L'Ombra del Passato di PattyOnTheRollercoaster (/viewuser.php?uid=63689)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Arrivo a Daret ***
Capitolo 2: *** L'uomo dei ricordi ***
Capitolo 3: *** Radici nascoste ***
Capitolo 4: *** L'avvertimento ***
Capitolo 5: *** I Ra'zac ***
Capitolo 6: *** Fragilità ***
Capitolo 7: *** Verso Gil'ead ***
Capitolo 8: *** Il piano ***
Capitolo 9: *** Liberi ***
Capitolo 10: *** Nel deserto di Hardac ***
Capitolo 11: *** Imprigionati ***
Capitolo 12: *** Fiducia ***
Capitolo 13: *** L'avverarsi della profezia ***
Capitolo 14: *** Di nuovo sulla strada ***
Capitolo 15: *** Le origini ritrovate ***
Capitolo 16: *** L'Agaetì Blodhren ***
Capitolo 17: *** Partenza ***
Capitolo 18: *** Il ritorno dell'amore ***
Capitolo 1 *** Arrivo a Daret ***
L’Ombra
del passato
Capitolo 1:
Arrivo a Daret
Daret era sempre stata un
cittadina tranquilla. Anche troppo forse. Probabilmente era per quello
che i suoi abitanti si agitavano tanto quando succedeva qualcosa di
strano.
Quella mattina in particolare c’era un’aria
frizzante. Gli animali lo sentivano che stava per succedere qualcosa: i
cavalli scalpitavano e sbuffavano innervositi mentre i cani e i gatti
giravano nei cortili delle case, incuranti al richiamo dei padroni. Gli
abitanti svolgevano il loro lavoro come al solito e solo uno di loro si
rese conto della ragazzina piccola e magra di circa tredici anni che
era misteriosamente comparsa all’angolo di una casa. Fu
Monica, una giovane donna, a vederla e soccorrerla. La ragazzina era
svenuta, coperta dalla polvere della strada. Gli altri passanti non le
facevano caso, pensando che fosse una mendicante. Monica
chiamò il marito, Gellert, che la portò in casa
loro.
Dormì per tre interi giorni. Monica sbrigava le sue faccende
di casa e si prendeva cura di lei. Aveva una brutta febbre e le passava
sul corpo uno straccio bagnato con acqua gelata. All’alba del
quattro giorno la ragazzina si svegliò. Non ricordava nulla,
né chi era né come si chiamava né
tantomeno da dove veniva. Per fortuna aveva quella catenina al collo.
Era dorata e dentro c’era incisa in lettere eleganti e
sinuose una data ed un nome: Ellen.
Questo è il
prologo della mia storia. Anche volendo non sarei capace di scrivere
capitoli così corti. L'Ombra del passato
è la prima parte di due storie, che in realtà
potevo comodamente unire, ma personalmente non mi piaccciono le fan
fiction troppo lunghe, così ho deciso di tagliarla in due
parti. Il titolo è un'omaggio al Signore degli Anelli,
infatti il secondo capitolo del primo libro s'intitola proprio
così.
Prima di chiudere la pagina sbuffando seccati per il nome poco
fantasioso che ho datto a uno dei personaggi principali leggete questo:
ho provato con vari nomi ma, pensando al suo carattere, sono arrivata
alla conclusione che un nome inventato non era adatto a lei. Per caso
mi è capitato di vedere un bel film nei giorni in cui stavo
inventando la trama generale della storia, e una delle attrici del film
si chiamava Ellen. In quel momento ho propio pensato che il mio
personaggio volesse essere una versione più antiquata di lei, e
così detto fatto.
Un'avviso: questa prima parte della storia seguirà la trama
di Eragon ed Eldest ma poi verrà totalmente cambiata, questo
perchè ancora Brisingr non era uscito quando inventai la
storia.
B'è, lasciate un commento se vi capita o se avete qualche
dubbio, ciao!
Patty
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Capitolo 2 *** L'uomo dei ricordi ***
Capitolo 2: L’uomo dei ricordi
Erano
passati tre anni ormai da quando Ellen era arrivata a Daret. Per
qualche tempo era stata felice. Dopo che Monica le disse che era meglio
non ricercare il passato lei, semplicemente, lasciò perdere.
Arrivò alla conclusione che forse non era così
importate. Era stata adottata da Monica e Gellert, che la trattavano
come una figlia vera. Per due anni aveva vissuto con loro. Aveva
aiutato Monica con le faccende di casa, avevano passato interi
pomeriggi a parlare di cose da donne, come diceva Gellert. Aveva
sviluppato una sorprendente capacità con le armi, era come
se le venisse naturale. Dopo averlo scoperto, Gellert, che era un buon
tiratore di scherma, aveva preso ad allenarla ogni sera per circa due
anni. Nonostante avesse vissuto a Daret per tanto tempo i cittadini non
le davano ancora confidenza. Alcuni avevano paura di lei, altri
semplicemente credevano che fosse pericolosa dato il suo arrivo dal
nulla.
Ma le cose andavano discretamente bene
finché gli Urgali non cominciarono a saccheggiare il
villaggio. Passavano a bande di circa cento o duecento e uccidevano e
saccheggiavano. In una di queste incursioni Monica e Gellert persero la
vita, ed Ellen si ritrovò da sola. Ma adesso, dopo
un’ anno dalle prime incursioni, erano molto più
organizzati. Trevor, un ex militare, aveva preso il comando della
cittadina. Impartiva lezioni a tutti i giovani che potessero
combattere, così da poter essere preparati ad affrontare gli
Urgali o altri nemici. All’inizio non voleva che Ellen
combattesse ma poi, siccome lei aveva battuto uno dei suoi migliori
alunni, decise di addestrarla e di permetterle di combattere e
difendere il villaggio.
Fu allora, in quel periodo, che due
sconosciuti arrivarono a Daret, incoscienti del pericolo che correvano.
Ellen li aveva visti entrare in città in sella a due
cavalli. Erano arrivati fino ad un certo punto della via principale,
poi si erano voltati e avevano deciso di uscire, ma i carri guidati da
due uomini li avevano bloccati. Gli stranieri si prepararono alla
battaglia, mettendo mani alle armi. Trevor si pose di fronte a loro.
Ellen era sistemata, con la spada sguainata e pronta in mano, dietro di
loro, nascosta alla vista. Sentì che parlavano e che,
infine, raggiungevano un’ accordo.
“Ellen”. La voce di
Trevor giunse chiara dalla strada. La ragazza, senza mettere via la
spada, uscì allo scoperto. “Vai a prendere del
cibo, acqua e dei guanti per il ragazzo”. Lei annuii ed
entrò in una delle case ormai disabitate che fungevano da
magazzini. Prese diverse carni, qualche frutta e pochi formaggi.
Dopodiché cercò dei guanti. Ne trovò
alcuni non molto vecchi, la pelle era resistente ma morbida.
Uscì sulla strada e si
avvicinò agli stranieri. L’uomo più
anziano stava contando delle monete sul palmo della mano. Quando si
volse lei gli porse i guanti. Si guardarono negli occhi per
un’ istante.
Una
bambina teneva in mano una bambola di pezza e correva dentro una casa.
Rideva, e la sua voce si mescolava ad una più profonda.
Ellen si voltò, la bambola stretta in mano, vide il volto
dell’uomo. Quegli occhi neri scintillanti.
Erano state una serie di immagini nella
sua mente, che non avevano occupato più di due secondi.
Cercò ancora gli occhi dell’uomo, che la guardava
con espressione indecifrabile. Quando li trovò rivide gli
stessi che aveva visto da bambina, nel ricordo da poco riacquistato.
L’uomo prese i guanti e li porse al giovane di fianco a lui.
Ellen lo aiutò a mettere la carne nella bisacce, ricevette
le monete e se ne andò velocemente.
Aveva bisogno di ragionare in fretta.
Aveva appena visto il suo passato? Probabilmente si, decise. Voleva
sapere perché quell’uomo era nel suo passato? A
questo non sapeva rispondere. Era arrivata, automaticamente, nel
dormitorio delle ragazze più giovani. Si erano tutte
rinchiuse dentro la casa, alcune guardavano dalle finestre per vedere
se succedeva qualcosa. Forse sarebbe finita come loro se non faceva
subito qualcosa. Questo di sicuro non lo voleva.
Si voltò di scatto e prese a
correre. Andò alla scuderia, dove tenevano i cavalli. Il
suo, quello che usava per cacciare le bande di estranei, era legato in
fondo alla stalla.
“Vieni qui Dimitri”
disse slegando il cavallo e sellandolo.
Dopo mezz’ora era fuori Daret, e
seguiva le tracce dei due uomini. Giusto il tempo di prendere degli
effetti personali, del cibo e fare un saluto alle tombe di Monica e
Gellert. Gli stranieri non erano molto in vantaggio, se andava veloce
poteva facilmente raggiungerli. Spronò Dimitri il
più possibile e, nel tardo pomeriggio, poté
scorgere gli stranieri al trotto. Decise di seguirli senza farsi
vedere, compito difficile nelle pianure, ma era abituata a quel luogo,
e sapeva come sfruttare le asperità del terreno, i bozzi e
gli avvallamenti.
Verso sera, quando i due si fermarono, si
fermò anche lei. In quel momento non seppe cosa doveva fare.
Doveva andare lì e presentarsi? Salve! Io sono quella che vi ha
dato i guanti, vi ho seguiti! Decisamente no. Per ancora
alcuni minuti restò lì, indecisa, poi qualcun
altro decise per lei.
Ellen vide il ragazzo alzarsi e salire in
groppa al cavallo, per poi venire verso il punto dove c’era
lei. Si accorse troppo tardi di essere stata scoperta. Salì
su Dimitri e cominciò a galoppare più in fretta
che poté. Si girò a guardare a quale distanza
fosse dallo sconosciuto. Quando tornò a guardare avanti vide
qualcosa di enorme che si parava di fronte a lei, bloccandole la
strada. Dimitri si impennò e lei cadde a terra dalla
sorpresa. Il cavallo corse via ed Ellen rimase lì a fissare
l’animale più grande che avesse mai visto. Era
persino più alto di un’ orso messo in piedi. Aveva
un corpo simile a quello di una lucertola, delle ali che stava
ripiegando sul corpo e un muso che la osservava con
severità. Riconobbe un drago, dalle leggende che venivano
narrate a Daret. L’animale lanciò un ringhio che
terrorizzò Ellen, la fece indietreggiare sulla sabbia,
allontanandosi dalla creatura. Tremante, continuando ad indietreggiare,
mise mano alla spada.
“Le sue zanne ti
raggiungerebbero ancor prima che tu possa toccarla”. Ellen si
voltò di scatto e vide il ragazzo di quel pomeriggio a
cavallo, con una freccia incoccata nell’arco.
Eragon troneggiava su di lei, ma non gli
sembrava di essere molto eroico, piuttosto crudele e abbastanza
inquietante. La ragazza che aveva davanti doveva avere la sua stessa
età, ma sembrava così minuta e leggera che Eragon
dubitava che potesse farle qualcosa di male. Aveva dei capelli neri e
lisci che ricadevano sulle spalle, non riusciva a distinguere il colore
degli occhi perché era troppo buio ma poteva vedere che
aveva un profilo elegante e il corpo era quello di una giovane donna.
“No per favore” si
affettò a rispondere allontanandosi dall’animale,
ma senza dargli le spalle. Si mise in ginocchio. “No ti
prego. Non dirò niente a nessuno, voglio solo parlare con
l’uomo che sta con te”.
Il ragazzo sembrò stupito, ma
non accennò ad abbassare l’arco. Ellen si
avvicinò a lui, sempre camminando sulle ginocchia.
Sentì il drago dietro di lei ringhiare sommessamente.
“Farò tutto quello che vuoi”
sussurrò. Il ragazzo la osservò per un altro
secondo, poi abbassò l’arma.
Ellen si alzò di scatto tirando
fuori la spada, muovendola con velocità. L’arco
del ragazzo cadde e lei lo prese per la camicia, facendolo cadere da
cavallo. Il drago si era avvicinato ruggendo ma si fermò
vedendo che Ellen aveva immobilizzato il suo compagno e gli teneva la
spada alla gola.
“Tu capisci quello che dico
vero?” disse rivolta al drago. “Se fai un passo lui
muore”.
In quel momento un rumore di zoccoli di
cavallo interruppe il momento di tensione.
“Lascialo andare! Il drago non
ti farà niente!”. Ellen vide l’uomo
dagli occhi neri. “Glielo dico io”. Il drago si
ritirò pochi secondi dopo. Ellen lasciò andare
lentamente il ragazzo. Questo tossì un po’ e si
asciugò un filo di sangue che la spada di Ellen aveva
causato, come avvertimento, sulla clavicola. Poi si
allontanò velocemente da lei, recuperando il suo arco.
“Hey calma, ragazzo”
disse l’uomo. “Ora mettiamo tutti giù le
armi d’accordo?”. Buttò a terra la
spada, lontano, e scese da cavallo. Ellen ed Eragon li imitarono.
“Il mio nome è Brom” disse
l’uomo porgendo la mano.
Ellen si avvicinò e la strinse.
La stretta era forte, e la sua mano era ruvida. Ellen si
sentì inspiegabilmente al sicuro, sentiva di potersi fidare
di lui. Almeno più di quanto poteva fare con il ragazzo.
“Io sono Ellen”.
“Bene. Lui è
Eragon” disse indicando il ragazzo “e lei
Saphira”. Ellen fece un cenno verso di loro e il
ragazzo rispose con un grugnito. “Perché
non ci appostiamo qui? Stavamo per mangiare”.
Ellen notò con la coda
dell’occhio che il ragazzo di nome Eragon guardava
esterrefatto Brom e gli faceva segno di no con le mani.
“Va bene” disse.
Accesero un fuoco e iniziarono a cucinare
due conigli, mentre Brom andava a riprendere Dimitri, che si era
allontanato un po’.
“Lo stai facendo nel modo
sbagliato” disse Ellen rivolta ad Eragon, vedendo come
scuoiava l’animale.
“Io dico di no”
sbuffò lui.
“Invece si, dammi
qua”. Ellen prese il coniglio dalle sue mani e, nel giro di
qualche minuto, era già a bollire. Eragon fece una finta
faccia ammirata.
“Vuoi un’
applauso?”.
“Simpatico”.
Mangiarono in silenzio e alla fine Brom
decise che era ora di dormire.
“Ma … io dovevo dirti
una cosa” obbiettò Ellen.
“E’ tardi. Avrai tutto
il tempo domani”.
“Co … ok”.
Ellen, rassegnata, si stiracchiò e prese una coperta dalla
borsa. La distese a terra e si sdraiò.
Non ricordò bene quando si era
addormentata. Stava guardando le stelle.
Salve a tutti! Mi
dispiace che nessuno abbia lasciato nemmeno un commentino, nemmeno uno
piccolo, nemmeno per dire : "Vergognati
a scrivere una roba del genere!". Ma non fa niente,
continuerò imperterrita a postare capitoli. Però
mi rendo conto che una prefazione corta come quella della volta scorsa
sia ben poco materiale per commentare ... vabè, bando alle
ciance (chissà da dove shifo è uscito questo modo
di dire)! Ci vediamo al prosismo capitolo e spero che questo abbia un
po' più di successo. A proposito, ringrazio chi ha messo in
preferiti la fic. Patty
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Capitolo 3 *** Radici nascoste ***
Capitolo 3: Radici nascoste
Il
giorno dopo Ellen venne svegliata da Brom, che la chiamava per la
colazione. Quando fu in piedi notò che Eragon ancora dormiva
e al suo fianco, come una specie di cane da guardia, c’era la
dragonessa Saphira.
“Che faccio, lo sveglio?” chiese incerta.
“Oh no. Possiamo lasciarli dormire ancora un
po’” asserì Brom preparando un the e dei
panini con il formaggio.
Una volta seduti Brom chiese tranquillamente. “Allora
… perché ci hai seguiti?”.
Ellen si sistemò meglio e prese un altro sorso di the. Non
sapeva bene da dove cominciare, così lo fece
dall’inizio. Quando ebbe finito il racconto Brom non disse
nulla. Aveva tirato fuori la sua pipa e fumava lentamente del tabacco
che mandava nell’aria pesanti ondate di fumo grigiastro.
“Posso azzardare un’ipotesi. Probabilmente la
persona che ricordi mi somiglia molto e io te l’ho ricordata.
Se non è andata così allora non saprei”.
“Dici?” chiese Ellen delusa. Aveva sperato per un
momento che Brom fosse un suo conoscente, magari un’ amico
dei suoi genitori.
“Credo che sia così. Si, è la cosa
più probabile”.
“E ora? Non avevo pensato a questa opzione”. Ellen
era arrabbiata con se stessa perché quel viaggio era stato
inutile, improvvisato e sciocco. Come le era venuto in mente di fare
una cosa del genere? Solo per quella stupida visione che, magari, non
era nemmeno vera. Non le era mai importato niente del posto da cui
veniva o del suo passato dato che aveva vissuto anni felici insieme a
Monica e Gellert. Forse quella sua improvvisa decisione aveva a che
fare con il fatto che ormai a Daret non aveva più nulla e
nessuno. Era ormai da qualche mese che trovava fastidiosi i litigi
nella piccola città, le schermaglie dei ragazzi e i continui
turni di guardia, nonché il modo in cui Trevor si occupava
della città. Forse il suo voler riscoprire il passato era
solo un pretesto per andarsene.
“Credo che non ci sia nulla di male se per qualche giorno
viaggi insieme a noi”. Ellen fu distratta dalle sue
riflessioni dalla voce bassa di Brom.
“Cosa? Vuoi che viaggi con voi?”. Brom
annuì, l’ombra di un sorriso sul volto.
“Perché?”.
“Il coniglio di ieri sera era particolarmente
gustoso” disse sarcastico.
Ellen sorrise. “Non ti devi preoccupare, non
racconterò nulla di voi al villaggio” disse
indicando eloquentemente Saphira con un movimento della testa.
“Non è di quello che mi preoccupo. Ma preferirei
che non tornassi a Daret. Potresti restare qui e aiutarmi ad allenare
Eragon. Ieri non se l’è cavata molto
bene”. Ellen guardò ancora il ragazzo addormentato
e fece una smorfia. “Io ormai sono troppo vecchio per
insegnargli, mi stanco velocemente”.
“Scusa se te lo chiedo, ma … è un
Cavaliere dei Draghi?” chiese Ellen dubbiosa.
“E’ un’ amico”. Brom non
aggiunse altro ma la ragazza capì di aver toccato il punto
giusto della situazione. Si aspettava che i Cavalieri dei Draghi
fossero più … eroici. E forse che sembrassero
più saggi anche. Quel ragazzo l’unica cosa che
emanava era un’aurea di inesperienza che Ellen non si sarebbe
mai aspettata in un eroe che doveva essere elogiato nelle leggende e
nei poemi.
“Quindi voi state andando dai Varden?”. Brom non
rispose ma tirò un’altra boccata dalla pipa.
“Se devo viaggiare con voi credo di dover sapere”
aggiunse poi.
“Stiamo andando alla ricerca dei Ra’zac
perché hanno ucciso lo zio di Eragon”. Ellen si
sentì un po’ in colpa per aver pensato quelle cose
su di lui prima.
“Cosa sono i Ra’zac?”.
“Servono il Re Galbatorix. Sono delle creature forti e
crudeli, che non esitano ad usare la violenza. Forse è
giusto avvertirti che se viaggi con noi non sarai completamente al
sicuro”.
Ellen si strinse nelle spalle. “E’ da un’
anno ormai che non lo sono completamente. Urgali e briganti passano
dalle nostre parti in continuazione”.
“Allora a quanto pare è deciso. Sveglia Eragon e
sella il cavallo”. Brom si alzò soddisfatto e
prese i bicchieri che avevano usato per il the per andare a sciacquarli
nel fiume Ninor, vicino a dove si erano accampati.
Ellen preparò in fretta un panino col formaggio e
andò a svegliare Eragon.
“Hey”. Lo chiamò incerta, piegata sulle
ginocchia, con un volume di voce non troppo alto. “Hey,
Eragon”. Alzò leggermente la voce e gli diede
qualche pacca sulla spalla. Lui ancora non si svegliava.
Mollò il panino per terra e stava per scuoterlo quando vide
il grosso drago blu muoversi.
Aprì un’ occhio e fece un leggero sbuffo alla
vista di Ellen.
“Tu ci riesci a svegliarlo?” chiese, incerta su
come comportarsi. Siccome sapeva che i draghi non sono semplici
animali, pensava che si sarebbe arrabbiata se l’avesse
trattata come tale. Il drago fece uno strano verso alle sue parole e
guardò Eragon per qualche secondo.
“Cinque minuti Saphira” disse lui
all’improvviso. Ellen approfittò di
quell’attimo di veglia per chiamarlo a sua volta.
“Eragon?” disse scuotendogli una spalla. Il ragazzo
si voltò confuso e quando la vide fece
un’espressione rabbuiata.
“Sei ancora qui? Non hai parlato ancora con Brom?”.
“Si ci ho parlato, mi ha detto di svegliarti che
partiamo” disse porgendogli il panino. Eragon si mise a
sedere.
“Partiamo? Chi ti dice che lo faremo noi?”.
“Me l’ha detto Brom. Hai di fronte chi ti
aiuterà ad allenarti con la spada”. Ellen sorrise
entusiasta, sforzandosi di essere amichevole, ma Eragon fece una
smorfia terrificante. In quel momento arrivò Brom.
“Sei sveglio finalmente” disse con un largo
sorriso. Eragon non capiva come mai fosse così felice dato
che si erano appena guadagnati una piattola che li avrebbe accompagnati
nel viaggio.
Dopo essersi sistemati partirono, con Saphira che volava su di loro ad
alta quota, sorvegliandoli. Eragon si sporse dal cavallo e prese una
grossa pietra, dopo aver pronunciato alcune parole che Ellen non
conosceva il sasso si sollevò e andò a sbattere
forte contro un’ albero, incrinandone la corteccia.
Ellen rimase stupita ed Eragon se ne compiacque, sfoggiando un
sorrisino soddisfatto.
“Ma come hai fatto?” chiese lei stupita. Eragon gli
spiegò come funzionava la magia e come doveva essere usata,
e le disse che Brom gli stava impartendo lezioni, quindi doveva
concentrarsi.
“Oh wow, perdonami grande Cavaliere se ti ho
disturbato” disse Ellen con una risatina. Eragon si
voltò a guardarla storto.
“Era ironico?”.
“Oh no! Certo che no!”. Brom si schiarì
la gola nel tentativo di sopprimere una risata, mentre Eragon diveniva
sempre più imbronciato che mai.
Durante il viaggio Eragon si esercitò nella magia, ed Ellen
cercò di imparare tante più parole
nell’Antica Lingua poteva, cercando di memorizzarle. A sera
avevano fatto un buon pezzo di strada ed Eragon decise di chiamare
Saphira per decidere dove accamparsi.
Nel momento in cui il ragazzo contattò il drago Ellen
sentì come un formicolio alle orecchie. Un rumore ronzante
insistente e fastidioso, poi, ad un tratto, sparì.
Ora ti
faccio vedere dove sono. Ellen trasalì quando
sentì la voce di una giovane donna parlarle nella testa. Poi
vide l’immagine di un’ansa nel fiume, vicino a dove
stavano loro in quell’istante. Poi, incredibilmente,
sentì la voce di Eragon. Saremo lì fra dieci
minuti.
“Saphira ha trovato un posto adatto per la notte.
E’ a circa …” non fece in tempo a finire
la frase che Ellen lo precedette.
“… dieci minuti da qui?”. Eragon e Brom
si voltarono a guardarla sbalorditi.
“Come hai fatto a sentirci?” chiese Eragon
indignato.
“Io … non lo so. Non so nemmeno cos’ho
fatto. Non l’ho fatto apposta!” aggiunse vedendo lo
sguardo di Eragon.
“Forse sei imparentata con qualche elfo”
azzardò Brom.
“Perché? Gli elfi possono sentire i draghi e i
Cavalieri?”.
“Si, solo loro e i rispettivi Cavalieri possono sentire il
proprio drago. In realtà i Cavalieri possono sentire diversi
animali, ma non al livello dei loro draghi, chiaro”. Ellen
restò ammutolita. Poteva essere? “Inoltre questo
spiegherebbe la tua propensione per il combattimento”. Eragon
lo guardò interrogativo. “Tutti gli elfi, anche i
più deboli, sono più forti e agili di qualsiasi
essere umano. Vengono sconfitti solo dai loro simili”.
“Credo che ci sia molta differenza però”
obbiettò Ellen. “Credevo che gli elfi avessero le
orecchie a punta” disse tastandosi le orecchie e sentendole
perfettamente tondeggianti.
Brom sorrise. “Magari sei elfa solo per
metà”.
“In più gli elfi non origliano le
conversazioni” aggiunse Eragon. Ellen si voltò
verso di lui spazientita.
“Ancora? Ti ho già detto che non l’ho
fatto apposta!”. Attese qualche secondo, poi, timidamente
chiese: “Posso provare a parlare con Saphira?”.
Eragon era indeciso, ma alla fine, dopo che Ellen gli ebbe lanciato uno
sguardo da tipregoperfavore, accettò.
Quando arrivarono alla radura trovarono Saphira ad aspettarli, che
mangiava un cervo.
Saphira devi
farmi un favore. Eragon chiese subito a Saphira se le
andava bene parlare con Ellen e lei accettò. In parte
perché voleva vedere se riusciva, in parte per provare a
scoprire qualcosa del suo passato.
Dopo cena Ellen si sedette di fronte al drago, risoluta.
All’inizio non seppe cosa fare, ed era leggermente
imbarazzata per via di Brom ed Eragon, che la osservavano. Chiuse gli
occhi, per cercare di non farci caso. Non pensò a nulla,
come aveva fatto poco prima, e poi sentì qualcosa nella
testa. Una specie di entità. Non sapeva descriverla, era
come un’onda che stava per infrangerglisi addosso. Si chiese
se dovesse fermarla, ma poi cambiò idea. La
lasciò infrangersi sui suoi pensieri.
Saphira?
Si? Di
nuovo la voce di lei. Ci era riuscita! Ellen sorrise e cercò
allo stesso tempo di mantenere la concentrazione.
Wo quindi mi
senti! E io ti sento! Saphira sorrise alla sua
eccitazione. Ellen percepì il suo leggero divertimento.
Già. Mi chiedevo se potevo provare una cosa. Solo
se a te va, naturalmente.
Dimmi pure. Era
un sacco bello rispondere a Saphira e sentirsi parlare. Era strano, ma
anche soddisfacente.
Forse posso
provare a cercare nei tuoi ricordi. Forse potrei scoprire qualcosa sul
tuo passato, o forse semplicemente smuoverli un po’,
così ricorderai in seguito. Come è successo con
Brom.
Le notizie
qui viaggiano veloci, eh?Comunque si, prova pure. Ellen
sentì all’improvviso come un cagnolino che frugava
nella sua testa. Vennero a galla ricordi che pensava di aver per sempre
archiviato: come aveva conosciuto Monica e Gellert; quando aveva
ricevuto per il suo quattordicesimo compleanno in regalo una spada
tutta sua; quando cucinava insieme a Monica. Una gran confusione
cominciò a formarlesi in testa dopo qualche minuto di quella
strana ricerca, così chiese a Saphira di smettere.
Scusa. Forse
ho fatto un po’ di casino.
Non importa,
va bene. C’era già casino la dentro. Saphira
rise alla sua affermazione.
Allora? Che
te ne pare di Brom ed Eragon?
Ellen non si aspettava quella domanda così diretta, ma
sapeva bene cosa rispondere. Non
posso ancora farmi un idea precisa su di loro però ... Brom
è un uomo molto misterioso, ma credo di potermi fidare di
lui, quindi, suppongo, anche di Eragon. Fece una pausa. Ha ancora un sacco di
allenamento di fronte a sé, vero?
Già.
Ma è un ragazzo forte, intelligente. Impara in fretta. Sono
sicura che in poco tempo sarà in grado di affrontare grandi
nemici e di prendere le giuste decisioni.
Lo spero.
Sembra molto capace. Quello che ha fatto oggi con la magia è
stato … impressionante!
Ma non
impressionarti troppo, mi raccomando. Ellen
restò stranita.
Perché?
So che magie
ha fatto. Di sicuro ha scelto quelle perché erano difficili
da eseguire. Sarà stanco ora.
Dici che lo
ha fatto apposta?Per far vede cosa sa fare?
Ne sono
abbastanza sicura. Ellen rise fra sé e
sé, e poco dopo alla sua risata silenziosa si unì
anche Saphira.
Mi stai
simpatica sai? Disse la ragazza.
Anche tu!
Alla fine del colloquio Brom decise che era ora di allenarsi.
“Questa volta userete le spade vere” disse gettando
a terra dei legni che avevano una vaga forma di spada.
“Ma … così ci faremo male
davvero” obbiettò Eragon.
Brom si sporse a prendere la spada di Eragon. “Dammi
qua”. Pronunciò alcune parole e passò
due dita sulla spada da entrambi i lati. La lama era ora ricoperta da
una specie di alone rosso. Brom fece scorrere un dito lungo tutta la
lama.
“Fermo!”. Ellen scattò, ma Brom le
mostrò il pollice. Senza tagli, senza arrossamenti, senza
sangue. Fece lo stesso con la sua spada e poi gliela
restituì.
Ellen ed Eragon si misero subito in posizione d’attacco. I
due si muovevano in modo diverso. Eragon era circospetto e osservava
Ellen con attenzione, mentre lei teneva le gambe piegate pronta a
balzare via o a tentare un’ affondo. Siccome lei non
azzardava la prima mossa Eragon cercò di colpirla ad un
fianco ma lei si spostò con velocità e lo
attaccò dal lato opposto. Eragon parò per un
pelo, ma la spada di Ellen fu tanto violenta da fargli venire male alla
mano. Il ragazzo tentò un altro attacco, ma Ellen
parò anche questo e poi, con colpi ripetuti e forti, prese a
farlo indietreggiare. Continuarono così per un bel
po’ di tempo. Eragon attaccava ed Ellen, appena lui aveva
mancato il bersaglio, attaccava a sua volta, con velocità
sorprendente e con immensa forza. Lei riuscì a colpirlo
più volte, alle gambe, al fianco e alla spalla sinistri, i
punti che, si era resa conto, non riusciva a difendere bene. Alla fine
entrambi si sedettero a terra, Eragon più stanco.
“Sei forte per essere una ragazza” disse.
“Pure tu sei forte”.
“Non avevo mai visto una ragazza combattere. Non dovresti
… non so, fare cose da ragazza?” chiese lui
riprendendo fiato.
“Tipo?”.
“Boh. Tipo cucinare e chiacchierare”.
“Hai un’idea contorta delle ragazze, lo
sai?”. Ellen sorrise. “E in quanto a chiacchierate,
ne ho appena fatto una bella con Saphira. Una ragazza davvero
forte”. Eragon abbozzò un sorriso.
“Sono contento che andiate d’accordo.
Però ora devi dirmi come mai sei così brava con
la spada”.
“Non hai sentito Brom prima? Sono
un’elfa!”. Sentirono Brom ridacchiare e sorrisero.
“No b’è, a parte gli scherzi. Mi ha
insegnato l’uomo che mi ha ospitato in casa sua. Ero come una
figlia, mi diceva. Era molto abile. E poi mi sono allenata con i
ragazzi quando sono cominciate le incursioni a Daret”.
“Hai lasciato a Daret i tuoi genitori?”. Eragon
sembrava contrariato e deluso.
“No. Sono morti. Per gli Urgali”. Ellen
abbassò la testa ed Eragon si diede dello stupido da solo.
In tempo di guerra era logico che accadessero cose del genere, poteva
anche pensarci prima, si disse.
“Hey domani ci svegliamo presto. Vi consiglio di
andare a dormire se non volete essere degli stracci
domani”. L’avviso di Brom li colse al momento
giusto. I due si diedero la buona notte e andarono a dormire.
Una volta disteso Eragon si ritrovò a cercare una posizione
comoda per non sentire il male che aveva al fianco, dove Ellen lo aveva
colpito più di una volta. Si addormentò, pensando
a quella furia di una ragazza, con il fisico di uno scoiattolo e la
forza di un leone.
Buon salve a tutti
quanti! Ma non è che lascereste un commentino? Solo per
sapere come sto andando. Se fate così penso che questa
è una storia terribile.
Vabè ... grazie a chi l'ha messa fra i Preferiti o le
Seguite. Al prossimo capitolo!
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Capitolo 4 *** L'avvertimento ***
Capitolo 4:
L’avvertimento
Erano
ormai due giorni che erano arrivati a Teirm. Erano ospiti di Jeod,
anche se Eragon avrebbe preferito andare a stare in una locanda
piuttosto che in quella casa, dove Jeod e la moglie non sembravano
passare il migliore dei momenti. Il mattino del terzo giorno Eragon
venne svegliato da un bussare forte alla porta.
“Eragon apri! Sono
io!”. Eragon si rigirò nel letto,
ignorò beatamente il richiamo e tornò a dormire.
“Eragon! Brom ci ha lasciato dei soldi. Possiamo andare a
fare un giro!”. A quel punto non sarebbe più
riuscito a riprendere sonno comunque. Si alzò e
andò ad aprire. Davanti a lui c’era Ellen,
già vestita di tutto punto e perfettamente sveglia.
“Buongiorno!” disse lei raggiante.
“Ciao”. Eragon si
passò una mano sugli occhi per svegliarsi, poi, siccome
Ellen restava lì impalata disse: “Mi devo
cambiare”.
Lei lo ignorò ed
entrò nella stanza, chiudendosi la porta alle sue spalle.
“Non ti preoccupare, il maggiordomo non
c’è”.
Eragon si accigliò.
“Veramente dicevo a te”.
“Oh, andiamo Eragon. In viaggio
non ti fai troppi problemi a cambiarti quando vuoi, e comunque non ti
ho mai guardato. Ecco! Ora mi giro” disse voltandosi verso la
parete. Poi cambiò idea e si buttò sul letto a
pancia in giù, afferrando il cuscino. “Dove
andiamo?” chiese a Eragon mentre lui si cambiava.
“Non lo so. Facciamo un giro un
po’ dappertutto. Teirm sembra una bella
città”.
“Già. Ho visto un
negozio di vestiti”.
“Ti sta ritornando la
femminilità?” la stuzzicò lui. Ellen
rise sarcastica.
“Non per me, io ce li ho i
vestiti, tu invece sarà un mese che indossi la stessa
camicia”.
“Non è
vero!”. Ellen si alzò di scatto dal letto.
“Ferma! Ancora non ho finito!”.
“Oh, insomma! Ti manca solo il
pezzo di sopra, sai che scandalo!”. Eragon sbuffò,
e ritornò a cercare fra i suoi scarsi vestiti.
“E che mi dici di
questa?” disse trionfante tirando fuori una camicia bianca.
“Quella? Quella cosa non ti sta
più!” Ellen si avvicinò e prese in mano
la camicia, guardandola con scetticismo.
“Perché
no?” chiese il ragazzo deluso.
“Perché
sarà di due anni fa. Ti sta piccola! Le spalle qui non ci
entrano” disse con fare critico. Eragon sbuffò.
“E va bene andiamo a quella
bottega. Ma solo cinque minuti”.
Per tutta la mattinata girarono Teirm. Ne
scoprirono le vie più recondite ed entrarono nei negozi
più belli (compreso quello dei vestiti). Per pranzo si
fermarono a mangiare in una locanda dove l’oste
offrì loro due boccali di birra gratis. Decisero di andare a
casa di Jeod a lasciare la camicia nuova fiammante di Eragon
per poi andare a trovare Saphira. Erano quasi arrivati quando furono
attirati dal piccolo negozietto dell’erborista, affianco alla
casa di Jeod.
“Entriamo?” chiese
Eragon indicando la porta. Ellen scosse le spalle e si avviò.
Il negozio era formato da una sola stanza
che, a quanto sembrava, fungeva anche da magazzino. C’erano
due finestre dalle quali passava una fioca luce, che illuminava
parzialmente gli oggetti accatastati nella stanza. Eragon riconobbe
diversi pentoloni ed erbe di vario tipo appese alle pareti e al
soffitto.
“Salve”. Eragon ed
Ellen sobbalzarono quando sentirono la voce vellutata di Angela
l’erborista provenire dal nulla. Aveva dei capelli ricci
molto lunghi che le ricadevano sulla schiena. Il viso paffuto e
allegro, con un piccolo naso all’insù. La sua
pelle era bianca e liscia, sembrava quella di un neonato.
“Salve” salutarono i
ragazzi.
“Volete comperare
qualcosa?” chiese appoggiando le mani ad un tavolo di legno
scuro pieno di libri impolverati e fogli sparsi. Ellen si
guardò cautamente in giro, cercando qualcosa che potesse
interessargli.
“Non saprei. Cosa vendi
qui?”.
“Dipende cosa ti
serve”. Angela sorrise. “Posso predirre il futuro,
o fare pozioni d’amore. Oppure posso venderti qualcosa che ti
sarà utile come, ad esempio, una magia”.
“Si possono vendere?”.
“Non è proprio una
magia. E’ un sortilegio temporaneo, ma a volte può
durare anche un intero anno. Posso fare in modo che i contadini abbiano
un buon raccolto ad esempio”. Ellen fece segno di si con la
testa, poi lanciò uno sguardo ad Eragon. Stava fissando
qualcosa intensamente e aveva un’espressione di puro stupore
sul volto. Seguì il suo sguardo e vide quello che sembrava
un gatto in piedi su uno scaffale in alto, che a sua volta fissava il
ragazzo. L’unico problema era che non poteva essere un gatto,
era troppo grosso! Aveva le dimensioni di un cucciolo di leone,
piuttosto. Il gatto leone si alzò e saltò a terra
con un balzo elegante. Eragon si rivolse ad Angela.
“Ma come l’hai
avuto?”.
“E’ un gatto, anche io
potrei averne uno. Però dovrei fargli mangiare una casa
intera per farlo diventare di quelle dimensioni” disse Ellen.
“Veramente non è mio.
E non è un gatto”.
“E’ un gatto mannaro,
come quelli delle leggende” disse Eragon rivolto alla ragazza.
“Davvero?”. Ellen
cercò il gatto leone con lo sguardo ma non lo
trovò. “Perché lo fissavi in quel
modo?”.
“Ti ha parlato?”
chiese Angela. Eragon annuì. “E’ un
grande onore sai? Ha parlato con solo due persone prima
d’ora”.
“E chi?” chiese Ellen.
“Un vecchio cieco e una donna.
Ma è stato molto tempo fa”.
“Non mi sembri così
vecchia, quanto tempo può essere passato?”
obbiettò Eragon. Angela sorrise.
“Merito delle erbe. Comunque,
Solembum ti ha parlato … vorrei offrirti una lettura del
futuro. L’ho offerta anche agli altri due, ma solo la donna
ha accettato. Si chiamava Selena, mi pare” disse Angela con
fare pensieroso. Eragon rimase folgorato. Poteva essere sua madre?
Forse parlare con i gatti mannari era un fatto ereditario, non poteva
essere una coincidenza. Si, doveva essere stata sicuramente lei! Quante
persone potevano esserci che parlassero con i gatti mannari, si
chiamassero Selena e avessero un figlio di nome Eragon?
B’è, Angela non aveva esplicitamente detto questo,
ma ormai Eragon aveva già deciso che parlare con Solembum
era un fatto ereditario. Quindi …
“D’accordo”.
Angela sorrise e andò nel retrobottega.
“Forse tu vuoi goderti il tuo
destino da solo” disse Ellen andando verso la porta.
“Oh, no. Puoi restare se
vuoi”. Eragon aveva finito per fidarsi della ragazza. Non
vedeva motivo per cui dovesse essere un problema. A Saphira stava
simpatica, inoltre era felice che potesse chiacchierare con qualcun
altro oltre che con lui, e Brom si era fidato subito di lei, forse
sapeva qualcosa che a Eragon sfuggiva. Comunque, anche se a volte
poteva essere antipatica e brusca, Ellen si era guadagnata la sua
fiducia. Non avevano in comune molto, il che forse li rendeva ancora
più legati. Potevano passare ore a discutere della stessa
cosa, avendo idee completamente diverse.
“No, meglio che vada. Vado a
portare a casa la camicia” disse tendendo un braccio e
prendendo la camicia di Eragon. “Che gusto
c’è altrimenti se conosci già quello
che ti aspetta? Non è meglio una sorpresa?” chiese
sorridendo.
“Veramente non saprei”
disse Eragon alzando le sopracciglia. Ellen uscì,
lasciandolo nella bottega dell’erborista.
Quando Eragon uscì sembrava
scosso. Rimase per qualche secondo fermo davanti alla porta, poi
individuò Ellen dall’altro lato della strada.
Stava per raggiungerla quando Solembum uscì dal negozio e
gli sbarrò la strada.
Ascoltami Eragon, e fai
attenzione. Quando ti servirà un’arma vai
all’albero di Menoa. E, quando il tuo potere sarà
vano, pronuncia il tuo nome davanti alla ricca di Kuthian per schiudere
la volta delle anime.
Cosa? Che vuol dire?
Quello che ho detto. E ricorda, guardò Ellen
per un istante, dovrai
fermarla quando le sue decisioni verranno dettate dal cuore, altrimenti
si metterà in pericolo da sola. Solembum
rientrò nella bottega di Angela, seguito dallo sguardo
confuso di Eragon.
“Allora? Cosa
succederà domani? Pioverà?”. Ellen lo
aveva raggiunto.
“No. Boh. Ma che centra
scusa?!”.
“Ti ha appena letto il futuro.
Potevi approfittarne un po’, no?”.
Eragon alzò gli occhi al cielo.
“Dai andiamo da Saphira” disse incamminandosi verso
le porte della città.
Saphira li aspettava sulla rupe dove si
era stabilita già dal primo giorno in cui erano arrivati a
Teirm.
Allora?
Com’è andata oggi? Niente attacchi, niente di
niente? Chiese Saphira una volta che furono arrivati.
Veramente si. Eragon ha davvero
rischiato la pelle quando eravamo in città. Si è
quasi fatto investire da una vecchietta che passava di lì.
Lui le ha chiesto scusa e lei le ha lanciato addosso una rapa.
Saphira grugì una risata.
Aveva uno sguardo diabolico
comunque, aggiunse Eragon. E poi sembrava un Uragli
travestito. Hai visto quanto era brutta?
Porta rispetto! Aveva si e no duecento anni!disse Ellen,
ed Eragon rise.
Continuarono così per tutto il
resto del pomeriggio, finché Ellen ed Eragon non dovettero
tornare, prima che chiudessero i cancelli.
Quella sera Eragon rimuginò
sulle parole di Solembum.
Saphira?
Si?
Oggi sono andato nella bottega dell’erborista. Mi ha predetto
il futuro. Le raccontò cosa le aveva detto
Angela, a proposito del suo futuro, e anche di come credeva che avesse
incontrato sua madre. Poi le disse quel che aveva saputo da Solembum. Credi che Ellen sia in pericolo?
Non saprei. Ma è meglio non sottovalutare quello che
può dirti un gatto mannaro. Sono creature antiche e sagge
come gli elfi. Hanno poteri straordinari. Superano persino i draghi.
Quindi dovremmo stare attenti. Anche se non credo che ci
sarà mai un momento in cui Ellen si metterà in
pericolo.
Forse. Comunque faremmo meglio a stare attenti. Voi umani vi lasciate
trasportare così facilmente …
Hm. Forse. Buonanotte Saphira.
‘Notte piccolo mio.
Ecco un altro capitolo! Spero che
piaccia. Grazie a Bella95 per il supporto ^^ Continuerò a
postare, nulla mi potrà mai fermare ... mhuahahahha!!!
Ricordatevi una recensione quando passate ... XD
Patty
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Capitolo 5 *** I Ra'zac ***
Capitolo 5: I
Ra’zac
Ellen
sentì bussare alla porta della sua stanza e si
affrettò ad aprire.
“Ciao Brom” disse restando ferma sulla soglia. Lui
sorrise e si mise una mano in tasca, frugando.
“Vado dal mercante con cui ho parlato ieri per
l’olio di Sethir, forse saprà dirmi
qualcos’altro. Intanto tu ed Eragon potete andare a fare un
giro in città”. Tirò fuori alcune
monete, le contò e le posò sulla mano tesa di
Ellen, che sorrideva allegra. “Ci vediamo questa sera. Vi
racconto com’è andata”.
“Ciao Brom, grazie”.
Le vie di Dras Leona erano strette ed incutevano un certo timore.
Sembravano raggomitolarsi su se stesse e chiuderti al loro interno.
Almeno, così la pensava Ellen. Da quando erano arrivati
quella città non le era piaciuta, così come ad
Eragon. Era ben diversa da Terim. Là il mare dolcificava
l’aria e la rendeva pulita e fresca, la gente, anche se in
difficoltà, non era ancora arrivata a mendicare per strada,
e, soprattutto, la religione non imponeva che una cattedrale di enormi
dimensioni troneggiasse terrificante sulla città.
Ellen si sentiva a disagio nel camminare in mezzo alle viette anguste,
mentre Eragon provava una crescente rabbia ogni volta che vedeva un
ricco nobile o mercante passeggiare, noncurante della miseria che gli
stava attorno. La sua ira arrivò al culmine quando si
fermarono davanti ad un palchetto, dove un uomo nerboruto proclamava
dell’ottima merce in vendita.
“Chissà cosa vende quello” si chiese
Eragon.
“Qualcosa di utile penso, guarda quanta gente”
esclamò Ellen osservando la folla che si era concentrata
attorno al palchetto di legno. Si fermarono a guardare, curiosi. Ad un
tratto comparve un uomo in catene, che venne spinto sul palco da un
ragazzo che doveva avere pochi anni più di Eragon. Aveva gli
occhi stanchi e il volto triste, le gambe e le braccia erano solcate da
righe rosse, come se avesse ricevuto cento frustate. Camminava
trascinando i piedi e guardava a terra.
“Questo è nuovo!” gridò il
mercante, “Appena catturato nel Deserto di Hardac! Guardate
che braccia muscolose, e questi polpacci!” disse dando forti
manate alle gambe dell’uomo, “Potrebbe benissimo
fare lavori di fatica per ore e ore!”. Eragon si
irrigidì.
Schiavi! Erano finiti in un mercato di schiavi! Pensò
velocemente che magia usare per liberare l’uomo incatenato.
Sollevò un poco la mano con il Gedwey Ignasia …
“Fermo” sussurrò Ellen prendendogli la
mano nella sua. Eragon scattò verso di lei, furente.
“Perché?” chiese in un soffio.
“Dovremmo stare qui a vedere come lo trattano?!”.
Ellen lo trascinò fuori dalla folla, lontano da orecchie
indiscrete. “Potevo liberarlo con la magia! Ci sarei riuscito
in un attimo!” disse Eragon furioso.
“Così lo avrebbero ucciso più in
là? Così ci avrebbero scoperto e avrebbero
mandato dei soldati dell’impero ad arrestarci?”
chiese la ragazza con veemenza. Eragon abbassò lo sguardo.
“Comunque hai ragione. Andiamocene di qui”
proseguì Ellen incamminandosi velocemente nella direzione
opposta al palco del mercante, con Eragon al seguito.
Sconvolti, e anche un po’ spaventati, continuarono a
camminare senza meta per circa un’ altro quarto
d’ora, poi si ritrovarono davanti ad un edificio familiare.
Entrambi alzarono lo sguardo e riconobbero la cattedrale gotica che
dominava la città, osservandone le guglie e il marmo bianco,
le finestre colorate con disegni e il grosso portone in legno.
“Entriamo?” chiese Eragon incerto. Ellen
annuì e puntarono verso la porticina secondaria.
Dentro la cattedrale era buia ma, quando gli occhi si abituarono alla
scarsa luce, videro che era molto lunga. Il tetto e le pareti erano
affrescate con immagini religiose che richiamavano al sacrificio e i
muri riportavano nicchie con statue di santi. I due ragazzi avanzarono
nella vasta pacchianità della chiesa guardandosi attorno.
All’improvviso un rumore, come uno strascico di
piedi, arrivò dietro di loro. Ellen si
voltò di scatto e vide due figure avvolte in mantelli scuri.
Eragon la imitò poco dopo e rimase impietrito.
“I Ra’zac” sussurrò.
“Cosa?”. A Ellen erano stati descritti i
Ra’zac, ma non si aspettava fossero così, in quel
momento non aveva collegato l’immagine delle figure nere con
la descrizione fatale durante il viaggio. Pensò che,
comunque, Eragon e Brom non avevano reso l’idea. Quei due
erano molto più terrificanti e più grossi di
quanto si fosse mai immaginata.
Eragon impugnò l’arco e incoccò una
freccia mentre Ellen sfoderava la spada. I Ra’zac sguainarono
spade dalla lama ritorta e grugnirono. Eragon scoccò la
freccia. Una delle creature si spostò fluidamente e
cominciò a correre verso i ragazzi. Eragon
sfoderò in fretta Zar’roc appena in tempo per
parare un forte colpo di una delle due creature. Cominciarono a
fronteggiarsi violentemente. Il Ra’zac colpiva Eragon tanto
forte da fargli vibrare la mano di dolore ma lui continuava a parare
ogni colpo. Quando cercava di colpire il suo avversario quello si
spostava o parava facilmente il fendente infertogli, rendendo vane le
fatiche di Eragon.
L’altro Ra’zac non si trovava in una situazione
altrettanto facile. Ellen era veloce quanto lui ma non altrettanto
forte. Riuscì quasi a colpirlo quando questo
l’attaccò dall’alto e lei lo
schivò, mettendosi alla sua sinistra. Da lì mosse
un colpo veloce, ma il Ra’zac si spostò
all’ultimo secondo, venendo solo leggermente graffiato dalla
spada di Ellen.
Brom! Vieni
ad aiutarci! Siamo nella cattedrale, ci sono i Ra’zac!
Eragon cercò Brom con la mente e lo chiamò, poi
avvisò anche Saphira.
Sto arrivando!,
disse lei.
No! Ce le
facciamo! Non farti vedere ancora! La dragonessa
grugnì il suo dissenso ma non obbiettò.
Combattevano ferocemente da un po’ ormai ma Ellen non trovava
il punto debole del Ra’zac, sembrava non averne. Lui invece
sapeva come colpire, e lo faceva con la maggior forza possibile.
Menò un fendente tanto forte da far volare di mano la spada
alla ragazza, che si ritrovò contro il muro, senza via di
scampo. Il Ra’zac si avvicinò talmente tanto da
poter sentire il puzzo del suo alito ed Ellen guardò con
orrore cosa si celava dietro il cappuccio sempre calato della bestia.
Era paralizzata, non riusciva a muoversi. Neanche quando la creatura
poggiò la spada sul suo ventre per trafiggerla ...
Il Ra’zac grugnì e si voltò di scatto.
Brom era comparso dietro di lui, lo aveva colpito alla schiena e ora lo
fronteggiava. Il mostro sembrò scordarsi di Ellen, che
strisciò via a prendere la spada, poi affiancò
Eragon, che combatteva contro l’altro Ra’zac.
“Stanno arrivando dei soldati!” gridò
Brom parando un colpo del suo avversario. “Almeno una
cinquantina! Non ce la faremo mai, andiamocene!”.
“Tienilo occupato” disse Eragon ad Ellen. La
ragazza annuì e fronteggiò il Ra’zac.
Eragon si concentrò e fece rifluire la magia nella vene.
“Garjzla!”. Le forze lo lasciarono e si
sentì spossato.
Un lampo di luce fortissimo balenò nella chiesa. I
Ra’zac urlarono e si portarono le mani al viso. Eragon, Ellen
e Brom ne approfittarono per fuggire.
Saphira!
Stiamo uscendo dalla città! Vienici incontro il
più presto possibile!
Arrivo!
I tre corsero fino alla locanda e presero i cavalli e le borse.
Galopparono fino alle porte della città, proprio quando
stavano per chiuderle. Ellen si sporse da cavallo e spinse via il
soldato che stava chiudendo i cancelli, quelli si fermarono a
metà e loro passarono. Spronarono i cavalli al massimo ma
dopo dieci minuti di marcia sentirono degli inseguitori. Si voltarono
e, con orrore, scorsero i Ra’zac a cavallo dietro di loro.
Una freccia venne scagliata e colpì Brom ad una spalla.
L’uomo urlò, ma non rallentò
l’andatura.
Dopo altri cinque minuti di corsa sentirono il tipico rumore del
battito delle ali di Saphira. Eragon guardò in alto e la
vide planare verso di loro. Atterrò in mezzo a loro e ai
Ra’zac con un ruggito tremendo che scosse il terreno paludoso
e molliccio. I Ra’zac fermarono le cavalcature, innervosite
dall’arrivo di Saphira. Ellen, Brom ed Eragon si voltarono a
fronteggiare i nemici, ponendosi ai fianchi della dragonessa.
Ad un tratto Brom, pallido come un cencio, sospirò e si
accasciò su Fiammabianca.
“Brom!” un grido unanime proveniente dai ragazzi
fece sorridere i Ra’zac, mentre sguainavano le spade.
Ecco qui il seguente
capitolo, spero che vi piaccia! Ringrazio le persone che hanno messo la
storia fra i Preferiti e le Seguite.
Bella: non vorrei darti anticipazioni e che qualcuno le
elggesse qui rivinandosi la sorpresa, perciò ti dico solo
che con Eragon non è possibile, per motivi che sicuramente
capirai dopo ... mhuahahah! Ma tanto ci sono altri perosnaggi, e io una
storia d'amore nella fic non posos non metterla! ^^
Al prossimo capitolo! Ciao,
Patty.
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Capitolo 6 *** Fragilità ***
Capitolo
6: Fragilità
Quando Ellen si svegliò non
ricordò esattamente cos’era successo.
Cercò di muoversi ma si accorse di essere stata legata.
Girò la testa a destra e a sinistra per guardarsi intorno.
Scoprì di avere la schiena appoggiata a quella di Eragon
mentre sulle spalle di entrambi giaceva Brom. Provò a
muoversi, ma fu tutto inutile.
Le venne in mente la maniera stupida in cui avevano cercato di
affrontare di nuovo i Ra’zac, con Brom svenuto ed Eragon
esausto. Come erano stati sciocchi!
“Eragon” sussurrò Ellen.
Sentì il ragazzo sussultare.
“Dove siamo?” chiese lui con la voce impastata
dalla stanchezza. La ragazza si guardò intorno. Sembravano
essere nell’accampamento dei Ra’zac. Vicino a loro
c’erano due cavalli, oltre ai loro, e una borsa.
“Dove sono i Ra’zac?” chiese Ellen.
“Non lo so. Non sembra siano qui. Proviamo a
liberarci”. Eragon cominciò a muoversi per slegare
i lacci che gli tenevano le mani legate dietro la schiena. Prima che
potesse liberarsi una risata gutturale lo raggiunse.
“E’ inutile continuare a provare ssai?”.
Una voce melliflua giunse dal nulla. Un Ra’zac
spuntò da dietro i cavalli e si mise vicino a
loro, presto seguito dal suo compagno.
“Cossa facciamo con quessti? Li uccidiamo?” chiese
l’altro tirando un calcetto ad Ellen.
“Ha detto di portarglieli”.
“Rallenterebbero il viaggio” osservò
l’altro. “Il drago ssarà già
difficile da trassportare”.
“E sse gli dice che li abbiamo uccissi?” chiese il
compagno indicando Eragon. Si avvicinò a lui e gli diede una
forte botta sulla nuca. Il ragazzo si accasciò senza sensi.
“Non osserà parlare”. Prese un coltello
e si avvicinò a Brom. Una freccia proveniente dal nulla
colpì il Ra’zac sul braccio, facendolo stridere di
dolore. L’altro si voltò, cercando di individuare
l’arciere. Arrivarono altre frecce ad una velocità
sorprendente.
“Non ssono ssoli! Andiamocene!”. Il
Ra’zac chino su Brom, come per vendetta, gli
piantò il coltello fra le costole e lo estrasse, sibilando,
poi si alzò e corse verso il suo cavallo. I due se ne
andarono alla svelta, senza guardarsi alle spalle.
Ellen, sentendo una macchia umida sulla camicia di Brom, si mise con
fatica sulle ginocchia, poi andò verso di lui. Stava
esaminando la ferita quando sentì delle possenti mani che le
stringevano i polsi.
“Cosa …?”. Cominciò ad
agitarsi e a dibattersi.
“Hey! Hey! Ti voglio liberare”. Era la voce di un
uomo. Lei stette ferma mentre sentiva il coltello lavorare sulle corde
che la imprigionavano. Appena fu libera si massaggiò i
polsi, poi prese il suo coltello dalla cintura e slegò Brom.
Vide lo straniero che si occupava di Eragon.
Aveva i capelli neri lunghi fino alle spalle. I suoi occhi erano
profondi, del colore della pece. Sotto la pelle abbronzata guizzavano
dei muscoli forti e scattanti. Indossava abiti da viaggio, comodi. Era
curiosamente rilassato, come se tutta quella facenda non fosse per
nulla strana o pericolosa, emanava un senso di pace che poco a poco
prese anche Ellen.
Dopo aver liberato Brom lo depositò cautamente a terra e gli
alzò la maglia per vedere la ferita. Era sottile ma molto
profonda, il sangue colava copioso. Prese delle bende dalla borsa e
dell’acqua per pulire la ferita.
“Ti aiuto”. Lo straniero si inginocchiò
accanto a Brom e immerse uno straccio nell’acqua,
dopodiché prese a tamponare la ferita. “Fra poco i
Ra’zac torneranno, dovremmo andare”
osservò. Ellen annuì distratta.
Saphira dove
sei? Provò a contattare la dragonessa siccome
non la vedeva da nessuna parte. Probabilmente era troppo lontana,
perché non sentiva.
Sono vicino a
voi. I Ra’zac mi hanno legato ad un albero.
Vengo a
prenderti. Ellen si alzò e chiese:
“Tu hai visto dov’è
…” si bloccò. Non sapeva se poteva
fidarsi dello straniero. Si, li aveva salvati, ma non voleva dire nulla.
“Il drago? Sì, è di là.
Stavo cercando di liberarlo quando i Ra’zac erano da voi ma
non mi ha neanche fatto avvicinare”. Il ragazzo
indicò vagamente una direzione ed Ellen si avviò.
Saphira stava legata ad un albero estremamente grosso, con diametro
poco più piccolo della sua apertura alare. Le zampe erano
legate fra di loro e le ali ripiegate su se stesse strette intorno al
corpo. Ellen si diede subito da fare e in pochi minuti aveva tagliato
la maggior parte delle funi. Il resto lo aveva fatto la dragonessa,
sfilacciandole con le squame e spaccandole. Quando tornarono da Eragon
e Brom scoprirono che quest’ultimo era stato pulito e
fasciato dallo straniero. Nel vederlo Saphira aveva ringhiato e si era
messa in posizione d’attacco. Il ragazzo aveva sobbalzato, ma
Ellen aveva presto informato Saphira della situazione.
In quel momento Eragon emise un grugnito e si mosse leggermente. Ellen
corse verso di lui e lo aiutò ad alzarsi. Nel momento in cui
si mise seduto un lancinante dolore al ventre lo trafisse e lo
costrinse ad accasciarsi di nuovo. Ellen lo guardò allarmata
e gli sollevò la maglietta per vedere se aveva qualche
ferita, lo straniero si avvicinò a loro. Il ventre di Eragon
non aveva tagli o segni di alcun genere.
“Forse ti sei rotto qualche costola”
ipotizzò il ragazzo. “Puoi solo aspettare che
finisca, al massimo possiamo fasciarti” disse cercando lo
sguardo di Ellen. Lei annuì e prese dei vestiti e, siccome
non c’erano più bende a sufficienza, li
strappò e cominciò a fasciare Eragon.
“A proposito, io sono Ellen, lei è Saphira e lui
è Brom” disse la ragazza stingendo bene con gli
stracci il fianco di Eragon.
“Io sono Murtagh” rispose lo sconosciuto.
“Eragon” si presentò il ragazzo steso a
terra facendo una smorfia dal dolore.
Finirono di medicarlo e poi Murtagh si alzò.
“Sarebbe ora di andare”. Presero i cavalli e, una
volta fissato Brom su Saphira, partirono al galoppo. Andarono a passo
lento poiché ogni metro era per Eragon un dolore lancinante.
Verso sera Eragon annunciò che Saphira aveva trovato una
piccola grotta dove avrebbero potuto nascondersi. La raggiunsero con
fatica, dato che si trovava alla fine di un’altura, dopo si
sistemarono e prepararono la cena. Ellen ed Eragon mangiarono con gusto
e voracità.
“Come hai fatto a trovare i Ra’zac? Sai dove ci
stavano portando?” chiese d’un tratto Eragon a
Murtagh.
“Veramente non saprei. Avevo sentito che c’era un
Cavaliere in giro, e volevo solo vederlo. Seguire i Ra’zac
sarebbe stato un metodo sicuro per incontrarlo”.
“Ma si sa questa cosa del Cavaliere? Voglio dire, lo sanno
tutti?” chiese Ellen.
“Una buona parte della popolazione di Alagaesia”.
Eragon imprecò e si passò una mano sugli occhi.
Si addormentarono subito dopo la cena, riparati dalla presenza di
Saphira e dello straniero Murtagh al quale, nonostante tutte le
situazioni non convenzionali che erano alla base del loro incontro,
Ellen pensava di poter dare fiducia.
Eragon!
Sordo al richiamo, il ragazzo si rigirò nel sonno. Eragon! La voce era
insistente! Ma perché voleva che lui si alzasse? Era
così stanco! Un ruggito scosse l’intero corpo del
ragazzo, che rotolò fuori dalla pallotta che erano diventate
le sue coperte.
Che
c’è? Si alzò
disordinatamente, la mente ancora avvolta dalla nebbia del sonno.
E’
Brom. Sta male. Eragon si avvicinò al suo
giaciglio. Brom si agitava e mormorava parole senza senso, il suo corpo
era scosso da tremiti violenti e la fronte era coperta di sudore. E’ stato bene fino a
cinque minuti fa, poi ha iniziato ad agitarsi. Non sapevo cosa fare e
ti ho chiamato.
Eragon chiamò Murtagh, che lo aiutò a tenere
fermo Brom fino a che le convulsioni non finivano. Ellen guardava
preoccupata la scena, poi decise che avrebbe cambiato le bende a Brom.
Eragon e Murtagh uscirono all’aria fresca dopo che le
convulsioni di Brom furono terminate.
Ellen gli stava pulendo la ferita, quando all’improvviso Brom
aprì gli occhi e le prese una spalla.
“Brom!” esclamò felice. “Fermo
non ti alzare, sei ferito”. Brom scosse la testa e
sussurrò qualcosa, poi tossì forte.
“Ormai io qui ho finito, ora tocca a voi”.
“No Brom, non è vero”. Una grandissima
tristezza prese piede nell’animo di Ellen. “Ti sto
mettendo le bende nuove, sto …” la sua voce si
affievolì, in mancanza di parole da dire.
“Sono felice di averti conosciuto. Ti auguro di vivere la
vita più bella del mondo”.
“Brom non dire così. Tu stai bene” la
voce della ragazza tremolava. In quel momento Eragon rientrò
nella caverna. Vide Ellen chinarsi e baciare Brom sulla guancia ispida,
poi, dopo che Brom le ebbe detto qualcosa, si asciugò il
viso dalle lacrime. Eragon corse verso di loro, Ellen lo
guardò con la disperazione in volto. Senza dire una parola
si alzò e uscì dalla caverna.
L’aria fuori era fredda e pungeva la pelle. Ellen
camminò lentamente fino ad un alberello e si sedette
appoggiandovi la schiena. Strinse le braccia intorno alle gambe e
appoggiò il mento alle ginocchia. Restò
così per qualche minuto, non si mosse nemmeno quando
sentì arrivare qualcuno. Vide Murtagh entrare nel suo campo
visivo e sedersi affianco a lei.
Per un po’ non disse nulla, poi: “Sono sicuro che
sopravvivrà. E’ un uomo forte”.
“No. Mi ha detto che è finita. Lo ha
sentito” entrambi rimasero in silenzio. “Come
può un uomo sentire la sua fine arrivare? Non si spaventa?
Non la può fermare?”.
“Brom è un uomo saggio, sa che la morte fa parte
della vita. Se non morissimo come potremmo goderci i nostri giorni? Non
avremmo voglia di fare nulla perché avremmo tutto il tempo
del mondo, e poi non ci resterebbero emozioni come la sorpresa, solo
noia e tristezza”. Ellen capì il ragionamento di
Murtagh, ma in quel momento non le sembrò affatto giusto.
Un lungo lamento provenne dalla caverna. Saphira guaiva di un dolore
lancinante che non poteva essere guarito.
Brom era morto.
Ellen fu scossa da piccoli singhiozzi. Murtagh si girò a
guardarla e, al posto della ragazza caparbia che aveva liberato il
giorno prima, vide solo una figura fragile, che avrebbe potuto
spezzarsi come fuscello. Provò un intenso moto
d’affetto per lei e, al momento, l’unica cosa che
si sentì di fare fu passarle un braccio sulle spalle e
stingerla a sé. Ellen non si rese neanche conto di cosa era
successo. Era in un altro mondo.
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Capitolo 7 *** Verso Gil'ead ***
Capitolo 7: Verso Gil’ead
Era da qualche giorno che cavalcavano verso
Gil’ead per conoscere l’amico di Brom che li
avrebbe portati dai Verden. In quel lasso di tempo Ellen era riuscita
ad accettare molte delle cose che non capiva di Brom. Era un Cavaliere,
ecco perché sapeva tante cose e perché era
così saggio. Aveva compiuto imprese che neanche aveva
sospettato. Lo stesso era per Eragon, anche lui sentiva che la
rivelazione di Brom desse un senso a molte cose. Ma la sua morte lo
aveva temprato più di quanto avesse voluto. Si sentiva come
se avesse perso di nuovo ogni cosa. Ora nulla aveva più uno
scopo, come era stato alla morte di Garrow. Almeno, dopo essere
scappato da Carvahall aveva un obbiettivo, quello di vendicare la sua
morte. Ma ora non era più un cacciatore. I ruoli si erano
ribaltati ed erano i Ra’zac a dare la caccia a lui. Doveva
nascondersi senza poterli affrontare, cosa che avrebbe di gran lunga
preferito al rifugio presso i Varden. Ma non sapeva davvero
cos’altro fare. Non era neanche sicuro che fosse la cosa
migliore. Brom gli aveva parlato molte volte di loro, ma non in maniere
positiva. Anche Saphira pensava che non sarebbe stata una cosa buona
andare dai Varden, perché avrebbero cercato di usarlo per i
loro scopi e nient’altro. Ad aggiungersi a tutte
queste cose c’era anche il fatto che Murtagh, appena lo aveva
informato lui ed Ellen che sarebbero andati dai Verden, si era detto
contrario, e aveva deciso di accompagnarli fino ad un certo punto del
viaggio.
Murtagh si era dimostrato un compagno davvero indispensabile. Era
divertente e pensava in modo pratico. Sapeva molte cose su Alagaesia e
soprattutto sulla politica, cosa che stupì Eragon, Sphira ed
Ellen non poco. Conosceva gli intrighi di corte, le
personalità di molti nobili, la storia del regno di
Galbatorix, il suo castello. Sapeva cose che nessun altro avrebbe
potuto sapere se non fosse vissuto a corte ed Ellen
cominciò chiedersi se non fosse così.
Ma non seppe mai se Murtagh fosse vissuto alla corte di Galbatorix
perché non parlò mai del suo passato. Nessuno di
loro ne parlava, Murtagh ed Eragon perché non
volevano che si sapesse, Ellen perché non lo ricordava.
Una sera Eragon si tolse il bendaggio. Stirò i muscoli e
fece diversi movimenti con Zar’roc in mano. Poi
osservò Ellen, che strigliava pacifica il suo cavallo
Dimitri. “Ellen. Ti va se …” mosse la
spada in modo eloquente. La ragazza sorrise con atteggiamento di sfida.
“Non ti conviene se sei fuori allenamento, lo sai”.
Eragon era diventato molto abile da quando si allenava con Ellen, e la
ragazza aveva trovato un avversario che era quasi alla sua altezza.
Nonostante questo Eragon la batteva raramente.
Il ragazzo protesse le loro spade con la magia e si mise in posizione.
Murtagh stava a guardarli con interesse seduto su una roccia.
All’improvviso Ellen si scagliò contro Eragon, ma
lui parò il colpo, ritraendosi un poco.
L’attaccò a sua volta, ma la ragazza
indietreggiò e cercò di colpirlo ad un fianco.
Eragon parò di nuovo e fece una finta verso sinistra, per
poi menare un fendente da destra. Ellen in un primo momento
balzò di lato poi, colta alla sprovvista, vedendosi arrivare
la lama dritta alle gambe da destra, fece un salto per evitarla.
Continuarono così per un po’, finché
Ellen, abbassandosi per schivare un colpo, non ebbe la meglio su
Eragon, mandandolo a terra. Si sedettero, entrambi esausti respirando
pesantemente. Murtagh fece un debole fischio agitando la mano.
“Siete bravi. Magari la prossima volta posso fare anche io
qualcosina, anche se dovrò impegnarmi per
battervi”.
“Sarò un miracolo se riuscirai a battere lei al
primo colpo. Mi ci sono voluti almeno due mesi per trovare i suoi punti
deboli” disse Eragon stendendosi a terra a pancia in su.
Murtagh scoccò uno sguardo ad Ellen, che nel frattempo si
era alzata ed era andata a prendere una borraccia. Bevve
l’acqua fresca con avidità, poi se la
versò sulle mani per rinfrescarsi il viso e il collo
accaldati.
“Facciamo ancora in tempo ad allenarci stasera”
disse rivolta verso Murtagh.
“Non vorrei sfiancarti … fanciulla”
disse lui.
“Oh non preoccuparti grande e possente uomo”
rispose ridendo. Diede la borraccia ad Eragon, che bevve a
volontà, poi lui schermò la spada di Murtagh come
aveva imparato da Brom.
I due si misero in posizione, girando lentamente l’uno
intorno all’altro. Con uno scatto felino Murtagh le si
avventò contro ed Ellen parò il colpo strisciando
verso destra. Cercò di colpirlo ad una spalla, ma venne
fermata dalla spada del ragazzo. Si staccarono e rimasero per un
po’ a debita distanza. Ricominciarono a lottare dopo pochi
secondi. Ellen aveva capito che il punto debole di Murtagh erano i
colpi bassi, inferti alle gambe, poiché lui non si chinava
spesso. Murtagh dal canto suo sfruttava la stanchezza della ragazza,
che era più vulnerabile dopo la battaglia con Eragon.
Ad un tratto Murtagh, dopo una complicata manovra con la spada, fece
cadere Ellen, e l'arma della ragazza volò via dalle sue
mani. Lei da terra, prontamente, fece uno sgambetto a Murtagh, che le
cadde addosso. Si trovarono a guardarsi negli occhi, i visi
più vicini di quanto sarebbe stato dettato dalla buona
educazione. Dopo un attimo di incertezza e imbarazzo Ellen sorrise e,
con un grido di sforzo, ribaltò le posizioni. Si mise in
piedi trionfante e tese una mano a Murtagh.
“Direi che hai vinto tu” disse.
Saphira ed Eragon erano rimasti a guardare, ma tutti e due avevano
percepito distintamente l’elettricità
nell’aria quando si due si erano trovati vicini. Quando Ellen
andò a sedersi affianco a lui Eragon le rivolse un sorriso
che era carico di significati.
“Che c’è?” chiese lei.
“Niente” le rispose continuando a sorridere e
sistemandosi per la notte. Lei non ci fece caso e si sdraiò
a pancia in su, guardando il cielo stellato.
Murtagh, una volta sdraiatosi, contemplò il cielo, poi il
suo sguardo si spostò verso la figura esile di Ellen. Era
buio e non la vedeva, ma intuì le sue forme nella notte. Non
sapeva bene perché, non gli era mai capitata una cosa simile
prima d’allora, ma il ricordo dei loro corpi vicini e dei
suoi occhi gli fece saltare un battito del cuore, che subito si riprese
e tornò più forte di prima. Murtagh trattenne il
respiro, con il pensiero a quegli occhi profondi e neri.
Dopo due settimane di marcia stavano costeggiando il fiume Taurida. Le
loro giornate si erano mano a mano composte in una routine. Si
svegliavano alla mattina presto e si mettevano in marcia fino a sera,
con una piccola pausa per far riposare i cavalli e per mangiare. La
sera cenavano e poi si allenavano. Saphira controllava il tragitto
davanti a loro e trovava sempre luoghi molto riparati per la notte.
Ellen e Murtagh non avevano commentato ciò che era successo
il primo allenamento, ed Eragon seguiva il loro esempio, almeno dopo
averne parlato una sera con Murtagh, quando stavano facendo il cambio
per il turno di guardia.
“Vai, ora ci penso io” disse quella volta Eragon
prendendo una coperta e sistemandosi a terra.
“Grazie, sono stanchissimo. Oggi sei stato bravo con la
spada”. Murtagh si stava togliendo gli stivali e sistemando
per la notte.
“Grazie. Anche tu sei stato bravo. Però per
riuscire a stancare Ellen ce ne vogliono due di allenamenti”.
“Non direi” disse Murtagh sorridendo e guardando in
direzione della ragazza addormentata. “Ora mi sembra che stia
facendo sogni d’oro”.
“Già … credo di sapere pure cosa sta
sognando” disse Eragon con un ghigno. Murtagh lo
guardò interrogativo, al che il ragazzo rispose con uno
sguardo eloquente. “Non dirmi che non te ne sei
accorto”.
“No. Cosa?” chiese in fretta.
“Meglio che non te lo dica”. Eragon si avvolse la
coperta intorno alle spalle.
“Oh, dai! Non puoi dire una cosa del genere e poi tacere. Ora
sono curioso” lo pregò Murtagh. Eragon
sospirò.
“No non te lo dico, deve dirtelo lei. Comunque non ci vuole
molto a capire che ti piace”. Murtagh restò
folgorato.
“Co … non è vero” si difese
debolmente. “Cioè … mi sta simpatica,
si. Però non … no” balbettò
qualcosa di incomprensibile ed Eragon si mise a ridere.
“Si ho capito. Buonanotte Murtagh” disse, e si
girò verso il fuoco ormai spento. Murtagh mugugnò
qualcosa, poi si distese e si mise a dormire.
Dopo quella conversazione Eragon smise di pensare a quella faccenda,
che rendeva il suo compagno di viaggio confuso e perplesso. Lui lo
voleva scattante e audace, così pensò che avrebbe
dovuto risolversi da solo quel problema. E poi, chi era lui per
elargire consigli di quel genere? Meglio lasciar perdere, si disse.
Dopo due giorni che viaggiavano vicino al fiume arrivarono in vista di
Gil’ead. Si accamparono lì vicino, alle sponde del
lago Isenstar.
“Domani potrei andare a cercare l’amico di Brom.
Come si chiama?” chiese Murtagh.
“Dormad” rispose prontamente Eragon.
“Bene, allora domani andremo a cercarlo” disse
Ellen.
“Potrebbe essere pericoloso” obbiettò il
ragazzo.
“Nessuno di noi dovrebbe restare da solo” disse
Eragon. “Se andate insieme sarà meno rischioso per
tutti. Io resterò qui con Saphira”.
“Si, è meglio che tu non venga, potrebbero
riconoscerti” disse Ellen. Murtagh non sembrava ancora
convinto, ma si arrese quando si accorse che era davvero più
sicuro.
Dopo cena Eragon e Murtagh iniziarono la lotta, ma Ellen, che quella
sera non aveva voglia di allenarsi, si allontanò da loro
insieme a Saphira.
Arrivarono alle rive del lago, un’immensa distesa di acqua di
cui non si vedeva la fine. Liscia e limpida tanto da riflettere la luna
e le stelle che si stavano formando in cielo.
Wow
è bellissimo! Esclamò Sapira. Non avevo mai visto un lago di
notte.
Hai ragione
è splendido, concordò Ellen
chinandosi a toccare l’acqua gelata. E’ fredda, ma forse
possiamo fare un bagno lo stesso. Saphira immerse una
zampa nell’acqua.
Sei sicura
che non sia troppo per te? Io il freddo lo sento diversamente da voi,
ma devo riconoscere che questo lago è freschino.
Non
preoccuparti, resisterò! Ellen le sorrise e
prese a spogliarsi. Poco lontano si potevano ancora udire i due ragazzi
che si allenavano, così Ellen rimase solo con una fascia che
le copriva il seno e dei corti pantaloncini.
L’acqua era realmente gelata, ma dopo un paio di minuti Ellen
si abituò. Saphira nuotava accanto a lei formando piccole
onde ogni volta che si muoveva. Ad un tratto la dragonessa si immerse.
Saphira? Dove
sei?, chiamò Ellen siccome la dragonessa non
tornava su. Restò ancora qualche secondo senza ricevere
risposta, poi, all’improvviso, un’enorme figura
spuntò dal fondo del lago. Con un ruggito di gioia e
spruzzando acqua tutto intorno Saphira si alzò in volo.
Ellen gridò e poi rise, seguendola a nuoto, per quanto la
sua velocità glielo consentisse.
“Ellen?!”. La voce di Murtagh la raggiunse e lei si
fermò, mentre Saphira volava sempre più in alto.
“Murtagh? Sono qui!” gridò di rimando.
“Sono in acqua!”. Si avvicinò alla riva
nuotando e scorse la sagoma di Murtagh davanti a lei.
“Oh … pensavo che ti fosse accaduto
qualcosa” disse il ragazzo grattandosi la nuca e distogliendo
lo sguardo da Ellen. Aveva ancora la spada in mano.
“Perché non entri?” le chiese la ragazza
sorridendo. “L’acqua è un po’
fredda ma poi ti ci abitui” lo incoraggiò. Murtagh
esitò un secondo, poi alzò le spalle e
gettò la spada lontano a terra. Ellen sorrise e
ricominciò a nuotare. Sentì Murtagh che entrava
in acqua. Quando si girò il ragazzo era immerso fino
all’ombelico.
“E’ freddissima” disse scuotendo la
testa. “Meglio tuffarsi”.
“Meglio” approvò Ellen. Murtagh si
tuffò e scomparve sotto la superficie dell’acqua.
Lei non lo vide finché non sentì qualcosa che le
afferrava le gambe. Gridò divertita, prima di scorgere
Murtagh che sbucava fuori dall’ acqua e scuoteva la testa,
sorridente. Cominciarono a rincorrersi e a ridere come due bambini,
poi, stanchi, presero a nuotare vicino alla riva.
“Attento potrebbe esserci qualche bestia acquatica pronta a
mangiarti” disse Ellen.
“Non credo che punterebbe a me. Tu sembri più
morbida” disse Murtagh pizzicandole un braccio.
“Ahu!” escalmò Ellen facendo la finta
indignata massaggiandosi il braccio. “Le donne non si toccano
neanche con un fiore!” disse a Murtagh avvicinandosi e
tirandogli una debole manata sul petto. Murtagh le prese una mano e se
la portò alle labbra, depositandovi un bacio.
“Mi dispiace” disse. Ellen abbassò lo
sguardo e arrossì lievemente. Murtagh si sentiva inebriato
dalla sua vicinanza. Le cinse la vita, come se dovesse
tutt’un tratto scappare. Quando la ragazza tornò a
guardarlo lui agì senza pensare. La strinse a sé
e la baciò con ardore. Le loro labbra si scontrarono,
esplorandosi e cercando l’altro. Murtagh strinse la ragazza
ancor di più e la sollevò, facilitato
dall’acqua, così lei strinse le sue gambe intorno
ai fianchi di lui. Ellen sentiva il suo fisico asciutto sotto le dita
sottili, i muscoli guizzanti, freschi al contatto con l’acqua
gelata. Nonostante questo, però, Murtagh si sentiva
ribollire lo spirito ogni volta che lei lo sfiorava. Continuarono
finché non sentirono la voce di Eragon, allora si
allontanarono, imbarazzati.
Eragon comparve sulla riva del lago. “Cioè voi
fate un bagno e non mi chiamate?” chiese togliendosi la
maglietta. Li raggiunse in fretta, e passarono il resto della serata
ridendo e scherzando nell’acqua. Poco tempo dopo li raggiunse
anche Saphira, che si gettò nel lago creando delle onde
concentriche che si allargavano sempre di più.
Eccomi qui! A tediarvi con un nuovo capitolo! Mhuahhah! Adesso Bella ti
è tutto chiaro? XD L'uomo predestinato è Murtagh!
Al prossimo capitolo,
Patty.
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Capitolo 8 *** Il piano ***
Capitolo
8: Il piano
Il
giorno seguente Eragon e Saphira aspettarono fino alla sera prima di
veder ricomparire Ellen e Murtagh. Tornarono in fretta, trafelati e
sconvolti. Murtagh si fermò di fronte a lui e chiese
ansante: “Qualcuno ci ha seguiti?”. Eragon scosse
la testa preoccupato.
“Perché? Vi hanno
attaccati?”.
“Qualcuno lo ha
riconosciuto” spiegò Ellen smontando da cavallo.
“Cosa?”.
“Ora ti spiego. Però
prima devo mangiare” disse Murtagh.
“Pure io” disse con
enfasi la ragazza. Una volta con i piatti in mano i due ragazzi
trangugiarono il cibo (Ellen in modo più elegante, Murtagh
invece pareva una scimmia) e raccontarono la storia.
“Abbiamo trovato Dormand quasi
subito” cominciò Murtagh, “e gli abbiamo
raccontato tutta la storia. Gli abbiamo fatto vedere l’anello
di Brom e lui ha detto che avrebbe potuto aiutarci. Siamo
rimasti a parlare con lui per ore, per questo ci abbiamo messo tanto.
Dovremmo incontrarci domani mattina qui vicino, su una
collina” disse indicando vagamente un posto al di
là della strada.
“Si ma poi? Perché
pensavi che qualcuno vi seguisse?” lo incitò
Eragon.
“Quando siamo usciti da casa di
Dormand qualcuno mi ha riconosciuto. Mi hanno chiamato, ma io ed Ellen
abbiamo fatto finta di niente e abbiamo cercato di andar via come se la
faccenda non ci riguardasse. Purtroppo la persona che mi ha
riconosciuto ha cominciato a venirci dietro, così siamo
fuggiti”.
“Io e Saphira non abbiamo visto
nessuno” disse Eragon lanciando un’occhiata a
Saphira.
Ellen posò il piatto vuoto e
disse: “Comunque sarebbe meglio spostarci di qui, non
è sicuro”.
“Ha ragione”
approvò Murtagh alzandosi. “Prima ce ne andiamo
meglio è”. Cominciarono quindi a mettere a posto
le loro cose ma, proprio quando stavano per partire, Saphira
avvisò Eragon.
Eragon! Guarda! Un grosso Uragli, armato con una tozza
spada, veniva verso di loro. Eragon tese la mano verso di lui e fece
rifluire in sé la magia.
“Brisingr!”
ruggì. L’Urgali si spaventò, una volta
vista la fiammata che gli veniva incontro, ma non riuscì a
scappare. Cadde a terra con un rantolo e rimase immobile.
“Eragon?”. Il ragazzo
si voltò nel sentire Ellen che lo chiamava. Gli si
gelò sangue alla vista di quello che gli si parò
davanti. Una trentina di Uragli li stavano circondando. Che stupido! Il
primo Uragli era solo un modo per farlo distrarre! E lui ci era cascato
subito.
Cominciò una lotta senza
esclusione di colpi. Eragon colpiva Urgali con la spada e con piccole
magie, mentre Murtagh ed Ellen li uccidevano uno dopo l’altro
con le spade. Saphira invece li schiacciava con le zampe e li
trafiggeva con zanne e unghie affilate.
Eragon stava combattendo con un Urgali e
lo trafisse con Zar’roc. Alle sue spalle sentì un
grugnito e vide un altro mostro attaccarlo dall’alto con una
pesante mazza. Non fece in tempo a parare il colpo, ma un secondo prima
di svenire disse: “Scappate!”.
Poi tutto divenne nero.
Molti degli Urgali erano scappati dopo
aver preso Eragon. Nessuno aveva potuto fare nulla per liberarlo. Si
spostarono in fretta in una caverna scovata da Saphira, ben nascosta da
alberi e cespugli, e rimasero lì per il resto della notte,
facendo la guardia a turni.
La mattina dopo quando Murtagh si
svegliò Ellen era già in piedi e preparava la
colazione.
“Buongiorno” disse
quando vide che era sveglio.
Murtagh si stiracchiò.
“Giorno” disse a metà fra uno sbadiglio.
Cominciarono a mangiare.
“Dobbiamo trovare un modo per liberare Eragon”
esordì la ragazza.
“Già. Probabilmente
si trova nelle prigioni di Gil’ead, sappiamo che ora gli
Urgali lavorano per conto dell’Imperatore”.
“Come possiamo
entrare?” chiese la ragazza appoggiandosi su entrambe le mani.
“Sarà complicato.
Lì non fanno entrare nessuno se non guardie o
prigionieri”.
“Forse potremmo tentare un
travestimento” si illuminò Ellen.
“Potremmo … rapire della guardie e poi prendere le
loro armature”.
“Nell’improbabile
possibilità che troviamo una guardia che abbia il tuo stesso
fisico, tempo che sarà difficile catturarla” disse
Murtagh guardandola con occhio critico.
“Magari la guardia la puoi fare
tu. Io posso fare la prigioniera” ipotizzò Ellen.
Murtagh ci pensò su un momento.
“No, non sappiamo dove hanno rinchiuso Eragon. E quella
prigione è enorme. Dovremmo prima vedere se riusciamo a
trovare la sua cella. Credo che la maggior parte siano sotto terra e
abbiamo una finestra per far arrivare un po’ d’aria
ai prigionieri, quindi danno sulla strada. Forse se controlliamo tutte
le celle riusciremo a trovare quella di Eragon, e una volta entrati
sarà più facile trovarlo. Per quanto riguarda il
travestimento forse dovrei travestirmi, si”.
“Quindi tu dici che se siamo
fortunati hanno messo Eragon in una cella che dà sulla
strada”.
“Esatto”.
“E’ un po’
fiacco come piano però … ok, dato che
è l'unico che abbiamo. Allora oggi andrò a vedere
se trovo la cella di Eragon e ti comprerò un bellissimo
travestimento” disse Ellen sorridendo.
Murtagh la guardò scettica.
“Non credo che dovresti andare da sola”.
“Hey sei tu quello conosciuto,
non io”.
“Potrebbe essere
pericoloso”.
“Mi manterrò in
contatto con Saphira”.
“E se ti
aggredissero?”.
“So badare a me
stessa”.
“E se … se”
Murtagh si bloccò, non trovando altre scuse, poi
sbuffò. “E va bene”.
Ok, Saphira sei d’accordo?
Assolutamente! Però Murtagh ha ragione: non ti cacciare nei
guai.
Io non mi caccio mai nei guai! E’ Eragon quello specializzato,
le disse sorridendo.
Ellen si preparò e
sellò Dimitri. Appena prima che partisse Murtagh le si
avvicinò e le prese la mano. “Stai
attenta” sussurrò. Poi le diede un casto bacio
sulle labbra. Ellen sorrise e salì in groppa al cavallo.
Murtagh la osservò sparire nella nebbia mattutina poi si
volse e vide Saphira, che stava acquattata in fondo alla piccola
caverna e grugniva in quella che sembrava una risata. “Ma che
hai da ridere?” chiese Murtagh con sguardo assassino
sedendosi a terra. La dragonessa sbuffò divertita.
Ellen tornò verso pomeriggio
inoltrato.
“Allora?
Com’è andata?” chiese subito Murtagh.
“Bene” disse lei
smontando da cavallo. “Ho scoperto dov’è
la cella di Eragon. Sembra che stia bene, quando sono arrivata io stava
dormendo e aveva un piatto enorme di cibo e dell’acqua in
cella”.
“Quindi non muore di
fame” constatò Murtagh. “Almeno
lui”. Quel pomeriggio Saphira era andata a caccia per lui,
ritenendo che non fosse saggio lasciarlo uscire dal nascondiglio.
L’unico problema era che, per lo stomaco di Mutagh, un
piccolo coniglio come quello che gli aveva portato non bastava, senza
contare che doveva dividerlo con Ellen.
“La cella si trova nel lato nord
dell’edificio. Vicino alla cucina”. Un sorrisino
spuntò sulla bocca della ragazza: “Ti ho preso il
tuo travestimento”.
“E perché sei
così contenta?” chiese Murtagh sospettoso.
“Fa vedere” disse tendendo una mano. Ellen prese un
fagotto avvolto in carta e tirò fuori una cosa grigia non
ben distinta.
Murtagh sgranò gli occhi.
“Una barba finta?!”. Ellen scoppiò a
ridere e gliela tese.
“E’ bellissima!
Provala!”. La porse a Murtagh, che la prese con scetticismo e
la applicò sul viso. Ellen cercò di trattenere la
risate, ma poi non si controllò più.
Scoppiò a ridere in modo incontrollato.
“Dovresti vederti!”
esclamò indicandolo. Murtagh si toccò il viso
contrariato. Quando la ragazza ebbe terminato di ridere riprese fiato e
disse: “Ti ho preso anche dei vestiti bellissimi!”
e così dicendo tirò fuori dei pantaloni marroni e
una maglietta grigia molto lunga, quasi una tunica. Murtagh
sbuffò e incrociò le mani sul petto.
“Non credo che così
passerò inosservato”. Murtagh si tolse la barba e
la gettò in un angolo, poi si sedette a terra. “Ti
ho lasciato un po’ del mio pranzo” disse indicando
la piccola scodella che stava sopra il fuoco, acceso pochi minuti prima
che Ellen ritornasse.
“Oh grazie! A proposito di
cibo” disse prendendo un involto dalla bisaccia,
“ho comprato un dolce, pensavo che ti potesse
piacere”. Si sedette e aprì l’involto.
Ne uscì un odore dolce e caramellato, che fece brontolare lo
stomaco di Murtagh.
“Uh wow. Che
cos’è?” chiese allungando una mano.
“Fermo!” lo
ammonì Ellen allontanando il dolce dalle sue mani voraci.
“E’ calda. E’ una specie di pagnotta
dolce con dentro cosine caramellate”. Prese un coltello e
tagliò due pezzi della pagnotta, poi ne passò una
parte a Murtagh. Tutti e due assaggiarono cautamente un boccone. Sapeva
di pane dolce appena sfornato, in più c’erano
pezzi di caramello morbido che colpivano il palato con il loro gusto
forte. Il risultato fu che la pagnotta dolce fu spazzolata in cinque
minuti, anche Saphira ne assaggiò un pezzetto, ma secondo i
suoi gusti era troppo forte, troppo dolce.
Una volta sazi i due ragazzi si sdraiarono
per dormire.
“Domani andremo da
Eragon?” chiese Ellen.
“Dobbiamo organizzarci
bene” ribatté Murtagh. “Da dove
entreremo prima di tutto?”. I due ragazzi rimasero entrambi
in silenzio. “Hai detto che la cella di Eragon è
vicino alle cucine?”.
“Si”.
“Potremmo entrare da
lì. Di sicuro ci sarà un cortile dove buttano gli
avanzi o i rifiuti” ipotizzò Murtagh.
“Una volta entrati nella cucina sarà facile
trovare la cella, no?”.
“Credo di potermi
orientare” disse Ellen. “Però i cuochi
saranno lì tutto il giorno”.
“Con l’oro si
può corrompere il mondo intero”
commentò Murtagh. “Basterà dargli una
somma abbastanza alta”. Ellen mugugnò
qualcosa. “Che c’è?”.
“E’ che …
non mi va di sprecare soldi così. Potremmo benissimo entrare
da un’altra parte”.
“Probabilmente no.
L’unico modo di entrare è come prigioniero.
Nessuno è mai evaso da quelle prigioni” disse
Murtagh. “Eragon sarà il primo”.
“Speriamo”. La ragazza
si voltò e guardò Spahira. La dragonessa se ne
stava accucciata in un lato della caverna.
Cosa ne pensi? Un po’ fiacco come piano, no?
B’è, diciamo che è un po’
frettoloso per essere del tutto efficace, ma potrebbe funzionare. Ma
aspetta, come farete ad aprire la cella di Eragon?
Ellen trasalì. Non ci avevo pensato!
“Murtagh?”.
“Si?”. Il
ragazzò si voltò verso Ellen.
“Come facciamo ad entrare nella
cella di Eragon?”.
“Rubiamo le chiavi!”
disse lui come se fosse la cosa più logica del mondo.
“Non hai un piano dettagliato
anche per questo?”.
“Di solito le chiavi sono
custodite da un guardiano. Le celle sono organizzate in corridoi, per
ogni corridoio c’è un guardiano. Ma è
da solo, non ha aiutanti perché deve solo aprire e chiudere
le celle per dar da mangiare ai prigionieri. Non trasporta prigionieri
e non fa nulla se non gli viene ordinato”.
“Come fai a sapere tutte queste
cose?” chiese Ellen stupita girandosi di fianco. Ora si
trovavano uno di fronte all’altro.
“Eh sapessi” sorrise
Murtagh. Prese ad accarezzarle una guancia con delicatezza, poi si
spostò sul suo collo …
Un sordo ronfare fece trasalire tutti e
due. Saphira si era addormentata e ora respirava pesantemente mandando
fuori dal naso piccoli sbuffi di fumo. Ellen si passò una
mano sulla faccia e si mise a ridere. Murtagh la imitò poco
dopo.
“Meglio che dormiamo”
disse. “Buonanotte e sogni d’oro”.
“Notte anche a te”
disse Ellen girandosi su un fianco.
Eccomi! Grazie Thyarah
per la recensione! Devi sapere che questa prima parte si basa sui primi
due libri di Paolini ma la seconda l'ho inventata io, senza
però tener conto di Brisingr (in realtà questa
storia è pronta da mesi, ma non l'ho mai postata).
Comunque è vero: Murtagh e una ragazza proprio
sono inimmaginabili! Però a me piace la coppia Arya/Eragon,
quindi non volevo che la storia fosse con lui, inoltre in seguito ho
scfuttato la storia con Murtagh per la trama ... curiosi? Mhuahahahh!
Aspettate!!
(Come sono maligna ...)
Patty.
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Capitolo 9 *** Liberi ***
Capitolo
9: liberi
Murtagh
strisciava ansimando dentro un condotto della prigione di
Gil’ead. Metteva un gomito davanti all’altro e
avanzava piegando le ginocchia. Dietro di lui c’era Ellen,
che, essendo più esile, passava più facilmente
per lo stretto condotto. Dopo circa dieci minuti arrivarono di fronte
ad una grata. Murtagh controllò che nel corridoio non ci
fosse nessuno, poi la sfilò lentamente. Si calò a
terra e tese le braccia in alto per prendere Ellen, che si
tuffò poco dopo tra le sue braccia.
“Pesi! Falsa magra” le disse il ragazzo.
“Falso forzuto” replicò lei
indispettita. Murtagh sorrise e la depositò a terra.
“Dove dobbiamo andare ora? Oh e io che pensavo di potermi
orientare” si lamentò Ellen guardando il corridoio
grigio e freddo.
“Menomale che mi hai fatto vedere dov’era la cella
di Eragon da fuori. Dovremmo essere nel lato giusto della prigione,
quindi dobbiamo andare verso di là” rispose
Murtagh indicando una vaga direzione. I due si avviarono a passi
leggeri, cercando di fare il meno rumore possibile. Alla fine del
corridoio trovarono una porta semichiusa. Cauti sbirciarono dentro. Una
guardia stava seduta ad una scrivania, un mazzo di chiavi appeso alla
cintura. Ellen e Murtagh si scambiarono sguardi d’intesa,
poi, piano, aprirono la porta. Il sangue raggelò loro nelle
vene quando un sinistro cigolio risuonò nell’aria.
La guardia si girò all’improvviso, ma Ellen era
già entrata e gli puntava la spada alla gola.
Tese una mano. “Dammi le chiavi se non vuoi che ti
trapassi”. La guardia non si fece intimorire. Gli occhi
saettarono verso Murtagh, poi, con uno scatto cercò di
raggiungere la porta. Murtagh le fermò appena prima che
entrasse nel corridoio e gli prese le chiavi dalla cintura. Le
lanciò ad Ellen.
“Tieni, vai!”. Ellen passò al seguente
corridoio. Era molto lungo, e c’erano un sacco di porte di
legno massiccio rinforzate in metallo.
E ora come
diavolo faccio? Pensò in fretta ad una
soluzione, poi notò che c’erano delle grate in
ogni cella, all’altezza degli occhi, che servivano a vedere
dentro. Ci avrebbe messo di sicuro troppo tempo a guardare dentro a
tutte. Tornò indietro da Murtagh. “Murtagh!
Dov’è la guardia?”. Proprio in quel
momento la suddetta guardia si accasciava a terra. “No! Che
hai fatto?”.
“Perché?” chiese lui sorpreso.
“Ci sono un sacco di porte di là, come facciamo a
sapere qual è quella giusta?”.
“Hai ragione”. Murtagh imprecò e poi
rimase sovrappensiero per qualche secondo, infine scosse le spalle.
“Non ci resta che controllarle tutte”.
Ellen si ricordava che la cella di Eragon aveva una finestrella in
alto, quindi doveva essere per forza essere nella parte destra del
corridoio. Poi ricordò anche che era la sesta o la settima
finestrella. Dopo aver informato Murtagh contarono sei porte e
guardarono attraverso la grata della sesta e della settima.
“Eccolo”. Murtagh indicò Eragon. Ellen
si sporse per guardarlo. Stava addormentato su una panca, davanti a lui
un vassoio di cibo e una caraffa vuoti.
“Eragon!”. Niente. “Eragon!”
riprovò più forte. Il ragazzo si mosse
leggermente. “Eragoon! Eragon mangia come un
Urgali!”. Il ragazzo si svegliò di soprassalto.
Ellen e Murtagh si piegarono in risate silenziose.
“Murtagh! Ellen!”. Il ragazzo si
avvicinò alla grata e li guardò esterrefatto.
“Come siete entrati?!”.
“Ti spieghiamo dopo” disse Murtagh. “Ora
piuttosto aspetta che cerchiamo la chiave”.
“Non c’è n’è
bisogno. Ora dovrei essere in grado di usare la magia”. I due
lo guardarono interrogativi. “Poi vi spiego”.
Eragon chiuse gli occhi, facendo rifluire in sé la magia che
bastava a forzare il meccanismo della porta. Con un sonoro clack quello
si aprì. Il ragazzo uscì di corsa dalla cella ed
Ellen gli si gettò addosso. Eragon sorrise fra sé
e l’abbracciò, felice di rivederla.
“Cominciavo a pensare che sarei rimasto dentro per
sempre” disse stringendo la ragazza.
“Eh già. Pure io”.
“Pure tu?! Ma quanto ci avete messo a fare un piano per
salvarmi?” sciogliendo l’abbraccio Eragon la
guardò corrucciato.
“Troppo poco” replicò Ellen,
“Appunto per questo lo pensavo” si
giustificò lei. Eragon, ricordandosi improvvisamente di una
cosa, la ignorò e cominciò a guardarsi intorno,
come alla ricerca di qualcosa, poi puntò verso destra.
“Fermo! Dove vai? Dobbiamo andare dall’altra
parte!”. Ellen cercò di trascinarlo dalla parte
opposta ma Eragon continuò imperterrito a camminare.
“C’è un’elfa in questa
prigione. Dobbiamo liberarla”.
“Un elfa?!” chiese incredulo Murtagh. Eragon
annuì. Murtagh rimase incerto per qualche secondo, poi
assentì.
“D’accordo” disse avvicinandosi ad
Eragon, e i due iniziarono a camminare. Ellen, esasperata,
roteò gli occhi sul soffitto e poi li seguì.
Proprio in quel momento uno schianto terribile si udì
dall’altra parte del corridoio e cinque o sei soldati
arrivarono di corsa, brandendo le armi.
“Eragon vai!” Murtagh lo spinse via. “Non
sei in grado di combattere, vai a prendere
l’elfa!”. Lui ed Ellen si disposero di fronte ai
soldati. Lo scontro cominciò. Due dei soldati vennero subito
eliminati dopo pochi minuti, uno, dopo qualche secondo
scappò, mentre un altro ancora venne ferito da Murtagh al
braccio e cominciò a sanguinare copiosamente. Ellen, alle
prese con l’ultimo dei soldati, lo scaraventò a
terra dopo una complicata manovra di spada, poi lo
immobilizzò.
“Mostraci dov’è rinchiusa
l’elfa!” disse puntandogli l’arma alla
gola. Il soldato non sembrava convinto, e tenne la bocca chiusa. E’ impossibile! Io non
sono capace di convincere le persone! Si disse Ellen.
Murtagh si avvicinò al soldato e lo colpì forte.
Il poveretto si ripiegò su sé stesso emettendo
qualcosa a metà fra uno sbuffo e un gemito.
“Diccelo se non ne vuoi altri cinquanta!”. Il
soldato emise un grugnito.
“In fondo, la penultima a sinistra”
biascicò.
“Grazie” rispose Ellen. Poi si voltò per
raggiungere Eragon. Murtagh nel frattempo cercava di neutralizzare il
soldato.
Quando fu a portata di voce Ellen gridò: “Eragon!
Quella lì!” disse indicando la penultima porta.
Eragon la aprì con la magia, sentendosi prosciugare le
forze. La prigionia lo aveva indebolito molto più di quanto
pensasse.
Quando Ellen raggiunse la cella Eragon stava sorreggendo
l’elfa. Il suo corpo era esile e fiacco, a quanto pareva.
Aveva i capelli neri e ricci e le immancabili orecchie a punta che
caratterizzavano la sua razza. Il suo viso era allungato e sottile,
molto bello nel complesso, ma era devastato dalla stanchezza e da un
colore cinereo.
“Aspetta ti aiuto”. Ellen prese l’elfa
per le gambe, mentre Eragon la teneva sotto le braccia. Uscirono
velocemente dalla cella. L’elfa non era per nulla pesante.
Presto li raggiunse Murtagh, che rimase a guardare l’elfa con
stupore.
“Ora cosa facciamo? Cosa prevedeva il vostro
piano?” chiese Eragon.
“Veramente prevedeva tornare subito indietro per lo stesso
condotto da dove eravamo passati” disse Murtagh,
“Ma con lei non possiamo”, indicò
l’elfa.
Sentirono arrivare altri soldati, e decisero di togliersi di mezzo.
Continuarono a camminare lungo uno stretto corridoio e arrivarono ad
una stanza vuota con due enormi tavolate. Doveva essere la mensa dei
soldati.
“Andiamo sotto lì” disse Murtagh
indicando un tavolo. Tutti si acquattarono per andare sotto quello
più vicino e rimasero zitti. Sentirono dei soldati, forse
tre, camminare per la stanza velocemente. Se ne andarono in fretta,
senza controllare sotto i tavoli.
“Ah, Eragon” esclamò Murtagh trafficando
con qualcosa. “Ho preso Zar’roc e il tuo
arco” disse porgendogli le sue armi, che aveva preso dopo
aver ucciso l’ultimo soldato.
“Grazie”. Eragon, lieto di avere ancora
Zar’roc al suo fianco, prese la spada e se la mise subito al
fianco, nella sua fodera.
“Eragon credo che dovresti chiamare Saphira”
suggerì Ellen. Il ragazzo annuì e chiese aiuto
alla dragonessa, che rispose con una certa stizza.
Ancora una
volta tu ti cacci nei guai e io ti devo salvare! Quando imparerai ad
essere più responsabile?
Non ci aiuti
se fai così! Ribatté Eragon
infastidito dal suo tono. La dragonessa sbuffò mentalmente.
Ad un tratto dei passi risuonarono nella sala. Dei passi leggeri e
felpati di chi vuole farsi sentire e mettere paura alla sua preda.
“Cavaliere” chiamò una fredda voce. A
Eragon si gelò il sangue nelle vene. Ellen e Murtagh si
guardarono con aria preoccupata e interrogativa. Pensando di dover
guadagnare tempo Eragon trasse un grosso respiro ed uscì da
sotto il tavolo.
“No” bisbigliò Ellen cercando di
trattenerlo, senza successo.
Dall’altra parte della sala stava lo spettro Durza. Con la
pelle bianca e gli occhi e i capelli color del sangue. Lo
guardò uscire da sotto il tavolo con l’ombra di un
sorriso sul volto scarno.
“Eccomi” disse Eragon. Lo spettro emise un
sogghigno.
“E così ecco qui il grande Cavaliere dei Draghi.
Il primo della nuova stirpe, nascosto sotto ad un tavolo per evitare di
combattere” disse con voce canzonatoria. Eragon non cadde nel
tranello e non si fece innervosire da quella che voleva essere una
provocazione apposta per farlo arrabbiare, invece decise di parlare con
lui.
“Perché? Tu vorresti combattere?”
chiese, in mancanza di altro da dire.
“Io no. Non sei tu che desideri misurarti con qualcuno alla
tua altezza?” chiese lo spettro, come a prenderlo in giro.
Questa volta Eragon rispose senza indugi: “Si”.
Intanto, sotto al tavolo, nasceva un’animata discussione
bisbigliata a mezza voce. “Andiamo, no? Non ce la
farà mai da solo!”.
“No, io vado. Tu resti qui” disse Murtagh facendo
per uscire dal tavolo, ma venne trattenuto dalla mano di Ellen.
“Non me lo puoi impedire” e, detto questo, prima
che il ragazzo potesse ribattere Ellen uscì allo scoperto e
si mise affianco ad Eragon. “Dovrai misurarti anche con
me” disse la ragazza in direzione dello spettro.
Murtagh sorrise e scosse la testa, poi uscì a sua volta.
“Temo che lo dovrai fare anche con me, spettro”
disse mettendosi all’altro fianco di Eragon. Il ragazzo,
vedendoli apparire all’improvviso al suo fianco,
sentì un moto di affetto per loro e si sentì
improvvisamente più sicuro.
Dovremmo
bastare per trattenerlo fino all’arrivo di Saphira,
Eragon sentì la voce di Ellen nella sua mente.
Credo di si,
rispose.
Lo spettro saltò all’improvviso oltre il tavolo
per raggiungerli e li colpì con una forza inaudita. Il primo
colpo fu sferrato ad Eragon, che riuscì a pararlo per un
pelo. Nello stesso istante Ellen fece per colpirlo ma quello si
riparò con uno scudo e poi menò un fendente nella
sua direzione, che la ragazza schivò. Anche Murtagh
provò a colpirlo, con scarsi risultati. Lo spettro riusciva
a tenerli a bada tutti e tre, a colpirli con forza e precisione e,
contemporaneamente, ripararsi da altri colpi. Dopo dieci minuti i tre
ragazzi erano stanchi, anche se Ellen dimostrava ancora una
velocità al di fuori dal comune. Ad un tratto, mentre la
ragazza colpiva Durza frontalmente, quello la scaraventò a
terra, quindi Murtagh si parò subito di fronte a lei. Lo
spettro sogghignò e lo colpì con forza
sorprendente, tanto farlo volare ad un paio di metri da lui,
causandogli una ferita all’addome. Si avvicinò al
ragazzo, che si teneva una mano sulla ferita, dalla quale colava
copiosamente sangue. Durza si avvicinò velocemente per
sferrare il colpo finale, in quell’istante un rumore
riempì la sala e grossi pezzi di soffitto presero a cadere
intorno a loro. Un ruggito scosse Durza e lo fece voltare verso la
fonte del rumore. Non fece in tempo ad avvicinarsi ancora a Murtagh che
Saphira volò al di sopra di loro e se lo caricò
sulla schiena, facendo cadere lo spettro a terra con un colpo
d’ala. Murtagh non perse l’occasione e
scoccò una freccia in direzione dello spettro, accasciato a
terra. Lo centrò perfettamente in mezzo agli occhi.
Lo spettro Durza gridò, un grido stridulo e rancoroso. Prese
a contorcersi furiosamente e poi, con un sordo schiocco, si
tramutò in fumo.
Ellen vide Saphira calare su di lei ed Eragon, mentre un drappello di
soldati accorreva nella sala. Corse sotto al tavolo e tirò
fuori l’elfa, di cui si era momentaneamente dimenticata.
Aiutata da Eragon venne messa sul dorso di Sapira, in mezzo fra Murtagh
ed Eragon, che la tenevano saldamente in sella. Poi Ellen si
sentì sollevare e si ritrovò sul dorso della
dragonessa.
Non
riuscirò a portarvi tutti per molto, li
avvisò Saphira.
Non importa!
Basta che ci porti via di qui! Replicò subito
Eragon.
Con due possenti battiti di ali la dragonessa uscì dal buco
che poco prima aveva creato sul soffitto e si avviò verso la
grotta.
Nuovo capitolo! Grazie
Thyarah per la recensione ^^ Il prossimo capitolo non è
molto emozionante, è un capitolo di passaggio diciamo.
Però è utile per la storia ... vabè un
saluto a tutti i lettori,
Patty.
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Capitolo 10 *** Nel deserto di Hardac ***
Capitolo 10: Nel Deserto di Hardac
Dopo
essersene andati dalla grotta e aver viaggiato per tutta la notte, i
tre ragazzi, Saphira e l’elfa trovarono un posto abbastanza
riparato per riposarsi. Ellen era così stanca che per un
tratto di strada si era persino addormentata sul cavallo. Quando si
fermarono la prima cosa che fece fu andare da Murtagh.
“Fammi vedere che ti sei fatto”. Murtagh, che aveva
cavalcato tutto il tempo facendo smorfie e diventando sempre
più pallido, assunse un’aria colpevole, come se
fosse stato lui a ferirsi da solo. “Dai”. Ellen gli
prese le mani, che il ragazzo aveva prontamente portato allo stomaco, e
gliele spostò. La maglietta era lacerata e macchiata di
sangue, attraverso il taglio si poteva vedere un ferita non molto
profonda che si dilungava dall’ombelico del ragazzo fino
all’inguine. Anche la cintura dei pantaloni era stata
tagliata. Ellen, senza tanti complimenti, lo spinse a terra e
bagnò uno straccio per pulire la ferita. Murtagh non si
ribellò, ma si lamentava di tanto in tanto del dolore.
Eragon si avvicinò ai due amici.
“Cos’è successo?”. Quando vide
la ferita di Murtagh si inginocchiò affianco a lui.
“Eragon che vuoi fare?” lo rimproverò
Ellen. “Non sei abbastanza in forze!”.
“Mi farò aiutare da Saphira”. Ci sei? Chiese alla
dragonessa. Quella gli rispose con un cenno e si accucciò
vicino a Murtagh. Dopo qualche secondo la ferita era guarita e la
pancia di Murtagh come nuova.
Ellen sorrise. “Bene”. Poi si voltò
verso l’elfa, che Eragon aveva depositato a terra appena
erano arrivati, e che aveva viaggiato legata sotto la pancia di
Saphira. “Forse dovremmo cercare di svegliarla”
azzardò. Si avvicinò e la scosse dolcemente.
Notò che un pezzo della sua veste era strappato, e sotto la
manica lacerata c’era un taglio. “Eragon”
chiamò. Il ragazzo si avvicinò e si
chinò sull’elfa.
“Che c’è?”.
“Mi pare che anche lei sia ferita” disse Ellen
scostando la manica del tutto per scoprire la spalla e il resto del
taglio. La visione che ebbe fu terrificante. L’elfa era
completamente coperta di tagli, scottature e lividi violacei. Sia lei
che Eragon trattennero il fiato.
“Cosa succede?” Murtagh li raggiunse e nel vedere
l’elfa imprecò. “Eragon devi
curarla”.
Eragon la osservò ancora per un po’, esterrefatto,
poi annuì deciso. Insieme a Saphira cominciò a
curare i tagli che aveva sulla spalla, mentre Murtagh ed Ellen
preparavano la cena. Eragon si fermò per mangiare poi,
mentre Murtagh pensava a nutrire i cavlli, chiamò Ellen da
parte.
“Ascolta Ellen, vieni qui” la prese per una spalla
e la condusse vicino all’elfa. Eragon aveva curato tutte le
ferite sulla schiena, sulle braccia e quasi tutte quelle delle gambe.
“Che c’è?” chiese Ellen
stupita. “Ti manca ancora una parte”
osservò indicando l’elfa, poi, con uno sguardo ad
Eragon, capì qual’era il problema.
“Oh”. Eragon non aveva voluto scoprire il seno e le
cosce dell’elfa, probabilmente per rispettare la sua
intimità.
“Capito?” disse il ragazzo, lanciando
un’occhiata imbarazzata al corpo dell’elfa. Ellen
si lasciò sfuggire una risatina.
“Io pulisco le ferite, ma le più gravi le dovrai
guarire, capito?”. Eragon borbottò qualcosa e poi
se ne andò a sedersi accanto a Murtagh, rosso e imbarazzato
come non lo era mai stato.
Erano ormai tre giorni che viaggiavano nel deserto di Hardac. Eragon,
siccome l’aria fra lui e Murtagh era un po’ tesa, a
causa della mancanza di acqua e dell’urgenza con cui dovevano
viaggiare per salvare Arya, aveva deciso di cavalcare Saphira per un
po’. La sera del secondo giorno decisero di fermarsi per
qualche ora per permettere ai cavalli di riposare. Ellen era nervosa.
Non per il viaggio, ma perché Murtagh aveva espresso varie
volte la sua decisione di non andare dai Varden, e che sarebbe andato
via appena possibile. Non voleva che se ne andasse. Anche se fra di
loro non era successo niente, era nato come un tacito accordo che tutti
e due conoscevano a rispettavano. Non si parlavano più molto
spesso, non si scambiavano più sguardo complici e non
dormivano più l’uno vicino all’altra.
Murtagh non accarezzava più il volto di Ellen prima di
addormentarsi e lei non sorrideva più molto spesso.
Una sera, dopo aver mangiato e fatto bere i cavalli, Murtagh
ribadì di nuovo il concetto dei Varden.
“Appena saremo arrivati vicino a loro io me ne
andrò, chiaro?”.
“Ma non puoi passare per il deserto”
osservò Eragon.
“No, infatti. Credo che passerò per le montagne.
Sicuramente lì troverò anche qualcosa da mangiare
e dei fiumi per riempire le borracce. Se solo non mi avessi trascinato
in questo stupido …”.
“Non sono stato io a costringerti!”. Eragon,
infastidito, rispose in malo modo.
“Oh no! Sei stato tu invece! Sei sempre così
sprovveduto che mi sentivo in dovere di farlo! Non potevo lasciarla da
sola a salvarti dalla prigione e dai Ra’zac” disse
indicando Ellen che, sentendosi tirata in causa, si incupì
ancora di più.
“Non mettetemi in mezzo per favore” disse
piluccando le sue patate.
I due non la stettero nemmeno a sentire. “Sei tu qui che vuoi
fare l’eroe!” cominciò Eragon.
“Che vuoi salvare la gente! Solo per far vedere che sei
migliore degli altri!”. Murtagh perse la pazienza e si
buttò addosso ad Eragon, d’altro canto, il ragazzo
fece lo stesso. Cominciarono a picchiarsi furiosamente, rotolandosi
nella terra rossiccia del deserto, alzando una nuvola di polvere. Ellen
si alzò allarmata e provò a separarli. Non
servì a nulla, ma per fortuna intervenne Saphira che, con un
ruggito, fece sobbalzare tutti e due, e immobilizzò Eragon
sotto la zampa, mentre Ellen ne approfittava per immobilizzare Murtagh
sedendoglisi sopra.
“Vuoi stare un po’ fermo?!” gli
urlò in faccia. “Non è così
che si risolvono i problemi!”.
Ellen ha
ragione, intervenne Saphira. Probabilmente Murtagh ha un
motivo ragionevole per non voler venire di Varden. Basta solo che
glielo chiedi … con le parole giuste. Eragon
sbuffò, poi si mosse leggermente sotto la zampa di Saphira.
“Mi lasci ora?” chiese rabbioso. La dragonessa gli
lanciò uno sguardo penetrante, poi alzò la zampa
con cautela, come temendo che Eragon potesse ancora picchiare Murtagh
che, fra l’altro, era ancora imprigionato da Ellen che lo
teneva saldamente a terra.
In un altro contesto Murtagh avrebbe forse approfittato della
situazione, ma in quel momento si sentiva arrabbiato e inquieto. Non
poteva assolutamente incontrare i Varden. Solo una cosa lo costringeva
a continuare il viaggio: Ellen. Aveva notato che la ragazza si incupiva
sempre di più quando accennava al fatto che li avrebbe
lasciati. Ma era sicuro che non poteva chiederle di venire con lui.
Ellen dal canto suo si chiedeva se non fosse il caso di lasciar andare
Eragon dai Varden da solo. In fondo lei chi era? Il cavaliere era
Eragon, e lei aveva cominciato a viaggiare con lui e Brom solo per
errore, se così si può dire. Dopo la morte di
Brom le era sembrato naturale continuare a viaggiare con il ragazzo, in
più dopo si era aggiunto al loro gruppo Murtagh, di cui
all’inizio non conoscevano le vere intenzioni e lasciarlo
solo con Eragon non sarebbe stato saggio. Ma una volta qui? Lei non era
interessata veramente ad unirsi ai Varden. Certo, non era una fan
dell’Impero e di Galbatorix, ma neanche le interessava
combattere contro di loro. Nel periodo in cui aveva conosciuto Eragon
si era, per poco tempo, abituata all’idea di essere contro
l’Impero in modo più attivo, ma, ora che rischiava
di perdere Murtagh, forse doveva lasciare Eragon al suo destino. Quello
che lui voleva, in fondo, non era quello che voleva Ellen.
“Ti puoi alzare ora? Giuro che non faccio niente”.
Murtagh guardò Ellen con severità, interrompendo
i suoi pensieri.
“Si, certo” disse lei un tantino imbarazzata. Si
alzò e Murtagh fece lo stesso. I tre ragazzi per un secondo
stettero in silenzio poi Murtagh si schirì la voce.
“Credo che c’è una cosa che dovreste
sapere”. Eragon lo osservò con attenzione.
“Non vi ho raccontato tutto. Io
…”.
Un ruggito di Saphira interruppe il suo discorso. Si girarono tutti
verso di lei, ma Saphira guardava altro. Seguendo il suo sguardo
notarono una fila nera all’orizzonte.
“Uragali” sussurrò Eragon.
“Cosa?”. Murtagh balzò in sella a Tornac
e incitò gli amici a fare altrettanto.
Per tre giorni avevano cavalcato senza sosta. Ora si trovavano a
percorrere l’ultimo tratto del fiume Zannadorso. Murtagh era
sempre più agitato e arrabbiato perché, fino a
quel momento, non avevano trovato nessuna via fra le montagne per dove
potesse scappare. Negli ultimi due giorni Eragon aveva viaggiato su
Saphira, nella speranza di avvistare una via per Murtagh, di stare
lontano da lui ma, soprattutto, di tenere al sicuro Arya dai Kull.
Avevano scoperto infatti che quelli che li seguivano non erano semplici
Urgali, ma forti e spietati Kull, esseri in grado di marciare per
giorni e notti senza stancarsi, che, pur di eseguire gli ordini,
sarebbero anche morti.
Eragon scese verso la valle e, una volta avvistati Murtagh ed Ellen,
scese planando su Saphira. I due ragazzi, nel vederli, si fermarono ed
Eragon salì su Fiammabianca.
“Manca pochissimo alla cascata e abbiamo cercato di
rallentare i Kull. Ne abbiamo uccisi un po’”.
Ellen, sfinita, fece un debole segno di assenso. Murtagh non guardava
nemmeno il compagno di viaggio, in parte ancora arrabbiato con lui.
“Mi pare chiaro che l’unico modo per salvarmi
sarà andando dai Verden” disse poi, con voce
fredda e venata di rabbia. Ellen ed Eragon si scambiarono uno sguardo
preoccupato. “Prima di arrivare lì vorrei dirvi
una cosa. Per evitare brutte sorprese”. Murtagh stette un
attimo in silenzio, poi prese a slacciarsi la camicia. Sia Eragon che
Ellen rimasero non poco stupiti di quel gesto, mentre Saphira scrutava
il ragazzo con sospetto. Murtagh, una volta toltosi la camicia si
voltò. Ellen si premette una mano sulla bocca. Una lunga
cicatrice nodosa si dilungava per tutta la schiena del ragazzo, dalla
spalla destra al fianco sinistro.
“Questa cicatrice mi fu inferta da mio padre. Morzan,
l’ultimo dei rinnegati”. Il ragazzo si
voltò tristemente, ma con sguardo risoluto, verso gli amici,
che lo guardavano senza dire una parola. Si rivestì in
fretta e guardò Ellen negli occhi. Il volto della ragazza
esprimeva orrore e incredulità. Proprio quello che Murtagh
si aspettava.
La rivelazione di Murtagh
è avvenuta! Come reagiranno adesso i suoi amici? Lo
scorpirete ... nella prossima puntata!
PUBBLICITA': Italia uno!
Ok, basta. La mia sanità mentale se n'è andata
diverso tempo fa -.-''
Grazie per la recensione Thyarah ^^
Avanti ... lasciate un commentino anche voi lettori anonimi XD
Patty
|
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Capitolo 11 *** Imprigionati ***
Capitolo
11: Imprigionati
Saphira
ruggì e si agitò. Ellen, Eragon! State pronti!
Potrebbe attaccarvi da un momento all’altro!
Ellen si voltò a guardarla con stupore. Murtagh
sospirò, come sa si aspettasse quella reazione. Eragon non
sapeva cosa fare. Il figlio di Morzan! Come poteva non essere un
alleato di Galbatorix? Conosceva il re? Lo aveva aiutato?
Perché era lì con loro? Per spiarli? Lo aveva
mandato Galbatorix, come in una specie di missione speciale? E allora
perché alla fine aveva rivelato tutto, e li aveva aiutati
per così tanto tempo?
Ellen prese in mano le redini di Dimitri e guardò dritto
davanti a sé. “Andiamo. Non abbiamo più
molto tempo”. Eragon, come ripresosi da un sogno, la
seguì. Murtagh, con fare rassegnato, lo imitò.
Ellen!
La chiamò Saphira.
La ragazza schermò la mente e la dragonessa, per quanto si
sforzasse, non riusciva a parlarle. Alla fine sbuffò e prese
a volare accanto a loro, lanciando occhiate a Murtagh di quando in
quando.
Presero a galoppare velocemente. Ormai erano avvolti dalla nebbia umida
che emanava la cascata. Eragon, una volta giunti affianco alla parete
di roccia, prese un pietra da terra e la batté tre volte
sulla sua dura superficie, pronunciando alcune parole
nell’antica lingua. Non accadde niente.
“Eragon! Stanno arrivando!”. Riuscivano a vedere i
primi Kull apparire di fronte a loro.
“Non funziona!” disse Eragon. “Non
capisco”. Ripeté di nuovo le parole, ma non
accadde ancora nulla. Eragon si voltò disperato. I Kull
erano a pochi metri da loro. Eragon stimò che, viste le
poche forze che gli rimanevano, non poteva usare per molto la magia.
Sguainò Zar’roc. Saphira ruggì e disse
qualcosa ad Eragon.
“Eragon!” esclamò Ellen guardandolo.
“Non possiamo combatterli tutti. Riprova!”.
“Devo andare dall’altra parte del fiume. Siamo
sulla riva sbagliata!”.
“Cosa?”. Ellen osservò il muro di roccia
dietro di sé, come se quello potesse confermarlo.
“Dì a Saphira di portarti! Qui ci pensiamo
noi” disse scoccando un’occhiata a Murtagh. Eragon
annuì e chiamò mentalmente Saphira, che lo
raccolse sul dorso. Nel frattempo i Kull erano quasi arrivati.
“Murtagh?” chiamò Ellen.
“Si?” rispose il ragazzo, che dal momento della
rivelazione della sua identità non aveva proferito parola.
“Sappi che non m’importa chi sei. Potresti anche
essere il fratello di Galbatorix, per quanto mi riguarda”.
Murtagh la osservò per un’istante, poi sorrise
debolmente.
“Grazie” rispose.
In quel momento un Kull si lanciò su di loro. Lo scontro
iniziò. Più feroce e più duro che mai.
Ellen mozzò la testa a due Kull e ne ferì un
terzo. Murtagh ne uccise uno con grande abilità, poi
colpì altri tre Kull, ferendoli gravemente.
All’improvviso videro uno sciame di soldati comparire dal
nulla dietro di loro. Ellen rimase spiazzata per un secondo ma Murtagh
imprecò e continuò a combattere. Uccise un altro
Kull, che lo ferì ad una spalla con una lama lunga e
ritorta. Il ragazzo gridò, sentendo qualcosa che gli premeva
la ferita. Si girò e vide un piccolo nano
dall’aria riottosa chiamarlo e fargli segno si seguirlo. Vide
che Ellen stava sparendo in quel momento dietro la spessa coltre di
nebbia della cascata.
Velocemente lui e il nano si allontanarono dalla battaglia. Passarono
vicinissimi alla cascata e Murtagh sentì
l’umidità appiccicarsi a lui con sollievo.
Finalmente un po’ di fresco dopo tutta la fatica che aveva
fatto! Quello era forse l’unico lato positivo di tutta la
storia. Avanzando un po’ alla cieca, dato che la coltre di
umidità era molto spessa, Murtagh si ritrovò
all’improvviso in una sala dal soffitto basso, con pareti di
pietra aspra e grigia. Davanti a lui c’erano già
Eragon, Ellen e Saphira, insieme a qualche soldato e un uomo calvo con
una tunica arancione e rossa, sicuramente un mago.
Il nano affianco a Murtagh si avvicinò subito
all’uomo e gli sussurrò qualcosa. L’uomo
gli rispose aspramente, poi si rivolse ai nuovi arrivati.
“Cavaliere, signore e … signorina, ci rincresce ma
dobbiamo sondare le vostre menti. Per sapere se possiamo fidarci di
voi” disse osservandoli malevolmente.
“No” disse subito Ellen. “Non guarderete
nella mia mente”. Una volta Brom aveva detto che la mente era
l’ultimo rifugio dell’uomo, l’ultima cosa
che fosse solo sua. Non voleva che degli estranei la esaminassero. In
più aveva delle informazioni che sarebbero risultate scomode
se rivelate.
“Nemmeno io mi farò controllare”
aggiunse poco dopo Murtagh. L’uomo calvo si
infuriò.
“Se vi rifiutate non preoccupatevi che mi prenderò
i vostri ricordi con la forza!”.
Ellen, improvvisamente, si sentì colpire da un dolore
lancinante al cervello, come se un ago le stesse entrando nelle
orecchie. Strinse gli occhi e, senza accorgersene, mise tutti i muscoli
in tensione. Si concentrò su un muro e cercò di
pensare solo a quello. Dopo quasi un minuto di quella tortura la forza
che cercava di sondarle l’animo si ritirò.
Aprì gli occhi, spossata. L’uomo calvo la guardava
con rabbia poi, chiudendo gli occhi e traendo un grosso respiro, si
concentrò su Murtagh. Eragon guardò come i suoi
amici venivano sottoposti al dolore, anche fisico, di una mente
sondata, e provò rabbia verso quell’uomo, che li
costringeva a dare una parte di loro che non volevano svelare. Si
rendeva conto, però, che lui doveva sottostare alla legge.
In più, con l’aiuto di Saphira, poteva facilmente
nascondere i pensieri che non voleva svelare a nessuno. Gli
insegnamenti di Brom, l’incontro con Angela, le parole di
Solembum e l’identità di Murtagh.
“Cavaliere ..” disse l’uomo calvo con
voce rabbiosa quando ebbe finito con Murtagh, con risultati nulli.
“Sono pronto” disse il ragazzo.
Dopo che l’uomo ebbe visionato la sua mente il nano gli disse
qualcosa sottovoce. “Se non volete farvi esaminare saremmo
costretti a usare la violenza” disse poi l’uomo a
Murtagh ed Ellen.
“Non dire sciocchezze!” intervenne a quel punto il
nano, furente. “Non sanno nemmeno usare la magia!”
disse indicandoli. “Non possono fuggire o nuocerci in alcun
modo” concluse. “Ajhiad non sarebbe
d’accordo”.
“So io cosa vuole Ajhiad” sussurrò
l’uomo guardando storto il nano. Poi, rivolgendosi a due
soldati: “Portateli in cella!”.
Murtagh ed Ellen vennero circondati da guardie e condotti fuori dalla
sala attraverso una piccola porta nascosta nella parete. Eragon li
guardò preoccupato, scambiando con loro un ultimo sguardo. I
soldati li condussero per diversi corridoi stretti e bui, illuminati
fiocamente da lampade appese alle pareti. Arrivarono in un salone
circolare con diverse porte.
“Entrate” disse bruscamente uno dei soldati aprendo
una porta. Ellen e Murtagh furono praticamente spinti dentro la cella,
poi la porta venne loro chiusa in faccia.
Murtagh sospirò e si guardò intorno. La cella era
spoglia e umida, un rettangolino grigio non troppo spazioso e vi era un
solo letto. “Prego, te lo cedo” disse a Ellen
indicandolo.
“Oh non essere sciocco!” disse lei sedendosi a
gambe incrociate su un lato del letto e dicendogli di fare lo stesso.
“Non ti farò dormire per terra”.
“Grazie” disse Murtagh sedendosi a sua volta.
Rimasero un po’ in silenzio, poi Ellen sbadigliò
forte. “Anche se siamo in cella puoi dormire. Anzi, puoi fare
praticamente solo quello” le disse il ragazzo nel vederla
così stanca.
“Già”. Ellen si distese, seguita subito
dopo da Murtagh, che le cinse un fianco con le braccia. Erano uno di
fronte all’altro. “Sai qual è la cosa
buona di tutto questo casino?” chiese al ragazzo.
“Devi essere veramente ottimista per trovare qualcosa di
buono”.
“Non ci vuole poi molto … almeno sono insieme a
te” disse la ragazza accoccolandosi addosso a lui. Murtagh
sorrise tra sé e sé e baciò la testa
di Ellen.
Poco dopo si addormentarono, l’uno fra le braccia
dell’altro.
Un forte rumore fece sobbalzare Murtagh, che si svegliò di
soprassalto. Si guardò intorno disorientato, poi
ricordò dove fosse. Al suo fianco Ellen aprì gli
occhi.
“Cos’è questo rumore?” chiese,
la voce intrisa di sonno.
La porta della cella si aprì cigolando. Entrarono due
guardie dall’aria severa, armate di spada e sguardo poco
rassicurante. Una di loro gli si parò davanti e fece un
piccolo inchino sia a Murtagh che ad Ellen. I due rimasero grandemente
stupiti.
“Ajhiad, capo dei Varden, desidera parlare con entrambi. Vi
preghiamo di seguirci nel suo ufficio”. Ellen e Murtagh si
guardarono per un istante, poi si alzarono dal letto e si avviarono,
insieme ai soldati che, nonostante le buone maniere, li scortarono
verso i tunnel di pietra in ranghi serrati.
E io che
pensavo fossimo prigionieri, pensò Murtagh
appena prima di arrivare da Ajhiad. Di fronte all’ufficio,
una porta grande, di legno massiccio intarsiata con altorilievi, uno
dei soldati chiese loro di aspettare e li lasciò per qualche
minuto insieme al suo compagno. Dopo un po’ le porte di
fronte a loro si aprirono e diedero spazio ad una camera dal soffitto
alto a volta, con varie librerie stracolme addossate alla parete e una
grossa scrivania in mogano esattamente al centro della stanza.
“Ajhiad è pronto a ricevervi” disse il
soldato da dietro un battente della porta. Murtagh ed Ellen si
sedettero di fronte alla scrivania, su due comode poltrone rosse e
beige. I soldati dietro di loro chiusero il portone e, Ellen se ne
accorse, li affiancarono, le mani alle armi. Murtagh non ci fece
nemmeno caso, era nervoso, non era sicuro che quell’incontro
con Ahjiad andasse a buon fine.
“Buona sera” una voce profonda proveniente
dall’angolo fece sobbalzare entrambi i ragazzi, che si
voltarono a guardare da chi mai provenisse. Un uomo nero, slanciato ma
muscoloso, veniva verso di loro. Aveva occhi penetranti che scrutavano
a fondo i due stranieri, sopracciglia folte leggermente corrugate e un
portamento degno di un re. Era arrivato da una porta laterale nascosta
alla vista. Si sedette alla scrivania con un sospiro e prese a guardare
Murtagh, che, sentitosi preso in causa, resse lo sguardo, spavaldo.
“Murtagh, vero?” chiese osservandolo.
“Si” rispose il ragazzo senza aggiungere altro.
Ajhiad sospirò.
“Riconosco la tua voce … allora, vuoi, per favore,
mostrarmi la schiena o confessi di tua spontanea
volontà?”. A quelle parole il ragazzo
abbassò nuovamente lo sguardo e prese a tormentarsi le mani.
“No … no, sono io. Sono Murtagh, unico erede di
Morzan, l’ultimo dei rinnegati”. Ellen affianco a
lui era nervosa.
“Mi dispiace Murtagh, ma finchè non permetterai ai
gemelli di sondare la tua mente temo che dovrò tenerti come
un prigioniero” disse Ajhiad unendo le mani e appoggiando un
gomito al bracciolo della sua poltrona.
“Capisco. Però ti dico solo una cosa: non
è il figlio a scegliersi il padre Ajhiad, capo dei Varden e,
per quanto questi sia una figura importante nell’infanzia di
un bambino, non potrò mai perdonare al mio quello che ha
fatto”.
“Ne sono sicuro Murtagh, ma purtroppo le regole per entrare
nel Farthen Dur sono chiare. Era stato stabilito da me e da Rothgar
quando ci diede asilo nella montagna e, visto che i tempi non sono
cambiati, non credo che dovremmo fare un strappo alla regola”.
“Capisco” ripeté Murtagh.
“Naturalmente ti porteremo in un luogo più
confortevole d’ora in poi e, siccome sono sicuro che ognuno
di voi due voglia la propria intimità, vi daremo una camera
ognuno” disse Ajhiad scoccando un’occhiata anche ad
Ellen.
“Oh no, non è necessario” si
affrettò a dire Murtagh. L’uomo lo
guardò per un secondo, certamente stupito. “Noi
stiamo bene anche così, non ce n’è
bisogno, davvero”.
Ajhiad li osservò qualche istante poi acconsentì,
fece un gesto in direzione di uno dei soldati, che
s’inchinò e uscì dalla sala.
“Ora … capisco il desiderio di Murtagh di non far
conoscere il suo passato, ma tu?” chiese rivoltosi ad Ellen.
“E’ forse una presa di posizione contro
ciò che facciamo, hai qualcosa da nascondere o vuoi solo
proteggere anche tu i tuoi ricordi?”.
“Io … credo tutte queste cose” disse
Ellen. “E poi, anche se cercaste, non trovereste nulla di
prima dei miei tredici anni”. Ajhiad la guardò
interrogativo, così Ellen prese a spiegare.
Raccontò di Gellert e Monica e degli Urgali, della sua
memoria sopita, che non era stata risvegliata nemmeno da Saphira. Non
disse nulla riguardo a Brom, al giorno in cui incontrò lui
ed Eragon, ma dovette subito inventarsi un motivo alla domanda di
Ajhiad: “Perché hai seguito Brom ed
Eragon?”.
“A Daret non c’era nulla per me. Pensavo che
fossero dei semplici viaggiatori. Li seguii e Brom mi
suggerì di viaggiare con loro. All’inizio pensavo
che lo facessero perché avevo visto Saphira, e loro non
potevano permettersi che qualcuno andasse in giro a dire di aver visto
un drago, o l’Impero avrebbe sicuramente trovato conferma il
suoi dubbi, ma, dopo la morte di Brom, mi sembrò naturale
proseguire il viaggio con Eragon. Ormai noi due eravamo diventati
amici, e anche con Saphira abbiamo ... legato”.
“Voi sapevate di Murtagh?” chiese Ajhiad dopo aver
fatto una pausa, in cui aveva ponderato le parole di Ellen.
“Hm … si, ha cercato più volte di
dircelo, ma l’abbiamo saputo appena prima di arrivare nel
Farthen Dur”.
“Non glielo hai voluto dire? Eppure avete viaggiato assieme
per tanto”.
Murtagh trafisse Ajhiad con lo sguardo. “Tutti hanno sempre
la stessa reazione quando dico di essere figlio di Morzan”
disse con astio. “Non vedevo che bisogno c’era di
farmi disprezzare”.
Ajhiad sospirò. “Capisco” disse
abbassando lo sguardo. “B’è …
io ho finito, potete andare”.
Ellen e Murtagh si alzarono e il soldato si accostò subito
vicino a Murtagh. “Ajhiad” chiamò il
ragazzo prima di uscire. L’uomo alzò o sguardo su
di lui. “Se non mi darai mai fiducia non avrò mai
occasione di provarti che io non sono mio padre”.
“Ci sarà un’occasione, vedrai”
disse Ajhiad con un sorriso triste. Murtagh annuì e si
voltò per andarsene, con Ellen al seguito e il soldato
affianco.
Ancora una volta furono guidati attraverso cunicoli e strette vie.
Ellen pensò che, se fosse stato per lei, di sicuro si
sarebbero persi alla prima curva. Alla fine del tragitto giunsero di
fronte ad una porta di pietra. Il soldato la aprì con una
grossa chiave.
“Formalmente … siete ancora prigionieri”
disse stringendosi nelle spalle. Quindi aprì la porta. Ellen
non aveva mai visto una stanza così, pensò che
avrebbe dovuto farsi imprigionare dai Varden più spesso. La
stanza era abbastanza grande da contenere due letti muniti di morbide
coperte, una scrivania con sopra fogli, un vasetto
d’inchiostro, una penna d’aquila e alcuni libri, e
un piccolo lavabo con sopra uno specchio.
Ellen emise un fischio sommesso. Il soldato sorrise alla sua
incredulità e le fece segno di entrare.
“Se avete bisogno di qualcosa chiedete pure. Io
starò qua fuori … basta che bussiate”.
“Ok … allora … ci vediamo”
disse Ellen alquanto imbarazzata per quello strano incontro. Non sapeva
bene se doveva essere amichevole con quel soldato, che sembrava molto
giovale, o fredda, siccome la stava rinchiudendo in una cella, per
quando grande e spaziosa.
“Aspetta!” Murtagh lo fermò.
“Si?”.
“Non è che potrei farmi un bagno?”
chiese Murtagh.
“Giusto! Pure io, e magari potrei prendere altri vestiti
dalla mia borsa, se mi è permesso” intervenne
Ellen.
“Certo. Aspettate qui solo un minuto” disse il
soldato richiudendo la porta. Dopo meno di cinque minuti
tornò e disse loro di seguirlo.
Portò Ellen davanti all’entrata di un grosso bagno
e condusse Murtagh a quello attiguo, dicendo che, quando avrebbero
finito, avrebbero trovato vestiti puliti, e che lui li avrebbe
aspettati lì fuori.
Murtagh, una volta nella vasca di pietra si rilassò
completamente, distendendo i muscoli in tensione. Si lavò i
capelli e il corpo con oli profumati e, quando ebbe finito e si fu
asciugato, una volta fuori dalla stanza con la vasca, trovò
dei vestiti comodi e che sapevano di pulito. Una camicia bianca con
grossi bottoni e dei pantaloni di pelle nera, resistenti e davvero
comodi.
All’entrata dei bagni incontrò il soldato di prima
che parlava con uno dei suoi compagni. Nel vederlo
quest’ultimo si alzò e condusse Murtagh alla
cella. Non era simpatico come l’altro e non disse una sola
parola per tutto il tragitto. Dopo circa venti minuti arrivò
Ellen.
“Ok, ci vediamo. Ciao” la ragazza salutò
il soldato ed entrò nella cella. Era simpatico.
“Ce ne hai messo di tempo!” esclamò
Murtagh. “Vanitosa”.
“Non è vero!” Ellen si sedette sul letto
affianco a lui. “E’ perché era
rilassante. E poi io … ho i capelli più
lunghi”.
“Che vuol dire scusa?!”.
“Che ci metto di più a lavarli” rispose
la ragazza come se fosse ovvio.
“Come no. Guarda che capisco che tu sia vanitosa …
e, a proposito, come sei vestita?”.
“Lo sapevo che avresti fatto commenti!” disse Ellen
stropicciando il vestito con le mani.
“No ferma. Fa vedere” disse Murtagh alzandosi dal
letto e tirandola su con una mano. La ragazza si alzò e fece
vedere bene il vestito, in più Murtagh la fece girare con
una mano, come se stessero ballando.
Ellen indossava un vestito verde con maniche alquanto vaporose, un
nastro rosso acceso sotto il petto lo stringeva per poi farlo gonfiare
fino alle ginocchia, dove finiva con piccoli ricami rossi
anch’essi.
“Ti sta bene” commentò Murtagh.
“Davvero? E’ da un sacco che non ne indosso uno.
Più di due anni” disse la ragazza mettendosi di
fronte allo specchio.
“Hai visto, quindi? Ecco la prova” disse Murtagh
mettendosi dietro di lei.
“Cosa?”.
“La prova che dimostra che sei vanitosa” disse il
ragazzo ghignado.
“Uff … e se anche fosse? Non è proprio
un vestito che indosso tutti i giorni, sai? Me lo posso permettere per
questa volta” disse Ellen voltandosi verso lo specchio.
“Meglio che tu lo faccia spesso, perché sei
davvero bella quando ti guardi allo specchio” disse Murtagh
cingendole la vita da dietro e dandole un bacio sul collo.
Ellen si rigirò nella sua stretta e lo baciò
delicatamente. Presto il bacio, da delicato e casto, divenne
più approfondito. Murtagh sollevò Ellen e la fece
sdraiare sul letto, posandosi poi sopra di lei. Cominciò a
trafficare con i lacci rossi del vestito, ma la ragazza fu
più veloce e gli slacciò subito la camicia.
Quando, alla fine, gliela tolse del tutto, Murtagh fece per sfilarle il
vestito.
“E’ un peccato però … lo hai
appena messo” disse bloccandosi.
“Eh già, potrebbe sentire la mia mancanza,
poverino”.
“Non credo … vi conoscete da poco”.
Ellen fece finta di pensarci su. “Uhm … allora va
bene”.
Murtagh sorrise e le sfilò il vestito, osservando il corpo
esile ma forte di Ellen sotto di lui. Lanciò il vestito in
un angolo della stanza e le prese le mani nelle sue, dandole un altro
bacio.
Oddeo! In una delle celle
dei nani si consuma un atto peccaminoso! XD XD Allora, che mi dite di
questo capitolo? Non potevo far infuriare Ellen, povero Murtagh
altrimenti (è già abbastanza sfigato di suo, non
aggiungiamoci pure questa! XD)
Spring Thunder: hai proprio ragione W Murtagh! Spero che questo
capitolo ti sia piaciuto, come vedi Ellen fa passi da gigante con il
nostro Murtagh heheheh!
Thyarah: ovviamente tu ci sei sempre! Grazie mille! Credo che se Ellen
avesse deciso di picchiare Murtagh per la sua discendenza avrebbe vinto
lei XD ... Mhauhahahah! Ellen for president!
Cavolo, ho appena visto che il prossimo capitolo è lungo O.O
Non mi ricordavo di scrivere capitoli così lungosi ....
b'è non importa, al prosismo capitolo;
Patty
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Capitolo 12 *** Fiducia ***
Capitolo
12: Fiducia
Un
sordo bussare svegliò Murtagh, che si portò una
mano alla tempia e si stropicciò gli occhi con
l’altra. Ancora qualcuno che bussava.
“Un secondo!”. Murtagh si mise in fretta camicia e
pantaloni e si abbottonò alla meglio. “Ecco, ci
sono!”.
La porta si aprì lentamente. Una giovane donna
entrò con un grosso vassoio in mano.
“Vi ho portato la colazione” disse poggiando il
vassoio sulla scrivania. Ellen mugugnò qualcosa e si
rigirò nel sonno. La ragazza, nel vederla semi svestita,
guardò un secondo Murtagh poi sorrise imbarazzata e volse lo
sguardo altrove.
“Ee … grazie” disse Murtagh cercando di
dissipare l’imbarazzo. “Chi sei?” chiese
poi notando l’abbigliamento elegante della ragazza e il suo
portamento regale.
“Sono Nasuada, figlia di Ajhiad” disse inchinandosi
leggermente.
“Non sapevo che Ajhiad avesse una figlia” disse
Murtagh rispondendo all’inchino. “Io sono
…”.
“Murtagh, lo so. Ero curiosa di conoscerti, sono venuta
apposta” disse sorridendo leggermente.
“B’è … è un onore.
Ti presenterei la mia coinquilina ma, come vedi, dorme” disse
Murtagh indicando Ellen.
“Oh, non importa, sarà per un’altra
volta. Ci vediamo Murtagh” disse la ragazza ritirandosi.
Appena la porta si fu chiusa Ellen si alzò. “Non
ti posso lasciare da solo un attimo, vero?”.
“Eh, ma che dici?” Murtagh andò verso il
vassoio e prese alcune cose da mangiare, che porse ad Ellen, la quale
divorò tutto, famelica.
“Dico che” disse ingoiando, “appena mi
volto una ragazza bellissima arriva qui a mia insaputa”.
“E’ la figlia di Ajhiad”.
“Ho sentito …”.
“Ma se eri sveglia perché non ti sei
alzata?”.
“Non avevo voglia di parlarle, scommetto che ci saranno altre
occasioni. L’ha detto anche lei. Magari occasioni nelle quali
io non sono in biancheria intima”.
“Sarebbe di sicuro più consono … ma mi
va bene anche così” disse Murtagh osservandola con
occhio critico.
“E ti capisco, fidati, ma temo che mi dovrò
rivestire” disse Ellen balzando in piedi e andando verso il
lavabo.
“Peccato” disse Murtagh guardandola e stendendosi
sul letto con una brioche in mano. Passò qualche secondo,
poi Murtagh ghignò. “Sei gelosa?”.
“Gelosa io? Impossibile. Non esiste la parola gelosia nel mio
vocabolario”.
“Ah, ho capito. Guarda che non c’è nulla
di male … anzi, penso che non mi dispiaccia”.
“Che?” Ellen si voltò incredula.
“E perché dovrebbe piacerti il fatto che io sia
gelosa?” chiese con le mani sulle anche.
“Quindi lo ammetti!” disse Murtagh balzando in
piedi e indicandola.
“No, io … oh cavolo!” disse Ellen
rendendosi conto che Murtagh l’aveva fatta confessare.
“Comunque non sono preoccupata … è solo
che mi sta antipatica. Non doveva irrompere così!”.
“E perché? Ci ha portato da mangiare!”.
Come a sottolineare quello in ragazzo ingollò un biscotto.
“E’ vero però … Oh sei
Murtagh lo so!” disse scimmiottando Nasuada. Il ragazzo rise
e prese un altro biscotto.
“Già … magari è una persona
petulante”.
“Forse sto diventando paranoica” disse Ellen
cercando di agguantare il biscotto in mano a Murtagh.
“Bene … vuol dire che ti piaccio
davvero”. Murtagh alzò il braccio in modo che il
biscotto fosse fuori dalla portata della bocca della ragazza.
“Daai … ho fame!” si lamentò
Ellen stirandosi il più possibile verso il biscotto.
“Ho più fame io” disse Murtagh mettendo
in bocca l’intero dolce.
“No! L’hai mangiato! Senza nemmeno lasciarmene un
pezzetto!” disse Ellen indignata.
Murtagh la cinse per la vita e la fece scivolare sul letto, sotto di
sé. “Che cattivo, vero?”.
“Già … per questo meriti una
punizione” disse Ellen ribaltando le posizioni e ritrovandosi
a cavalcioni sul ragazzo.
“Dovrò mangiarti più biscotti! Se le
tue punizioni sono così ne voglio tantissime”.
“Vorresti eh?” disse Ellen ghignando e facendo
aderire i loro corpi.
Un rumore sordo interrupe i due giovani. “Oggi è
una giornata piena di interruzioni!” esclamò
Ellen. Si alzò e raccolse il famoso vestito verde e rosso da
terra, infilandoselo frettolosamente.
“Posso entrare?!” chiese una voce familiare.
“Eragon!”. Ellen si mise vicino alla porta.
“Entra!”. Appena il ragazzo fu entrato lei gli
saltò addosso, stringendolo in una mossa stile piovra.
“Ellen! Anche io sono felice di rivederti
…” disse Eragon interpretando correttamente il
gesto della ragazza. Dietro di lei Murtagh ghignava.
“Allora come va?” chiese loro Eragon una volta
liberato.
“Bene!” esclamò Ellen sorridendo.
“Talmente tanto che ora vado in bagno” disse
dirigendosi verso la porticina quasi invisibile che stava
nell’angolo più remoto della cella.
“Wow” disse Eragon guardandosi intorno,
“Lo sai che stai meglio di me? Io dormo in una stanza enorme,
spoglia e con Saphira! Tu invece in una cameretta attrezzata insieme a
Ellen”. Murtagh rise per quell’assurdo paragone.
“A proposito, come vanno le cose con lei?”.
“Bene” rispose Murtagh arrossendo lievemente e
sedendosi sul letto. Eragon lo imitò.
“Era ora! Vi ci è voluta una prigionia per
…” s'interruppe di colpo.
“Per?” chiese Murtagh guardandolo truce. Eragon
deglutì accennando un sorriso.
“E be … per … diventare …
intimi?”.
“Ma sta’ zitto!” disse Murtagh prendendo
il cuscino alla sua destra e tirandoglielo sulla faccia, interrompendo
la grossa risata di Eragon. “Se è solo per dar
aria alla bocca dimmi: tu invece quando troverai una
ragazza?”.
“Non lo so. Non la sto cercando … però
magari l’ho già trovata”.
“E dimmi, chi è?” chiese Murtagh
complice.
“Ah non lo so!” disse Eragon stirando le braccia
verso l’alto.
“La principessa Nasuada? Arya? Saphira?” chiese
Murtagh avvicinandosi sempre di più all’amico.
“Eh?! Ma che dici? Poi quello che dà aria alla
bocca sono io” disse Eragon indicandosi.
“Saphira!” Ripeté in un sussurro
mischiato ad uno sbuffo.
“Dai Eragon!” lo punzecchiò ancora
Murtagh.
“Humm va bene, se proprio lo vuoi sapere … mi
piace un po’ Arya … credo … forse
… non lo so!”.
“Un elfa!” esclamò in ragazzo con un
fischio. “Punti in alto. Prima Arya … poi, il
mondo!” disse solennemente.
“Ma che cos’hai stamattina?” chiese
Eragon cercando di cambiare discorso.
“Non lo so, sarà che sono riposato”.
In quel momento Ellen uscì dal bagno e si richiuse la porta
dietro la schiena. Andò verso il letto e si sedette a gambe
incrociate accanto ad Eragon.
“Ellen! Che vestito”esclamò il ragazzo
che prima non aveva notato l’abito della ragazza.
“Si lo so, non dirmelo. Com’è
femminile!” disse alzando gli occhi al cielo. “Ma
sapete, il fatto che non indossi spesso queste cose non vuol dire che
non possa farlo. E poi, se continuate così, credo che lo
toglierò presto e pretenderò dei vestiti veri. Lo
dirò alla guardia”.
Murtagh ed Eragon si guardarono per un secondo e poi scoppiarono a
ridere. Ellen mugugnò qualcosa alzando gli occhi al
soffitto. Andarono avanti così per tutto il giorno, Eragon
si fermò anche a mangiare insieme a loro quando portarono il
pranzo. Raccontò loro di Arya, che stava bene e si era
rimessa. Anzi, si era rimessa talmente tanto bene che l’aveva
anche battuto ad un duello con la spada. Descrisse loro il Farther Dur,
raccontò dell’incontro con Ajhiad e Rotghar e
raccontò, su richiesta di Ellen, com’era un nano.
Murtagh lo aiutò nella descrizione dato che lui ne aveva
già visti di nani alla corte di Galbatorix. Non proprio
chiaramente, ovvio, non aveva mai parlato con loro, ma ne aveva visti
un po’ una volta da piccolo e uno che era stato catturato uno
o due anni fa dai soldati del Re.
Solo verso sera Eragon se ne andò, lasciandoli ancora nella
noia.
“Uffa! E ora cosa facciamo?” chiese Murtagh
sdraiandosi a pancia in giù sul materasso.
“Boh” sbuffò Ellen, seduta su una delle
sedie della scrivania.
“Magari potrei chiedere alla guardia di portarci qualche
libro” disse Murtagh.
“Si ma … intanto che tu leggi io che
faccio?”.
“Qui Ellen.
Guarda qui” una donna dall’aspetto severo la
richiamò all’attenzione. Una bimba di circa sei
anni si voltò malinconicamente verso di lei.
“Perché
non posso andare fuori ad allenarmi come gli altri?”.
“Perché
sai a malapena l’alfabeto” disse stizzita la donna.
Aveva gli occhi allungati e i capelli neri e lisci da cui spuntavano
delle sottili orecchie a punta. “Ricomincia,
avanti” disse mettendole in mano una penna e avvicinandole la
boccetta d’inchiostro nero. “Proprio tu, sarebbe
una vergogna se non sapessi leggere!”.
“Ma che vergogna, non sai leggere?”
esclamò Murtagh divertito. Ellen si riscosse dai suoi
pensieri e si portò una mano alla testa. “Ti senti
male?” chiese poi il ragazzo alzando il busto dal letto
vedendo il suo gesto.
“No .. no, sto bene. E’ solo che
…”.
“Si?”.
“Credo di aver avuto una specie di … ricordo,
qualcosa così”. Murtagh la guardò con
gli occhi sgranati. “Sto bene” ripeté la
ragazza innervosendosi. “Non guardarmi
così”.
“Scusa” disse subito lui distogliendo lo sguardo.
“E’ solo che … è
strano”.
“Mi era già capitato prima, solo una
volta” disse Ellen fissando un punto imprecisato della parete
e mettendo un unghia in bocca.
“Davvero? Quando?”.
“Quando incontrai Eragon e Brom”. Siccome non
continuava Murtagh intuì che non ne voleva parlare. Forse
per Brom, o per il ricordo stesso.
“Lo sai che …”.
“Che cosa?” chiese la ragazza lanciandogli
un’occhiata.
“… che non avevo mai notato che hai un neo enorme
proprio …” Murtagh si avvicinò a lei e
le schiacciò un dito contro il centro della fronte
“… qui!”.
“Davvero?” chiese Ellen strofinandosi una mano
sulla fronte.
“No” rispose Murtagh rimettendosi sul letto.
“Ma …!”.
Murtagh sorrise fra sé e sé: almeno aveva fatto
distrarre Ellen.
“No, allora … di solito si legge così,
ma non quando si trova alla fine” spiegò ancora
una volta pazientemente Murtagh.
“Ah già”. Ellen si morse un labbro e
osservò attentamente il libro che aveva davanti.
“Quindi anche questa qui vero?” chiese indicando
una runa sul foglio.
“Si esatto”.
Era da tre giorni che Murtagh provava ad insegnare a leggere ad Ellen.
La ragazza capiva in fretta le cose, ma tendeva a dimenticarsele
altrettanto velocemente, quindi il povero insegnante doveva ripeterle
molte volte prima che si radicassero nella sua testa.
“Ok, allora: aperse con le … m-mani …
la pesante …” non fece in tempo a finire che
qualcuno bussò alla porta.
“Si?”. Murtagh alzò gli occhi dal libro,
mentre Ellen ancora cercava di leggere qualche parola. Il soldato che
stava di guardia di fronte alla loro cella entrò. Era
pallido, sembrava nervoso e portava un’armatura completa di
spada e scudo.
“Un esercito di Urgali si avvicina velocemente al Farthen
Dur” disse con voce grave. “Ajhiad ha detto che
potete combattere … per dimostrare la vostra
fedeltà”.
“Cosa? Un esercito di Urgali?!” chiese Ellen
stupita. Il soldato annuì, poi si voltò e prese
una sacca da terra. “Qui ci sono i vostri vestiti e le vostre
armi. Si stima che il primo battaglione sarà qui fra poco
più di un’ora”.
“Un’ora? Potevate avvisarci prima!”
esclamò Murtagh alzandosi e prendendo subito le sue cose.
“Sono fuori allenamento” mormorò.
“Si pure io” gli fece eco Ellen.
“Io vi aspetto fuori” disse il soldato.
I due ragazzi si vestirono in fretta, dopodiché vennero
portati dal soldato per miriadi di intricate gallerie. Camminarono per
quasi un quarto d’ora, infine giunsero in una grande sala dal
soffitto alto. Centinaia di soldati, nani e umani, erano seduti a
terra, mangiavano e bevevano per rinvigorirsi. In un angolo della sala,
anche se cercava di non dare troppo nell’occhio, si stagliava
la grossa e massiccia figura di Saphira. Indossava un armatura di
metallo che le copriva il muso, il ventre, il torace e la coda.
“Saphira!”. Ellen le corse incontro felice, un
sorriso stampato sul volto. La dragonessa, per tutta risposta, si
rizzò in piedi dalla postura accucciata in cui stava e
spazzolò la terra con la coda, come un cagnolino che
scodinzola quando rivede il padrone.
Saphira! Mi
sei mancata!
Anche tu.
Potevi anche cercare di contattarmi, dopotutto non eravamo
così lontani.
Lo so, e
infatti ci ho provato, ma forse le rocce hanno fatto da intralcio. Qui
è solo tutto grigio.
Siamo dentro
una montagna … comunque hai ragione. Non mi dispiacerebbe se
potessimo uscire un po’ all’aperto. Però
temo che ora sia impossibile dato che abbiamo portato i Kull
direttamente all’entrata del Farthen Dur.
Infatti
…
“Ellen”. Eragon avanzò, anche lui in
armatura scintillante e abbracciò calorosamente la ragazza,
poi si rivolse a Murtagh e gli diede una grossa pacca sulla spalla,
accompagnandosi con un sorriso.
Murtagh notò solo in quel momento la presenza di un piccolo
nano tozzo, con barba e capelli irsuti, che borbottava qualcosa e lo
guardava di sottecchi. Anche Eragon parve notarlo e, per dissipare
l’imbarazzo, li presentò.
“Lui è Orik” disse indicando il nano.
“Loro sono Murtagh e Ellen”.
“Piacere” disse la ragazza tendendo la mano al nano
e ricevendo in cambio una potente e ruvida stretta. Murtagh
non fece nemmeno il gesto, sicuro che Orik non avrebbe ricambiato.
Ellen spostò lo sguardo da Murtagh a Orik, incapace di
capire cosa stesse succedendo. Le sembrava quasi impossibile che ancora
nutrissero dei sospetti verso Murtagh.
“Cosa ci fate qui comunque?” chiese Eragon.
“Ajhiad ci lascia partecipare alla battaglia, per provare la
nostra lealtà eccetera eccetera” rispose Ellen
sbrigativa.
“Rothgar non è d’accordo con questa
scelta” borbottò Orik guardando fisso di fronte a
sé e incrociando le braccia al petto.
“Rothgar non è il mio re”
sibilò Murtagh in risposta. Il nano alzò la
testa, offeso.
“Di chi credi sia questo posto? Chi, secondo te, ti sta
ospitando?”.
“Hai ragione. Le vostre celle sono confortevoli”
rispose Murtagh voltandosi dall’altra parte. Orik
sbuffò e tornò a guardare di fronte a
sé.
Rimasero per qualche minuto in silenzio, poi Ellen sentì
distintamente Eragon sussultare. Si voltò a seguire lo
sguardo del ragazzo, puntato su qualcosa che veniva verso di loro. Arya
avanzava fiera, la testa alta e il passo svelto. Portava i capelli
raccolti in una coda e la spada al fianco.
“Arya!” esclamò Eragon andandole
incontro. Murtagh lo guardò e sogghignò. Eragon,
intercettando il suo sguardo, s’incupì e
moderò l’entusiasmo.
“Siete pronti?”.
“Si, certo. Ma tu perché non sei andata con le
donne e bambini?” chiese il ragazzo. Arya storse la faccia e
lo guardò con severità.
“Io non sono una donna umana. Scappano di fronte al pericolo
e lasciano le incombenze ai guerrieri” disse acidamente.
Ellen, nel sentirla, si chiese come mai Eragon fosse così
felice di vederla. Ma che antipatica! Diede un colpo di tosse e si
avvicinò ad Eragon.
“Evidentemente abbiamo culture diverse, ma ogni uomo vuole
proteggere la sua famiglia. E preferisce che la moglie e il figlio non
corrano pericolo. E’ forse sbagliato?”. Arya la
guardò per qualche istante.
“Punti di vista. Gli umani sono per lo più deboli,
vivono poco ma prolificano” rispose infine. “Tu sei
Ellen, non è così?”.
“Già”. La ragazza le strinse la mano e
le due si guardarono con un pizzico di astio. “Per lo meno
nella nostra corta vita ci divertiamo un sacco”.
Scambiò uno sguardo con Murtagh, che represse una risata e
la tirò per la mano.
“Piacere di conoscerti Arya” disse in fretta il
ragazzo, “Ora … noi andiamo, eh?” e
così dicendo trascinò via Ellen. “Ma
cosa ti salta in testa?” chiese poi con un sorriso quando si
furono allontanati.
“Ma che bel ringraziamento per gli umani che ti hanno
salvata! Hai sentito che ha detto?!”.
“Ho sentito. Questo non è comunque un motivo per
saltarle addosso in quel modo. Gli elfi se le ricordano queste cose.
Arya sembra godere di importanza anche fra la sua specie, quindi non
farla arrabbiare. Potrebbe darti un sacco di problemi”.
“Che si ricordi pure tutto! Non m’importa! Pensa di
essere migliore solo perché vive di più? Mica lo
hai scelto tu di nascere elfo, sai? Ti prendi il merito di una cosa che
è successa per caso!”. Nel vederla così
arrabbiata a Murtagh scappò un sorriso.
“Sei divertente quando ti arrabbi”. Le cinse la
vita e la trascinò a sé, scoccandole un grosso
bacio sulla fronte. I due presero a baciarsi dolcemente,
l’uno fra le braccia dell’altro.
“Lo vedo come proliferate, sembra davvero un sacco
divertente”. S’interruppero quando sentirono una
voce dietro di loro. Arya, con le mani sui fianchi e un sottile sorriso
sulle labbra, stava di fronte a loro. “Dovete venire di
là … i nani hanno annunciato che la prima
pattuglia di Urgali è in arrivo”.
Ellen e Murtagh si guardarono per un secondo stupiti, rossi in viso,
poi si allontanarono l’uno dall’altra velocemente.
“Si … andiamo” sussurrò
Murtagh guardando per terra.
Il nervosismo e la tensione era palpabile fra la folla di soldati che
affollavano il Farthen Dur. La prima linea si era piazzata davanti
all’uscita del tunnel dal quale dovevano uscire gli Urgali.
Il silenzio s’impossessò della folla. Ad Eragon
sembrava quasi che qualcuno gli avesse tappato le orecchie con del
cotone. Tutti i rumori giungevano attutiti.
Saphira, al centro del campo, tendeva le orecchie coriacee per sentire
un qualunque suono. Un tonfo sordo proveniente dal tunnel fece
sussultare alcuni soldati. Un brusio si sparse in mezzo alla folla.
Saphira spostò il peso sulle zampe davanti, i muscoli in
tensione pronti a scattare.
All’improvviso un Urgali sgusciò fuori dal tunnel.
Non fece in tempo a fare un passo solo che fu trafitto da una freccia
in mezzo alla fronte. Dietro al cadavere del mostro cominciarono ad
apparire altri Urgali e anche dei Kull. Le prime file vennero subito
colpite da frecce lanciate con precisione mentre i soldati cominciarono
a combattere. Dopo qualche minuto dei calderoni pieni di pece bollente
vennero calati sui nemici, che morirono fra urli di dolore straziante.
Gli Urgali si facevano strada pian piano verso il centro del Farthen
Dur. Murtagh, aspettando il momento propizio, si avventò
all’improvviso su un massiccio Kull, seguito a ruota dagli
altri soldati. In pochi secondi il mostro era a terra.
Ellen combatteva da sola contro due Urgali, balzando di lato e
schivando colpi con precisione. Uccise il primo mostro in un colpo
solo, piantandogli la spada nel fianco, il secondo lo
abbatté colpendolo violentemente alla testa con lo scudo.
La battaglia del Farthen Dur era cominciata.
Ogni nemico abbattuto era una soddisfazione e la consapevolezza della
vittoria si faceva strada nel cuore dei guerrieri. Tuttavia, ogni
nemico era una goccia di sudore in più, una piccola ferita
in più, un sospiro in più. E dopo aver ucciso un
nemico, dietro di lui c’era sempre un altro mostro che
prendeva il suo posto. Ben presto Eragon cominciò a sentirsi
le braccia pensanti. I colpi inferti erano più fiacchi
mentre i Kull e gli Urgali sembravano aver raddoppiato la loro forza.
Dopo aver colpito un mostro con Zar’roc Eragon si
voltò di scatto: un’ascia si stava per abbattere
su di lui. Vide la scintillante lama, resa opaca in alcuni punti per il
sangue, avvicinarsi. Zar’roc sembrava troppo pesante per
essere sollevata. Chiuse gli occhi, aspettando il colpo.
Un rumore di spade lo riportò alla realtà.
L’Urgali era a terra, morto. Di fianco a lui Angela,
l’erborista, brandiva una curiosa arma.
“Angela!” esclamò Eragon incredulo.
“Ci vediamo Eragon! Mi devi un favore!”
esclamò con un sorriso la donna. Poi si voltò e
sparì nel miscuglio di corpi. Eragon riprese il
combattimento. Con la coda dell’occhio scorse un ragazzino
magro accovacciato per terra con dei coltelli in mano spiccare un
grosso balzo e atterrare sulla schiena di un Kull, piantandogli il
coltello nel cranio. Solembum.
Dopo quelle che parevano ore Ellen si trovava ancora lì.
Stranamente si ritrovò a pensare come poteva essere capitata
in una situazione del genere. Da un po’ non vedeva Eragon
né Saphira. Aveva scorto fra la folla Murtagh, se la cavava
egregiamente. Parò l’attacco di un Urgali e lo
colpì nel petto, che la creatura aveva lasciato stupidamente
senza protezione alcuna. Si voltò, in cerca di un altro
nemico e vide Arya, impegnata con due Kull e un Urgali. Teneva testa a
tutti e tre, ma la ragazza notò che i mostri la stavano
facendo indietreggiare sempre di più. Si gettò
sul Kull più vicino e lo colpì alla schiena, poi
affrontò anche l’altro. Dopo un paio di colpi era
terra, fra sangue e corpi. Arya nel frattempo aveva ucciso
l’ultimo Urgali.
“Grazie” le disse l’elfa con il fiatone.
“Di nulla. Sai dov’è finito
Eragon?”.
“Credo di si … seguimi”.
Facendosi spazio fra soldati e corpi arrivarono ad una grossa scala.
Cominciarono a salire ma pareva non avere mai fine. Ad un tratto si
trovarono fuori dalla sala della battaglia, in un luogo che Ellen non
aveva mai visto. Sul soffitto riluceva un enorme rosa fatta di zaffiro.
Anche alla flebile luce che entrava nel Farthen Dur riluceva come una
gemma al sole di mezzogiorno.
“Wow” sussurrò guardando lo splendido
manufatto.
“Dobbiamo andare là”. Arya
ignorò il suo stupore e indicò una piattaforma
quasi nascosta dal fiore. Su di essa, come due puntolini,
c’erano Eragon e Saphira.
Saphira!
Siamo quaggiù!, disse la ragazza attirando
l’attenzione del drago.
Vieni a prenderci! Arya vuole parlare con Eragon.
D’accordo. Ma non credo di poter volare ancora per molto.
Almeno, non finché non tolgo questa corazza.
Cosa?
Perché?
Si
è ammaccata. Non respiro. La dragonessa si
librò in aria e le raggiunse velocemente. Vi porto da Eragon, salite,
svelte!
No, aspetta!
Possiamo toglierti alcuni pezzi di quell’armatura.
Dopo. Qui
siamo troppo in vista. Potrebbe essere un lavoro lungo. Meglio farlo
dove nessuno può vederci.
Ok.
Le due donne salirono su Saphira e vennero presto portate da Eragon.
“Ascoltate … io devo andare. Ordini di Ajhiad. Voi
potete liberare Saphira dall’armatura?” disse il
ragazzo non appena furono arrivate.
“Certo” rispose prontamente Arya guardando con
occhio critico l’armatura della dragonessa.
“Ma … Eragon … per dove
passerai?” chiese dubbiosa Ellen.
“Non c’è tempo per prendere le scale.
Userò lo scivolo dei nani”.
“E’ rischioso” lo ammonì Arya.
“Devo fare in fretta”. Eragon corse fuori dal
cantuccio. Ellen lo guardò sparire per poi voltarsi verso
Saphira.
Toglierle l’armatura fu una manovra lunga e complicata. I
pezzi erano incastrati fra loro talmente bene che toglierne uno senza
far muovere gli altri, e così fare male a Saphira, era quali
impossibile. Ci misero venti minuti buoni, ma alla fine Saphira fu
liberata dall’armatura di metallo che le opprimeva il petto.
“Bene” disse Arya buttando l’ultimo pezzo
di armatura per terra, “Ora andiamo”.
Salirono nuovamente sulla dragonessa. Saphira balzò in aria
e aprì le ali. Mentre planavano sulla sala videro due
figurine a terra. Una accovacciata, l’altra i piedi, che
troneggiava sull’avversario.
“Eragon” bisbigliò Ellen con voce
strozzata. Aveva riconosciuto Durza, lo spettro. I suoi capelli cremisi
spiccavano nel grigio della pietra.
Videro che Durza stava per dare il colpo finale. La mano alzata, la
spada rilucente.
“No!”. All’improvviso l’enorme
rosa di zaffiro scoppiò in miliardi di pezzi di tutte le
dimensioni con un boato sordo ma devastante. Ellen svenne in braccio ad
Arya che, prontamente, pronunciò una parola
nell’antica lingua. I frammenti di pietra si fermarono a
mezz’aria e scesero lentamente. In contemporanea i due a
terra si era bloccati nel sentire la pietra scoppiare, mentre Saphira
aveva aumentato la velocità della sua andatura. Partendo con
un basso grugnito la dragonessa ruggì, sempre più
forte, fino a che dalle fauci spalancate una fiamma ardente non
comparve, per tutta la durata del ruggito.
Eragon parve ritrovare le forze. Si alzò a fatica, la ferita
alla schiena infertagli poco prima che si faceva sentire con un ritmico
pulsare. Con un grido si avventò su Durza che, senza nemmeno
rendersene conto, si ritrovò una spada conficcata nel cuore.
Lo spettro guardò incredulo la spada, poi Eragon, che
ansimava tenendo l’elsa. Cadde in ginocchio. I
pezzi di zaffiro gli colpirono forte le ginocchia e si conficcarono
nella pelle.
Una lacrima scese sul viso di Durza prima che si accasciasse a terra.
Ecco
il nuovo capitolo, che ve ne pare?
A proposito del capitolo. Cercherò di mettere in buona luce
Nasuada, perchè io adoro il suo personaggio, quindi credo
che in futuro farò diventare lei ed Ellen amiche.
Grazie a KissyKikka per la recensione, mi ha fatto molto piacere
leggerla. Grazie per i complimenti, e sono felice che tu abbia notato
il passaggio da un personaggio all'altro. Non volevo ci fosse un solo
protagonista, così ho inserito volutamente i pensieri di
tutti i personaggi principali. Grazie anche per il tuo prezioso
consiglio, vedrò di utlizzarlo! ;)
Al prossimo capitolo,
Patty.
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Capitolo 13 *** L'avverarsi della profezia ***
Capitolo
13: L’avverarsi della profezia
Già
da due giorni Murtagh non aveva quasi nessuno con cui parlare, a parte,
qualche volta, Arya. Sia Eragon che Ellen restavano privi di senso e
lui, graziato da Ajhiad, poteva anche andarsene in giro per il Farthen
Dur. L’unico problema era che regnava il caos più
totale: la guerra era stata vinta, certo, ma le perdite erano state
parecchie. L’unica volta che aveva provato a dare una mano
era sceso nello spiazzo dove si era tenuta la battaglia ma, una volta
lì, tutti lo osservavano facendo dei commenti maligni e
additandolo con disprezzo e un pizzico di timore. Murtagh aveva deciso
che se le cose stavano così allora avrebbero volentieri
fatto a meno di un aiuto in più, così si era
rintanato nelle sue stanze.
Dopo circa tre giorni dalla fine della battaglia andò a
visitare Ellen. Ci era andato il giorno prima e quello prima ancora,
nella speranza che la ragazza si svegliasse. I medici gli avevano detto
che non era grave, ma che aveva bisogno di una bella dormita. Il terzo
giorno si avviò quindi all’infermeria, preparato a
passare un’altra ora in compagnia di una ragazza in
semi-coma, ma restò sorpreso quando, entrando nella stanza,
vide un’energica Ellen addentare con gusto una bistecca.
“Hey! Ti sei svegliata finalmente”.
“Murtagh!” esclamò la ragazza. Fece per
alzarsi dal letto ma lui glielo impedì, tenendola ferma e
riadagiandola sul cuscino.
“Ferma lì. Mangia piuttosto. Non ti puoi ancora
alzare”.
“Ma i dottori mi hanno detto che sto meglio”
obbiettò lei.
“E non ti hanno detto di riposare?”.
“Si ma …”.
“Visto? Perciò riposa”. Murtagh si
chinò su di lei e le diede un piccolo bacio in fronte. Ellen
sorrise allegra e riprese a mangiare senza fare storie.
“Come sta Eragon? Cos’è
successo?” chiese dopo un po’.
“Abbiamo vinto, ma abbiamo subito molte perdite. Eragon sta
… discretamente. Ha sconfitto Durza, però lui gli
ha fatto un taglio sulla schiena che è praticamente uguale
al mio”. Ellen trattenne il fiato.
“Che cosa?! E come sta? Si riprenderà?”.
Murtagh sospirò. “Si riprenderà di
sicuro. Angela lo ha curato e … la ferita sta bene.
Purtroppo però pensa che potrebbero esserci delle
ripercussioni sul suo fisico”.
“Ma tu che ne pensi? Quando … insomma …
quando Morzan …”.
“Quando Morzan mi colpì avevo quattro
anni” disse Murtagh capendo la domanda di Ellen.
“Il mio corpo ormai si è abituato. Comunque sia
non era neanche lontanamente una ferita grave come la sua. Se lo fosse
stato sarei già morto”. Calò un minuto
di silenzio.
“B’è … comunque …
perché sono svenuta?”.
“Ah già … Arya me lo ha raccontato.
E’ strano, sai?”.
“Perché, che è successo?”.
“Hai usato la magia”. Ellen spalancò gli
occhi.
“Davvero?”.
“Già”.
“E cos’ho fatto? Assurdo, non mi ricordo nulla del
genere”.
“Perché, secondo Arya, sei svenuta appena dopo
aver pensato una parola nell’antica lingua, probabilmente per
sbaglio. Considerata la potenza dell’incantesimo
però, devi considerarti fortunata. Sei più in
forze di quanto ci si aspettasse. Hai distrutto lo zaffiro dei
nani”. Murtagh fece un sorriso obliquo.
“Cosa? Oddio, no. Ora mi uccideranno. Mi salteranno addosso
in cinquanta per farmi la pelle. Gli ho distrutto la rosa. Piaceva
anche a me”. Ellen osservò distrattamente il
pavimento.
“Ma su, non ti preoccupare. Persino Arya ha detto che
è stata una mossa fantastica. Ha distratto Durza, sai? Se
non lo avessi fatto Eragon sarebbe morto. A proposito … sai
che Saphira ha sputato fuoco?”.
Ellen s’illuminò. “Davvero?”.
“Già. E’ molto fiera di sé.
Non fa altro che andare in giro a sbuffare fiammelle”. I due
ragazzi risero.
La porta dell’infermeria si aprì e un uomo
abbastanza anziano entrò nella stanza. Nel vedere che Ellen
aveva finito di mangiare sorrise soddisfatto.
“Bene, vedo che hai mangiato tutto” disse prendendo
il piatto.
“Era squisito. Grazie”.
“Di nulla. Ora dovresti riposare ancora qualche giorno, o
almeno fino a domani, però … hai il permesso,
solo per dieci minuti, di andare a trovare il tuo amico”.
“Eragon?” chiese Murtagh con tono interrogativo. Il
medico annuì, sorridente.
“E’ nella stanza accanto. Si è svegliato
da un po’. Ora sta mangiando”.
Ellen si alzò di corsa e uscì dalla stanza,
seguita a ruota da Murtagh, mentre il vecchio sghignazzava soddisfatto.
“Eragon!”.
Il ragazzo si vide davanti un’ombra indistinta avvicinarsi a
lui a tutta velocità, poi una massa di capelli neri come la
pece gli bloccarono la vista del mondo circostante.
“Ellen?” chiese dubbioso.
“Si! Sei sveglio!” disse la ragazza sedendosi
affianco a lui sul letto.
“Murtagh, ciao. Come state? Dov’è
Saphira?”.
“Saphira sarà con Arya. Si stanno frequentando
parecchio quelle due. Credo che potrai andare a trovarla quando uscirai
di qui. Sai … meglio non spostarti ora
… date le … circostanze”. A quelle
parole Eragon sospirò.
“Si, me lo hanno detto, tranquilli. Ho la schiena
spaccata”. Ellen e Murtagh si guardarono nervosamente.
“Ora sono uguale a te” disse Eragon osservando
l’amico.
“Che fortuna” disse ironicamente l’altro.
“Se ti può consolare”
cominciò Ellen annuendo solennemente, “io lo trovo
estremamente sensuale”. Eragon sorrise e si
strofinò il naso con le dita.
“Grazie. Ora che lo so vedrò di
approfittarne”.
“Cadranno tutte hai tuoi piedi”
sogghignò Murtagh. “Già ti chiamano
Eragon Ammazzaspettri”.
“Sul serio?”.
“Già”.
Aggiornarono Eragon sui fatti accaduti. Fu felice di sapere che Ajhiad
aveva deciso di lasciarli liberi e si ricordò
dell’impresa di Saphira. Restò molto impressionato
da Ellen, che aveva usato la magia e concordò con lei nel
dire che i nani sarebbero stati molto dispiaciuti per la perdita della
grossa rosa intagliata.
Dopo un paio di giorni sia Eragon che Ellen poterono alzarsi dal letto.
Anche se di malavoglia, perché li ritenevano ragazzi troppo
avventati, i dottori li lasciarono andare.
Eragon era felice di riavere Saphira, ma realizzò ben presto
che la ferita infertagli da Durza era un vero problema. Se faceva gesti
improvvisi sentiva una dolorosa fitta alla schiena che gli mozzava il
fiato e, anche se Saphira cercava di alleviargli il dolore, era sempre
una sensazione orribile, che gli lasciava sudori freddi sulla fronte e
brividi lungo tutto il corpo.
A circa una settimana dopo la fine della battaglia, Eragon si rese
conto che la sua ferita avrebbe condizionato non solo lui, ma anche le
decisioni degli altri.
“Ammazzaspettri!”. Un ragazzino magro dal volto
vivace comparve dietro ad Eragon.
“Si?”.
“Ajhiad invita te e i tuoi compagni alla riunione che si
terrà fra poco. Sono venuto a farvi da guida”
disse allegro il ragazzino.
“Anche noi?” chiese Ellen guardando Murtagh
interrogativa. Lui, per tutta risposta, alzò la spalle.
“D’accordo, eccoci”. Eragon si
alzò cautamente e gli altri due lo imitarono. Il ragazzino
prese a trottare affianco a loro, lanciando di quando in qua uno
sguardo ad Eragon.
Arrivarono in una sala piuttosto piccola rispetto a quel che era la
vastità dei luoghi nel Farthen Dur, ma comunque era elegante
e sobria. In un tavolo al centro erano seduti i consiglieri, i gemelli,
Ajhiad, Arya, Orik e Rotghar.
“Grazie Noah” disse Ajhiad, in piedi a capotavola,
rivolgendo un cenno al bambino. Quello sorrise e se andò con
un inchino. “Sedetevi pure”. Ajhiad
indicò ai neo arrivati tre sedie vuote. Un volta che ebbero
preso posto si sedette e iniziò a parlare.
“Abbiamo voluto organizzare questa riunione per decidere se
effettuare una spedizione alla ricerca degli uomini di Re
Rotghar”. Il nano si schiarì la voce,
così Ajhiad gli cedette la parola.
“Diverse delle mie truppe erano state da me inviate per
controllare ed avvisarci dell’avanzata degli Urgali. Alcune
non sono tornate, ma è possibile che si trovino ancora nelle
gallerie”.
“Di certo non negheremo loro soccorso” disse Ajhiad
guardando i consiglieri e gli altri nella sala.
“Organizzeremo quindi un squadra di dieci uomini provvisti di
tutte le cure, nel caso qualcuno fosse gravemente ferito. Uno dei
gemelli viaggerà con noi, per essere ancora più
sicuri e, siccome Rotghar e il suo antico popolo ha accettato di
combattere con i Varden, gli dimostrerò la mia gratitudine
comandando io stesso la squadra”. Rotghar fece un secco cenno
con la testa in direzione di Ajhiad.
“Anche io vorrei parlare, se mi è
concesso”. Tutti si voltarono verso Murtagh, che si era
alzato da tavola. “Vorrei partecipare anche io alla missione,
per dimostrare fedeltà ai Varden e al loro capo,
nonché a Re Rotghar, che ci ospita nella sua
fortezza”.
Ci fu qualche secondo di silenzio, poi anche Ajhiad si alzò.
“Mi fa piacere che tu voglia essermi fedele, e che ti spinga
a tanto per dimostrarlo. Sono sicuro che riuscirai a convincermi. Per i
Varden sarà una buona cosa averti al fianco”.
Eragon si sentiva come se fosse inutile. Tutti in quella stanza avevano
un compito, tranne lu. Tutti sapevano che cosa dovevano fare, quando
farlo, o anche solo cosa desideravano fare. Lui no. Si certo, nessuno
si aspettava nulla da lui, non dopo aver sconfitto Durza, ma quindi
significava che lui era solo uno strumento di guerra? Una specie di
arma?
“Ajhiad, parteciperò anche io”
affermò alzandosi a sua volta.
Oggi sono
tutti così patriottici. Pensò Ellen
guardando Eragon dal basso.
Ajhiad stava per rispondere, un leggero sorriso che gli incurvava le
labbra. Quasi inesistente.
“No”. Una voce secca lo interruppe. Eragon si
girò e vide Arya in piedi che osservava Ajhiad.
“Non credo che Argetlam dovrebbe affaticarsi ulteriormente
dopo la battaglia e, soprattutto, dopo la ferita che ha
subìto”. Ajhiad abbassò la testa e
aggrottò le sopracciglia, pensieroso.
“Purtroppo, Eragon Ammazzaspettri,” disse dopo un
attimo di pausa, “temo proprio che abbia ragione. Il tuo
fisico ancora risente della battaglia con Durza, devi guarire al
più presto. Meglio che non ti affatichi”.
“Ma …” Eragon tentò di
replicare ma venne subito fermato da Arya.
“Non è prudente, ora come ora. Non ti preoccupare,
guarirai”.
Eragon strinse i pugni e abbassò lo sguardo.
“Certo” disse risedendosi.
La riunione continuò. Ellen non capiva perché
avessero invitato anche lei. Che cosa centrava con tutto questo?
Dopo un’ora uscirono di lì. Eragon si
recò subito in camera sua, desideroso di parlare con Saphira.
Credi che
continuerà per molto?, chiese una volta
raggiunte le stanze, sdraiato sul letto con le mani dietro la testa e
lo sguardo rivolto al soffitto grigio. Credi che mi tratteranno
così ancora? Questa ferita non guarirà fra due
giorni, non è un semplice taglio.
Lo so. Ma
vedrai che riuscirai a superarlo, lo consolò la
dragonessa. Non hai
ragione di essere arrabbiato, Ajhiad lo fa per il tuo bene. Pensa a
come sarebbe se ti sentissi male nei tunnel e non potessi ricevere
cure. Almeno per il prossimo mese penso che dovrai accettare questo
fatto. Così ti ristabilirai più in fretta! Se
continui a forzarla, non guarirà mai.
Eragon sapeva bene che tutte le cose che la dragonessa diceva erano
giuste, ma non riusciva a togliersi di dosso la sensazione di essere
diventato un peso. Oltretutto, il fatto che proprio Arya avesse
pronunciato quelle parole, lo irritava ancor di più.
Probabilmente già pensava che lui fosse un irresponsabile
per come si era comportato durante la battaglia. Ora pensava anche che
fosse un fantoccio inutile!
Eragon sbuffò e cominciò a spogliarsi, deciso a
farsi una rilassante doccia.
“Allora buon viaggio. Trova tanti nani, mi
raccomando” disse Ellen guardando Murtagh dal basso verso
l’alto.
“Non sono come degli oggetti da collezione, lo
sai?” rispose lui accarezzandole una guancia.
“Già non vedo l’ora di tornare da
te”.
“Non essere appiccicoso” scherzò la
ragazza.
“Ah si?” fece Murtagh fingendosi offeso e girandosi
dall’altra parte. “Non ti parlo
più”.
Ellen rise e si mise di fronte a lui. “Eddai …
chiedo perdono” disse dando un delicato bacio sulla guancia a
Murtagh.
“Tutto qui? Io sto per partire, ricordatelo!”.
Murtagh le cinse la vita e la baciò teneramente sulle
labbra. Restarono così abbracciati per qualche minuto. Ellen
con la testa appoggiata al suo petto e Murtagh che la cullava fra le
braccia.
“Ci vediamo presto” le sussurrò
all’orecchio.
“D’accordo” rispose la ragazza
sciogliendo l’abbraccio.
Murtagh raccolse senza fretta un sacco da terra e uscì dalla
stanza dove alloggiavano, rivolgendole un ultimo sguardo.
Dopo che uscì ad Ellen la stanza sembrò troppo
silenziosa. Si gettò sul letto con uno sbuffo, le mani
dietro la testa e lo sguardo al soffitto grigio.
“Murtagh!”.
“Ferma, Ellen!”. Eragon si sporse in avanti appena
in tempo per prendere la ragazza per i fianchi e bloccarla.
“Lasciami!” ruggì lei agitandosi,
scalciando e cercando di sfuggire dalla presa ferrea del ragazzo.
“Eragon!”. Le lacrime affiorarono sul suo viso,
scivolando sulle guancie arrossate. Arya si avvicinò
correndo verso di loro e prese Ellen per le braccia, costringendola a
fermarsi. “Lasciatemi andare per favore, lasciatemi andare a
cercarlo”.
Arya ed Eragon si lanciarono occhiate preoccupate. D’un
tratto, Eragon ricordò chiaramente il consiglio di Solembum:
e ricorda, dovrai
fermarla quando le sue decisioni verranno dettate dal cuore, altrimenti
si metterà in pericolo da sola. Sicuramente
alludeva a quello.
“Ellen, lascia che vada io” intervenne prontamente
Arya. Eragon la guardò come una dea scesa in terra.
Allentò la presa su Ellen, che non si muoveva
più. La ragazza prese le mani dell’elfa e la
guardò con la disperazione negli occhi, che erano spalancati
e rossi. Le stinse forte la mani senza neanche rendersene conto.
“Trovalo Arya … ti supplico”. Arya si
sentì stranamente legata a quella che, in confronto a lei,
era una ragazzetta. Conosceva il suo dolore. Quel che lei provava in
quel momento lo aveva, purtroppo, sperimentato anche lei.
“Vado” disse solo. E sparì nel tunnel
dove gli Urgali avevano trascinato Murtagh.
Era successo tutto troppo in fretta. Neanche tre minuti fa un drappello
di uomini e nani stavano uscendo, trionfanti, dalle gallerie,
annunciati da un giovane soldato che li aveva preceduti. Eragon ed
Ellen erano lì per rivedere Ajhiad e, soprattutto, Murtagh.
Quando erano appena fuori dal tunnel un gruppo di Urgali era uscito
dall’oscurità dietro di loro e li aveva attaccati.
Molti uomini si erano accalcati intorno, e quando arrivarono i due
ragazzi, gli Urgali stavano scomparendo di nuovo. C’erano
diversi corpi stesi a terra, sembrava di essere ritornati ai giorni
appena precedenti alla battaglia. Ajhiad giaceva in fin di vita. Una
pozza di sangue che si allargava sotto di lui. Murtagh era scomparso.
Non si sapeva se fosse stato ucciso o rapito dagli Urgali, una cosa che
Eragon trovava del tutto sensata, almeno dopo aver scoperto che lui era
vissuto alla corte di Galbatorix.
Il ragazzo, tenendo ancora le braccia intorno al corpo esile
dell’amica, che in quel momento sembrava un pupazzo senza
alcuna volontà, chiamò Saphira, che
arrivò subito dall’alto, e portò Ellen
nella sua stanza. Lei non fece resistenza.
“Vieni Ellen” le disse una volta in camera. Lei,
senza rispondere, si fece condurre al letto, dove Eragon
l’adagiò lentamente. La coprì con
svariate coperte, poi si sdraiò accanto a lei. Per tutto
questo tempo non disse nulla, finché il ragazzo non le
passò una mano sul viso.
“Lo faceva sempre anche Murtagh. Per togliermi i capelli
dalla faccia” disse con voce tremante. Eragon non sapeva cosa
rispondere, così restò in silenzio.
“Credi che Arya lo troverà?”.
“Si” rispose lui con una sicurezza che non poteva
convincere nemmeno un bambino. “E’ molto
probabile” aggiunse poi.
Rimasero ancora un po’ in silenzio.
“Ti va di restare qui a farmi compagnia? Anche Saphira
può rimanere” disse infine Ellen.
“Certo … anche se Saphira qui non ci
entra”. Eragon accennò un sorriso. Ellen sorrise
debolmente di rimando, ma solo per far piacere all'amico. Ora come ora
il suo umore era lontano dal riso più che mai.
“Magari possiamo andare nella vostra stanza”.
Non ti
preoccupare Ellen. Anche stare qui per me va bene.
Sentirono la voce della dragonessa nelle loro teste. Anzi, non ho alcuna voglia di
tornare nei miei alloggi.
Eragon abbracciò Ellen finché lei non si
addormentò.
Credi davvero
che Murtagh sia ancora vivo? E che Arya lo troverà?
Lo spero,
rispose il ragazzo alla dragonessa scostando dal viso di Ellen una
ciocca di capelli neri.
Ok. Questo è
decisamente uno dei capitoli più tristi di tutta la storia.
Bhuhuh! T^T Comunque ... spero che i più attenti
fra di voi abbiano notato la simiglianza nei gesti di Ellen ed Eragon
(prima della partenza di Murtagh), che mi sono diverita molto a
scrivere. XD Poi ditemi, che ne pensate della parte più
triste del capitolo? Pure io che l'ho scritto mi sono un po'
dispiaciuta a leggerlo ... A proposito, questo capitolo è
corto rispetto ai precedenti, ma non importa!
Thyarah: sono contenta che lo scorso capitolo non ti sia risultato
noioso, era abbastanza lungo rispetto ai miei standard e avevo proprio
paura che fosse soporifero! XD Il ricordo di Ellen l'ho inserito
perché era da un bel po' che non si parlava del suo passato,
quindi mi sembrava giusto ricordare uno dei temi fondamentali della fic
e il fatto che Murtagh insegni a leggere ad Ellen mi è
sembrata una cosa tanto carina. ^^ Cercherò di sopravvivere
senza le tue recensioni! XD Buone vacanze donnah!
KissyKikka: le tue recensioni sono soddisfacenti, grazie mille dei
complimenti! :D Quando ho postato lo scorso capitolo ho pensato proprio
a te, perchè era uno di quelli nei quali la focalizzazione
era importante, e mi sono chiesta che cosa avresti pensato. ^^ Ci
stiamo lentamente avvicinando alla rivelazione del passato di Ellen,
sul quale ho molto faticato, spero quindi che sia abbastanza ben
costruito. In effetti hai ragione, Arya non mi fa impazzire, la mia
preferita è Nasuada, però in questa parte di fic
non ha molta importanza. B'è grazie ancora, un bacio! :)
Patty
|
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Capitolo 14 *** Di nuovo sulla strada ***
Capitolo
14: Di nuovo sulla strada
Io credo che dovresti
assolutamente venire. Vedere gli elfi sarà bellissimo!
Mha
… non saprei.
Daai,
altrimenti che farai? Starai qui ad annoiarti senza di noi!
Ovviamente.
Senza di voi non c’è divertimento.
“Seriamente, Ellen, io credo che dovresti venire”
disse Arya prendendo parte alla conversazione. “Eragon ha
bisogno di te! E’ forse l’unica persona, oltre a
Saphira, che conosce veramente bene”.
E ci tengo a
ricordare che io non sono del tutto una persona.
“Si b’è … sai cosa voglio
dire” disse l’elfa guardando la dragonessa con
rimprovero. Ellen si limitò a rosicchiarsi un unghia e a
fissare il tavolo intorno al quale lei e Arya erano sedute.
Erano passate quasi due settimane da quando Arya era tornata dal tunnel
dicendo che non aveva trovato traccia di Murtagh o degli Urgali. Ora
Eragon e Saphira dovevano partire per Ellesmera, con Arya e Orik. Prima
del rapimento di Murtagh (perché si rifiutava di credere che
fosse morto) pensava, addirittura sperava, che Eragon le chiedesse di
viaggiare ancora con lui e Saphira. Ora non aveva voglia nemmeno di
pensare all’eventualità di un viaggio. Forse, si diceva, Murtagh tornerà nel
Farther Dur. Anzi, probabilmente tornerà qui, non ha
nessun’altro posto dove andare! Aveva esposto
questa sua teoria solo ad Eragon, che aveva gentilmente cercato di
dirle di non avere troppe speranze. Quando la ragazza si era infuriata
e, infine, intristita, il ragazzo aveva rinunciato a qualsiasi forma di
consolazione che non fosse il semplice abbraccio o la frase fatta come:
andrà tutto bene, vedrai.
Dai Ellen!
Non vuoi vedere gli elfi? E … Ellesmera? Lo sai che
è fatta tutta di …
“D’accordo” la ragazza cedette
all’improvviso. A dir la verità per sfinimento:
erano giorni che Arya e Saphira la tormentavano!
“D’accordo verrò! Ma solo se la
smetterete di dirmi quanto è bella Ellesmera, di cosa
è fatta, o altro, ok?”. L’elfa e la
dragonessa annuirono all’unisono poi, quando Ellen non
guardava, si scambiarono occhiate complici. Sapevano che alla fine
avrebbe ceduto. Nessuno può perseverare come un elfo!
Era passata qualche settimana da quando erano partiti. Tutti pensavano
che fosse stato meglio per Ellen. Forse perché ora aveva uno
scopo: arrivare a Ellesmera! Forse non era uno scopo molto ambito, ma
almeno sembrava che il viaggiare la aiutasse. Sembrava meno triste.
Eragon ringraziava il cielo di questo tutti i giorni: una Ellen triste
era una Ellen pericolosa.
Avevano viaggiato da soli fino alla città dei nani, Tarnag,
per ricominciare subito dopo il viaggio insieme a due nani che li
dovevano condurre sani e salvi fin fuori dalla catena montuosa dei
Monti Beor. Quando avevano costeggiato le montagne e di fronte a loro
c’era un piccolo tratto di pianura i nani si congedarono da
loro. In tre giorni circa avevano velocemente percorso quel tratto per
addentrarsi poi nella foresta Du Waldenvarden.
Viaggiavano lì da due giorni ormai, costeggiando un pulito
corso d’acqua. La sera si fermarono a riposare, cenarono e si
distesero intorno al fuoco.
Dopo un attimo di esitazione Eragon prese in mano la spada e
cominciò a maneggiarla con movimenti lenti che, man mano che
continuava, si facevano più violenti e secchi. Dopo qualche
minuto di quella strana danza aveva perso ogni insicurezza, ogni paura
per il dolore procuratogli dalla sua ferita. Ellen lo guardava
preoccupata, mentre Arya faceva finta di ignorarlo, indirizzandogli
ogni tanto qualche occhiata contrariata. Non voleva dirgli di smettere,
perché sapeva che prima o poi doveva riabituarsi a
combattere, ma aveva anche paura che si facesse irrimediabilmente male.
Eragon torse il polso per girare la spada e, tenendo Zar’roc
con tutte e due le mani, alzò improvvisamente entrambe le
braccia verso l’alto. La fitta si fece sentire subito, gli
attraversò la schiena come se la ferita di Durza fosse stata
riaperta.
Ellen corse verso il ragazzo e cercò di confortarlo, ma non
sapeva molto bene cosa doveva fare. Eragon gemeva e si agitava in
terra, conscio di tutti i secondi che passavano. Anche se Saphira,
condividendo il legame con lui, gli alleviava il dolore, e delle
goccioline di sudore comparvero sulla fronte di Eragon. Dopo quasi
dieci minuti l’attacco terminò, e il ragazzo si
accasciò sull’erba con un sospiro, ansimante.
Quando si fu ripreso Arya gli mise davanti una tazza bollente di una
bevanda ambrata.
“Tieni” gli disse porgendogliela. “Ti
rimetterà in forze”. Eragon la prese e
cominciò a bere lentamente, attento a non scottarsi.
Quando tutti furono andati a dormire Eragon si svegliò di
soprassalto, sentendo qualcuno che lo chiamava sottovoce.
“Eragon! Ti vuoi alzare?!”. Il ragazzo mise la
testa fuori dalla piccola tenda che avevano montato e scorse Arya ed
Ellen che lo chiamavano a gesti, così uscì e le
raggiunse.
“Che c’è?” chiese in un
sussurro per non svegliare Orik.
“Arya ci deve dire qualcosa” disse la ragazza
prendendolo per un braccio e conducendolo dietro all’elfa,
che aveva già iniziato a camminare lungo il fiume. Giunsero
dietro un grosso albero con nodose radici sporgenti e vi si sedettero
sopra. Pochi secondi dopo giunse anche Saphira.
“Allora che c’è?” chiese
nuovamente Eragon sistemandosi meglio sulle radici
dell’albero e guardando Arya interrogativo.
“Prima di arrivare ad Ellesmera devo insegnarvi alcune
cose”. Cominciarono così una lunga notte, nella
quale Arya insegnò ad ognuno di loro tutti i saluti che gli
elfi si scambiavano prima di una conversazione. La formula variava a
seconda del rango della persona a cui ci si rivolgeva, del sesso,
dell’età e di altri fattori. Inoltre, per
segnalare che la conversazione non sarebbe stata impregnata da bugia,
ci si doveva toccare le labbra con due dita. Eragon ci mise un
po’ ad imparare tutti quegli schemi, ma Ellen, con stupore di
tutti, li imparò subito al primo colpo.
Il giorno dopo Eragon ed Ellen ripassavano le formule da usare con gli
elfi mentre camminavano per la Du Waldenvarden. Anche Orik ne
approfittò per rispolverare il suo accento elfico. Era
passato da poco mezzogiorno e camminavano costeggiando il fiume. Ad un
tratto Arya, in testa al gruppo, si fermò e pose una mano
davanti agli altri, indicandogli di non proseguire. Ellen
sentì un fruscio proveniente dagli alberi e alzò
lo sguardo. Non vide altro che verde e rami.
Ad un tratto una figura indistinta cadde davanti alla ragazza e si
rialzò, fulminea più di un gatto. Ellen si
ritrovò davanti l’essere più
affascinante che avesse mai visto. Aveva la pelle di un dolce candore,
gli occhi erano verdi e brillanti, i capelli lunghi e soffici, neri
come l’ebano, ricadevano sulle spalle e lasciavano scoperte
le orecchie a punta. Di fronte a lei c’era un elfo.
Pochi secondi dopo un’altra figura cadde affianco alla prima.
Anche lui era un elfo, biondo e dagli occhi azzurri, come i principi
delle favole che gli venivano raccontate da bambina. Subito, come da
tradizione, si portò le dita alle labbra e
pronunciò la formula voluta dalla cortesia degli elfi.
Questi due rimasero sorpresi e soddisfatti che lei conoscesse il
rituale e la salutarono a loro volta. Compirono il rituale anche con
Eragon, Orik e Arya. Di fronte a lei rimasero fermi per qualche
istante, poi le si lanciarono di scatto addosso, abbracciandola e
ridendo con la voce cristallina. Quando arrivò Saphira in
volo, atterrando accanto al tratto di fiume in cui si trovavano gli
elfi si prostrarono alla sua presenza.
“Squame di Luce” disse il primo elfo dai capelli
neri, di nome Lifaen, “E’ per noi un onore
conoscerti” disse dopo che entrambi ebbero scambiato i saluti
d’obbligo.
“Siamo lieti di vederti, finalmente. Sei la creatura
più splendente di questa foresta” disse
l’altro, di nome Narì.
L’onore è mio, incantevoli elfi. Vi sono grata per
tutte queste attenzioni, che, a dir la verità, non sono
abituata a ricevere.
“Il nostro popolo capisce la vera natura della tua razza. Sei
più importante del più ricco dei nostri nobili, e
ti consideriamo al pari della regina stessa” disse Lifaen.
Saphira grugnì soddisfatta ed emise una flebile scintilla di
fumo, osservando Eragon con sguardo a metà fra il divertito
e il lusingato.
“Allora, signori elfi, resteremo qui tutta la giornata a
scambiarci convenevoli?” chiese Orik.
“Certo che no, mastro nano, siamo venuti apposta per guidarvi
ad Ellesmera” disse Narì, l’elfo biondo.
“Vogliate aspettare solo un secondo”. Lui e Lifaen
sparirono nel folto della foresta, per ritornare pochi secondi dopo
ognuno con in mano una piccola barchetta. Eragon si chiese quanto
dovevano essere forti per riuscire a sollevare una barca ognuno, ma poi
si ricredette quando, per aiutare a mettere le barche
sull’acqua, ne prese una. Era leggerissima. Quando furono
tutti sulle barche partirono. Orik ed Ellen viaggiavano con Lifaen,
l’elfo dai capelli d’ebano, mentre Eragon e Arya
viaggiavano con Narì. Saphira li seguiva in volo.
“Come fanno queste barche ad essere così
resistenti?” chiese Ellen passando un dito sul legno liscio
della barchetta. “Sono così leggere”.
“L’aspetto e il peso non dicono nulla sulla fattura
dell’oggetto” rispose Lifaen. “Nemmeno tu
sembri molto forte, eppure mi dicono che sei una delle migliori
spadaccine”. Le sorrise, continuando a remare.
“Già … suppongo che tu abbia
ragione” disse Ellen strofinandosi la punta del naso.
“E penso di essere forte abbastanza da battere Orik in un
braccio di ferro!” disse piegandosi in avanti e
poggiando il gomito su un’asse delle barca.
“Tu credi?” chiese Orik girandosi verso di lei.
“Vediamo” disse tirandosi su le maniche. Si misero
in posizione, prendendo l’uno la mano dell’altra.
“Pronta?” chiese Orik sogghignando.
“Io? Pronto tu, piuttosto?”. I due cominciarono
improvvisamente a fare forza sull’avambraccio. Orik era
indubbiamente più forte, ma per un po’ Ellen
riuscì a tenergli testa. Dopo qualche minuto, alla ragazza
il braccio bruciava e la mano che stingeva quella di Orik si stava
intorpidendo per la stretta ferrea del nano.
“Ti arrendi o devo proprio sconfiggerti?” chiese il
nano.
“Non sia mai che io abbandoni una battaglia” disse
Ellen, quasi rassegnata.
“Io ti ho avvisato” disse Orik. La forza che
inchiodava il braccio Ellen si fece più forte e poi la
superò. Il braccio della ragazza cominciò
lentamente ad inclinarsi e, dopo pochi secondi, toccò il
legno della barca.
“Ah!” gridò Ellen, lasciandosi andare e
sdraiandosi sulla barchetta. “Lo sapevo fin
dall’inizio che era una perdita di tempo”.
“E perché hai voluto provare lo stesso?”
chiese Lifaen.
“Non lo so” disse Ellen scrollando le spalle.
“Quando ti metti in testa qualcosa però, cerchi
sempre di portarla a termine. Onorevole” disse Orik
battendole una mano sulla gamba. “Ma un nano è
fatto di pura roccia!” e rise sguaiatamente.
Quella sera si accamparono al calar del sole e cenarono. Ellen
notò che anche Lifaen e Narì, come Arya, non
mangiavano carne. Notò anche come l’elfa sembrava
a disagio nonostante aver rincontrato i suoi simili. Pensava che,
comunque, i due elfi erano ancor più delicati e misteriosi
di lei. Forse era per questo che si sentiva fuori luogo. Probabilmente
stare molto tempo con i Varden l’aveva cambiata.
Come se si fosse preparato a questo tutto il giorno, Narì
cominciò a cantare, prima a bassa voce, come per non
disturbare nessuno, poi il suo canto crebbe
d’intensità, divenendo parte della natura. Anche
gli animali lì intorno sembravano partecipare alla musica.
Uccelli, scoiattoli e altri animali che si nascondevano nel bosco
avevano unito il loro verso alla voce dell’elfo completando
quella strana ma piacevole sinfonia. Senza nemmeno accorgersene, anche
Ellen iniziò a canticchiare un motivetto tutto suo,
distendendosi con le mani dietro la testa, a formare un cuscino, e
osservando un brandello di cielo stellato che si intravedeva tra gli
alberi. Quando la musica finì lei si era addormentata.
“Principessa Arya, siamo molto lieti di averti
ritrovato” disse Narì a tarda notte sedendosi
affianco all’elfa, parlando a bassa voce per non svegliare
nessuno.
“Anche io sono lieta di rivedervi” rispose Arya
cortese.
“Raccontaci cosa ti è successo da quando ci hai
lasciato” aggiunse Lifaen unendosi a loro. Arya
cominciò così il racconto di come aveva perso
l’uovo di Saphira, della prigionia e del salvataggio di
Eragon e degli altri. Poi disse del viaggio, incosciente, fino ai monti
Beor e poi dai Varden, raccontò di Murtagh e della battaglia
del Farthen Dur. Quando ebbe finto Narì
l’abbracciò.
“Siamo molto dispiaciuti per ciò che hai dovuto
passare Arya. Ti prego, resta per sempre con noi d’ora
in’avanti, e ti proteggeremo”. Sciolse
l’abbraccio e lei sorrise.
“Ti ringrazio, ma non credo di poter promettere una cosa del
genere. Ormai parte della mia vita appartiene ai Varden, non potrei mai
abbandonarli. Fra di loro ho conosciuto personalità davvero
straordinarie”. Posò per un secondo gli occhi su
Ellen, poi distolse lo sguardo, ma Narì se ne accorse.
“Perché quell’umana ha seguito il
Cavaliere Eragon e il drago Saphira? E’ forse
un’esponente della sua razza?” chiese allora.
“No. L’ho convinta io a venire. E’ una
buona amica del Cavaliere e di Saphira, e si è meritata il
mio rispetto. Oltretutto, vorrei tenerla d’occhio. Non posso
permetterle che faccia qualcosa di sciocco: passa un momento
doloroso”. Restarono in silenzio per un po’, poi
Narì si alzò e si distese, poco dopo si
addormentò.
“Perdonami se sono curioso, Arya” disse allora
Lifaen, “ma posso sapere cosa turba un’amica del
Cavaliere?”.
“Ha recentemente perso l’uomo che amava”
sussurrò Arya. “Non volevo che restasse sola.
E’ meglio che faccia qualcosa e che non rimugini troppo sul
passato”.
“Nemmeno tu dovresti farlo, Arya” le disse
l’elfo. “Comunque … i dolori di cuore si
posso sempre guarire, no?” disse guardando la figura esile di
Ellen che si muoveva al ritmo del suo respiro.
Avevano viaggiato per altri quattro giorni. Erano stati rallentati dal
cammino che dovevano compiere nella Du Waldenvarden, con
radici e rami d’impiccio ma, all’inizio
del quinto giorno, entrarono ad Ellesmera.
Ta-daaan! Siete
soddifatti? Ed ecco uno spoiler sul prossimo capitolo: il titolo
è Le origini
ritrovate, e capirete quindi che verrà svelato
il segreto di Ellen. Siete ansiosi? Siete curiosi? ....
dovrete aspettare u_u Mamma mia quanto sono cattiva! XD
B'è, passiamo ai ringraziamenti:
KissyKikka: grazie della recensione! Ormai sta diventando
un appuntamento sia per te scriverle che per me riceverle! XD Comunque
... ci hai proprio azzeccato quando hai detto che il dolore di Ellen
non si può esprimere a parole, infatti inizialmente avevo
scritto qualcosa su cosa pensasse, ma mi sembrava scontato e poco
veritiero, così ho riscritto tutto concentrandomi su Eragon.
Riguardo ai pensieri di Saphira verranno nella continuazione della
storia, quindi dovrai ancora aspettare per sentirli, ma nel frattempo
spero di riuscire ad accontentarti con il prossimo capitolo, nel quale
scopriremo il (torbido?) passato di Ellen. Un bacio, ciao!
Al prossimo capitolo;
Patty.
|
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Capitolo 15 *** Le origini ritrovate ***
Capitolo
quindici: Le origini ritrovate
Era
da qualche giorno che stavano ad Ellesmera, e stavano capitando cose
davvero strane. Da quando era arrivata, Ellen si sentiva molto
rinvigorita. Forse era il clima di pace in cui gli elfi vivevano a
renderla così forte, quel senso di libertà che
non aveva assaporato in nessun’altro posto. Da due giorni
ogni mattina si allenava in un’arena costruita dagli elfi
appositamente per chi voleva diventare più abile
nell’arte della spada. Il primo giorno combatté
contro un elfo relativamente abile. Forse, a pensarci era uno dei
più deboli, ma sconfisse Ellen in poco tempo. Si
misurò con lui diverse volte ma vinse solo tre volte.
Nonostante tutto l’elfo si congratulò con lei
perché era davvero molto forte e abile. Ellen sentiva che le
sue parole erano vere, anche se non erano pronunciate
nell’antica lingua. Da quando era arrivata in quella
città il suo corpo era più agile e veloce.
Cercò di parlarne con Eragon, ma aveva appena iniziato il
suo addestramento e, quando era andata a trovarlo, dormiva della grossa
in una bellissima casa su un albero. Decise che lo avrebbe importunato
un altro giorno.
Il terzo giorno ad Ellesmera, Ellen e Orik si diedero appuntamento
davanti all’arena.
“Orik!” lo chiamò quando lo vide
arrivare. Il nano le rivolse un sorriso e si avvicinò. In
mano teneva la sua grossa ascia.
“Ciao Ellen. Allora, come va?” chiese.
“Ti piace Ellesmera?”.
“Si moltissimo. E’ tutto così arioso,
naturale. Mi piace molto”.
Il nano rise. “Ah già, fa sempre questa
impressione all’inizio ma, dopo un po’, io comincio
a stufarmi della cerimoniosità degli elfi. E, oltretutto,
sento la mancanza della carne”.
“Ah b’è! Questo anche io. Oh!
Perché mi ci hai fatto pensare? Ora ho voglia di un enorme
cinghiale con patate arrosto! Qui ci tengono a lattuga e
carote”. Una risata cristallina la fece voltare.
“Lifaen” disse una volta riconosciuto
l’elfo.
“Vi teniamo a lattuga e carote?” chiese il
bellissimo uomo avanzando verso di loro.
“Oh, non volevo certo essere irrispettosa” disse
Ellen arrossendo. Poi, velocemente, compì la formula di
saluto elfico, che Lifaen ricambiò.
“Non preoccupatevi. Capisco che per gli altri popoli le
abitudini elfiche possano risultare strane, ma non uccidiamo animali.
Se volete della carne, dovrete andare a caccia per conto vostro fuori
da Ellesmera”.
“Oh no, penso che potrò resistere” disse
Orik. “In compenso avete dell’ottimo
vino”.
“Vino?” chiese Ellen. “Non sapevo che qui
coltivaste le piante per fare il vino”.
“A volte nemmeno noi elfi sappiamo resistere ad un buon
bicchiere di vino” disse Lifaen sorridendo.
“B’è, vogliamo andare? Mi piacerebbe
davvero misurarmi con voi signor nano e signorina” disse
inchinandosi leggermente a tutti e due.
“Sarà un vero piacere per noi” rispose
Orik.
Si incamminarono verso una piattaforma sgombra e Lifaen prese la sua
spada. Era un’arma di incredibile fattura: aveva tre pietre
verdi incastonate nell’elsa e nella lama scendeva un
intricato disegno che si trasformava in rune elfiche sulla punta della
spada che recavano una parola ad Ellen sconosciuta. Era riuscita ad
imparare la lingua elfica da Eragon ma le sue conoscenze gli
permettevano solo di mantenere una normale conversazione.
Prima l’elfo si batté con Orik. Il nano era
sicuramente un maestro nell’usare l’ascia, ma non
riusciva ad essere agile quanto un elfo. Tuttavia riuscì ad
assestare alcuni colpi significativi. Quando Lifaen riuscì a
disarmarlo sorrise e, riprendendo fiato, scese dalla piattaforma.
“Meglio che io vada a dissetarmi. Quest’elfo ha
prosciugato tutte le mie energie!”.
Ellen salì sulla piattaforma un po’ titubante.
“Cosa c’è che ti rende così
insicura, signorina?” le chiese gentilmente Lifaen.
“Puoi chiamarmi Ellen” disse le ragazza.
“Comunque pensavo che, sai, hai già combattuto con
Orik, che non è da sottovalutare … non
preferiresti riposare almeno un po’?”.
“Noi elfi siamo diversi da voi umani. Sai che ti dico? Ti
cedo il primo colpo” disse mettendosi in posizione di difesa.
“Il primo colpo è sempre quello più
avventato” ribatté Ellen. “Meglio
aspettare e vedere come andranno le cose”, e prese a sua
volta posizione.
“Ben detto Ellen, battiti con onore”.
Cominciarono all’improvviso un’intricata danza,
fatta di balzi e di lame stridenti. Dopo appena una quindicina di
minuti Ellen cominciò ad indietreggiare di fronte ai colpi
dell’elfo, che arrivavano inaspettati e forti.
Parò un fendente proveniente da destra e subito se ne
ritrovò un altro arrivare da sinistra. Non fece in tempo a
spostarsi o a spostare la spada, che sentì qualcosa di
freddo vicino al ginocchio. Tutti e due si fermarono, anche Lifaen
respirava più pesantemente, anche se di poco.
“Scusami” disse inginocchiandosi per controllare la
ferita di Ellen. Non era una ferita grave, e colava una sottilissima
goccia di sangue, ma Lifaen gliela guarì con la magia.
“Grazie” disse Ellen riconoscente, “Non
ce n’era bisogno. Sarebbe guarita da sola fra un paio di
giorni”.
“Non vorrei che poi andassi a dire in giro che noi elfi
feriamo i nostri ospiti”. Lifaen sorrise, alzandosi.
“Cosa penserebbe di noi tutta Alagaesia?” disse poi
portandosi teatralmente una mano alla fronte. Ellen rise e si
spostò ai margini della piattaforma siccome altri elfi
volevano esercitarsi.
“Dov’è finito Orik?” si chiese
Ellen ad alta voce.
“Fra poco dovrebbe tornare. C’è un
piccolo ruscello qui vicino, abbiamo appositamente messo qui
l’arena”.
“Davvero? Voglio vederlo. Dove si trova?”.
“Ti ci porto io, vieni” disse l’elfo
conducendola intorno alle varie piattaforme da combattimento.
“Allora, che ne pensi di Ellesmera?”.
“Ellesmera? E’ molto bella, mi piace
com’è fatta la città. In confronto a
quelle umane o a quelle dei nani sembra che qui regni la pace per
sempre” rispose le ragazza guardandosi intorno.
“E’ merito di Islanzadi se c’è
la pace”.
“E’ vero. Mi sembra una regina davvero eccellente,
anche se come persona potrebbe non essere lo stesso”.
“Non hai paura di dire nulla, vero Ellen?” le
chiese Lifaen.
“Oh no! Ogni cosa che dico sembra così
spiacevole” disse la ragazza sconfortata. “Mi
servirebbero alcune lezioni per capire bene come comportarmi con voi,
senza mentirvi e senza offendervi”.
“Non ti preoccupare per quello che dici. Qui rispettiamo le
opinioni altrui, anche se ci danno fastidio. Certo, evita di parlare
così direttamente alla regina. Ti do un consiglio: impara la
lingua elfica. Con quella non puoi mentire, ricordatelo”.
“Hai ragione. Però devi ammettere che ci sono dei
trucchi da usare per dire qualcosa e intenderne un’altra. Non
è così?”.
“E’ vero” gli concesse Lifaen.
“Quindi, si può dire, che anche gli elfi mentono,
in un certo senso”.
“Penso proprio di si”. Erano giunti vicino ad un
minuscolo ruscello che sgorgava dal profondo degli alberi, passava
vicino a loro e poi si inoltrava di nuovo nel bosco.
“Wow … sembra che abbia derivato il suo corso
apposta per voi” disse sorridendo a Lifaen.
“Infatti è così” disse
l’elfo rispondendo al sorriso. “Noi elfi cantiamo
agli alberi e agli animali, e a volte anche a noi stessi per poter
modificare alcune cose. Così costruiamo le nostre case e i
nostri oggetti di uso quotidiano, cantando ad un albero di modificarsi
e di prendere una certa forma”.
“Davvero? Sembra bellissimo”.
Dopo che entrambi ebbero constatato che Orik non c’era e si
furono dissetati sedettero vicino al ruscello.
“Dimmi Ellen, cosa ti fa pensare che la regina Islanzadi sia
così una cattiva persona?”.
Ellen rispose subito, senza pensarci due volte.
“B’è, non so cosa sia successo fra lei e
Arya, ma io credo che qualsiasi cosa i figli scelgano di fare i
genitori debbano sostenerli, non condannarli”.
“Anche se le loro scelte sono sbagliate?” chiese
astutamente Lifaen.
“Hem … no, però non credo che ci si
debba comportare come ha fatto Islanzadi. Da quel che ne ho capito sia
lei che Arya hanno sofferto molto, stando separate …
Islanzadi poteva fare in modo che questo non accadesse, poteva
consigliare Arya di non compiere decisioni avventate, ma non doveva
rinnegarla così. Non conosco Arya da molto, ma credo che il
comportamento di Islanzadi non abbia fatto altro che convincerla ancora
di più a partire”.
“Dei discorsi impegnativi per una ragazza come te. Chi ti ha
insegnato a ragionare così?”.
“Non lo so … i miei genitori forse. Loro mi hanno
sempre sostenuto in tutte le mie scelte”.
“Anche quando hai deciso di partire con Eragon
Ammazzaspettri?”.
“No … loro … sono morti prima
che potessero conoscere la mia decisione”.
“Mi dispiace …”.
“Non importa, non lo sapevi” disse Ellen
giocherellando con la catenina che aveva al collo.
“Posso vederla? E’ molto bella” disse
Lifaen tendendo la mano per prendere la catenina.
“Oh certo”. Ellen se la tolse e gliela
diede.
L’elfo la osservò rigirandosela fra le mani, poi
l’aprì. Rimase per un secondo immobile, il suo
sguardo tradiva irrequietezza e sorpresa. Toccò la scritta
all’interno del ciondolo a bocca aperta.
“Dove l’hai presa?” chiese guardando
Ellen stupita.
“Non lo so … ce l’ho sempre
avuta” disse incerta Ellen notando il cambiamento
nell’umore dell’elfo. “I miei genitori mi
hanno detto che c’e l’avevo da quando mi hanno
trovata nel villaggio”.
“Tu … non erano i tuoi veri genitori?”.
“No, ma non importa, è come se
…”. Venne interrotta dall’elfo che si
alzò e la prese per un braccio, sollevandola senza sforzo.
“Vieni con me” disse prendendola per mano e
cominciando a correre.
“Cosa c’è?!” chiese Ellen
preoccupata cercando di correre il più velocemente
possibile. Nonostante questo l’elfo la superava e le tirava
il braccio molto forte. “Possiamo rallentare?!”
chiese dopo un po’. Lifaen si fermò e sorrise.
“Non credo che possiamo concederci questo lusso”.
Si abbassò leggermente e prese Ellen in braccio.
“Tranquilla, così faremo più
veloci”. La ragazza non fiatò, non del tutto certa
di quel che stava succedendo. Lifaen riuscì ad arrivare
velocemente di fronte al palazzo di Islanzadi, una costruzione fatta di
alberi di pino molto ravvicinati a formare un muro, lì
lasciò andare la ragazza. “Tutto bene?”.
“Si, ma cosa c’è?”. Lifaen al
posto di rispondergli le ridiede la collanina.
“Dai questo a Islanzadi quando la vedrai”.
Bussò alla porta del palazzo ed entrò, seguito da
Ellen. Davanti a loro si presentò un paggio elegantemente
vestito. “Vorremmo vedere la regina Islanzadi, è
di vitale importanza”.
“Mi dispiace molto, ma in questo momento la regina
è impegnata”. A quella risposta Lifaen chiuse gli
occhi e sospirò, si avvicinò all’elfo e
gli sussurrò qualcosa all’orecchio. Il paggio si
portò una mano alla bocca, stupito, e scappò via.
“Ma cosa succede?” chiese Ellen.
“C’entra per questo questa?
Cos’è?” chiese Ellen guardando la
catenina che teneva ancora in mano.
“Vieni pure” disse il paggio rientrando nella
stanza. Ellen rivolse a Lifaen un occhiata preoccupata, ma
l’elfo le sorrise e la spinse delicatamente verso il paggio.
Questo la guidò in una stanza molto piccola, dove le regina
stava seduta su un alto scranno, poi se ne andò.
Ellen guardò Islanzadi e fece per prima il saluto come le
aveva insegnato Arya. La regina ricambiò. “Mi
hanno detto di mostrarle questa” disse avvicinandosi e
dandole la collana. La regina la osservò stupita per qualche
secondo.
“Tu …”. Si alzò e corse
incontro ad Ellen abbracciandola e stringendola forte a sé.
“Regina …” disse Ellen turbata.
“Figlia mia, sei tornata finalmente!”.
Silenzio.
Silenzio.
Non c’era nient’altro che silenzio, ora. Ellen non
sentiva nemmeno il lieve fruscio che facevano le foglie mosse dal
vento. La regina Islanzadi la stringeva forte. Ellen restava immobile.
“C-come?” chiese dopo un po’. "Non ... hm
...". La regina la lasciò andare e Ellen si accorse che
piangeva. Islanzadi si asciugò le lacrime e fece una risata
simile ad un singulto.
“Vieni qui, siediti assieme a me” disse
trascinandola verso l’enorme scranno, sedendosi e
schiacciandosi da un lato, in modo da fare spazio anche a lei. Ellen
non si sentiva proprio in vena di stare lì con lei da sola,
ma si trovò costretta a sedersi. “Oh Ellen! Sono
così felice di ritrovarti”.
“Perdonami se te lo chiedo, ma …
com’è possibile questo?” chiese la
ragazza confusa.
“Io e tuo padre ci conoscevamo da molto tempo e, per un
po’, siamo anche stati innamorati, ma tutti e due avevamo
degli impegni e non potevamo permetterci una relazione, in
più non eravamo proprio fatti l’uno per
l’altra”.
“Ma … ma chi è mio padre?”
chiese Ellen con voce tremante, anche se sapeva già la
risposta.
Islanzadi sospirò. “E’ Brom”
disse sorridendo. Ellen annuì, deglutendo a fatica un grosso
groppo che le si era formato in gola, e cercando di fare come se fosse
tutto naturale. Se lo aspettava, non poteva dimenticare il ricordo di
quell’uomo che le sorrideva da bambina. Aveva gli stessi
occhi di Brom, si era detta la prima volta che l’aveva
incontrato. Ora sapeva che era lui. Gli occhi le si riempirono di
lacrime. Questo, ovviamente, spiegava molto cose. La sua attitudine per
il combattimento, la sua resistenza superiore a quella degli altri, la
sua agilità.
Con lo sguardo appannato la ragazza fece la domanda fondamentale:
“Ma … perché mi avete
abbandonata?”.
“No, no. Non abbandonata, figliola” disse Islanzadi
accarezzandole la testa con aria triste. “Tu rimanesti qui ad
Ellesmera fino all’età di tredici anni appena
compiuti. Vivevi qui con me e con gli altri elfi, conoscesti anche
Arya. Brom in quel periodo era molto occupato a combattere
l’Impero ma ogni volta che poteva veniva a trovarti. Un
giorno ti portò fuori Ellesmera per farti visitare la Du
Waldenvarden ma vi spingeste troppo in là e veniste
attaccati. Erano dei soldati di Galbatorix e, veramente, puntavano ad
uccidere Brom. Lui non seppe che fare e scappò insieme a te.
Non poteva tornare ad Ellesmera, altrimenti avrebbe mostrato ai soldati
la via giusta. Tutto questo mi fu poi raccontato per lettera. Brom mi
spiegò che, una volta giunti vicino a Daret, fu catturato, e
tu rimanesti ferita. Quando lui scappò non aveva idea di
dove cercarti, per di più, era rimasto bloccato nella Valle
Palancar. Già gli abitanti di Carvahall si insospettivano
quando spariva per poche settimane per venire a trovarti. Quella volta
sparì per mesi, e, quando ritornò, gli abitanti
della zona gli fecero domande scomode, riguardo a dove era andato e
perché. Brom informò alcuni dei Varden che tu ti
eri persa, ma nessuno di loro poté ritrovarti …
“Ma ora che sei qui, figlia mia, nessuno ti
porterà più via da me”. Ellen rimase
stordita di fronte a tutte quelle rivelazioni, ma una cosa gli era
chiara. Islanzadi non aveva mai pensato ad andare lei stessa a
cercarla. O di mandare qualche elfo, che avrebbe avuto di sicuro
più successo dei Varden. Poteva capire Brom che era rimasto
bloccato a Carvahall, ma non lei. Islanzadi Regina degli elfi. Sua
madre. Non si accorse nemmeno che l’elfa aveva iniziato
ancora a parlare.
“ … e potrai venire a vivere qui a palazzo. Ti
verranno insegnati l’elfico e le nostre usanze. Potrai
cantare di nuovo agli alberi! Da bambina ti piaceva molto!”.
“No, aspetta … io … non so se voglio
restare qui a vivere”. Il sorriso di Islanzadi si sciolse.
“Io … sono molto felice di aver ritrovato le mie
radici, ma tornerò quando la guerra sarà finita.
Quando ho combattuto per i Varden ho capito che è questo
quel che voglio fare. Quando la guerra sarà finita,
tornerò. C’è anche Eragon che si fida
di me, io voglio aiutarlo. Nel frattempo imparerò con
piacere le usanze e la lingua del mio popolo”. Il viso della
regina si indurì.
“Bene. Capisco. Chiederò a qualcuno di farti da
insegnante” disse dopo una pausa alzandosi dal trono. Si
voltò e sorrise leggermente. “Capisco che tu non
ti senta proprio a tuo agio qui, ma lascia almeno che festeggiamo il
tuo ritorno” disse con voce appena più dolce.
Ellen era sicura. Islanzadi non era la madre che sperava di avere.
Monica era molto meglio, anche se non viveva certo in una reggia e non
dava banchetti ogni sera. Seduta affianco ad Eragon, a cui aveva
raccontato tutto quel pomeriggio appena lui aveva terminato
l’addestramento con Oromis, piluccava qualche patata e
qualche vegetale non meglio identificato. Di fronte a lei sedeva Arya,
che le lanciava strane occhiate ogni tanto, a capotavola sedeva
Islanzadi.
Sembrava che il resto degli elfi l’avesse presa bene, in un
certo senso. Tutti erano felici che fosse ritornata, ma nessuno sapeva
che non sarebbe rimasta. Peggio, nessuno sapeva che lei non voleva
rimanere.
Ecco fatto. Il capitolo
tanto atteso ... che cosa ne pensate, ordunque? XD Questo l'ho scritto
quando ancora non avevo letto Brisngr, non scrivo nulla
perchè magari qualcuno non lo ha letto, ma, insomma, se la
mia storia fosse vera, allora sapremmo bene che Brom era stato un uomo
promiscuo! XD B'è, probabilmente adesso non viene in mente a
nessuno, ma chissà se ricordate la frase di Brom rivolta ad
Ellen, in uno dei primi capitoli, quando le dice: "Forse sei per
metà un'elfa". XD Bhuahahaha!
KissyKikka: Spero che questo capitolo ti sia piaciuto. Sono curiosa di
sentire cosa ne pensi, davvero. B'è si capiva che la chiave
di tutto era ad Ellesmera, come hai detto tu stessa, ma dimmi, questo
te lo saresti aspettata? Comunque ... grazie della scorsa recensione,
spero di rivederti per il commento di questo capitolo. Ciao!
Ciao,
Patty.
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Capitolo 16 *** L'Agaetì Blodhren ***
Capitolo
sedici: L’Agaetì Blodhren
“Allora,
cosa vuoi fare adesso?” chiese Lifaen ad Ellen rimettendo a
posto la sua spada.
“Non lo so …” rispose lei pensierosa.
“Stavo pensando all’Agaetì
Blodhren”.
Erano passati quasi due mesi da quando Ellen aveva scoperto di essere
la figlia della regina degli elfi. Lifaen si era impegnato per
insegnarle diverse cose. Con lui aveva imparato moltissime parole nuove
nell’antica lingua. Ora poteva parlare abbastanza fluidamente
con gli altri elfi. Di conseguenza adesso compiva diverse magie, era
diventata brava quanto Eragon, anche se lui si impegnava da molto
più tempo di lei, Ellen aveva però dalla sua
parte la discendenza elfica. Lifaen aveva anche insistito
perché cantasse alle piante, lei aveva provato, ma molto
spesso l’albero non le concedeva quello che le chiedeva. Il
canto, diceva Lifaen, doveva essere fatto con il cuore. Per quanto si
sforzasse Ellen non riusciva ad ottenere più di una risposta
dall’albero. Poteva sentire la sua presenza, il suo spirito,
come un grande essere dotato anche lui di coscienza. Ma più
di questo gli alberi non le consentivano di sentire. In compenso Ellen
aveva scoperto che cantare le piaceva. Oltre a questo le venne
insegnato a scrivere in elfico, a leggere e la storia del suo popolo e
le sue usanze. Giusto pochi giorni prima Lifaen le aveva detto che in
quel periodo si sarebbe tenuto l’Agaetì Blodhren,
il Giuramento di Sangue, che si festeggiava ogni cento anni e dove
veniva ricordato il patto di sangue che gli elfi avevano stretto con i
draghi. Le disse anche che, durante la celebrazione
dell’Agaetì Blodhren, ognuno doveva portare
qualcosa da mostrare agli altri. Poteva essere un dipinto, una poesia,
qualsiasi cosa che fosse il prodotto della creatività
personale.
“Tu cosa porterai?” chiese Ellen a Lifaen sedendosi
sconfortata vicino alle radici di un albero. Lifaen si
sistemò accanto a lei e poggiò una mano sul
tronco dell’albero, osservandone i rami rigogliosi. La
ragazza ci pensava da giorni ma non le veniva in mente nulla che
potesse essere originale e che la rappresentasse.
“Sto facendo qualcosa che, sono sicuro, ti piacerà
moltissimo, ma non posso dirti che cos’è.
Rovinerei la sorpresa”.
“Uffa … tutti sanno cosa portare tranne me. Ho
anche provato a scrivere una canzone … ma non mi
convince”.
“Potrei sentirla?” chiese gentilmente Lifaen.
Ellen fece involontariamente una smorfia. “Non credo che
sarebbe di tuo gradimento. Avevo cercato di scrivere qualcosa come le
ballate di un tempo, che raccontasse una storia di coraggio e di
avventure, ma è venuta fuori una cosa piuttosto intricata e
… brutta”.
“Sai, spesso le cose più semplici sono quelle
più incantevoli” disse Lifaen posandole una mano
sulla spalla, un gesto che faceva molto spesso. “Non deve
essere qualcosa di eclatante. Guarda questo germoglio” disse
indicando una minuscola piantina che cresceva in mezzo a loro due ai
piedi dell’albero, “non ti sembra che sia bello
come il pino?” disse poi indicando il grosso albero sopra di
loro.
Ellen sorrise a quella comparazione. “Hai ragione”
disse alzandosi. “Penserò a qualcosa”.
Salutò Lifaen e cominciò a passeggiare in mezzo
al bosco.
Eragon aveva appena finito il suo allenamento giornaliero e si stava
recando a palazzo per incontrare Ellen. Ora parlare con lei era
diventato molto difficile ma andava volentieri a palazzo, anche per
vedere Arya, in realtà.
Stava proprio pensando a quello quando scorse la sua esile figura in
mezzo ad una sala del palazzo. “Arya!” la
chiamò e corse verso di lei.
“Eragon, piacere di vederti”.
“Anche per me”. Il ragazzo le sorrise. Era da
qualche tempo ormai, si era reso conto, che lei lo evitava, e, anche se
cercava di non darlo a vedere, non gli voleva parlare. Eragon pensava
che fosse a causa del Fairth, il dipinto magico che mostrava cosa
vedeva l’occhio della mente, che Oromis gli aveva insegnato a
fare. Ne aveva fatto uno per lei, ma, quando lo aveva visto, si era
infuriata e lo aveva gettato a terra, distruggendolo.
“Arya, ascolta … io vorrei scusarmi. Mi sono reso
conto in che posizione difficile ti ho messo, ma non intendevo fare
nulla del genere. Oltretutto voglio che tu sappia che, in ogni caso,
nulla mi potrà distrarre dal mio addestramento, quindi puoi
tranquillizzarti”.
“Certo Eragon” disse l’elfa educatamente,
ma il ragazzo si accorse subito che non voleva comunque restare da sola
con lui. “Se cerchi Ellen, è nella sua
stanza”. Si voltò e se ne andò.
Eragon sospirò, poi si diresse verso la stanza della
ragazza. Percorse i corridoi che ormai conosceva a memoria e si
fermò davanti alla camera di Ellen. La porta era semi
aperta. Quando Eragon sbirciò dentro vide che Ellen aveva
sistemato la scrivania e il letto contro il muro per creare uno spazio
in mezzo alla stanza. Al centro c’era lei, che si muoveva a
ritmo di una musica inesistente. Eragon rimase sulla soglia ad
osservarla, non disse niente per non deconcentrare la ragazza, che non
lo vide nemmeno dato che aveva gli occhi chiusi. Dopo qualche minuto di
una danza forsennata Ellen rallentò. Prese a danzare
dolcemente e un sorriso affiorò alle sue labbra. Quando si
fermò una lacrima scese lungo la sua guancia e la ragazza
aprì gli occhi.
“Eragon! Da quanto tempo sei li?” chiese stupita
asciugandosi in fretta la faccia.
“Abbastanza. Sei molto brava”.
“Davvero?!” chiese lei raggiante.
“Aspetta, tu mi spiavi. Dovrei arrabbiarmi”. Lo
guardò stringendo gli occhi ed Eragon si lasciò
sfuggire una risata, poi entrò nella stanza e si sedette ai
bordi del letto.
“Dove hai imparato?” le chiese.
“Mi ha insegnato un elfa che ho conosciuto l’altro
giorno. Mi sto facendo dare lezioni”.
“Ah … cos’era quello
comunque?” chiese. Ellen lo raggiunse e si sedette a gambe
incrociate.
“Era … una prova. Pensavo di ballare durante
l’Agaetì Blodhren”.
“Sul serio? Era bello, mi prendeva … a cosa
pensavi di così intenso?” chiese Eragon, ma si
pentì all’istante. Ellen abbassò lo
sguardo e prese a strofinarsi le ginocchia.
“Lo sai … pensavo a Murtagh”.
Eragon sospirò teatralmente, cercando di rallegrare la
ragazza. “Ahh! Siamo messi davvero male noi due!”.
“Perché?” chiese lei incuriosita alzando
lo sguardo. Eragon sorrise interiormente: aveva compiuto il suo scopo.
Ellen non era più troppo triste. Le raccontò
cos’era successo con Arya, del Fairth e di prima.
“Uffa però!” disse Ellen.
“Tutte le persone che mi stavano antipatiche fanno parte
della mia famiglia. Tranne Brom, e in effetti anche Arya, a pensarci
bene non è male”. Restò in silenzio per
un po’, poi: “Forse se io mi conoscessi mi starei
antipatica”. Eragon rise fragorosamente.
“O così, oppure saresti sempre d’accordo
con te stessa! E non riusciresti mai a batterti a duello con la spada.
A proposito, Lifaen mi ha detto che sei diventata molto
abile”.
Cominciarono a parlare del più e del meno, poi uscirono a
fare una passeggiata insieme a Saphira. Anche lei stava prendendo
lezioni dal drago di Oromis, Glaedr. Tutti e due erano molto assorbiti
dal loro compito, e sembravano davvero entusiasti.
“In questi giorni dovremmo lavorare tanto” disse
Eragon prima di congedarsi da lei, “ma ci vediamo
all’Agaetì Blodhren sicuramente”.
“Tu cosa porterai?” chiese Ellen curiosa.
“Un poema” rispose Eragon alzando le spalle.
“Posso leggerlo?”.
Il ragazzo scosse la testa. “L’ho lasciato a Oromis
perché mi dicesse cosa ne pensava”.
E tu Saphira?
Non te lo dico,
disse la dragonessa arricciando le labbra squamose in quello che
sembrava un sorriso.
Dai,
insistette Ellen avvicinandosi a lei e carezzandole un fianco. E se ti chiamo pure io Squame di
Luce? Oppure Leggiadro essere dei venti e delle terre? O anche
… aspetta, ne avevo sentito uno davvero bello, è
incredibile come questi elfi ti adorino!
Hai ragione,
all’inizio era bello, ma ora è diventato noioso.
E tu Eragon,
non eri geloso di ricevere così poche attenzioni?,
lo punzecchiò Ellen rivolgendosi a lui.
Tzé! Io sono superiore a queste cose, cosa credi?,
disse Eragon guardandosi le unghie con fare critico e strofinandole
sulla camicia, come per lucidarle.
Immaginavo,
disse allora Ellen, e
se ti chiamo Grugno di Fuoco?
Saphira scoppiò in un leggero ruggito e scosse
l’intero corpo squamoso.
Se anche un
solo elfo ti sentisse ti condannerebbero alla forca!
L’Agaetì Blothren era arrivato.
Ellen si vestì con quel che gli era stato dato dalla regina.
Una sottile veste di seta con il collo a v che si stingeva in vita e
cadeva morbida sulla gambe, di un colore azzurro molto chiaro.
Uscì dal palazzo e andò verso lo spiazzo erboso
dove si trovava l’albero di Menoa. Lì davanti
trovò Eragon e Arya. Si sedette accanto a loro, in attesa
che i festeggiamenti cominciassero.
Islanzadi fece la sua apparizione portando in mano una sfera luminosa.
Si diresse davanti al maestoso albero di Menoa e la posò in
terra. La sfera divenne di mille colori e illuminò di una
luce intensissima tutta la radura. Ellen ed Eragon dovettero
distogliere lo sguardo, tanto la luce era forte. In quel momento gli
elfi risero di gioia e si alzarono tutti insieme.
Cominciarono a cantare, suonare e danzare. Il loro riso riempiva
l’aria, i loro corpi si muovevano leggiadri al suono della
musica. C’erano diverse portate, tutte a base di verdura
fresca, legumi e frutta succosa.
Né Eragon né Ellen vissero del tutto lucidamente
quei giorni. Tutti e due erano assoggettati alla magia sprigionata
dagli elfi stessi, anche se Eragon di più.
Infine giunse il momento di mostrare che cosa avevano creato per la
festa. Saphira volò via e andò a prendere una
specie di grossa roccia brillante. Quando la depositò in
terra si resero tutti conto che era la statua di un drago. Tutti
applaudirono il più fragorosamente possibile. Saphira
rivelò ad Eragon che aveva creato la statua leccando la
roccia semifusa. L’effetto scintillante non era stato voluto,
ma era arrivato come conseguenza alla cristallizzazione di alcuni
minerali contenuti nella roccia.
Eragon recitò un bellissimo poema. Ellen ne rimase molto
stupita, e non solo lei, anche gli altri elfi. Islanzadi disse che
avrebbero messo il poema nella biblioteca, così che tutti
avressero potuto goderne. Eragon le fu davvero riconoscente, non si
aspettava certo che il suo poema, raffinato fra quelli della sua razza
ma sicuramente un po’ ruvido per gli elfi, riscuotesse tanto
successo.
Ellen ballò la sua danza. Con più passione e
ardore di quanto lei stessa sospettasse di avere. Tutti gli elfi
apprezzarono il ballo perché capirono che era sincera e,
quando finì, applaudirono e si complimentarono con lei.
Anche Oromis le disse qualche parola e Lifaen la fece volteggiare.
“Hai un talento così grande e lo tieni
nascosto?”.
“Non è poi così grande come credi. Mi
sono esercitata tanto. E’ solo che mi diverte ballare, anche
se non sono così brava come voi elfi”.
“Io credo che con l’impegno potrai raggiungerci e
superarci, perfino”.
“Magari, un giorno … a proposito, devi farmi
vedere cos’hai portato tu”.
“Giusto”. Lifaen sparì tra la folla e
tornò indietro con qualcosa in mano. “Ecco
qui” disse mostrandogli una catenina argentata con appeso uno
strano ciondolo. Aveva forma di una foglia, di colore arancio chiaro
con varie sfumature che toccavano anche il marrone e sembrava che si
muovesse al vento tanto era veritiera. Sulla foglia v’era
incisa la lettera E.
“Wow … di cosa è fatta?”
chiese Ellen stupefatta. Alcuni elfi si congratularono con Lifaen per
aver prodotto un così bel manufatto.
“Di resina. L’ho scaldata, modellata e asciugata.
Al buio brilla, sai?”.
“Davvero? Voglio vedere”.
“Certamente”. Prese la ragazza per mano e
cominciò a trascinarla nel bosco. Incontrarono molti elfi
durante il percorso. Ellen intravide Eragon ballare con
un’elfa e stringerle la mano. Sorrise fra sé e
sé. Lifaen incrociò il suo sguardo e vide Eragon.
“Sembra che Eragon Ammazzaspretti e Saphira si stiano
divertendo”. La dragonessa era poco dietro Eragon e faceva
divertire gli unici due bambini elfi facendogli scalare la propria
schiena.
“Già”.
Continuarono a camminare finché i rumori della festa non
furono lontani e giunsero in un punto del bosco molto fitto di alberi,
dove la luce della luna non giungeva.
“Guarda” sussurrò Lifaen aprendo la
mano. Sul suo palmo bianco la foglia di resina scintillava luminosa. Le
venature della finta foglia rilucevano e la lettera E incisa irradiava
una luce giallognola.
“Per cosa sta la E?” chiese la ragazza.
Lifaen la guardò un po’ triste. “Ancora
non lo sai?” le chiese. Le mise una mano sui capelli e
l’accarezzò dolcemente, sul volto un sorriso
morbido come la seta. Ellen restò paralizzata. Forse aveva
sempre saputo che quel momento sarebbe arrivato, prima o poi, ma aveva
cercato con tutte le sue forze di non guardare ciò che non
voleva vedere. Lifaen le si avvicinò lentamente e
depositò un piccolo bacio sulla sua guancia.
“La E sta per Ellen, la più bella creatura che
abbia mai camminato per questi luoghi” le sussurrò
all’orecchio. “So bene che il tuo cuore appartiene
ancora a Murtagh, tuttavia ti chiedo di accettare questo
dono”. Le mise in mano la collanina con forza, poi si
voltò e sparì nel bosco, appena prima di dire:
“Pensaci su, Ellen”.
“Ellen! Vieni qui!”. Eragon allungò un
braccio fra la folla e prese la ragazza per le mani.
“Balliamo!”. Cominciarono a volteggiare al ritmo
della musica, che divenne man mano più frenetica. Diversi
strumenti dal timbro cristallino si univano al flauto che aveva
iniziato quella melodia. Ellen ed Eragon si tenevano a braccetto e
saltellavano qua e la, ridendo rumorosamente.
Islanzadi si alzò e andò a chiamare Ellen.
Portandola in un angolo le bisbigliò qualcosa
all’orecchio. La ragazza era ancora stordita dalla magia
degli elfi, che si sprigionava forte e intensa come un odore pungente
invade l’aria, quindi la regina decise di farla restare un
po’ da parte, lontana dalla festa. La portò al
castello fino in camera sua e la distese a letto.
“Dormi figliola” le disse sorridendo.
“Fra qualche ora l’Agaetì Blothren
finirà, manderò qualcuno a chiamarti”.
“No! Voglio venire anch’io!” disse Ellen
con poca convinzione.
“Certo tesoro. Domani …” le disse
Islanzadi coprendola. Mentre la regina usciva Ellen già si
era addormentata. Anche a Eragon era stato detto da Oromis di riposarsi
per un po’, prima di partecipare ad un’importante
cerimonia.
Doveroso capitolo
sull'Agaetì Blodhren, che non potevo assolutamente
tralasciare. Credo che quella dell'addestramento sia una delle mie
parti preferite del libro, anche se qui non l'ho riportato con
precisione altrimenti sarebbe stato noioso, dato che l'abbiamo
già letto tutti! XD Comunque mi piaceva l'idea che Lifaen
facesse un regalo ad Ellen proprio in questa occasione ... ma sappiate
che io sono dalla parte di Murtagh! Non so perchè, ma Lifaen
mi dà l'idea di essere viscido ... povero Lifaen, si
è offeso! XD
KissyKikka: hai visto che anche qui Ellen ripensa alla sua famiglia, ma
non è molto felice di questo fatto. In effetti devo
ammettere che come personaggio Islanzadi non mi piace poi tanto, quindi
credo che sia per questo che non piace nemmeno ad Ellen! XD Comunque
cosa ne dici dei festeggiamenti degli elfi e del regalo di Lifaen?
Grazie mille per la recensione, al prossimo capitolo! *smack*
Grazie a tutti i lettori, lasciate un piccolo commentino, prego! :D
Patty.
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Capitolo 17 *** Partenza ***
Capitolo
diciassette: Partenza
“Ellen”.
Qualcuno disturbava il suo sogno! Chi?
“Ellen!”.
Di nuovo.
“Alzati Ellen!”.
“No”. Ecco, ormai il pasticcio era fatto: era
sveglia.
“Non vuoi andare a vedere come sta Eragon?”.
“Perché?” chiese lei, ancora sotto le
coperte ma più attenta.
“Ma come? Islanzadi non te l’ha detto?”.
“Cosa?!”. Ellen sbucò fuori dalle
coperte e si ritrovò faccia a faccia con l’ultima
persona al mondo che avrebbe voluto vedere. “Lifaen? E' te
che Islanzadi a mandato a svegliarmi?” chiese quasi
arrabbiata.
“Esatto. Potresti iniziare a chiamarla madre. Ne sarebbe
felice”.
“Lo so, ma non mi sento come se … cioè,
è strano” disse la ragazza tirandosi su a sedere.
“Ma … cos’è successo a
Eragon?”.
Lifaen si sedette al suo fianco. “Ieri ha partecipato alla
cerimonia per la chiusura dell’Agaetì Blodhren e
le due gemelle tatuate hanno danzato richiamando lo spirito dei
draghi”. Ellen sgranò gli occhi.
“Già, me ne avevi parlato. Quindi ora Eragon
… ha ricevuto i poteri di un drago? Degli elfi?”.
“Degli elfi” disse Lifaen.
“Devo andare a trovarlo!”. Ellen si alzò
in fretta e fece per uscire poi, esitante, si fermò sulla
soglia della stanza. “Io … non ho dimenticato
ciò che mi hai detto. Ti chiedo solo di aspettare ancora un
po’” disse senza guardarlo, poi fuggì.
Quando entrò nella stanza di Eragon vide Saphira che
guardava il letto del ragazzo, la grossa testa azzurrina poggiata sul
pavimento.
Saphira, ciao.
Ciao Ellen,
come va?
Io tutto
bene. Lui piuttosto? Da quanto è addormentato?,
chiese la ragazza sedendosi affianco alla dragonessa.
Da ieri sera,
quando è finita la cerimonia. Non puoi immaginare quanto sia
cambiato.
Sul serio?,
Ellen, incredula, si avvicinò al letto di Eagon e
sbirciò fra le coperte.
Oddio! Non si riconosce nemmeno!
B’è, non esagerare. Si capisce che è
lui, solo che è un po’ più, come dire,
delicato? Aggraziato?
Aggraziato
è ancora tutto da vedere …
Il volto di Eragon si era allungato leggermente e i suoi tratti si
erano fatti più fini. Anche le sue orecchie erano a punta
ora. Aveva le mani più affusolate e Ellen notò,
quando il ragazzo si rigirò nel sonno, che non aveva
più la cicatrice alla schiena.
Saphira! La
cicatrice di Eragon è sparita!
Lo so,
disse allegra lei.
L’ho sentito subito quando il potere dei draghi gli ha
guarito tutte le sue ferite. E’ stato come liberarsi lo
stomaco da un peso, come quando hai una preoccupazione in meno.
Ma lui lo sa
che l’hanno cambiato così? La
dragonessa scosse leggermente la testa, causando alcuni graffietti sul
pavimento con le squame coriacee.
Non credi che
se la prenderà?
No, in fondo
ora è guarito.
Eragon si mosse leggermente e aprì un occhio.
“Ellen!”. Il ragazzo si mise subito a sedere e le
sorrise calorosamente.
“Sei allegro?”.
“Già!”. Eragon si alzò e si
mise la camicia, poi cominciò a guardarsi meglio le braccia.
“Ecco, sai …” cominciò Ellen
esitante, “hai presente la festa di chiusura
dell’Agaetì Blodhren?”.
“Certo” disse il ragazzo con sguardo interrogativo.
“Hanno fatto un po’ di …
restauro”.
“Cosa? Spiegati meglio!”. Eragon, con la
disperazione nello sguardo, raggiunse lo specchio che avevano sistemato
nell’angolo della stanza e vi guardò dentro. Dopo
qualche interminabile secondo sospirò di sollievo.
“Ma sei matta? Mi hai fatto prendere una paura!”.
“Perché? Che pensavi? Che ti avessero ridotto un
mostro?”.
“Le tue parole erano un po’ equivoche”.
Ellen ci pensò su. “Si, un
po’”.
Si sedettero sul letto e presero a parlare
dell’Agaetì Blodhren. Scoprirono entrambi di aver
le idee molto confuse sui giorni della celebrazione. La cosa che Eragon
ricordava più chiaramente, e la cosa che gli dispiaceva di
più ricordare, era la dichiarazione che aveva fatto ad Arya.
“Cosa? Ti sei dichiarato ad Arya? E lei?” chiese
subito Ellen. Eragon non era così sicuro di volerne parlare
e si pentì di aver cominciato quel discorso.
D’altronde sapeva che la ragazza avrebbe continuato a fargli
domande sull’argomento se non le avesse detto nulla.
“Si, b’è … eravamo nella
radura e ci siamo seduti a parlare e poi, non so, mi è
uscito fuori così, giuro: le ho detto che lei era la donna
più bella di tutte e che l’amavo non solo per
quello, ma anche per la sua intelligenza e la sua saggezza.
Probabilmente per lei non sono altro che un bambino, no?”
concluse sconfortato.
Ellen non sapeva proprio cosa dire, così si
limitò dire che gli elfi, secondo lei erano un popolo molto
strano. A Eragon non ci volle molto per scoprire cosa fosse successo
con Lifaen, e costrinse Ellen a raccontargli tutto.
Quando ebbe finito Eragon si mordeva nervosamente un’unghia e
guardava Ellen con espressione strana.
“Cosa c’è?” chiese lei
sospettosa.
Eragon sospirò. “Sai … credo che
dovreste stare insieme”.
“Eh?”. Ellen era incredula.
“Tu non stai bene con Lifaen?” chiese Eragon
sorridendo.
“Si, ma …”.
“E quindi? Che problema c’è?”.
“E’ solo che …”.
“Ah, ma a chi importa?! Dovresti andare da lui
ora!”.
“E Murtagh?”.
Ecco. Era proprio questo il punto, pensò Eragon. Per quanto
volesse bene a Ellen era stato ottimista per fin troppo tempo. Era ora
di dire le cose come stavano.
“Ellen … so che non lo vuoi sentire, ma non puoi
continuare a ignorare così la verità. Murtagh non
tornerà più”. La ragazza lo
guardò come se lo vedesse per la prima volta. Anzi, era
proprio così. Quello non era Eragon. Eragon, il suo amico,
non le avrebbe mai detto quelle cose.
“Ma che dici? Non …”.
“Ellen non puoi continuare a mentirti. Murtagh è
morto, basta. So che è doloroso, ma era anche amico mio, so
cosa provi. Inoltre, sai, credo che Murtagh non voglia che tu resti da
sola. Se potesse parlarti ti direbbe sicuramente che devi andare da
Lifaen, e dirgli quello che pensi. Lifaen è una brava
persona. E’ onesto, coraggioso, sa moltissime cose. Non dirmi
che ti annoi con lui”.
“No, è vero. Però non ho mai pensato a
lui come a un compagno”.
“E poi lui ti vuole bene” aggiunse Eragon.
“Anche tu mi vuoi bene, che c’entra?”.
“Si ma non in quel modo” disse Eragon sollevando le
sopracciglia.
Ellen,
intervenne Spahira,
credo che tu non abbia mai considerato Lifaen solo perché
pensavi ancora a Murtagh, ma prova a pensarci davvero, ora. Provi
qualcosa per Lifaen? Non credo che tu non ti sia resa conto dei suoi
sentimenti prima d’ora, no? Anche a me è sembrato
così palese.
“Dici davvero?”.
Assolutamente. E, sai una cosa? Se non hai intenzione di dirgli niente,
allora lo farò io per te.
“Cosa?! Aspetta Saphira, non puoi!”. La dragonessa
si alzò in volo e uscì dalla grossa apertura sul
tetto fatta apposta per lei. Ellen imprecò, si
alzò, e cominciò a correre verso il castello.
Saphira era già sparita.
Saphira?
Si?
Stai davvero
andando a cercare Lifaen?, chiese Eragon.
No, sto
andando a caccia. Disse la dragonessa come se fosse ovvio.
Ellen corse fino in camera sua, dove trovò l’elfo
seduto, a leggere qualcosa.
“Saphira non è qui?” chiese col fiatone.
“No” rispose l’elfo stupito. Ellen
tirò un sospiro di sollievo. Prese un bicchiere
d’acqua e si sedette sul letto, bevendo avidamente.
“Ma tu sei rimasto in camera mia tutto il tempo?”.
“No” l’elfo sembrava divertito.
“Appena te ne sei andata sono tornato a casa mia, poi Saphira
mi ha detto di venire qui perché saresti arrivata fra
poco”.
“Davvero?” chiese Ellen indispettita.
“Già. Che cosa è successo?”.
“Niente, lascia perdere”. Ellen sospirò.
Si rigirò il bicchiere di vetro finemente lavorato fra le
mani. “Secondo Saphira ed Eragon dovrei dimenticare
Murtagh” disse tutto d’un fiato.
“Potrei dirti che sono saggi, ma sembrerei di
parte”.
“Infatti”. Ellen sorrise. “Non credo di
riuscire a dimenticare tanto facilmente, però forse, in
un’altra situazione, sarei stata molto felice della
dichiarazione che mi hai fatto”. Ellen guardò
Lifaen, posò a terra il bicchiere e si avvicinò a
lui. Posò una mano sulle sue labbra, sentendole morbide come
la seta. L’elfo trattenne il fiato, anche se non dimostrava
emozioni evidenti il suo cuore batteva più velocemente, come
dopo una folle corsa. Ellen gli diede un leggero bacio sulla guancia e
si ritrasse subito. Lifaen restò immobile, sorpreso, poi
sorrise.
“Per il momento questo è il massimo che mi sento
di condividere con te, Lifaen” disse Ellen alzandosi.
“E ora fuori dalla mia stanza”. Lo prese per un
braccio e cominciò a spingerlo fuori dalla camera.
Quando fu alla porta gli sorrise e si chiuse dentro.
Lifaen s’incamminò lungo il corridoio con le mani
dietro la schiena e lo sguardo perso nelle intricate decorazioni del
soffitto. Non era la prima volta che si innamorava nella sua lunga
vita, ma Ellen, e questo poteva dirlo senza alcun dubbio, era la
ragazza più strana che avesse mai conosciuto. Forse era
proprio questo ad affascinarlo di lei. Era imprevedibile. Non
desiderava forzarla, sapeva che parte del suo cuore era ancora in mano
a Murtagh, ma era sicuro che con il tempo anche lei si sarebbe
innamorata.
E poi,
si disse, Murtagh
è morto.
“Eragon! Eragon ma che cos’è questa
storia?!”. Orik si avviò correndo verso il ragazzo
che stava sellando Saphira.
“Dobbiamo andare. L’Impero si sta muovendo, i
Varden sono in pericolo” disse in fretta.
“Che cosa?! Quando?”.
“Non lo so, forse tra qualche giorno. Le truppe dei Varden
sono appostate al confine del Deseto di Hardac, nelle
pianure”. Eragon finì di sellare Saphira e
cominciò a caricarla di provviste per il viaggio.
“Perché non ci è stato riferito
prima?” chiese il nano furente.
“Oromis non ha voluto perché il mio addestramento
non è completo, ma io l’ho scoperto lo
stesso”. Orik era rosso di rabbia. “Preparati. Io
andrò a salutare Ellen”. Il nano annuì
e corse via.
“Saphira, aspettami qui”.
Fai presto,
Eragon. Per quel che ne sappiamo i Varden potrebbero essere
già sotto attacco.
Eragon si avviò veloce a palazzo e, dopo aver raggiunto il
corridoio giusto, bussò alla porta della stanza di Ellen.
“Si?”. Una voce soffocata giunse
dall’interno. “Arrivo”. Ellen
aprì la porta e sorrise, ma per poco.
“Perché hai quella faccia?”.
“Ellen, sto partendo”.
“Perché?”. Eragon spiegò in
fretta ogni cosa, e Ellen, ad ogni nuova informazione, rimaneva sempre
di più a bocca aperta. “Perciò sono
venuto a salutarti” concluse.
“Eh? A salutarmi? Non ti disferai di me così
facilmente, sai? Aspettami solo un secondo, devo almeno prendere le mie
cose e salutare Islanzadi”.
“Come? Io … credevo che saresti rimasta
qui”.
“E perché lo credevi?” chiese Ellen
mentre metteva tutte le sue cose in una grossa borsa.
“B’è qui ci sono tua madre, il tuo
popolo, c’è Lifaen e …”.
“E tu chi credi di essere in confronto a tutte queste
persone?” chiese Ellen divertita. “Sei mio amico
Eragon, molto di più che una madre che conosco appena e un
popolo di noiosi”.
“Noiosi? Perché non abbassi la voce?”
disse Eragon guardandosi intorno preoccupato. Ellen rise di gusto.
“Non ti preoccupare Eragon, se anche sentissero non gli
importerebbe”. Si mise lo zaino sulle spalle e disse:
“Dai andiamo”.
Ellen salutò velocemente Islanzadi, la quale fu davvero
fredda con Eragon per aver ricordato a sua figlia la promessa di
viaggiare con lui finché la guerra non fosse finita.
Nonostante questo li congedò con i dovuti onori e,
soprattutto, in fretta.
Insieme a Orik cominciarono a viaggiare, il primo giorno erano
già fuori dalla Du Waldenvarden. Entro tre giorni erano
arrivati alle Pianure Ardenti.
Scusatemi per il ritardo
con cui posto! E' che ho avuto alcuni problemi con Internet, ma vi
prometto che il prossimo capitolo lo posterò più
velocemente. A proposito, il prossimo è l'ultimo! *O*
Ruchan: ciao! Grazie per la recensione. In effetti Islanzadi e Brom non
ce li vedo molto nemmeno io, ma volevo che fossero due personaggi
già conosciuti, e uno doveva per forza essere un elfo (e
Islanzadi è l'unica elfa che incontriamo qui, a parte Arya),
l'altro invece mi è venuto in mente Brom forse solo
perchè mi sta simpatico. Comunque alla fine era
già deciso che non era una storia con un futuro ... u_u
B'è, comunque grazie ancora! Al prossimo capitolo! ^^
KissyKikka: Eh, mi dispiace, ma come vedi il nuovo aspetto di Eragon
è stata per Ellen una completa sorpresa. Sono contenta che
la parte dei doni ti sia piaciuta, mi sono scervellata per trovare
qualcosa per Ellen! XD Mentre quello di Lifaen era già
deciso da tempo u_u Comunque, nella seconda parte della fic, ci
sarà qualcosa di molto simile a quello che le gemelle hano
fatto per Eragon, e questa volta Ellen non se lo perderà, te
lo prometto (anche perchè l'ho già scritto XD).
Grazie per la recensione, al prossimo capitolo! :)
Grazie a tutti i lettori, alla prossima,
Patty.
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Capitolo 18 *** Il ritorno dell'amore ***
Capitolo
diciotto: Il ritorno dell’amore
L’esercito
dei Varden si schierava sul versante sud, mentre l’esercito
Imperiale a nord. Erano in netta minoranza. Quando Eragon scese sulle
terre rosse che erano le pianure alcuni soldati lo indicarono e alcuni
impugnarono addirittura l’arco.
“Fermi! E’ Eragon Amazzaspettri!”
gridò qualcuno. Saphira atterrò sollevando una
grossa nube di polvere che fece tossire Ellen. Quando furono scesi e la
nube si fu diradata davanti a loro trovarono diversi soldati. Tutti si
inchinarono di fronte ad Eragon, che li ringraziò e chiese
loro dove si trovava Nasuada. Uno dei soldati li guidò
attraverso le tende, finché non giunsero in uno spiazzo dove
si trovava una tenda più grande delle altre. Il soldato
disse loro di entrare, anche se si stava tenendo una riunione.
Eragon scostò un drappo che copriva l’entrata e
sbirciò dentro. All’interno c’erano un
tavolo con diverse persone sedute attorno, fra le quali riconobbe
subito Arya. Eragon ebbe una contrazione allo stomaco ma poi fu
richiamato alla realtà da Nasuada.
“Eagon!” esclamò lei alzandosi dal
tavolo. Gli corse incontro e lo abbracciò. “ Sei
cambiato molto dall’addestramento degli elfi. Ellen,
è un piacere rivederti” disse la ragazza
abbassando leggermente la testa. Arya li salutò
cordialmente, senza tradire alcuna emozione.
“Nasuada” disse Eragon, “sono lieto di
essere tornato per poter adempiere al mio dovere. Combattere affianco a
te e ai Varden è l’unico motivo del mio
addestramento”.
“Ti ringrazio di averci preso in così tanta
considerazione Eragon Ammazzaspretti. Vorrei presentarti i nostri
alleati” e così dicendo Nasuada si votò
verso il tavolo e presentò loro Orrin, Re del Surda, e i
capi di alcune tribù nomadi di Alagaesia, alcuni dei quali
avevano la pelle nera come quella di Nasuada. Eragon, Saphira ed Ellen
salutarono tutti cordialmente.
“Eragon, vorrei parlarti un attimo in privato”
disse poi Nasuada gentilmente. Il ragazzo acconsentì e i due
cominciarono a camminare e a parlare. Ellen non sapeva bene
perché, ma sentiva che Nasuada non gli era ostile come
prima, quando l’aveva ‘conosciuta’ nel
Farthen Dur. Arya diede istruzioni ad un soldato perché
desse a Saphira da mangiare e a Ellen una tenda, poi, ripensandoci,
disse che per ora avrebbe potuto dormire nella sua. Ellen rimase
sorpresa da quella concessione. Non le pareva che Arya fosse una donna
molto espansiva e si preoccupò un po’ per quel
gesto.
Forse si
sente in dovere di farlo perché ora sa che siamo sorelle
… sorellastre, disse a Saphira.
Può darsi, ma non pensarla in questo modo. Potrebbe essere
un segno di affetto da parte sua. Forse vuole dimostrarti che lei ti
sente come parte della famiglia ora.
Forse
…
Dopo qualche minuto Eragon entrò nella tenda di Arya, dove
c’era anche Ellen.
“Dov’è Arya?” chiese trafelato
il ragazzo.
“Non lo so” rispose lei, incuriosita dal
comportamento del ragazzo. “Perché?”. In
quel preciso istante arrivò Arya.
“Eragon. Che cosa succede?”.
“Devi parlare con Nasuada, è totalmente
impazzita!” disse lui. Le due ragazze rimasero sbigottite.
“Come hai detto, prego?”.
“Nasuada ha dato il permesso agli Urgali di arruolarsi ai
Varden!”.
“Cosa?!” esclamò Ellen guardando Arya
per una conferma. “Ma è una pazzia! Che cosa
passava per la testa a Nasuada quando ha deciso questo?”.
“Non insultare il capo dei Varden, Ellen.” disse
grevemente Arya guardando Ellen con severità, “Per
quanto sia giovane quella ragazza è saggia e
scaltra”.
“Ma gli Urgali sono dei mostri! Non hanno il controllo
necessario per allearsi con qualcuno, vedrai che si rivolteranno contro
i Varden!”.
“Se Nasuada ritiene che sia giusta un’alleanza,
allora gli Urgali si uniranno a noi. Non potete mettere in discussione
il potere del capo dei Varden”. Di fronte
all’ultima affermazione sia Eragon che Ellen ammutolirono.
Aveva ragione, non potevano fare nulla contro una decisione di Nasuada.
Gli Urgali
possono essere dei validi alleati, disse Saphira pochi
minuti dopo, mentre camminavano per il campo.
Non credo
proprio!, esclamò Ellen.
Non
è giusto rimanere ciechi solo per razzismo. La cultura degli
Urgali è più vasta di quanto pensiate. Date loro
una possibilità. Sono sicura che saranno determinanti per
questa guerra.
Eragon non disse nulla. Per lui si poteva anche evitare che un gruppo
sparuto di mostri si unisse ai Varden. Avrebbero solo causato disordini
e panico fra gli uomini.
Il Cavaliere si guardò attorno. Tutti i Varden si stavano
preparando per l’imminente battaglia. Chi si allenava con la
spada, che si rifocillava, chi si metteva l’armatura.
Una nuova battaglia era alle porte.
“Oh no, Eragon” mormorò Ellen guardando
il cielo. Tutti e due gli eserciti, quello dei Varden e quello
dell’Impero, si erano fermati alla vista della grossa sagoma
che era comparsa in cielo. Un drago, rosso come le fiamme
dell’inferno, stava raggiungendo veloce il campo di
battaglia. Nel vederlo Eragon si era alzato in volo con Saphira, pronto
a battersi.
Un grido unanime da parte dei soldati imperiali diede loro nuovo vigore
e forza. Si buttarono contro i Varden con rinnovato impeto e scossero
le truppe nemiche.
In cielo, intanto, cominciava la battaglia fra i due draghi e i
rispettivi cavalieri. Eragon era già spossato per la
battaglia e non sarebbe mai riuscito ad avere la meglio contro
l’altro uomo, che era un guerriero molto potente e per di
più in forze. Ad una manovra complicata la spada
scivolò in mano ad Eragon e Saphira scese in picchiata per
permettergli di riprenderla. Poco prima che potesse arrivare a terra il
drago rosso, più piccolo di lei ma lo stesso molto forte, la
raggiunse e le sferrò una zampata sulla coscia. Saphira si
voltò con rabbia e riuscì a mordere il drago
sulla gola. Quello ruggì e si dimenò, ma Saphira
non lasciò la presa. Strinse più forte le
mascelle e scosse il drago. In quella, il cavaliere sul suo dorso cadde
a terra, ma non si fece troppo male, ed Eragon, per riprendere la
spada, lo raggiunse in fretta saltando giù dalla sella di
Saphira.
Ellen, dal campo di battaglia, vide cosa stava succedendo. I due erano
un po’ lontani ma poteva raggiungerli. Poteva aiutare Eragon.
Si districò dalla folla a forza di colpi di spada e di scudo
e cominciò a correre per raggiungere la collina dove stavano
i due cavalieri. Poteva vedere Eragon steso a terra e l’altro
Cavaliere, che si era tolto l’elmo, parlargli. Non
riuscì a vedere il volto dell’uomo,
perché era troppo lontano, ma le sembrò di
riconoscerne vagamente il profilo e la postura. Quando stava per
arrivare alla collinetta vide il Cavaliere voltarsi verso di lei e
rimettersi l’elmo. Raggiunse in fretta la cima della collina
appena in tempo per vedere il Cavaliere scappare. Eragon era ancora a
terra e si stava rialzando a fatica.
“Eragon muoviti! Possiamo ancora prenderlo!” disse,
e corse giù a rincorrere l’uomo.
“Aspetta!” gridò Eragon. Ma la ragazza
non le diede retta.
Ellen correva dietro al Cavaliere senza fermarsi. Stava perdendo fiato
in fretta. Sentì un ruggito di dolore provenire
dall’alto e guardò distrattamente la battaglia che
si svolgeva fra i due draghi. Ancora una volta Saphira aveva la meglio
sul suo avversario. Anche
io posso averla!, si ritrovò a pensare. Si
costrinse a correre più forte. I polpacci bruciavano e i
piedi protestavano per il dolore. In pochi secondi raggiunse il
cavaliere e gli si buttò addosso, bloccandolo a terra e
sedendosi sulla sua schiena.
Ellen tolse la spada dell’avversario dal fodero e la
gettò lontano, poi prese la sua e la puntò alla
gola del Cavaliere. “Non pensavo che un Cavaliere dei Draghi
fosse così facile da uccidere” disse ansante.
“Non usi una delle magie che ti ha insegnato Galbatorix,
eh?”. Ellen si alzò e voltò
l’uomo con la schiena al suolo, tenendolo fermo con un piede
premuto forte sul petto. “Traditore. Voglio vederti in faccia
prima di ucciderti”.
L’uomo cercò per scappare ma Ellen glielo
impedì. Prese l’elmo e lo sfilò.
Il suo cuore saltò parecchi battiti. La mano serrata sulla
spada si aprì lentamente e quella cadde a terra con un
rumore metallico. Ellen tolse il piede dal suo petto e
arretrò, quasi spaventata più che incredula.
“M …” cercò di parlare ma
riuscì solo ad emettere un rantolo sordo. Murtagh rimase a
terra a guardarla con tristezza. Si alzò a sedere e si mise
la testa fra le mani, guardando le goccioline di umidità che
si erano formate sull’erba.
“Io … non volevo che lo scoprissi così.
Forse se te lo avesse detto Eragon sarebbe stato meglio”.
La sua voce! Da quanto Ellen non la sentiva. Vellutata e dolce, ma non
come quella degli elfi. Aveva qualcosa di più terreno ma che
suonava sublime alle orecchie della ragazza. Era la voce che Ellen
amava.
La ragazza deglutì più volte. Aveva le braccia
stranamente molli, come tutto il resto del corpo. Era come se qualcuno
le avesse levate il senso del tatto. Senza sapere bene
perché si sedette affianco a lui sull’erba.
“Ciao, eh” disse.
A Murtagh scappò un sorriso. “Ciao. Che bello
rivederti”.
“Murtagh … cos’è successo
dopo che gli Urgali ti hanno portato da Galbatorix?” chiese
Ellen con un fremito nella voce. Non osava guardare il ragazzo in viso,
così teneva gli occhi puntati sulle mani.
“L’uovo di Castigo si è schiuso per
me” disse il ragazzo lasciando la frase in sospeso.
“Lui”, la voce di Murtagh si fece dura nel
pronunciare quella parola, “ci ha fatto giurare
nell’antica lingua”.
Ellen non cercò nemmeno di reprimere la risata amara che la
scosse. “Vi ha fatti giurare … perché
non ti sei rifiutato? Piuttosto che tradire Eragon avrei patito mille
sofferenze”.
Murtagh si voltò di scatto verso di lei, rabbioso.
“Credi che non ci abbia provato?! Eh?! Credi che mi piaccia?!
Galbatorix conosce il nostro vero nome, ci ha obbligati a giurare! E
ora … dobbiamo eseguire i suoi ordini. Tutto qui”.
“Quali sono i suoi ordini?” chiese la ragazza,
reprimendo le lacrime.
“Ha detto di cercare di uccidere Eragon. Io ho cercato, per
questa volta. Ma la prossima non sarà così
facile. Impartirà ordini precisi e non potrò
sfuggire”.
“Hai trovato una scappatoia?” chiese Ellen
incredula.
“Si. Non è stato molto complicato per questa
volta”.
Rimasero in silenzio per un po’, osservando ognuno dalla
parte opposta al compagno. All’improvviso Murtagh si
voltò verso Ellen, un leggero sorriso in volto che non
riusciva a reprimere.
“Però sono contento che sei qui. Se non fossi
così testarda non mi avresti mai seguito”.
Anche Ellen sorrise. “A volte può essere un
pregio”.
“Mi sei mancata”.
“Anche tu. Però devo ammettere che io sono stata
la più fortunata”.
“Questo di sicuro” disse Murtagh sospirando.
Accarezzò la guancia di Ellen, come faceva sempre prima, e
alla ragazza scappò una lacrima. “Non
c’è bisogno di piangere, sai?” la
informò il ragazzo.
“Io dico di si”.
“Ma come siamo diventati pessimisti”.
Murtagh si sporse e baciò delicatamente Ellen sulle labbra,
aveva uno sguardo sofferto, come se credesse che quello era
l’ultimo bacio. Alla ragazza scappò un altro
singhiozzo, le labbra premute contro quelle di Murtagh. Senza preavviso
si allacciò a lui e rimase lì, abbracciata al
ragazzo, sull’erba.
“Una … soluzione ci sarebbe sai?” disse
lui accarezzandole i capelli.
“E cioè?”.
“Vieni insieme a me” disse Murtagh velocemente.
Ellen sciolse l’abbraccio e lo guardò, stupita.
“Cosa? No, non posso! E cosa direi ad Eragon? Tu piuttosto
dovresti venire con noi!”.
“Non posso lo sai. Sono sotto giuramento”.
“Ma … allora …” disse la
ragazza cercando febbrilmente una soluzione. Qualcosa che le
permettesse di stare ancora assieme a lui, all’uomo che
amava. E probabilmente, pensò in quel momento,
l’unico che avrebbe mai potuto amare in vita sua.
“Ellen!” Murtagh la richiamò alla
realtà, “Vieni con me alla corte di Galbatoix.
Potremo stare assieme e … potresti aiutare Eragon da
lontano. Ma soprattutto, io sarò tutto il tempo
lì, e noi due …”.
“Tutto il tempo?” lo interruppe dubbiosa la ragazza.
“Tutto quanto” rispose Murtagh mettendole entrambi
le mani sulle guancie. Il ragazzo poté sentire la morbidezza
della sua pelle. Gli era mancata così tanto.
“Allora? Cosa ne dici?” chiese guardandola negli
occhi.
Fine
Prima Parte
Questa Fan Fiction non
è stata scritta a fini di lucro. Tutti i personaggi sono
fittizi e la maggior parte appartengono a Christopher Paolini, ideatore
della Saga dell’Eredità.
E la
prima parte è finita! Eh, ma come sono cattiva, vi lascio in
sospeso così XD ... lo so che mi tirerete dietro insulti di
vario tipo per questo, e avete pure ragione (lo farei anche io).
B'è comunque non so esattamente quando comncierò
a postare la seconda e ultima parte. La verità era che
volevo vedere se questa avrebbe avuto qualcuno che la seguiva, e
siccome questo mio desiderio è stato esaudito ovviamente
posterò la seconda! ^^ L'unico problema è che ha
ancora bisogno di qualche capitolo (anche se la trama ce l'ho
già in mente) e di un titolo decente. B'è, per il
link alla seconda parte controllate questa storia, così non
avrete problemi a trovarla!^^
KissyKikka: come vedi Ellen ha incontrato Murtagh molto più
velocemente di quanto ti aspettassi. B'è, che dire? Lieta di
averti stupita. Ma su una cosa hai ragione, Lifaen è
inquietante, e contro Murtagh non ha alcuna possibilità! XD
B'è, grazie di cuore per avermi seguita e recensita, e spero
che continuerai a farlo. Un bacione! ^^
Grazie a chi ha recensito, ai lettori silenziosi (in fondo non
m'importa che non recesite, prima non lo faceva nemmeno io), e a chi ha
messo la FF sulle Seguite o sui Preferiti. Grazie mille, mi avete dato
un motivo in più per impegnarmi a scrivere! Grazie davvero
con tutto il cuore :)
Un saluto a tutti,
Patty.
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