Il cielo sopra Toronto

di Carol2000
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Heaven ***
Capitolo 2: *** Feelings ***
Capitolo 3: *** Free will ***
Capitolo 4: *** Transformation ***
Capitolo 5: *** Finally human ***
Capitolo 6: *** Biblioteca ***
Capitolo 7: *** Mclean's House ***
Capitolo 8: *** Brand new me ***
Capitolo 9: *** First date ***
Capitolo 10: *** The ugly truth ***
Capitolo 11: *** Pure love ***
Capitolo 12: *** Secrets ***
Capitolo 13: *** Spiegazioni ***
Capitolo 14: *** I don't want the world to see me ***
Capitolo 15: *** I just want you to know who I am ***
Capitolo 16: *** Condannata? ***
Capitolo 17: *** You're the closest to heaven that I'll ever be ***
Capitolo 18: *** Human again ***



Capitolo 1
*** Heaven ***


Era una scena straziante vedere quella madre piangere, mentre stringeva al petto il corpo senza vita del bambino.
Una macchina lo aveva investito mentre attraversava la strada, strappandogli via la vita ancora nel fiore degli anni.
"Mamma, sono qui!"
Strillò una piccola sagoma dai capelli castani, ma nessuno poteva sentirlo o vederlo.
Mi avvicinai a lui lentamente e quando si accorse della mia presenza, inarcò un sopracciglio e mi guardò perplesso.
"Perché mia mamma piange?e perché tiene in braccio quel bambino?non mi vuole più bene?"
Sorrisi, poi scossi il capo.
"Ma certo che ti vuole bene, piccolo Andreas. Quello che sta stringendo sei proprio tu...anzi, il tuo corpo".
"Il mio corpo?"
"Esso si trova lì, mentre la tua anima è proprio qui accanto a me".
Rivolse un ultimo sguardo alla madre, poi posò di nuovo quegli occhi color miele su di me.
"Ora dobbiamo andare, vieni con me".
Lo presi per mano e rimase estasiato quando vide le mie grandi ali piumate, che partivano dalla colonna vertebrale.
"Ma tu sei un angelo!"
Esclamò.
"Certo, piccolo. Io ho il compito di raccogliere le anime buone e di portarle in paradiso".
Si voltò ancora una volta verso la madre.
"Ma la mia mamma capirà?"
Domandò con un tono triste.
"Ovviamente. Un giorno capirà".
Ci sollevammo in aria, mentre la brezza ci avvolgeva e un turbine di vento ci trasportò fino al regno.
Lo lasciai davanti al cancello dorato, mentre degli altri angeli lo accoglievano calorosamente.
Dei miei fratelli ero sempre stata la più attratta da mondo terreno: avrei passato anche delle ore ad osservarli vivere.
Li invidiavo e li odiavo al contempo, perché potevano percepire i gusti degli alimenti, sentire il vento gelido sulla loro pelle e il calore di una coperta, ma nonostante tutto non si rendevano nemmeno conto di quanto questo dono fosse prezioso.
Dalla mia nuvola li contemplavo e commentavo le loro azioni, sperando che scegliessero sempre la retta via.
Ogni tanto scendevo anche sul suolo e stavo a stretto contatto con loro, guardando le scene di vita quotidiana.
Erano in grado di utilizzare delle grandi scatole contenenti un motore, che essi chiamavano automobili.
Soprattutto con l'oscurità, amavo osservare il traffico cittadino incorniciato dagli alti palazzi e illuminato dai lampioni.
Un rumore di ali mi riportò alla realtà, risvegliandomi dai miei pensieri.
"Brava Gwen, l'ho sempre detto che ci sai fare con i bambini".
Tuttavia non mi sentivo felice, era sempre un'impresa ardua accompagnare un'anima al capolinea.
"Che hai, qualcosa non va?"
Mi chiese la ragazza dai capelli biondi.
"Nulla, Bridgette".
La giovane sospirò e si sedette accanto a me.
"È ancora per quella storia, vero?capisco perfettamente quello che intendi, ma non possiamo fare altrimenti.
Il nostro compito è condurre le anime in paradiso e non possiamo transigere, lo sai bene".
Mi girai verso di lei e mi scostai una ciocca dietro l'orecchio.
"Mi sento così diversa da tutti voi...io a volte vorrei tanto essere un'umana e provare quelle sensazioni, anche solo per un giorno".
Ella sospirò e poi diede uno sguardo a Toronto sotto i nostri piedi.
"Purtroppo questa è la nostra natura, non puoi opporti ad essa.
La nostra città degli angeli, in ogni caso, non ha nulla da invidiare alle metropoli terrestri".
Scossi la testa, era proprio questo ciò che loro non riuscivano a comprendere.
"Appunto, è tutto così perfetto...fin troppo per i miei gusti. Io cerco qualcosa che rompa la monotonia, che mi faccia uscire fuori dagli schemi!"
Bridgette roteò gli occhi.
"Perché non ti trovi un'anima gemella?qui è pieno di bei ragazzi...per esempio, che ne dici di Cody?"
Non risposi nemmeno a quella domanda, aprii le ali e planai verso il suolo, lontana da tutta quella monotona perfezione.
Ero diversa dagli altri persino fisicamente: avevo una carnagione esangue come quella dei demoni, occhi neri come la pece e capelli castani a caschetto.
Bridgette, invece, era un serafino insieme al suo fidanzato Geoff: i prototipi degli angeli biondi e con gli occhi chiari, come venivano di solito identificati dagli esseri umani.
Gli uomini...quanto avrei voluto essere una di loro.
 
SPAZIO AUTRICE
Sì, per l'introduzione ho preso ispirazione dal film city of angels, ma semplicemente per riuscire a presentare al meglio il personaggio senza aggiungere descrizioni monotone e noiose.
Gwen con i capelli castani...beh, nei prossimi capitoli capirete perché non sono verdi come al solito ;).

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Capitolo 2
*** Feelings ***


L'ennesimo omicidio commesso: sangue e morti dappertutto, come se giocare con le vite altrui li divertisse.
Ecco una cosa che non tolleravo degli uomini, il fatto che sottovalutassero il valore della loro esistenza.
Tuttavia, non toccava a me accompagnare quell'anima, in compenso lo fece un demone, poiché molto probabilmente quell'individuo si era comportato male in precedenza.
Planai verso la biblioteca, dove mi dirigevo ogni mattina per stare a contatto con tutti gli appassionati di cultura.
Migliaia di libri eran poggiati sugli scaffali, qualcuno più recente e altri più antichi.
Il mio sguardo fu attirato dalla sagoma snella di un ragazzo, più o meno sulla ventina.
Indossava abiti molto semplici e aveva un viso allungato, incorniciato da una massa di capelli corvini.
Mi posizionai di fronte a lui, in modo tale da poterlo vedere meglio.
Due grandi smeraldi erano le sue iridi, così profonde da potermi perdere al loro interno.
I suoi occhi scorrevano velocemente fra le pagine del libro, mentre un sorriso lievemente accennato compariva sul suo volto.
Stava leggendo orgoglio e pregiudizio di Jane Austen, da quello che riuscivo a capire si trattava di un grande classico.
Era strano per un ragazzo della sua età passare il tempo in quel modo, di solito lì si incontravano solo persone mature o ragazzine in cerca di romanzi d'amore.
Percepii un'insolita sensazione all'altezza del petto, mentre le mie labbra si incurvavano in un sorriso ed ebbi una strana voglia di poterlo toccare, di poter sfiorare quella chioma scura e quella pelle chiara.
Non avevo mai incontrato un essere tanto bello, nemmeno nel regno, era qualcosa di indescrivibile.
"Trent, vieni via o si fa tardi!"
Strillò una ragazza, circa della sua età, con i capelli color castano chiaro e la pelle ambrata.
"Arrivo, Courtney".
Allora era così che si chiamava...Trent.
«ed è un gran bel nome».
Pensai.
Si alzò dalla sedia e ripose il libro nello scaffale, poi raggiunse la giovane e successivamente  abbandonarono il luogo.
Ancora una volta provai quella sensazione, ma questa volta era diverso, non era felicità.
Avrei tanto voluto strangolare quella Courtney e farle scomparire quel sorrisetto arrogante, ma poi scossi la testa e rammentai che non stava bene che un angelo pensasse cose simili.
Osservai ancora una volta tutto ciò che si trovava intorno a me: da quando quel giovane aveva lasciato la biblioteca, tutto era diventato stranamente noioso.
Aprii le mie grandi ali bianche e mi alzai in volo, passai attraverso il tetto e mi diressi altrove.
Il sole tramontava piano piano, lasciando spazio alla luna e il cielo era così rosso da ricordarmi i capelli di Izzy.
Scorsi una coda di cavallo bionda molto familiare: Bridgette era seduta su un tetto a contemplare il traffico di Toronto.
Aumentai la velocità e la raggiunsi, facendola quasi spaventare, poiché non si era nemmeno accorta della mia presenza.
"Ciao Gwen, come procede?"
"Bene...direi".
Inarcò un sopracciglio.
"Non mi sembri molto convinta, è successo qualcosa?"
Mi morsi il labbro e sospirai, poi accomodai accanto a lei.
"Poco fa ho provato un insolito fastidio proprio qui".
Affermai indicando il petto con la mano.
"Il problema è che non era qualcosa di buono, anzi...era una sorta di odio, come se quella persona possedesse un oggetto che in realtà mi appartiene".
La vidi pensarci sù un attimo.
"Ho capito di cosa parli: si chiama gelosia, ma è strano per un angelo...di solito è un sentimento tipico degli umani".
Affermò Bridgette pensierosa.
"Che cosa significa 'gelosia'?"
Domandai perplessa, sotto lo sguardo divertito del serafino.
"Una persona è gelosa quando ama qualcuno, ma quel qualcuno è già impegnato".
Annuii, forse ne avevo già sentito parlare in precedenza, ma non ero sicura di averla mai provata.
Dall'alto dell'edificio su cui mi trovavo, potevo osservare tutte le auto che si susseguivano freneticamente, mentre facevo dondolare i piedi.
"Ti sei innamorata di qualcuno?"
Pronunciò quelle parole come fossero arabo.
"Non credo proprio".
Risposi frettolosamente, ma del resto non avevo tutti i torti...come facevo a dire di amarlo, se lo avevo visto semplicemente una volta?
 

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Capitolo 3
*** Free will ***


"Sono riuscito a far compiere una buona azione a ben tre persone questa settimana, mi sento davvero al settimo cielo".
Affermò Geoff soddisfatto.
"Io ho condotto altre nuove anime in paradiso".
Dichiarò Izzy.
"Per me nessuna novità, invece".
Replicò Bridgette, mentre il biondo la teneva fra le sue braccia.
"Tu che ci racconti Gwen?"
Che avevo da raccontare?nulla di che, la solita monotona vita da angelo, non capivo perché si eccitassero tanto per delle sciocchezze simili.
Mi rivenne in mente Trent, quel ragazzo che mi aveva colpita come un dardo...come poteva un mortale avere un aspetto tanto sovrannaturale?
I maschi del regno più o meno si assomigliavano tutti ed erano terribilmente seri, caratteristica che non sopportavo.
Inoltre erano ligi alle regole, tutto l'opposto rispetto a me: io non mi sarei fatta nessun problema ad infrangerle, probabilmente ero più diabolica che angelica.
"Ehilà, Gwen? Sei con noi?"
Domandò Izzy, mentre gli altri due se la ridevano sotto i baffi.
"Ultimamente ha la testa altrove, starà pensando a quell'umano..."
Mormorò Bridgette; se fossi stata una ragazza normale sarei arrossita.
"Non è vero, solo perché lo trovo bello non significa che mi piaccia!"
Esclamai con le braccia conserte, mentre gli altri mi davano delle gomitate.
"È strano per un angelo provare questi sentimenti così forti".
Disse Geoff con aria confusa.
Avrei dovuto nascere sulla terra, lo avevano sempre affermato tutti.
Chiunque si meravigliava per la mia empatia con il genere umano, poiché per loro era praticamente impossibile.
Detestavo il fatto che, quando domandassi perché adorassero la vita in paradiso, replicavano con "perché è un onore servire il padre" o "l'immortalità"
A che cosa serviva questa, se non potevamo leggere libri o provare piacere quando la pelle entrava a contatto con una crema?
"Esiste una cosa chiama 'libero arbitrio', non ne hai mai sentito parlare?"
Chiese Izzy con la sua solita pacatezza, spiazzandomi, poi rammentai che possedeva il dono di leggere le menti altrui.
"Cioè?"
Mi spostai, in modo tale da trovarci faccia a faccia.
"Puoi scendere sulla Terra e vivere come un terreno, inoltre sarai in grado di relazionarti con loro".
"Dov'è la fregatura?"
Sembrava troppo perfetto per essere vero, altrimenti non credo che sarei stata l'unica a compiere quell'impresa.
"Potrai rimanere lì solo per sette mesi, dopodiché non potrai mai più compiere un'esperienza simile".
Tutti e tre mi guardarono come se si aspettassero una risposta.
"Devo pensarci".
"Prova a chiedere a Dawn, lei lo fece in passato".
Annuii e mi sollevai dalla nuvola.
Li abbandonai lì senza alcuna spiegazione: dovevo assolutamente interpellare Dawn, era la mia unica risorsa.
 
****
 
Dawn era un cherubino, uno dei migliori in paradiso e risiedeva nell'ottavo cielo.
La conoscevo solo di vista, poiché io stavo nel primo, riservato ai semplicissimi angeli.
Era minuta di corporatura e di statura, portava i capelli biondissimi morbidi sulle spalle e aveva due grandi occhi azzurri, che avrebbero suscitato invidia a qualsiasi essere umano.
Dopo un'ora di volo, ero finalmente giunta al terzo cielo: esso era popolato dai principati, noti anche come intelligenze motrici.
Avevo avuto a che fare con una di loro anni prima, si chiamava Lindsay e ricordava Venere.
Quando giunsi alla fine, incontrai uno dei soliti guardiani, che sorvegliava un cancello alto e dorato.
"Ciao, Gwen. Qual buon vento ti porta qui?"
Mi domandò con fare gentile.
"Sto tentando di raggiungere il cherubino Dawn".
Mi rivolse un sorriso a trentadue denti, poi spalancò il portale e mi lasciò passare.
Se non fosse stato per le anime, quei luoghi sarebbero stati completamente candidi, così tanto da provocare il capogiro.
Volai per altre due ore, raggiungendo il quinto cielo e senza fare alcuna pausa, poi attraversai qualche altro cancello e infine giunsi a destinazione.
Era un luogo celestiale, così fuori dagli schemi che nessun uomo avrebbe potuto immaginarselo.
I cherubini erano di una bellezza sconfinata, molto simili ai serafini.
Mi sentivo un tantino fuori posto lì dentro, ma non avevo tutti i torti.
Scorsi un ragazzo esile, dai capelli color biondo scuro e con due grandi ali gialline...ma certo, si trattava di Cody.
Sperai che non si accorgesse della mia presenza, ma sbattei le ali troppo forte e attirai così la sua attenzione.
"Salve, Gwen. Come mai da queste parti?"
Anch'egli era un cherubino e i miei amici mi spronavano ad approcciare con lui, nonostante ne facessi volentieri a meno.
"Sto cercando Dawn, tu per caso l'hai vista?"
Domandai con un tono scocciato.
"È nella sua dimora. Hai presente quell'accumulo di nubi?è la sua casa, bussa e ti lascerà entrare".
"Grazie".
Mi voltai di scatto e camminai verso il luogo indicato da Cody, poi eseguii il suo comando e una vocina flebile rispose.
"Chi è là?"
"Sono Gwen e provengo dal primo cielo, ho bisogno di parlarti".
L'uscio si spalancò, rivelando un grande spazio vitale che nessuno si sarebbe aspettato.
Varcai la soglia ed entrai, mentre la porta si richiudeva alle mie spalle.
Mi guardai in giro esitante: divani bianchi, tappeti azzurri e grandi lampade si stagliavano in tutta la stanza.
"Vieni pure, cara".
La ragazza comparve da una porticina, vestita con la sua tunica candida.
Si sedette su un divano e mi fece cenno di accomodarmi accanto a lei, così feci.
"Di che cos'hai bisogno?"
"È un po' complicato...ecco, mi hanno parlato del libero arbitrio e so che tu lo sperimentasti in passato, così vorrei chiederti qualche informazione".
Appena nominai l'oggetto in questione, Dawn si rammaricò e abbassò lo sguardo, poi alzò gli occhi e continuò a sorridere.
"Spero ti abbiano detto che potrai restare sulla terra solo per sette mesi".
"Sì, questo lo sapevo già".
"Bene. Scommetto che è per amore, vero?"
Mi scostai una ciocca dietro l'orecchio.
"Non penso che si possa definire così, l'ho visto solamente una volta...le motivazioni sono più profonde, io vorrei riuscire a provare le loro stesse sensazioni".
"Oh, comprendo perfettamente le tue ragioni. Tu sei diversa da tutti gli altri, si vede e sono piacevolmente colpita da ciò.
Tuttavia, devi sapere che è molto dolorosa la trasformazione e richiederà uno sforzo immane. Ne sei davvero sicura?"
Feci cenno di sì con il capo.
"Prima di tutto, dovrai volare verso il tunnel metamorfico: esso si trova nel nono cielo ed è difficile da superare, in quanto durante il percorso si incontrano numerose intemperie.
Quando queste cesseranno, ti verranno strappate le ali e proverai un dolore atroce...non vorrei spaventarti, ma non voglio nemmeno essere una bugiarda, sai bene che a noi creature divine non è permesso mentire.
Una volta privata di esse, un arcangelo ti ricucirà le ferite e poi un vento gelido ti doterà di tutti gli organi interni, gli stessi posseduti dai terreni.
Nel momento in cui avrai completato il processo di trasformazione, si aprirà un varco sotto i tuoi piedi e sverrai, subito dopo ti sveglierai sulla terra".
Tutti quei passaggi mi mandavano in confusione, avrei dovuto passare le pene dell'inferno solo per realizzare il mio sogno.
Non importava quanto male avrei dovuto subire, io volevo davvero abbandonare la mia natura angelica.
"Accetto, qualsiasi cosa pur di lasciare questo posto".
Notai una certa tristezza nei suoi occhi, come se dei ricordi spiacevoli le fossero riaffiorati alla mente.
"Qualcosa non va?"
"Vedi, anch'io ero come te circa due anni fa. Tutti mi consideravano una ribelle".
Strabuzzai gli occhi.
"Sembra difficile da credere che fossi una ribelle".
"È vero, ma è stato così. Quando usufruii del libero arbitrio, scesi in una città del Canada di nome Ottawa, dove conobbi un giovane di nome Scott.
Egli era davvero rozzo, completamente diverso dagli angeli del regno, ma mi piaceva proprio per quello.
Insieme passammo dei momenti felici, ma scoppiavo in lacrime ogni volta che rammentavo il mio futuro.
Quando arrivò la mia ultima settimana, gli confessai da dove venissi e al principio mi prese per una matta.
Gli mostrai le due cicatrici al posto delle ali e il marchio dipinto sul mio polso, ormai decisamente evidente.
Entrambi piangemmo lacrime amare e l'addio fu difficile da pronunciare.
Quindi, se vuoi un consiglio, non rimanere troppo attaccata ad uno di loro: potresti pagarne le conseguenze".
Il suo racconto mi lasciò profondamente turbata, ma nonostante ciò ero decisa a farlo.
La sua storia me la fece vedere sotto una prospettiva diversa: lei era l'unica a comprendermi.
"Io vado, grazie mille per avermi accolta".
"Figurati, fa' buon viaggio".
Uscii dalla sua dimora, dopodiché mi avviai verso il nono cielo, decisa a compiere la mia missione.

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Capitolo 4
*** Transformation ***


Oramai ero giunta nel nono ed ultimo cielo, decisa a portare a termine la mia missione.
Non nascosi di sentirmi lievemente turbata, poiché per la prima volta avrei provato quella cosa di nome "dolore".
I serafini si dilettavano in canti ed erano terribilmente composti, al contrario degli angeli del primo cielo: essi si divertivano rincorrendosi o giocando a palla, erano molto più simili agli umani di qualsiasi altro grado angelico.
Se nell'ottavo cerchio mi sentivo un tantino fuori posto, lì ero una sottospecie di extraterrestre.
Loro tuttavia non mi giudicavano, alle creature divine non era concesso esprimere giudizi negativi.
Svoltai e mi ritrovai davanti ad un tunnel bluastro, in contrasto con tutto il resto.
«eccolo qui».
Bussai alla porta, che si aprì in automatico e una strana brezza mi attirò al suo interno.
Il vento non cessò e mi fece avanzare a stento, come se si trattasse di una vera e propria tempesta.
L'acqua cominciò a scrosciare incessantemente, rendendo il terreno scivoloso e difficoltoso il volo.
Le gocce si tramutarono in grandine, danneggiando le mie lunghe ali piumate e in seguito si trasformò in neve.
Non importava quanti ostacoli dovessi superare, io ero decisa ad ottenere ciò che volevo.
Vagai così per una trentina di minuti, poi le intemperie, di cui mi aveva parlato anche Dawn, cessarono e mi sentii sollevata.
Successivamente giunse la parte peggiore: il momento in cui mi strapparono le ali.
Una mano meccanica afferrò le loro estremità cominciò a tagliare il primo pezzo, provocandomi una sensazione che mai provai in tutta la mia vita.
Era una sottospecie di pizzicore, ma non del tutto spiacevole.
In seguito passò alla zona centrale, ma questa volta fu leggermente più doloroso e un brivido mi percorse la schiena.
Fu quando fui privata della radice, che quella sofferenza si fece molto più acuta, così cacciai un urlo.
Un serafino incappucciato mi si avvicinò, tirò fuori ago e filo da una tasca e mi rivolse un sorriso colpevole.
Quando la punta affondò la carne, mi sentii come se un avvoltoio stesse tentando di scuoiarmi per nutrirsi.
"Soffri in silenzio...di solito chi entra qui si lamenta o preferisce tornare indietro percorrendo tutto daccapo".
Scossi il capo, non avrei mai fatto tutti quei chilometri per niente.
Quando terminò, mi ordinò di proseguire per altri cento passi e così feci, con la schiena ancora dolorante.
«Allora è questo che si prova».
Pensai, mentre ero quasi arrivata alla fine di quel tunnel degli orrori, ma che mi avrebbe donato quello che desideravo da un'eternità.
Un venticello freddo mi investì, ma era comunque piacevole e non insostenibile come il precedente.
Le mie labbra si incurvarono in un sorriso, quando mi riaffiorò alla mente il ricordo di Trent.
Una strana forza mi oppresse il petto, lo tastai con la mano e sentii delle piccole pulsazioni nella parte sinistra.
"Si chiama cuore".
Affermò una voce roca e profonda, quella del guardiano del tunnel.
"Gwen, sei pronta per la tua comparsa sulla terra come umana?"
Annuii.
"Bene. Verrai spedita su in una città canadese di nome Toronto, la conosci?"
"Certo, la raggiunsi in volo diverse volte".
"Ti verrà assegnato il cognome Fahlenbock e se mai dovessero domandarti l'età, risponderai '19'.
Festeggerai il tuo compleanno il 31 ottobre. Tutto chiaro?"
"Cristallino".
Udii un battito di mani, un varco concentrico si aprì sotto i miei piedi e vidi i grandi palazzi, dopodiché il buio totale.

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Capitolo 5
*** Finally human ***


"Si è svegliata!"
Esclamò una voce che non avevo mai udito in vita mia, poi intravidi una sagoma saltellante.
"Calmati, imbecille! Rischi di farla spaventare".
Affermò una seconda, più roca e dal tono un po' impertinente.
Spalancai gli occhi definitivamente, mi osservai intorno: ero sdraiata su un divano e circondata da mura bianche, sulle quali erano appesi bizzarri quadri.
Mi tirai sù di scatto con la schiena e mi voltai a destra, scorgendo una ragazza dalla pelle ambrata e una lunga chioma viola.
"Chi sei?come sono finita qui?"
Domandai, ancora un po' frastornata.
"Ti ho trovata svenuta a pochi isolati da qui, così ho pensato che portandoti a casa non avresti corso nessun pericolo".
La giovane continuava a sorridere, poi mi porse una mano per alzarmi.
"Comunque io sono Sierra, piacere di conoscerti".
"Piacere mio, Gwen".
"Come ci sei finita lì ieri?"
Mi chiese inarcando un sopracciglio.
Riflettei un attimo per trovare una scusa valida, poi mi rammentai di quel luogo in cui gli esseri umani si dilettavano provando superalcolici e ballando con sconosciuti fino a tarda notte.
"Ero uscita tardi dalla discoteca, ero anche ubriaca e poi non ricordo molto...devo aver avuto un calo di pressione durante il tragitto".
Ecco la mia prima bugia, cominciavo a fare progressi.
Bridgette ed Izzy non sarebbero state fiere di me, ma poco importava in quell'istante.
"Capisco, è normale che succeda".
Mi contemplai le mani e poi i polsi: era comparso quel famigerato tatuaggio, quelle ali che sarebbero diventate sempre più marcate  col passare dei mesi.
Pensandoci bene non avevo nemmeno una casa, quindi se mi avessero chiesto dove abitassi che cos'avrei dovuto rispondere?
"Tu dove vivi, esattamente?"
"Nel primo cie...volevo dire, nel primo posto che mi capita a tiro, i miei genitori mi cacciarono di casa tre mesi fa perché non riuscivano a mantenermi".
Dal modo in cui ero vestita, avrebbe potuto sembrare una scusa più che plausibile: indossavo larghi pantaloni neri e sgualciti, una felpa con cappuccio e scarpe da ginnastica usurate dal tempo.
"Se vuoi possiamo farti restare con noi per un paio di mesi, in cambio potresti aiutarci a pagare l'affitto".
Aggiunse l'altra ragazza, quella dai capelli corvini e con una pelle diafana, chiara quasi quanto la mia.
Era decisamente meno amichevole di Sierra, lo si intuiva dal suo sguardo severo.
"Dille almeno come ti chiami, prima di iniziare già a parlare di denaro! Poi non l'hai sentita?ha problemi economici, non puoi chiederle una cosa simile.
Scusala, ma ha un carattere un po' particolare".
L'ammonì la coinquilina.
"Mi chiamo Heather".
Mi porse la mano, un gesto di cui solitamente i terreni usufruivano per le presentazioni.
Ricambiai la stretta e le mostrai un sorriso timido, che ricambiò forzatamente.
"Bene, potrai dormire nella camera con noi, visto che è munita di un lettino in più".
"Perfetto, vi ringrazio".
Dovevo anche trovarmi un lavoro, se non volevo vivere sulle loro spalle come un parassita.
Non importava come, ma uno lo avrei trovato di sicuro, mi sarei accontentata anche di fare lo spazzino.
Camminare con i piedi poggiati sul suolo mi provocava un'insolita sensazione, che mai avevo provato in paradiso.
Le due mi guidarono verso la loro stanza da letto, dove una grande finestra si affacciava direttamente sulla strada trafficata.
Dall'alto in cui mi trovavo, dedussi che si trattasse di un condominio.
Al centro della camera c'era un grande tappeto azzurro, mentre al lato si ergeva un armadio di legno.
Accanto a quello che dedussi fosse il mio giaciglio, vidi una specchiera bianca con un piccolo sgabello.
Mi piaceva quel posto, nonostante i mobili un tantino antiquati.
"Non è il massimo, lo sappiamo bene".
Affermò Sierra affranta.
"Per me va benissimo, anzi, sono felice di aver trovato un luogo in cui alloggiare".
Una cosa che avevo imparato stando nel regno, era apprezzare sempre ciò che avevo e non sottovalutarlo mai.
"Per caso ti serve un lavoro?"
Mi domandò Heather, cogliendomi di sorpresa.
"Sì, perché?"
"Perché al mio locale c'è bisogno di una cameriera".
Sierra strabuzzò gli occhi e scosse il capo.
"Ma non vedi che è ancora sotto shock?se la portassi lì, sverrebbe di nuovo!"
La ragazza alzò gli occhi al cielo e mi prese per mano.
"Non ascoltarla, lei è sempre esagerata. Allora, verrai con me?"
Guardai prima una poi l'altra, andando avanti così per quasi un minuto intero.
"Va bene, ci sarò".
Mi rivolse un sorriso a trentadue denti.
"Perfetto, domani ti farò fare un giro turistico del posto e mi dirai che cosa ne pensi".

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Capitolo 6
*** Biblioteca ***


Pungente odore di sigaretta, tavoli e sedie d'antiquariato, un lampadario di cristallo e alcolici a non finire: questo era il Mclean's House.
Di fronte ai posti a sedere, scorsi un palcoscenico nero con le tende rosse, ancora vuoto.
"È qui che lavori?"
Le domandai mentre ci aggiravamo in quel luogo deserto, la ragazza annuì e mi fece strada verso una porta bianca.
La aprì e mi ritrovai davanti al paradiso di ogni ragazza: rossetti, fondotinta, grandi specchi con luci colorate, calze a rete, scarpe con i tacchi e gonne cortissime sparse per i camerini.
"Ma...che cosa fai esattamente?"
Sorrise e si sedette su uno sgabello.
"Io sono una ballerina, mi esibisco qui ogni sera insieme ad altre giovincelle bisognose di denaro.
Soprattutto posso affermare di essere la direttrice delle coreografie, in quanto ho studiato danza per ben dieci anni".
"Come si chiamano le altre ballerine?"
"Dakota, Leshawna, Courtney ed Ann Maria".
Uscimmo e ritornammo al punto di partenza.
"Come mai hai le chiavi? Sei la proprietaria?"
Accennò un sorriso e scosse la testa.
"Mi piacerebbe, ma no. Il mio capo è un trentenne sadico e più eccitato di tutti i nostri clienti messi insieme, si chiama Chris Mclean".
Non capivo che cosa ci fosse di così scandalizzante, Sierra me l'aveva descritto come una sottospecie di gabbia di matti.
"Quindi mi assumerete come cameriera?"
Le chiesi mentre la seguivo verso l'uscio.
"Beh penso di sì...devo vedere che cosa ne pensa Chris, ma sono sicura che sarà favorevole".
Poi mi balenò in mente quel nome...Courtney, dove lo avevo già sentito?ma certo, era la ragazza della biblioteca.
Mi rivenne in mente Trent, quel giovane dai capelli corvini che aveva attirato la mia attenzione come nessun altro ci era riuscito.
"Bene, andiamo".
Uscimmo dal locale e ci dirigemmo verso la sua auto per tornare a casa.
 
***
In quel preciso istante mi trovavo in quella biblioteca, la stessa in cui lo vidi per la prima volta.
Esaminai gli scaffali uno alla volta, in cerca di qualche titolo avvincente.
Feci scorrere il mio indice sottile fra le copertine, finché non trovai quello che faceva al caso mio: fallen, Lauren Kate.
Il riassunto sul retro parlava di angeli ed ero curiosa di sapere che opinione avessero gli umani al riguardo.
Mi sedetti sulla prima sedia che trovai, l'unica libera.
L'inizio parlava di una ragazza di nome Luce, in macchina con i genitori verso la nuova scuola.
Alzai un attimo gli occhi dalle pagine, poi li strabuzzai quando mi accorsi della sua presenza.
Aveva ancora in mano quel libro, orgoglio e pregiudizio.
Rimasi stupita dall'attenzione con cui si dedicava alla lettura, dal sorriso che compariva sulle sue labbra di tanto in tanto.
Mi ero persino dimenticata di proseguire con la storia, talmente mi sentivo attratta dalla sua figura.
Sollevò lo sguardo dal volume, poi le nostre iridi si incontrarono e parve quasi che il resto del mondo si fosse fermato.
Il cuore aumentò i battiti gradualmente e le guance si riscaldarono sempre di più, probabilmente erano diventate scarlatte.
"Anche tu ami leggere?"
Mi chiese con disinvoltura, con una voce così melodiosa che mi parve il canto di un serafino.
"Ultimamente mi sento in vena. Tu vieni qui spesso?"
Fece cenno di sì con il capo, ma senza mai spostare gli occhi da me.
"Come ti chiami?"
Mi scostai una ciocca di capelli dietro le orecchie.
"Gwendolyn, per gli amici Gwen. Tu?"
"Trenton, ma per tutti sono Trent".
Dal vivo era ancora più bello di quanto potesse apparire dall'alto, non avevo mai visto niente di simile.
Altro che farfalle, quelle che sentivo nel mio stomaco erano veri e propri elefanti, che mandavano in subbuglio il mio cervello.
Non mi ero mai sentita così impotente di fronte a qualcuno, nemmeno con le creature di gerarchia angelica superiore.
"Quanti anni hai?"
Mi domandò.
"Diciannove, ne compio venti il trentuno ottobre".
Avevo tenuto a mente quel suggerimento, la data di compleanno e l'età.
"Però, ad Halloween! Io ne ho venti, li ho compiuti una settimana fa".
"A proposito, che giorno è oggi?da quando ho terminato la scuola ho perso il conto!"
Sorrise, poi mi disse di trovarci al primo di aprile.
Fu in quell'istante  che compresi tutto: il giorno prima era il trentuno marzo, il mio primo sulla terra e il trentuno ottobre corrispondeva al ritorno in paradiso, nonché con la data del mio presunto compleanno.
"Beh, io dovrei andare ora...posso lasciarti il mio numero se vuoi".
Strappò un piccolo foglietto di carta dal suo taccuino, scribacchiò una serie di cifre e poi mi porse il biglietto.
"Grazie mille, però io ho il mio telefono in riparazione e non ricordo il numero, perciò va bene se ti chiamerò appena potrò?"
Annuì e mi rivolse un sorriso prima di andarsene, per poi farmi un cenno di saluto con la mano.
Lo osservai camminare, finché non raggiunse l'uscita e si richiuse la porta alle spalle.

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Capitolo 7
*** Mclean's House ***


Mi osservai intorno: assurdi trabiccoli dotati di schermo mi circondavano, mentre tutti gli individui presenti li osservavano come una tigre fa con la propria preda.
Mi chiesi che cos'avessero di così attraente, alla fine si trattava semplicemente di cellulari.
Poi rammentai che negli ultimi anni ne erano diventati praticamente schiavi, facendo dipendere la propria vita da essi.
"Buongiorno signorina, in che cosa posso esserle utile?"
Mi girai verso la direzione da cui proveniva la voce e mi ritrovai davanti una ragazza bassina, castana e con un'uniforme rossa.
"Cerco un cellulare".
La giovane rise e con il braccio indicò tutto ciò che le stava intorno.
"Qui dentro ne è pieno, esattamente che cosa cerca?"
Riflettei un attimo, finché il mio sguardo non fu attirato da un nome molto particolare e bizzarro.
"Un Samsung galaxy s5".
Dal modo in cui lo pronunciai, sembrava quasi che si trattasse del nome di un assurdo personaggio di fantasia.
"Bene, mi segua alla cassa, glielo porto subito".
Così feci, in men che non si dica mi trovai sotto gli occhi quell'oggetto: era persino quasi più grande della mia mano e faticavo a tenerlo.
"Vuole utilizzare la stessa SIM o cambia numero?"
"Perdoni, la stessa SIM? Che significa? Scusi, non sono pratica con queste cose".
Mi spiegò che, in ogni telefonino, si trovava una piccola scheda con il numero e che questa poteva essere trasportata da un dispositivo ad un altro.
"Allora no, avrei bisogno di una nuova".
Inserì quel piccolo pezzo di plastica e mi porse un foglietto con una serie di cifre.
"Oltre al suo contatto, c'è anche il pin che deve inserire ogni volta che lo accende. Tutto chiaro?"
Annuii e salutai, felice di quello strano aggeggio che ero riuscita a comprare dopo una settimana di lavoro al Mclean's House.
Ricevevo più denaro di quello che mi aspettassi e mi divertivo a servire i clienti.
Tuttavia non avevo ancora avuto modo di assistere ad uno spettacolo, poiché in quei sette giorni di prova avevo lavorato solo durante le ore diurne.
 
***
"Non mi dire che hai speso tutto lo stipendio di una settimana per questo coso?"
Tuonò Heather quando mi vide.
"No, lo pago a rate".
Ero appena scesa sulla terra, ma di certo non ero stupida.
"Meno male. Stasera sarà il tuo primo turno di notte...ti senti psicologicamente pronta?"
Annuii e mi sedetti sul divano.
"Penso di sì".
"Perfetto...però non venire così sciatta, ti serve qualcosa di più provocante".
La vidi rovistare fra il suo guardaroba, poi ne tirò fuori una gonna nera e decisamente corta, una magliettina a mezze maniche e con uno scollo vertiginoso del medesimo colore.
"Ma tanto dovrò indossare il grembiule, non si vedrà nemmeno..."
"Stai tranquilla, si noterà eccome".
Mi diressi verso il bagno, dove indossai gli indumenti e misi un po' mascara accompagnato da un acceso rossetto amaranto, in quel lasso di tempo avevo persino imparato a maneggiare qualche cosmetico.
Mi raccolsi i capelli in una coda di cavallo, poi Heather mi accompagnò verso la sua auto per dirigerci verso il bar.
Impiegammo poco tempo per arrivare e sentivo l'adrenalina scorrere per le vene.
Il locale brulicava di uomini di tutte le età, ma ogni tanto si scorgeva anche qualche donna.
L'aria era tutto uno scoppiare di ormoni, urla e quell'olezzo di sigaretta non cessava nemmeno per sbaglio.
In realtà lo detestavo, ma avevo imparato a conviverci e dovevo farlo se non volevo essere cacciata.
Io e un'altra ragazza di nome Zoey eravamo incaricate di servire da bere ed eseguivamo il nostro lavoro egregiamente, mentre quei matti strillavano non appena le ballerine salivano sul palco.
Zoey era una ragazza molto timida ed impacciata, ma la adoravo proprio per questo e riuscimmo quasi subito a socializzare.
Indossai il grembiule, poi presi la mia penna e il taccuino per chiedere ai clienti che cosa volessero ordinare.
Le tende si spalancarono e ne uscì Heather, vestita (o meglio svestita) con calze a rete bordeaux, un corpetto nero e tacchi vertiginosi.
Il trucco sugli occhi era pesante, tipico da palcoscenico e anche le giovani al suo fianco erano altrettanto provocanti.
"Siete carichi?"
Domandò la ragazza, suscitando urla compiaciute.
"Bene, tenetevi pronti perché vi faremo sudare come non mai".
La ragazza cominciò a cantare un motivetto che mi sembrava di aver già udito, ma non rammentavo il nome della cantante.
«Gitchi gitchi ya ya da da (hey hey hey)
Gitchi gitchi ya ya hee (hee oh)
Mocca chocolata ya ya (ooh yeah)
Creole Lady Marmalade (ohh)»
Sorpresi qualche cinquantenne intento a compiere atti osceni, così compresi che cosa intendeva Sierra quando disse che mi sarei spaventata.
Heather e Courtney erano coloro che dirigevano la coreografia, le altre seguivano semplicemente i passi.
Nonostante non fosse la ballerina principale, una giovane bionda e dagli occhi verdi non passava inosservata e riceveva commenti azzardati da parte degli uomini.
Era la classica bellezza californiana, con la tipica abbronzatura del luogo e una figura alte e slanciata.
Dal canto mio preferivo Heather rispetto alle altre, in quanto più particolare e con una lunga e lucente chioma corvina.
Possedeva labbra a dir poco perfette, così carnose che avrebbero stimolato sogni perversi anche nel più pudico dei maschi e il tutto completato da un corpo mozzafiato.
Riusciva a non rendere volgare nemmeno quella coreografia sensuale, cosa che non accadeva con la tizia di colore e con quell'altra con i fianchi larghi e i capelli tenuti saldi da un profondo strato di lacca.
Courtney mi rimaneva totalmente indifferente, non riuscivo ad esprimere un giudizio su di lei...forse la trovavo addirittura insipida.
«Si chiama gelosia, ma è strano per un angelo...di solito è un sentimento tipico degli umani».
Scossi il capo e ritornai al lavoro, per poco non feci cadere il vassoio quando capii a chi mi trovavo davanti.
"Trent?"
Il ragazzo si girò nella mia direzione e sorrise, mentre reggeva la sigaretta con la mano sinistra.
"Non pensavo che frequentassi questo posto".
Constatai alquanto stupita.
"Vengo occasionalmente, sopratutto per lei".
Indicò Courtney, che gli strizzò l'occhio.
"Ah, capisco".
Provai di nuovo quella sensazione all'altezza del petto.
"Non sapevo che lavorassi qui! Beh allora vorrà dire che verrò più spesso".
Accennai un sorriso e proseguii verso un altro tavolo.
"Ehi, non ti ho ancora detto che cosa voglio!"
Mi voltai di scatto e tentai di celare le gote rosse.
"Scusami, sono un po' frastornata. Che cosa vuoi?"
"Una Tequila, per favore".
Corsi immediatamente verso il bancone e poi ritornai con il bicchiere pieno.
Nonostante fosse un tipo amante della cultura, ogni tanto si lasciava incantare dai piaceri proibiti.
Le ore passarono e i miei occhi divenivano sempre più stanchi, mentre faticavo a reggermi in piedi.
"Sei stanca?"
Mi chiese ancora quella voce, mentre, stando appoggiata al bancone, il sonno cominciava a prendere il sopravvento.
"Un pochino".
"Allora dico alle ragazze di chiudere, non puoi restare qui in queste condizioni".
Prima che potessi fermarlo, corse verso il palco e fece cenno a Courtney di fermarsi.
"Per stasera è tutto, ma tenetevi pronti perché domani saremo ancora più attraenti".
Tutte e cinque mimarono il verso di un gatto, poi scomparvero dietro le quinte.
Tirai un sospiro di sollievo: non avrei retto un'altra ora in quel modo.
Lui e quella ragazza, probabilmente di origini ispaniche, si diressero verso l'uscita e se ne andarono.
Okay, detto molto sinceramente ero davvero gelosa, ma ammetterlo mi costava una fatica immane.

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Capitolo 8
*** Brand new me ***


"Allora, che come ti è sembrato il Mclean's House?"
Mi domandò Heather, intenta a svolgere le parole crociate, mentre Sierra la fulminò con lo sguardo.
"Mh...beh, non male".
La mora sorrise compiaciuta, mentre l'altra scosse il capo in segno di disapprovazione.
"Ne sono felice".
Eravamo tutte e tre sedute in soggiorno, quella domenica mattina.
Io a dire il vero pensavo ancora a Trent, tanto per cambiare e non riuscivo a non sorridere.
Ad essere sincera, mi stupì un po' vederlo in quel locale pieno di tizi dagli ormoni in subbuglio, ma d'altronde era lì per Courtney.
Ah, Courtney...continuavo a chiedermi se fossero solo amici o se ci fosse un legame più profondo tra i due.
"Heather?"
Si voltò verso la mia direzione con aria indifferente.
"Sì?"
"Tu...conosci per caso quel tizio che esce con Courtney?"
Alzò un sopracciglio, poi rifletté.
"Intendi Trent? Lo conosco di vista, come mai me lo chiedi?"
Arrossii e mi portai una mano dietro la testa.
"No, così per sapere. Ma stanno insieme?"
La ragazza sorrise sorniona prima di rispondere.
"Tranquilla, se vuoi uscire con lui, sappi che Courtney è solo un'amica...si sono conosciuti un mese fa, anche se non mi è chiaro come".
Tirai un sospiro di sollievo dopo quella dichiarazione e le mie labbra si incurvarono, senza che me ne rendessi conto, in un sorriso.
Sierra corse ad abbracciarmi, facendomi sentire imbarazzata come non mai, poiché in generale non ero mai stata propensa a quelle manifestazioni di affetto.
"Oh, la nostra piccola Gwen si è innamorata!"
"Non sono innamorata, penso solo che sia carino!"
Heather rise e si alzò in piedi, per poi prendere una sigaretta dal suo pacchetto e offrirmene una, che rifiutai.
"Non fumi?"
Scossi il capo.
"Non ho mai provato".
La giovane alzò gli occhi al cielo.
"Vorrà dire che questa sarà la tua prima volta".
Accettai e ne afferrai una, poi mi porse un accendino.
"Non male, ha un sapore di...menta?"
Azzardai, nominando il primo che mi venne in mente, dato che ancora non ero riuscita ad assaggiare molti alimenti.
"Sì, sono aromatizzate. Per quello che riguarda Trent, potrei combinarvi un appuntamento".
"Sul serio?"
Annuì e si portò la sigaretta alle labbra, per poi farne uscire una profonda coltre di fumo.
"Certo, ho arti nascoste di cui tu non sei al corrente. Però prima dovresti curare il tuo aspetto, prova ad azzardare un po' di più".
Aggrottai la fronte, non del tutto sicura di ciò che stesse dicendo.
"In che senso?"
Alzò gli occhi al cielo.
"Nel senso, che avresti bisogno di un giretto dalla parrucchiera e poi ti aiuterò a rifarti il guardaroba...quei pantaloni larghi e quelle t-shirt sono inguardabili".
Sierra roteò gli occhi e mi sussurrò qualcosa all'orecchio.
"Non ascoltarla, devi piacergli per quella che sei".
Heather rise di gusto, poi disintegrò la sigaretta sul posacenere.
"Certo, ma anche migliorare un tantino il proprio aspetto non guasta...non è così?"
Mi domandò ed io annuii.
Mi prese sottobraccio e mi portò fino in cucina, dove mi porse un biglietto da visita con un numero di telefono.
"Questa è la mia parrucchiera di fiducia, un solo giro da lei e ne uscirai somigliante ad una dea. Allora, ci stai?"
Esaminai un attimo quel pezzo di carta, sul quale erano raffigurate un paio di forbici, un pettine e un asciugacapelli vermiglio.
"Accetto".
 
***
"Buongiorno signorina, in che cosa posso esserle utile?"
Mi domandò una signora bionda, circa sulla trentina.
"Sei tu Blaineley? Ho prenotato ieri un appuntamento per oggi".
La donna sorrise e mi fece cenno di sedermi su una delle poltroncine rosa, poi si posizionò dietro di me davanti allo specchio.
"Certo, in persona. Chiunque si sia presentato al mio cospetto, ne è uscito totalmente cambiato...in meglio, si intende".
Affondò una sua mano curata nella mia chioma castana, poi percepii un forte dolore al cuoio capelluto, che mi costrinse ad emettere un piccolo urlo.
"Cara, ma quanti nodi! Prima di tutto, accomodati lì e poi penserò a districare questi capelli con un po' di balsamo".
Eseguii il suo ordine, poi aprì il rubinetto e ne fuoriuscì acqua calda e gradevole, che mi fece dimenticare tutti i miei pensieri.
"Quanti anni hai?"
"Diciannove".
"Ah, bella età la tua! Hai qualche richiesta particolare?"
Inizialmente avrei risposto di no, ma poi mi venne in mente il suggerimento di Heather.
Io stessa, a dire il vero, avevo bisogno di un cambiamento radicale che non mi ricordasse il regno dei cieli.
"Sì, quello". 
Indicai una giovane, forse una modella, raffigurata su un manifesto e che sfoggiava un'azzardata chioma verde.
Blaineley annuì, poi tirò fuori un barattolo di tinta da una scatolina di cartone e si mise all'opera.
Il seguito fu interminabile, fra asciugate e pettinate, ma quando vidi il risultato ne rimasi estasiata.
Mi sentivo nuova, diversa e mi piaceva quell'aspetto alternativo della mia personalità.
Pagai il conto e prima che me ne andassi, la donna mi lasciò qualche campioncino di profumo in omaggio.
"Sai, con questa capigliatura ricordi una di quelle...come si chiamano? Ah, sì, gotiche! Hanno uno stile un tantino bizzarro, ma ti vedrei bene come loro".
Sorrisi, nonostante non avessi la minima idea di ciò che mi stesse dicendo.
«dovrei documentarmi, forse scoprirei un lato di me di cui sono all'oscuro».
Pensai, poi le lasciai le banconote sul bancone e me ne andai.

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Capitolo 9
*** First date ***


"Non era esattamente questo che intendevo con 'cambio di stile', ma meglio che nulla".
Affermò Heather, mentre esaminava il nuovo guardaroba che ero riuscita ad ottenere grazie allo stipendio.
Lavorare in quel posto aveva i suoi frutti e inoltre lei, essendo più vicina a Chris delle altre, riusciva sempre a farmi avere qualche aumento.
Quando mi videro per la prima volta con la nuova tinta, Sierra approvò a pieno perché almeno non sarebbe stata l'unica con un colore insolito di capelli, mentre Heather impiegò un po' a digerirlo.
Quest'ultima afferrò uno dei miei nuovi capi d'abbigliamento: una gonna nera abbinata alla calzamaglia del medesimo colore.
Ne tirò fuori altri dalla busta: corpetti, scarpe da ginnastica con borchie, anfibi, t-shirt con disegni macabri e nomi di band, che non conoscevo ma mi parve avessero uno stile molto cupo.
Avevo seguito il consiglio di Blaineley e mi ero documentata sui gotici, scoprendo che questo stile risaliva agli anni ottanta e in parte era ispirato all'epoca vittoriana.
Anche per quello che riguardava il trucco, avevo fatto dei nuovi acquisti: uno spesso strato di eye-liner nero, mascara a volontà e rossetti scuri erano divenuti la mia nuova religione.
Confesso, che all'inizio non fui del tutto convinta, in quanto avendo vissuto per secoli in un luogo di purezza e candore come il paradiso, quegli oggetti erano così scuri e tetri da ricordare gli inferi.
Mai misi piede nel regno di Lucifero, ma me lo avevano sempre descritto come profondo, buio e caratterizzato da un olezzo di zolfo.
Heather era una specie di personificazione di una creatura demoniaca, maliziosa e spietata.
"Sono felice di annunciarti che ci sono novità per te, poiché ne ho discusso con Courtney e siamo riusciti a combinarvi un appuntamento".
Le gettai le braccia al collo e ricambiò la stretta, ma sempre con un tantino di riluttanza.
"Grazie, Heather!"
"Figurati. Vi incontrerete dopodomani alle quattro del pomeriggio e davanti alla biblioteca, mi è stato detto che entrambi siete assidui lettori".
Annuii, soddisfatta di aver ottenuto ciò che desideravo.
Corsi verso la mia camera, dove decisi accuratamente che cosa indossare per l'occasione.
Rovistai a lungo fra tutte le cianfrusaglie, finché non trovai ciò che faceva al caso mio: un corpetto nero con maniche a tre quarti verdognole, la stessa gonna presa in mano da Heather abbinata alla calzamaglia e stivali alti fino al ginocchio.
Aggiunsi un tocco di classe, con una passata di rossetto verde, della medesima tonalità dei capelli.
Prima feci una prova, indossando tutti i capi per verificare che mi stessero bene.
Mi osservai allo specchio, incantata e stupita da quella nuova immagine di me, totalmente diversa a quello che ero sempre stata.
Tuttavia mi piaceva, mi sentivo a mio agio e questo era l'importante.
Uscii dalla stanza e ritornai dalle mie due coinquiline, per avere anche un parere da parte loro.
Sierra rimase a bocca aperta, una classica ragazza della porta accanto come lei non vedeva di buon occhio una moda così fuori dalle righe.
Heather, dal canto suo, annuì solamente, senza dimostrarsi particolarmente compiaciuta o contrariata.
"Conosco un ragazzo che andrebbe d'accordo con te".
Affermò.
"Non m'importa di lui, a me interessa solo Trent".
Ammisi con aria sognante.
"Oh ma tanto è off limits, è di Courtney".
Notai un'improvvisa malizia negli occhi della giovane dai capelli viola, che mi fece aggrottare la fronte.
"Parlando di ragazzi, Heather, come va con lui?"
Marcò particolarmente quest'ultima parola, mentre le guance della ragazza in questione assumevano una sfumatura di rosso che mai le avevo visto prima.
"Come vuoi che vada?a me non interessa Alejandro, te l'avrò detto un migliaio di volte".
Sierra rise e sospirò.
"Faremo finta di crederci".
Quella nuova confessione mi fece vedere Heather sotto una luce diversa, in quanto anche lei in fondo possedeva un lato umano.
 
***
 
Ero arrivata con ben venti minuti di anticipo al luogo d'incontro, tutto a causa dell'ansia.
Ebbene sì, conobbi anche quel sentimento che più spaventava i terreni.
Continuavo a dare occhiate all'orologio, poi mi guardavo intorno e ritornavo all'orario; il tempo sembrava non passare mai e ogni minuto diveniva un'agonia.
Toronto era un'esplosione di gente da tutto il mondo, di studenti che scappavano verso la scuola, in un'incessante corsa contro il tempo e di turisti.
Ormai mi ero completamente omologata al genere umano, sentendomi veramente parte di esso ed era a malapena passato un mese.
«forse è questa la mia vera natura».
Pensai, mentre mi venne in mente il regno, del quale non percepivo minimamente la mancanza.
Le mie riflessioni furono interrotte da quella figura familiare, che mi si parò davanti e mi salutò con un cenno della mano.
"Ciao, Trent".
Fu l'unica cosa che riuscii a rispondere, mentre quello strano organo denominato cuore tamburellava nel petto.
"Nuovo look?ti dona, ho sempre pensato avessi un'anima un po' misteriosa".
Gioii a quel complimento.
«sapessi quali misteri ti nascondo, caro il mio Trent».
"Ti ringrazio. Dove...dove hai intenzione di andare?"
Sembrò pensarci sù un attimo, poi mi prese per mano e mi trascinò verso chissà dove.
"Voglio che sia una sorpresa. Non ti aspettare che sia una sottospecie di paradiso, ma più o meno lo ricorda".
Se solo avesse visto il paradiso almeno un volta, avrebbe saputo che in realtà non era così meraviglioso come credeva.
In quel preciso istante mi dimenticai di tutto e di tutti, mi importava solo di lui.
Camminammo per un bel po', fino a raggiungere un parco giochi, in cui non vi era anima viva.
Gli scivoli e le altalene erano pulitissimi e tenuti così bene, che sembrava nessuno li avesse mai utilizzati.
La natura era rigogliosa, con cespugli di rose, alti peschi e il prato all'inglese perfettamente curato.
"È magnifico".
Sussurrai, mentre sul suo volto comparve un sorriso compiaciuto.
"Puoi dirlo forte. Dai, andiamo a sederci su quella panchina".
Ci accomodammo uno di fronte all'altro e con le gambe incrociate, poi estrapolò un pacchetto di sigarette dalla tasca e me ne porse una, che accettai.
"Sai, c'è qualcosa di diverso in te rispetto alle altre ragazze...forse il carattere, loro sono molto più maliziose, tu invece sei riservata e taciturna".
"È un complimento o un insulto?"
Domandai inarcando un sopracciglio.
"Un complimento! Da quanto tempo vivi a Toronto?raccontami qualcosa sulla  tua vita".
In quel momento andai nel panico, pensai a tutte le scuse possibili e immaginabili, poi me ne venne in mente una plausibile.
"Sono qui da un mese, ma non ricordo nulla della mia infanzia o del periodo seguente, sbattei la testa un anno fa e persi la memoria. Rammento solo il momento in cui i miei genitori mi cacciarono di casa".
Vidi il suo sguardo accigliarsi, come se comprendesse la mia sofferenza...ovviamente si fa per dire, la mia storia era totalmente inventata.
"Mi dispiace...io ho abitato per moltissimi anni a Ottawa, mi sono trasferito qui un mese fa per lavoro".
Il seguito fu molto piacevole: parlammo di musica, cantanti e colori preferiti, quando domandò quale fosse il mio risposi blu notte.
Era una tonalità misteriosa, che mi ricordava i cieli stellati notturni.
Il suo invece, ironia della sorte, era proprio il verde.
"Film preferito?"
Mi chiese mentre eravamo sdraiati sull'erba fresca.
"Harry ti presento Sally".
Uno dei pochi che ero riuscita a vedere, insieme a Titanic e Mean girls.
"Ne ho sentito parlare. Il mio è Rambo".
Mi rivelò di saper suonare la chitarra e che spesso teneva qualche piccolo concerto nei locali.
"Ma almeno ti pagano?"
Scosse il capo e si girò nella mia direzione.
"No, però lo faccio con piacere".
Nonostante fosse un tipo davvero calmo e profondo, c'era una scintilla nei suoi occhi, la quale mi spingeva a pensare che mi nascondesse qualche segreto.
Fu in quell'istante che mi accorsi della vicinanza fra i nostri corpi, che diminuiva ogni secondo.
I nostri nasi arrivarono a sfiorarsi, le sue iridi verdi così vicine da potermici specchiare.
Le sue labbra cercarono le mie, per poi incontrarsi ed entrare a contatto, mentre le nostre lingue si fusero in una cosa sola.
Non avevo mai fatto nulla di simile e mi piaceva, il suo ossigeno era il mio e non ne avevo mai abbastanza.
Le sue mani percorrevano freneticamente la mia schiena, mentre le mie gli scompigliavano i capelli morbidi.
Quando ci staccammo sorridemmo e scoppiammo in una grassa risata, senza un motivo preciso.
Percepii una piccola goccia sul mento, poi sulla guancia e in un occhio.
A breve, la pioggia cominciò a scrosciare, inzuppandoci completamente.
Egli intrecciò le sue dita con le mie, poi iniziammo a correre verso casa mia, senza smettere di ridere.
Quando fummo sotto il mio palazzo, ci fissammo intensamente, poi gli stampai un piccolo bacio a fior di labbra.
"A presto".
"A presto, Gwen".
Aprii il portone e me lo richiusi alle spalle, poi cacciai un urlo di gioia, sperando che nessuno se ne fosse accorto.

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Capitolo 10
*** The ugly truth ***


"Oh mio Dio, non crederete mai a quello che vi sto per dire!"
Strillai dopo aver spalancato la porta.
"Fammi indovinare, avete fatto una passeggiata romantica e poi vi siete baciati".
Affermò Heather con convinzione.
"Come fai a saperlo?"
La ragazza si strinse nelle spalle e si sedette sul divano.
"Un classico".
Sierra corse ad abbracciarmi e mi pregò di raccontarle tutto nei minimi particolari e così feci.
Le narrai del parco, delle nostre chiacchierate su artisti musicali e film, della corsa sotto la pioggia e di quel bellissimo e intenso bacio.
Mi ero sentita come catapultata fra le nuvole, una scossa aveva percorso tutto il mio corpo rendendomi impotente.
"Comprendo bene questo sentimento, anche a me l'anno scorso piaceva un ragazzo..."
Heather alzò gli occhi al cielo e trattenne una risata.
"Già, ma lui è scomparso...chissà perché".
Sierra incrociò le braccia al petto e la guardò male.
"Che cosa vorresti insinuare?"
"Nulla, solo che eri davvero troppo appiccicosa con lui e i tuoi modi da psicopatica lo hanno allontanato".
Intuii che una lite stesse per scoppiare, così mi misi in mezzo alle due per separarle.
"Non vi scaldate, non litigate!"
Le due si contemplarono per qualche secondo, poi si chiesero scusa a vicenda.
Forse la mia natura angelica doveva essere ancora viva, perché ogni tanto riuscivo a far compiere la scelta giusta agli umani, proprio come un angelo custode.
In quel preciso istante ripensai a Bridgette, lei era l'unica di cui sentissi veramente la mancanza, la sola a comprendere, in parte, la mia sofferenza.
Tutti gli altri fingevano di provare compassione, ma sapevo benissimo che non fosse così.
 
***
Camminavo da sola per le vie di Toronto, intenta a compiere la solita passeggiata mattutina, quando percepii una presenza alle mie spalle.
All'inizio non me ne curai e proseguii per la mia strada, con le cuffie nelle orecchie e un ritmo assordante che a chiunque avrebbe perforato i timpani, ma non a me.
Improvvisamente questa forza si fece sempre più consistente, finché una sagoma familiare non mi comparve davanti.
"Ciao, Gwen".
Sussurrò la bionda, con un sorriso stampato in volto.
"Bridgette! Come stai?"
Le domandai, visibilmente felice di incontrarla dopo tanto tempo.
Un'anziana signora mi squadrò da capo a piedi, come se avessi la lebbra.
"Loro non mi vedono, solo tu ci riesci".
"Perché?ora sono anch'io una terrena".
Finsi di parlare al telefono con le cuffie in modo tale da non essere vista come una matta.
"Perché comunque hai origine sempiterna e questo ti permette di vedere gli angeli.
Allora, che cosa mi racconti?"
Alzai gli occhi al cielo.
"Non dirmi che non mi hai osservata da lassù!"
La ragazza sorrise e si strinse nelle spalle.
"Certo, ma volevo che fossi tu a parlarmene".
Le accennai il mio nuovo lavoro, la convivenza con Heather e Sierra e quelle assurde ballerine che riscuotevano tutto quel successo.
Poi le raccontai del mio cambio di stile e del mio amore per il gotico, che mi rendeva più somigliante ad un demone che ad una creatura paradisiaca.
"Amore per il gotico?solo per quello?"
Sorrisi e arrossii, poi le narrai anche del mio primo incontro con Trent, del nostro appuntamento e dell'attesissimo bacio.
"Ah, allora è così che si chiama! Eppure questo nome non mi suona nuovo, devo averlo udito da qualche altra parte".
Affermò grattandosi il mento.
Mi strinsi nelle spalle, poiché non capivo a che cosa si riferisse.
"Attenta Gwen, ricordati che il tempo continua a passare".
Sospirai e diedi uno sguardo al polso: il tatuaggio era un tantino più evidente, poiché erano passati quaranta giorni sulla terra.
Le settimane erano trascorse così velocemente, che sembrava fossi lì da appena sette giorni.
"Non esiste un modo per rimanere qui come umana per tutta la vita?"
Domandai con tono sofferente.
"Temo proprio di no".
"Temi?nel senso che forse è possibile e tu non lo sai?"
"Non ne ho idea, Gwen...se esistesse sarebbe di sicuro pericoloso, altrimenti chiunque ne avrebbe fatto uso".
Mi mancò la parola per un po'.
"Ora devo andare, c'è un'anima che ha bisogno di me".
La salutai con un cenno del capo, poi scomparve nel nulla.
Il mio cuore era improvvisamente diventato più pesante, come se al suo posto ci fosse un macigno.
Cominciai a correre e alzai il volume, per evitare che i miei pensieri ingombrassero la testa.
I miei occhi pizzicarono, poi una piccola goccia mi rigò il volto: la mia prima lacrima.
Avrei dovuto dire a Trent la verità, ma decisi di aspettare il penultimo mese di soggiorno sulla terra, così i segni sarebbero stati più evidenti ma al contempo avremmo avuto più tempo per metabolizzare l'addio.
 
SPAZIO AUTRICE
Ciao a tutti, come state?
Sì, so che questo capitolo è un po' corto, ma è solamente di passaggio e serve per aumentare la curiosità ;).
Spero che vi piaccia, ci vediamo dopodomani con il capitolo 11!

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Capitolo 11
*** Pure love ***


Sdraiati sul prato di quel parco, ormai diventato il nostro nascondiglio segreto, dove potevamo scambiarci effusioni senza dare nell'occhio.
Le nuvole si spostavano come grandi dirigibili nel cielo, mentre il sole illuminava i nostri visi e li riscaldava con il suo tepore.
Mi trovavo avvinghiata al suo petto, con l'erba fresca che faceva il solletico a contatto con la mia pelle esangue.
Contemplai quei lineamenti dolci, gli stessi che mi fecero battere forte il cuore la prima volta che lo vidi.
Gli passai una mano fra i capelli corvini, mentre le sue labbra mi schioccavano un lieve bacio sulla guancia.
"Che cosa siamo noi due?"
Gli domandai incontrando il suo sguardo.
"Non lo so nemmeno io. L'unica cosa di cui sono certo è che, nonostante ti conosca da poco, sento un forte legame fra di noi".
Il cuore mi tamburellò forte nel petto, mentre le mie mani diventarono come di pasta frolla.
"Anch'io provo la stessa cosa".
Mormorai, facendolo sorridere.
"Sai, ci siamo incontrati la prima volta solo due mesi fa, eppure mi sembra di conoscerti da una vita".
"Sul serio?ad essere sincera anch'io a volte ho questa sensazione".
Sospirò.
"Nessuno mi hai mai fatto sentire così".
"Io...credo di amarti".
Poi accadde di nuovo, le sue labbra sulle mie, la sua lingua intrecciata con la mia e i nostri respiri a stretto contatto.
I battiti cardiaci sempre più frequenti, le sue mani morbide che si infilavano lentamente sotto la mia maglietta.
I polpastrelli freddi sul mio corpo caldo mi provocarono un brivido, che salì dal basso ventre fino al collo.
Le dita si abbassarono verso la cintura dei miei jeans, poi tentarono di slacciarla e sfilarla, ma le bloccai.
"Non qui...non adesso".
Biascicai.
"Non ti senti pronta?"
Deglutii.
"È che non ho esperienza e sì, non mi sento ancora pronta. Ti chiederei di attendere per almeno un mese...in fondo ci conosciamo da poco. Poi ricorda che siamo in un luogo pubblico, qualcuno potrebbe vederci".
Annuì e accennò un piccolo sorriso, ma intuii che si sentisse un tantino offeso dalla mia reazione.
Era in momenti come questi che la mia natura angelica si faceva sentire, rammentandomi la mia purezza e la castità.
Contemplai per un attimo il mio polso: fra i numerosi bracciali si intravedeva quel marchio, ancora un po' più evidente.
"Vieni, ti accompagno a casa".
Mi prese per mano e mi aiutò ad alzarmi, poi ci dirigemmo verso l'uscita del parco in religioso silenzio.
Passeggiammo per una decina di minuti, finché non giungemmo davanti al palazzo, ormai diventato la mia dimora.
Mi scompigliò i capelli, poi scoppiai a ridere e gli gettai le braccia al collo.
"Ti amo, ricordatelo".
"Anch'io".
Gli feci un cenno di saluto con la mano, poi aprii il portone e me lo richiusi alle spalle, con una profonda gioia interiore mischiata ad un pizzico di preoccupazione.
Il mio sesto senso si era rifatto vivo e non prometteva nulla di buono.
 
***
 
Il semplice fatto che la finestra fosse aperta non mi convinceva, in teoria sia Heather che Sierra avrebbero dovuto essere fuori casa e quando uscivano le chiudevano sempre tutte.
Mi affrettai verso l'ascensore, poi una volta giunta al sesto piano, tirai fuori le chiavi dalla tasca e aprii la porta.
Mi mancò il respiro, quando vidi le due ragazze in lacrime sul divano, intrecciate in un abbraccio.
"Ma che cos'è successo?"
Domandai allarmata, poi quando mi videro si asciugarono le lacrime e mi vennero incontro.
"Sono entrati dei ladri...i nostri vicini hanno chiamato la polizia e poi siamo state avvisate, così siamo tornate immediatamente a casa".
Affermò Sierra.
"Hanno rubato i miei gioielli, il computer e la televisione...ma ciò che è peggio, è che si sono presi tutti i nostri soldi del salvadanaio, quelli per l'affitto!"
Aggiunse Heather.
Quelle parole mi colpirono come un pugno nello stomaco, quella sarebbe stata l'ultima cosa che mi sarei aspettata.
"Ma perché non mi avete telefonata subito?"
"Perché non volevamo disturbarti".
Scossi il capo, poi mi guardai intorno: nonostante tutto, l'appartamento era comunque ordinato.
"Spero che lo rintraccino, quel farabutto non la passerà liscia".
Dichiarai, detestavo i furti e gli imbroglioni, ma ciò che era peggio, era il fatto che non avessimo più un soldo bucato.
"Ieri sono andata a prelevare lo stipendio e l'affitto incombe...lo pagherò di tasca mia, non importa".
Le due rimasero a bocca aperta.
"Ma...ne sei sicura?è una somma altissima, non ti rimarrebbe nulla!"
Mi strinsi nelle spalle e le presi per mano.
"Non importa, a me non servono. Per voi questo e altro, ormai siete mie amiche e le amiche si aiutano".
Mi strinsero in un caloroso abbraccio, poi Sierra mi stampò un sonoro bacio sulla guancia.
"Sei un tesoro Gwen, sei davvero un angelo!"
Esclamò.
Già, un angelo...uno stramaledettissimo angelo, che entro cinque mesi avrebbe dovuto abbandonare la terra.
Avrei dovuto lasciare Trent, le mie amiche, il McLean's House...che ne sarebbe stato di me?delle mie passioni?del mio lavoro?
Il pensiero di ritornare in quel luogo di purezza mi provocava la nausea, avrei preferito prostituirmi piuttosto che finire così.
Un momento...avevo davvero pensato una cosa del genere? Ma che mi stava succedendo? Sembrava quasi...il pensiero di un demone.
Effettivamente qualcosa in me era mutato, non potevo negarlo; il solo fatto che rinnegassi le mie origini ne era una prova.
Fumavo e lavoravo in un locale che non era il massimo della castità, eppure mi piaceva.
Io volevo essere come le ballerine, volevo essere maliziosa e provocante come Heather, io provavo una sorta di adorazione per lei.
Che cosa mi avrebbero detto una volta tornata nel regno? Avrebbero avuto la stessa opinione su di me?
Per la prima volta ci pensai davvero e una strana inquietudine mi percorse gli arti, facendomi sentire il cuore pesante.
"Che cosa c'è? Ti vedo pensierosa, sei preoccupata per l'affitto?"
Mi domandò Sierra.
"No, non è per quello. È qualcosa di molto più grande di me, ma per ora preferirei non parlarvene".
Le due si guardarono perplesse.
"Va bene, se questa è la tua scelta la rispettiamo".
Disse Heather.
Sorrisi, poi girai i tacchi e mi diressi verso la camera.
Mi sdraiai sul letto e tolsi il cuscino, poi afferrai il mio diario: avevo iniziato a scrivere dalla terza settimana di permanenza a Toronto.
«caro diario,
Ma chi sono veramente? Ho sempre creduto di essere un angelo a tutti gli effetti, ma ultimamente mi sto ricredendo.
Trasgredire è il mio unico obiettivo e non riesco a farne a meno, un po' come una droga.
Trent è sempre stupendo, mi fa sentire bene e mi ama, questo è l'importante.
Ogni tanto c'è qualcosa di strano nel suo sguardo, a volte sembra persino pervaso dalle fiamme.
Forse sono io a farmi troppe paranoie, sono sempre stata una ragazza paranoica.
Ogni tanto arrivo addirittura a domandarmi: "e se fossi in realtà un diavolo? Se tutto quello che credevo fosse un'illusione?"
Questo spiegherebbe molte cose e sarebbe una prova della mia attrazione fatale per il proibito.
Ora comprendo, non è degli umani che sono innamorata, ma di ciò che va contro le regole e spesso i terreni le trasgrediscono.
Io sono diversa, ne sono sicura...non voglio andare a casa, io voglio stare qui».
Una lacrima calda mi rigò il volto, avrei tanto voluto prendere qualche oggetto e scagliarlo con tutta la mia forza.
Osservai ancora quel tatuaggio, quell'orribile ala che segnava l'inesorabile scorrere del tempo, quasi come una clessidra.

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Capitolo 12
*** Secrets ***


Mi toccò pagare l'affitto, ma non fu un problema poiché lo feci con piacere.
Mi erano avanzati solo settanta dollari, ma in qualche modo ce lo facemmo bastare per la spesa.
In quel preciso istante ero seduta sul letto, mentre Heather si stava imbellettando per uscire.
"Si può sapere dove stai andando?"
Le domandò Sierra.
"Non sono affari tuoi, ne abbiamo già parlato".
Replicò Heather con fare scocciato, mentre era intenta a passarsi un'ulteriore strato di mascara.
Indossava una gonna decisamente corta e rosa, abbinata ad un top nero di pizzo e ad una giacca di pelle.
Ai piedi portava tacchi vertiginosi, la sua chioma corvina era stata fermata in una coda di cavallo ed era truccata come non mai.
Quando mi passò accanto per prendere la borsa, una scia di profumo di lavanda mi trapassò le narici.
"Vai ad un appuntamento?"
Le chiese di nuovo.
"Quale parte di 'fatti gli affari tuoi' non capisci? Non ne voglio parlare".
Afferrò la pochette e ci fece un cenno di saluto con la mano, poi si chiuse la porta alle spalle prima che potessimo aggiungere qualcosa.
"Chi la capirà mai quella ragazza".
Bofonchiò.
Credevo di aver intuito dove stesse andando, ma di certo non si trattava di un appuntamento.
 
***
 
"Heather quasi ogni sera esce vestita di tutto punto e truccata".
Affermai, mentre mi trovavo a faccia a faccia con Trent nel caffè vicino a casa mia.
Egli inarcò un sopracciglio, poi prese un sorso del suo cappuccino.
"E allora?"
Domandò.
"Sierra crede che si veda di nascosto con Alejandro, mentre io penso che ci sia qualcosa di più grande sotto".
"In che senso?"
Sospirai, poi mi avvicinai per sussurrare, per evitare di essere sentita.
"Credo che si prostituisca".
Gli andò di traverso la bevanda, così gli diedi qualche colpo sulla schiena e si riprese.
"Non credi di essere un tantino esagerata?"
Scossi il capo.
"Eravamo rimaste a corto di denaro e spesso lei ritorna con una bella mazzetta di soldi,  dubito siano solo quelli del suo stipendio".
Lo vidi un attimo pensieroso, poi annuì.
"Potresti avere ragione, d'altronde da lei ci si può aspettare di tutto".
Mi prese le mani e mi costrinse così a guardarlo negli occhi, così profondi da potermici perdere dentro.
"Ora basta parlare di lei".
Corrugai la fronte e sorrisi.
"Di che cosa vuoi parlare, allora?"
"Di noi".
Risi poi mi avvicinai al suo viso, restando naso contro naso.
"E che cosa ci sarebbe da dire su di noi?"
Alzò le spalle.
"Voglio che tu sia la mia ragazza".
"Beh, ma non mi sembra una novità...lo avevo dato per scontato".
Alzò gli occhi al cielo.
"Stavo solo cercando di essere romantico...e poi non era ancora sicuro, mentre ora è certo.
Poi, questo bar ha un'atmosfera così romantica e molto in stile parigino".
Gli stampai un bacio a fior di labbra, poi restammo così con le fronti che si sfioravano per qualche minuto.
"Insieme per sempre?"
Mi chiese, provocandomi una strana malinconia nel cuore.
"Per sempre".
Avrei tanto voluto dirgli che non fosse possibile, ma ancora non era il momento giusto per farlo.
Il tatuaggio era ancora un tantino più evidente, in quanto mi trovavo già al terzo mese di permanenza.
"Sei la mia prima storia".
Affermai, lasciandolo spiazzato.
"Sul serio?"
"Ti sembro una che scherza?"
Era anche il primo di cui mi fossi davvero innamorata, nessun altro mi aveva mai fatta sentire così.
 
****
 
Un altro mese era volato, fra pomeriggi in compagnia di Trent e i tavoli da servire al Mclean's House.
Ormai era luglio ed eravamo nel pieno dell'estate, quasi verso la fine ed il caldo era davvero insostenibile.
Ogni mattina ero costretta a spalmare spessi strati di crema solare, per evitare che la mia pelle di porcellana si scottasse.
Ancora non ero riuscita ad andare a fondo al caso di Heather, ma ero sicura che prima o poi ce l'avrei fatta.
Sierra, stranamente, non sospettava nulla, o forse si fidava troppo dell'amica per arrivare ad una simile deduzione.
Quel giorno avevo lavorato fino alle due del pomeriggio, poi mi avevano mandata a casa per un cambio di turno.
Il pomeriggio prima Zoey mi aveva avvisata al riguardo, in quanto quella mattina sarebbe dovuta andare ad un funerale.
Non ne avevo parlato con le due coinquiline, poiché me n'ero completamente scordata.
Tirai fuori il lettore MP3 dalla tasca e infilai le cuffie, poi alzai il volume della musica, come al solito.
Durante il tragitto mi parve di vedere una sagoma familiare, poi scossi il capo e proseguii per la mia strada.
Poi la scorsi di nuovo, era una ragazza e portava un abitino nero e succinto, uno che conoscevo fin troppo bene.
Accelerai il passo, ma senza farmi notare, finché non mi trovai a qualche passo dietro di lei.
La osservai avanzare per qualche altro metro finché non le cadde il cellulare di mano e si piegò per afferrarlo.
I suoi occhi si girarono nella mia direzione e quasi svenne quando mi vide.
"Gwen? Ma che ci fai qui?"
Mi chiese allarmata.
"Mi hanno cambiato il turno. Tu piuttosto, come mai in giro a quest'ora?"
Deglutì, poi si grattò il collo freneticamente.
"Niente, volevo solo fare una passeggiata".
«non me la dai a bere».
Pensai.
"Come mai così elegante? Ti dona quel vestito".
Sorrise, poi sussurrò un "grazie".
"Visto che non ho nulla da fare posso venire con te, ti reco fastidio se passeggiamo insieme?"
Strabuzzò gli occhi, poi scosse il capo.
"No, grazie...non disturbarti".
Alzai gli occhi al cielo, poi assunsi un tono duro e autoritario che mai avevo avuto.
"Senti, non prendiamoci in giro. Dimmi dove stai andando e facciamola finita, non avrai mica qualcosa da nascondere?"
I suoi occhi diventarono improvvisamente lucidi, le tremò il labbro ed emise qualche gemito, poi scoppiò a piangere, incurante della gente che passava.
"Io...non volevo, non sono una ragazza di facili costumi, sono stata costretta a farlo!"
La strinsi fra le mie braccia, per la prima volta la sentii vulnerabile.
"Di che cosa stai parlando?"
"So che lo hai capito, hai intuito perfettamente che cosa faccio ogni giorno in quelle camere d'albergo.
Loro sono rozzi e stupidi, godono nell'infliggermi torture, però mi pagano e i soldi ci servono per l'affitto".
Le accarezzai la schiena per consolarla, poi mi staccai e la fissai intensamente.
"Ora comprendo tutto. Non dirò nulla a Sierra, so che lei non capirebbe".
Si asciugò le lacrime con il dorso della mano, poi tentò di sorridere.
"Grazie Gwen, non so cosa farei senza di te".
"Però sappi che non approvo la tua scelta, non farti strappare la dignità da quei depravati".
Non rispose e si strinse nelle spalle, poi mi fece un cenno di saluto con la mano e se andò.
Una piccola vibrazione provenne dalla mia tasca sinistra, presi il cellulare e visualizzai quel messaggio.
«forse dovremmo chiudere qui, non sono sicuro di essere ciò che vuoi».
Mi mancò il respiro per qualche minuto, poi mi sudarono le mani e strinsi l'oggetto così forte da provare dolore.
Mi sentii come se mi avessero lacerato il cuore, come poteva essere finito tutto in così poco tempo? Svanito in un soffio, come se nulla fosse mai accaduto.
Esigevo delle spiegazioni e le volevo in quel preciso istante.
Riposi il telefonino e cominciai a correre con tutta la forza che mi rimaneva.
 
SPAZIO AUTRICE
Bene, in realtà avrei dovuto aggiornare domani, ma ho preferito farlo oggi perché domani pomeriggio parto.
Dato che non porterò con me l'ipad, per due settimane non riuscirò ad aggiornare la fanfiction...ma vi prometto che appena tornerò aggiungerò i nuovi capitoli, lo giuro. <3

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Capitolo 13
*** Spiegazioni ***


*LEGGETE LO SPAZIO AUTRICE, È IMPORTANTE* 
 
 
Camminavo come un soldato, avanzavo veloce fra le lacrime e tenevo stretto quel dannatissimo telefono.
Quelle parole ancora balenavano fra i miei pensieri: «forse dovremmo chiudere qui, non sono sicuro di essere ciò che vuoi».
Non poteva farmi questo, non poteva lasciarmi senza una spiegazione e in qualche modo l'avrei ottenuta.
Sapevo dove abitava, quindi non mi feci problemi a raggiungere la sua casa.
«e se si fosse stufato di me?se mi avesse rimpiazzata?»
Scossi il capo, non poteva essere così.
Mi ritrovai davanti a quel condominio, osservai tutti i cognomi finché non trovai il suo e suonai.
"Chi è?"
Deglutii e mi feci coraggio.
"Sono Gwen, dobbiamo parlare".
Trent aprì e spalancai il portone, poi salii per le scale fino al secondo piano.
Egli si trovava sulla soglia della porta, con un'espressione indifferente dipinta sul volto e i suoi grandi occhi verdi inespressivi.
"Ma che significa?perché vuoi farla finita così?ho fatto qualcosa che non va?"
Lo investii con una raffica di domande, poi mi fece segno di entrare e mi sedetti sul divano, faccia a faccia con lui.
"Mi sono accorto di non essere ciò che cerchi, tu sei così pura e sincera...io sono totalmente l'opposto e non hai nemmeno idea di tutti i segreti che ti nascondo".
Aggrottai la fronte, consapevole che nemmeno io fossi stata del tutto sincera.
"In che senso?ti piace un'altra?"
Egli fece cenno di no con la testa.
"No, è qualcosa di più profondo".
Notai una certa tristezza nel suo tono di voce.
"Ne vuoi parlare?"
Gli chiesi amorevolmente.
"Non ora, non è ancora il momento giusto. Però posso dirti solo questo, fra due mesi sarò costretto a trasferirmi e non potrò più tornare a Toronto".
Non comprendevo quale fosse il problema, avremmo potuto vederci una volta ogni tanto.
"Dove?non potremo incontrarci?"
Notai che le sue iridi verdi erano leggermente lucide.
"No, andrò in Francia e ci sono tante ore di volo, l'aereo costa molto e non voglio prosciugarti tutto lo stipendio.
Potremo sentirci, magari..."
Sospirai, poi mi alzai in piedi per andarmene.
Percepii una forza tenermi il polso, poi mi voltai di scatto e me lo trovai davanti.
"Non andartene...ho ancora bisogno di te".
Sussurrò.
"Allora non lasciarmi, dimostrami che mi vuoi ancora".
Affermai, quasi arrabbiata.
Ci contemplammo per un minuto buono, poi mi strinse fra le sue braccia, avvolgendomi in un caldo abbraccio e rassicurante.
"Dammi l'occasione di renderti mia".
Quella frase mi colse alla sprovvista, mi staccai e appoggiai le mani sulle sue spalle.
"Ti senti pronta?o vuoi ancora aspettare?"
Respirai a fondo, poi sorrisi e assunsi un'espressione decisa.
"Sì, sono pronta".
Ormai non avevo più voglia di attendere, era giunto il momento giusto per sentirmi legata a lui davvero.
Mi prese in braccio e mi trasportò per il corridoio, mentre i suoi baci frenetici mi permettevano a malapena di respirare.
Affondai le mani nei suoi capelli morbidi come la seta, poi aprì la porta della sua stanza e mi adagiò sul letto.
Gli sfilai la camicia e la stessa cosa fece con la mia maglietta, poi gli slacciai la cintura e riprendemmo a baciarci.
Mentre gli toglievo i pantaloni, lui fece scivolare la mia gonna giù per le gambe e poi la gettò sul pavimento.
"Carine".
Affermò con un tono un po' ironico, riferendosi alle mie mutande con il teschio.
Mi sganciò il reggiseno di pizzo e lo appoggiò sul cuscino, in meno di un minuto ci ritrovammo completamente nudi.
Prese il profilattico, poi quando lo sentii dentro di me una strana sensazione di piacere si espanse per tutto il corpo.
Ormai io e lui eravamo una cosa sola, come uniti dalla medesima forza.
Qualche volta urlai di dolore, ma fu comunque bellissimo...come avrebbe detto un comune terreno, mi sentii come in paradiso.
Restammo a contemplarci per poco, poi notai una strana fiamma nei suoi occhi.
Percepii una piccola scossa percorrere tutto il letto, come se qualcuno lo stesse muovendo.
"Ehi, ma che fai?"
"Guarda che io non c'entro nulla, è il letto che si è mosso da solo".
Quel movimento non cessò e capii di cosa si trattasse quando anche il lampadario tremò.
"È un terremoto!"
Urlai in preda al panico, poi mi prese il viso fra le mani.
"Non ti agitare, mettiamoci sotto la scrivania e aspettiamo che cessi, abbandonare il luogo sarebbe ancora più pericoloso".
Eseguii il suo ordine e ci posizionammo, con le mani intrecciate e i cuori che battevano all'unisono.
A breve il sisma terminò, lasciando pareti e mobili intatti, come se nulla fosse accaduto.
Mi rivestii in fretta, poi stampai un bacio a fior di labbra al ragazzo e lo salutai prima di andarmene.
"Non mi sono mai sentita così tanto bene in vita mia".
"Nemmeno io".
Rispose, mentre quella solita allegria mi pervadeva l'animo.
 
***
"Ragazze, ma voi lo avete sentito oggi il terremoto?"
Domandai durante la cena, mentre eravamo tutte sedute al tavolo del soggiorno.
"Ma quale terremoto?"
Chiese Heather confusa, mentre Sierra aggrottava la fronte.
"Niente, allora devo essermelo immaginata".
Ma allora com'era possibile che lo avessimo sentito solo io e Trent?al telegiornale non ne avevano nemmeno parlato, eppure come scossa era stata abbastanza forte.
C'era qualcosa che non andava e dovevo risolvere quel mistero il prima possibile.
 
SPAZIO AUTRICE
Allora...le due settimane al mare alla fine sono diventate tre e non sono riuscita ad aggiornare, per questo mi scuso ancora.
Ora vi darò un'altra brutta notizia...devo partire di nuovo 😂 quindi per altre due settimane niente capitoli, mi dispiace.
Beh sapete come si dice, l'attesa aumenta il desiderio...no? Ci vediamo, alla prossima! Xx
PS: lo so, non sono molto brava a descrivere i momenti hot(?), quindi accontentatevi ahahah :') inoltre non volevo che la scena fosse troppo esplicita.

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Capitolo 14
*** I don't want the world to see me ***


Un altro mese era passato, ma ancora non scordavo il mio primo rapporto con Trent.
Non seppi se si trattasse anche della sua prima volta, poiché non me ne parlò.
In quell'ultimo lasso di tempo lo vedevo piuttosto pensieroso, come se dovesse confessarmi qualcosa di importante, ma avesse paura di dirmelo.
Il tatuaggio era ancora più evidente, era passato da quell'azzurro impercettibile e chiarissimo del primo mese, ad un celeste più vivo.
Ormai era impossibile non notarlo, mi disturbava mentre mi lavavo le mani, servivo i tavoli o scrivevo qualcosa.
Pensare al mio futuro mi recava un gran dolore, un vuoto che nessun bacio o carezza sarebbe riuscito a colmare.
Pensavo a tutti i modi possibili e immaginabili per dirlo a Trent, ma ogni ragione mi sembrava impossibile da credere.
Però lui era speciale, forse avrebbe capito e non mi avrebbe vista come una psicopatica.
Mi addormentai immersa fra le mie fantasie, con la solita inquietudine addosso.
 
***
Mi svegliai di soprassalto a causa della sveglia, quell'aggeggio insopportabile che mi ricordava di dovermi alzare.
Mi feci una doccia calda e mi vestii velocemente, mi lavai i denti, mi truccai e uscii solo dopo aver fatto colazione con dei biscotti al volo.
Heather e Sierra dormivano ancora, suscitando la mia invidia.
Presi le cuffie e selezionai la solita playlist, come ormai ero solita fare durante il tragitto verso il McLean's House.
Il caldo estivo cominciava a diradarsi, poiché l'autunno si faceva sempre più vicino.
Quando giunsi a destinazione, riposi il lettore mp3 nella tasca e salutai Zoey, poi mi misi al lavoro.
In quelle ore del giorno al bar venivano solo ragazzi e ragazzi giovani, o comunque non i pervertiti che seguivano gli spettacoli, quindi era più piacevole e meno imbarazzante.
"Come stai Gwen? Ti vedo un po' pensierosa, c'è qualcosa che non va?"
Mi domandò la rossa, ma scossi il capo.
"No, sono solo stanca".
Mi sorrise amichevole, poi tornò a lucidare il bicchiere di cristallo.
"Dovresti prenderti una pausa, lavori fin troppo e ne hai davvero bisogno".
"No, tanto fra un po' me ne dovrò andare".
Mi lasciai scappare quella frase, poi mi morsi il labbro.
"In che senso? Ti trasferisci?"
"Sì, vado a vivere in Australia".
Inventai la prima scusa che mi venne in mente, poi proseguii con gli ordini.
Stranamente sembrò crederci, di certo non potevo dirle di dover ritornare in paradiso, anche perché mi avrebbe presa per matta.
"La prossima settimana andrò in ferie, io e Mike visiteremo il Giappone...ma ci pensi? Non vedo l'ora che sia lunedì".
Mi suonò nuovo quel nome, così le domandai chi fosse.
"Oh, non te ne ho parlato?"
Le sue gote si tinsero di un rosso vivo, poi si grattò il collo.
"Ci siamo conosciuti a giugno e ci siamo innamorati, così abbiamo deciso di fare una vacanza insieme".
Mi incuriosì il suo racconto, così la spinsi a proseguire.
"Com'è? Descrivimelo".
Le sue labbra tinte si incurvarono in un sorriso.
"Fisicamente o caratterialmente?"
"Sotto entrambi i punti di vista".
I suoi occhi castani si illuminarono e quasi sembrava che brillassero.
"Beh, è alto, molto magro, ha la carnagione scura, i capelli neri e gli occhi castani.
Ha un carattere molto particolare, è divertente ma profondo allo stesso tempo e mi fa stare bene...l'unica pecca è che soffre di personalità multipla, quindi spesso rischia di cacciarsi nei guai".
Da come ne parlava si capiva che ne fosse davvero innamorata, proprio come me quando pensavo a Trent.
Ah, Trent...ancora un mese e si sarebbe trasferito in Francia, poi io sarei scomparsa e non l'avrei mai più rivisto.
Dovevo dirglielo prima che fosse troppo tardi, nonostante sapevo che mi avrebbe sicuramente reputata una pazza.
"Allora, quando arriva il mio cocktail?"
Strillò una voce irritante, così corsi al bancone a prepararlo: me n'ero dimenticata, completamente persa nei miei pensieri.
Servii l'acida donna, poi mi assicurai che non fosse arrivato nessuno di nuovo e tornai al bancone.
Mi rattristava vedere quelle coppie intente a scambiarsi effusioni, poiché sapevo che io e Trent non avremmo mai potuto essere così.
Essere un angelo era troppo difficile, dovevo spingere i terreni sulla retta via, condurli al paradiso, ma sempre senza provare alcun sentimento per loro.
Forse per la maggior parte dei miei colleghi era semplice, ma per me no.
Scossi il capo e ripresi il lavoro, cercando di trattenere le lacrime che sarebbero sgorgate di lì a poco.
Mi trattenni più che potevo, ma non ci riuscii e dissi a Zoey di sostituirmi, inventando di sentirmi poco bene.
Non era così lontana dalla realtà come bugia, di certo non stavo bene e si vedeva, nonostante cercassi in tutti i modi di celare la mia sofferenza.

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Capitolo 15
*** I just want you to know who I am ***


Ancora un giorno e anche il mio sesto mese sulla terra sarebbe passato, mentre Trent si preparava per partire.
Mi sentivo pervasa da una profonda malinconia, con il cuore pesante e gli occhi che pizzicavano.
In quel preciso istante mi trovavo a casa sua, mentre egli era intento a fare i bagagli.
Io stavo allestendo le stanze per il party di addio, posizionando i vari alimenti per il rinfresco sul tavolo e attaccando festoni sulle pareti.
Sia io che lui eravamo affranti, ma più che altro non riuscivo ad intuire il perché di tutta quella tristezza, in fondo avremmo potuto sentirci comunque.
Era arrivato il momento giusto per confessargli la mia vera natura, anche se forse non avrebbe compreso.
Mi avvicinai a lui e lo avvolsi fra le mie braccia da dietro, mentre egli ricambiava la stretta.
"Stasera devo dirti una cosa".
Affermò con un tono serio.
"Oh, anch'io...che coincidenza. Di che cosa mi devi parlare?"
"Ancora non te lo posso dire, lo scoprirai dopo la festa".
Annuii, poi mi staccai e restammo a contemplarci per qualche secondo, finché il campanello non ci fece sobbalzare.
Corsi ad aprire e mi ritrovai davanti tutte le ballerine del Mclean's House, Zoey, Sierra e dei ragazzi che non avevo mai visto in tutta la mia vita.
"E questa chi è?"
Domandò un giovane con i capelli lunghi e gli occhi verdi, che teneva per mano Heather.
«così è lui quello di cui parlava Sierra».
Pensai, mentre i miei occhi correvano da una persona all'altra.
"Alejandro, lei è Gwen".
Ci stringemmo la mano e la stessa cosa feci con gli altri: Sam, Duncan, Harold, Dj, Owen e Mike, il fidanzato di Zoey.
Era un tipo abbastanza alla mano, molto gentile e disponibile con tutti...d'altronde ero pur sempre un angelo, il potere di leggere le anime mi era rimasto.
Tuttavia c'era qualcosa in quell'Alejandro che non mi convinceva, lo trovavo un tantino falso.
Trent mise un po' di musica, partendo con counting stars dei One Republic.
"Adoro questa canzone".
Commentai, mentre mi stringeva al suo petto.
Un gruppetto chiacchierava in disparte, mentre qualcun altro si scambiava effusioni.
Mi stupì scoprire che Dakota e Sam stessero insieme, poiché lui non sembrava esattamente il suo tipo di ragazzo.
"Strani quei due, eh?"
Disse Trent indicando Duncan e Courtney, nonostante stessero insieme trovavano ogni scusa buona per bisticciare.
"Hanno entrambi un bel caratterino".
Commentai, lasciandomi scappare un sorriso.
"Beh, gli opposti si attraggono".
Aggiunse.
Ritornammo a ballare, poi si susseguirono una serie di canzoni a me sconosciute, fin troppo ritmate e rumorose per i miei gusti.
Heather e Alejandro si compensavano a vicenda, entrambi molto belli, determinati e a volte meschini.
Tuttavia c'era qualcuno che non riusciva a divertirsi, una certa ragazza dai capelli viola era seduta in un angolo avvilita.
Mi allontanai un attimo da Trent, poi avvicinai alla mia amica e mi sedetti accanto a lei.
"Sierra, perché te ne stai in disparte?"
Scosse il capo.
"Perché mi manca una persona, solo che è scomparsa per sempre dalla mia vita".
"In che senso? Non vuole più vederti?"
"Siamo stati insieme per un po', poi se n'è andato senza alcuna spiegazione.
Ho tentato di chiamarlo, ma ora mi dice che il suo numero è inesistente".
E se fosse stato anche lui un angelo? Avrei potuto chiedere una volta tornata in paradiso, magari qualcuno mi avrebbe risposto.
"E allora? Non hai bisogno di un ragazzo per divertirti, vieni a ballare con noi!"
La trascinai in pista, mentre le note di wake me up aleggiavano nell'aria.
Riuscii persino a strapparle un sorriso, poi Zoey le fece segno di avvicinarsi per danzare insieme a lei.
Quasi tutti erano ubriachi tranne me e Trent, forse aveva deciso di restare sobrio per la confessione che avrebbe dovuto farmi...o almeno così credevo, poiché anch'io lo feci per la stessa ragione.
Passarono così le ore successive, fra sigarette, risate e musica fino a tardi.
Quando finalmente giunsero le due del mattino, tutti se ne andarono.
Li salutai uno ad uno, poi cercai di pulire un po' il soggiorno e di rimettere a posto i mobili che avevano spostato.
"Sei sicura di essere pronta a quello che ti sto per rivelare?"
Mi domandò con aria accigliata.
"Certo, non so se tu lo sia altrettanto per la mia confessione".
Mi prese per mano e mi portò verso la sua camera, poi ci sedemmo sul letto e ci fissammo in attesa.
Mi fece segno di iniziare per prima, così mi feci coraggio e cercai di preparare un discorso sensato.
"Bene...sappi che non sono quello che tu hai sempre creduto che fossi, ma iniziamo dal principio.
Hai mai sentito parlare di quegli strani individui che guidano gli esseri umani verso la retta via? Beh, quelli sono gli angeli custodi e vivono in paradiso.
Sono proprio come tutti se li immaginano, con grandi ali piumate e aureola, sempre puri e sinceri.
Ecco, io sono una di quelli, nonostante il mio aspetto molto tetro faccia intendere il contrario.
So che ti sembra assurdo da credere, ma è realmente così e te lo posso giurare.
Ora ti starai chiedendo, che ci fa un angelo sulla terra e in forma terrena? La risposta è semplice, ho percorso il tunnel metamorfico per diventare umana per sette mesi, dopodiché dovrò sparire per sempre e tornare a casa.
Il mio ritorno avverrà fra un mese esatto e mi spaventa la cosa, poiché ho commesso diversi atti che non ci si aspetterebbe da un sempiterno come me.
Soprattutto ho conosciuto te e questo mi ferma, perché vorrei che fossimo una coppia normale, vorrei che fossimo come tutti gli altri, ma so che è impossibile.
Perché ho scelto di abbandonare il regno per tutto questo tempo? Semplice, perché volevo provare le sensazioni che si percepiscono toccando un oggetto rovente o freddo, come tutte le persone.
Soprattutto, ho intrapreso questa scelta difficile per te, perché già quando ti vidi la prima volta dalla mia nuvola, intento a leggere in quella biblioteca, persi la testa per te.
Ora starai pensando che sono una squilibrata, ma ho un tatuaggio e un segno sulla schiena che te lo possono provare".
Mi sarei aspettata una risata o uno sguardo divertito, ma non una reazione così calma e preoccupata, come se ciò che mi stesse per confessare fosse qualcosa di ancora più grande.
"Non sono per niente scioccato o nemmeno ti considero una pazza, ma sai perché? Perché anch'io sono un sempiterno.
Hai mai sentito parlare di quel luogo sotterraneo, quello in cui si trovano tutte le anime dei dannati? Io vengo proprio da lì.
Il mio compito è tentare o confondere gli umani, spingerli a compiere la scelta sbagliata, esattamente l'opposto rispetto a te.
Ebbene, anche Lucifero ci dotò fin dal principio del libero arbitrio ed è esattamente come per voi angeli, solo che io scesi a Toronto un mese prima rispetto a te.
Le ragioni per cui lo feci sono molto simili alle tue, più che altro volevo fuggire da tutte quelle ingiustizie dell'inferno.
Poi mi innamorai di te e le cose si complicarono, per questo ora non voglio tornare a casa.
All'inizio avevo inventato la scusa del trasferimento perché pensavo che non mi prendessi seriamente".
Ci contemplammo per un po', poi per la prima volta vidi una piccola lacrima rigargli il volto, la quale asciugai con il mio pollice.
"Allora...è per questo che quando abbiamo fatto l'amore la terra ha tremato in quel modo, perché abbiamo compiuto un sacrilegio!
Angeli e demoni non possono stare insieme, le leggi divine lo vietano e noi abbiamo infranto la regola...ora comprendo perché lo sentimmo solo noi.
Però, sai una cosa? Non mi importa, io ti amo e farò il possibile per rimanere al tuo fianco per sempre, sei meglio di qualsiasi altro serafino o cherubino che abbia mai conosciuto.
Ti dirò di più, sembri fin troppo angelico per essere un diavolo".
Egli sorrise e mi attirò a sé, stringendomi fra le sue braccia forti.
"E tu sei anche fin troppo diabolica per essere un angelo, in senso buono".
"A che ora verranno a prenderti?"
"Alle quattro, ma non te ne accorgerai nemmeno".
Restammo avvinghiati su quel letto per quasi due ore, immersi fra le nostre lacrime, consapevoli che non ci saremmo mai più rivisti.
Quando fu il momento, vidi una strana luce rossa dalla finestra, poi Trent sussurrò al mio orecchio, con gli occhi ancora lucidi:
"Ti amo"
"Ti amo anch'io".
Prima che me ne rendessi conto, mi addormentai e poi non vidi più nulla, se non il buio totale.

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Capitolo 16
*** Condannata? ***


Appena mi risvegliai, rimasi stupita quando mi accorsi di non essere nella stanza di Trent.
Ripensai al nostro addio e mi si appesantì al cuore, come se al suo posto ci fosse un macigno e trattenni a stento le lacrime.
Mi osservai intorno: le sue pareti erano state sostituite da azzurro celeste, sotto i miei piedi solo bianco.
Nessun odore, nessun rumore, nessuna sensazione.
Non impiegai molto a capire dove mi trovassi e quasi urlai quando mi si pararono davanti due angeli dall'aria severa.
"Perché mi trovo qui? I mesi non sono ancora scaduti!"
Strillai, in preda ad un impeto di rabbia.
"È stato registrato un comportamento pessimo da parte tua e ti sei unita con un demone, severamente proibito dalle leggi universali".
Affermò quello più anziano.
"Ma io non lo sapevo, ma non m'importa in ogni caso...io lo amo!"
"Basta con queste idiozie, ora verrai chiusa in cella d'isolamento e ci resterai fino al processo di domani".
Mi afferrarono per le braccia e mi trasportarono, mentre mi dimenavo.
"Lasciatemi, voglio andare via da questo posto!"
Proseguirono come se non avessi detto nulla, mi scortarono fino a quella cupola di vetro, poi aprirono la porta e mi fecero entrare.
Un'anziana mi fermò le mani con delle manette, poi serrò l'uscio a chiave e mi scrutò dai suoi occhiali tondi.
"Vergognati Gwen, con un demone! Che esempio pensi di dare alle generazioni future con un simile comportamento? Fumo, abbigliamento indecoroso e la cameriera in quel locale, il simbolo della lussuria".
Tentai in ogni modo di divincolarmi da quella stretta, ma ogni sforzo fu vano e alla fine mi arresi.
"Non voglio essere un angelo, voglio vivere sulla terra insieme a Trent! Piuttosto me ne vado all'inferno".
La donna scosse il capo contrariata.
"Una creatura divina come te non dovrebbe nemmeno pensarle queste cose".
La fulminai con lo sguardo.
"In ogni modo, resterò qui di guardia finché non dovrai recarti al tribunale".
Bianco, infinito, smarrimento, paura: questo era tutto ciò a cui pensavo.
 
 
***
 
Riaprii gli occhi a fatica, poi mi stiracchiai e sospirai: purtroppo non era stato solo un sogno e mi trovavo davvero in quella cella di isolamento.
Rammentai l'ultima cosa che vidi, la guardia mi aveva sedata per tenermi a bada durante un impeto di rabbia.
Mi stupiva sempre la maestria e la calma che riuscivano a mantenere, mentre io mi contenevo a stento.
La porta si spalancò ed entrarono due arcangeli, che mi trasportarono di peso e mi condussero fino al tribunale divino.
Temevo quella sentenza? Non ne ero totalmente sicura, forse sì o forse no.
Non proferii parola durante il tragitto, poiché compresi che avrei solamente peggiorato le cose.
Passammo attraverso il muro ed entrammo, poi tutti i presenti si voltarono nella mia direzione.
Notai diversi sguardi contrariati, qualcuno sussurrava chissà che cosa.
Mi sedetti, sempre con quelle due guardie alle costole.
"Signorina Gwen, Angelo del primo cielo...ammette di aver usufruito del libero arbitrio?"
Domandò un cherubino dai lunghi capelli bianchi.
"Sì, vostro onore".
"Ammette anche di aver sperimentato tutti i peccati della vita terrena, nonostante agli angeli sia severamente vietato?"
"Sì, vostro onore".
"Infine, ammette di essersi unita ad un demone?"
"Vostro onore...io lo amo, non posso farci nulla! Non ero nemmeno cosciente quando lo feci, dato che anch'egli era in forma terrena".
Colpi di martello.
"Silenzio! Non dovrebbero nemmeno passarle per l'anticamera del cervello queste cose, come può dire di amare una creatura simile?"
"Non sia troppo severo con me, non ho fatto niente di male..."
Altri colpi di martello.
"Lei, signorina Gwen, è condannata a trascorrere la sua esistenza nel limbo. Rinchiudetela!"
Un tumulto generale si creò nella stanza, mentre i due soliti mi sollevavano, pronti ad eseguire l'ordine del giudice.
"Lasciatemi andare, non ho fatto niente!"
Nessuno sembrava volermi ascoltare, nonostante mi dimenassi.
Il limbo era un luogo freddo e arido, destinato a chiunque compisse un sacrilegio, condannato a vivere in solitudine e legato da pesanti catene.
Loro che affermavano di perdonare gli errori, di provare pietà per tutti...perché non riuscivano a provarne un po' per me?
Calò il silenzio quando la porta si spalancò, rivelando una sagoma minuta, che all'inizio stentai a riconoscere.
"Vostro onore, sono qui per difendere Gwen".
Affermò.
"Non esiste modo per difenderla, quello che ha commesso è troppo grave".
"Mi ascolti, ho molte cose da dire".
Dawn avanzò sotto gli occhi stupiti di tutti i presenti, poi si voltò verso di me e mi rivolse un sorriso radioso, accompagnato da un'occhiata complice.
Provai una sorta di sollievo, come se avesse potuto salvarmi da quella tortura che volevano infliggermi.
"È vero, quello che ha fatto non si può negare...ma siete davvero sicuri che Gwen sia un angelo?"
Inarcai un sopracciglio.
"Si spieghi meglio".
"Mi sono documentata e ho scoperto diverse cose riguardo alla vera natura di Gwen, quindi posso provare che in realtà sia nata terrena.
Come lo so? Semplice, qualche giorno fa mi è riaffiorato un ricordo alla mente: quando i veri genitori della ragazza furono uccisi da un incendio, causato da un angelo e un demone in lotta.
Quest'ultimi non si erano accorti della presenza di una casa durante una sfida, così le diedero fuoco involontariamente.
Capii che qualcosa non andasse, così scesi e la mi attenzione fu attirata dal rumore di un pianto, il lamento di un neonato.
Trovai quel piccolo fagottino con i capelli castani nella culla, ancora in vita e lo presi, poi domandai alle alte sfere di poterlo accogliere in paradiso come angelo e accettarono.
Questo accadde due secoli fa, da quel giorno in poi Gwen divenne immortale.
Ciò spiega molte cose, per esempio l'empatia che è in grado di provare per gli esseri umani.
Perciò ella in realtà non ha commesso alcun sacrilegio ed è costretto a lasciarla libera".
Ancora altri sussurri, sotto i miei occhi stupiti.
Non seppi descrivere come mi sentii, al principio confusa, ma poi mi fu più facile intuire molte cose su di me.
Finalmente potei comprendere perché volessi così fermamente vivere sulla terra, semplicemente perché la mia vera natura si era rifatta viva.
"Ha ulteriori prove?"
Domandò il giudice.
"Certo, lei sa com'è la pelle di un angelo?"
"Candida e immacolata, senza imperfezioni".
"Bene. Può esistere un fiore senza petali? No, non sarebbe un fiore. Dunque, può esistere un angelo con la pelle imperfetta?"
"È impossibile".
"Il neo sulla sua schiena lo può provare".
Mi si avvicinò, sollevò la tunica e rivelò una piccola macchia marrone a metà della spina dorsale.
Mormorii di stupore.
"Dunque, dove vuole arrivare?"
Lessi la determinazione negli occhi azzurri del cherubino.
"Ciò che scoprii in seguito, è che in realtà Gwen non fu l'unica sopravvissuta a quell'incendio.
Insieme alla piccola, c'era un altro neonato...nientemeno che Trent, il quale fu trovato da Lucifero e spedito all'inferno, reso quindi immortale.
Il loro legame è impossibile da spezzare, perché sono fratelli".
Rimasi a bocca aperta, ormai consapevole riguardo al mio passato.
Capii perché fin dall'inizio ci fosse un'intesa così grande fra di noi.
"Allora dichiaro Gwen innocente, così la sua pena verrà annullata".
I due arcangeli mi liberarono, poi ringraziai il giudice e me ne andai, facendo segno a Dawn di seguirmi.
Quando mi raggiunse fuori dall'edificio, la strinsi e fra le mie braccia.
"Grazie Dawn".
"Figurati, farei di tutto per la giustizia".
Però, che cos'avrei fatto? Sarei rimasta in paradiso...e poi? In ogni caso io e Trent eravamo angeli e demoni a tutti gli effetti, non potevamo stare insieme.
 
 
SPAZIO AUTRICE
Ma ci pensate? Ancora due capitoli e la storia è terminata...non mi sembra vero! Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, alla prossima. Xx 

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Capitolo 17
*** You're the closest to heaven that I'll ever be ***


Trent era mio fratello ed eravamo entrambi figli di terreni...che cos'avrebbe potuto sconvolgere ulteriormente la mia esistenza?
In quel preciso istante mi trovavo sdraiata sulla mia nuvola, intenta a riflettere e contemplare il vuoto.
Tutto quell'infinito e quel bianco mi facevano venire voglia di fuggire, scappare da quella perfezione e da quella monotonia.
"Gwen...come ti senti?"
Mi voltai nella direzione da cui proveniva il suono e non mi stupii di vedere Bridgette, visibilmente preoccupata per me.
"Tu lo sapevi?"
"Io no, ma Geoff e Izzy sì, solo che non me ne avevano mai parlato".
Sapevo di poterle credere, lei con me era sempre stata molto sincera.
"Sinceramente? Non mi ha stupita per niente quella confessione, in fondo me lo immaginavo di essere diversa".
Era vero, sapevo di non sentirmi un angelo al cento per cento, solo che non sapevo dell'esistenza di quel neo.
Una sola e minuscola macchia era stata la prova lampante delle mie origini.
"Tu non sei diversa, per me sarai sempre una di noi...non importa che cosa accada, rimarrai sempre la mia migliore amica".
Affermò con un luccichio negli occhi, poi la strinsi forte fra le mie braccia.
"Grazie, tu sei l'unica che mi capisce".
Se solo ci fosse stato un modo per tornare umana, non avrei esitato un minuto e avrei fatto qualsiasi cosa necessaria.
Non smettevo un singolo secondo di pensare a lui, era il mio chiodo fisso e non riuscivo a staccarlo dalla testa.
I suoi occhi verdi e profondi erano rimasti impressi nella mia mente, come due smeraldi grandi e luminosi.
La sua voce ricordava il canto di un angelo, il suo sorriso era più vicino al paradiso di quanto non fossi mai stata.
"Ti va di fare un giro con me?hai qualche richiesta particolare?"
Riflettei un attimo.
"In effetti ci sarebbe una cosa che dovrei fare. Sierra, la mia ex coinquilina, mi aveva parlato di un ragazzo scomparso all'improvviso dalla sua vita, così ho pensato che potesse trattarsi di un angelo.
Tu ne sai qualcosa?"
Ci pensò un attimo.
"In effetti non mi suona nuovo, ma non ne sono sicura...non vorrei sbagliarmi, ma credo si tratti di Cody".
«oh, no, tutto ma non lui».
Per qualche assurda ragione non lo sopportavo, non sapevo esattamente il perché.
"Va bene, ti ringrazio. Ora...potresti lasciarmi un attimo sola? Ho bisogno di riflettere".
Volò via e mi abbandonò con i miei pensieri.
 
***
 
Ancora una volta in volo verso l'ottavo cielo, proprio come quando mi recai lì per cercare Dawn.
Le anime beate mi guardavano, probabilmente sapevano e non me ne stupivo, ormai quasi anche ai dannati era arrivata l'informazione.
Mi osservai intorno, finché non scorsi una sagoma minuta e intenta a giocare con due bambini con un pallone dorato.
"Cody?"
Lo chiamai, egli si girò e sorrise, poi fece cenno ai piccoli di continuare senza di lui.
"Ciao Gwen, qual buon vento ti porta qui?"
Il suo viso e la sua voce erano molto infantili, facendolo apparire un eterno ragazzino.
"Dovrei chiederti una cosa, ma si tratta di una questione un tantino delicata".
Aggrottò la fronte.
"Certo, tutto ciò che desideri".
"Io sono scesa sulla terra per sei mesi, lo sai vero? Beh, lì ho conosciuto due ragazze e tra cui una di nome Sierra...la conosci?"
I suoi occhi si fecero più cupi quando la nominai, poi si grattò il braccio e abbassò lo sguardo.
In parte quell'esperienza doveva incidere sullo spirito degli angeli, perché un residuo di sensibilità restava, mentre per gli altri era impossibile non essere imperturbabili.
"Sì, so bene di chi si tratti. Lei ti ha parlato di me?"
"Non ti ha menzionato, ma ne ho discusso con Bridgette e mi ha detto che si trattava di te".
Il resto fu seguito da qualche minuto di imbarazzante silenzio, poi mi schiarii la voce per romperlo.
"Tu la amavi?"
Sospirò.
"Ti dirò la verità, all'inizio la detestavo perché pensavo fosse troppo appiccicosa, ma in seguito mi affezionai al suo carattere.
Penso che innamorarmi di lei fu il più grande errore che commisi, lo sto ancora pagando e non smetto un secondo di pensare a lei".
Quella confessione me lo fece vedere con occhi diversi, quasi lo rivalutai e mi pentii di averlo giudicato male in passato.
"Scommetto che a te è successa la stessa cosa, vero?"
Annuii.
"Sì, purtroppo".
"Trent...è di sicuro una ragazzo fortunato".
Sorrisi, poi mi osservai intorno e mi sollevò vedere che fossimo soli.
"Ora devo andare, a presto".
Mi voltai di scatto e poi volai via.
Un fiume di pensieri scorreva nella mia mente, poi pensai alle mie amiche e mi chiesi che cosa avessero fatto quando si accorsero della mia scomparsa.
Forse pensarono che fossi scappata, oppure che mi avessero rapita.
"Gwen, aspetta!"
Mi fermai un attimo e aspettai un po' prima di voltarmi, felice di udire quella voce melodiosa.

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Capitolo 18
*** Human again ***


Mi voltai di scatto e mi si riempì il cuore di gioia quando vidi quei grandi occhi blu, poi mi raggiunse.
"Ho una cosa importante da rivelarti, ho fatto una scoperta sensazionale!"
"Di che cosa si tratta?"
Mi fece cenno di sederci per terra, poi si schiarì la voce e parlò.
"Esiste un metodo per diventare umani per sempre, ma è molto pericoloso e se dovesse fallire, spariresti per sempre dalla faccia della terra. Vuoi sapere il resto?"
Feci cenno di sì con il capo, poi proseguì con il racconto.
"Devi percorrere un sentiero, che si trova dietro al tunnel metamorfico.
Esso è impossibile da vedere e per questo ti darò uno speciale antidoto, che ti conferirà una vista maggiore.
Una volta davanti al cancello, la guardia ti chiederà questa chiave che ti sto consegnando e tu dovrai dargliela.
Entrerai e inizierai il percorso, inizialmente molto tranquillo, ma in seguito accadranno cose inspiegabili.
Sentirai una strana angoscia in corpo e ti verrà da piangere, ma dovrai resistere e non farlo, altrimenti tornerai indietro.
La luce verrà sostituita dal buio e dovrai essere così scaltra da trovare la tua via, utilizzando le tue abilità.
Il sole tornerà a splendere, ma ogni venti metri ti troverai davanti dei serafini, i quali ti sottoporranno a delle sfide che dovrai superare.
Infine, l'ultimo serafino ti porrà un indovinello e ti concederà quarantotto ore per trovare una soluzione. Tutto chiaro?"
Qualche dubbio cominciò a sorgermi, perché se avessi fallito sarei scomparsa per l'eternità, ma decisi che ne valeva la pena per amore.
"Come lo hai scoperto?"
"Ho consultato tutti i libri della mia biblioteca e ho trovato quest'informazione".
"Ma potrà farlo anche Trent?"
"Certo, esiste un metodo analogo anche all'inferno".
Mi sentivo davvero pronta, sapevo di poterlo fare e non avrei esitato nemmeno un minuto.
"Credo di essere pronta, sono sicura di farcela".
Mi saltò al collo e mi strinse forte fra le sue piccole braccia, poi ci contemplammo per un po'.
"Quanti prima di me lo hanno fatto?"
"Solo tre e nessuno di essi riuscì a portare a termine il compito, ma non ti scoraggiare".
"Addio, ti ringrazio per tutto quello che hai fatto per me".
Ci congedammo e quasi mi venne da piangere al pensiero di abbandonarla, poi mi diede l'antidoto e lo nascosi in una tasca della tunica.
Però c'era ancora qualcuno che dovevo salutare prima di andarmene e quel qualcuno era proprio Bridgette.
Volai e vagai, finché non la scorsi e mi avvicinai a lei, cogliendola di sorpresa.
"Mi hai fatto prendere un colpo! Oh, ma ti vedo così sorridente...finalmente!"
Mi morsi un labbro e notai la confusione nei suoi occhi.
"Che c'è?"
Respirai a fondo e mi feci coraggio.
"Dawn mi ha rivelato un segreto, quello che mi farà diventare per sempre umana...lo ha scoperto tramite un libro e ho deciso di farlo".
La vidi esitare un attimo, poi scosse il capo.
"Ma è pericoloso..."
"Non importa, io non mi sento più appartenente a questo mondo".
Sospirò poi estrapolò un medaglione d'oro dalla tasca e me lo diede.
"Questo è per ricordarti di me quando sarai laggiù, perché io non smetterò mai di vegliare su di te".
Ci stringemmo in un lungo e triste abbraccio, che simboleggiava il nostro addio.
"Non ti dimenticherò mai, sei l'unica che mi abbia davvero aiutata nei momenti di difficoltà e ti ringrazio per questo. Ora però è arrivato il momento di andare, mi mancherai Bridgette".
Una piccola lacrima mi rigò il volto, poi l'asciugai con il dorso della mano.
La salutai con la mano, poi mi rialzai in volo: ero decisa a compiere la mia impresa e nessuno mi avrebbe fermata.
Poi un pensiero mi invase la mente.
«ma lui che cosa farà? Forse non conosce nemmeno questa metamorfosi».
"Andrò io personalmente ad avvisarlo"
"Chi ha parlato?"
Mi guardai intorno ma non vidi nessuno, così rimasi attonita.
"Sono io, Dawn e ti sto parlando attraverso i miei poteri telepatici".
"Ma come farai? Agli angeli non è permesso entrare all'inferno!"
"andrò di nascosto e con un travestimento...me la caverò, vedrai".
"Ti ringrazio, non so cosa farei senza di te".
Quella voce scomparve all'improvviso così com'era venuta, perciò ritornai a volare verso il nono ed ultimo cielo.
Quel viaggio mi richiese qualche giorno, o almeno così credetti, dato che nel regno si perdeva la cognizione del tempo.
Finalmente giunsi davanti a quel tunnel, lo stesso che era stato in grado di regalarmi felicità per sei mesi.
Tirai fuori l'antidoto e lo bevvi tutto d'un fiato, mentre una strana macchiolina viola compariva davanti a me.
La macchia si fece sempre più scura e in seguito si diradò, rivelando un cancello dorato e maestoso.
Giunsi davanti ad esso, poi diedi la chiave alla guardia incappucciata e le porte si spalancarono.
Una volta dentro, mi posizionai di fronte ad un sentiero di pietre rosa e lo seguii.
Diverse immagini si proiettarono davanti a me: una madre che stringeva il figlio in fin di vita fra le sue braccia, lapidi di coloro che erano morti per la giustizia, discriminazioni, abusi, suicidi e disturbi alimentari.
Una strana angoscia mi percorse tutto il corpo, ma strizzai gli occhi per scacciare le lacrime che sarebbero sgorgate di lì a poco.
Mi trattenni con tutta la forza che possedevo, ma sembrava quasi impossibile non disperarsi di fronte a quelle conseguenze catastrofiche della vita terrena.
 Strinsi i pugni e proseguii, decisa a compiere la mia impresa.
All'improvviso tutto tornò normale e percepii un'insolita leggerezza nel mio cuore, ma che durò per poco.
La grande macchia gialla del sole si spense lentamente, lasciando il posto alle tenebre più oscure.
Non riuscivo a vedere dove stessi camminando, per questo andavo a tentoni e ogni tanto urtavo contro qualche albero.
Fu estremamente complicato, in principio, riuscire a trovare la mia via fra l'oscurità, un po' come se avessi perso il lume della ragione e lo stessi cercando.
«ma certo, un lume è quello che sto cercando!»
Sprigionai tutta la forza contenuta nelle mie ali, fino a produrre una piccola luce, la quale mi aiutò a vedere tutto ciò che stava intorno a me.
Superai anche la seconda parte egregiamente, ma ancora non era finito.
Ecco il primo serafino di cui mi aveva parlato Dawn, costui era anziano e con una lunga barba color grigio topo.
"Salve".
Mi inchinai al suo cospetto.
"Non c'è tempo per i saluti, partiamo subito con la sfida".
Un tornado mi risucchiò, facendomi ruotare così tanto da provocarmi il capogiro.
Il vento si fermò e mi appoggiai su un suolo, poi mi alzai da terra e vidi davanti a me una serie di specchi, in cui non c'era niente se non il mio riflesso.
"Il tuo obbiettivo è uscire da qui in dieci minuti".
Dieci? Non ce l'avrei mai fatta, era impossibile evadere da una sala degli specchi in così poco tempo.
"Ascoltami Gwen, non ti scoraggiare".
Riconobbi quella voce fievole.
"Ma come posso fare?"
"Segui il tuo istinto".
Poggiai una mano alla destra dello specchio e trovai una via libera, così avanzai.
Ne trovai altre due e feci la stessa cosa, anche se qualche volta mi capitò di sbattere contro qualche vetro.
Avanzai lentamente sotto il ticchettio dei minuti e dei secondi, che scorrevano velocemente.
Infine tastai un varco più largo del solito, lo oltrepassai e fui così catapultata al punto di partenza.
"Molto bene, il mio collega ti attende".
Proseguii con il sentiero, mentre il sole splendeva come non mai e persino gli uccellini cantavano.
Mi bloccai quando la scorsi: una donna apparentemente di mezz'età con penetranti occhi verdi e capelli biondo tabacco.
"Sei pronta?"
Annuii, poi lo stesso tornado mi trasportò in una gabbia ed ebbi i brividi quando capii che cosa dovetti affrontare.
Un ruggito mi invase i timpani: una maestosa e feroce tigre era ciò che andava sconfitto.
«ma come posso fare?»
Mi seguì e tentò più volte di addentarmi, ma riuscii a scansarmi in tempo e morse solo le sbarre.
Di certo non potevo continuare così, anche perché prima o poi mi avrebbe acciuffata e fatta a pezzi in un sol boccone.
Fuggivo e arrancavo, ma le mie forze si stavano esaurendo sempre di più e non mi restava ancora molto tempo.
«un momento, e chi ha stabilito che io debba per forza ucciderla?»
Unii le mani, poi una piccola energia le attraversò fino a creare una sfera di luce bianca.
L'animale restò a guardarla estasiato, poi feci cenno di sedersi ed seguì il mio ordine.
Mi accostai e la accarezzai, consapevole di essere riuscita ad ammaestrarla.
Le sbarre si dissolsero improvvisamente, la belva scomparve e infine ritornai indietro, in seguito mi rimisi in cammino verso la penultima tappa del percorso.
Improvvisamente camminare mi venne più difficoltoso ed arrancai a fatica, mentre il terreno sotto i miei piedi sembrava sciogliersi.
Mi mancava il respiro e vidi tutto nero, poi più nulla.
 
***
 
Boccheggiai come se fossi appena emersa da un fondale marino, mi guardai intorno e non vidi altro che mura bianche.
"Dove mi trovo?"
La donna bionda accanto a me trasalì quando parlai, poi fece cenno ad una sua collega dai capelli rossicci di avvicinarsi.
"Isabella, si è risvegliata!"
Per un po' rimasi confusa, poi tentai di tirarmi sù con la schiena.
"Che cos'è successo?"
"Ti investì un auto sette mesi fa, la quale ti provocò un trauma cranico e finisti in coma. Tua madre sarà così felice di sapere che la sua bambina è ancora viva".
Poi rammentai tutto: la storia degli angeli era solo stato frutto della mia immaginazione e fortunatamente, oserei dire.
Scoprii che Bridgette, Geoff, Lindsay e Izzy non erano altro che semplici infermiere e che la prima citata mi aveva accudita più di tutti durante quei mesi.
Dawn era la mia migliore amica da sempre insieme a Sierra, mentre Heather, Leshawna, Ann-Maria, Dakota e Courtney non erano altro che conoscenti.
Zoey lavorava con me in un negozio come commessa insieme a Mike e Cody.
Trent...non avevo la più pallida idea di chi fosse, forse solo un personaggio immaginario.
Una signora dai capelli castani corse al mio letto e mi strinse forte fra le sue braccia, vidi anche delle piccole lacrime rigarle il volto.
"Finalmente, speravo tanto che questo momento arrivasse".
Un giovane dalla sagoma familiare e capelli neri varcò la soglia, con le mani in tasca e un'aria sorridente.
"Non le stia troppo vicina, rischia di spaventarla...al momento mi prenderò io cura di lei, non si preoccupi signora Fahlenbock".
"Mi scusi, me ne vado immediatamente".
Mia madre liberò la stanza e mi lasciò insieme a quell'infermiere dall'aria familiare.
"Sono venuto a portarti da mangiare, ti tirerà sù".
Annuii e afferrai il piatto, decisamente affamata.
"Come ti chiami?"
Mi domandò.
"Gwen, lei?"
"Dammi pure del tu, ho solo vent'anni e sono ancora un tirocinante. Comunque sono Trent".
Quel nome, quegli occhi verdi...ecco dove lo avevo visto!
Beh, forse alla fine non era così frutto della mia fantasia.
Mi sorrise e feci la stessa cosa, ci contemplammo per così tanto che persi la cognizione del tempo e percepii  una strana sensazione al cuore, quella sensazione chiamata colpo di fulmine.
 
THE END.
 
 
SPAZIO AUTRICE
E così questa storia si è conclusa...sigh, mi mancheranno le vostre recensioni e tutti i cari personaggi, mi ci ero affezionata!
Beh, io vi avevo avvertito che il finale sarebbe stato a sorpresa e così è stato, spero che qualcuno non ne sia rimasto deluso.
In ogni modo, nel caso in cui voleste continuare a leggere qualche mia storia, potete dare un'occhiata ad Atlantic High School e She will be loved, magari facendomi sapere che cosa ne pensate attraverso una recensione.
Grazie a tutti coloro che hanno aggiunto la mia fanfiction fra le preferite/seguite/ricordate e che hanno recensito, mi avete fatto credere che forse non sono così male come scrittrice. ❤️ 
Ci vediamo, alla prossima!
Carol🌸

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