Il
Giardino delle Rose
Seconda Parte:
- L’Apprendista del Mago -
Il tramonto al di là dei vetri
dell’Accademia era di un rosso liquido troppo intenso. Una ferita aperta che le
nubi grigie, rigide e infrangibili, arginavano con lentezza, soffocando le prime
stelle e gli ultimi raggi di sole. Ricominciò a piovere molto presto.
Iwaizumi Hajime entrò nel dormitorio riservato ai pulcini del Karasuno pestando i piedi con tutta la forza e
l’ostinazione permessa dai suoi otto anni. Era così furibondo – e frustato, un
sentimento nuovo per lui – che l’aria intorno sembrava elettrica,
letteralmente.
A seguirlo a breve distanza c’erano Shimizu
e il Camerlengo, congedatisi dall’incontro con Oikawa
per aiutare il bambino a preparare le sue cose. Nonostante Koushi
sapesse di essere di troppo, date le poche cose in possesso del fanciullo, e
forse neanche ben voluto in quel momento, aveva preferito seguirli per cambiare
aria dopo i discorsi spinosi alla presenza di Oikawa.
Il clima di angoscia che infestava Londinium iniziava
a farsi opprimente, infiltrandosi anche tra le rassicuranti mura
dell’Accademia, e questo aveva come effetto il far sentire Sugawara
inadeguato al proprio ruolo.
Iwaizumi diede un
calcio al proprio letto, riuscendo a farlo traballare tanto da spostarlo.
Shimizu levò le mani per trattenerlo e calmarlo, ma il bambino le schiaffeggiò
indietro.
« Hajime » lo
riprese Koushi imponendosi con sillabe severe
nonostante i nervi fiacchi. « Chiedi scusa a Kiyoko »
L’espressione astiosa non accennò rimorsi e si
rabbuiò ancora di più.
Sugawara si
massaggiò una tempia con una smorfia. Non era stata per niente un’idea
brillante seguire Iwaizumi in quello stato, non
quando i suoi pensieri erano così martellanti da sfondare il muro contro
l’empatia che aveva dovuto imparare a erigere per non soccombere alle emozioni
altrui. Se alla stanchezza combinava la preoccupazione bastava poco per scavalcare
le sue barriere, soprattutto con sentimenti tanto caotici come il tradimento, l’impotenza, la rabbia.
Hajime era un concentrato
così intenso che Koushi si chiese quanto mancasse
perché qualche oggetto scoppiasse. Sospirò.
« Non pensiamo che tu sia un peso, Hajime-kun.
Neanche che tu sia debole per
l’addestramento da Guardia » rispose Sugawara alle domande
non verbali che il ragazzino continuava a ripetersi per la decisione di
affidarlo al Mago.
L’inaspettata replica lo fece sobbalzare.
Incrociò lo sguardo dei due adulti con uno sbalordito e incerto, emozioni più
semplici da gestire per un empatico.
« So che dopo le parole del Maestro Ukai ti sarà difficile fidarti, ma vorrei che mi credessi
quando ti dico che vogliamo il meglio per te e non cacciarti » continuò il
Camerlengo, interpretando le fitte alla testa come un codice morse. « Il fatto
che tu venga da un orfanatrofio o da una contrada distrutta non hanno nulla a
che spartire con i cambiamenti del tuo futuro. Cerca di vedere la decisione di
affidarti a Oikawa come un’occasione. Non tutti gli
studenti dell’Accademia hanno l’opportunità di essere seguiti da un Maestro privatamente
»
Dalle ombre sulla fronte corrugata di Iwaizumi il discorso non doveva aver toccato le corde
giuste. Koushi non si arrese.
« Tooru manca da Londinium da tre anni, ma prima che partisse aveva già
dimostrato di essere un mago brillante, sopra le righe. Potrà insegnarti
davvero tanto »
« Come far esplodere l’Ala Est dell’Accademia?
» ribatté litigioso il bambino.
In un altro contesto il tono giusto sarebbe
stato ironico e gli altri avrebbero sghignazzato al ricordo. In quel momento, Hajime si sentiva totalmente indisposto verso i grandi,
così che la sua domanda risultò un principio di rappresaglia.
Koushi trasse un
lungo sospiro. Non era possibile mantenere dei segreti tra quelle quattro mura.
« Quello dell’Ala Est si è trattato di un
incidente » chiarì sbrigativo, non immaginando che il fanciullo si sarebbe
impuntato.
« In giro dicono che quel mago brillante ha cercato di ammazzare Kageyama »
Il Camerlengo poteva immaginare come un
parziale reportage dell’accaduto fosse stato trasformato in un carnage dai pettegoli che infestavano
l’Accademia, soprattutto lì negli alloggi delle Ali Corvine. Non gli ci volle
molto a figurarsi Tanaka e Nishinoya
ingigantire i fatti a cuor leggerlo solo per raccontare una sorta di leggenda
ai nuovi arrivati.
« Oikawa non ha
tentato di uccidere nessuno. Sai cos’è l’Incompatibilità?
»
Hajime scosse la
testa.
« È quando le magie di due maghi entrano in
competizione e prendono il sopravvento su di loro. Sono casi molto rari in
realtà, poiché il flusso magico attinge da un’unica corrente da cui ognuno di
noi devia per sé una piccola quantità da trasformare tramite incantesimo. Ogni
tanto capita che il mago riesca a donare personalità
alla magia, o a renderla talmente affine a sé che questa diventa una sorta di…
cane da guardia – il paragone infelice corrugò la fronte non solo del bambino
ma anche di Kiyoko. Sugawara
accantonò la cosa con un gesto sbrigativo – e quando questo nuovo tipo di magia
sente un pericolo o una rivalità scatta prima che il mago possa rendersene conto
»
« Allora questo Oikawa
non è così bravo come ripetete tutti! Non è neanche capace di tenere a bada la
propria magia! »
« No Hajime, al
contrario. Il fatto che Tooru sia stato in grado di
plasmare il flusso magico fa di lui una rara eccezione in questo secolo. Solo
che all’epoca, quando Kageyama era suo allievo e
anche lui mostrava un talento simile, non se ne era ancora accorto. Se il
Maestro Ukai ha deciso di affidarti a Oikawa vuole dire che si fida. Se ti può aiutare a quietare
un po’ i dubbi, conosco Tooru da quando arrivai qui
in Accademia: abbiamo studiato insieme e non c’era giorno in cui lui non
migliorasse. È sempre stato un passo avanti a tutti »
« Io non gli interesso »
Koushi desiderò
per un istante di capitolare, di richiudersi i battenti del suo studio alle
spalle con un incanto sigillante e bersi una tisana con qualche grammo di
Polvere Somnia per assicurarsi dodici ore di completa incoscienza.
Capiva Hajime,
empatia o meno, e stava facendo di tutto per nascondere una punta di scetticismo
alla scelta di Ukai di combinare quel duo
maestro-allievo.
Per descrivere il talento di Oikawa si poteva ricorrere a molti aggettivi positivi, ma
tre anni di vuoto totale avrebbero reso sospetto anche un santo, e il Mago in
questione era l’ultimo a cui avrebbe affibbiato un titolo del genere. Tooru era il vizio fatto a persona e Koushi
dubitava fosse cambiato. Iwaizumi aveva solo otto
anni e un incanto accidentale alle spalle, oltre a un caratterino risoluto e
tendenzialmente coscienzioso, anche troppo per la sua età. Non era sua
intenzione giudicare a priori, ma aveva seri dubbi che l’accoppiata avrebbe
funzionato.
Possibile che il Maestro Ukai
intendesse boicottare Oikawa e la sua candidatura?
Per arrivare a pensare un’assurdità del
genere doveva essere la stanchezza a pensare per lui.
Non aveva potuto ammetterlo davanti a Tooru e dargli la soddisfazione di dichiarare che lui, con
ogni probabilità, era realmente l’unico aspirante con tutti i requisiti per il
ruolo di Primo Maestro. A esclusione del suo ego.
Se Kuroo e Bokuto non si fossero cacciati nei guai…
Koushi riprese i
contatti con la realtà incontrando lo sguardo affilato e sotto sotto incerto di
Hajime.
« Non è vero che non gli interessi » provò,
sentendo la bugia sulla lingua come un sapore pungente. « Avete bisogno di un
po’ di tempo per conoscervi » aggiustò il tiro, cercando di sorridere
rassicurante.
L’irritazione e un umore sempre più
vertiginosamente in caduta squassarono l’empatia di Sugawara.
Per evitare di accasciarsi lì sul letto di uno dei pulcini, il Camerlengo
decise di mettere un punto alla discussione.
« Facciamo così. Verrò a trovarti ogni settimana
a casa di Oikawa per assicurarmi che vada tutto bene.
Non ho motivo di credere che mi mentirai – e lo disse consapevole che fosse una
promessa a doppio taglio – e se vedrò che le cose proprio non vanno, spingerò
io stesso affinché il Maestro Ukai ritratti la sua
decisione, ok? »
Un barlume di speranza si accese negli occhi
verdi di Iwaizumi e un po’ in generale in tutto il
suo volto. Koushi rallentò quell’entusiasmo che stava
per deflagrare con qualche frase esaltata poggiandogli una mano sulla spalla e
facendosi serio.
« Tu però mi devi promettere di avere
pazienza, va bene? Ero sincero sulle capacità straordinarie di Tooru, ma non ti mentirò sul fatto che sia anche
egocentrico e adori far perdere la pazienza agli altri »
La bocca di Iwaizumi
si deformò in una smorfia.
« Ma Sugawara-san-!
»
« Basta così. Lasciagli il beneficio del
dubbio »
Il ragazzino lo fissò come se avesse appena
parlato un’altra lingua, ma Koushi non fece in tempo
a spiegarsi che il tanto chiacchierato Mago fece il suo ingresso nei dormitori.
Si guardò intorno come un estimatore d’arredi entrato per sbaglio in un solaio.
« Potevate rivedere qualcosa anche qui » commentò
arricciando il naso all’indirizzo della nuda pietra dall’aspetto umido e ai
tendaggi neri quanto il camino in marmo, scolpito anch’esso con i corvi simbolo
del Clan Karasuno. Le assi del pavimento in legno
gemettero sotto i suoi tacchi, facendogli increspare anche le labbra.
« Aspettate che questa vecchia torre
medievale cada definitivamente a pezzi prima di rimodernarla un po’? O Ukai-san la conserva così per farne il suo mausoleo? » celiò
considerando solo Koushi e Kiyoko,
a cui regalò un sorrisetto provocante, prontamente ignorato dalla ragazza
affaccendata a sistemare i vestiti di Hajime in una consumata
valigia in pelle.
Sugawara trattenne
malamente uno sbuffo di risata; poteva avvertire nitido l’imbarazzo di Shimizu
– considerata dalla maggior parte delle persone come una ragazza fredda e snob,
invece di tanto facile a vergognarsi. Neanche avesse evitato per un soffio una
freccia invisibile, il disappunto del fanciullo tornò prepotente
all’approcciarsi del suo nuovo tutore, finendo col costringere il Camerlengo a
massaggiarsi le tempie con entrambe le mani.
A Oikawa il
dettagliò non passò inosservato.
« Ehi ragazzino, quando sei nella stessa
stanza di Sugawara vedi di pensare a cose da
mocciosi, come ai pony o alle barchette di carta »
Hajime lo fissò sentendosi
insultato e strappando un mezzo lamento a Koushi per
il cambio repentino di sentimenti.
« Sono Iwaizumi, Signor Mago-dei-miei-stivali »
« Oooh, udite udite che caratterino. Hai bisogno di una camomilla, Iwa-chan?»
Per un lungo attimo la rabbia del bambino
divenne shock.
« N-Non… Non chiamarmi Iwa-chan!
»
« Eeeh? Iwaizumi è troppo lungo e noioso. Iwa-chan
è perfetto »
« Non
chiamarmi così! »
« Iwachan ~♪
»
« Smettetela
per piacere! »
Shimizu alzò appena lo sguardo per assistere
alla scena. La pazienza e la resistenza mentale di Sugawara
erano arrivate al limite ultimo tanto da fargli perdere gli ultimi barlumi di
concentrazione per arginare i pensieri. Non era alterato – come temette Hajime, sentendosi intimamente in colpa e facendoglielo
percepire – ma solo tanto stanco.
Koushi cercò gli
occhi di Oikawa, che nonostante il circo appena messo
su conservavano ancora le tracce della loro recente discussione poco
amichevole.
« Ce ne vuole a far perdere le staffe al
Camerlengo, Iwachan
» borbottò questi, inquadrando il fanciullo per sfuggire all’attenzione dell’ex
compagno.
Nello stesso momento Kiyoko
assicurò le chiusure della valigia.
« Piantala Tooru »
lo redarguì Sugawara un’ultima volta, alzandosi in
piedi. « Bene, sembra sia tutto pronto, possiamo andare »
« Possiamo?
Hai intenzione di- »
« Venire anche io, sì » e nel sottolinearlo,
il Camerlengo prese per mano il fanciullo.
Hajime fece la
linguaccia a Oikawa, immediatamente ricambiato.
Koushi roteò gli
occhi al soffitto e li spinse tutti fuori, salutando Shimizu.
Non era nelle intenzioni di Iwaizumi mostrare un qualsiasi sentimento positivo
all’indirizzo del Mago che in un pomeriggio gli aveva ribaltato la vita. Dovette
tuttavia deglutire per impedire a un “wooow” di
tradirlo alla vista dell’imponente palazzo signorile sotto cui si fermò la
carrozza.
« Ti sei sistemato bene » parlò per lui Sugawara, altrettanto meravigliato.
Oikawa non li
stava calcolando; se ne stava comodamente sul sedile dirimpetto, col viso
immerso in un tomo dai caratteri sconosciuti e un paio di occhialetti dalle
lenti rosa in equilibrio sulla punta del naso, che all’ultimo scossone della carrozza
gli sfuggirono. Imprecò, chiudendo il libro e incrociando gli sguardi in attesa
del bambino e dell’ex compagno.
« Che c’è? Siamo arrivati! Forza, scendere!
»
L’usciere alla porta si profuse in mille
inchini e salamelecchi, salutandoli almeno tre volte dopo averli accompagnati
con il bagaglio al secondo piano. L’appartamento in affitto era spazioso, a
prima occhiata immerso nella confusione da trasloco. C’erano valigie e bauli,
alcuni aperti con vestiti alla rinfusa, altri che ogni tanto vibravano
all’improvviso. Una lunga e imponente libreria ricopriva il lato lungo del
salone, dove i libri continuavano a rimescolarsi tra loro, come in cerca
dell’ordine giusto. Un tavolino si avvicinò a loro trotterellando con un
servizio da tè bianco e blu che si spostava a seconda delle curve per non crollare
in terra. Oikawa lo deviò con un gesto secco verso un
angolo della stanza e questo se ne andò demoralizzato. Hajime,
alle sue spalle, seguì il tutto con gli occhi sgranati e senza parole. Almeno,
pensò Koushi, qualcosa stava distraendo il bambino.
Al passaggio del Mago sembrava che le cose
prendessero vita, si risvegliassero. Varie candele, piccole e grandi, si
levarono in aria, accendendosi poco prima di essere superate e rischiarando
l’ambiente altrimenti lasciato alla semi oscurità del tempo oltre le imposte. A
ogni fiammella seguiva un nuovo dettaglio dell’accozzaglia di cose di cui il
Mago era proprietario. Appesa a un trespolo d’ottone, una gabbia per uccelli
brillò vuota, salvo per un dolcissimo cinguettio e un frullio d’ali. Se c’era realmente
un uccellino era invisibile.
Sugawara e Iwaizumi furono colti alle spalle da un attaccapanni
animato. Il grande e lucido pomello in legno sulla sommità si inchinò in una
riverenza cortese e con un gesto gentile ed educato di due lunghi bracci invitò
gli ospiti a dargli i soprabiti. Hajime aveva le
guance chiazzate d’emozione, gli occhi sgranati mentre seguiva i movimenti
fluidi, come fosse stata una persona reale.
Oikawa non stava
prestando loro la minima attenzione. Avvicinatosi alla scrivania ingombra di libri,
appunti, ampolle e altro, aveva schioccato le dita e una lunga piuma nera
dall’estremità in argento si era destata come una sensuale amante pigra. Un
calamaio a forma di rospo gracidò aprendo la bocca; la penna intinse la punta e
un foglio di pergamena le scivolò sotto docile, pronto per essere vergato. Il
Mago dettò senza indugi un testo piuttosto breve e urgente, omettendo
l’intestatario. Ordinò anche una seconda missiva, identica alla prima.
« Che cosa stai facendo? » si interessò Koushi, seguito da un Iwachan
ancora rapito da qualsiasi oggetto si mostrasse vivo; questo finché non
incrociò l’attenzione del nuovo mentore e tornò imbronciato seduta stante,
senza che però il rossore sulle gote si mitigasse.
« Ti avvantaggio sul lavoro » rispose
distrattamente Tooru, trafficando nei cassetti della
scrivania alla ricerca di qualcos’altro.
« Mi... cosa hai detto? »
Oikawa trovò il
tampone da timbro e due buste da lettera color cremisi.
« Siglale col sigillo del Camerlengo – e
accennò all’anello che portava al collo, troppo grande per le dita sottili di Sugawara – io intanto chiamo i gufi » e stava per avviarsi
alla finestra quando Koushi lo fermò per un braccio.
« Che
cosa stai facendo? » scandì, chiaro e irremovibile, in attesa di una risposta
sensata. Al diavolo se neanche un’ora prima avevano ulteriormente affossato la
loro amicizia e l’affetto del passato: Sugawara aveva
bisogno di capire una volta per tutte cosa stesse passando per la testa del
Mago.
Il neo Maestro ricambiò con un sorriso così
falso che Hajime storse le labbra.
« All’attenzione del Clan Dateko e del Clan Johzenji »
declamò a voce alta, e la punta intarsiata della sua ammaliante piuma nera
trascrisse con un suono grattato e netto. « Sintetizzando, ho scritto loro di
darsi una mossa a tornare a Londinium » proseguì più prosaicamente
nel riassumere le sue intenzioni. « E non preoccuparti, nessuno capirebbe che
non le hai scritte tu. Non ho dimenticato quali parole ti piace usare »
La stoccata non fu apprezzata da Koushi.
« Non ho bisogno di uno scrivano » replicò incupito,
infischiandosene di essere maleducato, ma anzi, si espresse serio e grave
perché quella situazione aveva dei punti oscuri che continuavano a sfuggirgli. Oikawa era barricato nelle sue difese mentali, così anche
toccandolo l’empatia si scontrò contro un solido muro.
Di contro, il Mago non si fece scrupoli a
ribattere.
« Il posto di Primo Maestro è vacante da più
di dieci giorni. Londinium è talmente tetra che non
mi stupirei se cominciasse a piovere nero o ci ritrovassimo con un’infestazione
di Fuochi Fatui. Il Regno ha bisogno della sua guida magica »
« A me sembra che tu abbia un bisogno morboso di questo ruolo più di quanto ti vanti di
essere il migliore per ricoprirlo »
Sugawara si pentì
solo in parte, ma era troppo alterato per darlo a vedere. Oikawa
fece poi una cosa che non si aspettò, non dopo tutto quel tempo.
Avanzò di un passo, uno di troppo, spingendo
il Camerlengo a retrocedere fino al bordo della scrivania. Non ebbe tempo di
occhieggiare le boccette rovesciarsi nell’urto, non quando Tooru
piantò lo sguardo nel suo con troppo poco spazio a dividerli. Koushi trattenne il fiato e serrò la mascella. Non rammentava
quanto l’ex compagno fosse alto, ma si sentì totalmente sovrastato.
Il Mago schiuse le labbra – il Camerlengo notò
della loro secchezza, mai viste così prima nei suoi ricordi – ma non
proferirono parola. Ciò che irrigidì Koushi fu
l’intensità delle iridi cioccolato, l’ombra che vi si annidava. Ebbe la
sensazione che cercassero disperatamente
di confessargli qualcosa…
« … Suga-san? »
La voce incerta di Hajime
infranse l’impasse.
Entrambi gli adulti si voltarono verso il
bambino, realizzando la sua presenza e un secondo più tardi la scenata in cui
si erano cacciati.
« Hajime-kun… perché
non inizi a sistemare il tuo bagaglio? » suggerì Koushi
nonostante i battiti irrequieti del cuore.
« C’è un letto nella seconda stanza del
corridoio. William ti sistemerà le lenzuola più tardi » aggiunse asciutto Oikawa. Si era voltato a dare loro le spalle, impegnato in
nulla di particolare.
Se Iwaizumi aveva
tentennato alla proposta del Camerlengo, a sentire il Mago la sua irascibilità
tornò più prepotente di prima. Non si domandò nemmeno chi fosse il tipo
nominato, ma marciò verso le sue quattro cose abbandonate in ingresso, le
agguantò con davvero poca delicatezza e se le trascinò verso la porta
indicatagli. Lo sbattere dell’uscio fu solo l’ultima conferma del suo pensiero
riguardo tutta quella storia.
Koushi si voltò in
cerca del viso di Tooru, ma questo seguitò a
ignorarlo.
« Che intenzioni hai con lui? » chiese con
una sfumatura di tregua, risistemando le ampolle sulla scrivania per tenersi
occupato.
« Che intenzioni avete voi con lui. Me lo avete consegnato senza sentire il tuo parere »
il Mago non si preoccupò di risultare caustico, sfilando da sotto le mani del
Camerlengo i due fogli di pergamena per Dateko e Johzenji. Anche se si sfiorarono, con residui di tensione
ancora vivi sottopelle, nessuno dei due aggiunse nulla in merito, rimandando una certa discussione.
« Senti, non ho idea del perché il Maestro Ukai abbia preso questa decisione »
« È partito tutto da te, se te lo fossi
dimenticato. Mi hai detto chiaro e tondo che non ti bastava il mio curriculum
per candidarmi al ruolo »
« Su questo non transigo. Non impuntarti
sulla questione, devi essere un Maestro- »
« … per essere Primo Maestro. Sì, ho capito
la filastrocca. Quindi non chiedermi le mie intenzioni col moccioso. Gli
insegnerò a non fare esplodere le cose e che la magia ti facilita meravigliosamente
la vita »
« Risparmiati l’ironia. E si chiama Hajime, Tooru. Iwaizumi Hajime. Da un’ora è il
tuo apprendista. Cerca di non farlo sentire indesiderato più di quanto tu non
intenda sfruttarlo per i tuoi scopi »
Oikawa esibì una
smorfia abbastanza sincera nell’avvertire l’amarezza e il risentimento venare
la frase appena rivoltagli.
« Ora stai parlando di lui o di te? » si lasciò sfuggire e comprese
subito di aver esagerato.
Si passò una mano sul viso, osservando la
reazione di stupore di Koushi da oltre le dita. Durò
una manciata di secondi, e una rigida indifferenza indurì i suoi occhi ambrati
e la piega della bocca. Oikawa si morse il labbro
inferiore e per la prima volta avvertì le proprie difese cedere.
Prima di tornare a Londinium
si era ripromesso che non avrebbe lasciato spazio a sentimentalismi e insicurezze,
ma il senso di colpa per come se ne era andato arrivò a battere contro la sua
alterigia alla stregua di un ariete. « … dovremmo trovare il tempo per parlare
un attimo » tentò snervato e le parole uscirono da sole prima di poterle
soppesare.
« Non adesso » fu il taglio netto di Sugawara. « Vado a salutare Hajime.
Buona serata »
Il Mago non fece nulla per trattenerlo.
La mattina seguente cominciò con l’arrivo di
una lettera al Camerlengo da parte di Oikawa. Il Mago
annunciava impegni improrogabili di cui occuparsi prima di intraprendere le
lezioni impostegli dal Maestro Nekomata, e che
l’inaspettata nuova presenza del suo apprendista richiedeva un certo accomodamento
non solo del suo appartamento ma soprattutto delle sue abitudine.
Righe su righe di giustificazioni alla sua
assenza che Sugawara accolse con la tazza di tè della
colazione e un involontario sospiro di sollievo. Fu in un certo modo rincuorato
di sapere che per quel giorno non avrebbe avuto a che fare con l’ex compagno, anche
se ciò gli provocò la sensazione di essere nuovamente un adolescente nei suoi
ventinove anni.
Al contrario, Hajime
si palesò sulla soglia dell’Accademia un’ora più tardi, scaricato da una carrozza
di servizio, gli occhi gonfi di chi non ha chiuso occhio e un cipiglio infastidito
che Koushi dubitava sarebbe più andato via. Fu di
poche parole e diversi grugniti, nel complesso docile nel seguire il Camerlengo
ma disinteressato nell’ascoltare e annuire alle direttive sui suoi nuovi studi.
Tuttavia, quando vide Kiyoko passare in fondo a un
corridoio chiese il permesso di andarsi a scusare per il suo comportamento del
giorno precedente.
« Tu e Oikawa
avete provato a parlare un po’? » tentò Sugawara quando
furono davanti all’uscio dell’aula lezioni del Maestro Takeda.
Il fanciullo si ostinò a tenere lo sguardo altrove senza mai incrociare quello
dell’adulto.
« No »
Una risposta lapidaria e Koushi
preferì non indagare ulteriormente.
I rintocchi della campana risuonarono per i
corridoi e Hajime sparì nella folla di studenti più
alti.
Alla prima lettera di Oikawa
ne seguirono altre sei, puntuali ogni mattina servite al Camerlengo insieme al
vassoio della colazione, tra la teiera e il porta zucchero. Sugawara
avrebbe preferito non farci l’abitudine a quei buongiorno pieni di scuse poco sentite e di elenchi di cose per cui
il Mago non degnava l’Accademia della propria presenza.
Non che fosse necessaria, non quando le voci
di corridoio erano iniziate la sera stessa il suo ritorno e supplivano a tale assenza.
“Sai
che quel Mago è tornato?”
“Chi?”
“Quello
che ha fatto fare KABOOM all’Ala Est! Ricordi?”
“Il
Mago che ha tentato di far fuori Kageyama?”
“Proprio
lui!”
Le occhiatacce prima e le raccomandazioni poi
del Camerlengo riguardo al tenere per sé certi discorsi erano state come un
aperitivo a un banchetto celebrativo, utili il tempo di sciacquarsi la bocca e
spargere in giro altri mille pettegolezzi e aneddoti di dubbia credibilità. Era
bastata una mattinata perché tutta la nuova generazione di apprendisti venisse
a conoscenza di Oikawa Tooru
ancora prima di vederlo in faccia; tutti fremevano per incontrarlo. Ma data la
mancanza del diretto interessato, ad andarci di mezzo furono principalmente due
persone: Kageyama, che sembrava avere avuto con lui
la disavventura più spiacevole prima, e Iwaizumi, che
ora si ritrovava sulla bocca degli altri ad essere la vittima sacrificale.
Tobio liquidò
occhiate e frecciatine con la sua aria altezzosa e inquietante, salvato anche
dagli orari di addestramento delle Ali Corvine differenti rispetto a quelli
degli studenti regolari. Hajime invece iniziò a
ringhiare, letteralmente, e, otto anni o meno, i compagni si tennero alla
larga.
Alla fine, l’unica cosa da fare fu attendere
il primo giorno di lezione del tanto discusso Mago.
L’innaturale pace dell’aula anfiteatro
andava avanti da circa dieci minuti, frammentata ogni tanto da bisbigli alle
orecchie, accidentali rumori di sedie e fruscii di tonache. L’ultimo a chiudersi
la porta alle spalle fu il Capitano della Guardia, Sawamura,
che rimase a sostare davanti l’uscio in posizione di riposo con un sorriso
pacato che la diceva lunga sui suoi pensieri. Oikawa,
a sua volta in piedi sulla pedana della cattedra, mani sui fianchi, gli scoccò
un’occhiata esasperata dal continuo essere braccato. Daichi
replicò con l’espressione più serena e Attento
a quel che fai migliore del suo repertorio.
Il Maestro Takeda
si schiarì la voce, allegro e immune alla morbosa curiosità della platea.
« Ragazzi, che tranquillità! » esordì
incredulo, forse non conscio del tutto che il merito fosse del nuovo insegnante al suo fianco. « Vi presento Oikawa Tooru, ex allievo della
nostra illustre Accademia e vostro nuovo Maestro – il Mago sbuffò – per un’ora
di lezione al giorno »
Le prime mani scattarono alte senza dargli
il tempo di terminare il discorso di benvenuto.
« Ehm… sì, Inuoka-kun?
» concesse la parola a uno degli studenti con i colori del Clan Nekoma.
« Cosa ci insegnerà? Qualcosa fuori programma?
»
Il Maestro Takeda
si trovò impreparato a rispondere e Oikawa non fu
molto d’aiuto con la sua alzata di spalle indifferente.
« Oikawa-san ha
viaggiato molto per il mondo, negli ultimi tre anni » si intromise una terza
voce e l’attenzione fu catalizzata da Sugawara,
appena entrato nell’aula. Lui e l’ex compagno incrociarono gli sguardi e Koushi, alla stregua di Daichi,
sorrise amabilmente. « Nei suoi peregrinaggi ha avuto modo di apprendere teorie
e pratiche di magie molto diverse da quelle del Regno. Il suo programma di
studio consisterà nel darvi le basi di ciò che un giorno potreste incontrare
oltre i nostri confini, incuriosirvi e affascinarvi dalle meraviglie della
magia esotica. Pertanto, non sentitevi timidi e rivolgetegli tutte le domande
che vi serviranno a chiarire eventuali perplessità »
Il verso di approvazione degli studenti
coprì quello sbigottito e oltraggiato di Tooru, messo
a tacere da un’altra occhiata serafica di Sugawara e dalla
mano che gli artigliò il braccio.
« Sei
una vipera Suga » soffiò a mezze labbra il Mago.
« Ho
imparato dal migliore » replicò accennando due dita di vittoria al suo
indirizzo, tornò poi a rivolgersi alla platea. « Qualcuno vuole già chiedere
qualcosa? »
Avevano pur sempre davanti un branco di
adolescenti e pre-adolescenti, così l’educazione di
alzare la mano fu inghiottita dalle dozzine di frasi primeggianti alla rinfusa.
« Dov’è stato, Maestro Oikawa?
In India? Nelle Colonie? »
« Ci può insegnare il Voo-doo?
»
« L’ha incontrato un drago vero? »
« Nel Continente Nero mangiano davvero i
bambini? Auch
»
« Che incantesimo si usa per far esplodere
un’Ala dell’Accademia? »
Oikawa riconobbe
nell’interlocutore dell’ultima domanda il ragazzo coi corti capelli biondi
delle Ali Corvine, Tsukishima. Il Mago non fu l’unico
a scoccargli un’occhiata bieca e l’umore di Tooru fu
sempre meno condiscendente nel riconoscere Kageyama
tra i vari ragazzi. Si umettò le labbra, sfoggiando uno dei suoi sorrisini
angelici.
« Megane-kun, questo
interrogativo dovresti porlo anche al tuo compagno di guardia, sai? – e reclinò
con elegante placidità il capo all’indirizzo dell’ex allievo, conscio che la
folla avrebbe seguito il suo gesto – In fondo, Tobio-chan
ha largamente contribuito alla ristrutturazione dell’Ala Est tre anni fa, dico
bene? »
Di nuovo i ragazzi sembrarono incapaci di
stare fermi ai propri posti o ricordarsi del bon-ton accademico. Pur di
adocchiare il corvo in questione qualcuno si alzò anche in piedi, altri si
sporsero dai banchi rischiando di perdere l’equilibrio. Kageyama,
al contrario, serrò la mascella ma non distolse le sue iridi notturne da quelle
cioccolato del precedente mentore, irremovibili come se si fosse trattato di
una sfida.
Touché,
si trovò a realizzare Oikawa, nel notare che Tobio non conservava più i suoi tratti fanciulleschi e
aveva finalmente abbandonato la sua aria ingenua, caricandola di aggressiva
determinazione. Almeno superficialmente.
Il Camerlengo batté le mani per riportare
l’ordine nell’aula e dare finalmente inizio alla lezione.
Alla fine dell’ora non si poté negare che Oikawa affascinò gli studenti. In molti avevano continuato
a fare proposte insensate sugli argomenti da affrontare, finché il Mago non si
era spazientito e aveva preso in mano la situazione.
Il ruolo dell’insegnante di fronte a una
platea non gli si addiceva; per quanto amasse stare al centro dell’attenzione,
trasmettere le sue conoscenze era
qualcosa che lo disturbava nel profondo. Alla fine tuttavia un incantesimo
aveva tirato l’altro e la sala si era riempita di immagini fluttuanti, come
tante diapositive di diversi posti del mondo, e lui stesso si era perso nel
raccontare episodi e notizie varie. Per un giorno era riuscito a tenerli a bada
con i soli racconti del suo peregrinare in Francia; a quel ritmo, per settimane,
avrebbe avuto di che parlare senza sbilanciarsi troppo.
« Sawamura-chan, sei
interessato ai miei viaggi? Ti servono consigli per una vacanza? » sbuffò Oikawa quando le campane suonarono e gli studenti crearono
abbastanza confusione per scambiare due parole in pace. Sedie strisciate sui
pavimenti e chiacchiere euforiche furono una combinazione perfetta per passare
in sordina il poco sottile filo d’ostilità tra i due.
« Interessanti » commentò il Capitano,
tagliando la distanza tra loro di qualche passo, ma senza scoprirsi nell’aggiungere
altro.
« Tuttavia, nessun posto è come casa »
proseguì il Mago, appoggiandosi coi fianchi alla scrivania, un braccio
incrociato sul petto mentre con le dita dell’altro si massaggiava vezzoso una
tempia. « L’odore della pioggia di Londinium, il
grigiore del tempo, l’aroma del Tamigi… I vecchi amici – puntualizzò
arricciando il naso e il suo sguardo si fece sottile – Ci sono stati davvero un
sacco di cambiamenti. Immagino che con un nuovo Camerlengo, così giovane, le
decisioni siano più libere. Suga è sempre stato un tipo condiscendente e alla
mano »
L’allusione divenne un’ombra sul volto di Daichi e si trasmise con un leggero fremito alle braccia,
ben dissimulato, che dalla posizione di riposo si sciolsero lungo i fianchi.
« Sì, sono cambiate diverse cose, Oikawa » ripeté con il tono di un generale all’alba di una
battaglia. « Anche se la tolleranza è tra queste, non tutti si dimenticano dei
codardi »
Sebbene l’ambiente fosse brioso di urletti,
tra i due calò un velo gelido. Per un solo istante, Tooru
perse l’aria scanzonata.
« Capitano… non è da te essere così diretto,
sei cambiato anche tu? »
« Quanto basta per metterti in guardia,
questa volta »
Nessuno dei due cedette il passo all’altro
nella battaglia di sguardi.
« Sono qui solo per la carica di Primo
Maestro »
« Non mi stupisco »
Ancora un riferimento indiretto, ancora una
punzecchiatura fastidiosa che riuscì a raggiungere la parte di coscienza di Tooru dove egli aveva seppellito i sensi di colpa legati a
tre anni prima. Non fu piacevole.
Ma nessuno sapeva. Nessuno doveva sapere. O
capire.
Non ci sarebbe stata comprensione per quello
che aveva fatto.
« Rude quanto si addica al tuo ruolo »
ridacchiò Oikawa per stemperare il freddo tra loro. Peccato
che non infuse alcuna reale spensieratezza alla risata: gli uscì superiore,
com’era giusto che fosse. Lo fu anche il suo sorrisetto, schernitore e cattivo.
Si chinò in avanti, riducendo le distanze, ma non si azzardò a sfiorare il
Capitano; si premurò solo che le proprie parole giungessero al suo orecchio. «
Non è così che piace a Koushi. Lui è più… sensibile, sentimentale. Nostalgico. Non trovi? O non è ancora
successo nulla tra voi? »
C’erano diversi motivi per cui le Ali
Corvine erano considerate il corpo di guardia più forte e temuto dell’intero
Regno; anche al di sopra del Clan Dateko. Erano un élite
da non sottovalutare mai, in nessuna occasione. Tooru
lo rammentò dallo sguardo del Capitano, dalla leggera vibrazione magica, oscura
e attanagliante, a cui la sua pelle reagì rabbrividendo.
Qualcuno di fianco a loro tossì, simulando con
poca cura. Qualcuno che arrivava appena alla loro vita ma che spezzò una
situazione facile a degenerare.
Oikawa abbassò lo
sguardo. A interromperli erano stati due ragazzini dallo sguardo sommariamente
tediato, in contrasto con la curva furbetta delle loro labbra. C’erano troppi
marmocchi per i suoi gusti.
« Non rispondo a domande fuori dall’orario
della lezione »
I due si scambiarono un’occhiata e un’alzata
di spalle, come a dire che quell’opzione non l’avevano minimamente presa in
considerazione. Il ragazzino con i capelli rosati allungò un pezzetto di carta
piegato di fretta.
« Da parte di Iwaizumi
» spiegò laconico.
Tooru sbatté un
paio di volte le palpebre, neanche si fosse dimenticato del proprio allievo. Aprì il foglietto.
Non
cercarmi Shittykawa.
Ci
vediamo a casa dopo.
« Quel… quel… »
Il Mago si indispettì, borbottando tra sé al
rileggere l’appellativo davvero poco rispettoso. Tornò a squadrare i due
ambasciatori in miniatura che non si erano mossi. « Chi siete voi due? »
« Hanamaki Takahiro, signore »
« Matsukawa Issei »
« Bene. Makki, Mattsun, dov’è Iwachan? »
Di nuovo, gli occhi dei bambini si
incrociarono per una silenziosa conversazione, che presto divenne verbale ed
entrambi ignorarono il Maestro.
« È come diceva Hajime
»
« Scorbutico »
« Arrogante »
« Però “Makki” non è male »
« Sì è carino »
« Io ho fame, andiamo verso la mensa? »
« Mmh va bene »
Senza prestare più attenzione all’adulto, i
due uscirono dall’aula come se la breve parentesi non fosse mai avvenuta,
lasciando Oikawa tra il basito e l’indignato per
tanta noncuranza. Daichi si era già congedato a
spalle ritte e braccia rigide, una smorfia di disprezzo palesata dal
disinteresse verso il Mago.
Tooru si ritrovò
in un’aula vuota, stringendo l’appunto del suo allievo, mentre la sensazione di
aver sbagliato a essere tornato gli risaliva lo stomaco, mescolata alla penosa
idea di essersi fatto troppa terra bruciata intorno.
Nel primo pomeriggio il sole riuscì a
ritagliarsi un siparietto tra le nubi autunnali. Il vento spazzava i cortili a
cadenza fissa, creando mulinelli ipnotizzanti di polvere, foglie gialle e
rosse.
Hajime aveva
trovato un angolo appartato in uno dei chiostri interni dell’Accademia, sopra
una panca di pietra fredda. Aveva la vecchia sciarpa di lana dell’orfanatrofio
a infagottargli collo e bocca, la giacca di una taglia più grande chiusa per
intero – dove i bottoni non erano saltati – e le mani ficcate in tasca, in
cerca di tepore. Escluse le folate ululanti negli anfratti, il cortile era
silenzioso e lontano dalle zone di passaggio. Per l’umore di Iwaizumi era l’ideale, visto che ormai non aveva più un
posto suo tra quelle imponenti mura. O
in generale, non aveva più un luogo da considerare casa.
Quattro mesi prima si era convinto che l’Accademia
lo sarebbe stata. Che il dormitorio delle Ali Corvine sarebbe diventata la sua
dimora fissa. Niente più parenti che non sapevano cosa farsene di un moccioso
in più da sfamare; niente più orfanatrofi dove era poco più di un nome in liste
infinite di bambini senza genitori.
L’idea di divenire una guardia gli era
piaciuta subito. Conosceva la fama dei Corvi, i racconti sulle loro gesta, o
sulla difficoltà di diventare un membro del loro regimento esclusivo. Nei suoi scarsi
otto anni, praticamente passati tutti a sopravvivere a parole di circostanza e
spazi continuamente condivisi con estranei, l’essere accettato nel Clan Karasuno aveva creduto fosse l’inizio della sua stabilità.
Un po’ egoisticamente, aveva pensato fosse ciò che il destino gli doveva.
Per anni, troppe persone si erano rivolte a
lui con compassione, definendolo sfortunato
per essere nato in mezzo alla sciagura della Contrada di Kitagawa
Daiichi. Sfortunato
per l’aver perso – e mai davvero conosciuto – i propri genitori. Sfortunato quando i parenti di suo padre
si erano rivelati inadempienti verso i suoi bisogni di bambino, o ancora quando
i nonni materni erano morti e una mattina era stato lasciato davanti la porta del
primo orfanatrofio. Sfortunato quando
era stato spedito in un altro istituto, e un altro ancora per motivi sempre
diversi, siglati ogni volta da qualche adulto con un ricorrente che sfortunato!
L’ultima tappa era stata l’ingresso in Accademia,
accompagnato da un tremulo moto di incredula felicità. Qualcosa che non era
avvezzo a provare e che l’aveva tenuto sveglio tutta la prima notte col visetto
affondato nel cuscino, immerso nel tepore del camino e nell’ascoltare i respiri
regolari dei suoi compagni di stanza.
Si era subito trovato bene. Gli altri bambini
e ragazzi, nonostante avessero rispetto a lui l’età consona al cominciare
addestramento e studi, si erano rivelati per la maggior parte affabili, nel
peggiore dei casi solo taciturni. Lui non era minimamente un campione di
socialità, non quando aveva passato i recenti anni nei refettori
dell’orfanatrofio a inguattare cibo alla svelta e a
mostrarsi determinato nell’assestare calci negli stinchi ai prepotenti. Tra le
Ali Corvine vigeva un cameratismo radicato e gioviale. I ragazzi più grandi –
come Nishinoya e Tanaka –
erano sempre ben disposti verso i pulcini, pronti a raccontare gli aneddoti più
vari per tirarli su dopo ore di allenamenti. Il Capitano affrontava le
situazioni con un rigore che Hajime aveva da subito
preso a modello, mentre si era trovato impacciato di fronte alla gentilezza del
Camerlengo, il quale aveva avallato il suo ingresso in Accademia a dispetto del
regolamento.
Il bambino era conscio che la magia
accidentale scagliata in orfanatrofio non era da premiare – e probabilmente,
dalle storie che aveva sentito dagli altri studenti, non era nulla di speciale
– ma aveva preoccupato il rettore dell’istituto, che cortesemente aveva
scaricato la responsabilità sulle spalle della scuola di magia. Tuttavia, Sugawara non gliene aveva mai fatto una colpa. Lo aveva
anzi incoraggiato a riprovarci, a sua detta per capire per quale tipo di incanto
fosse predisposto.
Erano passati quattro mesi da allora e Hajime era riuscito a malapena a far lievitare qualche
oggetto. Aveva preferito concentrarsi negli allenamenti pratici e fisici, non
scoraggiato dalla fatica e molto più a suo agio. La sua famiglia non aveva mai
vantato maghi tra i propri antenati e non era mai stata sua intenzione diventarlo. Era successo.
Era arrabbiato, frustrato dall’ennesimo sfortunato sentito sul proprio conto;uandouQuQUand
non ci aveva più visto quando i ragazzini più grandi lo avevano circondato per fargli
capire chi è che comanda.
Ancora una volta, a distanza di una
settimana, Iwaizumi era convinto di sapere più di
chiunque altro come girasse il mondo, chi ne tenesse le redini. Finché fosse
stato un bambino, purtroppo per sé neanche molto alto, ci sarebbe stato sempre
qualcuno a dettare legge nella sua vita. Qualcuno che avrebbe deciso per lui
cosa fosse meglio.
Hajime detestava
avere otto anni e ritrovarsi a reprimere ancora una volta le lacrime in un
letto nuovo, in una camera spoglia nell’appartamento di uno sconosciuto a cui
era stato affidato senza avere voce in capitolo. Credeva di essere abituato ai
cambiamenti, ma quell’ultimo era stato troppo repentino e indesiderato, avvenuto
quando aveva iniziato a sentire di appartenere a qualcosa.
Non sapeva davvero cosa fare.
« Iwaizumi-kun! »
Il coretto di voci giunse dall’estremità del
corridoio del chiostro. Un bambino e una bambina sbucarono con le gote
arrossate e i mantelli del Clan Karasuno scompigliati;
si scambiarono uno sguardo vittorioso prima di avvicinarsi. Più indietro
rispetto a loro, e meno entusiasta, comparve anche Kageyama,
che si espresse appena in un cenno.
Hajime crucciò la
fronte, fece riemergere le labbra dalla sciarpa umidiccia ma quando aprì bocca
ci ripensò. Non era dell’umore per chiacchierare.
Al contrario, Hinata
e Yachi attaccarono subito.
« Volevamo parlarti! »
« Non ti abbiamo trovato a mensa! »
« Issei e Takahiro ci hanno detto che te ne eri andato dopo la
lezione del Maestro Oikawa »
« Ma poi Ennoshita-san
e Asahi-san ci hanno aiutati a trovarti dall’alto – e la biondina puntò un dito
al cielo oltre le arcate, dove i corvi volteggiavano solerti come ogni giorno –
ti mandano i loro saluti »
Iwaizumi non
rispose, squadrandoli tutti e tre e avvertendo una fastidiosa sensazione di
invidia nel petto.
Fino a poco tempo prima aveva condiviso la
camera anche con Shouyou e Tobio,
ignaro della virata improvvisa nel proprio futuro. Aveva guardato a Kageyama con rispetto per i suoi successi e la sua bravura;
a volte invece si era chiesto se Hinata fosse davvero
tagliato per fare il Corvo, nonostante avesse quasi tre anni più di lui ma
apparisse addirittura più giovane e mingherlino, bersaglio preferito per le
prese in giro del gruppo. Yachi era simpatica e
maldestra, sempre sotto l’ala protettiva di Kiyoko e Saeko, sue tutrici nello studio e negli allenamenti. Se non
fosse stato per i cambiamenti ottenuti col benestare di Sugawara,
che aveva garantito per l’introduzione delle donne nella Guardia, non l’avrebbe
conosciuta.
Loro erano ancora lì, all’Accademia, con
nessuno a disturbare il loro cammino, a differenza sua.
« Volevamo darti una cosa » continuò la
ragazzina, arrossendo e strappandolo ai suoi pensieri.
Hinata frugò nella
propria borsa, grande quasi la metà di lui; finì con l’accovacciarsi a terra per
rovistarci dentro. Ne riemerse con un pacchetto avvolto in due fogli di
pergamena decorati a inchiostro e un nastrino blu notte a chiuderlo. Le guance
di Hitoka si fecero ancora più paonazze mentre Shouyou piazzava il tutto tra le mani fredde di Hajime, riattaccando a parlare.
« Noya-san ci ha parlato
del tuo nuovo Maestro e della decisione del Vecchio Ukai,
così abbiamo pensato di farti un regalo! È anche da parte di Tadashi, ma era insieme a quello snob di Tsukishima ad allenarsi e non è venuto… e di Kageyama! Anche se non lo ammetterà. L’idea è stata però di
Yachi! Kiyoko-san ci ha
aiutato a cucirlo e Suga-san gli ha fatto un incantesimo! »
Iwaizumi contrasse
le sopracciglia seguendo il susseguirsi di parole con scetticismo, ma in pochi
secondi si ritrovò a stringere il dono tiepido tra le dita. Le sue labbra
disegnarono una “o” sorpresa. Ci mise qualche attimo a intuire la natura
dell’uovo di stoffa nera: un pulcino di corvo a peluche che… lo ritraeva, in
una caricatura buffa del suo cipiglio.
Hitoka balbettò
qualcosa, ma dovette ricominciare per farsi comprendere, imbarazzatissima.
« S-suga-san ha f-fatto in modo che, ecco…
se lo s-stringi diventa c-c-caldo! P-Pensavamo fosse un’idea carina, ti
a-abbiamo visto g-giù di tono »
Hajime seguitò a
fissare il piccolo peluche, ma le sue dita non di mossero. Ci pensò Hinata a sprimacciare l’animaletto di stoffa e ad attivare
l’incanto.
Era piacevole, dovette ammettere, ma non
trovò parole per esprimersi. Per un po’ il tepore riuscì ad avere la sua
completa attenzione, facendogli dimenticare la tristezza e la gelosia.
« Grazie »
La giornata stava finendo, ma la discussione
iniziò appena Hajime varcò la soglia
dell’appartamento.
« Io e te dobbiamo fare un discorsetto! »
Fu l’esordio Oikawa,
seduto sulla sedia a dondolo del salotto, un altro dei suoi immensi tomi aperto
sulle gambe e di nuovo gli occhialetti dalle lenti rosate sulla punta del suo
prezioso nasino. Questo non gli impedì di distrarsi dalla lettura per puntare
il ragazzino al rientro. Iwaizumi intuì che si fosse
sistemato in posizione strategica per pizzicarlo al momento opportuno; per un
attimo gli ricordò sua zia paterna, con lo stesso tono noioso e fastidioso delle
ramanzine in arrivo.
« Ah? » replicò appena, svolgendosi la
sciarpa dal viso e consegnandola a William, l’attaccapanni animato che
ricopriva anche il ruolo di maggiordomo dentro l’appartamento. Il tavolino da
tè trotterellò incontro al bambino e cercò di giocare con lui, festaiolo e
noncurante delle intenzioni del padrone di discutere. I due pezzi di mobilio
incantati erano forse le uniche ragioni per cui Hajime
riusciva a sopportare il suo nuovo tutore, così la prese decisamente male
quando il Mago, con un gesto seccato, li immobilizzò facendoli tornare di
semplice legno.
« Credevo ti avessero insegnato le buone
maniere! » attaccò Tooru, alzandosi per raggiungerlo
e atteggiandosi con le mani sui fianchi. Forse nelle sue intenzioni voleva
metterlo in soggezione, chinandosi in avanti per sovrastarlo, ma Hajime rimase ritto nella sua statura fanciullesca
piantando gli occhi verdi in quelli castani. L’unico gesto che avrebbe potuto
tradirlo il Mago non lo colse: fu stringere la borsa con le dita, lì dove Iwaizumi sapeva ci fosse il peluche regalatogli dai pulcini
del Clan Karasuno. Forse stava immaginando di sentirlo
riscaldarsi attraverso il cuoio; tuttavia una sensazione rassicurante si spanse
per il petto e lo aiutò a fronteggiare Oikawa.
« Che problema c’è? Non ho fatto tardi »
sbottò senza preoccuparsi di modulare le sillabe, ma anzi, lasciando trapelare il
proprio nervosismo. Il Mago non sembrò accorgersene.
« Che significa questo!? »
Tooru gli piantò
sotto il naso il foglietto che gli aveva fatto recapitare da Hanamaki e Matsukawa dopo la
lezione. Era anche più stropicciato di quel che ricordasse.
Fu come sentirsi improvvisamente sgonfiati
di tutto. Iwaizumi dimenticò qualsiasi forma di
collera per della semplice confusione. Eppure lo sguardo del Mago non sembrò
dello stesso avviso e seguitò a fissarlo con rimprovero.
« Cos’è, sei stupido? » se ne uscì il
bambino, non capendo.
« Iwachan! Modera
il linguaggio! Sono il tuo Maestro, esigo rispetto! Non chiamarmi in questo modo! » e per sottolineare
l’affermazione gli ripiantò davanti al naso la nota di carta.
« Non devo chiamarti Shittykawa?
» chiese conferma.
« Esattamente »
« Ok… » annuì Hajime.
« Kusokawa è meglio? »
Oikawa sbatté le
palpebre un paio di volte certo di aver sentito fischi per fiaschi. I
lineamenti dell’apprendista erano quelli di chi è annoiato e ha già archiviato
una conversazione inutile.
« Tu smettila di chiamarmi Iwachan – si disgustò
nel dirlo – e io vedrò di chiamarti Maestro
Oikawa »
« Ragazzino insolente… » sibilò il Mago con
una vena pulsante sulla tempia e una smorfia tirata.
« Ti verranno le rughe, Shittykawa » rincarò il fanciullo
senza mostrare della vera ironia. Incrociò le braccia per rimarcare la propria
volontà di non dargliela vinta.
Rimasero a fissarsi, senza che nessuna delle
due parti desistesse. A rompere l’impasse fu qualcosa di inaspettato, ma che
gonfiò le guance del Mago di ilarità e irrigidì il bambino.
Un brontolio inconfondibile riecheggiò
nell’ingresso.
« Non ti conviene provare a fare
l’impertinente a stomaco vuoto, Iwachan. Non
quando devi ancora crescere tanto » lo canzonò Oikawa,
prendendolo in giro nel mimare con il palmo un’altezza fuori dalla sua portata.
Dal tono leggero fece intuire che la discussione per lui avesse perso interesse
– e la sua ostinazione nel rifilargli il nomignolo non fosse stata minimamente
scalfita – ma Iwaizumi non era dello stesso avviso.
Non quando la sua amarezza era quiescente; la confusione, il rifiuto di quei
giorni e i cambiamenti un punto dolorosamente sensibile a qualsiasi
affermazione o battuta. Era a digiuno dalla sera precedente, irrequieto nel
sapere che quella pagliacciata con il nuovo
Maestro sarebbe cominciata ufficialmente con la prima lezione.
Gli altri allievi dell’Accademia avevano bisbigliato
tutto il tempo, apostrofandolo quando passava, ridacchianti delle storielle su Oikawa e tirando in mezzo anche lui come, ancora, un
ragazzino sfortunato.
Le luci dell’appartamento sfavillarono.
« Ooh » si
sorprese Oikawa, occhieggiando i lumi. Le fiamme del
camino si gonfiarono all’improvviso, lambendo le pareti di marmo. Lo sguardo
del Mago tornò fisso in quello contratto del fanciullo, dandogli piena
attenzione. « C’è qualcos’altro che vuoi dirmi? »
« Finiscila… finiscila di trattarmi come
fossi stupido! Lo so che sono solo un mezzo per i tuoi scopi! Sei tornato
perché vuoi il posto di Primo Maestro, ma senza un allievo o un Clan non puoi esserlo
»
« Origliare non è educato »
« Non ho origliato un bel niente, e non è
questo il punto! » sbottò.
« E quale sarebbe il punto, Iwaizumi-kun? »
Anche se all’apparenza sembrava averlo finalmente
chiamato con rispetto, il tono non sussisteva, ancora morbido come una carezza
infida.
« Non fingere! » sibilò, e avrebbe tanto
voluto stringere di nuovo il regalo fattogli quel pomeriggio. Si impose di non
distrarsi, di non perdere il contatto visivo con gli occhi nocciola del Mago
nemmeno per un istante. « Non fingere che ti importi di me! »
« Sei crudele, Iwa-
»
« Voi
adulti siete crudeli! » lo interruppe urlando. Fiamme e lampade
baluginarono più forti. Qualcosa scricchiolò e l’uccellino invisibile nella sua
gabbia emise un lamento.
Oikawa si zittì,
per un attimo sinceramente sbigottito. Hajime non gli
diede tempo di ribattere.
« Pensate soltanto a voi stessi! Fate i
vostri interessi e poi ve ne uscite dicendo che è per il bene degli altri! Non me ne frega un cavolo se vuoi diventare
Primo Maestro! Fallo! Ma lasciami in pace! »
Il bambino tremava di rabbia, cocente e prepotente,
tanto che la delusione e la tristezza erano state completamente assorbite da questa.
Non si preoccupò di farsi vedere scosso. Non si preoccupò neanche del fastidio
provocato dalla mascella contratta, dai denti serrati tanto stretti.
Per un istante molto lungo si ripeté più
volte che lo stesso incantesimo che aveva scagliato accidentalmente contro i
bulli dell’orfanatrofio avrebbe potuto lanciarlo contro Oikawa.
Desiderò farlo davvero.
Il Mago non sembrò troppo turbato da tutta
quell’aggressività, nonostante mise più spazio tra loro, raddrizzando la
schiena. La sua mano si mosse con un gesto stizzito, come per allontanare una
mosca fastidiosa.
« Va bene, cosa vuoi? » cedette, più
indulgente e attento.
Hajime non lo
seguì, ma il cambio di atteggiamento dell’adulto in parte lo sgonfiò.
« Che intendi? »
« Un accordo no? È quello che stai cercando
di proporre, o sbaglio? » il Mago misurò il ragazzino con lo sguardo da capo a
piedi, dando l’idea di prenderlo in considerazione seriamente per la prima
volta. « Non lo negherò: sei stato un imprevisto. Ma non sono così crudele da ignorarti.
Ci hanno buttati a forza sulla stessa barca. O meglio, ti hanno messo a forza in casa mia. Per tanto, dato che volente o
nolente dovrò insegnarti qualche trucchetto base finché non avrò raggiunto il
mio scopo, cosa vuoi per starmi fuori dai piedi il resto del tempo? »
Iwaizumi non se
l’era aspettato. Abituato a sentirsi urlare contro di essere un bambino
incapace di capire gli sforzi di un adulto, di essere ingrato ai sacrifici fatti
per lui, ritrovarsi improvvisamente a essere trattato come un pari sbilanciò la
sua collera lasciando uno spazio vuoto e incerto dentro di lui. Vacillò, ma
solo per un attimo.
« So badare a me stesso » affermò, non col
tono sostenuto che avrebbe voluto, ma Oikawa roteò comunque
gli occhi, facendogli cenno di proseguire « Al di fuori degli orari in cui
dovrai insegnarmi qualcosa, non pensare a me »
« Va bene, ma il coprifuoco è alle
diciannove! Rimango il tuo tutore e ci manca che mi arrivi qualche ramanzina da
Sugawara, o
peggio, da quel vecchio felino del Maestro Nekomata
»
Hajime non era
viziato, né pretendeva chissà cosa, quindi annuì concorde.
« Ottimo! » trillò Oikawa,
sorridendo allegro e allo stesso tempo provocando addosso al fanciullo un senso
di viscido. Gli prese anche la mano, in una stretta rapida e inconsistente, per
siglare l’accordo. « Dovevamo averla
prima questa conversazione, Iwachan! » cianciò mentre
se ne tornava al suo libro e alla sua sedia a dondolo. « Ci saremmo risparmiati
un sacco di occhiatacce reciproche e inutili sentimentalismi »
« Non chiamarm- »
Tooru levò l’indice
per tacitarlo, un sorrisetto schernitore più mordace del solito, sfiorante l’irritato.
Hajime ne rimase stupido, non capendo. Eppure il Mago
aveva dato l’idea di essere il primo contento di quella specie di contratto.
« Chiamarti Iwachan è nella mia parte di
accordo » disse e basta, infantile e senza spiegazioni. Da quel momento non lo
calcolò più.
Il bambino lo guardò in cagnesco un’ultima
volta e decise che ne aveva abbastanza. Raccolse la sciarpa, caduta da un
ancora immobile William, e si diresse a passi pesanti verso la propria camera.
« Domattina non venire a svegliarmi con la
tua faccia insopportabile, Shittykawa! » ruggì, e si sbatté
la porta alle spalle insieme a un lagnoso Rude!
Rispetto al salone riscaldato dal camino, la
stanza accolse il bambino col buio e con l’aria più fredda e rarefatta. Iwaizumi avvertì nitido il cambio di temperatura
insinuarglisi sottopelle, stroncando la sensazione di calore prodotta dall’astio.
Qualunque fosse la cosa instancabile e
bellicosa dentro di lui si quietò come se gli fosse stata rovesciata addosso un
catino pieno di ghiaccio. Non ci provò nemmeno a pensare che alla fine aveva
fatto valere le proprie ragioni. Non riusciva a sentirsi vittorioso. Anzi, il
vuoto di qualcosa di nuovo si era allargato senza motivo.
Si sedette per terra – fu più uno scivolare
contro l’uscio – perché il letto gli sembrava tanto lontano. Prima che lo
realizzasse, la sua mano aveva già frugato nella borsa tirandone fuori il
corvetto di peluche. Lo sprimacciò, non con lo stesso entusiasmo di Hinata, eppure questo si riscaldò tra le sue dita.
Non pianse.
Il subbuglio era lo stesso di tutte le volte
che le lacrime erano scivolate fuori senza il suo consenso, ma quella sera non
vennero. Rimase a fissare il regalo e ripensò alla propria vittoria, senza gioirne. Prostrato dallo stress, il sonno lo colse beffardo
prima che avesse la forza di rialzarsi e trascinarsi sotto le coperte.
Si torna a Londinium dai maghi e dalle rose! Sarò breve, non ho molto
da dire essendo un capitolo di passaggio… anzi, non credo proprio di dover
comunicare nulla! XD
Spero non ci siano dubbi:
sto trattando la magia un po’ sommariamente, essendo un contorno… dal prossimo
capitolo si entra nel vivo!
Grazie mille a Spiga Rose
e a _Lady d’inchiostro_ per la continua sopportazione di vaneggiamenti e
chiacchiere sui pallavolisti. Il capitolo è tutto per voi! ♥
Buon fine settimana!
Nene ~
Pagina autore: Nefelibata