano da noi?” domande che mi ponevo ogni notte, privandomi inconsciamente del sonno e della tranquillità che sapevo mi spettassero di diritto. Ogni volta che accadeva, Stefan era sempre lì pronto a calmarmi, ed io non facevo che beneficiare di tali azioni, ma la vita continuava, e pur provando a rimanere ottimista, fallivo. Ad ogni modo, pioveva già da ore, e mentre un violento temporale non faceva che spaventare la piccola Terra, accecanti lampi e potenti tuoni si susseguivano. Avendo trovato rifugio fra le mie braccia, mia figlia non osava muoversi, e piangendo, mi chiamava. “Mamma.” Sussurrava in preda alla paura, mentre le lacrime le solcavano il viso senza alcun ritegno. “Sta calma, tesoro. È solo un temporale.” La rassicurai, accarezzandole i capelli e stringendola forte a me. Rinfrancata dalle mie parole, la bambina ritrovò la calma, ma in quel preciso istante, la porta di casa si spalancò. Fuori tutto era buio, e una flebile e sconosciuta voce, fece gelare il sangue di noi tutti. Un nuovo lampo illuminò a giorno la stanza, e guardando meglio quella povera anima, scoprii che era una donna. Tremava, aveva freddo e vestiva indumenti bagnati e rovinati dalla pioggia. Andando alla disperata ricerca di conforto, mi guardava intensamente, forse sperando che riuscissi a riconoscerla, ma tristemente invano. Quasi per istinto, mi avvicinai, e prestando maggiore attenzione, rivissi una miriade di ricordi. Rimembrai ogni cosa, compreso il mio primo giorno di sopravvivenza ad Aveiron, in una casa piccola, sporca ma tutto sommato accoglienza. Fortuna volle che quel giorno non fossi sola, e che la mia unica compagnia fosse quella di mia sorella, o per meglio dire sorellastra. Scuotendo con forza la testa, mi liberai da quei pensieri, e proprio allora, tutto fu più chiaro. Riuscii a tornare alla realtà, scoprendo che quella povera donna era sul punto di svenire. Poco prima di cadere in un’orribile stato d’incoscienza, questa biascicò una sola parola. “S- Sorellina.” Disse, facendo riaffiorare nella mia mente un nuovo ricordo, che collegato agli altri, mi fornì una certezza. “Alisia!” la chiamai, gridando il suo nome e lottando per ricacciare indietro le lacrime che tentavano in ogni modo di fuggire dai miei occhi. Notando la mia tristezza, Stefan mi guardò, e la mia risposta fu una sola. “Dobbiamo aiutarla.” Dissi, riferendomi alla sorella che tanto amavo e che credevo scomparsa da ormai lungo tempo. Mantenendo il silenzio, lui non fece che annuire, e una volta tornata alla calma, mi adoperai al meglio delle possibilità per offrire ricovero e salvezza ad uno dei membri più importanti nella mia famiglia. Alisia Sinette, conosciuta da molti come “lei dagli occhi verdi.”

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Capitolo 12
*** Sana e salva ***


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Capitolo XII

Sana e salva

Per nostra fortuna, la pioggia aveva smesso di scrosciare, e mia sorella aveva ripreso i sensi. Sapevo bene che non eravamo legate dal sangue, ma la cosa non mi importava. Le volevo bene, e quella era l’unica cosa a contare. Averla finalmente ritrovata mi riempiva di gioia. L’unica cosa che ricordavo di lei era il suo viso nel giorno del suo allontanamento dal rifugio che avevamo trovato e iniziato a condividere. “A mai più rivederci.” Mi aveva detto, poco prima di sparire dalla mia vista e non tornare più indietro. A quelle parole, non avevo risposto, limitandomi a guardarla allontanarsi verso una tetra realtà, che stando alle mie convinzioni, me l’avrebbe portata via per sempre. Ad ogni modo, la fortuna ha deciso di rivolgere un sorriso nella mia direzione, e proprio oggi, lei è di nuovo accanto a me. Ora come ora, è occupata a cercare di scaldarsi per mezzo di una coperta, ed è stesa sul divano di casa. Sta cercando di riposare, ma ha finora conservato abbastanza energie da riuscire a parlarci. Ci guarda alternativamente entrambi, e una singola domanda trova la libertà grazie alla sua voce. “Stai bene?” mi chiede, mentre questa le si spezza a causa degli sforzi compiuti per fuggire e trovare un riparo. “Sì, Alisia, sto bene.” Risposi, dopo alcuni secondi di silenzio. “E lui chi è?” indagò, per poi abbandonarsi ad un colpo di tosse. “Mio marito.” Risposi, regalandole quindi un debole ma convincente sorriso. “Come?” esclamò, sorpresa. Guardandola brevemente negli occhi, compresi quanto fosse confusa, e mantenendo il silenzio, decisi di conservare il resto dei dettagli per un’occasione futura. In fondo, e stando ai leggeri lividi che aveva sulle ginocchia, doveva essere scivolata e caduta sul selciato a causa della pioggia, ferendosi in maniera fortunatamente lieve. Stava bene, ed io ero felice. Ad ogni modo, i minuti passarono, e mia sorella si addormentò. Cadde preda del sonno sul divano di casa, e proprio nel momento in cui Stefan ed io volemmo lasciarla da sola, nostra figlia Terra fece il suo ingresso nella stanza. Evidentemente, doveva aver sentito ogni cosa, e raggiungendo il salotto di casa, non attendeva che spiegazioni. “Chi è, mamma?” chiese, confusa e stranita da quella vista. Volendo unicamente soddisfare quel suo desiderio, la presi in braccio, e tornando a concentrarmi sul corpo della mia ora dormiente sorella, dissi la verità. “È zia Alisia, ma ora deve riposare.” Sussurrai, sperando di non disturbare il suo ora più che mai prezioso sonno. Lasciando la stanza, ci assicurammo che riposasse, e poco prima di darle le spalle, le parlai. “Bentornata.” Dissi, con voce bassa ma dolce al tempo stesso. Una semplice parola che avevo pronunciato poiché guidata dalle mie stesse emozioni, accompagnata da una piccola lacrima, che fredda e sola, mi scivolò sulla guancia. In questo caso, non l’asciugai, e rintanandomi nella mia stanza, riempii una nuova pagina del mio diario. Vi scrissi quanto era accaduto, riportandomi poi una frase che da lunghe ore mi galleggiava in mente, e che in quel fuggevole attimo, sentii di dover liberare per mezzo della mia fedele biro nera. “Non riesco a crederci, eppure mia sorella è oggi sana e salva.”

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Capitolo 13
*** Il vuoto nella mente ***


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Capitolo XIII

Il vuoto nella mente

Le ore passavano, e mentre la brezza serale spirava, la preoccupazione entrava di nuovo a far parte del mio animo. Dormivo più tranquillamente, e i miei incubi stavano lentamente svanendo, ma nonostante questo, non riuscivo a stare calma. Come ripeto spesso, Stefan è la mia roccia, e lui lo sa bene. Chiudendo gli occhi, lascio che la mia mente vaghi, e guardandomi indietro, ricordo ancora con gioia il giorno del nostro primo incontro. Da allora è ormai passato molto tempo, eppure mi sembra che tutto sia accaduto ieri. Ero lì, per le strade di Aveiron, intenta a camminare per procacciarmi il cibo, e improvvisamente, ero svenuta. Ferma e inerme come un bimbo in posizione fetale, cercavo di conservare il mio esiguo calore corporeo, strappatomi come vita dalle vene dal gelo e dalla neve di quel lungo e duro inverno. Parlando con me stessa, mi credevo spacciata, ma improvvisamente, l’avevo sentita. La voce di Stefan, che dopo avermi soccorsa e salvata da morte certa assieme a suo padre, aveva lottato con tutte le sue forze per difendermi dall’allora malvagia Lady Fatima, precedentemente priva di un cuore e di un’anima, che scoperta la mia presenza nella sua Casa, mi reputava debole, sciocca e non meritevole di continuare a vivere. In altri termini, voleva mettermi a morte, ma il destino aveva altri piani per me. Sono oggi passati anni, e sono ancora viva e libera di condurre la mia vita al fianco di Stefan, ormai divenuto mio marito da circa tre anni, del dottor Patrick e di molte altre persone di fiducia. Pensandoci, reputo incredibile lo scorrere del tempo stesso e la fragilità della vita umana, che in circostante pari a quelle attuali, sembra essere costantemente e malauguratamente appesa ad un filo sottile, che minaccia di spezzarsi da un giorno all’altro. Ad ogni modo, oggi respiro a fondo, e concentrandomi, mi concentro sulle possibilità che la vita mi ha concesso. Sono ora madre di una bambina, e ho fortunatamente ritrovato la mia amata ma dispersa sorella. Può apparire banale o privo di significato, ma mi ritengo una giovane donna semplice e di poche, pochissime pretese. Difatti, in questo preciso momento, non ho desiderio dissimile dallo sdraiarmi, chiudere gli occhi e provare a dormire, così da poter avvertire una meravigliosa sensazione di calma e vuoto nella mente. Una vera e propria panacea per i miei poveri e logori nervi, ora tesi come le corde di un ligneo e maestoso violino.

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Capitolo 14
*** Espiar colpe e peccati ***


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Capitolo XIV

Espiar colpe e peccati

Con lentezza, passava un nuovo giorno, e mia sorella si svegliava dal suo breve sonno, alzandosi dal divano di casa e notandomi indaffarata come sempre, e divisa fra le normali faccende domestiche e il nervosismo dovuto ai pericoli di Aveiron. “Ben svegliata.” Le dissi semplicemente, sorridendole e lasciando che il caldo e dorato sole illumini e inondi la stanza. Mantenendo il silenzio, lei mi guardò, muta. Sembrava non aver alcuna voglia di rivolgermi la parola, e per qualche strana ragione, fissava un punto del salotto. Aveva infatti gli occhi fissi sull’orologio appeso al muro, che per quanto vecchio, funziona ancora. Era strano a vedersi, ma per lei sembrava essere una sorta di conforto. Intanto, il tempo scorreva, e improvvisamente, ruppe come vetro il silenzio presente nella stanza. “Dobbiamo parlare.” Dichiarò, rimanendo ferma e inerme e limitandosi a fissarmi. “D’accordo, di cosa…” ebbi il solo tempo di biascicare, prima che parlando, lei mi interrompesse “È importante, ma Stefan e la bimba non devono saperlo.” Esordì, per poi tacere al solo scopo di concentrarsi e ordinare le idee. “Rain, ascolta, mi è difficile dirlo, ma mi dispiace.” Disse poi, sollevando nella mia mente una metaforica nebbia fatta di dubbi e incertezze. “Alisia…” sussurrai, pronunciando il suo nome con la voce spezzata da un’improvvisa tristezza. È passato molto tempo, ci siamo appena riviste, e non sai quanto io ne sia felice, ma ora mi sento malissimo. È come se in questi anni io ti avessi mentito.” Continuò, parlandomi e facendo uso di un tono di voce sempre più instabile e corrotto dal dolore. Guardandomi negli occhi, lottava con tutte le sue forze per non permettere alle lacrime di vincere, ma fallendo, si avvicinò, e continuando a fissarmi, pronunciò una frase che ricorderò finche avrò vita. “Io ero ovunque.” Quelle le semplici parole che abbandonarono le sue labbra in quel momento, e che stordendomi, mi resero incredula. Non sapevo cosa volesse dire, e l’enigma che le sue parole nascondevano, non faceva che tormentarmi. “Ero ovunque.” Ripetè, riuscendo a suonare perfino più enigmatica di quanto non fosse in precedenza. “Ero presente in ogni occasione. Nel giorno della tua fuga, in quello della tua cattura e in quello del tuo matrimonio.” Concluse, facendo involontariamente in modo che quella confessione mi colpisse arrivandomi dritta al cuore, ferendolo quindi assieme alla mia anima. Non proferendo parola, ascoltai ogni sua parola in religioso e rispettoso silenzio, ma in quel momento, scelsi di agire. “Allora perché? Perché non hai agito? Perché non ti sei avvicinata? Perché non hai provato a salvarmi? Perché?” gridai piangendo, ponendole quelle domande con tutta la rabbia e il dolore presenti nel mio cuore e nel mio povero corpo. A quelle parole, mia sorella non rispose, ma guardandomi negli occhi, si limitò a mantenere il silenzio. Da quel momento in poi, calma piatta. Una quiete che mi rese inspiegabilmente sorda, spezzata come un fragile fuscello da una semplice e al contempo articolata risposta. “Non potevo.” Disse soltanto, per poi arrendersi e scivolare nel più completo silenzio. “Ma perché? Perché l’hai fatto? Sapevi dov’ero, perché non hai voluto aiutarmi?” chiesi, confusa, ferita e desiderosa di risposte che non avevo ancora ricevuto.“Rain, te l’ho detto! io non ho potuto! Ho visto il dolore nei tuoi occhi nel giorno del nostro addio, e dopo essermene andata, ho creduto che non volessi mai più rivedermi! Ecco perché!” un urlo che trovò la libertà solo grazie alla sua voce, e che una volta ascoltato, mi fece comprendere ognuno dei miei errori. Avevo dubitato di lei, non mi ero fidata, e avevo finito per dare inizio ad una furiosa lite. In quel momento, nessuna di noi due osava guardarsi né proferire parola. Lo screzio appena avuto ci aveva lasciate senza, e una volta rintanatami nella mia stanza, non riuscii a fare altro che piangere e pensare. In quella semplice mattina, avevo commesso un madornale errore. Avevo difatti finito per incrinare il rapporto che mi legava alla mia tanto amata sorella, l’avevo inconsciamente ferita e delusa, e tutto questo prima di ascoltarla espiare quelli che lei stessa percepiva come colpe e peccati.  

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Capitolo 15
*** La famiglia prima di tutto ***


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Capitolo XV

La famiglia prima di tutto

In un battito di ciglia, era giunta la sera. Avevo passato il pomeriggio a piangere e disperarmi per quanto fosse successo, e malgrado i miei numerosi tentativi, non ero ancora riuscita a calmarmi. Accorgendosi del penoso stato in cui versavo, la mia piccola Terra aveva provato ad avvicinarsi e rallegrarmi, ma senza successo. “Cosa c’è, mamma?” mi aveva chiesto, facendo uso dell’ingenuità che il suo essere bambina comportava. “Niente.” Le avevo risposto, carezzandole la testolina castana e pregandola di tonare a giocare. Sorridendo debolmente, la piccola aveva obbedito, e tornando nella mia stanza, scoprii di non essere sola. Stefan era come sempre al mio fianco, e guardandomi, notò sul mio volto i segni del pianto. “Che ti è successo?” chiese, sperando di ottenere una qualsiasi risposta. “Niente.” Mi limitai a dire, non avendo desiderio dissimile dal far cadere l’argomento. “Ma… hai pianto, e si vede.” Osservò, avvicinandosi al solo scopo di stringermi un braccio attorno alle spalle. “Dico davvero, non è niente.” Continuai, divincolandomi per sfuggire dal suo abbraccio e scegliendo quindi di dargli le spalle. “Non mentirmi.” Mi ammonì lui, guardandomi con aria improvvisamente seria. “Non sto mentendo. Sto bene, e voglio solo restare da sola.” Dissi poi, sentendo le corde vocali vibrare e dolere per lo sforzo. “Rain, ti conosco troppo bene, so che qualcosa non va. Vuoi parlarne?” rispose, per poi pormi quell’ora scomoda domanda con naturalezza incredibile. “Ti disturbo?” azzardai, conservando la segreta speranza di non star occupando una porzione eccessiva del suo tempo. “Non lo fai mai.” Disse, sempre facendo uso di quel tono incredibilmente calmo e pacato. Seguendo quindi un movimento della sua mano, mi sedetti sul letto, e respirando a pieni polmoni, mi decisi a dire la verità. “Ho promesso di non dire nulla, ma… Alisia sapeva tutto.” Dissi mestamente, tenendo gli occhi bassi al solo scopo di evitare gli sguardi del mio Stefan. “Che significa?” chiese, confuso e stranito da quelle parole. “Sapeva di noi, del matrimonio, e di tutto quello che abbiamo passato. Ero felice di averla ritrovata, ci siamo scontrate, e ora è sparita di nuovo.” Continuai, per poi concludere quella frase con estrema tristezza. “Non abbatterti, la ritroveremo.” Mi rispose lui, sorridendo al solo scopo di incoraggiarmi. “Ne sei sicuro?” indagai, quasi andando alla ricerca di una conferma. “Ascantha è piccola, non può essere lontana.” Affermò in tono deciso e solenne. “Voglio crederti, ma se l’avessi persa ancora?” chiesi, non riuscendo a trattenere qualche piccola, fredda e sporadica lacrima. “Rain, tranquilla. Siete sorelle, e la famiglia viene prima di tutto.” Una frase che ascoltai in completo e perfetto silenzio, e che stringendo Stefan a me, giurai di non dimenticare mai, e per esserne completamente sicura, la scrissi anche nel mio diario. In fin dei conti era vero. Alisia ed io eravamo sorelle, e in ogni circostanza, la famiglia è un bene prezioso, che viene prima di tutto.

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Capitolo 16
*** Fuggitiva ***


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Capitolo XVI

Fuggitiva

Un nuovo giorno aveva inizio, ed ero attonita. Mia sorella ed io avevamo litigato, io avevo pianto amare lacrime per una giornata intera, e come se questo non fosse abbastanza, ora lei non c’era più. La lite che ci aveva di nuovo divise era stata piuttosto aspra, e fermandomi a pensare, ricordai il suono della porta di casa che sbatteva con violenza. Poteva significare solo una cosa. Alisia mi aveva abbandonato. Era fuggita in preda alla rabbia e al dolore, lasciandosi alle spalle il rapporto che da pochissimo tempo avevamo ricucito. Ecco quindi un nuovo strappo nell’arazzo del nostro legame, strappo che avrei voluto ricucire per mezzo di un metaforico ago e di un filo, strumenti a me utili in quel frangente, ma che non avrei potuto trovare né usare a meno che prima non avessi ritrovato lei. Così, con l’arrivo del pomeriggio, Stefan, Terra ed io ci lanciammo alla sua ricerca. Camminando per le strade di Ascantha, chiamavamo il suo nome, ma senza purtroppo ricevere risposta. Stringendo i denti, restavo fiduciosa, sicura che le genti del villaggio l’avessero vista, ma anche in questo caso, niente. Il nulla più totale. Era incredibile, ma mia sorella si era come volatilizzata. Di lei nessun segno in tutto il nostro piccolo villaggio. Affranta, Terra iniziò a piangere, e guardandomi con aria triste, non proferì parola. “Mi fanno male i piedi.” Disse poi, mentre alcune piccole lacrime presenti sul suo volto e nei suoi verdi occhi brillavano con il sole che intanto iniziava a calare. Ascoltando quegli infantili lamenti, provai a prenderla in braccio, e come c’era d’aspettarsi, il mio espediente parve funzionare. “Dì, va meglio ora?” le chiese il padre, regalandole un dolce sorriso. Scivolando nuovamente nel silenzio, la bambina si limitò ad annuire, e posando la testa sulla mia spalla, sbadigliò con fare assonnato coprendosi la bocca con una rosea manina, scegliendo quindi di chiudere gli occhi e cercare di riposare. “Dormi bene, principessa.” Sussurrai, tenendola stretta a me per evitare che cadesse. Già preda del sonno più profondo, la piccola non rispose, ma la cosa non mi sfiorò minimamente. In fin dei conti, aveva solo tre anni, e il sonno, oltre al gioco e all’affetto familiare, era l’unica cosa che nessuno di noi le avrebbe mai fatto mancare. Ad essere sincera, avrei largamente preferito che fosse rimasta sveglia, ma per pura sfortuna non fu così, e di fronte a quella scena tanto tenera da sciogliermi come candida neve al tiepido sole, sorrisi, scambiandomi quindi con Stefan un’occhiata d’intesa. “Dici che la ritroveremo?” chiesi, non avendo desiderio dissimile dall’ottenere un suo parere riguardo all’intera faccenda. “Certo. Adesso vieni, e smettila di preoccuparti.” Rispose, fornendomi con quelle poche e semplici parole un utile consiglio, che sfortunatamente non riuscii a seguire. Difatti, in quel momento lasciavo che la mia ansia mi guidasse, contagiando perfino quelli che erano i miei discorsi. “Ma fra poco sarà buio, e se accadesse qualcosa? Se qualcuno provasse a ferirci? Se…” una frase che mi morì in gola, non potendo aggiungersi alle altre due domande che avevo posto. Quesiti, dubbi, incertezze. Queste le uniche cose ora in grado di galleggiare nel mio animo e nella mia povera mente, non facendo altro che impensierirmi e far conseguentemente aumentare il battito del mio cuore, che in precedenza più calmo e rilassato, aveva cullato la nostra amata bambina fino a farla sprofondare in un silenzioso sonno. “Rain, guardami.” Mi ordinò Stefan, facendosi improvvisamente serio. Spaventata da quella sua improvvisa reazione, e intimorita dai pericoli che avremmo potuto correre, non lo ascoltai, rifiutandomi di farlo e fissando lo sguardo sul sentiero che percorrevamo l’uno di fianco all’altra. “Ho detto guardami.” Continuò, suonando stavolta anche leggermente adirato. Con le lacrime agli occhi, mi voltai verso di lui al solo scopo di obbedire, e fu allora che sentii quella fatidica frase. “Adesso ascoltami bene. Andrà tutto per il meglio. Ritroveremo tua sorella e torneremo a casa, d’accordo?” concluse, per poi pormi quella che io considerai una domanda a dir poco retorica. “D’accordo.” Risposi infatti, convinta e molto più fiduciosa di prima. In quel preciso istante, le nostre mani si strinsero intrecciandosi, e chiudendo gli occhi per un singolo e sporadico secondo, non sentii altro che pace. Grazie al suo aiuto, la meravigliosa sensazione di vuoto mentale che desideravo di provare aveva fatto ritorno, e avendo sgombrato le mie giovani membra da ogni preoccupazione, mi sentii leggera, libera e pronta a tutto pur di ritrovare uno dei membri più importanti della mia famiglia. La mia tanto amata sorella, alla quale ora non potevo che dare l’appellativo di fuggitiva.

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Capitolo 17
*** Con occhi di bambina ***


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Capitolo XVII

Con occhi di bambina

Secondo giorno. La ricerca di Alisia continuava, e camminando, fissavo il terreno nella forse vana speranza di trovare le impronte delle scarpe che portava impresse sul selciato. Piano astuto, ma tristemente fallimentare. Ad ogni modo, il sole era già alto, e splendendo, ci salutava, cordiale e luminoso. I potenti raggi mi scaldavano la pelle, e la gentile brezza mattutina mi scostava i capelli dal viso. Come sempre, li tenevo sciolti e liberi di ondeggiare nel vento, salvo allontanarli poi dal volto con sporadici gesti delle mani. Era mattina, e avevamo dormito all’addiaccio fra l’erba del bosco, purtroppo senza una coperta che potesse scaldarci o proteggerci da eventuali intemperie. Per pura fortuna, la sorte ha oggi deciso di sorriderci, e data la presenza del sole in cielo, la pioggia sembra volerci offrire qualche attimo di tregua. Ci siamo svegliati da poco, e una volta in piedi, abbiamo dato nuovamente inizio alle ricerche. Preoccupata, affidavo al vento il nome di mia sorella, non sentendo che i fischi e gli ululati dello stesso in risposta. Seppur lentamente, il tempo scorreva, e stremata, mi sedetti sull’erba, decisa a fare una pausa. Notando la mia stanchezza, Stefan scelse di imitarmi, ma ciò non valse per nostra figlia Terra, che avendo viaggiato per la quasi totalità del tempo fra le mie braccia, o sulle possenti spalle del padre, non dimostrava affatto di essere stanca. Difatti, attiva e giocosa come sempre, correva felice ridendo e tentando di catturare alcune piccole e colorate farfalle, che puntualmente, le sfuggivano di mano volando via alla sua sola vista. Guardandola da lontano, sorridevo mostrandomi gioiosa a mia volta, e guardando Stefan, non riuscii a tenere a freno la lingua, rendendomi quindi capace di pronunciare una frase di cui mi pentii appena un attimo dopo. “Guarda com’è felice, potremmo restare qui per sempre.” Dissi, con sguardo sognante e tono di voce calmo e rilassato. “Dimentichi la nostra missione.” Replicò lui, quasi redarguendomi e riportandomi alla realtà. “Hai ragione, ma per ora lasciamola giocare.” Continuai, supplicandolo di dare alla bambina modo di distrarsi e scaricare l’energia accumulata con il sonno. “Va bene.” Rispose, abbandonandosi ad un ozioso sospiro e lasciandomi intendere di essersi palesemente arreso. “Grazie.” Sussurrai, avvicinandomi a lui e soffiandogli un piccolo bacio sulla guancia. Lo stesso, avrebbe dovuto essere un modo come un altro per dimostrare la mia gratitudine, ma da ciò che vidi, venne recepito in maniera completamente differente, che in ogni caso non disdegnai minimamente. Stringendomi nuovamente la mano, Stefan si avvicinò abbastanza da riuscire a carezzarmi la schiena, e non volendo rovinare quel momento, lo lasciai agire come ogni medicina. Ad ogni modo, mi ritrovai presto priva del mio equilibrio, e ridendo di gusto, rotolai fra l’erba. “Smettila.” Pregai, non riuscendo a trattenere una risata. “Sai che non posso.” Fu la sua risposta, che scatenando in me una reazione incredibilmente positiva, mi portò ad accettare un secondo e casto bacio, stavolta sulle labbra. Rispondendo a quella manifestazione d’affetto, lo baciai a mia volta, e riuscendo miracolosamente a ritrovare la mia naturale compostezza, sentii la voce di Terra. “Mamma! Papà! Aiuto!” ci chiamava, sperando in un nostro tempestivo avvicinamento. “Terra! Dove sei?” chiesi, gridando il suo nome e pregando che non fosse lontana e riuscisse a sentirmi. “Sono qui!” rispose, non riuscendo ad evitare che la sua angelica voce venisse spezzata dal pianto. Di lì a poco, un suono indistinto, e un suo secondo urlo. Correndo fra l’erba, chiamai nuovamente il suo nome, e proprio in quell’istante, la vidi. Aveva il piede incastrato nella radice di un albero, e il tentativo di liberarsi non aveva fatto altro che peggiorare la situazione. In quel momento, tutto mi fu chiaro. Era bloccata, ed io dovevo liberarla. “Prendimi la mano.” La pregai, tendendogliela perché potesse afferrarla. Spaventata, la bimba ci provava, ma senza successo. Non riusciva infatti ad avanzare, e piangendo, mi chiedeva aiuto. Intanto, quel suono continuava a farsi sentire, diventando progressivamente sempre più forte e minaccioso, ma improvvisamente, eccolo. Un aiuto dal cielo, un vero colpo di fortuna. Sotto gli sforzi della mia piccola, la radice cedette, e spezzandosi, consentì a mia figlia di tornare da me. Abbracciandola, la rassicurai parlandole in modo gentile, e nell’esatto momento in cui credemmo che il peggio fosse passato, davanti a noi si parò un grosso lupo. Fermo e immobile, ci fissava, e ringhiando sommessamente, sembrava avere tutta l’intenzione di attaccarci. Tentando di proteggerci entrambe, Stefan pensò in fretta, e lanciando un appuntito ramo verso quel grosso animale, riuscì a ferirlo. Non contenta, la bestia provò ad avvicinarsi, e un semplice gioco di sguardi seguì quell’istante. Da quel momento in poi, solo silenzio. Non osavamo muoverci, temendo che quella belva potesse farci del male, ma sapevamo comunque di dover fuggire, o perlomeno, provare ad allontanarci. “Il mio zaino!” esclamai, ricordando solo allora di averlo portato con me e averci nascosto delle provviste oltre al pugnale ricevuto in dono da mia madre. Non proferendo parola, Stefan annuì, e afferrandolo, lo lanciò verso quel grosso e famelico lupo, che annusando l’aria e il terreno, riuscì a scoprirne il contenuto, tirandone fuori solo il cibo. Poco dopo, soddisfatto del pasto, l’animale si allontanò, perdendo completamente l’interesse che aveva per noi e lasciandoci definitivamente in pace. Non appena se ne fu andato, mi portai istintivamente la mano al petto, constatando l’accelerazione del mio battito cardiaco. L’intera faccenda mi aveva terrorizzata, e ritrovando la calma, mi fermai a ragionare. Ad occhi chiusi, pensai, ricordando solo in quel momento, dei frammenti della mia infanzia. Riaprendo gli occhi, afferrai energicamente il polso di Stefan, spingendolo a seguirmi. “Avevi ragione, non può essere lontana.” Dichiarai, lanciandomi in una quasi folle corsa verso l’ignoto, che ero sicura mi avesse portato da Alisia. Stando a quanto avevo ricordato, lei amava la natura e gli animali, e non avrebbe mai, in nessuna occasione, rifiutato o disdegnato una passeggiata nei boschi o nella natura in genere, così da permettere a sé stessa di calmarsi e riordinare le idee. Fiduciosa, avevo ricominciato a camminare, più pronta e sicura di quanto non fossi mai stata. Eravamo finalmente sulla pista giusta, e secondo Stefan, era tutto merito mio, poiché ero riuscita a guardare il mondo circostante con occhi di bambina.

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Capitolo 18
*** Sola nei boschi ***


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Capitolo XVIII

Sola nei boschi

Era passato un altro giorno, ed eravamo ancora impegnati nelle ricerche di mia sorella Alisia. Parte della mia famiglia, e zia della mia bambina. Camminavamo lentamente, ma io mi sentivo sicura. La conoscevo bene, quasi come il palmo della mia mano, e sapevo che dato il suo amore per gli animali, una passeggiata nella natura era da sempre uno dei suoi hobby preferiti. Le piaceva camminare inspirando a pieni polmoni, e sentire il vento carezzarle i capelli, stessa azione che avrebbe voluto veder compiuta da un ragazzo. Nonostante la sua incredibile bellezza, ereditata da nostra madre, non aveva ancora trovato l’amore, e anche se non lo diceva mai apertamente, ero pronta a giurare che soffrisse per tale motivo. “Dove sei?” mi chiesi, parlando con me stessa e non arrestando il mio cammino. Fra un passo e l’altro, mi guardavo intorno, nervosa e confusa. Sapevo bene di stare andando nella direzione giusta, ma nonostante tutto, di mia sorella neanche l’ombra. Ad ogni modo, il cammino mio e di Stefan andava avanti da ore, e anche se stanchi, non ci fermavamo. In particolare, io continuavo a camminare sprezzante del pericolo, ma inciampando, finii per cadere. Facendo leva sulle mie mani, mi rimisi in piedi, e pur lamentandomi per il dolore ad una gamba dovuto alla caduta, continuai il mio viaggio. Il tempo scorreva, e con ogni passo, sentivo di starmi avvicinando sempre di più alla mia meta. In quel momento, ero stanca, ma asciugandomi coraggiosamente il sudore che mi imperlava la fronte, sbuffai con forza. Stremata, la piccola Terra non ce la faceva più. Numerose volte, ci eravamo offerti di prenderla in braccio, ma da brava soldatessa aveva rifiutato. “Ce la faccio da sola.” Aveva detto, sorridendo coraggiosa. “Sono stanca.” Disse in quel momento, lamentandosi ancora una volta per il dolore ai piedi. “Va bene, sei pronta?” le chiese Stefan, poco prima di prenderla in braccio e portarla sulle spalle. Da quella posizione, nostra figlia riusciva a vedere di tutto, e guardandosi intorno, rideva divertita. Il nostro viaggio alla ricerca di Alisia andò avanti da quel momento in poi, e improvvisamente, nel silenzio, spiccò una voce. “Mamma! Guarda là!” era Terra, che facendoci stavolta da vedetta, pareva aver scorto qualcosa in lontananza. Obbedendo a quella sorta di ordine, seguii le indicazioni che mi diedi col dito, e solo allora, la vidi. Lei, la ragazza che stavamo cercando, e che finalmente avevamo trovato. Alisia. Felice come non mai, sorrisi in preda alla gioia,e correndo verso di lei, la chiamai per nome. Guardandola, notai che appariva distratta, ma rispondendo a quella sorta di richiamo, fece in modo che i nostri sguardi si incrociassero. “Rain! Grazie al cielo!” disse, avvicinando abbastanza da poter essere abbracciata. “Cosa ti era saltato in mente? Che facevi qui?” indagai, arrivando quasi a redarguirla per quanto aveva fatto. “Scusa, ero arrabbiata, così ho raggiunto il bosco, ma senza bussola… mi sono persa, e…” biascicò, tentando con quelle semplici parole di giustificarsi e chiedere implicitamente il mio perdono. “Zia!” gridò la bambina, felice ed eccitata, correndo verso di lei e desiderando unicamente di essere sollevata e presa in braccio. “Ciao, piccola.” Le rispose, realizzando il suo desiderio e permettendole di baciarle una guancia. L’abbraccio che seguì quell’istante ci unì tutti, e una volta sciolto, decidemmo di tornare subito indietro. Chiaro era che il viaggio a ritroso sarebbe stato incredibilmente lungo, ma la cosa non ci toccava. Saremmo tornati indietro tutti insieme, e cosa più importante, mia sorella non sarebbe rimasta da sola nei boschi.

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Capitolo 19
*** Riunione ***


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Capitolo XVIII

Riunione

Ce l’avevamo fatta. Eravamo finalmente tornati a casa nonostante mille pericoli, e potendo tirare un sospiro di sollievo, ci sentivamo liberi. Dati i nostri trascorsi, le mura domestiche erano sia per me che per Stefan un vero e proprio nido, e lo stesso discorso poteva essere applicato alla piccola Terra, ansiosa di tornare indietro al solo scopo di passare il tempo giocando come ogni bimba della sua età. Per quanto riguardava mia sorella, aveva deciso di parlarmi, divenendo tuttavia improvvisamente enigmatica e criptica. “Dove sono?” non aveva fatto altro che chiedermi, innervosendosi ogni volta che, confusa, non riuscivo a darle una risposta. Qualcosa che per lei appariva ora inspiegabilmente importante, e che pertanto esigeva. “Dove sono?” continuava a chiedere, facendo sempre più fatica a trattenere la rabbia. “Alisia, ti prego, calmati. Di cosa stai parlando?” mi informai, parlando in maniera calma e sperando che  riuscisse a tornare alla ragione. In quel preciso istante, il suo viso si rabbuiò, e i suoi occhi persero lucentezza. “I nostri genitori.” Sibilò guardandomi, mostrandosi nuovamente carica di collera. “Vivono qui vicino. E gli manchi.” Dissi, per poi tacere e conservare la segreta speranza di aver soddisfatto la sua curiosità. “Mancano anche a me. Credi di potermi aiutare?” indagò poi, appoggiandosi metaforicamente a me e andando in cerca d’aiuto. ”Ma certo!” le risposi, regalandole quindi un luminoso sorriso. “Grazie.” Sussurrò lei in risposta, mostrando per una volta il lato dolce e gentile che credevo scomparso come la sua persona prima di oggi. “Ti voglio bene, Rain.” Aggiunse, avvicinandosi al solo scopo di stringermi in un delicato abbraccio. “E ricorda, ci sarò sempre.” Disse infine, sorridendo debolmente e sciogliendo il nostro abbraccio appena un secondo dopo. “Vuoi rivederli?” le chiesi, riferendomi a coloro che ci avevano offerto il dono della vita. Mantenendo il silenzio, Alisia si limitò ad annuire, e prendendomi la mano, si lasciò guidare. Avvisando Stefan della nostra uscita, aprii la porta di casa, e dopo un breve cammino, bussai alla loro porta. Alcuni attimi scomparvero dalle nostre rispettive vite, e aprendosi, questa rivelò la presenza in casa di mia madre. “Rain! Cosa ti porta qui?” chiese lei, evidentemente felice di vedermi. “Non sono da sola, e c’è qualcuno che vuole vedervi.” Dissi, andando schiettamente dritta al punto. Perdendo improvvisamente la capacità di parlare, entrambi i miei genitori mi fissarono con aria confusa, e solo in quel momento, mi spostai lateralmente, rivelando l’esile figura di Alisia, che in tutto quel tempo era rimasta dietro di me. Alla sua vista, nessuno di loro parlò, e facendosi coraggiosamente avanti, lei stessa non proferì parola. Rimanendo concentrata sui nostri genitori, attesi una loro qualunque reazione, che arrivò più lenta del previsto. Fu infatti questione di pochi istanti, allo scadere dei quali, nostra madre non potè trattenersi dal correre ad abbracciare quella figlia che tanto desiderava rivedere. “Alisia.” La chiamò, biascicando il suo nome e sentendo la sua stessa voce spezzarsi come una robusta corda. “Mamma.” Rispose lei, iniziando a piangere a sua volta, tanta era la sua contentezza. Immobile di fronte a quella scena, fui mossa a compassione, e avvicinandomi, mi unii a quell’abbraccio, scoprendolo forte e solido quanto il nostro rapporto dopo quella tanto sospirata riunione.

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Capitolo 20
*** Nuova e attesa calma ***


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Capitolo XX

Nuova e attesa calma

Tre giorni se ne sono nuovamente andati, e anche se da poco, mia sorella ha scelto di tornare a vivere con i nostri genitori. Parlandomi, ha compreso i pericoli di Aveiron e della giungla urbana, e non volendo che trovare un rifugio più sicuro e stabile, ha maturato una decisione a mio dire più che giusta. Ad ogni modo, il sole è ancora restio nel mostrare il suo oggi pallido volto, e con il vento che soffia, ululando minaccioso, fa freddo. Ora come ora, sono tranquillamente seduta sul divano di casa, intenta a leggere e rileggere quanto ho scritto nel mio diario, sperando che gli avvenimenti raccontati in quelle pagine riportino alla mia mente gioiosi ricordi. Rimanendo concentrata, non oso muovermi, ma improvvisamente, qualcuno fa il suo ingresso nel salotto. È Stefan. Ha in braccio la nostra piccola Terra, che guardandomi, sorride. “Ti ho fatto un disegno.” Mi dice, regalandomi un nuovo e luminoso sorriso. “Posso vederlo?” le chiedo, attendendo che mi porga quel bianco foglio. In silenzio, la bambina si limita a mostrarmelo. Un infantile schizzo della nostra intera famiglia. Le figure sono tutte vicine, e i sorrisi non mancano. “Siamo noi.” Chiarisce, toccando con mano quel disegno e mostrandomi il modo in cui ha creato sé stessa e noi due, suoi tanto amati genitori. “Terra, tesoro, è bellissimo.” Non posso che rispondere, sentendo un improvviso orgoglio crescere in me. Quasi per istinto, la guardo, e nel farlo, lascio che le mie labbra si dischiudano in un ennesimo sorriso. È solo una bambina, eppure, nonostante la giovane età sembra avere come noi un solo desiderio. Ritrovare la calma che perdiamo costantemente, respirare, ed essere felice. Chiaro è che quello sia solo un disegno, ma essendo sua madre, vedo la cosa in modo completamente diverso. Conosco bene la mia bambina, e sono convinta che per lei disegnare sia un modo come un altro di esprimersi. Le voglio bene, e mentre il tempo passa, io la guardo crescere e imparare, sempre conservando l’ardente e segreta speranza che diventi un giorno matura e responsabile come i suoi genitori. Stefan è inoltre del mio stesso avviso, e in ultimo, i suoi nonni ritengono che tutto sta nel modo in cui l’alleviamo. Orgogliosi di noi sotto ogni aspetto, sono convinti di stare vedendo un lavoro ben svolto, e pur faticando ad ammetterlo, sanno che non potrebbero chiedere di meglio. In tempi come questa, il sorriso e la gioia di quella bimba ci aiutano ad andare avanti, e ogni giorno non facciamo che sperare, uniti in un gruppo, in una nuova e tanto attesa calma.

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Capitolo 21
*** Simboli di amore e fede ***


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Capitolo XXI

Simboli di amore e fede

L’estate era finalmente arrivata, e una debole pioggia cadeva dal cielo di Ascantha. Nel tentativo di rilassarmi, la guardavo rigare i vetri delle finestre, e tenendo in braccio mia figlia, mi abbandonavo a dei piccoli sospiri. Ingenuamente, lei teneva ancora in mano il suo disegno, così come uno dei suoi peluche preferiti. Un orsetto di morbida pezza, che sua nonna le ha regalato nel giorno della sua nascita. Stando ai suoi ricordi, apparteneva a me quando ero una bambina, e ora era suo. Posandoci lo sguardo, lo fissai, concentrandomi sugli occhi di quell’ormai vecchio pupazzo. Erano dei semplici bottoni, e uno stava per staccarsi. Guardandomi con aria triste, Terra me lo mostrò più da vicino, per poi lamentarsi e arrivare a credere che quel giocattolo si fosse ferito. Lasciandomi vincere dalla sua tenerezza, afferrai un ago e del filo da una piccola scatola di legno tenuta sul ripiano più alto della nostra libreria, e togliendole quel gioco di mano per un pò, mi assicurai che ritornasse in piena forma. “Ecco, adesso sta bene.” Le dissi, restituendoglielo solo dopo averlo aggiustato. “Grazie, mamma.” Soffiò lei in risposta, abbracciandolo e tornando subito a parlarci e giocarci come era solita fare. Ancora una volta, la sua vista mi inteneriva, sciogliendomi il cuore. La guardavo da una debita distanza, e rimembrando il giorno della sua venuta al mondo, non riuscii ad evitare che una solitaria lacrima mi solcasse il viso. Era mia figlia, stava crescendo, e ne ero troppo felice. Con gli occhi velati dalle lacrime, non mi accorsi di avere ancora quel piccolo ago in mano, e chiudendo erroneamente il pugno, mi punsi un dito. Mi lamentai quindi per il dolore, e alcuni attimi dopo, mi accorsi della presenza di Stefan. Guardandomi, non fece che sorridermi, ma la sua espressione cambiò non appena il suo sguardo cadde sulla mia mano. Nello spazio di un momento, notò quella piccola ferita, e stringendomi la mano incriminata, baciò con dolcezza quel dito ancora sporco di sangue. Colta alla sprovvista, non ebbi reazione alcuna, e ben presto, una garza da lui applicata finì per coprirlo. “Così dovrebbe andare.” Disse in quel momento, apparendo serio e calmo al tempo stesso. “Ti ringrazio.” Biascicai, sentendo il volto venire inondato da un improvviso calore. “Tutto per la mia amata.” Rispose, avvicinandosi ulteriormente a me e baciandomi stavolta la fronte. Il tempo continuò quindi a passare, e in breve, notai l’arrivo della sera. Voltandomi nuovamente verso Terra, ancora occupata a giocare, la chiamai per nome. La luce diurna era ormai scomparsa, ed era per noi tutti ora di andare a letto. Distratta dal suono della mia voce, lei non tardò ad obbedire, mostrandosi molto più matura e ragionevole di altri bambini, che al contrario avrebbero preferito il gioco al sonno. Raggiunta la mia stanza, mi ritrovai da sola con Stefan. Indossai velocemente il pigiama, e poco prima di infilarmi a letto, feci per togliere l’anello che mi aveva regalato nel giorno in cui aveva chiesto la mia mano. “Tienilo.” Fu la sua richiesta, giunta chiara e forte nel silenzio della camera. “Perché?” mi informai, facendo unicamente uso dello sguardo. “Non c’è una vera ragione, fallo e basta.” Continuò, spiegandomi con chiarezza il suo volere. Continuando a guardarlo, obbedii, e in quel momento, una singola frase da lui pronunciata ebbe il potere di scombussolarmi e far crollare le mie certezze come un affatto solido castello di carte. “C’è una cosa che devo dirti.” Esordì, spingendomi inconsapevolmente a tremare di paura. “Che cosa?” soffiai, ormai preda dello spavento. “Prima che ti incontrassi, moltissime ragazze si innamoravano di me, ma io ho scelto te, e ti amo.” Mi disse, avvicinandosi e attirandomi a sé per poi stringermi e baciarmi. Per qualche strana ragione, quel bacio fu diverso dagli altri. Meraviglioso, casto dolce e molto più profondo del solito. Chiudendo gli occhi, ne assaporai ogni istante, e pur rimanendo abbracciata a lui, lasciai che mi spingesse dolcemente contro il muro. Una volta toccatolo con le spalle, ci staccammo per un attimo, e in quell’istante, una mia preghiera raggiunse le sue orecchie. “Il tuo passato non mi importa. Mi sono innamorata di te quel giorno, e ti voglio al mio fianco per sempre. Baciami, ti prego.” Dissi, continuando a risultare rapita dal suo sguardo e guidata dai miei sentimenti. Realizzando quel mio desiderio, Stefan posò di nuovo le sue labbra sulle mie, dando inizio ad un bacio che volli subito approfondire. Subito dopo, un brivido mi percorse la schiena. Lo amavo davvero, ed ero sicura di non desiderare nessun altro al mio fianco. Intanto, il tempo scorreva, e mentre la situazione non faceva che migliorare, mi accorsi di trovare sempre più difficile controllarmi. Mi lasciai quindi sollevare e adagiare sul letto, per poi baciarlo e sussurrargli una frase all’orecchio. “Rendimi tua, Stefan, qui e ora.” Una semplice richiesta dettata dal profondo amore che sapevo di provare per lui, e che in quei momenti di pura passione, non riuscii a tacere. Senza darmi quindi il tempo di respirare, Stefan agì d’impulso, disseminando piccoli baci prima sulle mie labbra, poi sul resto del mio corpo. Divenendo preda delle mie stesse emozioni, mi beai di quei momenti, e chiudendo gli occhi, mi morsi un labbro tentando di controllarmi, ma fallendo in quel misero intento, persi definitivamente il controllo. Raggiunsi quindi l’apice del piacere, accasciandomi sul letto, sfinita. Ero così stanca da non riuscire a parlare, e sempre tenendo gli occhi chiusi, sentii le dita del mio amato scivolarmi fra i capelli. “Stefan?” lo chiamai, con solo un filo di voce. “Sì, Rain?” rispose, voltandosi a guardarmi con gli occhi di un vero innamorato. “Sei stato assolutamente fantastico.” Continuai, voltandomi nella sua direzione unicamente per permettere alle nostre labbra di incontrarsi. “Dormi bene, amore mio.” Disse poi, augurandomi una buona notte, che non sarebbe comunque potuta essere migliore di quella appena trascorsa. Perfetta, sublime, e in altri termini, piena d’amore e passione. Addormentandomi felice e serena, cullata dal battito del suo puro cuore, mi svegliai soltanto la mattina dopo, continuando a vivere la mia vita all’insegna della calma a lungo desiderata. Passarono così alcuni giorni, e in un tranquillo mattino estivo, scoprii una purtroppo tetra verità “Rain, mi dispiace moltissimo, ma noi due dobbiamo lasciarci.” Confessò con l’arrivo in cielo del sole, guardandomi con aria seria ma al contempo afflitta. “Cosa? Ma perché?” non potei fare a meno di chiedere, confusa e stranita da quelle parole. “Ho ricevuto una lettera da mio padre. Vuole che lo raggiunga ad Aveiron.” Affermò serio, dando un ultimo sguardo al mio viso prima di voltarsi e darmi le spalle. “No.” Risposi a muso duro, convinta delle mie idee. “Tu non andrai da solo.” Aggiunsi, posandogli una mano sulla spalla e costringendolo a voltarsi. “Devo farlo. Non ho scelta.” Mi disse, facendo uso dello stesso tono di voce adoperato poco prima. In quel momento, un’improvvisa ma motivata tristezza s’impadronì di me, portandomi a versare amare lacrime e urlargli in faccia quanto covassi nel cuore. L’ansia era tornata a farmi visita, e il suo amore mi aveva aiutato a dimenticarla, ma ora eccola di nuovo, comparsa come uno spirito in un vecchio maniero infestato. “Ma non capisci? Non puoi andare! Io ho bisogno di te, Terra ha bisogno di te! È tua figlia! Non pensi a lei?” gridai fra le lacrime, sentendomi così debole da faticare a restare in piedi. Per poco non caddi in ginocchio, ma fu un vero e proprio miracolo. “Sei tu a non capire! È per voi che sto partendo!” rispose, alterandosi di colpo e non riuscendo ad evitare di gridare. “Ascolta, tu resterai qui con la bambina. Non preoccuparti, tornerò presto.” Continuò poi, riuscendo incredibilmente a tornare ad essere il dolce e calmo uomo che conoscevo e amavo. “E se non accadesse?” indagai, con la voce spezzata dal dolore e dal pianto. “Allora conserverai il tuo anello.” Replicò semplicemente, voltandosi per la seconda volta e aprendo la porta di casa al solo scopo di andarsene. “Stefan, aspetta.” Lo supplicai, guardandolo con occhi lucidi. “Sappi solo che ti amo, con tutto il cuore.” Ammisi, rendendomi capace di una confessione per me piena di significato. “Anch’io ti amo, mia principessa.” Questa fu la sua risposta, che in quel momento, riportò alla mia mente i bei ricordi legati al nostro matrimonio. Subito dopo, lo baciai lievemente, e dopo averlo visto ricambiare, lo lasciai partire. Rimanendo ferma e inerme, lo guardai allontanarsi, e non appena fu fuori dal mio campo visivo, chiusi la porta. Voltandomi, provai a raggiungere la mia stanza, ma scoprendomi sopraffatta dal dolore, caddi in ginocchio. Piansi quindi in silenzio, e nascondendo il volto con le mani, rividi il mio anello. Un gioiello di fine bellezza, regalatomi in quel giorno così speciale, che ora comprendevo essere uno dei tanti simboli del nostro amore e della nostra reciproca fede.




Salve di nuovo a tutti! Questo capitolo conclude la terza parte delle avventure della nostra cara Rain. Spero sarete felici di sapere che non è ancora finita, e in queste righe finali, degli speciali ringraziamenti per "la luna nera." "Karon Migarashi." e "JustBigin45." che mi seguono da moltissimo tempo. Non voglio però dimenticare "alessandroago_94" che si è da poco aggiunto al mio pubblico di lettori. Ringrazio anche coloro che silenziosamente mi seguono e leggono. Ci rivedremo nel seguito. Alla prossima,


Emmastory :)

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