INVERNO.

di Alex Wolf
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio dell'inverno ***
Capitolo 2: *** Nuoto ***
Capitolo 3: *** AVVISO ***



Capitolo 1
*** L'inizio dell'inverno ***


L’inizio dell’inverno
 

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«Così te ne vai.»
«Mh.»
Il corpo nudo del ragazzo era caldo contro il suo. Una specie di invito a stargli più vicino, sebbene le coperte non facessero passare il freddo. Eppure, lei quella volta non lo accettò.
«Torni a Iwatobi.»
«Mh.»
Si legò i capelli in una coda alta e, scivolando un po’ più lontana dalle sue braccia allenate tacque. Il silenzio divenne il padrone assoluto della stanza in cui si trovavano.
«Scommetto che sei felice.» Aveva un voce così distaccata che si sorprese lui le rispondesse ancora, sebbene a monosillabi. «Infondo, ritroverai quel tuo vecchio amico.»
«Mh mh.»
Lo osservò. Aveva lo sguardo perso nel vuoto, assente, e le labbra tese in una linea retta. Probabilmente stava pensando a qualcosa che in quel momento non c’entrava nulla. Forse, anzi, sicuramente aveva a che fare con il nuoto e quella  nuova scuola privata di cui le aveva parlato nei mesi precedenti.
All’inizio era stata contenta di sapere che Sousuke era stato accettato alla Samezuka, lui era parso entusiasta come mai aveva dato l’impressione di essere da quando i loro genitori si erano sposati, era arrivato a sorridere con frequenza e lei ci si era abituata a quella visione; poi, appreso che quell’ammissione significava la dipartita del fratellastro la sua felicità si era trasformata in incertezza, l’incertezza in presa di atto per poi sfociare in fine in un misto di tristezza e odio. Lui sarebbe partito e lei non solo avrebbe perso un famigliare ma anche un confidente, un’amante.
Sousuke si alzò dal materasso con movimenti più lenti del solito: si mise a sedere, si strofinò i palmi sulle guance, stanco.
Lei analizzò le sue spalle larghe e ne impresse ogni curva nella memoria oscurata dalla rabbia.
«Divertiti», soffiò fuori velenosamente, all’improvviso, «con i tuoi vecchi amici, fratello.» E girandosi nel letto gli diede le spalle a sua volta.
Dopo attimi di silenzio, Sousuke si alzò, si vestì e raggiunse la porta che l’avrebbe condotto al corridoio. «Lo farò, sicuramente, sorella.» Il suo tono ostentava sicurezza, cosa che la rese ancora più nervosa.
Fu tentata di tirargli un cuscino ma, quando la porta si chiuse alle sue spalle, il suo muro di odio tremò un poco.
Decise di mascherare i propri fianchi con una coperta e sparì oltre la porta del bagno, per lavarsi via l’ultima goccia del suo profumo, la sensazione del suo tocco sulla pelle.
Fu difficile lasciarlo andare quel giorno.
 

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Capitolo 2
*** Nuoto ***



Nuoto
 
 




«Buttati, Rin l’acqua è calda e si sta benissimo» la chiamò un piccola amica da lontano.
Nascondendo i piedi sotto la sabbia bagnata la bambina scosse il capo. «No grazie, sto bene.» Non le piaceva molto l’acqua, per i suoi gusti era troppo fredda e scura per rappresentare una qualche valvola di divertimento.
«Andiamo Rin» la esortò il padre, caricandola su una spalla, «nuotare fa bene alla salute e al fisico, sai?»
«No! Non voglio, non voglio!» strepitò spaventata dall’enorme distesa blu che adesso la circondava, le lambiva il ventre e le braccia prive di braccioli.
Era terrorizzata. Non le era mai piaciuto il mare, il nuoto; persino con i braccioli addosso era restia a entrare in acqua, nemmeno se era suo padre a tenerla.
«Marco, dai riportala qui se non vuole venire a nuotare!» ordinò da lontano la mamma, in piedi sulla battigia.
«Andiamo Maddy, dovrà pur superarla questa paura no?» replicò l’uomo, alzando un pochino la figlia –che raffreddò a contatto con il vento improvviso- per poi ripoggiarla sotto le onde.
Rin allora si agitò ancora di più. Papà non voleva  lasciarla tornare nel suo porto sicuro, tra le braccia della madre, allora lei ci sarebbe arrivata da sola a tutti i costi. Avrebbe toccato terra anche se questo avrebbe significato rimanere senza voce per il troppo urlare.
«Marco!» lo riprese da lontano la donna, facendo qualche passo in acqua. «Non scherzare come se nulla fosse, è una bambina e tu potresti traumatizzarla! Riportala subito in spiaggia!»
Il padre fece un profondo sospiro e guardò la figlia sconsolato. Pian piano prese a camminare verso la moglie, Rin che sorrideva vittoriosa nella direzione in cui veniva sospinta placidamente dalle forti braccia del genitore. Poi fu tutto troppo veloce perché lei potesse comprendere a pieno.
Colpito da un’onda più alta rispetto le precedenti Marco perse l’equilibrio; la bambina scivolò dalle sue mani come una saponetta scivolosa e cadde con un tonfo nell’acqua profonda. Attorno a Rin, allora di appena cinque anni, il mondo si tinse di nero e divenne salato; fu presa dal panico e quando aprì la bocca per gridare invece che uscire qualche suono entrò solo tanta, troppa acqua. Perse la cognizione del tempo e dello spazio, terrorizzata in mezzo a quel mare scuro che la sovrastava.
 

L’acqua della piscina era tremendamente gelida per lei, che il freddo proprio non lo sopportava.  Perciò, si sedette sul bordo e immerse solo le gambe, iniziando a muoverle avanti e indietro con lentezza. Il liquido trasparente le lambiva la pelle in un abbraccio indesiderato; sulle braccia l’epidermide era diventata simile a quella di un’oca. Per di più, il costume intero le stava tagliando il linguine lasciandovi segni rossi e marcati.
Odiava le piscine. Odiava nuotare.
Sin da bambina l’acqua fonda era stata per lei come un tabù, un qualcosa di pericoloso. Nei suoi incubi la materia molle prendeva le sembianze di un mostro che la stringeva fra le mani, quasi fosse un grissino sottilissimo, e la portava giù, sempre più vicina all’ignoto, nell’abisso nero.  Nemmeno sotto l’insistenza di Sousuke, che in acqua sembrava esserci nato, aveva voluto provare a nuotare. Si era semplicemente limitata a rimanersene nella parte dove il fondo era basso e quella cosa le arrivava alle ginocchia; lui si era trovato a scuotere la testa e a gettare la spugna; successivamente la sua partenza, poi, la piscina era diventata una cosa da evitare, irrimediabilmente. Non le piaceva ricordare.
Stupida piscina, inveì silenziosamente lei, portandosi una gamba al petto. Stupida ora di ginnastica.
Ormai la campanella sarebbe dovuta suonare e lei sarebbe stata finalmente libera di tornare a casa e gettarsi sul materasso a non fare nulla, come si addiceva a giornate piovose come quelle.
Alzò il viso verso la grande parete a vetrata che dava sulla strada e aspettò silenziosamente che tutto quello sciabordare, gridare, spruzzare d’acqua finisse. Quando dei giovani entrano in piscina questa si trasforma, come per magia, in una spirale di stupidità, per non parlare dei campi minati di infantilità che si creano quando qualcuno mostra una palla.
Senza che se ne accorgesse in tempo, un suo compagno di classe ignorando i richiami del professore si gettò, proprio dove stava lei, finendo per bagnarla completamente. Fredde gocce d’acqua le finirono sotto il costume, corsero sulla pelle facendola rabbrividire. Non gridò né fece scenate inutili, si limitò a scuotere le spalle  visibilmente infastidita.
Non li sopportava i tipi così immaturi, ma cosa poteva farci? Se gli avesse gridato contro sarebbe passata dalla parte della guastafeste ed era certamente l’ultima cosa di cui voleva curarsi. Si era prefissata l’obiettivo di non litigare con nessuno dei suoi compagni durante l’ultimo anno di scuola, sebbene avesse miseramente fallito con Sousuke…  Ma che le importava? Tanto ormai lui era partito. Non c’era.
Come il canto di un angelo, il suono della campanella irruppe nei suoi pensieri facendola sorridere. Si alzò veloce, prendendo il proprio asciugamano e corse negli spogliatoi a cambiarsi.
 
«Rin-chan, nemmeno oggi sei entrata in acqua» la riprese Shiori, puntellandole una spalla con un unghia ben curata. «Se continui così il professore si arrabbierà. E’ dall’inizio del corso che non fai altro che immergere solo le gambe, si sente sicuramente preso in giro.»
Che seccatura.
«Oi, mi ascolti?»
Rin sorrise annuendo, mentre pigramente si allacciava i bottoni della camicia. Era ancora ancora leggermente umida, non si era asciugata bene dopo la doccia, perciò la stoffa le si appiccicò addosso come una seconda pelle: era così annoiata e stanca di trovarsi in quel luogo odorante di cloro e troppi profumi che non vi badò molto, la cosa  di primaria importanza in quel momento era uscire dalla palestra.
«Tenterò di accontentarlo, prima o poi» soffiò fuori, passando la spazzola fra i capelli.
Successivamente, infilò malamente il proprio costume in borsa e chiuse sedendosi  comodamente sulla panca alle proprie spalle per infilarsi le scarpe. Ciocche castane le caddero davanti agli occhi e fu costretta a fermarsi per legarsi i capelli. Forse è ora che li tagli, si disse.
Non si era minimamente accorta che in spogliatoio era comparsa una nuova esile figura che non faceva parte della loro classe.
Alzò il volto solo quando la giovane del  secondo anno le si sedette vicina.
La osservò dubbiosa, incerta sul da farsi. I corti capelli neri le incorniciavano il volto lungo e facevano brillare la sua pelle d’alabastro. Capì dai suoi movimenti veloci nell’estrarre qualcosa dalla tasca che quella tizia era li per chiederle notizie del suo fratellastro.
La ragazza si torturava le mani e incrociava continuamente le caviglie sotto la panca; le guance erano rosse come peperoni e gli occhi umidi sembravano contenere stelle troppo luminose perché lei riuscisse a vederle.
Rin rimase ferma ad aspettare che accadesse qualcosa. Era curiosa di vedere cosa si era inventata l’ennesima Giulietta convinta che Sousuke sarebbe diventato il suo Romeo.
La ragazza si aggiustò il fiocco rosso e strinse i pugni sulla gonna. Prendendo fiducia si voltò e incrociò il proprio sguardo con quello della più anziana. «Rin - senpai, mi chiamo Sakura  Takahashi, sono del secondo anno. Ecco, mi stavo chiedendo se», fece una piccola pausa per prendere fiato, «il senpai Yamazaki tornerà a casa per le prossime vacanze e se, nel caso, potessi dargli il mio numero e convincerlo a uscire con me.» Unì le mani allungandole nella sua direzione e abbassò la testa, era così rossa in volto che ricordò a Rin un’amarena troppo matura. «Te ne prego.» Il foglietto stretto fra le dita tremava con esse.
Niente di originale. Che scocciatura. Rin  fece schioccare la lingua in segno di disappunto e lanciò un’occhiata a Shiori che, a sua volta, la guardò e riferendosi alla richiesta scosse il capo. La cosa la fece sorridere e le ricordò perché quella era l’unica esponente del sesso femminile con cui riuscisse a trovare quasi una buona logica comune.
«Rin – senpai, per favore» sussurrò la giovane amarena.
L’interpellata strinse gli occhi e ignorò la studentessa per qualche minuto, ragionando su quello che avrebbe potuto riferirgli. Era un amarena troppo matura da schiacciare e gettare via.
Alzandosi, Rin infilò la giacca della divisa, sistemò i capelli e sorrise a se stessa alla specchio che le stava difronte; successivamente si caricò in spalla lo zaino e si rivolse a Sakura con il sorriso più ampio e serafico che riuscì a fare dicendole: «Sousuke non tornerà per le prossime vacanze.» La scintilla negli occhi della giovane si affievolì. «Adesso, scusami tanto Takahashi ma devo andare in aula.» Il suo tono ostentava quella sicurezza che la rendeva fiera di se stessa.
«Yamazaki – senpai, per favore almeno consegni a suo fratello il mio numero. Mi piacerebbe parlarci, sebbene via mail» ritentò allora Sakura, alzandosi a sua volta per non permetterle di uscire immediatamente.
Shiori, intanto, chiuse il proprio armadietto rumorosamente in modo da attirare l’attenzione di entrambe. «Il professore ci aspetta, Rin-chan andiamo, forza.»
«Eccomi.» Guardò la giovane per poi sorpassarla. Le loro spalle si scontrarono creando una scarica elettrica che si riversò nella presa che, più tardi, Rin chiuse attorno alla maniglia della propria sacca.
Oltrepassando la porta degli spogliatoi nascose un pugno in tasca e lo strinse. Si era ripromessa di non farsi più toccare da quello che riguardava Sousuke, ma quando l’aveva fatto sapeva benissimo che ci sarebbe sempre stato qualcuno che le avrebbe chiesto di lui comunque, in ogni situazione, per qualsiasi cosa.
Anche se non c’era fisicamente lei restava comunque la sua ombra. Anche se il suo nome era Rin per gli altri sarebbe sempre stata la sorella di Sousuke Yamazaki. Sebbene provasse a eliminare il suo ricordo dalla propria vita lui sembrava un qualcosa di concreto, persino l’odio che servava nei suoi confronti, quel sentimento che un tempo era stata un’attrazione fisica prorompente, si poteva toccare.
Lo detestava eppure non riusciva ad allontanarlo da se. Com’era possibile?
Sbuffò senza accorgersene. Era stufa di dover combattere con il fantasma del fratellastro, doveva disfarsene una volta per tutte.
«Signorina Yamazaki.»
Strinse fra le mani pallide un foglio pieno di scarabocchi e cominciò ad appallottolarlo; il classico rumore della carta piegata su se stessa venne attutito dalla rabbia che aveva iniziato a pervaderle il corpo.
Lo avrebbe preso, si disse silenziosamente, e poi lo avrebbe ridotto come quella povera scartoffia che le era capitata fra le grinfie. Anzi, avrebbe fatto molto peggio. L’avrebbe fatta pagare a quello vero per averle spezzato il cuore quel giorno. Si.
«Signorina Yamazaki.»
Si, sicuramente si sarebbe vendicata come mai aveva fatto prima d’ora. Sarebbe bastato noleggiare qualche film che l’avrebbe aiutata a capire in che modo gli avrebbe servito la sua vendetta, comprare molto gelato e prendere abbastanza appunti per poi metterli assieme e creare una combo perfetta.
Strinse talmente tanto la palla nella mano che la carta la tagliò lievemente.
«SIGNORINA YAMAZAKI!» La grande mano del professore scontrò con il suo banco facendola balzare in piedi, spaventata e confusa. Da quanto tempo la stava chiamando? «La aspetto in aula professori al termine dell’assemblea di classe della sesta ora.» La sua voce non ammetteva repliche.
Rin si morse le guance, mantenendo un viso inespressivo quando si accorse che i compagni la fissavano sghignazzando. «Non vedo l’ora di esserle utile, professore.»
L’uomo strizzò le palpebre con così tanta foga che i suoi occhi scomparvero dietro le folte ciglia nere. Non si erano mai piaciuti loro due, molto probabilmente perché Rin odiava studiare e quel tipo, invece, non desiderava che lei facesse altro.
«Oh vedrai», sorrise compiaciuto di se stesso, «vedrai quanto ti farò lavorare!»
La campanella suonò inesorabile segnando la fine di quella strana discussione. Gli occhi scuri del professore furono i primi a estraniarsi dal contatto visivo, non senza averle prima inviato uno sguardo fulminante.
Quella non era la sua giornata migliore. Affatto.
 
«Sono a casa!» Finalmente.
Chiuse la porta lasciandosi alle spalle l’acquazzone che l’aveva colta nel bel mezzo della via di ritorno a casa.
«Ben tornata cara!» Dalla cucina provenne un suono sordo, accompagnato da altri sempre più forti.
Scuotendo il capo, Rin abbandonò cappotto, scarpe e zaino all’entrata e si diresse nella direzione del disastro. Arrivata a metà strada l’odore di bruciato le si insediò su per il naso; la puzza del pesce troppo cotto s’impossessò delle sue narici e le strinse senza lasciarle andare. Fu inutile. Tutti i tentativi di cacciare quell’odore malevolo lontano persino dalla punta della sua lingua furono inutili. Si arrese non appena varcò la soglia e una padella le scontrò i piedi.
Raccolse i tegami caduti a terra e li ripoggiò sul tavolino pallido alla sua destra, successivamente allontanò con dolcezza la genitrice dai fornelli e gettò nell’immondizia il corpo nero della creatura acquatica. «Menomale che Nobuyuki  ti aveva insegnato a cucinare bene, eh, mamma.»
«Oh, non è colpa mia.» La donna si sedette a tavola e agitò il mestolo che stringeva fra le mani: gocce di olio tiepido volarono ovunque, colpendo persino la proprietaria. «Cucinare è difficile, tesoro mio, e io non ci sono proprio portata. In più, non l’ho sposato solo perché è simpatico, sai?.» Sospirò poggiando la guancia contro un palmo.
Rin scosse il capo e, soffocando una risata, afferrò un filetto di sgombro poggiandolo in padella. La pelle a contatto con l’olio sfrigolò e fu come sentir cantare un centinaio di vocine che la salutavano, ringraziandola di non averle lasciate in mano alla madre. Sorrise divertita, quasi sentendosi in colpa di farlo, della donna seduta alle sue spalle.
Seguì qualche minuto di silenzio in cui ogni cosa era disturbata solo dai loro respiri, dallo spadellare, dal rumore dei piatti che toccavano il tavolino pronti per accogliere il cibo. Fuori la pioggia non sembrava voler dar segno di cessare. Poco male, la pioggia non le dispiaceva affatto.
Il tintinnare delle forchette annunciò l’inizio della cena.
«Sei rientrata tardi questa sera, tesoro mio, come mai?» domandò la madre, infilando successivamente fra le labbra un pezzo di filetto.
Rin allontanò un pezzo di carne bianca dalla bocca e cambiò la direzione del proprio sguardo. Non poteva dire alla madre che era stata richiamata dal professore per la quinta volta in due mesi, l’avrebbe scuoiata viva o peggio avrebbe iniziato a compararla a Sousuke “il figliastro diligente”.
Dopo un attimo di esitazione, addentò la piccola porzione di cibo e disse: «Ho aiutato Shiori a scegliere dei vestiti, scusami avrei dovuto chiamarti.»
La donna annuì, pulendosi la bocca con un tovagliolo. «Si, si avresti dovuto ma sono comunque contenta di sapere che passi del tempo con quella ragazza, è così brava a scuola. Speriamo che ti attacchi un qualche gene dell’intelligenza.»
«Mamma» la rimbeccò velocemente la ragazza, rossa in viso. Detestava quando la genitrice tentava di fare battute sarcastiche, le riuscivano tremendamente male.
Si chiese se anche da giovane fosse solita fare quelle battutine pessime; poi si domandò come avessero fatto suo padre e Nobuyuki ad apprezzarle. “Era molto vitale, aveva sempre la battuta pronta anche nelle situazioni peggiori, ecco perché mi ero innamorato di lei” gli aveva detto una volta suo padre; “E’ dotata di una simpatia pungente, tua madre, mi è piaciuta sin da subito” le aveva rivelato il suo nuovo compagno poco prima di sposarla. Ad ogni modo, lei ancora doveva trovarla questa “simpatia” di cui quei due le avevano parlato.
«Ciao famiglia!»
Rin alzò veloce lo sguardo e in un gesto di autodifesa spontaneo tirò un tovagliolo dritto in faccia al nuovo venuto. Nobuyuki si bloccò all’entrata della stanza, osservandola con un sorriso largo sulle labbra strette. Rise a piena voce non appena la ragazza alzò le spalle in una scusa silenziosa.
«Ben tornato a casa, caro.»
«Ciao Maddy.» Prese la moglie e la baciò stringendola a se per pochi secondi; un contatto leggero e veloce che però scatenò in Rin un sentimento di mancanza.
La giovane scosse la testa e apparecchiò per il patrigno con velocità.
L’uomo si sedette a tavola e aspettò, mentre raccontava alla maglie del più e del meno che gli era capitato quel giorno a lavoro. Ringraziò velocemente Rin, che gli portò il cibo, senza però degnarla di uno sorriso com’era solito invece fare. Era troppo concentrato a parlare di una cosa che sembrava esaltarlo più del dovuto, ed era raro comportarsi in quel modo per uno come Nobuyuki.
Sin da quando l’aveva conosciuto il compagno di sua madre le aveva dato l’impressione di essere un tipo molto pacato, un soggetto che apprezzava la compagnia e il buon cibo, una persona a cui piacevano le orrende battute della madre ma non l’aveva mai visto esaltarsi così. Chissà cosa l’aveva portato a tutto ciò?
Mentre pensava, Rin non tenne conto di nessuna parola che le veniva rivolta alle spalle. Rinsavì solo quando l’acqua che scorreva le bruciò le mani e un piatto scontrò l’acquaio.
«Non ho capito, mamma potresti ripetere?» chiese come se si fosse appena svegliata.
Maddy la osservò con gli occhi chiari pieni di dolcezza e le fece segno di sedersi al suo posto, scostando la sedia con i piedi. Rin obbedì, asciugando le mani contro i jeans per nascondere la curiosità che la pervase come un treno in corsa.
Perché la mamma sembrava così… addolcita?
«Riguarda Sousuke», iniziò il patrigno sorridendo come una bambola, perennemente, «a quanto pare è entrato nel club di nuoto senza difficoltà e tra poco avrà la prima gara. Andremo a vederlo, tutti assieme.»
La ragazza annuì felicemente.
«Ti sono sempre piaciute le sue gare, non è vero Rin – chan?» ridacchiò il patrigno, carezzandole la testa come fosse un cucciolo. S’imboccò e riprese a parlare. «Sono davvero felice che voi due siate andati subito così d’accordo. Non sapete come mi avete reso felice.»
«Sousuke è un bravo ragazzo, è logico che siano subito andati d’accordo.» s’intromise Maddy, mentre sbucciava una mela. «Non è forse così, tesoro mio?»
Rin sorrise amabile, annuendo alle parole della madre. «Certo mamma.»
Si alzò da tavola e sparì in camera sua.
 
La pioggia cadeva fitta contro i vetri dell’unica finestra da cui sarebbe dovuta passare la luce; grandi nubi grigie sembravano portare in alto il rancore che lei provava per poi farlo ricadere con impeto a terra.
Si affacciò a guardarle, con la grossa e calda coperta che le avvolgeva stretta le spalle. Non voleva vederlo, non ancora almeno. Erano passati quasi due mesi da quando se n’era andato e l’aveva abbandonata li. No. Non poteva incontrare i suoi occhi nuovamente… Però doveva. Doveva vedere con i suoi occhi la famosa scuola, il tanto acclamato amico di cui le aveva parlato in continuazione per tutta l’estate. Era un suo diritto capire cosa quelle due cose gli potessero dare in più di lei.
Strinse le palpebre quando un lampo squarciò il cielo.
Sarebbe andata a vederlo gareggiare e poi l’avrebbe distrutto con le sue stesse mani.
 

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Capitolo 3
*** AVVISO ***


VOLEVO AVVISARE CHE CON EFP MI STO TROVANDO DAVVERO MALE!
PERCIO', LA STORIA CHE STATE LEGGENDO VERRA' TRASCRITTA NON PIU' QUI' MA SU WATTAPAD -SOTTO LO STESSO NOME - .
MI SPIACE MOLTO,
 
ISIL.

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