The sound.

di imunfjxable
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1.Prologo. ***
Capitolo 2: *** 2. Roxanne ***
Capitolo 3: *** 3. Blonde? ***
Capitolo 4: *** 4.Brown eyes ***
Capitolo 5: *** 5. she was looking for you ***
Capitolo 6: *** 6. i found you ***
Capitolo 7: *** 7. that's why me and love never got along ***
Capitolo 8: *** 8. Oh shit ***
Capitolo 9: *** 9. Saturday ***
Capitolo 10: *** 10. Babe i'm gonna leave you ***
Capitolo 11: *** 11. you're gonna make me lonesome when you go ***
Capitolo 12: *** 12.12 (Epilogue) ***



Capitolo 1
*** 1.Prologo. ***


1. Prologo

 

La città era piena di rumore. Le strade brulicavano di persone, in particolare di turisti tutti aventi la stessa meta: la cattedrale di San Paolo.
Matty lo sapeva bene, mentre fumava annoiato davanti la chiesa, aspettando che si formi il suo gruppo. Ci era già stato così tante volte che conosceva ogni angolo a memoria e avrebbe potuto guidarli anche ad occhi chiusi, descrivendo con perizia ogni millimetro della struttura. Eppure non si sarebbe mai stancato di entrare li dentro.
Continuava a fare da guida turistica solo per poter stare ogni giorno nella whispering gallery; la camera dei sussurri.

«La camera a sussurro è una camera al di sotto di una cupola, di forma circolare o ellittica nella quale i sussurri possono essere chiaramente ascoltati in altri punti della costruzione.
Ad esempio, potete bisbigliare qualsiasi cosa vogliate nel muro della parete, noi non sentiremo nient'altro che un flebile mormorio, eppure chi poggia l'orecchio sul muro potrà chiaramente sentire cosa stiate dicendo» spiega per l'ennesima volta.
«Ora potete provare un po' con il muro, spero che il giro vi sia piaciuto, l'uscita è dopo le scale, a destra. Per favore, le foto qui dentro senza flash» concluse gentilmente.
Una coppia anziana si avvicinò al muro
e iniziarono a parlare e a ridere. Matty li osservava divertito; gli metteva allegria stare li dentro. Poggiò anche lui l'orecchio sulla parete.
Era freddo.
Rabbrividì non appena entrò in contatto con la sua pelle, ma si abituò in fretta.
Sentì un sacco di voci confuse: la coppia che si scambiava dei ti amo, due ragazzini che si divertivano a dire oscenità, altri turisti che si chiamavano increduli. Le solite cretinate insomma.
Si staccò e si guardò intorno. C'era davvero un sacco di gente; preferiva quel posto quando era da solo, era più tranquillo.
Lasciò che i suoi polpastrelli tracciassero qualche centimetro dritto sul marmo freddo, mentre lui procedeva a passo lento in avanti, prima di ritornare con l'orecchio sinistro sul muro.
«Sotto il fardello
di solitudine
sotto il fardello
dell'insoddisfazione
il peso,
il peso che portiamo
è amore»
Sbarrò gli occhi per la sorpresa, riconobbe "Canzone", una delle sue poesie preferite di Ginsberg.
Si guardò attorno cercando di capire da chi potesse essere stata detta la poesia, con una voce così soave.
Aveva un tono gentile, quasi etereo.
Si passò le dita tra i capelli arricciavano il ciuffo, mentre i suoi occhi scrutavano la folla.
Chiunque quelle persone fosse stata, l'aveva persa.
Gli sarebbe piaciuto parlare con qualcuno che apprezzava Ginsberg, come lui. Sospirò.
Unì le mani a coppa, contro il muro, bisbigliando «ti troverò»

 

AYEEE.

Ovviamente essendo il prologo è cortissimo; ma gli altri capitoli saranno lunghi tranquille. Spero che abbiate capito come funziona la whispering chamber c:


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Capitolo 2
*** 2. Roxanne ***


2. Roxanne 

 


Ma Matty non l'aveva ancora trovata. Erano passati dieci giorni, aveva continuato a poggiare le orecchie contro il muro, ma non l'aveva sentita di nuovo.
Era un'impresa impossibile quella che si era prefisso. Insomma, ritrovare qualcuno partendo solo dalla sua voce? Era assurdo. Sarebbe potuto essere sia un maschio che una ragazza- aveva una voce strana, non era riuscito a capirne il sesso- e poi? Supponendo che l'avrebbe trovata cosa avrebbe fatto?
Non poteva certo andargli vicino e dirgli «hey mi piace la tua voce, ti penso da una settimana, ho notato che ti piace Ginsberg»
Sarebbe stato ridicolo.

Il suo gruppo oggi era meno numeroso nel solito, ma a lui non dispiaceva particolarmente. Camminarono nella navata, che aveva tre cappelle e si fermarono nella terza, quella sotto la cupola che copriva l'edificio, adornata con episodi della vita di San Paolo.
Matty sospirò lasciando che i turisti scattassero qualche foto; non sapeva esattamente perché aveva accettato il posto li: lui era ateo.
Ma non perché Dio gli avesse fatto qualche torto in particolare, semplicemente, gli sembrava irreale.

Salirono sopra, entrando per l'ennesima volta nella whispering gallery.
Si divisero, e Matty poggiò di nuovo il suo orecchio-questa volta lo fece per abitudine, ormai aveva rinunciato a trovare quella persona- e ascoltò.
«Il jazz s'è suicidato
fate che la poesia non faccia la stessa fine»
Sobbalzò quando riconobbe Kerouac.
Si avvicinò al muro e decise di continuare.
«non temiate l'aria fredda della notte,
Non date retta alle istituzioni» bisbigliò.
Alcuni si girarono a guardarlo, mentre i suoi occhi guizzavano da una parte all'altra alla ricerca di qualcuno che stesse parlando. Era ancora con l'orecchio al muro, attese una risposta. Non ci fu.
La delusione iniziava a farsi sentire.
Perché non rispondeva? Era già andato via?
Osservò ulteriormente le persone attorno a lui: tutte vicino al muro.
Avrebbe dovuto chiedere a ognuna di loro, non ce l'avrebbe mai fatta.
Alzò gli occhi al cielo, trattenendo una parolaccia- era pur sempre una chiesa.

Uscì fuori, camminava con una sigaretta tra le labbra guardando il marciapiede che aveva fin troppe crepe per i suoi gusti.
«Ciao Matty» alzò gli occhi.
«Hey Roxanne» si leccò le labbra non appena la vide. La fissò dritto nei suoi grandi occhi blu, messi in risalto dalle ciglia piene di mascara.
«Stasera c'è una festa al Bay, quel pub vicino casa di George, hai presente no? Ci vieni?»
«Ci vediamo li» rispose semplicemente, e cercò di non arrossire quando lei gli fece l'occhiolino.

Roxanne. Proprio come la canzone preferita dei Police di Matty.
Sembrava quasi destino che gli piacesse quella ragazza tanto quanto di quella canzone.
Aveva gli occhi verdi, piccoli, che sbucavano sotto una lunga frangetta rossa- rosso naturale. Aveva anche una spruzzatina di lentiggini sulla curva perfetta del naso alla francese, che si arricciava in modo adorabile quando rideva e mostrava i denti allineati, perfetti, e bianchissimi.
Erano molto amici, ma non erano mai stati nulla di più, sfortunatamente per Matty: aveva troppa paura di dichiararsi.
Quindi preferiva guardarla da lontano mentre tutti- fuorché lui- potevano averla.

 

AYEEE.
Avevo pensato di farlo più Lungo, ma non mi andava di unirlo con il capitolo 3 sorry. Surprise: doppio aggiornamento! :3 Ah si, quella sarebbe Roxanne

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Capitolo 3
*** 3. Blonde? ***


3.Blonde?

 

 

Era alla festa da ormai circa tre ore e tutto quello che aveva fatto era stato bere e ballare.
Adesso era fuori, sulla terrazza del locale, poggiato contro il muro grigio, schiaffeggiato dal vento mentre provava a chiudere quel maledetto drummino.
Le sue mani tremavano decisamente troppo.
Si guardò attorno ammirando il panorama, osservando le luci notturne, il Big Ben che si innalzava prepotente dal terreno, il London Eye che illuminava la notte. Vide anche la cupola di St. Paul e sospirò rumorosamente, come per scacciare la sua frustrazione per non essere ancora riuscito a trovare chiunque parlasse nella galleria.
«Oh fanculo» sbottò riaprendo la cartina per l'ennesima volta.
«Ti tremano troppo le mani» disse una ragazza. Da dove era sbucata fuori? «devi fare così» gli strappò prepotentemente la rizla trasparente dalle mani e la arrotolò, togliendo il tabacco in eccesso. Leccò l'estremità e gli porse il drummino perfettamente chiuso con la mano sinistra, mentre nell'altra faceva passare il tabacco in eccesso tra le dita ossute.
«Ne hai messo troppo, devi essere davvero pensieroso se volevi fumarti tutto questo tabacco» lo gettò per terra prima che Matty potesse fermarla e dirle di rimetterlo nel pacchetto. Lei, intanto, prese la sigaretta che aveva sull'orecchio sinistro e la portò alle labbra, estrasse l'accendino dal reggiseno blu che si intravedeva dallo scollo a cuore del vestito nero, e l'accese.
«Posso fare un tiro dal tuo drummino?»
chiese «anzi, mio. Dato che sono stata io a farlo»
«Il tabacco, il filtro e la cartina sono miei» rise Matty «e ad ogni modo no»
«ma come no» lei lo guardò con gli occhi sbarrati, resi ancora più grandi del solito grazie allo smokey eye che le aveva fatto Janet mentre si preparavano assieme. O qualcosa del genere.
«perché non mi va di avere la macchia del tuo rossetto rosso sul mio filtro» spiegò mostrandole il filtro candido, rigirandolo tra le mani.
Il vento soffiava freddo, non troppo violentemente, ma abbastanza da poter far svolazzare il vestito di quella ragazza come se fosse uno dei drappeggi dei dipinti nella cupola.
Lei sbuffò.
«Il mio ragazzo ha detto che aveva un buon sapore» ribatté.
«preferisco il sapore del tabacco suo mio filtro intatto» alzò gli occhi al cielo. Quella ragazza era esasperante.
Continuarono a fumare in silenzio quando all'improvviso lei gli strappò il drummino dalle dita e ne prese un tiro con ancora la sua Camel in bocca, come per sfotterlo.
«Hey! Era mio» Matty si lamentò battendo un piede per terra, sembrava un bambino capriccioso. Quando lei gli restituì il drummino lui ne osservò, affranto, il filtro ormai rosso.
«puoi anche finirlo se vuoi»
«speravo che lo dicessi» gettò la sigaretta giù, la videro scomparire mentre precipitava. Sembrava una stella cadente.
«Come ti chiami?»
«Edith, tu?»
«Matty»
«che sarebbe il diminutivo di...?»
«Non c'è bisogno che tu lo sappia» ridacchiò.
Lei sbuffò.
«Mi irriti»
«Se ti irrito, perché continui a parlarmi?»
Edith soffocò un grido di esasperazione in gola. Si guardò intorno e notò che c'era tanta gente sul terrazzo illuminato dalle candele;prima non l'aveva vista. Evidentemente cercavano tutti una boccata d'aria fresca rispetto alla cappa di fumo che si era creata all'interno dove le luci colorate e la musica ad alto volume non facevano nient'altro che rendere il tutto più confusionario.
«Eccoti qui finalmente!» si girò a destra e vide Edward, il suo ragazzo. Lui si avvicinò a lei sorridendo, e lei non poté che ricambiare con un sorriso altrettanto grande che si posò sulle labbra del ragazzo, mentre le sue mani si infilavano tra i capelli di lei, che alzava la gamba destra attorno a quelle lunghe del biondo. Lo fissò negli occhi azzurri, contornati da ciglia folte.
«Si soffocava dentro» giustificò la sua fuga improvvisa così, con tre parole, che convinsero Edward, e lui decise semplicemente di tornare dentro, tenendo Edith ben stretta per i fianchi.
«Andiamo a bere qualcosa per rinfrescarci allora, un mojito» e Edith annuì facendo muovere assieme al suo capo anche i pendenti che aveva alle orecchie.

Matty aveva guardato la scena in silenzio, mentre fumava un altro drum-questa volta chiuso da lui.
Iniziò a pensare, riflettendo sul fatto che Adam, uno dei suoi migliori amici, aveva i capelli chiari- quasi biondi. Ed era fidanzato.
Anche George, da quando aveva deciso di farsi i dread biondi si era trovato una ragazza.
E il fidanzato di Roxanne; William? Biondo anche lui.
Perfino il presunto ragazzo di Edith era biondo.
Concluse che per qualche strana ragione i ragazzi biondi fossero più attraenti dei mori, e che il gentil sesso protendesse di più a cercare un partner con i capelli chiari, piuttosto che scuri come i suoi. (Per non parlare del fatto che tutti avevano i capelli lisci perfettamente tirati mentre lui si ritrovava con un nido d'uccelli composto da un ammasso informe di ricci crespi e doppi.)
Forse erano i troppi tequila sunrise che aveva bevuto che cominciavano a fare effetto che lo portarono a fare un ragionamento così illogico- e soprattutto inutile- ma allo stesso tempo esilarante e si trovò a ridacchiare da solo con il drummino ormai consumato fino al filtro.
Osservò l'orario sul display del suo iPhone che presentava una spaccatura sullo schermo in basso a destra (era caduto dal letto mentre cercava di afferrarlo con i piedi) e notò che erano quasi le due di notte. 
Avrebbe dovuto ritirarsi, altrimenti non sarebbe riuscito a svegliarsi per il lavoro il giorno dopo e non voleva di certo presentarsi nuovamente con i sintomi del post-sbornia (era già successo il mese scorso e il suo capo, Mr. Gray stava quasi per licenziarlo se non fosse stato per Katrine, sua figlia, che aveva messo una buona parola in quanto aveva avuto un'intensa- anche se breve- relazione con Matty. Ora che si erano lasciati però non ci sarebbe stata più nessuna Katrine a difenderlo; anzi, avrebbe solo aiutato il padre a licenziarlo per mandarlo a calci in culo chissà dove, quindi bisognava essere prudenti)
Si avviò all'uscita vedendo Roxanne accanto alla porta, bellissima come al solito, che indossava un vestito lungo fino a terra, verde- dello stesso verde dei suoi occhi, che le lasciava le clavicole scoperte.
«Devo andare» le disse e lei sorrise salutandolo con la mano sinistra sul cui pollice vi era un tatuaggio minimal, un fiore di loro disegnato a metà, come se dovesse essere completato.

Arrivato a casa aprì la porta, precipitandosi in bagno. Si slacciò i pantaloni e pisciò. Il rumore, purtroppo, svegliò, il suo cane, Allen; chiamato così in onore di Ginsberg, che iniziò ad abbaiare rumorosamente.
«Allen cazzo sta zitto» urlò dal cesso mentre si alzava la zip dei jeans. Impiegò pochi secondi per raggiungere la decisione di vomitare i due bicchieri di vino e i diversi sunrise che aveva preso.
Si portò due dita in gola e vomitò, mentre tra un conato e l'altro urlava contro Allen che di stare zitto non ne voleva proprio sapere.
Si sciacquò la bocca e le mani, per poi passarle sul viso in modo da risvegliarsi un po'.
«"Prenditi un cane" diceva George» parlava da solo «"vedrai sarà divertente, ti aiuteremo tutti" diceva George»
Si sedette davanti ad Allen che adesso lo guardava con la lingua di fuori, ansimando.
«vieni qui bello» si stese sul parquet freddo del suo appartamento, abbracciando Allen, il quale si era accucciato accanto a lui.
«Bravo, così» gli passava le mani tra il pelo e sorrideva.
Forse George aveva ragione, era bello avere un cane (tranne quando abbaiava o quando cagava in casa)
Impostò tre sveglie di seguito per il giorno successivo e rivolse i suoi ultimi pensieri a Roxanne, a Edith, e anche a Katrine. Forse se fosse uscito con lei di nuovo non avrebbe aiutato il padre a licenziarlo nell'ipotetico caso in cui la sveglia non fosse suonata, e lui avesse fatto tardi; vero?

AYEEEE.
Non volevo fare così tardi, ma non so che scrivere. Questa storia si sta presentando più difficile del previsto, sto quasi pensando di eliminarla haha.
Ad ogni modo le cose si stanno facendo più interessanti (vero?:c) e boh. Ora faccio tingere a Matty i capelli di biondo, così magari si fidanza con qualcuna. Non chiedetemi dove mi sia uscito quel pezzo dei capelli, lasciatemi una recensione; aggiornerò appena posso. Grazie a Llem per la recensione al capitolo 1. ♥
💙💙

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Capitolo 4
*** 4.Brown eyes ***


4. brown eyes

 

 

 

 

 

«e che cazzo, dì qualcosa» borbottò disperato contro il muro. Una signora anziana lo guardò rimproverandolo con lo sguardo mentre tappava le orecchie del nipote.
«è pur sempre una chiesa questa, non un rave party» commentò stizzita passando accanto a Matty, che non aveva ancora ben smaltito la sbornia della sera prima e di certo la sigaretta che aveva sull'orecchio sinistro non contribuiva a migliorare il suo aspetto.
Alzò gli occhi al cielo, noncurante della vecchia, e rimase con la schiena appoggiata sul marmo, ad osservare gli altri del suo gruppo che erano rimasti- a differenza della signora- ad ammirare la cupola della whispering gallery, e ovviamente a sussurrare nel muro.
Si appoggiò, stanco, sulla parete fresca.
«Tu non sei solo, sei parte di tutto ciò che vive» disse. Era una delle sue citazioni preferite di Queer, di William Burroughs. Amava quell'uomo, quanto quel libro, e quella frase. "Sei parte di tutto ciò che vive" e aveva ragione William, per quanto potremmo sentirci soli al mondo non lo saremo mai completamente. Perfino le stelle nel cielo brillano per farci compagnia, no?
Si passò una mano tra i capelli ma si fermo quando la sentì, quella voce ormai l'avrebbe riconosciuta tra mille, anche per il forte accento cockney, tipico dell'East Side.
«Non lo faccio mai» schiacciò l'orecchio al muro e chiuse gli occhi cercando di capire bene ciò che stesse dicendo, percepiva purtroppo anche altri bisbigli.
«Non parlo mai qui, mi sento stupida. Ma oggi non citerò nessuno come faccio sempre, oggi non c'è nessuna citazione che possa descrivere come sto» silenzio. Aprì gli occhi e si guardò attorno, ma come al solito c'era un mucchio di gente, e il gruppo di turisti tedeschi alti tutti più di 1,90 metri non favoriva la vista di coloro che erano dietro.
«ho solo bisogno di essere salvata»
Matty si morse il labbro.
«Fatti salvare da me» stava per dire. Ma non lo disse. E se fosse stato un uomo? E se fosse stata brutta? Ormai se l'era immaginata già questa ragazza, bella, dolce, mentre leggeva le poesie di Ginsberg sul letto con una sigaretta in mano. L'aveva idealizzata, e non voleva che le sue aspettative venissero abbattute dalla realtà.
Scorse improvvisamente una ragazza dai capelli coperti da un beanie nero, che correva da una parte all'altra della stanza, ma smise di guardarla quando vide il padre di Katrine venire verso di lui.
«Vieni nel mio studio, dobbiamo parlare»
Matty sbiancò, ma cercò di tenere la calma. Non poteva aver scoperto che aveva fatto quasi un'ora di ritardo la mattina, giusto? Adam aveva detto che l'aveva coperto. Scesero le scale e giunsero al piano terra, entrarono nello studio che si trovava accanto alla biglietteria e scorse Adam all'interno e lo guardò con uno sguardo disperato mentre seguiva Mr. Gray che si sedette sulla sua sedia di pelle marrone. Avrebbe voluto denunciarlo agli animalisti per quella maledetta sedia.
Matty si morse l'interno della guancia non appena lui disse «allora, io e te dobbiamo parlare»
Meglio vuotare il sacco, almeno apprezzerà la sincerità.
«Mr. Gray sono mortificato per il ritardo di stamattina ma cerchi di capirmi la scongiuro. Stavo facendo colazione e mi sono versato il te sui pantaloni, non ne avevo di puliti e ho dovuto asciugarli con il phon; ho perso l'autobus e sono dovuto venire fino a qui a piedi e per di più sotto la pioggia» spiegò tutto d'un fiato.
«In realtà io volevo informarti dei lavori di ristrutturazione della navata sinistra, dove i turisti non potranno più passare; e di quelli alla cappella»
Matty spalancò gli occhi.
Tutto quello che riuscì a emettere fu una misera risatina, colpevole, e idiota.
In quel momento Katrine entrò nello studio del padre, facendo ondeggiare la lunga coda di cavallo bionda che le arrivava fino a metà schiena.
«Ciao papà» mostrò i denti sbiancati da qualche dentista per chissà quanti soldi.
«che ci fai qui?» chiese fissando Matty che dondolava avanti e dietro sulle sue gambe, risultando più impacciato del solito.
Prendi nota: mai più bere se il giorno dopo vai a lavoro.
«Stavamo parlando, e mi ha detto che ha fatto tardi a lavoro stamattina, ma...» lasciò la frase in sospeso e Matty cercò di fare gli occhi dolci a Katrine che lo fissò con le sue iridi azzurre sorridendo. Lui si leccò le labbra e lei annuì.
«Licenzialo» gli disse.
«Cosa!?» Matty urlò facendo un passo indietro «non mi sembra il caso Mr. Gray, un solo ritardo. Per di più vi ho anche spiegato perché...»
«Taci. Mia figlia ha ragione, ho licenziato tutti quelli che facevano tardi, perché dovrei mai fare un'eccezione con te? E io che stavo quasi per lasciarmi convincere! Non sarebbe giusto. Brava tesoro,  mi fai fare sempre la cosa giusta» sorrideva alla sua bambina che guardava Matty ridendo soddisfatta. Che stronza.
«Mr. Gray la prego»
«Healy ho detto basta! Non metterà mai più piede in questa chiesa. Nè nella whispering gallery. Nè nelle navate. Nè nella cappella. Nè prima, nè dopo che si saranno conclusi i lavori»
Sospirò.
«Lasci solo che le dica che avrebbe potuto anche fare a meno di chiamare i restauratori. Sua figlia li sa davvero fare i lavori, specialmente alle cappelle» le sorrise sghembo.
Katrine aprì la bocca per la sorpresa e rimase così, mostrando la sua finta dentatura perfetta.
«Stai aspettando che ci entri un cazzo?»
«Healy fuori di qui ora!» urlò il padre di Katrine indignato. Lui alzò le mani e si staccò la targhetta con il suo nome dal petto, lasciandola sulla scrivania e andando via- non prima però di essersi poggiato contro la porta e aver sentito Mr. Gray urlare contro sua figlia.
«Cosa è questa storia eh? Ti sei messa a fare la puttana?» Matty si coprì la bocca con le mani per non ridere. Missione compiuta. Sapeva quanto fosse geloso di sua figlia, l'aveva semplicemente ripagata con la stessa moneta.

Una leggera pioggiarellina bagnava Londra, coperta dal cielo plumbeo. Matty era seduto sul marciapiede fuori St. Paul, con gli occhi marroni rivolti verso l'alto, mentre fumava un drummino- ora che non tremava più riusciva a chiuderli.
Si alzò in piedi, stiracchiandosi. Non aveva la minima idea di che cazzo sarebbe successo.
Doveva assolutamente trovare un altro lavoro, o convincere Mr. Gray a riassumerlo. Si sentiva perso senza quella chiesa (cosa alquanto ironica in quanto era ateo).
Cazzo no.
Intuì un pochi secondi che niente lavoro, niente chiesa, equivaleva a niente voce. Non avrebbe mai scoperto chi era.
Per un momento gli si riempirono gli occhi di lacrime, a volte bastava poco per far crollare il precario equilibrio che aveva. Camminò nervosamente verso casa, lasciando che la pioggia fresca lavasse via le sue preoccupazioni. L'acqua scorreva sul suo viso, e la sua bocca non poté fare altro che schiudersi in un sorriso- amava la pioggia.
Distratto com'era andò a sbattere in qualcuno.
«Guarda dove cazzo vai» sbottò la ragazza davanti a lui «ciao Matty»
«Uh ciao ehm...»
«Edith» completò lei per lui, intuendo che aveva dimenticato il suo nome, ma non se la prese più di tanto. Non era una di cui la gente si ricordava. O magari Matty era troppo ubriaco per ricordarsi di lei (e sperò che fosse la seconda opzione).
«già Edith. Scusami. Non mi sono ancora ripreso» risero.
«Infatti hai proprio un brutto aspetto, t'hanno appena licenziato per caso?» scherzò portandosi il ciuffo moro dietro l'orecchio.
«in realtà si»
«cazzo scusami non lo sapevo» si portò una mano alla bocca. Edith non diceva mai la cosa giusta, era il tipo di persona che prima parlava e poi rifletteva su ciò che aveva detto- era spesso un difetto, raramente un pregio.
Matty scosse il capo.
«Forse ci dovremmo togliere da qui» constatò Matty «piove sempre più forte. Dove stavi andando?»
«Via» disse solo quella parola. Aveva appena finito di litigare con Edward , il quale sosteneva che fare la ballerina era una perdita di tempo e che stava sprecando il suo potenziale in quanto sarebbe potuta entrare in qualsiasi università se avesse voluto. Appunto, se avesse voluto. Ma Edith non ne voleva proprio sapere di studiare, non che non le piacesse la cultura; anzi. Adorava imparare cose nuove, ma per lei, le sue conoscenze non dovevamo essere finalizzate al raggiungimento di un voto. Imparare era qualcosa di troppo bello per lei, di puro, che non poteva essere sporcato con la scuola la quale ricambia ciò che sai con un foglio. Un misero fogliettino di carta nemmeno meritato, che dice- anzi dove i professori dicono- che sai qualcosa. Ma la verità è che non sai un cazzo, non puoi mai sapere tutto.
La pioggia si fece più forte.
«Vuoi venire a casa?»


Cercò le chiavi nella tasca dei pantaloni mentre Edith era dietro di lui, non aveva fatto altro che parlare per strada, era così logorroica.
Gli stava spiegando del suo litigio con Edward, Matty si divertiva a dare consigli sentimentali, ma si zittí improvvisamente quando sentì Allen abbaiare.
«Dimmi che non hai un cane»
Matty la fissò preoccupato.
«Ti prego, ho troppa paura dei cani, Matty non entro»
«Ti giuro che non ti farà niente, è solo rumoroso Edith, ci sono io»
Prima che potesse rispondere aprì la porta, rivelando Allen che aspettava sulla soglia. Iniziò ad abbaiare più forte quando vide Edith, non era abituato a gente estranea. Lei rimase fuori.
Matty le prese delicatamente il polso, tenendola dietro di lui. Si abbassò e accarezzò Allen, calmandolo. Lo distrasse con la sua palla arancione e lui si stese in silenzio sul tappeto.
Edith era rimasta dove lui l'aveva lasciata, non aveva detto una parola.
Seguì Matty in cucina e chiusero la porta, lasciando Allen fuori.
«Edith stai bene? Vuoi un po' di tè?»
le chiese notando che erano ancora le undici.
«Si grazie»
«Non sapevo che avessi paura dei cani, mi dispiace»
«Oh no, tranquillo. Dispiace a me»
«Te nero o al limone?»
«non è che per caso hai quello alla vaniglia?»
Matty annuì e lo prese, mettendo l'acqua a bollire, estrasse anche due tazze e le posò accanto al lavello.
Edith prese l'elastico che aveva al polso e raccolse i capelli velocemente in uno chignon e posò il cellulare sul tavolo, odiava tenerlo nella tasca dei pantaloni. Matty versò l'acqua calda nelle tazze dove aveva già inserito le bustine. Lentamente il tè conferì all'acqua il suo colore e sapore; le porse la tazza bianca, mentre lui tenne quella nera, la sua preferita.
«Grazie» mormorò Edith sorridendo. Soffiò sulla bevanda prima di portarla alle labbra e di berne un sorso.
Improvvisamente le vibrò il telefono.
Lo prese e notò un messaggio da Edward.
«Si sta scusando»
«che ti ha scritto»
«che gli dispiace e che mi ama» le tremava la voce «che non riuscirebbe a vivere senza vedere i miei bellissimi occhi marroni»
Matty rise.
«quanti ragazzi ti hanno detto che avevi dei bellissimi occhi marroni?» le chiese.
«Beh, tutti i ragazzi con cui sono stata. Anche se sono solo occhi marroni, non so cosa ci possano trovare di bello» Matty scosse il capo continuando a ridacchiare.
«Lo sai, mi fa davvero girare i coglioni che dopo tutto questo tempo nessuno si sia mai disturbato per dirti che i tuoi occhi non sono marroni. Sono color rame dentro, si schiariscono verso l'esterno diventando miele e ho notato ora che se sono sotto la luce l'ultima fascia dell'iride è quasi color salvia. Sono così luminosi, e se piangi brillano. Eh già, me ne sono proprio accorto che avevi gli occhi lucidi quando ti ho incontrata.
Non sei semplice quanto vogliono farti credere»
Edith non sapeva che rispondere, continuò a fissare il suo riflesso nella tazza del tè e ne prese un altro sorso.
«Quante ragazze hai avuto per essere così poetico?»
«Nessuna» rise. Edith sgranò gli occhi incitandolo a spiegarsi meglio.
«Mi rende estremamente a disagio l'idra essere di qualcuno. Lo so che può sembrare stupido ma quando sono fidanzato mi sento oppresso, limitato. E io non voglio limiti.»
Edith sorrise, era esattamente quello il suo problema ma contrariamente a Matty lei di limiti ne aveva bisogno.
«È un punto di vista interessante»
Allen li interruppe iniziando a piangere e a graffiare con le unghie contro la porta della cucina.
«Posso aprire?»
«Non farlo avvicinare a me» rispose incerta e Matty se ne accorse. Allen entrò e gli saltò sulle gambe mentre Edith si era scostata più indietro con la sedia.
«come si chiama?»
«Allen. Allen Ginsberg»
Edith rise sonoramente, non credeva che qualcuno potesse seriamente chiamare un cane così. Matty la guardo mentre Allen continuava a leccargli le mani, e notò quanto fosse strana la risata di Edith, un po' troppo forte per un viso dolce come il suo. Vide che portava un guanto da motociclista alla mano sinistra.
«Perché hai quel guanto?»
«per nascondere la mia mano» rispose «è per questo che ho paura dei cani» continuò. Non sapeva esattamente perché gliel'avesse detto, portava quello scempio che aveva fin da quando aveva undici anni come una vergogna sul suo corpo.
Matty cacciò Allen via e lui andò senza protestare nella sua cuccia.
«mi dispiace»
«credo che dovrei andare, ci vediamo in giro Matty. So che c'è un'altra festa stasera, ci sarà anche Roxanne. É al plectrum. Verrai?»
«Si. Tanto ormai sono stato licenziato» rise.

 

 

AYEEE.
Povero Matty, ha perso il lavoro. E adesso come trova la voce? Io adoro Edith, la amo già, anche se è uscita solo in due capitoli. Spero che ci stia piacendo la storia e mi andava di dedicare il capitolo a Llem e Pi8f che ringrazio infinitamente  💕Al prossimo capitolo, vi adoro tutte 💙💙
E si quella all'inizio è proprio la sua faccia quando viene licenziato haha.

Qualcuno è andato al concerto? Così mi fa l'ennesimo resoconto ahah. Oggi è uscita "Girls talk Boys" dei 5SOS, la adoro, sentitela, addieu ♥

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Capitolo 5
*** 5. she was looking for you ***


5. she was looking for you

 


«Quindi hai davvero perso il lavoro?» chiese Ross a Matty, che annuiva sconvolto facendo ondeggiare i suoi ricci mentre dondolava sulla sedia bianca dell'ikea a casa del suo amico.
«Ora non so che fare» gli confessò.
«Perché non provi a venire a scuola con me?»
«Ross la scuola non mi è piaciuta da ragazzo, figuriamoci se ora mi metto ad insegnare come te a ventisette anni, per di più storia! Una delle materie che odiavo di più»
In quel momento George, che aveva sentito tutto dalla doccia, fece il suo ingresso nella cucina indossando solo un'asciugamano per coprirsi.
«Perché non vieni con me a lavorare al bar? Potresti preparare i drink, tanto li conosci tutti, alcolizzato» gli propose, enfatizzando l'ultima parola.
«perché non mi piace»
«No Matty» intervenne Ross «la verità è che i drink li berresti tu» si diede il cinque con George al quale stava quasi per cadere l'asciugamano dalla vita.
«Molto spiritoso, ma non siete d'aiuto ragazzi»
Fu interrotto dal campanello della porta e Ross si alzò delicatamente, come suo solito, e aprì.
«Ciao Adam»
«Ciao Ross, George, Matty sei un coglione: che cavolo hai detto per farti licenziare?»
George e Ross scoppiarono a ridere, Hann-come lo chiamava Matty- era sempre pacato ma quando perdeva le staffe era esilarante.
«Niente! Non è colpa mia, è entrata Katrine, è stata lei a parlare con suo padre»
«Qualsiasi cosa sia successa hai scelto il giorno peggiore per farti licenziare: ho incontrato Roxanne nella gallery, parlava contro il muro e rideva, ti cercava»
«Cosa?!»
«Già, cercava proprio te piccolo Matty» lo risvegliò George ridendo e tirandogli le guance.
«Mi ha detto di dirti che stasera c'è un'altra festa, al Plectrum e la devi andare a prendere, alle 19.00 sotto casa sua»
Matty non fece nient'altro che sbuffare, non voleva essere l'autista di Roxanne, ma alla fine non poteva nemmeno lasciarla a piedi.
«Ragazzi voi venite?»
«Io ho un lavoro da proteggere» disse Hann alzando le mani guadagnandosi una cattiva occhiata da Matty, mentre Ross  disse che si sarebbero ritrovati li.
«Anche io ho un lavoro da proteggere» rise George «peccato che io lavori lì»
«Adam scusami puoi ripetermi un secondo che faceva Roxanne nella galleria?» lo ignorò Matty.
«Parlava contro il muro. Perché? Lo sai era proprio bella oggi, aveva un cappello nero che le stava una meraviglia»

Guidare l'aveva sempre aiutato a riflettere. Stava pensando da quando aveva parlato con Adam alle sue parole. Aveva un cappello nero, come quello di quella ragazza, eppure era altrettanto certo che quella non potesse essere Roxanne. L'aveva vista di sfuggita la ragazza con il capello, e non aveva notato nulla del suo viso purtroppo, i suoi occhi però erano caduti sulle mani diafane adornate da un tatuaggio a fiore di loto. Matty frenò di colpo. Un tatuaggio come quello di Roxanne. Era lei, doveva essere lei.
Ma la voce, quella voce, ormai l'aveva imparata, gli era entrata nel cervello e continuava a sentirla, come se fosse il suo disco preferito. Quella voce, non era la voce di Roxanne. Non poteva.
Non aveva l'accento cockney.
Non era dolce e flebile come quella del muro, quasi spaventata. La voce di Roxanne era sicura, ferma, sensuale.
Non era Roxanne.

Non le avrebbe mai capite le donne. Era fortemente convinto, inoltre, che le donne non si capiscono nemmeno da sole. Perché dire: devo solo mettere le scarpe se poi avete bisogno di altri quarantatré minuti di tempo?
Matty stava ancora aspettando Roxanne sotto casa, che al quarantaquattresimo minuto si era degnata di scendere e aveva aperto la portiera dell'auto grigia di Matty.
«Hey»
«Hey, mi hanno detto che sei stato licenziato»
«Già»
«Sei un coglione»
«Già»
Roxanne scostò la sua treccia a spina di pesce dalla spalla sinistra alla destra e osservò Matty, alla sua destra, che guidava.
«Dobbiamo passare a prendere altri ragazzi» gli ordinò e lui non fece altro che seguire le sue indicazioni fino a quando giunsero davanti una casa bianca, non lontano dall'abitazione di Roxanne, la quale salutò tre ragazzi dal finestrino facendogli cenno di avvicinarsi.
Un ragazzo biondo entrò in auto salutandoli entrambi, seguito poi da una ragazza sempre bionda e da una mora.
«Matty»
«Edith! Ciao» le sorrise e riconobbe il ragazzo biondo, Edward, il fidanzato che chiese sospettosamente «Come vi conoscete voi due?»
«Mi ha prestato l'accendino ieri sera alla festa» spiegò Matty. Non era tutta la verità ma Edward lo inquietava, aveva già intuito che era uno di quei ragazzi estremamente gelosi dai quali è meglio stare alla larga, altrimenti ci rimetti tutte le duecentosei ossa del tuo gracile corpo, che non potrebbe mai competere con quello degno di un modello dell' Abercrombie.
«Comunque lei è Janet» si intromise Rox, presentandogli la bionda seduta compostamente sui sedili di pelle.
«Piacere» Matty incontrò i suoi occhi azzurri guardandoli nello specchietto retrovisore e pensò di non aver mai visto un viso tanto aggraziato quanto quello di Janet che gli sorrideva. Le sorrise a sua volta, distraendosi per pochi secondi dalla strada, i quali bastarono a Roxanne per urlare «Matty attento!» in modo da evitare di sbattere contro un cassonetto dell'immondizia.
Sapeva che era un pessimo autista ma era l'unico che non le avrebbe mai detto di no.

Le sue labbra si muovevano velocemente, si agitava con foga sul suo corpo, premendolo sempre più a sé. Da quando era iniziata quella canzone si stavano baciando senza fermarsi un attimo, unendo le loro lingue, facendo passare le loro mani tra i capelli dell'altro.
Matty li fissava da lontano.
Roxanne c'aveva messo meno del solito questa volta a trovarsi un ragazzo alla festa. Erano qui da poco, forse solo mezz'ora, e mentre lei aveva già adocchiato la sua preda, lui continuava a lasciare che i suoi occhi guizzassero da una parte all'altra della stanza alla disperata ricerca di Ross o George. Avrebbe voluto che ci fosse anche Adam, ma aveva un lavoro da difendere.
Effettivamente non poteva dargli tutti i torti. A volte desiderava essere proprio come Hann. Responsabile.
Una parole assente nel suo vocabolario, era uno spericolato lui.
L'arte non è fatta di limiti.
Odiava la prudenza.
Aveva deciso di vivere facendo della sua vita una tela bianca, lui era il pittore. Avrebbe potuto dipingere fiori, se avesse voluto; avrebbe potuto dipingere cadaveri, se avesse voluto.
Per ora la tela, era ancora bianca- immacolata.
Janet si avvicinò a lui e gli porse un bicchiere sorridendo.
«Che cosa è?» le chiese prendendolo con titubanza. Le sue dita ossute si strinsero attorno alla plastica colorata del contenitore, mentre Janet continuava a mostrargli i denti perfetti. Gli ricordava vagamente Katrine, stessi occhioni azzurri, denti finti, e capelli biondissimi. Eppure Janet aveva qualcosa di più bello di Kat, Matty scorgeva nei suoi occhi d'un tratto il fuoco, d'un tratto la più infantile innocenza.
«È un tris di vodka: melone, pesca e fragola»
Alla faccia dell'innocenza.
Matty glielo restituì spiegandole che per ragioni incomprensibili beveva solo la tequila e il vino.
Lei lo fissò delusa all'inizio, ma accettò di buon grado di ingurgitare in un solo sorso anche il tris che Matty aveva rifiutato. Gettò i bicchieri nel cestino, che era accanto a lei e si posò con la schiena sul muro, tirandosi giù il vestito azzurrino.
«Ti sta bene, si intona con i tuoi occhi» le dice, facendola ridere.
«Perché me lo stai dicendo?»
«Mi piace osservare le persone» disse facendo le spallucce.
Si avvicinò a lei, che si leccò le labbra. Gli scostò un riccio ribelle cadutogli sul fronte, coprendola troppo per i suoi gusti- preferiva i ragazzi dei quali poteva vedere il viso, specialmente se ne avevano uno bello come quello di Matty.
Lo baciò. E lui non la spinse via. Sapeva che Roxanne stava guardando nella sua direzione. Matty era sempre più confuso riguardo a lei, ormai gli andava dietro da così tanto che non capiva più se gli piacesse ancora o se fosse un abitudine pensare a lei.
Janet gli morse il labbro e lui le accarezzò la guancia, per poi staccarsi.
«Vado a fare un giro, ci vediamo» le disse e lei lo salutò con un cenno della mano, sembrò non dare troppa importanza al suo comportamento.
Matty scorse George al bancone che preparava i drink; lavorava lì da tre anni ormai.
Gli fece cenno di preparargli il solito, quindi un qualsiasi drink a base di tequila, e George si mise subito a lavoro. Prese il ghiaccio e lo mise nel bicchiere, aggiungendoci tequila e succo d'arancia, shakerò il tutto violentemente, e lo versò nel bicchiere di vetro doveva aveva già versato la granatina rossa.
Porse a Matty il suo tequila sunrise senza nemmeno preoccuparsi dell'ombrellino che mettevano per decorazione, tanto Matty preferiva bere e basta.
«Grazie» gli disse «dove è Ross?»
«Qui, poco fa. Non so dove sia ora, starà bevendo la birra che gli ho dato fuori credo» e Matty si avviò verso la porta che conduceva all'esterno, per poi toccarsi la tasca sinistra e tornare indietro di pochi passi.
«Hey George!» lo chiamò. L'amico si girò e Matty gli tirò l'accendino che gli aveva rubato, e lo afferrò perfettamente con la mano destra, mostrandogli il dito medio della sinistra.

«Edward, smettila»
Edith ridacchiava piano, allontanando Edward dal suo collo che continuava a essere solleticato dalle labbra del suo ragazzo, sapeva che Edith soffitta il solletico e adorava vederla ridere così, mentre lo implorava di smettere.
Ma sapeva anche porsi un limite. Si scostò, di poco, e lasciò che la sua mano le accarezzasse il viso da bambina, per poi mormorarle «ti amo così tanto»
Edith sospirò, amava Edward ma aveva paura di dirglielo. Non gliel'aveva mai detto esplicitamente ma gliel'aveva fatto capire, quando gli diceva di allacciarsi la cintura prima di mettere in moto la Ford nera, quando gli preparava il tè la mattina e stava attenta che non lo confondesse con il suo alla vaniglia perché Edward alla vaniglia era allergico, quando nel bel mezzo della notte Edward si svegliava perché soffriva di insonnia e lei restava sveglia con lui, a telefono, e poi lo raggiungeva nel letto per consolarlo.
«Ed» gli disse «sai sabato ci sarebbe un'esibizione della scuola di danza e mi farebbe piacere se tu»
La interruppe.
«Ancora con questa storia Edith? Ma perché non scendi con i piedi per terra? Ed è proprio il caso di dirlo ora, metti le punte da parte e tasta il pavimento con tutta la pianta del piede: non puoi fare la ballerina. Non è un buon lavoro»
«Ma ci saranno degli insegnati della Royal Ballet Academy Of London, chiameranno chi verrà notato»
«perché» la interruppe nuovamente.
«perché cosa?»
«perché dovrebbero chiamare te? Perché non chiamare Gemma, o Gabriella, o Holly o un'altra delle tue compagne di corso. Cosa credi di avere in più delle altre?»
«Io...io ci credo. È la mia passione. È quello che voglio fare per il resto della mia vita»
«E non credi che per loro sia lo stesso? Andiamo Edith, combattete tutte per lo stesso premio, l'unica cosa che non capite è che quel premio non lo vincerà mai nessuno, il traguardo resterà intatto, nessuno taglierà il nastro» Edith fissava il pavimento grigio del terrazzo, e guardava attentamente i suoi piedi martoriati che uscivano dai sandali. Ma i suoi erano piedi da ballerina, è a terra non ci sarebbero mai restati, camminare è troppo faticoso se non lo si fa sulle punte.
«Non ho ancora capito perché non sei andata all'università. Ti rendi conto che ti avevano accettata ad Oxford? Ad Oxford Cristo santo Edith. Potevi andare lì a studiare astrofisica, so che ti piace ancora, non mentirmi. Lo so che ogni volta che alzi la testa al cielo e guardi le stelle sai ogni costellazione, ogni particolarità di questa merda d'universo- non fingere che non t'importi più sapere "perché siamo qui, cosa c'è stato prima del big bang o cosa succederebbe se buttassimo una lattina di Coca-Cola in un buco nero". Edith perché continui a ballare?»
Edith continuava a guardarsi i piedi. Edward aveva ragione, anche le sue compagne avevano i piedi come i suoi. Era come le altre.
Lo guardò nei profondi occhi azzurri che si ritrovava, e pensò che avrebbe voluto essere come la voleva Edward, forse quegli occhi sarebbero stati brillanti come quando s'erano incontrati per la prima volta a lezione di matematica.
«perché quando ballo Edward, mi sento un po' più vicina al cielo»
Lo lasciò lì, solo.

 

 

AYEEEE.
Mi scuso infinitamente per il ritardo ma sono andata in vacanza, e ora sono sommersa da cose da fare, però tranquille, il prossimo capitolo arriverà a breve (spero)
Avevo intenzione di continuare questo ma mi sembrava troppo lungo e pesante, quindi l'ho diviso. E voi che dite, per voi è Roxanne la "voce"?
Intanto vi lascio con lui, che nella mia testa dovrebbe perfettamente rappresentare Edward (lo so che ne dovevo mettere una ma non sapevo scegliere capitemi):

 E voi che dite, per voi è Roxanne la

Mi scuso ancora e ne approfitto per salutare la mia Cristina che si trova in America, e precisamente a New York(senza di me :c-mi manchi tanto)Fatemi sapere che ve ne pare, e stellinate(?)

Mi scuso ancora e ne approfitto per salutare la mia Cristina che si trova in America, e precisamente a New York(senza di me :c-mi manchi tanto)
Fatemi sapere che ve ne pare, e grazie come al solito alle mie due care e affezionate lettrici ♥

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Capitolo 6
*** 6. i found you ***


6. i found you

 

 

 

Matty aveva visto Edith andare via, e aveva raggiunto Edward che aveva estratto una sigaretta dai pantaloni neri che portava.
«Hai da accendere?» gli chiese trovandoselo accanto, e Matty gli prestò l'accendino bianco, che aveva finalmente ritrovato (per quello aveva restituito l'altro a George)
«Lo sai che gli accendini bianchi portano sfortuna?» gli chiese Edward.
«Non sono superstizioso sfortunatamente» rise accendendo anche la sua «come mai?»
«Hai presente il club dei 27, no? Tutti i cantanti morti avevano un accendino bianco accanto a loro: Morrison, Janis Joplin, Kurt, Hendrix; per questo si evitano gli accendini bianchi»
«Credo che li comprerò più spesso» rispose Matty, facendo ridere Edward.
«L'hai fatta incazzare di brutto eh?» scherzò poi, riferendosi ad Edith che era andata via velocemente.
«Non era mia intenzione. Succede sempre così quando parliamo della danza. Non è che io non voglia incoraggiarla, è solo che non voglio darle false speranze»
«L'hai mai vista ballare?» ed Edward scosse il capo, facendo sobbalzare Matty dallo stupore che lo guardava incredulo.
«Dovresti andare. Magari potrebbe farcela per davvero»
Edward rimase in silenzio. Avrebbe voluto dire qualcosa ma preferì restare zitto. Sorrise a Matty che gli diede una pacca sulla spalla «avevo davvero bisogno di parlare con qualcuno, grazie»
«tu invece?» gli chiese e lo vide scuotere il capo ridendo amaramente «la mia ex ha appena contribuito al mio licenziamento»
«Che lavoro facevi?»
«La guida alla cattedrale di San Paolo. Tu lavori?»
Edward scosse la testa «studio ancora. Legge» gettarono la sigaretta assieme.
«Penso che sia meglio che tu vada a cercare Edith, è stato un piacere»
«Anche per me Matty, ti ringrazio, e grazie ancora per il passaggio»
Lo lasciò lì e Matty scorse finalmente Ross che sembrava stesse flirtando con una pianta rampicante. Ma quanto aveva bevuto?
«Ross ma che cavolo stai facendo?» lo riproverò tirandolo indietro dalle foglie verdi alle quali si stava avvicinando decisamente troppo.
«Perché non vai a scoparti Roxanne e mi lasci in pace? Sono con una ragazza»
«Si, è davvero bella come un fiore» lo canzonò strattonandolo. Ross lo guardò dritto negli occhi prima di accarezzargli il viso fin troppo delicatamente, facendo spaventare Matty, che seguiva terrorizzato i movimenti della mano di Ross che si infilava nei suoi capelli dolcemente, per poi tirarglieli con vigore.
«Cazzo Ross, ma sei fuori?» urlò toccandosi la testa, dalla quale sentiva mancare un'ampia ciocca di ricci.
«Tecnicamente si, sono proprio fuori» rise osservando il cielo scuro. Matty scosse il capo esasperato, Ross quando beveva ci dava dentro. Avrebbe voluto portarlo così a scuola, avrebbe voluto che i suoi alunni lo vedessero così, piuttosto che come Mr. MacDonald, l'unico insegnante di storia di tutte la Groove Highschool che faceva i compiti su tutto il programma dell'anno.
«Ti porto da George» lo trascinò dentro con forza, Matty era sempre stato un tipo gracile in confronto all'amico che con la sua corporatura rendeva il lavoro a Matty più complicato di quanto già non fosse. Lo fece poggiare dietro al bancone accanto e George che lo guardò senza porre troppe domande, impegnato a non ridere e a concentrarsi mentre preparava un Sex On The Beach a una ragazza dai capelli lilla.

Camminò tra i ragazzi che ballavano accalcandosi, trovandosi nuovamente contro l'esile figura di Janet.
«Guarda chi si rivede» rise «trovato Ross?»
Matty annuì iniziando a ballare, portando Janet più vicina al suo corpo, facendo passare la sua mano sulla sua schiena.
«Tu che hai fatto?»
«Sarebbe meglio dire chi» precisò alzando gli occhi al cielo, per poi indicargli un ragazzo dalla pelle scura, che risaltava a causa della maglia bianca e aderente con lo scollo a V, dalla quale si intravedeva senza ombra di dubbio una perfetta tartaruga scolpita che Matty invidiava a tutti i ragazzi fin da quando aveva quindici anni.
Improvvisamente scorse Edith che ballava ridendo con Edward e sorrise tra se e se fissandoli, erano davvero adorabili.
Lui le prese il viso tra le mani, mentre lei continuava a muovere i fianchi a ritmo di musica, strusciandosi con perfezione sul corpo tonico del suo ragazzo, che le riempiva i capelli di baci. Sembravano un po' fuori posto lì in mezzo, tutta quell'intima dolcezza faceva a pugni con il violento odore di sesso che si respirava lì dentro.
Edward la baciò nuovamente, sulle labbra però, e sembrò salutarla, lasciandola tra la folla. Edith si mordicchiò un po' le labbra rosee, mentre seguiva con lo sguardo la silhouette che veniva coperta dalle altre.
Si scostò da Janet, che sembrava più interessata a riavvicinarsi al ragazzo di colore che a lui, e si diresse verso di lei.
«Andiamo fuori, mi sento soffocare» gli disse e senza aspettare una risposta lo afferrò per il polso gracile trascinandolo nel l'esatto luogo dove prima aveva parlato con Edward.
La guardò meglio e notò come le stavano bene i jeans della Levis che portava, rendendole le gambe slanciate nonostante fosse bassa.
«Trovato qualche soluzione poi per il lavoro?»
Scosse il capo.
«Sai Matty, nella mia scuola di danza- come ovviamente in tutte le scuole che si rispettino- c'è la musica dal vivo per le lezioni di classico» Matty inclinò il capo confuso, non aveva la più pallida idea di cosa stesse dicendo e di come avrebbe potuto aiutarlo.
«Nel senso che c'è qualcuno che suona al momento per noi che facciamo danza classica; suona il pianoforte. Purtroppo Lewis, l'ex pianista, era vecchio ed è morto. Servirebbe un sostituto, ma ovviamente dovresti saper suonare il piano»
Matty sorrise.
«Io so suonare il piano» esultò un po' troppo violentemente «È da tanto che non suono però, ma non credo che dovrebbe essere un problema. Devo solo fare un po' di pratica»
Edith lo abbracciò fortemente.
«Grazie per aver parlato con Edward comunque, sul serio. Ci vediamo domani alle quattro di pomeriggio davanti alla Central School Of Ballet»

Si era contenuto alla festa, anche se avrebbe potuto perfettamente farne a meno in quanto ora non c'era nessun gruppo di turisti ad aspettarlo fuori la cattedrale. O meglio c'era, ma non aspettava lui.
Voleva solo sentirla di nuovo, ma come avrebbe potuto fare?
Poi ebbe un'idea: poteva semplicemente fare la parte del turista per una volta. Fece colazione con una tazza di tè e dei biscotti, sorrise leggermente quando i suoi occhi si posarono sulla bustina marrone di tè alla vaniglia- quello di Edith.
Allen dormiva ancora nella sua cuccia e ne approfittò per riempigli la ciotola dell'acqua (più che un cane quell'essere sembrava un cammello)
e in silenzio richiuse la porta dietro sé.

Attraversò la strada e guardò la cattedrale; la sua cattedrale. Ora non più così sua come prima, ma era pur sempre il suo posto preferito.
Si recò alla biglietteria dove Adam sbandò quando lo vide.
«Che cavolo ci fai qui? Se Mr. Gray ti vede ti ammazza Matty»
«Ma io sono solo un turista errante, come tutti» replicò ridendo porgendogli una banconota per pagare i 40£ di ingresso.
Hann scosse il capo, porgendogli il biglietto e vedendo Matty andare via, dirigendosi direttamente alla gallery, mentre lui come al solito rimase seduto in quella dannata biglietteria. Non gli era mai piaciuto particolarmente quel lavoro ma doveva pur farlo per guadagnare qualche cosa. Iniziò a girare sulla sua sedia annoiato, mentre aspettava che la giornata passasse e ogni tanto faceva il biglietto a qualche turista spiegandogli (inutilmente) che le foto andavano fatte senza flash e che bisognava stare in silenzio.

Matty aveva salito quei gradini correndo, a due a due, per arrivare nella sua amata gallery. Si guardò attorno e si mise accanto al muro, accasciandosi, come se fosse stremato, con tutti i suoi 66 chili contro la parete e attese.

I turisti iniziarono ad arrivare e Matty sobbalzò quando vide che era già stato rimpiazzato, e per di più dalla stessa Katrine, che sembrava per di più alquanto in difficoltà quando un turista francese le chiese quando venne costruita la chiesa.
Matty si avvicinò intromettendosi «L'église a été construite et détruite à plusieurs reprises au cours de son histoire. La construction de l'édifice actuel de restauration 1668 *» fece segno al turista di avvicinarsi e gli spiegò che era nel gruppo sbagliato in quanto il gruppo per le spiegazioni in lingua francese sarebbe arrivato tra meno di cinque minuti e ci sarebbe stato Xavier, un ragazzo canadese, a fargli da guida in francese.
Katrine aspettò impazientemente che finisse di parlare, prima di strattonarlo e mormorare a denti stretti «che cavolo pensi di fare?»
«un giro, sono solo un turista io» scherzò Matty.
«quando mio padre ti vedrà qui ti ucciderà»
«non può, ho comprato il biglietto» Matty rise sventolandole il pezzo di carta bianco e verde in faccia, per poi lasciarla lì. La osservò da lontano, e dovette ammettere a se stesso che era ancora dannatamente bella con quei pantaloni stretti che le fasciavano le cosce perfette e con quella stupida coda di cavallo che la faceva assomigliare ad una fottutissima barbie- anche se le stava da Dio poiché le metteva in risalto il collo bianco, candido, sporcato solo da qualche neo sulla parte destra.
Si mise nuovamente contro il muro e rimase lì.

Ci restò una quarantina di minuti li.
Poi eccola che la sentiva e che la sua attesa veniva ripagata. Fece aderire meglio il suo orecchio ma quando riconobbe Ginsberg per l'ennesima volta ne fu proprio sicuro. Era lei. Era la sua voce. E sarebbe stato per ore ad ascoltarla parlare.
«Passeggeremo tutta la notte per strade solitarie? Gli alberi aggiungono ombra all'ombra, luci spente nelle case, ci sentiremo soli»
Prese coraggio Matty. Sospirò pesantemente. Si passò una mano tra i ricci ingarbugliati, ma mai tanto quanto i suoi pensieri in quel momento e continuò la poesia che lei stava recitando.
«Cammineremo sognando la perduta America dell'amore lungo automobili azzurre nei viali, verso casa nel nostro cottage silenzioso?»
Lei, lo sentì.
Si portò una mano davanti alle labbra rosee, screpolate. Non avrebbe mai creduto che qualcuno la prendesse in considerazione, e soprattutto, non avrebbe mai creduto che qualcuno sarebbe stato in grado di continuare Ginsberg.
«Ah, caro padre, grigio di barba, vecchio solitario maestro di coraggio, che America avesti quando Caronte smise di spingere il suo ferry e tu scendesti su una riva fumosa a guardare la barca scomparire sulle acqua nere del Lete?»
Matty sorrise contro il muro, accarezzandolo, come se potesse sfiorarla.
Vide una ragazza che camminava svelta tra la gente, portava dei pantaloni scuri, una giacca beige- quasi bianca- dello stesso colore della schiuma del cappuccino che Matty odiava, che le metteva in risalto i capelli lisci, corvini. Le cadevano come cascate nere sul collo, decorato da un sottile collare nero. Matty iniziò a correre e la seguì, afferrandole la mano.
«Ti piace Ginsberg per caso?» le chiese.
«A chi non piace» gli sorrise. I suoi denti gli si infilarono nella carne, sentiva il suo sguardo bruciargli la pelle. Oppure bruciava lui, da solo, perché sapeva di averla trovata.
«Comunque sono Matty»
«Océane»
«Sei francese?» e lei annuì.
Scesero le scale assieme, mentre si dirigevano al bar vicino casa di Matty- avevano appena concordato di bere un caffè lì, e Matty non poteva essere più felice perché aveva trovato la sua voce.

Lei, li guardò scendere, e non disse nulla.

 

 

AYEEE.
È lei? È Océane? Chi sarà? Ansia. Matty arriverà in orario a lavoro? Edward andrà a vedere Edith che balla? Adam riuscirà a dire più di poche righe? Speriamo.
Come sempre ringrazio le mie due affezionatissime lettrici, questa storia è soprattutto merito vostro- grazie ♥.
Ci vediamo presto al prossimo
aggiornamento, spero che il capitolo vi sia piaciuto, fatemi sapere! 💙

*quello che ho scritto in francese l'ho tradotto con Google translate, se è sbagliato vi chiedo scusa haha (la chiesa è stata costruita e demolita più volte nel corso della sua storia. La costruzione della chiesa moderna inizia nel 1668).
La ragazza nella foto è Océane 💙

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Capitolo 7
*** 7. that's why me and love never got along ***


7.that's why me and love never got along

 

 

 

 

https://instagram.com/p/BIs0-nbAXQg/ (se volete vedetelo prima di leggere il capitolo)

Spazzolò con vigore i capelli, per raccoglierli in uno chignon che dovette riempire di gel e di lacca affinché fosse perfetto.
Afferrò il suo borsone e scese le scale correndo, mentre con la mano destra si aggiustava la mutanda color carne che si era spostata da sotto l'aderente body nero.
Continuò a camminare, a passo moderatamente svelto, girando ad ogni angolo, per raggiungere la sua scuola di danza. Scorse Matty che fumava che l'aspettava lì.
La salutò sventolando la mano destra, con tutta la sigaretta incastrata fra le dita.
«Matty» gli sorrise «ti vedo particolarmente felice»
«Si, sono contento» rispose cercando di contenere la sua gioia «poi ti spiego. Però ho anche un po' di paura»
Edith scosse il capo e gli passò una mano sulla schiena per rassicurarlo.
«Lo tieni anche per ballare?» le domandò riferendosi al guanto alla mano sinistra. Edith si limitò ad annuire con il capo, era stupido, ma le faceva sempre male parlarne.
Entrarono e lei lo presentò alla sua insegnante di danza, una cinquantenne mora, uscita direttamente dalla ferrea accademia russa dove si insegna il metodo Vaganova così come lo scrisse Agrippina. I suoi gesti lasciavano intuire quella che un tempo era stata non solo bravura, ma puro talento sul palco e che ora, a causa dell'agire del tempo non c'era più.  Squadrò Matty con i suoi occhi marroncini come le noccioline salate che mettono nei pub di Londra in quei contenitori sgraziati che servono per rendere quei drink- ordinati per solitudine-un po' meno tristi.
«Tu saresti il pianista di cui mi ha parlato Edith, giusto?» e lui annuì mostrandole uno dei suoi sorrisi più convincenti. Condusse Matty nell'ampia sala prove, già brulicante di ragazze vestite con le tipiche calze bianche, sedute sul parquet in legno chiaro che si infilavano punte e sporcavano le loro scarpette con la pece.
Matty si sedette e un brivido percorse il suo corpo quando i suoi polpastrelli sfiorarono quel pianoforte. Ritrasse immediatamente le mani quando realizzò che l'uomo che aveva suonato questi tasti, che aveva dato vita a milioni di note, che aveva fatto sì che tutte quelle ragazze potessero danzare;era morto.
È complicata la vita: che senso ha? Se l'era sempre chiesto Matty, ma sapeva che la musica, sapeva che l'arte in generale era una delle poche cose buone belle che l'uomo era stato capace di creare, e riusciva a rendere la permanenza sulla Terra un po' più sopportabile. Matty sospirò e riposò la mano sinistra sui tasti bianchi, poggiando l'anulare su quello nero. Osservò lo spartito e lo studiò velocemente- per sua fortuna era abbastanza semplice e conosceva la maggior parte delle canzoni.
L'insegnante fece cenno di iniziare e Matty iniziò a suonare la prima canzone, e le ragazze andarono alla sbarra, ponendosi in ordine di altezza. Cercò con lo sguardo Edith, e le sorrise. Iniziarono.

«Quindi verrai anche domani?» gli domandò aggiustandosi i capelli, passandoci le mani sopra affinché i ricci ribelli restassero nello chignon.
«Già. Mi ha detto che sono stato bravo. È stato strano suonare dopo tutto questo tempo»
«perché hai smesso?» scesero le scale giungendo nell'underground, Edith aveva accettato felicemente di prendere la metropolitana per accompagnare Matty a casa.
«Non era più come prima»
Restarono zitti entrambi.
«Non so se capisci cosa intendo»
«Capisco perfettamente»
Restarono zitti nuovamente, mentre aspettarono il loro treno, che giunse con pochi secondi di ritardo. Entrarono e si aggrapparono all'asta di ferro accanto all'entrata; Matty notò che le dita  di Edith si attorcigliavano con eleganza, come se stesse ancora esercitandosi alla sbarra.
«A volte penso di aver provato tutto quello che proverò mai. E da qui in poi, non sentirò più nulla di nuovo. Solo versioni più deboli di ciò che ho già provato»
Con questa affermazione Edith interruppe il nulla che si era interposto tra loro. E Matty sorrise perché era quello che gli succedeva da un bel po' di tempo.
Il treno si fermò. Scesero in fretta, facendosi spazio tra le persone che erano lì con loro. Procedevano uno accanto all'altro, vicini. Matty sorrideva, non riusciva a smettere di pensare ad Océane.
Improvvisamente non vide più Edith accanto a lui, e si girò preoccupato, ritrovandola qualche metro più avanti accanto a un uomo che suonava il vìolino: si stava togliendo le scarpe.
Corse da lei, chiedendole cosa avesse intenzione di fare e lei non rispose, ridacchiò e basta. Si sfilò la converse sinistra con l'ausilio del piede destro, lasciandole poi accanto alla sedia dove sedeva l'uomo. Era alto, molto. Nulla a che vedere con la statura di Matty che era piccolo e minuto, così insignificante rispetto a tutto quello che c'era dentro di lui, a tutte le rivoluzioni che avrebbe voluto far scoppiare; così piccolo per contenere tutti i suoi pensieri.
Aveva gli occhi grandi, contornati da folte sopracciglia nere, ispide, così come i peli delle braccia, scoperte. Le sue mani afferrarono l'archetto e pizzicarono con gentilezza le corde del violino.
Edith, iniziò a ballare.
Si mosse un po' alla volta, partì con il piede destro, avanzando proprio davanti all'uomo che sorrideva vedendo che c'era qualcuno che apprezzava la sua musica a tal punto da ballarla. Il suo corpo si protese in avanti, slanciandosi sinuosamente tra quell'orda senza vita di persone che procedevano incuranti di quello che si stava svolgendo di fianco a loro.
Edith era per terra, con le punte dei piedi ben tese tracciava il pavimento lurido, rendendolo magicamente bello quanto il palco dell'Operà.
Lei, intanto, ballava. E non le importava di altro. C'erano solo lei e la musica, solo lei e quelle note tristi che uscivano da quel misero oggettino. Erano identici lei e il violino: trasmettevano la medesima nostalgia, pur essendo piccoli. C'era qualcosa di così malinconico nel modo in cui si stava muovendo e lo sapeva. Ballava spesso per capire come stava, e non c'era volta in cui non riuscisse ad esprimersi ballando. Se avesse potuto, avrebbe danzato per sempre. Continuò a muoversi, tracciando con le sue dita disegni nell'aria, osservandone la fattura ad occhi chiusi, mentre curvava la schiena o alzava le gambe da terra saltando, come se potesse quasi volare e andare via da quella Londra caotica e triste, imprigionata nella sua fredda indifferenza.
Poi, come se niente fosse successo si fermò. Rise, cristallina. Si lasciò scappare questa piccola risata, così innocente, che fece quasi male a Matty tanta era la sua purezza.
Ricominciarono a camminare- dopo che lei ebbe recuperato le sue scarpe- passando tra quelli che si erano fermati ad osservare Edith incuriositi- sempre per pochi secondi però, il lavoro, gli impegni, la famiglia; li attendevano. Non c'era più tempo per l'arte.
«Ti ho sentito, e sei così brava a farti sentire. Hai una voce, usala Edith.»
Edith lo guardò con aria interrogativa, non capiva cosa volesse dire. O meglio, l'aveva capito, ma non ci credeva- nessuno gliel'aveva mai detto. Fare la ballerina era sempre stato un suo capriccio da quando era piccola, ma nessuno l'aveva mai incoraggiata e quando lasciò per un anno i suoi genitori sembrarono perfino felici, non come quando lei decise di riprendere. O come quando rifiutò di andare al college perché la danza è una cosa seria, e c'è bisogno di impegno, non solo di passione o talento per eccellere.
«Quando avete ballato nella scuola, non è stato così. Era bello, ma avrei tranquillamente potuto fare altro mente ballavate. Ora non avrei mai distolto lo sguardo da te, sarà stata anche la canzone, l'improvvisazione , non so cosa cazzo sia potuto essere, so solo che è...è stata una prima volta. Hai presente Lucien Carr? Non so se lo conosci. È un autore della beat generation» e si morse l'interno della guancia per trattenere l'ennesimo sorriso rivolto ad Océane. Magari le piaceva pure Carr, anche se parlando davanti alla tazza di caffè amaro- che Matty schifava quanto le sigarette a frutti di bosco- gli aveva confidato che più di tutti preferiva Kerouac e avevano iniziato un ampio dibattito su chi fosse meglio tra lui e Burroughs (il preferito di Matty) «Carr diceva che la vita dovrebbe essere composta solo da prime volte, perché la vita è bella solo se selvaggia»
Edith gli sorrise ampiamente «Lo conosco, ma non sapevo che avesse detto questo»
«Vederti ballare è stata una prima volta, e se è così ogni volta, sappi che sarò sempre in prima fila a tifare per te»
«Edward non c'è mai stato»
«La prossima volta ci sarà. Vedrai»

Giunsero poco dopo sotto casa di Matty, Edith si rifiutò gentilmente di entrare: aveva ancora paura di Allen e anche se Matty aveva provato a persuaderla più volte dicendole che le avrebbe preparato il tè alla vaniglia, lei declinò l'invito ad ogni modo. Aggiustò lo zaino che aveva sulle spalle, cercando di tenerlo ben stretto tra le sue dita e di alzarlo il più possibile sulla sua schiena. Era una cosa che faceva molto purtroppo- cercare di scomparire nel suo zaino. Lasciò un bacio sulla guancia a Matty, lui intrecciò le dite nella mano di lei che si staccarono con una lentezza degna di uno di quei film con le sparatorie in slow motion che a Edith non piacevano proprio perché il cinema è un'arte (quanto la danza)è ormai questo mondo martoriato dal cinismo all'arte non ci pensa più.

Océane si rigirava nelle coperte fredde del suo letto, posizionato sotto la finestra aperta per combattere l'afa di Agosto.
Legò i capelli neri e si sedette, aprendo il suo quaderno bianco, dove vi appuntava frasi, e poesie, ma che fungeva anche da diario.
Iniziò a scrivere, era da un po' che non lo faceva, parlò di Matty, del modo stravagante in cui l'aveva approcciata e della sua sicurezza. Aveva fatto tutto come se già si fossero conosciuti da una vita, o come se lui avesse passato pomeriggi interi ad aspettarla. Lasciò quaderno e penna sulla scrivania, annoiata (non finiva mai quello che iniziava) e mise le dita nella boccia di vetro contente Mia Wallace, un piccolo pesce rosso, chiamato così in onore del personaggio di Uma Thurman in Pulp Fiction, decisamente il suo film preferito.
Prese il cellulare e mandò un messaggio a Matty, magari era sveglio anche lui a notte fonda.
E infatti la sua risposta non tardò ad arrivare. Le disse di vestirsi, perché l'avrebbe portata a fare un tour notturno.

Passeggiavano stretti, con la mano di lei attorno alla sua vita, e la mano di Matty saldamente attorno al collo di Océane.
C'era un silenzio piacevole tra di loro, accompagnato dallo scrosciare delle acque putride del Tamigi. 
Matty si accese una sigaretta e gli occhi di Océane si scurirono più di quanto non lo fossero già.
«Fumi?»
«Tu no?»
«No. Sai che può ucciderti?» Matty sbuffò alzando gli occhi al cielo. Certo che lo sapeva. Lo sapeva benissimo. Soprattutto se ogni coglione glielo ripeteva come un mantra ogni volta che accendeva una maledetta Marlboro, come se questo lo facesse smettere.
«Andiamo Océane, siamo un po' tutti attratti dall'idea della morte, dal pericolo- è questo il fascino della sigaretta. È bella. Ti uccide lentamente. Ti fa stare bene. Ne vuoi sempre di più. E poi un giorno BOOM» Océane sobbalzò nel momento in cui Matty mimò l'esplosione con le mani « e sei...morto»
Stava per aprire bocca ma Matty la interruppe, aveva questo maledetto vizio di parlare sopra gli altri, la sua voce doveva essere quella preponderante.
«È un po' come l'amore, non trovi Océane?»
«Forse è per questo che io e l'amore non siamo mai andati d'accordo»

 

 

 

 

AYEEE.
Spero che vi piaccia, sul serio. Non ho tanto da dire questa volta, vi ringrazio infinitamente per tutte le visite e i voti. Quella sopra è Edith che balla, e si, lo so che è un pianoforte in sottofondo e non un violino ma ho dovuto necessariamente scegliere quest'ultimo perché era l'unico strumento che riuscivo a visualizzare in una metropolitana haha
Grazie ancora una volta, vi lascio questa foto di Matty e Adam sotto che ho appena trovato e me ne sono innamorata (non vi preoccupate Adam, George e Ross saranno ugualmente protagonisti anche se per ora non hanno detto molto)

Ps: ringrazio come al solito p8if per le sue meravigliose recensioni ♥

 

 

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Capitolo 8
*** 8. Oh shit ***


8.Oh shit


 

 

 

Cosa fai quando non riesci a sfogare tutte le tue emozioni? Matty se lo domandava sempre. Come fai quando la musica non basta, le lacrime non escono, e le urla ti muoiono in gola?
Non era mai stato bravo a sfogarsi. Teneva sempre tutto per se, era una persona riservata, evitava di parlare di come stesse anche se lui era il suo argomento preferito.
Semplice «narcisismo idealista» spiegava lui. Era l'idea che aveva di lui a piacergli, non la sua versione reale; bensì quella romanzata, quella studiata in ogni minimo particolare, resa bella dalla poesia che si era costruito nella sua testa curandola con maniacale precisione quasi fosse il progetto di una grande scultura.
Era nella sua stanza, a fumare l'ennesima sigaretta- dopo che Océane gli aveva detto di non farlo- con gli occhi fissi sul soffitto, stava fissando da così tanto il nero uniforme della stanza che per un attimo credette di essersi addormentato, eppure la centrifuga d'emozioni che aveva nello stomaco, quel fuoco che aveva dentro ardeva e non lo lasciava riposare.
Océane aveva l'acqua scritta nel suo nome, ma forse, nemmeno lei sarebbe mai riuscita a spegnerlo.
L'aveva intuito subito che Matty era il suo antipodo, e ne fu sicura quando estrasse quella sigaretta sul ponte. Océane dormiva profondamente mentre si rigirava tra le lenzuola fredde del letto posto sotto la finestra della sua stanza. Intanto, Mia, continuava a nuotare nella sua boccia.
Matty riuscì a prendere sonno soltanto quando il sole sorse. Dormiva come al solito raggomitolato, abbracciato al cuscino che stringeva sia tra le braccia che tra le gambe. Allen era accanto a lui, il suo alito caldo solleticava la pelle di Matty, si mosse un po' e i suoi ricci caddero sul pelo del suo cane che gli leccò la faccia. Aprì gli occhi nuovamente, esausto per la lunga notte insonne e si rigirò nel letto, stingendo quel cuscino un po' più forte e osservandolo attentamente. Lo girò di lato e ne disegnò il contorno con le dita, ad occhi chiusi, mentre immaginava che li ci fossero i fianchi di qualche ragazza.
Sospirò profondamente, portando la mano destra sul comodino in modo da afferrare le sigarette e ne estrasse una dal pacchetto con i denti.
L'accese e accarezzò Allen, che continuava a leccarlo ovunque facendolo ridere- soffriva tanto il solletico.
I suoi occhi studiarono il suo appartamento attenti, come se lo stessero vedendo per la prima volta.
Matty amava stare da solo. Scrivere da solo, prendere il tè da solo, camminare o fumare da solo. Aveva sempre avuto bisogno dei propri spazi, non era mai stato particolarmente affettuoso e anche quando teneva veramente a qualcuno  aveva necessariamente bisogno di passare un po' di tempo da solo.
Eppure, quando camminava e vedeva un bambino con la propria madre, quando vedeva Edith e Edward che si baciavano, quando vedeva Ross e George scherzare assieme con Adam senza avere bisogno dei propri spazi capiva che a volte doveva stare da solo, ma non gli piaceva essere solo.
Per quanto ci provasse però, il contatto umano non era una cosa nella quale eccelleva particolarmente. Aveva avuto la capacità di mandare all'aria relazioni perfette a causa della sua maledetta testa, dei troppi pensieri che l'abitavano. Del suo sentirsi limitato, oppresso, a disagio perché l'etichetta di fidanzato gli stava stretta e non voleva essere costretto a dipendere da qualcuno.
C'erano giorni in cui- da fidanzato- andava dalla sua ragazza, la coccolava, parlavano, facevano l'amore; ma c'erano giorni in cui lui non riusciva a rispondere alle sue chiamate, uscire con lei era un obbligo piuttosto che un piacere, ed era così esausto della sua voce e delle sue parole inutili.
Ci fu un giorno dove la sua (ex) ragazza disse «finiamola qui» ed era sempre la stessa storia con tutte.
Ma il problema era decisamente lui, e lo sapeva. Scostò gli occhi dalla sua stanza, smise di studiare il modo in cui l'ombra della lampada si stagliava sulla parere giallastra, e fissò il pelo marrone di Allen. Lui ci sarebbe sempre stato.
«Vieni qui bello» lo richiamò, e si addormentò nuovamente, alle dieci del mattino, con Allen tra le braccia, mentre gli stringeva la zampa destra.

La notte di Edith invece, era stata ben diversa, così come quella di Edward.
Si era svegliato di soprassalto nella notte, era rimasto a rigirarsi nelle coperte con gli occhi azzurri arrossati per le lacrime trattenute, odiava piangere.
Cercò di resistere per un po' e stette circa quaranta minuti seduto a fumare un intero pacchetto, ciccando con noncuranza sul pavimento, mentre il suo corpo continuava ad essere percorso da brividi e la testa gli martellava. Chiamò Edith.
La sua voce assonnata giunse chiaramente alle sue orecchie, si pentì subito di averla chiamata, avrebbe dovuto lasciarla stare, farla riposare, piuttosto che infastidirla con i suoi problemi- ma lui era un debole.
«arrivo»
Non gli diede nemmeno il tempo di dire qualcosa che subito capì e poco dopo Edith era già davanti la porta. Edward si alzò e le aprì mentre divorava l'unghia dell'indice della mano destra. Edith entrò e si sfilò le scarpe, restando con i suoi calzini grigi fino alla caviglia che Edward adorava, perché le rendevano il piede ancora più fine di quanto già non fosse. Aveva i pantaloni della tuta nera, e un maglioncino leggero grigio (a notte fonda a Londra faceva un po' freddo) dalle cui maniche lunghe uscivano le dita affusolate. Quelle della mano destra si posavano sulla manica della borsa nera che le aveva regalato e lei estrasse da quest'ultima dei biscotti al cioccolato fondente e un pacchetto di Marlboro Light, le sue preferite.
Senza dire una parola si stesero sul letto, mangiando in silenzio, interrotti soltanto dai numerosi sbadigli di Edith che aveva la testa poggiata sul petto di Edward. Chiuse gli occhi e si addormentò improvvisamente mentre le braccia del suo ragazzo le circondarono il corpo esile e i suoi occhi blu intenso la scrutavano nel buio della stanza illuminata scarsamente dalla luce del bagno (lasciavano accesa sempre quella perché le altre erano troppi forti e davano fastidio).
Edward le baciò una guancia, senza smettere di guardarla.
Iniziò a piangere in silenzio. Senza un preciso motivo. La guardava e piangeva, asciugandosi con il dorso della mano velocemente le lacrime che avevano avuto la meglio su di lui.
Le accarezzò il viso, tenendola stretta tra le sue gambe, con la sua schiena poggiata sulla sua pancia e la sua testa sul suo petto.
Edith aprì gli occhi improvvisamente.
«cazzo Ed mi sono addormentata, scusami» ma lui la zittì baciandola lentamente.
«non riesco a dormire Edith. Non ne posso più»
«non hai preso i sonniferi?» ed Edward scosse il capo, rabbrividendo al solo pensiero delle pillole bianche che erano nel barattolo sull'ultimo scaffale del bagno- le aveva messe lì a posta: era lo scaffale più alto e non ci sarebbe arrivato facilmente.
«parliamo un po'» le disse «com'è andata a danza oggi la lezione?» e vide gli occhi di Edith ingrandirsi improvvisamente, scorse una scintilla in tutto quel buio e non era dell'accendino che lei stava usando per dare fuoco alla sigaretta che aveva appena preso. Erano semplicemente i suoi occhi, e non li aveva mai visti così luminosi.
Iniziò a parlare a raffica, come era solita fare quando era estremamente felice e mise Edward di buon umore il modo in cui le sue labbra si curvavano quando pronunciava la parola "danza".
«Alla festa mi accennasti qualcosa a uno spettacolo dove ci sarebbero stati gli insegnanti della Royal Ballet, quando è?»
«Sabato» esitò qualche secondo prima di chiedergli «Ed ti andrebbe di venire?»
Lui le prese il volto tra le mani baciandola nuovamente, la guardò e le baciò la punta del naso.
«Ci sarò»
Lei gli saltò addosso, stringendosi a lui e baciandogli la pelle candida con foga. Si fermò per qualche secondo ad osservare gli occhi di Edward, erano di un blu così profondo e l'avevano sempre messa in soggezione, fin dalla prima volta che li aveva visti.
«hai fatto qualche incubo, come al solito?»
«più o meno»
Edward finì la sigaretta di Edith prima di raccontarle quello che aveva sognato.
«È stato strano, ma bellissimo Edith. Non era un incubo, ma un sogno. Ci pensi mai a quanto siamo fortunati? A quante persone soffrano nel mondo e noi che abbiamo tutto continuiamo a lamentarci? Mi arrabbio quando realizzo ciò. Forse l'essere umano è destinato a essere perennemente infelice, non ci accontentiamo mai. Ho sognato un bambino, stranamente. Lo sai che in genere non mi piacciono, ma ne ho sognato uno. Aveva i capelli mossi, sporchi, così come il suo viso dalla pelle nera, con i riflessi bronzei. Era nel bel mezzo di una città distrutta, rasa al suolo. Ed è lì che ho capito che la cosa più brutta del genocidio non era la piramide di corpi morti accatastati ai lati della strada, o il sangue per terra Edith, no. La cosa più brutta era il silenzio. Ma era un sogno felice quello. Perché l'unico motivo per il quale il bambino alzava le mani in aria, non era perché stava per essere sparato, no.
L'unico motivo per il quale le sue mani vibravano nel cielo era per mostrarci come immaginava di volare quando era un aereo plano»
Edith restò zitta. Cercava spesso di dare un significato ai sogni di Edward, ma questa volta restò zitta. Si baciarono nuovamente, e lei si sfiorò le labbra con le mani, sorridendo leggermente. Fecero l'amore quella sera, non lo facevano da tanto.
Quando si svegliò il giorno dopo Edward la guardò nuovamente, accarezzandole la schiena nuda, studiando quel corpo con perizia, nonostante lo conoscesse bene come le crepe dell'intonaco giallastro.

«Matty porca troia apri questa porta!» Adam bussava freneticamente mentre Louis, il fratello minore di Matty, lo guardava tentando di trattenere le risate.
Matty aprì dopo diversi minuti, assonnato, mezzo nudo.
«Lo sai che giorno è oggi?» Hann lo fissò serio e Matty sbuffò, a prima mattina non aveva la forza di discutere specialmente con lui, che finiva sempre per avere ragione (e matty odiava avere torto). Si guardò intorno spaesato, girandosi per osservare l'orario sull'orologio della cucina: erano le 11.00.
Sgranò gli occhi, si era riaddormentato.
Intanto Louis era già entrato in casa e stava giocando con Allen. Louis?!
Si ricordò che oggi era venerdì e che il venerdì era la giornata dedicata a lui e Louis. L'avevano deciso da quando i suoi si erano separati.
Adam lo afferrò per le spalle tirandolo fuori.
«Matty, Louis è venuto qui alle nove. Non gli hai risposto, è venuto da me. Era preoccupato, già la scorsa volta non è andata nel migliore dei modi»
«Si lo so, scusami Adam. Grazie mille, ora torna da Devonne però» gli fece l'occhiolino quando pronunciò il nome della ragazza di Adam che arrossì un po' per poi sbuffare e lasciare Matty da solo con Louis.
Si precipitò da suo fratello, per scusarsi e lui rise divertito.
«Tranquillo Matty, me l'aspettavo, sei sempre stato un dormiglione. È solo che avevo fame, per questo ho chiamato Adam e ho mangiato da lui»
«Piccolo bastardo» disse scompigliandogli i capelli. Prese una sigaretta e la fumò mentre aspettava che l'acqua per il tè bollisse.
«Matty»
«Dimmi Louis»
«Guardami» gli disse sorridendo.
Matty per lo sgomento si lasciò scappare la sigaretta dalle labbra che gli cadde sul polso, bruciandogli leggermente la pelle.
«porca troia» mormorò massaggiandosi la parte bruciacchiata.
«e tu, togliti subito quella cosa dalla bocca!» urlò contro Louis che si stava avvicinando sfacciatamente all'accendino bianco sul tavolo. L'accese e fece un tiro davanti a Matty, che restò a guardare.
«Louis, se non la spegni subito, lo dico a mamma»
«Anche tu fumi. E non pensare che non me ne sia accorto quando ero piccolo, anche tu hai iniziato a fumare a quindici anni»
«Non c'entra, Louis posala»
«no»
«Louis!»
Ma lui continuò a fumare e Matty iniziò a rincorrerlo per la casa. Louis la prendeva a scherzare, era tutto un gioco per lui. Si somigliavano così tanto, anche Matty era così da piccolo. Beh, Louis non era poi tanto piccolo. Aveva quasi sedici anni ora, ma per Matty restava quel poppante biondino che aveva fatto i primi passi con lui seduto sul divano, quello che pianse la prima volta che andò in bicicletta perché aveva paura, quello che andava bene a scuola per far contenta la madre (a differenza sua?), quello a cui avrebbe voluto dire un sacco di cose ma non gliele diceva perché non voleva portarlo sulla cattiva strada.
Louis si fermò quando si ritrovò con la schiena contro la porta del cesso, e Matty lo raggiunse.
«Louis dammela, sto iniziando a perdere la pazienza. Chi cavolo ti ha insegnato a fumare?»
«Perché tu potevi e io non posso ora? Che ti importa? Matty non sono più un bambino lo capisci?»
Matty restò zitto. Avrebbe voluto tirargli uno schiaffo. Non lo fece. Avrebbe voluto dirgli che il fumo uccideva, ma sarebbe stato un ipocrita.
«Non fumare troppo» gli disse «andiamo a farci una partita a FIFA okay?»
Louis l'abbracciò all'improvviso e Matty esitò qualche secondo prima di ricambiare.
«anche se non sembra, se sono uno stronzo, e se non te lo dico» gli sussurrò «ti voglio bene. Ricordatelo. Ora però basta, dai» risero assieme e tornarono in salotto.

Dopo diverse partite dove Matty era stato battuto (lui sosteneva che lo faceva di proposito per vedere Louis contento) ricominciarono a parlare, di ragazze, di una che piaceva a Louis, di Océane e Edith.
«Chi ti ha insegnato a fumare quindi?» gli chiese «non vuoi dirmelo?»
«Dei ragazzi a scuola, andavamo a studiare assieme all'uscita e mentre andavamo in biblioteca fumavano. Mi hanno insegnato loro» tentennò un po' prima di chiedergli chi avesse insegnato a fumare a lui.
«Una ragazza, l'ho conosciuta mentre eravamo a Belfast, Eileen»
«E non l'hai più vista?»
«No»
Il telefono di Louis squillò.
«È mamma. Devo andare Matty, a venerdì prossimo» Matty accompagnò suo fratello alla porta e lo abbracciò mormorandogli «attento a non farti scoprire da mamma con le sigarette, se ci sono problemi, chiamami e dai la colpa a me»
«Sei il migliore Matty» disse contento, con gli occhi verdi (Matty era sempre stato geloso degli occhi di Louis in quanto erano molto piu chiari dei suoi tanto da sfiorare il verde) che brillavano.
Chiuse la porta, e si accasciò lungo essa, leggendo un messaggio di Océane sullo schermo del telefono.
Lo ringraziava per ieri sera e gli chiedeva se avesse voglia di uscire nuovamente, dopo il lavoro.
Le rispose, e si massaggiò le tempie, era ancora stanco.
Poi sgranò gli occhi quando sentì una puzza di bruciato: il tè. Si ricordò di averlo lasciato acceso per tutto questo tempo e si maledisse per essere così stupido.
«cazzo»

AYYEEEE.
Non uccidetemi, non succede nulla, è un capitolo di passaggio :(
Zero idee, sorry. Spero che vi sia piaciuto comunque. Apro una parentesi per i terremotati, voi avete sentito qualcosa? Spero stiate tutte bene ragazze ♥
Il prossimo sarà migliore, giuro ahah😍💙Non smetterò mai di ringraziare abbastanza p8if (Federicaa ♥) per le sue meravigliose recensioni.

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Capitolo 9
*** 9. Saturday ***


9. Saturday

 

 

 

 

 

Matty si fece schioccare le dita mentre scendeva la scalinata della scuola di danza di Edith, che stava finendo di cambiarsi nello spogliatoio. Avrebbe aspettato Edward fuori, la sarebbe venuta a prendere. Aveva raccontato a Matty di quella notte e si erano entrambi scambiati qualche consiglio in quanto anche Matty le aveva raccontato della storia di Océane.
Ed ora lei era lì, che lo aspettava dall'altra parte della strada. Il vento soffiava leggero e le scompigliava i capelli neri, quanto la vernice del vecchio pianoforte nella sala di danza.
Matty attraversò velocemente, abbracciandola con forza, facendo scivolare le sue dita sulla schiena della ragazza, tracciandone con cura ogni curva.
«Andiamo a prendere un caffè?» gli chiese e si avviarono mano nella mano, quella di Matty era calda in confronto a quella fredda di Océane.
Giunti li si sedettero all'esterno, su dei tavolini che adornavano l'ampio marciapiede, e ordinarono in fretta senza nemmeno vedere i menù in quanto sapevamo entrambi che avrebbero preso un tè nero (per matty) e un cappuccino (per Océane). Lei si stiracchiò sulla sedia, accavallando le gambe lunghe e magre, per poi spostare una ciocca di capelli dietro l'orecchio destro con grande naturalezza, e il suo sguardo fu attirato dalle braccia scoperte di Matty, in particolare da una tatuaggio sul bicipite quasi inesistente - osservazione che la fece sorridere leggermente-
«Perché quello? Quello con il cuore e la scritta Allerton?»
Dopo un primo istante di confusione Matty si fissò il tatuaggio e lo guardò sorridendo spiegandole che era per il suo personaggio preferito di Queer.
«Ti piace davvero tanto Burroughs eh?» lo punzecchiò lei. In quel momento un cameriere portò le loro ordinazioni, poggiando con estrema delicatezza la tazza di cappuccino davanti a Océane che subito ringraziò e iniziò a girare in senso orario.
«Già, fin troppo. Ma non lamentarti, piacciono anche a te»
«Come mai sei qui?» continuò Matty «cosa ti porta a Londra?»
«Xavier, mio cugino. Lavora alla gallery, per questo ero lì quel giorno, lo stavo cercando»
«Xavier! Ma certo» sorrise «lo conosco, adoro quel ragazzo»
«Lo adornano tutti» scherzò Océane, afferrando la mano di Matty per giocarci facendo intrecciare le loro dita.
Matty chiuse gli occhi per una manciata di secondi ricordandosi della prima volta che l'aveva sentita parlare alla gallery e di quanto ci aveva messo per trovarla. Si arricciò una ciocca di capelli, come fanno le ragazzine, e si avvicinò a lei, baciandola.
Fu bello, non intenso, ma bello. Sentiva le labbra di Océane scorrere sulle sue, la sua lingua tracciarne i contorni leccandone ogni millimetro.
«Sai di fumo, dovresti smetterla di fumare»
«Non credi che me l'abbiano già detto milioni di persone? Quando ne avrò voglia smetterò»
«Smettila di fumare, fa male»
Matty alzò gli occhi al cielo esasperato, prendendo un altro tiro.
«Puoi smettere?» Océane era davvero nervosa ora,le tremava la voce, e quest'ultima frase era uscita flebilmente dalle sue labbra rosee «il mio ragazzo è morto di cancro ai polmoni»
Matty si fermò un secondo. Avrebbe voluto continuare la sua sigaretta, che non era nemmeno a metà ma la spense. Non gli andava di far arrabbiare Océane.
«mi spiace»
«fottiti» si alzò e lo lascio lì da solo. Quando fu sicuro che fosse abbastanza lontana, Matty, sfacciatamente, riprese la sua sigaretta e la finì.

Quel sabato arrivò in fretta. Era un sabato particolare, si capiva dall'aria febbricitante che sarebbe accaduto qualcosa e tutti ne erano pienamente consapevoli; ciò non si intuiva solo dal clima che iniziava a diventare ancora più rigido del solito in quanto settembre era ormai alle porte, ma c'era qualcosa che era scattato in tutti. La risata di Edith era cambiata, così come quella di Janet, Océane si era leggermente tagliata i capelli (solo una spuntatina alle punte aveva detto al parrucchiere che secondo lei aveva decisamente esagerato con quelle dannate forbici), Edward aveva chiamato i suoi che non sentiva da tanto, Adam e la sua ragazza avevano deciso di rendere le cose veramente ufficiali quando lui l'aveva sorpresa con una cenetta romantica, proprio come quelle dei film- fallita miseramente in quanto il pollo si era bruciato e si era risolta con una pizza da asporto che si rivelò la soluzione migliore (forse anche più del pollo)-, Ross aveva deciso che per una volta i suoi alunni avrebbero potuto fare a meno di studiare tutto il programma e aveva preparato un compito veramente semplice come test d'ingresso non appena sarebbero ricominciate le lezioni; mentre Matty aveva drasticamente deciso di smettere di fumare. O almeno ci aveva provato, era riuscito a stare per ben due giorni senza toccare una sigaretta ma ora che era accanto ad Edith, fuori alla scuola di danza, fumavano entrambi dei drum, chiusi da lei perché «Matty tu non sai chiuderli, devo ricordarti di quella sera alla festa?»

«Paura per stasera?» le chiese, e lei annuì spiegandogli che sarebbe  potuta entrare alla Royal Ballet Academy se solo l'avessero notata, e che sarebbe stata la conquista più grande di tutte.
«E se non entri?»chiese Matty senza giri di parole facendo ridere la ragazza che si scostò una ciocca di capelli e gli disse che dopotutto lei ballava perché la faceva stare bene, perché "la faceva sentire un po' più vicina al cielo".
Si abbracciarono improvvisamente guardandosi con estrema dolcezza, leggermente imbarazzati in quanti entrambi pensavano al rispettivo fidanzato, ma non se ne preoccuparono più di tanto, soprattutto quando le dita di Matty scivolarono tra i capelli di Edith che rise, rise come quella volta in metropolitana e Matty sentì la stessa fitta al cuore di quella volta.
«Buona fortuna per stasera, ci vediamo dopo»
«Anche a te» lo ringraziò «azzardati a sbagliare una sola nota dello spartito e ti faccio scomparire Allen» lo minacciò e lui scherzò dicendo che forse sarebbe stata una fortuna perché quel cane ultimamente lo stava facendo impazzire.

Edith e Matty erano sul palco, scostarono di pochi centimetri il sipario rosso e sbirciarono tra la folla. Océane non c'era, ma Matty non se la prese più di tanto, se l'aspettava dopo il litigio (se così possiamo definirlo). Scorse, però, Adam e George con le rispettive ragazze accanto alle quali erano seduti Louis e Ross.
Percepì la tensione di Edith, e la guardò. Portava un tutù verde smeraldo (quasi azzurro) che s'intonava perfettamente con la sua pelle bronzea, e non smetteva di battere le punte sul parquet per il nervosismo. Per quanto si sforzasse non riusciva a trovare la figura di Edward tra il pubblico.
Avrebbe voluto lui li più di chiunque altro.

L'ultima cosa che fece prima di uscire dalla quinta fu chiedere a Gabriella di aggiustarle la tutulette in modo che non risultasse troppo afflosciata. Scappò sul palco non appena sentì gli applausi del pubblico che segnavano la fine della variazione di Gemma; ora era il suo turno. Strinse il tamburello nella mano destra con forza, e si pose al centro del palco. Sorrise al pubblico. Questa volta doveva essere perfetta.
Si lasciò totalmente andare alla musica e ballò seguendo le note del pianoforte suonato da Matty, accompagnandolo con il tamburello battendone la pelle con la sua punta destra ogni volta che saliva in attitude, proprio come prevedeva la variazione di Esmeralda, la sua preferita.
I suoi occhi brillavano e si muovevano tra le persone sedute, cercando di evitare gli sguardi degli insegnanti della Royal, preferendo cercare i rassicuranti occhi blu di Edward tra la folla che però non c'erano. Un rumore sordo la riportò alla realtà e tremò tutta quando s'accorse d'aver fatto cadere il suo tamburello. Senza scomporsi lo prese con delicatezza, improvvisando un cambrè per prenderlo e poi continuò finendo tra gli applausi del pubblico. Si alzò, e dopo aver fatto l'inchino corse dietro le quinte, piangendo.

Matty era fuori al teatro, accerchiato dai suoi amici che lo stavano riempendo di complimenti, esagerando come al solito, e mettendolo leggermente in imbarazzo. Non che non avesse una grande considerazione di se stesso, solo che a volte, le sue ansie, le sue paure, prendevano il sopravvento sulla sua autostima.
Si guardò attorno e vide tutte le ballerine circondate dai propri amici, tranne una, che stava sola, a fumare, con lo sguardo perso nel vuoto. Si accorse dopo una manciata di secondi che era Edith, la riconobbe dal modo in cui teneva la sigaretta tra le dita inclinandola verso il basso, aveva le gambe che la reggevano a stento (non solo a causa del grande sforzo appena compiuto e quindi della stanchezza), dello sfarzoso rossetto rosso che portava in scena ormai non era rimasta altro che un'ampia macchia sbavata sotto le labbra il cui rosa naturale faceva a cazzotti con quella tinta decisamente troppo forte per lei.
Matty si allontanò per un istante dai ragazzi, seguito solo da Louis che di staccarsi dal fratello non ne voleva proprio sapere e lo afferrò per il lembo della maglietta proprio come quando erano piccoli e lui non aveva intenzione di fare amicizia con gli altri bambini al parco- così si nascondeva dietro al fratello che non vantava ancora un'ampia chioma riccia.
Vide Matty avvicinarsi a questa ragazza, una ballerina, e abbracciarla mentre lei nascondeva la testa nel suo collo. Notò i suoi occhi rossi, così come il viso, farsi bianchi improvvisamente. Smise di trattenere le lacrime e diede sfogo al più infantile dei pianti, con tanto di moccio che le scendeva dal naso per finire sulla maglia nera del fratello che evidentemente l'aveva notato, ma non diceva niente perché non potevi arrabbiarti con una ragazza ridotta così. Louis non l'aveva mai vista una ragazza piangere, pensava che abbandonarsi ai lamenti, lasciare che le lacrime vincessero fosse una caratteristica dei bambini, che sarebbe poi passata con il tempo (e non faceva niente se aveva visto Matty piangere da grande, credeva che lo facesse solo perché mentalmente aveva l'età di un bambino di quattro anni).
«Non è venuto» sputò Edith, pulendosi il viso con il dorso della mano. Matty era colpito dal modo in cui aveva pronunciato quelle tre parole. Non c'era rabbia, o odio, o dispiacere. Nemmeno delusione. Se l'aspettava. L'aveva detto come se non fosse niente di nuovo, e lei sapeva che non sarebbe venuto, ma questa volta, stupidamente, c'aveva sperato un po' di più.
«È tutta colpa sua cazzo, ho creduto che sarebbe venuto, me l'aveva chiesto lui. Quando ho sbagliato la variazione, stavo cercando lui»
Matty stava per aprire la bocca quando lei scosse il capo «non è venuto nessuno. Sono così sola. I miei genitori. Lui. E Roxanne? Lei è sempre venuta. È la mia migliore amica. Perché non c'era oggi? Sapeva che era importante per me. Sono così stanca. Sono esausta»
Matty la prese e la strinse a se, accarezzandole la fronte con le labbra, lasciandole un bacio proprio al centro.
«Ti accompagno a casa Edith»
Louis aveva guardato tutta la scena con l'ingenua curiosità di un adolescente, impregnata dell'inesperienza e dal disagio, in quanto avrebbe voluto consolare anche lui la ragazza, pur non sapendo come. Quando gli passò davanti, con quello chignon che ormai si stava sciogliendo e il rossetto ancora sbavato, chiamò Matty e i due si avvicinarono a lui.
La abbracciò e Edith, inizialmente sorpresa (e anche un po' spaventata) ricambiò l'abbraccio sentendolo familiare, scompigliò i capelli del ragazzo davanti a lei e notò che erano doppi e folti come quelli di Matty.
«Sei suo fratello vero?» e Louis annuì semplicemente «vi somigliate così tanto. Mi spiace averti conosciuto così, magari la prossima volta che ci incontreremo sarò più decente» e s'abbassò di poco, per baciargli la guancia, lasciando che la sua pelle andasse a fuoco.
Matty salutò i ragazzi con la mano, e fece segno ad Adam che gli avrebbe spiegato tutto dopo.
Salirono in auto; fu un viaggio alquanto veloce, nessuno disse nulla ma non ce ne era bisogno: non dovevano dirsi nulla. L'unica cosa che fecero fu tenersi la mano, quella di Edith sotto, con le dita lunghe e affusolate (non come quelle di Océane che erano corte e anche piuttosto tozze anche se aveva le unghie curate contrariamente a quelle di Edith piene di pellicine) intrecciate a quelle identiche di Matty, che muoveva il suo pollice da sopra a sotto, dalla fine del mignolo di Edith all'inizio del suo polso, come se così facendo potesse eliminare tutte le sue lacrime che le segnavano ancora un po' il viso.

Matty non c'era mai stato a casa di Edith, ma se l'era immaginata tante di quelle volte che quando lei aprì la porta bianca con un calcio, quasi per sfogare la rabbia, e si mostrò totalmente diversa da come l'aveva immaginata ci rimase quasi male.
«Matty scusami per il disordine, mi spiace tanto» e lui rise e basta, mettendole il braccio sinistro attorno al collo e baciandole la guancia.
«Sei salata» finalmente riuscì a strapparle un sorriso «hai pianto troppo»
«Sto bene ora, ti ringrazio così tanto. Vuoi qualcosa? Non so, un succo di frutta?»
«Va bene»
Edith gettò la sua borsa sulla sedia della cucina, aprendo la credenza e cacciando i bicchieri. Prese il succo e una bottiglia di Gin dal frigorifero, mettendo entrambe le bibite nei bicchieri e girò con un cucchiaino.
«Avevo intenzione di tenermi sobrio ma va bene così» Matty rise e vuotò il bicchiere in pochi sorsi, sentendo il sapore dell'arancia smorzato da quello acido del Gin.
«Sei stata bravissima però» le disse e Edith ascoltò in silenzio il resoconto di Matty sulla sua esibizione e si portò le mani davanti alle labbra per coprire il suo sorriso quando le disse che era stata bravissima e che era stato proprio come nella metropolitana, si era fatta sentire.
Stava per ringraziarlo quando le squillò il telefono e rispose.
«Pronto?» la sua voce era ferma, e echeggiava nella cucina vuota e silenziosa.
Matty la vide portarsi una mano sul viso, nascondere il volto nuovamente, si morse le labbra dopo aver lasciato uscire un piccolo sospiro, che insospettì il ragazzo. Le prese la mano e gliela scostò dalla faccia, la portò vicino alla sua guancia e la accarezzò per un po' fino a quando Edith non chiuse la telefonata con un semplice «arrivo»
«Edward e Roxanne sono in ospedale. Dobbiamo andare»

AYEEE.
L'idea dell'ospedale mi è venuta ora  mentre sono in auto e sto tornando a casa (si sto finendo di scrivere in macchina e non è una bella cosa- credetemi) e devo dire che ne sono contenta perché mi diverto a far soffrire le persone. Rido. Comunque ci avviciniamo alla fine, soprattutto perché non voglio portare la storia dietro Fino all'inizio della scuola (per favore ditemi che è un incubo) e credo di aver finito.
Vi ringrazio tanto per aver letto fino a qui, e per essere arrivate a questo punto, mi rende così felice sapere che la storia vi piaccia. Aggiornerò il prima possibile.
Vi lascio il video della variazione di Esmeralda (per chi volesse vederlo ovviamente) che io adoro soprattutto perché c'è il tamburello (e per altri motivi tecnici che non sto qui a spiegare).

https://youtu.be/50lAMbJUXfc


Grazie 💙💙😌

Ringrazio come al solito p8if per i suoi meravigliosi commenti ♥
Vi lascio con questa meravigliosa foto di Matty; possiamo fargli tenere gli occhiali per il resto della sua vita?

 


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Capitolo 10
*** 10. Babe i'm gonna leave you ***


10.Babe i'm gonna leave you

 

 

 

Edith e Matty erano entrambi seduti su un piccolo divanetto, dalla pelle strappata, quasi corrosa. Evidentemente erano troppe le persone che ci si siedevano sopra.
Erano entrambi così nervosi che avrebbero voluto veramente fumare tutto il pacchetto di sigarette- che purtroppo era finito mentre erano in macchina- ma nell'ospedale non si poteva fumare e Edith preferì sfogare la sua ansia sulle sue unghie (o quel che ne restava) mentre Matty, come suo solito, pensò. Pensò a Océane e alle sigarette, alla sua reazione quel giorno, e a come forse avrebbe dovuto essere più gentile, o chiederle spiegazioni, fermarla e non lasciarla andare via così. L'aveva capito che era qualcosa di grave dal modo in cui aveva strisciato la sedia sulla strada mal lastricata, facendo un forte rumore che aveva fatto girare tutti. Senza un esatto motivo, le scrisse di essere in ospedale per vedere degli amici, ma che avrebbe comunque gradito la sua compagnia.
Edith si alzò non appena un uomo, probabilmente sulla cinquantina, uscì dalla stanza di Edward chiudendo la porta con estrema delicatezza. Il suo camice era leggermente aperto, portava un paio di spesse lenti che coprivano un paio di occhi di un verde che aveva un'intensità  particolare, assomigliava così tanto alla felpa verde di Edward che Edith tanto amava perché era piuttosto larga ed era così calda. L'indossava sempre quando era preoccupata, o triste, prendendo sospiri più profondi del solito in quanto il tessuto era impregnato dell'odore di Edward. In quel momento, avrebbe voluto averla portata. Si avvicinò al medico che la tranquillizzò subito, in quanto non era nulla di grave.
Senza nemmeno ringraziarlo Edith si gettò sul letto dove Edward era steso. Quei due non si dissero nulla inizialmente, Matty li osservò con una certa tenerezza da dietro al vetro, mentre si arricciava i capelli. Vide Edith sedersi accanto a lui, che aveva la gamba alzata in aria, ingessata. Non voleva immischiarsi nei loro affari, ma improvvisamente, quasi come se fosse scoppiata una bomba, li sentì litigare. Non capì bene come era iniziata la discussione, così si scostò dal vetro e preferì origliare direttamente dalla porta.
Non riuscì a prestare estrema attenzione alle parole in quanto questa fu catturata da un particolare che in quel momento lo sconvolse.
Edith parlava forte, quasi tremante però, parlava accentuando fin troppo le parole come non l'aveva mai sentita fare. Aveva un così forte accento cockney, e la sua voce risultava identica a quella della gallery.
Fu in quel momento che collegò tutto, che capì che doveva essere lei. Realizzò tutto d'un tratto che s'era fermato ad Océane perché era così stanco di quella folle ricerca, e lei era quella che più s'avvicinava all'idea che s'era fatto della voce che l'aveva scelta. Capì d'essere stato un vero cretino in quanto la dolce pronuncia francese che aveva Océane non poteva minimamente essere comparata con il suono rozzo, quasi volgare, dell'accento cockney.
«Healy, ora può vedere Roxanne» il medico di prima lo risvegliò dalla sua riflessione.

Entrò, ancora scosso, in una stanza spoglia, come tutte le stanze d'ospedale, e si sedette ai piedi del letto di Roxanne che gli sorrise un po'.
Aveva un gesso che le copriva tutto il braccio sinistro, comprese le dita.
«che è successo?»
«stavamo venendo al teatro. Un'altra auto non ci ha visti all'incrocio, ci ha presi di lato. Fortunatamente nulla di grave, sarebbe potuta andarci peggio»
Matty l'abbracciò per quanto poteva, posandole un bacio sulla fronte bianca, accarezzandole un po' la guancia destra, mentre con l'altra mano stringeva le sue dita. Le guardò e si ricordò del tatuaggio, quello piccolo, il fiore di loto.
«Rox, chi ha l'altra metà del tatuaggio?»
«Edith»

Edward guardava la ragazza davanti a lui con gli occhi blu colmi di tristezza. Le aveva rovinato ogni cosa, perfino lo spettacolo. Sospirò rivolgendo lo sguardo alla luce bianca mal funzionante, che illuminava malamente il viso di Edith, la quale non aveva smesso di mangiarsi le unghie da quando era entrata.
Ripensò in meno di un minuto a tutta la loro relazione, a tutto quello che avevano passato, e capì che Edith forse con lui, non era mai stata veramente libera. Decise che era giusto lasciarla andare.
«Edith» lei lo guardò sorridendo apprensivamente, era così preoccupata quando l'avevano chiamata, per fortuna si era tranquillizzata quando aveva visto che non era grave- almeno per Edward. Se le si fosse rotta una gamba, sarebbe morta a causa di tutto il tempo durante il quale non avrebbe potuto ballare.
«Ti ricordi quando io e te ci sedevamo  sul letto, io con la mia sigaretta tra le labbra, e tu affianco a me solo con il reggiseno nero, che mi guardavi e ti avvicinavi solo per rubarmi la sigaretta dalla bocca?» glielo chiese sorridendo, quasi trattenendo una risata. Le sarebbe mancata così tanto.
Edith ridacchiò arricciando il naso, mordendosi le labbra e stringendo la mano calda di Edward.
«e ti ricordi quando ci incontrammo a lezione di matematica l'ultimo anno di liceo?»
«eri adorabile con quei capelli lunghi»
«ah ti prego non ricordarmi di quel taglio» risero di gusto, e Edward s'avvicino a lui ancora di più, posandogli un bacio sulle labbra, che Edith preferì approfondire facendo entrare la sua lingua nella bocca di Edward.
«Edith»
Edith l'aveva capito cosa stava per fare, l'aveva sentito il distacco nel bacio, la nostalgia, era riuscita a percepire che lui voleva lasciarla, magari credendo che fosse per il suo bene, ma si sbagliava così tanto.
«Edith ti prego basta» e si fermò.
«Edward» non seppe con quale forza le uscirono le parole dalle labbra, tremava tutta.
«Edith non possiamo continuare così. Ammettilo, tu non sei felice. Io» gli costò tanto dire quello che disse «io voglio solo che tu possa ballare. Voglio che tu sia libera. Edith guardami, lo sai, sei troppo selvaggia per me, e io troppo mite. Ti sono stato d'intralcio dal primo momento, quale ragazzo direbbe alla propria fidanzata di non credere nei propri sogni? Hai fatto così tanto per me, e io non sono mai riuscito a ricambiare; so che starai meglio se la finiamo qui. Ti ho tenuto sveglia così tante notti con i miei problemi, voglio solo che tu dorma serenamente. »
«Sai Ed, la materia oscura è necessaria per tenere le galassie assieme. La tua mente è una galassia. Più oscura che luminosa. Ma la luce che c'è la rende degna di ogni notte insonne con te, di ogni lezione di danza andata mediocremente perché ero troppo stanca per dare il meglio di me perché quel "meglio" l'avevo dato a te. Non voglio lasciarti»
Edward si sedette malamente, i suoi movimenti erano limitati. Si avvicinò a Edith quanto poteva e le baciò la fronte, un'ultima volta.

La loro storia finì, con entrambi che sapevano che forse non avrebbe mai potuto funzionare, e con entrambi che desideravano che questo giorno non fosse mai arrivato.
Lui, che combatteva costantemente la sua battaglia.
Lei, che provava ad aggiustare ogni cosa che credeva fosse rotta, fissandosi troppo su cose che non erano mai realmente accadute.
Lui, che credeva di averle dato tutto ciò che aveva.
Lei che aveva pensato di potergli dare di più.

Adam e i ragazzi arrivarono assieme ad Océane che salutò timidamente  Matty non appena lo vide uscire da quella stanza.
Notarono tutti la tensione tra i due, ma furono tutti più impegnati a guardare Edith che uscì improvvisamente dalla stanza di Edward piangendo violentemente. Tentava di trattenere i singhiozzi mangiandosi le unghie, come al solito, ma era inutile; le lacrime continuavano a scendere dai suoi occhioni, e Matty, vedendola così l'abbracciò di nuovo sotto lo sguardo di Océane.
Non appena il corpo di Edith fu avvolto dalle braccia di Matty, lei si dimenò, andando via. Anche Matty la lasciò andare, capì che aveva bisogno di un po' di privacy, e si gettò a peso morto sul divanetto di prima, e Océane si accomodò accanto a lui, sedendosi con la sua solita delicatezza, passandosi una mano tra i capelli.
«Mi spiace essere andata via così l'altra volta. Non ho affatto superato quello che è successo a Pierre»
Matty stette zitto e lei continuò a parlare, anche se non aveva la minima voglia di sentire la sua storia in questo momento. Fin troppe cose gli svolazzavano nella mente, e non aveva tempo anche per Océane, ma lei parlo comunque  e lui non poté fare a meno di ascoltarla.
«Pierre fumava sempre ed era una cosa che adoravo. Ho sempre creduto che le sigarette donassero un certo charme, e per questo fumavo anche io. Aveva gli occhi blu. I capelli biondi, che gli scendevano spesso umidi sulla fronte. Ma la cosa che più amavo, era proprio la sua bocca, impazzivo per il piccolo sorriso che compariva quando una sigaretta si aggiungeva tra i suoi denti o quando le mie labbra si univano alle sue. Siamo stati assieme tanto tempo, tre anni. Pierre era impulsivo come me, ma stranamente andavamo d'accordo, ci scontravamo poco. Mi chiese di sposarlo mentre stavamo passeggiando sulla rive gauche a Parigi, una cosa alquanto banale, ma fu perfetto. E poi, qualche mese prima del matrimonio, si ammalò. E morì. Non c'è niente di perfetto in questo però»
«mi spiace»
«ma se tu vuoi fumare, non è affar mio»
«già»
Océane si alzò e non poté fare a meno di far cadere il suo sguardo oltre il vetro, dove i suoi occhi nocciola scorsero Edward, steso sul letto, che piangeva, con le mani tra i capelli. Probabilmente lo fissò troppo, ma non poteva fare a meno di distogliere lo sguardo.
«Matty» bisbigliò «chi è quello? Gli somiglia così tanto»
«È l'ex di Edith» rispose scrollando le spalle e lasciandola li.
Mentre usciva dall'ospedale vide Ross fuori che parlava a telefono sorridendo fin troppo per i suoi gusti. Aspettò che spegnesse per poi iniziare ad infastidirlo come sempre.
«Chi era? La fidanzata?» lo canzonò.
«in realtà si»
Matty per un istante si scordò di tutto quello che era successo e lo prese per mano iniziando a saltellare urlando di essere così contento per lui, e le sue urla non fecero che aumentare quando Ross gli confessò che la ragazza era Janet.
Matty abbracciò Ross che gli scompigliò i capelli, e lo rassicurò riguardo tutto, notando l'evidente inquietudine dell'amico.
«Parla con Edith» gli disse prima di raggiungere i ragazzi che stavano andando da Roxanne.


AYEEE.
No no no no. Non è uscito assolutamente come volevo, è il capitolo peggiore che abbia mai scritto, e sto soffrendo perché dentro di me non volevo far lasciare Edith ed Edward, li shippavo un po', e piango tanto.
Per non parlare di Océane che boh, non ha un senso, o quel povero Ross che si infila a cazzotti nel finale ma capitolo, si sarà rotto le palle di vedere sempre Matty al centro dell'attenzione eh.
Mi spiace se faccia schifo, non riuscivo proprio a scrivere- per vostra fortuna siamo quasi alla fine (credo che saranno altri 2 capitoli )
Vi ringrazio per aver letto, 💙 e soprattutto grazie a pi8f per le sue solite e meravigliose recensioni

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Capitolo 11
*** 11. you're gonna make me lonesome when you go ***


11. you're gonna make me lonesome when you go


 

 

 

 

Le battaglie più ardue si combattono nell'intimità della nostra anima.
Edward era a casa e fissava il gesso che aveva attorno alla gamba, firmato dai suoi compagni di università, ma mancava la firma di Edith. Continuava a fissarsi il gesso bianco, ricoperto da scritte colorate tra le quali l'ironica frase di David che recitava "Ed sei un ragazzo in gamba" e pensò che forse aveva fatto più male lasciare Edith piuttosto che rompersela quella gamba, ma sapeva che l'aveva fatto per il suo bene, l'unica cosa a cui non aveva pensato era a quanto gli avrebbe fatto male dopo.

Lei era come essere presi a pugni dritti nella bocca. Continuavi a sentirla anche giorni dopo.
Ti faceva male a causa sua. La sentivi nei tuoi denti, sulle tue labbra tumefatte. Era di quella dolcezza che non si scorda. E ora, probabilmente, lei era in giro a ballare con qualcun altro. Il suo corpo dalla silhouette felina, tutte curve, tutte onde. Danzava come i raggi della luna.

Ma Edith aveva passato gli ultimi due giorni a piangere, asciugandosi contro il ruvido tessuto della felpa verde di Edward che ormai era diventata sua ora che lui non c'era più. Era rimasta seduta con il cellulare fra le mani, alternandolo prima nella destra e poi nella sinistra, in modo da poter martoriare le unghie dell'altra mentre attendeva una chiamata dalla scuola di danza in quanto Gabriella ne aveva ricevuta una, e si domandava se mai ne avrebbe ricevuta una lei, se ci sarebbe mai riuscita oppure avrebbe fallito così come aveva sempre pensato Edward. Forse avrebbe dovuto ascoltarlo fin da principio, andare all'università ed evitare di rendere così malsano il loro rapporto con i suoi capricci di bambina, con la sua eccessiva schiettezza e magari anche la troppa apprensione verso il suo (ex) ragazzo; chi sa cosa avrebbe fatto lui senza di lei.
Edith s'alzò dal letto per prepararsi un tè, e decise di uscire mentre osservava la strana danza della fiammella del gas.
Si muoveva a destra e sinistra slanciandosi in aria, un po' come lei, che cercava sempre di stare il meno possibile con i piedi per terra.
Prese una tazza e giocò con l'orlo di questa, facendo passare i suoi polpastrelli sulla ceramica mentre l'acqua bolliva lentamente.
Quando finalmente posò le labbra sulla tazza blu bevendo un sorso del suo tè, sospirò profondamente. Si sentiva più libera, e non capiva se fosse solo l'assenza di Edward o la solitudine in sé.
Il confine tra libertà e solitudine è così labile.
Ma Edward aveva ragione, anche se le mancava. Non erano semplicemente adatti l'uno a l'altra, lei che aveva sempre voglia di lottare, lui che aveva già perso troppe volte e si rifiutava di incassare l'ennesima misfatta. Eppure s'erano amati così tanto, ma non era bastato; anzi, era stata quella la loro vera e propria rovina, l'eccessivo guardarsi, il troppo contatto, non sapevano stare l'uno senza l'altro e la fiamma della loro passione aveva finito per bruciarli.

Matty iniziò a scuotere Adam per le spalle violentemente, in modo da farlo svegliare.
«Hann! Non puoi dormire sul posto di lavoro cazzo, non voglio che anche tu venga licenziato»
Adam aveva il capo reclinato all'indietro sulla scomoda sedia della biglietteria, fortunatamente ancora vuota a quell'ora (non sarebbe certo stato un bello spettacolo trovarsi un dipendente assonnato davanti), aprì gli occhi stropicciandoli e si giustificò con Matty spiegandogli che era rimasto con Devonne all'ospedale per fare compagnia a Roxanne, e che poi Edith gli aveva dato il cambio questa mattina.
«È ancora li?»
«Edith? Non credo, ormai è quasi ora di pranzo, sarà andata via»
«Voglio un biglietto, sai per la gallery»
«Ti arrenderai mai?» gliel'aveva spiegato all'ospedale del suo problema, di quella dannata voce, di come aveva creduto che fosse Océane e invece si era sbagliato.
Matty semplicemente alzò le spalle facendo ridere Adam che gli consegnò il biglietto, e lo seguì con lo sguardo fino a quando Matty non iniziò a salire le scale e non lo vide più.

Giunto sopra, si sedette per terra. Restò li ad aspettare e basta, restò li fino alle quattro e mezza di pomeriggio a chiedersi cosa avrebbe dovuto dire ad Edith quando l'avrebbe sentita, se mai l'avrebbe sentita ancora una volta.
E a quanto pare non doveva sentirla, perché non c'era nessuna persona che recitasse Ginsberg o Burroughs o altro, solo mormorii confusi, parole sconnesse e due innamorati che erano stati circa più di trenta minuti a bisbigliarsi "ti amo".
Si alzò, deluso e stanco, e decise di andare direttamente da lei.
Iniziò a camminare quando vide Océane, con il suo solito jeans blu chiaro sbiadito e consumato, che trascinava una valigia, tenuta per il manico dalle sue dita sottili che spuntavano discretamente dalle maniche del maglioncino grigio. Nell'altra mano aveva una bustina di plastica, con un pesciolino dentro. Era Mia.
Matty si avvicinò a lei che gli sorrise, abbracciandolo.
«Che ci fai qui?» le chiese tenendole ancora le mani.
«Sono venuta a salutare Xavier. Torno in Francia. E gli lascio Mia» spiegò indicandola mentre nuotava nella sua bustina.
«Non ti piace l'Inghilterra?» scherzò Matty, e lei arrossì un po', gli sarebbe mancato.
«Mi piace, ma mi manca la mia Parigi. Mi manca il mio sole parigino, soprattutto con questo tempo» e alzò gli occhi indicando la trifora della gallery, dalla quale il cielo plumbeo sbucava timidamente, quasi come fosse un intruso; un cielo eccessivamente arzigogolato nell'austerità rinascimentale della cattedrale.
«E mi manca il mio cibo» concluse facendo ridere Matty nuovamente.
«Anche a me piacerebbe andare a Parigi» si fermò «di nuovo»
«Non mi avevi detto di esserci stato» aggiunse lei sgranando gli occhi con aria quasi sognante.
Matty si morse il labbro, stringendo il pacchetto di sigarette nella stanca del suo pantalone nero.
«In realtà non ci sono mai stato. Eppure quando stavo con una delle mie vecchie fidanzate, avevamo progettato questo viaggio, e ci siamo stati così tante volte nelle nostre menti, che è quasi come se ci fossimo stati veramente»
«Forse non vuoi andare a Parigi, vuoi solo tornare da lei»
«No, credo che ci sia un motivo se le cose finiscono»
«Già. Prima o poi finisce tutto»

Annuì.
«e Edith? Finirà anche con lei?»
«Ma con Edith non è ancora iniziata, e dubito che lo farà»
«Perché dici così?»
«Vedi Océane io non riesco a resistere in una relazione, ho bisogno della mia libertà, l'etichetta di fidanzato mi sta stretta. Se fossi stato normale, tra me e te ci sarebbe stata una bellissima relazione, ma non è stato così: ed è stato a causa mia. Ho solo bisogno di preservare la mia solitudine»
Océane si guardò le scarpe nere per una manciata da secondi per pensare a cosa rispondere, sapeva sempre usare le parole giuste, e ora ne era il momento.
«La capacità di essere solo coincide con la capacità di amare. Potrebbe sembrarti un paradosso, ma non lo è. È una verità esistenziale: solo coloro che sono capaci di essere soli sono capaci di amare, di condividere, di penetrare nelle parti più profonde dell'altro- senza possederlo, senza diventare dipendenti, senza ridurlo ad un oggetto, e senza diventarne ossessionati»
Matty si guardò le scarpe nere per una manciata da secondi per pensare a cosa rispondere, non sapeva sempre usare le parole giuste se non quando si riducevano a un pezzo di carta e a una penna.
Océane lo abbracciò e lo salutò un'ultima volta, prima di andare verso Xavier che era appena arrivato.
«Ci vediamo a Parigi, Matty»

Dopo la lezione di danza, Matty aspettò Edith fuori allo spogliatoio, rollando un drummino.
Uscirono in silenzio e poi Matty le chiese come stesse, e se le mancasse Edward. Edith rispose con calma, sorridendo come sempre.
«ora sto bene. I primi due giorni stavo male, ma ci ho riflettuto, e so che quello che ha fatto l'ha fatto per me. Hai visto quanto eravamo diversi, io con il mio spirito selvaggio, nomade. Ho solo fatto di lui la mia stella polare, nel cielo in cui mi ero persa. È servito a nutrire il mio ego, non la mia anima»

Allen scodinzolava felice mentre guardava Matty versare nella sua ciotola i croccantini, eppure notava che il suo padrone era più nervoso del solito, probabilmente a causa dell'estranea figura femminile al suo fianco, ma non se ne preoccupò più di tanto quando finalmente riuscì ad impossessarsi del suo cibo.
«Vuoi cenare qui?» e Edith annuì.
«Ti manca lavorare alla gallery?»
«Tanto. Ma suonare non mi dispiace, anzi»
Silenzio.
«però mi è dispiaciuto andarmene da li prima di poterla sentire ancora»
«Chi?»
«una ragazza. Parlava nella gallery e recitava le poesie della Beat, ho pensato fosse Océane, per questo sono stato con lei qualche giorno. Ma invece mi ero sbagliato. Però poi ho capito, perché nascondi l'accento cockney?»
«Eri tu che mi hai risposto quando recitai Poesia di Kerouac» Edith sbandò, spaventata, con gli occhi bassi, ricoperti di vergogna, come se lui avesse scoperto il suo segreto più intimo, come se lei gli avesse messo allo scoperto la sua anima, e non avrebbe dovuto.
Matty le prese la mano, e intrecciò le sue dita con quelle della ragazza che non aveva ancora detto nulla.
«Hai sentito tutto, fino a quando non sei stato licenziato»
«Già. E pensare che sei stata tutto questo tempo vicina a me. Quando ti ho sentita avevo capito che volevo conoscere quella ragazza, dovevo»
«Ora mi hai qui davanti. Cosa pensavi di fare dopo che mi avresti trovata?»
«Non ne ho idea»
Edith alzò gli occhi al cielo.
«Come hai fatto a riconoscermi solo dalla voce?»
«Faccio caso ai dettagli» fece spallucce «dalla voce, e dal tatuaggio»
«quale tatuaggio?»
«quello che hai sotto al guanto. Deve essere per forza li, quello che hai con Roxanne»
«Noti proprio tutto eh? Per un giorno che non ho indossato questo dannato coso»
«puoi anche toglierlo ora»
Edith scosse il capo, e Matty non ci diede troppo peso.
Prese una sigaretta e la mise in bocca accendendola.
Edith lo guardò, e pensò che se fosse stato Edward, la sigaretta l'avrebbe offerta prima a lei, ma li c'era Matty, con il suo volto scavato, dal fascino quasi tenebroso, bello, anticonformista e triste come le poesie di Ginsberg, e forse non le sarebbe nemmeno dispiaciuto vederlo accanto a lei.
Si alzò e si poggiò sul bordo del lavello accanto a lui, rubandogli la sigaretta, sporcandola di proposito con il rossetto rosso, proprio come la prima sera che si erano incontrati.
Matty rise scuotendo il capo, dicendole che odiava così tanto il rossetto rosso sulle ragazze.
Edith gli diede di proposito un bacio a stampo, per lasciarlo su di lui.
«Che schifo!» urlò cercando di pulirsi, sorpreso dal gesto di Edith. Anche lei era sorpresa e si leccò un po' le labbra, si sentì quasi tremare quando capì che il sapore di Edward sarebbe andato via, e un altro avrebbe preso il suo posto; forse quello di Matty. E che poi anche quello di Matty sarebbe andato via, continuando così all'infinito, perché tutto finisce prima o poi.
Matty la fissò dritto nei suoi bellissimi occhi marroni che raccoglievano qualsiasi sfumatura- proprio come le aveva detto quella volta- e capì esattamente a cosa stava pensando.
«Edith lo so che tu ed Edward siete stati tanto assieme. Prenditi il tuo tempo»

 

AYEEE.
Ritardo.
Scuola.
Ritardo.
Zero ispirazione.
Come facevo a ripartire con un capitolo come quello precedente? (Grazie a Federica che ci ha trovato un barlume di speranza dentro)
Spero che questo sia più o meno decente. Ah, probabilmente è il penultimo capitolo. Sicuramente dopo questo ce ne sarà un altro (o altri due)
Intanto volevo avvisarvi che sarò costretta ad aggiornare davvero molto più in ritardo per quanto riguarda il prossimo capitolo poiché martedì dovrò sottopormi ad un intervento (è una cretinata don't worry) ma non potrò fare movimenti con le braccia/mani e non ho idea di come farò a scrivere piango.
Un ringraziamento speciale a pi8f come al solito e a tutte voi, al prossimo capitolo. Qualcuna va a vedere i ragazzi l'8 a Milano?💙

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Capitolo 12
*** 12.12 (Epilogue) ***


12.12 (Epilogue)

 

 

 

 

C'erano voluti circa 12 giorni prima che tutto tornasse alla normalità, con Edith che si era lasciata andare e adesso era stesa sul divano a casa di Matty, mentre fumava una sigaretta e guardava il riccio che riscaldava la loro cena- un takeaway gentilmente offerto da George "per il mio migliore amico perché lo voglio fin troppo bene"
«Matty» richiamò la sua attenzione «vuoi vedere il tatuaggio?»
Matty sbandò improvvisamente, facendo quasi cadere il bicchiere d'acqua che aveva posato accanto al lavello.
«vuoi toglierti il guanto?» e senza rispondere Edith lo sfilò, con eleganza, come tutto quello che faceva, e lo posò sul pavimento. Matty si sedette sul divano accanto a lei, le baciò la mano dove una grande cicatrice attraversa la sua pelle perfetta, creando però un contrasto quasi piacevole alla vista; come i grandi paesaggi del Colorado, ampie distese deserte dove non c'è più differenza tra le sfumature calde del cielo e quelle bruciate della terra, attraversate da grigi fiumi d'asfalto.
Edith si avvicinò a lui e lo baciò, facendo passare le sue dita sul suo collo, lui sorrise quasi impercettibilmente con il suo sorriso sottile ancora attaccato alle labbra di Edith, i cui occhi lo osservavano in ogni minimo particolare. Aveva le labbra un po' screpolate (se ne era accorta anche quando ci aveva passato la lingua sopra) dalle quali uscivano i suoi incisivi sporgenti, storti verso l'esterno, leggermente ingialliti così come tutti gli altri denti. Si avvicinò a lei e si baciarono ancora.

«I corpi caldi
splendono insieme
al buio» iniziò Edith stesa nuda accanto a Matty sul suo materasso che continuò la poesia di Ginsberg
«la mano si muove
verso il centro
della carne,
la pelle trema
di felicità»
«e l'anima viene
gioiosa fino agli occhi»

George stava preparando un tequila sunrise a Matty che fumava appoggiato al bancone del bar, mentre Edith era seduta accanto a lui e gli chiudeva gentilmente un drumino.
Roxanne era con loro- o meglio davanti a loro- in quanto era affianco a George che da quando si era lasciato con la sua ragazza si stava frequentando con la rossa, la cui chioma creava il contrasto perfetto con il vestito nero che portava.
Janet e Ross erano seduti sugli sgabelli accanto a loro, assieme a
Devonne e Adam, che si alzò improvvisamente andando da Matty.
«Ho una buona notizia per te»
«Spara Hann» rispose vuotando in un solo sorso il suo drink.
«Mr. Grey ha chiesto di te; ti rivuole alla gallery, evidentemente Katrine non era più così brava» gli annunciò con il suo solito sorriso sornione.
Matty diede un urlo dalla gioia, finalmente poteva tornare nella sua adorata gallery anche se ormai aveva trovato la voce.
«Quando ricomincio?»
«Domani»
«Avresti potuto dirmelo prima che mi scolassi il mio bicchiere!»
«Non ci sarebbe stato divertimento poi» Adam rise e abbracciò Matty che sorrideva ampiamente.

La maggior parte delle cose si erano sistemate da sole. Edward si era laureato, e Edith continuava a ballare nella sua adorata scuola di danza.
«Edith!» la sua insegnante la richiamò» e lei si avvicinò, mentre si tamponava le gocce di sudore con un'asciugamano.
«Non asciugarti» le disse sorridendo «il sudore è frutto del tuo impegno. Ed è per questo che vorrei chiederti una cosa estremamente importante. Lo so che sei ancora distrutta dalla chiamata che non hai ricevuto, ma anche se Gabriella l'ha avuta questo non significa che tu sia meno brava di lei. Ormai sono anziana, e lo sai, perfino alzare questo bastone» lanciò uno sguardo sulla mazza di legno intarsiata accanto a lei «è diventato fin troppo pesante per me. Vorrei che tu insegnassi al mio posto nella scuola»
A Edith tremarono le ginocchia, non riuscì a fare altro che scuotere ripetutamente il capo per dire di "si" e dopo essere uscita correndo chiamò Matty per farglielo sapere.

Lui quando la vide entrare con quel cucciolo di cane tra le mani non riuscì a crederci.
«Ho pensato che Allen si sentisse solo»
Matty continuava a sgranare gli occhi chiedendole come avesse potuto portare il cane, senza avere paura e Edith rise solo senza trovare una vera e propria risposta; disse solo- enigmaticamente:
«Non sono mai stata brava a descrivere a parole i miei sentimenti. Per questo tutti mi fraintendono»
Matty non capì, e preferì cambiare argomento spostando la sua attenzione sul cane che già giocava con Allen.
«come vuoi chiamarlo?»
«Woody»
Matty prima alzò un sopracciglio, e poi scoppiò in una fragorosa risata correndo verso Edith e baciandola sulle labbra a stampo.
Era così felice.
«Edith ma tu lo sai cosa significa il tuo nome?» e quando lei scosse il capo lui le disse «colei che combatte per la felicità»

Continuava a fare da guida turistica solo per poter stare ogni giorno nella whispering gallery; la camera dei sussurri.
Eppure non si sarebbe mai stancato di entrare li dentro.
Ci era già stato così tante volte che conosceva ogni angolo a memoria e avrebbe potuto guidare i turisti anche ad occhi chiusi, descrivendo con perizia ogni millimetro della struttura.
Matty lo sapeva bene, mentre fumava annoiato davanti la chiesa, aspettando che si formasse il suo gruppo.
Le strade brulicavano di persone, in particolare di turisti tutti aventi la stessa meta: la cattedrale di San Paolo.
La città era piena di rumore.

AYEEE.
È finita. Era l'epilogo. Scusatemi se è corto o se non è come ve lo aspettavate. Ditemi che avete notato che la fine si riallaccia al primo capitolo se no piango (please).
Per chi si stesse chiedendo perché il capitolo si chiami 12 ( e no non è perché non ho fantasia e non so fare un nome ai capitoli - o forse si?) ho qui la risposta: Il 12 indica la ricomposizione della totalità originaria; e io sono leggermente fissata con la numerologia (manco fossi Dante) ed è anche per questo che ho deciso di riallacciarmi al primo capitolo. Chiusa questa parentesi posso solo dire che questo Matty mi mancherà, è l'unico Matty 'allegro' delle mie storie; per non parlare di Edith.
Grazie per essere stati fino a qui, ma il solito ringraziamento speciale va alla a Federica e al suo cane, Woody ;) ♥
Per il momento penso di prendere una piccola pausa, alla prossima. 💙

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