Erazî - La Terra Divisa

di FelicyaCiccarone
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Approfondimento ***
Capitolo 2: *** Prologo ***
Capitolo 3: *** Capitolo 1 ***



Capitolo 1
*** Approfondimento ***


Prima di iniziare pubblicando il prologo della storia, vorrei che leggeste qualcosa sulle origini dei nomi di ogni elemento componente il racconto, questo perché ha richiesto molto impegno da parte mia a fine di rendere il tutto più interessante.


Personaggio principale: Anais (graziosa - ebraico) 
Madre: Anouk (orso polare - inuit)
Padre: Abner (padre della luce - ebraico)
Antagonista: Xerab (male - curdo/kurmanji)
Popoli: Andhakāra (oscuri "popolo dell'oscurità" - bengalese) 
Helder (luminosi "popolo della luce" - africano)
Luoghi: Erazî - Stato (Terra Divisa - curdo/kurmanji)
Aalainn - città/sede degli Helder (Luce -birmano) 
Tumen - città/sede degli Andhakāra (Buio - bulgaro)
Armi: Kalōastra |Kalō Astra| (Arma nera - bengalese)
Hātērastra |Hātēra Astra| (Arma bianca - bengalese)

Ringrazio chiunque leggerà la storia ❤️










 

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Capitolo 2
*** Prologo ***


Prologo

Macerie, era questa la parola adatta per descrivere Erazî.
Vi erano pietre e travi di legno ovunque, tutto ciò a testimoniare il passaggio di coloro che cercavano di far prevalere la loro supremazia su tutto lo Stato, gli Andhakāra, il popolo dell'oscurità.
Avidi, conquistatori, amanti del denaro, ma molto di più amavano la discordia e la disperazione che si dipingeva sul volto della gente buona.
Quando essi passavano incutevano terrore nella popolazione, perché il loro divertimento era in quello: Intimorire gli innocenti.
Erazî però, non era del tutto distrutta, c'era una parte che ancora non era caduta in mano agli Andhakāra: La città di Aalainn.
Essa si trovava all'estremo confine est, dove il sole sorge, al capo opposto di Tumen, sede del popolo oscuro.
Aalainn era popolata dalla tribù Helder, il popolo della luce, esso era capeggiato da AbnerRe Bianco, e sua moglie Anouk.
Colui che manteneva la pace e l'armonia nella grande cittadina e che nel contempo era costretto a combattere le eresie del nemico, il Re Nero.
Xerab, un essere mostruoso, Re del popolo oscuro e di tutto ciò che causava ostilità nell'Universo.
Si tramava, e si trama ancora, di generazione in generazione che chi fosse riuscito a guardarlo negli occhi avrebbe sofferto di una morte lenta e dolorosa, ciò perché intrisi di malvagità e cattiveria.
Un elmo copriva il suo volto e nessuno, dopo che egli era diventato capo degli Andhakāra, era riuscito nell'intento di scorgere un minimo lineamento del suo viso.
Kalōastra, il nome della sua spada Divina.
"La lama dalle anime oscure", denominata così perché imprigionava ogni anima malvagia al suo interno, rendendone così il possessore malefico.
Arma altrettanto potente era Hātērastra, una lancia bianca, appartenente ad Abner.
Denominata "La lancia del bene", era capace di purificare ogni anima.
Ed è grazie a questo che ad Aalainn vi è sempre stata una costante quiete.
O almeno, c'era.
Arriva sempre un qualcosa che spezza un filo sottile, a cui sono aggrappate migliaia di vite, e quel filo era la vita di Abner.
Colpito da una grave malattia, anche l'uomo più forte e rispettato della grande città abbandonò il mondo terreno.
Un grande senso di afflizione si propagò per tutta Aalainn, bandiere nere vennero issate sulle torri del palazzo reale e ogni donna, uomo o bambino che fosse, si vestì di nero per il lutto.
La famiglia reale era distrutta, Anouk, la moglie dell'uomo, fissava il ritratto raffigurante il loro matrimonio:
Abner non era cambiato molto, il solito spilungono, come lo chiamava lei, i capelli di un bianco candido, che caratterizzava il popolo Helder, le braccia toniche che prendevano in braccio una, al tempo, giovane donna dalla chioma color neve, Anouk.
Prima di morire, aveva sul volto soltanto molte rughe in più, segnate da anni di guerre, la cicatrice che percorreva il suo addome, procurata da una spada.
La barbetta incolta troneggiava sul suo viso sciupato e di un colore innaturale, a parer della donna, ancora troppo giovane per lasciare questo dannato mondo.
-Amore mio- sussurrò, la stanza era silenziosa, dovuto al fatto che di due persone, solo una fosse viva.
La grande finestra era oscurata da pesanti tende nere, evitando che il sole filtrasse nella camera da letto. 
Le pareti verdi sembrarono stringersi attorno ad Anouk, un senso di soffocamento le si fece spazio fin su per la gola.
La donna non riuscì a gestire la situazione, si sentì così costretta ad uscire dalla stanza.
I corridoi bianchi e la troppa luce le bruciarono gli occhi, avendo passato troppo tempo nella stanza ombrosa.
Si poggiò su di una parete, chiudendo gli occhi e lasciandosi qualche minuto per respirare, le lacrime minacciarono di scendere copiose, perché era dovuto toccare proprio a lui? 
La sua spalla poggiava contro qualcosa di duro che realizzò trattarsi della teca.
La lancia Hātērastra era conservata nella gabbia di vetro trasparente, e lì Anouk sospirò.
 

-Anouk, sai che non terrò per molto- Abner biascicò difficilmente le parole.
-Non dire così, troveremo un modo- la donna era sull'orlo delle lacrime.
-Sai anche tu che non è vero, non darti false speranza tesoro- l'albina era abbracciata al marito, ormai sul letto di morte.
-Dovrai lasciare Aalainn in mano ad Anais, è l'unica a poter mettere la parola fine a tutte queste guerre, dobbiamo lasciare che la profezia faccia il suo corso, Hātērastra sarà al suo fianco, riuscirà a proteggersi - Anouk strinse i pugni, annuì semplicemente e guardò il suo compagno di vita chiudere gli occhi per sempre.
 

"Figlia mia, il destino di Erazî, dipende da te." Pensò la Regina Bianca, mentre si avviava verso l'esterno del castello.

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Capitolo 3
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1

Ndafatti verranno narrati al passato, questo perché la vicenda si svolge in un'epoca passata.

Anais vagava per il castello, un silenzio inquietante invadeva tutta l'antica costruzione.
Le guardie la osservavano con un sorriso di compassione sul volto.
Sentì loro mormorare "Povera principessa, il padre l'ha lasciata così giovane", ma in realtà la ragazza avrebbe volentieri desiderato calpestare la loro compassione sotto i piedi.
Secondo lei, le persone diventavano improvvisamente buone e caritatevoli quando qualcuno moriva, il che le rendeva mediocri e ridicole.
Molte volte aveva sentito le stesse guardie beffeggiare suo padre, nonostante la sua dedizione nel cercare di salvare il regno. 
Ma l'anima di Abner si era ormai librata in cielo, le cattiverie non lo avrebbero più scalfito, non che lo avessero mai fatto.
Il regno, nel totale sconforto, era fragile e facilmente penetrabile dalle forze nemiche.
Anche Anais avrebbe voluto partecipare alla grande tristezza che in quel momento invadeva Aalainn, ma l'unico desiderio che il Re Bianco le aveva confidato sul letto di morte era quello che lei, sua figlia, combattesse per lui.
E così la fanciulla aveva imbracciato il suo arco e issato in spalla la sacca in cuoio piena di frecce, dirigendosi verso un luogo ben preciso.
Raggiunse finalmente il corridoio che portava alla rudimentale palestra che si trovava nel palazzo, la grande porta in vetro rifletteva il suo corpo:
i capelli bianchi le scendevano mossi fino alle spalle, efelidi chiare le ricoprivano il piccolo naso e una parte delle gote, gli occhi erano motivo di vergogna per lei, grandi e neri. 
Non erano di certo brutti, ma il colore che essi portavano era tutt'altro che normale. Il
Popolo Helder, infatti, era noto non solo per i capelli bianchi, ma anche per i loro splendidi occhi dorati, che li portava a sembrare creature semi-divine, quasi innaturali e di una bellezza stravolgente.
Nessuno della sua famiglia le aveva mai spiegato il perché lei fosse leggermente "diversa" dal resto dei cittadini di Aalainn, nonostante lei lo avesse chiesto una moltitudine di volte.
Scese ad osservarsi le clavicole, un po' sporgenti, il seno che non era poi così prosperoso, l'addome coperto da una maglia verde, sulle spalle poggiava un cardigan grigio perla.
I fianchi erano tondi e fasciati da quelli che erano i suoi pantaloni da "combattimento", bianchi, mai usati in circostanze reali perché le era sempre stato severamente proibito di prendere parte a qualsiasi guerra, era la figlia del Re Bianco e quindi essendo l'erede, c'era bisogno che rimanesse incolume. Continuò a fissare la sua immagine riflessa nello specchio, le gambe slanciate ed infine le sottili caviglie lasciavano il posto ai piedi che scomparivano in semplici stivaletti grigi. Si ritrovò a pensare che di certo nessuno l'avrebbe premiata per il suo "ottimo" stile.
Spinse le porte, la palestra in realtà si presentava come una sorta di arena, le scalinate portavano al centro, dove vi erano bersagli per archi, manichini su cui testare la lama di una spada, e così via.
Anais scese i gradoni in pietra rossa, ogni volta che entrava lì un certo senso di calma la invadeva, per arrivare all'ultimo che lasciava poi spazio ad un pavimento bianco.
La stanza era priva di finestre e dal soffitto pendevano catene, di dubbia utilità, appartenenti alla costruzione originaria.
Si soffermò con lo sguardo al centro della sala: qualcuno era arrivato prima di lei.
Avrebbe saputo riconoscere quei ricci platino ovunque, Jamil, un suo vecchio "amico" che non le era mai andato a genio.
Era il solito Helder, capelli bianchi, occhi dorati, naso perfetto, mascella squadrata, peccato fosse tutto muscoli e niente cervello, troppo pieno di sé.
-Secondo quale criterio hai l'autorizzazione di poterti allenare in questo luogo?- chiese portando le braccia al petto e fissando il giovane, che purtroppo, era di una bellezza disarmante.
Jamil si girò verso di lei intento ad asciugarsi la fronte madida di sudore, fece un sorriso sghembo per poi prendere parola.
-Io ho il permesso per tutto principessa, è bastata qualche mossa con una delle vostre donne in divisa da guardia, ed eccomi qui. La mia bellezza è un pregio unico, non trova?- si divertiva a darle del lei, quando in realtà non l'aveva mai fatto.
Anais inarcò un sopracciglio, era tanto bello quanto stupido.
-Attento- disse sorridendo la ragazza, il riccioluto non riuscì ad afferrare il significato di quel che Anais aveva detto.
-A cosa?- chiese, confuso.
-Al tuo ego, prima o poi ti schiaccerà, non che sia così difficile schiacciare un moscerino come te, Jamil- detto questo l'albina si avviò verso uno dei tanti bersagli e si mise in posizione con l'arco, tese la corda e prese la mira, scoccò la prima freccia che centrò pienamente il cerchio in legno.
-Però, niente male per una ragazza- sogghignò il soggetto dietro di lei.
Se non fosse stato un crimine, avrebbe usato gli occhi di Jamil come bersagli.
-Però, che battuta di classe, per uno col cervello grande quanto una noce- il ragazzo rimase spiazzato mentre colei che aveva pronunciato la frase sorrideva innocente, mentre puntava un altro bersaglio.
L'allenamento continuò per all'incirca un'ora e Jamil, forse stanco di prenderla in giro, se n'era andato via molto tempo prima.
Si gettò sul pavimento, con le mani indolenzite che poggiavano sul ventre, fissava il soffitto e le catene che vi pendevano.
-Padre, sarete fiero di me- disse solamente, mentre le lacrime le rigavano il volto.
Da quando Abner era passato a miglior vita, pochi giorni prima, la ragazza non aveva versato una sola lacrima, non riusciva neanche a comprendere il perché stesse accadendo in quel momento, ma decise che quella sarebbe stata l'ultima volta in cui avrebbe pianto.

 

Avrebbe dovuto essere forte, per lei e per il suo popolo.



 

 

Jamil (bello - arabo)

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