L'Ombra del Passato

di PattyOnTheRollercoaster
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Arrivo a Daret ***
Capitolo 2: *** L'uomo dei ricordi ***
Capitolo 3: *** Radici nascoste ***
Capitolo 4: *** L'avvertimento ***
Capitolo 5: *** I Ra'zac ***
Capitolo 6: *** Fragilità ***
Capitolo 7: *** Verso Gil'ead ***
Capitolo 8: *** Il piano ***
Capitolo 9: *** Liberi ***
Capitolo 10: *** Nel deserto di Hardac ***
Capitolo 11: *** Imprigionati ***
Capitolo 12: *** Fiducia ***
Capitolo 13: *** L'avverarsi della profezia ***
Capitolo 14: *** Di nuovo sulla strada ***
Capitolo 15: *** Le origini ritrovate ***
Capitolo 16: *** L'Agaetì Blodhren ***
Capitolo 17: *** Partenza ***
Capitolo 18: *** Il ritorno dell'amore ***



Capitolo 1
*** Arrivo a Daret ***


L’Ombra del passato


Capitolo 1: Arrivo a Daret

Daret era sempre stata un cittadina tranquilla. Anche troppo forse. Probabilmente era per quello che i suoi abitanti si agitavano tanto quando succedeva qualcosa di strano.
Quella mattina in particolare c’era un’aria frizzante. Gli animali lo sentivano che stava per succedere qualcosa: i cavalli scalpitavano e sbuffavano innervositi mentre i cani e i gatti giravano nei cortili delle case, incuranti al richiamo dei padroni. Gli abitanti svolgevano il loro lavoro come al solito e solo uno di loro si rese conto della ragazzina piccola e magra di circa tredici anni che era misteriosamente comparsa all’angolo di una casa. Fu Monica, una giovane donna, a vederla e soccorrerla. La ragazzina era svenuta, coperta dalla polvere della strada. Gli altri passanti non le facevano caso, pensando che fosse una mendicante. Monica chiamò il marito, Gellert, che la portò in casa loro.
Dormì per tre interi giorni. Monica sbrigava le sue faccende di casa e si prendeva cura di lei. Aveva una brutta febbre e le passava sul corpo uno straccio bagnato con acqua gelata. All’alba del quattro giorno la ragazzina si svegliò. Non ricordava nulla, né chi era né come si chiamava né tantomeno da dove veniva. Per fortuna aveva quella catenina al collo. Era dorata e dentro c’era incisa in lettere eleganti e sinuose una data ed un nome: Ellen.






Questo è il prologo della mia storia. Anche volendo non sarei capace di scrivere capitoli così corti.  L'Ombra del passato è la prima parte di due storie, che in realtà potevo comodamente unire, ma personalmente non mi piaccciono le fan fiction troppo lunghe, così ho deciso di tagliarla in due parti. Il titolo è un'omaggio al Signore degli Anelli, infatti il secondo capitolo del primo libro s'intitola proprio così.
Prima di chiudere la pagina sbuffando seccati per il nome poco fantasioso che ho datto a uno dei personaggi principali leggete questo: ho provato con vari nomi ma, pensando al suo carattere, sono arrivata alla conclusione che un nome inventato non era adatto a lei. Per caso mi è capitato di vedere un bel film nei giorni in cui stavo inventando la trama generale della storia, e una delle attrici del film si chiamava Ellen. In quel momento ho propio pensato che il mio personaggio volesse essere una versione più antiquata di lei, e così detto fatto.
Un'avviso: questa prima parte della storia seguirà la trama di Eragon ed Eldest ma poi verrà totalmente cambiata, questo perchè ancora Brisingr non era uscito quando inventai la storia.
B'è, lasciate un commento se vi capita o se avete qualche dubbio, ciao!
Patty

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Capitolo 2
*** L'uomo dei ricordi ***


Capitolo 2: L’uomo dei ricordi

Erano passati tre anni ormai da quando Ellen era arrivata a Daret. Per qualche tempo era stata felice. Dopo che Monica le disse che era meglio non ricercare il passato lei, semplicemente, lasciò perdere. Arrivò alla conclusione che forse non era così importate. Era stata adottata da Monica e Gellert, che la trattavano come una figlia vera. Per due anni aveva vissuto con loro. Aveva aiutato Monica con le faccende di casa, avevano passato interi pomeriggi a parlare di cose da donne, come diceva Gellert. Aveva sviluppato una sorprendente capacità con le armi, era come se le venisse naturale. Dopo averlo scoperto, Gellert, che era un buon tiratore di scherma, aveva preso ad allenarla ogni sera per circa due anni. Nonostante avesse vissuto a Daret per tanto tempo i cittadini non le davano ancora confidenza. Alcuni avevano paura di lei, altri semplicemente credevano che fosse pericolosa dato il suo arrivo dal nulla.
Ma le cose andavano discretamente bene finché gli Urgali non cominciarono a saccheggiare il villaggio. Passavano a bande di circa cento o duecento e uccidevano e saccheggiavano. In una di queste incursioni Monica e Gellert persero la vita, ed Ellen si ritrovò da sola. Ma adesso, dopo un’ anno dalle prime incursioni, erano molto più organizzati. Trevor, un ex militare, aveva preso il comando della cittadina. Impartiva lezioni a tutti i giovani che potessero combattere, così da poter essere preparati ad affrontare gli Urgali o altri nemici. All’inizio non voleva che Ellen combattesse ma poi, siccome lei aveva battuto uno dei suoi migliori alunni, decise di addestrarla e di permetterle di combattere e difendere il villaggio.
Fu allora, in quel periodo, che due sconosciuti arrivarono a Daret, incoscienti del pericolo che correvano. Ellen li aveva visti entrare in città in sella a due cavalli. Erano arrivati fino ad un certo punto della via principale, poi si erano voltati e avevano deciso di uscire, ma i carri guidati da due uomini li avevano bloccati. Gli stranieri si prepararono alla battaglia, mettendo mani alle armi. Trevor si pose di fronte a loro. Ellen era sistemata, con la spada sguainata e pronta in mano, dietro di loro, nascosta alla vista. Sentì che parlavano e che, infine, raggiungevano un’ accordo.
“Ellen”. La voce di Trevor giunse chiara dalla strada. La ragazza, senza mettere via la spada, uscì allo scoperto. “Vai a prendere del cibo, acqua e dei guanti per il ragazzo”. Lei annuii ed entrò in una delle case ormai disabitate che fungevano da magazzini. Prese diverse carni, qualche frutta e pochi formaggi. Dopodiché cercò dei guanti. Ne trovò alcuni non molto vecchi, la pelle era resistente ma morbida.
Uscì sulla strada e si avvicinò agli stranieri. L’uomo più anziano stava contando delle monete sul palmo della mano. Quando si volse lei gli porse i guanti. Si guardarono negli occhi per un’ istante.
Una bambina teneva in mano una bambola di pezza e correva dentro una casa. Rideva, e la sua voce si mescolava ad una più profonda. Ellen si voltò, la bambola stretta in mano, vide il volto dell’uomo. Quegli occhi neri scintillanti.
Erano state una serie di immagini nella sua mente, che non avevano occupato più di due secondi. Cercò ancora gli occhi dell’uomo, che la guardava con espressione indecifrabile. Quando li trovò rivide gli stessi che aveva visto da bambina, nel ricordo da poco riacquistato. L’uomo prese i guanti e li porse al giovane di fianco a lui. Ellen lo aiutò a mettere la carne nella bisacce, ricevette le monete e se ne andò velocemente.
Aveva bisogno di ragionare in fretta. Aveva appena visto il suo passato? Probabilmente si, decise. Voleva sapere perché quell’uomo era nel suo passato? A questo non sapeva rispondere. Era arrivata, automaticamente, nel dormitorio delle ragazze più giovani. Si erano tutte rinchiuse dentro la casa, alcune guardavano dalle finestre per vedere se succedeva qualcosa. Forse sarebbe finita come loro se non faceva subito qualcosa. Questo di sicuro non lo voleva.
Si voltò di scatto e prese a correre. Andò alla scuderia, dove tenevano i cavalli. Il suo, quello che usava per cacciare le bande di estranei, era legato in fondo alla stalla.
“Vieni qui Dimitri” disse slegando il cavallo e sellandolo.
Dopo mezz’ora era fuori Daret, e seguiva le tracce dei due uomini. Giusto il tempo di prendere degli effetti personali, del cibo e fare un saluto alle tombe di Monica e Gellert. Gli stranieri non erano molto in vantaggio, se andava veloce poteva facilmente raggiungerli. Spronò Dimitri il più possibile e, nel tardo pomeriggio, poté scorgere gli stranieri al trotto. Decise di seguirli senza farsi vedere, compito difficile nelle pianure, ma era abituata a quel luogo, e sapeva come sfruttare le asperità del terreno, i bozzi e gli avvallamenti.
Verso sera, quando i due si fermarono, si fermò anche lei. In quel momento non seppe cosa doveva fare. Doveva andare lì e presentarsi? Salve! Io sono quella che vi ha dato i guanti, vi ho seguiti! Decisamente no. Per ancora alcuni minuti restò lì, indecisa, poi qualcun altro decise per lei.
Ellen vide il ragazzo alzarsi e salire in groppa al cavallo, per poi venire verso il punto dove c’era lei. Si accorse troppo tardi di essere stata scoperta. Salì su Dimitri e cominciò a galoppare più in fretta che poté. Si girò a guardare a quale distanza fosse dallo sconosciuto. Quando tornò a guardare avanti vide qualcosa di enorme che si parava di fronte a lei, bloccandole la strada. Dimitri si impennò e lei cadde a terra dalla sorpresa. Il cavallo corse via ed Ellen rimase lì a fissare l’animale più grande che avesse mai visto. Era persino più alto di un’ orso messo in piedi. Aveva un corpo simile a quello di una lucertola, delle ali che stava ripiegando sul corpo e un muso che la osservava con severità. Riconobbe un drago, dalle leggende che venivano narrate a Daret. L’animale lanciò un ringhio che terrorizzò Ellen, la fece indietreggiare sulla sabbia, allontanandosi dalla creatura. Tremante, continuando ad indietreggiare, mise mano alla spada.
“Le sue zanne ti raggiungerebbero ancor prima che tu possa toccarla”. Ellen si voltò di scatto e vide il ragazzo di quel pomeriggio a cavallo, con una freccia incoccata nell’arco.
Eragon troneggiava su di lei, ma non gli sembrava di essere molto eroico, piuttosto crudele e abbastanza inquietante. La ragazza che aveva davanti doveva avere la sua stessa età, ma sembrava così minuta e leggera che Eragon dubitava che potesse farle qualcosa di male. Aveva dei capelli neri e lisci che ricadevano sulle spalle, non riusciva a distinguere il colore degli occhi perché era troppo buio ma poteva vedere che aveva un profilo elegante e il corpo era quello di una giovane donna.  
“No per favore” si affettò a rispondere allontanandosi dall’animale, ma senza dargli le spalle. Si mise in ginocchio. “No ti prego. Non dirò niente a nessuno, voglio solo parlare con l’uomo che sta con te”.
Il ragazzo sembrò stupito, ma non accennò ad abbassare l’arco. Ellen si avvicinò a lui, sempre camminando sulle ginocchia. Sentì il drago dietro di lei ringhiare sommessamente. “Farò tutto quello che vuoi” sussurrò. Il ragazzo la osservò per un altro secondo, poi abbassò l’arma.
Ellen si alzò di scatto tirando fuori la spada, muovendola con velocità. L’arco del ragazzo cadde e lei lo prese per la camicia, facendolo cadere da cavallo. Il drago si era avvicinato ruggendo ma si fermò vedendo che Ellen aveva immobilizzato il suo compagno e gli teneva la spada alla gola.
“Tu capisci quello che dico vero?” disse rivolta al drago. “Se fai un passo lui muore”.
In quel momento un rumore di zoccoli di cavallo interruppe il momento di tensione.
“Lascialo andare! Il drago non ti farà niente!”. Ellen vide l’uomo dagli occhi neri. “Glielo dico io”. Il drago si ritirò pochi secondi dopo. Ellen lasciò andare lentamente il ragazzo. Questo tossì un po’ e si asciugò un filo di sangue che la spada di Ellen aveva causato, come avvertimento, sulla clavicola. Poi si allontanò velocemente da lei, recuperando il suo arco.
“Hey calma, ragazzo” disse l’uomo. “Ora mettiamo tutti giù le armi d’accordo?”. Buttò a terra la spada, lontano, e scese da cavallo. Ellen ed Eragon li imitarono. “Il mio nome è Brom” disse l’uomo porgendo la mano.
Ellen si avvicinò e la strinse. La stretta era forte, e la sua mano era ruvida. Ellen si sentì inspiegabilmente al sicuro, sentiva di potersi fidare di lui. Almeno più di quanto poteva fare con il ragazzo.
“Io sono Ellen”.
“Bene. Lui è Eragon” disse indicando il ragazzo “e lei Saphira”. Ellen fece un cenno verso di loro e il ragazzo  rispose con un grugnito. “Perché non ci appostiamo qui? Stavamo per mangiare”.
Ellen notò con la coda dell’occhio che il ragazzo di nome Eragon guardava esterrefatto Brom e gli faceva segno di no con le mani.
“Va bene” disse.
Accesero un fuoco e iniziarono a cucinare due conigli, mentre Brom andava a riprendere Dimitri, che si era allontanato un po’.
“Lo stai facendo nel modo sbagliato” disse Ellen rivolta ad Eragon, vedendo come scuoiava l’animale.
“Io dico di no” sbuffò lui.
“Invece si, dammi qua”. Ellen prese il coniglio dalle sue mani e, nel giro di qualche minuto, era già a bollire. Eragon fece una finta faccia ammirata.
“Vuoi un’ applauso?”.
“Simpatico”.
Mangiarono in silenzio e alla fine Brom decise che era ora di dormire.
“Ma … io dovevo dirti una cosa” obbiettò Ellen.
“E’ tardi. Avrai tutto il tempo domani”.
“Co … ok”. Ellen, rassegnata, si stiracchiò e prese una coperta dalla borsa. La distese a terra e si sdraiò.
Non ricordò bene quando si era addormentata. Stava guardando le stelle.




Salve a tutti! Mi dispiace che nessuno abbia lasciato nemmeno un commentino, nemmeno uno piccolo, nemmeno per dire : "Vergognati a scrivere una roba del genere!". Ma non fa niente, continuerò imperterrita a postare capitoli. Però mi rendo conto che una prefazione corta come quella della volta scorsa sia ben poco materiale per commentare ... vabè, bando alle ciance (chissà da dove shifo è uscito questo modo di dire)! Ci vediamo al prosismo capitolo e spero che questo abbia un po' più di successo. A proposito, ringrazio chi ha messo in preferiti la fic. Patty

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Capitolo 3
*** Radici nascoste ***


Capitolo 3: Radici nascoste

Il giorno dopo Ellen venne svegliata da Brom, che la chiamava per la colazione. Quando fu in piedi notò che Eragon ancora dormiva e al suo fianco, come una specie di cane da guardia, c’era la dragonessa Saphira.
“Che faccio, lo sveglio?” chiese incerta.
“Oh no. Possiamo lasciarli dormire ancora un po’” asserì Brom preparando un the e dei panini con il formaggio.
Una volta seduti Brom chiese tranquillamente. “Allora … perché ci hai seguiti?”.
Ellen si sistemò meglio e prese un altro sorso di the. Non sapeva bene da dove cominciare, così lo fece dall’inizio. Quando ebbe finito il racconto Brom non disse nulla. Aveva tirato fuori la sua pipa e fumava lentamente del tabacco che mandava nell’aria pesanti ondate di fumo grigiastro.
“Posso azzardare un’ipotesi. Probabilmente la persona che ricordi mi somiglia molto e io te l’ho ricordata. Se non è andata così allora non saprei”.
“Dici?” chiese Ellen delusa. Aveva sperato per un momento che Brom fosse un suo conoscente, magari un’ amico dei suoi genitori.
“Credo che sia così. Si, è la cosa più probabile”.
“E ora? Non avevo pensato a questa opzione”. Ellen era arrabbiata con se stessa perché quel viaggio era stato inutile, improvvisato e sciocco. Come le era venuto in mente di fare una cosa del genere? Solo per quella stupida visione che, magari, non era nemmeno vera. Non le era mai importato niente del posto da cui veniva o del suo passato dato che aveva vissuto anni felici insieme a Monica e Gellert. Forse quella sua improvvisa decisione aveva a che fare con il fatto che ormai a Daret non aveva più nulla e nessuno. Era ormai da qualche mese che trovava fastidiosi i litigi nella piccola città, le schermaglie dei ragazzi e i continui turni di guardia, nonché il modo in cui Trevor si occupava della città. Forse il suo voler riscoprire il passato era solo un pretesto per andarsene.
“Credo che non ci sia nulla di male se per qualche giorno viaggi insieme a noi”. Ellen fu distratta dalle sue riflessioni dalla voce bassa di Brom.
“Cosa? Vuoi che viaggi con voi?”. Brom annuì, l’ombra di un sorriso sul volto. “Perché?”.
“Il coniglio di ieri sera era particolarmente gustoso” disse sarcastico.
Ellen sorrise. “Non ti devi preoccupare, non racconterò nulla di voi al villaggio” disse indicando eloquentemente Saphira con un movimento della testa.
“Non è di quello che mi preoccupo. Ma preferirei che non tornassi a Daret. Potresti restare qui e aiutarmi ad allenare Eragon. Ieri non se l’è cavata molto bene”. Ellen guardò ancora il ragazzo addormentato e fece una smorfia. “Io ormai sono troppo vecchio per insegnargli, mi stanco velocemente”.
“Scusa se te lo chiedo, ma … è un Cavaliere dei Draghi?” chiese Ellen dubbiosa.
“E’ un’ amico”. Brom non aggiunse altro ma la ragazza capì di aver toccato il punto giusto della situazione. Si aspettava che i Cavalieri dei Draghi fossero più … eroici. E forse che sembrassero più saggi anche. Quel ragazzo l’unica cosa che emanava era un’aurea di inesperienza che Ellen non si sarebbe mai aspettata in un eroe che doveva essere elogiato nelle leggende e nei poemi.
“Quindi voi state andando dai Varden?”. Brom non rispose ma tirò un’altra boccata dalla pipa. “Se devo viaggiare con voi credo di dover sapere” aggiunse poi.
“Stiamo andando alla ricerca dei Ra’zac perché hanno ucciso lo zio di Eragon”. Ellen si sentì un po’ in colpa per aver pensato quelle cose su di lui prima.
“Cosa sono i Ra’zac?”.
“Servono il Re Galbatorix. Sono delle creature forti e crudeli, che non esitano ad usare la violenza. Forse è giusto avvertirti che se viaggi con noi non sarai completamente al sicuro”.
Ellen si strinse nelle spalle. “E’ da un’ anno ormai che non lo sono completamente. Urgali e briganti passano dalle nostre parti in continuazione”.
“Allora a quanto pare è deciso. Sveglia Eragon e sella il cavallo”. Brom si alzò soddisfatto e prese i bicchieri che avevano usato per il the per andare a sciacquarli nel fiume Ninor, vicino a dove si erano accampati.
Ellen preparò in fretta un panino col formaggio e andò a svegliare Eragon.
“Hey”. Lo chiamò incerta, piegata sulle ginocchia, con un volume di voce non troppo alto. “Hey, Eragon”. Alzò leggermente la voce e gli diede qualche pacca sulla spalla. Lui ancora non si svegliava. Mollò il panino per terra e stava per scuoterlo quando vide il grosso drago blu muoversi.
Aprì un’ occhio e fece un leggero sbuffo alla vista di Ellen.
“Tu ci riesci a svegliarlo?” chiese, incerta su come comportarsi. Siccome sapeva che i draghi non sono semplici animali, pensava che si sarebbe arrabbiata se l’avesse trattata come tale. Il drago fece uno strano verso alle sue parole e guardò Eragon per qualche secondo.
“Cinque minuti Saphira” disse lui all’improvviso. Ellen approfittò di quell’attimo di veglia per chiamarlo a sua volta.
“Eragon?” disse scuotendogli una spalla. Il ragazzo si voltò confuso e quando la vide fece un’espressione rabbuiata.
“Sei ancora qui? Non hai parlato ancora con Brom?”.
“Si ci ho parlato, mi ha detto di svegliarti che partiamo” disse porgendogli il panino. Eragon si mise a sedere.
“Partiamo? Chi ti dice che lo faremo noi?”.
“Me l’ha detto Brom. Hai di fronte chi ti aiuterà ad allenarti con la spada”. Ellen sorrise entusiasta, sforzandosi di essere amichevole, ma Eragon fece una smorfia terrificante. In quel momento arrivò Brom.
“Sei sveglio finalmente” disse con un largo sorriso. Eragon non capiva come mai fosse così felice dato che si erano appena guadagnati una piattola che li avrebbe accompagnati nel viaggio.
Dopo essersi sistemati partirono, con Saphira che volava su di loro ad alta quota, sorvegliandoli. Eragon si sporse dal cavallo e prese una grossa pietra, dopo aver pronunciato alcune parole che Ellen non conosceva il sasso si sollevò e andò a sbattere forte contro un’ albero, incrinandone la corteccia.
Ellen rimase stupita ed Eragon se ne compiacque, sfoggiando un sorrisino soddisfatto.
“Ma come hai fatto?” chiese lei stupita. Eragon gli spiegò come funzionava la magia e come doveva essere usata, e le disse che Brom gli stava impartendo lezioni, quindi doveva concentrarsi.
“Oh wow, perdonami grande Cavaliere se ti ho disturbato” disse Ellen con una risatina. Eragon si voltò a guardarla storto.
“Era ironico?”.
“Oh no! Certo che no!”. Brom si schiarì la gola nel tentativo di sopprimere una risata, mentre Eragon diveniva sempre più imbronciato che mai.
Durante il viaggio Eragon si esercitò nella magia, ed Ellen cercò di imparare tante più parole nell’Antica Lingua poteva, cercando di memorizzarle. A sera avevano fatto un buon pezzo di strada ed Eragon decise di chiamare Saphira per decidere dove accamparsi.
Nel momento in cui il ragazzo contattò il drago Ellen sentì come un formicolio alle orecchie. Un rumore ronzante insistente e fastidioso, poi, ad un tratto, sparì.
  Ora ti faccio vedere dove sono. Ellen trasalì quando sentì la voce di una giovane donna parlarle nella testa. Poi vide l’immagine di un’ansa nel fiume, vicino a dove stavano loro in quell’istante. Poi, incredibilmente, sentì la voce di Eragon. Saremo lì fra dieci minuti.
“Saphira ha trovato un posto adatto per la notte. E’ a circa …” non fece in tempo a finire la frase che Ellen lo precedette.
“… dieci minuti da qui?”. Eragon e Brom si voltarono a guardarla sbalorditi.
“Come hai fatto a sentirci?” chiese Eragon indignato.
“Io … non lo so. Non so nemmeno cos’ho fatto. Non l’ho fatto apposta!” aggiunse vedendo lo sguardo di Eragon.
“Forse sei imparentata con qualche elfo” azzardò Brom.
“Perché? Gli elfi possono sentire i draghi e i Cavalieri?”.
“Si, solo loro e i rispettivi Cavalieri possono sentire il proprio drago. In realtà i Cavalieri possono sentire diversi animali, ma non al livello dei loro draghi, chiaro”. Ellen restò ammutolita. Poteva essere? “Inoltre questo spiegherebbe la tua propensione per il combattimento”. Eragon lo guardò interrogativo. “Tutti gli elfi, anche i più deboli, sono più forti e agili di qualsiasi essere umano. Vengono sconfitti solo dai loro simili”.
“Credo che ci sia molta differenza però” obbiettò Ellen. “Credevo che gli elfi avessero le orecchie a punta” disse tastandosi le orecchie e sentendole perfettamente tondeggianti.
Brom sorrise. “Magari sei elfa solo per metà”.
“In più gli elfi non origliano le conversazioni” aggiunse Eragon. Ellen si voltò verso di lui spazientita.
“Ancora? Ti ho già detto che non l’ho fatto apposta!”. Attese qualche secondo, poi, timidamente chiese: “Posso provare a parlare con Saphira?”. Eragon era indeciso, ma alla fine, dopo che Ellen gli ebbe lanciato uno sguardo da tipregoperfavore, accettò.
Quando arrivarono alla radura trovarono Saphira ad aspettarli, che mangiava un cervo.
  Saphira devi farmi un favore. Eragon chiese subito a Saphira se le andava bene parlare con Ellen e lei accettò. In parte perché voleva vedere se riusciva, in parte per provare a scoprire qualcosa del suo passato.
Dopo cena Ellen si sedette di fronte al drago, risoluta. All’inizio non seppe cosa fare, ed era leggermente imbarazzata per via di Brom ed Eragon, che la osservavano. Chiuse gli occhi, per cercare di non farci caso. Non pensò a nulla, come aveva fatto poco prima, e poi sentì qualcosa nella testa. Una specie di entità. Non sapeva descriverla, era come un’onda che stava per infrangerglisi addosso. Si chiese se dovesse fermarla, ma poi cambiò idea. La lasciò infrangersi sui suoi pensieri.
  Saphira?
  Si? Di nuovo la voce di lei. Ci era riuscita! Ellen sorrise e cercò allo stesso tempo di mantenere la concentrazione.
  Wo quindi mi senti! E io ti sento! Saphira sorrise alla sua eccitazione. Ellen percepì il suo leggero divertimento.
  Già. Mi chiedevo se potevo provare una cosa. Solo se  a te va, naturalmente.
  Dimmi pure. Era un sacco bello rispondere a Saphira e sentirsi parlare. Era strano, ma anche soddisfacente.
  Forse posso provare a cercare nei tuoi ricordi. Forse potrei scoprire qualcosa sul tuo passato, o forse semplicemente smuoverli un po’, così ricorderai in seguito. Come è successo con Brom.
  Le notizie qui viaggiano veloci, eh?Comunque si, prova pure. Ellen sentì all’improvviso come un cagnolino che frugava nella sua testa. Vennero a galla ricordi che pensava di aver per sempre archiviato: come aveva conosciuto Monica e Gellert; quando aveva ricevuto per il suo quattordicesimo compleanno in regalo una spada tutta sua; quando cucinava insieme a Monica. Una gran confusione cominciò a formarlesi in testa dopo qualche minuto di quella strana ricerca, così chiese a Saphira di smettere.
  Scusa. Forse ho fatto un po’ di casino.
  Non importa, va bene. C’era già casino la dentro. Saphira rise alla sua affermazione.
  Allora? Che te ne pare di Brom ed Eragon?
Ellen non si aspettava quella domanda così diretta, ma sapeva bene cosa rispondere. Non posso ancora farmi un idea precisa su di loro però ... Brom è un uomo molto misterioso, ma credo di potermi fidare di lui, quindi, suppongo, anche di Eragon. Fece una pausa. Ha ancora un sacco di allenamento di fronte a sé, vero?
  Già. Ma è un ragazzo forte, intelligente. Impara in fretta. Sono sicura che in poco tempo sarà in grado di affrontare grandi nemici e di prendere le giuste decisioni.
  Lo spero. Sembra molto capace. Quello che ha fatto oggi con la magia è stato … impressionante!
  Ma non impressionarti troppo, mi raccomando. Ellen restò stranita.
  Perché?
  So che magie ha fatto. Di sicuro ha scelto quelle perché erano difficili da eseguire. Sarà stanco ora.
  Dici che lo ha fatto apposta?Per far vede cosa sa fare?
  Ne sono abbastanza sicura. Ellen rise fra sé e sé, e poco dopo alla sua risata silenziosa si unì anche Saphira.
  Mi stai simpatica sai? Disse la ragazza.
  Anche tu!
Alla fine del colloquio Brom decise che era ora di allenarsi.
“Questa volta userete le spade vere” disse gettando a terra dei legni che avevano una vaga forma di spada.
“Ma … così ci faremo male davvero” obbiettò Eragon.
Brom si sporse a prendere la spada di Eragon. “Dammi qua”. Pronunciò alcune parole e passò due dita sulla spada da entrambi i lati. La lama era ora ricoperta da una specie di alone rosso. Brom fece scorrere un dito lungo tutta la lama.
“Fermo!”. Ellen scattò, ma Brom le mostrò il pollice. Senza tagli, senza arrossamenti, senza sangue. Fece lo stesso con la sua spada e poi gliela restituì.
Ellen ed Eragon si misero subito in posizione d’attacco. I due si muovevano in modo diverso. Eragon era circospetto e osservava Ellen con attenzione, mentre lei teneva le gambe piegate pronta a balzare via o a tentare un’ affondo. Siccome lei non azzardava la prima mossa Eragon cercò di colpirla ad un fianco ma lei si spostò con velocità e lo attaccò dal lato opposto. Eragon parò per un pelo, ma la spada di Ellen fu tanto violenta da fargli venire male alla mano. Il ragazzo tentò un altro attacco, ma Ellen parò anche questo e poi, con colpi ripetuti e forti, prese a farlo indietreggiare. Continuarono così per un bel po’ di tempo. Eragon attaccava ed Ellen, appena lui aveva mancato il bersaglio, attaccava a sua volta, con velocità sorprendente e con immensa forza. Lei riuscì a colpirlo più volte, alle gambe, al fianco e alla spalla sinistri, i punti che, si era resa conto, non riusciva a difendere bene. Alla fine entrambi si sedettero a terra, Eragon più stanco.
“Sei forte per essere una ragazza” disse.
“Pure tu sei forte”.
“Non avevo mai visto una ragazza combattere. Non dovresti … non so, fare cose da ragazza?” chiese lui riprendendo fiato.
“Tipo?”.
“Boh. Tipo cucinare e chiacchierare”.
“Hai un’idea contorta delle ragazze, lo sai?”. Ellen sorrise. “E in quanto a chiacchierate, ne ho appena fatto una bella con Saphira. Una ragazza davvero forte”. Eragon abbozzò un sorriso.
“Sono contento che andiate d’accordo. Però ora devi dirmi come mai sei così brava con la spada”.
“Non hai sentito Brom prima? Sono un’elfa!”. Sentirono Brom ridacchiare e sorrisero. “No b’è, a parte gli scherzi. Mi ha insegnato l’uomo che mi ha ospitato in casa sua. Ero come una figlia, mi diceva. Era molto abile. E poi mi sono allenata con i ragazzi quando sono cominciate le incursioni a Daret”.
“Hai lasciato a Daret i tuoi genitori?”. Eragon sembrava contrariato e deluso.
“No. Sono morti. Per gli Urgali”. Ellen abbassò la testa ed Eragon si diede dello stupido da solo. In tempo di guerra era logico che accadessero cose del genere, poteva anche pensarci prima, si disse.
“Hey domani ci svegliamo presto. Vi consiglio di andare  a dormire se non volete essere degli stracci domani”. L’avviso di Brom li colse al momento giusto. I due si diedero la buona notte e andarono a dormire.
Una volta disteso Eragon si ritrovò a cercare una posizione comoda per non sentire il male che aveva al fianco, dove Ellen lo aveva colpito più di una volta. Si addormentò, pensando a quella furia di una ragazza, con il fisico di uno scoiattolo e la forza di un leone.




Buon salve a tutti quanti! Ma non è che lascereste un commentino? Solo per sapere come sto andando. Se fate così penso che questa è una storia terribile.
Vabè ... grazie a chi l'ha messa fra i Preferiti o le Seguite. Al prossimo capitolo!

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Capitolo 4
*** L'avvertimento ***


Capitolo 4: L’avvertimento

Erano ormai due giorni che erano arrivati a Teirm. Erano ospiti di Jeod, anche se Eragon avrebbe preferito andare a stare in una locanda piuttosto che in quella casa, dove Jeod e la moglie non sembravano passare il migliore dei momenti. Il mattino del terzo giorno Eragon venne svegliato da un bussare forte alla porta.
“Eragon apri! Sono io!”. Eragon si rigirò nel letto, ignorò beatamente il richiamo e tornò a dormire. “Eragon! Brom ci ha lasciato dei soldi. Possiamo andare a fare un giro!”. A quel punto non sarebbe più riuscito a riprendere sonno comunque. Si alzò e andò ad aprire. Davanti a lui c’era Ellen, già vestita di tutto punto e perfettamente sveglia. “Buongiorno!” disse lei raggiante.
“Ciao”. Eragon si passò una mano sugli occhi per svegliarsi, poi, siccome Ellen restava lì impalata disse: “Mi devo cambiare”.
Lei lo ignorò ed entrò nella stanza, chiudendosi la porta alle sue spalle. “Non ti preoccupare, il maggiordomo non c’è”.
Eragon si accigliò. “Veramente dicevo a te”.
“Oh, andiamo Eragon. In viaggio non ti fai troppi problemi a cambiarti quando vuoi, e comunque non ti ho mai guardato. Ecco! Ora mi giro” disse voltandosi verso la parete. Poi cambiò idea e si buttò sul letto a pancia in giù, afferrando il cuscino. “Dove andiamo?” chiese a Eragon mentre lui si cambiava.
“Non lo so. Facciamo un giro un po’ dappertutto. Teirm sembra una bella città”.
“Già. Ho visto un negozio di vestiti”.
“Ti sta ritornando la femminilità?” la stuzzicò lui. Ellen rise sarcastica.
“Non per me, io ce li ho i vestiti, tu invece sarà un mese che indossi la stessa camicia”.
“Non è vero!”. Ellen si alzò di scatto dal letto. “Ferma! Ancora non ho finito!”.
“Oh, insomma! Ti manca solo il pezzo di sopra, sai che scandalo!”. Eragon sbuffò, e ritornò a cercare fra i suoi scarsi vestiti.
“E che mi dici di questa?” disse trionfante tirando fuori una camicia bianca.
“Quella? Quella cosa non ti sta più!” Ellen si avvicinò e prese in mano la camicia, guardandola con scetticismo.
“Perché no?” chiese il ragazzo deluso.
“Perché sarà di due anni fa. Ti sta piccola! Le spalle qui non ci entrano” disse con fare critico. Eragon sbuffò.
“E va bene andiamo a quella bottega. Ma solo cinque minuti”.
Per tutta la mattinata girarono Teirm. Ne scoprirono le vie più recondite ed entrarono nei negozi più belli (compreso quello dei vestiti). Per pranzo si fermarono a mangiare in una locanda dove l’oste offrì loro due boccali di birra gratis. Decisero di andare a casa di Jeod a lasciare  la camicia nuova fiammante di Eragon per poi andare a trovare Saphira. Erano quasi arrivati quando furono attirati dal piccolo negozietto dell’erborista, affianco alla casa di Jeod.
“Entriamo?” chiese Eragon indicando la porta. Ellen scosse le spalle e si avviò.
Il negozio era formato da una sola stanza che, a quanto sembrava, fungeva anche da magazzino. C’erano due finestre dalle quali passava una fioca luce, che illuminava parzialmente gli oggetti accatastati nella stanza. Eragon riconobbe diversi pentoloni ed erbe di vario tipo appese alle pareti e al soffitto.
“Salve”. Eragon ed Ellen sobbalzarono quando sentirono la voce vellutata di Angela l’erborista provenire dal nulla. Aveva dei capelli ricci molto lunghi che le ricadevano sulla schiena. Il viso paffuto e allegro, con un piccolo naso all’insù. La sua pelle era bianca e liscia, sembrava quella di un neonato.
“Salve” salutarono i ragazzi.
“Volete comperare qualcosa?” chiese appoggiando le mani ad un tavolo di legno scuro pieno di libri impolverati e fogli sparsi. Ellen si guardò cautamente in giro, cercando qualcosa che potesse interessargli.
“Non saprei. Cosa vendi qui?”.
“Dipende cosa ti serve”. Angela sorrise. “Posso predirre il futuro, o fare pozioni d’amore. Oppure posso venderti qualcosa che ti sarà utile come, ad esempio, una magia”.
“Si possono vendere?”.
“Non è proprio una magia. E’ un sortilegio temporaneo, ma a volte può durare anche un intero anno. Posso fare in modo che i contadini abbiano un buon raccolto ad esempio”. Ellen fece segno di si con la testa, poi lanciò uno sguardo ad Eragon. Stava fissando qualcosa intensamente e aveva un’espressione di puro stupore sul volto. Seguì il suo sguardo e vide quello che sembrava un gatto in piedi su uno scaffale in alto, che a sua volta fissava il ragazzo. L’unico problema era che non poteva essere un gatto, era troppo grosso! Aveva le dimensioni di un cucciolo di leone, piuttosto. Il gatto leone si alzò e saltò a terra con un balzo elegante. Eragon si rivolse ad Angela.
“Ma come l’hai avuto?”.
“E’ un gatto, anche io potrei averne uno. Però dovrei fargli mangiare una casa intera per farlo diventare di quelle dimensioni” disse Ellen.
“Veramente non è mio. E non è un gatto”.
“E’ un gatto mannaro, come quelli delle leggende” disse Eragon rivolto alla ragazza.
“Davvero?”. Ellen cercò il gatto leone con lo sguardo ma non lo trovò. “Perché lo fissavi in quel modo?”.
“Ti ha parlato?” chiese Angela. Eragon annuì. “E’ un grande onore sai? Ha parlato con solo due persone prima d’ora”.
“E chi?” chiese Ellen.
“Un vecchio cieco e una donna. Ma è stato molto tempo fa”.
“Non mi sembri così vecchia, quanto tempo può essere passato?” obbiettò Eragon. Angela sorrise.
“Merito delle erbe. Comunque, Solembum ti ha parlato … vorrei offrirti una lettura del futuro. L’ho offerta anche agli altri due, ma solo la donna ha accettato. Si chiamava Selena, mi pare” disse Angela con fare pensieroso. Eragon rimase folgorato. Poteva essere sua madre? Forse parlare con i gatti mannari era un fatto ereditario, non poteva essere una coincidenza. Si, doveva essere stata sicuramente lei! Quante persone potevano esserci che parlassero con i gatti mannari, si chiamassero Selena e avessero un figlio di nome Eragon? B’è, Angela non aveva esplicitamente detto questo, ma ormai Eragon aveva già deciso che parlare con Solembum era un fatto ereditario. Quindi …
“D’accordo”. Angela sorrise e andò nel retrobottega.
“Forse tu vuoi goderti il tuo destino da solo” disse Ellen andando verso la porta.
“Oh, no. Puoi restare se vuoi”. Eragon aveva finito per fidarsi della ragazza. Non vedeva motivo per cui dovesse essere un problema. A Saphira stava simpatica, inoltre era felice che potesse chiacchierare con qualcun altro oltre che con lui, e Brom si era fidato subito di lei, forse sapeva qualcosa che a Eragon sfuggiva. Comunque, anche se a volte poteva essere antipatica e brusca, Ellen si era guadagnata la sua fiducia. Non avevano in comune molto, il che forse li rendeva ancora più legati. Potevano passare ore a discutere della stessa cosa, avendo idee completamente diverse.
“No, meglio che vada. Vado a portare a casa la camicia” disse tendendo un braccio e prendendo la camicia di Eragon. “Che gusto c’è altrimenti se conosci già quello che ti aspetta? Non è meglio una sorpresa?” chiese sorridendo.
“Veramente non saprei” disse Eragon alzando le sopracciglia. Ellen uscì, lasciandolo nella bottega dell’erborista.

Quando Eragon uscì sembrava scosso. Rimase per qualche secondo fermo davanti alla porta, poi individuò Ellen dall’altro lato della strada. Stava per raggiungerla quando Solembum uscì dal negozio e gli sbarrò la strada.
  Ascoltami Eragon, e fai attenzione. Quando ti servirà un’arma vai all’albero di Menoa. E, quando il tuo potere sarà vano, pronuncia il tuo nome davanti alla ricca di Kuthian per schiudere la volta delle anime.
  Cosa? Che vuol dire?
  Quello che ho detto. E ricorda, guardò Ellen per un istante, dovrai fermarla quando le sue decisioni verranno dettate dal cuore, altrimenti si metterà in pericolo da sola. Solembum rientrò nella bottega di Angela, seguito dallo sguardo confuso di Eragon.
“Allora? Cosa succederà domani? Pioverà?”. Ellen lo aveva raggiunto.
“No. Boh. Ma che centra scusa?!”.
“Ti ha appena letto il futuro. Potevi approfittarne un po’, no?”.
Eragon alzò gli occhi al cielo. “Dai andiamo da Saphira” disse incamminandosi verso le porte della città.
Saphira li aspettava sulla rupe dove si era stabilita già dal primo giorno in cui erano arrivati a Teirm.
  Allora? Com’è andata oggi? Niente attacchi, niente di niente? Chiese Saphira una volta che furono arrivati.
 Veramente si. Eragon ha davvero rischiato la pelle quando eravamo in città. Si è quasi fatto investire da una vecchietta che passava di lì. Lui le ha chiesto scusa e lei le ha lanciato addosso una rapa.
Saphira grugì una risata.
  Aveva uno sguardo diabolico comunque, aggiunse Eragon. E poi sembrava un Uragli travestito. Hai visto quanto era brutta?
  Porta rispetto! Aveva si e no duecento anni!disse Ellen, ed Eragon rise.
Continuarono così per tutto il resto del pomeriggio, finché Ellen ed Eragon non dovettero tornare, prima che chiudessero i cancelli.
Quella sera Eragon rimuginò sulle parole di Solembum.
  Saphira?
  Si?
  Oggi sono andato nella bottega dell’erborista. Mi ha predetto il futuro. Le raccontò cosa le aveva detto Angela, a proposito del suo futuro, e anche di come credeva che avesse incontrato sua madre. Poi le disse quel che aveva saputo da Solembum. Credi che Ellen sia in pericolo?
  Non saprei. Ma è meglio non sottovalutare quello che può dirti un gatto mannaro. Sono creature antiche e sagge come gli elfi. Hanno poteri straordinari. Superano persino i draghi.
  Quindi dovremmo stare attenti. Anche se non credo che ci sarà mai un momento in cui Ellen si metterà in pericolo.
  Forse. Comunque faremmo meglio a stare attenti. Voi umani vi lasciate trasportare così facilmente …
  Hm. Forse. Buonanotte Saphira.
  ‘Notte piccolo mio.




Ecco un altro capitolo! Spero che piaccia. Grazie a Bella95 per il supporto ^^ Continuerò a postare, nulla mi potrà mai fermare ... mhuahahahha!!! Ricordatevi una recensione quando passate ... XD
Patty

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Capitolo 5
*** I Ra'zac ***


Capitolo 5: I Ra’zac

Ellen sentì bussare alla porta della sua stanza e si affrettò ad aprire.
“Ciao Brom” disse restando ferma sulla soglia. Lui sorrise e si mise una mano in tasca, frugando.
“Vado dal mercante con cui ho parlato ieri per l’olio di Sethir, forse saprà dirmi qualcos’altro. Intanto tu ed Eragon potete andare a fare un giro in città”. Tirò fuori alcune monete, le contò e le posò sulla mano tesa di Ellen, che sorrideva allegra. “Ci vediamo questa sera. Vi racconto com’è andata”.
“Ciao Brom, grazie”.
Le vie di Dras Leona erano strette ed incutevano un certo timore. Sembravano raggomitolarsi su se stesse e chiuderti al loro interno. Almeno, così la pensava Ellen. Da quando erano arrivati quella città non le era piaciuta, così come ad Eragon. Era ben diversa da Terim. Là il mare dolcificava l’aria e la rendeva pulita e fresca, la gente, anche se in difficoltà, non era ancora arrivata a mendicare per strada, e, soprattutto, la religione non imponeva che una cattedrale di enormi dimensioni troneggiasse terrificante sulla città.
Ellen si sentiva a disagio nel camminare in mezzo alle viette anguste, mentre Eragon provava una crescente rabbia ogni volta che vedeva un ricco nobile o mercante passeggiare, noncurante della miseria che gli stava attorno. La sua ira arrivò al culmine quando si fermarono davanti ad un palchetto, dove un uomo nerboruto proclamava dell’ottima merce in vendita.
“Chissà cosa vende quello” si chiese Eragon.
“Qualcosa di utile penso, guarda quanta gente” esclamò Ellen osservando la folla che si era concentrata attorno al palchetto di legno. Si fermarono a guardare, curiosi. Ad un tratto comparve un uomo in catene, che venne spinto sul palco da un ragazzo che doveva avere pochi anni più di Eragon. Aveva gli occhi stanchi e il volto triste, le gambe e le braccia erano solcate da righe rosse, come se avesse ricevuto cento frustate. Camminava trascinando i piedi e guardava a terra.
“Questo è nuovo!” gridò il mercante, “Appena catturato nel Deserto di Hardac! Guardate che braccia muscolose, e questi polpacci!” disse dando forti manate alle gambe dell’uomo, “Potrebbe benissimo fare lavori di fatica per ore e ore!”. Eragon si irrigidì.
Schiavi! Erano finiti in un mercato di schiavi! Pensò velocemente che magia usare per liberare l’uomo incatenato. Sollevò un poco la mano con il Gedwey Ignasia …
“Fermo” sussurrò Ellen prendendogli la mano nella sua. Eragon scattò verso di lei, furente.
“Perché?” chiese in un soffio. “Dovremmo stare qui a vedere come lo trattano?!”. Ellen lo trascinò fuori dalla folla, lontano da orecchie indiscrete. “Potevo liberarlo con la magia! Ci sarei riuscito in un attimo!” disse Eragon furioso.
“Così lo avrebbero ucciso più in là? Così ci avrebbero scoperto e avrebbero mandato dei soldati dell’impero ad arrestarci?” chiese la ragazza con veemenza. Eragon abbassò lo sguardo. “Comunque hai ragione. Andiamocene di qui” proseguì Ellen incamminandosi velocemente nella direzione opposta al palco del mercante, con Eragon al seguito.
Sconvolti, e anche un po’ spaventati, continuarono a camminare senza meta per circa un’ altro quarto d’ora, poi si ritrovarono davanti ad un edificio familiare. Entrambi alzarono lo sguardo e riconobbero la cattedrale gotica che dominava la città, osservandone le guglie e il marmo bianco, le finestre colorate con disegni e il grosso portone in legno.
“Entriamo?” chiese Eragon incerto. Ellen annuì e puntarono verso la porticina secondaria.
Dentro la cattedrale era buia ma, quando gli occhi si abituarono alla scarsa luce, videro che era molto lunga. Il tetto e le pareti erano affrescate con immagini religiose che richiamavano al sacrificio e i muri riportavano nicchie con statue di santi. I due ragazzi avanzarono nella vasta pacchianità della chiesa guardandosi attorno.
All’improvviso un rumore, come uno strascico di piedi, arrivò dietro di loro. Ellen si voltò di scatto e vide due figure avvolte in mantelli scuri. Eragon la imitò poco dopo e rimase impietrito.
“I Ra’zac” sussurrò.
“Cosa?”. A Ellen erano stati descritti i Ra’zac, ma non si aspettava fossero così, in quel momento non aveva collegato l’immagine delle figure nere con la descrizione fatale durante il viaggio. Pensò che, comunque, Eragon e Brom non avevano reso l’idea. Quei due erano molto più terrificanti e più grossi di quanto si fosse mai immaginata.
Eragon impugnò l’arco e incoccò una freccia mentre Ellen sfoderava la spada. I Ra’zac sguainarono spade dalla lama ritorta e grugnirono. Eragon scoccò la freccia. Una delle creature si spostò fluidamente e cominciò a correre verso i ragazzi. Eragon sfoderò in fretta Zar’roc appena in tempo per parare un forte colpo di una delle due creature. Cominciarono a fronteggiarsi violentemente. Il Ra’zac colpiva Eragon tanto forte da fargli vibrare la mano di dolore ma lui continuava a parare ogni colpo. Quando cercava di colpire il suo avversario quello si spostava o parava facilmente il fendente infertogli, rendendo vane le fatiche di Eragon.
L’altro Ra’zac non si trovava in una situazione altrettanto facile. Ellen era veloce quanto lui ma non altrettanto forte. Riuscì quasi a colpirlo quando questo l’attaccò dall’alto e lei lo schivò, mettendosi alla sua sinistra. Da lì mosse un colpo veloce, ma il Ra’zac si spostò all’ultimo secondo, venendo solo leggermente graffiato dalla spada di Ellen.
  Brom! Vieni ad aiutarci! Siamo nella cattedrale, ci sono i Ra’zac! Eragon cercò Brom con la mente e lo chiamò, poi avvisò anche Saphira.
  Sto arrivando!, disse lei.
  No! Ce le facciamo! Non farti vedere ancora! La dragonessa grugnì il suo dissenso ma non obbiettò.
Combattevano ferocemente da un po’ ormai ma Ellen non trovava il punto debole del Ra’zac, sembrava non averne. Lui invece sapeva come colpire, e lo faceva con la maggior forza possibile. Menò un fendente tanto forte da far volare di mano la spada alla ragazza, che si ritrovò contro il muro, senza via di scampo. Il Ra’zac si avvicinò talmente tanto da poter sentire il puzzo del suo alito ed Ellen guardò con orrore cosa si celava dietro il cappuccio sempre calato della bestia. Era paralizzata, non riusciva a muoversi. Neanche quando la creatura poggiò la spada sul suo ventre per trafiggerla ...
Il Ra’zac grugnì e si voltò di scatto. Brom era comparso dietro di lui, lo aveva colpito alla schiena e ora lo fronteggiava. Il mostro sembrò scordarsi di Ellen, che strisciò via a prendere la spada, poi affiancò Eragon, che combatteva contro l’altro Ra’zac.
“Stanno arrivando dei soldati!” gridò Brom parando un colpo del suo avversario. “Almeno una cinquantina! Non ce la faremo mai, andiamocene!”.
“Tienilo occupato” disse Eragon ad Ellen. La ragazza annuì e fronteggiò il Ra’zac. Eragon si concentrò e fece rifluire la magia nella vene. “Garjzla!”. Le forze lo lasciarono e si sentì spossato.
Un lampo di luce fortissimo balenò nella chiesa. I Ra’zac urlarono e si portarono le mani al viso. Eragon, Ellen e Brom ne approfittarono per fuggire.
  Saphira! Stiamo uscendo dalla città! Vienici incontro il più presto possibile!
  Arrivo!
I tre corsero fino alla locanda e presero i cavalli e le borse. Galopparono fino alle porte della città, proprio quando stavano per chiuderle. Ellen si sporse da cavallo e spinse via il soldato che stava chiudendo i cancelli, quelli si fermarono a metà e loro passarono. Spronarono i cavalli al massimo ma dopo dieci minuti di marcia sentirono degli inseguitori. Si voltarono e, con orrore, scorsero i Ra’zac a cavallo dietro di loro. Una freccia venne scagliata e colpì Brom ad una spalla. L’uomo urlò, ma non rallentò l’andatura.
Dopo altri cinque minuti di corsa sentirono il tipico rumore del battito delle ali di Saphira. Eragon guardò in alto e la vide planare verso di loro. Atterrò in mezzo a loro e ai Ra’zac con un ruggito tremendo che scosse il terreno paludoso e molliccio. I Ra’zac fermarono le cavalcature, innervosite dall’arrivo di Saphira. Ellen, Brom ed Eragon si voltarono a fronteggiare i nemici, ponendosi ai fianchi della dragonessa.
Ad un tratto Brom, pallido come un cencio, sospirò e si accasciò su Fiammabianca.
“Brom!” un grido unanime proveniente dai ragazzi fece sorridere i Ra’zac, mentre sguainavano le spade.




Ecco qui il seguente capitolo, spero che vi piaccia! Ringrazio le persone che hanno messo la storia fra i Preferiti e le Seguite.
Bella: non vorrei darti anticipazioni e che qualcuno le elggesse qui rivinandosi la sorpresa, perciò ti dico solo che con Eragon non è possibile, per motivi che sicuramente capirai dopo ... mhuahahah! Ma tanto ci sono altri perosnaggi, e io una storia d'amore nella fic non posos non metterla! ^^
Al prossimo capitolo! Ciao,
Patty.  

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Capitolo 6
*** Fragilità ***


Capitolo 6: Fragilità

Quando Ellen si svegliò non ricordò esattamente cos’era successo. Cercò di muoversi ma si accorse di essere stata legata. Girò la testa a destra e a sinistra per guardarsi intorno. Scoprì di avere la schiena appoggiata a quella di Eragon mentre sulle spalle di entrambi giaceva Brom. Provò a muoversi, ma fu tutto inutile.
Le venne in mente la maniera stupida in cui avevano cercato di affrontare di nuovo i Ra’zac, con Brom svenuto ed Eragon esausto. Come erano stati sciocchi!
“Eragon” sussurrò Ellen. Sentì il ragazzo sussultare.
“Dove siamo?” chiese lui con la voce impastata dalla stanchezza. La ragazza si guardò intorno. Sembravano essere nell’accampamento dei Ra’zac. Vicino a loro c’erano due cavalli, oltre ai loro, e una borsa.
“Dove sono i Ra’zac?” chiese Ellen.
“Non lo so. Non sembra siano qui. Proviamo a liberarci”. Eragon cominciò a muoversi per slegare i lacci che gli tenevano le mani legate dietro la schiena. Prima che potesse liberarsi una risata gutturale lo raggiunse.
“E’ inutile continuare a provare ssai?”. Una voce melliflua giunse dal nulla. Un Ra’zac spuntò da dietro i cavalli e si mise vicino a  loro, presto seguito dal suo compagno.
“Cossa facciamo con quessti? Li uccidiamo?” chiese l’altro tirando un calcetto ad Ellen.
“Ha detto di portarglieli”.
“Rallenterebbero il viaggio” osservò l’altro. “Il drago ssarà già difficile da trassportare”.
“E sse gli dice che li abbiamo uccissi?” chiese il compagno indicando Eragon. Si avvicinò a lui e gli diede una forte botta sulla nuca. Il ragazzo si accasciò senza sensi.
“Non osserà parlare”. Prese un coltello e si avvicinò a Brom. Una freccia proveniente dal nulla colpì il Ra’zac sul braccio, facendolo stridere di dolore. L’altro si voltò, cercando di individuare l’arciere. Arrivarono altre frecce ad una velocità sorprendente.
“Non ssono ssoli! Andiamocene!”. Il Ra’zac chino su Brom, come per vendetta, gli piantò il coltello fra le costole e lo estrasse, sibilando, poi si alzò e corse verso il suo cavallo. I due se ne andarono alla svelta, senza guardarsi alle spalle.
Ellen, sentendo una macchia umida sulla camicia di Brom, si mise con fatica sulle ginocchia, poi andò verso di lui. Stava esaminando la ferita quando sentì delle possenti mani che le stringevano i polsi.
“Cosa …?”. Cominciò ad agitarsi e a dibattersi.
“Hey! Hey! Ti voglio liberare”. Era la voce di un uomo. Lei stette ferma mentre sentiva il coltello lavorare sulle corde che la imprigionavano. Appena fu libera si massaggiò i polsi, poi prese il suo coltello dalla cintura e slegò Brom. Vide lo straniero che si occupava di Eragon.
Aveva i capelli neri lunghi fino alle spalle. I suoi occhi erano profondi, del colore della pece. Sotto la pelle abbronzata guizzavano dei muscoli forti e scattanti. Indossava abiti da viaggio, comodi. Era curiosamente rilassato, come se tutta quella facenda non fosse per nulla strana o pericolosa, emanava un senso di pace che poco a poco prese anche Ellen.
Dopo aver liberato Brom lo depositò cautamente a terra e gli alzò la maglia per vedere la ferita. Era sottile ma molto profonda, il sangue colava copioso. Prese delle bende dalla borsa e dell’acqua per pulire la ferita.
“Ti aiuto”. Lo straniero si inginocchiò accanto a Brom e immerse uno straccio nell’acqua, dopodiché prese a tamponare la ferita. “Fra poco i Ra’zac torneranno, dovremmo andare” osservò. Ellen annuì distratta.
  Saphira dove sei? Provò a contattare la dragonessa siccome non la vedeva da nessuna parte. Probabilmente era troppo lontana, perché non sentiva.
  Sono vicino a voi. I Ra’zac mi hanno legato ad un albero.
  Vengo a prenderti. Ellen si alzò e chiese: “Tu hai visto dov’è …” si bloccò. Non sapeva se poteva fidarsi dello straniero. Si, li aveva salvati, ma non voleva dire nulla.
“Il drago? Sì, è di là. Stavo cercando di liberarlo quando i Ra’zac erano da voi ma non mi ha neanche fatto avvicinare”. Il ragazzo indicò vagamente una direzione ed Ellen si avviò.
Saphira stava legata ad un albero estremamente grosso, con diametro poco più piccolo della sua apertura alare. Le zampe erano legate fra di loro e le ali ripiegate su se stesse strette intorno al corpo. Ellen si diede subito da fare e in pochi minuti aveva tagliato la maggior parte delle funi. Il resto lo aveva fatto la dragonessa, sfilacciandole con le squame e spaccandole. Quando tornarono da Eragon e Brom scoprirono che quest’ultimo era stato pulito e fasciato dallo straniero. Nel vederlo Saphira aveva ringhiato e si era messa in posizione d’attacco. Il ragazzo aveva sobbalzato, ma Ellen aveva presto informato Saphira della situazione.
In quel momento Eragon emise un grugnito e si mosse leggermente. Ellen corse verso di lui e lo aiutò ad alzarsi. Nel momento in cui si mise seduto un lancinante dolore al ventre lo trafisse e lo costrinse ad accasciarsi di nuovo. Ellen lo guardò allarmata e gli sollevò la maglietta per vedere se aveva qualche ferita, lo straniero si avvicinò a loro. Il ventre di Eragon non aveva tagli o segni di alcun genere.
“Forse ti sei rotto qualche costola” ipotizzò il ragazzo. “Puoi solo aspettare che finisca, al massimo possiamo fasciarti” disse cercando lo sguardo di Ellen. Lei annuì e prese dei vestiti e, siccome non c’erano più bende a sufficienza, li strappò e cominciò a fasciare Eragon.
“A proposito, io sono Ellen, lei è Saphira e lui è Brom” disse la ragazza stingendo bene con gli stracci il fianco di Eragon.
“Io sono Murtagh” rispose lo sconosciuto.
“Eragon” si presentò il ragazzo steso a terra facendo una smorfia dal dolore.
Finirono di medicarlo e poi Murtagh si alzò. “Sarebbe ora di andare”. Presero i cavalli e, una volta fissato Brom su Saphira, partirono al galoppo. Andarono a passo lento poiché ogni metro era per Eragon un dolore lancinante. Verso sera Eragon annunciò che Saphira aveva trovato una piccola grotta dove avrebbero potuto nascondersi. La raggiunsero con fatica, dato che si trovava alla fine di un’altura, dopo si sistemarono e prepararono la cena. Ellen ed Eragon mangiarono con gusto e voracità.
“Come hai fatto a trovare i Ra’zac? Sai dove ci stavano portando?” chiese d’un tratto Eragon a Murtagh.
“Veramente non saprei. Avevo sentito che c’era un Cavaliere in giro, e volevo solo vederlo. Seguire i Ra’zac sarebbe stato un metodo sicuro per incontrarlo”.
“Ma si sa questa cosa del Cavaliere? Voglio dire, lo sanno tutti?” chiese Ellen.
“Una buona parte della popolazione di Alagaesia”. Eragon imprecò e si passò una mano sugli occhi.
Si addormentarono subito dopo la cena, riparati dalla presenza di Saphira e dello straniero Murtagh al quale, nonostante tutte le situazioni non convenzionali che erano alla base del loro incontro, Ellen pensava di poter dare fiducia.
 
  Eragon! Sordo al richiamo, il ragazzo si rigirò nel sonno. Eragon! La voce era insistente! Ma perché voleva che lui si alzasse? Era così stanco! Un ruggito scosse l’intero corpo del ragazzo, che rotolò fuori dalla pallotta che erano diventate le sue coperte.
  Che c’è? Si alzò disordinatamente, la mente ancora avvolta dalla nebbia del sonno.
  E’ Brom. Sta male. Eragon si avvicinò al suo giaciglio. Brom si agitava e mormorava parole senza senso, il suo corpo era scosso da tremiti violenti e la fronte era coperta di sudore. E’ stato bene fino a cinque minuti fa, poi ha iniziato ad agitarsi. Non sapevo cosa fare e ti ho chiamato.
Eragon chiamò Murtagh, che lo aiutò a tenere fermo Brom fino a che le convulsioni non finivano. Ellen guardava preoccupata la scena, poi decise che avrebbe cambiato le bende a Brom. Eragon e Murtagh uscirono all’aria fresca dopo che le convulsioni di Brom furono terminate.
Ellen gli stava pulendo la ferita, quando all’improvviso Brom aprì gli occhi e le prese una spalla.
“Brom!” esclamò felice. “Fermo non ti alzare, sei ferito”. Brom scosse la testa e sussurrò qualcosa, poi tossì forte.
“Ormai io qui ho finito, ora tocca a voi”.
“No Brom, non è vero”. Una grandissima tristezza prese piede nell’animo di Ellen. “Ti sto mettendo le bende nuove, sto …” la sua voce si affievolì, in mancanza di parole da dire.
“Sono felice di averti conosciuto. Ti auguro di vivere la vita più bella del mondo”.
“Brom non dire così. Tu stai bene” la voce della ragazza tremolava. In quel momento Eragon rientrò nella caverna. Vide Ellen chinarsi e baciare Brom sulla guancia ispida, poi, dopo che Brom le ebbe detto qualcosa, si asciugò il viso dalle lacrime. Eragon corse verso di loro, Ellen lo guardò con la disperazione in volto. Senza dire una parola si alzò e uscì dalla caverna.
L’aria fuori era fredda e pungeva la pelle. Ellen camminò lentamente fino ad un alberello e si sedette appoggiandovi la schiena. Strinse le braccia intorno alle gambe e appoggiò il mento alle ginocchia. Restò così per qualche minuto, non si mosse nemmeno quando sentì arrivare qualcuno. Vide Murtagh entrare nel suo campo visivo e sedersi affianco a lei.
Per un po’ non disse nulla, poi: “Sono sicuro che sopravvivrà. E’ un uomo forte”.
“No. Mi ha detto che è finita. Lo ha sentito” entrambi rimasero in silenzio. “Come può un uomo sentire la sua fine arrivare? Non si spaventa? Non la può fermare?”.
“Brom è un uomo saggio, sa che la morte fa parte della vita. Se non morissimo come potremmo goderci i nostri giorni? Non avremmo voglia di fare nulla perché avremmo tutto il tempo del mondo, e poi non ci resterebbero emozioni come la sorpresa, solo noia e tristezza”. Ellen capì il ragionamento di Murtagh, ma in quel momento non le sembrò affatto giusto.
Un lungo lamento provenne dalla caverna. Saphira guaiva di un dolore lancinante che non poteva essere guarito.
Brom era morto.
Ellen fu scossa da piccoli singhiozzi. Murtagh si girò a guardarla e, al posto della ragazza caparbia che aveva liberato il giorno prima, vide solo una figura fragile, che avrebbe potuto spezzarsi come fuscello. Provò un intenso moto d’affetto per lei e, al momento, l’unica cosa che si sentì di fare fu passarle un braccio sulle spalle e stingerla a sé. Ellen non si rese neanche conto di cosa era successo. Era in un altro mondo.
 

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Capitolo 7
*** Verso Gil'ead ***


Capitolo 7: Verso Gil’ead

Era da qualche giorno che cavalcavano verso Gil’ead per conoscere l’amico di Brom che li avrebbe portati dai Verden. In quel lasso di tempo Ellen era riuscita ad accettare molte delle cose che non capiva di Brom. Era un Cavaliere, ecco perché sapeva tante cose e perché era così saggio. Aveva compiuto imprese che neanche aveva sospettato. Lo stesso era per Eragon, anche lui sentiva che la rivelazione di Brom desse un senso a molte cose. Ma la sua morte lo aveva temprato più di quanto avesse voluto. Si sentiva come se avesse perso di nuovo ogni cosa. Ora nulla aveva più uno scopo, come era stato alla morte di Garrow. Almeno, dopo essere scappato da Carvahall aveva un obbiettivo, quello di vendicare la sua morte. Ma ora non era più un cacciatore. I ruoli si erano ribaltati ed erano i Ra’zac a dare la caccia a lui. Doveva nascondersi senza poterli affrontare, cosa che avrebbe di gran lunga preferito al rifugio presso i Varden. Ma non sapeva davvero cos’altro fare. Non era neanche sicuro che fosse la cosa migliore. Brom gli aveva parlato molte volte di loro, ma non in maniere positiva. Anche Saphira pensava che non sarebbe stata una cosa buona andare dai Varden, perché avrebbero cercato di usarlo per i loro scopi e nient’altro.  Ad aggiungersi a tutte queste cose c’era anche il fatto che Murtagh, appena lo aveva informato lui ed Ellen che sarebbero andati dai Verden, si era detto contrario, e aveva deciso di accompagnarli fino ad un certo punto del viaggio.
Murtagh si era dimostrato un compagno davvero indispensabile. Era divertente e pensava in modo pratico. Sapeva molte cose su Alagaesia e soprattutto sulla politica, cosa che stupì Eragon, Sphira ed Ellen non poco. Conosceva gli intrighi di corte, le personalità di molti nobili, la storia del regno di Galbatorix, il suo castello. Sapeva cose che nessun altro avrebbe potuto sapere se non fosse vissuto a corte ed Ellen cominciò  chiedersi se non fosse così. Ma non seppe mai se Murtagh fosse vissuto alla corte di Galbatorix perché non parlò mai del suo passato. Nessuno di loro ne parlava, Murtagh  ed Eragon perché non volevano che si sapesse, Ellen perché non lo ricordava.
Una sera Eragon si tolse il bendaggio. Stirò i muscoli e fece diversi movimenti con Zar’roc in mano. Poi osservò Ellen, che strigliava pacifica il suo cavallo Dimitri. “Ellen. Ti va se …” mosse la spada in modo eloquente. La ragazza sorrise con atteggiamento di sfida.
“Non ti conviene se sei fuori allenamento, lo sai”. Eragon era diventato molto abile da quando si allenava con Ellen, e la ragazza aveva trovato un avversario che era quasi alla sua altezza. Nonostante questo Eragon la batteva raramente.
Il ragazzo protesse le loro spade con la magia e si mise in posizione. Murtagh stava a guardarli con interesse seduto su una roccia. All’improvviso Ellen si scagliò contro Eragon, ma lui parò il colpo, ritraendosi un poco. L’attaccò a sua volta, ma la ragazza indietreggiò e cercò di colpirlo ad un fianco. Eragon parò di nuovo e fece una finta verso sinistra, per poi menare un fendente da destra. Ellen in un primo momento balzò di lato poi, colta alla sprovvista, vedendosi arrivare la lama dritta alle gambe da destra, fece un salto per evitarla. Continuarono così per un po’, finché Ellen, abbassandosi per schivare un colpo, non ebbe la meglio su Eragon, mandandolo a terra. Si sedettero, entrambi esausti respirando pesantemente. Murtagh fece un debole fischio agitando la mano.
“Siete bravi. Magari la prossima volta posso fare anche io qualcosina, anche se dovrò impegnarmi per battervi”.
“Sarò un miracolo se riuscirai a battere lei al primo colpo. Mi ci sono voluti almeno due mesi per trovare i suoi punti deboli” disse Eragon stendendosi a terra a pancia in su. Murtagh scoccò uno sguardo ad Ellen, che nel frattempo si era alzata ed era andata a prendere una borraccia. Bevve l’acqua fresca con avidità, poi se la versò sulle mani per rinfrescarsi il viso e il collo accaldati.
“Facciamo ancora in tempo ad allenarci stasera” disse rivolta verso Murtagh.
“Non vorrei sfiancarti … fanciulla” disse lui.
“Oh non preoccuparti grande e possente uomo” rispose ridendo. Diede la borraccia ad Eragon, che bevve a volontà, poi lui schermò la spada di Murtagh come aveva imparato da Brom.
I due si misero in posizione, girando lentamente l’uno intorno all’altro. Con uno scatto felino Murtagh le si avventò contro ed Ellen parò il colpo strisciando verso destra. Cercò di colpirlo ad una spalla, ma venne fermata dalla spada del ragazzo. Si staccarono e rimasero per un po’ a debita distanza. Ricominciarono a lottare dopo pochi secondi. Ellen aveva capito che il punto debole di Murtagh erano i colpi bassi, inferti alle gambe, poiché lui non si chinava spesso. Murtagh dal canto suo sfruttava la stanchezza della ragazza, che era più vulnerabile dopo la battaglia con Eragon.
Ad un tratto Murtagh, dopo una complicata manovra con la spada, fece cadere Ellen, e l'arma della ragazza volò via dalle sue mani. Lei da terra, prontamente, fece uno sgambetto a Murtagh, che le cadde addosso. Si trovarono a guardarsi negli occhi, i visi più vicini di quanto sarebbe stato dettato dalla buona educazione. Dopo un attimo di incertezza e imbarazzo Ellen sorrise e, con un grido di sforzo, ribaltò le posizioni. Si mise in piedi trionfante e tese una mano a Murtagh.
“Direi che hai vinto tu” disse.
Saphira ed Eragon erano rimasti a guardare, ma tutti e due avevano percepito distintamente l’elettricità nell’aria quando si due si erano trovati vicini. Quando Ellen andò a sedersi affianco a lui Eragon le rivolse un sorriso che era carico di significati.
“Che c’è?” chiese lei.
“Niente” le rispose continuando a sorridere e sistemandosi per la notte. Lei non ci fece caso e si sdraiò a pancia in su, guardando il cielo stellato.
Murtagh, una volta sdraiatosi, contemplò il cielo, poi il suo sguardo si spostò verso la figura esile di Ellen. Era buio e non la vedeva, ma intuì le sue forme nella notte. Non sapeva bene perché, non gli era mai capitata una cosa simile prima d’allora, ma il ricordo dei loro corpi vicini e dei suoi occhi gli fece saltare un battito del cuore, che subito si riprese e tornò più forte di prima. Murtagh trattenne il respiro, con il pensiero a quegli occhi profondi e neri.

Dopo due settimane di marcia stavano costeggiando il fiume Taurida. Le loro giornate si erano mano a mano composte in una routine. Si svegliavano alla mattina presto e si mettevano in marcia fino a sera, con una piccola pausa per far riposare i cavalli e per mangiare. La sera cenavano e poi si allenavano. Saphira controllava il tragitto davanti a loro e trovava sempre luoghi molto riparati per la notte.
Ellen e Murtagh non avevano commentato ciò che era successo il primo allenamento, ed Eragon seguiva il loro esempio, almeno dopo averne parlato una sera con Murtagh, quando stavano facendo il cambio per il turno di guardia.
“Vai, ora ci penso io” disse quella volta Eragon prendendo una coperta e sistemandosi a terra.
“Grazie, sono stanchissimo. Oggi sei stato bravo con la spada”. Murtagh si stava togliendo gli stivali e sistemando per la notte.
“Grazie. Anche tu sei stato bravo. Però per riuscire a stancare Ellen ce ne vogliono due di allenamenti”.
“Non direi” disse Murtagh sorridendo e guardando in direzione della ragazza addormentata. “Ora mi sembra che stia facendo sogni d’oro”.
“Già … credo di sapere pure cosa sta sognando” disse Eragon con un ghigno. Murtagh lo guardò interrogativo, al che il ragazzo rispose con uno sguardo eloquente. “Non dirmi che non te ne sei accorto”.
“No. Cosa?” chiese in fretta.
“Meglio che non te lo dica”. Eragon si avvolse la coperta intorno alle spalle.
“Oh, dai! Non puoi dire una cosa del genere e poi tacere. Ora sono curioso” lo pregò Murtagh. Eragon sospirò.
“No non te lo dico, deve dirtelo lei. Comunque non ci vuole molto a capire che ti piace”. Murtagh restò folgorato.
“Co … non è vero” si difese debolmente. “Cioè … mi sta simpatica, si. Però non … no” balbettò qualcosa di incomprensibile ed Eragon si mise a ridere.
“Si ho capito. Buonanotte Murtagh” disse, e si girò verso il fuoco ormai spento. Murtagh mugugnò qualcosa, poi si distese e si mise a dormire.
Dopo quella conversazione Eragon smise di pensare a quella faccenda, che rendeva il suo compagno di viaggio confuso e perplesso. Lui lo voleva scattante e audace, così pensò che avrebbe dovuto risolversi da solo quel problema. E poi, chi era lui per elargire consigli di quel genere? Meglio lasciar perdere, si disse.
Dopo due giorni che viaggiavano vicino al fiume arrivarono in vista di Gil’ead. Si accamparono lì vicino, alle sponde del lago Isenstar.
“Domani potrei andare a cercare l’amico di Brom. Come si chiama?” chiese Murtagh.
“Dormad” rispose prontamente Eragon.
“Bene, allora domani andremo a cercarlo” disse Ellen.
“Potrebbe essere pericoloso” obbiettò il ragazzo.
“Nessuno di noi dovrebbe restare da solo” disse Eragon. “Se andate insieme sarà meno rischioso per tutti. Io resterò qui con Saphira”.
“Si, è meglio che tu non venga, potrebbero riconoscerti” disse Ellen. Murtagh non sembrava ancora convinto, ma si arrese quando si accorse che era davvero più sicuro.
Dopo cena Eragon e Murtagh iniziarono la lotta, ma Ellen, che quella sera non aveva voglia di allenarsi, si allontanò da loro insieme a Saphira.
Arrivarono alle rive del lago, un’immensa distesa di acqua di cui non si vedeva la fine. Liscia e limpida tanto da riflettere la luna e le stelle che si stavano formando in cielo.
  Wow è bellissimo! Esclamò Sapira. Non avevo mai visto un lago di notte.
  Hai ragione è splendido, concordò Ellen chinandosi a toccare l’acqua gelata. E’ fredda, ma forse possiamo fare un bagno lo stesso. Saphira immerse una zampa nell’acqua.
  Sei sicura che non sia troppo per te? Io il freddo lo sento diversamente da voi, ma devo riconoscere che questo lago è freschino.
  Non preoccuparti, resisterò! Ellen le sorrise e prese a spogliarsi. Poco lontano si potevano ancora udire i due ragazzi che si allenavano, così Ellen rimase solo con una fascia che le copriva il seno e dei corti pantaloncini.
L’acqua era realmente gelata, ma dopo un paio di minuti Ellen si abituò. Saphira nuotava accanto a lei formando piccole onde ogni volta che si muoveva. Ad un tratto la dragonessa si immerse.
  Saphira? Dove sei?, chiamò Ellen siccome la dragonessa non tornava su. Restò ancora qualche secondo senza ricevere risposta, poi, all’improvviso, un’enorme figura spuntò dal fondo del lago. Con un ruggito di gioia e spruzzando acqua tutto intorno Saphira si alzò in volo. Ellen gridò e poi rise, seguendola a nuoto, per quanto la sua velocità glielo consentisse.
“Ellen?!”. La voce di Murtagh la raggiunse e lei si fermò, mentre Saphira volava sempre più in alto.
“Murtagh? Sono qui!” gridò di rimando. “Sono in acqua!”. Si avvicinò alla riva nuotando e scorse la sagoma di Murtagh davanti a lei.
“Oh … pensavo che ti fosse accaduto qualcosa” disse il ragazzo grattandosi la nuca e distogliendo lo sguardo da Ellen. Aveva ancora la spada in mano.
“Perché non entri?” le chiese la ragazza sorridendo. “L’acqua è un po’ fredda ma poi ti ci abitui” lo incoraggiò. Murtagh esitò un secondo, poi alzò le spalle e gettò la spada lontano a terra. Ellen sorrise e ricominciò a nuotare. Sentì Murtagh che entrava in acqua. Quando si girò il ragazzo era immerso fino all’ombelico.
“E’ freddissima” disse scuotendo la testa. “Meglio tuffarsi”.
“Meglio” approvò Ellen. Murtagh si tuffò e scomparve sotto la superficie dell’acqua. Lei non lo vide finché non sentì qualcosa che le afferrava le gambe. Gridò divertita, prima di scorgere Murtagh che sbucava fuori dall’ acqua e scuoteva la testa, sorridente. Cominciarono a rincorrersi e a ridere come due bambini, poi, stanchi, presero a nuotare vicino alla riva.
“Attento potrebbe esserci qualche bestia acquatica pronta a mangiarti” disse Ellen.
“Non credo che punterebbe a me. Tu sembri più morbida” disse Murtagh pizzicandole un braccio.
“Ahu!” escalmò Ellen facendo la finta indignata massaggiandosi il braccio. “Le donne non si toccano neanche con un fiore!” disse a Murtagh avvicinandosi e tirandogli una debole manata sul petto. Murtagh le prese una mano e se la portò alle labbra, depositandovi un bacio.
“Mi dispiace” disse. Ellen abbassò lo sguardo e arrossì lievemente. Murtagh si sentiva inebriato dalla sua vicinanza. Le cinse la vita, come se dovesse tutt’un tratto scappare. Quando la ragazza tornò a guardarlo lui agì senza pensare. La strinse a sé e la baciò con ardore. Le loro labbra si scontrarono, esplorandosi e cercando l’altro. Murtagh strinse la ragazza ancor di più e la sollevò, facilitato dall’acqua, così lei strinse le sue gambe intorno ai fianchi di lui. Ellen sentiva il suo fisico asciutto sotto le dita sottili, i muscoli guizzanti, freschi al contatto con l’acqua gelata. Nonostante questo, però, Murtagh si sentiva ribollire lo spirito ogni volta che lei lo sfiorava. Continuarono finché non sentirono la voce di Eragon, allora si allontanarono, imbarazzati.
Eragon comparve sulla riva del lago. “Cioè voi fate un bagno e non mi chiamate?” chiese togliendosi la maglietta. Li raggiunse in fretta, e passarono il resto della serata ridendo e scherzando nell’acqua. Poco tempo dopo li raggiunse anche Saphira, che si gettò nel lago creando delle onde concentriche che si allargavano sempre di più.




Eccomi qui! A tediarvi con un nuovo capitolo! Mhuahhah! Adesso Bella ti è tutto chiaro? XD L'uomo predestinato è Murtagh!
Al prossimo capitolo,
Patty.

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Capitolo 8
*** Il piano ***


Capitolo 8: Il piano

Il giorno seguente Eragon e Saphira aspettarono fino alla sera prima di veder ricomparire Ellen e Murtagh. Tornarono in fretta, trafelati e sconvolti. Murtagh si fermò di fronte a lui e chiese ansante: “Qualcuno ci ha seguiti?”. Eragon scosse la testa preoccupato.
“Perché? Vi hanno attaccati?”.
“Qualcuno lo ha riconosciuto” spiegò Ellen smontando da cavallo.
“Cosa?”.
“Ora ti spiego. Però prima devo mangiare” disse Murtagh.
“Pure io” disse con enfasi la ragazza. Una volta con i piatti in mano i due ragazzi trangugiarono il cibo (Ellen in modo più elegante, Murtagh invece pareva una scimmia) e raccontarono la storia.
“Abbiamo trovato Dormand quasi subito” cominciò Murtagh, “e gli abbiamo raccontato tutta la storia. Gli abbiamo fatto vedere l’anello di Brom e  lui ha detto che avrebbe potuto aiutarci. Siamo rimasti a parlare con lui per ore, per questo ci abbiamo messo tanto. Dovremmo incontrarci domani mattina qui vicino, su una collina” disse indicando vagamente un posto al di là della strada.
“Si ma poi? Perché pensavi che qualcuno vi seguisse?” lo incitò Eragon.
“Quando siamo usciti da casa di Dormand qualcuno mi ha riconosciuto. Mi hanno chiamato, ma io ed Ellen abbiamo fatto finta di niente e abbiamo cercato di andar via come se la faccenda non ci riguardasse. Purtroppo la persona che mi ha riconosciuto ha cominciato a venirci dietro, così siamo fuggiti”.
“Io e Saphira non abbiamo visto nessuno” disse Eragon lanciando un’occhiata a Saphira.
Ellen posò il piatto vuoto e disse: “Comunque sarebbe meglio spostarci di qui, non è sicuro”.
“Ha ragione” approvò Murtagh alzandosi. “Prima ce ne andiamo meglio è”. Cominciarono quindi a mettere a posto le loro cose ma, proprio quando stavano per partire, Saphira avvisò Eragon.
  Eragon! Guarda! Un grosso Uragli, armato con una tozza spada, veniva verso di loro. Eragon tese la mano verso di lui e fece rifluire in sé la magia.
“Brisingr!” ruggì. L’Urgali si spaventò, una volta vista la fiammata che gli veniva incontro, ma non riuscì a scappare. Cadde a terra con un rantolo e rimase immobile.
“Eragon?”. Il ragazzo si voltò nel sentire Ellen che lo chiamava. Gli si gelò sangue alla vista di quello che gli si parò davanti. Una trentina di Uragli li stavano circondando. Che stupido! Il primo Uragli era solo un modo per farlo distrarre! E lui ci era cascato subito.
Cominciò una lotta senza esclusione di colpi. Eragon colpiva Urgali con la spada e con piccole magie, mentre Murtagh ed Ellen li uccidevano uno dopo l’altro con le spade. Saphira invece li schiacciava con le zampe e li trafiggeva con zanne e unghie affilate.
Eragon stava combattendo con un Urgali e lo trafisse con Zar’roc. Alle sue spalle sentì un grugnito e vide un altro mostro attaccarlo dall’alto con una pesante mazza. Non fece in tempo a parare il colpo, ma un secondo prima di svenire disse: “Scappate!”.
Poi tutto divenne nero.

Molti degli Urgali erano scappati dopo aver preso Eragon. Nessuno aveva potuto fare nulla per liberarlo. Si spostarono in fretta in una caverna scovata da Saphira, ben nascosta da alberi e cespugli, e rimasero lì per il resto della notte, facendo la guardia a turni.
La mattina dopo quando Murtagh si svegliò Ellen era già in piedi e preparava la colazione.
“Buongiorno” disse quando vide che era sveglio.
Murtagh si stiracchiò. “Giorno” disse a metà fra uno sbadiglio.
Cominciarono a mangiare. “Dobbiamo trovare un modo per liberare Eragon” esordì la ragazza.
“Già. Probabilmente si trova nelle prigioni di Gil’ead, sappiamo che ora gli Urgali lavorano per conto dell’Imperatore”.
“Come possiamo entrare?” chiese la ragazza appoggiandosi su entrambe le mani.
“Sarà complicato. Lì non fanno entrare nessuno se non guardie o prigionieri”.
“Forse potremmo tentare un travestimento” si illuminò Ellen. “Potremmo … rapire della guardie e poi prendere le loro armature”.
“Nell’improbabile possibilità che troviamo una guardia che abbia il tuo stesso fisico, tempo che sarà difficile catturarla” disse Murtagh guardandola con occhio critico.
“Magari la guardia la puoi fare tu. Io posso fare la prigioniera” ipotizzò Ellen.
Murtagh ci pensò su un momento. “No, non sappiamo dove hanno rinchiuso Eragon. E quella prigione è enorme. Dovremmo prima vedere se riusciamo a trovare la sua cella. Credo che la maggior parte siano sotto terra e abbiamo una finestra per far arrivare un po’ d’aria ai prigionieri, quindi danno sulla strada. Forse se controlliamo tutte le celle riusciremo a trovare quella di Eragon, e una volta entrati sarà più facile trovarlo. Per quanto riguarda il travestimento forse dovrei travestirmi, si”.
“Quindi tu dici che se siamo fortunati hanno messo Eragon in una cella che dà sulla strada”.
“Esatto”.
“E’ un po’ fiacco come piano però … ok, dato che è l'unico che abbiamo. Allora oggi andrò a vedere se trovo la cella di Eragon e ti comprerò un bellissimo travestimento” disse Ellen sorridendo.
Murtagh la guardò scettica. “Non credo che dovresti andare da sola”.
“Hey sei tu quello conosciuto, non io”.
“Potrebbe essere pericoloso”.
“Mi manterrò in contatto con Saphira”.
“E se ti aggredissero?”.
“So badare a me stessa”.
“E se … se” Murtagh si bloccò, non trovando altre scuse, poi sbuffò. “E va bene”.
  Ok, Saphira sei d’accordo?
  Assolutamente! Però Murtagh ha ragione: non ti cacciare nei guai.
  Io non mi caccio mai nei guai! E’ Eragon quello specializzato, le disse sorridendo.
Ellen si preparò e sellò Dimitri. Appena prima che partisse Murtagh le si avvicinò e le prese la mano. “Stai attenta” sussurrò. Poi le diede un casto bacio sulle labbra. Ellen sorrise e salì in groppa al cavallo. Murtagh la osservò sparire nella nebbia mattutina poi si volse e vide Saphira, che stava acquattata in fondo alla piccola caverna e grugniva in quella che sembrava una risata. “Ma che hai da ridere?” chiese Murtagh con sguardo assassino sedendosi a terra. La dragonessa sbuffò divertita.
Ellen tornò verso pomeriggio inoltrato.
“Allora? Com’è andata?” chiese subito Murtagh.
“Bene” disse lei smontando da cavallo. “Ho scoperto dov’è la cella di Eragon. Sembra che stia bene, quando sono arrivata io stava dormendo e aveva un piatto enorme di cibo e dell’acqua in cella”.
“Quindi non muore di fame” constatò Murtagh. “Almeno lui”. Quel pomeriggio Saphira era andata a caccia per lui, ritenendo che non fosse saggio lasciarlo uscire dal nascondiglio. L’unico problema era che, per lo stomaco di Mutagh, un piccolo coniglio come quello che gli aveva portato non bastava, senza contare che doveva dividerlo con Ellen.
“La cella si trova nel lato nord dell’edificio. Vicino alla cucina”. Un sorrisino spuntò sulla bocca della ragazza: “Ti ho preso il tuo travestimento”.
“E perché sei così contenta?” chiese Murtagh sospettoso. “Fa vedere” disse tendendo una mano. Ellen prese un fagotto avvolto in carta e tirò fuori una cosa grigia non ben distinta.
Murtagh sgranò gli occhi. “Una barba finta?!”. Ellen scoppiò a ridere e gliela tese.
“E’ bellissima! Provala!”. La porse a Murtagh, che la prese con scetticismo e la applicò sul viso. Ellen cercò di trattenere la risate, ma poi non si controllò più. Scoppiò a ridere in modo incontrollato.
“Dovresti vederti!” esclamò indicandolo. Murtagh si toccò il viso contrariato. Quando la ragazza ebbe terminato di ridere riprese fiato e disse: “Ti ho preso anche dei vestiti bellissimi!” e così dicendo tirò fuori dei pantaloni marroni e una maglietta grigia molto lunga, quasi una tunica. Murtagh sbuffò e incrociò le mani sul petto.
“Non credo che così passerò inosservato”. Murtagh si tolse la barba e la gettò in un angolo, poi si sedette a terra. “Ti ho lasciato un po’ del mio pranzo” disse indicando la piccola scodella che stava sopra il fuoco, acceso pochi minuti prima che Ellen ritornasse.
“Oh grazie! A proposito di cibo” disse prendendo un involto dalla bisaccia, “ho comprato un dolce, pensavo che ti potesse piacere”. Si sedette e aprì l’involto. Ne uscì un odore dolce e caramellato, che fece brontolare lo stomaco di Murtagh.
“Uh wow. Che cos’è?” chiese allungando una mano.
“Fermo!” lo ammonì Ellen allontanando il dolce dalle sue mani voraci. “E’ calda. E’ una specie di pagnotta dolce con dentro cosine caramellate”. Prese un coltello e tagliò due pezzi della pagnotta, poi ne passò una parte a Murtagh. Tutti e due assaggiarono cautamente un boccone. Sapeva di pane dolce appena sfornato, in più c’erano pezzi di caramello morbido che colpivano il palato con il loro gusto forte. Il risultato fu che la pagnotta dolce fu spazzolata in cinque minuti, anche Saphira ne assaggiò un pezzetto, ma secondo i suoi gusti era troppo forte, troppo dolce.
Una volta sazi i due ragazzi si sdraiarono per dormire.
“Domani andremo da Eragon?” chiese Ellen.
“Dobbiamo organizzarci bene” ribatté Murtagh. “Da dove entreremo prima di tutto?”. I due ragazzi rimasero entrambi in silenzio. “Hai detto che la cella di Eragon è vicino alle cucine?”.
“Si”.
“Potremmo entrare da lì. Di sicuro ci sarà un cortile dove buttano gli avanzi o i rifiuti” ipotizzò Murtagh. “Una volta entrati nella cucina sarà facile trovare la cella, no?”.
“Credo di potermi orientare” disse Ellen. “Però i cuochi saranno lì tutto il giorno”.
“Con l’oro si può corrompere il mondo intero” commentò Murtagh. “Basterà dargli una somma abbastanza alta”. Ellen mugugnò qualcosa.  “Che c’è?”.
“E’ che … non mi va di sprecare soldi così. Potremmo benissimo entrare da un’altra parte”.
“Probabilmente no. L’unico modo di entrare è come prigioniero. Nessuno è mai evaso da quelle prigioni” disse Murtagh. “Eragon sarà il primo”.
“Speriamo”. La ragazza si voltò e guardò Spahira. La dragonessa se ne stava accucciata in un lato della caverna.
  Cosa ne pensi? Un po’ fiacco come piano, no?
  B’è, diciamo che è un po’ frettoloso per essere del tutto efficace, ma potrebbe funzionare. Ma aspetta, come farete ad aprire la cella di Eragon?
Ellen trasalì. Non ci avevo pensato! “Murtagh?”.
“Si?”. Il ragazzò si voltò verso Ellen.
“Come facciamo ad entrare nella cella di Eragon?”.
“Rubiamo le chiavi!” disse lui come se fosse la cosa più logica del mondo.
“Non hai un piano dettagliato anche per questo?”.
“Di solito le chiavi sono custodite da un guardiano. Le celle sono organizzate in corridoi, per ogni corridoio c’è un guardiano. Ma è da solo, non ha aiutanti perché deve solo aprire e chiudere le celle per dar da mangiare ai prigionieri. Non trasporta prigionieri e non fa nulla se non gli viene ordinato”.
“Come fai a sapere tutte queste cose?” chiese Ellen stupita girandosi di fianco. Ora si trovavano uno di fronte all’altro.
“Eh sapessi” sorrise Murtagh. Prese ad accarezzarle una guancia con delicatezza, poi si spostò sul suo collo …
Un sordo ronfare fece trasalire tutti e due. Saphira si era addormentata e ora respirava pesantemente mandando fuori dal naso piccoli sbuffi di fumo. Ellen si passò una mano sulla faccia e si mise a ridere. Murtagh la imitò poco dopo.
“Meglio che dormiamo” disse. “Buonanotte e sogni d’oro”.
“Notte anche a te” disse Ellen girandosi su un fianco.




Eccomi! Grazie Thyarah per la recensione! Devi sapere che questa prima parte si basa sui primi due libri di Paolini ma la seconda l'ho inventata io, senza però tener conto di Brisingr (in realtà questa storia è pronta da mesi, ma non l'ho mai postata).  Comunque è vero: Murtagh e una ragazza proprio sono inimmaginabili! Però a me piace la coppia Arya/Eragon, quindi non volevo che la storia fosse con lui, inoltre in seguito ho scfuttato la storia con Murtagh per la trama ... curiosi? Mhuahahahh! Aspettate!!
(Come sono maligna ...)
Patty.

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Capitolo 9
*** Liberi ***


Capitolo 9: liberi

Murtagh strisciava ansimando dentro un condotto della prigione di Gil’ead. Metteva un gomito davanti all’altro e avanzava piegando le ginocchia. Dietro di lui c’era Ellen, che, essendo più esile, passava più facilmente per lo stretto condotto. Dopo circa dieci minuti arrivarono di fronte ad una grata. Murtagh controllò che nel corridoio non ci fosse nessuno, poi la sfilò lentamente. Si calò a terra e tese le braccia in alto per prendere Ellen, che si tuffò poco dopo tra le sue braccia.
“Pesi! Falsa magra” le disse il ragazzo.
“Falso forzuto” replicò lei indispettita. Murtagh sorrise e la depositò a terra. “Dove dobbiamo andare ora? Oh e io che pensavo di potermi orientare” si lamentò Ellen guardando il corridoio grigio e freddo.
“Menomale che mi hai fatto vedere dov’era la cella di Eragon da fuori. Dovremmo essere nel lato giusto della prigione, quindi dobbiamo andare verso di là” rispose Murtagh indicando una vaga direzione. I due si avviarono a passi leggeri, cercando di fare il meno rumore possibile. Alla fine del corridoio trovarono una porta semichiusa. Cauti sbirciarono dentro. Una guardia stava seduta ad una scrivania, un mazzo di chiavi appeso alla cintura. Ellen e Murtagh si scambiarono sguardi d’intesa, poi, piano, aprirono la porta. Il sangue raggelò loro nelle vene quando un sinistro cigolio risuonò nell’aria. La guardia si girò all’improvviso, ma Ellen era già entrata e gli puntava la spada alla gola.
Tese una mano. “Dammi le chiavi se non vuoi che ti trapassi”. La guardia non si fece intimorire. Gli occhi saettarono verso Murtagh, poi, con uno scatto cercò di raggiungere la porta. Murtagh le fermò appena prima che entrasse nel corridoio e gli prese le chiavi dalla cintura. Le lanciò ad Ellen.
“Tieni, vai!”. Ellen passò al seguente corridoio. Era molto lungo, e c’erano un sacco di porte di legno massiccio rinforzate in metallo.
  E ora come diavolo faccio? Pensò in fretta ad una soluzione, poi notò che c’erano delle grate in ogni cella, all’altezza degli occhi, che servivano a vedere dentro. Ci avrebbe messo di sicuro troppo tempo a guardare dentro a tutte. Tornò indietro da Murtagh. “Murtagh! Dov’è la guardia?”. Proprio in quel momento la suddetta guardia si accasciava a terra. “No! Che hai fatto?”.
“Perché?” chiese lui sorpreso.
“Ci sono un sacco di porte di là, come facciamo a sapere qual è quella giusta?”.
“Hai ragione”. Murtagh imprecò e poi rimase sovrappensiero per qualche secondo, infine scosse le spalle. “Non ci resta che controllarle tutte”.
Ellen si ricordava che la cella di Eragon aveva una finestrella in alto, quindi doveva essere per forza essere nella parte destra del corridoio. Poi ricordò anche che era la sesta o la settima finestrella. Dopo aver informato Murtagh contarono sei porte e guardarono attraverso la grata della sesta e della settima.
“Eccolo”. Murtagh indicò Eragon. Ellen si sporse per guardarlo. Stava addormentato su una panca, davanti a lui un vassoio di cibo e una caraffa vuoti.
“Eragon!”. Niente. “Eragon!” riprovò più forte. Il ragazzo si mosse leggermente. “Eragoon! Eragon mangia come un Urgali!”. Il ragazzo si svegliò di soprassalto. Ellen e Murtagh si piegarono in risate silenziose.
“Murtagh! Ellen!”. Il ragazzo si avvicinò alla grata e li guardò esterrefatto. “Come siete entrati?!”.
“Ti spieghiamo dopo” disse Murtagh. “Ora piuttosto aspetta che cerchiamo la chiave”.
“Non c’è n’è bisogno. Ora dovrei essere in grado di usare la magia”. I due lo guardarono interrogativi. “Poi vi spiego”. Eragon chiuse gli occhi, facendo rifluire in sé la magia che bastava a forzare il meccanismo della porta. Con un sonoro clack quello si aprì. Il ragazzo uscì di corsa dalla cella ed Ellen gli si gettò addosso. Eragon sorrise fra sé e l’abbracciò, felice di rivederla.
“Cominciavo a pensare che sarei rimasto dentro per sempre” disse stringendo la ragazza.
“Eh già. Pure io”.
“Pure tu?! Ma quanto ci avete messo a fare un piano per salvarmi?” sciogliendo l’abbraccio Eragon la guardò corrucciato.
“Troppo poco” replicò Ellen, “Appunto per questo lo pensavo” si giustificò lei. Eragon, ricordandosi improvvisamente di una cosa, la ignorò e cominciò a guardarsi intorno, come alla ricerca di qualcosa, poi puntò verso destra. “Fermo! Dove vai? Dobbiamo andare dall’altra parte!”. Ellen cercò di trascinarlo dalla parte opposta ma Eragon continuò imperterrito a camminare.
“C’è un’elfa in questa prigione. Dobbiamo liberarla”.
“Un elfa?!” chiese incredulo Murtagh. Eragon annuì. Murtagh rimase incerto per qualche secondo, poi assentì.
“D’accordo” disse avvicinandosi ad Eragon, e i due iniziarono a camminare. Ellen, esasperata, roteò gli occhi sul soffitto e poi li seguì. Proprio in quel momento uno schianto terribile si udì dall’altra parte del corridoio e cinque o sei soldati arrivarono di corsa, brandendo le armi.
“Eragon vai!” Murtagh lo spinse via. “Non sei in grado di combattere, vai a prendere l’elfa!”. Lui ed Ellen si disposero di fronte ai soldati. Lo scontro cominciò. Due dei soldati vennero subito eliminati dopo pochi minuti, uno, dopo qualche secondo scappò, mentre un altro ancora venne ferito da Murtagh al braccio e cominciò a sanguinare copiosamente. Ellen, alle prese con l’ultimo dei soldati, lo scaraventò a terra dopo una complicata manovra di spada, poi lo immobilizzò.
“Mostraci dov’è rinchiusa l’elfa!” disse puntandogli l’arma alla gola. Il soldato non sembrava convinto, e tenne la bocca chiusa. E’ impossibile! Io non sono capace di convincere le persone! Si disse Ellen. Murtagh si avvicinò al soldato e lo colpì forte. Il poveretto si ripiegò su sé stesso emettendo qualcosa a metà fra uno sbuffo e un gemito.
“Diccelo se non ne vuoi altri cinquanta!”. Il soldato emise un grugnito.
“In fondo, la penultima a sinistra” biascicò.
“Grazie” rispose Ellen. Poi si voltò per raggiungere Eragon. Murtagh nel frattempo cercava di neutralizzare il soldato.
Quando fu a portata di voce Ellen gridò: “Eragon! Quella lì!” disse indicando la penultima porta. Eragon la aprì con la magia, sentendosi prosciugare le forze. La prigionia lo aveva indebolito molto più di quanto pensasse.
Quando Ellen raggiunse la cella Eragon stava sorreggendo l’elfa. Il suo corpo era esile e fiacco, a quanto pareva. Aveva i capelli neri e ricci e le immancabili orecchie a punta che caratterizzavano la sua razza. Il suo viso era allungato e sottile, molto bello nel complesso, ma era devastato dalla stanchezza e da un colore cinereo.
“Aspetta ti aiuto”. Ellen prese l’elfa per le gambe, mentre Eragon la teneva sotto le braccia. Uscirono velocemente dalla cella. L’elfa non era per nulla pesante. Presto li raggiunse Murtagh, che rimase a guardare l’elfa con stupore.
“Ora cosa facciamo? Cosa prevedeva il vostro piano?” chiese Eragon.
“Veramente prevedeva tornare subito indietro per lo stesso condotto da dove eravamo passati” disse Murtagh, “Ma con lei non possiamo”, indicò l’elfa.
Sentirono arrivare altri soldati, e decisero di togliersi di mezzo. Continuarono a camminare lungo uno stretto corridoio e arrivarono ad una stanza vuota con due enormi tavolate. Doveva essere la mensa dei soldati.
“Andiamo sotto lì” disse Murtagh indicando un tavolo. Tutti si acquattarono per andare sotto quello più vicino e rimasero zitti. Sentirono dei soldati, forse tre, camminare per la stanza velocemente. Se ne andarono in fretta, senza controllare sotto i tavoli.
“Ah, Eragon” esclamò Murtagh trafficando con qualcosa. “Ho preso Zar’roc e il tuo arco” disse porgendogli le sue armi, che aveva preso dopo aver ucciso l’ultimo soldato.
“Grazie”. Eragon, lieto di avere ancora Zar’roc al suo fianco, prese la spada e se la mise subito al fianco, nella sua fodera.
“Eragon credo che dovresti chiamare Saphira” suggerì Ellen. Il ragazzo annuì e chiese aiuto alla dragonessa, che rispose con una certa stizza.
  Ancora una volta tu ti cacci nei guai e io ti devo salvare! Quando imparerai ad essere più responsabile?
  Non ci aiuti se fai così! Ribatté Eragon infastidito dal suo tono. La dragonessa sbuffò mentalmente.
Ad un tratto dei passi risuonarono nella sala. Dei passi leggeri e felpati di chi vuole farsi sentire e mettere paura alla sua preda.
“Cavaliere” chiamò una fredda voce. A Eragon si gelò il sangue nelle vene. Ellen e Murtagh si guardarono con aria preoccupata e interrogativa. Pensando di dover guadagnare tempo Eragon trasse un grosso respiro ed uscì da sotto il tavolo.
“No” bisbigliò Ellen cercando di trattenerlo, senza successo.
Dall’altra parte della sala stava lo spettro Durza. Con la pelle bianca e gli occhi e i capelli color del sangue. Lo guardò uscire da sotto il tavolo con l’ombra di un sorriso sul volto scarno.
“Eccomi” disse Eragon. Lo spettro emise un sogghigno.
“E così ecco qui il grande Cavaliere dei Draghi. Il primo della nuova stirpe, nascosto sotto ad un tavolo per evitare di combattere” disse con voce canzonatoria. Eragon non cadde nel tranello e non si fece innervosire da quella che voleva essere una provocazione apposta per farlo arrabbiare, invece decise di parlare con lui.
“Perché? Tu vorresti combattere?” chiese, in mancanza di altro da dire.
“Io no. Non sei tu che desideri misurarti con qualcuno alla tua altezza?” chiese lo spettro, come a prenderlo in giro.
Questa volta Eragon rispose senza indugi: “Si”.
Intanto, sotto al tavolo, nasceva un’animata discussione bisbigliata a mezza voce. “Andiamo, no? Non ce la farà mai da solo!”.
“No, io vado. Tu resti qui” disse Murtagh facendo per uscire dal tavolo, ma venne trattenuto dalla mano di Ellen.
“Non me lo puoi impedire” e, detto questo, prima che il ragazzo potesse ribattere Ellen uscì allo scoperto e si mise affianco ad Eragon. “Dovrai misurarti anche con me” disse la ragazza in direzione dello spettro.
Murtagh sorrise e scosse la testa, poi uscì a sua volta. “Temo che lo dovrai fare anche con me, spettro” disse mettendosi all’altro fianco di Eragon. Il ragazzo, vedendoli apparire all’improvviso al suo fianco, sentì un moto di affetto per loro e si sentì improvvisamente più sicuro.
  Dovremmo bastare per trattenerlo fino all’arrivo di Saphira, Eragon sentì la voce di Ellen nella sua mente.
  Credo di si, rispose.
Lo spettro saltò all’improvviso oltre il tavolo per raggiungerli e li colpì con una forza inaudita. Il primo colpo fu sferrato ad Eragon, che riuscì a pararlo per un pelo. Nello stesso istante Ellen fece per colpirlo ma quello si riparò con uno scudo e poi menò un fendente nella sua direzione, che la ragazza schivò. Anche Murtagh provò a colpirlo, con scarsi risultati. Lo spettro riusciva a tenerli a bada tutti e tre, a colpirli con forza e precisione e, contemporaneamente, ripararsi da altri colpi. Dopo dieci minuti i tre ragazzi erano stanchi, anche se Ellen dimostrava ancora una velocità al di fuori dal comune. Ad un tratto, mentre la ragazza colpiva Durza frontalmente, quello la scaraventò a terra, quindi Murtagh si parò subito di fronte a lei. Lo spettro sogghignò e lo colpì con forza sorprendente, tanto farlo volare ad un paio di metri da lui, causandogli una ferita all’addome. Si avvicinò al ragazzo, che si teneva una mano sulla ferita, dalla quale colava copiosamente sangue. Durza si avvicinò velocemente per sferrare il colpo finale, in quell’istante un rumore riempì la sala e grossi pezzi di soffitto presero a cadere intorno a loro. Un ruggito scosse Durza e lo fece voltare verso la fonte del rumore. Non fece in tempo ad avvicinarsi ancora a Murtagh che Saphira volò al di sopra di loro e se lo caricò sulla schiena, facendo cadere lo spettro a terra con un colpo d’ala. Murtagh non perse l’occasione e scoccò una freccia in direzione dello spettro, accasciato a terra. Lo centrò perfettamente in mezzo agli occhi.
Lo spettro Durza gridò, un grido stridulo e rancoroso. Prese a contorcersi furiosamente e poi, con un sordo schiocco, si tramutò in fumo.
Ellen vide Saphira calare su di lei ed Eragon, mentre un drappello di soldati accorreva nella sala. Corse sotto al tavolo e tirò fuori l’elfa, di cui si era momentaneamente dimenticata. Aiutata da Eragon venne messa sul dorso di Sapira, in mezzo fra Murtagh ed Eragon, che la tenevano saldamente in sella. Poi Ellen si sentì sollevare e si ritrovò sul dorso della dragonessa.
  Non riuscirò a portarvi tutti per molto, li avvisò Saphira.
  Non importa! Basta che ci porti via di qui! Replicò subito Eragon.
Con due possenti battiti di ali la dragonessa uscì dal buco che poco prima aveva creato sul soffitto e si avviò verso la grotta.




Nuovo capitolo! Grazie Thyarah per la recensione ^^ Il prossimo capitolo non è molto emozionante, è un capitolo di passaggio diciamo. Però è utile per la storia ... vabè un saluto a tutti i lettori,
Patty.

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Capitolo 10
*** Nel deserto di Hardac ***


Capitolo 10: Nel Deserto di Hardac

Dopo essersene andati dalla grotta e aver viaggiato per tutta la notte, i tre ragazzi, Saphira e l’elfa trovarono un posto abbastanza riparato per riposarsi. Ellen era così stanca che per un tratto di strada si era persino addormentata sul cavallo. Quando si fermarono la prima cosa che fece fu andare da Murtagh.
“Fammi vedere che ti sei fatto”. Murtagh, che aveva cavalcato tutto il tempo facendo smorfie e diventando sempre più pallido, assunse un’aria colpevole, come se fosse stato lui a ferirsi da solo. “Dai”. Ellen gli prese le mani, che il ragazzo aveva prontamente portato allo stomaco, e gliele spostò. La maglietta era lacerata e macchiata di sangue, attraverso il taglio si poteva vedere un ferita non molto profonda che si dilungava dall’ombelico del ragazzo fino all’inguine. Anche la cintura dei pantaloni era stata tagliata. Ellen, senza tanti complimenti, lo spinse a terra e bagnò uno straccio per pulire la ferita. Murtagh non si ribellò, ma si lamentava di tanto in tanto del dolore.
Eragon si avvicinò ai due amici. “Cos’è successo?”. Quando vide la ferita di Murtagh si inginocchiò affianco a lui.
“Eragon che vuoi fare?” lo rimproverò Ellen. “Non sei abbastanza in forze!”.
“Mi farò aiutare da Saphira”. Ci sei? Chiese alla dragonessa. Quella gli rispose con un cenno e si accucciò vicino a Murtagh. Dopo qualche secondo la ferita era guarita e la pancia di Murtagh come nuova.
Ellen sorrise. “Bene”. Poi si voltò verso l’elfa, che Eragon aveva depositato a terra appena erano arrivati, e che aveva viaggiato legata sotto la pancia di Saphira. “Forse dovremmo cercare di svegliarla” azzardò. Si avvicinò e la scosse dolcemente. Notò che un pezzo della sua veste era strappato, e sotto la manica lacerata c’era un taglio. “Eragon” chiamò. Il ragazzo si avvicinò e si chinò sull’elfa.
“Che c’è?”.
“Mi pare che anche lei sia ferita” disse Ellen scostando la manica del tutto per scoprire la spalla e il resto del taglio. La visione che ebbe fu terrificante. L’elfa era completamente coperta di tagli, scottature e lividi violacei. Sia lei che Eragon trattennero il fiato.
“Cosa succede?” Murtagh li raggiunse e nel vedere l’elfa imprecò. “Eragon devi curarla”.
Eragon la osservò ancora per un po’, esterrefatto, poi annuì deciso. Insieme a Saphira cominciò a curare i tagli che aveva sulla spalla, mentre Murtagh ed Ellen preparavano la cena. Eragon si fermò per mangiare poi, mentre Murtagh pensava a nutrire i cavlli, chiamò Ellen da parte.
“Ascolta Ellen, vieni qui” la prese per una spalla e la condusse vicino all’elfa. Eragon aveva curato tutte le ferite sulla schiena, sulle braccia e quasi tutte quelle delle gambe.
“Che c’è?” chiese Ellen stupita. “Ti manca ancora una parte” osservò indicando l’elfa, poi, con uno sguardo ad Eragon, capì qual’era il problema. “Oh”. Eragon non aveva voluto scoprire il seno e le cosce dell’elfa, probabilmente per rispettare la sua intimità.
“Capito?” disse il ragazzo, lanciando un’occhiata imbarazzata al corpo dell’elfa. Ellen si lasciò sfuggire una risatina.
“Io pulisco le ferite, ma le più gravi le dovrai guarire, capito?”. Eragon borbottò qualcosa e poi se ne andò a sedersi accanto a Murtagh, rosso e imbarazzato come non lo era mai stato.

Erano ormai tre giorni che viaggiavano nel deserto di Hardac. Eragon, siccome l’aria fra lui e Murtagh era un po’ tesa, a causa della mancanza di acqua e dell’urgenza con cui dovevano viaggiare per salvare Arya, aveva deciso di cavalcare Saphira per un po’. La sera del secondo giorno decisero di fermarsi per qualche ora per permettere ai cavalli di riposare. Ellen era nervosa. Non per il viaggio, ma perché Murtagh aveva espresso varie volte la sua decisione di non andare dai Varden, e che sarebbe andato via appena possibile. Non voleva che se ne andasse. Anche se fra di loro non era successo niente, era nato come un tacito accordo che tutti e due conoscevano a rispettavano. Non si parlavano più molto spesso, non si scambiavano più sguardo complici e non dormivano più l’uno vicino all’altra. Murtagh non accarezzava più il volto di Ellen prima di addormentarsi e lei non sorrideva più molto spesso.
Una sera, dopo aver mangiato e fatto bere i cavalli, Murtagh ribadì di nuovo il concetto dei Varden.
“Appena saremo arrivati vicino a loro io me ne andrò, chiaro?”.
“Ma non puoi passare per il deserto” osservò Eragon.
“No, infatti. Credo che passerò per le montagne. Sicuramente lì troverò anche qualcosa da mangiare e dei fiumi per riempire le borracce. Se solo non mi avessi trascinato in questo stupido …”.
“Non sono stato io a costringerti!”. Eragon, infastidito, rispose in malo modo.
“Oh no! Sei stato tu invece! Sei sempre così sprovveduto che mi sentivo in dovere di farlo! Non potevo lasciarla da sola a salvarti dalla prigione e dai Ra’zac” disse indicando Ellen che, sentendosi tirata in causa, si incupì ancora di più.
“Non mettetemi in mezzo per favore” disse piluccando le sue patate.
I due non la stettero nemmeno a sentire. “Sei tu qui che vuoi fare l’eroe!” cominciò Eragon. “Che vuoi salvare la gente! Solo per far vedere che sei migliore degli altri!”. Murtagh perse la pazienza e si buttò addosso ad Eragon, d’altro canto, il ragazzo fece lo stesso. Cominciarono a picchiarsi furiosamente, rotolandosi nella terra rossiccia del deserto, alzando una nuvola di polvere. Ellen si alzò allarmata e provò a separarli. Non servì a nulla, ma per fortuna intervenne Saphira che, con un ruggito, fece sobbalzare tutti e due, e immobilizzò Eragon sotto la zampa, mentre Ellen ne approfittava per immobilizzare Murtagh sedendoglisi sopra.
“Vuoi stare un po’ fermo?!” gli urlò in faccia. “Non è così che si risolvono i problemi!”.
  Ellen ha ragione, intervenne Saphira. Probabilmente Murtagh ha un motivo ragionevole per non voler venire di Varden. Basta solo che glielo chiedi … con le parole giuste. Eragon sbuffò, poi si mosse leggermente sotto la zampa di Saphira.
“Mi lasci ora?” chiese rabbioso. La dragonessa gli lanciò uno sguardo penetrante, poi alzò la zampa con cautela, come temendo che Eragon potesse ancora picchiare Murtagh che, fra l’altro, era ancora imprigionato da Ellen che lo teneva saldamente a terra.
In un altro contesto Murtagh avrebbe forse approfittato della situazione, ma in quel momento si sentiva arrabbiato e inquieto. Non poteva assolutamente incontrare i Varden. Solo una cosa lo costringeva a continuare il viaggio: Ellen. Aveva notato che la ragazza si incupiva sempre di più quando accennava al fatto che li avrebbe lasciati. Ma era sicuro che non poteva chiederle di venire con lui.
Ellen dal canto suo si chiedeva se non fosse il caso di lasciar andare Eragon dai Varden da solo. In fondo lei chi era? Il cavaliere era Eragon, e lei aveva cominciato a viaggiare con lui e Brom solo per errore, se così si può dire. Dopo la morte di Brom le era sembrato naturale continuare a viaggiare con il ragazzo, in più dopo si era aggiunto al loro gruppo Murtagh, di cui all’inizio non conoscevano le vere intenzioni e lasciarlo solo con Eragon non sarebbe stato saggio. Ma una volta qui? Lei non era interessata veramente ad unirsi ai Varden. Certo, non era una fan dell’Impero e di Galbatorix, ma neanche le interessava combattere contro di loro. Nel periodo in cui aveva conosciuto Eragon si era, per poco tempo, abituata all’idea di essere contro l’Impero in modo più attivo, ma, ora che rischiava di perdere Murtagh, forse doveva lasciare Eragon al suo destino. Quello che lui voleva, in fondo, non era quello che voleva Ellen.
“Ti puoi alzare ora? Giuro che non faccio niente”. Murtagh guardò Ellen con severità, interrompendo i suoi pensieri.
“Si, certo” disse lei un tantino imbarazzata. Si alzò e Murtagh fece lo stesso. I tre ragazzi per un secondo stettero in silenzio poi Murtagh si schirì la voce.
“Credo che c’è una cosa che dovreste sapere”. Eragon lo osservò con attenzione. “Non  vi ho raccontato tutto. Io …”.
Un ruggito di Saphira interruppe il suo discorso. Si girarono tutti verso di lei, ma Saphira guardava altro. Seguendo il suo sguardo notarono una fila nera all’orizzonte.
“Uragali” sussurrò Eragon.
“Cosa?”. Murtagh balzò in sella a Tornac e incitò gli amici a fare altrettanto.

Per tre giorni avevano cavalcato senza sosta. Ora si trovavano a percorrere l’ultimo tratto del fiume Zannadorso. Murtagh era sempre più agitato e arrabbiato perché, fino a quel momento, non avevano trovato nessuna via fra le montagne per dove potesse scappare. Negli ultimi due giorni Eragon aveva viaggiato su Saphira, nella speranza di avvistare una via per Murtagh, di stare lontano da lui ma, soprattutto, di tenere al sicuro Arya dai Kull. Avevano scoperto infatti che quelli che li seguivano non erano semplici Urgali, ma forti e spietati Kull, esseri in grado di marciare per giorni e notti senza stancarsi, che, pur di eseguire gli ordini, sarebbero anche morti.
Eragon scese verso la valle e, una volta avvistati Murtagh ed Ellen, scese planando su Saphira. I due ragazzi, nel vederli, si fermarono ed Eragon salì su Fiammabianca.
“Manca pochissimo alla cascata e abbiamo cercato di rallentare i Kull. Ne abbiamo uccisi un po’”. Ellen, sfinita, fece un debole segno di assenso. Murtagh non guardava nemmeno il compagno di viaggio, in parte ancora arrabbiato con lui.
“Mi pare chiaro che l’unico modo per salvarmi sarà andando dai Verden” disse poi, con voce fredda e venata di rabbia. Ellen ed Eragon si scambiarono uno sguardo preoccupato. “Prima di arrivare lì vorrei dirvi una cosa. Per evitare brutte sorprese”. Murtagh stette un attimo in silenzio, poi prese a slacciarsi la camicia. Sia Eragon che Ellen rimasero non poco stupiti di quel gesto, mentre Saphira scrutava il ragazzo con sospetto. Murtagh, una volta toltosi la camicia si voltò. Ellen si premette una mano sulla bocca. Una lunga cicatrice nodosa si dilungava per tutta la schiena del ragazzo, dalla spalla destra al fianco sinistro.
“Questa cicatrice mi fu inferta da mio padre. Morzan, l’ultimo dei rinnegati”. Il ragazzo si voltò tristemente, ma con sguardo risoluto, verso gli amici, che lo guardavano senza dire una parola. Si rivestì in fretta e guardò Ellen negli occhi. Il volto della ragazza esprimeva orrore e incredulità. Proprio quello che Murtagh si aspettava.




La rivelazione di Murtagh è avvenuta! Come reagiranno adesso i suoi amici? Lo scorpirete ... nella prossima puntata!
PUBBLICITA': Italia uno!
Ok, basta. La mia sanità mentale se n'è andata diverso tempo fa -.-''
Grazie per la recensione Thyarah ^^
Avanti ... lasciate un commentino anche voi lettori anonimi XD
Patty

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Capitolo 11
*** Imprigionati ***


Capitolo 11: Imprigionati

Saphira ruggì e si agitò. Ellen, Eragon! State pronti! Potrebbe attaccarvi da un momento all’altro!
Ellen si voltò a guardarla con stupore. Murtagh sospirò, come sa si aspettasse quella reazione. Eragon non sapeva cosa fare. Il figlio di Morzan! Come poteva non essere un alleato di Galbatorix? Conosceva il re? Lo aveva aiutato? Perché era lì con loro? Per spiarli? Lo aveva mandato Galbatorix, come in una specie di missione speciale? E allora perché alla fine aveva rivelato tutto, e li aveva aiutati per così tanto tempo?
Ellen prese in mano le redini di Dimitri e guardò dritto davanti a sé. “Andiamo. Non abbiamo più molto tempo”. Eragon, come ripresosi da un sogno, la seguì. Murtagh, con fare rassegnato, lo imitò.
  Ellen! La chiamò Saphira.
La ragazza schermò la mente e la dragonessa, per quanto si sforzasse, non riusciva a parlarle. Alla fine sbuffò e prese a volare accanto a loro, lanciando occhiate a Murtagh di quando in quando.
Presero a galoppare velocemente. Ormai erano avvolti dalla nebbia umida che emanava la cascata. Eragon, una volta giunti affianco alla parete di roccia, prese un pietra da terra e la batté tre volte sulla sua dura superficie, pronunciando alcune parole nell’antica lingua. Non accadde niente.
“Eragon! Stanno arrivando!”. Riuscivano a vedere i primi Kull apparire di fronte a loro.
“Non funziona!” disse Eragon. “Non capisco”. Ripeté di nuovo le parole, ma non accadde ancora nulla. Eragon si voltò disperato. I Kull erano a pochi metri da loro. Eragon stimò che, viste le poche forze che gli rimanevano, non poteva usare per molto la magia. Sguainò Zar’roc. Saphira ruggì e disse qualcosa ad Eragon.
“Eragon!” esclamò Ellen guardandolo. “Non possiamo combatterli tutti. Riprova!”.
“Devo andare dall’altra parte del fiume. Siamo sulla riva sbagliata!”.
“Cosa?”. Ellen osservò il muro di roccia dietro di sé, come se quello potesse confermarlo. “Dì a Saphira di portarti! Qui ci pensiamo noi” disse scoccando un’occhiata a Murtagh. Eragon annuì e chiamò mentalmente Saphira, che lo raccolse sul dorso. Nel frattempo i Kull erano quasi arrivati.
“Murtagh?” chiamò Ellen.
“Si?” rispose il ragazzo, che dal momento della rivelazione della sua identità non aveva proferito parola.
“Sappi che non m’importa chi sei. Potresti anche essere il fratello di Galbatorix, per quanto mi riguarda”.
Murtagh la osservò per un’istante, poi sorrise debolmente.
“Grazie” rispose.
In quel momento un Kull si lanciò su di loro. Lo scontro iniziò. Più feroce e più duro che mai. Ellen mozzò la testa a due Kull e ne ferì un terzo. Murtagh ne uccise uno con grande abilità, poi colpì altri tre Kull, ferendoli gravemente. All’improvviso videro uno sciame di soldati comparire dal nulla dietro di loro. Ellen rimase spiazzata per un secondo ma Murtagh imprecò e continuò a combattere. Uccise un altro Kull, che lo ferì ad una spalla con una lama lunga e ritorta. Il ragazzo gridò, sentendo qualcosa che gli premeva la ferita. Si girò e vide un piccolo nano dall’aria riottosa chiamarlo e fargli segno si seguirlo. Vide che Ellen stava sparendo in quel momento dietro la spessa coltre di nebbia della cascata.
Velocemente lui e il nano si allontanarono dalla battaglia. Passarono vicinissimi alla cascata e Murtagh sentì l’umidità appiccicarsi a lui con sollievo. Finalmente un po’ di fresco dopo tutta la fatica che aveva fatto! Quello era forse l’unico lato positivo di tutta la storia. Avanzando un po’ alla cieca, dato che la coltre di umidità era molto spessa, Murtagh si ritrovò all’improvviso in una sala dal soffitto basso, con pareti di pietra aspra e grigia. Davanti a lui c’erano già Eragon, Ellen e Saphira, insieme a qualche soldato e un uomo calvo con una tunica arancione e rossa, sicuramente un mago.
Il nano affianco a Murtagh si avvicinò subito all’uomo e gli sussurrò qualcosa. L’uomo gli rispose aspramente, poi si rivolse ai nuovi arrivati.
“Cavaliere, signore e … signorina, ci rincresce ma dobbiamo sondare le vostre menti. Per sapere se possiamo fidarci di voi” disse osservandoli malevolmente.
“No” disse subito Ellen. “Non guarderete nella mia mente”. Una volta Brom aveva detto che la mente era l’ultimo rifugio dell’uomo, l’ultima cosa che fosse solo sua. Non voleva che degli estranei la esaminassero. In più aveva delle informazioni che sarebbero risultate scomode se rivelate.
“Nemmeno io mi farò controllare” aggiunse poco dopo Murtagh. L’uomo calvo si infuriò.
“Se vi rifiutate non preoccupatevi che mi prenderò i vostri ricordi con la forza!”.
Ellen, improvvisamente, si sentì colpire da un dolore lancinante al cervello, come se un ago le stesse entrando nelle orecchie. Strinse gli occhi e, senza accorgersene, mise tutti i muscoli in tensione. Si concentrò su un muro e cercò di pensare solo a quello. Dopo quasi un minuto di quella tortura la forza che cercava di sondarle l’animo si ritirò. Aprì gli occhi, spossata. L’uomo calvo la guardava con rabbia poi, chiudendo gli occhi e traendo un grosso respiro, si concentrò su Murtagh. Eragon guardò come i suoi amici venivano sottoposti al dolore, anche fisico, di una mente sondata, e provò rabbia verso quell’uomo, che li costringeva a dare una parte di loro che non volevano svelare. Si rendeva conto, però, che lui doveva sottostare alla legge. In più, con l’aiuto di Saphira, poteva facilmente nascondere i pensieri che non voleva svelare a nessuno. Gli insegnamenti di Brom, l’incontro con Angela, le parole di Solembum e l’identità di Murtagh.
“Cavaliere ..” disse l’uomo calvo con voce rabbiosa quando ebbe finito con Murtagh, con risultati nulli.
“Sono pronto” disse il ragazzo.
Dopo che l’uomo ebbe visionato la sua mente il nano gli disse qualcosa sottovoce. “Se non volete farvi esaminare saremmo costretti a usare la violenza” disse poi l’uomo a Murtagh ed Ellen.
“Non dire sciocchezze!” intervenne a quel punto il nano, furente. “Non sanno nemmeno usare la magia!” disse indicandoli. “Non possono fuggire o nuocerci in alcun modo” concluse. “Ajhiad non sarebbe d’accordo”.
“So io cosa vuole Ajhiad” sussurrò l’uomo guardando storto il nano. Poi, rivolgendosi a due soldati: “Portateli in cella!”.
Murtagh ed Ellen vennero circondati da guardie e condotti fuori dalla sala attraverso una piccola porta nascosta nella parete. Eragon li guardò preoccupato, scambiando con loro un ultimo sguardo. I soldati li condussero per diversi corridoi stretti e bui, illuminati fiocamente da lampade appese alle pareti. Arrivarono in un salone circolare con diverse porte.
“Entrate” disse bruscamente uno dei soldati aprendo una porta. Ellen e Murtagh furono praticamente spinti dentro la cella, poi la porta venne loro chiusa in faccia.
Murtagh sospirò e si guardò intorno. La cella era spoglia e umida, un rettangolino grigio non troppo spazioso e vi era un solo letto. “Prego, te lo cedo” disse a Ellen indicandolo.
“Oh non essere sciocco!” disse lei sedendosi a gambe incrociate su un lato del letto e dicendogli di fare lo stesso. “Non ti farò dormire per terra”.
“Grazie” disse Murtagh sedendosi a sua volta. Rimasero un po’ in silenzio, poi Ellen sbadigliò forte. “Anche se siamo in cella puoi dormire. Anzi, puoi fare praticamente solo quello” le disse il ragazzo nel vederla così stanca.
“Già”. Ellen si distese, seguita subito dopo da Murtagh, che le cinse un fianco con le braccia. Erano uno di fronte all’altro. “Sai qual è la cosa buona di tutto questo casino?” chiese al ragazzo.
“Devi essere veramente ottimista per trovare qualcosa di buono”.
“Non ci vuole poi molto … almeno sono insieme a te” disse la ragazza accoccolandosi addosso a lui. Murtagh sorrise tra sé e sé e baciò la testa di Ellen.
Poco dopo si addormentarono, l’uno fra le braccia dell’altro.

Un forte rumore fece sobbalzare Murtagh, che si svegliò di soprassalto. Si guardò intorno disorientato, poi ricordò dove fosse. Al suo fianco Ellen aprì gli occhi.
“Cos’è questo rumore?” chiese, la voce intrisa di sonno.
La porta della cella si aprì cigolando. Entrarono due guardie dall’aria severa, armate di spada e sguardo poco rassicurante. Una di loro gli si parò davanti e fece un piccolo inchino sia a Murtagh che ad Ellen. I due rimasero grandemente stupiti.
“Ajhiad, capo dei Varden, desidera parlare con entrambi. Vi preghiamo di seguirci nel suo ufficio”. Ellen e Murtagh si guardarono per un istante, poi si alzarono dal letto e si avviarono, insieme ai soldati che, nonostante le buone maniere, li scortarono verso i tunnel di pietra in ranghi serrati.
  E io che pensavo fossimo prigionieri, pensò Murtagh appena prima di arrivare da Ajhiad. Di fronte all’ufficio, una porta grande, di legno massiccio intarsiata con altorilievi, uno dei soldati chiese loro di aspettare e li lasciò per qualche minuto insieme al suo compagno. Dopo un po’ le porte di fronte a loro si aprirono e diedero spazio ad una camera dal soffitto alto a volta, con varie librerie stracolme addossate alla parete e una grossa scrivania in mogano esattamente al centro della stanza.
“Ajhiad è pronto a ricevervi” disse il soldato da dietro un battente della porta. Murtagh ed Ellen si sedettero di fronte alla scrivania, su due comode poltrone rosse e beige. I soldati dietro di loro chiusero il portone e, Ellen se ne accorse, li affiancarono, le mani alle armi. Murtagh non ci fece nemmeno caso, era nervoso, non era sicuro che quell’incontro con Ahjiad andasse a buon fine.
“Buona sera” una voce profonda proveniente dall’angolo fece sobbalzare entrambi i ragazzi, che si voltarono a guardare da chi mai provenisse. Un uomo nero, slanciato ma muscoloso, veniva verso di loro. Aveva occhi penetranti che scrutavano a fondo i due stranieri, sopracciglia folte leggermente corrugate e un portamento degno di un re. Era arrivato da una porta laterale nascosta alla vista. Si sedette alla scrivania con un sospiro e prese a guardare Murtagh, che, sentitosi preso in causa, resse lo sguardo, spavaldo.
“Murtagh, vero?” chiese osservandolo.
“Si” rispose il ragazzo senza aggiungere altro. Ajhiad sospirò.
“Riconosco la tua voce … allora, vuoi, per favore, mostrarmi la schiena o confessi di tua spontanea volontà?”. A quelle parole il ragazzo abbassò nuovamente lo sguardo e prese a tormentarsi le mani.
“No … no, sono io. Sono Murtagh, unico erede di Morzan, l’ultimo dei rinnegati”. Ellen affianco a lui era nervosa.
“Mi dispiace Murtagh, ma finchè non permetterai ai gemelli di sondare la tua mente temo che dovrò tenerti come un prigioniero” disse Ajhiad unendo le mani e appoggiando un gomito al bracciolo della sua poltrona.
“Capisco. Però ti dico solo una cosa: non è il figlio a scegliersi il padre Ajhiad, capo dei Varden e, per quanto questi sia una figura importante nell’infanzia di un bambino, non potrò mai perdonare al mio quello che ha fatto”.
“Ne sono sicuro Murtagh, ma purtroppo le regole per entrare nel Farthen Dur sono chiare. Era stato stabilito da me e da Rothgar quando ci diede asilo nella montagna e, visto che i tempi non sono cambiati, non credo che dovremmo fare un strappo alla regola”.
“Capisco” ripeté Murtagh.
“Naturalmente ti porteremo in un luogo più confortevole d’ora in poi e, siccome sono sicuro che ognuno di voi due voglia la propria intimità, vi daremo una camera ognuno” disse Ajhiad scoccando un’occhiata anche ad Ellen.
“Oh no, non è necessario” si affrettò a dire Murtagh. L’uomo lo guardò per un secondo, certamente stupito. “Noi stiamo bene anche così, non ce n’è bisogno, davvero”.
Ajhiad li osservò qualche istante poi acconsentì, fece un gesto in direzione di uno dei soldati, che s’inchinò e uscì dalla sala.
“Ora … capisco il desiderio di Murtagh di non far conoscere il suo passato, ma tu?” chiese rivoltosi ad Ellen. “E’ forse una presa di posizione contro ciò che facciamo, hai qualcosa da nascondere o vuoi solo proteggere anche tu i tuoi ricordi?”.
“Io … credo tutte queste cose” disse Ellen. “E poi, anche se cercaste, non trovereste nulla di prima dei miei tredici anni”. Ajhiad la guardò interrogativo, così Ellen prese a spiegare. Raccontò di Gellert e Monica e degli Urgali, della sua memoria sopita, che non era stata risvegliata nemmeno da Saphira. Non disse nulla riguardo a Brom, al giorno in cui incontrò lui ed Eragon, ma dovette subito inventarsi un motivo alla domanda di Ajhiad: “Perché hai seguito Brom ed Eragon?”.
“A Daret non c’era nulla per me. Pensavo che fossero dei semplici viaggiatori. Li seguii e Brom mi suggerì di viaggiare con loro. All’inizio pensavo che lo facessero perché avevo visto Saphira, e loro non potevano permettersi che qualcuno andasse in giro a dire di aver visto un drago, o l’Impero avrebbe sicuramente trovato conferma il suoi dubbi, ma, dopo la morte di Brom, mi sembrò naturale proseguire il viaggio con Eragon. Ormai noi due eravamo diventati amici, e anche con Saphira abbiamo ... legato”.
“Voi sapevate di Murtagh?” chiese Ajhiad dopo aver fatto una pausa, in cui aveva ponderato le parole di Ellen.
“Hm … si, ha cercato più volte di dircelo, ma l’abbiamo saputo appena prima di arrivare nel Farthen Dur”.
“Non glielo hai voluto dire? Eppure avete viaggiato assieme per tanto”.
Murtagh trafisse Ajhiad con lo sguardo. “Tutti hanno sempre la stessa reazione quando dico di essere figlio di Morzan” disse con astio. “Non vedevo che bisogno c’era di farmi disprezzare”.
Ajhiad sospirò. “Capisco” disse abbassando lo sguardo. “B’è … io ho finito, potete andare”.
Ellen e Murtagh si alzarono e il soldato si accostò subito vicino a Murtagh. “Ajhiad” chiamò il ragazzo prima di uscire. L’uomo alzò o sguardo su di lui. “Se non mi darai mai fiducia non avrò mai occasione di provarti che io non sono mio padre”.
“Ci sarà un’occasione, vedrai” disse Ajhiad con un sorriso triste. Murtagh annuì e si voltò per andarsene, con Ellen al seguito e il soldato affianco.
Ancora una volta furono guidati attraverso cunicoli e strette vie. Ellen pensò che, se fosse stato per lei, di sicuro si sarebbero persi alla prima curva. Alla fine del tragitto giunsero di fronte ad una porta di pietra. Il soldato la aprì con una grossa chiave.
“Formalmente … siete ancora prigionieri” disse stringendosi nelle spalle. Quindi aprì la porta. Ellen non aveva mai visto una stanza così, pensò che avrebbe dovuto farsi imprigionare dai Varden più spesso. La stanza era abbastanza grande da contenere due letti muniti di morbide coperte, una scrivania con sopra fogli, un vasetto d’inchiostro, una penna d’aquila e alcuni libri, e un piccolo lavabo con sopra uno specchio.
Ellen emise un fischio sommesso. Il soldato sorrise alla sua incredulità e le fece segno di entrare.
“Se avete bisogno di qualcosa chiedete pure. Io starò qua fuori … basta che bussiate”.
“Ok … allora … ci vediamo” disse Ellen alquanto imbarazzata per quello strano incontro. Non sapeva bene se doveva essere amichevole con quel soldato, che sembrava molto giovale, o fredda, siccome la stava rinchiudendo in una cella, per quando grande e spaziosa.
“Aspetta!” Murtagh lo fermò.
“Si?”.
“Non è che potrei farmi un bagno?” chiese Murtagh.
“Giusto! Pure io, e magari potrei prendere altri vestiti dalla mia borsa, se mi è permesso” intervenne Ellen.
“Certo. Aspettate qui solo un minuto” disse il soldato richiudendo la porta. Dopo meno di cinque minuti tornò e disse loro di seguirlo.
Portò Ellen davanti all’entrata di un grosso bagno e condusse Murtagh a quello attiguo, dicendo che, quando avrebbero finito, avrebbero trovato vestiti puliti, e che lui li avrebbe aspettati lì fuori.
Murtagh, una volta nella vasca di pietra si rilassò completamente, distendendo i muscoli in tensione. Si lavò i capelli e il corpo con oli profumati e, quando ebbe finito e si fu asciugato, una volta fuori dalla stanza con la vasca, trovò dei vestiti comodi e che sapevano di pulito. Una camicia bianca con grossi bottoni e dei pantaloni di pelle nera, resistenti e davvero comodi.
All’entrata dei bagni incontrò il soldato di prima che parlava con uno dei suoi compagni. Nel vederlo quest’ultimo si alzò e condusse Murtagh alla cella. Non era simpatico come l’altro e non disse una sola parola per tutto il tragitto. Dopo circa venti minuti arrivò Ellen.
“Ok, ci vediamo. Ciao” la ragazza salutò il soldato ed entrò nella cella. Era simpatico.
“Ce ne hai messo di tempo!” esclamò Murtagh. “Vanitosa”.
“Non è vero!” Ellen si sedette sul letto affianco a lui. “E’ perché era rilassante. E poi io … ho i capelli più lunghi”.
“Che vuol dire scusa?!”.
“Che ci metto di più a lavarli” rispose la ragazza come se fosse ovvio.
“Come no. Guarda che capisco che tu sia vanitosa … e, a proposito, come sei vestita?”.
“Lo sapevo che avresti fatto commenti!” disse Ellen stropicciando il vestito con le mani.
“No ferma. Fa vedere” disse Murtagh alzandosi dal letto e tirandola su con una mano. La ragazza si alzò e fece vedere bene il vestito, in più Murtagh la fece girare con una mano, come se stessero ballando.
Ellen indossava un vestito verde con maniche alquanto vaporose, un nastro rosso acceso sotto il petto lo stringeva per poi farlo gonfiare fino alle ginocchia, dove finiva con piccoli ricami rossi anch’essi.
“Ti sta bene” commentò Murtagh.
“Davvero? E’ da un sacco che non ne indosso uno. Più di due anni” disse la ragazza mettendosi di fronte allo specchio.
“Hai visto, quindi? Ecco la prova” disse Murtagh mettendosi dietro di lei.
“Cosa?”.
“La prova che dimostra che sei vanitosa” disse il ragazzo ghignado.
“Uff … e se anche fosse? Non è proprio un vestito che indosso tutti i giorni, sai? Me lo posso permettere per questa volta” disse Ellen voltandosi verso lo specchio.
“Meglio che tu lo faccia spesso, perché sei davvero bella quando ti guardi allo specchio” disse Murtagh cingendole la vita da dietro e dandole un bacio sul collo.
Ellen si rigirò nella sua stretta e lo baciò delicatamente. Presto il bacio, da delicato e casto, divenne più approfondito. Murtagh sollevò Ellen e la fece sdraiare sul letto, posandosi poi sopra di lei. Cominciò a trafficare con i lacci rossi del vestito, ma la ragazza fu più veloce e gli slacciò subito la camicia. Quando, alla fine, gliela tolse del tutto, Murtagh fece per sfilarle il vestito.
“E’ un peccato però … lo hai appena messo” disse bloccandosi.
“Eh già, potrebbe sentire la mia mancanza, poverino”.
“Non credo … vi conoscete da poco”.
Ellen fece finta di pensarci su. “Uhm … allora va bene”.
Murtagh sorrise e le sfilò il vestito, osservando il corpo esile ma forte di Ellen sotto di lui. Lanciò il vestito in un angolo della stanza e le prese le mani nelle sue, dandole un altro bacio.




Oddeo! In una delle celle dei nani si consuma un atto peccaminoso! XD XD Allora, che mi dite di questo capitolo? Non potevo far infuriare Ellen, povero Murtagh altrimenti (è già abbastanza sfigato di suo, non aggiungiamoci pure questa! XD)

Spring Thunder: hai proprio ragione W Murtagh! Spero che questo capitolo ti sia piaciuto, come vedi Ellen fa passi da gigante con il nostro Murtagh heheheh!

Thyarah: ovviamente tu ci sei sempre! Grazie mille! Credo che se Ellen avesse deciso di picchiare Murtagh per la sua discendenza avrebbe vinto lei XD ... Mhauhahahah! Ellen for president!

Cavolo, ho appena visto che il prossimo capitolo è lungo O.O Non mi ricordavo di scrivere capitoli così lungosi .... b'è non importa, al prosismo capitolo;
Patty

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Capitolo 12
*** Fiducia ***


Capitolo 12: Fiducia

Un sordo bussare svegliò Murtagh, che si portò una mano alla tempia e si stropicciò gli occhi con l’altra. Ancora qualcuno che bussava.
“Un secondo!”. Murtagh si mise in fretta camicia e pantaloni e si abbottonò alla meglio. “Ecco, ci sono!”.
La porta si aprì lentamente. Una giovane donna entrò con un grosso vassoio in mano.
“Vi ho portato la colazione” disse poggiando il vassoio sulla scrivania. Ellen mugugnò qualcosa e si rigirò nel sonno. La ragazza, nel vederla semi svestita, guardò un secondo Murtagh poi sorrise imbarazzata e volse lo sguardo altrove.
“Ee … grazie” disse Murtagh cercando di dissipare l’imbarazzo. “Chi sei?” chiese poi notando l’abbigliamento elegante della ragazza e il suo portamento regale.
“Sono Nasuada, figlia di Ajhiad” disse inchinandosi leggermente.
“Non sapevo che Ajhiad avesse una figlia” disse Murtagh rispondendo all’inchino. “Io sono …”.
“Murtagh, lo so. Ero curiosa di conoscerti, sono venuta apposta” disse sorridendo leggermente.
“B’è … è un onore. Ti presenterei la mia coinquilina ma, come vedi, dorme” disse Murtagh indicando Ellen.
“Oh, non importa, sarà per un’altra volta. Ci vediamo Murtagh” disse la ragazza ritirandosi.
Appena la porta si fu chiusa Ellen si alzò. “Non ti posso lasciare da solo un attimo, vero?”.
“Eh, ma che dici?” Murtagh andò verso il vassoio e prese alcune cose da mangiare, che porse ad Ellen, la quale divorò tutto, famelica.
“Dico che” disse ingoiando, “appena mi volto una ragazza bellissima arriva qui a mia insaputa”.
“E’ la figlia di Ajhiad”.
“Ho sentito …”.
“Ma se eri sveglia perché non ti sei alzata?”.
“Non avevo voglia di parlarle, scommetto che ci saranno altre occasioni. L’ha detto anche lei. Magari occasioni nelle quali io non sono in biancheria intima”.
“Sarebbe di sicuro più consono … ma mi va bene anche così” disse Murtagh osservandola con occhio critico.
“E ti capisco, fidati, ma temo che mi dovrò rivestire” disse Ellen balzando in piedi e andando verso il lavabo.
“Peccato” disse Murtagh guardandola e stendendosi sul letto con una brioche in mano. Passò qualche secondo, poi Murtagh ghignò. “Sei gelosa?”.
“Gelosa io? Impossibile. Non esiste la parola gelosia nel mio vocabolario”.
“Ah, ho capito. Guarda che non c’è nulla di male … anzi, penso che non mi dispiaccia”.
“Che?” Ellen si voltò incredula. “E perché dovrebbe piacerti il fatto che io sia gelosa?” chiese con le mani sulle anche.
“Quindi lo ammetti!” disse Murtagh balzando in piedi e indicandola.
“No, io … oh cavolo!” disse Ellen rendendosi conto che Murtagh l’aveva fatta confessare. “Comunque non sono preoccupata … è solo che mi sta antipatica. Non doveva irrompere così!”.
“E perché? Ci ha portato da mangiare!”. Come a sottolineare quello in ragazzo ingollò un biscotto.
“E’ vero però … Oh sei Murtagh lo so!” disse scimmiottando Nasuada. Il ragazzo rise e prese un altro biscotto.
“Già … magari è una persona petulante”.
“Forse sto diventando paranoica” disse Ellen cercando di agguantare il biscotto in mano a Murtagh.
“Bene … vuol dire che ti piaccio davvero”. Murtagh alzò il braccio in modo che il biscotto fosse fuori dalla portata della bocca della ragazza.
“Daai … ho fame!” si lamentò Ellen stirandosi il più possibile verso il biscotto.
“Ho più fame io” disse Murtagh mettendo in bocca l’intero dolce.
“No! L’hai mangiato! Senza nemmeno lasciarmene un pezzetto!” disse Ellen indignata.
Murtagh la cinse per la vita e la fece scivolare sul letto, sotto di sé. “Che cattivo, vero?”.
“Già … per questo meriti una punizione” disse Ellen ribaltando le posizioni e ritrovandosi a cavalcioni sul ragazzo.
“Dovrò mangiarti più biscotti! Se le tue punizioni sono così ne voglio tantissime”.
“Vorresti eh?” disse Ellen ghignando e facendo aderire i loro corpi.
Un rumore sordo interrupe i due giovani. “Oggi è una giornata piena di interruzioni!” esclamò Ellen. Si alzò e raccolse il famoso vestito verde e rosso da terra, infilandoselo frettolosamente.
“Posso entrare?!” chiese una voce familiare.
“Eragon!”. Ellen si mise vicino alla porta. “Entra!”. Appena il ragazzo fu entrato lei gli saltò addosso, stringendolo in una mossa stile piovra.
“Ellen! Anche io sono felice di rivederti …” disse Eragon interpretando correttamente il gesto della ragazza. Dietro di lei Murtagh ghignava.
“Allora come va?” chiese loro Eragon una volta liberato.
“Bene!” esclamò Ellen sorridendo. “Talmente tanto che ora vado in bagno” disse dirigendosi verso la porticina quasi invisibile che stava nell’angolo più remoto della cella.
“Wow” disse Eragon guardandosi intorno, “Lo sai che stai meglio di me? Io dormo in una stanza enorme, spoglia e con Saphira! Tu invece in una cameretta attrezzata insieme a Ellen”. Murtagh rise per quell’assurdo paragone. “A proposito, come vanno le cose con lei?”.
“Bene” rispose Murtagh arrossendo lievemente e sedendosi sul letto. Eragon lo imitò.
“Era ora! Vi ci è voluta una prigionia per …” s'interruppe di colpo.
“Per?” chiese Murtagh guardandolo truce. Eragon deglutì accennando un sorriso.
“E be … per … diventare … intimi?”.
“Ma sta’ zitto!” disse Murtagh prendendo il cuscino alla sua destra e tirandoglielo sulla faccia, interrompendo la grossa risata di Eragon. “Se è solo per dar aria alla bocca dimmi: tu invece quando troverai una ragazza?”.
“Non lo so. Non la sto cercando … però magari l’ho già trovata”.
“E dimmi, chi è?” chiese Murtagh complice.
“Ah non lo so!” disse Eragon stirando le braccia verso l’alto.
“La principessa Nasuada? Arya? Saphira?” chiese Murtagh avvicinandosi sempre di più all’amico.
“Eh?! Ma che dici? Poi quello che dà aria alla bocca sono io” disse Eragon indicandosi. “Saphira!” Ripeté in un sussurro mischiato ad uno sbuffo.
“Dai Eragon!” lo punzecchiò ancora Murtagh.
“Humm va bene, se proprio lo vuoi sapere … mi piace un po’ Arya … credo … forse … non lo so!”.
“Un elfa!” esclamò in ragazzo con un fischio. “Punti in alto. Prima Arya … poi, il mondo!” disse solennemente.
“Ma che cos’hai stamattina?” chiese Eragon cercando di cambiare discorso.
“Non lo so, sarà che sono riposato”.
In quel momento Ellen uscì dal bagno e si richiuse la porta dietro la schiena. Andò verso il letto e si sedette a gambe incrociate accanto ad Eragon.
“Ellen! Che vestito”esclamò il ragazzo che prima non aveva notato l’abito della ragazza.
“Si lo so, non dirmelo. Com’è femminile!” disse alzando gli occhi al cielo. “Ma sapete, il fatto che non indossi spesso queste cose non vuol dire che non possa farlo. E poi, se continuate così, credo che lo toglierò presto e pretenderò dei vestiti veri. Lo dirò alla guardia”.
Murtagh ed Eragon si guardarono per un secondo e poi scoppiarono a ridere. Ellen mugugnò qualcosa alzando gli occhi al soffitto. Andarono avanti così per tutto il giorno, Eragon si fermò anche a mangiare insieme a loro quando portarono il pranzo. Raccontò loro di Arya, che stava bene e si era rimessa. Anzi, si era rimessa talmente tanto bene che l’aveva anche battuto ad un duello con la spada. Descrisse loro il Farther Dur, raccontò dell’incontro con Ajhiad e Rotghar e raccontò, su richiesta di Ellen, com’era un nano. Murtagh lo aiutò nella descrizione dato che lui ne aveva già visti di nani alla corte di Galbatorix. Non proprio chiaramente, ovvio, non aveva mai parlato con loro, ma ne aveva visti un po’ una volta da piccolo e uno che era stato catturato uno o due anni fa dai soldati del Re.
Solo verso sera Eragon se ne andò, lasciandoli ancora nella noia.
“Uffa! E ora cosa facciamo?” chiese Murtagh sdraiandosi a pancia in giù sul materasso.
“Boh” sbuffò Ellen, seduta su una delle sedie della scrivania.
“Magari potrei chiedere alla guardia di portarci qualche libro” disse Murtagh.
“Si ma … intanto che tu leggi io che faccio?”.
“Qui Ellen. Guarda qui” una donna dall’aspetto severo la richiamò all’attenzione. Una bimba di circa sei anni si voltò malinconicamente verso di lei.
“Perché non posso andare fuori ad allenarmi come gli altri?”.
“Perché sai a malapena l’alfabeto” disse stizzita la donna. Aveva gli occhi allungati e i capelli neri e lisci da cui spuntavano delle sottili orecchie a punta. “Ricomincia, avanti” disse mettendole in mano una penna e avvicinandole la boccetta d’inchiostro nero. “Proprio tu, sarebbe una vergogna se non sapessi leggere!”.
“Ma che vergogna, non sai leggere?” esclamò Murtagh divertito. Ellen si riscosse dai suoi pensieri e si portò una mano alla testa. “Ti senti male?” chiese poi il ragazzo alzando il busto dal letto vedendo il suo gesto.
“No .. no, sto bene. E’ solo che …”.
“Si?”.
“Credo di aver avuto una specie di … ricordo, qualcosa così”. Murtagh la guardò con gli occhi sgranati. “Sto bene” ripeté la ragazza innervosendosi. “Non guardarmi così”.
“Scusa” disse subito lui distogliendo lo sguardo. “E’ solo che … è strano”.
“Mi era già capitato prima, solo una volta” disse Ellen fissando un punto imprecisato della parete e mettendo un unghia in bocca.
“Davvero? Quando?”.
“Quando incontrai Eragon e Brom”. Siccome non continuava Murtagh intuì che non ne voleva parlare. Forse per Brom, o per il ricordo stesso.
“Lo sai che …”.
“Che cosa?” chiese la ragazza lanciandogli un’occhiata.
“… che non avevo mai notato che hai un neo enorme proprio …” Murtagh si avvicinò a lei e le schiacciò un dito contro il centro della fronte “… qui!”.
“Davvero?” chiese Ellen strofinandosi una mano sulla fronte.
“No” rispose Murtagh rimettendosi sul letto.
“Ma …!”.
Murtagh sorrise fra sé e sé: almeno aveva fatto distrarre Ellen.

“No, allora … di solito si legge così, ma non quando si trova alla fine” spiegò ancora una volta pazientemente Murtagh.
“Ah già”. Ellen si morse un labbro e osservò attentamente il libro che aveva davanti. “Quindi anche questa qui vero?” chiese indicando una runa sul foglio.
“Si esatto”.
Era da tre giorni che Murtagh provava ad insegnare a leggere ad Ellen. La ragazza capiva in fretta le cose, ma tendeva a dimenticarsele altrettanto velocemente, quindi il povero insegnante doveva ripeterle molte volte prima che si radicassero nella sua testa.
“Ok, allora: aperse con le … m-mani … la pesante …” non fece in tempo a finire che qualcuno bussò alla porta.
“Si?”. Murtagh alzò gli occhi dal libro, mentre Ellen ancora cercava di leggere qualche parola. Il soldato che stava di guardia di fronte alla loro cella entrò. Era pallido, sembrava nervoso e portava un’armatura completa di spada e scudo.
“Un esercito di Urgali si avvicina velocemente al Farthen Dur” disse con voce grave. “Ajhiad ha detto che potete combattere … per dimostrare la vostra fedeltà”.
“Cosa? Un esercito di Urgali?!” chiese Ellen stupita. Il soldato annuì, poi si voltò e prese una sacca da terra. “Qui ci sono i vostri vestiti e le vostre armi. Si stima che il primo battaglione sarà qui fra poco più di un’ora”.
“Un’ora? Potevate avvisarci prima!” esclamò Murtagh alzandosi e prendendo subito le sue cose. “Sono fuori allenamento” mormorò.
“Si pure io” gli fece eco Ellen.
“Io vi aspetto fuori” disse il soldato.
I due ragazzi si vestirono in fretta, dopodiché vennero portati dal soldato per miriadi di intricate gallerie. Camminarono per quasi un quarto d’ora, infine giunsero in una grande sala dal soffitto alto. Centinaia di soldati, nani e umani, erano seduti a terra, mangiavano e bevevano per rinvigorirsi. In un angolo della sala, anche se cercava di non dare troppo nell’occhio, si stagliava la grossa e massiccia figura di Saphira. Indossava un armatura di metallo che le copriva il muso, il ventre, il torace e la coda.
“Saphira!”. Ellen le corse incontro felice, un sorriso stampato sul volto. La dragonessa, per tutta risposta, si rizzò in piedi dalla postura accucciata in cui stava e spazzolò la terra con la coda, come un cagnolino che scodinzola quando rivede il padrone.
  Saphira! Mi sei mancata!
  Anche tu. Potevi anche cercare di contattarmi, dopotutto non eravamo così lontani.
  Lo so, e infatti ci ho provato, ma forse le rocce hanno fatto da intralcio. Qui è solo tutto grigio.
  Siamo dentro una montagna … comunque hai ragione. Non mi dispiacerebbe se potessimo uscire un po’ all’aperto. Però temo che ora sia impossibile dato che abbiamo portato i Kull direttamente all’entrata del Farthen Dur.
  Infatti …
“Ellen”. Eragon avanzò, anche lui in armatura scintillante e abbracciò calorosamente la ragazza, poi si rivolse a Murtagh e gli diede una grossa pacca sulla spalla, accompagnandosi con un sorriso.
Murtagh notò solo in quel momento la presenza di un piccolo nano tozzo, con barba e capelli irsuti, che borbottava qualcosa e lo guardava di sottecchi. Anche Eragon parve notarlo e, per dissipare l’imbarazzo, li presentò.
“Lui è Orik” disse indicando il nano. “Loro sono Murtagh e Ellen”.
“Piacere” disse la ragazza tendendo la mano al nano e ricevendo in cambio una potente  e ruvida stretta. Murtagh non fece nemmeno il gesto, sicuro che Orik non avrebbe ricambiato. Ellen spostò lo sguardo da Murtagh a Orik, incapace di capire cosa stesse succedendo. Le sembrava quasi impossibile che ancora nutrissero dei sospetti verso Murtagh.
“Cosa ci fate qui comunque?” chiese Eragon.
“Ajhiad ci lascia partecipare alla battaglia, per provare la nostra lealtà eccetera eccetera” rispose Ellen sbrigativa.
“Rothgar non è d’accordo con questa scelta” borbottò Orik guardando fisso di fronte a sé e incrociando le braccia al petto.
“Rothgar non è il mio re” sibilò Murtagh in risposta. Il nano alzò la testa, offeso.
“Di chi credi sia questo posto? Chi, secondo te, ti sta ospitando?”.
“Hai ragione. Le vostre celle sono confortevoli” rispose Murtagh voltandosi dall’altra parte. Orik sbuffò e tornò a guardare di fronte a sé.
Rimasero per qualche minuto in silenzio, poi Ellen sentì distintamente Eragon sussultare. Si voltò a seguire lo sguardo del ragazzo, puntato su qualcosa che veniva verso di loro. Arya avanzava fiera, la testa alta e il passo svelto. Portava i capelli raccolti in una coda e la spada al fianco.
“Arya!” esclamò Eragon andandole incontro. Murtagh lo guardò e sogghignò. Eragon, intercettando il suo sguardo, s’incupì e moderò l’entusiasmo.
“Siete pronti?”.
“Si, certo. Ma tu perché non sei andata con le donne e bambini?” chiese il ragazzo. Arya storse la faccia e lo guardò con severità.
“Io non sono una donna umana. Scappano di fronte al pericolo e lasciano le incombenze ai guerrieri” disse acidamente. Ellen, nel sentirla, si chiese come mai Eragon fosse così felice di vederla. Ma che antipatica! Diede un colpo di tosse e si avvicinò ad Eragon.
“Evidentemente abbiamo culture diverse, ma ogni uomo vuole proteggere la sua famiglia. E preferisce che la moglie e il figlio non corrano pericolo. E’ forse sbagliato?”. Arya la guardò per qualche istante.
“Punti di vista. Gli umani sono per lo più deboli, vivono poco ma prolificano” rispose infine. “Tu sei Ellen, non è così?”.
“Già”. La ragazza le strinse la mano e le due si guardarono con un pizzico di astio. “Per lo meno nella nostra corta vita ci divertiamo un sacco”. Scambiò uno sguardo con Murtagh, che represse una risata e la tirò per la mano.
“Piacere di conoscerti Arya” disse in fretta il ragazzo, “Ora … noi andiamo, eh?” e così dicendo trascinò via Ellen. “Ma cosa ti salta in testa?” chiese poi con un sorriso quando si furono allontanati.
“Ma che bel ringraziamento per gli umani che ti hanno salvata! Hai sentito che ha detto?!”.
“Ho sentito. Questo non è comunque un motivo per saltarle addosso in quel modo. Gli elfi se le ricordano queste cose. Arya sembra godere di importanza anche fra la sua specie, quindi non farla arrabbiare. Potrebbe darti un sacco di problemi”.
“Che si ricordi pure tutto! Non m’importa! Pensa di essere migliore solo perché vive di più? Mica lo hai scelto tu di nascere elfo, sai? Ti prendi il merito di una cosa che è successa per caso!”. Nel vederla così arrabbiata a Murtagh scappò un sorriso.
“Sei divertente quando ti arrabbi”. Le cinse la vita e la trascinò a sé, scoccandole un grosso bacio sulla fronte. I due presero a baciarsi dolcemente, l’uno fra le braccia dell’altro.
“Lo vedo come proliferate, sembra davvero un sacco divertente”. S’interruppero quando sentirono una voce dietro di loro. Arya, con le mani sui fianchi e un sottile sorriso sulle labbra, stava di fronte a loro. “Dovete venire di là … i nani hanno annunciato che la prima pattuglia di Urgali è in arrivo”.
Ellen e Murtagh si guardarono per un secondo stupiti, rossi in viso, poi si allontanarono l’uno dall’altra velocemente.
“Si … andiamo” sussurrò Murtagh guardando per terra.

Il nervosismo e la tensione era palpabile fra la folla di soldati che affollavano il Farthen Dur. La prima linea si era piazzata davanti all’uscita del tunnel dal quale dovevano uscire gli Urgali.
Il silenzio s’impossessò della folla. Ad Eragon sembrava quasi che qualcuno gli avesse tappato le orecchie con del cotone. Tutti i rumori giungevano attutiti.
Saphira, al centro del campo, tendeva le orecchie coriacee per sentire un qualunque suono. Un tonfo sordo proveniente dal tunnel fece sussultare alcuni soldati. Un brusio si sparse in mezzo alla folla. Saphira spostò il peso sulle zampe davanti, i muscoli in tensione pronti a scattare.
All’improvviso un Urgali sgusciò fuori dal tunnel. Non fece in tempo a fare un passo solo che fu trafitto da una freccia in mezzo alla fronte. Dietro al cadavere del mostro cominciarono ad apparire altri Urgali e anche dei Kull. Le prime file vennero subito colpite da frecce lanciate con precisione mentre i soldati cominciarono a combattere. Dopo qualche minuto dei calderoni pieni di pece bollente vennero calati sui nemici, che morirono fra urli di dolore straziante.
Gli Urgali si facevano strada pian piano verso il centro del Farthen Dur. Murtagh, aspettando il momento propizio, si avventò all’improvviso su un massiccio Kull, seguito a ruota dagli altri soldati. In pochi secondi il mostro era a terra.
Ellen combatteva da sola contro due Urgali, balzando di lato e schivando colpi con precisione. Uccise il primo mostro in un colpo solo, piantandogli la spada nel fianco, il secondo lo abbatté colpendolo violentemente alla testa con lo scudo.
La battaglia del Farthen Dur era cominciata.
Ogni nemico abbattuto era una soddisfazione e la consapevolezza della vittoria si faceva strada nel cuore dei guerrieri. Tuttavia, ogni nemico era una goccia di sudore in più, una piccola ferita in più, un sospiro in più. E dopo aver ucciso un nemico, dietro di lui c’era sempre un altro mostro che prendeva il suo posto. Ben presto Eragon cominciò a sentirsi le braccia pensanti. I colpi inferti erano più fiacchi mentre i Kull e gli Urgali sembravano aver raddoppiato la loro forza. Dopo aver colpito un mostro con Zar’roc Eragon si voltò di scatto: un’ascia si stava per abbattere su di lui. Vide la scintillante lama, resa opaca in alcuni punti per il sangue, avvicinarsi. Zar’roc sembrava troppo pesante per essere sollevata. Chiuse gli occhi, aspettando il colpo.
Un rumore di spade lo riportò alla realtà. L’Urgali era a terra, morto. Di fianco a lui Angela, l’erborista, brandiva una curiosa arma.
“Angela!” esclamò Eragon incredulo.
“Ci vediamo Eragon! Mi devi un favore!” esclamò con un sorriso la donna. Poi si voltò e sparì nel miscuglio di corpi. Eragon riprese il combattimento. Con la coda dell’occhio scorse un ragazzino magro accovacciato per terra con dei coltelli in mano spiccare un grosso balzo e atterrare sulla schiena di un Kull, piantandogli il coltello nel cranio. Solembum.
Dopo quelle che parevano ore Ellen si trovava ancora lì. Stranamente si ritrovò a pensare come poteva essere capitata in una situazione del genere. Da un po’ non vedeva Eragon né Saphira. Aveva scorto fra la folla Murtagh, se la cavava egregiamente. Parò l’attacco di un Urgali e lo colpì nel petto, che la creatura aveva lasciato stupidamente senza protezione alcuna. Si voltò, in cerca di un altro nemico e vide Arya, impegnata con due Kull e un Urgali. Teneva testa a tutti e tre, ma la ragazza notò che i mostri la stavano facendo indietreggiare sempre di più. Si gettò sul Kull più vicino e lo colpì alla schiena, poi affrontò anche l’altro. Dopo un paio di colpi era terra, fra sangue e corpi. Arya nel frattempo aveva ucciso l’ultimo Urgali.
“Grazie” le disse l’elfa con il fiatone.
“Di nulla. Sai dov’è finito Eragon?”.
“Credo di si … seguimi”.
Facendosi spazio fra soldati e corpi arrivarono ad una grossa scala. Cominciarono a salire ma pareva non avere mai fine. Ad un tratto si trovarono fuori dalla sala della battaglia, in un luogo che Ellen non aveva mai visto. Sul soffitto riluceva un enorme rosa fatta di zaffiro. Anche alla flebile luce che entrava nel Farthen Dur riluceva come una gemma al sole di mezzogiorno.
“Wow” sussurrò guardando lo splendido manufatto.
“Dobbiamo andare là”. Arya ignorò il suo stupore e indicò una piattaforma quasi nascosta dal fiore. Su di essa, come due puntolini, c’erano Eragon e Saphira.
  Saphira! Siamo quaggiù!, disse la ragazza attirando l’attenzione del drago. Vieni a prenderci! Arya vuole parlare con Eragon.
  D’accordo. Ma non credo di poter volare ancora per molto. Almeno, non finché non tolgo questa corazza.
  Cosa? Perché?
  Si è ammaccata. Non respiro. La dragonessa si librò in aria e le raggiunse velocemente. Vi porto da Eragon, salite, svelte!
  No, aspetta! Possiamo toglierti alcuni pezzi di quell’armatura.
  Dopo. Qui siamo troppo in vista. Potrebbe essere un lavoro lungo. Meglio farlo dove nessuno può vederci.
  Ok.
Le due donne salirono su Saphira e vennero presto portate da Eragon.
“Ascoltate … io devo andare. Ordini di Ajhiad. Voi potete liberare Saphira dall’armatura?” disse il ragazzo non appena furono arrivate.
“Certo” rispose prontamente Arya guardando con occhio critico l’armatura della dragonessa.
“Ma … Eragon … per dove passerai?” chiese dubbiosa Ellen.
“Non c’è tempo per prendere le scale. Userò lo scivolo dei nani”.
“E’ rischioso” lo ammonì Arya.
“Devo fare in fretta”. Eragon corse fuori dal cantuccio. Ellen lo guardò sparire per poi voltarsi verso Saphira.
Toglierle l’armatura fu una manovra lunga e complicata. I pezzi erano incastrati fra loro talmente bene che toglierne uno senza far muovere gli altri, e così fare male a Saphira, era quali impossibile. Ci misero venti minuti buoni, ma alla fine Saphira fu liberata dall’armatura di metallo che le opprimeva il petto.
“Bene” disse Arya buttando l’ultimo pezzo di armatura per terra, “Ora andiamo”.
Salirono nuovamente sulla dragonessa. Saphira balzò in aria e aprì le ali. Mentre planavano sulla sala videro due figurine a terra. Una accovacciata, l’altra i piedi, che troneggiava sull’avversario.
“Eragon” bisbigliò Ellen con voce strozzata. Aveva riconosciuto Durza, lo spettro. I suoi capelli cremisi spiccavano nel grigio della pietra.
Videro che Durza stava per dare il colpo finale. La mano alzata, la spada rilucente.
“No!”. All’improvviso l’enorme rosa di zaffiro scoppiò in miliardi di pezzi di tutte le dimensioni con un boato sordo ma devastante. Ellen svenne in braccio ad Arya che, prontamente, pronunciò una parola nell’antica lingua. I frammenti di pietra si fermarono a mezz’aria e scesero lentamente. In contemporanea i due a terra si era bloccati nel sentire la pietra scoppiare, mentre Saphira aveva aumentato la velocità della sua andatura. Partendo con un basso grugnito la dragonessa ruggì, sempre più forte, fino a che dalle fauci spalancate una fiamma ardente non comparve, per tutta la durata del ruggito.
Eragon parve ritrovare le forze. Si alzò a fatica, la ferita alla schiena infertagli poco prima che si faceva sentire con un ritmico pulsare. Con un grido si avventò su Durza che, senza nemmeno rendersene conto, si ritrovò una spada conficcata nel cuore.
Lo spettro guardò incredulo la spada, poi Eragon, che ansimava tenendo l’elsa. Cadde  in ginocchio. I pezzi di zaffiro gli colpirono forte le ginocchia e si conficcarono nella pelle.
Una lacrima scese sul viso di Durza prima che si accasciasse a terra.





Ecco il nuovo capitolo, che ve ne pare?
A proposito del capitolo. Cercherò di mettere in buona luce Nasuada, perchè io adoro il suo personaggio, quindi credo che in futuro farò diventare lei ed Ellen amiche.
Grazie a KissyKikka per la recensione, mi ha fatto molto piacere leggerla. Grazie per i complimenti, e sono felice che tu abbia notato il passaggio da un personaggio all'altro. Non volevo ci fosse un solo protagonista, così ho inserito volutamente i pensieri di tutti i personaggi principali. Grazie anche per il tuo prezioso consiglio, vedrò di utlizzarlo! ;)
Al prossimo capitolo,
Patty.

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Capitolo 13
*** L'avverarsi della profezia ***


Capitolo 13: L’avverarsi della profezia

Già da due giorni Murtagh non aveva quasi nessuno con cui parlare, a parte, qualche volta, Arya. Sia Eragon che Ellen restavano privi di senso e lui, graziato da Ajhiad, poteva anche andarsene in giro per il Farthen Dur. L’unico problema era che regnava il caos più totale: la guerra era stata vinta, certo, ma le perdite erano state parecchie. L’unica volta che aveva provato a dare una mano era sceso nello spiazzo dove si era tenuta la battaglia ma, una volta lì, tutti lo osservavano facendo dei commenti maligni e additandolo con disprezzo e un pizzico di timore. Murtagh aveva deciso che se le cose stavano così allora avrebbero volentieri fatto a meno di un aiuto in più, così si era rintanato nelle sue stanze.
Dopo circa tre giorni dalla fine della battaglia andò a visitare Ellen. Ci era andato il giorno prima e quello prima ancora, nella speranza che la ragazza si svegliasse. I medici gli avevano detto che non era grave, ma che aveva bisogno di una bella dormita. Il terzo giorno si avviò quindi all’infermeria, preparato a passare un’altra ora in compagnia di una ragazza in semi-coma, ma restò sorpreso quando, entrando nella stanza, vide un’energica Ellen addentare con gusto una bistecca.
“Hey! Ti sei svegliata finalmente”.
“Murtagh!” esclamò la ragazza. Fece per alzarsi dal letto ma lui glielo impedì, tenendola ferma e riadagiandola sul cuscino.
“Ferma lì. Mangia piuttosto. Non ti puoi ancora alzare”.
“Ma i dottori mi hanno detto che sto meglio” obbiettò lei.
“E non ti hanno detto di riposare?”.
“Si ma …”.
“Visto? Perciò riposa”. Murtagh si chinò su di lei e le diede un piccolo bacio in fronte. Ellen sorrise allegra e riprese a mangiare senza fare storie.
“Come sta Eragon? Cos’è successo?” chiese dopo un po’.
“Abbiamo vinto, ma abbiamo subito molte perdite. Eragon sta … discretamente. Ha sconfitto Durza, però lui gli ha fatto un taglio sulla schiena che è praticamente uguale al mio”. Ellen trattenne il fiato.
“Che cosa?! E come sta? Si riprenderà?”.
Murtagh sospirò. “Si riprenderà di sicuro. Angela lo ha curato e … la ferita sta bene. Purtroppo però pensa che potrebbero esserci delle ripercussioni sul suo fisico”.
“Ma tu che ne pensi? Quando … insomma … quando Morzan …”.
“Quando Morzan mi colpì avevo quattro anni” disse Murtagh capendo la domanda di Ellen. “Il mio corpo ormai si è abituato. Comunque sia non era neanche lontanamente una ferita grave come la sua. Se lo fosse stato sarei già morto”. Calò un minuto di silenzio.
“B’è … comunque … perché sono svenuta?”.
“Ah già … Arya me lo ha raccontato. E’ strano, sai?”.
“Perché, che è successo?”.
“Hai usato la magia”. Ellen spalancò gli occhi.
“Davvero?”.
“Già”.
“E cos’ho fatto? Assurdo, non mi ricordo nulla del genere”.
“Perché, secondo Arya, sei svenuta appena dopo aver pensato una parola nell’antica lingua, probabilmente per sbaglio. Considerata la potenza dell’incantesimo però, devi considerarti fortunata. Sei più in forze di quanto ci si aspettasse. Hai distrutto lo zaffiro dei nani”. Murtagh fece un sorriso obliquo.
“Cosa? Oddio, no. Ora mi uccideranno. Mi salteranno addosso in cinquanta per farmi la pelle. Gli ho distrutto la rosa. Piaceva anche a me”. Ellen osservò distrattamente il pavimento.
“Ma su, non ti preoccupare. Persino Arya ha detto che è stata una mossa fantastica. Ha distratto Durza, sai? Se non lo avessi fatto Eragon sarebbe morto. A proposito … sai che Saphira ha sputato fuoco?”.
Ellen s’illuminò. “Davvero?”.
“Già. E’ molto fiera di sé. Non fa altro che andare in giro a sbuffare fiammelle”. I due ragazzi risero.
La porta dell’infermeria si aprì e un uomo abbastanza anziano entrò nella stanza. Nel vedere che Ellen aveva finito di mangiare sorrise soddisfatto.
“Bene, vedo che hai mangiato tutto” disse prendendo il piatto.
“Era squisito. Grazie”.
“Di nulla. Ora dovresti riposare ancora qualche giorno, o almeno fino a domani, però … hai il permesso, solo per dieci minuti, di andare a trovare il tuo amico”.
“Eragon?” chiese Murtagh con tono interrogativo. Il medico annuì, sorridente.
“E’ nella stanza accanto. Si è svegliato da un po’. Ora sta mangiando”.
Ellen si alzò di corsa e uscì dalla stanza, seguita a ruota da Murtagh, mentre il vecchio sghignazzava soddisfatto.
“Eragon!”.
Il ragazzo si vide davanti un’ombra indistinta avvicinarsi a lui a tutta velocità, poi una massa di capelli neri come la pece gli bloccarono la vista del mondo circostante.
“Ellen?” chiese dubbioso.
“Si! Sei sveglio!” disse la ragazza sedendosi affianco a lui sul letto.
“Murtagh, ciao. Come state? Dov’è Saphira?”.
“Saphira sarà con Arya. Si stanno frequentando parecchio quelle due. Credo che potrai andare a trovarla quando uscirai di qui. Sai …  meglio non spostarti ora … date le … circostanze”. A quelle parole Eragon sospirò.
“Si, me lo hanno detto, tranquilli. Ho la schiena spaccata”. Ellen e Murtagh si guardarono nervosamente. “Ora sono uguale a te” disse Eragon osservando l’amico.
“Che fortuna” disse ironicamente l’altro.
“Se ti può consolare” cominciò Ellen annuendo solennemente, “io lo trovo estremamente sensuale”. Eragon sorrise e si strofinò il naso con le dita.
“Grazie. Ora che lo so vedrò di approfittarne”.
“Cadranno tutte hai tuoi piedi” sogghignò Murtagh. “Già ti chiamano Eragon Ammazzaspettri”.
“Sul serio?”.
“Già”.
Aggiornarono Eragon sui fatti accaduti. Fu felice di sapere che Ajhiad aveva deciso di lasciarli liberi e si ricordò dell’impresa di Saphira. Restò molto impressionato da Ellen, che aveva usato la magia e concordò con lei nel dire che i nani sarebbero stati molto dispiaciuti per la perdita della grossa rosa intagliata.   
Dopo un paio di giorni sia Eragon che Ellen poterono alzarsi dal letto. Anche se di malavoglia, perché li ritenevano ragazzi troppo avventati, i dottori li lasciarono andare.
Eragon era felice di riavere Saphira, ma realizzò ben presto che la ferita infertagli da Durza era un vero problema. Se faceva gesti improvvisi sentiva una dolorosa fitta alla schiena che gli mozzava il fiato e, anche se Saphira cercava di alleviargli il dolore, era sempre una sensazione orribile, che gli lasciava sudori freddi sulla fronte e brividi lungo tutto il corpo.
A circa una settimana dopo la fine della battaglia, Eragon si rese conto che la sua ferita avrebbe condizionato non solo lui, ma anche le decisioni degli altri.
“Ammazzaspettri!”. Un ragazzino magro dal volto vivace comparve dietro ad Eragon.
“Si?”.
“Ajhiad invita te e i tuoi compagni alla riunione che si terrà fra poco. Sono venuto a farvi da guida” disse allegro il ragazzino.
“Anche noi?” chiese Ellen guardando Murtagh interrogativa. Lui, per tutta risposta, alzò la spalle.
“D’accordo, eccoci”. Eragon si alzò cautamente e gli altri due lo imitarono. Il ragazzino prese a trottare affianco a loro, lanciando di quando in qua uno sguardo ad Eragon.
Arrivarono in una sala piuttosto piccola rispetto a quel che era la vastità dei luoghi nel Farthen Dur, ma comunque era elegante e sobria. In un tavolo al centro erano seduti i consiglieri, i gemelli, Ajhiad, Arya, Orik e Rotghar.
“Grazie Noah” disse Ajhiad, in piedi a capotavola, rivolgendo un cenno al bambino. Quello sorrise e se andò con un inchino. “Sedetevi pure”. Ajhiad indicò ai neo arrivati tre sedie vuote. Un volta che ebbero preso posto si sedette e iniziò a parlare. “Abbiamo voluto organizzare questa riunione per decidere se effettuare una spedizione alla ricerca degli uomini di Re Rotghar”. Il nano si schiarì la voce, così Ajhiad gli cedette la parola.
“Diverse delle mie truppe erano state da me inviate per controllare ed avvisarci dell’avanzata degli Urgali. Alcune non sono tornate, ma è possibile che si trovino ancora nelle gallerie”.
“Di certo non negheremo loro soccorso” disse Ajhiad guardando i consiglieri e gli altri nella sala. “Organizzeremo quindi un squadra di dieci uomini provvisti di tutte le cure, nel caso qualcuno fosse gravemente ferito. Uno dei gemelli viaggerà con noi, per essere ancora più sicuri e, siccome Rotghar e il suo antico popolo ha accettato di combattere con i Varden, gli dimostrerò la mia gratitudine comandando io stesso la squadra”. Rotghar fece un secco cenno con la testa in direzione di Ajhiad.
“Anche io vorrei parlare, se mi è concesso”. Tutti si voltarono verso Murtagh, che si era alzato da tavola. “Vorrei partecipare anche io alla missione, per dimostrare fedeltà ai Varden e al loro capo, nonché a Re Rotghar, che ci ospita nella sua fortezza”.
Ci fu qualche secondo di silenzio, poi anche Ajhiad si alzò. “Mi fa piacere che tu voglia essermi fedele, e che ti spinga a tanto per dimostrarlo. Sono sicuro che riuscirai a convincermi. Per i Varden sarà una buona cosa averti al fianco”.
Eragon si sentiva come se fosse inutile. Tutti in quella stanza avevano un compito, tranne lu. Tutti sapevano che cosa dovevano fare, quando farlo, o anche solo cosa desideravano fare. Lui no. Si certo, nessuno si aspettava nulla da lui, non dopo aver sconfitto Durza, ma quindi significava che lui era solo uno strumento di guerra? Una specie di arma?
“Ajhiad, parteciperò anche io” affermò alzandosi a sua volta.
  Oggi sono tutti così patriottici. Pensò Ellen guardando Eragon dal basso.
Ajhiad stava per rispondere, un leggero sorriso che gli incurvava le labbra. Quasi inesistente.
“No”. Una voce secca lo interruppe. Eragon si girò e vide Arya in piedi che osservava Ajhiad. “Non credo che Argetlam dovrebbe affaticarsi ulteriormente dopo la battaglia e, soprattutto, dopo la ferita che ha subìto”. Ajhiad abbassò la testa e aggrottò le sopracciglia, pensieroso.
“Purtroppo, Eragon Ammazzaspettri,” disse dopo un attimo di pausa, “temo proprio che abbia ragione. Il tuo fisico ancora risente della battaglia con Durza, devi guarire al più presto. Meglio che non ti affatichi”.
“Ma …” Eragon tentò di replicare ma venne subito fermato da Arya.
“Non è prudente, ora come ora. Non ti preoccupare, guarirai”.
Eragon strinse i pugni e abbassò lo sguardo. “Certo” disse risedendosi.
La riunione continuò. Ellen non capiva perché avessero invitato anche lei. Che cosa centrava con tutto questo?
Dopo un’ora uscirono di lì. Eragon si recò subito in camera sua, desideroso di parlare con Saphira.
  Credi che continuerà per molto?, chiese una volta raggiunte le stanze, sdraiato sul letto con le mani dietro la testa e lo sguardo rivolto al soffitto grigio. Credi che mi tratteranno così ancora? Questa ferita non guarirà fra due giorni, non è un semplice taglio.
  Lo so. Ma vedrai che riuscirai a superarlo, lo consolò la dragonessa. Non hai ragione di essere arrabbiato, Ajhiad lo fa per il tuo bene. Pensa a come sarebbe se ti sentissi male nei tunnel e non potessi ricevere cure. Almeno per il prossimo mese penso che dovrai accettare questo fatto. Così ti ristabilirai più in fretta! Se continui a forzarla, non guarirà mai.
Eragon sapeva bene che tutte le cose che la dragonessa diceva erano giuste, ma non riusciva a togliersi di dosso la sensazione di essere diventato un peso. Oltretutto, il fatto che proprio Arya avesse pronunciato quelle parole, lo irritava ancor di più. Probabilmente già pensava che lui fosse un irresponsabile per come si era comportato durante la battaglia. Ora pensava anche che fosse un fantoccio inutile!
Eragon sbuffò e cominciò a spogliarsi, deciso a farsi una rilassante doccia.

“Allora buon viaggio. Trova tanti nani, mi raccomando” disse Ellen guardando Murtagh dal basso verso l’alto.
“Non sono come degli oggetti da collezione, lo sai?” rispose lui accarezzandole una guancia. “Già non vedo l’ora di tornare da te”.
“Non essere appiccicoso” scherzò la ragazza.
“Ah si?” fece Murtagh fingendosi offeso e girandosi dall’altra parte. “Non ti parlo più”.
Ellen rise e si mise di fronte a lui. “Eddai … chiedo perdono” disse dando un delicato bacio sulla guancia a Murtagh.
“Tutto qui? Io sto per partire, ricordatelo!”. Murtagh le cinse la vita e la baciò teneramente sulle labbra. Restarono così abbracciati per qualche minuto. Ellen con la testa appoggiata al suo petto e Murtagh che la cullava fra le braccia.
“Ci vediamo presto” le sussurrò all’orecchio.
“D’accordo” rispose la ragazza sciogliendo l’abbraccio.
Murtagh raccolse senza fretta un sacco da terra e uscì dalla stanza dove alloggiavano, rivolgendole un ultimo sguardo.
Dopo che uscì ad Ellen la stanza sembrò troppo silenziosa. Si gettò sul letto con uno sbuffo, le mani dietro la testa e lo sguardo al soffitto grigio.

“Murtagh!”.
“Ferma, Ellen!”. Eragon si sporse in avanti appena in tempo per prendere la ragazza per i fianchi e bloccarla.
“Lasciami!” ruggì lei agitandosi, scalciando e cercando di sfuggire dalla presa ferrea del ragazzo. “Eragon!”. Le lacrime affiorarono sul suo viso, scivolando sulle guancie arrossate. Arya si avvicinò correndo verso di loro e prese Ellen per le braccia, costringendola a fermarsi. “Lasciatemi andare per favore, lasciatemi andare a cercarlo”.
Arya ed Eragon si lanciarono occhiate preoccupate. D’un tratto, Eragon ricordò chiaramente il consiglio di Solembum: e ricorda, dovrai fermarla quando le sue decisioni verranno dettate dal cuore, altrimenti si metterà in pericolo da sola. Sicuramente alludeva a quello.
“Ellen, lascia che vada io” intervenne prontamente Arya. Eragon la guardò come una dea scesa in terra. Allentò la presa su Ellen, che non si muoveva più. La ragazza prese le mani dell’elfa e la guardò con la disperazione negli occhi, che erano spalancati e rossi. Le stinse forte la mani senza neanche rendersene conto.
“Trovalo Arya … ti supplico”. Arya si sentì stranamente legata a quella che, in confronto a lei, era una ragazzetta. Conosceva il suo dolore. Quel che lei provava in quel momento lo aveva, purtroppo, sperimentato anche lei.
“Vado” disse solo. E sparì nel tunnel dove gli Urgali avevano trascinato Murtagh.
Era successo tutto troppo in fretta. Neanche tre minuti fa un drappello di uomini e nani stavano uscendo, trionfanti, dalle gallerie, annunciati da un giovane soldato che li aveva preceduti. Eragon ed Ellen erano lì per rivedere Ajhiad e, soprattutto, Murtagh. Quando erano appena fuori dal tunnel un gruppo di Urgali era uscito dall’oscurità dietro di loro e li aveva attaccati. Molti uomini si erano accalcati intorno, e quando arrivarono i due ragazzi, gli Urgali stavano scomparendo di nuovo. C’erano diversi corpi stesi a terra, sembrava di essere ritornati ai giorni appena precedenti alla battaglia. Ajhiad giaceva in fin di vita. Una pozza di sangue che si allargava sotto di lui. Murtagh era scomparso. Non si sapeva se fosse stato ucciso o rapito dagli Urgali, una cosa che Eragon trovava del tutto sensata, almeno dopo aver scoperto che lui era vissuto alla corte di Galbatorix.
Il ragazzo, tenendo ancora le braccia intorno al corpo esile dell’amica, che in quel momento sembrava un pupazzo senza alcuna volontà, chiamò Saphira, che arrivò subito dall’alto, e portò Ellen nella sua stanza. Lei non fece resistenza.
“Vieni Ellen” le disse una volta in camera. Lei, senza rispondere, si fece condurre al letto, dove Eragon l’adagiò lentamente. La coprì con svariate coperte, poi si sdraiò accanto a lei. Per tutto questo tempo non disse nulla, finché il ragazzo non le passò una mano sul viso.
“Lo faceva sempre anche Murtagh. Per togliermi i capelli dalla faccia” disse con voce tremante. Eragon non sapeva cosa rispondere, così restò in silenzio. “Credi che Arya lo troverà?”.
“Si” rispose lui con una sicurezza che non poteva convincere nemmeno un bambino. “E’ molto probabile” aggiunse poi.
Rimasero ancora un po’ in silenzio.
“Ti va di restare qui a farmi compagnia? Anche Saphira può rimanere” disse infine Ellen.
“Certo … anche se Saphira qui non ci entra”. Eragon accennò un sorriso. Ellen sorrise debolmente di rimando, ma solo per far piacere all'amico. Ora come ora il suo umore era lontano dal riso più che mai.
“Magari possiamo andare nella vostra stanza”.
  Non ti preoccupare Ellen. Anche stare qui per me va bene. Sentirono la voce della dragonessa nelle loro teste. Anzi, non ho alcuna voglia di tornare nei miei alloggi.
Eragon abbracciò Ellen finché lei non si addormentò.
  Credi davvero che Murtagh sia ancora vivo? E che Arya lo troverà?
  Lo spero, rispose il ragazzo alla dragonessa scostando dal viso di Ellen una ciocca di capelli neri.




Ok. Questo è decisamente uno dei capitoli più tristi di tutta la storia. Bhuhuh! T^T  Comunque ... spero che i più attenti fra di voi abbiano notato la simiglianza nei gesti di Ellen ed Eragon (prima della partenza di Murtagh), che mi sono diverita molto a scrivere. XD Poi ditemi, che ne pensate della parte più triste del capitolo? Pure io che l'ho scritto mi sono un po' dispiaciuta a leggerlo ... A proposito, questo capitolo è corto rispetto ai precedenti, ma non importa!

Thyarah: sono contenta che lo scorso capitolo non ti sia risultato noioso, era abbastanza lungo rispetto ai miei standard e avevo proprio paura che fosse soporifero! XD Il ricordo di Ellen l'ho inserito perché era da un bel po' che non si parlava del suo passato, quindi mi sembrava giusto ricordare uno dei temi fondamentali della fic e il fatto che Murtagh insegni a leggere ad Ellen mi è sembrata una cosa tanto carina. ^^ Cercherò di sopravvivere senza le tue recensioni! XD Buone vacanze donnah!

KissyKikka: le tue recensioni sono soddisfacenti, grazie mille dei complimenti! :D Quando ho postato lo scorso capitolo ho pensato proprio a te, perchè era uno di quelli nei quali la focalizzazione era importante, e mi sono chiesta che cosa avresti pensato. ^^ Ci stiamo lentamente avvicinando alla rivelazione del passato di Ellen, sul quale ho molto faticato, spero quindi che sia abbastanza ben costruito. In effetti hai ragione, Arya non mi fa impazzire, la mia preferita è Nasuada, però in questa parte di fic non ha molta importanza. B'è grazie ancora, un bacio! :)

Patty 

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Capitolo 14
*** Di nuovo sulla strada ***


Capitolo 14: Di nuovo sulla strada

  Io credo che dovresti assolutamente venire. Vedere gli elfi sarà bellissimo!
  Mha … non saprei.
  Daai, altrimenti che farai? Starai qui ad annoiarti senza di noi!
  Ovviamente. Senza di voi non c’è divertimento.
“Seriamente, Ellen, io credo che dovresti venire” disse Arya prendendo parte alla conversazione. “Eragon ha bisogno di te! E’ forse l’unica persona, oltre a Saphira, che conosce veramente bene”.
  E ci tengo a ricordare che io non sono del tutto una persona.
“Si b’è … sai cosa voglio dire” disse l’elfa guardando la dragonessa con rimprovero. Ellen si limitò a rosicchiarsi un unghia e a fissare il tavolo intorno al quale lei e Arya erano sedute.
Erano passate quasi due settimane da quando Arya era tornata dal tunnel dicendo che non aveva trovato traccia di Murtagh o degli Urgali. Ora Eragon e Saphira dovevano partire per Ellesmera, con Arya e Orik. Prima del rapimento di Murtagh (perché si rifiutava di credere che fosse morto) pensava, addirittura sperava, che Eragon le chiedesse di viaggiare ancora con lui e Saphira. Ora non aveva voglia nemmeno di pensare all’eventualità di un viaggio. Forse, si diceva, Murtagh tornerà nel Farther Dur. Anzi, probabilmente tornerà qui, non ha nessun’altro posto dove andare! Aveva esposto questa sua teoria solo ad Eragon, che aveva gentilmente cercato di dirle di non avere troppe speranze. Quando la ragazza si era infuriata e, infine, intristita, il ragazzo aveva rinunciato a qualsiasi forma di consolazione che non fosse il semplice abbraccio o la frase fatta come: andrà tutto bene, vedrai.
  Dai Ellen! Non vuoi vedere gli elfi? E … Ellesmera? Lo sai che è fatta tutta di …
“D’accordo” la ragazza cedette all’improvviso. A dir la verità per sfinimento: erano giorni che Arya e Saphira la tormentavano! “D’accordo verrò! Ma solo se la smetterete di dirmi quanto è bella Ellesmera, di cosa è fatta, o altro, ok?”. L’elfa e la dragonessa annuirono all’unisono poi, quando Ellen non guardava, si scambiarono occhiate complici. Sapevano che alla fine avrebbe ceduto. Nessuno può perseverare come un elfo!

Era passata qualche settimana da quando erano partiti. Tutti pensavano che fosse stato meglio per Ellen. Forse perché ora aveva uno scopo: arrivare a Ellesmera! Forse non era uno scopo molto ambito, ma almeno sembrava che il viaggiare la aiutasse. Sembrava meno triste. Eragon ringraziava il cielo di questo tutti i giorni: una Ellen triste era una Ellen pericolosa.
Avevano viaggiato da soli fino alla città dei nani, Tarnag, per ricominciare subito dopo il viaggio insieme a due nani che li dovevano condurre sani e salvi fin fuori dalla catena montuosa dei Monti Beor. Quando avevano costeggiato le montagne e di fronte a loro c’era un piccolo tratto di pianura i nani si congedarono da loro. In tre giorni circa avevano velocemente percorso quel tratto per addentrarsi poi nella foresta Du Waldenvarden.
Viaggiavano lì da due giorni ormai, costeggiando un pulito corso d’acqua. La sera si fermarono a riposare, cenarono e si distesero intorno al fuoco.
Dopo un attimo di esitazione Eragon prese in mano la spada e cominciò a maneggiarla con movimenti lenti che, man mano che continuava, si facevano più violenti e secchi. Dopo qualche minuto di quella strana danza aveva perso ogni insicurezza, ogni paura per il dolore procuratogli dalla sua ferita. Ellen lo guardava preoccupata, mentre Arya faceva finta di ignorarlo, indirizzandogli ogni tanto qualche occhiata contrariata. Non voleva dirgli di smettere, perché sapeva che prima o poi doveva riabituarsi a combattere, ma aveva anche paura che si facesse irrimediabilmente male.
Eragon torse il polso per girare la spada e, tenendo Zar’roc con tutte e due le mani, alzò improvvisamente entrambe le braccia verso l’alto. La fitta si fece sentire subito, gli attraversò la schiena come se la ferita di Durza fosse stata riaperta.
Ellen corse verso il ragazzo e cercò di confortarlo, ma non sapeva molto bene cosa doveva fare. Eragon gemeva e si agitava in terra, conscio di tutti i secondi che passavano. Anche se Saphira, condividendo il legame con lui, gli alleviava il dolore, e delle goccioline di sudore comparvero sulla fronte di Eragon. Dopo quasi dieci minuti l’attacco terminò, e il ragazzo si accasciò sull’erba con un sospiro, ansimante.
Quando si fu ripreso Arya gli mise davanti una tazza bollente di una bevanda ambrata.
“Tieni” gli disse porgendogliela. “Ti rimetterà in forze”. Eragon la prese e cominciò a bere lentamente, attento a non scottarsi.
Quando tutti furono andati a dormire Eragon si svegliò di soprassalto, sentendo qualcuno che lo chiamava sottovoce.
“Eragon! Ti vuoi alzare?!”. Il ragazzo mise la testa fuori dalla piccola tenda che avevano montato e scorse Arya ed Ellen che lo chiamavano a gesti, così uscì e le raggiunse.
“Che c’è?” chiese in un sussurro per non svegliare Orik.
“Arya ci deve dire qualcosa” disse la ragazza prendendolo per un braccio e conducendolo dietro all’elfa, che aveva già iniziato a camminare lungo il fiume. Giunsero dietro un grosso albero con nodose radici sporgenti e vi si sedettero sopra. Pochi secondi dopo giunse anche Saphira.
“Allora che c’è?” chiese nuovamente Eragon sistemandosi meglio sulle radici dell’albero e guardando Arya interrogativo.
“Prima di arrivare ad Ellesmera devo insegnarvi alcune cose”. Cominciarono così una lunga notte, nella quale Arya insegnò ad ognuno di loro tutti i saluti che gli elfi si scambiavano prima di una conversazione. La formula variava a seconda del rango della persona a cui ci si rivolgeva, del sesso, dell’età e di altri fattori. Inoltre, per segnalare che la conversazione non sarebbe stata impregnata da bugia, ci si doveva toccare le labbra con due dita. Eragon ci mise un po’ ad imparare tutti quegli schemi, ma Ellen, con stupore di tutti, li imparò subito al primo colpo.

Il giorno dopo Eragon ed Ellen ripassavano le formule da usare con gli elfi mentre camminavano per la Du Waldenvarden. Anche Orik ne approfittò per rispolverare il suo accento elfico. Era passato da poco mezzogiorno e camminavano costeggiando il fiume. Ad un tratto Arya, in testa al gruppo, si fermò e pose una mano davanti agli altri, indicandogli di non proseguire. Ellen sentì un fruscio proveniente dagli alberi e alzò lo sguardo. Non vide altro che verde e rami.
Ad un tratto una figura indistinta cadde davanti alla ragazza e si rialzò, fulminea più di un gatto. Ellen si ritrovò davanti l’essere più affascinante che avesse mai visto. Aveva la pelle di un dolce candore, gli occhi erano verdi e brillanti, i capelli lunghi e soffici, neri come l’ebano, ricadevano sulle spalle e lasciavano scoperte le orecchie a punta. Di fronte a lei c’era un elfo.
Pochi secondi dopo un’altra figura cadde affianco alla prima. Anche lui era un elfo, biondo e dagli occhi azzurri, come i principi delle favole che gli venivano raccontate da bambina. Subito, come da tradizione, si portò le dita alle labbra e pronunciò la formula voluta dalla cortesia degli elfi. Questi due rimasero sorpresi e soddisfatti che lei conoscesse il rituale e la salutarono a loro volta. Compirono il rituale anche con Eragon, Orik e Arya. Di fronte a lei rimasero fermi per qualche istante, poi le si lanciarono di scatto addosso, abbracciandola e ridendo con la voce cristallina. Quando arrivò Saphira in volo, atterrando accanto al tratto di fiume in cui si trovavano gli elfi si prostrarono alla sua presenza.
“Squame di Luce” disse il primo elfo dai capelli neri, di nome Lifaen, “E’ per noi un onore conoscerti” disse dopo che entrambi ebbero scambiato i saluti d’obbligo.
“Siamo lieti di vederti, finalmente. Sei la creatura più splendente di questa foresta” disse l’altro, di nome Narì.
  L’onore è mio, incantevoli elfi. Vi sono grata per tutte queste attenzioni, che, a dir la verità, non sono abituata a ricevere.
“Il nostro popolo capisce la vera natura della tua razza. Sei più importante del più ricco dei nostri nobili, e ti consideriamo al pari della regina stessa” disse Lifaen. Saphira grugnì soddisfatta ed emise una flebile scintilla di fumo, osservando Eragon con sguardo a metà fra il divertito e il lusingato.
“Allora, signori elfi, resteremo qui tutta la giornata a scambiarci convenevoli?” chiese Orik.
“Certo che no, mastro nano, siamo venuti apposta per guidarvi ad Ellesmera” disse Narì, l’elfo biondo. “Vogliate aspettare solo un secondo”. Lui e Lifaen sparirono nel folto della foresta, per ritornare pochi secondi dopo ognuno con in mano una piccola barchetta. Eragon si chiese quanto dovevano essere forti per riuscire a sollevare una barca ognuno, ma poi si ricredette quando, per aiutare a mettere le barche sull’acqua, ne prese una. Era leggerissima. Quando furono tutti sulle barche partirono. Orik ed Ellen viaggiavano con Lifaen, l’elfo dai capelli d’ebano, mentre Eragon e Arya viaggiavano con Narì. Saphira li seguiva in volo.
“Come fanno queste barche ad essere così resistenti?” chiese Ellen passando un dito sul legno liscio della barchetta. “Sono così leggere”.
“L’aspetto e il peso non dicono nulla sulla fattura dell’oggetto” rispose Lifaen. “Nemmeno tu sembri molto forte, eppure mi dicono che sei una delle migliori spadaccine”. Le sorrise, continuando a remare.
“Già … suppongo che tu abbia ragione” disse Ellen strofinandosi la punta del naso. “E penso di essere forte abbastanza da battere Orik in un braccio di ferro!” disse piegandosi in avanti  e poggiando il gomito su un’asse delle barca.
“Tu credi?” chiese Orik girandosi verso di lei. “Vediamo” disse tirandosi su le maniche. Si misero in posizione, prendendo l’uno la mano dell’altra.
“Pronta?” chiese Orik sogghignando.
“Io? Pronto tu, piuttosto?”. I due cominciarono improvvisamente a fare forza sull’avambraccio. Orik era indubbiamente più forte, ma per un po’ Ellen riuscì a tenergli testa. Dopo qualche minuto, alla ragazza il braccio bruciava e la mano che stingeva quella di Orik si stava intorpidendo per la stretta ferrea del nano.
“Ti arrendi o devo proprio sconfiggerti?” chiese il nano.
“Non sia mai che io abbandoni una battaglia” disse Ellen, quasi rassegnata.
“Io ti ho avvisato” disse Orik. La forza che inchiodava il braccio Ellen si fece più forte e poi la superò. Il braccio della ragazza cominciò lentamente ad inclinarsi e, dopo pochi secondi, toccò il legno della barca.
“Ah!” gridò Ellen, lasciandosi andare e sdraiandosi sulla barchetta. “Lo sapevo fin dall’inizio che era una perdita di tempo”.
“E perché hai voluto provare lo stesso?” chiese Lifaen.
“Non lo so” disse Ellen scrollando le spalle.
“Quando ti metti in testa qualcosa però, cerchi sempre di portarla a termine. Onorevole” disse Orik battendole una mano sulla gamba. “Ma un nano è fatto di pura roccia!” e rise sguaiatamente.
Quella sera si accamparono al calar del sole e cenarono. Ellen notò che anche Lifaen e Narì, come Arya, non mangiavano carne. Notò anche come l’elfa sembrava a disagio nonostante aver rincontrato i suoi simili. Pensava che, comunque, i due elfi erano ancor più delicati e misteriosi di lei. Forse era per questo che si sentiva fuori luogo. Probabilmente stare molto tempo con i Varden l’aveva cambiata.
Come se si fosse preparato a questo tutto il giorno, Narì cominciò a cantare, prima a bassa voce, come per non disturbare nessuno, poi il suo canto crebbe d’intensità, divenendo parte della natura. Anche gli animali lì intorno sembravano partecipare alla musica. Uccelli, scoiattoli e altri animali che si nascondevano nel bosco avevano unito il loro verso alla voce dell’elfo completando quella strana ma piacevole sinfonia. Senza nemmeno accorgersene, anche Ellen iniziò a canticchiare un motivetto tutto suo, distendendosi con le mani dietro la testa, a formare un cuscino, e osservando un brandello di cielo stellato che si intravedeva tra gli alberi. Quando la musica finì lei si era addormentata.
“Principessa Arya, siamo molto lieti di averti ritrovato” disse Narì a tarda notte sedendosi affianco all’elfa, parlando a bassa voce per non svegliare nessuno.
“Anche io sono lieta di rivedervi” rispose Arya cortese.
“Raccontaci cosa ti è successo da quando ci hai lasciato” aggiunse Lifaen unendosi a loro. Arya cominciò così il racconto di come aveva perso l’uovo di Saphira, della prigionia e del salvataggio di Eragon e degli altri. Poi disse del viaggio, incosciente, fino ai monti Beor e poi dai Varden, raccontò di Murtagh e della battaglia del Farthen Dur. Quando ebbe finto Narì l’abbracciò.
“Siamo molto dispiaciuti per ciò che hai dovuto passare Arya. Ti prego, resta per sempre con noi d’ora in’avanti, e ti proteggeremo”. Sciolse l’abbraccio e lei sorrise.
“Ti ringrazio, ma non credo di poter promettere una cosa del genere. Ormai parte della mia vita appartiene ai Varden, non potrei mai abbandonarli. Fra di loro ho conosciuto personalità davvero straordinarie”. Posò per un secondo gli occhi su Ellen, poi distolse lo sguardo, ma Narì se ne accorse.
“Perché quell’umana ha seguito il Cavaliere Eragon e il drago Saphira? E’ forse un’esponente della sua razza?” chiese allora.
“No. L’ho convinta io a venire. E’ una buona amica del Cavaliere e di Saphira, e si è meritata il mio rispetto. Oltretutto, vorrei tenerla d’occhio. Non posso permetterle che faccia qualcosa di sciocco: passa un momento doloroso”. Restarono in silenzio per un po’, poi Narì si alzò e si distese, poco dopo si addormentò.
“Perdonami se sono curioso, Arya” disse allora Lifaen, “ma posso sapere cosa turba un’amica del Cavaliere?”.
“Ha recentemente perso l’uomo che amava” sussurrò Arya. “Non volevo che restasse sola. E’ meglio che faccia qualcosa e che non rimugini troppo sul passato”.
“Nemmeno tu dovresti farlo, Arya” le disse l’elfo. “Comunque … i dolori di cuore si posso sempre guarire, no?” disse guardando la figura esile di Ellen che si muoveva al ritmo del suo respiro.

Avevano viaggiato per altri quattro giorni. Erano stati rallentati dal cammino che dovevano compiere nella Du Waldenvarden, con radici  e rami d’impiccio ma, all’inizio del quinto giorno, entrarono ad Ellesmera.




Ta-daaan! Siete soddifatti? Ed ecco uno spoiler sul prossimo capitolo: il titolo è Le origini ritrovate, e capirete quindi che verrà svelato il segreto di Ellen. Siete ansiosi? Siete curiosi? .... dovrete aspettare u_u Mamma mia quanto sono cattiva! XD
B'è, passiamo ai ringraziamenti:
KissyKikka: grazie della recensione! Ormai sta diventando un appuntamento sia per te scriverle che per me riceverle! XD Comunque ... ci hai proprio azzeccato quando hai detto che il dolore di Ellen non si può esprimere a parole, infatti inizialmente avevo scritto qualcosa su cosa pensasse, ma mi sembrava scontato e poco veritiero, così ho riscritto tutto concentrandomi su Eragon. Riguardo ai pensieri di Saphira verranno nella continuazione della storia, quindi dovrai ancora aspettare per sentirli, ma nel frattempo spero di riuscire ad accontentarti con il prossimo capitolo, nel quale scopriremo il (torbido?) passato di Ellen. Un bacio, ciao!
Al prossimo capitolo;
Patty. 

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Capitolo 15
*** Le origini ritrovate ***


Capitolo quindici: Le origini ritrovate

Era da qualche giorno che stavano ad Ellesmera, e stavano capitando cose davvero strane. Da quando era arrivata, Ellen si sentiva molto rinvigorita. Forse era il clima di pace in cui gli elfi vivevano a renderla così forte, quel senso di libertà che non aveva assaporato in nessun’altro posto. Da due giorni ogni mattina si allenava in un’arena costruita dagli elfi appositamente per chi voleva diventare più abile nell’arte della spada. Il primo giorno combatté contro un elfo relativamente abile. Forse, a pensarci era uno dei più deboli, ma sconfisse Ellen in poco tempo. Si misurò con lui diverse volte ma vinse solo tre volte. Nonostante tutto l’elfo si congratulò con lei perché era davvero molto forte e abile. Ellen sentiva che le sue parole erano vere, anche se non erano pronunciate nell’antica lingua. Da quando era arrivata in quella città il suo corpo era più agile e veloce. Cercò di parlarne con Eragon, ma aveva appena iniziato il suo addestramento e, quando era andata a trovarlo, dormiva della grossa in una bellissima casa su un albero. Decise che lo avrebbe importunato un altro giorno.
Il terzo giorno ad Ellesmera, Ellen e Orik si diedero appuntamento davanti all’arena.
“Orik!” lo chiamò quando lo vide arrivare. Il nano le rivolse un sorriso e si avvicinò. In mano teneva la sua grossa ascia.
“Ciao Ellen. Allora, come va?” chiese. “Ti piace Ellesmera?”.
“Si moltissimo. E’ tutto così arioso, naturale. Mi piace molto”.
Il nano rise. “Ah già, fa sempre questa impressione all’inizio ma, dopo un po’, io comincio a stufarmi della cerimoniosità degli elfi. E, oltretutto, sento la mancanza della carne”.
“Ah b’è! Questo anche io. Oh! Perché mi ci hai fatto pensare? Ora ho voglia di un enorme cinghiale con patate arrosto! Qui ci tengono a lattuga e carote”. Una risata cristallina la fece voltare. “Lifaen” disse una volta riconosciuto l’elfo.
“Vi teniamo a lattuga e carote?” chiese il bellissimo uomo avanzando verso di loro.
“Oh, non volevo certo essere irrispettosa” disse Ellen arrossendo. Poi, velocemente, compì la formula di saluto elfico, che Lifaen ricambiò.
“Non preoccupatevi. Capisco che per gli altri popoli le abitudini elfiche possano risultare strane, ma non uccidiamo animali. Se volete della carne, dovrete andare a caccia per conto vostro fuori da Ellesmera”.
“Oh no, penso che potrò resistere” disse Orik. “In compenso avete dell’ottimo vino”.
“Vino?” chiese Ellen. “Non sapevo che qui coltivaste le piante per fare il vino”.
“A volte nemmeno noi elfi sappiamo resistere ad un buon bicchiere di vino” disse Lifaen sorridendo. “B’è, vogliamo andare? Mi piacerebbe davvero misurarmi con voi signor nano e signorina” disse inchinandosi leggermente a tutti e due.
“Sarà un vero piacere per noi” rispose Orik.
Si incamminarono verso una piattaforma sgombra e Lifaen prese la sua spada. Era un’arma di incredibile fattura: aveva tre pietre verdi incastonate nell’elsa e nella lama scendeva un intricato disegno che si trasformava in rune elfiche sulla punta della spada che recavano una parola ad Ellen sconosciuta. Era riuscita ad imparare la lingua elfica da Eragon ma le sue conoscenze gli permettevano solo di mantenere una normale conversazione.  
Prima l’elfo si batté con Orik. Il nano era sicuramente un maestro nell’usare l’ascia, ma non riusciva ad essere agile quanto un elfo. Tuttavia riuscì ad assestare alcuni colpi significativi. Quando Lifaen riuscì a disarmarlo sorrise e, riprendendo fiato, scese dalla piattaforma. “Meglio che io vada a dissetarmi. Quest’elfo ha prosciugato tutte le mie energie!”.
Ellen salì sulla piattaforma un po’ titubante. “Cosa c’è che ti rende così insicura, signorina?” le chiese gentilmente Lifaen.
“Puoi chiamarmi Ellen” disse le ragazza. “Comunque pensavo che, sai, hai già combattuto con Orik, che non è da sottovalutare … non preferiresti riposare almeno un po’?”.
“Noi elfi siamo diversi da voi umani. Sai che ti dico? Ti cedo il primo colpo” disse mettendosi in posizione di difesa.
“Il primo colpo è sempre quello più avventato” ribatté Ellen. “Meglio aspettare e vedere come andranno le cose”, e prese a sua volta posizione.
“Ben detto Ellen, battiti con onore”.
Cominciarono all’improvviso un’intricata danza, fatta di balzi e di lame stridenti. Dopo appena una quindicina di minuti Ellen cominciò ad indietreggiare di fronte ai colpi dell’elfo, che arrivavano inaspettati e forti. Parò un fendente proveniente da destra e subito se ne ritrovò un altro arrivare da sinistra. Non fece in tempo a spostarsi o a spostare la spada, che sentì qualcosa di freddo vicino al ginocchio. Tutti e due si fermarono, anche Lifaen respirava più pesantemente, anche se di poco.
“Scusami” disse inginocchiandosi per controllare la ferita di Ellen. Non era una ferita grave, e colava una sottilissima goccia di sangue, ma Lifaen gliela guarì con la magia.
“Grazie” disse Ellen riconoscente, “Non ce n’era bisogno. Sarebbe guarita da sola fra un paio di giorni”.
“Non vorrei che poi andassi a dire in giro che noi elfi feriamo i nostri ospiti”. Lifaen sorrise, alzandosi. “Cosa penserebbe di noi tutta Alagaesia?” disse poi portandosi teatralmente una mano alla fronte. Ellen rise e si spostò ai margini della piattaforma siccome altri elfi volevano esercitarsi.
“Dov’è finito Orik?” si chiese Ellen ad alta voce.
“Fra poco dovrebbe tornare. C’è un piccolo ruscello qui vicino, abbiamo appositamente messo qui l’arena”.
“Davvero? Voglio vederlo. Dove si trova?”.
“Ti ci porto io, vieni” disse l’elfo conducendola intorno alle varie piattaforme da combattimento. “Allora, che ne pensi di Ellesmera?”.
“Ellesmera? E’ molto bella, mi piace com’è fatta la città. In confronto a quelle umane o a quelle dei nani sembra che qui regni la pace per sempre” rispose le ragazza guardandosi intorno.
“E’ merito di Islanzadi se c’è la pace”.
“E’ vero. Mi sembra una regina davvero eccellente, anche se come persona potrebbe non essere lo stesso”.
“Non hai paura di dire nulla, vero Ellen?” le chiese Lifaen.
“Oh no! Ogni cosa che dico sembra così spiacevole” disse la ragazza sconfortata. “Mi servirebbero alcune lezioni per capire bene come comportarmi con voi, senza mentirvi e senza offendervi”.
“Non ti preoccupare per quello che dici. Qui rispettiamo le opinioni altrui, anche se ci danno fastidio. Certo, evita di parlare così direttamente alla regina. Ti do un consiglio: impara la lingua elfica. Con quella non puoi mentire, ricordatelo”.
“Hai ragione. Però devi ammettere che ci sono dei trucchi da usare per dire qualcosa e intenderne un’altra. Non è così?”.
“E’ vero” gli concesse Lifaen.
“Quindi, si può dire, che anche gli elfi mentono, in un certo senso”.
“Penso proprio di si”. Erano giunti vicino ad un minuscolo ruscello che sgorgava dal profondo degli alberi, passava vicino a loro e poi si inoltrava di nuovo nel bosco.
“Wow … sembra che abbia derivato il suo corso apposta per voi” disse sorridendo a Lifaen.
“Infatti è così” disse l’elfo rispondendo al sorriso. “Noi elfi cantiamo agli alberi e agli animali, e a volte anche a noi stessi per poter modificare alcune cose. Così costruiamo le nostre case e i nostri oggetti di uso quotidiano, cantando ad un albero di modificarsi e di prendere una certa forma”.
“Davvero? Sembra bellissimo”.
Dopo che entrambi ebbero constatato che Orik non c’era e si furono dissetati sedettero vicino al ruscello.
“Dimmi Ellen, cosa ti fa pensare che la regina Islanzadi sia così una cattiva persona?”.
Ellen rispose subito, senza pensarci due volte. “B’è, non so cosa sia successo fra lei e Arya, ma io credo che qualsiasi cosa i figli scelgano di fare i genitori debbano sostenerli, non condannarli”.
“Anche se le loro scelte sono sbagliate?” chiese astutamente Lifaen.
“Hem … no, però non credo che ci si debba comportare come ha fatto Islanzadi. Da quel che ne ho capito sia lei che Arya hanno sofferto molto, stando separate … Islanzadi poteva fare in modo che questo non accadesse, poteva consigliare Arya di non compiere decisioni avventate, ma non doveva rinnegarla così. Non conosco Arya da molto, ma credo che il comportamento di Islanzadi non abbia fatto altro che convincerla ancora di più a partire”.
“Dei discorsi impegnativi per una ragazza come te. Chi ti ha insegnato a ragionare così?”.
“Non lo so … i miei genitori forse. Loro mi hanno sempre sostenuto in tutte le mie scelte”.
“Anche quando hai deciso di partire con Eragon Ammazzaspettri?”.
“No …  loro … sono morti prima che potessero conoscere la mia decisione”.
“Mi dispiace …”.
“Non importa, non lo sapevi” disse Ellen giocherellando con la catenina che aveva al collo.
“Posso vederla? E’ molto bella” disse Lifaen tendendo la mano per prendere la catenina.
“Oh certo”. Ellen se la tolse e  gliela diede.
L’elfo la osservò rigirandosela fra le mani, poi l’aprì. Rimase per un secondo immobile, il suo sguardo tradiva irrequietezza e sorpresa. Toccò la scritta all’interno del ciondolo a bocca aperta.
“Dove l’hai presa?” chiese guardando Ellen stupita.
“Non lo so … ce l’ho sempre avuta” disse incerta Ellen notando il cambiamento nell’umore dell’elfo. “I miei genitori mi hanno detto che c’e l’avevo da quando mi hanno trovata nel villaggio”.
“Tu … non erano i tuoi veri genitori?”.
“No, ma non importa, è come se …”. Venne interrotta dall’elfo che si alzò e la prese per un braccio, sollevandola senza sforzo.
“Vieni con me” disse prendendola per mano e cominciando a correre.
“Cosa c’è?!” chiese Ellen preoccupata cercando di correre il più velocemente possibile. Nonostante questo l’elfo la superava e le tirava il braccio molto forte. “Possiamo rallentare?!” chiese dopo un po’. Lifaen si fermò e sorrise.
“Non credo che possiamo concederci questo lusso”. Si abbassò leggermente e prese Ellen in braccio. “Tranquilla, così faremo più veloci”. La ragazza non fiatò, non del tutto certa di quel che stava succedendo. Lifaen riuscì ad arrivare velocemente di fronte al palazzo di Islanzadi, una costruzione fatta di alberi di pino molto ravvicinati a formare un muro, lì lasciò andare la ragazza. “Tutto bene?”.
“Si, ma cosa c’è?”. Lifaen al posto di rispondergli le ridiede la collanina.
“Dai questo a Islanzadi quando la vedrai”. Bussò alla porta del palazzo ed entrò, seguito da Ellen. Davanti a loro si presentò un paggio elegantemente vestito. “Vorremmo vedere la regina Islanzadi, è di vitale importanza”.
“Mi dispiace molto, ma in questo momento la regina è impegnata”. A quella risposta Lifaen chiuse gli occhi e sospirò, si avvicinò all’elfo e gli sussurrò qualcosa all’orecchio. Il paggio si portò una mano alla bocca, stupito, e scappò via.
“Ma cosa succede?” chiese Ellen. “C’entra per questo questa? Cos’è?” chiese Ellen guardando la catenina che teneva ancora in mano.
“Vieni pure” disse il paggio rientrando nella stanza. Ellen rivolse a Lifaen un occhiata preoccupata, ma l’elfo le sorrise e la spinse delicatamente verso il paggio. Questo la guidò in una stanza molto piccola, dove le regina stava seduta su un alto scranno, poi se ne andò.
Ellen guardò Islanzadi e fece per prima il saluto come le aveva insegnato Arya. La regina ricambiò. “Mi hanno detto di mostrarle questa” disse avvicinandosi e dandole la collana. La regina la osservò stupita per qualche secondo.
“Tu …”. Si alzò e corse incontro ad Ellen abbracciandola e stringendola forte a sé.
“Regina …” disse Ellen turbata.
“Figlia mia, sei tornata finalmente!”.

Silenzio.
Silenzio.
Non c’era nient’altro che silenzio, ora. Ellen non sentiva nemmeno il lieve fruscio che facevano le foglie mosse dal vento. La regina Islanzadi la stringeva forte. Ellen restava immobile.
“C-come?” chiese dopo un po’. "Non ... hm ...". La regina la lasciò andare e Ellen si accorse che piangeva. Islanzadi si asciugò le lacrime e fece una risata simile ad un singulto.
“Vieni qui, siediti assieme a me” disse trascinandola verso l’enorme scranno, sedendosi e schiacciandosi da un lato, in modo da fare spazio anche a lei. Ellen non si sentiva proprio in vena di stare lì con lei da sola, ma si trovò costretta a sedersi. “Oh Ellen! Sono così felice di ritrovarti”.
“Perdonami se te lo chiedo, ma … com’è possibile questo?” chiese la ragazza confusa.
“Io e tuo padre ci conoscevamo da molto tempo e, per un po’, siamo anche stati innamorati, ma tutti e due avevamo degli impegni e non potevamo permetterci una relazione, in più non eravamo proprio fatti l’uno per l’altra”.
“Ma … ma chi è mio padre?” chiese Ellen con voce tremante, anche se sapeva già la risposta.
Islanzadi sospirò. “E’ Brom” disse sorridendo. Ellen annuì, deglutendo a fatica un grosso groppo che le si era formato in gola, e cercando di fare come se fosse tutto naturale. Se lo aspettava, non poteva dimenticare il ricordo di quell’uomo che le sorrideva da bambina. Aveva gli stessi occhi di Brom, si era detta la prima volta che l’aveva incontrato. Ora sapeva che era lui. Gli occhi le si riempirono di lacrime. Questo, ovviamente, spiegava molto cose. La sua attitudine per il combattimento, la sua resistenza superiore a quella degli altri, la sua agilità.
Con lo sguardo appannato la ragazza fece la domanda fondamentale: “Ma … perché mi avete abbandonata?”.
“No, no. Non abbandonata, figliola” disse Islanzadi accarezzandole la testa con aria triste. “Tu rimanesti qui ad Ellesmera fino all’età di tredici anni appena compiuti. Vivevi qui con me e con gli altri elfi, conoscesti anche Arya. Brom in quel periodo era molto occupato a combattere l’Impero ma ogni volta che poteva veniva a trovarti. Un giorno ti portò fuori Ellesmera per farti visitare la Du Waldenvarden ma vi spingeste troppo in là e veniste attaccati. Erano dei soldati di Galbatorix e, veramente, puntavano ad uccidere Brom. Lui non seppe che fare e scappò insieme a te. Non poteva tornare ad Ellesmera, altrimenti avrebbe mostrato ai soldati la via giusta. Tutto questo mi fu poi raccontato per lettera. Brom mi spiegò che, una volta giunti vicino a Daret, fu catturato, e tu rimanesti ferita. Quando lui scappò non aveva idea di dove cercarti, per di più, era rimasto bloccato nella Valle Palancar. Già gli abitanti di Carvahall si insospettivano quando spariva per poche settimane per venire a trovarti. Quella volta sparì per mesi, e, quando ritornò, gli abitanti della zona gli fecero domande scomode, riguardo a dove era andato e perché. Brom informò alcuni dei Varden che tu ti eri persa, ma nessuno di loro poté ritrovarti …
“Ma ora che sei qui, figlia mia, nessuno ti porterà più via da me”. Ellen rimase stordita di fronte a tutte quelle rivelazioni, ma una cosa gli era chiara. Islanzadi non aveva mai pensato ad andare lei stessa a cercarla. O di mandare qualche elfo, che avrebbe avuto di sicuro più successo dei Varden. Poteva capire Brom che era rimasto bloccato a Carvahall, ma non lei. Islanzadi Regina degli elfi. Sua madre. Non si accorse nemmeno che l’elfa aveva iniziato ancora a parlare.
“ … e potrai venire a vivere qui a palazzo. Ti verranno insegnati l’elfico e le nostre usanze. Potrai cantare di nuovo agli alberi! Da bambina ti piaceva molto!”.
“No, aspetta … io … non so se voglio restare qui a vivere”. Il sorriso di Islanzadi si sciolse. “Io … sono molto felice di aver ritrovato le mie radici, ma tornerò quando la guerra sarà finita. Quando ho combattuto per i Varden ho capito che è questo quel che voglio fare. Quando la guerra sarà finita, tornerò. C’è anche Eragon che si fida di me, io voglio aiutarlo. Nel frattempo imparerò con piacere le usanze e la lingua del mio popolo”. Il viso della regina si indurì.
“Bene. Capisco. Chiederò a qualcuno di farti da insegnante” disse dopo una pausa alzandosi dal trono. Si voltò e sorrise leggermente. “Capisco che tu non ti senta proprio a tuo agio qui, ma lascia almeno che festeggiamo il tuo ritorno” disse con voce appena più dolce.

Ellen era sicura. Islanzadi non era la madre che sperava di avere. Monica era molto meglio, anche se non viveva certo in una reggia e non dava banchetti ogni sera. Seduta affianco ad Eragon, a cui aveva raccontato tutto quel pomeriggio appena lui aveva terminato l’addestramento con Oromis, piluccava qualche patata e qualche vegetale non meglio identificato. Di fronte a lei sedeva Arya, che le lanciava strane occhiate ogni tanto, a capotavola sedeva Islanzadi.
Sembrava che il resto degli elfi l’avesse presa bene, in un certo senso. Tutti erano felici che fosse ritornata, ma nessuno sapeva che non sarebbe rimasta. Peggio, nessuno sapeva che lei non voleva rimanere.





Ecco fatto. Il capitolo tanto atteso ... che cosa ne pensate, ordunque? XD Questo l'ho scritto quando ancora non avevo letto Brisngr, non scrivo nulla perchè magari qualcuno non lo ha letto, ma, insomma, se la mia storia fosse vera, allora sapremmo bene che Brom era stato un uomo promiscuo! XD B'è, probabilmente adesso non viene in mente a nessuno, ma chissà se ricordate la frase di Brom rivolta ad Ellen, in uno dei primi capitoli, quando le dice: "Forse sei per metà un'elfa". XD Bhuahahaha!
KissyKikka: Spero che questo capitolo ti sia piaciuto. Sono curiosa di sentire cosa ne pensi, davvero. B'è si capiva che la chiave di tutto era ad Ellesmera, come hai detto tu stessa, ma dimmi, questo te lo saresti aspettata? Comunque ... grazie della scorsa recensione, spero di rivederti per il commento di questo capitolo. Ciao!
Ciao,
Patty.

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Capitolo 16
*** L'Agaetì Blodhren ***


Capitolo sedici: L’Agaetì Blodhren

“Allora, cosa vuoi fare adesso?” chiese Lifaen ad Ellen rimettendo a posto la sua spada.
“Non lo so …” rispose lei pensierosa. “Stavo pensando all’Agaetì Blodhren”.
Erano passati quasi due mesi da quando Ellen aveva scoperto di essere la figlia della regina degli elfi. Lifaen si era impegnato per insegnarle diverse cose. Con lui aveva imparato moltissime parole nuove nell’antica lingua. Ora poteva parlare abbastanza fluidamente con gli altri elfi. Di conseguenza adesso compiva diverse magie, era diventata brava quanto Eragon, anche se lui si impegnava da molto più tempo di lei, Ellen aveva però dalla sua parte la discendenza elfica. Lifaen aveva anche insistito perché cantasse alle piante, lei aveva provato, ma molto spesso l’albero non le concedeva quello che le chiedeva. Il canto, diceva Lifaen, doveva essere fatto con il cuore. Per quanto si sforzasse Ellen non riusciva ad ottenere più di una risposta dall’albero. Poteva sentire la sua presenza, il suo spirito, come un grande essere dotato anche lui di coscienza. Ma più di questo gli alberi non le consentivano di sentire. In compenso Ellen aveva scoperto che cantare le piaceva. Oltre a questo le venne insegnato a scrivere in elfico, a leggere e la storia del suo popolo e le sue usanze. Giusto pochi giorni prima Lifaen le aveva detto che in quel periodo si sarebbe tenuto l’Agaetì Blodhren, il Giuramento di Sangue, che si festeggiava ogni cento anni e dove veniva ricordato il patto di sangue che gli elfi avevano stretto con i draghi. Le disse anche che, durante la celebrazione dell’Agaetì Blodhren, ognuno doveva portare qualcosa da mostrare agli altri. Poteva essere un dipinto, una poesia, qualsiasi cosa che fosse il prodotto della creatività personale.
“Tu cosa porterai?” chiese Ellen a Lifaen sedendosi sconfortata vicino alle radici di un albero. Lifaen si sistemò accanto a lei e poggiò una mano sul tronco dell’albero, osservandone i rami rigogliosi. La ragazza ci pensava da giorni ma non le veniva in mente nulla che potesse essere originale e che la rappresentasse.
“Sto facendo qualcosa che, sono sicuro, ti piacerà moltissimo, ma non posso dirti che cos’è. Rovinerei la sorpresa”.
“Uffa … tutti sanno cosa portare tranne me. Ho anche provato a scrivere una canzone … ma non mi convince”.
“Potrei sentirla?” chiese gentilmente Lifaen.
Ellen fece involontariamente una smorfia. “Non credo che sarebbe di tuo gradimento. Avevo cercato di scrivere qualcosa come le ballate di un tempo, che raccontasse una storia di coraggio e di avventure, ma è venuta fuori una cosa piuttosto intricata e … brutta”.
“Sai, spesso le cose più semplici sono quelle più incantevoli” disse Lifaen posandole una mano sulla spalla, un gesto che faceva molto spesso. “Non deve essere qualcosa di eclatante. Guarda questo germoglio” disse indicando una minuscola piantina che cresceva in mezzo a loro due ai piedi dell’albero, “non ti sembra che sia bello come il pino?” disse poi indicando il grosso albero sopra di loro.
Ellen sorrise a quella comparazione. “Hai ragione” disse alzandosi. “Penserò a qualcosa”. Salutò Lifaen e cominciò a passeggiare in mezzo al bosco.

Eragon aveva appena finito il suo allenamento giornaliero e si stava recando a palazzo per incontrare Ellen. Ora parlare con lei era diventato molto difficile ma andava volentieri a palazzo, anche per vedere Arya, in realtà.
Stava proprio pensando a quello quando scorse la sua esile figura in mezzo ad una sala del palazzo. “Arya!” la chiamò e corse verso di lei.
“Eragon, piacere di vederti”.
“Anche per me”. Il ragazzo le sorrise. Era da qualche tempo ormai, si era reso conto, che lei lo evitava, e, anche se cercava di non darlo a vedere, non gli voleva parlare. Eragon pensava che fosse a causa del Fairth, il dipinto magico che mostrava cosa vedeva l’occhio della mente, che Oromis gli aveva insegnato a fare. Ne aveva fatto uno per lei, ma, quando lo aveva visto, si era infuriata e lo aveva gettato a terra, distruggendolo.
“Arya, ascolta … io vorrei scusarmi. Mi sono reso conto in che posizione difficile ti ho messo, ma non intendevo fare nulla del genere. Oltretutto voglio che tu sappia che, in ogni caso, nulla mi potrà distrarre dal mio addestramento, quindi puoi tranquillizzarti”.
“Certo Eragon” disse l’elfa educatamente, ma il ragazzo si accorse subito che non voleva comunque restare da sola con lui. “Se cerchi Ellen, è nella sua stanza”. Si voltò e se ne andò.
Eragon sospirò, poi si diresse verso la stanza della ragazza. Percorse i corridoi che ormai conosceva a memoria e si fermò davanti alla camera di Ellen. La porta era semi aperta. Quando Eragon sbirciò dentro vide che Ellen aveva sistemato la scrivania e il letto contro il muro per creare uno spazio in mezzo alla stanza. Al centro c’era lei, che si muoveva a ritmo di una musica inesistente. Eragon rimase sulla soglia ad osservarla, non disse niente per non deconcentrare la ragazza, che non lo vide nemmeno dato che aveva gli occhi chiusi. Dopo qualche minuto di una danza forsennata Ellen rallentò. Prese a danzare dolcemente e un sorriso affiorò alle sue labbra. Quando si fermò una lacrima scese lungo la sua guancia e la ragazza aprì gli occhi.
“Eragon! Da quanto tempo sei li?” chiese stupita asciugandosi in fretta la faccia.
“Abbastanza. Sei molto brava”.
“Davvero?!” chiese lei raggiante. “Aspetta, tu mi spiavi. Dovrei arrabbiarmi”. Lo guardò stringendo gli occhi ed Eragon si lasciò sfuggire una risata, poi entrò nella stanza e si sedette ai bordi del letto.
“Dove hai imparato?” le chiese.
“Mi ha insegnato un elfa che ho conosciuto l’altro giorno. Mi sto facendo dare lezioni”.
“Ah … cos’era quello comunque?” chiese. Ellen lo raggiunse e si sedette a gambe incrociate.
“Era … una prova. Pensavo di ballare durante l’Agaetì Blodhren”.
“Sul serio? Era bello, mi prendeva … a cosa pensavi di così intenso?” chiese Eragon, ma si pentì all’istante. Ellen abbassò lo sguardo e prese a strofinarsi le ginocchia.
“Lo sai … pensavo a Murtagh”.
Eragon sospirò teatralmente, cercando di rallegrare la ragazza. “Ahh! Siamo messi davvero male noi due!”.
“Perché?” chiese lei incuriosita alzando lo sguardo. Eragon sorrise interiormente: aveva compiuto il suo scopo. Ellen non era più troppo triste. Le raccontò cos’era successo con Arya, del Fairth e di prima.
“Uffa però!” disse Ellen. “Tutte le persone che mi stavano antipatiche fanno parte della mia famiglia. Tranne Brom, e in effetti anche Arya, a pensarci bene non è male”. Restò in silenzio per un po’, poi: “Forse se io mi conoscessi mi starei antipatica”. Eragon rise fragorosamente.
“O così, oppure saresti sempre d’accordo con te stessa! E non riusciresti mai a batterti a duello con la spada. A proposito, Lifaen mi ha detto che sei diventata molto abile”.
Cominciarono a parlare del più e del meno, poi uscirono a fare una passeggiata insieme a Saphira. Anche lei stava prendendo lezioni dal drago di Oromis, Glaedr. Tutti e due erano molto assorbiti dal loro compito, e sembravano davvero entusiasti.
“In questi giorni dovremmo lavorare tanto” disse Eragon prima di congedarsi da lei, “ma ci vediamo all’Agaetì Blodhren sicuramente”.
“Tu cosa porterai?” chiese Ellen curiosa.
“Un poema” rispose Eragon alzando le spalle.
“Posso leggerlo?”.
Il ragazzo scosse la testa. “L’ho lasciato a Oromis perché mi dicesse cosa ne pensava”.
  E tu Saphira?
  Non te lo dico, disse la dragonessa arricciando le labbra squamose in quello che sembrava un sorriso.
  Dai, insistette Ellen avvicinandosi a lei e carezzandole un fianco. E se ti chiamo pure io Squame di Luce? Oppure Leggiadro essere dei venti e delle terre? O anche … aspetta, ne avevo sentito uno davvero bello, è incredibile come questi elfi ti adorino!
  Hai ragione, all’inizio era bello, ma ora è diventato noioso.
  E tu Eragon, non eri geloso di ricevere così poche attenzioni?, lo punzecchiò Ellen rivolgendosi a lui.
  Tzé! Io sono superiore a queste cose, cosa credi?, disse Eragon guardandosi le unghie con fare critico e strofinandole sulla camicia, come per lucidarle.
  Immaginavo, disse allora Ellen, e se ti chiamo Grugno di Fuoco?
Saphira scoppiò in un leggero ruggito e scosse l’intero corpo squamoso.
  Se anche un solo elfo ti sentisse ti condannerebbero alla forca!

L’Agaetì Blothren era arrivato.
Ellen si vestì con quel che gli era stato dato dalla regina. Una sottile veste di seta con il collo a v che si stingeva in vita e cadeva morbida sulla gambe, di un colore azzurro molto chiaro. Uscì dal palazzo e andò verso lo spiazzo erboso dove si trovava l’albero di Menoa. Lì davanti trovò Eragon e Arya. Si sedette accanto a loro, in attesa che i festeggiamenti cominciassero.
Islanzadi fece la sua apparizione portando in mano una sfera luminosa. Si diresse davanti al maestoso albero di Menoa e la posò in terra. La sfera divenne di mille colori e illuminò di una luce intensissima tutta la radura. Ellen ed Eragon dovettero distogliere lo sguardo, tanto la luce era forte. In quel momento gli elfi risero di gioia e si alzarono tutti insieme.
Cominciarono a cantare, suonare e danzare. Il loro riso riempiva l’aria, i loro corpi si muovevano leggiadri al suono della musica. C’erano diverse portate, tutte a base di verdura fresca, legumi e frutta succosa.
Né Eragon né Ellen vissero del tutto lucidamente quei giorni. Tutti e due erano assoggettati alla magia sprigionata dagli elfi stessi, anche se Eragon di più.
Infine giunse il momento di mostrare che cosa avevano creato per la festa. Saphira volò via e andò a prendere una specie di grossa roccia brillante. Quando la depositò in terra si resero tutti conto che era la statua di un drago. Tutti applaudirono il più fragorosamente possibile. Saphira rivelò ad Eragon che aveva creato la statua leccando la roccia semifusa. L’effetto scintillante non era stato voluto, ma era arrivato come conseguenza alla cristallizzazione di alcuni minerali contenuti nella roccia.
Eragon recitò un bellissimo poema. Ellen ne rimase molto stupita, e non solo lei, anche gli altri elfi. Islanzadi disse che avrebbero messo il poema nella biblioteca, così che tutti avressero potuto goderne. Eragon le fu davvero riconoscente, non si aspettava certo che il suo poema, raffinato fra quelli della sua razza ma sicuramente un po’ ruvido per gli elfi, riscuotesse tanto successo.
Ellen ballò la sua danza. Con più passione e ardore di quanto lei stessa sospettasse di avere. Tutti gli elfi apprezzarono il ballo perché capirono che era sincera e, quando finì, applaudirono e si complimentarono con lei. Anche Oromis le disse qualche parola e Lifaen la fece volteggiare.
“Hai un talento così grande e lo tieni nascosto?”.
“Non è poi così grande come credi. Mi sono esercitata tanto. E’ solo che mi diverte ballare, anche se non sono così brava come voi elfi”.
“Io credo che con l’impegno potrai raggiungerci e superarci, perfino”.
“Magari, un giorno … a proposito, devi farmi vedere cos’hai portato tu”.
“Giusto”. Lifaen sparì tra la folla e tornò indietro con qualcosa in mano. “Ecco qui” disse mostrandogli una catenina argentata con appeso uno strano ciondolo. Aveva forma di una foglia, di colore arancio chiaro con varie sfumature che toccavano anche il marrone e sembrava che si muovesse al vento tanto era veritiera. Sulla foglia v’era incisa la lettera E.
“Wow … di cosa è fatta?” chiese Ellen stupefatta. Alcuni elfi si congratularono con Lifaen per aver prodotto un così bel manufatto.
“Di resina. L’ho scaldata, modellata e asciugata. Al buio brilla, sai?”.
“Davvero? Voglio vedere”.
“Certamente”. Prese la ragazza per mano e cominciò a trascinarla nel bosco. Incontrarono molti elfi durante il percorso. Ellen intravide Eragon ballare con un’elfa e stringerle la mano. Sorrise fra sé e sé. Lifaen incrociò il suo sguardo e vide Eragon.
“Sembra che Eragon Ammazzaspretti e Saphira si stiano divertendo”. La dragonessa era poco dietro Eragon e faceva divertire gli unici due bambini elfi facendogli scalare la propria schiena.
“Già”.
Continuarono a camminare finché i rumori della festa non furono lontani e giunsero in un punto del bosco molto fitto di alberi, dove la luce della luna non giungeva.
“Guarda” sussurrò Lifaen aprendo la mano. Sul suo palmo bianco la foglia di resina scintillava luminosa. Le venature della finta foglia rilucevano e la lettera E incisa irradiava una luce giallognola.
“Per cosa sta la E?” chiese la ragazza.
Lifaen la guardò un po’ triste. “Ancora non lo sai?” le chiese. Le mise una mano sui capelli e l’accarezzò dolcemente, sul volto un sorriso morbido come la seta. Ellen restò paralizzata. Forse aveva sempre saputo che quel momento sarebbe arrivato, prima o poi, ma aveva cercato con tutte le sue forze di non guardare ciò che non voleva vedere. Lifaen le si avvicinò lentamente e depositò un piccolo bacio sulla sua guancia.
“La E sta per Ellen, la più bella creatura che abbia mai camminato per questi luoghi” le sussurrò all’orecchio. “So bene che il tuo cuore appartiene ancora a Murtagh, tuttavia ti chiedo di accettare questo dono”. Le mise in mano la collanina con forza, poi si voltò e sparì nel bosco, appena prima di dire: “Pensaci su, Ellen”.

“Ellen! Vieni qui!”. Eragon allungò un braccio fra la folla e prese la ragazza per le mani. “Balliamo!”. Cominciarono a volteggiare al ritmo della musica, che divenne man mano più frenetica. Diversi strumenti dal timbro cristallino si univano al flauto che aveva iniziato quella melodia. Ellen ed Eragon si tenevano a braccetto e saltellavano qua e la, ridendo rumorosamente.
Islanzadi si alzò e andò a chiamare Ellen. Portandola in un angolo le bisbigliò qualcosa all’orecchio. La ragazza era ancora stordita dalla magia degli elfi, che si sprigionava forte e intensa come un odore pungente invade l’aria, quindi la regina decise di farla restare un po’ da parte, lontana dalla festa. La portò al castello fino in camera sua e la distese a letto.
“Dormi figliola” le disse sorridendo. “Fra qualche ora l’Agaetì Blothren finirà, manderò qualcuno a chiamarti”.
“No! Voglio venire anch’io!” disse Ellen con poca convinzione.
“Certo tesoro. Domani …” le disse Islanzadi coprendola. Mentre la regina usciva Ellen già si era addormentata. Anche a Eragon era stato detto da Oromis di riposarsi per un po’, prima di partecipare ad un’importante cerimonia.




Doveroso capitolo sull'Agaetì Blodhren, che non potevo assolutamente tralasciare. Credo che quella dell'addestramento sia una delle mie parti preferite del libro, anche se qui non l'ho riportato con precisione altrimenti sarebbe stato noioso, dato che l'abbiamo già letto tutti! XD Comunque mi piaceva l'idea che Lifaen facesse un regalo ad Ellen proprio in questa occasione ... ma sappiate che io sono dalla parte di Murtagh! Non so perchè, ma Lifaen mi dà l'idea di essere viscido ... povero Lifaen, si è offeso! XD
KissyKikka: hai visto che anche qui Ellen ripensa alla sua famiglia, ma non è molto felice di questo fatto. In effetti devo ammettere che come personaggio Islanzadi non mi piace poi tanto, quindi credo che sia per questo che non piace nemmeno ad Ellen! XD Comunque cosa ne dici dei festeggiamenti degli elfi e del regalo di Lifaen? Grazie mille per la recensione, al prossimo capitolo! *smack*
Grazie a tutti i lettori, lasciate un piccolo commentino, prego! :D
Patty.

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Capitolo 17
*** Partenza ***


Capitolo diciassette: Partenza

“Ellen”.
Qualcuno disturbava il suo sogno! Chi?
“Ellen!”.
Di nuovo.
“Alzati Ellen!”.
“No”. Ecco, ormai il pasticcio era fatto: era sveglia.
“Non vuoi andare a vedere come sta Eragon?”.
“Perché?” chiese lei, ancora sotto le coperte ma più attenta.
“Ma come? Islanzadi non te l’ha detto?”.
“Cosa?!”. Ellen sbucò fuori dalle coperte e si ritrovò faccia a faccia con l’ultima persona al mondo che avrebbe voluto vedere. “Lifaen? E' te che Islanzadi a mandato a svegliarmi?” chiese quasi arrabbiata.
“Esatto. Potresti iniziare a chiamarla madre. Ne sarebbe felice”.
“Lo so, ma non mi sento come se … cioè, è strano” disse la ragazza tirandosi su a sedere. “Ma … cos’è successo a Eragon?”.
Lifaen si sedette al suo fianco. “Ieri ha partecipato alla cerimonia per la chiusura dell’Agaetì Blodhren e le due gemelle tatuate hanno danzato richiamando lo spirito dei draghi”. Ellen sgranò gli occhi.
“Già, me ne avevi parlato. Quindi ora Eragon … ha ricevuto i poteri di un drago? Degli elfi?”.
“Degli elfi” disse Lifaen.
“Devo andare a trovarlo!”. Ellen si alzò in fretta e fece per uscire poi, esitante, si fermò sulla soglia della stanza. “Io … non ho dimenticato ciò che mi hai detto. Ti chiedo solo di aspettare ancora un po’” disse senza guardarlo, poi fuggì.

Quando entrò nella stanza di Eragon vide Saphira che guardava il letto del ragazzo, la grossa testa azzurrina poggiata sul pavimento.
  Saphira, ciao.
  Ciao Ellen, come va?
  Io tutto bene. Lui piuttosto? Da quanto è addormentato?, chiese la ragazza sedendosi affianco alla dragonessa.
  Da ieri sera, quando è finita la cerimonia. Non puoi immaginare quanto sia cambiato.
  Sul serio?, Ellen, incredula, si avvicinò al letto di Eagon e sbirciò fra le coperte. Oddio! Non si riconosce nemmeno!
  B’è, non esagerare. Si capisce che è lui, solo che è un po’ più, come dire, delicato? Aggraziato?
  Aggraziato è ancora tutto da vedere …
Il volto di Eragon si era allungato leggermente e i suoi tratti si erano fatti più fini. Anche le sue orecchie erano a punta ora. Aveva le mani più affusolate e Ellen notò, quando il ragazzo si rigirò nel sonno, che non aveva più la cicatrice alla schiena.
  Saphira! La cicatrice di Eragon è sparita!
  Lo so, disse allegra lei. L’ho sentito subito quando il potere dei draghi gli ha guarito tutte le sue ferite. E’ stato come liberarsi lo stomaco da un peso, come quando hai una preoccupazione in meno.
  Ma lui lo sa che l’hanno cambiato così? La dragonessa scosse leggermente la testa, causando alcuni graffietti sul pavimento con le squame coriacee.
  Non credi che se la prenderà?
  No, in fondo ora è guarito.
Eragon si mosse leggermente e aprì un occhio.
“Ellen!”. Il ragazzo si mise subito a sedere e le sorrise calorosamente.
“Sei allegro?”.
“Già!”. Eragon si alzò e si mise la camicia, poi cominciò a guardarsi meglio le braccia.
“Ecco, sai …” cominciò Ellen esitante, “hai presente la festa di chiusura dell’Agaetì Blodhren?”.
“Certo” disse il ragazzo con sguardo interrogativo.
“Hanno fatto un po’ di … restauro”.
“Cosa? Spiegati meglio!”. Eragon, con la disperazione nello sguardo, raggiunse lo specchio che avevano sistemato nell’angolo della stanza e vi guardò dentro. Dopo qualche interminabile secondo sospirò di sollievo.
“Ma sei matta? Mi hai fatto prendere una paura!”.
“Perché? Che pensavi? Che ti avessero ridotto un mostro?”.
“Le tue parole erano un po’ equivoche”.
Ellen ci pensò su. “Si, un po’”.
Si sedettero sul letto e presero a parlare dell’Agaetì Blodhren. Scoprirono entrambi di aver le idee molto confuse sui giorni della celebrazione. La cosa che Eragon ricordava più chiaramente, e la cosa che gli dispiaceva di più ricordare, era la dichiarazione che aveva fatto ad Arya.
“Cosa? Ti sei dichiarato ad Arya? E lei?” chiese subito Ellen. Eragon non era così sicuro di volerne parlare e si pentì di aver cominciato quel discorso. D’altronde sapeva che la ragazza avrebbe continuato a fargli domande sull’argomento se non le avesse detto nulla.
“Si, b’è … eravamo nella radura e ci siamo seduti a parlare e poi, non so, mi è uscito fuori così, giuro: le ho detto che lei era la donna più bella di tutte e che l’amavo non solo per quello, ma anche per la sua intelligenza e la sua saggezza. Probabilmente per lei non sono altro che un bambino, no?” concluse sconfortato.
Ellen non sapeva proprio cosa dire, così si limitò dire che gli elfi, secondo lei erano un popolo molto strano. A Eragon non ci volle molto per scoprire cosa fosse successo con Lifaen, e costrinse Ellen a raccontargli tutto.
Quando ebbe finito Eragon si mordeva nervosamente un’unghia e guardava Ellen con espressione strana.
“Cosa c’è?” chiese lei sospettosa.
Eragon sospirò. “Sai … credo che dovreste stare insieme”.
“Eh?”. Ellen era incredula.
“Tu non stai bene con Lifaen?” chiese Eragon sorridendo.
“Si, ma …”.
“E quindi? Che problema c’è?”.
“E’ solo che …”.
“Ah, ma a chi importa?! Dovresti andare da lui ora!”.
“E Murtagh?”.
Ecco. Era proprio questo il punto, pensò Eragon. Per quanto volesse bene a Ellen era stato ottimista per fin troppo tempo. Era ora di dire le cose come stavano.
“Ellen … so che non lo vuoi sentire, ma non puoi continuare a ignorare così la verità. Murtagh non tornerà più”. La ragazza lo guardò come se lo vedesse per la prima volta. Anzi, era proprio così. Quello non era Eragon. Eragon, il suo amico, non le avrebbe mai detto quelle cose.
“Ma che dici? Non …”.
“Ellen non puoi continuare a mentirti. Murtagh è morto, basta. So che è doloroso, ma era anche amico mio, so cosa provi. Inoltre, sai, credo che Murtagh non voglia che tu resti da sola. Se potesse parlarti ti direbbe sicuramente che devi andare da Lifaen, e dirgli quello che pensi. Lifaen è una brava persona. E’ onesto, coraggioso, sa moltissime cose. Non dirmi che ti annoi con lui”.
“No, è vero. Però non ho mai pensato a lui come a un compagno”.
“E poi lui ti vuole bene” aggiunse Eragon.
“Anche tu mi vuoi bene, che c’entra?”.
“Si ma non in quel modo” disse Eragon sollevando le sopracciglia.
  Ellen, intervenne Spahira, credo che tu non abbia mai considerato Lifaen solo perché pensavi ancora a Murtagh, ma prova a pensarci davvero, ora. Provi qualcosa per Lifaen? Non credo che tu non ti sia resa conto dei suoi sentimenti prima d’ora, no? Anche a me è sembrato così palese.
“Dici davvero?”.
  Assolutamente. E, sai una cosa? Se non hai intenzione di dirgli niente, allora lo farò io per te.
“Cosa?! Aspetta Saphira, non puoi!”. La dragonessa si alzò in volo e uscì dalla grossa apertura sul tetto fatta apposta per lei. Ellen imprecò, si alzò, e cominciò a correre verso il castello. Saphira era già sparita.

  Saphira?
  Si?
  Stai davvero andando a cercare Lifaen?, chiese Eragon.
  No, sto andando a caccia. Disse la dragonessa come se fosse ovvio.

Ellen corse fino in camera sua, dove trovò l’elfo seduto, a leggere qualcosa.
“Saphira non è qui?” chiese col fiatone.
“No” rispose l’elfo stupito. Ellen tirò un sospiro di sollievo. Prese un bicchiere d’acqua e si sedette sul letto, bevendo avidamente.
“Ma tu sei rimasto in camera mia tutto il tempo?”.
“No” l’elfo sembrava divertito. “Appena te ne sei andata sono tornato a casa mia, poi Saphira mi ha detto di venire qui perché saresti arrivata fra poco”.
“Davvero?” chiese Ellen indispettita.
“Già. Che cosa è successo?”.
“Niente, lascia perdere”. Ellen sospirò. Si rigirò il bicchiere di vetro finemente lavorato fra le mani. “Secondo Saphira ed Eragon dovrei dimenticare Murtagh” disse tutto d’un fiato.
“Potrei dirti che sono saggi, ma sembrerei di parte”.
“Infatti”. Ellen sorrise. “Non credo di riuscire a dimenticare tanto facilmente, però forse, in un’altra situazione, sarei stata molto felice della dichiarazione che mi hai fatto”. Ellen guardò Lifaen, posò a terra il bicchiere e si avvicinò a lui. Posò una mano sulle sue labbra, sentendole morbide come la seta. L’elfo trattenne il fiato, anche se non dimostrava emozioni evidenti il suo cuore batteva più velocemente, come dopo una folle corsa. Ellen gli diede un leggero bacio sulla guancia e si ritrasse subito. Lifaen restò immobile, sorpreso, poi sorrise.
“Per il momento questo è il massimo che mi sento di condividere con te, Lifaen” disse Ellen alzandosi. “E ora fuori dalla mia stanza”. Lo prese per un braccio e cominciò a spingerlo fuori dalla camera. Quando  fu alla porta gli sorrise e si chiuse dentro.
Lifaen s’incamminò lungo il corridoio con le mani dietro la schiena e lo sguardo perso nelle intricate decorazioni del soffitto. Non era la prima volta che si innamorava nella sua lunga vita, ma Ellen, e questo poteva dirlo senza alcun dubbio, era la ragazza più strana che avesse mai conosciuto. Forse era proprio questo ad affascinarlo di lei. Era imprevedibile. Non desiderava forzarla, sapeva che parte del suo cuore era ancora in mano a Murtagh, ma era sicuro che con il tempo anche lei si sarebbe innamorata.
  E poi, si disse, Murtagh è morto.     

“Eragon! Eragon ma che cos’è questa storia?!”. Orik si avviò correndo verso il ragazzo che stava sellando Saphira.
“Dobbiamo andare. L’Impero si sta muovendo, i Varden sono in pericolo” disse in fretta.
“Che cosa?! Quando?”.
“Non lo so, forse tra qualche giorno. Le truppe dei Varden sono appostate al confine del Deseto di Hardac, nelle pianure”. Eragon finì di sellare Saphira e cominciò a caricarla di provviste per il viaggio.
“Perché non ci è stato riferito prima?” chiese il nano furente.
“Oromis non ha voluto perché il mio addestramento non è completo, ma io l’ho scoperto lo stesso”. Orik era rosso di rabbia. “Preparati. Io andrò a salutare Ellen”. Il nano annuì e corse via.
“Saphira, aspettami qui”.
  Fai presto, Eragon. Per quel che ne sappiamo i Varden potrebbero essere già sotto attacco.
Eragon si avviò veloce a palazzo e, dopo aver raggiunto il corridoio giusto, bussò alla porta della stanza di Ellen.
“Si?”. Una voce soffocata giunse dall’interno. “Arrivo”. Ellen aprì la porta e sorrise, ma per poco.
“Perché hai quella faccia?”.
“Ellen, sto partendo”.
“Perché?”. Eragon spiegò in fretta ogni cosa, e Ellen, ad ogni nuova informazione, rimaneva sempre di più a bocca aperta. “Perciò sono venuto a salutarti” concluse.
“Eh? A salutarmi? Non ti disferai di me così facilmente, sai? Aspettami solo un secondo, devo almeno prendere le mie cose e salutare Islanzadi”.
“Come? Io … credevo che saresti rimasta qui”.
“E perché lo credevi?” chiese Ellen mentre metteva tutte le sue cose in una grossa borsa.
“B’è qui ci sono tua madre, il tuo popolo, c’è Lifaen e …”.
“E tu chi credi di essere in confronto a tutte queste persone?” chiese Ellen divertita. “Sei mio amico Eragon, molto di più che una madre che conosco appena e un popolo di noiosi”.
“Noiosi? Perché non abbassi la voce?” disse Eragon guardandosi intorno preoccupato. Ellen rise di gusto.
“Non ti preoccupare Eragon, se anche sentissero non gli importerebbe”. Si mise lo zaino sulle spalle e disse: “Dai andiamo”.
Ellen salutò velocemente Islanzadi, la quale fu davvero fredda con Eragon per aver ricordato a sua figlia la promessa di viaggiare con lui finché la guerra non fosse finita. Nonostante questo li congedò con i dovuti onori e, soprattutto, in fretta.
Insieme a Orik cominciarono a viaggiare, il primo giorno erano già fuori dalla Du Waldenvarden. Entro tre giorni erano arrivati alle Pianure Ardenti.




Scusatemi per il ritardo con cui posto! E' che ho avuto alcuni problemi con Internet, ma vi prometto che il prossimo capitolo lo posterò più velocemente. A proposito, il prossimo è l'ultimo! *O*
Ruchan: ciao! Grazie per la recensione. In effetti Islanzadi e Brom non ce li vedo molto nemmeno io, ma volevo che fossero due personaggi già conosciuti, e uno doveva per forza essere un elfo (e Islanzadi è l'unica elfa che incontriamo qui, a parte Arya), l'altro invece mi è venuto in mente Brom forse solo perchè mi sta simpatico. Comunque alla fine era già deciso che non era una storia con un futuro ... u_u B'è, comunque grazie ancora! Al prossimo capitolo! ^^
KissyKikka: Eh, mi dispiace, ma come vedi il nuovo aspetto di Eragon è stata per Ellen una completa sorpresa. Sono contenta che la parte dei doni ti sia piaciuta, mi sono scervellata per trovare qualcosa per Ellen! XD Mentre quello di Lifaen era già deciso da tempo u_u Comunque, nella seconda parte della fic, ci sarà qualcosa di molto simile a quello che le gemelle hano fatto per Eragon, e questa volta Ellen non se lo perderà, te lo prometto (anche perchè l'ho già scritto XD). Grazie per la recensione, al prossimo capitolo! :)
Grazie a tutti i lettori, alla prossima,
Patty.

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Capitolo 18
*** Il ritorno dell'amore ***


Capitolo diciotto: Il ritorno dell’amore

L’esercito dei Varden si schierava sul versante sud, mentre l’esercito Imperiale a nord. Erano in netta minoranza. Quando Eragon scese sulle terre rosse che erano le pianure alcuni soldati lo indicarono e alcuni impugnarono addirittura l’arco.
“Fermi! E’ Eragon Amazzaspettri!” gridò qualcuno. Saphira atterrò sollevando una grossa nube di polvere che fece tossire Ellen. Quando furono scesi e la nube si fu diradata davanti a loro trovarono diversi soldati. Tutti si inchinarono di fronte ad Eragon, che li ringraziò e chiese loro dove si trovava Nasuada. Uno dei soldati li guidò attraverso le tende, finché non giunsero in uno spiazzo dove si trovava una tenda più grande delle altre. Il soldato disse loro di entrare, anche se si  stava tenendo una riunione.
Eragon scostò un drappo che copriva l’entrata e sbirciò dentro. All’interno c’erano un tavolo con diverse persone sedute attorno, fra le quali riconobbe subito Arya. Eragon ebbe una contrazione allo stomaco ma poi fu richiamato alla realtà da Nasuada.
“Eagon!” esclamò lei alzandosi dal tavolo. Gli corse incontro e lo abbracciò. “ Sei cambiato molto dall’addestramento degli elfi. Ellen, è un piacere rivederti” disse la ragazza abbassando leggermente la testa. Arya li salutò cordialmente, senza tradire alcuna emozione.
“Nasuada” disse Eragon, “sono lieto di essere tornato per poter adempiere al mio dovere. Combattere affianco a te e ai Varden è l’unico motivo del mio addestramento”.
“Ti ringrazio di averci preso in così tanta considerazione Eragon Ammazzaspretti. Vorrei presentarti i nostri alleati” e così dicendo Nasuada si votò verso il tavolo e presentò loro Orrin, Re del Surda, e i capi di alcune tribù nomadi di Alagaesia, alcuni dei quali avevano la pelle nera come quella di Nasuada. Eragon, Saphira ed Ellen salutarono tutti cordialmente.
“Eragon, vorrei parlarti un attimo in privato” disse poi Nasuada gentilmente. Il ragazzo acconsentì e i due cominciarono a camminare e a parlare. Ellen non sapeva bene perché, ma sentiva che Nasuada non gli era ostile come prima, quando l’aveva ‘conosciuta’ nel Farthen Dur. Arya diede istruzioni ad un soldato perché desse a Saphira da mangiare e a Ellen una tenda, poi, ripensandoci, disse che per ora avrebbe potuto dormire nella sua. Ellen rimase sorpresa da quella concessione. Non le pareva che Arya fosse una donna molto espansiva e si preoccupò un po’ per quel gesto.
  Forse si sente in dovere di farlo perché ora sa che siamo sorelle … sorellastre, disse a Saphira.
  Può darsi, ma non pensarla in questo modo. Potrebbe essere un segno di affetto da parte sua. Forse vuole dimostrarti che lei ti sente come parte della famiglia ora.
  Forse …
Dopo qualche minuto Eragon entrò nella tenda di Arya, dove c’era anche Ellen.
“Dov’è Arya?” chiese trafelato il ragazzo.
“Non lo so” rispose lei, incuriosita dal comportamento del ragazzo. “Perché?”. In quel preciso istante arrivò Arya.
“Eragon. Che cosa succede?”.
“Devi parlare con Nasuada, è totalmente impazzita!” disse lui. Le due ragazze rimasero sbigottite.
“Come hai detto, prego?”.
“Nasuada ha dato il permesso agli Urgali di arruolarsi ai Varden!”.
“Cosa?!” esclamò Ellen guardando Arya per una conferma. “Ma è una pazzia! Che cosa passava per la testa a Nasuada quando ha deciso questo?”.
“Non insultare il capo dei Varden, Ellen.” disse grevemente Arya guardando Ellen con severità, “Per quanto sia giovane quella ragazza è saggia e scaltra”.
“Ma gli Urgali sono dei mostri! Non hanno il controllo necessario per allearsi con qualcuno, vedrai che si rivolteranno contro i Varden!”.
“Se Nasuada ritiene che sia giusta un’alleanza, allora gli Urgali si uniranno a noi. Non potete mettere in discussione il potere del capo dei Varden”. Di fronte all’ultima affermazione sia Eragon che Ellen ammutolirono. Aveva ragione, non potevano fare nulla contro una decisione di Nasuada.
  Gli Urgali possono essere dei validi alleati, disse Saphira pochi minuti dopo, mentre camminavano per il campo.
  Non credo proprio!, esclamò Ellen.
  Non è giusto rimanere ciechi solo per razzismo. La cultura degli Urgali è più vasta di quanto pensiate. Date loro una possibilità. Sono sicura che saranno determinanti per questa guerra.
Eragon non disse nulla. Per lui si poteva anche evitare che un gruppo sparuto di mostri si unisse ai Varden. Avrebbero solo causato disordini e panico fra gli uomini.
Il Cavaliere si guardò attorno. Tutti i Varden si stavano preparando per l’imminente battaglia. Chi si allenava con la spada, che si rifocillava, chi si metteva l’armatura.
Una nuova battaglia era alle porte.

“Oh no, Eragon” mormorò Ellen guardando il cielo. Tutti e due gli eserciti, quello dei Varden e quello dell’Impero, si erano fermati alla vista della grossa sagoma che era comparsa in cielo. Un drago, rosso come le fiamme dell’inferno, stava raggiungendo veloce il campo di battaglia. Nel vederlo Eragon si era alzato in volo con Saphira, pronto a battersi.
Un grido unanime da parte dei soldati imperiali diede loro nuovo vigore e forza. Si buttarono contro i Varden con rinnovato impeto e scossero le truppe nemiche.
In cielo, intanto, cominciava la battaglia fra i due draghi e i rispettivi cavalieri. Eragon era già spossato per la battaglia e non sarebbe mai riuscito ad avere la meglio contro l’altro uomo, che era un guerriero molto potente e per di più in forze. Ad una manovra complicata la spada scivolò in mano ad Eragon e Saphira scese in picchiata per permettergli di riprenderla. Poco prima che potesse arrivare a terra il drago rosso, più piccolo di lei ma lo stesso molto forte, la raggiunse e le sferrò una zampata sulla coscia. Saphira si voltò con rabbia e riuscì a mordere il drago sulla gola. Quello ruggì e si dimenò, ma Saphira non lasciò la presa. Strinse più forte le mascelle e scosse il drago. In quella, il cavaliere sul suo dorso cadde a terra, ma non si fece troppo male, ed Eragon, per riprendere la spada, lo raggiunse in fretta saltando giù dalla sella di Saphira.
Ellen, dal campo di battaglia, vide cosa stava succedendo. I due erano un po’ lontani ma poteva raggiungerli. Poteva aiutare Eragon. Si districò dalla folla a forza di colpi di spada e di scudo e cominciò a correre per raggiungere la collina dove stavano i due cavalieri. Poteva vedere Eragon steso a terra e l’altro Cavaliere, che si era tolto l’elmo, parlargli. Non riuscì a vedere il volto dell’uomo, perché era troppo lontano, ma le sembrò di riconoscerne vagamente il profilo e la postura. Quando stava per arrivare alla collinetta vide il Cavaliere voltarsi verso di lei e rimettersi l’elmo. Raggiunse in fretta la cima della collina appena in tempo per vedere il Cavaliere scappare. Eragon era ancora a terra e si stava rialzando a fatica.
“Eragon muoviti! Possiamo ancora prenderlo!” disse, e corse giù a rincorrere l’uomo.
“Aspetta!” gridò Eragon. Ma la ragazza non le diede retta.
Ellen correva dietro al Cavaliere senza fermarsi. Stava perdendo fiato in fretta. Sentì un ruggito di dolore provenire dall’alto e guardò distrattamente la battaglia che si svolgeva fra i due draghi. Ancora una volta Saphira aveva la meglio sul suo avversario. Anche io posso averla!, si ritrovò a pensare. Si costrinse a correre più forte. I polpacci bruciavano e i piedi protestavano per il dolore. In pochi secondi raggiunse il cavaliere e gli si buttò addosso, bloccandolo a terra e sedendosi sulla sua schiena.
Ellen tolse la spada dell’avversario dal fodero e la gettò lontano, poi prese la sua e la puntò alla gola del Cavaliere. “Non pensavo che un Cavaliere dei Draghi fosse così facile da uccidere” disse ansante. “Non usi una delle magie che ti ha insegnato Galbatorix, eh?”. Ellen si alzò e voltò l’uomo con la schiena al suolo, tenendolo fermo con un piede premuto forte sul petto. “Traditore. Voglio vederti in faccia prima di ucciderti”.
L’uomo cercò per scappare ma Ellen glielo impedì. Prese l’elmo e lo sfilò.
Il suo cuore saltò parecchi battiti. La mano serrata sulla spada si aprì lentamente e quella cadde a terra con un rumore metallico. Ellen tolse il piede dal suo petto e arretrò, quasi spaventata più che incredula.
“M …” cercò di parlare ma riuscì solo ad emettere un rantolo sordo. Murtagh rimase a terra a guardarla con tristezza. Si alzò a sedere e si mise la testa fra le mani, guardando le goccioline di umidità che si erano formate sull’erba.
“Io … non volevo che lo scoprissi così. Forse se te lo avesse detto Eragon sarebbe stato meglio”.
La sua voce! Da quanto Ellen non la sentiva. Vellutata e dolce, ma non come quella degli elfi. Aveva qualcosa di più terreno ma che suonava sublime alle orecchie della ragazza. Era la voce che Ellen amava.
La ragazza deglutì più volte. Aveva le braccia stranamente molli, come tutto il resto del corpo. Era come se qualcuno le avesse levate il senso del tatto. Senza sapere bene perché si sedette affianco a lui sull’erba.
“Ciao, eh” disse.
A Murtagh scappò un sorriso. “Ciao. Che bello rivederti”.
“Murtagh … cos’è successo dopo che gli Urgali ti hanno portato da Galbatorix?” chiese Ellen con un fremito nella voce. Non osava guardare il ragazzo in viso, così teneva gli occhi puntati sulle mani.
“L’uovo di Castigo si è schiuso per me” disse il ragazzo lasciando la frase in sospeso. “Lui”, la voce di Murtagh si fece dura nel pronunciare quella parola, “ci ha fatto giurare nell’antica lingua”.
Ellen non cercò nemmeno di reprimere la risata amara che la scosse. “Vi ha fatti giurare … perché non ti sei rifiutato? Piuttosto che tradire Eragon avrei patito mille sofferenze”.
Murtagh si voltò di scatto verso di lei, rabbioso. “Credi che non ci abbia provato?! Eh?! Credi che mi piaccia?! Galbatorix conosce il nostro vero nome, ci ha obbligati a giurare! E ora … dobbiamo eseguire i suoi ordini. Tutto qui”.
“Quali sono i suoi ordini?” chiese la ragazza, reprimendo le lacrime.
“Ha detto di cercare di uccidere Eragon. Io ho cercato, per questa volta. Ma la prossima non sarà così facile. Impartirà ordini precisi e non potrò sfuggire”.
“Hai trovato una scappatoia?” chiese Ellen incredula.
“Si. Non è stato molto complicato per questa volta”.
Rimasero in silenzio per un po’, osservando ognuno dalla parte opposta al compagno. All’improvviso Murtagh si voltò verso Ellen, un leggero sorriso in volto che non riusciva a reprimere.
“Però sono contento che sei qui. Se non fossi così testarda non mi avresti mai seguito”.
Anche Ellen sorrise. “A volte può essere un pregio”.
“Mi sei mancata”.
“Anche tu. Però devo ammettere che io sono stata la più fortunata”.
“Questo di sicuro” disse Murtagh sospirando. Accarezzò la guancia di Ellen, come faceva sempre prima, e alla ragazza scappò una lacrima. “Non c’è bisogno di piangere, sai?” la informò il ragazzo.
“Io dico di si”.
“Ma come siamo diventati pessimisti”.
Murtagh si sporse e baciò delicatamente Ellen sulle labbra, aveva uno sguardo sofferto, come se credesse che quello era l’ultimo bacio. Alla ragazza scappò un altro singhiozzo, le labbra premute contro quelle di Murtagh. Senza preavviso si allacciò a lui e rimase lì, abbracciata al ragazzo, sull’erba.
“Una … soluzione ci sarebbe sai?” disse lui accarezzandole i capelli.
“E cioè?”.
“Vieni insieme a me” disse Murtagh velocemente.
Ellen sciolse l’abbraccio e lo guardò, stupita. “Cosa? No, non posso! E cosa direi ad Eragon? Tu piuttosto dovresti venire con noi!”.
“Non posso lo sai. Sono sotto giuramento”.
“Ma … allora …” disse la ragazza cercando febbrilmente una soluzione. Qualcosa che le permettesse di stare ancora assieme a lui, all’uomo che amava. E probabilmente, pensò in quel momento, l’unico che avrebbe mai potuto amare in vita sua.
“Ellen!” Murtagh la richiamò alla realtà, “Vieni con me alla corte di Galbatoix. Potremo stare assieme e … potresti aiutare Eragon da lontano. Ma soprattutto, io sarò tutto il tempo lì, e noi due …”.
“Tutto il tempo?” lo interruppe dubbiosa la ragazza.
“Tutto quanto” rispose Murtagh mettendole entrambi le mani sulle guancie. Il ragazzo poté sentire la morbidezza della sua pelle. Gli era mancata così tanto. “Allora? Cosa ne dici?” chiese guardandola negli occhi.



Fine Prima Parte


Questa Fan Fiction non è stata scritta a fini di lucro. Tutti i personaggi sono fittizi e la maggior parte appartengono a Christopher Paolini, ideatore della Saga dell’Eredità.




E la prima parte è finita! Eh, ma come sono cattiva, vi lascio in sospeso così XD ... lo so che mi tirerete dietro insulti di vario tipo per questo, e avete pure ragione (lo farei anche io). B'è comunque non so esattamente quando comncierò a postare la seconda e ultima parte. La verità era che volevo vedere se questa avrebbe avuto qualcuno che la seguiva, e siccome questo mio desiderio è stato esaudito ovviamente posterò la seconda! ^^ L'unico problema è che ha ancora bisogno di qualche capitolo (anche se la trama ce l'ho già in mente) e di un titolo decente. B'è, per il link alla seconda parte controllate questa storia, così non avrete problemi a trovarla!^^
KissyKikka: come vedi Ellen ha incontrato Murtagh molto più velocemente di quanto ti aspettassi. B'è, che dire? Lieta di averti stupita. Ma su una cosa hai ragione, Lifaen è inquietante, e contro Murtagh non ha alcuna possibilità! XD B'è, grazie di cuore per avermi seguita e recensita, e spero che continuerai a farlo. Un bacione! ^^
Grazie a chi ha recensito, ai lettori silenziosi (in fondo non m'importa che non recesite, prima non lo faceva nemmeno io), e a chi ha messo la FF sulle Seguite o sui Preferiti. Grazie mille, mi avete dato un motivo in più per impegnarmi a scrivere! Grazie davvero con tutto il cuore :)
Un saluto a tutti,
Patty.

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