Il re del Klondike

di giambo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1

 

Skagway, Alaska, primavera del 1896

 

 

“Skagway, Alaska!”

“Finalmente!” con un urlo liberatorio, il giovane lanciò l'ultima spalata di carbone dentro la macchina, l'ultima di migliaia e migliaia di spalate compiute negli ultimi dieci mesi, da quando aveva fatto domanda come macchinista per la Stella del Sud a Perth, in Australia.

“Quindi tu scendi qui.” non era una domanda quella del Vecchio. Probabilmente aveva avuto un nome anni prima, ma per tutti era ormai il Vecchio, l'eterno conoscitore delle caldaie della nave, colui che si diceva avesse fatto il giro del mondo più e più volte a bordo di quell'imbarcazione.

“Sissignore!” esclamò il giovine, pulendosi rapidamente il volto ed i capelli con uno strofinaccio unto e bisunto. “Sono 7500 miglia che spalo carbone. Ormai stavo cominciando ad annoiarmi!”

“E che cosa farai, una volta sceso a terra?” chiese l'altro, mentre abbassava lentamente la pressione delle caldaie. “In Alaska ci sono solo alberi, orsi affamati ed un freddo micidiale.”

“Che cosa farò?” sul volto sporco di fuliggine di Goku Bardacksson brillò un sorriso bianco come la più fredda neve del Nord. “Farò l'argonauta, che domande!”

Ed uscì dalla pancia della nave, pronto all'ennesima avventura.

 

Skagway. Nonostante il nome vagamente indiano, il più grande porto fluviale dell'Alaska non era altro che una trentina di case di legno, ammassate a ridosso di un misero molo, sotto il quale si stendevano decine di metri di terreno infido e paludoso. Lo spettacolo non era certo dei migliori, ma Goku non si fece troppi problemi: era giovane, aveva cento dollari in tasca, frutto dei suoi dieci mesi di fatiche sulle Stella del Sud, e l'aria fredda del Nord lo rinvigoriva. Dopo mesi passati accanto ad un fuoco perennemente affamato di carbone, quel posto sembrava il paradiso.

Una volta sceso a terra, il ragazzo si guardò attorno. Attualmente indeciso su quale fosse la mossa migliore da fare. La sua idea era di raggiungere il Klondike, la cui città principale era Dawson, il prima possibile, ma aveva lo stomaco desolatamente vuoto dalla sera prima. Certo, se avesse speso troppo denaro in cibo, poi correva il rischio di non potersi permettere gli attrezzi necessari per proseguire il suo viaggio.

Un odorino invitante, proveniente da un emporio poco distante, fugò ogni dubbio.

Troverò un modo! Sorridendo, Goku entrò, deciso a riempirsi la pancia con un piatto caldo di minestra.

 

 

Skagway.

Crilin McKame si appoggiò ad un albero, con espressione soddisfatta, mentre osservava la cittadina d'innanzi lui. Era il centro abitato più grande che vedeva da oltre sei mesi.

Ne ho fatta di strada per arrivare qui, ma ne è valsa la pena. In realtà mancava ancora molto al Klondike, suo vero obiettivo, ma l'idea di aver percorso così tante leghe a piedi in appena qualche mese era confortante. Il moro rabbrividì al pensiero delle innumerevoli settimane passate a districarsi tra le foreste innevate. Purtroppo, possedere un cavallo non era nelle sue misere possibilità economiche. Ovviamente, non appena fosse diventato ricco, un cavallo purosangue sarebbe stato tra i suoi primi acquisti.

Entrò in città, fermamente deciso ad acquistare il necessario per raggiungere il Klondike il prima possibile. La notizia della scoperta di oro lungo il corso del fiume Yukon era recente, ma presto si sarebbe diffusa in ogni angolo del Canada e degli Stati Uniti, attirando da quelle parti la peggiore feccia delle Americhe. Aver viaggiato d'inverno gli aveva dato un certo vantaggio, ma ora non doveva sprecarlo.

Una volta in città, Crilin si trovò davanti ad uno spettacolo curioso: un uomo stava caricando frettolosamente degli attrezzi da scavo in una canoa. Una volta piena, saltò a bordo, spingendo l'imbarcazione verso nord. Il tutto sotto lo sguardo annoiato di alcuni perdigiorno.

Un argonauta. Un rivale. Crilin accelerò il passo, deciso a rifornirsi il prima possibile. Tuttavia, gli abitanti, vedendo la sua reazione, ridacchiarono.

“Che avete da ridere?” domandò, fermandosi di malavoglia. Aveva i piedi doloranti per la lunga camminata notturna, l'ennesima, e non era dell'umore per accettare scherzi.

“Non serve che corri, argonauta.” rispose un tizio magro come un ramo secco, con due baffi di un biondo sporco a solcargli il volto scheletrico. “Quel tipo è uno yankee delle terre calde, e non andrà lontano.”

“Già, tempo due giorni e sarà di ritorno in paese... gonfio d'acqua.” aggiunse un secondo abitante. “Solcare le acque dello Yukon in pieno disgelo è pura follia. Quindi puoi pure prendertela comoda, ed uscire a piedi. Da queste parti, cavalli e barche non fanno molta strada.”

Crilin ringraziò per il suggerimento e ripartì alla ricerca di un emporio. Si diede dello stupido a non averci pensato prima: attraversare il Canada in inverno era stato duro, viaggiare per l'Alaska in primavera, a piedi, sarebbe stato un vero inferno.

Non ho altra scelta. Se torno indietro ritornerò alla vita miserabile che ho fatto per anni.

Crilin aveva trent'anni, ed era natio di una terra estremamente antica quanto povera: l'Irlanda. Aveva trascorso l'infanzia in uno sporco orfanotrofio alla periferia di Dublino, dove cibo e calore erano un miraggio. All'età di quattordici anni era stato sbattuto fuori, in quanto troppo grande per essere mantenuto. Tuttavia, il giovane ci aveva messo poco a capire che la sua terra natia non aveva niente da offrire, tranne che una vita di stenti. Dopo due anni passati a raccogliere torba, Crilin si era imbarcato come mozzo in una nave, in direzione dell'America, alla ricerca, come tanti altri suoi connazionali, di un po' di ricchezza. Una volta laggiù però, il giovane irlandese si era dovuto ricredere riguardo il famoso “Sogno Americano”: la corsa all'oro in California era finita da oltre trent'anni, l'epoca della frontiera era al tramonto, e l'intero paese stava vivendo un selvaggio, quanto iniquo, processo di industrializzazione.

Nonostante tutto, Crilin non si era perso d'animo e si era buttato in ogni opportunità che quel paese ribollente di sviluppo poteva offrirgli. Fece un paio d'anni come marinaio nel Missouri, prima di decidere di andare ad Ovest, in quanto ormai le barche erano superate come mezzi di trasporto. Giunse in Montana, dove divenne un cowboy, un lavoro che gli piacque subito. Poteva vivere in spazi aperti e magnifici, la paga era buona, e con mucche e cavalli aveva un buon rapporto. Per alcuni anni, il giovane irlandese fu felice.

Purtroppo, l'industrializzazione colpì anche quelle terre: i grandi allevamenti sparirono, lasciando posto a piccoli appezzamenti di terra coltivata. Crilin si trovò improvvisamente senza lavoro. Aveva 22 anni, un cavallo ed una pistola. Dopo tre mesi sia il cavallo che la pistola erano state vendute.

Fu costretto a dedicarsi ai lavori più umili: minatore di rame sulle Montagne Rocciose, cercatore d'argento sui Monti Luna ed infine operaio per una compagnia ferroviaria per quattro lunghi anni. A tutto questo, composto da una vita dura, meschina e priva di soddisfazioni, dovette aggiungerci l'odio ed il disprezzo degli altri per le sue origini. I cattolici irlandesi venivano visti con profondo disprezzo da parte dei protestanti e mormoni yankee, considerandoli alla stregua di bigotti, stupidi e privi di qualsiasi diritto. Dopo quattro anni passati a piantare binari nel deserto, per dieci centesimi l'ora, Crilin decise di darci un taglio con quella vita misera e senza alcuna possibilità di emergere. Sarebbe andato al nord, in Canada, dove avrebbe quantomeno ricevuto un trattamento paritario, senza alcuna discriminazione.

Una volta in Canada, dove i roventi venti desertici dell'Utah e del Colorado erano solo un ricordo, si mise a fare l'unica cosa che gli offriva il paese: il tagliaboschi. Una vita altrettanto dura, se non di più, a quella condotta fino a poco prima in America. Frustrato per il fallimento di ogni suo tentativo, il giovane irlandese, ormai trentenne, era tentato di tornare a sud, per darsi al banditismo, quando aveva udito voci parlare di una nuova corsa all'oro poco distante da dove si trovava: nel Klondike, in Alaska.

Ed ora era lì, con pochi soldi in tasca, tanti anni di fatiche alle spalle, ed un'unica speranza, l'ultima forse, di trovare un po' di quel benessere che aveva sognato per tanti anni, da piccolo, nella povera e sporca Dublino.

Dopo aver chiesto informazioni, si diresse verso l'emporio a passi lunghi e veloci. Quel posto non gli piaceva. Nonostante l'apparente tranquillità che vi regnava, Skagway era come una bomba pronta ad esplodere, e Crilin sospettava che tipologia di miccia ci fosse innescata.

Aveva appena avvistato l'insegna dell'emporio, quando avvennero numerose cose: tutte contemporaneamente.

La prima cosa fu un rumore di vetri infranti, la seconda un corpo molto pesante che gli cadeva addosso, la terza una scarica di insulti e maledizioni, tra le peggiori che si ricordasse, uscire dalla sua bocca.

Si liberò velocemente di ciò che gli era caduto sulla schiena, senza smettere di eruttare imprecazioni, solo per accorgersi che si trattava di un ragazzo alto, moro e muscoloso, che lo fissava sorridente.

“Ehilà amico, come va?” esclamò quest'ultimo, come se volare addosso alla gente fosse per lui un'abitudine.

Crilin aveva imparato fin da giovane che la dea bendata era cieca, e raramente lo degnava di qualche attenzione.

In compenso, tuttavia, la sfiga ci vedeva benissimo.

 

 

Goku non aveva idea di come fosse capitato in mezzo a quella rissa. Forse era stato colpa dei suoi mesi in mare. Dopo settimane passate a mangiare patate sempre più vecchie e sporche di fuliggine, il ragazzo si era fatto prendere un po' troppo la mano, arrivando a svuotare la dispensa della locanda dove era entrato.

“Beh, amico, sicuramente sei una buona forchetta.” osservò l'oste, una specie di orso con uno strofinaccio legato alla vita. “Ma dovrai darmi parecchi dollari per questo saccheggio.”

“Quanti?” chiese il giovane Bardacksson, pulendosi i denti con l'unghia del mignolo.

“Duecento dollari.” fu la risposta dell'uomo orso, presentando un conto lungo quanto il Missisipi.

Goku sobbalzò nel sentire quella cifra, rendendosi conto di essersi appena cacciato in un grosso guaio.

“Ehm, guardi, non per creare litigi, ma io non possiedo quella somma.” spiegò con fare angelico l'ex macchinista. “Tutto ciò che possiedo è appena la metà di quella cifra.”

“Allora finirai in gattabuia.” rispose subito l'oste, schioccando le nocche. “Ma prima ti faccio un massaggio alla faccia, lurido straccione! E questa volta offre la casa!”

Subito dopo, l'uomo-orso si ritrovò disteso a terra, con la faccia rivoltata con un calzino. Dieci secondi dopo gli facevano compagnia a terra altre tre persone. Trenta secondi dopo, oltre venti persone si azzuffavano, dando vita alla miglior rissa che Skagway avesse mai visto da molti anni a questa parte. Nonostante le risse fossero il suo pane quotidiano in Australia e Sud Africa, Goku preferiva evitare l'arrivo dello sceriffo, il quale stava già ansimando insulti fuori dalla porta. Alla fine, non volendo passare un paio di settimane nelle umide celle di Skagway, Bardacksson si buttò fuori dalla finestra, con il solo risultato di cadere addosso ad un piccoletto, il quale sputò fuori la sequenza di insulti più colorita che avesse mai udito.

“Ehilà amico, come va?” dichiarò sorridendo Goku, mentre una decina di persone inferocite usciva dal locale per dargli la caccia, schiacciando un indiavolato sceriffo.

“Guardate! Quel figlio di buona donna ha un compare!” esclamò uno degli assalitori. “Facciamo secco anche quel bastardo!”

“Ma si può sapere cosa diavolo...”

“Le discussioni meglio rimandarle a dopo.” esclamò Goku, senza smettere di sorridere. “Qua rischi l'allungamento del collo.”

Crilin si massaggiò le nocche, capendo che era praticamente fottuto.

“Immaginò che dovrò darti una mano.” sospirò. “Lurido bastardo! Non potevi finire addosso a qualche altro disgraziato?”

Goku non rispose, essendo impegnato a cambiare i connotati di un invasato che l'aveva appena assalito armato di coltello. L'irlandese non lo interpretò come un buon segno, e cominciò a darsi da fare: quando spuntavano fuori i coltelli, significava che era giunto il momento di porre fine alla rissa.

Durò un paio di minuti, sufficienti ad indolenzirsi le mani. Crilin riempì di insulti le teste dure degli abitanti di Skagway, apparentemente le più coriacee che aveva avuto il piacere di massaggiare. Credeva di aver provato di tutto, dopo aver assistito e partecipato a numerose risse tra operai irlandesi e americani, ma la ferocia incosciente degli abitanti del Nord lo sorprese.

Alla fine, fu lo sceriffo, svuotando un caricatore in aria, a riportare la calma.

“Si può sapere,” sbraitò, la pistola ancora fumante in mano. “Per quale cazzo di motivo avete iniziato questa maledetta rissa? Pensavo che il carico di liquori proveniente da Whitehorse sarebbe arrivato settimana prossima!”

“E' colpa di quei due stranieri, sceriffo!” ululò l'oste, ormai ripresosi dal pugno di Goku, seppure ora più simile ad uno scoiattolo che ad un orso. “Sono due maledetti scrocconi, che vanno in giro a derubare la brava gente di Skagway!”

“Chiudi il becco, Morn!” berciò lo sceriffo. “Prima che Skagway ospiti della brava gente, l'inferno si gelerà! Ed ora vediamo questi due simpaticoni.”

Lo sceriffo di Skagway, un uomo imponente, biondo, con una lunga barba dorata, fissò in cagnesco il cercatore irlandese e il suo nuovo compagno di sventure, i quali tentarono di assumere la faccia più angelica del mondo.

“Non mi piacciono le vostre facce!” esordì il rappresentante della legge, grattandosi la pancia con il calcio della pistola. “Da dove venite, luridi scrocconi?”

“Dal Canada.” rispose Crilin, il quale vedeva i propri sogni di riprendere subito il cammino infrangersi ogni secondo che passava.

“Sono sbarcato oggi dalla Stella del Sud. Vengo dall'Australia.” spiegò con tono pacato il ragazzo più alto, apparentemente ignaro della gravità della sua situazione.

“Canada ed Australia? Dall'accento sembrate più europei.” replicò il biondo, pronunciando la parola 'europei' con il massimo disgusto possibile. “Immagino che veniate dall'Irlanda o da qualche altro pulcioso angolo di quel continente.”

“Sono svedese!” rispose Goku, stavolta offeso di essere scambiato per un irlandese. Anche lui aveva sempre udito storie non troppo edificanti su quel popolo.

“Davvero? Beh, anche mia nonna era svedese, e faceva la baldracca.” lo sceriffo rivolse il proprio sguardo verso Crilin. “E tu?”

Consapevole che dire di essere irlandese equivaleva a mettersi la corda attorno al collo, il giovane mentì spudoratamente. “Sono Scozzese. La mia famiglia è originaria di Glasgow.”

“Va bene, va bene, non mi interessa il vostro albero genealogico.” tagliò corto il rappresentante della legge. “Avete danneggiato un locale e disturbato la quiete pubblica. Dovete pagare i danni.”

“Quanto?” mormorò con voce flebile Crilin.

“250 dollari, e subito. Altrimenti vi sbatto in galera per due settimane.”

Crilin aveva in tasca non più di 200 dollari, e si sentì morire all'idea di farsi due settimane in cella. Tuttavia, con sua sorpresa, intervenne Goku, il quale mise in mano allo sceriffo tutti i propri soldi senza battere ciglio. Crilin aggiunse la differenza con sollievo, seppure consapevole che con ciò che gli rimaneva in tasca avrebbe potuto comprare solamente un piccone di seconda mano. Una volta ottenuto ciò che gli spettava, lo sceriffo se ne andò, facendo disperdere rapidamente la piccola folla.

Rimasti soli, tra i due giovani cadde un silenzio imbarazzante. Goku sembrava non rendersi conto di essere al verde, Crilin invece era livido.

“Allora...” esordì infine lo svedese. “Che cosa facciamo?”

“Parla per te!” ringhiò l'irlandese. “Per tua informazione mi hai appena rovinato! Ho passato l'inverno a soffrire come un cane per arrivare a Skagway in tempo, e ti è bastato un istante per rovinare tutto!”

“Oh, andiamo, non c'è bisogno di farla tanto lunga.” replicò l'altro, stiracchiandosi le braccia. “Puoi sempre trovarti un lavoro e guadagnarti ciò che ti serve.”

“Certo, come se avessi il tempo! Ti informo che l'estate è alle porte! Presto la voce che nello Yukon c'è oro si diffonderà. Tempo un mese, e questo posto verrà invaso da esaltati di ogni tipo!”

“Quindi anche tu stai andando a nord, a cercare l'oro.” osservò Goku, sorridendo con fare sornione.

“Vorresti farmi credere che anche tu sei un argonauta?” berciò scettico il cercatore più basso.

“Sì, e avrei un affare da proporti, caro il mio irascibile scozzese.” mormorò il moro, tirando fuori dalla giacca un mozzicone di sigaro e cacciandoselo in bocca. “Mettiamoci in società. Ora come ora non abbiamo i soldi per andare a nord, ma se uniamo le forze diventerà un'opzione fattibile.”

Crilin fissò dubbioso il ragazzo davanti a lui masticare tabacco, sorpreso da quella proposta.

“Non mi piace fare società.” rispose. “Il più delle volte va a finire che uno dei due ammazza l'altro, specie quando si tratta di oro.”

“Non ti piace rischiare?”

“No, se poi è il mio cadavere a finire in fondo al fiume!” replicò l'altro. “E comunque tu con quali fondi pensi di procurarti gli attrezzi? Da quello che ho capito, hai dato tutto ciò che possedevi a quel panzone di sceriffo.”

“Mio caro scozzese, dovresti saperlo che noi svedesi abbiamo sempre un asso nella manica.” con un ghigno, Goku tirò fuori dalla tasca dei pantaloni un piccola pepita d'oro purissimo, lasciando di stucco il cercatore irlandese.

“Se quello è un asso, io sono un cavallo.” esclamò. “E da quello che so, solo i bari hanno sempre un asso nella manica. Dove l'hai trovata?”

“In Australia. Mi dispiace separarmene, ma spero di trovarne di migliori su al nord.” l'argonauta più alto offrì la mano. “Allora abbiamo un accordo?”

Crilin detestava fare società con quel tizio. Era troppo pacato e rilassato per i suoi gusti, e per esperienza personale le persone di quello stampo erano le peggiori con cui fare affari. Tuttavia, doveva ammettere che non aveva scelta: o così, oppure attendere l'estate, con tutto quello che ne conseguiva.

“D'accordo, ci sto!” strinse la mano dell'altro con vigore. “Ma ti avverto: se provi a farmi uno scherzo e sopravvivo, vuol dire che non hai capito niente del sottoscritto. Ti farò rimpiangere di essere nato.”

Goku ridacchiò.

“Tenterò di non farlo, signor...”

“Per te sono solo lo Scozzese.” Crilin preferiva non rivelargli il suo nome, temeva avrebbe capito le sue origini.

“Piacere, signor Scozzese. Io sono Goku Bardacksson, originario di Malmo.” il ragazzo di Malmo fece roteare la pepita tra le dita. “Andiamo a procurarci i nostri attrezzi?”

“Fai strada... socio!”

Mentre i due nuovi soci si incamminavano lungo la via, dal fondo del paese si udì un grido, subito seguito da altri, ed altri ancora, fino a quando non assordò l'intera città.

“Oro! C'è oro puro su nel Klondike! Un filone ricchissimo nel Bonanza!”

“Oro puro?!”

“Oro!”

“Dicono che ci sia l'oro nello Yukon!”

“Io vado a nord!”

“Anche io!”

“Ci vengo pure io!”

“Aspettatemi, luridi bastardi! Vengo pure io a diventare ricco quanto la nipote baldracca di Lincon!”

Lo svedese giramondo ed il falso scozzese si fissarono in faccia per un lungo istante. Poi, all'unisono, scattarono verso l'emporio, alla massima velocità possibile.

La corsa all'oro del Klondike era iniziata.

 

 

CONTINUA

 

 

Dunque, alla fine, dopo mesi e mesi di silenzio, torno con questa long di stampo storico, ambientata all'epoca della corsa all'oro in Alaska, alla fine del XIX secolo. Chissà, forse aver letto troppe storie su Zio Paperone (e su come fece fortuna nel Klondike) mi ha fatto venire voglia di narrare una storia ai confini del mondo, al tempo delle ultime leggende, quando l'epoca della frontiera, dei cowboy, delle sparatorie nel deserto e le cariche dei Ranger erano ormai finite.

Ho voluto rendere i caratteri di Crilin e Goku leggermente diversi, più furbi, smaliziati, dato che da quelle parti, all'epoca della corsa all'oro, gli ingenui finivamo ben presto sottoterra. Tenterò di tenere i loro caratteri comunque il più simile possibile a quelli originari e lo stesso farò con i restanti protagonisti che verranno fuori in futuro.

Spero di riuscire a proseguire con costanza questa storia, e che possa piacervi.

Un saluto!

Giambo

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

 

 

Freddo.

Crilin non riusciva a pensare a nient'altro, mentre percepiva le proprie ginocchia bruciare come tizzoni ardenti, un contrasto bizzarro se avesse avuto il tempo per rifletterci. Sconsolato, l'irlandese volse lo sguardo attorno a sé, vedendo solo nudo ghiaccio.

Erano partiti da tre giorni. Lui e quello strano svedese si erano messi in marcia, carichi di attrezzi e provviste, verso nord, per lo Yukon. Per raggiungere quella regione, la pista più veloce passava per il passo dello Stambecco: un inferno di ghiaccio che li avrebbe accompagnati per oltre tre giorni. Non importava che fosse primavera, estate o inverno. Da quelle parti, raramente si andava sopra i cinque gradi centigradi. L'argonauta irlandese quasi rimpiangeva il fango denso e viscoso che li aveva accolti per i primi due giorni del loro viaggio. Poteva essere stato brutto, scomodo e puzzolente, ma almeno non era ghiacciato.

“Non credi che dovremmo trovare un posto dove accamparsi?” urlò Goku dietro di lui, cercando di sovrastare l'ululato del vento. “Tra poco tramonterà il sole!”

“Lo so!” replicò Crilin. Quest'ultimo aguzzò la vista verso l'alto, alla ricerca del valico che li avrebbe portati dall'altra parte, ma tutto ciò che vedeva era neve, scalini di ghiaccio, e nuvole scure che minacciavano il futuro del loro viaggio.

“Non vedo nulla che possa farci da rifugio!” dichiarò, girandosi. “Leghiamoci una corda attorno alla vita e proseguiamo! Forse avremo più fortuna andando avanti!”

Lo svedese si limitò ad annuire, troppo intirizzito per dire qualcosa. Era da quando aveva lasciato il suo paese natale che non provava così tanto freddo. Il Transvaal e l'Australia potevano essere stati posti pericolosi, ma almeno erano caldi. Dopo oltre dieci anni di vagabondaggio, Goku fu costretto ad ammettere di aver perso smalto nei confronti dell'inverno.

Una volta legatisi una corda alla vita, per evitare di perdersi, i due argonauti proseguirono, risalendo lentamente gli infidi scalini di ghiaccio, incastonati verso l'interno della montagna. Non era una via facile: il ghiaccio dava un appoggio infido, sia per le mani che per i piedi, e sarebbe bastata un piccola disattenzione per cadere nel vuoto o scivolare all'indietro. Una prospettiva che non piaceva a nessuno dei due. L'unico modo per andare avanti con una certa rapidità era di afferrare gli scalini davanti a loro con le mani, piantandoci le dita, issandosi goffamente facendo leva sulle ginocchia. Nonostante gli abiti pesanti, i due viaggiatori stavano provando un freddo terribile, oltre che pericoloso: la mancanza di sensibilità ai piedi ed alle mani era l'ultima cosa che serviva loro in quei frangenti.

Dopo circa un'ora, Crilin non aveva ancora visto nulla che potesse fornire loro un rifugio, e la cosa lo preoccupava. Il sole stava tramontando, e proseguire durante la lunga notte artica sarebbe stato troppo pericoloso. Alla fine, quando ormai sentiva di non poter fare un solo passo di più, l'irlandese arrivò su uno scalino leggermente più largo dei precedenti: lo prese come un segno per fermarsi.

“Ci fermiamo qui.” boccheggiò, mentre Goku arrivava anche lui sul piccolo spiazzo, ormai in carenza di aria. “Non sarà un rifugio, ma almeno potremo distenderci per dormire.”

“Senza un fuoco?” domandò lo svedese, asciugandosi la punta del naso gelata.

“Se riesci a trovare della legna fammi un fischio.” replicò sarcasticamente l'altro. “Tireremo fuori la tenda che c'è nel tuo zaino, e faremo dei turni di guardia. Il primo lo farò io.” in realtà, Crilin non avrebbe desiderato altro che un caldo letto dove addormentarsi in quel momento, ma non si fidava ancora del tutto del suo nuovo compagno di viaggio: preferiva tenerlo d'occhio il più possibile.

Goku si limitò a scrollare le spalle, iniziando a tirare fuori la tenda dallo zaino, salvo poi doversi accorgere dell'incapacità di fissarla sul terreno ghiacciato sotto di loro. Alla fine, i due argonauti tirarono fuori tutte le coperte che possedevano, creandone un unico giaciglio, da usare a turno.

“Forse avremmo dovuto seguire il corso del fiume.” mormorò Goku, mentre si sdraiava a terra. “Avremmo evitato quest'inferno di ghiaccio quanto meno.”

Crilin non rispose, preferendosi cacciare in bocca un mozzicone di sigaro ed iniziare a masticarlo. Era tutto il giorno che si chiedeva se avesse fatto il passo più lungo della gamba. Da quando la voce si era sparsa, sempre più gente si stava muovendo verso nord, alla ricerca di fortuna e ricchezza nello Yukon. Bruciare la concorrenza era fondamentale, per evitare che i terreni auriferi migliori finissero in mano d'altri. Il passo dello Stambecco fungeva al caso loro: in soli tre giorni avrebbero percorso l'equivalente di dieci giorni di marcia lungo il corso del fiume. Il solo problema era che l'attraversamento di quel valico montano era pericoloso anche d'estate. Percorrerlo in piena primavera, quando ancora la gelida morsa dell'inverno non era svanita del tutto, rappresentava un vero e proprio azzardo.

Goku si addormentò velocemente, sfinito dalla lunga scarpinata, mentre Crilin tentava di resistere al sonno in ogni modo. Addormentarsi in quei luoghi poteva essere pericoloso, perché c'era il rischio di non svegliarsi mai più. Conscio di questo pericolo, l'irlandese svegliava bruscamente, ad intervalli regolari, il compagno.

“Grazie Scozzese.” sbadigliò l'ultima volta l'argonauta di Malmo. “Ora cerca di dormire un po' tu. Tra qualche ora sarà l'alba.” Crilin non se lo fece ripetere due volte. Il suo cervello era troppo stanco per sospettare di qualcosa.

Lo notte trascorse lenta, tra brevi e scomode dormite, in un perenne stato di dormiveglia. Alla fine, quando ormai entrambi erano più stanchi di quando si erano accampati, il sole fece la sua lenta apparizione, donando un colore giallastro al mondo attorno a loro. Durante la notte il tempo era peggiorato, ed il rischio di nevicate era concreto.

“Da qui inizia la parte peggiore, temo.” osservò Crilin, durante la fredda e rapida colazione che si erano concessi. “La strada diventa più ripida, ed il tempo sta peggiorando. Sospetto che lassù ci imbatteremo in una tormenta coi fiocchi.”

“Non abbiamo molta scelta.” replicò Goku, fissando la cima ricoperta di nubi scure sopra di loro. “Giunti a questo punto, possiamo solo andare avanti.”

Rifecero rapidamente i bagagli. Poi, si misero in marcia, con Goku ad aprire la strada questa volta.

Come aveva previsto l'irlandese, il tempo peggiorò. Non passarono due ore che i primi fiocchi iniziarono a vorticare attorno a loro. Tempo un'altra ora, ed una vera e propria bufera si era scatenata, rendendo la visibilità quasi nulla. Se il giorno prima Crilin aveva creduto di avere freddo, ora era praticamente surgelato.

La salita prosegui molto più lentamente. Le fatiche del giorno prima li aveva infiacchiti, e il vento che ululava attorno a loro li sfiniva, disorientandoli. Il ragazzo più basso avrebbe proposto molto volentieri una pausa al compagno, ma non aveva abbastanza fiato per sovrastare il rumore del vento. Anche Goku, da come si muoveva, sembrava sfinito, eppure, per qualche motivo ignoto all'irlandese, non si fermò mai, proseguendo verso la cima.

Ad un tratto, difficile dire quando in mezzo a quell'inferno ghiacciato, il vento e la neve sembrarono diminuire d'intensità. All'inizio fu un cambiamento impercettibile, ma con il passare del tempo si poté percepire. Verso fine giornata, un grande silenzio arrivò attorno a loro, mentre gli ultimi raggi di sole della giornata brillavano sopra di loro. Il miglioramento del tempo diede nuova forza alle stanche membra dei due cercatori, i quali percorsero le ultime miglia della giornata con molta più leggerezza di tutte quelle fatte precedentemente. Alla fine, quando il sole era ormai tramontato da quasi un'ora, Goku trovò uno spiazzo più ampio di quello della sera prima, dove i due caddero addormentati in breve tempo, ormai spossati.

Il giorno dopo, il sole brillò alto sopra di loro. Fecero molta fatica a svegliarsi, a causa del freddo che li aveva intorpidito le membra. Dopo una rapida colazione, Goku sì legò la corda alla vita, passandola successivamente al compagno, con il chiaro intento di andare avanti lui anche quel giorno. Crilin glielo concesse senza battere ciglio: sapeva bene che il giorno prima era sopravvissuto soltanto grazie alla determinazione dello svedese.

Stranamente, l'ultima parte fu la meno ripida. Percorsero rapidamente le ultime miglia, con il sole che brillava sempre più intenso sopra le loro teste. Alla fine, quando era passato da poco mezzodì, i due argonauti arrivarono in cima, dove ad attenderli c'era un paesaggio di inqualificabile bellezza. Sotto i raggi del sole, la neve brillava come oro, mentre le nuvole si estendevano sotto di loro come un oceano bianco, con forme e dimensioni da levare il fiato. Quasi senza accorgersene, Crilin e Goku si sedettero a riposare, sorridenti, rapiti dalla bellezza di quel posto.

“C'è l'abbiamo fatta.” osservò infine l'irlandese, gli occhi che brillavano di gioia. Tutte le fatiche dei due giorni prima scomparivano d'innanzi ad un simile spettacolo.

“Già, siamo in cima al mondo.” mormorò Goku, il fiato che si condensava ritmicamente. Faceva un freddo terribile lassù, ma sotto il sole era sopportabile. “E' per cose come questa che scelsi di lasciare la Svezia.”

“Credevo fossi in cerca dell'oro.” replicò l'altro.

“Anche, ma quello che cerco principalmente è l'avventura. Possedere una vita avventurosa, all'aria aperta, con il sangue che ti pulsa nelle vene d'innalzi ai doni della Natura, tipo questo.” il volto del ragazzo di Malmo si illuminò più della neve mentre parlava. “Varrebbe la pena vivere anche cento anni in miseria, pur di assaporare un istante come questo.”

Tra i due calò un silenzio profondo, come solo in un luogo come quello poteva avvenire. Crilin era rimasto colpito dalle parole del suo compagno. Quando aveva parlato di una vita all'aria aperta, passando da un'avventura all'altra, il volto di Goku si era illuminato di pura gioia, qualcosa che neppure il migliore attore del mondo avrebbe potuto imitare, se non l'avesse sentita veramente dentro di se, scaldandogli il cuore.

Dopo un veloce pranzo, iniziarono la discesa. Il versante settentrionale del passo era più ripido ed accidentato, ma in discesa risultava abbastanza facile percorrere il terreno. Il tempo fu bello, ed il sole luminoso per tutta la discesa, quasi che la montagna avesse deciso, una volta messi alla prova, di lasciarli andare. Alla sera del secondo giorno di discesa, davanti a loro si estendevano i primi alberi di aghifoglie. Avevano lasciato dietro di loro il passo dello Stambecco ed il suo ghiaccio. Di ottimo umore per la riuscita dell'impresa, quella sera i due argonauti accesero un fuoco, concedendosi una cena calda come non capitava dalla partenza da Skagway.

“Bene! Dopo il passaggio del passo dello Stambecco, siamo a circa metà strada.” esclamò davanti al fuoco Crilin, osservando una consumata cartina, mentre la cuccuma del caffè bolliva. “A poche miglia da qui ci sono le sorgenti dello Yukon. Se seguiamo il corso del fiume, tempo una una ventina giorni e saremo a Dawson, da dove potremo poi inoltrarci nel Klondike, verso l'oro!

“Perché non ci costruiamo una canoa ed usiamo il fiume? Sarebbe più comodo.” osservò Goku, servendo il caffè ad entrambi.

“Perché adesso è primavera, ed è in atto il disgelo.” spiegò l'irlandese. “Le acque sono ribollenti e impetuose. Finiremmo a fare compagnia ai salmoni entro due giorni.”

“Capisco. Sembra che tu abbia dedicato molto tempo per organizzare questo viaggio. C'è qualche motivo in particolare, oltre al trovare l'oro, che ti spinge lassù?” domandò il grosso svedese, appoggiandosi ad un albero con la schiena.

Crilin non rispose subito. Sapeva che prima o poi quella domanda sarebbe giunta, ma nonostante tutti i pericoli corsi fianco a fianco sulla montagna, non si fidava ancora dell'uomo di fronte a lui.

“Fin da quando ero piccolo non ho conosciuto altro che povertà e miseria.” dichiarò infine. “Ho lasciato la mia patria quattordici anni fa, e da allora non faccio altro che arrabattarmi, per campare alla giornata.” si cacciò un sigaro in bocca, dopo averlo acceso con le fiamme del falò. “Sono stanco di questo genere di vita. Questa è la mia occasione per fare soldi, e non la voglio buttare via.”

Tra loro cadde il silenzio, ma Crilin lo ruppe quasi subito.

“E tu? C'è qualche motivo per cui hai deciso di lasciare la Svezia, oltre che cercare avventure?”

Anche Goku si accese un sigaro, aspirandone il tabacco con soddisfazione prima di parlare.

“Diciamo che mi annoiavo.” rispose. “Mia madre è morta quando ero piccolo, e mio padre era un semplice soldato, uno di quelli che non sai mai se tornerà a casa alla sera. La Svezia non è tanto diversa dalla Scozia, caro il mio Scozzese. Anche lì un uomo può morire di fame senza che nessuno muova un dito. Dalle mie parti si dice che per non morire di fame o si fa il bandito oppure il prete.” un sorriso illuminò il suo volto. “A me non ispirava nessuna di queste due carriere. Così, quando ho avuto 15 anni, ho salutato mio padre e me ne sono andato in America.” il ragazzo di Malmo si prese una pausa per aspirare del fumo. “Da allora ho fatto un po' di tutto, ed ho viaggiato molto: Stati Uniti, Indocina, Transvaal, Australia... poi ho sentito una voce che parlava di oro in Alaska, e così ho voluto fare un salto.” lo svedese sorrise. “Ormai sono dodici anni che ho lasciato la Svezia.”

“Pensi di tornarci un giorno?”

“E tu pensi di tornarci in Scozia?” domandò a sua volta Goku.

“No.” rispose seccamente Crilin. Il pensiero dell'orfanotrofio di Dublino era ancora radicato nella sua mente. “Non ho più alcun legame con quel posto.”

L'altro non rispose, limitandosi a fissarlo con sguardo penetrante per qualche secondo. Infine si girò, lasciando al compagno il primo turno di guardia. Crilin passò il proprio turno a tenere vivo il fuoco, per poi lasciarlo morire lentamente, mentre i suoi pensieri andarono verso un futuro di ricchezza ed agio.

Forse improbabile... ma forse no.

 

 

Dawson, due giorni dopo, Yukon

 

 

La porta del locale si aprì con un cigolio, lasciando entrare una zaffata di aria fredda, oltre che una persona. Quest'ultima si guardò attorno più volte, quasi volesse dare un giudizio all'ambiente, prima di incamminarsi verso il bancone.

Il locale 'Bolla D'Oro' era l'edificio più grande di Dawson. Tuttavia, nonostante questo titolo, non era altro che un sordido pub di legno scuro, con qualche tavolo, ed un bancone unto in fondo alla sala. In teoria aveva un secondo piano, ma la scala mangiata dalle tarme non assicurava particolare solidità. Tuttavia, il grande numero di attrezzi di lavoro sparsi per terra stavano ad indicare come i proprietari avessero intenzione di rimodellarlo.

“Un whisky.” grugnì il nuovo arrivato, appoggiando una moneta d'argento sul bancone.

Il barista era un ragazzo alto, magro, e con un volto accuratamente rasato. Lunghi capelli neri incorniciavano un viso affascinante, con due occhi di un azzurro limpidissimo. Indossava degli abiti consunti, ma puliti e stirati, che gli donavano un aspetto strano, come una macchia bianca su sfondo nero.

“Un Whisky!” ripeté con tono aggressivo il cliente. “E dimmi chi comanda in questa topaia!”

Nonostante il tono aggressivo e maleducato, il barista non si scompose. Servì il whisky, intascò la moneta d'argento, e riprese a pulire il bancone.

Il cliente, un uomo di media altezza, muscoloso e con una grande massa di capelli neri su cui spiccava un volto severo e dai tratti duri, ingollò il liquore in un colpo solo, appoggiando con forza il bicchiere sul tavolo.

“Uno schifo!” borbottò. “Il piscio degli orsi è più bevibile.”

Il barista sorrise, ma la cosa non sfuggì al secondo uomo.

“Perché invece di sorridere non mi dici chi comanda qua? Non ho tempo da perdere!”

“Se hai un paio di minuti lo scoprirai tu stesso.” replicò con tono amabile il ragazzo, il cui nome era 17. “In questo momento è occupata.”

“Vuoi dire che il proprietario di questa baracca è una femmina?!” c'era una lieve sorpresa nel tono del nuovo arrivato. “Questo potrebbe rendere le cose interessanti...”

La sua curiosità venne soddisfatta poco dopo. Con un'agile salto, una figura atterrò davanti ai due uomini. Era una donna magra, sui venticinque anni, di un'incredibile bellezza: era alta, oltre il metro ed ottanta, con capelli dorati che scendevano fino alle spalle, ad incorniciare un volto dalle sembianze perfette. Aveva il naso diritto, labbra sottili, ed una mascella leggermente marcata. Tuttavia, ciò che colpiva più di tutto erano i suoi occhi: di un azzurro così chiaro e freddo da competere con il cielo più remoto dell'Alaska.

“Siete voi la proprietaria di questo posto?” domandò il moro, per nulla impressionato dalla bellezza della ragazza.

“Sì.” replicò seccamente lei, il volto inespressivo. Indossava vestiti da uomo, e ciò sorprese moltissimo il suo interlocutore, seppure tentò di non darlo a vedere. “Chi siete?”

“Il mio nome non ha importanza, per ora.” rispose il moro. “Vorrei proporle un affare.”

La bionda ascoltò in silenzio ciò che il nuovo arrivato le propose, il tutto mantenendo un'espressione impassibile.

“Dunque lei vorrebbe aprire un tavolo da gioco nel mio locale, dico bene?” riassunse alla fine la ragazza.

“Esattamente. Presto a Dawson scorrerà molto denaro. Sarebbe un affare conveniente per tutti, signorina...”

“Goldie, 18 Goldie.” rispose con noncuranza la bionda. “Che dici, fratellino?” chiese successivamente al giovane dietro al bancone. Quest'ultimo, una volta chiamato in causa, appoggiò lo strofinaccio, unendosi alla conversazione quasi di malavoglia.

“Stiamo preparandoci a restaurare il locale, e di certo qualche soldo in più non fa male.” esordì con voce bassa e vellutata. “Nelle ultime settimane sono arrivate a Dawson più persone di quante se ne erano viste negli ultimi dieci anni. È innegabile che presto da queste parti ci saranno parecchi potenziali affari...”

“Stringi ragazzo!” sbottò l'uomo. “Accettate o no la mia proposta? Posso darvi il dieci per cento dei guadagni.”

“Ne voglio un quarto.” dichiarò seccamente 18. “Prendere o lasciare. O mi dai un quarto di quanto guadagni, oppure aprirai il tuo tavolo da gioco in fondo al fiume.” aggiunse, precedendo il moro, il quale stava già per replicare.

L'uomo ci pensò per qualche secondo prima di rispondere.

“Accetto.” rispose seccamente. Si vedeva chiaramente che l'accordo non lo soddisfaceva, eppure si arrese facilmente. “Nei prossimi giorni un mio uomo di fiducia verrà per installare l'occorrente.”

Fece per andarsene, ma 17 lo bloccò.

“Non ci ha ancora detto il suo nome.” osservò il fratello moro, con voce pericolosamente morbida. “Non crederà che daremo la nostra fiducia ad una persona di cui non conosciamo neanche il nome, spero.”

Il moro si voltò, osservandolo con disgusto per un istante. Poi, un sorriso maligno gli deformò il volto.

“Il mio nome?” ripeté, con voce bassa. “Vegeta Prince. Tientelo a mente bamboccio, perché presto qui a Dawson lo sentirete molto spesso.”

E non solo a Dawson!

Quando Vegeta Prince uscì, i due fratelli si fissarono negli occhi, rimanendo in silenzio per alcuni istanti.

“Credi che sia stato un buon affare?” chiese infine 17.

“E' un lupo.” osservò 18, tirando fuori una sigaretta ed accendendosela. “E come tutti i lupi ha zanne e pelliccia. Lasciamo pure che lustri la pelliccia. Sarà compito nostro poi scuoiarla.”

Il sorriso che sfoderò 17 fu molto più sanguinario e crudele di quello sfoderato da Vegeta Prince pochi istanti prima.

Le cose si fanno interessanti...

 

 

CONTINUA

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

 

 

Rabbia.

Vegeta Prince ne aveva provata tanta nel corso della sua vita. Era un sentimento che l'aveva accompagnato così spesso che sapeva esattamente, in ogni istante, quando essa sarebbe emersa di nuovo. Anche ora, seduto a riflettere, la percepiva latente dentro di lui. Addormentata, ma pronta a risvegliarsi in ogni istante.

Non era una rabbia vulcanica, violenta e devastante la sua. Raramente perdeva il controllo della ragione. La sua rabbia era fredda, più fredda del ghiaccio dello Yukon. Una lama d'acciaio che brandiva fino a quando non otteneva ciò che l'avrebbe placata... momentaneamente.

Passandosi tra le mani un sigaro, il moro rifletteva su ciò che l'aveva portato in quei luoghi ai confini del mondo. I suoi occhi caddero proprio su quest'ultimo: corto, morbido, con la carta marrone arrotolata su un'estremità per facilitare l'inalazione del fumo. Il classico sigarello che usavano i minatori, i cowboy ed i cercatori. Tabacco di bassa qualità che, all'occorrenza, poteva anche essere masticato.

Fu nell'osservare quel comune oggetto che Vegeta Prince percepì la rabbia iniziare a ribollire nel profondo del suo animo. Che un uomo come lui fosse ridotto ad usare gli stessi oggetti utilizzati dalle categorie più umili e miserabili della società umana era qualcosa che lo urtava profondamente. A volte non sapeva cosa detestava di più: se la società in cui viveva, o i suoi stupidi antenati, che l'avevano ridotto a barattare la sua dignità in cambio di un po' di benessere.

Vegeta Prince era nato in Inghilterra, ma nessuno sapeva di preciso quando la sua famiglia era giunta sull'isola. Le storie che la sua famiglia si tramandava da generazioni però, volevano che il primo Prince a mettere piede sul suolo inglese fosse stato un vassallo di Guglielmo il Conquistatore, il quale lo ricompensò per i suoi servigi con una vasta terra dalle parti della città di York, in Northumbria. Da allora, la storia del regno inglese e quella della famiglia Prince si era legata in modo indissolubile: un Prince era stato alfiere di Riccardo I in Terra Santa durante la Terza Crociata, così come fu un Prince a firmare la Carta Magna con la quale i nobili del Nord deponevano la monarchia assoluta di Giovanni Senza Terra. I successivi secoli segnarono la massima egemonia della famiglia di Vegeta: ci fu un Prince tra i nobili che guidarono l'esercito inglese alla vittoria contro i francesi nella battaglia di Azincourt del 1415, al seguito di Enrico V, così come furono i Prince a rivestire un ruolo importantissimo nella Guerra delle due Rose: consapevoli che tale guerra dinastica avrebbe portato all'estinzione di molte delle più antiche e potenti famiglie inglesi, i Prince caldeggiarono molto lo sposalizio tra Enrico VII (primo sovrano della dinastia Tudor) ed Elisabetta di York. Il matrimonio tra il trionfatore della guerra dinastica, ed una cugina di primo grado del capostipite della famiglia Prince permise ad essi di uscire dalla guerra al fianco dei vincitori, prendendo possesso di terre, ricchezze, potere e prestigio. L'epoca dei Tudor segnò l'apogeo della famiglia Prince, la quale dominava, seppure da fedeli vassalli della corona, quasi tutto il territorio Northumbro, con York che divenne città simbolo del loro potere.

Tuttavia, come tutte le cose, anche il dominio dei Prince ebbe fine. Con la morte di Elisabetta I nel 1603, la corona inglese passò agli Stuart, sovrani di Scozia, i quali per secoli avevano guerreggiato con i Prince al confine tra i due paesi. Gli stessi antenati di Vegeta avevano sempre fatto un vanto della loro casata l'aver ucciso ben quattro sovrani scozzesi. La salita al trono inglese di uno di loro non poteva portare altro che guai ai ricchi signorotti di York. Durante i quaranta anni di regno degli Stuart, l'ostilità della corona influì molto sul potere dei Prince, che si videro privati di numerosi privilegi e terre.

Nel 1640, con lo scoppio di una cruenta guerra civile tra monarchia e parlamento, i Prince subirono il colpo di grazia: costretti, seppure di malavoglia, a supportare re Carlo I, la disfatta dei monarchici, con la successiva salita al potere di Cromwell, leader dei parlamentari, sancì per la famiglia di Vegeta la fine di ogni gloria: durante il ventennio repubblicano, gli antenati di Vegeta furono spogliati di ogni bene, terra e privilegio, riducendosi ad una modesta famiglia borghese, la quali sfruttò gli ultimi patrimoni famigliari per costruirsi una posizione di un certo rilievo a Liverpool, come mercanti. Con il ritorno nel 1660 degli Stuart al trono le cose non cambiarono: alla Corona andava più che bene che il potente feudo dei Prince, ormai anacronistico, fosse sparito per sempre.

Gli anni successivi videro la famiglia di Vegeta arrabattarsi in un mondo sempre più monopolizzato dalla borghesia. La scelta di stabilirsi a Liverpool non fu sbagliata, essendo quest'ultimo uno dei porti più importanti del regno. Nel corso del XVII e del XVIII secolo, i Prince navigarono in numerosi paesi, arricchendosi come mercanti, e servendo come ufficiali la gloriosa flotta inglese: fu Vegeta I, ammiraglio della flotta inglese in India, a conquistare ciò che sarebbe diventato il cuore dell'impero britannico in India. Il futuro della famiglia Prince e della Compagnia delle Indie si legarono profondamente, grazie ad una serie di potenti rampolli che servirono sotto la bandiera di quest'ultima il regno inglese. Tuttavia, così come la Compagnia aveva portato in alto la famiglia di Vegeta, così essa la fece sprofondare con un declino lento e costante. La rivoluzione industriale rese i velieri obsoleti, e coloro che investivano in essi altrettanto. Colpita nei punti cardini del proprio successo, la famiglia Prince dichiarò bancarotta nel 1855, e da allora sparì per sempre dai libri di storia dell'Inghilterra.

Ed ora lui era a Dawson. Vegeta V, 33 anni, pochi soldi in tasca, un'infanzia difficile ed un passato glorioso alle spalle che esigevano vendetta. E lui, come ultimo discendente di tale famiglia, aveva il dovere di riportare in auge il nome della sua casata.

Il bussare alla sua porta lo riscosse dai suoi pensieri. Portando una mano al cinturone che portava alla vita, Vegeta diede il permesso di entrare. Lasciò il calcio della pistola solo quando vide l'ingombrante figura di Napa fare il suo ingresso nella stanza. Immenso, muscoloso e completamente calvo, seppure portatore di una barba mal rasata contornata da due baffi sottili, la figura di Napa era resa ancora più inquietante dai pesanti abiti di grezzo cuoio che indossava, che gli donavano l'aspetto di un orso perennemente infuriato.

“Vegeta, noi abbiamo finito. Se vuoi scambiare due chiacchiere con lui, questo è il momento.”

“Arrivo.” replicò con tono monocorde l'inglese, alzandosi e seguendo il compagno nella stanza accanto. Qui, legato ad una sedia, c'era un uomo che teneva la testa appoggiata al petto. Un secondo tipo stava appoggiato allo stipite della porta, fumando un sigarello. Portava i capelli, nerissimi, lunghi fino alla vita. Aveva il volto rovinato da una brutta cicatrice, occhi scuri e malevoli e le guance coperte da un filo di barba. Era di costituzione robusta, seppure non quanto Napa, e pure lui indossava abiti grezzi di cuoio.

Vegeta svegliò con un calcio il tizio seduto. Quest'ultimo emise un gemito, mentre Prince si accovacciava per poterlo fissare negli occhi: aveva il naso maciullato, gli occhi pesti, ed il volto ricoperto di ecchimosi. La labbra erano spaccate, e da come respirava Vegeta era convinto che avesse anche un paio di costole rotte.

“Vi avevo detto di suonargli la musica, non di ridurlo ad una poltiglia.” osservò con tono gelido.

“Può parlare, tanto basta.” replicò Napa.

Vegeta lo freddò con un'occhiata che avrebbe fatto scappare a gambe levate un orso. “Se non vuoi finire in pasto ai maiali, ti conviene limitarti ad eseguire i miei ordini. La tua testa non è fatta per pensare, Napa. Prima lo impari, più a lungo vivrai.”

Il bestione calvo borbottò alcune scuse biascicate, mentre l'uomo appoggiato allo stipite sogghignò.

“Piantala di fare l'idiota, Radish.” osservò seccamente Prince. “Il discorso fatto a Napa vale anche per te.”

Accese con uno zolfanello il sigarello che teneva in mano, cacciandolo successivamente in bocca al tizio pestato.

“Fuma.” ordinò. “Ti scioglierà la lingua.”

“Io... Io...” il poveretto provò a dire qualcosa, ma Vegeta lo precedette.

“Tu ora uscirai da quella porta, andrai da un dottore a farti dare due bende e poi andrai al nuovo ufficio di registrazioni e concessioni minerarie, dove sei stato appena assunto. Una volta lì, ti metterai al lavoro e mi riferirai di qualsiasi concessione mineraria che verrà rilasciata.”

L'altro provò ancora a parlare, ma Vegeta, sfoderando un sorriso da lupo, lo interruppe di nuovo.

“Se rifiuterai, non esisterà nessun segaossa abbastanza bravo che sarà capace di rimettere al posto giusto le tue schifose membra.” osservò con voce bassa. “Che cosa decidi?”

L'uomo, un tipo sui trent'anni, smilzo e con una gran massa di capelli rossi, non poté fare altro che annuire.

“Bravo ragazzo.” dichiarò Vegeta, alzandosi in piedi e regalando un paio di buffetti in faccia al suo prigioniero. “Radish, accompagna il nostro nuovo amico da un dottore, e pagagli la visita. Se l'è guadagnata.”

Radish sputò via il sigarello. Senza smettere di sogghignare, andò a slegare il malcapitato. Mentre i due uscivano, Vegeta si accese un secondo sigarello per sé. Non gli piacevano, in quanto gli ricordavano troppo la feccia con cui era costretto a convivere, ma sarebbe durato poco tutto quello.

Che presto a Dawson avrebbero iniziato a scorrere fiumi di oro e di denaro era scontato.

Che quelle ricchezze, valevoli un biglietto di ritorno per l'Inghilterra da trionfatore, sarebbero finite tutte nelle sue tasche era altrettanto scontato.

Dawson è mia.

 

 

Un mese dopo, Yukon.

 

 

Dawson.

Crilin e Goku la fissarono da distante. Dopo oltre un mese di viaggio erano finalmente giunti a destinazione. La città che ben presto sarebbe diventato il più turbolento, selvaggio e feroce insediamento a nord dell'Equatore, all'arrivo dei due argonauti non era altro che una decina di case di legno accalcate attorno alla riva sinistra dello Yukon, con altrettante in costruzione, su cui spiccava un grosso locale in ristrutturazione.

“Siamo arrivati, infine.” osservò il cercatore svedese, sorridendo stancamente. Crilin non poté che essere d'accordo con lui. La sua previsione di seguire il corso del fiume in venti giorni si era rivelata estremamente ottimistica: il disgelo primaverile, unito al numero sempre più crescente di gente che accorreva nello Yukon aveva ridotto la strada ad un ammasso continuo di fango denso, viscoso ed appiccicoso, che li risucchiava verso il basso senza pietà. La loro marcia si era trasformata ben presto in un lento avanzare, con giornate intere spese a percorrere poche miglia, perdendo così il vantaggio accumulato con il superamento del passo dello Stambecco. Ormai era maggio inoltrato, e Dawson si stava espandendo a vista d'occhio, con sempre più persone che arrivavano dal Canada e dall'Alaska. La corsa all'oro stava entrando nelle fasi cruciali e non potevano più permettersi ritardi.

“Ci fermiamo qui per stanotte? Io sono distrutto.” domandò Goku, stiracchiandosi le spalle, indolenzite dal peso dello zaino.

“Fermarsi in quel covo di lupi? Scordatelo.” replicò seccamente Crilin, grattandosi la barba. Era da più di un mese che non se la rasava ormai. “Segnati dove sono situati l'emporio e l'ufficio per la registrazione delle concessioni minerarie. Dopo andremo subito verso nord. In fondo, il sole calerà soltanto tra due ore.”

“E le provviste? Quelle acquistate a Skagway sono finite da un pezzo.”

“C'è selvaggina nello Yukon, senza contare che in estate pesci, bacche e radici abbondano. Abbiamo pochi soldi, vediamo di non sprecarli in quel posto.” rispose Crilin. “E un ultima cosa: stammi vicino.”

Lo svedese rimase sorpreso da quella affermazione.

“Cos'è, ti sei affezionato a me?” esclamò con un sorrisetto sulle labbra.

“Se vuoi finire in fondo al fiume fai pure.” borbottò di rimando l'irlandese. “Tuttavia, gli attrezzi che porti sulla schiena mi servono. Quindi, fino a quando tu li trasporti, mi servi vivo.”

Presero il sentiero che portava in città, una linea rossa ricolma di fango ed escrementi che tagliava in due il terreno. Ai lati della strada, qua e là, erano presenti ancora tracce di nevischio miste a fango. Ben presto, gli odori della città arrivarono alle loro narici: un misto di escrementi, sudore, tabacco, legna bruciata e crine di cavallo. Un odore che solo le città in piena espansione possedevano. Il rumore di seghe, martelli e risate sguaiate si alzavano fino al cielo, unito ad imprecazioni ed urla di rabbia.

“Mi sembra un posticino allegro.” osservò Goku, guardando intorno la gente costruire frettolosamente una casa dietro l'altra. Parevano formiche che si affrettavano ad innalzare un nuovo formicaio.

“Bellissimo.” borbottò Crilin, il quale era abituato ai luoghi selvaggi e senza legge. Ne aveva attraversati parecchi lungo il Mississipi e durante la sua esperienza da cercatore e minatore, per non parlare dei turbolenti accampamenti degli operai della compagnia ferroviaria. Sapeva per esperienza che in questi luoghi era pericoloso sostare, specie durante la notte, quando un coltello poteva tagliare una gola senza rumore. Non che da quelle parti ci fosse molta differenza dall'usare lame al posto delle pistole: Dawson era priva di un avamposto delle giubbe rosse, e difficilmente il governo canadese avrebbe trovato guardie a cavallo disposte a mantenere l'ordine in quel frenetico luogo che era lo Yukon, specie ora che la peggiore feccia a nord del Messico si stava radunando tutta lì, in quella larga ansa del fiume Yukon.

Mentre attraversavano la via principale, un immenso tappeto di fango, escrementi e liquidi di scarto, passarono davanti anche alla grossa costruzione che avevano visto in lontananza. Qui i due argonauti si accorsero della grande insegna, nuova di zecca, che troneggiava dietro alle impalcature di legno, dove la gente lavorava freneticamente.

“'La Bolla D'Oro'.” lesse, non senza qualche fatica, Crilin, decisamente arrugginito rispetto ai tempi delle letture in orfanotrofio. “Deve trattarsi di un locale.”

“Sta venendo su bene.” constatò il socio, sorridendo. “Qua dentro, se sei ricco, puoi essere un re.”

“E il giorno dopo accorgersi di essere uno straccione.” replicò gelidamente l'irlandese. “E' una trappola mangia-soldi. Non mi sorprenderei se truccassero le roulette o altro.”

“Non ti piace il gioco d'azzardo?” domandò Goku. “Io lo trovo simpatico.”

“Nessuna persona con un minimo di cervello può pensare di poter fare fortuna grazie ad un gioco.” rispose l'altro, sistemandosi lo zaino. “Dai, andiamo a cercare l'emporio. Voglio uscire da questa fetida città.”

Fu questione di un attimo. Una figura uscì dal locale, appena prima che l'argonauta irlandese voltasse le spalle. Era una figura alta, sottile, dotata di grande fascino e grazia. Crilin ci mise qualche istante a comprendere ciò che stava vedendo: una cascata di capelli dorati, due occhi di un azzurro intenso ed un volto che stregava.

Deglutì a vuoto quando vide quei due occhi fissarlo dritto in faccia. Subito illuminati da un sorriso freddo come il ghiaccio.

“Benvenuti a Dawson, stranieri.” esordì con voce vellutata 18. “Avete sete? Stiamo ristrutturando il locale, ma per due gole assetate siamo sempre disponibili.”

Crilin ci mise qualche istante prima di trovare la forza di rispondere.

“No, siamo di fretta!” esclamò, strattonando bruscamente il compare, il quale ci aveva messo poco a capire il motivo del rossore sotto la barba del finto scozzese. “A mai più!”

“Oh, io non credo.” sussurrò 18 Goldie, accendendosi una sigaretta, un ghigno sulle labbra. “Tutti tornano da 18 Goldie, la Stella del Polo.”

“Ehi, socio, che ti succede? Il paese non sta andando a fuoco!” ridacchiò Goku, osservando la falcata frenetica dell'altro.

“Taci, e troviamo ciò che ci serve.”

“E che cosa ci serve?” lo canzonò lo svedese moro. “Un paio di zaffiri, contornati da un faccino da bambolina per caso?”

“HO DETTO TACI!” ruggì Crilin, il volto ormai di un bel rosso mattone. Capendo di aver toccato un nervo scoperto, Goku non insistette, ma per il resto della giornata tenne sulle labbra un sorriso che irritò profondamente l'argonauta più basso.

Uscirono dalla città un'ora dopo, dirigendosi a nord, seguendo il corso del fiume. Con l'allontanarsi dalla città, la strada scomparve progressivamente, lasciando il posto però a del terreno solido, oltre ad un'aria libera da odori sgradevoli.

“Allora.” esclamò davanti al fuoco, una volta accampatisi, Goku. “Hai idea di dove iniziare le ricerche?”

Crilin non rispose subito. L'irlandese era impegnato a preparare una mistura per tenere lontane le zanzare. Da oltre una settimana nugoli di insetti voraci avevano iniziato a dare loro il tormento. L'unica soluzione per tenerli lontani era cospargersi il corpo con una mistura che Crilin aveva imparato a preparare navigando lungo il corso del Mississipi, seppure con qualche differenza negli ingredienti: nella Louisiana trovare escrementi di castoro non era proprio comune.

“Non lo so.” ammise, dopo aver passato la mistura contro gli insetti al compare. “Presumo che dovremo seguire il corso del fiume per molti giorni. Se c'è dell'oro, ne troveremo le tracce molto più a nord di qui.”

“Capisco... ah, ho preso una cosa a Dawson, mentre eri impegnato a scovare l'ufficio registrazioni... sempre se sei andato a cercare proprio quello.” insinuò con tono scanzonato Goku.

“Che cosa hai preso?” chiese Crilin, ignorando di proposito la provocazione.

Goku appoggiò a terra la propria mistura, mettendosi a cercare nel proprio zaino. Dopo circa un minuto, una lunga canna metallica luccicava alla luce del falò. Lentamente, cercando di non darlo a vedere, l'irlandese portò la mano destra alla vita, dove riposava l'elsa del suo coltello di trenta centimetri.

“Un fucile?” domandò con un filo di voce, pronto a scattare al minimo segnale di pericolo.

“Da queste parti è sempre meglio averne uno a portata di mano.” rispose Goku appoggiandolo a terra, apparentemente ignaro del nervosismo che aveva suscitato nel compagno.

“Quanto hai speso?” chiese l'irlandese, rilassando leggermente.

“Quasi tutto ciò che ci era rimasto, cartucce comprese.” Goku si ficcò un sigarello in bocca e cominciò a masticarlo, mentre riprendeva a cospargersi il corpo con la mistura. “Ora siamo ufficialmente al verde.”

“Pazienza.” replicò Crilin, mentre si accendeva un sigarello sul falò, aspirandone due profonde boccate. “Vedrai che ci rifaremo.”

“Ne sei convinto?”

“Certo.” il tono del cercatore più basso era profondamente determinato. “Troveremo dell'oro, e diventeremo ricchi, è una promessa!”

L'ombra di un sorriso si insinuò nel volto stanco e sporco del muscoloso svedese.

“Mi auguro che tu abbia ragione... signor Scozzese.”

 

 

Il raschiare della lama risuonava fastidioso.

Con il volto teso per la concentrazione, Vegeta passò lentamente la lama calda del proprio coltello sul volto. Nonostante vivesse in un luogo ai confini della civiltà, radersi ogni mattina era diventata per lui un'abitudine a cui non avrebbe rinunciato per niente al mondo.

Mentre era intento a passare la lama vicino al pomo d'Adamo, udì bussare alla sua porta. Subito dopo, l'imponente figura di Napa fece il suo ingresso nella stanza.

“Ho alcune novità.” esordì il gigante.

“Parla.” esclamò Vegeta, senza interrompere la propria attività.

“Stamattina sono arrivati in paese nuovi cercatori. Alcuni si sono fermati, ma molti altri hanno già proseguito verso nord.”

“Non vedo quale sia il problema. Raduna i ragazzi e compi il solito lavoro.” replicò freddamente l'inglese, irritato per essere stato interrotto per simili sciocchezze.

“Non abbiamo abbastanza uomini per tutti e due i lavori.” rispose con voce monocorde il grosso energumeno. “Radish dice che gli servono altri dieci uomini per poter compiere tutto entro stanotte.”

La rabbia di Vegeta stava brontolando sempre più forte. Il moro comprese che presto sarebbe esplosa, e non sapeva se Napa ne sarebbe uscito indenne dalla sua furia.

“Radish è un maledetto idiota.” osservò, mentre ripassava un nodulo di peli particolarmente ostico. “Cosa si aspetta, che metta a libro paga tutta la feccia della città?!”

“Non sarebbe una cattiva idea...” mormorò Napa. “Ogni giorno in città arrivano frotte di cercatori. Questo posto sta crescendo a vista d'occhio, e non è pensabile di controllarlo con una ventina di uomini appena.”

Vegeta conficcò con rabbia la punta del coltello nel tavolo davanti a lui. Quando si girò, Napa vide che era livido.

“Mi pareva di essere stato chiaro con te, Napa.” osservò l'inglese. “Pensare è compito mio, non tuo. Tu limitati ad eseguire gli ordini! In quanto a quell'idiota... gli avrò detto un milione di volte di farsi prestare gli uomini dai Gemelli!”

“Sarebbe saggio?” domandò il calvo. “Non voglio sembrare... scortese, ma non mi piace l'idea di lavorare con quei due. Sono troppo furbi per i miei gusti.”

“Anche un morto è più furbo di te, Napa.” Vegeta prese a camminare a grandi passi per la stanza. “Il maschio è solo un idiota damerino che si crede chissà chi perché sa maneggiare decentemente una Derringer. In quanto alla femmina...” il suo volto si contorse come se avesse bevuto qualcosa di molto amaro. “E' solo una puttana furba. Spero vivamente di vederla stuprata da tutta la città un giorno, quella piccola, sudicia, avida puttanella!”

Sembrò ricordarsi solo in quell'istante della presenza del suo sottoposto.

“Non me ne frega un cazzo di quello che dice Radish. Vai dai Gemelli, fatti prestare dieci uomini, e concludete quel maledetto lavoro! Sono stato chiaro?!” dichiarò successivamente, la voce fredda di collera.

Napa deglutì, visibilmente a disagio nello stare in un ambiente chiuso con un Vegeta furibondo.

“Chiarissimo.”

“Bene!” l'inglese prese a scaldare nuovamente il coltello sopra la lampada ad olio. “Un ultima cosa, Napa.”

“Sì?” chiese quest'ultimo, già sull'uscio della porta.

“Dì a quel dannato cretino di Bardacksson che se non fa come dico io finisce in fondo al fiume!”

Napa si limitò ad annuire, uscendo silenziosamente dalla stanza. Lasciando Vegeta da solo in preda alla propria collera.

Maledetti straccioni! Pensò, mentre si appoggiava la lama incandescente sulla pelle. Arriverà il giorno in cui potrò vendicarmi.

Ed allora brucerò questo fetido covo di scarti umani!

L'idea gli piacque, facendolo sorridere malignamente, rendendolo assomigliante ad uno spietato demone degli abissi infernali.

 

 

CONTINUA

 

 

Dunque, eccomi qui con il mio terzo capitolo. Spero che vi possa piacere, anche se siamo ancora agli inizi della storia. Ho preferito narrare per intero le peripezie della famiglia di Vegeta, sperando di non essere noioso!

Un'ultima cosa: in questa storia vedrete molto spesso i personaggi descritti con barbe e capelli lunghi, in quanto nel Klondike i barbieri scarseggiavano. Gli stessi Goku e Crilin attualmente portano una bella barba mal fatta, da veri galeotti! Un piccolo tocco di realismo in più che spero non vi crei disturbo.

Bene, e con questo vi saluto!

 

Giambo

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4

 

 

Dawson, estate del 1896

 

 

Rumore. Tanto, assordante, continuo.

Gli occhi di 17 si mossero pigramente, studiando attraverso l'aria viziata di fumo le facce dei suoi compagni di gioco. Attorno a loro la Bolla D'Oro rumoreggiava: grida, risate rauche, strilli delle ballerine, lo stridio delle sedie e dei tavoli che si spostavano. Il tutto sullo sfondo di un allegro motivetto suonato da un pianoforte in un angolo della sala. Una serata come tante nel locale più grande di Dawson, la feroce, anarchica e turbolenta capitale dell'oro.

Splendido nel suo scuro completo da uomo, 17 sedeva da oltre due ore ad uno dei tavoli da gioco che affollavano la sala principale. Il ragazzo sorrise ai propri avversari i quali non ricambiarono minimamente, fumando nervosamente i propri sigari, ed osservando la distribuzione delle carte in religioso silenzio. Attorno a loro si era radunata una piccola folla, curiosa di vedere il Gambler più famoso della città all'opera.

Una volta distribuite le carte, i giocatori presero a fissarle, stando ben attenti a non lasciar trapelare il minimo indizio ai loro avversari. L'unico che non toccò minimamente le proprie carte fu 17, che si limitò a fissare le facce sudate ed accaldate degli altri giocatori, che con lui erano sei. A colpirlo particolarmente fu colui che aveva appena finito di distribuire le carte: un giovane biondo, con occhi chiarissimi, che lo fissava con un sorrisetto di scherno, forte dei soldi che si accalcavano davanti a lui. Aveva già vinto tre mani contro 17, ma il moro non sembrava particolarmente preoccupato.

“Cinquanta.” borbottò quello a sinistra del fratello di 18, versando la quota minima prevista. Tutti lo imitarono, tranne il biondo, che verso subito altri cento dollari sul tavolo, gli occhi sempre fissi su quelli azzurri di 17. Quest'ultimo non batté ciglio, mettendo altri cento dollari, seguito da altri due. I restanti si limitarono a sputare per terra ed ad imprecare per la scalogna di quella sera.

“Carte.” esclamò il biondo, cambiandosene due, subito subito seguito dai restanti giocatori. Anche questa volta, 17 non mosse un muscolo, tenendosi le carte iniziali. Ciò non fece che aumentare la baldanza del giovine di fronte a lui, il quale si sentiva baciato dalla sorte quella sera.

“Duecento!” esclamò, sicuro di avere le carte giuste per far saltare il banco. “Più altri trecento!”

Uno dei due giocatori mollò, borbottando parole impronunciabili, e tirando uno schiaffo sulle chiappe di una delle ragazze al suo fianco, la quale scoppiò in una risatina acuta. Il barbuto cercatore sorrise: i soldi per una donna erano sempre ben spesi.

La partita proseguì, lentamente. Il ragazzo biondo rilanciava continuamente, sicuro di avere la mano giusta, seguito da 17, che metteva impassibile sul tavolo mucchi di banconote sempre più alti. Ben presto rimasero solo loro due a giocarsi la posta in palio, un succulento bottino di parecchie migliaia di dollari.

“Tremila!” sbottò infine il ragazzo, mettendo praticamente quasi tutto quello che possedeva sul tavolo. La sua baldanza era lentamente sparita durante il corso della partita, lasciando spazio al terrore di perdere tutto. L'orgoglio però gli imponeva di andare fino in fondo alla partita.

17 non rispose subito. Si mise in bocca un sigarello, accendendolo con uno zolfanello, ed aspirandone un paio di boccate. Attorno ai due giocatori era sceso un silenzio di tomba. Era palese che si stavano giocando le ultime battute di quella tesissima mano.

“Dimmi un po', ragazzo.” mormorò 17, aprendo bocca per la prima volta da quando era iniziata la mano. “Sei sicuro di poterti permettere una simile giocata?”

“I soldi li ho!” replicò subito il biondo. “Piuttosto... cosa fai? Giochi o ti ritiri? Mi pare che questa sera hai già perso abbastanza!”

17 sorrise, un sorriso che fece gelare il sangue agli spettatori. Molti iniziarono a capire come sarebbe finita la faccenda, e presero ad allontanarsi lentamente.

“Mi sono stancato di giocare per stasera.” mormorò il proprietario del locale. “Che ne dici se ci giochiamo tutto ciò che c'è su questo tavolo? Posso mettere sul piatto fino a quindicimila dollari.” era una somma enorme, che il moro stava agitando come un'esca davanti al suo avversario, il quale tentennava. Se 17 era pronto a mettere una simile cifra sul piatto, voleva forse dire che aveva una mano migliore della sua? Oppure era solo uno sconsiderato bluff da parte di un ricco ed annoiato Gambler?

Sul tavolo il silenzio aleggiò per molti secondi. Poi, senza dire una parola, il ragazzo mise sul tavolo dei biglietti da cento, uno dopo l'altro, andando a formare una piccola montagnola di denaro.

“Con questi la mia posta è di quindicimila.” osservò. “Ora mostrami le tue carte!”

17 pareggiò la cifra, come d'accordi, appoggiandosi successivamente allo schienale della propria sedia.

“A te l'onore.” dichiarò, soffiando fumo dalle narici.

Il ragazzo lo guardò con fare impassibile per dei lunghissimi secondi. Poi, lentamente, girò le proprie carte: aveva un full di donne. Una mano molto buona, anche se battibile. 17 non perse altro tempo, scoperchiando le proprie: un tris di assi.

Aveva perso.

Il ragazzo esplose in un ruggito di gioia, accompagnato dai mormorii di sorpresa degli spettatori. Allungò una mano per afferrare la propria vincita, ma subito dopo il suo urlo, da gioioso, divenne colmo di dolore, osservando la propria mano trafitta da un coltello.

“Ti avevo fatto una domanda prima.” esordì con voce vellutata 17, torcendo sadicamente la lama nella carne del biondo. Attorno a loro le ragazze strillarono, mentre gli avventori si allontanarono rapidamente, desiderosi di non essere immischiati nella situazione.

“Tu sei pazzo! Lasciami subito!” berciò l'altro, tentando di liberarsi, senza successo.

“Ti avevo chiesto se eri capace di giocare ad un certo livello, ma a quanto pare mi sbagliavo.” proseguì il moro. “Sai cosa penso? Penso che tu sia un baro, e da queste parti i bari fanno una gran brutta fine...”

“Stai mentendo!” replicò l'altro, sudando freddo, gli occhi spalancati. “Ho giocato pulito!”

“Ma davvero? Un giocatore così giovane e così abile... sono commosso...” gli occhi di 17 brillavano di una luce malsana, divertito dalla sofferenza che stava infliggendo all'altro. Nel frattempo, da dietro le quinte del palcoscenico, uscì fuori 18, splendida nel suo abito da scena. La bionda fissò con pigra curiosità la sceneggiata causata dal fratello, desiderosa di scoprire come sarebbe finita.

“Non ti conviene fare troppo il gradasso con me, Goldie!” ansimò il giovane, tirando fuori il sorrisetto di prima. “Sai anche tu per chi lavoro. Non puoi uccidermi.”

17 non rispose. Il suo volto divenne inespressivo, gli occhi freddi come il ghiaccio.

“Cosa credi, che potrai passarla liscia? Sai benissimo anche tu che ho giocato pulito. Molla quel coltello e fammi intascare la mia vincita, Gambler da strapazz...” il giovane biondo non finì la frase.

Nel locale risuonò uno sparo, zittendo immediatamente ogni rumore. Tutti si voltarono verso 17, il quale fissava impassibile il corpo, ormai privo di vita, del suo sfidante, un foro sanguinolento in mezzo alla fronte. Nella mano sinistra teneva una Derringer ancora fumante.

“Hai commesso due errori stasera.” mormorò, mentre liberava il pugnale dal tavolo, lasciando così scivolare a terra il cadavere. “Hai pensato di essere più furbo di me, ed hai tentato di minacciarmi.”

Soffiò fuori fumo dalle narici, mentre intascava la vincita e riponeva la pistola nella fondina. Nel frattempo, 18 ritornò nelle proprie stanze, capendo che lo spettacolo era finito.

Non sopporto gli spacconi. Nessuno mi minaccia, e poi sopravvive per raccontarlo in giro.

“Portate via questo schifo.” ordinò seccamente. “Mi da il voltastomaco.”

 

 

Poco dopo, quando tornò dietro le quinte, 17 si trovò davanti la faccia ansiosa e preoccupata di Yamcha.

“Hai commesso un grave errore.” esordì senza giri di parole.

Il moro non rispose subito, soffiando fumo in faccia all'altro.

“Di cosa stai parlando?”

Yamcha era a capo della sicurezza nel locale dei due gemelli. Praticamente il loro braccio destro. Era un uomo giovane, alto e molto bello, dai lineamenti del volto affascinanti. Portava i capelli lunghi, raccolti in una coda, che incorniciavano due occhi scuri ed attenti. I suoi vestiti erano di buona fattura. Alla vita portava un cinturone con una pistola.

“Parlo del tizio che hai freddato qualche minuto fa.”

“Ah!” un sorriso si allungo sulle labbra del Gambler. “Andiamo a prenderci da bere.”

Tornarono in sala, andando al bancone, dove entrambi presero un rum.

“Devi ascoltarmi, 17.” insistette Yamcha, un'espressione preoccupata sul volto. “Quel ragazzo era entrato nella banda di Prince. E dovresti sapere che quel pazzo furioso non sopporta chi tocca i suoi uomini.”

“Prince ed io abbiamo un accordo.” replicò 17, riaccendendosi il sigarello. “Lui non mette bocca nei miei affari, ed io gli permetto di ingrassare con le roulette nel mio locale. Perché dovrebbe mandare a monte un profitto sicuro per colpa di un moccioso dalla lingua lunga?”

“Spero che tu abbia ragione.” borbottò il moro, versandosi un secondo bicchiere di liquore. “Ma Prince non è uomo da lasciare correre un simile sgarbo. Hai mancato di rispetto alla sua fama, se non muovesse un dito si mostrerebbe debole.”

Il giovane Gambler non rispose subito, aspirando un profonda soffiata di tabacco.

“Di Prince me ne occupo io.” dichiarò infine. “Tu sei pagato affinché la gente spenda e non crei problemi qui dentro. Se Prince userà il cervello, vedrai che non farà niente. Ha troppo da perdere nel muoverci guerra.”

Il bodyguard non era ancora del tutto tranquillo.

“Sta diventando il padrone di Dawson, 17.” mormorò, mentre osservava le ragazze del locale iniziare a ballare sopra il palco della sala. “Presto diventerà troppo potente per essere controllato, e ti mangerà in un sol boccone. Sputandoti via quando ti avrà preso tutto.”

Gli occhi glaciali dell'altro si posarono sulla figura della sorella, magnifica nel suo vestito da ballo, intenta a cantare per il pubblico in sala.

“Questo è da vedere...” mormorò.

 

 

Crilin scivolò giù per il pendio terroso, bestemmiando selvaggiamente a causa delle rocce nascoste che gli perforarono la schiena. Dietro di lui, a monte, poteva udire il passo pesante del suo inseguitore. Dopo una discesa di circa un centinaio di piedi, l'irlandese si sdraiò sulla pancia, nascondendosi tra il fogliame della foresta. Sopra di lui, riusciva a sentire un profondo ansimare che scendeva lentamente, dandogli la caccia.

Quel micragnoso bastardo non molla. Rimpianse amaramente che il fucile fosse nelle mani di Goku: gli sarebbe stato estremamente utile in quel frangente.

Lentamente, il suo inseguitore si avvicinò al suo nascondiglio, fiutando. Quando ormai distava pochi metri, Crilin poté vederlo distintamente: un enorme orso, nero come l'inferno e grande tre volte un uomo adulto che si guardava intorno, i denti bianchi che scintillavano sotto il sole estivo.

Erano passate tre settimane dalla loro partenza da Dawson. Seguendo il corso del fiume Yukon, Crilin e Goku si erano addentrati nelle selvagge foreste del Klondike. Una terra incontaminata, fiera e selvaggia ma anche pericolosa.

Ormai era da tre giorni che quell'orso dava loro la caccia. Attratto dal cibo, ma più probabilmente furioso per l'invasione di così tanti umani nel suo territorio, aveva deciso di scaricare la sua rabbia sui due argonauti. I quali, dopo tre giorni passati a tentare di seminarlo, avevano deciso di dividersi, dandosi appuntamento alla grande cascata, cinque miglia più a nord. La mossa aveva permesso di costringere la bestia a scegliere, e questa aveva scelto di dare la caccia a Crilin. Il quale l'unica cosa che poteva fare era di mettere mano al proprio pugnale, con la speranza di portare con se la bestia all'altro mondo.

Bel posto per morire. Pensò amareggiato. In mezzo a boschi dimenticati pure da Dio.

L'orso alzò la testa di scatto. L'aveva fiutato. Crilin strinse con tutta la forza che aveva la propria arma, ogni muscolo del corpo teso fino allo spasimo. Ormai era questione di secondi prima che l'animale caricasse. L'unica chance che aveva era di colpire per primo.

Cadde il silenzio, il genere di silenzio che permea l'aria stagnante prima della tempesta. Crilin si riempì i polmoni d'aria, le labbra strette fino a diventare bianche, nel tentativo disperato di trattenere ogni oncia del folle coraggio che lo stava spingendo ad attaccare quella bestia immensa.

Non morirò, maledizione!

La tensione proseguì a trascinarsi stancamente, assottigliandosi, fino a quando, all'improvviso, essa si ruppe.

L'orso ruggì, iniziando a correre in direzione dell'irlandese, il quale fece l'unica cosa che possibile: uscì allo scoperto, lama in mano, pronto a conficcarla in mezzo agli occhi dell'animale. Poteva vedere il bianco degli occhi dell'animale quando udì un sibilo che gli bruciò l'orecchio destro.

L'orso stramazzò al suolo, scivolando per parecchi metri a causa del suo stesso impeto. Con un riflesso fulmineo, l'argonauta riuscì ad evitare di essere investito dal corpo, il quale, una volta fermatosi, non si mosse più.

“Ma sei scemo?!”

Crilin si girò di scatto. Davanti a lui, con un arco in mano, stava un uomo che lo fissava con sguardo non propriamente amichevole. Era basso, un po' in carne, e con lunghi e disordinati capelli neri che circondavano un volto strano: un misto di diverse razze. Gli occhi dal taglio obliquo facevano sospettare sangue indiano, così come la carnagione scura, ma gli abiti e l'accento sembravano originari della regione dei Grandi Laghi.

“Ma si può sapere cosa diavolo passa nella testa a voi Culibianchi?!” borbottò il nuovo venuto, raggiungendo la carcassa dell'orso. In mezzo al pelo del muso si poteva vedere il piumaggio bianco di una freccia, conficcata quasi per tutta l'asta tra gli occhi. “Adesso vi mettete pure ad attaccare gli orsi a mani nude!”

“Ero armato.” provò a replicare l'altro, ancora interdetto per quella fulminea comparsa.

“Mi dispiace deluderti amico, ma il mio uccello fa più paura di quello stuzzicadenti.” borbottò l'altro, estraendo la freccia dalla carcassa. “Non male... i Culibianchi di Dawson pagheranno una fortuna per il grasso e la pelliccia di questo bestione!”

“Si può sapere chi diavolo sei?” domandò leggermente scocciato Crilin. La paura stava lasciando il posto all'irritazione per i modi rozzi del nuovo arrivato.

“Yaji-robei.” borbottò il moro, estraendo il pugnale più lungo che l'irlandese avesse mai visto, ed iniziando a squartare la carcassa. “E non serve che tu ti presenti. Sei un cercatore d'oro, proprio come tutti gli altri imbecilli che vengono a morire qui.”

“Ma se non cerchi l'oro, tu cosa diavolo ci fai in queste terre senzadio?”

Yaji-robei alzò lo sguardo. I suoi occhi erano colmi di disprezzo e sfrontatezza nei confronti dell'argonauta.

“Ti sembro un cercatore d'oro?” domandò provocatorio.

“No, mi sembri un meticcio.” replicò gelido Crilin. Il volto dell'altro si contorse in una smorfia amara, ma non rispose. Essere un meticcio era l'equivalente di un bastardo, dato che nessun prete avrebbe consacrato il figlio di un pellerossa, indipendentemente che la madre fosse bianca o meno.

“Bene...” sibilò Yaji-robei, infilando la mano nel ventre squartato dell'orso, e riversando sul terreno le viscere dell'animale. “Questo sacco è ricolmo di merda. Ma almeno il grasso e la pelliccia sono di prim'ordine! A Dawson i Culibianchi mi riempiranno di whisky lo stomaco!”

Crilin ripose il pugnale nella fodera. Una volta sistematosi lo zaino sulle spalle, il ragazzo di girò, tentando di orientarsi. Non poteva perdere altro tempo con quello strano tipo.

“Se stai andando a nord ti consiglio di lasciar perdere.” borbottò il cacciatore, ancora impegnato nel pulire la carcassa dell'orso. “Sono settimane che gente di ogni tipo sta andando in quella direzione. Se c'è dell'oro, stai pur sicuro che l'hanno già trovato.”

“Non ho nessuna intenzione di arrendermi ora che sono qui.” rispose l'irlandese, accendendosi un sigaro. “Dimmi, meticcio... tu sai sicuramente quale direzione hanno preso gli altri cercatori.”

Yaji-robei alzò il volto, imbrattato di sangue, per fissare a lungo la schiena dell'argonauta.

“E a te cosa te ne frega?” domandò sospettoso.

“Andiamo... usa il cervello. Sempre se voi indiani lo possedete.” lo provocò l'altro, soffiando fuori fumo da un angolo della bocca.

I denti sporchi del meticcio si scoprirono, lasciando spazio ad un sorriso crudele.

“Sono andati lungo la sponda meridionale del fiume. Nessuna persona sana di mente si inoltrerebbe sull'altra, oro o non oro.”

“Perché, cosa c'è sulla sponda nord del fiume?”

“Un posto maledetto: il ghiacciaio dell'Alce, e sessanta miglia più a nord quello dell'Aquila.” Yaji-robei riprese il proprio lavoro, senza smettere di sorridere. “Se ti avventuri in quelle terre non torni più, te lo posso garantire. Tra lupi, orsi, fenditure seminascoste... ti ci vorrebbero le vite di un gatto per sopravvivere ad un inverno laggiù.”

Crilin non rispose, gli occhi che scintillavano. Dunque c'era un posto in quella terra incontaminato dalla presenza degli altri cercatori, con magari ricchi giacimenti d'oro che aspettavano solo di essere portati alla luce. L'idea di trovare un intero giacimento tutto per lui lo riempì di un fuoco capace di scaldargli addirittura le punte dei piedi intirizziti.

“Grazie per la dritta, meticcio. Se ci becchiamo a Dawson, ti offrirò da bere.” buttando via il sigarello, l'irlandese prese a muoversi verso nord, a passo spedito.

“Fai pure come vuoi. Tanto anche tu un giorno creperai, lurido Culobianco.” borbottò il meticcio, proseguendo nella sua opera di conciatura.

 

 

Crilin si muoveva rapido, seguendo le acque tumultuose del fiume Yukon verso nord. La sua intenzione era di non fermarsi alla cascata, come d'accordi con Goku, ma di dirigersi subito verso il ghiacciaio dell'Alce. Se era fortunato, non avrebbe mai dovuto dividere il suo futuro oro con lo svedese.

“Ti vedo di fretta.”

L'irlandese si girò di colpo, la mano già sul pugnale. Quando gli si parò di fronte la faccia sorridente di Goku, sul suo viso si dipinse un'espressione di stupore.

“E tu che ci fai qui?”

“Guardavo come te la cavavi con quell'orso.” rispose con semplicità il grosso svedese.

Il cervello di Crilin ci mise poco a capire.

“Aspetta... vuoi dire che tu eri lì, vicino a me, e non hai mosso un dito per salvarmi dalle fauci di quella bestia schifosa?!” l'idea di annegare Goku nel fiume non gli era parsa tanto buona come in quei frangenti.

“Lo stavo facendo, ma avevo già notato la presenza del tuo nuovo amico, ed ho preferito lasciare a lui il piacere di salvarti.” spiegò il moro, accendendosi un sigarello. “Da quello che mi è parso di capire, hai intenzione di andare proprio dove lui ti ha consigliato di non mettere piede.”

Crilin strinse con più forza l'elsa del suo pugnale, ma non agì. Infatti, casualmente, la mano destra di Goku era sulla sicura del fucile, e le canne erano rivolte contro di lui. L'irlandese fissò dritto negli occhi il socio, il quale fece un breve cenno di diniego, il volto sempre sorridente.

“Hai indovinato.” borbottò, mollando la presa sul pugnale. “Non ha senso litigarci un pezzetto di fiume con gli altri imbecilli. Io vado a nord, e tu verrai con me.”

“Davvero? Ti sei affezionato al sottoscritto?” domandò con finta ingenuità lo svedese.

“Ti voglio tenere d'occhio.” replicò l'altro. “Una parte degli strumenti da lavoro che porti li ho pagati io. Pertanto, fino a quando non troveremo dell'oro, tu verrai con me!”

“Non desidero altro.” rispose dolcemente il grosso svedese, accendendosi un sigarello.

Di nuovo ricongiunti, i due argonauti presero a risalire il corso del fiume, sulla riva settentrionale. Oltre le cascate del Castoro, oltre i declivi boscosi, lassù, in lontananza, dove si stagliava la cupa e scura sagoma del ghiacciaio dell'Alce.

 

 

18 si fissò allo specchio, intenta a togliersi accuratamente il trucco dal volto. Aveva sempre odiato impiastricciarsi la faccia con quella roba, ma comprendeva che era necessario per la buona riuscita dei suoi spettacoli. A nessuno sarebbe piaciuta una cantante con il volto struccato, per quanto brava e bella fosse, perché sarebbe stato indice di povertà.

Si passò attentamente lo struccante sul naso, per rimuovere il fondotinta, facendo ritornare il volto pallido come sempre. Erano passate ormai tre settimane dalla grande apertura della Bolla D'Oro, ristrutturato da cima a fondo, e gli affari andavano a gonfie vele, con il locale pieno fino a scoppiare ogni sera. Eppure, la bella, fredda e spietata 18 Goldie provava quasi insofferenza d'innanzi a tutta quella gente, che però le serviva per i suoi scopi. Presto avrebbe potuto abbandonare per sempre quell'angolo sperduto, e risplendere fulgida come una stella sui migliori palchi d'Europa.

L'Europa. 18 la sognava fin da quando aveva scoperto di avere un dono per il canto. Era una bambina che aveva udito parlare dei teatri immensi, giganteschi, fulgidi di luce della lontana Europa, dove i nobili ed i ricchi innalzavano verso la gloria cantanti, compositori e ballerini. La vecchia Europa, dove un artista poteva vivere nell'agio e nella ricchezza. Parigi, Londra, Berlino, Milano, San Pietroburgo. Un Eldorado sterminato, che presto si sarebbe inchinato innanzi al suo talento.

Un flebile sorriso le si dipinse sul volto. Si immaginò indossare un abito nero, di pura seta e filigrana d'argento, su un palco grande quanto Dawson, innanzi ai più ricchi e facoltosi uomini e consorti d'Europa. E brillava il suo talento, abbagliandoli, ed innalzandola verso la gloria eterna.

Il bussare alla sua porta la riportò alla realtà.

“Chi è?” domandò con voce irritata.

Non ci fu risposta. La porta si aprì, rivelando alla bionda la figura magra ed elegante del fratello.

“Cosa c'è?” domandò 18, continuando a ripulirsi il viso.

“Dopo il tuo numero non ti avevo più vista. Volevo assicurarmi che fosse tutto ok.” spiegò 17, andando a sedersi in un angolo, ed accendendosi un sigarello.

La ragazza sbuffò. Che 17 si preoccupasse di lei era un'idea troppo ridicola per prenderla seriamente in considerazione.

“Sono solo un po' stanca. Non avevo voglia di vedere nessuno.” tagliò corto, sperando che il gemello uscisse in fretta. 17 però, sembrava avere un'altra idea.

“Ho ricevuto notizie non molto confortanti.” disse il moro, soffiando fumo dalle narici. “Gli uomini di Prince sono piuttosto agitati. Ho detto a Yamcha di sbarrare porte e finestre dopo la chiusura, e di tenere pronti gli uomini per qualsiasi evenienza.”

18 non disse nulla. Una volta terminato di struccarsi, la bionda sistemò rapidamente i propri oggetti, alzandosi per andare a cambiare dietro al paravento.

“Non ti vedo particolarmente preoccupata.” constatò il gemello.

“Un tizio vuole ucciderci. Dov'è la novità?” borbottò lei, la voce soffocata dalla parete mobile. “Prince è solo un lupo, stupido ed avido per giunta. Non perderò certo il sonno a causa sua stanotte.”

17 sorrise.

“Sì, forse hai ragione. Ma Prince sembra avere delle zanne un po' troppo affilate per essere soltanto un lupo.” replicò con voce bassa. “Dovremo stare attenti. In questo momento, è lui il padrone di Dawson.”

“Per me se la può anche tenere questa schifosa città.” 18 uscì dal paravento, vestita con una leggera sottoveste, che risaltava le sue splendide forme. Andò a sedersi sulle gambe del fratello, rubandogli una sigaretta dalla tasca della giacca. “Tutto quello che mi interessa è avere abbastanza oro per andare in Europa.”

“Ah... l'Europa.” 17 abbracciò alla vita la gemella con un braccio, un sorriso sghembo sul volto. “Non ci hai ancora rinunciato, eh?”

“No.” rispose seccamente lei, soffiando fumo dalle narici. “E questo posto è la nostra grande occasione. Stiamo diventando ricchi, 17.” i suoi occhi divennero freddi come il ghiaccio. “Vedi di non rovinare tutto.”

L'argomento era rimasto lì, nell'aria, in mezzo al fumo passivo. Nessuno dei due disse quel nome, ma il significato di quella frase era evidente.

“D'accordo, sorellina.” rispose infine il moro. “Vedrò di non deluderti.”

Un sorriso freddo si delineò sul viso di 18, la quale si chinò a baciare sulla fronte l'amato fratello. L'immagine di lei che rifulgeva di luce dorata nei migliori palcoscenici d'Europa era ancora vivida nella sua mente. Non avrebbe permesso ad un borioso e stupido inglese di portargliela via.

“Siamo noi i padroni di Dawson.” sussurrò. “Andremo a ricordarglielo molto presto.”

 

 

CONTINUA

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