Incompleti

di Marty1611
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAPITOLO 1 ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO 2 ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO 3 ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO 4 ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO 5 ***
Capitolo 6: *** CAPITOLO 6 ***
Capitolo 7: *** CAPITOLO 7 ***
Capitolo 8: *** CAPITOLO 8 ***



Capitolo 1
*** CAPITOLO 1 ***


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CAPITOLO 1

 

MIAMI, FLORIDA

La campana, dopo nove mesi di supplizio, era finalmente suonata. Liliana buttò tutto ciò che si trovava sul suo banco nella cartella, senza avere cura delle pagine piegate o dell'astuccio chiuso male. Prese un profondo respiro e sgattaiolò fuori dalla classe senza salutare nessuno. Non c'erano persone che aveva la premura di abbracciare e, di certo, essere spettatrice di grandi effusioni d'affetto non era uno dei suoi obiettivi. Si era trasferita in Florida da ormai un anno, ma non sembrava aver ancora trovato un amico e, quei pochi che aveva, erano dall'altra parte degli Stati Uniti, a Monterey, probabilmente a dormire, visto l'orario.
Si fece strada tra gli amiconi che si davano pacche sulle spalle, le ragazze dell'ultimo anno che piangevano come delle fontane, gli innamorati che si baciavano negli angoli buii dei corridoi ed i professori che, come lei, cercavano una via di fuga da questo delirio.
Arrivò al suo armadietto, lo aprì e, in tutta tranquillità, ne rovesciò l'intero contenuto nello zaino, esattamente come aveva fatto precedentemente con i libri sul banco. Poi, si occupò di staccare tutti gli adesivi e le fotografie di casa con cui aveva tappezzato l'intero spazio all'inizio dell'anno. Si era ripromessa di togliere tutto appena la malinconia fosse finita, ma eccola lì, a strappare con foga dei ricordi che non si erano ancora sbiaditi.
Sentì una mano toccarle la spalla e si girò impassibile.

«Ehi, bigné! Vieni alla festa a casa mia, domani?». 
Eccolo, in tutto il suo splendore, Paul Styles, la persona più arrogante e falsa che il mondo avesse mai conosciuto. All'inizio ne era rimasta affascinata, come tutte nel mondo. Era un ragazzo splendido, perfetto sotto molti punti di vista: capelli ricci biondi, sorriso smagliante, fisico da modello e degli occhi bellissimi, azzurri come il mare. Era stato un gentleman con i fiocchi e, in poco tempo, l'aveva conquistata con il suo adorabile accento inglese e tutto il resto; ma, dopo averla definita "una grassa sfigata", l'intero castello fatato era crollato.

«No e non chiamarmi così».
«Ehi! Mi offendi, sei l'unica con cui vorrei andare» disse appoggiandosi agli armadietti, sfoggiando il suo miglior sguardo affascinante.
«Attendo con ansia il giorno in cui smetterai di prendemi in giro, ma so che non accadrà vista la tua perfida natura,» sospirò e chiuse l'armadietto «quindi, fammi il favore di andartene e dimenticarti della mia esistenza. Voglio avere il piacere di cancellare il ricordo di te dalla mia memoria per il resto della mia splendida vita.»  Sorrise, prese la sua cartella e se ne andò.

Ci mise metà del tempo che solitamente impiegava per tornare a casa. Era così felice che percorse l'intero tratto scuola-cortile di casa saltellando e correndo come una pazza.
Accaldata e assetata, la prima cosa che fece, fu aprire il frigorifero e bere metà bottiglia d'acqua tutta d'un fiato.
«Quando imparerai a versarti l'acqua in un bicchiere, invece di scolarti l'intera bottiglia come se non bevessi da mille anni, sarà troppo tardi!»  urlò sua sorella, Pamela.
«Quando imparerai a farti gli affari tuoi, il mondo probabilmente finirà!».
Pamela rise di cuore e rispose: «Sono affari miei se poi devo bermi la tua bava...»
«Prenditi un'altra bottiglia... no?»
«Bevi dal bicchiere... no?».
Era inutile, non c'era giorno in cui Pam non la rimproverasse per i suoi modi di fare troppo rozzi. "Non ciucciare la Nutella dal cucchiaio se poi ne vuoi ancora!". "Ehi! Ma hai davvero intenzione di mangiare il grasso di quel prosciutto?" "Quando imparerai a chiudere il tappo del dentifricio?". Tutti questi litigi riguardo a cose davvero futili erano diventati quasi un gioco, un vizio.
Pamela aveva quattordici anni in più di Liliana eppure si comportava come se ne avesse ancora diciotto. Era una ragazza semplice, dolce e molto estroversa; non aveva alcun filtro tra il cervello e la bocca e questo era ciò che a sua sorella piaceva di più: le diceva tutto ciò che non le piaceva di lei senza mezze misure, era sempre sincera. Aveva tentato più e più volte di dissuaderla dal chiudersi in casa ed evitare ogni relazione con tutti gli abitanti della Florida, ma non era riuscita a cambiare nulla, non dopo la brutta esperienza con Paul. Così, Pamela aveva visto sua sorella sfiorire nel giro di pochi mesi, ingrassando più del dovuto e diventando la ragazza introversa che non era mai stata.

 


 

Harry uscì dallo squallido negozio di dischi in cui lavorava e andò a farsi una passeggiata sulla spiaggia. Amava quel posto e l'idea di poter aprire le finestre la mattina e vedere il sole riflesso nel mare, ma gli mancava comunque la sua piccola e fredda casa in Inghilterra. Sapeva quanto fosse assurdo sentire la mancanza di un perpetuo altrenarsi di pioggia, grandine e poco sole, ma c'era qualcosa in quelle campagne un po' tristi e solitarie che qui non trovava. Abitava in Florida da quasi cinque anni e del Cheshire gli era rimasto solo l'accento, ormai aveva perso l'altezzoso modo di fare di cui si vantava tanto un tempo e trascurava molti degli aspetti che, in passato, gli importavano davvero. Da quando aveva lasciato la sua famiglia per non essere un peso e aveva abbandonato l'università per il lavoro, non era più lo stesso ragazzo raggiante. 
Camminò per mezz'ora a piedi scalzi, lasciando che le onde gli bagnassero piedi e polpacci e portassero via quella punta di malinconia che, da troppo, lo stava rovinando. 
Mangiò in un piccolo fast food sul lungo mare e poi riprese a lavorare.
Tornò a casa alle otto di sera, come sempre, e rimase sorpreso nel trovare suo fratello, Paul, seduto di fronte alla porta ad aspettarlo.

«Cosa ci fai qui?»
«Ciao fratellone!».
Gli corse incontro e lo abbracciò forte, ma Harry rimase impassibile.
«Cosa ti serve?»
«Sono solo venuto a trovarti! Non posso?» sorrise in modo così innaturale che risultò impossibile credergli.

«Paul...»
«Potrei aver organizzato di nascosto una festa a casa mia e mamma e papà potrebbero averlo scoperto e potrei, ripeto, potrei aver già comprato tutto e quindi avere bisogno di una nuova location...»
«Potrei non volere diciottenni ubriachi che scorrazzano per casa mia e rompono quelle poche cose che sono riuscito a comprarmi lavorando per quattro anni in quel cesso di negozio chiamato Happy Music».
«Ti pago».
«Assolutamente no».
«Metterò tutto a posto io, ti paghero per il disturbo e ti laverò la moto per il resto dell'anno!».
«Con che soldi mi pagheresti, scusa?»
«Con i soldi che tutti i partecipanti mi daranno per venire all festa. Diciamo... il venti percento?»
«Sessanta».
«Cosa? Sono un mucchio di soldi, Harry, pensavo di pagarmi la macchina nuova con quelli!»
«Predere o lasciare...»
«Prendo!». Si fiondò sulla mano del fratello e la strinse così forte da fargli quasi male.
«Rimarrò qui tutta la sera a supervisionare la cosa, non voglio una cosa che sia una fuori posto, chiaro?»
«Chiarissimo, grazie, grazie mille fratellone!».
Harry aprì la porta di casa, entrò e la richiuse dietro di sé, senza lasciar passare il ragazzino presuntuoso ed arrogante che, da tempo, non considerava più suo fratello.

 



Buon pomeriggio!
Questa non è la prima fanfiction che pubblico, qualche anno fa scrivevo regolarmente su efp sotto il nome di martyniall, ma vista la mia limitata disponibilità, ho cancellato l'account l'anno scorso. Sono ritornata perché mi manca scrivere e sapere di poter condividere con altre persone la mia passione.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, perché la storia che sto delineando nella mia mente mi sta davvero appassionando. Mi auguro di ricevere delle recensioni positive e di riuscire a continuare questo "progetto". 
Ringrazio in anticipo chiunque deciderà di condividre con me la sua opinione.

Marty

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Capitolo 2
*** CAPITOLO 2 ***


CAPITOLO 2

 

Il sole era già alto e filtrava raggiante dalle tapparelle della finestra della sua stanza. Liliana aprì gli occhi molto lentamente e fece un grande respiro. Erano le undici e venti, lei si trovava nel suo letto e la scuola era finalmente finita. Prese uno dei tanti cuscini sparsi sul materasso e urlo forte contro esso, lacrime di gioia le scendevano lente sul viso. Erano stati nove mesi d'inferno, lontana da casa e circondata da persone che non le volevano neppure un briciolo di bene. Alzò le braccia al cielo e poi si alzò.
«Buongiorno famiglia!» urlò dal più altro gradino della scala a sua madre, che pareva essere l'unica in casa, in quel momento.
«Buon dì, tesoro» rispose. Gloria era appena tornata dall'estetista e, con le sue unghie ben fatte e una biro in mano, era seduta al tavole della cucina a fare uno dei suoi tanti cruciverba mattutini. «Come siamo felici! È successo qualcosa di cui non sono al corrente?».
È finita! Non dovrò più vederli per il resto della mia vita, mamma! Niente più “Lily la stramba” per me! pensò. «Niente, sono solo contenta di non dover più studiare per un po'!» disse invece.
Era raggiante, la gioia traspariva da ogni angolo della sua pelle.
«Non sarà per la festa? A proposito: quando pensavi di dirmelo?».
«Dirti cosa?». Non riusciva a smettere di sorridere.
«Un bel giovanotto è passato di qui, poco fa, con questa...»
La felicità l'aveva stordita talmente tanto da non averle fatto notare il suo nome scritto a grandi caratteri dorati sulla busta rossa che sua madre sventolava in mano da un po'. Paul. Improvvisamente il suo volto cambiò. Il luccichio dei suoi occhi svanì, il sorriso smagliante semplicemente si annullò, tutto si annullò.
«Quindi? Cosa pensi di indossare? È da un po' di tempo che non facciamo shopping, ormai metà dei vestiti non ti stanno più, tesoro».
«No-non pensavo di andarci, in realtà». La voce le tremava, tanto. Pensava di essersi finalmente liberata di lui e di tutto il suo seguito. Non voleva andare a quella maledetta festa, non voleva essere di nuovo lo zimbello dell'occasione: “Lily la strana”, “Lily il bignè”, “Lily con gli abiti troppo stretti”.
«Perché, amore? Se il problema è l'abbigliamento, non ci sono problemi, possiamo andare oggi stesso a comprarti qualcosa».
«Non mi va».
Gloria piegò la testa da un lato e la guardò perplessa. Ormai non vedeva uscire sua figlia da mesi, non aveva incontrato nemmeno uno dei suoi nuovi amici se non il bel ragazzo biondo, quella mattina stessa. Forse ha litigato con lui, pensò, forse è il suo fidanzato. Lei non sapeva, Liliana non aveva voluto dirglielo e aveva fatto promettere a sua sorella di non proferirne parola con la madre. Non che il suo disagio non fosse evidente, ma Gloria aveva sempre prestato poca attenzione all'umore delle figlie e poi lavorava troppo per avere il tempo di capire cosa passasse per la mente di quelle due. Aveva notato un cambiamento in lei, da quando si erano trasferite, soprattutto negli ultimi mesi, ma non gli aveva dato alcun peso. Forse era ingrassata per lo stress a scuola, forse aveva semplicemente una perenne fame, magari voleva solo cambiare la sua forma...
«Non dire cavolate! Fai colazione, lavati i denti e vestiti,» disse sorridendole «ti porto al centro commerciale».
Recitò, recitò per l'ennesima volta: sorrise e la ringraziò.

Ci vollero venti minuti per raggiungere il posto, quindici dei quali passarono nel completo silenzio. Liliana, infatti, aveva passato gran parte del tragitto con le cuffie nelle orecchie a guardare fuori dal finestrino, mentre Gloria era stata per tutto il tempo al telefono con la sua migliore amica del momento, Meredith.
Dopo aver affrontato tre o quattro negozi senza risultato, erano entrambe stravolte. Tutti i vestiti sembrano pensati solo per modelle di Victoria's Secret: troppo stretti in vita o troppo aderenti ovunque, comunque sia, non pensati per lei. Lo strazio stava durando da ormai un'ora quando, finalmente, decisero di andare in una boutique leggermente più costosa.
«Possiamo andarcene? Non c'è nulla che mi stia bene o che addirittura mi stia!».
«Questo perché non abbiamo ancora trovato qualcosa che si adatti alle tue forme, tesoro. Ci sono vestiti e vestiti, ci sono quelli per quelle più magre e quelli per le... formose» affermò, mentre con la mano stava facendo passare tutti i vestiti di fronte a lei. Tirò il lembo di una gonna per mostrarla alla figlia, ma il responso fu picche.
«Non sono formosa, mamma, sono grassa, tanto grassa. Troppo...».
«Tu non sei troppo, se non troppo bella». Le accarezzò il viso con dolcezza e la guardò per un attimo, giusto il tempo per confortarla.
Dopo qualche minuto l'accordo fu fatto: se nessuno dei vestiti che le aveva appena trovato le stava bene, sarebbero tornate a casa e avrebbero dimenticato il tutto.
Liliana provò prima un abito lungo blu elettrico con le spalline, stretto in alto e morbido dal seno in giù: lo bocciò perché “sembrava un sacchetto”. Poi, fu la volta del vestitino rosso con una cintura all'altezza della vita, tempestata di finti swarovski: non si chiudeva all'altezza del seno e la faceva sembrare “un grande pomodoro con i brillantini”.
In fine, distrutta, indossò la tuta nera: la sua ultima spiaggia. Con stupore da parte di entrambe la zip si chiuse e ogni centimetro di stoffa sembrava accarezzarle il corpo nei punti giusti: dalle maniche un po' più lunghe del solito, ai pantaloncini che coprivano le parti giuste delle sue gambe, finanche al pizzo che le scopriva la schiena e alla scollatura accennata che le valorizzava il seno.
«Te l'avevo detto! C'è sempre qualcosa fatto per te, basta cercare bene!». Liliana annuì. «Ti piace, tesoro?».
«Certo, mi sta bene...».
Mentre la madre saltellava dalla gioia per essere riuscita nel suo intento, la figlia si guardò nello specchio e trattenne le lacrime. Ora non aveva più scuse, era costretta ad andare.


Stava leggendo il suo libro preferito, in giardino, quando arrivarono il fratello e i suoi compagni. Suonarono il clacson, interrompendo bruscamente la sua lettura. Guardò all'orizzonte e notò un gigantesco pick-up avvicinarsi e parcheggiare di fronte al suo garage.
«Harry, dammi una mano» disse Paul, con un gigantesco fusto di birra tra le sue braccia.
«La festa è tua e fai tutto tu» rispose e continuò a leggere.

Tra cibo, alcol e allestimento ci vollero più di due ore, alla fine delle quali, Harry scese dalla sua amaca e raggiunse i sei ragazzi che avevano invaso la sua carissima casa. Appoggiò il libro sulla mensola più alta della sua libreria in salotto, per prevenire un eventuale disastro da parte dell'orda di adolescenti, e poi chiamò suo fratello, per parlargli a quattrocchi.
«Tra un'ora la festa inizierà e probabilmente ci sarà il delirio ed è normale e va bene, ma se per qualche assurda ragione, qualcuno di questi idioti» lanciò uno sguardo alla combriccola «rompe anche solo il più insignificante oggetto della casa, giuro su dio che ti farò sputare sangue per farmi ripagare il danno, chiaro?».
«Chiarissimo».
«E niente sesso o droga di alcun tipo in casa mia, niente!».
Paul spalancò gli occhi, deglutì e poi annuì.
«Benissimo, divertiti allora!». Gli sorrise, gli diede una pacca sulle spalle e poi scomparì nella sua stanza.
Non riusciva a capacitarsi di quella che aveva appena fatto, dell'errore madornale di cui si sarebbe presto pentito: aveva consegnato la SUA casa a Paul, il guastafeste per eccellenza. Era stato un problema sin dalla nascita, gli aveva rubato tutto: i giocattoli, i vestiti, la stanza, la macchina, i genitori... e ora gli aveva permesso lui stesso di usufruire di casa sua. Sembrava così assurdo, anche l'ultimo suo brandello di vita immacolato era stato sporcato dalle mani unte di vizi di Paul. Scosse il capo, si sdraio sul suo letto e si appisolò.
 



Buon pomeriggio e ben tornati!
So che non si tratta di un grande capitolo colmo di novità, ma il meglio sta per venire...

Lasciatemi una recensione se vi è piaciuto o se, invece, avete qualche critica da farmi. 
Grazie mille,
Marty

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Capitolo 3
*** CAPITOLO 3 ***


CAPITOLO 3
 


«Pronta?».
Erano ore ormai che si guardava allo specchio, era già passata attraverso le varie fasi di giudizio più e più volte, ripetendo il ciclo: “sto molto bene, perfetta”, “forse questo non è ok” e “che schifo, vado a cambiarmi”. Tutte le volte aveva desistito a cambiarsi, aspettando che la fase uno ritornasse in fretta. Quando sentì la voce di sua madre era alla due, per cui con un fazzoletto si tolse parte del trucco che considerava non abbastanza leggero e uscì dalla sua stanza.

Nonostante gli svariati tentativi di persuasione di Gloria, Liliana rifiutò di essere accompagnata in macchina alla festa e di tornare oltre le due di notte, fosse stato per lei non avrebbe neppure oltrepassato l'ingresso di quella casa. Salutò sua madre, fece un grande respiro e uscì di casa.
Non voleva essere la prima ad entrare e neppure essere minimamente notata, quindi aveva deciso di fare un giro al negozio di dischi, farsi la solita chiacchierata con uno dei commessi e poi raggiungere il “grande party”.
Felix era quello con cui si intratteneva più a lungo a parlare di musica. Era un bel ragazzo di diciannove anni con capelli corti castani e scintillanti occhi verdi. Sarebbe stato molto desiderato nel quartiere se si fosse tenuto meglio. Indossava sempre lo stesso paio di Nike dal colore ormai sbiadito, magliette larghissime di band degli anni ottanta, jeans di seconda mano strappati e i suoi spessi occhiali da piccola talpa, ma Liliana piaceva così, le veniva naturale parlarci. Era una persona molto spontanea e solare con chi voleva, faceva un sacco di battute sul tempo e sulle persone che passavano di lì, era capace di parlarle per ore e lei era sempre pronta ad ascoltarlo. Era forse l'unico amico che aveva in quella città.

«Quindi devi andare ad una festa?».
«A quanto pare, sì» disse alzando gli occhi al cielo.
Lui le sorrise e si appoggiò al bancone con i gomiti. «E sei pronta?».
«A livello di vestito anche troppo». Si sedette sullo sgabello davanti alla cassa, mentre Felix era occupato a guardarla dal lato del cliente. «Ma psicologicamente proprio no... tutte quelle persone sudate e felici.. uhm». Fece una smorfia di disgusto, una delle sue però, una di quelle che le deformavano la faccia in modo tanto buffo da far ridere chiunque. Lui non si trattenne.
«Capisco, capisco. Poi c'è addirittura il rischio che tu ti diverta davvero, che orrore!». Riprese a vagare per il negozio con uno straccio in mano per pulire e spolverare qua e la.
«Il problema non è la festa in sé, sono le persone che ci sono alla festa. Saranno tutte in tiro e belle e ubriache e stupide!».
«Effettivamente, tu sei troppo intelligente e superiore per mischiarti a quei poveri, insomma... loro sono il volgo, no?».
«Bene, direi che mi hai preso in giro abbastanza anche tu!». Prese la borsetta e andò all'entrata.
«No ehi!». Le corse dietro e le prese il braccio. «Rimani ancora un po' a farmi compagnia... almeno fino alla chiusura». Le sorrise in modo dolce, come faceva raramente.
Liliana sospirò e lo guardò negli occhi prima di parlare. «Solo dieci minuti, okay?».
«Okay».
Appoggiò, di nuovo, la borsetta sul bancone della cassa e si mise a girovagare per il negozio. Pensò a cosa la stava aspettando non troppo lontano da dove si trovava, al caos, alle persone e, soprattutto, a Paul. Non si sentiva pronta ad affrontarlo, a vederlo squadrarla dalla testa ai piedi e osservarla per tutta la serata, aspettando che facesse un qualche mossa sbagliata per schernirla. Come sempre il flusso di pensieri la trasportò nella stessa direzione e la fece naufragare sulla spiaggia della California, la sua California. Improvvisamente le tornarono alla mente i ricordi dei suoi amici, i loro visi e, solo alla fine, arrivò alla conclusione tanto temuta, a quel pensiero che aveva sempre schivato ma che, ora, in quel tanto amato negozio, la stava travolgendo: quelli che erano i suoi amici non sarebbero più tornati tali e forse non lo erano mai stati. All'inizio, tutti le avevano scritto quanto fosse brutto senza di lei, quanto fosse tutto diverso e poi, nel giro di un paio di mesi, i messaggi avevano iniziato a diminuire e le persone a sparire. Persino i suoi migliori amici avevano smesso di scriverle, nessuno la chiamava più. Liliana era diventata un ricordo.
«Vuoi comprarlo?» chiese Felix, riportandola in salvo.
«Cosa?».
«Il CD che tieni in mano, mi preoccupi».
«Perché?».
Lui lanciò uno sguardo sorpreso all'album di canzoni per bambini che stringeva tra le mani da un po' e, quando anche lei si accorse dell'errorre, tutto apparve chiaro. Scoppiarono entrambi a ridere.

Fortunatamente, all'ultimo Paul aveva cambiato il posto, scegliendo una villetta poco lontana. Quando arrivò, la festa era già iniziata da almeno un'ora, come aveva programmato.
Entrò a testa bassa, facendosi strada a gomitate tra la grande calca di adolescenti ubriachi e molto, molto sudati. Guidata dalla folla, finì per sedersi su un divanetto marrone di seconda mano, accanto ad una coppia particolarmente affiatata. Passò brevemente dal disgusto all'invidia. Si chiese, infatti, come ci sentisse ad essere desiderate in quel modo. Non le era mai capitato di essere amata o, comunque, piaciuta da qualcuno, nemmeno in California. Lei era sempre stata l'amica con cui parlano tutti e che sta sempre simpatica ad ogni ragazzo, ma non era mai stata quella che, semplicemente entrando in una stanza, faceva girare la testa a tutti. Paradossalmente quella giovane mezza nuda, sporca e probabilmente troppo ubriaca per essere seriamente cosciente di ciò che stava facendo che era stesa sotto al suo presunto fidanzato era più fortunata di lei che, in quell'esatto momento, stava giocando con delle stupide applicazioni sul telefono cercando di non pensare alla desolazione della sua vita.

Dopo venti minuti di noia e la batteria quasi completamente a terra, Liliana si alzò dal divanetto e si diresse verso quella che pareva essere la cucina per cercare qualcosa da bere. Per raggiungere il frigorifero dovette affrontare un dedalo di sudore e alcol talmente fitto che, quando riuscì a versarsi un bicchiere d'acqua, si ritrovò impregnata di strani odori lei stessa.
«Ehi! Alla fine sei venuta...». Paul spuntò dal nulla, con la maglietta più aderente che avesse mai visto e un sorriso splendente. Era difficile da accettare l'attrazione che provava per una persona tanto cattiva e falsa, ma ogni volta non riusciva a pensare ad altro: era bellissimo. La maglia era bagnata di sudore così come i suoi capelli arruffati, eppure non le era mai sembrato così affascinante come in quel momento.
«Ehi Paul! Bella festa...». Sfoggiò il sorriso più falso che esistesse.
«Stai bene così». Come programmato, la squadrò e, per un attimo, le parve di essere osservata più a lungo del dovuto. «Vuoi una birra?» le chiese ammiccando in segno di gradimento.
«No, grazie... poi devo guidare» mentì.
La fissò ancora un po' mordicchiandosi il labbro interno, come faceva sempre quando pensava. «Beh, divertiti!». Alzò il suo bicchiere rosso al cielo e poi scomparve, come un fantasma. Solamente a quel punto, Liliana riprese a respirare.


La musica era troppo alta e i ragazzi troppo agitati per i suoi gusti, ma ormai era troppo tardi per annullare tutto. Harry era sdraiato sul suo letto a cercare di distrarsi con un buon libro e della bella musica nel suo vecchio lettore cd “tascabile”, il tutto invano. Le urla delle ragazzine erano troppo alte e il rumore di cose che cadevano troppo assordante e preoccupante. Non ci volle molto prima che capisse di non poterne più. Era passata un'ora e mezza ed aveva decisamente oltrepassato il limite di sopportazione, così si alzò e andò in bagno per una breve doccia prima di uscire a farsi un giro.

Quando riaprì la porta che dal bagno lo riportava alla sua camera, sorprese una delle invitate guardare la sua grande collezione di dischi che aveva impilato sul suo comò.
«Cosa ci fai qui? Avevo detto a Paul niente sveltine nella mia stanza». Strinse l'asciugamano che aveva legato attorno alla vita e cerco di studiare il soggetto che si trovava davanti. Era una ragazzina dai lunghi e scintillanti capelli biondi, indossava una tuta nera, il che era una scelta molto originale visti i molteplici vestitini corti e aderenti che aveva intravisto per tutta la sera, portava dei scintillanti orecchini neri a forma di teschio. Non sembrava un'amica abituale di Paul, non assomigliava a nessuna delle ragazze che gli giravano attorno. Non aveva il trucco eccessivamente pesante o le spesse ciglia finte che portavano loro, non aveva con se un'ostentata borsetta firmata e non sembrava possedere uno sguardo carico di malizia e falsità, era semplice ed imperfetta, una pietra grezza.
«Sono sola, non sono qui per una sveltina. Volevo solo... allontanarmi dagli altri, ma me ne vado. Non c'è problema...». Le sue guance erano in fiamme e il suo sguardo fisso a terra.
«No, ehi, rimani pure» disse dolcemente. «Se non posso leggere in pace voglio almeno passare una serata tranquilla con un'amante della musica, cosa stavi guardando?». Si avvicinò a lei, ancora a torso a nudo, sperando che lo guardasse, ma dal pavimento i suoi occhi si spostarono sulla musica, senza passare per il suo viso.
«M'incuriosivano i tuoi dischi dei Queen, ne hai tipo tredici o sbaglio?».
«Non sbagli, li hai contati per caso?» domandò, ridendo della dedizione della ragazza. «Ti piacciono, uhm?».
«Beh, sì, molto...». Arrossì di nuovo e continuò a scrutare i più di cinquanta dischi di fronte a lei.
«Ti piace la musica, uhm?». Lui continuava ad ammiccarle e a cercare di farsi guardare negli occhi, voleva vederla bene, ma lei continuava a desistere.
«Assolutamente e mi piacciono i CD, non capisco quelli che li criticano e se ne stanno sempre attaccati ai loro lettori mp3 o ai telefoni con le cuffie... aprire la custodia, appoggiare il disco con cautela e premere play è davvero un rito elettrizzante!» raccontava con trasporto. «Però possiedo solo venti album, in confronto ai tuoi non sono nulla...». Finalmente l'aveva guardato e gli aveva sorriso, parlare di musica l'aveva cambiata.
«Vuoi ascoltarne uno? Il suono sarà certo rovinato dalla merda che stanno ascoltando di là ma, si può provare, vuoi?».
«Va-Va bene». Arrivò il silenzio e, solo in quell'attimo, Harry si rese conto di essere ancora mezzo nudo. Improvvisamente il forte imbarazzo della bionda sembrava non essere un mistero.
«Decidi pure, io vado a... mettermi qualcosa».
Non ci volle molto, in velocità si mise un paio di boxer, i pantaloncini rossi che usava in palestra e un'insulsa canottiera bianca. Faceva davvero molto caldo per permettersi qualcosa di meno sbracciato e più elegante.
«Deciso?». Annuì e gli porse Viva La Vida dei Coldplay, uno dei suoi album preferiti. «Perché questo?» domandò, mentre compiva il rito che tanto emozionava entrambi.
«Non lo so, l'ho visto lì, tutto solo tra Johnny Cash e Elvis... ho voluto liberarlo».
Rimase a guardarla per qualche secondo, cercando di decifrarla, di capire cosa ci fosse dietro a quelle fossette profonde, quale strano trucco stesse nascondendo, ma finì nel nulla. Sembrava essere davvero chiara e trasparente come appariva. Non aveva mai visto nulla di simile.
«Comunque io sono Harry». Le porse la mano e lei la strinse senza esitazioni.
«Liliana».

 



Ciao a tutti, so che è passato più di un mese dall'ultimo aggiornamento ma la scuola mi ha davvero preso molto tempo ed energie, però ora sono tornata e spero di essere più attiva rispetto al passato.
Come vi sembra questo nuovo capitolo? Vi è piaciuto? Avete qualche critica? Lasciatemi una recensione se vi va di dire al vostra.
Grazie a tutti coloro che hanno letto fino a qui, giorno dopo giorno rimango sorpresa dal numero di persone interessate a questa storia, grazie mille! E... al prossimo capitolo!
Marty

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Capitolo 4
*** CAPITOLO 4 ***


CAPITOLO 4

 

La voce di Chris Martin danzava in ogni angolo della stanza e li isolava dal resto della casa.
«Quindi tu conosci Paul, è un tuo amico?» chiese lei nervosa. All'inizio la musica l'aveva calmata, evitando che si rendesse conto di essere sola in una stanza con un ragazzo a parlare veramente, lontana da tutti gli altri. Purtroppo, la realtà aveva preso il sopravvento senza alcun preavviso e ora si ritrovava seduta sul letto di questo sconosciuto affascinante, a pochi centimetri di distanza da lui, a balbettare risposte stupide e a sorridere per evitare di arrossire dall'imbarazzo.
«No, non abbiamo un grande rapporto... gli ho solo prestato casa mia».
«Solo? Io non presterei mai casa mia ad uno come Paul». La faccia che fece subito dopo lasciava trasparire tutto ciò che pensava di lui.
«Mi pagherà bene, quindi ne vale la pena. Si può dire tutto di Paul ma non che non mantiene promesse che fa, è molto affidabile».
«Mettiamola così, non gli affiderei neppure un mio capello...» aggiunse alzando gli occhi al cielo.
«E tutto quest'odio verso quell'affascinante surrogato del principe azzurro da dove arriva?» domandò ridendo.
«Beh, partiamo dicendo che del principe azzurro ha solo i capelli gli occhi e beh l'accento, forse anche il naso e il... fisico». Si fermò un momento a pensare a ciò che stava dicendo e soprattutto a ragionare riguardo all'immagine di Paul che si era appena delineata nella sua mente, così splendida e fastidiosa. «Okay, diciamo che il corpo ce l'ha, ma per il resto non ha assolutamente nulla da invidiare!». La sua voce si stava alzando. «È un grandissimo stronzo arrogante e pieno di sé che non pensa mai agli altri, a come potrebbero stare se dicesse qualcosa di evidentemente sbagliato al momento non giusto!». Stava letteralmente tremando dal nervoso.
«Ehi, tutto bene? Eri calma fino a un secondo fa». Le stava sorridendo esattamente come lei non voleva, con compassione.
«Diciamo che non tira fuori il meglio di me, mettiamola così».
«L'ho notato, ma ehi, tranquilla... tira fuori sempre e solo il peggio da tutti quel ragazzo. Parliamo di qualcos'altro dai, ti va?». La sua voce era molto calda e profonda, sembrava accoglierla in un mondo esotico, in un posto calmo e lontano da ogni tipo di stress. Annuì. «Per esempio» aggiunse il ragazzo. «Perché non ti ho mai vista in giro? Sei nuova o...».
«Dipende da quanto nuova pensi che io sia...» rispose ridendo, era appena entrata nel suo mondo.

Parlarono per ore di qualsiasi cosa gli capitasse in mente, abbandonando lentamente ogni forma di imbarazzo. Le tre di notte arrivarono in fretta tra un disco e l'altro, così veloci che quando Liliana guardò l'orologio al polso le venne quasi un colpo.
«Devi andare a casa?». Era quasi pronta a giurare che lui fosse triste di vederla andare, quasi.
«Devo, mi spiace». Sorrise in modo impacciato.
«Hai la macchina o sei venuta a piedi con qualche amica?».
«La mia casa è in Lincoln Avenue, sono venuta a piedi da sola».
«Da sola? Non se ne parla neanche, ti riaccompagno a casa».
«Non dico che non ci sia il male nel mondo ma sono solo quattro passi, non penso che in così poco spazio possano esserci tanti stupratori seriali pronti a molestarmi e poi chi mi dice che tu non sia uno di loro? In fondo non ti conosco». Stava sorridendo per davvero, era seriamente divertita da quello che diceva, strano.
«Non prendermi in giro, proprio perché sono quattro passi posso alzarmi e accompagnarti e ti prometto che non approfitterò di te lungo tuuutto il tragitto, a meno che tu non voglia». Ammiccò. Liliana spalancò gli occhi dallo stupore. «Ci conosciamo da troppo poco per far battute di questo tipo?». Lei annuì e rise di fronte alla sua trasformazione, senza preavviso lui era diventato l'impacciato e lei la sicura.
«Comunque tranquillo, a meno che non ci sia un chirurgo plastico in zona, non penso di riuscire a indurti a tanto...».
«Ah, le adolescenti insicure e inconsapevoli di loro stesse! Mi mancano i bei vecchi tempi...».
Non riusciva a capacitarsene, era arrossita senza un motivo valido e ora era impegnata a cercare di far passare il rossore in fretta.

Uscirono dalla casa più velocemente rispetto alla sua precedente entrata, questo perché gran parte della gente se n'era andata e il resto era accasciato su divani sedie, poltrone, tavoli... tutti in uno stato di semi-coscienza, Paul compreso. Era interamente disteso sul divano in salotto a guardare un documentario assurdo sulle tartarughe messicane, o meglio, a fissare intensamente il televisore, probabilmente cercando una risposta a non so quale domanda esistenziale. Liliana non lo salutò.

Camminavano entrambi lentamente, evidentemente delusi dalla fine della serata.
«Oh, dimenticavo, tieni». Le porse una strana chiavetta USB fucsia. «Mio dio, che caldo? Hai un elastico per caso?».
«Certo, quale vuoi?». Gli mostrò i polsi colmi di braccialetti di gomma colorati ed elastici altrettanto variegati, tanto da confondersi con il resto. Le sfilò quello nero, alla fine.
«Grazie mille, odio avere i capelli sciolti quando fa così caldo». Raggruppò i suoi capelli usando entrambe le mani e si fece una goffa coda piena di gobbe.
«Come fai? Se fossi un maschio mi raserei i capelli a zero godendomi questa meravigliosa libertà». Chiuse gli occhi immaginandosi senza l'ammasso di capelli che ogni estate la tormentava tanto. «Comunque, cosa c'è qui dentro?» chiese riferendosi alla chiavetta.
«Foto porno, per lo più di Paul».
«Dai!». Lo spinse in là, come avrebbe fatto con uno dei suoi amici in California.
«Sono solo delle canzoni, delle cover cantate da... me».
«Tu-tu canti?». Scoppiò a ridere senza neppure averlo controllato, scoppiò come una bomba e non riuscì a fermarsi. Lui non si scompose. «Oddio, sei serio?».
«Si ma... fa niente dai, passami la chiavetta e facciamo finta di niente» rispose deluso.
«Scherzavo, ascolterò tutte le canzoni e sarò molto critica, preparati» disse puntando un dito contro di lui.
«Perché prepararmi? Canto benissimo, ci saranno solo complimenti per me. Vuoi una canzone qui? Live?». Sembrava eccitato al solo pensiero di farle sentire la sua voce, purtroppo erano arrivati a destinazione.
«Un'altra volta, sono arrivata».
«Oh, bene. Vivi proprio qui vicino».
«Si, te l'avevo detto...».
Harry guardò la cassetta della posta. «Lawrence, uhm?».
Annuì e poi lo fece, glielo chiese: «Tu invece?».
Sorrise come stesse per svelare chissà quale arcano mistero, quando parlò, capì: «Styles».
Ci fu un lungo minuto di silenzio, il tempo necessario per sprofondare nella vergogna più totale. «Cazzo» si lasciò sfuggire. «Dici davvero? Ho insultato tuo fratello per tutta la serata e tu me lo dici adesso?». Abbassò lo sguardo sconvolta, come poteva essere stata così stupida?
«Ehi, è stata una notte fantastica! La tua dedizione nell'odiarlo è quasi commuovente, insomma... niente male».
«Dio! Mi hai presa in giro tutto il tempo! Beh è un ragazzo molto altruista...».
«Non è la persona più simpatica del mondo ma sono pur sempre suo fratello, non posso andare in giro ad insultarlo, non sarebbe corretto». Continuava a sogghignare, evidentemente era divertito dal suo essere impacciata e destinata a fare brutte figure. «Comunque stai tranquilla, non gli dirò niente. Mi stai più simpatica di lui». Le fece l'occhiolino.
«Prometti?». Allungò il braccio verso di lui e gli tese il mignolo della sua mano destra.
«Prometto». Lui fece lo stesso e le due dita si incontrarono in una sorta di abbraccio. Le due mani, così diverse, erano per la prima volta unite in un goffo e particolare segno di simpatia.
«Allora vado, Styles».
«Ciao, Lawrence. Vienimi a trovare appena hai finito di ascoltare i brani, tanto sai dove abito, no?».
Lei annuì e sparì dietro la porta di casa.
Corse per le scale con il sorriso stampato in faccia, uno di quelli veri stavolta. Non si sentiva così da secoli. Quella sera, per la prima volta da un anno a quella parte, qualcuno era stato in sintonia con lei; qualcuno l'aveva finalmente capita senza troppi sforzi. Aveva trovato un nuovo amico, un vero amico.
 



«Ti sei scopato bignè?» fu la prima domanda appena varcò la soglia di casa.
«Scusa?».
«La Lawrence, Liliana, il mio bignè alla crema. Te la scopata?».
«Sei un vero idiota! Dimmi che non la chiami così davanti a lei, ti prego...».
La magica serata con la ragazza era sfumata e tutto ciò che gli rimaneva ora era solo una casa semidistrutta e uno stupido fratello ubriaco. Harry continuava a chiedersi come fosse successo, come fosse possibile che lui e Paul fossero figli dello stesso padre: crescendo, si era trasformato in uno stronzo opportunista, pronto a prendersi gioco di tutto il mondo pur di stare meglio con se stesso e avere il meglio. Appena trasferiti, aveva dovuto lottare contro chi scherniva il suo forte accento inglese e ne aveva fatto il suo punto di forza; era diventato amico dei bulli stessi fino a diventarne uno. In poco tempo si era trasformato in quello che tutti odiano e invidiano allo stesso tempo, un anti-Harry in pratica.
«Anche se fosse?». Alzò le spalle.
«Sei assurdo, se le parlassi capiresti che non esiste solo il fisico. È una ragazza molto simpatica!».
«Quindi ci hai parlato e basta? Non te la sei fatta? Che gentiluomo inglese che sei, rimarrai perennemente solo, fratellone...». Scoppiò a ridere.
«Pulisci tutto ed esci da casa mia».

Era già venerdì e, dopo due giorni, lei non si era fatta viva. Il giorno precedente, come tutti i giovedì, il negozio era rimasto chiuso e, ora, si ritrovava di fronte alla porta d'ingresso con Felix a cercare la chiave giusta in mezzo al mazzo gigantesco.
«Dovremmo metterci tipo degli adesivi colorati» propose il ragazzo occhialuto.
«Lo diciamo tutte le volte e non lo facciamo mai...». Da quattro anni ripetevano la stessa frase tutte le mattine, ma nessuno si era mai deciso o ricordato di andare al negozio di fronte a comprare delle semplici etichette per distinguere le varie chiavi che sembravano perennemente tutte uguali.
Dopo cinque minuti buoni, riuscirono ad entrare e la prima cosa che gli capitò sotto gli occhi fu una borsetta tempestata di paillette nere abbandonata sul bancone.
«Di chi è questa borsetta, Felix? Hai una qualche fidanzata molto eccentrica o sei semplicemente diventato una Drag Queen?».
«Non ci posso credere! Se l'è dimenticata qui e non è neppure venuta a cercarla! Quella ragazza è assurdamente rimbambita...».
«Ragazza, uhm? Chi è?». Gli diede un paio di gomitate sui fianchi, era curioso. Felix non sembrava uno molto socievole. Era anche vero che non ci parlava molto, la maggior parte delle volte avevano turni diversi o, comunque, erano troppo impegnati a farsi i fatti loro per porre delle domande personali.
«Una mia amica... viene spesso qui, ma di solito quando ci sono io. Non credo tu l'abbia mai vista. Viene nel tardo pomeriggio in settimana o la mattina nei weekend, sai, per via della scuola».
«In pratica sceglie esattamente i momenti in cui non ci sono... sicuro che non mi conosca? Magari mi vuole evitare» ipotizzò ridendo.
«Non penso sappia della tua esistenza, non è una che esce molto... penso venga solo qui, in realtà. È una grande amante della musica ed è bello parlarle...». Era evidente il modo in cui cercava di fare finta di nulla, di fargli credere che di lei non gliene fregasse molto. Non l'aveva mai sentito parlare di qualcuna o qualcuno in generale, per cui se era degna della sua parola era una importante per Felix.
«Ti piace, uhm?».
«No, figurati». Arrossì e sorrise. Lei lo faceva felice, era chiaro.

«Ehi, Lily!» la salutò Felix.
Era quasi mezzogiorno quando lei arrivò: pantaloncini corti di jeans, All-Star basse molto appariscenti e una canottiera blu di Los Angeles.
«Liliana? Cosa ci fai qui? Ciao!».
«Aspetta tu conosci Lily?» chiese Felix. Non sembrava più tanto contento, ora.
 



Buongiorno cari lettori!
Grazie per essere arrivati fin qui e per seguire con tanta foga questa storia, le visualizzazioni parlano chiaro...
Spero vogliate dirmi cosa pensate di questo capitolo e della storia in generale. 

Marty

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Capitolo 5
*** CAPITOLO 5 ***


CAPITOLO 5

 

«Un hamburger con bacon, cheddar e niente lattuga o pomodori, grazie».
«E da bere, signorina?» domandò il cameriere. Liliana arrossì subito, nell'esatto momento in cui la chiamò in quel modo. Come tutti i camerieri dei fast-food era un ragazzo giovanissimo, probabilmente proveniente dal Nord Europa, aveva dei caratteristici capelli biondissimi, tanto chiari da sembrare quasi bianchi, occhi azzurri come il cielo e un simpatico accento dalle consonanti marcate e dure.
«Acqua, grazie».
«Bene, signorina, sono otto dollari e cinquanta».
Nell'esatto momento in cui aprì il portafoglio per pagare, Harry la fece scansare e aggiunse il suo ordine: «Oh, pago io per lei. Comunque io prendo due cheeseburger, una Coca-Cola ». Si girò verso lei e Felix, le fece l'occhiolino e aggiunse: «E delle patatine fritte per tutti».
«Sono ventidue dollari e settantacinque».
Harry tastò tutte le tasche dei pantaloni, fino a trovare il portafoglio nella tasca posteriore destra. Con nonchalance pagò il conto e prese il numero dell'ordine lasciando lei e Felix senza parole.

«Perché l'hai fatto? Non sono povera, posso pagarmi il cibo da sola».
«Non vedo cosa ci sia di strano». Aveva la bocca piena di patatine e si capivano metà delle parole che diceva. «In Inghilterra è normale offrire il pranzo alle ragazze, non me lo sarei mai perdonato e mia madre mi avrebbe ucciso da chilometri di distanza».
«Come vuoi tu, ma non mi sembra giusto...».
Felix li stava guardando silenziosamente e Liliana si sentiva una specie di cavia da laboratorio sotto osservazione. Da quando Harry l'aveva salutata, il suo unico amico della Florida, un chiacchierone di portata mondiale, era diventato un vegetale, aveva spiccicato si e no due parole.
«Quindi, voi due vi conoscete?» fu la prima frase che gli venne in mente dopo aver nervosamente divorato il suo cheeseburger.
«In realtà ci siamo conosciuti alla festa di mio fratello, due giorni fa».
«Ti prego non ricordarmi il vostro grado di parentela». Non si trattenne e rise. «Mio dio, che figura!».
«Uhm, la festa per cui eri tutta in tiro?» chiese serio.
«Sì, l'unica festa a cui sono andata quest'anno...». Sapeva benissimo quanto fosse una ragazza riservata e decisamente l'anti-animale-da-festa. In quella città era forse l'unico a conoscerla così dettagliatamente oltre alla sua famiglia, anzi, spesso gli raccontava cose nuove che nessun altro conosceva. Non si spiegava perché le avesse posto una domanda del genere. Non era mai stato così prima d'ora: tutto sulle sue e silenzioso, non era il Felix che conosceva. «Felix, tutto bene?».
«Sì, sto bene, sono solo un po' stanco, ieri era giorno di chiusura e forse ho solo esagerato un po' con la Playstation... ». Lanciò un'occhiataccia a Harry senza motivo.
«Sicuro? Di solito sei tutto eccitato dopo una giornata di giochi, sei malinconico perché hai perso?».
«Sì, per questo». Si alzò dal tavolo con il vassoio in mano, buttò il contenuto e uscì dal fast-food senza salutare nessuno.
«Cosa, cosa ho detto?».
«Niente, è solo stupido. È un bambino!». Dal nulla, anche Harry era diventato nervoso.
«Ma perché fare così?».
«Non lo noti davvero?» le chiese ridendo.
«Cosa?».
«Niente, niente. È solo molto alterato per colpa del lavoro, mi sono dimenticato di mettere le etichette alle sue stupide chiavi per entrare e ora fa il permaloso con me, come se fosse un compito unicamente di mia competenza; fa il bambino...». Aver scoperto il vero motivo la rilassò di colpo. Ovviamente era stupita da quanto permaloso potesse essere Felix, ma una cosa era certa, fintato che lei non c'entrava nulla, era tutto ok.
«Oh, tutto qui?». Inconsciamente sospirò con grande sollievo. «Se volete vi do una mano io».
«No, grazie». Le sorrise nello stesso modo in cui si sorride ad una bambina e questo le diede fastidio, ma non conoscendone il motivo non indagò. «Ti va di fare una passeggiata sulla spiaggia prima che io torni al lavoro? Ho ancora un'ora di pausa».
Sorrise, ma poi si ricordò di Felix. «Non pensi che dovremmo andare a controllare se sta bene?».
«Lascialo stare, quando è arrabbiato è una vera e propria primadonna, lo dico per esperienza». Ammiccò e la convinse.

«Quindi lo conosci da quattro anni?».
«Non è una grande amicizia o cose simili, ci lavoro e basta... la maggior parte delle volte abbiamo turni diversi, ma lo vedo abbastanza spesso da poterti dire che quando è alterato è ingestibile e lo è spesso».
«Sicuro che conosciamo lo stesso Felix? Quando entro nel negozio lo vedo sempre raggiante e pronto a raccontarmi di tutto, è simpaticissimo e poi non mi è mai sembrato frustrato o anche solo un po' nervoso...». Come se niente fosse, la persona con cui parlava quasi tutti i giorni da poco meno di un anno sembrava un completo estraneo o, comunque, affetto da qualche forma di sindrome della personalità multipla. Possibile che con lei fosse il dottor Jekyll e con gli altri mister Hyde?
«Forse tu sei la sua criptonite, forse tu lo rendi più umano, che dici?».
Arrossì, ultimamente lo stava facendo troppo spesso. «Non penso e comunque la criptonite rende deboli, non penso mi piacerebbe avere tanto potere...».
«A me sì, sai, essere speciali per qualcuno non è male, a me non è mai capitato». Harry abbassò lo sguardo sui suoi piedi che, lentamente ma a grandi falcate, lasciavano il segno sulla sabbia bagnata. Liliana guardò istintivamente i suoi e le venne quasi da ridere: non avendo previsto una poetica passeggiata in riva al mare, non si era minimamente ricordata di mettersi a posto le unghie, così ora camminava con un bellissimo rosso acceso che limitava la sua presenza a poche chiazze scomposte sull'irregolare bordo delle unghie. Era una vista a dir poco penosa.
«Ma fammi il piacere! Un ragazzo come te non ha mai avuto un harem di ragazze dietro? Non ci credo neppure se lo vedo!». Scosse il capo. «Tuo fratello è perennemente seguito da una sorta di corpo di ballo composto da tante, tantissime ballerine di tutti i tipi pronte a fare di tutto anche solo per parlarci... è un bel ragazzo anche lui, quindi per te non dovrebbe essere tanto diverso».
«Mettiamola così, avevo tantissime ballerine, ma nessuna conosceva la coreografia». Era evidentemente seccato, disturbato dalla sua sincerità, probabilmente, oppure deluso dal solito pregiudizio, Liliana non sapeva dirlo con certezza.
«Cosa intendi?».
«Piacevo per la mia bellezza, certo, ma nessuna mi ha mai conosciuto per com'ero o ci ha provato». Sospirò nervosamente. «Ero una sorta di giocattolino per loro, volevano, e beh... vogliono ancora, solo fare sesso...». Guardò l'orizzonte prima di continuare e poi guardò lei, sorpreso. «Insomma, non dico che sia asessuale, anzi, ma mi piacerebbe essere ascoltato, una volta tanto, e non essere considerato il belloccio punto».
«Non hai tutti i torti, scusa... È solo che mi piacerebbe tanto essere alta, bella e magra e avere un seguito pronto ad uccidersi per stare con me, mi piacerebbe più che altro capire com'è, ecco tutto!». Sentì un grande peso lasciarla e fare spazio ad un po' d'aria fresca. «Non sono una ragazza stupida, anzi, a scuola vado molto bene, ma spesso vedo che non è abbastanza. Non è abbastanza essere capaci di fare qualche battuta divertente o avere una buona media a scuola o essere altruista o qualsiasi cosa io sia... non mi sembro mai abbastanza». Espirò dalla bocca e continuò a guardarsi i piedi, non riusciva a guardarlo mentre diceva tutto ciò ad un completo estraneo.
«Abbastanza per cosa?».
«Per tutto». Stava piangendo, stava piangendo come una stupida bambina. Lo faceva silenziosamente però, non voleva la vedesse.
«Se ti consola, non è abbastanza essere belli per andare avanti a questo mondo, sai? Non ti accettano all'università se sei solo bello... devi anche avere abbastanza soldi, oltre al cervello...».
«Non sei andato all'università per i soldi?». Alzò lo sguardo e lo guardò stupefatta, Paul non sembrava passarsela così male.
«Bingo!».
Le spiegò la condizione finanziaria della sua famiglia senza entrare nel dettaglio, in poche parole suo padre aveva fatto un affare sbagliato e lui non aveva potuto iscriversi all'università per questo. Si era trovato un lavoro al negozio dove lavorava adesso e stava ancora risparmiando per potersi pagare le rette in futuro. Un grande peccato, secondo lei, perché tra un discorso e l'altro era trapelato che lui era davvero intelligente. Non era l'unica ad avere problemi.


Era stato bello parlarle dei suoi problemi perché inspiegabilmente l'aveva fatto sentire meglio. Poi, parlandole, aveva capito cosa c'era tra lei e Felix: ogni volta che l'aveva nominato aveva abbassato lo sguardo o era arrossita. Era evidente: anche lei era interessata a quello stupido e permaloso nerd.

«La prossima volta che fai una scenata di gelosia non coinvolgermi, grazie».
Entrò nel negozio con prepotenza e sbatté la porta dopo aver varcato la soglia. Era stufo del suo comportamento da psicolabile: un secondo prima era tranquillo e un attimo dopo era già arrabbiato con il mondo.
«Non ho fatta alcuna scenata di gelosia, non capisco cosa te l'abbia fatto pensare!».
«Felix! Stavi per saltarmi addosso! Non puoi fare così ogni volta che la scopri avere delle relazioni con altri esseri umani, lo sai? È una ragazza, cristo santo! È normale che vada alla festa e conosca gente, questo non vuol dire che tutti la vogliano scopare!».
«Lei è speciale, okay? E tu sei attraente, molto più attraente di me... è facile avere una cotta per te! Tutte ti sbavano dietro, cazzo!».
«Io non sono interessato a lei e lei non è interessata a me, okay? Ci siamo conosciuti due giorni fa, per dio!». Era rosso di rabbia, non lo sopportava. «Lei è una brava ragazza ed una grande ascoltatrice, è dolce e mi sembra anche molto sensibile, è davvero una persona splendida da quel poco che ho potuto vedere, ma la cosa si ferma qui. Non penso che la sognerò stanotte o che domani la inviterò ad uscire in veste di possibile fidanzato. Voglio solo avere un'amica, posso o chiedo troppo?».
«Okay, ti credo» rispose seccamente.
«E lascia che ti dia un consiglio: se continuerai a fare così finirai per perderla; ringrazia il signore che io questa volta ti ho trovato un cazzo di alibi per spiegare il tuo comportamento da coglione, ma la prossima volta, quando io non ci sarò più, dovrai cavartela da solo e voglio proprio vede il modo in cui sarai in grado di esporre le ragioni per cui diventi alterato del cazzo!».
«D'accordo, cercherò di controllarmi...».
«Non devi cercare, devi controllarti!». Gli lanciò un'occhiata d'intesa. «Oh, e ti consiglio di farti avanti in qualche modo, o il prossimo con cui parlerà non sarà così gentile da lasciare che sia solo tu a godere del suo interesse...».
«Del suo interesse?».
«Sei così fortunato che rischi anche di piacergli, stupido!».
 



Hola cari lettori!
Cosa pensate di questo nuovo capitolo? Tante sorprese uhm?
Lasciatemi una recensione se vi va di dirmi la vostra.
Ringrazio ancora quelli che in settimana mi hanno tempestato di recensioni, è anche grazie al sostegno che mi date che io trovo il tempo e la forza per scrivere e continuare a raccontare questa storia, grazie davvero!

Marty

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Capitolo 6
*** CAPITOLO 6 ***


CAPITOLO 6

 

«Quindi?» domandò Harry, seduto sullo scivolo per bambinetti.
«Quindi non mi sono ancora fatta un'idea e... non l'ho ancora finita» rispose Liliana, dondolandosi lentamente sull'altalena.
«Cristo santo, Lily! Ti ho dato la chiavetta con la musica tipo un mese e mezzo fa! Come fai a non aver ancora finito? Sono solo dieci canzoni, non un'eternità!».
«Ehi, sono una donna piena d'impegni, io. Non ho avuto tempo per ascoltarle tutte a pieno, va bene?». Stava mentendo, aveva ascoltato le canzoni una per una e le aveva assimilate piano piano, lasciando che il suo udito si abituasse alla voce roca e al contempo soffice del suo nuovo amico. La rilassava ascoltarlo, ma preferiva aspettare prima di dirgli quanto la facesse sentire bene, voleva aspettare ancora una settimana, giusto il tempo di capire se fossero veri amici o no.
«Okay, okay. Ma sappi che io sto iniziando a spazientirmi!». Ammiccò, lo faceva spesso.
«Dai, cambiamo argomento: come va al lavoro?».
«Bene, il solito...».
«Tutto qui? Nient'altro da dirmi?». Gli sorrise a pieno, cercando di intenerirlo e così estrapolargli delle informazioni più significative riguardo al suo collega dalle T-shirt
particolari.
«Nient'altro se non che sono stufo di voi due che chiedete come va di qui e come va di là... avete superato la maggiore età da un pezzo eppure mi sembrate due bambini! Dovete prendere quel cazzo di cellulare e chiamarvi oppure incontrarvi dal vivo! Non dico che conto i giorni in cui non vi vedete, ho di meglio da fare, ma complessivamente è da un mese e mezzo che non vi sentite, parlate o anche solo guardate! Al negozio sei venuta due volte e solo per uscire con me... ti è tanto difficile prenderlo da parte e parlargli per farti spiegare il suo bipolarismo?».
«Non voglio cercarlo io...» rispose quasi offesa. Non voleva essere la prima a fare il passo, questa volta avrebbe aspettato.
«Ma certo! Aspettiamo un miracolo, la manna dal cielo!». Scosse il capo, irritato.
«Non lo farò, va bene? Non posso essere sempre io quella che si avvicina anche quando non è colpa sua! Questa volta non ne ho voglia, per nulla... e poi chissà cosa potrei dirgli».
«Oh mio dio! Potresti addirittura lasciarti scappare che ti piace, e molto. Quale assurdo sacrilegio». Ora la stava prendendo in giro e lei, nervosamente, si alzò dall'altalena e iniziò a errare per il parco-giochi senza alcuna meta.
«Ci parlerò io, ho capito...».
«Non osare». Liliana raggiunse Harry camminando a grandi falcate e puntò un indice contro al suo viso con molta enfasi.
«D'accordo, me ne starò fuori, ma rimane il fatto che voi due siete proprio due idioti!».

La voce di Harry era calma e profonda, molto dolce e intonata. Le parole sembravano danzare sulle note di Free Fallin' e una calma quasi apocalittica si faceva spazio dentro a lei. Era passato del tempo dalla passeggiata sulla spiaggia e ora non faceva altro che pensare al modo in cui riusciva a lasciarsi andare e, più di tutto, a come lui si era aperto con lei. Si sentiva talmente rilassata da quel giorno che non si era più preoccupata di ritornare in negozio a parlare con Felix. Ovviamente, aveva pensato anche a lui e alla sua inedita natura.
Ora, sdraiata sul suo letto, l'unica cosa che le veniva in mente era il viso di Felix. Con la voce del suo nuovo amico come colonna sonora, stava rivivendo il momento in cui l'aveva incontrato per la prima al negozio, quand'era entrata solo per rifugiarsi dall'afa e, oltre alla solita aria condizionata, aveva trovato anche un nuovo amico. Le era venuto incontro, si era presentato e le aveva fatto fare un tour del negozio. Indossava una gigantesca maglia grigia dei The Doors che gli stava davvero, davvero malissimo e continuava a guardarla dall'altro capo dei suoi occhiali. Era stato un incontro fantastico, era stata la prima persona a decidere di parlarle da dopo il problema con Paul. Dopo nemmeno una settimana avevano iniziato a vedersi quasi tutti i giorni al negozio, da quel periodo era diventato una seconda casa per entrambi. Restavano ore accasciati sui divanetti a chiacchierare o a mangiare il gelato praticamente squagliato che lei correva a prendere infondo alla via.

Sentì un dito toccarle la spalla, così aprì gli occhi e si ritrovò di fronte a se Pamela.
«Vuoi toglierti quelle cacchio di cuffie di tanto in tanto? ».
«Dimmi...».
«Dirti? Sei tu che devi aggiornarmi su un po' di cose». Un sorriso a trentadue denti apparve sul suo volto dal nulla. «Cosa significa quest'andirivieni di ragazzi, uhm? Prima quello biondo e poi il moro, persino alle tre di notte! Cosa succede?». Da tempo non le parlava, da quando Harry era diventato il suo nuovo consulente, la sua mano amica. Pamela rimaneva sempre su sorella, ma era stata surclassata inevitabilmente.
«Oddio, Pam! Ti sei seriamente messa a sbirciare dalla finestra alle tre di notte?». Prese il cuscino e si coprì la testa, trovava imbarazzante parlarne con lei. A volte sembrava semplicissimo, ma c'erano dei momenti in cui si sarebbe sotterrata viva piuttosto che parlarle. Questo era un momento di quelli.
«Ci puoi scommettere! Il biondino non ho potuto verificarlo e, attenendomi a ciò che dice la mamma, non è da buttar via... ma il riccio l'ho visto dalla finestra sia la notte che tutte le altre volte e WOW». Scoppiò a ridere della sua stessa follia, Liliana la seguì a ruota. «Insomma, cosa non farei a quei capelli e a quel corpo allucinante!».
«Ti pregooo! Sei a pochi metri dalla pedofilia, rasenti l'illegale!».
«lo sai che scherzo, scema!». La spinse il là e si sdraiò accanto a lei. «Però niente male, davvero. C'è stato un bel salto di qualità. Dal Cody di Monterey al?».
«Harry».
«Harry di Miami! C'è un gigantesco oceano di differenza!».
«Per quanto ancora hai intenzione di rinfacciarmi il primo fidanzatino di seconda media? È stata una svista okay? E poi era il ragazzo più bello della classe» tentò di giustificarsi in questo modo, ma sapeva di essere nel torto. Alle medie, quand'era poco più che dodicenne, aveva avuto una cotta per Cody, un ragazzino molto particolare: cresta multicolore, apparecchio fisso e indecente orecchino con un finto diamante. Era il più simpatico della classe e probabilmente anche il più stupido, ma nonostante questo era riuscita a conquistarla dopo uno pseudo-appuntamento al parco, poco prima dell'inizio della seconda media. Si erano baciati si e no un paio di volte, tenuti la mano solo in privato ed erano durati circa tre mesi insieme, niente di che, ma sua sorella cercava ancora di perseguitarla al riguardo. Lo faceva, non tanto per la natura insignificante del rapporto, ma per il semplice fatto che quello era stato il suo primo e ultimo fidanzato, non c'era modo di confrontare i nuovi ragazzi con qualcuno di diverso e così, ogni volta, Pamela ritirava fuori dal cassetto dei ricordi impolverati il povero Cody Bachelor.


Felix: Ehi, come va? (20:07)

Io: Ehi! Bene, tu? Hai parlato con Harry? (20:08)

Felix: Si, va tutto bene adesso... (20:08) 
          Non c'è nessuno qui in negozio, ti va di passare? (20:09)

Io: Adesso? (20:09)

Felix: Ti va? Ne ho bisogno. (20:11)

Io: Il tempo di cambiarmi e sono lì. (20:12)

Le balzò fuori il cuore dal petto quando vide il messaggio. In dieci mesi di conoscenza non le aveva quasi mai scritto se non per dirle che era appena arrivato un disco “troppo figo per non essere ascoltato” o all'inizio, quando erano più le volte in cui non si vedevano che altro. Andò a guardare la data dell'ultimo messaggio che si erano scambiati: erano passati quattro mesi. Per tutto il tempo di chiese cosa fosse cambiato e perché all'improvviso le avesse chiesto di venire da lui.

«Dobbiamo parlare» fu la prima cosa che le disse, prima ancora di salutarla.
«Beh, ciao anche a te!» rispose stranita. Uno strano sentimento di preoccupazione la pervase interamente. Iniziò a chiedersi cosa fosse successo, se avesse fatto qualche cavolata per averlo indotto a reagire in modo talmente strano al fast-food, ben un mese prima, o forse di più.
Era così immersa nei suoi pensieri che sentì a malapena quello che le disse poi: «Senti... tu mi piaci!».
Ogni parte del suo corpo si blocco, i peli biondi sulle braccia le si rizzarono tutti d'un colpo, i suoi occhi, grigi come le peggiori giornate d'autunno, si spalancarono dalla sorpresa e il suo cervello andò in stand-by per svariati secondi.
Lui non la stava guardando, era girato verso i poster di grandi divi della musica come Madonna e Michael Jackson, per cui non si accorse della sua reazione e continuò a parlare. «Volevo aspettare a dirtelo, in realtà non volevo dirtelo affatto, ma diciamo che qualcosa mi ha fatto cambiare idea e quindi... eccomi qui!». Continuava a gesticolare, era nervoso. «So di essere un idiota e che probabilmente il solo pensiero dei miei occhi che ti guardano in quel modo ti farà schifo ma mi sentivo di dirtelo, insomma... è da parecchi mesi che mi piaci, Lily!». Urlò quasi, probabilmente certo dell'assenza di clienti, vista la fascia oraria. «C'è qualcosa nel modo in cui ridi, in cui fai le tue facce strane, in cui mi parli e canti e balli e... e sei semplicemente te stessa che mi fa impazzire! A volte penso che senza di te quest'ultimo anno sarei morto di noia o depressione, anzi ne sono certo perché tu hai portato come... come un raggio di sole nella mia squallida e monotona vita, sì, sei il mio sole!». Parlava e parlava, non riusciva a fermarsi, ma ancora aveva resistito a guardarla. «Oddio! Cancella quest'ultima frase, devo farti davvero pena...». Sospirò. Continuava a camminare avanti e indietro per in negozio, come se fosse alla ricerca delle parole giuste. «Io, io volevo solo liberarmi di questo peso e farti capire quanto sei speciale e ho voluto farlo dal vivo perché.... oh ma che dico?! Lo sai benissimo perché! Sai quanto odi le cose dette con i messaggi e beh, sai un sacco di cose di me, in realtà.... molte più cose rispetto ai miei amici o alla mia famiglia o a qualunque altra persona nel mondo!». Prese un grande respiro e poi, finalmente, si girò. «Sei la migliore persona che io abbia mai incontrato, Lily...». Così finì il suo animato discorso, guardandola dritto negli occhi.
Rimase paralizzata, lei rimase paralizzata. Nessuno le aveva mai fatto una dichiarazione e, ben che meno, una dichiarazione di questa portata. Aveva ascoltato attentamente ogni parola e si era rivista in tutto, aveva percepito in ogni singola lettera lo stesso sentimento che provava per lui. Era sempre stata una chiacchierona, ma in quel momento rimase priva di parole; così camminò lentamente verso di lui e lo abbracciò forte, ringraziandolo senza parlare. Lui ricambiò e rimasero così per un po'. Il calore della sua pelle contro quella della persona che sembrava amarla più di chiunque altro al mondo la fece sentire leggera, come se potesse volare.
«Non so cosa dire». Scoppiò a ridere, tra le sue braccia. «Il che dovrebbe farti pensare, insomma io non sto mai zitta neppure un attimo!». Rise di nuovo, insieme a lui e, con il viso contro la sua scapola, inspiro il suo buon profumo. «Il punto è che tu, Felix Sanders Junior, sei l'unica persona al mondo capace di zittirmi!».
Si guardarono negli occhi, l'uno nelle braccia dall'altra e tutto fu capito. Entrambi provavano lo stesso sentimento, un qualcosa che andava leggermente oltre l'amicizia.


«No, non li voglio i tuoi soldi sporchi!».
«Figliolo, mi sembra giusto ripagarti dei sacrifici che ho dovuto chiederti in questi anni, prendili». Suo padre allungò la mano verso di lui e cercò, in tutti i modi, di mettergli in mano cinquemila dollari in contanti, parte dei soldi vinti.
«Questo, tutta questa pagliacciata!». Indicò suo padre e la carta stropicciata che voleva lasciargli. «Tutta questa sceneggiata che ti piace tanto fare, non fa altro che sottolineare quanto vile tu sia! E, soprattutto, il fatto che tu non sia cambiato per niente, papà».
«Lo sono, invece, li ho vinti per te!». Tentò di convincerlo di nuovo.
«No, tu li hai vinti per te, così come li hai persi per te quattro anni fa. Hai provato talmente tante volte a prenderci in giro che ora non sai nemmeno tu qual'è la verità! La verità è questa: sei uno stronzo egoista bugiardo che più e più volte mi aveva promesso di non giocare più, ma ha sempre continuato a farlo; sei un bastardo che ha il coraggio di volermi ripagare i miei ultimi quattro anni di miseria con dei soldi sporchi, vinti e non sudati! Il giorno in cui ti deciderai a rimboccarti le maniche e a lavorare, accetterò il tuo denaro». Strappò quella mera carta verde dalle mani di suo padre e la buttò per terra, ci sputò sopra e, poi, richiuse la porta d'ingresso senza guardarlo in faccia. 

Sentì bussare e suonare il campanello migliaia di volte, evidentemente era tornato. Con i nervi a fiori di pelle, stufo della sua dedizione, spalancò la porta per dirgliene quattro, ma non vide suo padre sulla soglia di casa, vide Lily.
«Cosa ci fai in giro alle dieci di sera?» domandò sbalordito.

Non disse una parola, allacciò le sue braccia al collo di lui e lo abbracciò forte.
«Lily, mi preoccupi».
«Grazie, grazie davvero». La sua voce le tremava, forse stava per piangere.
Lui esitò per un secondo, stupito da quest'improvviso gesto d'affetto, ma poi ricambiò. Prima le prese la vita e poi cinse il suo corpo con le sue braccia, stringendola più che poteva. «Hai visto che qualcuno a questo mondo ti vuole? Ora anche tu hai un corpo di ballo...».

 



Buongiorno!
Questo capitolo potrebbe essere stato un po' una bomba in materia di notizie e me ne scuso, ma adoro uscirmene con queste sorprese, per cui preparatevi perché cose di questo tipo, con me, sono sempre dietro l'angolo!
Ringrazio tutte quelle simpatiche e adorabili persone che hanno deciso di lascire delle recensioni, in passato, rendendomi partecipe di ciò che pensano della storia, dei personaggi e, talvolta, lasciando qualche critica. Lasciatene una anche voi, che state leggendo adesso, se vi va di dire la vostra. 

Marty

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Capitolo 7
*** CAPITOLO 7 ***


CAPITOLO 7
 
 

«Sei sicura che ora uscite insieme? Perché a me sembra che non sia cambiato assolutamente nulla...» le fece notare Harry. Erano passate due settimane dal fatidico giorno e il suo rapporto con Felix non sembrava essere cambiato di una minuscola virgola: continuavano a vedersi sempre e solo al negozio e non si erano baciati una sola volta.
«Ehi, ehi. Vacci piano con le parole... noi stiamo avendo qualcosa, mi lancia di quelle occhiate quando siamo lì e poi mi sorride e... oh! Ci abbracciamo per salutarci!». Cercò di ribattere con un entusiasmo che sembrava più un tentativo di auto-convincimento che una dimostrazione vera e propria.
«Lo stai spiegando a me o a te stessa? Perché questo mi sembrava un discorso disperato... e poi cos'è qualcosa? Non state insieme?».
«Lui mi ha detto cosa prova e io gli ho detto cosa provo, perciò...». Sbranò il panino che aveva in mano. «Tiovicomente stiomo insioeme, nou?».
«Tiovicomente non si parlerebbe con la bocca piena».
«Styles, ma ti senti? Dici di non essere più così inglese e poi ti lamenti se parlo con la bocca piena? Pff, dovresti farti ricontrollare il visto... inglese!». Lo disse con disprezzo, con il tipo di disprezzo ostentato che tirava fuori ogni volta che diventava più fine e femminile di lei.
«Continua così, insultami, sarò costretto a chiamare la regina Elisabetta!».
«Ue ue, smettila di prendermi in giro o lo dico alla regina!». Imitò la voce di un bambino inglese e lo fece in modo talmente esemplare che entrambi si misero a ridere.
«Dovresti fare cabaret o una cosa del genere, sei troppo forte, Liliana Lawrence». Odiava sentire il suo nome per intero e così lui lo ripeteva ogni volta.

Entrò nel negozio con sicurezza, quella volta. Era pronta a parlare con Felix riguardo al loro rapporto una volta per tutte.
«Ehi, fidanzato!» butto lì, entrando, alla ricerca di una conferma. «Cosa fai di bello oggi?». Si avvicinò a lui e gli diede un bacio sulla guancia. Vide le sue guance andare in fiamme e così lo fecero le sue.
«Ehi, ehm... fidanzata!». Felix ricambiò il bacio ed esitò prima di staccare le sue labbra dalla guancia. «Lavoro... tu? Oggi hai fatto qualcosa di speciale?».
Prima di rispondergli, Liliana si bloccò un attimo e cercò di elaborare cos'era appena successo: lei e Felix erano ufficialmente e definitivamente fidanzati.
«Niente di che, mi sono svegliata tardissimo. Ieri sera ho chiacchierato con Harry al telefono fino a tardi e ne ho pagato le conseguenze...» ridette, per sdrammatizzare.
«Uhm, parli molto con lui...». Eccolo che ricominciava. Dal tenero cucciolo di orsacchiotto si stava trasformato in una specie di belva gelosa e silenziosa, che usava l'indifferenza per ferirla in mille modi possibili.
«Beh, visto che non mi chiami mai e non mi chiedi mai di uscire, mi vedo costretta a parlare con altri invece che con te!». Non ne poteva più di trattenere questo suo disagio.
«Vuoi dire che è colpa mia se tu e Harry vi vedete tutti i giorni? Io non ti ho mai chiesto di uscire ma neppure tu hai fatto un tentativo...». C'era una brutta aria in giro e la stavano respirando. Le pressioni e le insicurezze degli ultimi giorni stavano scoppiando una ad una in faccia ad entrambi.
«Stavo aspettando te, di solito è il ragazzo a chiedere, no?».
«Non sapevo... fino a cinque minuti fa non sapevo neppure se fossimo davvero una coppia o cosa... non ne abbiamo più parlato e sono entrato un po' in panico e... sai come sono, no? Ho aspettato che le cose si rimettessero a posto da sole, di solito succede...».
«A me non è mai successo, sinceramente. Sulla cosa del non sapere sono d'accordo ma, di nuovo, è tutta colpa tua! Il giorno dopo la tua “dichiarazione” mi hai abbracciata e poi abbiamo iniziato a parlare delle solite cose e non mi hai baciata o... non lo so! Non sono fidanzata da un po' e lo sai, non vedo perché...». Le venne incontro velocemente, si piegò su di lei e la baciò. Niente di particolare, solo le sue morbide labbra contro quelle di lei per pochi secondi, nulla di malizioso. Poi si allontanò e iniziò a grattarsi la nuca nervosamente. Mentre lui iniziava a parlare vomitando parole senza senso, come faceva dopo aver fatto qualcosa di sbagliato, lei si toccò le labbra e arrossì. Era stata una sensazione stupenda, sentire il calore del suo corpo vicino e avere, per una volta, le labbra di qualcuno contro le sue. In quel momento si sentiva su un altro pianeta, sulle nuvole, lontana. Lontana persino dal suo ragazzo.
«Sono un idiota! Avrei dovuto farlo prima e ora non era il momento adatto, forse avrei dovuto...».
Questa volta fu lei a venirgli incontro e ad allacciargli le braccia al collo. «Non so come funzioni di solito, so che nei film arrivano al momento sbagliato, quando nessuno se li aspetta e beh... io questo non me l'aspettavo». Arrossì. Lui le cinse la vita con le sue braccia e a fece sentire protetta e dannatamente sua. Non aveva mai provato quella sensazione, non si era mai sentita veramente di qualcuno e quel brivido a fior di pelle che glielo fece capire le provocò un sentimento talmente forte e bello che non poté non guardarlo con gli occhi lucidi e pieni di gioia. «Mi piaci davvero tanto, Felix».
«Anche tu, Lil». Le sorrise. La chiamava raramente così, solo quando era una bella giornata.
Lentamente i loro nasi si fecero più vicini e il respiro irregolare di uno sempre più presente sulla pelle dell'altra. Aveva i brividi dall'emozione, la prima volta era stata una sorpresa, ma ora erano entrambi consci di cosa stava per accadere. Deglutì, lasciando trapelare la sua agitazione. Per sua fortuna anche lui sembrava su di giri, dietro la schiena sentì le sue mani tremare.
Il suo respiro affannato si fece sempre più vicino, così come i loro nasi che, prima di sfiorarsi fecero un percorso lungo e tortuoso. I loro sguardi erano fissi. Felix si spostò dalla schiena al viso e appoggiò le sue grandi mani ai lati della testa di Liliana. Distolse lo sguardo dagli occhi grigi che sembrava tanto amare per permettersi di sfiorarle delicatamente con le dita la pelle sulla nuca e spostarsi in modo da avere un naso accanto all'altro, accedendo, così, alla sua bocca. Il cuore nel petto di Liliana sembrava sul punto di esplodere.
Le sue labbra uccisero l'aria che li divideva e sfiorarono quelle della ragazza. Il sentimento di appartenenza si rinnovò immediatamente a quel dolce e lieve contatto. Socchiuse le labbra e gli lasciò il libero accesso. Lui iniziò a baciarle il labbro superiore. Poi, sempre con l'estrema delicatezza che si riserverebbe solo ad un fiore, spostò il suo viso dall’altro lato del naso, in modo da soddisfare così anche l’altra metà esitante della bocca.
Liliana raggiunse il culmine, iniziò anche lei a baciarlo lentamente, prima gli angoli della bocca e poi, finalmente, assaporò a pieno le sue labbra.
Più che un bacio sembrava una danza e loro due, dei ballerini stupendi. Per un momento, la sintonia sembrava l'unica dote rimasta ad entrambi.
Quando rimasero a corto d'aria, solo in quel momento, si dividettero.
«Allora?» le chiese a due millimetri di distanza. «Ti va di uscire con me, domani sera?».
Sorrisero, ma non come le altre volte, ora sembravano aver conosciuto quell'ultima parte di entrambi.


«Pronto?».
«Non viene, lei non viene!».
«Come scusa?».
Harry si trovava in negozio, era quasi mezzogiorno, era affamato e arrabbiato per essere venuto in anticipo a coprire il turno di Felix, in modo da consentirgli di preparare l'appuntamento perfetto per Liliana.
«Mi ha scritto adesso, dice che non sta bene! Com'è possibile? Ieri quando gliel'ho chiesto sembrava felicissima, mi aveva detto lei stessa che non uscivamo mai... e ora si tira indietro? Cosa significa?».
«Ma non lo so, Felix! Vi ho aiutati ad andare l'uno incontro all'altra, ma il mio lavoro finiva lì... non sono un consulente matrimoniale o una specie di strano cupido, dovreste smetterla di chiamarmi quando avete problemi!».
«Sono preoccupato, okay? Non capisco se si sente male davvero o se è insicura o se, magari, dopo il bacio, ha capito che faccio schifo... sembrava piacerle ma forse io non ho percepito dei segnali, cosa ne pensi?».
«Fermo, fermo, fermo... vi siete baciati?».
«Sì, non te l'ha detto? Di solito ti racconta anche quante volte va alla toilette!». Era evidentemente agitato, nervoso e insicuro. La sua voce tremava e stava iniziando a parlare a vanvera, il che era tutto meno che un buon segno. Tutto questo panico significava Felix ingestibile e Felix ingestibile era come un'apocalisse zombie.
«No, non me l'ha detto! Vedi di calmarti, però! Non sei tu quello che stamattina si è svegliato prima per darti una mano con il tuo stupido appuntamento!».
«Ti sei offerto, cristo santo! Adesso ti tiri indietro?».
«Senti, a me delle vostre cose non frega nulla, quindi ora vieni qui e torna a lavorare che io ho altro da fare!». Chiuse la chiamata e se ne andò dal negozio, lasciandolo addirittura aperto.
Prese la sua moto e, a grande velocità, andò a casa di Liliana per capire cosa le fosse successo e, soprattutto, come stava. Non rispondeva da un giorno e mezzo ai suoi messaggi e alle sue chiamate, non gli aveva raccontato del bacio e non si era fatta vedere in giro neppure una volta.

«Ciao, devi essere Felix...» disse una donna sulla trentina, aprendo la porta di casa. Non sembrava assomigliare per niente a Liliana: aveva dei lunghi capelli ricci castani, occhi neri come il carbone e dei tratti del viso completamente differenti rispetto a quelli della sua amica. «Sono Pamela, la sorella di Lily».
«Piacere, io sono Harry... sono venuto a vedere come sta veramente. Non ci sentiamo da due giorni e non mi bevo la storia del malore... posso entrare?». Fece un passo avanti verso l'entrata.
«Scusa? Non posso lasciarti entrare». Lo bloccò. «Non solo perché potresti essere uno qualunque che dice di conoscere mia sorella, ma anche perché non...». Sospirò. «Non vuole vedere nessuno, in questo momento, nemmeno me! E, soprattutto, non penso voglia vedere te...». Gli lanciò un'occhiata sommatoria. «Non la metteresti di buon umore».
«Come prego? Stai dicendo che non sono degno di entrare?». Iniziava ad essere innervosito da questo comportamento prevenuto. Non era stupido, sapeva perché non lo voleva, ma lui sarebbe entrato a tutti i costi.
«Sei un bravo ragazzo, ma vederti, in questo momento, non le farebbe bene. I ragazzi come te, quando le stanno attorno, la rovinano, ecco! Non si sente all'altezza di voi e...».
Non la lasciò finire, la spostò da un lato ed entrò. Fece i gradini a due a due e, dopo aver aperto le porte di due bagni e una stanza vuota, riuscì a trovare una porta chiusa e a bussarci.
«Ehi, sono qui». Niente risposta. «Senti, ho lasciato il negozio aperto, ho quasi fatto un incidente in moto, ho litigato con tua sorella e l'ho spostata bruscamente, ho praticamente agito contro ogni principio della regina Elisabetta». Rise, dicendolo. «Ti prego, fammi entrare... so che non stai bene ed è giusto affrontare questa cosa insieme a qualcuno, qualsiasi cosa sia!».
«No». Pareva più un verso che una risposta.
Appoggiò la sua mano e la sua fronte alla porta e parlò. «So di non essere la persona più stupenda del mondo, so di non essere capace di risolvere tutti i problemi che potresti avere, ma lasciami provare, ti prego...».
«Harry, vai via!» urlò.
«Se pensi che io mi sposterò anche solo di un millimetro, ti sbagli! Quindi, se non vuoi che ad un certo punto pisci sulla splendida moquette beige che avete qui, ti conviene aprire!».
Sentì una risata dall'altro capo della porta e poi qualche singhiozzo. Era tutto a posto, l'avrebbe fatto entrare.
Nel frattempo era salita la sorella e, a braccia incrociate, lo guardava fallire dall'ultimo scalino.
«Non dobbiamo parlarne per forza, uhm?».
«Se ti lascio entrare non ne parliamo? Davvero?». La sentì singhiozzare ancora e, insieme ai suoi lamenti, riuscì a percepire il suo cuore stringersi di sconforto. Sentirla piangere era una tortura disumana.
«Parliamo di tutto quello che vuoi, ma ti prego... lasciami entrare!». Ormai anche nel suo tono si potevano percepire svariate note di dolore. Doveva capire cosa le era successo.
Non rispondette, semplicemente aprì la porta e lo lasciò entrare.



Buonasera!
Sono arrivata oggi con un piccolo capitolo per stuzzicarvi...
Vi preannuncio che giovedì mattina (07/07) io parto per le vacanze *-* quindi non potrò aggiornare la storia per almeno 3 settimane. Giuro solennemente che penserò a come continuare la storia e cercherò di prendere spunto da ciò che mi accade intorno.
Non penso di riuscire a scrivere un capitolo tra domani e dopodomani, per cui se non vedete niente entro giovedì, mettetevi il cuore in pace e attendete esattamente come io sto già attendendo la settima stagione di GOT.
Lasciate una recensione se vi va e ditemi cosa ne pensate!
Buone vacanze a tutti!

Marty

 

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Capitolo 8
*** CAPITOLO 8 ***




CAPITOLO 8

 
 
Non fece in tempo a chiudere la porta dietro di se, che era già sdraiata sul suo letto, accasciata in una posizione tanto innaturale quanto apparentemente comoda.
«Quindi hai baciato Felix, uhm?».
«Esatto».
«E ti ha fatto così schifo che adesso piangi cercando di dimenticalo, uhm?» le chiese, mentre cercava di farsi spazio per sdraiarsi accanto a lei.
«No, per niente, è stato stupendo... è stato così dolce... fanculo!». Senza un motivo valido aveva ricominciato a singhiozzare. Si mise un cuscino in faccia e tacque. Non riusciva a capire perché lo facesse o, meglio, non voleva neppure provarci. Sapeva che centrava qualcosa con il suo fisico, ne era sicuro ma non voleva neppure entrare in argomento: per lui, lei andava benissimo com'era e non aveva voglia di discutere su quanto avesse ragione, era già successo qualche settimana prima e lei... lei non lo capiva.
«Addirittura stupendo? Che schifo! Avrei preferito commenti negativi! Tipo... che ne so? Sbava come un bulldog e stavo per vomitargli in bocca! Non puoi darmi immagini di Felix che bacia persone, che bacia te! Cristo, che schifo!». Era abbastanza sicuro di averle dato un'emozione. Era pronto a giurare che aveva notato un sussulto, qualcosa di molto vicino ad una risata soffocata, o almeno lo sperava. Lei rideva sempre, come poteva non aver riso a lui che imprecava? Lui non imprecava mai. Nonostante tutto, non gli aveva risposto, allora con movimenti d'anca cerco di avvicinarsi sempre più a lei. Se fare l'idiota non avesse funzionato, avrebbe potuto abbracciarla. Era sicuro di abbracciare bene, o almeno così gli dicevano le ragazze. «Cosa c'è che non va?». Cercò di alzare il cuscino, ma lei lo strinse ancora più forte.
«Hai promesso che non ne avremmo parlato». La sua voce era in parte bloccata dal cuscino rosso tappezzato di cuoricini e orsacchiotti che probabilmente aveva comprato ad una fiera del “NOI AMIAMO DAVVERO TANTO SAN VALENTINO”, era inguardabile e un po' lo faceva ridere.
«Va bene, va bene». Alzò le mani al cielo anche se non poteva vederlo. «Di cosa vuoi parlare, uhm? Qualcosa da ragazza o da maschio duro?». La sentì fare, di nuovo, quel piccolo sussulto-risata e quindi continuò. Stava funzionando. «Tipo: vuoi parlare di quanto è figo Zac Efron con la maglietta bagnata» disse con la sua mivliore voce da adolescente innamorata. Si schiarì la voce e poi continuò duro: «O di John Cena che fa il culo a tutti perché è un uomo “con le palle”? Dimmi tu! Vuoi che ti pitturi le unghie o facciamo a chi è più forte? Uhm?». La punzecchiò sulla pancia con l'indice. «Sei viva? Chiamo il 911?».
«Nessuna delle qu-quattro... f-forse Zac Efron».
«Ah donne! Non dite loro quanto siano fissate con l'aspetto fisico perché vi daranno del sessista, ma nominate Zac Efron e ne vorranno parlare!». Scosse il capo. «E io che pensavo fossi più maschio alfa che ragazzina arrapata... Zac Efron, pff!».
Dal nulla, prendendolo alla sprovvista, fece uscire la testa e gli diede una spinta che quasi lo fece cadere giù. «Ma smettila! Lo sappiamo benissimo che dei due sono io il maschio alfa!». Gli fece la linguaccia. «E non darmi della ragazzina arrapata... Zac Efron fa questo effetto a tutti, è normale!». Fece una delle sue smorfie da disagiata. Era tornata.
Lui prese il cuscino, lo scaraventò chissà dove, facendo cadere chissà che cosa che fece tanto rumore e iniziò a farle il solletico.
«Ma smettila tu! Che mi fai preoccupare e poi guardati, stai benissimo, ridi perfino!». La sentiva contorcersi sotto le sue mani e lo divertiva. «A quest'ora potevo benissimo essere stravaccato a casa a riguardare tutto Game Of Thrones da capo, e invece sto parlando di Zac Efron con una che finge di stare male solo per parlare di quel coglione, pensi che non lo sappia che lo fai per lui?».Gli piaceva vederla sorridere in quel modo, nonostante le lacrime secche sul viso. Le si formavano due fossette proprio agli angoli della bocca che gli piacevano un sacco, erano così carine e, soprattutto, profonde. A volte pensava che volendo sarebbe potuta andare in letargo e nasconderci del cibo lì dentro. Gli venne automaticamente da ridere: ogni volta che stava con lei, gli venivano delle idee talmente sciocche che non sembrava neppure lui, sembrava il lui di anni fa.
«Basta, basta, ti prego!». Non riusciva a smettere di ridere.
«Non sapevo soffrissi il solletico in questo modo! Interessante!».
«TI PREGO!» arrivò a urlare stra uno spasmo e l'altro.
«Arrenditi alla mia forza suprema...».
«M-Mi arrendo alla tua... dai!». Gli spostò una mano dal fianco, arrossendo. «Mi arrendo alla tua f-forza suprema». In quell'esatto istante alzò le mani al cielo e poi si lasciò cadere sul letto accanto a lei.
«Quindi cosa vuoi fare? Vuoi guardare il soffitto e piangere per tutto il giorno o... facciamo qualcosa di più costruttivo?». Muovendo i piedi si aiutò a togliersi le scarpe e scivolò completamente sul suo letto, poi, incrociò le braccia dietro alla testa e vi si appoggiò.
«Parliamo? Ti va di parlarmi di te un po'? Oggi non mi va di essere al centro dell'attenzione».
«Va bene, cosa vuoi sapere?».
«Non saprei, non parli mai della tua famiglia, perché?». Lily si girò in posizione prona, diede due pacche al cuscino che aveva raccolto da terra per gonfiarlo dove voleva e poi vi si appoggiò. Il capo girato verso di lui, gli occhi fissi inspiegabilmente sui suoi capelli ricci lasciati sciolti, come non faceva mai. Felix l'aveva talmente spaventato che non aveva nemmeno avuto il tempo di rifarsi la coda.
«Devo proprio parlarne?» chiese con malavoglia, senza staccare lo sguardo dal soffitto tempestato di stelle fosforescenti, di quelle che si illuminano quasi magicamente quando il buio si insidia tra le pareti. Era una cosa davvero da bambini averle ancora nella stanza, ma allo stesso tempo romantica, non sapeva spiegarsi perché fosse tanto affascinato da un dettaglio così insignificante rispetto al resto della stanza che era un insieme di mille colori, frasi e foto certamente in grado si scaturire emozioni più intense.
«Solo se ti va, lo sai che una bella chiacchierata mi accontenta a prescindere... parla di quello che vuoi, io ti ascolterò». La sua voce era più delicata del solito, stava quasi sussurrando per qualche strano motivo, forse non voleva che il resto del mondo sapesse dove fosse, forse loro due e la stanza era l'unico mondo che desiderava in quel momento. Se era così, lui provava lo stesso.
«Non vedo Gemma, mia sorella, da quando siamo partiti, ma a volte la sento. Mia madre non voglio assolutamente incontrarla e, comunque sia, sono passati sette anni da quando ho deciso che non volevo più saperne nulla di lei...». Sospirò e quel sospiro gli fece davvero male. «Mio padre è uno stronzo e Paul, avevo riposto tante di quelle speranze il Paul, ma ormai è diventato una foglia nel vento, un'anima sofferente ed errante... la mia famiglia fa schifo».

 

Il tono con cui li stava descrivendo, la velocità con cui aveva descritto quattro vite come se fossero nulla, come se non significassero più niente per lui. Quel sentimento di distacco e malinconia la fece pentire di aver chiesto.
«Scusa se ho chiesto. Non avrei dovuto...». Affondò la testa nel cuscino e pianse ancora po'. Era allucinante l'effetto che il pianto aveva su di lei: una volta che aveva iniziato per una qualsiasi ragione, continuava per ore per altri venticinque motivi inutili. Quel giorno, uno dei motivi inutili era di aver ferito Harry in qualche modo. Era una cosa brutta, certo, ma non meritava le sue lacrime. «Scusa, il problema è che quando inizio poi continuo tutto il giorno...».
«Non devi preoccuparti, non mi sono offeso». Le sorrise e le accarezzò il capo.
«Non so perché sono così femminuccia!».
«Forse perché lì sotto hai uno strano organo che, chissà perché, ti rende diversa da me. Brutta fregatura essere donne!». Gli diede un innocuo pugno sulla pancia. «Sai cosa ti dico? Fanculo tutti!». Scosse il capo, alzò gli occhi al cielo e poi li chiuse. «Quando avevo tre anni, i miei hanno deciso di divorziare perché mia madre tradiva mio padre con un suo collega, con cui poi si è felicemente sposata». Sbuffò. «Rimasi a vivere con lei perché a quattro anni non ti spiegano niente e comunque non capiresti. Dopo un anno di visite occasionali a me e a mia sorella, mio padre si è presentato a casa nostra con Amy, una sua vecchia compagna di università e sua nuova fidanzata, e...Paul». Quando lo nominò le partì un battito. Tante volte, negli ultimi mesi, aveva immaginato la loro storia, ma non pensava fosse andata in questo modo. Aveva sperato in qualcosa di più leggero. «Poi, un giorno, a quindici anni, venne fuori tutta la storia. Ricordo che piansi come un bambino, ricordo che Gemma mi abbracciò e mi disse che era tutto a posto, che con o senza tradimento prima o poi loro avrebbero deciso di divorziare comunque, per cui non era stata veramente colpa della mamma, ma di entrambi. Mi disse che ai tempi, io non me lo ricordavo, ma papà aveva già iniziato a scommettere al bar e a bere, che non era esattamente l'uomo migliore del mondo... la sera stessa feci le valigie e, senza dire niente, la mattina seguente presi il pullman e raggiunsi mio padre vicino a Londra. Quattro schifosissime ore di pullman». Inspiegabilmente aveva iniziato a ridere. «Dio! Sembravo un fottutissimo barbone!». Scosse il capo, poi si girò e la guardò negli occhi. «Avresti dovuto vedermi! Avevo un giubbone due taglie più grande color morte». Iniziò a gesticolare come se potesse toccare i vestiti con mano di fronte a lui. «Jeans giganteschi strappati, ti giuro, ce ne stavano venti di me lì dentro! Li adoravo talmente tanto che mi ero comprato una cintura elastica verde per poterli indossare senza che cadessero... Dio!». Scoppiò a ridere. Liliana sospirò, contenta che si fosse rilassato. «Oh! Poi avevo un paio di Nike pensate fosforescenti, ma da me indossate completamente ricoperte di fango, questo però perché era inverno... Dio solo sa quanto più oscene sarebbero sembrate quelle scarpe se le avessi pulite. Mi ricordo ancora quando presi le cose per vestirmi, guardai fuori, e notai che stava iniziando a nevicare, ma quella neve bagnata, quella che diventa subito fanghiglia e non neve soffice! Ricordo che imprecai dentro di me: “proprio stasera che me ne devo andare?”. Insomma sai com'è quel tipo di neve, no?».
Gli sorrise, felice che avesse cambiato argomento e scosse la testa. «Non ho mai visto la neve, in realtà».
«Cosa? Beh un giorno ti porterò a casa mia, a Holmes Chapel e vedrai, d'inverno lì è... è bellissimo!». Si era emozionato, finalmente lo vedeva felice. Lui era venuto per lei, ma ora era lei a cercare di farlo felice.
«Okay, ci sto!». Gli porse la mano. «Ti prometto che un giorno verrò lì se tu prometti che un giorno verrai a Monterey».
«Giuro, che ci verrò» si strinsero la mano e poi ritornarono nelle loro posizioni.
«Comunque sia... sono venuto qui con Paul e il resto della combriccola quando... quando mio padre ha iniziato ad indebitarsi più del solito e a perdere, scommessa dopo scommessa, tutti i nostri soldi... ed è anche per questo che non sono andato al college..». Sospirò. «Ta-da! Fine della storia!». Si sforzò di sorridere.
«Quindi è per questo che abitate qui? Siete... siete scappati?». Lui annuì e ne seguì il silenzio, allora lei gli raccontò la sua storia: «Mio fratello Ryan si è innamorato di una qui e i miei hanno deciso che spostare tutta la famiglia da una parte era meglio che perderne uno!». Alzò gli occhi al cielo, frustrata. Il solo pensiero la faceva innervosire. «Non lo vediamo neppure così spesso come vorrei. Quella strega se lo tiene tutto per sé e, oltre ad aver lasciato tutta la mia vita a Monterey, mi ritrovo a sentirne comunque la mancanza a pochi chilometri di distanza, è semplicemente assurdo!». Scosse il capo.
«Quindi ho vinto io...».
«Hai vinto cosa?». Lo guardò, confusa.
Si girò verso di lei e le sorrise. «Ho vinto il premio storia più deprimente di trasferimento, mi sembra evidente!». Si sorrisero e poi, di nuovo, il silenzio.
Liliana si girò supina come Harry e sposto il cuscino per condividerlo con lui.
Rimasero per un po' a guardare il soffitto senza dire una parola. Si ricordò di aver dimenticato il CD dei Maroon 5 nel lettore CD, allora allungò la mano sul suo comodino e lo fece partire da dove l'aveva lasciato qualche giorno prima: She Will Be Loved in versione acustica, una delle sue canzoni preferite. La voce di Adam Levine li stava cullando e riportando nel loro limbo, nel loro territorio neutro, nella loro pace.

Si riscoprì a guardare le stelle che aveva incollato al soffitto poco meno di un anno prima, sembrava passata una vita da quando il camion dei trasporti si era fermato di fronte al suo giardino, da quando aveva staccato tutti i poster, le foto, le poesie e le stelle dai muri, da quando aveva svuotato ogni singolo cassetto e deturpato ogni piccoli ricordo. Sentiva gli occhi inumidirsi persino in quel momento.
«Non penso di essere alla sua altezza, è per questo che non l'ho raggiunto stasera». Chiuse gli occhi e parlò al buio, alla voce di Adam e a se stessa, non a Harry. «Ero pronta ad uscire, avevo preparato il vestito, deciso come truccarmi, cosa dire, quali orecchini infilare, se mettere i tacchi o no, se portare i soldi o no, se pitturarmi le unghie di rosso o di azzurro. Mi stavo preparando okay? Non lo stavo illudendo in qualche modo! Avevo appeso tutto alla porta del bagno, ma poi ho deciso di farmi una doccia. Quando sono uscita, mi sono messa l'intimo, mi sono asciugata i capelli e, purtroppo per me o per fortuna per Felix, mi sono guardata allo specchio, okay? Mi sono guardata e non mi è piaciuto quello che vedevo, TI VA BENE? Non mi è piaciuto vedermi così grassa come una balena spiaggiata, non mi sono piaciuti i capelli sottili lisci e il naso un po' a patata. Allora mi sono rimessa questa stupida maglietta». La strinse con forza tra le dita. «E ho deciso che Felix è bellissimo, è magro, è delicato e poi... Dio! È così dolce! Mentre io no. Lui è diverso da me, okay?». Stava piangendo di nuovo. Singhiozzò un paio di volte prima di girarsi nuovamente e soffocare il singhiozzo nel cuscino. Harry le prese le braccia e le appoggiò suo suo petto, invitandola ad appoggiarsi a lui, come fece. La strinse forte a se e la lasciò piangere contro la sua maglia. Lei inspiro il suo profumo, sapeva di ammorbidente economico e di colonia. Sapeva di Harry e questo la rilassava. Lo senti baciarle la testa e accarezzarla piano come faceva suo fratello da piccola per consolarla.
«Ehi, tu sei assolutamente abbastanza per lui e lui è abbastanza per te. Non pensare mai di non meritare ciò che hai, mai». Le baciò i capelli di nuovo. «Mi dispiace se non ti senti una bellissima principessa Disney, ma secondo me dovresti fregartene, non devi essere una modella per essere meravigliosa! Tu sei molto, molto meglio di una qualsiasi di quelle anoressiche del cazzo che vedi in tv, capito? Felix l'ha notato prima degli altri, prima di te! Se è così geloso di te, ci sarà un motivo, no? Tu sei speciale Lily, non sei come le altre e questo ti rende una delle persone più splendide del mondo, va bene?».
«Sono... Sono cose che si dicono e che mi ripetono tutti, ma l'aspetto conta eccome! Da quando me ne sono andata ho preso quindici chili... non è normale che una ragazza pesi settantacinque chili, non è bello per niente! N-Non penso che... di solito i ragazzi non stanno con quelle come me! Non lo capisci? Un giorno Felix se ne accorgerà come tutti gli altri e...».
«Shhh». Aveva bagnato la sua maglietta, ma non si era ancora staccata e lui non l'aveva ancora lasciata. «Non sono tutti come mio fratello, solo perché gente come lui esiste non devi pensare che tutti siano così scemi! Felix sarebbe uno stupido a lasciarti andare... ma non l'hai ancora capito che a lui piaci così? A lui piaci un sacco! La serata che aveva organizzato per te stasera... ha passato la notte in bianco per prepararla e ora è li a casa sua, a pensare che tu vuoi lasciarlo prima del tempo. ».
«Davvero?». Alzò il capo per guardarlo e lui annuì. «Sono una scema!».
«No, no che non lo sei...». Le diede un altro bacio che la rassicurò. «Fai solo un po' schifo a capire le persone, tipo tanto schifo! Tipo che tu stai al capire le persone come io a capire uhm... il francese... si, direi che ci sta come paragone, non ho mai studiato francese...». Le sorrise e la guardò dritto negli occhi. «Devi promettermi, però, che d'ora in poi quando hai questi momenti mi chiamerai, perché non fa bene stare soli quando ci si sente una merda, soprattutto a te a quanto pare...».
«Perché dici così? Non è normale?».
«Il tuo lato del letto è pieno di fazzoletti soffiati, la prima canzone che è partita è stata She Will Be Loved e quella vicino alla tua televisione sembra tanto la custodia di Titanic. Non dico che non vadano bene queste cose, ma non tutte insieme, soprattutto quando non ti senti ok!».
«Adesso fai lo psicologo?».
«Dimmi, ti senti meglio rispetto al momento in cui sono entrato?». Annuì con la testa ancora appoggiata al suo petto. «Allora mi pare evidente che dovrei aprire uno studio e fare quello di professione». La risata che ne seguì la scosse fin dentro, ora si sentiva davvero bene.
«Non andartene però... non mi va di stare sola».
«Non mi muovo neppure di un centimetro se ti da problemi...». La sicurezza della sua presenza la mise ancor di più di buon umore. Harry sapeva cambiarla, sapeva farla ragionare in modo diverso, più giusto. Le capitava lo stesso con suo fratello Ryan, anni prima e, giorno dopo giorno, notava delle somiglianze tra i due uomini capaci di cambiarle la giornata: il modo in cui entrambi la proteggevano, la abbracciavano e la facevano sentire sicura di sé.

La serata passò veloce e tra un partita a Mario Kart e quattro chiacchiere piene di coccole, Liliana riuscì a dimenticarsi perfino il motivo per il quale Harry era accorso lì.

Quando si svegliò, Harry non c'era più, ma le aveva lasciato un post-it sul telefono, probabilmente per assicurarsi che lo leggesse. Diceva:
Buongiorno Lily! Non so come, sono riuscito a sostituire me con il tuo cuscino, ma ce l'ho fatta senza svegliarti!
P.S. Comunque russi.
P.P.S. Cambia la fodera oscena del tuo cuscino o lo farò io.


Sorrise nel vederlo e fu ancora più felice quando, sbloccando il cellulare vide il messaggio di Felix.

Felix: Ehi, non so cosa sia successo e non voglio
una spiegazione, voglio solo darti la buonanotte,
perché è questo che i fidanzati fanno ed è
quello che desidero fare io. Buonanotte Lily. (23:14)


Guardò l'orologio che aveva al polso: le due e mezza di notte. Si stirò i muscoli e sorrise, sorrise, sorrise mille volte: quando si sarebbe risvegliata, avrebbe vissuto una bellissima giornata, ne era sicura.


 

Chiedo umilmente scusa per non aver pubblicato nulla negli ultimi mesi ma, come ho già spiegato ad una lettrice molto appassionata, non sono riuscita a trovare il tempo per andare avanti e produrre un qualcosa di accurato. Questo capitolo è rimasto "in cantiere" per forse un mese, non perché non volessi condividerlo con voi, ma perché sentivo che aveva bisogno di grandi revisioni e, di fatti, quello che avete letto oggi è molto diverso dall'originale a cui avevo pensato.
Spero che vi sia piaciuto e vi chiedo di lasciare una recensione se pensate ne valga la pena.
Grazie a tutti.

Marty

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