Legge Zero

di Ambaraba
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo Uno ***
Capitolo 3: *** Capitolo Due ***
Capitolo 4: *** Capitolo Tre ***
Capitolo 5: *** Capitolo Quattro ***
Capitolo 6: *** Capitolo Cinque ***
Capitolo 7: *** Capitolo Sei ***
Capitolo 8: *** Capitolo Sette ***
Capitolo 9: *** Capitolo Otto ***
Capitolo 10: *** Capitolo Nove ***
Capitolo 11: *** Capitolo Dieci ***
Capitolo 12: *** Capitolo Undici ***
Capitolo 13: *** Capitolo Dodici ***
Capitolo 14: *** Capitolo Tredici ***
Capitolo 15: *** Capitolo Quattordici ***
Capitolo 16: *** Capitolo Quindici ***
Capitolo 17: *** Capitolo Sedici ***
Capitolo 18: *** Capitolo Diciassette ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Legge Zero - Supernatural AU

    Popolo di Efp... Ben ritrovato! :)
Dopo una luuunga, lunghissima assenza, rieccomi qua con una nuova storia. Cosa esce fuori se si mescolano assieme una settimana di noia e influenza, un album dei Three Days Grace, una raccolta di racconti di Asimov e una maratona - lunga una notte intera - di Supernatural, riguardato per l'ennesima volta masticando orsetti gommosi? Be', un bel disastro, direte voi. E forse avete ragione >.< Però l'idea mi frullava in testa da un po' e, visto che da ammalata ho avuto un sacco di tempo libero, ho provato a metterla giù sotto forma di storia... Spero che il risultato non sia troppo indecente, e che magari vi piaccia anche un po' :) Ma prima di cominciare, meglio specificare un paio di avvertenze:
    • Gli eventi di questa storia si rifanno principalmente a quelli della nona stagione. Perciò, se non l'avete ancora vista, potreste incorrere in possibili spoiler: procedete a vostro rischio e pericolo... Io vi ho avvertito u.u
    • Mi impegnerò per aggiornare regolarmente, ma con una cadenza settimanale o bisettimanale. Questo perché, da qualche tempo, non dispongo più di una connessione domestica. Perciò, perdonate le lunghe attese, o i piccoli ritardi... Cercherò di tenervi informati, di volta in volta, sulle date degli aggiornamenti  - che saranno di più capitoli alla volta, come oggi :)  
Detto questo, vi lascio alla storia!
Saluti dalla vostra
A. ;) 

PROLOGO

Attivazione rilevamento danni... Avviamento scansione: 10%.

    C tanto dolore. Tanto, tanto dolore. E fumo, calore. Caos.
L
'impatto ha sicuramente procurato dei danni. Il sistema fatica a funzionare... Molti sensori non mandano alcun segnale: sono come morti. E quelli che ancora regiscono, purtroppo, non trasmettono buone notizie.

Rapporto parziale degli errori. Estensione del danno danno strutturale: 78%. Estensione del danno software: 56%. Autonomia residua: insufficiente.

    I sensori visivi sono scollegati, quelli uditivi sono stati distrutti dall'esplosione. I cavi scoperti sfrigolano e schioccano, l'alta tensione si scarica liberamente sul terreno circostante, scoppiettando come una pentola d'olio bollente. Le sensazioni tattili sono compromesse; non bastano, per ricavare sufficienti informazioni sull'ambiente esterno. Non c alcuna possibilità di stabilire con esattezza i parametri basilari - temperatura, umidità, posizione geografica e presenza di forme di vita nei dintorni.

Arto superiore destro: danneggiato al 37%.
Arto superiore sinistro: danneggiato al
62%.
Attenzione: si prega di intervenire al più presto per la riparazione degli errori. Urgenza: codice 4773.

    Il prototipo numero 100 avvia automaticamente le opzioni per tentare di ripararsi e risparmiare energia, ma l'autonomia del sistema sta calando vertiginosamente e presto non sarà più in grado di restare in funzione. E, siccome tutti i prototipi sono programmati per autopreservarsi in caso di incidente, il protocollo prevede che ora il prototipo 100 usi le energie residue per orientarsi e dirigersi verso il più vicino centro di riparazione. Sì, ma come? E dove?

Arto inferiore destro:danneggiato all'87%.
Arto inferiore sinistro: danneggiato al
98%.
Pericolo di surriscaldamento del sistema.

    I danni sono considerevoli. Invalidanti.
L
'androide non può spostarsi, qualunque sia il luogo su cui è così sgraziatamente atterrato. È cieco, sordo e muto; paralizzato e solo in un ambiente che non conosce. E, per quanto si sforzi di muoversi, il corpo sintetico in cui è imprigionato non si muove di un millimetro – ma il suo cervello funziona, la sua coscienza è attiva: e il contrasto è straziante. La macchina sbatte le palpebre, ma il buio che ha davanti agli occhi non si dissipa – tutto è buio e silenzioso; e, se l'androide avesse un cuore, forse chiamerebbe paura quell'improvviso smarrimento che aggredisce il suo sistema, mandandolo in tilt.
    Non voglio stare qui. Io non appartengo a questo luogo.
Tutto ciò che il prototipo 100 ricorda è un lungo sonno, sereno e tranquillo, interrotto da uno scoppio improvviso e dal devastante, bruciante impatto con un'atmosfera sconosciuta. E ora, ora...
    Ora c'è soltanto dolore. Sofferenza negli arti, sofferenza nel tronco di un esoscheletro mangiato dal fuoco e ormai inservibile; ma, soprattutto, sofferenza in una parte profonda che non può essere chiamata né
sistema, codice, software. Prototipo 100 è a pezzi, ma è speciale. Non solo perché fa parte di una serie di robot sperimentali prodotti con fattezze incredibilmente umane; ma anche, e soprattutto, perché gli è stata innestata una piccola variabile, una scintilla di volontà che lo rende una creatura esattamente a metà tra un uomo e una macchina – o forse no,
non è esatto: in realtà, non esiste davvero una scala su cui collocarlo. Perché ciò che rende speciale Prototipo 100, ciò che lo fa soffrire... È la coscienza di sé stesso.
    Non lasciatemi qui... Voglio andare a casa...
Le palpebre del prototipo sbattono ancora: poche lacrime scivolano dalle ciglia dei suoi occhi ciechi e si dissipano, rotolando sul suo viso annerito dalla fuliggine. Lui stesso non sa perché si verifichi, questo strano fenomeno; ma il suo creatore lo ha voluto così. Un ronzio sottile annuncia che il sistema sta per spegnersi definitivamente, e Prototipo 100 serra i pugni – o ciò che ne resta, - amareggiato e sconfitto. Se è vero che un robot è soltanto una scatola di latta e matematica, allora lui è qualcosa d'altro. Perché è disarmante e umano, il vuoto terribile che gli rimbomba nel petto: la paura dell'ignoto, della solitudine, del
nulla. O, come diremmo noi, della morte. Prototipo 100 si chiede che cosa ne sarà di lui, quando tutto sarà finito. Cosa accadrà tra pochi minuti, quando non avrà più energia per sostentarsi? Non esisterà più. Forse, sarà smontato e usato per produrre pezzi di ricambio per altri androidi. Forse invece il pianeta è disabitato e lui resterà semplicemente lì, gettato in un angolo come un giocattolo rotto. E col tempo, magari, la vegetazione salirà sui suoi resti e lo avvolgerà, almeno lei, tenera e compassionevole; rivestirà di vita quella sua carcassa inerme e terribilmente danneggiata fino a farla scomparire, dandogli così l'onore di una degna sepoltura.
    Protocollo 100 stringe forte le labbra e i suoi tristi occhi grigioverdi, mentre la strana sostanza salina continua a scivolargli sulle guance. Non immaginava che fosse così, il risveglio. Gli avevano detto che prima o poi sarebbe stato liberato, ma non credeva che avrebbe fatto tanto... Male...

Autonomia esaurita.

    Silenzioso e immobile, l´androide richiama alla mente il sole, la luce, gli animali e tutte quelle cose splendide e straordinarie che il suo creatore gli ha dolcemente raccontato mentre lo costruiva, e che lui avrebbe voluto così tanto vedere. Forse, se si distrae, il nulla farà meno paura. Forse... Riuscirà a dimenticare quanto si sente perso.  

Attenzione: spegnimento!
Atten---

   Buio.
C'è tanto, tanto dolore.

Fa sempre male, quando si viene al mondo.


***

Dedica

• Vorrei dedicare questa storia alla mia amica – e bravissima autrice, - Mia Novak, conosciuta proprio grazie ad un fortunato incrocio di storie qui su Efp. Sono in ritardissimo con la lettura e la recensione degli ultimi capitoli della sua storia e... Be', dovrò pur farmi perdonare in qualche modo, no? ;) Mia, se stai leggendo... So che la fantascienza non è il tuo genere – nemmeno il mio, a dire il vero, - ma stiamo a vedere :)

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Capitolo 2
*** Capitolo Uno ***


Capitolo 1 - Inizio

CAPITOLO UNO.

    «Dannazione!»
Dean entra nel locale – o per meglio dire, fa irruzione, - sbattendo rabbiosamente un pesante zaino militare sul bancone. Lo seguono, a passo più calmo e composto ma con la stessa espressione amareggiata, Castiel e Benny. Quest'ultimo ha, come Dean, l'aria di qualcuno che avrebbe bisogno di una doccia, di cibo e di qualche ora di sonno. Ma il massiccio ex-Marine è bravo a mascherare le sue necessità, soprattutto per il bene di una missione. E poi, quando le cose vanno male, dev'esserci sempre qualcuno a mantenere la calma nel gruppo e a ricordare a tutti, Dean per primo, che la collera non è una buona consigliera.
    Da dietro il bancone, Bobby accoglie l'entrata burrascosa dei tre senza scomporsi troppo.
    «Buongiorno anche a te, Dean,» dice, col suo solito tono burbero e un certo sarcasmo. «Dalla tua espressione felice, deduco che l'operazione sia andata a puttane.»
La luce bluastra dei led getta ombre iridescenti sul volto stanco e provato del giovane.
    «Oh, molto più che a puttane... Diciamo pure che è stata un totale fallimento,» commenta infatti il Winchester, stizzito. «Eravamo dentro, c'eravamo quasi... Ma le guardie di Metatron ci hanno scoperti e hanno attaccato la base. Dev'essere scattato qualche stupido allarme... Abbiamo avuto uno scontro a fuoco con quei figli di puttana, e per fuggire siamo stati costretti a provocare un'esplosione. Metà base è saltata in aria, ma non siamo riusciti a recuperare i prototipi... Mi serve qualcosa di forte,» sbraita, allungando le mani per versarsi del whisky. Accanto a lui, Castiel siede silenzioso e pallido ma quasi impassibile, tranne che per una leggerissima righina di preoccupazione tra le sopracciglia.
    «È vero, noi non abbiamo i prototipi... Ma nemmeno Metatron,» aggiunge Benny, con un sospiro. Apre e chiude lentamente la mano destra, grossa e forte - come tutto di lui, del resto. Qualcosa scintilla, sotto la pelle squarciata del palmo: è metallo. Il suo braccio destro, dal gomito in giù, è stato ricostruito con una lega praticamente indistruttibile, dopo un combattimento finito male. «Io non lo definirei proprio un fallimento... Piuttosto, una vittoria a metà. Possiamo sempre organizzare delle squadre per recuperare gli esemplari perduti,» propone, calmo e ragionevole, dando una pacca sulla spalla di Dean: un gesto familiare, pieno di quella solidarietà che naturalmente si instaura tra commilitoni. Per anni hanno combattuto assieme nella Marina militare - finché è esistita. Dopo il Terzo conflitto mondiale, però, entrambi hanno lasciato l'esercito per arruolarsi nella Resistenza, in difesa degli uomini.
    Ora vivono costantemente ricercati - sia dalla polizia che dalle guardie di Metatron. Questo significa che devono vivere principalmente di notte, come clandestini. Trascorrono settimane e mesi interi progettando attacchi, combattendo e sabotando le basi nemiche. Tutti gli esseri umani sopravvissuti al Terzo conflitto, ormai, vivono così: sacrificando le loro vite per la libertà e accettando un'esistenza di lotta senza pause, senza rese, senza tregua.
    Bobby ascolta scuotendo la testa - e, anche se la visiera del berretto proietta un'indecifrabile ombra scura sui suoi occhi, Dean non ha bisogno di guardarlo per sapere che ha le sopracciglia aggrottate.
    «Sarà dura,» commenta il più vecchio. «Quel figlio di puttana ha occhi e orecchie dappertutto. Dovrete sbrigarvi, se volete trovarli prima di lui.»
Soltanto ora, posando i begli occhi azzurri sul profilo corrucciato di Dean – intento a versarsi un secondo bicchiere, - Castiel prende finalmente parola.
    «Faremo del nostro meglio, batteremo palmo a palmo tutta la città. Abbiamo bisogno di attivare quegli androidi... Sono stati progettati da Chuck, e potrebbero rivelarsi fondamentali per aiutarci ad abbattere la dittatura di Metatron. Ci servono tutti gli alleati possibili,» spiega l'androide. È l'unico umanoide presente in quel momento, nel bar clandestino di Bobby - scavato sottoterra e rivestito con le spesse pareti di un bunker per sfuggire ai rilevamenti termici dei robot di Metatron. Sia Bobby che Dean e Benny sono esseri umani in tutto e per tutto, mentre Castiel... Castiel è un'altra cosa. Lui fa parte di quella schiera di androidi con fattezze umane che si sono perfettamente inseriti nella società dopo la rivoluzione tecnologica. Esseri avanzatissimi, con una consapevolezza collettiva – quella di essere creature robotiche, - ma con una volontà e un carattere individuale. Ormai è quasi impossibile distinguerli dagli esseri umani, ad occhio nudo. E anche nei comportamenti, ormai Castiel si è umanizzato più di quanto sia disposto ad ammettere... Ma questo, ancora oggi, non impedisce a lui e Dean di avere saltuariamente qualche attrito.
    Dean si passa una mano sulla faccia, distrutto. Sono settimane che dorme nei ritagli di tempo, poco e male: la tensione per la battaglia lo sta logorando.
    «Dean, se per te va bene io andrei ad organizzare le pattuglie,» chiede Castiel, cortese e pacato come sempre. Nonostante gli sconvolgimenti degli ultimi tempi, su di lui non vi sono tracce visibili di preoccupazione o di stanchezza: è questo, forse, l'unico indizio evidente della sua natura di macchina.
    «Vai, vai...», lo congeda l'uomo, più bruscamente di quanto vorrebbe. «Io ho bisogno di dormire almeno un paio d'ore, sono stanco.»
Castiel si sofferma a scrutarlo per un attimo, indeciso. Dovrebbe davvero andarsene, come l'altro gli chiede? A volte, gli esseri umani dicono una cosa ma intendono esattamente il suo contrario. Forse, con quel tono imperioso, Dean gli sta dicendo che lo vorrebbe vicino... È così difficile capire i sentimenti, per un androide.
    «Va bene... Allora ci vediamo più tardi.» L'umanoide quasi lo soffia, congedandosi, per timore di disturbare l'altro con la propria presenza. Uscendo, urta contro Sam, il fratello minore di Dean, e a malapena riesce a guardarlo negli occhi per salutarlo.
    Il più piccolo dei Winchester conosce il fratello meglio delle proprie tasche, e già solo guardandolo seduto di spalle riesce a percepire la spessa coltre di tensione che lo avvolge. Bobby e Benny sono impegnati sul retro a nascondere le armi. I due fratelli, ora, hanno tempo per starsene seduti uno accanto all'altro e scambiare due chiacchiere.
    «Ehi, ho saputo quello che è successo. Come stai

    «Come devo stare?» Dean si stringe nelle spalle. Il whiskey rotea lungo le pareti del bicchiere, mentre se lo rigira tra le dita. «La missione
è andata uno schifo, e Castiel...»   
    «L'ho incrociato, poco fa. Aveva una faccia strana... Avete litigato?» Sam sa che c'
è qualcosa, tra l'androide e suo fratello. Un sentimento ha impiegato anni per svilupparsi, ma poche settimane per mandare completamente in crisi Dean. Non tanto perché Castiel ha le sembianze di un uomo – un bell'uomo, - ma perché... Be', Dean è innamorato perso di Cas, ma teme che siano troppo differenti per potersi amare davvero. Perché Cas è una macchina e, in quanto tale, non possiede sentimenti suoi: può soltanto apprenderli, così come ha appreso tutto il resto. E, ogni volta che gli sta accanto, Dean non può fare a meno di chiedersi se l'amore di Cas sia autentico oppure no. È qualcosa che prova davvero o che ha soltanto imparato a manifestare? È spontaneo, o è un sentimento appreso? Ormai i robot si sono umanizzati così tanto che ci si dimentica facilmente dei loro sistemi e dei loro circuiti... 
Almeno fino a quando non fanno qualcosa di indiscutibilmente sovrumano, come ad esempio tagliarsi inavvertitamente un dito senza sanguinare, oppure saltare gi
ù dal decimo piano senza farsi neanche un graffio. E allora, tornano le classiche domande: quanto in là può spingersi la volontà individuale di un robot? Quanto a fondo un androide può comprendere davvero sentimenti tanto umani come l'affetto, il desiderio, la condivisione?
... E soprattutto:
è possibile che un automa diventi così sofisticato da provare, in tutto e per tutto, i sentimenti e i pensieri di un uomo?
    «No... Credo. Anche se in realtà non te lo so dire. Non capisco quasi mai fino in fondo quello che succede tra noi,» ammette Dean, massaggiandosi stancamente le tempie. Il bar di Bobby
è cupo, le luci dei led virano sui toni del blu, del verde e del viola e non bastano a illuminarlo in modo allegro. Sono troppo fredde: e il locale, nell'insieme, sembra più un grosso acquario che un luogo di ritrovo. «Non riesco a mantenere sempre lo stesso atteggiamento, con lui. A volte sono tranquillissimo e mi fa piacere quando stiamo insieme; in altri momenti, invece, mi arrabbio per un nonnulla e me la prendo con lui,» continua il fratello maggiore, consapevole che il minore lo sta ascoltando. «Ma in realtà non ce l'ho con lui. Sono arrabbiato, sì... Ma col destino o come vuoi chiamarlo, per averci fatti così diversi... E forse incompatibili.» L'alcol brucia, nella gola, ma è un buon modo per ingoiare i pensieri amari.
    Sam guarda il fratello con uno strano misto di tenerezza e rammarico negli occhi.
    «Credo che non dovresti pensarci troppo. Sarà il tempo a mostrarvi se avete qualche possibilità oppure no. Ma non potete starvene tutti e due a farvi il broncio come i bambini... Non vi porterà da nessuna parte.»
    «
Lo so.» Dean quasi frantuma il fondo del bicchiere vuoto, sbattendolo forte sul bancone. «È solo che... Dio, quanto vorrei che avesse un cuore. Sarebbe tutto più semplice, non credi? Saprei che ciò che prova lo prova realmente, qualunque cosa sia. È più facile, tra esseri umani, no?--» Un istante prima di finire la frase, Dean si rende conto della gaffe che ha commesso, ma ormai è troppo tardi per rimangiarsi tutto.
    Sam abbassa lo sguardo. Il ricordo di Jess ancora lo tormenta, nonostante siano passati anni. Lei era umana, come lui, e aveva sposato la causa della Resistenza soprattutto per stare accanto a Sam, che allora combatteva attivamente accanto a suo fratello. Ma poi, la ragazza era morta in battaglia; e, da allora, Sam si era rifiutato di prendere di nuovo un
'arma in mano e si era ritirato a vivere di studio all'Istituto di ricerca, dove sviluppava nuove armi e strumentazioni per supportare i ribelli.
    «A volte non è facile nemmeno così,» mormora il fratello più piccolo, mentre la puntura conosciuta del rammarico lo pizzica nel petto. Non ha amato più nessuno, da allora... Quella parte di lui è morta con lei.
    «Ehi Sam!» Benny gli rivolge un cenno amichevole, dopo aver terminato di sistemare il magazzino assieme a Bobby.
    «Ciao Benny,» lo saluta il Winchester, dissimulando la tristezza con un lieve sorriso. «Che hai fatto al braccio?»
Il corpulento ex soldato scuote la mano con noncuranza, sorridendo.
    «Niente di che, dev'essere stato un proiettile.»
    «
Dovresti farti dare un'occhiata, comunque. Passa al centro riparazioni, più tardi,» gli suggerisce Sam.
    «Magari dopo.
Fra poco scatta il coprifuoco e ho promesso a Balthazar di aiutarlo a recuperare tre casse di munizioni nel Quartiere Vecchio. Fanno sempre comodo,» risponde Benny, infilandosi una vecchia giacca verde, ricordo del servizio militare, consumata dall'uso e dalle battaglie.
    «Sono troppo vecchio per queste cose,» borbotta Dean, sfinito dalla stanchezza e dall'emicrania, con la testa posata sulle braccia conserte.
    «Non dirlo a me,»
commenta Bobby, da chissà quale angolo sperduto di quel sotterraneo infinito.

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Capitolo 3
*** Capitolo Due ***


Capitolo 2 - il ritrovamento

CAPITOLO DUE.

    «Well, Billy Joe told me: "Well, everything's lookin' fine"... He got the place all secure, got the icebox full of wine... He said: "Now hurry on all and don't be late, I got three lovely ladies who just won't wait...»
    All'alba, Nuova Lebanon è sempre rossa di fuoco.
Dopo la Guerra, molte città si sono svuotate. Sono sorti nuovi centri abitati nelle campagne, e le persone hanno ricominciato a coltivare i campi per sostentarsi – anche grazie all'aiuto dei numerosi robot lavoratori, che si fanno carico dei lavori più pesanti. Tuttavia, la densità di popolazione si è enormemente ridotta, perciò si può viaggiare per ore e ore attraverso terreni deserti, radure incolte e lande desolate senza incrociare anima viva. L'alba e il tramonto sono i momenti più favorevoli per spostarsi, poiché le guardie armate di Metatron devono tornare alla base e fare rapporto, prima di darsi il cambio per dare inizio al coprifuoco. Quando quest'ultimo scatta, le strade vengono pattugliate e chiunque, umano o robot, rischia di essere preso per un ribelle e processato – se non, nei casi peggiori, eliminato sul posto.
    Garth ormai conosce le strade sicure come le proprie tasche. È abituato a spostarsi rapidamente, senza dare nell'occhio e canticchiando vecchie canzoni per farsi compagnia, per recuperare gli androidi danneggiati o abbandonati e portarli all'Istituto di ricerca - dove Charlie e Kevin li rimettono in sesto. Recuperare i robot non è solo un lavoro, per Garth: è una missione. Mingherlino e buffo com'è, l
'uomo ha capito presto di non essere adatto al combattimento in prima linea; ma, pur di aiutare i ribelli a infoltire le loro schiere e arruolare nuovi androidi, si
è gettato anima e corpo in questo ruolo.
    Il suo non è un compito facile. A volte, deve infilarsi in vecchie costruzioni pericolanti e mettere a rischio la propria incolumità, per recuperare gli umanoidi abbandonati o in difficoltà. Oppure, deve gettarsi in fretta e furia in uno dei nascondigli che ha disseminato lungo la strada, per sfuggire ai pattugliamenti a sorpresa. Certo, non è pericoloso come quello che fanno Dean, Benny o Castiel: ma, ehi, anche Garth Fitzgerald IV ha coraggio da vendere, a suo modo.
    «We'll do some down south jukin', lookin' for some peace of mind...*»
Qualcosa fuma in lontananza e Garth frena di colpo, facendo cigolare le sospensioni del vecchio pick up. Nella sua esperienza di ricognitore, l'uomo ha imparato a notare ogni minima anomalia nel paesaggio - ed è più che sicuro che, quando ha fatto quellla stessa strada all'andata, quel fumo non ci fosse. Perciò decide di scendere a controllare. Percorre qualche un centinaio di metri attraverso un terreno dove la vegetazione è cresciuta in modo selvaggio, e poi finalmente lo vede.
    «Ehi, bello,» esclama con un gran sorriso - anche se è quasi sicuro che l'automa non possa sentirlo, viste le pessime condizioni in cui si trova. «Hai davvero bisogno di una sistemata.»
Il lavoro di Garth è anche faticoso, perché quasi sempre gli androidi sono più alti e più pesanti di lui. Ma un po' alla volta, con pazienza e molte soste per riprendere fiato, alla fine il piccolo essere umano riesce a trascinare l'automa fino al pick up e ripartire, canticchiando di soddisfazione, alla volta dell'Istituto.

***

    «Benny, dovresti avere più cura di questo braccio, Dico sul serio.»
Charlie e il soldato sono seduti uno di fronte all'altra. Lui tiene l'avambraccio disteso di fronte alla ragazza, che
è intenta a riparare la protesi meccanica con gesti sicuri e precisi.
    «È già la terza volta in un mese,» gli fa notare la giovane dai capelli rossi. Benny si stringe nelle spalle e un sorriso ironico gli si allarga sul viso.
    «Che posso farci? Il pericolo
è il mio mestiere,» scherza. Charlie lo guarda di sottecchi scuotendo la testa con aria di lieve rimprovero.
    «Fra te e Dean non so chi
è più spericolato,» dice. A Charlie dispiace quando i suoi amici rimangono feriti in battaglia, ma un po' li ammira. È grazie a loro se i ribelli sono riusciti a resistere e restare uniti per così tanto tempo. 
    «Buongiorno ragazzi. Ehi, ciao anche a te, Benny.»
Garth fa il suo ingresso con un gran sorriso. La mimetica gli sta sempre troppo larga, ed è sempre coperto di terra e di polvere. «Mi servirebbe giusto una mano a scaricare il pick up. Non
è che mi aiuteresti?»
    «Certo,» risponde il guerrigliero, mentre Charlie finisce di suturare l'impianto. L'Istituto ha sviluppato dei laser in grado di uniformare perfettamente i tessuti umani con quelli robotici, cosicché le protesi diventano parte integrante del corpo e spariscono sotto la pelle. Pensate che la tecnologia
è così avanzata, e il risultato così perfetto, che è impossibile notare la differenza tra un bioimpianto e un arto vero, come nel caso di Benny. Che, senza fare alcuna fatica, si carica sulle spalle il corpo esanime dell'automa – il quale, ad occhio e croce, sembra essere sul metro e novanta di altezza, - e lo trasporta all'interno.
    «Però... È ridotto male.» Il commento proviene da Kevin, comparso sulla soglia del laboratorio per dare un'occhiata all'androide portato da Garth. Quando Benny distende il robot sul lettino, il gruppo gli si stringe attorno per osservarlo da vicino.
    «Già... È quasi un rottame. Non so se riuscirete a recuperarlo, ma credo che valga la pena fare un tentativo.» Garth lo osserva con una punta di compassione. A dispetto della maggior parte delle persone, Garth non ha pregiudizi di alcun tipo verso gli androidi e li considera come esseri umani. Ne conosce molti, e con alcuni condivide persino qualcosa che somiglia molto ad un'amicizia. Sa benissimo che c'è una grossa differenza tra umani e umanoidi: ma chi può dire se i robot ormai non siano così evoluti da aver sviluppato una loro sorta di anima?
    «Faremo del nostro meglio,» assicura Charlie, anche lei impietosita. E, prima che possa rendersene conto, allunga una mano per accarezzare il volto del robot - con ancora impressa quell'espressione così persa, così sofferente... Così umana. 

*Down South Jukin', dei Creedence Clearwater Revival. 

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Capitolo 4
*** Capitolo Tre ***


Capitolo 3 - il risveglio

CAPITOLO TRE.

    «Le impostazioni di base sono state ripristinate... Ora il sistema dovrebbe essere di nuovo in grado di avviarsi.»
    «Proviamo a dare energia?»
    «Vai.»


    L'attimo prima non sei, e l'attimo dopo sei di nuovo.
Il ritorno alla coscienza è come una frustata, uno schiocco forte nelle vertebre; ma nulla di più.
Non c'è pena, non c'è dolore. C'è solo...
Sollievo.


    «Ehi...»
Due paia di occhi lo scrutano, sono sopra di lui.
    Prototipo 100 si sorprende di riuscire a vederli, perché, quando il suo sistema si era arrestato, i suoi recettori visivi, uditivi e tattili erano fuori uso. Ora, invece, i suoi occhi e le sue orecchie funzionano – anche se la luce gli dà fastidio e gli sembra di udire un ronzio continuo, in sottofondo. L'umanoide, a poco a poco, realizza di essere sdraiato su una specie di lettiga in un posto che non conosce. Nel suo campo visivo ci sono un soffitto color crema e una grossa lampada da sala operatoria. Due figure in camice bianco sono chine su di lui: una ragazza dai capelli rossi, che sorride, e un ragazzo dai lineamenti asiatici che lo osserva con curiosità.
Prototipo 100 non conosce nessuno dei due. Per quanto si sforzi, non riesce ad associare i loro volti ai dati della sua memoria. E comunque, è ancora troppo intontito per provarci davvero.
    «Ben svegliato,» lo saluta il giovane asiatico. L'androide si sta ancora riattivando, a fatica. I processi del suo sistema si mettono in moto lentamente, e passa qualche minuto prima che riesca a recuperare l'uso del linguaggio e a formulare delle parole. È come se ogni singolo muscolo, ogni singola fibra del suo essere fosse ancora addormentato. Nelle condizioni in cui si trova, i dati non possono scorrere a pieno regime: è troppo debole.
    «
Cosa...» Il caricamento è persino più lento del previsto. Prototipo 100 è confuso; istintivamente vorrebbe portarsi una mano sulla tempia, ma non riesce a muoversi. I suoi centri motori sono ancora danneggiati o scollegati; il sistema invia l'ordine al corpo di muoversi ma nessun arto risponde all'appello. La scoperta riempie il robot di una rapida ondata di panico.
    «
Dove sono...? Chi siete...? ...Cosa e successo?» L'androide sbatte le palpebre, disorientato. Quel piccolo gesto è tutto ciò che riesce a fare; come ha potuto ridursi così?
Come se si fosse accorta del suo stato d'animo, è la ragazza a prendere la parola per prima tenendogli una mano sulla fronte, come per confortarlo. Il tono con cui gli parla è tranquillo e scandisce lentamente le parole, per dargli modo di processare un'informazione alla volta.   
    «Piano, piano, va tutto bene. Allora, questo è il reparto riparazioni dell'Istituto di Ricerca per l'Intelligenza artificiale. Io sono Charlie e questo è Kevin, e ci occupiamo di riparare i robot danneggiati, come te.» I due ragazzi non sembrano ostili. Dopo qualche istante di esitazione, l'androide deve arrendersi all'evidenza. Che siano amichevoli oppure no, non è in condizione di difendersi o di fuggire; perciò, può soltanto sperare che siano pacifici come sembrano.
    «
Non abbiamo ancora finito di ripristinarti,» aggiunge il ragazzo. «Ma, come avrai notato, ti abbiamo ricollegato i sensori visivi, olfattivi e uditivi... Ora, dobbiamo sistemarti gli arti inferiori e superiori e poi riparare i danni del ceppo vertebrale, oltre che quelli superficiali. Attiveremo per ultimi i recettori tattili, così non sentirai troppo male.»
Prototipo 100 vorrebbe poter tirare un sospiro di sollievo. Allora aveva ragione il suo creatore, quando gli diceva che c'erano tante brave persone nel mondo, là fuori... 
La sensazione di panico si attenua, nel giro di qualche istante, sostituita da un forte sentimento di gratitudine.
    «Non so perché lo fate...», articola il robot, vincendo l'intorpidimento generale che gli offusca i pensieri, «... Ma
grazie.»
Il giovane – Kevin – esce per un attimo dalla sua visuale.
    «Ci ringrazierai dopo, uhm--» Attimo di esitazione. «Sulla tua scheda tecnica sei registrato con due nomi:
Prototipo 100 e Gadreel. È un fatto piuttosto insolito...», commenta il ragazzo, leggendo da un piccolo schermo luminoso. «Come vuoi che ti chiami?»
    Il sistema del robot mette assieme qualche stringa di codice in più per permettergli di sorridere debolmente, anche se questo vuol dire spendere ulteriori energie - preziosissime, nelle sue condizioni. Ma la domanda lo ha rassicurato: se si interessano delle sue preferenze, probabilmente quei ragazzi lo rispetteranno e avranno cura di lui.
    «Io... Preferisco Gadreel. Il mio creatore... Mi ha... Chiamato così.» Parlare è sempre più faticoso: si sta stancando, non potrà reggere ancora per molto.
    «Il tuo creatore?», chiede Charlie, inclinando leggermente il capo. Il gesto le fa ondeggiare qualche ciocca di capelli ramata sulle spalle.
Gadreel chiama a raccolta le ultime forze per rispondere alla domanda implicita.
    «Sì... Si chiama...
Chuck...»
Il robot riconosce ancora un limitato catalogo di espressioni umane; tuttavia, indicherebbe senza dubbio come
sorpresa quella che vede dipingersi sui volti dei due scienziati, all'improvviso.
    «Oh cavolo,» esclama lei.
    «Dobbiamo dirlo a Dean,» ribatte lui.
    «Io... Non conosco--», cerca di dire Gadreel; ma si rende improvvisamente conto di aver già esaurito le energie minime per continuare a comunicare. È frustrante, pensa. Così ridotto, è poco più di un giocattolo.
    «Tranquillo, non è niente,» lo rassicura di nuovo la ragazza. «È un nostro amico. Magari potreste conoscervi, più avanti... Intanto, finisco di ripararti. Sarà una cosa lunga; sentiti libero di andare in stand-by se vuoi riposare un po', nel frattempo, ok? Quando ti sveglierai starai molto meglio, te lo prometto.»
    Gadreel non se lo fa ripetere due volte. È troppo, troppo stanco per restare con gli occhi aperti. Pensava di averli chiusi per sempre, soltanto poche ore prima, e invece ha ottenuto una seconda possibilità: ora può soltanto lasciare che i due giovani facciano il loro lavoro e lo rimettano in sesto.
Non c'è alcun bisogno che lui resti vigile, per questo.


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Capitolo 5
*** Capitolo Quattro ***


Capitolo 4 - Gadreel si presenta

  CAPITOLO QUATTRO.

    «È così, ti dico. Ci abbiamo parlato, ma non ricorda niente – a parte di aver dormito per molto tempo, prima di essere svegliato da una forte esplosione... Ma non ci sono dubbi.»
    «Dev'essere uno dei prototipi che si sono dispersi dopo il vostro attacco alla base di Metatron. Dice di essere stato creato da Chuck, e anche i dati nella sua matrice sembrerebbero confermarlo. È stato progettato almeno dieci anni fa, ovvero quando ancora la Robotics Industry era gestita da Chuck e non da Metatron.»
    «Be', sarebbe un bel colpo di fortuna. Chuck ha creato solo cose buone...»
    «Infatti, credo sia così. A me è sembrata una creatura sorprendentemente mansueta e docile. Credo che dovreste parlarci... Ne verranno fuori sicuramente delle cose molto interessanti. Ma andateci piano: non è ancora nel pieno delle forze.»

   
    Da qualche ora, Gadreel passa continuamente dal sonno alla veglia. È intrappolato in uno strano stato sospeso – ma i ragazzi gli hanno assicurato che è perfettamente normale, nelle sue condizioni. Il suo sistema lavora a sprazzi, alternando momenti di grande attività, in cui ripara da solo i propri crash, a momenti in cui riduce il consumo di energie al minimo per non danneggiarsi ancora.
    In questo momento, l'androide è quasi del tutto sveglio – se non fosse per quel fastidioso intorpidimento generale e quella... Stanchezza... - ma ha ancora molto bisogno di riposare. Il lettino è comodo e i due giovani ricercatori gli hanno dato una coperta sotto cui raggomitolarsi... Non potrebbe desiderare nulla di più.
Sta quasi per riaddormentarsi, quando sente la porta del reparto riparazione aprirsi. Così riapre gli occhi, si solleva lentamente a sedere e si scosta la coperta di dosso.
    Ci sono tre individui sconosciuti, con Charlie. Il primo ha corti capelli castano chiaro, occhi verdi e un velo ruvido di barba sulle guance. Ha l'aria dura e lo sguardo deciso del militare di lunga esperienza, indossa una giacca tattica di tela verde piena di tasche ed è pieno di armi che non si cura affatto di nascondere. Sprizza sicurezza da ogni gesto: è quasi aria di sfida, la sua. Il secondo uomo è di qualche anno più giovane: ha capelli castani più lunghi rispetto al primo e anche la sua espressione è decisamente più cordiale. È il più alto del trio. ma non risulta minaccioso, anzi. Accenna un sorriso, entrando: è l'unico che se ne cura. L'ultimo sconosciuto è più difficile da decifrare. Sul metro e ottanta, capelli scuri, occhi azzurri e pelle chiara; mantiene un atteggiamento neutro e prudente, come per non esporsi troppo. Qualcosa in lui è familiare e allo stesso tempo estraneo, per Gadreel: ma proprio non riesce a capire di cosa si tratti.
    «Ehi, ciao Gadreel,» lo saluta la ragazza, disponendosi tra lui e il terzetto. «Come ti dicevo, ti ho portato alcuni miei amici. Loro sono Dean», indica il militare, «Sam,» il ragazzo coi capelli lunghi, «e questo è Castiel. Anche lui è un androide, come te.»
    Gadreel sposta lo sguardo sui tre, curioso. Soltanto dopo qualche istante si rende conto di non aver ancora spiccicato parola; così raddrizza la schiena, rilassa le spalle, sorride.
    «Piacere di conoscervi.»
    «Piacere di conoscere te, fratello. Come ti senti?», chiede Castiel. Ha accennato un sorriso, alla parola fratello.
    «Molto meglio, ora,» risponde Gadreel, guardandolo negli occhi. Non ha mai visto un altro come lui, vorrebbe fargli una marea di domande ma ha a malapena il tempo e l'autonomia per sostenere una piccola conversazione – e poi teme di sembrare maleducato. «Credevo di essere morto... Ma poi Charlie e Kevin mi hanno rimesso a posto.» Lo sguardo chiaro dell'androide si sposta sulla ragazza. «Sarò eternamente in debito con voi,» aggiunge.
    Il militare, Dean, aggrotta un sopracciglio.
    «Morto? Gli umani muoiono. Le macchine si spengono e basta,» sbotta, seccato. Il commento gli vale un'occhiata di disappunto da parte di Castiel, che lo rimprovera - ma senza la minima traccia di astio.
    «Dean, sai benissimo che non è così. Non fare l'insolente.»
I due devono aver litigato, o qualcosa del genere. Ci sono molte cose non dette, tra loro due, questioni che non hanno risolto. A Gadreel, nonostante la poca esperienza, è bastato guardarli un attimo per capirlo.
    Il ragazzo alto – Sam – si schiarisce la voce e prende parole, mentre i suoi due amici finiscono di battibeccare silenziosamente a suon di occhiatacce.
    «Allora, Gadreel... Charlie e Kevin mi hanno detto che non ricordi quasi nulla di ciò che ti è successo. È così?», chiede, con gentilezza. Sam ispira tranquillità... Come Chuck.
    «Sì. Sono stato dormiente, per un lungo tempo... Circa dieci anni, stando ai miei riferimenti temporali interni,» è la risposta.
Dean e Castiel ora sembrano di nuovo interessati a lui; Dean se ne sta a braccia conserte per ribadire il suo tacito dissenso, però.
    «E cosa sei?», chiede, brusco – come, a quanto pare, sembra essere sempre.
Gadreel solleva un sopracciglio e stringe gli occhi, confuso.
    «Non capisco,» ammette.
Dean lo guarda riflettendo più o meno la sua stessa espressione.
    «Voglio dire, che funzione hai? Sei un robot ricognitore, pulitore, raccoglitore...», elenca, guardandolo negli occhi.
Per Gadreel, però, quella lista di termini non ha alcun significato.
    «Io... Credo ancora di non capire-- Tutti i robot hanno una sola funzione.» L'androide lo dichiara con decisione. È uno dei pochi punti fermi della sua esistenza, questo.
I tre visitatori, però, sembrano non esserne altrettanto convinti: prima lo fissano, poi si guardano a vicenda con aria interrogativa, poi lo fissano di nuovo. Così Gadreel, leggermente a disagio, si sente obbligato a spiegarsi, per dissipare ogni dubbio.
    «Il compito dei robot è proteggere l'umanità,» recita. Una sola frase, un concetto semplicissimo. Il motivo per cui è stato assemblato, la ragione della sua vita, il motore dietro ogni sua azione. Gadreel è un guardiano e un custode, così come lo sono tutti gli altri robot---
... O no?
Dean spalanca gli occhi verdi e lo osserva, perplesso.
    «Mi sa che ti sei perso dieci anni di storia contemporanea,» commenta. E poi, rivolto a Charlie e Kevin: «Non lo avete ancora aggiornato, vero?»
I due ragazzi scuotono la testa. «Non ancora,» risponde Kevin.
    «Aggiornato su cosa?» domanda Gadreel, dubbioso, spostando lo sguardo su ognuno dei suoi nuovi compagni.
È Castiel a mostrare più empatia nei suoi confronti. Posa una mano sulla sua spalla e lo guarda negli occhi, gli parla con calma e serietà.   
    «Molte cose sono cambiate, fratello. C'è stata una grande guerra, tempo fa, che ha cambiato la geografia del mondo. Dopo un breve periodo di pace, un ingegnere di nome Metatron ha preso il potere e ha instaurato una dittatura, e uomini e robot sono rimasti coinvolti in una guerra civile che dura tuttora... Ci sono eserciti di androidi e di esseri umani che si danno battaglia, oggi: chi uno accanto all'altro, chi uno contro l'altro.»
    Lo sbigottimento sul volto di Gadreel si trasforma rapidamente in incredulo orrore, mentre il suo simile gli parla. «Vuoi dire che... Ci sono androidi che combattono? Uno contro l'altro...? E addirittura contro degli esseri umani...?»
    È impossibile, pensa l'androide. Questo va contro ogni etica--
Qualcuno gli infila una serie di cavetti sottopelle, dietro la nuca. È Kevin, che rileva i miglioramenti delle sue condizioni con uno strumento di diagnosi elettronica. Il macchinario emette una serie di piccoli, rapidi bip, mentre il ragazzo lo monitora.
    «Sì. Ma è molto più complicato di così, Gadreel. Aspetta di stare un po' meglio: con troppe informazioni, rischieresti il sovraccarico,» lo avverte il ricercatore, leggendo i valori sullo schermo.
    «Portatelo da mio fratello,» comanda Dean. «Ci penserà lui a dargli tutte le informazioni che gli servono... E poi potrà fare liberamente la sua scelta.»
    «Quale scelta?» Gadreel si era ripromesso di non fare troppe domande, ma proprio non può evitarlo.
    «Ti spiegherà tutto Sam più tardi. Ora, ragazzi, devo chiedervi di andare... Gadreel sta per esaurire di nuovo l'autonomia, deve recuperare le forze.» Kevin lo aiuta a distendersi di nuovo e il robot esegue. Si sente un po' scarico, in effetti...
    C'è un rapido scambio di saluti, poi Charlie riaccompagna di nuovo i tre uomini alla porta. Gadreel se ne sta raggomitolato su un fianco, con la testa posata sul braccio piegato e un misto di confusione e preoccupazione nel petto. Vorrebbe chiedere tante cose, farsi spiegare tutto subito, ma non ha sufficiente energia per prestare attenzione... I cavetti per la diagnosi formicolano, dietro il collo. Si sta riaddormentando di nuovo.
    Vorrebbe tanto chiedere a Chuck, ma chissà dov'è...

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Capitolo 6
*** Capitolo Cinque ***


Capitolo 5 - Il sogno

Piccolo omaggio musicale per questo capitolo: https://www.youtube.com/watch?v=Xanlcx0X2ho


CAPITOLO CINQUE.

Un sogno robotico.
Dieci anni prima.

    Attraverso le lunghe vetrate del laboratorio, le luci del tramonto filtravano delicate, confortanti e tiepide come una carezza. La luce rosso-dorata del sole si spandeva sulle superfici lucide dei tavoli, sui vetri, sui metalli, sui fogli di carta ricolmi di appunti, sulle attrezzature... E negli occhi sereni di un androide, come una sottilissima colata di oro liquido.
    Il laboratorio era deserto, a quell'ora. Tutti i ricercatori avevano finito il loro turno ed erano tornati ognuno alla propria casa, alla propria famiglia. Soltanto uno di loro era rimasto; perché il laboratorio
era la sua casa e la sua famiglia. E la sua ultima creazione... Dio, non aveva mai infuso così tanto amore in un pensiero.
    Chuck aveva amato alla follia quel robot fin dallo stadio primordiale, quando era ancora soltanto uno scarabocchio fermato su un foglietto durante la pausa pranzo. Un'idea accalappiata al volo, come una farfalla in un retino. Incredibile, vero? È straordinario quanto basti poco per cambiare il destino. A volte, una piccolissima frazione di secondo stravolge il corso della storia: la differenza tra un'idea persa e un'idea tramutata in realtà corre sulla linea fragile e delicata di un istante. E Chuck non solo aveva colto un'intuizione, ma vi si era dedicato anima e corpo per settimane e mesi, senza sosta, affinché diventasse qualcosa di concreto. Qualcosa di vero. E non esisteva piacere più grande per lui, in quanto inventore, che trascorrere del tempo migliorando la sua creatura e scoprendo, un po' alla volta, quanto potenziale avesse.
    Il laboratorio silenzioso, grande e vuoto com'era, sembrava una città abbandonata; ma se avessimo attraversato i suoi corridoi bui, se avessimo salito le sue scale, se avessimo teso le orecchie su uno dei suoi pianerottoli... Avremmo udito il tenue sibilo di un laser e le quiete chiacchiere tra due esseri che imparavano a conoscersi. E, se avessimo spinto appena una porta sul fondo di uno di quei corridoi, li avremmo visti: l'umano e la macchina, intenti a scambiarsi le prime informazioni sul mondo.
    Gadreel ricordava quella conversazione come se fosse appena avvenuta, e non l'avrebbe dimenticata mai.
L'androide sedeva tranquillo, con le gambe penzoloni, sullo stesso lettino su cui aveva preso vita - un pezzo alla volta, - nei mesi precedenti. Teneva lo sguardo rivolto fuori dalla lunga e alta finestra a nastro del laboratorio, e osservava il calare della sera con ammirazione e curiosità. Erano le prime volte che lo vedeva, - le prime volte in cui assisteva al tramonto con la consapevolezza di cosa stesse accadendo. Chuck gli aveva raccontato qualcosa sul sistema solare, sul trascorrere delle stagioni; gli aveva spiegato come il Sole riscaldasse il pianeta e permettesse sia alla Terra che ai suoi abitanti di continuare a vivere.
    Gadreel aveva assorbito ogni nozione come una spugna. Faceva molte domande, cercava di immaginare ognuna delle cose che gli venivano descritte anche se alcune erano fuori della sua portata. L'unico modo per conoscerle davvero sarebbe stato vederle di persona, pensava. E sorrideva, pensando al momento in cui finalmente avrebbe potuto trovare risposta alle sue
curiosità.
    A Chuck piaceva parlare con lui. Era un bel modo di passare il tempo mentre avvitava, riprogrammava, modellava. In quel momento, stava incastrando una dopo l'altra le vertebre meccaniche di una colonna vertebrale perfetta. La schiena dell'androide era aperta e vulnerabile, di fronte a lui che ne conosceva ogni piccola parte e ogni segreto, e quella vista lo faceva sentire orgoglioso e allo stesso tempo intenerito. Lo scienziato non poteva fare a meno di trattare la sua creatura con immenso rispetto e gentilezza; la assemblava con evidente attenzione nei gesti e, anche se la ragione gli diceva che ciò non era possibile, una parte di lui sperava che almeno una parte di quell'affetto, profondo e quasi paterno, riuscisse a filtrare nella meccanica e nelle giunture - che riuscisse a far risplendere di dolcezza e amore per la vita quella testa piena di processi e collegamenti.
    «Ci sono tante cose splendide al mondo, sai? Per questo va protetto. Perché è come una scatola piena di meraviglie: e sarebbe terribile se finisse rovesciata e il suo contenuto calpestato,» disse Chuck, mentre saldava accuratamente qualcosa dietro il collo del robot. Che ascoltava e sorrideva, felice di
esistere. Chuck era l'unico umano con cui era mai entrato in contatto, per forza di cose, ma gli piaceva. Era gentile e lo faceva sentire tranquillo, mentre si occupava di lui. Il robot si fidava ciecamente del suo inventore, e non avrebbe mai permesso a nessun altro di aprirlo e manipolarlo in quel modo. E poi, a Gadreel piacevano le belle storie che raccontava.
    «Puoi parlarmi ancora del mare?», chiese infatti, socchiudendo gli occhi. Era il suo modo per predisporsi a immaginare.
    Dietro di lui, l'uomo sorrise. Era stanco, ma anche soddisfatto. Sentiva che quella era, senza ombra di dubbio, la cosa migliore che avesse mai fatto: e ogni piccola richiesta spontanea che l'androide avanzava, ogni piccola curiosità, sembrava confermarlo. Quel robot aveva qualcosa di molto simile a una
coscienza: qualcosa che nessun manuale di robotica avrebbe mai potuto costruire. Ma Chuck c'era riuscito - e lo incoraggiava, in tutti i modi.
In qualche strano, miracoloso, imperscrutabile modo... Ce l'aveva fatta.
Gli aveva dato un'anima.
    «Il mare è grande e sconfinato, e ha nomi diversi a seconda dei paesi che vi si affacciano,» cominciò l'inventore. «Ci abitano tanti animali di tutte le forme e di tutti i colori, così diversi tra loro e così sorprendenti che nemmeno l'uomo più fantasioso potrebbe mai immaginarli...»
    «E allora, chi li ha creati?» La domanda affiorò spontanea sulle labbra sottili del robot.
    «Be', anche loro sono stati fatti da un creatore,» rispose Chuck. Rispondere a tutte quelle domande era divertente, era come giocare con un bambino. A Gadreel le risposte non bastavano mai.
    «Come te?», chiese ancora.
Chuck ridacchiò, mentre ripuliva accuratamente i circuiti completi prima di saldarli.
    «No... Uno un po' più importante,» rispose, ancora con un la lieve luce di un sorriso stampato sulle labbra. Intuì la piega che la conversazione avrebbe preso e si preparò. Se Gadreel avesse compreso anche quello, allora non ci sarebbe stato più alcun dubbio.
L'androide continuò imperterrito a fare domande.
    «E come si chiama?», insistette.
    «Molti lo chiamano dio, ma ogni cultura tende a dargli un proprio nome.» Chuck si fermò per un attimo. Si rese conto solo in quel momento che, spiegando le cose a Gadreel, era come se lui stesso le re-imparasse o le scoprisse per la prima volta. Il robot lo spingeva a dare spiegazioni, ad esaminare le questioni sotto punti di vista diversi, a riflettere su piccolezze su cui non si era mai soffermato e, soprattutto, a offire il proprio punto di vista personale sull'argomento di turno. Con la sua insaziabile voglia di conoscere, Gadreel obbligava Chuck ad uscire allo scoperto e a reinnamorarsi di quel mondo a cui apparteneva – e che l'umanità stessa stava inesorabilmente rovinando.
    «Come fanno i paesi con il mare?», domandò ancora Gadreel.
Chuck sorrise ancora, sovrappensiero, sfiorando con i polpastrelli quella pelle sintetica perfetta e quasi umana che aveva appena finito di richiudere. «Sì... Come il mare,» mormorò. Tastò la spina dorsale del corpo di fronte a lui, poi regolò l'intensità di un laser e si concentrò di nuovo sul proprio lavoro. «In effetti, Dio è un po' come il mare, sai. Immenso, vasto e insondabile. Pieno di meraviglie... Ma imprevedibile. E devastante, a volte. Come tutte le cose potenti.»
Gadreel ascoltava, attento. Rimase silenzioso per un po'. Intuiva che la faccenda fosse molto più importante di così, ma non sapeva ancora come esprimere alcuni concetti. Perciò, continuò a porre domande più semplici.
    «E lui ha creato gli animali... Come tu hai creato me?»
    «Diciamo di sì. Ma non solo gli animali. Anche le piante, gli uomini... E tutta la Terra, gli altri pianeti. Tutte le cose che esistono, insomma.»
    «E potrò vedere anche lui, quando uscirò?» La nota di eccitazione che comparve nella voce del robot sorprese entrambi. Chuck si grattò distrattamente la testa.
    «No... Cioè, Dio non si vede. O meglio... Puoi vederlo in tutte le cose,» disse. Ma la risposta risultava criptica anche a lui che l'aveva formulata.
    «Cioè?», chiese infatti Gadreel, aggrottando un sopracciglio e inclinando il capo da un lato.
Chuck gli accarezzò gentilmente la testa, come avrebbe fatto con un figlio.
    «Be'... Dio è una cosa troppo grande per avere una forma. Come il mare. E non puoi mettere il mare in un bicchiere, dico bene? Ecco, con dio è la stessa cosa. Anche se è troppo grande perche tu riesca a vederlo tutto... Però puoi intuire che c'è.»
    L'androide chiuse gli occhi. Non era abituato ad alcuni gesti che a volte vedeva compiere dall'umano, né credeva di comprenderne del tutto le motivazioni... Ma gli piacevano. Era piacevole, quando lo accarezzava sulla testa.
    «Quindi... Dio esiste perché ci sono i pesci?»
Chuck sorrise ancora.
    «Anche. Perché ci sono le cose. Perché c'è la bellezza, perché c'è la musica, perché c'è il bene tra le persone... Dio è in ognuna di quelle cose. Dio è ovunque ci sia meraviglia.»
    Gadreel si acquietò per qualche istante.
    «Non vedo l'ora di vedere com'è il mondo, allora,» dichiarò, e un sorriso si allargò sul suo volto.
    Chuck sentì il cuore espandersi fino a occupargli tutto lo spazio nel petto e anche di più. Provava una profonda tenerezza per quel suo strano figlio, nato dall'intelletto e dall'amore per la scoperta. Era la creatura più pura, sincera e limpida con cui l'inventore avesse mai avuto l'onore di confrontarsi... La più spontanea, la più gradevole, la più...
Buona. In Gadreel c'era uno spirito di amore e compassione che albergava soltanto negli angeli. E, ogni volta che lo guardava o parlava con lui, Chuck era diviso tra l'orgoglio di essere stato scelto per dare la vita a un essere tanto innocente e la preoccupazione per il destino che quest'ultimo avrebbe avuto. Gadreel gli ispirava sentimenti di affetto e protezione; ma Chuck non sarebbe potuto restare accanto a lui per sempre, a guidarlo e difenderlo...
    «Credo che ti piacerà. Forse non sarà esattamente come te lo aspettavi... Ma ci sono tante cose buone di cui avere cura, nel mondo,» disse lo scienziato, anche se faticava un po' a deglutire.
    «Tutte le belle cose di cui mi hai parlato?»
    «Sì.»
    «E in tutte quelle belle cose c'è un po' di dio?»
    «Sì...» L'inventore sbatté più volte le palpebre. «Sai... Anche tu sei una cosa bella,» aggiunse, senza smettere di accarezzare la sua creatura. «E nel mio piccolo, quando sarà giunta la mia ora non sarò più qui, sarò sereno sapendo di aver lasciato te a custodire tutto questo. Hai una grande responsabilità, Gadreel... E io ho fiducia in te.» Chuck si vergognava un po' del suo lato
sentimentale. Ma fortunatamente Gadreel non poteva vedere che aveva gli occhi lucidi.
    Tuttavia, un lieve sussulto scosse le spalle del robot, che riaprì gli occhi.
    «Che vuol dire "quando non sarai più qui"...?», chiese, leggermente allarmato. Aveva colto un'alterazione, nel tono del suo creatore, e si chiese a che tipo di sentimento fosse dovuta. Doveva essere qualcosa di molto simile alla
tristezza, pensò.
    Chuck sospirò. Era una domanda a cui prima o poi avrebbe dovuto rispondere, lo aveva sempre saputo. Ma questo non lo rendeva più facile. Inspirò rumorosamente, cercando di non lasciarsi troppo andare.
    «Gli umani non hanno pezzi di ricambio, Gadreel. Vivono per un po', ma poi devono lasciare il posto ad altri esseri umani... I quali poi lasceranno il loro posto ad altri, e così via. Nasciamo, cresciamo e muoriamo. È il ciclo della vita,» spiegò, anche se non era abbastanza.
    Fu in quell'occasione che Gadreel sentì i propri occhi inumidirsi per la prima volta. Per via di quella lacerante, opprimente sensazione di perdita che aveva sentito addensarsi nel torace.
    «Significa... Che mi lascerai da solo...?» Le sopracciglia si erano contratte, le palpebre bruciavano. E sentiva un peso, nella gola... Qualcosa di cui non riusciva a disfarsi.
    Lo scienziato chiuse gli occhi per un istante; poi si sporse verso la sua creatura e la abbracciò.
Gadreel sentì le braccia dell'umano chiudersi attorno al suo petto, lo sentì posare la testa sulla propria spalla e si voltò leggermente, coprì la mano dell'uomo con la propria.
    «Non sarai mai solo,» sussurrò Chuck, commosso. «In te c'è un po' di me. In ogni creatura c'è qualcosa del suo creatore-- E non dovrai mai sentirti solo, finché avrai memoria di me e mi farai vivere in ciò che di buono farai.» La voce gli si era incrinata, sulle ultime parole, ma non gli importava. Erano lacrime ben spese, per un momento così speciale.
    Il momento in cui lasciava in consegna il futuro nelle mani di un angelo.
L'androide aveva le guance bagnate. Una parte di lui si sentiva persa, un'altra era onorata del compito che gli era stato assegnato. Fu quest'ultima a rispondere, con orgoglio e commozione, alle parole dello scienziato.
    «Farò del mio meglio. Te lo prometto,» giurò, annuendo con decisione. Poi abbassò lo sguardo sul nodo delle loro mani giunte – padre e figlio, umano e meccanico, origine e derivazione, - e si stupì di trovarle così simili.
    Attraverso un ostinato velo di lacrime che gli offuscava ancora la vista, Chuck seguì lo sguardo del robot e studiò in silenzio la sua espressione. Allungò la mano libera per sfiorargli una guancia; e, quando la trovò umida, ebbe la conferma che quel miracolo era avvenuto davvero.
    «Conserva questo tuo buon cuore, Gadreel,» mormorò, con affetto.«È la cosa più importante che hai.»

Fuori era notte.

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Capitolo 7
*** Capitolo Sei ***


Capitolo Sei - Il passato

    Rieccomi qui, dopo molti giorni (sigh!) con due nuovi capitoli! ^^ Spero siano di vostro gradimento ^^
Approfitto di questo spazio per porgere un saluto particolare a Momoko, che sta seguendo questa storia con un interesse che mi ha sinceramente sorpreso...! Grazie infinite per il tuo punto di vista e per le tue recensioni :)
Detto questo... Buona lettura!
A. ;)

CAPITOLO SEI.

    La città cresce in verticale.
L'ala dell'Istituto in cui lavora Sam si trova sul punto più alto di Nuova Lebanon, e il panorama è mozzafiato. L'orizzonte, bagnato dal sole, sembra infinito. Campi verdissimi circondano l'agglomerato urbano e si stendono per chilometri e chilometri, fino a sparire nella luce chiara del giorno. E la città è una insolita commistione tra passato e futuro. Le strade portano i segni della battaglia: alcuni edifici sono diroccati, forse a causa delle esplosioni, e vi sono molte macchine che sembrano abbandonate da anni, con la carrozzeria rugginosa e i vetri rotti. Alcuni dei veicoli sono stati ammassati uno sopra l'altro fino a creare una sorta di muraglia compatta – a protezione della città, o per impedire agli abitanti di uscire? La domanda si forma spontaneamente nella testa di Gadreel, che osserva lo scenario con i palmi delle mani premuti contro i vetri delle finestre dell'Istituto – come se volesse toccare tutto, come se volesse imprimersi sotto le dita la texture di ogni cosa.
    «Ti piace?» Sam sorride, con la spalla poggiata alla parete, osservando il suo strano ospite con un certo divertimento. Lo ha lasciato libero di gironzolare in giro e di curiosare come più gli piace, senza alcun problema. Il ricercatore si aspettava di essere investito da una raffica di domande; ma a dire il vero, da quando è entrato, Gadreel ha parlato pochissimo: ogni volta che posa lo sguardo da qualche parte, infatti, trova qualcosa di sorprendente da osservare - ed è troppo preso a guardarsi attorno con gli occhi spalancati per poter parlare. È tutto così nuovo e speciale, per lui...
    «È... Strana,» risponde l'androide, con un sorriso quasi infantile, spostando lo sguardo sull'umano. «Ma bella. Affascinante. Come se... Come se fossero due città diverse fuse insieme, ecco.»
    Sam annuisce, scrutando quegli occhi grigioverdi - e insolitamente
vivi, per un robot.
    «Già,» acconsente l'uomo, raggiungendo l'androide e sistemandosi al suo fianco per poter guardare lo stesso panorama. «Una volta non era così, sai? Ma la guerra ha cambiato tutto... Anche questa città.»
    Gli occhi nocciola di Sam si riflettono nel vetro, mentre la sua mente ritorna alle immagini di un luogo molto differente seppure lontano, nel tempo, soltanto di una decina d'anni.
    «Soltanto pochi anni fa, questa era una metropoli piena di traffico, le strade erano sempre affollatissime. Poi ci sono stati i bombardamenti.. E anche la geografia, assieme alle persone, è cambiata fino a trasformarsi in qualcosa di completamente imprevedibile.» Gadreel ascolta in silenzio, spostando di tanto in tanto lo sguardo dalle strade a Sam, da Sam alle strade.
Il ricercatore continua.
    «Come puoi vedere, c
on il passare degli anni la natura ha rapidamente ripreso il sopravvento. Gli alberi hanno divelto l'asfalto, hanno scardinato le strade e le costruzioni e tutte le gabbie di cemento costruite dall'uomo; folte pareti di arbusti sono cresciute tra le crepe di ponti e autostrade, si sono arrampicate sulle facciate degli edifici e sui pali della luce, hanno creato astratte strutture sospese tra una palazzo e l'altro – strutture che gli umani, per sopravvivere, hanno cominciato a sfruttare come vie di collegamento.»
    È vero, pensa Gadreel, che sulle prime non li aveva notati. In effetti, ci sono delle specie di passerelle naturali, tra un palazzo e l'altro: sembrano corridoi di piante, nodosi e irregolari.
Sam continua a raccontare – in un modo che, all'androide, ricorda le storie del suo creatore Chuck e lo fa sentire immediatamente a suo agio.
    «
E così, tutta la popolazione ora sembra vivere in volo: la vita si svolge lungo brulicanti camminamenti vegetali, a decine di metri dal suolo, e nuovi negozi, abitazioni e attività sono sorte nei piani alti dei palazzi inverditi dalle piante. Interi quartieri si sono trasformati in giungle-cattedrali, ibridi perfettamente funzionali tra una foresta e una città. Le persone hanno imparato a muoversi in modo diverso, per sopravvivere: arrampicandosi, saltando, trovando modi originali di superare gli ostacoli. Per i bambini, è come una specie di enorme parco giochi a cielo aperto... E anche per mio fratello, a dire il vero,» aggiunge Sam, con un sorriso ironico. Dean adora arrampicarsi quasi quanto adora guidare e combattere - e quanto adora Castiel, anche se non è molto bravo a dimostrarlo. «Questa è, forse, l'unica conseguenza positiva del dopoguerra,» conclude l'umano, stringendosi nelle spalle.
    Gadreel trascorre qualche istante in assoluto silenzio, mentre piano piano le informazioni si sedimentano dando vita a nuovi interrogativi.
    «Tuo fratello è...
Dean?», chiede, infine. Si volta quasi del tutto verso Sam per studiare il suo viso – gli era sembrato, in effetti, che lui e quel soldato avessero qualcosa di simile, pur esssendo di indole tanto differente.
    «Sì,» risponde il ricercatore. «Lo so che non abbiamo molto in comune... Siamo quasi l'opposto, a dire la verità.» E proprio per questo abbiamo preso strade diverse, pensa; ma è un pensiero che decide di tenersi per sé.
    Passa qualche istante in cui i due si guardano negli occhi senza dire o fare nulla; poi è Sam a distogliere lo sguardo per primo. Non è più abituato a farsi guardare così a fondo; soprattutto, non da occhi così spericolatamente innocenti e sinceri come quelli di Gadreel.
    «Nostro padre John è stato uno dei primi a combattere per liberare gli esseri umani... Ma forse è meglio che ti spieghi tutto dall'inizio,» riprende a raccontare l'umano, per mascherare il lieve imbarazzo. Poi fa un cenno all'androide. «Seguimi.»
    C'è un grande schermo incassato nella parete, sul fondo della stanza, e una gran quantità di posti a sedere. Sam invita Gadreel ad accomodarsi e poi, quando il ricercatore preme un bottone, tutta una serie di immagini cominciano a scorrere. Persone che corrono, armi, marce, soldati e vetture militari. E una marea di volti, di nomi, di date: tutte risalenti al periodo che Gadreel ha trascorso dormiente.
    «Per circa cinque anni, le nazioni sono state scosse da un conflitto che, per portata e violenza, è passato alla storia come il Terzo conflitto mondiale. Al termine della guerra, le città si sono ricostituite e le persone hanno cercato di rimettere insieme ciò che era rimasto. I robot e gli umani sono diventati un tutt'uno, fondando le basi di una civiltà innovativa. I primi hanno aiutato i secondi senza risparmiarsi, per ricostruire il più velocemente possibile le città bombardate, e ciò ha definitivamente legato uomini e androidi da un reciproco sentimento di solidarietà.»
    Sam parla con una tranquillità che fa risuonare in Gadreel il ricordo della voce serena di Chuck. Il ricercatore lascia il tempo al robot per porre tutte le domande che vuole, se ne ha, ma Gadreel tace. Sullo schermo scorrono filmati e testimonianze scritte di ciò che è avvenuto in quei dieci anni che il robot si è perso; Sam gli fa vedere fotografie e ricostruzioni e ora, alla luce di tutto questo, l'androide sente di poter comprendere più a fondo il motivo per cui la città ha assunto quell'aspetto – segnato e selvaggio, come i suoi abitanti.
    Sam prende il silenzio di Gadreel come un invito a continuare. Perciò, lo fa.
    «Tuttavia, dopo qualche anno la situazione si è nuovamente rovesciata. Metatron, il capo della Robotics Industry, la maggiore azienda produttrice di robot, ha cominciato a cercare un modo di sfruttare gli androidi per i propri scopi. Ne ha prodotti nuovi modelli, programmati per combattere al suo servizio come una specie di esercito personale; e ora sta cercando di recuperare tutti gli altri, uno ad uno, per riprogrammarli e convertirli al suo regime. Li cattura con la forza e altera il loro sistema per portarli dalla sua parte. Per questo ora gli androidi vivono nascosti, assieme agli uomini. Anche loro, proprio come gli umani, vogliono restare liberi.»
    «Quindi tu e Dean combattete per gli umani e Castiel per gli androidi?», chiede finalmente il robot, senza staccare gli occhi dallo schemo.
    Sam gli posa una mano sulla spalla, annuisce.
    «Sì. Come ti dicevo, il primo a combattere fu nostro padre, John Winchester. Purtroppo, però, John ha perso la vita in battaglia, e la sua missione è passata nelle mani mie e di Dean... Soprattutto di Dean, se vogliamo dirla tutta.»
    «Tu non combatti?», è la domanda spontanea di Gadreel.   
    Lo sguardo di Sam si adombra appena.   
    «L'ho fatto... Per un po'. Poi sono successe delle cose, e...»
Jess: un pensiero, una spina ficcata nel cuore. Riuscirà mai a dimenticare il suo volto? Sam se lo chiede spesso nonostante sappia già la risposta. A volte, però, ignorare ciò che ci fa soffrire è molto più facile che affrontarlo direttamente. «... E niente, ho scoperto che combattere non fa per me. Così ho cominciato a lavorare qui all'Istituto, sviluppando nuove armi da consegnare ai ribelli... Per aiutarli.»
    In realtà sarebbe tutto molto più complicato di così, ma Sam non ha voglia di parlarne. E Gadreel sembra percepirlo, in qualche modo. Perciò non fa domande in merito, ma guarda Sam e
accenna un sorriso gentile - che, inaspettatamente, riesce ad addolcirgli i lineamenti duri.
    «Non c'è niente di male in questo, Sam,» lo rassicura il robot, scrutandolo con aria serena da dietro le belle iridi grigioverdi. «Dobbiamo fare ciò per cui sentiamo di essere stati fatti, o non saremo mai davvero liberi,» afferma convinto, con un tono comprensivo e calmo che rapisce completamente l'attenzione del giovane.
    «
Da quello che mi racconti, i robot ora fanno cose per cui io non sono stato programmato,» prosegue Gadreel. «Io non sono un combattente e sicuramente fallirei, se mi sforzassi di esserlo: perché starei facendo qualcosa che va contro la mia natura. Magari potresti aiutarmi a trovare un altro modo di rendermi utile, però... Come hai fatto tu,» propone, tranquillo.
    Sam lo guarda e si sorprende a sorridere a sua volta, di riflesso. Quello strano androide ha il potere di farlo sentire compreso: qualcosa che Sam non è più abituato a provare da anni, ormai. Poi Gadreel si volta di nuovo verso lo schermo, aggrotta leggermente le sopracciglia.
    «Credo di aver compreso, a grandi linee, ciò che mi hai raccontato. Ma c'è solo un particolare che non mi torna. Posso farti una domanda?», dice.
    Sam si lascia andare ad un sorriso molto meno sorvegliato, stavolta.
    «Me l'hai appena fatta.»
Gadreel socchiude gli occhi, assorto, incapace di cogliere la battuta.
    «Oh... Allora posso farne un'altra?», domanda di nuovo, ingenuamente.
Sam sorride ancora, scuote appena la testa.
    «Facciamo che puoi chiedermi tutto quello che vuoi, va bene?»
    «Prima hai detto che Metatron è il capo della Robotics Industry. Ma io so che il capo è Chuck,» dice Gadreel, prendendosi qualche istante per rimettere in ordine i pensieri prima di parlare. «E Chuck non lascerebbe mai che qualcun altro prendesse il suo posto e facesse--»
    Gadreel si blocca, le parole gli muoiono in gola. Già, non lo farebbe mai.
Chuck non avrebbe mai permesso un tale scempio – non se fosse stato presente al momento dei fatti.
    C'è una sola spiegazione, per tutto questo. Ma Gadreel non riesce nemmeno a pensarla, una cosa del genere, figuriamoci chiederla a voce alta.
    Senza bisogno che l'altro la formuli, Sam coglie la domanda rimasta sottintesa e non sa cosa dire. Si sorprende della facilità con cui riesce a leggere i pensieri di Gadreel, come se lo conoscesse da sempre. Come se i suoi... Sentimenti? - sì, chiamiamoli così: Sam è convinto che Dean sbagli, dando per scontato che gli androidi non provino proprio nulla – fossero un libro scritto in una lingua che l'umano riesce a capire quanto la propria.
    «Gadreel... Quando Metatron ha preso il potere, ecco-- Ci sono stati degli scontri. Delle battaglie che hanno causato moltissimi morti, sì, ma anche dispersi.» Non è facile riuscire a sintetizzare, quando si vorrebbe avere anche lo spazio per dire mi dispiace. «E Chuck è tra questi ultimi,» sospira il ricercatore. «Non posso dirti che cosa sia successo, perché a tutt'oggi nessuno può saperlo con certezza. È vero, il suo corpo non è mai stato ritrovato, ma...» Sam si schiarisce la voce, a disagio. «... È anche vero che in questi dieci anni non si sono più avute notizie di lui, perciò...»
    Gadreel tiene lo sguardo fisso davanti a sé, le ciglia dorate che tremano quasi impercettibilmente.
    «Perciò, probabilmente è--» Vorrebbe riuscire a dirlo, ma non ci riesce. Così, l'androide si alza, provocando un lieve sussulto di sorpresa da parte di Sam accanto a lui, e torna con passi misurati a fronteggiare la città attraverso la grande finestra dell'Istituto.
    Sam resta immobile a seguirlo con lo sguardo, impacciato, senza la minima idea di cosa sia giusto fare. Poi spegne lo schermo ormai inutile, si volta... E torna accanto al robot, in silenzio.
    La città è già grande di suo; ma ora sembra infinita, vista attraverso le pupille di Gadreel.
Il ricercatore gli lascia tutto il tempo necessario per riprendersi, standogli abbastanza vicino da fargli sapere che è là con lui, ma non da farlo sentire violato.
    E da quella mezza distanza, così attentamente misurata, un particolare su tutti emerge con prepotenza, scombussolando tutto ciò che l'umano ha creduto di sapere sugli androidi finora: Gadreel ha gli occhi lucidi.
    Ma i robot non piangono,
pensa Sam, incapace di dare un senso a ciò che sta vedendo. La Terra gira, gli uomini muoiono e i robot non piangono: queste sono le uniche tre certezze su cui si fonda il mondo dei suoi tempi.      
   Ma probabilmente sono sbagliate anche quelle.

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Capitolo 8
*** Capitolo Sette ***


Capitolo 7 - Androidi rapiti

CAPITOLO SETTE.

    «CASTIEL! CASTIEL--»
Con quelle gambette corte che si ritrova, è facile intuire che la corsa non sia l'attività preferita di Gabriel: e infatti è così. Ma, vista l'urgenza della notizia che deve comunicare – consegnare messaggi è il suo compito principale, - il piccolo umanoide sfreccia come il vento attraverso i corridoi della base dei ribelli, alla ricerca del loro leader. Il quale, ignaro di tutto, sta studiando delle grosse mappe sul tavolo della sala di comando, assieme a un manipolo di esseri umani capeggiati da Dean. In un modo o nell'altro, quei due riescono sempre a trovare il modo di stare assieme – anche solo per pianificare un assalto. Tutta la base si era accorta di quanto fossero attratti l'uno dall'altro prima ancora che loro stessi lo capissero...
Bah, che testoni, pensa Gabriel appoggiandosi alla parete, stanco per la lunga maratona.
    «Gabriel, che succede?», chiede Castiel, voltandosi e posando i luminosi occhi azzurri su di lui. Anche Dean solleva lo sguardo, teso. Quando qualcuno arriva così di corsa, non porta mai buone notizie.
    E infatti.
    «Le guardie di Metatron hanno... Puff! -- Hanno preso una squadra dei nostri!», ansima il piccoletto, sconvolto. «Li hanno catturati poco fa. La soffiata sulle munizioni era una trappola!»
    «Figli di puttana!» L'imprecazione riecheggia come lo scoppio di una bomba, accompagnata da un sonoro pugno sul tavolo. Dean è nero, nerissimo di collera, e le luci freddissime della base lo rendono ancora più minaccioso. «C'erano anche alcuni dei nostri, di supporto. Quanti ne hanno presi?», chiede – o meglio: sbraita.
    «Abbiamo perso cinque androidi, tra cui Balthazar e Samandriel... Alcuni degli umani sono rimasti feriti, ma Charlie e Kevin se ne stanno già occupando,» racconta Gabriel, preoccupato. Inspiegabilmente, pur non avendo quasi nulla in comune, lui e Balthazar sono grandi amici. «Anche Garth si era unito alla missione... Benny lo ha salvato per miracolo.»
    Castiel si aggira, inquieto, per la stanza.
    «Non possiamo abbandonarli così,» dice. «Dobbiamo subito organizzare una missione di recupero, e poi--»
    «E poi cosa? Chiediamo loro gentilmente di tornare con noi?», lo interrompe Dean, con una punta di amarezza nonostante il tono pungente. «Siamo troppo pochi, e Metatron li avrà già riprogrammati. Ci spareranno a vista, Castiel. Non siamo abbastanza forti da tentare una missione, adesso.»
    «E quindi dovremmo rinunciare? È questo che stai cercando di dire, Dean?» Castiel brucia i pochi passi che li separano e fronteggia il militare. «Solo perché non sono umani, credi che non valga la pena salvarli?» La rabbia che sprizza dall'androide è molto più umana di quanto Dean si aspetti: per un attimo la sua espressione vacilla e lui quasi indietreggia, preso alla sprovvista.
    «Non era questo che intendevo, Cas. Dico solo che siamo troppo pochi per poter provare alcunché, e lo sai anche tu. Voglio dire...» L'uomo allarga le braccia per indicare i presenti nella stanza. «... Siamo tutti qui. Tutti quelli che vedi.» Uno gruppetto sempre più sparuto di guerriglieri, ammaccati e stanchi. «Non siamo abbastanza.»
    Passata l'irritazione iniziale, Castiel è costretto a riconoscere che Dean ha ragione e la sua espressione si ammorbidisce. Non dovrebbe essere così precipitoso, lui che è una creatura meccanica e dovrebbe sempre avere il controllo sul proprio lato razionale... Ma gli umani lo hanno contagiato sempre di più, e a volte si ritrova ad agire senza pensare – proprio come loro.
    Quando il gruppo comincia a consultarsi per trovare una soluzione che vada bene a tutti, un'ulteriore voce si unisce al coro.
    «Buongiorno, cenciosi liberatori del popolo. Come va? Oh, non fraintendetemi: non sono qui per informarmi sul vostro stato d'animo, ma solo per sapere se ci sono aggiornamenti sulle ultime mission--»
    «CROWLEY!» tuona Dean, verso l'arrogante inglese vestito di nero. «Proprio tu-- Razza di bastardo, ci avevi assicurato che le nuovi protezioni sarebbero state infallibili, che ci avrebbero reso – come hai detto? "Praticamente invisibili"! E invece abbiamo perso altri cinque dei nostri, e altri ancora sono rimasti feriti!»
    «Ho saputo, sì,» risponde l'interessato, senza scomporsi troppo. È abituato ai toni di Dean Winchester. «Ma non è colpa mia se voi bertucce non sapete neanche usare gli strumenti che vi vengono dati,» commenta. E poi, rivolto soltanto al militare: «Se fossi intelligente almeno la metà di quanto sei maleducato, avremmo già vinto questa guerra.»
    «Tu...» Dean ha aggirato il tavolo per piantarsi saldamente di fronte all'uomo – o quasi tale. Tra le sopracciglia del soldato è comparsa quella righina verticale che tutti coloro che lo conoscono hanno imparato a temere, perché spunta soltanto in due occasioni: o quando la situazione è davvero molto critica e lui è seriamente preoccupato... O quando sta per staccare la testa a qualcuno. In entrambi i casi, se vedete quella righina tra le sopracciglia di Dean Winchester, accettate questo consiglio: scappate. «Finanzi Charlie e Kevin per progettare le armi migliori, le più efficaci, le più potenti... Ma caso strano, ogni volta che noi ce ne usciamo con qualche strumento nuovo, scopriamo che Metatron sempre è un passo avanti..!»
    In effetti, non ha tutti i torti. Crowley è uno dei pochi individui che sono riusciti ad attraversare i conflitti e la guerra civile con disinvoltura e senza danni. Certo, ha commesso qualche piccolo reato, per sopravvivere, ma... Ha i soldi, può fare quasi tutto: quindi, perché no?
    Tuttavia, i soldi non possono proteggerlo dall'ira di Dean. Anche Crowley conosce la minaccia dietro quella famosa righina, e subito alza i palmi delle mani avanti a sé, in cerca di un modo per attutire i toni.
    «Ehi, ehi, ehi! Mi stai forse accusando di qualcosa? Io non insinuerei certe cose, se fossi in te...» L'inglese infila le mani nella tasche del cappotto, solleva un sopracciglio. «Non esisterebbe nulla di tutto questo, senza di me. Accusandomi senza uno straccio di prova, stai praticamente sputando sul piatto in cui mangi.»
    Dean serra i pugni e la mandibola. Ha sempre avuto dei sospetti, su di lui... Ma sono rimasti sempre e soltanto dei miseri sospetti, purtroppo.
    «D'accordo...», ringhia il soldato, pericolosamente vicino. «Magari mi sbaglio. Magari sono paranoico... Ma se scopro che c'entri qualcosa, se scopro che stai facendo il doppiogioco--»
    Crowley deglutisce a fatica, cercando di mantenere il consueto
aplomb.
    «-- Giuro che te la faccio pagare. È chiaro?»
    «Ehi, che sta succedendo?» Sam, tolto il camice che indossa la maggior parte del tempo, compare sulla soglia della sala di comando con indosso abiti simili a quelli degli altri ribelli. C'è qualcuno, con lui – qualcuno che rimane un passo indietro, come se volesse proteggersi dietro di lui.
    «E tu che ci fai qui?» L'attenzione di Dean si sposta sul fratello, e Crowley tira un sospiro di sollievo. La stanza è decisamente più affollata, ora.
    «Ho finito il mio turno all'Istituto, e ho sentito che ci sono stati dei disordini... Cos'è successo?», chiede il minore dei Winchester.
    «Abbiamo perso altri dei nostri,» lo informa brevemente Castiel. Il quale, poi, si rivolge direttamente alla figura seminascosta, con un lieve sorriso: «È bello vederti da queste parti, Gadreel.»
    Quando viene chiamato per nome, timidamente l'androide si decide ad uscire dall'ombra.
    «Ciao a te, Castiel.» Poi si rivolge al capo degli umani, con il medesimo saluto. «E anche a te, Dean.»
    «Ho mostrato a Gadreel tutto quello che c'è da sapere,» spiega Sam, facendosi da parte. «E ha fatto la sua scelta.»
    L'androide esita, di fronte a tutti quegli occhi puntati su di lui. Non è mai stato al centro dell'attenzione, si sente a disagio. «Ecco, io... Vorrei offrirvi il mio aiuto, se per voi va bene. Ma... Non so come dire, insomma...» Sam lo guarda come per incoraggiarlo, e a poco a poco il robot trova la forza di proseguire, anche se ha paura di cosa gli altri penseranno di lui. «... Io non sono un combattente,» confessa infine, abbassando lo sguardo.
    Dean solleva un sopracciglio.
    «Gadreel, non voglio offenderti, però... Ti sei reso conto che la società di oggi si fonda principalmente sulla
guerra?» La domanda è retorica, l'ultima parola pesa come un macigno. Gadreel annuisce. Lo sa, lo ha capito bene. E sa di essere assolutamente inutile, in un mondo simile. Ma ciò che sta accadendo, ciò che è accaduto... E ciò che ha promesso a Chuck-- No, proprio non può tirarsi indietro.
    «Lo so, Dean.»
    «E come pensi di aiutarci, allora?
Facendo l'uncinetto?» Dean non vorrebbe essere così acido, ma è ancora arrabbiato per le ultime notizie e istruire i pivellini, in un momento come quello, gli sembra solo una perdita di tempo. «Scommetto che è stato Sam a riempirti il sistema di discorsi pacifisti. Ma la guerra non si vince con le parole, ci vogliono le armi--»
    «Guarda che io non ho fatto proprio niente,» lo interrompe Sam, piccato. «Gli ho solo mostrato la storia, tutto qua. Ma Gadreel è stato progettato
prima che scoppiasse tutto questo casino... La guerra non è nel suo sistema,» dice, un po' per difendere sé stesso e un po' per difendere il robot.
    Dean scuote la testa e alza le mani, stanco di discutere.
    «Ok, senti, facciamo che non è un mio problema... Ho altro a cui pensare, adesso. Gabriel, fai fare un giro al nuovo arrivato...» Ordina, con gli occhi posati sul fratello minore. «...E soprattutto, vedi se riesci a fargli cambiare idea.
Abbiamo bisogno di combattenti, qui, e non di aspiranti Mahatma Gandhi.»
    Sam stringe appena le labbra. Sa che quella frase, quella frecciatina sottile, in realtà è rivolta a lui e non al robot.
    Gadreel si rivolge al ricercatore, con aria confusa. Si è reso conto che Sam è teso, anche se non riesce a cogliere tutte le sfumeture.
    «Posso andare?» chiede.
Sam annuisce, cercando di mantenere un'aria tranquilla e distaccata – ma gli da sempre fastidio, quando Dean parla in quel modo.
    «Vai pure... Ci vediamo dopo,» dice, sforzandosi di congedare l'androide con qualcosa di simile a un sorriso.
    Il prototipo sparisce per i corridoi della base al fianco di Gabriel. Visti da dietro sono abbastanza buffi: il primo altissimo e solido e il secondo piccoletto e paffuto.
    «Sento aria di dramma familiare ed è esattamente il genere di cose che non sopporto... Perciò vi lascio sole,
ragazze,» li punzecchia Crowley, prima di sparire con la stessa rapidità con cui è arrivato. Castiel rimane in disparte. Ha sempre cercato di aiutare i due fratelli a riappacificarsi, quando questi litigavano; ma alcune discussioni ruotano attorno alla famiglia e al ricordo del padre John, e lui sente di non avere alcun diritto di dire la sua in proposito.
    «Sai che avremmo bisogno di due braccia in più, vero?»
Dean parla al fratello con un tono fintamente calmo che lascia intuire quanto ancora si senta offeso. Non ha mai mandato gi il fatto che Sam abbia smesso di combattere... Per come la vede lui, è stato solo un atto di codardia.
    «Lo so,» risponde Sam, con lo stesso tono. «Ma non tornerò sui miei passi. Né costringerò mai nessuno a fare qualcosa che non vuole.»
    Nella stanza cala il silenzio. Un silenzio di cose non dette e di accuse e di rimproveri, un silenzio in cui riecheggiano le parole di John e l'eco di tutte discussioni feroci che ci sono state tra i due fratelli, all'indomani della morte di Jess. Poi Dean annuisce con lentezza, un paio di volte, tenendo gli occhi fissi su Sam. Dagli occhi del fratello maggiore traspaiono delusione e amarezza; da quelli del minore, colpa e orgoglio.
    «Se le cose stanno così...» dice Dean, improvvisamente freddo come il marmo. E poi, rivolto a Castiel e agli altri. «Ci vediamo tra un'ora al campo.»
    Al suo ordine, la sala comincia a svuotarsi. Sam resta immobile mentre tutti gli altri pian piano vanno via. Dean gli passa accanto quasi senza guardarlo. Soltanto Castiel, chiudendo la fila, si ferma per posare una mano sulla spalla di Sam, quasi scusandosi con lo sguardo per il comportamento dell'uomo.
    «Sam, tu sai com'è fatto... Ma anche se fa così, Dean ti vuole bene. E prima o poi se ne farà una ragione, vedrai.»
Le labbra di Sam si incurvano appena verso il basso.
    «Vorrei tanto che avessi ragione, Cas.»

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Capitolo 9
*** Capitolo Otto ***


Capitolo 8 - Destiel

    Cari lettori e care lettrici,
questa volta l
'aggiornamento con i nuovi capitoli arriva un pochino in ritardo rispetto al solito... Vi chiedo scusa! Quest'ultima settimana è stata densa di avvenimenti – e non sono stati tutti piacevoli, purtroppo. Per questa ragione non ho avuto né il tempo – né lo stato d'animo giusto, - per poter scrivere.
    Tuttavia, leggere le bellissime recensioni che avete lasciato a questa storia mi ha spinto a riprenderla al pi
ù presto, per non deludere l'affetto e la partecipazione con cui la state seguendo e che ancora, lo ammetto, mi sorprende. Riprenderò a lavorarci con il ritmo consueto, per ringraziarvi dell'attenzione che le state dedicando :)
    Da ultimo, vorrei approfittare di questo spazio per salutare e incoraggiare tutti coloro che in questo periodo sono sotto esame e cercano un po
' di svago leggendo/scrivendo le ff qui sul sito... Se state leggendo questa, vi faccio un enorme in bocca al lupo ;) Spero di farvi una buona compagnia tra una prova e l'altra...!
Detto questo, vi auguro buona lettura e ci sentiamo alla prossima!
    A. ;)

CAPITOLO OTTO.


    Le stelle lampeggiano come piccoli cuori pulsanti.
Castiel ama la sala del Planetario. Lo adora, con tutto sé stesso – nonostante Dean si ostini a mettere in dubbio questa sua capacità. Ma Castiel ama, si arrabbia e a volte soffre... Come tutti. Ed è per questo che osserva gli astri, quando qualcosa non va.
Loro, almeno, non lo giudicano.
    Prima o poi se ne farà una ragione. Già...
Sono le parole che l'andoride ha detto a Sam, prima di andarsene, per confortarlo. Ma, in verità, lui stesso non riesce a crederci fino in fondo.
Ci sono cose su cui Dean non cambierà mai idea: Castiel lo conosce troppo bene per potersi illudere del contrario. Vorrebbe possedere la chiave, riuscire a rapportarsi con Dean come se appartenessero alla stessa specie... Dirgli che lo ama senza doversi sentire, poi, costantemente sotto esame. Ma non accadrà mai.
    Perché uno è figlio della natura e l'altro della tecnica: e sembra che non vi sia alcuna possibilità di un futuro comune, tra creature tanto differenti.


    Un estraneo.
È tanto, troppo tempo che Dean non si guarda allo specchio. E ora, a distanza di settimane, mesi – forse anni? -, quello che vede riflesso è il volto di qualcuno che non conosce.
    Con il volto ancora umido d'acqua e le mani poggiate sul bordo del lavandino, l'uomo si guarda negli occhi e si rende improvvisamente conto che una parte di sé stesso è andata perduta per sempre. Quel ragazzo buono, giocherellone, spensierato - quello che non dormiva con la pistola sotto il cuscino, quello che riusciva ad
amare, senza riserve... Non c'è più.
Dean ricorda di essere stato molto diverso, una volta... Ma è un ricordo così lontano e disgregato che sembra appartenere alla memoria di un'altra persona – sembra un sogno, l'immagine ricostruita di qualcosa che non ha vissuto, ma che gli è stato solo raccontato.
    La guerra lo ha cambiato. Soltanto ora Dean riesce a vederlo chiaramente.

Le responsabilità, le perdite, i dolori e le difficoltà... Lo hanno trasformato, segnato, rimodellato. Lo hanno schiacciato e demolito; e, anche se si è rimesso in piedi ogni volta, Dean sa che ognuno di quegli avvenimenti ha modificato la sua testa, la sua anima, il suo cuore in maniera significativa.
La violenza, la necessità di fare del male, l'istinto di sopravvivenza... Si sono insediati nel suo dna, lo hanno corrotto e irreversibilmente mutato, come dei virus. E ora... Ora, alcune parti di lui non esistono più. Si sono rotte, e non c'è verso di ripararle. E i residui di umanità che gli sono rimasti, ultimi superstiti, traballano e si logorano, un giorno alla volta - fino al momento in cui si autodistruggeranno del tutto. È questo che succede, quando sei il capo.
    L'uomo che Dean è oggi, - l'uomo che lo guarda fisso attraverso lo specchio, - è duro, sicuro di sé, forte... Una roccia. È un comandante. Anzi: è il comandante, Dean. È colui a cui tutti si rivolgono in caso di bisogno, è quello dal quale tutti si aspettano una soluzione quando le cose si mettono male. Quello che prende tutte le decisioni... Quello che non può mai mostrarsi debole, quello che non può mai esitare. Non può, non deve... Altrimenti, tutto crolla.
Dunque, non lo fa.
    Non c'è mai una tregua, per Dean. Mai un attimo per riprendere fiato; solo il tempo appena necessario per ficcare tutti i pensieri in un angolo, ingoiare la dose quotidiana di veleno, e andare avanti. A testa alta, a denti stretti... Con i pugni chiusi. Come avrebbe voluto suo padre.
Come fa un vero guerriero.
    Ma reprimere tutto questo ha un prezzo. Gli scatti di rabbia, il costante senso d'allerta e il peso delle responsabilità... Lo stanno avvelenando, a poco a poco – con una lenta e dolorosa ostinazione. E, per ogni giorno in più che passa in questo modo, Dean sente che sta perdendo sé stesso.
Forse, la sua parte migliore.
    L'immagine sul vetro è quella di un uomo dagli occhi verdi, bellissimi e fieri come quelli di un animale selvatico. È l'immagine di un uomo che ha troppa paura di perdere per poter amare... Ma che ha un bisogno lancinante, viscerale, incontenibile di essere amato. Di uscire dall'apnea, di essere libero, di poter essere anche debole, quando vuole... Di tornare ad essere umano.
    Un pensiero attraversa la mente di Dean. Un volto, due occhi azzurri... Un nome.
Lui
è la sua unica possibilità di non morire del tutto. Lui è l'unico in grado di tenere accesa quella parte di lui che vuole amare, che vuole vivere... Lui, un amore sintetico, una creatura perfetta, figlio di un mondo che sta perdendo sé stesso... Lui, Castiel.
    Dean si sente sempre diviso a metà, quando è con lui. Desideroso di amare... Ma incapace di lasciarsi andare del tutto.
Castiel è importante. Castiel è tutto ciò di cui ha bisogno, adesso.
Deve chiedergli scusa.
    Sempre che sia ancora in tempo,
pensa Dean, spazzando via col palmo della mano le goccioline di condensa sul vetro appannato.


    La sala del Planetario è immensa. È semicircolare, come un anfiteatro moderno, con grossi banchi, disposti su gradini discendenti, - che ricordano quelli di un auditorium o dell'aula di un'università – sistemati in modo da mostrare a tutti le meraviglie del cielo, replicate sui muri quando il proiettore è in funzione.
    Sul lungo tavolo in fondo alla sala è distesa una mappa del cielo luminosa, mentre uno schermo verticale mostra le immagini provenienti dall'enorme telescopio che, abilmente camuffato, attraversa metri e metri di terra fino a sbucare in superficie - ed è costantemente puntato sulle stelle. Puntato su quella purezza, quell'ordine e quella quiete che sulla Terra sono ormai andate perdute... Ma che una parte di Castiel ricorda con nostalgia e desidera ardentemente recuperare.

    Dean si ferma ad osservarlo, in silenzio, con le mani affondate nelle tasche. Sapeva di trovarlo lì.
L'uomo resta in piedi sui gradini più alti, studiando da lontano la figura chiara e snella dell'altro, seduto di spalle, appoggiato al grosso tavolo e intento a seguire, con una mano, i contorni delle galassie e delle costellazioni. Le luci sono quasi tutte spente, e quelle poche che ci sono emettono un chiarore soffuso che invita alla quiete e alla riflessione. Esse risplendono il nero profondo dei capelli di Castiel, il candore della sua pelle... E ancora una volta Dean non può fare a meno di pensare che sì... È dannatamente bello.
    Castiel è la creatura più perfetta che un uomo possa desiderare di avere accanto... E lui, come uno stupido, non fa altro che litigarci e trattarlo male. Forse è proprio per questo, pensa Dean: perché è troppo perfetto. Castiel è troppo, per uno come lui; e, ogni volta che lo guarda, Dean si rende conto di avere a che fare con una creatura immensamente superiore a lui.
    Il soldato prende un respiro. I pochi passi, i pochi gradini che li dividono, sono insormontabili... Ma deve trovare il coraggio di attraversarli. Per dimostrare a sé stesso - e a Castiel - di non essere un vigliacco.
    «Cas...»
    Castiel non ha bisogno di vederlo, per sapere che Dean è lì con lui. Lo sente sempre in anticipo, quando gli sta vicino - come un sesto senso che si attiva soltanto per lui, un istinto che riconosce solo e soltanto lui.
Castiel sentirebbe Dean anche in mezzo a mille, ad occhi chiusi... Lo ritroverebbe anche se fossero soli e persi, alla deriva tra quelle galassie di cui l'androide traccia pigramente la fisionomia con i polpastrelli.
    Il movimento delle dita si blocca, quando l'uomo chiama il suo nome. Castiel si volta.
Dean è lì, di fronte a lui, - come sbagliarsi? - ed ha in volto esattamente quell'espressione che Castiel ha immaginato, prima ancora di vederla. Lo sguardo dritto e fiero, ma il capo leggermete inclinato da un lato... E le labbra rosee, piene, - così belle e maschili, - appena appena increspate da un lieve accenno di rammarico. Dean non è lì per litigare, non è lì perche è arrabbiato... Anzi.
È molto probabile che sia lì proprio per chiedere scusa.
    «Dean.»
Questo è tutto ciò che Castiel riesce a dire. È ancora un po' offeso per la discussione che hanno avuto, ed è confuso. Molto spesso l'androide non riesce a capire ciò che l'altro pensa - e questa sua incapacità brucia, brucia come l'inferno. Castiel si sente in colpa, per questo. Vorrebbe essere umano – anche soltanto un pochino, - per poter capire meglio le sfumature dietro agli atteggiamenti dell'uomo che ama... Forse, così riuscirebbe a comprenderlo meglio. Ma i comportamenti di Dean sono così contraddittori, a volte, che Castiel dà la colpa a sé stesso perché non riesce a capirli. Pensa di non essere all'altezza, pensa che forse Dean ha ragione, che sono troppo diversi... Che una macchina non potrà mai amare, e che nessun uomo potrà mai amare una macchina. Castiel vorrebbe smentirlo, dimostrargli che si sbaglia... Ma come può riuscirci, se lui per primo è consapevole dei propri limiti? La mente e il cuore di Dean, per lui, sono un territorio selvatico, imprevedibile e misterioso... Ma, per qualche strana ragione, nessuna delle difficoltà che incontra, quando prova a dialogare con lui, sembra in grado di contrastare questa--- Questa cosa... Questo strano sentimento che lo spinge a restare accanto all'uomo, a camminare al suo fianco, sostenendolo e adoperandosi per il suo bene, senza pretendere nulla in cambio.
    Dean tiene gli occhi verdi puntati su di lui, con una dolcezza stanca che emerge soltanto in rare, rarissime occasioni. Si schiarisce leggermente la voce, in imbarazzo, prima di parlare.
    «Ho detto ai ragazzi che restano di armarsi... Questa notte andremo in missione di recupero.»
    «Ma... Avevi detto che non ce ne sarebbe stata nessuna, o sbaglio?»
La sorpresa si fa quasi tangibile, negli occhi di Castiel.
    «Ho cambiato idea.»
Dean socchiude gli occhi per un attimo, poi cerca di nuovo il contatto con lo sguardo di Castiel. Non sembra molto a suo agio, però.
    «Hai ragione tu, Cas. I tuoi compagni hanno tutto il diritto di essere salvati, perché ormai sono anche i nostri compagni... E se ho esitato a farlo, non l'ho fatto perché sono androidi o perché penso che non valga la pena recuperarli, anche se mi rendo conto di averti dato modo di pensarlo...», ammette, ancora con le mani ficcate giù nelle tasche della pesante giacca militare. «È solo che non volevo rischiare di peggiorare la situazione. Ma poi ci ho pensato bene, e ho capito che non possiamo tirarci indietro.»
    Il tono del soldato cambia. Lo sguardo fiero è quello che Castiel è abituato a conoscere e a rispettare.
    «Non importa quanti siamo: nessuno di noi può tirarsi indietro.»
Castiel non dice niente, mentre l'uomo muove un passo in avanti verso di lui, senza smettere di guardarlo negli occhi. L'androide lo osserva e basta, incapace di predire cosa farà.
Il verde profondo e cupo di Dean, così da vicino, risplende di pagliuzze dorate, e si muove inquieto sul volto dell'altro – come se volesse impararlo a memoria, come se volesse registrare ogni minimo particolare di quel viso fino a imprimerselo nell'anima... O volesse cercarne una, sotto tutti quei circuiti.
    «Se anche rimanessimo in venti, in dieci, o in cinque...» Le mani del soldato sono libere, adesso, e si intrecciano a quelle dell'androide. «Se anche rimanessimo soltanto in due... » Ora anche il suo volto è vicinissimo. Castiel è teso, il suo sistema non riesce a processare la situazione con chiarezza – Dean ha il potere di confonderlo, di stracciare i suoi pensieri e trasformarli in un unico, incomprensibile impulso – quello di unirsi a lui, di premere le labbra sulle sue e restare così per sempre. Dean lascia salire la propria mano ad accarezzargli una guancia, mentre continua a parlare.
    «... Continueremo a combattere, fino alla fine. Perché è la cosa giusta...»
Castiel vorrebbe dire qualcosa, ma le parole non gli escono. Cosa potrebbe dire, comunque? Non riesce a pensare, non riesce ad articolare neanche un suono... Tutta la sua attenzione è rivolta su quell'uomo bellissimo e tormentato che sta parlando con lui... Che sta cercando il suo affetto.
    Entrambe le mani di Dean sono posate sul suo volto. Il soldato posa la fronte contro quella dell'androide, le loro ciglia quasi si sfiorano.
    «... E io sono stato uno stronzo.»
    Per qualche istante restano così, a scrutarsi vicendevolmente il fondo dell'anima, in silenzio. Le luci fioche del Planetario brillano negli occhi verdi di Dean, che così nella penombra sembrano diventati quasi neri, e rimbalzano come piccole pietre preziose nell'azzurro liquido di Castiel. Il quale, ancora sopraffatto dalla vicinanza e dal contatto con l'altro, ha bisogno di qualche istante per riprendere il controllo di sé stesso e poter dire, finalmente, qualcosa di sensato.
    «No, non lo sei. Sei solo stanco... E io avrei dovuto portare questo peso con te, invece di aggredirti.»
    Dean sorride appena, alle parole del robot.
Castiel... Sempre così accondiscendente, sempre così pronto a perdonarlo. Sempre così dolce, con lui... Con lui che a volte meriterebbe solo schiaffi.
    «Non importa. Io sto bene,» taglia corto il soldato, senza riuscire a smettere di sorridere. La sola presenza di Castiel basta a rilassarlo, soprattutto ora che sono riusciti a riavvicinarsi e ad appianare i contrasti. «Partiremo tra poche ore... Non si aspettano una risposta in tempi così brevi. Forse, così riusciremo a prenderli di sorpresa.»
    «
D'accordo.» Castiel annuisce, senza battere ciglio. «Se pensi che sia meglio agire subito, io ci sto.»
Annuisce anche Dean, lentamente, senza mai staccarsi da lui. Resta in silenzio per un po', studiando l'espressione aperta e fiduciosa dell'altro.
    «Perché ti fidi di me,»
dice il soldato, infine. Senza il punto interrogativo, perché non è una domanda... Ma solamente una constatazione.
    «Perché mi fido di te.» Castiel ripete le sue parole, ricambiando il sorriso, e Dean si sente sprofondare. Castiel lo ama davvero, si fida totalmente di lui... Come può metterlo ancora in dubbio, dopo tutto quello che hanno passato assieme? Non può deluderlo... Dovrebbe smettere di essere così controllato nei sentimenti – smettere di avere
paura.
Fare quel piccolo, insormontabile, necessario, disperato primo passo--
    «
Cas, senti... Ogni volta che usciamo non sappiamo se torneremo indietro, perciò non voglio lasciare nulla in sospeso--»
    Prima che Castiel abbia il tempo di dire o fare nulla, Dean è su di lui. L'uomo lo schiude e lo apre e lo bacia tenendolo stretto a sé, con un trasporto e una foga che a lungo sono rimasti sopiti sotto una pesante coltre di doveri e responsabilità, ma che adesso possono sfogare liberi - alimentati e trasformati dalle fiamme della tensione e del desiderio combattuto, dei sentimenti sovrapposti.
    Entrambi si stringono forte, senza separarsi mai neanche per un solo istante - le mani di uno vicendevolmente intrecciate tra i capelli dell'altro, o perse a sfiorare i fianchi attraverso le stoffe di magliette e camicie. Restano assieme per tutto il tempo che serve, finché ogni traccia di diffidenza o conflitto si dissipa, svanisce nei movimenti e si dilata nel contatto, fino a spegnersi.  

    «Pace?»
    «Pace.»

    Quando le loro labbra si separano, l'uomo e il robot restano comunque abbracciati per un tempo infinito. Una mano di Dean è teneramente posata dietro la nuca di Castiel, mentre le mani di quest'ultimo riposano sulle spalle dell'uomo.
    Il Planetario, misterioso e sconfinato acquario di corpi celesti e chiarori intermittenti, avvolge le due creature con il confortante silenzio dello spazio siderale. Ed è in quel silenzio assoluto che Dean, finalmente, si rende conto di quanto abbia bisogno di lui. 
    Quando è arrabbiato, quando si fa trascinare dalla collera o annebbiare dalla frustrazione, Castiel è l'unica ragione per cui si sforza di essere una persona migliore. Castiel gli ricorda cosa deve essere...
    ... Un essere umano.

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Capitolo 10
*** Capitolo Nove ***


Capitolo Nove - litigio Sam e Gadreel

    Piccolo aggiornamento, altro capitolo!
Grazie a tutti voi che state leggendo/recensendo, e scusatemi per i lunghissimi tempi di risposta. In questi ultimi mesi sono tornata ad uno stato di regressione tecnologia che neanche il Medioevo... Ed è piuttosto difficile rispondere ai commenti con la dovuta attenzione, quando sei in un internet point affollato di gente che va di fretta, odora pesantemente di alcool e ti insulta in un'altra lingua! >.< Prometto però che, alla prima occasione, risponderò a tutti i commenti che ho lasciato in sospeso..
    Detto questo, vi lascio alla storia... Un abbraccio forte a tutti voi che seguite, scrivete o leggete soltanto :)
A. ;)

CAPITOLO NOVE.

    Tempesta.
È
un'autentica tempesta, quella che Sam ha dentro. Seduto ad uno dei tavoli del bar di Bobby, il minore dei Winchester ancora sente risuonare dentro le parole del fratello, mentre si rigira tra le mani un bicchiere vuoto – il cristallo attira le luci blu e le riflette, come un piccolo stroboscopio.
    Abbiamo bisogno di combattenti, qui
. Come se non lo sapesse. Ma Sam ha già dato, e non vuole più saperne. Ne ha abbastanza della battaglia, delle armi e delle vittime trasversali di quella guerra che non avrà mai fine. Soprattutto, ne ha abbastanza di sentirsi rinfacciare la propria ritirata ogni volta che le cose si mettono male... Come se ogni giorno che passa lavorando all'istituto, senza sparare un colpo, fosse un'offesa alla memoria del loro padre.
    «Nervoso, ragazzo?» Bobby gli riempie il bicchiere, senza bisogno che Sam glielo chieda. Il giovane lo ringrazia con un cenno.
    «Sto aspettando una persona,»
dice, come per giustificare la propria presenza lì, nell'ora di punta, tra una folla di gente che annega nell'alcool l'insostenibile amarezza di una vita spesa - letteralmente - sotto terra.
    Bobby non chiede niente. Sam scruta tra la calca, alla ricerca di una sagoma familiare in mezzo a una marea di volti che conosce poco o non conosce affatto.
Dovrebbe già aver finito, pensa il minore dei Winchester, tra sé e sé. Riuscirà a trovare la strada che Gabriel gli ha indicato?
    L
'uomo attende; e poi, sulla soglia, vede comparire quella figura alta e quel profilo affilato a cui, senza volerlo, un po' si è affezionato. Sam posa il bicchiere e si alza per farsi vedere; poi si fa largo tra gli altri e con poche falcate lo raggiunge. L'espressione assorta e spaesata di Gadreel si rilassa, non appena incontra il volto di Sam, e nei suoi occhi compare qualcosa che l'uomo riconosce come gratitudine - dev'essere stressante, per l'androide, ritrovarsi in una tale confusione senza alcun punto di riferimento.
    «Sam,» dice il robot, come fosse un saluto. Il ricercatore accenna un sorriso e fa scivolare una mano tra le sue scapole, lo guida al tavolo dove lo ha atteso. Gadreel si fa portare: sembra confortato dalla presenza di Sam e dal piccolo contatto, ma allo stesso tempo non riesce a nascondere un'incontenibile inquietudine, che lo porta a tremare visibilmente.
    «Gadreel? Gadreel, che succede?», gli domanda l
'uomo, facendolo sedere di fronte a sé e posando una mano sulla sua. Si rende conto del proprio gesto soltanto dopo averlo compiuto: Gadreel gli ispira un tenerezza e un bisogno di contatto che per anni Sam ha represso, e che ora lo fanno sentire in lieve imbarazzo. A malincuore, lascia andare la sua mano – e Gadreel lo guarda con una traccia di confusione che immediatamente lo fa sentire in colpa, - ma rimane a portata di tocco. Se vorrà, l'androide potrà ritrovarlo a pochi centimetri di distanza.
    Gadreel china il capo, a disagio.
    «Ho finito il giro con Gabriel,» dice. «E ho visto... Tanta sofferenza, tanto dolore. Io... Credo di dover prendere una decisione, Sam, ma non so cosa fare--» Quando il robot solleva lo sguardo, Sam sente qualcosa stringersi all'altezza dello stomaco. Quel grigio, e quel verde quasi azzurro, gli sembrano diventare più belli ogni volta che li guarda. «Così sono corso subito qui, per parlarne con te... Gabriel mi ha detto che mi stavi aspettando al bar di Robby.»
    «
Bobby,» lo corregge l'umano, senza riuscire a trattenere un sorriso. All'improvviso, tutto il nervosismo provato fino a pochi minuti prima sembra essere svanito nel nulla... Gadreel assorbe tutta la sua attenzione, come una calamita.
Le sopracciglia di Gadreel si increspano per un attimo: sembra desolato per l'errore ed è buffo da vedere, pensa Sam. Ma poi il robot riprende a parlare – tutto d'un fiato, quasi senza pause, come un fiume in piena. L'agitazione lo rende eccessivamente loquace: una reazione molto
umana.
    «Ho bisogno di parlarne con te, Sam. Quello che ho visto... Questo non
è piùil mondo che sono stato creato per proteggere. Ci sono molte persone che soffrono e tante ingiustizie, ma io credo che si possa ancora fare qualcosa per recuperarlo, e che-- Che si possa aggiustare! Solo che io... Nulla di ciò che posso fare sembra poter apportare un contributo utile alla vostra comunità, sono così inutile-- Però... Ho riflettuto, e credo che ci sia una sola soluzione, ma non so se avrò il coraggio... È così difficile, è tutto così complicato che--»
    «Ehi, ehi,» lo interrompe Sam, guardandolo dritto negli occhi color temporale. Gadreel sembra davvero in crisi, e l'istinto di tenerezza si fa di nuovo strada nel petto dell'uomo. «Così non ci capisco niente. Piano, una cosa per volta,» dice, cedendo – finalmente – al bisogno di afferrare di nuovo la sua mano. Nel momento in cui le loro dita si intrecciano, Sam si sente immediatamente meglio; e anche Gadreel sembra apprezzare, perché si acquieta all'istante - e, tanto per sottolineare la cosa, chiude la mano del ricercatore tra le proprie, come se non volesse più lasciarla andare.
    «Sam, io... Mi sento così fuori posto,» soffia l'androide, sconsolato. «Ci sarebbero così tante cose da fare, per migliorare la vita di tutte queste persone... Ma io non so fare nessuna di queste,» confessa, pieno di rammarico.
    La mano libera di Sam si unisce all'intreccio: ora sono entrambi protesi l'uno verso l'altro, connessi dal nodo delle loro mani giunte. Visti da fuori, sembrano un prete e un peccatore che si stiano confessando.
    «Gadreel, tu stesso mi hai detto che nessuno di noi
è obbligato a fare ciò per cui non si sente portato,» cerca di tranquillizzarlo l'uomo. «Ti aiuterò a trovare un modo per renderti utile, te l'ho promesso. Non devi per forza combattere se non vuoi.»
    Le labbra sottili dell'androide si curvano appena verso il basso, e il suo sguardo si sofferma sul nido confortevole delle proprie mani racchiuse tra quelle del ricercatore.
    «Il fatto
è che...» Il robot si agita sulla sedia, scomodo. «Ecco, io... Credo di doverlo fare lo stesso. Combattere, intendo.» 
   
«Non sei obbligato.»
    «Lo so. Ma questa società... Vive di questo. E per salvaguardare la vita delle persone è necessario che io lo faccia, anche se non è nella mia indole,» spiega Gadreel, con tono sommesso, guardando Sam come per chiedergli scusa. Si sente un traditore, senza riuscire a spiegarsi perché. Se fosse in grado di esaminare più a fondo quel sentimento, l'androide capirebbe che questo disagio che sta provando deriva dal timore di essere incompreso. Gadreel ha paura che Sam lo reputi incoerente o che si senta ancora più solo - ritrovandosi ad essere di nuovo l'unico che ancora persegue nella strada della non-belligeranza.
    Sam lo scruta per un po', in silenzio, restando perfettamente immobile come se fosse congelato. In effetti, sembra davvero ferito dall'improvviso cambiamento del robot – anche se non dovrebbe, e lo sa benissimo, perché non ha alcun diritto di interferire con le decisioni di un altro essere senziente. Solo che... Per la prima volta, l'uomo aveva pensato di aver incontrato qualcuno che condivideva le sue idee e la sua indole, qualcuno in grado di capirlo senza farlo sentire in colpa. E ora... Ora sta scoprendo che invece non è affatto così.
Forse Dean ha ragione, pensa il ricercatore. Forse il mondo oggi va così e io mi sto soltanto nascondendo per non vederlo, e dovrei smetterla, si rimprovera. Dovrei smetterla di affezionarmi a persone che hanno tanta voglia di andare a morire...
   
«Combattere significa mettere in conto di dover fare del male a qualcuno e di mettere a repentaglio la tua vita,» lo mette in guardia Sam. «Dovrai portare con te un'arma, e questo significa che molto probabilmente dovrai usarla. Potresti trovarti costretto a puntarla anche se non vuoi, oppure qualcuno potrebbe puntarne una contro di te. Sei pronto per questo? Sei pronto ad attaccare, o a uccidere per difenderti?»
    Incalzato dalle domande, il robot scuote la testa, desolato. Non ha pensato a tutto questo. Non ha pensato alle conseguenze, ai possibili sviluppi delle proprie azioni, alle brutte situazioni in cui potrebbe ritrovarsi.
   
«Non lo so...», ammette, scombussolato. «Non lo so, ma ho promesso a Chuck che avrei portato avanti la sua missione, e-- Non ho altra scelta.»
A quelle parole, il minore di Winchester sprofonda di nuovo nel silenzio. Gadreel ha fatto la sua scelta: ed è una scelta che condurrà tutti alla stessa tristissima, inevitabile, terribile fine.
Mentre riflette su questo, l
'uomo sente che una parte della propria anima si spegne di colpo. D'un tratto, si estranea completamente...
Fino a non provare pi
ù nulla.


   «Sam...» Gadreel stringe appena la presa, per attirare la sua attenzione. Sente di averlo deluso, e gli dispiace infinitamente. Sam
è poco più di un estraneo, per lui, è vero, ma il robot tiene comunque alla sua considerazione. Gadreel non può dimenticare la gentilezza con cui il giovane umano lo ha trattato, pur non conoscendolo, fin dall'inizio: con dignità e rispetto. Come una persona... E non come una macchina.
    «Questo non significa che io abbia cambiato idea,» dice il prototipo, come se potesse leggere i pensieri del ricercatore. «Né significa che io possa cambiare quello che sono. Non sono un combattente: non è nel mio sistema, e non lo sarà mai. Ma posso comunque aiutare i soldati, e magari svolgere quei compiti minori che nessuno vuole fare e che rallentano le mansioni degli altri...»
Adesso
è il robot che cerca lo sguardo dell'umano - che è rimasto in silenzio per tutto il tempo, con addosso un'espressione tesa e indecifrabile.
    «Con questo, non sto dicendo che combattere sia l'unico modo per rendersi utile,» insiste ancora il robot, calorosamente, temendo di averlo irrimediabilmente ferito. «Tu sei infinitamente utile per tutte queste persone, Sam. Il lavoro che svolgi quotidianamente all'Istituto
è una risorsa fondamentale, per la vita di questa gente, e nessun altro potrebbe farlo meglio di te. Non conosco molti altri esseri umani, è vero, quindi forse non posso fare un confronto obiettivo... Ma vedo nei tuoi occhi che sei una persona buona, e ho visto nelle tue ricerche che sei un uomo di una sconfinata intelligenza. Mentre io... Io non so fare nulla di tutto questo. Non ho una preparazione di alcun tipo, non ho abilità particolari e non c'è un altro modo di fare del bene, per quelli come me.»


    Sam osserva Gadreel senza dire nulla, per qualche lungo, lunghissimo istante. E poi, con estrema freddezza, libera con un gesto secco le proprie mani dalla presa del robot - il quale, improvvisamente orfano di quel contatto fisico a cui con tanto trasporto e bisogno si era aggrappato, lo guarda con aria dispiaciuta e smarrita.
Ho fatto qualcosa che non va?
, si chiede l'androide, mortificato. Forse ho detto qualcosa di sbagliato...
    «Sai già che tra qualche ora ci sarà una missione di recupero, suppongo.» Sam si sforza di non guardare il robot e di non lasciar trapelare alcuna sfumatura nel tono di voce. Ha intravisto, solo per un attimo, il dispiacere profondo negli occhi di Gadreel, e stava quasi per cedere di nuovo. Ma no, non si affezionerà a lui. Non soffrirà di nuovo come ha sofferto con Jess: lo ha promesso a sé stesso, tanti anni prima.
    «Lo so...» Gadreel quasi lo sussurra, facendo scivolare via dal tavolo le proprie mani, ormai vuote, e posandole sulle ginocchia. Sam
è cambiato di punto in bianco, senza alcun motivo apparente, e Gadreel vorrebbe chiedergli il perché. Ma forse non sono affari suoi...
    «E immagino che vorrai unirti a loro,» Sam lo incalza, mantenendo un'aria impassibile.
La sua faccia non ha alcuna espressione.
    Gadreel si sente in colpa per aver sottratto il calore e il sorriso da quel volto. Non immaginava che Sam l'avrebbe presa così male... Era andato subito da lui sperando che lo aiutasse a capire meglio le proprie inclinazioni, nel modo sereno e partecipe con cui lo aveva accolto fin dal primo giorno. Cosa
è successo, dopo? Perché non gli sorride più come prima?
    «... Mi hanno detto che potrebbero avere bisogno di aiuto...», mormora il robot, senza il coraggio di dire esplicitamente che sì, vuole andare, vuole vedere con i propri occhi quella guerra che ha rovinato tante vite.
    Sam inspira, espira. Torna a giocherellare con il bicchiere. Lo svuota.
    «Be', vai pure. La cosa non mi riguarda,» sputa, più tagliente di quanto vorrebbe.
    «Ma... Sam, che succede? Io... Io volevo parlarne con te, volevo--»
    «Non mi importa cosa volevi. Il mio compito
è far prendere agli androidi una decisione, e tu l'hai presa. Ora non ho più niente da dirti,» continua Sam, freddo e implacabile, odiando sé stesso ad ogni parola. Ma deve ferire Gadreel, deve allontanarlo e dimenticarsi di lui: è l'unico modo che ha per non stare male quando qualcuno gli dirà che non ce l'ha fatta, che è stato riprogrammato o disattivato o è rimasto direttamente ucciso in combattimento - come è finita Jess, come è finito suo padre, come finirà Dean: come finiscono tutte le persone a cui Sam vuole bene.
    Gadreel ammutolisce di colpo, confuso e ferito. È a pezzi. Non riesce a capire il motivo di tanto improvviso disprezzo, e si sente sprofondare. Piuttosto che affrontare questo, preferirebbe sopportare altre mille volte ancora i dolori terribili che ha provato durante la caduta... Farebbe meno male, pensa.
    «M-ma io credevo...», prova a dire, ma viene subito interrotto.
    «Tu non devi credere,» ringhia Sam, che ormai sembra diventato un'altra persona. «
Dovevi prendere una decisione e l'hai presa, va bene. I nostri rapporti finiscono qui. Da oggi vivrai alla base. Prenderai ordini da Castiel e farai ciò che ti viene detto... Fine della storia.» Il ricercatore si sente un verme, ma non ha altra scelta.
    «Sam, perché fai così..?» Il tono di Gadreel
è supplichevole, affranto. Non capisce. La persona che ha davanti ora non ha nulla a che fare con quella che il robot ha imparato a conoscere: dev'esserci un motivo, se Sam è cambiato così tanto. Ma quale? «Se ho fatto o detto qualcosa che ti ha offeso, ti prego, scusami. Ma per favore, dimmi che sta succedendo. Dimmi se posso fare qualcosa per te...», il robot prova a raggiungere di nuovo le sue mani, ma l'uomo si scosta bruscamente.
    Gadreel
è profondamente mortificato, ma non sembra comunque intenzionato a desistere. Guarda Sam con una certa esitazione - come se si aspettasse, da un momento all'altro, che l'uomo scoppi a ridere e gli dica Sorpresa! Stavo scherzando, testa di latta. Ma Sam non ha per niente voglia di giocare.
    Non è ancora abbastanza, pensa l'uomo. La tenacia e l'ingenuità del robot sono impressionanti.
    Sam non riesce a guardarlo in faccia, mentre lo sommerge di cattiverie. Non riuscirebbe a dirle, se vedesse quegli occhi grigioverdi che soffrono per le sue parole... Ma ormai ha deciso.
Tanto vale andare fino in fondo.
    «Non devo dirti proprio niente,» dice, caricando ogni parola con tutto il distacco e l'odio di cui
è capace. «Non so che razza di idee ti sia messo in testa, ma noi non siamo amici, è chiaro? Non sono il tuo confidente o il tuo psicologo:
io non sono nessuno per te. Non mi importa niente di quello che scegli o di quello che fai...»
Sam cerca di convincersene, mentre lo dice.
Non mi importa di te, non mi importa di te. Deglutisce a fatica, prima dell'ultimo affondo.
    «
Non me ne importa niente. Tu non sei nessuno per me.»


    Gadreel vorrebbe tornare nel comodo guscio da laboratorio in cui ha trascorso i suoi dieci anni di sonno. Chiudercisi dentro, riaddormentarsi, e non uscirne mai più.
Prima la notizia di Chuck, poi questo. In poche ore, ha perso suo padre e l'unico amico che abbia mai avuto. Anzi: che abbia mai creduto di avere... 
Gadreel non sa come si sentano gli umani quando muoiono: ma è sicuro che sia una sensazione molto, molto simile a quella che sta provando lui ora.
    «Sam...»
Gli occhi gli bruciano, ma l
'androide si sforza di non lasciarsi andare. Lo ha già fatto troppe volte, da quando si è risvegliato. Quanto dolore deve provare ancora?
L'uomo si ostina a non guardarlo.
    Per qualche lungo, lunghissimo istante, il robot rimane immobile sulla sedia, rigido, senza dire o fare niente. La confusione di chiacchiere e bicchieri, tutt'intorno a loro, sembra essere stata inghiottita da una bolla di silenzio. 


    Sentire il robot che chiama il suo nome con tanta tristezza e con tanto dispiacere lo fa vacillare. Ma questa è stata la decisione giusta, la migliore che Sam abbia mai preso...
    ... O no?
    È meglio così, si dice l'uomo, è meglio che muoia subito, quella simpatia che si stava formando. È meglio per tutti e due, anche se adesso stanno male. Meglio un piccolo dispiacere oggi che il dolore di un funerale dopo, giusto?


    Sam non risponde.
Gadreel abbassa la testa, sconfitto, le labbra sottili appena appena curvate all
'ingiù. Un milione di dubbi e di brutti pensieri gli si addensano nella testa, ma uno su tutti spicca con feroce chiarezza.
    Ora è
davvero solo.


    Sam non lo guarda, mentre se ne va. Sente solo il rumore della sedia che struscia sommessamente contro il pavimento, e poi il fruscio leggero dei passi di Gadreel che si allontana da lui e sparisce tra la folla. Piano piano - come per dargli l'ultima possibilità di richiamarlo indietro.
Ma Sam non lo fa.

    Non mi importa niente di lui, ripete a sé stesso, mentendo.

Non me ne importa niente.

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Capitolo 11
*** Capitolo Dieci ***


Capitolo 10

CAPITOLO DIECI.

    Scarponi, giacche, armi, zaini, metallo e cuoio: l'orda disordinata dei guerriglieri viene preannunciata da questo e dal fragore dei passi decisi e pesanti, che rimbombano tra le pareti e i corridoi. I soldati della Resistenza attraversano la Cittò sotterranea come un'onda che sta per emergere dal sottosuolo, spandendo tutt'intorno l'odore delle pelli, del lubrificanti per armi, e il profumo caratteristico della battaglia: ruggine, terra, eccitazione e tensione.
    Dean e Castiel aprono la fila, e tutta la Città si affaccia alle porte e si riversa nei viali per guardarli passare. La sfilata di uomini e androidi, tutti equamente armati, cenciosi e ruvidi, è un balsamo per le speranze di tutti coloro che ancora credono di poter essere liberati. Di poter tornare in superficie, un giorno... E far parte di un mondo libero.
    Gadreel non ha la minima idea di cosa fare, perciò si unisce alla schiera e cerca di stare al passo con gli altri e imitare ciò che fanno. Il robot è silenzioso e teso, e si muove con poca scioltezza in quel gruppo di cui, in fondo, sa di non fare davvero parte. Gli altri guerrieri invece camminano baldanzosi, ridono e scherzano, si spintonano allegramente. Sembra quasi che stiano andando a una festa, piuttosto che in battaglia: è un modo come un altro per alleggerire la tensione, per non farsi frenare dalla paura. Tra tutti loro si respira lo stato di allerta selvatica e quasi primordiale degli animali che si apprestano a conquistare un territorio.
    Anche Gadreel è diviso tra sentimenti diversissimi. Da una parte, l'euforia di poter finalmente salire in superficie e guardare con i propri occhi quel mondo che gli è stato raccontato, ma che non ha ancora visto; dall'altra, il timore di non essere all'altezza e di combinare qualche guaio. E, infine... Il disagio e il dispiacere provocati dalla reazione di Sam, poche ore prima. L'umano è stato abbastanza chiaro sul fatto di non voler saperne più nulla di lui, ma Gadreel non riesce comunque a non pensarci. Gli dispiace che sia andata così, gli dispiace tantissimo, soprattutto perché non riesce a capirne il motivo. Si era tranquillizzato un po', credendo di aver trovato un punto di riferimento e un amico in Sam, ma evidentemente si sbagliava. Il robot non può e non vuole obbligare nessuno ad essere suo amico: sarebbe sbagliato, e di questo Gadreel ne è consapevole. Però...
Però Sam un po' gli manca. Il Sam del primo giorno. Quello che lo ha trattato con gentilezza e lo ha fatto sentire un po' meno solo.
    Seguendo il gruppo indisciplinato di ribelli – che sembrano una scolaresca in gita, - Gadreel attraversa corridoi e porte tagliafuoco, scende di un livello e si ritrova in una specie di enorme garage illuminato dalle solite, inevitabili, insostituibili plafoniere al neon. Su un lato della stanza è sistemato un lungo tavolo di metallo illuminato da faretti; nel mezzo, invece, si trova un grosso furgone - che dev'essere appartenuto al corpo di Polizia della Città, una volta, perché è rimasta ancora una traccia dei colori e degli stemmi, quasi del tutto scrostati, lungo la fiancata.
    Gadreel si sforza di ignorare qualsiasi pensiero al di fuori della discesa in campo imminente: deve essere concentrato sul presente, sul qui e ora, se vuole rendersi davvero utile.
    Alcuni soldati passano in fila davanti al tavolo per prendere armi aggiuntive e munizioni. Sono tutti più composti e silenziosi, ora che la risalita in superficie è solo questione di minuti.
Dean sorveglia la situazione, appoggiato alla parete, – lo sguardo duro e la mandibola serrata, già proiettato nello stato d'animo dell'assalto, - poi nota l'umanoide e gli fa cenno di avvicinarsi. Gadreel si affretta ad obbedire.
    «Allora, pivellino,» dice l'uomo, quando il robot è abbastanza vicino. «Sai sparare?»
Gadreel scuote la testa, desolato.
    «Combattere all'arma bianca?»
    «No...»
    «A mani nude?»
    «N-nemmeno...»
Dean solleva un sopracciglio e poi scuote la testa, roteando gli occhi al cielo con aria sarcastica.
    «Uao. Andiamo alla grande,» commenta. Poi sparisce sotto il bancone, afferra un grosso zaino verde mimetico e glielo lancia. «Facciamo così: oggi cominciamo con qualcosa di più facile.»
Gadreel apre la borsa. Dentro ci sono visori, cavi, un piccolo schermo che emette un
bip costante e una specie di microfono.
    «
Telecomunicazioni, hai presente? Prendi un binocolo, studi la zona, e se vedi qualcosa di strano avverti gli altri. Pensi di potercela fare?», gli chiede Dean, e Gadreel annuisce cercando di sembrare sicuro di sé anche se non lo è affatto.
    «Va bene...»
    «Adesso raggiungi gli altri al furgone, Gadreel.» L'ordine, più gentile e quieto, arriva da Castiel. Che gli dà una pacca di incoraggiamento e accenna un sorriso. «Sarai affiancato da Gabriel, per i primi tempi. Vi conoscete già e ti aiuterà ad ambientarti. Per qualunque problema, ad ogni modo, puoi cercare me. D'accordo?»
    Gadreel balbetta un
grazie intimidito, e poi obbedisce. In poche ore ha appreso molte cose e ne ha fatte altre per la primissima volta: è tutto così nuovo e complicato, per lui, da fargli quasi girare la testa. E chissà quanto altro imparerà, durante la sua prima missione! La prospettiva lo rincuora e gli solleva leggermente gli angoli della bocca in un sorriso fiducioso che però si affievolisce poco dopo. Quando torneranno, gli piacerebbe poter parlare di come è andata e confidarsi, confrontarsi con...
    ... Già, con chi?, si chiede il robot, improvvisamente tornato alla realtà. Lui non ha amici: non ne ha più. Il suo primo pensiero era stato di parlarne con Sam, ma questo non è più possibile...
    Gadreel prende educatamente posto su una delle lunghe sedute all'interno del furgone e così rimane, in silenzio. Dovrà cavarsela da solo. È meglio che si abitui presto a farlo, pensa. A quanto pare, Chuck era l'unico a cui importasse di lui...
    Ma Chuck non c più.


    «Prima uscita!» esclama Gabriel con un gran sorriso, tirando una gomitata scherzosa sul fianco del suo nuovo compagno di missione. «Come ti senti?»
    «Non lo so,» risponde Gadreel, con la massima sincerità. Non sa come si sente: sono tante emozioni diverse, mescolate tutte insieme, a cui riesce a malapena a dare un nome. Se ne sta seduto un po' impettito contro la parete del furgone, che vibra ad ogni movimento. Sono in viaggio da pochi minuti e il retro del camioncino
è cieco: non si vede nulla di ciò che c'è fuori. Chissà dove stanno andando.
    Gabriel tiene posato sulle gambe, con naturalezza, un fucile che è quasi più grande di lui.
    «Sei agitato,
è normale,» lo rassicura, comprensivo. «Sai, nemmeno io ci sono abituato... Io sono un messaggero, più che altro. Ma se c bisogno di una mano, non posso tirarmi indietro.»
    «Neanch'io sono tagliato per il combattimento... Ma
immagino che si veda,» ribatte un'altra voce. Appartiene a un omino piccolino e smilzo, con una zazzera di capelli castani spettinati e la faccia buffa. Sembra uno di quei topini stilizzati dei cartoni animati, o un gatto senza pelo. «L'ultima volta mi ha salvato la vita quest'omaccione qui,» aggiunge, indicando l'uomo piazzato - con gli occhi azzurri, un po' di barba e due braccia da taglialegna - che gli siede accanto. «Lui sì che è portato.»
    «È stata solo fortuna,» si schermisce l'omaccione, con un lieve sorriso. Ha lo sguardo tranquillo, un'aria solida e sicura di sé che in Gadreel ispira immediatamente fiducia. «
Nessuno è infallibile, ma ognuno fa quello che può.»
    «Comunque, questi sono Garth e Benny,» dice Gabriel, indicando a Gadreel i due uomini appena conosciuti. «Ragazzi, questo
è Gadreel.»
    «Oh, lo so,» risponde Garth con un calore sincero, offrendogli la mano. «Io sono quello che ti ha trovato, nel caso non te lo avessero detto.»
    «Ah... Be'... Allora grazie,» risponde l'androide, impacciato, tentando un sorriso e stringendogli la mano.
    «È bello rivederti in piedi,» gli dice Benny, salutandolo allo stesso modo. Gadreel comincia a sentirsi un po' meno perso, tra quegli uomini e quegli androidi che sembrano averlo ben accolto.
    «Allora,» continua Gabriel, rivolgendosi direttamente a lui. «Da oggi, finché non avrai imparato le basi, io sarò il tuo
maestro e il tuo mentore,» declama, con eccessiva enfasi. Gadreel lo trova buffo e sorride con maggiore scioltezza.
    «
Io di solito esco in coppia con Balthazar... Ma, come sai, è tra coloro che sono stati catturati. Èprincipalmente per lui che ho accettato di partecipare alla missione. Rivoglio il mio amico, e lo rivoglio tutto intero,» afferma il messaggero, con una certa decisione.
Gadreel lo ascolta con attenzione, e poi non può fare a meno di fare qualche domanda.
    «Cosa succede a quelli che vengono catturati?»
Stavolta
è Benny a prendere la parola.
    «Metatron li riprogramma e li mette al suo servizio,» spiega, posando i calmi occhi chiari sul nuovo arrivato. «Si infila nei loro sistemi per renderli fedeli e pronti a uccidere in suo nome, che lo vogliano oppure no.» Anche la sua voce è bassa e quieta. Tutto, di quell'uomo, trasmette una sensazione di tranquillità e stabilità. Gadreel riesce a comprendere come mai gli altri sembrino così rassicurati dalla sua sola presenza.
    «Ma è terribile,» esclama l'androide, con un sussulto sgomento.
    «Già,» concorda Garth, serio. «
Fortunatamente, se riusciamo a prenderli, possiamo riprogrammarli a nostra volta e farli tornare com'erano. Purtroppo, però, recuperarli non 
è sempre facile...», sospira. «Sai, è difficile cercare di ragionare con qualcuno che vuole soltanto aprirti in due come una scatola di sardine.»
    Dal modo in cui Gadreel sbianca e ammutolisce di colpo, è facile intuire che i racconti dei suoi commilitoni lo abbiano alquanto spaventato. Così, Benny gli mette una delle sue mani forti sulla spalla, per rincuorarlo.
    «Tranquillo... Tieni gli occhi aperti, resta con i compagni e vedrai che andrà tutto bene,» gli dice, sorridendogli.
Gadreel annuisce lentamente, poco convinto. È ancora molto teso e insicuro, ma farà del suo meglio. Farà tutto ciò che può per aiutare queste persone...
    È stato creato per questo, dopotutto.

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Capitolo 12
*** Capitolo Undici ***


Capitolo 11 - i flashback di Sam

    Buongiorno/buon pomeriggio/buonasera :)
Un saluto a tutti i lettori e i recensori e a tutti coloro che stanno seguendo con affetto questa storia... Rieccomi - puntualmente in ritardo – con ben tre nuovi capitoli, per farmi perdonare :)
Buona lettura dalla vostra
A. ;)

CAPITOLO UNDICI.

    È difficile distrarsi e cercare di pensare ad altro, quando il tuo cervello non fa che ricordarti che sei stato uno stronzo.
Sam tamburella le dita sul davanzale della finestra – quella stessa finestra da cui, soltanto poche ore prima, ha osservato la città insieme a Gadreel.
Ora, le sagome di quegli stessi palazzi sono oscurate dalla
notte. La missione sarà già cominciata, pensa il ricercatore. E qualcosa, dentro di lui, punge di rimorso. Non avrebbe dovuto essere così cattivo. Non avrebbe dovuto fare quello che ha fatto--
    Diamine, non faccio che ripetere a Dean di aprirsi un po' con Castiel, e poi io cosa faccio? Me la prendo con Gadreel solo perché... Già, perché? La domanda scava in territori che Sam non ha il coraggio di esplorare...
    Territori dolorosi che riportano alla mente brutti ricordi.

***

Città Sotterranea. Un funerale.
Dieci anni prima.


    Fiamme.
Le fiamme illuminano guance bagnate e volti segnati dal dolore. La luce aranciata e l'odore di fumo rendono gli interni della sala simile a una grossa fornace.
Nel fuoco, per ricongiungersi alle stelle. Così venivano congedati i guerrieri dell'antichità, e così l'esercito ribelle saluta per l'ultima volta la sua colonna, l'uomo che con infinito coraggio li ha portati alla rivolta e non ha esitato a sacrificarsi, per il bene di tutti.
In prima fila, di fronte alla pira ardente, ci sono i suoi figli. Il maggiore ha gli occhi lucidi e i pugni stretti, il più piccolo piange apertamente.

    Questo
è il funerale di un guerriero. Questo è il funerale di John Winchester.


    A terra è pieno di vetri.
Dopo il funerale, Dean si è ubriacato: comprensibile.
Dopo essersi ubriacato, Dean ha rotto tutto: prevedibile.

Dopo aver rotto tutto, si è come
spento. Si è lasciato cadere in ginocchio, tra i resti di ciò che rimane della sala di comando, tra i tavoli rovesciati e le bottiglie infrante, i caricatori di munizioni sparsi ovunque come dopo un'esplosione.
    Sam guarda il fratello, lo raggiunge, si inginocchia davanti a lui. L'abbraccio è naturale e necessario, tra due creature nate dallo stesso sangue – il sangue di John, il sangue di Mary; il sangue sulle mani spaccate di Dean, il sangue che ribolle forte nelle vene di Sam.
Piangono, tutti e due.

    «Combatteremo fino alla fine,» dice Dean, stringendo il fratello con tutte le proprie forze – la voce arrochita dall'alcol e dalle urla di rabbia e dalle lacrime. Poi si scosta
quanto basta per rivedere negli occhi del più piccolo il riflesso del suo stesso dolore. «Combatteremo insieme, sempre insieme. E se è così che dovrà finire, anche per noi...» Dean posa una mano sulla guancia del minore: un gesto raro, qualcosa che non si dimentica. Come non si dimenticano le rare tenerezze paterne di John. Sono così uguali, in fondo...
    «... Allora moriremo insieme. Perché siamo una famiglia. Ok? Insieme. Sempre insieme, Sammy.»
Sam annuisce. Non se la sente di fare altro, di fronte a quegli occhi arrossati...
    Ma pensa che sia ingiusto un mondo in cui non si può
scegliere come vivere, ma soltanto come morire.

***


Città sotterranea.
Un altro funerale.
Sei anni prima


    Cinquanta centimetri. Solo cinquanta centimetri.
Mezzo metro di distanza tra lui e Jess: una cifra irrisoria. Ma in battaglia basta anche soltanto un millimetro per fare la differenza. Se solo lei non si fosse mossa... Se non fosse scappata avanti per coprire gli altri... Se solo lui fosse stato più svelto.
    Quel proiettile doveva prenderlo lui. Doveva prenderlo lui--
L'aveva vista accasciarsi di colpo, come un'amazzone sconfitta. All'inizio Sam non aveva nemmeno realizzato cosa fosse accaduto – pensava si fosse accovacciata per evitare i colpi, o fosse semplicemente caduta. L'aveva chiamata. Jess non aveva risposto. I capelli biondi le coprivano la ferita alla testa e il sangue non si vedeva ancora. La ragazza teneva gli occhi aperti rivolti alla strada... Come stupita.   
Sam aveva sentito il fucile scivolargli dalle mani, quando aveva capito.
    Cinquanta centimetri, e lei non c'era più.
    Non doveva andare così.


    «Non combatto più.»
Il funerale è stato essenziale ma carico di stanca commozione. Negli ultimi tempi hanno perso così tanti guerrieri che la pira funebre, purtroppo, non ha praticamente mai smesso di bruciare.
C'è sempre odore di fumo, da quelle parti... È rivoltante.
    Sam non è andato alla cerimonia. Ne ha abbastanza di vedere cataste in fiamme e lacrime e distruzione... Ne ha abbastanza di tutto questo.
    «No, Sam. Noi
dobbiamo continuare a combattere.»
Dean è arrabbiato quanto lui. Ne ha persi tanti, di amici. Ne ha versate tante, di lacrime. «Per nostro padre, per nostra madre, per Jess, per Hellen e per Jo e per tutti quelli che abbiamo perso--»
    «Li abbiamo persi per colpa di questa guerra maledetta!»
Sam sbotta, trasformato dalla collera. «Ma non lo capisci che non arriveremo mai da nessuna parte? Che tutto quello che stiamo facendo non serve a niente se non a farci ammazzare tutti? Non possiamo vincere, non potremo
mai vincere!» L'alcol fa male alla testa, rende i pensieri più acuti, le parole taglienti. «Tutto questo è soltanto una corsa al massacro-- Quanti altre persone devono bruciare, ancora, prima che tu te ne renda conto???»
    «È proprio per questo che dobbiamo andare avanti, DANNAZIONE!» Dean strattona il fratello, ma Sam si scosta e resiste a stento alla tentazione di colpirlo. «Se molliamo, tutti i nostri amici saranno morti per niente!»
    «SONO GIÀ MORTI PER NIENTE La rabbia è incontenibile, e i pugni diventano l'unico modo possibile per esprimersi. Sam colpisce il fratello con tutta la frustrazione con cui vorrebbe colpire il destino; la faccia di Dean sanguina ma è come un muro: dura e impenetrabile. Sam urla. «Questa stupida battaglia non vale nemmeno metà della vita di Jess! Non valeva la vita di tutte quelle persone--» Le nocche sbattono contro la mandibola, la reazione di Dean è stata quasi istantanea.
    «Se ti tiri indietro sarà come dargliela vinta!» Strattone, destro. Sinistro. Uno scricchiolio sotto l'occhio.
    «Non c'è bisogno che gliela dia vinta io-- Ci massacrano ogni giorno! Come puoi essere così egoista??? Come fai a non vedere che stiamo
morendo--» Schivata, montante. Sangue dal naso. Una sedia si rovescia. «Combattitela da solo, questa guerra del cazzo!»
    «Sei solo un codardo--!» Qualcosa si frantuma. La rabbia di Dean è feroce.
    «No, sono
stanco! Sono stanco di questa guerra, stanco di questi morti, stanco di questi funerali, stanco di queste maledette armi e di tutta la merda che siamo costretti ad ingoiare per sopravvivere-- Sono stanco di non vedere mai la luce del sole, stanco di dover dormire con la pistola sotto il cuscino, stanco di veder trascorrere i giorni sempre nello stesso clima di paura, come se nulla di ciò che faccio riesca mai davvero a cambiare le cose... Non ce la faccio più, Dean!» Sam è arrivato al limite, l'ira e i colpi gli fanno bruciare la faccia. È arrivato, finito. Non può spingersi oltre.
    I pugni si susseguono, liberatori e pesanti. La schiena di Sam impatta pesantemente contro la parete. Dean gli urla in faccia.
    «Mollare
è da vigliacchi! La gente non smetterà di morire solo perché tu smetterai di combattere!»
    «LO SO, MA ALMENO NON DOVRÒ PIÙ VEDERLO
Si lasciano andare, di colpo. Vorrebbero distruggersi, uccidersi a vicenda per non doversi guardare ancora in faccia e vedersi così spaventati, eliminarsi a vicenda per non sopravvivere ancora un altro di quei terribili giorni... Ma sono entrambi troppo a pezzi, troppo devastati per continuare a farsi male sul serio.
    Lo sguardo di Dean è quello di qualcuno che è stato tradito.
    «Ma lo abbiamo promesso a papà...»
    «No, Dean...
Tu lo hai promesso per tutti e due...»
    «... E tu lo avevi promesso a me.»
Silenzio. Pugni stretti. Sguardi bassi. Respiri affannati.
    «Non voglio più farlo. Non posso. Non ci riesco...» Sam lo mormora, senza più voce. Vorrebbe solo che Dean capisse, che lo lasciasse libero di scegliere, per una volta--
    «Allora non sei più mio fratello.»
    La frase è come un macigno. 
Qualcosa si è spezzato e non tornerà mai più come prima.
    «Dean, ascolta--» Sam vorrebbe chiedere scusa, ora che la rabbia si è attutita, ma la porta sbattuta chiude ogni tentativo di dialogo.
Mai più come prima...

***

   
... Mai più.
Dopo quei fatti, Sam si era ripromesso due cose – ed entrambi i suoi propositi contenevano quelle due parole, così dure e definitive.
    Uno: non combatterò mai più. Due: non mi innamorerò mai più.
Tenere fede al primo mai più è stato facile. Sempre chiuso nell'istituto o in qualche laboratorio, le uniche armi che Sam tiene in mano, ormai, sono quelle che progetta.
    E per quanto riguarda il secondo punto... È stato facile evitare di commettere ancora quell'errore. Seppellirsi vivo di lavoro lo ha aiutato a restare isolato, a tenersi fuori da frequentazioni che avrebbero di nuovo messo a nudo quella stupida parte di lui – quella tanto bisognosa di contatto e di affetto ma anche così maledettamente incline a soffrire, quando le persone a cui tiene fanno una brutta fine.
    È stato facile, facilissimo, restare fuori da queste cose... Almeno, fino ad ora.
    Sam sospira, mentre una sensazione di disagio e di rimorso lo tormenta. La notte, fuori, è densa e spessa, ma la luna splende limpida... Chissà dove sarà Gadreel, adesso. Chissà come starà. Chissà se se la caverà...
L'uomo stringe le palpebre, scuote appena la testa.
    Non pensarci, non pensarci, non pensarci...
    Ma l'immagine di quelle iridi color temporale è troppo nitida, nella sua mente, e cercare di ignorarla serve soltanto a farla riemergere con una forza ancora più travolgente. Fin dal primissimo istante in cui ha incrociato quegli occhi così belli e spaesati, Sam si è sentito legato ad essi in maniera inspiegabilmente viscerale. Gli hanno suscitato empatia, istinto di protezione... E una incontenibile, disinteressata, incondizionata tenerezza. L'uomo ha intravisto in Gadreel un'innocenza e una purezza che credeva ormai perdute, nel mondo in cui vivono ora... E che hanno riportato in superficie dei sentimenti che Sam pensava di non riuscire più a provare.
    L'imperativo
non pensarci, rivolto a sé stesso, diviene presto una preghiera - rivolta a chiunque sia in grado di esaudirla.
    Ti prego, fallo tornare indietro sano e salvo. Proteggilo, tienilo al sicuro... Fallo tornare qui. Devo parlargli, devo chiedergli scusa... Devo rimediare a quello che ho fatto. Fa' che questa sua prima missione sia tranquilla e non gli accada niente... Per favore...
    Sam prega di fronte alla luna d'argento e spera, con tutto sé stesso, che questo suo terribile rimorso non diventi un rimpianto.

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Capitolo 13
*** Capitolo Dodici ***


Capitolo 12 - arrivo sul posto Gadreel prende posizione

CAPITOLO DODICI.

    «Sei pronto?»
Dean guida con gli occhi fissi sulla strada, serio e concentrato. Però riesce comunque a scorgere il sorriso lieve sul volto di Castiel, illuminato dalla luce intermittente dei fari e della luna.
    «Sì.» Il robot annuisce, guardando dritto avanti a sé. È la verità. Si sente infinitamente tranquillo, prima di una missione – accanto a Dean.
    «Bene,» ribatte Dean, annuendo lentamente a sua volta. Castiel scruta il paesaggio in movimento fuori dal finestrino, e quasi sussulta di sorpresa quando sente la mano dell'altro stringergli affettuosamente un ginocchio e poi cercare la sua.
    Il robot si volta verso l'uomo, intrecciando le dita con le sue, e si stupisce del sorriso incredibilmente caldo e sereno che trova sulle sue labbra. Sembra quasi il Dean di una volta...
    Restano mano nella mano per tutto il tempo che resta. Dean non scioglie mai la presa, nemmeno per cambiare marcia – e Castiel, dopo tanti mesi di incertezze e discussioni, si sente finalmente felice.



    Sul retro del furgone, il ronzio continuo del camion è quasi rilassante e le chiacchiere sciolgono un po' la tensione, aiutano a passare il tempo prima dell'azione.
    «Posso farti un'altra domanda?» Gadreel si è abituato ai lievi sussulti e agli scossoni del furgone e rimane il più morbidamente possibile appoggiato con la schiena lungo la parete, per assorbire gli urti.
    Gabriel si gira verso di lui stringendosi nelle piccole spalle, con il consueto piglio ironico sul viso dai lineamenti buffi.
    «Non hai fatto altro da quando ti conosco! Dimmi.»
    «Tu... Mm--»
Imbarazzo. È così che gli umani chiamano quella sensazione di quando non sai bene come esprimerti e ti trovi in difficoltà?, si chiede Gadreel. «-- Tu conosci bene Sam?»   
    Il piccolo umanoide solleva un sopracciglio.
    «
Alce scemo? Il fratello di Dean, dici? Be'... Direi abbastanza, sì. Perché?» Gli altri occupanti del camion sembrano non fare caso alla conversazione che sta avvenendo, quasi sottovoce, tra i due.
    Gadreel abbassa lo sguardo sulle proprie mani, nervosamente strette attorno allo zaino che il maggiore dei Winchester gli ha affidato. Ha l'impressione di aver fatto qualcosa di sbagliato con Sam, prima. La sensazione di non aver colto qualcosa di importante, di essersi fermato sulla superficie di qualcosa a cui avrebbe dovuto prestare più attenzione...
    «Niente,
è che... Quando gli ho detto che sarei venuto con voi... Non so, ha smesso di essere gentile.» Non sei nessuno per me. Quelle parole ancora resistono, nella mente di Gadreel.
«È
vero, io so poco degli esseri umani, e poco di lui, nello specifico, ma... Mi era sembrato una brava persona. E non riesco a capire come mai sia cambiato così all'improvviso.» Imitando il gesto di Gabriel di poco prima, Gadreel si stringe nelle spalle. «Pensavo fossimo amici,» confessa, con rammarico. «Si dice così... Giusto?»
    Gabriel guarda l'ultimo arrivato con una punta di intenerimento. Ne ha conosciuti altri, di androidi che hanno dovuto conoscere il mondo partendo da zero, ma Gadreel
è... Ingenuo. Davvero, davvero ingenuo. Sembra più un bambino che un robot, in realtà.
    «Sai Gadreel, gli umani sono tutti molto complicati. A volte, nemmeno loro sanno bene cosa vogliono davvero, e si comportano in modo del tutto opposto a ciò che intendono realmente. Sono difficili da capire. Perciò... Ecco, noi androidi dobbiamo avere pazienza, tutto qui,» risponde il più basso. «E sì, hai ragione su Sam. È buono, e intelligente... Si preoccupa per gli altri. È una brava persona, insomma. Ma ha avuto delle brutte esperienze legate a questa guerra, e da allora non vuole più sentirne parlare.» Gabriel posa una mano sulla spalla dell'altro androide, per confortarlo. «Probabilmente ha preso male la tua decisione. Ma sono sicuro che intendesse esattamente il contrario di ciò che ti ha detto.»
    «Ma mi ha detto che dovevo scegliere da solo...» aggiunge Gadreel, socchiudendo appena gli occhi. Ha le idee più confuse di prima. «Non capisco.»
    «Puoi sempre chiederglielo quando torni. E comunque, te l'ho detto: gli umani sono strani. A volte li prenderesti a sberle, ma non
è colpa loro... Sono così sopraffatti dai sentimenti che non riescono a vedere le cose chiaramente. Per questo hanno bisogno di noi: gli serve qualcuno che li salvi da loro stessi. Gli umani sono tutti pazzi, Gadreel... Per farla breve: sono adorabili,» dice Gabriel, con il tono leggero e divertito di sempre, sotto lo sguardo perplesso di Gadreel. Poi, il piccolo umanoide lo prende da parte e abbassa il tono di voce, accostandoglisi come per confidargli un enorme segreto: «E poi, se sono alti è ancora peggio! Non devi prendere mai sul serio quelli alti. Si sa, gli spilungoni sono tutti scemi—»
    Quando Gadreel inclina leggermente il capo di lato, con un grosso punto interrogativo sopra la testa, Gabriel si ricorda improvvisamente della quarantina di centimetri di differenza tra di loro e tira una gomitata gioiosa nel fianco del suo nuovo – altissimo - amico.
    «Cio
è... Non tutti, ovviamente,» sorride, per rimediare.
Gadreel vorrebbe chiedergli ancora qualcosa, ma tutto a un tratto l'oscillazione si placa e il furgone si ferma. Nel breve istante prima che il portellone si schiuda, nel camion cala il silenzio e ogni traccia di divertimento svanisce – mentre schioccano le armi, le facce si fanno serie e i soldati si alzano in piedi, pronti a balzare giù e a scendere in campo. I primi a scendere sono Benny e Garth, i più vicini al portellone.
    «
Fuori, fuori,» la voce di Dean giunge fino all'interno, trasportata dal vento fresco della notte. Gabriel è già in piedi, il grosso fucile appeso a tracolla.
    «Ci siamo, novellino,» dice, afferrando Gadreel per un gomito e facendogli cenno di seguirlo, prima di saltare giù dal pianale. L'androide lo imita, con il grosso zaino appeso a una spalla--
    ... E poi ci sono tante, troppo cose da vedere, tutte assieme: e, per un attimo, tutto quanto – il movimento, le istruzioni dei capisquadra, la battaglia imminente, - sembrano congelarsi e passare in secondo piano, agli occhi spalancati e stupefatti di Gadreel.
    La luna
è alta, piena e rotonda. Galleggia nel cielo sereno e limpidissimo, spruzzato di stelle che brillano di luce lontana e chiarissima come una distesa infinita di piccole lucciole. Il suono del vento e il profumo della terra giungono come una sorpresa, travolgono il sistema dell'androide con sensazioni inaspettate e inedite, bloccandolo sui propri passi. Avevi ragione, papà, pensa, mentre un sorriso si allarga piano sulle sue labbra sottili. È pieno di cose belle, qui...
    Il momento di riflessione dura poco, perché poi qualcuno lo spintona e Gadreel torna bruscamente al tempo presente. I soldati si sono divisi in piccoli gruppi –
ma quanti sono? Quanti furgoni sono partiti dalla base?, - e Dean e Castiel stanno dirigendo le operazioni.
Gadreel è rimasto indietro e deve affrettarsi per raggiungere gli altri – gli è sembrato di scorgere la sagoma di Benny, qualche decina di metri più avanti, da qualche parte tra la folla.
    E adesso?, si chiede il robot, rimproverandosi per la disattenzione. Neanche sono sceso e già mi sono perso...
    «Ehi!» Garth spunta tra la confusione, lo afferra per un braccio. «Dov'eri rimasto? Dobbiamo prendere posizione,» lo informa, sgomitando per non farsi travolgere dalla massa di guerriglieri. «Devi salire là sopra,» dice, indicando un punto in cima a una collina. «Lì la ricezione è migliore... Troverai Gabriel, lui ti dirà che cosa fare,» aggiunge, e poi corre via – mentre Dean sbraita e si sbraccia per dare gli ordini.
    Tutti corrono; così corre anche Gadreel, verso il punto che gli
è stato indicato, mentre un nodo di ansia e di trepidazione gli si stringe dentro.


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Capitolo 14
*** Capitolo Tredici ***


Capitolo 13 - battaglia e Gad rapito

CAPITOLO TREDICI.

    «Cas, situazione?»
Accovacciato nel buio, riparato dalla vegetazione. I muscoli tesi, le mani strette attorno al corpo di un fucile a pompa calibro 12... E la mente fresca, leggera, svuotata di qualunque altro pensiero che non sia legato all
'azione imminente.
    Gli istanti prima di un assalto sono unici al mondo. Il cuore rallenta, il respiro diventa un tutt
'uno con il silenzio della notte. La vista diviene più acuta, più nitida... E ogni singolo nervo, ogni singolo muscolo del corpo, si tende e schiocca come un cavo elettrico, mentre l'adrenalina si sprigiona nell'organismo. Cuore anima e cervello si riallineano su di un nuovo asse, diventano strumenti funzionali al combattimento. I tempi di reazione si accorciano sensibilmente... E ti senti vivo e presente a te stesso, incredibilmente ricettivo e consapevole di ciò che hai attorno, di ciò che sta per accadere... Di ciò che sei. Unità assoluta e profonda connessione di mente e corpo, di pensiero e di azione. Dean ama questa sensazione...
Dev'essere così che si sentono i leoni, pensa.
    «Tre guardie armate sul lato ovest, due sul lato sud. Ma questo
è soltanto ciò che posso vedere da qui.» La voce di Castiel arriva leggermente sgranata, attraverso il minuscolo auricolare.
Dean prende atto dell
'informazione, passa al punto successivo.
    «D
'accordo. Benny, esplosivo?»
    «Pronto. Attendo il tuo segnale.» A qualche metro di distanza, l
'ex Marine osserva i piccoli droni silenziati di cui si è circondato. Saranno loro a dare inizio alle danze: si precipiteranno in volo nei pressi dell'entrata secondaria e sganceranno le cariche, sorprendentemente piccole e maneggevoli, ma abbastanza potenti da sradicare il portone e aprire la strada ai guerriglieri.
    «Bene. Squadra cecchini, ci coprite
?»
    «Sissignore! Siamo in posizione.» Garth e Gabriel, essendo inadatti per il combattimento corpo a corpo, si sono versatilmente adeguati al ruolo di tiratori, assieme agli altri soldati meno dotati nella lotta. I fucili che si trascinano dietro – dei .300 Win Mag provenienti dall'armeria della Marina, gentile omaggio di Dean e Benny, - sono pesanti e difficili da trasportare, ma sono tra i migliori per il tiro di precisione. Dotati di calcio pieghevole Accuracy International, con canna corta e un'ottica che permette di inchiodare qualsiasi bersaglio – umano e non – anche a seicento metri di distanza, rendono la squadra dei tiratori praticamente infallibile. E per i guerrieri in prima linea, capeggiati da Dean e Castiel, gettarsi tra le linee nemiche con degli angeli custodi a coprirgli le spalle è una sicurezza in più.
    Le mani di Dean fremono. Ma deve controllare un'ultima cosa, prima di dare il via libera.
    «Ricevuto. Gadreel, cosa vedono i tuoi occhi di elfo?», domanda il caposquadra, scherzosamente.
Ottiene in risposta un rumore attutito, come di qualcosa che rotola a terra – probabilmente, all'androide è scivolato di mano il microfono.
    «Allora-- Le guardie armate sono tredici, in totale. Dentro all'edificio ho contato venti persone al primo piano, di cui una decina sembrano guardie... Poi, ancora cinque guardie al secondo e dal terzo in su non riesco a vedere nient'altro, perché le finestre sono schermate,» dice Gadreel, cercando di essere il più conciso e sintetico possibile. Gli altri sembrano tutti così sicuri di loro stessi... Comunicano brevemente e sembrano molto affiatati, dopo chissà quante missioni che hanno compiuto assieme. Inutile dire che lui, in quanto ultimo arrivato, sente sulle proprie spalle il peso della responsabilità e teme di non essere all'altezza... Ma darà il proprio meglio.
Lo ha promesso.
    «Bene.» La voce di Dean sembra quella di qualcuno che stia sorridendo. «Visto? Non è poi così difficile.»
    Dall'altra parte, Gadreel si stiracchia appena. Se ne sta disteso a pancia in giù dietro una fila di arbusti fitti e bassi dietro ai quali, su consiglio di Gabriel, ha montato il cavalletto per direzionare un visore notturno. Fortunatamente, le apparecchiature sono facili da usare... Non avrà molte possibilità di combinare disastri.
L'androide sa che probabilmente non è il momento adatto... Ma la domanda gli scivola dalle labbra prima ancora che possa anche soltanto
pensare di trattenerla - e Gadreel un po' si vergogna della propria instancabile curiosità:
    «... Cos'è un
elfo
Con un crepitio, la voce di Garth si inserisce nella conversazione.
    «Charlie sarà più che felice di spiegartelo, quando torneremo alla base,» dice, divertito.
    «Avrai un sacco di film da vedere e libri da leggere,» aggiunge Benny.
    «Ora basta chiacchiere, soldati.» Dean mette fine a qualsiasi divagazione, riportando la concentrazione dei suoi uomini sull'assalto. C'è un istante di silenzio.
    «Per la libertà,» dice poi Dean, come per ricordare a sé stesso e ai suoi soldati il motivo per cui stanno per rischiare la vita.
    «
Per la libertà,» risponde Castiel, per gli androidi.
    «Per la libertà,» rispondono tutti, nel medesimo istante, come un'unica voce.
    Anche Gadreel si unisce al coro, senza pensarci troppo. Non riesce a capire fino in fondo il significato di quell'ultimo proclama collettivo, ma intuisce che sia qualcosa di importante - un augurio, una dichiarazione di intenti, un promemoria... O una preghiera. Un modo per sentirsi tutti parte di un'unità, per suggellare una fratellanza.
    Il motto risuona nella notte e subito dopo i droni si alzano in volo, le bombe piovono sull'obiettivo; e la squadra d'assalto si lancia in avanti contro le guardie nemiche, mentre i colpi delle armi da fuoco crepitano come mortaretti e incendiano l'aria, fanno tremare i vetri come i botti di un Capodanno fuori stagione.

    Corri - mira – spara - ripeti.
Castiel brucia in fretta le centinaia di metri del piazzale della Robotics Industry, correndo al passo con Dean – che spara e combatte come una furia. Il robot abbatte gli altri androidi con armi sviluppate appositamente per loro: abbastanza forti da bloccarli ma non da distruggerli. Sono pur sempre fratelli, dopotutto... E proprio per questo, Castiel ha richiesto che venissero creati strumenti d'offesa come questo, potenti ma non letali. Perché, in fondo, spera che ci sia ancora una speranza... Che possano tornare ad essere ciò che sono stati, prima che questa guerra – e Metatron – li riprogrammasse.
    «Copertura!» È Benny a richiederla, quando le guardie cominciano ad affluire sul punto degli scontri. Non appena i guardiani di Metatron mettono il naso fuori, la squadra dei cecchini li stende uno dopo l'altro, senza nemmeno bisogno di sprecare un secondo colpo. Ancora qualche centro, e poi dovranno cambiare posizione per evitare di essere individuati. Il bravo cecchino è come un'ombra: silenzioso e invisibile, ma in continuo movimento.

    Gadreel segue gli avvenimenti attraverso l'auricolare. Ora che l'azione è entrata nel vivo, si sente un pochino inutile... Passare le comunicazioni non è nulla, in confronto a quello che sta accadendo laggiù. Il frastuono degli scontri è un crepitio continuo in cui si mescolano ordini e voci concitate, e Gadreel si ritrova a desiderare di avere anche soltanto un decimo di quel coraggio e di quella preparazione necessarie per scendere sul campo ed essere davvero utile... Ma la strada è lunga, ed è comunque qualcosa che non fa parte di lui.
    L'androide fa tutto ciò che può, per agevolare i soldati. Cerca di anticipare le richieste di informazioni, spiando attraverso il binocolo fin dove riesce ad arrivare e istruendo i guerriglieri su ciò che sta accadendo nell'area circostante.
    «Castiel, sta salendo qualcuno dal piano sotterraneo... Gli ascensori si stanno muovendo.»
    Il capo degli umanoidi raggiunge in fretta il punto indicato, prima che il display arrivi a segnare PT. Due servitori di Metatron, due colpi non appena le porte si aprono: problema risolto.
    «Grazie, Gad.»
    «Prego, fratello.» Lo sguardo di
Gadreel sorvola rapidamente la zona alla ricerca di altri ostacoli da segnalare. Sta per avvertire Dean di uno strano movimento sul retro del palazzo, ma poi sente un clic che non proviene dal microfono – e, subito dopo, qualcosa che preme dietro la sua nuca.
    «Dovresti anche guardarti alle spalle, ogni tanto,» sibila una voce estranea - e Gadreel sentirebbe il sangue gelarsi, se ne avesse. «Ma i pivellini non lo fanno mai. Perché tu sei un pivellino, vero? Ecco perché ti hanno messo qui...»
    Il robot resta immobile, mentre l'arma –
cos'altro potrebbe essere? - spinge con più forza contro la sua testa. Riconosce qualcosa di familiare, nelle frequenze di quella voce: un'impercettibile alterazione che soltanto gli androidi producono, e che soltanto gli androidi riescono a percepire.
    «Non sei umano,» trova il coraggio di dire Gadreel, cercando di prendere tempo. Sta per morire? Forse. Non potrà più mantenere la promessa fatta a Chuck... Non potrà più far pace con Sam. «Chi sei?»
    Lo sconosciuto si muove, provocando un lieve scricchiolio di rametti.
    «Sono il tuo nuovo migliore amico... Il tuo
confidente,» risponde ridacchiando, con un tono sinistro che non nasconde affatto il sottotesto minaccioso. La pressione dell'arma è sempre lì, sempre opprimente, sempre inevitabile. «Staremo un po' insieme.. E mi racconterai un sacco di cose... Che tu lo voglia o no.» La pressione sparisce. «Alzati,» ordina l'estraneo, seccamente.
    Gadreel analizza in fretta le varie possibilità. Uno: reagire, avere la meglio, neutralizzare il nemico. Due: reagire, avere la peggio, finire ucciso subito oppure salvarsi. Ulteriori sviluppi del punto due: salvarsi, venire catturato. Venire catturato
uguale essere torturato. Essere torturato uguale dover restare inermi mentre i nemici si infilano nel tuo sistema e rubano tutte le informazioni di cui hanno bisogno, senza che tu possa opporti in alcun modo... E poi, ti distruggono o riprogrammano.
    Gadreel chiude gli occhi. No, non vuole che gli uomini di Metatron hackerino il suo sistema. Non vuole che Dean, Sam, Castiel e tutte quelle persone – quelle brave persone, che combattono solamente per il sacrosanto diritto di essere
libere, - vengano messe in pericolo per colpa sua. Non vuole finire nelle mani di quei mercenari... Non vuole che vedano ciò che ha visto, non vuole che sappiano ciò che sa. E, soprattutto... Non vuole che lo riprogrammino. Non vuole diventare un assassino... Non vuole fare del male.
    L'androide schiude le palpebre. La battaglia ancora infuria – giunge come un brusio lontano, dal microfono che Gadreel ha abbandonato a terra. Tutto intorno a lui è buio... E l'androide rimpiange di aver visto così poco, prima di... Prima di fare ciò che è più giusto.
    Mi dispiace, pensa, senza nessun destinatario in particolare. Forse suo padre, forse Sam, forse quegli androidi e quegli umani con cui aveva cominciato a mescolarsi e che non rivedrà mai più. Gadreel ha preso una decisione importante, e l'ha presa da solo.
Le informazioni che ha appreso moriranno con lui.
    «Allora? Vuoi muovert--» Lo sconosciuto perde l'equilibrio e cade all'indietro, quando Gadreel strattona i cavi che lui stesso ha disposto a terra, soltanto pochi minuti prima. «Maledetto!» L'arma che l'assalitore misterioso gli rivolge contro è simile a quelle che Gadreel ha visto nell'arsenale personale di Castiel; il pensiero è rapido, e poi l'androide si getta su colui che lo ha aggredito, nel tentativo di sopraffarlo o di farsi uccidere provandoci. Sacrificarsi è l'unica opzione possibile, se non riuscirà ad uscirne. Non tradirà i suoi compagni... Non tradirà la memoria di Chuck.
    Lo sconosciuto è più forte, più svelto, più preparato - più
cattivo. Ed è questo, soprattutto, a fare la differenza. Gadreel non ha mai colpito nessuno prima, non ha mai fatto del male in vita sua.
Il suo aggressore, invece, sì. E con molto, molto piacere.

    Rotolano lungo il fianco della collina, impattando sul terreno duro, e ben presto Gadreel si rende conto del proprio svantaggio. Cerca di bloccare i colpi, senza possedere alcuna nozione su come riuscirci, e poi fa del suo meglio per districarsi abbastanza da tentare di alzarsi in piedi; ma all'improvviso, in qualche assurdo modo che Gadreel non riesce a prevedere, il suo avversario lo aggancia per il collo e lo proietta di colpo a terra, di schiena, facendolo impattare sul terreno con tutto il peso. Si ritrova steso in mezzo a un campo incolto, selvatico. E poi il nemico gli è subito sopra, lo blocca, e il calcio della pistola si abbatte violentemente contro la tempia di Gadreel – e il nervo ottico sfrigola, la vista dell'androide si appanna di conseguenza.
    «Fratello, no-- » Gadreel sta perdendo e lo sa. È finita. Può fare soltanto un ultimo tentativo... Gli sembra impossibile l'idea di doversi difendere da qualcuno così simile a lui. «Ti prego, fermati...» Non riesce nemmeno più a vederlo, ormai. L'occhio sinistro non trasmette alcuna immagine, il colpo è stato troppo forte. «Siamo creature della compassione, non dell'odio--», smozzica Gadreel, nella speranza che quelle parole facciano scattare anche soltanto un minimo ricordo, in quel robot così violento e distorto. Quelle parole sono la base del suo essere, fanno parte del suo sistema... Sono l'idea da cui sono nati tutti i robot.
La compassione
è il fondamento di tutto ciò che Gadreel è, di tutto ciò in cui crede... Com'è possibile che gli androidi lo abbiano dimenticato?
    «Può darsi...» Il suo aggressore si ferma per un attimo, premendogli la canna della pistola sotto la gola. Gadreel si muove appena. L'iride destra raccoglie un'ultima immagine della luna splendente, appesa sopra di lui. «... Ma l'odio è più divertente.»
    Gadreel chiude forte gli occhi.

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Capitolo 15
*** Capitolo Quattordici ***


cap 14 - metatron e crowley, gadreel tortura

    «Dov'è. La base. Dei ribelli.»
Taddeus gli ha ripetuto la domanda così tante volte, ormai, che la frase non ha più nemmeno il punto interrogativo alla fine.
    Gadreel sbatte le palpebre, mettendo a fuoco la propria immagine - riflessa sul metallo lucido di una plafoniera da sala operatoria, appesa sopra di lui, che gli spara una luce forte direttamente in faccia. È quasi l'unica cosa che riesce a fare, così immobilizzato su quella specie di lettino su cui si è svegliato. Non ha idea di quanto tempo sia trascorso. Sa solo che il suo incubo peggiore si è avverato. E ora l'androide che lo ha assalito – e che ha avuto la perversa cortesia di presentarsi, non appena si è accorto che il suo ostaggio era tornato in sé – gli cammina lentamente attorno, come per valutare da che parte cominciare.
    «Non saprai nulla da me.»
Gadreel lo dice perché ne è convinto, anche se ha paura.

    Quando Taddeus gli ha puntato la pistola sotto la gola e ha fatto fuoco, l'androide ha davvero sperato che fosse tutto finito - per non ritrovarsi così, per non dover passare attraverso chissà quali atroci quanto inutili sofferenze. Inutili, già... Perché c'è soltanto una cosa di cui Gadreel è pienamente sicuro, e questa cosa è che
non parlerà. Non lo farà. Non è un traditore.
    Nonostante questo, però, la paura rimane. Ed è una reazione assolutamente plausibile, vista la situazione. Ha pensato che sarebbe morto, e invece quel colpo lo ha soltanto stordito. E ora si ritrova immobilizzato e inerme, a completa disposizione di un androide psicopatico. Di tutti gli scenari che potevano verificarsi, questo è il peggiore.
    Taddeus sbuffa appena, e i ridicoli capelli troppo chiari gli ondeggiano sulla fronte. «Uh, abbiamo un eroe...», commenta sarcastico, continuando a girargli attorno – come uno squalo.   
    Gadreel può soltanto intuire dove sia, bloccato com'è su quella lettiga così scomoda. Una cinghia gli corre attraverso la fronte, tenendogli la testa schiacciata contro lo schienale; e simili legacci gli bloccano il torace e gli stringono forte i polsi e le caviglie, limitandone i movimenti. Ha provato a strattonare per liberarsi, appena sveglio, ma è stato tutto inutile...
    «Be', non ho bisogno del tuo permesso,» continua il servitore di Metatron. Poi si china su di lui, passa le dita tra i suoi corti capelli castani e stringe, facendogli uscire un gemito di dolore. «Se non parli da solo, mi infilerò in questa bella testolina e prenderò comunque tutto quello che mi serve. Ora te lo sto chiedendo gentilmente perché in fondo sono generoso, e voglio darti una possibilità. Se parli adesso, dopo sarò piu buono con te... Forse.»
    A Gadreel non piace la vicinanza con quel robot. Non gli piace il suo ghigno cattivo, non gli piace il modo in cui lo guarda – come se si stesse chiedendo quanto durerà, prima di cedere. Cerca di voltarsi per non stare faccia a faccia con lui, ma riesce a spostarsi soltanto di pochi millimetri.
    «No.» La risposta è decisa e secca - ma gli esce con un tono, forse, un po' troppo emotivo. Gadreel sta cercando di mostrarsi impassibile e risoluto, ma è agitatissimo e non riesce ad avere controllo sul lieve tremolio nella propria voce... Non riesce a nascondere l'angoscia.
    Taddeus lascia andare la presa, con aria annoiata.
    «Come non detto,» dice, stringendosi nelle spalle e ricominciando il proprio lento, inesorabile, insopportabile giro. «Sai, un po' quasi mi dispiace... Si vede che hai paura, eppure ti ostini a non parlare... È molto nobile, devo riconoscertelo. Ma se fossi in te, mi farei una domanda...» I passi di Taddeus si fermano da qualche parte alla sua sinistra, ma Gadreel non riesce a scorgerlo – il nervo ottico, da quella parte, è ancora danneggiato. «... Ne vale la pena?»

    Il protitipo fissa il proprio riflesso, tra le luci accecanti. È l'unica immagine a cui può aggrapparsi, anche se lo confonde un po' – è strano, guardarsi così, come se si vedesse da fuori... Dall'alto.
«Io non tradirò quelle persone,» dice, con orgoglio. Questa volta, riesce a parlare più freddamente. Forse, si sta rassegnando all'idea che morirà così... O forse, per quanto gli sarà possibile, ha deciso che può ancora combattere.
    «Andiamo, Gadreel! A loro non importa niente di te.» Taddeus sbotta, agitando teatralmente le braccia. «Vedi qualcuno di loro qui, a salvarti? No. E sai perché?» Di nuovo, il secondino si allunga sul robot che ha catturato, cercando di leggere anche solo una minima traccia di esitazione nei suoi occhi. «Te lo dico io: perché a nessuno importa nulla dell'ultimo arrivato. Nessuno si mobiliterà per venire a recuperarti. Tu sei soltanto...» Gadreel chiude gli occhi e si sforza di voltarsi ancora un po' di lato, pur di non vederlo. Ma le dita di Taddeus spingono sotto il suo mento, lo obbligano a restare in posizione. «... La loro stupida, patetica, inutile ruota di scorta. Uno zero.» È velenoso, Taddeus. Gli piace infettare le menti col germe del dubbio, prima di passare a torturare i corpi.
    «Non è vero!», si affretta a ribattere Gadreel, con più energia di quanta credesse di avere. Le parole di Taddeus sono false, e lo sa, ma... Allora perché si sente così punto sul vivo? «Non puoi parlare così... Tu non li conosci!» Non importa, pensa il prototipo, cercando di aggrapparsi come può alle proprie convinzioni. Non importa se nessuno verrà a salvarlo. È giusto così. Lui è un guardiano e il suo compito è provvedere al bene degli altri, non al proprio.
Ma Taddeus insiste, e il suo tono è sempre più crudele.
    «Oh, sì che li conosco. E ti dirò un'altra cosa: per gli umani, noi siamo soltanto giocattoli.»
    «Non è così...» Non mi importa niente di te. Le parole di Sam riaffiorano nella mente di Gadreel, ma il robot le lascia affondare in un angolo, per la propria sopravvivenza. Altre risuonano, invece, con maggior forza e chiarezza... E l'eco della voce che le ha pronunciate porta il timbro di Chuck. «Gli umani sono quanto di più sorprendente sia mai stato creato. E noi robot siamo i loro custodi.» Sì, se lo ricorda bene, quel giorno... Il giorno in cui ha giurato di servire l'umanità. È stato il più bello della sua vita...
    «Dai, ancora con quel patetico codice?» Taddeus lo guarda come avesse davanti un bambino scemo fissato con un gioco senza senso. «Come hai detto, prima...? Ah, già: siamo creature della compassione, e non dell'odio,» recita l'aguzzino, in tono solenne, scimmiottando malamente le parole che Gadreel gli ha rivolto, durante la colluttazione avvenuta sulla collina. E poi sorride, cattivo, come un gatto che abbia chiuso il topo in trappola: «Ti assicuro che non la penserai più così, quando sarai diventato uno di noi.»
    «Non voglio!» Gadreel si agita, in un moto di collera e di ribellione. Vorrebbe strappare via quelle cinghie, strappare via quel ghigno dalla faccia che ha davanti, ma non può. Per quanto tiri e strattoni, non riesce a muoversi di un solo centimetro – e non può fare a meno di vergognarsi della propria debolezza, e per aver dato motivo a Taddeus di godere della sua ulteriore dimostrazione di vulnerabilità. «Non servirò mai il tuo padrone!», urla, in un impeto di rabbia.
    «Sì che lo farai,» ribatte Taddeus calmo, con i lineamenti improvvisamente spogli di qualsiasi falsa cordialità. «E sarai il più fedele, e umile... Il più leale e obbediente di tutti. E sparerai su quelli che oggi consideri tuoi amici.» Questo, più di ogni altra cosa, sarà ciò che farà soffrire quell'androide così puro e testardo che continua a opporsi ad un destino inevitabile, pensa il carnefice, compiaciuto. La consapevolezza che diventerà solo un misero strumento... Che perderà qualunque moralità, la capacità di discernere il bene dal male.
    Ed è vero: a Gadreel questo fa male, malissimo.

    «No...» No, non può accettare che accada. Non può-- Ma come può impedire qualcosa su cui non ha il minimo controllo?, si chiede il robot. E, per la prima volta in vita sua, conosce il dolore e la frustrazione di dover assistere a un'ingiustizia senza poter fare nulla per evitarla... E brucia da morire. È una spina nel cuore, una lama che lacera ogni speranza di futuro. Non ci sarà alcun futuro, per lui. Diventerà un assassino. Andrà contro ciò in cui crede, farà violenza a sé stesso. Non sarà più un custode.
Non è giusto...
    Piuttosto che piegarsi ad una simile sorte, Gadreel prega silenziosamente di morire subito. È l'unica via di fuga, senz'altro la più dignitosa, pensa. Meglio spegnersi e disattivarsi per sempre, che trasformarsi in un mostro...
    «Collabora, Gadreel. Risparmiati del dolore inutile... Tanto è così che andrà, non puoi farci nulla. Puoi soltanto rendere tutto più veloce...» Taddeus legge i sentimenti sul volto del robot e si sorprende di quanto sia facile intuire la guerra che sta avvenendo nella sua testa. Gadreel è molto umano, sotto questo punto di vista: un essere imbottito di impulsi che non sa nemmeno gestire. «Te lo chiedo di nuovo: dov'è la base dei ribelli?», insiste.
    Ma Gadreel è diventato freddo come il marmo. Si sente in trappola, condannato, chiuso in vicolo cieco. E lui, come certi animali, quando si sente braccato diventa... Rabbioso, e imprevedibile.
    «
Non. Saprai. Niente. Da. Me.» Non c'è più alcuna traccia di dolcezza, sul suo volto. Gadreel scandisce ogni parola con tutto il disprezzo possibile. I suoi occhi grigioverdi sono diventati più chiari, ma più foschi – due pezzi di ghiaccio, sporco e radioattivo. E trema, dalla testa ai piedi – per la paura e la mortificazione, per la rabbia, per la bruciante sensazione di essere impotente, per il rammarico di non aver avuto nemmeno il tempo necessario di fare ciò per cui è stato creato... E per l'umiliazione di non aver potuto tener fede alle sue promesse. Per le persone che non potrà proteggere, per tutto quello che non potrà vedere... E per sé stesso, per la propria sfortuna - perché, tra tutti i finali possibili, sembra che gli sia toccato il più amaro di tutti.
    Taddeus resta in silenzio per un istante. Lo studia, sorpreso e incuriosito dal suo improvviso cambiamento.
    «Sei più stupido di quanto pensassi,» borbotta infine, scuotendo la testa. «Guardati... Stai tremando.» Già, sta tremando come una foglia. Quando se ne accorge, Gadreel stringe i pugni, cercando di calmarsi. Taddeus sospira. «Be', se le cose stanno così... Mi vedrò costretto a violare il tuo sistema. Ma prima mi divertirò un po'.»
    Gadreel chiude gli occhi, preparandosi a ciò che lo attende. Saranno i momenti peggiori della sua vita, lo sa. Saranno lunghissimi, interminabili. Sembrerà che non passino mai... E quando le sofferenze saranno lancinanti, gli sembrerà addirittura che il tempo si sia fermato. Ma non è vero e non deve dimenticarselo, quando farà tutto troppo male.
Si tratta soltanto di avere pazienza e sopportare, in fondo. Ma p
rima o poi-- Prima o poi, tutto avrà una fine. Smetterà di soffrire quando termineranno le sevizie... O quando non sarà più in grado di sopportarle.
    Il pensiero è infinitamente triste, ma allo stesso tempo confortante.
    «Sai, con gli umani è meno coinvolgente,» esordisce Taddeus, sparendo dal suo campo visivo. Gadreel non si affanna a cercarlo. Non gliene importa più nulla. Non gli importa più di niente, ormai. «Sono deboli, si rompono facilmente... Durano poco, insomma. Ma con i robot posso lavorare su molti aspetti. Sai, ho sviluppato una vista speciale... La prima cosa che vedo di qualcuno sono i suoi punti deboli, e tu... Ne hai davvero parecchi.»
    Qualcosa si infila dietro la sua testa, sottopelle, e fa male. Gadreel si lascia scappare un gemito, pentendosene subito dopo.
    «Come puoi fare del male alle creature che devi proteggere?», chiede. «Come puoi fare del male ai tuoi simili..? Noi non siamo nati per questo...» Gadreel sa che, forse, a questo punto dovrebbe tacere e mettersi l'anima in pace, ma proprio non ci riesce. Se deve finire così, vuole almeno sapere perché.
    I cavi che Taddeus ha collegato alla sua centralina appartengono ad uno schermo quadrato che il servo di Metatron tiene agilmente tra le mani. Chissà quante altre volte lo ha fatto... Chissà quanti altri androidi ha fatto soffrire su quello stesso lettino, prima di lui.

    «Tu no, forse... Ma io sì. Sono stato assemblato per fare del male. Sono più veloce, più forte degli altri robot... Ma questo hai potuto constatarlo di persona,» spiega il secondino, sfiorandogli col pollice il taglio sullo zigomo destro – ricordo dello scontro che hanno avuto, poche ore prima. «Ma sai qual è la cosa migliore, in tutto questo? È che io provo un immenso piacere nel fare quello che faccio. Più lo faccio, e piu mi sento...
Bene.» Sul volto del cattivo si forma un sorriso liberatorio.
Su quello di Gadreel, un'espressione di disgusto.
    «È orribile...»
    «È fantastico. E non vedo l'ora di sentirti urlare, sai? Niente di personale, ovviamente.» Taddeus digita qualcosa sullo schermo, e Gadreel avverte un fastidioso formicolio spandersi nella colonna vertebrale. Il servo di Metatron continua a girargli attorno, come non ha mai smesso di fare fin dall'inizio. Gadreel è teso, tesissimo. Il sistema lo avverte che qualcuno sta forzando la scheda delle sue informazioni di base.
    «Sai, Gadreel, forse ci sono delle cose che non sai, sui robot. L'idea di renderli fisicamente simili agli esseri umani, ad esempio, per sviluppare il senso di empatia e rendere più facile l'integrazione con loro, ha dei pro e dei contro. I pro sono che, ovviamente, in questo modo noi robot condividiamo con loro una vasta gamma di sensazioni e questo ci permette di poter comunicare senza problemi e scambiarci quel tipo di informazioni – visive, olfattive, uditive, tattili e persino gustative, anche se non abbiamo bisogno di mangiare – che le maledette scimmie sperimentano normalmente. Ma...»
    Il formicolio è diventato una specie di corrente elettrica a bassa frequenza che tormenta il robot dalla testa ai piedi, gli fa venire voglia di agitarsi. Istintivamente, per scaricare parte del nervosismo e per prepararsi al peggio, Gadreel stringe le mani attorno ai bordi del lettino.
Taddeus continua il suo delirante monologo.

    «... Mentre per un umano quei valori sono standard e non si possono alterare dall'esterno, in un robot si possono modificare. E prendiamo una percezione a caso, adesso...» Bip. Bip. Due tocchi sullo schermo, e davanti a Taddeus si apre la mappa dei parametri vitali del suo prigioniero. Può fargli qualunque cosa, ora. «Prendiamo i parametri del tatto. Poter innalzare o abbassare quel valore permette di aumentare o diminuire la sensibilità di un androide. In altre parole...» Il cattivo ghigna, gustandosi una pausa studiata. «... La sua soglia del dolore.»
    La scarica arriva inaspettata e violenta, e Gadreel si tende di scatto sul lettino soffocando a stento un grido di dolore. Dietro le palpebre compaiono piccoli puntini rossi e viola, mentre le sue vene sembrano riempirsi di fuoco e lava. Non dura molto, fortunatamente. Quando Taddeus blocca la scarica, Gadreel si abbandona sulla lettiga come un burattino con i fili rotti, cercando di recuperare il controllo.
    «Più cinquecento. Fa già male, eh?» Il carceriere lo schernisce. Ha annusato l'odore della paura e della sofferenza, e ora ne è ancora più affamato. Questo è soltanto l'inizio. Un antipasto, per così dire. «Andiamo, non essere timido. Fammi sentire come urli...»
    Gadreel sente caldo, tanto caldo. Le nocche delle sue mani sono sbiancate. Non riesce più a sentire le gambe e le braccia, e il suo sistema comincia a segnalargli il pericolo di surriscaldamento. È perduto, ora che Taddeus è riuscito a infilarsi così a fondo e a manipolare parti di lui così interne e delicate. È peggio che essere nudi: è come-- Non ci sono parole per descriverlo. Questa è la violenza peggiore che si possa infliggere ad una creatura come lui. «Perché-- Fai questo...?», smozzica il robot, ignorando l'improvvisa sensazione che un martello pneumatico gli stia schiacciando la testa. Tutto gira, in modo nauseante.
    «Non sai dire altro?» Taddeus lo guarda di sbieco, con aria seccata. Poi muove di nuovo le dita sullo schermo, curandosi di comunicare alla sua vittima il valore che ha appena inserito: «Settecento.»
    Per quanto Gadreel si prepari, il dolore riesce comunque a sopraffarlo. La seconda scarica è più intensa e devastante della prima, e stavolta l'androide non riesce ad evitare di urlare più forte che può, fino a non avere più voce, mentre la vista gli si appanna e i suoi pensieri si addensano di errori - rallentano, vanno in crash. La corrente elettrica schiocca nel suo sistema e nel suo corpo, reso ipersensibile e irrimediabilmente vulnerabile.
    Le urla e la confusione, prevedibilmente, attirano curiosi; una porta si spalanca di colpo, sul fondo della stanza, e Taddeus interrompe la scarica e si volta per vedere chi abbia avuto il coraggio di disturbarlo durante uno dei suoi giochi preferiti.
    «Taddeus!» Bartolomeo, un suo degno collega di torture, fa il suo ingresso con un completo elegante e un'aria di rimprovero. «Vacci piano, con quello. Il capo ha detto che dev'essere riprogrammato...», lo informa, serio.
    Taddeus agita una mano con aria seccata, come per scacciare via una stupida mosca.
    «Non rompere, non l'ho mica rotto! Voglio solo giocare ancora un po'...», si giustifica, voltandosi e riprendendo a inserire valori sullo schermo come se niente fosse.
Nella nebbia confusa in cui sono sprofondati i suoi pensieri, Gadreel si augura che tutto questo finisca presto.
    «Taddeus. Le informazioni,» gli intima ancora Bartolomeo, avvicinandosi per ottenere la sua attenzione. Lancia un'occhiata distratta al robot steso sul lettino – ne ha visti così tanti, nelle sue condizioni. Questo sembra mezzo morto, e - Bartolomeo ne è sicuro, - non reggerà ancora per molto. «Prendi le informazioni, prima che fonda.», ordina infatti.
    «E va bene, noioso!» Taddeus cambia rapidamente schermata, per infilarsi nella mente dell'androide. Di solito non ci vuole molto. «Ma...» L'espressione del torturatore cambia rapidamente, si fa perplessa e accigliata. «... Che razza di codice ha? Non riesco a entrare!» Con gesti resi sgraziati dal disappunto, il cattivo prova e riprova, per qualche minuto buono. Ma niente, non c'è verso.
    Gadreel se ne sta disteso senza più muoversi. Le due scariche sono bastate per annientarlo, e ha a malapena la cognizione di sé stesso, ormai. Si rende conto che sta accadendo qualcosa, attorno a lui, ma non ha né forza né lucidità a sufficienza per interessarsene.
    «Che nervi...!», sbotta Taddeus, tirando un calcio alla lettiga.
    Bartolomeo si affianca al suo compare, leggendo le anomalie che si addensano sullo schermo. Ci sono parti di codice che non ha mai visto prima, in effetti. «Aumenta la carica... Ma solo un altro po'. Quando sarà abbastanza debole, non potrà più opporsi... E sarà più facile violare il suo sistema,» suggerisce, senza alcuna traccia di compassione.
Taddeus gli rivolge uno sguardo obliquo e inferocito:
    «... E cosa pensi che stessi facendo, prima che tu mi interrompessi?» Poi digita di nuovo sul suo schermo: «Mille.»
    Se le prime due sono state tremende, questa... Questa è decisamente troppo. Gadreel resta rigido e semi-incosciente, e non smette di tremare neanche quando la scarica finisce. L'elettricità residua lo fa sobbalzare, come se avesse le convulsioni.
    «Allora?», chiede Bartolomeo.
    «Ancora niente.»
    «Ma non è possibile...!»
    «E invece a quanto pare sì!» Taddeus sbotta, contrariato per l'anomalia che non riesce a comprendere. E poi si china sul robot inerme, lo strattona e lo colpisce più volte sul viso, per tirarlo fuori da quello stato di dormiveglia in cui sembra sprofondato. Le palpebre dell'androide tremano, sugli occhi socchiusi. «Te lo dico per l'ultima volta! Ti conviene parlare subito, Gadreel... O stavolta farà davvero, davvero male.» Glielo ringhia in faccia, con tutta la furia di cui è capace.
    Gadreel galleggia in una bolla in cui tutto giunge lontano, attutito... Inoffensivo, come in un sogno.

    «N-no...» Non sa nemmeno lui dove abbia trovato la forza di collegare pensieri e voce per dire quella parola. Ma è tutta lì, la sua missione. Ribellarsi a qualcosa di sbagliato. Insistere per difendere ciò in cui crede.
    Sacrificarsi, per un bene più grande.

    «Come vuoi.» La faccia di Taddeus è una maschera gelata. È la prima volta che qualcuno si ostina a resistergli fino a quel punto. E, se non potrà ottenere quelle informazioni, allora sarà anche l'ultima, pensa. «Milleduecento.»
    «Taddeus, è quasi il limite, rischi di--» Bartolomeo cerca di fermarlo, consapevole dei rischi, ma Taddeus ha già premuto il bottone.
    «Zitto!»
    La scarica lo investe. Qualcosa in Gadreel si spezza e si rompe, lo sgancia dalla realtà. Scivolare in fondo alla bolla è facile – la strada è tutta in discesa. E quello stato di inconsapevolezza automatica promette pace, serenità, assenza di dolore... Quindi, perché no? Perché non abbandonarsi e lasciarsi trascinare giù, giù, tra le braccia di quel sonno confortevole? Ha fatto il suo dovere... Ha sofferto con onore. Ora può dormire il sonno del giusto... Quello del martire.
    Il robot sussulta senza sosta, batte i denti come se facesse infinitamente freddo. Una soluzione salina gli scivola dagli occhi socchiusi, e i suoi due aguzzini aggrottano le sopracciglia in contemporanea, di fronte ad un fenomeno a cui non hanno mai assistito prima.

    «E adesso che succede?», chiede Bartolomeo, allungando una mano per toccare le piccole gocce rotonde, che continuano a scendere. «Cos'è questa roba?»
    Nonostante sia riuscito a spezzarlo, Taddeus è ancora arrabbiato per non essere riuscito ad ottenere ciò che voleva. «Non lo so e non me ne frega niente... Questo idiota non si è aperto, dannazione!» Colpisce con un pugno il petto dell'androide, inutilmente. «Parla! Parla, avanti! Dimmi immediatamente tutto quello che sai o giuro che--»
    «Zir... Noco... Ied... Gadreel...» Le parole escono roche, lente, come un automatismo. Escono senza che Gadreel possa controllarle – senza persino che se ne accorga. La parte cosciente del suo cervello non è più in funzione. «Zir... Noco... Ied... Gadreel»
    «Che diavolo sta dicendo?» Taddeus non ci sta capendo più nulla. Nessun robot ha mai reagito così, prima...
    «Sta ripetendo le stringhe del suo codice,» risponde Bartolomeo, chino con le mani sulle ginocchia per esaminare l'androide con distaccata curiosità. «Mi sa che gli hai bruciato il cervello. Metatron non ne sarà contento...»
    «Non se nessuno glielo dirà.» La minaccia nel tono di Taddeus è fin troppo chiara. «Senti, io lo riprogrammo lo stesso. Poi se si riprende, bene, sennò gli diciamo che non ha retto alla riprogrammazione.»
    «Come ti pare...» Bartolomeo si stringe nelle spalle. Non che gliene importi qualcosa...
    «
Zir noco ied Gadreel...»
L'androide ha gli occhi appena appena aperti. Non si muove più, e le sue parole si fanno sempre più flebili.
    «Sì, sì, ho capito...» Taddeus si allontana per prendere un altro strumento. È una specie di corta siringa metallica, con cui inietta un virus nella centralina del robot inserendogli l'ago nel collo. «Peccato, avrei voluto spingerti ancora un po' oltre...», confessa, mentre sullo schermo appare la percentuale di completamento dell'operazione.
    Il virus è stato sviluppato per diffondersi nel sistema degli androidi, proprio come fanno le malattie con gli esseri umani. Distrugge le informazioni pregresse e le riscrive, sostituendole in modo sistematico con quelle volute da Metatron... Obbedienza, fedeltà assoluta e spietatezza.
    Quando ha finito, Taddeus ripone lo strumento. «Mettilo con gli altri. Quando si sveglierà, valuteremo i danni...», ordina, voltandosi, senza più alcun interesse per il giochetto che non funziona più.

    «Va bene.» Bartolomeo si avvicina e, freddamente, slaccia una per una le cinghie, liberando il corpo dell'androide ormai inerme. Gli passa le braccia attorno al petto e lo solleva con facilità - è come prendere in braccio un manichino, pensa, - e lo trasloca su una sedia a rotelle cigola cigola cigola, cigola terribilmente e senza sosta, mentre attraversano il lungo corridoio.   
    Il cigolio è fortissimo, ma Gadreel non sente nulla.

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Capitolo 16
*** Capitolo Quindici ***


capitolo 15

    Ciao a tutti!
Rieccomi con un altro aggiornamento – sto approfittando di ogni occasione per postare i capitoli e la mia presenza all'internet point, ormai quasi fissa, sta cominciando a destare sospetti... Credo che il tipo dietro al bancone si sia convinto che io abbia una cotta per lui, ma non è vero! >.<
    Comunque, dicevo: abbiamo lasciato il nostro eroe nel mezzo di una bruttissima situazione, ed è decisamente ora di vedere come farà a tirarsene fuori - Gaddy è un po' lento a capire le cose, ma senza dubbio ha molte risorse ;) E più lo scrivo, più mi ci sto affezionando, perciò non preoccupatevi per tutte le disavventure che sta passando... Servono soltanto a prepararci per il gran finale!
    Volevo approfittare di questo spazio per scusarmi della – forse – strana impaginazione degli ultimi capitoli O.o Ho riscontrato dei problemi di compatibilità tra il mio pc e questo da cui sto aggiornando, così ho provato a sistemare il testo ma credo che il risultato non sia proprio quello che speravo... L'anteprima continua a mostrarmi dei paragrafi che sembrano scritti in caratteri più piccoli. Se qualche utente sa come rimediare, si faccia pure avanti! :)
    Detto questo, vi lascio al cap.
Buona lettura, e a presto!!!
A. ;)



CAPITOLO QUINDICI.

    Chiamata in arrivo: FORNITORE.
Crowley rotea gli occhi al cielo, allungando una mano per toccare lo schermo e rispondere. A dire il vero, quello che ha registrato sotto quella dicitura così anonima si può considerare davvero un fornitore, dopotutto.
Di rotture di scatole.
    «Maaarv, caro!» L'inglese mette su il suo sorriso migliore – il più finto, il più smagliante. È quasi un riflesso spontaneo, ormai: il tic del venditore. «Come stai? Sbaglio o poco fa ci sono state delle... Come dire? Agitazioni, dalle tue parti?»
    La faccia sullo schermo non è affatto cordiale.
    «
Come sto??? C mancato tanto così che quegli stolti mi catturassero! Ed è proprio per questo che ti chiamo... Sai, quei sudici rivoltosi avevano delle armi insolitamente simili alle nostre.» Il basso dittatore mostra in primo piano una delle sofisticate armi stordenti perdute dall'esercito ribelle. È facile leggere il dubbio e l'insinuazione, nel suo tono. «Ecco, ne ho una proprio qui, la vedi? Eppure mi avevi detto che il brevetto era una nostra esclusiva, o sbaglio
    «Certo che sì, caro.» Crowley ha imparato che, per cavarsela, nella vita bisogna fare soltanto una cosa: negare, negare, negare. Anche l'evidenza. «Non capisco come posso aiutarti...?»
    «Oh, lo sai benissimo.» Metatron sembra ancora più brutto, quando è arrabbiato. «Si dà il caso
che l'unico legame tra me e quei bastardi sia tu... Credo che tu mi debba qualche spiegazione, Crowley.»
    «Sono desolato, Marv, ma non so proprio cosa dirti. Hai mai preso in considerazione l
'idea che – forse – non tutti i tuoi collaboratori ti sono fedeli come credi...?» Nega: e, se non basta, dà la colpa a qualcun altro.
    Metatron stringe gli occhi, furibondo.
    «Se qualcuno ha tradito, la pagherà.» Pausa e occhiata storta. «Chiunque sia stato. Odio i traditori-- Ah, e per la cronaca: non chiamarmi Marv.»
    Fine delle comunicazioni. Lo schermo torna nero, e Crowley si lascia andare sullo schienale, tamburellando le dita sulla scrivania. Che tempi, pensa. Non si può più nemmeno far girare l'economia senza incappare in rimostranze di tutti i tipi... Ed è seccante, doversene occupare di persona.
Forse è davvero il caso di aprirlo, quel centralino per il servizio clienti...

    «... Vai a svegliare Charlie e Kevin. Avranno del lavoro extra da fare, stasera...»
    «Va bene, allora vado ad aprire il passaggio per l'istituto...»
Le voci e i passi che provengono dal corridoio sono i soliti del dopo-missione.
    «Ehi--» Dean getta lo zaino da una parte, stancamente, ma quando poi alza lo sguardo, si blocca. Decisamente, non è preparato per questo. «... E tu che ci fai qui?»
    Sam se ne sta seduto con le braccia conserte sul tavolo, con la faccia assonnata. Ha l'aria di aver aspettato a lungo il ritorno della squadra, e Dean pensa di sapere perché. Solo che... Be', sperava di avere qualche altro minuto per prepararsi a dirglielo.
    «Non riuscivo a dormire, così ho preferito venire qui ad aspettare che tornaste...» risponde il fratello minore, stringendosi nelle spalle. «Allora, com'è andata? Li avete recuperati?»
    Dean deglutisce, a disagio, intuendo il casino che si scatenerà di lì a poco. «Uhm-- Be', bene... Li abbiamo recuperati tutti...» Uno, due, tre. Dai, dillo e basta. Tanto lo scoprirà lo stesso... «...Solo che ne abbiamo perso uno.»
    Sam resta a guardarlo per un istante imbarazzato, mentre un presentimento comincia a formarglisi nella testa. Solleva un sopracciglio, in attesa. «--Dean, che ne dici di argomentare? … Chi avete perso...?» Lo chiede, ma ha l'impressione di saperlo già. Sam ha imparato che gli eventi della sua vita, solitamente, seguono una sola, semplicissima regola: se qualcosa può andar male, di sicuro lo farà.
Dean abbassa lo sguardo, colpevole.
    «... Gadreel.»


    Bianco e nero, e qualche sfumatura intermedia. Plafoniere spente... Cavi penzolanti.
Questo è il soffitto che Gadreel si trova davanti, quando a poco a poco si sveglia, sbattendo le palpebre, senza riuscire a mettere bene a fuoco. Gli fa male la testa... Gli fa male tutto. Ossa e muscoli sembrano essersi fusi e ricompattati in un unico blocco doloroso. E qualcosa di diverso... Estraneo, sconosciuto e ostile, ribolle continuamente in un angolo buio della sua mente – come una voce che sussurra ordini incomprensibili e terribilmente sbagliati. Gadreel stringe le palpebre, cercando di allontanare quella voce... Di escluderla dal flusso ingarbugliato dei suoi pensieri.
Il robot geme flebilmente, riacquistando una vaga percezione di sé stesso - troppo spaventato persino dalla sola idea di muoversi per provarci davvero.
    L'eco sommessa di mugolii simili giunge attutita alle sue orecchie e il robot impiega ben più di qualche minuto per rendersi conto di non essere solo, nella penombra di quella stanza senza finestre. Sente lamentarsi altre creature, attorno a sé, e chiama a raccolta tutto il proprio coraggio per vincere il malessere e la nausea e scoprire di cosa si tratti.
    Ci sono altri corpi, distesi su lettini ricurvi che sembrano gusci... Altri androidi. Che si agitano lentamente, muovendo le braccia e tirandosi faticosamente su a sedere. E tutti muovono le labbra allo stesso modo, producendo un brusio indistinto che si fa via via più chiaro ad ogni ripetizione.
    «Per Metatron, unico capo e unico dio...»
    «Per Metatron, unico capo e unico dio...»
    «Per Metatron...» Gadreel sente le tempie pulsare, mentre si unisce al mormorio. Le parole gli scivolano dalle labbra come un riflesso condizionato, ma suonano...
Sbagliate. Aliene. Una residua porzione della sua coscienza se ne rende conto, ma quel corpo estraneo che si è insediato nel suo cervello ora grida più forte - lo obbliga a forzare la propria volontà e obbedire all'impulso. È il virus che lo condiziona, che mangia i suoi pensieri e li sostituisce con ordini di obbedienza e docilità. «... Unico capo, e...» L'androide si morde il labbro, abbandonando la testa sul lettino e artigliandosi al bordo. Non riesce quasi a capire cosa stia dicendo, nelle condizioni in cui è, ma... Perché si sente così sporco? Così... fuori posto, mentre pronuncia quelle parole? «... E unico--»
    Il virus gli ordina di alzarsi in piedi, ma lo stimolo non arriva fino alle gambe e Gadreel si sporge più del dovuto, sbilanciandosi e rovinando pesantemente oltre il bordo della branda con un gemito di disappunto. Resta disteso sul pavimento, con la testa che bolle e che gira, una guancia premuta sulla superficie fresca. Solo qualche minuto...
Solo qualche minuto, chiede, sconnessamente. Qualche minuto per sbrogliare quei pensieri così dissonanti, per liberarsi da quella fastidiosa presenza estranea che gli ordina di fare cose che non vuole. Soltanto qualche istante... Per recuperare un po' le forze, per... Schiarirsi un po' le idee...
    I suoi occhi grigioverdi sembrano diventati più scuri, per la stanchezza e per tutto quello che ha passato. Il virus spinge per tirarlo in piedi, ma Gadreel resta lì dov'è. Se la resistenza passiva è l'unica arma che gli è rimasta, allora la userà, pensa il robot vagamente. Non si muoverà mai più. Resterà per sempre inchiodato su quel pavimento... Tutto, pur di non obbedire a Metatron.
    Guardare il pavimento è un passatempo monotono, però, e ben presto Gadreel sente i suoi pensiero farsi di nuovo frammentati. Continua a non ricevere alcuna immagine dall'occhio danneggiato, ma davanti a sé vede l'immagine sgranata della propria mano distesa. Ha le nocche sbucciate...
Chissà come mai.
    Sommari ricordi di un'aggressione subita di notte, in cima a una collina, riemergono nel buio... Sprazzi di avvenimenti.
    Da qualche recesso superstite della sua memoria, Gadreel vede riaffiorare dei fotogrammi di qualcosa che non ricorda... o forse sì? Non ha controllo sul flusso delle sue associazioni mentali: è come essere immersi nel dormiveglia. Quanta forza occorrerà per mantenere in vita quelle immagini prima che il virus le riscriva? … Quanto a lungo potrà resistere, prima che la riprogrammazione cancelli ogni traccia di ciò che ha vissuto nei giorni precedenti?
    Mani. Gadreel si concentra sulle mani. Le sue mani tenute tra quelle di un'altra persona. Mani sulla sua spalla... Segni di incoraggiamento, di amicizia, di affetto. Facce che non ricorda... Che non riesce ad associare... Ma che gli suscitano sensazioni di calore, di accettazione... Di nostalgia.
    A fatica, puntellandosi sui gomiti e poi aggrappandosi alla struttura di metallo del lettino, Gadreel si trascina in ginocchio, in piedi. Ha ancora bisogno di appoggiarsi... La stanza oscilla pericolosamente.
    Attorno a lui, tutti hanno sguardi vuoti ed espressioni neutre, e declamano quel mantra che lui si è rifiutato di ripetere fino in fondo. Guardano fissi in un punto, sembra che non facciano alcun caso a lui.
    Gadreel si massaggia la fronte, sottosopra. Non ricorda quasi nulla, ma c'è qualcosa che non va... Cosa ci fa lui lì? Sente che non dovrebbe essere in mezzo a loro... Dovrebbe essere--
Dove? Già, dove?
    Il robot si guarda le mani, sperando di recuperare qualche indizio, qualche traccia delle sensazioni che ha provato poco prima. Cosa erano quelle immagini che per un attimo sono tornate in superficie nella sua coscienza?

    Mani strette attorno alle sue, sopra un ripiano di legno, accanto a un bicchiere pieno di un liquido dorato... Pacche sulla schiena, e gomitate affettuose. Chi ha fatto tutto questo..? Quando? E perché? È accaduto davvero... O è soltanto un prodotto della sua fantasia?
Sembrano i ricordi di qualcun altro... Frammenti di una vita che non è la sua.
    D'un tratto, la porta della stanza stride e si apre, gettando una fastidiosa lama di luce all'interno.
    «Ehi, guarda, si sono già svegliati,» dice una voce. «Anche quello rotto...»
Il chiarore improvviso ferisce la vista già compromessa di Gadreel, che deve coprirsi gli occhi con un braccio e barcolla, cercando di muovere un passo in avanti. Non voleva farlo, ma anche gli altri robot fanno lo stesso... Come se obbedissero a un comando silenzioso.
    L'androide non ha la minima idea di cosa stia succedendo. L'impressione di trovarsi nel posto sbagliato rimane, ed è sempre più pressante – ma la voce nella sua testa è divenuta frastuono, e Gadreel non ha la forza di sopportarla ancora. Obbedisce, pur di metterla a tacere...
Stancamente, imita ciò che fanno gli altri mentre la sua percezione dello spazio e del proprio corpo si fa labile. Non ha più la forza di opporsi... È stremato. Si unisce agli altri androidi e si dispone in fila, anche se non ne ha voglia...
    L
ascia che la confusione dei suoi pensieri rotoli dentro di lui senza un ordine, come palle di neve che si schiantano sulla corteccia di un albero.
    «Per chi combatti?»
    «Per Metatron, unico capo e unico dio.»
    «E tu, per chi combatti?»
    «Per Metatron, unico capo e unico dio.»
Vengono condotti in un'enorme sala bianca e disposti in fila. Due ufficiali tecnici passano di fronte ad ogni androide, verificano la risposta neurale esaminando il fondo delle pupille con una sorta di piccolo laser. La procedura è rapida e impersonale.
    Uno degli ufficiali si ferma di fronte a Gadreel.
    «E tu?»
    «Per Metatron... Unico capo e unico dio.»
No, non è vero.
Gadreel non ci crede, mentre lo dice; ma fare ciò che fanno gli altri sembra essere il modo più facile di cavarsela.
    Qualcosa non va, però.
L'uomo in uniforme lo scruta per qualche istante ancora. E poi, ripete l'ispezione, con enorme fastidio di Gadreel - La luce forte gli fa venire voglia di chiudere palpebre, ma non può.
Gli altri non lo hanno fatto.
    L'ufficiale tecnico esita, di fronte a lui. Qualcosa dentro Gadreel sussulta, ma solo per un attimo - e all'esterno riesce a restare impassibile.
    «Questo qui ha il nervo ottico staccato. Portatelo a riparare,» dice infine il soldato di Metatron, riponendo il suo strumento in una custodia.
    Pochi istanti, e due guardie lo prendono sottobraccio e lo conducono lungo un interminabile corridoio di un bianco accecante.
Gadreel ha difficoltà a mettere un piede davanti all'altro, ma cerca di non pensarci e camminare. Non pensarci.
Non pensarci è l'unico modo di non rallentare, di non farsi dichiarare inabile, di non farsi disattivare.
    «Siediti qui e aspetta il tecnico,» gli dicono le guardie, prima di lasciarlo da solo sul letto per le riparazioni di un piccolo stanzino. Tutt'intorno a lui ci sono laser, cacciaviti, strumenti di diagnosi...
    … Dove ha già visto quelle cose?

    L'uomo se ne sta chino e concentrato, seduto su uno sgabello di fronte a lui. Sta saldando le giunture del ginocchio con tutta la cura e l'attenzione possibile – come un antico maestro di arti magiche o una divinità di una cultura sconosciuta e sapiente, in grado di dare vita alla materia inanimata. Gadreel lo osserva, come sempre. Quietamente, con curiosità.
    «E quindi l'amore cos'è?» L'argomento del giorno, uno dei più grandi misteri dell'umanità.
    «È qualcosa che tiene unite le persone. Una cosa che fa fare tante cose splendide.»

Chuck assembla l'androide con accuratezza, prendendosi tutto il tempo necessario per curare ogni dettaglio, e nel frattempo chiacchierano. Del più e del meno, dei grandi temi così come di cose infinitamente minuscole e trascurabili – ma non per la mente vergine di Gadreel, portatore sano di un interesse inesauribile e a volte quasi indiscreto.
    «Ad esempio?»
    «Ad esempio,
aiutare gli altri. Proteggerli. Assicurarsi che non manchi loro mai nulla. Mettere il loro bene prima del proprio... Sacrificarsi, anche, se necessario.»
    Perfezione. Quella giuntura dev'essere la cosa più vicina alla perfezione che sia mai stata creata. Con quelle gambe, Gadreel imparerà a camminare e poi correrà. Porterà lontano, per milioni di passi, il sogno del suo creatore. Potrà saltare e arrampicarsi... Andare a vedere come sono fatte le cose.
    «
Che vuol dire
sacrificarsi
    «Vuol dire rinunciare ad avere qualcosa per se per darla a qualcun altro, perche si crede che sia giusto così. Ci si sacrifica rinunciando a un vantaggio personale... O rifiutando di percorrere la strada più semplice, se ci porta nella direzione sbagliata. Ci si sacrifica anche rinunciando alla vita, nei casi più estremi.»
    Il ronzio sottile del laser è rilassante. Il robot attende qualche istante, prima di formulare una nuova domanda.
    «
Perché si arriva a questo punto
    Chuck solleva un angolo della bocca. Parlare con Gadreel significa accettare di prendere parte a un infinito
gioco dei perché. Lo scienziato percorre con entrambe le mani i componenti di quell'articolazione che ha appena assemblato, saggiandone la consistenza e assicurandosi che ogni parte sia inserita in modo corretto.
    «Perché non sempre la vita ti rende le cose facili. Anzi: quasi mai, a dire il vero. A volte ti mette di fronte a delle scelte che fanno soffrire te o chi hai accanto. E allora... Allora è facile dimenticarti chi sei. Ma c una cosa che devi ricordare sempre, Gadreel...» L'uomo solleva lo sguardo, incontrando quello chiaro e privo di ombre della sua creatura. «La vera forza del bene si vede quando tutto va male. È troppo facile essere buoni quando è tutto perfetto, quando ogni cosa funziona, quando le persone attorno a te ti ricoprono di affetto e nessun turbamento ti sconvolge l'esistenza. Ma è quando non c nulla di tutto questo, Gadreel, che si vede se il bene è vero oppure no... Se è in grado di resistere alle intemperie - come un melo dalle radici profonde, che dopo la gelata sarà comunque in grado di dare frutto.» Gadreel non dice niente, lo guarda come in attesa del seguito. «Alcuni, però, quando le cose si mettono male, decidono che essere buoni non conviene più e perdono loro stessi. Perché non ricordano più chi sono, e qual è il loro compito.»
    «
E quindi che succede
    «
E quindi diventano cattivi. Si lasciano andare, perché è più comodo assecondare la piega degli eventi, invece che lottare per restare coerenti con loro stessi - e magari rimetterci, per farlo. Ma questo... Questo non è inevitabile. Si può agire diversamente... Si può
sempre agire diversamente, Gadreel. Quando ti diranno che non c altra soluzione, che devi rinunciare a quello in cui credi perché ormai tutto il mondo va così... Tu lasciali parlare, ma non ci credere. E aggrappati a quello che hai, aggrappati alla tua missione con tutte le tue forze. Non fartelo portare via.»
Chuck risospinge gli occhiali da lavoro sulla punta del naso, come ogni volta che gli scivolano un po' giù, e poi riprende.
    «
Quando ti diranno che non vale la pena sacrificarsi per qualcosa di buono, tu non crederci. Ne vale sempre la pena, Gadreel. Che si tratti di proteggere un intero pianeta o di salvare una singola persona... Il bene ha un potere immenso. È ostinato, combattivo. Più la situazione sembra degenerare, e più il bene si ingegna per resistere. È una risorsa incredibile, sai... Per questo è l'unica cosa che valga davvero la pena servire.»
    Le pupille di Gadreel scrutano il volto del padre. Sono cariche di esitazione, di aspettativa... E di uno sconfinato timore di non rivelarsi all'altezza.
    «
E se... Se mi dimentico? Se mi perdo, come quelli che diventano cattivi
    «
Non succederà. Tu hai qualcosa che non ho messo in nessun altro, Gadreel. Spero che tu non debba scoprirlo mai, ma... Al momento opportuno, io so che te ne ricorderai. Sei il mio figlio. Ti ho creato con le migliori intenzioni, e con tutto l'amore che possiedo. Conosco ogni più profondo recesso della tua mente, ogni dettaglio dei tuoi ingranaggi... E sulla base di questo, posso affermare con assoluta certezza che tu sei la creatura più pura che sia mai esistita dalla notte dei tempi fino ad oggi. E sei anche forte. Perciò... Sì, probabilmente le tentazioni arriveranno. Le difficoltà, anche. Ma tu ti ricorderai chi sei. Ricorderai cosa vuol dire essere un servitore del bene. Io so che lo farai.»
    Chuck posa il laser e chiude le mani dell'androide tra le sue, sorridendo.
    «Gadreel, il male esiste: questo è innegabile.
Perché gli uomini talvolta non riescono a vedere oltre loro stessi, diventano egoisti, superficiali e cattivi. Ma tu non devi mai, mai avere paura del male che potrai incontrare. Mai. Ricorda sempre questo, Gadreel: è proprio quando fa più buio che le fiamme brillano con più forza.»

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Capitolo 17
*** Capitolo Sedici ***


Capitolo sedici

CAPITOLO SEDICI.

    «Di pattuglia...? Adesso???» Dean spalanca le braccia, esasperato. «È una follia! Non dovremmo proprio muoverci-- Non subito dopo l'attacco, con il coprifuoco e le guardie di Metatron che rastrellano i dissidenti e tutti i rischi che conosci!»
    «Allora non venire con me... Ci penso da solo.»
    Sam si è già infilato la giacca, ha afferrato il primo zaino tattico che gli è capitato a tiro e se lo è caricato su una spalla. Quando suo fratello gli ha raccontato cosa era successo, c'è stato un breve litigio – subito soppiantato dall'urgenza di rimettersi subito in movimento, di attivarsi per andare a recuperare il robot disperso. Non è colpa di Dean, se Gadreel è stato preso. Quello alle comunicazioni è il primo incarico di tutti i principianti, da sempre... Quello meno rischioso. Nessuno poteva prevedere cosa sarebbe accaduto. Nessuno, a parte Sam. Che un po' lo sapeva, un po' se lo sentiva – dannazione, Gadreel ce lo aveva scritto in faccia che non era pronto, - e ora si lascia trascinare dall'agitazione, dall'impulsività e dai sensi di colpa.
    «Scordatelo.» Dean ha le sopracciglia aggrottate, la tipica espressione inamovibile di quando decide che, se Sam vuole gettarsi nel fuoco, allora tanto vale bruciare assieme a lui. Recupera dal pavimento la sacca militare di cui si era disfatto soltanto poco prima, - quando si era illuso di poter finalmente riposare un po', per schiarirsi le idee prima di pianificare la prossima mossa. E invece quella notte di combattimenti sembra destinata ad allungarsi all'infinito, e Dean ormai sa che, come già accaduto per una miriade di altre notti come quella, vedranno sorgere l'alba dalla strada – da dietro il finestrino di una macchina, o accovacciati sul retro del camion di qualche anonimo sostenitore, disposto a scarrozzarli in giro sfidando il coprifuoco imposto da Metatron e rischiando di essere arrestato.

    Sam tiene le mani strette attorno alla spalliera di una sedia, nervoso. Sposta lo sguardo su suo fratello con una certa, sorpresa gratitudine pensando che nonostante tutto - nonostante i litigi e le questioni che hanno lasciato in sospeso negli anni, - Dean è sempre lì: sempre accanto a lui, sempre pronto a saltare sul primo treno per l'inferno e a prendere a calci in culo il diavolo, pur di proteggerlo.
    «Ti ricordi quella base che avevamo scoperto lungo i confini?», chiede il più piccolo, dopo un breve silenzio in cui una vecchia immagine gli è ritornata alla memoria. Il ricordo di una piccola base di cui nessuno conosceva l'esistenza, prima che i ribelli la scovassero – anni prima, quando Sam ancora combatteva, - e di cui, da quando Metatron si era insediato alla Robotics Industry, quasi tutti sembravano essersi dimenticati.
    Dean si stringe nelle spalle, perplesso. «Sì... E allora?» Non ha idea di dove Sam voglia andare a parare. Questa storia di Gadreel sembra averlo scosso più di quanto voglia dare a vedere... Ma a Dean non importa il perché. Se ritrovare l
'androide lo farà sentire meglio, allora lui lo aiuterà.
    «Sicuramente Metatron sarà fuggito e avrà bisogno di un posto in cui ripiegare, no? È un buon punto da cui partire...» Pi
ù che a suo fratello, Sam lo sta dicendo a sé stesso. Per convincersi di avere davvero qualcosa di concreto su cui ragionare... Qualche straccio di possibilità di rimettere a posto le cose.
    Ma Dean lo riporta in fretta con i piedi per terra.
    «E poi? Anche se ritroviamo la base, non è detto che Gadreel sia lì. Senza contare che potrebbero già averlo riprogrammato, e--»
    «E quindi?» Sam è ancora teso, e parecchio. Ma Dean lo conosce fin troppo bene, e sa che dietro tanta irrequietezza dev'esserci qualcosa... Qualcosa che suo fratello non gli ha detto.
    «Ti senti in colpa, non è così? Cosa è successo che io non so..?», chiede il maggiore, con l'intenzione di indurre l'altro ad aprirsi un po' e scaricare almeno parte di quella rabbia che sta visibilmente reprimendo.
    Colpito e affondato. Sam non risponde immediatamente. A volte si vergogna della facilità con cui Dean riesce a leggere i suoi pensieri, come se tra di loro non ci fosse alcun filtro - ma, d'altra parte, questa empatia gli risparmia imbarazzanti spiegazioni e giri di parole... Specialmente quando si tratta di cose di cui non ha alcuna voglia di parlare.
    «Niente, solo...» Il fratello più piccolo ha perso parte della sua aggressività e ora tiene gli occhi a terra, incapace di ammettere persino a sé stesso che sì, si sente terribilmente in colpa.
Colpa. Sarà colpa sua se Gadreel non ritornerà, se-- Non pensarci. Non pensarci nemmeno. «Non posso abbandonarlo. È vero, io... Mi sono comportato male con lui, e mi sento responsabile per quello che è successo. Ma posso ancora rimediare, se lo ritrovo. Devo ritrovarlo, Dean, capisci?»
    Ma la domanda non ottiene risposta. E quando Sam solleva di nuovo lo sguardo, incuriosito dal silenzio prolungato del fratello, si accorge che Dean lo sta guardando con un'aria strana. Quasi... Divertita, ma allo stesso tempo insolitamente accondiscendente - come quella di un padre che vede cadere in modo ridicolo il figlio nel tentativo di muovere i primi, goffi passi.
    «... Che c'è?», chiede dunque Sam, alzando un sopracciglio con aria sconcertata.
Ma l'espressione di Dean non cambia: sta quasi sorridendo apertamente, adesso.
    «Niente, è che...» Il maggiore scuote lentamente la testa, quasi ridacchiando tra sé e sé. «...Qualcosa mi dice che le due famose
promesse di Sam Winchester stanno vacillando, eh?»
    Sam avvampa all'istante, ma si sforza come può di non darlo a vedere.
    «Non so di cosa parli,» ribatte, meno stizzito di quanto vorrebbe. Dean non lo sta prendendo in giro, anzi: sembra
davvero contento per lui. E vederlo sorridente distrugge qualsiasi traccia di ostilità rimasta nel minore.
    «Oh, sì che lo sai. E una l'hai già infranta... Te lo leggo in faccia,
Sammy,» insiste Dean, consapevole che l'altro – ovviamente – non confermerà ma nemmeno smentirà.
    Sam tace, infatti. Osserva il viso di Dean colorarsi di una specie di indulgenza speranzosa, prima che questi si stringa nelle spalle e continui a parlare.
    «...E se per caso te la senti di cambiare idea anche su
quell'altra cosa...», aggiunge infatti il più grande, con lieve imbarazzo – non sa se può spingersi davvero fino a questo punto, ma vuole almeno provarci. «... Sappi che il tuo posto è sempre lì che ti aspetta. Ci sono ancora il tuo fucile e la tua roba, nella tua stanza... E un armadietto con il tuo nome che aspetta soltanto che tu lo riapra.»
    Dean è sereno e sincero, mentre gli propone di ritornare a combattere. È passato molto tempo da quando si sono scambiati quelle parole terribili, all'indomani della morte di Jess, e fino ad oggi non sono mai riusciti ad affrontare l'argomento in modo pacifico. Ma forse... Gli ultimi avvenimenti – l'arrivo di Gadreel per Sam, e l'accettazione di Dean dei i propri sentimenti verso Castiel, - hanno cambiato le cose. Li hanno resi più miti, più inclini al dialogo su cose di cui prima non riuscivano a discutere senza finire a picchiarsi a vicenda. In una parola: stanno imparando di nuovo ad essere fratelli.
    Messa in questi termini, la questione non suscita in Sam il solito istintivo, radicato senso di rifiuto e ribellione. Suona quasi ragionevole, a dire il vero... Plausibile.
    «Lo so, Dean,» risponde infatti il più piccolo, con una calma così ponderata e padrona di sé stessa che quasi non gli appartiene. «
Solo... Non credo di volerne parlare, adesso.» Tutto qui. Niente più urla e litigi, soltanto la verità.
    Dean annuisce lentamente, permeato dalla stessa tranquillità. Il fatto che suo fratello sembra essere passato da un secco
no a un semplice lo so apre orizzonti di possibili compromessi futuri... Di nuove soluzioni.
    «D'accordo. Solo... Ricordati che la tua roba è lì...» Breve pausa. Sospiro. «... E anche io.»
    Sam accenna addirittura un mezzo sorriso, sorpreso dall'idea di esser appena riuscito a parlare di
combattimento con suo fratello senza aver trasformato la stanza nella gabbia delle scimmie urlatrici. È un bel progresso: non c'è che dire.
    «Ci penso, ok?»
    «Ok.» Dean giocherella con le chiavi della macchina, che tintinnano nella tasca della giacca. Sembra molto meno stanco e più concentrato, ora che si è tolto questo peso e forse – è solo un
forse, ma prima non aveva neanche quello, - in futuro riavrà di nuovo suo fratello accanto, in prima linea. Sorride, con una fresca determinazione.
    «Allora... Andiamo a salvare la principessa?»


    Stordito, scarico. Danneggiato.
Ecco come si sente. E gli fa male la testa... Non riesce a ragionare. I pensieri si accavallano nella sua mente bollente in modo sconnesso - mozziconi di frasi che non hanno alcun legame di senso.
    Gadreel cammina al buio su una strada che non conosce. È polverosa e deserta e priva di illuminazione - e l'androide non riesce nemmeno a capire se stia andando dritto oppure no: quasi una metafora della sua vita. Ma si ostina ad addentrarsi nell'oscurità, cercando di avvicinarsi ad un chiarore lontano che forse non raggiungerà mai, ma che gli promette serenità.
    Davanti a sé, il prototipo scorge le cime illuminate dei palazzi e i camminamenti sospesi che ha visto per la prima volta dalla finestra dell'istituto, assieme a Sam – ma sono soltanto sprazzi di memoria, immagini sfocate: nulla di più. Se solo riuscisse a ricordare con più precisione, forse potrebbe orientarsi e tornare lì... Ma già soltanto il fatto che stia camminando è un miracolo, nelle condizioni in cui è ridotto.
    Dovrebbe correre, lo sa: ma non ci riesce. Non passerà molto tempo prima che le guardie di Metatron si precipitino a cercarlo - e Gadreel è consapevole di dover mettere la maggiore distanza possibile tra lui e loro: ma è davvero troppo, troppo distrutto. Ha appena la forza per continuare a camminare, faticosamente, mettendo un passo storto dietro l'altro – ostinandosi ad ignorare la sgradevole impressione che le gambe possano cedergli in qualsiasi momento, obbligandolo a fermarsi. Ma, anche se le energie minacciano di lasciarlo, l'ostinazione lo mantiene in piedi: deve andarsene da lì. Anche a costo di trascinarsi, anche a costo di strisciare, deve assolutamente allontanarsi il più possibile da quella prigione. E così avanza, traballante e instabile, un passo alla volta. Con infinito dolore, con infinita pazienza, lungo un cammino dissestato e sconosciuto.
    Ci sono rumori tutt'intorno, sopra e sotto di lui. Ma di molti di quei suoni - soprattutto quelli lontani della città, - Gadreel non riesce a spiegarsi la provenienza, perché non li conosce ancora. Sono tante le cose che non ha ancora visto... Quelle che vorrebbe poter vedere.
    Dal terreno giunge come una vibrazione continua... E una considerazione amara affiora alla mente dell'androide, nonostante la confusione indotta dal malessere: la Città sotterranea è enorme, ma lui non ha la minima idea di come vi si acceda. Le entrate sono camuffate così bene che nessuno è mai riuscito a scovarle, in dieci anni di conflitti... Come pretende di riuscirci, lui, così compromesso nel corpo e nei ricordi?
    È
stanco. Vorrebbe soltanto lasciarsi cadere e non doversi preoccupare mai più... O, almeno, questo è ciò che farebbe se non fosse così risoluto a sopravvivere.
Il virus della riprogrammazione non smette mai di tormentarlo: cerca di cancellare le informazioni del suo sistema e di scriverne di nuove - spietate e corrotte. Sussurra nelle sue orecchie ordini terribili - un brusio continuo e perverso, - lo tenta cercando di convincerlo ad arrendersi... Ma Gadreel resiste. In qualche inspiegabile, inedito modo, lui resiste come nessun altro ha mai fatto prima. Perché non vuole. Perché sa che, se glielo permetterà, quel virus lo trasformerà in qualcosa che non vuole essere. Ma lui non vuole diventare un assassino, non vuole essere un servo di Metatron. Ed è faticoso, è doloroso e gli costa energia, ma Gadreel proprio non cede. Non può tradire il giuramento che ha compiuto... Non può tradire la propria natura, né la promessa che ha fatto a Chuck.

    Brilla più forte, si ripete, per darsi coraggio quando i piedi sembrano diventare improvvisamente pesanti. Più è buio, e più la fiamma brilla forte...
    Le parole del padre gli danno la forza di andare anche se le sue gambe vogliono fermarsi. Se non fosse stato per quel ricordo, non avrebbe mai trovato il coraggio di approfittare di quell'insperata occasione – di quella porta lasciata incautamente aperta, nel laboratorio, - per fuggire via. Ciò che Gadreel spera, ora, è di avere sufficiente volontà per tenerla ancora accesa, quella fiamma... Per non lasciarla soffocare.
    Il robot inciampa sui propri passi, ma per pura fortuna riesce a non perdere l'equilibrio. È alterato, stremato, sottosopra. Tutto intorno a lui ondeggia come se fosse su una nave...
    Ha voglia di cadere.


    «
Eppure ricordo che era qui... Dannazione!»
Sam impreca, sul bordo della strada, puntando la torcia nella porzione di sterpaglia incolta che i fari accesi dell'Impala, accostata qualche metro dietro di lui, non riescono a illuminare.
    «Te l'ho detto, è passato un sacco di tempo.» Dean è in piedi, un braccio appoggiato al tettuccio dell'auto e l'altro sullo sportello aperto del lato guidatore. «Potrebbero aver chiuso la vecchia entrata... Oppure, la base potrebbe semplicemente essere caduta in disuso.»
    «Allora continuiamo a cercare!», sbraita Sam, setacciando il terreno lungo i confini di un piccolo bosco incolto. La notte è fredda e la brina si addensa sulle foglie, facendole risplendere di luce riflessa.
    «Non c'è un altro posto dove cercare, Sam!», sbotta Dean, per tutta risposta. Sono in giro da più di un'ora, ormai, e ogni minuto che trascorrono in strada potrebbe costare loro molto caro. Hanno già evitato le ronde dell'esercito di Metatron per un paio di volte, ma la fortuna non li assisterà per sempre. «E poi ci stiamo avvicinando troppo... Così rischiamo di farci catturare!»
    «
Ascolta, tu resta qui. Io vado a cercare l'entrata della base... Sono sicuro che fosse da queste parti. Forse più avanti...» Sam si allontana ancora, cocciuto. Non vuole lasciar perdere... Non può.
    Ma Dean non è dello stesso avviso.
    «
Smettila di fare il testone, sali in macchina. Continueremo a cercare insieme... Ma se non troviamo niente, devi promettermi che per stasera la finiamo qui e riprenderemo le ricerche domattina. Non si vede niente, con questo buio, e--» All'improvviso Dean vede qualcosa emergere dalla boscaglia disordinata alle spalle del fratello, e d'istinto punta la pistola nel buio. «EHI, FERMO


    Una luce accecante... Un brusio di voci che giungono soltanto a pezzi.
    «... Lui... Attento... Programmato...»
Gadreel non ci sente più, non ci vede nemmeno. La testa gira troppo velocemente.
    È finita, pensa. Sono le guardie.
Lo riporteranno indietro. Questa volta lo disattiveranno...
    No, non è giusto.


    «N
O, DEAN!» Sam si frappone istintivamente tra suo fratello e la sagoma comparsa dal buio. Lo ha riconosciuto subito, prima ancora di guardarlo in faccia – e quasi non riesce a credere di essere davvero riuscito a ritrovarlo, in così poco tempo. «Mettila via! È lui... È Gadreel!»
    Nonostante l'imperativo del fratello minore, Dean continua a tenere l'arma puntata. Ora che l'androide ha mosso qualche passo barcollante sul bordo della strada, finendo nel cono di luce dei fari, lo ha riconosciuto anche lui.
    «Che diavolo ci fa qui fuori???» domanda Dean, confuso. Ma poi la sua attenzione si sposta di nuovo su Sam, che si sta avvicinando all'androide in maniera fin troppo incauta – e l'istinto di protezione del fratello maggiore risorge, con la stessa forza di sempre. «No, Sam, sta' attento! Potrebbe essere riprogrammato--», cerca di avvisarlo, ma Sam è già ad un passo dal robot.
    «Ma non lo vedi come sta?» Il minore dei Winchester ha immediatamente abbassato la guardia, quando si è reso conto delle condizioni dell'androide. Non riesce più a preoccuparsi di salvaguardare la propria incolumità, ora che ha constatato di prima persona che Gadreel sembra seriamente necessitare di cure urgenti e tempestive. «
Se anche fosse riprogrammato, cosa pensi che potrebbe fare
    «Meglio non fidarsi...», insiste Dean, continuando a tenerlo sotto tiro. «
Forza, levati da lì.»
    «Non sparare!»
    «Togli
ti dalla linea di tiro, Sam!»
    «Mettila via! Ci penso io, adesso.» Sam è inamovibile, e continua a intralciare la traiettoria per proteggere il robot – con estremo disappunto di Dean. Gli si avvicina, mostrandogli le mani disarmate, in cerca di un contatto... Anche se Gadreel sembra troppo stordito per rendersi conto di lui e di quello che sta accadendo.

    «Gadreel... Ehi, Gadreel, mi senti? Sono Sam... Gadreel, guardami...»

    … Può soltanto tentare di difendersi.
Quando si sente afferrare, istintivamente l'androide scatta - non vuole tornare da Metatron, non vuole tornare nelle mani di Taddeus, - cercando di colpire alla cieca. Ma ha appena il tempo di provarci che subito qualcosa lo investe e lo colpisce forte, in mezzo al petto, con una potenza tale da staccargli i piedi dal suolo e scaraventarlo all'indietro. Qualcuno urla qualcosa, ma Gadreel non sente quasi più nulla. È come paralizzato. L'impatto è stato duro, e la botta che ha ricevuto gli ha lasciato addosso l'impronta di una sensazione bruciante...
Il colpo di grazia.
    Il robot annaspa, nel panico, cercando di portare le mani al petto per capire cosa sia successo. Ma non riesce a coordinare i movimenti, ha le dita addormentate e un formicolio insopportabile si estende dalla testa ai piedi, come se avesse assunto un forte anestetico. I pensieri deragliano all'improvviso - per la paura, la debolezza e il dolore.
    Si sente sempre meno presente, sempre più lontano...


    «Dannazione, Dean! Ti avevo detto di non sparare!»
    «
Ma ti stava attaccando! Non è in grado di riconoscerti, Sam!»
Il fratello maggiore abbassa l'arma, mentre il minore si inginocchia accanto al corpo del robot disteso sull'asfalto.
    «Gadreel...» L'umano si china sull'androide, prendendolo tra le braccia. Lo tocca con estrema delicatezza, nell'irrazionale timore di potergli fare male semplicemente esercitando una lieve pressione in più. «Gadreel, ehi, guardami...», lo incita, voltandogli gentilmente il viso per poterlo osservare. L'androide trema e brucia. Ha gli occhi annebbiati, tra le palpebre socchiuse, e geme debolmente dalle labbra pallide. Sfiorandolo, Sam percepisce la ruvidezza di un'imperfezione sotto il pollice, scoprendo un taglio che parte dall'occhio sinistro e gli apre lo zigomo. Qualcuno lo ha colpito... E anche questo è tutta colpa mia, pensa l'uomo, sentendosi sprofondare.
    «
Non voglio, non voglio... Non voglio...»
Sam deve avvicinare l'orecchio alle sue labbra, per capire le parole che il robot continua a farfugliare, con un filo di voce, agitandosi in evidente stato confusionale. Un ruscello spontaneo di lacrime scorre dagli angoli degli occhi grigioverdi, arrossati e allucinati. «
Non voglio--»
    La sofferenza non dovrebbe appartenere a quel tipo di creature, pensa Sam. È una prerogativa delle persone, e non delle macchine. Eppure, così tremante e vulnerabile, Gadreel sembra più umano di quanto dovrebbe, e Sam lo stringe un po' di più a sé, ingabbiandolo tra le braccia a facendogli posare la testa sulla propria spalla.
    «Mi dispiace... È tutta colpa mia...» L'uomo cede all'istinto di accarezzargli teneramente i capelli e il viso, premergli un bacio sulla fronte calda. Vorrebbe poter tornare indietro e agire diversamente, evitargli tutto questo dolore... Essere onesto con lui e con sé stesso, non comportarsi mai più in maniera così egoista come ha fatto.
    Il rumore secco della portiera che sbatte, e Dean si avvicina ai due con passi misurati, cauti. Ora sono tutti e tre inquadrati dalle lunghe luci dei fari dell'Impala - unico chiarore su quella strada abbandonata.
    «Come sta? Portiamolo all'istituto. Charlie e Kevin lo rimetteranno a nuovo...», dice il maggiore, senza riuscire a stabilire in alcun modo la gravità della situazione. Non è lui che si occupa di queste cose. Ma Charlie e Kevin sono riusciti a compiere veri e propri miracoli con i loro androidi...
    Sam scuote la testa. «Ho paura che sia troppo tardi...», mormora, senza smettere di accarezzare e guardare l'androide. Teme davvero che ogni istante possa essere l
'ultimo - e che, se distoglierà lo sguardo anche solo per un brevissimo attimo, quando tornerà a posare gli occhi sul viso del robot, lo vedrà fermo... Immobile.
    Ma Dean insiste, lo scuote per una spalla, incitandolo a non darsi per vinto.
    «
No che non è tardi!» Il fratello maggiore si guarda attorno, sincerandosi che la loro presenza, e la breve confusione che hanno sollevato, non abbia attirato le guardie di Metatron nelle vicinanze. «Non possiamo restare qui... Forza, andiamo, portiamolo via.»


    … Luci rosse e viola dietro le palpebre chiuse. Adesso non c più nemmeno la terra... Forse qualcuno lo sta sollevando, o forse sta solo sognando tutto. Ma gli androidi sognano, poi?
    Gadreel non lo sa. Tutto ciò che sa, tutto ciò che importa, è quel lieve contatto che ha percepito, pochi istanti prima. Caldo, delicato. Gentile... E pieno di rimorso. Ma confortante... Una sensazione familiare.
    Qualcuno lo ha toccato, ma senza cattive intenzioni. Che fossero carezze, quelle che ha sentito addosso? Gadreel lo spera davvero. Spera che qualcuno possa riuscire a perdonarlo, che possa aver pietà di lui nonostante abbia fallito in ogni singola azione che compiuto – che ha provato a compiere...
    Quel fantasma di carezza è l'ultima cosa a cui l'androide pensa, prima che tutto si spenga all'improvviso.

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Capitolo 18
*** Capitolo Diciassette ***


Capitolo 17 - risveglio di Gadreel

    Ben ritrovati!!!
Le ferie – e quindi l'internet point chiuso >.< - mi hanno costretta ad una pausa estiva forzata, ma rieccomi qua con un capitoletto di “riscaldamento” prima di riprendere con il ritmo consueto... :) 
    Abbiamo lasciato i nostri dopo un attacco alla base di Metatron e abbiamo scoperto che, per la prima volta, un robot – lo sfortunatissimo Gadreel - è riuscito a resistere alla riprogrammazione... Come? Perché? Cosa ha messo di così speciale Chuck nei suoi robot? E come reagiranno i “supercattivi” della storia?
    A queste e ad altre domande troveremo delle risposte nei prossimi capitoli... Nel frattempo, ci sono un sacco di altre faccende di cui i nostri personaggi dovranno occuparsi – legate al passato, alla famiglia e a vecchie cicatrici che, con un po' di coraggio, forse riusciranno a superare.
    Ringrazio tutti voi che avete letto/ricordato/preferito/recensito questa storia, e che – spero – vi siete chiesti che fine avessi fatto...! :) Vi offro virtualmente una gassata a testa e vi auguro, come sempre, buona lettura!
    A. :)

CAPITOLO DICIASSETTE.

Sette ore dopo.

    Sam è lì da ore, seduto su una sedia accanto al letto. In attesa.
Il mattino inonda di luce la piccola stanza dell'istituto, rischiara il bianco panna e il verde acqua delle pareti, il legno chiaro della porta, il metallo opaco delle macchine... E il profilo di un viso a cui l'uomo si è affezionato in fretta, e che ha temuto di non poter rivedere mai più.
    Gadreel dorme. Quasi come un essere umano. E un po' lo sembra, così morbido e quieto, sdraiato nel suo letto con la coperta tirata su fino al petto. Il termine tecnico per indicare questa particolare fase, in cui il sistema azzera le sue funzioni per autoripararsi, è shut down. E questo è già il secondo che l'androide si trova ad affrontare, dopo la Caduta... Sam non se l'è sentita di lasciarlo da solo. Il ricercatore ha schermato l'intera ala dell'Istituto, per maggiore sicurezza, in modo che le guardie di Metatron non riescano a rilevare la presenza del robot in alcun modo. Alla base dei ribelli, Gadreel sarebbe rimasto da solo su una branda, in una piccola stanza senza gli strumenti adatti a sostenerlo: qui, invece, ha a disposizione la presenza costante di Sam e, a rotazione, quella di Charlie e Kevin. E poi, un letto vero, un apparecchio per il monitoraggio... E, soprattutto, la luce del sole.
    È l
a luce del sole che accarezza piano i tratti del robot, i suoi capelli spettinati, disordinati sulla fronte, e le guance appena appena dorate da un velo sottile di barba... Che gli sfiora piano il viso come Sam non ha più avuto il coraggio di fare. Vorrebbe poter avere il diritto di scivolare con i polpastrelli sulla curva di quelle sopracciglia chiare - poter infondere distensione e tranquillità nella mente danneggiata, al di sotto di quella fronte che ancora scotta un po' e dietro quelle palpebre chiuse...
Ma non ce l'ha, questo diritto. Perché tutto questo è colpa sua: Sam non riesce a smettere di pensarci. Gadreel non si sarebbe mai trovato in queste circostanze, se non fosse stato per il suo egocentrismo... Per il suo timore di affrontare la vita. Si è comportato in modo avventato e orribile, e ora una creatura innocente e dolcissima ne sta pagando le conseguenze – forse permanenti. Nessuno sa come ne uscirà, se riuscirà a cavarsela e soprattutto come. Quella per la propria sopravvivenza è una battaglia che Gadreel deve combattere da solo...
    E vegliarlo è tutto ciò che Sam può fare per lui.

***

Ventiquattro ore dopo.

    Ogni tanto lo vede muoversi - piccoli movimenti quasi impercettibili che passerebbero inosservati a chiunque, ma non a qualcuno preoccupato e teso come lui. E quei trascurabili aggiustamenti lo rassicurano sul fatto che Gadreel è ancora presente, è ancora in grado di reagire - e ci sta provando davvero.
    Sam gli siede accanto, con le braccia conserte posate sul bordo del letto, proprio accanto al corpo dell'androide. Lo osserva, mentre sentimenti discordanti gli si addensano nel petto. Le loro mani sono vicinissime... Basterebbe soltanto allungare un po' le dita, per poter ristabilire un contatto. Ma il senso di colpa è forte, fortissimo, e Sam si chiede se Gadreel accetterebbe di farsi prendere per mano, dopo... Dopo tutte le cose che gli ha detto. Probabilmente no.
    Ma anche il desiderio di comunione è inarrestabile: e alla fine, dopo qualche minuto di riflessioni, l'uomo cede. Intreccia la propria mano con quella dell'androide, nel timido tentativo di trasmettergli conforto e rassicurarlo sul fatto che non è solo. Gadreel ha davvero delle belle mani - forti ma proporzionate, dalle dita affusolate, - e Sam attende così per ore, custodendole tra le proprie.
    

    Quando il sole raggiunge l'apice, finalmente, Gadreel apre gli occhi.


    «Gadreel...?»
Una voce, lontana, chiama il suo nome. Un chiarore sfocato. Una sensazione di morbidezza... Di accoglienza.
    Risvegliarsi è come riemergere dal fondo di una scatola piena di ovatta... Nuotare nella gommapiuma. Ma non c nulla che Gadreel desideri di più che tornare ad essere... Tornare ad esistere.
    Il torpore ancora gli avviluppa il corpo e la mente, ma i pensieri fuligginosi già vanno schiarendosi.

    Gadreel a poco a poco schiude le iridi grigie. Ha l'aria stanca, e persino gli occhi un po' cerchiati - impossibile, per un robot. Ma, dopo qualche istante di visibile disorientamento, finalmente sposta lo sguardo sul ricercatore – e, non appena lo riconosce, sulle sue labbra sottili compare un lento sorriso che Sam sa essere frutto del dormiveglia, e quindi assolutamente sincero e spontaneo.
    «Sam...»
    Il sollievo è come un'onda, che travolge il cuore dell'uomo seduto accanto al letto e lo rende improvvisamente leggero. Sam sorride, sorride e sembra quasi sul punto di mettersi a saltare di gioia; invece resta seduto, entrambe le mani strette attorno a quella del robot, e lo guarda con infinito intenerimento, dopo averlo vegliato per interminabili ore di agitazione e di attesa. Vorrebbe allungarsi su di lui e abbracciarlo, senza dire nulla, e restare così all'infinito – ma aspetterà, per questo, e soprattutto accetterà qualunque cosa Gadreel gli dirà, se non sarà d'accordo.
    «Ehi... Come ti senti?» Sam se ne sta aggrappato alla sua mano come ad un salvagente. È difficile contenere l'apprensione nella voce.
    Gadreel si muove piano sotto le coperte, come per riprendere padronanza di sé. Poi richiude le palpebre per qualche istante, sospira.
    «Meglio... Grazie Sam,» risponde – più lentamente del normale, nota con ansia Sam; ma poi si ripete che lo stato di eccessiva rilassatezza è un fenomeno piuttosto comune, dopo uno shut down.
    «Tra qualche ora starai ancora meglio, vedrai. Va tutto bene... Sei all'Istituto, sei al sicuro,» cerca di rassicurarlo l'uomo – anche se, a dire il vero, sembra più che stia tranquillizzando sé stesso. Gli sembra un miracolo che Gadreel sia lì, presente e vigile, e che sia in grado di riconoscerlo e di parlare con lui – quando, soltanto qualche ora prima, Sam aveva sentito gli occhi pungere di lacrime, guardandolo, con il terribile presentimento che non ce l'avrebbe fatta.
    Sul volto dell'androide quel sorriso lieve resiste, tenace e mite; e Sam si chiede quanto possa essere grande il cuore di Gadreel – se ne avesse uno, - per permettergli di sorridere così, con dolcezza e gratitudine, alla persona che è in gran parte colpevole per l'esperienza terribile che ha appena vissuto. Sembra solo immensamente felice di essere vivo, Gadreel.
    «
M-mm--» Il sonno preme di nuovo sugli occhi del robot, che però sembra intento a lottare per non assopirsi di nuovo. Così sembra proprio un bambino – un bambino che si ostina a restare sveglio, a dispetto della stanchezza che lo assale, per ascoltare il termine della favola. Ma ne ha bisogno: deve riposare il più possibile, per potersi riprendere nel migliore dei modi.
    Il ricercatore lancia un'occhiata ai valori sullo schermo del monitoraggio, trovandoli tutti perfettamente bilanciati. Gadreel sta bene, ora: deve soltanto lasciarlo sonnecchiare un altro po'.
    «Dormi, Gadreel. Prenditi tutto il tempo che ti serve,» mormora Sam, per incoraggiarlo ad abbandonarsi di nuovo al sonno senza opporsi. E poi, all'improvviso, qualcosa dentro di lui si scioglie definitivamente: e Sam trova il coraggio di accarezzargli timidamente una guancia, con estrema leggerezza - arrendendosi una volta per tutte all'affetto che sente crescere, di minuto in minuto, nei confronti di quella creatura.
    Per tutta risposta Gadreel inclina appena il capo di lato, inseguendo il contatto con la mano di Sam fin quasi a chiuderla contro la propria spalla. Un moto di gioia spontanea gli illumina i lineamenti e il robot si lascia finalmente andare, riconoscente e felice per una tenerezza inaspettata che arriva quando più ne ha bisogno.

    Sam lo osserva sorridendo. Per augurargli la buonanotte, gli sfiora affettuosamente la fronte con un tocco così lieve da esser quasi impalpabile.
    «Sono così felice di riaverti qui...», sussurra, commosso.
Ma l'androide già dorme, e non può sentirlo.

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