Ehorin-La stirpe spezzata

di Lady Moonlight
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Le miniere di damantis ***
Capitolo 2: *** Candidata ***



Capitolo 1
*** Le miniere di damantis ***




Trama completa:
Ehorin, la stirpe degli uomini-draghi.
Dhana è l'ultima discendente di una dinastia che ha visto sorgere e finire l'Era dei Draghi, l'unica sopravvissuta alla caduta di Menfhis. Per cinque anni è stata costretta a nascondersi e fuggire, celando un segreto che potrebbe salvarla o condannarla a morte.
Sfuggita alle insidie della Valle del Crepuscolo, Dhana cerca rifugio nelle miniere di damantis, lavorandovi come schiava. È lì che incontra Caleb, secondogenito del Marah e fratello dell'uomo che ha ucciso la sua famiglia.
Portata a Valantia viene obbligata a prendere parte ad una competizione e se vincerà potrà diventare cavaliere dell'ultimo drago vivente rimasto nel continente.
Tuttavia, dopo secoli di silenzio e oblio, in cui la magia e le creature nate da essa si credevano ormai perdute, qualcosa si agita sotto l’apparente superficie delle cose. Le leggende prendono vita e Gideon Ned'deq sembrerebbe essere l’unico alleato di Dhana, malgrado sia stato proprio lui a decretare la fine dei draghi e della sua famiglia.
Mentre segreti andati perduti nel tempo rischiano di far sprofondare il continente nel caos, Dhana scoprirà che, forse, la minaccia più grande è proprio se stessa.
Nel contempo la giovane Aisha si risveglia in una terra a lei ignota, incapace perfino di comprendere la lingua parlata dagli abitanti. La sua missione: trovare gli Ehorin e chiedere il loro aiuto. Salvata da Sif, guerriera al servizio del Marah, dovrà però fare i conti con una realtà che non aveva previsto: gli Ehorin sono morti e così i loro draghi.



 
 
 
 
 

Il ricordo delle cose passate
non è necessariamente il ricordo di come siano state.
{ Marcel Proust }
 
 
 
01: Le miniere di damantis
≈*≈*≈*≈*≈*≈
 
 
 
 
 
Dhana si asciugò il sudore dalla fronte e riprese a riempire i secchi di detriti. Quel giorno il lavoro in miniera non le aveva fruttato nulla, nemmeno il più piccolo dei cristalli di damantis e quel fallimento le sarebbe costato la cena. O quella che in quel posto definivano tale.
Tossì un paio di volte e quando si sollevò trovò solo il ghigno infastidito di una guardia che la fissava con aria assorta.
“Ma guarda, guarda... Questo è il terzo giorno che non trovi nulla. Al quarto ti spetteranno dieci frustrate!”
Dhana non rispose e chiuse gli occhi. Dentro di sé avvertiva lo spirito dell'ultimo drago irrequieto e affamato quanto lo era lei. Lo chiamò per nome e Lazhar le rivolse il saluto emettendo un basso ruggito.
Il tatuaggio draki era comparso sul suo corpo cinque anni prima e da allora condivideva ogni pensiero con lui. Lo sentì muoversi sulla pelle, sotto gli abiti stracciati, e tirò un sospiro di sollievo quando infine si fermò. Per quella sera il drago avrebbe ripreso a dormire.
Il suono della campana annunciò la fine del turno di lavoro e il soldato s’affrettò ad afferrarla per le ascelle. La sollevò con ben poca delicatezza e le intimò di camminare verso i tunnel d'uscita. Lei prese ad avanzare, con i sassi e i ciottoli che scivolavano sotto i suoi piedi, avvolti da stracci. I detriti della miniera le ferivano la pelle, ma Dhana proseguì fino alla galleria centrale che scendeva verso la baraccopoli degli schiavi.
Alla sua discesa si unirono uomini e donne con secchi contenenti il damantis, il viso sporco di terra e le mani sanguinanti. La maggior parte di loro aveva il viso smunto, i capelli pieni di nodi e occhiaie scure attorno agli occhi. A capo chino, trasportavano le pietre che avrebbero reso la città di Valantia ancora più ricca di quanto già non fosse.
I menestrelli e gli uomini del nord la definivano come la città delle possibilità.
Da schiavo potevi diventare mercante ma da consigliere del Marah potevi anche diventare carne per corvi.
Eretta trecento anni prima, Valantia era prosperata grazie al commercio marittimo e alle miniere di damantis. Questo era un materiale plasmabile che veniva estratto come pietra, ma poteva venire fuso per ottenere una lega molto resistente. Pochi potevano permetterselo, ma quelli che ne erano in grado tenevano a quegli oggetti più della loro stessa vita.
Da bambina suo padre le aveva regalato la statua di un cigno, nero come l'ossidiana, ma era andata distrutta insieme alla sua casa e alla sua famiglia.
Erano trascorsi cinque anni dal giorno in cui aveva perso i suoi cari e il trono che le sarebbe spettato per diritto. Aveva detto addio ad ogni cosa, compreso il suo nome. Solo il tatuaggio draki dipinto sulla schiena la teneva legata ad un passato perduto e a un futuro ignoto.
Dalle miniere, Valantia era solo un insieme di puntini luminosi nella notte, difficile credere che fosse stata capace di spazzare via la dinastia degli Ehorin.
Eppure era accaduto.
Dhana tremò di freddo e si rannicchiò meglio sotto la coperta del vecchio Karl, morto due giorni prima. L'uomo gliela aveva lasciata insieme alla ciotola di rame che usava per i pasti e Dhana aveva pianto quando l'aveva sentito esalare l'ultimo respiro. C'era stato un periodo, dopo la caduta di Menfhis che si era chiesta se sarebbe mai più stata in grado di piangere e aveva scoperto che la disperazione era sempre un passo avanti a lei.
Prima che morisse, Karl aveva afferrato la sua mano pregandola di restare con lui. Le aveva parlato dei figli e della moglie poi si era zittito e la dea Herana era calata sulla sua anima, portandolo con sé nel regno dei morti. Le guardie avevano trascinato via il cadavere e lei aveva preferito non sapere cosa ne avrebbero fatto. Alcuni dei prigionieri giuravano che i morti fossero dati in pasto alle viverne del Marah, ma Dhana sospettava che fosse solo un altro modo per seminare paura tra schiavi e minatori.
Fu colta da una fitta allo stomaco e deglutì con fatica. Lazhar emise un lamento e Dhana gli sussurrò parole di conforto.
Doveva andarsene da quelle maledette miniere, malgrado non avesse idea di come sarebbe sopravvissuta una volta giunta a Valantia.
Non si sarebbe arresa.
Anche se il suo popolo la credeva morta e la sua casa era stata distrutta, sarebbe andata avanti per la sua famiglia, per le ossa dei draghi che erano state lasciate a marcire lungo le strade di Menfhis, come il simbolo di un'era ormai finita.
Continuo a credere che sia una pessima idea. Ci uccideranno” l'avvertì Lazhar.
Era molto probabile, inutile che lei tentasse di negarlo.
Dirigersi a Valantia era follia.
 
 
 
Quella mattina l'incidente era giunto all’improvviso. Una galleria era crollata innalzando una nube di polvere e la terra aveva tremato.
Dhana si era aggrappata ad una parete di roccia e si era imposta di mantenere la calma. La paura però l'aveva attanagliata, subdola, e non l'aveva lasciata.
Morire lì, in quel luogo, sotto metri e metri di roccia.
Non aveva fatto tutta quella strada per fare quella fine.
Chiuse gli occhi, ascoltando i battiti rapidi del suo cuore. Doveva solo sopportare tutto quello per altri due giorni e poi...
Alte piccole scosse seguirono la prima. “Muoviti!” ordinò una guardia. “Dobbiamo scendere a valle e attendere che la situazione si calmi.” L'uomo si era portato una mano alla bocca nel tentativo di respirare meglio, ma sembrava sul punto di svenire.
“Gli altri-”
“Se non sono morti per i detriti moriranno presto d'asfissia” sbraitò quello, schiaffeggiandola al volto. “Comincia a camminare” concluse minaccioso, spostando la mano sulla daga legata al fianco.
Lei non si mosse. Giù, dalla cava, proveniva il suono di zoccoli in avvicinamento e quando un gruppo di cavalieri giungeva a cavallo in un posto così sperduto non era mai un buon segno.
“Il sovrintendente?” s'interrogò.
Poi strinse i pugni. Se così fosse stato la sua comparsa avrebbe messo a rischio i suoi piani.
Un nuovo cedimento scosse le pareti della miniera. Dhana barcollò in avanti, tremando insieme alla terra. Prima che potesse cadere in uno dei pozzi d'estrazione la guardia l'afferrò malamente, strattonandola con rabbia.
“Il Marah ha perso abbastanza manodopera per oggi” sibilò, liberando la frusta sul terreno. Alzò il braccio e sferrò un colpo alla sua caviglia.
Dhana gridò e la gamba le cedette facendola zoppicare fino al punto in cui la galleria svoltava a sinistra. Si morse la lingua fino a farla sanguinare ed eseguì il precedente comando in modo remissivo.
Potresti ucciderlo” gli fece notare la voce profonda del drago. “O potrei farlo io.”
Dhana roteò gli occhi al soffitto. “Detesti il sapore della carne umana” gli rispose mentalmente.
Non ho detto che poi lo mangerei.
Lei visualizzò il corpo di Lazhar: le scaglie vermiglie dalle cupe sfumature nere, gli occhi dalle iridi gialle come quelle di un gatto, le ali dalla punta arpionata e gli affilati denti bianchi che potevano maciullare un cavallo in pochi minuti.
Era l'ultimo dei draghi ed era splendido e terribile nella sua forma reale.
Così ci ritroveremo un cadavere in piena vista che segnalerà la nostra posizione a tutti i cacciatori di taglie del continente.
Questo perché non hai voluto che uccidessi occhi dolci e presto tutti sapranno che c'è ancora un erede vivente di sangue Ehorin.” Il drago ruggì, ricordandole tutto il suo disappunto.
Odiava quando Lazhar le ricordava le sue debolezze. Occhi dolci, come lo chiamava lui per prenderla in giro, era un giovane cacciatore elfico che avevano incrociato sul loro cammino un paio di settimane prima e che aveva tentato di catturarli. Ci erano voluti tre giorni per riuscire a fargli perdere le loro tracce.
Prima o poi lo scopriranno comunque.”
Dhana si sporse su un'apertura laterale e guardò in basso, verso il deposito di damantis, dove si erano radunati una cinquantina di cavalli con appresso lo stendardo del Marah: una viverna nera su sfondo stellato.
A causa dei forti rumori di estrazione e della nube provocata dal crollo gli animali scalpitavano e nitrivano agitati. Gli sforzi dei cavalieri nel tentativo di calmarli sembravano inutili.
Non le capitava di vedere tanti soldati riuniti in un unico posto da quando Menfhis era caduta. Indossavano tutti l’uniforme standard dell’esercito di Pars: turbante bianco, camicia di stoffa grezza, un mantello e stivaletti di pelle marrone. Li osservò spostarsi verso le tende scarlatte, di solito destinate agli attendenti delle miniere, e prendere posizione di guardia. 
“Muoviti!” la richiamò il soldato. “O giuro che ti trapasserò con la mia spada da parte a parte!”
 
 
 
La baraccopoli era piena di donne in lacrime e di giovani sdraiati su giacigli improvvisati. Erano i fortunati che non avevano perso la vita nel crollo, ma per alcuni di loro quell'incidente avrebbe comunque lasciato segni indelebili. Alcuni avevano perso gli arti, ad altri erano stati amputati, e le grida di quella sofferenza erano difficili da sopportare.
Dhana si chinò su un ragazzo di quattordici anni e lo aiutò a bere, mormorandogli qualche parola di conforto. Aveva una scheggia di legno nell'occhio sinistro ed era chiaro che avrebbe perso la vista. Lui rimase immobile tutto il tempo e presto Dhana lo affidò alle cure di persone più capaci.
Il sangue era ovunque si girasse e si costrinse a fare del suo meglio per allontanare da sé il desiderio di Lazhar di affondare i denti nella carne di quegli schiavi. Il drago poteva affermare di detestare la carne umana, ma la verità era che come tutti quelli della sua razza non riusciva a controllarsi quando ne avvertiva l'odore in modo così intenso.
Mi farai venire la nausea” lo accusò, mentre detergeva il sudore dalla fronte di una donna.
Ho fame” ribatté Lazhar.
Non era il solo ad averne e si impose di non indugiare troppo su quel pensiero.
Ogni muscolo del suo corpo gridava di dolore e stanchezza, ma rimase comunque al fianco di mutilati e moribondi. Puliva il loro corpo con un vecchio straccio impregnato d'acqua, pregando lo spirito di Zah affinché li concedesse salvezza. Non c'erano erbe o alcolici da poter usare per ottenebrare i sensi dei feriti perché i soldati del Marah non concedevano nulla più dello stretto necessario agli schiavi.
Si chinò su una bacinella e strizzò la pezza, lasciando che il sangue scivolasse via. Un tempo sarebbe rimasta inorridita, considerò, mentre le gocce scarlatte si mischiavano all'acqua.
Si riscosse in tempo per scorgere il corpo massiccio di Graf occupare la sua visuale: un abitante del nord, dalle spalle larghe e la mascella squadrata.
Gli schiavi più vecchi raccontavano che Graf fosse giunto lì dieci anni prima, durante la rivolta dei namoo. Benché provenisse da luoghi freddi, la sua pelle era scura, bruciata dal sole della miniera.
Dhana sobbalzò nel trovarselo di fronte. Era molto più alto e grosso di lei e le dicerie sul suo conto mettevano i brividi persino alle guardie che lo sorvegliavano.
Gli occhi neri di Graf la scrutarono a lungo, poi scivolarono lontani verso gli uomini del Marah, i cui volti persero immediatamente colore. Solo una settimana prima Graf aveva strangolato una sentinella e spezzato il braccio ad un'altra. Nessuno era particolarmente incline ad avvicinarlo.
Tremerebbe di fronte a me” commentò Lazhar e Dhana non ebbe nulla da ridire. Chiunque sarebbe rimasto terrorizzato se il drago avesse preso le sue vere sembianze.
Ma il tempo in cui i draghi solcavano i cieli come signori indiscussi di ogni cosa si era ormai concluso.
Dhana scosse la testa e tornò a piegarsi su un nuovo ferito, quando all'improvviso udì un suono strozzato seguito da un grugnito e i suoi sensi la misero in allarme.
Più in là, Graf aveva tagliato la gola ad un soldato e il sangue era schizzato ovunque. Il compagno dell'uomo morto aveva tentato di gridare e lo schiavo lo aveva zittito spezzandogli il collo, così la testa ciondolava in modo scomposto sulla spalla.
Nella tenda scese un silenzio surreale, persino i feriti sgranarono gli occhi e trattennero il fiato.
Dhana si concentrò su di lui. I lineamenti di Graf erano mutati in qualcosa di più selvaggio, meno umani e più bestiali. I muscoli delle braccia si erano gonfiati, facendolo sembrare ancora più grosso e lei lo fissò mentre correva fuori dalla tenda. Per qualche ragione le ricordò un orso, come quelli che aveva visto sulle montagne intorno Menfhis. Gli aveva trovati spaventosi con la pelliccia nera e gli artigli affilati come lame che affondavano nell'acqua del torrente per catturare i pesci, ma le era bastato alzare lo sguardo verso il drago di suo padre per sapere che la sua paura era ridicola.
Si riscosse alle urla dei feriti. “Dobbiamo chiamare qualcuno! Quella bestia selvaggia ci farà uccidere tutti!”
“Le guardie... presto... presto!” strillò un altro, mentre Dhana tentava di frenare il tremito alle mani.
Graf se ne era andato senza dire una parola, con il viso imbrattato di sangue e una furia nell'animo che lei conosceva molto bene. Abbassò gli occhi sul cadavere di un ragazzino denutrito, gettato in un angolo come spazzatura e ricordò che era solito stare insieme a Graf. L'aveva visto lavorare con lui nella miniera e condividere gli stessi pasti.
Quegli occhi aperti e ormai velati da una patina bianca le riportarono alla luce altri ricordi di morte e distruzione. Dhana tentò di calmare il battito del cuore che le martellava furioso nel petto e di scacciare dalla mente le immagini della caduta di Menfhis.
Le colonne del tempio di Zah erano state le prime a crollare, poi era toccato al teatro, al palazzo della giustizia, alla biblioteca pubblica...
Ripensandoci, non riusciva a capire perché lei fosse stata risparmiata mentre James, il dolcissimo James, che sognava di visitare il reame degli elfi e amava la marmellata di fragole fosse dovuto morire insieme al resto della sua famiglia.
Tra tutti, era stata lei quella condannata a vivere per vedere ogni cosa cara agli Ehorin venire cancellata dal mondo.
“Ci uccideranno tutti!” gridò una donna, afferrando un ferito e tentando di metterlo in piedi.
Dall'esterno si udivano i soldati pronunciare ordini secchi e coincisi, mentre a loro si univa il clangore delle armi. Il suono si fece più vicino e Dhana indietreggiò, spintonata dagli schiavi che tentavano di uscire quanto prima dal tendone.
Quell'umano e la sua voglia di ribellione... Stupido e sciocco. Le sue azioni porteranno alla rovina” proruppe Lazhar. Era agitato anche lui e Dhana lo sentì muoversi irrequieto sul suo corpo, fino ad adagiarsi sullo stomaco.
La luna era alta nel cielo quando Dhana uscì sulla piana di pietra e sabbia, accolta da una richiesta di aiuto.
“Pietà!” gridò una donna riparandosi il volto con le mani. Era inginocchiata poco più avanti, accanto ad un enorme masso, e un soldato le stava di fronte.
“Non ho fatto nulla, mio signore!”
L'uomo l'aveva picchiata facendola cadere e ora guardava verso Dhana con sguardo famelico.
A sinistra!” ordinò Lazhar e lei si trovò ad eseguire il comando, scattando di lato. Subito dopo un cavallo la superò al galoppo, travolgendo il soldato che era in procinto di seguirla. Quello non si rialzò e la donna si unì alla fuga precipitosa di altre persone.
Rialzandosi, Dhana si accorse che molti schiavi stavano correndo nelle miniere per tentare di far perdere le tracce agli inseguitori, ma quella strategia poteva rivelarsi una lama a doppio taglio.
La folata d'aria improvvisa e anomala che la investì la mise in allerta. Portò un braccio sopra gli occhi per ripararsi dal vento mentre i lamenti acuti e stridenti delle viverne ingoiavano ogni altro rumore, facendole gelare il sangue.
Se la morte avesse avuto una voce, sarebbe stata quella.
Lazhar la spronò a muoversi e lei si affrettò a seguire il consiglio. Si riprese velocemente dalla sorpresa, memore del tempo in cui era rimasta impotente al suono di quei versi e la sua amata città era andata distrutta.
Un bruciore al ginocchio le fece abbassare lo sguardo. La ferita non era nulla di grave, ma strappò ugualmente una fascia di stoffa per fermare il flusso di sangue. Le viverne erano dieci volte migliori dei cani nel seguire le tracce e l'ultima cosa che le serviva era venir braccata da quelle creature.
Attorno a lei le persone fuggivano in ogni direzione e nessun soldato diede segno di prestarle particolare attenzione. Una delle tende prese fuoco e si consumò in pochi minuti.
Dhana afferrò un ramo appuntito e lo tenne stretto a sé, sebbene sapesse che sarebbe apparsa ridicola agli occhi di chiunque. Qualcuno la spintonò facendola cadere e rialzandosi si accorse ancora una volta di Graf. Era in piedi, poco più in là, accerchiato da una decina di uomini del Marah e se uno sguardo avrebbe potuto uccidere quello sarebbe stato il suo.
Graf sferrò dei pugni e alcuni soldati caddero a terra, poi emise un grido rabbioso. Era impolverato, sporco di sangue e la sua mole si stagliava contro la luce della luna.
Fu in quel momento, mentre si chiedeva se lo schiavo si sarebbe salvato, che Dhana la vide.
La viverna scese dal cielo portando con sé un cavaliere. Era piccola, poco più grande di un cavallo da tiro, e le sue ali si agitavano lente e silenziose.
Lazhar emise un grido roco e graffiante che sapeva di dolore.
Le scaglie erano di un pallido marrone e il corpo flessuoso ricordava quello di un serpente. La coda ciondolava da una parte all'altra. Gli artigli, neri come pietra lavica, brillavano minacciosi e Dhana sapeva bene quanto potessero essere letali a causa del veleno.
Presa dal panico corse nella direzione opposta. Correva senza curarsi di nulla, né della fatica che le bruciava i polmoni né delle grida vittoriose degli uomini del Marah che probabilmente avevano finalmente fermato Graf. Inciampò più volte e rialzandosi si costringeva ad avanzare, perché nulla la terrorizzava più di diventare il pasto di quelle creature.
In lontananza la viverna emise un verso di compiacimento, ma lei non si voltò.
Si assicurò solo di avere il ginocchio ben fasciato e proseguì fino all'estremità più a sud della miniera. Il cancello in quel momento non era sorvegliato e Dhana riuscì a sgusciare nella fessura tra i due portoni. Altri schiavi avevano avuto la stessa idea, ma lei non li seguì.
Le gambe le tremavano e benché non avesse più la forza di fare nulla si impose di continuare a camminare. Si inerpicò sul versante della montagna, mentre ciottoli di pietra scivolavano di sotto. I piedi la imploravano di fermarsi e la gola supplicava per avere dell’acqua, ma Dhana si morse la lingua e scalò la parete cercando di mettere quanta più distanza possibile tra lei e le viverne.
Alla fine trovò una piccola rientranza e si rannicchiò al suo interno. Faceva freddo e persino da quell'altezza riusciva a sentire le grida disperate degli schiavi che chiedevano clemenza alle guardie. Ansimò così a lungo che si chiese come non facessero a sentire il suono del suo respiro giù alle miniere.
Lazhar si agitò sulla sua pelle e lei gli sfiorò il muso, facendosi cullare dal mormorio consolatorio del drago. Aveva paura, era quella l’unica verità. La maggior parte della sua vita l'aveva trascorso in un palazzo pieno di effigi di draghi, circondata da servitori e soldati che sarebbero morti per lei. Ed era stato proprio quello il loro destino alla fine.
Era cresciuta con la convinzione che gli Ehorin e i loro draghi non potessero essere sconfitti, ma in una notte quella convinzione era stata spazzata via. Le viverne avevano cancellato Menfhis dalla mappa geografica e con essa...
Si avvolse con le braccia e pregò che nessuno la scovasse. Era salita sulla montagna nella speranza di confondere eventuali inseguitori e non dubitava che i soldati avrebbero ispezionato ogni strada e villaggio vicino.
Si appisolò sognando immagini di distruzione, affiancate a scene di morte. Si svegliò a più riprese, ma alla fine la sua mente cedette e si addormentò definitivamente.
 
 

Un attimo prima di aprire gli occhi, Dhana capì di essere perduta. Aveva avvertito il freddo di una lama poggiata sul collo e il fiato di uno sconosciuto alitarle sul volto.
“Ti sei svegliata, dunque” esordì spazientito.
Era un ragazzo dagli occhi scuri, i capelli castani legati in una coda e lo sguardo compiaciuto di chi ha portato a termine ciò che si era prefissato.
Aveva con sé ogni tipo di arma: una spada, dei pugnali e una frusta. Indossava un'armatura d'argento e guanti neri con ricamato sopra lo stemma del Marah.
Dhana aveva conosciuto solo un'altra persona che portava quel tipo di riconoscimento e capì che il suo viaggio si sarebbe concluso lì in una grotta dell’Impero di Pars.
Lei non rispose e chinò il capo perché lì, nel posto più improbabile che potesse esserci, aveva incontrato il figlio secondogenito del Marah.
Caleb, era quello il suo nome. L'aveva imparato all'età di dieci anni, insieme al nome del fratello maggiore, Gideon, colui che sarebbe dovuto diventare suo marito se il Marah non avesse deciso di spezzare il patto stipulato con gli Ehorin .
A differenza di Gideon, Caleb somigliava in modo impressionante all'uomo che aveva causato la sua rovina. Aveva gli zigomi alti e dei lineamenti marcati che gli conferivano un'aria cupa.
Il principe inarcò un sopracciglio e alzò un braccio. Di riflesso Dhana si portò le mani alla testa, certa che l'avrebbe colpita.
Quando il colpo non arrivò si arrischiò a guardarlo di nuovo.
“Sei stata astuta a nasconderti quassù. Gli altri schiavi che hanno tentato la fuga sono stati trovati nascosti lungo la strada principale e riportati alla miniera dopo poche ore.”
Dhana rimase in silenzio.
Caleb si allungò in avanti e le afferrò il mento, studiandola con fare assorto. “Una scelta curiosa. Nessuno ti avrebbe mai trovato se Karo non avesse fiutato il tuo sangue.” All'esterno risuonò il ruggito della viverna che aveva visto in precedenza.
“Sei muta forse?” la interrogò infastidito. “Qual è il tuo nome?”
Lei strinse i pugni e socchiuse le labbra. “Dhana” rispose.
Lazhar emise dei sibili bassi e continui, pregandola di liberarlo, ma se lo avesse ascoltato e lui fosse riuscito a uccidere il figlio del Marah non ci sarebbe stato modo di giungere nella capitale nemica. L'esercito di Valantia le avrebbe dato la caccia in ogni angolo del continente e nessuno si sarebbe schierato in suo aiuto. Le vecchie alleanze si erano sciolte con la caduta di Menfhis.
“Puzzi... e sei sporca” commentò Caleb con una naturalezza che fece infuriare Dhana.
“Attendevo che tu venissi a salvarmi” replicò beffarda.
Caleb spalancò gli occhi e incredibilmente scoppiò a ridere mentre il sole illuminava di riflessi ramati i suoi capelli. La viverna si avvicinò, ma il figlio del Marah la allontanò con un gesto.
“Sei intelligente” riprese e lei non capì come interpretare quella frase. “Per essere una schiava” chiarì subito dopo.
Viscido bastardo! Ti strapperei la testa se-” inveì il drago.
Zitto Lazhar!” gli ordinò lei. “La viverna potrebbe percepire la tua presenza!”
Caleb srotolò la frusta e con uno schiocco la avvolse attorno al polso di Dhana, tirandola verso di sé con la forza. “Potresti essere anche carina sotto quel cumulo di sporcizia. Verrai con me” decretò, lasciandola spaesata.
“Lasciami!” gridò lei, tentando invano di liberarsi.
Lui si voltò di scatto. Il suo sguardo era feroce, quello di un principe abituato ad ottenere tutto. “Sono io a dare gli ordini” dichiarò lapidario. Furono raggiunti dalla viverna che spalancò la bocca e mostrò la lingua biforcuta.
L’alito puzzolente investì Dhana che ebbe un conato di vomito.
Caleb sogghignò e la spintonò verso Karo che piegò il muso per fiutarla meglio. I suoi occhi rossi si muovevano da una direzione all'altra, sospettosi.
Dhana fu issata con forza sul dorso della creatura e inutili furono i suoi tentativi di resistenza.
Sotto di lei sentiva i muscoli della viverna contrarsi e rilassarsi. Le squame erano lisce e scivolose, non dure e grezze come quelle dei draghi. Era una sensazione che la metteva a disagio.
Una volta al mercato di Denguls aveva osservato un fachiro ammansire un serpente con il flauto e poi carezzarlo come fosse stato un cane o un gatto. Alla conclusione dell'esibizione era andata da lui per parlargli, ma non aveva trovato il coraggio di toccare il rettile. Aveva sempre avuto un'avversione per le creature che strisciavano sul terreno, dalle innocue lumache e vermi fino ai serpenti. Più volte, si era chiesta se quella repulsione fosse dovuta all’eredità Ehorin.
Karo spalancò le ali, le zampe si staccarono dal terreno, e loro si trovarono sospesi nel cielo blu terso. La viverna sfruttò alcune correnti ascensionali e salì in alto. Dhana si lasciò sfuggire un urlo quando la creatura virò bruscamente a destra, dandole così modo di vedere il campo schiavi delle miniere.
I sopravvissuti alla notte precedente erano stati radunati davanti all'ingresso di una galleria e in piedi procedevano uno dietro l'altra con in mano un secchio di legno ciascuno.
I morti erano stati accatastati in una fossa comune, insieme ai cadaveri dei soldati e qualcuno vi stava spargendo sopra dell'olio. Al cenno di un segnale prestabilito una torcia fu gettata a terra e le fiamme avvolsero i corpi senza vita. Un fumo nero e acre si levò in cielo, facendola tossire.
Era quella la fine che sarebbe toccata a lei?
Nemmeno Lazhar aveva risposta per quella domanda e mentre il fumo diventava più denso i suoi occhi scorsero Graf, seviziato dai soldati del Marah. Lo schiavo era stato fatto inginocchiare al centro del piazzale dove solitamente venivano caricati i carri di damantis. Gli uomini gli sputavano addosso, colpendolo talvolta con dei bastoni. Il viso di Graf era una maschera di sangue e il suo corpo tremava nel tentativo di resistere a quelle percosse.
Una folata di vento più forte delle altre rischiò di farle perdere la presa e Dhana ringraziò Zha per non averla fatta precipitare.
“Piccola ribelle” si appellò il principe rivolgendosi a lei. “Credevi di fuggire e sei finita tra le braccia del cacciatore” proseguì insolente.
“Tu sei una schiava e io il tuo padrone. Ormai appartieni a me e farai ciò che comanderò.”
Dhana fece una smorfia, grata che lui non potesse vederla. Un tempo era stata portata a credere che il primato di arroganza dovesse per forza di cose appartenere al principe ereditario, ma Caleb Ned’deq poteva facilmente tenere il passo del fratello.
Karo virò a destra, lontano dal miasma fetido e Dhana si arrischiò a prendere una boccata d’aria per allentare la tensione dei muscoli.
“Perfino in questo angolo sperduto di Pars il mio nome è noto a chiunque. La prossima volta che ci vedremo tu ti inchinerai, piccola ribelle.”
Dhana ebbe uno spasmo alla mano nel sentirlo usare nuovamente quel soprannome.  “Sentiti onorata di trovarti al mio fianco. Io sono Caleb, di Valantia, principe dell’Impero parsiano.” si presentò il figlio del Marah, che in volo era perfettamente a suo agio. Lei gli avrebbe sputato in faccia se non avesse rischiato di morire.
Poi lui afferrò le briglie della viverna e Karo, rispondendo ai suoi comandi, scese lentamente di quota. Sembrava quasi che galleggiasse nell’aria.
“Rallegrati” le suggerì infine in modo pacato. “Tu sei stata scelta. L’ultima di sette.”
E cosa vorrebbe dire?” intervenne Lazhar.
Dhana avrebbe voluto fare domande, ma quando finalmente atterrarono Caleb la fece scendere con uno strattone e le indicò Graf, più in là, che la fissava ma senza guardarla davvero. Gli leggeva la colpa negli occhi, il dubbio di chi crede essere la causa degli eventi.
A differenza sua, però, Dhana era certa di una cosa: se qualcuno era colpevole quello non poteva che essere il Marah.
 
 
 
 
 
 

Informazioni: È passato moltissimo tempo da quando ho postato un’originale su EFP e in verità questa sarebbe dovuta essere una storia lampo, 4-5 capitoli al massimo, ma la cosa mi è sfuggita di mano!
Si tratta di una storia fantasy di stampo classico, alla "Sword and Sorcery". Quando l'ho ideata non pensavo che mi avrebbe portato al punto in cui è adesso.
Ed è così è nata una storia di draghi, stirpi spezzate e regni dimenticati. La storia spazia in luoghi tra loro molto diversi: tra foreste verdeggianti, cupe miniere e deserti infiniti. Spero che vorrete intraprendere con me questa nuova avventura! :)
Ringraziamento speciale a: Harmony394 che ha letto in anteprima la storia e mi ha dato preziosi consigli!
 


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Capitolo 2
*** Candidata ***





Capitolo 02: Candidata
 



 
Il sole sorgeva ormai alto, quando Dhana si arrischiò ad avvicinarsi a Graf. Caleb l’aveva lasciata subito dopo averla riportata al campo e l’unico suo ordine era stato quello di rimanere in luoghi dove potesse essere sorvegliarla.
Gli schiavi e i minatori avevano già terminato un primo turno lavorativo e attorno si sentivano i colpi ritmati dei picconi nella roccia. I secchi e i vagoncini di ferro pieni di damantis salivano e scendevano dalla montagna senza fine.
Il regno di Pars era prosperato grazie a quel minerale e il Marah era solito vantarsi delle inesauribili risorse sotterranee. Per proteggere quel tesoro venivano impiegati solo schiavi, controllati a vista e impossibilitati a svelare l’ubicazione delle miniere, mentre i soldati erano sottoposti a rigide imposizioni. I nemici del Marah avrebbero pagato qualsiasi cifra per conoscere l’ubicazione del damantis, l’unica arma efficace contro la magia. L’esportazione di quest’ultimo era aumentata vertiginosamente dopo la scomparsa dei draghi, come se gli umani temessero ritorsioni per quanto successo. Avevano costruito arsenali di spade, lance e punte di freccia capaci di interferire con la magia e le creature nate da essa.
Ed era per quella ragione che si era unita agli schiavi della miniera. Si era vista costretta a farlo per sfuggire all’elfo che da tempo la inseguiva nei suoi viaggi solitari.
In quelle due settimane da schiava, il damantis aveva indebolito sia lei che Lazhar, ma allo stesso tempo aveva fatto perdere le sue tracce al cacciatore di taglie.
Quella decisione, al limite della follia, le era costata cara.
I primi giorni erano stati i peggiori mentre, intrappolata nelle gallerie della miniera, il damantis incombeva su di lei stringendole i polmoni in una morsa soffocante. Il suo corpo si era abituato a quella presenza costante con una lentezza esasperante e proprio quando aveva pianificato la fuga, i suoi piani erano stati distrutti da una ribellione sedata sul nascere.
Dhana chiuse gli occhi e fece un respiro profondo. Si concentrò sul suo vero obiettivo, quello che l’aveva spinta così a sud del continente: un drago, un sopravvissuto alla caduta di Menfhis, che si diceva trovarsi a Valantia.
La speranza e la pazzia di quel pensiero le avevano dato la forza di sopravvivere alle insidie celate nella Valle del Crepuscolo. Come fosse possibile che un drago ancora vivesse non lo sapeva, ma aveva avuto il bisogno di aggrapparsi a quella tenue illusione.
Con rapidi movimenti legò i capelli in una treccia. Erano sporchi e, come lei, puzzavano. Di quello doveva dar atto alle parole di Caleb. A Menfhis aveva odiato le cameriere che ogni giorno si presentavano nella sua camera per lavarla da cima a fondo e all’epoca non avrebbe mai detto che un simile trattamento un giorno potesse mancarle.
Si fermò davanti a Graf. Lo schiavo aveva le mani legate ed era ricoperto di sangue ormai rappreso che seccandosi aveva assunto una colorazione nerastra. 
Accanto c’era una tinozza d’acqua che lei prese e utilizzò per ripulirlo come meglio poté. Le braccia erano piene di tagli e contusioni, mentre il volto e il collo erano ricoperti di ematomi violacei.
Un soldato le scoccò un’occhiata piena di disgusto.
“Perché stai facendo questo?”
Dhana ebbe un sussulto quando Graf le pose la domanda. “Non amo vedere le persone che soffrono senza tentare di alleviarne il dolore.” Erano parole sincere, ma era una verità che aveva appreso in modo egoistico. Quante volte aveva desiderato che qualcuno si prendesse cura di lei quando Menfhis era caduta? C’era stato il generale Brom, certo, ma era stata una presenza discontinua e l’aveva presa con sé più per dovere che vero affetto. Le aveva voluto bene, a modo suo, e Dhana aveva ricambiato ma non era mai stato la spalla sulla quale lei avrebbe voluto piangere e sfogare il suo dolore.
Alzò il braccio e passò un panno umido sul labbro tumefatto dello schiavo, premurandosi di non premere eccessivamente. “Mi dispiace per il ragazzo che era con te.” Era addolorata, ma dopo James aveva imparato a convivere con certe tragedie.
Graf piegò il capo. “Sam era l’unico che discuteva con me senza avere paura. Lo divertiva vedermi in difficoltà con le parole.           Diceva che ero buffo. Grande, grosso e timido” aggiunse con voce amara. “È morto soffocato.”
E James? Dhana se lo chiedeva spesso e sperava, in modo quasi ossessivo, che la morte lo avesse accolto in fretta e che Herana non lo avesse fatto soffrire in modo eccessivo. “Sono certa che fosse un bravo ragazzo, troverà pace nel Cielo d’Oriente” mormorò Dhana, incapace di trovare parole che potessero essergli di conforto.
Poco dopo, si arrischiò a fare una domanda scomoda. “Perché sei… vivo? Cosa vogliono da te?”
Graf sputò a terra un grumo di sangue e saliva. “Da me?” grugnì con voce cavernosa. “Mi tengono come esempio. I soldati vogliono che gli schiavi ci pensino due volte prima di ribellarsi nuovamente. Non mi piace il nuovo ispettore” borbottò, facendo un cenno in direzione della viverna che sorvolava la zona. Karo compiva voli circolari sopra la miniera e ogni tanto si lanciava nell’inseguimento di qualche uccello, divorandolo in meno di un minuto. Caleb non era con lui e Dhana non osava pensare di cosa stesse discutendo con il sovrintendente della miniera. Molte teste sarebbero saltate per quello che Graf aveva scatenato il giorno prima. Schiavi che non avevano alcuna colpa se non quella di essersi trovati nel posto sbagliato.
Era colpa di quell’uomo se gli schiavi avrebbero ricevuto una punizione esemplare. Probabilmente avrebbero diminuito le riserve d’acqua, già esigua, e raddoppiato i turni di lavoro. Avrebbe voluto chiedergli se si sentiva in colpa, ma come poteva giudicarlo quando anche lei avrebbe sfruttato ben volentieri la prima occasione che le si fosse presentata per vendicarsi del destino toccato a Menfhis?
“Non è un ispettore” gli rivelò a bassa voce. “È il secondo figlio del Marah. E credo che ti abbia tenuto in vita per un motivo” gli rivelò, sempre più convinta di quell’intuizione.
 “Per le piume di Angris!” sbottò Graf, soffocando un gemito di dolore. Malgrado dovesse avere almeno due costole rotte, la sorpresa della notizia l’aveva preso alla sprovvista. Pronunciava le parole in modo particolare, allungando spesso la lettera s e marcando le r.
“Vieni dal territorio di Salot, le dieci città indipendenti?” domandò Dhana, anziché rispondere all’evidente curiosità che aveva suscitato su Caleb. Le lezioni di geografia le erano sempre piaciute e dopo la caduta di Menfhis le era stato evidente l’importanza di conoscere i regni vicini. Non sarebbe sopravvissuta a lungo se non avesse imparato le usanze degli altri popoli.
Il volto di Graf si incupì. “Come l’hai capito?” volle sapere. “Sono cresciuto a Tarret, l’Ultima Città”.
“Il nome di Angris non è molto noto, ma è di certo conosciuto dagli abitanti che hanno prosperato grazie alla sua leggenda.”
Lazhar si spostò verso la sua spalla e Dhana trattenne un risolino. Il drago stava dormendo, come faceva spesso da quando erano giunti alle miniere.
Graf annuì. “Il grifone scarlatto, era soprannominato… ma la sua leggenda ormai si è persa da centinaia d’anni” proseguì amareggiato. “Ho visto una di quelle creatura da bambino, mentre artigliava un cervo e lo faceva a pezzi come un macellaio.” Fece una pausa e si sfiorò lo zigomo, dove c’era una piccola cicatrice. “Una spettacolo spaventoso. Cominciò strappandogli le zampe e per il cervo non fu una morte rapida. All’epoca gli adulti facevano circolare un sacco di storie sui grifoni e noi ragazzi ne eravamo terrorizzati. Non abbastanza per evitare di cercarli, certo. Dopotutto sognavamo tutti di catturarne uno da vendere al mercato nero.” 
Distratta, Dhana smosse dei sassolini con la punta del piede. A palazzo era esistita una collezione di piume prese da quelle creature sfuggenti. Suo fratello Victor amava la sala in cui erano state riposte sotto teche di vetro e spesso vi aveva portato anche lei, reggendola sulle spalle quando era ancora troppo piccola per scorgerle dal pavimento.
Il dolore, subdolo, si insinuò nella sua mente e le ci vollero diversi minuti per scacciare quelle immagini nostalgiche. A volte credeva che i ricordi fossero più dolorosi della realtà in cui viveva, eppure continuava a tenerli stretti, incapace di lasciarli andare.
“Da adulto ho compreso che erano ben altri i veri macellai” concluse Graf rivolgendo un’occhiata piena di risentimento agli uomini del Marah.
Anche Dhana arrischiò una rapida sbirciata. Alcuni erano in servizio, altri erano seduti a gruppetti di tre o quattro persone e giocavano a carte o ai dadi.
Si morse il labbro inferiore e alla fine trovò il coraggio per fargli un’altra domanda. “E cosa mi dici dei draghi?”
La guardia che li sorvegliava sbuffò e fu quello a risponderle. “Dico che sono tutti morti!” dichiarò compiaciuto. “E che si vive meglio senza quei mostri sputafiamme.”
Lei non ripose, ma avvertì distintamente sulla pelle un occhio di Lazhar aprirsi e la coda frustarle la pelle.
“Ah, eccoti qui, piccola ribelle.”
Dhana si irrigidì sentendo la voce di Caleb raggiungerla alle spalle. Aveva sperato di non rivederlo prima di sera e anche allora avrebbe cercato un modo di sfuggirgli.
Il figlio cadetto del Marah la superò e la guardia serrò i tacchi, mettendosi a disposizione del principe. “Draghi, eh? Argomento interessante, mio fratello ne sarebbe entusiasta” esordì con una smorfia che mascherò un istante dopo.
Graf raddrizzò la schiena e squadrò con aria truce il nuovo arrivato. “Li uccise tutti, giusto? Quella notte fu un massacro… ma il Marah agisce così no?”
Caleb serrò la mascella e Dhana si portò una mano al cuore. C’era dell’altro nelle parole dello schiavo, qualcosa che lei non riuscì ad afferrare.
Il principe volse lo sguardo su di lei. “La gente tende sempre ad ingigantire ciò che è avvenuto.”
Lei chiuse gli occhi, furiosa. Oh, era certa che per Caleb Ned’deq quella fosse un’esagerazione. Cresciuto con un padre che aveva passato la vita a guerreggiare con il resto del continente, cosa poteva significare per lui la morte dei draghi e degli Ehorin? Dovevano essere solo una tacca sul grande progetto delle loro conquiste. Nei suoi incubi i draghi precipitavano al suolo, fulmini illuminavano il cielo e centinaia di viverne erano sopra le abitazioni di Menfhis. E poi c’era Gideon Ned'deq che tendeva la mano insanguinata verso di lei.
“Vostro fratello” sputò lo schiavo. “Lo chiamano Nero Terrore, Ammazzadraghi, ma si dice che ora sia incapace perfino di salire in groppa alla sua viverna… che abbia paura della sua stessa ombra” insinuò Graf e lei non si sorprese nel vedere Caleb colpirlo violentemente alle costole.
“Cosa ne vuoi sapere, tu!” esclamò il cavaliere. “Vivi in queste miniere da così tanto tempo che il tuo nome è stato dimenticato e ormai nessuno parla di quanto accaduto dieci anni fa! Sei diventato inutile. Un eroe caduto in catene!” Si chinò per picchiarlo di nuovo e ogni volta che il principe sferrava un colpo la cotta di ferro tintinnava. Lo derideva senza pietà, infierendo su Graf e traendone uno strano piacere. “Eroe dei namoo” lo chiamò con disprezzo. “Ora tutto ciò che sei è questo: uno schiavo piegato di fronte a me. E il damantis-”
“Fermatevi!” lo supplicò Dhana, allungandosi in avanti e aggrappandosi alle sue spalle. Graf aveva perso i sensi e la sudicia maglia che indossava si era strappata, rivelando un corpo pieno di cicatrici e segni di percosse.
Sopra di loro, Karo emise un lamento acuto, volando in cerchi concentrici sempre più piccoli.
La testa di Graf ciondolò di lato. “Lo ucciderete!” gridò la ragazza.
Le sue urla furono inghiottite dal fischio del corno che segnava  la fine di un altro turno di lavoro per gli schiavi. Tre carri carichi di damantis li superarono ed erano così pesanti che le ruote lasciavano un solco lungo la strada sterrata.
Karo planò in quell’istante, facendo fremere la terra sotto di loro e allungò il collo fino a spingere Caleb contro di sé, come un cucciolo in cerca d’affetto. I soldati guardarono la scena con ammirazione mentre gli schiavi chinarono  la testa, mormorando tra loro parole che se giunte a orecchie sbagliate sarebbero costate care.
Dhana ne approfittò per correre da Graf e assicurarsi che respirasse ancora. Il petto si alzava lentamente intervallato da un sibilo continuo.
Fu sul punto di tirare un sospiro di sollievo quando ogni cosa attorno a loro tremò. Dhana cadde a terra, incapace di mantenere l’equilibrio e sentì le urla spaventate degli schiavi chiusi nei cunicoli delle montagna.
La viverna sbatté le ali per prendere quota e lei fu tentata di alzare lo sguardo, cercare Caleb e urlargli di aiutarla. Il soldato che prima aveva sorvegliato lei e Graf si allontanò di corsa, bianco in viso e abbandonando la lancia al suolo.
Subito dopo, un boato più forte scosse l’intera zona.
La montagna sta franando!” ruggì Lazahar, spronandola a cercare riparo. Una nube di polvere bianca salì al cielo e dalla parete scoscesa si staccarono rocce di grandi dimensioni che ostruirono uno degli ingressi della miniera. Degli schiavi e anche alcune guardie furono schiacciate, quelli sfuggiti ai massi gridavano bloccati nei condotti della cava. Dhana si trascinò fino a Graf e con fatica lo nascose dietro un masso, poi sporse la testa.
Nello stesso istante il terreno smise di tremare e un silenzio inquietante avvolse la cava. Un cavallo la superò al galoppo, privo di cavaliere e infine grida di ogni tipo esplosero attorno a lei, come se il mondo avesse trattenuto il fiato fino ad allora.
Stai bene? Dhana, stai bene?” ripeté più volte Lazhar.
Dhana deglutì. Non era mai stata testimone di terremoti di così vasta portata e ora che il peggio sembrava essere passato lei si sentiva prosciugata di ogni forza. La scossa non doveva essere durata più di qualche secondo ma le era sembrato un attimo eterno, così come lo era stato assistere alla fine di Menfhis. 
Si alzò, traballante, accorgendosi che attorno a lei sembrava essere sceso un banco di nebbia impenetrabile. La polvere di roccia e detriti le entrò nei polmoni minacciando di soffocarla, così sì avvolse un pezzo di stoffa attorno al viso.
Erano i draghi a mantenere l’equilibrio di questo mondo” osservò Lazhar e lei non poté che chiudere gli occhi, riaprendoli con le immagini di quelle creature antiche che volavano a spirale nel cielo di Menfhis.  “Senza di loro… è come se al mondo mancasse qualcosa.
Dobbiamo raggiungere Valantia. Se le voci sono vere… se un altro drago vive ancora…”
Se c’è lo troveremo” confermò Lazhar, emettendo un basso ruggito continuo che assomigliava quasi alle fusa di un gatto. Dhana poggiò la mano sullo stomaco e si inoltrò nella nube. Le fu difficile distinguere qualsiasi cosa si trovasse a più di due passi di distanza da sé.
Più volte le capitò di inciampare e alla fine decise di fare affidamento sui sensi del drago che la guidarono con sicurezza verso l’accampamento dei soldati.
Se qualcuno l’avesse vista in quel momento avrebbe riconosciuto facilmente in lei l’ultima erede degli Ehorin. O un demone, difficile dirlo con sicurezza. Quando condivideva le capacità di Lazhar alcuni tratti fisici del suo corpo mutavano inevitabilmente, assumendo sembianze diverse.
In quelle occasioni la pupilla si allungava come quella di un felino e l’iride assumeva un colore rosso vivo, diventando scarlatta come le scaglie di Lazhar. I capelli neri assumevano una sfumatura ancora più cupa, scuri come la pietra che un tempo aveva adornato i templi di Menfhis. Le unghie mutavano in resistenti artigli e la pelle emanava un forte calore corporeo.
Abituarsi a quei cambiamenti non era stato semplice. Per un anno, da quando aveva lasciato Menfhis, non era stata capace di controllare la trasformazione e quando avveniva la lasciava per giorni prosciugata di ogni forza. Era un Ehorin, certo, ma nessuno l’aveva preparata a cosa avrebbe significato portare su di sé il tatuaggio draki. Se tutto fosse andato come doveva e la capitale non fosse mai andata distrutta, Dhana sarebbe stata seguita da un sacerdote e solo al compimento dei sedici anni le sarebbe stato impresso il tatuaggio. Quella fatidica notte ogni cosa era accaduta troppo in fretta e in modo cos sbagliato che-
La viverna sta arrivando e da come sbatte le ali sembrerebbe irrequieta” l’avvertì il drago, interrompendo quei pensieri. “Muta aspetto e riprendi sembianze umane.
Lo fece immediatamente, prima ancora che Lazhar finisse di parlare.
La pelle tornò rosea e Dhana percepì nuovamente la debolezza dei muscoli e la fragilità delle ossa umane. Con la vista nuovamente normale proseguire nella foschia era uno ostacolo più difficile da superare.
Da qualche parte, mentre procedeva, sentì Caleb impartire degli ordini a Karo e la viverna rispondere con un acuto stridio.
Quante vittime c’erano state quel giorno? Quanti morti avrebbero incrociato la sua strada prima che lei riuscisse a raggiungere i suoi obiettivi?
Ricordò che Caleb era fuggito come un codardo quando la terra aveva tremato. A lui non interessava né la vita degli schiavi né quella dei soldati. Fu inevitabile pensare come sarebbe potuta andare la situazione se al posto suo ci fosse stato Gideon…
Il pensiero si concluse lì, come ogni volta che tentava ragionamenti simili.
Gideon, il suo promesso sposo. Il nome che aveva portato distruzione e speranza tra gli Eohrin. Dhana l’aveva trovato bello, fin troppo, la prima volta che a dodici anni i suoi occhi si erano posati sul profilo elegante e composto del figlio del Marah. Ma un demone è sempre affascinante finché non tira fuori zanne e artigli.
Sentì un’inevitabile stretta al petto. “Non ti libererai mai dal suo fantasma. Perfino ora lui ti cerca” dichiarò Lazhar. “ Continua a cercarci. Ovunque.” Era strano il modo in cui lo disse, come se il drago stesse rimuginando su qualcosa, ma volesse tenere per sé le sue considerazione. Era da un po’, in effetti, che Lazhar si chiudeva a riccio quando saltava fuori l’argomento Gideon.
Tuttavia le sue parole erano vere. Per quanto odiasse il promemoria di Lazhar, Gideon sapeva che era viva.
La cercava da cinque interminabili anni. Lui l’aveva vista fuggire quella notte. No, peggio, l’aveva lasciata scappare e poi l’aveva inseguita senza tregua. E Dhana gli era sfuggita, ogni volta.
Nelle sere in cui gli incubi non le davano pace si chiedeva se Gideon sarebbe stato capace di riconoscerla. Era diversa, era cresciuta, il legame con Lazhar aveva mutato ogni cosa e ciò che non aveva cambiato il drago l’aveva fatto il tempo.
Dhana si asciugò la fronte dal sudore e camminò alla cieca finché non sbatté sul petto di qualcuno. Rimbalzando all’indietro si rese conto che era Caleb colui che le aveva impedito il passaggio.
“Ah, vedo che sei viva” commentò il principe, atono. Aveva i capelli in disordine e un’espressione arcigna. Come per lei, anche i suoi vestiti, erano pieni di polvere.
“Mi spiace di avervi dato questo dispiacere.”
“Al contrario” ribatté l’altro, facendo schioccare la lingua. “Ciò dimostra che Karo non ha sbagliato nell’indicarmi te come candidata.”
Il principe aveva già affermato qualcosa di simile quando l’aveva trascinata fuori dalla grotta, ma fin ad allora Dhana non ci aveva prestato molta attenzione.
“Candidata?” gli fece eco, dubbiosa. In quella situazione avrebbe dovuto restare zitta, perché quel mistero era l’ultima delle sue preoccupazioni, ma la curiosità ebbe la meglio.
Un vociare continuo e confuso li si propagò attorno a loro, infine i soldati del Marah sciamarono attorno a loro, armi in pugno come se dovessero affrontare chissà quale mostro. Furono raggiunti anche da Karo. La viverna spesso allungava il muso in avanti per fiutarla e Dhana la guardò con astio.
Caleb fece un gesto vago con la mano, come se dovesse scacciare una mosca. “Come ti ho già detto sei stata scelta per affrontare  una sfida. Mortale, probabilmente” specificò con aria canzonatoria. “Non lo trovi intrigante?”
Dhana trasalì come se qualcuno le avesse dato uno schiaffo. “Cosa?”
“Una competizione, un torneo…. Dagli pure il nome che preferisci, la sostanza non cambia” le illustrò come se fosse stupida. “Tu ci parteciperai insieme all’altro schiavo. Vi porterò con me a Valantia e a quel punto scopriremo chi di voi sopravvivrà. Questo evento risuonerà in tutte le terre, fino alle estreme isole del Mare Freddo.” Gli occhi del principe brillarono di entusiasmo e divertimento. “I bardi narreranno a lungo ciò che accadrà nei giorni a venire.”
Karo inclinò il collo a sinistra e mostrò la una fila di zanne acuminate.
Rammenteranno anche di come farò sparire quella smorfia dal tuo volto! Parleranno di Caleb e del drago che ha divorato le sue reali chiappe!” esclamò Lazhar, facendole affiorare un sorriso.
Dhana si afferrò una ciocca di capelli, reticente a fissare il figlio del Marah negli occhi. “E cosa accadrà?”
Caleb incrocio le braccia al petto, quasi ghignando. “Immagino dipenderà tutta da te. Potresti diventare un cavaliere al servizio di mio padre, ma solo se sopravvivrai, certo. Le probabilità non sono a tuo vantaggio.”
Cavaliere? Era quello lo scopo? Il Marah era così annoiato dai tempi di pace che si divertiva a veder combattere tra loro schiavi per passare la giornata? E il vincitore avrebbe passato il resto della vita nell’esercito di quell’uomo? Certo, per uno schiavo o un condannato a morte una simile opportunità era più che esaltante, ma per lei un risultato simile sarebbe stato catastrofico. Lavorare per quell’uomo era la peggior tortura che poteva immaginare.
Inoltre, doveva dare ragione al principe. In un torneo, contro altri contendenti, non sarebbe stata in grado di sostenere un combattimento di lunga durata. Non era stata cresciuta per essere un soldato, una spia, o un assassino. Certo, il generale Brom l’aveva aiutata a fuggire da Menfhis e l’aveva tenuta al sicuro per due anni, ma era anziano e si era limitato ad insegnarle tecniche base di sopravvivenza.
“Cavaliere? Per questo il tuo nome dovrebbe diventare leggenda? Un po’ esagerato, credi?” considerò Lazhar. Era scettico quanto lei. Sicuramente le sfuggiva qualcosa.
“Perché io?” domandò quindi.
“Ti ha scelto Karo” ripeté Caleb, quasi indifferente, come se quello potesse spiegare ogni cosa. Dhana era più propensa a credere la viverna avesse indicato lei per sfortuna. O fortuna, dipendeva a come dovesse interpretare quell’incontro.  
Il principe riprese a parlare. “Ma non durerai a lungo, come i tuoi predecessori del resto. Lei tende a… come posso dire? Mangiarvi.”
La sua mente corse in un’unica direzione. “Lazhar!” chiamò.
“Curiosa? Non sempre la curiosità è un bene. Per esempio, se io ti dicessi che esiste un drago  vivente, ultimo della sua razza?” continuò Caleb, spronato dal suo evidente stupore. “Reagite tutti allo stesso modo. Questo segreto è diventato quasi noioso raccontarlo.”
Dhana deglutì, gli occhi lucidi per l’emozione. Dovette trattenersi dal non gettarsi tra le braccia di Caleb, troppa era la felicità.
C’erano state delle voci su quanto accennato dal principe. Nelle locande i viaggiatori raccontavano di un drago, l’Ultimo, l’avevano soprannominato, che era rinchiuso nel palazzo del Marah e attendeva che un erede perduto di Endra giungesse a liberarlo. Le diverse versioni del racconto mutavano da un paese all’altro, ma la premessa era sempre la stessa: un eroe che salvava il drago, anziché ucciderlo.
Dhana si portò la mano alla bocca e affondo i denti nella carne. Non voleva illudersi troppo, sebbene proprio su quella diceria si basasse il suo viaggio al sud. “I draghi sono morti. Tutti” farfugliò affranta. “L’avete detto anche voi” concluse in un flebile sussurro. La speranza la spaventava e al contempo era l’unica cosa che la faceva andare avanti. Se quello fosse stato un inganno, una menzogna… Il suo cuore non avrebbe retto a una tale falsità.
“Sì, sono morti” confermò Caleb, accarezzando un’ala di Karo e lei si sentì tradita nel modo più subdolo di tutti. Le aveva dato speranza e gliela aveva tolta con una tale velocità da lasciarla frastornata.
“Tutti i draghi di Menfhis sono morti in quella notte di cinque anni fa” rincarò la dose. A Dhana sembrò che il suo mondo, le sue speranze crollassero una seconda volta.
“Ma questo drago non era lì, quando la capitale di Endra cadde” aggiunse il principe.
Karo puntò gli occhi dorati su di lei e Dhana temette che lui avesse capito ogni cosa.
Lazhar si muoveva irrequieto sulla sua schiena, incapace di stare fermo. “El-“
Non gli diede il tempo di concludere. “Non usare quel nome!” strillò Dhana nella mente. Erano stati i draghi, per primi, a insegnarle quanta forza si celasse in un nome e Lazhar sapeva bene quanto non volesse che pronunciasse il suo.
Il drago emise una sorta di sospiro, un ruggito spezzato a metà. “Dhana” si arrese. “Il tempo non cancellerà il tuo vero nome…
Lei lo ignorò e tornò a concentrarsi sulle parole di Caleb. “Ciò che avete detto è… È impossibile!” esclamò, più rivolta a se stessa che al principe. I draghi non si allontanavano mai da Menfhis, perché era lì che c’erano i loro nidi e le loro uova. Inoltre, un accordo voluto da Zah stesso impediva ai draghi di allontanarsi senza l’approvazione degli Ehorin. Era un modo per controllare la situazione, in memoria dei tempi in cui i draghi vagavano indisturbati in ogni parte del continente, creando non pochi problemi.  Come era possibile quindi che un drago non presente nella capitale fosse stato catturato? E vivo, per di più!
Caleb stava per replicare, quando furono travolti dai prigionieri superstiti che fuggivano in ogni dove, ignorando qualunque cosa si frapponesse tra loro e la salvezza. Alcuni non badarono nemmeno alla viverna, tenuta ferma per le briglie dal suo padrone. Le urla e la confusione dilagarono nuovamente tra gli schiavi.
Alcuni soldati affiancarono il principe e Caleb impartì loro nuovi ordini. Poi la indicò. “Portatela all’accampamento e fatela lavare” comandò, memore delle condizioni in cui versava. “Non voglio rischiare che i cavalli si prendano i pidocchi.” Due dei soldati sghignazzarono senza ritegno, mimando il gesto di portarsi le mani al naso.
Dhana si sarebbe offesa nuovamente se alle orecchie non le fossero giunti i lamenti disperati degli uomini intrappolati nella roccia. Il tunnel ricoperto di detriti era parzialmente accessibile solo da una fessura in alto, da cui i sopravvissuti si sbracciavano in cerca di salvezza. All’improvviso le parole di Caleb tornarono ad essere insignificanti, mentre quegli schiavi lottavano tra la vita e la morte.
“Posso aiutare” affermò. “Sposterò i detriti, farò-“
“Farai ciò che ho detto io” la liquidò Caleb. “Aiutare?” la beffeggiò, saltando in groppa ad un cavallo. “Non sei in grado nemmeno di salvare te stessa. Cosa pensi di poter fare per aiutare loro?” 
Più di quanto fai tu, avrebbe voluto rispondere, ma si morse il labbro e rimase n silenzio.
 

 

La trascinarono in una tenda di tessuto scuro e lì trovò una tinozza di legno, riempita con dell’acqua a temperatura ambiente. C’erano anche degli abiti dal taglio maschile e di stoffa grezza appoggiati su una panca, poco più in là.
Si spogliò e si immerse poco dopo, grattando e strofinando la pelle con vigore, finché tornò di un pallido color rosato. Le unghie delle mani erano nere e scorticate e ci impiegò diversi minuti per pulirle, ma malgrado gli sforzi riuscì solo a renderle presentabili. Furono i capelli a darle i maggiori problemi. Fuggita da Menfhis gli aveva tagliati fino alle orecchie, ma dopo anni le erano cresciuti fino a metà schiena. Erano comunque secchi e ribelli e risentivano di quel clima caldo e umido.
Come pensi sia sopravvissuta?” intervenne Lazhar, quando Dhana si alzò dalla vasca per vestirsi.
Si riferiva al drago ovviamente. Una femmina, era l’informazione sfuggita dalle labbra di Caleb. “Il principe spera che qualcuno riesca a domarla, come se un drago potesse essere sottomesso nel modo in cui si ottiene la fedeltà di un cane. Ma a quale scopo? Il Marah vuole usarla in battaglia o fare sfoggio agli altri del suo potere?”
Pensi che gli elfi interverrebbero?”
Lei infilò i pantaloni, stringendoli con un laccio prima di rispondergli. “Forse, è difficile dirlo. Re Lirael guarderà prima ai suoi interessi, come è sempre stato. Ma il popolo elfico venera i draghi fin dai tempi antichi… se riuscissimo a salvare questo esemplare…”
Lirael non può spezzare l’alleanza che lo lega agli Ehorin con tanta leggerezza. Lo sappiamo noi e lo sa lui.” Lazhar poggiò la testa sopra la sua spalla. Aveva gli occhi socchiusi e le squame brillavano di rosso vivo, ora che Dhana si era pulita. Le ali membranose che terminavano con una punta coriacea erano chiuse attorno al fianco del drago che si sollevava lento, al ritmo del respiro di lei. “Non escluderei la possibilità che sia stato lui a ingaggiare occhi dolci per catturarci.
Dhana non poté fare a meno di lasciarsi sfuggire un risolino. “Aveva occhi più blu della notte” si difese. “E il modo con cui manovrava l’arco…
Per poco non ci trafiggeva con quell’arco!”
Mentre Lazhar si lamentava, ancora una volta, della sua sconsideratezza lei si infilò la camicia e legò i capelli umidi in una coda bassa.
Qualcuno si era premurato di lasciarle del pane con formaggio che lei divorò subito dopo, sentendosi meglio. “Perché Caleb ha detto che la viverna ha scelto me come candidata?
Lazhar sbuffò e scivolò sullo stomaco. “Chi lo sa cosa si agita nella mente di quelle viscide serpi. Macchinazioni ed enigmi. Potrebbe aver percepito qualcosa di diverso in te, oppure no.”
“Credi che dovremmo andare con lui? È una buona idea?”
È una pessima idea, ma è l’occasione migliore che abbiamo per avvicinarci al drago.
Potrei…” Dhana espirò bruscamente. “Potremmo incontrare Gideon e… e il Marah.
Lazhar ringhiò.  “Noi salveremo quel drago. E faremo sapere a ogni abitante di questo mondo che un Ehorin e il suo drago sono ancor vivi!” tuonò. “Caleb vuole che tu partecipi ad uno scontro con altri sfidanti? Molto bene. Lascia che sia io ad ucciderli uno ad uno! Capiranno cosa significa sfidare la rabbia di un drago!”
Nella sua mente, Lazhar si stagliava sullo sfondo di un bosco, alla luce della luna, e le scaglie sembravano piangere sangue.
“Per Menfhis” bisbigliò Dhana. Per James, il cui volto non avrebbe mai dimenticato. Il suo fratellino minore che avrebbe dovuto proteggere, che sarebbe divenuto re un giorno, un buon re.
“Menfhis risorgerà” le disse Lazhar, ma fu un sussurro così flebile che lei credette di esserselo solo immaginato.
 
 







Note: Quado ho pubblicato il prologo non credevo davvero che così tante persone si sarebbero interessate a questa storia! Sono davvero felice di avervi al mio fianco in questa nuova avventura e non fatevi problemi a darmi suggerimenti o adirmi dove sbaglio! Grazie, grazie, grazie! 
Messaggio per AnnitaB: volevo farti sapere che sto lavorando ai tuoi suggerimenti, ma con l'inizio dell'università sono stata risucchiata ai miei doveri e mi sono concentrata più che altro sui nuovi capitoli. Tuttavia ti ringrazio nuovamente e sappi che ho apprezzato ogni singola cosa che mi hai fatto notare! Vedrò di ripubblicare il capitolo corretto appena possibile! 
Ringraziamento speciale a: Harmony394 che ha la pazienza di leggere i capitolo in anteprima, facendomi d abeta! <3
 
 


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