My new moon (/viewuser.php?uid=68268) Lista capitoli: Capitolo 1: *** La fine, l'inizio *** Capitolo 2: *** Il tempo nemico giurato *** Capitolo 3: *** Infinita ... forza di volontà *** Capitolo 4: *** Realtà o illusione? *** Capitolo 5: *** Allucinazioni *** Capitolo 6: *** Una nuova dimensione *** Capitolo 7: *** Voglia di libertà *** Capitolo 8: *** La dura realtà *** Capitolo 9: *** Speranza *** Capitolo 10: *** Incubi *** Capitolo 11: *** Pensieri *** Capitolo 12: *** Incontro-scontro *** Capitolo 13: *** Risveglio *** Capitolo 14: *** Rivelazioni *** Capitolo 15: *** Impasse *** Capitolo 16: *** Finalmente un po' di pace *** Capitolo 17: *** A casa *** Capitolo 18: *** Dubbi e paure *** Capitolo 19: *** Scoperta *** Capitolo 20: *** LA VERITA’ *** Capitolo 21: *** VIA DA QUI *** Capitolo 22: *** RAPIMENTO *** Capitolo 23: *** GOAT ROCKS *** Capitolo 24: *** APPUNTAMENTO SPECIALE *** Capitolo 25: *** LEZIONI PRIVATE *** Capitolo 26: *** NOTTE PRIMA DEL DIPLOMA *** Capitolo 27: *** FESTEGGIAMENTI *** Capitolo 28: *** VENERDI SERA *** Capitolo 29: *** PARADISO O INFERNO? *** Capitolo 30: *** SABATO *** Capitolo 31: *** UNA GITA INASPETTATA *** Capitolo 32: *** DOMENICA *** Capitolo 33: *** UNA PROPOSTA INATTESA *** Capitolo 34: *** ISTINTI NASCOSTI *** Capitolo 35: *** INDIMENTICABILE *** Capitolo 36: *** OBBLIGHI E SCELTE *** Capitolo 37: *** INSIEME, PER SEMPRE *** Capitolo 38: *** AVVISO *** Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
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Capitolo 8
*** La dura realtà ***
EDIT: Capitolo revisionato e
corretto.
CAP.
8
LA DURA REALTA’ BELLA «Si accomodi, prego.» Disse una voce femminile, ma con solo la parvenza di un tono gentile. Mi avvicinai ad una poltroncina vicino ad una lunga scrivania di legno cercando di avere un passo sicuro e mi lasciai cadere su di essa. La situazione era molto peggio di quanto mi aspettassi. Dinnanzi a me c’erano non uno, ma tre visi che scrutavano con distrazione dei fogli dinnanzi a loro. Erano due uomini ed una donna. Mi guardai in giro nervosa: la stanza non era affatto accogliente. Ma come poteva esserlo un posto dove si concentravano le angosce, gli intimi problemi e le paure delle persone? Notai distrattamente un lungo specchio riflesso in uno dei vetri dei tanti diplomi incorniciati affissi dinnanzi a me. Sembrava che stessimo per prepararci ad un interrogatorio più che ad una seduta di terapia d’analisi e che quelli fossero giudici in attesa di emettere un verdetto, piuttosto che medici aperti ad accogliere e districare le reali ed immaginarie difficoltà dei loro pazienti. Mi riscossi dal corso dei miei pensieri quando l’uomo alla destra della dottoressa si schiarì la voce e disse «Signorina Swan, io sono il dottor Grange, lui è il dottor Peterson, e lei la dottoressa Oliva. Io e la dottoressa Oliva siamo psicologi, e siamo molto contenti che a questa seduta sia riuscito ad intervenire anche il collega Peterson, che vanta una lunghissima esperienza in questo campo … » Osservai l’esperto. Era anziano, basso e tarchiato. Sembrava annoiato da sotto gli occhialini cerchiati d’oro. Al momento lo ritenni inoffensivo, senza neanche immaginare che a breve si sarebbe rivelata una valutazione clamorosamente sbagliata. «Allora signorina Swan, ci parli un po’ della sua vita a Forks.» Mi incoraggiò la dottoressa. Inspirai e cominciai a descrivere a grandi linee una mia giornata tipo. Ogni tanto il dottore che mi aveva parlato per primo e la dottoressa mi interrompevano per chiarire qualche passaggio, ma mi stupii di riuscire a parlare così fluidamente. Mi complimentai con me stessa. Stavo andando alla grande. Ero la tipica adolescente in crisi per la separazione dei suoi genitori, non adattatasi al recente trasloco, che aveva fatto un colpo di testa per la fine della sua storia con il suo ex-ragazzo. Presi coraggio e continuai ancora più spedita. Mi stavo lamentando della perenne umidità di Forks, con aria veramente afflitta, quando il dottor Peterson che era rimasto in silenzio fino a quel momento parlò: «Allora Bella, la pioggia non ti piace?» Il suo commento mi spiazzò. Mi riportò alla mente l’aula di biologia, lo sguardo del mio compagno di banco su di me, l’oro caldo dei suoi occhi fissi nei miei … «No, direi di no.» Risposi automaticamente e la voce mi si fece d’un tratto un sussurro. «Avrei detto il contrario, vista la tua passeggiata notturna dell’altra sera.» Continuò imperterrito il dottore. «Sì, beh avevo bisogno di un po’ d’aria …» Mi concentrai con attenzione sulla “versione ufficiale” che avevo maldestramente fornito a Charlie in veste da lavoro. «Capisco.» Disse lui ed ero certa che le sue parole stessero nascondendo qualcosa. Continuava a fissarmi da dietro gli occhialini con sguardo determinato. Non era assolutamente predisposto a farsi rifilare la mia interpretazione da attricetta di terza serie e sotto l’aspetto compito mi sembrava provare disprezzo nei miei confronti. Arrossii fino alla punta dei capelli. Quell’uomo non mi conosceva, eppure aveva già deciso che fossi da condannare … non avevo bisogno anche del suo sguardo sprezzante, mi bastava quello che ogni giorno mi lanciavo allo specchio da sola a farmi sentire ripugnante. «Allora, cosa hai escogitato per la prossima volta? Taglio delle vene? Avvelenamento da sonniferi?» La sua voce era di ghiaccio. I suoi colleghi lo fissavano allibiti, io avevo aperto la bocca per ribattere, ma l’avevo richiusa immediatamente. Quel Peterson pensava che avessi tentato di suicidarmi. Compresi d’un tratto la delicatezza della situazione in cui mi trovavo. Quegli individui dinnanzi a me dovevano decidere della mia salute mentale e la situazione aveva preso una piega pericolosa. «Niente di tutto ciò, dottore, le assicuro che non intendo affatto togliermi la vita.» Sfoderai un tono che voleva essere sicuro, convincente, ma che alle mie stesse orecchie suonò implorante. «Volete seguirmi nella stanza affianco colleghi?» Il dottor Peterson si rivolse agli altri due, senza staccare gli occhi da me. Io avevo abbassato i miei, incapace di reggere l’accusa nei suoi. Si alzarono e uscirono dicendomi di attendere lì per qualche minuto. Quando udii chiudersi la porta, mi appoggiai stanca allo schienale della poltrona e chiusi gli occhi. Mi abbandonai allo sconforto. Avevo voglia di fuggire da tutti e, invece, mi sentivo in trappola. Sospirai ed aprii gli occhi. Avevo bisogno di muovermi. Mi diressi alla finestra che dava sulla strada e guardai le auto scorrere veloci. Chissà cosa si stavano dicendo, cosa dicevano di me in quel momento, cosa avrebbero detto a Charlie. Non mi importava nulla del loro giudizio, ma mi dispiaceva che mio padre potesse soffrire per me. Era solo per lui che stavo affrontando tutto questo, per tranquill … Mi bloccai rigida e sbarrai gli occhi. Li sbattei un paio di volte per mettere a fuoco e, poi, con entrambi i palmi sul vetro mormorai debole il nome della persona che avevo riconosciuto uscire da un noto atelier di moda «Alice». CHARLIE Mi ero alzato in piedi non appena i tre dottori erano emersi dalla stanza. Bella era rimasta lì dentro per un bel pezzo, ma non uscì con loro. Li guardai in preda all’ansia, ma la donna mi sorrise con fare rassicurante e mi fece cenno di aspettare che mi chiamassero. Poi, si chiusero in una stanzetta attigua. Ritornai a sedermi e guardai Jacob. Sembrava che stesse seduto sui carboni ardenti. Quel ragazzo era davvero un cuor d’oro, si stava facendo in quattro per Bella, niente di nemmeno paragonabile a quell’altro, quell’Edward … Sentii crescere in me la rabbia, un lusso a cui quelli che facevano il mio mestiere non potevano abbandonarsi neanche un attimo, e la soffocai. Era l’ennesima volta che Bella aveva rischiato la vita in circostanze a dir poco ambigue, circostanze che vedevano più o meno direttamente coinvolto anche Cullen. Il ragazzo apparteneva ad una famiglia di tutto rispetto, si era comportato sempre in modo irreprensibile, con fare compito, educato … quasi un gentiluomo d’altri tempi! Ma, poi, l’aveva abbandonata e Bella era come morta. Lei non ne aveva fatto mai parola con me ed io avevo rispettato il suo dolore senza forzarla ad alcuna confidenza. Non ne aveva voluto sapere di ritornare da sua madre a Jacksonville e non l’avevo obbligata in alcun modo, ma adesso la situazione mi stava sfuggendo di mano. Bella era diventata un pericolo per se stessa, aveva bisogno di aiuto. La porta della stanza in cui i tre medici si erano riuniti si aprì e fui invitato ad entrare. Avevo un’orribile sensazione, ma mi alzai lanciando uno sguardo eloquente a Jacob indicando la porta della stanza in cui si trovava ancora Bella. Il ragazzo annuì appena con un cenno del capo. Entrai nella stanza dei medici. La stanza era in penombra e loro erano in piedi vicino a quello che avevo riconosciuto essere un finto specchio, di quelli che si usano in alcuni distretti per osservare il comportamento degli indiziati sottoposti ad interrogatorio. E loro stavano osservando mia figlia. Mi venne la nausea al pensiero che la mia bambina fosse all’oscuro di tutto e trovai la cosa una terribile violazione della sua privacy. «Ma è proprio necessario?» Ed indicai il vetro con un cenno del capo. «Si tranquillizzi, Sig. Swan, siamo medici, non guardoni. E questo si rivela a volte un utile strumento diagnostico.» Aveva parlato un individuo bassino, doveva essere il pezzo da novanta di cui mi erano state decantate le lodi in centrale. Annuii e attesi. Con un cenno mi fecero segno di avvicinarmi. «Dunque, Sig. Swan, sua figlia è in discrete condizioni psichiche. Ha mantenuto una buona capacità di ragionamento e lucidità durante tutto il colloquio, e non ha evidenziato gravi disturbi emotivi, tuttavia, …» la dottoressa che stava parlando con tono che pareva rassicurante, tentennò lanciando uno sguardo a quello bassino. «Tuttavia la lunga esperienza del dottor Peterson nel campo adolescenziale e psichiatrico, ci suggerisce di essere molto cauti nella valutazione di una giovane che ha vissuto traumi ravvicinati.» Terminò più convinta. Il dottor Peterson mi guardò dritto negli occhi e sembrò avere mille anni. «Le suggeriamo un ricovero preventivo in una struttura adeguata dove potrò io stesso seguire la ragazza con una terapia di sostegno psicologica ed eventualmente farmacologica.» Disse senza mezzi termini. Volevano ricoverare Bella? Mi girai a guardarla interdetto. Si era avvicinata alla finestra distratta e guardava la strada. La mia bambina in un manicomio? «So cosa pensa, Sig. Swan, ma mi creda non è quello che immagina. Le strutture di cui le parlo non sono quelle in cui venivano abbandonati i pazienti decenni addietro. Sono strutture moderne, con personale qualificato che sa far fronte alle situazioni di emergenza. Sua figlia soffre di un disturbo di personalità, direi che si tratta di un soggetto bipolare, alterna, cioè fasi positive con fasi depressive.» Il dottor Peterson mi guardava condiscendente, con compassione. Nei suoi occhi passò un’ombra, ma poi si girò fissando Bella attentamente. «Sig. Swan, so cosa prova. Ho avuto una figlia nelle stesse condizioni di Bella, solo che a quel tempo non c’erano tutte le tecniche attuali e non è stato possibile salvarla da se stessa. Sarà in ottime mani, mi creda, noi …» si bloccò, i suoi occhi divennero due fessure. «MALEDIZIONE, PRESTO!!» e si precipitò nell’altra stanza. Lo osservai con perplessità, ma, poi, guardai Bella e capii. Singhiozzava agitata e tentava di aprire istericamente le ante della finestra del sesto piano di quel palazzo. NOTA DELL'AUTRICE: cloe cullen: Benvenuta nel nostro club di piccole disperate!! Spero che non ti abbia ispirato una storia troppo triste, la mia in fondo è piena di amore… Baci elenapg: purtroppo Bella è destinata ad altre dure prove… non mi picchiare! E hai ragione, Alice e Jasper sono una forza, io li adoro. keska: la penso proprio come te. Non era possibile che due persone che si amano tanto non abbiano un legame oltre il tempo e lo spazio … Grazie per la tua recensione, non sei obbligata a commentare sempre, ma mi fa piacerissimo quando leggo le vostre opinioni! Baci goten: su, non fare così…! Per la legge di Murphy se qualcosa deve andare storto, andrà storto di sicuro! Baci |
Capitolo 9
*** Speranza ***
EDIT:
Capitolo revisionato e corretto. Ringrazio moltissimo Nais che mi ha dato
preziosi consigli per riscrivere le frasi in portoghese corretto.
CAP.9
SPERANZA JASPER Non c’era nulla che potesse far cedere quel folletto di Alice come del sano shopping. Non era difficile capire che avevo tentato in tutti i modi di nasconderle qualcosa, avevo cambiato decisione con enorme rapidità, di modo che lei non avesse una visione chiara delle mie scelte e non potesse prevedere l’immediato futuro che mi riguardava. Sorrisi leggermente. Alice odiava non avere tutto sotto controllo, ma a volte questa cosa era necessaria per il suo stesso bene. La mancanza di Edward la faceva stare male. Girava per casa sempre di umore tetro, non parlava quasi mai, non sorrideva più spontaneamente. Oh, quando sentiva il mio sguardo su di lei si sforzava di apparire allegra, ma il suo stato d’animo mi era chiaro come un libro spalancato. Odiavo usare il mio potere su di lei e non sopportavo più di vederla così. Rispettavo il desiderio di Edward di restare da solo, e non sarebbe servito a nulla cercare di convincerlo a tornare. Avevo percepito la sua determinazione. Ma io dovevo fare qualcosa per Alice. Al pari della mancanza di nostro fratello, Alice soffriva anche per la lontananza da Bella. Era angustiata e combattuta per la promessa che avevamo fatto ad Edward, ma desiderava vederla e sapere come stava. Ma la lealtà di Alice era encomiabile, non avrebbe mai fatto nulla che rischiasse di farlo stare ancora più male, ed, inoltre, ne aveva anche un po’ paura. Sorrisi tra me. Edward non avrebbe mai fatto del male alla sua diletta, io lo sapevo bene, ma le sue sfuriate erano piuttosto … teatrali. Mi riscossi sbattendo le palpebre quando la mia amata mi guardò con uno sguardo interrogativo, in trepida attesa. Mi aveva chiesto qualcosa e sentii che si stava spazientendo. Era quasi un’ora fa che quella boutique ci aveva spalancato le porte, e cominciavo a perdere colpi. «Ho detto, ROSSO CARDINALE O ROSSO CILIEGIA?» Scandì le parole una ad una come ad un ritardato mostrandomi due foulard praticamente identici. Li presi in mano avvicinandomeli al volto e strabuzzando gli occhi assorto. Sì erano proprio identici. «Oh Rosso cardinale, tesoro, senza dubbio.» Con grazia Alice lasciò andare il foulard che avevo indicato e prese l’altro porgendolo alla commessa che la guardava inebetita. «Allora prendo questo, lui non ha il minimo senso estetico.» Disse Alice ed io sorrisi al mio piccolo folletto dispettoso. «Che ne dici, se ci incontriamo tra un paio d’ore alla Mercedes?» Si rivolse a me esasperata. La cosa che Alice odiava sopra tutte le altre era un compagno di shopping negligente, che non avesse quelle che lei considerava essere qualità indispensabili: occhio, gusto e resistenza. Ero irrimediabilmente carente nelle prime due, quindi, perlopiù inutile. Poi, mi colpì un’idea. Era perfetto! Mi affrettai ad uscire dal negozio con passo non proprio umano, mormorando un «Ok, a dopo». Decisi, prima che Alice mi smascherasse miseramente, di dirigermi verso un negozio di motociclette che avevo notato di fianco alla boutique più di un’ora prima. Dovevo agire in fretta per raggiungere Forks, prima che Alice mi intercettasse. Mi fiondai alla Mercedes. Che avesse una visione in seguito, quando ero già di strada, mi andava più che bene. Avrebbe finalmente visto Bella attraverso i miei occhi, si sarebbe messa un po’ l’anima in pace, e, nello stesso tempo non avrebbe infranto la promessa fatta ad Edward. L’ira di nostro fratello si sarebbe scatenata solo su di me, e questo l’avevo messo in conto. Ero preparato ad affrontarlo, anche se l’idea di contrastarmi con lui mi turbava. Edward era sempre molto riservato riguardo la nostra intimità perché suo malgrado era testimone involontario di ogni evento che sfiorasse le nostre menti. Ed io stavo per violare la promessa che gli avevo fatto immischiandomi negli affari suoi. “Mi dispiace Edward, ma è per Alice, e lei E’ AFFAR MIO” pensai, tuttavia, più determinato che mai accelerando al massimo. ALICE Lo guardai allontanarsi scuotendo il capo. Era davvero un caso disperato. Meglio continuare da sola. Mi diressi alla cassa, porgendo alla commessa una carta di credito ultra platinata in maniera distratta. Pensavo agli altri quattro o cinque negozi da svaligiare che avevo adocchiato e al tempo che mi rimaneva prima di rincontrarmi con Jasper. Forse avrebbe atteso un pochino … Non mi piaceva restare sola, ma trascinarmelo dietro per altre due ore non mi allettava affatto. E, poi, avevo visto lo sguardo che aveva lanciato a quelle moto nel negozio lì all’angolo. Afferrai le buste che la commessa mi porgeva e uscii a passo spedito dal negozio. Sorrisi sentendo l’odore di Jasper provenire dalla direzione che avevo intuito. A volte non era necessario essere una veggente per prevedere il futuro … Mi fermai un attimo sul marciapiede, indecisa verso quale negozio dirigermi per primo. Una fitta mi trafisse la testa e mi bloccai, lasciando cadere tutti i pacchetti che reggevo tra le mani. Stavo per avere una visione. La vista si offuscò improvvisamente. Provavo sempre una sensazione di dolore quando le visioni mi arrivavano inaspettate e non ero io a concentrarmi per evocarle. Jasper in macchina Il cartello di Forks La stanza di Bella vuota Ma neanche un secondo dopo la visione stava già cambiando. Jasper al cellulare che parlava con voce concitata e sterzava bruscamente per cambiare direzione. Poi, ancora altre immagini Me stessa, ferma sul quello stesso marciapiedi, vista da lontano, dagli occhi di qualcuno che mi avrebbe scorta tra pochi attimi, vista dagli occhi di Bella!!! Poi, voci concitate, le urla di Bella, mani che l’afferravano, la tenevano ferma mentre si dibatteva. La visione cominciò a sfocarsi, come se ci fosse un’interferenza. Una siringa, lacrime, tanto dolore … E poi, il buio. Afferrai il cellulare con mano tremante e composi il numero di Jasper. Alzai lo sguardo verso il palazzo che dall’angolazione della visione doveva essere quello in cui Bella si trovava. Lessi con angoscia sul cancello l’insegna piccola e discreta “Centro di salute mentale”. «Già finito?» rispose lui sorpreso. «E’ inutile Jasper. Torna indietro, tra qualche momento Bella mi vedrà dalla finestra del palazzo di fronte. L’hanno portata in manicomio.» Dissi io senza la minima inflessione nella voce. Attaccai e composi un altro numero. EDWARD Fissavo il soffitto da ore senza vederlo. Ero disteso a terra con le braccia sotto la testa con gesto meccanico e riflettevo assorto. Da tempo avevo imparato a controllare le mie emozioni e non sarebbe servito a nulla agitarmi. Dovevo solo aspettare. Qualcosa sarebbe successo, un cenno, uno sprazzo, un mormorio. Niente. Ormai, niente da giorni. Dopo l’ultima potente visione non avevo avuto più alcun segno di Bella e cominciavo a domandarmi seriamente se davvero nella mia mente fosse tutto a posto. Desideravo fortemente una nuova “allucinazione”, il nutrimento del mio spirito, ed, inoltre ero in uno stato di ansia parossistica. Il mio ultimo contatto con l’altra dimensione mi aveva lasciato un’orribile sensazione di disagio, anche se la sensazione di pericolo non l’avvertivo più. Purtoppo non avvertivo più niente e questo mi preoccupava. Bella, Bella, Bella come stai in questo momento? Pensai angosciato. Ero profondamente combattuto. In me si lottava da sempre una battaglia interiore tra la parte razionale e quella istintiva, due contendenti di ugual valore e tenacia. Ma dentro bruciavo dal desiderio di prendere il primo aereo e ritornare a Forks. Solo per vedere se sta bene. Poi, scomparirai per sempre, davvero Edward. Mi ripeteva la mia mente con la voce che usavo quando volevo affascinare e circuire gli umani. Mi ero ritrovato già per le scale almeno una mezza dozzina di volte, ma poi, ritornavo nuovamente al mio covo maleodorante a testa bassa. Non potevo vanificare tutti gli sforzi che avevo fatto in questi mesi, tutti i sacrifici che avevo fatto affrontare a Bella, solo per soddisfare ancora un mio egoismo. Chiusi gli occhi. Forse avrei potuto chiedere ad Alice, solo per questa volta, solo una rapida sbirciatina, ne sarebbe stata contenta … Sentii dei passetti esitanti salire l’ultima rampa che portava solo alla soffitta. Mi giunsero dei pensieri delicati e dolci in portoghese. Tomara que ele não me mande embora como a outra vez. - Speriamo che non mi cacci via come l’altra volta.- Sorrisi. Quella ragazza era testarda. Aveva fatto capolino un pomeriggio di una settimana fa, timidamente, presentandosi. «Olá, estrangeiro. Meu nome é Adélia, se tu quer comer alguma coisa a minha mãe prepara boa comida barata …» - « Ciao, forestiero. Mi chiamo Adélia se vuoi mangiare qualcosa mia madre prepara buon cibo a poco prezzo …» - In Brasile era tutto in vendita, te lo proponevano ad ogni angolo di strada, fino alla porta della tua abitazione: cibo, sesso, droga, qualsiasi cosa pur di fare qualche spicciolo per lenire l’estrema povertà. L’avevo guardata con fastidio e le avevo risposto sgarbatamente «Eu não preciso de nada.» -« Non mi serve niente.» Era fuggita via, ma sapevo che prima o poi sarebbe tornata. Ed eccola al contrattacco. Mi faceva tenerezza quella ragazza dagli occhi neri acuti e fieri. Non voleva la carità. Si capiva che, da sotto quegli stracci, doveva essere molto carina, ma i miei occhi non riuscivano più ad abituarsi ad altro dopo che il mio sole mi aveva abbagliato. Bussò alla porta e, senza attendere risposta, l’aprì. Io non mi ero mosso di un millimetro. «Nada, Adélia.» Dissi sperando che desistesse. Ma poi, mi accorsi dai suoi pensieri che mi stava fissando con … desiderio? Non era solo questo, c’era anche calcolo. Sospirai triste. Quell’innocente voleva vendersi a me anche per pochi soldi, ma in fondo era anche attratta dal mio corpo. Avrebbe unito l’utile al dilettevole. « Quer company?» - «Vuoi compagnia?» - aveva fatto un passetto nella mia direzione. «Vai embora, pequena.» - « Vai via, piccola»- dissi a voce bassa. Aveva incontrato una persona dalle maniera gentili ora, ma domani? Domani avrebbe infoltito le strade di disperati che vendevano piacere a persone ancora più disperate di loro. «Pouco dinheiro, estrangeiro, não se preocupe.» -«Pochi soldi, forestiero, non preoccuparti»- e si denudò rapidamente il seno pieno e sodo a pochi passi da me. La guardai. Mio malgrado, ne ammirai la linea delicata e le punte ancora più scure. Mi alzai lentamente dal pavimento e mi avvicinai, misi le mani in tasca e le diedi quei pochi soldi che avevo con me. Lei mi guardò sorridendo, liberò le mie mani dalle banconote e mi guidò il palmo verso la sua nudità. Le bloccai i polsi, portandole le braccia lungo il corpo. «Vá-se embora, eu disse.» -«Vai via, ho detto»- Il mio tono era diventato freddo. All’improvviso sentii un dolore profondo nella piega del braccio. Me lo tenni con l’altra mano avvicinandolo al corpo e mi piegai in preda di una fitta lancinante alla testa. Nella mia mente vidi un ago e sentii le urla disperate della mia amata. Mi accasciai al suolo in ginocchio. Adélia fece per avvicinarmi, ma io ringhiai furioso prendendomi la testa tra le mani «FUORI !!!». Non servì il portoghese per farmi capire. Fuggì lasciandomi solo. Il dolore scomparve in un attimo. Mi alzai con le gambe un po’ tremanti. Ora sapevo cosa fare. Nello stesso istante squillò il cellulare. «Stiamo venendo a prenderti.» La voce di Alice, tetra, sembrava provenire dall’aldilà. |
Capitolo 10
*** Incubi ***
EDIT:
Capitolo revisionato e corretto.
CAP.
10
INCUBI EDWARD Avevamo convenuto di vederci all’aeroporto di Rio. Non avrei potuto raggiungere Forks più velocemente che con i mezzi tradizionali, ma nelle condizioni in cui ero ridotto e senza soldi, non avrei potuto fare molto. Alice aveva fatto più in fretta possibile, riuscendo a beccare tutte le coincidenze. Il suo aereo sarebbe atterrato tra pochi minuti. Me ne stavo nascosto in un angolo della sala di aspetto. Non ci eravamo detti nulla riguardo Bella al telefono, eravamo entrambi troppo tesi, ma non mi servivano altre informazioni. L’eco delle sue urla nella mia mente non mi aveva abbandonato un attimo. Mi maledissi, cosciente davvero per la prima volta, di aver commesso un tragico errore, un errore per il quale Bella stava pagando al mio posto. Il mio desiderio di evitarle future, possibili sofferenze se mi fosse restata vicina l’aveva, invece, esposta a dei tormenti certi per il presente. Dovevo rimanerle accanto, magari nell’ombra per il resto della sua vita, ma avrei dovuto proteggerla a tutti i costi. Avrei resistito dall’avvicinarmi a lei, l’avrei fatto contro ogni possibile logica, ma sarei dovuto rimanere a vegliare su di lei. Ringhiai a denti stretti senza rendermene conto. Una signora mi fissò terrorizzata e si allontanò rapida. Sentivo la rabbia scorrere lì dove avrebbe dovuto esserci il sangue. Il mio autocontrollo stava per vacillare … Alice, dove diavolo sei? Pensai quasi al limite. Calma fratello, stai calmo. I pensieri di Jasper mi giunsero insieme ad un’aura di tranquillità. Mi voltai e li vidi avvicinarsi rapidi quanto l’affollamento del luogo lo permetteva. Osservai Alice. Lessi nella sua mente preoccupazione ed ansia, per me, per Bella … Il cuore mi si strinse in una morsa. Ci voleva bene e aveva sofferto molto in questi mesi a causa della forzata lontananza, a causa mia. Sentii un’altra ondata di calma pervadermi. Basta Edward. Dobbiamo pensare a Bella ora. Jasper mi fissava attento ed io annuì impercettibilmente. Alice ruppe la nostra silenziosa conversazione e disse con leggerezza forzata: «Cavolo Edward, sei davvero un disastro.» Poi, mi sorrise teneramente. «Andiamo, il mio fratello preferito non può essere ricoperto di stracci.» «Alice, mi dispiace … sono stato un idiota. Avrei dovuto ascoltarti.» Dissi afflitto. «Finalmente! Mr. Perfettino è una frana in qualcosa!» Poi, con voce sibillina «Saprai farti perdonare» e mi fece l’occhiolino complice. Nell’attesa della coincidenza per Houston Alice mi trascinò in un paio di negozi che reputava essere abbastanza all’altezza, e in meno di mezz’ora ero lindo e vestito di tutto punto. Invero dovevo ammettere di sentirmi molto meglio. Dovevamo attendere ancora una decina di minuti, quindi ci appartammo silenziosi. Osservai Alice. Lei mi fece appena un cenno del capo ed io chiusi gli occhi concentrandomi sui suoi pensieri. Vidi i ricordi di Alice delle visioni avute, e, poi, la terribile immagine di Bella urlante che si dibatteva furiosamente tra due uomini che cercavano di bloccarle le braccia e le gambe. Nella mia allucinazione l’avevo solo sentita, ma vederla fu terribile. Cominciai ad ansimare affannosamente. Strinsi forte i pugni e mi appoggiai al muro dietro di me. Mi sembrava di precipitare. «E’ già accaduto?» chiesi in un sussurro, pur conoscendo la risposta. Sì Edward, circa un giorno fa, pensò lei dispiaciuta. «Non puoi dirmi qualcosa in più?» Chiesi perplesso, aprendo gli occhi e fissandomi nei suoi «Perché ora non riesci a vederla?» Non lo so, c’è come un’interferenza. Era desolata. Jasper le circondò le spalle amorevolmente e la guardò concentrato. Sentii il sospiro di Alice e istantaneamente i suoi muscoli si rilassarono. «Non preoccuparti, tra poco saremo a Forks e sistemeremo tutto.» Le dissi cercando di fare coraggio a lei, ma forse, di più a me. Sicuro che avrei sistemato tutto. Per cominciare avrei staccato quelle braccia che avevano osato sfiorare Bella contro la sua volontà, dal corpo cui erano attaccate. Poi, mi sarei inginocchiato ai suoi piedi chiedendole perdono e sperando di non essere fuori tempo massimo. Idiota, sono solo un idiota. Avrei strisciato ai suoi piedi per l’eternità se poteva essere d’aiuto. Alice e Jasper si scambiarono un’occhiata fugace, che non mi sfuggì. Prendendo un respiro profondo Jasper mi guardò e disse: «Edward, cerca di controllarti, ma devi sapere che Bella non è più a Forks. L’ultimo posto in cui sappiamo che è stata è Port Angeles. Non l’abbiamo seguita perché abbiamo pensato di aggravare la situazione, se ci avesse visto o se ci avesse visto qualcun altro …» Assorbii quelle informazioni con un groppo alla gola. Bella scomparsa? D’un tratto mi sentii quasi sollevato. Ciò significava che era riuscita a fuggire. Ma da chi? E ora dov’era? «Non importa la ritroveremo, potremmo rivolgerci a Charlie, ci darà qualche informazione in più, magari andrà Alice, poi …» Jasper interruppe il mio fiume di parole agitate. «Aspetta Edward, non è così semplice. Bella non è fuggita. E noi non conosciamo la città in cui si trova, ma conosciamo il genere di posto in cui la tengono.» «Che posto?» Allora era stata rapita, ecco. La rabbia cominciò a montarmi dentro. Iniziai a tremare nello sforzo di controllarmi. «Jasper, dov’è? Dimmelo.» La mia voce era diventata pericolosamente bassa. Sentii il tentativo di mio fratello di usare la sua capacità su di me. «NON MI CALMO, JASPER. DIMMELO. ORA!» Scandii le parole una ad una lentamente. I pensieri di Alice mi colpirono come uno schiaffo. La voce nella mia testa era un sussurro ed era intrisa di dolore. L’hanno portata in un manicomio Edward. Irruppe in un gemito e si appoggiò a Jasper in cerca di sostegno. Contemporaneamente dagli altoparlanti «IMBARCO IMMEDIATO PER HOUSTON, GATE 9.» La voce metallica indicava il nostro volo. Ebbi bisogno di un attimo umano per acquisire la consapevolezza della portata delle parole di Alice. Manicomio? Manicomio. Bella in un manicomio? IN MANICOMIO!!! I miei pensieri erano confusi e disordinati. Ero nel panico. Non riuscii a sostenere il peso della rivelazione e, senza curarmi, della persone che avrebbero potuto notarmi, schizzai come un lampo all’aereo. Alice e Jasper mi seguirono con passo rapido, ma umano, e l’aria apparentemente tranquilla, constatando che l’unico segno visibile del mio accesso d’ira era solo il cemento che si sbriciolava sulla parete dove erano bene evidenti le impronte dei miei palmi. BELLA Fluttuavo leggera come se non avessi più un corpo materiale che mi imprigionasse. Era una sensazione strana, ma piacevole. Dopo tutto il dolore che mi aveva schiacciato in questi mesi, per la prima volta mi sentivo una piuma, mi sentivo bene. Forse ero morta. Ero morta quel giorno nel bosco ed ora esistevo solo come uno spirito. Non provavo più alcun dolore fisico e la mia mente era come avvolta in una nuvola di zucchero filato. Tutto era ovattato: i suoni, gli odori, le luci. O forse era un sogno. Uno di quei sogni dove la mente si rifugia in un anfratto sicuro e non provi alcuna sensazione negativa. Strano, però, che nel mio sogno non ci fosse Edward. Lo sognavo sempre. Allora era un incubo. Ecco cos’era. Il mio amore mi era ancora vicino nei sogni e sentivo di non riuscire a sopportare questa specie di inconscia veglia senza di lui. Già vivevo senza di lui ogni giorno, non poteva essersene andato anche dalla dimensione onirica. Mi mossi agitata e mi uscì un singhiozzo strozzato. Come da dietro una porta pesante sentii delle voci. «Si sta risvegliando.» «E’ ancora molto agitata, forse sarebbe meglio darle un’altra dose.» «Vado a dirlo al dottore» Silenzio. Percepii d’un tratto qualcosa che mi pizzicava il braccio. «Fatto, ne avrà per un bel pezzo» «Hai visto com’è carina?» «Sì, ma è magrissima, e, poi, è solo una ragazzina Duke … non mi pare proprio il caso.» Erano due persone? Forse, ma le voci erano confuse, sempre più lontane, lontane … No, non era nemmeno un incubo perché sapevo che da quello prima o poi mi sarei risvegliata, da questo, invece, ero consapevole che non sarei riemersa più. |
Capitolo 11
*** Pensieri ***
EDIT:
Capitolo revisionato e corretto.
CAP.
11
PENSIERI EDWARD Il viaggio in aereo era stato un vero incubo. I secondi sembravano distillarsi goccia a goccia nell’enorme ampolla del tempo con una lentezza esasperante. Jasper ed Alice erano seduti nei posti dietro al mio. Mi ero rassegnato ad essere paziente non potendo fare null’altro, ed avevo apprezzato molto che i miei fratelli durante tutto il tragitto non avessero formulato alcun pensiero su quella che poteva essere la situazione attuale di Bella. Cercavo disperatamente di non soffermarmi troppo sugli scenari più terrificanti che potessi immaginare e che avevano Bella come soggetto principale. Sapevo che dovevo essere preparato ad affrontare situazioni difficili. La prima con cui mi sarei dovuto scontrare era Charlie. Direi che odio dovesse, probabilmente, rendere bene il sentimento che avrebbe provato per me a quest’ora. Non che potessi dargli torto, ma avevo bisogno di sapere da lui dove trovare Bella, visto che Alice non riusciva a vederla. Già che cosa strana. Alice aveva detto che la visione su Bella aveva come avuto un’improvvisa interferenza e poi si era dissolta. Io d’altro canto non riuscivo più ad avere alcuna percezione su di lei. Amore mio resisti. Avevo pensato per tutto il tempo in aereo intensamente sperando di riuscire ad infondere alla mia amata la forza necessaria a sostenere questa situazione. Ero stato distratto solo una volta dai pensieri di Alice che mi mostrava una visione di lei che discuteva di Bella con Charlie nella sua cucina. Io ero di fuori in ascolto. Pensi che potrebbe funzionare, Edward? «Credo di sì» avevo mormorato e ora eravamo quasi fuori casa di Charlie. Sarei rimasto nei paraggi abbastanza vicino da leggergli nella mente le informazioni che ci servivano. E se Alice non fosse riuscita a farglielo anche solo pensare, mi sarei appostato giorno e notte di fuori e l’avrei seguito. Prima o poi sarebbe andato a trovarla. Ero sceso dalla Mercedes appena passato il cartello di Forks e seguivo l’auto con i miei fratelli correndo attraverso il bosco. Jasper si fermò proprio dove Bella usava parcheggiare il suo pick-up e provai una stretta al cuore non vedendolo al suo solito posto. Forse Charlie l’aveva portato in qualche garage preventivando un lungo allontanamento del suo proprietario. Mi posizionai dietro un albero di fronte alla cucina. Ero abbastanza vicino che avrei potuto sentire anche le voci dall’interno. Alice salì i gradini della veranda da sola. Jasper l’aspettava in macchina. Inspirò e bussò al campanello. Sentii i passi pesanti del capo Swan apprestarsi alla porta e la vidi aprirsi. «Ciao Charlie.» La voce di mia sorella tradiva emozione. Era molto legata al padre di Bella. Nella mente di Charlie lessi un susseguirsi di sensazioni forti e contrastanti. Sorpresa, dolore, rabbia, rassegnazione. Poi, gioia. Mi rilassai, almeno le avrebbe permesso di parlare. «Oh Alice, quanto tempo …» la voce di Charlie si era incrinata. Esitò, poi, l’abbracciò e si scostò per farla entrare. Acuì tutti i miei sensi e attesi. Vedevo il volto stanco di Charlie attraverso gli occhi di Alice e sentivo i pensieri dispiaciuti di mia sorella. Quell’uomo aveva passato, e stava passando tuttora, dei brutti momenti. Isolai tutti i pensieri e le immagini superflue e mi concentrai su Charlie. Parlarono per un po’ del più e del meno. Per la nostra partenza, Alice aveva sfoderato la scusa della manifestazione di una rara sintomatologia che l’aveva obbligata a degli esami speciali eseguibili solo a Los Angeles. Lui le prese la mano toccato e le chiese delle sue attuali condizioni di salute. «Ora sto bene, ma ti prego, Charlie, parlami di Bella. Mi è mancata tanto, sapessi quanto è stato difficile per me non averle potuto più parlare. Come sta, dov’è?» Lui la guardò con sofferenza e disse solo: «E’ stata molto male Alice e non si è ancora ripresa.» Mi colpirono dei ricordi di Charlie che osservava Bella. Bella seduta in cucina sciupata, il capo chino e gli occhi tristi persi nel piatto intatto davanti a sé. E ancora Charlie che si alzava la notte per controllarla e la sentiva singhiozzare dietro la porta. Serrai forte la mascella. Presi un paio di respiri per calmarmi. «Capisco.» Il tono di Alice si era fatto serio. Aveva capito che non sarebbe stato facile estorcere a Charlie qualsivoglia informazione che potesse esporre la figlia ad un possibile ritorno al passato che avrebbe riacutizzato il dolore. Poi, la dolcezza fatta persona, continuò in tono dimesso e implorante: «Ah come vorrei poterla rivedere! Ma mi rendo conto che potrebbe essere un po’ prematuro se non è in condizioni di salute ottimali. Magari potrei scriverle una lettera? Pensi che potrebbe farle piacere?» Mi protesi un po’ in avanti per ascoltare la risposta di lui. Attesi impaziente, ma i suoi pensieri mi raggiunsero per primi. Mi dispiace tesoro, ma non esporrò Bella ad alcun trauma a causa di voi Cullen. Lo so che tu sei in buona fede, ma quell’altro … No, non posso darti l’indirizzo della clinica. Decise infine. Sospirai affranto. Ci sarebbe voluto più tempo di quanto avessi immaginato. «Non lo so, Alice, non so se gliela farebbero recapitare. E’ in una clinica dove si stanno prendendo cura di lei, ma è ancora molto debole, ha bisogno di tranquillità …» le parole di lui erano gentili, ma il tono era fermo. Vidi un’immagine della clinica nella mente di Charlie Un palazzo a sette piani, un giardino dinnanzi, un cancello verde … Mi sarebbe stato utile. «Certo, mi rendo conto perfettamente.» Alice si era alzata e si avviava alla porta. Lui l’accompagnava e disse esitante con aria preoccupata: «Scusami se te lo chiedo Alice, ma non tornerà anche lui vero?» Lei ritenne più cauto mentire in questo frangente. «Non per il momento credo» Poi, si girò e disse furba:« Magari la lettera potrei darla a te domani, così potresti portargliela tu la prossima volta che vai a trovarla!» Lui la guardò teneramente. Gli dispiaceva mentirle, lo leggevo chiaramente, ma per Bella avrebbe affrontato le peggiori torture. Si affrettò a dire:« Certo cara, dalla pure a me quando l’avrai scritta, gliela consegnerò io.» Intanto aveva aperto la porta e la salutava dispiaciuto per lei. Pensieri contriti accompagnavano i convenevoli. Poveretta, so che le vuole bene, ma non credo che porterò la sua lettera con me, la prossima volta che andrò a Seattle. SEATTLE! Mi voltai e cominciai a correre come il vento. JACOB Me ne stavo nascosto fuori al giardino della clinica. L’orario di visite era finito e non mi permettevano più di rimanere con Bella. Di ritornare a casa non se ne parlava proprio. Non la lasciavo lì da sola. Avrei trascorso tutta la notte fuori, ma non mi sarei allontanato da lei di un altro metro. Piccola Bella, piccola mia. In realtà non è che potessi proprio usare l’aggettivo mia, ma avevamo fatto notevoli progressi in quel senso. Andavo a casa sua tutti i giorni, chiacchieravamo, e lei desiderava la mia compagnia. Mi pareva proprio che le cose stessero andando meglio. E poi, c’era stato quel bacio, quell’unico meraviglioso bacio. Forse era stato un po’ prematuro, ed io un po’ impetuoso, ma lei mi aveva chiesto di non andarmene, di stringerla. Lei me lo aveva chiesto. Ed io non sarei riuscito a resisterle ancora per molto. Stava andando tutto per il verso giusto fino a quando Charlie non l’aveva portata a Port Angeles da quegli strizzacervelli e lei aveva visto quella piccola sanguisuga. Mi sentivo un po’ in colpa, a dire il vero. Quel giorno quando i medici erano piombati nella stanza dove si trovava Bella, mi ero precipitato anch’io dentro. Lei era quasi riuscita ad aprire una finestra ed era agitatissima. Mormorava il nome della succhiasangue tra le lacrime. Poi, l’avevano afferrata e lei aveva cominciato ad urlare e a dibattersi. Mi ero avvicinato anche io e dalla finestra mi era giunta chiaramente la scia puzzolente di quegli schifosi vampiri. Senza pensarci molto, senza smentire i loro sospetti di un tentativo di suicidio avevo lasciato che la sedassero e la ricoverassero qui a Seattle. Non sapevo se quell’Alice l’avesse vista o sentita ma, nel dubbio, la possibilità di allontanarla da Forks mi sembrava un’occasione capitata proprio a fagiolo. Sarebbe trascorso un lasso di tempo utile ad accertarmi dell’eventuale ritorno dei Cullen e in quel caso li avrei affrontati. Non avrei permesso che facessero ancora del male a Bella. Al diavolo il patto, gli avrei sciolto tutti i lupi addosso e li avrei fatti a polpette! Non mi piaceva l’idea di Bella chiusa in un manicomio, ma quelli erano medici, giusto? Aiutavano le persone non facevano loro del male. Era di certo più sicuro tenerla qui dentro che a casa sua a Forks. Almeno per il momento. Almeno fino a quando non avessi avuto più tempo a disposizione per rafforzare il nostro legame nascente. Restavano ancora troppe questioni irrisolte. Non le avevo ancora spiegato la mia natura di lupo. Benchè avessi accennato a qualche leggenda che narrava delle trasformazioni dei licantropi, e, inconsapevolmente avessi fatto riferimento al patto che i miei avi avevano stipulato con i Cullen, non mi ero rivelato nella mia vera natura, perché allora io stesso credevo che quelle fossero solo storielle. Ma l’anno prima era avvenuta la mia trasformazione. Sam mi aveva aiutato, confortato e spiegato che l’aumento dei vampiri nella nostra zona aveva innescato la mia trasformazione. Mi aveva parlato dell’alpha e mi aveva detto che nel branco attuale io ero l’alpha per diritto di nascita, ma che lui mi avrebbe aiutato e sostenuto fino a quando non mi sarei sentito pronto ad accettare il comando. Beh, ora mi sentivo pronto. Mi appoggiai al tronco di un albero con stanchezza. Non mi facevo una dormita decente da un po’, magari avrei schiacciato un pisolino … già solo qualche minuto per far riposare gli occhi … neanche mi resi conto di scivolare nel sonno. |