C'era una volta il nostro mondo

di Looking at the Rainbow
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Caro Harry ***
Capitolo 2: *** Quando Hogwarts ci accolse ***
Capitolo 3: *** E divenne la nostra Casa ***
Capitolo 4: *** Ci sembrò di Volare ***



Capitolo 1
*** Caro Harry ***


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C'era una volta il nostro mondo

Questa storia necessita di una premessa; è nata quattro anni fa, senza però essera stata conclusa.

Ho deciso soltanto oggi di ripubblicare qualcosa; partirò dai capitoli che, per esigenze personali, sono ancora sul sito

sotto altro titolo, per poi passare al materiale mai pubblicato. Vi chiedo comprensione e fiducia per l'inizio di questo nuovo viaggio.

Ho sessant’anni.
Me lo dice lo specchio che vede il mio volto ogni mattino, con le rughe che vi si fanno spazio sopra, come a voler incidere i ricordi anche sulla pelle.
Me lo dice la mia mente, ormai anziana, che non può far a meno di rimuginare sul passato e sugli errori commessi.
I bivi che si incontrano per la strada e che spesso, troppo spesso, ci portano senza saperlo a imboccare la svolta sbagliata.
Ho sessant’anni e mi chiamo Eleonor Thompson.
Ho cercato per tanto tempo di assumere un’altra identità, ho tentato di convincermi che la mia gioventù in Inghilterra fosse stata soltanto il frutto della mia mente affaticata.
Eppure il cuore non conosce bugie.
Non sono nata in Francia, non ho studiato a Beauxbatons come la maggior parte delle persone che oggi riempiono la mia vita.
Io, Eleonor Thompson, sono cresciuta in Gran Bretagna, ho frequentato Hogwarts, ho conosciuto l’orgoglio di essere una Grifondoro, ma soprattutto sono stata per anni, per tanti anni, la migliore amica di James Potter.
Vorrei iniziare a raccontare la storia di un eroe, di un uomo che per amore ha combattuto ed è morto, ma prima voglio chiedere scusa.
Voglio chiedere scusa perché, oggi che Voldemort è stato definitivamente sconfitto, io sono qui viva, e non sottoterra con gli altri.
Se la mia storia spiegherà perché fui costretta ad andarmene quando ero soltanto una diciassettenne, non c’è niente, tuttavia, che chiarirà perché non sono tornata quando ne avevo la possibilità.
Perché non lo so neppure io, e non capisco come potrei dirlo a voi.
Non so cosa mi abbia spinta, durante l’infanzia di Harry, a non tornare in Inghilterra per cercarlo, per cercare colui che dalle foto avevo riconosciuto come una piccola copia di suo padre.
Un’impronta, lasciata da James nella sabbia del mondo.
Ma con gli occhi di Lily, certo.
Non conosco quella vigliaccheria che mi impedì di cercare Remus, quando Sirius venne accusato di assassinio.
Non so perché, allora, non mi presentai alla sua porta per confortarlo, per ricordargli che il suo migliore amico era innocente.
Che Sirius era stato Malandrino fino alla fine, come il Mondo Magico ha scoperto troppo tardi.
Di nuovo ebbi la tentazione di tornare da Harry qualche tempo fa, quando è stato finalmente accolto come il salvatore.
Certo, qui le notizie sono giunte attutite, modificate, ma sono riuscita a ricostruire la storia e posso affermare, senza per questo rischiare di sbagliare, che egli è un eroe come suo padre, anche e soprattutto perché non ha mai avuto la presunzione di diventarlo.
Non tornai quella volta, tentai come sempre di cambiare identità.
Fino ad oggi.
Oggi ho deciso di lasciare che la mente di una vecchia signora si abbandoni docilmente alla corrente dei ricordi.
E prima che questo avvenga, lascio le ultime righe per te, Harry Potter.
Se mai leggerai ciò che sto scrivendo sappi che, un po’ lontano da casa tua, c’è qualcuno che non ti conosce, ma che conosce la tua storia.
Una storia che meriti di sentire, finalmente.
Questo qualcuno ti vuole bene, ma è troppo debole per cercarti,
Sii fiero delle tue origini, Harry.
Sii fiero delle tue azioni.
E soprattutto non dare ascolto a chi vuole toglierti il piacere e il diritto di fantasticare.
Cresci i tuoi figli come avrebbero voluto fare James e Lily con te.
Non lasciare che diventino eroi, ragazzo, perché soltanto la dolcezza della quotidianità potrà farti dimenticare gli orrori da cui io, codarda, sono fuggita, ma che tu hai affrontato a testa alta.
C’è un’ultima cosa che devo chiederti.
Se puoi, non odiarmi per quello che ho fatto.
Se puoi, non odiarmi perché sono viva.
Ti voglio bene, Harry.

Eleonor.

 

NdA: Questa introduzione nello specifico non è stata modificata con la ristesura di questa long, perché ci ero affezionata, forse stupidamene. Se qualcuno di voi avesse già letto questa storia, spero che siate disposti a seguirmi anche stavolta, per tutti quelli che la vedono per la prima volta, spero di essere riuscita a comunicarvi qualcosa. A tutti, per essere arrivati fin qui, grazie.

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Capitolo 2
*** Quando Hogwarts ci accolse ***


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C'era una volta il nostro mondo

La pergamena bianca mi guarda, spazientita, invitandomi ad intingere la piuma e iniziare.
Ed io, debole come sempre, l’assecondo.
Non so dirti, Harry, quando vidi tuo padre per la prima volta.
Mi piacerebbe descriverti una sua entrata in scena che mi colpì, ma la mia mente, allora bambina, non ha trattenuto nessuna immagine di quel momento.
La famiglia Potter e la famiglia Thompson erano infatti legate da una profonda amicizia già prima della nostra nascita.
Amicizia che fu certamente rafforzata dall’arrivo di due bambini, ad un mese di distanza l’uno dall’altra.
Questo rapporto garantì a James e me di crescere insieme, di darci quasi per scontati in ogni momento della nostra infanzia.
C’era lui, nelle foto in cui comparivo con due dentini, davanti ad una grande torta, il giorno del mio primo compleanno.
C’era lui quando imparai a camminare, imitando i pochi passi che, più temerario di me, aveva già compiuto.
C’era James quando a sei anni caddi dalla sua scopa giocattolo rompendomi un polso.
C’era in ogni pomeriggio invernale trascorso davanti al camino e in ogni giornata estiva spesa in giardino a fantasticare.
Fantasticare, sognare, ecco, forse si trovava lì la chiave del nostro legame, a quei tempi.
Quello che ci rese complici e compagni.
In tutti quei pomeriggi, in tutte quelle giornate, noi immaginavamo il nostro futuro.
Futuro che, come per tanti altri maghi e streghe, aveva un nome che suscitava sempre un sorriso e uno sguardo brillante di emozione.
Hogwarts.
Nei pensieri di due bambini c’era il giorno in cui, seguendo le orme dei nostri genitori, saremmo saliti su quel treno scarlatto e sbuffante per diventare grandi. Grandi insieme.
E gli undici anni non si fecero attendere.
I gufi, con le due lettere identiche che avevamo tanto agognato, ci trovarono a fare colazione a casa mia.
In quella cucina un po’ troppo gialla come piaceva a mia madre, gomito a gomito, le aprimmo e ci abbracciammo, io con gli occhi lucidi, lui già pregustando il divertimento che lo attendeva.
Nei giorni seguenti ci fornimmo dell’occorrente e, ad ogni acquisto, Hogwarts diventava più vera, più concreta.
La notte che precedette quel lontano 1° Settembre 1971, praticamente non chiusi occhio.
Per la prima volta, lontana da James e dal suo entusiasmo, provai paura.
Paura per quel luogo che non conoscevo, paura di trovarmi magari senza di lui, paura nel dovermi allontanare dai miei genitori.
Alle cinque, seduta sul letto, gettavo uno sguardo al mio baule, già pronto, uno alla finestra, dove la luce del mattino si faceva sempre più intensa e uno alla mia camera che con ogni probabilità non avrei rivisto fino a Natale.
Ogni inquietudine mi abbandonò, tuttavia, sostituita da un entusiasmo che mi impediva di rimanere ferma anche solo per un secondo, non appena misi piede fuori dalla porta, vestita di tutto punto.
Lì trovai James.
Aveva i capelli più scompigliati del solito, gli occhi appannati dietro alle lenti degli occhiali e, grattandosi una guancia borbottò: “Mamma mi ha buttato giù dal letto.”
Io scoppia in una risata liberatoria che sicuramente non comprese.
Eravamo insieme e, con lui al mio fianco, sarebbe andato tutto bene.
I nostri genitori ci accompagnarono al binario, ci strinsero entrambi in un abbraccio mozzafiato e con sorpresa vidi Dorea Potter, l’Auror intransigente, con le lacrime agli occhi.
Quando salii sul treno capii che tante cose stavano per cambiare, che sarei cresciuta e che della bambina che conoscevo avrei ritrovato a breve soltanto i lineamenti sottili, i capelli chiari e gli occhi blu.
“Cerchiamo uno scompartimento?” mi chiese James.
Io annuii, con un sorriso che andava da un orecchio all’altro e che nascondeva tante domande.
Alla fine, gli unici posti che trovammo liberi erano in fondo al treno, accanto ad altri tre ragazzi e una ragazzina, tutti, a giudicare dagli sguardi disorientati, al primo anno come noi.
James, ancora scombussolato dall’essere stato svegliato brutalmente, riuscì a crollare con la testa addosso al finestrino in un sonno profondo così io fui libera di fare una delle cose che mi riusciva meglio; osservare.
Senza dare nell’occhio la mia attenzione si focalizzò su coloro che mi circondavano e fu catturata dalla ragazzina.
Era più alta di me, aveva capelli scuri e lucenti e stringeva tra le mani quello che riconobbi per il primo volume di Storia della Magia. Sembrava totalmente presa dalla lettura.
Inspiegabilmente, provai un moto di simpatia nei suoi confronti.
Accanto a lei, c’era un ragazzo che sprofondava di tanto in tanto in un sonno leggero, dal quale riemergeva con un sussulto; la sua testa, come se seguisse un ritmo sconosciuto, scendeva sul collo e si rialzava di scatto.
Mi colpì il suo volto, che pur essendo segnato da una profonda cicatrice sulla guancia sinistra, non sembrava affatto minaccioso.
Provai l’impulso di rassicurarlo per qualcosa che non conoscevo, ma che sembrava tormentarlo.
Scostando lo sguardo da lui, andai a posarlo su colui che sedeva accanto a me e che se ne stava raggomitolato sul sedile.
Quando si accorse che lo guardavo, si allontanò un po’, quasi intimorito, e notai che era un po’ pienotto e che aveva piccoli occhi chiari.
Infine mi concentrai sull’ultima persona che occupava lo scompartimento.
Avevo evitato accuratamente di osservarlo, perché a differenza degli altri, cercava il mio sguardo, come se stesse cercando di catturare la mia attenzione per sfidarmi a studiarlo.
Pur avendo incisi sul volto la morbidezza e la dolcezza tipiche dei bambini, sembrava più grande e iniziava a far mostra di una notevole bellezza che mi fece inspiegabilmente arrossire.
Non appena sollevai gli occhi per fissarli nei suoi, celesti e freddi come il ghiaccio, quello curvò le labbra in un sorriso strafottente.
“Come ti chiami?” mi domandò.
“Eleonor” risposi, tentando di rimanere distaccata quanto lui. “Tu?”
“Sirius Black” si presentò “ma non mi piace essere paragonato a quelli della mia famiglia, qualsiasi cosa tu sappia su di loro”.
Io scrollai le spalle.
Avevo sentito mia madre parlare dei Black di tanto in tanto, ma non avevo mai dato orecchio a ciò che diceva, quindi a parte la loro esistenza non avrei saputo dire molto altro.
“E quello lì chi è?” mi chiese dopo qualche minuto, indicando con un cenno del capo James.
“Oh, lui è James Potter, il mio migliore amico”.
“Beh, lasciatelo dire, il tuo amico è vergognoso.”
Senza capire lo guardai e vidi che, nel sonno, la sua guancia si era attaccata al vetro, la bocca si era aperta e gli occhiali pendevano storti sul naso.
Era vergognoso, davvero, ma il tono in cui quello lo aveva detto mi infastidì tanto che gli risposi con un po’ di arroganza.
“Non sono problemi tuoi.”
Quel Black sbuffò e, stringendo la manopola del finestrino, lo abbassò in un colpo solo, facendo sbattere la testa a James e facendo entrare il vento generato dal treno in corsa.
Probabilmente fu allora che iniziò il mio astio nei confronti di Sirius Black.
Mi alzai, con la bacchetta sguainata, come se poi sapessi produrre altro che qualche scintilla colorata, decisa a farlo fuori.
James invece, che con l’urto si era svegliato, trovò lo scherzo estremamente divertente e, dopo avermi tranquillizzata, iniziò a parlare con l’artefice dando vita a un’inspiegabile complicità.
Ben presto la conversazione coinvolse tutti, come se il muro, creato dal non conoscerci, fosse crollato al suono della risata di James.
Il ragazzo dolce si presentò come Remus Lupin, passò gran parte del viaggio in silenzio, con un sorriso sulle labbra, come se si sentisse per qualche strana ragione, fortunato a stare lì con noi.
L’altro ragazzino invece, che sembrava ancor più spaventato dopo la mia sfuriata, seguiva con lo sguardo ciò che accadeva e una delle poche cose che disse, quando gli fu esplicitamente chiesto fu un: “Mi chiamo Peter Minus”, pronunciato con voce un po’ acuta.
La ragazza infine, messo da parte il grosso tomo scolastico si rivelò essere dolce e disponibile e, quando passò la signora del carrello, offrì a tutti un bastoncino di liquirizia, guadagnandosi da parte di Minus uno sguardo poco meno che amorevole.
Disse di chiamarsi Mary, Mary MacDonald.
So, Harry, che raccontarti questi pezzi di vita è uno dei regali più belli che tu possa ricevere, ma non ricordo con esattezza come si svolse tutto il viaggio.
Sappi però, che alla fine della corsa, quando il treno iniziò a rallentare tra uno sbuffo e l’altro, avevo avuto modo di conoscere meglio Remus e Mary e di dire che Peter non era poi così noioso, avevo avuto modo di classificare Sirius come un presuntuoso e un arrogante e, soprattutto, avevo iniziato a sentire gli aghi con cui l’invidia sembrava pungermi la pelle.
Tra Sirius e James si erano create una sintonia e un’armonia che non riuscivo a spiegarmi, che non volevo spiegarmi.
Strinsi la mano a Mary quando, scendendo dall’Espresso, Hogwarts si stagliò di fronte a noi, bellissima.
Era lì, il castello dei nostri sogni di bambini, delle nostre speranze.
Ci stava aspettando, oltre la superficie piatta di quel lago che alla luce della luna sembrava inchiostro.
Insieme, senza sapere quello che ci attendeva, iniziammo quel magico viaggio.

NdA: Cercherò di pubblicare tutti i capitoli che sto rivisitando il più in fretta possibile, per passare poi alla parte nuova della storia. Forse non interessa a nessuno, ma mi fa piacere anche solo sapere che qualcuno abbia aperto la storia. Vi ringrazio di nuovo.

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Capitolo 3
*** E divenne la nostra Casa ***


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C'era una volta il nostro mondo

No, Harry, non ho dimenticato, raccontando la mia storia, di parlarti di una ragazzina vivace con dei dolci occhi verdi e dei capelli rossi un po’ troppo appariscenti.
Se ancora non ho nominato tua madre è soltanto perché James non la vide alla stazione, né nel treno. Ed io con lui.
La prima volta che lo sguardo di tuo padre si posò su Lily Evans eravamo in fila davanti ad un vecchio Capello che avrebbe deciso il nostro destino.
Non ho mai accettato fino in fondo che fosse un pezzo di stoffa, seppure assai potente, a separare coloro che magari erano compagni da una vita.
Soltanto adesso, con la vecchiaia, inizio a capire che chi ha vissuto a lungo, che si tratti di un uomo, di un animale o di qualche fibra di tessuto, acquisisce uno strano dono.
Impara a leggere tra le pieghe della mente, riesce a vedere, a volte con chiarezza, il futuro, gettando uno sguardo al passato per comprenderlo meglio.
Quante volte avrai sentito dire che la storia è un ciclo di eventi che continuano a ripetersi e ripetersi ancora?
Tra qualche anno comprenderai quanto c’è di vero in tutto ciò.
Quando i tuoi figli ti confideranno quelle ansie che a te sembra di aver provato una vita fa, capirai di essere una goccia nell’oceano, non tanto diversa dalle altre.

Ma sto divagando.
Dicevo; la prima volta che James vide Lily non rimase catturato dalla sua grazia o dalla sua bellezza.
Semplicemente, nell’ingenuità e nell’entusiasmo dei suoi undici anni, esclamò: “Una con i capelli così rossi non può essere che una Grifondoro, vedrai.”
E il Cappello, appena qualche minuto dopo, non si diede la pena di smentirlo.
Insieme, io e James, vedemmo i nostri compagni finire ad uno ad uno nella stessa Casa, mentre noi, impazienti, aspettavamo il nostro turno.
Ci fu Black, che andò contro la tradizione di famiglia.
Ci fu Lupin, che guardò entusiasta e incredulo quel tavolo che lo accoglieva con un applauso fragoroso.
Ci fu Mary, che con una corsa e un sorriso prese posto, involontariamente, accanto a tua madre.
Ci fu Minus, che rimane frastornato dal verdetto, evidentemente inaspettato.
E poi ci fu anche James, che avanzò verso lo sgabello cercando di celare ogni ansia.
Il Cappello sfiorò la sua testa solo un secondo prima di urlare all’intera Sala Grande la decisione.
Grifondoro.
Così rimasi soltanto io in attesa, mentre la lista si riduceva di nome in nome.
Furono minuti terribili, nei quali l’ansia che avevo provato la notte precedente lottò per prendere possesso di me, di nuovo.
Quel “Thompson, Eleonor”, pronunciato da una voce secca e perentoria fu l’ancora di salvezza a cui mi aggrappai.
Quel “Grifondoro”, che mi rimbombò nelle orecchie, fu una delle soddisfazioni più grandi che ricordo di aver provato.
Ebbra di felicità, mentre mi accomodavo tra Mary e James, dimenticai ogni ansia e ogni preoccupazione.
Eravamo tutti insieme.
Avevamo superato la nostra prima prova.
Eppure, se quel momento per me era perfetto, mi accorsi ben presto che il Cappello, o il destino che dir si voglia, non era stato clemente con tutti.
Tua madre, nonostante i dolci tentativi di Mary di coinvolgerla nell’atmosfera festante che regnava sovrana sotto a quel magico cielo trapuntato di stelle, se ne stava mogia mogia, sbocconcellando ciò che aveva nel piatto.
Sistematicamente il suo sguardo volava al tavolo dei Serpeverde, dove un ragazzino con i capelli neri e il naso adunco sembrava triste quanto lei.
Ricordai che era stato al suo fianco, sempre.
Severus Piton era il suo migliore amico, ci disse.
Senza di lui non avrebbe saputo neppure cos’era la magia, senza di lui avrebbe continuato a sentirsi strana, senza sapere di essere speciale.
Pensai alla mia breve vita separata da quella di James, e compresi il nodo allo stomaco che doveva sentire.
La consolammo, tentammo di farla sorridere.
E ci stavamo anche riuscendo prima che tuo padre, da due posti di distanza, carpisse l’argomento della conversazione e intervenisse.
“Oh, ma quello è soltanto un moccioso, per di più una Serpe. Ci siamo noi qua, ti divertirai!” esclamò.
Il mio scappellotto non gli fece probabilmente comprendere la gravità di ciò che aveva appena detto e lo sguardo che Lily gli rivolse era una dichiarazione di guerra.
Da quel momento tua madre fu molto poco ragionevole nei suoi confronti.
L’odiava, diceva.
L’aveva capito in quella serata che era stata allegra quasi per tutti.
Perché quando si è felici, se si guarda un po’ fuori dalla propria bolla, si può vedere sempre qualcuno che piange. È una delle regole della vita.
Poco più tardi conobbi le altre compagne con cui avrei diviso il Dormitorio.

Alice Prewett.
Emmeline Vance.
Mary MacDonald.
Lily Evans.

Non potevo ancora sapere che quei nomi sarebbero diventati una parte di me.
Non potevo sapere che quei visi di bambine sarebbero diventati la mia seconda famiglia.
Non potevo saperlo, certo, ma forse lo immaginai.
In quella serata in cui per la prima volta mi gettai sul mio letto a baldacchino. Il più lontano dalla finestra, perché per salutare James ero arrivata tardi.
In quella serata in cui compresi quanto era assurdo cercare di spiegare a Lily Evans che tuo padre non era cattivo e nemmeno uno sbruffone.
In quella serata in cui capii che lui, se fossimo diventate amiche, sarebbe diventato il nostro argomento tabù.
In quella serata in cui, infine, mi addormentai sorridente, con la bacchetta sul comodino e tanti sogni nel cassetto.
E stavo tremendamente bene, perché l’unica preoccupazione in quel momento era di non perdermi per arrivare in classe il giorno dopo.
Alle scale è sempre piaciuto cambiare, dopotutto.
E noi dovevamo ancora comprendere il linguaggio segreto di Hogwarts.

NdA: Ecco un altro capitolo, non temete se i primi li troverete uguali alla vecchia versione della storia, da un certo momento in poi sarà rivisitata. So che quell di questo capitolo non è l'esatta dinamica degli eventi lasciata trapelare da Zia Row (James incontra Lily e Severus in treno), ma le esigenze dettate dall'aggiunta di un nuovo personaggio me l'hanno fatta immaginare in questo modo. Ringrazio chiunque abbia avuto la pazienza di arrivare fin qui, sperando che non abbia trovto questo tempo sprecato. E un ringraziamento speciale a chi mi ha lasciato e lascerà in qualunque modo il suo supporto <3

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Capitolo 4
*** Ci sembrò di Volare ***


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               C'era una volta il nostro mondo

Quel primo anno.
Oh, Harry, saprai meglio di me cosa significa il primo anno a Hogwarts.
Una continua scoperta, un perpetuo guardarsi intorno a bocca aperta, l’incredulità sul volto di chi si chiede: “Possibile che proprio io abbia avuto questa fortuna?”
Anche oggi, a distanza di così tanto tempo, lo ricordo perfettamente. Ricordo persino l’accozzaglia di emozioni che mi attanagliavano il petto di fronte ad ogni cosa nuova.
Eccitazione, paura di sbagliare, curiosità, gioia.
C’era tutto.
E oggi, parlandoti di quel periodo, voglio farti spuntare un sorriso sulle labbra.
Perché probabilmente sarai venuto a conoscenza di diversi momenti della vita di tuo padre; i suoi ultimi istanti, il tentativo di salvare te e tua madre.
Eppure sono quasi certa che nessuno abbia mai pensato, nel clima di guerra che fino a qualche anno fa soffocava il Mondo Magico, di raccontarti, ad esempio, come fu la prima lezione di volo di James Potter.
Sono venuta a sapere, dai numerosi articoli su di te, che sei stato Cercatore nella squadra della tua Casa e Capitano, da un certo momento in poi.
Forse saprai, o forse no, che tuo padre adorava il Quidditch con tutto se stesso e che per molti versi hai seguito le sue orme o meglio la scia della sua scopa.
Fu probabilmente un amore sbocciato a otto anni quando volò per la prima volta.
Non ricordo di aver mai visto qualcuno altrettanto entusiasta per qualcosa.
A chi glielo chiedeva, James ha sempre ripetuto: “Mi piace volare perché lì le regole della vita non valgono”.
E anche se Lily sosteneva che fosse un modo come tanti per sfuggire alle norme scolastiche, io sono certa che dietro alle sue parole ci fosse molto altro.
Si sentiva libero, lassù, e non doveva fare i conti con i problemi che, prima o poi, tutti dobbiamo affrontare nella vita.
Era il suo modo per staccare la spina, per pensare, per sfogarsi.
C’è chi piange, chi corre e chi cucina; James volava.
Comunque prima di perdermi in altri discorsi, avevo promesso di raccontarti una storia divertente e così sarà.
La nostra prima lezione di volo si svolse una settimana dopo l’arrivo a Hogwarts, in una mattina tersa e fresca.
Io e James scendemmo a colazione emozionati e impazienti.
Conoscevamo il piacere che si prova stando su una scopa e riuscivamo a farlo discretamente, tanto bastava, nelle nostre menti di undicenni, per farci camminare a testa alta, incuranti delle preoccupazioni altrui.
Tu che sei cresciuto tra i Babbani, Harry, forse puoi capire lo sgomento di chi si trova catapultato nel Mondo Magico, senza averne mai sospettato l’esistenza.
Per me, ma anche per tuo padre, era molto, molto più difficile da comprendere.
Tua madre ad esempio quella mattina, era terrorizzata all’idea di ciò che stava per succedere e continuava a ripetere, adocchiando le scope, che lei, con quelle cose, poteva al massimo pulirci per terra.
Nelle stesse condizioni erano parecchi altri Babbani di nascita e, a dir la verità, l’unica che ricordo perfettamente a suo agio era Mary.
Nel 1971 l’insegnante di volo era una donna rotondetta e un po’ attempata che decise di sottrarsi alle ansie del mestiere quando noi eravamo al terzo anno.
“I suoi nervi non avrebbero sopportato un’altra partita Serpeverde - Grifondoro”, furono queste le sue parole.
Si chiamava Madama Wright, soprannominata da tutti, poco elegantemente - devo ammetterlo - la Pluffa.
Quando arrivammo al campo, Madama Wright ci diede una scopa ciascuno e ci mostrò come farla sollevare da terra.
Quel primo passaggio non creò il minimo problema, né a me né a James.
Lily invece ci riuscì soltanto dopo essere giunta a supplicare il “maledetto aggeggio” di comportarsi bene.
Fatto ciò, con i dovuti inghippi, Madama Wright lasciò davanti a lei una sola scopa e ci mise in fila.
Uno alla volta, avremmo dovuto fare un breve giro in tondo ad un metro da terra per poi riatterrare dolcemente.
Il primo fu Frank Paciock, compagno di stanza di James insieme a Minus, Lupin e Black.
Svolse egregiamente il suo compito e si guadagnò un’occhiata compiaciuta dall’insegnante.
Poi fu il turno di Remus che traballò un po’, ma riuscì a rimanere in equilibrio e di Lily che fece tre quarti del giro ad occhi chiusi e toccò terra un po’ troppo rudemente.
Poi venne Minus, che cadde nell’erba appena dopo essersi sollevato e Black che affrontò la prova in maniera impeccabile, con un ghigno stampato sul volto.
Quando scese mi lanciò con molta poca grazia la scopa, e, credimi, fui veramente tentata di rompergliela in testa.
Conclusi il giro atterrando dolcemente sull’erba e facendo spuntare un sorriso sulle labbra di James.
Passai il mezzo a Mary che stupì tutti con una prova non molto lontana dalla mia che volavo da qualche anno, prova che fu accolta con un applauso da tutti i compagni.
Infine lei mise la scopa nelle mani James.
E fu la fine.
Devi sapere, Harry, che c’erano poche cose delle quali tuo padre andava fiero, e il Quidditch era decisamente una di quelle.
Ogni volta che si toccava l’argomento, finiva per vantarsi per la sua abilità, magari passandosi una mano tra i capelli e garantendosi un’occhiata di genuino odio da parte di Lily.
Quel giorno non fece eccezione.
Prese la scopa guardandosi intorno per catturare l’attenzione e quando fu certo che gli occhi ti tutti fossero puntati su di lui vi salì a cavalcioni.
Si librò in aria in maniera impeccabile.
Il primo mezzo giro fu perfetto.
E poi, semplicemente smise di guardare avanti per fissare lo sguardo su di noi - come a volerci mostrare la sua bravura.
Non si preoccupò minimamente del palo di uno degli anelli che era davanti a lui, ma se ne dovette preoccupare poco dopo Madama Chips, l’Infermiera, quando lo portammo da lei, svenuto e con la testa dolorante.
E così iniziò la carriera del grande James Potter, con un avvenimento che gli costò, negli anni, non poche prese in giro persino da suo padre.
Te lo saresti mai aspettato?
Probabilmente se fosse qui mi odierebbe perché ho appena rovinato la sua intoccabile reputazione, io spero invece di averti regalato un attimo della sua vita che non conoscevi.
E se questo lo mette in ridicolo, forse da una parte è meglio, perché ti sembrerà più reale, più come un genitore da ricordare con un sorriso che come un eroe da cercare di imitare.
E con questo non voglio dire che James non fu un grande.
Dimostrò di esserlo, lo dimostrò non sottraendosi mai ai combattimenti, lo dimostrò con la sua fedeltà per gli amici e con il suo amore per tua madre.
James fu un grande, soltanto non fu perfetto perché la perfezione, davvero, non è umana.
E tu, Harry, hai bisogno di prove concrete che ti dicano che i tuoi genitori erano persone normali, con i loro pregi e loro difetti.
Hai bisogno di sapere che non sei il figlio di due miti, semplicemente perché nei miti i protagonisti sono divinità e non uomini.
Ricordatelo sempre, James e Lily erano persone stupende, ma erano pur sempre persone.
Come te e come me.

 

NdA: Come sempre, grazie per essere arrivati fin qui, e grazie a chiunque abbia voglia di lasciarmi un parere, bello o brutto che sia <3

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