When we Collide

di ailene
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo I ***
Capitolo 3: *** Capitolo II ***
Capitolo 4: *** Capitolo III ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV ***
Capitolo 6: *** Capitolo V ***
Capitolo 7: *** Capitolo VI ***
Capitolo 8: *** Capitolo VII - prima parte ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo
 

Il sole splendeva inaspettatamente nel cielo. Un evento davvero eccezionale a Londra, eppure il mio umore era nero come il cielo in tempesta.
Vidi la folla che gremiva la piazzola antistante la chiesa mentre il mio taxi si avvicinava. C’erano visi familiari segnati dal dolore e persone che non avevo mai incontrato prima che però erano altrettanto tristi. 
Per un momento fui tentata di chiedere al tassista di invertire la marcia e di tornare da dove eravamo arrivati ma non potevo, nonostante quello fosse il secondo funerale a cui assistevo nell’arco di neanche due mesi. Ho sempre odiato i funerali e quello a cui dovevo partecipare mi era ancora più insopportabile.
Il taxi si accostò al marciapiede ma aspettai qualche istante prima di scendere. Non ero pronta. Le lacrime continuavano a minacciare di scendere e non ero sicura di riuscire a fermarle una volta che avessero cominciato. Stavo male. Avevo un vuoto nel cuore e non ero sicura che si sarebbe mai riempito di nuovo. 
Mi feci coraggio, pagai il tassista e scesi. Subito venni accolta da saluti mogi di persone che conoscevo, persino di gente che non avevo mai visto prima, ma li degnai appena di un cenno del capo. Dovevo cercare Jane. Avevo bisogno di lei.
La vidi stringersi tra le braccia di sua madre. Era a pezzi. La donna le sussurrò qualcosa all’orecchio e Jane si voltò verso di me, mi corse incontro e mi strinse così forte da mozzarmi il fiato. Cercai di essere stoica, almeno per la mia amica, ma vederla con il cuore a pezzi mi fece crollare e mi ritrovai, esattamente come invece non avrei voluto, a piangere a dirotto, incapace di trattenere le lacrime che avevo frenato fino a quel momento.
“Non è giusto” cominciò a biascicare Jane tra un singhiozzo e l’altro. “Non doveva morire, non così!”
“No, non doveva morire in quel modo. E’ così ingiusto!” 
“Ragazze, dobbiamo entrare” ci disse gentilmente il padre di Jane, passandoci una mano confortante sulle spalle.
Io e la mia amica ci separammo da quell’abbraccio, ma non ero pronta ad affrontare la funzione da sola, così la presi per mano e cominciammo a seguire la folla che si incamminava all’interno di Christ Church. Mentre ci muovevamo, intravvidi una figura appoggiata contro il muro della chiesa. Dietro al velo delle mie lacrime lo riconobbi senza problemi. Era bello come sempre, con i suoi capelli biondi scarmigliati e il suo fisico da modello, ma la sua espressione era sfatta esattamente come la nostra. 
Jane lo vide e gli si avventò contro come una furia. “E’ colpa tua, brutto idiota. E’ colpa tua se è morto!”
“Jane, andiamo. Non è colpa sua”
“Non è colpa sua? Tu sei pazza. Se questo cretino non avesse avuto quella brillante idea, ora non saremmo qui e lui sarebbe ancora vivo” 
“Jane, non immagini nemmeno quanto io sia devastato da quel che è successo. Era anche il mio migliore amico…” ribattè il ragazzo con lo sguardo triste e il cuore in mano.
“Vai al diavolo. Non ti voglio qui! Se non te ne vai subito ti caccio via a calci!” gli inveì contro la mia amica, con una rabbia che non le avevo mai visto addosso.
Il ragazzo alzò le mani in segno di resa, poi se ne andò con passo lento e mogio. Il suo viso segnato dal rimorso e dal rimpianto. Una parte di me avrebbe voluto seguirlo, abbracciarlo, confortarlo, ma il mio dovere mi imponeva di restare dov’ero e così ricominciai a seguire la folla ed entrai infine nella chiesa gremita.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo I ***


Capitolo I
 

Ero appena atterrata all’aeroporto eppure sentivo già la mancanza di Milano, dove avevo passato gli ultimi due anni. Era strano sentire tutte quelle persone intorno a me parlare la mia lingua madre e non quella buffa lingua che avevo imparato ad amare in Italia. Intanto che attendevo l’arrivo della mia valigia, mi preparavo mentalmente a quello che il mio ritorno in patria avrebbe comportato. Avrei dovuto affrontare delle persone che per due anni avevo cercato senza troppa fatica di dimenticare, avrei dovuto vivere delle situazioni da cui sarei voluta volentieri scappare di nuovo, ma soprattutto mi sarei dovuta riadattare al clima piovoso di Londra e ad avere perennemente i capelli disastrosi a causa dell’umidità. Sì, forse quell’ultima questione era la meno angosciante. Cercavo in ogni modo di non pensare al vero motivo che mi aveva costretta a tornare in città e una gomitata improvvisa mi aiutò per un attimo a dimenticare tutti i pensieri.
 “Idiota, perchè non guardi dove vai?” gracchiai subito, rivolgendomi al tizio che mi aveva lasciata completamente senza fiato. Tanto per essere chiari, non mi mancava l’aria per il suo look da rockstar trasandata e i suoi magnifici capelli scompigliati, ma per la gomitata che mi aveva appena rifilato a tradimento.
“Non è colpa mia se ti sei messa sulla mia traiettoria, bella brunettina” mi disse facendomi un occhiolino “Però, ora che ti ho notata, mi domando se non sia stato il destino a farci incontrare”
“Ma te le scrivi di notte certe scemenze o le improvvisi sul momento?”
“Lascia che ti offra un drink e potrai scoprirlo da sola”
“Contaci” e gli voltai le spalle, sentendo il rumore delle prime valigie che finivano sul nastro trasportatore.
“E mi lasci così a bocca asciutta?” domandò facendomi voltare di nuovo verso di lui.
“Cosa vorresti di preciso?” chiesi con acidità.
“Mi potrei accontentare di sapere il tuo nome e di avere il tuo numero” si doveva essere accorto della mia aria sconcertata e stranita allo stesso tempo, perchè aggiunse: “O forse no. Però berrei volentieri quel drink insieme a te”
“Alle quattro del pomeriggio?”
“E’ sempre il momento di un drink, soprattutto se si è in bella compagnia. Su, non puoi dirmi di no.”
“Sei uno che non si dà facilmente per vinto, vero?”
“Be’ mi hai visto? Chi potrebbe resistere ad uno come me?” e ammiccò, confermando l’idea che mi ero fatta subito di lui. Quello che avevo di fronte era il tipico bel ragazzo che sapeva di essere irresistibile e che quindi credeva di potersi permettere tutto, persino di fare l’arrogante pallone gonfiato con il primo esemplare di sesso femminile che gli capitava a tiro. Esattamente il tipo di ragazzo che detestavo. Avevo già avuto a che fare con uno come lui che, come c’era ben da prevedere, mi aveva spezzato il cuore ma da allora mi ero ripromessa di non cascarci di nuovo. E nemmeno quel biondino dagli occhi meravigliosi e dal sorriso ammaliante sarebbe riuscito a farmi cambiare idea.
“A quanto pare non è il tuo giorno fortunato…” cercai di congedarmi.
“Mai dire mai…” e si allungò per prendere la custodia di una chitarra che proprio in quell’istante stava passando sul rullo accanto a noi. “Ora che ho questa piccolina tra le mani non mi potrai più scappare, bella morettina. Nessuno riesce a resistere ad una serenata di Jamie Bellamy” posò la custodia a terra, la aprì e ne estrasse la chitarra più bella che avessi mai visto, ma mi guardai bene dal dirglielo. Cominciò ad accordarla mentre la sottoscritta iniziava ad avere un gran brutto presentimento.
“Cosa stai facendo?” chiesi nervosamente.
“Mi accordo per la serenata”
“Ma non hai nient’altro da fare? Lasciami in pace!” e mi allontanai, cercando un varco tra la gente per poter recuperare il mio bagaglio.
“Ehi bella morettina, dove pensi di scappare?” cominciò a gridare attirando l’attenzione del resto dei presenti su di noi.
“Via da te, stalker”
“Dai, se fai così rischio di innamorarmi di te. E pensare che non conosco nemmeno il tuo nome.” Aveva mollato la custodia della chitarra in mezzo alla corsia e mi stava seguendo.
“Cosa devo fare per liberarmi di te?”
“Dammi il tuo numero” rispose semplicemente.
“Va bene!” sbottai esasperata, cogliendolo di sorpresa.
“Davvero? Visto, che ti dicevo? E’ la mia giornata fortunata” prese il cellulare dalla tasca posteriore dei jeans e si mise in attesa. Cercai di temporeggiare, nella speranza che l’arrivo della mia valigia mi salvasse da quella situazione imbarazzante, ma invano. “Su, non fare tanto la riottosa, lo so che ti piaccio” e mi abbagliò di nuovo con il suo sorriso.
“Mi hai scoperta” mentii spudoratamente adocchiando in quell’esatto istante la mia valigia. “Ehi, quelle guardie ti stanno portando via la custodia della chitarra” dissi per distrarlo. Lui si voltò ed io approfittai dell’occasione per prendere al volo la mia valigia e sgattaiolare via, prima che quel ragazzo mi mettesse di nuovo in imbarazzo o cercasse ancora di estorcermi il numero.
Più in fretta che potei, raggiunsi i taxi fuori dal terminal e saltai sul primo che trovai, ignorando la fila di persone che aspettavano il loro turno. 
Pian piano che ci lasciavamo l’aeroporto alle spalle, cominciavo a rilassarmi. L’incontro con quello strano ragazzo mi aveva decisamente scombussolata, ma via via che le strade diventavano sempre più familiari, sentivo i vecchi problemi tornare a gravare su di me e il ricordo di quel tizio sparire.
Quando ci fermammo davanti al portone in ferro battuto di cui avevo dato l’indirizzo al tassista, ero di nuovo me stessa ed ero pronta a riabbracciare l’unico viso amico che mi aspettava a braccia aperte in quella città piovosa.
Pagai il taxi ed entrai nel palazzo, fortunatamente aperto. Aspettai l’ascensore e una volta entrata fui accolta dal mio riflesso scarmigliato che mi guardava dallo specchio. Mi sistemai alla bell’e meglio i capelli anche se sapevo di non dover impressionare nessuno e appena arrivata al piano giusto, mi trovai per la prima volta in quel pomeriggio a sorridere. 
Suonai e non dovetti aspettare a lungo. Venne ad aprirmi Jane, la mia migliore amica, ricoperta di macchie di pittura da capo a piedi. 
“E tu cosa ci fai già qui? Ti aspettavo stasera!”
“Sono riuscita a prendere il volo prima” risposi semplicemente prima di abbracciarla con calore.
“Se mi avessi avvisata ti sarei venuta a prendere!”
“Non ce n’era bisogno. In fin dei conti sono già di gran disturbo: piombo qua senza preavviso dopo due anni, ti chiedo di ospitarmi e…”
“… e sicuramente devi essere affamata. Perchè non metti il bagaglio nella tua solita stanza mentre ti preparo qualcosa?”
“Jane, non immagini quanto mi sei mancata” dissi abbracciandola di nuovo, prima di andare nella camera in cui avevo smaltito molte sbronze quando ancora ero a Londra. 
Suonò il campanello ma non ci feci molto caso, talmente ero distratta dalla vista della finestra della mia stanza. Guardavo il viavai delle macchine che sfrecciavano e delle persone che camminavano in fretta e mi sorprendevo di essere di nuovo “a casa”.
“Non indovinerai mai che mi è successo in aeroporto” sentii una voce maschile nel corridoio che mi parve leggermente familiare.
“Cosa è successo?” chiese Jane mentre la sentii passare davanti alla mia porta, subito seguita dal ragazzo che stava parlando (e che non era il suo fidanzato). Incuriosita di scoprire chi fosse il misterioso nuovo arrivato, mi voltai a sbirciare fuori dalla porta e per un attimo temetti di avere le allucinazioni.
“Tu?” strabuzzai gli occhi appena lo riconobbi. Era quello sciroccato dell’aeroporto. Avrei dovuto aspettarmelo, in fin dei conti la mia sfortuna è risaputa. Lui si fermò sulla soglia  della porta e si appoggiò sensualmente allo stipite. “E’ bello rivederti, bella morettina. Sei scappata così in fretta che pensavo che la polizia ti fosse alle calcagna.” Mi squadrò da capo a piedi, poi il suo sguardo cadde sul mio bagaglio. “Ehi, quella dev’essere la mia valigia!”

 

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Capitolo 3
*** Capitolo II ***


Capitolo II
 

“Come sarebbe a dire che questa è la tua valigia? E’ la mia!” sbottai furibonda con aria di sfida. 
“Guarda un po’ l’etichetta, morettina” disse con condiscendenza il ragazzo, facendomi perdere le staffe. Avevo un’irresistibile voglia di prenderlo a schiaffi ma, sebbene a fatica, riuscii a trattenermi.
“L’ho già controllata!” e mentre parlavo la guardai di nuovo e mi resi conto che la calligrafia non era affatto la mia, ma soprattutto che il nome su quell’etichetta non era per niente il mio. Non era possibile. La valigia che avevo preso all’aeroporto era la mia, non quella di Jamie Bellamy. Ne ero più che certa. 
“Come ci sei riuscito?”
“A fare cosa?” domandò lui senza capire.
“A cambiare l’etichetta.”
“Ma io non ho cambiato nessuna etichetta. Piccola, quella è proprio la mia valigia.”
“Non è possibile” mi venne quasi voglia di ridere. Doveva essere tutto un enorme equivoco e il ragazzo probabilmente si era divertito a cambiare l’etichetta della mia valigia, anche se ancora non riuscivo a capire come e quando ci fosse riuscito.
“Non è poi così difficile scambiare un anonimo trolley nero con un altro. Se non mi credi, posso farti vedere subito che non sto mentendo” si staccò dallo stipite della porta, si avvicinò con passo lungo, si accucciò accanto alla valigia e con una chiave, che aveva appena tirato fuori dalla tasca dei jeans, sbloccò senza sforzo il lucchetto. “Visto?”
“Non è possibile” ripetei scioccata. Il ragazzo mi aveva appena dimostrato che nella fretta di scappare da lui e di lasciare il terminal avevo agguantato il primo trolley che mi era capitato a tiro. “Ma allora se questa è la tua valigia, che fine ha fatto la mia?” mi ritrovai a dire, continuando ad alta voce il corso dei miei pensieri.
“Ce l’ho io” rispose lui con tranquillità, come se fosse una cosa normale.
“E perchè l’avresti presa tu?”
Scrollò le spalle con noncuranza senza fornirmi alcuna spiegazione. “Ma se la rivorrai indietro dovrai fare qualcosa per riaverla…” affermò con convinzione dopo avermi osservata con fare meditabondo per un lungo momento.
“Ci risiamo. Jane, di preciso chi sarebbe questo arrogante pallone gonfiato che mi sta stalkerando da quando sono scesa dall’aereo e che mi ha rubato il trolley? Ma soprattutto, che diavolo ci fa qui?” mi rivolsi alla mia amica, che era rimasta a guardarci senza capire cosa stesse succedendo tra me e il suo misterioso ospite.
“Questo è Jamie” notando il mio sguardo vacuo,  Jane si affrettò a fornire qualche informazione in più sul suo conto. “E’ il bassista della band di Chris. Te l’avevo detto che abita da noi da un po’”
Con tutto quello a cui avevo dovuto pensare negli ultimi giorni, mi era passato dalla mente che Jane e il suo ragazzo avevano un coinquilino. Che per giunta era lo stalker psicopatico che aveva appena cominciato a sorridermi come un gatto mentre aspetta che il canarino finisca nella sua trappola. 
“Ora, signorina Jones, mi vorresti dire il tuo nome, dato che non è scritto sull’etichetta della tua valigia e che da quel che ho capito passerai qualche tempo sotto al nostro tetto?”
Ostinatamente avrei voluto non rispondergli, ma si intromise di nuovo Jane, che sembrava decisamente confusa dal mio atteggiamento nei confronti di Jamie. “Questa è Hannah, la mia migliore amica”
“Tu sei quella Hannah?” chiese lui sconcertato.
Lo guardai senza capire perchè sul suo viso vi fosse così tanto stupore.
“Ma sì, la Hannah con cui Jane ha fatto il bagno nella Dolphin Fountain vicino al Tower Bridge a Capodanno dell’anno scorso. Se non sbaglio vi eravate ubriacate in quel locale che era così tanto di moda…come si chiamava?”
“Jane, perchè questo stalker sa della fontana?”
“Credo che sia stato Chris a parlargliene” rispose Jane sembrando sorpresa che il suo coinquilino fosse a conoscenza di quell’evento di cui non avevamo parlato a nessuno. O così credevo. 
“Ricordami che dovrò fare un bel discorsetto al tuo ragazzo, Jane.” ribattei stizzita guardando la mia amica.
 “Giusto perchè mi sono persa qualcosa, si può sapere come fate a conoscervi voi due?” chiese lei, guardando prima Jamie e poi me.
“E’ la ragazza di cui stavo per parlarti” “E’ lo stalker che mi perseguita dall’aeroporto” rispondemmo contemporaneamente facendola scoppiare a ridere.
“C’è già storia tra voi, fidatevi” e continuò a sghignazzare guardandoci.
“Jane, lo sai che ti voglio bene, ma se dici ancora una volta una cosa del genere potrei ucciderti sotto alla doccia come in Psycho” le dissi con un sorriso che avrebbe dovuto incutere timore, ma ormai la mia amica mi conosceva così bene che niente di quello che avessi detto o minacciato di fare l’avrebbe in qualche modo impensierita.
“Che ne dite se ne parliamo con calma davanti ad un tramezzino? Scommetto che con lo stomaco pieno tu sarai meno irritabile” mi indicò con un dito “e tu sarai meno insopportabile” e indicò Jamie.
“Per me va più che bene. Purchè tu faccia i tramezzini al formaggio che adoro” furono le parole di Jamie, mentre prendeva la sua valigia e si avviava verso la porta della mia stanza.
“Ehi tu, dove pensi di andare con quel trolley? Ridammi la mia valigia e potrai andartene a quel paese con la tua. Senza la mia valigia, la tua non si muove da qui” e gli bloccai la strada, incrociando le braccia con fare minaccioso.
“Lo sai, sei proprio adorabile. Ma se rivuoi la tua valigia dovrai guadagnartela” e dopo avermi accarezzato gentilmente il viso se ne andò senza aggiungere altro, lasciandomi completamente sotto shock e senza un cambio di vestiti. Dannato biondino. Aveva vinto quel round, ma non mi sarei arresa così facilmente. La partita era appena iniziata ed avevo tutta l’intenzione di vincere.

 

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Capitolo 4
*** Capitolo III ***


Capitolo III
 

“Prima o poi lo strozzo” borbottai ritornando in me, prima di raggiungere Jane in cucina.
“Come fai a sopportare quello lì?” Mi ritrovai a chiederle mentre prendevo una lattina d’aranciata dal frigorifero.
“Chi, Jamie? Una volta che lo conosci non è poi così male”
“Certo che se volete sparlare del sottoscritto dovreste almeno aspettare che io sia fuori casa o sotto alla doccia. La mamma non vi ha detto che non è educato parlare male delle persone proprio mentre sono a portata d’orecchio?” chiese Jamie entrando in cucina e rubandomi la lattina dalle mani. 
“Senti, questa cosa sta cominciando a diventare un vizio. Prima mi rubi la valigia, poi la lattina…si può sapere qual è il tuo problema?”
“Giusto per chiarire, non sono stato io il primo a rubare la valigia. Sei tu la ladra in questa casa. E poi l’aranciata è mia. Sono l’unico che la beve qui…quindi, morettina cleptomane, se mi tratti bene potrei considerare l’idea di offrirtene un sorso altrimenti stasera resti a bocca asciutta” e mi ammiccò con fare lascivo, prima di bere un lungo sorso.
Non ebbi nemmeno il tempo di ribattere a suon d’insulti che Jane intervenne. “Com’è andato il tuo viaggio a Dublino? Sei riuscito a parlare con quel tale…come si chiamava?”
“Jerry. E sì, sono riuscito a parlare con lui anche se non immagini che faticaccia ho fatto per riuscire a trovarlo. Quel tizio, come sai, gestisce un sacco di locali e mi è andata davvero di culo che fosse in trifogliolandia. Si è persino dimenticato che sono partito apposta per parlare con lui!”
“Lo sai come sono fatti i businessmen, hanno troppi impegni per ricordarsi dei comuni mortali come me e te” commentò Jane affettando dei pomodori.
“Comunque sia, mi ha ricevuto in un pub scalcagnato e con lui c’era una squinzia che…faceva venire l’acquolina in bocca” a quelle parole Jane alzò gli occhi al cielo.
“Sei sempre il solito!”
“Che ci posso fare se mi piace ammirare il bello”
“Soprattutto se ha due gambe lunghe ed un seno prosperoso” ribattè Jane col sorriso sulle labbra.
“Ormai dovresti conoscermi, piccola” e le diede un buffetto affettuoso sulla guancia.
“Ti conosco così bene che so che adesso stai tergiversando. Allora, cosa ti ha detto questo Jeff?”
“Jerry. Come ti dicevo, c’era la squinzia con lui che non la smetteva un attimo di cianciare su quanto le fosse piaciuto il nostro demo e…” Jamie si interruppe un istante per creare pathos.
“E?” lo incitò Jane.
“E niente. Jerry ha ricevuto una chiamata e prima ancora che potesse darmi una risposta se n’è andato e mi ha lasciato lì con la squinzia.” Jamie fece il sorriso lascivo che cominciavo a conoscere mentre pronunciava quelle parole.
“E adesso che si fa?”
“Mi ha chiamato proprio mentre stavo tornando e mi ha dato un nuovo appuntamento”
“Chi, la squinzia?” mi ritrovai a domandare, intromettendomi nella conversazione.
“Che c’è, sei gelosa?” chiese lui a bruciapelo con un ghigno.
“Di te? Neanche morta.”
“Comunque, morettina, non è stata la squinzia a chiamarmi. E’ stato Jerry.”
“Un nuovo appuntamento? Quando?” la voce di Jane era un misto di nervosismo e speranza.
“Sabato sera. Verrà a vederci mentre suoniamo all’Old Blue Last e se gli piaciamo…”
“Vi farà fare un disco?” ipotizzai.
“Certo che no, sciocchina. Non siamo così commerciali.” Fu il commento pieno di spocchia di Jamie.
“Se Jerry dà l’ok, i Seven Sins partono in tounée” mi spiegò Jane.
“In tournée? Vuol dire che ti togli finalmente dai piedi?” chiesi direttamente a Jamie.
“Dato che sentirai così tanto la mia mancanza, sono quasi tentato di chiamare Jerry e di annullare tutto quanto. Come posso anche solo valutare la possibilità di lasciarti sola soletta in questa città, mentre giro per la Gran Bretagna? E’ una cosa impensabile” e mi passò un braccio intorno alle spalle, con fare protettivo.
“Toglimi subito quelle zampe di dosso se vuoi continuare a vivere.”
“Non ci posso credere. Potrei non vedere Chris per tre mesi” Jane parve improvvisamente triste.
“Sai cosa vuol dire? Senza i maschi tra i piedi, voi donnine potrete fare i vostri smalto-party” cercò di tirarla su di morale Jamie.
“Smalto-party?” domandai senza capire.
“Jamie ce l’ha ancora con me perchè l’ultima volta che lui e Chris sono andati a suonare a Canterbury ho invitato qualche amica e abbiamo fatto quello che lui definisce smalto-party”
“Ma almeno c’era lo smalto?” mi ritrovai scioccamente a chiedere mentre il mio sguardo passava da Jane a Jamie e ritorno.
“Solo tequila, gelato e una super maratona di Grey’s Anatomy”
“Qualcosa mi dice che Jamie se l’è presa perchè avrebbe voluto unirsi a voi. Ha proprio l’aria del fan di Gray’s Anatomy” sogghignai.
“Ebbene sì, morettina. Mi hai beccato. E poi c’erano tante belle pollastre in casa mia… Come perdonare Jane per averle invitate senza che io potessi assaggiarle ad una ad una?”
“Scommetto che al concerto avevi tutta l’attenzione femminile di cui avevi bisogno…” commentai con un pizzico di acidità.
Jamie scrollò le spalle con noncuranza, prendendo il piatto di sandwich che Jane aveva appena finito di preparate e sparendo nella sala da pranzo.
“Va bene bambinone, la prossima volta organizzo uno smalto-party in tuo onore” gli disse Jane prima di cominciare a rassettare la cucina.
“E guai a te se non ci saranno anche le due biondone che hanno sempre quel profumo meraviglioso” la testa di Jamie sbucò di nuovo dalla porta, per sparire con la stessa velocità con cui era apparsa.
“Va bene, ci saranno anche le biondone” gli concesse Jane ridacchiando, prima di abbassare la voce e rivolgersi direttamente a me “Peccato che Jamie non sappia che i fidanzati di Liz e Trish sono dei bodybuilder!”
“Oddio, ti prego, avvisami quando finalmente gli daranno una bella lezione. Non voglio perdermi uno spettacolo del genere!” l’idea di Jamie che le prendeva di santa ragione mi fece finalmente tornare il buon umore e mi ripagò di tutte le angherie che fino a quel momento avevo subito per mano sua.
“Puoi contarci. E non dimenticare di portare i pop corn!”
“Jane, non hai paura che Chris segua l’esempio dello stalker e se la spassi con le groupie dopo i concerti?” chiesi ad un certo punto alla mia amica, pensando a quanto sarei stata gelosa se il mio ragazzo fosse stato continuamente circondato da ragazze urlanti pronte a concederglisi nei bagni del locale dopo lo spettacolo.
“Mi fido di Chris” disse lei serafica “ma se mai lo scoprissi con un’altra, puoi star ben certa che gli strapperei le palle a morsi”
“Chi strappa le palle a chi?” chiese una voce che proveniva dal corridoio.
“Socio, la tua donna ha intenzione di evirarti” gridò Jamie con la bocca piena dalla sala da pranzo.
“E cos’ho combinato questa volta?” chiese Chris avanzando per la casa finchè non ci trovò in cucina.
“Per ora niente…” e Jane gli diede un bacio delicato sulle labbra, facendomi per un attimo sentire la mancanza di un ragazzo al mio fianco, uno che mi amasse e rispettasse come Chris faceva con la mia amica.
“Cosa ci fai già a casa?” gli domandò appena si staccò da lui.
“Il capo era di buon umore e mi ha lasciato tornare a casa prima. Ciao Hannah, non ti avevo vista. E’ andato bene il viaggio?”
“Lascia perdere” borbottai “però è bello vederti. Sbaglio o hai perso un po’ di pancetta?”
“La strega mi ha messo a dieta” mormorò a mezza voce cercando di non farsi sentire da Jane.
“Se non stai attento a quello che dici, il cibo non sarà l’unica cosa che ti mancherà nei prossimi giorni” furono le parole di Jane, prima che si sciogliesse dall’abbraccio di Chris e si dirigesse verso la sala da pranzo.
“Ma dai, tesoro, lo sai che scherzo” Chris  la seguì come un cagnolino scodinzolante.
Ritrovandomi sola in cucina e decisa a non darla vinta a Jamie, presi dal frigorifero un’altra aranciata e cominciai a gustarne un sorso, prima di raggiungere gli altri in sala.
“Che fine hanno fatto i tramezzini?” domandai appena vidi che il piatto su cui Jane aveva posato i panini era letteralmente pulito. Non erano rimaste nemmeno le briciole.
“Sono evaporati…” rispose Jamie con la bocca ancora piena e l’aria innocente.
“Jamie sei proprio impossibile” commentò Jane ridendo.
“Ma avevo fame.” borbottò come un bambino piagnucolone colto con le mani nella marmellata “E poi lo sai che non so resistere ai tuoi panini. Ti prego Jane, molla Chris e sposami. Vivremo per sempre come panino e moglie!”
“Giù le zampe dalla mia donna. E comunque non è giusto che ti abbuffi a più non posso e non ti devi nemmeno preoccupare della pancia” borbottò Chris.
“Che ci posso fare se sono strafico e posso mangiare di tutto senza che la mia ficaggine venga minimamente intaccata?” domandò serafico Jamie leccandosi le dita.
“Tranquillo Chris, vedrai che appena Jamie avrà superato i quarant’anni si ritroverà solo, con la pancia flaccida e letteralmente senza capelli” tentai di rincuorare il mio amico, mentre il cellulare cominciava a vibrare nella tasca dei miei jeans. “Basta solo avere un po’ di pazienza e il karma penserà a tutto” conclusi mentre scoprivo a malincuore chi mi stava telefonando. 
“A proposito di karma…”borbottai, cominciando a domandarmi quanto ancora sarebbe stata pessima la piega presa da quella giornata già orribile.
Mi allontanai dalla sala con un sospiro. Sentii nel frattempo Jane chiedere a Jamie cosa fosse successo di preciso tra noi in aeroporto. Come prevedibile, lui svicolò l’argomento preferendo raccontare a Chris le importanti news sulla tournée e continuando a parlare della sua ficaggine naturale.
Tornai in camera, mi chiusi la porta alle spalle e, anche se avrei voluto ignorare del tutto quella telefonata, respirai profondamente e risposi. “Sì?”
“Hanna?” nonostante fossero passati due anni dall’ultima volta che avevo udito quella voce, mi sentii come paralizzata. La bocca mi si era come seccata e non riuscivo nemmeno a pronunciare una sillaba.
Mi schiarii la voce, mi costrinsi a ritrovare il controllo e alla fine, con quella che speravo sembrasse sicurezza, dissi: “Mi stavo giusto chiedendo quando avresti chiamato”

 

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Capitolo 5
*** Capitolo IV ***


Capitolo IV
 

Quando riattaccai mi sentivo decisamente scombussolata. Tutta la rabbia, che negli ultimi due anni avevo cercato di sopire, era tornata a farsi sentire più forte che mai. I miei genitori non avevano nemmeno avuto il coraggio di contattarmi di persona. Come al solito avevano lasciato quel compito ingrato al loro “cagnolino preferito”, Alex.
Per un attimo pensai di chiamare i miei genitori per esternare tutta la mia furia e dire loro, una volta per tutte, quello che pensavo, ma sapevo che se avessi seguito quell’impulso, appena avessi sbollito la rabbia mi sarei pentita della mia impulsività. Avevo voglia di rompere qualcosa, ma non osavo distruggere niente in quella casa che, sebbene fosse della mia migliore amica, non era mia. Forse se avessi preso a pugni qualcuno mi sarei sentita meglio. Proprio quando la mia mente formulava quel pensiero, sentii Jamie canticchiare nella sua camera in fondo al corridoio ed ebbi l’irrefrenabile desiderio di sfogare tutta la mia ira su di lui.
Quando però il mio sguardo cadde sull’orologio del cellulare, mi resi conto che purtroppo i miei piani avrebbero dovuto aspettare. Avevo un appuntamento e poco tempo per prepararmi. Peccato che la mia valigia fosse ancora in ostaggio di quello zotico in fondo al corridoio. Forse, dopo tutto, avrei trovato il tempo per prendere a cazzotti Jamie.
Carica della mia rabbia, entrai nella sua camera senza bussare e cominciai ad aprire gli armadi, dato che a quanto pareva aveva nascosto la mia valigia lontano dalla vista.
“Cerchi qualcosa?” disse Jamie senza alzare lo sguardo dalla rivista che stava facendo finta di leggere.
“La mia valigia”
“Lo sai che per riaverla devi superare una prova, vero?”  mi chiese sfogliando svogliatamente la rivista che aveva tutta l’aria di essere la versione povera di Playboy.
“Senti, non è il momento. Dammi la mia roba e la faccenda si chiude qui, altrimenti potrei non rispondere delle mie azioni” la mia voce lasciò trapelare tutta la mia rabbia e Jamie sollevò lo sguardo. 
“Cos’è successo morettina?” domandò con preoccupazione mentre si metteva a sedere.
“Non sono affari tuoi. Allora, mi vuoi dare la mia roba?”
Ci pensò un attimo su prima di rispondermi. “Se vuoi posso darti una camicetta e un paio di pantaloni. Niente di più.” tornò alla sua solita faccia di bronzo. “Se invece vuoi qualcos’altro, dovrai guadagnartelo”
“Ti stai divertendo?” Incrociai le braccia per non correre il rischio di picchiarlo sul serio. Mai e poi mai avrei ceduto ai miei istinti più bassi, anche se Jamie stava seriamente giocando col fuoco. 
“Non immagini nemmeno quanto!” sogghignò.
Sbuffai. Jamie era così dannatamente prevedibile. “Dammi la mia roba” ormai la rabbia stava cominciando ad essere sostituita dalla frustrazione.
“Dammi un bacio e potrai riavere tutte le tue cose. Se invece ti rifiuti, dovrai accontentarti di una camicetta e un paio di pantaloni. A te la scelta.”
“Non ti bacerei nemmeno se fossi l’ultimo ragazzo sulla faccia della Terra!”
“Come vuoi morettina, Jamie lo stilista tirerà fuori dalla tua valigia le cose più brutte ed inguardabili che riuscirà a trovare e tu non potrai farci nulla”
“Va bene. Fai quel che vuoi, basta che ti muovi” fui costretta ad arrendermi. Non avevo ulteriore tempo da perdere se volevo arrivare puntuale all’appuntamento.
La mia risposta parve sorprendere Jamie, che per un attimo perse tutta la sua boria e sembrò quasi sul punto di dire qualcosa, ma all’ultimo momento ci ripensò.
Si alzò ed aprì uno degli armadi che non avevo ancora raggiunto. Tirò fuori la mia valigia e con pochi semplici gesti fece saltare il lucchetto.
“Ma come…non importa. Dammi quella camicetta e i jeans neri” non avevo mai avuto un tono così sfinito in vita mia mentre indicavo i due capi in cima alla pila di abiti che avevo stipato in fretta in valigia prima di partire.
“Tieni” disse docilmente e me li porse, ma quando cercai di prenderli, lui mi strinse tra le braccia “Devi pagare lo stesso un pegno. Il sottoscritto non fa mai niente gratis”
“Quanto ci tieni ai tuoi gioielli di famiglia?” gli chiesi con aria innocente.
“Perchè?” 
“Perchè se non mi lasci subito, potresti ritrovarti con una bella voce bianca che ti permetterebbe di raggiungere le note più alte quando canti.”
“A quanto pare chiunque ti abbia chiamato prima ti ha fatto incavolare di brutto, morettina. Dimmi, chi devo picchiare per averti fatta arrabbiare?”
“Prova a guardarti allo specchio e lo scoprirai. Ora lasciami andare. Sono già in ritardo”
“Lascia che ti faccia due coccoline e ti dimenticherai che sei in ritardo, ma soprattutto che hai un diavolo per capello.”
“Jamie, lasciami andare” lo guardai dritto negli occhi.
“Va bene, ma non finisce qui morettina”
Alzai le spalle e me ne andai, maledicendolo per avermi fatto perdere del tempo prezioso. Dovevo lisciarmi i capelli, truccarmi e vestirmi in meno di dieci minuti se volevo arrivare alla caffetteria in Lancaster Place per tempo.

Come previsto avevo dovuto rinunciare alla piastra e mi ero dovuta accontentare di un make up frettoloso in metropolitana. Con passo rapito e ansioso non mi ero nemmeno goduta la passeggiata lungo il Victoria Embankment, che solitamente adoravo. 
Mi affrettai lungo Lancaster Place, scansando la gente che cominciava ad uscire dall’ufficio dopo una dura giornata di lavoro e alla fine raggiunsi la caffetteria. Avevo il fiatone ed ero tesa come una corda di violino. 
Da quando le cose tra me ed Alex erano andate com’erano andate, tutte le volte che dovevo incontrarlo mi sentivo così. Sarei voluta scappare di nuovo a casa e mi sarei persino sorbita il secondo round contro Jamie pur di non entrare in quel caffé. Sfortunatamente, però, Alex era riuscito ad accaparrarsi il nostro solito tavolo davanti alla finestra e mentre stavo seriamente pensando di dargli buca, mi vide.
Mi salutò con quel suo sorriso caldo che un tempo era capace di farmi sciogliere come un gelato al sole e la mia mano si mosse da sola per ricambiare il saluto.
Ero fregata. Non potevo più tornare indietro. Sfoggiando il mio migliore sorriso, entrai.
“Ciao” Alex mi venne incontro e mi diede due baci sulla guancia, un’usanza che diceva di aver imparato in Francia da ragazzo. “Hai un aspetto magnifico! L’Italia ti ha fatto davvero bene”
“Anche tu non stai poi così male” dissi leggermente in imbarazzo.
“Ti ho preso la solita cioccolata con panna.”
“Grandioso” e sorrisi, felice che si fosse ricordato della mia passione per la cioccolata calda.
Ci sedemmo sulle poltroncine in pelle, l’uno di fronte all’altra e mi presi qualche istante per osservare Alex. Erano passati due anni dall’ultima volta che ci eravamo visti ed aveva un’aria leggermente diversa.
“Cosa c’è?” chiese aggrottando la fronte e sorseggiando con noncuranza il suo caffè nero con doppio zucchero.
“Sembri diverso” mi lasciai scappare.
“Anche tu” e mi sorrise gentilmente, mostrandomi delle piccole rughette intorno alle labbra che due anni prima non c’erano. “Allora, raccontami tutto. Come ti trovi a Milano?”
“Davvero vuoi parlare di Milano?”
“Perchè sembri così sorpresa? In fin dei conti è sempre stato il tuo sogno quello di andare a studiare all’estero”
“Sì, certo. Ma non credo che tu abbia voluto vedermi per fare quattro chiacchiere…”
“E perchè no? In fin dei conti una volta eravamo amici…” per un attimo parve perdersi nei ricordi, ma riprese subito il polso della situazione “e nessuno ci vieta di esserlo di nuovo”
“Anche dopo tutto quello che è successo?” chiesi sorpresa. Non mi ero ancora perdonata per quello che ero stata costretta a fargli due anni prima ed ero stupita che lui invece mi avesse perdonata.
“E’ acqua passata. E poi adesso sono un uomo rispettabile, con una bella mogliettina e presto diventerò papà”
Per lo shock lasciai cadere a terra la tazza che tenevo stretta tra le mani.
“Oddio. Sempre la solita sbadata” schizzai in piedi e corsi verso il bancone, sperando che il barista mi potesse dare uno straccio per pulire il disastro che avevo combinato. Peccato che il vero disastro non potesse essere sistemato. Alex si era sposato ed ora stava per diventare padre. Non sapevo se sarei svenuta o se avrei dato di stomaco. 
Mentre il ragazzo al bancone mi diceva che avrebbe pensato lui a pulire per terra, cercai di ritrovare la calma, ma fu quasi impossibile. 
Sfoggiando una calma che non sentivo affatto, decisi di tornare da Alex, che mi guardava con fare preoccupato. “Stai bene?”
“Ti sei sposato…quando?” balbettai dicendo addio alla mia finta calma.
“Il febbraio scorso” e sorrise mestamente.
“Con chi?”
Alex parve leggermente spiazzato. “Non lo sai? Tua nonna non te l’ha detto?”
“Detto cosa?” non riuscivo più a capirci nulla. Che c’entrava mia nonna in tutto questo?
“Ho sposato Claire”
“Che cosa? Hai sposato mia sorella? Ho sempre sospettato che tu fossi un  arrampicatore sociale, ma mai e poi mai mi sarei aspettata una cosa del genere!” alzai la voce così tanto che il resto dei presenti si voltarono a guardarci incuriositi. “Me ne vado”. Presi con forza la mia borsa ed uscii come una furia dal locale.
Ero frastornata e non sapevo nemmeno dove mi stavano portando le mie gambe, ma dovevo allontanarmi il più possibile da Alex.
“Aspetta Hannah, lascia che ti spieghi” lo sentii gridare alle mie spalle, ma non lo ascoltai nemmeno. Non volevo sentire le sue stupide scuse. Ora riuscivo persino a capire perchè mia nonna, che era l’unica in famiglia che mi volesse davvero bene e con cui avevo mantenuto i contatti, non me lo avesse detto. Sapeva quale sarebbe stata la mia reazione.
“Dove stai andando Hannah? Sei sconvolta. Fammi spiegare, ti prego. Non è come credi tu.” disse Alex col fiatone per avermi rincorsa.
“Non è come penso? Hai sposato mia sorella dopo che non hai potuto avere me. Cos’altro c’è da spiegare?”
“Tu mi hai mollato sull’altare” mi ricordò lui facendomi fermare.
“L’ho fatto per te, stupido idiota. Non volevo che i miei ti trasformassero nel cagnolino che gestisce le fortune della famiglia mentre la loro figlioletta sforna bambini. Volevo che fossi libero di seguire i tuoi sogni, ma a quanto pare non volevi altro che accaparrarti la grana. Be’ congratulazioni, ci sei riuscito nonostante ti abbia lasciato all’altare. Tante buone cose e figli maschi!” e ricominciai a camminare.
“Ero a pezzi. Lo sai che non me ne è mai fregato niente degli alberghi dei tuoi genitori. Claire ha raccolto i pezzi e piano piano li ha rimessi al loro posto. Non hai nemmeno idea di quanto siano stati difficili questi due anni. Nessuno sapeva dov’eri e io… Non importa. Mi dispiace che tra noi le cose siano finite così, ma ora sono felice e non me ne puoi fare un crimine.”
“Buon per te” e ripresi a camminare.
“Davvero te ne vuoi andare senza sistemare questa cosa?” domandò, ricominciando a seguirmi
“Non c’è niente da sistemare. E poi c’è sempre mia sorella che non vede l’ora di raccogliere i pezzi che mi lascio alle spalle…”
“Non essere ingiusta. Torniamo dentro e parliamone con calma.”
“Non c’è niente di cui parlare. Hai fatto le tue scelte, io ho fatto le mie. La vita continua.”
“Mi sei mancata in questi anni.”
Anche lui mi era mancato, ma mi guardai bene dal dirglielo. Non volevo aprire quel vaso di Pandora pieno di ricordi che, una volta aperto, ci avrebbe sommersi.
“Dimenticami. In fin dei conti non dovrebbe esserti poi così difficile. Mi sembra che tu abbia già voltato pagina” ribattei invece con acidità.
“Lei non è te” furono le sue semplici parole. 
“E se lei sapesse che ora sei qui a dirmi queste cose non credo che sarebbe poi così felice di accoglierti a braccia aperte quando tornerai stasera. Vai a casa Alex. Prenditi cura del patrimonio dei miei, sii il loro cagnolino scodinzolante e vivi la tua vita.” Codardamente, senza dargli la possibilità di ribattere o di giustificarsi, mi infilai in un taxi che proprio in quell’istante aveva accostato al ciglio della strada. Diedi l’indirizzo della casa di Jane all’autista e mentre ci immettevamo nel traffico, cercai con tutta me stessa di non voltarmi a guardare Alex. Senza volerlo però mi ritrovai a versare le lacrime che ero riuscita faticosamente a trattenere fino a quel momento.
Sentii il cellulare vibrare nella borsa e, per quanto la mia vista fosse offuscata dalle lacrime, lessi il messaggio che avevo appena ricevuto. Era di Alex: “Mi dispiace che le cose siano andate così. Volevo che andassero in modo diverso…” Lo avrei voluto anch’io. Fin da quando avevo lasciato Londra avevo saputo che lui avrebbe lavorato per i miei genitori, ma mai e poi mai mi sarei aspettata che mi rimpiazzasse con quella bisbetica di mia sorella. Forse, se allora avessi saputo come sarebbero andate le cose, non sarei partita. Forse avrei rinunciato alla mia indipendenza per Alex. Forse sarei persino riuscita a ricucire il rapporto con i miei genitori se avessi saputo che la mia voglia di ribellione lo avrebbe spinto tra le braccia della mia più acerrima nemica. Tanti forse cominciarono a balenarmi per la testa e per la prima volta nella mia vita, rinchiusa in quel taxi imbottigliato nel traffico, mi ritrovai a mettere in discussione le scelte che avevo preso negli ultimi anni. E mentre cercavo in ogni modo di frenare le lacrime, mi resi conto che avrei dato qualsiasi cosa per poter tornare indietro nel tempo e poter riabbracciare l’Alex spensierato e sorridente che ormai apparteneva solo al passato.

 

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Capitolo 6
*** Capitolo V ***


Capitolo V
 

Quando rientrai in casa c’era uno strano silenzio e tutto era buio.
“Jane, ci sei?” domandai mentre passavo da una stanza all’altra in cerca della mia amica, ma non ricevendo alcuna risposta, né trovandola da nessuna parte, mi convinsi di essere da sola e ne fui decisamente contenta. Non avevo le forze di nascondere a Jane quanto mi avesse distrutta l’incontro con Alex. 
Fino a quella mattina avevo creduto che la lontananza me lo avesse fatto dimenticare, ma ora mi rendevo conto di essermi scioccamente illusa. Non avevo voltato pagina, né ero riuscita a smettere di provare qualcosa per lui ed ora ero a pezzi. Continuavo a sentire nella mia testa le sue parole, come un disco rotto: “Adesso sono un uomo rispettabile, con una bella mogliettina e presto diventerò papà”.
Stava per diventare il padre di un bambino che non era il mio. 
Quando stavamo insieme mi era capitato spesso di immaginarlo alle prese con i pannolini dei nostri pargoletti, ma ora quel sogno si era infranto per sempre e ne ero devastata.
Ero stata una stupida a pensare che lui mi avesse aspettata, che non avesse voltato pagina e che volesse incontrarmi per poter riprendere da dove ci eravamo interrotti due anni prima. Più volte in quei lunghi mesi di lontananza avrei voluto telefonargli, chiedergli come stesse o semplicemente sentire la sua voce, ma l’idea che le cose tra noi potessero diventare di nuovo serie mi aveva fermata ogni volta. Il mio problema non erano mai state le relazioni serie, anzi. Avrei voluto sposare Alex e, se la mia famiglia non avesse rovinato tutto, mai e poi mai l’avrei piantato sull’altare. Ma come al solito mio padre aveva voluto metterci lo zampino. Aveva ricattato Alex: avrebbe potuto avere la mia mano a patto che rinunciasse ai suoi sogni e prendesse le redini dell’azienda di famiglia. L’avevo scoperto per caso la mattina delle nozze, quando mia cugina si era lasciata scappare quel segreto che mai avrebbe dovuto giungere alle mie orecchie. Appena la verità era venuta a galla, mi ero rifutata di costringere Alex a rinunciare a tutto per me. Lo amavo troppo per mettergli la catena al collo e trasformarlo in uno schiavo al servizio della Jones Hotels.
Quel che non avevo previsto era che lui voleva assumere quel ruolo. Che per una donna, che non era la sottoscritta, aveva rinunciato alla sua carriera di avvocato ed aveva imboccato quella strada che avrei voluto risparmiargli. Mi chiedevo come riuscisse mia sorella a dormire la notte, sapendo che Alex aveva rinunciato a tutto per lei. Mai e poi mai sarei riuscita a convivere con la mia coscienza se gli avessi chiesto un sacrificio del genere.
“Fanculo” sbottai dando un calcio ad una delle sedie della sala. “Fanculo, fanculo, fanculo!” e presi a calci anche le altre, senza però trovare conforto né sollievo.
Proprio come prima di uscire, avevo di nuovo un’irrefrenabile voglia di prendere a pugni qualcosa o qualcuno. E se prima ero arrabbiata con Alex per aver deciso di diventantare il leccapiedi e il portavoce di mio padre, ora ce l’avevo con lui per essersi sposato con mia sorella.
La nonna mi aveva detto che pochi mesi dopo averlo lasciato sull’altare, Alex era così distrutto da essere stato cacciato dallo studio legale dove faceva praticantato. Mi era dispiaciuto saperlo, ma avevo sempre creduto che fosse un avvocato troppo in gamba per quello studio di mummie imbalsamate. Sicuramente avrebbe presto trovato un nuovo lavoro. 
Fui sorpresa quando alcuni mesi dopo, mia nonna mi disse che Alex aveva accettato il posto offertogli da mio padre. Allora non avevo sospettato nulla, ma ora capivo perchè mio padre gli avesse proposto di nuovo quel lavoro: stava uscendo con un’altra delle sue figlie e voleva a tutti i costi che i nostri alberghi venissero gestiti da una persona competente e di famiglia. 
Mi sentivo miserabile. Se solo fossi stata meno orgogliosa, forse ora avrei avuto l’uomo che amavo e forse avrei aspettato quel figlio che invece mia sorella stava per partorire.
“Fanculo!” sbottai di nuovo scoppiando in lacrime. “La vita è così ingiusta” mi ritrovai a pensare, prima di accasciarmi sul divano ed abbracciare un cuscino in cerca di conforto.
Le lacrime non sembravano fermarsi. Avevo sbagliato tutto. Rimpiangevo persino di aver lasciato Alex così in malo modo quel pomeriggio. Qual era il mio problema? Sì, forse Alex aveva avuto fortuna quando la pazza instabile della sottoscritta aveva deciso di scaricarlo. E forse, dopo tutto, non gli era andata poi così male: era finito insieme a quella noiosa e presuntuosa di mia sorella, che mai e poi mai si sarebbe comportata come me. Sì, era giusto che lui avesse una compagna stabile e non del tutto fuori di testa, capace di dargli tutto l’affetto e il supporto di cui aveva bisogno. Quel pensiero mi fece versare ancora più lacrime, cosa che non credevo nemmeno possibile. 


Avevo il viso affondato da chissà quanto tempo nel cuscino, ormai fradicio, quando una mano gentile mi picchiettò su una spalla, facendomi sobbalzare e gridare dalla paura.
“Scusa, non ti volevo spaventare” mi disse Jamie con gentilezza. Aveva tutti i capelli scompigliati, come se si fosse appena svegliato da un pisolino. “E’ solo che…” parve leggermente in imbarazzo “…credo che tu abbia un gran bisogno di…” si fermò di nuovo quasi avesse paura di finire la frase “…una sana maratona di Grey’s Anatomy” e mi mostrò il cofanetto che aveva in mano.
Involontariamente sollevai un sopracciglio. Non sapevo se mettermi a ridere o cosa. Mai e poi mai mi sarei immaginata una simile proposta da lui.
Dato che non l’avevo ancora cacciato via a male parole, Jamie parve incoraggiato a continuare: “E se prometti di non dirlo a Jane, stasera ci sarà anche l’ingrediente segreto…” mentre lo diceva mi mostrò delle boccette di smalto giallo canarino e arancione evidenziatore che riconobbi subito. Solo la mia amica pittrice avrebbe potuto scegliere colori così poco ortodossi. “Sarà un vero e proprio smalto-party. Allora, che ne dici?”
Non riuscii a trattenere una risata. Forse la prima gioiosa in quella lunga giornata. “D’accordo. Solo se mi prometti che ti potrò mettere lo smalto giallo!”
Parve pensarci un attimo. “Va bene, ma solo perchè sei tu. E guai a te se questa storia viene fuori. Ho una reputazione da playboy da mantenere”
“Sarà il nostro segreto” gli sorrisi con calore, mi asciugai frettolosamente le lacrime e gli feci spazio sul divano.
“Ah, tra poco arriverà anche la nostra cena. Spero che tu non ti offenda se ho ordinato una montagna di pizza. Anche se a dire il vero non hai l’aria di una di quelle che si astengono dai carboidrati o cose simili” disse mentre trafficava col televisore per far partire il dvd.
“Be’ detto così potrei quasi offendermi, ma ho troppa fame per arrabbiarmi. Dimmi almeno che l’hai presa doppia mozzarella.”
“E lo chiedi?” domandò a sua volta illuminandomi con il suo sorriso sbarazzino.
“Sai, in vita mia non ho mai visto questo telefilm” gli confessai, leggermente imbarazzata.
“Che cosa?” Jamie strabuzzò gli occhi.
“Non so, non mi ha mai attirata.” Sollevai le spalle con noncuranza, staccando lo sguardo dallo schermo per posarlo su di lui.
“Vuoi dirmi che non ti piacciono le storie stile soap opera con mille inciuci, tradimenti e un pizzico di sangue?
“Sì be’, chi non le ama?” mi ritrovai ad ammettere, mio malgrado.
“E allora lo adorerai! Sai cosa ci vuole per goderselo appieno?”
“Che cosa?” per un momento temetti che uscisse di nuovo il suo lato lascivo ed allusivo che mi metteva un po’ in imbarazzo, ma fortunatamente quella sera aveva deciso di comportarsi come una persona normale.
“Una montagna di pop-corn”
“In effetti…sto morendo di fame!”
“E allora non muoverti, morettina. Ci penso io!” con agilità Jamie si alzò dal divano e sparì in cucina.
Riapparve dopo alcuni minuti con una ciotola così grande di pop-corn che avrebbe potuto saziare una famiglia di dieci persone.
“Cosa mi sono perso?” domandò con la bocca già piena mentre si risistemava sul divano accanto a me.
“Non molto. Hanno solo ucciso un paio di pazienti, scuoiato due protagonisti e chiamato zio Hannibal per preparare un bel banchetto” risposi rubando alcuni pop-corn dalla ciotola.
“Ah ho capito…questo è l’episodio in cui Hannibal balla la lambada con Meredith Grey. È il migliore della stagione, fidati.”
“Ecco, mi hai appena spoilerato il finale” e gli lanciai i pop-corn, sghignazzando.
“Non è assolutamente vero. Non ti ho detto che arriva Dracula e offre Bloody Mary a tutti.”
“Non so perchè, ma sospettavo che questo episodio prendesse esattamente quella piega” ridacchiai, sorprendendomi di quanto Jamie fosse simpatico. In effetti Jane aveva ragione. Quando non faceva l’idiota era una persona davvero gradevole.
Mi lasciai prendere dalla trama dell’episodio a tal punto che sobbalzai quando suonò il campanello.
“La pizza” mi rassicurò Jamie. “Mentre pago il fattorino, non fare niente che io non farei” e mi fece quella smorfia lasciva che ormai conoscevo bene.
Quando tornò aveva almeno quattro cartoni di pizza e una montagna di tovaglioli.
“Avevi paura di morire di fame stasera?”
“Certo che no, ma ogni smalto-party che si rispetti prevede montagne di pizza, chili di pop-corn e almeno tre stagioni di Grey’s Anatomy. Se manca anche solo uno di questi ingredienti la serata è rovinata”
Alzai gli occhi al cielo, trattenendo un sorriso sotto ai baffi. Dopo tutto Jamie sapeva essere buffo.
Cominciammo a divorare la pizza in silenzio e solo quando il primo cartone e mezzo fu vuoto, finalmente tornammo a parlare.
“Una volta avrei voluto fare anch’io il dottore” mi confessò lui con aria spavalda.
“Strano, mi dicono che di solito ti diverti a giocare al dottore dopo i concerti” mi resi conto che il mio tono era più acido di quanto volessi. Ecco, avevo appena rovinato tutto. Ne ero sicura. Invece Jamie mi sorprese e anzichè punzecchiarmi come al solito, ribatté: “Non puoi farmene una colpa. Mi piace assicurarmi che le mie fan godano…di ottima salute”
“E come mai hai cambiato idea? Perchè non sei diventato un vero medico?”
Lui scrollò le spalle con noncuranza, come se non volesse parlarne.
“Cosa fai quando non sei sul palco o giochi a fare il dottore?” domandai allora incuriosita.
“Al momento mi assicuro che il mio fondo fiduciario non venga dilapidato dalle fluttuazioni della borsa” fu la sua semplice risposta.
“E non hai un lavoro, uno serio intendo?”
“Se possiedi mezza città hai davvero bisogno di un lavoro?” per un momento le sue parole mi fecero tornare in mente quelle di mio padre. Anche lui aveva trovato assurda la mia decisione di studiare e di trovarmi un impiego che non avesse nulla a che vedere con la nostra catena di alberghi.
“Certo. Almeno un giorno potrai voltarti indietro e vedere i risultati che sei riuscito ad ottenere con le tue forze. Finora cosa hai combinato nella tua vita?”
La  mia domanda parve spiazzarlo leggermente. “Scusami, non volevo essere polemica. E’ solo che…” mi interruppi, non sapendo nemmeno io come continuare quella frase.
“Che non condividi la mia scelta di vita. Lo capisco, sai? Tutti sanno quanto sia indipendente e testarda la piccola Hannah Jones, erede dell’impero alberghiero di suo padre”
“Non sono l’erede del suo impero.”
“La vita mi ha insegnato che, per quanto ci opponiamo al volere delle nostre famiglie, alla fine finiamo per fare esattamente quello che vogliono che noi facciamo. Il che significa che, per quanto tu ti ostini a cercare una vita diversa, un giorno ti ritroverai invischiata negli hotel dei tuoi genitori.”
“Non c’è pericolo. Quel ruolo è già ricoperto da Alex…” mormorai con la voce che mi tremava, ma mi costrinsi a ricacciare indietro le lacrime. Ne avevo già versate abbastanza per quel giorno.
“Alex?” domandò lui “Il tuo ex?”
“E tu che ne sai?” lo guardai con occhi di fuoco. Come faceva a sapere così tante cose su di me, quando io non sapevo assolutamente nulla su di lui.
“Jane. Tu non immagini nemmeno quanto sia chiacchierona dopo un paio di shottini di tequila.”
“Ricordami che quando torna a casa la uccido”
“Non puoi farla fuori, è la tua migliore amica. E poi diventa un vero spasso quando gli shottini sono sei o sette e lei è completamente ubriaca. Solo per questo dovresti risparmiarla”
“Forse, ma dato che sai così tante cose su di me, ora dovrai dirmi qualcosa su di te”
“Sei ancora troppo poco sbronza per trovare interessante la mia vita…”
“Oh, ti prego. Tu che fai il timido e cerchi di schermirti in questo modo. Non è da te…”
“Chi lo dice? E poi non sto facendo il timido…”
Decisi di cambiare strategia. Volevo ad ogni costo scoprire qualcosa di più su di lui, così gli domandai: “Hai mai giocato ad obbligo o verità?” 
“E lo chiedi?”
“Allora, se conosci già le regole, cosa scegli? Obbligo o verità?”
“Davvero vuoi giocare adesso?” sembrava sorpreso.
“Perchè no? Hai qualcos’altro da fare?”
“D’accordo, morettina. Giochiamo. Ma non ti arrabbiare se alla fine della serata mi avrai raccontato tutti i tuoi segreti più piccanti e tu non avrai scoperto nulla sul mio conto”
“Credici!” e sogghignai, aspettando che lui desse il via al gioco. Ero certa che entro la fine della serata sarei riuscita ad estorcergli ogni segreto ed avrei conosciuto il vero Jamie Bellamy, non quello sfrontato e sicuro di sé che aveva cercato di farmi la serenata al terminal dell’aeroporto, ma quello che si nascondeva dietro alla maschera da playboy. 

 

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Capitolo 7
*** Capitolo VI ***


Capitolo VI
 

Questo capitolo è dedicato a Clytie.
Senza il tuo entusiasmo e il tuo supporto questa storia
sarebbe stata abbandonata parecchi capitoli fa. 



Mentre mi preparavo a carpire i segreti più nascosti di Jamie, lui si alzò all’improvviso, cogliendomi totalmente di sorpresa.
“Dove stai andando?” chiesi allarmata che potesse andarsene, mandando così a monte tutti i miei piani.
“Non avere paura. Non sto scappando. Nessuno gioca a obbligo o verità da sobrio” e con queste parole criptiche sparì in cucina per ritornare dopo alcuni istanti con due bicchierini da shot e una bottiglia.
“Vodka” disse, quasi intuendo i miei pensieri, prima di porgermi un bicchiere e sedersi di nuovo sul divano. “Dunque devo iniziare io?” 
Annuii.
“Ma di solito non cominciano le signore?”  domandò corrugando leggermente la fronte “Sai, la cavalleria e tutte quelle storie…”
“Per stasera facciamo un’eccezione, quindi non tirarla tanto per le lunghe. Obbligo o verità?” cominciavo ad essere impaziente e non riuscivo a non darlo a vedere.
“Sai, mi piace quando fai la prepotente…” mi sorrise lascivamente, avvicinandosi a me impercettibilmente. “Stasera mi sento intrepido. Scelgo obbligo”
Feci finta di pensare per qualche minuto, poi gli dissi: “Devi raccontarmi qualcosa della tua infanzia”
“Ehi, ho scelto obbligo, non verità” mi fece notare con disappunto, imbronciandosi leggermente ed incrociando le braccia al petto.
“Su, niente broncio. Non fare il bambino capriccioso. E poi non avevo ancora finito di parlare…Devi raccontarmi qualcosa della tua infanzia mentre…” mi fermai cercando di trovare un’idea geniale “…fai venti sollevamenti”
“Forse non è stata una buona idea giocare con te…” borbottò.
“Non si torna indietro Jamie. E poi non ti facevo così codardo…” fui tentata per un istante di fargli una linguaccia, ma preferii bere un sorso di vodka, pregustando il primo segreto di Jamie.
Sbuffando, lui si alzò e fece il primo piegamento senza il minimo sforzo.
“Sto aspettando…” lo punzecchiai.
“Sono cresciuto a Bournemouth, non troppo lontano dal mare” e fece altri due piegamenti.
“E…” lo incoraggiai.
“E niente” sorrise con fare enigmatico continuando i piegamenti.
“Forza, dimmi qualcos’altro” 
“Non è compreso nel prezzo. Mi hai chiesto qualcosa sulla mia infanzia e te l’ho detto” furono le sue parole prima di concludere i piegamenti. “Se vuoi qualcosa di più, piccola, devi essere più esplicita la prossima volta” continuò maliziosamente prima di sedermisi di nuovo accanto. “Ora tocca a te. Obbligo o verità?” 
Ci pensai bene. In effetti mi resi conto di essermi messa nei pasticci con le mie stesse mani. Nella foga di voler scoprire qualcosa di più su Jamie non avevo messo in conto di dover partecipare anch’io al gioco.
“Verità” ma appena vidi il suo sguardo, mi resi conto di aver sbagliato risposta. 
“Qual è il posto più strano in cui l’hai mai fatto?”
Mi irrigidii. “Cosa? Non lo vuoi sapere sul serio” 
“Certo, altrimenti non te l’avrei chiesto. Forza, piccola. Sputa il rospo. E proprio perchè sono buono ti concedo di bere un sorso per trovare il coraggio.” Mi porse la bottiglia. Il suo sguardo era determinato. Non mi avrebbe permesso di cambiare discorso o di evitare di rispondergli. Tentai dunque di temporeggiare versandomi con calma la vodka e, sempre con molta lentezza, sorseggiai e gustai quel liquido che mi infiammò subito la gola, mentre cercavo disperatamente una via d’uscita.
Come al solito ero un libro aperto per Jamie, il quale, con un sorriso beffardo, si affrettò a dire: “Puoi metterci tutto il tempo che vuoi, piccola. Abbiamo tutta la notte.”
Sollevai gli occhi al cielo, tracannai d’un fiato la vodka rimasta sul fondo del bicchiere e decisi di parlare. Era meglio strapparsi in fretta quel cerotto piuttosto che tergiversare oltre.
“In una cabina di quelle dove si fanno le fototessere” risposi in fretta, arrossendo per l’imbarazzo e desiderando essere inghiottita dal divano dopo quella confessione.
“Ora voglio i dettagli…” ghignò Jamie, che se la stava spassando.
“Non se ne parla.”
“Dimmi almeno che qualcuno vi ha visti…”
“Sei proprio un pervertito!” 
“Eri con il tuo ex?”
“Mi spiace, niente dettagli.” E gli feci una linguaccia. “Ora tocca a te. Obbligo o verità?”
“Verità” rispose, anche se riuscivo a leggergli nello sguardo che non era contento della mia ultima risposta. Voleva investigare oltre su quanto gli avevo appena rivelato, ma nemmeno sotto tortura gli avrei permesso di scoprire qualcosa di più.
“Quando è stata l’ultima volta che hai avuto una relazione seria?”
“Questa è semplice…” si versò un po’ di vodka, poi con tono tranquillo continuò “non ho mai avuto una relazione seria.”
“Perchè?” domandai, per nulla sorpresa.
“Dovrai aspettare il prossimo turno per scoprirlo. Non lo sai, la regola dice un solo obbligo o una sola verità per turno.”
“Sei impossibile!”
“Ma è per questo che ti piaccio!” ghignò lui.
“Non credo proprio…”
“Dato che tocca a te, cosa scegli? Obbligo o verità”
“Verità” risposi di getto, dandomi subito della stupida.
“Allora, dimmi la verità. Ti piaccio, non è vero?”
“Assolutamente no!”
“Sei una bugiarda. Per punizione devi bere tre shottini su un piede solo.”
“E chi lo dice?” mi indignai.
“Sono le regole, baby. O si dice la verità o si viene puniti.”
“D’accordo.” Borbottai alzandomi in piedi e bevendo, felice di quella punizione inaspettata.
“Obbligo o verità” gli chiesi appena ebbi finito di bere.
“Fa differenza? tanto lo so che stai morendo dalla voglia di sapere perchè non ho mai avuto una storia seria. Tempo fa stavo con una ragazza e le cose andavano bene. Poi semplicemente non ha funzionato. Sei contenta?” notai che parlando aveva perso quell’aria calma che aveva cercato di mostrare appena avevamo toccato quell’argomento. A quanto pareva avevo trovato un tasto dolente.
“Perchè non hanno funzionato?” ero curiosa di saperne di più.
“Perchè ti interessa così tanto?” chiese a bruciapelo svicolando alla mia domanda.
“E a te perchè interessano i dettagli piccanti della mia vita sessuale?”
“Sai, fa sempre piacere sapere con cosa si deve competere. E poi ora so che io e te non faremo mai sesso in una macchina per le fototessere.”
“E chi ti dice che io e te faremo sesso?”
“Chiamalo sesto senso…”
“Ci risiamo.” Sbuffai. “Ecco che torna mr. Hyde”
“Va be’ se non vuoi parlare di come finirai tra le mie braccia, non c’è problema. Possiamo continuare a girarci intorno per tutta la serata. Per me non ci sono problemi.”
“Non finirò mai tra le tue braccia. Non sono così disperata.”
“Se lo dici tu. Eppure fino a qualche ora fa eri così a terra che ti saresti consumata gli occhi a furia di versare lacrime. Per il tuo ex, vero? Be’ è un imbecille e tu non dovresti sprecare tante energie dietro a quell’idiota.”
“Non sai di cosa stai parlando” e mi versai dell’altra vodka. Cominciavo a sentirmi la testa leggermente annebbiata ma se davvero dovevamo parlare di Alex avevo bisogno di affogare ancora un po’ i dispiaceri nell’alcol.
“E allora dimmi quello che non so” il suo suonava come un ordine.
“Perchè ti interessa tanto?”
“Perchè chiaramente quello stronzo ti ha spezzato il cuore e al momento sono l’unico nei paraggi che può in qualche modo raccogliere i cocci e aiutarti a dimenticarlo”
“Cosa…” non ero sicura di aver capito cosa intendesse.
“Dato che Jane è fuori e che c’è solo il sottoscritto, tocca a me il compito duro di confortarti e farti dimenticare quell’imbecille. Non è quello che fanno gli amici?”
“E da quando io e te siamo amici?” domandai di getto.
“Da oggi pomeriggio”
“Se davvero fossi mio amico mi avresti già restituito la mia valigia” borbottai.
“Ti ho già detto cosa devi fare per riaverla, ma tu hai rifiutato. Non ci posso fare niente…” fu la sua semplice risposta.
“Gli amici non si comportano così”
“Gli amici stronzi e fighi lo fanno. Ma proprio perchè mi sento buono, stasera ti do un’altra possibilità per riavere la tua valigia: obbligo o verità”
Lo guardai per un istante frastornata da quell’improvviso cambio di argomento, poi risposi con rassegnazione: “Obbligo”.
“Devi rimanere ferma qualunque cosa ti faccia” le sue parole non promettevano niente di buono, ma accettai. Rivolevo la mia valigia.
Jamie cominciò a farmi il solletico ma stranamente riuscii a non muovermi. Deciso a non arrendersi, cambiò tattica. Mi si avvicinò e, con una lentezza esasperante, cominciò a baciarmi il collo. 
“Jamie, smettila” sussurrai senza fiato.
Lui mi ignorò e continuò finchè non posò una mano sul mio fianco e cercò di baciarmi sulle labbra. Schizzai in piedi come una molla.
“Jamie!” sbottai indignata.
“Mi spiace piccola, hai perso. Niente valigia” e si mise a ghignare sotto ai baffi.
“Sei la persona più impossibile che abbia mai incontrato.” 
“Lo so, sono unico nel mio genere. Allora, sei stanca di obbligo o verità oppure hai voglia di continuare ancora un po’?”
“Voglio continuare” dissi con risoluzione tornando a sedermi accanto a Jamie. “Tocca a te, cosa scegli?”
“Obbligo” rispose senza esitazione, prima di bersi un altro shottino.
“Chiama la tua ex e dille che è una grandissima stronza” dissi di getto senza nemmeno pensarci. Mi resi allora conto che l’alcol mi stava dando alla testa e che il gioco non stava affatto prendendo la piega che avrebbe dovuto prendere. Non solo non avevo scoperto niente di interessante su Jamie ma ora ero troppo alticcia per avere un piano di riserva per carpirgli qualche segreto.
“L’ho già fatto a suo tempo. Inventati qualcosa di più divertene, su” disse con aria annoiata “altrimenti perdi il turno e mi divertirò io a tue spese”
“Devi farti la ceretta al braccio destro senza usare le mani e se pensi solo per un istante di saltare l’obbligo, sappi che la punizione sarà ben peggiore.”
“Mi spiace ma passo. Forza, qual è la punizione?”
“Solo tre parole: smalto giallo effervescente”
“Ora sì che ragioniamo. Ammettilo è da tutta la sera che non vedi l’ora di mettermi lo smalto…” e docilmente Jamie mi appoggiò una mano sulla coscia. 
Lo guardai allibita. Si sarebbe lasciato mettere lo smalto pur di non fare la ceretta? Mi ero aspettata una reazione totalmente diversa. A quanto pareva Jamie era una continua sorpresa.
 Senza altri indugi presi la boccetta di smalto e cominciai la mia opera. 
“Lo sai, sei proprio una schiappa con lo smalto?” disse ad un certo punto ridacchiando. In effetti era più lo smalto che gli avevo spalmato sulle dita che quello che gli avevo applicato sulle unghie, ma non potevo farci niente. Mi tremavano le mani e non sapevo nemmeno il perchè. 
“Fa parte della punizione” cercai di camuffare la verità dietro una finta maschera di sicurezza.
“Certo, come no.” Commentò con sarcasmo. “Allora, me lo dici come ti ha spezzato il cuore quell’idiota del tuo ex?” la sua domanda mi spiazzò a tal punto che rischiai di lasciar andare la boccetta di smalto e di farla finire sul divano. Prima che potessi protestare o cercare di cambiare argomento, lui si affrettò a dire: “Tra amici ci si confida sempre, nel bene o nel male”
“Lo sai che sei proprio un gran rompiscatole?”
“Me lo dicono spesso, ma non ci credo” e si mise a guardarmi, in attesa che mi decidessi a parlare.
Feci un respiro profondo e mi ripromisi di non mettermi a piangere. Avevo già pianto abbastanza per Alex.
“Si è sposato mentre ero a Milano”
“E…” mi invitò a continuare.
“E sua moglie è mia sorella”
“Che cosa? Ha sposato tua sorella e tu non lo sapevi? E’ proprio uno stronzo!” Jamie sembrava sconvolto.
Annuii cominciando a sentire il magone tornare. “Mia nonna lo sapeva ma non me l’ha mai detto. Si è portata questo segreto nella tomba.” Feci una pausa. Non riuscivo più a parlare. Non ero ancora pronta ad accettare il fatto che mia nonna se ne fosse andata e che io non fossi stata al suo fianco nelle sue ultime ore. “Mi manca da morire e l’idea che non potrò più riabbracciarla né arrabbiarmi con lei per aver tenuto per sé questa cosa mi devasta” una lacrima traditrice mi scese lungo una guancia. Jamie l’asciugò in fretta e mi passò un braccio intorno alle spalle con fare confortante.
“Mi dispiace che tua nonna sia morta. Jane mi ha detto che era una persona fantastica. Mi ha raccontato di quando vi ha fatto saltare la scuola e voi tre siete scappare ai giardini a dar da mangiare alle anatre. Quanti anni avevate?”
“Nove” e mi ritrovai mio malgrado a sorridere. Quello era stato uno dei giorni più belli della mia vita. “Sai, probabilmente gli saresti piaciuto. Lei amava i ragazzi pazzi come te”
“Mi sarebbe piaciuto conoscerla.”
“Non voglio andare al suo funerale.” Borbottai ad un certo punto, con fare lagnoso. 
“E’ domani?”
Annuii.
“Se vuoi posso venire con te” propose, sorprendendomi di nuovo. Lo guardai negli occhi cercando di capire che trucchetto stesse nascondendo. “Perchè vorresti venire al funerale? Non capisco”
“Per essere accanto ad un’amica che ha bisogno di una spalla su cui piangere”
“O di uno scudo che la protegga dalla propria famiglia” aggiunsi a mezza voce.
“Anche. Gli amici esistono proprio per occasioni come questa.”
“Davvero faresti una cosa del genere?”
“Certo, altrimenti non mi sarei offerto”
“D’accordo” ero ancora un po’ dubbiosa “Grazie”
Mi accarezzò delicatamente il viso, poi assunse di nuovo quella sua aria maliziosa. “Allora, hai ancora voglia di essere stracciata a obbligo o verità oppure ricominciamo con Grey’s Anatomy?”
Dato che, nonostante fossi stanchissima, non avevo ancora voglia di andare a dormire e che non volevo rivelare altri segreti a Jamie, optai per riprendere la nostra maratona televisiva.
Ci accoccolammo sul divano e lui mi fece posare il capo sul suo petto. Non so nemmeno io perchè non opposi resistenza, però era bello essere avvolta dal suo braccio e respirare il suo profumo. Era confortante. 
“Perchè sorridi?” mi chiese ad un certo punto, facendomi sobbalzare.
“Stavo pensando che se oggi pomeriggio qualcuno mi avesse detto che avrei passato la serata insieme allo stalker dell’aeroporto gli avrei riso in faccia”
“Be’ dopo tutto questo stalker non è poi così male…”
“Ora non esagerare” ribattei sempre con il sorriso sulle labbra, prima di tornare a guardare il telefilm.
Passò qualche tempo senza che nessuno dei due dicesse nulla, poi una voce sorprese entrambi.
“Cosa sta succedendo qui?” era Jane che ci guardava allibiti. Solo allora mi resi conto che avevo ancora la testa appoggiata al petto di Jamie e il suo braccio era intorno alle mie spalle.
“Stavamo facendo uno smalto-party senza di te” fu la pronta risposta di Jamie, che non si mosse di un millimetro.
Colta in flagrante, mi misi a sedere composta e mi allontanai un po’ da Jamie, che parve leggermente deluso da quell’interruzione improvvisa. 
“Ed è arrivata l’ora che io vada a dormire. Domattina mi devo svegliare presto” balbettai alzandomi con fare incerto. “Grazie Jamie della serata. Buonanotte a tutti” rapida, prima che Jane cominciasse il terzo grado, mi infilai nella mia stanza e mi chiusi la porta alle spalle. 
Solo allora mi resi conto di essere di nuovo senza valigia e di non avere niente per la notte. 
Mentre pensavo ad una soluzione, sentii qualcuno bussare alla mia porta. Prima ancora di poter rispondere, Jamie era già entrato ed aveva in mano una sua t-shirt blu.
“Non ti sei ancora guadagnata la tua valigia e il tuo pigiamino, ma che non si dica che sono un uomo senza cuore che lascia dormire le amiche senza vestiti. A proposito, non sai quanto mi attizzino i pinguini del tuo pigiamino…”
Presi la maglietta e feci per cacciarlo via dalla stanza, cercando a fatica di trattenere una risata.
“A proposito, domani mattina per che ora devo essere pronto?” chiese facendomi tornare sui miei passi e fissandomi con serietà.
“Guarda che non sei tenuto a venire.” 
“Voglio venire”
“Alle otto.”
“Prometto di non farmi aspettare” e prima che potessi realizzare cosa stava facendo, mi posò un rapido bacio sulle labbra e scappò via. “Buonanotte” lo sentii sghignazzare mentre si allontanava dalla mia stanza.
Troppo stanca per cercare di capire quella serata, decisi di infilarmi la t-shirt di Jamie e di mettermi a dormire. L’indomani mi aspettava una giornata ancora più difficile di quella appena trascorsa ed avevo bisogno di tutte le mie forze per arrivare incolume al tramonto.

 

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Capitolo 8
*** Capitolo VII - prima parte ***



Capitolo VII - prima parte
 

Quando l’indomani mattina mi svegliai ero di pessimo umore ed avevo male dappertutto. Era come se, nel cuore della notte, un gigante mi avesse scambiata per un comodo divano e mi si fosse seduto addosso. Come avrebbe detto mia nonna, quella mattina ero croccante. Pregai mentalmente che quella giornata finisse in fretta e senza troppi disastri. Sperai inoltre che l’inevitabile confronto con la mia famiglia non mi lasciasse come al solito sanguinante, figurativamente parlando. Non avevo voglia di trovarmi per l’ennesima volta piena di ferite che avrebbero avuto bisogno di parecchio tempo per guarire.
Andai in bagno, fortunatamente libero, e mi concessi una lunga doccia nella speranza di scacciare lo stress, che si stava accumulando ad una velocità record anche per la sottoscritta. Parecchi minuti dopo, niente affatto rilassata ma perfettamente truccata, fui costretta a bussare alla porta di Jamie. Avevo assolutamente bisogno del mio vestito ed ero disposta a buttare Jamie giù dal letto pur di vestirmi. Fui sorpresa quando mi rispose: “Avanti”.
A quanto pareva era già sveglio e quando entrai, vidi che si stava vestendo per il funerale.
“Allora non hai cambiato idea?” domandai senza riuscire a nascondere il mio stupore.
“Perchè sembri così sorpresa, morettina?” chiese di rimando attraverso lo specchio, mentre cercava di annodarsi la cravatta.
Scrollai le spalle senza dargli una risposta. “Ho bisogno del mio vestito e…” Jamie mi interruppe prima che potessi continuare la frase.
“Fosse per me potresti tranquillamente venire con addosso solo quell’asciugamano striminzito. Sei perfetta” e mi sorrise lascivamente, scrutandomi con attenzione da capo a piedi.
“Non abbiamo tempo per queste stupidaggini.” Ribattei, sollevando gli occhi al cielo e mordendomi la lingua per non aggiungere qualche altro commento scorbutico. Non avevo voglia di cominciare fin da subito a battagliare con lui. La giornata sarebbe stata abbastanza lunga perchè si presentassero altre occasioni per battibeccare con Jamie.
“E’ sul comò” mi disse lui con un cenno del capo, ignorando il mio commento.
Solo allora vidi il mio abito piegato con cura. Accanto ad esso trovai le decolleté nere che avevo scelto di mettere in valigia apposta per quell’occasione triste. Per un attimo ripensai a quando io e la nonna le avevamo viste per caso in un negozio in centro e come, l’indomani mattina, me le avesse fatte trovare sul tavolo della cucina insieme ad una fetta della mia torta preferita. Per quanto non fossero esattamente comode, le adoravo perchè erano uno degli ultimi regali che mi aveva fatto la nonna.
“Spero che quel mascara sia waterproof” disse Jamie, riscuotendomi dai miei pensieri.
“Cosa?” lo guardai senza capire.
“Se quel mascara non è waterproof ci toccherà portare un camion di fazzolettini con noi”
“E da quando ti intendi di mascara? Comunque sia, ti conviene portarli lo stesso. Chissà, magari potrei usarli per soffocarti quando meno te lo aspetti…” a quanto pareva la mia boccaccia aveva colpito di nuovo. Sembrava proprio che quella mattina non avessi il controllo di quel che usciva dalle mie labbra. Presi il vestito, le scarpe e tornai codardamente nella mia stanza a finire di prepararmi, senza nemmeno dare una possibilità a Jamie di ribattere.
Una volta pronta, mi guardai nello specchio a muro dietro alla porta della mia stanza e vidi una persona che non mi somigliava affatto. I miei capelli erano castigati in uno chignon stretto e i miei occhi sembravano più grandi e più tristi. L’abito nero mi stava alla perfezione e sorrisi, ripensando alla faccia che aveva fatto la nonna quando me l’aveva visto addosso per la prima volta. Sicuramente, se fosse stata lì in quel momento, avrebbe apprezzato la scelta che avevo fatto indossandolo e forse mi avrebbe bonariamente presa un po’ in giro.
Prima che una lacrima mi rovinasse il trucco, guardai l’orologio e mi resi conto di avere giusto il tempo di una colazione leggera, ma il mio stomaco era già chiuso per la tensione. Sentii il profumo di caffè attraverso la fessura della porta e decisi di seguire quell’odore delizioso. In cucina trovai Jamie che teneva tra le mani un tazzone enorme di caffè fumante.
“Ne vuoi un po’?” chiese appena mi vide comparire. Era impeccabile nel suo completo scuro e per un attimo sentii le farfalle nello stomaco, ma atribuii la cosa alla tensione, non ad altro.
“Più che volentieri” annuii, poi cambiai discorso. “Hai visto Jane e Chris?” ero preoccupata che la mia amica potesse piombare in cucina facendomi tutte quelle domande che la sera prima ero riuscita miracolosamente a schivare.
“Sono usciti mentre eri sotto la doccia. Mi hanno chiesto di dirti che ti sono vicini oggi. Sarebbero venuti con noi, ma li ho cacciati al lavoro. Ora che ci penso, però, forse potresti avere bisogno di qualche altra faccia amica in mezzo al covo di vipere.”
“Sarai più che sufficiente. E comunque non immagini quanto ti sia riconoscente. Sei ancora in tempo per cambiare idea.” Gli dissi con un timido sorriso.
“Ormai sono lavato, vestito, profumato e superinfighettato. Non posso cambiare idea e sprecare tutta questa fatica.”Ghignò mentre mi passava una tazza piena di caffè caldo “e poi hai bisogno di me. Non lascio una donzella in difficoltà sola soletta nel momento del bisogno.”
Sorvolai sulle parole presuntuose e gli fui grata per aver deciso di essermi vicino in quel giorno difficile.
Suonò il citofono, cogliendomi così di sorpresa che rischiai di soffocarmi con il caffè.
“E’ arrivato il nostro taxi, sei pronta?”
“Sì” mormorai, trangugiando in fretta l’ultimo sorso di caffè e preparandomi psicologicamente a ciò che avremmo dovuto affrontare di lì a poco.

Via via che ci avvicinavamo al cimitero, mi sentivo sempre più nervosa.
“Andrà tutto bene” mi disse Jamie, prendendomi una mano ed impedendomi di torturare ulteriormente la povera borsetta che tenevo in grembo.
“Come fai a dirlo?” mi voltai verso di lui e lo guardai in volto. Per un momento ripensai a quel che era successo la sera prima e al bacio che lui mi aveva rubato. Se non fossi stata così tesa, probabilmente quella mattina sarei stata in imbarazzo e mi sarei fatta mille paranoie su noi due.
“Chiamalo sesto senso.”
Non ero così sicura che tutto sarebbe andato per il meglio e lui me lo lesse negli occhi. “Mal che vada siamo sempre in tempo per scappare da una porta secondaria o qualcosa del genere e darci alla fuga” tentò di rassicurarmi.
“Me lo prometti?”
“Certo, ma non credo che lo faremo. Sei una ragazza forte. Non lasciare che la tua famiglia e tutto il suo ‘bagaglio di stronzate’ ti facciano dubitare di te stessa.”
“Già, forse hai ragione. E’ solo che…non li conosci” sospirai “Hai mai nuotato in una vasca da bagno con gli squali?”
“No, perchè? Tu sì?”
“Non ho mai avuto una vasca da bagno così grande, comunque la mia famiglia sa essere più pericolosa di un branco di squali. Davanti ti mostrano un sorriso dolce e finto e poi, appena volti loro la schiena, sono subito pronti a pugnalarti alle spalle o a screditarti con i loro amici. Sono delle personcine davvero adorabili.”
“Non immagini nemmeno quanta gente come loro mi sia capitata di incontrare, soprattutto durante i ricevimenti dei miei genitori. Il segreto per sopravvivere a persone del genere è sorridere, annuire e, appena sono fuori dalla tua portata, mandarle al diavolo. Certo, di solito l’alcol aiuta a sopportarle meglio…tassista, accosti davanti al primo pub. Dobbiamo fare rifornimento.”
“Non c’è tempo. E poi rischierei soltanto di passare tutta la mattinata a dare di stomaco…”
“Allora sai che ti dico? Se sopravviviamo a questa giornata, stasera ti offro da bere e potrai prenderti una sbronza colossale”
“D’accordo.” Gli strinsi la mano con gratitudine e, leggermente meno angosciata, mi godetti gli ultimi minuti di tranquillità prima della tempesta.
Quando arrivammo al cimitero, il taxi ci lasciò davanti all’ingresso monumentale. Prima che potessi chiedere all’autista di riportaci a casa, Jamie scese dalla vettura e mi aprì galantemente lo sportello.
“Guastafeste” borbottai mentre scendevo dall’auto.
“Cos’hai detto?”
“Niente” e guardai il taxi, la mia ultima ancora di salvezza, andarsene via indisturbato.
“Sai, pensavo che non venissero più celebrati funerali al cimitero di Highgate” mi disse Jamie, catturando di nuovo la mia attenzione.
“La nonna mi ha sempre detto che avrebbe voluto essere seppellita qui” mentre parlavo varcammo il cancello d’ingresso e ci addentrammo tra il verde di quel luogo surreale. “Immagino che mio padre abbia fatto qualche telefonata, sbandierando il suo cognome altisonante ed elargendo qualche mazzetta, pur di accontentarla. Mi sono sempre chiesta perchè lei volesse a tutti i costi finire in questo cimitero. E’ così tetro. Scommetto dieci sterline che sotto ad uno di questi monumenti funebri si nasconda un vampiro”.
“Forse anche più di un vampiro si nasconde qui, però c’è così tanta pace che non sembra di essere ancora in città. Quasi quasi vorrei essere anch’io tumulato qui” disse Jamie mentre si guardava intorno ed osservava le tombe più antiche.
“Tumulato? Stamattina a colazione hai mangiato il dizionario?” domandai stuzzicandolo. Quel discorso sulla morte, sulle tombe e sulla tumulazione cominciava a mettermi a disagio.
“Signorina Jones, per chi mi hai preso? Per uno zotico analfabeta, un po’ stupidotto, che ha un fisico perfetto?”
“In effetti sì” sogghignai. “Perchè, vuoi forse dirmi che mi sono sbagliata?”
“Signorina Jones, non ti facevo così superficiale e snob. Hai davanti a te un uomo che, anche se non possiede un inutile pezzo di carta, può sicuramente dire di sapere più cose di molte altre persone.”
“Ad esempio?” lo imbeccai.
“Ad esempio…” ma si zittì un attimo con fare pensieroso “non puoi chiedere ad un genio di sbandierare tutta la sua conoscenza così, su due piedi. Appena mi verrà in mente qualcosa di intelligente da dire, te ne accorgerai”
“E ne rimarrò sorpresa…” ghignai.
“Ehi, per caso hai voglia di litigare?” domandò lui scherzosamente ed io sentii per un secondo la tensione scemare.
“Io? Ti sembro il tipo?” ma il mio tono di voce non era più spensierato, era tornato ad essere teso. Avevo scorto in lontananza i miei genitori e mi era venuta un’improvvisa voglia di darmela a gambe.
Jamie se ne accorse e mi prese di nuovo per mano. “Non sei sola, Hannah”.
“Lo so” e gli feci un sorriso tirato, senza però distogliere lo sguardo dalla mia famiglia. Erano tutti riuniti intorno alla tomba della nonna e mentre colmavamo la distanza che ci separava da loro, mi sentii una completa estranea. Non appartenevo più al loro “clan”. Anzi, forse non vi ero mai appartenuta. Ero così diversa da loro. Non guardavo gli altri dall’alto in basso giudicandoli dalla grandezza del loro conto in banca o dalle loro conoscenze altolocate, non cercavo l’ultimo capo firmato o l’ultima auto costosa per mostrare a tutti di poter scialacquare il patrimonio in cose futili. Avevo avuto la fortuna di avere come modello mia nonna, che non badava a queste superficialità. Lei mi aveva insegnato l’importanza del lavoro duro, a giudicare gli altri per i loro meriti, a essere semplice e umile, ma soprattutto a non guardare dall’alto in basso gli altri né a farli sentire a disagio al mio cospetto.
Nonostante mia madre e mio padre ci dessero le spalle, riuscivano comunque a trasmettere tutta la loro superiorità. Non ero mai riuscita a capire come ci riuscissero.
“Su Hannah, non fare la bambina. Non devi aver paura di quegli idioti” cercai di farmi forza e per qualche istante ci riuscii, poi incrociai lo sguardo di Alex e tutta la mia determinazione crollò come un castello di carte. Gli era bastato un solo sguardo per farmi battere forte il cuore e a quanto pareva anche lui non era riuscito a rimanere impassibile. Lo vidi perdere per un momento i suoi soliti modi misurati. Mia sorella, che gli era accanto e gli stava dicendo qualcosa, lo riportò in sé costringendolo a continuare la fitta conversazione che il mio appropinquarmi aveva interrotto. Mi accorsi ad un certo punto che mia sorella indossava degli orribili occhialoni da sole e rischiai di scoppiare a ridere.
“Cosa c’è?” mi domandò Jamie.
“Gli occhiali di mia sorella. Non ho mai visto niente di più brutto in vita mia” bisbigliai, temendo che l’udito ultrafino della famiglia potesse cogliere quel commento cattivo.
“In effetti…” ghignò lui, trasmettendomi una sensazione di calore inaspettata. Era bello avere un complice, non essere sola ad affrontare il toro nell’arena. E in questo caso i tori erano tre.
Per ritrovare un contegno e tornare seria, passai in rassegna l’altra manciata di persone presenti. Conoscevo bene alcune di loro perchè facevano parte della cerchia di amici di lunga data della mia famiglia, ma altre mi erano del tutto estranee. Mi chiesi se la nonna le avesse mai conosciute o si trattasse dei soliti impiccioni sempre pronti ad imbucarsi ad uno dei famosi eventi della famiglia Jones. Mentre quel pensiero lasciava l’anticamera del mio cervello, mio padre, impeccabile nel suo completo grigio griffato, si girò a guardare con occhio critico prima la sottoscritta e poi il mio accompagnatore. Decisi di seguire il consiglio di Jamie e di non farmi intimidire, nemmeno quando lo sguardo di mia madre e di mia sorella mi scandagliarono come raggi X.
Dentro di me avrei voluto scappare, ma decisi di sfoggiare l’aria più determinata e sicura che riuscissi a mostrare in quel momento. Non volevo dare loro la soddisfazione di avermi messa come al solito a disagio.
Io e Jamie colmammo la distanza che ci separava dalla famiglia e mio padre mi strinse in un abbraccio freddo e contegnoso. “E’ bello vederti qui oggi, Hanna”.
“Non sono qui per te” mi scappò dalle labbra e Jamie serrò leggermente la presa sulla mia mano, avvertendomi di non tirare troppo la corda. Forse aveva ragione, ma a quanto pareva la mia bocca la pensava diversamente.
Mio padre sorvolò sul commento e continuò imperterrito. “Ti trovo davvero bene. L’aria dell’Italia ti ha fatta sbocciare. Chi è il tuo amico?”
“Lui è Jamie Bellamy” risposi senza inflessione nella voce. Non avevo voglia di stare lì a riempire l’attesa del prete con chiacchiere inutili con mio padre.
“Perchè il tuo nome mi suona familiare?” domandò lui rivolgendosi direttamente a Jamie.
“Probabilmente conoscerà mio padre, Charles Bellamy”
“Ma certo, Charles. Che gran canaglia!” e mio padre sfoggiò il tipico sorriso finto che mostrava davanti ai suoi conoscenti più di spicco. Prima che potesse aggiungere qualche altra frase di circostanza o potesse elencarmi tutti gli ultimi della famiglia, fortunatamente arrivò il prete e ogni discussione venne rimandata a dopo la cerimonia.
Continuando a stringere la mano di Jamie, posai lo sguardo sulla bara e non prestai affatto attenzione alle parole del prete. Diedi a mia nonna l’ultimo saluto che avrebbe voluto e che sicuramente meritava: ripensai con affetto a tutte le mille avventure che avevo vissuto con lei nel corso degli anni, ai tanti momenti che avevamo passato insieme e a quanto mi sarebbe mancata. Per tutta la durata della funzione mi sembrò di averla accanto e seppi che se anche non era fisicamente al mio fianco, sarebbe sempre stata con me in ogni momento.

Nota dell'autrice: grazie a tutti per aver letto questo nuovo faticosissimo capitolo. E' da novembre che ci sto litigando e non potete nemmeno immaginare che sollievo essere finalmente riuscita a sistemare almeno la prima parte. Spero che vi sia piaciuto e vi prometto che la seconda parte sarà decisamente...scoppiettante. Preparate il pop-corn, ci sarà da divertirsi! 
A presto
XOXO 
P.s. non dimenticate di lasciare una recensione, un commento o un suggerimento. Sono sempre ben accetti!

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