𝕸onster Hidden Behind Dark Turquoise Eyes

di cioccolatino
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fallen ***
Capitolo 2: *** Suburbia ***
Capitolo 3: *** Stamina ***
Capitolo 4: *** Running Out Of Breath ***
Capitolo 5: *** Perfidious Or...? ***
Capitolo 6: *** Part I - Silent Running ***
Capitolo 7: *** Part II - Silent Running ***
Capitolo 8: *** Come Un Animale Selvatico ***
Capitolo 9: *** Perks Of Thoughts ***
Capitolo 10: *** Quando Piangono Le Cicale ***
Capitolo 11: *** Burning Wounds From The Past ***
Capitolo 12: *** Pinnacle ***
Capitolo 13: *** Sfumature Di Luci E Ombre ***
Capitolo 14: *** Proseguimento a Luglio! ***
Capitolo 15: *** AVVISO IMPORTANTE ***



Capitolo 1
*** Fallen ***


Capitolo 1 – Fallen



Non ero la classica ragazza che usciva con gli amici per andare in discoteca a ballare, divertirsi e conoscere qualche ragazzo carinomen; non ero neanche il classico stereotipo di ragazza popolare della scuola, circondata da ragazzi molto attraenti, amici ricchi e quindi da mille attenzioni. Le giornate le trascorrevo sempre in biblioteca o da qualche parte in un luogo appartato, come la casa vecch
ia, disabitata e ormai instabile vicino al parco davanti casa mia, in compagnia dei libri. Andavo sempre lì, a isolarmi dal resto del mondo perché, in qualche modo, in quella casa abbandonata, riuscivo a sentirmi al sicuro, al sicuro dagli altri, che ovviamente non potevano capirmi e certe cose non riuscivano a comprenderle. Le uniche persone di cui potevo fidarmi ciecamente erano i libri, che non mi avevano mai deluso e mai lo avrebbero fatto, con i quali trascorrevo la maggior parte del tempo. Con loro avevo imparato a comunicare e a interagire, perché del resto erano gli unici con cui potevo farlo, e di conseguenza mi ci ero particolarmente affezionata. Gli altri coetanei pensavano che io fossi strana, cercavano sempre di evitarmi se riuscivano, si chiedevano come mai non avessi qualche amico o non uscissi per la città a fare una passeggiata o qualsiasi cosa che uno della mia età normalmente farebbe. Non riuscivo a capirmi nemmeno io, forse non ero riuscita a conoscermi abbastanza in diciassette anni della mia esistenza; non avevo mai capito perché facessi così fatica a relazionarmi con gli altri e per questo venivo spesso derisa, presa in giro, fino a diventare l'inevitabile vittima di bullismo. Tutto questo era iniziato alle medie, quando i miei compagni di classe avevano notato che ero diversa, dal semplice fatto che ero interessata in modo quasi maniacale allo studio e che mi sforzavo in qualunque campo didattico per apparire ingegnosa e perspicace. Questo desiderio di intraprendere lo studio era anche incentivato dai miei genitori, entrambi avvocati molto conosciuti a Toronto per la bravura e l'impegno che dedicavano nel loro lavoro, i quali risultavano, la maggior parte delle volte, severi e cinici. Sta di fatto che, da quel momento in poi, molti ragazzi avevano iniziato a provocarmi pesantemente con qualche battuta di pessimo gusto. All'inizio non era un problema per me, me la cavavo sempre con la mia spavalderia e sfrontatezza, non mi facevo mai abbattere da quegli insulsi ragazzini, i quali, appena rivolgevo loro parola, capivano di essere intellettualmente inferiori e perciò smettevano di insultarmi e deridermi. Dopo quelle giornate tornavo a casa con il sorriso stampato sulla faccia perché, come un avvocato riesce a incastrare il colpevole in tribunale davanti al giudice, alla giuria e ai presenti, io ero riuscita a zittire quei dementi senza sforzarmi minimamente. Tutti quanti ormai si erano rassegnati a lasciarmi in pace, sapevano che ero presuntuosa e alquanto impulsiva e questo lo sapevo pure io, ma purtroppo era il mio unico muro di difesa, l'unica via per il rifugio, l'unica scintilla di speranza che brillava ancora in me.
Le cose ben presto erano cambiate all'arrivo di un ragazzino dall'aria alquanto infantile, nonostante avesse l'aspetto da duro e portasse già dei piercing e un abbigliamento da vero e proprio ragazzo punk. Non mi piaceva parlare molto di lui, il solo pensiero di far riaffiorare quei ricordi orribili e tetri mi faceva piangere ininterrottamente anche se da fuori non l'avevo mai dato a vedere, apparendo come una ragazza arrogante e prepotente. Ed era proprio questo il punto: nessuno sapeva come mi sentivo realmente, nessuno era riuscito a capire che, dietro l'indifferenza e la sensazione di superiorità che tutti potevano notare, si nascondeva una povera ragazzina dalla poca autostima e dai pochissimi amici che trascorreva le serate a piangere e a sperare, che un giorno, tutto sarebbe finito, o almeno cambiato, evolvendosi in qualcosa di migliore della pessima e insulsa vita che amaramente conducevo. Nessuno era riuscito a capirlo. Nessuno lo avrebbe mai fatto.
 



Impiegai qualche istante per capire dove mi trovavo e ricordare come avevo trascorso la notte. Poi ricordai tutto, nei minimi dettagli: non avendo più un posto dove dormire, a parte la sala d'attesa della stazione dove di solito trascorrevo la notte a farmi canne e ad ubriacarmi con altri ragazzacci del posto, di cui non ricordavo nemmeno i nomi, ero stato ospitato a casa di Gwen, insieme a Geoff e DJ. Aveva diciott'anni, pertanto possedeva una casa di sua proprietà e, nonostante sua nonna venisse a farle visita ogni tanto, non si era posta alcun problema nell'invitarci a casa sua, specie per me. Ricordai tutte le bottiglie di alcol scolate durante la serata, insieme alle canne d'erba freneticamente fumate e come la serata avesse preso una piega alquanto sconvolgente ed eccitante.
Ricordo di aver invitato Gwen ad appartarci in camera sua, dove potevamo stare soli.

- " Avanti dai, devo scambiare due parole con te da sola. " - le avevo rivolto facendo l'occhiolino a Geoff ed emettendo un ghigno divertito.

- " Se è uno dei tuoi scherzi cretini non mostrerò alcuna compassione nei tuoi confronti la prossima volta che giocheremo a Call of Duty assieme. " - aveva risposto con aria divertita.
 
L' avevo condotta nella camera da letto dove, appena entrata, avevo chiuso con prontezza la porta a chiave.

- " Indovina un po' cosa ho voglia di fare stasera. " -

- " Mmm non saprei... Ubriacarti? Fumare? Divertirti? Niente che tu non abbia già fatto, Dunc. " -

- " Quello che sto per fare sarà davvero divertente " - le avevo risposto sorridendole maliziosamente.

- " Oh andiamo Dunc! Dici sempre così e poi alla fine succ... " -

Le avevo sferrato un pugno sul braccio senza usare troppa forza e, in seguito alle parolacce che le erano uscite dalla bocca per quel gesto improvviso, avevamo iniziato a fare la lotta come al solito. Ogni tanto ci divertivamo a fare queste cose infantili, forse lo facevamo più per scaricare le nostre tensioni che per divertirci, ma sta di fatto che alla fine ci sentivamo davvero molto meglio. Questa volta però era andata diversamente: Gwen aveva iniziato a sganciare una serie di pugni sul mio petto, sembrava davvero eccitata e divertita nel farlo così duramente; così, per rovinarle il divertimento, l'avevo afferrata per i fianchi stretti per poi sollevarla e scaraventarla sul letto senza la minima fatica. Lei stava per reagire, ma l'avevo subito bloccata, posizionandomi sopra di lei e afferrandole i polsi cercando di non farle troppo male. Aveva provato a dimenarsi e a ribellarsi per una decina di secondi prima di realizzare di aver perso la sfida e di conseguenza di doversi arrendere.

- " Allora " - le avevo rivolto con un tono di superiorità alquanto sconvolgente, inarcando le sopracciglia - " Ti arrendi bocconcino o... " -

- " O cosa? " - mi aveva puntualizzato con tono provocatorio, per poi sorridermi maliziosamente un'altra volta.

Adoravo quel sorriso. Non potevo farne a meno, non lo resistivo. Facevo l'impossibile per farla sorridere perché, quando lo faceva, era meravigliosa, semplicemente perfetta. Gwen era stata sempre un punto di luce nella mia vita e in qualche modo era sempre riuscita a farmi uscire dai guai, anche quella volta in cui ero stato sbattuto in riformatorio per aver dato fuoco ad un'auto oppure quella volta in cui avevo fatto a botte in discoteca, scatenando una rissa che si era conclusa dopo ore. A me non era mai fregato di quello che pensava la gente, sapevo di essere pericoloso, cattivo e violento e ne andavo anche fiero, ma lei aveva sempre pensato che io, in fin dei conti, fossi una brava persona; Io sapevo di non esserlo. Con lei mi sentivo a mio agio, in qualsiasi situazione, anche in quel momento in cui ero sopra di lei con i volti a qualche centimetro di distanza. Per un instante, prima di risponderle, avevo scrutato attentamente il suo viso, chiaro e pallido ma così candido e incantevole, per poi soffermare lo sguardo sugli occhi blu notte che mi osservavano immobili. Avevo lasciato che il mio sguardo percorresse il suo corpo asciutto e fragile per poi ritornare al viso. In quel momento, non ero riuscito a trattenermi a causa del forte desiderio che provavo nei suoi confronti: avevo premuto prontamente le mie labbra sulle sue. Avevamo così iniziato a farlo, entrambi vogliosi di esplorare ancora una volta quelle sensazioni che solo il sesso poteva offrirci. Alla fine, dopo che entrambi eravamo venuti, ci eravamo scambiati un'occhiata furtiva, per un'ultima volta, e non avevo potuto fare a meno di sorriderle malignamente. Non sapevo di preciso cosa provassi per lei, ma quando ero in sua compagnia, mi sentivo libero, eccitato, pronto al pericolo. Mi sentivo me stesso.




Ero fuori dalla porta di casa in attesa che Zoey, una vecchia compagna di scuola, probabilmente una delle poche a non avermi criticato e deriso spudoratamente, passasse a prendermi per andare al pub per scambiare qualche parola. Evidentemente era l'unica ad aver notato come mi sentissi interiormente o doveva essere davvero fuori di testa per invitare ad uscire la ragazza più asociale di Toronto, non sapevo nemmeno cosa si aspettasse da quell'incontro così improvviso e inaspettato. Scorsi in fondo alla via la sua nuova C4 nera e, dopo averla posteggiata di fronte al cancello per farmi salire, non potei fare a meno di complimentarmi con la sua auto.

- " La tua nuova macchina è una favola! Regalo dei tuoi? " -

- " Hahah... Magari! Ho dovuto fare un lavoro part-time questa estate nell'azienda di mio padre e nel frattempo lavorare in un negozio d'abbigliamento. Non è stato poi così terribile ma ho dovuto comunque metterci d'impegno per comprare questa bellezza! " -

- " Sono contenta per te. Vorrei sapere più che altro come mai hai deciso di invitarmi ad uscire, sai come sono... Non sono in grado di relazionarmi molto con nessuno in particolare. " -

- " Suvvia, ragazza! Per oggi sarà diverso, ok? Uscirai dal guscio e insieme andremo a scolarci qualche alcolico al pub e magari a conoscere qualche bel ragazzo. Sei pur sempre una ragazza, Court! Allora, andata? " - mi propose con aria di sfida.

- " Ehm... Non sono davvero convinta di poter esprimere afferratamene qualcosa in questo momento. " - le rivolsi lievemente preoccupata.

Iniziò a ridere dandomi qualche pacca col gomito e dopodichè mise in moto la macchina per dirigerci al pub.
Una volta entrate osservai attentamente il posto: non andavo molto spesso in pubs a causa della mia personalità fuori dalle righe ma, come aveva detto Zoey, quel giorno sarebbe stato diverso e quindi, senza pensarci sopra, presi un posto a sedere e invitai Zoey ad accomodarsi. Iniziammo a chiacchierare e tutto sembrava andare per il meglio fino a quando, scrutando l'atmosfera fattasi più scura e intensa e un branco di ragazzacci rozzi all'interno del pub, scorsi la sagoma di una persona che mi dava le spalle, alquanto famigliare. L'analizzai attentamente prima di rendermi conto che quella figura misteriosa era Duncan, colui che aveva reso la mia infanzia un incubo, l'unico essere che era stato in grado di farmi odiare, detestare, me e la mia stessa vita, priva di senso. Ero pietrificata dalla testa ai piedi, a tal punto da perdere il filo del discorso di Zoey, la quale, un secondo prima, parlava di serie tv e cartoni giapponesi. Cercai di mantenere la calma nonostante il mio cuore stesse battendo a mille dalla paura, quasi come stesse per cadere e rompersi in un'infinita di pezzi e, con fare deciso, scambiai qualche parola frettolosamente con Zoey. Fino a quel momento avevo deciso di ignorarla, nonostante fosse davvero decisa e determinata nell'instaurare, in qualche modo, una normale conversazione tra amiche.

- " Dun... Duncan è qui? " - le rivolsi preoccupata e terrorizzata.
Anche lei conosceva Duncan, ma a meno che i ricordi non giocassero brutti scherzi, aveva un bel rapporto con quest'ultimo, a differenza mia.

- " Oh sì è vero! Hai un occhio incredibile, io non l'avevo nemmeno notato, a quanto pare è uscito di prigione un'altra volta quel buono a nulla... Hey Duncan ! " -

In quel preciso istante sapevo che per me non ci sarebbe stata alcuna via d'uscita, lo sapevo, dovevo affrontarlo, lui e la sua combriccola di amici che già disprezzavo con tutto il cuore. La sanguinosa e devastante guerra rimasta in sospeso anni fa sarebbe ricominciata e stavolta sarebbe stata portata a termine, in un modo o nell'altro. Solo uno di noi due poteva uscirne vittorioso. O io o lui.



Ciao a tutti ragazzi! Questa è la mia prima storia in assoluto e sono davvero contenta di poterla condividere con tutti voi lettori e scrittori! Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, fatemelo sapere tramite messaggio o recensione e tenetevi aggiornati per un altro capitolo pieno di colpi di scena (Questo capitolo è stato in parte un'introduzione per presentare le personalità dei due protagonisti perciò non ho potuto movimentarlo più di tanto). Grazie a tutti!!

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Capitolo 2
*** Suburbia ***


Suburbia
 
Capitolo 2




La mattina seguente, dopo aver spolverato i ricordi delle magnifiche sensazioni e degli infiniti piaceri provati la notte prima, decisi di alzarmi cercando di non svegliare Gwen, all'apparenza immersa in un sonno profondo accanto a me, ancora nuda da ieri. Infilai i boxer e mi diressi verso la terrazza, dove potei fumarmi una sigaretta in totale tranquillità, lasciando che i tutti pensieri pervadessero ogni angolo della mia mente. Quanto era stato bello fare l'amore con lei, nonostante non fossi del tutto convinto che si fosse trattato di vero e proprio amore, ma restava comunque un bel ricordo di me e lei. Le volevo davvero molto bene, forse per il semplice fatto che eravamo come due gocce d'acqua, due anime gemelle, due fratelli uniti e inseparabili, insomma, uno rispecchiava l'altro perfettamente, come uno specchio senza filtri. Entrambi andavamo fuori di testa per i Rolling Stones, i Queen, i Muse, i Nirvana, i Pink Floyd, e tant'altre band rock provenienti dai famossisimi anni rock, punk ed emo, una lista continua ed insostituibile. Tutti e due rispecchiavamo uno stile punk, anche se lei si discostava un poco da me per via della sua predilezione maniacale per il gotico, accompagnato da anelli con teschi terribilmente tenebrosi, borchie scure e macabre, piercing in qualunque parte del corpo e cinghie di metallo grigio. Avevamo la tinta ai capelli, lei, blu notte e nera, e io, verde chartreuse, piú precisamente sulle lunghe e folte ciocche della cresta che scivolavano sul viso, il resto della testa era completamente rasato. L'unico significante particolare che mi distingueva da Gwendolyn era il semplice fatto che lei fosse una ragazza buona d'animo e non una malintenzionata come me, che mi divertivo a compiere atti vandalici di cattivo gusto nei confronti di tutti coloro che si ritenevano, in qualche modo, superiori rispetto a gente come me solo per possedere una villa di lusso o un lavoro prestigioso tipico d'alte classi. Gente snob, arrogante e superficiale. Quanto odiavo quelle persone, le disprezzavo con tutto me stesso. Molto spesso traevo piacere dal far soffrire questa gentaglia spregevole, proveneinte da una società malata, soprattutto dopo aver aspirato notevoli quantità di fumo o dopo essere annegato nell'oceano dell'alcol, in tal modo da rendere il tutto molto più eccitante e pericoloso. Queste sofferenze dell'altro mondo si concludevano sempre nel peggiore dei modi, per loro ovviamente, che spesso si ritrovavano la faccia e il resto del corpo colmo e stra colmo di lividi blu, oppure senza una macchina, una borsa o addirittura senza soldi o indumenti. Ma soprattutto perdevano la dignità che possedevano. Facevo molto ma molto male alla gente, le rendevo belve, mai più esseri umani. Può sembrare malvagio e perfido fare tutto ciò che io indifferentemente facevo, ma ormai non potevo più cambiare ciò ero realmente: un mostro. Ero e sono sempre stato aggressivo e violento, un po' con tutti in particolare, e la cosa mi rendeva sollevato, mi rendeva forte, pieno di rabbia, e rendeva gli altri impotenti e deboli di fronte al mio irrefrenabile e saziante desiderio di fare loro le più terribili ingiustizie al mondo.

- " Hey Dunc, che ci fai là tutto solo? " - Gwen era alle mie spalle e mi guardava interrogativa. Non ricordavo di averla sentita arrivare.

- " Schiarisco un po' le idee... Sai... " -

- " Già... Non devi sentirti in colpa per quello che è successo, è stata una tua scelta e la dovevano rispettare. " -

- " Ah no aspetta, non intendevo quello! Ormai non ci penso più e men che meno mi va di farlo adesso... " -

- " Dunc, stiamo parlando della tua famiglia...Non vorrai dirmi che non ti manca nemmeno un po'? " -

- " No Gwen, la famiglia è colei che è pronta ad appoggiarti e sostenerti in qualsiasi scelta tu decida di intraprendere e soprattutto non è unita da uno stupido legame di sangue."
La conversazione non sarebbe potuta andare meglio, dannazione! Tutto stava prendendo una brutta piega.

- " Scusa... Non era mia intenzione farti arrabbiare, volevo solo aiutarti, io voglio bene alla mia famiglia nonostante abbia deciso di andarmene. " -

- " Gwen, cazzo! Possibile che tu non riesca a capirlo una santa volta! Non mettere in paragone la mia famiglia con la tua! La tua l'hai abbandonata tu, e nonostante ciò tua madre ti scrive e ti chiama ogni fottuto giorno per sentire come stai e se hai bisogno d'aiuto! Nel mio caso è stata la mia famiglia ad abbandonarmi, quando ha deciso di buttarmi fuori di casa perché considerato un tossicodipendente e malvivente, la pecora nera della famiglia, un abominio, un delinquente aggressivo che si droga, che fa questo e nient'altro! Non mi ha mai considerato all'altezza e non ho fatto altro che deluderla, deluderla e deluderla ancora! La tua famiglia ti ama e la mia mi disprezza, e questo perché tu Gwen, in fin dei conti, sei una brava persona, ma per me non c'è né speranza e né un futuro in questa squallida società di merda! "
 
 Detto ciò lasciai Gwen da sola sulla terrazza e  mi avviai verso la camera da letto per recuperare i vestiti, qualche grammo di coca, due liquori e andarmene infuriato sbattendo la porta in faccia al resto della combriccola, che in salotto stava già preparando gli strumenti necessari per farsi nuovamente.
Ero incazzato nero e solo Dio sapeva cosa sarebbe potuto mai accadere a chiunque mi avesse rivolto la parola. Ero imbestialito, furibondo, rabbioso. L'unica soluzione che avrebbe potuto realmente calmarmi era andare al Sunset a stra farmi e sbronzarmi, come facevo di solito quando mi ritrovavo in queste situazioni. Però io non avevo alcun mezzo di trasporto. Scrutai attentamente il quartiere nel quale si trovava l'abitazione di Gwen e osservai accuratamente la gente del posto, notando un uomo sui quarant'anni attraversare le strisce pedonali in bici. Sul mio viso si stampò un sorrisetto davvero malvagio e decisi di mettere in atto un piano assai divertente. Quando l'uomo imboccò la mia stessa via, decisi di posizionarmi al centro della pista ciclabile, in modo tale da fermarlo.

- " Scusa giovanotto, hai bisogno d'aiuto? " -

- " A dire il vero sì, signore... " -

- " Cosa posso fare? " -

- " Beh allora, può scendere dalla bici e prestarmela per andare a farmi qualche scolata al bar, lei può tranquillamente proseguire a piedi. " - dissi con aria divertita.

- " Ascoltami bene, imbecille! Non osare prendermi in giro e men che meno farmi perdere del tempo prezioso, ho un importante colloquio di lavoro tra esattamente ventiquattro minuti, quindi spostati e lascia libero il passaggio! " -

Senza neanche pensarci due volte, dopo essermi assicurato che nei dintorni non ci fosse nessuno, gli sganciai un pugno in pieno viso, così potente e deciso da farlo ribaltare all'indietro. L'uomo era accasciato sul cemento freddo, privo di sensi. Avrei potuto drogarlo iniettandogli qualche malagrazia, così da fargli dimenticare il mio volto o addirittura quello che gli era successo, ma dato che non me ne fregava proprio un bene amato cazzo di cosa sarebbe potuto succedermi se invece non lo avessi fatto, presi la bici e, dopo esserci montato sopra, sfrecciai per le strade con l'intento di arrivare il prima possibile al Sunset, per fare qualcosa di veramente eccitante.






Era da ore ormai che mi trovavo là, seduto davanti al banco, a bere e bere, senza mai fermarmi. Ero sbronzo fino alle stelle. Gwen mi aveva tempestato di messaggi, una decina se non sbaglio
" Mi dispiace, Dunc. Vorrei non fossero capitate queste cose proprio a te! "
" Puoi ancora essere salvato... "
" Parliamone se ti va... "
" Ci tengo troppo a te... "

Mi venne da sboccare. Perché non riusciva a ficcarselo in quella cazzo di testa che non sarebbe potuta essermi d'aiuto in alcun modo! Tutti quei messaggi e il litigio precedente mi fecero venire in mente solo i ricordi peggiori, quelli con la mia famiglia.





- " Lo capisci in che situazioni ti trovi? Tutto quello che fai si ritorcerà contro la nostra famiglia, la nostra reputazione! Siamo brave persone noi, con ottimi lavori, poliziotti e avvocati! Ho tentato in tutti i modi di farti capire qual è la strada giusta da prendere, ma evidentemente non ci sono riuscito. In tutti modi ho cercato di crescerti come un vero giovanotto, disposto a sacrificare qualsiasi cosa per la sua carriera, la sua reputazione e il suo futuro e cosa mi ritrovo? Un lurido delinquente che ruba, fuma, si droga e marina la scuola per fare Dio solo sa cosa fino alle tre del mattino! Non è questo il figlio che ho cresciuto, no! " -

- " Non voglio essere come te, papà! Io ti detesto! Non voglio trascorrere  l'adolescenza e il resto della vita sui libri a studiare giurisprudenza, diritto e altre cazzate di cui non me ne frega una minchia! Le persone come voi le odio, lo capisci? Le tue priorità puoi tranquillamente ficcartele tutte quante su per il culo perché non m'importa ciò che pensi e cosa vuoi che io sia, ovvero qualcosa che fortunatamente non potrò mai essere. Al diavolo te e le tue esigenze del cazzo! " -




Passarono una serie di minuti prima che mi rivolgesse nuovamente la parola, trasformando l'atmosfera che ci circondava nel più totale silenzio. Quanto vorrei che quel silenzio fosse durato in eterno, evitando così ciò che sarebbe realmente accaduto.

- " Tu... Tu non sei mio figlio... " - sussurrò col capo inchinato e con lo sguardo rivolto verso il basso - " Vattene " - mi disse con tono sprezzante e disgustato - " Vattene via e non farti più vedere o sentire, qui non sei più il benvenuto, nessuno in questa casa ti vuole più! " -

Quelle parole, così chiare e dirette ma piene di significato. Quelle parole che mi cambiarono completamente la vita, che mi ferirono più di una spada piantata e conficcata nel cuore. Ora ero io, quello in silenzio. Ma no, io non ero debole, io non ero come loro, non potevo dare la soddisfazione a mio padre di osservarmi impotente davanti ai suoi occhi. Ero io quello forte, quello malvagio, il delinquente dal lato oscuro, il mostro.

- " Vai all'inferno, papà. Tutti voi potete marcire e bruciare là. Me ne vado! " -

Sbattei la porta di casa a passo spedito pur non avendo la minima idea di dove stessi andando. Da quel giorno sarei cambiato, in peggio, e avrei mostrato a tutti il lato oscuro che difficilmente riuscivo a tenere nascosto. Nell'inferno, io, ci ero appena entrato.


Finii di bere l'ennesimo bicchiere di vodka alla menta e ordinai alla cameriera al banco di versarmene un altro po'.

- " Hey tesoro, portamene ancora, io non ho finito qua! " - le dissi facendole l'occhiolino.

- " Duncan, cazzo! Come sei ridotto! Puoi ritenerti fortunato che in questo bar siamo tutti tuoi amici e quindi a tua completa disposizione, ma sarebbe illegale offrirti tutti questi alcolici e permetterti di fumare cocaina qua dentro! Ormai è da mezza giornata che sei qua a stra farti! " -

- " Beh, fortuna che questo bar è frequentato da gente come me allora! " - le rivolsi spostando lo sguardo su tutti gli altri ragazzacci del salone presi dalle loro sbornie, intenti a fumarsi la robaccia migliore di Toronto - " Sai, oggi sono proprio giù di morale. " -

- " Meno male che ci sono io allora, qua pronta a soddisfare qualsiasi tuo desiderio " - mi suggerì tastandosi leggermente il seno e guardandomi ammaliata.
Stavo per risponderle, proponendole di andare nello sgabuzzino a fare sesso e qualunque cosa sporca lei desiderasse quando, improvvisamente, sentii una voce femminile chiamarmi.

- " Hey Duncan, dai vieni a sederti qua con noi! " -





Ero finita. Duncan si voltò dalla nostra parte iniziando a scrutarci attentamente nel tentativo di identificarci e, per qualche istante, il silenzio regnò nel salone del bar.

- " Cosa cazzo ti fa pensare di potermi rivolgere la parola, Zoey? Ti conviene andartene, questo non è un posto per persone come te e la tua amichetta! Sparisci prima di farti fottere da qualche ragazzaccio! " - la minacciò facendo l'occhiolino ad un altro ragazzo dall'altra parte della stanza, ridotto abbastanza male a causa delle troppe canne fumate e dall'aria alquanto spaventosa.

Evidentemente non mi aveva riconosciuto, altrimenti quegli avvertimenti sarebbero stati tutti quanti rivolti a me; perciò emisi un sospiro di sollievo. Zoey rimase immobile, pietrificata e, successivamente, si voltò verso di me. Credevo che tra Duncan e lei regnasse un buon rapporto, una solida amicizia, o almeno è quanto ricordavo dato che quest'ultima passava molto tempo con lui ai tempi delle medie. Eppure qualcosa mi diceva che Zoey non lo conoscesse come lo conoscevo io, o almeno prima che le rivolgesse quella frase.

- " Ma che gli ho fatto di male? " - mi disse spaventata e preoccupata - " Perché mi ha detto quelle cose? " -

Una lacrima le uscì dall'occhio destro e percorse il viso per poi cadere a terra. Quanto mi dispiaceva che avesse dovuto subire quelle offese davvero pesanti.

- " Zoey, non piangere. Non dargli questa soddisfazione. Io ti capisco perfettamente e so cosa vuol dire subirsi tutte le prese in giro di Duncan, lo conosco troppo bene ormai e so per certo che è una persona da evitare. " -

Zoey cercò di improvvisare un falso sorriso e si asciugò la lacrima. Non si chiese del perché lo conoscessi così bene, fortunatamente.

- " Non era così che lo ricordavo...Ricordo che alle medie, nonostante avesse sempre quell'aspetto da duro, era davvero simpatico e socievole. " -

Non sapevo se scoppiare in mille risate o in mille lacrime per quello che aveva appena detto. Duncan simpatico? Che mi venisse un colpo! Con me non l'aveva mai dimostrato e nemmeno con qualsiasi altra persona al di fuori del suo gruppetto di amici deficienti, che io ricordassi.

- " Zoey, lui è solo un delinquente, è una persona da evitare, non una con cui fare amicizia, potresti finire nei guai! Andiamocene via da questo posto, ho l'impressione che se rimaniamo qua a girarci i pollici succederà qualcosa di brutto. " -

- " Si, meglio. "

- " Ok, allora tu esci prima che gli venga in mente qualche altra battuta offensiva da dire, io vado al bancone a pagare il conto delle bibite e poi ti raggiungo immediatamente. " -

Lei annuì ed uscì dal locale mentre io mi diressi alla cassa. Mentre stavo pagando il conto realizzai che Duncan era scomparso dal mio campo visivo, mentre tutti i presenti seduti nel locale mi stavano fissando interrogativi.

- " Quanto ti devo? " - domandai ad una barista vestita completamente di volgarità e provocazione, o forse è meglio dire svestita.

- " Niente, affinché tu mi faccia un favore. " -

- " C'è per caso un favore migliore del pagarti per le bibite? " -

- " Vieni, seguimi, ti devo mostrare una cosa. " -

- " No, voglio solo pagare e andarmene. " -

- " Ti ho detto di seguirmi. " -

- " E io ti ho chiaramente espresso la mia opinione al riguardo! " -

La barista mi si avvicinò e iniziò a sussurrarmi all'orecchio:

- " Vuoi davvero restare in questo posto e vedere come va a finire? Voglio solo aiutarti, io sono costretta a stare qui a subire abusi di ogni genere ma tu, nonostante sia davvero fuori di testa per entrare in questo postaccio pieno di pedofili e maniaci, sei ancora in tempo per dartela a gambe. E ora seguimi! " -

La scrutai per un secondo per decidere sul fa farmi, dopotutto sembrava avere un atteggiamento del tutto innocente e sicuro di sé, cosa che all'inizio non avevo notato a causa dei vestiti che indossava, macabri, e che di conseguenza mi portò ad essere sufficientemente fiduciosa nei suoi confronti. Sembrava anche molto determinata nel volermi aiutare e perciò decisi di seguirla, soprattutto dopo aver visto i volti sorridenti dei presenti che sembravano intenti a progettare qualcosa di orribile e di cattivo gusto, nei miei confronti molto probabilmente. Sarebbe stato meglio andarsene alla svelta.


La ragazza mi condusse in un piccolo magazzino, che si trovava nel retro del locale. Era uno scherzo, vero? Prima che potessi chiedere spiegazioni, si rivolse a un'identità ancora sconosciuta e non visibile ai miei occhi.

- " Allora Nelson, ho soddisfatto i tuoi desideri adesso? " -

Oh no. In quale guaio mi ero cacciata! Come avevo potuto essere così cieca da non accorgermi della trappola in cui ero palesemente cascata! Sapevo benissimo chi era Nelson... Era il suo cognome e la parte peggiore era che lui aveva finto tutto il tempo; lui, appena mi aveva guardato, aveva subito capito con chi aveva a che fare: con la ragazzina con la quale si era molto divertito, a tormentare e deridere, se non peggio. Ero spacciata e non potei far altro che restare immobile, aspettando di vedere Duncan venirmi incontro.
La barista se ne andò dal magazzino compiaciuta e divertita, porgendomi un sorriso malizioso e uscendo da una porta che, a quanto pare, chiuse a chiave. Successivamente Duncan uscì allo scoperto e camminò verso di me.

- " Ciao principessa, da quanto tempo non ci si vede! " - disse sorridendomi malignamente.

- " Duncan... " - emisi con tono sprezzante - " Come si esce da questo posto ?! Sarà meglio per te farmi uscire oppure...? " -

- " O cosa, principessa? " -

Il silenzio mi devastò. Avrei potuto afferrare il telefono che avevo in tasca e tentare di chiamare i rinforzi, se solo ce ne fosse stato il tempo: il luogo era piccolo e buio, non avrebbe mai potuto funzionare. Avrei invece potuto gridare a squarciagola, ma probabilmente nessuno sarebbe riuscito a sentirmi e di conseguenza accorrere in mio soccorso. Avrei solo potuto sperare che Zoey si accorgesse della mia mancanza, o che non se ne andasse pensando fossi ritornata a casa a piedi, senza di lei.

- " Lascia che risponda io per te, proprio un bel niente! " -

- " Cosa vuoi da me? Presumo tu voglia qualcosa per avermi adescato in questo sudiciume con l'aiuto della tua amichetta. " -

- " Ma che brava! La principessa è cosi intelligente! Sì, voglio qualcosa da te. Voglio finire quello che ho iniziato, tanto tempo fa! " -
 
Sembrò davvero entusiasmato e divertito nel prendersi gioco di me mentre io, visibilmente seccata, stavo per esplodere. Stavo perdendo la pazienza. Cosa voleva concludere? Le scazzottate che subivo? le prese in giro? Tutto ad un tratto pensai ad altro. Non mi andava di rimuginare troppo su certi ricordi.

- " Beh Duncan, notizia flash: non mi interessa cosa vuoi, non ti aiuterò in alcun modo. E ora fammi uscire! " -

Ci trovò davvero gusto nel prendersi gioco di me... Che cretino! Stavo semplicemente sprecando il mio tempo con lui.

- " Adesso ci divertiremo un po' assieme " - disse avvicinandosi sempre più a me.

Indietreggiai il più possibile con cautela, fino a scontrarmi con la parete, dietro di me.
- " Noi non faremo un bel niente assieme! " -

- " Ah giusto! Dimenticavo che per te la parola 'divertimento' significa passare le giornate sui libri " - rise divertito - " Beh nel mio caso il divertimento ha tutto un altro sapore " -
 
- " Non te l'ho chiesto. So come ti diverti e la cosa non mi attira per niente " -

- " Sarà meglio che tu torni a casa a studiare, principessa, altrimenti non diventerai mai un avvocato dei miei stivali e il tuo quoziente intellettivo si abbasserà ogni secondo che passa. Sai, mi fai soltanto pena, ed è per questo che ho fatto quello che ho fatto! Sappi che non ti sopporto, non sopporto te e il tuo perfezionismo del cazzo! Non sai divertirti e non sai vivere, la tua vita è destinata a far schifo, proprio come te! " -

In quel momento, non fui più in grado di percepire le cose attorno a me, solo il vuoto mi circondava. Non mi ero mai sentita così, eppure era quella che sembrava essere una sensazione davvero famigliare, troppo famigliare. Solo con Duncan avrei potuto provare sensazioni simili, e mi odiavo per questo, ma più di ogni altra cosa, odiavo lui. L'avevo sempre odiato e non credevo avrei smesso di farlo. Era lui la causa di tutti i miei mali, i miei pianti infiniti, la disperazione e il forte senso di colpa per non essere abbastanza forte. Ma ora basta! Voleva finirla? Bene! Non gliel'avrei data vinta questa volta, proprio no. Ero stanca di tutto ciò e non avrei mai sopportato il fatto che tutto questo potesse accadere un'altra volta. Ero arrabbiata, furiosa, adirata. Ero forte.

- " E' proprio buffo che tu venga qui a farmi la ramanzina riguardo il futuro! Sei l'ultima persona in assoluto che può permettersi di dire che la mia vita fa schifo...Ti stai confondendo Duncan! Quella che fa schifo e non vale una lira è la tua di vita, cretino che non sei altro! Io so benissimo vivere la mia vita, nonostante certe volte decida di trascurare il divertimento per sforzarmi di avere un futuro che mi renda felice, e la cosa più bella è poter condividere queste emozioni con la mia famiglia, che mi ha sempre infondato fiducia e amore. Purtroppo per te la famiglia ha deciso di mandarti a quel paese dato che si è subito accorta del problema con cui avrebbe avuto a che fare. Sei solo un perdente, Duncan! Un delinquente ormai ventunenne che ruba per vivere e passa le giornate a drogarsi, a scoparsi la prima donna che passa per strada e a tormentare le persone che un futuro ce l'avranno solo perché sei un lurido invidioso...Sei cieco o cosa? Duncan! Quello senza una vita e senza futuro sei tu! Sei tu quello che fai pena, non ti vorrà mai nessuno, marcirai da solo passando il resto della tua vita miserabile proprio come la stai passando ora! Sei solo un mostro! " - gli gridai frustrata.

Per un attimo, mi sentii sollevata, fino a quando vidi che il sorrisetto malizioso scomparve dalla sua faccia. Notai che stava serrando i pugni mantenendo lo sguardo verso il basso. Non sembrava arrabbiato, furibondo o rabbioso. Qualcosa di molto, molto peggio.

- " Ma non mi dire! Se sapevo che bastava così poco per zittirti l'avrei fatto già molto tempo fa e tu sai cosa intendo. " - gli dissi sorridendogli soddisfatta.

Ma il peggio doveva ancora venire. Non sapevo che, per quel gesto, l'avrei pagata cara, attraversando i dolori e le torture del suo oscuro e tetro inferno.





Hey ragazzi! Ciao a tutti ! Questo è il secondo capitolo della storia in cui ho deciso di tagliare la parte finale del racconto per introdurla invece nel capitolo seguente, in modo tale da incuriosirvi di più! Spero di non avervi deluso e che la storia vi sia piaciuta, ciao!!!

* manda baci e abbracci virtuali a tutti * 

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Capitolo 3
*** Stamina ***


Capitolo 3 – Stamina
 


Era lei. La ragazzina presuntuosa e impertinente che per anni mi ero divertito a tormentare: l'avevo derisa, picchiata e fatta soffrire. Tutto era iniziato dalla prima volta in cui i nostri sguardi si erano incrociati, in quei corridori lunghi e freddi della scuola che frequentavamo. L'avevo capito subito: lei non era una ragazzina qualunque e, per qualche assurdo motivo, la cosa non faceva che tormentarmi, senza darmi pace. Poi ricordai tutto: lei era intelligente, studiosa e responsabile, i suoi genitori erano orgogliosi di lei, perché sapevano che in un lontano futuro avrebbe realizzato i suoi sogni, sarebbe diventata ciò che più desiderava, avrebbe portato a casa un lavoro soddisfacente e una vita perfetta. Era tutto ciò che io non potevo essere o avere. Lei era la luce e io ero l'oscurità, lei l'acqua e io il fuoco, lei il giorno e io la notte, lei il bene e io il male. Dio, non la potevo sopportare! Era ricca e aveva tutto e tutti ai suoi piedi e, oltre a questo, era incredibilmente altezzosa e prepotente con gli altri compagni di scuola. Non poteva permettersi di scambiare nemmeno una parola con altre persone economicamente ed intellettualmente inferiori a lei, e mai l'avrebbe fatto. Ed era per questo che tutti noi avevamo iniziato a prenderla di mira, io in particolare, essendo uno dei suoi peggiori nemici e quindi un soggetto estremamente pericoloso e da evitare. Ricordai tutte le volte in cui era stata costretta a rivolgermi la parola o a rimanere sola con me prima di essere presa a calci e pugni. Ricordai che si mostrava forte davanti a tutti noi nonostante avesse le lacrime agli occhi e stesse per esplodere internamente a causa delle forti e culminanti emozioni negative, come se non le importasse di quello che le infliggevamo, come se le azzuffate non risolvessero i veri problemi, e aveva ragione. Infine ricordai quella volta, quel terribile sbaglio, quell'incidente orribile e devastante, e non potei fare a meno di scacciare all'istante il ricordo, doloroso e brutale.
In quel momento l'avevo in pugno, ancora una volta. Per anni e anni sembrava essersi dissolta nel nulla fino a quando non l'avevo vista entrare nel bar, ma questa volta qualcosa in lei era cambiato. Era diversa. Non sembrava più la principessina ribelle e perfettina sempre pronta all'attacco e alle sfide. Non l'avevo capito appena era entrata, o appena avevo posato lo sguardo su di lei, l'avevo capito lì, in quel magazzino buio e stretto nel quale l'avevo condotta con l'inganno e un piccolo stratagemma con lo scopo di divertirmi un po'. Si era rifiutata di dare inizio alle danze con battibecchi o lezioni di vita sull'importanza dell'educazione e dell'istruzione, semplicemente si era rivolta a me con estrema diffidenza e lo sguardo abbattuto. Inoltre anche il suo aspetto era cambiato: non assomigliava più ad una quattrocchi intenta a studiare e seguire le lezioni e le regole, ma ad una ragazza terribilmente gradevole, incantevole e garbata. I capelli lisci e setosi le erano cresciuti ulteriormente ma avevano mantenuto lo stesso color biondo cenere di un tempo. Gli occhi a mandorla, neri e profondi, le risaltavano il viso, spruzzato da leggere lentiggini sulle guance color rosa ombrato e sul piccolo naso all'insù, e le labbra carnose e sensuali. Il suo copo era in carne, decisamente formoso nonostante fosse parecchio alta per la sua età, attorno ad un metro e settanta, e il colore della sua pelle era color olivastro come una volta, ma molto più acceso, quasi brillava sotto i raggi di Sole. Bensì la odiassi con tutte le mie forze, non avevo potuto fare a meno di osservarla e provare un pizzico di desiderio e lussuria nei suoi confronti, pensiero che scacciai il più velocemente possibile. Io la odiavo! Non potevo provare queste sensazioni per lei!
Sta di fatto che l'espressione in volto e il tutto fare tranquillo erano cambiati all'istante dopo averla provocata e insultata pesantemente, e, senza aspettare un'ulteriore risposta, aveva iniziato ad oltraggiare, me e la mia vita. Sapevo perfettamente che tutte le affermazioni che aveva spiattellato non erano altro che la pura verità, ed è per questo che decisi di liberarlo. Il mostro. Non potevo sopportare che mi stesse facendo la ramanzina sul mio passato, sui miei giorni peggiori, sui ricordi per cui ho tanto rimpianto. Avrebbe ricordato vagamente il dolore dell'altra volta, gliel'avrei fatta pagare amaramente, e allora sì, avrebbe ricordato con chi aveva a che fare. Con cosa aveva a che fare. Uno spietato, aggressivo e insensibile mostro.
Serrai i pugni dalla rabbia e, prima ancora che potesse accorgersene, le sferrai un pugno in pieno viso, facendola cadere all'indietro. Non poteva essere svenuta, non ancora almeno. Mi misi a cavalcioni su di lei e iniziai a colpirla dove faceva più male mentre cercava di liberarsi dalla presa gridando a squarciagola e singhiozzando. Provò disperatamente a chiamare aiuto e mi supplicò di fermarmi.

- " Sc...scusa, m...mi dispiace! Ti prego... " - mi pregò tra le lacrime.

No, non mi sarei fermato per nessuna ragione al mondo. Avrei dato a quella puttanella la lezione che si meritava per essere ciò che è. Per essere quello che io non potevo essere.
L'afferrai per un braccio e la schiantai contro il muro, facendola cadere nuovamente a terra. Era sfinita, non riusciva più ad alzarsi, era immobile con lo sguardo rivolto verso il pavimento sporco. Con le forze che le erano rimaste continuò a piangere sussurrando qualcosa di difficilmente udibile, qualcosa simile ad "aiuto" o "salvatemi". Non avevo alcuna intenzione di confortarla.
Rimasi lì, in piedi per un po' ad osservarla. Non si muoveva più, pertanto doveva essere svenuta. Mi avvicinai con cautela e mi sedetti di fianco al suo corpo pieno di botte e lividi. Le presi delicatamente il viso tra le mani e lo rivolsi verso di me, in modo tale da poterla squadrare attentamente.
Anche al viso era stato riservato lo stesso trattamento del resto del corpo e, vedendola lì, priva di forze e ridotta in uno stato catatonico, non potei fare a meno di provare compassione per lei. Stava malissimo e probabilmente quando si sarebbe svegliata avrebbe provato un'infinità di dolore e paura, avrebbe ricominciato a piangere fiumi, laghi e oceani. Tutto a causa mia, le avevo inflitto io tutto ciò di cui era stata succube. Ero stato io la causa dei suoi mali e dispiaceri.
Eppure sapevo che da qualche parte in profondità, nelle più tetre e contorte viscere della mia anima, avevo provato un grande e saziante piacere nel vederla soffrire in quel modo, un'infinita soddisfazione. Allo stesso tempo ero soddisfatto di ciò che avevo compiuto, ed era per questo che mi odiavo. Avevo due personalità, due entità che possedevano e avevano pieno controllo del mio corpo, della mia mente, dei miei pensieri. Sapevo che una delle due era il mostro, colui che mi condizionava, che mi obbligava a fare del male agli altri, che era in possesso della mia oscurità. Sapevo anche che probabilmente era lui a comandare, a decidere nella maggior parte delle occasioni. Quello di cui invece non ero a conoscenza e che di conseguenza mi faceva impazzire era il fatto che presumibilmente la creatura, o meglio dire il mio lato oscuro, era ciò che realmente mi rappresentava, il vero me, la mia evidente, reale essenza.
Scacciai nuovamente quelle tetre e inquietanti sensazioni dalla mente e continuai ad osservare Courtney, che giaceva ancora sul pavimento. Le avevo fatto del male, un'altra volta, e la cosa ormai non m'importava più. Mi misi a cavalcioni su di lei e la strattonai con forza nel tentativo di svegliarla. Non avevo ancora finito con lei, quello era soltanto l'inizio.






Un forte colpo allo stomaco mi costrinse ad aprire gli occhi. Duncan era sopra di me, e mi stava ancora picchiando. Le gambe e le braccia erano intorpidite e piene di graffi e segni blu e viola, avevo il viso a pezzi ed ero certa di non avere alcuna forza nel corpo per riuscire a liberarmi dalla sua presa. Stava per succedere, ancora una volta... No, no, no! Non potevo permettere che accadesse di nuovo!

- " Ti prego, lasciami andare, mostro! Sudicio verme! " - lo implorai tra le lacrime, non avrei potuto resistere per molto a lungo.

- " La principessina pretende di essere lasciata in pace però continua ad insultare e a fare la perfettina! Dimmi un po' Courtney, è così che pensi di salvarti il culo? Se fossi in te inizierei a portare un po' di rispetto prima che le cose finiscano male, perché questo è niente in confronto a quello che sto per servirti a tavola. " -

Continuai ad essere succube dei suoi pugni e calci e, col dolore che devastava gran parte del corpo, realizzai che l'unica via per farlo smettere era fare ciò che desiderava.

- " Mi dispiace, Duncan. Scusami, non pensavo davvero a ciò che ho ribadito prima... Per favore, ti supplico, lasciami andare e farò quello che vuoi... "
 
E improvvisamente scattò qualcosa. Duncan si fermò mi afferrò i polsi per poi sbatterli contro il pavimento, facendomi sussultare dal dolore.
Mi guardò attentamente negli occhi per qualche istante prima di lasciare la presa e alzarsi.

- " Alzati, puttanella! Ho smesso semplicemente perché farai ciò che ti dirò, e non dirai niente a nessuno di quello che è successo e che succederà in questo magazzino. Chiaro? "

Annuii amaramente, e con la forza rimasta cercai inutilmente di alzarmi, fallendo miseramente e cadendo a terra. Ero sul punto di svenire ancora. Avevo paura, paura per ciò che sarebbe accaduto, paura per quello che avrei subito e che ancora avrei dovuto subire. Ero fortemente terrorizzata, le lacrime agli occhi provavano il vero. Non avrei mai e poi mai immaginato che sarebbe andata a finire così, credevo che le cose fossero cambiate, ma mi sbagliavo completamente. Ero spaventata da Duncan, ne avevo il terrore, di lui e del suo folle e aggressivo comportamento. Avrei fatto qualsiasi cosa, mi sarei sottoposta ad ogni genere di tortura per tornare a casa sana e salva, o almeno salva. In quell'istante sapevo che cosa era in grado di fare, e per nulla al mondo mi sarei sottratta ai suoi ordini e desideri.
Duncan, impaziente e frustrato, mi afferrò per i capelli nel tentativo di alzarmi e mi strattonò dalla parte opposta della stanza. Dopodiché mi lasciò cadere su quella che sembrava essere una cassa di legno, obbligandomi a sedere. Non credevo sarei riuscita a sopportare un'altra volta il male che mi provocava ogni volta che le sue mani di carta vetrata venivano a contatto con il mio corpo, un'altra volta no.

- " Allora...Che facciamo adesso io e te? " - sorrise maliziosamente mentre i brividi mi percorrevano la schiena - " Potrei lasciarti andare rovinando così il divertimento oppure continuare a dartele fino allo sfinimento, tu che dici? "
 
 
" Ma che ti ho fatto di male adesso? Per favore, lasciami andare e non dirò niente a nessuno, ti prego! "

- " Sbaglio o mi stavi implorando? La principessa che implora un sudicio delinquente? Dio, devo essere rimasto parecchio indietro con te! " – questa volta si limitò a fare una smorfia contorta e divertita, per poi avvicinarsi a me.

- " Lo sai, sei davvero cambiata durante la mia assenza, ti trovo meno secchiona " - ammise mentre le sue mani iniziarono a scorrere lungo le mie gambe nude e tremanti - " e un tantino attraente... "

Fece per alzarmi la gonna cerulea, la quale mi arrivava appena sopra le ginocchia, ma lo respinsi con un calcio dritto alla gabbia toracica. Si lasciò sfuggire un gemito dal dolore per poi contorcersi a terra mentre corsi disperatamente, con una forza che non sapevo di possedere, verso la porta per fuggire. Arrivata, tirai calci e pugni con maggior forza possibile nel tentativo di evadere, ma stavo fallendo miseramente. Le lacrime iniziarono a scorrere lungo le guance quando sentii dei passi rapidi e pesanti alle mie spalle, facendosi sempre più fitti. Duncan mi afferrò per le spalle e mi batté contro il muro, facendomi sussultare dal male. Caddi a terra rannicchiata dalla paura e iniziai a strillare nella speranza che qualcuno accorresse in mio aiuto. Ma nessuno venne ad aiutarmi. Si posizionò sopra di me e mentre con una mano tenne salda la presa sul collo, facendomi quasi soffocare, con l'altra iniziò a tastare parti proibite del mio corpo, i seni, la pancia, le cosce, niente venne lasciato intatto. Le sue mani scavavano senza pietà nella mia pelle, provocandone un bruciore infernale. Forse c'era ancora una possibilità che io mi potessi salvare, ancora una.

- " Perché mi fai questo? Tu mi odi! Non puoi provare attrazione nei miei confronti! Ti prego, ti prego! " - singhiozzai ancora nell'oceano di lacrime.

Si fermò all'istante, riflettendo sull'affermazione e osservando un punto indefinito davanti a me. Rispose solo minuti dopo.

- " Hai ragione, paperella. Io non ti sopporto e per di più mi fai vomitare. Ma devi essere punita per aver provato a scappare, disobbedendomi. Oh sì, in qualche modo la devi pagare. "

- " Ti prego, ti supplico... Io sono... Ti prego... " - piansi disperatamente - " sono ancora vergine... Per favore... "

Grosso errore. Terribile sbaglio. Pessima decisione.
Vidi il sorriso maligno di Duncan illuminarsi in volto e non potei fare a meno di voltarmi per evitare l'orribile contatto. Venni ricambiata con uno schiaffo fisso e potente, e iniziai a gridare ancora.

- " Non osare voltarti! " - ringhiò afferrandomi il mento e costringendomi a guardarlo.

- " Ma bene, bene, bene! Allora la principessa non l'ha mai fatto? " - si lasciò sfuggire una risata perfida e alquanto inquietante che cercai di ignorare nonostante i nostri volti fossero a una quindicina di centimetri di distanza.

- " Beh, c'era da aspettarselo, quale uomo sarebbe così idiota da portarsi a letto una come te? Sei terribilmente sfigata e non hai amici! Potresti arrivare ai quarant'anni e ritrovarti ancora in questo stato, verginella! "

Lo stava facendo, ancora. Mi stava insultando pesantemente, ancora una volta. Sebbene mi trovassi in guai seri e difficilmente sarei stata capace di uscire da quella situazione, non potevo starmene in silenzio ad annuire per ogni oltraggio che ricevevo. Dovevo reagire, non avevo forze, ma interiormente sì, ero forte. Avevo resistenza, energia, luce. Probabilmente sarebbe finita male, molto male, ma almeno avrei combattuto le mie stesse paure, e non mi sarei mostrata debole. Io non ero una principessa, ero una guerriera.
Resistenza, energia, resistenza. Mi ripetei così mentalmente.

- " Chi ti dice che non sarei in grado di farlo con qualcuno? Se non sbaglio pochi minuti fa hai intenzionalmente provato a molestarmi e il che spiegherebbe che quello che hai appena detto è del tutto un controsenso. Sono vergine per scelta, Duncan, e a differenza tua non ho il folle e insaziabile bisogno di scoparmi ogni singolo individuo di Toronto. E ora fa pure, picchiami come hai sempre fatto. Sei consapevole però che il tutto non risolverà un bel niente, e mai lo farà! " - sputai tutte quelle parole come fossero veleno in attesa di una sua eventuale reazione.

- " Davvero, paperella? Beh... Allora dimostramelo! " - affermò sorridendo furbamente.

Non fui in grado di comprendere il significato della frase per qualche istante e, prima di poterlo realizzare, mi afferrò i polsi e premette rozzamente le sue labbra contro le mie. Iniziò a limonarmi freneticamente mentre cercai inutilmente di liberarmi dalla presa possente. Era inutile cercare di divincolarsi, ero sottomessa al suo peso e alla sua forza bestiale. Dopo qualche minuto di ribellione e protesta decisi di arrendermi, ricambiando così il bacio. L'unica scelta possibile.

- " Non sei poi un granché " - sputò pesantemente - " Mostrami qualcos'altro e magari posso farmi un'opinione diversa su di te. "

Era finita. Avevo giocato tutte le carte in tavola. E per di più non le avevo nemmeno sfruttate correttamente.





Le strattonai ferocemente la camicetta bianca, nel tentativo di toglierla. Si strappò permettendomi di osservare ammaliato la pancia nuda e scoperta, che iniziai a baciare e mordere. Sussultò ad ogni tocco cercando disperatamente di allontanare il suo corpo dal mio, non riuscendoci. Successivamente le sfilai convulsamente la gonna, lasciandola semplicemente in biancheria intima. Iniziò a piangere e singhiozzare, un'altra volta. Mi supplicò di fermarmi, un'altra volta. Non le diedi retta e iniziai tastare e mordere ferocemente ogni suo territorio, avvolto dal piacere.

- " Non credo che qualcuno si scoperebbe mai una come te, ma sai, c'è sempre una prima volta! "

- " Aiutatemi, per favore! Aiuto! " - singhiozzò immersa nel pianto mentre cercavo di farla tacere tappandole inutilmente la bocca.

Nonostante quelle parole, avevo ammesso a me stesso che mi piaceva Courtney, esteticamente. Provavo una forte attrazione nei suoi confronti. Era una ragazza deliziosa e garbata, per non dire bellissima e attraente, il suo corpo sottile e leggero mi faceva impazzire, così liscio e vellutato, magro e soffice. Il viso, dolce e sensibile, le labbra, semplicemente perfette e gli occhi, irresistibili al primo sguardo. Era una dolce, povera ragazza innocente. Le avrei strappato via tutto ciò che possedeva, tutto ciò che la rendeva così candida e irreprensibile: la luce, l'innocenza, la purezza. Tutto preso dal mostro, di cui non avevo il minimo controllo, di cui ero succube.
Mi levai la maglietta di dosso, restando a petto nudo e lasciai scivolare i jeans e i boxer sulle ginocchia. Dopodiché le strappai aggressivamente gli slip e il reggiseno, lasciandola completamente nuda. Senza darle il tempo di pensare al passo successivo, appoggiai il membro eretto fra le sue cosce, che chiuse all'istante. Per ripicca le strinsi pesantemente la presa sul collo, impedendole di respirare. Dopo qualche tentativo di liberarsi dalla presa, allargò leggermente le gambe, arrendendosi. Non mi restò che insinuarmi violentemente dentro di lei, facendole strappare un forte e acuto grido dalla sofferenza mentre strinsi violentemente le sue cosce con le mani per spingere all'interno piú duramente.

- " Smettila di piangere " - le ordinai spingendo ancora più internamente di prima.

Mi piaceva cosa le stavo infliggendo. Non potei fare a meno di rivolgerle un sorriso maligno, mentre lei giaceva a terra, a pezzi, avvolta nel dolore.






Volvevo scappare, correre via, nascondermi, rifugiarmi in un luogo sicuro e andare lontano...Lontano...Lontano...
La vista si fece annebbiata e ciò mi costrinse a chiudere gli occhi. Respiravo a fatica. Dovevo scappare da quel luogo, all'istante...
 



- " Mamma, mamma! Ti prego, aiutami! "

- " Dimmi, tesoro! Qualcosa ti affligge? "

- " Beh ecco, oggi dei compagni di scuola mi hanno preso in giro perché studio e me ne sto là da sola, a leggere, a scrivere, a disegnare e... E io lì sto meglio, sono sola e posso immaginare i personaggi dei libri e dei miei disegni... " - prima di poter terminare la frase mi afferrò gentilmente il volto fra le mani, prima di portarselo al petto cullandomi.

- " Mia cara e dolce Courtney, non devi badare a quello che dicono, loro semplicemente conducono la loro esistenza facendo cose diverse dalle tue, loro si divertono così, tesoro, e probabilmente provano soddisfazione nel prenderti in giro. Ma tu, piccolina, sei una persona davvero speciale. Tu sfrutti l'immaginazione a tuo piacimento, tu viaggi con la fantasia e con sensazioni infinitamente piacevoli, quelle dei libri e dei disegni. "

- " Ma mamma, se è una cosa bella fare quello che faccio io, perché nessun'altro la fa? Ho visto molte persone lamentarsi quando erano costrette dalle maestre a scrivere testi o fare disegni e io questo non riesco a capirlo... " –

- " Piccola mia, te l'ho già detto, sei speciale. E questo dono ti accompagnerà per tutta la vita. Insieme a... " -

- " Ai disegni? Ai libri? "-  sorrisi spensierata.

- " Sì cara " - si lasciò sfuggire una buffa risatina - " Insieme alla forza, all'energia, alla resistenza. Ricordatelo sempre Courtney, tu hai resistenza, resistenza per abbatterli, tutti quanti. " -


 



Un dolore acuto e bestiale mi costrinse ad aprire gli occhi, riportandomi alla gelida realtà, dalla quale non potevo scappare in alcun modo. Era ancora dentro di me, potevo sentirlo. Ero avvolta e devastata dalla forte e culminante sofferenza, mi stava distruggendo. Non ero nemmeno in grado di contare il vasto numero di lacrime che avevo versato da quando si era infiltrato con forza in me. Piansi, singhiozzai, gridai. Piansi, singhiozzai, gridai. Pregai solo che l'atroce agonia potesse finire al più presto, che potesse finire tutto. Implorai di svegliarmi da quell'incubo infernale, realizzando di aver fatto soltanto un terribile e atroce sogno. Per quel momento sfortunatamente dovevo essere schiava e vittima del supplizio, della sofferenza, del dolore, della dolenza, della desolazione, del male.

- " Ho resistenza " - ripetei fra me e me, quasi sussurrando.

- " Ho resistenza, energia, forza... " - e mi lasciai abbandonare dalle uniche parole che sembravano trattenermi dall'affondare e sprofondare, senza pietà, dritta all'inferno.
 





Ciao a tutti ragazzi e ragazze! Mi scuso tantissimo per aver pubblicato il capitolo così tardi, ho avuto il compleanno da festeggiare e sono anche stata travolta da un'ondata di litigi familiari! Prometto di essere più attiva e di pubblicare al più presto il continuato, sempre che vi stia piacendo la storia :)
Fatemi sapere cosa ne pensate tramite messaggio o recensione e ditemi anche quante volte al mese volete l'aggiornamento ( come ho detto precedentemente voglio essere disponibile, anche per voi ragazzi! E dato che fra poco riinizia la scuola, ho bisogno di un'opinione fondata per continuare a scrivere ). Infine seppiatemi anche dire cosa ne pensate della lunghezza del capitolo, se giusta o meno e mi adeguerò alle vostre opinioni :)
Grazie ancora per il vostro sostegno, vi voglio bene! Tanti saluti!!

* baci e abbracci virtuali a tutti <3 *

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Capitolo 4
*** Running Out Of Breath ***


Capitolo 4 - Running Out Of Breath
 


Dopo quelle che sembravano essere ore e ore di agonia e sofferenza, trascorse a gridare contorcendosi dal dolore e a piangere cascate di lacrime, uscì fuori di me.
 Non avevo smesso di riversare sulla pozza di pianto e non ne avevo alcuna intenzione. Ero stata violata, stuprata, violentata. La mia purezza, innocenza, limpidezza... Tutto andato. Tutto andato a causa sua, per colpa sua. Ancora una volta stavo rivivendo quei terribili ricordi di me e lui che mi puniva, che mi picchiava, che me la faceva pagare. Non ne potevo più di subire tutti quegli abusi, quei tormenti, quel dolore incosciente... Arrivai al punto da pensare che la colpa fosse solo e soltanto mia: me l'ero cercata, avevo fatto la spavalda e la presuntuosa, mi ero permessa di sfiorare un argomento delicato e sensibile della sua vita... Quanto avevo sbagliato...
Come mi ero lontanamente permessa di prendermela con un pericoloso e aggressivo delinquente? Come avevo potuto? Lui era malvagio, pericoloso, violento, spietato, disumano. Un mostro. Se ne avesse avuto il bisogno o il desiderio avrebbe potuto perfino uccidermi, nel peggiore dei modi. Scacciai all'istante quei macabri pensieri mentre si alzò rivestendosi, per poi ritornare ad osservare la mia figura terrorizzata e in lacrime solo dopo aver fatto. Portai dolcemente le gambe al petto, rannicchiandomi e cullandomi gentilmente nel tentativo di proteggermi dall'infame. Volevo solo che finisse tutto, al più presto. Volevo andarmene di lì, in un luogo sicuro e protetto. Volevo tornare a casa.


Ero a pezzi, dentro e fuori. Non sapevo davvero decidermi quale delle due parti fosse ridotta peggio, se quella fisica o quella psicologica. La gonna e la camicia bianca erano rotte, strappate, sporche. La biancheria intima si trovava ancora in quel sudicio magazzino, ridotta in frantumi e cenere. Avevo perso la mia borsa turchese chiaro di stoffa, la quale conteneva il cellulare, l'unico e solo contatto rimasto con le persone che avrebbero potuto realmente salvarmi, i miei genitori. Ero scalza e stavo camminando sul freddo e gelido asfalto della strada a notte fonda. Le gambe erano letteralmente coperte dal sangue del mio candore, della mia innocenza, della mia verginità, il quale continuava a scorrere ininterrottamente lungo le cosce. Mi faceva male anche là, un dolore atroce e irresistibile. Il resto del corpo era distrutto dai lividi blu e viola, dai calci intensi, dai pugni brutali, dallo spasimo e dalla sofferenza. Il viso era completamente rosso e bagnato a causa delle infinite lacrime versate e i capelli erano sporchi e scompigliati. Il tutto a causa dello spregevole maniaco.
 Mi sorpresi semplicemente del fatto di essere arrivata fino a quel punto della strada, senza essere ancora crollata a terra, inerme. Era da ore che zoppicavo nel tentativo di arrivare a casa, o almeno di raggiungere un luogo tranquillo e deserto dove avrei potuto sfogarmi ulteriormente, lontano da quel mostro.
Non ricordavo come ero riuscita a sfuggire da quel posto, da quell'infernale situazione. Poi invece sì, i ricordi riaffiorarono come una folata di vento soffice e leggero: Duncan mi aveva lasciato andare, senza alcuna spiegazione, con lo sguardo teso e abbattuto. Nessuno era corso in mio aiuto, nemmeno Zoey, la quale probabilmente si era dimenticata di me. Nessuno era corso in mio aiuto, nessuno era lì per me. Non avevo nessuno. Ero sola, completamente sola, avvolta dall'oscurità di quel viscido mostro.

- " Vattene, subito! " - mi aveva ordinato ferocemente allontanandosi da me, che giacevo a terra priva di forze.

- " Se ti azzardi a raccontare dell'accaduto anche ad una sola persona ti farò pentire amaramente di essere venuta al mondo. Chiaro, puttana? " - aveva sputato quelle parole come fossero veleno e, senza aver aspettato una mia eventuale risposta o cenno del capo, se n'era andato a passo spedito, lontano dal magazzino, lontano dal luogo in cui sono stata costretta a subire abusi di ogni genere.

Avrei obbedito ad ogni singola parola di Duncan, non lo avrei raccontato a nessuno, e, come al solito, questo ricordo si sarebbe aggiunto alla lunga lista di soprusi di cui ero stata vittima in passato, sempre a causa sua. Volevo soltanto che questa storia finisse al più presto, perché non ne potevo più di essere trattata come un giocattolo, come una bambola. Ben presto la bambola si sarebbe rotta dopo tutti i giochi avventati trascorsi, e nessuno sarebbe stato in grado di riaggiustarla, ancora una volta.
Dopo qualche oretta, raggiunsi la vecchia casa di legno abbandonata di fronte la mia abitazione, nella quale decisi di rintanarmi. Mi accasciai in un angolo della stanza al piano terra, fuori dal mondo e da ogni altra cosa vivente, da sola. Non avrei mai potuto presentarmi a casa in quelle condizioni davanti ai miei genitori, perché loro non l'avrebbero fatta passare liscia a persone come Duncan. Loro un gesto del genere non lo avrebbero perdonato tanto facilmente, anzi, non l'avrebbero proprio mandato giù, l'avrebbero fatta pagare senza alcun dubbio. Loro erano persone forti, coraggiose e toste a differenza mia.
Per un istante non potei fare a meno di sentirmi fragile, inerme, senza forze. Era da una vita che ero succube dei patimenti di quel criminale esaltato e restavo in silenzio davanti ai miei e agli insegnanti della mia vecchia scuola ma questo abuso era stato il peggiore di tutti, il più macabro, il più feroce, il più malvagio. Ero stata violentata pesantemente, e sembrava che quella parola continuasse ad insinuarsi con forza nelle mie orecchie, per poi fluttuare incessantemente nella mia mente, anch'ella colma e colma di abusi e tormenti psicologici. La cosa terribile era che avrei mantenuto il silenzio anche dopo questo accaduto. Non potei fare a meno di sentirmi debole; una persona forte e spinta di certo non lo ero. Gli avevo permesso di fare ciò che gli pareva di me, e la cosa mi aveva messo i brividi. Ben presto le cose sarebbero peggiorate e probabilmente ne avrei pagato le conseguenze.
Un rumore improvviso mi riporta alla realtà, e automaticamente mi rannicchiai dalla paura e dallo spavento. No, non poteva essere lui. Cosa avrei fatto ora per difendermi, non che lo avessi già fatto in precedenza? Era forse venuto per finirmi? Aveva cambiato idea decidendo di darmele di santa ragione ancora una volta? In ogni caso non avrei avuto alcuna via di fuga; da quella situazione non ne sarei uscita viva, lo sapevamo entrambi fin troppo bene...

- " Hey scusa, ti ho spaventato? Mi dispiace un sacco, di solito vengo qua per starmene in santa pace con la chitarra, sai che intendo, sorella? "

Dall'ingresso scorsi la figura di un ragazzo, alto e moro, con alle spalle una chitarra di legno, color ebano. Tirai un sospiro di sollievo alla vista, "non era lui" mi ripetei serenamente e, cercando di non farmi vedere nelle condizioni in cui sono realmente ridotta, gli risposi cercando di mostrare un tono chiaro e consapevole.

- " Hey ciao, ehm... Po... Potresti andartene, per favore? No... Non mi va molto di stare in compagnia... "

Il mio piano di apparire forte e decisa fallì miseramente, continuai a singhiozzare e le lacrime non cessarono di scorrere lungo le guance. Ero debole e avevo male dappertutto, ma almeno avevo fatto del mio meglio.

- " Tranquilla, se vuoi me ne vado, comunque è stato un vero piacere scambiare qualche parola con te, alla prossima! "

Ma che cosa stavo facendo? Stavo seriamente permettendo ad un ragazzo così gentile e simpatico di andarsene in quel modo? L'unica persona che, nonostante non mi avesse visto ridotta in quella maniera a causa del buio incessante, aveva mostrato un minimo di pietà e generosità nei miei confronti? Avrei potuto passare la notte là da sola, sperando che i miei genitori non avessero chiamato la polizia sporgendo denuncia a qualsiasi persona sospetta per non essere ancora rientrata in casa, a patire il dolore e il freddo oppure restare lì in ogni caso, ma questa volta non sarei stata sola, avrei avuto quel ragazzo, il quale mi avrebbe tenuto compagnia, nella speranza di consolarmi un po'. Potevo concedermi un brevissimo istante di felicità nella mia miserabile e insulsa vita, giusto?
 



Fumai una sigaretta, aspirandone il fumo più freneticamente del solito, in attesa forse che il tempo passasse più in fretta, che scorresse velocemente oppure che svanisse in un lampo. Non ci rimuginai troppo riguardo gli avvenimenti precedenti e nemmeno mi posi il problema delle macchine degli agenti di polizia che sarebbero potute arrivare da un momento all'altro, al di fuori della stazione in cui ora mi trovavo, a notte fonda. Non mi sentii nemmeno in colpa, o forse un po' ma se era proprio così allora il mostro mi stava nascondendo consapevolmente queste emozioni, tenendole segregate nel profondo della mia anima. Alla fine avevo solo dato sfogo ai miei desideri, ai miei bisogni sessuali da uomo... Avevo scaricato tutto sulla ragazza che più odiavo ma che allo stesso tempo riusciva a stendermi con il suo fragile e delicato aspetto, così dolce e...

- " Dunc, cazzo a te! Ti ho cercato ovunque, dannazione! Bob mi ha detto che ti ha visto al Sunset a stravolgerti la giornata ma poi sei sparito e... "

- " Beh, mi hai trovato ora. O stai zitta e vieni a sederti qua, vicino al tuo amico di letto oppure te ne vai, Gwen. "

Rimase immobile con le pupille serrate all'udire della parola "amico di letto", come se non ricordasse gli avvenimenti della sera precedente. Successivamente, con fare preoccupato e perplesso, si sedette accanto a me.

- " Hey, ma che ti prende? Se sei ancora incazzato per quella storia, mi dispiace un casino, Dunc. Io ci tengo a te e non vorrei mai che tu mi odiassi per questa cosa così insulsa e... "

Senza darle il tempo di finire la frase, le presi il volto tra le mani callose e sporche, baciandola appassionatamente. Ci limonammo per qualche minuto, prima di far ritorno alla reale situazione, nel fosso in cui ero sprofondato.

- " Non preoccuparti, Gwen. Tu sei mia amica, anzi, tu rappresenti molto di più e te l'ho provato addirittura, sia ieri sera, che ora. Non potrei mai odiarti e no, non me la sono preso per quello che è successo. "

Sorrise a quelle parole, appoggiando delicatamente un braccio lungo le mie possenti spalle, cercando in qualche modo di confortarmi.

- " Allora che è successo di così grave? Non mi rispondevi ai messaggi ed ero così in pensiero... "

Il mio volto si oscurò. Porsi lo sguardo sui miei indumenti, leggermente sporchi di sangue e con qualche strappo. Rimasi a testa bassa per non osservare un'eventuale reazione brusca di Gwen.

- " Oddio, Duncan...Che cosa hai combinato?? Ti prego, ti supplico, dimmi che non hai ammazzato o fatto a botte con qualcuno? Non può essere grave, no... "

- " Courtney... Quella troia che mi divertivo spudoratamente a picchiare nella vecchia scuola era al bar, l'ho rinchiusa in un magazzino, l'ho violentata e poi l'ho lasciata scappare avvertendola di non raccontarlo a nessuno. Deve essersi cagata sotto dalla paura... Ma in fin dei conti è stato davvero divertente! "

In quel momento non ero più serio, anzi, iniziai a sputare ininterrottamente qualche risata per un breve istante prima di portare lo sguardo sull'espressione terrorizzata di Gwen, accorgendomi di quanto fossero risultate perfide quest'ultime.

- " Che cos... "
 
 Era senza parole, questo spiegò il fatto di non aver portato a termine la frase. Mi guardò spaventata, ma mantenendo sempre uno sguardo coraggioso e deciso.
Per qualche minuto regnò il silenzio, che sembrava devastare ogni angolo della sala d'attesa e ogni zingaro che vi risiedeva, me e Gwen compresi.

- " Come hai potuto fare una cosa del genere? E adesso lei dov'è? Chiamerà la polizia, merda! Duncan, ma che cazzo ti è saltato in mente!? Finirai in prigione un'altra volta, minchia! Ti rendi minimamente conto che sei nella merda più totale? Dio, non posso crederci, dannazione! "

Sembrò del tutto terrorizzata dalla situazione, tanto da farmi salire i nervi nonostante avesse completamente ragione. Come potevo lontanamente pensare che me la sarei potuta cavare minacciandola? Probabilmente a quell'ora sarebbe stata in casa sua, a raccontare l'accaduto ai suoi genitori, sempre che fosse stata ancora viva. Oppure era crollata nel bel mezzo della strada a causa delle gravi ferite fisiche e psicologiche e di conseguenza qualcuno passando in macchina l'avrebbe addirittura soccorsa e portata in ospedale, dove di lì a poco sarebbe giunta la polizia. E in quel caso i suoi genitori si sarebbero accorti della sua assenza; ormai era tardi, per tutte le soluzioni possibili, per tutto. Ero nella merda più totale.

- " Dobbiamo trovarla. " - dissi a Gwen con tono serio e afferrato - " Subito. " -

- " Dunc, sai i rischi con i quali vai incontro? Se non la troviamo nell'arco di un'oretta è finita, letteralmente... " -

- " Muoviamoci! " -

Non sapevo di preciso che cosa le avrei detto o fatto una volta trovata, ma in ogni caso dovevo cercarla e fare in modo che le cose si risolvessero, in un modo o nell'altro. Era ferita, fiacca, debole, fragile e Dio solo sa cosa avrebbe potuto fare in un collasso di dolore ed emozioni simili. "Devo trovarla", mi ripetei costantemente, "devo trovarla".
 


- " Hey per... Per favore, non andartene, non lasciarmi sola... Re... Resta qua con m... Me... "

Le lacrime aumentarono notevolmente, accompagnate dai gemiti del pianto e dei singhiozzi. Non riuscivo a superare l'accaduto, in alcun modo. Forse il ragazzo misterioso dall'aria tranquilla avrebbe potuto confortarmi, speravo solo non fosse un altro pervertito squilibrato pronto a violentarmi ancora una volta, speravo non fosse la fine. Sarebbe stato troppo subire ben due stupri nell'arco di mezza giornata, non ce l'avrei fatta una seconda volta, il dolore e l'agonia erano già più che devastanti.

- " Perché piangi? Che ti è successo? " - fece per avvicinarsi alla mia figura in lacrime riversa a terra, priva di forze, ma lo bloccai all'istante con un rapido movimento del braccio, il quale stava ancora pulsando dal fitto tormento dei lividi e dei tagli.

- " Ti prego, non avvicinarti...Rimani là dove sei, per favore... " - iniziai a respirare affannosamente dal terrore e in preda al panico.

- " Non voglio farti del male, ma se vuoi che ti sia in qualche modo d'aiuto, devi dirmi cosa ti è successo... Voglio solo aiutarti! "

Presi un bel respiro prima di continuare la conversazione, tranquillamente.

- " Una persona malvagia... E cattiva... Mi ha fatto male... Molto male... Tutto brucia ininterrottamente, fa malissimo! "

Senza dover dare ulteriori spiegazioni dell'incidente, il moro appoggiò delicatamente la chitarra a terra e fece per avvicinarsi a me nuovamente, pacifico e sicuro. Una volta giunto davanti la mia figura a terra, si accovacciò silenziosamente avvolgendomi fra le sue robuste braccia, mentre cercai convulsamente di nascondere il volto e il resto del corpo, in frantumi. Mi vergognavo della situazione in cui ero finita, e cercavo in ogni via possibile di non darlo a vedere. Poi però svanì tutto, in una frazione di secondo. Non sapevo spiegarne il motivo ma con quel ragazzo ero riuscita a sentirmi al sicuro, come fossi a casa. Il calore e l'armonia che trasmetteva attraverso quell'abbraccio e la data comprensione di ciò che mi era successo mi infondete molta fiducia e affetto. Quanto avrei voluto che quell'abbraccio fosse durato per l'eternità, per sempre. Ma come al solito quel demente non poteva permettere che i miei desideri durassero più a lungo del previsto, "sempre" era una parola che non rientrava nel suo vocabolario.

- " Ma guarda un po' che cosa abbiamo qui! Che scenetta romantica! "

Quella voce. Il solo scorgere della sua sagoma oltre l'ingresso mi costrinse a tirare un urlo terrorizzato e spaventato. Il ragazzo moro si alzò automaticamente posizionandosi davanti a me, nel tentativo di difendermi da un eventuale pericolo. Soltanto che il pericolo non sarebbe stato alla sua portata, per niente; sarebbe stata un'ondata di dolore e amarezze per lui. Probabilmente per questo gesto le avrebbe prese insieme a me, fino allo sfinimento. E tutto ciò solo per aver cercato di difendermi, per proteggere me e la mia infelice e disgraziata vita. Se ne sarebbe accorto solo dopo delle terribili e disumane conseguenze di cui sarebbe stato succube, ma allora sarebbe stato troppo tardi e soprattutto sarebbe stata solo e soltanto colpa mia. La gente che mi stava vicino, che amavo, che mi sosteneva soffriva e basta.
Mi rannicchiai per l'ennesima volta, crollando in lacrime amare, disperata, terrorizzata e frustrata. Pregai ininterrottamente Dio per la mia salvezza, per non essere picchiata pesantemente e incessantemente ancora e ancora, lo supplicai di risparmiarmi dall'agonia e dal tormento che avevo purtroppo già dovuto subire. Continuai a implorare, fino all'ultimo briciolo di speranza ancora rimasta.
Dopo qualche secondo, passato con le mani aggrappate ed ancorate costantemente alle orecchie per non sentire eventuali grida atroci o rumori infernali, sentii una mano afferrarmi ferocemente il braccio, sollevandomi da terra. Non credevo di possedere ancora della forza per riuscire a reggermi in piedi. Inoltre, non mi sorpresi dell'artefice di tale azione. Duncan.
Cercai di non guardarlo negli occhi dal forte imbarazzo ma quest'ultimo ghermì violentemente il mio mento con una mano, forzandomi a studiare quelle fessure verde-acqua, completamente devastate dall'odio e dal risentimento, ma allo stesso tempo così sensuali e incantevoli. Distolsi leggermente lo sguardo dalle fessure grigie e gelide, devastate dalla rabbia e dalla freddezza, e realizzai che il ragazzo moro era scomparso dal mio campo visivo, si era dissolto nel nulla. Oh no, questo poteva significare solo e soltanto una cosa. Duncan non era solo.

- " Ora tu vieni con me se non vuoi assaporare di peggio da quello che è successo oggi, e farai tutto quello che ti dirò senza opporre resistenza. Ci siamo capito? "

Il pianto iniziò a percorrere le guance rosse, mentre cercavo di non fiatare a causa dei forti singhiozzi e lamenti.

- " Non ti sento, Courtney! Hai capito? " - sputò aggressivamente afferrandomi i capelli per poi strattonarli a sé, facendomi strappare un urlo inumano.

- " Sì... Sì, è chiaro! " - dissi piagnucolando terrorizzata e avvolta dalle lacrime e dalla disperazione.

Successivamente cinse un braccio attorno la mia vita magra e ossuta, per poi attirarmi verso lui. Con l'altra mano mi afferrò il volto, impaurito e atterrito, e mi asciugò dolcemente le lacrime. Rimasi leggermente confusa e scombinata da quel gesto, così improvviso e inaspettato. Com'era possibile che mi avesse asciugato le lacrime sulla guancia? Era forse conforto o pietà? Non riuscivo a spiegarmelo, in alcun modo. Non credevo che un tale mostro fosse capace di gesti simili...

- " Ora è solo fra me e te, paperella. Ma non credere te la farò passare tanto liscia. "

Prima ancora di poter afferrare il significato di quanto detto, venni travolta da una fitta atroce e assai intensa lungo la tempia destra, la quale mi fece ribaltare scontrosamente a terra. Dopo qualche istante di lucidità, non fui più in grado di percepire il freddo e scuro asfalto, sul quale ero rovinosamente accasciata, iniziando ad avere qualche breve allucinazione, stravolgente e dolorosa, prima di vedere soltanto nero, come se mi trovassi nei più profondi abissi dell'oscurità, circondata da tenebre e malignità. Dopo invece non sentii più nulla di niente, e chiusi dolcemente gli occhi, lasciandomi cullare dal leggero e soffice vento della notte, a corto di fiato.
 

 


Ciao a tutti ragazzi! Scusatemi se questo capitolo è uscito un po' troppo corto rispetto i precedenti ma come sapete la scuola è iniziata e quest'anno è tutto molto impegnativo e da non prendere alla leggera, assolutamente. Mi impegnerò al massimo al fine di riuscire a pubblicare sì e no una volta alla settimana, in modo tale da non farvi aspettare più del dovuto. Ricordatevi sempre di esprimere il vostro parere tramite recensione, mettendo alla luce eventuali errori grammaticali o consigli riguardo la storia!
Arrivederci a tutti!
P.S. Ho momentaneamente un problema tecnico, il quale mi impedisce di usare il computer di casa, spero di risolvere la situazione il prima possibile per continuare la stesura del capitolo seguente, spero possiate comprendermi!

*Baci e abbracci* 

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Capitolo 5
*** Perfidious Or...? ***


Capitolo 5 - Perfidious Or...?
 


- " Che hai intenzione di fare ora? " - domandò Gwen, la quale ormai non riusciva più a reggersi in piedi dalla stanchezza.

A quella tarda ora della notte ormai non avevo più molto su cui contare. Le mie piccole briciole di speranza erano andate tutte in frantumi, una dietro l'altra, dissolte nell'oscurità, la quale ormai mi circondava incessantemente. Cosa avrei potuto fare ora per sistemare le cose? E soprattutto, volevo davvero rimediare per ciò che avevo commesso? Non credo avrei voluto sapere la risposta, non mi pentivo affatto per aver fatto l'impossibile immaginabile, per essere stato l'artefice del dolore immenso e indistruttibile di qualcuno che probabilmente l'oscurità non l'aveva mai vista e nemmeno colta. Ero solo stanco, ma, oltre questo, volevo semplicemente divertirmi, come ai vecchi tempi, prima di essere sbattuto in riformatorio. Quella puttanella sarebbe stata il mio giocattolino e, come tale, apparteneva solo e soltanto a me. Era esclusivamente di mia proprietà, proprio come tanto tempo fa, e nessuno avrebbe osato giocarci al posto mio o sarebbero stati dolori.

- " Come facevi a sapere che si trovava lì? " - le chiesi interrogativo. Non avevo ancora capito come era riuscita a raggiungere quel luogo abbandonato e macabro sotto i tetri e gelidi raggi di luna.

- " Oh andiamo, Dunc! Non sono di certo una che pedina la gente come te, maniaco psicopatico che non sei altro! " - mi incitò scherzosamente facendomi strappare un lieve sorriso - " Ma come sai già le voci corrono rapidamente nei sobborghi di Toronto... Le informazioni qua si ricavano davvero velocemente, perciò non fare domande insensate... "

Ancora una volta ci lasciammo trasportare dal devastante e inquietante silenzio, il quale sembrava diffondersi rapidamente attorno a noi, senza mai cessare, senza mai scomparire. Ero  desideroso di sfogarmi, scaricarmi, mostrare il mio tenebroso lato oscuro, la macabra e aggressiva figura che si nascondeva dietro la falsa essenza nella quale normalmente apparivo...Più la mia vita proseguiva un cammino frastagliato e discontinuo del tutto irregolare e moralmente sbagliato e più realizzavo la grave e sconcertante situazione in cui stavo precipitando: pian piano il mostro prendeva possesso di ogni singola parte, fisica o mentale, di me, e ne faceva ciò che gli pareva. Ero stato inghiottito dalle sue fauci senza alcuna pietà, e, inspiegabilmente, la cosa non faceva altro che tormentarmi, come un problema infermabile e continuo, destinato a ripetersi giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno, per l'eternità.
Il mostro si stava impossessando di me, della mia anima e, un po' alla volta, sarei diventato un abominio infernale, anzi, in parte già lo ero, ma non avevo ancora raggiunto il massimo delle mie brutali e perfide capacità. Dall'altro lato però non mi sentivo affatto in colpa per ciò in cui mi stavo trasformando, per quello che infliggevo, per i terribili supplizi che facevo patire agli altri, in particolare a Courtney, l'unica persona con la quale ero stato in grado di sfogarmi ed esprimermi al limite dei miei limiti, mostrandole l'insana, demente e squilibrata arpia che si celava al mio interno, ormai non più ben nascosta e imprigionata.
Tutto ad un tratto i troppi pensieri mi riportarono ai ricordi ben custoditi e sigillati nel profondo della mia oscura e contorta mente, e, senza troppe esitazioni, decisi di riviverli uno ad uno, come un flashback, assaporandone le emozioni vive e perverse e i patimenti più malvagi e dolorosi. Dovevo ricordare che cosa le avevo fatto passare, dovevo ricordare che ero un mostro violento e fuori di sé, una creatura della peggior specie, il peggior male mai esistito.


Con la feroce rabbia che devastava ogni singola parte del corpo, le ringhiai ferocemente, in preda all'aggressività.

- " Tu! Sudicia troietta! Chi cazzo ti ha dato il permesso di dare a Gwen della povera e miserabile ladra? Come cazzo ti permetti di offenderla in quel modo, brutta stronza! "

Sputai quelle parole senza un briciolo di coscienza in me e, senza aspettare un'eventuale risposta, le afferrai convulsamente le spalle fragili per poi sbatterla contro il muro del retro della scuola, ormai deserta e abbandonata. Difficilmente qualcuno sarebbe accorso in suo aiuto.
Iniziò a boccheggiare affannosamente con le poche forze rimaste, cercando di non mostrarsi debole o infastidita dal gesto improvviso.
 


- " Levati di dosso, lurida carcassa di immondizia! Le ho solo riferito la semplice e pura verità, perché deduco senza il minimo sforzo che soggetti come te e lei possono solo portare danni e distruzione in questa città, come in ogni altro luogo possibile e immaginario. Non è forse così? " - mi provocò arcando le labbra in un sorriso malizioso - " Sbaglio o rubate alle persone innocenti soltanto per soddisfare le vostre menti malate e contorte? Sbaglio o vi drogate e fumate erba illegale danneggiando l'ambiente circostante e le persone che vi risiedono perché nella vita non avete nient'altro di meglio da fare? Sbaglio o ave... " -

- " Chiudi quella fogna, puttana! " - dissi fuori di me - " Non ti azzardare mai più a rivolgerle la parola, razza di sfigata, e non osare nemmeno guardarla o respirare la sua stessa aria! "

Iniziai a ringhiarle contro, avvicinando il mio volto al suo per incuterle paura. A quanto pare stava funzionando: la quattordicenne sembrava alquanto intimorita e terrorizzata da quel gesto, tanto da chiudere rapidamente gli occhi per non dover assistere al passo successivo, il quale sarebbe risultato più violento e doloroso di tutti gli altri.

- " Ora le prenderai di brutto, paperella. " - le rivolsi con acidità - " Perciò dimmi, c'è ancora qualcosa che vuoi condividere prima di essere presa a calci in culo? "
 
La ragazzina iniziò a piagnucolare, fallendo miseramente nel tentativo di mostrarsi forte davanti ai miei occhi e anche a se stessa. Fece tutto il possibile per far prevalere ancora un piccolo briciolo di coraggio in sé, il quale ormai, poco a poco, stava svanendo nel nulla.

- " Non chiamarmi 'paperella' ! " - ribatté scontrosamente - " Io ce l'ho un nome... "

Davvero? Faceva veramente sul serio? Gliele avrei suonate di santa ragione fra qualche istante e lei invece di implorarmi si stava preoccupando dei nomignoli dispregiativi con i quali mi rivolgevo?
La perversa e infida risata uscì da sola dalle profonde fauci della mia bocca, semplicemente

- " Sputa il rospo, allora... "

Lei abbassò prontamente lo sguardo a terra, cercando di non dover avere un ulteriore contatto visivo con me, impaziente di avere una risposta per poi poterla finalmente picchiare. Ci vollero minuti perché finalmente il nome le scivolasse dalla lingua.

- " Courtney... " - disse amaramente alzando nuovamente lo sguardo - " E' così che mi chiamo... "

Dopo giorni finalmente l'avevo scoperto. Il suo nome. Alla fine l'ispanica si era rivelata, confessandolo di fronte a me, piena di vergogna e imbarazzo. Fin dall'inizio ero desideroso e impaziente di conoscerlo, ma per nessuna ragione al mondo avrei dovuto chiederlo o domandarlo. Non potevo mostrarmi interessato nei suoi confronti, io la odiavo, e inoltre ero fortemente bramoso di fargliela pagare per essere una viziata e insopportabile stronzetta. Nonostante ciò però, il suo nome mi attirava emotivamente, come se non la conoscessi abbastanza bene, tanto da doverne scoprire di più.

- " Bene, Courtney... Nient'altro da dire? "

Le sue labbra erano curvate in un amaro risentimento, il quale mi fece spalancare gli occhi dallo stupore, senza impressionarmi più del dovuto, ovviamente.

- " No, niente. "

Era più che ovvio il fatto che volesse scusarsi per il gesto compiuto al fine di essere perdonata, in modo tale che l'avessi risparmiata dall'agonia di cui ben presto sarebbe stata succube. Non credo l'avrei graziata se si fosse scusata, ma quel 'no' arrogante e superbo, detto come se non le fregasse niente delle offese inflitte a Gwen, mi fece imbestialire. Come si era lontanamente azzardata a offenderla in quel modo? Gwen era una mia cara amica, alla quale volevo molto bene, o forse l'amavo ma non potevo ancora saperlo con certezza a causa della mia doppia personalità. Lei invece era presuntuosa, impertinente e prepotente, ma io, nel giro di pochi istanti, avrei cambiato tutto questo. Avrebbe ricordato, anche questa volta.

- " Allora è giunto il momento di divertirsi... " - le rivolsi con un sorriso maligno ben stampato in volto.

Sebbene i suoi occhi mi implorarono di non farle del male, li ignorai senza scrutarli più del dovuto, e iniziai a scatenare l'inferno. Lei ora era il mio giocattolino, sotto il mio pieno controllo.
 



- " Ancora non riesco a crederci che tu abbia potuto fare una cosa del genere... Capisco la odiassi e volessi divertirti un po', ma picchiarla così pesantemente e stuprarla oltretutto non erano cose da poco. Mi dispiace dirtelo ma stavolta hai proprio esagerato, devi rimediare... " - ammise Gwen seria e immobile, riportandomi alla realtà.
 
 Avrei giurato fosse enormemente triste, l'espressione in viso me lo provava.
Aveva davvero ragione? Non ne ero certo, non lo sapevo... Era forse sbagliato?

- " Quella puttanella se l'è pienamente meritato, io non la sopporto e... "

- " Ok, questa è accettabile come giustificazione. Il fatto che tu ti sia improvvisamente imbestialito e l'abbia aggredita così violentemente è più che plausibile. Ora spiegami però, quale altra scusa hai intenzione di tirare fuori per coprire lo stupro che hai volontariamente commesso nei suoi confronti. "

Il vuoto mi pervase. Perché l'avevo violentata? Perché, nel profondo, avevo così tanto desiderato di insinuarmi con forza in lei, contro la sua volontà? Io la odiavo dannatamente ma lei era così pura, indifesa, innocente... Volevo strapparle via ciò che la faceva brillare e splendere, che la rendeva solare, che la faceva apparire così benevola, ciò che la induceva a essere un bene quasi del tutto naturale, mentre io rappresentavo il peggiore dei mali. Ma, oltre questo, ero anche attratto da questa sua luce interiore? Provavo lussuria e desiderio nel vederla sottomessa dal tetro e incessante male che scorreva ininterrottamente nelle mie vene? La consideravo una ragazza maledettamente garbata, con quel suo corpicino indifeso e sensuale e quel viso da angioletto e...?

- " Dunc? Mi stai cagando? Sono sul punto di perdere la pazienza... " -

- " Sono stato colto in un momento di debolezza, tutto qua. Volevo solo godere ampiamente soddisfatto nel vederla perdere la sua miserabile e piccola innocenza da angioletto, mentre giaceva lì a terra, sottomessa al mio male. Non ho compiuto quell'azione per altri motivi ai quali probabilmente stai pensando, non è come credi... " - mentii per metà.
 
 In parte ero bramoso fin dall'inizio di vederla patire dal dolore, ma non ero sicuro del fatto che lo stupro fosse avvenuto solo per quella giustificazione.
Passò un po' di tempo prima che Gwen continuasse a portare avanti l'infinita conversazione, senza fine e inizio. Sembrava scioccata e impaurita da quanto ammesso prima. Speravo solo di non rovinare le cose anche con lei, le volevo troppo bene e forse l'amavo anche... Ma come poteva un insensibile mostro come me provare emozioni del genere? Davvero non lo sapevo...

- " Io... Non ti credo... " - disse prima che una lacrima le solcasse il viso color luna, per poi riversarsi a terra - " Io... Non posso più sopportare questo, Duncan. Per anni siamo stati come fratello e sorella nonostante provassi sempre qualcosa che andasse oltre l'amicizia per te; io provavo amore, Duncan, e quando speravo che le cose potessero cambiare una volta per tutte, tu mi lasci andare così? Scopandoti la stronzetta acida e viziata che odio più di ogni altra cosa? E per di più ti giustifichi con queste insulse cazzate? Dimmi Duncan, con quante altre cazzo di ragazze vai a letto, eh? Vai forse a puttane? Non sono abbastanza per te, vero? " - iniziò a ringhiarmi contro prima di andarsene a passo spedito, non desiderando passare un altro istante in mia compagnia.

Non ci potevo credere. Lei mi amava. Mi amava mentre io l'avevo fatta soffrire. Per tutto questo tempo i nostri amori erano stati corrisposti e così vicini dal conoscere la verità che ci avrebbe per sempre tenuto uniti, legati l'uno all'altra. Andavo a letto con così tante ragazze, fra prostitute e donne solitamente molto più anziane di me, mentre lei se ne restava lì da sola, ad aspettare che qualcosa potesse magicamente cambiare. Mi sentivo un mostro... Ma io lo ero, in effetti. E non potei fare a meno di imbestialirmi come una iena: ogni volta, quando mi sentivo tradito e ferito dalle mie stesse azioni, che, come ora, avevano travolto emotivamente persone a cui tenevo più di ogni altra cosa, lei era sempre lì. Courtney era sempre in mezzo, e anche questa volta era riuscita a rovinare una delle poche cose nella mia vita che erano ancora in grado di salvarsi senza essere contaminate dalla mia perfidia, ancora esposte al bene sotto i raggi di sole: Gwen.
No, non avrei rinunciato a lei a causa di quella puttana. L'unica ragazza per la quale avevo provato veramente qualcosa nel corso della mia lunga ed esilarante esistenza. Finalmente, nonostante fosse stata in preda alla disperazione, si era dichiarata a me e non me la sarei lasciata sfuggire così facilmente. Courtney l'avrebbe pagata cara e questa volta, avrei fatto sul serio, avrei posto fine alle sue sofferenze una volta per tutte, con un'ultima di immensa e devastante. Non ero io che appartenevo al mostro, era lui che apparteneva a me. Io l'avevo in pugno, proprio in quel preciso momento.
 



Mi ci vollero un paio di minuti per aprire con cautela e delicatezza gli occhi, prima di vedere tutto nero, nuovamente. Ero stata bendata con quella che sembrava essere una bandana sudicia e maleodorante e ancor peggio, non sapevo dove mi trovassi. Ero stata legata a mani e piedi con una soda e robusta corda che sembrava fatta di spine, la quale scavava senza pietà nella mia pelle, spulciandola ininterrottamente e lasciandone lividi e ferite non da poco. Giacevo a terra su un asfalto ruvido e sassoso, mentre folate di vento si avventavano incessantemente su di me, scatenando una serie di brividi lungo il corpo, ormai in frantumi da lividi, botte, pugni, morsi, graffi e una lista infinita. Il dolore era ciò che momentaneamente mi stava distruggendo, pian piano, un po' alla volta. Ero devastata da tutto quello di cui ero stata succube, da quello che avevo passato, e poi c'era lei, la mia purezza, sempre rimasta al mio fianco per così tanto tempo ma volata via in così pochi istanti. Desideravo solo farla finita. Dopo tutto quello che avevo dovuto subire volevo solo andarmene e, se non ce ne fosse stata la possibilità, avrei posto fine a tutto. Non volevo morire, non avevo vissuto abbastanza esperienze da far rimpiangere la vita che conducevo ma non avevo nemmeno intenzione di andarmene così presto; Solo che i patimenti di cui ero vittima a causa di Duncan erano incessanti e sarebbero continuati per sempre. Io non volevo questo. Ero stanca, affamata, dolorante...Ero a un passo dalla morte. Potevo solo stare lì, ferma e immobile, aspettando e sperando che venisse a prendermi per portarmi via con sé... Almeno là, da qualche parte, non avrei più sofferto, sarei stata libera.
Improvvisamente sentii dei passi  fitti farsi sempre più spediti e rapidi. Qualcuno si stava avvicinando a me. Era forse Duncan? Era venuto per picchiarmi ancora? O magari era il misterioso ragazzo moro venuto per salvarmi e allontanarsi insieme a me da quell' inferno macabro e inosservabile? Io ci speravo ancora che fosse rimasto con me, per confortarmi con le sue accoglienti braccia e il suo amore. Nel giro di pochi attimi l'avrei scoperto senz'altro.

- " Alzati da terra, troia! " - mi sentii rivolgere da una voce rozza e arrogante.

Sì, era Duncan. O meglio dire, era la mia fine.
Tentai inutilmente di alzarmi, ma nemmeno le mie gambe ne volevano sapere di reggersi in piedi, tralasciando il fatto che erano addirittura legate. Oh, no! Questo non andava affatto bene! Se non fossi riuscita a tenermi in piedi nel giro di pochi attimi, si sarebbe infuriato e avrei dato inizio a un qualcosa di infernale, brutalmente infernale. Cosa potevo fare ora? Ero senza speranze e aiuti, ero sola. Realizzai che era arrivato il momento, il momento di farla finita una volta per tutte: difficilmente sarei riuscita a sfuggire da una situazione simile, pertanto dovevo solo chiedere una morte veloce e insignificante, senza subire troppi patimenti. Lo dovevo fare, era l'unica via per essere liberi, l'unica via possibile.
Inaspettatamente sentii una mano robusta afferrarmi rozzamente il braccio, sollevandomi da terra a fatica. Dovevo parlare, e in fretta.

- " Duncan, aspetta, ti prego! " - lo supplicai di ascoltarmi travolta di già dalle lacrime, singhiozzando e ansimando dal dolore.
 
Era ormai incredibile con quanta rapidità il mio pianto potesse uscire così prontamente per poi riversarsi in grande quantità sulle guance rosse. Ero impressionata.

- " Per favore, ti supplico, ti scongiuro... Fanne ciò che vuoi di me, però dopo finiscimi... " - ammisi in preda al panico - " Ti prego, finiscimi... "

Continuai a piangere, respirando affannosamente. L'ansia mi sovrastava senza mostrare alcun segno di pietà.
Successivamente venni spinta ferocemente a terra, lasciandomi sfuggire un urlo soffocato dall'atroce male. Duncan si posizionò a cavalcioni su di me e mi strappò la benda di dosso; finalmente potei guardarlo, il mio sguardo si posò involontariamente sulle sue gelide e spaventose fessure verdi-acqua, così piene di odio e rancore. Aspettavo che mi prendesse a calci e pugni, ma nulla del genere accadde. Invece, avvicinò delicatamente il suo corpo al mio, in modo tale da poter sentire il suo calore, così accogliente e confortante, il quale però emetteva timore e terrore. Dopodiché, avvicinò dolcemente il volto al mio. Potevo sentire il suo respiro caldo, veloce e precipitoso. Avevo così tanta paura... Perché attendeva così a lungo per violentarmi? Non gliel'avevo chiesto io, forse?

- " Perché vuoi morire, paperella? " - disse in tono serio e profondo, lasciandomi letteralmente spiazzata.

Volevo morire per poter evadere dall'oscuro castello devastato da tormenti, supplizi e sofferenze, nel quale ero costantemente torturata, fisicamente e psicologicamente. Volevo raggiungere la libertà, la pace, la serenità, la luce. Volevo essere libera, audace, forte. Non volevo più essere sottomessa ad alcun tipo di male. Speravo lo potesse capire, senza un'eventuale spiegazione, ma quando inarcò un sopracciglio, sul punto di perdere l'ultimo briciolo di pazienza rimasto in lui, sputai il rospo.

- " Io... Nn... Non voglio più... Soffrire... " - ammisi disperata.
 
Avevo raggiunto il limite, non possedevo più la forte resistenza di un tempo. Era tutto andato, Duncan mi aveva preso tutto. Non avevo più niente. Ero una figura inerme e fragile; e ancor peggio, ero completamente sola.
I minuti passarono e ancora niente era accaduto. Mi rassegnai al fatto che per cogliere totalmente la sensazione di libertà e serenità dovevo essere succube della perfida e devastante ansia, che scorreva ininterrottamente nel corpo sotto forma di brividi e spasmi. D'un tratto però, fu proprio lui a rompere il ghiaccio, con un gesto che mai e poi mai mi sarei aspettata, dopo anni e anni che lo conoscevo finalmente aveva mostrato un altro lato di sé, una figura gentile e sincera, toccata dalle mie sofferenze.
Posò con cautela una mano sulla mia guancia e l'accarezzò dolcemente, come per cullarmi e consolarmi da quanto accaduto.

- " Mi dispiace, Courtney... " - disse con rimpianto, in un amaro risentimento.

" Mi dispiace. "



 
 

Buongiorno a tutti voi, recensori e scrittori del pazzo mondo di EFP!

La scuola come al solito mi tiene costantemente sotto tiro e, a dirla tutta, ho dovuto trascurare alcune materie importanti per completare la stesura di questo capitolo ( che a mio parere non è poi uscito così bene, ma dettagli...).
Spero vivamente di riuscire a scrivere il più spesso possibile perché, oltre al fatto di essermi davvero affezionata a questo piccolo 'lavoretto' di scrittrice provetta, non voglio assolutamente tenervi sulle spine! So come ci si sente a stare ore e ore davanti ad un computer, tablet o telefono nella speranza di un nuovo aggiornamento, vi capisco perfettamente!

*Smettila accidenti, a nessuno frega dei tuoi aggiornamenti!*
Ok ragazzi, prima che il mio alter ego dia avvio a una disputa con me ( sì, esatto! Duncan non è l'unico ad aver problemi di questo tipo!) vi lascio salutandovi e augurandovi... Beh, una bella settimana (?)
Non dimenticatevi di recensire il capitolo, esprimendo apertamente le vostre opinioni, le quali saranno ben accolte!
*Oh, ma ancora qua sei! Lasciali andare, poverini! Non vedi che li stai tormentando?!*
Ok, ok, me ne vado :(
Ciao a tutti, ragazzi!!!
:)

*Regala biscotti al cioccolato a tutti (sì, mi dispiace ragazzi, sono virtuali, accontentatevi!)*

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Capitolo 6
*** Part I - Silent Running ***


Part I : Silent Running

Capitolo 6

 


Duncan si alzò di colpo, allontanandosi rapidamente dalla mia figura in lacrime che giaceva a terra, priva di forze e soffocata dal pianto, come fosse intimorito e sconvolto dal suo stesso atteggiamento. Quelle parole, così dolci e pure, si erano rivelate così tetre e gelide non appena erano scivolate dalla sua lingua, il che non fece altro che raggelarmi dal terrore, spaventata.
Si era veramente scusato con me? Oppure stava solo fingendo per potermi tormentare un'altra volta? Una cosa di cui ero certamente sicura era il fatto che, in una via o nell'altra, non si fosse pentito di tale avvenimento: un brutale e aggressivo mostro come lui non poteva di certo sentirsi pienamente responsabile di tali azioni, quelle che lo soddisfavano interiormente, che lo rendevano più perfido e insidioso, quelle che, in fin dei conti, rappresentavano il riflesso allo specchio della sua viscida e infida anima, avvolta dall'oscurità e dal male.
Continuò a scrutarmi per qualche misero istante, prima di porgere volontariamente lo sguardo sull'asfalto sporco e infangato, rompendo così il legame visivo che, fino a un momento prima, ci stava unendo emotivamente.
Passarono secondi, minuti, ore senza che nulla accadesse, solo il silenzio regnava in quel luogo tetro e buio, senza mai cessare.
Duncan non si era mosso, semplicemente si era accasciato a terra, mettendo nervosamente le mani sulla folta cresta verde chartreuse, quasi come volesse strapparsela di dosso. Era pensieroso e su di giri per via dell'accaduto precedente, il quale forse lo induceva ad odiarsi lievemente. Del resto, da quando in qua un maniaco delinquente si scusava con la ragazza che aveva appena violentato? Non era forse un controsenso e nettamente privo di logica?
Mi ci volle infine un'inflessibile e possente forza interiore per riuscire finalmente a spiccicare parola, sperando, oltre a rompere il devastante silenzio che non faceva altro che torturare entrambi, di riaccendere un'impassibile e imperturbabile conversazione, cosa che ovviamente non potevo ottenere data la sconcertante situazione.


- " Duncan? " - emisi singhiozzando amaramente.


Si voltò e fece per venirmi incontro, mentre cercavo inutilmente di trascinarmi, con il mio fragile corpo ormai in frantumi, il più indietro possibile, fino a quando la schiena, avvolta dal bruciore di quei lividi blu e viola infernali, andò a scontrarsi con il muro dietro. Non avevo più vie di scampo.


- " Dimmi un po', paperella, saresti disposta ancora una volta a dimenticare l'accaduto se decidessi di lasciarti andare? " - disse in tono serio e contegnoso accovacciandosi di fronte a me, lasciando che i nostri sguardi si incrociassero per dar vita ad un altro intenso e profondo legame visivo, che mi fece rabbrividire.


Se mi avesse finalmente liberata, non l'avrei raccontato a nessuno, o almeno non subito. In quel momento avrei dovuto agire d'istinto e furbizia, rassicurandolo e inducendogli molta fiducia e affidabilità, dovevo fare in modo che si fidasse ciecamente di me. Mi avrebbe lasciata andare, 'sì', mi ripetevo fra me e me nel tentativo di rassicurarmi. Però non potevo ancora fuggire da quel malfido e crudele inferno senza conoscere la verità, codesta che sfortunatamente mi legava tuttora a lui e che difficilmente si sarebbe sciolta così agevolmente. Perché mi aveva aggredita sessualmente? Ormai i pugni e i calci violenti non erano più gesti a me sconosciuti, ma quell'avvenimento, così crudo e perfido nei miei confronti, al solo fine di soddisfare le proprie euforie interiori... Ancora non ero riuscita a coglierlo interamente. Era così incomprensibile e impenetrabile...
E poi c'erano le sue scuse, illeggibili e imperscrutabili anch'esse...
Assolutamente no, non potevo abbandonare così, dovevo andare fino in fondo e scoprire di più. A quel punto ormai l'oscurità del suo essere non mi era più nuova...


- " Sì. " - ammisi senza giri di parole - " Però vorrei sapere il perché del... "

 

" Non sei nella posizione di chiedere favori." - sputò nervosamente - " Ti ho semplicemente proposto un accordo, anche se non credo riuscirai facilmente a rispettarlo. Dico bene? "


Rimasi spiazzata, a corto di fiato. Oltre ad aver cambiato pretesto per poter deviare l'argomento delicato riguardante la sua profonda animosità, stava già mettendo in atto, nella sua contorta mente, ripensamenti sul mio destino, pentendosi anticipatamente della proposta messa in gioco da lui stesso.


- " Ascoltami, Duncan! " - gridai cercando di non risultare acida o prepotente - " Io devo sapere! Perché mi hai fatto questo?! Io sto molto male... "


Mi fermai improvvisamente a causa degli imponenti singhiozzi soffocati, accompagnati dalle calde lacrime salate e dall'atroce dolore, ma ripresi subito dopo, impedendogli di reagire gridandomi imbestialito, fuori di sè, o di tirarmi un possente schiaffo in volto, se non peggio. Non mi sarei sorpresa se, nel giro di poco tempo, mi avesse preso brutalmente a botte.


- " Hai idea di quanto tu mi abbia fatta soffrire?! Ne hai la minima idea?! Io ti odio e so che tu odi me, ma questo è fin troppo! Non serviva che arrivassi fino a questo punto! Tu... " - iniziai a balbettare in preda alla disperazione e alla collera - " Tu mi hai infranto! Io non... "


Non fui più in grado di proseguire, nonostante non avessi ancora espresso apertamente tutti i veri sentimenti al riguardo, infausti e desolanti.
In ogni caso doveva sapere come mi sentivo, cosa mi aveva inflitto...
Io stavo gridando e lo supplicavo di fermarsi, ma lui non mi aveva dato retta, facendomi tacere con un potente e intenso pugno allo stomaco, il quale mi aveva fatto crollare dalla sofferenza. E, nonostante ciò, aveva proseguito...
Tutti quei ricordi, risalenti a poche ore prima e aggiunti all'infinita lista di soprusi subiti in passato, mi tormentavano ininterrottamente, vagando senza meta nella mia mente, la quale non desiderava altro che si dissolvessero nel nulla, che sparissero per sempre...

" E' così che ti senti? Tradita? Infranta? A pezzi? " - mi domandò Duncan in seguito ad un batter di ciglia.


Annuii dolorosamente, guardandolo negli occhi.
Non ebbi più l'occasione di distogliere lo sguardo da quelle fessure azzurre, impassibili e colme d'infidia. Non poteva essere... Era forse pietà quella che riuscivo a percepire scrutandolo così accuratamente? Si sentiva in colpa? Si era pentito? Era forse ferito ed enormemente toccato dalle mie sofferenze?
Si avvicinò prudentemente a me, per poi cingermi la vita magra e ossuta con le sue robuste e imponenti braccia muscolose, aiutandomi così ad alzare.
Barcollai all'indietro appena sentii un'intensa e violenta fitta alle gambe, la quale mi fece sussultare dal dolore, dovuta probabilmente all'esasperato e lancinante bruciore che i lividi e le ferite mi provocavano.
Inoltre cercai in ogni modo possibile di trattenermi dal gridare, per via dell'atroce tormento di cui ero succube, ma fallii miseramente e, dopo aver emesso un acuto e stridulo grido, feci per crollare a terra.
Mi riprese appena in tempo e stavolta avvolse una delle mie delicate e deboli braccia attorno il suo collo; il suo braccio destro però stava ancora circondando i miei fianchi privi di forze, provocandomi così una serie di brividi lungo la schiena. Era forse possibile essere turbata e incantata da questo dolce gesto improvviso contemporaneamente? Non ero in grado di dare una risposta concreta a questa indecifrabile sensazione...
Quando fu pienamente certo che fossi capace nuovamente di reggermi in piedi, si allontanò deciso da me, riportando entrambi così nella triste e amara realtà che miseramente conducevamo. Mi scrutò attentamente dalla testa ai piedi, soffermandosi più del dovuto sulle cosce ormai viola e colme di cicatrici, dalle quali si poteva ancora intravedere del sangue scorrere lievemente, più internamente. Rivolsi lo sguardo a terra, abbattuta, avvolta dalla vergogna e dall'imbarazzo. Mi sentivo sconvolta e infastidita dal fatto che, l'animale che mi aveva ferocemente stuprata, fosse a due passi da me, e stesse scrutando, probabilmente con un pizzico di desiderio e piacere in sé, il mio corpo nudo e inerme, debole, instabile, tenue, tutto andato in frantumi...


- " Courtney, io... "


Si fermò all'istante, come se non volesse ammettere una cruda e triste verità, e ritornò a guardarmi, rivolgendomi un'occhiata malefica e macabra, la quale mi fece sussultare dal terrore. Potevo percepire la collera e la rabbia che, in quel momento, lo stavano torturando psicologicamente, senza mostrare alcun segno di pietà. Sapevo che di lì a poco ne avrei subito le conseguenze, tutto ciò che dovevo fare era aspettare, in preda all'ansia e all'angoscia.


- " Ora basta! Hai parlato fin troppo! " - ruggì ferocemente e fece per avvicinarsi a me a passo spedito, quasi come volesse sbarazzarsi una volta per tutte di me.

 

 Forse era davvero così, e allora non avrei potuto sottrarmi in alcun modo ai crudeli e insidiosi maltrattamenti e patimenti che si celavano dietro l'angolo. Non avrei potuto fuggire da quell'incubo infido e perverso.


- " No, ti prego, no! Per favore, basta! Ti supplico! " - lo implorai cercando di indietreggiare il più lontano possibile, ma scivolai disgraziatamente sul duro asfalto, sbattendo scontrosamente la testa.

 

Non riuscii più a muovermi e, quando provai a rivolgere lo sguardo verso Duncan, vidi solo una fitta e densa nebbia avvolgermi completamente, la quale si oscurava sempre più.
Chiusi dolcemente gli occhi, ormai priva di sensi, perdendo così la cognizione del tempo, e mi feci cullare delicatamente da quest'ultima.

 

 

 

Mi ci volle un'infinità di tempo per riuscire finalmente ad aprire gli occhi, a causa della forte ed intensa stanchezza che mi devastava incessantemente e, quando lo feci, desiderai solo di poterli chiudere nuovamente, sperando di trovarmi ancora nel tranquillo e pacifico mondo dei sogni.
Mi trovavo distesa su un letto soffice e accogliente, abbastanza spazioso e confortante, ed ero dolcemente avvolta in una trapunta verde foresta che riscaldava calorosamente il mio corpo in fiamme. Realizzai che mi trovavo in una camera da letto di qualcuno... Wow, Courtney, quale saggia intuizione!
I miei occhi si posarono ovunque nel tentativo di identificare e studiare accuratamente la stanza in cui giacevo, priva di forze e coscienza. Vi era una scrivania di legno, dove vi erano appoggiati rovinosamente un paio di libri quasi frantumati, dei vestiti sporchi maleodoranti e un pacco di Marlboro aperto, da cui si potevano intravedere una dozzina di sigarette, alcune delle quali già utilizzate. Vi erano inoltre un posa cenere estremamente sudicio, più a sinistra delle strane sostanze bianche e verdi, simile ad erba depositata in un unico mucchio, avvolte in sacchetti di plastica dall'aria impenetrabile e un piatto unto con degli avanzi di pizza surgelata sopra: dal malevolo odore che si aggirava per la stanza si poteva constatare, senza alcun dubbio, che fosse tutto andato a male. Rivolsi uno sguardo di puro schifo al solo osservare di quel lerciume, per poi distoglierlo letteralmente sconvolta. Successivamente notai un alto e robusto armadio nero come la pece dinanzi il letto e, alla sua destra, un puff rosso e blu, imbrattato con delle scritte indelebili e altri scarabocchi sconci.
Rimasi scombinata dalla misteriosa e stravagante camera in cui mi trovavo, domandandomi come ci fossi finita e chi mi avesse portato, quando improvvisamente la porta si spalancò, facendomi sobbalzare dallo spavento.
Duncan entrò di soppiatto e chiuse prontamente la porta a chiave. Si avvicinò al letto dove, qualche secondo più tardi, si sedette sopra, osservandomi perplesso ed esitante.
La testa era ancora su di giri e pulsava assiduamente dal dolore, come nel resto del corpo, distrutto e annientato dalla feroce e disumana sofferenza. Difficilmente sarei riuscita a muovermi, perciò decisi di non provarci nemmeno, data inoltre la sconcertante situazione.
Per qualche attimo vi fu il silenzio più totale, che pervase ogni angolo della camera da letto, fino a quando, tutt'a un tratto, osservai Duncan alzarsi e dirigersi precipitosamente verso l'armadio, aprendolo per curiosare tra la manciata di indumenti emo e rock da punk. Tirò fuori una maglia marrone, color terra d'ombra bruciata, e me la lanciò con grande rapidità in faccia, sorridendomi malignamente, pienamente divertito.


- " Mettitela, o ti congelerai dal freddo " - mi rivolse con acidità.


Cosa?
Nonostante i miei vestiti fossero stati strappati e risultassero ora lacerati e rovinati, non avevo alcuna intenzione di indossare qualcosa che appartenesse a lui, mai e poi mai gli avrei dato tale piacere e soddisfazione. Non portavo più la biancheria intima, che era stata ferocemente distrutta in quel lurido magazzino del pub di periferia, ma la camicetta bianca, nonostante fosse leggermente corta e terribilmente sporca, si trovava ancora lì con me ed era in grado, quindi, di riscaldarmi dall'agghiacciante e sfigurante gelo che si celava nella stanza.


- " Sto bene così, grazie... " - risposi bruscamente senza utilizzare più parole del necessario.


Duncan mi scrutò impaziente e desideroso di infliggermi qualche malagrazia, tipico di un maniaco delinquente come lui.


- " Ne sei sicura? Non credo che stare senza vestiti possa essere davvero incoraggiante... " - sogghignò strappandosi goffamente dalle risate.


Rimasi del tutto dubbiosa e confusa da quella affermazione, di cui non riuscivo a coglierne il significato, fino a quando, abbassandomi leggermente il lenzuolo dal petto, realizzai di essere completamente nuda. Le guance iniziarono a bollire dall'imbarazzo e dalla vergogna, mentre lui si sbellicava affannosamente dalle risate. Che sudicio, sporco maiale pervertito! Mi aveva privato degli unici indumenti rimasti! E se nel sonno mi avesse ancora violentato? Mi sentivo sporca, tradita e infranta nuovamente. Cosa potevo fare ora, rinchiusa insieme a lui nella sua camera da letto senza neppure qualcosa con cui coprirmi?
Prima ancora che potessi ribattere infastidita e affranta, piagnucolando e gemendo, cercò, a modo suo ovviamente, di rassicurarmi.


- " Non ti allarmare, paperella... Ti ho solo medicato e bendato le ferite dato che eri ridotta piuttosto male, nient'altro... Sai molto bene che se voglio qualcosa posso facilmente ottenerla, senza doverla fare di nascosto. " - ammise in totale tranquillità, godendo nel vedermi puramente abbattuta e disperata.


- " E ora mettiti la maglia! " - mi incoraggiò enormemente svagato.


Scossi la testa, mentre il mio corpo si irrigidì automaticamente sotto le coperte. Lui ringhiò sotto voce, divertito dalla mia tenace resistenza.


- " Beh, perché stai lì impalata? Alzati e vestiti, principessa. "


- " Davanti a te? " - deglutii a fatica, terrorizzata da ciò che sarebbe accaduto di lì a poco.


- " E perché no? " - mi propose mentre un sorriso malignamente perfido padroneggiava con completa maestranza e non curanza la sua tetra e inquietante malevolenza. - " Ormai ho già visto quello che hai da offrire, non devi vergognarti. "


Prima di obbedire a ciò che mi aveva aggressivamente imposto, percepii amaramente il folle e insaziabile desiderio di mettere a tacere tutti i dubbi insidiosi e le tempestose titubanze, i quali stavano vagando sperduti senza essere a conoscenza di risposte, sole e semplici risposte. Dovevo farlo ad ogni costo, non importava più ormai come avrebbe reagito a quelle perplessità e inquietudini, affinché avesse risposto sinceramente, guardandomi negli occhi, in modo tale da permettermi di scrutare rigorosamente la verità che, misteriosamente, si celava al suo interno. Gli occhi rappresentavano emotivamente le finestre della sua malfida e macabra anima, e io le avrei aperte con poco; sapevo che, in una via o nell'altra, potevo farcela. Potevo ancora sperare che, nel profondo, si nascondesse un insulso e misero briciolo di gentilezza e dolcezza nei miei confronti, che si erano sfuggitamente rivelati quando mi aveva delicatamente aiutato al alzare, o quando, improvvisamente, si era scusato con me. Dovevo venirne a capo, dovevo scoprire i suoi piccoli segreti, oscuramente nascosti.


- " Tu mi hai portato qui, in camera tua, per farmi riposare... " - balbettai intimidita dalla sua espressione contorta da una lieve esasperazione - " E mi hai anche medicato, dico bene? " -




Ehilà, ragazzi! Beh, che dire? Finalmente sono tornata per completare la stesura di questo breve capitolo...
Avrei voluto aggiungere altri colpi di scena ma, inaspettatamente, mi sono ritrovata la casa infestata da quei marmocchi dei miei cuginetti e non sono riuscita a concentrarmi.
*Strano, di solito fai i compiti di matematica con le cuffiette e la musica è a tutto volume... Davvero strano.*
*Appunto, sono compiti di matematica, non meritano la mia attenzione!* (Spero vivamente che non ci siano professori di algebra e geometria iscritti in questo sito, whops!)
Vi assicuro, ragazzi, volevo allungarlo di parecchio, ma evidentemente Dio ce l'ha con me perché ieri ho involontariamente nominato il suo nome invano, quando mi sono accidentalmente tagliata con il coltello. Ahimè, che sfortuna!
Inoltre, come già sapete, per via del computer rotto, posso pubblicare solo sabato e domenica e il che è davvero sconcertante ed estremamente irritante, vorrei scrivere sempre!
Se fossi in possesso di un computer decente (da notare che è il dispositivo elettronico ad avere gravi disturbi, ovviamente, e non la persona che lo utilizza (:) a quest'ora avrei già pubblicato altri tre capitoli! Ve lo dico anticipatamente!


Spero che il capitolo vi sia piaciuto, fatemi sapere cosa ne pensate tramite recensione o messaggio e soprattutto, buona domenica (sì, lo so che è sera, ma non è mai troppo tardi per augurare una buona giornata finché non è finita, o sbaglio? :)
Mmm... Cosa posso offrirvi questa volta per essere così pazienti e gentili nei miei confronti? Facciamo una crostata di mele? Sì, dai!
* Distribuisce cascate e cascate di fette di crostata alle mele*


Ciao a tutti, vi voglio bene! E grazie per il sostegno!

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Capitolo 7
*** Part II - Silent Running ***


Capitolo 7 – Part II : Silent Running
 


- " Sì. " - rispose senza mostrare alcun cenno di rabbia o frustrazione e, dopodiché, si avvicinò cautamente al letto, sul quale si sedette qualche istante più tardi, di fianco a me, che tremavo come una foglia.
 
 Mi scrutava attentamente, quasi come desiderasse, a tutti i costi, di inghiottirmi per mezzo del suo stesso sguardo agghiacciante; per un attimo mi sentii mancare il respiro dall'imbarazzo e dal turbamento.

- " Ti senti meglio? " - mi chiese mentre le sue mani di carta vetrata iniziarono a percorrere pigramente un sentiero immaginario lungo le mie gambe deboli e ferite, che fortunatamente erano avvolte nelle soffici lenzuola di seta.
 
 Non erano tocchi volgari o turpi, si trattavano solamente di semplici e pure carezze, quasi come volesse, in qualche modo, curarmi dal dolore e dallo struggimento che mi aveva provocato.
Ci sarà mai un giorno in cui quel delinquente smetterà di sconvolgermi la vita? Non credo avrò mai una risposta al riguardo... Mai.

- " Duncan... Perché fai questo? Tu mi odi... " - dissi amaramente posando involontariamente lo sguardo sulle sue mani, che continuavano a scorrere senza sosta in luoghi proibiti del mio corpo, questo solo dopo aver oltrepassato le mie gambe, dopo averle tastate, palpate, accarezzate.
 
 
In un batter d'occhio riuscì a farmi sussultare dalla paura: ogni tocco appariva quasi come una pugnalata al petto, atrocemente dolorosa.
Sì, era vero che mi odiava. L'aveva provato più e più volte. Lo stupro ne era addirittura una vera e propria conferma, ma c'era ancora qualcosa in lui che non andava, qualcosa di piacevole e intenso che si celava al suo interno. Del bene? della luce che brillava? Un piccolo barlume di speranza? Era forse possibile tutto ciò o era soltanto frutto della mia immaginazione? No, non poteva essere fantasia, quella, era realtà, una realtà concreta e definita, era tutto reale, tutto vero. Lui si era vivamente pentito di tutto quello che mi aveva inflitto, della perfidia e del male che mi aveva fatto subire. Lui mi aveva ospitato in camera sua, mi aveva fatto riposare, mi aveva medicato e bendato le ferite, mi aveva curato, da tutto, dalla malvagità, dall'empietà, dall'efferatezza, dalla sofferenza, dall'agonia... Doveva per forza essere così, doveva significare qualcosa per lui, lo speravo con tutto il cuore che potesse ancora provare qualcosa di diverso dall'oscurità in cui era avvolto, che non fosse solamente un avido e violento mostro. Che fosse umano, come tutti gli altri.

- " Paperella, infila la maglia, non lo ripeterò un'altra volta, e poi raggiungimi di sotto. "

Prima ancora che potessi ribattere, sparì dal mio campo visivo in un batter d'ali, dietro la porta di legno d'ebano. Mi aveva lasciato completamente sola, e, per di più, non aveva risposto alla mia domanda. Era riuscito a deviarla, andandosene, credeva di risolvere i suoi problemi scappando, ma gliel'avrei impedito. Questa volta non gli avrei permesso di fuggire dalla verità intricante, dalle domande senza risposta che, man mano che il tempo scorreva, aumentavano rapidamente nella mia mente, rimanendo però irrisolte e indecifrabili.
Sgattaiolai fuori dalla morbida e cedevole coperta e lì notai la differenza: le gambe erano avvolte in delle bende bianche di stoffa e inoltre vi era della crema medicinale sopra i lividi viola e i tagli profondi. Non potevo ancora crederci che Duncan avesse fatto tutto questo. Era ormai sorprendente come la sua personalità potesse variare così velocemente, attraversando luce e oscurità contemporaneamente, un infinito e continuo circolo vizioso di opposti in movimento, che si contrastavano; lui ne usciva illeso, semplicemente.
In seguito, afferrai la maglia che mi aveva 'gentilmente' ceduto e, senza volerlo, iniziai a tastarla e, dopo ancora, la annusai profondamente, prendendo intensi e lunghi respiri. Odorava di incenso ed erbe aromatiche, quasi simile a della terra bruciata. Quello era il tipico odore da criminale squilibrato di Duncan: ricordavo ancora quando, nella vecchia scuola, attraversava con grande aria di sfida e sguardo ampiamente trionfante il corridoio buio dell'edificio scolastico, durante le giornate di pioggia e vento, gelide e senza luce, intimorendo così le matricole del primo anno e altri ragazzi più grandi, sempre timidi d'animo, i quali, privi di alcun tipo di esperienza, si ritrovavano alle prese con quel folle maniaco. Erano considerati fragili, deboli, della spazzatura, senza alcun valore; nessuno parlava mai con loro e tutti cercavano, in ogni modo possibile e immaginario, di evitarli. Ricordavo per di più che li strattonava crudelmente, strappava loro i libri presi in prestito dalla biblioteca, nei quali si sarebbero profondamente immersi durante le lunghe ricreazioni, i vestiti eleganti, lo zaino costoso, il giubbotto di marca... Obbligava loro a fare  i suoi compiti per settimane intere, mesi interminabili, trimestri infiniti... Dopodiché li pestava perfino fuori da scuola, con una brutalità e aggressività incredibilmente spaventosa e terrificante. Il suo 'profumo' pervadeva ogni angolo della scuola all'ora e, una volta percepito quest'ultimo, sapevi che, quando lo avresti ridorato ancora, il mostro sarebbe giunto di lì a poco; avresti dovuto scappare molto velocemente, sfruttando al massimo, o quasi disumanamente, le tue forze fisiche per evitare la stessa sorte degli altri poverelli. Era così che avevo conosciuto Duncan, o meglio, quando ero stata per la prima volta calpestata ferocemente e selvaggiamente da lui... Quando avevo cercato inutilmente di aiutare quei ragazzi indifesi, e soprattutto innocenti, perché non meritavano quel sconcertante destino, nessuno lo meritava, nemmeno io.
Quell'essenza, quella fragranza, quell'aroma...
Ora mi avrebbe assediato per tutto il tempo, per troppo tempo. Con vasto rancore e risentimento indossai la larghissima maglia marrone, la quale mi faceva da abito dato che arrivava a metà cosce, e tentai di sorreggermi in piedi. Mi sedetti sul letto e cercai in qualche maniera di sostenermi, tenendo ben appoggiate le mani sul duro e inflessibile materasso, mentre le mie gambe tremolanti provavano a percorrere qualche misero passo in avanti, verso la porta. Proprio in quel preciso istante, Duncan rientrò nella sua camera da letto e mi raggiunse. Per aiutarmi. Mi strinse forte attorno a sé, quasi come volesse abbracciarmi... In effetti mi stava proprio abbracciando, mentre le sue prestanti e poderose braccia cingevano un po' troppo aggressivamente la mia vita; cercai di non fiatare dal quel lieve e leggero fastidio che mi provocava, mordendomi il labbro. Successivamente mi afferrò il mento, obbligandomi così a guardarlo negli occhi. Iniziai a tremare, di nuovo.

- " Mi dispiace per quello che è successo, va bene? Non avevo alcuna intenzione di arrivare a tanto... Mi sono lasciato trasportare dalla rabbia e tutto è degenerato, forse non capirai ma del resto nessuno può farlo... Ora voglio che te ne vai all'istante, prima che succeda qualcosa di molto, molto peggio. Torna a casa, Courtney, racconta tutto se vuoi, a me ormai non me ne importa un bel niente... "

Rimase lì, scrupoloso e contegnoso, impaziente di una risposta; era tutto quello che riuscivo a cogliere dal suo sguardo gelido e impulsivo. Ero affranta e impaurita, ma...
Le risposte, dovevo avere delle risposte.

- " Ti sei fatto prendere la mano? " - ribattei leggermente intimidita - " Ma io non capisco... Non mi hai mai fatto una cosa del genere e poi, in ogni caso, era passato così tanto tempo dall'ultima volta in cui ci eravamo visti... Avresti potuto riflettere prima di agire... Non ti sei minimamente chiesto se fossi cambiata? se fossi diversa? Perché volevi ancora maltrattarmi pesantemente? Perché? "

- " Hai ragione, paperella, ma non mi aspetto che tu capisca, nessuno può farlo... Nemmeno io sono in grado di giustificare le mie stesse azioni... Ricordo solo che volevo divertirmi e... "

- " Divertirti? Duncan... Io non ho mai capito il perché di tutto quanto, di tutto quello che mi sono dovuta subire, tutti quei ricordi, così lontani ma vicini allo stesso tempo, che non fanno altro che tormentarmi, incessantemente... Io soffro continuamente, lo capisci, questo? La mia vita era misera e priva di senso ancora prima di conoscerti e prova solo a  immaginare come può essersi ridotta in questo misero istante... Io devo sapere il perché, perché hai dato inizio a tutto questo, a questo macabro e morboso inferno? Perché hai scelto me come cavia delle tue torture e dei tuoi supplizi? Che accidenti ho che non va? Dimmelo! " - gli sbraitai aggressivamente contro, mentre lui mi fissava lievemente scocciato, palesemente infastidito dal tono di voce acuto.

- " Ascolta, Courtney! Vattene subito! O giuro che assaporerai molto, molto peggio! " - mi ringhiò inferocito per poi afferrare convulsamente la sedia vicino la scrivania, sollevarla in aria, nel vuoto, grazie alla sua forza incredibilmente bestiale e infine scagliarla scontrosamente e selvaggiamente a terra, facendomi dilatare il cuore dal terrore.
 
Rimasi immobile, ovviamente spaventata. Lo fissai e fu li che apparve l'oscurità, da quelle fessure turchesi e verdi-acqua, le quali erano solite a confortarmi, a rasserenarmi, ad alleviare tutte le preoccupazioni, le indecisioni, le incertezze, i presagi, il presentimento che qualcosa di losco e tetro potesse accadere da un momento all'altro. Come poteva un colore così limpido, chiaro, sereno, addirittura pacifico e rincuorante raffigurare l'anima contorta, infida e senza un raggio di luce di qualcuno come Duncan? Questa volta avevano certamente avuto un impatto diverso dal solito... Potevo cogliere la malvagità, la scelleratezza, la ferocia... La disumanità del suo sconcertante essere. Tutto questo solo guardandolo. Ero meravigliata, allibita, senza parole, a bocca aperta.

- " Per favore, va' a casa, ti prego... " - disse quasi supplicandomi, disperatamente.

Era maledettamente incomprensibile, indecifrabile, imperscrutabile, proprio come quando svolgi ,ormai meccanicamente, un esercizio intricato di algebra oppure un problema piuttosto complicato di geometria analitica, pur non capendone il significato. Il concetto però era sempre lo stesso e di conseguenza non poteva variare o essere modificato, era quello e basta, ed era unico in natura e nel suo genere. Soltanto che Duncan era una persona, o almeno poteva essere definito come un essere vivente data la sua animalesca personalità; dunque non era un problema di matematica... Ma allora? Come si risolveva lo scandaloso enigma? Quale procedimento bisognava applicare al problema per risolvere correttamente il quesito? Non avevo forse una formula standard da utilizzare che faceva proprio al caso mio? Oppure non ce l'avevo? Stavo forse spremendo inadeguatamente ogni possibile risorsa della mia mente, che potesse in qualche modo condurmi alla reale soluzione?

- " Ti accompagno, se vuoi. " - disse con un filo di voce, leggero e quasi rassicurante se non fosse stata per la situazione malevola in cui sfortunatamente mi trovavo.
 
 Accidenti a me, ancora una volta.
Se avessi detto di no non avrei indubbiamente avuto vie di scampo, mi avrebbe sotterrata e seppellita viva, senza mostrare un minimo di pietà nei miei confronti. Se invece avessi acconsentito probabilmente avrebbe strisciato silenziosamente alle mie spalle, dietro di me, dando per scontato che fossi un puro angioletto innocente, privo di forze e speranze; poi, senza alcun'ombra di dubbio, avrebbe giocato con me, entusiasticamente, quasi come fossi una bambola da spezzare, rompere, lanciare e strattonare. Perché una bambola serviva a questo e nient'altro. Lui si sarebbe divertito e io non avrei rifiutato, non avrei potuto rifiutare, non mi era permesso rifiutare, non dovevo azzardarmi a rifiutare, mai e poi mai.

- " Duncan... " - mi bloccai improvvisamente, presa istantaneamente da un'atroce emicrania.

Cosa potevo ancora rivelare che non avessi già spiattellato precedentemente? Io, in fin dei conti, volevo solo tornare a casa, la mia dolce e adorata casa, dove i miei genitori mi stavano aspettando ansiosamente, in pensiero, affranti e preoccupati perché non ero ancora rientrata. Ero pienamente scomparsa nella notte, avvolta e dissolta improvvisamente nella sua tenebrosità, e da quella di Duncan, la quale appariva più oscura di quella del buio, semplicemente. Era un dato di fatto.
Almeno, da qualche parte nel mondo, ero prediletta e benamata. Sapevo meglio di chiunque altro però, la triste e cruda verità. Ero a conoscenza del fatto che i miei mi reputassero intelligente e pienamente astuta, ragionevole, perspicace, intuitiva, costantemente sveglia e ingegnosa... Me lo ripetevano incessantemente perché realizzassi o comunque intraprendessi, in futuro, la carriera di avvocato, esattamente come loro. Mi incitavano , mi spronavano, ma io non ne volevo sapere anche perché non ero minimamente interessata ad un lavoro simile, così noioso e stressante, era così che lo trovavo, in poche parole. Però non lo davo mai a vedere, non dovevo di certo deluderli e rinviperirli rivelando i miei piccoli segreti sconvolgenti, ben segregati nel cassetto dei sogni e dei desideri, chiuso a chiave... Dunque ero amata solo per questo insulso e insignificante motivo, nient'altro. Fingevo, fingevo e fingevo, mascherandomi continuamente da finta giovane intellettuale, ritenendomi interessata e pronta a tutto ciò, ma non lo ero affatto, per niente. Non ero io questa, non era la vita che volevo condurre, volevo essere altro, qualcosa di diverso, più di una triste e associale ragazza che passava le giornate di sole con un libro in mano, a osservare speranzosa gli altri coetanei dal balcone di casa sua, desiderando solo di non essere se stessa, perché si odiava profondamente per trovarsi nella condizione in cui era miseramente ridotta. Di per sé, era solamente colpa sua, e la cosa peggiore era che non poteva fare altrimenti se non aspettare e sperare, con quel romanzo d'avventura fra le mani.

- " Courtney? "

Ritornai alla realtà, abbandonando senza il minimo sforzo tutti i pensieri celatisi nel profondo, colmi d'odio e risentimento. Non potevo di certo tornare in un luogo dove venivo accettata solo perché ero travestita di falsità e menzogne, pura infidia. Non ero io quella, e men che meno volevo esserlo.

- " Faccio fatica a camminare e... Sono davvero stanca... Se per favore mi impresteresti il telefono per avvisare i miei che sono ancora viva, te ne sarei molto grata e... "

- " Se ti do il cellulare per telefonare, che dirai? "

- " Dirò che mi sono fermata a dormire da Zoey e... "

Si piegò in due dalle risate, le quali apparivano goffe e malevole, prive di ironia o sarcasmo, semplicemente rozze e selvagge, proprio come lui, in fin dei conti...

- " Paperella, lo sai vero che non è più notte? Quel ricordo è ormai lontano... " - ammise del tutto indifferente al mio volto impacciato e allibito dalla sconcertante notizia.

Aspetta... Quanto avevo dormito? Ancora non riuscivo a credere di aver completamente perso la cognizione del tempo senza rendermene minimamente conto... Non ci avevo nemmeno fatto caso, ma ora sì invece, e mi trovavo nei guai per questo.

- " Che giorno siamo, oggi? " - sussurrai impensierita, ampiamente turbata e ansiosa.

Non rispose, anzi mi guardò malizioso. Riuscii a intravedere un lieve sorriso maligno, divertito. Dio, quanto odiavo quello sguardo presuntuoso e arrogante, non potevo sopportarlo!

- " Sono passati tre lunghi e tristi giorni, paperella... E' davvero un miracolo che non mi abbiano ancora arrestato. Neanche l'ombra di una macchina della polizia fuori dalla casa di Gwen... "

- " Gwen? Che c'entra adesso? Senti Duncan, per favore, devo avvisare i miei. " -

- " Dirai loro la verità? " - disse avvicinandosi.

- " Quale verità? " - ribattei cercando di imitare un volto intontito, travestendomi dunque da finta ragazza insicura e poco sveglia.

- " Sai che intendo, paperella. " - disse afferrandomi abbastanza rapidamente i fianchi e alzandomi la maglia marrone scuro.

Tentai di fermarlo colpendolo più volte al petto, ma lui mi afferrò violentemente il braccio bloccandomi e, senza dare importanza al mio volto completamente rosso dall'imbarazzo, perché ovviamente sotto non indossavo nulla, iniziò a palpeggiare le ferite e i lividi lungo la mia pancia e le mie cosce, con grande aggressività e mostruosità. Emisi un grido soffocato dal male, ma lui non si preoccupò minimamente di tale gesto e, con forte desiderio e perfidia, continuò.

- " Intendo queste! " - mi sussurrò all'orecchio, divertito da tutto ciò.

- " Per favore, smettila, mostro! sudicio verme! Lasciami andare! " - ribattei disperata ma con acidità, cercando comunque di supplicarlo.

Inaspettatamente da parte sua, mi lasciò andare, spingendomi scontrosamente contro la parete opposta, e per poco non caddi a terra, ma fortunatamente barcollai leggermente all'indietro, semplicemente riuscii a sorreggermi in tempo.

- " Voglio sapere se dirai loro la verità, ti lascerò il cellulare in ogni caso, paperella. "

Respirai affannosamente prima che risposta uscisse da sola dalla mia bocca, perché sapevo che non meritava di farla franca in quel modo, soprattutto dopo avermi picchiata atrocemente e violentata senza un briciolo di umanità in sé.

- " No, non dirò niente. " - dissi indifferente.
 
Avrei taciuto per il tempo necessario che sarebbe servito a farmi riprendere da quelle giornate incessanti e infinite, che purtroppo non avrei mai e poi mai dimenticato. Ma, dopo il periodo prestabilito, mi sarei vendicata, pesantemente. Non ero mai stata una ragazza alla ricerca di vendetta e scontri, ma d'ora in poi sarei cambiata, dovevo essere capace di difendermi da un mondo spietato e crudo come quello, dovevo riuscire ad uscirne illesa; In una via  o nell'altra, sapevo che potevo farcela...
 
 

 
 

Tutto era proseguito per la retta via, senza abusi di alcun genere. I miei genitori non si erano neppure accorti della mia assenza, la mia lunga e interminabile scomparsa di tre insignificanti giorni. Credevano fossi segregata in camera mia, immersa nel piacevole mondo dei libri, viaggiando altrove con la fantasia, o addirittura impegnata nell'estenuante e faticoso studio di legge ed economia, palesemente convinti quindi che fossi realmente interessata a quel genere di assimilazioni ed apprendimenti. In realtà si erano rivelati dei poveri illusi, specialmente rimbambiti dato che la verità raffigurava me che avevo trascorso due notti di fila in casa di un violento e spregiudicato maniaco, dopo essere stata aggredita e stuprata crudelmente. Ero semplicemente senza parole. Ancora stentavo a crederci che si fossero completamente dimenticati di me, quasi come fossi stata un amaro ed infelice ricordo del passato, lontano da loro. Potevo perfettamente comprendere che avessero pensato fossi nella mia camera da letto, io in effetti consumavo il tempo così, a girarmi i pollici, e poi loro erano costantemente impiegati nel loro lavoro, dall'alba alla sera tarda, perciò non si preoccupavano minimamente di dove fossi; sapevano che mi avrebbero trovata nel solito posto. Inoltre potevo anche accettare il fatto che non avessero realizzato la mia assenza per via della casa pulita e completamente intatta, quasi come non vi vivesse nessuno, perché io del resto ero molto ordinata e addirittura mangiavo poco, se non nulla, pertanto non trovavano piatti sporchi da lavare o il frigo vuoto. Che fossi o no in casa non faceva alcuna differenza, a dire il vero.
Però almeno una telefonata, o un messaggio pressappoco, un dolce 'buongiorno' o un'affettuosa 'buonanotte' dopo essere ritornati a casa... Non stavo chiedendo troppo, giusto?
Mi sentivo sola, dispersa, affranta... E soprattutto triste.
Avevo mentito loro, dicendo che avevo passato le notti a casa di Zoey, a studiare ed aiutarla nei compiti di chimica organica e circuiti elettrici di tecnica, dato che fra qualche giorno avrebbe avuto due verifiche riguardo quegli argomenti. Mia madre, senza alcun'ombra di dubbio, se l'era bevuta, e, anche troppo frettolosamente, aveva riattaccato, perché impegnata in una sentenza in tribunale a Seattle, lontano da casa, come al solito, e da me... Avevo provato con ogni mezzo possibile ad allungare la conversazione, perché del resto era l'unica persona che mi confortava, che mi faceva sentire al sicuro, a casa, la sola che amavo, assieme a mio padre. Avevo bisogno di essere abbracciata, coccolata, accarezzata, soprattutto dopo quello che avevo passato; lei non ne aveva voluto sapere però, era davvero molto 'occupata' e 'stressata', così mi aveva riferito almeno, 'bombardata' da un'infinità di telefonate ed e-mail, addirittura, e aveva messo giù senza neppure salutarmi. Io avevo disperatamente bisogno di un saluto, di un 'ti voglio bene'; i soli e unici desideri che volevo si realizzassero, così follemente... Andati, scomparsi nel nulla.
 
- " Hai fatto, paperella? "

- " Sì. " - risposi con un filo di voce e le lacrime agli occhi.
 
La tristezza stava pervadendo ogni insulso angolo del mio fragile corpo, così rapidamente che quasi non me ne accorgevo; però chiaramente si trattava di malinconia: come non coglierla, quindi?

- " Beh, che fai la impalata? Vieni a sederti se vuoi riposare un po'... " - mi consigliò, questa volta gentilmente.

- " Non hai detto di voler restare qua a riposarti? O sbaglio, forse? "

- " No, non sbagli... "

Mi sedetti sul letto, di fianco a lui, lievemente scossa dal suo strano comportamento mentre il mio corpo si irrigidì involontariamente. Porsi lo sguardo su di lui e questo fece lo stesso con me: ci fissammo a lungo, avvolti nella silenziosità più totale. Solo dopo una decina di minuti si degnò di spiccicare parola:

- " Ascolta, questa non è casa mia, ma di Gwen, lei non sa che tu sei qui perché ci ho litigato. Ti ricordi perfettamente di lei, giusto? "

- " Sì, mi ricordo... "
 

Ricordavo indubbiamente Gwen, la ragazza gotica dai capelli blu notte e dallo sguardo melanconico, pervasa dall'oscurità, dal buio; fortunatamente qualche raggio di luce riusciva a brillarle il sentiero giusto, la retta via, quella che conduce alla salvezza. Questo era quanto. Non desideravo far riaffiorare più dello stretto necessario, perché sapevo che il mio cuore si sarebbe dilatato dal dolore al solo ricordare di tutto quello che avevo dovuto subire a causa sua, nonostante la colpa fosse tutta di Duncan.

- " Bene, questa è camera mia, o meglio dire, è sua, ma l'ha data a me, io sono un ospite, non ho una casa. Riposati un po', dopo ti devo dire delle cose. "

- " Quali cose? " - dissi fin troppo presuntuosamente, con grande aria da prepotente.

- " Lo saprai presto, principessa. Ora pensa a riposarti. "
 

 
 
 
Ehilà, popolo di EFP! Come state, ragazzi?

Scrivendo questo capitolo ho notato un paio di cosette che vorrei discutere con voi, sempre se vi va:

1) La storia si sta svolgendo a passo lento e molto spesso, rileggendola più e più volte, appare un tantino noiosa e priva di colpi di scena come vorrei io. Voi che ne pensate?

2) Per un po' continuerò a scrivere il racconto dal punto di vista di Courtney, dato che secondo me, leggendolo, vi immedesimate nel personaggio, incuriosito quindi dalla perversa personalità di Duncan. Dunque, in poche parole, vi terrò leggermente sulle spine... Ma fidatevi, ragazzi, secondo me è meglio così o i capitoli risulterebbero fin troppo ovvi dal punto di vista delle vicende.

3) Ho apportato alcune modifiche ai titoli dei capitoli, perché spesso non raffigurano metaforicamente quello di cui vado a parlare nella storia. Spesso prendo ispirazione da pezzi di canzoni che ascolto oppure da poesie. Niente frasi Tumblr qua.

[SPOILER]
4) Il prossimo capitolo entreranno un sacco di nuovi personaggi, alcuni che addirittura ho lasciato in sospeso, quindi preparatevi! Psicologicamente, intendo!

Bene, credo di aver detto tutto! Perciò, alla prossima!
Vi voglio bene!
*caramelle gommose a tutti*

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Capitolo 8
*** Come Un Animale Selvatico ***


Capitolo 8 - Come Un Animale Selvatico
 
 
Dodici chiamate effettuate, andate a vuoto. Dodici occasioni consumate dall'insidioso vizio sussistente, volate via in un batter d'ali. Dodici possibilità di essere perdonato ancora, per la milionesima volta. Essere perdonato per quegli insulsi errori che si ripetevano continuamente a causa della mia personalità completamente ingenua e che non avevano alcuna intenzione di andarsene. Sbagli che avrei voluto non commettere, che avrei dovuto evitare o deviare in qualche modo, che non avrei più dovuto ricordare. Insignificanti colpe, amare come il suo caffè preferito, quello dark, nero come l'oscurità della notte, solcata da lievi aloni lunari in cielo, dal quale spiccavano sottili fili di luce brillante. Avevo provato in ogni modo a contattarla, ma sembrava essersi dissolta nel nulla, quasi come fosse stata inghiottita in un buco nero e profondo, un vortice senza ritorno verso l'oscurità più cupa e tetra.
Come avevo potuto ferirla in quel modo? Ne avevo forse il diritto? Dio, cosa non avrei dato per rivederla, per poter riosservare ammaliato ed enormemente meravigliato quel suo sorriso incandescente e allo stesso tempo misterioso, il quale non aveva la minima intenzione di rivelare alcuna emozione che andasse oltre la sua melanconica luna di mezzanotte. Lei era lunatica, lo era fin troppo...

- " Duncan. "

Con un lieve e minuto filo di voce mi parlò, pronunciando il mio nome, in un modo così dolce e sensibile che le lettere più dure e aspre potevano semplicemente sciogliersi all'istante, incantate da tale tepore e soavità nel proferirlo...
Mi girai d'un colpo e la scrutai accuratamente per avere la piena certezza che le mie false speranze si fossero magicamente tramutate in realtà, che si trattasse veramente di lei: l'unica e sola ragazza che desideravo davvero vedere in quel momento privo di luce ed emozioni. Eravamo solo io e lei in quel fottuto e misero istante, nessun altro avrebbe potuto dividerci, nemmeno lui poteva... Quel mostro viscido, malsano, scabroso e...

- " Duncan? "

- " Gwen. " - sospirai affranto - " Gwen, dov'eri finita? "

Feci per venirle incontro, ma mi respinse all'istante indietreggiando di qualche passo, riequilibrando dunque l'invadente e sovrastante distanza che ci divideva. Lei appariva così fredda e lontana, terribilmente lontana... Dovevo agire subito o l'avrei persa un'altra volta, e anche io sarei rimasto perso per sempre allora...

- " Gwen! " - le ringhiai affrettando il passo per raggiungerla e, dopodiché, l'afferrai convulsamente per le spalle rigide e sode, costringendola quindi a guardarmi negli occhi.

- " Tu devi ascoltarmi. Devi perdonarmi. Io non posso vivere senza te, lo capisci questo? " - le sussurrai compiutamente dispiaciuto, pentito delle terribili azioni inflitte a paperella che, nonostante il rancore e l'odio che riservavo nei suoi confronti, non mi aveva fatto realmente niente di male e che quindi non meritava ulteriori patimenti da subire.

I suoi occhi iniziarono a brillare e un'insignificante lacrima salata le solcò la soffice guancia bianca per poi riversarsi malinconica a terra. Continuò a scrutarmi pesantemente, esaminando ogni singolo sentimento potesse essere intravisto dalle mie fessure gelide come il ghiaccio. Era vero quello che dicevano, che gli occhi erano come gli specchi dell'anima, che ogni sensazione, pensiero, pentimento, emozione potevano scivolare involontariamente da uno sguardo inaspettato e improvviso, e rivelarsi quindi anche ad una persona del tutto indesiderata.

- " Gwen? " - le sussurrai inviperito, strattonandola scontrosamente avanti e indietro per farla reagire; in qualsiasi modo doveva mostrare un segno, almeno un accenno, qualunque cosa che andasse oltre quell'incessante silenzio che si stava prolungando fin troppo in là.

- " Duncan, smettila! " - ribatté piagnucolando, scansandomi dal suo corpo docile e indifeso.

- " Io soffro... E fa male, molto male, è peggio di una pugnalata al cuore... Non ti riconosco più, non sei più lo stesso, sei cambiato, in qualcosa di orribile, terrificante e oscuro. Che ti succede? Non ti credevo capace di cose simili... Come hai potuto picchiarla e violentarla così crudelmente?  E ora l'hai pure rapita, dannazione! E' in casa mia, cazzo! La casa in cui ti ho ospitato per otto fottuti mesi mentre tu ti sei divertito a fare il cazzone! Che farai ora? Come penserai di risolverla questa cazzo di situazione?!" – mi gridò aggressivamente contro, senza un briciolo di calma e tranquillità in sé, quasi come non fosse del tutto cosciente di ciò che stava affermando, eppure risultava relativamente convinta di ciò che stava proferendo sul mio conto, perché in effetti era tutto vero, neanche una briciola di menzogne e falsità... Come avevo potuto, io?
 
- " All'inizio credevo fossi solo uno dei tanti e ordinari delinquenti che rubano per vivere, un ragazzo come tutti gli altri che era stato abbandonato da coloro che amava di più perché considerato un abominio per la loro famiglia per bene, uno scarto da gettare, credevo che questo avvenimento ti avesse segnato emotivamente nelle torture e nei supplizi che infliggevi agli altri, credevo fossi solo un angelo solo e indifeso travestito da diavolo al fine di sfogarsi un po' con il mondo per ciò che gli era successo, al quale serviva solamente un po' d'amore e conforto. Tutto qua... " - continuò rivolgendo lo sguardo cupo a terra, desiderando probabilmente di non trovarsi in quell'inesorabile circostanza - " Ma tu sei peggio del diavolo! Tu... Tu sei un mostro, un aggressivo, feroce e crudele mostro! Sei un ladro delinquente, un criminale, uno stupratore, un fottuto maniaco del cazzo... E ricordati che sei anche un assassino, e mai potrai cancellare ciò che hai commesso, tienitelo bene a mente. "

e lì i ricordi riaffiorarono, pur non volendo emergere; anzi, ero io quello a non volere che emergessero, non lo desideravo affatto, non volevo rivivere quell'atroce e imperdonabile sbaglio, sfortunatamente commesso... Quattro anni di carcere mi erano definitivamente bastati per riflettere sulle azioni compiute; era stato un terrificante incubo senza fine. Non avrei più fatto cose simili, mai più.

Scacciai tutto d'un fiato, senza rimuginarci sopra più dello stretto necessario. Non potevo credere a ciò che Gwen mi stava infliggendo, una tortura psicologica peggiore del solito, anzi, la peggiore di tutte. Sapeva che era un argomento estremamente delicato per me, ma l'aveva tirato in gioco lo stesso; doveva odiarmi parecchio, allora. L'avrei persa, sarei rimasto solo con quel mostro violento e contorto, sarei diventato violento io stesso e avremmo inflitto puro male e perfidia al resto del mondo.

- " Ora capisco perché la tua famiglia ti ha abbandonato " - proseguì senza dare troppa importanza al mio volto, puramente contorto dal dolore, dalla tristezza e dalla solitudine che di lì a poco avrebbero iniziato ad accumularsi fino a diventare un cumolo di odio, rancore e rabbia - " Aveva già capito con chi avrebbe avuto a che fare, ha preferito sbarazzarsi immediatamente del problema, prima che diventasse troppo complicato da gestire... "

Basta. Non potevo più tenere a bada le emozioni. Non potevo più sopportare tutto questo. Non potevo accettare di perdere ciò a cui tenevo di più senza nemmeno reagire. Avrei reagito, non so in quale atroce e scontroso modo, ma l'avrei fatto. Dovevo farlo per forza, a tutti i costi.
La spinsi ferocemente a terra, facendole strappare un grido soffocato dal gesto improvviso e mi misi a cavalcioni su di lei, afferrandole e bloccandole saldamente a terra i polsi deboli e stretti. Non feci molta fatica, fui inoltre avvantaggiato dalla resistenza che ella offrì. Provò a dimenarsi e ribellarsi inutilmente per un po', quasi come se pensasse veramente di riuscire a liberarsi dalla mia possente presa. Se solo sapesse che non aveva alcuna possibilità di vincere contro di me. Eppure avrebbe dovuto saperlo, doveva per forza ricordare tutte le lotte che facevamo a casa sua per puro svago e divertimento, le azzuffate pienamente amichevoli, le scazzottate affievolite da grosse e grasse risate... Perdeva ogni santa e misera volta, senza mai dire 'mi arrendo', però. Era fin troppo orgogliosa per ammettere di essere stata sottomessa da qualcuno di più forte e robusto di lei; per me restava solo un'illusa, un'illusa che non era in grado di sbirciare al di fuori dell'orizzonte che le si parava di fronte.

- " Che fai, Duncan! Lasciami andare! "

- " Ripetilo, se hai il coraggio! " - sputai pienamente fuori di me, senza un briciolo di coscienza in me... Beh, quando mai l'avevo avuta?

- " Dimmi che non provi più niente per me, dimmi che mi stai abbandonando! " - continuai fulminandola con lo sguardo pungente e tagliente - " Dimmi che sono un fottuto mostro! Avanti, dimmelo! Che aspetti? Hai forse paura?! "

Lei mi guardò abbastanza impaurita, sperando di non doverlo dire davvero. Quelle parole fatali però le scivolarono fin troppo cautamente dalla lingua, affiochite da una dolce vocina, così angelica e innocente che quasi mi venne il ribrezzo per ciò a cui stavo assistendo.

- " Sei un mostro. "

Ecco fatto.
Le lasciai la presa e mi alzai, senza mai distogliere lo sguardo dalla sua immagine a terra, riversa nella tristezza e nella malinconia. Sapevo che era triste e delusa anche lei, nonostante credesse di aver preso la decisione giusta. Allontanarsi da un mostro era più che illecito.
O almeno era quello che speravo, che si  stesse seriamente pentendo di ciò che mi aveva scontrosamente vomitato in faccia senza nemmeno far fronte ad eventuali conseguenze. Dunque non le importava di me, per niente.
Mi voltai e iniziai ad allontanarmi dalla sua figura tremante che giaceva a terra, senza neppure degnarla di un ultimo sguardo, o di uno sconsolato e desolato addio. Questo era quanto. La lasciai lì, accasciata e avvolta nell'oceano di lacrime.
 
 

Mi incamminai verso i sudici sobborghi di Toronto, postacci dove vi era un ampio traffico di droghe e alcol, un vasto numero di ladruncoli e zingari, criminali spietati e prostitute disposti a tutto pur di entrare a far parte del gruppo più ristretto, la combriccola disagiata composta dai criminali peggiori, della quale facevo orgogliosamente parte. Mi sentii ampiamente fiero e soddisfatto quando mi accettarono, percepii un'intensa scarica di adrenalina e frenesia percorrermi tutto il corpo, quasi come un'improvvisa scossa elettrica, energetica e impulsiva. Quello era il paradiso e io ne facevo parte, era il luogo perfetto per mostri malsani come me. Ora sarebbe stata la mia unica casa, il solo e unico luogo in cui mi avrebbero compreso, finalmente.
Mi imbattei in un vicolo cieco senza uscita, lo percorsi velocemente e, dopo essermi accertato che nessuno mi stesse osservando, bussai scontrosamente a una logora porta lungo la destra del vicoletto, la quale si aprii prontamente senza neppure bisogno che la buttassi giù a terra impetuosamente, in caso avessi dovuto attendere più dello stretto necessario. La figura che mi si parò davanti non era una delle migliori, ma mi ci abituai subito. In fin dei conti, bastava che non si trattasse di Gwen, non avevo alcuna voglia di vederla dopo quello che era successo.

- " Ma guarda un po' chi si rivede! " - mormorò Scott rivolgendomi un sorrisetto malizioso, personificando un volto che avrei desiderato prendere a schiaffi seduta stante.

Era completamente sbronzo, se non stra fatto, quasi non si reggeva in piedi a causa della forte e fulminea dopo-sbronza di cui era succube e faticava addirittura a guardarmi dritto negli occhi. Il suo aspetto inoltre lasciava del tutto a desiderare: i ciuffi rossi scarlatti scivolavano rozzamente davanti la sua fronte aggrottata in un taglio arronzato, il volto arrossato e solcato da leggere gocce di sudore, l'alito pesante e irrespirabile, peggiore della morte, odorava di alcol e veleno, la canottiera bianca ormai tinta di un grigio ardesia scuro, completamente sporca di vodka ed erbe della peggior stima, i jeans vecchi e fin troppo usati, colore blu cobalto e strappati qua e là, lasciavano intravedere dei leggeri lividi lungo le ginocchia e il resto delle gambe.. Probabilmente qualche ora prima se l'era spassata un po' troppo esageratamente, divertendosi ad azzuffare ragazzini più giovani che fingevano di essere già degli adulti vissuti, con delle finte sigarette fra le dita. Provavano inutilmente ad aspirare del fumo vero senza alcun risultato se non qualche cazzotto in faccia da parte del rosso. Lui aveva la mia stessa età, ovvero ventun anni, e, proprio come me, era alto all'incirca un metro e ottantotto; io però, probabilmente per puro orgoglio e autostima, mi ritenevo più robusto e ovviamente più figo di lui.
Quasi mi venne da sboccare ad osservare inorridito quell'immagine così misera e contorta, nonostante venissi spesso paragonato a lui. Scott faceva parte della mia stessa compagnia malagevole e degradata, essendo appunto un soggetto particolarmente pericoloso e alquanto spietato. Ancora prima di conoscerlo avevo sentito spiattellare molto sul suo conto, o meglio ancora, sulle sue avventure piuttosto perverse e violente: viveva in una disgraziata fattoria di contadini in campagna, più precisamente nella periferia Ovest del Bowling Green, dove la sua famiglia faticava pesantemente durante il lavoro, gestendo quel vasto numero di campi da potare e coltivare, il bestiame da allevare, accudire, sfamare, il ricavato di tutto ciò da vendere in città nelle fiere e nei mercati durante i giorni feriali, nell'arco dell'intera giornata... Tutto questo solo per guadagnare qualche insulso centesimo necessario alla loro sopravvivenza. Erano poveri, sporchi, affamati... Erano dei fottuti agricoltori del cazzo...
La cosa più buffa era il fatto che suo padre non fosse mai presente dato che trascorreva le notti nei locali a stra farsi e a ubriacarsi invece di dare una mano a sua moglie e ai suoi figli, che supplicavano disperatamente per ricevere un minimo di aiuto. Già, proprio così. Scott aveva, se non ricordavo male, altri sette o otto fratelli maschi, ognuno con i capelli rossi ambrati, le lentiggini spruzzate qua e là sulle guance e il sudiciume appiccicoso sparso lungo gran parte del corpo.
Suo padre dunque non c'era mai stato per loro e quindi era proprio il rosso a 'prendersi cura' della famiglia, essendo il maggiore fra gli otto, o i sette. Ma del resto lui non faceva nient'altro se non ringhiare ferocemente dall'alba al tramonto, picchiando atrocemente la madre, che ormai non si reggeva più in piedi da sola, e prendendo a scazzottate i fratelli indifesi. Lui faceva solamente questo e odiava profondamente i suoi parenti per l'indigente, spregevole e agiata vita che amaramente doveva condurre a causa della disastrosa situazione economica in cui si trovavano, piuttosto miserevole.  E fu così che da un giorno all'altro scappò di casa furibondo e adirato, dopo aver incendiato la fattoria per scacciare tutti gli incubi vissuti... Non prima di aver rinchiuso i fratelli e la madre nel fienile, però. Nessuno seppe più niente di ciò che accadde dopo, riguardo la loro sorte... Io pensavo solo che avesse sparato un mucchio di cazzate, giusto per distinguersi un po' da tutti noi dato che nessuno aveva mai ucciso, apparte me.
 
Non dovevo ricordare, non potevo, non potevo, no...
 
Infine aveva chiesto rifugio qua, dove si era subito fatto valere e rispettare dagli altri spacciatori per mezzo di un'altra infinita lista di azioni crude e scabrose come prendere a scazzottate persone innocenti che camminavano tranquillamente lungo le strade, irrompere e rubare nei supermercati, nelle boutique e addirittura nelle chiese, nonostante ci fosse ben poco da prendere, lasciando ogni cosa che fosse soggetta a spazio e tempo completamente a soqquadro, distrutta, lacerata, folgorata. Imbrattava i muri della città, prendeva a mazzate le auto sportive dei ricconi provenienti dalle grandi metropoli, di alta classe, si scopava tutte le puttane dei sobborghi e le madri dei suoi amici alle loro spalle... Violentava anche. Se a lui piaceva esteticamente una donna, doveva per forza ritrovarsela nuda sul suo letto, e se lei non voleva farlo o comunque non accettava, la stuprava duramente e crudelmente, probabilmente dopo averla picchiata un paio di volte. Era un animale selvaggio, aggressivo, inviperito, brutale e crudele, oltre che essere costantemente sotto tiro dai poliziotti della città. Era un assassino nel suo paese e quindi un ricercato, era indubbiamente pericoloso. Bisognava stare alla larga da lui o si sarebbero dovute pagare delle serie e ingiuste conseguenze. Era un mostro efferato, sadico e pienamente cerfico. Lui era esattamente come me. E io esattamente come lui.

- " Beh? Che fai? Entri a sballarti o te ne stai fuori? "

- " Ma che sorpresa rivederti... " - dissi imitando un falso sorriso di gioia, meravigliato dalla sua improvvisa apparenza, di certo una delle peggiori che ci si potesse aspettare.

- " Dai, Duncan! Non fare il cazzone ora. So che preferiresti che un'auto mi investisse seduta stante. " - la sua voce tagliente e forzata mi fece quasi sentir male, ma gli diedi comunque il privilegio di proseguire, in ogni caso.

- " Già, ma non sempre devo essere accontentato. " -

- " Beh, a me sembra che negli ultimi giorni tu sia stato accontentato in tutto e per tutto " - disse mentre sul suo volto si illuminò un ghigno ampiamente malizioso, totalmente malevolo. - " Sai, una dolce ragazza dai capelli blu notte... "

E li capii subito dove stesse andando a parare, ma lo lasciai continuare lo stesso, per assicurarmi che fosse davvero a conoscenza di quanto fosse accaduto nei giorni precedenti.

- " Mi ha detto che te la sei spassato con una fanciulla estremamente presuntuosa, una vecchia amica d'infanzia se non ricordo male... Piccolo conto lasciato in sospeso, o sbaglio? "

Mi raggelai, in preda al panico. Come era riuscito l'avvenimento a diffondersi così velocemente in così poco tempo? E soprattutto, quand'è che Scott e Gwen avevano intrattenuto una conversazione? Dove si erano visti? Ma si conoscevano, addirittura? Dio, avevo così tante domande... Di certo non avrei potuto spiattellargliele tutte in faccia o avrebbe sospettato che mi ritrovassi nella disperazione più totale. Dovevo dare l'idea di avere la situazione sotto controllo, ormai gli sbirri non erano più un vero e proprio problema, se non i guai che avrei potuto riscontrare se Courtney avrebbe raccontato tutto. Speravo mi fosse rimasta fedele, ero stato così gentile con lei, mi ero preso la briga di curarle le ferite che le avevo procurato. E soprattutto, mi ero pentito.
Courtney. La ragazza che avevo violentato. Colei che odiavo più di qualsiasi altra cosa.

- " Sai com'è, Scott.  Ci si diverte a modo proprio, tu nel tuo e io nel mio. Cazzo, se solo l'idea di ammazzare i miei mi fosse passata per la testa prima di scappare. Merda, se solo ci avessi pensato! " - lo provocai piuttosto pesantemente e questo mi fu provato quando il sorriso troppo sporgente e malevolo, che brillava focosamente sul suo volto umido, scomparve improvvisamente, sostituito immediatamente da amaro rancore e risentimento.

Poche erano le alternative con le quali la conversazione avrebbe proseguito. O avremmo iniziato a darcele di santa ragione, dando avvio ad un vero e proprio combattimento di wrestling oppure mi avrebbe riso e sputato in faccia, divertito dalle mie insulse e insignificanti provocazioni del cazzo. Perché, in effetti, erano proprio delle provocazioni del cazzo.
Si piegò in due dalle sue goffe ed esilaranti risate, le quali apparivano veramente rozze, prive di alcun tipo di sarcasmo possibile e immaginario. Distolse ,per qualche attimo, lo sguardo dalle mie fessure di ghiaccio e tornò a guardarmi solo dopo che le sghignazzate si affievolirono leggermente.

- " Haha Duncan, ti credi davvero così spiritoso? Vediamo se riderai ancora quando mi sarò scopato e goduto la tua bellissima pollastrella. "

- " Provaci soltanto e giuro che... "

- " Cosa? Che farai? " -

Come osava. Quel lurido verme, sudicio figlio di una fottuta puttana. Come si permetteva di minacciarmi in quel modo così scontroso e altezzoso. Chi si credeva di essere nessuno lo sapeva affatto.
Cercai di calmarmi, tentando di prender fiato a suon di profondi e intesi respiri. Prenderlo a calci in culo sarebbe servito ben poco in quel momento. Inoltre potevo anche contare sul fatto che Gwen non fosse talmente troia da tradirmi così spudoratamente. Sì, ok, non ero neanche lontanamente il suo ragazzo, non mi ci avvicinavo neppure, però fino a poco tempo fa si era dichiarata, leggermente intimidita e imbarazzata, e sapevo che, nonostante l'intensa e vivace litigata tenutasi qualche ora prima, non avrebbe mai e poi mai accettato di fare del sesso con uno stronzo infame come lui. No, non si sarebbe mai abbassata così a tanto, di questo ne avevo la piena certezza.
Un'alternativa sfortunatamente ce l'avevo: avrebbe potuto violentarla come era solito fare, davvero brutalmente. Se fosse accaduto mentre io non c'ero, me ne sarei pentito per il resto della vita, gli atroci e indomabili sensi di colpa mi avrebbero torturato psicologicamente, troppo prepotentemente da lasciar correre un rischio simile... Dovevo tenerla al sicuro, dovevo proteggerla, era ignara di ciò che poteva essere in serbo per lei o di quello a cui era involontariamente esposta; tuttavia non era nemmeno giusto impaurirla o terrorizzarla con questi ricatti, che potevano, senza ombra di dubbio, rivelarsi quasi come delle innocue dicerie.
Dovevo semplicemente tranquillizzarmi. Sarebbe andato tutto per il verso giusto.

- " Sei solo un povero illuso. Non hai alcuna possibilità di fartela. In nessun modo. " -  dissi a denti serrati, mentre sul mio volto si dipinse una falsa espressione di indifferenza rispetto a quello che il rosso aveva ribadito qualche secondo prima.

- " Che voglia o no è l'ultimo dei miei problemi... " -

- " Tu non lo farai. " - lo minacciai compiutamente incazzato, più per il fatto di come la chiacchierata avesse preso una piega del tutto indesiderata, quasi come si stesse offuscando tra la fosca e insipida nebbia notturna, per poi scomparire nel profondo, negli abissi dell'odio e del rancore più fatali.

- " Non dirmi quello che devo fare, cresta verde. Farò ciò che mi pare di lei, sarà il mio nuovo giocattolino e assieme faremo un sacco di bei giochetti... Tu hai comunque la brunetta tutto pepe ai tuoi servizi, non capisco di cosa ti stia lamentando. Alla fine lo hai fatto anche tu, giusto? "

Serrai i pugni, colpito da un'improvvisa rabbia omicida. Sapevo fin troppo bene che sarebbe stata una questione di tempo prima che un destro sorvolasse contro la faccia da succhia-cazzi di Scott, facendolo controbattere con un'altra eventuale scarica infinita di pugni e calci, dando luogo quindi a una rissa interminabile e sconvolgente. Provai a rassicurarmi per un'ultima volta, facendo il possibile e l'immaginario per mettere a freno le mie culminanti e ingestibili emozioni, le quali avrebbero potuto scaturirsi convulsamente da un momento all'altro.

- " Lei lo meritava, Gwen no. " - mentii docilmente, ben sapendo per quale motivo gli incessabili sensi di colpa, sorti inaspettatamente qualche giorno prima, mi avessero tormentato e letteralmente oppresso, senza un briciolo di pietà.

- " Ma non mi dire! Una ragazzina di diciassette anni che ti torce un capello e merita di essere punita in questo modo! Duncan, una volta per tutte, sii realista e ammetti di aver fatto una cazzata. Ammetti di essere un coglione rotto in culo e guarda in faccia la realtà: ti piaceva e te la sei scopata da bravo cazzone, quale sei. Dico bene? "

Rimasi in silenzio, ascoltando ciò che presumibilmente avesse da dire per sé. Avevo torto e lui aveva il coltello dalla parte del manico puntato contro di me: stare zitti era la soluzione migliore ed evitava inoltre, altre sconcertanti figure di merda.

- " Sai cosa penso? Che tu abbia ferito entrambe già abbastanza. Quello che potrei fare a Gwen non è niente in confronto a tutto ciò che già le hai fatto passare, ormai non ha nient'altro da perdere. " - disse sorridendo, ampiamente compiaciuto nel vedere il mio volto accartocciarsi dall'amarezza di fronte alla triste e cruda realtà.

- " Tu non ti azzarderai a toccare Gwen. " - lo minacciai nuovamente, freddo e tenebroso  quasi come fossi la gelida e malefica morte in persona.

- " Mmm... Ma se te la lasciassi di mia spontanea volontà dove sarebbe il divertimento? In fin dei conti lo faccio solo per quello eh... "

- " Tu la devi lasciar stare. Hai capito? Trovati qualcun'altra. "

- " Allora che ne dici se invece mi faccio una gran bella sventola con la bruna grintosa dagli occhi scuri? Se la odi e l'hai addirittura stuprata non ti dovrebbe dispiacere, è più che logico... Non credi? "

- " Infatti. " - risposi del tutto indifferente a tale richiesta.

Certo che la odiavo. Perché no? L'importante era che Gwen fosse al sicuro, avvolta fra le mie braccia, confortata dal mio accogliente calore. Era questo ciò che realmente contava per me. Giusto? Non era forse così?

- " E' casa di Gwen ora. O mi sbaglio? "

- " Non ti sbagli. "

- " Beh direi che abbiamo finito allora io e te. Stasera prevedo una devastante e atroce sofferenza... Ore e ore di estrema agonia per la sudicia puttanella spagnola. Altro che cresta verde, sarò io a punirla come si deve e a sistemarla per le feste. Per tutto il tempo che trascorrerà con me, desidererà solamente di essere morta. " - mormorò più rivolgendosi a se stesso che a me e si incamminò per il vicolo buio e nebbioso.
 
 Lo guardai negli occhi un'ultima volta: potevo intravedere qualcosa, un che di orribile e malvagio... Male, puro male.
Il sangue mi si raggelò all'istante al solo pensare dell'ingiusto, tragico, afflitto e luttuoso tormento che Courtney avrebbe dovuto subire. Ciò che le avevo inflitto non era niente in confronto a quello di cui Scott era realmente capace. Non aveva la minima idea di quale atroce e angosciante destino fosse in serbo per lei. Tutte quelle emozioni mi fecero sentire piuttosto di merda, perché riuscii a scovare al nocciolo di tali sensazioni, così culminanti: la verità. Non volevo che soffrisse più, che non dovesse più subire abusi di quel tipo. Era solo una ragazza, nemmeno maggiorenne...
La verità che riaffiorava con niente, scaturita e tenuta in movimento dall'interminabile e scontroso risentimento, però. Lei, del tutto ignara e completamente melanconica, andava e tornava, senza alcun preavviso. Quando ritornava tuttavia, persisteva incessantemente, ininterrottamente.
Come un animale selvatico, la verità era troppo potente per poterla ingabbiare.
Quando paperella si sarebbe svegliata dal suo riposo, sarebbe stata violentata da un altro sconosciuto. Non era questo che volevo accadesse. Quando avrebbe riaperto nuovamente gli occhi avrei dovuto dirle ciò che l'aveva fatta tenere sulle spine durante il lungo sonno, probabilmente privo di sogni felici. Avrei dovuto dirle che mi dispiaceva davvero, per tutto quanto. Solo quelle due semplici parole, con un significato del tutto nuovo per me.

Mi dispiace, paperella.
Mi dispiace.
 
 

 
 




Ciao a tutti, ragazzi!
Spero vivamente che questo capitolo vi sia piaciuto! Sinceramente a me è piaciuto molto di più rispetto al precedente, forse perché ho semplicemente introdotto un nuovo personaggio, e io adoro parlare della storia di una new entry: approfondire i dettagli del suo aspetto fisico, del suo carattere, delle sue azioni, del suo modo di pensare.... In fin dei conti è quasi come immedesimarsi in lui e provare a prenderne atto, bene o male!
Comunque, ve lo chiedo gentilmente

* brandisce minacciosa delle innocue forbici di plastica, puramente convinta di riuscire a terrorizzare gli altri*

Sì, lo so, sono piuttosto ridicola...

Stavo dicendo, GENTILMENTE, di recensire questo capitolo e farmi sapere che ne pensate!
Grazie ancora  per il vostro sostegno e alla prossima!

P.S. Anche se in ritardo, Buon Halloween e Buona festa dei Santi!

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Capitolo 9
*** Perks Of Thoughts ***


Perks Of Thoughts 

 

 

Capitolo 9 

 

COURTNEY  

Era da ore e ore che giacevo riflessiva nel letto di Duncan, o meglio dire, nel letto che in realtà apparteneva a Gwen, nell’estenuante attesa che accadesse qualcosa, qualsiasi cosa. Letteralmente. 

Duncan mi aveva dato la parola che ben presto si sarebbe fatto nuovamente vivo, con la scusa di darmi eventuali spiegazioni di cui desideravo essere al corrente. Ma la verità rivelava tutt’altro, ovviamente, ovvero una Courtney indubitabilmente stanca ed esausta di tutto ciò che le era accaduto: l’incontro del tutto inaspettato, lo stupro atroce e giammai indelebile agli occhi, la fuga miracolosa dai sobborghi squallidi e dalle sue grinfie… Ed infine, ma non meno rilevanti, le parole dolci ed estremamente confortanti del misterioso ragazzo con la chitarra... 

E poi di nuovo Duncan, susseguito da inevitabili tormenti  e sconvolgimenti indecifrabili da parte mia, provocati da quella personalità pienamente bipolare, contrapposta fra bene e male, dolce e amaro, luce e ombra. 

Ero stata succube ancora una volta della sua sconvolgente ferocia interiore, più di quanto non avessi già subito in un passato che ancora mi tormentava, perseguitandomi costantemente, pervadendo ogni singolo angolo nascosto della mia mente confusa e capovolta. 

Ero stanca, esausta. 

 

Decisi che non me ne importava più niente di scoprire che cosa avesse realmente in serbo per me quella sera, ne avevo già avuto abbastanza di tutto ciò e desideravo solamente che finisse tutto, tenendomi a debite distanze da quell’individuo che non aveva fatto altro che distruggere la mia vita; più precisamente dall’istante stesso in cui misi piede, per la prima volta in assoluto, nella stessa scuola che frequentava anche lui. 

Ero consapevole del fatto che, con il tempo, le ferite dolorose e laceranti al cuore si sarebbero ricucite con molta forza di volontà e tanta, tanta temerarietà. Ma, dopodiché, sarei stata in grado di proseguire il mio cammino senza alcun ostacolo dalla cresta verde, senza più dover fare i conti con quel mostro maniaco e psicopatico. 

Sì, sarebbe ritornato tutto come una volta… 

 

Dopo aver trascorso una buona parte del tempo a riflettere sul da farsi, mi alzai faticosamente dal letto, tentando di reggermi in piedi con tutta la forza che possedevo ancora in corpo. 

Fortunatamente, dopo aver impiegato qualche secondo per gemere dalle fitte atroci che avevano iniziato a pulsare lungo le mie gambe fasciate, iniziai a camminare lentamente in avanti, dirigendomi verso l’armadio in mogano alla mia sinistra. 

Aprii le ante e cominciai a frugare qua e là nella speranza di riuscire a trovare qualche indumento ridotto in condizioni non troppo pessime per poterlo indossare e andarmene il prima possibile da quell’abitazione sconosciuta, la quale avrebbe dovuto appartenere a Gwen e compagnia bella. 

Infatti, si rivelò una questione di qualche minuto prima che mi ritrovassi fra le mani una maglia non eccessivamente larga e un paio di jeans scuri e aderenti, probabilmente appartenenti ad una ragazza poiché erano di marchio femminile. Dopodiché, mi vestii rapidamente e uscii dalla camera da letto percorrendo piccoli passi silenziosi, prestando estrema attenzione nel fare pochissimo rumore; temevo vivamente che qualcuno fosse rimasto in casa a sorvegliarmi come un’ombra notturna e solitaria per impedire una mia inevitabile fuga. 

Mi diressi cautamente verso le scale e le percossi con religioso silenzio fino a raggiungere quella che doveva essere la stanza del soggiorno, nonostante non possedesse nulla che avesse un comune salotto: vi era un odore poco gradevole nell’aria, il divano era ricoperto da un mucchio rivoltante e stomachevole di abiti sporchi e il pavimento era pervaso da giornali vecchi e polverosi, polverine presumibilmente risalabili a stupefacenti. 

Le persiane erano completamente abbassate, lasciando il passaggio solamente a un lieve spiraglio di luce proveniente dall’esterno. 

Deglutii al solo pensiero di dover vivere in una dimora simile e, notando che veramente non ci fosse nessuno in casa, mi affrettai a raggiungere l’ingresso e uscire da quell’inferno in cui ero inconsapevolmente sprofondata. 

 

Ed ecco che, poco dopo, mi ritrovai fuori, pur non avendo la minima idea di dove mi trovassi esattamente. Sentii la leggera e soffice aria di primo autunno pervadermi pienamente, riempendomi convulsamente i polmoni e rinfrescando ogni singola parte del mio corpo lacerato. Presi un respiro profondo, godendomi l’ebbrezza sensibile e serena di quella inebriante folata di vento, rivolgendo lo sguardo verso un cielo lievemente ombrato, sommerso da nuvole grigie e malinconiche. 

Era da così tanto tempo che non trascorrevo un po’ di tempo all’aperto, dopo quel che mi era capitato. Era indubbiamente piacevole e a dir poco meraviglioso trovarsi circondata da quell’invisibile freschezza che cullava leggiadra le foglie porpora mentre danzavano vorticando dagli alberi spogli.  

Agli occhi di quella visione paradisiaca mi ricordai di quanto venerassi quell’incantevole stagione e di come, con tanto scalpore, attendessi ansiosamente il suo tanto desiderato arrivo. 

Durante quell’arco di tempo lievemente freddo e ventilato mi coricavo sempre in camera da letto a leggere e a scrivere, e nulla e nessuno era capace di interrompermi mentre, poco a poco, il dì lasciava spazio alla fioca luce della luna che spiccava nitidamente in un cielo privo di stelle, e speranze su cui appoggiarmi. 

Era così che passavo le giornate, alternando scuola e casa, ma sempre e comunque con un libro fra le mani, o semplicemente un foglio di carta; non c’era niente che potessi o volessi fare per sottrarmi a quell’infinito circolo vizioso di cui ero consapevolmente succube. 

 

E fu così che mi incamminai avvolta dai miei pensieri profondi sull’autunno, alla ricerca della prima fermata del bus che portasse a Old Town, un quartiere solitario e melanconico di Toronto in cui risiedevo, più precisamente nel distretto di Saint Lawrence, in cui si ergeva ogni anno uno spettacolare mercato tradizionale. Con molta fortuna riuscivo spesso a comprare qualche bel libro vecchio di biblioteca. 

 

♡ 

 

Solo dopo qualche oretta riuscii miracolosamente a raggiungere casa; purtroppo per potervi entrare mi ci vollero minimo altri venti o trenta minuti, addirittura. Fu un vero e proprio strazio. 

Quando giunsi, finalmente, davanti la porta d’ingresso realizzai solo in quel preciso istante di non avere più la borsa con me, ricordandomi inoltre di averla persa al Sunset, o meglio ancora, nello sgabuzzino in cui la cameriera mi aveva tratto con l’inganno. 

In essa erano contenuti oggetti di non poco valore, come il cellulare pagato con un occhio della testa, il portafoglio con tanto di soldi e carta d’identità ed infine le chiavi, ovviamente. Tutto era andato perduto o forse chissà, Duncan avrebbe tranquillamente potuto prendersi ciò di mio legittimo possesso e fingersi innocente per poi comportarsi come un cucciolo abbandonato. Come se con qualche carezza e uno sguardo abbattuto avrebbe potuto risolvere tutto quello che mi era successo… 

Rimasi lì imbambolata di fronte all’unico e solo inconveniente che mi impediva di rientrare in casa, finalmente al sicuro da ogni guaio possibile e immaginabile. 

Provai a forzare la serratura, ma nulla da fare. 

Bussai alle finestre pienamente convinta che qualcuno potesse sentirmi e venire ad aprirmi, pur sapendo che i miei genitori lavorassero giorno e notte e che poco spesso ritornavano per assestarsi. Anche qua, nulla da fare. 

Optai, dunque, per l’ultima e inevitabile opzione. Iniziai ad arrampicarmi sull’albero ad alto fusto che si ergeva esattamente in corrispondenza della finestra in vetro di camera mia del piano superiore, ben sapendo che si trovasse ancora socchiusa dall’ultima volta in cui vi ero entrata. 

L’impresa risultò un vero e proprio suicidio, tanto che, una volta riuscita ad entrare nella stanza, mi accorsi con occhi sbalorditi di una ferita sulla coscia destra, provocata da un ramo troppo sporgente o dalla mia incapacità nel tenermi aggrappata sui rami, ovviamente. La seconda motivazione, senza alcun’ombra di dubbio, appariva la più sensata e ragionevole, dopotutto. 

 

Dopo aver trascorso una decina di minuti accasciata sulla moschette soffice e morbida della camera, con il viso rivolto verso l’alto a scrutare il soffitto con sguardo vuoto e affranto, decisi di alzarmi per darmi una pulita. Mi feci un bagno caldo, scesi in cucina ed iniziai ad abbuffarmi senza pietà di ogni cosa si trovasse all’interno del frigo e, infine,  ritornai in camera con un pigiama di stoffa per distendermi comodamente sul letto tanto accogliente. Spensi la luce della lampada sul comodino, lasciando poi che il mio sguardo si posasse serenamente sulla finestra, ad ammirare il cielo notturno e limpido. Persi del tutto il controllo dei miei occhi, permettendo loro di riversare un oceano di lacrime amare, che continuarono a scorrere ininterrottamente. Piansi, piansi e piansi. 

Un ricordo oramai indelebile sul corpo, dalla mia mente e, prima di tutto, dal mio cuore. Evidentemente non avevo ancora pianto abbastanza, credevo che mai sarei stata così abile da riuscire a colmare il senso di vertigine che mi pervadeva. 

Trascorrere il resto dei giorni rintanata in casa, nonostante mi ritrovassi in compagnia dei miei unici amici, non mi avrebbe certamente aiutato a dimenticare l’accaduto, anzi, mi avrebbe certamente permesso di  rimuginarci ancora e ancora, deprimendomi ulteriormente. 

Dovevo fare qualcosa. Sentivo il bisogno di qualcosa, qualcuno. Un cambiamento radicale nella mia vita che potesse, in una via o nell’altra, darmi la forza necessaria per proseguire. 

 

♡ 

 

Aprii svogliatamente gli occhi. 

Fui abbagliata istantaneamente da una luce incandescente che riuscii a penetrare dalla finestra appena socchiusa, di primo mattino. 

Rivolsi un sorriso leggiadro e compiaciuto volgendo il volto verso il soffitto in legno al sol pensiero della mia vita, che finalmente aveva preso una piega piuttosto piacevole. 

Ebbene sì, senza alcun’ombra di dubbio, erano accadute molteplici fatti alquanto interessanti. 

Prima di tutto, avevo compiuto i tanto attesi diciott’anni e, nonostante avessi festeggiato solamente in compagnia di un libro di fantascienza scritto da Armstrong, mi ero sentita enormemente imbarazzata e leggermente scossa. 

Oramai ero diventata un’adulta a tutti gli effetti e desideravo apportare molteplici cambiamenti su di me più di ogni altra cosa, immergendomi completamente in un ruolo più consono all’età che portavo. Pertanto cominciai a indossare abiti differenti, i quali mi fecero apparire, sotto gli occhi sconvolti di metà quartiere, una donna matura e promettente anziché una ragazzina spaventata e poco vissuta. In poche parole, le camicie eleganti e peccaminose, i jeans aderenti e scuri a cavallo alto e gli stivali neri in pelle con tacchi medi divennero ufficialmente parte fondamentale del mio guardaroba; il tutto accompagnato, ovviamente, da un orologio svizzero in argento e una borsa impeccabile costata un occhio della testa.  

Se la vecchia Courtney dal carattere viziato e prepotente avesse avuto l’occasione di fare un viaggio nel tempo per incontrarmi seduta stante, sarebbe rimasta certamente allibita da questo cambiamento così improvviso e nettamente drastico. Ovviamente non l’avrei biasimata affatto poiché anche io, prima di ogni altra persona, mi ero sentita tremendamente a disagio al sol pensiero di dover sfilare per giornate intere su dei trampolini spigolosi. Con il tempo però, avevo imparato ad apprezzare questo rinnovato stile di vita in cui incalzavo a pennello la parte di un’importante imprenditrice e avvocato dalle mille esperienze aziendali ed economiche, tanto da rassomigliare a mia madre. 

Un’altra cosa che nel tempo si era sicuramente affievolita era il mio vecchio e scorbutico atteggiamento. Quando al liceo mi ritrovavo alle prese con i soliti dementi nullafacenti e sotto sviluppati, non mi preoccupavo minimamente di ribattere indietro a suon di grida e lamentele ai professori, ma semplicemente non destai alcun interesse nei loro confronti. In questo modo dimostrai agli altri, e in primis a me stessa, di risultare fin troppo sofisticata e matura per perdere del tempo prezioso con dei soggetti talmente pietosi e ignoranti.  

E alla fine, difatti, rendendosi pienamente conto di ritrovarsi nei panni di quattro scimmie ritardate, smisero di deridermi e prendermi in giro, o almeno la piantarono di farlo sotto il mio naso. Fu proprio quello però l’istante stesso in cui realizzai di avere tutto sotto il mio pieno controllo, di non riservare alcun tipo di timore nei confronti degli altri men che meno di lui… 

Ah già, dimenticavo. 

Un tasto dolente alla mente e al cuore, indubbiamente doloso e tagliente come una lama d’acciaio. 

Dopo quella volta non ebbi più alcuna notizia su di lui, nemmeno lo scorgere della sua ombra. Sapevo che di ciò avrei solamente dovuto rallegrarmi dalla gioia ma in realtà non faceva altro che tormentarmi costantemente giorno e notte, durante ogni singolo ed insignificante istante della giornata senza darmi riposo. 

Non ero minimamente in grado di dare una motivazione valida a questo comportamento così improvviso e bizzarro, ma optai invece per una spiegazione certamente provvisoria: evidentemente temevo che con questa lunga e interminabile assenza, sarebbe stato abilmente capace di comparire nella mia vita serena da un momento all’altro, scombussolandola nuovamente senza alcun indugio. Disintegrarla in mille frammenti come un pezzo di vetro. 

Eppure dalle minuscole informazioni che ero riuscita a ricavare al riguardo, sembrava quasi che se la stesse passando alla grande senza il minimo bisogno di dover violentare qualche altra povera o innocente ragazza proprio dietro l’angolo. 

 

Nel bel mezzo dei corridoi dell’istituto nitido e melanconico che tristemente frequentavo ogni santa mattina, ero stranamente riuscita in un’impresa miracolosa senza essere scoperta da nessuno: origliare una conversazione nel bagno delle ragazze.  

Mi trovavo seduta esattamente sopra la tazza del water, intenta a sgranocchiare un pacco di cracker poiché odiavo terribilmente consumare i pasti sotto lo sguardo sprezzante e omicida dei miei compagni, che non facevano altro che parlare malamente di me alle spalle, a mia insaputa. 

Ma proprio in quel momento avevo sentito una porta aprirsi improvvisamente e sbattere forte, accompagnata da passi svelti e spediti che avevano rumorosamente riecheggiato per le pareti del bagno. Istintivamente avevo portato le ginocchia contro al petto, in modo tale che chiunque fosse entrato di lì non avrebbe fatto minimamente caso alla mia presenza; dopodiché avevo iniziato ad ascoltare ogni singola parola uscita dalle loro bocche. 

 

« Ma come cavolo fai a saperlo? Non ti aveva forse minacciato? E poi vi siete parlati normalmente, invece? Pff… Patetico. » 

P-pensa quel che vuoi, n-non mi interessa affatto. Ora è tutto ok fra noi. Tanto ora come ora non lo sento più. E poi q-quella volta mi aveva trattato così perché ero con l-lei… " 

 

La voce familiare al mio udito aveva sentenziato quell’affermazione balbettando più e più volte, segno che probabilmente non si trattasse della pura verità. 

 

« Zoey, accettalo. Duncan è pericoloso, è un assassino. E non importa che tu fossi o no in compagnia di Courtney. L’avrebbe fatto comunque e tu lo sai. Non avvicinarti a lui o te ne pentirai. Non so se sia vero, ma ho anche sentito che l’ispanica abbia subito di nuovo degli abusi per colpa sua… » 

 

I miei occhi si erano spalancati improvvisamente quando la voce della seconda persona a me sconosciuta, amica della mia conoscente Zoey, aveva rivolto quella sentenza così piena di sé. Mi ero sentita proprio come ad un tempo, debole ed estremamente vulnerabile. 

 

“ Dopo così tanto tempo… Alla fine è successo un’altra volta…  

 

Amaro risentimento.  

 

« Sì, ma adesso è diverso! Allora erano solamente dei ragazzini, ora sono praticamente adulti. Credo che Courtney sia stata fin troppo fortun- » 

“ No! Erano dei bambini, ma intanto Duncan aveva ucciso… Sai perfettamente come era andata a quei tempi. Non fingere o far finta di non vedere ciò che è realmente accaduto, come fanno tutti gli altri.  

 

La ragazza dai capelli color azalea si era presa una lieve pausa per sospirare fin troppo silenziosamente. Solo successivamente, dopo aver preso un profondo respiro, aveva proseguito il discorso. 

 

“ È accaduto quella volta, vero? Quando me n’ero andata dal Sunset senza aspettarla…  

 

C’era stato un breve silenzio inquietante e fastidioso prima che questi fosse nuovamente interrotto dall’amica. 

 

« Non so darti una risposta concreta, Zoey. Ma sappi che anche quella è una colpa da assumersi. L’hai abbandonata… Lasciandola sola sotto le grinfie di quei psicopatici alcolisti. » 

“ I-Io… Avevo paura… A-avrei potuto subire la stessa sorte… I-io… “ 

 

Ero riuscita a percepire dei sottili singhiozzi atroci e sofferenti pervadere pienamente Zoey, la quale si era interrotta bruscamente per riversare lacrime amare e indubitabilmente tristi. 

 

« Zoey, è tutto ok. Sono passati cinque mesi ormai e Courtney mi sembra una persona completamente nuova e molto fiduciosa in sé. Qualunque cosa sia accaduta ora non te ne devi più preoccupare, il passato non si cancella. E Duncan non si è più fatto vivo fortunatamente, sembra essersi dissolto improvvisamente nel nulla. L’ultima volta che ho sentito parlare di lui è stato circa tre mesi fa, quando era stato avvistato in compagnia di una mora dalla pelle chiara e un uomo lentigginoso dal volto spaventoso prendere una macchina e andarsene definitivamente da Toronto. » 

“ È così è scomparso dalle nostre vite una volta per tutte? “ 

« Sembra di sì. E fidati che è meglio per tutti noi che sia andata in questo modo. » 

 

 

Ritornai alla realtà, ritrovandomi ancora in pigiama sul letto illuminato dalla luce del sole mattutino. 

Rimossi ogni singolo ricordo leggermente sfocato dalla mia mente confusa ma… Visibilmente preoccupata? 

Duncan era scomparso… Se n’era andato…  

Perché la cosa sembrava coinvolgermi così emotivamente? 

Come mai sentivo ancora un lieve barlume intriso di pietà nei suoi confronti dopo tutto quello che mi aveva fatto passare? 

 

 

 

♡ 

 

CIAO RAGAZZI ! DA QUANTO TEMPO ! 

Probabilmente dopo questa pubblicazione vorreste scuoiarmi viva per non essermi fatta sentire dopo quasi un anno di letargo dalla storia. Chiedo umilmente perdono, anche se sono pienamente consapevole di non meritarlo affatto.  

Conosco la sensazione di dover aspettare un lasso di tempo troppo grande per l’aggiornamento di una storia che tanto ti appassiona e io in primis odio quando gli autori si comportano in questo modo nei confronti dei loro lettori ansiosi di leggere. 

Per la seconda volta, perdonatemi. Sappiate che in questo momento ho nuovamente acquisito interesse nella storia e pertanto sono propensa a continuarla! 

Prometto non si ripeterà più una cosa simile. 

 

Discusso ciò, questo si trattava semplicemente di un capitolo di passaggio. Ho ripreso alcune cose lasciate in sospeso nei capitoli precedenti. Se non vi ricordate più niente dateci una letta veloce :) 

Grazi ancora per supportarmi! E anche sopportarmi, ovviamente! A presto! 

  

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** Quando Piangono Le Cicale ***


Quando Piangono Le Cicale
 
 
Capitolo 10

 

 
COURTNEY
 
 
 
Altre settimane trascorsero leggiadre e particolarmente soleggiate, nonostante il clima stesse iniziando a tramutare in un freddo insopportabile per via del vento autunnale che soffiava senza alcuna pietà.
Le giornate passarono anch’esse piuttosto velocemente, fra scuola, libri e passeggiate al chiarore del tramonto intriso di una luce tiepida e corallina. Perfino il mio umore sembrò apparire allegro e spensierato, proprio come quando, molto tempo fa, mi rifugiavo nella vecchia dimora disabitata del quartiere, luogo di pura creatività e fantasia per la mia mente dalle mille sfumature di colore.
Purtroppo la mia momentanea serenità non era dovuta a nulla di ciò, se non dagli avvenimenti meravigliosi che mi erano capitati durante quest’arco di tempo felice. I risultati scolastici, come sempre del resto, si erano mantenuti costantemente su una media dell’otto e ottantanove, la quale fece sconvolgere e intimorire ancor più i miei insegnanti. Era incredibilmente buffo ma sconcertante il fatto che avessero iniziato a considerarmi quasi alla pari di una divinità terrena in carne ed ossa, atteggiandosi con massimo e autoritario rispetto nei miei confronti; e tutto solamente per qualche insignificante cifra al di fuori della quotidianità scolastica.
Quegli insulsi risultati non sarebbero certamente bastati per definire pienamente la mia persona e men che meno ciò che si celava nascosto al suo interno, come ad esempio il mio carattere impertinente e indubbiamente presuntuoso e precipitoso, un passato costellato da enormi e irreparabili sbagli, le sofferenze psicologiche prive di qualunque etica morale…
 
Patetici… Ecco cos’erano realmente i miei professori.
 
Oltre questa lieve soddisfazione a scuola, ovviamente poco importante ai miei occhi indiscreti, ero riuscita a comprare – maggiormente grazie al grosso ed enorme contributo dei miei genitori, che non sarei mai riuscita a saldare – una piccola casetta in campagna, molto bella e accogliente, arredata con mobili e pareti moderne e dotata di un giardino verde e curato, costernato da fiori, salici e abeti meravigliosi. La dimora dei miei sogni, sulla quale avevo lungamente fantasticato sin da bambina.
Finalmente possedevo un’abitazione di mia unica proprietà, in cui avrei avuto l’occasione di organizzarmi liberamente ed essere del tutto dipendente, nonostante lo fossi già stata nella mia vecchia casa per via dell’assenza incolmabile dei miei.
Sfortunatamente però, a causa del trasferimento, non possedevo più un luogo tutto mio, a mia completa disposizione, per poter trascorrere il tempo leggendo. Certo, avrei potuto benissimo proseguire la lettura direttamente nella nuova dimora, ma l’idea invece non mi entusiasmava affatto. Volevo a tutti i costi un posto disperso, isolato, in un incessante silenzio e solitudine, dove poter riflettere tranquillamente con il profondo della mia anima, proprio come una volta.
E fu così che, in un dì di fine ottobre indubitabilmente freddo e avvolto da nebbia ovunque, mentre percorrevo un sentiero misterioso e immaginario  senza avere la minima cognizione dell’orientamento, mi ero imbattuta in una vecchia stazione ferroviaria, dall’ aspetto melanconico e inevitabilmente infelice.
Senza preoccuparmi nemmeno dei pericoli in cui avrei potuto casualmente incorrere, avevo corso prontamente a ispezionare incuriosita il luogo tetro e macabro che si celava dinanzi la nebbia soffice e sfocata. Avevo scrutato attentamente ogni singolo particolare, a partire dalla sala d’attesa completamente abbandonata e polverosa, i binari ombrosi e in gran parte andati in frantumi, del tutto distrutti, ed infine le rotaie una volta scolpite con precisione e regolarità, utilizzando estrema cura, oramai dal percorso frastagliato e poco visibile.
Fu proprio di fronte a tale visione stravolgente che la  mia mente si era illuminata istantaneamente dalla gioia: era il luogo perfetto.
Avevo accennato ad un leggero sorriso in volto, soddisfatta ed emozionata, e da quel giorno in poi avevo iniziato a rifugiarmi titubante in quel posto, più precisamente all’interno di un vagone arrugginito dalle piccole dimensioni, privo di un tetto, il quale giaceva proprio sulla rotaia più vicina all’orizzonte, proprio quella che avevo osservato così tanto scrupolosamente.
Mi distendevo all’interno di esso, sommersa nel fieno soffice e profumato che avevo raccolto nei campi vicini per confortarmi ulteriormente, e iniziavo a leggere senza sosta. Dopodiché, nel preciso momento in cui il sole cominciava ad affievolirsi dietro le alte e possenti montagnole verdi, rivolgevo dolcemente il capo verso un cielo che, poco a poco, iniziava a tingersi di un blu notte limpido e acceso, adornato da migliaia di stelle incandescenti.
Una visione focosa, paradisiaca.
 
 
L’ultima novità, certamente quella che era riuscita a stamparmi in pieno volto un’espressione allibita e naturalmente entusiasta, era stata proprio la seguente. Era da tempo interminabile che ero alla disperata ricerca di un lavoro part time che mi permettesse di vivere senza dovermi ritrovare nuovamente a fine mese in compagnia di qualche spicciolo trovato miracolosamente nelle tasche. Oltre a ciò, dopotutto, desideravo ardentemente essere indipendente – come ribadito precedentemente – e quindi non continuare a condurre la mia vita sulle spalle dei miei cari come un parassita fastidioso e chiaramente insidioso.
Certo, intrattenevo di già molti studenti da varie scuole dei dintorni, a volte addirittura più vecchi di me, veri e propri universitari sulla trentina, al fine di fornire loro eventuali spiegazioni complesse e pienamente rigorose, estremamente precise e dettagliate; il risultato portava sempre alla medesima meta: un ringraziamento ben risentito da parte di questi, seguito senza alcun’ombra di dubbio da un portafoglio colmo di verdoni. La cosa, molto flagrante, non mi recava di certo timore o fastidio, ma nemmeno eccessivo entusiasmo; ritenevo tali lezioni un’abitudine giornaliera e del tutto normale poiché mi faceva piacere dare una mano a chi si trovasse in difficoltà con gli studi.
 
In ogni caso, però, tutto quello che svolgevo non era sufficiente, avevo bisogno di un vero lavoro che mi potesse tener occupata anche fino a tarda sera, in modo tale che la paga ricevuta risultasse indubitabilmente maggiore.
Ed era stato proprio grazie a tale desiderio che ero riuscita a scovare un posto perfettamente adatto a me.
 
 
 

 
 
 
Me ne stavo lì inerme e avvolta pienamente dalla stanchezza, con le braccia comodamente appoggiate sul bancone sporco del locale e con lo sguardo ansiosamente rivolto verso l’orologio appeso al muro che mi si parava dinanzi, il quale continuava a ticchettare fin troppo nervosamente. Quell’oggetto rumorosamente fastidioso non faceva altro che recarmi innumerevoli fitte atroci lungo ogni parte del cervello oramai del tutto riconsenziente.
In seguito, però, la mia attenzione fu inevitabilmente risvegliata, per poi essere meravigliosamente catturata da un ragazzo dall’aria enigmatica e impenetrabile, pienamente occulta e misteriosa, che entrò improvvisamente dalla porta principale.
Lo osservai con estrema negligenza, senza riuscire in alcun modo a distogliere gli occhi da quella figura, la quale non faceva altro che attrarmi maggiormente, e, nel mentre, continuai a scrutarlo camminare in direzione di un tavolo vuoto per poi sedersi spazientito, posando lo sguardo verso un punto sull’orizzonte indefinito.
Non ne volli proprio sapere di smettere di sfogliare un libro così aperto , indubitabilmente intricato e colmo di misteri; semplicemente proseguii a guardarlo meticolosamente, immergendomi prima nelle sue pozze grigie e infinitamente profonde, poi sui capelli folti e visibilmente scompigliati dal colore arancio corallino, dopodiché sul  corpo slanciato perfettamente tonico, candido come fiocchi di neve invernali, spruzzato da una grande quantità di lentiggini.
Infine il mio sguardo meravigliato, dopo aver percorso un sentiero così piacevole e abissale, andò a scontrarsi prepotentemente con il suo viso inquietante e malizioso, il quale spiccava malevolenza e da tutti i pori, pervadendo l’intera tavola calda di oscure tenebre fitte.
Rimasi non poco scioccata dinanzi tale visione, sconvolgendomi ancor più quando il suo sguardo andò a incrociarsi inaspettatamente con il mio, e ciò mi provocò una serie di brividi lungo la schiena oramai ghiacciata dall’imbarazzo. Dunque, fu questione di qualche istante prima che mi voltassi, con un viso completamente in fiamme dalla vergogna, e tornassi ad eseguire gli ordini richiesti dagli altri clienti in attesa.
 
 
Passò qualche ora e la fine del turno si fece sempre più vicina; non vedevo l’ora di correre entusiasta a casa per potermi finalmente riposare ma soprattutto per non essere costantemente osservata da quel misterioso ragazzo inquietante, il quale non aveva fatto altro che mantenere, incessantemente, i suoi occhi sulla mia figura timorosa e tremante.
Ebbene, con intensa e contemplata trepidazione, le otto e quarantacinque di notte schioccarono istantaneamente sull’orologio antico e maledettamente rumoroso, implicando la tanto attesa fine del lavoro.
Spensierata come non mai, sciolsi prontamente il grembiule nero e sporco dalla vita e corsi ad appoggiarlo dietro il bancone, piegandolo con considerevole dolcezza e nascondendolo all’interno di un’anta in legno poco pregiato.
Dopodiché, andai a salutare il direttore anziano e dal volto esausto e notevolmente disinvolto, il quale mi porse un sorriso altrettanto felice e soddisfatto per poi darmi un rapido colpo sulla spalla destra, probabilmente al fine di incitarmi ulteriormente per i giorni a seguire.
Infine, feci per dirigermi verso l’uscita, non prima però di aver rivolto un’ultima occhiata al giovane occulto e immensamente sconcertante, notando che i suoi occhi erano tornati nuovamente a scrutarmi con malizia e quasi intravedibile… Rabbia?
Deglutii silenziosamente per la paura e uscii rapidamente dal piccolo edificio, incamminandomi a passo spedito verso casa – poiché essa si trovava esattamente a pochi minuti dalla tavola calda. –
Oramai si era fatto parecchio tardi e il cielo rasserenante era già buio e costellato da alcune stelle luminose e straordinariamente focose; sembrava quasi che potessero scaldarti all’istante, da un secondo all’altro, attraverso la loro luce ardente e infinitamente fiammeggiante.
Sorrisi allegra a quel buffo pensiero e non mi accorsi che i miei passi silenziosi mi avevano condotto proprio nel luogo tanto amato e desiderato: la stazione abbandonata. Per qualche istante rimasi del tutto immobile, scurando momentaneamente ciò che mi si parava davanti, ovvero un posto oscuro dall’aria tenebrosa, il quale sarebbe potuto essere costernato da vari pericoli, specie a quest’ora tarda e chiaramente poco sicura.
Continuai ad indugiare allarmata ma, successivamente, realizzai che dopotutto nessuno frequentava quel punto disabitato e naturalmente isolato da qualunque quartiere malfamato nelle vicinanze. Pertanto, con estrema cautela, feci per avvicinarmi al vagone vecchio e rinomato nel quale trascorrevo la maggior parte del tempo, solamente con l’unico fine di dare un’occhiata rapida e fugace, per poter osservare se si ritrovasse ancora nelle condizioni in cui lo avevo abbandonato precedentemente, la notte prima.
Per raggiungerlo, ci impiegai oltre quindici minuti poiché, mentre percorrevo il medesimo sentiero che mi avrebbe condotto alla medesima meta, iniziai a percepire delle lievi e sottili strida provenienti dalle folte e laceranti erbacce, cresciute non appena le rotaie smisero di funzionare, più precisamente in corrispondenza della ferrovia arrugginita dinanzi il binario sei.
Cominciai a sentire dei brividi intensi percorrermi ogni singola arteria del corpo e per qualche istante temetti realmente di poter svenire dal terrore, poiché le grida iniziarono a farsi sempre più intense e oramai mi risultò impossibile perfino respirare, tanto che il mio cuore cominciò, poco a poco, a perdere un battito dietro l’altro. Gli urli si fecero ancor più palpitanti di prima e terribilmente oscuri, talmente tenebrosi da pervadere ogni angolo del mio subconscio instabile e timoroso, completamente soggetto a tremolii da ogni dove.
Mi rimproverai mentalmente, e mi forzai ad essere coraggiosa e terribilmente calma, nella speranza che le strida potessero solamente essere frutto della mia fantasia, ma invano.
In seguito mi accorsi, dopo aver trascorso qualche minuto a riprendermi dallo shock travolgente e penetrante, che in realtà il rumore fitto e scontroso proveniva dalle cicale nei piccoli praticelli verdi e pianeggianti cresciuti in corrispondenza delle ferrovie. Ritrassi istantaneamente un respiro di sollievo, ridendo lievemente per essermi spaventata così tanto di fronte al riecheggiare di soffici suoni che ora mi parvero addirittura infinitamente dolci, quasi rassicuranti.
Giunsi, dopo tempo indeterminato, di fronte al mio vagone segreto e mi immersi confortevolmente nel fieno ocra e morbido, il quale mi ricordò profondamente il letto di camera mia, anzi, parve quasi più agiato e profumato.
Stetti li distesa per una decina di minuti, ad osservare serenamente un cielo pienamente pervaso dall’oscurità notturna. La cosa, solitamente, avrebbe dovuto incutermi molto, troppo timore, ma in realtà non fece altro che schiudermi le labbra per emettere un sottile sospiro rammaricato e chiudere dolcemente le palpebre, oramai cullata fra le dolci braccia di Morfeo.
 
 
 

 
 
 
Aprii delicatamente gli occhi, risvegliandomi da un profondo e interminabile sonno, con una mente non ancora del tutto consenziente. Mi servirono lievi e brevi istanti per realizzare di aver dormito praticamente per una notte intera all’aperto, e la cosa che mi sconvolse ancor di più fu il fatto che mi ritrovassi ancora sana e salva, senza aver subito alcun genere di abuso da qualsiasi persona che, vedendomi così vulnerabile, avrebbe potuto benissimo approfittarsene.
Difatti mi voltai intorno, scrutando prepotentemente il sole che stava per sorgere dall’orizzonte, donando al cielo una limpidezza a dir poco paradisiaca, sfumandolo con colori tenui e caldi, un rosa ambrato tenero e brillante che accarezzava armoniosamente le nuvole bianche e vivaci. Era l’alba, constatai sollevata e leggermente indolenzita.
 
Purtroppo la mia tranquillità andò prontamente in frantumi non appena percepii, nuovamente, il pianto disperato e doloroso all’udito delle cicale, il quale riecheggiava avidamente con perfidia, rabbia, immensa devastazione. Non riuscivo a capirne il motivo, ma quelle bestiole erano capaci di incutermi profonda sensibilità e tanta, tanta paura, cosicché da obbligarmi ad alzarmi terrificata e voltarmi intorno per vedere se dovessi seriamente allarmarmi.
I miei pensieri, per questa volta, non apparirono per nulla sbagliati e il battito del mio cuore si fermò istantaneamente non appena scorsi, nell’ombra di un binario occulto, la sagoma di un uomo oscuro.
Il mio corpo si raggelò convulsivamente nello stesso istante in cui iniziai a tremare dal terrore, tentando inutilmente di reagire e fuggire il più rapidamente possibile. Ma, a quanto pare, la mia mente e soprattutto le mie gambe non ne vollero affatto sapere di reagire o mettersi in movimento e allontanarsi da quel pericolo infido e periglioso che a poco a poco si faceva sempre più vicino.
Difatti il giovane inizio a dirigersi verso la mia direzione e solo a una quindicina di metri di distanza constatai che si trattasse proprio di colui che mi aveva intimorito la sera prima, nel locale, con il suo sguardo incolmabilmente penetrante e freddo come il ghiaccio.
 
Dopo qualche istante mi ritrovai di fronte a lui, con il suo volto a dieci centimetri di distanza dal mio, il suo respiro caldo e lievemente affannato che soffiava aggressivamente conto la mia gelida pelle sensibile e lacerata dai fili di fieno.
Mi prese violentemente i polsi e avvicinò il suo corpo al mio, in modo tale da impedirmi di fuggire e lasciò che le sue labbra screpolate andassero a sfiorare il mio orecchio destro e intontito.
 
- “ E così saresti tu l’ispanica presuntuosa? Era da una vita che ti cercavo. “
 
Ma chi diavolo era questo? Come accidenti faceva a conoscermi? Cosa voleva da me?
 
- “ Lasciami andare! Si può sapere chi sei? Io non ti conosco! “ -
 
Il suo viso si corrugò momentaneamente in un’espressione enormemente divertita, tanto che con la lingua andò a umettarsi poco gentilmente le labbra secche e ruvide, per poi porgermi un ghigno maliziosamente pervertito.
 
- “ Tu non mi conosci ma io conosco te. E comunque non pensare che io sia uno stupratore o cose simili. Sono venuto a prenderti perché sono stato pagato. “
 
Pagato? Ma cosa stava a significare? Non riuscivo in alcun modo a collegare il suo viso con qualunque altra persona avessi scorto casualmente negli ultimi giorni, mesi, o con qualsiasi individuo riservasse una vagonata di odio e rabbia nei miei confronti.
L’unica persona alla quale riuscii a risalire fu l’inimitabile. Duncan, ovviamente.
 
- “ Chi ti ha ingaggiato? “ – domandai inghiottendo una marea di saliva, pervasa dall’ansia e da persistente rancore.
 
Ancora una volta, potetti sentire il suono delle cicale affluire con perfidia attraverso i timpani, bussando insistentemente contro le porte della mia anima ghiacciata dal timore e dall’oscurità più buia.
Cicale, loro sembrano essere ovunque.
Perfino all’interno del mio cuore oramai intriso di nero.
E parevano piangere angosciosamente con tristezza e segregata colpevolezza.
Strida infinite e indubbiamente ansiose, afflitte, sofferenti, tormentate.
 
- “ È stato Duncan. “
 
 

 
 
 
Ciao a tutti!
 
Sono contentissima di aver pubblicato questo capitolo i primi giorni della settimana! Purtroppo la scuola mi sta già impedendo di scrivere spesso e detesto dove ridurre i tempi per dedicarmi alle stesure delle storie su cui sto lavorando.
 
Comunque, parlando della storia, preparatevi poiché ritorneranno presto molti personaggi lasciati nel passato!
Fatemi sapere – a chiunque si imbatta nel capitolo –  cosa ne pensate, esprimendo la vostra opinione tramite recensione o messaggio!
 
Sapete che apprezzo molto le vostre opinioni!
 
Ciao!
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 11
*** Burning Wounds From The Past ***


Capitolo 11 – Burning Wounds From The Past
 
 
 
Lo continuai a scrutare intensamente, e per poco non rischiai di immergermi in quelle dannatissime pozze grigie e ghiacciate, fin troppo profonde e oscure per un cuore bianco e pienamente puro. Dopodiché, avvicinò pericolosamente il volto e fu proprio lì che gli rivolsi un’espressione scettica e indubbiamente diffidente.
Un oceano di mille dubbi e sensazioni sgradevoli che andavano ad affluirsi fra loro, aggrovigliandosi in un vortice incessante di scoraggiante ribrezzo, repulsione, avversione… Un disgusto a dir poco disumano e incomprensibile.
 
“ Che cazzo vuole quel figlio di puttana? Ancora non gli è bastato tutto quello che mi ha fatto passare? Dopo tutto questo tempo? “ – sputai a denti serrati, enormemente infuriata, abbandonandomi alle contrastanti e feroci emozioni, le quali furono proprio loro a spiaccicare parola al posto mio, solamente per questa volta.
 
L’altro, invece, se ne stava completamente immobile, quasi impercettibile, mantenendo lo sguardo puntato sul mio, addirittura come se distoglierlo gli avesse costato un caro prezzo da pagare.
 
“ Già, non posso darti torto qua. Ma, di certo, non posso fare altrimenti… Devo pur sopravvivere in un modo o nell’altro, no? “
 
“ Si può sapere a che ti riferisci?! Che cosa stai cercando di dire?! “
 
Sembrava che quel ragazzaccio stesse iniziando a prenderci un certo gusto nell’ampliare ulteriormente la mia empietà e insicurezza, scombussolandola ancor più. In una via o nell’altra, però, stavo rivelando inconsapevolmente ogni mio minuscolo ed insignificante segreto, mentre il bastardo se la rideva sotto il naso poiché non ero nemmeno stata capace di farmi rivelare il suo nome.
Dovevo assolutamente scoprire con quale razza di depravato avevo a che fare e soprattutto come la situazione potesse risalire a quel delinquente di Duncan. Avevo intuito perfettamente che non fossero esattamente amici per la pelle, ma probabilmente che fosse qualcosa di molto più oscuro e malsano a legarli emotivamente.
 
“ Io porto te da lui e lui mi da ciò che mi spetta. Ecco a cosa mi riferisco. E ora vedi di non fare tante storie e seguirmi senza ribellarti. “
 
Il cuore si raggelò all’istante. Allora Duncan c’entrava per davvero e aveva pure ingaggiato un altro malvivente per condurmi nella sua malsana via… Dopo tutto questo arco di tempo in sua totale assenza non si era mai scordato minimamente di me, anzi, si era organizzato per escogitare segretamente un losco piano, per farmi cadere inaspettatamente in una delle sue tele intricate e chiaramente indecifrabili.
E ancora una volta non ero riuscita a sbarazzarmene, segno che molto probabilmente avrei vissuto nel terrore più sconcertante e tetro fino alla fine dei giorni, grazie alla sua immancabile e disgustosa essenza.
 
“ Devi ancora dirmi chi sei, come conosci Duncan, cosa hai fatto per trovarti qui e perché… “
 
“ Perché? “ – spiaccicò con un filo di voce, visibilmente confuso, incitandomi a proseguire la frase che tra l’altro aveva bruscamente interrotto.
 
In questo momento, stranamente, le parole che scivolarono inconsciamente dalla sua lingua parvero notevolmente più dolci e piacevoli, molto meni accentuate o aspre rispetto a qualche istante prima.
 
“ Beh, ecco… Perché lo fai? Ho capito per… Beh… La sopravvivenza… Ma cosa ti ha realmente spinto a farlo? “
 
Trascorse angosciosamente qualche breve secondo, prima che un silenzio indubitabilmente profondo e devastante pervadesse l’intera stazione ferroviaria. Fu, quindi, del tutto inevitabile che degli insignificanti brividi andassero a percorrere interamente l’intera colonna vertebrale, causandomi tremolii rassomiglianti a quelli di una foglia danzante nei vortici infernali di un vento autunnale.
Non ero spaventata, affranta, impaurita… Nemmeno un minuscolo barlume… Semplicemente mi ritrovavo dannatamente ansiosa, poiché desideravo a tutti i costi che il ragazzo dai capelli arancio si rivelasse, una volta per tutte.
 
“ Seguimi, e ti dirò tutto… “
 
Deglutii amaramente, con dolce risentimento: finalmente avrei ottenuto le risposte che disperatamente cercavo, vagando completamente a vuoto, errando nell’errore…
 
Non sapevo come spiegarlo precisamente, ma in sua presenza, nonostante si fosse comportato esattamente come un maniaco psicotico, sentivo profondamente che di lui potevo fidarmi ciecamente, quasi come se fosse stata un’ombra invisibile costantemente al mio fianco, a proteggermi da qualunque male circostante. Era come se lo conoscessi da una vita intera e le emozioni che mi infondeva erano pienamente benevole, amorevoli e infinitamente dolci.
E la cosa peggiore era il fatto di non essere in grado di dare nemmeno una minima giustificazione dinanzi sensazioni così intense e penetranti…
Probabilmente, se al posto suo ci fosse stato Duncan, avrei reagito in una via piuttosto diffidente, perché il solo nome mi permetteva di far riaffiorare ricordi naturalmente infelici e melanconici della infanzia insulsa e altrettanto complessa. Ergo, non sarebbe mai stato capace di far scaturire in me trepidazioni felici o rasserenanti come ci stava riuscendo perfettamente questo ragazzo sconosciuto e interamente insensibile, proprio dinanzi i miei occhi allibiti.
 
 
Il silenzio, fortunatamente, si dissolse istantaneamente quando questi mi porse indifferente, con sguardo gelido, la mano ruvida e congelata, al fine di condurmi alla misteriosa destinazione.
Lo guardai perplessa per qualche momento e dopodiché la afferrai scorbuticamente, lievemente imbarazzata, così che le nostre gemelle potessero incrociarsi in una danza vorticosa, focosa e  infinitamente incandescente.
Era forse un gesto da considerarsi carino?
Ma che accidenti mi stava passando per la testa? Questo giovane impertinente e spaventoso non lo conoscevo minimamente , senza tralasciare il fatto che, ovviamente, mi avesse consapevolmente seguito  e spiato per l’intera notte, senza alcun lieve rimorso, proprio come si atteggerebbe un fuorilegge o bandito qualsiasi.
 
E inoltre, per via di tuti i pensieri confusi che andarono a formarsi inevitabilmente nel mio subconscio offuscato e infastidito, non mi accorsi che la presa sulla mano iniziò a farsi sempre più intensa e dolorosa, mentre la mia fronte si corrugò pietosamente di scatto.
Quando lo notai era oramai troppo tardi, poiché lui fu più svelto di me ad accorgersi delle mie confutabili riflessioni e si mise lì a fissarmi enormemente interrogativo, rimanendo immobile.
Alzai leggermente il viso le mie guance si tinsero svogliatamente di porpora acceso e il mio corpo andò letteralmente in fiamme dall’imbarazzo, creatosi probabilmente per la situazione bizzarra in cui mi ero imbattuta – ovvero i miei pensieri troppo poco affidabili -.
 
“ Non ho idea a cosa tu stia pensando, ma sarà meglio per te levartelo seduta stante dalla testa. Non farti strane idee. “
 
“ Eh? Sei tu quello che dovrebbe togliersi dalla mente certe sciocchezze decisamente poco ragionevoli e insensate. Si può sapere come hai potuto solamente pensarlo? Non so quale idea tu ti sia fatto di me, ma certamente non sono quel tipo di ragaz – ah! “
 
La mia voce venne bruscamente interrotta quando una mano di carta vetrata andò a stringere prepotentemente un seno, per poi palparlo sensualmente attraverso un movimento intriso di estrema lussuria e brama di spingersi ben oltre quegli insignificanti soglie a cui doveva sottostare.
 
Tempo fa, senza alcun’ombra di dubbio, avrei reagito diversamente di fronte a tale oltraggio, probabilmente iniziando a piagnucolare indifesa come una disperata, riversando un oceano di lacrime tristi e sensibili; e questo lo traevo certamente anche dalle esperienze atroci vissute amaramente con Duncan.
Ma ora era tutto cambiato, radicalmente: ero cresciuta interiormente, tramutandomi in una guerriera forte e indipendente da tutto ciò che mi circondava e sicuramente non avrei permesso più ad alcun uomo di sottomettermi a proprio piacimento come fossi un giocattolo con cui divertirsi rozzamente, per poi essere gettato via come spazzatura, una volta sporco e rovinato da abusi.
 
“ Che cazzo fai? “ – gridai visibilmente isterica, spingendolo aggressivamente indietro, allontanandolo sufficientemente dal mio corpo, disgustato dal suo tocco rude e colmo di disprezzo.
 
“ Perché? Non ti è piaciuto? “ – ribatté ritornando ad assumere un volto angelico e fintamente innocente, addolcendo notevolmente gli occhi, quasi come se fosse realmente dispiaciuto per aver scaturito tale reazione da parte mia.
 
“ Non è questo il punto “ – confermai contrariata per poi schiarirmi lievemente la gola – “ So che non è per niente lecito che io ti riveli queste cose, dato che tu di te stesso non hai detto nulla. Però sono stanca che a pagarne la conseguenze sia sempre il mio corpo, ogni fottutissima volta… E che debba subire sempre lui le disfatte peggiori. E io, in primis, non ne posso più di tutto questo! Sono stata una sciocca ad aver pensato  che avrei potuto seriamente trascorrere una vita tranquilla senza dovermi ritrovare per la strada quella testa verde priva di cervello. La verità è che non ne voglio più sapere di nessuno di voi criminali e malviventi… Voglio solamente vivere in assoluta serenità, cazzo! Chiedo forse troppo, eh?! Tu non hai la minima idea di tutto quello che ho dovuto passare a causa sua… Tu… Io non… “
 
L’unico e frivolo barlume di coraggio che brillava ancora in me scomparve tristemente e, in men di un batter di ciglia, cominciai a piangere come un’idiota, succube di un’atroce e inevitabile sconfitta.
Che sciocca che ero stata, non sarei mai stata tanto capace da affrontare l’accaduto con enorme e dignitosa temerarietà e la prova agghiacciante giaceva proprio lì, dinanzi i miei occhi naturalmente lucidi… Il silenzio devastante e tenebroso che racchiudeva i segreti più oscuri e maligni, il mio imperdonabile silenzio di fronte i patimenti e i tormenti subiti giorno dopo giorno, per anni intrasmutabili.
Ci volle ben poco, però, perché le sue mani avvolgessero gentilmente il mio volto corrugato dal pianto e, nel frattempo, un pollice andò ad asciugare delicatamente una lacrimuccia, la quale stava solcando lentamente la mia guancia pienamente accaldata. Tutte queste gesta premurose vennero compiute con completa freddezza ma nonostante ciò sperai vivamente che, dietro tali pensieri gelidi come il ghiaccio, si celasse nascosto almeno un minuscolo spiraglio di compassione nei miei confronti… La speranza, un castello di specchi fragili e facilmente distruttibili, i quali avrebbero potuto tramutarsi in frantumi di vetro taglienti da un istante all’altro; specchi sottili e lisci come una lastra di puro ghiaccio, su cui avrei consciamente continuato ad aggrapparmi per raggiungere la vetta, in cerca di luce, salvezza… Qualcuno che potesse afferrarmi saldamente la mano e salvarmi.
 
- “ Scott… “ – sussurrò improvvisamente mentre mi fissava intensamente negli occhi.
 
Corrugai momentaneamente il volto in un’espressione perplessa, probabilmente in attesa che continuasse ciò che aveva intenzionalmente iniziato, e così fu.
 
“ Scott, Scott Wallis. Questo è il mio nome. “ – continuò, senza un lieve indugio, e senza interrompere l’intesa focosa e nettamente combattuta fra i nostri sguardi, un vortice in costante mutamento.
 
“ Molto probabilmente ho passato un’infanzia molto più difficile della tua ed è proprio per questo che ti ho asciugato la lacrima: non posso sopportare di dover vedere qualcuno abbattersi così per ‘ tragedie ‘ avvenute nel passato, un ricordo che oramai non ci appartiene più. Se n’è tutto andato ora e la cosa migliore che possiamo fare è impedire che quello accaduto si ripeta di nuovo. E soprattutto non bisogna starsene lì a piangerci sopra come se fosse per sempre presente: basta, cazzo! È tutto finito, ora! Il presente è nelle nostre mani in questo momento e possiamo trascorrerlo per agevolare al meglio il nostro futuro! “ – gridò infuriato, causandomi un leggero briciolo di colpevolezza per essermi lasciata sopraffare, per l’ennesima volta, dalle mie sofferenze infermabili, custodite in uno scrigno passato e oramai già lontano.
 
“ È questo quello che vuoi? Cadere in un buco ancora più profondo di te e continuare a sprofondare nella pece? Mi dispiace, ma io ho deciso di affrontare i miei soprusi in modo differente, e anche tu dovresti fare lo stesso se non v- “
 
“ Cosa ti è successo? “ – mi azzardai a domandare inaspettatamente, chiaramente ansiosa che Scott rivelasse completamente ogni minimo particolare di sé, compreso l’insignificante.
 
Trascorse qualche secondo nell’imbarazzo più totale, in cui questi ghignò maliziosamente per poi schiarirsi ulteriormente la gola, in procinto di proseguire.
 
“ Girano tante, troppe voci su di me e fidati che la maggior parte di esse non sono altro che frutto di false menzogne spiaccicate dalle solite teste vuote. Una di queste è Duncan e sicuramente, conoscendolo meglio delle mie tasche, sono profondamente certo che non si farebbe il minimo scrupolo per diffamarmi ancor più di quello che son già. C’è anche da dire, però, che in fondo siamo fin troppo simili e che anche io mi diverto a minacciarlo, a mio volta, attraverso le persone che ha più a cuore. “
 
“ Non credevo Duncan avesse delle persone ‘ a cuore ‘ … “ – sbiascicai, naturalmente corrugata da quel discorso da brividi, così tanto che iniziai a tremare incessantemente dal forte e rammaricato rancore.
 
“ Già, ma a quanto pare la mora blu notte dal viso pallido è riuscita a far breccia nel suo cuore di pietra… Chi se lo sarebbe mai aspettato, in fondo erano dei semplici scopamici. Stranamente, però, dopo che sei arrivata tu, le cose sono fortemente cambiate fra loro, quasi come se per Duncan significassi molto di più di una semplice ragazza da bullettare. Non credi anche tu? “
 
Che assurda idiozia… Come se Duncan fosse realmente capace di provare dei veri sentimenti nei confronti di qualcuno, specie per colei che ha così tanto fatto soffrire…
No, no e no, senza alcun’ombra amara, di incertezze o disonestà.
 
“ Come puoi arrivare a dedurre un’ipotesi del genere dopo i lievi accenni di cui ti ho parlato? “ Quelli sarebbero certamente dovuti bastare per farti cap- “
 
“ Perché ti vuole ancora? Perché pensi abbia pagato colui che detesta di più al mondo per cercarti e portarti da lui? Mi pare ovvio che ti desidera, almeno un po’, altrimenti diciamocelo, non ti avrebbe scopato con devota passione in un locale sporco e trasandato e neppure ti avrebbe permesso di fuggire. E da quanto mi pare di capire ha anche affievolito – o almeno in parte – la sua folle e maniacale rabbia per curarti e sostenerti, lasciandoti prendere le decisioni che logicamente ti spettavano. È anche vero che si è comportato da vera belva, senza il minimo ritegno, e secondo me non merita affatto il tuo perdono, sempre se lo desideri davvero. Nonostante tutto non puoi fare a meno di chiederti che cosa provi realmente nei tuoi confronti… “
 
Scott, con mio amaro risentimento, non si sbagliava affatto riguardo certi aspetti.
 
Mi aveva picchiata, stuprata e abusata a suo completo piacimento ma, dopodiché, mi aveva anche aiutata e medicata,  addirittura ospitata nel suo letto pe riposare, segno che probabilmente le sue invisibili e inesistenti scuse e apprensioni stavano, poco a poco, riaffiorando docili e consuete.
Certo, non sarei mai stata in grado di perdonarlo e men che meno desideravo rivederlo ancora un’altra volta in quelle sgradevoli e rivoltanti fessure, colme d’ira e pura malvagità; però c’era da ammettere che qualcosa per me lo provava seriamente.
Lussuria, attrazione, malizia…
Sicuramente emozioni instabili e facilmente tramutabili, le quali avrebbero potuto trasformarsi in ben altro da un momento all’altro.
Dunque, l’unica scorciatoia di indiscutibili pensieri e altrettante riflessioni mi portò ad una sola e inconfutabile verità: le false e astratte sensazioni che Duncan sembrava ‘ provare ‘ per me. Un continuo errare alla ricerca di qualcosa che ben presto si sarebbe dissolto pienamente nel nulla, diventando inesistente dinanzi i suoi occhi accecati dall’oscurità nera e cupa.
Ello, con altissima probabilità, percepiva una fitta attrazione fisica verso di me, vincolo che lo aveva spinto a violentarmi senza alcun segno di pietà, devastato da complice lussuria e ferocia; ma nonostante ciò continuava a disprezzarmi come ad un tempo, buio e malinconico, nel quale mi offendeva molto pesantemente , picchiandomi e causandomi lividi e cicatrici indelebili, accompagnati da mille ricordi altrettanto incancellabili. Essi si sarebbero ripercossi con traumatiche e sconcertanti conseguenze sulla mia vita, e tutto questo perché, secondo il suo incomprensibile bipolarismo maniacale, venivo considerata una ragazza che non era mai riuscita a godersi a pieno i piccoli momenti di felicità di una vita leggiadra e spensierata. Una ragazza a cui era stato concesso tutto: amore, ricchezza, futuro…
Ma quale amore? Quale ricchezza? E quale futuro? Se tutto quello che mi aveva provocato era perfidia, agonia e piena riluttanza? Come avrei potuto trascorrere profondamente ogni singolo istante felicemente se tutto il tempo passato veniva convulsamente gettato in un groviglio di infiniti abusi e dissidi interiori?
 
-“ Scott, puoi pensare quello che vuoi… Ma io non lo voglio più vedere, mai più. E se è come dici tu, ‘ devi sopravvivere’, permettimi di fornirti assistenza. Ti aiuterò, in qualche modo… Ma io non voglio più averlo nella mia vita, l’ha già rovinata abbastanza e oramai i pilastri più importanti della mia infanzia sono stati consumati perfidamente dalla sua cattiveria animalesca. “
 
Attesi una risposta in un’espressione del tutto indifferente che fortunatamente non tardò ad arrivare.
 
-“ No. Non ho bisogno di aiuto. Se è ciò che desideri ti lascerò stare, anche perché in fin dei conti è ciò che ti meriti. Questo purtroppo l’ho appreso solo in questo preciso istante, semplicemente standomene qui ad ascoltarti. Spiandoti per quasi un mese intero non mi è affatto servito per conoscerti sufficientemente, e fino a poco fa il fatto di non riuscire a vederti come ora ne era la prova vivente. E poi, se odi così tanto Duncan, forse dovrei provare a conoscerti meglio. Che dici? “
 
-“ Dici seriamente? Mi lascerai andare? E il tuo accordo che fine farà? Non avrai dei problemi? “
 
Rimasi completamente spiazzata, visibilmente scioccata. Per quanto ne sapevo, era stato il primo ragazzo in assoluto ad avermi trattato con almeno un po’ di rispetto, escludendo la palpata vergognosa di prima, ovviamente.
Non mi aveva offeso, nemmeno un piccolo accenno a critiche durante il mio racconto quasi irreale e soprattutto niente violenza, abusi, lividi o botte agghiaccianti. Solamente un intero ascolto attraverso il proprio subconscio e anche la mente, alla pari di una pietra di ghiaccio forse, in grado di colpirmi, ma non per farmi del male, se non stimolarmi a combattere, ad essere pienamente forte e autoritaria, una guerriera invincibile e resistente al dolore.
Un uomo dal passato intricato e profondo, ma dal carattere gelido e sereno, dolce e inquietantemente gentile – a modo suo, senza alcun’ombra di dubbio. –
 
Dopo anni e anni trascorsi in solitudine avevo finalmente trovato qualcuno che forse era riuscito a capirmi veramente.
 
“ Non ti preoccupare per me. Me la caverò. Ora pensiamo a te. “
 
 
 
 

 
 
 
Ehilà!
Questo capitolo era già pronto da sabato, ma sono riuscita a pubblicarlo solamente oggi!
Purtroppo ora sono inondata di verifiche ed interrogazioni, non so quando avrò la possibilità o il tempo di scrivere ( teoricamente in due settimane massimo dovreste riuscire a leggere il nuovo capitolo, parlo del 12! )
 
A presto! ♡
 
P.S. Grazie infinite per la pazienza e le bellissime recensioni che mi lasciate Le recensioni sono sempre ben accolte !
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 12
*** Pinnacle ***


Capitolo 12 : Pinnacle
 
 


Camminavo a passi spediti nell’oblio inconfutabile dei miei pensieri intricati, mentre con la coda dell’occhio scorgevo  la figura di Scott in lontananza, oramai all’apice dell’orizzonte. Ridotta quasi come uno straccio sporco e consumato, tentai di raggiungerlo con estrema fatica, ma non appena riuscii ad individuarlo nuovamente, constatai  che si trovasse di già in fondo alla lunga ed estesa prateria, una ragnatela di fitte e pungenti erbacce ambrate.
Quasi miracolosamente trattenni un urlo di disapprovazione e nel frattempo il ragazzo scaltro si voltò fugace verso la mia direzione puntandomi istericamente un dito contro, accennando ad un gesto nervosamente infastidito che mi intimava di sbrigarmi. Deglutii rumorosamente e cominciai a correre veloce come il vento, attraversando l’immensa distesa di prati costellata da numerosi rami laceranti; difatti, non appena riuscii nell’impresa audace, notai enormemente ripugnata i miei jeans completamente inumiditi dalla rugiada e leggermente strappati verso le estremità. Quella visione sconcertata e indubitabilmente disgustosa dei miei pantaloni mi costrinse a rivolgere un’occhiata omicida e nettamente carica d’odio verso colui che mi aveva obbligata malamente a seguirlo – oltre al fatto di non poter spiaccicare nemmeno una parola durante il tragitto. –
 
- “ Ecco, grazie tante per avermi fatto attraversare quel lerciume di feccia e fango. Ora guarda in che condizioni sono ridotte le mie braghe. “ -
 
« Smettila di frignare come una bambina viziata e seguimi. C’è ancora molta strada da fare. »
 
- “ In che senso c’è ancora molta strada da fare? E poi vuoi spiegarmi dove mi stai portando? L’hai detto tu che mi avresti lasciata andare, quindi perché dovrei obbedirti? “
 
Attesi fermamente una risposta che purtroppo tardò ad arrivare e nel mentre mi balenarono per l’anticamera del cervello le ultime parole rivelate da Scott… “ Ora pensiamo a te ”…
 
« Non posso di certo liberarti così facilmente di me, pretendendo che non sia accaduto nulla. Duncan lo verrà sicuramente a sapere e cercherà comunque di trovarti, anche se per conto suo. »
 
- “ E quindi? Che intenzioni hai? Questo vuol dire che dovr- “ -
 
« Ferma… Lasciami riflettere in santa pace e non osare più aprire quella dannata bocca. » mi intimò visibilmente scocciato, quasi come se fosse sul punto di perdere ogni briciolo di ragione ancora presente in sé.
 
Pertanto, colta pienamente in flagrante, non azzardai minimamente a proferire alcuna parola, evitando addirittura di far scivolare distrattamente dalla lingua qualcosa di poco carino nei suoi confronti. Semplicemente rimasi sottostante ad un religioso silenzio, a dir poco raccapricciante.
 
 
Passò faticosamente qualche manciata di minuti e già non ne potetti più di essere succube dei miei pensieri sprezzanti sul conto del rosso che si stavano facendo strada nella mia mente, oramai offuscata dalle migliaia di riflessioni su ciò che stava realmente accadendo. Inoltre, anche la camminata stava cominciando a farsi sentire: potevo constatare, senza il minimo dubbio, che le mie gambe ben presto avrebbero ceduto, barcollando meticolosamente a terra; ero distrutta e ovviamente affaticata.
Non credevo avrei potuto resistere ancora per molto, necessitavo prontamente di coricarmi da qualche parte e lasciarmi accogliere dal sonno soffocante che a poco a poco stava divorando ogni singolo muscolo del mio corpo.
 
- “ Q… Quando manca ancora? “ - sbiascicai con respiro pesante e affannato, volgendo lo sguardo verso la figura docile e inaspettatamente agile di Scott farsi strada fra le numerose foglie che ricoprivano il suolo freddo e ghiaioso, sgattaiolando come una volpe.
Stavamo percorrendo un fitto bosco ombroso e indubbiamente terrificante, che mi fece ricordare terrorizzata un film horror visto qualche tempo fa.
 
« Ti avevo esplicitamente detto di non parlare. »  mi rivolse gelido come la morte senza nemmeno voltarsi, ma continuando invece a camminare, del tutto indifferente.
 
Ma guarda te questo. Come si permette solamente di rispondermi così?!
Ora basta.
Mi fermai improvvisamente, serrando i pugni con forza disumana e rimasi lì in attesa che si accorgesse della mia azione furibonda.
 
- “ Sono esausta, dannazione! Possiamo fermarci almeno per dieci minuti?! “ - domandai con voce stridula e vibrante, irrigidendo svogliatamente le spalle con lieve rancore per la reazione che avrebbe potuto avere in serbo conseguentemente.
 
Sfortunatamente però, non avrei potuto in ogni caso rispondere con tono più gentile e decisamente meno scontroso,  il mio comportamento tenace e chiaramente testardo mi impediva di agire diversamente.
 
Perciò, per qualche insulso istante stette lì inerme e scrutarmi odiosamente, come se desiderasse ridurmi in cenere da un secondo all’altro, probabilmente bruciandomi viva senza alcun timore.
 
« E sia. Dieci minuti. »
 
Non appena quelle parole riecheggiarono potentemente attraverso i miei timpani, corsi entusiasta a sedermi su una roccia prettamente liscia in superficie, sulla quale mi accasciai orgogliosa e naturalmente soddisfatta. Non a caso avevo deciso di bloccarmi proprio in quel preciso tratto del percorso: non appena avevo scorso quell’invitante posto sul quale avrei potuto assestarmi momentaneamente, non mi ero posta alcuno scrupolo nel cogliere a pieno l’occasione, sfidando Scott senza neanche pensarci due volte.
 
- “ Beh, dato che abbiamo un po’ di tempo potresti raccontarmi come vi siete conosciuti tu e Duncan. Anche dirmi il tipo di convivenza che hai con lui non sarebbe una pessima idea… “ -
 
« Non ti arrendi, eh? Hai rotto i coglioni per tutta la strada per fermarci neanche ora che ti ho accontentato vuoi stare zitta ? Pff… Vedi di non chiedere dell’altro o potresti farmi arrivare al limite della pazienza. È un avvertimento. »
 
- “ M… Ma si può sapere che ti prende? Volevo semplicemente parlare un po’ con te, non possiamo trascorrere tutto il viaggio senza neanche rivolgerci la parola, non credi? E poi, se hai deciso di schierarti dalla mia parte “ - inspirai nervosamente una gelida ventata d’aria autunnale - “ forse un pochino ci tieni… “ -
 
I miei occhi incrociarono i suoi, osservandoli profondamente con riservata cura e attenzioni premeditate, senza osare trascurarli nemmeno per un insignificante scoccar di ciglia.
 
« Chi l’ha detto che non possiamo non parlarci per tutto il tempo? » rispose senza l’ombra di sarcasmo per poi sospirare silenziosamente.
 
« E poi non si tratta di schierarsi da una parte o dall’altra… Duncan è un figlio di puttana, e su questo non ci sono dubbi. Crede che comportandosi con superiorità e picchiando gli altri fino alla morte – quindi uccidendoli –debba essere trattato con massimo rispetto. Ma è proprio qui che si sbaglia, quel lurido pezzo di merda. Certo, ha condotta la sua insulsa esistenza commettendo azioni macabre e scandalose, finendo perfino in carcere. Ciò potrebbe farlo apparire come uno spietato ed insensibile assassino dagli occhi di molte persone, ma a me non sorprende affatto; in realtà si tratta solamente di un ragazzo idiota senza un briciolo di intelligenza  e sana ragione. Ecco spiegato del perché potrebbe benissimo aver perso non solo il cervello per strada, ma addirittura la conoscenza, il suo cuore… La sua umanità. »
 
- “ Non potrei essere più d’accordo con questo. “ - affermai pienamente sicura di me e nel frattempo dei leggeri brividi di paura percossero la mia schiena inevitabilmente scombussolata al solo ricordo del punk.
 
« L’unica persona alla quale era riuscito ad avvicinarsi – forse – era Gwen, ma devo dedurre che si trattasse di un’insignificante compassione da parte di entrambi; la ragazza è sempre stata vicina a lui, nonostante tutto, perché ovviamente è il suo amore ‘segreto’ da una vita intera e Duncan di conseguenza deve aver instaurato qualche tipo di sentimento nei suoi confronti, spingendolo nelle braccia dell’unica persona che ci tenesse davvero. »
 
Si concesse una brevissima pausa per respirare lievemente e dar vita interiore a tutte le riflessioni scagionate spontaneamente dal suo subconscio.
 
« Duncan è disgustoso, rivoltante, fa venire il volta stomaco. Sappi che non sei né la prima a subire abusi da parte sua per un periodo di tempo incessante e probabilmente non sarai neanche l’ultima. »  mi rivelò mentre i suoi occhi si colmarono di rabbia infuocata.
 
« Lui si diverte così, torturando le sue vittime fisicamente e psicologicamente, osservandole soffrire divertito nell’agonia e nel tormento più feroci possibili. Sono fermamente convinto che soffra di qualche disturbo mentale, poiché qualsiasi persona con questo comportamento a dir poco disumano non può di certo essere ritenuta sana. »
 
Mentre registravo cautamente ogni singola parola di Scott non mi accorsi che fino a qualche istante prima avevo inconsciamente smesso di respirare, evidentemente fin troppo presa dai suoi discorsi maledettamente sensati ma chiaramente lugubri e raggelanti.
Non c’era altra via che potesse condurre ad un’altra soluzione o che promettesse un eventuale ragionamento fondato. Duncan era esattamente ciò che Scott diceva essere… La descrizione di un mostro perfido ed intricato, indecifrabile all’esterno, incomprensibile dentro, ripugnante da entrambe le prospettive.
 
- “ Scott… So che non vuoi che faccia domande così azzardate. So di avertelo chiesto già un milione di volte, ma proprio non ce la faccio a proseguire senza alcuna risposta, cosicché da ritrovarmi tempestata da altrettante milioni di domande… Perché fai questo? “ -
 
Talvolta non avevo niente da perdere. E come sempre, il lume di speranza in me era sempre l’ultimo ad affievolirsi e dissolversi nel nulla.
 
« Sei insistente, eh? Ti accontento subito, allora. »  rispose con tono pateticamente malizioso, prima di avvicinarsi pericolosamente a me.
 
Raggelai all’istante e non ebbi nemmeno il tempo di alzarmi per controbattere che questi si precipitò bruscamente di fronte, afferrandomi aggressivamente i polsi per forzarmi in piedi con occhioni terrorizzati. Dopodiché li strinse con forza sovrumana e le sue unghie andarono a conficcarsi ferocemente sulla mia pelle fragile e sensibile; subito dopo iniziarono a scavare insensibili dentro la carne vulnerabile, provocando un bruciore allucinogeno come fossero carta vetrata.
Iniziai a gemere in preda al panico e pregai mentalmente che l’agonia finisse il prima possibile, mentre però Scott continuava la sua avida e allucinante tortura, forse con l’intento di avvicinare il suo corpo al mio.
 
« Dimmi cosa provi, proprio in questo preciso istante. »
 
Annaspai faticosamente nell’inutile tentativo di liberarmi dalla qua presa dolorosa e insopportabile, provando quindi a divincolarmi disperata e tirando calci qua e là, i quali ovviamente andarono a scontrarsi solamente contro l’aria passeggera.
 
- “ F-fa m-male… Ah-h! “ -
 
Bastò quella breve affermazione per far sì che le sue mani fredde e decisamente laceranti abbandonassero i miei polsi tenuti stretti saldamente, oramai adornati da un vasto numero di graffi iniettati di sangue. Istintivamente mi accasciai al suolo tentando amaramente di trattenere le lacrime che stavano per riversarsi copiosamente a terra.
Pian piano mi affrettai a massaggiare i polsi violacei per provare a concedermi almeno un briciolo di sollievo mentre Scott era intento a scrutarmi impaziente dall’alto al basso. Tale gesto mi portò ad abbassare svogliatamente lo sguardo, consapevolmente rammaricata e delusa dal suo comportamento impensabile.
 
« Ecco, vedi… È così ogni maledetta volta. Il solo fatto di poterti immaginare ridotta in una situazione simile a questa – se non peggiore – mi irrita molto, moltissimo. E se devo anche pensare al fatto che tu sia stata abusata da quel verme mi fa andare letteralmente fuori di testa. Io non ti conosco, però conosco fin troppo bene lui ed è per quello che ha fatto subire agli altri che voglio fargliela pagare cara. »  rivelò pervaso completamente da una fitta e tempestosa rabbia, come se potesse scagliare saette focose e incandescenti da un momento all’altro.
 
« Ricordi quando ti ho detto che avevo accettato il compito da lui assegnato per ‘sopravvivenza’? Beh, non so cosa tu abbia compreso riguardo la parola in sé, ma la mia sopravvivenza è la mia vendetta nei suoi confronti. Il motivo per cui ho accettato l’incarico era per osservarti attentamente, constatando così che fossi la persona adatta, la ragazza ideale… » mi sussurrò con estrema convinzione e sicurezza, gesto che mi inondò di  dolce fiducia nelle parole appena sbiascicate.
 
« Una come te, che è stata succube di tale disumanità, non desidera ardentemente vendicarsi per tutto ciò che ha passato? Non vuoi forse che Duncan venga finalmente gettato in pasto alle belve per tutto quello che ha combinato, senza mai voltarsi le spalle? »
 
Per qualche inspiegabile motivo quel ragazzo era riuscito ad assecondarmi pienamente, abbandonandomi interamente a lui, lasciandomi guidare poi dai suoi pensieri colmi di euforia e contrastante ferocia interiore.
Era la prima volta che conoscevo qualcuno che condividesse apertamente le mie stesse idee riguardo quel perfido e malvivente di un mostro, con cui ora avrei avuto l’occasione di farmi prevalere una volta per tutte, dopo aver mantenuto secoli con il capo chino, trascorrendo l’interminabilità delle mie sofferenze riversando lacrime soffocate. Senza contare che giorno dopo giorno ogni piccolo strato della mia pelle, a poco a poco, si intingeva di un viola intenso e indelebile, che nel tempo si sarebbe esteso fino a colmare ogni singola parte del mio corpo così indifeso.
Non mi sarei lasciata sfuggire un’occasione del genere, la quale avrebbe potuto frantumarsi non appena dietro l’angolo.
 
- “ Sì, lo voglio. “ - affermai scrutandolo profondamente in quelle pozze ombrose e trasparenti come uno specchio d’acqua.
 
« Bene. Allora vieni via con mee ascolta ogni singola cosa che ti dico, è per il tuo… Il nostro scopo. Non preoccuparti per la casa, la scuola, il lavoro… Penseremo a tutto una volta arrivati da me. »
 
- “ Da te? Hai una casa anche tu? “ - domandai balbuziente.
 
« Come sarebbe a dire se ho una casa anche io? Ovvio che sì, e sarà meglio per entrambi raggiungerla il più velocemente possibile, prima che inizi a piovere e il sole tramonti definitivamente. Si è già fatta una certa ora e non ne posso già più di doverti stare dietro. Avanti, muoviamoci. » sputò con  pizzico di aggressività, prima di dirigersi verso di me per afferrarmi gentilmente i polsi feriti.
Li accarezzò con dolcezza indecifrabile e allarmante e dopodiché afferrò da entrambi i lembi la sua canotta grigia, li tirò prepotentemente e ottenne fra le mani un pezzo di stoffa strappato e lievemente stropicciato.
Me lo porse con sguardo indifferente, nonostante il suo gesto fosse tutt’altro che indifferente, e mi suggerì di utilizzarlo per bendarmi i graffi infiammati di dolore. Così feci e mi fasciai con cura e rigorosità ogni parte di pelle lacerante, emettendo ogni tanto qualche gemito per via del bruciore ancora sussistente.
 
- “ Grazie Scott. “ - risposi garbatamente, senza però ricevere alcuna risposta.
 
Invece, egli inizio ad incamminarsi verso le colline osservabili sull’orizzonte, dove il sole oramai si stava nascondendo prontamente, lasciando un luogo ombroso e inquietantemente tenebroso; dopotutto ci trovavamo in un bosco sperduto nel bel mezzo di prati e campi, completamente soli.
Pertanto, al solo pensare di dover trascorrere una notte lì da sola, mi affrettai a raggiungere Scott, standogli costantemente alle costole per non perdermi e rischiare di finire in guai grossi.
 
 
 

 
 
- “ Si può sapere quanto tempo ci sta mettendo quel cazzone? Ne ho le palle piene di doverlo continuare ad aspettare. “ -
 
« Stai tranquillo, sono certa che stia svolgendo il suo lavoro nel migliore dei modi. Dagli ancora un altro po’… In fondo poi, lui è uno che sa mantenere la parola, o quasi sempre… »  sussurrò la mora con un filo di voce dolce, tale da apparire indubbiamente stomachevole, raggelando ogni singolo arto del mio corpo dal disgusto.
 
- “ Vaffanculo! Ho aspettato fin troppo e vedi di non sparare cazzate simili in mia presenza, chiaro? Lo sappiamo entrambi che quel figlio di troia se la gioca a modo suo, arrivando addirittura a fregarmi se serve… Non permetterò che accada, che osi solo sfidarmi o imbrogliarmi e gli spezzo tutte le ossa, una ad una. “ -
 
Una rabbia culminante iniziò a pervadermi dal profondo, invadendo ogni angolo della mia mente senza lasciarvi nemmeno un rivolo di autocontrollo.
Ero incazzato nero.
Ed ero preoccupato per quello che sarebbe potuto accadere se Scott avesse deciso di agire diversamente dai piani prestabiliti, comportandosi da disprezzante testa di cazzo, quale era.
E cosa più importante, detestavo dover pensare si doverla rivedere ancora una volta. Quella ragazza così tenace e combattiva, di cui non mi sarei sbarazzato così tanto facilmente. E lei non se ne sarebbe andata così liberamente dalla mia vita. Oh no.
 
Ti aspetto presto, Courtney.
 
 
 

 
 
 
Hola!
 
Come state, miei cari lettori? Lo so, probabilmente vorreste uccidermi per aver pubblicato così tardi, ma vi posso assicurare che le settimane trascorse non sono state per niente facili, sia per lo studio, che per la famiglia, amici, ecc.
E proprio quando ero riuscita a completare la stesura ( di martedì ), mio padre ha portato il computer nel suo ufficio, impedendomi la pubblicazione.
 
E inoltre non volevo nemmeno che questo fosse un capitolo di passaggio, desideravo molti più colpi di scena… Così ho pensato di darvi un assaggio alla fine, rendendo almeno un po’ movimentata la storia.
Il prossimo capitolo dunque avrà qualcosa di nuovo… Chissà… Forse il ritorno di qualche personaggio?!

A presto ragazzi, e ricordatevi di esprimere apertamente le vostre opinioni con RECENSIONI, che sono sempre ben accolte !!!
 
A presto ♡
 
P.S. Ci tenevo a farvi sapere che ho avuto problemi con il nick. Ho cambiato username e sono passata da shdowhunter a cioccolatino !
 
 
 
 

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Capitolo 13
*** Sfumature Di Luci E Ombre ***


Capitolo 13 – Sfumature Di Luci E Ombre
 
 
Raccolsi l’ultima margherita profumata nel praticello verde del retro della mia scuola, mentre, all’interno dell’istituto grigio e melanconico, la campanella riecheggiò in ogni angolo dei corridoi intricati come un labirinto, pervadendo ogni aula sovrastata da studenti, arrivando addirittura al mio sensibile timpano, nonostante mi ritrovassi fuori dall’edificio.
Come un automa mi alzai bruscamente e afferrai la cartella di scuola sommersa di libri, carte stropicciate, pastelli qua e là e fiori secchi e svolazzanti. Porsi un ultimo sguardo all’incantevole paesaggio costellato di meravigliosi fiori primaverili, il quale mi ricordava profondamente un luogo di campagna leggiadro e felice, distante miglia e miglia dalla società consumista e degradata in cui risiedevo infelicemente, pervasa da costanti tormenti e afflizioni. Dopo aver trascorso qualche minuto dinanzi tale visione paradisiaca, mi venne in mente la vera ragione per cui  avrei dovuto sbrigarmi e , senza alcun indugio, cominciai a correre veloce come una saetta, con l’unico scopo di raggiungere al più presto il cancello principale d’uscita.
Corsi, corsi e corsi, con una forza completamente disumana e feroce, e contemporaneamente tentai di scandire equilibratamente ogni passo a terra, in modo tale da permettermi di respirare autonomamente.
Non appena scorsi la mia via di fuga a pochi metri, la mia bocca si inarcò in un sorriso pienamente soddisfatto, che però non ci mise molto a ricomporsi nuovamente in un’espressione inconfutabilmente preoccupata e terrorizzata.
 
- “ Hey, zoccoletta. Dove credi di scappare? “
 
Mi bloccai istantaneamente, consapevole del fatto che scappando sotto i suoi occhi non mi avrebbe promesso nulla di buono, men che meno la salvezza.
 
- “ Oh, ma non mi dire. La puttana spagnola stava raccogliendo quegli stupidi fiorellini nel cortile… “
 
Rimasi completamente immobile, mentre tentai volutamente di impedire, a delle lacrime amare di risentimento, farsi strada sulle mie guance accaldate dalla corsa.
 
- “ C-cosa v-vuoi, Duncan? “ – annaspai visibilmente spaventata e tremante come una foglia.
 
- “ Nah, niente di che, sai. Come al solito, come solo io e te sappiamo. “ – proferì il mio incubo peggiore mentre, a passi scaltri e decisi, si avvicinava pericolosamente al mio corpo esile e in fiamme.
 
- “ No, Duncan… Oggi proprio non posso, ho un’importante l-lezione di violino e… E poi ho anche d-disegno… Ti prego, possiamo fare un altro giorno? “ – lo implorai impietrita, con la speranza che per questa volta acconsentisse a tale proposta.
 
Che illusa che ero. Non avrebbe mai e poi mai preso gli ordini di colei che si divertiva tanto a discriminare.
 
Questi, difatti, si lasciò sfuggire una risata intrisa di odio e divertimento puro, cosa che mi ferì profondamente, anche per il fatto di non avermi preso seriamente.
 
- “ Non fare tante storie, piccola. Credi che io abbia tutta la giornata a disposizione? Avanti, muoviti! “–mi rispose afferrando aggressivamente la mia cartella dalle mani e posizionandola verticalmente, rovesciando sull’asfalto gelido e sporco tutto il materiale scolastico, tutti i disegni ben impacchettati, tutti i fiori delicatamente incartati.
Dopodiché, scaraventò lo zaino vuoto in un angolo e cominciò a calpestare tutte le mie cose senza alcun rimorso, con divertita ferocia e violenza.
Senza pensarci due volte, mi parai di fronte a lui spingendolo a terra rabbiosamente e successivamente mi chinai a terra a raccogliere tutti i miei scrigni segreti, custoditi con massima cura e amore. Sfortunatamente non molto era riuscito a salvarsi, mentre il resto era completamente calpestato, strappato, sporco di impronte e terra fangosa, completamente distrutto.
Fu inevitabile che le mie lacrime iniziassero a scivolare tristemente lungo il volto e riversarsi velocemente a terra. Una fitta atroce e malinconica mi pervase istantaneamente e por poco non scoppiai letteralmente in un oceano di pianto isterico e infermabile.
 
- “ C- che cosa hai fatto?! Che accidenti hai fatto! I miei d-disegni… “ – mi bloccai singhiozzando impassibile come se potessi morire d’infarto da un momento all’altro – “ Come hai potuto?! “
 
Non ricevetti alcuna risposta e pertanto continuai a giacere sommersa di disperazione e incolmabile strazio a piagnucolare sui miei tanto venerati capolavori, ora andati tutti in frantumi, per via di quel moccioso insensibile e spietato nei miei confronti.
 
- “ Piantala di frignare, non erano poi un granché. “ – sbiascicò mentre si rialzava da terra strofinandosi i pantaloni sporchi e dirigendosi verso di me, con fare enormemente infuriato.
 
- “ E ora alzati immediatamente. Brutta stronza, come cazzo ti sei permessa di toccarmi? Oh, questa volta non te la farò passare liscia… “
 
Improvvisamente mi afferrò saldamente per un polso, attirandomi inevitabilmente a sé e , dopodiché, estrasse dalla tasca dei jeans un accendino.
Mi scaraventò brutalmente sull’asfalto duro e freddo, il cui solo contatto forte e lacerante mi causò un dolore allucinante alla nuca e alla schiena, coperta solamente da una maglietta in cotone, leggera.
Restai lì immobile, osservandolo con occhi presumibilmente spaventati mentre questi si posizionò sopra di me, bloccandomi nuovamente le braccia a terra. Tale gesto mi provocò una serie di brividi lungo il corpo, poiché ero a dir poco scandalizzata da quello che ,ben presto, sarebbe accaduto.
Il punk accese l’oggetto e lo avvicinò cautamente a una delle mie mani imprigionate dalla sua possente presa, incapaci di liberarsi autonomamente. Altre lacrime uscirono inconsciamente e il mio cervello si impose di non opporsi per evitare di far scaturire altra rabbia in quel ragazzaccio perfido e infinitamente malvagio.
Scrutai, con la vista lievemente offuscata da gocce salate a da dolori incessanti lungo determinate parti del corpo ingrovigliate, la fiamma incandescente avvicinarsi sempre di più al palmo della mia mano, fino al momento fatidico in cui quel barlume giunse definitivamente a contatto con la mia pelle, oramai già in fiamme.
 
- “ No, no, Duncan, per favore, ti supplico, non farlo, ti prego, ti prego! No, no, non puoi farmi questo, no! “ – lo supplicai in preda alla disperazione e all’angoscia più intensa e spregiudicata, finchéil fuoco ardente e bramoso andò a scontrarsi ferocemente contro la mia pelle soffice e sottile, cominciando a bruciarla violentemente come carne da macello.
 
 
 

 
 
 
Mi svegliai improvvisamente, interamente madida di sudore, chiazze umide e gocciolanti lungo gran parte del pigiama ora sbottonato e stropicciato qua e là. Tentai convulsamente di riprendermi dall’incubo appena sognato, o meglio dire, dal ricordo tenebroso e inquietante verificatosi anni fa, quando ancora frequentavo la scuola media, quando ancora avevo solamente undici anni, quando dovevo ancora realizzare alla marea di sofferenza e solitudine che mi sarebbe venuta incontro.
Dopo qualche minuto, trascorso sulla soglia del letto a grattarmi nervosamente la fronte corrugata e pulsante, sentii una porta aprirsi e chiudersi rapidamente con un tonfo sonoro e vibrante. Non appena mi voltai, intravidi Scott in piedi, intento a scrutarmi con occhi interrogativi, presumibilmente preoccupati.
 
- “ Ti ho sentita gridare… Che succede? “
 
- “ Nulla… È stato solo uno stupido sogno… “ – ribadii con sguardo assente e frammentato dai vari ricordi d’infanzia.
 
- “ A me non sembrava solo  uno stupido sogno… Avanti, cosa c’è che non va? “ – spiaccicò con calma disarmante e quasi inquietante, mentre si avvicinò cautamente al letto, sedendosi affianco a me, per poi avvolgere gentilmente un braccio attorno alla mia vita.
 
- “ Davvero, non è niente. È ovvio che c’entri sempre lui, ma non può tormentarmi anche nel mondo dei sogni, giusto? “ – domandai rammaricata e giammai rassegnata a dover portare questo dissidio interiore all’interno del mio cuore, per il resto della mia miserabile vita.
 
- “ Non agitarti. Quello stronzo non riuscirà a rovinare anche la tua, di vita “ – mi intimò non appena la sua presa sui miei fianchi si fece più intensa e affettuosa – “ fidati di me. “
 
E fu proprio lì che persi ogni contatto con la realtà.
 
Non ebbi più la pallida idea di quanto tempo passò, l’unica cosa che mi importò allora fu rimanere abbracciata a Scott e lasciarmi cullare dolcemente come se fosse la prima volta in assoluto.
La cognizione del tempo andò a farsi fottere, e così anche i miei tormenti infernali e laceranti.
 
 

 
 
Fui nuovamente svegliata da un intenso spiraglio di luce, il quale riuscì a sgattaiolare all’interno dei fori delle persiane, portandomi dunque a chiudere, in un lieve istante, gli occhi infastiditi e ancora assonnati.
 
- “ Andiamo, Courtney! Svegliati, dai! Sbrigati, o finiremo nei guai! “
 
Cominciai a combaciare ogni tassello con il mondo reale, abbandonando definitivamente i sogni in cui mi stavo sommergendo meravigliosamente fino a qualche minuto prima.
 
- “ Mmh… Scott? C-che cosa stai dicendo? “ – sussurrai leggermente intontita, tentando inutilmente di liberarmi dalle lenzuola ingrovigliate fra le gambe.
 
Sfortunatamente, nemmeno queste ne vollero sapere di lasciare quel luogo così caldo, soffice ed estremamente confortante. E in effetti, io in primis desideravo trascorrere un altro po’ di tempo sotto le coperte soffici e infinitamente morbide.
 
- “ Courtney! Siamo nella merda! Ho trovato sette chiamate perse di Duncan e un messaggio in cui diceva che si sarebbe presentato a casa mia…  A momenti! “
 
- “ Che cosa?! “ –dissi in un batter di ciglia, alzandomi in piedi più rapida della luce, porgendo inoltre un’occhiata sconvolta e chiaramente tesa.
 
- “ Hai capito bene, tesoro. Sarà qua fra pochissimo, dobbiamo trovare un modo per- “
 
Non fece in tempo a concludere la frase che udimmo una porta aprirsi seduta stante, e una figura oscura e robusta apparire dalla soglia.
 
Il mio battito cardiaco si arrestò involontariamente e il mio sguardo si bloccò terrificato sui suoi occhi verde acqua, i quali mantennero la devastante ondata di occhiate da parte mia, ma anche da quella di Scott.
Sapevo che, prima o poi, questo fatidico avvenimento si sarebbe ben presto manifestato, ma purtroppo non mi aspettavo nulla di simile; non volevo che mi rivedesse di nuovo ridotta in uno stato catatonico, soprattutto in compagnia di un altro ragazzo. Desideravo ardentemente di poterlo rincontrare dinanzi a me, in ginocchio, implorandomi di avere un minimo di pietà nei suoi confronti, concessione che non avrei certamente permesso dopo tutte le varie malefatte subite.In quel preciso istante, seppi esattamente di non doverlo più temere, e soprattutto di non esitare ad affrontarlo direttamente, combattendo fino alla sua miserabile ed insignificante sconfitta. Avevo Scott al mio fianco, e, assieme a lui, tanta rabbia, furia, sofferenza, disperazione, un vortice di emozioni differenti e contrastanti fra loro, ma pronte per abbattere il vero nemico.
 
- “ Tu… “ – sussurrai stringendo avidamente i pugni – “ Maledetto bastardo. “
 
- “ E così era proprio come pensavo, sapevo di non potermi fidare di te. Ma non ti preoccupare, Wallis, ho già pensato a tutto e preferisco essere preveniente in queste situazioni. “
 
- “ Non è mai stata una mia intenzione aiutarti. Ho fatto parte del lavoro sporco per i miei soli fini. Non pensare che ti aiuterò in qualche modo… Bene, ora hai visto in faccia la realtà, sai qual è la verità, proprio come avevi pensato, no? E ora sparisci. “ – ribatté con uno sguardo gelido e nettamente intriso di infidia e oscuro odio, pronto ad usare la forza più feroce e selvaggia se fosse stato necessario.
 
- “ Non me ne vado da nessuna parte senza di lei. “ – rispose l’altro, imitando dunque la stessa occhiata impenetrabile e naturalmente spaventosa a sol sguardo.
 
- “ Tu dici? “ – sputò il rosso avvicinandosi verso il punk, in procinto di esplodere internamente dall’ira furibonda più incandescente e focosa che potesse mai manifestarsi in un singolo essere umano.
 
- “ Oh, sì. Lo dico io”
 
E, detto ciò, scoppiò l’inferno.
 
 
Duncan, oramai privo di qualunque briciolo di pazienza in sé, si parò dinanzi la figura di Scott, naturalmente colto alla sprovvista, sferrandogli un pugno in pieno volto. Non ci volle molto perché questi ricambiasse il gesto afferrandogli saldamente le spalle, conficcando violentemente i polpastrelli nella carne, e lo spingesse ferocemente a terra. Un tonfo afono e rumoroso che riecheggiò attraverso le pareti della camera, vibrando potentemente nei timpani storditi e sconcertati.
 
Scott si sistemò sopra il punk, bloccandolo avidamente per i polsi, mentre il suo viso iniziava ad imporporarsi di un rosso penetrante ed accesso, per via del sangue che cominciò a colare dalla ferita scagliata da Duncan. Successivamente, sferrò un medesimo pugno sulla bocca della cresta verde, facendo sfuggire a questi un lieve gemito contradditorio e naturalmente infastidito dal fitto dolore di cui era succube momentaneamente.
 
- “ Pensavi davvero che ti avrei lasciato tormentare un’altra ragazza per i tuoi capricci? “ – sputò il rosso, interamente pervaso da una rabbia omicida e scrutando prepotentemente il ragazzo sottostante nelle iridi color mare.
 
- “ E tu credi veramente di potermi controllare? Di potermi dire quello che devo o non devo fare? “
 
E io in tutto ciò rimasi del tutto immobile, senza nemmeno proferire alcuna parola. Rimasi immobile quando osservai Duncan rialzarsi in un batter di ciglia, scostandosi malamente Scott dalla vita e scagliandolo rudemente contro la parete opposta. Rimasi immobile quando il delinquente si avventò rapidamente sul rosso, colpendolo ripetutamente in un punto ben preciso della testa, fino a quando non perse completamente i sensi. Rimasi immobile, ancora, quando constatai la situazione scandalosa in cui si trovava, ricoperto pienamente di lividi blu e viola, ferite sanguinanti e lievi cicatrici sul volto in parte sfigurato. Rimasi immobile, realizzando che tutto questo era stato causato nuovamente da un mostro insensibile e chiaramente perfido, selvaggio, con un cuore di ghiaccio, destinato a frantumarsi in mille scaglie gelide da un istante all’altro anziché sciogliersi per amore, amicizia, bene.
 
Rimasi immobile, anche quando si voltò svogliatamente verso di me, per poi percorrere piccoli passi verso la mia direzione.
Deglutii rumorosamente e lacrime cariche di risentimento e paura cominciarono a scorrere copiosamente lungo il viso, in preda al panico e al rammarico più totale.
 
- “ Scott… “ – sussurrai piagnucolando, nella speranza che nel profondo potesse ancora sentirmi e accorrere in mio aiuto per salvarmi.
 
Mi sentivo così dannatamente in colpa per averlo coinvolto in questo inferno diramato e notevolmente intricato.
Se solo avesse obbedito al suo subconscio, invece di concentrarsi interamente su di me; probabilmente mi avrebbe condotto da Duncan e per lui non sarebbero accorse nessuna di quelle cicatrici indelebili e nettamente contrastanti contro la sua pelle pallida e costellata di lentiggini.
 
Come mio solito, era tutta colpa mia, ero sempre io la causa di tutti questi avvenimenti ripugnanti e ovviamente travolgenti.
 
- “ Non credo tornerà molto presto da te… “ – sussurrò impercettibile al mio orecchio, e nel frattempo il suo respiro si scontrò contro la mia guancia accaldata e intinta di un porpora accesso e limpido.
 
A differenze del mio viso, però, il mio corpo si raggelò in breve tempo e il mio cuore iniziò a pulsare sempre più freneticamente, colpito da un improvviso colpo di fulmine intenso e lacerante.
Lievi gocce di sudore inebriarono la fronte corrugata in un’espressione estremamente contorta e non confortevole al sol sguardo, mentre le mie unghie si conficcarono nella carne dei palmi delle mani, cominciando a scavare nervosamente al suo interno insensibilmente.
 
- “ Che cosa vuoi da noi?! Lasciaci in pace, per una fottuta volta! “ – gridai completamente fuori di me, come se improvvisamente una forza oscura avesse preso possesso del mio corpo, infliggendoli una notevole quantità di energia e adrenalina pronte a scagliarsi duramente contro chiunque avesse osato contraddirmi o infliggermi qualche sorta di torto interiore e fisico.
 
- “ Non ti lascerò mai stare, mai. Dopo quello che è successo, non potremmo mai percorrere strade diverse, e io non potrò lasciarti andare tranquillo, devo assicurarmi che tu non faccia la spia e non vada a raccontare a nessuno – e men che meno alla polizia – quello che è successo. “
 
- “ Sono passati mesi da quella volta. E io non voglio più soffrire per colpa di un delinquente squilibrato e mentalmente malato, chiaro? Devi smetterla di rovinare le vite altrui come fossero dei giocattoli da usare a proprio piacimento. “ – ribattei tentando inutilmente di affievolire l’incessante rabbia che man mano si stava facendo strada nel mio subconscio instabile e sovrastato da contrastanti sensazioni, le une aggregate alle altre saldamente – “ E se ti può rasserenare, non l’ho detto a nessuno. Non ho detto mai niente a nessuno di tutto quello che mi hai fatto, nonostante stia iniziando a pentirmene. Probabilmente a quest’ora sarebbe finito tutto e io non avrei più dovuto vedere la tua disgustosa faccia per un secondo di più. “ – sbiascicai convinta di aver ottenuto l’ultima parola.
 
Ma mi sbagliai in tutto e per tutto quando il ragazzo mi sbattette aggressivamente contro il muro, il che mi lasciò sfuggire un sottile mugolio naturalmente contrariato. Tentai affannosamente di respirare, ma mi fu quasi completamente inutile poiché le sue mani si cinsero brutalmente attorno il mio collo e cominciarono a stringere sempre più prepotentemente.
 
- “ Attenta a come parli, ragazzina. Non credere ti poter fare quello che ti pare, sei ancora dipendente da me, per quanto la cosa possa risultarti scomoda. E ricorda anche che posso distruggerti, in un solo istante. “ – constatò prima di allentare la presa e allontanarsi velocemente dal mio corpo letteralmente appiattito contro la parete, sia per la sua forza sovrumana contro di me sia per l’intenso e incolmabile spavento.
 
- “ È proprio qui che ti sbagli. Non ti lascerò più agire sul mio corpo e sulla mia mente come ti pare e piace, perché tu non sei nessuno, soprattutto per dirmi quello che devo fare. È stato così per anni, perché te l’ho lasciato credere, standomene zitta. Ma la verità è che non mi farò più maltrattare così, osa anche solamente toccare me o lui “ – intimai volgendo lo sguardo verso il corpo lacerato e senza vita di Scott, senza alcun’ombra di dubbio pervaso da fitte atroci e dolorose di tormenti e sofferenze – “ E ti posso assicurare che non vedrai più la luce. Avviserò la polizia, e racconterò tutto. Tutto, hai capito? Non avrai scampo! “
 
- “ Tu… Maledetta puttana. “ – sussurrò avidamente prima di voltarsi di colpo e uscire infuriato dalla camera, lasciandomi completamente spiazzata.
 
Certo, non mi aspettavo che reagisse in quel modo. Piuttosto, ero puramente convinta che avrebbe provato ad alzare nuovamente le mani contro di me, oppure afferrare aggressivo qualche mobile d’arredamento, sollevarlo in aria e scagliarlo violentemente contro il pavimento in legno, scatenando l’inferno della sua ira insaziabile e terrorizzante.
 
Ma nulla di ciò accadde.
 
Pertanto, dopo essermi accertata che se ne fosse andato per davvero, mi gettai a terra inerme, di fianco ad uno Scott completamente privo di sensi, e tentai di cingere un suo braccio attorno il mio collo per sollevarlo e distenderlo gentilmente sul letto. Così feci e, dopo essermi accertata che non ci fossero ferite troppo critiche – tali da dover chiamare l’ambulanza – mi diressi in cucina alla ricerca di un kit di pronto soccorso per medicarlo. Il luogo era del tutto sconosciuto ai miei occhi, ma non mi curai minimamente di ciò e aprì ogni singolo cassetto della stanza per trovare le cure necessarie.
Scott aveva compiuto l’impossibile per me, e le conseguenze erano a dir poco impercettibili sulla sua pelle, dolorose, e bruciavano prepotentemente all’interno del mio cuore pulsante di colpevolezza. Un senso di colpa devastante e senza alcun dubbio disarmante, sussistente.
 
Lo avrei aiutato e gli sarei rimasta accanto, a qualsiasi costo…
 
 
 
 

 
 
 
 
Uscii imbestialito dall’abitazione, dirigendomi verso la macchina trasandata, la quale avevo rubato qualche giorno prima in un’officina malandata e sporca dei sobborghi di Toronto.
Mi sentivo piuttostomale e una fitta sensazione di disgusto si stava facendo strada fra le emozioni ripugnanti che pervadevano ogni singolo angolo del mio subconscio.
 
Come cazzo si era permessa quella sudicia puttanella a sfidarmi in quel modo così prepotente e scontroso?
 
Come aveva osato quel figlio di puttana voltarmi le spalle così avidamente?
 
Non ci capivo più nulla. Non riuscivo a comprendere il vero motivo per cui ogni persona si stesse schierando dalla parte dell’ispanica, abbandonandomi all’oscurità più tetra e sconcertante, lasciandomi avvolgere dal male che infliggevo, dal buio più totale che pervadeva incessantemente l’animo delle mie vittime, dei miei giocattoli.
 
Cosa aveva di così speciale?
 
Anche io, per quanto tentassi di ignorarlo, ero continuamente attaccato a lei, e difatti tuttora la stavo cercando, per una ragione indefinita, decisamente sconosciuta e lontana miglia dall’orizzonte.
 
Non riuscivo a dare alcuna risposta a tale comportamento squilibrato e interamente instabile con il quale mi stavo inconsciamente atteggiando.
 
Cos’erano queste sensazioni cariche di odio e pregiudizio così intense? Ero arrabbiato con lei, forse? Con Scott, il falso per eccellenza?
Con me stesso?
 
O forse ero psicologicamente attratto da lei, e non riuscivo a separarmene, in alcun modo. E forse ero infuriato e completamente fuori di me, naturalmente e inconfutabilmente orgoglioso, perché non riuscivo a sopportare il fatto che avesse acquisito forza d’animo e coraggio nel ribellarsi; e che desiderasse, a tutti i costi, separarsi da me per sempre.
E io, evidentemente, non volevo che mi abbandonasse. Non desideravo nulla di ciò. Lo temevo troppo, fino ad esplodere internamente.
 
Ma allora…
Provavo forse qualcosa per lei? Una qualsiasi emozione che andasse oltre l’odio e il risentimento che per tanti anni ci eravamo trascinati lungo le nostre strade, nei confronti di uno nell’altra?
 
 

 
 
 
Ciao a tutti!
Ed ecco qui il capitolo 13! Ultimamente pubblico capitoli sempre più a random, pertanto fatemi sapere se la trama della storia si sta leggermente frantumando.
 
Volevo informarvi, inoltre, che in questo periodo ho un sacco di lavoro e quindi avrò poco tempo per scrivere. Se vedete che non aggiorno potete comunque scrivermi e io vi risponderò con molto piacere; però ovviamente non abbandonerò la storia e continuerò a scriverne il continuato ♡
 
A presto ♡
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 14
*** Proseguimento a Luglio! ***


Ciao a tutti ragazzi! Molto probabilmente tutti coloro che seguivano la mia storia non saranno più attivi, però ci tenevo comunque a dire che sono nuovamente pronta per continuare la storia. È passato più di un anno e mezzo, ma finalmente ora sono più serena, fra qualche settimana farò la maturità e sarò molto più libera per scrivere! Prima di proseguire con la storia, ovviamente, devo revisionare i capitoli precedenti e correggere varie eventuali ( Ho notato alcuni errori di natura logica e parti di discontinuità fra gli eventi). Per chiunque fosse interessato alla storia, Si tenga pronto per la fine di giugno! Grazie ancora per l'ascolto! A presto!

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Capitolo 15
*** AVVISO IMPORTANTE ***


Ciao a tutti voi! Come state? Tutto bene? Eh già, è passato proprio un sacco di tempo dall'ultima volta che mi sono fatta viva. Sono successe molte cose, come al solito, e in questo lasso di tempo non ho mai scritto nulla, sebbene non sappia ancora spiegarmi il motivo... Questa è stata la mia primissima storia in assoluto, prima di allora mai avrei pensato potessi mettermi seriamente a scrivere e mai avrei pensato che sarei addirittura arrivata a pubblicare qualcosa su un sito! EFP è stato il primo sito di fanfiction che ho conosciuto, mi ci sono davvero affezionata e vi ho trascorso la mia adolescenza; È stato il mio rifugio per leggere e tirarmi su di morale e penso che mai mi capaciterò di credere quante cose mi ha lasciato nel cuore! Esattamente ieri ho compiuto 20 anni, ora non sono più una bambina ( in realtà continuerò ad esserlo nonostante l'età ) mentre questa storia l'ho incominciata quando non ne avevo nemmeno 16... Durante questi anni i miei interessi sono cambiati totalmente, in particolar modo da quando ho conosciuto il kpop. Il kpop è riuscito seriamente a farmi passare i brutti ricordi e a rendermi una persona migliore, sembrerà strano dirlo ma è proprio così! Non avete idea di quanto mi abbia aiutato nei momenti difficili e amari della vita, è stato come un punto luce da seguire in una strada buia o come quel piccolo barlume di speranza a darti sufficiente energia! In poche parole e con estremo rammarico devo annunciarvi che questa storia non verrà continuata nè tanto meno conclusa. Mi dispiace davvero tantissimo perché io in primis ho provato più e più volte la sensazione di vedere una ff che tanto seguivo bloccarsi improvvisamente. Fidatevi che ci sto molto male per questo, ma non mi sembra nemmeno giusto prendervi in giro dicendo di continuarla Perché se lo facessi lo farei con visibile disinteresse e perderei il gusto di scrivere e raccontare ciò che piace a me. È vero che si scrive perché agli altri piace la tua storia e ricevere recensioni positive ti sprona a continuare, ma prima di tutto lo si fa per se stessi, è inutile negarlo o provare a deviare la realtà dei fatti. Se qualcuno avesse voglia di scrivermi o di parlare un po', anche di qualunque cosa, può farlo su wattpad ( un sito che inizialmente non utilizzavo mai) Al momento sto scrivendo una nuova storia, ovvero la mia seconda! Sì,dopo anni sono ritornata e stavolta ho intenzione di lavorare seriamente Purtroppo non è una ff su a tutto reality, bensì sui Oneus, un gruppo kpop! Le tematiche però sono rimaste sempre le stesse di questa storia,perchè a me piacciono particolarmente! Inoltre, a mio avviso, il mio stile di scrittura risulta migliorato notevolmente, perciò qualora vi interessasse, potete fare un salto a leggere! La storia si intitola PETRICORE e il mio nome utente è GODCHOISAN (dove appunto potete contattarmi) Sono nuovamente desolata a scrivere una cosa simile e spero che chi stesse tuttora sperando fino all'ultimo per un aggiornamento non ci rimanga troppo male! Passate gli ultimi giorni d'estate in totale tranquillità e pace, ve lo auguro con tutto il cuore ♡ Il vostro cioccolatino ♡

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