Can't fight this feeling

di elokid78
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap. 1. Un viaggio inaspettato ***
Capitolo 2: *** Cap. 2 La Tempesta Perfetta ***
Capitolo 3: *** Cap. 3. La Confessione ***
Capitolo 4: *** 4. Senso di colpa ***
Capitolo 5: *** Cap. 5. Una giornata particolare ***
Capitolo 6: *** Cap. 6. Party ***
Capitolo 7: *** Cap. 7. Londra ***
Capitolo 8: *** Cap. 8. Un incontro imprevisto ***
Capitolo 9: *** Cap. 9. Ogni Maledetta Domenica ***
Capitolo 10: *** Cap. 10. Un passo indietro ***
Capitolo 11: *** Cap. 11 Senza via di scampo ***
Capitolo 12: *** Cap. 12. Promesse ***
Capitolo 13: *** Cap. 13. Il presente ***
Capitolo 14: *** Cap. 14. Ha mai amato il mio cuore? ***
Capitolo 15: *** Cap. 15 Confessioni di una mente pericolosa ***
Capitolo 16: *** Cap. 16. Via dalla pazza folla ***
Capitolo 17: *** Cap. 17. La resa dei conti ***



Capitolo 1
*** Cap. 1. Un viaggio inaspettato ***


Cap. 1. UN VIAGGIO INASPETTATO
 
 
Stavo sonnecchiando quando il pilota diede l’annuncio dell’imminente atterraggio.
Il viaggio mi era sembrato interminabile.
L’Islanda non era proprio dietro l’angolo, ma neppure troppo lontana.
Comunque ero abituata ai continui spostamenti. Il mio lavoro, che adoravo, mi permetteva di viaggiare moltissimo.
Lavoravo come avvocato in un grande studio londinese, specializzato in contratti di lavoro nel campo artistico. Insomma se un attore, un ballerino, un cantante doveva stipulare un contratto di lavoro si rivolgeva a noi per la consulenza nella stipula degli accordi inerenti le sue prestazioni professionali.
Ovviamente ciò significava che ovunque fosse richiesto l’artista stesso, anche l’avvocato dovesse recarsi per la consulenza, ma questo non mi disturbava affatto.
Non avevo una famiglia che mi aspettava a casa la sera, quindi ero libera di fare questa vita in continuo movimento.
Anzi, i soci anziani dello studio, approfittando proprio di questa mia assenza di legami, mi mandavano sempre nei luoghi più disparati e quando un affare comportava una lunga trasferta, la loro scelta su a chi affidare il lavoro ricadeva sempre su di me.
Comunque, senza falsa modestia, ero molto brava nel mio mestiere.
Sapevo contrattare, avevo una gran dialettica e nulla mi spaventava.
Se non le relazioni interpersonali.
Questa volta si trattava del contratto riguardante l’ingaggio di un attore inglese, che da qualche tempo girava film internazionali.
Non lo conoscevo, però avevo già avuto modo di trattare con il suo publicist, che aveva già seguito un contratto per un’altra sua cliente, la ben più famosa Emma Watson, la Hermione Granger di Harry Potter.
Luke era una persona simpatica e alla mano e lo era, in verità, anche Emma. In effetti con lei mi ero dovuta parzialmente ricredere sul mio pregiudizio circa le star hollywoodiane, troppo spesso dotate di un ego gigantesco.
Nonostante l’attore fosse londinese, si trovava in Islanda per girare alcune scese del suo prossimo film, quindi ecco spiegato il mio viaggio.
L’atterraggio mi dava sempre qualche preoccupazione, più del decollo - incomprensibilmente – quindi mi svegliai piuttosto repentinamente all’annuncio del pilota.
Mi attaccai con le mie unghie laccate di rosso ai braccioli della poltrona di business class, attendendo che le ruote toccassero finalmente terra.
Per fortuna l’aereo atterrò senza bruschi scossoni e potemmo scendere piuttosto rapidamente.
Dopo aver ritirato il bagaglio, piuttosto pesante, - dato che in Islanda era pieno inverno ed immaginavo si morisse di freddo, mi ero portata una valanga di indumenti caldi, visto che soffrivo molto il freddo – vidi che mi attendeva un autista, con un cartello in mano.
  •  Buongiorno signorina Martin. La accompagno in hotel?
  • La ringrazio, ma preferirei presentarmi immediatamente al signor Windsor per accordarci sull’appuntamento di domani, se non le dispiace.
  • Ehm, d’accordo, solo che il set è parecchio distante, non è stanca per il viaggio?
  • Sono abituata a viaggiare, grazie. Mi accompagni sul set, se non è un problema.
Effettivamente il luogo delle riprese era parecchio lontano.
Direi praticamente un posto sperduto tra le montagne. Non immaginavo che si trattasse  di una regione così desolata. E gelata. Morivo di freddo e gli indumenti più caldi che avevo erano ovviamente stipati in valigia.
Quando arrivammo sul set potevano essere tranquillamente dieci gradi sotto lo zero. Ero abituata al freddo di Londra, ma questo era decisamente al di sopra delle mie aspettative.
Io indossavo un tailleur pantalone – ringraziai la mia buona stella di non aver indossato una gonna quella mattina – ed un cappotto stretto da una cintura in vita, ma non era minimamente sufficiente a garantire al mio corpo un minimo di conforto per quel freddo così pungente.
Ad ogni modo ormai mi trovavo lì e cercai di conservare un aspetto professionale, nonostante mi stessi congelando.
Le riprese erano ancora in corso ed io mi sistemai in un angolo per non disturbare gli attori al lavoro.
Scorsi anche Luke, che però era molto impegnato in una discussione con qualcuno, quindi non cercai di attirare la sua attenzione.
Attesi per un tempo che mi sembrò eterno, soprattutto nello stato in cui ero. Mi portai le mani al volto e feci uscire aria dai polmoni per scaldarmele. Non avevo neppure un paio di guanti, da lì a qualche minuto avrei rischiato l’assideramento.
Fortunatamente alla fine il regista urlò qualcosa che non avvertii dal punto in cui ero e vidi che tutti si rilassarono, preparandosi a lasciare, per quel giorno almeno, il luogo prescelto per le riprese.
Solo in quel momento Luke Windsor si accorse di me e mi venne incontro.
Gli porsi la mano, che lui strinse calorosamente.
 
  • Anna, benvenuta! Pensavo che fossi andata in albergo e che ci saremmo visti con calma domani!
  • Ehm, ho pensato che fosse meglio passare, in modo da prendere accordi su quando vederci domani.
  • Credevo che non ti piacesse venire sui set.
  • Infatti non lo apprezzo particolarmente, specie se si trovano in lande deserte e desolate come questa.
  • Si effettivamente questa è una location particolare.
In quel momento vidi che uno degli attori stava venendo verso di noi. Indossava un pesante costume in pelle e metallo color oro, sovrastato da un ingombrante soprabito con il colletto in pelliccia. In quel momento lo invidiai mostruosamente. Volevo quella pelliccia ed evidentemente la stavo osservando con un’aria adorante, perché proprio non stavo minimamente calcolando chi la indossava.
 
  • Non vuoi presentarmi la tua amica, Luke?
  • Non è una mia amica, è l’avvocato che seguirà il tuo contratto.
  • Oh. Sono Anna Martin, suppongo che lei sia Mr. Hiddleston.
Nonostante mi fossi presentata con la massima serietà e professionalità, non riuscii proprio ad evitare di battere i denti, per cui le mie parole risultarono balbettanti e stentate.
Ottimo lavoro, Anna.
 
  • Da quanto si trova qui indossando  un semplice cappottino, signorina Martin?
A quelle parole con un gesto fluido ed elegante si sfilò il soprabito con pelliccia dalle spalle e lo mise sopra le mie. Un caldo sollievo mi avvolse. Quel capo era veramente un toccasana per le mie povere membra semi assiderate, per di più era ancora caldo dal tepore di chi lo indossava prima di me.
Chiusi gli occhi per un momento, non riuscendo a trattenere un sospiro di sollievo.
 
  • La ringrazio davvero. Tutti i miei indumenti pesanti sono ancora in valigia e ne vengo ora dall’aeroporto.
  • Infatti pensavo di vederla domani.
  • Ho preferito passare subito per mettermi d’accordo con Luke per l’appuntamento di domani.
  • Avrebbe potuto telefonare.
  • Preferisco trattare di persona. Non mi sembra di aver creato troppo disturbo, comunque ora parlo con Mr. Windsor e tolgo il…
  • Sono solito trattare personalmente i miei contratti.
Già lo detestavo. Era stato cortese con il cappotto - forse un pochino saccente -  ma tutte quelle domande… sì, certamente non erano poste in tono sgarbato, anzi, pareva quasi preoccupato del fatto che non fossi passata in hotel a cambiarmi prima di arrivare in quel deserto freddo. Ma soprattutto: da quando gli attori si occupano personalmente dei contratti?
 
  • Non ero stata informata di questo. Prenderò accordi con Luke che sarà senz’altro a conoscenza dei suoi impegni e concorderemo un appuntamento.
  • Domani ho un giorno libero, non ho riprese. Può andar bene domattina per le 10?
  • Certamente.
  • Allora, dato che soggiorniamo nello stesso albergo, verrò in camera sua per le 10.
Ecco. Puntualmente ogni volta si ripresentava lo stesso, fastidiosissimo inconveniente. Ma era mai possibile che tutti gli attori avessero un ego delle dimensioni di una montagna? Perché tutti pensavano che, dato che erano ricchi e famosi, potevano permettersi di piombare nella mia camera di albergo e fare i loro porci comodi? E peraltro questo chi lo conosceva?
 
  • Ci vediamo nella hall per le 10. – sibilai a denti stretti e girai sui tacchi, tornando dal mio autista. Neppure salutai il povero Luke che era rimasto lì con un palmo di naso.
Oh! Al diavolo, gli avrei inviato un sms in seguito per scusarmi.
Durante il lungo tragitto verso l’albergo ripensai alla mia conversazione con il signor Thomas William Hiddleston.
Di lui sapevo solo quello che avevo letto nel suo fascicolo. Doveva firmare un ingaggio per un thriller con il regista messicano Guillermo del Toro.
Aveva trentadue anni, di persona era effettivamente un uomo affascinante, con quei grandi occhi color verde-azzurro, ma non era diverso dagli altri attori che mi era capitato di incontrare.
Scesi dall’auto ancora infuriata e mi diressi a grandi passi verso la reception per ritirare la chiave della mia stanza.
Mi rifugiai subito nel tepore della mia camera e solo allora mi accorsi di avere ancora addosso il suo soprabito di pelliccia.
Me lo sfilai rapidamente e lo lanciai sulla poltrona accanto al letto.
Presi a disfare velocemente la valigia. Mi feci una rapida doccia, infilai il pigiama e mi infilai sotto le coperte, assaporando quella magnifica sensazione.
 
 
 
 
Fui svegliata da un deciso bussare alla mia porta.
Trattenni un imprecazione. Ma chi diamine poteva essere?
Non era sicuramente già mattina.
Guardai l’orologio.
Oh merda! Invece era proprio mattina! E non molto presto! Erano le dieci e mezza!
Possibile che non avessi sentito la sveglia? In realtà non ricordavo proprio di aver impostato alcuna sveglia. Ero talmente stanca che mi ero addormentata senza caricarla.
Infilai una vestaglia ed andai ad aprire.
E mi trovai davanti proprio lui. Dovevo essere paonazza dalla vergogna.
 
  • Mr. Hiddleston?
  • Si, scusi l’intrusione, ma…
  • Mi scusi lei per il ritardo, se mi concede ancora cinque minuti, scendo immediatamente nella hall.
  • Sì, non è un problema, ma visto che ci sono magari…
  • No, non può entrare, ci vediamo tra cinque minuti nella hall.
  • Purtroppo devo insistere perché…
In quel momento ero paonazza non per la vergogna, ma per l’ira.
 
  • Mi sembra di essere stata chiara, non intendo…
  • Ho bisogno che mi restituisca il cappotto!
  • Come?
  • È un costume di scena e ieri è andata via dal set senza restituirlo. Se scoprono che è sparito sono nei guai.
  • Oh. Ma certo.
Scoppiai a ridere.
Anche lui si sciolse in un’allegra risata. Era veramente un bell’uomo, specialmente quando rideva. Ed era la prima volta che lo vedevo farlo.
 
  • Ascolti signorina Martin, penso che ieri abbiamo cominciato con il piede sbagliato. Intanto potremmo darci del tu. Ricominciamo: io sono Tom.
  • Anna.
Gli porsi la mano, che lui afferrò e strinse fra le sue, portandosela poi alle labbra come per mimare un baciamano.
Allora io mi sciolsi subito dalla sua presa. Pensavo che la cosa stesse diventando troppo intima.
 
  • Ehm, ci vediamo giù tra cinque minuti. Ti porto il tuo abito di scena.
Senza attendere risposta chiusi la porta e mi infilai nel bagno.
Mi lavai, vestii, truccai in un tempo ai limiti delle umane possibilità e mi precipitai nella hall.
Mi stava aspettando seduto al bar, con davanti una tazza di tea fumante.
 
  • Vuoi qualcosa?
  • Grazie, un cappuccino andrà benissimo.
Posai il pesante soprabito sulla sedia più vicina.
 
  • Hai ancora le mani arrossate per il gelo di ieri.
Osservai le mie mani. Effettivamente erano ancora violacee e mi dolevano un pò. Cambiai discorso.
 
  • Vorrei scusarmi per il mio imperdonabile ritardo. Non succederà mai più.
  • Non preoccuparti. Può capitare.
  • Non a me. Luke non viene?
  • Perché? Io non mordo mica.
Ecco che ritornava prepotentemente quel classico atteggiamento da attore consumato nell’arte della seduzione. Proprio non riuscivo a sopportarlo.
 
  • Non tratto mai con gli attori.
  • Perché?
  • La maggior parte di voi non si degna neppure di conoscermi, delegando tutto ai collaboratori. Con quelli che invece ho conosciuto…  ecco... diciamo che era meglio continuassi a non conoscerli.
  • Addirittura! E cosa mai ti avranno fatto?
Alzai gli occhi dal mio cappuccino e puntai con lo sguardo i suoi in un’occhiata che voleva essere molto eloquente, il cui significato era: non puoi sapere, non saprai mai, e comunque è abbastanza per non voler conoscere mai più nessun appartenente alla tua categoria professionale.
Lui mi squadrò per un attimo con aria stupita e meditabonda, poi distolse lo sguardo e proseguì a sorseggiare il suo tea.
Io cominciai a fargli qualche domanda tecnica, per capire come voleva che impostassi il contratto.
Il ragazzo aveva le idee piuttosto chiare, dovevo ammetterlo, non era uno sprovveduto.
In quel momento il mio cellulare squillò.
Gli chiesi di perdonarmi e mi allontanai per rispondere.
Era mia sorella Kate. Voleva saper se ero arrivata a destinazione e se stessi bene.
Adoravo mia sorella, che era la maggiore e si comportava in maniera molto protettiva con me.
Era l’unica rimasta nella mia disgraziata famiglia e si preoccupava per me come se fosse stata mia madre. Avevamo perso i genitori in un incidente d’auto quando io avevo cinque anni e lei dieci ed eravamo state allevate dalla nonna materna. Una donna incredibile – io portavo il suo nome - che nonostante la tragedia che ci aveva distrutto, si era subito rimboccata le maniche e ci aveva cresciuto nel migliore dei modi. Qualche mese prima anche la nonna ci aveva lasciate e noi eravamo, se possibile, ancora più legate.
 
  • Ciao Kate! Tutto bene, sono già al lavoro.
  • Wow! Davvero! Non ti fermi mai, eh! Quando ti concederai una vacanza?
  • Non è proprio questo il momento! Sono in piena attività.
  • Stai lavorando con Luke Windsor, vero? Beh, lui mi era sembrato davvero un ottima persona quando me lo hai presentato.
  • Ehm, veramente l’attore che mi ha assunto vuole trattare personalmente i termini del contratto..
  • Cosa? Ma chi è? Anna, stai attenta, non voglio che succeda di nuovo come…
  • Stai tranquilla Kate, non sono più una sprovveduta, ho imparato dai miei errori.
  • Chi è questo tipo? Come si chiama? Lo conosco?
  • Mah, non lo so. Io non lo conoscevo prima che mi affidassero il suo fascicolo.
  • Mi vuoi dire come si chiama?
  • Tom Hiddleston.
  • Cosa??? Come fai a non conoscerlo? È l’attore del momento, a Londra tutti lo adorano! E anche nel resto del mondo, a dire il vero.
  • Uh, davvero?
  • Ma certo! Ha cominciato con il teatro, poi ha fatto delle serie tv, ed è stato notato da Kenneth Branagh, che gli ha affidato il ruolo del villain nel colosso della Marvel Thor.
  • Kate, lo sai che io non guardo questi film tutti azione e nessuna sostanza.
  • Ti assicuro che grazie alla sua interpretazione questi film tutti azione hanno acquisito anche sostanza.
  • Boh, sarà. Magari lo guarderò.
  • Cosa sta girando adesso?
  • Veramente non lo so, io devo occuparmi del suo progetto successivo.
  • Non sai proprio niente di lui eh? È così bello anche dal vivo?
  • Uhm beh, non è male. Ha dei begli occhi.
  • Tutto qui? A me sembra di una bellezza sconvolgente.
  • Kate! Controlla i tuoi ormoni! Lo sai come è fatta questa gente! Sono persone come te che li incentivano a montarsi la testa ed a pensare che tutto è lecito per loro.
  • D’accordo, d’accordo..
  • Va bene, sorellina, ora devo lasciarti, ho del lavoro da fare. Dai un bacio ai miei adorati nipotini.
  • Ok, Anna. Ti abbraccio forte e, come sempre, stai attenta.
  • Ti voglio bene.
  • Anch’io.
Terminai la conversazione.
Quando alzai gli occhi vidi che qualcuno mi stava fissando.
Tom si era avvicinato nonostante io mi fossi spostata apposta per mantenere la privacy della mia conversazione con mia sorella.
Lo guardai strizzando gli occhi a fessura, profondamente irritata. Era chiedere troppo fare una telefonata in santa pace?
 
  • Scusa non volevo ascoltare la telefonata, ma volevo avviarmi verso la mia camera per portare via il cappotto di scena, prima volevo avvisarti, ma eri troppo presa dalla conversazione per notarmi.
  • Non fa nulla. – mentii, sperando solo che non avesse ascoltato proprio tutto il dialogo con mia sorella.
  • Proprio non ti piaccio eh?
Arrossii. Mi aveva scoperto.
 
  • Non ti conosco.
  • Però non ti prendi neanche la briga di conoscermi.
  • Io… non ho bisogno di conoscerti. Devo solo aiutarti a stipulare un contratto.
  • A tua sorella però piaccio.
Ed allora mi fece l’occhiolino e scoppiò in una sonora risata.
Certo che la sua risata era davvero contagiosa.
Anch’io mi scoprii a ridere di gusto.
Quando l’ilarità terminò, seguì un momento di imbarazzato silenzio.
Parlò lui per primo.
 
  • Adesso devo andare, devo riportare il costume di scena sul set prima che la costumista si accorga che è sparito, altrimenti mi ucciderà.
Sgranai gli occhi. Cosa poteva importare all’attore protagonista del giudizio di una semplice costumista?
 
  • Ma.. non potresti riconsegnare il cappotto domani, quando tornerai sul set?
  • Te l’ho detto! Non voglio che Jennifer se ne accorga, se no sono spacciato!
  • Allora vado io a riportarlo, è colpa mia.
  • Non se ne parla nemmeno, il soprabito era sotto la mia responsabilità.
  • Ma se non lo avessi dato a me ora non dovresti riportarlo indietro.
  • D’accordo, ascolta facciamo così. Andiamo insieme. Intanto ti porto a fare un giro sul set.
  • Va bene, andiamo. Ma non occorre che mi fai visitare il set.
  • Mi fa piacere portarti a fare un giro.
  • Non sono una fanatica dei set cinematografici.
  • Ne hai visti parecchi?
  • Qualcuno.
  • Comunque è meglio che ti cambi, laggiù, se non avessi notato, fa molto freddo.
  • Sì, ho notato. Ci vediamo qui tra un quarto d’ora?
  • D’accordo. Ti aspetto.
Salii in camera e indossai un maglione ed una giacca molto pesanti, sciarpa, guanti e berretto. Non mi sarei fatta cogliere impreparata una seconda volta.
Scesi nuovamente nella hall. Tom mi stava aspettando seduto nella solita sedia al bar, con un’altra tazza di tea in mano.
 
  • Proprio lo stereotipo dell’inglese, vero?
Mi disse ironicamente indicando la sua bevanda fumante.
 
  • Effettivamente.
  • Invece tu preferisci il caffè?
  • Ho origini italiane. Mia nonna è venuta in Inghilterra dall’Italia perché si è innamorata di mio nonno, un soldato inglese, durante la seconda guerra mondiale.
  • Che storia romantica! Magari un giorno me la racconterai?
  • Uhm. Va bene.
  • Certo che non mi rendi la vita facile, eh? Fare conversazione con te è davvero complicato. Ti assicuro che io non mi sono montato la testa e non penso che per me sia tutto lecito.
Lo guardai sgranando gli occhi. Aveva proprio ascoltato tutta la telefonata con mia sorella! E non si prendeva neppure la briga di nascondermelo. Che presuntuoso!
 
  • Non stavo parlando di te. Comunque non credo di dovermi giustificare per aver detto quello che penso a mia sorella.
  • Touchè! D’accordo non dovevo ascoltare la tua conversazione telefonica, però ho sentito pronunciare il mio nome e mi sono sentito almeno un pochino autorizzato, no?
Ed a quel punto sfoderò la sua migliore espressione da cucciolone maltrattato e così mi strappò un sorriso.
 
  • Lo prenderò per un silenzio assenso.
Nel frattempo eravamo arrivati al garage dell’albergo e lo vidi armeggiare con le chiavi di un auto.
 
  • Ma non andiamo con il tuo autista?
  • Oh, no, mi fa piacere guidare un po’ e poi oggi è il suo giorno libero, non volevo disturbarlo. Inoltre siamo in incognito, ricordi?
E mi strizzò l’occhio. Quell’uomo era una continua sorpresa, dovevo ammetterlo.
Aprì la portiera del passeggero e mi fece accomodare, richiudendola poi per andarsi a sedere sul sedile del guidatore.
Sistemò la seduta in modo da guidare comodamente. Era davvero alto, anche con i tacchi io non gli arrivavo neppure al mento.
 
  • Adesso perché mi stai fissando?
Arrossii vistosamente.
 
  • Non sei abituato? Sei un attore, immagino che quando vai in giro tutti ti fissino, no? – gli risposi sfrontatamente.
  • Sempre sulla difensiva.
  • Sono un avvocato.
  • Già, si vede. Ti piace il tuo lavoro?
  • Moltissimo.
Intanto eravamo partiti e ci stavamo dirigendo verso quella landa desolata. Per fortuna lui aveva acceso il riscaldamento ed in auto c’era un confortevole tepore.
 
  • Ci fermiamo per il pranzo in un ristorante che conosco sul tragitto, non manca molto.
  • Va bene.
Il ristorante era davvero grazioso e caratteristico.
Servivano soprattutto pesce, che io adoravo, e feci onore al menu. Avevo molto appetito, la sera prima ero andata a dormire subito, senza cenare.
Ad un certo punto vidi che mi guardava mangiare con un sorrisetto stampato su quel bel faccino.
 
  • Adesso sei tu che mi stai fissando!
  • Eheheh! È bello vedere una donna che si gusta il suo pranzo, senza pensare alle calorie che assume.
Dovetti diventare di nuovo paonazza, perché lui si affrettò ad aggiungere:
 
  • Intendiamoci, lo ritengo una cosa fantastica, nel mio ambiente vedi certe ragazze che mangiano una carota ed una costa di sedano e fanno finta di essere sazie. Lo trovo uno spettacolo riprovevole!
Gli sorrisi.
 
  • Ecco, ieri sera non ho cenato ed ora ho fame!
  • Gradisci un dessert?
  • Magari un caffè. O ancora meglio, magari più tardi una cioccolata calda. Con questo freddo!
  • Anche io adoro la cioccolata calda! Conosco un bel posticino non troppo lontano che ne serve di aromatizzate buonissime.
  • D’accordo, allora andiamo a restituire il tuo cappotto, poi al ritorno, per premio, ci aspetta la cioccolata!
Ci rimettemmo in viaggio. Il tempo stava cambiando, si preparava un bell’acquazzone.
 
  • Il tempo qui in Islanda è parecchio volubile. Potremmo beccare un bel temporale.
  • Il cellulare qui non prende?
  • Non da queste parti, ma sul set sì. Comunque non temere, di solito arriva un prodigioso temporale e dopo poco torna il bel tempo. Come ti dicevo il clima è molto variabile.
  • Ma con questo freddo nevicherà.
  • Può darsi.
Arrivammo sul set e parcheggiammo l’auto.
Tom prese il cappotto e lo nascose sotto il suo.
Non potei trattenere una risata, era troppo buffo questo omone alto quasi due metri con un cappotto sopra l’altro che sembrava l’omino della Michelin.
 
  • Non ridere! Ci scopriranno!
Si diresse verso una delle roulotte della troupe, dove immaginavo fossero conservati i costumi di scena.
Bussò, ma nessuno rispose.
 
  • Come immaginavo, a quest’ora sono tutti a vedere le riprese. Sgattaioleremo dentro non visti e lasceremo il cappotto, così nessuno si accorgerà di nulla.
Entrammo nella spaziosa roulotte. Tom si diresse con sicurezza verso una fila di abiti, tutti catalogati con un apposito cartellino identificativo, ordinatamente sistemati su un ampio appendiabiti.
Stava per riporre il cappotto su una gruccia vuota, dove era scritto il suo nome e quello del suo personaggio, quando improvvisamente qualcuno aprì la porta del van.
Allora lui con un gesto fulmineo mi prese la mano e mi spinse contro un altro appendiabiti, nascose lui e me con una pila di ingombranti vestiti di scena, spalmandomi completamente contro la parete con il suo corpo.
Avevo la schiena al muro, la guancia appoggiata al suo petto ed ascoltavo il suo battito irregolare, agitato dall’ansia di non farsi scoprire. Questo ragazzo era davvero un bambinone!
Aveva un profumo buonissimo ed avendo appoggiato le mani sul suo petto in un gesto istintivo, sentivo anche sotto il cappotto i suoi muscoli vibranti sotto le mie dita. Anche lui mi stringeva per la vita, non in modo volgare né equivoco.
Dalla mia posizione non scorgevo minimamente il suo viso, ma immaginavo il suo sorriso nell’eccitazione del momento.
Ma a cosa stavo pensando? Stupida che non sei altro? Anna, ritorna in te! Controlla gli ormoni!
Restammo immobili fintanto che le voci non cessarono e non sentimmo la porta della roulotte richiudersi.
Ebbi l’impressione che Tom indugiasse per un momento di troppo in quella posizione, poi mi liberò dalla sua stretta e mi aiutò ad uscire da quella pila di vestiti appesi.
 
  • Appena in tempo. – mi disse, mentre io cercavo di nascondere il mio imbarazzo e le mie gote arrossate con la sciarpa di lana.
  • Ora possiamo andare – proseguì, dopo aver ordinatamente appeso il suo fantomatico cappotto.
Ci dirigemmo verso l’uscita della roulotte e lui fece per aprirmi la porta, ma si bloccò.
 
  • Che succede?
  • L’hanno chiusa. È chiusa dall’esterno, non possiamo uscire.
  • COSA???
  • È chiusa a chiave, evidentemente le riprese sono finite e nessuno tornerà prima di domani mattina.
  • COSA??? Avanti prova a sfondarla!
  • Non posso. La serratura è molto resistente, non vogliono che qualcuno rubi i costumi del film.
  • Adesso provo io.
Tentai istericamente di prendere a calci e a spallate la porta, ma Tom mi prese per un braccio, prima che rischiassi di farmi male.
 
  • È inutile, ti dico. Stanno molto attenti.
  • E ora cosa facciamo? Chiama qualcuno con il cellulare!
Si frugò nelle tasche.
 
  • L’ho lasciato in auto. Il tuo?
Mi frugai nella borsa e trovai il mio iPhone.
 
  • No, no, no, NOOOOO!
  • Che succede?
  • È scarico! Maledetto iPhone! Non dura niente questa batteria!
  • Proviamo a farci sentire, magari qualcuno è ancora sul set.
  • Sì, hai ragione.
Presi ad urlare istericamente con quanto fiato avevo in gola:
 
  • AIUTOOO! SIAMO CHIUSI QUI DENTRO! C’E’ QUALCUNO CHE MI SENTE? AIUTOOO!
Nessuna risposta.
 
  • Oh no no no non c’è più nessuno, come facciamo? Farà un freddo assurdo qui dentro stanotte.
  • Stai calma. Siamo pieni di vestiti, ci copriremo bene. Spero che tu non soffra di claustrofobia.
  • No, però patisco il freddo, come hai avuto modo di notare.
  • Come vedi abbiamo molte cose per coprirci bene. Niente panico. Intanto provo a vedere se ci fossero un paio di chiavi nel quadro, in modo da accendere il riscaldamento.
Mi lasciò lì nel retro. Io stavo già tremando non so se per il pensiero del freddo che sapevo mi aspettava o per lo shock di stare vivendo quella assurda situazione.
Dopo poco tornò.
 
  • Ovviamente le chiavi se le sono portate via ed io non sono proprio capace di fare quel giochetto con i fili dell’accensione e… ma tu stai tremando?
Non risposi.
Mi venne vicino e prese a strofinarmi le braccia per scaldarmi ed al tempo stesso per cercare di consolarmi.
 
  • Sto bene. – gli dissi ad un certo punto e mi allontanai verso una delle finestre della roulotte.
Ovviamente erano chiuse e sigillate dall’esterno,  ma riuscii a scorgere qualcosa fuori.
Evidentemente mi fissai imbambolata in quella posizione perché Tom mi raggiunse immediatamente e guardò anche lui.
C’era una vera e propria tempesta di neve.
 

N.d.A.

Salve a tutte! Questa è la primissima storia che pubblico, anche se non è la prima che scrivo. 
Fonte di ispirazione costante per me è l'unico e meraviglioso Tom.
Il capitolo non è molto lungo, gli altri che seguiranno saranno un pò più lunghetti, ma mi serviva per introdurre la protagonista e la mia personalissima interpretazione del carattere di Tom e Luke.
Andando avanti con la storia saranno presenti ed avranno un ruolo importante anche altri personaggi conosciuti.
Ora finisco con le note, se no mi dilungo troppo.
Sono veramente graditissime le recensioni, essendo una esperienza nuova per me, accetto qualsiasi cosa: critiche, insulti, minacce di morte, non fatevi alcuno scrupolo!
Grazie per chi avrà la voglia e la pazienza di arrivare fino qui e/o continuare nella lettura!

 

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Capitolo 2
*** Cap. 2 La Tempesta Perfetta ***


Cap. 2. LA TEMPESTA PERFETTA
 
 
 
Ero rimasta pietrificata davanti al piccolo finestrino della roulotte ad osservare quella paurosa nevicata, che ci aveva colto in quella assurda situazione.
Mi trovavo paralizzata dal terrore. Come sarebbe andata a finire?
Ma cosa mi era venuto in mente? Perché mi ero lasciata convincere ad accompagnarlo a restituire quel maledetto cappotto?
 
  • Oh mio Dio. – furono le uniche parole che riuscii a dire.
  • Non preoccuparti, è solo un po’ di neve.
  • Solo un po’ di neve? UN PO’ DI NEVE? Domani ci troveranno dentro questa roulotte sotto “un po’ di neve”, morti assiderati!
  • Non dire assurdità.
  • Ma come puoi essere così incosciente! Non vedi che tempesta là fuori!
  • Ho visto, ma non è il caso di farsi prendere dal panico.
  • Ah, davvero? E allora sentiamo cosa proponi di fare, pazzo sconsiderato! Sono proprio ansiosa di ascoltarti!
Stavo praticamente urlando, in effetti forse potevo pure sembrare una pazza isterica, ma ero davvero terrorizzata.
Lui mi fissò per un attimo dritto negli occhi. Lesse dentro di me la paura, nascosta dietro quell’aggressività così accentuata e, nonostante avessi appena infilato un insulto dietro l’altro nei suoi confronti, mi prese per le spalle e mi parlò con dolcezza, ma anche con fermezza.
 
  • Allora, adesso ci prepareremo per affrontare la notte. Metteremo qualcosa in terra per fare una specie di materasso e ci copriremo con tutto quello che abbiamo. Siamo comunque al riparo, non ci accadrà nulla. Staremo al caldo. Non permetterò che ti accada nulla.
Mi fissava con quei suoi favolosi occhi verde mare, come per assicurarsi che lo avessi ascoltato ed avessi capito tutto quello che mi aveva detto.
Annuii senza parlare.
Lui mi lasciò e prese ad impilare una serie di mantelli e vestiti sul pavimento del van.
Quindi non solo dovevo affrontare la tempesta di neve, ma ero anche destinata a dovermi sdraiare sul pavimento di una roulotte in compagnia di uno sconosciuto.
La cosa si faceva potenzialmente pericolosa. Non solo rischiavo la morte per congelamento, ma come potevo fidarmi di questo bizzarro attore che mi aveva messo in quella strana situazione?
E se l’avesse fatto apposta? Portarmi in quel luogo sperduto quando ormai era deserto e poi…
No. Non era possibile. Non pensavo che fosse così idiota da rischiare la sua stessa vita. Era una assurda paranoia. O almeno lo speravo.
Nel frattempo lui sistemò anche qualche capo che potesse fungere da cuscino.
 
  • Stenditi. Prima infila anche questo. – Mi  disse, porgendomi il suo cappotto.
Io obbedii.
 
  • Questa è la causa di tutti i nostri guai. – replicai, riferendomi al soprabito con il collo di pelliccia che mi aveva appena ordinato di indossare.
  • Adesso ringrazia che ce l’abbiamo. È la cosa più pesante che ho trovato.
  • Riesci sempre a vedere il lato positivo delle cose o ti trasformi in Pollyanna solo quando ci sono io nei dintorni?
  • Eheheh! Veramente cerco di essere sempre una persona ottimista, se posso. Trovo che sia un utilizzo migliore del mio tempo.
  • Questa puoi riciclarla per la prossima intervista. Sempre se usciamo vivi di qui.
  • Tu invece sei sempre così astiosa o solo quando te la fai sotto dalla paura?
Arrossii e non risposi. Forse dovevo darmi una calmata. Dopotutto lui cercava di essere gentile.
Poi prese a lanciarmi addosso tutto quello che trovava.
 
  • Ehi! Cosa fai?
  • Copriti con tutta questa roba, così non dovresti avere freddo.
  • E tu?
  • Adesso arrivo anch’io, non temere.
Conservò per sé un'unica pesante tunica scura e si distese accanto a me.
 
  • Così non hai mai visto neppure un mio film?
Mi chiese a bruciapelo, poggiando il gomito sul materasso improvvisato e sorreggendosi con la mano a pugno sulla tempia.
 
  • Come?
  • Hai detto al telefono a tua sorella che non vedi questo genere di film. Ma io non ho lavorato solo in film come Thor.
  • Oh, davvero? Adesso cosa stai girando?
  • Thor 2.
  • Appunto.
  • Eheheh! Ti ripeto che non ho fatto solo questo genere di ruoli.
  • Ok, ti ascolto. Illuminami.
  • Per esempio l’anno scorso ho interpretato Henry V per una serie prodotta dalla BBC.
  • Shakespeare? Addirittura? Interessante. Devo essermela persa.
  • Tu lavori troppo. Ti perdi le cose migliori della vita.
  • E suppongo che tu ti ricomprenda tra esse.
  • Andiamo, sto scherzando!
  • Voi attori non scherzate mai quando si tratta di ingigantire il vostro ego, già abbastanza  smisurato.
  • Va bene allora, basta parlare di me. Parliamo invece di te. Dovrai avere un buon motivo per odiare tanto la mia categoria professionale. Sono proprio curioso di conoscerlo.
  • Non sono affari tuoi.
  • Oh, avanti, andiamo.
Ma chi si credeva di essere questo arrogante presuntuoso per pretendere che gli facessi questo genere di confidenze? Nonostante la mia evidente chiusura lui continuò:
 
  • Adesso sono davvero curioso! Non dirmi che è di una tale banalità: forse un attore ha catturato il tuo cuore e poi lo ha spezzato? È così? È così?
Ma come osava parlarmi del mio passato senza sapere un accidenti di niente di me? Come poteva sminuire così quello che mi era accaduto non conoscendo minimamente i fatti?
 
  • Sta zitto. Solo puoi stare zitto?
Mi girai dall’altra parte, tentando di ricacciare indietro le lacrime, ma era tardi.
Lui se ne accorse e parve davvero stupito e amareggiato.
 
  • Mi dispiace. Davvero mi dispiace.
Mi prese per una spalla e mi fece voltare.
 
  • Perdonami, sul serio, sono stato tremendamente indelicato. Davvero. Scusami.
  • Va bene. Non parliamone più – ricacciai indietro le lacrime.
  • Solo vorrei sapere perché mi odi tanto.
  • Non ti odio.
  • Sei piena di pregiudizi! Prima o poi ti costringerò a dirmi perché.
  • Scordatelo.
Nel frattempo era calato il buio e la temperatura era notevolmente scesa.
Cambiai discorso.
 
  • Pensi che dovremmo stare svegli per tutta la notte per evitare l’assideramento? – gli chiesi. – Nei film si vede sempre che i protagonisti fanno un immensa fatica per cercare di rimanere svegli durante le tormente di neve.
  • Eheheh! Non credo che sia questo il nostro caso, non siamo là fuori senza un rifugio. Comunque, se vuoi, un modo per tenerti sveglia lo trovo.
Mi guardò con un’espressione che pareva essere scherzosa, ma anche maliziosa.
Gli restituii uno sguardo che non aveva nulla di ammiccante.
 
  • Scherzavo! Puoi stare tranquilla, non ti importunerò. – mi rispose alzando le braccia con aria innocente.
  • Comunque resta il fatto che morirò di freddo!
  • Ancora? Come puoi avere ancora freddo, avrai sopra quindici strati di vestiti!
  • Sono parecchio freddolosa. Non saremmo qui se non lo fossi. Tu non mi avresti prestato questo dannatissimo cappotto, non saremmo venuti fin qui per restituirlo e non ci troveremmo in questa maledetta…
  • Dai, forza vieni qui. - A quelle parole aprì le braccia, scostando la sua coperta improvvisata e mi fece segno di avvicinarmi a lui.
  • Cosa?
  • Ci scalderemo a vicenda. Anche questo lo avrai visto nei film, no?
  • Sì, ma…
  • Ti ho già detto che non mordo. E non mi approfitterei mai di una situazione come questa.
E io come potevo esserne sicura? Non sapevo assolutamente niente di lui. Però purtroppo era capitato che mi trovassi in questa assurda circostanza con una persona totalmente sconosciuta. Potevo solo cercare di sopravvivere.
 
  • …. D’accordo.
Mi accoccolai accanto a lui. Come faceva ad essere così caldo? Tom mise un braccio attorno alle mie spalle e sotto la mia testa e mi strinse a sé.
Molto meglio.
Evitai di pensare alle sensazioni che quel contatto mi provocava.
Non era certo facile però. Non mi consideravo proprio una persona che si lasciava andare facilmente, tuttavia non feci alcuna fatica a stringermi a lui, godendomi il tepore che quella vicinanza mi regalava.
Dovevo evitare di perdermi nei miei pensieri, quindi presi a riflettere su questioni più pratiche.
 
  • Domani dobbiamo fare in modo di svegliarci prima che arrivi qualcuno e sistemare tutto questo casino prima che ci scoprano. – gli dissi, tentando di ragionare su qualcosa che non fosse il suo corpo caldo che premeva contro il mio.
  • Ho paura che ci scopriranno lo stesso.
  • Perché?
  • Siamo spariti per un giorno intero, si saranno chiesti che fine abbiamo fatto.
  • Parla per te. Io oggi ho parlato con mia sorella, quindi ho esaurito tutti quelli che potevano preoccuparsi per la mia incolumità.
  • I tuoi genitori?
  • Morti quando eravamo piccole.
  • Mi dispiace. Come è successo?
  • Un incidente stradale. Dovevamo essere in auto anche noi, ma all’ultimo momento la mamma ha cambiato idea e ci ha lasciato con la nonna. Così mi hanno raccontato.
  • Scusa, non volevo rattristarti.
  • Non fa niente. Neanche me li ricordo, sai? Devo fare uno sforzo enorme per farmi venire in mente un ricordo della mia infanzia che li coinvolga.
  • Chi vi ha allevato?
  • La nonna. Io porto il suo nome. Era una donna meravigliosa e non ci ha fatto mancare nulla.
  • Ne sono sicuro.
  • Però per te il discorso è diverso. Chissà quanti ti avranno cercato. Saranno tutti preoccupati ed è tutta colpa mia.
  • Oh, al massimo mi avrà cercato Chris per andare a farci una bevuta insieme e due chiacchiere. Magari mia sorella Emma. Forse anche Luke.
  • Appunto. Chi è Chris?
  • Come chi è? Chris Hemsworth, il protagonista del film, il dio del tuono Thor. È il mio migliore amico. Dimenticavo che non guardi certi film.
  • Mia sorella dice che dovrei vederlo.
  • Mi piacerebbe conoscere tua sorella, già mi è simpatica!
  • Mia sorella è off limits! È sposata e ha due figli.
  • E tu?
  • Io cosa?
  • Fidanzata?
  • No.
  • Quanti anni hai? Sembri giovane per essere già un avvocato affermato.
  • Non sono un avvocato affermato. E non si chiede l’età ad una donna, Mr. Baciamano! Comunque ho trentadue anni.
  • Come me.
  • Già.
  • Lo sapevi? Allora qualcosa di me lo sai!
  • Solo quello che c’è nel tuo fascicolo, oltre a quello che mi ha detto oggi mia sorella.
  • Cosa ti ha detto tua sorella?
  • Meglio che rimanga fra lei e me. Almeno quel poco della conversazione che non sei riuscito ad ascoltare.
  • Oh avanti! Ora sono curioso!
  • Mi ha chiesto se sei affascinante dal vivo come sullo schermo.
  • E tu cosa hai risposto?
  • Non potevo rispondere. Non ti ho mai visto sullo schermo.
  • A questo possiamo rimediare.
  • Va bene, mi avete convinto. Prometto che guarderò il tuo film.
  • Finalmente!
  • Adesso smettila di fare domande e lasciami dormire.
  • Scusi, avvocato. È lei che mi ha chiesto di tenerla sveglia.
  • Intendi parlare a vanvera tutta la notte?
  • Perché no? Sono un ottimo conversatore.
  • C’è qualcosa che ritieni di non saper fare in modo eccellente?
  • Non saprei, dunque, vediamo…  -  finse di riflettere, portandosi un dito alle labbra e fissando il soffitto.
Gli assestai un leggero pugno sul fianco. Lui si ritrasse ed istintivamente mi bloccò il polso con la mano.
 
  • Lasciami! – mi divincolai immediatamente e lui subito mollò la presa.
Più tranquilla gli sorrisi ed anche lui si rilassò nuovamente.
 
  • Devo dedurre che il calore è sufficiente e non temi più di morire assiderata.
Effettivamente mi ero rilassata. Anzi, mi ero proprio sciolta nel suo abbraccio. Anche troppo.
 
  • Grazie sì, va molto meglio. Anzi scusa per la scena isterica di prima, di solito non sono così… diciamo… emotiva..
  • Me ne ero accorto. Non fa male lasciarsi andare ogni tanto.
  • Non è nel mio stile.
  • Lo vedo.
  • Mmh. Buona notte.
  • ‘notte.
 
 
 
 
Mi svegliai sentendo dei rumori accanto a me.
Tom stava cercando di sistemare come poteva tutto il disastro che avevamo combinato nella roulotte per stare al caldo.
 
  • Oh dio! Stanno arrivando? Sono già qui?
  • Buongiorno! Hai visto che siamo entrambi sopravvissuti?
  • Buongiorno. Sono arrivate le costumiste?
  • No, non ancora.
  • Ah, per fortuna. Che ore sono?
  • Le cinque.
  • Cosa?
  • Qui sul set si comincia presto. Truccatori, parrucchieri e costumisti arrivano all’alba per sistemare gli attori. Soprattutto in film come questi.
  • Si è vero. Lo sapevo. Anche gli orari di lavoro ovviamente sono oggetto dei contratti.
Mi alzai e presi ad aiutarlo a mettere a posto gli abiti di scena.
Intanto sbirciai fuori. C’era parecchia neve, però la temperatura si era già alzata rispetto alla notte precedente e pian piano la coltre bianca si stava sciogliendo.
 
  • Dobbiamo trovare un posto dove nasconderci e poi uscire senza essere visti. Poi potrai prendere la mia auto e tornare in albergo, io mi farò dare un passaggio da qualcuno alla fine delle riprese. – mi spiegò lui, molto pragmaticamente.
  • Va bene, grazie. Usciremo da qui uno per volta, così non rischieremo di essere visti insieme.
  • Ti darebbe proprio così tanto fastidio se qualcuno ci vedesse insieme?
  • Non sono io l’attore inseguito dai paparazzi. E comunque temo che neanche la mia carriera  trarrebbe un gran giovamento se mi facessi beccare all’alba con un mio cliente, per poi finire sui giornali di gossip.
  • D’accordo, d’accordo. Molto saggia, come al solito. Uscirai prima tu, allora, così farai sparire l’auto il più presto possibile. Io posso sempre dire che ero qui dentro per i costumi.
  • Perfetto.
Proprio in quell’istante sentimmo la chiave scattare nella serratura  della roulotte.
Esattamente come la sera prima, Tom mi prese una mano e mi spinse addosso a lui verso l’appendiabiti che avevamo appena sistemato, nascondendoci sotto la solita pila di costumi.
Questa volta lui aveva le spalle al muro ed io ero pigiata contro di lui, che mi teneva stretta a sé per nascondermi meglio alla vista delle due costumiste che erano entrate.
E che non accennavano a voler uscire.
Parlavano del più e del meno, preparando i costumi. Non potei fare a meno di ascoltare la loro conversazione.
 
  • Lo sai che il nostro amato Hiddleston è disperso? – fece la più anziana delle due.
A quelle parole ebbi un sussulto. Tom se ne accorse e mi strinse ancora di più a sé.
 
  • Sì, ho sentito in giro. Sembra che da ieri non risponda più al telefono. L’autista non l’ha più visto da ieri mattina.
Oh no! Quanto ci avrebbero messo a collegare il nostro appuntamento della mattina precedente alla sua sparizione? Senza dubbio Luke, che sapeva che dovevamo incontrarci, avrebbe fatto due più due.
Alzai lo sguardo per incontrare il suo, che come sempre mi sovrastava di una buona quindicina di centimetri, ma lui non pareva particolarmente turbato.
 
  • Sembra che queste due pettegole non si decidano ad andarsene. – mi sussurrò piano avvicinandosi al mio orecchio – quindi dovrai uscire approfittando di un momento di distrazione. – mentre parlava con quella sua voce suadente ad un centimetro dal mio orecchio, mi prese una mano, me la aprì e mi consegnò le chiavi dell’auto.
Quanto poteva essere sexy solo porgendomi un mazzo di chiavi?
Lo guardai senza parlare, aggrottando le sopracciglia, con un’espressione che intendeva significare qualcosa tipo: e come accidenti faccio ad uscire senza farmi vedere?
Cercai di capire dove si trovassero le costumiste per vedere quanto fossero distanti dalla porta della roulotte.
Ovviamente erano praticamente di fronte.
Quando ormai sembrava che dovessimo stare lì nascosti per ore, finalmente si presentò un’occasione.
Ad una delle due squillò il cellulare ed uscì per rispondere.
L’altra stava rovistando in uno scatolone lontano dalla porta.
Quando mi accorsi che poteva essere un buon momento, scivolai via fulminea dalla stretta di Tom e in punta di piedi arrivai alla porta.
Agguantai la maniglia e mi precipitai fuori. Richiusi piano la portiera, mentre mi guardavo velocemente intorno per vedere se qualcuno mi avesse notato.
Per fortuna c’era un intenso viavai di persone già al lavoro e nessuno mi conosceva, per cui arrivai indisturbata al parcheggio. 
Mi infilai in auto e finalmente tirai un sospiro di sollievo.
Non potevo crederci. Ero uscita praticamente indenne da quella situazione al limite del paradossale.
Non ero abituata a guidare con la neve, ma quel giorno filai via dal set come una furia.
Feci il viaggio verso l’hotel senza fermarmi un attimo.
Giunta nel garage dell’albergo mi accorsi che sul cruscotto dell’auto c’era il cellulare di Tom.
Istintivamente lo presi e lo cacciai in borsa, poi mi rifugiai immediatamente in camera.
Misi subito in carica il mio telefono.
Cominciarono ad arrivare gli sms di avviso delle chiamate perse.
Due di mia sorella, una del mio capo e… dieci di Luke!
Mi concessi un lungo bagno rilassante e mi cambiai, poi richiamai prima di tutto il mio datore di lavoro.
Lo rassicurai del fatto che tutto procedeva bene, che però questa volta l’attore non voleva intermediari, quindi ci sarebbe voluto forse più tempo. Lui mi disse di prendermi tutto il tempo necessario, essendo un cliente molto importante.
Chiusi la telefonata riflettendo su cosa avrebbe detto il mio capo se avesse saputo che avevo dormito con il “cliente molto importante” la sera dopo che lo avevo conosciuto.
Al solo pensiero mi coprii il volto con le mani per la vergogna, nonostante fossi nella solitudine della mia stanza.
Poi richiamai mia sorella.
 
  • Anna! Cominciavo a preoccuparmi!
  • Ciao Kate!
  • Perchè non hai risposto?
  • È una lunga storia.
  • Ti ascolto.
  • Sono rimasta bloccata tutta la notte in una tempesta di neve.
  • Bloccata dove?
  • Dentro una roulotte.
  • Una roulotte? Sul set?
  • Esatto.
  • E non potevi chiamare qualcuno?
  • Iphone scarico.
  • Eri da sola?
  • Ehm.. no.
  • Con chi eri?
  • Con Tom.
  • Tom? Tom Hiddleston?
  • Chi altri?
  • Vuoi dirmi che hai passato la notte chiusa in un camper con Tom Hiddleston?
  • Si, ma non è successo niente di quello che tu pensi. Una costumista è uscita e ci ha chiusi dentro a chiave perché non ci ha visti. Poi lui aveva lasciato il cellulare in auto ed il mio era scarico. E fuori c’era anche una tormenta di neve. Insomma è stata un’esperienza tutt’altro che piacevole e…
  • Quando parli così a raffica sei a disagio.
  • Cosa? Che dici?
  • Ti conosco troppo bene. Magari non sarà davvero successo niente, ma quell’uomo non ti è indifferente.
  • Ma che dici? Lo conosco da due giorni! Lo sai che non sono proprio il tipo per queste cose.
  • C’è sempre una prima volta, tesoro.
  • Non succederà nulla, ti dico.
  • Anna, stai attenta, lo sai, te lo dico sempre. Ma non precluderti qualcosa di bello se pensi che possa farti del bene.
  • Kate, basta con questa storia! Ti dico che non è successo e non succederà nulla! Non mi sono dimenticata l’ultima volta che ho creduto di potermi fidare di un attore.
  • Sorellina, tu hai ragione a fare attenzione, ma gli uomini non sono tutti uguali. Per fortuna esistono anche brave persone. Per esempio io adoro mio marito e lui mi ama e abbiamo due bambini stupendi.
  • Lo so, tu hai la famiglia perfetta. A me non capiterà mai questa fortuna.
  • Perché?
  • Lo sai perché. Io sono, in qualche modo… corrotta..
  • Ma cosa stai dicendo! Levati dalla testa queste stronzate! Quante volte ti ho detto che non è stata colpa tua. Certo che troverai una persona che ti amerà alla follia. Te lo meriti.
  • Va bene, grazie sorellona. Ti voglio bene.
  • Anch’io ti voglio bene. Ora devo andare, i ragazzi reclamano la mia presenza.
  • Ok, ti abbraccio.
  • Bacio, ciao.
  • A domani.
Terminando la conversazione mi resi conto che non toccavo cibo dal giorno prima a pranzo.
Ed era ormai pomeriggio, così chiamai il servizio in camera e mi feci portare un club sandwich e un bicchiere di latte.
Il cellulare prese a squillare.
Era Luke!
Merda!
Cosa potevo dirgli?
Senza dubbio aveva già parlato con Tom, che gli aveva fornito le sue spiegazioni, ma io cosa potevo dire? Non potevo sapere se lui aveva riferito che effettivamente ci eravamo visti la mattina precedente. Se non avessi confermato la sua versione senza dubbio la cosa sarebbe risultata molto sospetta.
Ma era possibile che in una notte di inutili chiacchiere non fosse venuto in mente a nessuno dei due di concordare una versione da fornire a chi avesse chiesto?
Comunque non rispondere alla sua chiamata sarebbe risultato ancora più sospetto, quindi risposi.
 
  • Ciao Luke!
  • Anna, come stai?
  • Oh, abbastanza bene, grazie.
  • Sai, mi stavo chiedendo se…
In quell’istante bussarono alla porta. Salvata dal servizio in camera! Caspita, erano davvero stati solerti!
 
  • Luke scusa, hanno bussato alla porta, deve essere il servizio in camera, ti posso richiamare? Non ho mangiato molto oggi e muoio di fame.
  • Uhm, certo. A dopo.
  • Grazie, ti richiamo io.
Sospirai di sollievo e mi accinsi ad aprire al cameriere.
Spalancai la porta e rimasi di stucco.
 
  • Tom!
  • Ciao!
Allora lo presi per il colletto della camicia e quasi lo trascinai dentro la camera, chiudendo velocemente la porta.
 
  • Che ti prende?
  • Cosa accidenti hai raccontato a Luke e agli altri per giustificare la tua sparizione di ieri e stanotte? Possibile che non ci sia venuto in mente di concordare una versione dei fatti? Luke sapeva che dovevamo vederci ieri mattina e da quel momento tu sei sparito! E lui mi ha chiamato dieci volte ieri! E una poco fa.
  • Calmati, è tutto sotto controllo.
  • Davvero? Allora cosa devo dire a Luke?
  • Ecco, gli ho detto che ci siamo effettivamente visti, però poi dopo aver parlato un po’ del contratto tu ti sei messa a lavorare nella tua camera ed io sono andato nella mia e mi sono addormentato.
  • E questa sarebbe la tua spiegazione? Mi sembra un po’ carente come versione. Perché entrambi non abbiamo risposto al telefono?
  • Non lo so, ha preso alla sprovvista anche me! Io non ho risposto perché dormivo, e tu.. non so… troppo presa nel lavoro?
  • Ma che accidenti di spiegazione è? Ti pare minimamente credibile? Mi ha chiamato dieci volte! Sicuramente avrà pensato che tu fossi con me!
  • Te l’ho detto, non essendoci preparati nulla mi ha preso in contropiede e non mi è venuta una storia migliore.
  • Io spero solo che non si faccia troppe domande… pensavo che le tue doti di improvvisazione fossero migliori! Non hai cominciato in teatro?
  • Veramente ho anche studiato alla RADA.
  • E non vi insegnano ad improvvisare un po’ meglio?
Scoppiò a ridere, nonostante la mia faccia infuriata.
Sorrisi a mia volta.
 
  • Ok. Non importa. Almeno nessuno ha scoperto la faccenda della notte in roulotte.
Bussarono alla porta.
 
  • Chi è? -  mi chiese.
  • Servizio in camera. Nasconditi in bagno, presto!
Lui obbedì e chiuse la porta dietro di sé.
Aprii al cameriere che reggeva un grande vassoio con quanto avevo chiesto.
Entrò con discrezione e lo appoggiò sulla scrivania.
Lo ringraziai, gli diedi una piccola mancia e lo congedai.
La tentazione di lasciare Tom lì chiuso nel bagno per un po’ era molto forte, ma mi decisi ad avvisarlo che poteva uscire.
 
  • Puoi uscire adesso.
La porta si aprì e lui venne avanti, soffermandosi sul vassoio.
 
  • Questa sarebbe la tua cena?
  • Sì.
  • Stai scherzando?
  • Perchè? Non ho mangiato oggi e stasera volevo lavorare un po’, così ho chiamato il servizio in camera.
  • Non se ne parla. Lavorerai domani. Stasera usciamo a cena.
Cosa? No! Non possiamo farci vedere insieme. Non dopo ieri e stanotte.
 
  • Andremo in un posto che non conosce nessuno. Ed io ti devo sempre una cioccolata calda, ricordi?
A quelle parole si avvicinò e allungò una mano verso di me, per aiutare ad alzarmi dalla poltrona dove ero sprofondata.
Pensai che dopo tutto era solo una cena. Dovevo pur mangiare, no?
Il vero problema era che non riuscivo proprio a dirgli di no.
Specialmente quando mi guardava con quei suoi occhi magici ed il suo irresistibile sorriso.
Allungai la mano per accettare il suo aiuto, Tom la afferrò e mi spinse su. La spinta era forse un po’ troppo forte, così finii quasi a sbattere contro il suo petto.
Alzai il viso per incontrare il suo sguardo.
Mi fissò per un lungo momento intensamente negli occhi, poi disse:
 
  • Prima di andare ho bisogno di un paio di cose da te.
Lo osservai sbarrando gli occhi. A cosa si stava riferendo? Dopo una lunga pausa rispose al mio sguardo interrogativo:
 
  • Il cellulare e le chiavi della macchina.
 
 
 
N.d. A.
 
 
 
Il mistero si infittisce…
Cosa sarà successo alla protagonista per renderla così diffidente?
Lo scopriremo nella prossima puntata… ehm, volevo dire, nel prossimo capitolo.
Non so davvero come ringraziare chi ha recensito, seguito, ricordato la mia storia.
Mi aiuta davvero tanto, continuate così, perfavore!
Cercherò di aggiornare prima di partire.
Ebbene sì, vado a Londra a vedere Coriolanus a teatro.
Non vedo l’ora!
Tom, I’m coming!
 
 
 

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Capitolo 3
*** Cap. 3. La Confessione ***


Cap. 3. LA CONFESSIONE
 
 
 
Come promesso, mi portò in un ristorante delizioso.
Conosceva tantissimi locali, nonostante si trovasse in territorio straniero. Mi chiesi chi ci portasse e con quale frequenza. Che mi prendeva? Non potevo certo essere gelosa!
Avevo innegabilmente molta fame e come al solito feci onore al menu.
Questa volta toccava alla carne.
Io ordinai agnello al forno e tagliere di formaggi tipici.
Mi stava di nuovo osservando mangiare avidamente.
 
  • La smetti di fissarmi?
  • Scusami. Ma osservarti mentre mangi è un vero piacere per gli occhi.
  • La prossima volta giuro che ordino solo un’insalata.
  • No, per favore. Potrei passare le giornate a guardarti.
Lo guardai strizzando gli occhi a fessura, minacciosa.
 
  • Va bene, non ti importuno più. Non vuoi proprio un po’ di vino? Si accompagnerebbe benissimo con quei formaggi.
  • No, grazie. Non bevo, sono astemia.
  • D’accordo. Da una maniaca del controllo come te non potevo aspettarmi nulla di diverso.
  • Non sono maniaca del controllo.
  • Solo un tantino..
Gli scoccai un’occhiataccia, ma sorrisi.
Uscimmo dal locale e salimmo in auto.
 
  • Adesso missione cioccolata calda.
  • Ma sei sicuro? È già tardi e domani immagino che dovrai essere sul set all’alba.
  • Certo che sono sicuro. Adoro la cioccolata! E poi una promessa è una promessa.
Così andammo in questo meraviglioso cafè non molto distante dal set.
Ne valeva proprio la pena. La cioccolata era deliziosa. La prediligevo fondente, più pura possibile e scoprii che era anche la preferita di Tom.
 
  • Vedi, alla fine abbiamo trovato qualcosa che abbiamo in comune. – mi disse mentre tornavamo in hotel.
  • Proprio l’unica.
  • Ancora non mi sopporti? Speravo che conoscendomi mi avresti almeno trovato un po’ simpatico o divertente.
  • Divertente? Ieri notte per poco non siamo morti!
  • Non è colpa mia se ho dovuto restituire l’abito di scena che mi hai sottratto con l’inganno!
  • Adesso mi si accusa di appropriazione indebita!
  • Si difenda, avvocato.
  • I peggiori avvocati si difendono da soli, chiamerò il mio legale di fiducia.
  • Chi è?
  • Mia sorella naturalmente!
  • Così finalmente potrò conoscere l’unica mia fan nella tua famiglia.
  • E magari insieme mi costringerete con la forza a vedere un tuo film.
  • Non vale! Ieri avevi detto che lo avresti guardato. Io oggi ho mantenuto la mia promessa con la cioccolata, domani tocca a te. Non hai scampo. Proiezione privata di Thor domani sera, alla presenza di uno dei protagonisti.
  • Uhm, non vedo l’ora – gli risposi sarcastica – cosa potrei volere di più?
Eravamo ormai arrivati alla porta della mia camera.
Tom si era avvicinato. Pericolosamente.
 
  • Potrebbe esserci qualcosa.
E continuò fissarmi con quei due laghi immensi. Non distolsi lo sguardo. Cosa intendeva?
 
  • Potresti ottenere la presenza di entrambi i protagonisti! Chris è solo da due sere e non è abituato a dividermi con nessuno. Ti va se gli dico di venire?
  • Eh? Oh! Ma non è il caso, lo avrete già visto infinite volte, voi uscite, me lo guarderò da sola.
  • Non se ne parla! Allora è deciso. Ci vediamo qui domani sera per le otto. Per stavolta ordineremo qualcosa con il servizio in camera. A domani.
Si avvicinò lentamente e mi diede un bacio a stampo sulla guancia.
Poi si allontanò e mi fece un saluto con la mano, avviandosi verso la sua stanza.
Io mi chiusi la porta alle spalle e restai per un attimo appoggiata ad essa.
Cosa mi stava succedendo?
Quel ragazzo mi piaceva.
Non potevo negarlo.
Quando mi aveva sfiorato la guancia con le labbra ero stata attraversata da un brivido.
Ed era così piacevole perdersi in quei suoi meravigliosi occhi verdi.
Mi preparai per la notte, confusa ed indecisa su come comportarmi.
Mia sorella mi chiedeva di stare attenta, però poi si rimangiava tutto dicendo di non lasciarmi scappare un’occasione per essere felice.
La mia occasione, se mai ne avessi avuta una, non sarebbe mai arrivata con un attore.
Dovevo allontanarmi da lui, prima che fosse troppo tardi e mi facesse soffrire.
Il problema era che proprio non riuscivo a dirgli di no.
Dovevo trovare il modo.
Ci avrei pensato l’indomani.
Andai a dormire, il giorno successivo mi attendeva una lunga giornata di lavoro.
Volevo cominciare a scrivere la bozza del contratto per Tom seguendo le indicazioni che mi aveva dato il giorno precedente.
Prima avessi finito il lavoro e più presto mi sarei allontanata da lui. Per sempre.
Mi rigirai nel letto per parecchio tempo prima di riuscire a prendere sonno.
 
 
 
L’indomani mi svegliai piena di buoni propositi.
Scesi nella hall a fare colazione. Non vidi nessuno di conosciuto.
Però mi venne in mente che avevo dimenticato di richiamare Luke il giorno precedente.
Mi ripromisi di farlo appena tornata in stanza.
Lui era una brava persona e non meritava che a causa del suo “protetto” io lo ignorassi.
Finita la colazione tornai in camera, mi feci la doccia e mi preparai per uscire.
Volevo visitare un po’ i dintorni, poteva non capitarmi più di visitare l’Islanda!
Mi sarei portata dietro il pc, magari poi mi sarei seduta ad un cafè a bere una cioccolata ed intanto avrei scritto la bozza.
Mentre chiedevo alla receptionist di chiamare un taxi che mi portasse in centro, telefonai a Luke.
 
  • Pronto, Anna!
  • Ciao Luke, perdonami se poi ieri non ti ho richiamato,  ma ho mangiato e poi sono crollata. – mentii.
  • Non importa, figurati.
  • Cosa volevi dirmi?
  • Ah, sì. Ecco io… mi chiedevo.. se ti andasse di venire a cena con me stasera.
Rimasi con un palmo di naso. Luke mi stava chiedendo di uscire? No, senz’altro stavo equivocando. Sapendo che non conoscevo nessuno voleva solo essere cortese. D’altronde era da lui, si comportava sempre in modo davvero gentile e premuroso.
Ma io quella sera ero già impegnata.
 
  • Ti ringrazio Luke, ma oggi purtroppo devo finire un lavoro urgente che mi ha assegnato ieri il mio capo e che devo poi inviargli via email. Potrei metterci tutta la sera e forse parte della notte.
  • Oh. – sembrava deluso, forse credeva che fosse una scusa – ed effettivamente lo era.
  • Però domani sera verrei volentieri a cena con te, sempre che l’invito sia sempre valido e tu non abbia altri impegni.
  • No, certo. Domani sera va benissimo. Perfetto. Allora ci sentiamo poi e ci mettiamo d’accordo.
  • Va bene, grazie Luke.
  • Grazie a te! A domani.
Intanto ero salita sul taxi e stavo per arrivare in centro a Reykjavik.
Avevo una piccola mappa che mi avevano dato in albergo, dove erano segnate tutte le principali attrazioni turistiche.
Cominciai la visita e mi fermai solo all’ora di pranzo per un toast.
Intanto che consumavo il mio pranzo, accesi il pc e cominciai a scrivere la bozza del contratto.
Dopo qualche tempo chiusi il pc, volevo godermi ancora un po’ la città.
Poi sarei andata con il taxi nel cafè della sera prima a bere la cioccolata calda.
Il tempo dedicato alla visita della città volò, così presi il taxi, che mi depositò di fronte alla tavola calda.
Stavo giusto gustando la mia cioccolata ed aprendo il pc per continuare a lavorare, quando il cellulare squillò.
Non riconobbi il numero, comunque risposi.
 
  • Ciao! Dove sei?
  • Pronto? Con chi parlo?
  • Sono Tom!
  • Oh, ciao… chi ti ha dato il mio numero?
  • Luke me l’ha dato.
  • Lo hai chiesto a Luke? Ma ti sembrava proprio il caso? Già potrebbe sospettare qualcosa.
  • Non sospetta nulla, fidati.
  • E come lo sai?
  • Lo so e basta. Ora ti dispiace dirmi dove sei?
  • Sono a prendere una cioccolata nel locale di ieri sera.
  • Uhm. Golosa! Noi siamo di ritorno dal set e siamo proprio vicino, tu sei in auto?
  • No, sono venuta in taxi.
  • Allora ti passiamo a prendere. Tra cinque minuti siamo lì.
  • D’accordo.
Perfetto.
Non erano neppure le sei ed io contavo di starmene in pace almeno per un’altra ora, poi tornare con calma in hotel, farmi una doccia e prepararmi per la serata blockbuster.
Invece mi portavo sul viso tutta la giornata passata in giro. E due attori super in forma stavano per passare a prendermi.
Ma non era affatto un problema. Intanto sarebbe stata una serata tranquilla sul divano con due ragazzi a guardare un film. Con il piccolo dettaglio che i miei compagni di divano erano i due protagonisti principali del suddetto film.
 
  • Ciao!
Erano già arrivati.
 
  • Ciao!
Mi alzai per presentarmi all’amico di Tom.
 
  • Sono Anna, piacere di conoscerti!
  • Sono Chris, piacere mio.
Che gigantesco ragazzone! Biondo, capelli lunghi raccolti in una sorta di codino, muscoloso, Chris era l’opposto dell’amico. Tranne che per l’altezza: erano entrambi almeno un metro e novanta. Forse Chris superava l’altro di qualche centimetro.
 
  • Andiamo?
  • Si, chiudo il pc e sono pronta.
  • Sei al lavoro sul contratto di Tom?
  • Sì.
Ci avviammo verso l’auto.
 
  • Ci fermiamo a prendere qualcosa da mangiare? – suggerì Tom.
  • D’accordo.
  • Pizza? – propose Chris.
  • Adoro la pizza! – esclamai.
  • Dimenticavo le tue origini italiane. Vada per la pizza, allora.
  • Io conosco un posto non lontano dall’albergo. Certo non sarà all’altezza della vera pizza italiana, però…
  • In verità nemmeno io l’ho mai assaggiata.
  • Non sei mai stata in Italia? – si stupì Tom.
  • No. Vorrei sempre andarci, ma poi alla fine non riesco mai.
  • Te l’ho detto che lavori troppo. Un giorno andremo ad assaggiare la vera pizza napoletana.
Prendemmo una pizza gigante, già divisa in spicchi, ed arrivammo in hotel.
 
  • Dove andiamo a vedere il film?
  • Potremmo andare nella suite di Tom. Come al solito ha spuntato la stanza migliore. – disse Chris.
  • Oh. D’accordo.
Credevo che sarebbero venuti nella mia camera. Ma effettivamente dubitavo che saremmo stati tutti sul piccolo divano. Mi sentivo un po’ a disagio ad entrare nella sua camera, ma ragionevolmente la suite doveva essere più confortevole e spaziosa.
Ed infatti lo era. C’era un enorme salone doppio, con gigantesca tv a schermo piatto. Antibagno e bagno con tanto di vasca idromassaggio ed una enorme camera da letto.
 
  • Wow! – mi lasciai sfuggire.
  • Te l’avevo detto che lui spunta sempre le camere migliori! Anche io ho una suite, ma non è paragonabile a questa. – tenne a precisare Chris – certo non è come dormire in una roulotte, giusto?
E mi guardò, ammiccando.
Io divenni paonazza.
 
  • Glielo hai detto? – mi voltai sempre più imbarazzata verso Tom.
  • Certo. Non ho segreti per il mio migliore amico! – fece lui, ostentando indifferenza.
  • Ma cosa…? - Volevo sprofondare. Chissà cosa gli aveva raccontato.
  • Non preoccuparti, Anna, so perfettamente che Tom è un gentiluomo e che non è successo nulla, lui lo ha subito messo in chiaro, comunque.
  • Ok, ora che abbiamo chiarito e tutti sappiamo tutto di tutti, possiamo cominciare la serata blockbuster. – proseguì Tom.
In quel momento squillò il mio cellulare.
 
  • Scusatemi un attimo.
Mi allontanai. Era mia sorella.
 
  • Ciao Anna!
  • Kate!
  • Tu non chiami mai, devo sempre telefonarti io!
  • Hai ragione, scusa, ma oggi ho avuto molto da fare. Ho visitato la città e ho lavorato un po’ al contratto.
  • E adesso cosa fai?
  • Ehm, ora sto seguendo il tuo consiglio.
  • Quale?
  • Guardo il film di Tom.
  • Oh fantastico! Sono sicura che ti piacerà.
  • Anche se non dovesse piacermi, dovrò fare buon viso a cattivo gioco.
  • Perché?
  • Ecco… lo guardo alla presenza dei due protagonisti.
  • Cosa? Chi?
  • Tom e Chris.
  • Stai cercando di dirmi che stai per vedere Thor in compagnia di Thor e Loki in persona?
  • Penso di sì.
  • Come penso di sì?
  • Beh, so che Chris è Thor, ma non sapevo chi interpretasse Tom.
  • Loki, il fratello di Thor.
  • Oh. Ma non si assomigliano per niente.
  • Sì, ma… vabbè, non ti anticipo nulla, non voglio rovinarti la visione.
  • Ok.
  • Certo che sei una donna veramente fortunata. Hai in camera tua due tra i più grandi sex symbol del momento.
  • Oh. Certo, immagino di sì. Ma non siamo da me. Sono nella suite di Tom. Era più grande e ..
  • Anna! Mi raccomando. Non farmi ripetere di stare attenta.
  • Certo tesoro.
Una voce profonda mi interruppe.
 
  • Passami tua sorella. – mi disse Tom. Non aveva il tono di una domanda.
  • Cosa?
  • Passamela. Voglio presentarmi e dirle che può stare tranquilla.
  • Va bene.
Gli consegnai il telefono.
Si allontanò e lo sentii scherzare con mia sorella.
Dopo qualche minuto mi riconsegnò il telefono.
 
  • Ma.. non l’ho neppure salutata.
  • Ci ho pensato io per te. Ora vieni che inizia il film.
Mi accomodai sulla poltrona, mentre i due protagonisti si piazzarono sul divano.
Trascorsi due ore molto gradevoli.
Tra un pezzo di pizza e qualche commento sul film – oltre a qualche divertente aneddoto che entrambi mi regalarono sulla lavorazione  -  devo dire che la proiezione fu molto piacevole.
Anzi, in certi punti fui proprio rapita dalle scene, tanto che quasi non mi accorsi che i due mi osservavano avidamente per cogliere la mia reazione in determinati punti.
Quando partirono i titoli di coda, entrambi, in coro, mi dissero di rimanere seduta, perché le sorprese non erano finite.
Scoprii così che Loki non era morto, ma si preparava ad una nuova battaglia.
 
  • Avevo intuito che non potevi essere morto, se no non staresti girando il seguito.
  • Ma quello che stiamo girando qui non è il seguito. Ce n’è stato un altro prima.
  • Oh. Davvero?
  • Ma certo. Si intitola “The Avengers”. Ed ora ci guardiamo anche questo.
  • Cosa? No, la mia promessa riguardava Thor e l’ho mantenuta. Adesso andate a dormire che domattina dovete andare presto a lavorare.
  • Grazie mamma, ma è da quando eravamo bambini che non andiamo a letto alle dieci e trenta.
  • Ma non siete stufi? Quante volte avete fatto questo genere di proiezioni home video?
  • In realtà a me non piace granché riguardarmi. – rispose Chris. – e poi tutti i miei amici e familiari sono di solito tra gli invitati alla premiere, quindi penso che lo avrò visto un paio di volte, non di più.- proseguì.
  • Lo stesso vale per me. Ma scusa cosa pensavi? Che passassimo il tempo a guardarci e riguardarci?
  • E allora? Cosa ci sarebbe di strano? So che alcuni vostri colleghi lo fanno.
  • Ma chi hai conosciuto? – fece Chris.
  • Lasciamo perdere.
  • È inutile, Chris, non ti dirà niente, ho già provato ad estorcerle queste informazioni, ma ha la bocca cucita.
  • Forse non hai usato gli argomenti giusti. – e gli fece l’occhiolino.
  • Smettetela voi due di parlare come se io non fossi presente in questa stanza!
Intanto il dvd era partito, non c’era stato modo di opporre alcuna obiezione.
The Avengers era molto più genere action movie del primo. Ma Loki era un cattivo credibile, con una notevole profondità psicologica. Dovevo ammettere che Tom era davvero bravo.
Finito il film e anche le scene aggiuntive, improvvisamente Chris balzò su dal divano, stiracchiandosi rumorosamente.
 
  • Adesso posso andarmene. Buonanotte a tutti e due.
Si allungò abbassandosi verso di me e mi stampò un bacio sulla guancia, avviandosi verso la porta.
 
  • Oh adesso vado anche io. Raccolgo le mie cose e …
La porta si era già richiusa alle sue spalle.
Cominciai a prendere il pc, la borsa, ma dov’era il cellulare …
 
  • Resta ancora un po’ con me.
Distolsi lo sguardo dalla borsa e lo fissai.
Lui mi guardava di rimando con un  aperto sorriso.
 
  • Visto che non bevi alcolici, posso offrirti una coca, o un succo di frutta?
  • Ehm, no grazie, penso che andrò a dormire.
  • Dai, fammi compagnia ancora per un po’. Non sono un serial killer. E comunque tua sorella sa che sei qui, quindi troverebbero subito il colpevole, non molto astuto da parte del Dio degli Inganni.
E mi guardò con la sua migliore faccia da Loki.
Gli risi in faccia.
 
  • Lo sai che Luke vorrebbe uscire con te?
Mi domandò a bruciapelo.
 
  • Come? Certo che lo so, andiamo a cena domani sera!
  • Cosa? Uscirai con Luke?
  • Certo, perché?
  • Non pensavo ti interessasse.
  • In che senso scusa? Andiamo solo fuori a cena, voleva essere gentile perché in teoria io sono qui da sola e non conosco nessuno.
Fu il suo turno di scoppiare a ridere.
Lo guardai con aria interrogativa.
 
  • Ti assicuro che non è per gentilezza che ti porta fuori a cena.
  • Cosa significa?
  • Che tu gli piaci, Anna, e anche molto.
  • Ma che dici? Guarda che lui ed io ci conoscevamo già, io avevo lavorato insieme a lui per Emma Watson ed assolutamente non ha mai detto né fatto nulla che…
  • Infatti già allora mi aveva fatto una testa tanta su di te..
  • Cosa? Senza dubbio ti starai sbagliando con qualcun’altra.
  • Credimi. Non mi sbaglio.
  • Oh.
  • Pensi di dargli false speranze?
  • Perché pensi automaticamente che non mi interessi uscire con lui?
  • Ti piace?
  • Certo che mi piace! È una brava persona, è gentile, dolce e..
  • E non è un attore.
  • Certo, non è un attore.
  • Quindi è perfetto. Anche se non ti attrae minimamente.
  • Ti ho appena detto che mi piace!
  • Si certo, come può piacerti una persona con cui andare a prendere un gelato. Non per una relazione.
  • E chi l’ha detto?
  • Lo dico io. Non ne hai parlato come di un ragazzo con cui andresti a letto.
Cominciava a farmi infuriare.
 
  • Da quando ti sei abusivamente installato nella mia testa? Pensi che dato che non è fisicamente alla tua altezza non meriti una chance?
  • Sto dicendo esattamente il contrario. Stimo molto Luke e gli voglio bene, ma penso che tu gli daresti una chance solo perché non è un attore.
  • Adesso basta, penso che questa conversazione si sia spinta troppo oltre, adesso vado e..
  • Tu ora non esci da questa stanza se non mi dici cosa ti hanno fatto e chi è stato a fartelo.
Alzai gli occhi e lo guardai attonita. Sembrava davvero determinato.
 
  • Non penso proprio di doverti dare alcuna spiegazione. Quindi adesso me ne vado.
  • Ti ho detto che nessuno se ne andrà di qui finché non mi avrai raccontato la verità.
Stava cominciando a farmi paura.
Mi alzai velocemente e mi avviai praticamente correndo verso la porta, ma lui fu più agile e svelto di me.
Si mise davanti alla porta, sbarrandomi la strada.
 
  • Fammi uscire.
  • No.
  • Per favore. Fammi uscire.
  • Ho detto di no.
Ero terrorizzata. Non poteva ripetersi un’altra volta. Ero di nuovo stata una stupida ingenua.
 
  • Ti prego,Tom. Mi … stai … spaventando.
E scoppiai in singhiozzi. Pessima strategia, dovevo mostrarmi forte e risoluta.
Invece indietreggiai e mi rannicchiai in un angolo, con le gambe strette al petto e non riuscii a trattenere le lacrime.
Allora la sua espressione cambiò radicalmente e venne verso di me stupito e visibilmente preoccupato.
 
  • Anna, che ti succede? Perdonami, non volevo spaventarti. Volevo solo che ti aprissi con me. Non pensavo davvero di scatenare una tale reazione, mi dispiace.
Allungò una mano verso il mio viso, ma io mi ritrassi di scatto.
 
  • Non toccarmi!
  • Va bene, va bene, non ti tocco, ma tu guardami. Guardami!
Obbedii.
 
  • Anna non voglio farti del male, ascoltami. Volevo solo parlare con te. Ma si può sapere cosa ti hanno fatto? Per piacere parlami. Dì qualcosa. Adesso ti aiuto a rialzarti e ti accomodi nella tua poltrona. Poi parliamo.
Si avvicinò lentamente, mi prese dolcemente per le spalle e mi fece alzare. Mi cinse la vita con un braccio e mi fece sedere sulla poltrona. Tutto questo mentre io continuavo a piangere disperatamente.
 
  • Anna, calmati. Guardami negli occhi. Non ti succederà niente. Ora smetti di piangere. Vado a prenderti un bicchier d’acqua.
Tornò dopo qualche secondo con l’acqua, me la porse ed io la bevvi obbediente.
 
  • Va meglio adesso?
Annuii.
 
  • Riesci a parlare?
Di nuovo feci un segno di assenso con la testa.
 
  • Puoi dirmi cosa ti è successo?
  • Non.. non ho mai raccontato … nessuno sa questa storia… solo mia sorella.
  • Continua.
  • Non .. non c’è molto da dire. Io ero ancora una praticante, insomma una apprendista nel mio studio. Il mio capo mi mandò a trattare questo contratto con un attore molto noto e importante. Anche lui disse che non voleva intermediari e che intendeva parlare solo con me. All’epoca ero molto ingenua, per nulla abituata a questo ambiente. Lui si mostrò molto gentile con me ed io ne ero davvero lusingata. Era ed è tuttora molto famoso ed io mi sentivo gratificata dalle sue attenzioni. Mi disse che per esaminare i termini dell’accordo senza essere disturbati potevamo parlarne con tranquillità nella sua camera. Io accettai, ma da quando varcammo la soglia, lui sembrò come trasformarsi. Insomma, mi aggredì e… fece quello che voleva. Poi mi disse che non avrei mai dovuto raccontare a nessuno quello che era successo, se no la mia vita e la mia carriera sarebbero state distrutte. Fu molto convincente..
  • Quindi non lo hai mai denunciato?
  • No.
Calò il silenzio.
Io tenevo gli occhi bassi. Era troppa la vergogna. Cosa mi era venuto in mente di raccontargli quella storia? Fu lui ad interrompere il silenzio.
 
  • Chi è?
  • Cosa?
  • Come si chiama? Hai detto che è ancora famoso, di sicuro lo conosco. Chi è?
  • No no no. Non chiedermelo!
  • Dimmi chi è questo animale!
Alzai gli occhi e lo osservai.
Lui mi guardava dritto negli occhi. Sembrava furibondo. In quel momento pensai che sarebbe stato capace di andarlo a cercare e prenderlo a pugni.
 
  • Questo non te lo dirò. Già non dovevo raccontarti niente.
  • Adesso capisco perché ti sei tanto spaventata prima. Pensavi di rivivere lo stesso incubo.
Annuii.
 
  • Anna, mi dispiace. Davvero. Non pensavo, sinceramente..
  • Non potevi saperlo.
  • Posso.. solo posso abbracciarti?
Annuii di nuovo. Si mosse lentamente verso di me, si inginocchiò davanti alla mia poltrona e mi prese tra le braccia. Nascosi il viso sul suo petto e non potei fare a meno di ricominciare a piangere.
 
  • Sfogati, Anna. Piangi quanto vuoi.
Mi sciolsi in singhiozzi. Non mi ero mai lasciata veramente andare con nessuno come lo stavo facendo con lui. Raccontare la mia violenza poteva effettivamente aiutarmi a superarla, ma non avevo mai permesso a nessuno di aiutarmi. Anche mia sorella, che aveva pianto con me, si era infuriata, mi aveva minacciato di andare lei a denunciarlo se non lo avessi fatto io, mi aveva consigliato almeno di parlare con uno psicologo, ma mi ero sempre rifiutata di farlo. Rendeva il tutto più reale. Mentre io volevo solo dimenticare.
Non so per quanto tempo mi tenne così abbracciata. Sicuramente finché i singhiozzi pian piano si attenuarono.
Mi sciolsi a malincuore da quell’abbraccio e cercai di ricompormi come potevo.
Dovevo sembrare un panda. Avevo pure macchiato la sua camicia.
 
  • Tom, mi dispiace. – dissi riferendomi alla camicia.
  • Come? Cosa? Ah questo? Ma figurati.
  • Te la porto in lavanderia.
  • Ma stai scherzando? Piuttosto, va un po’ meglio?
Annuii.
 
  • Non so come tu abbia potuto tenerti tutto dentro in questo modo. Perché non hai voluto denunciarlo? Sei un avvocato, maledizione!
  • Proprio perché sono un avvocato so come funziona in questi casi. Io sarei stata dipinta come la ragazzina arrivista che voleva farsi pubblicità a spese dell’attore del momento.
  • È per questo che detesti gli attori? Perdonami se te lo dico, ma sarebbe potuto capitare, e purtroppo capita, in qualsiasi contesto ed in qualunque ambiente lavorativo.
  • Può darsi. Però io lavoro in questo ambiente. Ed ho a che fare quotidianamente con attori che credono di poter fare quello che vogliono e che possiedono un ego mastodontico.
  • Lo capisco, però… non siamo tutti uguali.
Mi diede un leggero bacio sulla fronte.
 
  • È davvero difficile… fidarsi di qualcuno.. dopo.
  • Lo immagino. Quel porco bastardo..
  • Adesso vado. Tom, grazie. Davvero. Mi ha fatto bene parlarne e sfogarmi.
  • Anna, mi dispiace per come mi sono comportato prima.
  • Non pensarci più. Non potevi saperlo. Vado…ehm, un attimo in bagno.
Mi rifugiai dietro la porta.
Cosa diamine mi era venuto in mente? Perché gli avevo raccontato tutto? Lo conoscevo da quattro giorni e sapeva cose di me che non avevo detto neppure ai miei amici più cari.
Nel frattempo mi avvicinai allo specchio. La mia immagine riflessa era a dir poco disperante.
Mi sciacquai il viso come potevo, tentando di lavare via il trucco sbavato.
Comunque, se anche fosse potuto sbocciare qualcosa tra noi, senz’altro avevo stroncato sul nascere qualsiasi possibilità mettendolo a parte di quella storia.
 
  • Tutto bene? – mi chiese Tom dall’esterno. Probabilmente dopo quella inverosimile serata aveva giustamente voglia di andarsene a dormire e possibilmente non rivedermi mai più.
  • Sì, ora me ne vado.
Uscii dal bagno e cominciai a raccogliere le mie cose.
 
  • Aspetta, Anna, aspetta un attimo.
Mi bloccò e mi prese le mani tra le sue.
 
  • Voglio che tu sappia che non dirò niente a nessuno di questa faccenda, se tu non me ne darai il permesso.
  • Grazie.
  • Vorrei anche che ti sentissi veramente libera di parlare con me, ogni volta che vuoi. Penso di poterti comprendere meglio ora che conosco la verità e sono davvero contento che tu ti sia fidata di me tanto da raccontarmela.
  • Va bene, Tom, grazie, ora vado, veramente.
  • Ti accompagno.
  • No no no. Qualcuno potrebbe vederci, è tardissimo e potrebbero equivocare.
  • D’accordo.
Eravamo molto vicini e gli bastò abbassarsi per baciarmi sulla guancia.
Mi sciolsi dal tocco delicato delle sue mani sulle mie e uscii alla fine dalla suite.
Mi diressi a grandi passi verso l’ascensore. Non volevo che mi vedesse nessuno.
Raggiunsi la mia stanza in fretta e mi richiusi la porta alle spalle.
Che strana serata.
Ci avrei pensato all’indomani.
In quel momento desideravo solo dormirci su.
 
N.d. A.
 
Mi scuso tantissimo per il ritardo nell’aggiornare con il nuovo capitolo.
Ecco svelato il mistero del passato di Anna.
Ho introdotto un tema serio e scottante, me ne rendo conto, però nelle note alla storia avevo avvisato che sarebbero state trattate tematiche delicate.
La protagonista ha vissuto un’esperienza che l’ha profondamente segnata e questo è il motivo per cui, nonostante stia vivendo questa “sorta” di relazione con una persona meravigliosa come il “mio” – nel senso di come lo immagino e lo descrivo io – Tom, è bloccata e non riesce a fidarsi.
Comunque sta facendo dei passi avanti. Pian piano vedrete che … Non voglio anticipare nulla!
E ho anche introdotto due nuovi personaggi che agiteranno un po’ le acque!
Soprattutto Luke, che nella mia storia ha differenti… preferenze sessuali.. rispetto alla realtà.
Spero che vi sia piaciuto questo capitolo, ringrazio tantissimo tutti quelli che leggono, seguono e recensiscono, in particolare Clio93, VampERY e Likeapanda, che non dimenticano mai di scrivermi un commento, veramente graditissimo! Grazie.
Ora la smetto, se no le note diventano più lunghe del capitolo! Un bacio!
 
P.S. Torno da Londra e dal Coriolanus.. Un’esperienza meravigliosa!
 

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Capitolo 4
*** 4. Senso di colpa ***


Cap. 4. SENSO DI COLPA
 
 
L’indomani mi svegliò il suono del mio cellulare.
Guardai l’ora. Non erano ancora le nove.
 
  • Pronto? - mormorai, assonnata.
  • Anna? Ti ho svegliato? – era Tom. Cosa voleva a quell’ora?
  • Uhm, no non preoccuparti.
  • Si invece, scusami.
  • Non fa niente, devo lavorare. Dimmi pure.
  • Ehm, ero in pausa e volevo sapere come stavi.
  • Oh. Sto bene, grazie.
Perfetto. Quindi  gli facevo pena.
Fantastico. Seppure non mi fossi mai illusa che potesse esserci qualcosa tra noi, era pur sempre un cliente del mio studio. Non volevo che mi considerasse una povera disgraziata con problemi psichiatrici. Dovevo correre ai ripari.
 
  • Tom, ascolta, ieri sera ehm.. non volevo che andasse così. Non succederà più, davvero. Se avrò bisogno di qualcosa per il contratto, chiederò a Luke,va bene?
  • Cosa? No! Perché?
  • È la cosa migliore, credimi.
  • Pensi che ti giudichi? Anna, vorrei che capissi che.. ascolta, non mi va di parlare al telefono, possiamo vederci stasera?
  • No, ho appuntamento con Luke.
  • Disdici.
  • Cosa? No.
  • Va bene, allora passo dopo.
  • No, Tom. Davvero, non è il caso, io..
  • È deciso. Ciao, a più tardi.
E chiuse la comunicazione.
Ottimo.
Cosa poteva volere da me?
Gli facevo pena e quello era un fatto.
Era una persona gentile, questo avevo avuto modo di appurarlo, quindi magari voleva solo assicurarsi che stessi bene e poi lasciarmi andare per la mia strada.
Di sicuro qualsiasi uomo dopo aver saputo quello che mi era accaduto sarebbe scappato a gambe levate, anche questo era un fatto.
Al massimo poteva offrirsi come una spalla su cui piangere, ma questo lo aveva già fatto, quindi poteva anche considerare assolto il suo compito di buon samaritano.
Perché voleva parlarmi? Addirittura mi aveva chiesto di dare buca a Luke.
Gli avevo offerto una perfetta via d’uscita da una situazione che per lui si presentava solo come un problema, una inutile gatta da pelare, ma ciò nonostante non aveva voluto ascoltarmi.
Non potevo tormentarmi con quei pensieri.
Dovevo muovermi, terminare la stesura del contratto il prima possibile ed allontanarmi da quella assurda situazione.
Mi alzai da letto ed andai nella hall a fare colazione.
Squillò di nuovo il cellulare.
Era Luke che voleva accordarsi per la cena.
 
  • Ti passo a prendere in camera per le otto, va bene?
  • Perfetto, dove mi porti?
  • Sorpresa!
Uscire con Luke sarebbe stata la cosa migliore e mi avrebbe fatto bene.
Davvero mi piaceva Luke, lo ritenevo un uomo gentile, generoso ed allegro.
Avrei trascorso una serata piacevole.
Di certo non potevo dire che la prospettiva mi provocasse particolari reazioni, diciamo, stile farfalle nello stomaco.
Luke mi piaceva, lo stimavo, ma Tom aveva ragione. Non immaginavo una relazione di tipo romantico né sessuale con lui.
Diversamente la immaginavo molto bene con Tom.
Nulla mi impediva di fantasticare, comunque. Tuttavia, appunto, tutto sarebbe rimasto solo nella mia fantasia.
Ma cosa diavolo mi era venuto in mente? Perché gli avevo raccontato tutto?
Il motivo era molto semplice: confidarsi con un estraneo si dimostra spesso assai più facile che parlare con chi si conosce profondamente.
Però certamente c’era dell’altro.
Innanzitutto dopo la reazione eccessiva che avevo avuto al suo comportamento mi sentivo in qualche modo in dovere di offrirgli una spiegazione. Possibilmente fornirgliene una che non mi avesse dipinto come una pazza isterica dalla lacrima facile.
Ma non si trattava solo di quello.
Parlare con Tom mi veniva naturale.
Certo, a volte mi provocava, ed il suo comportamento ne era senza dubbio una dimostrazione.
Aveva esagerato un po’ nel volermi estorcere quelle informazioni sul mio passato. “Tu ora non esci da questa stanza se non mi dici cosa ti hanno fatto e chi è stato a fartelo” – erano state le sue esatte parole.
Probabilmente non aveva trovato altro sistema per costringermi ad aprirgli il mio cuore.
Ci aveva provato con “le buone”, ma non aveva sortito alcun effetto.
Quindi aveva tentato in quel modo, scatenando tutto quello che era seguito.
Ma poi perché gli interessava così tanto?
Avrebbe potuto scegliere una compagnia mille volte più semplice e meno impegnativa di quella offerta dalla sottoscritta. A dire la verità avrebbe potuto scegliere praticamente chiunque. Quale donna sana di mente lo avrebbe rifiutato? Probabilmente solo io, ma ormai era un fatto accertato che non ero proprio sana di mente.
Certo però mi aveva davvero spaventato.
Nonostante fosse passato tanto tempo non avevo ancora le armi per difendermi da situazioni come quella.
Basta, Anna, inutile arrovellarsi!
Trascorsi il resto della giornata a perfezionare la bozza del contratto per Tom che avevo iniziato a preparare il giorno precedente.
Mi appuntai anche una serie di domande che gli avrei dovuto porre e di cui non avevamo ancora parlato.
Mi feci portare un panino dal servizio in camera e non mi accorsi neppure che si erano fatte quasi le sette.
Chiusi il pc e cominciai a prepararmi per la cena con Luke.
Mi feci la doccia ed in accappatoio scelsi cosa indossare.
Non mi aveva detto dove saremmo andati, così scelsi un vestito carino, ma non troppo elegante.
Un tubino nero che in parte nascondeva le mie forme, piuttosto generose, ma che valorizzava il decolleté, che la natura mi aveva regalato in abbondanza.
Sperai che non mi avrebbe portato in un posto troppo freddo e scelsi così un copri spalle turchese che faceva risaltare il colore di miei occhi.
Stivali e clutch completavano il look .
Mi truccai molto semplicemente ed ero pronta.
Alle otto meno due minuti sentii bussare.
 
  • Luke?
  • Si sono io!
Aprii la porta e lo feci accomodare.
 
  • Ciao Anna, questi sono per te.
E mi porse un enorme mazzo di fiori colorati.
 
  • Grazie, Luke! Non dovevi, sono bellissimi! Ma dove li hai trovati con questo gelo!
  • Ehm, figurati. Sei… stai benissimo!
  • Oh grazie, aspetta che vedo se trovo un vaso e poi andiamo.
Cercai per tutta la camera, rovistando nei vari cassetti, ante, anfratti, mentre lui continuava a guardarmi e finalmente trovai quello che poteva fare al caso mio.
Andai in bagno a riempire d’acqua il vaso improvvisato e vi collocai dentro i fiori, cercando di non rovinarli e  sistemandoli al meglio che potevo.
 
  • Perfetto. Stanno benissimo ora. Prendo il cappotto e possiamo andare.
Mi portò in un bellissimo ristorante fuori città, non troppo elegante, ma molto grazioso.
Come avevo immaginato trascorremmo una serata molto piacevole.
Luke era un vivace conversatore, senza essere logorroico.
Mi raccontò qualche aneddoto sia su Emma, che ricordavo con piacere, sia su Tom.
Ovviamente non gli raccontai nulla degli ultimi giorni, ma mi riservai eventualmente di farlo in un’altra occasione, se ce ne fosse stata una.
Mi riaccompagnò in albergo, fino alla porta della mia stanza.
 
  • Ciao Anna, buonanotte. Spero che potremo di nuovo uscire insieme.
  • Grazie Luke, ho passato una serata fantastica.
E si abbassò per baciarmi sulla guancia.
Istintivamente lo abbracciai e lo baciai anch’io sulla guancia.
Lui rimase un po’ stupito del mio caloroso saluto, ma non si sottrasse al mio abbraccio, anzi, mi strinse forte a sé.
Mi voltai e rientrai in stanza.
Dopotutto potevo considerare di uscire ancora con lui. Stavamo bene insieme, e magari, da cosa nasce cosa. Potevo anche innamorarmi di lui e…
Qualcuno bussò alla porta.
Non mi ero ancora neppure tolta il cappotto, pensai che Luke avesse dimenticato qualcosa o volesse dirmi una cosa e spalancai la porta.
 
  • Tom?
  • Ciao. Posso entrare?
  • Entra.
  • È andato bene il tuo appuntamento? – mi disse con un certo malcelato sarcasmo.
  • Molto bene, grazie.
Risposi con un tono insolente.
Direi che la conversazione stava partendo piuttosto male.
Mi sfilai il cappotto e lo appoggiai alla poltrona.
Tom mi guardò da capo a piedi, con aria stupita. Immediatamente mi strinsi nel mio copri spalle, incrociando le braccia al petto.
 
  • Sei uscita così con Luke?
  • Sì, perché?
  • E lui non è svenuto?
  • Adesso piantala!
Guardò il vaso improvvisato con i fiori sulla cassettiera.
 
  • Questi te li ha portati lui?
  • Avvertimi quando hai finito il terzo grado.
  • Va bene, scusa, d’accordo. – alzò le mani in segno di resa.
  • Finalmente. Accomodati. – e gli indicai il divanetto, con un gesto plateale.
  • Vorrei parlarti della telefonata di stamattina. – iniziò, sedendosi.
  • Non capisco cosa ci sia da discutere, comunque dimmi.
  • Io invece non capisco perché ti sei chiusa a riccio.
  • Come? Io non..
  • Non negarlo. Dopo quello che mi hai raccontato ieri sera cosa è cambiato nella tua testa? Pensi che io ti giudichi male per quello che ti è successo?
  • No, io.. semplicemente non voglio che tu mi ritenga un pazza con problemi psichiatrici. Sei un cliente e non voglio che il nostro rapporto professionale ne risenta.
  • Come potrei giudicarti una pazza? Cosa dici? Poi pensavo che il nostro rapporto non fosse solo professionale.
  • Per la reazione che ho avuto. Ti assicuro che è un fatto che riguarda il mio passato ed è stato completamente dimenticato. Sono andata avanti con la mia vita, con il mio lavoro e…
  • Non penserai veramente quello che stai dicendo, vero?
  • Cosa?
  • Che l’hai superato completamente. Se lo avessi dimenticato non avresti avuto quella reazione quando ieri mi sono messo davanti alla porta per non farti uscire.
Era un colpo basso. Non replicai.
 
  • Suppongo che oltre che non denunciare quel gran bastardo, tu non abbia neanche mai seguito un percorso terapeutico per affrontare l’accaduto.
  • No, ma..
  • Lo immaginavo.
  • Ti ripeto che è una cosa superata. Certo che ci ripenso ogni tanto, ma..
  • Non ti accorgi che questa cosa condiziona la tua vita e le tue scelte?
  • Come? Non è vero!
  • Certo che è così. E non potrebbe essere diversamente, anzi, sarebbe strano il contrario. Sei stata violentata, Anna. Cosa ci può essere di più terribile per una donna?
Sbarrai gli occhi. Sentire quelle parole, ad alta voce, lo faceva sembrare molto più reale di come fosse in realtà il ricordo nella mia testa.
 
  • Io.. io voglio solo dimenticarlo.
  • Ma non potrai farlo negando di provare dei sentimenti. Né allontanando chi ne è a conoscenza.
  • Non voglio allontanarti. – ero sincera.
  • E allora non farlo. Permettimi di aiutarti.
Ecco qual era il punto. Ci era finalmente arrivato.
Evidentemente lui non riteneva di aver sufficientemente assolto al suo dovere.
Pensava che, dato che gli avevo confidato quell’episodio del mio passato, il suo compito fosse di aiutare quella povera derelitta che gli era capitato in sorte di conoscere e che gli aveva affidato il suo segreto.
 
  • No. Non è compito tuo. – gli risposi, aspramente.
  • Che significa?
  • Non sei il mio psicanalista.  E neppure il mio confessore.
  • Non è quello che voglio essere, Anna.
E mi guardò intensamente. Con quei suoi meravigliosi occhi che facevano intendere più di mille parole e che riuscivano a leggere le profondità del mio animo come nessuno aveva mai fatto prima. Non mi sfuggì quello sguardo, non era possibile che potessi farmelo sfuggire. E neppure le sue parole, che, seguite da quello sguardo, potevano avere un unico significato. Ma non potevo razionalmente credere a quello che sembravano voler dire.
 
  • Allora perché ti ostini a venire qui a compatirmi? – replicai, testarda.
  • E tu perché ti ostini a chiuderti a riccio?
  • Non è così.
  • Non negarlo.
  • Non .. non voglio farti pena.
  • Oh santo cielo! Non mi fai pena! Perché dovresti?
  • Perché sono stata una stupida, ingenua ragazzina ottusa a fidarmi di quell’uomo e non passa giorno senza che non mi penta di quello che ho fatto!
Sbottai.
Lui mi guardò con aria intenerita e comprensiva.
 
  • È proprio questo il punto. – sospirò – Finalmente ci siamo arrivati. Anna, non è stata colpa tua. Nessun uomo se una donna dice di no può permettersi di continuare. È stata colpa sua.
  • Ma se io non fossi andata nella sua camera, se..
  • Non è colpa tua. Lui ti ha violentata.
  • Lo so, però..
  • Tu lo sai a livello razionale. Ma inconsciamente continui a sentirti colpevole.
  • Come faccio a non sentirmi tale! Sono andata di mia volontà nella sua stanza, ero abbagliata dai suoi modi e dalla sua fama e sono stata una sciocca. È capitato tutto così in fretta, non ho potuto neppure… - mi interruppi, frastornata.
  • Cosa?
  • Niente.
  • Anna, parla.
  • Non sono riuscita nemmeno ad urlare. Ero talmente sotto shock che penso di non essere neppure riuscita a..
Scoppiai in lacrime.
Lui fu pronto a sostenermi e, come la sera prima, si inginocchiò accanto alla poltrona e mi abbracciò.
 
  • Anna, lui comunque ha capito che non volevi.  Voglio dire, anche se non hai urlato, è chiaro quando una donna non vuole fare l’amore. Sono sicuro che glielo hai fatto chiaramente intendere.
Annuii decisamente, stretta contro il suo petto.
 
  • Come vedi non ci sono scuse. Anche se inizialmente ti fossi messa nuda sul suo letto e poi avessi cambiato idea, lui non avrebbe comunque avuto il diritto di forzarti a fare qualcosa che non volevi. Hai capito quello che voglio dire? Per nessuna ragione al mondo devi sentirti in colpa.
Mi allontanò un poco da sé e mi afferrò per le spalle. Lo guardai negli occhi, perché mi impediva di fare qualsiasi altro.
 
  • Hai capito?
Annuii.
 
  • No, Anna. Devi dirlo ad alta voce. Devi sentirlo veramente. Devi prenderne coscienza profondamente.
  • Va bene, Tom. Ho capito. Non è stata colpa mia.
  • Ne sei convinta veramente?
  • Sì.
  • Bene, questo è il primo passo.
E mi abbracciò di nuovo, nonostante avessi smesso di piangere.
Mi staccai piano.
Lui si alzò e si accomodò sul divano.
 
  • Grazie...
  • Già ti ho detto che sono qui per te.
  • Perché? Davvero, non capisco cosa ti importi di me. Parliamoci chiaro, potresti uscire da questa stanza e stare con qualsiasi donna che volessi.
  • Io non voglio stare in nessun altro posto e con nessun’altra.
Lo guardai allibita.
 
  • Perché ti stupisci tanto? – fece lui.
  • E me lo chiedi?
  • Anna, questo ci porta ad un altro punto del problema. Ti sottovaluti. Perché quel maledetto bastardo ti ha anche tolto la tua autostima. Sei una donna brillante, intelligente, comunicativa. Oltre, ovviamente, ad essere bellissima ed estremamente sexy.
  • Non stai parlando sul serio.
  • Oh sì, invece. E se non pensassi che potrebbe ferirti, ti porterei immediatamente in camera e ti toglierei quel vestito aderente che mi fa impazzire, ricoprendoti di baci.
Sgranai gli occhi. Ecco a quel punto pensai che da un momento all’altro sarebbe suonata la sveglia e io mi sarei dovuta svegliare da quell’incredibile sogno.
 
  • E potrei anche andare oltre, - continuò - ma non ho intenzione di dire altro, perché non voglio spaventarti, né indurti a pensare di non poterti fidare di me.
Di nuovo non replicai.
 
  • Stasera quando tu e Luke vi siete salutati sulla porta della tua stanza, tu lo hai abbracciato e baciato. Con me non l’hai mai fatto. L’ho invidiato terribilmente.
  • Ci hai visti?
  • Ti stavo aspettando.
Ero davvero sbigottita. Sconcertata dall’aver appena preso coscienza del fatto che quell’uomo meraviglioso non solo mi voleva, ma sembrava davvero voler conoscere la parte più profonda e nascosta di me.
D’impulso mi alzai dalla poltrona e mi avvicinai a lui, lentamente. Tom si alzò dal divano e venne verso di me, più velocemente.
Ci incontrammo a metà strada. Lui mi prese il viso tra le mani, ancora rigato di lacrime. Prese a baciarmi, prima sulla fronte, poi sulle tempie, sulle guance, sul naso. Si staccò lievemente e mi guardò negli occhi, come a voler chiedere una tacita autorizzazione. Feci un piccolo cenno di assenso con la testa e finalmente si appropriò delle mie labbra, le baciò dolcemente, e piano si fece strada tra le mie, appena dischiuse.
Poi il bacio si approfondì ed io mi lasciai andare a quel tocco esperto, a quel sapore dolce.
Lasciò il mio viso, e mi strinse a sé, facendo aderire il mio corpo al suo.
Poi si staccò. Mi guardò preoccupato, temendo una mia reazione.
Gli sorrisi. Anche lui mi sorrise, mostrandomi quei suoi denti bianchi e perfetti.
 
  • Non ero venuto per questo stasera. Volevo solo parlarti.
  • Lo so.
  • Non voglio affrettare i tempi, sei tu che detti le regole tra noi. Qui si fa esclusivamente quello che vuoi tu. Se in qualsiasi momento faccio qualcosa di sbagliato, non hai che da dirmelo o farmelo capire. Se non..
Gli tappai la bocca con un bacio.
Gli misi le braccia attorno al collo ed in punta di piedi mi avvinghiai a lui, assaporando per la seconda volta quella sua bocca morbida e sottile. Quando ci staccammo per riprendere fiato, il suo sorriso era molto più rilassato ed ampio di prima.
 
  • Questo non me l’aspettavo. – mi disse.
  • Oltre ad essere brillante e comunicativa, sono anche piena di sorprese! – scherzai.
  • Lo avevo intuito, Anna. Lo avevo intuito.
Gli sorrisi.
 
  • Ora è meglio che vada.
  • D’accordo.
  • Domani ho la giornata libera. Cosa facciamo?
  • Oh. Io ho molte cose ancora da chiederti sul contratto, oggi mi sono appuntata una serie di domande di cui ho bisogno di parlarti e …
  • Avvocato, io non avevo intenzione di lavorare.
  • Ma io ho bisogno di chiederti un mucchio di cose per il mio lavoro.
  • Va bene, allora facciamo così: la mattina lavoriamo al contratto, ma il pomeriggio ti rapisco e ti porto via.
  • Ok. Ci vediamo qui alle nove?
  • Ci sarò.
Si avviò verso la porta ed io lo accompagnai. Prima di uscire si voltò e mi diede un bacio a stampo sulle labbra.
 
  • Buonanotte Anna.
  • Buonanotte.
Richiusi la porta alle sue spalle e mi appoggiai lievemente ad essa.
Sorrisi tra me e me e mi abbandonai ad un sospiro, per poi lasciarmi andare alla reazione che senza dubbio avrebbe avuto mia sorella.
 
  • Ommioddio ommioddio ommioddio!
 
 
 
 
N. d. A.
 
Eheheh! Ammetto di essermi lasciata andare un po’ al fangirling nell’ultimissima battuta.
Spero che vi sia piaciuto il primo bacio!
Ci è voluto un po’, ma finalmente è successo.
Un po’ di discorsi profondi e complicati precedono la scena del bacio, sorry, spero che comunque vi abbiano interessato e/o intrigato.
Cmq, no panic! I prossimi capitoli saranno più leggeri!
Un abbraccio ed un grazie a tutti quelli che seguono, preferiscono, ricordano e, soprattutto, recensiscono la mia storia. Due paroline fanno davvero piacere!
 

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Capitolo 5
*** Cap. 5. Una giornata particolare ***


Cap. 5. UNA GIORNATA PARTICOLARE
 
 
 
Il giorno dopo mi svegliai molto presto.
Ero ancora parecchio eccitata per gli avvenimenti della scorsa notte e chiamai mia sorella.
Ero sicura che fosse già sveglia, i bambini si svegliavano presto.
 
  • Buongiorno Kate!
  • Ciao Anna! Finalmente mi chiami! Un avvenimento! Cosa è successo? Vuoi insultarmi perché Thor non ti è piaciuto?
  • Ehm no. Non ti insulterò. Però effettivamente qualcosa è successo.
  • Cosa?
  • L’ho baciato.
  • Chi?
  • Tom Hiddleston.
  • Cosa hai fatto?
  • Hai sentito.
  • Ommioddio ommioddio ommioddio!
  • Smettila! – sorrisi tra me e me. Lo sapevo che sarebbe stata la sua esatta reazione alla notizia.
  • Ok, ok scusa! Ma ti rendi conto?
  • Effettivamente ancora non ho proprio bene realizzato.
  • Raccontami subito tutto o vengo lì immediatamente e ti cavo le parole di bocca con un piede di porco!
  • Va bene calmati! Ecco, è tutto molto strano in realtà. L’altra sera dopo i film – sì, mi hanno costretto anche a vedere The Avengers – sono rimasta sola con Tom. Ed in quel momento, ecco, è successo un piccolo equivoco. Lui aveva non so come capito che avevo un motivo grave per odiare gli attori e voleva a tutti i costi che glielo spiegassi. Mi ha detto che non avrei lasciato la stanza senza dirglielo ed io, beh, mi sono impaurita ed insomma, ho avuto una reazione spropositata.
  • Oh, tesoro, ti sarai spaventata a morte.
  • Sì, beh, in effetti, ero piuttosto angosciata. A quel punto non potevo tirarmi indietro e gli ho raccontato la verità.
  • Davvero? Gli hai parlato dell’aggressione?
  • Sì.
  • E lui?
  • È stato molto dolce e mi ha lasciato sfogare. Poi però il giorno dopo io avevo paura che si fosse fatto un’idea sbagliata di me, che pensasse che ero una povera pazza e non volevo che questo compromettesse il mio lavoro. Così gli ho detto esplicitamente che non volevo più trattare con lui ed avrei parlato solo con il suo collaboratore. Allora lui si è presentato da me ieri sera dopo che sono tornata dall’appuntamento con Luke ..
  • Sei uscita con Luke?
  • Sì. Pare che abbia una cotta per me.
  • L’avevo intuito, ma non credevo avrebbe mai avuto il coraggio di chiederti di uscire.
  • Vabbè, comunque stavo dicendo che lui è venuto da me ed ha cominciato a dirmi che lo stavo allontanando senza motivo, che non avevo ragione di temere che lui mi giudicasse e, soprattutto, ha fatto di tutto per convincermi che quello che mi è successo non è stata colpa mia.
  • Finalmente! Proprio speravo che incontrassi qualcuno che fosse in grado di farti questo genere di discorso.
  • Poi mi ha anche detto che a causa di quel fatto io ho perso autostima. Mi ha confessato di trovarmi brillante e.. sexy.
  • Tesoro, sono così felice per te!
  • Allora ci siamo baciati. Due volte.
  • Ommioddio, ommioddio, ommioddio!
  • Finiscila!
  • Ok, ok.
  • Adesso sta arrivando per discutere alcuni punti del suo contratto. Poi passeremo insieme il pomeriggio.
  • Anna, ma è meraviglioso!
  • Non so, Kate, mi sembra troppo bello per essere vero, non so. Sembra troppo perfetto per essere reale.
  • Anna, smetti una buona volta di ragionare troppo e goditi quello che hai! Un uomo fantastico, desiderato da tutta la popolazione femminile – e non – che vuole stare con te.
  • Proverò a seguire il tuo consiglio.
  • Tesoro, davvero, prova a lasciarti andare per una volta. Magari non durerà per sempre, ma mi sembra un uomo gentile e rispettoso.
  • Lo è.
  • Allora vai e divertiti!
  • Ciao Kate, ti voglio bene.
  • Anch’io tesoro. A presto.
 
 
 
 Tom arrivò poco dopo.
 
  • Fai colazione?  - Mi chiese, posandomi un lieve bacio sulle labbra.
  • Si, chiamiamo il servizio in camera?
  • No, staremo chiusi qui dentro tutta la mattina, scendiamo nella hall, ti va?
  • Qualcuno potrebbe vederci.
  • Proprio ti fa schifo farti vedere in giro con me!
  • Ma no, che dici? Non sono io che devo scappare dai paparazzi.
  • Non ci sono giornalisti in hotel, al massimo ci vedrà qualche collega. E comunque sei il mio avvocato, non ci sarebbe nulla di strano se facessimo una colazione di lavoro, peraltro è la verità.
  • Va bene, mi hai convinto.
Scendemmo nel bar dell’hotel per la colazione.
Ovviamente c’era un gran viavai e mi sembrò che duecento paia di occhi ci fissassero.
 
  • Come fai a resistere? – gli domandai.
  • A cosa?
  • Ad avere tutti gli occhi addosso.
  • Anna – mi sussurrò all’orecchio – gli occhi ora sono tutti puntati su di te.
Arrossii.
 
  • Finisci presto la colazione! – gli intimai.
Mi regalò un ampio sorriso. Era così bello quando rideva.
Risalimmo in stanza e cominciammo a discutere dei termini contrattuali.
 
  • Un’altra cosa che ho bisogno di sapere – gli chiesi ad un certo punto, non senza un certo imbarazzo – è come ti poni in relazione alle scene di nudo.
Sorrise.
 
  • Finora non ho posto particolari limitazioni.
  • Davvero? E in altri film ne hai già girate?
  • In un paio.
  • Nudo integrale?
  • Anche.
  • Frontale?
  • Anche. Non ho problemi con il mio corpo, Anna.
  • Già, lo immagino.
  • Certo non è perfetto, però..
  • Scommetterei che lo è.
Sorrise di nuovo.
 
  • Scommettiamo, allora. – e mi guardò con aria maliziosa.
Arrossii. Non provocarmi, Tom. Non provocarmi… anche io ho dei sani istinti animaleschi. E tu, mio caro, me ne provochi di terribilmente fantasiosi e selvaggi.
 
 
 
Ad una certa ora mi interruppe.
 
  • Adesso abbiamo lavorato. Ma mi avevi promesso che nel pomeriggio potevo rapirti.
  • Cosa hai in mente?
  • Ti va di vedere uno spettacolo naturale meraviglioso?
  • Mi porti a vedere i Geyser?
  • Veramente avevo un’altra idea.
Lo guardai con aria interrogativa.
 
  • Non è lontano, ma dicono che sia uno spettacolo da non perdere.
Partimmo alla volta di qualche meraviglia naturale di cui non volle rivelarmi niente.
 
  • Ci vorrà circa un’ora e mezza, non hai altri impegni per oggi, vero?
  • No.
Squillò il cellulare di Tom proprio mentre stavamo salendo in auto. Rispose e mise il vivavoce, in modo da poter guidare.
 
  • Ciao Luke!
  • Ciao Tom. Che stai facendo nel tuo giorno libero?
  • Stamattina ho lavorato con Anna al contratto.
  • Tom, lo sai che posso occuparmi io del tuo contratto. Te l’ho già detto mille volte.
Tom mi guardò facendo l’occhiolino.
 
  • Lo so che staresti volentieri con lei.
  • È così. Non lo nego. Ieri sera siamo usciti a cena. È davvero una ragazza speciale, Tom, mi piace veramente.
Divenni paonazza. Non mi sembrava giusto ascoltare quella conversazione. Feci cenno a Tom di tagliare la telefonata.
 
  • Luke, se la pensi così sai cosa devi fare.
  • Hai ragione, se ho un occasione con lei non voglio lasciarmela sfuggire. Penso a lei già da molto tempo ed è il momento di farsi avanti. Ciao Tom, buona giornata!
  • Ciao Luke.
Chiuse la comunicazione e mi lanciò un’occhiata, mentre continuava a guidare.
 
  • È stato molto inopportuno ascoltare questa conversazione.  - Gli dissi.
  • Almeno ora sai cosa ti aspetta. Cosa gli dirai?
  • E tu cosa gli dirai? Sei suo amico, no?
  • In effetti ho qualche problema di coscienza. Mi dispiace fargli questa cosa sotto il naso. Però fino a ieri notte non potevo sapere se sarebbe potuto nascere qualcosa tra noi due. E fino ad ora non sapevo quanto lui tenesse a te. Penso proprio che dovrei parlargli.
  • In realtà mi hai detto che è da tempo che lui ti parla di me.
  • È la verità.
  • E nonostante ciò tu non ti sei fatto nessuno scrupolo a baciarmi.
  • Hai ragione, non sono stato un buon amico. Però io la penso esattamente come lui. Sei una ragazza speciale, Anna, e sarei stato un idiota se non avessi provato ad avere un occasione di stare con te.
Lo guardai strabiliata. Come era possibile che questo ragazzo stupendo, bello e famoso, fosse sinceramente interessato a stare con me?
 
  • Gli parlerò. Stasera stessa. Anzi, lo richiamo subito. – continuò.
  • Aspetta un attimo, scusa. Questo comporterebbe rendere pubblico il nostro rapporto. Non ti sembra prematuro?
  • Non sarebbe di pubblico dominio. Luke è Luke, non dirà nulla a nessuno.
  • Come la prenderà?
  • Non so, sicuramente si infurierà. Probabilmente mi prenderà a pugni. Ma me lo merito. Sapevo che gli piacevi, ma non mi sono tirato indietro. Non è mai successo tra di noi.
  • Non mi sembra proprio il tipo da fare a botte.
 
 
 
Nel frattempo eravamo arrivati a destinazione.
Tom richiamò Luke e si accordò con lui per vedersi quella sera dopo cena.
Io mi guardai intorno. Eravamo alle Cascate di Gullfoss.
 
  • Sono le cascate più famose dell'Islanda, tra le più grandi in Europa. – mi riferì Tom.
  • Wow! Sono bellissime! Sembrano le cascate del Niagara! Non che le abbia mai viste, ma vedendo qualche foto...
Lessi qualche informazione sull’opuscolo che ci consegnarono all’ingresso: avevano un'altezza totale di 32 metri e due serie di salti angolari di circa 45°, diretti verso una stretta e profonda gola con una potenza di 140 m³/s.
Era una bella giornata di sole e le nuvole di vapore che circondavano le cascate erano costellate di decine di arcobaleni, offrendo uno spettacolo ineguagliabile di colore e movimento; inoltre, il ghiaccio intorno ai bordi delle cascate aveva scolpito magiche sculture naturali.
Era davvero uno spettacolo maestoso, ero rapita dalla potenza dell’acqua, che non poteva essere ostacolata da nessuna opera dell’uomo.
Mentre guardavo ammirata quella rappresentazione perfetta della natura selvaggia dell’Islanda, Tom si mise dietro di me e mi cinse con le braccia.
 
  • Qualcuno potrebbe vederci! - gli sussurrai.
  • Non essere paranoica, sono in incognito!
Effettivamente aveva indossato un pesante cappello ed occhiali da sole scuri.
 
  • In questo caso, allora…
Mi voltai, gli misi le braccia al collo e lo baciai, ispirata da quel meraviglioso paesaggio.
Dapprima stupito, rispose al mio bacio, sempre più appassionatamente.
Era molto passionale, a dispetto dei pregiudizi sugli uomini inglesi. Chissà come sarebbe stato fare l’amore con lui.. ricacciai indietro quel pensiero. Anna, tieni a freno gli ormoni!
 
 
 
Fu un pomeriggio fantastico.
Purtroppo arrivò l’ora di tornare indietro, Tom doveva vedersi con Luke, così cenammo velocemente alle cascate e tornammo in hotel.
Questa volta non gli permisi di riaccompagnarmi in stanza, era già in ritardo.
Arrivata in camera, feci una doccia veloce, mi infilai camicia da notte e vestaglia e, mentre mi accingevo ad asciugarmi i capelli, sentii bussare alla porta.
Ma chi poteva essere? Tom e Luke erano usciti entrambi insieme ed io non conoscevo nessun’altro.
Infilai la vestaglia, raccolsi i capelli bagnati in un asciugamano sollevato tipo un turbante ed andai ad aprire.
Trovai sull’uscio Tom, con un occhio nero e l’aria da cucciolo bastonato.
 
  • Oh mio Dio! Cosa è successo? – lo feci entrare.
  • Ehm.. non l’ha presa bene..
  • Lo vedo! Vieni che ti metto del ghiaccio. Sdraiati forza, mettiti sul letto.
  • Va bene.
Sperai che nel frigobar ci fosse del ghiaccio e per fortuna ne trovai un po’. Presi poi una federa e vi infilai dentro il ghiaccio, in modo che non fosse direttamente a contatto della pelle. Poi mi inginocchiai accanto al letto e posai la borsa del ghiaccio improvvisata sull’occhio pesto di Tom.
Contemporaneamente presi tutti i cuscini della stanza e glieli misi sotto la testa, in modo che stesse rialzata rispetto al resto del corpo. In questo modo avrei evitato il ristagno dei liquidi sulla parte colpita, che si stava già gonfiando.
 
  • Ma cosa diamine gli è venuto in mente? Come fai domani a girare? Va bene che ti truccano, ma un occhio nero così non si può coprire facilmente! E se ti avesse rotto il naso? Ti avrebbe rovinato la carriera!
  • Penso che quello fosse l’ultimo dei suoi pensieri.
  • Ma cosa è successo?
  • Gli ho detto la verità. Ovviamente non tutto, perché ti avevo promesso. Lui mi ha accusato di averlo tradito, perché sapevo da tempo che gli piacevi. Ti voleva, Anna, pensava che tu fossi quella giusta. Si è infuriato e mi ha colpito. Poi se ne è andato.
  • Pensi che sarebbe meglio andare a cercarlo?
  • Forse.
  • Proverò ad andare in camera sua. Ti posso lasciare qui? Starai bene?
  • Sì certo, ma… intendi andare così?
Mi guardai. Sottoveste e vestaglia, turbante in testa, piedi nudi.
Arrossii. Non mi ero preoccupata dell’abbigliamento quando Tom era entrato con l’occhio nero.
 
  • Ehm, no. Sarà meglio che mi vesta.
Presi le prime cose che trovai nell’armadio, una maglietta e una tuta blu e rosa, e mi fiondai nel bagno.
Perfetto. Tom era steso sul mio letto ed io ero mezza nuda.
Rimediai subito e mi infilai la tuta. Asciugai rapidamente i capelli, sistemandoli, ancora semi bagnati, in una coda ed uscii.
Tom era sempre sul letto con il ghiaccio sull’occhio e mi osservava.
 
  • Ora vado a cercare Luke, aspettami qui.
  • Ok.
Mi fiondai nella sua camera. Bussai più volte senza ottenere risposta. Magari pensava che fosse a Tom a bussare e non voleva parlargli.
 
  • Luke, sono io apri la porta!
Nessun rumore proveniva dalla camera. Non era lì.
Ma dove poteva essere andato? Scesi nella hall, volevo andare in garage a verificare che non avesse preso l’auto, quando lo vidi al bar.
Stava appoggiato al bancone sorseggiando un qualche super alcolico.
Mi avvicinai ed alla fine lui mi vide. Fece per alzarsi ed andarsene, ma lo trattenni.
 
  • Luke aspetta. Non andare via, sediamoci un attimo ad un tavolo.
  • Non credo sia il caso.
  • Perché? Voglio parlarti.
  • Tom ha già chiarito tutto quello che c’era da chiarire.
  • No Luke, per favore, fai spiegare anche me. Ho acconsentito al fatto che fosse lui a parlarti per primo, perché sapevo l’amicizia che vi lega, ma ora ho bisogno di spiegarti il mio punto di vista.
  • Non ce l’ho con te. Tu non sapevi quanto io fossi coinvolto. Ma lui sì, gli ho parlato di te già molto tempo fa.
  • Me lo ha detto. E gli dispiace, veramente.
  • Non doveva farmi questo. Non si tradiscono così gli amici. – e ingurgitò tutto il contenuto del bicchiere facendo una smorfia.
  • Smettila di bere e ascoltami.
Invece ordinò un altro bicchiere al barman e lo inghiottì alla goccia.
 
  • Luke smettila di bere, non serve a niente e domani starai peggio.
  • Non posso stare peggio di così. Il mio migliore amico mi ha tradito e la ragazza che amo vuole stare con lui.
Sbarrai gli occhi.
 
  • La ragazza che amo? Luke, non mi hai mai detto niente! Ma neppure provato a far capire! Non un gesto, una parola… siamo andati solo ieri sera a cena…
  • Lo so, tu hai ragione. Non ho mai avuto il coraggio di dirtelo.
  • Mi dispiace che tu non l’abbia fatto. Però io ti ho sempre considerato un amico. Ti stimo, penso che tu sia intelligente e divertente, ma non ho mai pensato a noi due come a una coppia.
  • Ho capito. Non ho mai avuto una chance con te, insomma.
  • Non è scattato quel “non so che”, è una cosa che c’è o non c’è.
  • Però è scattata con Tom.
  • Ecco, è complicato e strano. Diciamo che è capitato, per un caso, anzi più che altro un equivoco, che io gli abbia raccontato una cosa veramente intima di me. Poi tutto è diventato più facile, molto.. naturale.
  • Lo odio.
  • Non farlo! Lui davvero è dispiaciuto, non avrebbe mai voluto farti questo. Comunque non credo che lui fosse a conoscenza di quello che provi per me. Sapeva che ti piacevo, ma non fino a questo punto. Non siamo praticamente mai usciti insieme!
  • Gli ho fatto molto male?
  • Ha un occhio nero.
  • Non posso dire che mi dispiace. Se lo è meritato. Comunque farò in modo di darlo malato domani. Non può recitare così.
  • Mi prometti che proverai a perdonarlo? La vostra è una stupenda e duratura amicizia, non voglio essere la causa della vostra rottura.
  • Non posso prometterti niente. Ora sono troppo infuriato.
Lo abbracciai.
 
  • Luke, puoi perdonarmi? Non pensavo davvero di farti del male.
  • Ti ho già perdonato. Sei una ragazza stupenda, Anna, e meriti di essere felice.
  • Ti accompagno in camera, così la smetti di bere.
  • Sto bene.
  • No invece, non ti reggi in piedi.
Lo accompagnai fino alla sua camera e lo aiutai a stendersi.
 
  • Ti occuperai del suo occhio nero?
  • Sì, non preoccuparti. Vedi che hai già cominciato a perdonarlo!
  • Non direi proprio… domani gli faccio nero anche l’altro… - mi comunicò con la voce impastata dall’alcol.
Sbadigliò rumorosamente. Poi chiuse gli occhi e prese a russare. L’indomani mattina avrebbe avuto un terribile mal di testa. Pensai di fargli trovare accanto al letto un bicchier d’acqua ed una pastiglia, ma non ne trovai neppure una tra le sue cose.
Stavo cercando l’aspirina, quando nella sua valigia trovai una foto. L’originale, mi ricordavo, ritraeva lui, Emma Watson e me, durante una cena che avevamo condiviso. Però era stata ritagliata in modo che si vedesse solo il mio viso. Santo cielo! Davvero mi amava!
Uscii dalla stanza, un po’ imbarazzata da quel ritrovamento.
Andai in camera mia.
Tom non aveva cambiato posizione, era rimasto steso diligentemente con il ghiaccio sull’occhio.
 
  • L’hai trovato?
  • Sì. Era al bar ad ubriacarsi.
  • Lui non beve quasi mai.
  • Infatti già dorme. Sono venuta a prendere un’aspirina, gliela metto sul comodino così domattina la trova subito.
Mi sorrise, sospirando.
 
  • Cosa c’è?
  • Sei molto premurosa.
  • Mi sembra il minimo. L’ho fatto soffrire. E molto. Lo sai cosa mi ha detto? Che mi ama.
  • Cosa?  Ahia! – si tirò su seduto e la borsa del ghiaccio gli cadde sui pantaloni.
  • Possibile che tu non te ne sia accorto?
  • Ti giuro di no. Sapevo che gli piacevi, certo, ma non fino a questo punto.
  • Ti credo. Neppure io mi sono accorta di nulla. Ma ti assicuro che non mi ha proprio mai fatto capire niente.
  • Lo so, lo so. Aveva forse troppa paura di dirtelo.
  • Adesso gli porto l’aspirina.
Tornai su in camera di Luke. Aprii con la chiave che mi ero portata e posai la pastiglia sul comodino.
Presi una bottiglietta d’acqua dal frigo e posai anch’essa sul comodino accanto a lui.
Improvvisamente si mosse e mi afferrò per un braccio.
 
  • Luke! Mi hai fatto paura!
  • Anna, stai con me stanotte. – mi disse con voce impastata.
  • Cosa?
  • Solo stanotte. Ti prego.
  • Luke, no. Sarebbe ancora peggio domani.
  • Ma almeno ora starei con te. – si mise a sedere sul letto e poi si alzò barcollando.
  • No, Luke, è sbagliato ed io non sono proprio il tipo.
  • Anna, ti renderei felice.
E si avvicinò per baciarmi, ma io mi scansai di lato, trovando però il muro. Allora lui si pigiò contro di me.
 
  • Luke smettila, sei ubriaco!
Cercai di strattonarlo e spingerlo via, ma lui mi schiacciava contro il muro con tutto il peso del suo corpo. Mi baciò ed io mi divincolai. Poi ad un certo punto gli assestai un calcio nelle parti basse.
Finalmente si spostò, piegandosi in due dal dolore ed io corsi via.
 
  • Luke, mi dispiace, mi dispiace!
Corsi fino in camera mia.
Chiusi la porta alle mie spalle ancora affannata.
 
  • Anna! Cosa è successo? Perché hai il fiatone? Quanto ci hai messo a posare un’aspirina?
  • Niente, non è successo niente.
  • Non ci credo, sei sconvolta.
  • Non è nulla.
  • Anna! Parlami!
  • Niente, solo Luke, era ubriaco e, ecco, ha provato a..
  • Cosa? Cosa si è permesso di fare?
  • No no no stai calmo! Ha solo provato a baciarmi.
  • Adesso vado a prenderlo io a pugni, prima non ho reagito, ma ora lo massacro!
  • Sta fermo, ti prego, era ubriaco! Domani mattina non si ricorderà niente!
  • Questo non lo giustifica minimamente! Ma è impazzito!
  • Calmati e rimettiti il ghiaccio.
  • Tu stai bene? Ti ha spaventato?
  • No, sto bene. Gli ho dato una ginocchiata… ecco… lì.
  • Gli sta bene.
Ci fu un momento di silenzio. Poi entrambi ci guardammo e scoppiammo a ridere all’unisono.
 
  • Povero Luke. Prima mi ha anche detto di prendermi cura del tuo occhio nero. – gli riferii.
  • Deve essere proprio impazzito o veramente molto ubriaco per permettersi di metterti le mani addosso.
  • Io non avrei mai pensato che ti avrebbe picchiato. Devo cambiare questo ghiaccio, si è praticamente sciolto, nel frigo non ne ho più. Vado giù al bar e vedo se ne hanno dell’altro.
  • Non andare via di nuovo..
  • Starò via solo pochi minuti.
Scesi di nuovo nel bar. Chiesi al barman se poteva procurarmi un po’ di ghiaccio da portare in camera. Mi guardò un po’ stranito, poi andò nel retro. Effettivamente poteva sembrare strano chiedere tutto quel ghiaccio con quel freddo. Chissà cosa stava pensando..
 
  • Anna!
  • Chris! Ciao!
Chris era con un amico a bere una birra.
 
  • Ti presento Zachary. E’ un nostro collega. Cosa ci fai al bar tutta sola?
  • Ecco, è una lunga storia..
  • Noi abbiamo tempo, vero Zach?
  • Certo, abbiamo sempre tempo per una bella ragazza! – rispose l’amico.
  • Ehm, ecco..
In quel momento arrivò il barman, che mi porse un enorme ciotola di acciaio piena di ghiaccio.
Entrambi mi guardarono con una faccia a dir poco interrogativa.
 
  • Posso parlare liberamente? – chiesi a Chris, facendogli un cenno e riferendomi a Zach.
  • Certo, Zach è un amico.
  • Tom è in camera mia con un occhio nero. Devo farglielo sgonfiare in qualche modo..
  • Cosa? Ma come è successo? Cosa avete combinato?
  • Ma cosa vai a pensare? Non sono stata io! È stato Luke!
  • Luke? Scherzi? E perché?
  • Senti qui non posso raccontarti tutto, volete salire?
  • Andiamo a vedere come sta Tom. – fece Zachary.
  • Ok, andiamo. – replicò Chris, e prese dalle mie mani il pesante contenitore con il ghiaccio.
Entrai in stanza e feci accomodare anche gli altri due.
 
  • Chris? Zach? Cosa ci fate qui? – chiese Tom appena li vide.
  • Erano al bar mentre chiedevo il ghiaccio e così…
Mi soffermai un momento sul volto tumefatto di Tom.
 
  • Oh mio Dio Tom! Il tuo occhio è viola! E sempre più gonfio! Vado a preparare la borsa del ghiaccio.
Lasciai i tre ragazzi nella mia camera da letto – che non era mai stata così affollata – ed andai in bagno con il ghiaccio.
Presi una nuova federa – dovevo rassegnarmi a dormire senza – perché la prima era tutta bagnata. Pensai che fosse meglio isolare il ghiaccio dalla federa, così cercai qualcosa che potesse aiutarmi.
Riapparvi in camera ed ascoltai pezzi di conversazione tra i tre. Tom stava spiegando loro a grandi linee quello che era successo. Trovai nell’armadio la busta di plastica da usare per la lavanderia, che non era utilizzata e la presi. Tornai nel bagno, la riempii con il ghiaccio, la inserii nella federa ed andai a posizionarla sull’occhio tumefatto di Tom, che nel frattempo aveva più o meno spiegato tutto agli altri due. Mi sedetti sul letto a gambe incrociate, insieme agli altri tre.
Poi pensai di cercare una pomata, portavo sempre nel mio bagaglio un fornito kit da pronto soccorso. Non lo aggiornavo spesso, ma potevo guardare.
Mi alzai di nuovo.
 
  • Dove vai adesso? – mi chiese Tom, imbronciato.
  • Il cucciolo bastonato ha bisogno di te, Anna, dove scappi? – lo schernì Chris.
  • Sì, Anna, dove pensi di andare? – gli fece eco Zach.
  • Oh, smettetela voi due, vado a vedere se ho una pomata!
Rossa come un peperone, tornai per l’ennesima volta in bagno a cercare la crema.
Sentii le loro risate e non potei fare a meno di ascoltare.
 
  • Tom, hai ragione, è davvero deliziosa!
  • Se l’aveste presentata prima a me te l’avrei soffiata sotto il naso – era la voce di Zach.
  • Piantatela o vi sentirà!
  • Ma è così fantastica anche a letto?
  • Zach! Sta zitto, lo sai che Tom è un gentleman, non racconta mai niente.
  • Comunque non potrei raccontare nulla, non è successo niente.
  • Scherzi? Sei sempre in camera sua?
  • Non è una ragazza come le altre.
Approfittando della pausa nel discorso – assai imbarazzante – che avevo ascoltato, mi ripresentai in camera.
 
  • Eureka! Togliti per un attimo il ghiaccio, ti spalmo un po’ di pomata.
  • Vabbè Tom, abbiamo visto che sei in ottime mani, quindi possiamo anche andare.  - Fece Chris.
  • Infatti. Anna, mi raccomando, prenditi cura dell’infermo. Ci vediamo, Tom. – disse Zach.
  • Ciao ragazzi, vi accompagno. – dissi loro.
Li accompagnai alla porta sorridendo e mi stamparono entrambi un sonoro bacio sulla guancia.
Tornai in camera. Mi sistemai sul letto a gambe incrociate e posizionai piano la testa di Tom sulle mie gambe. Gli sollevai il ghiaccio e iniziai a spalmare molto delicatamente la crema sul suo occhio tumefatto.
Lui stava in silenzio ad occhi chiusi.
 
  • Ti faccio male?
  • Affatto. Mi stavo godendo il tocco gentile delle tue dita.
  • Luke ha detto che per domani si sarebbe inventato una scusa perché tu non vada sul set.
  • Perfetto. Due giorni di vacanza consecutivi. Non potevo sperare di meglio.
  • Mi auguro che fra due giorni sia migliorato.
  • Ho qualche dubbio.
  • Temo anch’io.
  • Ma magari le tue manine e le tue cure amorevoli potrebbero fare miracoli.
  • Smettila!
Gli diedi uno schiaffetto sul torace ed a lui scappò un rantolo sofferente.
 
  • Non posso averti fatto così male!
  • No, è sempre Luke che ha colpito.
  • Dove? Fammi vedere.
Cominciò a sbottonarsi la camicia..
Deglutii. Anna, coraggio, si sta spogliando per una ragione più che innocente, tieni a freno le fantasie.
Si scoprì petto e torace, dove si vedeva chiaramente il livido provocato da un pugno all’altezza dello stomaco.
 
  • Ti ha proprio conciato per le feste.
  • Ho la pelle delicata.
  • Lo vedo.
Gli sfiorai delicatamente la pelle diafana, nel punto dove cominciava a diventare violacea.
Lui chiuse di nuovo gli occhi.
Mi allungai su di lui, perché la pomata era rimasta dall’altra parte del letto, ma mi bloccò il polso, attirandomi a sé.
Finii lunga distesa sopra di lui. Mi puntellai sulle braccia, perché non volevo fargli male, appoggiandomi con tutto il peso sul suo corpo.
Mi sorrise ed io gli sorrisi di rimando. Mi avvicinai e lui mise le mani sulla mia nuca per attirarmi di più a sé e mi baciò, prima dolcemente, poi sempre più ardentemente.
Si girò sul fianco e agilmente invertì le nostre posizioni, in modo che fosse lui sopra di me, puntellandosi sui gomiti.
In questo modo io avevo le mani libere e potevo insinuarmi delicatamente sotto la camicia sbottonata, godendomi la calda morbidezza dei suoi fianchi, della sua schiena, del suo petto ed i suoi muscoli sotto le mie dita. Lo accarezzai avidamente fino a dove le mie mani potevano giungere, mentre lui continuava a baciarmi. Sentii che anche lui cominciava ad esplorare il mio corpo con la mano che non si auto sorreggeva, solo che io ero infilata in quella tuta inguardabile.
Mi mossi impercettibilmente e lui prontamente si ritrasse.
 
  • Va tutto bene? – mi chiese.
  • Non potrebbe andare meglio. Anzi forse un pochino..
Tentai di sfilarmi quell’ingombrante tuta, rimanendo solo con la maglietta.
Lui sorrise e sembrò apprezzare.
Riprese a baciarmi ed infilò la mano sotto la maglietta. Sentivo le sue dita affusolate che si muovevano gentili accarezzando la mia pancia, solleticando l’ombelico, risalendo verso il seno.
Improvvisamente si fermò.
 
  • Che c’è? – mormorai.
  • Nulla. Solo stasera basta così.
  • Perché? Non ti ho chiesto di smettere.
  • Voglio dimostrarti che un uomo, se vuole, è in grado di fermarsi.
Mi accarezzò una guancia, mi baciò, e si distese a fianco a me, abbracciandomi.
Appoggiai la testa sulla sua spalla e lo strinsi a me.
 
  • Auh!
  • Scusa! Ti metto un po’ di pomata.
Presi il tubetto, mi sedetti a gambe incrociate vicino a lui e cominciai a spalmargli delicatamente la crema sul livido. Lui chiuse gli occhi ed attese che finissi. Lo aiutai a sfilarsi la camicia dalle braccia.
Non avevo niente da dargli al posto della camicia.
 
  • Vedo se trovo qualcosa da farti indossare.
  • Non importa. Ora vado.
  • No! Resta. Se vuoi.
Lui mi guardò stupito.
 
  • Sicura?
  • Sì.
  • Ti fidi di me?
  • Mi fido di te.
Più che altro era di me stessa che non mi fidavo tanto…
Mi accoccolai al suo fianco e coprii entrambi con la coperta.
 
  • Buonanotte Tom.
  • Buonanotte Anna.
Una dolcissima tortura. Averlo così vicino, toccarlo, sentire il suo respiro su di me.
Mi sentivo veramente al sicuro con lui accanto e non era una sensazione che avevo provato molte volte nella mia vita.
Solo qualche notte prima avevamo già dormito così, stretti l’uno all’altra.
Ma quante cose erano cambiate nel frattempo?
 
 
 
N. d. A.
Una giornata densa di avvenimenti!
Ripeto nuovamente che tutte le caratterizzazioni dei personaggi, in particolare quella di Luke (che in questo capitolo ha un ruolo molto, ehm, diciamo, attivo…), sono esclusivamente una creazione della mia fantasia.
È anche spuntato di nuovo Chris (Hemsworth, ovviamente) ed il Zach a cui mi riferisco è Zachary Levi (Fandral in Thor – The dark world), obviously.
In seguito avranno un ruolo molto importante.
Spero che vi sia piaciuto. Ringrazio sempre con tanto affetto tutti quelli che seguono, preferiscono, ricordano, recensiscono o anche solo leggono la mia storia.
Non mi stancherò mai di esservi grata.
Un bacio, al prossimo capitolo!
 

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Capitolo 6
*** Cap. 6. Party ***


 
CAP. 6. PARTY
 
 
Sentii il suono di un telefono in lontananza.
In realtà il cellulare non era per nulla lontano, era sul comodino e mi allungai per raggiungerlo.

- Sì?
- Anna?
- Sì?
- Sono Roger.
- Roger, buongiorno.

Oh  merda! Il mio capo!

- Ciao, volevo sapere come andava.
- Oh certo. Guarda, ho ancora qualche dettaglio da definire, ma sono abbastanza a buon punto.

Sentii Tom  che si stava svegliando vicino a me, e stava mugugnando qualcosa. Gli tappai la bocca con la mano libera.

- Bene, Anna, allora fammi sapere a che punto sei, qui a Londra abbiamo bisogno di te.
- Certo, ti telefonerò quando avrò concluso. Buona giornata, Roger.
- A presto Anna.

Tom mi guardò con aria interrogativa.

- Era il mio capo. Non mi sembrava professionale fargli intendere che ho dormito con il mio cliente.
- Perché? Solo un’altra dimostrazione del fatto che prendi il lavoro molto seriamente, ti ci dedichi giorno e notte, anima e corpo...

Gli diedi un buffetto affettuoso sulla guancia.

- Il tuo occhio va forse un pochino meglio. O magari mi sono abituata a vederlo così.
- Chiamerò Luke. Devo sapere se si è inventato qualcosa per evitarmi di andare sul set oggi e cosa ha detto. Ne approfitterò per rimproverarlo di come si è comportato con te ieri sera.
- Lascia perdere. Sono sicura che neppure se lo ricorda.

Si alzò ed io potei ammirarlo in tutta la sua bellezza. A torso nudo, coi capelli arruffati e lo sguardo sornione era ancora più bello di come lo ricordavo.

- Cosa guardi?
- Te.
- E?
- E quello che vedo mi piace  – gli risposi arrossendo.

Per una volta non trovai scuse, né gli risposi con una provocazione o cercando di sviare il discorso. Cominciavo finalmente a sentirmi un po’ più a mio agio con lui, sebbene non avessi totalmente abbandonato le mie solite autocensure.
Sorrise. Il suo meraviglioso sorriso come buongiorno era il più bel regalo che potesse farmi.

- Vado in camera e mi cambio - mi disse mentre si abbottonava la camicia.
- Ti presto un paio di occhiali da sole? Se qualcuno ti vedesse così..
- Accetto l’offerta. Ci vediamo giù per colazione?
- Farai colazione con gli occhiali da sole? Sarà meglio vedersi qui.
 
 
 
- Tom io devo concludere il tuo contratto e poi tornare a Londra. Il mio capo mi ha fatto chiaramente intendere di muovermi che c’è altro lavoro da fare.

Mi guardò deluso.

- Cosa ti aspettavi? Io ho un lavoro a Londra. Puoi dedicarmi un po’ di tempo stamattina? Così finisco di impostare i termini contrattuali, poi nel pomeriggio termino la stesura. Stasera potresti verificare che sia tutto a posto e domani potrei già tornare a Londra.
- Ehi ehi frena un momento!
- Che c’è?
- Domani devi partire?
- Sarebbe meglio.
- Scusa, ma appena il tuo capo chiama tu ti metti sull’attenti?
- È così che funziona, sì. Si chiama lavorare, tesoro. E possibilmente conservare il posto di lavoro.
- Va bene, va bene. Ti concederò di lavorare stamattina, ma stasera c’è la cena con il cast e la crew. Dato che la prossima settimana termineranno le riprese qui in Islanda, molti partono prima della conclusione e la cena di addio si fa stasera.
- Ok, allora avrò più tempo per terminare la stesura del contratto. Domani mattina lo controlleremo insieme e domani sera tornerò a Londra.
- Veramente volevo chiederti di venire con me alla cena.

Sbarrai gli occhi.

- Scherzi? La gente parla.
- La gente fa poco altro. Però non ci sono giornalisti, Anna. E comunque non mi vergognerò mai di stare con te. Sarei onorato se mi accompagnassi a questa festa.
- Sei sicuro?
- Mai stato più sicuro di niente. Eccetto che di questo..

Si avvicinò e mi baciò dolcemente.

- Va bene, allora dobbiamo muoverci, devo finire il mio lavoro!
 
 
 
Fu una giornata molto impegnativa.
Durante la mattina sistemai gli ultimi dettagli del contratto con Tom e riservai al pomeriggio la stesura definitiva.
Non era facile lavorare con Tom che mi girava intorno.
Era una potente distrazione.
Fortunatamente riuscii a concludere il lavoro nel tardo pomeriggio.

- Ho finito!
- Finalmente!
- Adesso posso prepararmi per la cena. Devo mettermi elegante o informale?
- Direi informale, ma elegante.
- Sei davvero di aiuto.
- Io metto un abito, ma senza cravatta.
- Già meglio. Di che colore?
- Blu.
- Ottimo. Dovrei avere qualcosa che potrebbe andare. Ecco.. ovviamente ci sarà anche Luke?
- Penso proprio di sì.
- Avete parlato?
- Sì. Per la mia assenza di oggi ha comunicato un impegno imprevisto. Circa il disdicevole episodio di ieri sera, come avevi ipotizzato, non ricorda nulla, ma è mortificato.
- Ma voi due vi siete chiariti?
- In parte. Non mi perdonerà facilmente.
- Mi dispiace, Tom. Non vorrei essere la causa della fine di una così bella amicizia.
- Smettila di pensare che tutto sia colpa tua. Sono una persona adulta ed ho fatto le mie scelte.
- Va bene. Vai a prepararti, poi torna qui che devo truccarti. Devo nascondere il tuo occhio violaceo.

Mi diede un bacio veloce ed uscì.
Mi feci la doccia, con calma, usando tutti gli oli profumati a mia disposizione.
Per fortuna mi ero portata un vestito piuttosto elegante, di Valentino, nei toni del blu, ma cangiante.
Mi aspettavo una qualche cena elegante di lavoro, ma certo non mi sarei aspettata di andarci accompagnata, e certo non in compagnia di Tom Hiddleston.
L’abito era stretto in vita, a bustino, senza spalline e senza maniche, con la scollatura a cuore.
Era più svasato sui fianchi e la gonna arrivava sotto il ginocchio. Poi avrei indossato un copri spalle nero.
Indossai il vestito e stirai i capelli, con la piastra da viaggio.
I miei capelli, castano ramati, non erano né ricci né lisci, insomma, il peggio che potesse capitarmi.
Decisi di lisciarli e farli ricadere naturalmente sulle spalle, senza acconciarli particolarmente.
Mentre stavo tentando di lisciarli, sentii bussare alla porta.
Con la piastra calda in mano andai ad aprire.

- Luke!
- Ciao Anna. Sono venuto, ehm.. per scusarmi del mio comportamento di ieri sera, ma, ehm, vedo che sei occupata…
- Entra!

Aprii la porta e lo feci entrare.

- Caspita, sei… bellissima.
- Grazie Luke.
- Deduco che stasera andrai alla festa.. con Tom.
- Sì.
- Sei davvero... bellissima.
- Grazie Luke. Non fa niente per ieri. Eri confuso ed ubriaco. Ora stai meglio?
- Diciamo di sì.
- Sono convinta che si risolverà tra te e Tom, siete amici da troppo tempo. Spero davvero si sistemi tutto.

Mi guardò per un momento e mi abbracciò.
Io avevo ancora la piastra calda in mano e stavo cercando di avvisarlo di stare attento, quando vidi entrare Tom.
In un attimo lo prese per una spalla e lo allontanò da me.

- Giù le mani, Luke, hai fatto abbastanza ieri!
- No, no aspetta Tom, hai equivocato! Luke è venuto per scusarsi.
- OK. Sarà meglio che ora se ne vada.
- Stavo andando. Ciao Anna.
- Ciao Luke.

Se ne andò con una faccia da cane bastonato.

- Era proprio necessario? Era venuto per scusarsi. Hai visto che faccia aveva?
- Mi dispiace, ma quando l’ho visto attaccato a te non ci ho più visto!
- Vabbè. Poso la piastra.

Tornai in bagno, misi a posto la piastra e presi correttore e fondotinta per coprire l’occhio nero di Tom.

- Adesso siediti. Mettiti sulla sedia della scrivania così posso girarti intorno liberamente.
- Anna, non ti ho detto una cosa.
- Cosa?
- Sei bella da togliere il fiato.

Arrossii.

- Grazie. Anche tu stai molto bene.

Stava davvero bene. Era la prima volta che lo vedevo con un abito. Camicia bianca e abito blu. Una miscela esplosiva.
Si sedette dove gli avevo indicato. Da seduto arrivava praticamente all’altezza del mio seno.
Cominciai a picchiettare il correttore molto delicatamente sul suo occhio, ancora violaceo.

- Magari potevo chiedere ad una truccatrice.
- Poi avrebbe fatto troppe domande.

Applicai il correttore sui toni del giallo per coprire il viola, mentre dove l’ematoma appariva rossiccio, usai il correttore sui toni del verde.

- Che fai? Perché mi trucchi di verde?
- Non ti trucco di verde! Eppure starai ore al trucco per i tuoi film e non sai niente di makeup correttivo. Il principio del correttore si basa sulla complementarietà  dei colori. Il viola và corretto con il giallo, il rosso con il verde. Dopo applicherò il fondotinta per uniformare.
- Te ne intendi parecchio.
- Mi è sempre piaciuto truccarmi. Attraverso il trucco puoi mascherare i tuoi difetti e valorizzare i tuoi pregi.
- L’ennesima maschera, insomma.

Lo guardai con aria interrogativa.

- Come scusa?
- Anna, tu sei molto diversa rispetto all’immagine di te che fornisci al mondo esterno.

Girai intorno alle sue lunghissime gambe, per avvicinarmi di più, continuando a lavorare con i colori.

- Non mi nascondo, mi difendo.
- Vorrei che fossi te stessa.
- Lo sono con te. Lo sai che faccio fatica a fidarmi.
- Lo so. Ed infatti ti ringrazio di fidarti di me.
- È merito tuo.
- E comunque sei bellissima senza trucco.

Colta alla sprovvista, inaspettatamente inciampai su quelle gambe chilometriche e finii addosso a lui, dritta con la sua faccia sul mio seno.

- Oh scusa, scusa, mi sono inciampata!
- Eheheh! È stato un piacere.

Terminai di mettere a posto il suo occhio con un po’ di fondotinta, picchiettandolo con una spugnetta bagnata.
Il risultato era coprente ma naturale. Ero abbastanza soddisfatta.

- Speriamo che sia sufficiente. Non piangere, non sudare, non bagnarti.
- Posso respirare?
- Si, ma non affannosamente. – lo schernii.
- Si, padrona.

Si alzò di scatto e catturò le mie labbra in un intenso bacio mozzafiato.

- Wow! A cosa lo devo questo? -  Gli chiesi quando riuscii di nuovo a respirare.
- Beh, ecco, è dura controllarsi quando si sta per mezzora con gli occhi esattamente ad altezza… decolleté.

Sorrisi.

- Adesso andiamo o faremo tardi.
 
 
 
 
Per la cosiddetta “cena”, avevano affittato un locale intero.
In effetti cast e crew formavano un gruppo di persone piuttosto notevole.
In realtà scoprii che era un magaparty super esclusivo.
Appena entrammo notai subito Chris e Zach, che ci vennero incontro.

- Anna, sei splendida!
- Grazie Chris.
- Tom, che ne è del tuo occhio nero?
- Magia del trucco.. come si chiama? Correttivo?
- Esatto.
- Non dovresti fare l’avvocato, ti assumiamo come makeup artist.
- Grazie Chris, ma non penso di essere in grado di fare le magie che vedo nei film.
- Bevi qualcosa?  - Mi chiese Zach.
- Grazie, qualsiasi cosa di analcolico.
- Scordatelo, stasera si fa baldoria!
- No Zach, davvero. Non bevo mai, non reggo l’alcol.
- Non preoccuparti, ci siamo noi a sorreggerti. – e mi fece l’occhiolino, andando verso il bar.
- No Zach, sul serio… - ma non feci in tempo a dire nulla che era già sparito.
- Ti va di ballare? – mi chiese Tom.
- Certo, adoro ballare.
- Ottimo, anche io! Andiamo allora.
 
 

Ci scatenammo come matti sulla pista.
Tom era davvero bravo, si muoveva come se non facesse nient’altro nella vita e come se nessuno lo guardasse.
A me sembrava di avere cento, mille paia di occhi puntati addosso, e probabilmente era così, perché era chiaro per tutti gli invitati che Tom–Loki–OcchiVerdi–Hiddleston aveva portato una ragazza alla festa e quella ragazza ero io.  
Quando partì un lento Tom mi prese la mano, ma io ero troppo imbarazzata per assecondarlo e finii per andare verso Zach, che mi porgeva una bibita.
Avevo una sete tremenda, non mi ero ancora fermata un attimo e finii il bicchiere tutto in un sorso.

- Zach, cos’era questa cosa? – gli chiesi, facendo una smorfia.
- Vodka tonic.
- Cosa? Ti avevo detto che non bevo!
- Mi sembra però che ti sia piaciuto!
- Avevo una sete tremenda! Comunque non era male…
- Un'altra?
- No, vado io al bar e mi prendo qualcosa di analcolico.
- No, dai, te lo prendo io, aspettami qui.

Obbedii.
Mentre aspettavo il mio drink, sospettando fortemente che Zach me ne avrebbe portato un altro super alcolico, osservai Tom che sulla pista da ballo si era fatto catturare da una ragazza, probabilmente un’attrice, che lo guardava intensamente e sembrò illuminarsi non appena riuscì a catalizzare la sua attenzione.
Capelli lunghi e corvini, occhi chiarissimi, strizzata in un corpetto che lasciava poco all’immaginazione, la ragazza lo stava letteralmente arpionando con i suoi tentacoli da piovra.
Lui incrociò per un attimo i miei occhi, lanciandomi uno sguardo di rassegnazione ed un mezzo sorriso.
In quel momento tornò Zach con il mio drink.

- Cos’è?
- Vodka lemon.
- Ma non ti avevo detto… oh va bene, non importa.

Presi il bicchiere dalle sue mani e lo bevvi avidamente tutto d’un fiato.
- Caspita! Ma non avevi detto che non bevi?
- Infatti.  - Gli risposi, continuando a guardare Tom avvinghiato alla ragazza.
- Oh. Ecco il motivo. Tom è con Kat.
- Chi è Kat?
- Kat Dennings. È una attrice, nel cast fisso con noi. Circolavano voci che loro due tempo fa stessero insieme.
- Voci?
- Nessuna conferma né smentita.
- Perfetto.
- Non preoccuparti. È passato molto tempo da allora.
- Non si direbbe.
- Ehi ragazzi, che fate? – arrivò anche Chris.
- Ciao Chris. Nulla. Bevo.

Chris guardò l’altro per un attimo, poi Zach fece un cenno al biondo indicandogli Tom e Kat.

- Oh, Anna, non farti strane idee, non c’è stato granché tra loro. – si affrettò a riferirmi Chris.
- Nessuna idea, vado al bar.

Mi diressi a passo spedito verso il bancone ed i due mi seguirono, faticando a starmi dietro.

- Anna, hai mangiato qualcosa?
- Niente.
- Ma non puoi bere così senza toccare cibo, ti sentirai male! – fece Chris.
- Sto benissimo. Zach, come si chiama quella cosa di prima?
- Vodka lemon, ma..
- Mi scusi, potrei avere una vodka lemon, per cortesia? – chiesi al barista.
- Anna, smettila, ti ho detto che non hai nulla da temere, Tom e Kat...
- Non mi interessa nulla di Tom e Kat, voglio solo un drink, va bene? Se volete farmi compagnia ne sarò felice, altrimenti andate a divertirvi da qualche altra parte.

I due ragazzi si guardarono per un attimo, ma non mi lasciarono sola.

- Va bene, poi però andiamo al buffet e mangiamo qualcosa, d’accordo?
- D’accordo.

Finito il mio bicchiere mi accompagnarono al buffet, ricco di ogni ben di Dio.
L’alcol cominciava a fare effetto e necessitavo decisamente di ingurgitare qualcosa.
Chris mi porse un vassoio pieno, ma francamente nulla lì sopra mi attirava.

- Sentite ragazzi, penso di aver bisogno di un po’ di aria fresca, voi mangiate pure quello che volete, io esco un attimo.

Uscii dal locale da una porta secondaria.
Mi strinsi addosso il copri spalle, era piuttosto freddo, ma avevo proprio bisogno d’aria.
Mi trovavo in una sorta di ampio terrazzo, circondato da una balaustra di marmo.
Mi appoggiai alla balaustra con entrambe le mani, inspirando aria gelata a pieni polmoni e chiudendo gli occhi.

- Ciao, tutto a posto?

Non mi ero accorta di non essere sola. Un ragazzo di colore stava fumando una sigaretta proprio lì vicino.

- Ciao, sì grazie. Ho solo bisogno di un po’ d’aria fresca.
- Capisco.
- Sono Anna, comunque. Piacere di conoscerti.
- Idris. Sei venuta con Tom?
- Già.
- E lui dov’è?
- Suppongo stia ancora ballando.
- Quel ragazzo ha una vera passione per il ballo.
- Ho notato.
- Non ti piace ballare?
- Adoro ballare, ma pare che lui preferisca altra compagnia.
- Non penso sia possibile, Anna.
- Sì invece. Una sua ex, credo.

Stavo decisamente parlando troppo. Quindi è questo che fa l’alcol? Cancella le inibizioni. Avevo avuto ragione a tenermici alla larga fino a quel momento.
Dall’interno del locale la musica cambiò. Dalla disco dance si era passati di nuovo ad un lento.

- Balla con me. – mi chiese il mio nuovo amico, allungando una mano verso di me.

Presi la sua mano e mi attirò a sé.
Mi cinse la vita con l’altra e cominciò a muoversi lentamente.
Appoggiai la testa sul suo petto e chiusi gli occhi.
Mi lasciai trasportare dalla musica e da lui, che guidava molto bene.
Non ero in realtà in grado di fare molto altro.

- Anna? Ti ho cercato dappertutto, ma dov’eri finita?

Sentii una voce familiare ed aprii gli occhi.
Idris si staccò da me.

- Ecco la tua ballerina, Tom, trattala bene.
- Certo, Idris. Grazie.

Mi prese tra le braccia e continuò a seguire il ritmo lento della canzone, guidando anche i miei movimenti.
Appoggiai la guancia sul suo petto e chiusi nuovamente gli occhi.

- Anna stai bene? Ti ho visto al lato della pista ed un momento dopo non ti ho più trovato.

Non risposi.

- Anna? Non mi rispondi?

Continuai a tenere gli occhi chiusi e la bocca cucita.
Allora lui si fermò di scatto ed io quasi gli finii addosso, pestandogli un piede.

- Mi rispondi?
- Tom, se volevi stare con un’altra stasera non avevi che da dirmelo. Non capisco proprio perché mi hai portato qui per poi rendermi ridicola ed umiliarmi davanti a tutti.
- Ma di cosa stai parlando?
- Sto parlando di Kat.
- Ma io non sto con lei, non ci sono mai stato.
- Non è quello che ho sentito.
- E tu ti fidi delle voci o di me?
- Non lo so più. Ho visto come ti abbracciava sulla pista. Non sembrava solo un’amica.
- Diciamo che lei ha sperato per un certo periodo che potesse esserci qualcosa, ma non è così.
- Lo ha sperato anche stasera.
- Cosa? No! Ho solo ballato con lei!
- Infatti. Va bene, non importa. Ora vado in albergo. Non preoccuparti. Divertitevi!

Cominciai ad avviarmi verso l’entrata, ma purtroppo persi l’equilibrio e lui fu pronto a sorreggermi.

- Anna? Hai bevuto?
- Cosa? Oh. Sì.
- Cosa hai bevuto?
- Oh non lo so, Zach mi ha portato qualcosa e poi io ci ho preso gusto.
- Anna, tu non bevi mai e magari non hai neppure mangiato.
- No infatti. – rabbrividii.
- Hai freddo?
- Sì.
- Entriamo.
- No, no, no. Non voglio che mi vedano così.

Tom si tolse la giacca e me la mise sulle spalle.
Sorrisi.

- Adesso perché ridi?
- È così che ci siamo conosciuti. Mi hai prestato il tuo cappotto.

Anche lui mi sorrise. Poi si fece serio.

- Anna, non devi essere così insicura. Tra Kat e me non c’è niente e non c’è mai stato niente. Non c’è nessun’altra con cui voglio stare.
- Ma … lei è stupenda. Come posso…  io…

Mi abbracciò e mi tenne stretta, contemporaneamente frizionandomi sulle braccia per scaldarmi.

- Cosa posso fare per farti capire che ci tengo a te e non vorrei essere in nessun altro posto e con nessun’altra. Dimmelo tu, Anna, perché io davvero non so come riuscire a dimostrartelo.
- Fai l’amore con me.

Gli dissi d’impulso.
Non sapevo se era stato l’alcol a parlare, di certo da sobria non avrei mai avuto l’audacia di fargli una simile esplicita richiesta.
Però la verità era che lo desideravo.
Si fermò di scatto e mi prese per le spalle, facendo in modo che lo guardassi negli occhi.

- È quello che vuoi veramente?
- Sì. – gli risposi, paonazza.
- Ma non stasera.
- Come? Perché?
- Mi sembrerebbe di approfittarmi di te! Non sei lucida, Anna.
- Oh adesso basta, sono veramente stufa! Mi porti qui e poi ti metti a ballare con un'altra. Mi dici che vuoi stare solo con me, ma quando ti chiedo, ehm.. di dimostrarmelo ti tiri indietro. Perché non parli chiaro? Perché non mi dici la verità? Passi del tempo in mia compagnia solo perché ti faccio pena, non ti piaccio minimamente, neanche quanto basta per una scopata e non me lo vuoi dire perché sei una persona gentile, o presunta tale e non vuoi ferirmi! Ma non preoccuparti, ti libero da qualsiasi impegno. Ora vado in albergo. Ti manderò il contratto.

Gli lanciai addosso la sua giacca, raggiunsi con passo spedito la porta finestra del terrazzo ed entrai nel locale. L’ira mi aveva perfino fatto passare la sbornia.
Durante tutto il mio sproloquio Tom se ne era rimasto zitto ed a bocca aperta.
Tentò di fermarmi, ma ormai avevo raggiunto la festa e, confondendomi tra la folla, sparii presto dalla sua vista.
Uscii di corsa, presi un taxi e mi feci portare in albergo.
Non sarei rimasta lì a farmi umiliare un minuto di più.
Il cellulare continuava a squillare, ma decisi deliberatamente di ignorarlo, intanto sapevo perfettamente chi mi stava cercando.
Presi a fare rapidamente le valigie, infilando tutto alla rinfusa, preoccupandomi solo di non dimenticare il pc con la stesura definitiva del contratto.
Non avrei mai potuto rifare da capo il lavoro, non volevo avere mai più a che fare con quell’uomo.
Andai alla reception, feci il check-out e chiesi di chiamarmi un taxi per l’aeroporto.
Attesi il taxi nella hall.
Nel frattempo arrivò anche Tom, che evidentemente aveva avuto la faccia tosta di seguirmi fino lì.
Ma perché non mi lasciava in pace?
Si era portato dietro perfino Chris e Zach.
Mi nascosi dietro una colonna, sperando che non mi vedessero e che non chiedessero di me alla reception.
Si divisero per cercarmi, Tom salì in ascensore, probabilmente per cercarmi in camera, Zach uscì e Chris invece rimase nella hall.
Cercai di non farmi notare, ma alla fine Chris mi trovò.

- Anna! Mio Dio! Eravamo tutti preoccupati, ma che ti è preso? Ora chiamo Tom e …
- No, ti prego, Chris non farlo, non voglio parlargli. Adesso torno a Londra, digli che sto bene.
- Non me lo perdonerà mai se non lo avverto.
- Ti prego, Chris, allora digli che non mi hai visto, ora prendo il taxi e torno a casa.
- Ma cosa è successo?
- Per favore Chris, non chiedermelo. Il mio taxi sarà arrivato. Ciao e grazie.

Uscii quasi di corsa dall’hotel, trascinandomi dietro valigia e borsa del pc.
Non incrociai fuori Zach e salii indisturbata sul taxi, che mi condusse all’aeroporto.
Era quasi giorno ed in aeroporto trovai un gentile addetto che mi fece prenotare il primo volo del mattino per Londra, che partiva alle 8.
Mi accomodai sulle poltroncine, in attesa della chiamata per il check-in e chiusi gli occhi.
 
 
 
Sentii qualcuno che mi scuoteva delicatamente.

- Anna! Anna, svegliati.
- Tom? Ma che ci fai qui? Ma perché non mi lasci in pace?
- Anna, ma non crederai davvero a quello che mi hai detto prima?
- Fino all’ultima parola.
- Allora non hai capito niente. Come puoi pensare che stia con te perché mi fai pena? Pena per cosa? Sei una donna forte che ha affrontato prove terribili nella vita e ciò nonostante si è sempre rialzata ed ha continuato a testa alta il proprio percorso. Sei una ragazza bellissima, inconsapevole della tua bellezza e per questo ancora più irresistibile. Non mi interessa niente stare con la prima attricetta il cui problema più grosso è se indossare un Prada o un Cavalli. Tu mi piaci perché sei incredibilmente intelligente, acuta, sensibile, piena di vita. Quando sei veramente te stessa ed abbandoni le maschere di autodifesa che ti sei costruita, prendi fuoco per qualsiasi cosa, che si tratti di una cascata o di me che ballo con un’altra.
- Tom smettila, ora devo prendere il mio volo.
- Non ti farò partire così, Anna.
- Prova a fermarmi! – gli risposi risoluta.
- Anna, ti prego, non andare via, io… mi sto innamorando di te.

Mi paralizzai.

- Ma … ma cosa stai dicendo? Ci conosciamo da una settimana?
- C’è un tempo standard per cominciare ad amare una persona?
- No, ma..
- Poi abbiamo condiviso esperienze estreme e molto intense e confidenze intime.
- D’accordo, ma..
- Tu non mi vuoi bene almeno un po’, Anna?

Mi chiese a quel punto.
Non risposi.

- Non ti saresti tanto infuriata vedendomi con Kat se non tenessi a me almeno un pochino.

Era un colpo basso. Arrossii e lo guardai.
Mi sorrise, come per un tacito incoraggiamento.

- Certo che tengo a te..
- Hai pensato che potenzialmente avrei potuto farti soffrire e sei scappata. Ma ti giuro che non è mai stata mia intenzione mancarti di rispetto o umiliarti. Ho fatto un unico ballo con Kat, che è un’amica, e poi ho subito iniziato a cercarti. Mi dispiace che tu abbia equivocato. Mi perdoni?
- Ti perdono, solo se tu perdoni me.
- Scuse non accettate, solo perché non dovute. Ora vieni qui.

E allargò le braccia, dove io mi rifugiai.

- Avevo detto a Chris di non dirti niente.
- Lo avrei ucciso se non mi’avesse detto dove trovarti.
- E’ quello che mi ha detto lui. A volte sembri proprio Loki.
- Se fossi come Loki prima non avrei esitato un attimo a fare l’amore con te su quel terrazzo quando me lo hai chiesto.
- Evidentemente non volevi farlo.
- Anna, mia cara, ti desidero da quando ti ho visto per la prima volta tremare tutta infreddolita stretta in quel cappottino sul set. Ti voglio come non ho mai voluto nessun altra, ma non penso che farei il tuo bene affrettando i tempi. Inoltre voglio che tu sia completamente lucida quando accadrà.
- Mmh. Ora posso prendere il mio aereo?
- No.
- Tom! Devo tornare a Londra, lo sai.
- Adesso vieni con me, ti offro un cappuccino e qualcosa da mangiare, poi ti fai una dormita e magari più tardi considererò la possibilità di lasciarti tornare a Londra.
- Almeno fammi prenotare il prossimo volo. – ero troppo stanca per discutere e cominciavo ad avvertire un certo mal di testa post sbornia.
- Va bene. Aspettami qui, dammi il biglietto, provo a cambiarlo.
- Grazie.
- Non muoverti di qui, me lo prometti? È tutta la sera e tutta la notte che ti cerco, non voglio più stare in ansia.
- Promesso.

Si allontanò continuando a voltarsi ogni tanto per verificare che non scappassi.
Certo le mie reazioni della serata erano probabilmente state intensificate dall’alcol, ma davvero ero stata male quando avevo visto Tom con quella ragazza. E non ci avevo più visto quando mi ero sentita rifiutata.
Non sapevo se volesse dire che lo amavo, ma di certo da quando lo conoscevo mi aveva fatto provare emozioni molto intense.

- Ho fatto. Ti ho prenotato un volo per domani.
- Cosa? Ma devo…
- Domani è domenica, sarai a Londra in tempo per presentarti in studio lunedì mattina.
- Oh. D’accordo.
- Adesso andiamo, ti porto in albergo.
- Ma io non ho più una camera.
- Non è un problema, starai nella mia.

Uscimmo dall’aeroporto e caricò nella sua auto i miei bagagli.
Squillò il suo cellulare e lui rispose.

- Chris! Sì tutto bene, l’ho trovata, stiamo tornando in albergo.
- […] – non sentii cosa gli diceva il collega.
- Grazie, amico. Ci sentiamo più tardi.
- Traditore! – dissi a voce alta, sperando che sentisse chi stava all’altro capo del telefono.
- Eheh. Chris è un buon amico. Per fortuna ti ha visto e mi ha detto dove ti avrei trovata.
- Mmh.

Mi accasciai sul sedile del passeggero, tenendomi la testa fra le mani. Decisamente bere non faceva per me. Avevo un gran mal di testa e mi stava venendo pure nausea.

- Stai bene? – mi chiese.

Feci cenno di no con la testa.

- Vuoi  che ci fermiamo?

Altro cenno di no con la testa. Non volevo vomitargli in auto, però mi auguravo che non succedesse o  almeno speravo di riuscire ad arrivare in albergo.

- Non è meglio almeno fermarsi per un caffè? Ti farebbe bene.

Al solo pensiero del caffè mi salì un conato.
Nuovo cenno di no con la testa.
Dopo un viaggio che mi sembrò interminabile arrivammo in hotel.
Mi accompagnò nella sua suite gigantesca e mi aiutò a stendermi sul suo letto, rimboccandomi le coperte.

- Domani mattina starai meglio, comunque se mi dici dove la trovo, ti do la pastiglia che hai dato l’altro giorno a Luke.
- Era l’ultima.
- Mi dispiace, io non ho nessun farmaco con me.
- Non importa. Passerà.

Si sedette sul letto accanto a me, mettendomi una mano sulla fronte. Io posai la mia mano sulla sua, intensificando il contatto e chiusi gli occhi.
Rimase così per un tempo indefinito, poi ad un tratto scostai la sua mano e mi sedetti sul letto.
Avevo urgente bisogno… del bagno.
Mi alzai in fretta e corsi verso la toilette, lasciando lì a guardarmi un Tom attonito.
Mi chiusi rapidamente in bagno, alzai la tavoletta e feci quello che dovevo fare.

- Anna, tutto bene? Apri la porta!
- No, va’ via!
- Anna apri ti ho detto!
- No, Tom sto bene, vattene.
- Se non mi apri subito sfondo la porta.
- No, aspetta.

Cercai di ricompormi per quanto potevo. Mi sciacquai la bocca, tirai lo sciacquone, mi guardai allo specchio, che rimandava un’immagine terrificante.

- Anna, mi apri o devo prendere a spallate la porta?
- No, arrivo.

Aprii la porta ed evitai accuratamente di guardarlo in faccia.
Mi diressi stancamente  verso il letto, Tom dietro.

- Stai meglio, adesso?
- Tra poco starò meglio. Anche se mi sento un’idiota.
- Può succedere a tutti.
- Non a me. Ne ho combinata una dietro l’altra oggi.

Mi sedetti sul letto, in attesa che il mal di testa calasse un po’ di intensità, tenendomi la testa fra le mani.

- Posso fare qualcosa per farti stare meglio? – mi chiese lui.
- Intanto per cominciare non guardarmi.
- Oh, smettila!
- Dico davvero, vai a dormire, non sei stanco?
- Vorrei prima essere sicuro che ti senta meglio.
- Sto bene, davvero.
- Ma sei bianca come un lenzuolo!
- Allora vedi che mi guardi! Ti ho chiesto di non guardarmi!

Feci per alzarmi ed allontanarmi da lui. Non riuscii a fare due passi che mi aggrappai ad una sedia per non cadere.

- Non mi sembra che tu stia bene. Vieni qui.

Mi sollevò e mi fece sdraiare sul letto.

- Da quanto non mangi qualcosa?
- Il toast oggi a pranzo.
- Chiamo il servizio in camera.
- A quest’ora? Non ho voglia di mangiare niente adesso.
- Vedrai che dopo un caffè e qualcosa di commestibile andrà meglio. Torno subito.
- Tom?
- Dimmi.
- Mi dispiace di darti tutto questo disturbo…
- Scherzi? Arrivo.

Si prese cura di me in maniera quasi commovente. Mi portò caffè e pane tostato e trovò perfino un’aspirina. Dopo poco stavo davvero meglio e mi appisolai.
Mi svegliai molte ore dopo, che tutto era passato.
Mi alzai cercando di non fare rumore per non svegliare Tom che dormiva profondamente accanto a me.
Andai in bagno e feci una lunga doccia rilassante.
Mi sentivo davvero un’altra persona rispetto a prima. Dovevo ricordarmi di non abusare mai più di sostanze alcoliche, decisamente non le reggevo.
Presi l’accappatoio più vicino e me lo infilai, poi cercai di sgattaiolare alla ricerca della mia valigia, facendo meno rumore possibile.

- Buongiorno. – mi disse Tom, stiracchiandosi.
- Ciao. Non volevo svegliarti.
- Come ti senti?
- Molto meglio, grazie.
- Lo vedo. Stai d’incanto con il mio accappatoio.

Arrossii.

- Vieni qui..

Obbedii e mi avvicinai a lui, che mi attirò a sé, facendomi finire lunga distesa sul letto accanto a lui. Lo abbracciai, appoggiando la testa sul suo petto.
- Grazie per stanotte.
- E di cosa? Alla fine è colpa mia se sei stata male.
- Che dici? Mi sento così idiota! Sono stata proprio una stupida.
- In verità ho riflettuto su cosa è successo ieri sera mentre ti guardavo dormire…
- Mi hai guardato dormire??
- Fammi finire. Sono stato un cafone maleducato a ballare con Kat mentre ero alla festa con te, avevi tutte le ragioni per infuriarti. E posso immaginare come ti sarai sentita subito dopo quando non ho voluto fare l’amore con te.
- Rifiutata.
- Mi dispiace, Anna. Davvero, sono mortificato per ieri, ti prometto che non succederà più.

Lo guardai allibita. Davvero si stava scusando dopo che mi aveva rincorsa tutta la notte e dopo che avevo vomitato  nel suo bagno?

- No senti, non devi scusarti, sono stata io ad ingigantire tutto probabilmente per colpa dell’alcol. Anzi, ti prego di perdonarmi per averti.. ehm.. invaso la camera e per …
- Non dirlo neanche.

Mi tappò la bocca con un bacio.
Squillò il mio cellulare.

- È mia sorella, devo rispondere.
- Ok.

Mi alzai per uscire dalla stanza e parlare con Kate liberamente.

- Ciao Kate!
- Anna! Non ti sei più fatta viva, ero un po’ in ansia.
- Tutto bene, sorellona, ho avuto parecchio da fare.
- Lavoro o.. altro?
- Ehm.. entrambe le cose.
- Devo dedurre che tutto proceda bene con Tom?
- Sì direi proprio di sì. Comunque stasera torno a Londra, domani devo andare in studio, il mio capo ha richiesto la mia presenza.
- Che peccato! Quando lo rivedrai?
- In realtà non lo so, non ne abbiamo parlato.
- Quando torni devi venire a trovarmi e raccontarmi tutto, ogni più sordido dettaglio!
- Nulla di particolarmente piccante, tesoro.
- Vuoi dire che non avete ancora…?
- No.
- Wow! Allora è proprio una cosa seria!
- Oh, Kate, smettila!
- E dai sorellina! Fammi almeno sognare un po’ con la tua storia con l’attore del momento! Io sono sempre qui a cambiare pannolini!
- Ma sono anni ormai che non cambi più pannolini!
- Vabbè è un modo di dire!
- Ok, non importa. Ti chiamo quando arrivo a casa, magari vengo a trovarti.
- Lo dici sempre, ma non passi mai!
- Hai ragione. Cercherò di venire questa volta.
- Ok, un bacio, a presto!
- Ciao!

Chiusi la comunicazione e tornai in camera.
Pensai che effettivamente dovevo andare a trovare mia sorella ed i miei nipoti, era davvero molto tempo che non li vedevo.
Ancora sovrappensiero entrai in camera e trovai Tom… nudo!
Evidentemente aveva appena fatto la doccia, perché era tutto bagnato e si stava togliendo l’asciugamano che aveva attorno ai fianchi per vestirsi.
Appena si accorse che ero entrata alzò lo sguardo con aria stupefatta. Rimasi un momento interdetta, quasi ipnotizzata da quel corpo statuario e dalla sua… virilità, poi mi riscossi.

- Oddio scusa, non ho bussato!

Mi affrettai a voltarmi, tornare indietro e richiudere la porta alle mie spalle.
Che situazione imbarazzante!
Però non potevo dire di essere dispiaciuta per l’involontario spettacolo che mi aveva offerto…
Mentre stavo ancora pensando alla meraviglia che avevo appena visto, lui uscì dalla sua stanza… questa volta vestito.
Rimasi immobile, paonazza dalla vergogna ed abbassai lo sguardo.

- Scusa, non sapevo che eri uscito dalla doccia…

Mi sorrise.

- Non preoccuparti, Anna. Non hai visto nulla che presto o tardi non avresti comunque visto. Spero più presto, che tardi.

Divenni ancora più rossa.

- Adesso è meglio che vada a prepararmi, devo prendere un aereo.
Lo aggirai e mi fiondai immediatamente in camera sua chiudendo la porta.
 
 

N. d. A.
 
Eccomi con un nuovo capitolo denso di avvenimenti!
Non è dolcissima Anna quando è gelosa?
E quel simpaticone di Zach che ci mette lo zampino per farla ubriacare!
Per fortuna che Tom, con l’aiuto dell’inseparabile  Chris, riesce a rimediare in tempo.
Comunque tra poco si torna a Londra. Cosa accadrà?
Alla prossima!
Un grazie commosso a tutti coloro che leggono, seguono, preferiscono e recensiscono.
Siete sempre più numerose, che bello!
È sorprendente sapere quante amano il nostro meraviglioso Tom!

 
 

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Capitolo 7
*** Cap. 7. Londra ***


CAP. 7. LONDRA
 
 
 
Mi vestii rapidamente e raggiunsi Tom nel salotto.
 
- Ok, sono pronta.
- Ti accompagno in aeroporto.
- No, ti ringrazio, ti assaliranno.
- Figurati!
- No, davvero, non mi piacciono i saluti all’aeroporto, fanno tanto “Love Actually”!
- Eheheh! Va bene, come vuoi tu.
- Tu, ehm, quanto starai ancora qui a girare?
- Ancora tutta questa settimana, poi dobbiamo girare a Londra e a Greenwich. Sarò a casa sabato prossimo.
- Oh.
- Ci vediamo sabato?
- Sì.
- Ti chiamerò.
- Ok.
- Il gatto ti ha mangiato la lingua? Rispondi a monosillabi!
- No, tutto ok. Ora vado, se no perdo anche questo volo.
- Ti faccio accompagnare dall’autista, posso fare almeno questo?
- Va bene. Grazie.
 
Si assentò un attimo per chiamare l’autista, poi tornò da me.
 
- Non fare quella faccia, ci vediamo tra sei giorni!
- Sono così un libro aperto? – gli domandai, sorridendo timidamente.
- Per me sì.
 
E mi regalò un lungo bacio mozzafiato.
Sarei volentieri rimasta lì ad approfondire la cosa. Ma dovevo davvero partire.
 
- Ciao, Tom.
- A presto, Anna.
 
Mi avviai verso la porta e gli feci un cenno di saluto con la mano.
Lui mi rispose con la sua ed io richiusi la porta alle mie spalle.
Scesi nella hall e trovai l’autista che mi aspettava.
Salii sull’auto e sentii la suoneria dei messaggi del cellulare.
 
Mi manchi. T.H.
 
Sorrisi. Ero davvero una donna fortunata, come mi aveva detto qualche giorno prima mia sorella.
 
Smettila, romanticone, oppure ci crederò sul serio. A.
 
Credici. A presto. T.
 
Arrivai presto all’aeroporto e presi il mio volo.
Come era cambiata la mia vita da quando ero salita sull’aereo che mi aveva condotto in Islanda.
Era passata una settimana, ma nella mia mente e nel mio cuore molte cose erano diverse.
Avevo incontrato un uomo che aveva fortemente voluto conoscermi per quella che ero ed io per la prima volta mi ero fidata a tal punto da mostrargli la mia anima più fragile.
Non avevo mai avuto un rapporto così profondo con un uomo, di sicuro non dopo la mia terribile esperienza passata.
Avevo avuto parecchi flirt, ma non si erano mai trasformati in qualcosa di serio.
Non ero più arrivata ad approfondire la conoscenza con un uomo tanto da andare… fino in fondo.
Forse avrei dovuto dirlo a Tom. O magari no.
Ero immersa in questo genere di riflessioni, quando l’aereo si preparò all’atterraggio.
Come al solito mi arpionai al sedile fino a che il velivolo non toccò terra.
Certe cose non erano cambiate.
Appena scesa a terra telefonai a mia sorella per rassicurarla che ero arrivata a casa sana e salva.
 
- Ciao Kate, sono arrivata a Londra.
- Ciao Anna! Bene, sono contenta, anche se forse tu avresti preferito rimanere in Islanda.
- Effettivamente sarei volentieri rimasta.
- Non vedo l’ora che tu mi racconti tutto.
- Passo a trovarti.
- Davvero? Non posso crederci!
- Cosa pensi, anche io non vedo l’ora di raccontarti tutto! Sei l’unica con cui posso confidarmi!
- Vuoi dire che la storia non è di dominio pubblico?
- Sei perspicace, tesoro.
- Direi che ormai è troppo tardi. Non guardi i social network?
- No, perché?
- Ci sono foto di voi due ovunque.
- COSA??? Come? Dove?
- Come non lo so, dove, suppongo ad una festa.
- Oh, no! Ma mi aveva detto che non c’erano giornalisti!
- Magari davvero non c’erano, ma è sufficiente che qualcuno abbia fatto una foto con il cellulare e poi queste cose si diffondono a macchia d’olio.
- Merda merda merda! Vengo subito da te e mi fai vedere tutto.
- Ti aspetto.
 
 
 
 
Dopo cena e dopo aver giocato un po’ con i miei nipotini, che erano due pesti, ma che adoravo, andai subito in cucina da mia sorella, che stava rassettando.
 
- Ti aiuto? – le proposi.
- No, sarai stanca e poi ho praticamente finito.
 
Allora mi sedetti su una sedia e cominciai a raccontarle di Tom, della festa e degli ultimi sviluppi.
 
- Oh, Anna, ti sono accadute più cose in questa settimana che negli ultimi cinque anni della tua vita!
- Non posso contraddirti.
- Penso che questa esperienza sia molto terapeutica per te.
- Beh, ecco, non è la prima cosa che penso quando vedo Tom, però, effettivamente…
- Se è per questo non è la prima cosa che penso neppure io quando vedo Tom!
- Kate! Smettila!
- D’accordo, d’accordo.
- Comunque mi sono quasi convinta ad iniziare una terapia psicologica, specialmente dopo gli ultimi avvenimenti.
- Oh, Anna, finalmente! Da quanto tempo te lo suggerisco!
- Lo so, lo so ed avevi ragione. Già solo parlarne con qualcuno mi ha aiutato un po’. Però penso che non basti. Devo lasciarmi definitivamente questa storia alle spalle per poter serenamente andare avanti con la mia vita. Prima pensavo che fosse sufficiente dimenticare. Ma mi sono accorta che non ci riesco da sola.
- Ma cosa ti ha fatto questo ragazzo in una settimana?
- Cosa vuoi che ti dica?
- Dimmi che sei innamorata di lui.
- Cosa? No non posso dirti questo, è passato così poco tempo.
- Esiste una tempistica per poter parlare d’amore?
- Che strano. È esattamente quello che mi ha detto lui.
- Perché? Cosa ti ha detto?
- Ha detto che si sta innamorando di me.
- E tu cosa gli hai risposto?
- Non so, non ricordo, ero un po’ alticcia in quel momento. Comunque gli ho fatto notare che ci conoscevamo da troppo poco tempo.
- Sei un’idiota. Un uomo meraviglioso praticamente ti dice di amarti e tu? Lo sminuisci?
- Insomma, ero ancora infuriata per come si era comportato quella sera e poi cosa dovevo dirgli? Ti amo anch’io?
- Perché no?
- Perché.. è successo tutto troppo in fretta… io… non so..
- Non mi hai risposto che non è vero.
- Cosa?
- Non hai detto che non lo ami.
- Io tengo a lui, ma non posso dire di amarlo.
- Perché non puoi dirlo? Hai paura di ammetterlo davanti a lui o con te stessa?
- Possiamo parlare d’altro? Puoi farmi vedere cosa si dice sui social di Tom e me?
- Ok, prendo il cellulare.
 
Si allontanò e tirai un sospiro di sollievo dopo quel terzo grado.
Tornò poco dopo e mi mostrò Facebook, Twitter e Tumblr.
Fortunatamente non c’era nulla di particolarmente compromettente.
Solo foto di noi che arrivavamo insieme alla festa e lui che mi invitava a ballare.
La gente si chiedeva chi potesse essere quella misteriosa ragazza che aveva accompagnato Tom alla festa.
 
- Non mi sembra nulla di drammatico. Nessuno sa chi sono.
- Non ci metteranno molto a scoprirlo.
- Io non sono mica famosa!
- Tu no, ma lui sì. Faranno delle ricerche e ti troveranno. Oppure chiederanno a Tom o a qualche suo amico e risaliranno presto a te.
- Sei paranoica, tesoro. Questa cosa si sgonfierà ancora prima che arrivi alle orecchie di Tom.
 
In quel momento squillò il mio cellulare.
 
- Oh. È lui.
- E dai! Rispondi, no?
- Ok, ok, vado di là.
 
Andai nella camera di mia sorella e mio cognato, visto che in cucina c’era Kate ed in salotto i miei nipoti guardavano la tv.
 
- Ciao!
- Ciao Anna, sei arrivata?
- Sì, sono a casa di mia sorella.
- Salutamela tanto, vorrei proprio conoscerla, quando me la presenti?
- Prima o poi te la faccio conoscere.
- Mmh. Hai paura che mi racconti delle cose compromettenti su di te?
- Nulla che tu non sappia già, temo.
- Dai, qualche episodio piccante sulla tua infanzia o adolescenza?
- Ho capito, dovrò corromperla per comprare il suo silenzio.
- Sei sempre dell’idea di vederci sabato?
- Certo, perché?
- Mi sono ricordato che devo andare alla premiere di un film di Joss, non posso proprio rifiutarmi.
- Ok, non importa, ci vedremo un altro giorno.
- No, volevo solo chiederti se non ti dispiaceva accompagnarmi..
- Ad una premiere? Ma che ti salta in testa? Ora non mi dirai che non ci saranno giornalisti?
- Anna, intanto ci hanno già fotografati insieme..
- Cosa? Hai già saputo?
- Me l’ha detto Luke. E tu?
- Me l’ha detto mia sorella.
- Eheh, dovresti pagarla come addetto stampa!
- Non scherzare! Se non ci facciamo più vedere insieme potrebbe essere tutto dimenticato tra un paio di giorni, ma se andiamo alla premiere..
- Sei tu che devi scegliere, Anna.
- Cosa? No, tu devi decidere. Non sono io quella assediata dai paparazzi!
- Appunto, è proprio per questo. Io sono comunque sotto i riflettori, è il prezzo da pagare, ma tu non hai scelto di fare un mestiere come il mio. Ti seguiranno, ti faranno domande, alcune fan, quelle cattive, potrebbero anche insultarti o peggio. Io vorrei proteggerti da tutto questo, ma allo stesso tempo non mi sembra giusto nascondere quello che provo per te, come se la nostra fosse una relazione clandestina. Non facciamo del male a nessuno.
 
Non risposi.
Stavo riflettendo su quanto mi aveva appena detto.
 
- Anna? Ci sei?
- Sì. Stavo pensando.
- Non pensare troppo.
- Hai ragione, sai. Non vedo perché dovremmo vergognarci. Siamo due persone adulte e libere. Verrò con te alla premiere.
- Bene!
- Alla premiere di cosa?
- Eheheh! Il nuovo film di Joss Whedon, il regista di The Avengers. È un adattamento di Much ado about nothing.
- Shakespeare?
- Esatto.
- Mi piace!
- Anche a me!
- Perfetto, allora ci vediamo sabato!
- Ciao Anna, a presto.
- A presto Tom.
 
Chiusi la conversazione e riflettei per un momento sulla scelta che avevo fatto.
Magari me ne sarei pentita. Però aveva ragione, non mi piaceva avere segreti, ne avevo tenuto uno sepolto per così tanto tempo che faceva ancora molto male.
Tornai da mia sorella.
 
- Tutto a posto, Anna?
- Sì. Sa già tutto.
- Oh. E come l’ha presa?
- Direi bene. Mi ha invitato ad una premiere sabato prossimo.
- Davvero? E cosa gli hai risposto?
- Che ci andrò.
- Sai cosa significa, vero?
- Sì. Me l’ha spiegato.
- E a te sta bene?
- Kate, mi sono nascosta per troppo tempo. Ho vissuto una vita a metà per molti anni ed ho conservato gelosamente un segreto che mi ha solo danneggiato. Perché dovrei comportarmi come se vivessi una relazione clandestina? Non faccio nulla di male.
- E lui come la pensa?
- È stato proprio lui a dirmi queste cose.
- Allora andate per la vostra strada e siate coerenti con le vostre scelte. Comunque la mia porta sarà sempre aperta per te.
- Grazie, lo so sorellona.
 
La abbracciai.
Quella sera tornai a casa pronta per affrontare qualsiasi cosa.
C’era Tom con me ed anche mia sorella era dalla nostra parte.
Non era molto, forse, ma era tutto il mio mondo.
Forse sarebbe stato un po’ più complesso spiegare la cosa in ufficio, ma avrei avuto almeno una settimana di tempo, quando sarebbero uscite le foto della premiere, per prepararmi un bel discorsetto.
Mi sbagliavo.
 
 
 
La mattina successiva in studio, fui immediatamente convocata dal mio capo. Entrai nel suo ufficio dopo aver bussato e lo vidi seduto alla sua scrivania con uno sguardo piuttosto contrariato. Strano, pensai, Roger non aveva quasi mai quell’espressione, almeno non con me.
 
- Ciao Roger, volevo appunto venire da te per un controllo sul contratto di…
- Anna, siediti un attimo.
 
Il tono non era proprio accondiscendente.
 
- Dimmi.
- Ecco, Anna, devo farti un discorso in realtà un po’ antipatico.
- Di che si tratta?
- Hai una relazione con Tom Hiddleston?
- Cosa? Come ti è venuto…
- Mi hanno riferito che circolano foto tue e del nostro cliente su internet.
- Oh. Lo so.
- Ecco, io so perfettamente come va in questi casi, magari eravate ad una colazione di lavoro e qualche paparazzo era appostato e non c’è nulla di male in questo caso, non è che uno deve nascondersi per fare il proprio mestiere. Noi siamo sempre a contatto con gli artisti ed io capisco benissimo se…
- No Roger. Non eravamo ad una colazione di lavoro. Era una festa e ci siamo andati insieme.
- Sì, certamente, capisco benissimo, e non voglio dire assolutamente che tu e lui…
- Sarò molto schietta con te, Roger. Come ben sai sono parecchi anni che lavoro per te e mi sembra che il mio lavoro qui sia sempre stato molto apprezzato. Ho avuto a che fare con ogni genere di artista, musicista, attore, ballerino, cantante e nessuno ha mai avuto da ridire sul mio comportamento più che professionale. Anche in questo caso dal punto di vista del mio lavoro, ho svolto il mio mestiere con la professionalità che mi hai sempre riconosciuto, come avrai modo di verificare leggendo il contratto che ho predisposto. Tuttavia questa volta mi è capitato di incontrare una persona diversa dalle altre, che sto conoscendo. Non so se la nostra possa definirsi una relazione, però non ti nascondo che sto vedendo Tom al di fuori del lavoro.
- Co-cosa?
- È così. E non intendo nasconderlo né a te, né al resto del mondo.
 
Non mi rispose.
Mi tenne lì con il fiato sospeso per quella che mi sembrò un’eternità.
Quando ormai ritenevo che mi avrebbe licenziata in tronco, mi disse:
 
- Anna, tu sei un elemento prezioso dello studio e non intendo farti la ramanzina per la tua vita personale. Tuttavia non posso non metterti in guardia. Il fatto che tu veda un cliente al di fuori del lavoro potrebbe danneggiare la tua carriera e lo stesso studio, per cui faremo in questo modo. Adesso controlliamo insieme il contratto, verifichiamo che sia tutto a posto e poi lo inviamo al cliente. Se tutto fila liscio, come presumo, concludiamo l’affare e Mr. Hiddleston da domani non sarà più nostro cliente. Da quel momento lo vedrai a titolo personale e nessuna implicazione con il tuo lavoro o con il nostro studio potrà più essere tirata in ballo.
- Mi sembra una soluzione accettabile.
- Allora cominciamo.
 
Passammo le successive due ore a passare al setaccio ogni clausola ed ogni postilla del contratto che avrebbe dovuto sottoscrivere Tom per il film con Del Toro.
Come immaginavo il mio capo fu più che soddisfatto del mio lavoro.
 
- Va bene, Anna, come al solito non ho bisogno di dirti che il tuo lavoro è perfetto.
- Grazie, Roger.
- Allora puoi chiamare Mr. Hiddleston e inviargli la stesura definitiva. Gli darai poi il numero della segretaria per il saldo della parcella.
- Certamente. Lo faccio subito.
- Benissimo.
 
Feci per uscire dalla stanza, con il pc sottobraccio, poi mi voltai per un attimo.
 
- Roger?
- Sì?
- Volevo ringraziarti, per la tua.. ehm, comprensione.
- Anna, io ti ringrazio per la tua sincerità. Come ho detto non interferirò con la tua vita privata. Oltre ad essere un ottimo avvocato, sei una persona splendida e meriti di essere felice. Spero solo che lui possa renderti felice.
- Lo spero anch’io, Roger. Ancora grazie.
 
Ed uscii dal suo ufficio.
Trassi un profondo sospiro di sollievo.
Ero stata coerente con le mie scelte, come mi aveva suggerito mia sorella, e la cosa aveva funzionato. Almeno con il mio capo.
Mi attendeva il resto del mondo.
Telefonai a Tom, ma non mi rispose. Probabilmente era occupato a girare.
Però io avevo fretta di concludere, così provai a contattare Luke.
 
- Ciao Anna. – mi rispose al primo squillo.
- Ciao Luke, è un brutto momento?
- Oh, no, sono in pausa pranzo.
- Ascolta, Luke, vorrei inviarvi la bozza definitiva del contratto che ho predisposto, l’ho controllata anche con il mio capo e dovrebbe essere tutto a posto.
- Sì,Tom mi aveva detto che sarebbe arrivata in giornata.
- Dove la posso inviare? Ho già la tua mail, posso mandarla a quell’indirizzo?
- Certamente.
- Poi dovreste contattare la segretaria dello studio per il saldo della parcella.
- Sì, lo so, ho già tutti i riferimenti utili.
- Perfetto, allora ti inoltro subito tutto.
- Anna?
- Sì?
- Che ha detto il tuo capo?
- Sì, sapeva già tutto, per via delle foto che sono uscite sui social, quindi non aveva senso nascondersi. Mi ha invitato a concludere presto l’affare in modo che il lavoro non interferisse con il privato.
- Meglio così.
- Già. Come va l’occhio di Tom?
- È praticamente a posto. Le truccatrici sanno fare il loro lavoro. Comunque non si nota effettivamente più nulla.
- E tra voi due? È tutto a posto?
- Non è come prima. Forse non sarà mai come prima, ma stiamo cercando di ricucire quello che resta della nostra amicizia.
- Basta volerlo, Luke. Basta volerlo.
- Non è così semplice.
- Va bene. Comunque provaci.
- Ok. Ti abbraccio, Anna. A presto.
- Ciao Luke.
 
Gli inviai immediatamente la mail con in allegato il contratto.
Nel pomeriggio mi rispose che l’aveva visionato e che, se per Tom non ci fosse stato nulla in contrario, avremmo concluso il nostro rapporto professionale.
Venni a sapere che in serata la segretaria era già stata contattata per il saldo.
Andai a casa più leggera.
Abitavo non lontano dal centro, nel quartiere di Camden, in un piccolo appartamentino di cui ero molto orgogliosa, perché mi ero ristrutturata ed arredata tutta da sola, secondo il mio gusto.
Entrai in casa e preparai la cena. Pollo al curry. Lo adoravo. Mi stavo sedendo a tavola quando il cellulare iniziò a squillare.
 
- Mmh. Promto? – risposi con la bocca piena.
- Anna?
- Tom?
- Ti ho disturbato? Stavi cenando?
- No, no, tutto ok.
- Sì, invece, stavi cenando. Ti richiamo?
- No, il mio pollo può aspettare, non scappa.
- Come è andata? Luke mi ha detto che il tuo capo ha scoperto tutto.
- Sì, è così.
- E?
- E gli ho parlato molto schiettamente. Lui mi ha detto che non avrebbe interferito con la mia vita privata, ma mi ha sollecitato a definire il più velocemente possibile, in modo da non mischiare il lavoro con ehm.. i miei affari personali.
- Molto ragionevole. Dovrò parlare con il tuo capo.
- Cosa? No, non è il caso. È tutto a posto.
- Voglio solo fargli i complimenti per la sua migliore collaboratrice.
- Smettila!
- No, seriamente, forse non te l’ho mai detto, ma sei stata davvero brava con il mio contratto.
- Grazie, è il mio lavoro.
- Lo so, però è innegabile che sei molto competente.
- Ti ringrazio. Come vanno le riprese?
- Bene, sono tutti un po’ tristi perché stiamo per lasciare l’Islanda. Invece io sono molto felice di tornare a Londra.
- Lo immagino. Tanto tempo lontano da casa..
- E dalle persone importanti per me.
- Già..
- Non hai cambiato idea sulla premiere?
- No. Affatto. Perché avrei dovuto?
- La, immagino, spiacevole conversazione con il tuo capo.
- Non è stata così spiacevole come pensavo.
- Però è solo l’inizio.
- Non preoccuparti per me, posso farcela. Sono abituata a cavarmela da sola.
- Ma non sei sola.
- Lo so. Grazie.
- Grazie a te. Voglio essere sicuro che tu sia almeno un po’ preparata a quello che ti aspetta.
- Oh, andiamo, non sarà così terribile!
- Lo spero, Anna. Ora ti lascio cenare. Un bacio.
- Buonanotte Tom.
- Buonanotte, Anna.
 
 
 
 
I giorni seguenti trascorsero molto velocemente.
Il mio capo aveva richiesto la mia presenza perché c’era effettivamente un sacco di lavoro da fare, così non ebbi molto tempo per riflettere.
Aspettavo con ansia la sera e la telefonata con Tom. C’erano così tante cose ancora da scoprire su di lui e adoravo stare ore a parlare dei suoi progetti, dei suoi sogni, del suo passato e della sua famiglia.
Arrivò venerdì sera senza che praticamente me ne accorgessi.
Tornai a casa stanca morta.
Non vedevo l’ora di buttarmi sul letto e farmi una bella dormita.
Stavo preparando una cena frugale, quando squillò il cellulare.
 
- Ciao Tom!
- Ciao Anna, come stai?
- Abbastanza bene. Sono un po’ stanca.
- Perché?
- È stata una settimana pesante in studio, non vedo l’ora di fare una bella dormita.
- Oh. Dove ti passo a prendere domani sera? Dammi il tuo indirizzo.
- Ok. 16 Hawley Crescent, a Camden.
- Perfetto.
- Ora ti lascio andare. A presto, Anna.
- Ciao.
 
Una telefonata molto breve, rispetto ai nostri soliti standard.
Doveva proprio aver capito che morivo dal sonno.
Scaldai al microonde lo spezzatino che avevo preparato il giorno prima e lo divorai in pochi minuti.
Feci una rapida doccia e infilai pigiama e vestaglia. Non avevo minimamente voglia di asciugarmi i capelli, ma sapevo che se non l’avessi fatto il giorno dopo avrei combattuto con la mia cervicale.
Diedi due colpi di phon e li sistemai in una sorta di treccia morbida sulle spalle, che ricadeva da un lato.
Erano appena le dieci, ma io morivo già di sonno, quindi mi avviai in camera.
Suonarono alla porta.
Ma chi poteva essere a quell’ora?
Andai furtivamente verso la porta e guardai dallo spioncino.
TOM???
 
- Ehm, ehi? C’è nessuno? – bisbigliò appena dall’esterno, dato che non mi ero ancora decisa ad aprirgli.
 
Finalmente mi decisi a spalancare la porta, incredula.
 
- Cosa ci fai qui?
- Ehm, ho finito stamattina e così sono arrivato prima. Volevo farti una sorpresa, ma se non vuoi me ne vado..
- Entra!
 
Lo guardai sempre più sconvolta. Come al solito lui era impeccabile, camicia bianca e jeans scuri.
Osservai, invece, come ero conciata io.
 
- Ommioddio, vado a mettere qualcosa di più appropriato. Tu intanto accomodati.
 
E gli feci strada fino al salotto.
 
- Come vuoi, ma, ehm, ti ho visto anche vestita meno di così..
- Ok, touché. Sai che ti dico? Hai ragione. Posso offrirti qualcosa? Un tea, una cioccolata?
- No, grazie, rimango solo pochi minuti. So che sei molto stanca.
 
Si sedette sul divano ed io presi posto accanto a lui, tirando su le gambe.
Lo osservai. Era una visione.
 
- Ecco, io … non volevo che ci vedessimo davanti a tutti domani, dopo che non ci vediamo da una settimana. – mi disse, come per giustificare quella imprevista incursione nel mio appartamento.
 
Quanto poteva essere dolce e romantico?
Avvicinai la mia mano al suo volto e gli accarezzai la guancia, rasata di fresco.
Sentivo la sua morbida peluria sotto il tocco leggero delle mie dita.
Lui inclinò il viso, avvicinando la guancia alla mia mano e chiuse gli occhi, gustandosi il contatto.
Allora mi avvicinai di più con tutto il corpo e lo baciai dolcemente.
Mi strinse a sé, sempre con gli occhi chiusi, e portò la sua mano dietro la mia nuca, per approfondire sempre di più quel bacio.
Quando ci staccammo per respirare mi disse:
 
- Mi sei mancata.
- Anche tu.
- Hai i capelli bagnati.
- Solo un po’ umidi. Esco ora dalla doccia e non avevo voglia di asciugarli.
- Prenderai il raffreddore.
- No, sono abituata.
 
Gli sorrisi. Anche lui mi sorrise e poi si alzò dal divano.
 
- Dove vai?
- A casa. Hai bisogno di riposare.
- No, resta ancora un po’.
- Se rimango non sarà per poco e non ti lascerò dormire.
 
E mi guardò con un’espressione che lasciava intendere una cosa sola.
Sentii le gambe molli, per fortuna ero seduta.
 
- Non usare la tua faccia da Loki con me! – e puntai il dito contro di lui con finto tono di rimprovero.
 
Scoppiò a ridere e mi fece un baciamano.
 
- Voglio che domani tu sia riposata per la nostra prima uscita ufficiale.
- Va bene. Mannaggia a me che ti ho detto che ero stanca!
- Ti si legge in viso.
- Grazie, tu sì che sai fare i complimenti ad una ragazza!
- Eheh, intendiamoci, sei comunque bellissima.
- Inutile che provi a salvarti in corner!
 
Allungò una mano e mi aiutò ad alzarmi dal divano.
 
- Sappi che io sono e sarò sempre sincero con te.
 
E mi baciò di nuovo.
Poi si allontanò ed uscì.
Certo che era un mago sia nelle entrate che nelle uscite ad effetto.
Non avevo più tanto sonno. Mi rigirai per un bel po’ nel letto prima di addormentarmi.
 
 
 
Mi svegliai il giorno successivo fresca e riposata, pronta per la missione vestito.
Tom mi aveva detto che non era una serata di gala stile smoking e abito da sera lungo, così, prima di uscire disperata alla ricerca di qualcosa da indossare, controllai nel mio armadio se ci fosse qualcosa che potesse andare per l’occasione.
Scartai immediatamente quello che avevo già indossato per la festa ed il tubino nero della serata con Luke.
Avevo l’armadio pieno di tailleur, che utilizzavo sempre sul lavoro, ma non pensavo fosse l’outfit adatto per una sera come quella.
Però potevo giocare un po’ optando per un vestito boyfriend style con una giacca da smoking.
Potevo osare anche una  scollatura generosa, intanto poi la giacca avrebbe sdrammatizzato il tutto, rendendo la mise sexy, ma non volgare.
Inoltre mi avrebbe protetto dal freddo.
Pensando a tutte le attrici e cantanti che si presentavano alle serate conciate quasi come mamma le aveva fatte, non riuscivo mai a reprimere un brivido. Come facevano? Il freddo per loro non esisteva?
Trovai quello che cercavo: una camicia in seta bianca morbida, piuttosto scollata, e l’unico completo che poteva andare bene, firmato Yves Saint Laurent, con i reverse della giacca in seta, stile giacca dello smoking da uomo.
Tutto rigorosamente nero.
Non ero una fanatica del vestito firmato, tutt’altro. I capi riconoscibili nel mio armadio si potevano contare sulle dita di una mano, però cedevo anch’io ad alcuni irrinunciabili must-have.
Per rendere più femminile il tutto ci volevano le scarpe. Tacco vertiginoso richiesto, anzi, doveroso!
D’altronde non avevo problemi con il mio accompagnatore, Tom era vergognosamente alto, quindi non rischiavo certo di sovrastarlo.
Perfetto, avevo tutto, non dovevo perdermi per Londra alla disperata ricerca di qualcosa da mettere.
Però sarebbe stato carino se almeno fossi andata dal parrucchiere…
Così mi vestii di volata e mi precipitai dal mio hair stylist di fiducia, a pochi isolati da casa.
Nonostante non avessi preso appuntamento fortunatamente non mi cacciò via, specialmente dopo che gli raccontai il motivo per il quale mi trovavo da lui.
Mi chiese cosa avevo deciso di indossare ed incredibilmente – era a dir poco una fashion victim – approvò la mia scelta.
Mi propose o un raccolto molto morbido, oppure di lasciare i capelli sciolti che ricadessero sulle spalle naturalmente.
Optai per il raccolto, mi sembrava più femminile e meno, diciamo, lasciato al caso. Infatti i miei capelli, anche se stirati ad arte, avevano il brutto vizio di farsi gli affari loro ed avere vita propria, quindi non potevo fidarmi che reggessero bene per tutta la serata.
Uscii parecchio soddisfatta.
Telefonai a Tom.
 
- Buongiorno!
- Ciao Anna, hai dormito bene?
- Come un ghiro. Sono pronta per lottare contro il mondo intero!
- Spero non ce ne sia bisogno!
- Oh, lo spero anch’io. A che ora mi passi a prendere?
- Per le sei?
- Così presto?
- Il fatto è che c’è una conferenza stampa prima della proiezione, poi devo arrivare un po’ prima perché ci saranno sicuramente persone che vorranno foto o autografi.. se vuoi faccio venire un’auto per te più tardi.
- No, assolutamente. Voglio vederti in azione!
- Ci vediamo tra un po’, allora.
- A dopo.
 
Dovevo sbrigarmi!
Mangiai un sandwich take away nel pub sotto casa e mi precipitai a prepararmi.
Stirai con cura i capi selezionati, scelsi poi una collana lunga fino all’attaccatura del seno ma semplice e poi mi vestii.
Il parrucco era sistemato, così mi dedicai al trucco.
Optai per uno smoky eyes sui toni del grigio e del nero, che faceva risaltare molto per contrasto il turchese dei miei occhi.
Sebbene Tom dicesse che stavo bene senza trucco, il risultato post make-up mi convinceva assolutamente di più.
Ero pronta.
Girai un po’ nell’appartamento sistemando e mettendo in ordine le cose che avevo sparpagliato ovunque per prepararmi.
Poi mi aggirai nervosamente per casa in attesa che arrivasse Tom.
Cominciavo effettivamente ad essere un po’ agitata.
Avevo fatto la scelta giusta? Dopo tutto nessuno mi obbligava ad espormi così tanto e così presto.
Ok, stavo diventando fifona, ma l’ansia saliva e non avevo nessuno con cui sfogarmi.
Pensai di chiamare Kate.
 
- Kate, aiuto, mi sta salendo l’ansia!
- Anna! Tesoro, stai serena, vedrai che andrà tutto bene.
- Oh, Kate e se avessi sbagliato tutto? Non vorrei neppure che lui la prendesse come se io volessi fargli pressioni di qualche tipo, perché proprio non è mia intenzione!
- Ma sì, Anna, lui lo sa, è stato lui stesso a proporti di accompagnarlo, non farti prendere da stupide paranoie e goditi la serata.
- Va bene, ci proverò.. però non sono più tanto sicura della mia decisione..
- Ascolta, tesoro, mi sembra che tu ti stia lamentando un po’ troppo. Non pensi che per quest’uomo, il cui standard, diciamolo pure, è parecchio altino, valga la pena di mettersi un po’ in gioco?
- Tu hai ragione, però…
- Allora smettila di farti problemi assurdi e divertiti!
- Ok, grazie sorellona.
- Ciao Anna, buona serata!
- Ciao Kate, ti voglio bene.
- Anch’io.
 
Mia sorella riusciva sempre a farmi vedere le cose nella loro giusta proporzione.
In quel momento suonarono alla porta.
Corsi ad aprire.
 
- Tom!
- Ciao Anna! Sei fantastica!
- Grazie, anche tu! Sono pronta, andiamo?
- Wow, pensavo di dover aspettare delle ore.
- Di solito sono molto puntuale. Eccetto la mattina dopo che ci siamo conosciuti..
- Mi ricordo. Eheheh! Eri meravigliosa, appena sveglia, tutta arruffata e rossa dalla vergogna.
 
Arrossii di nuovo.
Mi accompagnò nell’auto e ci sedemmo entrambi dietro. Salutai l’autista e mi accomodai sul sedile posteriore.
Tom mi mise un braccio intorno alle spalle ed io mi appoggiai a lui, assaporando quel momento. Probabilmente nel corso della serata non ce ne sarebbero stati molti altri in cui saremmo potuti stare così vicini, senza preoccuparci di sguardi indiscreti..
Arrivammo al teatro dove sarebbe stato proiettato il film. Uscimmo dall’auto e molti flash ci abbagliarono.
C’era una fila di persone alla ricerca di foto ed autografi davanti all’ingresso, ma per fortuna c’erano due bodyguards enormi che ci fecero strada fino all’interno. Tom mi prese per mano e mi condusse nella grande sala d’ingresso, che era stata allestita per le foto e mi mostrò il salone dove si sarebbe svolta la conferenza stampa.
 
- Arrivo subito. –  mi sussurrò ad un orecchio ed uscì per concedere foto ed autografi ad i suoi numerosissimi fans.
 
Era molto gentile e disponibile e cercava di accontentare tutti.
Mentre da lontano lo osservavo sorridere a tutte quelle persone che lo ammiravano, cominciai a guardarmi intorno.
Molti artisti erano già arrivati e stavano mettendosi in fila per i fotografi.
Era già arrivato anche Luke, che mi stava venendo incontro per salutarmi.
 
- Ciao Luke!
- Anna, come stai? Dov’è Tom?
- È fuori a fare autografi.
- Sarà bene che vada a recuperarlo, se fosse per lui si farebbe rapire da tutte quelle ragazze assatanate.
 
Improvvisamente la mia attenzione fu completamente catturata da un attore, che stava attendendo il suo turno per le fotografie e contemporaneamente conversando con una giornalista.
Il mio cuore perse un battito.
No, non poteva essere vero.
Non poteva essere lui.
 
 
 
N. d. A.
 
Eccomi!
Con un po’ di ritardo, ma ce l’ho fatta!
Anna e Tom sono tornati a Londra, ma i colpi di scena non sono finiti, anzi!
Indovinate chi ha visto Anna alla premiere?
No? Allora lo saprete il prossimo capitolo!
Un milione di grazie a chi legge, segue, preferisce e recensisce!
Siete tante! Grazie grazie grazie!
 
 

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Capitolo 8
*** Cap. 8. Un incontro imprevisto ***


~~Cap. 8. UN INCONTRO IMPREVISTO

 

Mi riscossi solo quando sentii Luke che chiamava il mio nome.

- Anna! Anna, tutto bene?
- Cosa? Oh Luke. Sì solo… non mi sento troppo bene, puoi dire a Tom che vado a casa e ci sentiamo dopo?
- Cosa? Ma sei appena arrivata?
- Sì. Ok. Puoi dirlo a Tom? Io vado. Sai dove trovo un’uscita posteriore?
- Ma che succede Anna? Sembra che tu abbia visto un fantasma!
- Cosa? No, tutto a posto, l’uscita posteriore?
- Da quella parte c’è l’uscita di sicurezza.

Filai dritta dove Luke mi aveva indicato, senza voltarmi indietro.
Non avevo intenzione di rimanere in quel posto un minuto di più.
In quel teatro c’era lui.
Non avrei mai pensato di rivederlo, in realtà non mi ero neppure mai posta il problema, frequentavamo ambienti talmente diversi che il rischio di incontrarlo in una città come Londra pensavo fosse francamente minimo.
Invece quella sera me lo ero trovato davanti.
Non credevo che mi avrebbe provocato un tale shock.
Ero rimasta paralizzata. Volevo solo scappare.
Quell’uomo mi aveva fatto troppo male e – Tom aveva ragione – evidentemente non avevo affatto superato quello che mi era accaduto.
Presi l’uscita posteriore e mi guardai intorno.
Ero in un vicoletto, dal quale potevo ancora vedere la folla di persone che si ammassava all’ingresso principale.
Presi il cellulare e chiamai un taxi.
Sentii la porta che si apriva, mi voltai e..  mi trovai davanti proprio lui…
L’uomo che mi aveva rovinato la vita. Con qualche ruga, qualche chilo e qualche capello grigio in più, ma lo stesso sguardo arrogante e perverso.
Un turbine di emozioni si agitò dentro di me in quel momento. Angoscia, terrore, vergogna, rabbia, vendetta… non riuscivo a capire quale avrebbe prevalso. Di sicuro la repulsione era quella che, d’impulso, mi aveva fatto immediatamente indietreggiare.

- Allora non mi ero sbagliato. Eri davvero tu.

Mi disse con tono lascivo, avvicinandosi.
Io indietreggiai ancora di più e non risposi.

- Cosa ci fai qui? Sei con qualcuno?
- Non mi risulta siano affari tuoi. – pensai che l’atteggiamento aggressivo avrebbe funzionato meglio di quello passivo.
- Oh, avanti. Siamo amici noi due.
- Mi vengono in mente molti epiteti pensando a te, ma certo la definizione di amico non fa parte di questi.
- Allora hai pensato a me?

E continuò ad avvicinarsi sempre di più.
La porta posteriore si aprì nuovamente.
Era Tom!

- Anna? Tutto bene?

Quando l’uomo si era accorto che le maniglie antipanico dell’uscita di sicurezza si stavano attivando, fu rapido a nascondersi dietro la porta mentre si apriva.

- Anna, non ti senti bene?
- Come? No, è tutto a posto, rientriamo?

Non volevo che quel bastardo pensasse che volevo andarmene per causa sua. Mi aveva parlato per meno di cinque minuti, ma erano stati sufficienti per farmi sentire esattamente come quel giorno di tanti anni prima. Allo stesso tempo non potevo permettere che Tom scoprisse la verità, quindi mi feci forza, presi Tom per un braccio e lo riportai dentro al teatro.

- Ma cosa succede? Luke mi ha detto che non ti sentivi bene e volevi andare via? – mi chiese, quando fummo entrati.
- Come? Oh, no, deve aver capito male, avevo solo bisogno di un po’ d’aria, sai, tutta quella calca di prima..
- Ah, ok. Adesso devo andare alla conferenza stampa. Ci vediamo dopo per la proiezione, va bene?
- Certo.

Mi diede un lieve bacio sulla fronte e scappò dove era stata allestita la conferenza.
Prese posto insieme agli altri sul palco, si sedette al tavolo dietro al cartellino con il suo nome e si sistemò da solo il microfono.
Io mi posizionai in fondo alla sala, dietro ai giornalisti.
Arrivò anche Luke.

- Anna, ti senti meglio?
- Sì, Luke, grazie, avevo solo bisogno di un po’ d’aria.
- Eri bianca come un lenzuolo prima.
- Ora va meglio, grazie.

Si allontanò un attimo per salutare qualcuno.
Intanto la conferenza stampa era iniziata e stavano iniziando le domande al regista.
Joss prese subito la parola ed approfittò per salutare e ringraziare i presenti, spendendo poi qualche parola sul suo film.
Arrivò poi anche il turno di Tom, che, rispondendo ai giornalisti, spiegò la sua presenza a quella serata, riferendosi alla profonda stima che provava per l’amico regista e al suo amore per Shakespeare.
Lo stavo osservando parlare della sua passione per il Bardo ed era veramente un piacere sentire la sua magnifica voce mentre dimostrava la propria profonda conoscenza delle opere shakespeariane.
Incrociò per un attimo il mio sguardo ed io gli sorrisi, sinceramente impressionata.
Improvvisamente percepii una presenza alle mie spalle.

- Così adesso sei la donna di Tom Hiddleston.

Sussurrò alle mie spalle una voce tristemente conosciuta. Trasalii.

- Cosa vuoi Sean? Lasciami in pace. – sibilai a denti stretti, rivolta a quell’animale.
- Non avevo torto, allora. Sei solo una puttanella alla ricerca di attori da scopare o da spennare.

Mi voltai sconvolta verso di lui.
Non so come riuscii a trattenermi da mollargli una cinquina in faccia o, meglio, un calcio ben assestato nelle parti basse.

- Hai torto, invece. Hai sempre avuto torto su di me.
- Non mi sembra proprio. Certo che ne hai accalappiato uno proprio in vista. Non mi ricordo che tu avessi poi doti così particolari a letto.
- Sta zitto!
- Però possiamo sempre rimediare, puoi farmi vedere di nuovo cosa sai fare..

Mi prese per un braccio ed io mi divincolai.

- Lasciami!

Mi liberai dalla sua stretta e tentai di uscire dalla sala stampa.
La calca era notevole e feci molta fatica a raggiungere la porta.
Finalmente ero fuori da lì.
Non potevo proprio rimanere. Ci avevo provato, ma non potevo sopportare altri insulti da quell’uomo.
Non era davvero cambiato. Anzi, se possibile era ancora più odiosamente arrogante e sfrontato.
Ritornai verso la porta secondaria, mentre componevo nuovamente il numero per chiamare un taxi.
Avrei avvisato poi Tom, trovando una scusa.
Uscii nel vicoletto, sperando che il taxi arrivasse presto.
Ma lui mi seguì.

- Ancora tu? Ma vuoi lasciarmi in pace?
- Perché dovrei? Ci siamo divertiti così tanto l’ultima volta che ci siamo visti!
- Sai benissimo cosa è successo in quella stanza.
- Oh sì, lo ricordo molto bene.

E mi lanciò un’occhiata maliziosa e perversa. Continuò a parlarmi in tono lascivo.

- Anzi, mi piacerebbe proprio riprendere da dove ci eravamo interrotti.
- Grazie al cielo non sono più quella ragazzina ingenua.
- Oh, ma smettila di fare la verginella!
- Cosa? Come osi?
- Sei salita nella mia stanza pensando di venire a giocare a monopoli?
- Io pensavo di lavorare al tuo contratto!
- Ma non prendermi in giro! Ti piacevo e volevi divertirti.
- Vattene al diavolo!

Non potevo crederci. Mi incamminai velocemente verso la congiunzione del vicolo con la strada principale, dato che non mi sembrava proprio il caso né di proseguire quella conversazione, né di rimanere in quella stradina buia con quell’uomo.
Ma quel gran bastardo mi seguì e mi afferrò per un polso, facendomi voltare verso di lui.

- Aspetta, non ho ancora finito con te.

Oh, no, non di nuovo. Avevo un’altra volta le sue luride mani su di me.

- Cosa sta succedendo qui? – era Tom, che evidentemente era di nuovo venuto a cercarmi. 

Sentendo aprirsi la porta il mio aggressore aveva immediatamente mollato la presa sul mio polso ed io mi allontanai il più possibile da lui.
Tom guardò prima me e poi Sean.
Dovevo riacquistare presenza di spirito, altrimenti avrebbe scoperto tutto e non potevo prevedere come avrebbe potuto reagire.

- Oh, Tom! è finita la conferenza stampa? Sono uscita un attimo per salutare il signor Bean, che è stato cliente del mio studio.

Cercai di sembrare più naturale e rilassata possibile, ma la voce mi tremò leggermente.
Lui mi guardò intensamente e sembrò aver intuito che qualcosa non andava. Con quei meravigliosi occhi che parevano leggerti dentro, mi scrutò ancora per un momento, poi si rivolse con la consueta cortesia a colui che gli stavo presentando.

- Ciao Sean, ci siamo incrociati diverse volte in occasioni come queste, ma non siamo mai stati presentati. Molto piacere, sono Tom.
- Piacere di conoscerti, Tom. E’ stato un vero piacere anche incontrare una vecchia amica come la nostra cara Anna, non è vero?

E mi scoccò uno sguardo disgustosamente deliziato. Non ebbi altra scelta che sorridergli in risposta, ma mi spostai andando a cercare la vicinanza di Tom. Lo afferrai per la vita e lui mi cinse le spalle con un braccio.
Mi sentivo finalmente al sicuro stretta a lui.

- Ora penso che dovremo rientrare, non è vero, Tom? Addio Sean.

Mi voltai seguita da Tom, che fece un cenno di saluto al collega.

- Ciao Tom. Ciao, Anna, ci saranno sicuramente altre occasioni per ricordare i bei tempi. A presto.

A quelle parole mi lanciò un’occhiata di intesa, facendomi l’occhiolino.
Noi seguitammo a rientrare in teatro e Tom mi condusse verso la sala dove sarebbe stato proiettato il film.

- Come conosci Sean Bean? – mi chiese lui a quel punto. Sembrava molto serio.
- Te l’ho detto, è stato un cliente dello studio.
- E cosa voleva?
- Nulla, solo salutarmi. – Immaginavo un terzo grado. Tom aveva capito che qualcosa non andava quando mi aveva visto fuori con lui, non era certo uno stupido. Cercai di essere più convincente possibile.
- E perché siete usciti fuori?
- C’era una tale ressa alla conferenza stampa che era impossibile parlare.
- E’ un tipo affascinante. Ma non gode di buona fama per i rapporti con l’altro sesso.

Sbiancai per un momento. Dovevo salvare le apparenze, cercando di uscire incolume da quell’interrogatorio.

- Tom, ho lavorato anche per Jude Law e Daniel Craig. Neppure loro godono di buona fama in quel settore, ma non vuol dire che ci abbiano provato con me.

Sperai che con quella battuta avrei potuto salvare la situazione, così lo guardai ammiccante, attendendo la sua reazione.
Si rilassò e mi sorrise. Forse il terzo grado poteva considerarsi concluso.

- Dimentico sempre che per il tuo lavoro sei sempre a contatto con gentaglia come me.

Gli sorrisi a mia volta.

- Fossero tutti come te…

Gli strinsi più forte il braccio e lui mi diede un rapido bacio sulla fronte. Eravamo in mezzo alla folla che stava uscendo dalla sala stampa per raggiungere il cinema.

- Andiamo a prendere posto per la proiezione? – mi domandò con un lieve sorriso.
- Certo.

Ci sedemmo in una delle prime file e, dopo una rapida introduzione da parte del regista, il film cominciò. Ero seduta tra Luke e Tom, che aveva accanto Joss.
Avevo la sgradevole impressione di essere osservata da vicino. Mi guardai intorno, scoprendo con disgusto che quell’uomo repellente aveva preso posto proprio dietro Tom. E teneva gli occhi fissi su di me, con uno sguardo di trionfo, misto ad un sorrisetto beffardo.
Non riuscii a concentrarmi molto sulla pellicola, tanto che quando Tom mi prese la mano quasi sobbalzai.

- Andiamo via un po’ prima della fine, così nessuno ci disturberà. O almeno spero.
- Va bene, prendo borsa e cappotto.

Mentre mi agitavo nella poltrona per recuperare le mie cose, sentii una mano sulla spalla e mi voltai.

- Andate già via? – mi sussurrò James, sporgendosi in avanti per avvicinarsi al mio orecchio.
- Sì – risposi, stando attenta che Tom, occupato ad alzarsi e sgattaiolare via, non mi sentisse – a-mai più-rivederci.
- Non ci contare, Anna. Non ho ancora finito con te.

Mi sciolsi dalla sua presa sulla mia spalla e mi alzai, filando via e raggiungendo Tom verso l’uscita. Anche Luke mi seguì e sgattaiolammo fuori indisturbati.


Un taxi ci attendeva all’uscita posteriore. Finalmente mi rilassai. Appoggiai la schiena al sedile e respirai profondamente, chiudendo gli occhi. Era passata.
O forse no. Cosa intendeva quell’essere ripugnante, dicendo che non aveva ancora finito con me?
Al pensiero delle sue mani su di me rabbrividii.

- Stai bene? Hai freddo? – mi chiese Tom, premuroso.
- No, è tutto a posto.
- Hai fame?
- Sì.
- Vuoi andare a casa o preferisci rimanere fuori per cena? – mi chiese.
- Come vuoi.
- Bene. È una sorpresa, ma … Mi piacerebbe presentarti qualcuno.

 

Andammo a far visita a sua sorella Sarah, che essendo una giornalista e lavorando in India, era in città per pochi giorni. Tom aveva invitato anche la sorella più piccola, Emma.
Era un po’ un’imboscata, specialmente per me in una serata piena di imprevisti come quella, però era davvero una gioia vederli tutti e tre insieme, così uniti e le ragazze parevano veramente felici di conoscermi.
Mi accolsero molto calorosamente e la cena si rivelò piacevolissima, volgendo al meglio una serata che sembrava irrimediabilmente compromessa.

- Anna, mi raccomando, facci sapere se il nostro ragazzaccio ti fa arrabbiare. – si congedò Emma.
- Non mancherò, ti assicuro. – le risposi allegramente.
- Mi pare che già ne abbia combinata qualcuna delle sue ultimamente. – continuò Sarah.

Mi voltai verso Tom con aria interrogativa.

- Ho raccontato loro della sera della festa – mi informò lui, con gli occhi bassi e l’aria colpevole.
- Oh. Ma quella è stata colpa mia. Vi ha raccontato anche come è finita? Con la sottoscritta attaccata alla tazza della toilette?

Scoppiarono a ridere tutti e tre all’unisono, con la loro tipica risata contagiosa. Evidentemente era una prerogativa di famiglia.
Abbracciai le due ragazze, che mi salutarono affettuosamente e mi incamminai con Tom verso casa.

- Prendiamo un taxi? – gli chiesi.
- Ti va di camminare un po’?
- Certo.

Non era il massimo della vita con quei tacchi vertiginosi, ma non mi sarei lasciata scappare l’occasione di passeggiare per Londra di notte con Tom.

- Così avevi già parlato di me alle tue sorelle.
- Certo. Tengo molto alla loro opinione ed al loro giudizio.
- Oh. Buono a sapersi. Spero di aver fatto loro una buona impressione.
- Mh. Non direi proprio questo.
- Come?
- Direi che ti adorano!
- Uh. Mi ero spaventata. Davvero pensi che sia piaciuta?
- A me sembravano entusiaste. Ed io le conosco molto bene.
- Per fortuna.
- Ora devi presentarmi tua sorella. Sono settimane che te lo chiedo!
- Hai ragione. Organizzerò una cena la prossima settimana. Però ti avverto che dovrai sopportare anche la presenza dei miei nipoti. Potrebbero essere impegnativi da gestire.
- Mai quanto la zia!
- Spiritoso! – E gli feci una linguaccia.

Londra era davvero una città stupenda, con un’atmosfera che non avevo mai percepito in nessun altro posto del mondo dove il mio lavoro mi aveva portato. Anche la notte pulsava di vita, era un luogo antico, ma che sapeva accettare la modernità e l’originalità come nessun altro.
Mi piaceva pensare che fosse stata la culla di tantissimi artisti e che avesse fornito la possibilità ai più talentuosi di spiccare il volo verso mete altissime.
Uno di loro camminava al mio fianco.

- Ti spaventa la notorietà? – gli chiesi allora.
- No. Non molto.
- Pensi che potrebbe cambiarti?
- Come?
- Pensi che la fama potrebbe modificare il tuo modo di essere?
- Non credo proprio. Sai, Anna, penso che in fondo le persone non cambino. Almeno non a causa della popolarità. Se prima di diventare famoso eri una persona priva di valori e meschina, rimani tale anche dopo aver conquistato il successo. E viceversa.
- Non so se sia veramente così semplice.
- Temi che possa montarmi la testa?
- No. Non lo so. Comunque anche tu mi hai detto che non apprezzi molto le attrici, che il loro problema più grave è quale abito firmato indossare.
- È vero. Spesso è così, anche se non mi piace mai generalizzare.
- Quindi ti sei interessato a me, almeno all’inizio, perché non appartengo al tuo ambiente.
- Non è stato così determinante.
- Ah no? Quanto ha influito il fatto che io non ti conoscessi minimamente come attore?
- Ammetto che questo dal mio punto di vista abbia semplificato parecchio le cose.
- Come immaginavo.
- Ma non significa che..
- .. Non usciresti con una tua fan?
- Io vorrei che tu diventassi la mia fan numero uno!
- Già lo sono, Tom.

Mi sorrise. Quel sorriso ampio e sincero che tanto amavo.

- Non è vero. Per essere una vera fan dovresti aver visto tutti i miei lavori e ne hai visto a mala pena due. E praticamente ho dovuto legarti alla poltrona per farteli vedere.
- Va bene, hai ragione. Mi metterò in pari.
- Così va meglio.
- Comunque non hai fatto altro che tirare acqua al mio mulino..
- Cioè?
- Cioè meglio non frequentare attori.
- Lo pensi ancora?
 
Mi voltai per guardarlo negli occhi. Si fermò e mi osservò in attesa della risposta.

- No. Non più.

E lo baciai.

 

N.d.A.

Scusate tanto la latitanza di questo periodo!
Ogni tanto la vita vera prende il sopravvento!
E di certo un iper aggressivo virus nel p.c. non aiuta a rispettare le scadenze…
Comunque eccomi qui, con il mistero svelato…
Spero che i numerosissimi fans di Game of Thrones non mi uccideranno per la scelta del mio Villain…
Ho adorato il personaggio di Eddard Stark e, ovviamente, ma meglio precisarlo, Sean Bean sarà senza dubbio la persona migliore del mondo e tutto quello che racconto è frutto della mia fervida immaginazione.
Ma avevo bisogno di un cattivo. Di un cattivo con la faccia da cattivo.
E lui faceva proprio al caso mio.
Tra l’altro ho letto notizie della sua vita privata che sono molto attinenti al mio personaggio (fonte Wikipedia: nel 2008 è stato arrestato a Londra per aver aggredito brutalmente sua moglie).
Ora basta note se no mi uccidete, di più del solito!
Solo un’ultima cosa, che mi ha reso un pochino orgogliosa: non so se qualcuno ha visto i Bafta, ma Angelina Jolie era vestita proprio con il completo smoking YSL che la mia Anna ha indossato lo scorso capitolo! Eheheheh! Un bacio a tutte e al prossimo capitolo!

 

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Capitolo 9
*** Cap. 9. Ogni Maledetta Domenica ***


~~Cap. 9. OGNI MALEDETTA DOMENICA


Mi svegliai la mattina successiva con un diffuso senso di nausea.
Non capendone il motivo, pensai che fosse fame, in effetti erano quasi le dieci.
Mi alzai e preparai la colazione.
Anche dopo un tea con biscotti la situazione non migliorò affatto. Anzi.
Si aggiunse sensazione di spossatezza, dolori diffusi e l’inizio di un mal di testa che prometteva di lasciarmi intontita per il resto della giornata.
Ma era possibile che succedesse di nuovo?
Ero sempre in salute durante la settimana lavorativa, ma quando arrivava il weekend stavo spesso male.
Lo dicevano anche gli studiosi. Emicrania da fine settimana.
Ogni maledetta domenica.
Lo stress accumulato durante la settimana mi rovinava sempre il sabato e/o la domenica, solo che spesso non si limitava ad un comune mal di testa, ma si portava con sé anche tutta un’altra serie di fastidiosissimi sintomi, che ovviamente si ripresentarono quel giorno.
Con Tom la sera precedente eravamo rimasti d’accordo di sentirci e decidere cosa fare insieme.
La prospettiva mi era sembrata meravigliosa, ma in quel momento desideravo solo infilarmi sotto le coperte e dimenticarmi di esistere per il resto della giornata.
Squillò invece il cellulare. Era Kate, ansiosa di sapere come era andata la mia serata mondana. Dopo aver raccontato sommariamente a mia sorella gli avvenimenti della sera precedente, che furono conditi con una serie infinita di “ommioddio” da parte sua, la avvertii che Tom desiderava ardentemente conoscere lei e la famiglia.

- Che bello, Anna, organizzerò una cena a casa nostra venerdì prossimo, pensi che potrà esserci?
- Non lo so, glielo chiederò.
- Bene, bene. Fammi sapere, allora!
- Va bene, tesoro, a presto.
- Anna, non ti senti bene?
- No, per niente. Solito problema del weekend.
- Oh, capisco. Che peccato. Dovevate vedervi?
- Ovviamente sì. Invece mi attenderà una giornata in compagnia di antidolorifici e piumone.
- Mi dispiace. Hai bisogno di me?
- No Kate, è tutto a posto.

Salutai mia sorella e tornai a letto, con le coperte fino al mento.
Mi ero appena appisolata, quando il cellulare riprese a squillare.

- Si?
- Ciao Anna!
- Buongiorno, Tom. Dove sei? – sentivo in sottofondo i rumori della città, un po’ ovattati.
- Sono andato a correre stamattina.
- Oh.
- Sono ad Hyde Park.
- Caspita, sei proprio pieno di energie..
- È così. Ma, cosa c’è che non va? Ti sento strana, non stai bene?
- No, infatti. Ho paura che non potremo vederci oggi. 
- Perché? Cos’hai?
- Oh, nulla di grave. Mi capita spesso la domenica. Mal di testa, nausea, dolori. L’unico rimedio è stare al calduccio a riposo.
- Vengo subito da te.
- No, no. Se poi invece fosse influenza non vorrei proprio attaccartela.
- Scherzi? Così mi fai preoccupare! Vengo subito a vedere come stai.
- No davvero, mi basta stare una giornata sotto le coperte e passa presto.
- Sto arrivando.

E chiuse la comunicazione.
Fantastico. Sarebbe arrivato in pochi minuti ed io mi sentivo uno straccio. E probabilmente lo sembravo pure.
Almeno la casa era in ordine. Io non molto.
Mi sforzai di andare in bagno ed osservare la mia immagine riflessa nello specchio. Da buttare. Era l’unica descrizione plausibile. Mi pettinai, mi lavai, ma la situazione non mutò particolarmente. Tutto inutile.
Infilai una tuta ed arrancai di nuovo verso il letto, mentre l’emicrania pulsava sempre più forte.
Sentii dopo poco suonare alla porta.
Mi alzai e mi trascinai verso l’uscio, avvolta in un plaid.
Quando gli aprii, lui mi restituì uno sguardo impietoso.

- Merda! Ti è passato sopra un treno?
- Grazie Tom, anche per me è un piacere vederti… - gli risposi un po’ offesa, mi girai dall’altra parte e feci per avanzare faticosamente per l’ennesima volta verso il letto.
- Scusa, scusa. Non pensavo stessi davvero male.
- Come? E cosa pensavi? Che avessi trovato una scusa perché non mi andava di vederti? – tornai sui miei passi e lo guardai dritto negli occhi, sempre più infuriata.
- Francamente sì. Cioè, avevo capito che non ti sentivi bene, ma non credevo…
- Non credevi cosa? Perché avrei dovuto trovare una scusa?
- Non so. Per gli strani discorsi di ieri sera. Non sarebbe la prima volta che cerchi di tenermi a distanza.
- Ok, questo te lo concedo. Ma mi sembra di aver sempre parlato chiaro. Non ho mai accampato scuse.
- Hai ragione, perdonami. Davvero.
- Mmh. Scuse accettate. Ora che hai appurato la verità, puoi ritenerti soddisfatto e lasciarmi in pace?
- Assolutamente no.

Non avevo voglia di litigare. Sebbene fossi ancora un po’ arrabbiata con lui. Come poteva pensare che potessi trovare una scusa per non vederlo? Mi abbandonai sul divano, sempre avvolta come un bozzolo nel mio plaid. Mi concessi un momento per osservarlo. Era ancora in tenuta da jogging ed era sexy da togliere il fiato.

- Davvero Tom, mi basta una giornata di riposo e starò benissimo, non occorre che perdi tempo…
- Non ti lascio qui da sola se stai male. Però.. potrei farmi una doccia? Sono venuto qui subito dopo aver corso e..
- Oh.. certo. Il bagno è tuo. Seconda porta a sinistra. L’accappatoio appeso dietro alla porta è pulito.
- Grazie mille.

E si diresse dove gli avevo indicato.
Tom nella mia doccia. Avevo sufficiente materiale per fantasticare estraniandomi dal mondo esterno per parecchio tempo. Dunque non mi mossi dal divano.
Dopo un tempo che non saprei calcolare uscì avvolto nel mio accappatoio. Per fortuna mi piaceva molto comodo, quindi, a parte arrivargli sì e no alla coscia, era abbastanza ampio per coprirlo a sufficienza.
Lo osservai con un sorrisetto stampato in faccia, senza parlare. Non mi veniva proprio nulla da dire.

- Ehm, chiedo troppo se ti domando qualcosa da mettere addosso?
- Oh. Certo. Aspetta un attimo.

Mi alzai lentamente per cercare in camera nell’armadio qualcosa che potesse entrargli.
Trovai una maglietta comoda, che io usavo come pigiama ed un paio di pantaloni di una tuta, che erano piuttosto larghi. Sperai che potessero andare. Tornai in salotto e gli porsi il risultato delle mie ricerche, che lui agguantò, portandoselo poi in bagno per cambiarsi. Pensai che non avevo biancheria da uomo. La mia casa non era certo gremita di maschi che lasciavano le loro cose nei cassetti, quindi non potevo fare di meglio.
Uscì dopo poco. La maglia era un po’ attillata, ma non potevo certo dire che la cosa mi dispiacesse.

- Hai fatto colazione? - mi chiese.
- Sì. 
- Ehm.. io no.
- Oh, certo scusami tanto! Sono davvero una pessima padrona di casa. Cosa ti preparo? Uova, pancakes, bacon..
- No, tu riposati, faccio da solo.

Lo accompagnai in cucina e gli mostrai dove poteva trovare le cose essenziali, poi mi sedetti su uno sgabello osservandolo mentre si appropriava, con una certa destrezza, della mia cucina.

- Ti muovi bene in cucina. Chi ti ha insegnato? – gli chiesi.
- Mamma. Le mie sorelle sono negate, ma a me piace molto cucinare ed è molto utile sapersi arrangiare. Fa anche colpo sulle ragazze.

E mi lanciò uno sguardo ammiccante, facendomi l’occhiolino.

- Non hai bisogno di prendere le ragazze per la gola.
- Non sono sempre stato un attore famoso. Da ragazzo ero goffo e gracilino. Le mie armi di conquista erano la cucina ed il ballo.
- Buono a sapersi. Nella mia famiglia la cuoca è mia sorella. Io non amo tanto cimentarmi tra i fornelli.
- Eheheh! Chissà perché lo immaginavo.
- A proposito, prima che mi dimentichi: mia sorella ti ha invitato a cena venerdì prossimo, sei impegnato?
- No, certo che no, finalmente conoscerò tua sorella! Non vedo l’ora.
- Immagino già che vi coalizzerete contro di me.
- Eheheh! È probabile.

Nel frattempo si era preparato uova, pancakes e caffè.
In un lampo si servì la colazione.

- Sicura che non vuoi assaggiare i miei pancakes? – mi domandò, lanciandomi uno sguardo ammaliatore.
- Penso che ne assaggerò uno.
- Allora stai già meglio?

“Mi basta la tua presenza per stare bene” – ero tentata di rispondergli. Ma mi trattenni cautamente. Lo osservai mentre mi serviva la piccola delizia ricoperta di zucchero a velo e poi si sedeva per mangiare. Mi sorrise per un momento prima di attaccare la sua generosa porzione di uova. Sembrava perfettamente a suo agio, seduto a gambe larghe su un alto sgabello nella mia cucina, ed io non potei fare a meno di notare i suoi ricci ancora un po’ bagnati ondeggiare ritmicamente mentre si portava il cibo alla bocca, assaporandolo con quelle labbra sottili e dannatamente sexy. Ero ipnotizzata forse da qualche minuto, quando si accorse che lo stavo fissando.

- Che c’è? – mi chiese, un po’ stranito.
- Nulla, solo… hai un po’ di zucchero a velo…

Mi allungai verso di lui e con il pollice cercai di pulirgli la guancia dove era rimasto lo zucchero del pancake. Mentre tentavo di rimediare, lui mi guardò intensamente, imprigionando i miei occhi nei suoi.
Poi mi prese per la vita e mi attirò a sé, non lasciandomi scampo. Una volta in piedi, arrivavo praticamente alla sua altezza, da seduto. Io avevo ancora la mia mano sul suo volto e gli accarezzai lentamente la guancia, mentre lui mi stringeva ancora di più, desiderando un contatto più ravvicinato. Catturò le mie labbra con un ardore che non avevo mai percepito fino a quel momento.
Sentivo nitidamente il suo desiderio, la sua urgenza di avermi, tra le sue braccia, nella sua bocca, dentro di sé.
Non che io fossi indifferente a quelle sensazioni, anzi.
Solo ero stupita che anche lui potesse provarle, con me.
Quando ci staccammo, dovetti guardarlo con aria un po’ smarrita, perché lui si affrettò a scusarsi.

- Diventa sempre più difficile per me, Anna.
- Come?
- Ecco, sono un uomo e tu sei così… sexy..
- Così? In tuta e avvolta in un plaid?

Ci accorgemmo nello stesso istante che la coperta era finita sul pavimento e ci accucciammo contemporaneamente per raccoglierla, finendo a darci una forte testata.

- Uhia!
- Ahia!

La coperta rimase a terra e noi ci guardammo massaggiandoci reciprocamente la fronte colpita.
Scoppiammo immediatamente in una allegra risata.

- Certo che così la mia emicrania non migliora. – gli comunicai tra le risa.

Poi lui si fece improvvisamente serio.

- Volevo parlarti di ieri sera. – mi disse.

Mi chiesi con una certa preoccupazione cosa intendesse.
Sperai ardentemente che non mi chiedesse di nuovo di Sean. La sera prima me l’ero cavata con una battuta, ma non ero sicura di riuscire ancora a mantenere l’autocontrollo se mi avesse fatto domande più approfondite.
- Di cosa vuoi parlare?
- Ecco, mi è sembrato che abbiamo fatto qualche passo indietro ieri sera.
- In che senso?
- Come ti ho detto mi hanno dato da pensare gli strani discorsi di cui abbiamo parlato ieri.
- Tu pensi troppo. – scherzai. Ma non sembrava in vena di  giocare.
- No, Anna, è importante quello che voglio dirti.
- Va bene, ti ascolto.
- Non mi va che tu pensi che il fatto della notorietà potrebbe trasformarmi o influenzare negativamente il nostro rapporto.
- Ho capito, tu non ti senti cambiato dal successo.
- Non è solo questo. Vedi, io sono in grado di riconoscere le mie fortune. Sono nato in una famiglia numerosa, unita e per di più benestante, e ciò mi ha permesso di frequentare le scuole migliori e poter accedere ad un mestiere che non tutti si possono permettere di intraprendere. Ho avuto anche la fortuna di incontrare le persone giuste, che hanno visto in me, forse, qualcosa che avrei potuto condividere.
- Hanno semplicemente riconosciuto il tuo talento. 
- Aspetta, non ho finito. Quello che voglio dire è che non ho intenzione di buttare via quello che mi è stato regalato e che ogni giorno ringrazio di avere ottenuto. Insomma, la mia carriera è rilevante, non intendo rinunciarci, ma so riconoscere le cose veramente importanti. E le persone importanti.
Sono in grado di fare delle rinunce, se ritengo che ne valga la pena. E tu ne vali sicuramente la pena.
- Non capisco dove vuoi arrivare.. Non ti chiederei mai di rinunciare alla tua carriera.
- Lo so, però devi sapere che se dovessi scegliere tra te ed il mio lavoro, non avrei dubbi su dove ricadrebbe la mia scelta. Insomma, se dovessi percepire che il mio lavoro provocasse un allontanamento da te, sarei pronto a correre ai ripari.
- Veramente non capisco perché ora mi fai questo discorso.
- Perché mi è sembrato che ieri, forse per la premiere o non so per quale altro motivo, le tue paure ritornassero prepotentemente a turbarti. Il discorso sulla fama, che cambia le persone, mi è sembrato solo la punta dell’iceberg. È anche per quello che ci tenevo a farti conoscere le mie sorelle, a riportarti ad un clima più familiare, più.. normale.
- Lo sai che per me la normalità, come la intendi tu, non esiste. Io non ho ricordi di cene con la mia famiglia, tutti insieme riuniti ad un tavolo. Ci siamo sempre state solo mia nonna e mia sorella.
- Lo so. Però vorrei che vedessi come è realmente la mia vita, al di là di set e premiere. Famiglia, amici, guardare un film in pantofole..
- Ok, va bene, mi è chiaro il concetto. Comunque resta il fatto che non puoi sapere se questo cambierà. Se i set e le premiere non prenderanno il sopravvento su tutto il resto. Se non ti conformerai all’ambiente in cui vivi e lavori.
- E’ proprio questo che vorrei che non pensassi! Ci sono le mie sorelle, i miei genitori, i miei amici che mi tengono con i piedi ben piantati a terra! E ora ci sei tu.
- Nessuno può farti cambiare se non sei tu a volerlo.
- E’ proprio così! E io non voglio! Io so la persona che voglio essere. La vita è fatta di scelte.
- Non puoi sapere se farai sempre le scelte giuste.
- Nessuno può saperlo. Però esistono la costanza, la coerenza e l’impegno. Ed il sapere quello che si vuole. Ed io ti voglio, Anna.

Mi guardò intensamente, quasi disperatamente. Non comprendevo appieno il discorso che mi stava facendo, forse non ero pronta a sentirlo. Però capii che per lui era importante che io lo ritenessi capace di non trasformarsi in un uomo diverso, in un uomo che facesse venire nuovamente a galla le mie paure.
Certo lui non poteva sapere le reali motivazioni che mi avevano rabbuiato la sera precedente.
Le mie paure erano prepotentemente ritornate a galla a causa dell’incontro con colui che me le aveva provocate.
Probabilmente, anzi, sicuramente, il discorso che gli avevo fatto era la conseguenza immediata e diretta di quell’avvenimento e non c’entrava minimamente con lui. Tom non aveva fatto nulla per meritarsi un nuovo allontanamento da parte mia e dovevo cercare di rimediare in qualche modo.

- Va bene, Tom. Ti credo. Comunque mi fido di te. Non è facile per me, lo sai. Ma cerco di affrontare giorno per giorno e fare un passo dopo l’altro. Senza fretta.
- Per il momento mi basta.
- Bene. Abbiamo risolto allora?
- No, avrei da chiederti un’altra cosa.
- Cosa?
- Cosa è successo tra te e Sean Bean?

Oh no! Non mi aspettavo la domanda diretta. Mi aveva colta assolutamente alla sprovvista. Lo sapevo che non si era bevuto la storiella del cliente e di Jude Law.
Non volevo mentirgli, però non potevo sapere come l’avrebbe presa se lo avessi coinvolto a tal punto nel mio segreto. E se lo avesse incontrato ad un altro evento? Sarebbe riuscito a mantenere il controllo? Se avessero dovuto lavorare insieme, magari per lo stesso film e per lungo tempo? No, non potevo dirgli la verità. Optai per una mezza verità.

- Te l’ho detto. È stato un cliente dello studio e ieri sera lui mi ha riconosciuto. Ci siamo salutati e poi lui mi ha chiesto di uscire insieme. Però io gli ho detto che ero venuta con te. Ecco tutto.
- Sei sicura? Mi sembravi parecchio infastidita ieri. A dir poco.
- E’ stato un po’ insistente. Tutto qui.
- Quanto insistente?
- Nulla di cui tu debba preoccuparti. Finito il terzo grado?
- Perché non me lo hai detto ieri?
- Non mi sembrava opportuno che lo sfidassi a singolar tenzone nel bel mezzo di una premiere. D’accordo che era un’anteprima shakespeariana, ma mi sembrava lo stesso un tantino fuori luogo.

Sembrò rilassarsi e si lasciò andare sulla sedia della cucina. Intanto aveva finito la colazione, così mi alzai per mettere a posto il disastro che aveva combinato. Il fatto che sapesse cucinare era fantastico, però sembrava che nella mia cucina fosse passato un ciclone.
Mentre io lavavo i piatti, Tom si mise a riordinare e rimettere negli scaffali zucchero, farina e gli ingredienti inutilizzati nella preparazione della colazione.
Lo guardai mentre metteva in ordine, in silenzio. Riflettei sul discorso che mi aveva appena fatto, che per lui sembrava davvero importante. Forse non gli piaceva che la gente pensasse che fosse un egoista, montato, autoreferenziale. In realtà sembrava che non gli piacesse che io lo ritenessi tale. Temeva che lo allontanassi di nuovo. Davvero teneva a noi due.

- A cosa pensi? Dammi quel piatto prima che ti cada e si rompa in mille pezzi.

Mi accorsi che me ne stavo a riflettere immobile con un piatto in mano. Tom me lo sfilò delicatamente dalle mani e prese ad asciugarlo con cura.
Mi sorrise e sul suo viso si formarono alcune piccolissime rughette. Era incredibilmente sexy.
Decisi di provocarlo un po’.

- Oh, davvero? Senta, Mr. Sono-Bravo-A-Far-Tutto-Anche-A-Cucinare, vediamo se sa far schioccare gli strofinacci bene come me!

Gli strappai di mano l’asciugamano della cucina e cominciai a farlo schioccare in aria lanciandolo con forza verso di lui, fingendo ogni volta di colpirlo.
Lui, dapprima stupito, stette al gioco e tentò di acchiappare lo strofinaccio che io velocemente facevo volteggiare e schioccare.
Poi prese ad avanzare lentamente verso di me, con aria minacciosa, che pareva aver rubato al suo più famoso personaggio.

- Non vale intimorirmi con la tua faccia da Loki! – gli dissi, ma indietreggiai prudentemente, continuando però a mulinare contro di lui la mia arma improvvisata.

Ad un certo punto vidi che Tom si accasciava, piegandosi in due e portandosi la mano al volto.
Non mi pareva proprio di averlo colpito, ma lui si stava lamentando e si teneva le mani sugli occhi.

- Oddio, Tom, mi dispiace! Ti ho fatto male? Stavo molto attenta, non mi sembrava di averti centrato… fammi vedere, dai!

Lui non mi rispose e continuò a tenersi una mano premuta sul viso ed emettere versi di dolore. Cominciava a spaventarmi.

- Oh, Tom, per favore, fammi vedere.

Improvvisamente si tolse le mani dal volto e con un sorrisetto beffardo ed entusiasta mi strappò di mano lo strofinaccio e lo sollevò in aria trionfante sopra le nostre teste.

- Mi hai ingannato! Non è giusto! – gli urlai contro, sorpresa.
- Servirà a qualcosa aver interpretato la divinità degli inganni!
- Mi hai fregato!

Presi a saltellargli intorno con un’aria offesa, mentre lui continuava a tenere in alto lo strofinaccio ed a farmelo sventolare vicino. Ma ovviamente io non ero abbastanza alta per arrivare a prenderlo.
Tom continuava a ridermi in faccia come un bambino ed io a saltellare inutilmente.
Così decisi di sbloccare la situazione: presi una sedia dal tavolo di cucina e vi salii sopra, cercando di arrampicarmi sopra di lui in modo da arrivare finalmente allo strofinaccio.
Lui non si aspettava la mia mossa, così, preso alla sprovvista, si fece rubare sotto il naso l’asciugamano.
Però per sfilarglielo dalle mani tirai con troppa forza e mi sbilanciai all’indietro.
Lui fu pronto ad afferrarmi per un polso prima che finissi a terra dalla sedia dove ero salita e mi attirò a sé, prendendomi tra le braccia.
Quando entrambi smettemmo di ridere, ci guardammo intensamente.
Mi persi così nei suoi meravigliosi occhi turchesi.

- Passata l’emicrania? – mi chiese Tom, facendosi improvvisamente serio.

Feci un cenno di assenso con la testa. La domanda sembrava implicare qualcosa che andava al di là del mio stato di salute.
Infatti lui, sempre tenendomi tra le braccia, mi condusse in salotto e mi depose delicatamente sul divano.

 


N. d. A.

Eheheheh! Lo so sono tanto cattiva! Uccidetemi pure, me lo merito.
Questo capitolo è un po’ di transizione, però introduce ai prossimi sviluppi…
Un piccolo anticipo nella pubblicazione, per farmi perdonare il ritardo dell’ultima volta..
Grazie mille per il vostro supporto, siete veramente in tante a leggere questa storia!
Uno speciale ringraziamento a chi recensisce, segue e preferisce!
Alla prossima.

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Capitolo 10
*** Cap. 10. Un passo indietro ***


~~Cap. 10. UN PASSO INDIETRO

 

Non posai neppure un piede a terra.
Mi tenne sollevata per tutto il tragitto, dalla cucina al divano. In quel modo era come se io camminassi all’indietro, volteggiando nell’aria.
Comunque non ce ne sarebbe stato bisogno, stavo già ampiamente al di sopra della stratosfera.
Mi sentivo come se qualcuno mi avesse lanciato da un cannone circense e stessi volteggiando da qualche parte tra le nuvole.
Non c’era un tempo, non c’era una dimensione, nessun riferimento spazio – temporale.
Sentivo solo lui e le meravigliose sensazioni che mi regalava la sua semplice presenza, la sua vicinanza, il suo calore.
Improvvisamente mi resi conto che stavo sul divano di casa mia.
“Perché non sul letto’”, mi domandai mentalmente nella confusione, con le sue labbra arpionate alle mie e le sue mani che mi accarezzavano.
“Probabilmente perché non sa neppure dov’è la mia camera da letto”. Mi risposi autonomamente, conscia del fatto che, ovviamente, non c’era ancora stata l’occasione di portarcelo.
Quando lui alla fine abbandonò le mie labbra e prese a baciarmi il collo, ritornai brevemente in possesso delle mie facoltà mentali, almeno quel tanto da riuscire a sussurrargli nell’orecchio:

- Tom, andiamo in camera.

Lui si interruppe per un attimo, così mi alzai, gli presi la mano e lo condussi nella mia camera da letto.
Arrivati a destinazione, mi voltai lentamente e lo osservai.
I suoi occhi erano pieni di desiderio.
Sorrisi timidamente, ma languidamente gli afferrai la maglietta che gli avevo prestato e lo aiutai a sfilarla, tentando, non senza una certa difficoltà, di non abbandonare il contatto visivo.
Poi cominciai ad armeggiare con l’elastico della tuta dei suoi pantaloni, ma lui mi prese delicatamente il polso.

- Eh, no. Adesso tocca me! - Mi disse, deciso.

Così cominciò a calare la zip della mia tuta, aiutandomi a liberare le braccia. Poi sollevò anche lui la mia maglietta, in modo che rimanessi in reggiseno.
Si prese un momento per guardarmi.

- Sei bellissima, Anna.
- Mh. Comunque ho vinto io la scommessa.
- Di quale scommessa parli? – interruppe per un momento la sequela di languidi baci che stava deponendo sulla base del collo e sulla spalla, per osservarmi stranito.
- Tu sei perfetto.

Scoppiò a ridere, quasi imbarazzato, con quella risata aperta e genuina che adoravo.
Poi tornò serio.

- Sei sicura? – mi domandò.
- Oh, sì. Decisamente.

Cominciai ad indietreggiare piano, tenendomi ben salda con un braccio sulle sue spalle e l’altro alla sua vita, in modo che lui mi seguisse camminando in avanti, fino a che non percepii la sponda del letto.
Lui mi afferrò per la vita e mi fece distendere sul letto, seguendo il mio movimento fino ad arrivare lentamente sopra di me.
Mi persi completamente nei suoi baci, che si facevano sempre più audaci e percepii che stava armeggiando con i gancetti del reggiseno. In un attimo riuscì a sganciarlo.
Scese a baciarmi il collo, la scapola..
Improvvisamente mi colse un flash della sera precedente. Sean che mi sussurrava nell’orecchio: “Non ho ancora finito con te”.
Istintivamente, senza che me ne rendessi conto, rabbrividii e Tom se ne accorse.

- Va tutto bene?
- Sì. Non fermarti. – gli risposi, forse troppo frettolosamente.

Chiusi gli occhi, cercando di rilassarmi e tornare concentrata sulle meravigliose sensazioni che stavo provando. “Qui e ora”, mi ripetei, come un mantra.
Ma l’incantesimo si era spezzato.
Tornai con la mente in quella camera di albergo.
Fredda. Impersonale.
Paura. Dolore.
Desiderio che tutto finisse il prima possibile.
Spalancai gli occhi e mi ritrassi da lui, finendo tutta raggomitolata contro lo schienale del letto.

- Scusami, scusami. Non ce la faccio.
- Anna..
- Perdonami. Non pensavo… io..
- Non ti scusare.
- No. Per favore .. vai via. – sentii che una lacrima scendeva sulla guancia.
- Non mandarmi via. Parla con me.
- No. Non adesso. Ti prego.

Avevo rovinato tutto. Sentii le lacrime scorrermi sul viso, incapace di fermarle.
Lo vidi con la coda dell’occhio mentre si alzava, raccoglieva la mia maglietta che era finita sul pavimento e me la porgeva, sistemandosi, poi, seduto in fondo al letto.
Infilai la t-shirt e rimasi così, raggomitolata dall’altra parte per non so quanto tempo.
Tom non se ne andò, attese pazientemente che mi calmassi.

- Posso farti una domanda?

Non attese che gli rispondessi.

- Sarebbe la prima volta dopo l’aggressione?

Feci un cenno di assenso con il capo. Non riuscivo proprio a parlare.
Pensavo solo che avevo rovinato tutto.
Lo desideravo. Veramente. E mi stavo innamorando di lui, sebbene faticassi ad ammetterlo con me stessa.
Ma lo avrei perso. Per sempre.
Cercai di recuperare un minimo di autocontrollo, per lasciarlo andare, come meritava.

- Sto bene, ora. Puoi andartene.
- Non vado da  nessuna parte.
- Seriamente, Tom. Ora sto bene. Possiamo salutarci da persone normali, o quasi. Sono stata davvero bene con te.
- Cosa? Pensi che voglia andarmene?
- Penso che adesso prenderai la porta e non ti vedrò mai più.
- Credi che voglia lasciarti? Perché?
- Come perché? Mi sembra chiaro. Non ti biasimerei se ti tirassi indietro.
- Perché dovrei farlo? – mi fissò aggrottando le sopracciglia.

Davvero sembrava non capire.

- Ecco… io ho sempre pensato che qualsiasi uomo, conoscendo la mia storia, sarebbe scappato a gambe levate. Tu sei rimasto, ma dopo stasera..
- Anna, ho sempre saputo che non sarebbe stato facile.
- D’accordo, so che sei un uomo intelligente. Ma considerando stasera ..
- Quello che è successo stasera lo affronteremo insieme.
- Ti lascio libero, davvero. Sei stato meraviglioso, mi hai regalato l’illusione che un giorno avrei potuto dimenticare per sempre il mio passato, ma questo non succederà mai.
- Non lo dimenticherai, ma potrai elaborarlo, superarlo, andare avanti.
- Non capisci. Non sarò mai come .. prima. Non potrò mai tornare indietro.
- No, certo, ma non significa che non puoi..
- Ma.. davvero non capisci?
- Aiutami a comprendere, Anna, perché davvero non ci arrivo.
- Non capisci come questa cosa mi ha fatto diventare, come tuttora mi fa sentire!
- Cioè?
- Corrotta, sporca.. Nessuno vorrebbe stare con una come me..
 
Non riuscii a mantenere il contatto visivo. Abbassai lo sguardo e gli occhi mi si riempirono nuovamente di lacrime.
Per un attimo rimase in silenzio, come cercando di assorbire il senso delle mie parole.

- Oh mio Dio, Anna, quanto male ti ha fatto quello schifoso depravato!

Si avvicinò e mi prese tra le braccia, accarezzandomi i capelli.
Non volevo di nuovo piangere davanti a lui, così mi scostai forse un po’ troppo bruscamente e mi asciugai il volto.

- È tutto a posto, solo.. dimmelo subito se non ti senti di andare avanti.
- Anna, ascoltami bene.

Mi guardò intensamente.

- Non ho assolutamente intenzione di allontanarmi da te. Questa cosa è solo nella tua testa. Non ho mai pensato a te in questi termini e nessuno più di te merita di avere accanto qualcuno che ti rispetti e ti ami.

Quell’uomo non smetteva mai di stupirmi.
Lo abbracciai con infinita riconoscenza e lui mi strinse a sé.

- Promettimi che ti farai aiutare.
- Sì, avevo già in programma di farlo.

Mi sciolsi a malincuore da quell’abbraccio.

- Ora va pure.
- Ti va di vedere un film? – mi chiese.
- Come? 
- Ho visto che hai tanti DVD, ti va di vedere qualcosa insieme?
- Ma.. ma certo.

A quelle parole si alzò, come se nulla fosse successo, si infilò la maglietta e mi precedette in salotto, piazzandosi di fronte alla libreria con aria meditabonda a scegliere quale film guardare.

Mi alzai anche io dal letto, mi ricomposi come meglio potevo e lo seguii vicino alla libreria, iniziando a scorrere i titoli dei dvd con lo sguardo.

- Tra tutti questi film impegnati ne spicca uno di genere molto.. diverso. – mi disse dopo un po’.
- Ah sì? Quale?
- Jurassic Park?
- Oh, quello! È legato ad un bel ricordo. È stata una delle poche volte che la nonna ci ha portato al cinema. Kate ha tanto insistito. Io ero terrorizzata!
- Ma avevamo già dodici anni quando è uscito il film.
- E allora? I dinosauri mi fanno tuttora paura!
- No, intendevo dire che è un’età in cui si va al cinema con gli amici!
- Beh, mia nonna non ci ha dato quella che definirei un’educazione liberale..
- Eheheh! Ti va di rivederlo?
- Jurassic Park? Sul serio?
- Sì certo! A me piace molto.
- Ok..

Prese il dvd e lo inserì nel lettore, accendendo la tv.
Io mi sistemai sul divano ed attesi che anche lui prendesse posto.
Si sedette accanto a me e allargò le braccia, aspettando che io mi accoccolassi stretta a lui.
Non me lo feci ripetere due volte.

 

Il film non era poi così spaventoso, da piccola ricordavo che mi aveva fatto più paura.
Quando arrivammo alla scena della cucina, con i bambini terrorizzati dai velociraptor, Tom si mise a ridacchiare.

- Cosa ci trovi di così divertente? - Gli domandai.
- Ehm, no è che…
- Cosa?

Tossicchiò imbarazzato per un attimo.

- Allora? – lo incalzai.
- Ecco, quando ero più giovane facevo l’imitazione dei velociraptor..
- Veramente? Adesso voglio vederla.
- Scordatelo!
- Oh, no, non te la caverai così, voglio vedere il tuo velociraptor!
- No!

Gli strappai di mano il telecomando e misi in pausa il film.

- Non te ne vai di qui se non mi fai il velociraptor! – gli dissi, minacciosa, scimmiottando il suo atteggiamento di quella sera in cui non aveva voluto lasciarmi uscire dalla sua camera d’albergo in Islanda.

- Oh, d’accordo.

Si alzò improvvisamente dal divano e fece per uscire dal salotto.

- Non te la caverai cambiando stanza!
- Non sto scappando, devo entrare nel personaggio!
- Oh, scusa, attorone shakespeariano, non pensavo ti servisse tutta questa concentrazione per entrare nella parte di un dinosauro!

Non replicò, ma richiuse la porta alle sue spalle.
Silenzio.
Cominciavo a pensare che fosse veramente scappato via, quando la porta lentamente si aprì.
Da dietro spuntò una mano, con le sue dita incredibilmente affusolate, che, una per una, si posarono sull’uscio producendo un rumore quasi metallico.
Poi udii una sorta di rantolo soffocato, seguito da un – gr – sommesso.
La porta si spalancò fragorosamente e lui ne uscì, imitando l’avanzata dinoccolata del dinosauro.
A quel punto non riuscii più a trattenermi e scoppiai in una risata divertita.
Lui continuò imperterrito la sua riuscitissima imitazione e mi venne incontro verso il divano, dove io mi stavo sbellicando dal ridere.
Tra un mugolio ed un rantolo arrivò vicino a me, ma io quasi non lo vidi, perché ormai avevo le lacrime agli occhi dalle risate.
 
- Smettila di ridere, guarda che adesso ti mangio! – mi disse minaccioso, anche se in realtà tratteneva a stento un ghigno divertito.

Non riuscii a rispondergli, ormai ero stesa sul divano e non mi trattenevo più.
Allora lui si avvicinò, si stese sopra di me e cominciò a mordicchiarmi il collo.

- Nooo! Smettila! Soffro il solletico!

Continuai a sghignazzare sempre più forte, lanciando qualche urletto e tentando invano di divincolarmi, mentre lui proseguiva in quella dolce tortura.

- Va bene, va bene, mi arrendo! Ne ho avuto abbastanza! – esclamai.

Allora lui sembrò soddisfatto e con un ghigno satanico mi liberò del suo dolce peso, afferrandomi per i polsi per aiutarmi a tornare seduta.

- Non ti chiederò mai più il velociraptor! – dichiarai, ancora scossa dalle risate e con le lacrime agli occhi per il prolungato divertimento.
- Però non contare sul fatto che non te lo riproponga! Sei fantastica quando ti faccio il solletico!
- Tu non lo soffri?
- No.
- Non ci credo!
- Mettimi alla prova. – mi sfidò lui, tranquillo.

Mi preparai ad assalirlo, ma poi cambiai idea. Ebbi un’illuminazione.

- Chiudi gli occhi.
- Come?
- Hai sentito. Chiudi gli occhi.
- Va bene.

Serrò le palpebre ed io controllai che effettivamente non stesse fingendo.
Molto lentamente mi misi a cavalcioni sopra di lui.
Tom emise un brontolio soddisfatto.

- Mh. La cosa si fa interessante..
- Silenzio!

Non era la prima volta che uscivo con un uomo, ovviamente, e sapevo che ci sono certe cose cui difficilmente un ragazzo può resistere. Certamente non potevo sapere se era valido per tutti, però valeva la pena tentare.
Mi avvicinai lentamente al suo viso, poggiando delicatamente le labbra sugli zigomi, laddove la barba non cresce. Non per baciarlo, ma solo spostando con estrema delicatezza le labbra su quella zona.
Sentii che si stava agitando sotto di me. Allora avevo fatto centro.
Non dissi nulla, solo proseguii in quella piccola dolce tortura, muovendomi in seguito verso le sue orecchie, in particolare il retro della sinistra, il lobo…
Improvvisamente Tom mi prese per la vita e quasi mi lanciò sul divano, scorrendo velocemente sopra di me e catturando le mie labbra per un lunghissimo, interminabile ed appassionato bacio mozzafiato.
Quando alla fine si staccò, lo guardai con un sorriso sornione stampato sul viso.

- Allora lo soffri il solletico.. – lo apostrofai, in tono canzonatorio.
- Non puoi farmi questo!
- Ma non hai resistito neppure dieci secondi!
- Lo sai che tu mi fai impazzire.

Non finimmo il film.
Rimanemmo sul divano abbracciati a coccolarci e chiacchierare per il resto del pomeriggio.
Ad un certo punto Tom mi disse che doveva uscire con alcuni amici che non vedeva da tempo, vista la sua permanenza in Islanda per le riprese.

- Chi sono? Qualcuno che potrei conoscere? – gli domandai, più che altro preoccupata che non si trattasse di qualche altra ragazza innamorata di lui.
- Non saprei, visto che non mi conoscevi. Si ci sono degli attori. C’è Ewan McGregor, c’è Benedict Cumb..
- Benedict Cumberbatch? Sul serio??
- Ah. Quindi lui lo conosci?
- Oh, sì. Mi piace molto.
- Glielo dirò. È un carissimo amico.
- No, non dirgli niente! Magari una volta me lo presenti.
- Devo essere geloso?
- Come? Ma no, non l’ho mai visto né conosciuto, però l’ho sempre trovato veramente bravo e talentuoso.
- Mh. Non penso che te lo presenterò.
- Dai, non essere geloso! Ora sei tu il mio attore preferito!

E gli diedi un buffetto sulla guancia.
Era incredibile quanta serenità riuscisse a regalarmi, nonostante quello che era appena accaduto nel pomeriggio.
Forse avevo fatto un passo indietro, avevo bisogno di più tempo, ma da come Tom si era comportato nelle ore successive, intuii che lui volesse dimostrarmi, con i fatti e non solo a parole, che non mi avrebbe fatto pressioni.
Avevamo tutto il tempo del mondo, ma non avevo intenzione di sprecarne neppure un minuto.

 

N.d.A.

Capitolo di transizione.
Un passo indietro.
Presto le acque si movimenteranno parecchio, non temete, avremo una svolta thriller nella storia.
Eheheheh! Aspettate e vedrete!
Un bacio!

 

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Capitolo 11
*** Cap. 11 Senza via di scampo ***


~~Cap. 11. SENZA VIA DI SCAMPO

- Proprio non riesco a comprendere questo improvviso ripensamento. Il suo cliente non è convinto di qualcosa? Lo sa che se ne può discutere. – Cercai di mostrarmi il più possibile accondiscendente.
- Avvocato, la questione non è negoziabile.
- Ogni cosa è negoziabile.
- Non per il mio cliente.
- Quantomeno ritengo doverosa una spiegazione. – gli risposi stizzita.

Cominciavo seriamente ad alterarmi.
Un regista che da anni si rivolgeva al nostro studio aveva deciso di punto in bianco di rivolgersi altrove, senza fornire alcun chiarimento sulle motivazioni che lo avevano spinto a quella risoluzione. Il suo addetto alle p.r. stava semplicemente dando il ben servito a me ed allo studio senza giustificare minimamente cosa avesse portato il suo cliente ad una tale determinazione.

- Lo sa che potrei far valere le clausole che ha sottoscritto rivolgendosi allo studio. – continuai, minacciandolo apertamente.
- Ma credo anche che non lo farà. Non sarebbe una grande pubblicità per voi, non è così?
- Questo sarà il mio capo a deciderlo. Buonasera Mr. Fairchild.

Mi alzai dalla sedia profondamente indignata, non solo per la spiacevole conversazione, ma per quanto velatamente sembrava sottintendere.
Non fornendo alcuna spiegazione del motivo per il quale il regista aveva deciso di non rivolgersi più ai nostri uffici, pareva lasciar intendere che ci fosse qualcosa sotto, di oscuro e poco chiaro ed allusivamente anomalo.
Mi precipitai da Roger a raccontargli l’accaduto, riferendogli anche i miei dubbi.
Il mio capo mi rassicurò, dicendo che non era certo la prima volta che un cliente se ne andava senza un motivo apparente e che potevano esserci mille possibili spiegazioni.

- Anna, semplicemente potrebbe avere avuto contatti con qualche altro legale. Magari l’amico di un suo amico gli ha presentato l’avvocato Tizio e lui gli deve un favore. Non mi sembra il caso di fare ipotesi azzardate. Succede di perdere un cliente. Non fartene una colpa. Tu hai fatto il tuo lavoro al meglio, come al solito.
- Non so, Roger, mi è parso tutto molto strano.
- Ora va’ a casa e non pensarci più. 

Ovviamente non seguii il suo consiglio.
Rimasi fino a tardi a lavorare, ma soprattutto a rimuginare sull’accaduto.
Quando uscii non c’era rimasto più nessuno in ufficio. Ma non era una novità.
Mi avviai verso il parcheggio interrato, non riuscendo a levarmi dalla testa il tono di superiorità di quell’arrogante ed i sottintesi che sembravano trapelare da quella conversazione.
Ero davvero arrabbiata. Il fatto di non conoscere la verità non mi piaceva.
Mentre mi dirigevo verso la mia piccola auto, una Peugeot 106 che possedevo da anni, mi resi conto che il parcheggio era deserto.
Di nuovo non una novità.
Capitava spesso che rimanessi fino a tarda sera a lavorare e non era mai stato un problema. La zona della città era sicura ed io procedetti con passo spedito verso l’area di posteggio riservata agli appartenenti al mio studio.
Stavo ancora riflettendo sulla spiacevole telefonata di qualche ora prima, sempre più infuriata, quando mi accorsi che qualcuno mi stava seguendo.
Mi bloccai, voltandomi indietro, ma non sembrava esserci nessuno nelle vicinanze ed i passi cessarono.
“Anna, hai visto troppi thriller in tv” – pensai, prendendomi mentalmente in giro per la mia stupidità.
Proseguii nel parcheggio per avvicinarmi alla mia auto, che era nell’altra ala.
Ma i passi dietro di me proseguirono.
Mi voltai di scatto e di nuovo non c’era nessuno nel mio campo visivo.
Probabilmente era qualche rumore che proveniva dall’esterno e che io avevo scambiato per passi sull’asfalto.
Nuovamente mi accigliai per la mia autosuggestione e continuai il cammino.
Ma i passi non cessarono.

- C’è qualcuno?

Nessuna risposta.
Ma il rumore di passi continuò, facendosi questa volta più affrettato.
Non era la mia immaginazione.
Qualcuno mi stava seguendo.
Pensai alle possibili alternative.
Numero 1: infilarsi nella prima porta che dava verso l’interno del palazzo. Non era una buona opzione. Era sera ed era completamente deserto, trattandosi di un grattacielo pieno di uffici.
Numero 2: proseguire velocemente verso la mia auto. Poteva essere una possibilità da non scartare, ma era davvero distante e non potevo sapere se sarei stata raggiunta prima, o mentre tentavo di aprire la portiera o partire.
Numero 3: chiamare qualcuno. Che comunque non sarebbe arrivato in tempo per aiutarmi.
Numero 4: correre.
Optai per l’ultima.
Presi fiato e cominciai a trottare velocemente nella direzione della mia auto.
Chiunque fosse là sotto con me pareva non aspettare altro.
I miei passi affrettati rimbombavano nel parcheggio deserto, seguiti a breve distanza da quelli del mio inseguitore.
Nell’ansia della corsa e nell’intento di cambiare direzione costantemente in modo da rendere più difficoltoso l’inseguimento, non mi resi conto di aver perso completamente la direzione giusta per l’ala dove era posteggiata la mia auto e, non avendo più fiato, mi nascosi nello spazio tra due auto, accucciandomi quanto bastava per non essere vista.
O almeno così speravo.
I passi si erano fatti più distanti, ma ne percepivo ancora il rumore.
Mi stava cercando.
Non stava più correndo, forse neppure lui aveva più fiato, ma non aveva abbandonato la ricerca.
A quel punto non mi restava che l’opzione numero 3.
Rovistai nella borsa il più silenziosamente possibile per cercare il cellulare.
Composi il numero di mia sorella.
Quattro squilli, cinque.
Poi entrò la segreteria.
Dannazione, Kate!
Si lamentava sempre che non la chiamavo mai, ma una volta che avevo veramente bisogno di lei non rispondeva.
Nel frattempo sembrava che i passi si fossero allontanati ancora un po’, ma forse era solo un’illusione.
Chiamai Tom.
Tre squilli, quattro…

- Anna, ciao!
- Oh, Tom, grazie a Dio!
- Che succede? Dove sei?
- Sono nel parcheggio sotto il mio studio. Qualcuno mi sta seguendo, mi ha rincorso fino qui. – bisbigliai.
- Sei in auto adesso?
- No. Ho sbagliato strada mentre correvo, sono finita da un’altro lato del parcheggio. Mi sono nascosta, ma mi troverà.
- Sono dalla parte opposta della città.
- Scusami, non sapevo proprio chi chiamare, mia sorella non ha risposto e io..
- Ti mando immediatamente qualcuno. Non preoccuparti. Ti mando Luke, o qualcuno più vicino a te, l’autista, non so. Troverò qualcuno. Tu resta dove sei. Riesci a vedere in che zona del park sei? Di solito sono contrassegnate con colori, numeri o lettere..
- G7.
- Ok. Anna, fammi chiamare Luke. Ti faccio raggiungere il più presto possibile. Resta ferma e nascosta.
- Non mi muovo.

Restai acquattata tra quelle due auto per un tempo indefinito.
Sentivo i passi in lontananza, ogni tanto sembrava che tornassero nella direzione in cui mi trovavo, ma non si fecero mai troppo vicini da allarmarmi seriamente.
Ad un certo punto mi sembrò che cessassero.
Forse il mio inseguitore aveva desistito.
Mi ero quasi convinta ad alzarmi. Quella posizione rannicchiata tra due auto iniziava a diventare insopportabilmente scomoda.
Stavo per sollevarmi, quando improvvisamente li sentii di nuovo.
Stavolta di corsa.
Stava di nuovo correndo.
Forse mi aveva visto raddrizzarmi.
Sapeva dov’ero.
Ritornai acquattata e non mi mossi.
Cercai di non ansimare, di non respirare, non muovere un muscolo.
Questa volta i passi si fecero pericolosamente vicini.
Troppo vicini.
Mi raggomitolai il più possibile, le braccia strette intorno alle ginocchia, occupando il minor spazio vitale, tentando illogicamente di farmi più piccola. Invisibile.
Poi pensai che la miglior difesa è l’attacco.
Così mi sollevai, abbandonai la borsa dietro una delle auto e mi nascosi dietro alla colonna più vicina.
Quando sentii che i passi si facevano molto vicini, istintivamente mi preparai ad attaccare.
Non appena percepii che il mio inseguitore stava per raggiungermi, uscii dal mio nascondiglio e preparai un pugno, che nelle mie intenzioni doveva arrivare proprio nelle parti basse.
Da quel poco che sapevo di auto difesa, immaginai che fosse la mossa migliore per stordire e confondere l’avversario, in modo da permettermi di fuggire.
Ma lui fu più pronto.
Mi afferrò per il polso e con un movimento fluido portò il mio braccio dietro la schiena, rendendomi inoffensiva.
Non riuscii a reprimere un grido.

- Anna?

Mi voltai, perché lui lasciò immediatamente la presa sul mio polso ed incontrai due occhi verdissimi. Il proprietario di quegli occhi era una figura vestita di scuro, in un ampio cappotto, sciarpa ed uno strano cappello a coppola.

- Sei Anna, vero? Non uccidermi, mi manda Tom. – Mi disse lui, alzando le mani in segno di resa.

Lo riconobbi solo allora.

- Be… Benedict?
- Ehm, sì. Ciao.

Mi alzai di scatto sulle punte dei piedi e d’impulso lo abbracciai forte.
Mi aggrappai per un attimo a quella stretta, finalmente sicura di non essere più in pericolo.
Poi mi resi conto di quello che stavo facendo e mi staccai immediatamente.

- Scusami, scusami! Non volevo essere così.. ecco..  invadente. Sono solo davvero molto contenta di vederti.
- Non c’è problema, figurati. Piuttosto, stai bene?
- Sì. Sto bene. Mi sono solo un pò spaventata.
- Tom mi ha detto che ti stavano seguendo, vedo se trovo qualcuno.
- No, no. Andiamo via.
- Ma..
- Per favore, usciamo da qui.
- D’accordo. La tua auto?
- Dall’altra parte. Sei venuto a piedi?
- Ero proprio qui vicino, per questo sono venuto io. Tom ha chiamato Luke, ma era da tutt’altra parte. Così eccomi qui.

Mentre ci avviavamo fianco a fianco alla mia auto, lo osservai per la prima volta da vicino.
Di persona emanava un fascino ed un carisma che parzialmente si percepivano anche da semplice spettatore.
Era senza dubbio una di quelle persone che quando entravano in una stanza facevano zittire tutti i presenti.

- Mi dispiace, davvero. – gli dissi. – Avrai avuto senza dubbio qualcosa di meglio da fare piuttosto che venire qui a recuperare la sottoscritta.
- No, in verità. E comunque Tom è il mio più caro amico.
- Grazie. Grazie veramente. Siamo arrivati.

Nel frattempo eravamo giunti a destinazione.

- Questa sarebbe la tua auto? – osservò la mia auto alzando un sopracciglio, a metà tra lo stupito ed il divertito.
- Sì. Ecco è un po’ vecchia ma ci sono affezionata. Posso accompagnarti da qualche parte?
- Sicura che regga il mio peso?

Mi sfuggì un sorrisetto.

- Ma certo. Comunque non mi pare sia un gran peso da sopportare.
- Ne saresti stupita. Speriamo che non lo sia anche la tua auto.

Gli sorrisi.

- Dove ti accompagno? – chiesi.
- Io dove ti accompagno?
- Come?
- Sono d’accordo con Tom che ti avrei portata a casa tua, poi ci saremmo visti lì.
- Oh. Ora lo chiamo. Devo dirgli che è tutto a posto.
- No, tu guida, gli mando io un sms. Io non sarei mai in grado di condurre questa…

Lo guardai un po’ offesa, ma lui mi restituì uno sguardo dolcemente sornione, per cui non replicai.
Finalmente misi in moto e mi allontanai velocemente da quel parcheggio.
Stavo riflettendo sull’accaduto, pensando che i giorni seguenti sarei andata a lavorare con i mezzi pubblici, quando avvertii lo sguardo di Benedict fisso su di me.
Mi voltai per un attimo con la coda dell’occhio, mantenendo, però, lo sguardo vigile sulla strada.

- Raccontami cos’è successo. – mi disse a quel punto, con quella sua voce profonda e magnetica.

Sembrava che stesse valutando se fossi o meno una pazza isterica, rissosa e un po’ mitomane.

- Sono uscita tardi dall’ufficio e ho sentito dei passi dietro di me. All’inizio pensavo fosse solo la mia immaginazione, poi però quando mi sono messa a correre chi stava dietro di me mi ha inseguito. Ti giuro che non mi era mai capitato, sono anni che metto l’auto in questo parcheggio.
- Magari non sempre esci dall’ufficio così tardi.
- Più spesso di quanto tu non creda. E di quanto non vorrei.

 


Lo feci accomodare nel mio appartamento, in attesa che arrivasse anche Tom.

- Posso offrirti qualcosa? - Gli chiesi, da perfetta padrona di casa.
- Grazie, un tea sarebbe perfetto.
- Te lo porto subito.
- Forse prima dovresti cambiarti.

Lo guardai con aria interrogativa e lui fece un semplice cenno con il mento al mio tailleur grigio, sporco e unto di olio da motore. La mia avventura di quella sera aveva avuto spiacevoli ripercussioni anche da quel punto di vista. Invece non potevo certo affermare che mi fosse dispiaciuto incontrare Benedict Cumberbatch, anche se avrei senza dubbio preferito fare la sua conoscenza in un’occasione diversa.

- E magari toglierti tutta questa roba nera dalla faccia – proseguì lui, avvicinandosi al mio viso con le sue grandi mani e cominciando a strofinarlo dolcemente, nel tentativo, probabilmente, di lavare via i residui del pavimento del parcheggio.
Rimasi immobile e lo lasciai fare.
Ad un certo punto mi sottrassi al suo tocco gentile e mi diressi verso la cucina, senza una parola.
Attivai il bollitore e tornai in salotto.

- Ti dispiace se faccio una doccia veloce, ne ho proprio bisogno. Se dovesse arrivare Tom, puoi per favore farlo entrare?
- Va bene.

Non mi piaceva l’idea di lasciarlo girovagare per il mio appartamento da solo, però avevo veramente bisogno di “lavare via” quella giornata.
Una volta entrata nella doccia, lasciai che l’effetto rilassante dell’acqua desse i suoi frutti.
Chiusi gli occhi e mi appoggiai per un momento al vetro, assaporando quel momento.
Poi cominciai a strofinarmi vigorosamente.
Quando uscii, dopo essermi asciugata e vestita, sentii un’accesa discussione nel mio salotto. Stava parlando Tom e sembrava molto determinato.

- No, non glielo dirò. Non ti sembra che si sia già spaventata a sufficienza per oggi?

Mi bloccai un attimo sulla porta.

- Cosa non vorresti dirmi?

Entrambi si voltarono verso di me, con le loro tazze di tea in mano, a mezz’aria.

- Anna, stai bene?

Tom venne velocemente verso di me e mi abbracciò, stampandomi un bacio sulla fronte.
Mi allontanai da lui e lo guardai negli occhi.

- Me la cavo. Cosa esattamente non volevi dirmi?

Tom non replicò ed abbassò lo sguardo.

Benedict allora intervenne.

- Tom, diglielo. E’ giusto che lo sappia e sia preparata.
- Adesso mi state veramente spaventando. – replicai.
- Non è nulla di importante, solo che anche io e Luke siamo stati seguiti da un auto ieri, ma l’autista se ne è liberato facilmente.
- Oh.
- Ma non vuol dire nulla, a volte capita che qualche fan intercetti l’auto e tenti di seguirmi fino a casa, ma non è mai successo niente.
- Non può essere una coincidenza. – si intromise di nuovo Benedict.
- Tu fai silenzio e non farti prendere la mano dal personaggio di Sherlock Holmes! – tentò di zittirlo Tom.
- Invece fallo!

Entrambi si voltarono di scatto verso di me.
Arrossii vistosamente.

- Intendevo dire… hai ragione.
-  Infatti. – mi fece eco Sherlock.. voglio dire, Benedict.
- No, invece. Ti ho detto che è già capitato.
- Comunque è strano.
- Non lo è. Vi dico che mi è già capitato.
- Le coincidenze non esistono. – continuò impassibile Benedict.

Sorrisi. Decisamente era entrato nel personaggio.

- Allora perché non volevi dirmelo, se non ritenevi la cosa importante? – chiesi allora a Tom.
- Ottima domanda. – Benedict lo osservò con aria di sfida, in attesa della sua replica.

Lui non rispose ed abbassò nuovamente lo sguardo.

- Come immaginavo. Non devi preoccuparti, non sono una che si impressiona facilmente e so badare a me stessa.
- Di questo me ne sono accorto – confermò Benedict, guardandomi con un sorrisetto tra il divertito e l’offeso.

Realizzai solo in quel momento che non mi ero ancora scusata per averlo quasi aggredito in quel parcheggio.

- Oh, santo cielo, scusami! Non volevo assalirti, ma pensavo che fossi..
- Non c’è problema. Anzi, perdonami per averti immobilizzato. – mi interruppe lui.
- Potete spiegarmi per favore? – fece Tom, che a quel punto non stava capendo nulla ed osservava entrambi con aria interrogativa e vagamente insofferente.
- Certo. La tua ragazza stava per prendermi a pugni nel parcheggio. E mirava proprio lì dove non batte il sole.

Diventai viola dalla vergogna.

- Per fortuna sono allenato nei combattimento corpo a corpo e ho schivato l’attacco. Sarebbe stato molto efficace per uno meno esperto. – proseguì lui, notando perfettamente, ma volutamente ignorando, la mia espressione imbarazzata e colpevole.
- Scusa. – mormorai nuovamente, con aria contrita.

Lui mi guardava con un ghigno divertito e ad un certo punto sembrò non riuscire più a trattenersi e scoppiò in una sonora risata.

Io lo seguii a ruota, liberandomi finalmente dalla tensione accumulata nel corso di quella interminabile giornata. Tom per un po’ ci guardò stupito, poi si lasciò contagiare dall’ilarità generale.

- Avresti dovuto vederla, amico! – Benedict tentò di dire mentre sghignazzava divertito.
- Smettila! Dovevo difendermi! – appallottolai un pezzo di carta lì vicino e glielo lanciai.
- Tom, lo vedi quanto è manesca la tua ragazza! Devi stare attento o ci metterà un attimo a metterti sotto! – continuò lui imperturbabile, schivando il colpo.
- Se non la pianti di prendermi in giro te lo faccio vedere sul serio quanto sono pericolosa! – tentai di intimorirlo.
- Sto tremando di paura! – fece lui, per nulla impressionato, anzi, avanzò verso di me con fare minaccioso, sovrastandomi in tutta la sua altezza.

Rimanemmo per un attimo l’uno di fronte all’altra, a pochi centimetri di distanza, osservandoci con aria di sfida, ma comunque in modo giocoso. Eravamo talmente vicini che sentivo il suo respiro su di me.

Improvvisamente mi resi conto che Tom ci stava osservando.
E non stava più ridendo.
Mi allontanai istintivamente da Benedict ed anche lui fece lo stesso, notando lo sguardo lievemente turbato dell’amico.

- Sono contento che andiate d’accordo voi due. – disse allora Tom, rilassando il volto in un lieve sorriso sghembo.
- Diciamo che non era così che mi immaginavo di conoscerti. – dissi allora, rivolta a Benedict.
- Quindi volevi conoscermi? – chiese Benedict, gettando acqua sul fuoco.
- Già. – rispose Tom per me - La mia ragazza non sapeva minimamente che io esistessi prima di diventare il mio avvocato. Mentre sembra che sia una tua fan accanita. – fece Tom, non nascondendo un certo disappunto.

Arrossii.

- Così mi fai sembrare una quindicenne arrapata. Mi piacciono i tuoi lavori. Punto. Trovo che tu abbia molto talento.
- Grazie. A cosa ti riferisci?
- Ti ho visto a teatro l’altr’anno.
- Ero il Professore o la Creatura? (1)
- La Creatura.
- Allora non mi hai visto al mio meglio.. – e mi fece l’occhiolino.
- Eri perfetto.
- Grazie. Va bene Tom, felice di esserti stato utile. Anna grazie mille per il tea. Ora vi lascio.
- Grazie mille per oggi.
- E’ stato un piacere, Anna.

Lo accompagnai alla porta e lo salutai stringendogli la mano.
Lui si abbassò per baciarmi sulla guancia e si voltò andandosene.

Tornai in salotto e vidi che Tom se ne stava seduto sul divano con aria imbronciata.

- Cosa c’è? – gli chiesi.
- Avete legato molto voi due.
- Non sarai mica geloso?
- Forse un po’.
- Ma seriamente? Appena l’ho visto l’ho preso a pugni!?!
- Un modo come un altro per rompere il ghiaccio.
- Certo, come no? Attentare alla virilità di un uomo è il modo migliore per diventare amici per la pelle.
- Non negarlo, c’era una tale elettricità nell’aria quando eravate vicini che si poteva percepire a chilometri di distanza.

Effettivamente l’avevo percepita anch’io. Non replicai.
Benedict mi piaceva, era ovvio. Lo stimavo come attore e lo ammiravo.
Ma Tom era Tom.

- Ora sta zitto e baciami.


(1)  Benedict Cumberbatch nel 2011 ha recitato a teatro a Londra in Frankenstein di Mary Shelley, interpretando, a giorni alterni, il Professor Frankenstein e la Creatura, intervallandosi nei due ruoli con il collega Jonny Lee Miller, protagonista poi della serie Elementary – anch’essa incentrata sul personaggio di Sherlock Holmes.



N. d. A.

Ed ecco spuntare un nuovo personaggio!
Spero di aver accontentato le Sherlockians  e le Cumbercookies che so che sono tra voi lettrici!
Non è carinissimo Tom geloso?
Anna non sembra essere indifferente al fascino del nostro Benedict e come potrebbe?
Si attendono ulteriori sviluppi.
Ringrazio sempre con tanto affetto chi recensisce, preferisce, segue o solo legge la mia storia.
Un bacio!

 

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Capitolo 12
*** Cap. 12. Promesse ***


~~Cap. 12. PROMESSE


- Oggi è il grande giorno!
- A cosa ti riferisci? – gli domandai con la bocca piena.

Stavo sbocconcellando un panino in ufficio, seduta alla mia scrivania.
Sì, quella era la mia pausa pranzo.
La utilizzavo spesso per telefonare a Tom, mentre scrivevo qualche mail o definivo qualche dettaglio di un contratto e contemporaneamente pranzavo.
“Multitasking” era il mio secondo nome.
Ero stata così presa con il lavoro ultimamente – e anche lui – da non avere neppure il tempo di preoccuparmi degli ultimi avvenimenti e come al solito era arrivato il venerdì senza che neppure me ne accorgessi.

- Come? Non ricordi? La cena da tua sorella!
- Hai ragione! L’avevo dimenticato!
- Cosa le porto? Una bottiglia di vino può andare?
- Penso che se anche le portassi un pezzo di pane secco lei ti adorerebbe in ogni caso.
- Eheheheh, vada per il vino. A che ora ti passo a prendere?
- Penso che farò tardi, non credo che riuscirò a passare da casa a cambiarmi.
- Ti ho già detto che lavori troppo?
- Molte volte..
- Allora ti passo a prendere in studio per le sei e mezzo?
- Sette? – contrattai.
- Va bene. A più tardi.

Ero contenta che Tom mi venisse a prendere.
Non che avessi dato troppo peso alle sue preoccupazioni circa il piccolo “incidente” nel parcheggio di qualche giorno prima, però non ero più andata a lavorare in auto.
E poi mi piaceva farmi un po’ coccolare da lui, dovevo ammetterlo.
Era bello lasciarsi andare ed accettare quel suo “corteggiamento” così dolce e all’antica.

Puntualissimo come sempre si presentò come d’accordo sotto il mio ufficio alle sette in punto.

- Ehi! – lo salutai allegra.
- Ehi? Tutto qui? Non merito almeno un bacio di incoraggiamento?

Sorrisi e lo cinsi, mettendogli le braccia intorno al collo.

- Non hai bisogno di nessun incoraggiamento.

Lo baciai comunque. A lungo. Lentamente. Fino a che un ben noto languore si impossessò di me.
A malincuore mi staccai da lui, ma non smisi di abbracciarlo.

- Come non ho bisogno di incoraggiamento? Devo incontrare per la prima volta la tua famiglia! – replicò lui, quasi offeso.
- Mia sorella già ti adora!
- Deve ancora conoscermi. E poi ci sono tuo cognato ed i ragazzi.
- Non penso proprio che dovrai preoccuparti di loro.
- Comunque sono un po’ agitato.
- Sarai fantastico.
- Speriamo.
- Smettila! Ti dico che non devi proprio preoccuparti.
- Ora andiamo, non è il caso di fare tardi.

 

Parcheggiammo l’auto non lontano da casa di mia sorella che si trovava un po’ in periferia.
Aveva una bella casa con il giardino, ma senza garage.
Suo marito era un informatico ed era spesso in giro per lavoro.
Anzi, era quasi un avvenimento che si trovasse a Londra, giusto in tempo per conoscere Tom.
Stavamo attraversando la strada in direzione della loro villetta, chiacchierando allegramente, quando Tom si ricordò che aveva lasciato il vino in auto.

-  Aspettami un attimo, sono così nervoso che ho dimenticato il vino nel bagagliaio. Arrivo subito.

Mi stava ancora guardando con un sorriso imbarazzato stampato in faccia, quando mi accorsi che un auto con i fari spenti stava arrivando a tutta velocità contro di lui.
Tom aveva già abbandonato il marciapiede e stava attraversando la strada, ma l’auto non accennava a diminuire la velocità. Né lui parve rendersi conto del sopraggiungere del mezzo.

- Attento! – urlai, ma lui, invece di accorgersi dell’auto e muoversi per schivarla, guardò me con aria interrogativa.

Non mi restava che tentare di scansarlo.
Mi precipitai in mezzo alla strada, lo afferrai per un braccio e lo agguantai, tirandolo verso di me, giusto in tempo per evitare l’impatto.
Lui finalmente capì e mi afferrò per la vita, riportando velocemente entrambi sul marciapiede.
Nel frattempo l’auto si era già allontanata a tutta velocità.

- Pirata! Pazzo, deficiente pirata della strada!

Gli urlai contro con tutto il fiato che avevo in gola, mentre Tom mi guardava un po’ turbato.

- Sembra che stasera tu mi abbia salvato la vita. – mi disse lui, un secondo dopo.
- Se solo guardassi la strada mentre attraversi! – lo apostrofai, rabbiosa.
- Hai ragione.
- O almeno potresti essere più pronto quando qualcuno ti grida “attento!”.
- Effettivamente..
- Devi fare più attenzione!
- Ho capito! Smetti di rimproverarmi!
- Ok, scusa. Mi hai spaventato..
- E’ tutto a posto, sto bene.

Mi abbracciò sul ciglio della strada, stampandomi un bacio sulla fronte.

- Vado a recuperare il vino, stando ben attento mentre attraverso la strada, ok?
- Ok.

Rimasi lì immobile sul marciapiede, attendendo il suo ritorno, sempre con un occhio alla strada.
Finalmente tornò e potemmo di nuovo incamminarci verso casa di mia sorella.
Notai però che il suo buonumore era svanito e pareva un po’ accigliato.
Forse ero stata troppo dura nel rimproverarlo per la sua disattenzione, però non ci fu tempo per scusarsi, eravamo arrivati.
Kate venne ad aprire visibilmente emozionata. Aveva gli occhi a cuoricino e non tentava neppure lontanamente di mascherarlo. Sospirai.

- Tom, è davvero un piacere conoscerti, accomodati.
- Il piacere è mio, Kate, Anna mi ha parlato moltissimo di tutti voi.
- Oh, spero bene.
- Ma certo.

Ci accomodammo in salotto, dove era pronto l’aperitivo e parecchi stuzzichini.
Io avevo una fame da lupi e mi buttai subito sul piccolo buffet.

- Anna non mangiare tutto, poi ti rovini l’appetito! – mi apostrofò subito mia sorella.
- Vedi come funziona? Si comporta peggio di una mamma apprensiva. – risposi, rivolta a Tom.
- Sicuramente lo fa per il tuo bene. – replicò lui, tentando, se ce ne fosse stato bisogno, di ingraziarsi ancora di più mia sorella.
- Grazie Tom. Ero sicura che saremmo andati d’accordo.

Lui le indirizzò un fantastico sorriso, di quelli che conquistano, con tanto di fossette annesse ed occhi turchesi luccicanti.
Mia sorella era già stesa.
Improvvisamente sentii un inconfondibile rumore di passi concitati sul parquet e si materializzarono davanti a noi le due piccole pesti che mia sorella aveva messo al mondo.

- C’è Loki! C’è Loki! – si misero ad urlare Jared e John, cominciando a saltellare intorno a Tom.

Lui dapprima sogghignò divertito, poi decise di stare al gioco. Si portò lentamente un dito alle labbra, ordinando loro il silenzio. Poi assunse la sua espressione torva e minacciosa, dicendo, con la voce impostata di un ottava più bassa del normale:

- Sono Loki, da Asgard e sono ricolmo di gloriosi propositi.

I bambini sembravano impazziti dalla gioia.

- Mamma! E’ davvero Loki! E’ Loki, mamma!
- Ragazzi, ora Loki si prende qualcosa da bere, lasciatelo un attimo respirare.- tentò, invano, di calmarli la madre.

Abbracciai per un attimo i ragazzi e  mi lasciai condurre nella loro stanza, dove mi mostrarono i nuovi giochi che il padre aveva regalato loro. C’erano Thor, Captain America e Hulk. Mancava solo Iron Man. Sapevo cosa regalare loro per Natale.

- Poi possiamo giocare con Loki? Possiamo Zia Anna?
- Prima andiamo a tavola, poi vedremo. Comunque lui si chiama Tom, è Loki solo per finta. – dissi loro sottovoce, felice però del loro entusiasmo.

Sentimmo tutti e tre che qualcuno stava entrando in casa e i bambini si lanciarono verso la porta, urlando.

- E’ arrivato papà! E’ arrivato papà!

Attesi che i bambini abbracciassero il padre, poi anch’io strinsi forte mio cognato, che non vedevo da molto tempo.

- Ciao Greg! Mi sei mancato!
- Anna! Che piacere vederti, come stai? Ho sentito che ci sono delle novità..

E mi fece l’occhiolino.
In quel momento Tom spuntò timidamente dal salotto ed io feci le presentazioni.

- Greg, lui è Tom. Penso che Kate ti avrà parlato di lui.
- Sì, me ne ha parlato diffusamente. E’ un piacere conoscerti Tom.
- Felice di conoscerti Greg.

Seguì un momento di imbarazzo generale, per fortuna Kate, dalla cucina, prese ad urlare:

- Anna! Fai accomodare tutti, è pronto!

Fu una cena molto piacevole.
Una volta rotto il ghiaccio, Greg iniziò un’accesa discussione con Tom sul tennis, passione che entrambi condividevano, per poi proseguire sui prossimi progetti dell’attore.

- Alla fine del prossimo anno sarò a Teatro qui a Londra, con il Coriolanus di Shakespeare.
- Davvero? Non me lo avevi detto? – dissi, stupita.
- Non me lo hai chiesto. Comunque è un progetto che ancora è in discussione. A me piacerebbe molto.
- Tom, sarai meraviglioso.. – fece mia sorella, con gli occhi ancora più a cuoricino.

Non riuscii a trattenere una risata. Mia sorella era cotta, stracotta e biscottata.
Al momento del caffè, che mia sorella ed io prendevamo sempre a fine pasto, perché per un quarto italiane, Tom e Greg si alzarono e finirono per appartarsi a chiacchierare di chissà quale altro sport, mentre i ragazzi si rifugiarono in camera loro a giocare. Così fui libera di chiacchierare con mia sorella al riparo da orecchie indiscrete. Solo che era talmente palese quello che lei pensava, che ritenevo praticamente inutile chiedere.

- Eviterò di chiederti le tue impressioni, Kate, perché non mi sembri un giudice imparziale.
- Oh, Anna, lo trovo meraviglioso. E’ il principe azzurro che tutte sognavamo da bambine..
- Appunto..
- Parlo sul serio! Ha un modo di fare così dolce e premuroso, però allo stesso tempo è deciso ed appassionato quando parla del suo lavoro e soprattutto quando parla di te.
- Kate..
- Lo trovo una persona veramente speciale! Cerca di non fartelo scappare!

In quel momento per fortuna arrivarono i miei nipoti a salvarmi da quella imbarazzante conversazione.

- Zia! Zia! Possiamo giocare con Loki? Possiamo?
- Non lo so, ragazzi, provate a chiederglielo, è di là in salotto con vostro padre.
- Vieni anche tu zia?
- Ok.

Arrivammo in salotto e i due monopolizzarono l’attenzione dei due uomini. Presero Tom per mano conducendolo nella loro stanza.
Cominciarono a giocare insieme, mentre io li osservavo vicino alla porta della camera.
Tom era delizioso e ci sapeva fare con i bambini. Li trattava alla pari senza prevaricarli, però facendosi rispettare.
Sembrava davvero a suo agio con loro.
La mia mente cominciò a vagare con la fantasia, e pensai a come sarebbe stato avere dei figli con lui.
Bimbi biondi con gli occhi verdi e le guancie paffute.
Scacciai subito quel pensiero inopportuno.
Ci conoscevamo praticamente da un mese e già fantasticavo sulla famiglia perfetta?
Ottimo, Anna, eccellente soluzione per soffrire come un cane in un battito di ciglia.
Però Tom era proprio tenero mentre giocava con Jared e John ai supereroi. Sembrava non facesse altro.
Anche Kate spuntò dalla cucina e si appoggiò sullo stipite della porta ad osservare la scena.
Poi mi lanciò un’occhiata eloquente, che voleva palesemente significare: “Cosa ti avevo detto? È perfetto! Tienitelo stretto.”
Io le lanciai un’occhiataccia di rimando, tentando di farla rimanere con i piedi per terra.
In realtà ero io a dover tenere i piedi ben saldi a terra.
Presto si sarebbe stancato di me.
Dei miei mille problemi, della mia vita noiosa, del mio fisico “burroso”.
Magari non subito, avrebbe provato a sistemare le cose, perché si era dimostrato un uomo intelligente ed educato. Ma prima o poi sarebbe tutto finito.
Ed io mi sarei di nuovo ritrovata da sola a sistemare i cocci della mia vita.

- Ragazzi, è ora di andare a letto! Salutate Tom ed andate a lavarvi i denti! – mia sorella troncò i miei pensieri, ordinando ai bambini di mettersi a nanna.
- Però zia Anna può raccontarci una favola? Per piacere!
- Andate a lavarvi i denti, vi aspetto in camera e vi racconto la storia del gatto con gli stivali. – promisi loro per convincerli ad obbedire.

Tom mi sorrise ed uscì dalla stanza, così io mantenni la mia promessa.
Quando tornarono dal bagno ero pronta, seduta in mezzo ai due lettini, e raccontai la favola, così come ricordavo che ce la raccontava sempre la nonna. Con anche tutte le vocine e le movenze annesse.
Quando le due pesti avevano già gli occhi chiusi, stampai un bacio sui loro visetti assonnati, facendomi spazio tra i loro riccioli ribelli e mi allontanai in punta di piedi dalla camera.
Mi accorsi solo allora che Tom era lì ad aspettarmi e richiusi piano la porta.

- Sei molto brava a raccontare favole.
- E tu sei un asso a giocare con i supereroi.
- Io sono allenato, praticamente gioco con gli originali ogni giorno.

Gli sorrisi, sinceramente felice.
Anche lui mi regalò un ampio sorriso e mi prese la mano, stringendola forte.
L’aria sembrava carica di promesse e di sottintesi, ma nessuno osò dire nulla.
Tornammo in salotto, dove mia sorella e mio cognato ci attendevano, con i nostri cappotti in mano.

- Fatemi capire, ci state cacciando? – chiesi io, mal celando il mio disappunto.
- Ragazzi, la notte è appena iniziata! Avrete senz’altro qualcosa di meglio da fare che chiacchiere con due vecchi pantofolai come noi! Forza, andate a divertirvi! – ci apostrofò Greg, e non mi sfuggì l’occhiolino che dedicò a Tom, che se la ghignava divertito.
- Ma – provai a replicare, ma fu tutto inutile.

Dopo i baci e gli abbracci di rito, ci ritrovammo praticamente in strada senza aver modo di controbattere.

- Eheheheh! La tua famiglia ci ha cacciato di casa. Potrebbe non essere un buon segno. – fece lui, un po’ imbarazzato.
- Santo cielo, Tom, questa proprio non me l’aspettavo, mi dispiace. Però non pensare di aver fatto una cattiva impressione, so per certo che tutti ti adorano.
- Su tua sorella non ho dubbi. – replicò lui, sghignazzando.
- Non è proprio una che sa mascherare bene quello che pensa.
- Eheheh, no, direi di no.
- Ed anche i miei nipoti non ti avrebbero mai lasciato andar via.
- Su di loro ho usato il Loki-mode.
- Quello funziona sempre. – risposi, con aria ammiccante.
- Tuo cognato è un’altra storia.
- Come? Anche lui ti adora, ne sono certa!
- Di sicuro è molto protettivo con te.
- Perché? Cosa ti ha detto?
- Ecco, mi ha fatto intendere chiaramente che se dovessi farti soffrire avrei dovuto vedermela con lui.
- Dici sul serio? Ma è impazzito?
- Ti vuole molto bene. È quello che avrei fatto anch’io se mi fossi trovato nella stessa situazione con una delle mie sorelle.
- Ma è fuori di testa? Che gli è preso? Non..
- Te l’ho detto, ti vuole bene e si prende cura di te.
- E’ sempre stato più che un fratello per me. Lui e Kate si sono conosciuti che erano entrambi molto giovani ed io ero ancora quasi una bambina. Per un po’ ha fatto le veci di un padre. Anche io gli voglio molto bene, non so cosa avremmo fatto entrambe senza di lui.
- Come immaginavo. Sei molto importante per lui.
- E tu cosa gli hai risposto?
- A cosa?
- Quando ti ha chiesto di non farmi soffrire.
- Che non lo farò.
- E’ una promessa che non puoi mantenere.
- Sì invece. E ho tutta l’intenzione di farlo.

 

Quella notte lo sognai.
Sognai lui e due piccoli bimbi paffuti con i riccioli biondi e gli occhi verdi.

 

N.d.A.

Lo so, lo so!
Tiratemi i pomodori, venitemi a cercare e sgozzatemi o tagliatemi la testa!
Un mese di assenza e poi questo capitolo un po’ cortino di visita alla famiglia!
A mia discolpa posso solo scusarmi per l’imperdonabile latitanza e promettere che non capiterà più, se sarà possibile.
Ho un po’ di capitoli freschi freschi di scrittura con parecchi colpi di scena quindi spero in seguito di farmi perdonare!
Spero anche di non aver perso per strada le mie lettrici più affezionate, che ringrazio sempre con tanto, tantissimo affetto!
A presto, ve lo assicuro!
E.

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Capitolo 13
*** Cap. 13. Il presente ***


~~Cap. 13. IL PRESENTE


Aria di Natale.
Dopo tanto tempo ero talmente felice che decisi anche di prendere qualche giorno di ferie.
Pensavo che sarebbe stato bello trascorrere quei giorni di vacanza con Tom, che era ormai libero dai propri impegni.
Il giorno di Natale lo trascorremmo entrambi in famiglia.
Lui mi invitò per il pranzo di Natale, ma pensai che fosse un po’ prematuro conoscere i suoi genitori ed inoltre non volevo rinunciare alla mia famiglia.
Così optammo per vederci la sera e scambiarci i regali.
Fu veramente difficile scegliere il suo regalo.
Cosa si poteva donare a qualcuno che aveva tutto?
Allo stesso tempo volevo che avesse qualcosa di significativo, che in qualche modo gli ricordasse o fosse importante per noi.
Sperai di aver scelto bene.


Quando Tom arrivò a casa, gli offrii immediatamente il Christmas pudding che aveva preparato mia sorella appositamente per lui.

- Kate mi ucciderà se non te lo faccio assaggiare. Anche se sei pieno come un otre devi assolutamente mangiarlo o mia sorella mi tormenterà per secoli!
- Anna non ce la posso fare! Mia madre mi ha trovato dimagrito e oggi mi ha messo all’ingrasso.
- Fallo per me!
- Mi sentirò male…
- Solo una cucchiaiata.. poi la chiami e le dici che era buonissimo e lo hai finito tutto. Così io sono salva.

Si arrese.

- Io adoro questo dolce, ma stasera proprio..

Glielo porsi, con un sorriso a 32 denti ed un’occhiata di incoraggiamento.
Lo assaggiò, quasi disgustato, ma dopo la prima cucchiaiata mi guardò seriamente stupito.

- E’ veramente delizioso! Il più buono che abbia mai mangiato! Mia madre non lo fa così buono.
- Davvero? Kate è brava e questo lo sapevo, ma non pensavo così tanto…

Nel frattempo lui stava continuando a servirsi generose cucchiaiate di pudding.

- Non esagerare, non vorrei che poi stessi male sul serio.
- Non riesco a resistere, è squisito! Mmh, ti va bene se sabato sera andiamo a una festa a casa di Benedict? – mi chiese con nonchalance, con la bocca piena di budino.

Sbarrai gli occhi.

- Davvero? Fa una festa? A casa sua?
- Mmh. – mi rispose con la bocca piena, annuendo.
- Certo che mi va.
- Ne ero certo. Gli ho già detto di sì.
- Però è una festa privata, non è una specie di galà o una cosa del genere?
- No, siamo solo pochi intimi.

Pensai alla possibilità di incontrare di nuovo Bean, poi scacciai quel pensiero.
Mi ero imposta di non rimuginarci più, almeno per tutta la durata delle festività natalizie, che avevo intenzione di godermi appieno.
Poi avrei affrontato anche l’argomento terapia – l’avevo promesso sia a mia sorella sia a Tom – ma  per il momento non volevo rovinarmi il Natale con tristi ricordi o assurde paranoie.

- Ora è giunto il momento del mio regalo!

Gli comunicai, allegramente.

Andai a prendere il minuscolo pacchetto e glielo porsi, domandandomi per l’ennesima volta se gli sarebbe piaciuta la mia idea.
Lui mi sorrise senza dirmi nulla, guardandomi con occhi da bambino, carichi di curiosità ed aspettativa.
Dopo quello sguardo non potei evitare di sperare nuovamente di non deluderlo.
Scartò la bustina, che conteneva due biglietti.
Data l’aria interrogativa, cominciai a spiegargli.

- E’ giunto il momento che cominci a mantenere le tue promesse! Mi avevi promesso che saremmo andati insieme in Italia, ad assaggiare la vera pizza napoletana ed a riscoprire le mie origini. Non preoccuparti, sono biglietti aperti, possono variare le date di partenza e anche i viaggiatori, nel caso… ecco.. noi due.. non..

Mi interruppe e mi prese tra le braccia, deponendomi un bacio a fior di labbra. Sapeva di pudding e di dopobarba, un mix letale.

- Ti .. piace?
- Anna, è un regalo meraviglioso e non vedo l’ora di partire con te.
- Possiamo andare quando vogliamo, così non devi saperlo con molto anticipo, basta trovare qualche giorno libero tra un film e l’altro. Anche solo un weekend, se non si potesse fare diversamente. E comunque puoi portare chi vuoi se…
- Non voglio partire con altri, voglio partire con te!

Detto questo mi abbracciò stretta ed io appoggiai la testa sul suo petto, finalmente sollevata, sperando che effettivamente mi avesse detto la verità ed il mio regalo gli fosse veramente piaciuto.

Lui mi prese per le spalle, scostandomi dolcemente da lui e sorridendo mi comunicò che era arrivato il suo turno.
Infilò la mano in tasca e mi porse una piccola scatolina verde, che riconobbi subito come il contenitore di un gioiello.
Il mio cuore perse un battito.

- Ma sei matto? – gli chiesi, con il panico nello sguardo.
- Apri. – Mi rispose lui, semplicemente.

Presi la scatolina con le mani tremanti e la aprii.
Dentro c’era quello che temevo.
Un anello.
Però non era un solitario o un oggetto del genere, ma un anellino, tempestato per tutta la sua lunghezza di piccoli brillanti.
Guardai prima l’anello e poi lui, in rapida successione, ripetutamente, quasi che sotto ai miei occhi si stesse svolgendo una partita di tennis tra due giocatori invisibili.
Attesi una spiegazione, ma lui pareva insensibile alla mia silenziosa richiesta.
Allora decisi di esplicitarla a voce alta.

- Cosa… Cosa significa?
- Non andare nel panico, non ti sto chiedendo di sposarmi! – fece lui, con un po’ di delusione nella voce. Mi affrettai a replicare, perché non volevo che fraintendesse.
- No, Tom, cioè, è bellissimo. Anzi, non ho mai visto niente di più bello, lo giuro. Però.. Insomma, vorrei che mi spiegassi..
- Va bene, allora, ti spiego. Non è un anello di fidanzamento. Ha il significato che gli vorrai dare tu. Io volevo che avessi qualcosa di mio, che portassi sempre con te qualcosa che ti facesse ricordare di me e di quello che provo per te.
- Ma.. Costerà una piccola fortuna.
- Ehm.. No, cioè, non lo so, era di mia madre.
- Cosa? No, non posso proprio accettarlo! 
- Perché?
- E me lo chiedi?
- Anna, lei è stata felicissima di darmelo, veramente. Era da tempo che non mi vedeva così felice, sono le sue parole.
- Ma..
- Anna, volevo regalarti qualcosa che avesse un significato, perché sei speciale e tengo molto a noi. Sono sicuro che anche tu hai fatto lo stesso pensiero per il mio regalo.
- Sì, certo, però io..
- Vorrei che accettassi l’anello. Non per farti pressioni di nessun genere. Ma come promessa da parte mia.

Non replicai. Riflettevo invece su che genere di promessa si potesse suggellare con un anello, per di più appartenente alla madre. Aveva negato che si trattasse di una proposta di tipo veramente impegnativo, però aveva parlato di promessa.
Una promessa di felicità?
E per quale motivo dovevo negarmela?

- Anna, devo dire che nessuno ci ha mai messo così tanto tempo per accettare un regalo.

Incontrai i suoi favolosi occhi turchesi, che in quel momento vagavano tra lo speranzoso e lo smarrito, e sorrisi. Non potevo proprio resistergli. E non volevo farlo.

- Accetto.
- Finalmente!

Mi prese dalle mani la scatolina, tirò fuori l’anello dalla confezione e mi prese la mano destra.
Lo infilò lentamente all’anulare, testando se la misura fosse giusta.
Calzava a pennello.
Era bellissimo. Prezioso, ma non vistoso.
Lo osservai rapita e mi accorsi che Tom mi stava fissando con un sorriso sornione e soddisfatto sul suo bel viso.

- Grazie. – mormorai.
- Speravo in un ringraziamento un po’ più caloroso...

Mi squadrò con fare malizioso ed io non me lo feci ripetere due volte.
Gli gettai le braccia al collo e mi tuffai letteralmente sulle sue labbra.


Quella sera continuai a fissare il mio anulare ancora incredula per l’inatteso regalo.
Decisi di confidarmi con mia sorella, perché nutrivo ancora dei dubbi.

- Anna, ma è un regalo stupendo! Cosa c’è che non va?
- Non so, mi sembra un po’ tanto impegnativo, ci conosciamo da così poco tempo!
- Ancora con questa storia! Io credo che lui ci tenesse a donarti qualcosa che ti dimostrasse quanto tiene a te. Dopotutto anche tu ci hai pensato tanto prima di decidere cosa regalargli!
- Sì ma io non gli ho preso un anello!
- Lui non l’ha comprato, no?
- Ancora peggio! Era di sua mamma!
- Questo ti dimostra ancora di più quanto vale! Certo non gli manca il denaro per comprarti qualsiasi cosa, sarebbe stato facile e banale abbagliarti con qualche regalo super costoso, ma lui sa che per te non sono queste le cose importanti, dunque ha voluto donarti qualcosa che avesse un significato per entrambi.
- D’accordo, ma..
- Anna, smettila con le tue solite paranoie! Non potresti desiderare di più da un uomo! Sai cosa mi ha regalato per Natale mio marito? Una sciarpa. Ora capisci quello che voglio dire?
- Greg ti ama da morire. Non è mai stato granchè bravo nei regali, però adora te ed i ragazzi!
- Anche Tom ti adora. E te lo sta dimostrando in ogni modo possibile. Accetta il presente e goditi la tua fortuna. Non sai la mandria di ragazzine assatanate che vorrebbero essere al tuo posto!
- Eh, già, tu sei mica tra quelle?
- Certo, anzi, se non stai attenta te lo rubo sotto il naso!
- Non ci provare!
- Vedremo. Buonanotte Anna e dolci sogni.
- ‘Notte, Kate, saluta tutti e grazie.

 

La casa di Benedict era oltre le mie previsioni.
E la festa “per pochi intimi” cui Tom mi aveva accennato era piena di volti più o meno noti del piccolo e grande schermo.
Quando entrammo notai subito Chris che non stava aspettando altro che arrivasse Tom.
Venne immediatamente incontro a noi e i due si abbracciarono come al solito, come se non si vedessero da mesi. Il biondo australiano abbracciò strettamente anche me e mi presentò la moglie Elsa, una donna dolce e davvero estroversa, con cui simpatizzai in un attimo.
Le raccontai qualcuno dei divertenti episodi che avevamo condiviso Chris, Tom ed io in Islanda, ma venni a sapere che lei conosceva già tutto. Scoprii quindi quella sera che rappresentavo un argomento di conversazione in casa Hemsworth.
Tom mi presentò molte persone, che in realtà già conoscevo, almeno di fama. C’erano Martin Freeman, con la moglie Amanda, attrice anche lei e Mark Gatiss, con cui mi prodigai in una sequela di complimenti per il meraviglioso lavoro che svolgeva con Benedict e Martin in Sherlock.
A proposito. Dov’era il padrone di casa?
Mi allontanai dal gruppetto per un attimo, in cerca proprio del mio “salvatore” di qualche giorno prima.
Non riuscii a trovarlo neppure in cucina, così mi avventurai al piano superiore.
Quella casa era meravigliosa.
Più mi addentravo nella proprietà, più scoprivo nuovi dettagli di stile davvero unici.
Arredata in stile moderno, ma con il sapore antico delle vecchie case coloniali inglesi, la casa si sviluppava su tre piani, ma la festa era concentrata al piano terra.
Ad un certo punto sentii il tintinnare del ghiaccio in un bicchiere dietro una grande porta di mogano.
Bussai leggermente e senza aspettare risposta, la aprii e mi affacciai nella stanza.
Benedict era solo, appoggiato mollemente ad una ampia scrivania, in una stanza che poteva essere uno studio o la biblioteca.
Una biblioteca davvero fornita.

- Ehi! Cosa ci fai qui? I tuoi ospiti ti cercano!

Lo apostrofai allegramente. Poi lo osservai meglio nella penombra. Sembrava avesse gli occhi lucidi e non vi era l’ombra di un sorriso sul suo viso.

- Stai bene?
- Anna?

Mi chiese, accorgendosi di me solo allora e stentando a riconoscermi.
Mi avvicinai senza rispondere, pensando che forse avesse bevuto troppo.

- Stai bene?  - gli chiesi nuovamente.
- Si, certo. Benvenuta. – mi rispose assente.
- Che hai?
- Nulla, ora scendo. Vai da Tom. – replicò scontroso.
- Ti è presa la sbornia triste?

Mi fulminò con lo sguardo.

- Va bene, ricevuto il messaggio. Ti lascio solo.

Mi avviai verso la porta, ma lui mi trattenne per un polso.

- No, scusami. Resta, se vuoi.
- Ok. Mi spieghi cosa c’è che non va?
- Niente di importante.
- Non ci credo.

Mi squadrò con un sorriso amaro.

- Davvero ti interessa?
- Certo.
- Perché?
- L’altro giorno sei venuto da me a tirarmi fuori dai guai in quel parcheggio ed io in cambio ti ho quasi picchiato. Almeno ho la possibilità di farmi perdonare.

Gli sorrisi incoraggiante.

- Lo so che non ci conosciamo e magari non hai nessuna voglia di rispondere alle mie domande, ma mi sembra che tu non abbia molta voglia neppure di raggiungere i tuoi amici. – proseguii.
- Sono un ospite terribile.
- Può darsi, ma ci sarà una buona ragione.
- In realtà no. Sai, in verità è una banalissima riflessione natalizia sulla mia vita.
- Sì, effettivamente banale, te lo concedo. – replicai, ironica.
- Grazie. - mi rispose, stupito.
- E immagino che il bilancio non ti soddisfi, dato che sei qui immusonito. Sono proprio curiosa di sapere cosa detesti nella tua vita.
- Pensi che sia facile?
- Cosa?
- Gestire tutto questo?

E fece un ampio gesto della sua grande mano per accompagnare le sue parole.

- Non saprei. Ti ascolto.

Mi indirizzò un sorriso amaro e proseguì.

- Delle persone che sono alla festa, quelle che sono presenti perché hanno un reale desiderio di stare con me si contano sulle dita di una mano. Tu non hai la minima idea di quanta ruffianeria ed ipocrisia ci sia nel mio mondo.
- E’ lo stesso mondo in cui vivo io.
- Non è la stessa cosa.
- Sì invece. Ti ricordo che il mio lavoro consiste nel predisporre contratti cercando di accontentare celebrità volubili ed egocentriche. – gli restituii uno sguardo tagliente e sarcastico.
- Ma tu non devi pagare il prezzo del successo. Non devi ogni volta chiederti se l’interesse di una donna o di un qualsiasi altro essere umano è dettato dal fatto che ti ha visto in tv o che sa che sei ricco e famoso.
- “Si addormentano con Gilda e si svegliano con me” – citai, sorridendo.
- Come?
- Nulla, una frase che diceva Rita Heyworth.
- Già. Potrei dire la stessa cosa. “Si addormentano con Sherlock e si svegliano con Ben”.

Non potei trattenere una risata.

- Perdonami, ma suonava un po’ più strano.. – mi affrettai a scusarmi, dato che notai che lui non lo trovava affatto divertente.
- Io penso una cosa. – proseguii. – Credo che una persona possa solo tentare di essere la versione migliore di se stesso, o quantomeno provare a diventarlo. Poi tutti i condizionamenti, i pregiudizi, le fantasie della gente non si possono controllare, né cambiare. Da quel poco che ti ho conosciuto mi sembri una persona a posto, quando un amico ha avuto bisogno di te non ti sei tirato indietro. Questo è quello che conta.

Mi osservò forse per la prima volta quella sera.

- Ti ringrazio. – mi disse semplicemente.
- Felice di esserti stata utile. Ora puoi tornare dai tuoi ospiti e rimandare a domani i bilanci?
- D’accordo. Mi sembra un buon compromesso.

Lo presi sottobraccio e ci avviammo insieme al piano inferiore.
Quando appoggiai la mano sul suo braccio notò l’anello.

- Regalo di Tom?
- Sì.
- Wow, non si può dire che perda tempo quel ragazzo!
- No, no, non correre! Mica ci siamo fidanzati! E’ solo un regalo.

Non replicò e si lasciò condurre dagli altri invitati.

- Dov’eri finita? – mi chiese Tom quando tornai in mezzo alla folla.
- Cercavo il padrone di casa per ringraziarlo dell’invito.
- Direi che lo hai trovato.
- Già. Missione compiuta. – e gli feci l’occhiolino.

Notai che era arrivato anche Luke e lo salutai con un cenno della mano.
Lui alzò il bicchiere che aveva in mano verso di me, come ad omaggiarmi con un brindisi silenzioso.
La festa si animò quando partì la musica e Tom si lasciò trasportare dalle note regalando a tutti uno spettacolino di danza davvero interessante.
Già lo avevo visto ballare, ma questa volta era diverso, sembrava fosse veramente felice, ballava come se non ci fosse un domani.
O come se attendesse un domani ancora più carico di promesse.
“Accetta il presente e goditi quello che hai”  - riascoltai nella mia testa le parole di mia sorella di qualche giorno prima. Lei intendeva dirmi di accettare il regalo di Tom, ma il suo discorso poteva essere interpretato anche in modo più ampio e filosofico. Guardare Tom ballare aiutava a comprendere quella filosofia. Ma era necessario “viverla”. Nella mia vita avevo sempre inseguito un traguardo dietro l’altro. Il diploma, la laurea, gli esami per diventare avvocato, il primo lavoro in uno studio importante. Senza mai il tempo di fermarmi e vivere il presente.
Ma “la musica” stava cambiando.
Pian piano ci unimmo tutti alle danze ed io mi scatenai allegramente insieme a Tom ed a quella incredibile combriccola di amici.
Quando partì una musica più lenta lui mi attirò a sé e mi strinse.

- Questa volta non mi scappi. – mi disse, memore della sera della festa in Islanda.
- Non vado da nessuna parte. – gli risposi dolcemente, appoggiando la guancia sul suo petto.

Poi alzai gli occhi ed incontrai i suoi.
Tom non interruppe il contatto visivo ed io notai una luce nel suo sguardo che non gli avevo mai visto prima.
Sembrava davvero felice e ciò era ampliato da un sorriso appena accennato e dolce che gli muoveva le labbra.
Ma non era solo questo.
Mi guardava come solo un uomo innamorato guarda la sua donna.
D’impulso mi alzai sulle punte e, prendendogli il viso tra le mani lo baciai con trasporto, assolutamente incurante degli eventuali sguardi di chi ci circondava.
Quando ci staccammo eravamo entrambi senza fiato.

- Ho bisogno di una pausa. – gli dissi, lasciando lentamente la sua stretta ed avviandomi verso il bar.
Lui mi seguì e mi porse un flute di champagne.

- Lo sai cosa succede quando bevo.. – feci io, poco convinta.
- Solo un bicchiere. Brindiamo a noi due!
- D’accordo.

Feci tintinnare i bicchieri accostando il mio al suo e sorseggiai lentamente il suo contenuto.

- Torniamo a ballare?
- Non puoi proprio resistere, vero? – gli chiesi, ridacchiando.
- No, è più forte di me.
- No, vai pure, faccio due chiacchiere con le mie nuove amiche – e gli indicai Amanda ed Elsa che stavano parlando poco distante.
- Va bene.

Mi diede un rapido bacio sulla fronte e si allontanò a tempo di musica, tornando ad vivacizzare la pista, che senza di lui non era più tanto animata.
Amanda ed Elsa erano davvero divertenti, oltre ad essere davvero due donne molto belle.
Ad un certo punto Elsa si allontanò per rispondere al cellulare e tornò dopo poco molto agitata.

- Era la baby-sitter, ha detto che India ha la febbre molto alta ed ha uno sfogo sul petto.
- Mi dispiace – replicammo in coro Amanda ed io.
- Dobbiamo andare, vado ad avvisare Chris.
- Vi diamo un passaggio? Per trovare un taxi a quest’ora durante le feste potrebbe volerci un’eternità. – Mi offrii.
- No, non voglio rovinare anche a voi la festa.
- Ma figurati non pensarci neppure, chiamo subito Tom.

Ovviamente lui si mostrò subito disponibile ad accompagnare gli amici, ma mi propose di rimanere alla festa, dato che poteva andare e tornare in poco tempo.
Gli dissi che lo avrei aspettato e gli diedi un rapido bacio mentre usciva con Chris ed Elsa, visibilmente preoccupati.
Approfittai di quel momento per andare a mangiare qualcosa, ma, colpa della mia solita goffaggine, la tartina che stavo per addentare finì sul mio vestito, ovviamente dalla parte imburrata, come una perfettamente riuscita conferma della legge di Murphy.
Non mi restava che cercare una toilette ed aggiustare il danno come potevo.
Mentre ero alla ricerca spasmodica di un bagno, trovai invece la cucina, pensando che comunque sarebbe servita allo scopo, dato che quello che mi serviva era in realtà un lavandino.
Trovai uno strofinaccio, lo bagnai sotto l’acqua corrente e iniziai delicatamente a lavar via lo sporco dal vestito.
Per fortuna indossavo una camicia verde scuro, leggermente trasparente e speravo che si sarebbe asciugata presto, nascondendo la macchia.
Solo che risultava davvero difficile togliere accuratamente la macchia con la blusa indosso.
Se me la fossi sfilata per un attimo, giusto il tempo di lavarla, avrei potuto comunque contare sul body di pizzo che portavo sotto, apposta per evitare che la trasparenza della camicia fosse troppo audace.
Comunque per precauzione chiusi a chiave la porta della cucina, assicurandomi così che nessuno entrasse.
Tornai verso il lavandino e mi sfilai la camicia, quando sentii un rumore alle mie spalle.
Mi voltai di scatto e poco mancò che cacciassi un urlo che avrebbero sentito in tutta la casa, musica alta o no.

- Prima che tu dica qualsiasi cosa ti giuro che le mie intenzioni erano assolutamente caste!

Benedict mi guardava con gli occhi spalancati e le mani in alto, in segno di innocente resa.

- Mi hai spaventato a morte! Cosa ci fai qui, avevo chiuso a chiave!
- Ero in cucina già da prima, ovviamente.
- E dove? Perché non mi hai detto niente?
- Ero tra il frigo e la porta finestra. Non è colpa mia se non mi hai visto!
- Ma potevi manifestare la tua presenza!
- Ora ti dispiace.. rivestirti?

Nella concitazione del momento non mi ero accorta di essere rimasta solo con il body di pizzo nero e la gonna. Mi voltai immediatamente in modo da dargli le spalle, diventando contemporaneamente del colore del vestito di Babbo Natale.

- Oh. Certo. Ecco fatto. Sarà meglio anche che apra la porta, in modo da evitare fraintendimenti.

Detto questo mi avviai a passo spedito ad aprire la porta che avevo un minuto prima chiuso a chiave, poi mi voltai nuovamente verso di lui.

- Adesso mi spieghi cosa ci fai di nuovo qui da solo?
- Mi perseguiti forse?
- Cosa? Non sapevo neppure che fossi qui! Volevo solo lavare la mia camicia!
- Va bene, scusa. È solo strano.
- Cosa?
- Sei sempre tu a scovarmi.
- Sembra di sì.
- Come ti ho già detto, non esistono le coincidenze.

Sorrisi.

- Non scomodare Sherlock, stavolta è proprio un caso.
- Non credo.
- Ah no? Allora sentiamo, genio, illuminami.
- Tu sei il motivo delle mie meditazioni.

Lo fissai attonita. Ecco questo proprio non me lo aspettavo.

- Ecco, non tu in particolare, ma ciò che rappresenti.
- Ovvero?
- Tom sembra stare bene con te. Anzi non solo, sembra proprio felice, direi. E sebbene sia contento per lui, sinceramente, non può che sottolineare quello che mi manca.
- Una donna? Ci sono centinaia, migliaia di ragazze che si farebbero amputare un arto per stare con te!
- Ma ritorniamo al solito discorso di prima. Dubito grandemente dell’autenticità dei loro sentimenti.
- Ma se non ci provi non lo saprai mai.
- Non credere che non ci abbia provato. Da quando Olivia ed io ci siamo lasciati ho avuto delle storie, ma non hanno mai funzionato.
- Perché?
- La vita reale.
- Non credere che anche Tom ed io non ci siamo scontrati con i nostri rispettivi problemi.
- Lo so.

Mi chiesi cosa sapeva. Lui e Tom erano molto amici e mi domandai se gli avesse raccontato tutto.
Nonostante la promessa che mi aveva fatto.

- Non ti sei mai chiesta perché lui non ti ha ancora portato a casa sua?

Quella domanda mi spiazzò.
Francamente non ci avevo riflettuto, ma in effetti eravamo sempre usciti oppure era venuto lui da me, ma io non sapevo neppure dove abitava. Conoscevo la zona, certo, ma non sapevo neanche l’indirizzo.
Magari non c’era stata ancora l’occasione, ma la dura verità era che lui non mi aveva mai invitato.

- Vedi? Siamo tutti uguali. - Continuò. – Ha il terrore di farti entrare nel suo mondo, ha paura che tutto si possa frantumare, tutto quello che avete costruito finora. Succede, te lo garantisco.
- Ma, non …
- Non ti illudere, provenite da due mondi totalmente diversi, non è colpa di nessuno. Quante volte una storia si spezza anche per molto meno. Adesso è tutto bello e romantico, ma quando lui dovrà stare sei mesi, che so, in Canada a girare un film e tu sarai qui ad aspettarlo? O quando sarà in giro per il mondo a promuovere il suo ultimo film e tu non potrai spostarti da Londra? Oppure quando tu avrai bisogno di lui, come l’altra sera nel parcheggio e lui non potrà raggiungerti?

Quelle parole mi colpirono come una pugnalata al cuore.
Non tanto per il discorso in sé, che giungeva senza dubbio da un uomo ferito, in un momento di depressione, ma perché rappresentavano perfettamente i miei timori.

- Lui è un attore, per giunta molto richiesto e non sarà mai solo tuo.
- Certo non lo pretendo. – replicai.
- Invece verrà un giorno in cui lo pretenderai. O peggio, sarai così assuefatta a questa vita che imparerai a fare a meno di lui. E se succederà sarà tutto finito.
- Abbiamo già affrontato delle sfide ed il nostro rapporto non è finito.
- Non hai la minima idea di ciò che vi aspetta.
- Forse no, ma magari potremmo affrontarlo insieme.
- Sei testarda, Anna Martin.
- Non ne hai la minima idea, Benedict Cumberbatch.

Mi osservò con un sorriso sghembo.

- Cosa nascondi? Qual è il tuo segreto? – proseguì lui, incollando le sue iridi verdi alle mie.
- Di che parli?
- Tom mi ha parlato del tuo passato..

Sbiancai.

- Ma non ha voluto rivelarmi cosa ti ha ferito tanto da allontanarti da lui.
- Perché dovrei dirtelo?
- Io ti ho aperto il mio cuore, non mi aspetto da te niente di meno.
- Non ci conosciamo.
- Ormai sì. Ci conosciamo.
- Non tanto da rivelarti i fantasmi del mio passato.
- Sono una persona discreta, sarò muto come un pesce.
- Non insistere.
- Sono costretto a farlo.
- Perché? Perché ti interessa?
- Devo tutelare il mio migliore amico.
- Non è mia intenzione fargli del male.
- La strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni.
- Non mi convincerai con i luoghi comuni. Direi che questa conversazione è durata anche troppo.

Feci per uscire dalla stanza, poiché ritenevo di aver sopportato a sufficienza il suo sfogo. Aveva messo già a dura prova la mia pazienza, ma essendo sua ospite, mi sembrava educato non mandarlo al diavolo.

- E’ tutto falso, non è così?

Mi bloccai sulla porta.

- Come, scusa?
- Qualsiasi cosa tu gli abbia raccontato non è mai successo, te lo sei inventato per attirare la sua attenzione, non è vero?

Aveva assolutamente oltrepassato il limite.
Come scoprii solo più avanti, grazie alla terapia, non c’è cosa peggiore per una persona abusata che mettere in dubbio la verità delle sue parole.
Divenni una furia e sentii le lacrime affiorare sul viso senza possibilità di trattenerle.

- Come osi dirmi questo? Non sai niente di me e di quello che mi è capitato, come ti permetti?
- Non sarebbe la prima volta che qualcuno si inventa una balla per far colpo e..
- Sono stata violentata, stupido idiota egocentrico!

Fu il suo turno di sbiancare. Sembrava genuinamente colpito.

- Mi sono ingenuamente fidata di uno di voi, attori strapagati autoreferenziali e imbecilli e l’ho pagata a caro prezzo. – proseguii. Ormai ero un fiume in piena, impossibile arginare le mie parole. – è questo il motivo per cui è così difficile per me fidarmi di Tom e di qualsiasi altro uomo sulla faccia della terra. Lo capisci o devo farti un disegnino? Se quello stronzo depravato di Bean non si fosse approfittato di me in questo modo ignobile io non ..
- Bean? Sean Bean? È stato lui?

Mi coprii la bocca con le mani, ma era tardi. Avevo parlato troppo.

- No. No hai frainteso, io non..

Era troppo tardi, aveva capito.

- Tom non lo sa? È così? Non gli hai detto chi è stato?
- Ti.. ti prego non dirgli niente. – lo implorai.
- Perché? Perché non glielo vuoi dire?
- Non.. non so che reazione potrebbe avere.
- Ma ha il diritto di sapere!
- No! Se poi dovessero lavorare insieme? O si incontrassero ad un evento? Non voglio rovinargli la carriera.

Mi guardò sconvolto. Decisamente mi credeva, non aveva più dubbi.

- Per favore non dirgli nulla, me lo prometti? Promettimelo!

Lo implorai tra le lacrime, prendendogli le mani tra le mie per tentare di convincerlo.

- Non so se posso farlo.
- Ti prego, ti supplico – lo afferrai per le spalle, ma lui si staccò gentilmente dalla mia presa e mi afferrò a sua volta.
- Non è giusto, dovrebbe sapere.
- NO!

- E’ tutto a posto qui?

Mi voltai e Tom era sulla soglia.

 

 

N.d.A.

Eccomi qui dopo una piccola pausa.
Avviso già che sarà impossibile per me in questo periodo pubblicare una volta alla settimana, quindi penso che almeno per un pò manterrò l’aggiornamento quindicinale, salvo imprevisti.
Come promesso ecco rispuntare Benedict, in un ruolo mica da ridere! Eheheheh!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e ringrazio tutte le più affezionate lettrici e commentatrici (mi scuso se non sono riuscita a rispondere a tutte, ma mi metterò in pari, promesso).
Un abbraccio a tutte, una per una!
E.

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Capitolo 14
*** Cap. 14. Ha mai amato il mio cuore? ***


~~Cap. 14. HA MAI AMATO IL MIO CUORE?


Mi ci volle qualche secondo per reagire alla vista di Tom che mi guardava accigliato sulla porta della cucina.
Lanciai un ultimo sguardo a Benedict prima di sottrarmi alla sua stretta e dirigermi verso di lui.

- E’ tutto a posto. Andiamo a ballare.

Lo presi per un braccio e lo trascinai letteralmente nel salone, abbandonando Ben in cucina.

- Cosa è successo là dentro?

Tom non si arrese e, approfittando di una musica più lenta, continuò con le sue domande mentre mi stringeva.

- Cosa gli hai raccontato di me? – gli rigirai la domanda, un po’ astiosa.
- Come?
- Sapeva del mio passato.
- Non gli ho detto niente, te lo giuro! – si allontanò appena un poco da me, per guardarmi dritto negli occhi e dimostrarmi così l’autenticità delle sue parole.
- Qualcosa devi avergli raccontato.
- Gli ho solo detto che all’inizio abbiamo avuto dei problemi, ma ti assicuro che non ho detto..
- Sì, lo so. L’ho fatto io.
- Cosa?
- Sa tutto. – feci io, laconica.

Lui ammutolì e mi guardò sgranando gli occhi.
Non riuscii a capire se era stupito per il fatto che avessi trovato il coraggio di confidarmi con qualcun altro che non fosse lui, oppure se gli seccava non essere più l’unico depositario del mio segreto.
Decisi di non approfondire la questione, lasciando cadere l’argomento.
Anche io ero in preda a sentimenti contrastanti. Da un lato mi rimproveravo mentalmente e mi davo dell’idiota per essermi lasciata andare a tale genere di confessioni con Benedict, dall’altro lato, però, istintivamente mi fidavo di lui ed evidentemente, magari inconsciamente, avevo lasciato che accadesse.
Però non potevo uscire da quella casa senza essermi assicurata che Benedict non rivelasse a nessuno quello che sapeva.
Con la coda dell’occhio lo vidi ritornare nel grande salone e chiacchierare amabilmente con Martin ed Amanda.
Sembrava sereno e le preoccupazioni che lo avevano rattristato tutta la sera parevano un lontano ricordo. O forse stava solo recitando.
Improvvisamente incrociò il mio sguardo.
Mentre Tom mi faceva volteggiare, vidi che scambiava qualche parola con Martin, lasciando poi il gruppo di amici e colleghi.
Mi accorsi allora che si stava avvicinando a noi che continuavamo a ballare in silenzio.
Tom non parve accorgersi di nulla finché Benedict non fu tanto vicino da sussurrargli poche parole nell’orecchio.
Per un attimo un cieco terrore mi avvolse. Temevo che volesse parlargli subito, senza por tempo in mezzo.
Invece Tom si scostò dolcemente da me, mi baciò piano la mano e consentì all’amico di prendermi tra le braccia, sostituendosi a lui.
Così Tom si allontanò da noi e si avviò verso il bar.

- Volevo parlarti. – cominciò Ben, tenendomi stretta e parlando a pochi centimetri dal mio orecchio.
- Anch’io.
- Io.. volevo.. ecco, scusarmi per il mio comportamento.

Questo proprio non me lo aspettavo.
Credevo che avrebbe cercato di convincermi a rivelare a Tom il nome del mio aggressore, pensavo che mi avrebbe biasimato per non averlo ancora fatto e che mi avrebbe minacciato di farlo lui stesso se io mi fossi rifiutata.
Ma proprio non ero preparata a ricevere delle scuse.
Non ricevendo da me alcuna risposta, lui proseguì.

- Sono proprio un idiota. Non dovevo costringerti a parlare e non era mio diritto mettere in dubbio la tua sincerità. Quando sono di pessimo umore a volte mi comporto da stronzo. Mi dispiace. Non volevo mancarti di rispetto. Non succederà più.
- Va.. va bene. – ero sempre più stupita.
- Non interferirò tra Tom e te. Il tuo segreto è al sicuro.
- Grazie. Era quello che volevo sentire – tirai un sospiro di sollievo.
- Questo non significa che sia d’accordo con la tua decisione.
- Ti ho spiegato le mie motivazioni.
- Non è abbastanza per mentirgli. Tom è un uomo adulto e ritengo sia in grado, e soprattutto abbia il diritto, di conoscere la verità senza che ciò abbia ripercussioni sulla sua carriera.
- Ma..
- Se anche gli offrissero un lavoro insieme a Bean, Tom è un attore abbastanza affermato da poter scegliere di rifiutare, oppure di affrontarlo. Non saperlo non aiuterà di certo. E anche se capitasse di incontrarlo..
- E’ già successo.
- Cosa?
- Lo abbiamo incontrato ad una premiere.
- E tu? E lui?
- Non so come, sono riuscita ad evitare il peggio, nonostante lui..
- Cosa ha fatto? Ti ha importunata?

Si scostò per guardarmi con gli occhi sbarrati. Abbassai lo sguardo ed accennai un lieve movimento di assenso.

- Che gran bastardo. - Sibilò lui, gli occhi turchesi ridotti ad una fessura.
- Già.
- Perché non lo hai denunciato? Come è successo?

Così raccontai anche a lui i dettagli della mia aggressione. E le minacce. Ormai non aveva senso avere ulteriori scrupoli. Aveva promesso di mantenere il segreto e sapevo che lo avrebbe fatto.

- Brutto figlio di puttana! – fu la sua reazione alla fine del mio racconto.

Lo vidi serrare la mascella e lanciare lampi da quei suoi occhi magnetici.

- Pensare che continua ad essere impunito mi fa andare fuori di testa. – proseguì.
- E’ proprio per questo che non lo dico a Tom. Se manda fuori di testa te, pensa cosa potrebbe fare a lui.

Nel frattempo ci eravamo fermati e seduti al lato del salone, fuori della pista da ballo.

- Ti rendi conto che potrebbe averlo fatto altre volte? Si è garantito non solo l’impunità con le sue minacce, ma anche la possibilità di rifarlo tutte le volte che vuole. Potrebbero esserci altre ragazze che hanno subito o che potrebbero subire in futuro quello che hai sopportato tu.

Certo che ci avevo pensato. Quando avevo riflettuto se denunciarlo o meno quella possibilità l’avevo vagliata. Però ero troppo fragile in quel momento per prendere una decisione altruistica. Affrontare un processo, una tempesta mediatica e tutto quello che sarebbe seguito, per non parlare delle chiare minacce che mi erano state indirizzate.. sarebbe stato troppo duro da affrontare.

- Lo so. Hai ragione. È un peso che ho sulla coscienza. All’epoca ero troppo spaventata.
- Ma ora sei una persona diversa.
- Lo credevo anche io. Ero convinta di avere dimenticato, di aver superato tutto. Ma non è così. Ne ho avuto la conferma alla premiere. Sono crollata..
- Francamente non vedo come potessi aspettarti il contrario. Però sei andata avanti. Hai il tuo lavoro, hai Tom..
- Non posso far finta che questa cosa che mi è capitata non abbia creato e tuttora non crei problemi nel nostro rapporto. Lui ce la mette davvero tutta, ma non è facile. E non riesco a sopportare di non riuscire a dargli quello che merita per colpa di.. qualcun altro.

Lo guardai cercando forse comprensione, temendo che le mie parole lo persuadessero che non ero assolutamente la persona giusta per il suo amico, a cui lui teneva tanto.
Invece lessi nei suoi occhi qualcosa di più della comprensione.
Tenerezza. E anche ammirazione.

- Tu ti preoccupi di non dargli quello che merita? Guardalo! È felice, di più, è raggiante. Sei davvero una persona speciale e più ti conosco più penso che Tom sia veramente un uomo fortunato ad averti incontrata.

Gli sorrisi, incoraggiata e lusingata dalle sue parole.  Lui d’impulso mi attirò a sé per abbracciarmi, stringendomi forte.

Proprio in quel momento Tom venne verso di noi ed entrambi scattammo in piedi come due molle.

- Ragazzi, va tutto bene?  - Chiese lui, un po’ interdetto.
- Certo. Mi accompagni a casa? – feci io.
- Va bene, prendo i cappotti e saluto gli altri.

Ero effettivamente un po’ stanca ed erano ormai le tre del mattino.

- Grazie di tutto, Benedict, è stata una strana serata, ma comunque.. grazie, davvero. – salutai il padrone di casa, non sapendo bene come esprimere a parole tutto il vortice di sentimenti che mi frullava dentro.
- Grazie a te.

Mi salutò con una potente stretta di mano, seguita da un affettuoso bacio sulla guancia.
Salutai anche io gli ultimi ospiti rimasti e sgattaiolai verso l’uscita, dove Tom mi aspettava.
Gli diedi un rapido bacio sulle labbra e mi avviai fuori, verso la sua auto.

- Stai bene? – mi chiese, immaginando che ciò di cui avevo discusso con Benedict mi avesse in qualche modo scosso.
- Sì. Sto bene. Devo dormirci su, ma sono a posto.

In auto calò il silenzio.
Io avevo molto su cui riflettere.
Sembrava che Tom volesse parlarmi, ma non osasse riscuotermi dai miei pensieri.
Quando me ne accorsi lo spronai a comunicare.

- Vorresti farmi delle domande?
- Sì. – rispose timidamente.
- Dimmi.
- Come.. come è successo?
- Cosa?
- Perché ti sei confidata con lui?
- Oh. È successo perché lui pensava che io mentissi. Ed io non potevo sopportarlo.
- Come? Perché avrebbe dovuto pensare una cosa simile?
- Perché ti vuole bene e temeva che io volessi approfittarmi della tua buona fede.
- Che idiota!
- Non è un idiota, anzi. Non è uno sprovveduto. Voleva testare l’autenticità dei miei sentimenti per te, dato che sei un suo caro amico e vuole proteggerti.
- Vuole proteggermi da te?
- Beh, sì. O almeno così pensava. Sa cosa significa la fama e che genere di persone ronzano intorno a ragazzi come voi due.
- E’ comunque un idiota.
- Perché ti da così tanto fastidio?
- Cosa?
- Che io mi sia confidata con lui.
- Non mi da fastidio, solo mi stupisce. Se posso essere schietto con te, devo dirti che non è stato affatto facile fare in modo che ti aprissi con me, ma mi è sembrato che con lui sia stato molto più facile.
- Mi ha provocato. Ed io ho ceduto alla sua provocazione. Tutto qui.
- Sembra semplice.
- Lo è. Comunque poi si è scusato.
- Almeno.
- Già.

Non era stato calcolato. Era successo e basta.
Inutile rimproverarsi o pentirsi.
E comunque innegabilmente mi fidavo di Benedict.
Non ne avevo motivo, lo conoscevo a malapena, ma istintivamente era così.
Anche lui aveva parlato con me come si fa con una cara amica, dopotutto.
A proposito, perché non parlare chiaramente anche con Tom?

- Posso farti io una domanda? - Gli chiesi.
- Certamente.
- Non ti va che veda casa tua? – ormai eravamo lanciati, tanto valeva affrontare anche quell’argomento.
- Come? – era sempre più stupito.
- Non che la cosa mi turbi particolarmente, però non ho potuto fare a meno di notare che ci vediamo sempre a casa mia oppure fuori.
- Non c’è un motivo, è capitato così.
- Devo ricordarti come qualcuno di nostra conoscenza abbia più volte sottolineato che le coincidenze non esistono..
- Benedict ti ha messo in testa queste sciocchezze?
- In un certo senso.
- Lo sapevo.
- Suvvia, deve esserci un motivo, hai qualche scheletro nell’armadio? – scherzai.
- No.
- Allora qual è il problema? Hai paura che rimanga scioccata dall’opulenza ed ostentazione della tua ricchezza? Guarda che so perfettamente chi sei e immagino che ti puoi permettere di vivere nel lusso e…

Improvvisamente accostò l’auto e si fermò ai bordi della strada.
Non ebbi il tempo di chiedere spiegazioni che lui, dopo aver segnalato correttamente la manovra, fece una rapida inversione ad “U” nella via deserta a quell’ora notturna e si diresse nella direzione opposta.

- Che succede? – domandai un tantino interdetta.
- Andiamo a casa mia. – fece lui, con tono neutro.
- Oh. Non è necessario, posso venire con calma un altro giorno..
- Andiamo a casa mia. – continuò, stesso tono indifferente.

Cominciavo a preoccuparmi.
Nessuno parlò fino a che l’auto non arrestò la sua corsa.
Allora lo guardai, ma lui, senza proferire verbo, scese dall’auto con un unico gesto fluido, lasciandomi lì imbambolata ad osservare la sua schiena (ed il suo glorioso fondoschiena) mentre usciva.
Non feci in tempo a riscuotermi che Tom aveva già fatto il giro della sua vettura ed aveva aperto la mia portiera, allungando una mano per aiutarmi ad uscire.
Mi guidò verso un ampio portone di quella che pareva una villetta circondata da alte siepi.
Evidentemente gli era cara la privacy.
Erano almeno le quattro del mattino, ma comunque lui si guardò intorno prima di aprire e farmi strada all’interno.
Mi ritrovai in un ampio salone, con una grande scalinata che portava al piano superiore.

- Fai come se fossi a casa tua, io torno subito.

Mi disse, prima di abbandonarmi in quella grande casa sconosciuta.
Che subito presi ad esplorare con viva curiosità.
L’arredamento era sobrio, ma elegante e pareva che il proprietario prediligesse la comodità e la funzionalità all’inutile sfarzo. Gli si addiceva molto.
Arrivai in cucina. Era bianca e luminosa con un isola al centro e tutti gli accessori in bella vista. Notai con piacere il bollitore per il tea e soprattutto la macchina per il caffè espresso, davvero indispensabile!
Mi chiesi per quale motivo mi avesse portato a casa sua proprio quella sera, quando per settimane non mi aveva mai invitato.
Forse la risposta più ovvia era perché io stessa glielo avevo chiesto.
La domanda giusta era perché non mi ci avesse portato prima, ma non avevo ottenuto una risposta soddisfacente.

Ero appoggiata all’isola della cucina quando percepii una presenza alle mie spalle e, prima che potessi voltarmi, un bacio sul collo che mi provocò un intenso brivido lungo la schiena.

- Mmh.. . – mugolai di piacere, mentre lui proseguiva nella sua lenta discesa dal collo verso spalla e scapola.
- Allora ti piace?
- Mmh, certo… Cosa? – mormorai confusa.
- La mia casa!
- Oh. È molto bella. Ti si addice.
- Trovato scheletri nell’armadio?

Sogghignai lievemente, voltandomi per poter allacciare i miei occhi nei suoi, che quella sera avevano una sfumatura più scura del solito, quasi blu. Poteva lasciarmi senza fiato con un semplice sguardo, ma era stata la sua anima gentile a conquistarmi.

- Non ho ancora guardato – replicai, fintamente severa.

Si allontanò appena da me, lentamente, e mi si parò davanti con braccia e gambe allargate, esibendo un sorrisetto sornione e malizioso.

- Puoi perquisirmi, se vuoi..

Si era tolto la giacca e la cravatta ed aveva un paio di bottoni della camicia slacciati.
Una visione.

< Non provocarmi, tesoro – pensai - un solo bicchiere di champagne potrebbe essere sufficiente ad annientare le autocensure di una donna, di fronte ad un tale spettacolo >.

- Credevo che fossi un bravo ragazzo, Hiddleston, ma evidentemente mi sbagliavo..

Avanzai lentamente verso di lui, restituendogli la stessa espressione provocante.

- A volte sono un bravo ragazzo, in altre occasioni sono un cattivo ragazzo. – replicò lui, allusorio.

Continuò a fissarmi, occhi negli occhi, sapendo perfettamente che effetto avesse su di me.
Stava senza dubbio giocando, con maliziosa eleganza, poiché non c’era alcuna volgarità né arroganza in lui, ma sembrava anche che stesse testando quanto potesse spingersi oltre, prima di turbare il mio fragile equilibrio.
Lo rassicurai restituendogli uno sguardo di puro desiderio e decisi di stare al gioco.
Mi avvicinai piano e posai entrambe le mie mani sul suo petto, cominciando ad accarezzarlo lentamente.
Poi passai al ventre e in seguito alla schiena, tastando sotto le mie dita la perfezione della sua muscolatura,  incurante del fatto che sotto quella camicia non avrebbe potuto nascondere neppure uno stuzzicadenti, tanto era attillata.
Non abbandonai il contatto visivo, neppure quando scesi, molto delicatamente verso il fondo schiena, agguantando le natiche con entrambe le mani.

- La cosa comincia a farsi interessante, avvocato, tuttavia potrei denunciarla per abuso di potere – mi prese in giro lui, ammiccante.
- Sto svolgendo una perquisizione autorizzata, Mr. Hiddleston, ma se la metto a disagio posso smettere.

A dispetto delle mie parole, languidamente mi spostai sul davanti, sfiorando appena il cavallo dei suoi pantaloni.
A quel punto si lasciò sfuggire un gemito ed abbandonando ogni spirito goliardico, le sue braccia, che fino ad allora erano rimaste allargate per permettermi quella sorta di eccitante perquisizione, mi afferrarono e mi spinsero contro di lui.
Ci baciammo a lungo, avidamente, appassionatamente finché lui si staccò per un momento, per cercare di dirmi qualcosa.

- Cosa c’è? – domandai, delusa da quel distacco.
- Sì, volevo.. ecco.. rispondere alle tue domande..
- Cosa? Quali?
- Perché non ti ho invitato qui finora.
- Oh. Certo. Dimmi. – non avevo molta voglia di parlare in quel momento. Tuttavia gli avevo chiesto un chiarimento e mi pareva opportuno ascoltarlo.

A malincuore mi staccai completamente da quel contatto e con un piccolo balzo mi sedetti sull’isola della cucina, facendo roteare fanciullescamente sotto di me le gambe, che non potevano contare più  sull’appoggio del terreno.

- Ecco.. io.. pensavo che non ti saresti sentita a tuo agio. – proseguì lui.
- Perché?
- Visto.. ecco.. le tue esperienze passate temevo che se fossi venuta qui ti saresti in qualche modo sentita costretta o comunque non completamente .. serena, sicura, insomma.
- Oh.
- Credevo che ti saresti sentita più al sicuro a casa tua o in situazioni, diciamo, più neutre.  
- Ho capito.
- Per questo non ti ho mai chiesto di venire qui. Volevo che fossi pronta, che ti sentissi sicura e ti fidassi di me completamente.

Quanto poteva essere adorabile ?
Aveva pensato che se mi avesse chiesto di andare a casa sua, probabilmente mi sarei sentita in obbligo di accettare e che magari, una volta lì, avrei potuto non essere completamente a mio agio, forse sentendomi costretta a fare qualcosa di cui non fossi assolutamente convinta.
Quell’uomo mi rispettava e soprattutto considerava i miei sentimenti e aveva a cuore il mio benessere. Cosa si può chiedere di più?

- Ora perché piangi?

Non mi ero neppure accorta che una lacrima dispettosa mi era sfuggita e correva lungo la guancia. Le sue premure mi avevano commossa.
Tom si allungò e la prese dolcemente con il pollice, facendola scivolare via.
Avvicinai la guancia alla sua mano, socchiudendo gli occhi e godendo di quel rinnovato contatto.

- Mi fido di te, Tom. Completamente – gli confidai, mantenendo gli occhi chiusi.

Mi abbandonai docile tra le sue braccia, finalmente consapevole che quell’uomo aveva fatto il miracolo.
Le mie difese stavano crollando di fronte alla sua paziente e scrupolosa attenzione ad ogni più piccola sfaccettatura del mio essere.
Avrei potuto affrontare qualsiasi prova con lui al mio fianco.
Non avevo più paura.
Lo abbracciai stretto, mi aggrappai a lui con ogni fibra del mio corpo, desiderando solo essere sua.
Completamente.
Affondai il viso nell’incavo del suo collo, inspirando piano il suo profumo, solleticando appena con le labbra quel punto così delicato.
Tom prese il mio viso tra le mani ed iniziò a baciare prima gli occhi e le guancie, ancora umide a causa della mia commozione di poco prima.
Cominciai a sbottonargli delicatamente la camicia, ma lui mi bloccò la mano, trattenendola all’altezza del suo cuore.

- Vieni – mi disse semplicemente.

Mi condusse al piano di sopra, in quello che pareva un salottino e che fungeva, supponevo, da anticamera rispetto alla sua stanza da letto, poiché potevo scorgere dalla porta aperta un grande letto bianco con lenzuola scure.
La casa era tutta in un ordine perfetto, per cui mi chiesi se avesse una domestica e che aspetto avesse.

- Puoi aspettarmi un momento?

Chiese lui, distraendomi dal mio soliloquio.
Avevo atteso talmente a lungo, pensai, che qualche minuto non faceva grande differenza.
Annuii, sedendomi sull’ampio divano.
Vidi che lui si allontanava, regalandomi uno dei suoi sorrisi migliori, sparendo verso la sua camera.
Mi tolsi le scarpe (i piedi cominciavano a dolermi dopo 10 ore sospesi su un tacco 15) e mi accomodai il più possibile sul divano.
Mi accorsi solo allora con vivo stupore che ero perfettamente a mio agio.
Non avevo alcuna paura, nessuna paranoia, assolutamente alcun ripensamento.
Al contrario non vedevo l’ora di averlo tutto per me.
Completamente mio.

 

 


Sono seduta contemplando lo schermo illuminato del mio portatile.
La stanza è buia.
Solo una piccola abat-jour diffonde la sua luce nella fredda camera d’albergo.
Avverto improvvisamente una presenza alle mie spalle.
Tom.
Sorrido appena mentre mi volto verso di lui.
Ma non è lui.
Osservo con sgomento un viso conosciuto.
Sento che mi solleva di peso ed avvicina la bocca al mio orecchio.
Io sono come paralizzata. Non posso muovere un muscolo.
Sono totalmente in balia di quest’uomo che mi terrorizza e rabbrividisco.
Percepisco il suo respiro affannoso contro il mio orecchio, mentre mi sussurra parole volgari che io neanche capisco.
Ora è sopra di me e mi sovrasta.
La nausea mi invade, ma comunque non posso muovermi. Sono immobilizzata nella sua morsa.
Non esce neppure un lamento dalla mia bocca.
Al contrario lui continua a parlare, a parlare, incessantemente. Insulti a me ed incitamenti a se stesso, che a malapena distinguo.
- Ti piace, puttana!
Io non fiato. Sento solo dolore e lacrime e paura e senso di soffocamento.

- Anna? Anna!

Aprii gli occhi e per un momento non riconobbi il luogo dove mi trovavo.
Istintivamente mi ritrassi e mi raggomitolai su me stessa, ancora scossa.
Poi capii.

- Anna, stai bene? - Tom mi guardava, preoccupato.
- Sì, sì. Solo un incubo.

Odiavo quell’incubo. Ovviamente non era la prima volta che dovevo affrontarlo.
Ma ogni volta, per un attimo, ero di nuovo quella quasi adolescente indifesa, terrorizzata e piena di vergogna.
Il sudore sembrava ghiaccio sulla mia pelle.
Ma quella volta non ero sola.
Tom era lì con me e capii che non sarei mai più stata indifesa.
E che non avrei più provato vergogna.


 


N.d.A.
 

Ed eccomi di nuovo tra voi!
Scusate per l’assenza, ma a volte gli impegni prendono il sopravvento.
Siamo ad un punto di svolta, come immaginerete.
Manca moooolto poco al sospirato grande passo..
Abbiate fede e continuate a seguirmi!
Grazie a tutti quelli che seguono, preferiscono e recensiscono, quante belle parole!
Appena riesco mi metto in pari e rispondo a tutte!
Un bacio, a presto!
E.

 

 

 

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Capitolo 15
*** Cap. 15 Confessioni di una mente pericolosa ***


CAP. 15. CONFESSIONI DI UNA MENTE PERICOLOSA
 
 
N.d.A.
 
Piccolo prologo, direi dovuto...
Questa storia ha avuto uno hiatus, che, diciamocelo, quasi neppure Sherlock riesce a superarmi!
Lo so.
Purtroppo nella mia vita si è abbattuto un evento imprevedibile (non positivo, anzi), che ha catalizzato la mia totale attenzione per molto tempo e mi ha provocato anche una certa dose di... danni collaterali... tra cui la poca voglia di scrivere..
Adesso sto cercando di riacciuffare le redini della mia vita e anche riprendere a fare le cose che più mi piacciono. Adoro scrivere e vorrei portare a termine questa storia, per voi che la leggete e siete state costanti e fedeli, ma soprattutto, sinceramente, per me, per dimostrare a me stessa che posso farcela!
Ora la smetto di tediarvi - ma una breve spiegazione mi pareva doverosa - e vi lascio ad Anna e Tom, sperando che il tempo trascorso non abbia affievolito la vostra curiosità di andare avanti nella lettura.
 
 
 
Tom mi stava ancora guardando con aria smarrita, indeciso su come comportarsi.
L'incubo che mi aveva scosso era ancora nei miei occhi e non usciva dalla mia testa.
Era un sogno ricorrente, tuttavia da parecchio tempo non aveva più turbato le mie notti.
Era chiaro il motivo per cui si era nuovamente affacciato nella mia mente.
Ma non potevo permettere al mio passato di interferire tutte le volte che avevo l'opportunità di essere felice.
Non avevo più dubbi.
Sì, certo, un incubo mi aveva appena ricordato chi ero e che non potevo mai abbassare del tutto la guardia.
Tuttavia sapevo quello che volevo.
E quella sera desideravo solo Tom.
Ma ero veramente così sicura?
Ero disposta a lasciarmi andare e pronta a guardare finalmente al futuro?
In quel momento credevo di potermi perdere totalmente nei suoi occhi, che mi osservavano con un misto di timore e speranza.
Il mio cuore aveva già fatto una scelta.
Senza una parola mi avvicinai a lui, che si era seduto accanto a me sul divano dove mi ero appisolata per svegliarmi da quell’incubo e dove mi ero rannicchiata dopo essermi svegliata.
Lo baciai lievemente, quasi timidamente, a fior di labbra, sperando che ciò solo fosse sufficiente a dissipare i miei stessi dubbi, prima che i suoi.
Il cuore martellava forte nel mio petto, sembrava voler scoppiare, perché mi attanagliava una paura antica, di cui non riuscivo a liberarmi.
Avevo bisogno dei suoi baci, delle sue carezze, di tutto quello che fosse stato in grado di offrirmi.
Bramavo quel contatto, ma allo stesso tempo ne ero terrorizzata.
Volevo con tutta me stessa essere in grado di lasciarmi andare, perché era vero quello che gli avevo detto poco prima.
Mi fidavo di lui, completamente, e mi sentivo protetta ed al sicuro, anche in casa sua.
Così ripresi da dove mi ero interrotta poco prima e presi a sbottonargli delicatamente la camicia.
Tom mi bloccò, posando dolcemente la sua mano gentile sulla mia.
Mi squadrò intensamente, con quei suoi occhi che parevano piccoli laghi, e che sembravano volermi leggere dentro.
Abbassai lo sguardo, timidamente, temendo che potesse interpretare nella mia espressione qualcosa che lo facesse allontanare da me e tentai di riprendere da dove mi ero interrotta.
Allora Tom mi bloccò nuovamente, questa volta con un pizzico di energia in più, ma sempre gentilmente e mise un dito sotto al mio mento in modo da costringermi a guardarlo.
Occhi negli occhi. Eravamo distanti pochi centimetri, ma in quel momento mi sembravano chilometri.
Non volevo che leggesse nel mio sguardo qualche ripensamento, così cercai dentro me la mia espressione più risoluta.
Senza spezzare il silenzio incollai il mio sguardo su quelle iridi verdi e feci un impercettibile cenno di assenso con il capo.
Rincuorato dalle mie rassicurazioni, mi permise finalmente di continuare a slacciare i bottoni della sua camicia, che finì presto sul pavimento.
Lui fece lo stesso con la mia, lentamente, e bottone dopo bottone, scivolò a terra insieme alla sua.
Poi fu il turno del mio corpetto, un po’ più difficile da togliere, con tutti quei lacci e gancetti.
Maledissi per un attimo la mia scelta dell’intimo per quella serata, quando sarebbe stato molto più comodo un semplicissimo reggiseno.
In realtà Tom non sembrava affatto dispiaciuto della mia scelta, anzi.
Sembrava stuzzicato da tutte quelle intriganti stringhe da sciogliere e le sue mani affusolate si muovevano con lentezza, ma agilmente, per liberarmi dalla mia sexy lingerie.
Il colmo era che niente era stato calcolato, perché il programma quella sera era solo la festa a casa di Benedict. Avevo utilizzato quel corpetto unicamente perché la camicia era semitrasparente e non mi piaceva avere il reggiseno “a vista”.
Mentre lui era impegnato in questa delicata operazione e diligentemente si preoccupava di sciogliere i miei laccetti, nel frattempo mi occupai della sua cintura, che feci scivolare dalle asole e slittare fino a toglierla, adagiandola sul divano.
Fu più difficoltoso liberarmi dei suoi pantaloni, così, con una muta richiesta di aiuto, lasciai che fosse lui stesso ad occuparsene.
Mi fermai per un attimo ad osservarlo.
Non era la prima volta che lo vedevo, considerando che era già capitato in una imbarazzatissima occasione nella sua suite in Islanda, ma parevano secoli prima.
Adoravo il fatto che lui fosse completamente a suo agio nel percepire il mio sguardo su di sé, in modo che io potessi godere anche di quel momento.
Indugiai per un po’, beneficiando anche dell’inestimabile piacere di osservare con calma ed un pizzico di soddisfazione l’uomo con cui stavo per fare l’amore.
Lui mantenne ininterrottamente il contatto visivo, anche se era ancora impegnato con la mia lingerie, e ciò mi produsse un lungo brivido di piacere, che mi attraversò fino a concentrarsi nel basso ventre.
Quando finalmente il corpetto raggiunse gli altri indumenti sul pavimento, lui mi sollevò un poco, in modo da agevolare il movimento fluido, ma delicato con cui, in un solo gesto, mi sfilò la gonna.
Ero rimasta solo con slip ed autoreggenti e anche lui si prese un momento per osservarmi, solo che io non ero a mio agio come lui nel mio corpo.
Tuttavia non cercai di protestare, né tentai di coprirmi.
Lasciai che i suoi occhi vagassero sulle mie curve, sperando che per qualche incomprensibile ragione le mie imperfezioni non rovinassero l’atmosfera o lo facessero desistere dai suoi propositi.
Lo sguardo che mi restituì dissolse ogni mio timore.
Mi avvinghiai a lui, allacciando le braccia intorno al suo collo.
A quel punto Tom sembrava indeciso sul da farsi. Poi mi sollevò tra le braccia e mi condusse in camera da letto.
Mi posò delicatamente sul letto e mi baciò, prima con dolcezza, poi con urgenza.
Sembrava che, mentre fino a quel momento aveva controllato ogni mossa, finalmente stesse rinunciando ad ogni autocontrollo per abbandonarsi alla passione.
I suoi sentimenti per me erano forti e veri e me li stava dimostrando in ogni possibile modo, anche quello più fisico.
Sentivo infatti il suo piacere premere con forza contro la mia coscia, mentre le sue mani mi accarezzavano con possessività, facendomi gemere nella sua bocca, che non smetteva di baciarmi.
Un languido desiderio si stava impadronendo di me ed anche io avevo abbandonato ogni controllo ed abbassato tutte le difese, cosa che quasi credevo non fosse più possibile.
Mentre lui si dedicava al mio seno, facendomi gemere di piacere, io, continuando ad accarezzarlo, allungai la mano verso la sua erezione, avvicinandomi lentamente, ma inesorabilmente.
Sentii che si muoveva sopra di me come un felino, pronto ad accogliere la mia mano, anzi, bramando quel contatto.
 Lo afferrai prima con tutta la mano, serrandolo delicatamente ma con decisione, poi mi soffermai sulla punta, già umida, che accarezzai con il pollice con lievi movimenti concentrici.
La sensazione delle mie mani su di lui era potente, ed unita alla dolcissima tortura della sua bocca sui miei capezzoli, e delle sue lunghissime dita affusolate che si muovevano avide su ogni centimetro del mio corpo, mi fecero completamente perdere la testa.
Con un gemito più forte afferrai con la mano libera una delle sue natiche, scolpite nel marmo, e premetti con forza il mio bacino al suo, in modo che capisse che ero pronta.
Lui invece sembrava voler prolungare ancora la sua dolce tortura, ma io non volevo, non potevo, avevo aspettato abbastanza.
Mi inarcai sotto di lui per fare in modo che finalmente lui entrasse dentro di me.
Dopo aver armeggiato un po’ per prendere le dovute precauzioni (il motivo, forse, del suo allontanamento di prima) finalmente lo sentii dentro, che premeva contro le mie pareti più sensibili. Un piccolo urlo involontariamente uscì dalla mia gola e sentii anche in lui un fremito di piacere che, incontrollato, aveva raggiunto ogni fibra del suo corpo, anche dentro di me.
Mi allacciai ancora di più a lui, abbandonandomi senza riserve a quella sensazione meravigliosa.
Finalmente eravamo una cosa sola, stretti in un abbraccio profondo, senza condizionamenti né paranoie, solo un uomo e una donna completamente persi l’uno nell’altra.
I nostri sguardi si incontrarono e nel suo lessi desiderio, appagamento. Felicità. Forse anche un sentimento più profondo, cui, in quel momento non volevo dare un nome.
Restando comunque saldamente allacciato a me, sentii una delle sue mani avvolgermi e insinuarsi dietro la mia schiena, quindi, con un movimento rapido e sinuoso, Tom mi sollevò per fare in modo di invertire le nostre posizioni.
Quindi desiderava che fossi io a condurre il gioco.
Ebbi ancora la lucidità di pensare che fosse una ulteriore premura nei miei confronti, per evitare che mi sentissi in alcun modo costretta o forzata a fare qualcosa che non volessi.
Lo baciai sulla bocca sottile e mi mossi lentamente e ritmicamente, agguantandolo sempre più strettamente, coinvolgendo i muscoli della mia parete vaginale.
Lo sentii sospirare e respirare sempre più affannosamente, consapevole del fatto che il mio respiro, sulla falsariga del suo, seguiva il ritmo delle nostre spinte e si faceva sempre più rumorosamente sentire.
Non lo credevo possibile, tanto che quando percepii i miei gemiti concitati ad alto volume, per un attimo non riconobbi la mia stessa voce, ma quell’uomo mi stava regalando un piacere tanto intenso che non poteva essere contenuto, doveva essere liberato e gridato forte.
Quando si accorse che stavo per arrivare al culmine del mio piacere, Tom rallentò per qualche momento il ritmo, permettendomi di godere ancora di più di quella dolcissima agonia.
A quel punto non potevo proprio più resistergli.
Tornai a muovermi aumentando la velocità ed anche lui amplificò le sue spinte, sia nella velocità, che nell’ampiezza del movimento e finalmente raggiunsi l’apice, contemporaneamente a lui.
Persa completamente nelle sensazioni che mi aveva regalato, lo tenni stretto ancora per un tempo indefinito, poi, totalmente sfinita, mi accasciai sopra di lui, assolutamente incurante di tutto il resto del mondo.
Tom si protese verso di me in avanti, abbracciandomi, posando sul mio corpo sfinito ma appagato una serie di piccoli baci ed io appoggiai la testa sul suo petto.
Gli accarezzai il groviglio di morbidi riccioli biondi, sempre mollemente adagiata su di lui e sulle morbide coltri che avevano fatto da cornice alla nostra straordinaria prima notte di passione.
 
 
Non ero proprio preparata all’intensità delle emozioni che Tom mi aveva fatto provare.
Non potevo assolutamente immaginare la piega che avrebbero preso gli eventi quella notte e non avevo calcolato nulla.
Per una volta avevo totalmente perso il controllo.
E non potevo certo dire che mi fosse dispiaciuto.
Anzi, avevo adorato quella sensazione, quella di perdermi totalmente in lui, assaporare con languida consapevolezza ogni contatto di pelle contro pelle, ogni carezza, la perfetta percezione di essere legata così profondamente ad un altro essere umano.
E non uno qualsiasi.
 
 
Quando alla fine ritornai padrona di me stessa, mi alzai lentamente ed agguantai la prima cosa trovata sul pavimento, ossia la sua camicia candida. Anche Tom si rivestì approssimativamente, e mi prese per mano, allacciando le sue dita alle mie.
Entrambi non osavamo parlare, per paura di rovinare quel momento.
Non prima di averlo baciato con dolcezza, mi diressi verso la toilette e richiusi la porta alle mie spalle.
Serrai le palpebre per un momento e mi abbandonai a rivivere nei miei ricordi più e più volte le ultime ore appena trascorse.
Un ben noto languore ritornò prepotente, tanto da scuotermi sin nel profondo, decisi così di fare una rapida doccia per calmare i bollenti spiriti.
Uscita dalla doccia mi sentivo un’altra persona.
Avevo appena vissuto una delle notti più appaganti della mia vita.
Ero felice. Finalmente.
E lo dovevo soltanto a Tom, alla pazienza ed alla dedizione con le quali aveva fatto in modo di guadagnarsi la mia completa ed incondizionata fiducia.
Mi avvolsi nel suo accappatoio ed uscita dalla toilette osservai che anche lui aveva fatto altrettanto, probabilmente aveva due stanze da bagno.
Era seduto sul letto con solo un asciugamano stretto intorno ai fianchi e mi stava aspettando. Quando mi vide alzò gli occhi, mi sorrise e mi venne incontro, con decisione, senza alcun imbarazzo. Mi prese tra le braccia e mi baciò con calore.
 
- Rimani con me stanotte? – mi domandò, prima di baciarmi la fronte.
 
Decisamente un’ottima scelta delle prime parole da pronunciare dopo aver fatto l’amore.
 
- Certo. Con piacere. Solo posso .. ehm, chiederti qualcosa da indossare?
 
Posò su di me uno sorriso malizioso, sfoderando quell’espressione che faceva impazzire migliaia di ragazzine quando interpretava Loki.
 
- Preferirei di no. Ma se insisti il mio armadio è a tua disposizione. Intanto puoi controllare la presenza di eventuali scheletri.
 
Gli restituii uno sguardo fintamente offeso, quindi mi diressi a larghi passi verso la cabina armadio.
Immensa.
Mi ci volle un po’ per trovare la zona dedicata alle t-shirt e finalmente recuperai quella che faceva al caso mio. Sufficiente per coprirmi fino alle cosce.
Mi sembrava appropriata, per rimanere in tema.
 
Quando tornai da Tom, lui mi sorrise soddisfatto per la scelta del mio pigiama improvvisato.
La maglietta nera raffigurava il personaggio Marvel che lui interpretava e vi era stampata la scritta “You mad? I do what i want”.
 
- Eheh, una delle mie preferite. Ottima scelta. – approvò lui.
- Infatti. – lo apostrofai, sorridendogli a mia volta.
 
Mi fece spazio tra le soffici coperte e cullata dal suo dolce respiro, accoccolata tra le sue braccia, mi addormentai all’istante.
 
Mi svegliò chissà quanto tempo dopo un intenso aroma di caffè.
Il mio dolce ospite mi guardava con un sorriso luminoso, reggendo un vassoio con una capiente tazza di cappuccino e due pancakes.
 
- Mi hai portato la colazione a letto? – gli chiesi stiracchiandomi.
- Hai dormito tantissimo..
- E’ colpa tua. Mi hai distrutto stanotte.
 
Gli lanciai un’occhiata provocante e lui arrossì per un attimo.
 
- Ti ho messo a disagio? Non sembravi tanto a disagio ieri sera.. – continuai con protervia, approfittando del suo apparente imbarazzo.
- Infatti non lo ero. Anna, tu sei fantastica ed è stato.. meraviglioso.
- Anche per me. E sai che non lo dico tanto per dire. Non pensavo di poter stare così bene con te. Ma tu lo hai reso possibile.
- Sei stata tu a renderlo possibile.
- No, non ce l’avrei mai fatta se tu..
- Shhh.. ora baciami e poi bevi il tuo cappuccino.
 
E così feci.
La giornata volò via, senza che entrambi ce ne rendessimo conto.
 
Dopo ore passate a letto a coccolarci, la sera decisi di tornare a casa mia.
Fu veramente difficile staccarmi da lui. Sarei rimasta tra le sue braccia per sempre.
 
Tornata a casa feci mentalmente un planning delle cose da fare e programmai una visita dal ginecologo (che senza dubbio non mi avrebbe neppure riconosciuta, tanto era il tempo trascorso dall’ultima volta che avevo avuto bisogno delle sue competenze professionali) e la ricerca di uno psicoterapeuta, che non poteva più attendere.
Stavo facendo la lista della spesa, quando sentii suonare alla porta.
Rimasi interdetta, perché, ovviamente, non aspettavo nessuno.
Quando guardai dallo spioncino vidi un enorme mazzo di rose rosse.
 
- Consegna per la signorina Martin.
 
Non potevo crederci. Che Tom fosse un uomo romantico e pieno di sorprese, ormai avevo imparato a comprenderlo, ma addirittura questo.
Aprii la porta al fattorino che..
 
- NO!
 
Quando mi resi conto di chi fosse era troppo tardi.
Tentai di richiudere la porta con violenza, ma lui ebbe il tempo di bloccarla con un piede e spingerla in avanti con forza.
Era entrato.
Era dentro la mia casa.
 
- Cosa vuoi? Perché sei qui? VATTENE IMMEDIATAMENTE!
 
Urlai con tutto il fiato che avevo in corpo, sperando che magari qualcuno negli appartamenti vicini mi sentisse.
 
- E’ così che si accolgono i vecchi amici che portano doni?
 
Così dicendo l’uomo che rappresentava il mio peggiore incubo avanzò in casa mia, richiudendo l’uscio dietro di sé e porgendomi il mazzo di rose rosse che avevo creduto fossero un regalo del mio Tom.
 
- Vattene. Non sei il benvenuto. – riuscii a dire, guardandomi intorno in cerca di qualcosa che potesse fungere da arma. Ovviamente non c’era nulla di utilizzabile a portata di mano.
- Non spaventarti, non voglio farti del male. Vengo in pace, voglio solo parlarti.
- Non ho nulla da dirti.
- Io sì. Non sono uno che si arrende facilmente.
- Devi andartene, non otterrai nulla da me.
- Non sono neppure uno che accetta un no come risposta.
- Me ne sono accorta..
- Ancora con questa storia! Quella volta non è successo nulla che anche tu non volessi.
- TU SEI PAZZO! VATTENE DA CASA MIA!
- Così fate sul serio tu e Hiddleston? Curioso come riesci sempre a circuire attori di una certa fama..
 
Nel frattempo la mia mente correva. Ignorai le sue provocazioni e provai a concentrarmi per trovare una soluzione.
Cosa potevo fare?
Chiudermi a chiave in un’altra stanza non avrebbe risolto il problema. Quell’uomo era sufficientemente pazzo da aspettare che uscissi per stanarmi.
Provare a telefonare a qualcuno era un’opzione impraticabile: il cellulare era nella mia borsa in cucina. Troppo distante per non rischiare che lui mi agguantasse nel tragitto prima che lo raggiungessi.
Tentare di fuggire uscendo di casa poteva essere un’alternativa valida, tuttavia c’era sempre la possibilità che lui rimanesse in casa mia ad aspettarmi quando vi avessi fatto ritorno. Però allora avrei potuto chiedere a qualcuno di accompagnarmi. Non mi piaceva l’idea di lasciarlo solo in casa mia, ma non avevo altra scelta, se volevo sfuggirgli.
Dovevo temporeggiare e farlo parlare fino a che non si fosse rilassato, in modo che potessi avvicinarmi alla porta e sgattaiolare via.
 
- Sì, Tom ed io facciamo sul serio, anzi, sta proprio arrivando, dovrebbe essere qui da un momento all’altro.
- Non credo proprio. Ti ha appena accompagnata. – mi rispose, sicuro.
 
Mi immobilizzai, sgranando gli occhi. Ero sconvolta. Quindi mi aveva seguita? Si era appostato sotto casa mia?
Quella rivelazione cambiava tutto.
Non era passato da me per caso. Era un piano premeditato.
Ero terrorizzata, ma dovevo ritornare in me ed attuare il mio piano di fuga il prima possibile. Quell’uomo era anche più pericoloso di quanto immaginassi.
Tentai di avvicinarmi il più possibile alla porta, senza farglielo notare.
 
- Ora, parliamo di noi. – proseguì lui, avvicinandosi pericolosamente.
- Non c’è mai stato e mai ci sarà un noi, vattene!
 
Dovevo uscire subito di lì.
Attraversai con un balzo la distanza che mi separava dalla porta, incapace di attendere oltre per allontanarmi il più possibile da lui, ma fu rapido ad intuire i miei movimenti e nell’attimo in cui tentai di aprirla mi fu addosso e mi spinse violentemente contro di essa, facendomi sbattere brutalmente il viso contro lo stipite e premendomici contro con tutto il suo peso. Mi sfuggì un lamento, poi ripresi fiato.
 
- LASCIAMI! – gridai, con quanto fiato avevo in gola.
 
A quel punto sentii sbattere con forza qualcuno dietro la porta, tanto che le vibrazioni si ripercossero sul mio viso, pigiato contro di essa.
 
  •          Aiuto.. – riuscii a dire, flebilmente.
 
Tutto si svolse in un attimo.
Percepii la sua sorpresa nell’udire che effettivamente c’era qualcuno dietro la mia porta e fu sufficiente perché lui mollasse la presa, indietreggiando di qualche passo.
Allora io approfittai della sua distrazione e feci in tempo ad aprire a chiunque si trovasse là dietro, prima di accasciarmi al suolo sulle ginocchia, facendomi da scudo con le mani per non sbattere sul pavimento.
La porta si spalancò del tutto e percepii i suoni ovattati di una sorta di colluttazione.
Lo zigomo mi faceva male e forse avevo anche un taglio, perché quando lo toccai sentii umido.
Ero confusa, perché probabilmente oltre allo zigomo avevo sbattuto anche la testa contro l’entrata.
Sentii la porta richiudersi completamente e avvertii due mani che tentavano lentamente di risollevarmi.
Ci misi un po’ a mettere a fuoco, decisamente la testa mi doleva e pulsava.
 
- Anna? Anna mi senti? Mi riconosci?
- Ben.. Benedict?
- Oh, grazie al cielo, mi hai spaventato. Sembravi svenuta.
- Sto.. sto bene.
- Diciamo che bene è un’altra cosa. Ti accompagno sul divano e poi chiamo un’ambulanza.
- Cosa? No, no.
- Come no? Guarda come ti ha conciato quel bastardo!
- No, è solo la botta. Non chiamare nessuno per favore.
- Aspetta, intanto ti aiuto a stenderti.
 
Tentai di incamminarmi verso il mio divano, ma la testa non sembrava d’accordo.
Girava tanto che mi sembrava di essere su una giostra a ballare il can-can.
Benedict se ne accorse e mi sollevò senza particolare sforzo, adagiandomi sul divano. Mi allungò la coperta poggiata sulla poltrona e prese il mio viso tra le mani per esaminare lo zigomo ferito.
Mi appoggiai all’indietro sul cuscino, mentre lui accompagnava il mio movimento sorreggendomi con una mano dietro la nuca e socchiusi per un momento gli occhi, assaporando la piacevole sensazione di non essere più prigioniera in casa mia.
 
- Magari ci vorranno dei punti. Hai almeno del disinfettante? – mi domandò.
- In bagno. Cassetta del pronto soccorso. Anta sinistra della specchiera.
- Almeno noto con piacere che sei tornata a connettere.
 
Non replicai. Si allontanò per prendere l’occorrente e tornò dopo qualche minuto.
Prese cotone e disinfettante e cominciò a pulire la ferita.
 
- Perché lo hai fatto entrare? – mi chiese allora, rabbioso.
- Non l’ho fatto entrare! O meglio, non sapevo che fosse lui. Si è finto un fattorino che veniva a consegnarmi dei fiori.
 
Mi guardai intorno e vidi che il mazzo di rose rosse giaceva ancora sul pavimento accanto alla porta.
 
- Credevo che fossero.. – le parole mi si strozzarono in gola.
- Credevi fossero un regalo di Tom – dedusse lui.
 
Annuii e poi finalmente scoppiai in un pianto dirotto.
La tensione si era allentata ed avevo proprio bisogno di sfogarmi.
Non potevo pensare a quello che avevo rischiato..
Benedict si sedette accanto a me sul divano, mi abbracciò e mi cullò, lasciando che dessi libero sfogo alle emozioni.
Rimasi così per un tempo che non so calcolare.
Ero ancora tra le sue braccia quando il campanello squillò.
Feci un balzo, terrorizzata, temendo che Bean fosse tornato alla carica.
 
- Ehi! Tranquilla! Ho chiamato un amico medico. Mi deve un favore.
- Come? Cosa? No, no.           
- Allora, ho accettato di non chiamare l’ambulanza, ma ora ti farai visitare buona buona dal mio amico senza fare storie. – mi disse con tono autoritario, che non ammetteva repliche.
- D’accordo – sbuffai.
 
Si alzò dal divano ed andò ad aprire.
Tornò con Jason, giovane medico di pronto soccorso, che mi fece una visita approfondita e mi medicò il taglio sullo zigomo, ma che, soprattutto, non fece domande.
 
- I punti non sono necessari, basteranno gli sterilstrip – precisò Jason.
- Per fortuna. Grazie Jason.
- Non hai mai perso conoscenza, vero? – indagò il medico.
- No.
- Però era confusa, non presente. Non mi rispondeva. – intervenne Benedict.
- Potresti avere una commozione cerebrale o un trauma cranico. Se fossi venuta da me in ospedale ti avrei tenuto in osservazione 24 ore. In realtà basta fare attenzione che non compaiano determinati sintomi, quali nausea, vomito, convulsioni, stato confusionale o eccessiva sonnolenza. In questi casi devi andare assolutamente in ospedale.
- D’accordo. Grazie infinite.
 
Benedict lo accompagnò alla porta e scambiò con lui qualche parola, poi tornò da me.
 
- Ti ringrazio molto. Me la caverò ora. – aveva perso fin troppo tempo dietro alla sottoscritta.
- Pensi che me ne vada?
- Come?
- Resterò qui stanotte.
- Cosa? No, non c’è bisogno! Sto bene adesso.
- Hai sentito il dottore? Se stessi male chi ti porterebbe in ospedale?
- Chiamerò qualcuno, davvero, vai pure!
- Non se ne parla. Non ti lascio da sola.
 
Si sistemò sulla poltrona accanto a me, fissandomi con uno sguardo risoluto. Sembrava irremovibile. D’altronde certo non mi dispiaceva avere compagnia in quel momento.
 
- Penso che non ti ringrazierò mai abbastanza per questo, ma.. perché sei venuto a casa mia stasera?
- Oh, certo. Te ne parlerò più tardi, magari domani.
- Dimmelo ora.
- No, ora hai bisogno di riposarti un po’.
 
Non protestai, effettivamente mi serviva un po’ di pace.
Cercai di rilassarmi, ma non facevo che ripensare a quello che era successo ed a quello che Bean mi aveva detto. Improvvisamente mi tornò in mente una cosa e mi alzai di soprassalto.
Ma mi ero tirata su troppo in fretta e la testa prese a girare furiosamente.
 
- Che succede? – fece Benedict, avvicinandosi preoccupato. – hai nausea?
- Mi ha seguito.
- Cosa?
- Mi ha pedinato, sapeva che stanotte sono rimasta da Tom e che mi aveva appena riaccompagnato a casa.
 
Lui non replicò e si mise a riflettere.
Poi decise di parlare.
 
- E’ violento e pericoloso, Anna, va fermato in qualche modo.
- Ho paura.
- Lo capisco. Specialmente adesso. Ma devi farti aiutare. Devi denunciarlo.
- Se lo facessi salterebbe fuori tutto.
- Forse, ma ti ripeto, è pericoloso.
- Lo so.
- No, Anna. Sono venuto qui stasera perché volevo parlarti. Mi sono informato su di lui. Ha ridotto la sua ex moglie quasi in fin di vita una volta. È stato arrestato, ma poi l’ha fatta franca.
- Cosa?
- Non lo sapevi?
- No..
 
Cercai di assorbire in silenzio quell’informazione.
Benedict si sedette accanto a me sul divano, senza parlare.
Scostò una ciocca di capelli dal mio viso e rimanemmo così, senza fiatare, per un tempo indefinito.
Fu lui ad interrompere il silenzio.
 
- Cosa dirai a Tom quando ti vedrà?
- Non so, mi inventerò qualcosa.
- Non è uno stupido.
- Lo so che non è stupido, ti ripeto che mi inventerò qualcosa di verosimile.
 
A quel punto lui si accigliò veramente.
 
- Perché vuoi continuare a mentirgli?
- Non gli sto mentendo, sto solo omettendo di..
- Non insultare la mia intelligenza, e soprattutto la sua! – mi interruppe, sempre più infuriato.
- Io non..
- Perché non vuoi farti aiutare? Non sei sola, per amor del cielo! Hai Tom e anche… me, se vuoi.
 
Lo guardai esterrefatta, non sapendo come replicare.
Effettivamente non mi ero soffermata a chiedermi perché gli stesse tanto a cuore avvisarmi circa la pericolosità di Sean Bean, tanto da venire a casa mia immediatamente dopo aver preso informazioni – chissà come, chissà da chi – su di lui. Riflettendo, però era chiaro quanto lui tenesse a Tom e probabilmente non gli faceva piacere che la sua ragazza fosse importunata o minacciata da …
 
- Cosa… cosa è successo mentre io ero sul pavimento? – gli chiesi allora a bruciapelo.
 
Non ero particolarmente presente a me stessa in quel momento e ricordavo solo di aver udito i rumori di quella che immaginavo potesse essere una colluttazione tra i due, ma non sapevo altro.
 
- Gli ho gentilmente mostrato l’uscita e gli ho fatto chiaramente intendere che non era il benvenuto. – replicò lui, ironico ma vago.
- No, sul serio.
- L’ho accompagnato fuori della porta e l’ho minacciato che se ti avesse ancora importunato avrebbe dovuto vedersela con me.
- Oh. E lui?
- Se n’è andato di corsa, da vigliacco qual è, farfugliando qualche vaga minaccia. Se non avessi visto che tu avevi bisogno di aiuto, ti assicuro che non se la sarebbe cavata così a buon mercato. Ma ti ho vista in ginocchio e ferita, dovevo fare qualcosa per te..
- Cos’ha detto?
- Non so, non ricordo.
- Ti prego, dimmi esattamente cosa ha detto.
- Non so, qualcosa tipo: “non mi arrendo” o “non finisce qui”..
- Santo cielo…
 
Mi abbandonai contro lo schienale del divano con la testa tra le mani.
Non intendeva mollare.
Se ero un’ossessione per lui, la questione poteva veramente diventare seria.
Con il mio lavoro mi era capitato di conoscere vittime di stalking e stalker e sapevo che quelle personalità disturbate non andavano sottovalutate.
Già portavo i segni sul viso di quello di cui quell’uomo poteva essere capace.
 

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Capitolo 16
*** Cap. 16. Via dalla pazza folla ***


Cap. 16. VIA DALLA PAZZA FOLLA
 
 
Benedict rimase tutta la notte.
Inutile dire quanto la sua presenza mi fu di conforto in quelle ore, sebbene si sarebbe dimostrata superflua dal punto di vista medico.
Fortunatamente non avevo riportato altri danni dallo scontro con Sean Bean, se non un grosso livido ed un’escoriazione sullo zigomo, oltre, ovviamente, ad un mal di testa lancinante.
Dato che era impossibile per me dormire, in quelle ore parlammo molto.
Mi raccontò dei suoi progetti, della sua famiglia e anche io gli parlai di me, della mia storia.
 
- Ne hai passate tante – fu il suo laconico commento.
 
Sollevai una mano in aria, come per liquidare velocemente l’argomento.
Non amavo indugiare sulle mie sventure e quando avevo parlato della morte dei miei genitori anche con Tom ero stata piuttosto sbrigativa.
Mi alzai dal divano per preparare un tea, visto che era chiaro che nessuno dei due aveva sonno.
 
- Dove stai andando? – mi apostrofò Benedict.
- Preparo un tea, ne vuoi?
- Certo, ma faccio io.
 
Mi sospinse piano nuovamente sul divano, mentre andava in cucina ad accendere il bollitore.
Tornò poco dopo con due tazze fumanti in mano. Me ne porse una con un lieve sorriso.
Mi venne in mente un dettaglio e mi sfuggì una risatina, che lui colse immediatamente.
Accorgendomi della sua aria interrogativa, spiegai il motivo della mia improvvisa ilarità.
 
- Stavo pensando ad una cosa. Sembra buffo, ma da quando ci conosciamo Tom ed io ci siamo procurati entrambi un occhio nero.
- Davvero? E chi è stato nel suo caso?
 
Gli raccontai del mio viaggio in Islanda e di come tutto era cominciato.
Gli parlai di come Tom ed io ci fossimo avvicinati in quel periodo, della cotta di Luke e delle sue conseguenze.
 
- Wow! – commentò lui – Non lo facevo un tipo manesco.
- Neppure io, altrimenti non avrei mai lasciato Tom andare da solo a parlargli. Magari se ci fossi stata anche io Luke si sarebbe trattenuto e..
- Ti preoccupi sempre così tanto per gli altri?
 
La sua domanda mi lasciò lievemente interdetta.
 
- Beh, sì, certo, se si tratta di persone a cui tengo.
- Voglio dire, l’altra sera quando mi hai visto depresso non hai mollato finché non ti ho spiegato le mie motivazioni. Eppure non ci conoscevamo che da qualche giorno.
- Che significa? Tu mi hai aiutato quando ne ho avuto bisogno in quel maledetto parcheggio. Ho semplicemente ricambiato.
- Non eri obbligata ad ascoltare i capricci di un ragazzino viziato ed insoddisfatto.
- Tu sei molto più di questo.
- Ah davvero? E cosa pensi di me?
 
Mi osservò intensamente, strizzando un po' quei suoi occhi trasparenti, mentre io, abbassando lo sguardo, raccolsi le idee per cercare una risposta soddisfacente.
 
- Intanto sei una persona che chiede scusa. E non è cosa da poco, non se ne trovano molte. Poi quando hai saputo … hai insistito perché fossi sincera con Tom e ciò significa che sei un buon amico. Inoltre quando sei venuto a sapere quei particolari su Bean sei corso qui ad avvisarmi e mi hai salvato da una situazione quantomeno … complicata. A proposito, non so se te l’ho già detto, ma grazie. Davvero. Non so come ringraziarti.
- E’ stato un piacere. Avrei voluto fare di più.
- Cosa potevi fare di più?
- Pestare a sangue quel bastardo. Fargli passare la voglia di importunarti. Ma tu eri a terra e non sapevo se stessi bene, così ho preferito …
- Non farlo! Vedi perché voglio evitare di parlarne a Tom? Non voglio che vi roviniate la carriera e nemmeno la reputazione per una persona che non lo vale!
- Per te! Non per lui! Tu ne varresti la pena!
 
Lo osservai e lui abbassò lo sguardo.
Pensavo che avesse fatto tutto questo più che altro come favore a Tom, come un aiuto silenzioso prestato alla ragazza del suo migliore amico.  Benedict tentò maldestramente di sviare il discorso.
 
- Voglio dire.. non sarebbe così strano o incomprensibile se Tom avesse voglia di pestare quel disgraziato. Ciò non significa che lo farebbe veramente, però.
- Meglio non correre il rischio.
- Sei sempre decisa a non denunciarlo? Dopo quello che è successo oggi?
- Te l’ho detto, se lo denunciassi adesso, tutto tornerebbe a galla ed io non voglio..
- Non ti capisco… proprio non ti capisco.
- Lo so come funzionano queste cose, sono un avvocato! Anche se sembra che viviamo in un mondo progressista, non è così! Al processo la difesa mi dipingerebbe come la ragazzina arrivista che voleva farsi strada grazie all’attore del momento. E sicuramente userebbero la mia attuale relazione con Tom per avvalorare la loro tesi. Non potrei sopportarlo … e Tom non se lo merita.
- Ma noi sappiamo che non è così! E lo dimostreremmo anche al processo.
- E come lo dimostreresti? Poi proprio tu parli, quando sei stato il primo a dubitare di me?
 
Le mie parole lo colpirono come uno schiaffo. Non era quella la mia intenzione, volevo solo fargli capire il mio punto di vista.
 
- Mi dispiace. Non conoscevo la storia e… non conoscevo te... – mormorò, affranto.
 
Il suo sguardo precipitò sul pavimento. Improvvisamente il parquet del mio soggiorno divenne la cosa più interessante da ammirare.
Sembrava sinceramente amareggiato per avermi giudicato male.
 
- Non serve che ti scusi di nuovo, ti ho già perdonato. E come potrei tenerti ancora il muso dopo tutto quello che hai fatto e stai facendo per me?
 
Non replicò, ma mi indirizzò un lieve sorriso.
 
- Potresti fare un’altra cosa per me? – gli chiesi per allentare la tensione.
- Cosa?
- Mi allungheresti uno specchio?
- Sarebbe meglio di no.
- Oddio, sono così inguardabile?
- No, solo un po’… tumefatta…
- Passami lo specchio per favore. Se no mi alzo e vado da sola a…
- Va bene, va bene, dove ne trovo uno?
- In bagno, nella cassettiera sotto al lavandino.
 
Si allontanò ubbidiente e tornò dopo poco con un piccolo specchietto.
Me lo porse ed io lo avvicinai al mio viso.
 
- Wow … colpita e affondata … - commentai.
 
Avevo la guancia gonfia con un bel livido violaceo che si era allargato sullo zigomo ferito. I cerotti cicatrizzanti facevano bella mostra di sé sul viso tumefatto.
 
- Da quel poco che ti conosco penso di poter affermare che possono anche colpirti, ma non affondarti – replicò lui, con una punta di ammirazione nella voce.
 
Gli sorrisi, distogliendo per un attimo lo sguardo dal mio volto allo specchio.
Pensai cosa dire a Tom.
Una caduta accidentale non sarebbe stata credibile. Non ci si lancia sul pavimento con la faccia.
Uno sportello inavvertitamente lasciato aperto?  Neanche con la forza di Thor ci sarei potuta andare a sbattere contro con quella violenza.
 
- Stai pensando a quale scusa usare con Tom? – mi apostrofò Benedict, in tono volutamente critico.
- Caspita, sono colpita! Leggi nel pensiero?
- Sei un libro aperto – proseguì, con un sopracciglio alzato.
 
Ignorai la provocazione e proseguii con le mie elucubrazioni.
 
- Se gli dicessi che ho subito un tentativo di scippo?
- Ti direbbe di sporgere denuncia.
- Forse.
- Digli la verità.
- Non posso, quante volte devo ripeterlo?
- Tante quante io ti suggerirò di essere sincera.
 
Gli lanciai uno sguardo di profonda disapprovazione e lui me ne restituì un altro della stessa intensità.
 
- Forse potrei metterci del ghiaccio, attenuerebbe il livido. – continuai.
- Ma bagneresti la medicazione.
- Già. Lavori domani? Non vuoi dormire un po’?
- No. Sono a posto. Tu?
- Magari provo a chiudere gli occhi per qualche minuto …
- Ma ti senti bene? Non è una sonnolenza provocata dal trauma?
- Direi di no … dato che sono le 3 del mattino, sono normalmente assonnata, non preoccuparti.
- Sicura?
- Certo. Ti suggerisco di provare a dormire un po’ anche tu.
- D’accordo.
 
Mi accinsi a sedermi per raggiungere il letto.
La testa pulsava dolorosamente così chiusi un attimo gli occhi per fare passare il momento di sofferenza.
Sentii Benedict che si avvicinava premurosamente.
 
- Sto bene. Mi ci vuole solo un attimo.
- Vieni, ti aiuto.
 
Mi prese per le spalle e mi tenne stretta sollevandomi verso l’alto, poi prese la mia mano destra e se la portò dietro la spalla. Quindi ci incamminammo verso la camera da letto, in questa strana andatura claudicante.
Non finsi di non aver bisogno del suo aiuto, poiché in effetti mi era necessario. La testa continuava a pulsare e il mondo intorno a me girava come se fossi su una giostra.
Ci avvicinammo al letto, quando improvvisamente Benedict inciampò sul tappeto.
Per evitare di farmi cadere insieme a lui mi diede uno strattone per arrivare fino al letto, dove atterrai pesantemente, seguita da lui, che finì esattamente lungo disteso sopra di me.
Per un attimo mi colpì l’assurdità della situazione e scoppiai in una fragorosa risata.
Lui mi seguì subito dopo, con quella sua risata profonda e roca.
Ad un tratto smisi di ridere e lo guardai. Era completamente sopra di me, ma non sembrava imbarazzato, né accennava a voler scendere. La cosa più bizzarra era che neppure io avevo problemi a mantenere quella posizione. Pure lui smise di sogghignare e incollò i suoi occhi ai miei.
All’improvviso la mia testa protestò vigorosamente per gli ultimi momenti concitati e con un lamento mi presi il viso tra le mani.
Allora lui si scostò con un balzo e atterrò sul pavimento, inginocchiandosi accanto al letto.
 
- Oddio ti ho fatto male? Che succede?
- Nulla non preoccuparti.. è solo la testa.. mi fa male da impazzire..
 
Mi prese una mano per confortarmi e con l’altra mi aiutò a sistemarmi sotto le coperte.
Mi accoccolai meglio nel tepore del mio letto e chiusi gli occhi.
Percepivo che Benedict si trovava ancora accanto a me e non potevo negare quanto questo mi fosse di conforto e mi infondesse sicurezza e protezione.
Mi ci volle un minuto per crollare tra le braccia di Morfeo.
 
 
Mi svegliai di soprassalto non so quante ore più tardi.
Qualcuno stava bussando insistentemente alla mia porta.
Guardandomi intorno mi resi conto che Benedict non si era accorto di nulla e dormiva placidamente sulla poltrona accanto al letto con una mano che gli sorreggeva la testa.
Non me la sentivo di svegliarlo, era stato in piedi fino all’alba per farmi compagnia e non volevo approfittare ancora della sua gentilezza.
Allo stesso modo, però, non ero totalmente a mio agio, non sapendo chi potesse bussare a quell’ora alla mia porta.
Così mi alzai senza fare il minimo rumore e mi avvicinai – ancora un po' dolorante – cautamente alla porta di ingresso, senza produrre un suono.
Guardai attentamente dallo spioncino, per non ricadere nello stesso errore della sera precedente.
 
- TOM!! – oh, no! Non ero riuscita a ragionare su nessuna storia credibile per il mio viso martoriato, cosa potevo dirgli??
- Anna? Anna, fammi entrare che succede?
- Sì, sì, sono qui, ora ti apro.
 
Tolsi il chiavistello e lo feci accomodare e lui si riversò nel mio soggiorno come una furia, senza neppure guardarmi in faccia. Solo per pochi istanti, però.
 
- Ma cosa ti è successo? Il cellulare era spento, non mi hai risposto al telefono da ieri sera, ero preoccupato e … Oh mio Dio! Ma cosa hai fatto al viso???
- Sto bene, è tutto a posto, ora ti spiego. Andiamo in cucina un attimo.
- Come? Perché?
- Ecco, c’è una persona che dorme di là …
- Chi è?
- Se mi fai parlare ora ti spiego tutto.
 
Lo presi per un braccio e lo condussi in cucina, dove la mia borsa giaceva abbandonata dalla sera precedente sul tavolo.
L’iphone si trovava nella tasca interna, neanche a dirlo, scarico.
La tecnologia proprio non ne voleva sapere di essermi d’aiuto.
Mentre frugavo nella borsa, Tom osservava ammutolito il mio viso.
Ad un certo punto, spazientito, mi fece voltare, in modo che lo guardassi, e, abbandonata quella scintilla di irritazione nei suoi occhi, prese ad accarezzare lievemente il mio zigomo, attento a non fare troppa pressione.
 
- Mi dici cosa hai fatto?
- Ma sì, ecco… - ero all’angolo… e adesso?
- E’ colpa mia!
 
Entrambi ci voltammo verso l’ingresso della cucina e Benedict spuntò dalla porta, arruffato ed assonnato, con la sua voce profonda resa ancora più bassa dal fatto di essersi appena svegliato.
Tom lo guardò prima con stupore, poi con una punta di sospetto.
 
- Cosa ci fai tu qui? – gli chiese, assai poco amichevolmente.
- E’ stato un incidente. Volevo chiedere ad Anna un consiglio legale per il mio prossimo contratto, poi mi sono messo a provare la mia scena di combattimento contro Spock in Star Trek – Into darkness, ma sono scivolato, ho sbagliato mira e l’ho colpita in pieno. Così mi sono preoccupato e sono rimasto per vedere che stesse bene.
 
Tom rimase di stucco a quella inattesa confessione.
Ma io ero ancora più sbalordita di lui.
D’accordo, forse la solita storiella della caduta dalle scale non era poi così credibile, ma inventarsi una cosa così …
Comunque non era tanto per la balla inventata per darla a bere all’amico che guardai Benedict per un attimo imbambolata.
Pur non essendo d’accordo con la mia decisione di non raccontare a Tom la verità, lui mi aveva aiutato, addirittura addossandosi la colpa del mio occhio pesto.
Era una continua sorpresa.
Tom ed io restammo entrambi in silenzio, lui cercando di digerire il racconto dell’amico ed io riflettendo sul suo inaspettato gesto altruistico.
 
- E’ andata così? – mi chiese infine Tom.
 
Confermai con un cenno di assenso, poiché qualsiasi altra cosa che fosse uscita dalla mia bocca sarebbe suonata falsa, come in effetti era.
 
- E perché non mi avete chiamato?
 
- Non volevamo preoccuparti! Era inutile farti stare in ansia, sta benissimo – continuò Benedict.
 
Era un attore sensazionale. Se non avessi saputo la verità non avrei avuto un minimo dubbio sulla versione dei fatti che stava propinando a Tom.
Quest’ultimo non replicò, ma si mise a squadrare con aria parecchio contrariata il suo amico.
 
- Ma ti sembra sensato metterti a provare una scena di combattimento in casa? Sono cose che si fanno in ambienti sicuri e sotto il controllo di esperti. Te lo devo insegnare io?
- Lo so, Tom, hai perfettamente ragione. Ti garantisco che ho imparato la lezione. – si schernì Benedict, con una perfetta faccia colpevole da attore consumato.
- Più che altro la sua faccia ha imparato una lezione! – indicò con l’indice il mio volto, mentre lo rimproverava.
 
Decisi di intervenire:
 
- Smettila, Tom, si è già scusato mille volte, non succederà più.
- Oh, di questo puoi starne assolutamente certa! Tu, incosciente squilibrato, starai lontano almeno un chilometro dalla mia ragazza d’ora in poi. Ora vattene, ci penso io a lei. E poi facciamo i conti.
 
Benedict aprì la bocca come per replicare qualcosa, poi però le parole gli si smorzarono in gola, cambiò idea e si allontanò, probabilmente verso la porta.
Feci per seguirlo, ma Tom mi afferrò per un braccio e non mi permise di accompagnarlo all’uscita.
Sentii il rumore della porta che si richiudeva piano alle sue spalle.
Era profondamente ingiusto.
Avevo fatto litigare due grandi amici solo per mantenere il mio squallido segreto.
Mi venne un improvviso, istintivo desiderio di spifferargli tutta la verità, solo per tentare di mettere a posto le cose fra i due.
Così però avrei reso vano il sacrificio di Benedict.
Ed inutili tutti gli sforzi fatti finora per rendere anonimo ed indefinito agli occhi di Tom il mio aggressore.
Mi sentivo una egoista insensibile.
Ma mi sarei prodigata per sistemare le cose fra loro due, questo era certo.
 
- La tua reazione è stata esagerata. – iniziai subito la mia orazione in difesa di Benedict.
- Davvero? Ti trovo con un occhio nero e lo zigomo ferito, il responsabile ancora a casa tua e non mi rispondi al telefono da ieri sera.
- E’ stato solo un piccolo incidente!
- Non è questo il punto. Non doveva mettere in pericolo la tua sicurezza. Come ho detto quelle sono coreografie che si imparano in uno studio, sotto la sorveglianza di esperti. E lui lo sa bene.
- Non è certo stato intenzionale. Non è colpa sua! Chiamalo, era così addolorato..
- No.
- Si è scusato mille volte, poi è rimasto per vedere se stavo bene.
- No.
- Ma perché? E’ un buon amico ti vuole bene e non merita questo trattamento da parte tua, sei troppo..
- Ho detto di no! Non doveva neanche essere qui!
 
Oh. Quindi quello era il punto.
Tom era geloso.
Lo osservai, aggrottando le sopracciglia, mostrandogli che avevo capito.
 
- L’altra notte non ha significato nulla per te? – replicò, per nulla intimorito dalla mia occhiata di disapprovazione.
 
Restai di sasso. Come poteva chiedermi una cosa del genere?
 
- Cosa? Dici di conoscermi, come puoi farmi una simile domanda? – gli risposi, veramente offesa.
- Allora perché la prima cosa che fai dopo essere stato con me è vederti con lui?
- Non era programmato.. è successo e basta.
- Appunto.
- Se ci vedi qualcosa di male è un problema tuo. Non c’è niente tra me e Benedict.
- Ne sei sicura?
- Ma certo!
- Io lo vedo come ti guarda.
- Cosa? Stai vaneggiando. Non ti facevo così geloso e possessivo.
 
Lui mi fissò incredulo, non si aspettava di sicuro quelle dure parole da me. Però il primo ad offendere era stato lui.
 
- Ma scusa, come dovrei sentirmi? Passiamo insieme una notte ed un giorno meravigliosi, poi te ne vai, stacchi il telefono e non sei più raggiungibile fino a stamattina, quando arrivo qui e ti trovo in vestaglia, con un occhio nero ed in compagnia del mio migliore amico che ha dormito qui!
 
Certamente c’era una spiegazione.
La sera prima, con tutto quello che era successo, con la testa confusa e ancora terribilmente spaventata, di sicuro non mi era venuto in mente di controllare l’iphone.
Tuttavia non potevo dirlo.
 
- Avevo bisogno... di stare un po’ da sola – mentii.
- Non eri sola.
- Ti ho detto che l’incontro con Benedict non era programmato.
- Però non lo hai mandato via.
- Perché avrei dovuto? Per accontentare il tuo ego ipertrofico?
- Per.. stare con me.
- Ci eravamo appena salutati!
- Però io avevo già voglia di rivederti.
- Io.. ho bisogno dei miei spazi – mentii.
 
Gli rifilai quella frase con una durezza che non sentivo minimamente.
Anche lui mi era tremendamente mancato e lo avrei voluto con me per tutto il tempo. E non solo perché erano state ore difficili, ma perché avevamo trascorso dei momenti meravigliosi ed indimenticabili insieme.
Le mie bugie mi stavano conducendo verso una strada senza ritorno.
 
- Quindi, anche dopo l’altra notte, tu hai bisogno comunque di tenere le distanze da me.
 
Non sembrava una domanda, la sua, ma una mera constatazione. Una dolorosa presa di coscienza.
 
- Io..
- Va bene, ti accontento subito.
 
A quel punto girò sui tacchi e senza aggiungere altro, se ne andò a grandi passi dalla mia cucina.
E probabilmente dalla mia vita.
Non provai a fermarlo, non aveva senso.
Avevo rovinato tutto.
Non potevo crederci.
Scoppiai in un pianto incontrollato non appena sentii chiudere la porta di casa dietro le sue spalle.
Mi appoggiai sull’isola della cucina, ma pian piano mi lasciai scivolare verso il pavimento, impotente e distrutta da un dolore così forte da togliermi il respiro.
Quando ebbi finito di piangere tutte le mie lacrime, decisi di uscire da quella casa, dove, da sola, non mi sentivo neppure più al sicuro.
Mi vestii rapidamente, inforcai un paio di enormi occhiali da sole che avrebbero nascosto le lesioni ed uscii.
Mi diressi verso il centro, volevo stare in mezzo alla gente.
Tuttavia tutta quella folla mi fece sentire ancora più sola.
Londra sotto le feste.
Una fiumana di persone, turisti, residenti, bambini festanti, giovani, vecchi, tutti con un’aria felice e spensierata, dediti a fare acquisti, visitare la città, o semplicemente bere un caffè o una cioccolata nei locali del centro.
C’erano mamme che accompagnavano i bambini nei negozi di giocattoli, gruppi di amiche che ridevano, parlando probabilmente del ragazzo che avevano puntato, e gruppi di ragazzi che le seguivano, facendo finta di non farsi vedere, ma in realtà desiderando che questa o l’altra ragazza più carina li notasse.
Cominciò a piovere. Dapprima quella classica spruzzata che sembrava quasi nevischio, poi un vero e proprio diluvio.
Pian piano la folla cominciò a scemare. Si stava facendo sera ed il nubifragio non accennava a smettere.
L’acqua scivolava su di me senza che neanche me ne accorgessi, confondendosi con le mie lacrime.
Le strade si svuotarono, chi si rifugiava nel tepore della propria dimora, chi cercava conforto negli innumerevoli pub, chi si riscaldava semplicemente con il calore della propria famiglia.
Indossavo un semplice cappotto, ironia della sorte, lo stesso che portavo il giorno in cui avevo conosciuto Tom in Islanda. Come quel giorno, anche in quel momento era assolutamente inadatto a ripararmi dalla pioggia incessante che martellava sui miei capelli, sulle spalle, sul mio corpo ormai fradicio ed infreddolito.
Ma non sentivo niente.
Ero come anestetizzata e continuavo a camminare, camminare e camminare, per ore, senza meta, nelle strade deserte.
Improvvisamente alzai lo sguardo e riconobbi un portone conosciuto.
Come ero potuta arrivare fino lì?
Senza pensare mi avvicinai lentamente e suonai al campanello.
Si illuminò il videocitofono e una voce rispose da dentro la grande casa.
Non avevo la forza di fare nulla, neppure di pronunciare il mio nome a vantaggio dell’apparecchio citofonico.
La porta si aprì con un rumore metallico, ma io rimasi lì, immobile, sotto la pioggia.
Quando la porta si aprì, notai solo due iridi verdissime che mi osservavano stralunate.
 
- Be.. Benedict… ho..  rovinato.. tutto..
 
Fu tutto quello che riuscii a dire prima di crollare al suolo e perdere i sensi.
 
 
 
N.d.A.
 
Ok.
Mi piacciono i drammoni.
Che posso farci?
Fustigatemi!
Però non poteva essere tutto romantico e perfetto, no?
Prima o poi Anna e Tom dovevano litigare con quei due caratterini che si ritrovano!
Ormai Anna sta annegando (quasi letteralmente, direi) nel mare delle sue bugie.
Dite che avrà l’opportunità di chiarirsi con Tom?
E finalmente sarà disposta a dire tutta la verità?
Alla prossima!
Un bacio ed un enorme ringraziamento a tutte le mie meravigliose lettrici!
E.
 
 
 

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Capitolo 17
*** Cap. 17. La resa dei conti ***


Cap. 17. LA RESA DEI CONTI
 
 
 
Quando aprii gli occhi non riuscii a capire dove mi trovavo.
Ero in un enorme letto matrimoniale, con lenzuola candide e morbide ed un caldo piumino turchese.
Nonostante la casa fosse riscaldata ed io mi trovassi affondata tra quelle soffici coperte, tremavo di freddo.
Poi ricordai.
Tom.
La pioggia.
L’arrivo praticamente involontario a casa di Benedict.
Poi probabilmente ero svenuta.
Ma non c’era nessuno lì con me a cui potessi chiedere.
Così feci per alzarmi.
La testa prese a girare vorticosamente ed un brivido mi attraversò tutto il corpo, scuotendomi.
Non mi sentivo molto in forma.
 
- Anna! Dove pensi di andare?
 
Senza replicare lasciai che Benedict mi aiutasse a ritornare a letto e docilmente mi feci rimboccare le coperte dal mio premuroso ospite, che mi stava guardando preoccupato.
 
- Per quanto tempo sei stata sotto la pioggia?
- Oh, non saprei. Per tutto il giorno?
- Ecco spiegato il febbrone.
- Mh? Non posso avere la febbre, dovrei avere caldo, invece sto tremando – dissi con un filo di voce.
- Significa che sta salendo ancora. Certo che dopo la botta in testa potevi anche evitare di fare questa sciocchezza!
- Mh.
- Mi spieghi cos’è successo?
- Tom mi ha lasciato.
- Cosa?
- Hai sentito.
- Ma non è possibile! Non ci credo.
- Credici.
- Ma, come?
- E’ tutta colpa mia.
 
E presi a singhiozzare.
 
- Adesso calmati e prendi questa.
 
Si sporse verso il comodino e mi allungò un bicchiere d’acqua ed una pillola.
 
- Cos’è?
- Antipiretico ed antinfiammatorio.
 
Agguantai entrambi e buttai giù la pastiglia in un lungo sorso.
 
- Da quanto non mangi?
- Non so. Da ieri?
- Aspettami qui, vado a prendere qualcosa.
- No, non ho fame.
- Devi mangiare qualcosa, se no la medicina ti darà fastidio allo stomaco. Arrivo subito.
 
Se ne andò per qualche interminabile minuto, tornando con una tazza di tea fumante ed alcuni biscotti. Il tea era perfetto, mi avrebbe subito scaldato. Non avevo molta voglia di mangiare, però mi costrinsi ad ingoiare qualche morso di un biscotto, giusto per fargli piacere.
 
- Come va? – mi domandò quando gli porsi la tazza vuota.
- Sto bene.
- Non direi. Vuoi riposarti o mi racconti cosa è successo dopo che me ne sono andato?
- Abbiamo litigato.
- Questo lo avevo intuito.
- Io ti ho difeso. Ero talmente dispiaciuta per come Tom ti aveva trattato ingiustamente! Come ti è uscita la storiella di Star Trek? Lo sapevi che si sarebbe infuriato!
- Però mi ha creduto.
- Ma tu non eri d’accordo di raccontargli una menzogna!
- Tu volevi farlo, ma non avevi una storia credibile. Te l’ho fornita. Punto.
- Ma..
- E poi cosa è successo? Non ti avrà lasciato perché hai preso le mie parti.
- No, io.. mi ha offesa. Ed io ho replicato. Mi ha detto che ieri sera voleva stare con me, mentre io avevo il telefono spento ed ero con te. Io gli ho risposto che mi stava soffocando e che volevo i miei spazi. Ovviamente non potevo dirgli che ieri avevo buoni motivi per non rimanere incollata al cellulare in attesa di una sua telefonata!
- E quindi?
- Allora mi ha detto che mi avrebbe accontentata. Avrei avuto tutto lo spazio che volevo. E se ne è andato.
 
Rimanemmo entrambi in silenzio per qualche istante.
 
- Chiamalo. – fece lui, improvvisamente.
- Cosa? No.
- Non fare lo stesso errore di ieri, devi fargli sapere che stai bene e stai pensando a lui.
- Ma..
- Sono certo che non ti ha lasciato. È stata solo una lite, gli passerà.
- Non credo. Sembrava molto… deciso.
- Chiamalo. Tom sa essere piuttosto… impetuoso e irascibile a volte, ma sono certo che tiene a te – insistette lui – Almeno saprà che stai bene, ti avrà cercato, sicuramente. Ti prendo il telefono.
 
Ritornò con tutta la mia borsa, che, rispettosamente, non aveva voluto frugare alla ricerca del cellulare.
Riflettei per un attimo, mentre cercavo l’iphone nella borsa.
Quando lo trovai effettivamente c’erano due chiamate perse ed un messaggio.
Due chiamate di Tom ed un messaggio di Kate:
 
“Anna dove sei? Mi ha contattato Tom per chiedermi se sei a casa mia. Sembrava triste e preoccupato, cosa è successo? Chiamami.”
 
Risposi subito a Kate, dicendole che ero da un amico e che avevo litigato con Tom. Le avrei spiegato tutto l’indomani.
Poi osservai le chiamate di Tom. Mi aveva cercato fino a un’ora prima, poi aveva desistito.
Decisi di inviare un sms anche a lui.
 
“Tom sto bene. Mi dispiace per quello che è successo oggi, veramente. Non voglio perderti. Spero che accetterai di parlarmi”.
 
Rimasi a pensare ancora qualche minuto prima di premere il tasto di invio.
Poi feci partire il mio breve messaggio.
Alzai gli occhi e notai solo allora che Benedict era rimasto tutto il tempo in rispettoso silenzio ad osservarmi mentre pigiavo frettolosamente i tasti del cellulare.
 
- Fatto - dissi infine.
- Gli hai detto che sei qui?
- No.
- Dovresti. Andrà a cercarti a casa tua e non ti troverà.
- Mi ha già cercato anche da mia sorella.
- Appunto.
- Non posso dirgli che sono qui.
- E perché?
- Ecco.. Lui.. è geloso. Pensa che possa esserci qualcosa tra noi due.
 
Non rispose. Si limitò a guardarmi con un’espressione atona.
 
- Quando questa storia sarà finita non ci vedremo più – mi rispose alla fine, semplicemente.
- Cosa? No! Io non voglio perdere Tom, sempre che non sia già troppo tardi, ma questo è ingiusto.
- Fidati, è meglio per tutti se non ci vediamo più - insistette lui, deciso.
- No.. non posso perdere anche te..
 
Mi coprii il viso con entrambe le mani, incapace di dire altro.
Avvertii che si stava avvicinando e percepii che si era seduto accanto a me sul letto.
Prese gentilmente i miei polsi con entrambe le sue grandi mani per guardarmi in faccia.
Non disse nulla.
Allungò solo una mano e la posò delicatamente sulla mia fronte per tastare la febbre.
Il contrasto tra la sua mano fredda e la mia fronte in fiamme fu subito evidente ad entrambi.
Chiusi gli occhi godendo di quel piacevole contatto e Ben non tolse la mano. Non subito.
Poi improvvisamente si alzò di scatto.
 
- Ora dormi un po’. Quando ti sveglierai la medicina avrà fatto effetto e la febbre sarà già scesa. Buon riposo.
 
Non ebbi modo di replicare che lui aveva già richiuso dietro di sé la porta.
I brividi mi erano passati, lasciandomi una sensazione di spossatezza generale.
Decisi di non contrastare l’impulso di chiudere gli occhi e mi abbandonai alla sonnolenza provocata senza dubbio dal farmaco che avevo ingoiato poco prima.
Mi addormentai subito dopo.
 
 
 
 
Quando riaprii gli occhi era già mattina.
Qualche timido raggio di sole si faceva strada dalle persiane semichiuse.
Mi sentivo veramente bene, di sicuro ero ormai sfebbrata.
Decisi di alzarmi e constatare le mie condizioni generali.
Uscii dalle coperte e mi tirai in piedi senza alcuna difficoltà.
Rimasi di stucco quando mi resi conto di cosa indossavo.
Tutti i miei vestiti, che dovevano essere stati fradici, erano spariti.
Avevo solo una grande camicia azzurra, sufficiente a coprirmi fino alle cosce.
Per fortuna sotto portavo ancora tutti gli indumenti intimi.
Benedict mi aveva spogliato?
D’altronde non poteva fare diversamente, dovevo essere zuppa. E lasciarmi così grondante equivaleva ad una polmonite assicurata.
Non aveva scelta.
Mi rassegnai all’idea di essere stata “maneggiata” da lui mentre mi trovavo seminuda ed incosciente.
Agguantai un plaid che giaceva in fondo al letto, me lo avvolsi sulle spalle ed uscii a piedi nudi dalla stanza.
Da qualche vago ricordo della sera della festa, pensai che dovevo trovarmi al primo o al secondo piano. Non tentai neppure di andare a cercare dove Ben dormiva, semplicemente cercai di raggiungere la cucina. Avevo sete.
Riuscii a trovarla quasi subito.
Aperto il frigo, mi impadronii di una bottiglietta di Evian (chissà perché gli attori bevono solo Evian, che mai avrà di speciale? È acqua!) e la finii subito a lunghe sorsate.
Molto meglio.
Non mi restava che ritrovare i miei vestiti, che speravo nel frattempo si fossero asciugati, lasciare un biglietto di ringraziamento al mio generoso ospite e sgattaiolare via. Avevo approfittato fin troppo della sua ospitalità.
Stavo giusto riflettendo su dove potessero essere finiti i miei indumenti, uscendo a passo svelto dalla cucina, quando senza potermi fermare mi scontrai con un muro di marmo, che scoprii solo dopo essere i pettorali di Benedict.
Fui sospinta all’indietro con forza e cacciai un piccolo grido per la sorpresa.
Per evitarmi di finire sul pavimento, lui mi afferrò per le spalle e mi tirò in avanti, facendomi nuovamente sbattere, stavolta con leggerezza, contro di sé, a palmi aperti sul suo petto.
Rimasi per un attimo immobile, appiccicata a lui come una ventosa, poi mi scostai lievemente.
 
- Mi hai spaventata! Credevo dormissi ancora. – feci, imbarazzata.
- Anche io. Come stai?
 
Raccolse da terra il plaid, che nell’impatto era caduto, e me lo rimise sulle spalle.
 
- Molto meglio, grazie.
- I tuoi vestiti sono asciutti e puliti, te li ho messi sul mobiletto nel bagno adiacente alla mia camera.
- Oh. Grazie. E dove sarebbe di preciso la tua camera in questo labirinto? – scherzai.
 
Sorrise appena.
 
- E’ quella in cui hai dormito questa notte.
- Oh. Grazie.
 
Abbassai lo sguardo e avvampai, improvvisamente consapevole di come lui doveva avermi visto la sera prima.
 
- Non avevo fatto caso ai vestiti – affermai, non sapendo che altro dire per spezzare il silenzio.
- Non preoccuparti, non ti ho guardata ieri – fece lui con tono indifferente, intuendo il motivo del mio imbarazzo.
- Come?
- Ti ho solo asciugato come potevo e ti ho subito infilata a letto, se è questo che temi.
- Io.. non..
- Stamattina ti ha già chiamato Tom. Ho risposto io e gli ho detto che eri qui. Arriverà tra poco.
- Co-cosa? Ma come..?
- Non era il caso che si preoccupasse ancora, non credi?  
- Sì, certo, ma..
- E’ tutto a posto, vi chiarirete presto.
 
Mi disse con un sorriso, cercando di rassicurarmi.
 
- Ora vai a vestirti – proseguì lui – quando torni ci sarà un caffè ad attenderti.
 
Nuovamente mi sorrise incoraggiante. Gli restituii un sorriso caldo e.. intimo e mi avviai verso il piano di sopra per cambiarmi.
Benedict riusciva a farmi sentire veramente bene. Forse mi trovavo un po’ in imbarazzo, a volte, però era innegabile che ci fosse una bella sintonia tra di noi.
Era quella “chimica” che aveva percepito Tom?
O c’era dell’altro?
Lui mi piaceva ed indiscutibilmente mi fidavo di lui.
E ciò aveva dell’incredibile, visto che in prima istanza non mi fidavo mai di nessuno.
Avevamo condiviso molto ed in poco tempo.
Prima c’era stato l’episodio nel parcheggio.
Era stato Benedict a venire in mio soccorso quando avevo avuto bisogno. Lui e non Tom.
Certo non potevo fargliene una colpa, però questo aveva contribuito al legame che si era creato con il suo amico e di cui era geloso.
Poi condividevamo il mio segreto, che lui custodiva per me, pur non approvandomi.
Ed in ultimo, ma non certo per importanza, aveva cacciato Bean da casa mia.
Con tutto quello che era seguito.
Non avrei lasciato che questa persona che stimavo e di cui mi fidavo mi fosse portata via.
Non senza combattere.
Però non potevo assolutamente rinunciare a Tom.
 
Trovai tutti i miei vestiti puliti e piegati nel bagno, dove mi aveva detto Benedict.
Mi presi un momento per osservare la mia immagine riflessa allo specchio.
Di certo avevo avuti giorni migliori.
La medicazione sullo zigomo aveva miracolosamente resistito alle intemperie del giorno precedente ed il livido era in lento riassorbimento.
Avevo gli occhi cerchiati e stanchi. Ma stavo bene.
Ero e mi consideravo sempre di più una sopravvissuta.
Però ne portavo i segni.
Feci una doccia veloce e mi vestii.
Proprio mentre scendevo al piano inferiore, sentii suonare il campanello.
Non poteva che essere Tom.
Mi precipitai verso l’ingresso e sentii Benedict che lo faceva accomodare, molto freddamente, in salotto.
Dovevo assolutamente fare in modo che quei due si riappacificassero.
Raggiunsi anche io il soggiorno.
Quando entrai i due ragazzi sollevarono entrambi all’unisono lo sguardo su di me.
Cercai gli occhi di Tom.
Il mio primo impulso era stato quello di corrergli incontro e gettarmi tra le sue braccia, implorando il suo perdono.
Ma il suo sguardo glaciale mi bloccò.
Rimasi così sulla porta, senza dire nulla.
Fu Benedict ad interrompere quell’imbarazzante silenzio.
 
- Vi lascio soli – disse semplicemente.
- No. Dovresti rimanere – gli rispose Tom, deciso.
- Cosa? – lo apostrofammo entrambi, in coro.
- Ormai sei coinvolto. Vorrei parlare anche con te – fece lui, rivolgendosi all’amico.
 
Lo presi come un tentativo da parte sua di chiarire la situazione creatasi con Benedict, quindi non mi opposi. 
 
Mi avvicinai allora a Tom, con l’intento di iniziare a scusarmi.
 
- Tom, mi dispiace per quello..
- No. Adesso parlo io.
 
Mi zittì subito.
Mi preparai ad ascoltare quello che aveva da dire. Glielo dovevo.
 
- Allora. Facciamo un rapido riassunto della situazione: c’è qui la mia ragazza, che mi accusa di essere paranoico, geloso e possessivo, che, alla prima litigata, si rifugia tra le braccia del mio migliore amico..
- No, Tom, non è andata così! Io …
- Fammi finire, per favore.
 
Mi mise a tacere nuovamente, con un tono che non ammetteva repliche. E proseguì il suo monologo.
 
- Come dicevo? Giusto, il mio miglior amico. Quello di cui ti dovresti fidare più che di ogni altra persona al mondo, quello che non dovrebbe darti una pugnalata alle spalle alla prima occasione. Quello che non dovrebbe voler passare con la tua ragazza tutto il tempo possibile.
 
- Tom, smettila, non sai di cosa stai parlando!
 
Cercai di fermare tutte quelle insensate recriminazioni, ma senza risultato.
Benedict se ne stava in un angolo, appoggiato al bracciolo del divano, con le braccia conserte ed apparentemente per nulla turbato da quel fiume di parole.
 
- Adesso devi dirmi - fece Tom, sempre rivolto all’amico, con uno sguardo di fuoco - guardandomi negli occhi, che non provi niente per lei, che non ti ha colpito, che non pensi a lei e che non ti piacerebbe portarmela via!
- Adesso stai esagerando! Tom, tu non hai il diritto di parlargli così, lui non.. – cominciai quasi a strillare, ma la replica di Ben spense ogni mio ardore.
- Non posso.
 
Benedict, alle parole dell’amico, aveva abbandonato la postura che aveva fino a quel momento mantenuto, per spostarsi rigidamente in avanti, sollevando il viso e reggendo il suo sguardo.
La sua risposta aveva ammutolito entrambi.
 
- Non posso. L’ho detto e lo ripeto – proseguì lui, ignorando l’espressione sconvolta che gli restituivamo entrambi – Anna mi piace. Penso che sia una ragazza speciale e l’ammiro molto, per come è e per tutto quello che ha costruito nonostante tutte le prove che il destino le ha riservato.
- Vedi, cosa ti avevo detto? – disse Tom quasi istericamente, rivolto a me.
- Ma non è come pensi – continuò Benedict, ignorando il suo commento – Non c’è stato e non ci sarà mai nulla fra di noi, Tom, mettitelo bene in testa. Porto troppo rispetto a lei, a te ed alla nostra amicizia per pensarla diversamente. E comunque lei ti ama, ti adora, amico mio, e questo puoi vederlo in ogni suo sguardo ed in ogni suo gesto. Tutti i suoi pensieri e le sue attenzioni sono rivolte a te e non avresti dovuto trattarla in quel modo.
 
Non potevo crederci.
Non solo aveva appena affermato – proprio lui, Benedict Cumberbatch – di stimarmi e rispettarmi, ma aveva anche rimproverato Tom per come mi aveva trattata. Quando ero io l’unica ad essere in torto e questo nessuno meglio di lui lo sapeva.
Anche Tom era rimasto senza parole. Ma solo per un attimo.
 
- Quindi non neghi di provare qualcosa per lei.
 
Non pareva una domanda. Ed infatti non ottenne alcuna risposta.
 
- Tom, adesso basta – intervenni, a quel punto – ti ho detto e ti ripeto che mi dispiace per come sono andate le cose ieri. Sono stata molto male per quello che ti ho detto e mi scuso per non aver risposto al telefono l’altra sera. Non è vero che voglio mantenere le distanze tra noi. Io .. tengo veramente tanto a te e non posso pensare di aver perso la tua fiducia...
 
Le parole mi si strozzarono in gola, ma cercai di ricacciare indietro le lacrime.
 
Lui mi guardò, probabilmente per la prima volta quel giorno, e, forse intenerito dal mio discorso, finalmente si avvicinò a me lentamente e mi prese tra le braccia, stringendomi forte nel suo abbraccio consolatorio.
Io mi sciolsi letteralmente nella sua stretta, calda e rassicurante, e lo strinsi a mia volta, come se avessi paura di perderlo nuovamente da un momento all’altro.
Gli presi il viso con entrambe le mani ed alzandomi in punta di piedi gli deposi un unico, caldo bacio sulle labbra.
 
- Come stai? – mi chiese allora.
- Adesso meglio – gli risposi con un ampio sorriso.
- Però sarebbe meglio che stesse a riposo per qualche giorno – si intromise Benedict.
- Ho avuto solo un po’ di febbre, ora sto benissimo.
 
Tom mi guardò con aria interrogativa, così gli spiegai che dopo la nostra litigata avevo fatto un giretto per Londra.. sotto la pioggia, e mi ero ritrovata vicino a casa del suo amico.
Così avevo suonato e …
 
- E’ svenuta davanti al mio portone. – concluse Ben.
- Cosa? – fece Tom, preoccupato.
- Vi dico che sto bene, ero solo un po’ bagnata e infreddolita.
 
Tom mi mise subito una mano sulla fronte, per verificarne la temperatura.
 
- Tom, non agitarti! Ho solo avuto un po’ di febbre, ma ora è passato tutto.
- Sarebbe comunque il caso che stessi riguardata per qualche giorno – insistette Benedict.
- Tu non ti intromettere, hai già fatto abbastanza! – sibilò Tom, con voce tagliente, guardandolo con gli occhi ridotti a fessura.
- No, no, voi dovete smetterla di litigare! Speravo che vi sareste chiariti!
 
Non potevo rassegnarmi a vederli ancora discutere. Dovevo fare qualcosa. Dopotutto era solo colpa mia se eravamo arrivati a questo punto, delle mie bugie e dei miei segreti.
 
- Mi sembra che infatti sia tutto molto chiaro. Stai lontano da noi!
- No, Tom, perché? Se non fosse stato per lui, ieri sera non so cosa mi sarebbe successo! Dovresti ringraziarlo!
- RINGRAZIARLO? Ma ti rendi conto di cosa dici? È colpa sua se siamo qui, chi ti ha ridotto la faccia ad un ammasso insanguinato?
- NON E’ STATO LUI!
 
A quelle parole entrambi si voltarono verso di me, attoniti.
Il momento era giunto.
Il velo di menzogne che io stessa avevo tirato, presto sarebbe stato squarciato.
 
 
 
N.d. A.
 
Ta-daaaaa!
Eheheheh!
Capitolo denso di avvenimenti, spero di non avervi annoiato, comunque io mi diverto un mondo a scriverlo!
Specialmente a lasciarvi col fiato sospeso fino al prossimo aggiornamento!
Un grande abbraccio e mille ringraziamenti a tutti quelli che leggono, seguono, preferiscono e recensiscono. Il più grande incoraggiamento ad andare avanti!
 
 
 
 
 

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