Half The world Away

di Pascal76
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Equilibrium ***
Capitolo 2: *** Stavo meglio prima ***
Capitolo 3: *** Strange things happen here ***
Capitolo 4: *** Simile al bagliore del fuoco ***



Capitolo 1
*** Equilibrium ***


                                                                                                   EQUILIBRIUM

 

Mi svegliai con la fronte madida di sudore.

Un incubo. Solo un altro brutto incubo.

Feci alcuni respiri profondi e scossi la testa cercando di scacciare tutti i pensieri che mi affollavano la mente. Avevo bisogno di riposare, di non pensare assolutamente a nulla.

MI alzai dal letto e, facendo attenzione a non far troppo rumore, scesi le scale in punta di piedi e andai in cucina. La finestra era spalancata e le candide tende bianche volavano trascinate da un vento gelido e pungente che mi fece rabbrividire. MI strinsi nel pigiama e chiusi la finestra.

In casa regnava il silenzio più assoluto, interrotto a volte dal debole russare di mio fratello , sdraiato sul divano con gli occhiali storti ed un libro semiaperto sul petto che, a movimenti regolari, si alzava e si abbassava. Sembrava un bambino.

Gli accarezzai cautamente i capelli e lo osservai sorridendo. MI è sempre piaciuto( a volte la consideravo addirittura una paranoia) osservare le persone nella fase della loro crescita, della loro evoluzione, sia caratteriale che fisica. Dà un senso di presenza, di partecipazione mentre qualcuno affronta un nuovo sentiero della sua vita, seppur ignaro di dove quel sentiero lo porterà. Ma non è questo che conta. Conta ciò che affronti, come lo affronti e in fondo in fondo perché lo affronti. Per cosa combatti.

È da una settimana e mezzo che mio fratello studia per un esame che, se superato, lo porterà a Chicago. Mamma si è dimostrata molto combattuta riguardo a questo: da un lato non vuole che suo figlio se ne vada, dall'altro desidera che lui realizzi i suoi sogni.

Nonostante mio fratello cerchi sempre di rassicurarla dicendole che avranno sempre modo di sentirsi, lei ogni volta scoppia in pianti isterici e continua a ripetere che lo perderà e “non vedrò il suo bel faccino per troppo tempo”.

Anche a me mancherà Ethan, ma per ragioni diverse.

Sistemo il libro sul tavolino da caffè e gli stendo una coperta calda sul petto. Gli occhiali non oso sfiorarli, altrimenti rischio di farlo svegliare e, detta sinceramente, non sono nelle condizioni di sorbirmi un discorso noiosissimo sull'importanza del rispetto.

Vado in cucina e mi siedo sul bancone guardando fuori dalla finestra chiusa. Fuori tutti dormono sogni tranquilli e le strade sono deserte. Mentre una parte del mondo riposa, l'altra lavora, così in un ciclo continuo ed interminabile che, se stravolto, può significare la fine di tutto. Perché alla fine è così che funziona la vita. Non può esistere la luce senza la sua controparte, il buio. Non può esistere il bianco se non c'è il nero. Non può esserci calma se non c'è caos. Non può esserci il giorno se non c'è la notte.

È un equilibrio di contrari.

Sospirai e chiusi gli occhi, sperando che il gesto mi potesse infondere un po' di calma.

Quando riaprii gli occhi ero china sul tavolo, la testa appoggiata sulle braccia e la schiena malamente incurvata. Dormire ho dormito, ma male. Il che non fa differenza rispetto agli altri giorni.

Mi stiracchiai e qualcuno alle mie spalle borbottò.. « Vedo che qualcuno si è addormentato nel bel mezzo dello spuntino di mezzanotte! »

« Ah ah ah, simpatico come sempre » risposi. Mio fratello ridacchiò, ma non disse nulla. Si sedette accanto a me e aspettò che mamma ci riempisse il piatto con i suoi favolosi pancake imbevuti di sciroppo d'acero, tipici dei sabati mattina. Durante la settimana si limitava semplicemente a riempirci una tazza di latte e lasciarci la libertà di completare il pasto con qualcos'altro. Il sabato invece era una deliziosa eccezione.

« Voi due non la smetterete mai di litigare vero? » intervenne mio padre entrando in cucina.

« Sono adolescenti e amano il confronto » ribatté mamma canticchiando.

« Non stiamo litigando. Stiamo pacificamente discutendo la causa del razionamento di cibo del frigorifero, cosa che obbliga la mamma almeno due volte al giorno ad andare a fare la spesa. » replicò mio fratello, intrecciandosi le dita come un professore che spiega un teorema che solo lui può capire.

« E stai dando la colpa a me. » dissi strizzando gli occhi. Lo guardai male e lui rispose con un'occhiata imperturbabile.

« Sto facendo delle ipotesi, sciocchina » rispose con un sorriso beffardo.

« Ma continui ad incolpare me! » dissi con più rabbia del voluto. Papà alzò la testa allarmato e ci guardò.

« Ohi, non ti scaldare sorellina. Arrabbiarsi non fa bene all'umore » fece ancora Ethan provocatorio. Una rabbia illegittima cominciò a ribollirmi nelle vene. Strinsi le mani e pugno e digrignai i denti, come se mi stessi preparando ad uno scontro corpo a corpo con lui.

« Jenny, tesoro, non arrabbiarti » disse mia padre poggiandomi un mano sulla spalla.

« Non. Sono. Arrabbiata » dissi tra i denti e schiusi i pugni.

All'improvviso un guasto elettrico spense il televisore della cucina, acceso su un canale di cartoni animati per altro, e tutti gli apparecchi elettronici, compreso il frullatore a batterie. Mio padre si alzò in piedi dalla sua sedia sbuffando e borbottò qualcosa di simile ad un “Ancora una volta e li denuncio quei teppisti” mentre usciva dalla cucina e andava in cantina.

« Ed è la quarta volta in meno di una settimana... » disse mia madre sconcertata.

« Può darsi che abbiano sbagliato ad impostare qualcosa. » ipotizzai.

Mio fratello grugnì e richiamò la mia attenzione. Mi voltai.

Mi stava scrutando, gli occhi ridotti a due fessure e lo sguardo di chi sembra ti stia leggendo nella mente, scoprendo tutti i tuoi peggiori segreti e le tue intenzioni più malevoli.

« Che c'è? » gli chiesi, facendo spallucce. Tutta la rabbia mi era passata improvvisamente, dissolta come vapore nell'aria, lasciando spazio ad una sorta di insana energia che mi rendeva più frizzante, attiva e desiderosa di emozioni, di brivido.

Improvvisamente avevo voglia di correre.

 

 

« Ascolta, quelle interviste sono un casino micidiale » disse Amy sistemandosi i capelli di fronte allo specchio del bagno, un piccolo, sporco ed insignificante quadrato riflettente che per molte aveva rappresentato la salvezza e “la fine di ogni sofferenza”.

« E allora perché mi hai fatta venire qua? » sbottai, anche se una parte di non era così arrabbiata.

« Perché dobbiamo sistemarle. » disse passandosi un velo di mascara.

« E come? »

« Carlos sta arrivando. Meno di cinque minuti e arriva, ha detto » e chiuse il tubetto di mascara. Si guardò attorno cercando un pezzo di carta con cui eliminare il trucco sbavato ma non lo trovò. Mi offrii per andare in bidelleria a cercare un rotolo di carta di igienica e finalmente uscii dal bagno.

Non ce l'avrei fatta un secondo di più a guardarla ritoccarsi la faccia per rendersi più carina. Non lo sopportavo. Detestavo il fatto che la sua relazione con Chris l'avesse indotta a perdere la fiducia in sé stessa che prima la caratterizzava. Era ridicolo come una ragazza forte e fiera di sé come lei, avesse deciso di chinare il capo di fronte a quell'arrogante del suo ragazzo. Non era così che doveva funzionare, ma lei non aveva voluto sentire ragioni. “Chris mi trova carina con questo mascara”. “Chris dice che l'ombretto gli piace”.

E a me piacerebbe vedere una mia scarpa sulla faccia di Chris avrei voluto dire. Ma mi ero trattenuta per evitare eventuali infantili discussioni.

Arrivai in bidelleria prima di rendermene conto. Avevo fatto quella strada così tante volte che ormai avrei potuto percorrerla ad occhi chiusi. Sapevo alla perfezione quando dovevo svoltare a destra e imboccare il corridoio per i laboratori per poi, due porte più in là, entrare nella piccola ed angusta stanza che puzzava di detersivi e alcol per la pulizia. Frugai nell'armadio posto vicino all'entrata e presi due strappi di carta. Uscii cercando di non sbattere la porta troppo violentemente o di sicuro avrebbero scoperto la mia attività clandestina mettendomi un'insufficienza irrecuperabile in pagella. E per la cronaca, di insufficienze ne ho già 4.

Aspettai che la serratura facesse quel suo fastidioso e sonoro rumore simile ad una forchetta che stride su un piatto di porcellana, ma non successe nulla. Trassi un respiro di sollievo e mi incamminai frettolosamente verso il bagno, facendo attenzione a non beccare i professori al bar che sorseggiavano tranquillamente il loro caffè del mattino, accompagnati da una deliziosa brioche riempita di Nutella o crema pasticcera. Il solo pensiero mi fece venir fame.

Attesi che il bar si svuotasse e che l'unico bidello di guardia, l'anziano Whitemore, si distraesse e andasse a pulire la sempre più lucida teca dei trofei della scuola ed entrai in bagno. Amy trasalì dallo spavento, rovesciando per terra un po' di smalto nero che subito si affrettò a pulire. Niente doveva dare le prove che gli studenti andassero in bagno per farsi i cavoli propri e non per i loro bisogni fisiologici. Nulla.

« Gesù! » esclamò.

« No, solo solo io. » risposi lanciandole il rotolo di carta. Lei lo prese al volo e cominciò a trafficare con l'acqua e lo struccante.

« Dici che Whitemore andrà mai in pensione? » chiesi, guardando il soffitto macchiato di giallo.

« Se quell'uomo se ne va, crolla la scuola. »

« No ma davvero intendo. Insomma, un uomo vecchio come lui dovrebbe badare ai suoi nipoti, non ad una mandria di adolescenti sballati. »

« Genevieve, tesoro. Fai troppe domande. Lo sai che lo stress ti accorcia la vita? »

« Non è stress. È curiosità. »

« Allora non ti dispiacerà sapere che un gran pezzo di figo arrivato due giorni fa, oggi viene in redazione da noi. »

« Perché? » chiesi, turbata. Il fatto che qualcuno volesse unirsi a noi per il giornalino della scuola era una cosa assai rara e straordinaria. Anzi, solo il fatto che sapessero dell'esistenza era raro.

« Non lo so. L'ho sentito stamattina mentre passavo in segreteria. »

« Deve superare il test se vuole entrare nel gruppo. » mi affrettai a ribattere.

« Non è nemmeno detto che voglia collaborare. Magari è semplicemente stato costretto a collaborare. Sai, quegli interventi di pronto soccorso per un gruppo sull'orlo del fallimento, magari. »

« Hai sentito anche come si chiama? » chiesi, sempre più turbata.

« Finn qualcosa. Anche solo il nome è figo, quindi immaginatelo dal vivo. »

Amy finì di truccarsi e ritoccarsi proprio quando suonò la campanella. Ci guardammo negli occhi terrorizzate, improvvisamente consapevoli che avevamo commesso un grosso errore. Alla terza ora la campanella suona con dieci minuti di anticipo. E non alle 11 in punto come pensavamo. Siamo fritte entrambe. Ora l'unica opzione che ci resta è compiere la nostra parata della vergogna e farci umiliare davanti a tutti mentre il prof ci rimprovera e ci mette 2 , oltre ad una nota sul registro.

Che idiota!

Quando il bagno comincia a riempirsi di ragazze, usciamo e ci mescoliamo agli altri studenti del corridoio. Sfortuna vuole che quel corridoio sia gremito di ragazzi dell'ultimo anno che, in preda all'ansia dell'interrogazione o della verifica, ripassano come matti argomenti che forse non hanno studiato nelle giornate precedenti e che camminano incuranti di chi abbiano di fronte. La prossima volta non seguirò Amy nei suoi folli appuntamenti in bagno.

Mentre cerco di orientarmi e di non perdere Amy nella calca di gente, sento qualcosa fischiare vicino al mio orecchio. Mi abbassai d'istinto, coprendomi la testa. Ma la vera botta arrivò solo qualche istante dopo, quando qualcosa di grande ed incredibilmente veloce mi colpì all'occhio. Barcollai all'indietro cercando un appiglio ma le mie mani si chiusero intorno al vuoto e caddi di schiena sul pavimento.

« Jenny! » esclamò Amy chinandosi su di me. Alcuni ragazzi ci guardarono di sbieco, ma non si fermarono.

Una fitta lancinante di dolore mi investì l'occhio destro e subito me lo coprii con una mano. Faceva veramente male. Tentai di riaprirlo, ma mi era impossibile e mi provocava ancora più dolore del normale.

Una mano si poggiò sulla mia spalla. Con l'occhio sano vidi che si trattava di un ragazzo biondo e alto con indosso la felpa azzurra della scuola. Mi scrutò da capo a piedi.

« Che hai da guardare? » dissi con rabbia. Lui sorrise facendomi incavolare ancora di più.

Nei suoi occhi verdi però scorsi una scintilla di soddisfazione, come quando dopo tanta fatica riesci a guadagnarti un risultato che a primo acchito ti sembrava impossibile e che invece sei riuscito a raggiungere. Scommetto che è stato lui a lanciarmi quella cosa nell'occhio.

Mi divincolai e lui ritrasse la mano. Si guardò attorno come smarrito e si allontanò frettolosamente, forse improvvisamente consapevole che anche lui aveva da studiare per una verifica.

« Jenny! Tutto okay? » mi chiese Amy cercando di spostare la mano dal mio occhio. Grugnii e mi alzai rapidamente per evitare che troppi sguardi si concentrassero su di me. Chiunque l'avesse fatto di sicuro stava sghignazzando in questo momento, probabilmente nascosto dietro qualche amico o insieme al suo gruppo di deficienti. E sicuro come la morte che quel ragazzo biondo e dagli occhi verdi fosse uno di loro.

Mi sentii montare la rabbia e la vergogna per l'umiliazione contemporaneamente, come a braccetto l'una con l'altra. Era incredibile che loro, i ragazzi che in teoria dovrebbero essere più maturi, perdessero tempo con noi “più piccoli” con degli scherzi stupidi e poco divertenti, dove il più delle volte uno si faceva anche male. E sembravano trarne una sorta di divertimento da quell'umiliazione.

Mi auguro che veniate tutti bocciati quest'anno pensai. Rientrai in bagno, rendendomi conto che in tutta quella confusione non mi ero mossa di mezzo centimetro.

« Jenny calma. » mi disse Amy con voce pacata e compassionevole.

« Non capisco come tu faccia a sopportarli! » sbottai. « Avranno tre,anche quattro anni in più di noi e anziché pensare a come cavolo superare gli esami se la spassano rendendoci la vita impossibile! Prima Adam, poi te e adesso io. Chi altro deve finire nel mirino di questi stronzi? »

Cominciai cercando di passare un po' d'acqua fredda sull'occhio, ma le mie mani sembravano chiudersi dappertutto tranne che sulla manopola dell'acqua. All'ennesimo fallimento diedi un violento calcio al lavandino, mancandolo completamente e finendo con il piede sul muro. Mi fece ancora più male.

« Innanzitutto. » e mi aiutò a rimanere in equilibrio proprio mentre stavo per perderlo. « Siamo adolescenti no? E troviamo sempre dei modi per divertirci, anche a costo di ferire qualcuno. Devi solo abituartici. Tanto durerà poco. Ancora pochi mesi e ne andranno per sempre dai nostri piedi. »

« E questa cos'è? Un'altra delle perle di saggezza di Chris?! » sbottai doppiamente irritata. Mi dava fastidio vederla influenzata dalla personalità meschina di un ragazzo che sembrava solamente usarla. Insomma, non sopportavo niente che avesse a che fare con Chris.

« Jenny calma. Non devi arrabbiarti per ogni singola cosa che ti fanno quei bastardi. E non devi nemmeno arrabbiarti con Chris per chi sono adesso. Sono felice mi vedi? » e mi rivolse il sorriso più triste che le avessi mai visto in volto. Se all'inizio le sue parole mi avessero colpito e anche tranquillizzato, l'attimo dopo mi avevano fatto fermentare ancora di più la rabbia.

Non dissi nulla e mi limitai ad annuire.

« E ti prego, la prossima volta non dare calci ai muri quando sei arrabbiata. Ci servi tutta intera per oggi pomeriggio okay? » in effetti il piede aveva cominciato a pulsarmi nella scarpa, segno che non era messo perfettamente bene. Zoppicando, perché camminando normalmente mi faceva troppo male, raggiunsi la porta del bagno e diedi un'occhiata veloce alla situazione in corridoio. C'era molta meno gente rispetto a prima e c'era abbastanza spazio per camminare senza scontrarsi gli uni con gli altri.

Amy mi prese per il braccio. « Vuoi che ti accompagni là in infermeria? »

Feci di no con la testa e la sua espressione cambiò, rivelando una tensione che prima non avevo visto.

« Non hai studiato chimica vero? » le chiesi, capendo perfettamente le sue intenzioni. Tra noi due era così. Eravamo un libro aperto l'una per l'altra da quando eravamo praticamente nella culla. Se lei piangeva, sapevo come consolarla. Se si isolava dagli altri e andava in un angolino a giocare da sola, sapevo perfettamente perché.

E la stessa cosa valeva per lei.

« Certo che l'ho … no in realtà non l'ho studiata. Ho letto due o tre paragrafi ma non me li ricordo. » disse.

« Beh tesoruccio, non si può sempre avere la media più alta della classe in chimica. Bisognerà cedere lo scettro prima o poi. » le dissi scherzosamente. Lei fece un mezzo sorriso e mi diede un buffetto molto delicato sulla testa.

Uscimmo dal bagno e molto frettolosamente andammo in infermeria, praticamente la porta accanto alla bidelleria. Mi sedetti su una sedia e aspettai che arrivasse qualcuno a guardarmi l'occhio che, ironia della sorte, stava cominciando anche a guarirmi. Andava sempre così. Mi ferivo con qualcosa, mi faceva un male cane e poi, quando dovevo far vedere la lesione al medico, tutto il dolore era sparito improvvisamente. E giustamente, quando mi veniva chiesto dove mi facesse più male, dovevo mentire e inventarmi dolori inesistenti.

« Mi spieghi che cosa ti è arrivato in testa? » mi chiese Amy sedendosi sulla sedia in pelle di fronte a me.

« Non lo so, ma stai certa che se becco lo stronzo gli restituisco il colpo con il doppio della forza. »

Amy rise. « Attenta che poi finisci per farti scomunicare dal nostro gruppo pacifista.»

« A proposito. Carlos dov'è andato a finire? »

Scosse la testa agitando i lunghi e lisci capelli biondi. « Non ne ho idea. Anzi, a dirla tutta me n'ero dimenticata. »

« Beh ottimo allora!» risposi sarcasticamente.

« Però penso che avesse la verifica di fisica oggi, quindi probabile che ci abbia tirato bidone. »

Sospirai.« Fisica. La materia che utilizza lunghe e complicate frasi per spiegare perché una palla rotola. »

« Già »

La porta si spalancò di colpo e una donna sulla trentina comparve sulla soglia. Stava parlando con qualcuno.

« Certo, e se ti serve qualcosa puoi dircelo. » stava dicendo quando lo stesso ragazzo biondo con la felpa blu che avevo “incontrato” in corridoio la seguì entrando in infermeria.

Ci volle un po' prima che lei notasse la nostra presenza. Lui, a differenza di lei, se ne accorse immediatamente e spalancò gli occhi dalla sorpresa.

Chi non muore si rivede amico pensai.

« Black! Come ti hanno ridotta? Cosa ti ho sempre detto delle lotte tra adolescenti? » disse la donna con tono di rimprovero.

« Si fidi dottoressa … »

« Chiamami solo Anne per favore. »

« Ecco Anne. Non ho fatto a botte con nessuno. Stavo attraversando il corridoio e qualcosa simile ad una scarpa mi è volata in un occhio. » spostai lo sguardo sul ragazzo. « E credo di sapere chi è il colpevole. »

« Non centro niente. » si difese alzando le mani. I suoi occhi verdi però tradivano quello strano luccichio di una persona fiera del proprio lavoro.

Anne si sporse verso di me e mi guardò l'occhio, spostandomi la mano con molta delicatezza. « Wow. È messo piuttosto male. L'hai bagnato con dell'acqua vero tesoro? »

Annuii.

Il resto dell'ora lo passai così : Amy che dalla sua comoda sedia in pelle fissava il ragazzo dalla felpa blu, seduto non poco distante da lei in una comunissima sedia di plastica, ammirandolo come un critico d'arte ammirerebbe un capolavoro, Anne che mi medicava facendo attenzione a non farmi male ed io che, come un'ebete, me ne stavo lì impalata con una mano congelata dalla busta del ghiaccio che premevo su un occhio.

« Ecco fatto. » disse alla fine, ammirando ciò che aveva fatto – cioè quasi niente, perché alla fine il dolore, seppur lieve, era rimasto – con soddisfazione. Sorrisi e mi alzai di tutta fretta. Volevo andarmene da lì. Mi sentivo scomoda e anche a disagio, oltre che una strana ed assillante sensazione che qualcosa stesse andando terribilmente storto. Feci un cenno ad Amy che con una scrollata di capo si riprese dal suo sogno ad occhi aperti e mi seguì.

« Stai molto attenta da adesso in poi okay? E non toccarlo! » disse, prima che mi chiudessi la porta dell'infermeria alle spalle. Guardai l'orologio.

« Dici che se rientriamo in classe … »

« Ci interroga? Non credo. Ci sospende? Probabile. » risposi, con il tono di chi non ammette di essere contrariato. Mi stava montando una rabbia illegittima ed inspiegabile rivolta a nessuno in particolare. Ero solo arrabbiata. E non sapevo perché.

« Sei un po' alterata oggi Jenny. Tutto bene? » mi chiese Amy con dolcezza.

« E secondo te come dovrei stare dopo che qualcuno mi ha tirato una scarpa nell'occhio e non si è nemmeno scusato?! » risposi alzando il volume della voce. Amy mi guardò con timore, come se temesse che in qualche modo potessi aggredirla.

« Okay, ma devi calmarti. »

« Non mi calmo! » urlai. Una delle lampade sul soffitto esplose, mandando una cascata di scintille che cadde proprio sopra di noi. Amy sussultò e si tastò i capelli biondi, temendo che si fossero in qualche modo bruciati o rovinati. Io invece ero calma e anzi, mi sentivo anche meglio , come se prima fossi stata spenta e improvvisamente mi avessero riaccesa e ricaricata di energia, come una batteria ricaricabile. Mi sentivo febbricitante e grintosa, desiderosa di mettermi in gioco e combattere. Nessuna traccia di debolezza risiedeva nel mio corpo.

« Cosa cazzo è successo? » mormorò Amy spaventata. Aveva il fiatone, come se avesse corso a perdifiato per un'ora e mezza e non avesse potuto fermarsi per prendere una pausa. Mi guardava, mi scrutava da capo a piedi e poi posava lo sguardo sulla lampada sopra la mia testa in un gesto ripetitivo e sconcertante.

« Non lo so. Ma è stato fenomenale » dissi febbricitante.

« Fenomenale?! » esclamò alzando la voce di un'ottava. « Genevieve Black ti conviene rimettere la testa a posto prima che finiamo nei casini. Cos'hai fatto a quella lampada?! Eh?! »

Ora però sei tu che devi calmarti pensai. Sembrava ci fossimo scambiate di ruolo : ora quella arrabbiata era lei, mentre io ero quella calma e con la situazione sotto controllo.

O almeno, pensavo di averla.

La porta dell'infermeria si aprì di colpo. Anne si sporse e ci guardò entrambe spaventata, prima di posare lo sguardo sopra le nostre teste. Dietro di lei, il ragazzo della felpa blu ci guardava imperturbabile. Mi guardava.

« Genevieve? » mi chiese Anne con il tono autoritario di chi si aspetta delle spiegazioni. Questo è il momento in cui la situazione mi sfugge di mano.

« Non ne sappiamo niente e non sono stata io! » dissi a bruciapelo.

« Un giorno mi spiegherete come mai ogni volta che capita un guaio tu sei sempre presente ma mai colpevole » ribatté Anne chiudendosi la porta alle spalle.

Strano, ma sentivo che questa volta c'entrassi qualcosa con quell'esplosione di scintille.

Io e Amy ritornammo in classe in silenzio, senza nemmeno lontanamente sfiorarci o guardarci negli occhi. La cosa mi preoccupò molto, ma le lasciai il suo spazio. Non c'era assolutamente nulla di cui rimanere scioccati, lo sapevo – quella scuola era piena di sorprese –, ma a volte capita che i più sensibili subiscano più pesantemente certi colpi. E per loro, più di altri, ci vuole più tempo per riprendersi.

Ci fermammo davanti alla porta, indecise se entrare e fare una figuraccia, o aspettare che la classe si svuotasse dopo la campanella. Entrare adesso o entrare più tardi non faceva differenza, sopratutto se come professoressa avevi la Holland. Capelli neri prossimi al grigio, espressione dura e occhi che mandavo lampi, abbastanza per spaventare anche il più difficile degli studenti. Sia io che Amy la temevamo.

« Preferisco una ramanzina in privato che una con 23 paia di occhi puntati su di noi. » sussurrò Amy. Concordai.

« Allora andiamo da qualche parte dove non possono beccarci i bidelli » proposi.

« In redazione. » un largo sorriso genuino e pieno di speranza si fece largo sul viso di Amy, ma fui costretta a scuotere la testa in un “no” che le guastò l'umore.

« Biblioteca. Non può dirci nulla nessuno. »

« Si che possono dirci qualcosa invece. »

« Del tipo? »

« Te l'ho raccontato cos'è successo a Chris l'anno scorso? » oh no, ancora lui.

« Si stavano limonando. Ovvio che Whitemore abbia fatto storie. »

« No, c'è stata anche un'altra volta. »

« Fammi indovinare : con una ragazza totalmente diversa? Tipo quella bionda russa a cui tutti guardano il culo? »

« No. Era solo e stava studiando chimica quando Il Vecchio lo ha sgamato. »

« Te l'ha detto Chris questo? Sai, per curiosità, dato che tendo a credere più alle voci di corridoio che alle sue parole. »

« No, ero lì anche io e l'ho visto. » disse fermamente Amy con i pugni serrati lungo i fianchi. I suoi occhi mandavano lampi diretti verso di me, e sapevo benissimo il motivo. Lei non insisteva mai sulla faccenda del “il mio fidanzato deve essere amico della mia migliore amica” perché sapeva che costringermi a fare qualcosa era l'equivalente di parlare con un muro, ma pretendeva almeno un minimo di rispetto nei suoi confronti.

Rispetto che io gli stavo negando, per l'appunto.

« Senti, mi dispiace... Lo sai come sono fatta » cercai di giustificarmi.

« Lo so bene. Non sei perfetta. Nessuno lo è. » il suo sguardo si intenerì.

« Non voglio che tu stia male solo perché a me non va a genio Chris...» le presi una mano e intrecciai le nostra dita. Lei sorrise e guardò le nostre mani unite sorridendo.

« Non devi … semplicemente non riesci a vederlo in maniera differente. Tutto qua, niente di cui arrabbiarsi. Non tutti sono capaci di vedere il buono nelle persone »

Mi sentii i polmoni svuotare d'aria e le gambe farsi molli, come bastoncini di gelatina.

Le sue parole mi colpirono nel profondo e fu veramente un miracolo se riuscii a riprendermi immediatamente mostrandomi indifferente a ciò che aveva detto, seppur sapessi che lei era a conoscenza di ciò aveva causato in me. Ovvio che sapeva. È la mia migliore amica.

« Amy non … » dissi, prima che il trillo della campanella mi fermasse.

Quando il corridoio cominciò a riempirsi di studenti diretti verso l'uscita della scuola, capii che era giunta l'ora del giudizio.

Sì, perché sapevo che da quel momento in poi qualcosa sarebbe cambiato.

E se andava tutto bene, venivo semplicemente sospesa.

 

 

 

 

Tornai a casa per pranzo. Non dissi nulla ai miei genitori di ciò che era successo con la Holland per evitare una doppia strigliata – una per essermi messa nei guai con la Holland, la seconda per aver fatto i cavoli miei durante le ore di lezione -, concentrandomi invece sull'occhio gonfio e livido.

« Non pensavo che in questi tre mesi la scuola si fosse trasformata in un ring » commentò mio fratello guardandomi di sottecchi. Stava studiando per l'esame, ma nulla al mondo lo avrebbe mai distratto dal suo dovere di prendermi in giro in qualsiasi situazione, bella o brutta che sia.

« Lo è sempre stato, idiota » risposi mentre mia madre mi spalmava una fredda pomata sul livido.

« Devi aver beccato quello giusto se ti ha conciato così allora »

Mi ritornò alla mente quella volta in cui mio fratello era tornato a casa coperto di sangue da capo a piedi. Erano le 3 di notte e mia madre lo stava aspettando in salotto, fingendo di sfogliare una rivista di moda. Io in teoria avrei dovuto essere addormentata, invece ero alla finestra con il binocolo agli occhi puntato sulla strada deserta aspettando anche il minimo segnale del ritorno di Ethan. Quel bastardo invece era entrato dalla porta sul retro, quella che dava sul nostro piccolo giardino, rendendo ogni mio sforzo inutile. Quando sentì mia madre esclamare, mi precipitai di sotto ruzzolando giù per le scale. Ricordavo a memoria l'immagine di mio fratello insanguinato : il viso gonfio e con delle grosse macchie violacee, la camicia rigata di rosso scuro e il polso piegato in modo innaturale. Ci mancò poco che svenissi. Lui spiegò alla mamma che una gruppo di ubriachi lo avevano derubato e picchiato, ma sapevamo entrambe che la verità era un'altra. Lo conoscevo troppo bene.

Fatto sta che mamma non contestò nulla, non sporse denuncia e non ne parlò mai con nessuno, incluso papà. Mi fece promettere che avrei fatto lo stesso, che non avrei detto nulla a nessuno e da allora quella notte fu solo un'altra regolare e normalissima nottata insonne. Non la dimenticai mai.

« Peccato che non l'ho visto in faccia » dissi vagando con la memoria al momento in cui quella cosa cosa mi centrava l'occhio.

« Allora stai più attenta la prossima volta » rispose Ethan caustico.

Lo prendo come un consiglio pensai guardandolo salire le scale con i suoi faldoni tenuti ben stretti in mano, come se temesse che potessero scappare.

 

 

 

 

« I tuoi cosa dicono? »

« Nulla. »

« Davvero hai intenzione di risolvere la questione così? Cioè, nemmeno un “mamma guarda ne ho fatta una grossa ma te lo dico più tardi”? » protestò Carlos sporgendosi dal suo laboratorio.

« Oh beh certo, della serie “Ti introduco la più grande stronzata della mia vita poi sta a te ...” »

« Gi, davvero. Devi migliorare. Con un titolo lungo come quello nessuno leggerà mai i nostri articoli. » disse uscendo con una manciata di fotografie in mano.

« Ma nessuno legge i nostri articoli! Non sanno nemmeno che esiste il giornalino della scuola! » protestai. Lui mi guardò torvo con la testa inclinata su un lato e mi porse una foto. Non la guardai.

« Guardala Gi. » mi disse perentorio. Obbedii e rimasi pietrificata. Era una foto in alta definizione del ragazzo di stamattina, quello che con ogni probabilità mi aveva lanciato quella cosa nell'occhio, con la divisa grigia della squadra di rugby della scuola, sudata. I capelli erano arruffati e lo rendevano ancora più affascinante di come lo avevo visto stamattina, oltre al fatto che nella foto i bicipiti erano incredibilmente evidenti.

« Non sbavarmi sulla foto. Mi serve. » disse Carlos riprendendosi la fotografia e fingendo di pulirla con la manica della camicia. Gli lanciai uno sguardo truce. « Mi spieghi perché hai una foto di questo qua in HD? Non le hai mai, ma di questo qua sì. Cosa ci nascondi? »

« Si amore, sono omosessuale. E scattare foto ai ragazzi fighi è quello che faccio da quando ero nella pancia della mamma. Si sai, mi ha partorito con tanto di macchina fotografica in mano. » rispose in tono di sfida. I suoi occhi nocciola erano puntati sui miei e mi guardavano con quel suo sguardo annoiato e seccato che rivolgeva a chiunque quando una domanda era talmente stupida da non valer la pena di sprecare fiato per rispondere. Carlos era un metro e sessantacinque di sarcasmo e ironia mescolati ad un carattere dolce e comprensivo. Non si capiva ancora come facesse a mantenere quest'equilibrio senza perdere il controllo di sé; si sapeva solo che ci riusciva, e in un certo senso lo invidiavo anche per questo.

« Mi spieghi perché hai una foto così allora? » chiesi mantenendo il contatto visivo.

« Quando arriverà il nuovo ragazzo vi spiegherò tutto Gi. » rispose distogliendo lo sguardo.

« Stai mentendo. »

« Senti, non rompere le palle e aspetta che quello là arrivi. » tagliò corto raccogliendo tutte le foto sparse sul tavolo.

Borbottai un “va bene” e aspettai seduta al pc, cercando l'ispirazione per un articolo ad effetto sulla protesta degli studenti per il licenziamento del professore di arte. Avevo promesso a Carlos e ad Amy che me sarei occupata personalmente, ma non avevo mantenuto la promessa e ora stavo facendo frullare le idee in testa cercando di ottenerne qualcosa di convincente e abbastanza veritiero. Quella era la parte peggiore, quando dovevi scrivere un articolo importante sulla cronaca scolastica, ma non ti veniva in mente nulla. E la parte ancora più odiosa era quando ci si scambiava opinioni sull'importanza o no dell'articolo : finiva sempre con un “sì, è necessario quell'articolo” che mi metteva ancora più in crisi.

Non riuscivo a capire come facessero gli altri a cavarsela così bene nel giornalismo, mentre io inciampavo anche nelle cose più semplici, tipo la letteratura o la matematica.

Non che la cosa mi desse tanto fastidio, ma faceva veramente salire il nervoso vedere che alcuni riuscivano a fare alcune cose in modo così semplice da sembrare che nemmeno s'impegnassero per farlo.

Sbuffai e mi alzai dalla sedia. « Carloooos! » chiamai. Dal laboratorio sentii provenire un verso molto simile ad un sospiro rassegnato e uno sferragliare di attrezzi in metallo che ci teneva nascosti da ormai troppo tempo.

Feci per , ma lui mi batté sul tempo aprendo la porta di scatto un attimo prima che impugnassi la maniglia. Era rosso in viso e aveva la fronte imperlata di sudore.

« Cos'altro non va bene Gi? » chiese con il tono di chi sta nascondendo qualcosa di grande e cerca delle scuse per distrarre la tua attenzione.

« Il ragazzo … Finn... non … »

Mi interruppi quando sentii la voce di Amy. Stava entrando dalla porta della redazione a braccetto con un ragazzo che riconobbi immediatamente.

Era lui, la causa del mio tormento e della mia paranoia, della mia rabbia e del mio stress. Il ragazzo di stamattina stava entrando in redazione.

E con ogni probabilità era proprio quel ragazzo che avrebbe dovuto collaborare con noi.

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Capitolo 2
*** Stavo meglio prima ***


Sarà stata la rabbia o sarà stata la timidezza, ma non parlai al ragazzo. Non una parola uscì dalla mia bocca quando Amy, in preda ad un entusiasmo innato, ci presentò colui che si sarebbe unito al nostro team e ci sarebbe rimasto fino alla fine della scuola, salvo cambiamenti inaspettati. Il ragazzo, esattamente come Amy mi aveva riferito in bagno quella mattina, si chiamava Finn e si era appena trasferito in città.

Carlos mi aveva lanciato uno sguardo preoccupato che esprimeva tutto quello che c'era da dire in quel momento. Sconforto e preoccupazione segnavano il suo viso.

L'occhiata che gli rivolsi doveva di sicuro essere stata rabbiosa, visto il modo in cui aveva distolto lo sguardo e immediatamente cercato di socializzare con il nuovo ragazzo.

« Allora? Cosa ne dici di un giro di presentazioni? » disse, fingendosi entusiasta.

« Non credo sia necessario » fu la risposta lapidaria dell'altro.

Non resistetti.« Sai, da noi le cose funzionano in un certo modo, quindi ti conviene abituartici subito e non fare i capricci. »

« Quello che Jenny intende dire » intervenne Amy, sapendo perfettamente dove sarebbe andata a parare quella conversazione. « È che presentarci gli uni agli altri è un modo per conoscerci meglio e facilitare il lavoro di squadra. Sai, siamo un team e lavoriamo un po' come le api operaie di un alveare. »

« Già, peccato che in un alveare ci sono più di tre api solitarie. » rispose. Carlos mi guardò ancora.

« Fammi capire : da dove vieni tu siete tutti così arroganti o sei solo te? Sai, per curiosità.». Se l'intenzione era quella di ferirlo nell'orgoglio, fallii miseramente. Finn mi rispose con un mezzo sorriso e un'alzata di spalle piuttosto teatrale. « Può darsi che sia così, o può darsi che non lo sia. Dipende da voi » e si sedette sulla prima sedia che trovò.

Inspirai prima che la rabbia che mi ribolliva dentro sfociasse in un fiume incontrollabile di insulti. Carlos mi poggiò una mano sulla spalla in un gesto di conforto talmente dolce che fui costretta a guardarlo negli occhi e tacitamente promettergli che non avrei fatto nulla di avventato. Come se quel contatto mi avesse trasmesso un po' di energia positiva, mi avvicinai a Finn e gli dissi molto pacatamente « Sei il benvenuto tra noi, Finn … »

« Solo Finn » si sbrigò ad aggiungere.

« Okay Solo-Finn. Sei il benvenuto nella squadra! Hai qualche interesse particolare? » dissi cercando di contenermi il più possibile.

« No, ma mi piace molto la parte grafica di tutto quel poco che voi fate. » Puoi anche dire semplicemente “la parte grafica” senza scendere in dettagli, stronzo pensai.

Carlos mi si affiancò. « Grandioso! Allora puoi cominciare ad occuparti della parte grafica dell'articolo di Gi … Genevieve. »

« Che brutto nome Genevieve. »

« Già, neanche me piace Finn. » risposi contro la mia volontà. Lo guardai dritto negli occhi per alcuni secondi prima di distogliere lo sguardo in preda ad una strana sensazione come d'imbarazzo. I suoi occhi sembravano scrutarmi fino in fondo all'anima, lì dove nessuno aveva accesso se non me. Lì dove nascondevo le mie peggiori paure e i lati più brutti del mio carattere. È come se fosse per un attimo mi fossi sentita esposta ed impotente di fronte ad uno sconosciuto.

« Perché non scarichiamo le nostre energie nell'articolo Gi? » quella di Carlos era senza dubbio una domanda retorica.

« Ditemi ciò che devo fare e io lo faccio. » Finn fece spallucce e mi guardò.

I venti minuti successivi furono i peggiori della mia intera esistenza. Carlos ed Amy avevano fatto pressione affinché io accettassi di collaborare con Finn, e alla fine avevo ceduto a malincuore per evitare futili perdite di tempo.

Non solo si era dimostrato la persona più critica che io avessi mai conosciuto, ma era anche il più pignolo e precisino tra gli esseri di questo mondo. « Sposta questo di mezzo millimetro più in là. No, non così troppo, orba. Ho detto mezzo millimetro, non una spanna. » mi aveva detto quando ci eravamo messi comodi per decidere l'impostazione della pagina. Gli avevo risposto con un'occhiataccia ad effetto, ma nemmeno questo sembrava averlo zittito. Infatti, continuò la sua infinita serie di ordini a bacchetta e di offese finché non gli avevo detto che mi prendevo una pausa e andavo a mangiare qualcosa al bar. Carlos mi raggiunse subito.

« Come procede? » mi chiese sedendosi di fronte a me.

« Stavo meglio prima. » risposi mescolando il caffè.

« Dai,non dev'essere così male . No? »

« Hai ragione. Infatti è peggio di quello che pensavo. »

« Sei troppo pesante con lui. Ha appena cominciato. »

« A fare che? Credersi superiore? Comandarmi a bacchetta? Avere un atteggiamento odioso e arrogante? Carl, io non lo reggo quello là. »

« Cerca di metterti nei suoi panni. È nuovo e qua non conosce nessuno, come ti sentiresti? »

« Di certo non mi metterei a darmi arie di essere chissà chi. »

« Gi. Dai, riflettici. » e mi avvolse una mano con le due callose e lunghe dita. Le sue mani erano calde.

Aspettò che finissi di bere il caffè e poi mi accompagnò ancora in redazione. Fece il giro più lungo. Quando mi chiese chi fosse stato a conciarmi così l'occhio, risposi “Non lo so” evasiva. Non potevo certo dirgli che Finn era il colpevole di tutto. Si sarebbe preoccupato e avrebbe cominciato a prendere un sacco di premure solo per via di una mia sensazione. E non potevamo permettercelo. C'era in ballo qualcosa di più grande del mio occhio, sia in senso figurato che letterale.

Parlammo poi di Chris e Amy, argomento che stressava sia me che lui. Eravamo dello stesso parere, che Chris la stesse cambiando in peggio, ma non sapevamo come convincerla che fosse così. Gli riferii anche di ciò che mi aveva detto quel mattino, che “non tutti sono capaci di vedere il buono nelle persone”. Lui rimase stupito e anche un po' sconcertato da questa mia rivelazione, dicendosi sorpreso di Amy e anche un po' deluso. Non potei fare a meno di concordare.

Un attimo prima di entrare in redazione gli chiesi molto apertamente : « Carl, non hai mai provato la sensazione di conoscere una persona da una vita, ma di non sapere quasi assolutamente niente di lui? »

« Boh, non so. Probabile. Perché? »

« Niente » e girai la maniglia, entrando nella piccola ed incasinata redazione del giornalino scolastico.

 

 

« Et! » chiamai dal piano di sotto. Ero appena rientrata in casa e l'avevo trovata completamente deserta. Nessuna traccia di mamma, papà e tutta la speranza che ci fosse del cibo in frigo era riposta in Ethan.

Mio fratello rispose con un grugnito molto sonoro. Roteai gli occhi e sbuffai pensando a quanto questi esami lo stessero effettivamente stressando. Era ormai da settimane che vagava per casa con un libro aperto in mano. E non smetteva mai di studiare, dettaglio terrificante quanto sconcertante. Io non riuscirei mai a studiare così tanto ininterrottamente, neppure sotto minaccia!

« Puoi cagarmi per 30 secondi? » urlai rassegnata.

Non ricevendo risposta, continuai. « C'è pronto qualcosa? O sei così tanto occupato con lo studio da non poterti permettere di prenderti cura di tua sorella? »

Anche questa volta non vi fu risposta. Sospirai e mi preparai da mangiare da sola senza osare chiedergli se desiderasse qualcosa. Se vuole morire di fame bene. Contento lui, contenti tutti pensai sarcasticamente. Mangiai un panino al prosciutto e una pesca che poi si rivelò essere prematura, accompagnata da quello che io ritenevo il migliore passatempo di sempre : serie tv in streaming.

A chi frega della legge, quando sullo schermo ci sono i primi piani del tuo attore preferito? A nessuno! Sopratutto se puoi infrangere la legge senza l'assillante presenza dei tuoi genitori, sempre dietro a rimproverarti e dirti di comportarti educatamente.

Presi una coppetta di gelato dal frigorifero e mangiai sdraiata sul divano, il computer collegato alla televisione e il volume al massimo, fregandomene completamente di Ethan. Fuori era già buio e in poco tempo sarebbe arrivata la notte, quindi se voleva scendere in salotto e riposarsi un po', era il benvenuto. Ma non fu così.

Mi addormentai prima del previsto.

Fu un sonno inquieto, pieno di ombre e figure incappucciate che mi inseguivano, mi toccavano, mi osservavano come un animale in gabbia allo zoo. Una di queste ombre si avvicinò minacciosamente a me e mi guardò con gli occhi che non aveva. Poi, con movimenti calibrati e apparentemente studiati, depose nella mia mano qualcosa. Involontariamente le mie dita circondarono quella cosa e, quando la guardai, una luce blu mi trafisse gli occhi come tanti minuscoli aghi.

Non provai dolore.

Tutto il contrario, invece. Una sensazione di benessere si propagò in tutto il mio corpo come calore, facendomi sentire meglio. Tutta la paura e lo sconcerto erano spariti. C'eravamo solo io, la luce e il benessere.

Poi si udì un tuono molto fragoroso che mi scosse fino alle ossa e mi svegliai.

Ero distesa malamente sul divano e fuori era scoppiato un violento acquazzone. Mi alzai di fretta e, facendo attenzione a non inciampare, chiusi la finestra del salotto. Guardai fuori e vidi fiumi d'acqua scorrere impetuosi per le strade, per poi raccogliersi in una pozza più grande a pochi metri dall'ingresso di casa mia. Il benessere in cui mi ero trovata nel sogno era svanito, lasciando spazio ad una illegittima tensione che mi spingeva a pensare che qualcosa stesse andando terribilmente storto.

Perlustrai il salotto, temendo che vi fosse qualcuno nascosto magari dietro al divano o chissà dove – si sa che i ladri escogitano nascondigli di ogni tipo – aspettando per colpirmi. Nonostante la paura cercasse di tenermi con i piedi ben inchiodati dov'ero, mossi un passo in avanti e tesi le orecchie.

Nessun rumore.

Feci un altro passo e stavolta il mio piede entrò in contatto con il soffice materiale del tappeto. Esitai, incerta se andare ancora avanti o fermarmi lì e aspettare che il ladro si mostrasse. L'orologio digitale del comò segnava le due e nove della notte. Mossi ancora un passo in avanti e questo ebbe un cortocircuito, lampeggiando di arancione come un semaforo e cancellando i numeri dallo schermo. Dopodiché si spense del tutto con un bip che risuonò per tutta la casa, spaventandomi. Era risaputo che anche i rumori più innocui durante la notte acquisissero volume, ma mai ne avevo avuto la dimostrazione come allora.

Terrorizzata, mi mossi ancora in avanti e il pavimento scricchiolò sotto i miei piedi facendomi maledire la decisione. All'improvviso un tuono molto forte fece tremare i vetri di casa e mi penetrò fino alle ossa, facendo tremare pure quelle. Poi, nella luce abbagliante del lampo, scorsi l'ombra di una figura umana dietro la porta della cucina. Mi bloccai e per un attimo ebbi la sensazione che i nostri occhi, i miei e quelli della persona incappucciata, si fossero incrociati e i suoi mi avessero osservata da capo a piedi, studiandomi.

Fu un breve e terrificante istante.

Dopodiché sparì.

« Fagiolo ma che diamine … » mio fratello entrò in cucina e accese tutte le luci. Non so che faccia potessi avere in quel momento, ma di sicuro non era la più rassicurante. Sarò stata pallida e tremante, il viso prosciugato di colore e gli occhi probabilmente spalancati.

« Non … non … non l'hai visto? » mormorai con voce rotta. C'era qualcosa in me che aveva riconosciuto quella persona. Avevo la sensazione di averla già conosciuta da qualche parte, ma non sapevo dove, come se un ricordo avvolto nelle tenebre cercasse di emergere a suon di fatica ma venisse ogni volta spinto ancora più in profondità da una forza più potente.

« No. Non ho visto nulla » disse Ethan con la fronte agrottata.

« Era lì! Dietro la porta e ci stava guardando! » dissi disperatamente indicando il punto in cui avevo visto l'ombra. « Ethan ti giuro che era lì! Mi stava guardando non so da quanto ma era lì! Ci stava osservando! Ethan ti prego ... »

« Ehi ehi calma. » mio fratello mi prese per le spalle e mi circondò con le sue calde e familiari braccia. Appoggiai la testa sul suo petto e provai a calmarmi, ma la paura di alcuni istanti prima sembrava non volersene andare, come se avesse fatto le radici nel mio corpo e non volesse andarsene.

Mi nascosi tra le sue braccia stringendolo sempre più forte, temendo che se ne andasse e mi lasciasse in balia di quella cosa spaventosa.

« Jen calma. Va tutto bene, non c'è nessuno qua. » Ma tu non l'hai visto! È qua e ci aspetta ! Avrei voluto urlagli, ma non ci riuscii. Sembrava non ne avessi le forze.

« Genevieve, guardami » mio fratello mi mise delicatamente due dita sotto il mento costringendomi a guardarlo negli occhi azzurro cielo.

« Non è successo niente, okay? Non hai visto nulla. È solo un effetto della stanchezza. »

« Ma io ...»

« No. Tu niente. Sei stanca e lo stress ti porta a vedere cose che non esistono. »

« Ethan, ti giuro era lì! Era fuori e mi stava guardando e... »

« Genevieve basta! Adesso te ne vai a mi lasci studiare in pace okay? Ho altro a cui pensare al momento e non ho tempo da spendere per le tue fobie infondate! »

Tacqui. Mai fino a quel momento avrei desiderato farmi piccola piccola e sparire dalla faccia della terra a causa di Ethan. Non era mai successo, nemmeno quando eravamo piccoli. La paura del momento era passata in secondo piano, sostituita da un senso di oppressione e di vergogna ingestibile.

Mi staccai da lui e corsi di sopra, in camera mia. Sbattendo la porta, mi separai dal resto del mondo e mi buttai sul letto, sprofondando la testa nel cuscino e pensando a quello che avevo appena fatto, alla rabbia che avevo visto nei suoi occhi e a come mi aveva parlato, come se stesse cercando di scollarsi di dosso un odioso microbo.

Io per lui non sono altro... 

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Capitolo 3
*** Strange things happen here ***


Mi svegliai stravolta.

Domenica era un bel giorno se non avevi nulla da fare. Potevi dormire fino a tardi, uscire con gli amici oppure leggere un libro in mansarda, la luce del sole che penetrava dalle finestre e illuminava tutto, oppure invitare gli amici in casa e fare una maratona di serie tv.

Ma quella domenica andò diversamente.

Dovevo raggiungere Carlos e Amy – e Finn – al campo di football per completare le interviste ad Alycia Edwards – capo cheerleader, chissà perché va a genio a tutti, ma non a me – e alcuni suoi amici di cui non ricordavo il nome. Non che m'importasse, poi.

Misi le cose più comode che potessi trovare e scesi di corsa le scale, presi una barretta dallo scaffale della cucina e uscii di casa, lasciando le chiavi dentro al vaso dei gerani, in un buco che mi ero tanto impegnata a creare.

Giunsi a scuola di corsa.

Carlos mi stava aspettando all'ingresso impaziente.

« Cristo, avevo cominciato a preoccuparmi! » disse non appena lo raggiunsi. Mi piegai sulle ginocchia e presi fiato.

« Non mi è suona … suonata la sveglia » dissi col fiatone.

« Dici così tutte le volte. E sai una cosa? Lo sappiamo tutti che la sveglia non la imposti mai! »

« Arrabbiato Carlito? »

« No, Black. E adesso muoviti che quei due ci stanno aspettando. » mi aiutò a tirarmi su e si incamminò per le tribune del campo di football a passo svelto. Io andai un po' più lentamente ma riuscii comunque a raggiungerlo.

Amy era seduta sulla tribuna più in alto, i capelli legati in una coda molle e l'espressione concentrata che assumeva sempre quando prendeva appunti. Finn era poco più giù e stava intervistando Alycia. Quando ci avvicinammo, Alycia si irrigidì e mi guardò con disprezzo, sistemandosi la gonna della divisa da cheerleader – cortissima appena sopra la coscia – e lanciando occhiatine provocanti a Finn, il quale sembrava ignorarla.

Passai oltre e raggiunsi Amy.

« Come va? » chiesi sussurrando.

« Non ora Jenny. Non. Ora. » fu la sua risposta. La sua mano fece uno scatto e la matita le scivolò sotto le tribune, cadendo per terra. Sbuffò e sbatté il plico di fogli accanto a sé, facendo un rumore assordante che richiamò l'attenzione degli altri, i quali ci guardarono preoccupati, Finn in particolare. Si girò di scatto e puntò lo sguardo su di me, un po' come faceva mio fratello quando ero piccola e mi ficcavo nei guai.

Il solo pensiero di Ethan mi aprì una voragine di vergogna e senso di colpa.

« Tutto bene? » chiese Finn, allarmato.

« Perché? Come dovremmo stare ? » risposi scettica. C'era qualcosa che non andava in lui. Avevo un brutto presentimento, ma dopo l'incidente di ieri avevo cominciato a non fidarmi più delle mie sensazioni. Lui però era la tremenda ed inspiegabile eccezione che mi spingeva ad arrovellarmi il cervello su chi avesse ragione o meno : i sentimenti o la realtà delle cose?

« Sapessi come sto io … » sentii borbottare Amy da sotto le tribune.

Finn riprese a fare le sue domande ad Alycia, la quale continuava a guardarmi e sistemarsi la gonna, e io mi preoccupai invece di Amy. La raggiunsi mentre cercava a tastoni la penna nel prato verde. « Cosa c'è? »

« Niente » fu la sua risposta secca. Okay, se è così arrabbiata allora è successo qualcosa di grosso.

« Problemi con Chris? » azzardai. Lei si irrigidì e alzò lo sguardo verso di me.

« Ieri mi ha detto che non poteva venire a casa mia perché aveva da studiare. E indovina un po' dove l'ho trovato? A casa di Sam! E a fare cosa? Arrivaci da sola! »

« Okay, avrei voluto non arrivarci ma va bene così. Sono felice che tu ti sia sfogata. C'è dell'altro? »

« Stamattina sono arrivata qua a scuola e quel tipo là Finn ha cominciato ad assillarmi di domande su di te, chiedendomi quali fossero le tue passioni e se ultimamente ti sentissi strana. In perfetto orario anche, dato che stavo seriamente considerando di fare una scenata a Chris! »

« Finn ti ha chiesto di me? » domandai stupita.

« È quello che ho detto » ribatté Amy acidamente alzandosi da terra con la penna in mano.

« E tu cosa hai risposto? »

« Gli ho detto che se deve venire a chiedere a me che tipo di persona sei, può comodamente provare a capirlo da solo. » e fece per andarsene. La bloccai tenendola per un braccio. Improvvisamente sentii un ronzio, come di un oggetto in tensione. Lo ignorai.

« Amy, non puoi fartene una colpa se quel mezzo pezzo di ignorante ti delude. Non è quello per te. Se ci tenesse veramente non ti avrebbe mentito. »

« E credi che io non lo sappia? » si divincolò e liberò il braccio dalla mia stretta. Quando lo guardai, aveva un segno rosso nel punto in cui l'avevo toccata.

« Tu sei intelligente. Meriti qualcuno che sia almeno la metà di ciò che sei te. » dissi cercando di convincerla a rimanere.

« Super frase fatta presa da Internet. Senti, adesso non rompere che ho da finire quelle cavolo di interviste. Se hai qualcosa da dirmi me lo dici dopo. » e se ne andò.

Rimasi impalata per alcuni istanti ripetendo mentalmente quei secondi in cui Amy non era per niente sembrata Amy. All'ultimo me ne andai, incapace di credere a ciò che avevo visto, seppur era effettivamente successo.

Quando mi girai, sentii ancora il ronzio nelle orecchie, ma stavolta più insistente, come di una zanzara che continua a girare in tondo vicino all'orecchio. Scossi la testa istintivamente, ma non cambiò nulla. Mi incamminai verso la gradinata delle tribune, quando qualcosa mi colpì violentemente alla testa e caddi perdendo i sensi.

 

 

Sembrava un sogno. Tutto era sfocato e le immagini sembravano muoversi come la superficie dell'acqua che si increspa. Mossi una mano e dal palmo di quest'ultima ne uscì una scintilla color blu azzurrino pallido che si fece grande, sempre più grande, finché non si staccò dalla mia pelle come una foglia che si stacca dal proprio albero e, tra mille acrobazie, cade a terra. Ma la pallina di luce non cadde a terra; volò lontano da me e si schiantò contro qualcosa di imponente, dissolvendosi in una miriade di scintille azzurrine. Udii qualcuno cadere a terra pesantemente e disperatamente boccheggiare alla ricerca d'aria. Poi sentii un'esplosione e a pochi centimetri da me vidi un lampo schiantarsi al suolo. Ce ne fu un secondo, un terzo, un altro e un altro ancora, ma nessuno di essi mi colpì, come se attorno a me si fosse formato un campo di forza inespugnabile.

Si alzò il vento, un vento forte ed impetuoso carico di qualcosa che sembrò guarire le ferite del mio corpo e darmi la forza necessaria per alzarmi e riprendere ciò che stavo precedentemente facendo, seppure non ricordassi cosa.

Mi alzai in piedi e mi guardai attorno, studiando con attenzione ogni particolare di quel paesaggio irrealistico. Il cielo era color verde e le montagne all'orizzonte sembravano vittime di uno scrupoloso pittore con il pallino della vernice nera.

Sembrava un deserto, un luogo dimenticato da tutto e tutti. Il posto perfetto per un conflitto.

Ci fu un tuono e poi un'altra esplosione, seguita da un terremoto molto forte, che sentii anche dentro al mio corpo. Poi una voce familiare mi chiamò, in tono supplichevole e carico di disperazione. Qualcosa mi spingeva a non fidarmi di quella persona che mi chiamava, ma fu più forte di me. Mi girai e vidi qualcosa di luccicante volare vorticosamente in mia direzione. Alzai una mano …

 

Mi svegliai di colpo, tirandomi su di scatto. Avevo caldo e freddo insieme, i capelli appiccicati al collo a causa dal sudore e un dolore sordo al petto. Ero sdraiata sul lettino dell'infermeria. Le tapparelle erano abbassate, seppure qualche spiraglio di luce riuscisse a farsi strada in quella cortina di alluminio e posarsi sul pavimento in piccole chiazze di chiarore.

« Non muoverti, sei ferita » Finn era in piedi accanto a me, come una sentinella che vigila su un tesoro di inestimabile importanza. Era ferito e aveva un segno violaceo sulla mascella, segno che aveva avuto uno scontro corpo a corpo con qualcuno. Non osai immaginare come fosse conciato il suo rivale.

Provai il desiderio di guarirgli la ferita e privarlo del dolore che molto probabilmente sentiva a causa del livido. Alzai una mano e involontariamente feci per accarezzargli il viso, ma lui si scostò infastidito. Subito mi ritrassi pentendomi di ciò che avevo fatto : che mi era saltato per la testa? Da quando mi importava se lui stesse male o meno? Io non lo sopportavo e lui non sopportava me, e così sarebbe dovuto continuare.

« Cos'è successo? » chiesi rompendo il silenzio carico di imbarazzo che era sceso tra di noi.

« Hai la brutta passione per le cose lanciate in testa, lo sai vero? » disse Finn facendosi beffe di me. Ed eccolo che ricomincia a fare l'antipatico.

« La smetti di prendermi in giro e mi dici cos'è successo? O devo estorcertele con la forza certe informazioni? » dissi seccata.

« Sei svenuta. »

« Ma va?! »

Finn mi lanciò un'occhiataccia e poi sembrò farsi improvvisamente serio. « Hai subito un attacco da parte di una Sanguisuga Meccanica. Niente di grave, dato che ce ne siamo accorti subito e ti ho tolto quell'affare di dosso. Resta da capire chi te l'abbia sparata e come mai abbia deciso di farlo proprio in pieno mattino, alla vista di chiunque. »

Calò il silenzio.

Lo fissai cercando qualsiasi sintomo di cedimento, tipo una risata isterica o un sorrisetto trattenuto, ma Finn rimaneva impassibile sotto il mio sguardo. Era terribilmente serio, eppure non gli credevo.

« Senti, non so di che cosa tu stia parlando, ma ti conviene smettere di drogarti prima che anche l'unico neurone che hai si bruci. » feci per alzarmi, ma una fitta di dolore mi bloccò sul posto. Con uno scatto, Finn mi prese al volo prima che potessi cadere dal lettino. Mi aggrappai alla sua maglietta e per sbaglio sfiorai la pelle nuda del collo. Il contatto mi mandò brividi su tutto il corpo.

« Ti ho detto di non muoverti per un motivo » disse a denti stretti. Mi aiutò a sistemarmi sul lettino e prese un paio di bende e del disinfettante dall'armadietto in vetro dei medicinali, sistemandoli molto delicatamente sull'unica ferita aperta che avevo : un taglietto sul collo molto superficiale, ma che faceva un male cane.

Mentre mi passava il disinfettante sulla ferita, provai a ricordare dove avessi già visto ciò che avevo sognato in quei terribili istanti di incoscienza, giungendo alla conclusione che per me era un paesaggio completamente nuovo, frutto della mia sempre più bizzarra fantasia. Eppure la voce non sembrava così distante come tutto il resto, invece. Mi era apparsa incredibilmente familiare, ma al tempo stessa nemica, come se nonostante la vicinanza il mio istinto mi suggerisse di tenermi alla larga da quella persona perché pericolosa.

« Pensi di farcela ad alzarti? » mi chiese Finn come infastidito. Annuii e riprovai ad alzarmi. Stavolta, se fossi caduta, non ci sarebbero stati gli addominali d'acciaio e i pettorali di Finn a reggermi : sarei caduta di faccia sul pavimento e lì ci sarei rimasta, conoscendomi.

Con molta cautela mi misi seduta sul lettino e allungai un piede al pavimento; quel semplice gesto mi provocò una fitta di dolore al ginocchio che mi attraversò la coscia come un fulmine. Mi bloccai ed inspirai.

Poi successe qualcosa di strano : mentre cercavo di spingermi un po' più in là nonostante il dolore, una delle luci dell'infermeria esplose in una cascata di scintille e vidi una luce azzurrina, come quella del sogno, guizzare dalla lampada alla mia mano, per poi spegnersi come risucchiata dalla pelle.

« È già cominciato? » disse Finn perplesso. Con una sicurezza che mi colse alla sprovvista, mi prese la mano sulla quale la luce si era spenta e la esaminò scrupolosamente. Rimasi pietrificata da tal gesto, ma non mi ritrassi. In un certo senso mi piaceva che lui si preoccupasse per me, anche se da lì a non poco avrebbe sparato un'altra cazzata simile alla prima che mi aveva raccontato. Era … gratificante.

« Da quanto succede questo? » mi chiese, teso.

« Questo cosa? » chiesi, confusa e intontita. Stavo rivivendo con la mente quei secondi in cui Finn era stato iperprotettivo con me.

« Da quando sai assimilare energia e sottrarla agli oggetti? » i suoi occhi nocciola erano puntati sui miei e mi fissavano duramente. Come diamine faceva a dire stronzate del genere e sembrare comunque serio?

« Di che cavolo stai parlando scusa? Ripeto : di che droghe ti sei fatto prima di venire … » e accadde di nuovo. Stavolta non ci fu un'esplosione di scintille come la precedente, ma vidi con chiarezza lo schermo del computer sul tavolo, spegnersi e la stessa debole luce azzurra saettare dal dispositivo al palmo della mia mano. Lanciai un urlo e guardai la mia stessa mano come se fosse aliena al mio corpo. Forse Finn poteva anche star dando i numeri, ma stavolta non avevo dubbi : era successo davvero.

O forse anche io stavo impazzendo come lui.

Quest'ultimo pensiero mi preoccupò.

Senza badare al dolore al ginocchio, me ne andai frettolosamente dall'infermeria, lasciandomi alle spalle Finn e le strane luci blu. Attraversai il corridoio principale di fretta, senza badare a dove mettevo i piedi o alla direzione che stessi prendendo : volevo allontanarmi il più possibile da lì. Al terzo incrocio andai a sbattere contro qualcuno, rovesciando a terra una miriade di attrezzi che produssero uno sferragliare metallico assordante. Uno di essi mi punse al dito.

« Gi! Non ti trovavamo più! » esclamò Carlos, aiutandomi ad alzarmi da terra.

« Andiamo via, andiamo via » dissi e a passo svelto andai verso l'uscita della scuola. Nella fretta di uscire da scuola, non notai che dietro a Carlos c'erano due figure, una magra e bionda, l'altra un poco più alta : Amy e Chris; ero talmente terrorizzata, da aver dimenticato per un attimo che il mio peggior nemico era di fronte a me.

Spalancai le porte a vetri e uscii dall'edificio, scesi le scale saltellando velocemente e cominciai a correre fino a casa. Udii Carlos gridare il mio nome solo una volta, dopodiché qualsiasi suono fu coperto dal rumore del traffico cittadino e dal battito sordo del mio cuore che mi rimbombava nelle orecchie. Ero terrorizzata.

A metà strada ricominciai a sentire il ronzio che avevo udito alle tribune del campo da football. Mi coprii le orecchie e corsi più velocemente, rischiando di farmi investire da un automobilista infuriato.

Volevo inspiegabilmente tornare a casa a tutti i costi. L'istinto mi suggeriva che quello era il posto più sicuro dove rifugiarsi, ma la vera domanda era : da cosa? Da chi stavo scappando, se nessuno mi aveva fatto nulla? Perché sentivo che una parte di me credeva in ciò che aveva visto?

Quando arrivai di fronte alla porta non mi presi nemmeno la briga di suonare, riempiendola di pugni finché mio padre non l'aprì, seccato. Gli passai accanto e corsi in camera, sbattendomi la porta alle spalle. Mi buttai sul letto e mi rannicchiai con il cuscino stretto in grembo, ripetendomi mentalmente “Non è vero. È tutta immaginazione”, ma più andavo avanti così, più i ricordi del sogno che avevo fatto ritornavano indietro come tanti piccoli e taglienti boomerang.

Poi mi ritornò in un flash l'immagine dell'ombra nera che mi studiava, mi osservava come un animale dello zoo. Mi tappai le orecchie e gridai, incapace di sopportare il peso del suo sguardo. 

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Capitolo 4
*** Simile al bagliore del fuoco ***


Il grido non produsse alcun suono. Rimasi così per alcuni minuti, le orecchie coperte dalle mani e il cuscino in grembo, dondolandomi avanti e indietro finché non ce feci più e caddi in un sonno inquieto che mi risvegliò qualche ora dopo, alla sera. Quando mi misi seduta sul letto, notai che il cuscino era umido dove avevo poggiato la testa e anche un po' accartocciato, data la violenza con cui l'avevo aggrappato, come se temessi che qualcuno potesse rubarmelo.

Sospirai. Quando presi in mano il telefono, notai che avevo tredici chiamate perse da Carlos e un messaggio sulla segreteria telefonica. Li ignorai.

Accesi l'abat-jour sul comodino e rimasi seduta sul bordo del letto per un po', finché qualcuno non venne a bussare alla porta della camera e mio padre entrò con un vassoio di biscotti in mano.

All'inizio mi aspettai che mi guardasse duramente e, con quel tono di voce che mi faceva sempre rabbrividire, mi rimproverasse per essermi comportata così sgarbatamente con loro e per aver saltato il pranzo, cosa che lo faceva sempre infuriare.

Ma le cose andarono diversamente : appoggiò il vassoio sulla scrivania e mi rivolse un finto sorriso rassicurante, prima di uscire dalla camera in totale silenzio.

Se da un lato mi rilassai, dall'altro entrai in allerta.

Quel silenzio poteva significare tante cose, e tutte negative. Presi un biscotto dal vassoio e lo mangiai, ricordando quanta fame avessi. Erano i miei biscotti preferiti, quelli secchi che diventavano incredibilmente morbidi e dolci quando li inzuppavo nel latte. Li divorai tutti, uno dopo l'altro, senza sentirmi particolarmente sazia.

Ma non mangiai altro.

Stavo raccogliendo le briciole dal copriletto, quando sentii un sassolino picchiare contro la finestra : Amy. Mi sporsi e la trovai dall'altro lato della strada, sul marciapiede di fronte ai Branwell, avvolta nel suo cappotto color rosso acceso visibile anche a qualche chilometro di distanza, come una volta avevo ironizzato. Le feci cenno di aspettarmi e, utilizzando l'unico passaggio segreto di cui disponevo, un vecchio ed inutilizzato montacarichi collegato al garage, la raggiunsi nel buio pesto di quella sera.

Ero felice di rivederla; non la solita e monotona sensazione di benessere quando eravamo insieme, ma una felicità innata di vedere che, nonostante il suo atteggiamento brusco di quella mattina e anche tutti i precedenti della settimana, lei avesse comunque deciso di venire da me. Un po' come in aeroporto, quando rivedi dopo troppo tempo un caro amico e gli corri incontro, stringendolo tra le braccia più che puoi, anche se senti che non è ancora abbastanza. E così feci con lei : la strinsi forte finché non fu lei stessa a dirmi di allentare la presa perché la stavo soffocando.

« Sei tornata … » dissi, un largo sorriso a trentadue denti stampato in faccia.

« Non me ne sono mai andata, in realtà » rispose, sorridendo a sua volta.

Dopo un breve silenzio aggiunse : « Ti abbiamo vista scappare e poi non hai più risposto alle nostre chiamate. Perché? »

Fui tentata di dirle la verità, ma pure a me sembrava talmente assurdo da non poterlo dire ad alta voce. « Ho avuto un … mi sono sentita male. »

« Eri con Finn » disse lapidaria. Rabbrividii, e sapevo che non era per il freddo.

« Che cosa intendi? Lo sai che non lo sopporto » risposi, cercando di riparare il terribile strappo che sentivo si era creato tra di noi.

« Beh, visto come si è agitato non appena sei svenuta … »

« Ah certo, stai dicendo che tra me e lui c'è un qualche … una qualche relazione. È questo che intendi? »

« Forse »

« Amy davvero crederai che io possa mettermi insieme a quello là? Davvero? Sopratutto se non lo sopporto? » sì, certamente disse una voce in un angolino del mio cervello.

« Siamo tutti imprevedibili per quanto riguarda l'amore. » disse facendo spallucce.

Feci per ribattere, ma qualcos'altro attirò la mia attenzione : un grido disumano, terribile. Uno dei lampioni in fondo alla via esplose in una marea di scintille dorate, allarmandomi. Una fitta ed intricata rete di sottilissimi fili azzurri stava intessendosi sopra le nostre teste. La osservai, finché non mi sentii i capelli rizzare in testa e feci una cosa inspiegabile.

Le mie mani si strinsero a pugno intorno a qualcosa di apparente immateriale, ma che sulla mia pelle sembrava avere una consistenza. Pungeva. Era come tenere una mangiata di sottilissimi aghi che mi pungevano i palmi senza ferirli.

Quando riaprii di scatto la mano, un'onda invisibile si propagò per tutto il vicinato. Qualsiasi cosa ci fosse in fondo alla via smise di avanzare, arrestandosi.

« Bel colpo, Black »

« Grazie » dissi prima di rendermene conto. Era stato veloce, ma era bastato.

Mi voltai di scatto e vidi Finn accanto a me impugnando un'arma molto simile ad un fucile, ma più corta e … azzurra. Sembrava splendesse, ma ciò che mi preoccupava ancora di più era che Finn non aveva indosso vestiti normali, ma bensì una tuta nera, come una divisa militare a tinta unita però. Guardava la strada e sorrideva come un predatore. Era bellissimo.

« Cosa ci fai tu qui? » chiesi terrorizzata.

« Il mio lavoro, CaricaBatterie » rispose in tono grave. Con un movimento fulmineo, mi prese per un braccio e mi spinse a terra, sparando a quella persona in fondo alla via che sembrava essersi rialzata. Capendo che molto probabilmente tutta la sicurezza che trasmetteva era data dal fatto che aveva la situazione sotto controllo, mi misi disperatamente a cercare Amy con loro sguardo.

Mi sentii svuotare i polmoni quando non la trovai. Colta dal panico, mi rialzai e ci mancò poco che qualcosa mi colpisse ancora alla testa, quando mi piegai sulle ginocchia per schivare un'anomala saetta di luce. Provai l'irrazionale sensazione di rispondere allo stesso modo.

« Vai! » urlò Finn. Non me lo feci ripetere due volte. Cominciai a correre il più veloce possibile lontano dalla strada. Non pensai ad un effettivo nascondiglio perché l'unica cosa che desiderai in quel momento fu di trovare un luogo sicuro, dove quella persona a cui Finn stava sparando non potesse trovarmi. Non la conoscevo, eppure avevo la sensazione di conoscerla alla perfezione. Era cose una parte di me ricordasse, mentre l'altra parte fosse totalmente ignara di quel ricordo.

Non è possibile, non è reale. Mi dissi mentalmente.

Lo è invece rispose una vocina in un angolino remoto della mia testa.

Ripresi a correre. Tutto sembrava passato in secondo piano : Finn, saette di luce, pistole, Finn in divisa nera, mio fratello, il tizio in fondo alla strada, Amy. Amy. Mi arrestai di colpo, col fiatone. Presa com'ero dallo spavento, mi ero dimenticata che la mia migliore amica era sparita.

Feci dietrofront e mi misi a cercarla, perlustrando la zona con lo sguardo mentre correvo alla cieca. Attraversai un vicoletto stretto tra la casa dei Branwell e quella degli Stewart. I rumori della sparatoria erano cessati, ma questo non mi rilassava per niente. Alla fine del vicolo guardai attentamente la strada, che in quel momento stava cominciando a riempirsi di persone. C'erano anche i miei genitori. Anzi, c'erano tutti.

Sembrava una scena delle scuole elementari, quando i pompieri ordinavano la prova di evacuazione dell'edificio e tutti uscivano in fila indiana.

Mia madre era in lacrime e si stringeva in mio padre, il quale sembrava agitato quasi quanto lei e continuava a guardarsi intorno. Solo allora notai con una certa preoccupazione che mio fratello non era lì. Che gli esami gli sottraessero del tempo per divertirsi era vero, ma che non potesse evacuare di casa per colpa di uno stupido libro era anche troppo. E conoscendo mio fratello, lui non andava mai oltre il limite dell'irrazionale.

Ma se non era lì, allora dov'era?

Feci per raggiungere i miei genitori, quando qualcosa alle mie spalle mi tirò indietro con violenza, scagliandomi sul marciapiede buio del vicolo.

Con uno scatto mi misi in piedi e constatai sconcertata che ero atterrata sull'asfalto della strada di fronte a casa mia, non nel marciapiede del vicolo.

« Com'è possibile ? » chiesi a nessuno in particolare.

Ma la riposta mi arrivò subito, chiara e tagliente come una lama. « Oltre che stronza, sei anche stupida quindi! »

Mi voltai e mi ritrovai faccia a faccia con un ragazzo della stessa età di mio fratello, forse poco più grande. Alto, muscoloso e possente, mi guardava come se fossi la causa di tutti i suoi problemi, con uno sguardo carico d'odio e disprezzo che mi fece rabbrividire. A scuola non andavo a genio a tutti, ma nessuno mi aveva mai guardata in quel modo.

Era un misto tra “Ti voglio morta” e “Ti taglierò le dita delle mani ad una ad una solo per vederti soffrire” in senso letterale.

« Chi sei? » chiesi con circospezione, i pugni chiusi. Nonostante il suo viso mi risultasse noto, non riuscivo a ricordare dove l'avessi già visto.

« Non ti parlano spesso di me eh? Oppure sono troppo impegnati a riempirti di complimenti per quello che sei eh? Una brutta figlia di … »

« Dimmi chi diamine sei! » urlai inconsapevolmente. Mi coprii la bocca con entrambe le mani, stupita e impaurita da ciò che avevo fatto. Lui non si scompose.

« Dimmi Genevieve, ti va di fare un gioco molto divertente? Un gioco dove tu muori e io mi riprendo ciò che è mio? Eh? Ti va di giocare un po'?! » e detto questo nelle sue mani si accese di una luce rossa simile al bagliore del fuoco. Sembrava un attizzatoio ardente.

Mi coprii gli occhi a causa della luce, e quella distrazione mi costò un colpo allo stomaco molto forte, che mi piegò in due.

« Ti diverti Genevieve? » chiese con un sorrisetto malefico. Si preparò a colpirmi ancora, ma qualcosa di argenteo si allacciò alla sua caviglia e lo fece cadere a faccia in avanti, a pochi centimetri da me. Come lui cadde a terra, io balzai in piedi e lo colpii, spinta da una forza illegittima che sembrava desiderare ardentemente vendetta.

Fu veloce, ma bastò poco per metterlo KO.

Quando fu senza sensi divenne più facile studiarlo. Aveva un lungo taglio che gli percorreva il collo, sul viso gli correvano delle vene accese di rosso il cui bagliore sembrava pulsare, come i battiti del cuore. Feci per toccarlo, ma una mano mi bloccò il braccio con la sua stretta di ferro.

« Non toccarlo » mi ammonì. Era Finn.

« Da quando credi di potermi dare ordini? » risposi e mi divincolai.

« Da quando ti salvo la vita » disse, avvicinandosi a me.

La vicinanza non mi provocò disagio, seppure tutto in quella situazione fosse anormale : Finn con la divisa nera e la pistola azzurra in mano, il ragazzo che si illuminava di rosso e, dulcis in fundo, Finn a distanza ravvicinata.

Mi scrutò per alcuni secondi, studiandomi. Poi fece una cosa inaspettata e che mi tolse il fiato. Fu un piccolo gesto, ma fu tutto per me : sorrise. Non era un sorriso completo, ma solo a metà, tirando su solo un angolo della bocca.

Mi immaginai quanto sarebbe stato bello baciarlo sulle labbra e …

No, scossi la testa scacciando quei pensieri inappropriati e posai lo sguardo sul ragazzo disteso a terra. Sembrava un cadavere.

« Lui chi è? » sussurrai, temendo che in realtà fosse sveglio e stesse fingendo di essere incosciente. Avevo una certa preparazione in queste cose, sopratutto grazie a tutti i film d'azione che avevo visto fino a quel periodo.

Finn fece spallucce. « Non lo so, ma se ti è venuto a cercare vuol dire che ti conosce »

« Quindi non sai chi è? »

« Non esattamente »

« Jamie Garrick » intervenne una voce alle sue spalle. Quando guardai oltre, vidi che si trattava di Annie, vestita da capo a piedi come Finn, con l'eccezione dei capelli legati. Mi guardava senza espressione, come se fossi trasparente e non esistessi. Non l'avevo mai vista così. Sembrava elegante e provocante allo stesso tempo, completamente diversa dalla donna che si vestiva da capo a piedi come una suora.

« E te come fai a saperlo? » Finn si girò.

« Credi che la mia copertura da infermiera alle scuole superiori sia solo un passatempo, Finn? » gli rispose, sorridendo. Era sempre Annie l'infermiera, ma era come diversa, cambiata. Oppure era sempre stata così, ma non l'avevo mai notato.

« Ho Caricabatterie » disse il ragazzo, sbrigativo. Sapevo che si rivolgeva a me.

« Non chiamarmi così! » replicai. Entrambi mi guardarono accigliati.

« Preferisci Genevieve? Un nome da bambina succhiapollici? Sai, pensavo avessi dei gusti un po' più decenti » disse, incrociando le braccia al petto. Quanto era bello …

« No. Sai cosa? Non chiamarmi proprio » dissi e girai sui tacchi, scavalcando il corpo inerme del ragazzo e imboccando la prima via che incontrai. Se un lato di me non voleva aver a che fare con Finn, l'altro desiderava che mi rincorresse e mi implorasse di restare con lui.

Ma non fu così.

Più o meno a metà strada mi girai e notai con una fitta di delusione che sia lui che Annie erano scomparsi assieme all'altro ragazzo. Tutto ciò che era appena successo era assurdo ed incredibile. Sembrava la scena di un film di fantascienza e di azione, ma con molta poca fiction e forse troppa realtà. Orientandomi grazie alla memoria fotografica, raggiunsi casa mia ed aspettai, seduta sull'amaca sfilacciata della veranda.

Le luci di casa erano accese ed insolitamente … pulsanti. Le guardai, le osservai e provai il desiderio di toccarle, come i bambini quando vedono il fuoco e vogliono toccarlo a tutti i costi. Incantata, appoggiai il palmo della mano alla finestra e la luce subito si spense. Un senso di delusione mi afflosciò , ma subito fu rimpiazzato da qualcosa di più forte, di energico, come elettricità pura.

Sorrisi spontaneamente, senza motivo.

Mi stesi sull'amaca e rimasi così, sorridente e beatamente stordita finché non udii in lontananza un mormorio e di scatto mi alzai in piedi, con un vago senso di allerta.

« Genevieve! » esclamò mia madre quando mi vide. Non era per niente arrabbiata, anche se ero ben consapevole che la sensazione di sollievo che provava in quel momento sarebbe durata poco. Mi corse incontro e mi strinse a sé, letteralmente.

« Dove cavolo eri? E tuo fratello? Vi abbiamo cercati ovunque! » disse, gli occhi lucidi di pianto.

« Io … » cominciai, quando un terrificante pensiero mi sconvolse. In tutto quel intontimento, mi ero dimenticata completamente di Amy. Mi guardai intorno cercando i signori Wright e li trovai l'uno abbracciato all'altro, in disparte accanto alla casa dei McAllister. Li raggiunsi di corsa, pregando che la mia sensazione di terrore fosse infondata.

« Elise. Dov'è tua figlia? » chiesi, in preda al panico.

« Aveva detto che stava venendo a casa tua e poi non l'abbiamo più vista » rispose il marito, un uomo sulla quarantina. Mi guardava come se potessi avere io la risposta a quell'emblema, con una fiducia che mi fece star male.

« Lei … Io »

« Guardate su! » disse una voce e tutti si voltarono. Stava indicando il cielo buio e tappezzato di stelle con una mano. Proprio in quel momento passò uno stormo di elicotteri e tutti sembrarono andare in panico. Udii delle grida, degli urli e anche un acuto stridulo come di ferro che striscia su dell'altro ferro, oltre che un rumore che ormai avevo imparato a riconoscere come l'esplosione di un lampione.

Mi chiesi cosa ci fosse di così spaventoso, quando la mia attenzione fu catturata da Finn, nascosto dietro ad uno degli alberi del parco di Greenpoint, il parco che io ed Amy frequentavamo sempre da piccole. Stava guardando in mia direzione e, quando vide che l'avevo individuato, mi fece cenno di raggiungerlo.

Esitai, guardandomi attorno e valutando se fosse l'occasione di sparire ancora come prima e far prendere un mini-infarto a mia madre.

Prima di rendermene conto, stavo correndo verso di lui. Mi bloccai a pochi centimetri di distanza, sentendomi mortificata.

« CaricaBatterie » disse, per niente sorpreso di vedermi.

« Cosa vuoi? »

« Io niente, sono venuto a fare una passeggiata e tu mi hai raggiunta. » il sarcasmo nella sua voce era palpabile.

« Smettila di dire cavolate. »

« Che peccato, ne avevo una davvero bella dove tu mi supplicavi di non farlo. »

« Non fare cosa? »

Finn si avvicinò e mi sussurrò all'orecchio : « Non pensare male Genevieve. Non fa male. » e sentii una sua mano sollevarmi un lembo della maglietta. Mi irrigidii di colpo, sentendomi mancare l'aria dai polmoni. Le sue mani erano fredde, ma dal tocco leggero. Poi sentii un ago pungermi la pelle e caddi tra le sue braccia, incosciente. 

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