Riptides

di Alex Wolf
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Yūji Terushima - Ti stó guardando ***
Capitolo 2: *** Tōru Oikawa - Ti credo ***
Capitolo 3: *** AVVISO ***



Capitolo 1
*** Yūji Terushima - Ti stó guardando ***


 
Yūji Terushima - Ti stò guardando 










" E quando sarai debole, io sarò forte

Io terrò duro

Ora non ti preoccupare, non durerà a lungo

Cara, e quando senti che non c'è più speranza

Corri tra le mie braccia.

- Charlie Puth / One call away - "










È una cosa parecchio strana.  Non ha senso. Quella palla l'ho murata. Allora perché? Perché non mi capacito di tutto ciò?

Mentre l'arbitro fischia l'ultimo punto necessario all'altra squadra per vincere, mi rendo conto che quel suono sta segnando la fine di un altra partita, di un altro tempo, di un'altra sconfitta. Dell'ultimo torneo delle superiori. 

La luce di speranza che ho covato per tanto tempo dentro di me si affievolisce piano piano, fino a che di lei non rimane che un tenue bagliore sovrastato dall'oscurità dei miei pensieri. Viene inghiottita e scompare.

I miei piedi toccano terra, la mano sinistra si stringe sul braccio destro e lo chiude in una morsa dolorosa. Meglio il dolore fisico che quello mentale, mi dico. I miei occhi restano fermi sui corpi atletici dell'altra squadra, sulle sue giocatrici che saltano e esultano felici del risultato. 

Perché loro ci sono riuscite? Dove abbiamo sbagliato noi? Dove ho sbagliato io? 

Una mano mi si posa leggera sulla spalla sudata costringendomi a voltarmi, la mia maschera è già al suo posto pronta all'utilizzo. E forse è meglio così perché gli occhi che incontro sono carichi di tristezza e rammarico.

Sorrido alla ragazza del primo anno che ho davanti, le scombino un po' i capelli in segno d'affetto. 

- Mi dispiace Senpai. È stata colpa mia, ho rovinato tutto. - Singhiozza improvvisamente, portandomi a socchiudere le labbra.

Detesto la gente che piagnucola dopo che commettono un errore, ma non posso fare a meno di provare un certo senso di giustizia in quelle lacrime salate che le corrono sul viso. Almeno è cosciente di aver sbagliato qualcosa. Lo siamo tutte.

Sospiro, portandola con me vicino alle altre. 

- È andata così - inizio osservandole tutte negli occhi - ma questo non significa che non siamo state brave! - 

Il coach annuisce, le mani incrociate sul petto che si alza e si abbassa velocemente. Anche lui è rimasto deluso da quella sconfitta, come tutte noi. 

Mi specchio per qualche secondo nei suoi occhi scuri, trovandoli vitrei e sprovvisti delle parole che è solito usare quando qualcosa non va; lo stesso vale per quelli del professore. Nonostante siano stati sicuramente abituati alle sconfitte è la prima volta che ne affrontano una con una squadra femminile, devono sentirsi chiaramente presi in contropiede. Cosa possono mai dire due uomini grandi e vaccinati a un gruppo di ragazzine sull'orlo delle lacrime? 

Sospiro. Prendo una boccata d'aria e accarezzo la schiena a una delle mie compagne più giovani.

- Siamo state brave, fino alla fine. Abbiamo tenuto alto il nome della nostra scuola, fino alla fine. È vero ci hanno battuto, ma questo non significa che siamo sconfitte. - Dentro di me sento il cuore che batte tanto forte che ho paura si fermerà per la stanchezza. - Per quelli del terzo anno ormai non c'è più possibilità di fare altri tornei - , detesto le parole che mi escono dalla bocca tanto quanto la cruda verità che trasportano, - ma per tutte le altre c'è ancora tempo. L'anno prossimo vincerete di sicuro è andrete ai nazionali. - 

Si rallegrano quasi tutte. Quasi tutte tranne le maggiori. No, e come potrebbe essere possibile? La nostra ultima partita si è chiusa con una sconfitta. Noi ci limitiamo a sorride, unire le mani nel cerchio e gridare per l'ultima volta il motto della nostra squadra con la consapevolezza che niente, d'ora in poi, sarà più lo stesso. Una verità tanto inevitabile quanto dolorosa e piena di rimorsi.

Mi sento vuota.  

Mi sarebbe piaciuto vincere questo ultimo torneo. Lo volevo con tutto il cuore. Ma sono consapevole del fatto che le cose non vanno come si vorrebbe, per cui gettarmi addosso valanghe di colpe lo levo dalle cose riportante nella lista dentro la mia mente. 

Ringrazio il coach e il professore, la nostra manager, abbraccio le ragazze e prima di uscire dal quel palazzetto sportivo mi soffermo sugli spalti a osservare l'ultima partita della giornata. Più per evitare di tornare a casa e farmi assalire da una fiumara di pensieri che per la voglia di restare seduta.

La squadra di pallavolo femminile della Jozenji è meticolosamente preparata, al contrario della maschile, e calcola le proprie mosse con una calma snervante e precisa. La sua avversaria, nonostante sia in netta superiorità per quanto riguarda l'altezza, non può molto contro la tecnica che usano nell'altra parte del campo. È una battaglia impari ma anche pari, sotto diversi punti di vista. Dove una manca l'altra si erge e viceversa. 

Sospiro, mentre il diciassettesimo punto della squadra d'oro va ad aggiungersi sul cartellone. Il tifo della Jozenji acclama.

Un'ombra attira la mia attenzione. Una sagoma che conosco d'un troppo bene. 

- Non osare aprire la tua boccaccia,  Terushima. Non sono in vena di battutine. -                                               Il ragazzo sorride divertito, mentre si siede accanto a me e si mette in bocca un lecca-lecca. Oggi non gioca, che sia venuto a vedere le sue compagne? Probabilmente si.

Quando anche il diciottesimo punto delle divise d'oro va a segno, Yūji si esalta e esulta divertito. Non posso fare a meno di guardarlo, desiderando che svanisca così come è arrivato: in un soffio. 

Eppure, quando i miei occhi si posano sul suo volto mi sento stranamente divertita, al contrario di ogni mia aspettativa. L'espressione che fa è buffa, ma direttamente proporzionale al sentimento che prova ora. È inevitabile per lui essere felice, in quanto è la sua squadra a stare vincendo. Una fitta mi attanaglia lo stomaco. Gelosia. 

Sospiro e smetto di guardarlo. La partita va avanti. Mi do della stupida. Perché continuo a osservare una partita senza guardarla realmente? Perché non mi incammino verso casa? Ormai mancano poche ore alla sera, rischio di perdere l'ultimo treno. Eppure, non mi muovo. 

Non è che da un momento all'altro arriverà qualcuno che mi chiederà di entrare in campo perché sono a corto di giocatori o semplicemente perché gli serve qualcuno con cui allenarsi, o perché lo vuole fare. Queste non sono amichevoli e io non sono più una giocatrice delle superiori. Quanto vorrei esserlo.

- Allora - comincia il biondino, spostando lo stecco del dolcetto da una parte all'altra della bocca - ho visto la tua partita. Che diamine ti è successo? - 

- Come scusa? - Non lo guardo nemmeno. So cosa intende e a cosa si riferisce. 

- Senpai - borbotta, girando il busto nella mia direzione. Sento il peso del suo sguardo che mi schiaccia, mi comprime fino a spappolarmi sotto la sua presa. 

A un tratto desidero solo andarmene. Riportare la divisa a scuola, prepararmi ad andare all'università, dimenticarmi di tutto quello che è accaduto oggi. 

- Senpai - sussurra questa volta, allungando una mano sul mio ginocchio. Ha la pelle calda e questo allevia un pochino il dolore dei miei muscoli ancora indolenziti. - Perché hai mollato la spugna? - 

Sono parole semplici, una semplice domanda, eppure mi arriva dritta al cuore come una stilettata tagliente destinata a uccidere. 

Sussulto sorpresa quando le sue dita stringono leggermente di più il mio ginocchio. Che sia arrabbiato? Non dovrebbe, anzi tutto il contrario. Sebbene non abbia giocato contro di lui siamo avversari, dovrebbe gioire del fatto che un'altra squadra che non sia la sua ha perso. Meno problematiche per le sue compagne. Eppure sembra tutto il contrario. Logico. Lui non sta ragionando da giocatore, ma da amico. 

- Senpai, rispondi alla mia domanda. - Lo odio quando mi si rivolge con quel tono tagliente e autoritario. L'ho sempre odiato, sin  da quando eravamo bambini. 

Respiro. Espiro. Dentro. Fuori. 

Stringo la cinghia della mia borsa e mi alzo, sovrastando la sua figura snella con la mia ombra. I colori della sua divisa scolastica diventano cenere contro il buio che gli si staglia davanti. 

- Non ho mollato la spugna, Baka-Yūji. Semplicemente le altre erano più forti. Tutto qui. - Una spiegazione semplice ma concisa, come si addice a un capitano. Un ex capitano. 

Il ragazzo si alza a sua volta. Ora è la sua di ombra che lambisce la mia. Inutile provare a evitarlo, lo so bene, tanto mi seguirebbe fino a casa e continuerebbe a chiedere spiegazioni in lungo e in largo e la mia testa non può sopportarlo oltre. 

- La ragazza che ho conosciuto io non avrebbe mai detto una cosa simile - borbotta, con le sopracciglia corrucciate. I suoi occhi scuri mi scavano dentro come due ruspe in cerca della verità. 

Che ragazzo pesante e impertinente.

- Yūji - tentenno un poco sulle parole da dire, tentando di mettere insieme un discorso che non faccia una piega. Ma è difficile provare ad accontentare sia la mente che il cuore. - Evidentemente non ci siamo impegnate abbastanza. Avremmo dovuto allenarci di più, faticare di più... crederci di più. Forse è questo il motivo della nostra perdita. Tutta via, le ragazze avranno un alt... - 

- Ma tu no. Tu non avrai un'altra possibilità. - Si avvicina e mi prende il polso fra le dita lunghe e pallide. I calli sulle sue mani da pallavolista sfregano sulla mia pelle pallida, ma non è un contatto spiacevole, anzi. Ho il cuore che batte forte, ma non per l'emozione bensì per le parole crude che gli sono uscite dalla bocca. - Ti ho guardata allenarti per settimane dalla mia finestra, Senpai. Ti ho osservata meticolosamente. Anche se dovevo studiare ho preferito seguire i tuoi movimenti e adesso mi domando, come puoi lasciar correre tutto così? Come puoi non sentirti frustrata o arrabbiata o triste? O, peggio ancora, come puoi semplicemente dire: "erano più forti, tutto qui." Io ti ho guardata, sempre, anche se tu non l'hai mai fatto, e mi sono perso nella luce che brillava nei tuoi occhi. -  Espira. - Ma dov'era quella luce alla fine della tua ultima partita? Dov'è adesso? -

Arriccio le labbra stordita. - Che stai tentando di fare, eh? Vuoi vedermi crollare? - Le parole mi sfiorano le labbra in un sibilo. - Che cosa speri di ottenere dicendomi ciò? Chi ti credi di essere? - Stringo i pugni.

Lui sorride un poco, allungando la mano libera verso il mio volto. Quando mi sfiora sussulto, non tanto per il calore o il fastidio quanto per la sorpresa nel constatare che sta asciugando delle lacrime. Poche, ma pur sempre lacrime salate che mi rigano il viso e bruciano più dell'acido. Hanno un sapore amato quelle dannate gocce trasparenti e io non voglio sentirlo. E difatti non arrivo mai a degustarlo, perché lui le spazza lontane con gesti semplici e veloci, in modo che nessuno si accorga di esse.

Lo vorrei ringraziare ma mi conosco e so che se aprissi la bocca adesso ricomincerebbero a scendere.

Lui continua a tenere le labbra piegate verso l'alto mentre stringe nuovamente il mio polso e inizia a salire gli spalti con velocità, diretto all'uscita. Lo seguo, tentando però di liberarmi dalla sua presa. Inutile. È un ragazzino, ma gli allenamenti gli hanno fornito un certo quantitativo di forza che a me, adesso, manca.

Yūji è un tipo pieno di se e con la testa non del tutto apposto. È un soggetto strano, il mio vicino di casa, eppure nonostante tutto lo seguo. Le sue parole mi circolano nella testa come le onde di un sonar ripetute all'infinito. 

Quando ci fermiamo, chiusi dentro un bagno, le mani di Yūji si spostano nuovamente sul mio viso e lui mi guarda. Mi osserva con le sue iridi castane, seriamente. 

- Lasciami andare - borbotto - non ho alcuna intenzione di parlare con te chiusa in un bagno maschile. È una cosa schifosa. - 

Non ride. Ogni sprazzo di giocosità è scomparso dal suo volto giovane, rendendolo serio come non l'ho mai visto. Credevo che quella parte di lui non esistesse neanche. Perciò mi stupisco quando scuote la testa e la piega leggermente a destra. 

- Tu hai qualcosa che non va - mormora. - Le tue emozioni... Detesto la gente che non esprime le proprie emozioni, Senpai. Sono come morti che camminano, gusci senza anima. Non voglio che tu ti aggiunga a quella categoria. - Allenta un pó la presa, lasciandomi libera di muovere la mascella a mio piacimento. 

Eppure, non faccio niente. Non riesco a fare niente se non respirare, guardarlo, osservare il pavimento. Quest'ultimo in particolare sembra davvero interessante adesso. Le piastrelle grigie, il leggero strato di sporco che intercorre nel mezzo, qualche macchia di troppo.

Yūji rimane in silenzio per poco. E quando parla la mia figura trema. - Senpai. - 

Non lo guardo, non gli rispondo. Mi sento in contrapposizione con qualcosa dentro di me. 

- Senpai. - Ancora silenzio. - OHY! Esprimiti, dannazione! Sei arrabbiata?! Sei frustrata?! Sei triste?! - Mi scuote le spalle. - SEI UN INVOLUCRO VUOTO?! - 

- NO! - sbotto alzando lo sguardo. Non voglio essere qualcuno senza emozioni. Non voglio essere qualcosa che lui odia. 

Gli sbatto un pugno sul petto, più largo è allenato di quanto ricordassi, per poi poggiarci la fronte sopra. È così stupido. È così caldo. È così familiare. È così... 

Lascio ricadere le braccia a penzoloni e chiudo gli occhi. Lo vorrei picchiare adesso, ma c'è un macigno pesante nel mio petto che lui ha iniziato a muovere e ora non si può più fermare. Che odio. 

- Sono frustrata, si, e sono anche triste. Avrei voluto vincerla io quella dannata partita! Cazzo. La mia ultima partita sfumata per colpa di qualche incompetente che non sono stata in grado di allenare! Che razza di capitano sono stata?! - Lo allontano con una spinta e la sua schiena sbatte contro la parete blu del bagno. Mi metto a gesticolare mentre lascio che le mie emozioni straripino e vengano finalmente a galla. Non verso una lacrima, lascio che sia il tono della mia voce l'unica fonte necessaria a intuire i miei repentini cambiamenti di stati d'animo.

Il macigno inizia a rotolare, prima piano poi sempre più forte e alla fine si schianta contro le costole e ruggisce soddisfatto. 

Mi tremano le gambe dopo che ho dato sfogo ai miei pensieri, ho paura che non mi reggano più. 

Perciò mi siedo sopra il borsone con la roba da pallavolo e ritorno a guardare il pavimento. Mi sento così vuota adesso. Vuota e leggera. Una sensazione alquanto dissonante. 

Tiro una testata alla parete alle mie spalle e sbuffo un sorriso. Mi sento così libera. 

- Terushima, sei un idiota. - 

- E meno male, sennò a quest'ora saresti a casa a deprimerti. - 

- Non mi avresti lasciato scampo nemmeno li, ci metto la mano sul fuoco. - 

Ride e si avvicina, accovacciandosi davanti a me. Poggia per l'ennesima volta le mani sulle mie ginocchia e sorride dolce. Il cuore mi rimbalza prepotentemente nel petto, mentre tento in tutti i modi di non darlo troppo a vedere.

Yūji è sempre stato un bel ragazzo, sin da piccolo, ma è come un fratello per me, come posso anche solo pensare che sia più che bello in un momento come questo? 

Scuoto il capo. Però rimane "più che bello" lo stesso. 

Quando usciamo dal palazzetto mi lascio alle spalle la tristezza e le gioie provate in tutti quegli anni -o almeno ci provo- e, soprattutto, tento di abbandonare l'idea che Yūji stia diventando qualcosa di più di tutto quello che è stato finora. Poi mi accorgo che lui era già quel "qualcosa in più " e che non voglio che non lo diventi. 

Non voglio. 

Punto i miei occhi sulla sua nuca e rimango a osservarlo per un lasso di tempo che sembra infinito. I suoi capelli biondi risplendono sotto i raggi tenui del sole e mi attraggono. Chissà come è passarci le dita in mezzo? 

Lascio che le immagini dei nostri ricordi, quelle che conservo nella memoria, fluiscano e mi appannino gli occhi. 

"Io ti ho guardata, sempre, anche se tu non l'hai mai fatto, e mi sono perso nella luce che brillava nei tuoi occhi." 

Ti sto guardando anche io, penso e mi muovo senza pensarci.

Stringo inconsapevolmente la mia mano nella sua e mi blocco, portandolo a fare lo stesso. Il vento soffia e gli accarezza i capelli, sembra voglia cullarlo nel suo fiato leggero. 

Ho il cuore che balla e le labbra che tremano e vorrei sotterrarmi, ma al tempo stesso non sono mai stata così sicura di qualcosa. Prima di partire devo darmi una risposta. 

- Senpai? - Ha le sopracciglia inarcate e lo sguardo interrogativo. 

Dentro. Fuori. Inspiro. Espiro. 

Gli prendo il viso tra le mani e mi avvicino tanto da sfiorargli il naso come il mio. Una scarica mi pervade la spina dorsale. 

- S-Sen... -

- Tu... Tu mi guardi ancora?- chiedo mordendomi le labbra. 

Lui sbatte le palpebre e noto la sua mascella fare un piccolo guizzo. 

- Io non ho mai smesso di guardarti. - 

Non chiedo altro alla mia voglia di sapere, perché non ne ho bisogno. Cancello le distanze.

Ha le labbra che sanno di caramella. Morbide, sottili e calde; così come la sua pelle. E ha un profumo delizioso, che mi pervade le narici . 

Le sua mani larghe si poggiano con delicatezza sui miei fianchi, li stringono piano e li avvicinano ai suoi. È una sensazione meravigliosa, diversa da tutto quello che avevo immaginato. Non c'è senso di colpa, ne risentimento, solo pace. Persino quella stramaledetta partita è scomparsa dai miei pensieri.

Mi ha consigliato lui di lasciarmi andare alle emozioni e, dopotutto, questa cosa non mi dispiace affatto. Se solo l'avessi notato prima, se solo mi fossi accorta prima dei suoi sentimenti. Dei miei sentimenti. Ma forse è meglio così. Forse è meglio che il tempo abbia seguito il suo corso lento e costante.

Yūji sorride mentre si avvicina ancora e mi stringe, lasciando che le mie mani gli passino tra i capelli. Sono così soffici che non smetto di accarezzarli nemmeno quando lui si lamenta docilmente che lo sto spettinando.

Il vento ora non lo tocca più, perché io ho preso il suo posto.

- Adoro le persone che hanno dei sentimenti - sussurra, sfiorando con l'indice il contorno della mia mascella. - Sono come conchiglie che riflettono il mare, e io non mi stanco mai di guardare il mare. -

Nemmeno io.

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Capitolo 2
*** Tōru Oikawa - Ti credo ***


Tōru Oikawa - Ti Credo 


"E così hai ripreso a fumare, a darti da fare è andata come doveva, come poteva 
quante briciole restano dietro di noi o brindiamo alla nostra o brindiamo a chi vuoi 
L'amore conta l'amore conta 
conosci un altro modo per fregar la morte? 
nessuno dice mai se prima o se poi e forse qualche dio non ha finito con noi l'amore conta 
Luciano Ligabue / L'amore conta"


Le luci dei riflettori brillano cangianti e illuminano il mio vestito con naturalezza. 
La passerella che rimbomba ad ogni passo mi fa tremare il cuore, che batte talmente forte da far quasi male. Il mio volto, però, rimane impassibile. Non mostra segni di cedimento o altro, anzi, riesco persino a voltarmi e fare l'occhiolino agli spettatori che presi da l'euforia applaudono.
Non posso ascoltare l'adrenalina che circola nel mio corpo e mi grida di mettermi a correre, di saltare e gridare di gioia.  Ancora qualche passo. Una posa. I secondi scanditi dalla musica e il mio corpo adornato da un meraviglioso vestito riflesso nello specchio che mi si parla davanti. Un altro posa. Tutto concluso.
Il giro di ringraziamento sulla passerella porta via solo qualche istante dopo di che i festeggiamenti si spostano in un nuovo locale. 

- Alla fine, la sfilata è stata molto meglio di quanto immaginassi - sussurra un uomo al mio orecchio, mentre con molta calma mi porto il bicchiere alle labbra. 
Le bollicine dello champagne frizzano nella mia bocca, portandomi a schioccare la lingua. Il gusto dolce della bevanda m'inebria i sensi per qualche secondo. 
- Uomo di poca fede. - Facciamo sfiorare i nostri calici, sorridendoci reciprocamente. - Yachi-san e Kiyoko-san non sono stiliste qualunque. Ultimamente il loro marchio è stato molto apprezzato in tutto il mondo, modelle del calibro di Tyra Banks hanno accettato di sfilare e posare per loro. -
- È uno splendido traguardo. - Si complimenta il giovane. Lo champagne nel suo bicchiere rotea al movimento del suo polso. - A proposito di traguardi, tu hai raggiunto il tuo. - 
Sorrido senza rendermene conto e annuisco. Bevo ancora. - È stato il giorno più bello della mia vita. Sono così felice, Iwa-chan, che tu nemmeno te lo puoi immaginare. - Sospiro tranquilla, chiudendo gli occhi per un secondo. Bugiarda, grida una vocina nella mia testa.
Quando li riapro, Iwaizumi mi sta osservando con un sopracciglio alzato e lo sguardo di un gatto curioso. 
- Che c'è? - 
- Niente. - 
- Tu non fai mai quella faccia per "niente". - 
- Beh - , alza le spalle in segno di noia, - Ti ho solo trovata strana prima. Non sono abituati a vederti con quell'espressione da pesce lesso in faccia. - 
Non trattengo la smorfia d'antipatia che mi esce dalle labbra. Quel cretino non riuscirà a farmi andare fuori dai gangheri anche stasera. Non lo accetto. 
- Come sei stupido. Ora vado, a dopo. - Mi volto e mi allontano sperdendomi tra colleghi, giornalisti e stilisti. 
Qualcuno mi ferma per parlare delle prossime sfilate, altri per farmi i complimenti e c'è qualcuno che mi prende al volo per infilarmi in qualche selfie istantaneo. Spero solo di non apparire come una figura sfocata, visto la velocità con cui mi ritrovo nell'inquadratura. 
Mentre mi faccio largo tra la folla a suon di movimenti repentini, a volte, finisce che qualche goccia cada dal mio bicchiere e atterri sul vestito di qualcun'altra. Faccio finta di nulla e scappo il più lontano possibile. Infantile, certo, ma molto divertente. Molto divertente finché l'intero contenuto del mio calice non si riversa sulla giacca dell'unica persona che non avrei mai voluto incontrare.
Faccio sfiorare i nostri sguardi e mi ritiro subito, drizzando la schiena per non sembrare intimorita. 
Nelle sue iridi scure, macchiate da fini filamenti color nocciola, leggo stupore e divertimento. Basta quel contatto a mandarmi in bestia, ma non posso battibeccare davanti all'intera comunità della moda Giapponese: rovinerebbe la mia immagine. 
Mi scuso e, inchinando leggermente il capo, sparisco dalla sua vista. Non so se è perché sono prevedibile o, invece, se è a causa del mio Flesh interiore che mi ritrovo in una stanza silenziosa senza nemmeno sapere come ci sono arrivata. 
Serro la porta alle mie spalle e sorrido quando la chiave nella toppa fa scattare il meccanismo con un click. 
Respira, mi dico. È acqua passata.
Eppure più ci provo più il dolore sordo che avevo dimenticato torna a crescere nel mio petto, così come il sentimento represso fino a quell'istante. Non importa quanto lontano da lui io sia stata, quanto mi sia impegnata a ricostruirmi una vita e a riaprire il mio cuore a qualcun'altro, è impossibile per me dimenticare una parte tanto importante del mio passato. Quella dannata figura mi perseguiterà in eterno. 
Digrigno i denti, iniziando a camminare avanti e indietro in quella stanza con i divanetti veneziani. Mi passo le mani sulla fronte e arresto il ritmo irregolare del respiro. Non mi ero nemmeno accorta di avere il fiatone. Mannaggia a me.
Mi siedo e, sprofondando nel velluto morbido, cerco di abbandonare quel desiderio morboso che ho di lui. Che ho sempre avuto di lui. Che avrò sempre di lui.
Un pacchetto di sigarette abbandonato attira la mia attenzione. Mi allungo, ne raccolgo una fra le labbra -incurante di chi possano essere- e accendo. Poi mi soffermo a guardare l'accendino. Nulla di speciale in realtà, un semplice contenitore di plastica bianco, ma la frase riportataci sopra mi colpisce. "L'amore è una malattia dell'immaginazione" c'è scritto e sotto è riportato il nome del citatore: Maksim Gorkij. 
- Quanto è vero - mormoro, poggiando l'aggeggio al suo posto. 
Ora anche quella stanza sembra troppo piccola. Troppo buia. Troppo asfissiante.
Con il fumo della sigaretta ad indicare la mia scia, mi alzo e dirigo i miei passi verso la porta finestra che ho davanti. La apro e il vento notturno di Tokyo mi rasserena con una carezza. 
Davanti a me si apre una terrazza abbastanza ampia, che si affaccia su una parte molto "IN" della città. Nulla di nuovo ai miei occhi, eppure in questo momento sembra tutto così... diverso. Sarà la tristezza che mi attanaglia lo stomaco ma persino le brillanti luci della grande metropoli sembrano sfocate. 
Espiro e mi appoggio al balcone, sperando che tutto il casino che ho in testa scompaia. 
- Ma guarda quanto ti ci è voluto per andare in palla, stupida idiota - mi dico. - E menomale che eri quella: "I miei sentimenti per lui ormai sono andati". Si, come no. - 
Mi sbatto un palmo sulla fronte e lascio uscire il fumo dalla bocca. 
- Brava stupida. - 
- Se continui così ti farai del male - borbotta qualcuno, cogliendo mi del tutto impreparata. 
Sobbalzo colta alla sprovvista e mi volto, trovandomi a osservare gli occhi scuri di prima. Mi guardano confusi. 
Le sue mani si agganciano al corrimano di ferro che crea l'unica distanza fra il terrazzo e 5 metri di caduta. Si reggono forti, i muscoli delle braccia guizzano sotto la camicia mentre si sforza di tirarsi su. 
- Che diavolo stai facendo? - domando, spegnendo quel che resta della sigaretta in un vaso.
Lui mi osserva e finalmente scavalca, per poi spazzolarsi il vestito d'alta sartoria con calma. È uguale a come me lo ricordavo. Alto. Allenato. Con i capelli che non ne vogliono sapere di stare al loro posto. Con il suo profumo dolce che inebria i sensi. 
Ed ecco di nuovo quel dolore sordo farsi strada in me. Ed ecco di nuovo i ricordi riaffiorare nella mente. 
- Si può sapere da dove sei passato? - chiedo, cercando di sembrare indifferente.
- La finestra del bagno - mi spiega, indicando con il pollice l'anta aperta di quella. 
- Pensavo giocassi a pallavolo, non che facessi l'acrobata. - 
- Ah! Io sono nato per stupire. - 
Lo osservo inarcando un sopracciglio e poi decido di ignorarlo, voltandomi per rientrare nella piccola stanza. Prima me lo lascio alle spalle prima, forse, riuscirò a scappare nuovamente lontano qualche continente. 
La moquette attutisce i miei passi. 
- Che fai? - lo sento domandare dall'esterno.  
- Me ne vado, grande genio. Anche perché condividere il mio spazio vitale con te mi dà prurito. - 
Faccio per toccare la maniglia ma dita lunghe e sottili si bloccano sul mio polso e lo stringono leggermente. 
Mi volto. Uno sguardo che taglia l'aria s'impossessa di me ma non riesce a bloccare il viso di Tōru dall'avvicinarmisi.
- Sei crudele - sussurra. - Perché tenti di evitarmi? - 
- Tu che ne dici? - ringhio fuori. - Ne ho tutto il diritto. - 
La sua presa si rafforza per qualche secondo, probabilmente l'ho colto sul vivo, poi si addolcisce. 
Per la prima volta da quando l'ho conosciuto anni fa Oikawa resta in silenzio. 
- Proprio come pensavo, non hai neanche la spina dorsale di rispondere- soffio. - Ora lasciami andare. Voglio tornare alla festa. -
Sento le sue dite scivolare via, il suo calore lasciarmi. Non so se dire "finalmente" oppure "no". 
Mi mordo le guance e libero la mia visuale dal suo volto. È un'immagine troppo conosciuta. 
- Stammi bene. - Apro la porta e la passo. E subito mi ritrovo per l'ennesima volta nella stanzetta. La chiave che fa il solito click e ci chiude fuori dal mondo esterno. 
Tōru mi spinge contro il muro, circonda il mio bacino con le sue braccia e affonda la testa fra i miei capelli. Sento il suo respiro contro la pelle che si accalda sempre di più. 
Vorrei spingerlo via, distante, ma qualcosa dentro di me me lo impedisce. È come ai vecchi tempi, solo che sono passati due anni da allora. Due anni di fuga, desiderio di dimenticare, esigenza di ricominciare da capo. 
Tentennando, maledicendomi e insultandomi allungo le braccia verso i suoi capelli e vi affondi le dita. Sono morbidi come li ricordavo. Morbidi e sottili, profumati e delicati. 
- Mi dispiace - soffia contro la mia pelle. - Mi dispiace per tutto. Per averti trascurata, per averti data per scontata, per aver pensato solo a me e ai miei bisogni. Mi dispiace tantissimo. - Mi accarezza. - Io ti amo ancora. -
Bastano quelle poche frasi messe una dopo l'altra per farmi esplodere. I miei muri crollano. Serro la presa sui suoi capelli e lo avvicino a me poggiando la guancia sulla sua nuca. 
Lascio che mi escano le lacrime che per tanto tempo ho trattenuto e che il peso che mi sono portata dietro per così a lungo svanisca. 
È un attimo che appartiene solo a noi due, mi rendo conto. Un sipario solo nostro, come ai vecchi tempi. Esistono solo i nostri corpi, i nostri respiri, i battiti dei nostri cuori. 
Ma qualcosa inceppa improvvisamente quell'ingranaggio che ha ripreso a girare. Basta un attimo per rovinare tutto quanto, quando nei miei pensieri affiora, come un lampo, il volto di un uomo. 
- Tōru - singhiozzo e il suo nome esce fievole. Lui scuote il capo e mi stringe di più. - Tōru... Tōru, ti prego, lasciami - lo imploro. 
Lui lo fa. Lo fa e dannazione quando mi guarda rivedo nelle sue pupille tutto quello che ho sempre desiderato. E mi sento così persa che quasi non crollo sulle mie stesse ginocchia. Non so cosa mi trattenga dal farlo. Non sono a conoscenza della forza celeste che mi sta aiutando a non cadere.
- Mi dispiace -, asciugo le lacrime, - non posso. Non posso, Tōru.- 
- Cosa vuoi dire? - 
Mi fa male la gola, non riesco quasi a parlare. Ogni parola è simile a  un graffio bruciante. 
Respiro leggermente. - Io sto per sposarmi. - Il ragazzo blocca il respiro e lo trattiene per così tanto tempo che credo morirà.
- Cosa? - Adesso sembra lui quello che sta per svenire. 
Non riesco a far uscire nuovamente quella frase. Mi porto una mano sulle labbra e trattengo l'ennesimo singhiozzo. 
Quando calmo il respiro e torno a guardarlo senza avere la vista appannata ripeto, calma. 
- Io sto per sposarmi. - 
- Quando? - 
- La settimana prossima. - 
- Quanti dei ragazzi lo sanno? - 
- Abbastanza. - 
- Anche Iwa-clan?- 
- È mio cugino, Oikawa. È stato il primo a saperlo. -
- Certo. Ora capisco perché cambiava argomento quanto gli chiedevo novità su di te. Avrei dovuto fare due più due. - 
Non posso fare a meno di restare stupita. Lui chiedeva di me. 
- Probabilmente. -
- Lui ti tratta bene? - allude all'uomo con cui mi sono fidanzata. Annuisco. - Ti dà quello che desideri? - Annuisco, ancora. - Ti rende felice? - 
- Non come hai saputo fare tu - ammetto, senza rendermene conto fino all'ultimo. - Nessuno, da quando mi hai lasciata, mi ha resa felice come te.- 
- Allora perché ti sposi? - 
Mi torturo le dita in cerca di una risposta concreta da dargli. Una che soddisfi entrambi, o quasi. Alla fine, prendo fiato ed evitando il suo sguardo parlo. - Murphy è un brav'uomo. Credo di aver detto di "si" perché lui... lui significa qualcosa per me. - 
- "LUI SIGNIFICA QUALCOSA PER ME" - sbotta improvvisamene. - Ma andiamo! Stiamo parlando della tua vita futura. Della tua intera vita futura! Non puoi dire solo "significa qualcosa per me". - Si sta arrabbiando, lo capisco dal modo in cui gesticola. Un'ombra cala sulla sua faccia giovane e pallida. - Una volta non saresti stata titubante nemmeno sulle parole da usare, figuriamoci sul tuo futuro! -
- Se tu non mi avessi lasciata sola per così tanto tempo forse, e dico forse, io non sarei cambiata tanto! E tu avresti imparato a conoscermi meglio! - ribatto piccata.
- Non osare darmi la colpa! - 
- Non osare sputare sentenza su di me! -
- Sei una bisbetica, come sempre! - 
- E tu sei lo stesso di sempre! E non esiste cosa peggiore!- Alzo le braccia in alto in un gesto d'esasperazione. Questa volta quando apro la porta riesco anche a chiuderla e scomparire in bagno, dove mi aggiusto per poi tornare alla festa quel poco che basta al mio autista per arrivare con la macchina. 


Una settimana passa veloce e quando la mattina delle mie nozze mi sveglio non posso fare a meno di ripensare alle parole che Tōru mi ha urlato dietro. 
Lascio che mi aiutino a vestirmi, truccarmi, acconciarmi i capelli. Quando mi specchio sono bellissima, a discapito dei tatuaggi in vista che mia madre continua a indicare con sgarbo. "Guarda come staresti bene senza tatuaggi" o "Sei meravigliosa, ma quei tatuaggi" sono le sue frasi preferite.
Tento di ignorarla chiudendo gli occhi. 


- Adoro i tuoi tatuaggi - sussurra lui nel mio orecchio, mentre con le dita fresche accarezza il contorno di uno dei miei essi. - Sono così sexy. - 
- Tu sei più sexy. - Mi sdraio sul suo petto e lo bacio. Il suo corpo nudo sotto il mio è rovente ed è una sensazione rilassante.
- Hai ragione: io sono molto più sexy. - Mi sorride sornione e passa le mani sulla mia schiena, sulle natiche. - Tu, però, lo sei ancora di più, dolcezza. -

È tutto perfetto, constato.
I fiori sono splendidi, gli invitati sono splendidi - sebbene io ne conosca pochi-, il panorama è splendido. Ma per me manca qualcosa. 
Perché ho lasciato che decidesse tutto lui? 
L'altare è così vicino che mi sembra di non raggiungerlo mai. Murphy alza il velo e mi sorride, ma quello che faccio io è una leggera alzata in confronto al suo. 
La cerimonia sembra non finire mai. Perché ho lasciato fare tutto a Murphy?, mi ripeto nella testa. Perché? Ah, già, perché mi fidavo di lui. Pensavo che conoscesse i miei gusti, dopo un anno di fidanzamento credevo che avesse imparato a mettere se stesso da parte e pensare anche a me. Evidentemente mi sbagliavo.
Io... 
- Tesoro. - Alzo lo sguardo e noto che il viso di Murphy mi sta osservando, incisivo. 
- Eh? - chiedo. 
- Devi rispondere - soffia, indicando con un cenno del capo il chierico. 
- Ah. Si. - Mi ero completamente assopita nei miei pensieri. - Mi scusi, può ripetere?. - L'uomo di chiesa annuisce e mi ripone la domanda. 
Deglutisco, guardo il volto di mia madre che mi osserva con le mani giunte e non posso fare a meno di pensare che tra poco la renderò tanto triste. Lei adora Murphy. Tutti adorano Murphy. Forse anche io l'adoravo. 
Sto facendo l'errore più grande della mia vita.
Spero mi possa perdonare, come ho fatto io con me stessa la sera prima.
- Io... -, lascio le mani dell'uomo che ho davanti e le congiungo al ventre, alzando le spalle in un sospiro, - non lo voglio. - Le pupille di Murphy si allargano spaesate, accompagnate da un sospiro sorpreso della folla. - Tu non sei l'uomo che fa per me, Murph. Mi dispiace tanto, ma credo che troverai qualcuno più adatto a te. Ciao tesoro. -  Gli bacio una guancia e corro verso l'uscita.
Kuroo e Lev, i più vicini alla mia meta, scattano verso la porta e la spalancano, facilitandomi il passaggio. 
- Vi devo un favore! - sbraito mentre scendo le scale. Non sento la loro risposta.

Iwa-chan è già pronto al piano di sotto con la macchina. Probabilmente se l'è filata durante il mio viaggio mentale. È sempre stato un tipo sveglio nel comprendere le situazioni.
Mi apre la porta della Jeep, poi in tutta fretta si dirige verso il lato guidatore. Non faccio in tempo a sistemarmi che lui sgomma sull'asfalto e mi porta ad imprecare. 
Ride, soddisfatto di se stesso.
Lascio che sia lui a condurmi, non solo perché sta guidando ma anche perché sa sempre tutto quello che riguarda quel cretino di Oikawa. 
- Come diavolo sapevi che... - Mi mordo un labbro, indecisa su come andare avanti.
- Quello stupido mi ha raccontato tutto, bambolina. La cosa che continuo a domandarmi è: "perché una intelligente come te va dietro a un imbecille come lui?" - 
- Me lo sto chiedendo anche io, Iwa-chan. - Butto un'occhio sulla strada e noto che non c'è nessuno. - Questo trabiccolo non può andare più veloce?-
- Non offendere la mia macchina, donna di poca fede - borbotta lui, schiacciando sull'acceleratore. 
Facciamo ancora qualche chilometro, a una velocità fuori dalla norma, finché non giungiamo all'aeroporto. 
Mi rendo conto di quanto possa sembrare strano e inusuale vedere una donna vestita da sposa che corre all'interno di un gate, però non mi interessa. 
Di tanto in tanto inciampo, ma questo non mi ferma. Ho il fiatone quando, finalmente, raggiungo la squadra nazionale del Giappone. 
C'è un mucchio di gente che lo acclama; tantissime ragazze gli chiedono foto e autografi, qualcuna prova anche a rubargli un bacio. Lui rifiuta, sorridendo, e la allontana con gentilezza. 
Poi alza lo sguardo, forse perché si sente osservato o solo per abitudine, e sono sicura di leggere sulle sue labbra un'esclamazione seguita da una parolaccia.
Salta il cordone che lo divide dalla folla e le fan gli fanno largo, curiose di vedere cosa accadrà. 
Non gli stacco gli occhi di dosso un minuto. Lui fa lo stesso. E poi arriva, mi sorride, io mi sciolgo e lui mi stringe. Sono così felice. Sono così a casa. 
- Mi dispiace - pigolo contro il suo orecchio. - Mi spiace per quello che t... - 
- Sei bellissima. - Mi accarezza il collo. - E sei mia. Solo mia. Questa volta non ti lascio andare tanto facilmente. - 
Mi prende il volto fra le mani e mi bacia. Ha le labbra morbide, calde e familiari. 
E io sono così felice. Felice come non lo ero da tempo. 
- Be, lo spero per te, perché ho appena mandato un anno di fidanzamento a monte, e ho lasciato Murph sull'altare per venire qui - ammetto. Non dovrebbe far ridere ma Oikawa non si trattiene e si lancia in una performance alquanti rumorosa. "Menomale, pensavo di averti persa" ho l'impressione di sentirlo sussurrare.
Lo bacio, nuovamente. Affondo le dita fra i suoi capelli e lascio che sia lui a guadare quel contatto tanto intimo. 
Vista dall'esterno deve sembrare una visione strana: una modella vestita da sposa e un campione in tuta. Un'accoppiata davvero assortita. 
- Non ti lascio più - afferma lui. - Non lo faccio più questo errore. - 
- Ti credo, brutto idiota. - Lo abbraccio e non trattengo le lacrime mentre tiro un sospiro di sollievo. Il mio orecchio ascolta il suo cuore battere veloce nel petto, che si alza e si abbassa a ritmi regolari.
Questa volta non dubito delle sue parole. Questa volta decido di fidarmi di lui. 
- Non ti lascio più - ripete. - Non ti lascio più. - E non mi è mai sembrato più vero di adesso.

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Capitolo 3
*** AVVISO ***


VOLEVO AVVISARE CHE CON EFP MI STO TROVANDO DAVVERO MALE!
PERCIO', LA STORIA CHE STATE LEGGENDO VERRA' TRASCRITTA NON PIU' QUI' MA SU WATTAPAD -SOTTO LO STESSO NOME - .
MI SPIACE MOLTO,
 
ISIL.

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