Legge Zero di Ambaraba (/viewuser.php?uid=219272)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo Uno ***
Capitolo 3: *** Capitolo Due ***
Capitolo 4: *** Capitolo Tre ***
Capitolo 5: *** Capitolo Quattro ***
Capitolo 6: *** Capitolo Cinque ***
Capitolo 7: *** Capitolo Sei ***
Capitolo 8: *** Capitolo Sette ***
Capitolo 9: *** Capitolo Otto ***
Capitolo 10: *** Capitolo Nove ***
Capitolo 11: *** Capitolo Dieci ***
Capitolo 12: *** Capitolo Undici ***
Capitolo 13: *** Capitolo Dodici ***
Capitolo 14: *** Capitolo Tredici ***
Capitolo 15: *** Capitolo Quattordici ***
Capitolo 16: *** Capitolo Quindici ***
Capitolo 17: *** Capitolo Sedici ***
Capitolo 18: *** Capitolo Diciassette ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Legge Zero - Supernatural AU
Popolo
di Efp... Ben ritrovato! :)
Dopo
una luuunga, lunghissima assenza, rieccomi qua con una nuova storia.
Cosa esce fuori se si mescolano assieme una settimana di noia e
influenza, un album dei Three Days Grace, una raccolta di racconti di
Asimov e una maratona - lunga una notte intera - di Supernatural,
riguardato
per l'ennesima
volta masticando orsetti gommosi?
Be',
un bel disastro, direte voi. E forse avete ragione >.< Però
l'idea
mi frullava in testa da un po'
e, visto che da ammalata ho avuto un sacco di tempo libero, ho
provato a metterla giù
sotto forma di storia... Spero che il risultato non sia troppo
indecente, e che magari vi piaccia anche un po'
:) Ma prima di cominciare, meglio specificare un paio di avvertenze:
• Gli eventi di questa storia si
rifanno principalmente a quelli della nona stagione. Perciò, se non
l'avete ancora vista, potreste incorrere in possibili spoiler:
procedete a vostro rischio e pericolo... Io vi ho avvertito u.u
•
Mi impegnerò per aggiornare regolarmente, ma con una cadenza
settimanale o bisettimanale. Questo perché, da qualche tempo, non
dispongo più di una connessione domestica. Perciò, perdonate le
lunghe attese, o i piccoli ritardi... Cercherò di tenervi informati,
di volta in volta, sulle date degli aggiornamenti - che saranno di più capitoli alla volta, come oggi :)
Detto questo, vi lascio alla storia!
Saluti dalla vostra
A. ;)
PROLOGO
Attivazione
rilevamento danni... Avviamento scansione: 10%.
C'è
tanto dolore. Tanto, tanto dolore. E fumo, calore. Caos.
L'impatto
ha sicuramente procurato dei danni. Il sistema fatica a funzionare...
Molti sensori non mandano alcun segnale: sono come morti. E quelli
che ancora regiscono, purtroppo, non trasmettono buone
notizie.
Rapporto
parziale degli errori. Estensione del danno danno strutturale: 78%.
Estensione del danno software: 56%. Autonomia residua: insufficiente.
I
sensori visivi sono scollegati, quelli uditivi sono stati distrutti
dall'esplosione. I cavi scoperti sfrigolano e schioccano, l'alta
tensione si scarica liberamente sul terreno circostante,
scoppiettando come una pentola d'olio
bollente. Le sensazioni tattili sono compromesse; non bastano, per
ricavare sufficienti informazioni sull'ambiente
esterno. Non c'è
alcuna possibilità di stabilire con esattezza i parametri basilari -
temperatura, umidità, posizione geografica e presenza di forme di
vita nei dintorni.
Arto
superiore destro: danneggiato al 37%.
Arto
superiore sinistro: danneggiato al 62%.
Attenzione:
si prega di intervenire al più presto per la riparazione degli
errori. Urgenza: codice 4773.
Il
prototipo numero 100 avvia automaticamente le opzioni per tentare di
ripararsi e risparmiare energia, ma l'autonomia
del sistema sta calando vertiginosamente e presto non sarà più
in grado di restare in funzione. E, siccome tutti i prototipi sono
programmati per autopreservarsi in caso di incidente, il protocollo
prevede che ora il prototipo 100 usi le energie residue per
orientarsi e dirigersi verso il più
vicino centro di riparazione. Sì, ma come? E dove?
Arto
inferiore destro:danneggiato all'87%.
Arto
inferiore sinistro: danneggiato al 98%.
Pericolo
di surriscaldamento del sistema.
I
danni sono considerevoli. Invalidanti.
L'androide
non può spostarsi, qualunque sia il luogo su cui è
così sgraziatamente atterrato. È
cieco, sordo e muto; paralizzato e solo in un ambiente che non
conosce. E, per quanto si sforzi di muoversi, il corpo sintetico in
cui è imprigionato non si muove di un millimetro – ma il suo
cervello funziona, la sua coscienza è attiva: e il contrasto è
straziante. La macchina sbatte le palpebre, ma il buio che ha davanti
agli occhi non si dissipa – tutto è buio e silenzioso; e, se
l'androide avesse un cuore, forse chiamerebbe paura
quell'improvviso
smarrimento che aggredisce il suo sistema, mandandolo in tilt.
Non
voglio stare qui. Io non appartengo a questo luogo.
Tutto
ciò che il prototipo 100 ricorda è un lungo sonno, sereno e
tranquillo, interrotto da uno scoppio improvviso e dal devastante,
bruciante impatto con un'atmosfera sconosciuta. E ora, ora...
Ora
c'è soltanto dolore. Sofferenza negli arti, sofferenza nel tronco di
un esoscheletro mangiato dal fuoco e ormai inservibile; ma,
soprattutto, sofferenza in una parte profonda che non può essere
chiamata né sistema,
né
codice,
né
software.
Prototipo 100 è a pezzi, ma è speciale. Non solo perché fa parte
di una serie di robot sperimentali prodotti con fattezze
incredibilmente umane; ma anche, e soprattutto, perché gli è stata
innestata una piccola variabile, una scintilla di volontà che lo
rende una creatura esattamente a metà tra un uomo e una macchina –
o forse no, non è esatto: in realtà, non esiste davvero una scala su cui
collocarlo. Perché ciò che rende speciale Prototipo 100, ciò che
lo fa soffrire... È la coscienza di sé stesso.
Non
lasciatemi qui... Voglio andare a casa...
Le
palpebre del prototipo sbattono ancora: poche lacrime scivolano dalle
ciglia dei suoi occhi ciechi e si dissipano, rotolando sul suo viso
annerito dalla fuliggine. Lui stesso non sa perché si verifichi,
questo strano fenomeno; ma il suo creatore lo ha voluto così. Un ronzio
sottile annuncia che il sistema sta per spegnersi definitivamente, e
Prototipo 100 serra i pugni – o ciò che ne resta, - amareggiato e
sconfitto. Se è vero che un robot è soltanto una scatola di latta e
matematica, allora lui è qualcosa d'altro. Perché è disarmante e
umano, il vuoto terribile che gli rimbomba nel petto: la paura
dell'ignoto, della solitudine, del nulla.
O,
come diremmo noi, della
morte.
Prototipo 100 si chiede che cosa ne sarà di lui, quando tutto sarà
finito. Cosa accadrà tra pochi minuti, quando non avrà più energia
per sostentarsi? Non esisterà più. Forse, sarà smontato e usato
per produrre pezzi di ricambio per altri androidi. Forse invece il
pianeta è disabitato e lui resterà semplicemente lì, gettato in un
angolo come un giocattolo rotto. E col tempo, magari, la vegetazione
salirà sui suoi resti e lo avvolgerà, almeno lei, tenera e
compassionevole; rivestirà di vita quella sua carcassa inerme e
terribilmente danneggiata fino a farla scomparire, dandogli così
l'onore di una degna sepoltura.
Protocollo
100 stringe forte le labbra e i suoi tristi occhi grigioverdi, mentre
la strana sostanza salina continua a scivolargli sulle guance. Non
immaginava che fosse così, il risveglio. Gli avevano detto che prima
o poi sarebbe stato liberato, ma non credeva che avrebbe fatto tanto... Male...
Autonomia
esaurita.
Silenzioso e immobile, l´androide richiama alla mente il sole, la luce, gli animali e tutte quelle cose
splendide e straordinarie che il suo creatore gli ha dolcemente raccontato mentre lo costruiva, e
che lui avrebbe voluto così tanto vedere. Forse, se si distrae, il
nulla farà meno paura. Forse... Riuscirà a dimenticare quanto si sente perso.
Attenzione:
spegnimento!
Atten---
Buio.
C'è
tanto, tanto dolore.
Fa sempre male, quando
si viene al mondo.
***
Dedica
•
Vorrei dedicare questa storia alla mia amica – e bravissima
autrice, - Mia Novak, conosciuta proprio grazie ad un fortunato
incrocio di storie qui su Efp. Sono in ritardissimo con la lettura e
la recensione degli ultimi capitoli della sua storia e... Be',
dovrò pur farmi perdonare in qualche modo, no?
;) Mia, se stai leggendo... So che la fantascienza non è
il tuo genere – nemmeno il mio, a dire il vero, - ma stiamo a
vedere :)
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Capitolo 2 *** Capitolo Uno ***
Capitolo 1 - Inizio
CAPITOLO UNO.
«Dannazione!»
Dean entra nel locale –
o per meglio dire, fa irruzione, - sbattendo rabbiosamente un
pesante zaino militare sul bancone. Lo seguono, a passo più calmo e
composto ma con la stessa espressione amareggiata, Castiel e Benny.
Quest'ultimo ha, come Dean, l'aria di qualcuno che avrebbe bisogno di
una doccia, di cibo e di qualche ora di sonno. Ma il massiccio
ex-Marine è bravo a mascherare le sue necessità, soprattutto per il
bene di una missione. E poi, quando le cose vanno male, dev'esserci
sempre qualcuno a mantenere la calma nel gruppo e a ricordare a
tutti, Dean per primo, che la collera non è una buona consigliera.
Da dietro il bancone,
Bobby accoglie l'entrata burrascosa dei tre senza scomporsi troppo.
«Buongiorno anche a
te, Dean,» dice, col suo solito tono burbero e un certo sarcasmo.
«Dalla tua espressione felice, deduco che l'operazione sia andata a
puttane.»
La luce bluastra dei
led getta ombre iridescenti sul volto stanco e provato del giovane.
«Oh, molto più che a
puttane... Diciamo pure che è stata un totale fallimento,» commenta
infatti il Winchester, stizzito. «Eravamo dentro, c'eravamo quasi...
Ma le guardie di Metatron ci hanno scoperti e hanno attaccato la
base. Dev'essere scattato qualche stupido allarme... Abbiamo avuto
uno scontro a fuoco con quei figli di puttana, e per fuggire siamo
stati costretti a provocare un'esplosione. Metà base è saltata in
aria, ma non siamo riusciti a recuperare i prototipi... Mi serve
qualcosa di forte,» sbraita, allungando le mani per versarsi del
whisky. Accanto a lui, Castiel siede silenzioso e pallido ma quasi
impassibile, tranne che per una leggerissima righina di
preoccupazione tra le sopracciglia.
«È vero, noi non
abbiamo i prototipi... Ma nemmeno Metatron,» aggiunge Benny, con un
sospiro. Apre e chiude lentamente la mano destra, grossa e forte -
come tutto di lui, del resto. Qualcosa scintilla, sotto la pelle
squarciata del palmo: è metallo. Il suo braccio destro, dal gomito
in giù, è stato ricostruito con una lega praticamente
indistruttibile, dopo un combattimento finito male. «Io non lo
definirei proprio un fallimento... Piuttosto, una vittoria a metà.
Possiamo sempre organizzare delle squadre per recuperare gli
esemplari perduti,» propone, calmo e ragionevole, dando una pacca
sulla spalla di Dean: un gesto familiare, pieno di quella solidarietà
che naturalmente si instaura tra commilitoni. Per anni hanno
combattuto assieme nella Marina militare - finché è esistita. Dopo
il Terzo conflitto mondiale, però, entrambi hanno lasciato
l'esercito per arruolarsi nella Resistenza, in difesa degli uomini.
Ora vivono
costantemente ricercati - sia dalla polizia che dalle guardie di
Metatron. Questo significa che devono vivere principalmente di notte,
come clandestini. Trascorrono settimane e mesi interi progettando
attacchi, combattendo e sabotando le basi nemiche. Tutti gli esseri
umani sopravvissuti al Terzo conflitto, ormai, vivono così:
sacrificando le loro vite per la libertà e accettando un'esistenza
di lotta senza pause, senza rese, senza tregua.
Bobby ascolta
scuotendo la testa - e, anche se la visiera del berretto proietta
un'indecifrabile ombra scura sui suoi occhi, Dean non ha bisogno di
guardarlo per sapere che ha le sopracciglia aggrottate.
«Sarà dura,»
commenta il più vecchio. «Quel figlio di puttana ha occhi e
orecchie dappertutto. Dovrete sbrigarvi, se volete trovarli prima di
lui.»
Soltanto ora, posando
i begli occhi azzurri sul profilo corrucciato di Dean – intento a
versarsi un secondo bicchiere, - Castiel prende finalmente parola.
«Faremo del nostro
meglio, batteremo palmo a palmo tutta la città. Abbiamo bisogno
di attivare quegli androidi... Sono stati progettati da Chuck, e
potrebbero rivelarsi fondamentali per aiutarci ad abbattere la
dittatura di Metatron. Ci servono tutti gli alleati possibili,»
spiega l'androide. È l'unico umanoide presente in quel momento, nel
bar clandestino di Bobby - scavato sottoterra e rivestito con le
spesse pareti di un bunker per sfuggire ai rilevamenti termici dei
robot di Metatron. Sia Bobby che Dean e Benny sono esseri umani in
tutto e per tutto, mentre Castiel... Castiel è un'altra cosa. Lui fa
parte di quella schiera di androidi con fattezze umane che si sono
perfettamente inseriti nella società dopo la rivoluzione
tecnologica. Esseri avanzatissimi, con una consapevolezza collettiva
– quella di essere creature robotiche, - ma con una volontà e un
carattere individuale. Ormai è quasi impossibile distinguerli dagli
esseri umani, ad occhio nudo. E anche nei comportamenti, ormai
Castiel si è umanizzato più di quanto sia disposto ad ammettere...
Ma questo, ancora oggi, non impedisce a lui e Dean di avere
saltuariamente qualche attrito.
Dean si passa una mano
sulla faccia, distrutto. Sono settimane che dorme nei ritagli di
tempo, poco e male: la tensione per la battaglia lo sta logorando.
«Dean, se per te va
bene io andrei ad organizzare le pattuglie,» chiede Castiel, cortese
e pacato come sempre. Nonostante gli sconvolgimenti degli ultimi
tempi, su di lui non vi sono tracce visibili di preoccupazione o di
stanchezza: è questo, forse, l'unico indizio evidente della sua
natura di macchina.
«Vai, vai...», lo
congeda l'uomo, più bruscamente di quanto vorrebbe. «Io ho bisogno
di dormire almeno un paio d'ore, sono stanco.»
Castiel si sofferma a
scrutarlo per un attimo, indeciso. Dovrebbe davvero andarsene, come
l'altro gli chiede? A volte, gli esseri umani dicono una cosa ma
intendono esattamente il suo contrario. Forse, con quel tono
imperioso, Dean gli sta dicendo che lo vorrebbe vicino... È così
difficile capire i sentimenti, per un androide.
«Va bene... Allora ci
vediamo più tardi.» L'umanoide quasi lo soffia, congedandosi, per
timore di disturbare l'altro con la propria presenza. Uscendo, urta
contro Sam, il fratello minore di Dean, e a malapena riesce a
guardarlo negli occhi per salutarlo.
Il più piccolo dei
Winchester conosce il fratello meglio delle proprie tasche, e già
solo guardandolo seduto di spalle riesce a percepire la spessa
coltre di tensione che lo avvolge. Bobby e Benny sono impegnati sul
retro a nascondere le armi. I due fratelli, ora, hanno tempo per
starsene seduti uno accanto all'altro e scambiare due chiacchiere.
«Ehi,
ho saputo quello che è successo. Come stai?»
«Come
devo stare?» Dean si stringe nelle spalle. Il whiskey rotea lungo le
pareti del bicchiere, mentre se lo rigira tra le dita. «La missione
è
andata uno schifo, e Castiel...»
«L'ho
incrociato, poco fa. Aveva una faccia strana... Avete litigato?» Sam
sa che c'è
qualcosa, tra l'androide e suo fratello. Un sentimento ha impiegato
anni per
svilupparsi, ma poche settimane per mandare completamente in crisi
Dean. Non tanto perché
Castiel ha le sembianze di un uomo – un bell'uomo,
- ma perché...
Be',
Dean è innamorato perso di Cas, ma teme che siano troppo differenti
per potersi amare davvero. Perché
Cas è una macchina e, in quanto tale, non possiede sentimenti suoi:
può soltanto apprenderli, così come ha appreso tutto il resto. E,
ogni volta che gli sta accanto, Dean non può fare a meno di
chiedersi se l'amore
di Cas sia autentico oppure no. È qualcosa che prova davvero o che
ha soltanto imparato a manifestare?
È spontaneo, o è un sentimento appreso? Ormai i robot si sono umanizzati così tanto che ci si
dimentica facilmente dei loro sistemi e dei loro circuiti...
Almeno
fino a quando non fanno qualcosa di indiscutibilmente sovrumano, come ad
esempio tagliarsi inavvertitamente un dito senza sanguinare,
oppure saltare giù
dal decimo piano senza farsi neanche un graffio. E allora, tornano le
classiche domande: quanto in là può spingersi la volontà
individuale di un robot?
Quanto a fondo un androide può comprendere davvero sentimenti tanto
umani come l'affetto,
il desiderio, la condivisione?
...
E soprattutto: è
possibile che un automa diventi così sofisticato da provare, in
tutto e per tutto, i sentimenti e i pensieri di un uomo?
«No...
Credo. Anche se in realtà non te lo so dire. Non capisco quasi mai
fino in fondo quello che succede tra noi,» ammette Dean,
massaggiandosi stancamente le tempie. Il bar di Bobby è
cupo, le luci dei led virano sui toni del blu, del verde e del viola
e non bastano a illuminarlo in modo allegro. Sono troppo fredde: e il
locale, nell'insieme,
sembra più
un grosso acquario che un luogo di ritrovo. «Non
riesco a mantenere sempre lo stesso atteggiamento, con lui. A volte
sono tranquillissimo e mi fa piacere quando stiamo insieme; in altri
momenti, invece, mi arrabbio per un nonnulla e me la prendo con lui,»
continua il fratello maggiore, consapevole che il minore lo sta
ascoltando. «Ma in realtà non ce l'ho con lui. Sono arrabbiato,
sì... Ma col destino o come vuoi chiamarlo, per averci fatti così
diversi... E forse incompatibili.»
L'alcol brucia, nella gola, ma è
un buon modo per ingoiare i pensieri amari.
Sam
guarda il fratello con uno strano misto di tenerezza e rammarico
negli occhi.
«Credo
che non dovresti pensarci troppo. Sarà il tempo a mostrarvi se avete
qualche possibilità oppure no. Ma non potete starvene tutti e due a farvi
il broncio come i bambini... Non vi porterà da nessuna parte.»
«Lo
so.»
Dean quasi frantuma il fondo del bicchiere vuoto, sbattendolo forte
sul bancone. «È solo che... Dio, quanto vorrei che avesse un cuore.
Sarebbe tutto più semplice, non credi? Saprei che ciò che prova lo
prova realmente, qualunque cosa sia. È
più
facile, tra esseri umani, no?--»
Un istante prima di finire la frase, Dean si rende conto della gaffe
che ha commesso, ma ormai è
troppo tardi per rimangiarsi tutto.
Sam
abbassa lo sguardo. Il ricordo di Jess ancora lo tormenta, nonostante
siano passati anni. Lei era umana, come lui, e aveva sposato la causa
della Resistenza soprattutto per stare accanto a Sam, che allora
combatteva attivamente accanto a suo fratello. Ma poi, la ragazza era
morta in battaglia; e, da allora, Sam si era rifiutato di prendere di
nuovo un'arma
in mano e si era ritirato a vivere di studio all'Istituto
di ricerca, dove sviluppava nuove armi e strumentazioni per
supportare i ribelli.
«A
volte non è
facile nemmeno così,»
mormora il fratello più piccolo, mentre la puntura conosciuta del
rammarico lo pizzica nel petto. Non ha amato più nessuno, da
allora... Quella parte di lui è
morta con lei.
«Ehi
Sam!» Benny
gli rivolge un cenno amichevole, dopo aver terminato di sistemare il
magazzino assieme a Bobby.
«Ciao
Benny,» lo saluta il Winchester, dissimulando la tristezza con un
lieve sorriso. «Che hai fatto al braccio?»
Il
corpulento ex soldato scuote la mano con noncuranza, sorridendo.
«Niente
di che, dev'essere stato un proiettile.»
«Dovresti
farti dare un'occhiata,
comunque. Passa
al centro riparazioni, più
tardi,»
gli suggerisce Sam.
«Magari dopo. Fra
poco scatta il coprifuoco e ho promesso a Balthazar di aiutarlo a
recuperare tre casse di munizioni nel Quartiere Vecchio. Fanno sempre
comodo,»
risponde Benny, infilandosi una vecchia giacca verde, ricordo del
servizio militare, consumata dall'uso e dalle battaglie.
«Sono
troppo vecchio per queste cose,» borbotta Dean, sfinito dalla
stanchezza e dall'emicrania, con la testa posata sulle braccia
conserte.
«Non
dirlo a me,» commenta
Bobby, da chissà quale angolo sperduto di quel sotterraneo infinito.
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Capitolo 3 *** Capitolo Due ***
Capitolo 2 - il ritrovamento
CAPITOLO DUE.
«Well,
Billy Joe told me: "Well, everything's lookin' fine"... He
got the place all secure, got the icebox full of wine... He said:
"Now hurry on all and don't be late, I got three lovely ladies
who just won't wait...»
All'alba,
Nuova Lebanon è sempre rossa
di fuoco.
Dopo
la Guerra, molte città si sono svuotate. Sono sorti nuovi centri
abitati nelle campagne, e le persone hanno ricominciato a coltivare i
campi per sostentarsi – anche grazie all'aiuto dei numerosi robot
lavoratori, che si fanno carico dei lavori più
pesanti. Tuttavia, la densità di popolazione si è
enormemente ridotta, perciò si può viaggiare per ore e ore
attraverso terreni deserti, radure incolte e lande desolate senza
incrociare anima viva. L'alba
e il tramonto sono i momenti più
favorevoli per spostarsi, poiché
le guardie armate di Metatron devono tornare alla base e fare
rapporto, prima di darsi il cambio per dare inizio al coprifuoco.
Quando quest'ultimo scatta, le strade vengono pattugliate e chiunque,
umano o robot, rischia di essere preso per un ribelle e processato –
se non, nei casi peggiori, eliminato sul posto.
Garth
ormai conosce le strade sicure come le proprie tasche. È
abituato a spostarsi rapidamente, senza dare nell'occhio e
canticchiando vecchie canzoni per farsi compagnia, per recuperare gli
androidi danneggiati o abbandonati e portarli all'Istituto di ricerca
- dove Charlie e Kevin li rimettono in sesto. Recuperare i
robot non è solo un lavoro, per Garth: è
una missione. Mingherlino e buffo com'è, l'uomo ha capito presto di non essere adatto al combattimento in prima
linea; ma, pur di aiutare i ribelli a infoltire le loro schiere e
arruolare nuovi androidi, si è gettato anima e corpo in questo ruolo.
Il
suo non è un compito facile. A volte, deve infilarsi in vecchie
costruzioni pericolanti e mettere a rischio la propria incolumità,
per recuperare gli umanoidi abbandonati o in difficoltà. Oppure,
deve gettarsi in fretta e furia in uno dei nascondigli che ha
disseminato lungo la strada, per sfuggire ai pattugliamenti a
sorpresa. Certo, non è pericoloso come quello che fanno Dean, Benny
o Castiel: ma, ehi, anche Garth Fitzgerald IV ha coraggio da vendere,
a suo modo.
«We'll
do some down south jukin', lookin' for some peace of mind...*»
Qualcosa
fuma in lontananza e Garth frena di colpo, facendo cigolare le
sospensioni del vecchio pick up. Nella sua esperienza di ricognitore,
l'uomo ha imparato a notare
ogni minima anomalia nel paesaggio - ed è
più che sicuro che, quando ha fatto quellla stessa strada
all'andata, quel fumo non ci fosse. Perciò decide di scendere a
controllare. Percorre qualche un centinaio di metri attraverso un
terreno dove la vegetazione è cresciuta in modo selvaggio, e poi
finalmente lo vede.
«Ehi,
bello,» esclama con un gran sorriso - anche se è quasi sicuro che
l'automa non possa sentirlo, viste le pessime condizioni in cui si
trova. «Hai davvero bisogno di una sistemata.»
Il
lavoro di Garth è anche faticoso, perché quasi sempre gli androidi
sono più alti e più pesanti di lui. Ma un po' alla volta, con
pazienza e molte soste per riprendere fiato, alla fine il piccolo
essere umano riesce a trascinare l'automa fino al pick up e
ripartire, canticchiando di soddisfazione, alla volta dell'Istituto.
***
«Benny,
dovresti avere più cura di questo braccio, Dico sul serio.»
Charlie
e il soldato sono seduti uno di fronte all'altra. Lui tiene
l'avambraccio disteso di fronte alla ragazza, che è
intenta a riparare la
protesi meccanica con gesti sicuri e precisi.
«È
già la terza volta in un mese,» gli fa notare la giovane dai
capelli rossi. Benny si stringe nelle spalle e un sorriso ironico gli
si allarga sul viso.
«Che
posso farci? Il pericolo è
il mio mestiere,»
scherza. Charlie lo guarda di sottecchi scuotendo la testa con aria
di lieve rimprovero.
«Fra
te e Dean non so chi è
più spericolato,»
dice. A Charlie dispiace quando i suoi amici rimangono feriti in
battaglia, ma un po' li ammira. È
grazie a loro se i ribelli sono riusciti a resistere e restare uniti
per così tanto tempo.
«Buongiorno
ragazzi. Ehi, ciao anche a te, Benny.»
Garth
fa il suo ingresso con un gran sorriso. La mimetica gli sta sempre
troppo larga, ed è sempre coperto di terra e di polvere.
«Mi servirebbe giusto una
mano a scaricare il pick up. Non è
che mi aiuteresti?»
«Certo,»
risponde il guerrigliero, mentre Charlie finisce di suturare
l'impianto. L'Istituto ha sviluppato dei laser in grado di uniformare
perfettamente i tessuti umani con quelli robotici, cosicché le
protesi diventano parte integrante del corpo e spariscono sotto la
pelle. Pensate che la tecnologia è
così avanzata, e il risultato così perfetto, che è impossibile
notare la differenza tra un bioimpianto e un arto vero, come nel caso di Benny. Che, senza fare
alcuna fatica, si carica sulle spalle il corpo esanime
dell'automa – il quale, ad occhio e croce, sembra essere sul metro e
novanta di altezza, - e lo trasporta all'interno.
«Però...
È ridotto male.» Il commento proviene da Kevin, comparso sulla
soglia del laboratorio per dare un'occhiata all'androide portato da
Garth. Quando Benny distende il robot sul lettino, il gruppo gli si
stringe attorno per osservarlo da vicino.
«Già...
È quasi un rottame. Non so se riuscirete a recuperarlo, ma credo
che
valga la pena fare un tentativo.» Garth lo osserva con una punta
di
compassione. A dispetto della maggior parte delle persone, Garth non
ha pregiudizi di alcun tipo verso gli androidi e li considera come
esseri umani. Ne conosce molti, e con alcuni
condivide persino qualcosa che somiglia molto ad un'amicizia. Sa
benissimo che c'è una grossa differenza tra umani e umanoidi: ma
chi può dire se i robot ormai non siano così evoluti da
aver sviluppato
una loro sorta di anima?
«Faremo
del nostro meglio,» assicura Charlie, anche lei impietosita. E,
prima che possa rendersene conto, allunga una mano per accarezzare il
volto del robot - con ancora impressa quell'espressione così
persa, così sofferente... Così umana.
*Down South Jukin', dei Creedence Clearwater Revival.
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Capitolo 4 *** Capitolo Tre ***
Capitolo 3 - il risveglio
CAPITOLO TRE.
«Le impostazioni di
base sono state ripristinate... Ora il sistema dovrebbe essere di
nuovo in grado di avviarsi.»
«Proviamo a dare
energia?»
«Vai.»
L'attimo
prima non sei, e l'attimo
dopo sei di nuovo.
Il ritorno alla
coscienza è come una frustata, uno
schiocco forte nelle vertebre; ma nulla di più.
Non
c'è pena, non c'è dolore. C'è solo...
Sollievo.
«Ehi...»
Due paia di occhi lo
scrutano, sono sopra di lui.
Prototipo 100 si
sorprende di riuscire a vederli, perché,
quando il suo sistema si era
arrestato, i suoi recettori visivi, uditivi e tattili erano fuori
uso. Ora, invece, i suoi occhi e le sue orecchie funzionano – anche
se la luce gli dà fastidio e gli sembra di udire un ronzio continuo,
in sottofondo. L'umanoide, a poco a poco, realizza di essere sdraiato
su una specie di lettiga in un posto che non conosce. Nel suo campo
visivo ci sono un soffitto color crema e una grossa lampada da sala
operatoria. Due figure in camice bianco sono chine su di lui: una
ragazza dai capelli rossi, che sorride, e un ragazzo dai lineamenti
asiatici che lo osserva con curiosità.
Prototipo 100 non
conosce nessuno dei due. Per quanto si sforzi, non riesce ad
associare i loro volti ai dati della sua memoria. E comunque, è
ancora troppo intontito per provarci davvero.
«Ben
svegliato,» lo saluta il giovane asiatico. L'androide si sta ancora
riattivando, a fatica. I processi del suo sistema si mettono in moto
lentamente, e passa qualche minuto prima che riesca a recuperare
l'uso del linguaggio e a formulare delle parole. È come se ogni
singolo muscolo, ogni singola fibra del suo essere fosse
ancora addormentato. Nelle condizioni in cui si trova, i dati non possono
scorrere a pieno regime: è troppo debole.
«Cosa...»
Il caricamento è persino più lento del previsto. Prototipo 100 è
confuso; istintivamente vorrebbe portarsi una mano sulla tempia, ma
non riesce a muoversi. I suoi centri motori sono ancora danneggiati o
scollegati; il sistema invia l'ordine al corpo di muoversi ma nessun
arto risponde all'appello. La scoperta riempie il robot di una rapida
ondata di panico.
«Dove
sono...? Chi siete...?
...Cosa e successo?» L'androide
sbatte le palpebre, disorientato. Quel piccolo gesto è tutto ciò
che riesce a fare; come ha potuto ridursi così?
Come
se si fosse accorta del suo stato d'animo, è la ragazza a prendere
la parola per prima tenendogli una mano sulla fronte, come per
confortarlo. Il tono con cui gli parla è tranquillo e scandisce
lentamente le parole, per dargli modo di processare un'informazione
alla volta.
«Piano, piano, va tutto bene. Allora, questo è il reparto riparazioni
dell'Istituto di Ricerca per l'Intelligenza artificiale. Io sono
Charlie e questo è Kevin, e ci occupiamo di riparare i robot
danneggiati, come te.» I due ragazzi non sembrano ostili. Dopo
qualche istante di esitazione, l'androide deve arrendersi
all'evidenza. Che siano amichevoli oppure no, non è in condizione di
difendersi o di fuggire; perciò, può soltanto sperare che siano
pacifici come sembrano.
«Non
abbiamo ancora finito di ripristinarti,»
aggiunge il ragazzo. «Ma, come avrai notato, ti abbiamo
ricollegato i sensori visivi, olfattivi e uditivi... Ora, dobbiamo
sistemarti gli arti inferiori e superiori e poi riparare i danni del
ceppo vertebrale, oltre che quelli superficiali. Attiveremo per
ultimi i recettori tattili, così non sentirai troppo male.»
Prototipo
100 vorrebbe poter tirare un sospiro di sollievo. Allora aveva
ragione il suo creatore, quando gli diceva che c'erano tante brave
persone nel mondo, là fuori...
La sensazione di panico si attenua, nel giro di qualche istante, sostituita da un forte sentimento di gratitudine.
«Non
so perché lo fate...», articola il robot, vincendo l'intorpidimento
generale che gli offusca i pensieri, «... Ma grazie.»
Il
giovane – Kevin – esce per un attimo dalla sua visuale.
«Ci
ringrazierai dopo, uhm--» Attimo di esitazione. «Sulla tua scheda
tecnica sei registrato con due nomi: Prototipo
100 e Gadreel.
È un fatto piuttosto insolito...», commenta il ragazzo, leggendo da
un piccolo schermo luminoso. «Come vuoi che ti chiami?»
Il sistema del robot
mette assieme qualche stringa di codice in più
per permettergli di sorridere debolmente, anche se questo vuol dire
spendere ulteriori energie - preziosissime, nelle sue condizioni. Ma
la domanda lo ha rassicurato: se si interessano delle sue preferenze,
probabilmente quei ragazzi lo rispetteranno e avranno cura di lui.
«Io...
Preferisco Gadreel. Il mio creatore... Mi ha... Chiamato così.»
Parlare è sempre più faticoso: si sta stancando, non potrà reggere
ancora per molto.
«Il
tuo creatore?», chiede Charlie, inclinando leggermente il capo. Il
gesto le fa ondeggiare qualche ciocca di capelli ramata sulle spalle.
Gadreel
chiama a raccolta le ultime forze per rispondere alla domanda
implicita.
«Sì...
Si chiama... Chuck...»
Il
robot riconosce ancora un limitato catalogo di espressioni umane;
tuttavia, indicherebbe senza dubbio come sorpresa
quella che vede
dipingersi sui volti dei due scienziati, all'improvviso.
«Oh
cavolo,» esclama lei.
«Dobbiamo
dirlo a Dean,» ribatte lui.
«Io...
Non conosco--», cerca di dire Gadreel; ma si rende improvvisamente
conto di aver già esaurito le energie minime per continuare a
comunicare. È frustrante, pensa. Così ridotto, è poco più di un
giocattolo.
«Tranquillo,
non è niente,» lo rassicura di nuovo la ragazza. «È un nostro
amico. Magari potreste conoscervi, più avanti... Intanto, finisco di
ripararti. Sarà una cosa lunga; sentiti libero di andare in stand-by
se vuoi riposare un po', nel frattempo, ok? Quando ti sveglierai
starai molto meglio, te lo prometto.»
Gadreel
non se lo fa ripetere due volte. È troppo, troppo stanco per restare
con gli occhi aperti. Pensava di averli chiusi per sempre, soltanto
poche ore prima, e invece ha ottenuto una seconda possibilità: ora
può soltanto lasciare che i due giovani facciano il loro lavoro e lo
rimettano in sesto.
Non c'è alcun bisogno che lui resti vigile, per
questo.
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Capitolo 5 *** Capitolo Quattro ***
Capitolo 4 - Gadreel si presenta
CAPITOLO
QUATTRO.
«È così, ti dico.
Ci abbiamo parlato, ma non ricorda niente – a parte di aver dormito
per molto tempo, prima di essere svegliato da una forte esplosione...
Ma non ci sono dubbi.»
«Dev'essere uno dei
prototipi che si sono dispersi dopo il vostro attacco alla base di
Metatron. Dice di essere stato creato da Chuck, e anche i dati nella
sua matrice sembrerebbero confermarlo. È stato progettato almeno
dieci anni fa, ovvero quando ancora la Robotics Industry era gestita
da Chuck e non da Metatron.»
«Be', sarebbe un bel
colpo di fortuna. Chuck ha creato solo cose buone...»
«Infatti, credo sia
così. A me è sembrata una creatura sorprendentemente mansueta e
docile. Credo che dovreste parlarci... Ne verranno fuori sicuramente
delle cose molto interessanti. Ma andateci piano: non è ancora nel
pieno delle forze.»
Da qualche ora,
Gadreel passa continuamente dal sonno alla veglia. È intrappolato in
uno strano stato sospeso – ma i ragazzi gli hanno assicurato che è
perfettamente normale, nelle sue condizioni. Il suo sistema lavora a
sprazzi, alternando momenti di grande attività, in cui ripara da
solo i propri crash, a momenti in cui riduce il consumo di energie al
minimo per non danneggiarsi ancora.
In questo momento,
l'androide è quasi del tutto sveglio – se non fosse per quel
fastidioso intorpidimento generale e quella... Stanchezza... -
ma ha ancora molto bisogno di riposare. Il lettino è comodo e i due
giovani ricercatori gli hanno dato una coperta sotto cui
raggomitolarsi... Non potrebbe desiderare nulla di più.
Sta quasi per
riaddormentarsi, quando sente la porta del reparto riparazione
aprirsi. Così riapre gli occhi, si solleva lentamente a sedere e si
scosta la coperta di dosso.
Ci sono tre individui
sconosciuti, con Charlie. Il primo ha corti capelli castano chiaro,
occhi verdi e un velo ruvido di barba sulle guance. Ha l'aria dura e
lo sguardo deciso del militare di lunga esperienza, indossa una
giacca tattica di tela verde piena di tasche ed è pieno di armi che
non si cura affatto di nascondere. Sprizza sicurezza da ogni gesto: è
quasi aria di sfida, la sua. Il secondo uomo è di qualche anno più
giovane: ha capelli castani più lunghi rispetto al primo e anche la
sua espressione è decisamente più cordiale. È il più alto del
trio. ma non risulta minaccioso, anzi. Accenna un sorriso, entrando:
è l'unico che se ne cura. L'ultimo sconosciuto è
più difficile da decifrare. Sul metro e ottanta, capelli scuri,
occhi azzurri e pelle chiara; mantiene un atteggiamento neutro e
prudente, come per non esporsi troppo. Qualcosa in lui è familiare e
allo stesso tempo estraneo, per Gadreel: ma proprio non riesce a
capire di cosa si tratti.
«Ehi, ciao Gadreel,»
lo saluta la ragazza, disponendosi tra lui e il terzetto. «Come ti
dicevo, ti ho portato alcuni miei amici. Loro sono Dean», indica il
militare, «Sam,» il ragazzo coi capelli lunghi, «e questo è
Castiel. Anche lui è un androide, come te.»
Gadreel sposta lo
sguardo sui tre, curioso. Soltanto dopo qualche istante si rende
conto di non aver ancora spiccicato parola; così raddrizza la
schiena, rilassa le spalle, sorride.
«Piacere di
conoscervi.»
«Piacere di conoscere
te, fratello. Come ti senti?», chiede Castiel. Ha accennato un
sorriso, alla parola fratello.
«Molto meglio, ora,»
risponde Gadreel, guardandolo negli occhi. Non ha mai visto un altro
come lui, vorrebbe fargli una marea di domande ma ha a malapena il
tempo e l'autonomia per sostenere una piccola conversazione – e poi
teme di sembrare maleducato. «Credevo di essere morto... Ma poi
Charlie e Kevin mi hanno rimesso a posto.» Lo sguardo chiaro
dell'androide si sposta sulla ragazza. «Sarò eternamente in debito
con voi,» aggiunge.
Il militare, Dean,
aggrotta un sopracciglio.
«Morto? Gli
umani muoiono. Le macchine si spengono e basta,» sbotta,
seccato. Il commento gli vale un'occhiata di disappunto da parte di
Castiel, che lo rimprovera - ma senza la minima traccia di astio.
«Dean, sai benissimo
che non è così. Non fare l'insolente.»
I due devono aver
litigato, o qualcosa del genere. Ci sono molte cose non dette, tra
loro due, questioni che non hanno risolto. A Gadreel, nonostante la
poca esperienza, è bastato guardarli un attimo per capirlo.
Il ragazzo alto –
Sam – si schiarisce la voce e prende parole, mentre i suoi due
amici finiscono di battibeccare silenziosamente a suon di
occhiatacce.
«Allora, Gadreel...
Charlie e Kevin mi hanno detto che non ricordi quasi nulla di ciò
che ti è successo. È così?», chiede, con gentilezza. Sam ispira
tranquillità... Come Chuck.
«Sì. Sono stato
dormiente, per un lungo tempo... Circa dieci anni, stando ai miei
riferimenti temporali interni,» è la risposta.
Dean e Castiel ora
sembrano di nuovo interessati a lui; Dean se ne sta a braccia
conserte per ribadire il suo tacito dissenso, però.
«E cosa sei?»,
chiede, brusco – come, a quanto pare, sembra essere sempre.
Gadreel solleva un
sopracciglio e stringe gli occhi, confuso.
«Non capisco,»
ammette.
Dean lo guarda
riflettendo più o meno la sua stessa espressione.
«Voglio dire, che
funzione hai? Sei un robot ricognitore, pulitore, raccoglitore...»,
elenca, guardandolo negli occhi.
Per Gadreel, però,
quella lista di termini non ha alcun significato.
«Io... Credo ancora
di non capire-- Tutti i robot hanno una sola funzione.» L'androide
lo dichiara con decisione. È uno dei pochi punti fermi della sua
esistenza, questo.
I tre visitatori, però,
sembrano non esserne altrettanto convinti: prima lo fissano, poi si
guardano a vicenda con aria interrogativa, poi lo fissano di nuovo.
Così Gadreel, leggermente a disagio, si sente obbligato a spiegarsi,
per dissipare ogni dubbio.
«Il compito dei
robot è proteggere l'umanità,» recita. Una sola frase, un
concetto semplicissimo. Il motivo per cui è stato assemblato, la
ragione della sua vita, il motore dietro ogni sua azione. Gadreel è
un guardiano e un custode, così come lo sono tutti gli altri
robot---
... O no?
Dean spalanca gli
occhi verdi e lo osserva, perplesso.
«Mi sa che ti sei
perso dieci anni di storia contemporanea,» commenta. E poi, rivolto
a Charlie e Kevin: «Non lo avete ancora aggiornato, vero?»
I due ragazzi scuotono
la testa. «Non ancora,» risponde Kevin.
«Aggiornato su cosa?»
domanda Gadreel, dubbioso, spostando lo sguardo su ognuno dei suoi nuovi
compagni.
È Castiel a mostrare
più empatia nei suoi confronti. Posa una mano sulla sua spalla e lo
guarda negli occhi, gli parla con calma e serietà.
«Molte cose sono
cambiate, fratello. C'è stata una grande guerra, tempo fa, che ha
cambiato la geografia del mondo. Dopo un breve periodo di pace, un
ingegnere di nome Metatron ha preso il potere e ha
instaurato una dittatura, e uomini e robot sono rimasti coinvolti in
una guerra civile che dura tuttora... Ci sono eserciti di androidi e
di esseri umani che si danno battaglia, oggi: chi uno accanto
all'altro, chi uno contro l'altro.»
Lo sbigottimento sul
volto di Gadreel si trasforma rapidamente in incredulo orrore, mentre
il suo simile gli parla. «Vuoi dire che... Ci sono androidi che
combattono? Uno contro l'altro...? E addirittura contro degli
esseri umani...?»
È impossibile,
pensa l'androide. Questo va contro ogni etica--
Qualcuno gli infila una
serie di cavetti sottopelle, dietro la nuca. È Kevin, che rileva i
miglioramenti delle sue condizioni con uno strumento di diagnosi
elettronica. Il macchinario emette una serie di piccoli, rapidi bip,
mentre il ragazzo lo monitora.
«Sì. Ma è molto più
complicato di così, Gadreel. Aspetta di stare un po' meglio: con
troppe informazioni, rischieresti il sovraccarico,» lo avverte il
ricercatore, leggendo i valori sullo schermo.
«Portatelo da mio
fratello,» comanda Dean. «Ci penserà lui a dargli tutte le
informazioni che gli servono... E poi potrà fare liberamente la sua
scelta.»
«Quale scelta?»
Gadreel si era ripromesso di non fare troppe domande, ma proprio non
può evitarlo.
«Ti spiegherà tutto
Sam più tardi. Ora, ragazzi, devo chiedervi di andare... Gadreel sta
per esaurire di nuovo l'autonomia, deve recuperare le forze.» Kevin
lo aiuta a distendersi di nuovo e il robot esegue. Si sente un po'
scarico, in effetti...
C'è un rapido scambio
di saluti, poi Charlie riaccompagna di nuovo i tre uomini alla porta.
Gadreel se ne sta raggomitolato su un fianco, con la testa posata sul
braccio piegato e un misto di confusione e preoccupazione nel petto.
Vorrebbe chiedere tante cose, farsi spiegare tutto subito, ma non ha
sufficiente energia per prestare attenzione... I cavetti per la
diagnosi formicolano, dietro il collo. Si sta riaddormentando di
nuovo.
Vorrebbe tanto
chiedere a Chuck, ma chissà dov'è...
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Capitolo 6 *** Capitolo Cinque ***
Capitolo 5 - Il sogno
Piccolo
omaggio musicale per questo capitolo:
https://www.youtube.com/watch?v=Xanlcx0X2ho
CAPITOLO CINQUE.
Un sogno robotico.
Dieci anni prima.
Attraverso
le lunghe vetrate del laboratorio, le luci del tramonto filtravano
delicate, confortanti e tiepide come una carezza. La luce
rosso-dorata del sole si spandeva sulle superfici lucide dei tavoli,
sui vetri, sui metalli, sui fogli di carta ricolmi di appunti, sulle
attrezzature... E negli occhi sereni di un androide, come una
sottilissima colata di oro liquido. Il
laboratorio era deserto, a quell'ora. Tutti i ricercatori avevano
finito il loro turno ed erano tornati ognuno alla propria casa, alla
propria famiglia. Soltanto uno di loro era rimasto; perché il
laboratorio era
la
sua casa e la sua famiglia. E la sua ultima creazione... Dio, non
aveva mai infuso così tanto amore in un
pensiero.
Chuck aveva amato alla follia quel robot fin dallo stadio
primordiale, quando era ancora soltanto uno scarabocchio fermato su
un foglietto durante la pausa pranzo. Un'idea accalappiata al volo,
come una farfalla in un retino. Incredibile, vero? È
straordinario quanto basti poco per cambiare il destino. A volte, una
piccolissima frazione di secondo stravolge il corso della storia: la
differenza tra un'idea persa e un'idea tramutata in realtà
corre sulla linea fragile e delicata di un istante. E Chuck non solo
aveva colto un'intuizione, ma vi si era dedicato anima e corpo per
settimane e mesi, senza sosta, affinché diventasse qualcosa di
concreto. Qualcosa di vero. E non esisteva piacere più grande
per lui, in quanto inventore, che trascorrere del tempo migliorando
la sua creatura e scoprendo, un po' alla volta, quanto potenziale
avesse. Il laboratorio silenzioso, grande e
vuoto com'era, sembrava una città abbandonata; ma se avessimo
attraversato i suoi corridoi bui, se avessimo salito le sue scale, se
avessimo teso le orecchie su uno dei suoi pianerottoli... Avremmo
udito il tenue sibilo di un laser e le quiete chiacchiere tra due
esseri che imparavano a conoscersi. E, se avessimo spinto appena una
porta sul fondo di uno di quei corridoi, li avremmo visti: l'umano e
la macchina, intenti a scambiarsi le prime informazioni sul
mondo. Gadreel ricordava quella conversazione
come se fosse appena avvenuta, e non l'avrebbe dimenticata
mai. L'androide sedeva tranquillo, con le gambe penzoloni, sullo
stesso lettino su cui aveva preso vita - un pezzo alla volta, - nei
mesi precedenti. Teneva lo sguardo rivolto fuori dalla lunga e alta
finestra a nastro del laboratorio, e osservava il calare della sera
con ammirazione e curiosità. Erano le prime volte che lo
vedeva, - le prime volte in cui assisteva al tramonto con la
consapevolezza di cosa stesse accadendo. Chuck gli aveva raccontato
qualcosa sul sistema solare, sul trascorrere delle stagioni; gli
aveva spiegato come il Sole riscaldasse il pianeta e permettesse sia
alla Terra che ai suoi abitanti di continuare a vivere.
Gadreel aveva assorbito ogni nozione come una spugna. Faceva molte
domande, cercava di immaginare ognuna delle cose che gli venivano
descritte anche se alcune erano fuori della sua portata. L'unico modo
per conoscerle davvero sarebbe stato vederle di persona, pensava. E
sorrideva, pensando al momento in cui finalmente avrebbe potuto
trovare risposta alle sue
curiosità.
A Chuck piaceva parlare con lui. Era un bel modo di passare il tempo
mentre avvitava, riprogrammava, modellava. In quel momento, stava
incastrando una dopo l'altra le vertebre meccaniche di una colonna
vertebrale perfetta. La schiena dell'androide era aperta e
vulnerabile, di fronte a lui che ne conosceva ogni piccola parte e
ogni segreto, e quella vista lo faceva sentire orgoglioso e allo
stesso tempo intenerito. Lo scienziato non poteva fare a meno di
trattare la sua creatura con immenso rispetto e gentilezza; la
assemblava con evidente attenzione nei gesti e, anche se la ragione
gli diceva che ciò non era possibile, una parte di lui sperava
che almeno una parte di quell'affetto, profondo e quasi paterno,
riuscisse a filtrare nella meccanica e nelle giunture - che riuscisse
a far risplendere di dolcezza e amore per la vita quella testa piena
di processi e collegamenti. «Ci sono
tante cose splendide al mondo, sai? Per questo va protetto. Perché
è come una scatola piena di meraviglie: e sarebbe terribile se
finisse rovesciata e il suo contenuto calpestato,» disse Chuck,
mentre saldava accuratamente qualcosa dietro il collo del robot. Che
ascoltava e sorrideva, felice di esistere.
Chuck
era l'unico umano con cui era mai entrato in contatto, per forza di
cose, ma gli piaceva. Era gentile e lo faceva sentire tranquillo,
mentre si occupava di lui. Il robot si fidava ciecamente del suo
inventore, e non avrebbe mai permesso a nessun altro di aprirlo e
manipolarlo in quel modo. E poi, a Gadreel piacevano le belle storie
che raccontava. «Puoi parlarmi ancora del
mare?», chiese infatti, socchiudendo gli occhi. Era il suo modo
per predisporsi a immaginare. Dietro di lui,
l'uomo sorrise. Era stanco, ma anche soddisfatto. Sentiva che quella
era, senza ombra di dubbio, la cosa migliore che avesse mai fatto: e
ogni piccola richiesta spontanea che l'androide avanzava, ogni
piccola curiosità, sembrava confermarlo. Quel robot aveva
qualcosa di molto simile a una
coscienza:
qualcosa
che nessun manuale di robotica avrebbe mai potuto costruire. Ma Chuck
c'era riuscito - e lo incoraggiava, in tutti i modi. In qualche
strano, miracoloso, imperscrutabile modo... Ce l'aveva fatta. Gli
aveva dato un'anima. «Il mare è
grande e sconfinato, e ha nomi diversi a seconda dei paesi che vi si
affacciano,» cominciò l'inventore. «Ci abitano
tanti animali di tutte le forme e di tutti i colori, così
diversi tra loro e così sorprendenti che nemmeno l'uomo più
fantasioso potrebbe mai immaginarli...»
«E allora, chi li ha creati?» La domanda affiorò
spontanea sulle labbra sottili del robot. «Be',
anche loro sono stati fatti da un creatore,» rispose Chuck.
Rispondere a tutte quelle domande era divertente, era come giocare
con un bambino. A Gadreel le risposte non bastavano mai.
«Come te?», chiese ancora. Chuck ridacchiò,
mentre ripuliva accuratamente i circuiti completi prima di
saldarli. «No... Uno un po' più
importante,» rispose, ancora con un la lieve luce di un sorriso
stampato sulle labbra. Intuì la piega che la conversazione
avrebbe preso e si preparò. Se Gadreel avesse compreso anche
quello, allora non ci sarebbe stato più alcun
dubbio. L'androide continuò imperterrito a fare
domande. «E come si chiama?»,
insistette. «Molti lo chiamano dio, ma
ogni cultura tende a dargli un proprio nome.» Chuck si fermò
per un attimo. Si rese conto solo in quel momento che, spiegando le
cose a Gadreel, era come se lui stesso le re-imparasse o le scoprisse
per la prima volta. Il robot lo spingeva a dare spiegazioni, ad
esaminare le questioni sotto punti di vista diversi, a riflettere su
piccolezze su cui non si era mai soffermato e, soprattutto, a offire
il proprio punto di vista personale sull'argomento di turno. Con la
sua insaziabile voglia di conoscere, Gadreel obbligava Chuck ad
uscire allo scoperto e a reinnamorarsi di quel mondo a cui
apparteneva – e che l'umanità stessa stava
inesorabilmente rovinando. «Come fanno i
paesi con il mare?», domandò ancora Gadreel. Chuck
sorrise ancora, sovrappensiero, sfiorando con i polpastrelli quella
pelle sintetica perfetta e quasi umana che aveva appena finito di
richiudere. «Sì... Come il mare,» mormorò.
Tastò la spina dorsale del corpo di fronte a lui, poi regolò
l'intensità di un laser e si concentrò di nuovo sul
proprio lavoro. «In effetti, Dio è un po' come il mare,
sai. Immenso, vasto e insondabile. Pieno di meraviglie... Ma
imprevedibile. E devastante, a volte. Come tutte le cose
potenti.» Gadreel ascoltava, attento. Rimase silenzioso per
un po'. Intuiva che la faccenda fosse molto più importante di
così, ma non sapeva ancora come esprimere alcuni concetti.
Perciò, continuò a porre domande più
semplici. «E lui ha creato gli animali...
Come tu hai creato me?» «Diciamo di
sì. Ma non solo gli animali. Anche le piante, gli uomini... E
tutta la Terra, gli altri pianeti. Tutte le cose che esistono,
insomma.» «E potrò vedere
anche lui, quando uscirò?» La nota di eccitazione che
comparve nella voce del robot sorprese entrambi. Chuck si grattò
distrattamente la testa. «No... Cioè,
Dio non si vede. O meglio... Puoi vederlo in tutte le cose,»
disse. Ma la risposta risultava criptica anche a lui che l'aveva
formulata. «Cioè?», chiese
infatti Gadreel, aggrottando un sopracciglio e inclinando il capo da
un lato. Chuck gli accarezzò gentilmente la testa, come
avrebbe fatto con un figlio. «Be'... Dio
è una cosa troppo grande per avere una forma. Come il mare. E
non puoi mettere il mare in un bicchiere, dico bene? Ecco, con dio è
la stessa cosa. Anche se è troppo grande perche tu riesca a
vederlo tutto... Però puoi intuire che c'è.»
L'androide chiuse gli occhi. Non era abituato ad alcuni gesti che a
volte vedeva compiere dall'umano, né credeva di comprenderne
del tutto le motivazioni... Ma gli piacevano. Era piacevole, quando
lo accarezzava sulla testa. «Quindi...
Dio esiste perché ci sono i pesci?» Chuck sorrise
ancora. «Anche. Perché ci sono le
cose. Perché c'è la bellezza, perché c'è
la musica, perché c'è il bene tra le persone... Dio è
in ognuna di quelle cose. Dio è ovunque ci sia
meraviglia.» Gadreel si acquietò
per qualche istante. «Non vedo l'ora di
vedere com'è il mondo, allora,» dichiarò, e un
sorriso si allargò sul suo volto. Chuck
sentì il cuore espandersi fino a occupargli tutto lo spazio
nel petto e anche di più. Provava una profonda tenerezza per
quel suo strano figlio, nato dall'intelletto e dall'amore per la
scoperta. Era la creatura più pura, sincera e limpida con cui
l'inventore avesse mai avuto l'onore di confrontarsi... La più
spontanea, la più gradevole, la più...
Buona.
In
Gadreel c'era uno spirito di amore e compassione che albergava
soltanto negli angeli. E, ogni volta che lo guardava o parlava con
lui, Chuck era diviso tra l'orgoglio di essere stato scelto per dare
la vita a un essere tanto innocente e la preoccupazione per il
destino che quest'ultimo avrebbe avuto. Gadreel gli ispirava
sentimenti di affetto e protezione; ma Chuck non sarebbe potuto
restare accanto a lui per sempre, a guidarlo e difenderlo...
«Credo che ti piacerà. Forse non sarà esattamente
come te lo aspettavi... Ma ci sono tante cose buone di cui avere
cura, nel mondo,» disse lo scienziato, anche se faticava un po'
a deglutire. «Tutte le belle cose di cui
mi hai parlato?» «Sì.»
«E in tutte quelle belle cose c'è un po' di dio?»
«Sì...» L'inventore sbatté più volte
le palpebre. «Sai... Anche tu sei una cosa bella,»
aggiunse, senza smettere di accarezzare la sua creatura. «E nel
mio piccolo, quando sarà giunta la mia ora non sarò più
qui, sarò sereno sapendo di aver lasciato te a custodire tutto
questo. Hai una grande responsabilità, Gadreel... E io ho
fiducia in te.» Chuck si vergognava un po' del suo lato
sentimentale.
Ma fortunatamente Gadreel non poteva vedere che aveva gli occhi
lucidi. Tuttavia, un lieve sussulto scosse le
spalle del robot, che riaprì gli occhi.
«Che vuol dire "quando non sarai più qui"...?»,
chiese, leggermente allarmato. Aveva colto un'alterazione, nel tono
del suo creatore, e si chiese a che tipo di sentimento fosse dovuta.
Doveva essere qualcosa di molto simile alla tristezza,
pensò.
Chuck sospirò. Era una domanda a cui prima o poi avrebbe
dovuto rispondere, lo aveva sempre saputo. Ma questo non lo rendeva
più facile. Inspirò rumorosamente, cercando di non
lasciarsi troppo andare. «Gli umani non
hanno pezzi di ricambio, Gadreel. Vivono per un po', ma poi devono
lasciare il posto ad altri esseri umani... I quali poi lasceranno il
loro posto ad altri, e così via. Nasciamo, cresciamo e
muoriamo. È il ciclo della vita,» spiegò, anche
se non era abbastanza. Fu in quell'occasione
che Gadreel sentì i propri occhi inumidirsi per la prima
volta. Per via di quella lacerante, opprimente sensazione di perdita
che aveva sentito addensarsi nel torace.
«Significa... Che mi lascerai da solo...?» Le
sopracciglia si erano contratte, le palpebre bruciavano. E sentiva un
peso, nella gola... Qualcosa di cui non riusciva a disfarsi.
Lo scienziato chiuse gli occhi per un istante; poi si sporse verso la
sua creatura e la abbracciò. Gadreel sentì le
braccia dell'umano chiudersi attorno al suo petto, lo sentì
posare la testa sulla propria spalla e si voltò leggermente,
coprì la mano dell'uomo con la propria.
«Non sarai mai solo,» sussurrò Chuck, commosso.
«In te c'è un po' di me. In ogni creatura c'è
qualcosa del suo creatore-- E non dovrai mai sentirti solo, finché
avrai memoria di me e mi farai vivere in ciò che di buono
farai.» La voce gli si era incrinata, sulle ultime parole, ma
non gli importava. Erano lacrime ben spese, per un momento così
speciale. Il momento in cui lasciava in
consegna il futuro nelle mani di un angelo. L'androide aveva le
guance bagnate. Una parte di lui si sentiva persa, un'altra era
onorata del compito che gli era stato assegnato. Fu quest'ultima a
rispondere, con orgoglio e commozione, alle parole dello
scienziato. «Farò del mio meglio.
Te lo prometto,» giurò, annuendo con decisione. Poi
abbassò lo sguardo sul nodo delle loro mani giunte –
padre e figlio, umano e meccanico, origine e derivazione, - e si
stupì di trovarle così simili.
Attraverso un ostinato velo di lacrime che gli offuscava ancora la
vista, Chuck seguì lo sguardo del robot e studiò in
silenzio la sua espressione. Allungò la mano libera per
sfiorargli una guancia; e, quando la trovò umida, ebbe la
conferma che quel miracolo era avvenuto davvero.
«Conserva questo tuo buon cuore, Gadreel,» mormorò,
con affetto.«È la cosa più importante che hai.»
Fuori era notte.
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Capitolo 7 *** Capitolo Sei ***
Capitolo Sei - Il passato
Rieccomi qui, dopo molti giorni
(sigh!) con due nuovi capitoli! ^^ Spero siano di vostro gradimento
^^
Approfitto di questo spazio per
porgere un saluto particolare a Momoko, che sta seguendo questa
storia con un interesse che mi ha sinceramente sorpreso...! Grazie
infinite per il tuo punto di vista e per le tue recensioni :)
Detto
questo... Buona lettura!
A. ;)
CAPITOLO SEI.
La città cresce in
verticale.
L'ala dell'Istituto in
cui lavora Sam si trova sul punto più alto di Nuova Lebanon, e il
panorama è mozzafiato. L'orizzonte, bagnato dal sole, sembra
infinito. Campi verdissimi circondano l'agglomerato urbano e si
stendono per chilometri e chilometri, fino a sparire nella luce
chiara del giorno. E la città è una insolita commistione tra
passato e futuro. Le strade portano i segni della battaglia: alcuni
edifici sono diroccati, forse a causa delle esplosioni, e vi sono
molte macchine che sembrano abbandonate da anni, con la carrozzeria
rugginosa e i vetri rotti. Alcuni dei veicoli sono stati ammassati
uno sopra l'altro fino a creare una sorta di muraglia compatta – a
protezione della città, o per impedire agli abitanti di uscire?
La domanda si forma spontaneamente nella testa di Gadreel, che
osserva lo scenario con i palmi delle mani premuti contro i vetri
delle finestre dell'Istituto – come se volesse toccare tutto, come
se volesse imprimersi sotto le dita la texture di ogni cosa.
«Ti
piace?» Sam sorride, con la spalla poggiata alla parete, osservando
il suo strano ospite con un certo divertimento. Lo ha lasciato libero
di gironzolare in giro e di curiosare come più gli piace, senza
alcun problema. Il ricercatore si aspettava di essere investito da
una raffica di domande; ma a dire il vero, da quando è entrato,
Gadreel ha parlato pochissimo: ogni volta che posa lo sguardo da
qualche parte, infatti, trova qualcosa di sorprendente da osservare -
ed è troppo preso a guardarsi attorno con gli occhi spalancati per
poter parlare. È tutto così nuovo e speciale, per lui...
«È...
Strana,» risponde l'androide, con un sorriso quasi infantile,
spostando lo sguardo sull'umano. «Ma bella. Affascinante. Come se...
Come se fossero due città diverse fuse insieme, ecco.»
Sam
annuisce, scrutando quegli occhi grigioverdi - e insolitamente vivi,
per un robot.
«Già,»
acconsente l'uomo, raggiungendo l'androide e sistemandosi al suo
fianco per poter guardare lo stesso panorama. «Una volta non era
così, sai? Ma la guerra ha cambiato tutto... Anche questa città.»
Gli
occhi nocciola di Sam si riflettono nel vetro, mentre la sua mente
ritorna alle immagini di un luogo molto differente seppure lontano,
nel tempo, soltanto di una decina d'anni.
«Soltanto
pochi anni fa, questa era una metropoli piena di traffico, le strade
erano sempre affollatissime. Poi ci sono stati i bombardamenti.. E
anche la geografia, assieme alle persone, è cambiata fino a
trasformarsi in qualcosa di completamente imprevedibile.» Gadreel
ascolta in silenzio, spostando di tanto in tanto lo sguardo dalle
strade a Sam, da Sam alle strade.
Il
ricercatore continua.
«Come
puoi vedere, con il passare degli anni la natura ha
rapidamente ripreso il sopravvento. Gli alberi hanno divelto
l'asfalto, hanno scardinato le strade e le costruzioni e tutte le
gabbie di cemento costruite dall'uomo; folte pareti di arbusti sono
cresciute tra le crepe di ponti e autostrade, si sono arrampicate
sulle facciate degli edifici e sui pali della luce, hanno creato
astratte strutture sospese tra una palazzo e l'altro – strutture
che gli umani, per sopravvivere, hanno cominciato a sfruttare come
vie di collegamento.»
È
vero, pensa Gadreel, che
sulle prime non li aveva notati. In effetti, ci sono delle specie di
passerelle naturali, tra un palazzo e l'altro: sembrano corridoi di
piante, nodosi e irregolari.
Sam
continua a raccontare – in un modo che, all'androide, ricorda le
storie del suo creatore Chuck e lo fa sentire immediatamente a suo
agio.
«E
così, tutta la popolazione ora sembra vivere in volo: la vita si
svolge lungo brulicanti camminamenti vegetali, a decine di metri dal
suolo, e nuovi negozi, abitazioni e attività sono sorte nei piani
alti dei palazzi inverditi dalle piante. Interi quartieri si sono
trasformati in giungle-cattedrali, ibridi perfettamente funzionali
tra una foresta e una città. Le persone hanno imparato a muoversi in
modo diverso, per sopravvivere: arrampicandosi, saltando, trovando
modi originali di superare gli ostacoli. Per
i bambini, è come una specie di enorme parco giochi a cielo
aperto... E anche per mio fratello, a dire il vero,» aggiunge Sam,
con un sorriso ironico. Dean adora arrampicarsi quasi quanto adora
guidare e combattere - e quanto adora Castiel,
anche se non è molto bravo a dimostrarlo. «Questa è, forse,
l'unica conseguenza positiva del dopoguerra,»
conclude l'umano, stringendosi nelle spalle.
Gadreel
trascorre qualche istante in assoluto silenzio, mentre piano piano le
informazioni si sedimentano dando vita a nuovi interrogativi.
«Tuo
fratello è... Dean?»,
chiede, infine. Si volta quasi del tutto verso Sam per
studiare il suo viso – gli era sembrato, in effetti, che lui e quel
soldato avessero qualcosa di simile, pur esssendo di indole tanto
differente.
«Sì,»
risponde il ricercatore. «Lo so che non abbiamo molto in comune...
Siamo quasi l'opposto, a dire la verità.» E
proprio per questo abbiamo preso strade diverse,
pensa; ma è un pensiero che decide di tenersi per sé.
Passa qualche istante
in cui i due si guardano negli occhi senza dire o fare nulla; poi è
Sam a distogliere lo sguardo per primo. Non è più abituato a farsi
guardare così a fondo; soprattutto, non da occhi così
spericolatamente innocenti e sinceri come quelli di Gadreel.
«Nostro padre John è stato uno dei primi a combattere per liberare
gli esseri umani... Ma forse è meglio che ti spieghi tutto
dall'inizio,» riprende a raccontare l'umano, per mascherare il lieve
imbarazzo. Poi fa un cenno all'androide. «Seguimi.»
C'è
un grande schermo incassato nella parete, sul fondo della stanza, e
una gran quantità di posti a sedere. Sam invita Gadreel ad
accomodarsi e poi, quando il ricercatore preme un bottone, tutta una
serie di immagini cominciano a scorrere. Persone che corrono, armi,
marce, soldati e vetture militari. E una marea di volti, di nomi, di
date: tutte risalenti al periodo che Gadreel ha trascorso dormiente.
«Per
circa cinque anni, le nazioni sono state scosse da un conflitto che,
per portata e violenza, è
passato alla storia come il Terzo conflitto mondiale. Al termine
della guerra, le città si sono ricostituite e le persone hanno
cercato di rimettere insieme ciò che era rimasto. I robot e gli
umani sono diventati un tutt'uno, fondando le basi di una civiltà
innovativa. I primi hanno aiutato i secondi senza risparmiarsi, per
ricostruire il più velocemente possibile le città bombardate, e ciò
ha definitivamente legato uomini e androidi da un reciproco
sentimento di solidarietà.»
Sam parla con una
tranquillità che fa risuonare in Gadreel il ricordo della voce
serena di Chuck. Il ricercatore lascia il tempo al robot per porre
tutte le domande che vuole, se ne ha, ma Gadreel tace. Sullo schermo
scorrono filmati e testimonianze scritte di ciò che è
avvenuto in quei dieci anni che il robot si è
perso; Sam gli fa vedere fotografie e ricostruzioni e ora, alla luce
di tutto questo, l'androide
sente di poter comprendere più
a fondo il motivo per cui la città ha assunto quell'aspetto
– segnato e selvaggio, come i suoi abitanti.
Sam prende il silenzio
di Gadreel come un invito a continuare. Perciò, lo fa.
«Tuttavia, dopo
qualche anno la situazione si è nuovamente rovesciata. Metatron, il
capo della Robotics Industry, la maggiore azienda produttrice di
robot, ha cominciato a cercare un modo di sfruttare gli androidi per
i propri scopi. Ne ha prodotti nuovi modelli, programmati per
combattere al suo servizio come una specie di esercito personale; e
ora sta cercando di recuperare tutti gli altri, uno ad uno, per
riprogrammarli e convertirli al suo regime. Li cattura con la forza e
altera il loro sistema per portarli dalla sua parte. Per questo ora
gli androidi vivono nascosti, assieme agli uomini. Anche loro,
proprio come gli umani, vogliono restare liberi.»
«Quindi
tu e Dean combattete per gli umani e Castiel per gli androidi?»,
chiede finalmente il robot, senza staccare gli occhi dallo schemo.
Sam gli posa una mano
sulla spalla, annuisce.
«Sì. Come ti dicevo, il primo a
combattere fu nostro padre, John Winchester. Purtroppo, però, John
ha perso la vita in battaglia, e la sua missione è passata nelle
mani mie e di Dean... Soprattutto di Dean, se vogliamo dirla
tutta.»
«Tu
non combatti?», è la domanda spontanea di Gadreel.
Lo
sguardo di Sam si adombra appena.
«L'ho
fatto... Per un po'. Poi sono successe delle cose, e...»
Jess: un pensiero, una spina ficcata nel cuore. Riuscirà mai
a dimenticare il suo volto? Sam se lo chiede spesso nonostante sappia
già la risposta. A volte, però, ignorare ciò che ci fa soffrire è
molto più facile che
affrontarlo direttamente. «... E
niente, ho scoperto che combattere non fa per me. Così ho cominciato
a lavorare qui all'Istituto, sviluppando nuove armi da consegnare ai
ribelli... Per aiutarli.»
In
realtà sarebbe tutto molto più complicato di così, ma Sam non ha
voglia di parlarne. E Gadreel sembra percepirlo, in qualche modo.
Perciò non fa domande in merito, ma guarda Sam e accenna un
sorriso gentile - che, inaspettatamente, riesce ad addolcirgli i
lineamenti duri.
«Non c'è niente di
male in questo, Sam,» lo rassicura il robot, scrutandolo con aria
serena da dietro le belle iridi grigioverdi. «Dobbiamo fare ciò per
cui sentiamo di essere stati fatti, o non saremo mai davvero liberi,»
afferma convinto, con un tono comprensivo e calmo che rapisce
completamente l'attenzione del giovane.
«Da
quello che mi racconti, i robot ora fanno cose per cui io non sono
stato programmato,» prosegue
Gadreel. «Io non sono un combattente e sicuramente fallirei,
se mi sforzassi di esserlo: perché starei facendo qualcosa che va
contro la mia natura. Magari potresti aiutarmi a trovare un altro
modo di rendermi utile, però... Come hai fatto tu,» propone,
tranquillo.
Sam lo guarda e si
sorprende a sorridere a sua volta, di riflesso. Quello strano
androide ha il potere di farlo sentire compreso: qualcosa che Sam non
è più abituato a provare da anni, ormai. Poi Gadreel si volta di
nuovo verso lo schermo, aggrotta leggermente le sopracciglia.
«Credo
di aver compreso, a grandi linee, ciò che mi hai raccontato. Ma c'è
solo un particolare che non mi torna. Posso farti una domanda?»,
dice.
Sam si lascia andare
ad un sorriso molto meno sorvegliato, stavolta.
«Me l'hai appena
fatta.»
Gadreel socchiude gli
occhi, assorto, incapace di cogliere la battuta.
«Oh... Allora posso
farne un'altra?», domanda di nuovo, ingenuamente.
Sam sorride ancora,
scuote appena la testa.
«Facciamo che puoi
chiedermi tutto quello che vuoi, va bene?»
«Prima hai detto che
Metatron è il capo della Robotics Industry. Ma io so che il capo è
Chuck,» dice Gadreel, prendendosi qualche istante per rimettere in
ordine i pensieri prima di parlare. «E Chuck non lascerebbe mai che
qualcun altro prendesse il suo posto e facesse--»
Gadreel si blocca, le
parole gli muoiono in gola. Già, non lo farebbe mai.
Chuck non avrebbe mai
permesso un tale scempio – non se fosse stato presente al momento
dei fatti.
C'è una sola
spiegazione, per tutto questo. Ma Gadreel non riesce nemmeno a
pensarla, una cosa del genere, figuriamoci chiederla a voce
alta.
Senza bisogno che
l'altro la formuli, Sam
coglie la domanda rimasta sottintesa e non sa cosa dire. Si sorprende
della facilità con cui riesce a leggere i pensieri di Gadreel, come
se lo conoscesse da sempre. Come se i suoi... Sentimenti?
- sì, chiamiamoli così: Sam è
convinto che Dean sbagli, dando per scontato che gli androidi non
provino proprio nulla – fossero un libro scritto in una lingua che
l'umano riesce a capire
quanto la propria.
«Gadreel...
Quando Metatron ha preso il potere, ecco-- Ci sono stati degli
scontri. Delle battaglie che hanno causato moltissimi morti, sì, ma
anche dispersi.» Non è facile riuscire a sintetizzare, quando si
vorrebbe avere anche lo spazio per dire mi
dispiace. «E Chuck è
tra questi ultimi,» sospira il ricercatore. «Non posso dirti che
cosa sia successo, perché a tutt'oggi nessuno può saperlo con
certezza. È vero, il suo corpo non è mai stato ritrovato, ma...»
Sam si schiarisce la voce, a disagio. «...
È anche vero che in
questi dieci anni non si sono più avute notizie di lui, perciò...»
Gadreel
tiene lo sguardo fisso davanti a sé, le ciglia dorate che tremano
quasi impercettibilmente.
«Perciò,
probabilmente è--» Vorrebbe riuscire a dirlo, ma non ci riesce.
Così, l'androide si alza, provocando un lieve sussulto di sorpresa
da parte di Sam accanto a lui, e torna con passi misurati a
fronteggiare la città attraverso la grande finestra dell'Istituto.
Sam
resta immobile a seguirlo con lo sguardo, impacciato, senza la minima
idea di cosa sia giusto fare. Poi spegne lo schermo ormai inutile, si
volta... E torna accanto al robot, in silenzio.
La
città è già grande di suo; ma ora sembra infinita, vista
attraverso le pupille di Gadreel.
Il
ricercatore gli lascia tutto il tempo necessario per riprendersi,
standogli abbastanza vicino da fargli sapere che è là con lui, ma
non da farlo sentire violato.
E
da quella mezza distanza, così attentamente misurata, un
particolare
su tutti emerge con prepotenza, scombussolando tutto ciò che
l'umano ha creduto di sapere sugli androidi finora: Gadreel ha gli
occhi
lucidi.
Ma
i robot non piangono, pensa
Sam, incapace di dare un senso a ciò che sta vedendo. La Terra gira,
gli uomini muoiono e i robot non piangono: queste sono le uniche tre
certezze su cui si fonda il mondo dei suoi tempi.
Ma
probabilmente sono sbagliate anche quelle.
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Capitolo 8 *** Capitolo Sette ***
Capitolo 7 - Androidi rapiti
CAPITOLO SETTE.
«CASTIEL!
CASTIEL--»
Con
quelle gambette corte che si ritrova, è facile intuire che la corsa
non sia l'attività preferita di Gabriel: e infatti è così. Ma,
vista l'urgenza della notizia che deve comunicare – consegnare
messaggi è il suo compito principale, - il piccolo umanoide sfreccia
come il vento attraverso i corridoi della base dei ribelli, alla
ricerca del loro leader. Il quale, ignaro di tutto, sta studiando
delle grosse mappe sul tavolo della sala di comando, assieme a un
manipolo di esseri umani capeggiati da Dean. In un modo o nell'altro,
quei due riescono sempre a trovare il modo di stare assieme – anche
solo per pianificare un assalto. Tutta la base si era accorta di
quanto fossero attratti l'uno dall'altro prima ancora che loro stessi
lo capissero...
Bah,
che testoni, pensa Gabriel appoggiandosi alla parete, stanco per
la lunga maratona.
«Gabriel,
che succede?», chiede Castiel, voltandosi e posando i luminosi occhi
azzurri su di lui. Anche Dean solleva lo sguardo, teso. Quando
qualcuno arriva così di corsa, non porta mai buone notizie.
E
infatti.
«Le
guardie di Metatron hanno... Puff! -- Hanno preso una squadra
dei nostri!», ansima il piccoletto, sconvolto. «Li hanno catturati
poco fa. La soffiata sulle munizioni era una trappola!»
«Figli
di puttana!» L'imprecazione riecheggia come lo scoppio di una
bomba, accompagnata da un sonoro pugno sul tavolo. Dean è nero,
nerissimo di collera, e le luci freddissime della base lo rendono
ancora più minaccioso. «C'erano anche alcuni dei nostri, di
supporto. Quanti ne hanno presi?», chiede – o meglio: sbraita.
«Abbiamo
perso cinque androidi, tra cui Balthazar e Samandriel... Alcuni degli
umani sono rimasti feriti, ma Charlie e Kevin se ne stanno già
occupando,» racconta Gabriel, preoccupato. Inspiegabilmente, pur non
avendo quasi nulla in comune, lui e Balthazar sono grandi amici.
«Anche Garth si era unito alla missione... Benny lo ha salvato per
miracolo.»
Castiel
si aggira, inquieto, per la stanza.
«Non
possiamo abbandonarli così,» dice. «Dobbiamo subito organizzare
una missione di recupero, e poi--»
«E
poi cosa? Chiediamo loro gentilmente di tornare con noi?», lo
interrompe Dean, con una punta di amarezza nonostante il tono
pungente. «Siamo troppo pochi, e Metatron li avrà già
riprogrammati. Ci spareranno a vista, Castiel. Non siamo abbastanza
forti da tentare una missione, adesso.»
«E
quindi dovremmo rinunciare? È questo che stai cercando di dire,
Dean?» Castiel brucia i pochi passi che li separano e fronteggia il
militare. «Solo perché non sono umani, credi che non valga la pena
salvarli?» La rabbia che sprizza dall'androide è molto più umana
di quanto Dean si aspetti: per un attimo la sua espressione vacilla e
lui quasi indietreggia, preso alla sprovvista.
«Non
era questo che intendevo, Cas. Dico solo che siamo troppo pochi per
poter provare alcunché, e lo sai anche tu. Voglio dire...» L'uomo
allarga le braccia per indicare i presenti nella stanza. «... Siamo
tutti qui. Tutti quelli che vedi.» Uno gruppetto sempre più sparuto
di guerriglieri, ammaccati e stanchi. «Non siamo abbastanza.»
Passata
l'irritazione iniziale, Castiel è costretto a riconoscere che Dean
ha ragione e la sua espressione si ammorbidisce. Non dovrebbe essere
così precipitoso, lui che è una creatura meccanica e dovrebbe
sempre avere il controllo sul proprio lato razionale... Ma gli umani
lo hanno contagiato sempre di più, e a volte si ritrova ad agire
senza pensare – proprio come loro.
Quando
il gruppo comincia a consultarsi per trovare una soluzione che vada
bene a tutti, un'ulteriore voce si unisce al coro.
«Buongiorno,
cenciosi liberatori del popolo. Come va? Oh, non fraintendetemi: non
sono qui per informarmi sul vostro stato d'animo, ma solo per sapere
se ci sono aggiornamenti sulle ultime mission--»
«CROWLEY!»
tuona Dean, verso l'arrogante inglese vestito di nero. «Proprio tu--
Razza di bastardo, ci avevi assicurato che le nuovi protezioni
sarebbero state infallibili, che ci avrebbero reso – come hai
detto? "Praticamente invisibili"! E invece abbiamo
perso altri cinque dei nostri, e altri ancora sono rimasti feriti!»
«Ho
saputo, sì,» risponde l'interessato, senza scomporsi troppo. È
abituato ai toni di Dean Winchester. «Ma non è colpa mia se voi
bertucce non sapete neanche usare gli strumenti che vi vengono dati,»
commenta. E poi, rivolto soltanto al militare: «Se fossi
intelligente almeno la metà di quanto sei maleducato, avremmo già
vinto questa guerra.»
«Tu...»
Dean ha aggirato il tavolo per piantarsi saldamente di fronte
all'uomo – o quasi tale. Tra le sopracciglia del soldato è
comparsa quella righina verticale che tutti coloro che lo conoscono
hanno imparato a temere, perché spunta soltanto in due occasioni: o
quando la situazione è davvero molto critica e lui è
seriamente preoccupato... O quando sta per staccare la testa a
qualcuno. In entrambi i casi, se vedete quella righina tra le
sopracciglia di Dean Winchester, accettate questo consiglio:
scappate. «Finanzi Charlie e Kevin per progettare le armi
migliori, le più efficaci, le più potenti... Ma caso strano, ogni
volta che noi ce ne usciamo con qualche strumento nuovo,
scopriamo che Metatron sempre è un passo avanti..!»
In
effetti, non ha tutti i torti. Crowley è uno dei pochi individui che
sono riusciti ad attraversare i conflitti e la guerra civile con
disinvoltura e senza danni. Certo, ha commesso qualche piccolo reato,
per sopravvivere, ma... Ha i soldi, può fare quasi tutto: quindi,
perché no?
Tuttavia,
i soldi non possono proteggerlo dall'ira
di Dean. Anche Crowley conosce la minaccia dietro quella famosa
righina, e subito alza i palmi delle mani avanti a sé, in cerca di
un modo per attutire i toni.
«Ehi,
ehi, ehi! Mi stai forse accusando di qualcosa? Io non insinuerei
certe cose, se fossi in te...» L'inglese
infila le mani nella tasche del cappotto, solleva un sopracciglio.
«Non esisterebbe nulla di tutto
questo, senza di me. Accusandomi senza uno straccio di prova, stai
praticamente sputando sul piatto in cui mangi.»
Dean
serra i pugni e la mandibola. Ha sempre avuto dei sospetti, su di
lui... Ma sono rimasti sempre e soltanto dei miseri sospetti,
purtroppo.
«D'accordo...»,
ringhia il soldato, pericolosamente vicino. «Magari mi sbaglio.
Magari sono paranoico... Ma se scopro che c'entri qualcosa, se scopro
che stai facendo il doppiogioco--»
Crowley
deglutisce a fatica, cercando di mantenere il consueto aplomb.
«--
Giuro che te la faccio pagare. È chiaro?»
«Ehi,
che sta succedendo?» Sam, tolto il camice che indossa la maggior
parte del tempo, compare sulla soglia della sala di comando con
indosso abiti simili a quelli degli altri ribelli. C'è qualcuno, con
lui – qualcuno che rimane un passo indietro, come se volesse
proteggersi dietro di lui.
«E
tu che ci fai qui?» L'attenzione di Dean si sposta sul fratello, e
Crowley tira un sospiro di sollievo. La stanza è decisamente più
affollata, ora.
«Ho
finito il mio turno all'Istituto, e ho sentito che ci sono stati dei
disordini... Cos'è successo?», chiede il minore dei Winchester.
«Abbiamo
perso altri dei nostri,» lo informa brevemente Castiel. Il quale,
poi, si rivolge direttamente alla figura seminascosta, con un lieve
sorriso: «È bello vederti da queste parti, Gadreel.»
Quando
viene chiamato per nome, timidamente l'androide si decide ad uscire
dall'ombra.
«Ciao
a te, Castiel.» Poi si rivolge al capo degli umani, con il medesimo
saluto. «E anche a te, Dean.»
«Ho
mostrato a Gadreel tutto quello che c'è da sapere,» spiega Sam,
facendosi da parte. «E ha fatto la sua scelta.»
L'androide
esita, di fronte a tutti quegli occhi puntati su di lui. Non è mai
stato al centro dell'attenzione, si sente a disagio. «Ecco, io...
Vorrei offrirvi il mio aiuto, se per voi va bene. Ma... Non so come
dire, insomma...» Sam lo guarda come per incoraggiarlo, e a poco a
poco il robot trova la forza di proseguire, anche se ha paura di cosa
gli altri penseranno di lui. «... Io non sono un combattente,»
confessa infine, abbassando lo sguardo.
Dean
solleva un sopracciglio.
«Gadreel,
non voglio offenderti, però... Ti sei reso conto che la società di
oggi si fonda principalmente sulla guerra?»
La domanda è retorica, l'ultima parola pesa come un macigno. Gadreel
annuisce. Lo sa, lo ha capito bene. E sa di essere assolutamente
inutile, in un mondo simile. Ma ciò che sta accadendo, ciò che è
accaduto... E ciò che ha promesso a Chuck-- No, proprio non può
tirarsi indietro.
«Lo
so, Dean.»
«E
come pensi di aiutarci, allora? Facendo
l'uncinetto?» Dean non
vorrebbe essere così acido, ma è ancora arrabbiato per le ultime
notizie e istruire i pivellini, in un momento come quello, gli sembra
solo una perdita di tempo. «Scommetto che è stato Sam a riempirti
il sistema di discorsi pacifisti. Ma la guerra non si vince con le
parole, ci vogliono le armi--»
«Guarda
che io non ho fatto proprio niente,» lo interrompe Sam, piccato.
«Gli ho solo mostrato la storia, tutto qua. Ma Gadreel è stato
progettato prima che
scoppiasse tutto questo casino... La guerra non è nel suo sistema,»
dice, un po' per difendere sé stesso e un po' per difendere il
robot.
Dean
scuote la testa e alza le mani, stanco di discutere.
«Ok,
senti, facciamo che non è un mio problema... Ho altro a cui pensare,
adesso. Gabriel, fai fare un giro al nuovo arrivato...» Ordina, con
gli occhi posati sul fratello minore. «...E soprattutto, vedi se
riesci a fargli cambiare idea. Abbiamo
bisogno di combattenti, qui, e
non di aspiranti Mahatma Gandhi.»
Sam
stringe appena le labbra. Sa che quella frase, quella frecciatina
sottile, in realtà è rivolta a lui e non al robot.
Gadreel
si rivolge al ricercatore, con aria confusa. Si è reso conto che Sam
è teso, anche se non riesce a cogliere tutte le sfumeture.
«Posso
andare?» chiede.
Sam
annuisce, cercando di mantenere un'aria tranquilla e distaccata –
ma gli da sempre fastidio, quando Dean parla in quel modo.
«Vai
pure... Ci vediamo dopo,» dice, sforzandosi di congedare l'androide
con qualcosa di simile a un sorriso.
Il
prototipo sparisce per i corridoi della base al fianco di Gabriel.
Visti da dietro sono abbastanza buffi: il primo altissimo e solido e
il secondo piccoletto e paffuto.
«Sento
aria di dramma familiare ed è esattamente il genere di cose che non
sopporto... Perciò vi lascio sole, ragazze,»
li punzecchia Crowley, prima di sparire con la stessa rapidità con
cui è arrivato. Castiel rimane in disparte. Ha sempre cercato di
aiutare i due fratelli a riappacificarsi, quando questi litigavano;
ma alcune discussioni ruotano attorno alla famiglia e al ricordo del
padre John, e lui sente di non avere alcun diritto di dire la sua in
proposito.
«Sai
che avremmo bisogno di due braccia in più, vero?»
Dean
parla al fratello con un tono fintamente calmo che lascia intuire
quanto ancora si senta offeso. Non ha mai mandato gi il fatto che Sam
abbia smesso di combattere... Per come la vede lui, è stato solo un
atto di codardia.
«Lo
so,» risponde Sam, con lo stesso tono. «Ma non tornerò sui miei
passi. Né costringerò mai nessuno a fare qualcosa che non vuole.»
Nella
stanza cala il silenzio. Un silenzio di cose non dette e di accuse e
di rimproveri, un silenzio in cui riecheggiano le parole di John e
l'eco di tutte discussioni feroci che ci sono state tra i due
fratelli, all'indomani della morte di Jess. Poi Dean annuisce con
lentezza, un paio di volte, tenendo gli occhi fissi su Sam. Dagli
occhi del fratello maggiore traspaiono delusione e amarezza; da
quelli del minore, colpa e orgoglio.
«Se
le cose stanno così...» dice Dean, improvvisamente freddo come il
marmo. E poi, rivolto a Castiel e agli altri. «Ci vediamo tra un'ora
al campo.»
Al
suo ordine, la sala comincia a svuotarsi. Sam resta immobile mentre
tutti gli altri pian piano vanno via. Dean gli passa accanto quasi
senza guardarlo. Soltanto Castiel, chiudendo la fila, si ferma per
posare una mano sulla spalla di Sam, quasi scusandosi con lo sguardo
per il comportamento dell'uomo.
«Sam,
tu sai com'è fatto... Ma anche se fa così, Dean ti vuole bene. E
prima o poi se ne farà una ragione, vedrai.»
Le
labbra di Sam si incurvano appena verso il basso.
«Vorrei
tanto che avessi ragione, Cas.»
|
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Capitolo 9 *** Capitolo Otto ***
Capitolo 8 - Destiel
Cari
lettori e care lettrici,
questa
volta l'aggiornamento
con i nuovi capitoli arriva un pochino in ritardo rispetto al
solito... Vi chiedo scusa! Quest'ultima settimana è
stata densa di avvenimenti – e non sono stati tutti piacevoli,
purtroppo. Per questa ragione non ho avuto né
il tempo – né
lo stato d'animo
giusto, - per poter scrivere.
Tuttavia,
leggere le bellissime recensioni che avete lasciato a questa storia
mi ha spinto a riprenderla al più
presto, per non deludere l'affetto
e la partecipazione con cui la state seguendo e che ancora, lo
ammetto, mi sorprende. Riprenderò a lavorarci con il ritmo consueto,
per ringraziarvi dell'attenzione che le state dedicando :)
Da
ultimo, vorrei approfittare di questo spazio per salutare e
incoraggiare tutti coloro che in questo periodo sono sotto esame e
cercano un po'
di svago leggendo/scrivendo le ff qui sul sito... Se state leggendo
questa, vi faccio un enorme in bocca al lupo ;) Spero di farvi una
buona compagnia tra una prova e l'altra...!
Detto
questo, vi auguro buona lettura e ci sentiamo alla prossima!
A. ;)
CAPITOLO OTTO.
Le
stelle lampeggiano come piccoli cuori pulsanti.
Castiel
ama la sala del Planetario. Lo adora, con tutto sé
stesso – nonostante Dean si ostini a mettere in dubbio questa sua
capacità. Ma Castiel ama, si arrabbia e a volte soffre... Come
tutti. Ed è per questo che
osserva gli astri, quando qualcosa non va.
Loro,
almeno, non lo giudicano.
Prima
o poi se ne farà una ragione. Già...
Sono
le parole che l'andoride ha
detto a Sam, prima di andarsene, per confortarlo. Ma, in verità, lui
stesso non riesce a crederci fino in fondo.
Ci
sono cose su cui Dean non cambierà mai idea: Castiel lo conosce
troppo bene per potersi illudere del contrario. Vorrebbe
possedere la chiave, riuscire a rapportarsi con Dean come se
appartenessero alla stessa specie... Dirgli che lo ama senza doversi
sentire, poi, costantemente sotto esame. Ma non accadrà mai.
Perché
uno è figlio della natura e l'altro della tecnica: e sembra che non
vi sia alcuna possibilità di un futuro comune, tra creature tanto
differenti.
Un
estraneo.
È
tanto, troppo tempo che Dean non si guarda allo specchio. E ora, a
distanza di settimane, mesi – forse
anni? -, quello che vede
riflesso è il volto di qualcuno che non conosce.
Con
il volto ancora umido d'acqua e le mani poggiate sul bordo del lavandino,
l'uomo si guarda negli occhi e si rende improvvisamente conto che una
parte di sé stesso è andata perduta per sempre. Quel ragazzo buono,
giocherellone, spensierato - quello che non dormiva con la pistola
sotto il cuscino, quello che riusciva ad amare,
senza riserve... Non c'è
più.
Dean
ricorda di essere stato molto diverso, una volta... Ma è un ricordo
così lontano e disgregato che sembra appartenere alla memoria di
un'altra persona – sembra un sogno, l'immagine ricostruita di
qualcosa che non ha vissuto, ma che gli è stato solo raccontato.
La
guerra lo ha cambiato. Soltanto ora Dean riesce a vederlo
chiaramente.
Le
responsabilità, le perdite, i dolori e le difficoltà... Lo hanno
trasformato, segnato, rimodellato. Lo hanno schiacciato e demolito;
e, anche se si è rimesso in piedi ogni volta, Dean sa che
ognuno di quegli avvenimenti ha modificato la sua testa, la sua
anima, il suo cuore in maniera significativa.
La
violenza, la necessità di fare del male, l'istinto di
sopravvivenza... Si sono insediati nel suo dna, lo hanno corrotto e
irreversibilmente mutato, come dei virus. E ora... Ora, alcune parti
di lui non esistono più. Si sono rotte, e non c'è verso di
ripararle. E i residui di umanità che gli sono rimasti, ultimi
superstiti, traballano e si logorano, un giorno alla volta - fino al
momento in cui si autodistruggeranno del tutto. È questo che
succede, quando sei il capo.
L'uomo
che Dean è oggi, - l'uomo che lo guarda fisso attraverso lo
specchio, - è duro, sicuro di sé, forte... Una roccia. È un
comandante. Anzi: è il comandante, Dean. È colui a cui tutti
si rivolgono in caso di bisogno, è quello dal quale tutti si
aspettano una soluzione quando le cose si mettono male. Quello che
prende tutte le decisioni... Quello che non può mai mostrarsi
debole, quello che non può mai esitare. Non può, non deve...
Altrimenti, tutto crolla.
Dunque,
non lo fa.
Non
c'è mai una tregua, per Dean. Mai un attimo per riprendere fiato;
solo il tempo appena necessario per ficcare tutti i pensieri in un
angolo, ingoiare la dose quotidiana di veleno, e andare avanti. A
testa alta, a denti stretti... Con i pugni chiusi. Come avrebbe
voluto suo padre.
Come
fa un vero guerriero.
Ma
reprimere tutto questo ha un prezzo. Gli scatti di rabbia, il
costante senso d'allerta e il peso delle responsabilità... Lo stanno
avvelenando, a poco a poco – con una lenta e dolorosa ostinazione.
E, per ogni giorno in più che passa in questo modo, Dean sente che
sta perdendo sé stesso.
Forse,
la sua parte migliore.
L'immagine
sul vetro è quella di un uomo dagli occhi verdi, bellissimi e fieri
come quelli di un animale selvatico. È l'immagine di un uomo che ha
troppa paura di perdere
per poter amare... Ma che ha un bisogno lancinante, viscerale,
incontenibile di essere amato. Di uscire dall'apnea, di essere
libero, di poter essere anche debole, quando vuole... Di tornare ad
essere umano.
Un
pensiero attraversa la mente di Dean. Un volto, due occhi azzurri...
Un nome.
Lui
è
la sua unica possibilità di non morire del tutto. Lui
è
l'unico
in grado di tenere accesa quella parte di lui che vuole amare, che
vuole vivere... Lui,
un amore sintetico, una creatura perfetta, figlio di un mondo che sta
perdendo sé
stesso... Lui,
Castiel.
Dean
si sente sempre diviso a metà, quando è con lui. Desideroso di
amare... Ma incapace di lasciarsi andare del tutto.
Castiel
è importante. Castiel è tutto ciò di cui ha bisogno, adesso.
Deve
chiedergli scusa.
Sempre
che sia ancora in tempo, pensa
Dean, spazzando via col palmo della mano le goccioline di condensa
sul vetro appannato.
La
sala del Planetario è immensa. È
semicircolare, come un anfiteatro moderno, con grossi banchi,
disposti su gradini discendenti, - che ricordano quelli di un
auditorium o dell'aula di un'università – sistemati in modo da
mostrare a tutti le meraviglie del cielo, replicate sui muri quando
il proiettore è in funzione.
Sul
lungo tavolo in fondo alla sala è distesa una mappa del cielo
luminosa, mentre uno schermo verticale mostra le immagini provenienti
dall'enorme telescopio che, abilmente camuffato, attraversa metri e
metri di terra fino a sbucare in superficie - ed è costantemente
puntato sulle stelle. Puntato su quella purezza, quell'ordine e
quella quiete che sulla Terra sono ormai andate perdute... Ma che una
parte di Castiel ricorda con nostalgia e desidera ardentemente
recuperare.
Dean
si ferma ad osservarlo, in silenzio, con le mani affondate nelle
tasche. Sapeva di trovarlo lì.
L'uomo
resta in piedi sui gradini più alti, studiando da lontano la figura
chiara e snella dell'altro, seduto di spalle, appoggiato al grosso
tavolo e intento a seguire, con una mano, i contorni delle galassie e
delle costellazioni. Le luci sono quasi tutte spente, e quelle poche
che ci sono emettono un chiarore soffuso che invita alla quiete e
alla riflessione. Esse risplendono il nero profondo dei capelli di
Castiel, il candore della sua pelle... E ancora una volta Dean non
può fare a meno di pensare che sì... È dannatamente bello.
Castiel
è la creatura più perfetta che un uomo possa desiderare di avere
accanto... E lui, come uno stupido, non fa altro che litigarci e
trattarlo male. Forse è proprio per questo, pensa Dean: perché è
troppo perfetto. Castiel è troppo, per uno come lui; e, ogni
volta che lo guarda, Dean si rende conto di avere a che fare con una
creatura immensamente superiore a lui.
Il
soldato prende un respiro. I pochi passi, i pochi gradini che li
dividono, sono insormontabili... Ma deve trovare il coraggio di
attraversarli. Per dimostrare a sé stesso - e a Castiel - di non
essere un vigliacco.
«Cas...»
Castiel
non ha bisogno di vederlo, per sapere che Dean è lì con lui. Lo
sente sempre in anticipo, quando gli sta vicino - come un sesto
senso che si attiva soltanto per lui, un istinto che riconosce
solo e soltanto lui.
Castiel
sentirebbe Dean anche in mezzo a mille, ad occhi chiusi... Lo
ritroverebbe anche se fossero soli e persi, alla deriva tra quelle
galassie di cui l'androide traccia pigramente la fisionomia con i
polpastrelli.
Il
movimento delle dita si blocca, quando l'uomo chiama il suo nome.
Castiel si volta.
Dean
è lì, di fronte a lui, - come sbagliarsi? - ed ha in volto
esattamente quell'espressione che Castiel ha immaginato, prima ancora
di vederla. Lo sguardo dritto e fiero, ma il capo leggermete
inclinato da un lato... E le labbra rosee, piene, - così belle e
maschili, - appena appena increspate da un lieve accenno di
rammarico. Dean non è lì per litigare, non è lì perche è
arrabbiato... Anzi.
È
molto probabile che sia lì proprio per chiedere scusa.
«Dean.»
Questo
è tutto ciò che Castiel riesce a dire. È ancora un po' offeso per
la discussione che hanno avuto, ed è confuso. Molto spesso
l'androide non riesce a capire ciò che l'altro pensa - e questa sua
incapacità brucia, brucia come l'inferno. Castiel si sente in colpa,
per questo. Vorrebbe essere umano – anche soltanto un pochino, -
per poter capire meglio le sfumature dietro agli atteggiamenti
dell'uomo che ama... Forse, così riuscirebbe a comprenderlo meglio.
Ma i comportamenti di Dean sono così contraddittori, a volte, che
Castiel dà la colpa a sé stesso perché non riesce a capirli. Pensa
di non essere all'altezza, pensa che forse Dean ha ragione, che sono
troppo diversi... Che una macchina non potrà mai amare, e che nessun
uomo potrà mai amare una macchina. Castiel vorrebbe smentirlo,
dimostrargli che si sbaglia... Ma come può riuscirci, se lui per
primo è consapevole dei propri limiti? La mente e il cuore di Dean,
per lui, sono un territorio selvatico, imprevedibile e misterioso...
Ma, per qualche strana ragione, nessuna delle difficoltà che
incontra, quando prova a dialogare con lui, sembra in grado di
contrastare questa--- Questa cosa... Questo strano sentimento
che lo spinge a restare accanto all'uomo, a camminare al suo
fianco, sostenendolo e adoperandosi per il suo bene, senza pretendere
nulla in cambio.
Dean
tiene gli occhi verdi puntati su di lui, con una dolcezza stanca che
emerge soltanto in rare, rarissime occasioni. Si schiarisce
leggermente la voce, in imbarazzo, prima di parlare.
«Ho
detto ai ragazzi che restano di armarsi... Questa notte andremo in
missione di recupero.»
«Ma...
Avevi detto che non ce ne sarebbe stata nessuna, o sbaglio?» La sorpresa si fa quasi tangibile, negli occhi di
Castiel.
«Ho
cambiato idea.»
Dean
socchiude gli occhi per un attimo, poi cerca di nuovo il contatto con
lo sguardo di Castiel. Non sembra molto a suo agio, però.
«Hai
ragione tu, Cas. I tuoi compagni hanno tutto il diritto di essere
salvati, perché ormai sono anche i nostri compagni... E se ho
esitato a farlo, non l'ho fatto perché sono androidi o perché penso
che non valga la pena recuperarli, anche se mi rendo conto di averti
dato modo di pensarlo...», ammette, ancora con le mani ficcate giù
nelle tasche della pesante giacca militare. «È solo che non volevo
rischiare di peggiorare la situazione. Ma poi ci ho pensato bene, e
ho capito che non possiamo tirarci indietro.»
Il
tono del soldato cambia. Lo sguardo fiero è quello che Castiel è
abituato a conoscere e a rispettare.
«Non
importa quanti siamo: nessuno di noi può tirarsi indietro.»
Castiel
non dice niente, mentre l'uomo muove un passo in avanti verso di lui,
senza smettere di guardarlo negli occhi. L'androide
lo osserva e basta, incapace di predire cosa farà.
Il
verde profondo e cupo di Dean, così da vicino, risplende di
pagliuzze dorate, e si muove inquieto sul volto dell'altro – come
se volesse impararlo a memoria, come se volesse registrare ogni
minimo particolare di quel viso fino a imprimerselo nell'anima...
O volesse cercarne una, sotto tutti quei circuiti.
«Se
anche rimanessimo in venti, in dieci, o in cinque...» Le mani del
soldato sono libere, adesso, e si intrecciano a quelle dell'androide.
«Se anche rimanessimo soltanto in due... » Ora anche il suo
volto è vicinissimo. Castiel è teso, il suo sistema non riesce a
processare la situazione con chiarezza – Dean ha il potere di
confonderlo, di stracciare i suoi pensieri e trasformarli in un
unico, incomprensibile impulso – quello di unirsi a lui, di
premere le labbra sulle sue e restare così per sempre. Dean lascia
salire la propria mano ad accarezzargli una guancia, mentre continua
a parlare.
«...
Continueremo a combattere, fino alla fine. Perché è la cosa
giusta...»
Castiel
vorrebbe dire qualcosa, ma le parole non gli escono. Cosa potrebbe
dire, comunque? Non riesce a pensare, non riesce ad articolare
neanche un suono... Tutta la sua attenzione è
rivolta su quell'uomo bellissimo e tormentato che sta parlando con
lui... Che sta cercando il suo affetto.
Entrambe
le mani di Dean sono posate sul suo volto. Il soldato posa la fronte
contro quella dell'androide, le loro ciglia quasi si sfiorano.
«...
E io sono stato uno stronzo.»
Per
qualche istante restano così, a scrutarsi vicendevolmente il fondo
dell'anima, in silenzio. Le luci fioche del Planetario brillano negli
occhi verdi di Dean, che così nella penombra sembrano diventati
quasi neri, e rimbalzano come piccole pietre preziose nell'azzurro
liquido di Castiel. Il quale, ancora sopraffatto dalla vicinanza e
dal contatto con l'altro, ha
bisogno di qualche istante per riprendere il controllo di sé
stesso e poter dire, finalmente, qualcosa di sensato.
«No,
non lo sei. Sei solo stanco... E io avrei dovuto portare questo peso
con te, invece di aggredirti.»
Dean
sorride appena, alle parole del robot. Castiel...
Sempre così accondiscendente, sempre così pronto a perdonarlo.
Sempre così dolce, con lui... Con lui che a volte meriterebbe solo
schiaffi.
«Non
importa. Io sto bene,» taglia corto il soldato, senza riuscire a
smettere di sorridere. La sola presenza di Castiel basta a
rilassarlo, soprattutto ora che sono riusciti a riavvicinarsi e ad
appianare i contrasti. «Partiremo tra poche ore... Non si
aspettano una risposta in tempi così brevi. Forse, così riusciremo a
prenderli di sorpresa.»
«D'accordo.»
Castiel annuisce, senza battere ciglio. «Se pensi che sia meglio
agire subito, io ci sto.»
Annuisce
anche Dean, lentamente, senza mai staccarsi da lui. Resta in silenzio
per un po', studiando l'espressione aperta e fiduciosa dell'altro.
«Perché
ti fidi di me,» dice il soldato,
infine. Senza il punto interrogativo, perché
non è una domanda... Ma solamente
una constatazione.
«Perché
mi fido di te.» Castiel ripete le sue parole, ricambiando il
sorriso, e Dean si sente sprofondare. Castiel lo ama davvero, si fida
totalmente di lui... Come può metterlo ancora in dubbio, dopo tutto
quello che hanno passato assieme? Non può deluderlo... Dovrebbe
smettere di essere così controllato nei sentimenti – smettere di
avere paura.
Fare quel piccolo, insormontabile, necessario, disperato primo passo--
«Cas,
senti... Ogni volta che
usciamo non sappiamo se torneremo indietro, perciò non voglio
lasciare nulla in sospeso--»
Prima
che Castiel abbia il tempo di dire o fare nulla, Dean è su di lui.
L'uomo lo schiude e lo apre e lo bacia tenendolo stretto a sé, con
un trasporto e una foga che a lungo sono rimasti sopiti sotto una
pesante coltre di doveri e responsabilità, ma che adesso possono
sfogare liberi - alimentati e trasformati dalle fiamme della tensione
e del desiderio combattuto, dei sentimenti sovrapposti.
Entrambi
si stringono forte, senza separarsi mai neanche per un solo istante -
le mani di uno vicendevolmente intrecciate tra i capelli dell'altro,
o perse a sfiorare i fianchi attraverso le stoffe di magliette e
camicie. Restano assieme per tutto il tempo che serve, finché ogni
traccia di diffidenza o conflitto si dissipa, svanisce nei movimenti
e si dilata nel contatto, fino a spegnersi.
«Pace?»
«Pace.»
Quando
le loro labbra si separano, l'uomo
e il robot restano comunque abbracciati per un tempo infinito. Una
mano di Dean è teneramente posata
dietro la nuca di Castiel, mentre le mani di quest'ultimo
riposano sulle spalle dell'uomo.
Il
Planetario, misterioso e sconfinato acquario di corpi celesti e
chiarori intermittenti, avvolge le due creature con il confortante
silenzio dello spazio siderale. Ed
è in quel silenzio assoluto
che Dean, finalmente, si rende conto di quanto abbia bisogno di lui.
Quando
è arrabbiato, quando si fa
trascinare dalla collera o annebbiare dalla frustrazione, Castiel è
l'unica ragione per cui si
sforza di essere una persona migliore. Castiel
gli ricorda cosa deve essere...
... Un essere umano.
|
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Capitolo 10 *** Capitolo Nove ***
Capitolo Nove - litigio Sam e Gadreel
Piccolo
aggiornamento, altro capitolo!
Grazie a tutti voi che state
leggendo/recensendo, e scusatemi per i lunghissimi tempi di risposta.
In questi ultimi mesi sono tornata ad uno
stato di regressione tecnologia che neanche il Medioevo... Ed è
piuttosto difficile rispondere ai commenti con la dovuta attenzione,
quando sei in un internet point affollato di gente che va di fretta,
odora pesantemente di alcool e ti insulta in un'altra lingua! >.<
Prometto però che, alla prima occasione, risponderò a tutti
i commenti che ho lasciato in sospeso..
Detto
questo, vi lascio alla storia... Un abbraccio forte a tutti voi che
seguite, scrivete o leggete soltanto :)
A. ;)
CAPITOLO NOVE.
Tempesta.
È
un'autentica
tempesta, quella che Sam ha dentro. Seduto
ad uno dei tavoli del bar di Bobby, il minore dei Winchester ancora
sente risuonare dentro le parole del fratello, mentre si rigira tra
le mani un bicchiere vuoto – il cristallo attira le luci blu e le
riflette, come un piccolo stroboscopio.
Abbiamo
bisogno di combattenti, qui.
Come se non lo sapesse. Ma Sam ha già dato, e non vuole più
saperne. Ne ha abbastanza della battaglia, delle armi e delle vittime
trasversali di quella guerra che non avrà mai fine. Soprattutto, ne
ha abbastanza di sentirsi rinfacciare la propria ritirata ogni volta
che le cose si mettono male... Come se ogni giorno che passa
lavorando all'istituto, senza sparare un colpo, fosse un'offesa
alla memoria del loro padre.
«Nervoso,
ragazzo?» Bobby gli riempie il bicchiere, senza bisogno che Sam
glielo chieda. Il giovane lo ringrazia con un cenno.
«Sto
aspettando una persona,»
dice, come per giustificare la propria presenza lì, nell'ora di
punta, tra una folla di gente che annega nell'alcool l'insostenibile
amarezza di una vita spesa - letteralmente - sotto terra.
Bobby
non chiede niente. Sam scruta tra la calca, alla ricerca di una
sagoma familiare in mezzo a una marea di volti che conosce poco o non
conosce affatto. Dovrebbe
già aver finito, pensa
il minore dei Winchester, tra sé
e sé.
Riuscirà a trovare la strada che Gabriel gli ha indicato?
L'uomo
attende; e poi, sulla soglia, vede comparire quella figura alta e
quel profilo affilato a cui, senza volerlo, un po'
si è
affezionato. Sam posa il bicchiere e si alza per farsi vedere; poi si
fa largo tra gli altri e con poche falcate lo raggiunge.
L'espressione
assorta e spaesata di Gadreel si rilassa, non appena incontra il
volto di Sam, e nei suoi occhi compare qualcosa che l'uomo
riconosce come gratitudine
- dev'essere
stressante, per l'androide,
ritrovarsi in una tale confusione senza alcun punto di riferimento.
«Sam,»
dice il robot, come fosse un saluto. Il ricercatore accenna un
sorriso e fa scivolare una mano tra le sue scapole, lo guida al
tavolo dove lo ha atteso. Gadreel si fa portare: sembra confortato
dalla presenza di Sam e dal piccolo contatto, ma allo stesso tempo
non riesce a nascondere un'incontenibile inquietudine, che lo porta a
tremare visibilmente.
«Gadreel?
Gadreel, che succede?», gli domanda l'uomo,
facendolo sedere di fronte a sé e posando una mano sulla sua. Si
rende conto del proprio gesto soltanto dopo
averlo compiuto: Gadreel gli ispira un tenerezza e un
bisogno di contatto che per anni Sam ha represso, e che ora lo fanno
sentire in lieve imbarazzo. A malincuore, lascia andare la sua mano –
e Gadreel lo guarda con una traccia di confusione che immediatamente
lo fa sentire in colpa, - ma rimane a portata di tocco. Se vorrà,
l'androide potrà ritrovarlo a pochi centimetri di distanza.
Gadreel
china il capo, a disagio.
«Ho
finito il giro con Gabriel,» dice. «E ho visto... Tanta sofferenza,
tanto dolore. Io... Credo di dover prendere una decisione, Sam, ma
non so cosa fare--» Quando il robot solleva lo sguardo, Sam sente
qualcosa stringersi all'altezza dello stomaco. Quel grigio, e quel
verde quasi azzurro, gli sembrano diventare più belli ogni volta che li guarda.
«Così sono corso subito qui, per parlarne con te... Gabriel mi ha detto che mi stavi
aspettando al bar di Robby.»
«Bobby,»
lo corregge l'umano, senza riuscire a trattenere un sorriso.
All'improvviso, tutto il nervosismo provato fino a pochi minuti prima
sembra essere svanito nel nulla... Gadreel assorbe tutta la sua
attenzione, come una calamita.
Le
sopracciglia di Gadreel si increspano per un attimo: sembra desolato
per l'errore ed è buffo da vedere, pensa Sam. Ma poi il robot
riprende a parlare – tutto d'un fiato, quasi senza pause, come un
fiume in piena. L'agitazione lo rende eccessivamente loquace: una
reazione molto umana.
«Ho
bisogno di parlarne con te, Sam. Quello che ho visto... Questo non è
piùil
mondo che sono stato creato per proteggere. Ci sono molte persone
che soffrono e tante ingiustizie, ma io credo che si possa ancora
fare qualcosa per recuperarlo, e che-- Che si possa aggiustare! Solo
che io... Nulla di ciò che posso fare sembra poter apportare un
contributo utile alla vostra comunità, sono così
inutile-- Però...
Ho riflettuto, e credo che ci sia una sola soluzione, ma non so se
avrò il coraggio... È
così difficile, è tutto così complicato che--»
«Ehi,
ehi,» lo interrompe Sam, guardandolo dritto negli occhi color
temporale. Gadreel sembra davvero in crisi, e l'istinto di tenerezza
si fa di nuovo strada nel petto dell'uomo. «Così non ci capisco niente. Piano, una cosa per
volta,» dice, cedendo – finalmente – al bisogno di afferrare di
nuovo la sua mano. Nel momento in cui le loro dita si intrecciano,
Sam si sente immediatamente meglio; e anche Gadreel sembra
apprezzare, perché si acquieta all'istante - e, tanto per
sottolineare la cosa, chiude la mano del ricercatore tra le proprie,
come se non volesse più lasciarla andare.
«Sam,
io... Mi sento così fuori posto,» soffia l'androide, sconsolato.
«Ci sarebbero così tante cose da fare, per migliorare la vita di
tutte queste persone... Ma io non so fare nessuna di queste,»
confessa, pieno di rammarico.
La
mano libera di Sam si unisce all'intreccio: ora sono entrambi protesi
l'uno verso l'altro, connessi dal nodo delle loro mani giunte. Visti
da fuori, sembrano un prete e un peccatore che si stiano confessando.
«Gadreel,
tu stesso mi hai detto che nessuno di noi è
obbligato a fare
ciò per cui non si sente portato,» cerca di tranquillizzarlo
l'uomo. «Ti aiuterò a trovare un modo per renderti utile, te l'ho
promesso. Non devi per forza combattere se non vuoi.»
Le
labbra sottili dell'androide si curvano appena verso il basso, e il
suo sguardo si sofferma sul nido confortevole delle proprie mani
racchiuse tra quelle del ricercatore.
«Il
fatto è
che...»
Il robot si agita sulla sedia, scomodo. «Ecco, io... Credo di
doverlo fare lo stesso. Combattere, intendo.»
«Non sei obbligato.»
«Lo so. Ma questa società...
Vive di
questo. E per salvaguardare la vita delle persone è
necessario che io lo faccia, anche se non è nella mia indole,»
spiega Gadreel, con tono sommesso, guardando Sam come per chiedergli
scusa. Si sente un traditore, senza riuscire a spiegarsi perché. Se
fosse in grado di esaminare più a fondo quel sentimento, l'androide
capirebbe che questo disagio che sta provando deriva dal timore di
essere incompreso. Gadreel ha paura che Sam lo reputi incoerente o
che si senta ancora più solo - ritrovandosi ad essere di nuovo
l'unico che ancora persegue nella strada della non-belligeranza.
Sam
lo scruta per un po', in
silenzio, restando perfettamente immobile come se fosse congelato. In
effetti, sembra davvero ferito dall'improvviso cambiamento del robot
– anche se non dovrebbe, e lo sa benissimo, perché
non ha alcun diritto di interferire con le decisioni di un altro
essere senziente. Solo che... Per la prima volta, l'uomo
aveva pensato di aver incontrato qualcuno che condivideva le sue idee
e la sua indole, qualcuno in grado di capirlo senza farlo sentire in
colpa. E ora... Ora sta scoprendo che invece non è affatto così.
Forse
Dean ha ragione, pensa il ricercatore. Forse il mondo oggi va
così e io mi sto soltanto nascondendo per non vederlo, e dovrei
smetterla, si rimprovera. Dovrei smetterla di affezionarmi a
persone che hanno tanta voglia di andare a morire...
«Combattere significa mettere in conto di dover fare del male a qualcuno e di mettere a repentaglio la tua vita,» lo mette in guardia Sam. «Dovrai
portare con te un'arma,
e questo significa che molto probabilmente dovrai usarla. Potresti trovarti costretto a puntarla anche se non vuoi, oppure
qualcuno potrebbe puntarne una contro di te. Sei pronto per questo?
Sei pronto ad attaccare, o a uccidere per difenderti?»
Incalzato dalle domande, il robot scuote la testa,
desolato. Non ha pensato a tutto questo. Non ha pensato alle
conseguenze, ai possibili sviluppi delle proprie azioni, alle brutte
situazioni in cui potrebbe ritrovarsi.
«Non lo so...», ammette, scombussolato. «Non lo so, ma ho promesso a Chuck che avrei portato avanti la sua missione, e-- Non ho altra scelta.»
A quelle parole, il minore di Winchester sprofonda di nuovo nel silenzio. Gadreel ha fatto la sua scelta: ed è una scelta che condurrà tutti alla stessa tristissima, inevitabile, terribile fine.
Mentre riflette su questo, l'uomo sente che una parte della propria anima si spegne di colpo. D'un tratto, si estranea completamente...
Fino a non provare più nulla.
«Sam...»
Gadreel stringe appena la presa, per attirare la sua attenzione.
Sente di averlo deluso, e gli dispiace infinitamente. Sam è
poco più di un estraneo, per
lui, è vero, ma il robot tiene comunque alla sua considerazione.
Gadreel non può dimenticare la gentilezza con cui il giovane umano
lo ha trattato, pur non conoscendolo, fin dall'inizio:
con dignità e rispetto. Come una persona... E non come una macchina.
«Questo
non significa che io abbia cambiato idea,» dice il prototipo, come
se potesse leggere i pensieri del ricercatore. «Né significa che io
possa cambiare quello che sono. Non sono un combattente: non è
nel mio sistema, e non lo sarà mai. Ma posso comunque aiutare i
soldati, e magari svolgere quei compiti minori che nessuno vuole fare
e che rallentano le mansioni degli altri...»
Adesso
è il robot che cerca lo sguardo dell'umano - che è rimasto
in silenzio per tutto il tempo, con addosso un'espressione
tesa e indecifrabile.
«Con
questo, non sto dicendo che combattere sia l'unico modo per rendersi
utile,» insiste ancora il robot, calorosamente, temendo di averlo irrimediabilmente
ferito. «Tu sei infinitamente utile per tutte queste persone, Sam.
Il lavoro che svolgi quotidianamente all'Istituto è una
risorsa fondamentale, per la vita di questa gente, e nessun altro
potrebbe farlo meglio di te. Non
conosco molti altri esseri umani, è vero, quindi forse non
posso fare un confronto obiettivo... Ma
vedo nei tuoi occhi che sei una persona buona, e ho visto nelle tue
ricerche che sei un uomo di una sconfinata intelligenza. Mentre io...
Io non so fare nulla di tutto questo. Non ho una preparazione di
alcun tipo, non ho abilità particolari e non c'è un altro modo di
fare del bene, per quelli come me.»
Sam
osserva Gadreel senza dire nulla, per qualche lungo, lunghissimo
istante. E poi, con estrema freddezza, libera con un gesto secco le
proprie mani dalla presa del robot - il quale, improvvisamente orfano
di quel contatto fisico a cui con tanto trasporto e bisogno si era
aggrappato, lo guarda con aria dispiaciuta e smarrita.
Ho
fatto qualcosa che non va?,
si chiede l'androide, mortificato. Forse
ho detto qualcosa di sbagliato...
«Sai
già che tra qualche ora ci sarà una missione di recupero,
suppongo.» Sam si sforza di non guardare il robot e di non lasciar
trapelare alcuna sfumatura nel tono di voce. Ha intravisto, solo per
un attimo, il dispiacere profondo negli occhi di Gadreel, e stava
quasi per cedere di nuovo. Ma no, non si affezionerà a lui. Non
soffrirà di nuovo come ha sofferto con Jess: lo ha promesso a sé
stesso, tanti anni prima.
«Lo
so...» Gadreel quasi lo sussurra, facendo scivolare via dal tavolo
le proprie mani, ormai vuote, e posandole sulle ginocchia. Sam è
cambiato di punto in bianco, senza alcun motivo apparente, e Gadreel
vorrebbe chiedergli il perché.
Ma forse non sono affari suoi...
«E
immagino che vorrai unirti a loro,» Sam lo incalza, mantenendo
un'aria impassibile.
La
sua faccia non ha alcuna espressione.
Gadreel
si sente in colpa per aver sottratto il calore e il sorriso da quel
volto. Non immaginava che Sam l'avrebbe presa così male... Era
andato subito da lui sperando che lo aiutasse a capire meglio le
proprie inclinazioni, nel modo sereno e partecipe con cui lo aveva
accolto fin dal primo giorno. Cosa è successo,
dopo? Perché non gli sorride più come prima?
«...
Mi hanno detto che potrebbero avere bisogno di aiuto...», mormora il
robot, senza il coraggio di dire esplicitamente che sì, vuole
andare, vuole vedere con i propri occhi quella guerra che ha rovinato
tante vite.
Sam
inspira, espira. Torna a giocherellare con il bicchiere. Lo svuota.
«Be',
vai pure. La cosa non mi riguarda,» sputa, più tagliente di quanto
vorrebbe.
«Ma...
Sam, che succede? Io... Io volevo parlarne con te, volevo--»
«Non
mi importa cosa volevi. Il mio compito è far prendere agli
androidi una decisione, e tu l'hai
presa. Ora non ho più niente
da dirti,» continua Sam, freddo e
implacabile, odiando sé stesso ad ogni parola. Ma deve ferire
Gadreel, deve allontanarlo e dimenticarsi di lui: è l'unico
modo che ha per non stare male quando qualcuno gli dirà che non ce
l'ha fatta, che è stato
riprogrammato o disattivato o è rimasto direttamente ucciso in
combattimento - come è finita Jess, come è finito suo padre,
come finirà Dean: come finiscono tutte le persone a cui Sam vuole
bene.
Gadreel
ammutolisce di colpo, confuso e ferito. È a pezzi. Non riesce a
capire il motivo di tanto improvviso disprezzo, e si sente
sprofondare. Piuttosto che affrontare questo, preferirebbe sopportare
altre mille volte ancora i dolori terribili che ha provato durante la
caduta... Farebbe meno male, pensa.
«M-ma
io credevo...», prova a dire, ma viene subito interrotto.
«Tu
non devi credere,» ringhia Sam, che ormai sembra diventato un'altra
persona. «Dovevi prendere una decisione e l'hai
presa, va bene. I nostri rapporti finiscono qui. Da
oggi vivrai alla base. Prenderai ordini da Castiel e farai ciò che
ti viene detto... Fine della storia.» Il ricercatore si sente un
verme, ma non ha altra scelta.
«Sam,
perché fai così..?» Il tono di Gadreel è supplichevole,
affranto. Non capisce. La persona che ha davanti ora non ha nulla a
che fare con quella che il robot ha imparato a conoscere: dev'esserci
un motivo, se Sam è cambiato così tanto. Ma quale?
«Se ho fatto o detto qualcosa che
ti ha offeso, ti prego, scusami. Ma per favore, dimmi che sta
succedendo. Dimmi se posso fare qualcosa per te...», il robot prova
a raggiungere di nuovo le sue mani, ma l'uomo si scosta bruscamente.
Gadreel
è profondamente mortificato,
ma non sembra comunque intenzionato a desistere. Guarda Sam con una certa esitazione - come se si aspettasse, da un momento all'altro,
che l'uomo scoppi a ridere e
gli dica Sorpresa! Stavo scherzando, testa di latta. Ma Sam non ha per niente voglia di giocare.
Non
è ancora abbastanza, pensa l'uomo.
La tenacia e l'ingenuità del
robot sono impressionanti.
Sam
non riesce a guardarlo in faccia, mentre lo sommerge di cattiverie.
Non riuscirebbe a dirle, se vedesse quegli occhi grigioverdi che
soffrono per le sue parole... Ma ormai ha deciso.
Tanto vale andare
fino in fondo.
«Non
devo dirti proprio niente,» dice, caricando ogni parola con tutto il
distacco e l'odio di cui è capace. «Non
so che razza di idee ti sia messo in testa, ma noi non siamo amici, è
chiaro? Non sono il tuo confidente o il tuo psicologo: io
non sono nessuno per te. Non mi importa
niente di quello che scegli o di quello che fai...»
Sam
cerca di convincersene, mentre lo dice. Non
mi importa di te, non mi importa di te.
Deglutisce a fatica, prima dell'ultimo affondo.
«Non me ne importa
niente. Tu non sei nessuno per me.»
Gadreel
vorrebbe tornare nel comodo guscio da laboratorio in cui ha trascorso
i suoi dieci anni di sonno. Chiudercisi dentro,
riaddormentarsi, e non uscirne mai più.
Prima
la notizia di Chuck, poi questo. In poche ore, ha perso suo padre e
l'unico amico che abbia mai
avuto. Anzi: che abbia mai creduto di avere...
Gadreel
non sa come si sentano gli umani quando muoiono: ma è sicuro che sia
una sensazione molto, molto simile a quella che sta provando lui ora.
«Sam...»
Gli occhi gli bruciano, ma l'androide si sforza di non lasciarsi andare. Lo ha
già fatto troppe volte, da quando si è risvegliato. Quanto
dolore deve provare ancora?
L'uomo
si ostina a non guardarlo.
Per
qualche lungo, lunghissimo istante, il robot rimane immobile sulla
sedia, rigido, senza dire o fare niente. La confusione di chiacchiere
e bicchieri, tutt'intorno a
loro, sembra essere stata inghiottita da una bolla di silenzio.
Sentire
il robot che chiama il suo nome con tanta tristezza e con tanto
dispiacere lo fa vacillare. Ma questa è stata la decisione giusta,
la migliore che Sam abbia mai preso...
...
O no?
È meglio così, si dice l'uomo,
è meglio che muoia subito, quella simpatia che si stava formando. È
meglio per tutti e due, anche se adesso stanno male. Meglio un
piccolo dispiacere oggi che il dolore di un funerale dopo, giusto?
Sam
non risponde.
Gadreel
abbassa la testa, sconfitto, le labbra sottili appena appena curvate all'ingiù. Un milione di dubbi e di brutti pensieri
gli si addensano nella testa, ma uno su tutti spicca con feroce
chiarezza.
Ora
è davvero solo.
Sam
non lo guarda, mentre se ne va. Sente solo il rumore della sedia che
struscia sommessamente contro il pavimento, e poi il fruscio leggero dei passi di
Gadreel che si allontana da lui e sparisce tra la folla. Piano piano
- come per dargli l'ultima possibilità di richiamarlo indietro.
Ma
Sam non lo fa.
Non
mi importa niente di lui, ripete
a sé stesso, mentendo.
Non
me ne importa niente.
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Capitolo 11 *** Capitolo Dieci ***
Capitolo 10
CAPITOLO DIECI.
Scarponi,
giacche, armi, zaini, metallo e cuoio: l'orda disordinata dei
guerriglieri viene preannunciata da questo e dal fragore dei passi
decisi e pesanti, che rimbombano tra le pareti e i corridoi. I
soldati della Resistenza attraversano la Cittò sotterranea come
un'onda che sta per emergere dal sottosuolo, spandendo tutt'intorno
l'odore delle pelli, del lubrificanti per armi, e il profumo
caratteristico della battaglia: ruggine, terra, eccitazione e
tensione.
Dean
e Castiel aprono la fila, e tutta la Città si affaccia alle porte e
si riversa nei viali per guardarli passare. La sfilata di uomini e
androidi, tutti equamente armati, cenciosi e ruvidi, è un balsamo
per le speranze di tutti coloro che ancora credono di poter essere
liberati. Di poter tornare in superficie, un giorno... E far parte di
un mondo libero.
Gadreel
non ha la minima idea di cosa fare, perciò si unisce alla schiera e
cerca di stare al passo con gli altri e imitare ciò che fanno. Il
robot è silenzioso e teso, e si muove con poca scioltezza in quel
gruppo di cui, in fondo, sa di non fare davvero parte. Gli altri
guerrieri invece camminano baldanzosi, ridono e scherzano, si
spintonano allegramente. Sembra quasi che stiano andando a una festa,
piuttosto che in battaglia: è un modo come un altro per alleggerire
la tensione, per non farsi frenare dalla paura. Tra tutti loro si
respira lo stato di allerta selvatica e quasi primordiale degli
animali che si apprestano a conquistare un territorio.
Anche
Gadreel è diviso tra sentimenti diversissimi. Da una parte,
l'euforia di poter finalmente salire in superficie e guardare con i
propri occhi quel mondo che gli è stato raccontato, ma che non ha
ancora visto; dall'altra, il timore di non essere all'altezza e di
combinare qualche guaio. E, infine... Il disagio e il dispiacere
provocati dalla reazione di Sam, poche ore prima. L'umano è stato
abbastanza chiaro sul fatto di non voler saperne più nulla di lui,
ma Gadreel non riesce comunque a non pensarci. Gli dispiace che sia
andata così, gli dispiace tantissimo, soprattutto perché non riesce
a capirne il motivo. Si era tranquillizzato un po', credendo di aver
trovato un punto di riferimento e un amico in Sam, ma evidentemente
si sbagliava. Il robot non può e non vuole obbligare nessuno
ad essere suo amico: sarebbe sbagliato, e di questo Gadreel ne è
consapevole. Però...
Però
Sam un po' gli manca. Il Sam del primo giorno. Quello che lo ha
trattato con gentilezza e lo ha fatto sentire un po'
meno solo.
Seguendo
il gruppo indisciplinato di ribelli – che sembrano una scolaresca
in gita, - Gadreel attraversa corridoi e porte tagliafuoco, scende di
un livello e si ritrova in una specie di enorme garage illuminato
dalle solite, inevitabili, insostituibili plafoniere al neon. Su un
lato della stanza è sistemato un lungo tavolo di metallo illuminato
da faretti; nel mezzo, invece, si trova un grosso furgone - che
dev'essere appartenuto al corpo di Polizia della Città, una volta,
perché è rimasta ancora una traccia dei colori e degli stemmi,
quasi del tutto scrostati, lungo la fiancata.
Gadreel
si sforza di ignorare qualsiasi pensiero al di fuori della discesa in
campo imminente: deve essere concentrato sul presente, sul qui e
ora, se vuole rendersi davvero utile.
Alcuni
soldati passano in fila davanti al tavolo per prendere armi
aggiuntive e munizioni. Sono tutti più
composti e silenziosi, ora che la risalita in superficie è
solo questione di minuti.
Dean sorveglia la situazione,
appoggiato alla parete, – lo sguardo duro e la mandibola serrata,
già proiettato nello stato d'animo dell'assalto, - poi nota
l'umanoide e gli fa cenno di
avvicinarsi. Gadreel si affretta ad obbedire.
«Allora,
pivellino,» dice l'uomo,
quando il robot è abbastanza vicino. «Sai sparare?»
Gadreel
scuote la testa, desolato.
«Combattere
all'arma bianca?»
«No...»
«A
mani nude?»
«N-nemmeno...»
Dean
solleva un sopracciglio e poi scuote la testa, roteando gli occhi al
cielo con aria sarcastica.
«Uao.
Andiamo alla grande,» commenta. Poi sparisce sotto il bancone,
afferra un grosso zaino verde mimetico e glielo lancia. «Facciamo
così: oggi cominciamo con qualcosa di più facile.»
Gadreel
apre la borsa. Dentro ci sono visori, cavi, un piccolo schermo che
emette un bip costante
e una specie di microfono.
«Telecomunicazioni,
hai presente? Prendi un binocolo, studi la zona, e se vedi qualcosa
di strano avverti gli altri. Pensi di potercela fare?», gli chiede
Dean, e Gadreel annuisce cercando di sembrare sicuro di sé
anche se non lo è affatto.
«Va
bene...»
«Adesso
raggiungi gli altri al furgone, Gadreel.» L'ordine, più gentile e
quieto, arriva da Castiel. Che gli dà una pacca di incoraggiamento e
accenna un sorriso. «Sarai affiancato da Gabriel, per i primi tempi.
Vi conoscete già e ti aiuterà ad ambientarti. Per qualunque
problema, ad ogni modo, puoi cercare me. D'accordo?»
Gadreel
balbetta un grazie
intimidito, e poi
obbedisce. In poche ore ha appreso molte cose e ne ha fatte altre per
la primissima volta: è tutto così nuovo e complicato, per
lui, da fargli quasi girare la testa. E chissà quanto altro
imparerà, durante la sua prima missione! La prospettiva lo rincuora
e gli solleva leggermente gli angoli della bocca in un sorriso
fiducioso che però si affievolisce poco dopo. Quando torneranno, gli
piacerebbe poter parlare di come è andata e confidarsi, confrontarsi
con...
...
Già, con chi?, si
chiede il robot, improvvisamente tornato alla realtà. Lui non ha
amici: non ne ha più. Il suo primo pensiero era stato di parlarne
con Sam, ma questo non è più
possibile...
Gadreel
prende educatamente posto su una delle lunghe sedute all'interno
del furgone e così rimane, in silenzio. Dovrà cavarsela da solo. È
meglio che si abitui presto a farlo, pensa. A quanto pare, Chuck era
l'unico a cui importasse di
lui...
Ma Chuck non c'è
più.
«Prima
uscita!» esclama Gabriel con un gran sorriso, tirando una gomitata
scherzosa sul fianco del suo nuovo compagno di missione. «Come ti
senti?»
«Non
lo so,» risponde Gadreel, con la massima sincerità. Non sa come si
sente: sono tante emozioni diverse, mescolate tutte insieme, a cui
riesce a malapena a dare un nome. Se ne sta seduto un po' impettito
contro la parete del furgone, che vibra ad ogni movimento. Sono in
viaggio da pochi minuti e il retro del camioncino è cieco:
non si vede nulla di ciò che c'è
fuori. Chissà dove stanno andando.
Gabriel
tiene posato sulle gambe, con naturalezza, un fucile che è quasi più
grande di lui.
«Sei agitato, è normale,»
lo rassicura, comprensivo. «Sai, nemmeno io ci sono
abituato... Io sono un messaggero, più
che altro. Ma se c'è bisogno
di una mano, non posso tirarmi indietro.»
«Neanch'io
sono tagliato per il combattimento... Ma immagino che si
veda,» ribatte un'altra voce.
Appartiene a un omino piccolino e smilzo, con una zazzera di capelli
castani spettinati e la faccia buffa. Sembra uno di quei topini
stilizzati dei cartoni animati, o un gatto senza pelo. «L'ultima
volta mi ha salvato la vita quest'omaccione qui,»
aggiunge, indicando l'uomo piazzato - con gli occhi azzurri, un po' di
barba e due braccia da taglialegna - che gli siede accanto. «Lui
sì che è portato.»
«È
stata solo fortuna,» si schermisce l'omaccione, con un lieve
sorriso. Ha lo sguardo tranquillo, un'aria solida e sicura di sé che
in Gadreel ispira immediatamente fiducia. «Nessuno è
infallibile, ma ognuno fa quello che può.»
«Comunque,
questi sono Garth e Benny,» dice Gabriel, indicando a Gadreel i due
uomini appena conosciuti. «Ragazzi, questo è Gadreel.»
«Oh, lo
so,» risponde Garth con un calore sincero, offrendogli la mano. «Io sono quello che ti ha
trovato, nel caso non te lo avessero detto.»
«Ah... Be'... Allora grazie,» risponde
l'androide, impacciato, tentando un sorriso e stringendogli
la mano.
«È
bello rivederti in piedi,» gli dice Benny, salutandolo allo stesso
modo. Gadreel comincia a sentirsi un po' meno perso, tra quegli
uomini e quegli androidi che sembrano averlo ben accolto.
«Allora,»
continua Gabriel, rivolgendosi direttamente a lui. «Da oggi, finché
non avrai imparato le basi, io sarò il tuo maestro
e il tuo mentore,»
declama, con eccessiva enfasi. Gadreel lo trova buffo e sorride con
maggiore scioltezza.
«Io
di solito esco in coppia con Balthazar... Ma, come sai, è tra coloro
che sono stati catturati. Èprincipalmente
per lui che ho accettato di partecipare alla missione. Rivoglio il
mio amico, e lo rivoglio tutto intero,»
afferma il messaggero, con una certa decisione.
Gadreel
lo ascolta con attenzione, e poi non può fare a meno di fare qualche
domanda.
«Cosa
succede a quelli che vengono catturati?»
Stavolta
è Benny a prendere la parola.
«Metatron
li riprogramma e li mette al suo servizio,»
spiega, posando i calmi occhi chiari sul nuovo arrivato. «Si
infila nei loro sistemi per renderli fedeli e pronti a uccidere in
suo nome, che lo vogliano oppure no.»
Anche la sua voce è bassa e quieta. Tutto, di quell'uomo,
trasmette una sensazione di tranquillità e stabilità. Gadreel
riesce a comprendere come mai gli altri sembrino così rassicurati
dalla sua sola presenza.
«Ma
è terribile,» esclama
l'androide, con un sussulto sgomento.
«Già,»
concorda Garth, serio. «Fortunatamente, se riusciamo a
prenderli, possiamo riprogrammarli a nostra volta e farli tornare
com'erano. Purtroppo, però,
recuperarli non è sempre facile...»,
sospira. «Sai, è difficile cercare di ragionare con qualcuno
che vuole soltanto aprirti in due come una scatola di sardine.»
Dal
modo in cui Gadreel sbianca e ammutolisce di colpo, è facile intuire
che i racconti dei suoi commilitoni lo abbiano alquanto spaventato.
Così, Benny gli mette una delle sue mani forti sulla spalla, per
rincuorarlo.
«Tranquillo...
Tieni gli occhi aperti, resta con i compagni e vedrai che andrà
tutto bene,» gli dice, sorridendogli.
Gadreel
annuisce lentamente, poco convinto. È ancora molto teso e insicuro,
ma farà del suo meglio. Farà tutto ciò che può per aiutare queste
persone...
È
stato creato per questo, dopotutto.
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Capitolo 12 *** Capitolo Undici ***
Capitolo 11 - i flashback di Sam
Buongiorno/buon
pomeriggio/buonasera :)
Un saluto a tutti i lettori e i recensori
e a tutti coloro che stanno seguendo con affetto questa storia...
Rieccomi - puntualmente in ritardo – con ben tre nuovi capitoli, per farmi perdonare :)
Buona lettura dalla
vostra
A. ;)
CAPITOLO UNDICI.
È
difficile distrarsi e cercare di pensare ad altro, quando il tuo
cervello non
fa che ricordarti che sei stato uno stronzo.
Sam
tamburella le dita sul davanzale della finestra – quella stessa
finestra da cui, soltanto poche ore prima, ha osservato la città
insieme a Gadreel.
Ora, le sagome di quegli stessi palazzi sono
oscurate dalla notte.
La missione sarà già cominciata, pensa il ricercatore. E qualcosa,
dentro di lui, punge di rimorso. Non avrebbe dovuto essere così
cattivo. Non avrebbe dovuto fare quello che ha fatto--
Diamine,
non faccio che ripetere a Dean di aprirsi un po'
con Castiel, e poi io cosa faccio?
Me la prendo con Gadreel solo perché...
Già, perché? La
domanda scava in territori che Sam non ha il coraggio di esplorare...
Territori
dolorosi che riportano alla mente brutti ricordi.
***
Città
Sotterranea. Un funerale.
Dieci anni prima.
Fiamme.
Le
fiamme illuminano guance bagnate e volti segnati dal dolore. La luce
aranciata e l'odore di fumo rendono gli interni della sala simile a
una grossa fornace.
Nel
fuoco, per ricongiungersi alle stelle. Così venivano congedati i
guerrieri dell'antichità, e così l'esercito ribelle saluta per
l'ultima volta la sua colonna, l'uomo che con infinito coraggio li ha
portati alla rivolta e non ha esitato a sacrificarsi, per il bene di
tutti.
In
prima fila, di fronte alla pira ardente, ci sono i suoi figli. Il
maggiore ha gli occhi lucidi e i pugni stretti, il più piccolo
piange apertamente.
Questo
è
il funerale di un guerriero. Questo è
il funerale di John Winchester.
A
terra è
pieno
di vetri.
Dopo
il funerale, Dean si è ubriacato: comprensibile.
Dopo
essersi ubriacato, Dean ha rotto tutto: prevedibile.
Dopo
aver rotto tutto, si è come spento.
Si
è lasciato cadere in ginocchio, tra i resti di ciò che rimane della
sala di comando, tra i tavoli rovesciati e le bottiglie infrante, i
caricatori di munizioni sparsi ovunque come dopo un'esplosione.
Sam
guarda il fratello, lo raggiunge, si inginocchia davanti a lui.
L'abbraccio è naturale e necessario, tra due creature nate dallo
stesso sangue – il sangue di John, il sangue di Mary; il sangue
sulle mani spaccate di Dean, il sangue che ribolle forte nelle vene
di Sam.
Piangono,
tutti e due.
«Combatteremo
fino alla fine,» dice Dean, stringendo il fratello con tutte le
proprie forze – la voce arrochita dall'alcol e dalle urla di rabbia
e dalle lacrime. Poi si scosta
quanto basta per rivedere negli occhi del più piccolo il riflesso
del suo stesso dolore. «Combatteremo
insieme, sempre insieme. E se è così che dovrà finire, anche per
noi...» Dean posa una mano sulla guancia del minore: un gesto raro,
qualcosa che non si dimentica. Come non si dimenticano le rare
tenerezze paterne di John. Sono così uguali, in fondo...
«...
Allora moriremo insieme. Perché siamo una famiglia. Ok?
Insieme.
Sempre insieme, Sammy.»
Sam
annuisce. Non se la sente di fare altro, di fronte a quegli occhi
arrossati...
Ma
pensa che sia ingiusto un mondo in cui non si può
scegliere come vivere, ma soltanto come morire.
***
Città
sotterranea. Un altro funerale.
Sei
anni prima
Cinquanta
centimetri. Solo
cinquanta centimetri.
Mezzo
metro di distanza tra lui e Jess: una cifra irrisoria. Ma in
battaglia basta anche soltanto un millimetro per fare la differenza.
Se solo lei non si fosse mossa... Se non fosse scappata avanti per
coprire gli altri... Se solo lui fosse stato più
svelto.
Quel
proiettile doveva prenderlo lui. Doveva prenderlo lui--
L'aveva
vista accasciarsi di colpo, come un'amazzone
sconfitta. All'inizio Sam non
aveva nemmeno realizzato cosa fosse accaduto – pensava si fosse
accovacciata per evitare i colpi, o fosse semplicemente caduta.
L'aveva chiamata. Jess non
aveva risposto. I capelli biondi le coprivano la ferita alla testa e
il sangue non si vedeva ancora. La ragazza teneva gli occhi aperti
rivolti alla strada... Come stupita.
Sam
aveva sentito il fucile scivolargli dalle mani, quando aveva capito.
Cinquanta
centimetri, e lei non c'era
più.
Non
doveva andare così.
«Non
combatto più.»
Il
funerale è stato essenziale ma carico di stanca commozione. Negli
ultimi tempi hanno perso così tanti guerrieri che la pira funebre,
purtroppo, non ha praticamente mai smesso di bruciare.
C'è
sempre odore di fumo, da quelle parti... È rivoltante.
Sam
non è andato alla cerimonia. Ne ha abbastanza di vedere cataste in
fiamme e lacrime e distruzione... Ne ha abbastanza di tutto questo.
«No,
Sam. Noi dobbiamo
continuare
a combattere.»
Dean
è arrabbiato quanto lui. Ne ha persi tanti, di amici. Ne ha versate
tante, di lacrime. «Per nostro padre, per nostra madre, per Jess,
per Hellen e per Jo e per tutti quelli che abbiamo perso--»
«Li
abbiamo persi per colpa di questa guerra maledetta!»
Sam
sbotta, trasformato dalla collera. «Ma non lo capisci che non
arriveremo mai da nessuna parte? Che tutto quello che stiamo facendo
non serve a niente se non a farci ammazzare tutti? Non possiamo
vincere, non potremo mai
vincere!» L'alcol fa male alla testa, rende i pensieri più acuti,
le parole taglienti. «Tutto questo è soltanto una corsa al
massacro-- Quanti altre persone devono bruciare, ancora, prima che tu
te ne renda conto???»
«È
proprio per questo che dobbiamo andare avanti, DANNAZIONE!» Dean
strattona il fratello, ma Sam si scosta e resiste a stento alla
tentazione di colpirlo. «Se molliamo, tutti i nostri amici saranno
morti per niente!»
«SONO
GIÀ MORTI
PER NIENTE!»
La rabbia è incontenibile, e i pugni diventano l'unico modo
possibile per esprimersi. Sam colpisce il fratello con tutta la
frustrazione con cui vorrebbe colpire il destino; la faccia di Dean
sanguina ma è come un muro: dura e impenetrabile. Sam urla. «Questa
stupida battaglia non vale nemmeno metà
della vita di Jess!
Non valeva la vita di tutte quelle persone--» Le nocche sbattono
contro la mandibola, la reazione di Dean è stata quasi istantanea.
«Se
ti tiri indietro sarà come dargliela vinta!» Strattone, destro.
Sinistro. Uno scricchiolio sotto l'occhio.
«Non
c'è bisogno che gliela dia vinta io-- Ci massacrano ogni giorno!
Come puoi essere così egoista??? Come fai a non vedere che stiamo
morendo--»
Schivata, montante. Sangue dal naso. Una sedia si rovescia.
«Combattitela da
solo, questa guerra
del cazzo!»
«Sei
solo un codardo--!» Qualcosa si frantuma. La rabbia di Dean è
feroce.
«No,
sono stanco!
Sono stanco di questa guerra, stanco di questi morti, stanco di
questi funerali, stanco di queste maledette armi e di tutta la
merda che siamo costretti ad ingoiare per sopravvivere-- Sono stanco
di non vedere mai la luce del sole, stanco di dover dormire con la
pistola sotto il cuscino, stanco di veder trascorrere i giorni sempre
nello stesso clima di paura, come se nulla di ciò che faccio riesca
mai davvero a cambiare le cose... Non ce la faccio più, Dean!»
Sam è arrivato al limite, l'ira e i colpi gli fanno bruciare la
faccia. È arrivato, finito. Non può spingersi oltre.
I
pugni si susseguono, liberatori e pesanti. La schiena di Sam impatta
pesantemente contro la parete. Dean gli urla in faccia.
«Mollare è da vigliacchi! La
gente non smetterà di morire solo perché
tu
smetterai di combattere!»
«LO
SO, MA ALMENO NON DOVRÒ PIÙ VEDERLO!»
Si
lasciano andare, di colpo. Vorrebbero distruggersi, uccidersi a
vicenda per non doversi guardare ancora in faccia e vedersi così
spaventati, eliminarsi a vicenda per non sopravvivere ancora un altro
di quei terribili
giorni... Ma sono entrambi troppo a pezzi, troppo devastati per
continuare a farsi male
sul serio.
Lo
sguardo di Dean è quello di qualcuno che è stato tradito.
«Ma
lo abbiamo promesso a papà...»
«No,
Dean... Tu
lo hai promesso per tutti e due...»
«...
E tu lo avevi promesso
a me.»
Silenzio.
Pugni stretti. Sguardi bassi. Respiri affannati.
«Non
voglio più farlo. Non posso. Non ci riesco...» Sam lo
mormora, senza più voce. Vorrebbe solo che Dean capisse, che lo
lasciasse libero di scegliere, per una volta--
«Allora
non sei più mio fratello.»
La
frase è come un macigno.
Qualcosa si è spezzato e non tornerà mai
più come prima.
«Dean,
ascolta--» Sam vorrebbe chiedere scusa, ora che la rabbia si è
attutita, ma la porta sbattuta chiude ogni tentativo di dialogo.
Mai
più come prima...
***
... Mai più.
Dopo
quei fatti, Sam si era ripromesso due cose – ed entrambi i suoi
propositi contenevano quelle due parole, così dure e definitive.
Uno:
non combatterò mai più.
Due: non mi innamorerò mai più.
Tenere
fede al primo mai più
è stato facile. Sempre
chiuso nell'istituto o in
qualche laboratorio, le uniche armi che Sam tiene in mano, ormai,
sono quelle che progetta.
E
per quanto riguarda il secondo punto... È
stato facile evitare di commettere ancora quell'errore. Seppellirsi
vivo di lavoro lo ha aiutato a restare isolato, a tenersi fuori da
frequentazioni che avrebbero di nuovo messo a nudo quella stupida
parte di lui – quella tanto bisognosa di contatto e di affetto ma
anche così maledettamente incline a soffrire, quando le persone a
cui tiene fanno una brutta fine.
È
stato facile, facilissimo, restare fuori da queste cose... Almeno,
fino ad ora.
Sam
sospira, mentre una sensazione di disagio e di rimorso lo tormenta.
La notte, fuori, è densa e spessa, ma la luna splende limpida...
Chissà dove sarà Gadreel, adesso. Chissà come starà. Chissà se
se la caverà...
L'uomo
stringe le palpebre, scuote appena la testa.
Non
pensarci, non pensarci, non pensarci...
Ma
l'immagine di quelle iridi color temporale è troppo nitida, nella
sua mente, e cercare di ignorarla serve soltanto a farla riemergere
con una forza ancora più travolgente. Fin dal primissimo istante in
cui ha incrociato quegli occhi così belli e spaesati, Sam si è
sentito legato ad essi in maniera inspiegabilmente viscerale. Gli
hanno suscitato empatia, istinto di protezione... E una
incontenibile, disinteressata, incondizionata tenerezza. L'uomo ha
intravisto in Gadreel un'innocenza e una purezza che credeva ormai
perdute, nel mondo in cui vivono ora... E che hanno riportato in
superficie dei sentimenti che Sam pensava di non riuscire più a
provare.
L'imperativo
non pensarci, rivolto
a sé stesso, diviene presto una preghiera - rivolta a chiunque sia
in grado di esaudirla.
Ti
prego, fallo tornare indietro sano e salvo. Proteggilo, tienilo al
sicuro... Fallo tornare qui. Devo parlargli, devo chiedergli scusa...
Devo rimediare a quello che ho fatto. Fa' che questa sua prima
missione sia tranquilla e non gli accada niente... Per favore...
Sam
prega di fronte alla luna d'argento e spera, con tutto sé
stesso, che questo suo terribile rimorso non diventi un rimpianto.
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Capitolo 13 *** Capitolo Dodici ***
Capitolo 12 - arrivo sul posto Gadreel prende posizione
«Sei
pronto?»
Dean
guida con gli occhi fissi sulla strada, serio e concentrato. Però
riesce comunque a scorgere il sorriso lieve sul volto di Castiel,
illuminato dalla luce intermittente dei fari e della luna.
«Sì.»
Il robot annuisce, guardando dritto avanti a sé.
È la verità. Si sente
infinitamente tranquillo, prima di una missione – accanto
a Dean.
«Bene,»
ribatte Dean, annuendo lentamente a sua volta. Castiel scruta il
paesaggio in movimento fuori dal finestrino, e quasi sussulta di
sorpresa quando sente la mano dell'altro stringergli affettuosamente
un ginocchio e poi cercare la sua.
Il
robot si volta verso l'uomo, intrecciando le dita con le sue, e si
stupisce del sorriso incredibilmente caldo e sereno che trova sulle
sue labbra. Sembra quasi il Dean di una volta...
Restano
mano nella mano per tutto il tempo che resta. Dean non scioglie mai
la presa, nemmeno per cambiare marcia – e Castiel, dopo tanti mesi
di incertezze e discussioni, si sente finalmente felice.
Sul
retro del furgone, il ronzio continuo del camion è
quasi rilassante e le chiacchiere sciolgono un po'
la tensione, aiutano a passare il tempo prima dell'azione.
«Posso
farti un'altra domanda?» Gadreel si è
abituato ai lievi sussulti e agli scossoni del furgone e rimane il
più
morbidamente possibile appoggiato con la schiena lungo la parete, per
assorbire gli urti.
Gabriel
si gira verso di lui stringendosi nelle piccole spalle, con il
consueto piglio ironico sul viso dai lineamenti buffi.
«Non
hai fatto altro da quando ti conosco! Dimmi.»
«Tu...
Mm--» Imbarazzo. È
così che gli umani chiamano quella sensazione di quando non sai bene
come esprimerti e ti trovi in difficoltà?,
si chiede Gadreel. «--
Tu conosci bene Sam?»
Il
piccolo umanoide solleva un sopracciglio.
«Alce
scemo? Il fratello di
Dean, dici? Be'... Direi abbastanza, sì. Perché?» Gli altri
occupanti del camion sembrano non fare caso alla conversazione che
sta avvenendo, quasi sottovoce, tra i due.
Gadreel
abbassa lo sguardo sulle proprie mani, nervosamente strette attorno
allo zaino che il maggiore dei Winchester gli ha affidato. Ha
l'impressione di aver fatto qualcosa di sbagliato con Sam, prima. La
sensazione di non aver colto qualcosa di importante, di essersi
fermato sulla superficie di qualcosa a cui avrebbe dovuto prestare
più attenzione...
«Niente,
è
che... Quando gli ho detto che sarei venuto con voi... Non so, ha
smesso di essere gentile.»
Non sei nessuno per me.
Quelle
parole ancora resistono, nella mente di Gadreel.
«È
vero, io so poco degli esseri umani, e poco di lui, nello specifico,
ma... Mi era sembrato una brava persona. E non riesco a capire come
mai sia cambiato così all'improvviso.»
Imitando il gesto di Gabriel di poco prima, Gadreel si stringe nelle
spalle. «Pensavo fossimo amici,»
confessa, con rammarico. «Si dice così... Giusto?»
Gabriel
guarda l'ultimo arrivato con una punta di intenerimento. Ne ha
conosciuti altri, di androidi che hanno dovuto conoscere il mondo
partendo da zero, ma Gadreel è...
Ingenuo.
Davvero, davvero ingenuo. Sembra più un bambino che un robot, in
realtà.
«Sai
Gadreel, gli umani sono tutti molto complicati. A volte, nemmeno loro
sanno bene cosa vogliono davvero, e si comportano in modo del tutto
opposto a ciò che intendono realmente. Sono difficili da capire.
Perciò... Ecco, noi androidi dobbiamo avere pazienza, tutto qui,»
risponde il più basso. «E sì, hai ragione su Sam. È
buono, e intelligente... Si preoccupa per gli altri. È una brava
persona, insomma. Ma ha avuto delle brutte esperienze legate a questa
guerra, e da allora non vuole più sentirne parlare.»
Gabriel posa una mano sulla spalla dell'altro androide, per
confortarlo. «Probabilmente ha preso male la tua decisione. Ma sono
sicuro che intendesse esattamente il contrario di ciò che ti ha
detto.»
«Ma
mi ha detto che dovevo scegliere da solo...» aggiunge Gadreel,
socchiudendo appena gli occhi. Ha le idee più confuse di prima. «Non
capisco.»
«Puoi
sempre chiederglielo quando torni. E comunque, te
l'ho detto: gli umani sono strani. A volte li prenderesti a sberle,
ma non è
colpa loro... Sono così sopraffatti dai sentimenti che non riescono a
vedere le cose chiaramente. Per questo hanno bisogno di noi: gli
serve qualcuno che li salvi da loro stessi. Gli umani sono
tutti pazzi, Gadreel... Per farla breve: sono adorabili,»
dice Gabriel, con il tono leggero e divertito di sempre, sotto lo
sguardo perplesso di Gadreel. Poi, il piccolo umanoide lo prende da
parte e abbassa il tono di voce, accostandoglisi come per confidargli
un enorme segreto: «E poi, se sono alti è
ancora peggio! Non devi prendere mai
sul serio quelli alti. Si sa, gli spilungoni sono tutti scemi—»
Quando
Gadreel inclina leggermente il capo di lato, con un grosso punto
interrogativo sopra la testa, Gabriel si ricorda improvvisamente
della quarantina di centimetri di differenza tra di loro e tira una
gomitata gioiosa nel fianco del suo nuovo – altissimo - amico.
«Cioè...
Non tutti, ovviamente,»
sorride, per rimediare.
Gadreel
vorrebbe chiedergli ancora qualcosa, ma tutto a un tratto
l'oscillazione si placa e il furgone si ferma. Nel breve istante
prima che il portellone si schiuda, nel camion cala il silenzio e
ogni traccia di divertimento svanisce – mentre schioccano le armi,
le facce si fanno serie e i soldati si alzano in piedi, pronti a
balzare giù e a scendere in campo. I primi a scendere sono Benny e Garth, i più vicini al portellone.
«Fuori,
fuori,» la voce di Dean
giunge fino all'interno, trasportata dal vento fresco della notte.
Gabriel è
già in piedi, il grosso fucile appeso a tracolla.
«Ci
siamo, novellino,» dice, afferrando Gadreel per un gomito e
facendogli cenno di seguirlo, prima di saltare giù dal pianale.
L'androide lo imita, con il grosso zaino appeso a una spalla--
... E
poi ci sono tante, troppo cose da vedere, tutte assieme: e, per un
attimo, tutto quanto – il movimento, le istruzioni dei capisquadra,
la battaglia imminente, - sembrano congelarsi e passare in secondo
piano, agli occhi spalancati e stupefatti di Gadreel.
La
luna è
alta, piena e rotonda. Galleggia nel cielo sereno e limpidissimo,
spruzzato di stelle che brillano di luce lontana e chiarissima come
una distesa infinita di piccole lucciole. Il suono del vento e il
profumo della terra giungono come una sorpresa, travolgono il sistema
dell'androide con sensazioni inaspettate e inedite, bloccandolo sui
propri passi. Avevi
ragione,
papà, pensa,
mentre un sorriso si allarga piano sulle sue labbra sottili. È
pieno di cose belle, qui...
Il
momento di riflessione dura poco, perché poi qualcuno lo spintona e
Gadreel torna bruscamente al tempo presente. I soldati si sono divisi
in piccoli gruppi – ma
quanti sono? Quanti furgoni sono partiti dalla base?, -
e Dean e Castiel stanno dirigendo le operazioni.
Gadreel
è rimasto indietro e deve affrettarsi per raggiungere gli altri –
gli è sembrato di scorgere la sagoma di Benny, qualche decina di
metri più avanti, da qualche parte tra la folla.
E adesso?, si chiede il robot, rimproverandosi per la disattenzione. Neanche
sono sceso e già mi sono perso...
«Ehi!»
Garth spunta tra la confusione, lo afferra per un braccio. «Dov'eri
rimasto? Dobbiamo prendere posizione,» lo informa, sgomitando per
non farsi travolgere dalla massa di guerriglieri. «Devi salire là
sopra,» dice, indicando un punto in cima a una collina. «Lì la
ricezione è
migliore... Troverai Gabriel, lui ti dirà che cosa fare,»
aggiunge, e poi corre via – mentre Dean sbraita e si sbraccia per
dare gli ordini.
Tutti
corrono; così corre anche Gadreel, verso il punto che gli è
stato indicato, mentre un nodo di ansia e di trepidazione gli si
stringe dentro.
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Capitolo 14 *** Capitolo Tredici ***
Capitolo 13 - battaglia e Gad rapito
CAPITOLO
TREDICI.
«Cas,
situazione?»
Accovacciato
nel buio, riparato dalla vegetazione. I muscoli tesi, le mani strette
attorno al corpo di un fucile a pompa calibro 12... E la mente
fresca, leggera, svuotata di qualunque altro pensiero che non sia
legato all'azione
imminente.
Gli
istanti prima di un assalto sono unici al mondo. Il cuore rallenta,
il respiro diventa un tutt'uno
con il silenzio della notte. La vista diviene più
acuta, più
nitida... E ogni singolo nervo, ogni singolo muscolo del corpo, si
tende e schiocca come un cavo elettrico, mentre l'adrenalina
si sprigiona nell'organismo.
Cuore anima e cervello si riallineano su di un nuovo asse, diventano
strumenti funzionali al combattimento. I tempi di reazione si
accorciano sensibilmente... E ti senti vivo e presente a te stesso,
incredibilmente ricettivo e consapevole di ciò che hai attorno, di
ciò che sta per accadere... Di ciò che sei.
Unità assoluta e profonda connessione di mente e corpo, di pensiero
e di azione. Dean ama questa sensazione...
Dev'essere
così che si sentono i leoni, pensa.
«Tre
guardie armate sul lato ovest, due sul lato sud. Ma questo è
soltanto ciò che posso vedere da qui.» La voce di Castiel arriva
leggermente sgranata, attraverso il minuscolo auricolare.
Dean
prende atto dell'informazione,
passa al punto successivo.
«D'accordo.
Benny,
esplosivo?»
«Pronto.
Attendo il tuo segnale.» A qualche metro di distanza, l'ex
Marine osserva i piccoli droni silenziati di cui si è
circondato. Saranno loro a dare inizio alle danze: si precipiteranno
in volo nei pressi dell'entrata
secondaria e sganceranno le cariche, sorprendentemente piccole e
maneggevoli, ma abbastanza potenti da sradicare il portone e aprire la
strada ai guerriglieri.
«Bene.
Squadra cecchini, ci coprite?»
«Sissignore!
Siamo in posizione.» Garth e Gabriel, essendo inadatti per il
combattimento corpo a corpo, si sono versatilmente adeguati al ruolo
di tiratori, assieme agli altri soldati meno dotati nella lotta. I
fucili che si trascinano dietro – dei .300 Win Mag provenienti
dall'armeria della Marina, gentile omaggio di Dean e Benny, - sono
pesanti e difficili da trasportare, ma sono tra i migliori per il
tiro di precisione. Dotati di calcio pieghevole Accuracy
International, con canna corta e un'ottica che permette di inchiodare
qualsiasi bersaglio – umano e non – anche a seicento metri di
distanza, rendono la squadra dei tiratori praticamente infallibile. E
per i guerrieri in prima linea, capeggiati da Dean e Castiel,
gettarsi tra le linee nemiche con degli angeli custodi a coprirgli le
spalle è una sicurezza in più.
Le
mani di Dean fremono. Ma deve controllare un'ultima cosa, prima di
dare il via libera.
«Ricevuto.
Gadreel, cosa vedono i tuoi occhi di elfo?», domanda il caposquadra,
scherzosamente.
Ottiene
in risposta un rumore attutito, come di qualcosa che rotola a terra –
probabilmente, all'androide è scivolato di mano il microfono.
«Allora--
Le guardie armate sono tredici, in totale. Dentro all'edificio ho
contato venti persone al primo piano, di cui una decina sembrano
guardie... Poi, ancora cinque guardie al secondo e dal terzo in su
non riesco a vedere nient'altro, perché le finestre sono schermate,»
dice Gadreel, cercando di essere il più conciso e sintetico
possibile. Gli altri sembrano tutti così sicuri di loro stessi...
Comunicano brevemente e sembrano molto affiatati, dopo chissà quante
missioni che hanno compiuto assieme. Inutile dire che lui, in quanto
ultimo arrivato, sente sulle proprie spalle il peso della
responsabilità e teme di non essere all'altezza... Ma darà il
proprio meglio.
Lo
ha promesso.
«Bene.»
La voce di Dean sembra quella di qualcuno che stia sorridendo.
«Visto? Non è poi così difficile.»
Dall'altra
parte, Gadreel si stiracchia appena. Se ne sta disteso a pancia in
giù dietro una fila di arbusti fitti e bassi dietro ai quali, su
consiglio di Gabriel, ha montato il cavalletto per direzionare un
visore notturno. Fortunatamente, le apparecchiature sono facili da
usare... Non avrà molte possibilità di combinare disastri.
L'androide
sa che probabilmente non è il momento adatto... Ma la domanda gli
scivola dalle labbra prima ancora che possa anche soltanto
pensare
di trattenerla - e Gadreel un po' si vergogna della propria
instancabile curiosità:
«...
Cos'è un elfo?»
Con
un crepitio, la voce di Garth si inserisce nella conversazione.
«Charlie
sarà più che felice di spiegartelo, quando torneremo alla base,»
dice, divertito.
«Avrai
un sacco di film da vedere e libri da leggere,» aggiunge Benny.
«Ora
basta chiacchiere, soldati.» Dean mette fine a qualsiasi
divagazione, riportando la concentrazione dei suoi uomini
sull'assalto. C'è un istante di silenzio.
«Per
la libertà,» dice poi Dean,
come per ricordare a sé stesso e ai suoi soldati il motivo per cui
stanno per rischiare la vita.
«Per
la libertà,»
risponde Castiel, per gli androidi.
«Per
la libertà,»
rispondono tutti, nel medesimo istante, come un'unica voce.
Anche
Gadreel si unisce al coro, senza pensarci troppo. Non riesce a capire
fino in fondo il significato di quell'ultimo proclama collettivo, ma
intuisce che sia qualcosa di importante - un augurio, una
dichiarazione di intenti, un promemoria... O una preghiera. Un modo per sentirsi tutti
parte di un'unità, per suggellare una fratellanza.
Il
motto risuona nella notte e subito dopo i droni si alzano in volo, le
bombe piovono sull'obiettivo; e la squadra d'assalto si lancia in
avanti contro le guardie nemiche, mentre i colpi delle armi da fuoco
crepitano come mortaretti e incendiano l'aria, fanno tremare i vetri
come i botti di un Capodanno fuori stagione.
Corri
- mira – spara - ripeti.
Castiel
brucia in fretta le centinaia di metri del piazzale della Robotics
Industry, correndo al passo con Dean – che spara e combatte come
una furia. Il robot abbatte gli altri androidi con armi sviluppate
appositamente per loro: abbastanza forti da bloccarli ma non da
distruggerli. Sono pur sempre fratelli, dopotutto... E proprio per
questo, Castiel ha richiesto che venissero creati strumenti d'offesa
come questo, potenti ma non letali. Perché,
in fondo, spera che ci sia ancora una speranza... Che possano tornare
ad essere ciò che sono stati, prima che questa guerra – e Metatron
– li riprogrammasse.
«Copertura!»
È Benny a richiederla, quando le guardie cominciano ad affluire sul
punto degli scontri. Non appena i guardiani di Metatron mettono il
naso fuori, la squadra dei cecchini li stende uno dopo l'altro, senza
nemmeno bisogno di sprecare un secondo colpo. Ancora qualche centro,
e poi dovranno cambiare posizione per evitare di essere individuati.
Il bravo cecchino è come un'ombra: silenzioso e invisibile, ma in
continuo movimento.
Gadreel
segue gli avvenimenti attraverso l'auricolare.
Ora che l'azione è
entrata nel vivo, si sente un pochino inutile... Passare le
comunicazioni non è nulla, in confronto a quello che sta accadendo
laggiù. Il frastuono degli scontri è
un crepitio continuo in cui si mescolano ordini e voci concitate, e
Gadreel si ritrova a desiderare di avere anche soltanto un decimo di
quel coraggio e di quella preparazione necessarie per scendere sul
campo ed essere davvero
utile... Ma la strada è
lunga, ed è comunque qualcosa che non fa parte di lui.
L'androide
fa tutto ciò che può, per agevolare i soldati. Cerca di anticipare
le richieste di informazioni, spiando attraverso il binocolo fin dove
riesce ad arrivare e istruendo i guerriglieri su ciò che sta
accadendo nell'area circostante.
«Castiel,
sta salendo qualcuno dal piano sotterraneo... Gli ascensori si stanno
muovendo.»
Il capo degli umanoidi raggiunge in fretta il punto indicato, prima
che il display arrivi a segnare PT.
Due servitori di
Metatron, due colpi non appena le porte si aprono: problema risolto.
«Grazie,
Gad.»
«Prego,
fratello.» Lo sguardo di Gadreel sorvola rapidamente la zona
alla ricerca di altri ostacoli da segnalare. Sta per avvertire Dean
di uno strano movimento sul retro del palazzo, ma poi sente un clic
che non proviene dal microfono – e, subito dopo, qualcosa che
preme dietro la sua nuca.
«Dovresti
anche guardarti alle spalle, ogni tanto,»
sibila una voce estranea - e Gadreel sentirebbe il sangue gelarsi, se
ne avesse. «Ma i pivellini non lo fanno mai. Perché tu sei un
pivellino, vero? Ecco perché ti hanno messo qui...»
Il robot resta immobile, mentre l'arma –
cos'altro potrebbe essere?
- spinge con più forza contro la sua testa. Riconosce qualcosa di
familiare, nelle frequenze di quella voce: un'impercettibile
alterazione che soltanto gli androidi producono, e che soltanto gli
androidi riescono a percepire.
«Non
sei umano,» trova il coraggio di dire Gadreel, cercando di prendere
tempo. Sta per morire? Forse. Non potrà più mantenere la promessa
fatta a Chuck... Non potrà più far pace con Sam. «Chi sei?»
Lo
sconosciuto si muove, provocando un lieve scricchiolio di rametti.
«Sono
il tuo nuovo migliore amico... Il tuo confidente,»
risponde ridacchiando, con un tono sinistro che non nasconde affatto
il sottotesto minaccioso. La pressione dell'arma è sempre lì,
sempre opprimente, sempre inevitabile. «Staremo un po' insieme.. E
mi racconterai un sacco di cose...
Che tu lo voglia o no.»
La pressione sparisce. «Alzati,» ordina l'estraneo, seccamente.
Gadreel
analizza in fretta le varie possibilità. Uno: reagire, avere la
meglio, neutralizzare il nemico. Due: reagire, avere la peggio,
finire ucciso subito oppure salvarsi. Ulteriori sviluppi del punto
due: salvarsi, venire catturato. Venire catturato uguale
essere torturato. Essere torturato uguale
dover restare inermi mentre i nemici si infilano nel tuo sistema e
rubano tutte le informazioni di cui hanno bisogno, senza che tu possa
opporti in alcun modo... E poi, ti distruggono o riprogrammano.
Gadreel
chiude gli occhi. No, non vuole che gli uomini di Metatron hackerino
il suo sistema. Non vuole che Dean, Sam, Castiel e tutte quelle
persone – quelle brave persone, che combattono solamente per il
sacrosanto diritto di essere libere,
- vengano messe in
pericolo per colpa sua. Non vuole finire nelle mani di quei
mercenari... Non vuole che vedano ciò che ha visto, non vuole che
sappiano ciò che sa. E, soprattutto... Non vuole che lo
riprogrammino. Non vuole diventare un assassino... Non vuole fare del
male.
L'androide
schiude le palpebre. La battaglia ancora infuria – giunge come un
brusio lontano, dal microfono che Gadreel ha abbandonato a terra.
Tutto intorno a lui è buio... E l'androide rimpiange di aver visto
così poco, prima di... Prima di fare ciò che è più giusto.
Mi
dispiace, pensa, senza
nessun destinatario in particolare. Forse suo padre, forse Sam, forse
quegli androidi e quegli umani con cui aveva cominciato a mescolarsi
e che non rivedrà mai più.
Gadreel ha preso una
decisione importante, e l'ha presa da solo.
Le
informazioni che ha appreso moriranno con lui.
«Allora?
Vuoi muovert--» Lo sconosciuto perde l'equilibrio e cade
all'indietro, quando Gadreel strattona i cavi che lui stesso ha
disposto a terra, soltanto pochi minuti prima. «Maledetto!» L'arma
che l'assalitore misterioso gli rivolge contro è simile a quelle che
Gadreel ha visto nell'arsenale personale di Castiel; il pensiero è
rapido, e poi l'androide si getta su colui che lo ha aggredito, nel
tentativo di sopraffarlo o di farsi uccidere provandoci. Sacrificarsi
è l'unica opzione possibile, se non riuscirà ad uscirne. Non
tradirà i suoi compagni... Non tradirà la memoria di Chuck.
Lo
sconosciuto è più forte, più svelto, più preparato - più
cattivo. Ed
è questo, soprattutto, a fare la differenza. Gadreel non ha mai
colpito nessuno prima, non ha mai fatto del male in vita sua.
Il
suo aggressore, invece, sì. E con molto, molto piacere.
Rotolano
lungo il fianco della collina, impattando sul terreno duro, e ben
presto Gadreel si rende conto del proprio svantaggio. Cerca di
bloccare i colpi, senza possedere alcuna nozione su come riuscirci, e
poi fa del suo meglio per districarsi abbastanza da tentare di
alzarsi in piedi; ma all'improvviso,
in qualche assurdo modo che Gadreel non riesce a prevedere, il suo
avversario lo aggancia per il collo e lo proietta di colpo a terra,
di schiena, facendolo impattare sul terreno con tutto il peso. Si
ritrova steso in mezzo a un campo incolto, selvatico. E poi il nemico
gli è
subito sopra, lo
blocca, e il calcio della pistola si abbatte violentemente contro la
tempia di Gadreel – e il nervo ottico sfrigola, la vista
dell'androide si appanna di conseguenza.
«Fratello,
no-- » Gadreel sta perdendo e lo sa. È finita. Può fare soltanto
un ultimo tentativo... Gli sembra impossibile l'idea di doversi
difendere da qualcuno così simile a lui. «Ti prego, fermati...»
Non riesce nemmeno più a vederlo, ormai. L'occhio sinistro non
trasmette alcuna immagine, il colpo è stato troppo forte. «Siamo
creature della compassione, non dell'odio--»,
smozzica Gadreel, nella speranza che quelle parole facciano scattare
anche soltanto un minimo ricordo, in quel robot così violento e
distorto. Quelle parole sono la base del suo essere, fanno parte del
suo sistema... Sono l'idea da cui sono nati tutti i robot.
La compassione è il fondamento di tutto ciò che Gadreel è, di tutto ciò
in cui crede... Com'è possibile che gli androidi lo abbiano
dimenticato?
«Può
darsi...» Il suo aggressore si ferma per un attimo, premendogli la
canna della pistola sotto la gola. Gadreel si muove appena. L'iride
destra raccoglie un'ultima immagine della luna splendente, appesa
sopra di lui. «... Ma l'odio è più divertente.»
Gadreel
chiude forte gli occhi.
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Capitolo 15 *** Capitolo Quattordici ***
cap 14 - metatron e crowley, gadreel tortura
«Dov'è.
La base. Dei ribelli.»
Taddeus
gli ha ripetuto la domanda così tante volte, ormai, che la frase non
ha più nemmeno il punto interrogativo alla fine.
Gadreel
sbatte le palpebre, mettendo a fuoco la propria immagine - riflessa
sul metallo lucido di una plafoniera da sala operatoria, appesa sopra
di lui, che gli spara una luce forte direttamente in faccia. È quasi
l'unica cosa che riesce a fare, così immobilizzato su quella specie
di lettino su cui si è svegliato. Non ha idea di quanto tempo sia
trascorso. Sa solo che il suo incubo peggiore si è avverato. E ora
l'androide che lo ha assalito – e che ha avuto la perversa cortesia
di presentarsi, non appena si è accorto che il suo ostaggio era
tornato in sé – gli cammina lentamente attorno, come per valutare
da che parte cominciare.
«Non
saprai nulla da me.»
Gadreel
lo dice perché ne è convinto, anche se ha paura.
Quando
Taddeus gli ha puntato la pistola sotto la gola e ha fatto fuoco,
l'androide ha davvero sperato che fosse tutto finito - per non
ritrovarsi così, per non dover passare attraverso chissà quali
atroci quanto inutili sofferenze. Inutili, già... Perché c'è
soltanto una cosa di cui Gadreel è pienamente sicuro, e questa cosa
è che non
parlerà.
Non lo farà. Non è un
traditore.
Nonostante
questo, però, la paura rimane. Ed è una reazione assolutamente
plausibile, vista la situazione. Ha
pensato che sarebbe morto, e invece quel colpo lo ha soltanto
stordito. E ora si ritrova immobilizzato e inerme, a completa
disposizione di un androide psicopatico. Di tutti gli scenari che
potevano verificarsi, questo è
il peggiore.
Taddeus
sbuffa appena, e i ridicoli capelli troppo chiari gli ondeggiano
sulla fronte. «Uh, abbiamo un eroe...», commenta sarcastico,
continuando a girargli attorno – come uno squalo.
Gadreel
può soltanto intuire dove sia, bloccato com'è su quella lettiga
così scomoda. Una cinghia gli corre attraverso la fronte, tenendogli
la testa schiacciata contro lo schienale; e simili legacci gli
bloccano il torace e gli stringono forte i polsi e le caviglie,
limitandone i movimenti. Ha provato a strattonare per liberarsi,
appena sveglio, ma è stato tutto inutile...
«Be',
non ho bisogno del tuo permesso,» continua il servitore di Metatron.
Poi si china su di lui, passa le dita tra i suoi corti capelli
castani e stringe, facendogli uscire un gemito di dolore. «Se non
parli da solo, mi infilerò in questa bella testolina e prenderò
comunque tutto quello che mi serve. Ora te lo sto chiedendo
gentilmente perché in fondo sono generoso, e voglio darti una
possibilità. Se parli adesso, dopo sarò piu buono con te... Forse.»
A
Gadreel non piace la vicinanza con quel robot. Non gli piace il suo
ghigno cattivo, non gli piace il modo in cui lo guarda – come se si
stesse chiedendo quanto durerà, prima di cedere. Cerca di voltarsi
per non stare faccia a faccia con lui, ma riesce a spostarsi soltanto
di pochi millimetri.
«No.»
La risposta è decisa e secca - ma gli esce con un tono, forse, un
po' troppo emotivo. Gadreel sta cercando di mostrarsi impassibile e
risoluto, ma è agitatissimo e non riesce ad avere controllo sul
lieve tremolio nella propria voce... Non riesce a nascondere
l'angoscia.
Taddeus
lascia andare la presa, con aria annoiata.
«Come
non detto,» dice, stringendosi nelle spalle e ricominciando il
proprio lento, inesorabile, insopportabile giro. «Sai, un po' quasi
mi dispiace... Si vede che hai paura, eppure ti ostini a non
parlare... È molto nobile, devo riconoscertelo. Ma se fossi in te,
mi farei una domanda...» I passi di Taddeus si fermano da qualche
parte alla sua sinistra, ma Gadreel non riesce a scorgerlo – il
nervo ottico, da quella parte, è ancora danneggiato. «... Ne vale
la pena?»
Il
protitipo fissa il proprio riflesso, tra le luci accecanti. È
l'unica immagine a cui può aggrapparsi, anche se lo confonde un po'
– è strano, guardarsi così, come se si vedesse da fuori...
Dall'alto. «Io non tradirò
quelle persone,» dice, con orgoglio. Questa volta, riesce a parlare
più freddamente. Forse, si sta rassegnando all'idea che morirà
così... O forse, per quanto gli sarà possibile, ha deciso che può
ancora combattere.
«Andiamo,
Gadreel! A loro non importa niente di te.» Taddeus sbotta, agitando
teatralmente le braccia. «Vedi qualcuno di loro qui, a salvarti? No.
E sai perché?» Di nuovo, il secondino si allunga sul robot che ha
catturato, cercando di leggere anche solo una minima traccia di
esitazione nei suoi occhi. «Te lo dico io: perché a nessuno importa
nulla dell'ultimo arrivato. Nessuno si mobiliterà per venire a
recuperarti. Tu sei soltanto...» Gadreel chiude gli occhi e si
sforza di voltarsi ancora un po' di lato, pur di non vederlo. Ma le
dita di Taddeus spingono sotto il suo mento, lo obbligano a restare
in posizione. «... La loro stupida, patetica, inutile ruota di
scorta. Uno
zero.»
È velenoso, Taddeus. Gli
piace infettare le menti col germe del dubbio, prima di passare a
torturare i corpi.
«Non
è vero!», si affretta a ribattere Gadreel, con più energia di
quanta credesse di avere. Le parole di Taddeus sono false, e lo sa,
ma... Allora perché si sente così punto sul vivo? «Non puoi
parlare così... Tu non li conosci!» Non
importa, pensa
il prototipo, cercando di aggrapparsi come può alle proprie
convinzioni.
Non importa se nessuno verrà a salvarlo. È giusto così.
Lui è un guardiano e il suo compito è provvedere al bene degli
altri, non al proprio.
Ma
Taddeus insiste, e il suo tono è sempre più crudele.
«Oh,
sì che li conosco. E ti dirò un'altra cosa: per gli umani, noi
siamo soltanto giocattoli.»
«Non
è così...» Non mi importa niente di te. Le parole di Sam
riaffiorano nella mente di Gadreel, ma il robot le lascia affondare
in un angolo, per la propria sopravvivenza. Altre risuonano, invece,
con maggior forza e chiarezza... E l'eco della voce che le ha
pronunciate porta il timbro di Chuck. «Gli umani sono quanto di più
sorprendente sia mai stato creato. E noi robot siamo i loro custodi.»
Sì, se lo ricorda bene, quel giorno... Il giorno in cui ha giurato
di servire l'umanità. È stato il più bello della sua vita...
«Dai,
ancora con quel patetico codice?» Taddeus lo guarda come avesse
davanti un bambino scemo fissato con un gioco senza senso. «Come hai
detto, prima...? Ah, già: siamo creature della compassione, e non
dell'odio,» recita l'aguzzino, in tono solenne, scimmiottando
malamente le parole che Gadreel gli ha rivolto, durante la
colluttazione avvenuta sulla collina. E poi sorride, cattivo, come un
gatto che abbia chiuso il topo in trappola: «Ti assicuro che non la
penserai più così, quando sarai diventato uno di noi.»
«Non
voglio!» Gadreel si agita, in un moto di collera e di ribellione.
Vorrebbe strappare via quelle cinghie, strappare via quel ghigno
dalla faccia che ha davanti, ma non può. Per quanto tiri e
strattoni, non riesce a muoversi di un solo centimetro – e non può
fare a meno di vergognarsi della propria debolezza, e per aver dato
motivo a Taddeus di godere della sua ulteriore dimostrazione di
vulnerabilità. «Non servirò mai il tuo padrone!», urla, in un
impeto di rabbia.
«Sì
che lo farai,» ribatte Taddeus calmo, con i lineamenti
improvvisamente spogli di qualsiasi falsa cordialità. «E sarai il
più fedele, e umile... Il più leale e obbediente di tutti. E
sparerai su quelli che oggi consideri tuoi amici.» Questo,
più di ogni altra cosa, sarà ciò che farà soffrire quell'androide
così puro e testardo che continua a opporsi ad un destino
inevitabile, pensa il carnefice, compiaciuto. La consapevolezza che
diventerà solo un misero strumento... Che perderà qualunque
moralità, la capacità di discernere il bene dal male.
Ed
è vero: a Gadreel questo fa male, malissimo.
«No...»
No, non può accettare che accada. Non può-- Ma come può impedire
qualcosa su cui non ha il minimo controllo?, si chiede il robot. E,
per la prima volta in vita sua, conosce il dolore e la frustrazione
di dover assistere a un'ingiustizia senza poter fare nulla per
evitarla... E brucia da morire. È una spina nel cuore, una lama che
lacera ogni speranza di futuro. Non ci sarà alcun futuro, per lui.
Diventerà un assassino. Andrà contro ciò in cui crede, farà
violenza a sé stesso. Non sarà più un custode. Non
è giusto...
Piuttosto
che piegarsi ad una simile sorte, Gadreel prega silenziosamente di
morire subito. È
l'unica via di fuga, senz'altro la più
dignitosa, pensa. Meglio spegnersi e disattivarsi per sempre, che
trasformarsi in un mostro...
«Collabora,
Gadreel. Risparmiati del dolore inutile... Tanto è così che andrà,
non puoi farci nulla. Puoi soltanto rendere tutto più veloce...»
Taddeus legge i sentimenti sul volto del robot e si sorprende di
quanto sia facile intuire la guerra che sta avvenendo nella sua
testa. Gadreel è molto umano, sotto questo punto di vista: un essere
imbottito di impulsi che non sa nemmeno gestire.
«Te lo chiedo di nuovo: dov'è la base dei ribelli?», insiste.
Ma
Gadreel è
diventato freddo come il marmo. Si sente in trappola, condannato,
chiuso in vicolo cieco. E lui, come certi animali, quando si sente
braccato diventa... Rabbioso,
e imprevedibile.
«Non.
Saprai. Niente. Da. Me.»
Non c'è più alcuna traccia di dolcezza, sul suo volto. Gadreel
scandisce
ogni parola con tutto il disprezzo possibile. I suoi occhi
grigioverdi sono diventati più chiari, ma più foschi – due pezzi
di ghiaccio, sporco e radioattivo. E trema, dalla testa ai piedi –
per la paura e la mortificazione, per la rabbia, per la bruciante
sensazione di essere impotente, per il rammarico di non aver avuto
nemmeno il tempo necessario di fare ciò per cui è stato creato... E
per l'umiliazione di non aver potuto tener fede alle sue promesse.
Per le persone che non potrà proteggere, per tutto quello che non
potrà vedere... E per sé stesso, per la propria sfortuna - perché,
tra tutti i finali possibili, sembra che gli sia toccato il più
amaro di tutti.
Taddeus
resta in silenzio per un istante. Lo studia, sorpreso e incuriosito
dal suo improvviso cambiamento.
«Sei
più stupido di quanto pensassi,» borbotta infine, scuotendo la
testa. «Guardati... Stai tremando.» Già, sta tremando come una
foglia. Quando se ne accorge, Gadreel stringe i pugni, cercando di
calmarsi. Taddeus sospira. «Be', se le cose stanno così... Mi vedrò
costretto a violare il tuo sistema. Ma prima mi divertirò un po'.»
Gadreel
chiude gli occhi, preparandosi a ciò che lo attende. Saranno i
momenti peggiori della sua vita, lo sa. Saranno lunghissimi,
interminabili. Sembrerà che non passino mai... E quando le
sofferenze saranno lancinanti, gli sembrerà addirittura che il tempo
si sia fermato. Ma non è vero e non deve dimenticarselo, quando farà
tutto troppo male.
Si
tratta soltanto di avere pazienza e sopportare, in fondo. Ma prima
o poi-- Prima o poi, tutto avrà una fine. Smetterà di soffrire
quando termineranno le sevizie... O quando non sarà più in grado di
sopportarle.
Il
pensiero è
infinitamente triste, ma allo stesso tempo confortante.
«Sai,
con gli umani è meno coinvolgente,» esordisce Taddeus, sparendo dal
suo campo visivo. Gadreel non si affanna a cercarlo. Non gliene
importa più nulla. Non gli importa più di niente, ormai. «Sono
deboli, si rompono facilmente... Durano poco, insomma. Ma con i robot
posso lavorare su molti aspetti. Sai, ho sviluppato una vista
speciale... La prima cosa che vedo di qualcuno sono i suoi punti
deboli, e tu... Ne hai davvero parecchi.»
Qualcosa
si infila dietro la sua testa, sottopelle, e fa male. Gadreel si
lascia scappare un gemito, pentendosene subito dopo.
«Come
puoi fare del male alle creature che devi proteggere?», chiede.
«Come puoi fare del male ai tuoi simili..? Noi non siamo nati per
questo...» Gadreel sa che, forse, a questo punto dovrebbe tacere e
mettersi l'anima in pace, ma proprio non ci riesce. Se deve finire
così, vuole almeno sapere perché.
I
cavi che Taddeus ha collegato alla sua centralina appartengono ad uno
schermo quadrato che il servo di Metatron tiene agilmente tra le
mani. Chissà quante altre volte lo ha fatto... Chissà quanti altri
androidi ha fatto soffrire su quello stesso lettino, prima di lui.
«Tu
no, forse... Ma io sì. Sono stato assemblato per fare del male. Sono
più veloce, più forte degli altri robot... Ma questo hai potuto
constatarlo di persona,» spiega il secondino, sfiorandogli col
pollice il taglio sullo zigomo destro – ricordo dello scontro che
hanno avuto, poche ore prima. «Ma sai qual è la cosa migliore, in
tutto questo? È che io provo un immenso piacere nel fare quello che
faccio. Più lo faccio, e piu mi sento... Bene.»
Sul volto del cattivo si forma un sorriso liberatorio.
Su
quello di Gadreel, un'espressione di disgusto.
«È
orribile...»
«È
fantastico. E non vedo l'ora di sentirti urlare, sai? Niente di
personale, ovviamente.» Taddeus digita qualcosa sullo schermo, e
Gadreel avverte un fastidioso formicolio spandersi nella colonna
vertebrale. Il servo di Metatron continua a girargli attorno, come
non ha mai smesso di fare fin dall'inizio. Gadreel è
teso, tesissimo. Il sistema lo avverte che qualcuno sta forzando la
scheda delle sue informazioni di base.
«Sai,
Gadreel, forse
ci sono delle cose che non sai, sui robot. L'idea di renderli
fisicamente simili agli esseri umani, ad esempio, per sviluppare il
senso di empatia e rendere più facile l'integrazione con loro, ha
dei pro
e dei contro.
I pro sono che, ovviamente, in questo modo noi robot condividiamo con
loro una vasta gamma di sensazioni e questo ci permette di poter
comunicare senza problemi e scambiarci quel tipo di informazioni –
visive, olfattive, uditive, tattili e persino gustative, anche se non
abbiamo bisogno di mangiare – che le maledette scimmie
sperimentano
normalmente.
Ma...»
Il
formicolio è
diventato una specie di corrente elettrica a bassa frequenza che
tormenta il robot dalla testa ai piedi, gli fa venire voglia di
agitarsi. Istintivamente, per scaricare parte del nervosismo e per
prepararsi al peggio, Gadreel stringe le mani attorno ai bordi del
lettino.
Taddeus
continua il suo delirante monologo.
«...
Mentre
per un umano quei valori sono standard e non si possono alterare
dall'esterno, in un robot si possono modificare. E prendiamo una
percezione a caso, adesso...»
Bip. Bip. Due tocchi sullo
schermo, e davanti a Taddeus si apre la mappa dei parametri vitali
del suo prigioniero. Può fargli qualunque cosa, ora.
«Prendiamo
i parametri del tatto. Poter innalzare o abbassare quel valore
permette di aumentare o diminuire la sensibilità
di un androide. In altre parole...»
Il cattivo ghigna, gustandosi una pausa studiata. «... La
sua soglia
del dolore.»
La
scarica arriva inaspettata e violenta, e Gadreel si tende di scatto
sul lettino soffocando a stento un grido di dolore. Dietro le
palpebre compaiono piccoli puntini rossi e viola, mentre le sue vene
sembrano riempirsi di fuoco e lava. Non dura molto, fortunatamente.
Quando Taddeus blocca la scarica, Gadreel si abbandona sulla lettiga
come un burattino con i fili rotti, cercando di recuperare il
controllo.
«Più
cinquecento. Fa
già male, eh?» Il
carceriere lo schernisce. Ha annusato l'odore della paura e della
sofferenza, e ora ne è
ancora più affamato. Questo è soltanto l'inizio. Un antipasto, per
così dire. «Andiamo, non
essere timido. Fammi sentire come urli...»
Gadreel
sente caldo, tanto caldo. Le nocche delle sue mani sono sbiancate.
Non riesce più a sentire le gambe e le braccia, e il suo sistema
comincia a segnalargli il pericolo di surriscaldamento. È
perduto, ora che Taddeus è riuscito a infilarsi così a fondo e a
manipolare parti di lui così interne e delicate. È peggio che
essere nudi: è come-- Non ci sono parole per descriverlo. Questa è
la violenza peggiore che si possa infliggere ad una creatura come
lui. «Perché-- Fai
questo...?», smozzica il robot, ignorando l'improvvisa
sensazione che un martello pneumatico gli stia schiacciando la testa.
Tutto gira, in modo nauseante.
«Non
sai dire altro?» Taddeus
lo guarda di sbieco, con aria seccata. Poi muove di nuovo le dita
sullo schermo, curandosi di comunicare alla sua vittima il valore che
ha appena inserito: «Settecento.»
Per
quanto Gadreel si prepari, il dolore riesce comunque a sopraffarlo.
La seconda scarica è
più intensa e devastante della prima, e
stavolta l'androide non riesce ad evitare di urlare più forte che
può, fino a non avere più voce, mentre la vista gli si appanna e i
suoi pensieri si addensano di errori - rallentano, vanno in crash. La
corrente elettrica schiocca nel suo sistema e nel suo corpo, reso
ipersensibile e irrimediabilmente vulnerabile.
Le
urla e la confusione, prevedibilmente, attirano curiosi; una porta si
spalanca di colpo, sul fondo della stanza, e Taddeus interrompe la
scarica e si volta per vedere chi abbia avuto il coraggio di
disturbarlo durante uno dei suoi giochi preferiti.
«Taddeus!»
Bartolomeo, un suo degno collega di torture, fa il suo ingresso con
un completo elegante e un'aria di rimprovero. «Vacci
piano, con quello. Il capo ha detto che dev'essere riprogrammato...»,
lo informa, serio.
Taddeus
agita una mano con aria seccata, come per scacciare via una stupida
mosca.
«Non
rompere, non l'ho mica rotto! Voglio solo giocare ancora un po'...»,
si giustifica, voltandosi e riprendendo a inserire valori sullo
schermo come se niente fosse.
Nella
nebbia confusa in cui sono sprofondati i suoi pensieri, Gadreel si
augura che tutto questo finisca presto.
«Taddeus.
Le informazioni,» gli intima ancora Bartolomeo, avvicinandosi per
ottenere la sua attenzione. Lancia un'occhiata distratta al robot
steso sul lettino – ne ha visti così tanti, nelle sue condizioni.
Questo sembra mezzo morto, e - Bartolomeo ne è
sicuro, - non reggerà ancora per molto. «Prendi
le informazioni, prima che fonda.»,
ordina infatti.
«E
va bene, noioso!» Taddeus
cambia rapidamente schermata, per infilarsi nella mente
dell'androide. Di solito non ci vuole molto. «Ma...» L'espressione
del torturatore cambia rapidamente, si fa perplessa e accigliata.
«... Che
razza di codice ha? Non riesco a entrare!»
Con gesti resi sgraziati dal disappunto, il cattivo prova e riprova,
per qualche minuto buono. Ma niente, non c'è
verso.
Gadreel
se ne sta disteso senza più muoversi. Le due scariche sono bastate
per annientarlo, e ha a malapena la cognizione di sé stesso, ormai.
Si rende conto che sta accadendo qualcosa, attorno a lui, ma non ha
né forza né lucidità a sufficienza per interessarsene.
«Che
nervi...!», sbotta Taddeus, tirando un calcio alla lettiga.
Bartolomeo
si affianca al suo compare, leggendo le anomalie che si addensano
sullo schermo. Ci sono parti di codice che non ha mai visto prima, in
effetti. «Aumenta
la carica... Ma solo un altro po'. Quando sarà abbastanza debole,
non potrà più opporsi... E sarà più facile violare il suo
sistema,» suggerisce,
senza alcuna traccia di compassione.
Taddeus
gli rivolge uno sguardo obliquo e inferocito:
«...
E cosa pensi che stessi facendo, prima che tu mi interrompessi?» Poi
digita di nuovo sul suo schermo: «Mille.»
Se le
prime due sono state tremende, questa... Questa è
decisamente troppo. Gadreel resta rigido e semi-incosciente, e non
smette di tremare neanche quando la scarica finisce. L'elettricità
residua lo fa sobbalzare, come se avesse le convulsioni.
«Allora?»,
chiede Bartolomeo.
«Ancora
niente.»
«Ma
non è possibile...!»
«E
invece a quanto pare sì!» Taddeus sbotta, contrariato per
l'anomalia che non riesce a comprendere. E poi si china sul robot
inerme, lo strattona e lo colpisce più volte sul viso, per tirarlo
fuori da quello stato di dormiveglia in cui sembra sprofondato. Le
palpebre dell'androide tremano, sugli occhi socchiusi. «Te
lo dico per l'ultima volta! Ti conviene parlare subito, Gadreel... O
stavolta farà davvero, davvero
male.»
Glielo ringhia in faccia, con tutta la furia di cui è
capace.
Gadreel
galleggia in una bolla in cui tutto giunge lontano, attutito...
Inoffensivo, come in un sogno.
«N-no...»
Non sa nemmeno lui dove abbia trovato la forza di collegare pensieri
e voce per dire quella parola. Ma è
tutta lì, la sua missione. Ribellarsi a qualcosa di sbagliato.
Insistere per difendere ciò in cui crede.
Sacrificarsi,
per un bene più grande.
«Come
vuoi.» La faccia di Taddeus è
una maschera gelata. È
la prima volta che qualcuno si ostina a resistergli fino a quel
punto. E, se non potrà ottenere quelle informazioni, allora sarà
anche l'ultima, pensa. «Milleduecento.»
«Taddeus,
è quasi il limite, rischi di--»
Bartolomeo cerca di fermarlo, consapevole dei rischi, ma Taddeus ha
già premuto il bottone.
«Zitto!»
La
scarica lo investe. Qualcosa
in Gadreel si spezza e si rompe, lo sgancia dalla realtà. Scivolare
in fondo alla bolla è facile – la strada è tutta in discesa. E
quello stato di inconsapevolezza automatica promette pace, serenità,
assenza di dolore... Quindi, perché no? Perché non abbandonarsi e
lasciarsi trascinare giù, giù, tra le braccia di quel sonno
confortevole? Ha fatto il suo dovere... Ha sofferto con onore. Ora
può dormire il sonno del giusto... Quello del martire.
Il
robot sussulta senza sosta, batte i denti come se facesse
infinitamente freddo. Una soluzione salina gli scivola dagli occhi
socchiusi, e i suoi due aguzzini aggrottano le sopracciglia in
contemporanea, di fronte ad un fenomeno a cui non hanno mai assistito
prima.
«E
adesso che succede?», chiede Bartolomeo, allungando una mano per
toccare le piccole gocce rotonde, che continuano a scendere. «Cos'è
questa roba?»
Nonostante
sia riuscito a spezzarlo, Taddeus è
ancora arrabbiato per non essere riuscito ad ottenere ciò che
voleva. «Non
lo so e non me ne frega niente... Questo idiota non si è aperto,
dannazione!» Colpisce con
un pugno il petto dell'androide, inutilmente. «Parla! Parla, avanti!
Dimmi
immediatamente tutto quello che sai o giuro che--»
«Zir...
Noco... Ied... Gadreel...»
Le parole escono roche, lente, come un automatismo. Escono senza che
Gadreel possa controllarle – senza persino che se ne accorga. La
parte cosciente del suo cervello non è
più in funzione. «Zir...
Noco... Ied... Gadreel»
«Che
diavolo sta dicendo?»
Taddeus non ci sta capendo più nulla. Nessun robot ha mai reagito
così, prima...
«Sta
ripetendo le stringhe del suo codice,»
risponde Bartolomeo, chino con le mani sulle ginocchia per esaminare
l'androide con distaccata curiosità. «Mi
sa che gli hai bruciato il cervello. Metatron non ne sarà
contento...»
«Non
se nessuno glielo dirà.» La minaccia nel tono di Taddeus è fin
troppo chiara. «Senti, io lo riprogrammo lo stesso. Poi se si
riprende, bene, sennò gli diciamo che non ha retto alla
riprogrammazione.»
«Come
ti pare...» Bartolomeo si stringe nelle spalle. Non che gliene
importi qualcosa...
«Zir
noco ied Gadreel...»
L'androide
ha gli occhi appena appena aperti. Non si muove più, e le sue parole
si fanno sempre più flebili.
«Sì,
sì, ho capito...» Taddeus si allontana per prendere un altro
strumento. È una specie di corta siringa metallica, con cui inietta
un virus nella centralina del robot inserendogli l'ago nel collo.
«Peccato, avrei voluto spingerti ancora un po' oltre...», confessa,
mentre sullo schermo appare la percentuale di completamento
dell'operazione.
Il
virus è stato sviluppato per diffondersi nel sistema degli androidi,
proprio come fanno le malattie con gli esseri umani. Distrugge le
informazioni pregresse e le riscrive, sostituendole in modo
sistematico con quelle volute da Metatron... Obbedienza, fedeltà
assoluta e spietatezza.
Quando
ha finito, Taddeus ripone lo strumento. «Mettilo con gli altri.
Quando si sveglierà, valuteremo i danni...», ordina, voltandosi,
senza più alcun interesse per il giochetto che non funziona più.
«Va
bene.» Bartolomeo si avvicina e, freddamente, slaccia una per una le
cinghie, liberando il corpo dell'androide ormai inerme. Gli passa le
braccia attorno al petto e lo solleva con facilità - è come
prendere in braccio un manichino, pensa, - e lo trasloca
su una sedia a rotelle cigola cigola cigola, cigola terribilmente e
senza sosta, mentre attraversano il lungo corridoio.
Il
cigolio è fortissimo, ma Gadreel non sente nulla.
|
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Capitolo 16 *** Capitolo Quindici ***
capitolo 15
Ciao a tutti!
Rieccomi
con un altro aggiornamento – sto approfittando di ogni occasione
per postare i capitoli e la mia presenza all'internet point, ormai
quasi fissa, sta cominciando a destare sospetti... Credo che il tipo
dietro al bancone si sia convinto che io abbia una cotta per lui, ma
non è vero! >.<
Comunque, dicevo: abbiamo lasciato il nostro eroe nel mezzo di
una bruttissima situazione, ed è
decisamente ora di vedere come farà a tirarsene fuori - Gaddy è
un po' lento a capire le cose,
ma senza dubbio ha molte risorse ;) E più
lo scrivo, più mi ci sto
affezionando, perciò non preoccupatevi per tutte le disavventure che
sta passando... Servono soltanto a prepararci per il gran finale!
Volevo approfittare di questo spazio per scusarmi della –
forse – strana impaginazione degli ultimi capitoli O.o Ho
riscontrato dei problemi di compatibilità tra il mio pc e questo da
cui sto aggiornando, così ho provato a sistemare il testo ma credo
che il risultato non sia proprio quello che speravo... L'anteprima
continua a mostrarmi dei paragrafi che sembrano scritti in caratteri
più piccoli. Se qualche utente sa
come rimediare, si faccia pure avanti! :)
Detto
questo, vi lascio al cap.
Buona lettura, e a presto!!!
A. ;)
CAPITOLO
QUINDICI.
Chiamata
in arrivo: FORNITORE.
Crowley
rotea gli occhi al cielo, allungando una mano per toccare lo schermo
e rispondere. A dire il vero, quello che ha registrato sotto quella
dicitura così anonima si può considerare davvero un
fornitore, dopotutto.
Di
rotture di scatole.
«Maaarv,
caro!» L'inglese mette su il suo
sorriso migliore – il più finto, il più smagliante. È quasi un
riflesso spontaneo, ormai: il tic del venditore. «Come stai? Sbaglio
o poco fa ci sono state delle... Come dire? Agitazioni,
dalle tue parti?»
La
faccia sullo schermo non è affatto cordiale.
«Come
sto??? C'è
mancato tanto così che quegli stolti mi catturassero! Ed è
proprio per questo che ti chiamo... Sai, quei sudici rivoltosi
avevano delle armi insolitamente simili alle nostre.»
Il basso dittatore mostra in primo piano una delle sofisticate armi
stordenti perdute dall'esercito ribelle. È facile leggere il dubbio
e l'insinuazione, nel suo tono. «Ecco, ne ho una proprio qui,
la vedi? Eppure mi avevi
detto che il brevetto era una nostra esclusiva, o sbaglio?»
«Certo
che sì, caro.» Crowley ha imparato che, per cavarsela, nella vita
bisogna fare soltanto una cosa: negare, negare, negare. Anche
l'evidenza. «Non capisco come posso aiutarti...?»
«Oh,
lo sai benissimo.» Metatron sembra ancora più brutto, quando è
arrabbiato. «Si dà il caso che l'unico
legame tra me e quei bastardi sia tu... Credo che tu mi debba
qualche spiegazione, Crowley.»
«Sono
desolato, Marv, ma non so proprio cosa dirti. Hai mai preso in
considerazione l'idea
che – forse – non
tutti i tuoi collaboratori ti sono fedeli come credi...?»
Nega: e, se non basta, dà la colpa a qualcun altro.
Metatron
stringe gli occhi, furibondo.
«Se
qualcuno ha tradito, la
pagherà.» Pausa e
occhiata storta. «Chiunque
sia stato. Odio i traditori-- Ah, e per la cronaca: non chiamarmi Marv.»
Fine
delle comunicazioni. Lo schermo torna nero, e Crowley si lascia
andare sullo schienale, tamburellando le dita sulla scrivania. Che
tempi, pensa. Non si può più
nemmeno far girare l'economia
senza incappare in rimostranze di tutti i tipi... Ed è
seccante, doversene occupare di persona.
Forse è
davvero il caso di aprirlo, quel centralino per il servizio
clienti...
«...
Vai a svegliare Charlie e Kevin. Avranno del lavoro extra da fare,
stasera...»
«Va
bene, allora vado ad aprire il passaggio per l'istituto...»
Le
voci e i passi che provengono dal corridoio sono i soliti del
dopo-missione.
«Ehi--»
Dean getta lo zaino da una parte, stancamente, ma quando poi alza lo
sguardo, si blocca. Decisamente, non è
preparato per questo. «... E tu che ci fai qui?»
Sam
se ne sta seduto con le braccia conserte sul tavolo, con la faccia
assonnata. Ha l'aria di aver
aspettato a lungo il ritorno della squadra, e Dean pensa di sapere
perché. Solo che... Be',
sperava di avere qualche altro minuto per prepararsi a dirglielo.
«Non
riuscivo a dormire, così ho preferito venire qui ad aspettare che
tornaste...» risponde il fratello minore, stringendosi nelle spalle.
«Allora, com'è andata? Li avete
recuperati?»
Dean
deglutisce, a disagio, intuendo il casino che si scatenerà di lì a poco.
«Uhm-- Be', bene... Li
abbiamo recuperati tutti...» Uno, due, tre. Dai, dillo e basta.
Tanto lo scoprirà lo stesso... «...Solo che ne abbiamo perso
uno.»
Sam
resta a guardarlo per un istante imbarazzato, mentre un presentimento
comincia a formarglisi nella testa. Solleva un sopracciglio, in
attesa. «--Dean, che ne dici di
argomentare? … Chi
avete perso...?» Lo chiede, ma ha l'impressione di saperlo già. Sam
ha imparato che gli eventi della sua vita, solitamente, seguono una
sola, semplicissima regola: se qualcosa può andar male, di sicuro lo
farà.
Dean
abbassa lo sguardo, colpevole.
«...
Gadreel.»
Bianco
e nero, e qualche sfumatura intermedia. Plafoniere spente... Cavi
penzolanti.
Questo
è il soffitto che Gadreel si trova davanti, quando a poco a poco si
sveglia, sbattendo le palpebre, senza riuscire a mettere bene a
fuoco. Gli fa male la testa... Gli fa male tutto. Ossa e muscoli
sembrano essersi fusi e ricompattati in un unico blocco doloroso. E
qualcosa di diverso... Estraneo, sconosciuto e ostile, ribolle
continuamente in un angolo buio della sua mente – come una voce che
sussurra ordini incomprensibili e terribilmente sbagliati. Gadreel
stringe le palpebre, cercando di allontanare quella voce... Di
escluderla dal flusso ingarbugliato dei suoi pensieri.
Il
robot geme flebilmente, riacquistando una vaga percezione di sé
stesso - troppo spaventato persino dalla sola idea di muoversi per
provarci davvero.
L'eco
sommessa di mugolii simili giunge attutita alle sue orecchie e il
robot impiega ben più di qualche minuto per rendersi conto di non
essere solo, nella penombra di quella stanza senza finestre. Sente
lamentarsi altre creature, attorno a sé, e chiama a raccolta tutto
il proprio coraggio per vincere il malessere e la nausea e scoprire
di cosa si tratti.
Ci
sono altri corpi, distesi su lettini ricurvi che sembrano gusci...
Altri androidi. Che si agitano lentamente, muovendo le braccia e
tirandosi faticosamente su a sedere. E tutti muovono le labbra allo
stesso modo, producendo un brusio indistinto che si fa via via più
chiaro ad ogni ripetizione.
«Per
Metatron, unico capo e unico dio...»
«Per
Metatron, unico capo e unico dio...»
«Per
Metatron...» Gadreel sente le tempie pulsare, mentre si unisce al
mormorio. Le parole gli scivolano dalle labbra come un riflesso
condizionato, ma suonano... Sbagliate.
Aliene. Una residua
porzione della sua coscienza se ne rende conto, ma quel corpo
estraneo che si è insediato nel suo cervello ora grida più forte -
lo obbliga a forzare la propria volontà e obbedire all'impulso. È
il virus che lo condiziona, che mangia i suoi pensieri e li
sostituisce con ordini di obbedienza e docilità. «... Unico capo,
e...» L'androide si morde il labbro, abbandonando la testa sul
lettino e artigliandosi al bordo. Non riesce quasi a capire cosa stia
dicendo, nelle condizioni in cui è, ma... Perché si sente così
sporco? Così... fuori
posto, mentre pronuncia
quelle parole? «... E unico--»
Il
virus gli ordina di alzarsi in piedi, ma lo stimolo non arriva fino
alle gambe e Gadreel si sporge più del dovuto, sbilanciandosi e
rovinando pesantemente oltre il bordo della branda con un gemito di
disappunto. Resta disteso sul pavimento, con la testa che bolle e che
gira, una guancia premuta sulla superficie fresca. Solo qualche
minuto... Solo qualche
minuto, chiede,
sconnessamente. Qualche minuto per sbrogliare quei pensieri così
dissonanti, per liberarsi da quella fastidiosa presenza estranea che
gli ordina di fare cose che non vuole. Soltanto qualche
istante... Per recuperare un po' le forze, per... Schiarirsi un po'
le idee...
I
suoi occhi grigioverdi sembrano diventati più scuri, per la
stanchezza e per tutto quello che ha passato. Il virus spinge per
tirarlo in piedi, ma Gadreel resta lì dov'è. Se la resistenza
passiva è l'unica arma che gli è rimasta, allora la userà, pensa
il robot vagamente. Non si muoverà mai più. Resterà per sempre
inchiodato su quel pavimento... Tutto, pur di non obbedire a
Metatron.
Guardare
il pavimento è un passatempo monotono, però, e ben presto Gadreel
sente i suoi pensiero farsi di nuovo frammentati. Continua a non
ricevere alcuna immagine dall'occhio danneggiato, ma davanti a sé
vede l'immagine sgranata della propria mano distesa. Ha le nocche
sbucciate... Chissà come
mai.
Sommari
ricordi di un'aggressione subita di notte, in cima a una collina,
riemergono nel buio... Sprazzi di avvenimenti.
Da
qualche recesso superstite della sua memoria, Gadreel vede
riaffiorare dei fotogrammi di qualcosa che non ricorda... o forse sì?
Non ha controllo sul flusso delle sue associazioni mentali: è come
essere immersi nel dormiveglia. Quanta forza occorrerà per mantenere
in vita quelle immagini prima che il virus le riscriva? … Quanto a
lungo potrà resistere, prima che la riprogrammazione cancelli ogni
traccia di ciò che ha vissuto nei giorni precedenti?
Mani.
Gadreel si concentra
sulle mani. Le sue mani tenute tra quelle di un'altra persona. Mani
sulla sua spalla... Segni di incoraggiamento, di amicizia, di
affetto. Facce che non ricorda... Che non riesce ad associare... Ma
che gli suscitano sensazioni di calore, di accettazione... Di
nostalgia.
A
fatica, puntellandosi sui gomiti e poi aggrappandosi alla struttura
di metallo del lettino, Gadreel si trascina in ginocchio, in piedi.
Ha ancora bisogno di appoggiarsi... La stanza oscilla
pericolosamente.
Attorno
a lui, tutti hanno sguardi vuoti ed espressioni neutre, e declamano
quel mantra che lui si è rifiutato di ripetere fino in fondo.
Guardano fissi in un punto, sembra che non facciano alcun caso a lui.
Gadreel
si massaggia la fronte, sottosopra. Non ricorda quasi nulla, ma c'è
qualcosa che non va... Cosa ci fa lui lì? Sente che non dovrebbe
essere in mezzo a loro... Dovrebbe essere-- Dove?
Già, dove?
Il
robot si guarda le mani, sperando di recuperare qualche indizio,
qualche traccia delle sensazioni che ha provato poco prima. Cosa
erano quelle immagini che per un attimo sono tornate in superficie
nella sua coscienza?
Mani
strette attorno alle sue, sopra un ripiano di legno, accanto a un
bicchiere pieno di un liquido dorato... Pacche sulla schiena, e
gomitate affettuose. Chi ha fatto tutto questo..?
Quando? E perché?
È accaduto davvero... O è soltanto
un prodotto della sua fantasia?
Sembrano
i ricordi di qualcun altro... Frammenti di una vita che non è
la sua.
D'un
tratto, la porta della stanza stride e si apre, gettando una
fastidiosa lama di luce all'interno.
«Ehi,
guarda, si sono già svegliati,» dice una voce. «Anche quello
rotto...»
Il
chiarore improvviso ferisce la vista già compromessa di Gadreel, che
deve coprirsi gli occhi con un braccio e barcolla, cercando di
muovere un passo in avanti. Non voleva farlo, ma anche gli altri
robot fanno lo stesso... Come se obbedissero a un comando silenzioso.
L'androide
non ha la minima idea di cosa stia succedendo. L'impressione di
trovarsi nel posto sbagliato rimane, ed è sempre più pressante –
ma la voce nella sua testa è divenuta frastuono, e Gadreel non ha la
forza di sopportarla ancora. Obbedisce, pur di metterla a tacere...
Stancamente,
imita ciò che fanno gli altri mentre la sua percezione dello spazio
e del proprio corpo si fa labile. Non ha più la forza di opporsi...
È stremato. Si unisce agli altri androidi e si dispone in fila,
anche se non ne ha voglia...
Lascia
che la confusione dei suoi pensieri rotoli dentro di lui senza un
ordine, come palle di neve che si schiantano sulla corteccia di un
albero.
«Per
chi combatti?»
«Per
Metatron, unico capo e unico dio.»
«E
tu, per chi combatti?»
«Per
Metatron, unico capo e unico dio.»
Vengono
condotti in un'enorme sala bianca e disposti in fila. Due ufficiali
tecnici passano di fronte ad ogni androide, verificano la risposta
neurale esaminando il fondo delle pupille con una sorta di piccolo
laser. La procedura è rapida e impersonale.
Uno
degli ufficiali si ferma di fronte a Gadreel.
«E
tu?»
«Per
Metatron... Unico capo e unico dio.»
No,
non è vero. Gadreel non
ci crede, mentre lo dice; ma fare ciò che fanno gli altri sembra
essere il modo più facile di cavarsela.
Qualcosa
non va, però.
L'uomo
in uniforme lo scruta per qualche istante ancora. E poi, ripete
l'ispezione, con enorme fastidio di Gadreel - La luce forte gli fa
venire voglia di chiudere palpebre, ma non può.
Gli
altri non lo hanno fatto.
L'ufficiale
tecnico esita, di fronte a lui. Qualcosa dentro Gadreel sussulta, ma
solo per un attimo - e all'esterno riesce a restare impassibile.
«Questo
qui ha il nervo ottico staccato. Portatelo a riparare,» dice infine
il soldato di Metatron, riponendo il suo strumento in una custodia.
Pochi
istanti, e due guardie lo prendono sottobraccio e lo conducono lungo
un interminabile corridoio di un bianco accecante. Gadreel ha
difficoltà a mettere un piede davanti all'altro,
ma cerca di non pensarci e camminare. Non pensarci.
Non
pensarci è l'unico
modo di non rallentare, di non farsi dichiarare inabile, di non farsi
disattivare.
«Siediti
qui e aspetta il tecnico,» gli dicono le guardie, prima di lasciarlo
da solo sul letto per le riparazioni di un piccolo stanzino.
Tutt'intorno a lui ci sono laser, cacciaviti, strumenti di
diagnosi...
…
Dove ha già visto quelle cose?
L'uomo
se ne sta chino e concentrato, seduto su uno sgabello di fronte a
lui. Sta saldando le giunture del ginocchio con tutta la cura e
l'attenzione possibile –
come un antico maestro di arti magiche o una divinità di una cultura
sconosciuta e sapiente, in grado di dare vita alla
materia inanimata. Gadreel lo osserva, come sempre.
Quietamente, con curiosità.
«E
quindi l'amore cos'è?»
L'argomento del
giorno, uno dei più grandi misteri dell'umanità.
«È
qualcosa che tiene unite le persone. Una cosa che fa fare
tante cose splendide.»
Chuck
assembla l'androide con accuratezza, prendendosi tutto il tempo
necessario per curare ogni dettaglio, e nel frattempo chiacchierano.
Del più e del meno, dei grandi temi così come di cose infinitamente
minuscole e trascurabili – ma non per la mente vergine di Gadreel,
portatore sano di un interesse inesauribile e a volte quasi
indiscreto.
«Ad
esempio?»
«Ad
esempio, aiutare gli altri. Proteggerli. Assicurarsi che non
manchi loro mai nulla. Mettere il loro bene prima del proprio...
Sacrificarsi, anche, se necessario.»
Perfezione.
Quella giuntura dev'essere la cosa più vicina alla perfezione che
sia mai stata creata. Con quelle gambe, Gadreel imparerà a camminare
e poi correrà. Porterà lontano, per milioni di passi, il sogno del
suo creatore. Potrà saltare e arrampicarsi... Andare a vedere come
sono fatte le cose.
«Che
vuol dire sacrificarsi?»
«Vuol
dire rinunciare ad avere qualcosa per se per darla a qualcun altro,
perche si crede che sia giusto così. Ci si sacrifica rinunciando a
un vantaggio personale... O rifiutando di percorrere la strada più
semplice, se ci porta nella direzione sbagliata. Ci si sacrifica
anche rinunciando alla vita, nei casi più
estremi.»
Il
ronzio sottile del laser è rilassante. Il robot attende qualche
istante, prima di formulare una nuova domanda.
«Perché
si arriva a questo punto?»
Chuck
solleva un angolo della bocca. Parlare con Gadreel significa
accettare di prendere parte a un infinito gioco
dei perché.
Lo scienziato percorre con entrambe le mani i componenti di
quell'articolazione che ha
appena assemblato, saggiandone la consistenza e assicurandosi che
ogni parte sia inserita in modo corretto.
«Perché
non sempre la vita ti rende le cose facili. Anzi: quasi mai, a dire
il vero. A volte ti mette di fronte a delle scelte che fanno soffrire
te o chi hai accanto. E allora... Allora è
facile dimenticarti chi sei. Ma c'è
una cosa che devi ricordare sempre, Gadreel...»
L'uomo solleva lo sguardo, incontrando quello chiaro e privo di ombre
della sua creatura. «La vera forza del bene si vede quando
tutto va male. È troppo
facile essere buoni quando è
tutto perfetto, quando ogni cosa funziona, quando le persone attorno
a te ti ricoprono di affetto e nessun turbamento ti sconvolge
l'esistenza. Ma è
quando non c'è nulla di
tutto questo, Gadreel, che si vede se il bene è
vero oppure no... Se è in grado di
resistere alle intemperie - come un melo dalle radici profonde, che
dopo la gelata sarà comunque in grado di dare frutto.» Gadreel non
dice niente, lo guarda come in attesa del seguito. «Alcuni, però,
quando le cose si mettono male, decidono che essere buoni non
conviene più e perdono
loro stessi. Perché
non ricordano più chi sono,
e qual è il loro compito.»
«E
quindi che succede?»
«E
quindi diventano cattivi. Si lasciano andare, perché
è più comodo
assecondare la piega degli eventi, invece che lottare per restare
coerenti con loro stessi - e magari rimetterci, per farlo. Ma
questo... Questo non è
inevitabile. Si può agire diversamente... Si può sempre
agire diversamente, Gadreel. Quando ti diranno che non c'è
altra soluzione, che devi rinunciare a quello in cui credi perché
ormai tutto il mondo va così... Tu lasciali parlare, ma non ci
credere. E aggrappati a quello che hai, aggrappati alla tua missione
con tutte le tue forze. Non fartelo portare via.»
Chuck
risospinge gli occhiali da lavoro sulla punta del naso, come ogni
volta che gli scivolano un po' giù, e poi riprende.
«Quando
ti diranno che non vale la pena sacrificarsi per qualcosa di buono,
tu non crederci. Ne vale sempre la pena, Gadreel. Che si tratti di
proteggere un intero pianeta o di salvare una singola persona... Il
bene ha un potere immenso. È
ostinato, combattivo. Più la
situazione sembra degenerare, e più
il bene si ingegna per resistere. È
una risorsa incredibile, sai... Per questo è
l'unica cosa che valga
davvero la pena servire.»
Le
pupille di Gadreel scrutano il volto del padre. Sono cariche di
esitazione, di aspettativa... E di uno sconfinato timore di non
rivelarsi all'altezza.
«E
se... Se mi dimentico? Se mi
perdo, come quelli che diventano cattivi?»
«Non
succederà. Tu hai qualcosa che non ho messo in nessun altro,
Gadreel. Spero che tu non debba scoprirlo mai, ma... Al momento
opportuno, io so che te ne ricorderai. Sei il mio figlio. Ti ho
creato con le migliori intenzioni, e con tutto l'amore
che possiedo. Conosco ogni più
profondo recesso della tua mente, ogni dettaglio dei tuoi
ingranaggi... E sulla base di questo, posso affermare con assoluta
certezza che tu sei la creatura più
pura che sia mai esistita dalla notte dei tempi fino ad oggi. E sei
anche forte. Perciò... Sì, probabilmente le tentazioni arriveranno.
Le difficoltà, anche. Ma tu ti ricorderai chi sei. Ricorderai cosa
vuol dire essere un servitore del bene. Io so che lo farai.»
Chuck
posa il laser e chiude le mani dell'androide tra le sue, sorridendo.
«Gadreel,
il male esiste: questo è innegabile. Perché
gli uomini talvolta non riescono a vedere oltre loro stessi, diventano egoisti, superficiali e cattivi. Ma tu non devi mai, mai
avere paura del male che potrai incontrare. Mai. Ricorda sempre
questo, Gadreel: è proprio
quando fa più buio che le
fiamme brillano con più
forza.»
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Capitolo 17 *** Capitolo Sedici ***
Capitolo sedici
CAPITOLO SEDICI.
«Di
pattuglia...? Adesso???»
Dean spalanca le braccia, esasperato. «È una follia! Non dovremmo
proprio muoverci-- Non subito dopo l'attacco, con il coprifuoco e le
guardie di Metatron che rastrellano i dissidenti e tutti i rischi che
conosci!»
«Allora
non venire con me... Ci penso da solo.»
Sam
si è già infilato la giacca, ha afferrato il primo zaino tattico
che gli è capitato a tiro e se lo è caricato su una spalla. Quando
suo fratello gli ha raccontato cosa era successo, c'è stato un breve
litigio – subito soppiantato dall'urgenza di rimettersi subito in
movimento, di attivarsi per andare a recuperare il robot disperso.
Non è colpa di Dean, se Gadreel è stato preso. Quello alle
comunicazioni è il primo incarico di
tutti i principianti, da
sempre... Quello meno rischioso. Nessuno poteva prevedere cosa
sarebbe accaduto. Nessuno, a parte Sam. Che un po' lo sapeva, un po'
se lo sentiva – dannazione,
Gadreel ce lo aveva scritto in faccia che non era pronto, - e
ora si lascia trascinare dall'agitazione, dall'impulsività e dai
sensi di colpa.
«Scordatelo.» Dean ha le sopracciglia aggrottate, la tipica
espressione inamovibile di quando decide che, se Sam vuole gettarsi
nel fuoco, allora tanto vale bruciare assieme a lui. Recupera dal
pavimento la sacca militare di cui si era disfatto soltanto poco
prima, - quando si era illuso di poter finalmente riposare un po',
per schiarirsi le idee prima di pianificare la prossima mossa. E
invece quella notte di combattimenti sembra destinata ad allungarsi
all'infinito, e Dean ormai sa che, come già accaduto per una miriade
di altre notti come quella, vedranno sorgere l'alba dalla strada –
da dietro il finestrino di una macchina, o accovacciati sul retro del
camion di qualche anonimo sostenitore, disposto a scarrozzarli in
giro sfidando il coprifuoco imposto da Metatron e rischiando di
essere arrestato.
Sam
tiene le mani strette attorno alla spalliera di una sedia, nervoso.
Sposta lo sguardo su suo fratello con una certa, sorpresa gratitudine
pensando che nonostante tutto - nonostante i litigi e le questioni
che hanno lasciato in sospeso negli anni, - Dean è sempre lì:
sempre accanto a lui, sempre pronto a saltare sul primo treno per
l'inferno e a prendere a calci in culo il diavolo, pur di
proteggerlo.
«Ti
ricordi quella base che avevamo scoperto lungo i confini?», chiede
il più piccolo, dopo un breve silenzio in cui una vecchia immagine
gli è ritornata alla memoria. Il ricordo di una piccola base di cui
nessuno conosceva l'esistenza, prima che i ribelli la scovassero –
anni prima, quando Sam ancora combatteva, - e di cui, da quando
Metatron si era insediato alla Robotics Industry, quasi tutti
sembravano essersi dimenticati.
Dean
si stringe nelle spalle, perplesso. «Sì... E allora?» Non ha idea
di dove Sam voglia andare a parare. Questa storia di Gadreel sembra
averlo scosso più di quanto voglia dare a vedere... Ma a Dean non
importa il perché. Se ritrovare l'androide
lo farà sentire meglio, allora lui lo aiuterà.
«Sicuramente
Metatron sarà fuggito e avrà bisogno di un posto in cui ripiegare,
no? È un buon punto da cui partire...» Più
che a suo fratello, Sam lo sta dicendo a sé stesso. Per convincersi
di avere davvero qualcosa
di concreto su cui ragionare... Qualche straccio di possibilità di
rimettere a posto le cose.
Ma
Dean lo riporta in fretta con i piedi per terra.
«E
poi? Anche se ritroviamo la
base, non è detto che Gadreel sia
lì. Senza contare che potrebbero già averlo riprogrammato, e--»
«E
quindi?» Sam è ancora teso, e parecchio. Ma Dean lo conosce fin
troppo bene, e sa che dietro tanta irrequietezza dev'esserci
qualcosa... Qualcosa che suo fratello non gli ha detto.
«Ti
senti in colpa, non è così? Cosa è successo che io non so..?»,
chiede il maggiore, con l'intenzione di indurre l'altro ad aprirsi un
po' e scaricare almeno parte di quella rabbia che sta visibilmente
reprimendo.
Colpito
e affondato. Sam non
risponde immediatamente. A volte si vergogna della facilità con cui
Dean riesce a leggere i suoi pensieri, come se tra di loro non ci
fosse alcun filtro - ma, d'altra parte, questa empatia gli risparmia
imbarazzanti spiegazioni e giri di parole... Specialmente quando si
tratta di cose di cui non ha alcuna voglia di parlare.
«Niente,
solo...» Il fratello più piccolo ha perso parte della sua
aggressività e ora tiene gli occhi a terra, incapace di ammettere
persino a sé stesso che sì, si sente terribilmente in colpa. Colpa.
Sarà colpa sua se
Gadreel non ritornerà, se-- Non
pensarci. Non pensarci nemmeno.
«Non posso abbandonarlo. È vero, io... Mi sono comportato male con
lui, e mi sento responsabile per quello che è successo. Ma posso
ancora rimediare, se lo ritrovo. Devo
ritrovarlo, Dean,
capisci?»
Ma
la domanda non ottiene risposta. E quando Sam solleva di nuovo lo
sguardo, incuriosito dal silenzio prolungato del fratello, si accorge
che Dean lo sta guardando con un'aria strana. Quasi... Divertita, ma
allo stesso tempo insolitamente accondiscendente - come quella di un
padre che vede cadere in modo ridicolo il figlio nel tentativo di
muovere i primi, goffi passi.
«...
Che c'è?», chiede dunque Sam, alzando un sopracciglio con aria sconcertata.
Ma
l'espressione di Dean non cambia: sta quasi sorridendo apertamente,
adesso.
«Niente,
è che...» Il maggiore scuote lentamente la testa, quasi
ridacchiando tra sé e sé. «...Qualcosa mi dice che le due famose
promesse di Sam Winchester
stanno vacillando, eh?»
Sam
avvampa all'istante, ma si sforza come può di non darlo a vedere.
«Non
so di cosa parli,» ribatte, meno stizzito di quanto vorrebbe. Dean
non lo sta prendendo in giro, anzi: sembra davvero
contento per lui. E vederlo sorridente distrugge qualsiasi traccia di
ostilità rimasta nel minore.
«Oh,
sì che lo sai. E una l'hai già infranta... Te lo leggo in faccia,
Sammy,»
insiste Dean, consapevole che l'altro – ovviamente – non
confermerà ma nemmeno smentirà.
Sam
tace, infatti. Osserva il viso di Dean colorarsi di una specie di
indulgenza speranzosa, prima che questi si stringa nelle spalle e
continui a parlare.
«...E
se per caso te la senti di cambiare idea anche su
quell'altra cosa...»,
aggiunge infatti il più grande, con lieve imbarazzo – non sa se
può spingersi davvero
fino a questo punto, ma vuole almeno provarci. «... Sappi
che il tuo posto è
sempre lì che ti aspetta. Ci sono ancora il tuo fucile e la tua
roba, nella tua stanza... E un armadietto con il tuo nome che aspetta
soltanto che tu lo riapra.»
Dean
è sereno e sincero, mentre gli propone di ritornare a combattere. È
passato molto tempo da quando si sono scambiati quelle parole
terribili, all'indomani della morte di Jess, e fino ad oggi non sono
mai riusciti ad affrontare l'argomento in modo pacifico. Ma forse...
Gli ultimi avvenimenti – l'arrivo di Gadreel per Sam, e
l'accettazione di Dean dei i propri sentimenti verso Castiel, - hanno
cambiato le cose. Li hanno resi più miti, più inclini al dialogo su
cose di cui prima non riuscivano a discutere senza finire a
picchiarsi a vicenda. In una parola: stanno imparando di nuovo ad
essere fratelli.
Messa
in questi termini, la questione non suscita in Sam il solito
istintivo, radicato senso di rifiuto e ribellione. Suona quasi
ragionevole, a dire il vero... Plausibile.
«Lo
so, Dean,» risponde infatti il più piccolo, con una calma così
ponderata e padrona di sé stessa che quasi non gli appartiene.
«Solo... Non credo di
volerne parlare, adesso.»
Tutto qui. Niente
più urla e litigi, soltanto la verità.
Dean
annuisce lentamente, permeato dalla stessa tranquillità. Il fatto
che suo fratello sembra essere passato da un secco no
a un semplice lo
so apre orizzonti di
possibili compromessi futuri... Di nuove soluzioni.
«D'accordo.
Solo... Ricordati che la tua roba è lì...» Breve pausa. Sospiro.
«... E anche io.»
Sam
accenna addirittura un mezzo sorriso, sorpreso dall'idea di esser
appena riuscito a parlare di combattimento
con suo fratello senza aver trasformato la stanza nella gabbia delle
scimmie urlatrici. È un bel progresso: non c'è che dire.
«Ci
penso, ok?»
«Ok.»
Dean giocherella con le chiavi della macchina, che tintinnano nella
tasca della giacca. Sembra molto meno stanco e più concentrato, ora
che si è tolto questo peso e forse – è solo un forse,
ma prima non aveva
neanche quello, - in futuro riavrà di nuovo suo fratello accanto, in
prima linea. Sorride, con una fresca determinazione.
«Allora...
Andiamo a salvare la principessa?»
Stordito,
scarico. Danneggiato.
Ecco
come si sente. E gli fa male la testa... Non riesce a ragionare. I
pensieri si accavallano nella sua mente bollente in modo sconnesso -
mozziconi di frasi che non hanno alcun legame di senso.
Gadreel
cammina al buio su una strada che non conosce. È
polverosa e deserta e priva di illuminazione - e l'androide
non riesce nemmeno a capire se stia andando dritto oppure no: quasi
una metafora della sua vita. Ma si ostina ad addentrarsi
nell'oscurità, cercando di
avvicinarsi ad un chiarore lontano che forse non raggiungerà mai, ma
che gli promette serenità.
Davanti
a sé, il prototipo scorge le
cime illuminate dei palazzi e i camminamenti sospesi che ha visto per
la prima volta dalla finestra dell'istituto,
assieme a Sam – ma sono soltanto sprazzi di memoria, immagini
sfocate: nulla di più. Se solo riuscisse a ricordare con più
precisione, forse potrebbe orientarsi e tornare lì... Ma già
soltanto il fatto che stia camminando è
un miracolo, nelle condizioni in cui è
ridotto.
Dovrebbe correre, lo sa: ma non ci riesce. Non
passerà molto tempo prima che le guardie di Metatron si precipitino
a cercarlo - e Gadreel è
consapevole di dover mettere la maggiore distanza possibile tra lui e
loro: ma è davvero troppo,
troppo distrutto. Ha appena la forza per continuare a camminare,
faticosamente, mettendo un passo storto dietro l'altro
– ostinandosi ad ignorare la sgradevole impressione che le gambe
possano cedergli in qualsiasi momento, obbligandolo a fermarsi. Ma,
anche se le energie minacciano di lasciarlo, l'ostinazione
lo mantiene in piedi: deve andarsene da lì. Anche a costo di
trascinarsi, anche a costo di strisciare, deve assolutamente
allontanarsi il più
possibile da quella prigione. E così avanza, traballante e
instabile, un passo alla volta. Con infinito dolore, con infinita
pazienza, lungo un cammino dissestato e sconosciuto.
Ci
sono rumori tutt'intorno,
sopra e sotto di lui. Ma di molti di quei suoni - soprattutto quelli
lontani della città, - Gadreel non riesce a spiegarsi la
provenienza, perché non li
conosce ancora. Sono tante le cose che non ha ancora visto... Quelle
che vorrebbe poter vedere.
Dal
terreno giunge come una vibrazione continua... E una considerazione
amara affiora alla mente dell'androide,
nonostante la confusione indotta dal malessere: la Città sotterranea
è enorme, ma lui non ha la
minima idea di come vi si acceda. Le entrate sono camuffate così
bene che nessuno è mai
riuscito a scovarle, in dieci anni di conflitti... Come pretende di
riuscirci, lui, così compromesso nel corpo e nei ricordi?
È
stanco. Vorrebbe soltanto lasciarsi cadere e non doversi preoccupare
mai più... O, almeno, questo
è ciò che farebbe se non fosse
così risoluto a sopravvivere.
Il
virus della riprogrammazione non smette mai di tormentarlo: cerca di
cancellare le informazioni del suo sistema e di scriverne di nuove -
spietate e corrotte. Sussurra nelle sue orecchie ordini terribili -
un brusio continuo e perverso, - lo tenta cercando di convincerlo ad
arrendersi... Ma Gadreel resiste. In qualche inspiegabile, inedito
modo, lui resiste come nessun altro ha mai fatto prima. Perché
non vuole. Perché sa
che, se glielo permetterà, quel virus lo trasformerà in qualcosa
che non vuole essere. Ma lui non vuole diventare un assassino, non
vuole essere un servo di Metatron. Ed è
faticoso, è doloroso e gli
costa energia, ma Gadreel proprio non cede. Non può tradire il
giuramento che ha compiuto... Non può tradire la propria natura, né
la promessa che ha fatto a Chuck.
Brilla
più forte, si
ripete, per darsi coraggio quando i piedi sembrano diventare
improvvisamente pesanti. Più
è
buio, e più la fiamma brilla
forte...
Le
parole del padre gli danno la forza di andare anche se le sue gambe
vogliono fermarsi. Se non fosse stato per quel ricordo, non avrebbe
mai trovato il coraggio di approfittare di quell'insperata
occasione – di quella porta lasciata incautamente aperta, nel
laboratorio, - per fuggire via. Ciò che Gadreel spera, ora, è
di avere sufficiente volontà per tenerla ancora accesa, quella
fiamma... Per non lasciarla soffocare.
Il
robot inciampa sui propri passi, ma per pura fortuna riesce a non
perdere l'equilibrio. È alterato, stremato, sottosopra. Tutto
intorno a lui ondeggia come se fosse su una nave...
Ha
voglia di cadere.
«Eppure
ricordo che era qui... Dannazione!»
Sam
impreca, sul bordo della strada, puntando la torcia nella porzione di
sterpaglia incolta che i fari accesi dell'Impala, accostata qualche
metro dietro di lui, non riescono a illuminare.
«Te
l'ho detto, è passato un sacco di tempo.» Dean è in piedi, un
braccio appoggiato al tettuccio dell'auto e l'altro sullo sportello
aperto del lato guidatore. «Potrebbero aver chiuso la vecchia
entrata... Oppure, la base potrebbe semplicemente essere caduta in
disuso.»
«Allora
continuiamo a cercare!», sbraita Sam, setacciando il terreno lungo i
confini di un piccolo bosco incolto. La notte è fredda e la brina si
addensa sulle foglie, facendole risplendere di luce riflessa.
«Non
c'è un altro posto dove cercare, Sam!», sbotta Dean, per tutta
risposta. Sono in giro da più di un'ora, ormai, e ogni minuto che
trascorrono in strada potrebbe costare loro molto caro. Hanno già
evitato le ronde dell'esercito di Metatron per un paio di volte, ma
la fortuna non li assisterà per sempre. «E poi ci stiamo
avvicinando troppo... Così rischiamo di farci catturare!»
«Ascolta,
tu resta qui. Io vado a cercare l'entrata
della base... Sono sicuro che fosse da queste parti. Forse più
avanti...» Sam si allontana ancora,
cocciuto. Non vuole lasciar perdere... Non può.
Ma
Dean non è dello stesso avviso.
«Smettila
di fare il testone, sali in macchina. Continueremo a cercare
insieme... Ma se non troviamo niente, devi promettermi che per
stasera la finiamo qui e riprenderemo le ricerche domattina. Non si
vede niente, con questo buio, e--»
All'improvviso Dean vede qualcosa emergere dalla boscaglia
disordinata alle spalle del fratello, e d'istinto punta la pistola
nel buio. «EHI,
FERMO!»
Una
luce accecante... Un brusio di voci che giungono soltanto a pezzi.
«...
Lui... Attento... Programmato...»
Gadreel
non ci sente più, non ci
vede nemmeno. La testa gira troppo velocemente.
È
finita, pensa. Sono le guardie.
Lo
riporteranno indietro. Questa volta lo disattiveranno...
No,
non è giusto.
«NO,
DEAN!»
Sam si frappone istintivamente tra suo fratello e la sagoma comparsa
dal buio. Lo ha riconosciuto subito, prima ancora di guardarlo in
faccia – e quasi non riesce a credere di essere davvero
riuscito a ritrovarlo, in
così poco tempo. «Mettila via! È lui... È Gadreel!»
Nonostante
l'imperativo del fratello minore, Dean continua a tenere l'arma
puntata. Ora che l'androide ha mosso qualche passo barcollante sul
bordo della strada, finendo nel cono di luce dei fari, lo ha
riconosciuto anche lui.
«Che
diavolo ci fa qui fuori???» domanda Dean, confuso. Ma poi la sua
attenzione si sposta di nuovo su Sam, che si sta avvicinando
all'androide in maniera fin troppo incauta – e l'istinto di
protezione del fratello maggiore risorge, con la stessa forza di
sempre. «No, Sam, sta' attento! Potrebbe essere riprogrammato--»,
cerca di avvisarlo, ma Sam è già ad un passo dal robot.
«Ma
non lo vedi come sta?» Il minore dei Winchester ha immediatamente
abbassato la guardia, quando si è reso conto delle condizioni
dell'androide. Non riesce più a preoccuparsi di salvaguardare la
propria incolumità, ora che ha constatato di prima persona che
Gadreel sembra seriamente necessitare di cure urgenti e tempestive.
«Se anche fosse riprogrammato, cosa pensi che potrebbe fare?»
«Meglio
non fidarsi...», insiste Dean, continuando a tenerlo sotto tiro.
«Forza, levati da lì.»
«Non
sparare!»
«Togliti
dalla linea di tiro, Sam!»
«Mettila
via! Ci penso io, adesso.» Sam è inamovibile, e continua a
intralciare la traiettoria per proteggere il robot – con estremo
disappunto di Dean. Gli si avvicina, mostrandogli le mani disarmate,
in cerca di un contatto... Anche se Gadreel sembra troppo stordito
per rendersi conto di lui e di quello che sta accadendo.
«Gadreel...
Ehi, Gadreel, mi senti? Sono
Sam... Gadreel, guardami...»
…
Può soltanto tentare di difendersi.
Quando
si sente afferrare, istintivamente l'androide
scatta - non vuole tornare da Metatron, non vuole tornare nelle mani
di Taddeus, - cercando di colpire alla cieca. Ma ha appena il tempo
di provarci che subito qualcosa lo investe e lo colpisce forte, in
mezzo al petto, con una potenza tale da staccargli i piedi dal suolo
e scaraventarlo all'indietro.
Qualcuno urla qualcosa, ma Gadreel non sente quasi più
nulla. È come paralizzato.
L'impatto è
stato duro, e la botta che ha ricevuto gli ha lasciato addosso
l'impronta di una sensazione bruciante...
Il
colpo di grazia.
Il
robot annaspa, nel panico, cercando di portare le mani al petto per
capire cosa sia successo. Ma non riesce a coordinare i movimenti, ha
le dita addormentate e un formicolio insopportabile si estende dalla
testa ai piedi, come se avesse assunto un forte anestetico. I
pensieri deragliano all'improvviso
- per la paura, la debolezza e il dolore.
Si
sente sempre meno presente, sempre più
lontano...
«Dannazione,
Dean! Ti avevo detto di non sparare!»
«Ma
ti stava attaccando! Non è
in grado di riconoscerti, Sam!»
Il
fratello maggiore abbassa l'arma, mentre il minore si inginocchia
accanto al corpo del robot disteso sull'asfalto.
«Gadreel...»
L'umano si china
sull'androide, prendendolo tra le braccia. Lo tocca con estrema delicatezza,
nell'irrazionale timore di
potergli fare male semplicemente esercitando una lieve pressione in
più. «Gadreel,
ehi, guardami...», lo
incita, voltandogli gentilmente il viso per poterlo osservare.
L'androide trema e brucia. Ha
gli occhi annebbiati, tra le palpebre socchiuse, e geme debolmente
dalle labbra pallide. Sfiorandolo, Sam percepisce la ruvidezza di
un'imperfezione sotto il
pollice, scoprendo un taglio che parte dall'occhio sinistro e gli
apre lo zigomo. Qualcuno lo ha colpito... E anche questo è
tutta colpa mia, pensa
l'uomo, sentendosi sprofondare.
«Non
voglio, non voglio... Non voglio...»
Sam
deve avvicinare l'orecchio alle sue labbra, per capire le parole che
il robot continua a farfugliare, con un filo di voce, agitandosi in
evidente stato confusionale. Un ruscello spontaneo di lacrime scorre
dagli angoli degli occhi grigioverdi, arrossati e allucinati. «Non
voglio--»
La
sofferenza non dovrebbe appartenere a quel tipo di creature, pensa
Sam. È una prerogativa delle persone, e non delle macchine. Eppure,
così tremante e vulnerabile, Gadreel sembra più umano di quanto
dovrebbe, e Sam lo stringe un po' di più a sé, ingabbiandolo tra le
braccia a facendogli posare la testa sulla propria spalla.
«Mi
dispiace... È tutta colpa mia...» L'uomo cede all'istinto di
accarezzargli teneramente i capelli e il viso, premergli un
bacio sulla fronte calda. Vorrebbe poter tornare indietro e agire
diversamente, evitargli tutto questo dolore... Essere onesto con lui
e con sé stesso, non
comportarsi mai più in
maniera così egoista come ha fatto.
Il
rumore secco della portiera che sbatte, e Dean si avvicina ai due con
passi misurati, cauti. Ora sono tutti e tre inquadrati dalle lunghe
luci dei fari dell'Impala - unico chiarore su quella strada
abbandonata.
«Come
sta? Portiamolo all'istituto. Charlie e Kevin lo rimetteranno a
nuovo...», dice il maggiore, senza riuscire a stabilire in alcun
modo la gravità della situazione. Non è lui che si occupa di queste
cose. Ma Charlie e Kevin sono riusciti a compiere veri e propri
miracoli con i loro androidi...
Sam
scuote la testa. «Ho paura che sia troppo tardi...», mormora, senza
smettere di accarezzare e guardare l'androide. Teme davvero che ogni
istante possa essere l'ultimo
- e che, se distoglierà lo sguardo anche solo per un brevissimo
attimo, quando tornerà a posare gli occhi sul viso del robot, lo
vedrà fermo... Immobile.
Ma
Dean insiste, lo scuote per una spalla, incitandolo a non darsi per
vinto.
«No
che non è tardi!»
Il fratello maggiore si guarda attorno, sincerandosi che la loro
presenza, e la breve confusione che hanno sollevato, non abbia
attirato le guardie di Metatron nelle vicinanze. «Non
possiamo restare qui... Forza, andiamo, portiamolo via.»
…
Luci rosse e viola dietro le palpebre chiuse. Adesso non c'è
più nemmeno la terra...
Forse qualcuno lo sta sollevando, o forse sta solo sognando tutto. Ma
gli androidi sognano, poi?
Gadreel
non lo sa. Tutto ciò che sa, tutto ciò che importa, è
quel lieve contatto che ha percepito, pochi istanti prima. Caldo,
delicato. Gentile... E pieno di rimorso. Ma confortante... Una
sensazione familiare.
Qualcuno
lo ha toccato, ma senza cattive intenzioni. Che fossero carezze,
quelle che ha sentito addosso?
Gadreel lo spera davvero. Spera che qualcuno possa riuscire a
perdonarlo, che possa aver pietà di lui nonostante abbia fallito in
ogni singola azione che compiuto – che ha provato a
compiere...
Quel
fantasma di carezza è
l'ultima cosa a cui l'androide pensa, prima che tutto si spenga all'improvviso.
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Capitolo 18 *** Capitolo Diciassette ***
Capitolo 17 - risveglio di Gadreel
Ben ritrovati!!!
Le
ferie – e quindi l'internet
point chiuso >.< - mi hanno costretta ad una pausa estiva
forzata, ma rieccomi qua con un capitoletto di “riscaldamento”
prima di riprendere con il ritmo consueto... :)
Abbiamo lasciato i
nostri dopo un attacco alla base di Metatron e abbiamo scoperto che,
per la prima volta, un robot – lo sfortunatissimo Gadreel - è
riuscito a resistere alla riprogrammazione... Come?
Perché? Cosa ha messo di così
speciale Chuck nei suoi robot? E come
reagiranno i “supercattivi” della storia?
A
queste e ad altre domande troveremo delle risposte nei prossimi
capitoli... Nel frattempo, ci sono un sacco di altre faccende di cui
i nostri personaggi dovranno occuparsi – legate al passato, alla
famiglia e a vecchie cicatrici che, con un po' di coraggio, forse
riusciranno a superare.
Ringrazio
tutti voi che avete letto/ricordato/preferito/recensito questa
storia, e che – spero – vi siete chiesti che fine avessi
fatto...! :) Vi offro virtualmente una gassata a testa e vi auguro,
come sempre, buona lettura!
A.
:)
CAPITOLO
DICIASSETTE.
Sette ore dopo.
Sam
è lì da ore, seduto su una sedia
accanto al letto. In attesa.
Il
mattino inonda di luce la piccola stanza dell'istituto, rischiara il
bianco panna e il verde acqua delle pareti, il legno chiaro della porta, il
metallo opaco delle macchine... E il profilo di un viso a cui l'uomo
si è affezionato in fretta, e che ha temuto di non poter rivedere
mai più.
Gadreel
dorme. Quasi come un essere umano. E un po'
lo sembra, così morbido e quieto, sdraiato nel suo letto con
la coperta tirata su fino al petto. Il termine tecnico per indicare
questa particolare fase, in cui il sistema azzera le sue funzioni per
autoripararsi, è shut
down. E questo è già il
secondo che l'androide si trova ad affrontare, dopo la Caduta... Sam
non se l'è sentita di lasciarlo da solo. Il ricercatore ha schermato
l'intera ala dell'Istituto, per maggiore sicurezza, in modo che le
guardie di Metatron non riescano a rilevare la presenza del robot in
alcun modo. Alla base dei ribelli, Gadreel sarebbe rimasto da solo su
una branda, in una piccola stanza senza gli strumenti adatti a
sostenerlo: qui, invece, ha a disposizione la presenza costante di
Sam e, a rotazione, quella di Charlie e Kevin. E poi, un letto vero,
un apparecchio per il monitoraggio... E, soprattutto, la luce del
sole.
È
la luce del sole che accarezza piano i tratti del robot, i suoi capelli spettinati,
disordinati sulla fronte, e le guance appena appena dorate da un velo
sottile di barba... Che gli sfiora piano il viso come Sam non ha più
avuto il coraggio di fare. Vorrebbe poter avere il diritto di
scivolare con i polpastrelli sulla curva di quelle sopracciglia
chiare - poter infondere distensione e tranquillità nella mente
danneggiata, al di sotto di quella fronte che ancora scotta un po'
e dietro quelle palpebre chiuse...
Ma
non ce l'ha, questo diritto.
Perché tutto questo è
colpa sua: Sam non riesce a smettere di pensarci. Gadreel non si
sarebbe mai trovato in queste circostanze, se non fosse stato per il
suo egocentrismo... Per il suo timore di affrontare la vita. Si è
comportato in modo avventato e orribile, e ora una creatura innocente
e dolcissima ne sta pagando le conseguenze – forse permanenti.
Nessuno sa come ne uscirà, se
riuscirà a cavarsela e soprattutto come.
Quella per la propria sopravvivenza è una battaglia che Gadreel deve
combattere da solo...
E
vegliarlo è tutto ciò che Sam può fare per lui.
***
Ventiquattro ore dopo.
Ogni
tanto lo vede muoversi - piccoli movimenti quasi impercettibili che
passerebbero inosservati a chiunque, ma non a qualcuno preoccupato e
teso come lui. E quei trascurabili aggiustamenti lo rassicurano sul
fatto che Gadreel è ancora presente, è ancora in grado di reagire -
e ci sta provando davvero.
Sam
gli siede accanto, con le braccia conserte posate sul bordo del
letto, proprio accanto al corpo dell'androide. Lo osserva, mentre
sentimenti discordanti gli si addensano nel petto. Le loro mani sono
vicinissime... Basterebbe soltanto allungare un po'
le dita, per poter ristabilire un contatto. Ma il senso di colpa è
forte, fortissimo, e Sam si chiede se Gadreel accetterebbe di farsi
prendere per mano, dopo... Dopo tutte le cose che gli ha detto.
Probabilmente no.
Ma
anche il desiderio di comunione è inarrestabile: e alla fine, dopo
qualche minuto di riflessioni, l'uomo cede. Intreccia la propria mano
con quella dell'androide, nel timido tentativo di trasmettergli
conforto e rassicurarlo sul fatto che non è solo. Gadreel
ha davvero delle belle mani - forti ma proporzionate, dalle dita
affusolate, - e Sam attende così per ore, custodendole tra le
proprie.
Quando
il sole raggiunge l'apice, finalmente, Gadreel apre gli occhi.
«Gadreel...?»
Una
voce, lontana, chiama il suo nome. Un chiarore sfocato. Una
sensazione di morbidezza... Di accoglienza.
Risvegliarsi
è come riemergere dal fondo
di una scatola piena di ovatta... Nuotare nella gommapiuma. Ma non
c'è nulla che Gadreel
desideri di più che tornare
ad essere... Tornare ad esistere.
Il
torpore ancora gli avviluppa il corpo e la mente, ma i pensieri
fuligginosi già vanno schiarendosi.
Gadreel
a poco a poco schiude le iridi grigie. Ha l'aria stanca, e persino
gli occhi un po' cerchiati - impossibile, per un robot. Ma, dopo qualche istante di visibile
disorientamento, finalmente sposta lo sguardo sul ricercatore – e,
non appena lo riconosce, sulle sue labbra sottili compare un lento
sorriso che Sam sa essere frutto del dormiveglia, e quindi
assolutamente sincero e spontaneo.
«Sam...»
Il
sollievo è come un'onda, che travolge il cuore dell'uomo seduto
accanto al letto e lo rende improvvisamente leggero. Sam sorride,
sorride e sembra quasi sul punto di mettersi a saltare di gioia;
invece resta seduto, entrambe le mani strette attorno a quella del
robot, e lo guarda con infinito intenerimento, dopo averlo vegliato
per interminabili ore di agitazione e di attesa. Vorrebbe allungarsi
su di lui e abbracciarlo, senza dire nulla, e restare così
all'infinito – ma aspetterà, per questo, e soprattutto accetterà
qualunque cosa Gadreel gli dirà, se non sarà d'accordo.
«Ehi...
Come ti senti?» Sam se ne sta aggrappato alla sua mano come ad un
salvagente. È difficile contenere l'apprensione nella voce.
Gadreel
si muove piano sotto le coperte, come per riprendere padronanza di
sé. Poi richiude le palpebre per qualche istante, sospira.
«Meglio...
Grazie Sam,» risponde – più
lentamente del normale,
nota con ansia Sam; ma poi si ripete che lo stato di eccessiva
rilassatezza è un fenomeno piuttosto comune, dopo uno shut down.
«Tra
qualche ora starai ancora meglio, vedrai. Va tutto bene... Sei
all'Istituto, sei al sicuro,» cerca di rassicurarlo l'uomo – anche
se, a dire il vero, sembra più che stia tranquillizzando sé stesso.
Gli sembra un miracolo che Gadreel sia lì, presente e vigile, e che
sia in grado di riconoscerlo e di parlare con lui – quando,
soltanto qualche ora prima, Sam aveva sentito gli occhi pungere di
lacrime, guardandolo, con il terribile presentimento che non ce
l'avrebbe fatta.
Sul
volto dell'androide quel sorriso lieve resiste, tenace e mite; e Sam
si chiede quanto possa essere grande il cuore di Gadreel – se
ne avesse uno, - per
permettergli di sorridere così, con dolcezza e gratitudine, alla
persona che è in gran parte colpevole per l'esperienza terribile che
ha appena vissuto. Sembra solo immensamente felice di essere vivo, Gadreel.
«M-mm--»
Il sonno preme di nuovo sugli occhi del robot, che però sembra
intento a lottare per non assopirsi di nuovo. Così sembra proprio un
bambino – un bambino che si ostina a restare sveglio, a dispetto
della stanchezza che lo assale, per ascoltare il termine della
favola. Ma ne ha bisogno: deve riposare il più possibile, per
potersi riprendere nel migliore dei modi.
Il
ricercatore lancia un'occhiata ai valori sullo schermo del
monitoraggio, trovandoli tutti perfettamente bilanciati. Gadreel sta
bene, ora: deve soltanto lasciarlo sonnecchiare un altro po'.
«Dormi,
Gadreel. Prenditi tutto il tempo che ti serve,»
mormora Sam, per incoraggiarlo ad abbandonarsi di nuovo al sonno
senza opporsi. E poi, all'improvviso, qualcosa dentro di lui si
scioglie definitivamente: e Sam trova il coraggio di accarezzargli
timidamente una guancia, con estrema leggerezza - arrendendosi una
volta per tutte all'affetto che sente crescere, di minuto in minuto,
nei confronti di quella creatura.
Per
tutta risposta Gadreel inclina appena il capo di lato, inseguendo il
contatto con la mano di Sam fin quasi a chiuderla contro la propria
spalla. Un moto di gioia spontanea gli illumina i lineamenti e il
robot si lascia finalmente andare, riconoscente e felice per una
tenerezza inaspettata che arriva quando più ne ha bisogno.
Sam
lo osserva sorridendo. Per augurargli la buonanotte, gli sfiora
affettuosamente la fronte con un tocco così lieve da esser quasi
impalpabile.
«Sono
così felice di riaverti qui...», sussurra, commosso.
Ma
l'androide già dorme, e non può sentirlo.
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